CORRIERE EVENTI SCALA 2001-2002 1842 Il precedente L’opera I tre tenori di Rossini Gioacchino Rossini compone «Otello» nel 1816, nel suo periodo napoletano. L’opera va in scena per la prima volta al Teatro del Fondo il 4 dicembre 1816 (il Teatro San Carlo è stato poco prima distrutto da un incendio). Soprattutto i primi due atti sono lontani dalla tragedia scespiriana. Tuttavia la storia d’amore, odio e gelosia, è presentata con ricchezze musicali insolite. Interessante la differenziazione dei tre tenori presentati dal compositore in una serie di confronti diretti: la musica di Otello squillante ed eroica, con una tessitura enorme; quella di Rodrigo più leggera e concentrata in una tessitura altissima, di grande melanconia e delicatezza melodica; e quella di Jago, insinuante e imperiosa allo stesso tempo per manipolare gli altri e creare l’effetto voluto. Il libretto Shakespeare non abita più qui L’autore del libretto è il marchese Francesco Berio di Salsa, letterato e gentiluomo ospitale, nel cui salotto si ritrovano poeti, artisti e musicisti. La sua stesura però non deriva dall’originale ma da un adattamento francese di Shakespeare. Il suo «Otello» non si può neanche dire una tragedia della gelosia, quel sentimento che in Shakespeare Jago inocula cinicamente in un uomo schietto e vitale fino ad annientarlo. Sembra poi che non abbia nessun rilievo il fatto che Otello sia nero. Lo scandalo Un Moro sempre più bianco Lo scandalo di questo libretto scoppia soprattutto fuori d’Italia. Meno nel nostro Paese, dove ben pochi conoscevano Shakespeare. A Roma addirittura (1819-20), a Venezia (1825-26) e ad Ancona (1830) la conclusione è mutata in lieto fine: bastano due parole a Desdemona per persuadere il furente marito della propria innocenza, dopodiché la coppia sulla scena intona il duetto «Cara per te quest’anima», tolto dall’«Armida» dello stesso Rossini. Emblematico il caso di Firenze (1819) dove il tenore Tacchinardi presenta nell’opera di Rossini un Otello di razza bianca, proprio perché l’amore di una bianca per un nero sembrava, più che riprorevole, incomprensibile. In un libretto pubblicato per l’occasione si spiega perché Otello non sia nero come «lo richiederebbe (non si sa a qual motivo) il soggetto del tragico Inglese», sembrando poco probabile che «una gentil Donzella ... accendersi potesse per un Moro». Così «si risolse il sig. Tacchinardi di vestir forme meno ripugnanti» considerando anche «che non tutti i figli dell’Africa han nero il volto». LE ORIGINI 8 nasce a Padova Arrigo Boito (morirà a Milano nel 1918). Musicista e poeta, fu tra i maggiori esponenti della Scapigliatura 1868 l’anno in cui Boito compose il Mefistofele, poi rielaborato nel ’75 e nell’81. Fu un tentativo di rinnovare la musica del melodramma italiano 1863 l’anno in cui a un banchetto Boito recitò l’ode «All’arte italiana». Quattro versi furono ritenuti ingiuriosi da Verdi, che non dimenticò mai l’offesa 3 furono gli incontri (freddi) tra Verdi e Boito nei 15 anni successivi. Poi i rapporti migliorarono, grazie anche alla collaborazione nella revisione di Simon Boccanegra (1881) GLI ARTEFICI TRA IL COMPOSITORE E IL LIBRETTISTA UN RAPPORTO NON FACILE, FRA STIMA E DIFFIDENZA Verdi e Boito, quel legame vincente nato senza aver nulla in comune Francesco Maria Colombo na vecchia fotografia scattata nel giardino della casa di Giulio Ricordi a Milano, in via Borgonuovo, riunisce Verdi e Boito e ci dice tutto di loro. Boito, che in quel momento (1892) aveva 50 anni, indossa un abito chiaro a quadretti piccoli, di taglio eccellente: una mano regge un sigaretto, l’altra si regge a un bastone da passeggio. E’ un bell’uomo blasé, lo sa perfettamente e posa come un attore; tutto in lui, dalla postura allo sguardo, dichiara «Io sono nientemeno che Arrigo Boito». Di fianco a lui c’è Verdi, quasi ottantenne, vicino a licenziare l’ultima sua opera. Verdi, come spessissimo accade nelle sue fotografie, non guarda l’obiettivo: guarda per terra, con quel suo volto ossuto, contadino e testardo; è rivestito di una casacca nera un po’ sformata, e con le braccia si stringe le reni. Della foto, del glamour, di noi che lo guardiamo, del fatto di essere Giuseppe Verdi non glie ne importa niente. Fra i due, non c’è dubbio che Boito sia il più elegante; ma il più regale è Verdi. U mo incontro fra la Duse e Boito. L’idea di fare incontrare i due uomini è testimone del genio di Giulio Ricordi: l’incontro non fu combinato a caso, ma con il preciso scopo di riportare Verdi a scrivere per il teatro (dopo Aida, 1871, il Maestro non ne voleva più sapere) e, in particolare, ad applicarsi al soggetto scespiriano di Otello. Nel 1879, Boito giunse da Verdi non per rendere generico omaggio, ma con un canovaccio del libretto: lo accompagnava l’amico Franco Faccio, che come direttore d’orchestra era molto stimato da Verdi, e che avrebbe poi condotto, ben 8 anni più tardi, la prima rappresentazione dell’opera. L’incontro avvenne in un clima di diffidenza reciproca: da parte di Boito, c’era l’imbarazzo di essersi lasciato andare, giovane, a dichiarazioni ingiuriose verso il Maestro. L’opera musicale che, dopo un primo insuccesso, lo aveva reso celebre era un tremendo polpettone troppo speziato, troppo elaborato, troppo d’essere non creatore, ma ostetrico. L’operazione di maieutica che egli svolse, con umiltà ma anche con fermezza, va a suo eterno credito. Mise l’intera sua dottrina e un impegno mai smentito al servizio di qualcosa che Verdi aveva dentro di sé, e che altrimenti sarebbe rimasto taciuto. Che poi il risultato coincida, come in molti si afferma, con la vetta più alta del catalogo verdiano, è cosa a mio parere dubbia. Il libretto di Otello, che ha sempre raccolto moltissimi elogi, ha il vizio strutturale di eliminare il meraviglioso «atto veneziano» di Shakespeare, che nei secoli ha sempre suscitato perplessità perché rompe l’unità di tempo e luogo, ma che è essenziale perché sia forgiata la personalità di Desdemona (donna che ha il coraggio e la follia di ribellarsi al padre per amore del Moro), e perché sia chiaro come il destino di Otello sia generato dall’ambizione e dalla temerarietà del Moro stesso. Sottraendo Desdemona a Brabanzio, innesca una spirale di malediGiulio Ricordi fece incontrare i due Otello zione della quale è, allo stesso temNon avevano nulla in comune; parti- uomini avendo una strategia po, artefice e vittima. Di tutto quevano da mondi lontanissimi (Verdi, sto, nulla rimane nell’Otello di Boito si sa donde; Boito aveva una madre precisa. L’autore di «Mefistofele» e Verdi. E infatti la loro Desdemona polacca e in gioventù, con una bor- capì che il proprio destino sarebbe è una creatura incantevole, che cansa di studio, aveva percorso l’Euro- stato quello dell’«ostetrico» ta alcune fra le pagine più belle di pa), affrontavano le cose con oppoogni tempo (tutta la scena iniziale sta attitudine: Verdi andando dritto del quarto atto, forse la pagina di alla meta, magari lentamente ma più alta melanconia mai scritta da cotto, chiamato Mefistofele. Da parte di senza mai perdere la bussola; Boito giro- Verdi, che era diffidente per natura e Verdi), ma non è una donna complessa vagando, accostando infiniti frammenti verso tutti, poteva esserci un filo di e attiva quale Violetta, Amelia o Elisadi sapere, dalla letteratura straniera al soggezione intellettuale: e infatti non betta. dramma wagneriano, dal giornalismo al- diede mai confidenza al librettista, pur Non so se avesse ragione Gabriele Baldila demonologia, dalla storia antica al- apprezzandolo molto ed essendogli pudi- ni, secondo il quale Boito avrebbe tratto l’enigmistica (passione che, incredibil- camente grato. Verdi usò sempre il Verdi su un terreno periglioso, privo mente, riuscì a trasmettere al vecchio «voi» nelle lettere a Boito (che si rivol- dell’efficacia sommaria e diretta assicuVerdi): alla partitura del Nerone dedicò geva a Verdi con il «lei»), e fu molto rata da librettisti come Piave o Ghislanmezzo secolo di travagli senza riuscire a freddo con il poeta dopo che costui ave- zoni. Credo piuttosto che in Otello si finirla, per fortuna. Nella vita di Verdi va commesso l’imprudenza di confessa- assista all’incrocio fra un compositore le donne avevano ciascuna il proprio re (in un’intervista al Roma di Napoli) che sviluppa il proprio linguaggio deriposto, dalla straordinaria Peppina al- che gli sarebbe piaciuto mettere in musi- vandolo con coerenza ma anche con infinita originalità dal mondo di Don Carlo l’amante con fissa dimora; Boito si cir- ca lui stesso Otello. e di Aida; e un poeta che ama l’arzigogocondava di donne-gatto, creature feline Come sempre, il tatto, l’intelligenza, lo, l’orpello, il riferimento dotto e stuce voluttuose che lo avviluppavano in l’ironia di Ricordi riuscirono a smussare chevole, la glassa del «bel verso». Di morbidezze confortanti: una stupenda gli angoli. Il simpatico «joke» inventato Otello apprezziamo oggi la nuda disperapagina di Alberto Savinio lo evoca pas- per riferirsi all’opera (che tutti, composi- zione, il confine di laconicità, l’addio seggiare in Galleria a Milano, circonda- tore, poeta, editore, chiamavano «il cioc- alle «sante memorie» contenuto nella to dalle proprie incantatrici. La sua colatte»; e a Natale in quegli anni arriva- musica, e molto meno l’eccesso di decoamante più famosa fu Eleonora Duse, e va sulla tavola di Verdi una torta, invia- ro che rende la superficie del libretto chi scrive lo sa bene perché (sia conces- ta da Ricordi, sormontata da un Moro di così «Altare della Patria». Dei due uomi- SODALIZIO Arrigo Boito e Giuseppe Verdi, quasi ottantenne, nel giardino della so uno spiraglio alla vanità) fu concepi- cioccolatte) ebbe la sua importanza; e ni, il più aggiornato, il dandy up to date casa di Giulio Ricordi, in via Borgonuovo a Milano, nel 1892. Il primo incontro tra i to nell’esatto luogo dove avvenne l’ulti- Boito capì che il proprio destino era era Boito, ma il più moderno era Verdi. due risale al 1879 (foto Archivio storico Ricordi) SUI GIORNALI EVENTO ATTESISSIMO, LA STAMPA DEDICO’ ALL’OPERA PRIME PAGINE E NUMERI UNICI E il successo della «prima» meritò un titolone Francesca Basso itolo a tutta pagina. Magari un po’ prosastico, ma disteso sulle cinque colonne di cui allora, nel 1887, era composta una pagina del Corriere della Sera: «La prima rappresentazione dell’Otello di Giuseppe Verdi alla Scala». Il testo, invece, effonde entusiasmo. L’attacco: «Usciamo in questo punto dalla Scala, ove abbiamo veduto uno spettacolo che forse non avremo mai più». Scrive Enrico Panzacchi, fervente wagneriano, professore di Belle Arti all’università di Bologna ma anche musicofilo, Il «Corriere» che firma il commento aldedicò tutta la l’opera e alla figura di Verdi copertina nel numero del Corriere usciraccontando to domenica 6 febbraio anche gli 1887, all’indomani della priaspetti mondani ma dell’Otello. Il giornale dedica all’avvenimento tutta la prima pagina, più due colonne della seconda e una notizia in terza (la cosiddetta «terza pagina», dedicata alla cultura, ancora non era nata). Vi trovano spazio, nell’ordine, una recensione dettagliata dell’esecuzione musicale — del libretto era già stato ampiamente scritto sul numero precedente —, la cronaca mondana della serata, in cui sono descritte le mise delle signore («ovunque si volgeva l’occhio si vedeva un vero fulgore di rasi, di pizzi, di T TRIONFO A sinistra il numero unico de L’Illustrazione italiana per l’«Otello». Sopra, il Corriere del 6-7 febbraio 1887 trine, di piume e uno scintillio di brillanti da abbagliare»), l’analisi di scene e costumi, il «Dopo l’opera», dove si racconta che «a pochi passi di distanza dal Caffè Martini parecchi giovanotti vollero staccare i cavalli dalla carrozza del maestro e la trascinarono fino all’albergo» e un paragrafo sulle edizioni dell’Otello. Una curiosità: ve ne fu anche una di lusso, limitata a cento copie. Inoltre il Corriere quello stesso giorno offrì ai propri lettori un «numero unico illustrato» sull’Otello, al prezzo di 10 centesimi (il doppio del quotidiano). Ma non fu l’unica iniziativa di «marketing» ideata allora dai giornali. Anche il settimanale L’illustrazione italiana stampò un numero unico «straordinario», che il lettore poteva acquistare per due lire. Non solo, il Guerin Meschino pubblicò una parodia del libretto dell’Otello che fu «ricercatissima», a detta del Corriere nel numero dell’8 febbraio, in cui il successo dell’opera verdiana occupava ancora metà della seconda e della terza pagina. Che la prima dell’Otello fosse molto attesa non solo dai melomani, ma da tutto il pubblico, stam- pa inclusa, lo dimostra L’Illustrazione italiana del 6 febbraio 1887. Essendo un settimanale, pur di non mancare la notizia — ma dovendo preparare il numero prima della serata dello spettacolo — dedicò il servizio di copertina a Verdi. Titolo: «Alla vigilia dell’Otello». Tre pagine fitte più una con le illustrazioni dei costumi. Destinando parte del numero uscito il 13 febbraio, ben 8 giorni dopo la rappresentazione, alla cronaca dettagliata della serata, ricca di curiosità («Imponente era il loggione. Per entrarvi — caso inaudito — s’era cominciato a far coda sin dal mezzogiorno, mentre la porta non doveva aprirsi che alle sette!»). L’evento, dunque, era sentito da tutti come eccezionale. Il Corriere fa sapere ai lettori che «sabato notte, terminata la rappresentazione dell’Otello, vi fu molta ressa all’ufficio telegrafico. Il direttore aveva organizzato uno straordinario servizio. Poco dopo la mezzanotte, furono aperti persino sette sportelli». Servivano ai corrispondenti dei giornali per telegrafare la cronaca della serata. Giornalisti italiani ma anche stranieri, come s’era premurato di informare L’illustrazione italiana: «il Bennet del Daily Telegraph di Londra, l’Hauffer del Times, il Vitu del Figaro» e molti altri. Insomma, «tutto l’areopago della critica musicale» riunito per la prima dell’Otello, di cui «fra mezzo secolo — scriveva il settimanale — si parlerà come d’un fatto ormai leggendario».