I BALCANI TRA ORIENTE E OCCIDENTE
Università Ca’ Foscari (Venezia) – Centro Interdipartimentale
di Studi Balcanici e Internazionali
Istituto di Studi Ecumenici S. Bernardino (Venezia)
Pontificia Facoltà Teologica Seraphicum (Roma)
con il patrocinio di
Dipartimento di Americanistica, Iberistica e Slavistica
dell’Università Ca’ Foscari Venezia
e dell'Associazione Italiana degli Slavisti
Convegno internazionale di studi
I francescani
nella storia dei popoli balcanici
(nell’VIII centenario della fondazione dell’Ordine)
Venezia, 13-14 novembre 2009
Venerdì 13 novembre – ore 14.30
(Ca’ Bernardo, Dorsoduro 3199 – Aula B)
immagine tratta da http://www.teofane.splinder.com/post/17298857/San+Francesco+d'Assisi
Francescani nell’Impero Ottomano (Alfonse M. Sammut) Momenti
significativi della presenza francescana
nei Paesi romeni (Stefan Damian)
I Francescani e il cattolicesimo in Bulgaria
nei secoli XVII-XIX (Krassimir Stantchev)
Blasius Kleiner: un francescano in viaggio per i Balcani
(Wanda Stępniak-Minczewa)
Sabato 14 novembre – ore 9.30
(presso Sala san Pasquale
Svicino alla Chiesa di San Francesco della Vigna)
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Francescani in Albania (Maria Francesca Di Miceli) Attività
letteraria dei Francescani in Bosnia e Croazia (Barbara
Lomagistro)
Francescani in Croazia moderna e contemporanea
(Riccardo Burigana)
Francescani in Slovenia (Igor Salmič)
I Francescani e la Serbia nel XIII secolo, incroci culturali tra Oriente e
Occidente (Rosa D’Amico)
COMITATO SCIENTIFICO
Aleksander Naumow – Gianclaudio Macchiarella – Zdzisław Kijas – Roberto Giraldo
COMITATO ORGANIZZATIVO
Viviana Nosilia – Marco Scarpa
(per informazioni: [email protected])
I Balcani tra Oriente e Occidente
CISBI – ISE S. Bernardino (Venezia)
Pontificia Facolta’ Teologica Seraphicum (Roma)
CONVEGNO INTERNAZIONALE DI STUDI
I francescani nella storia dei popoli balcanici
(nell’VIII centenario della fondazione dell’Ordine)
Venezia, 13-14 novembre 2009
Venerdì 13 novembre, ore 14.30 (Ca’ Bernardo – Aula B)
Francescani nell’Impero Ottomano (Alphonse M. Sammut
O.F.M.Conv.)
Momenti significativi della presenza francescana nei Paesi romeni
(Stefan Damian)
I francescani e il cattolicesimo in Bulgaria nei secoli XVII-XIX
(Krassimir Stantchev)
Blasius Kleiner: un francescano in viaggio per i Balcani
(Wanda Stępniak-Minczewa)
Sabato 14 novembre, ore 9.30 (Sala San Pasquale, vicino alla
chiesa di San Francesco della Vigna)
Francescani in Albania (Maria Francesca Di Miceli)
Testimoni dell’evangelo nel mondo di oggi: nota sulla presenza dei
francescani in Croazia (secoli XIV-XX) (Riccardo Burigana)
Attività letteraria dei Francescani in Bosnia e Croazia
(Barbara Lomagistro)
Storia dei francescani in Slovenia (Igor Salmič O.F.M.Conv.)
I francescani e la Serbia nel XIII secolo, incroci culturali tra Oriente e
Occidente (Rosa D’Amico)
Comitato scientifico
Aleksander Naumow
Università “Ca’ Foscari” – Venezia
[email protected]
Gianclaudio Macchiarella
Università “Ca’ Foscari” – Venezia
[email protected]
Zdzisław Kijas
Pontificia Facoltà Teologica „San Bonaventura – Seraphicum” –
Roma
[email protected]
Roberto Giraldo
Istituto di Studi Ecumenici “San Bernardino” – Venezia
[email protected]
Comitato organizzativo
Marco Scarpa
[email protected]
Viviana Nosilia
[email protected]
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Alphonse M. Sammut O.F.M.Conv.
[email protected], [email protected]
I francescani nel cuore dell’Impero Ottomano
La presenza francescana in Turchia precede di più di due secoli
l’arrivo degli Ottomani e la caduta di Costantinopoli. Essi arrivarono a
Costantinopoli nel 1220 al tempo dell’Impero Latino. Non vennero
dunque in missione “inter saracenos.” Accolti e benvoluti dalla gente,
come già in altri paesi d’Europa, non tardarono a costruire un tempio
grandioso dedicato al loro Serafico Fondatore, che subito divenne il
cuore della comunità cattolica in quella metropoli.
Con il ritorno dei Bizantini nel 1261 la loro presenza si distinse per il
loro modo di comportarsi con rispetto verso i fratelli ortodossi
cattivandosi la loro simpatia e diventando, ante litteram, un ponte per il
dialogo ecumenico. Il loro convento divenne rifugio per i monaci
ortodossi cacciati dai loro monasteri che disapprovavano gli intrighi
politici del Patriarcato e di membri della famiglia imperiale o di corte in
cerca di un asilo sicuro per la loro vita.
Dopo la conquista, la loro chiesa situata nel cuore di Galata,
nonostante le mutate condizioni, continuò ad essere il cuore pulsante
della comunità cattolica sulle sponde del Bosforo. Fu l’unica chiesa
dove si potevano tenere delle processioni fuori dal recinto del tempio.
Questo però, non vuol dire che tutto andasse liscio, senza difficoltà. Più
di una volta i frati furono oggetto di vessazioni e soprusi da parte del
popolo e anche delle autorità e benché il nostro glorioso duomo, come
veniva chiamato, abbia resistito oltre duecento anni dall’avvento del
potere ottomano, dobbiamo dire che questo, oltre che alla loro
determinazione, si deve ai loro sacrifici indicibili e ad elargizioni
pecuniarie ingenti. Non furono solo gli incendi che determinarono la
fine di quella chiesa, ma dietro c’erano anche i maneggi di coloro che
esercitavano il potere, nemici giurati dei bravi e buoni religiosi.
Così tenace fu la volontà dei frati, che espulsi dalla loro casa, in spe
contra spe, accettarono di vivere in un tugurio, pur di continuare a
prestare il loro servizio pastorale ai loro fedeli nell’attesa di tempi
migliori. E furono premiati. Perché il permesso di riavere una casa,
dopo venticinque anni di fiduciosa attesa, arrivò ed essi poterono di
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nuovo avere la loro chiesa decorosa, anche se più piccola, e un tetto
sulle loro teste dove rifugiarsi.
Finalmente, di nuovo nell’occhio del ciclone riuscivano non soltanto
di uscirne illesi ma perfino a migliorare di molto la loro posizione con
una maestosa basilica, che pur non più chiesa matrice e cattedrale
rimane la chiesa più in vista e più frequentata non solo della città ma di
tutta la Turchia.
Stefan Damian
(Universitatea “Babeş-Bolyai” – Cluj-Napoca)
[email protected]
Momenti significativi della presenza francescana
nei Paesi Romeni
La relazione rivisita le presenze francescane nei Paesi romeni dalle
attestazioni più antiche fino alla fine del secolo XIX. Come risulta dalla
succinta carrellata, immediatamente dopo la fondazione dell’Ordine, i
missionari francescani arrivarono sull’attuale territorio romeno con
l’intento di restare sul posto o di spingersi sempre più verso l’Oriente
“scismatico” e verso i territori degli “infedeli”. Molti di loro, invece,
rimasero nel Banato e in Transilvania, in Moldavia e in Valacchia, dove
fondarono conventi e chiese e dove si occuparono della vita pastorale
dei fedeli. Tra le popolazioni locali, confondendosi spesso con loro e
con i loro interessi vitali, i francescani (dopo la fondazione della
Missione) svolsero un’intensa attività, la cui memoria è documentata da
numerosi manoscritti e lavori stampati conservati in alcune biblioteche
europee. In relazione ai grandi eventi storici, agli avvenimenti della
storia locale, al confronto con altre fedi e con i loro rappresentanti, i
conventuali erano riusciti a imporsi anche come elementi di riferimento
culturale nello spazio abitato dai romeni.
Da quanto si apprende dall’apparato critico, lungo gli anni, numerosi
storici, storici della religione e linguisti si sono occupati di questa eredità
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mettendola in luce, interpretandola e proponendola alle valutazioni
delle nuove generazioni di studiosi.
Krassimir Stantchev
(Università “Roma Tre”)
[email protected]
I francescani e il cattolicesimo in Bulgaria
nei secoli XVII-XIX
Dopo alcuni precedenti senza conseguenze durevoli, il cattolicesimo
diventa una componente fissa, pur minoritaria, del quadro
confessionale e culturale bulgaro a partire dalla fine del XVI sec.
quando nella cittadina balcanica di Čiprovci (Chiprovatz) si stabilisce la
missione guidata dal francescano bosnense fra Pietro Salinate,
O.F.M.Oss., visitatore apostolico per la Bulgaria dal 1595 e primo
vescovo cattolico di Sofia dal 1601 al 1623.
Nella sua relazione l’A. si propone di presentare in modo sintetico il
ruolo dei frati della famiglia francescana come colonna portante della
comunità cattolica bulgara sia nel campo dell’organizzazione
ecclesiastica che in quello dell’istruzione e della produzione letteraria:
durante il secolo XVII, fino alla tragica fine della Rivolta di Čiprovci
(1688), ma anche nei secoli XVIII-XIX, quando nella ripresa
dell’attività cattolica in Bulgaria il ruolo principale spettò di nuovo ai
francescani (sia dell’osservanza che cappuccini). La rassegna si conclude
con un breve accenno ai quattro libri del cappuccino p. Edoardo di
Torino stampati “za spomen i duhovno dobro na bulgarski-plovdivskikatolicenski narod” nel 1878, l’anno di nascita dello Stato bulgaro
moderno, nel quale il francescanesimo è ugualmente presente, ma
richiede un altro tipo di studio.
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Wanda Stępniak-Minczewa
(Uniwersytet Jagielloński – Cracovia)
[email protected]
Blasius Kleiner: un francescano in viaggio per i Balcani
Le informazioni sulla presenza dei primi francescani in Bulgaria
provengono dall’opera del francescano tedesco Blasius Kleiner,
guardiano del convento di Alwinz (oggi VinŃu de Jos), e poi provinciale.
L’opera di Blasius (Biagio) Kleiner scritta in latino, nelle intenzioni dello
stesso autore si sarebbe dovuta comporre di tre parti, come indicato
dallo stesso titolo Archivium Tripartitum. La prima parte è la Storia della
Bulgaria, conclusa nel 1761, pubblicata nel 1977 dai bulgari, da Ivan
Dujčev, in una traduzione in bulgaro. La seconda parte è costituita dalla
Cronaca dei francescani bulgari, conosciuta in traduzione bulgara dal 1999,
edita da Istvan Lenard Madyar.
Attualmente Archivium Tripartitum è conservato nell’archivio dei Frati
Minori della provincia di Giovanni da Capestrano a Budapest. Nella
prima parte dell’opera, Storia della Bulgaria, è descritta la storia della
Bulgaria fino al 1453, con le informazioni sui primi francescani in
questo Paese balcanico. La seconda parte si concentra soprattutto sulla
cronaca dell’ordine dei Frati Minori e abbraccia il periodo dal XIV al
XVII secolo.
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M. Francesca Di Miceli
(Università degli Studi di Palermo)
[email protected]
Francescani in Albania
La tradizione religiosa albanese, testimoniata da S. Paolo, pur avendo
origini molto antiche, subì un’interruzione durante le invasioni slave. In
seguito, alla fine dell’XI secolo, la chiesa latina penetrò in Albania
attraverso la Dalmazia.. Nel corso del XIII secolo, con la creazione
dell’Impero latino d’Oriente (1204) e in particolare durante il Regno
d’Albania di Carlo d’Angiò (1272), il territorio balcanico occidentale fu
diviso in due grandi zone religiose: a nord la Chiesa romana e a sud
quella bizantina. L’Albania servì da zona di demarcazione e aspre lotte
si susseguirono fino al trionfo della religione islamica nel XVI secolo.
Nel volgere di questi tre secoli si accentuarono le difficoltà da parte
della Santa Sede di penetrare in un’area soggetta a forti sollecitazioni
esterne e di stabilirvi punti di riferimento duraturi. In una condizione
così precaria e di incertezza assoluta per il futuro, il papato comprese
che soltanto la presenza di ordini monastici di provata fede poteva
sopperire alle carenze di un clero pericolosamente compromesso. Non
a caso furono tre grandi ordini, i Benedettini i Domenicani e i
Francescani, che contribuirono a tenere uniti i cattolici soprattutto
nell’Albania del nord.
Furono i papi Bonifacio IX e Eugenio IV che evidenziarono il ruolo
dei Francescani, ai quali accordarono stima e fiducia apprezzandone
l’efficace oratoria, in special modo Eugenio IV che, tentando di
risolvere i problemi relativi all’unione delle chiese d’Oriente attraverso il
Concilio (Ferrara e Firenze 1438-1442), chiamò in suo aiuto alcuni fra i
più affermati predicatori francescani dell’epoca. Nel XIV secolo il
pericolo turco fece sì che fosse necessario un più deciso intervento e
sempre Eugenio IV indisse una crociata, conferendo ai predicatori
francescani, muniti di speciali facoltà, il preciso compito di reperire
fondi per la realizzazione di una flotta pontificia onde portare a buon
termine questa impresa di salvezza.
In seguito i Francescani furono impegnati anche in notevoli interventi
diplomatici, come ad es. Fr. Antonio de Napoli alias de Albeto che, nel
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1447, fece da intermediario con Alfonso V d’Aragona onde ottenere
aiuti in favore del condottiero albanese Giorgio Kastriota Skanderbeg.
Ma, benché la sicurezza dei territori occidentali fosse seriamente in
pericolo, sembrava che i governanti minimizzassero il rischio
dell’invasione turca a cui andavano incontro e lo stesso Alfonso, il 14
dicembre 1447, ritenne opportuno limitarsi a offrire ospitalità nei suoi
possedimenti a Skanderbeg e alla sua famiglia nel caso di fuga dalla
madrepatria. L’impegno diplomatico di Fr. Antonio però fu largamente
meritorio perché dopo la morte di Skanderbeg, avvenuta il 17 gennaio
del 1468, gli Albanesi lasciarono la madrepatria e, scortati da navi
veneziane, si rifugiarono presso la corte aragonese e da lì si stanziarono
poi negli insediamenti che ancora oggi esistono in Calabria e in Sicilia.
Fr. Eugenio Summa fu un altro francescano di nazionalità albanese
documentato durante il pontificato di Niccolò V, che ricoprì per la
Santa Sede un ruolo di indubbio prestigio e di estrema affidabilità. In
seguito la parabola discendente di Fr. Eugenio Summa, alimentata da
invidie, non tardò ad arrivare. Ma Fr. Eugenio riuscì a dimostrare a
Roma la sua buona fede, conquistandosi la piena fiducia di Callisto III,
succeduto a Niccolò V nel 1455, e ottenendo la reintegrazione nei suoi
uffici con facoltà maggiori delle precedenti.
Alla morte di Skanderbeg avvenne una vera e propria diaspora della
popolazione albanese che continuò la propria storia in Italia. Ed è
interessante notare che fra i tanti i soldati albanesi venuti nel nostro
Paese alcuni si distinsero per la fede che li avrebbe portati agli onori
dell’altare. Così avvenne per il beato Demetrio d’Albania, terziario
francescano, che passò mezzo secolo in eremitaggio in Umbria, dove
morì nel 1491.
L’Albania veniva invasa dagli ottomani, ma una cosa è certa che nel
territorio albanese rimasero solo i Francescani “avanzo di un grande
esercito religioso”. Li ritroveremo ad insegnare a Scutari alla fine del
XIX secolo e lì, in quel periodo, operò uno dei più grandi poeti albanesi
del Novecento, Atë Gjiergj Fishta, francescano.
Prima della seconda guerra mondiale, i cattolici erano relativamente
ben organizzati ma, dopo la guerra, il potere passò al regime comunista
di Enver Hoxha e le cose cambiarono. Infatti, benché la Costituzione
del 1946 garantisse formalmente libertà di religione e di coscienza a tutti
i cittadini, la realtà fu ben diversa. La situazione peggiorò al punto che
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nel 1967 l’Albania fu proclamata il primo Stato ateo del mondo
dall’Assemblea del Popolo.
I rapporti diplomatici con la Santa Sede sono stati ristabiliti dopo il
ripristino della libertà religiosa (dicembre 1990) e la definitiva caduta del
comunismo (1991) e Francescani, Gesuiti e Salesiani hanno fatto
ritorno in Albania. Attualmente vi sono due arcidiocesi: quella di
Tirana-Durrës a sud e quella di Shkodra-Pult a nord con l’arcivescovo
Angelo Massafra, francescano, a cui va aggiunta l’Amministrazione
Apostolica dell’Albania Meridionale, con il vescovo Hil Kabashi,
francescano. Dopo il 2000 sono tornate in terra d’Albania anche le
consorelle Clarisse come una “nuova luce missionaria accesa in una
terra a maggioranza musulmana”.
Riccardo Burigana
(Istituto di Studi Ecumenici San Bernardino – Venezia)
[email protected]
Testimoni dell’evangelo nel mondo di oggi:
nota sulla presenza dei francescani in Croazia
(secoli XIV-XX)
La presenza dei francescani in Croazia segna profondamente la
storia della regione per il ruolo e per il significato che questa presenza
ha assunto nel corso dei secoli, soprattutto nel periodo della
dominazione turca. In quel periodo si sono venute creando delle
peculiarità, che hanno poi contraddistinto i francescani anche nei tempi
successivi, in particolare nel momento dell’affermarsi del nazionalismo
serbo e della successiva formazione dello stato jugoslavo. Questa
articolata storia dei francescani in Croazia non può essere riassunta
dalle vicende del XX secolo né tantomeno confusa con essa; di queste
vicende le fonti, ormai a disposizione, pur nella loro non-completezza,
consentono di ricostruire numerosi passaggi, come dimostrano gli studi
pubblicati, anche se, talvolta, si deve osservare come proprio la
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storiografia dipenda fortemente da schemi interpretativi che servono a
alimentare contrapposizioni ideologiche e a piuttosto che a favorire la
conoscenza della memoria storica di tempi di guerra. Con il presente
contributo si vuole quindi offrire, in maniera necessariamente sintetica,
un quadro complessivo della presenza dei francescani in Croazia,
dedicando una particolare attenzione alle vicende del XX secolo e alle
interpretazioni che ne sono state date.
Barbara Lomagistro
(Università degli Studi di Bari)
[email protected]
Attività letteraria dei Francescani in Bosnia e Croazia
Igor Salmič O.F.M.Conv.
(Comunità Internazionale “Seraphicum”)
[email protected]
Storia dei francescani in Slovenia
Parlare della Slovenia in riferimento al passato è molto complicato
perché come stato esiste solamente dal 1991. Anche usare il termine
“Slovenia” per descrivere una realtà geografica comporta dei problemi a
causa dei frequenti cambiamenti amministrativi. Dato che la maggior
parte del territorio attuale della Slovenia apparteneva a suo tempo al
Sacro Impero Romano, si potrebbe piuttosto parlare della parte slava
del sud dell’Impero o dell’Austria interna, costituitasi nel 1564.
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Il territorio sloveno ha rappresentato il collegamento tra le culture più
eminenti, tra l’Italia e il mondo germanico, perciò nella storiografia di
solito assume un ruolo marginale, di secondo piano. Anche quando
parliamo delle vicissitudini storiche dei francescani non possiamo
sfuggire a questa tendenza.
Finora non esiste una storia generale dei francescani (riguardante tutti
e tre gli ordini) nel territorio sloveno, bensì storie dei singoli ordini e
anche queste piuttosto legate agli eventi dei singoli conventi. Troviamo
dei volumi, spesso in occasione di qualche anniversario, su precisi
conventi. Esistono anche storie a livello generale, ma sempre legate ad
un certo periodo storico. Il tentativo di questo articolo è di mettere
insieme, a mo’ di sintesi, quello che è già stato ampiamente e
scientificamente redatto da diversi storici in modo monografico.
Parlare degli inizi dell’Ordine francescano in un dato territorio è
sempre una cosa delicata, non soltanto per la mancanza di documenti
ma anche a causa dei cambiamenti politico-amministrativi. Così, per
esempio, si parla di Gorizia, oggi città italiana, come del primo
insediamento dei francescani nel territorio “sloveno”, dato che la città
nel ’200 apparteneva all’Impero. Alcuni fanno risalire la fondazione del
convento a quando san Francesco era ancora vivente (1225).
In generale possiamo parlare della presenza francescana nelle terre
“slovene” sin dagli anni ’30 del ’200. La fondazione delle comunità era
legata alle diverse spedizioni dei frati dall’Italia verso l’estero. Per il
territorio “sloveno” possiamo constatare due luoghi di provenienza: il
nord (provincia austriaca) e l’ovest (provincia lombarda, più tardi
patavina). La tradizione vuole che alcuni conventi in Istria siano stati
fondati da sant’Antonio. Poco dopo l’amministrazione di codesti
conventi venne affidato ai dalmati che si erano estesi dal sud. I superiori
dei francescani sloveni erano dunque, all’inizio, “stranieri”. È una
caratteristica storica degli Sloveni in generale dovuta alle modeste
dimensioni territoriali.
Durante il secolo XV nel territorio sloveno assistiamo all’espansione
dell’ala osservante dei francescani proveniente da tre direzioni. Nel
1451 già abbiamo un convento osservante a Pirano, pochi anni dopo a
Capodistria. Dal nord (Austria) vennero soppressi alcuni conventi dei
conventuali e consegnati agli osservanti (Judenburg, Lubiana, Graz)
come conseguenza dell’opera riformatrice di san Giovanni da
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Capistrano. Nello stesso tempo si fondò una comunità a Kamnik. Gli
osservanti arrivati dalla Bosnia fondarono le prime comunità nel
territorio sloveno già intorno al 1470 (Metlika, Novo Mesto).
Il secolo XVI fu segnato soprattutto dalle invasioni turche e
dall’espansione del protestantesimo che, in modo particolare, ha
condizionato negativamente la disciplina religiosa. Soprattutto i
conventuali erano i più tentati ad avvicinarsi alla “novità”. Riguardo al
rapporto fra francescani e protestanti, sia a livello generale che a livello
locale, manca uno studio approfondito. In mezzo alla bufera
protestante, paradossalmente, si fondò la provincia autonoma di Stiria e
Carinzia dei frati minori conventuali (1548), staccatasi da quella
austriaca.
Si deve ai cappuccini (accanto ai gesuiti) il lavoro assiduo nell’azione
di controriforma e ripresa cattolica alla fine del ’500 e all’inizio del ’600.
I primi cappuccini vennero in Slovenia da Praga e si stabilirono a
Lubiana (1606) e con la predicazione rapidamente si espansero altrove.
I conventi francescani cambiavano spesso l’autorità di riferimento a
causa del confine tra la Casa di Asburgo e la Repubblica Serenissima
che attraversava il paese. Così, per esempio, nel secolo XVII i conventi
di Gorizia, Trieste e Grignano passarono alla Provincia conventuale di
Stiria e Carinzia.
All’inizio del ’700 furono ancora i cappuccini ad espandersi nel
territorio sloveno, confermando così che il numero complessivo dei
francescani, in questo periodo, raggiunse l’apice. Come se questo fosse
stato l’ultimo grido prima delle misure giuseppiniste che ridussero
notevolmente le comunità francescane. Le province “quasi” slovene si
riunivano di nuovo nelle realtà più vaste. A Napoleone quindi non
rimasero molte soppressioni da imporre.
Il secolo XIX fu segnato da una grande prova per i francescani
dell’Austria interna. Il numero dei frati e conventi fu, rispetto a un
secolo prima, scarsissimo.
Con la caduta dell’Impero Asburgico e con la formazione dello Stato
e Regno jugoslavo dopo la prima guerra mondiale anche i conventuali e
i cappuccini si unirono con i croati in una provincia comune. Alla vigilia
della seconda guerra mondiale si crearono le condizioni per una
indipendenza totale della parte slovena. La guerra impedì tali progetti e
li rinviò verso la fine degli anni ’60 e inizio degli anni ’70. Il numero
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totale dei frati oggi non supera i 200 (100 frati minori, 50 conventuali e
40 cappuccini).
A causa del regime politico del XX secolo l’apostolato di tipo
parrocchiale prese il sopravvento in tutti e tre gli ordini. Oggi si stanno
cercando nuove vie per rendere più visibile il carisma francescano.
Rosa D’Amico
(Soprintendenza per i Beni Storici Artistici ed Etnoantropologici di
Bologna)
[email protected]
I francescani e la Serbia nel XIII secolo,
incroci culturali tra Oriente e Occidente
L’intervento riguarda lo scambio culturale tra le due sponde
dell'Adriatico tra fine ’200 e primi decenni del ’300, e la forte
mediazione dello Stato serbo dei Nemanjić per la divulgazione delle più
alte espressioni dell’arte bizantina in Italia. Tale mediazione ebbe nei
francescani uno dei principali referenti: negli ultimi decenni del secolo
XIII si veda la presenza in Serbia di Elena d’Angiò, regina legata alla
dinastia angioina, che in Italia proteggeva i guelfi, il papato e appunto i
francescani (Niccolò IV, i mosaici romani, e l’icona vaticana donata da
Elena al papa). All’architetto francescano Vita, di Kotor, fu affidata
negli anni venti del ’300 la costruzione del monastero di Dečani in
Kosovo. Alcune iconografie italiane derivano da modelli direttamente
bizantino-balcanici, importati con ogni probabilità proprio dai
francescani, presenti sulle due sponde adriatiche.
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