✠ Mario Russotto Vescovo di Caltanissetta GIONA nella conversione di Dio la conversione dell’uomo Lettera Pastorale anno 2014-2015 DISEGNO DI COPERTINA: Vincenzo Giovino - Curia Vescovile Caltanissetta IMPAGINAZIONE: Salvatore Tirrito - Curia Vescovile Caltanissetta STAMPA: Tipolitografia Paruzzo - Caltanissetta INTRODUZIONE Nel cammino di conversione Figlioli carissimi, all’inizio del nuovo Anno Liturgico, insieme agli Orientamenti Pastorali per gli anni 2014-2020, sono lieto di consegnare a tutti i presbiteri e i diaconi, le religiose e i religiosi, le donne e gli uomini di vita consacrata e i fedeli laici questa Lettera Pastorale su “Giona. Nella conversione di Dio la conversione dell’uomo”. Essa si pone in continuità con il mio modo di intendere la Lettera Pastorale del Vescovo, ovverossia quale pista di pro-vocazione e riflessione per «rifare il tessuto interno della comunità cristiana» (San Giovanni Paolo II). Perché solo una Chiesa evangelizzata può essere evangelizzatrice. Solo cristiani convinti e consapevoli della loro fede e della grazia dirompente del Battesimo possono diventare missionari di Vangelo, irradiazione di Amore nella solidarietà e nella declinazione delle tre “p”: Parola-Preghiera-Poveri. 5 MARIO RUSSOTTO La mia Lettera Pastorale non presenta, dunque, “novità strategiche” dal punto di vista teologicopastorale, ma un punto di partenza e di convergenza, una pista da percorrere insieme – in modo comunitario e personale – per essere sempre più la Chiesa sognata da Cristo Gesù, per prendere sempre più coscienza della nostra vocazione e della nostra missione fondate sul Battesimo. L’icona biblica di questo anno pastorale 20142015 sulla quale siamo chiamati a riflettere e meditare e con la quale ci confronteremo – nei gruppi catechistici e parrocchiali, nella “Tre Tende… la Parola”, nei cenacoli della Parola da riprendere con vigore ed entusiasmo (magari valorizzando i “gemellaggi” fra parrocchie della Missione Biblica Diocesana) per rendere la Chiesa missionaria sempre più presente nei quartieri e nelle case – è la vicenda del profeta Giona, narrata nell’omonimo libro della Bibbia. E il tema-slogan che ci siamo dati è “nella conversione di Dio la conversione dell’uomo”. Nei nuovi Orientamenti Pastorali abbiamo scritto: «Convertirsi, concretamente, significa entrare a 6 Giona nella conversione di Dio la conversione dell’uomo far parte della Chiesa, comunità di fede e di vita, riunita nel nome del Signore Risorto e Vivente. Gesù non ha indicato semplicemente una serie di principi, non si è accontentato di invitare ad un generico cambiamento, ma ha chiamato i discepoli a condividere la strada che Egli stesso stava percorrendo». Ecco, noi vogliamo riscoprire – e far riscoprire a tutti i battezzati – la gioia, la bellezza e la responsabilità di essere comunità di fede e di vita, per percorrere e condividere con Cristo Gesù la strada del Vangelo tracciata da Lui, Via Verità Vita. L’8 giugno 2003, nella terza Nota pastorale sull’iniziazione cristiana, i Vescovi italiani hanno esortato le nostre Chiese ad «una rinnovata e sempre più convinta attenzione a tutti i battezzati, a cominciare da coloro che, pur non avendo rinnegato formalmente il loro Battesimo, vivono un fragile rapporto con la Chiesa e devono quindi essere interpellati dal santo Vangelo di Gesù Cristo per riscoprirne la bellezza e la forza trasformante e per ritrovare così la gioia di vivere l’esperienza cristiana in maniera più consapevole e operosa». E infatti «questa terza Nota è espressamente indirizzata 7 MARIO RUSSOTTO al “risveglio della fede e al completamento dell’iniziazione cristiana degli adulti”». Si richiede pertanto una vera e profonda conversione pastorale, come Papa Francesco sollecita nella Evangelii gaudium: «Spero che tutte le comunità facciano in modo di porre in atto i mezzi necessari per avanzare nel cammino di una conversione pastorale e missionaria, che non può lasciare le cose come stanno» (EG, n. 25). E ancora: «Sogno una scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale, più che per l’autopreservazione» (EG, n. 27). E allora accogliamo il “sogno” di Papa Francesco, nella consapevolezza credente che «Ogni Chiesa particolare, porzione della Chiesa Cattolica sotto la guida del suo Vescovo, è anch’essa chiamata alla conversione missionaria. Essa è il soggetto dell’evangelizzazione, in quanto è la manifestazione concreta dell’unica Chiesa in un luogo del mondo» e in essa «è veramente presente e opera la Chiesa 8 Giona nella conversione di Dio la conversione dell’uomo di Cristo, una, santa, cattolica e apostolica… La pastorale in chiave missionaria esige di abbandonare il comodo criterio pastorale del “si è fatto sempre così”. Invito tutti ad essere audaci e creativi in questo compito di ripensare gli obiettivi, le strutture, lo stile e i metodi evangelizzatori delle proprie comunità… L’importante è non camminare da soli, contare sempre sui fratelli e specialmente sulla guida dei Vescovi…» (EG, nn. 30 e 33). E dunque… buon cammino con Giona! Perché tutti, a cominciare dal Vescovo e dai Sacerdoti, possiamo scoprire vivere testimoniare… nella conversione di Dio la conversione dell’uomo! 9 I FUGA… NELL’ABISSO 1. Il libro e il credente Giona è il protagonista di un piccolo libro, un romanzo didattico dell’Antico Testamento di soli quattro capitoli con 48 versetti in tutto, scritto probabilmente tra il 500 e il 400 a.C. È paradigma di un itinerario e di un percorso di vita che ci invita ad andare sempre oltre. Il libro è un magnifico racconto posto nel cuore della Bibbia che ha il sapore di una fiaba, di cui molti sono gli elementi: la descrizione della città di Ninive con le sue enormi ed esagerate dimensioni (Gio 3,3), l’ironia sottile con cui si descrive l’opera di Dio, il quale in una notte fa sorgere una pianta di ricino per fare ombra a Giona, ma poi manda un verme a roderla e un vento caldo d’oriente ad opprimere il profeta. E poi c’è il grande pesce, dal quale Giona viene ingoiato e da cui viene rigettato vivo sulla spiaggia dopo tre giorni e tre notti. 11 MARIO RUSSOTTO Il libro si divide in due grandi parti in parallelismo fra loro: i capitoli 1-2 e i capitoli 3-4. E inizia e finisce con una Parola di Dio, quasi a formare una grande inclusione. Il libro di Giona è un racconto battesimale per la proposta di vita nuova proclamata ai non-credenti attraverso il credente… missionario per costrizione. Il Battesimo non è un privilegio per la nostra personale salvezza. Il nostro battesimo è per gli altri: «Forse Dio è Dio soltanto dei giudei? Non lo è anche dei pagani? Certo, anche dei pagani! Poiché non c’è che un solo Dio...» (Rm 3,28-30). Il profeta Giona visse nel VII sec. a.C. (cfr. 2Re 14,25), ma il racconto che lo vede protagonista è posteriore all’esilio babilonese (V sec. a. C.), scritto dunque in un tempo in cui la città di Ninive non era che un lontano ricordo. Filo rosso del racconto è l’amore di Dio, che provoca la conversione di tutti gli abitanti pagani e peccatori di Ninive. Ma c’è un altro tema sottile delicato paradossale: la conversione di Dio! Perché nel racconto Dio cambia parere: se prima – almeno così sembrava – voleva fortemente e chiaramente ammonire gli 12 Giona nella conversione di Dio la conversione dell’uomo abitanti di Ninive pena la distruzione della città, poi cambia opinione: la conversione dei niniviti induce Dio a convertirsi, a cambiare. È la teshubah-conversione, che per quanto riguarda Dio ha un nome: si chiama perdono! E proprio questo Giona rifiuta. E allora... fugge! Fugge il più lontano possibile da Dio, da Ninive, dalla missione affidatagli, da se stesso! Giona rappresenta l’uomo rigidamente chiuso in una religiosità orgogliosa, esclusiva ed escludente. È l’unico profeta inviato da Dio a Ninive, cioè fuori dai confini di Israele, ad annunciare il cambiamento nel modo di vivere e di pensare di quei cittadini lontani da Dio. E oggi la nostra Chiesa e noi cristiani siamo chiamati a vivere e ad annunciare il Vangelo in una società fortemente secolarizzata indifferente ostile pagana… 2. Fuggire da Dio «Fu rivolta a Giona figlio di Amittai questa parola del Signore: «Alzati, va’a Ninive la grande città e in essa proclama che la loro malizia è salita fino a 13 MARIO RUSSOTTO me». Giona però si mise in cammino per fuggire a Tarsis, lontano dal Signore. Scese a Giaffa, dove trovò una nave diretta a Tarsis. Pagato il prezzo del trasporto, s’imbarcò con loro per Tarsis, lontano dal Signore» (Gio 1,1-3). L’ordine di Dio è chiaro: il profeta deve alzarsi e far conoscere alla città di Ninive che è ben noto al Signore il male che in essa si commette. Si tratta di una specie di “avviso di garanzia”, perché Dio non emette alcuna sentenza di condanna verso la grande città. Giona invece, vuole salire in cattedra e insegnare a Dio la giustizia. «Giona però si mise in cammino per fuggire a Tarsis…»: il testo ebraico non dice «si mise in cammino» ma «si alzò per fuggire». In effetti Giona si alza, ma non per andare dove il Signore lo manda, bensì per fuggire lontano dal Signore. È la prima volta che un profeta risponde a Dio con la disobbedienza. A volte nei profeti troviamo resistenze e obiezioni ma qui non c’è alcuna obiezione, nessuna domanda di chiarimento, nessuna risposta verbale. Solo il silenzio, solo la fuga. 14 Giona nella conversione di Dio la conversione dell’uomo E allora ci chiediamo: se Giona ha ben chiaro qual è il suo dovere di credente e di profeta, perché fugge? È convinto che sia un lavoro inutile, tanto il mondo non cambia? Ha solo desiderio di stare tranquillo a dire le sue preghiere, senza sporcarsi le mani con i problemi della società? Quante volte anche noi proviamo il desiderio di fuggire di fronte ai problemi, alle scelte dolorose, alle responsabilità pesanti che la vita ci mette davanti… In quei momenti vorremmo nasconderci, fuggire, scomparire… Giona può essere simbolo di ogni credente che sente il peso della vita e cerca di fuggire dalle sue responsabilità, o vede la volontà di Dio come un fardello pesante e insopportabile… Perché Giona fugge? Quale senso ha il suo fuggire? Il Card. Carlo Maria Martini nel 1996, rivolgendosi al clero di Milano – ma la sua riflessione si può benissimo estendere a tutti i cristiani: giovani, sposi, genitori… – così diceva: «La prima ragione, la più ovvia, della fuga di Giona è che ha paura di un incarico troppo gravoso e pericoloso… La seconda ragione, teologica… fugge perché sa che Dio è imprevedibile e non vuole affidarsi. Sa di non poter contare sulla rigidità di Dio, dal momento che Dio 15 MARIO RUSSOTTO è misericordioso. Giona non è capace di giocare con la scioltezza propria del Signore, vorrebbe essere garantito in tutto, è preso dalla paura… (Ma) il suo fuggire è insano; non esiste infatti un lontano né da Dio, né da sé, né dai propri doveri e nemmeno dalle sfide della vita». E poi continuava offrendo due piste per superare ogni tipo di fuga: «Se non sempre riusciamo a capire, sempre possiamo amare; amare è un modo di sanare la frattura di significato che agita la società contemporanea. Amare è una conoscenza profonda, che non sbaglia perché è imitazione del Dio che conosce e ama. Se negativa era l’icona di Giona che rifiuta di entrare nel gioco della scioltezza di Dio, positiva è quella di Giobbe che lotta a lungo con i limiti della sua comprensione del disegno di Dio, che si ribella e, alla fine, si arrende e trova pace proprio nell’affidarsi al Signore, al suo gioco, al suo mistero». «Giona però si mise in cammino per fuggire a Tarsis, lontano dal Signore» (Gio 1,2): ha forse dimenticato il canto del Salmo 139: «Dove andare lontano dal tuo spirito, dove fuggire dalla tua pre16 Giona nella conversione di Dio la conversione dell’uomo senza? Se salgo in cielo, là tu sei, se scendo negli inferi, eccoti. Se prendo le ali dell’aurora per abitare all’estremità del mare, anche là mi guida la tua mano e mi afferra la tua destra. Se dico: “Almeno l’oscurità mi copra e intorno a me sia la notte”; nemmeno le tenebre per te sono oscure, e la notte è chiara come il giorno; per te le tenebre sono come luce»? Giona è un uomo che vive nella paura e nella chiusura; nella paura che la Parola di Dio possa avere successo e che quindi Ninive possa convertirsi. Sì, Giona ha paura del Dio misericordioso e non giudice spietato! Giona è un credente rigido geloso rigoroso e non accetta che i non credenti possano cambiare vita. Giona è come il fratello maggiore del figliol prodigo nella parabola evangelica (Lc 15,11-32) che, chiuso nella sua pretesa di esclusività, desidera il male e la morte del fratello peccatore. E così Giona si chiude sempre più in se stesso, rifiuta Dio e sceglie il sonno (Gio 1,5) come anestetico della coscienza. Certo, Ninive è il simbolo della corruzione, del male dilagante, dell’indifferenza della società nei confronti di Dio. 17 MARIO RUSSOTTO Ma è Giona il vero peccatore! Egli cerca di mettere tra sé e Dio il deserto e il mare e il sonno… come morte della coscienza, lontananza dalla Presenza, scelta di oblio. Dormendo, Giona evita di pensare, di avere consapevolezza di quello che gli succede e gli viene chiesto, di dimenticare Dio e la propria responsabilità. Ma... «è ormai tempo di svegliarvi dal sonno!», scrive San Paolo nella Lettera ai Romani (Rm 13,11). «Alzati, va’ a Ninive la grande città e in essa proclama…» (Gio 1,1): alzarsi è la possibilità continuamente offerta di riprendere la propria vita in mano; è l’opportunità rinnovata ogni giorno di non trascinare la vita banalmente; è uscire dal torpore per elevarsi allo stupore di essere amati chiamati mandati da Dio.Alzarsi è prendere le distanze dalle varie comodità nelle quali abbiamo incastrato la nostra vita. Perché l’uomo si abitua a tutto, tranne alla fatica di amare e di mettere in pratica la Parola del Signore. Perché noi siamo capaci anche di abituarci a Dio: «I cristiani sono capaci di installarsi comodamente persino sotto la Croce di Cristo» (G. Bernanos). 18 Giona nella conversione di Dio la conversione dell’uomo Alzarsi: partire significa lasciare, abbandonare. E abbiamo sempre qualcosa da abbandonare… Perché il nostro cuore soffre offrendosi. Ed è giusto così, perché il Signore non ha bisogno di pietre rotolanti da un posto all’altro, ma di cuori amanti sempre e comunque, che conoscono il prezzo dell’amore e corrono il rischio del Vangelo. Alzarsi non è fuga da se stessi, dagli altri o da Dio, ma è partire in nome di Dio e con Dio… «Alzati e va’»: sono due parole scomode provocanti destabilizzanti. Mettono a nudo i nostri tentennamenti, i nostri ripensamenti, le nostre infedeltà. Sono parole pericolose, anche perché tante volte dobbiamo annunciare ciò che noi stessi non riusciamo a vivere… De Lubac, nel suo libro “Meditazioni sulla Chiesa”, ha scritto: «Il Vangelo ci condanna sempre! E per questo possiamo essere presi di mira. Gli altri possono tormentarci proprio in nome di quella Parola che, offerta, non è vissuta». Ma come tacere quella Parola che non ci appartiene? Non saremmo più dei viandanti portatori di Parola di Dio, ma dei vagabondi spacciatori di chiacchiere nostre. 19 MARIO RUSSOTTO Nel “Diario” di Kierkegaard leggiamo: «Io credo che se un giorno diventerò cristiano sul serio, dovrò vergognarmi soprattutto non di non esserlo diventato prima, ma di aver tentato prima tutte le scappatoie». E Giona cerca di fuggire a Tarsis, la città del lusso e dell’agiatezza, la città della comodità… che è sempre in discesa… Anche noi, piccoli Giona, abbiamo i nostri modi e i nostri tempi per cercare di non incrociare il volto di Dio. E allora… evitiamo con cura il silenzio come presenza: Dio potrebbe occuparlo e parlarci! Non insistiamo troppo con la lectio della Parola di Dio: il Signore potrebbe rivelarsi alla nostra coscienza! Non frequentiamo il deserto della meditatio e della preghiera: Dio spesso lo attraversa! Poveri noi piccoli Giona! Non comprendiamo che per Dio è impossibile stare lontano da noi! Dio non si lascia sorprendere né impaurire. È il Signore! 3. La tempesta discriminante E Giona si mette in viaggio. È il suo viaggio! «Ma il Signore scatenò sul mare un forte vento e ne venne in mare una tempesta tale che la nave stava per 20 Giona nella conversione di Dio la conversione dell’uomo sfasciarsi» (Gio 1,4): Dio è alle calcagna di Giona e scatena, anzi getta – come recita il testo ebraico – un forte vento sul mare. Quattro volte ricorre il verbo “gettare” in questi versetti: Dio getta il vento (Gio 1,4), i marinai gettano tutto in mare (Gio 1,5), Giona chiede di essere gettato in mare (Gio 1,12), i marinai gettano Giona in mare (Gio 1,15). Dio non dà tregua al suo profeta recalcitrante, non gli permette di nascondersi e di addormentare la sua coscienza, restando indifferente alla situazione che lo circonda. Sembra assurdo, ma sono proprio i marinai – i “lontani” non-credenti – a mettere il credente di fronte alla sua vigliaccheria, a costringerlo a reagire, a guardare in faccia le conseguenze delle sue scelte. Proprio coloro che dovrebbero essere insensibili e senza fede diventano maestri di fede di chi si dice credente! «I marinai impauriti invocavano ciascuno il proprio dio. Intanto Giona, sceso nel luogo più riposto della nave, si era coricato e dormiva profondamente» (Gio 1,5): solo Giona non prega!Anche per i marinai comincia un esodo che li porterà dal paganesimo al Dio di Israele. Al timore e 21 MARIO RUSSOTTO alla preghiera dei marinai si contrappone il sonno di Giona, che continua a “scendere”, ad allontanarsi dal Signore. È come se volesse nascondersi nel ventre della nave per sfuggire al Signore. «Gli si avvicinò il capo dell’equipaggio e gli disse: “Che cos’hai così addormentato? Alzati, invoca il tuo Dio! Forse Dio si darà pensiero di noi e non periremo”» (Gio 1,6): Giona viene svegliato dai marinai a causa della tempesta. È vero, tante volte le tempeste della vita servono a svegliarci dal sonno della coscienza… I non-credenti svegliano il credente alle sue responsabilità e, addirittura, lo invitano a pregare… Il profeta fugge da Ninive città pagana, e qui sono i pagani che vanno incontro a lui. Il profeta è stato mandato a parlare di Dio ai pagani, e qui sono i pagani che parlano a lui di Dio. Ed è proprio un pagano a ri-dire le parole di Dio: «Alzati e grida (qum e qara’)» (Gio 1,1). Prima era Dio ad affidare a Giona la missione di evangelizzare i pagani, ora sono i pagani che evangelizzano l’uomo di Dio! Giona cerca di fuggire lontano da Dio, i pagani invece cercano il cammino verso Dio. Giona dorme 22 Giona nella conversione di Dio la conversione dell’uomo e non prega; i marinai sono svegli e lottano contro la tempesta pregando. Giona cerca la morte come ultima sua discesa in basso, i marinai cercano la vita e lottano per tenere in alto la nave. Si realizza così quello che Dio aveva detto per mezzo del profeta Isaia: «Io sono stato cercato da quelli che prima non chiedevano di me, sono stato trovato da quelli che prima non mi cercavano» (Is 65,1). Ed ecco: mentre Giona si intestardisce a fuggire da Dio e dalla città pagana, la sua fuga provoca la fede dei pagani. Dio si serve anche dei peccati dei credenti, dei tradimenti e delle infedeltà della Chiesa per farsi conoscere e incontrare dai cosiddetti “lontani”. Sì, a volte la Chiesa e noi cristiani dobbiamo toccare il fondo dello scandalo, della mediocrità, del compromesso e dell’incoerenza per ritrovare la fede, lasciandoci evangelizzare da quelli che giudichiamo non-credenti! I marinai pagani intuiscono che la tempesta è un “segno” di Dio. Purtroppo capita che le tempeste della vita scuotano i “lontani” mentre lasciano indifferenti i credenti, che non comprendiamo e non sappiamo leggere i segni di Dio. Risvegliato alle sue responsabilità, Giona ammette 23 MARIO RUSSOTTO che la tempesta si è scatenata per colpa sua. È anche colpa dei credenti se ci sono tempeste nel mondo! Se il mondo è nelle tenebre è perché noi non lo illuminiamo, se è senza sapore è perché noi non siamo sale! Ma di fronte a Giona che riconosce la sua colpa, i marinai cercano di salvare non solo se stessi e la nave, ma anche Giona. Capiscono che è colpa sua, capiscono che stanno per morire perché lui ha tradito Dio e, tuttavia, tentano di salvarlo. «Egli rispose: “Sono ebreo e venero il Signore Dio del cielo, il quale ha fatto il mare e la terra”» (Gio 1,9): Giona per la prima volta apre la bocca e parla. Prima afferma la sua identità religiosa, poi attribuisce a Dio il dominio sull’universo: cielo, mare e terra. Giona così si mostra un credente che conosce il catechismo e il contenuto della fede, ma non vive l’esperienza della fede. Sa chi è Dio, ma è l’unico a disobbedire a Dio! Sa e afferma che il mare e la terra sono stati creati da Dio, eppure cerca di fuggire da Dio attraverso il mare verso una terra lontana. E Giona non si nasconde più, esce allo scoperto. 24 Giona nella conversione di Dio la conversione dell’uomo Ma la fede che proclama è molto lontana dalla sua vita, le sue scelte non hanno niente a che vedere con la sua religiosità. È la storia di tanti di noi. Non è facile essere fedeli al Signore coniugando insieme cuore e labbra. E nei fatti il Signore non sempre viene al primo posto… In una delle sue Lettere Don Milani scriveva: «L’unico pericolo è di non essere cristiani, perché se uno lo è, o prima o dopo traspare anche senza farlo apposta». Ognuno di noi è responsabile del bene e del male che circola nella Chiesa e nel mondo. G. Bernanos nel “Diario di un curato di campagna” ha scritto: «Le nostre colpe nascoste avvelenano l’aria che altri respirano». «Quegli uomini furono presi da grande timore e gli domandarono: “Che cosa hai fatto?”. Quegli uomini infatti erano venuti a sapere che egli fuggiva il Signore, perché lo aveva loro raccontato. Essi gli dissero: “Che cosa dobbiamo fare di te perché si calmi il mare, che è contro di noi?”. Infatti il mare infuriava sempre più» (Gio 1,10-11). I marinai mettono Giona di fronte alle sue responsabilità, gli chiedono di non fuggire più ma di avere il coraggio di guardarsi dentro, 25 MARIO RUSSOTTO di interrogarsi e di ritrovare il senso della sua fede e delle sue responsabilità. «Egli disse loro: “Prendetemi e gettatemi in mare e si calmerà il mare che ora è contro di voi, perché io so che questa grande tempesta vi ha colto per causa mia”» (Gio 1,12): Giona viene invitato dai pagani a pregare, ma non vuole pregare; viene obbligato a scoprire la sua colpa, ma non chiede perdono. Ora i marinai gli chiedono una soluzione ai loro problemi e Giona offre quella più facile e più umana, cioè quella più distante dal cuore di Dio. Giona preferisce morire piuttosto che obbedire alla Parola di Dio; riconosce di essere la causa della tempesta, ma non vuole entrare nella volontà salvifica di Dio. Ma alla fine… «Presero Giona e lo gettarono in mare e il mare placò la sua furia. Quegli uomini ebbero un grande timore del Signore, offrirono sacrifici al Signore e fecero voti» (Gio 1,15-16): il profeta Ezechiele aveva detto che i pagani empi sarebbero stati precipitati nel fondo del mare (Ez 27,27), qui invece l’empio è proprio l’ebreo credente… e viene gettato in mare. E subito arriva la 26 Giona nella conversione di Dio la conversione dell’uomo quiete. Giona, suo malgrado, è stato lo strumento per la teshubah-conversione dei pagani al vero Dio. Ed è proprio quello che Giona non voleva fare fuggendo lontano da Dio e da Ninive! 4. Nell’abisso del male «Il Signore dispose che un grosso pesce inghiottisse Giona; Giona restò nel ventre del pesce tre giorni e tre notti» (Gio 2,1): il testo rivela ancora una volta che è il Signore a dominare la storia e tutto obbedisce a Lui, prima il vento e il mare ora un pesce… tutti obbediscono a Dio tranne Giona! E se il Signore agisce in questo modo lo fa proprio per Giona, il quale non vuole andare nella città grande e viene inghiottito da un pesce grande… Il pesce obbedisce alla Parola di Dio, Giona no! Il grande pesce ha una doppia valenza simbolica in questo racconto: da una parte rappresenta il male con la bocca sempre spalancata per inghiottire gli uomini sprofondati nelle tenebre della morte; dall’altra parte il suo ventre è simbolo di deserto silenzio pace, in cui l’uomo può ritrovare se stesso 27 MARIO RUSSOTTO e il senso della sua relazione con Dio nella preghiera. In quest’ultima dimensione simbolica il ventre del pesce richiama il grembo materno o il fonte battesimale: in quel grembo Giona viene custodito da Dio e da quel grembo uscirà per rinascere alla vita e compiere la sua missione. Giona deve scendere nell’abisso e nella realtà più nera delle tenebre per portare alla luce se stesso e tutte le tenebre; quasi abbandonato al male, può risanare il male e guarire se stesso. Perciò la Chiesa non salverà nessuno se non attraverso l’esperienza di Giona: «Nessun segno le sarà dato, se non il segno di Giona profeta» (Mt 12,40). E proprio attraverso il mare-male Giona ritrova il senso della vita e della preghiera. Il cristiano trova il senso della sua missione nel mondo entrando dentro le contraddizioni, non togliendole; entrando dentro il male, assumendolo e prendendolo su di sé e non semplicemente combattendolo. Finché la Chiesa non sarà una «comunità in diaspora» non potrà annunciare Dio e il suo Vangelo; annuncerà se stessa ma non salverà nessuno. Quando la Chiesa – come ogni cristiano – ha il coraggio di 28 Giona nella conversione di Dio la conversione dell’uomo morire potrà salvare, quando ha il coraggio di scomparire potrà rinnovare. Quando il cristiano sembra perdere ogni sostegno è perché Dio vuole che sperimenti le debolezze del mondo e le porti su di sé. Nel grembo-tomba del pesce Giona ritrova se stesso,lasuafede,ildesideriodiincontrareDionella preghiera. E sa con certezza che Dio lo ascolterà. 5. Per la riflessione e il confronto… 1. Da che cosa e/o da chi sto fuggendo? Forse ho preso le distanze da Dio e dalla sua volontà? 2. Quali sono le mie paure evidenti e quelle più nascoste? 3. Ci sono parole che non vorrei mai dire per paura di doverle vivere, per timore di creare “problemi” in famiglia, in coloro che mi sono vicini… in parrocchia? 4. Chi incontra me e la mia comunità parrocchiale, o il mio gruppo, che idea si fa di Dio e della Chiesa? 29 MARIO RUSSOTTO 5. Qual è il mio atteggiamento nei confronti dei non-credenti? Riesco a farmi interrogare e provocare da loro o li guardo con pregiudizio e diffidenza? 30 II PREGARE PER RICOMINCIARE 1. L’abisso in… preghiera «Dal ventre del pesce Giona pregò il Signore suo Dio e disse: “Nella mia angoscia ho invocato il Signore ed egli mi ha esaudito; dal profondo degli inferi ho gridato e tu hai ascoltato la mia voce. Mi hai gettato nell’abisso, nel cuore del mare… l’abisso mi ha avvolto… Quando in me sentivo venir meno la vita, ho ricordato il Signore…”» (Gio 2,2-10). Un grido proviene da una grande profondità, ma solo il Signore sa ascoltarlo e interpretarlo: è l’abisso dell’uomo. Ma nella preghiera una vita, in cui è già incisa la morte, grida e si consegna al Signore. E il cuore di Dio, con pazienza e accoglienza, ascolta e comprende un’esistenza sbagliata e inquinata dal peccato. Una vita già in odore di morte, attraverso la preghiera, dall’abisso precipita fra le braccia del Dio di misericordia. 31 MARIO RUSSOTTO «Dal profondo degli inferi ho gridato e tu hai ascoltato la mia voce» (Gio 2,3): anche nei Salmi 69 e 130 troviamo l’immagine delle profondità dell’abisso. È l’abisso di acque nelle quali si scivola e in cui non c’è appiglio né sostegno. E qui ciascuno di noi potrebbe raccontare le innumerevoli sue storie di “abisso”. Chi di noi non si è sentito almeno una volta sprofondare nell’abisso? Ma anche dentro le acque profonde ci resta ancora la possibilità del grido, che si fa vocazione e invocazione di Dio. Non c’è notte che non possa essere squarciata da una preghiera. Perché anche il disperato spera. Anche la morte spera; e può essa stessa comporsi in un estremo “De profundis”. Anche chi grida al Signore da luoghi troppo profondi e gli dice che non vuole più ascoltarne la voce, è un uomo che sta pregando. E pure chi bestemmia, a modo suo, innalza a Dio il suo assurdo “De profundis”. «Mi hai gettato nell’abisso, nel cuore del mare e le correnti mi hanno circondato; tutti i tuoi flutti e le tue onde sono passati sopra di me» (Gio 2,4). Giona riconosce che tutto quanto gli sta capitando è opera del Signore. Aveva scelto la morte come estrema fuga ma… a Dio non si sfugge! Dio 32 Giona nella conversione di Dio la conversione dell’uomo chiama chiunque, al di là del fatto che lo si voglia o no. Noi siamo convinti che la libertà sia fare quello che vogliamo. Non è vero. Giona non vuole fare quello che la divina Parola gli ordina e Dio lo fa precipitare nel mare, lo fa ingoiare e poi sputare fuori da un pesce per obbligarlo a dare ascolto alla sua Parola. Dio si preoccupa non di quello che piace a Giona ma di salvare un’intera città. E per questo piega il credente alla sua Volontà. Questo vale anche per ciascuno di noi. Essere “amici di Dio” implica l’essere immersi nel mare della desolazione e nel deserto dell’abbandono. «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Mc 15,34) grida Gesù sulla croce prima di morire. Ma abbandonato a che cosa? Alla situazione in cui il male stava vincendo e l’Amore sembrava sconfitto. Essere battezzati, scrive San Paolo nella Lettera ai Colossesi, vuol dire essere sepolti con Cristo nella sua morte e risurrezione. Essere battezzati significa fare l’esperienza dell’abbandono e della morte di Cristo. Per questo Giona è simbolo di Cristo. Ma per opposizione e non per somiglianza: la discesa 33 MARIO RUSSOTTO (kenosis) di Giona nell’abisso è per disperazione, mentre quella di Cristo è per condivisione; alla parola di Giona Ninive si converte, mentre Gerusalemme rifiuta la Parola che è Gesù; Giona è un profeta disobbediente, mentre Gesù è sempre stato pienamente obbediente al Padre. Eppure nella sua testardaggine di ebreo tradizionalista e di credente tormentato, Giona prepara la via a Gesù. Il segno di Giona indica ad ogni cristiano la via dell’abbassamento e del servizio, non quella dei miracoli e della gloria. «Come infatti Giona rimase tre giorni e tre notti nel ventre del pesce, così il Figlio dell’uomo resterà tre giorni e tre notti nel cuore della terra» (Mt 12,40). «Quando in me sentivo venir meno la vita, ho ricordato il Signore. La mia preghiera è giunta fino a te, fino alla tua santa dimora. Quelli che onorano vane nullità abbandonano il loro amore. Ma io con voce di lode offrirò a te un sacrificio e adempirò il voto che ho fatto; la salvezza viene dal Signore» (Gio 1,8-10): Giona ha bisogno di toccare il fondo per risalire; ha bisogno di non poter contare su nessuno per tornare ad appoggiarsi a Dio: ha bisogno di essere distante per sentire la presenza di Dio. 34 Giona nella conversione di Dio la conversione dell’uomo Giona non sa e non vuole pregare nei luoghi dove si svolge la vita ordinaria e nella sua preghiera dice che spera di tornare nel tempio per lodare e pregare il Signore. Egli prima viene invitato a pregare su una nave e rifiuta, ma poi finisce per pregare nel ventre di un pesce. «La preghiera non è una pianta che nasce nella serra del tempio, ma un germoglio che cresce nel terreno fertile della vita» (A.J. Heschel). Ogni uomo, ogni qualvolta si raccoglie al centro di se stesso, si può esperire come un essere in cerca di risposta, una voce o un grido alla ricerca di un’eco dall’Oltre. E la risposta che ci viene dalla tradizione biblica è «Ascolta»! Ascolta perché il tuo grido è da sempre udito, sempre preceduto e forse provocato dalla voce di Dio, che ti parla anche col suo inquietante silenzio. L’ascolto nel silenzio del cuore si fa preghiera nello Spirito, diviene tempo in cui possiamo per grazia fare esperienza di Dio, oltre i suoni e i rumori del mondo. Nell’ascolto la preghiera si fa comprensione della nostra solitudine, pozzo abissale che ci costringe a captare i diversi messaggi che siamo, a 35 MARIO RUSSOTTO scoprire in noi tante dimensioni e tanti personaggi in cerca del loro Autore. Nella preghiera scopro di essere destinatario di una Parola che Dio mi rivolge e io devo rispondere, perché la mia libertà si deve a quella Parola fondante che mi ha segnato come cristiano, a quella Parola cruciale della storia e del mondo che è Cristo. Pregare non è principalmente ricercare, ma attendere una consonanza fra ciò che mi viene incontro e tutta la storia della mia vita. Se la vera secolarizzazione è lo svuotamento di senso, occorre – come dice giustamente Karl Rahner – «...pregare quotidianamente, pregare nella vita giornaliera, non limitare la preghiera ai rari angusti momenti di intima e forte commozione». 2. Morire per risorgere «E il Signore comandò al pesce ed esso rigettò Giona sull’asciutto» (Gio 2,11): l’esilio è finito, il mare vomita Giona sulla terra. Dopo essere fuggito dalla sua terra e dal suo Dio, prima con la nave e poi con il pesce, Giona si ritrova di nuovo al punto di partenza: proprio nella sua terra da dove tutto era cominciato. E la storia ora riparte! 36 Giona nella conversione di Dio la conversione dell’uomo La tempesta si era placata quando Giona era stato gettato in mare. In quell’abisso e in quel grembotomba finalmente Giona ha accolto l’invito del capo dei marinai e prega Dio. La sua missione ricomincia proprio nel profondo del mare, in quel grembo-tomba, in quella esperienza di abbandono e di morte. È il suo battesimo! Nella profondità del mare, nell’abisso delle tenebre, nell’orrore della morte l’uomo scopre il senso della preghiera, anche se la sua è una preghiera gridata e lacerata. I primi cristiani venivano battezzati per immersione, cioè lasciandosi sommergere completamente dall’acqua, simbolo di morte e sepoltura. Soltanto in questo simbolico abbandono alla morte il cristiano risorgendo diventava causa di vita per gli altri. Pertanto, il battesimo non è un privilegio per chi lo riceve ma è un privilegio, cioè salvezza, per tutti gli altri come è un privilegio per tutti noi che Cristo sia morto; come è un privilegio per i marinai che Giona sia stato seppellito nelle acque del mare. L’immersione nell’acqua del battesimo è l’immersione di Giona nel mare, è scomparire nella morte per risorgere per tutti gli altri a vita nuova. È nella nostra immolazione e nella nostra 37 MARIO RUSSOTTO immersione nell’abisso dell’abbandono che possiamo in Cristo far risorgere gli altri e il mondo nell’amore. «E il Signore comandò al pesce ed esso rigettò Giona sull’asciutto» (Gio 2,11): è Dio che decide il tempo della rinascita di Giona, i momenti e l’ora della sua rinnovata missione. E allora… anche noi possiamo ricominciare il nostro cammino da dove tutto era cominciato. È inutile che andiamo altrove, che cerchiamo compensazioni e compromessi. Dio ci vuole e ci trascina dove Lui vuole, che è il massimo bene per noi. È inutile che dichiariamo la nostra indegnità e la nostra incapacità: Dio ci sceglie nonostante l’indegnità, l’incapacità e il nostro peccato. Ma, come Giona, dobbiamo dolorosamente e misteriosamente fare e vivere l’esperienza dell’abbandono, dell’abisso, delle tenebre… «Se l’amico di Dio non fosse perseguitato, se la Chiesa non fosse messa a morte, il mondo finirebbe» (Origene). «E il Signore comandò al pesce ed esso rigettò Giona sull’asciutto» (Gio 2,11): Giona è stato gettato in mare per proclamare la realtà della vita. E 38 Giona nella conversione di Dio la conversione dell’uomo muore per risorgere. Così è di ogni morte e di ogni battesimo. Giona viene vomitato dal pesce. Il mare-male non “sopporta” di avere dentro di sé un amico di Dio. E proprio perché Giona ha accettato di essere sommerso dal mare, il mare rigetta Giona e lui porta fuori con sé tutte le tenebre di quell’abisso. Giona è il segno della realtà di Cristo Gesù: Lui è sceso nella morte ed è disceso agli inferi, ma nella sua risurrezione ha riportato alla vita del Cielo tutti i morti di quell’abisso. Fede è guardare ciò che si è sperimentato con gli occhi di Dio, è coraggio di abitare l’abisso e l’abbandono con la luce e l’Amore dell’abbandonato Dio Cristo Gesù sul legno della Croce. 3. Ricominciare… senza passione «Fu rivolta a Giona una seconda volta questa parola del Signore: “Alzati, va’ a Ninive la grande città e annunzia loro quanto ti dirò”» (Gn 3,1-2): Giona torna al punto di partenza e tutto ricomincia da capo. La storia riprende come se non fosse mai iniziata. Il Signore non rinfaccia nulla a Giona e non accenna minimamente alla 39 MARIO RUSSOTTO sua disobbedienza e alla sua caparbia ribellione. La Parola “cade” (così recita il testo ebraico) su Giona come la prima volta: a Dio interessa non solo Ninive ma anche Giona, a Dio sta a cuore non solo la conversione della grande città ma anche quella del debole profeta. Certo, Dio ora potrebbe anche scegliere qualcun altro da mandare a Ninive, abbandonando Giona al suo destino, ma non lo fa perché è un Dio fedele. Lui non abbandona colui che ha scelto e chiamato. Perché il Signore non si stanca di cercare Giona e di cercare Ninive, è sempre pronto a ricominciare daccapo. È un Dio paziente! Ecco, il Signore non si stanca mai delle nostre stanchezze e non si scandalizza delle nostre debolezze. Dio non si stanca mai di noi, anzi “perde tempo” con noi e per noi e ci regala qualcosa di impagabile: la fiducia. Dio si fida di noi nonostante i nostri tradimenti e le nostre ribellioni! Dio si fida di noi al punto da sperare che, nonostante quello che siamo stati fino a ieri, domani possiamo essere diversi! È il rischio e la follia dell’Amore! Gli uomini e le donne si stancano, stentano a dare fiducia, non sono disponibili a ricominciare sempre 40 Giona nella conversione di Dio la conversione dell’uomo daccapo. Dio, invece, è instancabile! Perché l’Amore non si stanca mai! «Alzati, va’ a Ninive la grande città e annunzia loro quanto ti dirò» (Gio 3,2): Giona non deve predicare contro Ninive ma a Ninive. Egli, infatti, è portatore di un messaggio a favore di Ninive. Perché l’uomo di Dio deve aiutare il popolo a risollevarsi, a saper ricominciare per riscrivere la sua storia a partire dalla Parola di Dio. Ma Giona si erge a profeta di sventura e proclama la shoà di Ninive! È l’antica tentazione dei credenti che pretendono di interpretare Dio e dire più di quanto Dio comanda e desidera. Giona ha tradito Dio fuggendo, lo tradisce ora annunciando parole sue e non la Parola di Dio… perché è più facile essere profeta di sventura che testimone di speranza e di amore, è più facile diffondere lamentazioni, mormorazioni e zizzania piuttosto che farsi proposta di vita e offerta di paziente amore... «Giona cominciò a percorrere la città, per un giorno di cammino e predicava: “Ancora quaranta giorni e Ninive sarà distrutta» (Gio 3,4): 41 MARIO RUSSOTTO Giona era stato nel ventre del pesce tre giorni e tre notti. Per percorrere tutta la città di Ninive bisogna starci dentro per tre giorni e il profeta lancia un ultimatum di quaranta giorni. Queste cifre scandiscono tempi simbolici: Abramo dopo tre giorni di cammino vede il monte Moria dove dovrà sacrificare il figlio Isacco; la piaga delle tenebre in Egitto dura tre giorni; il profeta Elia annuncia tre anni di siccità; tre giorni dura il digiuno della regina Ester; tre giorni Giona rimane nel ventre del pesce; tre giorni Gesù rimane nel sepolcro… Tre è il tempo perfetto, poiché in esso vi sono racchiusi l’inizio, il centro e la fine. Quaranta è il tempo tradizionale della penitenza o del castigo: quaranta i giorni del diluvio; quaranta i giorni di permanenza di Mosé sul Sinai; quaranta gli anni della peregrinazione di Israele nel deserto; quaranta i giorni di cammino del profeta Elia; quaranta i giorni di digiuno di Gesù nel deserto… È il tempo della incubazione della Parola di Dio nel cuore degli uomini. Quaranta per Ninive non è il segno dell’ira di Dio, ma il tempo della sua misericordia, lo spazio provvidenziale della penitenza in vista del perdono. I niniviti lo capiscono bene, Giona no. 42 Giona nella conversione di Dio la conversione dell’uomo «Giona cominciò a percorrere la città, per un giorno di cammino e predicava: “Ancora quaranta giorni e Ninive sarà distrutta» (Gio 3,4). Giona cammina a Ninive solo per un giorno perché è sufficiente una giornata ai niniviti per avviare subito il loro itinerario di teshubah-conversione. Ma può anche darsi che Giona, dopo appena un solo giorno di cammino, si sia stancato. E così obbedisce, ma in modo appena indispensabile. Da una parte si alza e va, dimostrando di sottomettersi alla Parola di Dio, ma dall’altra parte non agisce secondo la Parola del Signore, bensì secondo il suo personale punto di vista. Giona si sente “missionario per forza”. Vive la sua vocazione senza passione, senza entusiasmo, senza gioia e non vede l’ora che Ninive sia distrutta per tornarsene a casa in pace e felice di vedere il nemico distrutto e la sua parola (non quella di Dio) realizzata. Giona è un credente senza continuità, fa appena lo sforzo minimo e indispensabile per chiudere la bocca a Dio e alla sua coscienza: «Chi amerai, se cambi d’amore ogni giorno, e dove saranno le tue grandi azioni? Solo la continuità permetterà la fertilità del tuo sforzo… Poiché per far nascere un 43 MARIO RUSSOTTO uomo occorrono parecchie generazioni. E col pretesto di migliorare l’albero, io non lo taglio ogni giorno per sostituirlo con un seme» (De SaintExupèry). Molti di noi, come Giona, alle prime difficoltà ci arrendiamo… Nell’Evangelii nuntiandi Paolo VI diceva: «Possa il mondo del nostro tempo, che cerca ora nell’angoscia, ora nella speranza, ricevere la buona novella non da evangelizzatori tristi e scoraggiati, impazienti e ansiosi, ma da ministri del Vangelo, la cui vita irradi fervore, che abbiano per primi ricevuto in loro la gioia del Cristo, e accettino di rimettere in gioco la propria vita affinché il Regno sia annunziato e la Chiesa sia impiantata nel cuore del mondo» (EN, n. 80). 4. Dalla shoah alla teshubah La missione che Dio affida a Giona non è di condanna, ma di salvezza. Giona invece tradisce il pensiero di Dio e annuncia una shoah: «Ancora quaranta giorni e Ninive sarà distrutta» (Gio 3,4). E a Ninive tutto si ferma: nessuno, dal re fino alle 44 Giona nella conversione di Dio la conversione dell’uomo bestie, tocca cibo e acqua: «I cittadini di Ninive credettero a Dio e bandirono un digiuno, vestirono il sacco, dal più grande al più piccolo» (Gio 3,5). San Giovanni Crisostomo si domandava: «Ninive è stata distrutta davvero? È stata diroccata la città? Tutto al contrario! Dio ha preferito che cadesse la profezia anziché far cadere la città…». «I cittadini di Ninive credettero a Dio e bandirono un digiuno, vestirono il sacco, dal più grande al più piccolo» (Gio 3,5). La predica di Giona trova un successo rapido e profondo. Poche le parole di Giona. Da parte dei niniviti nessuna parola, solo fatti! Senza scaricare le colpe su chi è al vertice del potere, a Ninive tutti si sentono corresponsabili delle ingiustizie e delle violenze del loro sistema di vita.Anche se Giona non lo ha detto apertamente, capiscono che pur essendo pagani devono rispondere davanti a Dio di ciò che stanno facendo, ognuno per la sua parte. Anche se la scena è paradossale, la predicazione di Giona riesce a fermare la violenza tra le persone e i popoli, a risanare le ingiustizie, a indurre il potere a mettersi al servizio del bene comune, a far 45 MARIO RUSSOTTO fiorire la pace, radicata nella fede in un Dio misericordioso verso tutti coloro che decidono sul serio di cambiare vita. Perché la loro fede non rimanga solo una proclamazione di parole, i niniviti bandiscono un digiuno, che non era stato richiesto da Giona, e si vestono di sacco in segno di lutto e di penitenza. «Uomini e animali, grandi e piccoli, non gustino nulla, non pascolino, non bevano acqua. Uomini e bestie si coprano di sacco e si invochi Dio con tutte le forze; ognuno si converta dalla sua condotta malvagia e dalla violenza che è nelle sue mani. Chi sa che Dio non cambi, si impietosisca, deponga il suo ardente sdegno sì che noi non moriamo?» (Gio 3,7-9). Il re nel suo decreto sottolinea che non è sufficiente assumere atteggiamenti esterni di conversione, è indispensabile coinvolgere il cuore e tutta la propria vita in una triplice dimensione: fare segni di penitenza, pregare, cambiare vita. Cambiare vita è teshubah, cioè “ritornare” al punto in cui la rettitudine ha cominciato a trasformarsi in disonestà, per operare una radicale e profonda conversione, una inversione di marcia, un cambiamento di mentalità. 46 Giona nella conversione di Dio la conversione dell’uomo Ma che cosa ha realmente consentito ai niniviti di convertirsi? Il messaggio di Giona in fondo non ha niente di eccezionale: è la predica di un uomo straniero in cinque parole e, per di più, pronunciate senza entusiasmo. Allora non sono le parole di Giona la causa della conversione, ma Dio che tocca i cuori di questa gente. Dio è la causa di tutto, Dio è al centro del cambiamento della nostra vita. Giona è un semplice strumento, che per giunta si impegna a complicare le cose a Dio. Il Signore si impegna con noi nonostante il nostro scarso impegno con Lui. 5. Per la riflessione e il confronto… 1. Che posto occupa la Parola di Dio nella mia vita? E in quella della mia famiglia? E nella mia comunità parrocchiale? 2. Vivo nella giornata la preghiera personale e in famiglia? Quali ostacoli e difficoltà incontro? C’è il riferimento alla Parola di Dio… e in che modo? 47 MARIO RUSSOTTO 3. Mi sento responsabile di quanto capita nella vita degli altri… della loro crescita o dei loro blocchi interiori? 4. Cosa vuol dire per me, per noi, teshubah-conversione? Cosa mi e ci manca ancora? 5. Mi è capitato qualche volta di sentirmi “sprofondare nell’abisso”? Come ho reagito? Nella fatica del ricominciare da capo ho sentito e sento di affidarmi ad un Amore paziente che non si stanca mai di ricominciare con me? 48 III NELLA CONVERSIONE DI DIO LA CONVERSIONE DELL’UOMO 1. Chissà che Dio… Tutta la città di Ninive alla predicazione di Giona si converte. E tale conversione nelle parole del re si apre ad una speranza: «Chi sa che Dio non cambi…» (Gio 3,9). È la stessa affermazione che troviamo nel profeta Gioele quando invita il popolo ad una profonda teshubah-conversione: «Laceratevi il cuore e non le vesti, ritornate al Signore vostro Dio, perché Egli è misericordioso e benigno, tardo all’ira e ricco di benevolenza e si impietosisce riguardo alla sventura. Chi sa che non cambi e si plachi e lasci dietro a sé una benedizione?…» (Gl 2,13-16). «Chi sa che Dio non cambi…»: stesse parole sulle labbra di due persone diverse: un re e un profeta, un credente e un non-credente. «Chi sa che Dio non cambi…»: Dio non è tenuto a cambiare parere, ma cambia se liberamente decide 49 MARIO RUSSOTTO di farlo; la teshubah-conversione dell’uomo è condizione necessaria ma non sufficiente per la teshubah-misericordia di Dio, tant’è vero che Lui ci ama anche quando – cioè sempre – non meritiamo di essere amati (cfr. 1Gv 4,10.19; Rm 5,8). «Dio vide le loro opere, che cioè si erano convertiti dalla loro condotta malvagia, e Dio si impietosì riguardo al male che aveva minacciato di fare loro e non lo fece» (Gio 3,10): il libro di Giona, più che parlare di questo profeta o dei niniviti, intende parlarci di Dio, vuole svelarci il cuore di Dio. E Dio rivela un volto diverso da come noi lo dipingiamo. La speranza del re, come era accaduto anche per il capitano della nave, alla fine viene esaudita perché incontra il cuore misericordioso di Dio. Diversamente dagli dèi di Ninive che «hanno occhi e non vedono, hanno orecchi e non ascoltano», il Signore vede e ascolta e si prende pensiero per questi pagani. Al Signore non sfugge nulla, Egli guarda con attenzione e coglie anche i minimi segni di ravvedimento. Il Signore vede che i cittadini di Ninive si convertono, cambiano strada, abbandonano la loro condotta malvagia. 50 Giona nella conversione di Dio la conversione dell’uomo E allora… teshubah… anche Dio si converte!Alla conversione dei niniviti segue la conversione di Dio. Il testo ebraico usa il verbo shub (cambiare strada, ritornare) per i niniviti, mentre per Dio usa il verbo nacham che significa proprio “pentirsi”. Altre volte la Bibbia ha usato questo stesso verbo per indicare il pentimento-misericordia di Dio: - in Es 32,14, dopo aver ascoltato la preghiera di intercessione di Mosè, «Il Signore abbandonò il proposito (si pentì) di nuocere al suo popolo»; - in 2Sam 24,16, dopo aver mandato la peste su Gerusalemme: «Il Signore si pentì di quel male e disse all’angelo che distruggeva il popolo: “Basta; ritira ora la mano!”»; - in Am 7,3, dopo aver progettato di mandare le cavallette e la siccità contro Israele, «il Signore si impietosì (si pentì): “Questo non avverrà”, disse il Signore». Anche Dio si converte! Questo passaggio del libro di Giona viene ripreso dai profeti Zaccaria e Malachia: «Convertitevi a me... e io mi rivolgerò a voi» (Zc 1,3); «Ritornate a me e io tornerò a voi» (Ml 3,7). Il “ritorno” come teshubah dell’uomo è sempre preceduto dal chinarsi di Dio, 51 MARIO RUSSOTTO dalla sua teshubah-conversione, che siesprimenella misericordia e nel perdono. Ne abbiamo un esempio, oltre che nella vicenda di Ninive, nel drammatico dialogo di Abramo con Dio a proposito della città di Sodoma. La ferma e sfrontata insistenza di Abramo fa cambiare parere al Signore, svelando il volto di un Dio che si lascia “convertire” dalla supplica del credente obbediente (cfr. Gen 18,16-33). «Chissà che Dio non cambi, si impietosisca...» (Gio 3,9; cfr. Ger 36), perché… «se il tuo cuore ti rimprovera qualcosa, Dio è più grande del tuo cuore» (1Gv 3,20). «Dio vide le loro opere, che cioè si erano convertiti dalla loro condotta malvagia, e Dio si impietosì riguardo al male che aveva minacciato di fare loro e non lo fece» (Gio 3,10). Dio cambia! E proprio questo cambiamento fa arrabbiare il rigido credente Giona, perché... non è dignitoso per Dio cambiare idea! Noi sappiamo che i decreti di un re erano inappellabili; nessuno – e neppure lo stesso re – poteva annullare un decreto precedentemente emesso. E Giona non riesce a concepire un Dio che si converte, eppure è vero profeta proprio perché la sua parola viene annullata! 52 Giona nella conversione di Dio la conversione dell’uomo Dio non si stanca del mondo, in Lui il sì è più forte del no! Dio è il grande paziente, proprio perché è l’Onnipotente e l’Infinito Amore: «Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di grazia e di fedeltà...» (Es 34,6-7); «il Signore è paziente con gli uomini e riversa su di essi la sua misericordia. Vede e conosce che la loro sorte è misera, per questo moltiplica il perdono» (Sir 18,10-11). 2. Il coraggio della conversione «La pazienza che ricomincia sempre daccapo è il presupposto necessario affinché qualcosa realmente si verifichi» (R. Guardini). Ma occorre il coraggio della teshubah! Sì, la strada del ritorno è la strada antica e sempre nuova della nostra conversione. In essa Dio ci incontra svelandosi nella sua teshubah e facendosi conoscere come Misericordia. Conversione è appello a far ritorno a Dio che prende l’iniziativa del dialogo, a volte anche in modo pressante come nel libro di Geremia, l’esperto 53 MARIO RUSSOTTO in teshubah: «Ritorna, Israele ribelle, dice il Signore. Non ti mostrerò la faccia sdegnata...» (Ger 3,14). Il “ritorno” è sempre verso Dio: «Se vuoi ritornare, o Israele – dice il Signore – a me dovrai ritornare» (Ger 4,1). Perché solo Dio può guarire le ferite del popolo smarrito. Per questo Osea martella con insistenza un appello che diventa quasi il suo testamento spirituale: «Ritorna, Israele, al Signore tuo Dio... Ritorna al Signore... Ritorna al tuo Dio (Os 14,2-3; 12,7). E coltiva la speranza che il popolo ritornerà: «Ritorneranno gli israeliti, cercheranno il Signore loro Dio... e trepidanti si volgeranno al Signore» (Os 3,5). Nel Nuovo Testamento i termini che esprimono la tematica della conversione in modo più esplicito sono principalmente due: epistréphein (ritornare) e metanoeîn-metánoia (convertire-conversione). Secondo quest’ultimo termine “convertirsi” significa andare oltre la propria veduta mentale, oltre la propria mentalità e il proprio modo di pensare e di agire. Si tratta di “uscire di mente”, di impazzire per qualcuno come accade a chi è innamorato. Nel Nuovo Testamento ci viene indicato che si impazzisce per Cristo Gesù, pazzo d’amore per l’u54 Giona nella conversione di Dio la conversione dell’uomo manità fino a donare la sua vita. Si tratta, allora, di distanziarsi, di uscire dal cuore duro (sklerocardia) e irrigidito nelle proprie idee e nei propri desideri, per trasformarsi in un cuore aperto e pronto ad accogliere Gesù e il suo folle Amore per noi. E così «se uno è in Cristo è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove… Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio» (2Cor 5,17-20). La conversione riguarda tutti, soprattutto noi cristiani “praticanti”. Spesso preghiamo per la conversione dei peccatori, ritenendo che essa riguarda gli altri e non noi. Ma tutti abbiamo bisogno del ritornoconversione, come ci testimonia la grande storia d’Israele: Abramo deve ritornare, Giacobbe deve ritornare, Mosè deve ritornare, Elia deve ritornare, Davide deve ritornare, gli Apostoli devono ritornare, Pietro deve ritornare, Paolo deve ritornare… D’altra parte il manifesto programmatico del ministero di Gesù si apre con queste parole: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo» (Mc 1,15). Gesù invita tutti alla teshubah come cammino mai esaurito, come 55 MARIO RUSSOTTO dimensione costante nell’itinerario di fede. La conversione, infatti, è un processo interiore che deve attraversare continuamente la nostra vita. Isacco il Siro scriveva: «Colui che conosce i propri peccati è più grande di colui che risuscita i morti e colui che conosce la conversione e il pianto è più grande di colui che è lodato nella Chiesa». 3. L’ottusa rigidità dei mal-credenti «Ma Giona ne provò grande dispiacere e ne fu indispettito» (Gio 4,1). Paradossale come sempre, Kierkegaard afferma: «Quando il padre ebbe un figlio prodigo, fu allora che divenne padre sul serio». E poi annota: «Gli altri padri amano esserlo quando si tratta di un figlio senza difetti; quando invece si tratta di un figlio prodigo, il padre dice: Io non voglio essergli padre, se ne vada per i fatti suoi. [Viceversa, al padre della parabola] la paternità non sta attaccata come un titolo posticcio, No. Il figlio vuole andarsene: egli è il padre. Il figlio parte: egli è il padre. Tutto è perduto, il figlio è perduto: egli è il padre». 56 Giona nella conversione di Dio la conversione dell’uomo «Ma Giona ne provò grande dispiacere e ne fu indispettito» (Gio 4,1). Qualsiasi credente sarebbe stato molto felice nel constatare il realizzarsi dell’obiettivo della sua predicazione. Non è così per Giona. Egli è dispiaciuto, eppure la sua missione oggettivamente raggiunge un grande successo. I niniviti si convertono dalla loro malvagità, ma la malvagità ora viene ospitata da Giona. Se Dio è riuscito a vincere la malvagità dei non-credenti, riuscirà a sconfiggere la malvagità del credente? «Pregò il Signore: “Signore, non era forse questo che dicevo quand’ero nel mio paese? Per ciò mi affrettai a fuggire a Tarsis; perché so che tu sei un Dio misericordioso e clemente, longanime, di grande amore e che ti lasci impietosire riguardo al male minacciato»» (Gio 4,2): pur nella malvagità della sua collera, Giona formula una preghiera e in essa svela finalmente il suo animo e il perché di tutto il suo comportamento e di tutta la sua ribellione. Al centro di questa preghiera non c’è Dio ma Giona: nel testo ebraico di Gio 4,2-3 per ben nove volte ricorre il soggetto in prima persona (io-mio). 57 MARIO RUSSOTTO Ciò che fa arrabbiare Giona non è tanto la conversione dei niniviti, ma la conversione di Dio. E non volendo essere complice di questo Dio misericordioso aveva scelto la fuga. A Giona, salvato da Dio dagli abissi del mare, dà fastidio questo Dio che salva Ninive! E qui si svela il vero dramma di Giona: Dio non è come lui lo vorrebbe. È un Dio imprevedibile che lo ha coinvolto in una imprevedibile avventura. Perché a Dio non importa che i credenti abbiano ragione, a Lui sta a cuore che tutti gli uomini e le donne riconoscano di essere figli suoi. Ed è questa tante volte la tragedia dei credenti! «Or dunque, Signore, toglimi la vita, perché meglio è per me morire che vivere!» (Gio 4,3): nella Bibbia troviamo diversi profeti che desiderano la morte, ma ci soffermiamo solo sul primo dei profeti: Elia. Egli chiede a Dio di morire (1Re 19,4), ma poi – come Giona – trova ristoro sotto una pianta (1Re 19,4). Tuttavia fra Giona ed Elia c’è una grande differenza: la tristezza di Elia è causata dall’infedeltà di Israele; la rabbia di Giona è dovuta alla fedeltà di Dio alla sua teshubah-misericordia. Giona fugge dal Signore, mentre Elia lo ri58 Giona nella conversione di Dio la conversione dell’uomo cerca (1Re 19,8-12). Giona disobbedisce, mentre Elia obbedisce (1Re 17,10). Elia chiede la morte perché il suo messaggio non viene ascoltato; Giona chiede la morte proprio perché il suo messaggio è stato ascoltato! E come sempre, Dio scusa l’umanità peccatrice: «Non sanno distinguere fra la mano destra e la sinistra» (Gio 4,11). Viene anticipata così l’esperienza di Gesù sulla croce: «Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno» (Lc 23,34). Giona non riesce a capire questa divina teshubah e pretende di salire in cattedra a far da maestro a Dio: «Signore, non era forse questo che dicevo quand’ero nel mio paese? Per ciò mi affrettai a fuggire a Tarsis; perché so che tu sei un Dio misericordioso…» (Gio 4,2). Giona, pertanto, non è capace di entrare in città a far festa con i niniviti convertiti: si comporta come il figlio maggiore della parabola evangelica che non accetta la teshubah-ritorno del fratello prodigo e la gioia misericordiosa del padre (Lc 15,11-32). Dopo la conversione dei non-credenti è Giona che sta a cuore a Dio, è il credente che deve essere 59 MARIO RUSSOTTO salvato dal suo egoismo. Ma è molto più difficile salvare il credente egoista che il più grande peccatore non credente. Il credente insuperbito... anche Dio fatica a convertirlo! Al Signore allora non resta che il gioco come strumento di conversione. Giona è l’egoista da convertire: ha denunciato il peccato di Ninive ma non si è sentito anch’egli parte di quel peccato. E si comporta come il fariseo che Gesù non assolve, perché si sente «giusto» e disprezza il pubblicano consapevole e umiliato per il suo peccato (cfr. Lc 18,10-14). Spesso noi non vogliamo accettare che Dio è libertà e non è possesso di nessuno. Per Dio non ci sono credenti e non credenti. Perché siamo tutti in cammino verso una Verità più grande di quella che già possediamo. E spesso noi cristiani siamo alla ricerca di vendetta e non di misericordia. Perché la misericordia più difficile da avere è quella con noi stessi… Giona scarica addosso a Dio tutta la sua rabbia, il suo risentimento, la sua delusione perché… Dio non è a sua immagine e somiglianza! Giona conosce bene il suo Dio: «So che tu sei un Dio misericordioso e clemente» (Gio 4,2). Tuttavia, il suo comportamento non è coerente con la sua profes60 Giona nella conversione di Dio la conversione dell’uomo sione di fede. Egli vive una specie di “fede all’ingrosso”, una fede che poi non ha alcun riscontro pratico nella vita. Papini in “Lettere agli uomini del papa Celestino VI” scrisse: «Dio chiede a noi, a noi cristiani, molto di più, infinitamente di più. Vi ripeto che questo nostro cristianesimo di forma, di abitudine e di convenienza non è il vero cristianesimo ma un’ombra, una maschera, un feto e un aborto del cristianesimo, un cristianesimo di pusilli, di infingardi, di tiepidi, di ipocriti, di farisei battezzati. Dio vuole da noi assai di più. Vuole cristiano tutto il nostro cuore, cristiano ogni pensiero, cristiana tutta la vita». Dio è “presbite”, vede meglio quelli che si allontanano da Lui; li aspetta con pazienza al varco della misericordia, li pensa con nostalgia, li desidera con ansia, li abbraccia con passione, li precede con speranza e amore fino a perdonarli prima del loro pentimento. Dio sopporta più facilmente i mal-viventi che i mal-credenti. Perché Dio è l’imprevedibile, sempre pronto a sorprenderci e a stupirci; è il Dio che ci sfugge di mano. Ma tutto sommato Dio è anche molto prevedibile, perché è Amore! Sempre e nonostante le nostre infedeltà! 61 MARIO RUSSOTTO Per Giona è difficile accettare e capire un Dio così, perché per Giona c’è un limite anche all’amore e alla misericordia. Accettare Dio Amore nella nostra vita significa non solo vivere d’amore, ma anche lasciarci amare fino in fondo, anche là dove ci sentiamo niniviti, peccatori lontani da Dio, anche là dove ci sentiamo come Giona… 4. La pedagogia di Dio A Giona, triste e amareggiato, Dio risponde con fine ironia: «Ti sembra giusto essere sdegnato così?» (Gio 4,4). Dio cerca di recuperare Giona servendosi di una pedagogia fatta di delicato umorismo. E comincia con una domanda che non è una risposta all’afflizione di Giona, ma vuole provocare una risposta da parte del profeta. Perché la risposta Giona la può trovare solo nell’intimo di se stesso. E ancora una volta il profeta non risponde all’appello di Dio, si chiude nel silenzio, si ripiega in se stesso e si allontana… Giona si comporta come Caino: va in collera, fugge dalla presenza di Dio e si stabilisce (in 62 Giona nella conversione di Dio la conversione dell’uomo ebraico c’è lo stesso verbo yashab) a Oriente. Come a Caino, così a Giona Dio chiede il perché della sua collera, in quanto c’è un sentimento omicida nel cuore di Giona: egli – come Caino – vuole la morte dei fratelli per trovare la sua pace… «Ti sembra giusto essere sdegnato così?» (Gio 4,4): Dio si mostra un fine pedagogo. Sa dove vuole portare Giona e gli pone delle domande non perché non conosca la risposta, ma per permettere a Giona di trovare la soluzione da se stesso e in se stesso… per capire la realtà del suo cuore e del cuore di Dio. E tuttavia, lo lascia libero di capire e accettare, libero di scegliere la meta e il cammino della sua vita. Dio dà tempo a Giona e perde tanto tempo con lui, mentre con i niniviti è bastato un solo giorno. «Allora il Signore Dio fece crescere una pianta di ricino al di sopra di Giona per fare ombra sulla sua testa e liberarlo dal suo male. Giona provò una grande gioia per quel ricino» (Gio 4,6): Dio non dispera e non si arrabbia. E ricomincia da capo a tentare di fare ragionare Giona: fa crescere una pianta di ricino (in ebraico qiqajon) per offrirgli un 63 MARIO RUSSOTTO riparo dal sole. Ancora una volta il creato obbedisce a Dio… come il vento, il mare, il pesce, la pianta di ricino… Obiettivo del dono di questa pianta non è riparare Giona dal sole, ma guarirlo dalla sua malattia interiore, dalla sua rabbia viscerale, dal male che gli rode dentro. Dio si presenta come un medico che vuole guarire il suo profeta. E finalmente Giona si rallegra. È la prima volta – e l’unica – che nel racconto troviamo Giona contento. Tuttavia la sua gioia non scaturisce dal fatto che Dio vuole guarirlo dal male. Non ci pensa nemmeno! Si tratta solamente del refrigerio che prova all’ombra di questa pianta. E troviamo qui una fine ironia del narratore: per la salvezza di Ninive Giona prova una grande rabbia, per un po’ di refrigerio personale sente una grande gioia! «Ma il giorno dopo, allo spuntar dell’alba, Dio mandò un verme a rodere il ricino e questo si seccò. Quando il sole si fu alzato, Dio fece soffiare un vento d’oriente, afoso. Il sole colpì la testa di Giona, che si sentì venir meno e chiese di morire, dicendo: “Meglio per me morire che vivere”» (Gio 64 Giona nella conversione di Dio la conversione dell’uomo 4,7-8): le sorprese non finiscono mai! Ora che Giona ha finalmente gustato un po’ di serenità, tutto ha fine come era iniziato. Il secondo momento della terapia di Dio è l’invio di un verme, il quale fa sparire la pianta con la stessa velocità con la quale era cresciuta. Un piccolo verme distrugge la grande ma effimera gioia del profeta! È il terzo momento della terapia divina. Dio vuole fare sperimentare a Giona ciò che egli desiderava capitasse agli abitanti di Ninive. E Giona si sentì venir meno. Povero Giona! Nella vita basta poco per benedire e poco per maledire, poco per gioire e poco per rattristarsi! Ci basta poco, come un piccolo verme che rode la pianticella ombrosa di Giona, per mandare in fumo i nostri sogni del quieto e comodo vivere. Ma forse solo allora possiamo convertirci all’essenziale, abbandonare l’effimero e puntare decisamente a ciò che dà senso pieno alla vita. Ci basta poco per perdere la serenità e la fiducia in noi stessi e negli altri. Ci rattristiamo facilmente per una sciocchezza. Basta un piccolo verme per rovinarci la vita… Dobbiamo perciò seriamente interrogarci sulle profondità delle nostre radici, sulla 65 MARIO RUSSOTTO serietà delle nostre motivazioni, sulla solidità delle nostre scelte, della nostra fede, del nostro amore… Giona si scandalizza del Dio misericordioso! È la stessa reazione che proveranno gli «operai della prima ora» nei confronti del padrone che dà la stessa paga anche agli operai dell’ultima ora nella parabola evangelica; e la risposta sarà: «Non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?» (Mt 20,15). Il Signore risponde a Giona giustificando il suo atteggiamento e scusando Ninive perché «non sanno distinguere fra la mano destra e la sinistra» (Gio 4,11). È una delle situazioni più frequenti dentro la vita dell’umanità. Il profeta non capisce perché Dio si comporti così addirittura con i nemici di Israele. Perché in questo modo abolisce la distinzione fra credenti e non credenti. Eppure nel racconto i pagani, lontani da Dio, pregano e prendono sul serio la Parola di Dio. E Giona no! «Tu ti dai pena per quella pianta di ricino per cui non hai fatto nessuna fatica e che tu non hai fatto spuntare, che in una notte è cresciuta e in una notte 66 Giona nella conversione di Dio la conversione dell’uomo è perita: e io non dovrei aver pietà di Ninive…?» (Gio 4,10-11): il libro si chiude con questo interrogativo che Dio pone al suo profeta. Quale sarà la risposta di Giona?Aprirà finalmente il suo cuore per accogliere il cuore convertito di Dio? Il racconto volutamente lascia l’interrogativo sospeso. La risposta la deve dare ciascuno di noi. Ognuno è chiamato a completare la storia. E vi domando: il Giona che è in noi risponderà a Dio? Oppure ancora una volta si darà alla fuga nel silenzio, mettendo a tacere la sua coscienza? 5. Per la riflessione e il confronto… 1. Dio è misericordioso e non giudice spietato: qual è la mia idea su Dio? Come lo sento nei miei confronti e come mi sento nei suoi confronti? 2. Come percepisco quotidianamente in me la misericordia del Signore, facendone il punto di partenza di un nuovo inizio che mi impegna in prima persona? 67 MARIO RUSSOTTO 3. Sono riuscito qualche volta a perdonare un torto subìto? E oggi che cosa blocca in me il coraggio di perdonare? Come viviamo il perdono in famiglia? 4. Riesco a gioire per i successi degli altri? So condividere la felicità di chi ottiene delle “vittorie” nella vita… anche diverse dalle mie previsioni? 5. La mia vita di fede ha radici profonde o basta poco per scombussolarmi completamente? 68 IV CONVERSIONE FOLLIA D’AMORE 1. Conversione e ravvedimento Quando parla di conversione, la Bibbia di solito si riferisce ad una trasformazione interiore che motiva il cambiamento di vita, che è anzi il cuore dell’esortazione a ritornare a Dio, cioè il ravvedimento. Nel Nuovo Testamento, Giovanni Battista prima e Gesù poi hanno innanzitutto chiamato Israele a conversione, dicendo a tutti «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino» (Mt 3,2; 4,17). La parola del Nuovo Testamento che traduciamo con conversione in greco è metànoia, che significa «cambio di mente», ma non si tratta certo di un cambiamento solo mentale. Nella Bibbia, la mente non è soltanto la facoltà di ragionare, ma in generale tutto ciò che avviene dentro di noi: ciò che non si vede, ma si manifesta nelle nostre parole e azioni. Per questo, sia il Battista sia Gesù hanno espressamente indicato la necessità che la 69 MARIO RUSSOTTO conversione porti frutto: «Fate frutti degni di conversione» (Mt 3,8). Non c’è vera conversione senza ravvedimento e non c’è vero ravvedimento se questo non produce una vera conversione. Conversione, infatti, non è la stessa cosa di pentimento, e tanto meno va confusa con il rimorso. La vita naturale è piena di pentimenti e di rimorsi, ma non altrettanto di buoni frutti. Paolo scrive che i pensieri dell’uomo naturale «si accusano o anche si scusano a vicenda» (Rm 2,15). Ci tormentiamo perché pensiamo sempre a noi e non riusciamo a fare altrimenti. Ci rimproveriamo di aver fatto qualcosa o di non aver fatto qualcos’altro, ma raramente riflettiamo sul perché delle nostre azioni o delle nostre omissioni. La vera conversione non si riferisce alle cose sbagliate che facciamo ogni giorno e per le quali più o meno sinceramente anche ci addoloriamo, ma alla ragione per cui facciamo tutti questi sbagli. Giuda si pentì di aver tradito Gesù, ma non si convertì dalla mancanza di fede che l’aveva condotto al tradimento, altrimenti non si sarebbe impiccato (Mt 27,3). 70 Giona nella conversione di Dio la conversione dell’uomo La radice di ogni peccato è la mancanza di fede in Dio. In generale, si pecca quando non si agisce per fede; perché si agisce senza convinzione, cioè senza una buona ragione per fare quello che si sta facendo, così l’azione non è retta, né trasparente e la coscienza non è del tutto tranquilla. Come ha scritto Paolo, tutto quello che non viene dalla fede è peccato (Rm 12,23). Il Signore ha detto espressamente che lo Spirito Santo convincerà di peccato quanti non credono in Lui (Gv 16,8-9). Dio ci ha amato al punto da dare il suo unico Figlio in sacrificio per noi (Gv 3,16) e noi uomini per lo più viviamo come se non ci conoscesse, anzi come se nemmeno ci vedesse. 2. Cambiar-si per cambiare La prima “opera” di conversione è la coscienza di essere peccatori. Noi restiamo sempre tiepidi e mediocri nel nostro cristianesimo e nella nostra fede perché pensiamo di non avere bisogno di conversione, perché non abbiamo la coscienza di essere peccatori. Il pubblicano al tempio dice: «Abbi pietà di me perché sono peccatore» (Lc 71 MARIO RUSSOTTO 18,13) e se ne va a casa sua santificato, anzi Luca ci dice che non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo perché questo gesto era un tentativo di vedere Dio, di volere incontrare il suo volto. Lui non si sente degno di vedere Dio, ma vuole essere visto da Dio pur nella sua fragilità: «Io sono peccatore». E questo basta. È la stessa supplica del ladrone crocifisso accanto a Gesù sul Calvario. È un peccatore, lo ammette e Gesù risponde: «Oggi sarai con me in paradiso» (Lc 23,43). Il ladrone è il primo uomo ammesso in paradiso da Gesù proprio grazie alla sua consapevolezza di essere peccatore. Siamo tutti peccatori! Se avessimo presente di più questa coscienza, noi cristiani non avremmo più il coraggio di giudicare gli altri. Se avessimo realmente questa viva coscienza saremmo salvi, perché incontreremmo subito la misericordia di Dio. Punto di partenza del cammino di conversione, allora, è la coscienza di essere peccatori. È questa la nostra carta di identità! La conversione, pertanto, costituisce l’esperienza biblica primaria e fondamentale: è in essa che Dio incontra l’uomo facendosi conoscere come misericordia ed è in essa che, 72 Giona nella conversione di Dio la conversione dell’uomo nello stesso tempo, il peccato e il perdono si svelano nel cuore dell’uomo. La conversione-metànoia richiede un cambiamento di mentalità e di vita. Non possiamo essere cristiani con la mentalità del “mondo”: «Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto» (Rm 12,2). Conversione-metànoia vuol dire anche “andare oltre la mente”, non dribblando la ragione ma attraversandola, perché noi stessi siamo un mistero incomprensibile a noi e Dio lo è infinitamente di più. E allora dobbiamo vivere consegnandoci al Signore. Lui sa! Ma conversione-metànoia vuol dire anche “uscire di testa”, essere folli perché Dio è il folle per eccellenza, ci ama alla follia e ci ama a tal punto da darci suo Figlio. Nella prima Lettera di Giovanni sta scritto: «In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati» (1Gv 4,10). Dio ci ama mentre siamo peccatori e non 73 MARIO RUSSOTTO aspetta certamente la nostra conversione per amarci… Lui ci ama alla follia e questo vuole da noi: che siamo appassionati e innamorati folli di Lui e della vita. Atal proposito può essere utile richiamare un passaggio della canzone “Cambia-menti” di Vasco Rossi: «Cambiare il mondo/ è quasi impossibile/ si può cambiare solo se stessi/ sembra poco ma se ci riuscissi/ faresti la rivoluzione»: i veri e grandi cambiamenti avvengono nel cuore dell’uomo. Si hanno un mondo e una società più giusti solo se ognuno si impegna a cambiare se stesso in meglio. Alcuni grandi autori concordano su questa verità, come per esempio Albert Camus: «Perché un pensiero cambi il mondo, prima bisogna che cambi la vita di colui che lo esprime. Che si cambi in esempio». Così anche il grande scrittore LevTolstoj dice con forza: «Tutti pensano a cambiare il mondo, ma nessuno pensa a cambiare se stesso». Si parte quindi da se stessi! Accettare se stessi diventa il presupposto fondamentale per cambiare e migliorarsi. Cambiare “dentro” per cambiare ciò che è 74 Giona nella conversione di Dio la conversione dell’uomo fuori di noi. La conversione è un impegno spirituale continuo che mantiene sempre viva la tensione tra essere e cambiare. Dobbiamo, prima di tutto, essere noi il cambiamento che vogliamo vedere nel mondo! 3. Peccato e pentimento È importante, dunque, conoscere i propri peccati. È importante comprendere che il peccato ottenebra il cuore, confonde l’intelletto, frantuma il nostro rapporto di amicizia con Dio e la nostra comunione con la comunità. Il peccato è il male che corrompe il cuore, trasformandolo in tomba di impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. E ancora: «L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male» (Mt 12,35). Ebbene, se è dal cuore che giungono i propositi del male e dell’agire ingiusto, allora è proprio nel cuore che si deve operare la conversione per vincere il peccato e ritornare al Signore. Perché il 75 MARIO RUSSOTTO peccato schiavizza, intristisce, opprime, conduce alla miseria dell’anima, ci tiene lontani dall’Amore di Dio. Ma Dio è il buon Padre che ci dona la capacità d’amare attraverso il suo perdono e la sua infinita misericordia. Conversione, allora, è un itinerario di fede, che sfocia nella riconciliazione o “confessione”, a partire dall’esperienza dell’amore di Dio. Molti però pongono l’accento sull’elenco dettagliato dei peccati piuttosto che sulla esperienza salvifica dell’Amore di Dio. Perché nel sacramento della riconciliazione ci viene svelata la grandezza dell’Amore che guarisce, come disse Gesù alla peccatrice in casa di Simone il fariseo: «Per questo ti dico: i suoi molti peccati sono perdonati perché ha molto amato. Invece quello a cui si perdona poco, ama poco» (Lc 7,47). Le lacrime della donna sgorgano da un cuore pentito e straripante d’amore. Ciascuno dovrebbe, allo stesso modo, versare lacrime amare per i tanti tradimenti e le offese recate all’Amore di Gesù, ma dovrebbe anche versare lacrime di riconoscenza per la Grazia di Dio che ci guarisce dalle ferite del nostro insensato peccato. 76 Giona nella conversione di Dio la conversione dell’uomo La santità di Dio è simile a uno specchio: più lo avviciniamo, più evidenzia ogni piccolo nostro difetto. Il perdono è l’Amore che dona se stesso e ripristina quel rapporto di scambio amoroso che solo il cuore può afferrare e comprendere. E fa nascere la gioia di saperci amati e accettati proprio da Dio nostro Creatore e Redentore. Il Signore ci invita a una profonda conversione e noi dobbiamo raccogliere questo invito per chiedere il suo perdono attraverso la sua infinita Misericordia. Non indugiamo nell’intraprendere questo cammino che conduce ad un futuro colmo di speranza, raccogliendo nell’intimo l’invito del Signore: «Va’ in pace e d’ora in poi non peccare più!» (Gv 8,11). 4. Cammino di conversione La nostra conversione è possibile grazie all’iniziativa d’amore di Dio. Noi ci convertiamo perché Dio è misericordioso. «La conversione a Dio – ha scritto Giovanni Paolo II nella Dives in Misericordia – consiste sempre nello scoprire la sua misericordia, cioè quell’amore che è paziente e benigno… fedele… fino alla croce, alla morte e 77 MARIO RUSSOTTO risurrezione del Figlio» (DM, n. 13). Dio è fedele al suo amore. Per questo il cammino della conversione comincia con l’accettazione riconoscente del dono divino della misericordia. L’azione di Dio, pertanto, precede e accompagna quella dell’uomo. Prima ancora che divenga realtà nell’anima del cristiano, la conversione è preparata dall’intervento della Santissima Trinità: del Padre che invia il Figlio; del Figlio che rivela il Padre; dello Spirito Santo che apre le porte dei cuori. Nel suo senso più profondo, la conversione è dono di Dio, opera della Trinità. Per questo motivo, se noi davvero vogliamo disporci alla conversione, dobbiamo riuscire a stare molto vicini alla Santissima Trinità: al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo. La preghiera, le opere di carità, un’amicizia costante con il Signore nella Parola e nel Pane eucaristico: è questo il cammino della conversione. Perché «l’autentica conoscenza del Dio della misericordia è una costante e inesauribile fonte di conversione… Coloro che in tal modo arrivano a conoscere Dio, che in tal modo lo “vedono”, non pos78 Giona nella conversione di Dio la conversione dell’uomo sono vivere altrimenti che convertendosi continuamente a lui. Vivono dunque in stato di conversione; ed è questo stato che traccia la più profonda componente del pellegrinaggio di ogni uomo sulla terra in stato di viandante» (DM, n. 13). La conversione del cuore non è un semplice desiderio di amare Dio, formulato in un dato momento, ma è un habitus, uno stile di vita. La vita cristiana è un continuo cominciare e ricominciare, un rinnovarsi ogni giorno, facendo «frutti degni di conversione» (Mt 3,8). Diverse sono le esigenze che la conversione comporta per ogni persona, ma si tratta sempre di un moto del cuore che, se è autentico, deve tradursi in fatti quotidiani. Il cammino della conversione non si esaurisce nei sentimenti, ma sfocia nella coerenza di vita: non si tratta solo di evitare il male, ma di fare il bene. Per questo occorre cambiare “dentro”, occorre «lacerare il cuore e non le vesti» (Gl 2,13). La conversione del cuore è un totale capovolgimento del modo di pensare, di sentire, di percepire. 79 MARIO RUSSOTTO È prima di tutto una semplificazione della mente, la quale da contorta diventa genuina trasparente chiara: «Più ci avviciniamo a Dio, più ci facciamo semplici» (Santa Teresa di Lisieux). La conversione del cuore ci fa scoprire che Dio è una fonte inestinguibile e che disseta sempre, perciò l’anima non smette mai di amare Colui che ha creato tutto. La conversione del cuore ci fa innamorare di Dio e ci porta ad una profonda libertà interiore, ad una distensione delle pieghe dell’anima, che irradia serenità nella comunità. La conversione del cuore ci fa prendere coscienza di essere profondamente amati e liberati da Dio, per essere libertà d’amore in Dio e per Dio. Quest’anno in modo particolare, per la nostra Chiesa nissena e per ciascuno di noi, deve essere un tempo di conversione del cuore, di trasformazione dello sguardo su Gesù, tempo di “affinamento” della nostra fede in Lui nella Chiesa. 80 Giona nella conversione di Dio la conversione dell’uomo 5. Per la riflessione e il confronto… 1. Che idea ho di me stesso? Ho davvero la coscienza di essere peccatore? Quali sono le ragion dei miei peccati più frequenti? Come avrei potuto agire diversamente e perché non l’ho fatto? 2. Cosa vuol dire per me ritornare al Signore? E per la mia comunità parrocchiale? E per la mia famiglia? 3. Quanto e come mi accosto al Sacramento della Riconciliazione? Sono consapevole che riconciliarsi con Lui è anzitutto fare esperienza salvifica dell’Amore di Dio? 4. Quali ostacoli mi e ci impediscono una vera profonda radicale conversione, del cuore e della vita? 5. Mi sforzo di cambiare me stesso per essere il “cambiamento che voglio vedere nel mondo”? O mi limito ad essere spettatore della vita? 81 V CONVERSIONE È RESPONSABILITÀ 1. Raddrizzare la via «Come è scritto nel profeta Isaia: “Ecco, io mando il mio messaggero davanti a te, egli ti preparerà la strada. Voce di uno che grida nel deserto: preparate la strada del Signore, raddrizzate i suoi sentieri”. Si presentò Giovanni a battezzare nel deserto, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati. Accorreva a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati. Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, si cibava di locuste e miele selvatico e predicava: “Dopo di me viene uno che è più forte di me e al quale io non son degno di chinarmi per sciogliere i legacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzati con acqua, ma egli vi battezzerà con lo Spirito Santo”» (Mc 1,2-8). 83 MARIO RUSSOTTO Due citazioni bibliche (Mc 1,2.3) sono il cardine di tutta la narrazione. Marco ne attribuisce la paternità al profeta Isaia, vissuto settecento anni prima di Cristo. In realtà la prima è tratta dal libro del profeta Malachia: «Ecco, io manderò un mio messaggero a preparare la via davanti a me e subito entrerà nel suo tempio il Signore, che voi cercate…» (Mal 3,1); la seconda è di un ignoto profeta dei tempi dell’esilio di Babilonia (587-537 a. C.), della scuola del grande Isaia, che gli studiosi chiamano “Deuteroisaia”. Ecco il testo di Is 40,34: «Una voce grida: “Nel deserto preparate la via al Signore, appianate nella steppa la strada per il nostro Dio. Ogni valle sia colmata, ogni monte e colle siano abbassati; il terreno accidentato si trasformi in piano e quello scosceso in pianura». Giovanni è il battistrada, colui che va avanti, un messaggero, una voce che si fa sentire nel deserto e chiama tutti a raccolta. È necessario prepararsi perché sta per avvenire qualcosa di importante nella storia. Il suo annunzio suona come un comando: «Preparate la via del Signore, spianate i suoi sentieri» (Mc 1,3). Sulla bocca dell’antico profeta, l’invito aveva un significato concreto. I destinatari si 84 Giona nella conversione di Dio la conversione dell’uomo trovavano a Babilonia, in esilio, e la strada era quella che dalle sponde delTigre e dell’Eufrate conduceva, attraverso il deserto della Siria, verso la Palestina. Nell’annunzio del Battezzatore, invece, la strada non è più qualcosa di visibile. Essa è dentro ogni uomo, è nell’intimo di noi stessi. Preparare la strada e spianare la via significa cambiare vita, lasciarci trasformare dal di dentro, riconoscendoci peccatori e lasciandoci battezzare per ottenere da Dio il perdono dei peccati (Mc 1,4). Il Signore viene, come lo annunzia il Battista, per dare agli uomini il perdono di Dio e trasformarli con il dono dello Spirito. Senza di Lui gli uomini sono schiavi del peccato e incapaci di vera libertà. E allora, la venuta di Colui che è più potente di Giovanni Battista è segno di libertà e di salvezza per gli uomini e le donne. Perché l’Atteso è il Messia Figlio di Dio! 2. Dinamismo di conversione Nel dinamismo della conversione possiamo individuare tre momenti o tre modalità da rispettare e 85 MARIO RUSSOTTO da vivere una alla luce dell’altra: la conversione dello sguardo, il desiderio di Dio, la conversione morale. Dice Tobia (13,6): «Convertitevi a lui con tutto il cuore e con tutta l’anima... e allora egli si convertirà a voi e non vi nasconderà il suo volto». Il volto di Dio è continuamente «convertito» su di noi; nel pensarci e nel guardarci ci dà la vita, ci rinnova continuamente il dono della vita. Dice Dio per bocca di Isaia: «Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se costoro si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai. Ecco, sei tatuato sulle palme delle mie mani» (Is 49,15-16). «Tatuato«: stupendo questo verbo! È difficile cancellare un tatuaggio, soprattutto se disegnato con il fuoco. Prendere coscienza di questo sguardo continuamente posato su di me, non è un esercizio banale o sentimentale, ma fondamentale. Dallo sguardo al desiderio: pensiamo a due innamorati che vanno scoprendo la bellezza del loro 86 Giona nella conversione di Dio la conversione dell’uomo volto e ognuno lo porta scolpito nel cuore. E ognuno cerca solo di dare gioia all’amato/a. Ecco la seconda modalità della conversione: il desiderio dell’incontro, accompagnato dal desiderio di non far nulla che possa offendere Dio, anzi di fare tutto quello che gli possa piacere. Il desiderio di Dio è espresso da Paolo con pensieri che colpiscono profondamente: «Per me vivere è Cristo, morire è un guadagno» (Fil 1,21); «Voglio solo conoscere Cristo e la potenza della sua risurrezione» (Fil 3,21); «Non son più io che vivo, ma è Cristo che vive in me» (Gal 2,20). Coltivare il desiderio è fondamentale. «Desiderare Dio è già vedere Dio», diceva san Basilio. E sant’Agostino: «La vita cristiana è la ginnastica del desiderio». Quanto più il desiderio diventa intenso, tanto più si tramuta in gesti concreti, in azioni che non siano mai offensive nei confronti dell’altro. Avviene, di conseguenza, anche il cambiamento morale, l’inversione di rotta. A questo stadio la conversione è motivata dal desiderio di essere sempre in comunione con Dio, da cui ci si sente amati. Insieme al desiderio di fare il bene e di evitare il male, si sente la forza di non far nulla che possa offendere Dio 87 MARIO RUSSOTTO nel fratello. E se si manca, ecco il laceramento del cuore, la coscienza viva del peccato e il desiderio di continuare ad essere nell’abbraccio misericordioso del Padre. 3. Nella gratuità la gioia Nello stile di Gesù, Pastore bello e buono (Gv 10,11-18) che sente compassione per le folle stanche e sfinite (Mt 9,36), offre la sua vita e “depone le vesti” (Gv 13,4), cioè il prestigio e il potere, scendendo nell’abisso della morte, ogni cristiano deve farsi “servo per amore”. La Chiesa, infatti, non è un’azienda di funzionari e agenti pubblicitari con il compito di affermarla e di aumentare il volume dei suoi affari. La Chiesa è chiamata a testimoniare il volto di Gesù-Sposo, nella piena fedeltà al Vangelo. Allora, illuminati dal Pastore buono che offre la vita e dalla consapevolezza credente che «vi è più gioia nel dare che nel ricevere» (At 20,35), bisogna sempre più convertirci alla logica della gratuità, della totalità e della radicalità nel nostro modo di vivere la fede e il Vangelo. 88 Giona nella conversione di Dio la conversione dell’uomo E la gratuità del dono e dell’amore ci spinge a vivere la conversione alla speranza. Non è facile sperare! La difficoltà a sperare oggi può portarci a subire la vita, a vivere la vita da rassegnati. Ma non può essere questo lo stile del cristiano. Per chi si lascia animare da Cristo, infatti, la speranza non è una scelta opzionale ma un imperativo. Convertirci alla speranza è un comando! Il credente, come dice il profeta Zaccaria, è prigioniero della speranza perché, abitato dalla presenza di Dio, è coinvolto nel dinamismo di questo seme che ha in sé le potenzialità per esplodere, per farsi strada nell’oscurità della terra e per aprirsi alla vita. La speranza non è una affezione del cuore o una esuberanza giovanile. La speranza è più di un sentimento, più di una esperienza, più di una previsione. La speranza è un comando. E seguirlo significa vivere, sopravvivere, perseverare, mantenersi in vita finché la morte non sia inghiottita nella vittoria. Obbedire a tale comando significa non essere mai rassegnati, né concedere mai rabbiosamente spazio alla frustrazione. Giovanni Crisostomo ammoniva: «Ciò che ci porta alla sventura non sono tanto i nostri peccati quanto la 89 MARIO RUSSOTTO disperazione». Il comando della speranza è forza che ci mantiene in vita e seme dirompente che ci porta alla libertà. Quanto difficile è sperare, tanto difficile è gioire della propria fede! Dobbiamo convertirci alla gioia! Quella che viene d’altronde, quella spirituale. Perché noi cristiani abbiamo la vocazione alla gioia! La gioia evangelica non è evasione né alienazione, ma si coniuga con tutto il mistero di Cristo e quindi anche con il mistero della passione e della morte. La gioia cristiana si può vivere, allora, anche nella sofferenza, se si è uniti a Colui che ne è la sorgente e la causa. Con questa consapevolezza, San Paolo può scrivere ai cristiani di Filippi: «Anche se il mio sangue deve essere versato in libagione sul sacrificio e sull’offerta della vostra fede, sono contento e ne godo con tutti voi. Allo stesso modo anche voi godetene e rallegratevi con me» (Fil 2,17s). Di Policarpo si racconta che nel confessare la sua fede davanti al proconsole, prima del martirio, «era pieno di coraggio e di allegrezza e il suo volto splendeva di gioia» (Il martirio di Policarpo, XII, 90 Giona nella conversione di Dio la conversione dell’uomo 1). Don Tonino Bello, al termine della Messa Crismale (8 aprile 1993) alcuni giorni prima di morire, fattosi portare al centro del presbiterio volle dire al suo popolo: «...Andiamo avanti con grande gioia. Io ho voluto prendere la parola per dirvi che non bisogna avere le lacrime, perché la Pasqua è la Pasqua della speranza, della luce, della gioia e dobbiamo sentirle… Egli è al di sopra di tutte le nostre malattie, le nostre sofferenze, le nostre povertà. È al di sopra della morte. Quindi ditelo!». Il cristiano, che nella fede fa esperienza della compatibilità di gioia e croce, è un credente educato alla logica evangelica del «perdersi per ritrovarsi», consapevole sempre che «vi è più gioia nel dare che nel ricevere» (At 20,35). 4. Vivere “dentro”… in Dio Vivere la fede da cristiani veri significa abbracciare un cammino di conversione del cuore che dura tanto quanto tutta l’esistenza. Si tratta di un lento lungo cammino che conoscerà tutte le asprezze del deserto, tutta la miseria del cuore 91 MARIO RUSSOTTO umano e, soprattutto, le meravigliose e impensabili risorse della Grazia. Vivere la fede da veri cristiani, in questo tipico atteggiamento di conversione, vuol dire comprendere che il cuore dell’uomo resta l’immutabile campo di battaglia fra la luce e le tenebre, fra l’amore e il peccato. «La conversione, per il cristiano, è una esigenza permanente, non è un evento, un fatto che stia nel passato, alle spalle, e di cui si è garantiti in modo definitivo» (E. Bianchi). Il centro perenne dell’equilibrio di noi cristiani va ricercato nel nostro donarci ad un mistero di conversione e di redenzione che, per poter raggiungere efficacemente gli altri, deve prima gettare profonde radici in noi stessi. Se è vero, come è vero, che «dal cuore degli uomini escono le cattive intenzioni» (Mc 7,21), noi dobbiamo saperci chinare in ascolto del nostro cuore capace di tanto male: «prostituzioni, furti, omicidi, adultèri, cupidigie, malvagità, invidia, superbia» (Mc 7,22). «La conversione è un processo umano e umanizzante. Quale dignità nell’uomo che sa riconoscere la propria negatività e il proprio errore! Quanto è 92 Giona nella conversione di Dio la conversione dell’uomo bello nella vita comunitaria quando un fratello dice: “Sì ho sbagliato, riconosco il mio errore”... La conversione è un cammino umano e umanizzato, un cammino che ci dovrebbe assolutamente aiutare ad essere sempre più autentici, più veri» (E. Bianchi). Dobbiamo avvertire i diversi palpiti che si agitano in noi, compresi i germi indistruttibili di santità che attendono di essere sottratti alle spine delle preoccupazioni “terrene”, per crescere fino alla misura di Cristo Gesù. Perché il Regno di Dio è dentro di noi! (cfr. Lc 17,21). Per questo siamo chiamati a diventare sempre più uomini e donne dell’interiorità e del silenzio, incamminati nelle vie misteriose dello Spirito, protesi nell’ascolto di una Voce che dà senso a tutta la nostra esistenza. Per questo siamo a chiamati a «vivere dentro ancorati a Dio, tutti Parola vissuta…» (Gen Verde). «Ascolterò che cosa dice Dio: il Signore annunzia la pace per il suo popolo, per i suoi fedeli, per chi ritorna a lui con tutto il cuore» (Sal 84,9). La conversione ci restituisce il coraggio e la grazia di non lasciarci assorbire dal brusìo della folla, 93 MARIO RUSSOTTO per meglio ascoltare quella Voce che parla di pace al nostro cuore, per poter creare in noi stessi le condizioni ideali dell’ascolto, nella ricerca di un silenzio interiore, dove limpida può risuonare la Parola del Vangelo. L’opera della propria conversione è lunga e difficile; è soggetta ai dinamismi impazienti di un’azione disordinata e alle stasi stagnanti dello scoraggiamento, s’imbatte in false segnaletiche circondate apparentemente di luce ma il cui termine è nelle tenebre, conosce il morso dell’egoismo e le inquietudini del cuore umano. Ma scoprirà con gratitudine sconfinata che i miti, i pacifici, i puri di cuore già qui sulla terra vedono Dio e sperimentano il paradiso nella grazia del cuore. E allora la nostra interiore pace si diffonderà come una benedizione invisibile sul mondo. E saremo luce che splende nelle tenebre del mondo, Vangelo di gioia e di grazia per quanti incontriamo sul nostro cammino, testimoniando a tutti la verità del Sal 116: «Ritorna, anima mia, alla tua pace, poiché il Signore ti ha beneficato». Saremo anche noi come Maria, la Donna che ha accolto nel silenzio 94 Giona nella conversione di Dio la conversione dell’uomo il Verbo divino e nel silenzio lo ha custodito durante tutta la vita, così come ora custodisce nel suo cuore, abisso insondabile di santità, tutti noi con ineffabile amore e ci conduce alla pace contemplativa dell’incontro con Dio… 5. Per la riflessione e il confronto… 1. Credo davvero all’amore di Dio per me? Credo al suo sguardo “convertito” su di me? E questa verità influisce sulle scelte della mia vita e della mia giornata? 2. Come vivo il “desiderio di Dio”? Sono un uomo/una donna dal cuore “pacificato”? Trasmetto pace e serenità attorno a me? 3. Cosa vuol dire per me “gratuità”? So vivere le mie scelte nella logica della gratuità e della totalità o cerco sempre una “ricompensa” al mio agire? 4. Con il mio comportamento, le mie parole e il mio atteggiamento sono annunciatore e testimone di 95 MARIO RUSSOTTO speranza e di gioia in famiglia, fra gli amici, nell’ambiente in cui vivo e lavoro, in parrocchia? Oppure creo un clima pesante, diffidente, triste? 5. La mia fede trova coerenza con e nella mia vita? Quali le difficoltà? Quali le esperienze positive? 96 CONCLUSIONE Il tempo è compiuto… Figlioli carissimi, giunti alla fine del percorso di questa riflessione che intende mettere tutti noi, a cominciare da me vostro Vescovo, e tutta la nostra Chiesa nissena in stato di conversione, desidero riportare me e voi tutti alla prima pagina del vangelo secondo Marco, e precisamente alla prima breve incisiva chiara radicale predica di Gesù, che a me e a voi offro come consegna nel cammino di questo anno pastorale. E desidero far precedere tale consegna di Vangelo da un antico detto rabbinico: «Un figlio era molto lontano da suo padre, a cento giorni di cammino. I suoi amici gli dissero: “Ritorna da tuo padre”. “Non posso, non ne ho la forza”. Allora suo padre gli mandò a dire: “Torna per quanto puoi e io ti verrò incontro per il resto della strada”». «Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù si recò nella Galilea predicando il vangelo di Dio e diceva: “Il tempo è compiuto e il Regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo”» (Mc 97 MARIO RUSSOTTO 1,14-15). Il kerigma di Gesù presentato da Marco è costituito dai quattro capitoli fondamentali della catechesi della Chiesa delle origini, costruiti a piramide: due sul versante di Dio e due sul versante dell’uomo. Il tempo è compiuto-il Regno di Dio è vicino riguardano l’agire di Dio. Convertirsi-credere nel Vangelo sono la risposta umana, toccano l’agire dell’uomo. Il tempo è compiuto: in greco abbiamo peplèrotai o kairòs. Kairòs è il tempo di Dio nel tempo dell’uomo! Il kairòs è arrivato al suo compimento, al suo pleroma (peplèrotai). Con la presenza di Gesù è arrivata finalmente nel tempo dell’uomo la decisiva ora di Dio: il tempo della grazia! La storia è oramai giunta al suo compimento. Con Gesù inizia qualcosa di nuovo, perché Lui è il desiderato dai secoli, Colui senza il quale il passato non ha senso e il futuro non ha storia. Gesù dà senso ad ogni cosa. Il Regno di Dio è vicino: il testo greco recita: kai egghiken he basileia tou Theou. Il “Regno di Dio” è il Suo progetto sulla storia. Il Regno è l’evento salvifico che Dio vuole realizzare con l’umanità e 98 Giona nella conversione di Dio la conversione dell’uomo per l’umanità in Cristo Gesù. Questo evento è il Vangelo! E questo Regno è vicino! In greco il verbo egghiken è un perfetto. È strano come Marco abbia usato questo verbo “essere vicino” non al futuro o al presente ma al perfetto, che in greco indica un’azione passata i cui effetti perdurano nel presente. Quindi il “Regno di Dio” è qualcosa che riguarda il passato, è una vicinanza che si è già realizzata e i cui effetti perdurano ancora oggi. Eppure il verbo egghiken indica qualcosa che non è venuto del tutto. Il Regno di Dio, dunque, abbraccia le tre dimensioni del tempo dell’uomo (chronos) e della storia: è un passato che sta alle nostre spalle; è un presente ancora attivo perché l’evento Cristo è ancora oggi presente; è un futuro – vicino eppur lontano – che attende di arrivare a piena attuazione. Potremmo anche tradurre: il Regno di Dio è presente, ma preferiamo dire: è vicino, quasi a indicare che non è ancora pienamente compiuto negli uomini e nelle donne. Con Gesù il Regno irrompe definitivamente nella storia e si presenta come una manifestazione della potenza di Dio, che salva e tende a raccogliere gli uomini e le donne in una grande famiglia, unita 99 MARIO RUSSOTTO nell’Amore della Trinità. Ma il Regno non si presenta mai nella storia come qualcosa di già fatto in cui dobbiamo integrarci, bensì come una realtà in via di sviluppo. Il Regno è come un seme: deve sbocciare, crescere e presentarsi ogni giorno come novità e non come un pezzo da museo. La sua perfetta maturazione è sempre nel futuro. Convertitevi: dopo aver percorso il versante divino della piramide, cioè l’azione di Dio, percorriamo ora il versante umano, cioè la nostra risposta e la nostra re-azione all’azione di Dio. Qui troviamo un primo imperativo: metanoèite, dal verbo metanoo che significa cambiare, stravolgere la mente, girare la mente, capovolgerla, andare “oltre” la mente… È la forza di chi è consapevole che scegliere il Vangelo di Gesù significa uscire fuori da ogni compromesso, andare “oltre” ogni ragione e logica umana, uscire fuori di testa nella follia della sequela di Gesù Figlio di Dio, che ama l’umanità fino alla follia dell’Incarnazione e, ancor più, fino alla follia della Croce. Cristo Gesù chiede a tutti noi una frattura totale con il nostro passato e il nostro uomo vecchio: non è possibile servire due padroni! 100 Giona nella conversione di Dio la conversione dell’uomo Credete nel Vangelo: in greco abbiamo kai pistèuete en to euanghèlio. E dunque non “credete al Vangelo”, ma “credete nel Vangelo”. Per la cultura semitica non si crede a qualcosa, ma si crede fondandosi su qualcuno, su un messaggio, su una persona; vuol dire costruire la propria casa sulla roccia del Vangelo. E allora occorre credere non solo al Vangelo, ma fondandosi sul Vangelo; bisogna credere nella forza e nella dirompente novità del Vangelo. Se vogliamo seguire Gesù, non possiamo limitarci a cambiare esteriormente. Gesù impone una visione nuova del mondo e chi vuole aderire a Lui, chi vuole credere nel suo Vangelo deve cambiare radicalmente per essere come Lui figlio di Dio. Gesù ci invita sempre ad essere diversamente nuovi per andare oltre, ad entrare nella logica della conversione-misericordia di Dio per vivere gioiosamente insieme in uno stato di permanente conversione. Chi non ha paura di confrontare la propria vita con il Vangelo e tirarne le conseguenze, ascolti Cristo… e il suo programma avrà per lui un senso. 101 MARIO RUSSOTTO Ma è necessario avere coscienza che questa ora della storia, così travagliata e difficile, è il kairòs di Dio, è il “segnale” che il Regno di Dio è vicino. Non ci resta altro che cambiare mentalità e credere nel Vangelo! Accogliendo il mistero di Cristo Gesù Figlio di Dio, ciascuno riscopra accolga viva il mistero della sequela di Cristo nel ministero quotidiano e testimoniale del discepolato. Augurando a tutti noi in questa nostra amatissima Chiesa nissena un convinto serio gioioso unitario cammino di fede in una permanente conversione intercettata dalla conversione-compassione di Dio, affidando i sogni e le speranze della nostra Chiesa alla materna intercessione della Vergine Maria Odigitria, tutti e ciascuno con immenso amore benedico nel Signore. Vostro aff.mo ✠ Mario Russotto Vescovo 102 INDICE 5 11 I. INTRODUZIONE Nel cammino di conversione FUGA… NELL’ABISSO 31 II. PREGARE PER RICOMINCIARE 49 III. NELLA CONVERSIONE DI DIO LA CONVERSIONE DELL’UOMO 69 IV. CONVERSIONE FOLLIA D’AMORE 83 V. 97 CONVERSIONE È RESPONSABILITÀ CONCLUSIONE Il tempo è compiuto… 103 FINITO DI STAMPARE NEL MESE DI SETTEMBRE 2014 CALTANISSETTA DALLA TIPOLITOGRAFIA PARUZZO DI