✠ Mario Russotto
Vescovo di Caltanissetta
GIONA
nella conversione di Dio
la conversione dell’uomo
Lettera Pastorale
anno 2014-2015
DISEGNO DI COPERTINA:
Vincenzo Giovino - Curia Vescovile Caltanissetta
IMPAGINAZIONE:
Salvatore Tirrito - Curia Vescovile Caltanissetta
STAMPA:
Tipolitografia Paruzzo - Caltanissetta
INTRODUZIONE
Nel cammino di conversione
Figlioli carissimi,
all’inizio del nuovo Anno Liturgico, insieme agli
Orientamenti Pastorali per gli anni 2014-2020,
sono lieto di consegnare a tutti i presbiteri e i diaconi, le religiose e i religiosi, le donne e gli uomini
di vita consacrata e i fedeli laici questa Lettera Pastorale su “Giona. Nella conversione di Dio la conversione dell’uomo”.
Essa si pone in continuità con il mio modo di intendere la Lettera Pastorale del Vescovo, ovverossia quale pista di pro-vocazione e riflessione per
«rifare il tessuto interno della comunità cristiana»
(San Giovanni Paolo II). Perché solo una Chiesa
evangelizzata può essere evangelizzatrice. Solo
cristiani convinti e consapevoli della loro fede e
della grazia dirompente del Battesimo possono diventare missionari di Vangelo, irradiazione di
Amore nella solidarietà e nella declinazione delle
tre “p”: Parola-Preghiera-Poveri.
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MARIO RUSSOTTO
La mia Lettera Pastorale non presenta, dunque,
“novità strategiche” dal punto di vista teologicopastorale, ma un punto di partenza e di convergenza, una pista da percorrere insieme – in modo
comunitario e personale – per essere sempre più
la Chiesa sognata da Cristo Gesù, per prendere
sempre più coscienza della nostra vocazione e
della nostra missione fondate sul Battesimo.
L’icona biblica di questo anno pastorale 20142015 sulla quale siamo chiamati a riflettere e meditare e con la quale ci confronteremo – nei gruppi
catechistici e parrocchiali, nella “Tre Tende… la
Parola”, nei cenacoli della Parola da riprendere con
vigore ed entusiasmo (magari valorizzando i “gemellaggi” fra parrocchie della Missione Biblica
Diocesana) per rendere la Chiesa missionaria sempre più presente nei quartieri e nelle case – è la vicenda del profeta Giona, narrata nell’omonimo libro della Bibbia. E il tema-slogan che ci siamo dati
è “nella conversione di Dio la conversione dell’uomo”.
Nei nuovi Orientamenti Pastorali abbiamo scritto:
«Convertirsi, concretamente, significa entrare a
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Giona nella conversione di Dio la conversione dell’uomo
far parte della Chiesa, comunità di fede e di vita,
riunita nel nome del Signore Risorto e Vivente.
Gesù non ha indicato semplicemente una serie di
principi, non si è accontentato di invitare ad un
generico cambiamento, ma ha chiamato i discepoli a condividere la strada che Egli stesso stava
percorrendo». Ecco, noi vogliamo riscoprire – e
far riscoprire a tutti i battezzati – la gioia, la bellezza e la responsabilità di essere comunità di fede
e di vita, per percorrere e condividere con Cristo
Gesù la strada del Vangelo tracciata da Lui, Via
Verità Vita.
L’8 giugno 2003, nella terza Nota pastorale sull’iniziazione cristiana, i Vescovi italiani hanno esortato le nostre Chiese ad «una rinnovata e sempre
più convinta attenzione a tutti i battezzati, a cominciare da coloro che, pur non avendo rinnegato
formalmente il loro Battesimo, vivono un fragile
rapporto con la Chiesa e devono quindi essere interpellati dal santo Vangelo di Gesù Cristo per riscoprirne la bellezza e la forza trasformante e per
ritrovare così la gioia di vivere l’esperienza cristiana in maniera più consapevole e operosa». E infatti «questa terza Nota è espressamente indirizzata
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MARIO RUSSOTTO
al “risveglio della fede e al completamento dell’iniziazione cristiana degli adulti”».
Si richiede pertanto una vera e profonda conversione pastorale, come Papa Francesco sollecita
nella Evangelii gaudium: «Spero che tutte le comunità facciano in modo di porre in atto i mezzi
necessari per avanzare nel cammino di una conversione pastorale e missionaria, che non può lasciare le cose come stanno» (EG, n. 25). E ancora:
«Sogno una scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli
stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale, più che per l’autopreservazione» (EG, n. 27).
E allora accogliamo il “sogno” di Papa Francesco,
nella consapevolezza credente che «Ogni Chiesa
particolare, porzione della Chiesa Cattolica sotto
la guida del suo Vescovo, è anch’essa chiamata alla
conversione missionaria. Essa è il soggetto dell’evangelizzazione, in quanto è la manifestazione
concreta dell’unica Chiesa in un luogo del mondo»
e in essa «è veramente presente e opera la Chiesa
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Giona nella conversione di Dio la conversione dell’uomo
di Cristo, una, santa, cattolica e apostolica… La
pastorale in chiave missionaria esige di abbandonare il comodo criterio pastorale del “si è fatto sempre così”. Invito tutti ad essere audaci e creativi in
questo compito di ripensare gli obiettivi, le strutture, lo stile e i metodi evangelizzatori delle proprie comunità… L’importante è non camminare
da soli, contare sempre sui fratelli e specialmente
sulla guida dei Vescovi…» (EG, nn. 30 e 33).
E dunque… buon cammino con Giona! Perché
tutti, a cominciare dal Vescovo e dai Sacerdoti,
possiamo scoprire vivere testimoniare… nella
conversione di Dio la conversione dell’uomo!
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I
FUGA… NELL’ABISSO
1. Il libro e il credente
Giona è il protagonista di un piccolo libro, un romanzo didattico dell’Antico Testamento di soli
quattro capitoli con 48 versetti in tutto, scritto probabilmente tra il 500 e il 400 a.C. È paradigma di
un itinerario e di un percorso di vita che ci invita
ad andare sempre oltre. Il libro è un magnifico racconto posto nel cuore della Bibbia che ha il sapore
di una fiaba, di cui molti sono gli elementi: la descrizione della città di Ninive con le sue enormi ed
esagerate dimensioni (Gio 3,3), l’ironia sottile con
cui si descrive l’opera di Dio, il quale in una notte
fa sorgere una pianta di ricino per fare ombra a
Giona, ma poi manda un verme a roderla e un vento
caldo d’oriente ad opprimere il profeta. E poi c’è
il grande pesce, dal quale Giona viene ingoiato e
da cui viene rigettato vivo sulla spiaggia dopo tre
giorni e tre notti.
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MARIO RUSSOTTO
Il libro si divide in due grandi parti in parallelismo
fra loro: i capitoli 1-2 e i capitoli 3-4. E inizia e finisce con una Parola di Dio, quasi a formare una
grande inclusione. Il libro di Giona è un racconto
battesimale per la proposta di vita nuova proclamata ai non-credenti attraverso il credente… missionario per costrizione. Il Battesimo non è un privilegio per la nostra personale salvezza. Il nostro
battesimo è per gli altri: «Forse Dio è Dio soltanto
dei giudei? Non lo è anche dei pagani? Certo, anche dei pagani! Poiché non c’è che un solo Dio...»
(Rm 3,28-30).
Il profeta Giona visse nel VII sec. a.C. (cfr. 2Re
14,25), ma il racconto che lo vede protagonista è
posteriore all’esilio babilonese (V sec. a. C.),
scritto dunque in un tempo in cui la città di Ninive
non era che un lontano ricordo. Filo rosso del racconto è l’amore di Dio, che provoca la conversione
di tutti gli abitanti pagani e peccatori di Ninive.
Ma c’è un altro tema sottile delicato paradossale:
la conversione di Dio! Perché nel racconto Dio
cambia parere: se prima – almeno così sembrava
– voleva fortemente e chiaramente ammonire gli
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Giona nella conversione di Dio la conversione dell’uomo
abitanti di Ninive pena la distruzione della città,
poi cambia opinione: la conversione dei niniviti
induce Dio a convertirsi, a cambiare. È la teshubah-conversione, che per quanto riguarda Dio ha
un nome: si chiama perdono! E proprio questo
Giona rifiuta. E allora... fugge! Fugge il più lontano possibile da Dio, da Ninive, dalla missione
affidatagli, da se stesso!
Giona rappresenta l’uomo rigidamente chiuso in
una religiosità orgogliosa, esclusiva ed escludente.
È l’unico profeta inviato da Dio a Ninive, cioè fuori
dai confini di Israele, ad annunciare il cambiamento nel modo di vivere e di pensare di quei cittadini lontani da Dio. E oggi la nostra Chiesa e noi
cristiani siamo chiamati a vivere e ad annunciare
il Vangelo in una società fortemente secolarizzata
indifferente ostile pagana…
2. Fuggire da Dio
«Fu rivolta a Giona figlio di Amittai questa parola
del Signore: «Alzati, va’a Ninive la grande città e
in essa proclama che la loro malizia è salita fino a
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MARIO RUSSOTTO
me». Giona però si mise in cammino per fuggire a
Tarsis, lontano dal Signore. Scese a Giaffa, dove
trovò una nave diretta a Tarsis. Pagato il prezzo
del trasporto, s’imbarcò con loro per Tarsis, lontano dal Signore» (Gio 1,1-3).
L’ordine di Dio è chiaro: il profeta deve alzarsi
e far conoscere alla città di Ninive che è ben noto
al Signore il male che in essa si commette. Si
tratta di una specie di “avviso di garanzia”, perché Dio non emette alcuna sentenza di condanna
verso la grande città. Giona invece, vuole salire
in cattedra e insegnare a Dio la giustizia.
«Giona però si mise in cammino per fuggire a
Tarsis…»: il testo ebraico non dice «si mise in
cammino» ma «si alzò per fuggire». In effetti
Giona si alza, ma non per andare dove il Signore
lo manda, bensì per fuggire lontano dal Signore.
È la prima volta che un profeta risponde a Dio
con la disobbedienza. A volte nei profeti troviamo resistenze e obiezioni ma qui non c’è alcuna obiezione, nessuna domanda di chiarimento, nessuna risposta verbale. Solo il silenzio,
solo la fuga.
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Giona nella conversione di Dio la conversione dell’uomo
E allora ci chiediamo: se Giona ha ben chiaro qual
è il suo dovere di credente e di profeta, perché
fugge? È convinto che sia un lavoro inutile, tanto
il mondo non cambia? Ha solo desiderio di stare
tranquillo a dire le sue preghiere, senza sporcarsi
le mani con i problemi della società? Quante volte
anche noi proviamo il desiderio di fuggire di fronte
ai problemi, alle scelte dolorose, alle responsabilità pesanti che la vita ci mette davanti… In quei
momenti vorremmo nasconderci, fuggire, scomparire… Giona può essere simbolo di ogni credente che sente il peso della vita e cerca di fuggire
dalle sue responsabilità, o vede la volontà di Dio
come un fardello pesante e insopportabile…
Perché Giona fugge? Quale senso ha il suo fuggire?
Il Card. Carlo Maria Martini nel 1996, rivolgendosi
al clero di Milano – ma la sua riflessione si può benissimo estendere a tutti i cristiani: giovani, sposi,
genitori… – così diceva: «La prima ragione, la più
ovvia, della fuga di Giona è che ha paura di un incarico troppo gravoso e pericoloso… La seconda
ragione, teologica… fugge perché sa che Dio è imprevedibile e non vuole affidarsi. Sa di non poter
contare sulla rigidità di Dio, dal momento che Dio
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è misericordioso. Giona non è capace di giocare con
la scioltezza propria del Signore, vorrebbe essere
garantito in tutto, è preso dalla paura… (Ma) il suo
fuggire è insano; non esiste infatti un lontano né da
Dio, né da sé, né dai propri doveri e nemmeno dalle
sfide della vita».
E poi continuava offrendo due piste per superare
ogni tipo di fuga: «Se non sempre riusciamo a capire, sempre possiamo amare; amare è un modo
di sanare la frattura di significato che agita la società contemporanea. Amare è una conoscenza
profonda, che non sbaglia perché è imitazione del
Dio che conosce e ama. Se negativa era l’icona di
Giona che rifiuta di entrare nel gioco della scioltezza di Dio, positiva è quella di Giobbe che lotta
a lungo con i limiti della sua comprensione del disegno di Dio, che si ribella e, alla fine, si arrende
e trova pace proprio nell’affidarsi al Signore, al
suo gioco, al suo mistero».
«Giona però si mise in cammino per fuggire a Tarsis, lontano dal Signore» (Gio 1,2): ha forse dimenticato il canto del Salmo 139: «Dove andare
lontano dal tuo spirito, dove fuggire dalla tua pre16
Giona nella conversione di Dio la conversione dell’uomo
senza? Se salgo in cielo, là tu sei, se scendo negli
inferi, eccoti. Se prendo le ali dell’aurora per abitare all’estremità del mare, anche là mi guida la
tua mano e mi afferra la tua destra. Se dico: “Almeno l’oscurità mi copra e intorno a me sia la
notte”; nemmeno le tenebre per te sono oscure, e
la notte è chiara come il giorno; per te le tenebre
sono come luce»?
Giona è un uomo che vive nella paura e nella
chiusura; nella paura che la Parola di Dio possa
avere successo e che quindi Ninive possa convertirsi. Sì, Giona ha paura del Dio misericordioso e non giudice spietato! Giona è un credente
rigido geloso rigoroso e non accetta che i non credenti possano cambiare vita. Giona è come il fratello maggiore del figliol prodigo nella parabola
evangelica (Lc 15,11-32) che, chiuso nella sua
pretesa di esclusività, desidera il male e la morte
del fratello peccatore. E così Giona si chiude sempre più in se stesso, rifiuta Dio e sceglie il sonno
(Gio 1,5) come anestetico della coscienza. Certo,
Ninive è il simbolo della corruzione, del male dilagante, dell’indifferenza della società nei confronti di Dio.
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Ma è Giona il vero peccatore! Egli cerca di mettere tra sé e Dio il deserto e il mare e il sonno…
come morte della coscienza, lontananza dalla Presenza, scelta di oblio. Dormendo, Giona evita di
pensare, di avere consapevolezza di quello che gli
succede e gli viene chiesto, di dimenticare Dio e
la propria responsabilità. Ma... «è ormai tempo di
svegliarvi dal sonno!», scrive San Paolo nella Lettera ai Romani (Rm 13,11).
«Alzati, va’ a Ninive la grande città e in essa proclama…» (Gio 1,1): alzarsi è la possibilità continuamente offerta di riprendere la propria vita in
mano; è l’opportunità rinnovata ogni giorno di non
trascinare la vita banalmente; è uscire dal torpore
per elevarsi allo stupore di essere amati chiamati
mandati da Dio.Alzarsi è prendere le distanze dalle
varie comodità nelle quali abbiamo incastrato la
nostra vita. Perché l’uomo si abitua a tutto, tranne
alla fatica di amare e di mettere in pratica la Parola del Signore. Perché noi siamo capaci anche di
abituarci a Dio: «I cristiani sono capaci di installarsi comodamente persino sotto la Croce di Cristo» (G. Bernanos).
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Giona nella conversione di Dio la conversione dell’uomo
Alzarsi: partire significa lasciare, abbandonare. E
abbiamo sempre qualcosa da abbandonare… Perché il nostro cuore soffre offrendosi. Ed è giusto
così, perché il Signore non ha bisogno di pietre rotolanti da un posto all’altro, ma di cuori amanti
sempre e comunque, che conoscono il prezzo dell’amore e corrono il rischio del Vangelo. Alzarsi
non è fuga da se stessi, dagli altri o da Dio, ma è
partire in nome di Dio e con Dio…
«Alzati e va’»: sono due parole scomode provocanti destabilizzanti. Mettono a nudo i nostri tentennamenti, i nostri ripensamenti, le nostre infedeltà. Sono parole pericolose, anche perché tante
volte dobbiamo annunciare ciò che noi stessi non
riusciamo a vivere… De Lubac, nel suo libro “Meditazioni sulla Chiesa”, ha scritto: «Il Vangelo ci
condanna sempre! E per questo possiamo essere
presi di mira. Gli altri possono tormentarci proprio
in nome di quella Parola che, offerta, non è vissuta». Ma come tacere quella Parola che non ci appartiene? Non saremmo più dei viandanti portatori di Parola di Dio, ma dei vagabondi spacciatori
di chiacchiere nostre.
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Nel “Diario” di Kierkegaard leggiamo: «Io credo
che se un giorno diventerò cristiano sul serio, dovrò vergognarmi soprattutto non di non esserlo diventato prima, ma di aver tentato prima tutte le
scappatoie». E Giona cerca di fuggire a Tarsis, la
città del lusso e dell’agiatezza, la città della comodità… che è sempre in discesa… Anche noi,
piccoli Giona, abbiamo i nostri modi e i nostri
tempi per cercare di non incrociare il volto di Dio.
E allora… evitiamo con cura il silenzio come presenza: Dio potrebbe occuparlo e parlarci! Non insistiamo troppo con la lectio della Parola di Dio:
il Signore potrebbe rivelarsi alla nostra coscienza!
Non frequentiamo il deserto della meditatio e della
preghiera: Dio spesso lo attraversa! Poveri noi piccoli Giona! Non comprendiamo che per Dio è impossibile stare lontano da noi! Dio non si lascia
sorprendere né impaurire. È il Signore!
3. La tempesta discriminante
E Giona si mette in viaggio. È il suo viaggio! «Ma
il Signore scatenò sul mare un forte vento e ne venne
in mare una tempesta tale che la nave stava per
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Giona nella conversione di Dio la conversione dell’uomo
sfasciarsi» (Gio 1,4): Dio è alle calcagna di Giona
e scatena, anzi getta – come recita il testo ebraico
– un forte vento sul mare. Quattro volte ricorre il
verbo “gettare” in questi versetti: Dio getta il vento
(Gio 1,4), i marinai gettano tutto in mare (Gio 1,5),
Giona chiede di essere gettato in mare (Gio 1,12),
i marinai gettano Giona in mare (Gio 1,15).
Dio non dà tregua al suo profeta recalcitrante, non
gli permette di nascondersi e di addormentare la
sua coscienza, restando indifferente alla situazione
che lo circonda. Sembra assurdo, ma sono proprio
i marinai – i “lontani” non-credenti – a mettere il
credente di fronte alla sua vigliaccheria, a costringerlo a reagire, a guardare in faccia le conseguenze
delle sue scelte. Proprio coloro che dovrebbero essere insensibili e senza fede diventano maestri di
fede di chi si dice credente!
«I marinai impauriti invocavano ciascuno il proprio dio. Intanto Giona, sceso nel luogo più riposto della nave, si era coricato e dormiva profondamente» (Gio 1,5): solo Giona non prega!Anche per i marinai comincia un esodo che li porterà dal paganesimo al Dio di Israele. Al timore e
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MARIO RUSSOTTO
alla preghiera dei marinai si contrappone il sonno
di Giona, che continua a “scendere”, ad allontanarsi dal Signore. È come se volesse nascondersi
nel ventre della nave per sfuggire al Signore.
«Gli si avvicinò il capo dell’equipaggio e gli disse:
“Che cos’hai così addormentato? Alzati, invoca il
tuo Dio! Forse Dio si darà pensiero di noi e non
periremo”» (Gio 1,6): Giona viene svegliato dai
marinai a causa della tempesta. È vero, tante volte
le tempeste della vita servono a svegliarci dal
sonno della coscienza… I non-credenti svegliano
il credente alle sue responsabilità e, addirittura, lo
invitano a pregare… Il profeta fugge da Ninive
città pagana, e qui sono i pagani che vanno incontro a lui. Il profeta è stato mandato a parlare di
Dio ai pagani, e qui sono i pagani che parlano a
lui di Dio. Ed è proprio un pagano a ri-dire le parole di Dio: «Alzati e grida (qum e qara’)» (Gio
1,1). Prima era Dio ad affidare a Giona la missione
di evangelizzare i pagani, ora sono i pagani che
evangelizzano l’uomo di Dio!
Giona cerca di fuggire lontano da Dio, i pagani invece cercano il cammino verso Dio. Giona dorme
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e non prega; i marinai sono svegli e lottano contro la tempesta pregando. Giona cerca la morte
come ultima sua discesa in basso, i marinai cercano la vita e lottano per tenere in alto la nave. Si
realizza così quello che Dio aveva detto per mezzo
del profeta Isaia: «Io sono stato cercato da quelli
che prima non chiedevano di me, sono stato trovato da quelli che prima non mi cercavano» (Is
65,1). Ed ecco: mentre Giona si intestardisce a fuggire da Dio e dalla città pagana, la sua fuga provoca la fede dei pagani. Dio si serve anche dei peccati dei credenti, dei tradimenti e delle infedeltà
della Chiesa per farsi conoscere e incontrare dai
cosiddetti “lontani”. Sì, a volte la Chiesa e noi cristiani dobbiamo toccare il fondo dello scandalo,
della mediocrità, del compromesso e dell’incoerenza per ritrovare la fede, lasciandoci evangelizzare da quelli che giudichiamo non-credenti!
I marinai pagani intuiscono che la tempesta è un
“segno” di Dio. Purtroppo capita che le tempeste della vita scuotano i “lontani” mentre lasciano indifferenti i credenti, che non comprendiamo e non sappiamo leggere i segni di Dio. Risvegliato alle sue responsabilità, Giona ammette
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MARIO RUSSOTTO
che la tempesta si è scatenata per colpa sua. È
anche colpa dei credenti se ci sono tempeste nel
mondo! Se il mondo è nelle tenebre è perché noi
non lo illuminiamo, se è senza sapore è perché
noi non siamo sale! Ma di fronte a Giona che riconosce la sua colpa, i marinai cercano di salvare non solo se stessi e la nave, ma anche Giona.
Capiscono che è colpa sua, capiscono che stanno
per morire perché lui ha tradito Dio e, tuttavia,
tentano di salvarlo.
«Egli rispose: “Sono ebreo e venero il Signore
Dio del cielo, il quale ha fatto il mare e la terra”»
(Gio 1,9): Giona per la prima volta apre la bocca
e parla. Prima afferma la sua identità religiosa, poi
attribuisce a Dio il dominio sull’universo: cielo,
mare e terra. Giona così si mostra un credente che
conosce il catechismo e il contenuto della fede,
ma non vive l’esperienza della fede. Sa chi è Dio,
ma è l’unico a disobbedire a Dio! Sa e afferma
che il mare e la terra sono stati creati da Dio, eppure cerca di fuggire da Dio attraverso il mare
verso una terra lontana.
E Giona non si nasconde più, esce allo scoperto.
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Giona nella conversione di Dio la conversione dell’uomo
Ma la fede che proclama è molto lontana dalla sua
vita, le sue scelte non hanno niente a che vedere
con la sua religiosità. È la storia di tanti di noi. Non
è facile essere fedeli al Signore coniugando insieme cuore e labbra. E nei fatti il Signore non sempre viene al primo posto… In una delle sue Lettere Don Milani scriveva: «L’unico pericolo è di
non essere cristiani, perché se uno lo è, o prima o
dopo traspare anche senza farlo apposta». Ognuno
di noi è responsabile del bene e del male che circola nella Chiesa e nel mondo. G. Bernanos nel
“Diario di un curato di campagna” ha scritto: «Le
nostre colpe nascoste avvelenano l’aria che altri
respirano».
«Quegli uomini furono presi da grande timore e
gli domandarono: “Che cosa hai fatto?”. Quegli uomini infatti erano venuti a sapere che egli
fuggiva il Signore, perché lo aveva loro raccontato. Essi gli dissero: “Che cosa dobbiamo fare
di te perché si calmi il mare, che è contro di
noi?”. Infatti il mare infuriava sempre più» (Gio
1,10-11). I marinai mettono Giona di fronte alle
sue responsabilità, gli chiedono di non fuggire
più ma di avere il coraggio di guardarsi dentro,
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MARIO RUSSOTTO
di interrogarsi e di ritrovare il senso della sua
fede e delle sue responsabilità.
«Egli disse loro: “Prendetemi e gettatemi in mare
e si calmerà il mare che ora è contro di voi, perché io so che questa grande tempesta vi ha colto
per causa mia”» (Gio 1,12): Giona viene invitato
dai pagani a pregare, ma non vuole pregare; viene
obbligato a scoprire la sua colpa, ma non chiede
perdono. Ora i marinai gli chiedono una soluzione
ai loro problemi e Giona offre quella più facile e
più umana, cioè quella più distante dal cuore di
Dio. Giona preferisce morire piuttosto che obbedire alla Parola di Dio; riconosce di essere la causa
della tempesta, ma non vuole entrare nella volontà
salvifica di Dio.
Ma alla fine… «Presero Giona e lo gettarono in
mare e il mare placò la sua furia. Quegli uomini
ebbero un grande timore del Signore, offrirono sacrifici al Signore e fecero voti» (Gio 1,15-16): il
profeta Ezechiele aveva detto che i pagani empi
sarebbero stati precipitati nel fondo del mare (Ez
27,27), qui invece l’empio è proprio l’ebreo credente… e viene gettato in mare. E subito arriva la
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Giona nella conversione di Dio la conversione dell’uomo
quiete. Giona, suo malgrado, è stato lo strumento
per la teshubah-conversione dei pagani al vero
Dio. Ed è proprio quello che Giona non voleva fare
fuggendo lontano da Dio e da Ninive!
4. Nell’abisso del male
«Il Signore dispose che un grosso pesce inghiottisse Giona; Giona restò nel ventre del pesce tre
giorni e tre notti» (Gio 2,1): il testo rivela ancora
una volta che è il Signore a dominare la storia e
tutto obbedisce a Lui, prima il vento e il mare ora
un pesce… tutti obbediscono a Dio tranne Giona!
E se il Signore agisce in questo modo lo fa proprio per Giona, il quale non vuole andare nella città
grande e viene inghiottito da un pesce grande…
Il pesce obbedisce alla Parola di Dio, Giona no!
Il grande pesce ha una doppia valenza simbolica
in questo racconto: da una parte rappresenta il male
con la bocca sempre spalancata per inghiottire gli
uomini sprofondati nelle tenebre della morte; dall’altra parte il suo ventre è simbolo di deserto silenzio pace, in cui l’uomo può ritrovare se stesso
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MARIO RUSSOTTO
e il senso della sua relazione con Dio nella preghiera. In quest’ultima dimensione simbolica il
ventre del pesce richiama il grembo materno o il
fonte battesimale: in quel grembo Giona viene custodito da Dio e da quel grembo uscirà per rinascere alla vita e compiere la sua missione.
Giona deve scendere nell’abisso e nella realtà più
nera delle tenebre per portare alla luce se stesso e
tutte le tenebre; quasi abbandonato al male, può risanare il male e guarire se stesso. Perciò la Chiesa
non salverà nessuno se non attraverso l’esperienza
di Giona: «Nessun segno le sarà dato, se non il segno di Giona profeta» (Mt 12,40).
E proprio attraverso il mare-male Giona ritrova il
senso della vita e della preghiera. Il cristiano trova
il senso della sua missione nel mondo entrando dentro le contraddizioni, non togliendole; entrando
dentro il male, assumendolo e prendendolo su di sé
e non semplicemente combattendolo. Finché la
Chiesa non sarà una «comunità in diaspora» non
potrà annunciare Dio e il suo Vangelo; annuncerà
se stessa ma non salverà nessuno. Quando la
Chiesa – come ogni cristiano – ha il coraggio di
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Giona nella conversione di Dio la conversione dell’uomo
morire potrà salvare, quando ha il coraggio di scomparire potrà rinnovare. Quando il cristiano sembra
perdere ogni sostegno è perché Dio vuole che sperimenti le debolezze del mondo e le porti su di sé.
Nel grembo-tomba del pesce Giona ritrova se
stesso,lasuafede,ildesideriodiincontrareDionella
preghiera. E sa con certezza che Dio lo ascolterà.
5. Per la riflessione e il confronto…
1. Da che cosa e/o da chi sto fuggendo? Forse ho
preso le distanze da Dio e dalla sua volontà?
2. Quali sono le mie paure evidenti e quelle più
nascoste?
3. Ci sono parole che non vorrei mai dire per paura
di doverle vivere, per timore di creare “problemi” in famiglia, in coloro che mi sono vicini… in parrocchia?
4. Chi incontra me e la mia comunità parrocchiale,
o il mio gruppo, che idea si fa di Dio e della
Chiesa?
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MARIO RUSSOTTO
5. Qual è il mio atteggiamento nei confronti dei
non-credenti? Riesco a farmi interrogare e provocare da loro o li guardo con pregiudizio e diffidenza?
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II
PREGARE PER RICOMINCIARE
1. L’abisso in… preghiera
«Dal ventre del pesce Giona pregò il Signore suo
Dio e disse: “Nella mia angoscia ho invocato il
Signore ed egli mi ha esaudito; dal profondo degli inferi ho gridato e tu hai ascoltato la mia voce.
Mi hai gettato nell’abisso, nel cuore del mare…
l’abisso mi ha avvolto… Quando in me sentivo
venir meno la vita, ho ricordato il Signore…”»
(Gio 2,2-10).
Un grido proviene da una grande profondità, ma
solo il Signore sa ascoltarlo e interpretarlo: è l’abisso dell’uomo. Ma nella preghiera una vita, in
cui è già incisa la morte, grida e si consegna al Signore. E il cuore di Dio, con pazienza e accoglienza, ascolta e comprende un’esistenza sbagliata e inquinata dal peccato. Una vita già in odore
di morte, attraverso la preghiera, dall’abisso precipita fra le braccia del Dio di misericordia.
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«Dal profondo degli inferi ho gridato e tu hai ascoltato la mia voce» (Gio 2,3): anche nei Salmi 69 e
130 troviamo l’immagine delle profondità dell’abisso. È l’abisso di acque nelle quali si scivola e in
cui non c’è appiglio né sostegno. E qui ciascuno di
noi potrebbe raccontare le innumerevoli sue storie
di “abisso”. Chi di noi non si è sentito almeno una
volta sprofondare nell’abisso? Ma anche dentro le
acque profonde ci resta ancora la possibilità del
grido, che si fa vocazione e invocazione di Dio.
Non c’è notte che non possa essere squarciata da
una preghiera. Perché anche il disperato spera. Anche la morte spera; e può essa stessa comporsi in
un estremo “De profundis”. Anche chi grida al Signore da luoghi troppo profondi e gli dice che non
vuole più ascoltarne la voce, è un uomo che sta pregando. E pure chi bestemmia, a modo suo, innalza
a Dio il suo assurdo “De profundis”.
«Mi hai gettato nell’abisso, nel cuore del mare e
le correnti mi hanno circondato; tutti i tuoi flutti e
le tue onde sono passati sopra di me» (Gio 2,4).
Giona riconosce che tutto quanto gli sta capitando
è opera del Signore. Aveva scelto la morte come
estrema fuga ma… a Dio non si sfugge! Dio
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Giona nella conversione di Dio la conversione dell’uomo
chiama chiunque, al di là del fatto che lo si voglia
o no. Noi siamo convinti che la libertà sia fare
quello che vogliamo. Non è vero. Giona non vuole
fare quello che la divina Parola gli ordina e Dio lo
fa precipitare nel mare, lo fa ingoiare e poi sputare
fuori da un pesce per obbligarlo a dare ascolto alla
sua Parola. Dio si preoccupa non di quello che
piace a Giona ma di salvare un’intera città. E per
questo piega il credente alla sua Volontà. Questo
vale anche per ciascuno di noi. Essere “amici di
Dio” implica l’essere immersi nel mare della desolazione e nel deserto dell’abbandono.
«Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?»
(Mc 15,34) grida Gesù sulla croce prima di morire. Ma abbandonato a che cosa? Alla situazione
in cui il male stava vincendo e l’Amore sembrava
sconfitto. Essere battezzati, scrive San Paolo nella
Lettera ai Colossesi, vuol dire essere sepolti con
Cristo nella sua morte e risurrezione. Essere battezzati significa fare l’esperienza dell’abbandono
e della morte di Cristo.
Per questo Giona è simbolo di Cristo. Ma per
opposizione e non per somiglianza: la discesa
33
MARIO RUSSOTTO
(kenosis) di Giona nell’abisso è per disperazione,
mentre quella di Cristo è per condivisione; alla
parola di Giona Ninive si converte, mentre Gerusalemme rifiuta la Parola che è Gesù; Giona è
un profeta disobbediente, mentre Gesù è sempre
stato pienamente obbediente al Padre. Eppure
nella sua testardaggine di ebreo tradizionalista e
di credente tormentato, Giona prepara la via a
Gesù. Il segno di Giona indica ad ogni cristiano
la via dell’abbassamento e del servizio, non
quella dei miracoli e della gloria. «Come infatti
Giona rimase tre giorni e tre notti nel ventre del
pesce, così il Figlio dell’uomo resterà tre giorni
e tre notti nel cuore della terra» (Mt 12,40).
«Quando in me sentivo venir meno la vita, ho ricordato il Signore. La mia preghiera è giunta fino
a te, fino alla tua santa dimora. Quelli che onorano
vane nullità abbandonano il loro amore. Ma io con
voce di lode offrirò a te un sacrificio e adempirò il
voto che ho fatto; la salvezza viene dal Signore»
(Gio 1,8-10): Giona ha bisogno di toccare il fondo
per risalire; ha bisogno di non poter contare su nessuno per tornare ad appoggiarsi a Dio: ha bisogno
di essere distante per sentire la presenza di Dio.
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Giona nella conversione di Dio la conversione dell’uomo
Giona non sa e non vuole pregare nei luoghi dove
si svolge la vita ordinaria e nella sua preghiera dice
che spera di tornare nel tempio per lodare e pregare il Signore. Egli prima viene invitato a pregare
su una nave e rifiuta, ma poi finisce per pregare
nel ventre di un pesce. «La preghiera non è una
pianta che nasce nella serra del tempio, ma un germoglio che cresce nel terreno fertile della vita»
(A.J. Heschel).
Ogni uomo, ogni qualvolta si raccoglie al centro
di se stesso, si può esperire come un essere in cerca
di risposta, una voce o un grido alla ricerca di
un’eco dall’Oltre. E la risposta che ci viene dalla
tradizione biblica è «Ascolta»! Ascolta perché il
tuo grido è da sempre udito, sempre preceduto e
forse provocato dalla voce di Dio, che ti parla anche col suo inquietante silenzio.
L’ascolto nel silenzio del cuore si fa preghiera nello
Spirito, diviene tempo in cui possiamo per grazia
fare esperienza di Dio, oltre i suoni e i rumori del
mondo. Nell’ascolto la preghiera si fa comprensione della nostra solitudine, pozzo abissale che ci
costringe a captare i diversi messaggi che siamo, a
35
MARIO RUSSOTTO
scoprire in noi tante dimensioni e tanti personaggi
in cerca del loro Autore. Nella preghiera scopro di
essere destinatario di una Parola che Dio mi rivolge
e io devo rispondere, perché la mia libertà si deve
a quella Parola fondante che mi ha segnato come
cristiano, a quella Parola cruciale della storia e del
mondo che è Cristo. Pregare non è principalmente
ricercare, ma attendere una consonanza fra ciò che
mi viene incontro e tutta la storia della mia vita. Se
la vera secolarizzazione è lo svuotamento di senso,
occorre – come dice giustamente Karl Rahner –
«...pregare quotidianamente, pregare nella vita
giornaliera, non limitare la preghiera ai rari angusti momenti di intima e forte commozione».
2. Morire per risorgere
«E il Signore comandò al pesce ed esso rigettò
Giona sull’asciutto» (Gio 2,11): l’esilio è finito, il
mare vomita Giona sulla terra. Dopo essere fuggito dalla sua terra e dal suo Dio, prima con la nave
e poi con il pesce, Giona si ritrova di nuovo al
punto di partenza: proprio nella sua terra da dove
tutto era cominciato. E la storia ora riparte!
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Giona nella conversione di Dio la conversione dell’uomo
La tempesta si era placata quando Giona era stato
gettato in mare. In quell’abisso e in quel grembotomba finalmente Giona ha accolto l’invito del
capo dei marinai e prega Dio. La sua missione ricomincia proprio nel profondo del mare, in quel
grembo-tomba, in quella esperienza di abbandono
e di morte. È il suo battesimo! Nella profondità del
mare, nell’abisso delle tenebre, nell’orrore della
morte l’uomo scopre il senso della preghiera, anche se la sua è una preghiera gridata e lacerata.
I primi cristiani venivano battezzati per immersione, cioè lasciandosi sommergere completamente dall’acqua, simbolo di morte e sepoltura.
Soltanto in questo simbolico abbandono alla morte
il cristiano risorgendo diventava causa di vita per
gli altri. Pertanto, il battesimo non è un privilegio
per chi lo riceve ma è un privilegio, cioè salvezza,
per tutti gli altri come è un privilegio per tutti noi
che Cristo sia morto; come è un privilegio per i
marinai che Giona sia stato seppellito nelle acque
del mare. L’immersione nell’acqua del battesimo
è l’immersione di Giona nel mare, è scomparire
nella morte per risorgere per tutti gli altri a vita
nuova. È nella nostra immolazione e nella nostra
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MARIO RUSSOTTO
immersione nell’abisso dell’abbandono che possiamo in Cristo far risorgere gli altri e il mondo
nell’amore.
«E il Signore comandò al pesce ed esso rigettò
Giona sull’asciutto» (Gio 2,11): è Dio che decide
il tempo della rinascita di Giona, i momenti e l’ora
della sua rinnovata missione. E allora… anche noi
possiamo ricominciare il nostro cammino da dove
tutto era cominciato. È inutile che andiamo altrove,
che cerchiamo compensazioni e compromessi.
Dio ci vuole e ci trascina dove Lui vuole, che è il
massimo bene per noi. È inutile che dichiariamo
la nostra indegnità e la nostra incapacità: Dio ci
sceglie nonostante l’indegnità, l’incapacità e il nostro peccato. Ma, come Giona, dobbiamo dolorosamente e misteriosamente fare e vivere l’esperienza dell’abbandono, dell’abisso, delle tenebre… «Se l’amico di Dio non fosse perseguitato,
se la Chiesa non fosse messa a morte, il mondo finirebbe» (Origene).
«E il Signore comandò al pesce ed esso rigettò
Giona sull’asciutto» (Gio 2,11): Giona è stato gettato in mare per proclamare la realtà della vita. E
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Giona nella conversione di Dio la conversione dell’uomo
muore per risorgere. Così è di ogni morte e di ogni
battesimo. Giona viene vomitato dal pesce. Il
mare-male non “sopporta” di avere dentro di sé un
amico di Dio. E proprio perché Giona ha accettato
di essere sommerso dal mare, il mare rigetta Giona
e lui porta fuori con sé tutte le tenebre di quell’abisso. Giona è il segno della realtà di Cristo Gesù:
Lui è sceso nella morte ed è disceso agli inferi, ma
nella sua risurrezione ha riportato alla vita del Cielo
tutti i morti di quell’abisso. Fede è guardare ciò
che si è sperimentato con gli occhi di Dio, è coraggio di abitare l’abisso e l’abbandono con la luce
e l’Amore dell’abbandonato Dio Cristo Gesù sul
legno della Croce.
3. Ricominciare… senza passione
«Fu rivolta a Giona una seconda volta questa
parola del Signore: “Alzati, va’ a Ninive la
grande città e annunzia loro quanto ti dirò”» (Gn
3,1-2): Giona torna al punto di partenza e tutto
ricomincia da capo. La storia riprende come se
non fosse mai iniziata. Il Signore non rinfaccia
nulla a Giona e non accenna minimamente alla
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MARIO RUSSOTTO
sua disobbedienza e alla sua caparbia ribellione.
La Parola “cade” (così recita il testo ebraico) su
Giona come la prima volta: a Dio interessa non
solo Ninive ma anche Giona, a Dio sta a cuore
non solo la conversione della grande città ma anche quella del debole profeta. Certo, Dio ora potrebbe anche scegliere qualcun altro da mandare
a Ninive, abbandonando Giona al suo destino,
ma non lo fa perché è un Dio fedele. Lui non abbandona colui che ha scelto e chiamato. Perché
il Signore non si stanca di cercare Giona e di cercare Ninive, è sempre pronto a ricominciare daccapo. È un Dio paziente!
Ecco, il Signore non si stanca mai delle nostre stanchezze e non si scandalizza delle nostre debolezze.
Dio non si stanca mai di noi, anzi “perde tempo”
con noi e per noi e ci regala qualcosa di impagabile: la fiducia. Dio si fida di noi nonostante i nostri tradimenti e le nostre ribellioni! Dio si fida di
noi al punto da sperare che, nonostante quello che
siamo stati fino a ieri, domani possiamo essere diversi! È il rischio e la follia dell’Amore! Gli uomini e le donne si stancano, stentano a dare fiducia, non sono disponibili a ricominciare sempre
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Giona nella conversione di Dio la conversione dell’uomo
daccapo. Dio, invece, è instancabile! Perché l’Amore non si stanca mai!
«Alzati, va’ a Ninive la grande città e annunzia
loro quanto ti dirò» (Gio 3,2): Giona non deve
predicare contro Ninive ma a Ninive. Egli, infatti, è portatore di un messaggio a favore di Ninive. Perché l’uomo di Dio deve aiutare il popolo a risollevarsi, a saper ricominciare per riscrivere la sua storia a partire dalla Parola di Dio.
Ma Giona si erge a profeta di sventura e proclama la shoà di Ninive! È l’antica tentazione dei
credenti che pretendono di interpretare Dio e dire
più di quanto Dio comanda e desidera. Giona ha
tradito Dio fuggendo, lo tradisce ora annunciando parole sue e non la Parola di Dio… perché è più facile essere profeta di sventura che testimone di speranza e di amore, è più facile diffondere lamentazioni, mormorazioni e zizzania
piuttosto che farsi proposta di vita e offerta di
paziente amore...
«Giona cominciò a percorrere la città, per un
giorno di cammino e predicava: “Ancora quaranta giorni e Ninive sarà distrutta» (Gio 3,4):
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MARIO RUSSOTTO
Giona era stato nel ventre del pesce tre giorni e
tre notti. Per percorrere tutta la città di Ninive bisogna starci dentro per tre giorni e il profeta lancia un ultimatum di quaranta giorni. Queste cifre
scandiscono tempi simbolici: Abramo dopo tre
giorni di cammino vede il monte Moria dove dovrà sacrificare il figlio Isacco; la piaga delle tenebre in Egitto dura tre giorni; il profeta Elia annuncia tre anni di siccità; tre giorni dura il digiuno
della regina Ester; tre giorni Giona rimane nel
ventre del pesce; tre giorni Gesù rimane nel sepolcro… Tre è il tempo perfetto, poiché in esso
vi sono racchiusi l’inizio, il centro e la fine. Quaranta è il tempo tradizionale della penitenza o del
castigo: quaranta i giorni del diluvio; quaranta i
giorni di permanenza di Mosé sul Sinai; quaranta
gli anni della peregrinazione di Israele nel deserto; quaranta i giorni di cammino del profeta
Elia; quaranta i giorni di digiuno di Gesù nel deserto… È il tempo della incubazione della Parola
di Dio nel cuore degli uomini. Quaranta per Ninive non è il segno dell’ira di Dio, ma il tempo
della sua misericordia, lo spazio provvidenziale
della penitenza in vista del perdono. I niniviti lo
capiscono bene, Giona no.
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Giona nella conversione di Dio la conversione dell’uomo
«Giona cominciò a percorrere la città, per un
giorno di cammino e predicava: “Ancora quaranta giorni e Ninive sarà distrutta» (Gio 3,4).
Giona cammina a Ninive solo per un giorno perché è sufficiente una giornata ai niniviti per avviare subito il loro itinerario di teshubah-conversione. Ma può anche darsi che Giona, dopo appena
un solo giorno di cammino, si sia stancato. E così
obbedisce, ma in modo appena indispensabile. Da
una parte si alza e va, dimostrando di sottomettersi
alla Parola di Dio, ma dall’altra parte non agisce
secondo la Parola del Signore, bensì secondo il
suo personale punto di vista. Giona si sente “missionario per forza”. Vive la sua vocazione senza
passione, senza entusiasmo, senza gioia e non vede
l’ora che Ninive sia distrutta per tornarsene a casa
in pace e felice di vedere il nemico distrutto e la
sua parola (non quella di Dio) realizzata.
Giona è un credente senza continuità, fa appena
lo sforzo minimo e indispensabile per chiudere la
bocca a Dio e alla sua coscienza: «Chi amerai, se
cambi d’amore ogni giorno, e dove saranno le tue
grandi azioni? Solo la continuità permetterà la fertilità del tuo sforzo… Poiché per far nascere un
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MARIO RUSSOTTO
uomo occorrono parecchie generazioni. E col pretesto di migliorare l’albero, io non lo taglio ogni
giorno per sostituirlo con un seme» (De SaintExupèry).
Molti di noi, come Giona, alle prime difficoltà ci
arrendiamo… Nell’Evangelii nuntiandi Paolo VI
diceva: «Possa il mondo del nostro tempo, che
cerca ora nell’angoscia, ora nella speranza, ricevere la buona novella non da evangelizzatori tristi
e scoraggiati, impazienti e ansiosi, ma da ministri
del Vangelo, la cui vita irradi fervore, che abbiano
per primi ricevuto in loro la gioia del Cristo, e accettino di rimettere in gioco la propria vita affinché il Regno sia annunziato e la Chiesa sia impiantata nel cuore del mondo» (EN, n. 80).
4. Dalla shoah alla teshubah
La missione che Dio affida a Giona non è di condanna, ma di salvezza. Giona invece tradisce il
pensiero di Dio e annuncia una shoah: «Ancora
quaranta giorni e Ninive sarà distrutta» (Gio 3,4).
E a Ninive tutto si ferma: nessuno, dal re fino alle
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Giona nella conversione di Dio la conversione dell’uomo
bestie, tocca cibo e acqua: «I cittadini di Ninive
credettero a Dio e bandirono un digiuno, vestirono
il sacco, dal più grande al più piccolo» (Gio 3,5).
San Giovanni Crisostomo si domandava: «Ninive
è stata distrutta davvero? È stata diroccata la città?
Tutto al contrario! Dio ha preferito che cadesse la
profezia anziché far cadere la città…».
«I cittadini di Ninive credettero a Dio e bandirono
un digiuno, vestirono il sacco, dal più grande al
più piccolo» (Gio 3,5). La predica di Giona trova
un successo rapido e profondo. Poche le parole di
Giona. Da parte dei niniviti nessuna parola, solo
fatti! Senza scaricare le colpe su chi è al vertice
del potere, a Ninive tutti si sentono corresponsabili delle ingiustizie e delle violenze del loro sistema di vita.Anche se Giona non lo ha detto apertamente, capiscono che pur essendo pagani devono
rispondere davanti a Dio di ciò che stanno facendo,
ognuno per la sua parte.
Anche se la scena è paradossale, la predicazione
di Giona riesce a fermare la violenza tra le persone
e i popoli, a risanare le ingiustizie, a indurre il potere a mettersi al servizio del bene comune, a far
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MARIO RUSSOTTO
fiorire la pace, radicata nella fede in un Dio misericordioso verso tutti coloro che decidono sul serio di cambiare vita. Perché la loro fede non rimanga solo una proclamazione di parole, i niniviti
bandiscono un digiuno, che non era stato richiesto
da Giona, e si vestono di sacco in segno di lutto e
di penitenza.
«Uomini e animali, grandi e piccoli, non gustino
nulla, non pascolino, non bevano acqua. Uomini
e bestie si coprano di sacco e si invochi Dio con
tutte le forze; ognuno si converta dalla sua condotta malvagia e dalla violenza che è nelle sue
mani. Chi sa che Dio non cambi, si impietosisca,
deponga il suo ardente sdegno sì che noi non moriamo?» (Gio 3,7-9). Il re nel suo decreto sottolinea che non è sufficiente assumere atteggiamenti
esterni di conversione, è indispensabile coinvolgere il cuore e tutta la propria vita in una triplice
dimensione: fare segni di penitenza, pregare, cambiare vita. Cambiare vita è teshubah, cioè “ritornare” al punto in cui la rettitudine ha cominciato
a trasformarsi in disonestà, per operare una radicale e profonda conversione, una inversione di
marcia, un cambiamento di mentalità.
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Giona nella conversione di Dio la conversione dell’uomo
Ma che cosa ha realmente consentito ai niniviti di
convertirsi? Il messaggio di Giona in fondo non
ha niente di eccezionale: è la predica di un uomo
straniero in cinque parole e, per di più, pronunciate
senza entusiasmo. Allora non sono le parole di
Giona la causa della conversione, ma Dio che tocca
i cuori di questa gente. Dio è la causa di tutto, Dio
è al centro del cambiamento della nostra vita.
Giona è un semplice strumento, che per giunta si
impegna a complicare le cose a Dio. Il Signore si
impegna con noi nonostante il nostro scarso impegno con Lui.
5. Per la riflessione e il confronto…
1. Che posto occupa la Parola di Dio nella mia
vita? E in quella della mia famiglia? E nella mia
comunità parrocchiale?
2. Vivo nella giornata la preghiera personale e in
famiglia? Quali ostacoli e difficoltà incontro?
C’è il riferimento alla Parola di Dio… e in che
modo?
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MARIO RUSSOTTO
3. Mi sento responsabile di quanto capita nella vita
degli altri… della loro crescita o dei loro blocchi interiori?
4. Cosa vuol dire per me, per noi, teshubah-conversione? Cosa mi e ci manca ancora?
5. Mi è capitato qualche volta di sentirmi “sprofondare nell’abisso”? Come ho reagito? Nella
fatica del ricominciare da capo ho sentito e
sento di affidarmi ad un Amore paziente che
non si stanca mai di ricominciare con me?
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III
NELLA CONVERSIONE DI DIO
LA CONVERSIONE DELL’UOMO
1. Chissà che Dio…
Tutta la città di Ninive alla predicazione di Giona
si converte. E tale conversione nelle parole del re
si apre ad una speranza: «Chi sa che Dio non
cambi…» (Gio 3,9). È la stessa affermazione che
troviamo nel profeta Gioele quando invita il popolo
ad una profonda teshubah-conversione: «Laceratevi il cuore e non le vesti, ritornate al Signore vostro Dio, perché Egli è misericordioso e benigno,
tardo all’ira e ricco di benevolenza e si impietosisce riguardo alla sventura. Chi sa che non cambi e
si plachi e lasci dietro a sé una benedizione?…»
(Gl 2,13-16). «Chi sa che Dio non cambi…»: stesse
parole sulle labbra di due persone diverse: un re e
un profeta, un credente e un non-credente.
«Chi sa che Dio non cambi…»: Dio non è tenuto a
cambiare parere, ma cambia se liberamente decide
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MARIO RUSSOTTO
di farlo; la teshubah-conversione dell’uomo è condizione necessaria ma non sufficiente per la teshubah-misericordia di Dio, tant’è vero che Lui ci ama
anche quando – cioè sempre – non meritiamo di
essere amati (cfr. 1Gv 4,10.19; Rm 5,8).
«Dio vide le loro opere, che cioè si erano convertiti dalla loro condotta malvagia, e Dio si impietosì riguardo al male che aveva minacciato di
fare loro e non lo fece» (Gio 3,10): il libro di
Giona, più che parlare di questo profeta o dei niniviti, intende parlarci di Dio, vuole svelarci il
cuore di Dio. E Dio rivela un volto diverso da
come noi lo dipingiamo. La speranza del re, come
era accaduto anche per il capitano della nave, alla
fine viene esaudita perché incontra il cuore misericordioso di Dio. Diversamente dagli dèi di Ninive che «hanno occhi e non vedono, hanno orecchi e non ascoltano», il Signore vede e ascolta e
si prende pensiero per questi pagani. Al Signore
non sfugge nulla, Egli guarda con attenzione e coglie anche i minimi segni di ravvedimento. Il Signore vede che i cittadini di Ninive si convertono,
cambiano strada, abbandonano la loro condotta
malvagia.
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Giona nella conversione di Dio la conversione dell’uomo
E allora… teshubah… anche Dio si converte!Alla
conversione dei niniviti segue la conversione di
Dio. Il testo ebraico usa il verbo shub (cambiare
strada, ritornare) per i niniviti, mentre per Dio usa
il verbo nacham che significa proprio “pentirsi”.
Altre volte la Bibbia ha usato questo stesso verbo
per indicare il pentimento-misericordia di Dio:
- in Es 32,14, dopo aver ascoltato la preghiera di
intercessione di Mosè, «Il Signore abbandonò
il proposito (si pentì) di nuocere al suo popolo»;
- in 2Sam 24,16, dopo aver mandato la peste su
Gerusalemme: «Il Signore si pentì di quel male
e disse all’angelo che distruggeva il popolo:
“Basta; ritira ora la mano!”»;
- in Am 7,3, dopo aver progettato di mandare le
cavallette e la siccità contro Israele, «il Signore
si impietosì (si pentì): “Questo non avverrà”,
disse il Signore».
Anche Dio si converte! Questo passaggio del libro di Giona viene ripreso dai profeti Zaccaria e
Malachia: «Convertitevi a me... e io mi rivolgerò
a voi» (Zc 1,3); «Ritornate a me e io tornerò a
voi» (Ml 3,7). Il “ritorno” come teshubah dell’uomo è sempre preceduto dal chinarsi di Dio,
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MARIO RUSSOTTO
dalla sua teshubah-conversione, che siesprimenella
misericordia e nel perdono. Ne abbiamo un esempio, oltre che nella vicenda di Ninive, nel drammatico dialogo di Abramo con Dio a proposito della
città di Sodoma. La ferma e sfrontata insistenza di
Abramo fa cambiare parere al Signore, svelando il
volto di un Dio che si lascia “convertire” dalla supplica del credente obbediente (cfr. Gen 18,16-33).
«Chissà che Dio non cambi, si impietosisca...»
(Gio 3,9; cfr. Ger 36), perché… «se il tuo cuore
ti rimprovera qualcosa, Dio è più grande del tuo
cuore» (1Gv 3,20). «Dio vide le loro opere, che
cioè si erano convertiti dalla loro condotta malvagia, e Dio si impietosì riguardo al male che
aveva minacciato di fare loro e non lo fece» (Gio
3,10). Dio cambia! E proprio questo cambiamento
fa arrabbiare il rigido credente Giona, perché...
non è dignitoso per Dio cambiare idea! Noi sappiamo che i decreti di un re erano inappellabili;
nessuno – e neppure lo stesso re – poteva annullare un decreto precedentemente emesso. E Giona
non riesce a concepire un Dio che si converte, eppure è vero profeta proprio perché la sua parola
viene annullata!
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Giona nella conversione di Dio la conversione dell’uomo
Dio non si stanca del mondo, in Lui il sì è più forte
del no! Dio è il grande paziente, proprio perché è
l’Onnipotente e l’Infinito Amore: «Il Signore, il
Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira
e ricco di grazia e di fedeltà...» (Es 34,6-7); «il Signore è paziente con gli uomini e riversa su di essi
la sua misericordia. Vede e conosce che la loro
sorte è misera, per questo moltiplica il perdono»
(Sir 18,10-11).
2. Il coraggio della conversione
«La pazienza che ricomincia sempre daccapo è il
presupposto necessario affinché qualcosa realmente si verifichi» (R. Guardini). Ma occorre il
coraggio della teshubah! Sì, la strada del ritorno
è la strada antica e sempre nuova della nostra conversione. In essa Dio ci incontra svelandosi nella
sua teshubah e facendosi conoscere come Misericordia.
Conversione è appello a far ritorno a Dio che
prende l’iniziativa del dialogo, a volte anche in modo pressante come nel libro di Geremia, l’esperto
53
MARIO RUSSOTTO
in teshubah: «Ritorna, Israele ribelle, dice il Signore. Non ti mostrerò la faccia sdegnata...» (Ger
3,14). Il “ritorno” è sempre verso Dio: «Se vuoi
ritornare, o Israele – dice il Signore – a me dovrai
ritornare» (Ger 4,1). Perché solo Dio può guarire
le ferite del popolo smarrito. Per questo Osea martella con insistenza un appello che diventa quasi il
suo testamento spirituale: «Ritorna, Israele, al Signore tuo Dio... Ritorna al Signore... Ritorna al tuo
Dio (Os 14,2-3; 12,7). E coltiva la speranza che il
popolo ritornerà: «Ritorneranno gli israeliti, cercheranno il Signore loro Dio... e trepidanti si volgeranno al Signore» (Os 3,5).
Nel Nuovo Testamento i termini che esprimono la
tematica della conversione in modo più esplicito
sono principalmente due: epistréphein (ritornare)
e metanoeîn-metánoia (convertire-conversione).
Secondo quest’ultimo termine “convertirsi” significa andare oltre la propria veduta mentale, oltre
la propria mentalità e il proprio modo di pensare
e di agire. Si tratta di “uscire di mente”, di impazzire per qualcuno come accade a chi è innamorato.
Nel Nuovo Testamento ci viene indicato che si impazzisce per Cristo Gesù, pazzo d’amore per l’u54
Giona nella conversione di Dio la conversione dell’uomo
manità fino a donare la sua vita. Si tratta, allora, di
distanziarsi, di uscire dal cuore duro (sklerocardia) e irrigidito nelle proprie idee e nei propri desideri, per trasformarsi in un cuore aperto e pronto
ad accogliere Gesù e il suo folle Amore per noi.
E così «se uno è in Cristo è una creatura nuova; le
cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di
nuove… Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio» (2Cor 5,17-20). La
conversione riguarda tutti, soprattutto noi cristiani
“praticanti”. Spesso preghiamo per la conversione
dei peccatori, ritenendo che essa riguarda gli altri
e non noi. Ma tutti abbiamo bisogno del ritornoconversione, come ci testimonia la grande storia
d’Israele: Abramo deve ritornare, Giacobbe deve
ritornare, Mosè deve ritornare, Elia deve ritornare,
Davide deve ritornare, gli Apostoli devono ritornare, Pietro deve ritornare, Paolo deve ritornare…
D’altra parte il manifesto programmatico del ministero di Gesù si apre con queste parole: «Il tempo
è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi
e credete nel Vangelo» (Mc 1,15). Gesù invita tutti
alla teshubah come cammino mai esaurito, come
55
MARIO RUSSOTTO
dimensione costante nell’itinerario di fede. La conversione, infatti, è un processo interiore che deve
attraversare continuamente la nostra vita. Isacco il
Siro scriveva: «Colui che conosce i propri peccati
è più grande di colui che risuscita i morti e colui
che conosce la conversione e il pianto è più grande
di colui che è lodato nella Chiesa».
3. L’ottusa rigidità dei mal-credenti
«Ma Giona ne provò grande dispiacere e ne fu indispettito» (Gio 4,1). Paradossale come sempre,
Kierkegaard afferma: «Quando il padre ebbe un
figlio prodigo, fu allora che divenne padre sul serio». E poi annota: «Gli altri padri amano esserlo
quando si tratta di un figlio senza difetti; quando
invece si tratta di un figlio prodigo, il padre dice:
Io non voglio essergli padre, se ne vada per i fatti
suoi. [Viceversa, al padre della parabola] la paternità non sta attaccata come un titolo posticcio, No.
Il figlio vuole andarsene: egli è il padre. Il figlio
parte: egli è il padre. Tutto è perduto, il figlio è perduto: egli è il padre».
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Giona nella conversione di Dio la conversione dell’uomo
«Ma Giona ne provò grande dispiacere e ne fu indispettito» (Gio 4,1). Qualsiasi credente sarebbe
stato molto felice nel constatare il realizzarsi dell’obiettivo della sua predicazione. Non è così per
Giona. Egli è dispiaciuto, eppure la sua missione
oggettivamente raggiunge un grande successo. I
niniviti si convertono dalla loro malvagità, ma la
malvagità ora viene ospitata da Giona. Se Dio è riuscito a vincere la malvagità dei non-credenti, riuscirà a sconfiggere la malvagità del credente?
«Pregò il Signore: “Signore, non era forse questo che dicevo quand’ero nel mio paese? Per ciò
mi affrettai a fuggire a Tarsis; perché so che tu
sei un Dio misericordioso e clemente, longanime,
di grande amore e che ti lasci impietosire riguardo al male minacciato»» (Gio 4,2): pur nella
malvagità della sua collera, Giona formula una
preghiera e in essa svela finalmente il suo animo
e il perché di tutto il suo comportamento e di tutta
la sua ribellione. Al centro di questa preghiera
non c’è Dio ma Giona: nel testo ebraico di Gio
4,2-3 per ben nove volte ricorre il soggetto in
prima persona (io-mio).
57
MARIO RUSSOTTO
Ciò che fa arrabbiare Giona non è tanto la conversione dei niniviti, ma la conversione di Dio. E
non volendo essere complice di questo Dio misericordioso aveva scelto la fuga. A Giona, salvato
da Dio dagli abissi del mare, dà fastidio questo Dio
che salva Ninive! E qui si svela il vero dramma di
Giona: Dio non è come lui lo vorrebbe. È un Dio
imprevedibile che lo ha coinvolto in una imprevedibile avventura. Perché a Dio non importa che
i credenti abbiano ragione, a Lui sta a cuore che
tutti gli uomini e le donne riconoscano di essere
figli suoi. Ed è questa tante volte la tragedia dei
credenti!
«Or dunque, Signore, toglimi la vita, perché meglio è per me morire che vivere!» (Gio 4,3): nella
Bibbia troviamo diversi profeti che desiderano la
morte, ma ci soffermiamo solo sul primo dei profeti: Elia. Egli chiede a Dio di morire (1Re 19,4),
ma poi – come Giona – trova ristoro sotto una
pianta (1Re 19,4). Tuttavia fra Giona ed Elia c’è
una grande differenza: la tristezza di Elia è causata
dall’infedeltà di Israele; la rabbia di Giona è dovuta alla fedeltà di Dio alla sua teshubah-misericordia. Giona fugge dal Signore, mentre Elia lo ri58
Giona nella conversione di Dio la conversione dell’uomo
cerca (1Re 19,8-12). Giona disobbedisce, mentre
Elia obbedisce (1Re 17,10). Elia chiede la morte
perché il suo messaggio non viene ascoltato; Giona
chiede la morte proprio perché il suo messaggio è
stato ascoltato!
E come sempre, Dio scusa l’umanità peccatrice:
«Non sanno distinguere fra la mano destra e la sinistra» (Gio 4,11). Viene anticipata così l’esperienza di Gesù sulla croce: «Padre perdona loro
perché non sanno quello che fanno» (Lc 23,34).
Giona non riesce a capire questa divina teshubah
e pretende di salire in cattedra a far da maestro a
Dio: «Signore, non era forse questo che dicevo
quand’ero nel mio paese? Per ciò mi affrettai a
fuggire a Tarsis; perché so che tu sei un Dio misericordioso…» (Gio 4,2). Giona, pertanto, non è
capace di entrare in città a far festa con i niniviti
convertiti: si comporta come il figlio maggiore
della parabola evangelica che non accetta la teshubah-ritorno del fratello prodigo e la gioia misericordiosa del padre (Lc 15,11-32).
Dopo la conversione dei non-credenti è Giona che
sta a cuore a Dio, è il credente che deve essere
59
MARIO RUSSOTTO
salvato dal suo egoismo. Ma è molto più difficile
salvare il credente egoista che il più grande peccatore non credente. Il credente insuperbito... anche
Dio fatica a convertirlo! Al Signore allora non resta che il gioco come strumento di conversione.
Giona è l’egoista da convertire: ha denunciato il
peccato di Ninive ma non si è sentito anch’egli parte
di quel peccato. E si comporta come il fariseo che
Gesù non assolve, perché si sente «giusto» e disprezza il pubblicano consapevole e umiliato per il
suo peccato (cfr. Lc 18,10-14). Spesso noi non vogliamo accettare che Dio è libertà e non è possesso
di nessuno. Per Dio non ci sono credenti e non credenti. Perché siamo tutti in cammino verso una Verità più grande di quella che già possediamo. E
spesso noi cristiani siamo alla ricerca di vendetta e
non di misericordia. Perché la misericordia più difficile da avere è quella con noi stessi…
Giona scarica addosso a Dio tutta la sua rabbia, il
suo risentimento, la sua delusione perché… Dio
non è a sua immagine e somiglianza! Giona conosce bene il suo Dio: «So che tu sei un Dio misericordioso e clemente» (Gio 4,2). Tuttavia, il suo
comportamento non è coerente con la sua profes60
Giona nella conversione di Dio la conversione dell’uomo
sione di fede. Egli vive una specie di “fede all’ingrosso”, una fede che poi non ha alcun riscontro
pratico nella vita. Papini in “Lettere agli uomini
del papa Celestino VI” scrisse: «Dio chiede a noi,
a noi cristiani, molto di più, infinitamente di più.
Vi ripeto che questo nostro cristianesimo di forma,
di abitudine e di convenienza non è il vero cristianesimo ma un’ombra, una maschera, un feto e
un aborto del cristianesimo, un cristianesimo di pusilli, di infingardi, di tiepidi, di ipocriti, di farisei
battezzati. Dio vuole da noi assai di più. Vuole cristiano tutto il nostro cuore, cristiano ogni pensiero,
cristiana tutta la vita».
Dio è “presbite”, vede meglio quelli che si allontanano da Lui; li aspetta con pazienza al varco della
misericordia, li pensa con nostalgia, li desidera con
ansia, li abbraccia con passione, li precede con speranza e amore fino a perdonarli prima del loro pentimento. Dio sopporta più facilmente i mal-viventi
che i mal-credenti. Perché Dio è l’imprevedibile,
sempre pronto a sorprenderci e a stupirci; è il Dio
che ci sfugge di mano. Ma tutto sommato Dio è
anche molto prevedibile, perché è Amore! Sempre e nonostante le nostre infedeltà!
61
MARIO RUSSOTTO
Per Giona è difficile accettare e capire un Dio così,
perché per Giona c’è un limite anche all’amore e
alla misericordia. Accettare Dio Amore nella nostra vita significa non solo vivere d’amore, ma anche lasciarci amare fino in fondo, anche là dove ci
sentiamo niniviti, peccatori lontani da Dio, anche
là dove ci sentiamo come Giona…
4. La pedagogia di Dio
A Giona, triste e amareggiato, Dio risponde con
fine ironia: «Ti sembra giusto essere sdegnato
così?» (Gio 4,4). Dio cerca di recuperare Giona
servendosi di una pedagogia fatta di delicato umorismo. E comincia con una domanda che non è una
risposta all’afflizione di Giona, ma vuole provocare una risposta da parte del profeta. Perché la risposta Giona la può trovare solo nell’intimo di se
stesso. E ancora una volta il profeta non risponde
all’appello di Dio, si chiude nel silenzio, si ripiega
in se stesso e si allontana…
Giona si comporta come Caino: va in collera,
fugge dalla presenza di Dio e si stabilisce (in
62
Giona nella conversione di Dio la conversione dell’uomo
ebraico c’è lo stesso verbo yashab) a Oriente.
Come a Caino, così a Giona Dio chiede il perché
della sua collera, in quanto c’è un sentimento omicida nel cuore di Giona: egli – come Caino – vuole
la morte dei fratelli per trovare la sua pace…
«Ti sembra giusto essere sdegnato così?» (Gio
4,4): Dio si mostra un fine pedagogo. Sa dove
vuole portare Giona e gli pone delle domande non
perché non conosca la risposta, ma per permettere
a Giona di trovare la soluzione da se stesso e in se
stesso… per capire la realtà del suo cuore e del
cuore di Dio. E tuttavia, lo lascia libero di capire
e accettare, libero di scegliere la meta e il cammino della sua vita. Dio dà tempo a Giona e perde
tanto tempo con lui, mentre con i niniviti è bastato
un solo giorno.
«Allora il Signore Dio fece crescere una pianta di
ricino al di sopra di Giona per fare ombra sulla
sua testa e liberarlo dal suo male. Giona provò
una grande gioia per quel ricino» (Gio 4,6): Dio
non dispera e non si arrabbia. E ricomincia da capo
a tentare di fare ragionare Giona: fa crescere una
pianta di ricino (in ebraico qiqajon) per offrirgli un
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MARIO RUSSOTTO
riparo dal sole. Ancora una volta il creato obbedisce a Dio… come il vento, il mare, il pesce, la
pianta di ricino…
Obiettivo del dono di questa pianta non è riparare
Giona dal sole, ma guarirlo dalla sua malattia interiore, dalla sua rabbia viscerale, dal male che gli
rode dentro. Dio si presenta come un medico che
vuole guarire il suo profeta. E finalmente Giona si
rallegra. È la prima volta – e l’unica – che nel racconto troviamo Giona contento. Tuttavia la sua
gioia non scaturisce dal fatto che Dio vuole guarirlo dal male. Non ci pensa nemmeno! Si tratta
solamente del refrigerio che prova all’ombra di
questa pianta. E troviamo qui una fine ironia del
narratore: per la salvezza di Ninive Giona prova
una grande rabbia, per un po’ di refrigerio personale sente una grande gioia!
«Ma il giorno dopo, allo spuntar dell’alba, Dio
mandò un verme a rodere il ricino e questo si seccò.
Quando il sole si fu alzato, Dio fece soffiare un
vento d’oriente, afoso. Il sole colpì la testa di
Giona, che si sentì venir meno e chiese di morire,
dicendo: “Meglio per me morire che vivere”» (Gio
64
Giona nella conversione di Dio la conversione dell’uomo
4,7-8): le sorprese non finiscono mai! Ora che
Giona ha finalmente gustato un po’ di serenità,
tutto ha fine come era iniziato. Il secondo momento
della terapia di Dio è l’invio di un verme, il quale
fa sparire la pianta con la stessa velocità con la
quale era cresciuta. Un piccolo verme distrugge la
grande ma effimera gioia del profeta! È il terzo
momento della terapia divina. Dio vuole fare sperimentare a Giona ciò che egli desiderava capitasse
agli abitanti di Ninive. E Giona si sentì venir meno.
Povero Giona!
Nella vita basta poco per benedire e poco per maledire, poco per gioire e poco per rattristarsi! Ci
basta poco, come un piccolo verme che rode la
pianticella ombrosa di Giona, per mandare in
fumo i nostri sogni del quieto e comodo vivere.
Ma forse solo allora possiamo convertirci all’essenziale, abbandonare l’effimero e puntare decisamente a ciò che dà senso pieno alla vita. Ci basta poco per perdere la serenità e la fiducia in noi
stessi e negli altri. Ci rattristiamo facilmente per
una sciocchezza. Basta un piccolo verme per rovinarci la vita… Dobbiamo perciò seriamente interrogarci sulle profondità delle nostre radici, sulla
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MARIO RUSSOTTO
serietà delle nostre motivazioni, sulla solidità
delle nostre scelte, della nostra fede, del nostro
amore…
Giona si scandalizza del Dio misericordioso! È la
stessa reazione che proveranno gli «operai della
prima ora» nei confronti del padrone che dà la
stessa paga anche agli operai dell’ultima ora nella
parabola evangelica; e la risposta sarà: «Non posso
fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu
sei invidioso perché io sono buono?» (Mt 20,15).
Il Signore risponde a Giona giustificando il suo atteggiamento e scusando Ninive perché «non sanno
distinguere fra la mano destra e la sinistra» (Gio
4,11). È una delle situazioni più frequenti dentro
la vita dell’umanità. Il profeta non capisce perché
Dio si comporti così addirittura con i nemici di
Israele. Perché in questo modo abolisce la distinzione fra credenti e non credenti. Eppure nel racconto i pagani, lontani da Dio, pregano e prendono
sul serio la Parola di Dio. E Giona no!
«Tu ti dai pena per quella pianta di ricino per cui
non hai fatto nessuna fatica e che tu non hai fatto
spuntare, che in una notte è cresciuta e in una notte
66
Giona nella conversione di Dio la conversione dell’uomo
è perita: e io non dovrei aver pietà di Ninive…?»
(Gio 4,10-11): il libro si chiude con questo interrogativo che Dio pone al suo profeta. Quale sarà
la risposta di Giona?Aprirà finalmente il suo cuore
per accogliere il cuore convertito di Dio? Il racconto volutamente lascia l’interrogativo sospeso.
La risposta la deve dare ciascuno di noi. Ognuno
è chiamato a completare la storia. E vi domando:
il Giona che è in noi risponderà a Dio? Oppure ancora una volta si darà alla fuga nel silenzio, mettendo a tacere la sua coscienza?
5. Per la riflessione e il confronto…
1. Dio è misericordioso e non giudice spietato:
qual è la mia idea su Dio? Come lo sento nei
miei confronti e come mi sento nei suoi confronti?
2. Come percepisco quotidianamente in me la misericordia del Signore, facendone il punto di
partenza di un nuovo inizio che mi impegna in
prima persona?
67
MARIO RUSSOTTO
3. Sono riuscito qualche volta a perdonare un torto
subìto? E oggi che cosa blocca in me il coraggio di perdonare? Come viviamo il perdono in
famiglia?
4. Riesco a gioire per i successi degli altri? So condividere la felicità di chi ottiene delle “vittorie”
nella vita… anche diverse dalle mie previsioni?
5. La mia vita di fede ha radici profonde o basta
poco per scombussolarmi completamente?
68
IV
CONVERSIONE FOLLIA D’AMORE
1. Conversione e ravvedimento
Quando parla di conversione, la Bibbia di solito si
riferisce ad una trasformazione interiore che motiva il cambiamento di vita, che è anzi il cuore dell’esortazione a ritornare a Dio, cioè il ravvedimento.
Nel Nuovo Testamento, Giovanni Battista prima e
Gesù poi hanno innanzitutto chiamato Israele a
conversione, dicendo a tutti «Convertitevi, perché
il regno dei cieli è vicino» (Mt 3,2; 4,17).
La parola del Nuovo Testamento che traduciamo
con conversione in greco è metànoia, che significa «cambio di mente», ma non si tratta certo di
un cambiamento solo mentale. Nella Bibbia, la
mente non è soltanto la facoltà di ragionare, ma in
generale tutto ciò che avviene dentro di noi: ciò
che non si vede, ma si manifesta nelle nostre parole e azioni. Per questo, sia il Battista sia Gesù
hanno espressamente indicato la necessità che la
69
MARIO RUSSOTTO
conversione porti frutto: «Fate frutti degni di conversione» (Mt 3,8).
Non c’è vera conversione senza ravvedimento e
non c’è vero ravvedimento se questo non produce
una vera conversione. Conversione, infatti, non è
la stessa cosa di pentimento, e tanto meno va confusa con il rimorso. La vita naturale è piena di pentimenti e di rimorsi, ma non altrettanto di buoni
frutti. Paolo scrive che i pensieri dell’uomo naturale «si accusano o anche si scusano a vicenda»
(Rm 2,15). Ci tormentiamo perché pensiamo sempre a noi e non riusciamo a fare altrimenti. Ci rimproveriamo di aver fatto qualcosa o di non aver
fatto qualcos’altro, ma raramente riflettiamo sul
perché delle nostre azioni o delle nostre omissioni.
La vera conversione non si riferisce alle cose sbagliate che facciamo ogni giorno e per le quali più
o meno sinceramente anche ci addoloriamo, ma
alla ragione per cui facciamo tutti questi sbagli.
Giuda si pentì di aver tradito Gesù, ma non si convertì dalla mancanza di fede che l’aveva condotto
al tradimento, altrimenti non si sarebbe impiccato
(Mt 27,3).
70
Giona nella conversione di Dio la conversione dell’uomo
La radice di ogni peccato è la mancanza di fede in
Dio. In generale, si pecca quando non si agisce per
fede; perché si agisce senza convinzione, cioè
senza una buona ragione per fare quello che si sta
facendo, così l’azione non è retta, né trasparente e
la coscienza non è del tutto tranquilla.
Come ha scritto Paolo, tutto quello che non viene
dalla fede è peccato (Rm 12,23). Il Signore ha detto
espressamente che lo Spirito Santo convincerà di
peccato quanti non credono in Lui (Gv 16,8-9).
Dio ci ha amato al punto da dare il suo unico Figlio in sacrificio per noi (Gv 3,16) e noi uomini
per lo più viviamo come se non ci conoscesse, anzi
come se nemmeno ci vedesse.
2. Cambiar-si per cambiare
La prima “opera” di conversione è la coscienza
di essere peccatori. Noi restiamo sempre tiepidi
e mediocri nel nostro cristianesimo e nella nostra fede perché pensiamo di non avere bisogno
di conversione, perché non abbiamo la coscienza
di essere peccatori. Il pubblicano al tempio dice:
«Abbi pietà di me perché sono peccatore» (Lc
71
MARIO RUSSOTTO
18,13) e se ne va a casa sua santificato, anzi Luca
ci dice che non osava nemmeno alzare gli occhi
al cielo perché questo gesto era un tentativo di
vedere Dio, di volere incontrare il suo volto. Lui
non si sente degno di vedere Dio, ma vuole essere visto da Dio pur nella sua fragilità: «Io sono
peccatore». E questo basta. È la stessa supplica
del ladrone crocifisso accanto a Gesù sul Calvario. È un peccatore, lo ammette e Gesù risponde:
«Oggi sarai con me in paradiso» (Lc 23,43). Il
ladrone è il primo uomo ammesso in paradiso da
Gesù proprio grazie alla sua consapevolezza di
essere peccatore.
Siamo tutti peccatori! Se avessimo presente di più
questa coscienza, noi cristiani non avremmo più il
coraggio di giudicare gli altri. Se avessimo realmente questa viva coscienza saremmo salvi, perché incontreremmo subito la misericordia di Dio.
Punto di partenza del cammino di conversione, allora, è la coscienza di essere peccatori. È questa
la nostra carta di identità! La conversione, pertanto,
costituisce l’esperienza biblica primaria e fondamentale: è in essa che Dio incontra l’uomo facendosi conoscere come misericordia ed è in essa che,
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Giona nella conversione di Dio la conversione dell’uomo
nello stesso tempo, il peccato e il perdono si svelano nel cuore dell’uomo.
La conversione-metànoia richiede un cambiamento di mentalità e di vita. Non possiamo essere
cristiani con la mentalità del “mondo”: «Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter
discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui
gradito e perfetto» (Rm 12,2). Conversione-metànoia vuol dire anche “andare oltre la mente”, non
dribblando la ragione ma attraversandola, perché
noi stessi siamo un mistero incomprensibile a noi
e Dio lo è infinitamente di più. E allora dobbiamo
vivere consegnandoci al Signore. Lui sa!
Ma conversione-metànoia vuol dire anche
“uscire di testa”, essere folli perché Dio è il folle
per eccellenza, ci ama alla follia e ci ama a tal
punto da darci suo Figlio. Nella prima Lettera di
Giovanni sta scritto: «In questo sta l’amore: non
siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha
amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati» (1Gv
4,10). Dio ci ama mentre siamo peccatori e non
73
MARIO RUSSOTTO
aspetta certamente la nostra conversione per
amarci… Lui ci ama alla follia e questo vuole da
noi: che siamo appassionati e innamorati folli di
Lui e della vita.
Atal proposito può essere utile richiamare un passaggio della canzone “Cambia-menti” di Vasco
Rossi: «Cambiare il mondo/ è quasi impossibile/
si può cambiare solo se stessi/ sembra poco ma
se ci riuscissi/ faresti la rivoluzione»: i veri e
grandi cambiamenti avvengono nel cuore dell’uomo. Si hanno un mondo e una società più giusti solo se ognuno si impegna a cambiare se stesso
in meglio.
Alcuni grandi autori concordano su questa verità,
come per esempio Albert Camus: «Perché un pensiero cambi il mondo, prima bisogna che cambi la
vita di colui che lo esprime. Che si cambi in esempio». Così anche il grande scrittore LevTolstoj dice
con forza: «Tutti pensano a cambiare il mondo, ma
nessuno pensa a cambiare se stesso». Si parte
quindi da se stessi! Accettare se stessi diventa il
presupposto fondamentale per cambiare e migliorarsi. Cambiare “dentro” per cambiare ciò che è
74
Giona nella conversione di Dio la conversione dell’uomo
fuori di noi. La conversione è un impegno spirituale continuo che mantiene sempre viva la tensione tra essere e cambiare. Dobbiamo, prima di
tutto, essere noi il cambiamento che vogliamo vedere nel mondo!
3. Peccato e pentimento
È importante, dunque, conoscere i propri peccati.
È importante comprendere che il peccato ottenebra
il cuore, confonde l’intelletto, frantuma il nostro
rapporto di amicizia con Dio e la nostra comunione
con la comunità. Il peccato è il male che corrompe
il cuore, trasformandolo in tomba di impurità, furti,
omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. E
ancora: «L’uomo buono dal buon tesoro del suo
cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male» (Mt 12,35).
Ebbene, se è dal cuore che giungono i propositi
del male e dell’agire ingiusto, allora è proprio nel
cuore che si deve operare la conversione per vincere il peccato e ritornare al Signore. Perché il
75
MARIO RUSSOTTO
peccato schiavizza, intristisce, opprime, conduce
alla miseria dell’anima, ci tiene lontani dall’Amore di Dio. Ma Dio è il buon Padre che ci dona
la capacità d’amare attraverso il suo perdono e la
sua infinita misericordia.
Conversione, allora, è un itinerario di fede, che
sfocia nella riconciliazione o “confessione”, a partire dall’esperienza dell’amore di Dio. Molti però
pongono l’accento sull’elenco dettagliato dei peccati piuttosto che sulla esperienza salvifica dell’Amore di Dio. Perché nel sacramento della riconciliazione ci viene svelata la grandezza dell’Amore che guarisce, come disse Gesù alla peccatrice in casa di Simone il fariseo: «Per questo ti
dico: i suoi molti peccati sono perdonati perché
ha molto amato. Invece quello a cui si perdona
poco, ama poco» (Lc 7,47). Le lacrime della
donna sgorgano da un cuore pentito e straripante
d’amore. Ciascuno dovrebbe, allo stesso modo,
versare lacrime amare per i tanti tradimenti e le
offese recate all’Amore di Gesù, ma dovrebbe anche versare lacrime di riconoscenza per la Grazia
di Dio che ci guarisce dalle ferite del nostro insensato peccato.
76
Giona nella conversione di Dio la conversione dell’uomo
La santità di Dio è simile a uno specchio: più lo
avviciniamo, più evidenzia ogni piccolo nostro difetto. Il perdono è l’Amore che dona se stesso e ripristina quel rapporto di scambio amoroso che solo
il cuore può afferrare e comprendere. E fa nascere
la gioia di saperci amati e accettati proprio da Dio
nostro Creatore e Redentore. Il Signore ci invita a
una profonda conversione e noi dobbiamo raccogliere questo invito per chiedere il suo perdono attraverso la sua infinita Misericordia. Non indugiamo nell’intraprendere questo cammino che
conduce ad un futuro colmo di speranza, raccogliendo nell’intimo l’invito del Signore: «Va’ in
pace e d’ora in poi non peccare più!» (Gv 8,11).
4. Cammino di conversione
La nostra conversione è possibile grazie all’iniziativa d’amore di Dio. Noi ci convertiamo perché Dio è misericordioso. «La conversione a Dio
– ha scritto Giovanni Paolo II nella Dives in Misericordia – consiste sempre nello scoprire la sua
misericordia, cioè quell’amore che è paziente e
benigno… fedele… fino alla croce, alla morte e
77
MARIO RUSSOTTO
risurrezione del Figlio» (DM, n. 13). Dio è fedele
al suo amore. Per questo il cammino della conversione comincia con l’accettazione riconoscente del dono divino della misericordia.
L’azione di Dio, pertanto, precede e accompagna
quella dell’uomo. Prima ancora che divenga realtà
nell’anima del cristiano, la conversione è preparata dall’intervento della Santissima Trinità: del
Padre che invia il Figlio; del Figlio che rivela il
Padre; dello Spirito Santo che apre le porte dei
cuori. Nel suo senso più profondo, la conversione
è dono di Dio, opera della Trinità. Per questo motivo, se noi davvero vogliamo disporci alla conversione, dobbiamo riuscire a stare molto vicini
alla Santissima Trinità: al Padre, al Figlio e allo
Spirito Santo.
La preghiera, le opere di carità, un’amicizia costante con il Signore nella Parola e nel Pane eucaristico: è questo il cammino della conversione. Perché «l’autentica conoscenza del Dio della misericordia è una costante e inesauribile fonte di conversione… Coloro che in tal modo arrivano a conoscere Dio, che in tal modo lo “vedono”, non pos78
Giona nella conversione di Dio la conversione dell’uomo
sono vivere altrimenti che convertendosi continuamente a lui. Vivono dunque in stato di conversione; ed è questo stato che traccia la più profonda componente del pellegrinaggio di ogni
uomo sulla terra in stato di viandante» (DM, n. 13).
La conversione del cuore non è un semplice desiderio di amare Dio, formulato in un dato momento,
ma è un habitus, uno stile di vita. La vita cristiana
è un continuo cominciare e ricominciare, un rinnovarsi ogni giorno, facendo «frutti degni di conversione» (Mt 3,8).
Diverse sono le esigenze che la conversione comporta per ogni persona, ma si tratta sempre di un
moto del cuore che, se è autentico, deve tradursi
in fatti quotidiani. Il cammino della conversione
non si esaurisce nei sentimenti, ma sfocia nella coerenza di vita: non si tratta solo di evitare il male,
ma di fare il bene. Per questo occorre cambiare
“dentro”, occorre «lacerare il cuore e non le vesti»
(Gl 2,13).
La conversione del cuore è un totale capovolgimento del modo di pensare, di sentire, di percepire.
79
MARIO RUSSOTTO
È prima di tutto una semplificazione della mente,
la quale da contorta diventa genuina trasparente
chiara: «Più ci avviciniamo a Dio, più ci facciamo
semplici» (Santa Teresa di Lisieux).
La conversione del cuore ci fa scoprire che Dio è
una fonte inestinguibile e che disseta sempre, perciò l’anima non smette mai di amare Colui che ha
creato tutto. La conversione del cuore ci fa innamorare di Dio e ci porta ad una profonda libertà
interiore, ad una distensione delle pieghe dell’anima, che irradia serenità nella comunità.
La conversione del cuore ci fa prendere coscienza
di essere profondamente amati e liberati da Dio,
per essere libertà d’amore in Dio e per Dio. Quest’anno in modo particolare, per la nostra Chiesa
nissena e per ciascuno di noi, deve essere un tempo
di conversione del cuore, di trasformazione dello
sguardo su Gesù, tempo di “affinamento” della nostra fede in Lui nella Chiesa.
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Giona nella conversione di Dio la conversione dell’uomo
5. Per la riflessione e il confronto…
1. Che idea ho di me stesso? Ho davvero la coscienza di essere peccatore? Quali sono le ragion dei miei peccati più frequenti? Come avrei
potuto agire diversamente e perché non l’ho
fatto?
2. Cosa vuol dire per me ritornare al Signore? E
per la mia comunità parrocchiale? E per la mia
famiglia?
3. Quanto e come mi accosto al Sacramento della
Riconciliazione? Sono consapevole che riconciliarsi con Lui è anzitutto fare esperienza salvifica dell’Amore di Dio?
4. Quali ostacoli mi e ci impediscono una vera
profonda radicale conversione, del cuore e della
vita?
5. Mi sforzo di cambiare me stesso per essere il
“cambiamento che voglio vedere nel mondo”?
O mi limito ad essere spettatore della vita?
81
V
CONVERSIONE È RESPONSABILITÀ
1. Raddrizzare la via
«Come è scritto nel profeta Isaia: “Ecco, io mando
il mio messaggero davanti a te, egli ti preparerà la
strada. Voce di uno che grida nel deserto: preparate la strada del Signore, raddrizzate i suoi sentieri”. Si presentò Giovanni a battezzare nel deserto, predicando un battesimo di conversione per
il perdono dei peccati. Accorreva a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. E si facevano battezzare da lui nel fiume
Giordano, confessando i loro peccati. Giovanni era
vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle
attorno ai fianchi, si cibava di locuste e miele selvatico e predicava: “Dopo di me viene uno che è
più forte di me e al quale io non son degno di chinarmi per sciogliere i legacci dei suoi sandali. Io
vi ho battezzati con acqua, ma egli vi battezzerà
con lo Spirito Santo”» (Mc 1,2-8).
83
MARIO RUSSOTTO
Due citazioni bibliche (Mc 1,2.3) sono il cardine
di tutta la narrazione. Marco ne attribuisce la paternità al profeta Isaia, vissuto settecento anni
prima di Cristo. In realtà la prima è tratta dal libro
del profeta Malachia: «Ecco, io manderò un mio
messaggero a preparare la via davanti a me e subito entrerà nel suo tempio il Signore, che voi cercate…» (Mal 3,1); la seconda è di un ignoto profeta dei tempi dell’esilio di Babilonia (587-537 a.
C.), della scuola del grande Isaia, che gli studiosi
chiamano “Deuteroisaia”. Ecco il testo di Is 40,34: «Una voce grida: “Nel deserto preparate la via
al Signore, appianate nella steppa la strada per il
nostro Dio. Ogni valle sia colmata, ogni monte e
colle siano abbassati; il terreno accidentato si trasformi in piano e quello scosceso in pianura».
Giovanni è il battistrada, colui che va avanti, un
messaggero, una voce che si fa sentire nel deserto
e chiama tutti a raccolta. È necessario prepararsi
perché sta per avvenire qualcosa di importante nella
storia. Il suo annunzio suona come un comando:
«Preparate la via del Signore, spianate i suoi sentieri» (Mc 1,3). Sulla bocca dell’antico profeta, l’invito aveva un significato concreto. I destinatari si
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Giona nella conversione di Dio la conversione dell’uomo
trovavano a Babilonia, in esilio, e la strada era
quella che dalle sponde delTigre e dell’Eufrate conduceva, attraverso il deserto della Siria, verso la Palestina. Nell’annunzio del Battezzatore, invece, la
strada non è più qualcosa di visibile. Essa è dentro
ogni uomo, è nell’intimo di noi stessi. Preparare la
strada e spianare la via significa cambiare vita, lasciarci trasformare dal di dentro, riconoscendoci
peccatori e lasciandoci battezzare per ottenere da
Dio il perdono dei peccati (Mc 1,4).
Il Signore viene, come lo annunzia il Battista, per
dare agli uomini il perdono di Dio e trasformarli
con il dono dello Spirito. Senza di Lui gli uomini
sono schiavi del peccato e incapaci di vera libertà.
E allora, la venuta di Colui che è più potente di
Giovanni Battista è segno di libertà e di salvezza
per gli uomini e le donne. Perché l’Atteso è il Messia Figlio di Dio!
2. Dinamismo di conversione
Nel dinamismo della conversione possiamo individuare tre momenti o tre modalità da rispettare e
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MARIO RUSSOTTO
da vivere una alla luce dell’altra: la conversione
dello sguardo, il desiderio di Dio, la conversione
morale.
Dice Tobia (13,6): «Convertitevi a lui con tutto il
cuore e con tutta l’anima... e allora egli si convertirà a voi e non vi nasconderà il suo volto». Il volto
di Dio è continuamente «convertito» su di noi; nel
pensarci e nel guardarci ci dà la vita, ci rinnova
continuamente il dono della vita.
Dice Dio per bocca di Isaia: «Si dimentica forse
una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se
costoro si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai. Ecco, sei tatuato sulle palme delle mie
mani» (Is 49,15-16). «Tatuato«: stupendo questo
verbo! È difficile cancellare un tatuaggio, soprattutto se disegnato con il fuoco. Prendere coscienza
di questo sguardo continuamente posato su di me,
non è un esercizio banale o sentimentale, ma fondamentale.
Dallo sguardo al desiderio: pensiamo a due innamorati che vanno scoprendo la bellezza del loro
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Giona nella conversione di Dio la conversione dell’uomo
volto e ognuno lo porta scolpito nel cuore. E
ognuno cerca solo di dare gioia all’amato/a. Ecco
la seconda modalità della conversione: il desiderio dell’incontro, accompagnato dal desiderio di
non far nulla che possa offendere Dio, anzi di fare
tutto quello che gli possa piacere. Il desiderio di
Dio è espresso da Paolo con pensieri che colpiscono profondamente: «Per me vivere è Cristo,
morire è un guadagno» (Fil 1,21); «Voglio solo conoscere Cristo e la potenza della sua risurrezione»
(Fil 3,21); «Non son più io che vivo, ma è Cristo
che vive in me» (Gal 2,20). Coltivare il desiderio
è fondamentale. «Desiderare Dio è già vedere
Dio», diceva san Basilio. E sant’Agostino: «La vita
cristiana è la ginnastica del desiderio».
Quanto più il desiderio diventa intenso, tanto più
si tramuta in gesti concreti, in azioni che non siano
mai offensive nei confronti dell’altro. Avviene, di
conseguenza, anche il cambiamento morale, l’inversione di rotta. A questo stadio la conversione è
motivata dal desiderio di essere sempre in comunione con Dio, da cui ci si sente amati. Insieme al
desiderio di fare il bene e di evitare il male, si sente
la forza di non far nulla che possa offendere Dio
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MARIO RUSSOTTO
nel fratello. E se si manca, ecco il laceramento del
cuore, la coscienza viva del peccato e il desiderio
di continuare ad essere nell’abbraccio misericordioso del Padre.
3. Nella gratuità la gioia
Nello stile di Gesù, Pastore bello e buono (Gv
10,11-18) che sente compassione per le folle stanche e sfinite (Mt 9,36), offre la sua vita e “depone
le vesti” (Gv 13,4), cioè il prestigio e il potere,
scendendo nell’abisso della morte, ogni cristiano
deve farsi “servo per amore”. La Chiesa, infatti,
non è un’azienda di funzionari e agenti pubblicitari con il compito di affermarla e di aumentare il
volume dei suoi affari. La Chiesa è chiamata a testimoniare il volto di Gesù-Sposo, nella piena fedeltà al Vangelo. Allora, illuminati dal Pastore
buono che offre la vita e dalla consapevolezza credente che «vi è più gioia nel dare che nel ricevere»
(At 20,35), bisogna sempre più convertirci alla logica della gratuità, della totalità e della radicalità
nel nostro modo di vivere la fede e il Vangelo.
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Giona nella conversione di Dio la conversione dell’uomo
E la gratuità del dono e dell’amore ci spinge a vivere la conversione alla speranza. Non è facile
sperare! La difficoltà a sperare oggi può portarci
a subire la vita, a vivere la vita da rassegnati. Ma
non può essere questo lo stile del cristiano. Per chi
si lascia animare da Cristo, infatti, la speranza non
è una scelta opzionale ma un imperativo. Convertirci alla speranza è un comando! Il credente, come
dice il profeta Zaccaria, è prigioniero della speranza perché, abitato dalla presenza di Dio, è coinvolto nel dinamismo di questo seme che ha in sé
le potenzialità per esplodere, per farsi strada nell’oscurità della terra e per aprirsi alla vita.
La speranza non è una affezione del cuore o una
esuberanza giovanile. La speranza è più di un sentimento, più di una esperienza, più di una previsione. La speranza è un comando. E seguirlo significa vivere, sopravvivere, perseverare, mantenersi in vita finché la morte non sia inghiottita
nella vittoria. Obbedire a tale comando significa
non essere mai rassegnati, né concedere mai rabbiosamente spazio alla frustrazione. Giovanni
Crisostomo ammoniva: «Ciò che ci porta alla
sventura non sono tanto i nostri peccati quanto la
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MARIO RUSSOTTO
disperazione». Il comando della speranza è forza
che ci mantiene in vita e seme dirompente che ci
porta alla libertà.
Quanto difficile è sperare, tanto difficile è gioire
della propria fede! Dobbiamo convertirci alla
gioia! Quella che viene d’altronde, quella spirituale. Perché noi cristiani abbiamo la vocazione
alla gioia! La gioia evangelica non è evasione né
alienazione, ma si coniuga con tutto il mistero di
Cristo e quindi anche con il mistero della passione
e della morte. La gioia cristiana si può vivere, allora, anche nella sofferenza, se si è uniti a Colui
che ne è la sorgente e la causa. Con questa consapevolezza, San Paolo può scrivere ai cristiani di
Filippi: «Anche se il mio sangue deve essere versato in libagione sul sacrificio e sull’offerta della
vostra fede, sono contento e ne godo con tutti voi.
Allo stesso modo anche voi godetene e rallegratevi con me» (Fil 2,17s).
Di Policarpo si racconta che nel confessare la sua
fede davanti al proconsole, prima del martirio, «era
pieno di coraggio e di allegrezza e il suo volto
splendeva di gioia» (Il martirio di Policarpo, XII,
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Giona nella conversione di Dio la conversione dell’uomo
1). Don Tonino Bello, al termine della Messa Crismale (8 aprile 1993) alcuni giorni prima di morire, fattosi portare al centro del presbiterio volle
dire al suo popolo: «...Andiamo avanti con grande
gioia. Io ho voluto prendere la parola per dirvi che
non bisogna avere le lacrime, perché la Pasqua è
la Pasqua della speranza, della luce, della gioia e
dobbiamo sentirle… Egli è al di sopra di tutte le
nostre malattie, le nostre sofferenze, le nostre povertà. È al di sopra della morte. Quindi ditelo!».
Il cristiano, che nella fede fa esperienza della compatibilità di gioia e croce, è un credente educato
alla logica evangelica del «perdersi per ritrovarsi»,
consapevole sempre che «vi è più gioia nel dare
che nel ricevere» (At 20,35).
4. Vivere “dentro”… in Dio
Vivere la fede da cristiani veri significa abbracciare un cammino di conversione del cuore che
dura tanto quanto tutta l’esistenza. Si tratta di un
lento lungo cammino che conoscerà tutte le
asprezze del deserto, tutta la miseria del cuore
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MARIO RUSSOTTO
umano e, soprattutto, le meravigliose e impensabili risorse della Grazia. Vivere la fede da veri cristiani, in questo tipico atteggiamento di conversione, vuol dire comprendere che il cuore dell’uomo resta l’immutabile campo di battaglia fra
la luce e le tenebre, fra l’amore e il peccato. «La
conversione, per il cristiano, è una esigenza permanente, non è un evento, un fatto che stia nel passato, alle spalle, e di cui si è garantiti in modo definitivo» (E. Bianchi).
Il centro perenne dell’equilibrio di noi cristiani va
ricercato nel nostro donarci ad un mistero di conversione e di redenzione che, per poter raggiungere efficacemente gli altri, deve prima gettare profonde radici in noi stessi. Se è vero, come è vero,
che «dal cuore degli uomini escono le cattive intenzioni» (Mc 7,21), noi dobbiamo saperci chinare
in ascolto del nostro cuore capace di tanto male:
«prostituzioni, furti, omicidi, adultèri, cupidigie,
malvagità, invidia, superbia» (Mc 7,22).
«La conversione è un processo umano e umanizzante. Quale dignità nell’uomo che sa riconoscere
la propria negatività e il proprio errore! Quanto è
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Giona nella conversione di Dio la conversione dell’uomo
bello nella vita comunitaria quando un fratello
dice: “Sì ho sbagliato, riconosco il mio errore”...
La conversione è un cammino umano e umanizzato, un cammino che ci dovrebbe assolutamente
aiutare ad essere sempre più autentici, più veri»
(E. Bianchi).
Dobbiamo avvertire i diversi palpiti che si agitano
in noi, compresi i germi indistruttibili di santità che
attendono di essere sottratti alle spine delle preoccupazioni “terrene”, per crescere fino alla misura
di Cristo Gesù. Perché il Regno di Dio è dentro di
noi! (cfr. Lc 17,21). Per questo siamo chiamati a
diventare sempre più uomini e donne dell’interiorità e del silenzio, incamminati nelle vie misteriose
dello Spirito, protesi nell’ascolto di una Voce che
dà senso a tutta la nostra esistenza. Per questo
siamo a chiamati a «vivere dentro ancorati a Dio,
tutti Parola vissuta…» (Gen Verde).
«Ascolterò che cosa dice Dio: il Signore annunzia la pace per il suo popolo, per i suoi fedeli, per
chi ritorna a lui con tutto il cuore» (Sal 84,9). La
conversione ci restituisce il coraggio e la grazia
di non lasciarci assorbire dal brusìo della folla,
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MARIO RUSSOTTO
per meglio ascoltare quella Voce che parla di pace
al nostro cuore, per poter creare in noi stessi le
condizioni ideali dell’ascolto, nella ricerca di un
silenzio interiore, dove limpida può risuonare la
Parola del Vangelo.
L’opera della propria conversione è lunga e difficile; è soggetta ai dinamismi impazienti di un’azione disordinata e alle stasi stagnanti dello scoraggiamento, s’imbatte in false segnaletiche circondate apparentemente di luce ma il cui termine
è nelle tenebre, conosce il morso dell’egoismo e
le inquietudini del cuore umano. Ma scoprirà con
gratitudine sconfinata che i miti, i pacifici, i puri
di cuore già qui sulla terra vedono Dio e sperimentano il paradiso nella grazia del cuore.
E allora la nostra interiore pace si diffonderà come
una benedizione invisibile sul mondo. E saremo
luce che splende nelle tenebre del mondo, Vangelo
di gioia e di grazia per quanti incontriamo sul nostro cammino, testimoniando a tutti la verità del
Sal 116: «Ritorna, anima mia, alla tua pace, poiché il Signore ti ha beneficato». Saremo anche noi
come Maria, la Donna che ha accolto nel silenzio
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Giona nella conversione di Dio la conversione dell’uomo
il Verbo divino e nel silenzio lo ha custodito durante tutta la vita, così come ora custodisce nel suo
cuore, abisso insondabile di santità, tutti noi con
ineffabile amore e ci conduce alla pace contemplativa dell’incontro con Dio…
5. Per la riflessione e il confronto…
1. Credo davvero all’amore di Dio per me? Credo
al suo sguardo “convertito” su di me? E questa
verità influisce sulle scelte della mia vita e della
mia giornata?
2. Come vivo il “desiderio di Dio”? Sono un
uomo/una donna dal cuore “pacificato”? Trasmetto pace e serenità attorno a me?
3. Cosa vuol dire per me “gratuità”? So vivere le
mie scelte nella logica della gratuità e della totalità o cerco sempre una “ricompensa” al mio
agire?
4. Con il mio comportamento, le mie parole e il mio
atteggiamento sono annunciatore e testimone di
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MARIO RUSSOTTO
speranza e di gioia in famiglia, fra gli amici, nell’ambiente in cui vivo e lavoro, in parrocchia?
Oppure creo un clima pesante, diffidente, triste?
5. La mia fede trova coerenza con e nella mia vita?
Quali le difficoltà? Quali le esperienze positive?
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CONCLUSIONE
Il tempo è compiuto…
Figlioli carissimi,
giunti alla fine del percorso di questa riflessione
che intende mettere tutti noi, a cominciare da me
vostro Vescovo, e tutta la nostra Chiesa nissena in
stato di conversione, desidero riportare me e voi
tutti alla prima pagina del vangelo secondo Marco,
e precisamente alla prima breve incisiva chiara radicale predica di Gesù, che a me e a voi offro come
consegna nel cammino di questo anno pastorale.
E desidero far precedere tale consegna di Vangelo
da un antico detto rabbinico: «Un figlio era molto
lontano da suo padre, a cento giorni di cammino.
I suoi amici gli dissero: “Ritorna da tuo padre”.
“Non posso, non ne ho la forza”. Allora suo padre
gli mandò a dire: “Torna per quanto puoi e io ti
verrò incontro per il resto della strada”».
«Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù si recò
nella Galilea predicando il vangelo di Dio e diceva: “Il tempo è compiuto e il Regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo”» (Mc
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MARIO RUSSOTTO
1,14-15). Il kerigma di Gesù presentato da Marco
è costituito dai quattro capitoli fondamentali della
catechesi della Chiesa delle origini, costruiti a piramide: due sul versante di Dio e due sul versante
dell’uomo. Il tempo è compiuto-il Regno di Dio è
vicino riguardano l’agire di Dio. Convertirsi-credere nel Vangelo sono la risposta umana, toccano
l’agire dell’uomo.
Il tempo è compiuto: in greco abbiamo peplèrotai
o kairòs. Kairòs è il tempo di Dio nel tempo dell’uomo! Il kairòs è arrivato al suo compimento, al
suo pleroma (peplèrotai). Con la presenza di Gesù
è arrivata finalmente nel tempo dell’uomo la decisiva ora di Dio: il tempo della grazia! La storia
è oramai giunta al suo compimento. Con Gesù inizia qualcosa di nuovo, perché Lui è il desiderato
dai secoli, Colui senza il quale il passato non ha
senso e il futuro non ha storia. Gesù dà senso ad
ogni cosa.
Il Regno di Dio è vicino: il testo greco recita: kai
egghiken he basileia tou Theou. Il “Regno di Dio”
è il Suo progetto sulla storia. Il Regno è l’evento
salvifico che Dio vuole realizzare con l’umanità e
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Giona nella conversione di Dio la conversione dell’uomo
per l’umanità in Cristo Gesù. Questo evento è il
Vangelo! E questo Regno è vicino! In greco il verbo
egghiken è un perfetto. È strano come Marco abbia usato questo verbo “essere vicino” non al futuro o al presente ma al perfetto, che in greco indica un’azione passata i cui effetti perdurano nel
presente. Quindi il “Regno di Dio” è qualcosa che
riguarda il passato, è una vicinanza che si è già realizzata e i cui effetti perdurano ancora oggi. Eppure il verbo egghiken indica qualcosa che non è
venuto del tutto.
Il Regno di Dio, dunque, abbraccia le tre dimensioni del tempo dell’uomo (chronos) e della storia:
è un passato che sta alle nostre spalle; è un presente
ancora attivo perché l’evento Cristo è ancora oggi
presente; è un futuro – vicino eppur lontano – che
attende di arrivare a piena attuazione. Potremmo
anche tradurre: il Regno di Dio è presente, ma preferiamo dire: è vicino, quasi a indicare che non è
ancora pienamente compiuto negli uomini e nelle
donne. Con Gesù il Regno irrompe definitivamente
nella storia e si presenta come una manifestazione
della potenza di Dio, che salva e tende a raccogliere
gli uomini e le donne in una grande famiglia, unita
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MARIO RUSSOTTO
nell’Amore della Trinità. Ma il Regno non si presenta mai nella storia come qualcosa di già fatto in
cui dobbiamo integrarci, bensì come una realtà in
via di sviluppo. Il Regno è come un seme: deve
sbocciare, crescere e presentarsi ogni giorno come
novità e non come un pezzo da museo. La sua perfetta maturazione è sempre nel futuro.
Convertitevi: dopo aver percorso il versante divino
della piramide, cioè l’azione di Dio, percorriamo
ora il versante umano, cioè la nostra risposta e la
nostra re-azione all’azione di Dio. Qui troviamo
un primo imperativo: metanoèite, dal verbo metanoo che significa cambiare, stravolgere la mente,
girare la mente, capovolgerla, andare “oltre” la
mente… È la forza di chi è consapevole che scegliere il Vangelo di Gesù significa uscire fuori da
ogni compromesso, andare “oltre” ogni ragione e
logica umana, uscire fuori di testa nella follia della
sequela di Gesù Figlio di Dio, che ama l’umanità
fino alla follia dell’Incarnazione e, ancor più, fino
alla follia della Croce. Cristo Gesù chiede a tutti
noi una frattura totale con il nostro passato e il nostro uomo vecchio: non è possibile servire due padroni!
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Giona nella conversione di Dio la conversione dell’uomo
Credete nel Vangelo: in greco abbiamo kai pistèuete en to euanghèlio. E dunque non “credete
al Vangelo”, ma “credete nel Vangelo”. Per la cultura semitica non si crede a qualcosa, ma si crede
fondandosi su qualcuno, su un messaggio, su una
persona; vuol dire costruire la propria casa sulla
roccia del Vangelo. E allora occorre credere non
solo al Vangelo, ma fondandosi sul Vangelo; bisogna credere nella forza e nella dirompente novità del Vangelo.
Se vogliamo seguire Gesù, non possiamo limitarci
a cambiare esteriormente. Gesù impone una visione nuova del mondo e chi vuole aderire a Lui,
chi vuole credere nel suo Vangelo deve cambiare
radicalmente per essere come Lui figlio di Dio.
Gesù ci invita sempre ad essere diversamente
nuovi per andare oltre, ad entrare nella logica della
conversione-misericordia di Dio per vivere gioiosamente insieme in uno stato di permanente conversione.
Chi non ha paura di confrontare la propria vita con
il Vangelo e tirarne le conseguenze, ascolti Cristo… e il suo programma avrà per lui un senso.
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MARIO RUSSOTTO
Ma è necessario avere coscienza che questa ora
della storia, così travagliata e difficile, è il kairòs
di Dio, è il “segnale” che il Regno di Dio è vicino.
Non ci resta altro che cambiare mentalità e credere nel Vangelo! Accogliendo il mistero di Cristo
Gesù Figlio di Dio, ciascuno riscopra accolga viva
il mistero della sequela di Cristo nel ministero quotidiano e testimoniale del discepolato.
Augurando a tutti noi in questa nostra amatissima
Chiesa nissena un convinto serio gioioso unitario
cammino di fede in una permanente conversione
intercettata dalla conversione-compassione di Dio,
affidando i sogni e le speranze della nostra Chiesa
alla materna intercessione della Vergine Maria
Odigitria, tutti e ciascuno con immenso amore benedico nel Signore.
Vostro aff.mo
✠ Mario Russotto
Vescovo
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INDICE
5
11 I.
INTRODUZIONE
Nel cammino di conversione
FUGA… NELL’ABISSO
31 II. PREGARE PER RICOMINCIARE
49 III. NELLA CONVERSIONE DI DIO
LA CONVERSIONE DELL’UOMO
69 IV. CONVERSIONE FOLLIA D’AMORE
83 V.
97
CONVERSIONE È RESPONSABILITÀ
CONCLUSIONE
Il tempo è compiuto…
103
FINITO DI STAMPARE NEL MESE DI SETTEMBRE 2014
CALTANISSETTA
DALLA TIPOLITOGRAFIA PARUZZO DI
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Lettera Pastorale 2014-2015