IL LIEVITO E IL SALE L'ALLEANZA TRA CIVISMO E POLITICA PER RISCOPRIRE LA COMUNITÀ DEGLI UOMINI A La disgregazione delle comunità alimenta la crisi delle nostre città ed è a un tempo causa ed effetto della crisi della politica. Per questo, dalla proposta e poi dalla realizzazione di un programma neo-comunitario potrà nascere una nuova sinergia vincente tra il cosiddetto "civismo" e la politica: per sconfiggere la dittatura del pensiero unico, per superare la retorica della "società civile". MOVIMENTO IDEA - IDENTITÀ E AZIONE [email protected] www.movimentoidea.it Movimento IDEA @mov_idea Non può l’occhio dire alla mano: “Non ho bisogno di te”; oppure la testa ai piedi: “Non ho bisogno di voi”. Anzi proprio le membra del corpo che sembrano più deboli sono le più necessarie; e le parti del corpo che riteniamo meno onorevoli le circondiamo di maggior rispetto, e quelle indecorose sono trattate con maggior decenza, mentre quelle decenti non ne hanno bisogno. [...] Dalla prima lettera di San Paolo apostolo ai Corinzi [12,12-30] 3 La disgregazione delle comunità alimenta la crisi delle nostre città ed è a un tempo causa ed effetto della crisi della politica. Per questo, dalla proposta e poi dalla realizzazione di un programma neo-comunitario potrà nascere una nuova sinergia vincente tra il cosiddetto “civismo” e la politica: per sconfiggere la dittatura del pensiero unico, per superare la retorica della “società civile”. 5 1. Il lievito del civismo e il sale della politica. Proprio per sfuggire alla retorica del pensiero unico, è necessario intendersi preliminarmente su cosa sia il civismo. Il civismo è la disponibilità a impegnarsi nella dimensione pubblica. L’ambito locale è quello in cui più naturalmente tale attitudine si manifesta, ma non è il solo: è impegno civico anche il volontariato, è impegno civico il no profit. In questo senso, potremmo definire il civismo come la forma primordiale della politica, che viene prima ancora dell’associazionismo e della militanza partitica. Nel momento in cui si concretizza nel servizio all’interno di una istituzione, il civismo diventa esso stesso inevitabilmente politica. Per questo non può esservi scissione ma 7 al contrario una necessaria alleanza tra ambito civico e ambito politico. La politica rinunziando al lievito del civismo perderebbe una buona occasione per riannodare il rapporto con i cittadini. Il civismo senza il sale della politica nel tempo lungo perderebbe di senso: inevitabilmente, si proporrebbe come fenomeno limitato, egoistico, estemporaneo. 2. Un nuovo comunitarismo per sconfiggere le nuove solitudini. Senza la ricostruzione delle comunità civiche non è pensabile poter affrontare le solitudini, le insicurezze, i problemi di integrazione che segnano profondamente le nostre città. Solo all’interno di comunità solidali e funzionanti è possibile affermare la inderogabilità dei principi essenziali che si trovano a fondamento della nostra civiltà: dal primato dello stato di diritto all’uguaglianza tra uomo e donna, fino a una differenziazione tra spazio civile e spazio religioso che non scada tuttavia nella reciproca indifferenza. Solo all’interno di comunità solidali e funzionanti le diverse culture e i differenti stili di vita che caratterizzano la realtà dell’odierna società multietnica potranno pacificamente 8 9 confrontarsi e contaminarsi evitando le ghettizzazioni, le separazioni, le derive violente che segnano la quotidianità di tante città europee e certificano il fallimento del multiculturalismo. Al di fuori di questo paziente lavoro di ritessitura resta solo la mera illusione di una presunta superiorità che genera tentativi, per lo più maldestri, di addomesticare disagi profondi e scosse epocali mediante espedienti inutili se non dannosi, funzionali a eludere i nodi di fondo. I cosiddetti “bonus cultura” per i diciottenni, introdotti dalla legge finanziaria del 2015, rappresentano un esempio paradigmatico di queste pessime pratiche. 10 3. Perché costruire una nuova comunità politica. Le comunità latitano ormai non solo nella dimensione civica: latitano anche in politica. Nel secolo scorso esse, sotto il peso d’ideologie totalitarie e totalizzanti, sia di sinistra che di destra, sono state concepite come un luogo sovraordinato rispetto all’uomo, divenendo una cappa soffocante priva di spazio vitale per la persona e per la sua centralità. Da qui sono derivati i vecchi partiti ideologici, che hanno integrato l’individuo in una comunità chiusa e autoreferente: una sorta di piccolo Stato nello Stato. I partiti del Novecento, però, sono stati anche il veicolo delle culture che hanno innervato la vita democratica e che infine hanno vinto la battaglia contro i totalitarismi: la cultura 11 nazionale e democratica, quella liberale, quella cristiana, quella socialdemocratica. Quando la concezione del partito- cattedrale di stampo novecentesco è entrata in crisi, questa crisi ha finito per coinvolgere anche le culture politiche storiche. La comunità politica, privata di tutti i punti di riferimento culturali, si è così progressivamente sfarinata trasformandosi in una sorta di magma che ha alimentato da un lato movimenti protestatari, dall’altro partiti personali legati esclusivamente alla parabola biografica dei loro ideatori. Perché, come ha scritto Papa Benedetto XVI nella Caritas in Veritate, la comunità degli uomini, correttamente intesa, “non assorbe in sé la persona annientandone l’autonomia, come accade nelle varie forme di totalitarismo, ma la valorizza ulteriormente, perché il rapporto tra persona e comunità è di un tutto verso un altro tutto”. Questa deriva sta consolidando tra i leader politici e il popolo un rapporto privo della mediazione dei corpi intermedi come espressioni organizzate della società civile, con il conseguente prosciugamento degli spazi di autentica e fattiva partecipazione popolare. Da qui l’esigenza di ripartire proprio dalle città per riannodare i fili di una interazione positiva tra partecipazione dei cittadini e politica di qualità. 12 13 4. Elogio della leadership nella comunità. E’ bene chiarirlo preventivamente: non s’intende mettere in dubbio che la complessità sociale, la velocizzazione delle decisioni, il restringimento del tempo di sedimentazione del giudizio politico, i fenomeni connessi all’esplosione della comunicazione di massa, abbiano reso la leadership un elemento imprescindibile della politica. Oggi un’iniziativa politica orfana di leadership è impensabile, ma è altrettanto vero che una leadership è realmente tale se e solo se mantiene un contatto con la sua comunità di riferimento e se è in grado di integrarsi in un contesto di collegialità. Lo aveva compreso a suo tempo Max Weber, quando preconizzò l’inevitabile nascita di 15 partiti carismatici nei quali, però, l’affermarsi del leader non sarebbe entrato in conflitto con la necessaria esistenza di comunità politiche fatte di regole, di pensiero, di solidarietà umana. 5. Sotto il leader niente. Cos’è accaduto, invece, in Italia? E’ accaduto – e sempre più sta accadendo – che la giusta insistenza sull’importanza della leadership si sia trasformata in alibi per la distruzione delle comunità di riferimento. Abbattuti i totem novecenteschi, la reazione al vecchio comunitarismo soffocante è stata l’illusione di poter fare completamente a meno dell’elemento comunitario e di poter utilizzare l’ingegneria istituzionale per anestetizzare la partecipazione e le dinamiche del consenso democratico, ben oltre le fisiologiche esigenze di efficienza e governabilità che sottendono il moderno riformismo costituzionale. Si va stabilendo per questa via un collegamento diretto (ma non autentico) tra il “capo” e una società atomizzata composta da individui e non da persone. Si va affermando un modello organizzativo che surrettiziamente sostituisce alle persone i potentati e rimpiazza le comunità con alcuni segmenti della cosiddetta “società civile” che come elemento unificante hanno il solo riferimento al comune “capo”. 16 17 Si va così ineluttabilmente verso la messa al bando della solidarietà fra gli uomini e l’archiviazione di ogni pratica di intermediazione sociale. Si va verso la già paventata distruzione dei corpi intermedi: tanto di quelli naturali quanto di quelli che nascono dalla libera aggregazione tra le persone. In tal modo si annulla il più efficace dei contrappesi al potere e il più potente tra gli antidoti al dispotismo. “Fra le leggi che reggono le società umane, ve n’è una che appare più chiara e precisa di tutte le altre: perché gli uomini restino civili o lo divengano, bisogna che l’arte di associarsi si sviluppi e si perfezioni presso di loro nello stesso rapporto con cui si accresce l’eguaglianza delle condizioni”. Così scriveva Tocqueville, preconizzando che un individualismo non temperato dalla dimensione comunitaria avrebbe portato le persone a chiudersi in un esasperato egoismo e la politica ad avvilupparsi, inevitabilmente, in una spirale dispotica. 18 6. L’alleanza tra civismo e politica, per un programma neocomunitario. Se queste sono le derive della nostra epoca, una iniziativa politica che intenda elaborare risposte all’altezza ha il dovere di riaffermare l’autonomia responsabile contro l’oppressione centralistica. Ha il dovere di convogliare questa autonomia in una rete di sani corpi intermedi che non siano veicoli di conservatorismo corporativo ma espressione di vitalismo sociale. Ha il dovere di battersi per uno Stato che valorizzi le energie e liberi le vitalità, contrastando i tentativi neanche tanto velati di fare dell’Italia una specie di grande “regione rossa” sottomessa a una struttura verticistica di potere. 19 7. Il tempo e lo spazio. Perché questa palingenesi possa prodursi c’è bisogno di un tempo politico e di uno spazio istituzionale. Il tempo è oggi. Nel campo politico italiano esiste un’area che si è riconosciuta attorno al “sistema Renzi”. Un sistema che si va strutturando attraverso la distruzione della propria comunità di riferimento e la sua sostituzione con formule aggregative effimere e autoreferenziali; attraverso l’occupazione dello Stato e il consolidamento di potentati locali e nazionali in una prospettiva per la quale lo spazio dello Stato invece di contrarsi rischia di ramificarsi ulteriormente; all’ombra delle cosiddette eccellenze della società civile – vere o presunte – reclutate quali testimonial del “nuovo corso” collegati direttamente al vertice, prescindendo 21 da qualsiasi comunità politica organizzata. Esiste poi il cosiddetto “grillismo”, che punta sull’edificazione di una comunità virtuale caratterizzata da un confronto minimo e per questo facilmente controllabile dall’esterno. L’esperienza di questi anni ci ha infatti dimostrato che “la legge ferrea dell’oligarchia”, che Michels aveva immaginato per i partiti di massa novecenteschi, si applica ancora di più a questo tipo di comunità. Tale modello politico-organizzativo tenta, almeno per ora, di evitare qualsiasi consolidamento: da qui il fatto che gli elettori crescono mentre i gruppi parlamentari si assottigliano, e da qui anche la difficoltà a concepirsi come forza di governo delle città. Ciò che ancora non esiste, fra questi due fortini edificati, è l’idea di come possa organizzarsi un campo politico che sia alternativo sia alla sinistra renziana che all’antipolitica grillina; di come possa strutturarsi nel nuovo scenario, dopo 22 le disgregazioni e lo sconvolgimento di punti di riferimento consolidati, una forza potenzialmente maggioritaria in grado di competere per il governo del Paese. Questo è il tempo politico nel quale fornire tali risposte. Lo spazio, invece, dobbiamo essere in grado di crearlo partendo dalle nostre comunità e immaginando contro lo statalismo un nuovo assetto statuale che incentivi anziché comprimere le spinte vitali. Ciò significa anche riorganizzare la sussidiarietà verticale come una piramide rovesciata nella quale le città, le aree metropolitane, le regioni, lo Stato, abbiano ciascuno il proprio spazio ben definito ma sia la base a detenere in testa l’iniziativa e lo Stato, in fondo, ad agevolarla. In tal senso, la revisione del Titolo V è una premessa da approfondire e non contraddire con riforme estemporanee e confuse. Se quest’ordine verrà creato, le persone, le 23 associazioni, le categorie, le libere intraprese d’ogni natura sapranno in quale spazio poter sviluppare la propria azione creando le premesse per quella sussidiarietà orizzontale che veda lo Stato – non minimo ma “buono” – restringere il proprio campo d’azione per potersi dotare di strumenti forti, efficaci e idonei a incoraggiare, aiutare, integrare quanto spontaneamente nasce e si produce nella società. 8. Perché il neo-comunitarismo è alternativo al “renzismo”. Questo programma neo-comunitario sfugge alle gabbie delle tradizionali classificazioni politiche. Esso, tuttavia, è programmaticamente alternativo a un sistema come quello che l’attuale presidente del Consiglio sta costruendo casamatta dopo casamatta: un sistema incentrato non sulla centralità della persona ma sulla centralità della “sua” persona e su una ristretta cerchia di cooptati; un sistema con una torsione decisamente centralistica; un sistema che è strenuo baluardo della trincea statalista (vedi rafforzamento delle municipalizzate) e, per questo, portato naturalmente a deprimere – se non a reprimere – qualsiasi sprazzo di autonomia e vitalità sociale. 24 25 9. Ritorno al futuro. Si può “cambiare verso”? Sì, si può. Accomunati nella crisi del pensiero postmoderno, politica e civismo possono risorgere dalle difficoltà dei partiti tradizionali e dalle solitudini delle nostre città. Da una politica consapevole della necessità di un rinnovamento, e da un civismo disposto a mettere da parte timori e diffidenze, può nascere una nuova stagione fondata su una politica non più autoreferenziale e su un civismo che abbandoni la mistica della società civile. La politica, al tempo della globalizzazione, non deve ridurre le persone a cittadini “che ammirano i fuochi artificiali del mondo, che è di altri, con la bocca aperta e applausi programmati”. Il civismo, d’altro canto, non deve scadere in “un museo folkloristico di 27 eremiti localisti, condannati a ripetere sempre le stesse cose, incapaci di lasciarsi interpellare da ciò che è diverso” (dall’esortazione apostolica Evangelii Gaudium di Papa Francesco). Per questo, tra politica e civismo serve una sinergia virtuosa. Per porre le premesse di una società nuova che recuperi quei valori antichi che non tramontano, antidoto e diga contro le disgregazioni del nostro tempo. 28