IL LIEVITO
E IL SALE
L'ALLEANZA TRA CIVISMO E POLITICA
PER RISCOPRIRE
LA COMUNITÀ DEGLI UOMINI
A
La disgregazione delle comunità
alimenta la crisi delle nostre città ed
è a un tempo causa ed effetto della
crisi della politica. Per questo, dalla
proposta e poi dalla realizzazione di
un programma neo-comunitario
potrà nascere una nuova sinergia
vincente tra il cosiddetto "civismo" e
la politica: per sconfiggere la dittatura del pensiero unico, per superare la
retorica della "società civile".
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Non può l’occhio dire alla mano:
“Non ho bisogno di te”; oppure
la testa ai piedi: “Non ho bisogno
di voi”. Anzi proprio le membra
del corpo che sembrano più
deboli sono le più necessarie; e
le parti del corpo che riteniamo
meno onorevoli le circondiamo
di maggior rispetto, e quelle
indecorose sono trattate con
maggior decenza, mentre quelle
decenti non ne hanno bisogno. [...]
Dalla prima lettera di San Paolo
apostolo ai Corinzi [12,12-30]
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La disgregazione delle comunità
alimenta la crisi delle nostre città ed
è a un tempo causa ed effetto della
crisi della politica. Per questo, dalla
proposta e poi dalla realizzazione di
un programma neo-comunitario potrà
nascere una nuova sinergia vincente
tra il cosiddetto “civismo” e la politica:
per sconfiggere la dittatura del pensiero
unico, per superare la retorica della
“società civile”.
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1. Il lievito del civismo e il sale
della politica.
Proprio per sfuggire alla retorica del pensiero
unico, è necessario intendersi preliminarmente
su cosa sia il civismo.
Il civismo è la disponibilità a impegnarsi
nella dimensione pubblica. L’ambito locale è
quello in cui più naturalmente tale attitudine si
manifesta, ma non è il solo: è impegno civico
anche il volontariato, è impegno civico il no
profit. In questo senso, potremmo definire il
civismo come la forma primordiale della politica,
che viene prima ancora dell’associazionismo e
della militanza partitica. Nel momento in cui
si concretizza nel servizio all’interno di una
istituzione, il civismo diventa esso stesso
inevitabilmente politica.
Per questo non può esservi scissione ma
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al contrario una necessaria alleanza tra
ambito civico e ambito politico. La politica
rinunziando al lievito del civismo perderebbe
una buona occasione per riannodare il
rapporto con i cittadini. Il civismo senza il sale
della politica nel tempo lungo perderebbe di
senso: inevitabilmente, si proporrebbe come
fenomeno limitato, egoistico, estemporaneo.
2. Un nuovo comunitarismo per
sconfiggere le nuove solitudini.
Senza la ricostruzione delle comunità civiche
non è pensabile poter affrontare le solitudini,
le insicurezze, i problemi di integrazione che
segnano profondamente le nostre città.
Solo all’interno di comunità solidali
e funzionanti è possibile affermare la
inderogabilità dei principi essenziali che si
trovano a fondamento della nostra civiltà: dal
primato dello stato di diritto all’uguaglianza
tra uomo e donna, fino a una differenziazione
tra spazio civile e spazio religioso che non
scada tuttavia nella reciproca indifferenza.
Solo all’interno di comunità solidali e
funzionanti le diverse culture e i differenti stili
di vita che caratterizzano la realtà dell’odierna
società multietnica potranno pacificamente
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confrontarsi e contaminarsi evitando le
ghettizzazioni, le separazioni, le derive
violente che segnano la quotidianità di tante
città europee e certificano il fallimento del
multiculturalismo.
Al di fuori di questo paziente lavoro di ritessitura resta solo la mera illusione di una
presunta superiorità che genera tentativi,
per lo più maldestri, di addomesticare disagi
profondi e scosse epocali mediante espedienti
inutili se non dannosi, funzionali a eludere i
nodi di fondo. I cosiddetti “bonus cultura” per
i diciottenni, introdotti dalla legge finanziaria
del 2015, rappresentano un esempio
paradigmatico di queste pessime pratiche.
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3. Perché costruire una nuova
comunità politica.
Le comunità latitano ormai non solo nella
dimensione civica: latitano anche in politica.
Nel secolo scorso esse, sotto il peso d’ideologie
totalitarie e totalizzanti, sia di sinistra che di
destra, sono state concepite come un luogo
sovraordinato rispetto all’uomo, divenendo
una cappa soffocante priva di spazio vitale per
la persona e per la sua centralità.
Da qui sono derivati i vecchi partiti
ideologici, che hanno integrato l’individuo
in una comunità chiusa e autoreferente: una
sorta di piccolo Stato nello Stato.
I partiti del Novecento, però, sono stati anche
il veicolo delle culture che hanno innervato
la vita democratica e che infine hanno vinto
la battaglia contro i totalitarismi: la cultura
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nazionale e democratica, quella liberale,
quella cristiana, quella socialdemocratica.
Quando la concezione del partito- cattedrale
di stampo novecentesco è entrata in crisi, questa
crisi ha finito per coinvolgere anche le culture
politiche storiche. La comunità politica, privata
di tutti i punti di riferimento culturali, si è così
progressivamente sfarinata trasformandosi in
una sorta di magma che ha alimentato da un
lato movimenti protestatari, dall’altro partiti
personali legati esclusivamente alla parabola
biografica dei loro ideatori.
Perché, come ha scritto Papa Benedetto
XVI nella Caritas in Veritate, la comunità
degli uomini, correttamente intesa, “non
assorbe in sé la persona annientandone
l’autonomia, come accade nelle varie
forme di totalitarismo, ma la valorizza
ulteriormente, perché il rapporto tra persona
e comunità è di un tutto verso un altro tutto”.
Questa deriva sta consolidando tra i
leader politici e il popolo un rapporto privo
della mediazione dei corpi intermedi come
espressioni organizzate della società civile,
con il conseguente prosciugamento degli spazi
di autentica e fattiva partecipazione popolare.
Da qui l’esigenza di ripartire proprio dalle città
per riannodare i fili di una interazione positiva
tra partecipazione dei cittadini e politica di
qualità.
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4. Elogio della leadership nella
comunità.
E’ bene chiarirlo preventivamente: non
s’intende mettere in dubbio che la complessità
sociale, la velocizzazione delle decisioni, il
restringimento del tempo di sedimentazione
del giudizio politico, i fenomeni connessi
all’esplosione della comunicazione di massa,
abbiano reso la leadership un elemento
imprescindibile della politica.
Oggi un’iniziativa politica orfana di
leadership è impensabile, ma è altrettanto vero
che una leadership è realmente tale se e solo
se mantiene un contatto con la sua comunità
di riferimento e se è in grado di integrarsi in un
contesto di collegialità.
Lo aveva compreso a suo tempo Max Weber,
quando preconizzò l’inevitabile nascita di
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partiti carismatici nei quali, però, l’affermarsi
del leader non sarebbe entrato in conflitto con
la necessaria esistenza di comunità politiche
fatte di regole, di pensiero, di solidarietà
umana.
5. Sotto il leader niente.
Cos’è accaduto, invece, in Italia? E’ accaduto
– e sempre più sta accadendo – che la giusta
insistenza sull’importanza della leadership si
sia trasformata in alibi per la distruzione delle
comunità di riferimento.
Abbattuti i totem novecenteschi, la reazione
al vecchio comunitarismo soffocante è stata
l’illusione di poter fare completamente a meno
dell’elemento comunitario e di poter utilizzare
l’ingegneria istituzionale per anestetizzare la
partecipazione e le dinamiche del consenso
democratico, ben oltre le fisiologiche esigenze
di efficienza e governabilità che sottendono il
moderno riformismo costituzionale.
Si va stabilendo per questa via un
collegamento diretto (ma non autentico) tra il
“capo” e una società atomizzata composta da
individui e non da persone. Si va affermando
un modello organizzativo che surrettiziamente
sostituisce alle persone i potentati e rimpiazza le
comunità con alcuni segmenti della cosiddetta
“società civile” che come elemento unificante
hanno il solo riferimento al comune “capo”.
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Si va così ineluttabilmente verso la messa
al bando della solidarietà fra gli uomini e
l’archiviazione di ogni pratica di intermediazione
sociale. Si va verso la già paventata distruzione
dei corpi intermedi: tanto di quelli naturali
quanto di quelli che nascono dalla libera
aggregazione tra le persone. In tal modo si
annulla il più efficace dei contrappesi al potere
e il più potente tra gli antidoti al dispotismo.
“Fra le leggi che reggono le società umane,
ve n’è una che appare più chiara e precisa di
tutte le altre: perché gli uomini restino civili o
lo divengano, bisogna che l’arte di associarsi
si sviluppi e si perfezioni presso di loro nello
stesso rapporto con cui si accresce l’eguaglianza
delle condizioni”. Così scriveva Tocqueville,
preconizzando che un individualismo non
temperato dalla dimensione comunitaria
avrebbe portato le persone a chiudersi
in un esasperato egoismo e la politica ad
avvilupparsi, inevitabilmente, in una spirale
dispotica.
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6. L’alleanza tra civismo e
politica, per un programma neocomunitario.
Se queste sono le derive della nostra epoca,
una iniziativa politica che intenda elaborare
risposte all’altezza ha il dovere di riaffermare
l’autonomia responsabile contro l’oppressione
centralistica.
Ha il dovere di convogliare questa autonomia
in una rete di sani corpi intermedi che non
siano veicoli di conservatorismo corporativo
ma espressione di vitalismo sociale.
Ha il dovere di battersi per uno Stato
che valorizzi le energie e liberi le vitalità,
contrastando i tentativi neanche tanto velati di
fare dell’Italia una specie di grande “regione
rossa” sottomessa a una struttura verticistica
di potere.
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7. Il tempo e lo spazio.
Perché questa palingenesi possa prodursi
c’è bisogno di un tempo politico e di uno spazio
istituzionale.
Il tempo è oggi.
Nel campo politico italiano esiste un’area che
si è riconosciuta attorno al “sistema Renzi”.
Un sistema che si va strutturando attraverso
la distruzione della propria comunità
di riferimento e la sua sostituzione con
formule aggregative effimere e autoreferenziali;
attraverso l’occupazione dello Stato e il
consolidamento di potentati locali e nazionali
in una prospettiva per la quale lo spazio dello
Stato invece di contrarsi rischia di ramificarsi
ulteriormente; all’ombra delle cosiddette
eccellenze della società civile – vere o presunte
– reclutate quali testimonial del “nuovo corso”
collegati direttamente al vertice, prescindendo
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da qualsiasi comunità politica organizzata.
Esiste poi il cosiddetto “grillismo”, che
punta sull’edificazione di una comunità
virtuale caratterizzata da un confronto
minimo
e
per
questo
facilmente
controllabile
dall’esterno.
L’esperienza
di questi anni ci ha infatti dimostrato
che “la legge ferrea dell’oligarchia”, che
Michels aveva immaginato per i partiti di
massa novecenteschi, si applica ancora di
più a questo tipo di comunità. Tale modello
politico-organizzativo tenta, almeno per ora,
di evitare qualsiasi consolidamento: da qui il
fatto che gli elettori crescono mentre i gruppi
parlamentari si assottigliano, e da qui anche
la difficoltà a concepirsi come forza di governo
delle città.
Ciò che ancora non esiste, fra questi due
fortini edificati, è l’idea di come possa
organizzarsi un campo politico che sia
alternativo sia alla sinistra renziana che
all’antipolitica grillina; di come possa
strutturarsi nel nuovo scenario, dopo
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le disgregazioni e lo sconvolgimento di
punti di riferimento consolidati, una forza
potenzialmente maggioritaria in grado di
competere per il governo del Paese.
Questo è il tempo politico nel quale fornire
tali risposte.
Lo spazio, invece, dobbiamo essere in grado
di crearlo partendo dalle nostre comunità
e immaginando contro lo statalismo un
nuovo assetto statuale che incentivi anziché
comprimere le spinte vitali.
Ciò significa anche riorganizzare la
sussidiarietà verticale come una piramide
rovesciata nella quale le città, le aree
metropolitane, le regioni, lo Stato, abbiano
ciascuno il proprio spazio ben definito ma sia la
base a detenere in testa l’iniziativa e lo Stato, in
fondo, ad agevolarla.
In tal senso, la revisione del Titolo V è una
premessa da approfondire e non contraddire
con riforme estemporanee e confuse.
Se quest’ordine verrà creato, le persone, le
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associazioni, le categorie, le libere intraprese
d’ogni natura sapranno in quale spazio poter
sviluppare la propria azione creando le premesse
per quella sussidiarietà orizzontale che veda lo
Stato – non minimo ma “buono” – restringere
il proprio campo d’azione per potersi dotare di
strumenti forti, efficaci e idonei a incoraggiare,
aiutare, integrare quanto spontaneamente
nasce e si produce nella società.
8. Perché il neo-comunitarismo è
alternativo al “renzismo”.
Questo programma neo-comunitario sfugge
alle gabbie delle tradizionali classificazioni
politiche.
Esso, tuttavia, è programmaticamente
alternativo a un sistema come quello
che l’attuale presidente del Consiglio sta
costruendo casamatta dopo casamatta: un
sistema incentrato non sulla centralità della
persona ma sulla centralità della “sua”
persona e su una ristretta cerchia di cooptati;
un sistema con una torsione decisamente
centralistica; un sistema che è strenuo baluardo
della trincea statalista (vedi rafforzamento
delle municipalizzate) e, per questo, portato
naturalmente a deprimere – se non a reprimere
– qualsiasi sprazzo di autonomia e vitalità
sociale.
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9. Ritorno al futuro.
Si può “cambiare verso”? Sì, si può.
Accomunati nella crisi del pensiero postmoderno, politica e civismo possono risorgere
dalle difficoltà dei partiti tradizionali e dalle
solitudini delle nostre città.
Da una politica consapevole della necessità
di un rinnovamento, e da un civismo disposto
a mettere da parte timori e diffidenze, può
nascere una nuova stagione fondata su una
politica non più autoreferenziale e su un
civismo che abbandoni la mistica della società
civile.
La politica, al tempo della globalizzazione,
non deve ridurre le persone a cittadini “che
ammirano i fuochi artificiali del mondo,
che è di altri, con la bocca aperta e applausi
programmati”. Il civismo, d’altro canto, non
deve scadere in “un museo folkloristico di
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eremiti localisti, condannati a ripetere sempre
le stesse cose, incapaci di lasciarsi interpellare
da ciò che è diverso” (dall’esortazione
apostolica Evangelii
Gaudium di Papa
Francesco).
Per questo, tra politica e civismo serve una
sinergia virtuosa. Per porre le premesse di una
società nuova che recuperi quei valori antichi
che non tramontano, antidoto e diga contro le
disgregazioni del nostro tempo.
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