LA 71a SETTIMANA MUSICALE SENESE: QUANDO
LA TRADIZIONE POPOLARE E LA MUSICA COLTA
S’INCONTRANO
Aldo Bennici
Direttore artistico dell’Accademia Musicale Chigiana
Da tempo accarezzavo l’idea di poter organizzare proposte musicali che stabilissero
confronti e dialoghi fra la musica etnica e quella colta, solleticato in ciò dalla mia
personale esperienza di musicista vissuta accanto a Luciano Berio. L’occasione
è arrivata, del tutto inaspettata, quando, dopo aver deciso di concludere la mia
carriera pluriennale di Direttore artistico dell’Accademia Chigiana, mi è stato
chiesto di mettere a frutto ancora una volta la mia lunga esperienza di organizzatore
musicale per fronteggiare un momento particolarmente difficile nella vita stessa
della Chigiana, e disegnare (in poco tempo e con risorse economiche assai
contenute rispetto ad una volta) la programmazione della Settimana Musicale
Senese e dell’Estate Musicale Chigiana.
L’intenzione di avvicinare quei due ambiti musicali, abbattendo così ogni
sorta di confine, è diventata predominante, e poteva essere estesa, come un filo
rosso, all’intero calendario degli appuntamenti della Settimana Musicale. Nasce
così Specchi, il titolo che raccoglie le manifestazioni della Settimana Senese
2014: occasioni dove la tradizione musicale tramandata per via orale e di ogni
provenienza geografica si confronta con i grandi classici, dando vita a un gioco
continuo di corrispondenze e di cambi di prospettiva, proprio come i continui
riflessi che movimentano la superficie di uno specchio. In questo trova anche
nuova affermazione il mio personale amore per l’etnomusicologia, disciplina
che, del resto, proprio all’Accademia Chigiana ebbe, anni fa, una sua particolare
autorevolezza didattica grazie alle cattedre tenute da due illustri studiosi come
Diego Carpitella e Roberto Leydi.
Il gioco dei raffronti e delle differenti angolazioni è affermato fin dalla serata
inaugurale, che avvicina le musiche di scena per l’Arlésienne di Bizet a quelle
(appositamente commissionate dalla Chigiana, e in prima esecuzione assoluta)
per Blanquette di Azio Corghi: queste ultime basate su un racconto di Alphonse
Daudet presente in quelle stesse Lettres de mon moulin seguite da Bizet nel suo
capolavoro. Uno stesso testo visto nello specchio musicale della contemporaneità,
secondo un’operazione che conferma, ancora una volta, l’attenzione delle
programmazioni chigiane alla musica del nostro tempo.
Il concerto intitolato Santi e santini vuol far riflettere su come l’esigenza di
spiritualità, da sempre insita nell’uomo, possa esprimersi con pari intensità
sia nella quotidianità semplice del canto popolare sia nell’universalità ‘alta’ del
capolavoro conclamato. Ascolteremo così le espressioni di fede intonate nei canti
sacri della tradizione sarda, accanto a quelle, raccolte e non di rado imbevute di
gusto operistico, dello Stabat Mater di Boccherini.
È ancora la tradizione popolare, stavolta quella di alcune canzoni sefardite, ad
essere vista con gli occhi della contemporaneità in Juego de Siempre di Betty
Olivero, compositrice israeliana fortemente legata all’Italia, avendo vissuto a
Firenze ai tempi dei suoi studi con Berio. Questa pagina è messa a fianco di
un’antologia di antiche canzoni spagnole raccolte e armonizzate da Federico
García Lorca: omaggio, questo, alla figura del conte Guido Chigi Saracini, che
acquistò una delle prime edizioni della raccolta. Il volume è oggi conservato nella
Biblioteca dell’Accademia. Visioni andaluse: ecco dunque il titolo del concerto.
Ravvicinamenti testimonianza di innovazioni sono poi quelli che caratterizzano
l’appuntamento con i Solisti di Pavia ed Enrico Dindo, protagonisti di un
viaggio fra Weimar e Mar del Plata: da una parte Carl Philipp Emanuel Bach,
secondogenito di Johann Sebastian, nella cui musica avanza un’espressività
moderna e che punta al pieno coinvolgimento emotivo dell’ascoltatore. Dall’altra,
Astor Piazzolla, che riesce sempre a dare il colore del tango anche nelle ‘altre’
musiche, e che alla tradizione del tango dà una nuova dignità artistica, fatta di
significati malinconici e sensuali.
La proposta di Naturale di Berio assieme ad alcuni canti della tradizione siciliana
è la testimonianza, affettuosa e sentita, dei miei legami personali con la terra che
mi ha visto nascere e con la figura di un grande amico musicista. Quei canti di
mare, quelle abbagnate (le prolungate esclamazioni dei venditori ambulanti),
furono da me personalmente raccolti. Berio ne rimase letteralmente affascinato.
Nacquero Voci, e poi Naturale, dove la viola commenta quel tessuto di canti
popolari registrati, da me tenuto a battesimo ed eseguito infinite volte. Un tocco
di autenticità, nella seconda parte della serata, sarà assicurato dalla presenza
dell’attore-cantante Maurizio Sazio, che ci offrirà le atmosfere di quei canti con la
schiettezza e l’intensità di un antico cantastorie.
I ritmi sfrenati della tarantella, filtrati dalle riappropriazioni colte di Stravinskij,
Beethoven, Szymanowski e Sarasate, si sposano infine alla gestualità altrettanto
scatenata della pizzica (che ne è la variante più tipicamene salentina), per scandire
l’appuntamento conclusivo della Settimana Musicale Senese. Edoardo Zosi,
violinista già allievo dell’Accademia Chigiana, e l’Orchestra Popolare Italiana
con Ambrogio Sparagna si avvicenderanno per una conclusione dalle atmosfere
trascinanti e festose, dove la tradizione popolare non s’intimidisce accanto alle
note della musica colta. Linguaggi diversi che trovano così una loro dimensione
comune.
Anche perché ho sempre amato la musica. Tutta.
Giovedì 10 luglio
Teatro dei Rinnovati
ore 21.15
SPECCHI
Giovedì 10 luglio
Teatro dei Rinnovati
ore 21.15
SPECCHI
Azio Corghi
Ciriè, Torino 1937
Blanquette
da La chèvre de M. Seguin di Alphonse Daudet
per voce recitante e orchestra da camera
commissionata dall’Accademia Musicale Chigiana di Siena
Edizioni Universal Music Publishing Ricordi srl (Milano)
Prima esecuzione assoluta
***
Georges Bizet
Parigi 1838 - Bougival 1875
L’Arlésienne
musiche di scena
per l’omonimo dramma in cinque atti di Alphonse Daudet
Revisione critica della versione originale per 26 strumenti
di Giacomo Zani
Traduzione italiana del testo e riduzione per voce recitante
di Vincenzo De Vivo
Casa Musicale Sonzogno di Piero Ostali, Milano
Versione da concerto
n. 1 Ouverture
ATTO I
n. 2 Melologo | n. 3 Melologo | n. 4 Melologo | n. 5 Coro e Melologo
n. 6 Melologo e coro
ATTO II
n. 7 Pastorale (Intermezzo e coro) | n. 8 Andantino | n. 9 Allegretto | n. 10 Melologo
n. 11 Coro e Melologo | n. 12 Melologo | n. 13 Melologo | n. 14 Melologo
ATTO III
n. 15 Intermezzo | n. 16 Intermezzo
ATTO IV
N. 17 Intermezzo (Minuetto) | n. 18 Intermezzo (Carillon) | n. 19 Melologo
n. 20 Andante moderato | n. 21 Melologo e coro (Faràndola)
ATTO V
n. 22 Intermezzo | n. 23 Coro | n. 24 Coro | n. 25 Melologo
n. 26 Melologo | n. 27 Finale
Marco Angius
direttore
Chiara Muti
voce recitante
Orchestra della Toscana
Coro Polifonici Senesi
Raffaele Puccianti maestro del coro
Beatrice Bartoli pianista accompagnatrice
Sopratitoli a cura di
Prescott Studio srl
Firenze
BLANQUETTE
Azio Corghi
Pubblicato nel 1869, celeberrimo in Francia, ingiustamente considerato
un’opera per ragazzi, il libro Lettres de mon moulin è ispirato in parte a
racconti che l’autore raccolse nella propria terra d’origine, la Provenza.
Al riguardo, fra l’altro, è sufficiente pensare alla storia dell’Arlesiana
propostagli da Frédéric Mistral, premio Nobel per la Letteratura nel 1904.
Alcuni di questi racconti hanno goduto una fama straordinaria diventando
apologhi proverbiali, come La chèvre de M. Seguin.
Delle Lettres Daudet disse in Trent’anni di Parigi, attraverso la mia vita e
i miei libri: «esse furono scritte al capriccio del vento, del momento, di
un’esistenza terribilmente agitata».
Dopo l’invito, da parte di Aldo Bennici, a utilizzare il testo di quest’ultimo
racconto per una composizione che prevede l’organico di una voce
recitante e una piccola orchestra, sono andato a rovistare fra i libri in lingua
francese appartenuti a mia madre. Fra l’altro ho trovato l’edizione S.E.I.
datata 1928 delle Lettres de mon moulin, collocata a fianco del Gargantua e
Pantagruel rabelesiano. Felice coincidenza per il sottoscritto!
il racconto
La bellissima Blanquette, capretta dal manto bianco, rinchiusa nella stalla
di M. Seguin, triste padrone di un gregge depredato da un famelico lupo,
vuole raggiungere la luminosa montagna che intravede in lontananza.
Riesce a fuggire saltando dalla finestra e, raggiunta la montagna, trascorre
una giornata ricca di emozioni immersa nello splendore e nella vivacità
della natura.
Al calare della sera, la luce si attenua. Viene la notte con il preannunciato,
dal padrone, incontro col lupo. Poi la conseguente forsennata lotta che si
prolunga fino alle prime luci dell’alba.
Infine l’attesa di Blanquette, distesa sull’erba col manto insanguinato, del
feroce lupo che la divorerà.
Il progetto musicale
Leggendo il testo del Questionnaire che nel libro di mia madre è collocato
al termine del racconto, senza stupirmi ho notato lo scopo ‘educativo’
teso all’ottenimento di risposte asservite a un ordine precostituito.
Immediatamente mi sono schierato dalla parte di Blanquette pur
ammettendo il dubbio che può sorgere fra «l’agire con prudenza» e
«l’agire istintivo e vitale». La constatazione mi ha permesso di ‘trasgredire’,
anche sul piano linguistico puramente musicale, nei confronti di altri
«contemporanei ordini precostituiti».
Per quanto riguarda il progetto in questione, ho innanzitutto rilevato
l’assonanza fra la valenza fonetica del testo originale e la riproposizione in chiave di attualità - del linguaggio musicale appreso nel periodo della
mia formazione accademica (… quello che da Durand, Dubois, Lavignac,
Gedalge, Koechlin arriva fino a Messiaen). Di qui l’accoglimento dell’idea
di avvalermi della stessa ambiguità poetica che traspare dal testo di
Daudet. Ambiguità che può accogliere forme di espressione contrastanti
comprendenti sia la ‘nuance’ dell’intervento a carattere imitativo che il
gesto violento d’impronta teatrale. Si va dalla percezione sonora dell’eco
del Mistral fino alla ‘tematizzazione’ del personaggio, dove emerge l’indole
curiosa, vitale e ribelle di Blanquette di fronte all’atteggiamento aggressivo
e feroce del lupo (specchio musicale della prima) sullo sfondo della
rassegnata insistenza di Monsieur Seguin. Il che dovrebbe determinare
nell’ascoltatore l’istintiva reazione di opporsi a una realtà intimidatoria che
impedisce di assaporare anche le ‘gioie rischiose’ della vita per il timore di
finire in bocca al lupo nel tentativo temerario di sconfiggerlo a cornate.
Anche per tale ragione la Voce recitante, rispetto all’ipotetico personaggio
(Gringoire) nominato da Daudet, si rivolge inizialmente al pubblico con
le parole dello scrittore:
Non? Vous ne voulez pas? Vous prétendez rester libre à votre guise
jusqu’au bout… Eh bien, écoutez un peu l’histoire de la chèvre
de M. Seguin. Vous verrez ce que l’on gagne à vouloir vivre libre.
Dopo i dubbi che le parole dello scrittore suscitano in noi, a conclusione
dell’opera mi sono permesso di trasformare l’interrogativo iniziale in
esortazione:
Non? Vous ne voulez pas? Vous prétendez rester libre à votre guise
jusqu’au bout... rester libre à votre guise… rester libre!
Guidizzolo, 9 aprile 2014
(g. c. Edizioni Ricordi)
LA VERA ARLESIANA
Daniele Spini
Il 7 luglio 1862 un nipote di Frédéric Mistral, massimo fra gli scrittori
provenzali, si uccise gettandosi da una finestra in seguito a una delusione
d’amore. Mistral raccontò poi il fatto al suo giovane amico e collega
Alphonse Daudet, che lo elaborò in una novella, L’Arlésienne, pubblicata sul
quotidiano «L’Événement» del 31 agosto 1866. Nel 1869 L’Arlesiana confluì
insieme con altri racconti d’ambiente provenzale, fra i quali La chèvre de
M. Seguin nelle Lettres de mon moulin, forse il primo successo letterario del
futuro autore di Tartarino di Tarascona. Da qui la storia passò sulle tavole
del palcoscenico, ampliata ed elaborata fino a trasformarsi in una pièce
(parola mal traducibile in italiano: ‘dramma’ sarebbe forse termine troppo
forte, per una tragedia di paese, e ‘commedia’ per contro troppo leggero)
in tre atti e cinque quadri (nel primo dei quali non senza civetteria, ma
soprattutto come metafora, come simbolico preannuncio del destino del
protagonista, Daudet mostra il vecchio Balthazar narrare all’ ‘Innocente’
Janet appunto la storia della capra del signor Seguin, mangiata dal lupo)
che adesso torna a interfacciarsi con quella dell’Arlesiana nello ‘specchio’
che la presenta nella nuovissima Blanquette musicata da Azio Corghi).
Della novella rimaneva la traccia narrativa fondamentale: l’amore infelice
di Fréderi per una ragazza di Arles, che non compare mai in prima persona,
e della quale neanche si pronuncia il nome, e della quale la famiglia e il
piccolo mondo concentrato nella fattoria di Castelet diffidano: venendo a
sapere di non essere veramente ricambiato da una donna dai comportamenti
frivoli, e che è già stata l’amante di un altro (oggi la giudicheremmo
semplicemente una persona libera: ma nella morale paesana di allora i
valori erano evidentemente altri), pur fingendo serenità Fréderi dopo una
giornata di festa in cui ha danzata animatamente la farandola, si toglie la
vita. Il lavoro teatrale dilata il racconto su un più ampio sfondo corale, fino
a conseguire una sorta di epicità paesana, con l’introduzione di numerosi
altri personaggi, fra i quali Vivette, una specie di ‘ragazza della fattoria
accanto’, che potrebbe rappresentare un’alternativa sana e normale alla
passione morbosa di Fréderi per l’Arlesiana, sviluppando in particolare la
figura del fratellino minore di lui, il ritardato e ‘innocente’ Janet.
L’Arlésienne fu rappresentata a Parigi al Théâtre du Vaudeville il
1° ottobre 1872. Di questo si occupava, carico di gloria per aver a suo
tempo radicalmente rinnovato la cultura operistica parigina durante
la sua gestione del Théâtre Lyrique, Léon Carvalho, impresario fra i
più geniali di allora. Fu sua l’idea di corredare di musica L’Arlésienne, e
di assegnare il compito a un allora trentaquattrenne Georges Bizet, che
aveva già composto proprio per il Théâtre Lyrique I pescatori di perle nel
1863 e La bella fanciulla di Perth nel 1867. Quella di accompagnare gli
spettacoli di prosa con intermezzi sinfonici da eseguire fra un atto e l’altro,
e anche con marce e danze quando la vicenda ne fornisse l’occasione, era
abitudine assai diffusa nell’Ottocento, tanto in Francia quanto altrove
(a Vienna vi si era impegnato più volte Beethoven, con esiti in qualche
caso memorandi). A Carvalho la prospettiva interessava anche – forse
soprattutto – per la possibilità di far interagire gli attori con l’orchestra nei
melologhi, proponendo una sorta di contiguità fra un teatro in prosa con
musica e il vero e proprio opéra-comique, nel quale le arie erano collegate
l’una all’altra da dialoghi parlati anziché da recitativi: genere del quale da lì
a pochi anni proprio Bizet avrebbe firmato il capolavoro più straordinario,
Carmen (nella quale, forse per caso e forse no, compare ancora una volta la
contesa impari fra una donna libera e forte e una fanciulla di paese ingenua
e per bene, il cui amore semplice e disinteressato non riuscirà a salvare il
protagonista dalla rovina).
Il progetto di Carvalho fu messo in pratica da Bizet con tutta la sua
fantasia di compositore raffinatissimo e tutta la sua intelligenza di uomo
di teatro a dir poco formidabile. Nacquero così ventisette pezzi, aperti
ovviamente da una Ouverture, e comprendenti altrettanto ovviamente altre
pagine sinfoniche potenzialmente indipendenti, come i quattro Entr’actes
piazzati in apertura dei diversi ‘quadri’, l’Intermezzo che precede il terzo
e ultimo atto, e la poi celeberrima Farandole, destinata a rappresentare in
sede colta il folclore della Provenza; ma con una prevalenza significativa di
mélodrames, a volte brevissimi, in altri casi più estesi, affidati all’orchestra
ma anche con brevi interventi corali, a circondare e proseguire le parole
degli attori, sottolineandone le implicazioni psicologiche ben al di là di una
semplice decorazione sonora. Bizet stesso diresse un complesso strumentale
ridotto, forse per ragioni di prudenza economica, ma alle nostre orecchie
addirittura profetico di certo Novecento, anche per la distribuzione
anomala delle forze nei diversi settori (due flauti, un oboe, un clarinetto,
due fagotti e un saxofono; due corni; un timpanista-percussionista; un
tastierista ad alternarsi fra pianoforte e organo; quattro violini primi, tre
secondi, una viola, cinque violoncelli e due contrabbassi, per un totale di
ventisei esecutori), e un coretto in cui i cantori agivano anche da comparsa.
Una rete sottile ma solida di motivi conduttori, esposti nell’Ouverture e
ripresi in seguito con perfetta puntualità narrativa, dava a questi melologhi
un significato scenico fortissimo, attraverso l’evocazione di personaggi e
situazioni, collegandosi ai pezzi sinfonici veri e propri e agli interventi corali
che sottolineano la cornice collettiva, tipica di una società contadina, della
vicenda, in una partitura valida teatralmente non meno che musicalmente,
più sperimentale e innovativa che non ibrida come potrebbe sembrarci:
nella quale, fra l’altro, sembra assumere speciale importanza la figura
modernissima dell’Innocente, il cui risveglio dal ritardo mentale coincide,
simbolicamente, con il balzo verso il nulla di Fréderi. Ricca di colore, e di
color locale provenzale, come nella vivacità fantastica della Farandole o nella
dimensione popolaresca, del resto trattata con discrezione estrema, degli
inserti corali, la musica qui si impone peraltro anzitutto come esempio di
flessibilità e pertinenza narrativa, rivelandosi tanto più profonda quanto
meno aggressiva o invadente, secondo quella cifra di leggerezza ed eleganza
che fu sempre il connotato più prezioso dell’arte di Georges Bizet, e
conciliando con equilibrio perfetto estroversione ritmica e scorrevolezza
melodica, plein air naturalistico e introspezione.
Anzitutto grazie ai melologhi, oltre che alla qualità e al fascino dei pezzi
strumentali o comunque autosufficienti, l’operazione di Carvalho, Daudet
e Bizet riuscì originale, e potenzialmente vincente proprio in quanto
capace di proporre una ‘terza via’ fra teatro di prosa puro e semplice e teatro
musicale vero e proprio. Ma lo spettacolo al Vaudeville fu un bel fiasco,
per Daudet completando il quadro di un anno davvero poco fortunato
(sempre nel 1872 uscì il suo capolavoro, Tartarin, accolto anch’esso
malissimo). Fu invece ricevuta bene la musica, al punto da indurre Bizet
a salvarne quattro pezzi, l’Ouverture, l’Intermezzo (Minuetto), il quarto
Entr’acte e il terzo (Carillon), rielaborati per grande orchestra in una
prima suite sinfonica, che poteva esser letta addirittura come una piccola
sinfonia. Questa riuscì così felice che dopo la sua morte ne fu creata una
seconda, preparata e orchestrata dallo stesso Ernest Guiraud cui si devono i
recitativi, pure postumi, appiccicati a Carmen per trasformarla in un’opera
in piena regola e garantirle circolazione internazionale, comprendente la
poi fortunatissima Farandole che probabilmente non per caso Bizet non
aveva pensato di utilizzare nella sua sintesi. In entrambe le suite (e forse
in quella di Guiraud più che non nella prima) la musica di Bizet diventa
in parte altra cosa rispetto all’originale: con l’accentuazione del carattere
asetticamente folclorico, e di conseguenza con un’identità più ottimistica
e meno psicologicamente sfumata. La stessa fortuna in sede di concerto di
questi estratti combinandosi con la disparizione dalle scene dell’Arlésienne
come pièce con musica relegò nell’ombra il tessuto articolatissimo e ampio
dei melologhi, per molto tempo la valenza drammatica dell’Arlesiana di
Daudet rimase limitata all’opera che ne trasse nel 1897 Francesco Cilea,
forse tentato dalla sfida di musicare un melodramma la cui protagonista
nonché cantare manco compare in scena, nonché ad alcune riduzioni
cinematografiche.
Oggi invece, recuperata nella sua interezza nell’edizione critica di Giacomo
Zani, e riconnessa al dramma, qui tradotto e sintetizzato da Vincenzo
De Vivo fino a impegnare un’unica voce recitante, la partitura recupera
a sua volta la funzione originaria, caratterizzandosi come un autentico
capolavoro di caratterizzazione drammatica.
blanquette
traduzione
Non? Vous ne voulez pas ? Vous
prétendez rester libre à votre guise
jusq’au bout... Eh bien, écoutez un peu
l’histoire de la chèvre de M. Seguin.
Vous verrez ce que l’on gagne à vouloir
vivre libre.
Ah no? Non volete? Pretendete di
rimanere liberi a vostro piacimento
fino alla fine? Ebbene, ascoltate un po’
la storia della capra del signor Seguin.
Vi renderete conto di quel che si
guadagna a voler vivere liberi.
M. Seguin n’avait jamais eu de
bonheur avec ses chèvres.
Il les perdait toutes de la même façon
: un beau matin, elles cassaient leur
corde, s’en allaient dans la montagne,
et là-haut le loup les mangeait. Ni
les caresses de leur maître, ni la peur
du loup, rien ne les retenait. C’était,
paraît-il, des chèvres indépendantes,
voulant à tout prix le grand air et la
liberté. Le brave M. Seguin, qui ne
comprenait rien au caractère de ses
bêtes, était consterné. Il disait :
- C’est fini ; les chèvres s’ennuient chez
moi, je n’en garderai pas une.
Cependant, M. Seguin il ne se
découragea pas, et, après avoir perdu
six chèvres de la même manière, il
en acheta une septième ; seulement,
cette fois il eut soin de la prendre toute
jeune, pour qu’elle s’habituât mieux à
demeurer chez lui.
Qu’elle était jolie la petite chèvre de
M. Seguin ! Qu’elle était jolie avec ses
yeux doux, sa barbiche de sous-officier,
ses sabots noirs et luisants, ses cornes
zébrées et ses longs poils blancs qui
lui faisaient une houppelande ! C’était
presque aussi charmant que le cabri
d’Esmeralda et puis docile, caressante,
se laissent traire sans bouger, sans
mettre son pied dans l’écuelle. Un
amour de petite chèvre.
Il signor Seguin non aveva mai avuto
fortuna con le sue capre.
Le perdeva tutte nello stesso modo:
una bella mattina spezzavano le loro
corde, se ne andavano sulla montagna
e lassù il lupo se le mangiava. Né le
carezze del padrone, né la paura del
lupo, niente le fermava. A quanto pare,
erano capre indipendenti, vogliose a
ogni costo di spazi aperti e di libertà.
Il buon signor Seguin, che non capiva
nulla dell’indole delle sue bestie, era
costernato. Diceva:
- Niente da fare; da me le capre si
annoiano e non ne avrò più una.
Tuttavia non si scoraggiava, e,
dopo aver perduto allo stesso modo
sei capre, ne comprò una settima;
stavolta, però, ebbe il buon senso di
prenderla assai giovane, affinché si
avvezzasse a stare con lui.
Quant’era carina, la capretta del signor
Seguin! Quant’era carina, con quei
suoi occhi dolci, la sua barbetta da
sottufficiale, i suoi zoccoletti neri e
lucenti, le sue corna zebrate e il suo
lungo pelo bianco che le faceva da
cappottino! Era graziosa quasi quanto
il capretto di Esmeralda, e poi, docile
e carezzevole, si lasciava mungere
senza muoversi, senza mettere le
zampe nella scodella. Un amore di
capretta.
M. Seguin avait derrière sa maison
un clos entouré d’aubépines. C’est là
qu’il mit la nouvelle pensionnaire. Il
l’attacha à un pieu, au plus bel endroit
du pré, et de temps en temps il venait
voir si elle était bien. La chèvre se
trouvait très heureuse et broutait
l’herbe de si bon coeur que M. Seguin
était ravi.
- Enfin, pensait le pauvre homme, en
voilà une qui ne s’ennuiera pas chez
moi !
M. Seguin se trompait : sa chèvre
s’ennuya.
Dietro casa sua il signor Seguin teneva
un terreno circondato da biancospini.
Fu lì che mise la nuova ospite.
L’attaccò a un palo, nel posto più bello
del prato, e di quando in quando
si recava a vedere se stava bene. La
capretta si trovava a meraviglia e
brucava l’erba così volentieri da render
felice il signor Seguin.
- Finalmente, pensava il pover’uomo,
eccone una che non si annoierà con
me!
Ma si sbagliava: la sua capra prese ad
annoiarsi.
Un jour, Blanquette se dit en
regardant la montagne :
- Comme on doit être bien là-haut
! Quel plaisir de gambader dans la
bruyère, sans cette maudite longe qui
vous écorche le cou !... C’est bon pour
l’âne ou pour le boeuf de brouter dans
un clos !... Les chèvres, il leur faut du
large.
A partir de ce moment, l’herbe du
clos lui parut fade. L’ennui lui vint.
Elle maigrit, son lait se fit rare. C’était
pitié de la voir tirer tout le jour sur
sa longe, la tête tournée du côté de la
montagne, la narine ouvert, en faisant
Mê !... tristement.
M. Seguin s’apercevait bien que sa
chèvre avait quelque chose, mais il ne
savait pas ce que c’était... Un matin,
comme il achevait de la traire, la
chèvre se retourna et lui dit dans son
patois :
- Écoutez, monsieur Seguin, je me
languis chez vous, laissez-moi aller
dans la montagne.
- Ah ! mon Dieu !... Elle aussi ! cria M.
Seguin stupéfait, et du coup il laissa
tomber son écuelle ; puis, s’asseyant
Un giorno, guardando verso la
montagna Blanquette si disse:
- Come deve essere bello lassù! Che
piacere sgambettare nella radura,
senza questa dannata corda che
scortica il collo!... Brucare l’erba in un
luogo chiuso va bene per l’asino o per
il bue!... Le capre hanno bisogno di
grande spazio.
Da quel momento, l’erba del recinto
le parve insipida. La noia la vinse.
Dimagrì, il latte si fece scarso. Faceva
pena vederla tirare la corda tutto
il giorno, con la testa rivolta alla
montagna, le narici aperte, facendo
Mé! tristemente.
Il signor Seguin si accorse che la
capretta aveva qualcosa, ma non
sapeva che cosa fosse... Un mattino,
al termine della mungitura, lei gli si
rivolse nel suo gergo:
- Ascoltate, signor Seguin, qui da voi
muoio dalla noia, lasciatemi andare
nella montagna.
- Ah! Mio Dio! Anche lei! gridò
stupefatto il signor Seguin, e di colpo
lasciò cadere la scodella. Poi, sedendosi
dans l’herbe à côté de sa chèvre:
- Comment, Blanquette, tu veux me
quitter !
Et Blanquette répondit :
- Oui, monsieur Seguin.
- Est-ce que l’herbe te manque ici ?
- Oh ! non ! monsieur Seguin.
- Tu es peut-être attachée de trop
court ; veux-tu que j’allonge la corde ?
- Ce n’est pas la peine, monsieur
Seguin.
- Alors, qu’est-ce qu’il te faut ? qu’estce que tu veux ?
- Je veux aller dans la montagne,
monsieur Seguin.
- Mais, malheureusement, tu ne
sais pas qu’il y a le loup dans la
montagne... Que feras-tu quand il
viendra ?...
- Je lui donnerais des coups de corne,
monsieur Seguin.
- Le loup se moque bien de tes cornes.
Il a mangée des biques autrement
encornées que toi... Tu sais bien, la
pauvre Renaude qui était ici l’an
dernier ? une maîtresse de chèvre, forte
et méchante comme un bouc. Elle s’est
battue avec le loup toute la nuit... puis,
le matin, le loup l’a mangée.
- Pécaïre ! Pauvre Renaude !... Ça ne
fait rien, monsieur Seguin, laissez-moi
aller dans la montagne.
- Bonté divine !... dit M. Seguin ;
mais qu’est-ce qu’on leur fait donc à
mes chèvres ? Encore une que le loup
va me manger... Eh bien, non... je te
sauverai malgré toi, coquine ! Et de
peur que tu ne rompes ta corde, je
vais t’enfermer dans l’étable, et tu y
resteras toujours.
Là-dessus, M. Seguin emporta la
chèvre dans une étable toute noire,
dont il ferma la porte à double tour.
sull’erba accanto alla capra:
- Ma come, Blanquette! Vuoi
lasciarmi!
E Blanquette rispose:
- Sì, signor Seguin.
- Forse qui ti manca l’erba?
- Oh no, signor Seguin!
- Forse la corda è troppo corta. Vuoi
che te l’allunghi?
- Non ne vale la pena, signor Seguin.
- E dunque, che cosa ti manca? Che
cosa vuoi?
- Voglio andare sulla montagna,
signor Seguin.
- Maledizione, ma non sai che sulla
montagna c’è il lupo?... Che cosa farai
quando lo incontrerai?
- Gli darò delle belle incornate, signor
Seguin.
- Il lupo non se ne fa niente delle tue
corna. Mi ha mangiato capre con
corna ben più forti delle tue... Sai
della Renaude che stava qui l’anno
scorso? Un pezzo di capra, forte e fiera
come un caprone. Si è battuta con il
lupo tutta la notte... poi, la mattina
dopo, lui l’ha divorata.
- Peccato! Povera Renaude!... Ma non
fa nulla, signor Seguin: lasciatemi
andare sulla montagna.
- Bontà divina! disse il signor Seguin;
ma chi ha compiuto fatture contro le
mie capre? Pure questa verrà mangiata
dal lupo... Ma no!... io ti salverò
che tu lo voglia o no, birbante! E
per impedirti di rompere la corda ti
chiuderò nella stalla e ci rimarrai per
sempre.
Così, il signor Seguin trascinò la
capra in una stalla buia e chiuse
la porta a doppia mandata. Ma
purtroppo aveva dimenticato la
Malheureusement, il avait oublié la
fenêtre, et à peine eut-il le dos tourné,
que la petite s’en alla...
Vous riez, Messieurs ? Parbleu ! Je
crois bien, vous est du parti des
chèvres, vous, contre ce bon M.
Seguin... Nous allons voir si vous rirez
tout à l’heure.
Quand la chèvre blanche arriva dans
la montagne, ce fut un ravissement
général. Jamais les vieux sapins n’avaient
rien vu d’aussi joli. On la reçut comme
une petite reine. Les châtaigniers
baissent jusqu’à terre pour la caresser du
bout de leurs branches. Les genêts d’or
s’ouvraient sur son passage, et sentaient
bon tant qu’ils pouvaient. Toute la
montagne lui fit fête.
Vous pensez, Messieurs, si notre
chèvre était heureuse ! Plus de corde,
plus de pieu... rien qui l’empêchât
de gambader, de brouter à sa guise...
C’est là qu’il y en avait de l’herbe
! Jusque par-dessus les cornes, mes
chers !... Et quelle herbe ! Savoureuse,
fine, dentelée, faite de mille plantes...
C’était bien autre chose que le gazon
du clos. Et les fleurs donc !...
De grandes campanules bleues, des
digitales de pourpre à longs calices,
toute une forêt de fleurs sauvages
débordant de sucs capiteux !...
La chèvre blanche, à moitié soûle, se
vautrait là-dedans les jambes en l’air et
roulait le long des talus, pêle-mêle avec
les feuilles tombées et les châtaignes...
Puis, tout à coup, elle se redressait d’un
bond sur ses pattes. Hop ! La voilà
partie, la tête en avant, à travers les
maquis et les buissières, tantôt sur un
pic, tantôt au fond d’un ravin, là-haut,
finestra aperta, e non appena voltò le
spalle la piccola fuggì...
Ridete, signori? Perbacco! Lo credo
bene: voi siete dalla parte delle capre,
voi, contro il buon signor Seguin...
Vediamo se tra poco riderete ancora.
Quando la bianca capra arrivò in
montagna, fu un incanto generale.
Mai i vecchi abeti avevano visto una
creatura così bella. La si ricevette
come una piccola regina. I castagni
si abbassavano fino a terra per
accarezzarla con la punta dei loro
rami. Le ginestre dorate s’aprivano al
suo passaggio e spargevano tutto il
loro profumo. La montagna tutta le
fece festa.
Pensate, signori, quanto fosse felice la
nostra capretta! Non più corda, non
più palo... niente che le impedisse
di sgambettare e di brucare a
piacimento... Ne aveva in abbondanza,
di erba! Fin sopra le corna, cari miei!...
e che erba! Squisita, tenera, dentellata,
insomma di ogni genere... Tutt’altra
cosa che l’erbuccia del recinto.
E che dire dei fiori!... Grandi
campanule celesti, digitali rosso
porpora dai lunghi calici, tutta una
foresta di fiori di campo pieni di
succhi inebrianti!...
Mezza ubriaca, la capra bianca si
allungava a zampe all’aria e si rotolava
lungo i pendii, in mezzo alle foglie
cadute e alle castagne... Poi, di colpo
si rialzava sulle zampe. Hop! Eccola
partire a testa in avanti attraverso le
macchie e i cespugli, prima su un
picco, poi sul fondo di un burrone, in
alto, in basso, ovunque... Si sarebbe
detto che sulla montagna ci fossero
en bas, partout... On aurait dit qu’il y
avait dix chèvres de M. Seguin dans la
montagne.
C’est qu’elle n’avait peur de rien, la
Blanquette ! Elle franchissait d’un saut
des grands torrents qui l’éclaboussaient
au passage de poussière humide et
d’écume. Alors, toute ruisselant, elle
allait s’étendre sur quelque roche plate
et se faisait sécher par le soleil...
Une fois, s’avançant au bord d’un
plateau, une fleur de cytise aux dents,
elle aperçut en bas, tout en bas dans la
plaine, la maison de M. Seguin avec le
clos derrière. Cela la fit rire aux larmes.
- Que c’est petit ! dit-elle ; comment
ai-je pu tenir là-dedans ?
Pauvrette ! de se voir si haut perchée,
elle se croyait au moins aussi grande
que le monde...
En somme, ce fut une bonne journée
pour la chèvre de M. Seguin. Vers le
milieu du jour, en courant de droite et
de gauche, elle tomba dans une troupe
de chamois en train de croquer une
lambrusque à belles dents. Notre petite
coureuse en robe blanche fit sensation.
On lui donna meilleure place à la
lambrusque, et tous ces messieurs
furent très galants...
Tout à coup le vent fraîchit. La
montagne devient violette ; c’était le
soir...
- Déjà ! dit la petite chèvre ; et elle
s’arrêta fort étonnée.
En bas, les champs étaient noyés
de brume. Le clos de M. Seguin
disparaissait dans le brouillard, et de
la maisonnette on ne voyait plus que
le toit avec un peu de fumée. Elle
dieci capre del signor Seguin.
Non aveva paura di nulla, Blanquette!
Con un balzo superava grandi torrenti
che le spruzzavano polveri umide e
spumose. Allora correva grondante
a stendersi su una roccia piatta per
asciugarsi al sole...
Una volta, avanzandosi sul ciglio di
un altopiano con un fiore di citiso tra
i denti, scorse giù giù nella pianura la
casa del signor Seguin con il recinto
sul retro. Scoppiò a ridere fino alle
lacrime.
- Come è piccolo! disse; e come ho
potuto stare là dentro?
Poveretta! Nel vedersi appollaiata a
quell’altezza s’illudeva di essere grande
quanto il mondo...
Quella fu insomma una bellissima
giornata per la capra del signor
Seguin. Verso mezzogiorno, correndo
a destra e a manca, s’imbatté in
un branco di camosci intenti a
sgranocchiare una lambrusca a quattro
palmenti. La nostra piccola vagabonda
in abito bianco fece sensazione. Le si
riservò il posto migliore per mangiare
la lambrusca, e tutti quei signori
furono così galanti con lei...
D’un tratto il vento raffrescò. La
montagna divenne violetta. Era la
sera...
- Di già! disse la capretta; si fermò
come stupita.
Nella pianura i campi erano immersi
nella nebbia. Il recinto del signor
Seguin era ormai scomparso, e della
sua casetta si distingueva solo il
tetto e un filo di fumo. All’udire le
campanelle di un gregge che rientrava,
écouta les clochettes d’un troupeau
qu’on ramenait, et se sentit l’âme
toute triste... Un gerfaut, qui rentrait,
la frôla de ses ailes en passant. Elle
tressaillit... puis ce fut un hurlement
dans la montagne :
- Hou ! hou !
Elle pensa au loup ; de tout le jour la
folle n’y avait pas pensée... Au même
moment, une trompe sonna bien
loin dans la vallée. C’était ce bon M.
Seguin qui tentait un dernier effort.
- Hou ! hou !... faisait le loup.
- Reviens ! reviens !... criait la trompe.
Blanquette eut envie de revenir ; mais
en se rappelant le pieu, la corde, la haie
du clos, elle pensa que maintenant elle
ne pouvait plus se faire à cette vie, et
qu’il valait mieux rester.
La trompe ne sonnait plus...
La chèvre entendit derrière elle un
bruit de feuilles. Elle se retourna et
vit dans l’ombre deux oreilles courtes,
toute droites, avec deux yeux qui
reluisaient... C’était le loup.
il suo animo si rattristò... Un falco,
che tornava al nido, le passò di fianco
sfiorandola con le sue ali. Trasalì... poi
un ululato nella montagna:
- Uh! uh!
Le venne in mente il lupo. In tutto il
giorno la folle non ci aveva pensato...
Nello stesso momento, il suono di un
corno riecheggiò lontano lontano nella
vallata. Era il buon signor Seguin che
faceva un estremo tentativo.
- Uh! uh!... faceva il lupo.
- Torna! torna!... gridava il corno.
A Blanquette venne il desiderio di
tornare, ma rammentandosi il palo,
la corda, la siepe del recinto pensò
che ormai non poteva più adattarsi
a quella vita e che valeva la pena
rimanere.
Il corno non suonava più...
La capra udì dietro di sé un fruscio di
foglie. Si voltò e vide nell’ombra due
corte orecchie, tutte dritte, e due occhi
luccicanti... Era il lupo.
Enorme, immobile, assis sur son train
de derrière, il était là, regardant la
petite chèvre blanche et la dégustant
par avance. Comme il savait bien qu’il
la mangerait, le loup ne se pressait pas
; seulement, quand elle se retourna, il
se mit à rire méchamment.
- Ha ! ha ! la petite chèvre de M.
Seguin ! et il passa sa grosse langue
rouge sur ses babines d’amadou.
Blanquette se sentit perdue... Un
moment, en se rappelant l’Histoire de
la vieille Renaude, qui s’était battue
toute la nuit pour être mangée le
matin, elle se dit qu’il vaudrait peutêtre mieux se laisser manger tout de
suite ; puis, s’était ravisée, elle tomba
Enorme, immobile, seduto sulle
zampe posteriori, era lì, a fissare la
capretta bianca pregustandone il
sapore. Ben sapendo che se la sarebbe
mangiata, il lupo non aveva alcuna
fretta; soltanto, quando la capretta si
voltò, si mise a ridere con cattiveria.
- Ah! ah! la capretta del signor Seguin!
e si passò la sua grossa lingua rossa
sulle labbra.
Blanquette si sentì perduta... Per un
momento, ricordandosi la storia della
vecchia Renaude, che si era battuta
tutta la notte per essere mangiata il
mattino, si disse che forse sarebbe
stato meglio lasciarsi divorare subito;
ma poi si ricredette e si mise in
en garde, la tête basse et la corne en
avant, comme une brave chèvre de M.
Seguin qu’elle était... Non pas qu’elle
eût l’espoir de tuer le loup – les chèvres
ne tuent pas le loup –, mais seulement
pour voir si elle pourrait tenir aussi
longtemps que la Renaude...
Alors le monstre s’avança, et les petites
cornes entrèrent en danse.
Ah ! la brave chevrette, comme elle y
allait de bon coeur ! Plus de dix fois, je
ne mens pas, elle força le loup à reculer
pour reprendre haleine. Pendant ces
trêves d’une minute, la gourmande
cueillait en hâte encore un brin de sa
chère herbe ; puis elle retournait au
combat, la bouche pleine... Cela dura
toute la nuit. De temps en temps,
la chèvre de M. Seguin regardait les
étoiles danser dans le ciel clair, et elle
disait :
- Oh ! Pourvu que je tienne jusqu’à
l’aube...
L’une après l’autre, les étoiles
s’éteignirent. Blanquette redoubla
de coups de cornes, le loup de coups
de dents... une lueur pâle parut dans
l’horizon... Le chant d’un coq enroué
monta d’une métairie.
- Enfin ! dit la pauvre bête, qui
n’attendait plus que le jour pour mourir
; et elle s’allongea par terre dans sa belle
fourrure blanche toute taché de sang...
Alors le loup se jeta sur la petite chèvre
et la mangea.
Adieu, messieurs !
L’histoire que vous avez entendue n’est
pas un conte de mon invention. Si
jamais vous viendrez en Provence, nos
ménagers vous parleront souvent de la
cabro de moussu Seguin, que se battégue
touto la neui emé lou loup, e piei lou
matin lou loup la mangé.
guardia, testa bassa e corna avanti, da
quella brava capra del signor Seguin
che era... Non che sperasse di uccidere
il lupo – le capre non uccidono i
lupi –, ma solo per vedere se potesse
tenergli testa a lungo quanto la
Renaude...
Il mostro dunque s’avanzò, e le piccole
corna aprirono le danze.
Ah! coraggiosa capretta, quanto ci si
buttava! Più di dieci volte, vi assicuro,
costrinse il lupo a indietreggiare per
riprender fiato. Durante queste tregue,
che duravano un minuto, la golosona
strappava di fretta ancora un ciuffo
di quell’erba che le piaceva tanto e
poi tornava a combattere con la bocca
piena... Questo durò tutta la notte.
Ogni tanto, la capra del signor Seguin
guardava le stelle danzare nel cielo
chiaro e si diceva:
- Oh! Speriamo di resistere fino
all’alba...
L’una dopo l’altra, le stelle si spensero.
Blanquette raddoppiava le incornate,
il lupo i morsi... una pallida luce
comparve all’orizzonte... Il canto roco
di un gallo salì da una fattoria.
- Finalmente! disse la povera bestia,
che aspettava solo il giorno per morire;
e si stese per terra nella sua bella
pelliccia bianca tutta insanguinata...
Allora il lupo si gettò sulla capretta e
la divorò.
Addio, signori!
La storia che avete udito non l’ho
inventata io. Se mai verrete in
Provenza, i nostri fattori vi parleranno
sovente della capra del signor Seguin,
che si è battuta per tutta la notte con
il lupo, e poi, la mattina, il lupo se l’ è
mangiata.
Vous m’entendez bien, messieurs :
E piei lou matin lou loup la mangé.
Non? Vous ne voulez pas? Vous
prétendez rester libre à votre guise
jusqu’au bout... rester libre à votre
guise... rester libre !
Mi avete inteso bene, signori:
E poi, la mattina, il lupo se l’ è
mangiata.
Ah no? Non volete? Pretendete di
rimanere liberi a vostro piacimento
fino alla fine... rimanere liberi a vostro
piacimento... rimanere liberi!
(traduzione di Cesare Mancini)
l’arlésienne
(Il testo in corsivo è recitato sulla musica)
n. 1 - ouverture
Si chiamava Frédéri. Era un bravissimo contadino di vent’anni, giudizioso come
una ragazza, forte e dal viso aperto. Era bellissimo e le donne lo guardavano.
Nella sua testa però c’era una sola donna, una graziosa arlesiana tutta velluti e
merletti, conosciuta un giorno sulla Lice di Arles.
All’inizio, questa storia non piaceva a nessuno. La ragazza passava per essere una
civetta e poi i suoi genitori erano forestieri. Ma Frédéri voleva la sua Arlesiana, a
tutti i costi.
“Morrò se non me la danno”, diceva.
Non ci fu modo di convincerlo altrimenti. Le nozze si sarebbero celebrate dopo
la mietitura.
Una domenica sera la famiglia di Frédéri stava finendo di cenare nella corte.
Fuori della porta il vecchio pastore Balthazar era rimasto a fumare, in compagnia
del ragazzo piu giovane, Janet, che tutti chiamavano ‘l’innocente’ perché la sua
mente s’era fermata alla prima infanzia.
Padron Francet apparve sulla porta. Era visibilmente preoccupato per quel
matrimonio e desiderava parlarne col vecchio pastore:
“Mia figlia Rose non voleva ch’io ti dicessi nulla prima che tutto fosse deciso disse a Balthazar -, ma non mi pare che tra noi debbano esserci segreti... e poi non
mi dispiacerebbe sapere il tuo parere.”
ATTO PRIMO
n. 2 - melologo
“Raccontami che fece il lupo alla capra del Signor Séguin. - chiese Janet, l’innocente.
- Raccontamelo un’altra volta.”
“Lascia stare, Balthazar…” disse Patron Francet, ma il vecchio Balthazar aveva già
cominciato a raccontarla, la solita storia.
In quel momento Rose uscì dalla porta e, lanciando un’occhiata distratta
all’innocente, chiese: “Badi tu al ragazzo, Balthazar?”
“Certo, padrona. Andate pure di là. Ci penso io...” rispose il pastore.
n. 3 - melologo
“Povero innocente... - pensò tra sé il pastare - Vorrei sapere chi si occuperà di lui,
quando io non sarò più qui. Non hanno occhi che per suo fratello.”
“Raccontami cos’ha fatto il lupo alla capra del Signor Séguin”, continuava a chiedere
Janet.
n. 4 - melologo
“Da un po’ di tempo mi sembra che in quel piccolo cervello qualcosa si stia muovendo,
come nel bozzolo del baco da seta, quando sta per uscire la farfalla. Si sveglierà questo
bambino, sono sicuro che si sveglierà!”, pensava fiducioso Balthazar.
Quella domenica stavano tutti ancora a tavola. Era stato quasi un pranzo di nozze.
La fidanzata non c’era, ma tutti avevano bevuto alla sua salute...
A quel pranzo era invitata anche Vivette, la dolce e timida nipote della vecchia
signora Renaud, quella che viveva dall’altra sponda del Rodano. Vivette era la
figlioccia di Rose e da sempre frequentava quella casa.
Si era innamorata di Frédéri quando era solo una bambina. Un amore inconfessato.
Ma Rose se n’era accorta, e se n’era accorto anche l’innocente, che l’aveva vista
mentre baciava di nascosto il ritratto del giovane amato.
“Povera piccola Vivette - pensò il vecchio Balthazar, continuando a fumare sulla
porta della fattoria. - Sarà infelice per la vita. Amare in silenzio e soffrire... è il suo
destino. Come sua nonna Renaud...”
Fu allora che un uomo si presentò al cancello.
Balthazar alzò la testa e lo vide: “cosa vuole quest’uomo?”, pensò.
n. 5 - melologo
“Dite, pastore, è questa la fattoria di Castelet?”
“Sembra proprio di sì.” rispose Balthazar.
“C’è il padrone?”
“È a tavola, entrate.”
“No, non entro. Chiamatelo fuori.”
“Strana cosa.” - pensò il vecchio pastore, e, continuando a fumare, chiamò – “Padron
Francet!”
“Che c’e?”
“Un uomo ti vuole parlare.”
“E perché non viene dentro? - chiese Francet, uscendo. - Avete paura che il tetto vi cada
in testa?” - disse allo sconosciuto.
“Mi chiamo Mitifio, padrone. So che volete far sposare vostro nipote con una
poco di buono che per due anni è stata la mia amante.
Posso dimostrare quello che dico. Ecco: le lettere sono qua!
I suoi genitori sapevano tutto di noi e me l’avevano promessa in sposa. Ma da
quando vostro nipote si è intestardito a volerla né lei né loro hanno più voluto
saperne di me.
Con quello che è passato tra noi, non avrei mai pensato che potesse diventare la
donna di un altro.”
n. 6 - melologo
“Tranquillizzatevi. - disse con tono grave patron Francet Non saremo certo noi a togliervela… Venite piuttosto a bere un bicchiere, la strada
per tornare è lunga.”
“Grazie, ma i dispiaceri mi hanno tolto la sete.”
E, come era venuto, se ne andò.
“La donna è come la tela… non la si deve scegliere al lume di candela”, mormorò
gravemente Balthazar, mentre appariva sulla porta Frédéri, con un sorriso
stampato in viso ed un bicchiere in mano:
“Nonno, venite dentro! Altrimenti berremo senza di voi… Andiamo, vecchio,
brindiamo aIl’arlesiana!”
“No, ragazzo mio... getta subito il bicchiere…. questo vino ti avvelenerebbe!”
“Cosa dite, nonno?”
“Dico che quella donna è l’ultima di tutte e che, per rispetto di tua madre, il suo nome
non deve più essere pronunciato qui. Leggi!”
E, così dicendo, gli porse le lettere.
Frédéri non parlò più dell’Arlesiana. Però l’amava sempre e più che mai, ma era
troppo fiero per parlarne con chiunque.
A volte passava giorni interi in un angolo senza muoversi, altre volte andava nei
campi facendo da solo il lavoro di dieci braccianti.
Quando veniva sera prendeva la strada di Arles e camminava fino a quando non
scorgeva di lontano, nella luce del tramonto, gli esili campanili della città e solo
allora tornava indietro.
ATTO SECONDO
n. 7 - pastorale (intermezzo e coro)
Un giorno Frédéri non tornò a pranzo dai campi.
Sua madre Rose andò a cercarlo fin sulle rive dello stagno di Vaccarès, dove
sperava di trovarlo con suo fratello, lo zio Marc, che era andato a caccia.
Prese con lei la figlioccia Vivette.
Ma il ragazzo non era con lo zio e l’ansia di Rose crebbe a dismisura.
“Non tormentatevi così, madrina. - diceva Vivette - Avete le mani fredde.”
“Vorrei che le dighe del Rodano crollassero e che le acque portassero via la città di
Arles con tutti quelli che ci sono dentro.”
“Pensa ancora a quella ragazza?” chiese Vivette.
“Se ci pensa… si tormenta!”
“Eppure non ne parla mai.”
“È troppo orgoglioso” affermò Rose.
“Come fare, allora, per strappare quella donna dal suo cuore?”
“Ci vorrebbe... un’altra donna! - disse Rose - Una creatura buona... onesta...
coraggiosa… come te. Tu l’ami, tu sei bella. Va’! Va’ da lui, cercalo, portalo con
te. È una madre che te lo chiede. Va’!”
E guardando Vivette allontanarsi, pensò:
“Fossi io al tuo posto, saprei come fare.”
n. 8 - andantino
“Allora, padrona, l’avete trovato?”
Era Balthazar col suo gregge e con l’innocente, che avanzavano lungo la sponda
dello stagno.
“No - rispose mamma Rose - forse è andato alla fattoria dei Giraud” e prese il
braccio del ragazzo per portarlo via con sé.
“No, mamma, voglio stare qui.”
“Lasciatelo con me - disse Balthazar - ve lo rimanderò a sera.”
“Questo ragazzo vuole più bene a te che a noi”
“Non è colpa sua. È che il ragazzo si sente un po’ abbandonato.”
“Abbandonato? Cosa vuoi dire? Abbandonato! Gli manca forse qualcosa?” disse
Rose, infastidita.
“Gli manca un po’ di tenerezza. Lui ne ha diritto almeno quanto suo fratello. Ve
l’ho sempre detto, padrona.”
“Peccato che tu non sia un prete. Predicheresti bene. Addio.”
Poi Rose salutò suo figlio, l’innocente, abbracciandolo e tenendolo stretto stretto.
n. 9 - allegretto
Rimasti soli, Janet tirò per la manica Balthazar, e, felice, gli mormorò: “Mi ha
abbracciato forte forte”.
“Povero ragazzo - disse tra sé Balthazar - non era per te quell’abbraccio.”
Ma l’innocente si era messo a correre spensierato, verso lo stazzo dove a sera
sarebbero state rinchiuse le pecore.
Alla porta dello stazzo si arrestò di colpo.
“Ah! - cacciò un grido - Frédéri! È qui dentro.”
n. 10 - melologo
“Cosa fai lì, ragazzo?” chiese sopraggiungendo Balthazar.
“Niente” rispose Frédéri.
“Non hai sentito tua madre che ti chiamava?”
“Sì, l’ho sentita, ma non ha voluto rispondere.”
Balthazar si avvicinò con tenerezza.
“Conosco il tuo male. L’ho avuto anch’io.
Conosco il tormento di doversi dire: io devo vietarmi di amare la donna che amo.
Sai, avevo vent’anni. La casa in cui servivo non era lontana da qui, sull’altra
sponda del Rodano.
La moglie del padrone era bella e io me ne innamorai...
No, non parlammo mai d’amore. Solo qualche volta lei veniva a sedersi di fronte
a me e sorrideva, guardandomi in viso.
Poi un giomo mi disse: ‘Pastore, vattene via, perché adesso sono sicura di amarti’.
lo me ne andai. E non la vidi più.
E dopo tanti anni, vedi, le lacrime spuntano ancora nei miei occhi quando parlo
di lei.
Ma è cosi. Sono contento. Ho fatto il mio dovere. Adesso tocca a te fare il tuo.
Ora dammi le lettere, quelle che rileggi giorno e notte e che ti avvelenano il
sangue.”
“Tu dimmi il nome di quell’uomo ed io te le darò.” rispose il ragazzo.
“Cosa ti serve saperlo?”
“Non vuoi dirmelo? Allora le tengo per me - disse con amarezza Frédéri - Se il suo
amante le rivuole è a me che dovrà chiederle!”
n. 11 - coro e melologo
“Va bene - disse amareggiato il vecchio Balthazar - Ora è tardi, bisogna far rientrare
le pecore. Aspettami qui, innocente.”
Frédéri tirò fuori dalla tasca le lettere.
“Tutti gli innamorati hanno le loro lettere d’amore. - disse tra le lacrime - Io ho
le mie...
n. 12 - melologo
“Io mi sono data a te con tutta me stessa... Oh Dio!”
“Lascia perdere quelle storie cattive...” - Era Janet l’innocente, che si era avvicinato
e ora con dolcezza parlava al fratello maggiore.
“Te ne racconto io una più bella:
Dunque, c’era una volta... c’era una volta... ricordare le parole mi stanca… e
allora...”
n. 13 - melologo
“E allora la capretta combatté tutta la notte, e al mattino… al mattino… il lupo se
la mangiò.”
“Povero ragazzo, è già finita la tua storia? - pensò Frédéri - guarda, s’è addormentato
mentre la raccontava.”
“Vorrei dormire anch’io, come te. Ma non posso. Tutto mi parla di lei, tutto
m’impedisce di dimenticarla. Anche allora, l’ultima volta che l’ho vista, era una
serata come questa, l’innocente s’era addormentato sulle mie ginocchia, lei era
alle mie spalle e mi ha chiamato per nome...”
“Frédéri!” ll ragazzo si voltò di scatto.
Ma era Vivette, adesso, a chiamarlo. Vivette che era lì per portarlo a casa, come le
aveva chiesto mamma Rose, che sapeva bene che Frédéri non l’amava, ma avrebbe
fatto qualunque cosa per la sua serenità.
“Mi hai fatto male.” le disse il ragazzo, e scappò via furente, lasciando Vivette in
lacrime.
“Chi piange?” chiese Rose, sopraggiungendo nella sera.
“È Vivette.” rispose l’innocente, che in quel momento si era risvegliato.
“Dov’è Frédéri‘?”
“È fuggito, madrina.” disse Vivette affranta.
All’improvviso un colpo d’arma da fuoco si sentì da lontano.
Ma era lo zio Marc che sparava agli uccelli.
n. 14 - melologo
“Ho paura, madrina!” confessò Vivette.
“Anche tu hai paura? - disse Rose - Anche tu la pensi come me... Vedi anche tu che
bisogna fare qualcosa. Non posso più vivere in questo modo.”
ATTO TERZO
n. 15 - intermezzo
Vedendolo triste e solo la gente della fattoria non sapeva che fare. Temevano una
pazzia.
A tavola, la madre, guardandolo con gli occhi pieni di lacrime, gli disse: “Frédéri,
se proprio la vuoi, te la daremo…”
Ma Frédéri fece di no con la testa mentre patron Francet rimaneva immobile,
rosso per la vergogna, a testa bassa.
“No, mille volte no - disse ad alta voce Frédéri - la donna a cui darò il vostro nome
ne sarà degna, ve lo giuro.
Tu, Vivette, un giorno mi dicesti: ‘il male che una donna ti ha fatto, una donna
potrà guarire.’ Vuoi essere tu, quella donna?”
La ragazza arrossì. “Rispondetegli voi per me, madrina.” pregò con un fil di voce.
A quelle parole il vecchio Balthazar si alzò e corse ad abbracciare con forza il
ragazzo:
“Dio ti benedica per la gioia che mi dai.”
n. 16 - intermezzo
Da quel giorno Frédéri cambiò vita. Finse di essere contento.
Lo si rivide ai balli, all’osteria, alle ferrades, alle sagre.
Padron Francet diceva contento: “È guarito”.
Le stagioni passavano.
ATTO QUARTO
n. 17 - intermezzo (minuetto)
E venne la festa del patrono dei fattori, Sant’Eligio.
n. 18 - intermezzo (carillon)
Quella sera a Castelet tutto era pronto per la festa di fidanzamento.
Frédéri e Vivette sarebbero stati sposi.
E alla festa non poteva mancare la nonna della futura sposa, la vecchia Renaud,
quella che abitava sull’altra sponda del Rodano.
Aveva passato il fiume por la prima volta dopo tanti anni.
n. 19 - melologo
“Eccola dunque, ancora una volta, la vecchia fattoria di Castelet...
Lasciate che la guardi un poco, ragazzi miei…” pregò la vecchia Renaud.
“La riconoscete?” chiese Frédéri.
“Certamente. Lì ci sono i fienili, là la stanza dei bachi da seta, qui il pozzo... È
possibile che il legno e la pietra mi commuovano così…”
“Buon giorno, mamma Renaud” disse lo zio Marc.
“Chi è questo bel signore?” chiese la nonna.
“È mio fratello.” rispose Rose.
“Come mi fa piacere rivedere tutte queste cose... dopo tanto tempo... dal tempo del tuo
matrimonio, Francet.”
“Aspettate! - disse lo zio Marc, preparando tutti alla sorpresa - Mamma Renaud, lo
conoscete quello lì? Credo che sia dei vostri tempi.”
“Dio mio - disse Renaud tremante - ma è Balthazar.”
“Dio vi assista, Renaud. - sussurrò il vecchio, e continuò - Perdonate, è colpa mia.
Sapevo che sareste venuta. Non sarei dovuto restare.”
“Perché? - rispose Renaud, con un sorriso - Per mantenere il nostro giuramento? Dio
non ha voluto che morissimo senza rivederci, per questo ha messo l’amore nei cuori di
questi due ragazzi. In fondo doveva ricompensarci per il nostro coraggio.”
“È vero, ce n’è voluto di coraggio. Quante volte vedevo il fumo dal comignolo della
vostra casa, e sembrava un invito: Vieni! È là.”
“Ed io, quando ti vedevo da lontano, stretto nel tuo mantello, dovevo farmi forza per
non correrti incontro! Ma finalmente la nostra pena è finita e possiamo guardarci in
faccia senza arrossire.
Balthazar, non avrai mica vergogna ad abbracciarmi adesso, così vecchia e avvizzita
dal tempo?”
“Ah, Renaud.” sospirò il vecchio pastore.
“Allora stringimi forte sul tuo cuore, mio buon uomo. Sono cinquant’anni che ti devo
questo bacio d’amicizia.”
“Vivette, ti amo.” disse allora Frédéri.
“Davvero?” chiese timida Vivette.
“E quell’altra? Quella che ti ha fatto tanto soffrire… Pensi ancora a lei?”
“Io penso solo a te - rispose Frédéri - Vuoi che te lo giuri? Tu sei sola nel mio
cuore... Il passato non esiste più!”
“Allora perché tieni ancora quelle lettere con te?”
“Le lettere? Non le ho più. Balthazar è andato a restituirle stamattina. Adesso, se
ti dico che ti amo mi crederai?”
“Dimmelo, e vedremo!”
n. 20 - andante moderato
Al calar della sera Mitifio tornò a Castelet. Rivoleva le sue lettere.
Balthazar si stupì di vederlo.
“Cosa fate qui? - disse - Le lettere sono al sicuro nelle mani di vostro padre.”
“Grazie - rispose Mitifio - ma non lo sapevo. Manco da casa da due giomi. Mi
sono fermato ad Arles”.
“Allora la vostra storia dura ancora?” chiese il pastore.
“Sempre. - rispose Mitifio - Ma non resisto più a vivere come un ladro, a
nascondermi di giorno per arrivare a lei di notte. Quest’orribile vita di menzogne
e malefatte sta per finire.”
“La sposate?” domandò Balthazar.
“No, la rapisco.”
Fu allora che, uscendo dalla porta, Frédéri lo vide per la prima volta. “È lui!”
pensò.
“Che bisogno avevi di venire qui a rammentarmi di lei? Tu, contadino come me,
vieni qui, appena uscito dal suo letto e con i suoi baci ancora sulla bocca.”
n. 21 - melologo e coro (faràndola)
“E adesso te ne andrai per il mondo abbracciato alla tua amante, mentre in questa
casa altre donne dovranno piangere.
Ma non sarà così.
Difenditi, bandito. Difenditi, che ti ammazzo. Non voglio morire da solo.” gridò
Frédéri mentre afferrava un martello e lo roteava in aria.
“Cosa fai, sciagurato?” chiese accorrendo il vecchio Balthazar, e gli afferrò il braccio
con tutta la forza.
“No, lasciami… prima lui, poi la sua arlesiana.”
“Andatevene, signore, per amor del cielo.” gridò Vivette.
“Vattene - disse il pastore - Le lettere sono a casa tua, le ho date a tuo padre.”
“Fermatelo!” urlò Frédéri, cercando di liberarsi dalla stretta del vecchio, mentre
Mitifio s’allontanava in silenzio.
“Calmati, Frédéri.” - disse Vivette, in lacrime - sta arrivando tua madre.”
“Cosa è successo? Cosa sono tutte queste grida?” disse Rose, spaventata.
“Niente! È la faràndola, madrina, solo la faràndola.”
ATTO QUINTO
n. 22 - intermezzo
La festa di Sant’Eligio continuò, tra fiumi di Château-Neuf e vino cotto come se
piovesse.
E ancora petardi e fuochi d’artificio tra gli alberi carichi di lanterne.
“Viva Sant’Eligio!” gridavano tutti. Si ballò la faràndola fino a non reggersi in
piedi.
n. 23 - coro
A mezzanotte andarono a dormire.
Rose era divorata dalla paura.
Frédéri dormiva con Janet, l’innocente, vicino alla stanza dei bachi da seta.
La madre si era fatta mettere un letto vicino alla loro camera… I bachi possono
aver bisogno di qualcuno, di notte...
“Essere madre è l’inferno… - pensava tra sé - Quel ragazzo! Sono stata sul punto
di morire quando l’ho messo al mondo. Poi è stato malato per tanti anni. A
quindici anni ha avuto una ricaduta tremenda. L’ho salvato quasi per miracolo...
E adesso che ne ho fatto un uomo, così forte, bello, onesto, adesso non pensa che
a togliersi la vita, e per difenderlo da sé stesso sono costretta a vegliare davanti alla
sua porta, come quando era piccolo.
Ma la tua vita è mia, cattivo ragazzo. Io te l’ho data, te l’ho restituita venti volte.
Lo sai tu che c’è voluta tutta la mia gioventù per fare i tuoi vent’anni.
E adesso vuoi distruggere l’opera mia.
Quello che ho fatto per lui adesso lui dovrebbe farlo per me.
Povere madri: siamo davvero da compiangere.
Diamo tutto e non riceviamo niente.
Siamo noi le amanti che vengono sempre abbandonate. E siamo le sole fedeli.”
n . 24 - coro
Un rumore la fece sobbalzare.
“Chi è là?”
“Silenzio, mamma. - era l’innocente - Frédéri s’è addormentato. Va’ a letto anche
tu, dormi tranquilla… stanotte non succederà nulla.”
“Allora tu sai...” disse Rose incredula.
“So che mio fratello ha un grande dolore e tu mi fai dormire con lui perché non
gli succeda qualcosa di male... Così io dormo con un occhio solo.”
n. 25 - melologo
“Perché mi guardi così, mamma… Ti stupisci che io veda le cose e ci ragioni? Eppure
Balthazar lo diceva: ‘Si sveglia, si sveglia...”
“È possibile? Il mio povero innocente…” diceva Rose.
“Il mio nome è Janet, mamma. Non ci sono più innocenti in questa casa.”
“Non ci sono più innocenti… Taci, non dirlo!”
“Ma perché, mamma?”
“Nulla, perdonami figlio mio, sto impazzendo... il pastore, con le sue storie...
Vieni, figlio mio, lascia che ti guardi… Mi sembra di non averti mai visto... come se
tu fossi un altro figlio che m’arriva... Ma lo sai che somigli a Frédéri? C’è una luce nei
tuoi occhi, ora...”
“Sì, mamma, credo di essermi proprio svegliato... Ma ora ho tanto sonno e vado a letto
perché non mi reggo in piedi. Mi abbracci ancora una volta, mamma?”
“Figlio mio! Te ne devo tante di queste carezze.”
“Ecco, non ci sono più innocenti in questa casa... Ma forse questo porta sventura...
No, Dio mio, cosa sto dicendo? Io non merito la felicità che mi sta arrivando...
No, non è possibile. Dio non può renderrni un figlio per togliermene un altro!”
Si alzò, gettò lo sguardo all’immagine della Madonna che stava sul muro e
appoggiò l’orecchio alla porta della camera dei ragazzi.
n. 26 - melologo
“Tutto è calmo… dormono entrambi.”
Ma già da un po’ Frédéri non dormiva più. Disteso, con gli occhi aperti, pensava:
“Ecco il giorno.
Sarà come nella storia del pastore.
La capretta ha combattuto tutta la notte ed al mattino… al mattino...
È terribile. L’immagine di lei è sempre davanti ai miei occhi.
La vedo tra le braccia di quell’altro. L’attira a sé, la stringe…
Visione maledetta, ti strapperò dai miei occhi.”
All’alba, la madre udì qualcuno attraversare di corsa la stanza.
“Sei tu, Frédéri? Rispondimi!”
A tastoni, con le mani tremanti cercò il chiavistello della porta. Era chiusa.
“Aprimi! Apri a tua madre!
Cosa vuoi fare?... Allora prendimi e portami con te, voglio morire con te”.
Una finestra si aprì. Un corpo cadde sul selciato del cortile.
Nient’altro.
All’alba di quel giomo la gente del villaggio si chiedeva chi stesse gridando, laggiù,
dalle parti della fattoria di Castelet.
Là, nel cortile, davanti alla tavola di pietra coperta di rugiada e di sangue, stava la
madre nuda col figlio morto tra le braccia.
n. 27 - finale
Orchestra della Toscana
Violini primi
Andrea Tacchi *
Daniele Giorgi *
Paolo Gaiani **
Francesco Di Cuonzo
Oboe
Alessio Galiazzo *
Violini secondi
Chiara Morandi *
Gabriella Colombo **
Chiara Foletto
Saxofonoo
Alda Dalle Lucche *
Viole
Stefano Zanobini *
Pier Paolo Ricci **
Alessandro Franconi
Violoncelli
Luca Provenzani *
Augusto Gasbarri **
Stefano Battistini
Ilaria Sarchini
Giovanni Simeone
Clarinetto
Marco Ortolani *
Fagotti
Paolo Carlini *
Riccardo Papa
Corni
Andrea Albori *
Paolo Faggi *
Timpani
Morgan M.Tortelli *
Pianoforte
Sara Danti *
Contrabbassi
Gianpietro Zampella *
Luigi Giannoni **
* prime parti
** concertino
Flauti
Fabio Fabbrizzi *
Claudia Bucchini
Ispettore d’orchestra e Archivista
Alfredo Vignoli
Polifonici Senesi
Soprani
Giulia Rosa Centini
Patrizia Marega
Cristiana Castaldo
Barbara Checcacci
Sandra Panzani
Francesca Carli
Silvia Paghi
Caterina Pavese
Gabriella della Valle
Anna Dollazza
Elena Mariani
Contralti
Valeria Indice
Inge Lise Rassmussen
Lisa Nonken
Clelia Manna
Alessandra Gistri
Svetlana Sidorenko
Roberta Mancini
Cecilia Fondelli
Tenori
Giovanni Ceccherini
Michele Bocci
Reiner Wagner
Damiano Pecchioli
David Walthall
Luca Petrangeli
Bassi
Jeff Shapiro
Umberto Massarizzi
Riccardo Fralassi
Francesco Stori
Nicola Sodi
Marco Angius
Marco Angius è un direttore di riferimento per il repertorio moderno e contemporaneo.
Dopo aver concluso gli studi musicali a Roma e quelli universitari a Bologna poco più che
ventenne, si dedica inizialmente alla direzione d’ensemble fondando il gruppo Algoritmo
con cui vince il Premio del Disco Amadeus per l’incisione di Mixtim di Ivan Fedele
(Stradivarius, 2007), quindi debutta con l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai di
Torino (che dirige regolarmente fin dall’edizione Rai Nuova Musica del 2006), Maggio
Musicale Fiorentino, Teatro La Fenice, Teatro Comunale di Bologna, Orchestra della
Toscana, Orchestre de Nancy, Teatro Petruzzelli, Orchestra Giuseppe Verdi di Milano, I
Pomeriggi Musicali, Orchestra della Svizzera Italiana, Orchestre de Chambre de Lausanne,
Orchestra di Padova e del Veneto...
Nel 2012 debutta con l’Ensemble Intercontemporain alla Cité de la musique di Parigi
e con la Tokyo Philharmonic all’Opera City di Tokyo. È stato invitato da festival quali
Biennale di Venezia, MiTo, Milano Musica, Warsaw Autumn Festival, Ars Musica di
Bruxelles, Biennale Zagreb, deSingel di Anversa (con l’Hermes Ensemble di cui è
principale direttore ospite), Traiettorie, Romaeuropa Festival, Royal College of Music,
Accademia Musicale Chigiana…
Nella ricca produzione discografica spiccano opere di Salvatore Sciarrino (Luci mie traditrici
per Stradivarius/Euroarts, Le stagioni artificiali, Studi per l’intonazione del mare, Cantiere
del poema, Cantare con silenzio), Ivan Fedele (Mixtim e Mosaîque), Giorgio Battistelli
(L’Imbalsamatore con l’Ensemble Icarus), Michele dall’Ongaro (Checkpoint, Orchestra di
Padova/Ex Novo Ensemble), Nicola Sani (In red, Stradivarius 2014), oltre autori più
storici come John Cage (Imaginary landscapes e Sixteen dances), Franco Evangelisti (Die
Schachtel), Arnold Schönberg (Pierrot lunaire con l’Ensemble Prometeo)...
Marco Angius è autore di numerosi saggi e scritti sulla musica contemporanea tra cui i
libri Come avvicinare il silenzio (La musica di Salvatore Sciarrino, Rai Eri 2007), Del suono
estremo (Una collezione di musica e antimusica, Aracne 2014) e Ali di Cantor (La musica
di Ivan Fedele, Suvini Zerboni 2011).
Tra le produzioni più recenti: Aspern di Sciarrino (Teatro La Fenice), Jakob Lenz di Rihm e
Don Perlimplin di Maderna (entrambi col Teatro Comunale di Bologna), L’Imbalsamatore
di Giorgio Battistelli (con l’Ensemble dell’Accademia Teatro alla Scala), La chute de
la maison Usher di Ivan Fedele (Anversa, Luxembourg Philharmonie e Amsterdam
Muziekgebouw), L’Italia del destino di Luca Mosca e La Metamorfosi di Silvia Colasanti al
Maggio Musicale Fiorentino, La volpe astuta di Janáček (Accademia Nazionale di Santa
Cecilia), Il diario di Nijinsky di Detlev Glanert (2009). Intensa l’attività con l’ensemble
Giorgio Bernasconi dell’Accademia Teatro alla Scala, giovane e prestigiosa formazione
che dirige stabilmente dal 2011 e con cui inaugurerà la prossima stagione della Società
del Quartetto di Milano (Nona Sinfonia di Mahler). Tra gli impegni in corso, la
monumentale esecuzione e incisione integrale dell’Arte della fuga di Bach orchestrata da
Hermann Scherchen con l’Orchestra di Padova e del Veneto, una nuova produzione di
Gianni Schicchi di Puccini e Alfred, Alfred di Donatoni col Teatro Sperimentale di Spoleto,
le musiche di scena per L’Arlésienne di Bizet con l’Orchestra della Toscana e Chiara Muti,
Risonanze erranti di Luigi Nono al Teatro Farnese con l’Ensemble Prometeo di Parma.
Chiara Muti
Studia alla Scuola d’Arte Drammatica Paolo Grassi e perfeziona i suoi studi alla Scuola del
Piccolo Teatro di Milano fondata e diretta da Giorgio Strehler. Attrice cantante e regista,
debutta in teatro nel 1995 nel ruolo di Euridice nell’Orfeo di Claudio Monteverdi per la
regia di Micha van Hoecke. Con il coreografo e regista belga instaura un legame artistico
che la vedrà interprete e co-autrice di tre nuove creazioni presentate in prima assoluta al
Festival di Ravenna: Pèlerinage del 1997; Salomè del 2008, su testi di Oscar Wilde e Le
Baccanti del 2009, su testi di Euripide. Fruttuosa la sua collaborazione con il compositore
Azio Corghi per il quale è interprete principale in tre nuove composizioni: Pia, del 2005,
su testi di Marguerite Yourcenar con la regia di Valter Malosti per il Teatro dell’Opera
di Roma; Il Dissoluto Assolto, del 2006, su testi di José Saramago con la regia di Andrea
De Rosa per il Teatro Nacional de São Carlos di Lisbona e Giocasta, del 2009, su testi
di Maddalena Mazzocut-Mis con la regia di Riccardo Canessa per il Teatro Olimpico
di Vicenza. Nel 1996 è Tatiana in Eugene Onegin di Puškin su musiche di Prokof ’ev
per l’Accademia Chigiana di Siena. Nel 2000 è Jeanne d’ Arc au Bucher di Honegger
per il Festival di Spoleto. Nel 2007 è Marie Galante di Kurt Weill per la regia di Joseph
Rochlitz, opera presentata in prima assoluta in Italia al Teatro dell’Opera di Roma, e
interpreta Sherazade nel concerto-spettacolo Le Due Lune diretto da Damiano Giuranna
per il Parco della Musica di Roma e il Teatro Nazionale di Algeri.
Nel 2008, tra le altre cose, dà voce ai canti di Dante Alighieri sulla Dante Symphonie
di Franz Liszt diretta da Vittorio Bresciani per la Sagra Musicale Umbra di Perugia.
Sempre nel 2008 è interprete di Passiuni, opera su musiche e testi di Giovanni Sollima
con l’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini diretta da Riccardo Muti per il Festival di
Ravenna. Nel 2009 è interprete del melologo Le Martyre de Saint Sébastien di Debussy su
testi di Gabriele D’Annunzio con l’Orchestra National de Montpellier diretta da Alain
Altinouglou.
Dal 2002 lavora a stretto contatto con lo scrittore e regista Ruggero Cappuccio per il
quale è interprete principale nell’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto, in tournée in
alcuni festival in Italia, in Desideri mortali, del 2008, per il Teatro Massimo di Palermo e
in Natura Viva, del 2010, su musiche composte da Marco Betta per il Maggio Musicale
Fiorentino.
Si impegna anche in molti lavori di musica da camera. Per il teatro di prosa è stata, nel
1995, Angelique ne La Madre Confidente di Mariveaux accanto a Valeria Moriconi per la
regia di Franco Però. Nel 1996 è Giulia in Liliom di Ferenc Molnar per la regia di Gigi
dall’Aglio e Coro in Medea di Euripide per la regia di Marco Bernardi. Nel 1997 è Ifigenia
ne Le Erinni di Paolo Quintavalle e nel 1998 è Lady Macbeth in Macbeth Clan scritto e
diretto da Angelo Longoni per il Piccolo Teatro di Milano. Nel 2001 è la Figliastra nei
Sei personaggi in cerca d’autore di Luigi Pirandello per la regia di Maurizio Scaparro. Nel
2004 è Francesca da Rimini e nel 2005 è Teresa Guiccioli in Ridono i Sassi ancor della
Città, spettacoli su testi di Nevio Spadoni e musiche di Luigi Ceccarelli, per la regia di
Elena Bucci. Dal 2004 al 2006 è Antigone ne L’Antigone di Sofocle di Bertolt Brecht per
la regia di Federico Tiezzi.
Intensa la sua attività cinematografica. Nel 1997 debutta con Onorevoli Detenuti di
Giancarlo Planta. Seguono nel 1998 Il Guardiano di Egidio Eronico e La Bomba di
Giulio Base. Nel 1999 recita in Rosa e Cornelia di Giorgio Treves, La Via degli Angeli
di Pupi Avati, Il Partigiano Johnny di Guido Chiesa. Nel 2000 Come Se Fosse Amore di
Roberto Burchielli. Nel 2003 Il Sorriso dell’Ultima Notte di Ruggero Cappuccio, nel 2005
Musikanten di Franco Battiato. Nel 2006 Zeus di Carlo Sarti e nel 2007 Rien Ne Va Plus
di Ruggero Cappuccio.
Per la televisione lavora nel 1997 a La Casa Bruciata di Massimo Spano e nel 2004 a I
Racconti di Carofiglio di Alberto Sironi.
Come regista debutta nel 2007 con due spettacoli di cui è anche autrice e attrice: Il Regno
di Rucken per il Teatro Comunale di Salerno e Il Sogno di Ludwig per il Ravello Festival,
accanto al pianista Paolo Restani.
Nel 2010 mette in scena Cardo Rosso su testi di Maddalena Mazzocut-Mis e musiche
composte ed interpretate da Giovanni Sollima.
Chiara Muti ha ricevuto nel 1996 il Premio Anna Magnani e nel 1997 ha ricevuto il
Premio Eleonora Duse, conferitole dalla critica teatrale italiana come miglior attrice
giovane. Nel 1999 vince la Grolla d’Oro come migliore attrice per il film Rosa e Cornelia.
Nel 2012 debutta nella regia d’opera con Sancta Susanna di Hindemith, diretta da
Riccardo Muti per il Ravenna Festival. Nel 2013 è stata invitata dal Teatro dell’Opera di
Roma per una nuova produzione di Dido and Aeneas di Purcell alle Terme di Caracalla
e dall’Opéra National de Montpellier per una nuova produzione di Orfeo ed Euridice di
Gluck.
Orchestra della Toscana
L’Orchestra della Toscana si è formata a Firenze nel 1980 per iniziativa della Regione
Toscana, della Provincia e del Comune di Firenze. Nel 1983, durante la direzione artistica
di Luciano Berio, è diventata Istituzione Concertistica Orchestrale per riconoscimento
del Ministero del Turismo e dello Spettacolo. Attualmente la direzione artistica è affidata
a Giorgio Battistelli, succeduto ad Aldo Bennici, uno dei padri fondatori dell’ORT.
Composta da 45 musicisti, che si suddividono anche in agili formazioni cameristiche,
l’Orchestra realizza le prove e i concerti, distribuiti poi in tutta la Toscana, nello storico
Teatro Verdi, situato nel centro di Firenze. Le esecuzioni fiorentine sono trasmesse su
territorio nazionale da Radiorai Tre e in Regione da Rete Toscana Classica.
Interprete duttile di un ampio repertorio che dalla musica barocca arriva fino ai compositori
contemporanei, l’Orchestra è ospite delle più importanti società di concerti italiane,
compresa la Settimana Musicale Senese. Una precisa vocazione per il Novecento storico,
insieme a una singolare sensibilità per la musica d’oggi, caratterizzano la formazione
toscana nel panorama musicale italiano. Ospite delle più importanti Società di Concerti
italiane, si è esibita con grande successo al Teatro alla Scala di Milano, al Maggio Musicale
Fiorentino, al Comunale di Bologna, al Carlo Felice di Genova, all’Auditorium “G.
Agnelli” del Lingotto di Torino, all’Accademia di S. Cecilia di Roma, alla Settimana
Musicale Senese, al Ravenna Festival, al Rossini Opera Festival e alla Biennale di Venezia.
Numerose le sue apparizioni all’estero: più volte nei teatri della Germania, del Giappone,
e del Sud America, e poi a Cannes, Edimburgo, Hong Kong, Madrid, New York, Parigi,
Salisburgo, Strasburgo.
Per l’Accademia Musicale Chigiana ha inciso Le Congiurate di Schubert con Gérard
Korsten per la regia di Denis Krief e il Requiem di Mozart con Gianluigi Gelmetti.
I Polifonici Senesi
Fondati e diretti nei primi anni da Francesco Galli, hanno cominciato la loro attività nel
1983. Dal 1987 al 1999 il direttore è stato Antonio Morelli. Con lui nel 1991 hanno
vinto il 2° premio al Concorso Polifonico Internazionale Città di Stresa (1° premio non
assegnato). Dal 1999 i Polifonici sono stati diretti da Silvio Segantini e dal 2003 da
Raffaele Puccianti.
Nell’ambito della collaborazione con l’Accademia Musicale Chigiana, nel 1995 erano
in scena al Teatro dei Rinnovati a Siena per La Traviata. Hanno poi partecipato alla
riesecuzione della Lauda che Respighi dedicò a Guido Chigi Saracini, direttore Gianandrea
Noseda, alla 53ma e alla 63ma Settimana Musicale Senese, alla 74ma stagione Micat in
Vertice.
I Polifonici hanno collaborato ai programmi culturali delle radiotelevisioni tedesche, e
hanno inciso un CD dal titolo Musica sacra e profana nell’antica Siena, edito dall’etichetta
EMA Records.
Raffaele Puccianti
Direttore e fondatore dell’Ensemble Opera Polifonica dell’Accademia Musicale di
Firenze, direttore del Coro Polifonici Senesi di Siena e del Coro Harmonia Cantata di
Firenze, ha studiato direzione di coro con Roberto Gabbiani e nel 1996 si è diplomato
brillantemente al corso triennale Fosco Corti di qualificazione professionale per direttori
di coro organizzato dalla Fondazione Guido d’Arezzo, dalla Comunità Europea e dalla
Regione Toscana, studiando con René Clemencic, Gary Graden, Diego Fasolis, Marco
Balderi, Roberto Gabbiani, Francesco Luisi, Romano Pezzati, Piergiorgio Righele.
Ha successivamente seguito corsi con Peter Phillips e G. Morgan (The Tallis Scholars)
e con l’Hilliard Ensemble presso gli Amici della Musica di Firenze. Ha inoltre studiato
direzione d’orchestra con Piero Bellugi.
Nato a Firenze nel 1972, ha compiuto gli studi musicali al Conservatorio L. Cherubini
di Firenze, diplomandosi in pianoforte con pieni voti e lode nella classe di Rosa Maria
Scarlino, studiando composizione e lettura della partitura con Salvatore Sciarrino e
Romano Pezzati.
Perfezionatosi in pianoforte al Conservatorio di Stato di S. Pietroburgo con Murina
Alexeevna e a Genova con Massimiliano Damerini, è stato premiato in alcuni concorsi
nazionali.
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Programma di sala - Fondazione Accademia Chigiana