La voce dell’ordine di Pistoia
Rivista di informazione medica n. 28 settembre 2014
Ordine Provinciale
dei Medici Chirurghi
e degli Odontoiatri
della Provincia di Pistoia
Quadrimestrale - Anno IX - n° 28 - settembre 2014
Tariffa R.O.C.: “Poste Italiane Spa sped. abb. post. D.L. 353/2003
(conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art.1, comma 1, DCB/PO”
Pescia, Chiesa di San Francesco, cappella dell’Immacolata
Sommario
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III
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EDITORIALE
Formazione del medico e accesso alla professione
AGGIORNAMENTO SCIENTIFICO
Dengue
FISIOLOGIA
Alterazioni del metabolismo del sodio
AGGIORNAMENTO SCIENTIFICO
La riabilitazione cognitiva
MEDICINA DI GENERE
Sistema immunitario e differenza di genere
PARI OPPORTUNITÀ
Anatomia dell’Ordine. L’universo femminile
BUONA SANITÀ
Lettera al dottor Morini
MED-NEWS dalla letteratura internazionale
La medicina di genre. Il valore della differenza
IN MEMORIA
Ricordo del Professor Emiliano Panconesi
LIVELLO MINIMO N. 21
Le modificazioni ambientali e la selezione naturale
ATTUALITÀ
La Sanità Toscana introduce nel proprio Piano Socio-Sanitario
le cure termali
LETTERE
Choosing Wisley: fare di più non significa far meglio
PASSATO E PRESENTE
La Medicina degli Uomini (3)
Nota sulla storia della chirurgia
COMUNICAZIONI
Casella PEC
Corsi di aggiornamento II semestre 2014
L’ORDINE DEI MEDICI PER L’ARTE E LA CULTURA
I Monuments Men in Toscana
Copertina: Pescia, Duomo
Quarta di copertina: Pescia, panorama della città
La voce dell’ordine di Pistoia
Bollettino ufficiale quadrimestrale dell’Ordine dei Medici Chirurghi
e Odontoiatri di Pistoia; anno IX n. 28 – settembre 2014
Dir. resp. Dott. Gianluca Taliani – Comitato di redazione: Egisto Bagnoni,
Pierluigi Benedetti, Gianna Mannori, Ione Niccolai
Reg. Trib. Pistoia n. 8 del 9/07/04 – Stampa: GF Press, Masotti
EDITORIALE
Egisto Bagnoni
Presidente dell’Ordine di Pistoia
FORMAZIONE DEL MEDICO
E ACCESSO ALLA PROFESSIONE
La situazione attuale è a dire poco drammatica e lo confermano i dati messi a disposizione
dall’EMPAM per il convegno svoltosi a Bari nei
giorni 13 e 14 giugno 2014.
Il numero dei laureati per ogni anno è molto
inferiore a quello dei giovani che accedono alla
facoltà di Medicina, le iscrizioni delle donne diminuiscono ogni anno, moltissimi neolaureati,
più di mille all’anno, vanno a lavorare in Francia, Germania e Gran Bretagna.
Le università europee risultano migliori delle
nostre e l’esame per l’accesso alla facoltà di medicina in Italia non risulta di qualità elevata.
Abbiamo venti regioni con venti programmi di
formazione post laurea diversi sia per le scuole
di specializzazione che per il tirocinio per la medicina generale.
Nel convegno di Bari abbiamo visto giovani medici illustrare le difficoltà delle realtà universitarie in cui vivono e tutti hanno invocato un
cambiamento.
Al microfono si sono alternati anche politici e
cattedratici che hanno illustrato vecchi e nuovi
progetti che negli ultimi decenni non sono mai
stati portati ad una discussione parlamentare
seria. In quella sede sono state avanzate ipotesi
di cambiamento per aumentare il potenziale di
accesso all’università attraverso l’ingresso libero
per due anni e poi il concorso per proseguire.
Come si può proporre certe riforme quando le
università non hanno la possibilità di espandere la platea degli studenti?
Ad oggi vi sono due dati certi: sono aumentati
gli anni di studio e di frequenza per conseguire
una specializzazione e sono diminuiti di molto i
posti presso le sedi Universitarie Italiane.
Attualmente si accede a una specializzazione molti mesi dopo la laurea, e la stessa cosa
succede per accedere al tirocinio della medicina
generale, a causa dei ritardi con i quali le Regioni pubblicano i bandi di concorso, le date degli
esami e le graduatorie.
Se non interverranno modifiche sostanziali, nel
corso dei prossimi anni avremo una pletora di
giovani medici senza lavoro per non avere avuto accesso alle specializzazioni e al tirocinio in
medicina generale.
Rimanendo tale la regolamentazione per l’ac-
EDITORIALE
cesso al lavoro avremmo il paradosso che questi
giovani laureati dovranno emigrare per trovare
un lavoro e allo stesso tempo dovremmo importare specialisti per coloro che nei prossimi anni
andranno in pensione dagli ospedali.
A questo punto non rimane che invocare una
nuova e seria programmazione della formazione
alla quale debbono partecipare tutte le istituzioni
come Ordini, Università, sindacati medici e Ministeri competenti.
Quando sento parlare di riforme e programmazione mi vengono i brividi perchè tutto si perde nei
meandri della burocrazia.
Potremmo guardare con giusto interesse quello
che avviene nei paesi vicini.
Esiste un Programma Europeo che potrebbe servire da guida per un cambiamento già collaudato.
Un tentativo praticabile per dare una soluzione a
questo grave problema potrebbe essere dato dalla
istituzione di un biennio di formazione pratica
al quinto e sesto anno del corso di laurea. Questo
potrebbe dare la possibilità di accedere al primo
anno di specializzazione rimandando al secondo
anno la conferma con la stipula di un contratto a
tempo determinato.
Alla fine del percorso formativo, con il superamento dell’esame finale il medico potrebbe essere
assunto a tempo indeterminato.
In questo modo potrebbero essere superate le carenze strutturali delle Università e la carenza di
personale ospedaliero.
Rimanendo la situazione attuale, con l’accesso
all’ospedale solo dopo la specializzazione, non vi
sono prospettive.
LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA
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Dei problemi dei giovani si debbono fare carico
tutti perchè riguardano il futuro della professione.
Giovani e meno giovani debbono collaborare per
dare migliori prospettive alla professione che incontra gravissime criticità per il crescente contenzioso legale innescato dalle note difficoltà a
reperire adeguate coperture assicurative, dalla
prevenzione del rischio clinico e da tante altre carenze di tutele.
Non esiste ancora intesa con la magistratura per
la segretazione dei verbali degli audit clinici.
Il medico molte volte viene chiamato a testimoniare sugli audit quando la legge prevede per
qualsiasi cittadino l’esonero della testimonianza
contro se stesso.
Non esiste in Italia la tutela del medico dipendente in ambito civilistico senza la riserva della colpa
grave ed ancora peggio si trova il medico libero
professionista al quale viene sempre applicata, in
sede civilistica, la responsabilità contrattuale se
non quella oggettiva.
In sanità tutto può succedere ed il caso “stamina” è emblematico per una deriva delle istituzioni
quando il CSM non interviene quando un giudice
si pone al di sopra della scienza e della deontologia obbligando il medico ad eseguire terapie che
non danno nessuna garanzia di sicurezza ed eticità.
Ulteriore emergenza è rappresentata dalle professioni non ordinate che rappresentano 150 mila
professionisti non registrati e non regolamentati
che possono, inconsapevolmente, racchiudere al
loro interno sacche di abusivismo.
Pescia, Piazza G. Mazzini
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AGGIORNAMENTO SCIENTIFICO
Dengue
Dott. Michele Spinicci* e Prof. Alessandro Bartoloni**
*Scuola di Specializzazione in Malattie Infettive, Università degli Studi di Firenze
**SOD Malattie Infettive e Tropicali, Azienda Ospedaliero Universitaria Careggi, Firenze – Centro di Riferimento Regionale
per lo Studio e la Cura delle Malattie Tropicali – Dipartimento Medicina Sperimentale e Clinica, Università degli Studi di
Firenze
siti ideali per la proliferazione del vettore; il costante incremento di mole e velocità dei viaggi
internazionali, alla base della diffusione pandemica di tutti i sierotipi virali e dell’introduzione
del virus in nuove aree dotate di vettori efficaci.
In Europa la presenza di Aedes aegypti è limitata
all’isola portoghese di Madeira, sede negli ultimi
anni di una vasta epidemia di dengue, ad alcune
regioni che si affacciano sul Mar Nero e ai Paesi
Bassi. Il rischio di generare casi autoctoni, già
Nel complesso l’incidenza globale dell’infezione
ha mostrato negli ultimi 50 anni un incremento di
circa 30 volte, con una costante diffusione a nuovi Paesi e dalle aree urbane e peri-urbane, dove
la trasmissione era storicamente predominante,
verso quelle rurali. Le ragioni di questa espansione epidemiologica sono molteplici: la propagazione geografica di vettori efficaci, favorita dai
cambiamenti climatici e dall’assenza di adeguate misure di controllo; la rapida urbanizzazione
di molte città in Asia e in America Latina ed il
conseguente incremento di densità demografica;
l’abbondanza di dispositivi di immagazzinamento di acque ferme, diffusi soprattutto in aree con
scarso accesso a risorse idriche, che diventano
registrati in Francia e Croazia nel 2010, è legato
invece al vettore meno efficace Aedes albopictus,
conosciuta anche come zanzara tigre, diffusa in
20 Paesi europei. Ad oggi, in Italia, nonostante la massiccia presenza di Aedes albopictus, la
dengue rimane esclusivamente una patologia di
importazione. In Toscana, secondo i dati raccolti
dal Centro di Riferimento Regionale per lo Studio e la Cura delle Malattie Tropicali, afferente
all’Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi,
la dengue è la seconda diagnosi più frequente,
dopo la malaria, in pazienti febbrili di ritorno da
area tropicale. I casi confermati in laboratorio,
negli anni 2006-2012 sono stati 61, registrati in
nove diverse province.
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LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA
La febbre dengue è una arbovirosi endemica
in molte aree tropicali e subtropicali di tutto il
mondo, causata da 4 sierotipi di virus Dengue
(DENV 1-4) e trasmessa all’uomo attraverso la
puntura di zanzare infette del genere Aedes spp,
tra cui Aedes aegypti è il vettore più efficace. Attualmente si stima in oltre 230 milioni il numero
di casi annui di dengue, con circa 2,5 miliardi di
persone che vivono in aree a rischio di trasmissione.
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AGGIORNAMENTO SCIENTIFICO
L’infezione da virus Dengue è una malattia sistemica, con manifestazioni che vanno da forme
asintomatiche fino a quadri di sindromi emorragiche e shock, con un alto tasso di letalità.
Recentemente l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha ridefinito la classificazione
delle sindromi cliniche associate all’infezione
da virus Dengue, che in precedenza prevedeva
la suddivisione dei casi sintomatici in febbre
indifferenziata, dengue fever (DF), dengue haemorrhagic fever (DHF), fino alla dengue shock
syndrome (DSS), che identificava i gradi III e IV
della forma emorragica. Nelle linee guida emanate dall’OMS nel 2009 viene invece sancito che
la dengue è un’entità unica, capace di un ampio
spettro di presentazioni cliniche, con evoluzione
ed esito spesso imprevedibili. Sono stati inoltre
individuati i “segnali d’allarme” che permettono di discernere le forme di dengue non complicate da quelle potenzialmente gravi (dengue con
segnali d’allarme), richiedenti stretto monitoraggio per il rischio di progressione a dengue grave.
L’evoluzione verso forme gravi, che nel complesso costituiscono l’1% di tutti i casi, è favorita dalla presenza di fattori di rischio tra cui il
sesso femminile, la giovane età, il sierotipo virale, ma soprattutto una precedente infezione da
un virus Dengue di sierotipo diverso. Si ritiene
che questo fenomeno sia dovuto ad una impropria liberazione di citochine vasoattive da parte
delle cellule del sistema monocitico-macrofagico, in risposta agli immunocomplessi formati da
anticorpi di una vecchia infezione che legano i
nuovi virus eterotipi, senza riuscire a neutralizzarli. Dopo un periodo di incubazione medio di
4-7 giorni e mai superiore ai 14 giorni, la storia naturale dell’infezione si articola attraverso
tre fasi: la fase febbrile, che può durare da 2 a 7
giorni, caratterizzata da comparsa improvvisa di
febbre elevata con artromialgie intense, cefalea
e profonda prostrazione; possono inoltre essere
presenti nausea, vomito, rash cutaneo, epatosplenomegalia, iniezione congiuntivale e modesti fenomeni emorragici come petecchie o emorragie
delle mucose. Gli esami ematochimici mostrano
inizialmente una leucopenia, seguita da una rapida caduta della conta piastrinica. Al termine
della fase febbrile, la maggior parte dei casi tende al miglioramento clinico, fino alla completa
guarigione. La progressione verso la fase critica
avviene intorno al 3-7° giorno di malattia, generalmente in coincidenza di un miglioramento della curva termica. In questa fase, l’aumento della
permeabilità capillare determina una riduzione
del volume circolante, palesato da un incremento
dell’ematocrito. La presenza dei segni di allarme può dare una misura dell’entità della perdita
di plasma, che nei casi gravi può condurre fino
allo shock ipovolemico con insufficienza d’organo e coagulazione intravascolare disseminata
(CID). Gravi fenomeni emorragici (cutanei, mucosali, gastrointestinali, etc) possono verificarsi
in questa fase, in presenza o meno di ipovolemia
e shock.
LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA
La fase critica si protrae per 24-48 h, al termine
delle quali inizia la fase di recupero, caratterizzata da un progressivo riassorbimento di liquidi
dal terzo spazio, risoluzione dei sintomi e normalizzazione dei parametri di laboratorio. In ogni
fase di malattia, la gestione del paziente richiede
uno stretto controllo di parametri vitali ed ematochimici; le misure terapeutiche consistono in
interventi di supporto come l’infusione di liquidi, per il mantenimento di un adeguato volume
circolante e gli antipiretici, evitando i farmaci
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AGGIORNAMENTO SCIENTIFICO
Aedes aegypti
Aedes Albopictus (Zanzara tigre)
che possono aggravare il rischio emorragico. Il
sospetto clinico deve sorgere in tutti i quadri di
sindrome virale in pazienti che abbiano soggiornato in aree endemiche nei 14 giorni precedenti
all’insorgenza della sintomatologia. Nei primi 5
giorni di malattia la diagnosi può essere raggiunta
tramite la ricerca del virus nel sangue attraverso
tecniche di biologia molecolare o attraverso la ricerca dell’antigene virale NS1. Dopo il V giorno
di malattia, virus e antigene scompaiono dal sangue, in concomitanza con la comparsa di anticorpi IgM e successivamente IgG, rilevabili con test
ELISA. L’andamento del titolo anticorpale può
fornire informazioni utili per distinguere un’infezione primaria, nella quale le IgM compaiono per
prime e raggiungono il picco in poche settimane,
mentre le IgG crescono lentamente, da una infezione secondaria, caratterizzata dalla presenza di
alti titoli di IgG già durante la fase acuta.
Nell’era della Global Health, la conoscenza di
questa malattia e della sua epidemiologia è imprescindibile per ogni operatore di salute: permetterà da un lato di fornire a chi è diretto in
aree tropicali corrette informazioni riguardo alle
misure di prevenzione primaria, volte ad evitare
le punture di insetti (repellenti cutanei, zanzarie-
re, ecc.); dall’altro di mettere in atto tempestivamente le indagini diagnostiche e successivamente l’assistenza clinica al viaggiatore che è stato
infettato dal virus Dengue. Infine consentirà l’applicazione delle misure di sorveglianza da parte
dell’Igiene Pubblica, secondo le direttive del Ministero della Salute del 2012, come l’isolamento
del paziente durante la fase viremica e la disinfestazione del vettore nella zona di residenza del
caso.
WHO. Dengue: guidelines for diagnosis,
treatment, prevention and control - New
edition. Ginevra; 2009.
Lagi F et al. Imported Dengue Fever in
Tuscany, Italy, in the period 2006-2012.
Ahead of print.
Ministero della Salute. Sorveglianza dei
casi umani delle malattie trasmesse da
vettori con particolare riferimento alla
Chikungunya, Dengue, West Nile Disease
- Aggiornamento 2012. Circolare 12922-P
del 12/06/2012. Roma; 2012.
LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA
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BIBLIOGRAFIA
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FISIOLOGIA
Alterazioni del metabolismo del sodio
Ione Niccolai
LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA
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Il sodio è il più importante catione dello spazio
extracellulare e insieme con i suoi maggiori anioni, bicarbonato e cloruro, rappresenta per oltre il
90% i soluti osmoticamente attivi di questo compartimento.
Influenza indirettamente il volume dell’acqua intracellulare e la sua quantità totale presente nel
corpo, ed è il maggior determinante del volume
extra cellulare.
Quindi, poiché il controllo del volume dei fluidi
extracellulari dipende essenzialmente dalla regolazione del bilancio del sodio, ogni variazione di
quest’ultimo sarà accompagnata da una modificazione di quest’ultimi (fluidi extracellulari).
Si parla d’Iposodiemia quando il sodio sierico è
inferiore a 135mmol/l.
Nella maggioranza dei casi si tratta d’iposodiemia da diluizione che si realizza quando la perdita di sali e acqua viene sostituita solo da acqua
libera priva di sali.
L’unica terapia è il ripristino del volume, con soluzione isotonica di cloruro di sodio.
Talvolta si parla d’intossicazione da acqua, in genere iatrogena, per somministrazione di acqua in
eccesso, ad es. dopo interventi chirurgici in pazienti con insufficienza renale oppure in pazienti
con diuresi inadeguata.
In questi casi la sintomatologia, che può essere anche molto importante, presenta confusione
mentale, crampi, tremori muscolari che possono
sfociare in crisi convulsive, può essere dominata
solo con lenta somministrazione di soluzione salina ipertonica (quando il sodio è inferiore a110
mmol/l) continuando fino alla scomparsa dei
sintomi, non fino alla normalizzazione dei valori
dell’Na serico.
Quando invece l’iponatremia è asintomatica, il
trattamento corretto consisterà nella sola restrizione dei liquidi e nella sospensione di ogni farmaco che può indurre iponatremia.
L’iponatremia farmaco indotta è estremamente
frequente, soprattutto in ambiente extra ospedaliero.
È a tutti noto, infatti, che esistono numerosi farmaci di largo uso che alterano, se non adeguatamente controllati, l’omeostasi idroelettrolitica
come certi diuretici, agenti psicotropi, antiepilettici, antineoplastici, FANS ed altri.
In tutti questi casi il farmaco deve essere tempestivamente sospeso e non deve essere più
somministrato.
IPERNATREMIA: quando il sodio (Natrium in
latino)nel sangue è superiore a 145mmol/l.
Raramente è causata da eccesso di sodio, per apporto di quantità eccessiva di soluzioni ipertoniche di sodio, quanto piuttosto da deficit relativo
di acqua libera nell’organismo (disidratazione
ipertonica dovuta a perdite di acqua da cause renali ed extra renali).
Etiologia
– Perdita extra renale di acqua (cute, sudorazione, iperpnea, ustioni)
– Perdita renale di acqua (diabete insipido, diuresi osmotica, glicosuria)
– Assunzione di sale eccessiva non bilanciata da
adeguate quantità di acqua.
– Iperfunzione surrenale (m. di Cushing, iperaldosteronismo)
– Ipercalcemia
– Assunzione insufficiente di H2O (disfunzioni
della regolazione della sete, nell’ictus cerebrale,
nelle lesioni ipotalamiche).
Sintomatologia
– Sintomo dominante è la sete
– Confusione mentale
– Astenia
– Diminuzione della diuresi.
Terapia
– Somministrazione molto lenta di liquidi privi di
sodio, es. glucosio 5%.
Quando la sodiemia è inferiore a 160mml/l si
può proseguire la terapia sostitutiva per via orale
fino alla normalizzazione del parametro.
È molto importante che la normalizzazione del
deficit di H2O avvenga molto lentamente.
Nelle prime 24 ore è opportuno non sostituire più
della metà dell’acqua calcolata, il resto nelle seguenti 48.
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AGGIORNAMENTO SCIENTIFICO
La riabilitazione cognitiva
Approccio preventivo nell’adulto sano, nel Mild Cognitive
Impairment e nella demenza lieve
Dott.ssa Sabrina Danti, psicologa, Dottorato di Ricerca in Neuroscienze, Università di Pisa
Giacomo Handjaras, Corso di laurea in Medicina e Chirurgia, Università di Pisa
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di memoria associato a deficit di altre funzioni cognitive (amnesic multiple domain, MCI
tipo II) siano a più alto rischio di sviluppare
AD, con un tasso di conversione annuo tra il
10% e il 15% (Petersen, 2005; Brandt, 2008).
Studi di neuroimmagine cerebrale hanno dimostrato che nella condizione di MCI il cervello dei pazienti va incontro a modificazioni
funzionali e strutturali. In dettaglio, i cambiamenti strutturali, rilevati da tecniche come
la Voxel Based Morphometry, che analizza
l’intensità della sostanza grigia e bianca, e
la Cortical Thickness, che misura lo spessore corticale, sono risultati poco specifici nel
predire la progressione da individuo sano in
MCI, e da quest’ultimo in AD, limitando la
finestra temporale a tre anni prima dell’insorgenza conclamata della demenza, quando
i disturbi cognitivi sono già marcati e potenzialmente non reversibili (Whitwell, 2007).
Inoltre, tecniche di neuroimmagine funzionale (come la PET e la risonanza magnetica
funzionale) hanno evidenziato che i pazienti
MCI mostrano quadri specifici di ipermetabolismo, presumibilmente compensatorio,
nelle regioni temporali e prefrontali ventrali
e dorsolaterali durante l’esecuzione di compiti cognitivi. E’ stato dimostrato che questo
reclutamento corticale compensatorio viene
ad esaurirsi col progredire del declino cognitivo (Woodard, 2009; Peters 2014). Oggi sappiamo che tale processo di riorganizzazione
funzionale può essere positivamente modulato da tecniche di neuroriabilitazione, come
la stimolazione cognitiva non invasiva (Miniussi, 2011; Spector 2001, 2010) che sono
considerate appropriate per contrastare il declino cognitivo nelle sue fasi iniziali. E’ stato
dimostrato che accanto a fenomeni di perdita
LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA
La letteratura scientifica ha proposto molte definizioni della condizione di deterioramento cognitivo lieve (Mild Cognitive Impairment, MCI) nel tentativo di discriminare
fra invecchiamento patologico e fisiologico.
Circa 20 anni fa, Ronald Petersen ha proposto una definizione di MCI basata su criteri
neuropsicologici e psicometrici, maneggevoli e replicabili (Petersen, 1995, 1999, 2004):
questi criteri sono attualmente utilizzati da
clinici e ricercatori in tutto il mondo. Recentemente tale definizione è stata applicata con
successo nel definire il declino cognitivo lieve
associato alla Malattia di Parkinson (Litvan,
2012), che sembra determinare un rischio
ulteriore, assieme all’età di insorgenza della
malattia e al fenotipo clinico, di sviluppare
demenza associata a Malattia di Parkinson.
Nel corso degli anni sono stati identificati
diversi sottotipi di MCI con l’obiettivo di cogliere la vasta gamma di deficit cognitivi che
i pazienti mostrano e di prevedere il loro decorso clinico (Petersen, 2004). Petersen, nel
suo impianto concettuale (Petersen, 2009)
aveva previsto quattro diversi tipi di MCI ed
una loro possibile evoluzione verso la Demenza di Alzheimer (AD), la Demenza Fronto-Temporale, la Demenza a corpi di Lewy e
la Demenza Vascolare. In particolare, la comunità scientifica si è focalizzata sul decorso
del MCI a rischio di evolvere in AD, malattia neurodegenerativa che rappresenta la più
alta casistica tra le varie forme di demenza (il
60% per pazienti con più di 60 anni, secondo
le Linee Guida della Regione Toscana per la
diagnosi e il trattamento della demenza rivolte ai MMG, 2011). Dopo numerose ricerche,
la letteratura più recente sembra convergere
verso l’ipotesi che i pazienti MCI con deficit
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AGGIORNAMENTO SCIENTIFICO
neuronale caratteristici dell’invecchiamento
fisiologico, nel cervello sono conservate anche capacità riparatrici e rigenerative a tutte
le età (Grafman, 1999; Cappa, 2012). Questo
fenomeno di plasticità neurale determina la
possibilità che il cervello possa essere modificato e modificabile dal prodotto della
sua stessa attività. Inoltre, studi sul modello
animale hanno dimostrato che un ambiente arricchito e l’opportunità di un maggiore
esercizio producono variazioni morfologiche
a livello cerebrale associate ad un miglioramento delle performances (Cotman, 2002;
Marx, 2005; Lazarov, 2005; Nithianantharajah, 2006). Attualmente è quindi possibile
ipotizzare che l’attività mentale e quella fisica rappresentino potenti mezzi per amplificare i meccanismi di difesa e di compenso
contro l’insulto del tempo.
Storicamente l’istanza riabilitativa è stata
applicata soltanto nelle fasi molto avanzate
delle malattie neurodegenerative, dimostrando scarsi effetti sul recupero cognitivo anche
quando combinata con terapia farmacologica.
Il background scientifico attuale suggerisce
invece di intraprendere interventi neuroriabilitativi quando il declino cognitivo è ancora
lieve ed è possibile attingere a meccanismi di
compenso, come nell’MCI (Clément, 2013) e
nelle fasi precoci della demenza per ottenere
un’efficacia quantificabile almeno in termini
di rallentamento dell’ingravescenza (Talassi,
2007). Inoltre, su questi presupposti, è possibile estendere l’applicazione di queste tecniche anche su adulti sani e cognitivamente
integri, come prevenzione primaria delle malattie neurodegenerative del sistema nervoso
centrale (Anguera, 2013; Chapman, 2013).
In un protocollo di riabilitazione cognitiva
è necessario effettuare innanzitutto una visita neuropsicologica approfondita che comprenda i test cognitivi di II livello (vedi ad
es. “Protocollo di valutazione neuropsicologica”, Unità di Valutazione Alzheimer, Regione Toscana). I punteggi dei test cognitivi
devono essere corretti per sesso, età e scolarità, per eliminare l’influenza delle variabili
demografiche di base (Spinnler, 1987; Capitani, 1997). È sulla base di questi risultati, e
grazie alla sensibilità clinica del neuropsicologo, che può essere programmato un piano
neuroriabilitativo efficace, che deve necessariamente tenere conto del profilo cognitivo
globale della persona, dei suoi punti di forza e di debolezza. In sintesi, un programma
neuroriabilitativo è tanto più efficace quanto
più è personalizzato, e deve esercitare in maniera differenziale le funzioni cognitive che
hanno un deficit e quelle invece che sono ancora integre (Mazzucchi, 2012).
L’idea di allenaMente nasce da una triplice
esigenza. Innanzitutto una necessità oggettiva è la mancanza della capillarità sul territorio di un servizio di riabilitazione cognitiva,
LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA
Fig.1 Meta-analisi di studi di risonanza magnetica funzionale che utilizzano un compito cognitivo (Stroop Test, un test
cognitivo di II livello). Le regioni in blu rappresentano le porzioni di corteccia delle regioni frontali dorso-laterali funzionalmente attive durante il compito. La mappa di attivazione è ottenuta da Neurosynth.org ed è proiettata su una superficie
tratta dall’atlante del Montreal Neurological Institute.
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AGGIORNAMENTO SCIENTIFICO
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LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA
specialmente nel territorio pistoiese, ma anche in altre province. Attualmente nel Nomenclatore della Regione Toscana, l’istanza
riabilitativa è prevista solo per i cosiddetti
“codice 75” (cfr. grave cerebrolesione acquisita) durante i 90 giorni della degenza
ospedaliera. Altre regioni invece stanno attivamente investendo risorse. Ad esempio,
l’Emilia Romagna ha recentemente inserito
nel suo Nomenclatore (marzo 2013, nota
m1, codice 93.89.2-3) la possibilità di erogare un “Training per disturbi cognitivi” ambulatorialmente, sia come istanza individuale che di gruppo, per coloro che hanno un
deficit cognitivo, anche lieve, a prescindere
dall’eziologia. Secondariamente allenaMente
vuole farsi portavoce di una nuova prospettiva culturale e applicare l’idea della prevenzione primaria nell’ambito delle malattie
neurodegenerative, di modo da investire nel
mantenimento del patrimonio cognitivo nelle
fasce della terza e quarta età. Infine, allenaMente vuole portare dentro il nostro paese le
più recenti novità scientifiche - i programmi
di stimolazione cognitiva sono già una realtà in molti paesi occidentali, e sono per lo
più somministrati tramite la rete internet (ad
esempio http://www.cambridgebrainsciences.com).
allenaMente è stato ideato grazie all’incontro
della neuropsicologia con la tecnologia, tenendo conto degli insegnamenti finora tratti
dalla neuroriabilitazione. E’ stato sviluppato
un sistema che permette di somministrare
degli esercizi cognitivi con semplicità, nel
comfort della propria casa e con sedute frequenti. Dato che la connessione internet (ed
il suo utilizzo) nel nostro paese non sono
ancora così diffusi come all’estero, è stato
creato un tablet da dare in comodato d’uso
all’utente. L’interfaccia del tablet è stata altamente semplificata di modo che anche ultrasettantenni non familiari con la tecnologia
(ad es. non in grado di usare il cellulare)
possano utilizzarlo. La sfida tecnologica più
grande è stata proprio quest’ultima. Inoltre,
l’approccio riabilitativo punta ad allenare
globalmente il profilo cognitivo della persona. Sono stati creati esercizi per stimolare
tutte le funzioni cognitive (memoria, attenzione, linguaggio, capacità visuospaziale,
programmazione motoria, funzioni esecutive). Gli esercizi sono adattivi: se la persona
risponde con successo, divengono più difficili, viceversa si semplificano. Con questi accorgimenti allenaMente offre un programma
di riabilitazione innovativo e completo, che
adatta il livello della difficoltà in corso d’opera e massimizza l’efficacia dell’allenamento.
Il tablet è uno strumento utile perché registra
tutte le risposte date dalla persona e permette di controllare nel tempo il lavoro svolto
entro le mura domestiche. Infatti, alla fine
del percorso le performances cognitive verranno analizzate e commentate da personale
esperto, che rilascerà un referto. Il pacchetto di allenaMente prevede una settimana di
prova dello strumento a titolo completamente gratuito ed un’assistenza telefonica e/o
domiciliare in caso di difficoltà nell’uso dello
strumento.
Ad oggi sappiamo che in patologie neurologiche ad origine neurodegenerativa o vascolare, purtroppo non esistono cure risolutive,
né terapie che gestiscono i sintomi in maniera ottimale. Il miglior investimento possibile
è una combinazione di allenamento fisico e
mentale associati ad uno stile di vita e una
terapia medica che rimuova tutti i potenziali
fattori di rischio che influiscono sulla salute
dell’organo cervello. allenaMente si inserisce in questo contesto e mira a promuovere
la “ginnastica della mente” per farla entrare
nella vita di tutti i giorni.
9
AGGIORNAMENTO SCIENTIFICO
Fig.2 Esempi di esercizi cognitivi proposti da allenaMente. A) esercizio per la memoria visiva; B) esercizio per la memoria
uditiva; C) esercizio per la pianificazione mentale; D) esercizio per l’attenzione divisa; E) esercizio per la flessibilità cognitiva; F) esercizio per la resistenza all’interferenza.
BIBLIOGRAFIA
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MEDICINA DI GENERE
Sistema immunitario e differenze
di genere
Dott.ssa Deanna Belliti, endocrinologia U.F. Consultoriale Valdinievole ASL 3
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di Roma. Questa ricerca ha confrontato la produzione di citochine da parte delle cellule del sangue periferico di soggetti di sesso femminile e di
sesso maschile, stimolate con diversi tipi di virus.
I risultati ottenuti hanno dimostrato che le maggiori differenze fra uomini e donne riguardano la
produzione di una specifica citochina, l’Interleuchina 10 (IL-10 ). L’IL-10 svolge una importante
funzione di tamponamento per evitare che, una
volta debellato il virus, l’organismo continui a far
lavorare attivamente il sistema immunitario. Le
cellule del gruppo maschile producono IL-10 in
quantità 4 volte superiore rispetto alle cellule del
gruppo femminile . Questo rilievo sembra dimostrare che la reazione immunitaria degli uomini
sia sottoposta ad un “freno“ in modo maggiore
di quanto succeda nelle donne; si potrebbe così
spiegare la minore abilità degli uomini a combattere le infezioni virali e, all’opposto, la maggiore
“resistenza” delle donne alle infezioni e la loro
maggiore predisposizione a scatenare fenomeni
di autoimmunità.
Tuttavia i ricercatori hanno anche osservato che
la minore produzione di IL-10 si manifesta in
donne in età riproduttiva ma non dopo la menopausa quando la secrezione di ormoni femminili
è fortemente ridotta.
Gli ormoni sessuali sembrano, quindi, poter modulare il rilascio di citochine pro e antiinfiammatorie dalle cellule immunitarie.
Ci sono numerosi e rilevanti aspetti riguardo
all’influenza degli ormoni sessuali femminili e
maschili sul dimorfismo immunitario e sulla suscettibilità e progressione dei quadri autoimmuni, seppure non sempre le evidenze si dimostrano univoche.
Prima della pubertà, periodo in cui gli steroidi
sessuali circolano in basse concentrazioni, non
si rilevano significative differenze nelle risposte
immunitarie nei due sessi. Durante la gravidanza, quando la produzione degli steroidi sessuali
è molto elevata, si osservano notevoli ma anche
differenti cambiamenti del corso di queste patologie. Infatti si assiste ad un evidente miglioramento di malattie come l’artrite reumatoide e la
LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA
L’immunologia è sicuramente uno dei campi in
cui l’ottica di genere rappresenta uno strumento indispensabile, considerando le note disuguaglianze tra i due generi nello squilibrio della bilancia immunitaria.
Le donne presentano una maggiore vulnerabilità alle patologie autoimmuni. Queste patologie
mostrano, nella maggioranza dei casi, un andamento cronico e possono essere in vario grado
invalidanti, accompagnandosi spesso a stanchezza persistente, dolore, disturbi dell’umore e riduzione delle capacità lavorative.
Gli uomini, invece, sono più suscettibili alle malattie infettive batteriche, virali e parassitarie; infatti l’incidenza delle sepsi severe è più alta nel
genere maschile e la prognosi risulta più spesso
infausta. Gli uomini si dimostrano, per questi
aspetti, il “sesso debole”.
Gli studi ci dicono che le donne possiedono una
maggiore reattività immunitaria; sembra che
siano dotate di “poteri” immunologici speciali,
liberandosi più velocemente dei microrganismi
patogeni rispetto agli uomini. Le differenze più
evidenti fra uomini e donne consistono nel trovare in queste ultime aumentati livelli di anticorpi nel sangue, un’aumentata tendenza alla loro
produzione in seguito alla stimolazione delle
loro cellule produttrici (plasmacellule) e differenti livelli di molecole attive, quali le citochine,
nelle risposte immuni. Ma la migliore reattività
femminile è un’arma a doppio taglio, infatti se
eccessivamente alta e prolungata la risposta immunitaria tipica del genere femminile può causare patologie croniche e autoimmunitarie. È
il continuo stato infiammatorio necessario per
contrastare le infezioni che porta l’organismo ad
uno stato di maggiore suscettibilità alle malattie
autoimmuni. Questo può essere il motivo per cui
le donne si ammalano con un’incidenza nettamente maggiore rispetto agli uomini di patologie
infiammatorie autoimmuni.
Per capire le basi della differente risposta alle
infezioni da parte di uomini e donne sono stati
condotti numerosi studi, uno fra questi è stato realizzato da alcuni ricercatori dell’Istituto Pasteur
11
MEDICINA DI GENERE
sclerosi multipla e a un loro peggioramento nei
mesi successivi al parto. Al contrario, il Lupus
Eritematoso Sistemico (LES), più frequente in età
fertile, tende a peggiorare in gravidanza e migliorare dopo la menopausa.
Si può quindi affermare che con l’aumentare
dell’età la suscettibilità alla malattia autoimmune decresce nella donna ed aumenta nell’uomo,
eccetto che per l’artrite reumatoide che è molto
più comune nelle donne in menopausa.
Studi effettuati in vitro hanno dimostrato che
esistono importanti connessioni tra estrogeni e
sistema immunitario: recettori per gli estrogeni
sono presenti sulle cellule immunitarie coinvolte nel meccanismo patogenetico della malattia
autoimmune; i linfociti T e B sono pertanto stimolati dagli estrogeni che ne possono modificare
le funzioni. A confermare queste osservazioni vi
sono ricerche riguardanti gli interferenti /distruttori endocrini che indicano estrogeni esogeni o
sostanze simil-estrogeniche come possibili cause dell’incremento delle patologie autoimmuni;
queste molecole diffuse nell’ambiente in sinergia
con altri fattori possono ridurre la tolleranza agli
autoantigeni.
Ulteriori osservazioni hanno dimostrato che altri
ormoni sono in grado di interferire sul sistema
immunitario. Infatti è nota l’azione soppressiva
degli androgeni sulla risposta del sistema immunitario; quindi in condizioni di ridotta secrezione
di androgeni si riduce anche la protezione dal
rischio di malattie autoimmuni.
LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA
12
Nelle donne gli androgeni, secreti dalle gonadi
femminili e dal surrene, sono presenti a concentrazioni molto più basse rispetto a quelle circolanti negli uomini. È stato osservato che donne
con LES mostrano livelli più bassi di androgeni
sia di origine surrenalica che ovarica, rispetto a
donne non malate, e che negli uomini affetti da
artrite reumatoide i livelli di testosterone e DHEA
sono più bassi, mentre nel liquido sinoviale di
entrambi i sessi si riscontra un più alto tasso di
estrogeni, per l’aumentata attività dell’aromatasi
indotta dal Tumor Necrosis Factor.
Un altro ormone di cui vi sono evidenze certe
riguardo al suo coinvolgimento nelle risposte immunitarie è la prolattina (PRL). Accanto alla sua
attività biologica principale di preparazione della ghiandola mammaria alla lattazione nel corso
della gravidanza e dopo il parto, è possibile che
la PRL, secreta dall’adenoipofisi, abbia un’azione
di stimolo sul sistema immunitario. Infatti recettori per la PRL sono stati identificati a livello dei
linfociti ed è stato anche dimostrato che gli stessi
linfociti sono in grado di produrla, e in questo
modo, attraverso un’azione paracrina potrebbe
stimolare le cellule vicine a quelle dalle quali è
stata prodotta. Sulla base delle note correlazioni
tra estrogeni e PRL si potrebbe quindi ipotizzare
un complesso meccanismo che vede negli estrogeni e nella PRL due importanti stimolatori del
sistema immunitario.
Tuttavia gli ormoni possono spiegare il diverso
funzionamento dell’immunità nella fase centrale
Il fiume Pescia
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MEDICINA DI GENERE
Pescia, il campanile del Duomo
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Selmi C. et al Autoimmune Rev, 2012;
11(6-7):A531-7
LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA
della vita, ma in età più avanzata quando si riduce la potente azione degli estrogeni nella donna
e anche negli uomini si ha il progressivo decremento del testosterone, altri fattori sicuramente
entrano in gioco.
Per questo molte ricerche sono ora rivolte allo
studio del cromosoma X e al fenomeno del “silenziamento”, cioè l’inattivazione di uno dei due
cromosomi X presenti nelle cellule femminili; in
determinate situazioni ci può essere un ricorso
alla riserva dell’X silenziato. Il cromosoma X
contiene il più grosso numero di geni coinvolti
in modo significativo nell’espressione del sistema immunitario. In studi sul genoma di pazienti
con LES è stata osservata la parziale riattivazione
del cromosoma X silenziato ed in particolare del
gene deputato a codificare un recettore linfocitario responsabile della iperproduzione di anticorpi da parte dei linfociti B.
Quindi il cromosoma X si dimostra essere un
punto di vulnerabilità e potrebbe costituire il bersaglio dei numerosi fattori ambientali che concorrono alla genesi delle malattie autoimmuni.
Un altro importante campo di ricerca riguarda l’interpretazione delle possibili connessioni dell’attivazione del sistema immunitario con
eventi stressanti.
La relazione fra stress e malattia non è semplice
da documentare , tuttavia studi retrospettivi hanno rilevato che l’80% dei soggetti affetti da malattia autoimmune riferiva di aver sperimentato
uno stress emozionale o fisico importante prima
dell’insorgenza della malattia.
Nelle donne il sistema immunitario è più sensibile agli stimoli esterni, mediante reazioni di allerta
più marcate rispetto agli uomini. Questo avviene
perché i cosiddetti “stressors “non solo agiscono
direttamente sul cervello attivando l’asse ipotalamo – ipofisi – surrene ma sono in grado di in-
fluenzare in modo indiretto il sistema immunitario attraverso meccanismi cerebrali.
Esiste quindi una sinergia funzionale tra sistema
nervoso e sistema immunitario.
L’asse ipotalamo-ipofisi-surrene o “asse dello
stress” stimola, tramite il suo braccio neuroendocrino, la corteccia surrenalica a produrre glucocorticoidi, sostanze ad elevato potere antinfiammatorio. Un’attivazione troppo frequente
o cronica della risposta di stress non può che
creare uno squilibrio della risposta immunitaria,
perché può dare origine a immunodepressione e
quindi aumentare la suscettibilità alle infezioni.
Oppure, al contrario, può indurre una iperstimolazione della risposta infiammatoria, con successivo sviluppo di fenomeni di autoimmunità.
Si può quindi affermare che l’autoimmunità è il
risultato della combinazione di fattori genetici,
immunitari, ormonali e ambientali che in vario
grado possono concorrere alla sua manifestazione in organismi che presentano differenze individuali biologiche e di personalità.
13
PARI OPPORTUNITÀ
Anatomia dell’Ordine
L’universo femminile
Dott.ssa Irene Corsini, odontoiatra
Lo scorso maggio il Comitato per le Pari Opportunità ha ripreso la sua attività con ritrovato spirito.
Una delle domande che ci siamo poste al primo
incontro è stata: ‘Quante siamo nella provincia di
Pistoia? Chi sono le nostre interlocutrici ?’
Il primo passo è stato semplicemente contarsi,
con i dati preliminari ricavati dall’archivio delle
iscrizioni per l’anno 2014 (fig. 1).
Differenza di genere
negli iscritti all’Ordine
fig. 1
Si può notare dal grafico come la “quota rosa”
sia ben rappresentata (667 donne a fronte di 913
uomini).Questi dati, considerando tutte le fasce
di età, rispecchiano la totalità delle donne. Ma,
come le colleghe più giovani sanno, nelle università oggi le studentesse sono assai più numerose
rispetto ai decenni passati. Come si ripercuote
tutto questo quando, finito il percorso di studi,
la nuova generazione farà capolino nel mondo
del lavoro?
Se cerchiamo la diversità di genere, dividendo gli
iscritti per fasce di età notiamo che il rapporto
maschi/femmine cambia notevolmente (fig. 2).
Osservando i grafici si può notare che fra i senior
gli uomini sono più rappresentati rispetto alle
donne (821 contro 487). Tra gli under 35 questa
tendenza non si ripresenta, anzi si inverte (92
uomini contro 180 donne) .
Questo dato, seppur banale, indica come in un
prossimo futuro ci sarà un’inversione di tendenza, in cui la professione medica ed odontoiatrica
potrebbe diventare una occupazione prevalentemente femminile. Questo ci porrà di fronte a problemi fino ad ora sottovalutati per quanto riguarda, ad esempio, l’impegno lavorativo e familiare
che spesso grava sulle spalle della donna lavoratrice; ma anche ad un diverso approccio psicologico, ed una diversa sensibilità, che caratterizzano la donna nel suo rapporto con il paziente.
Ma cosa significa essere una donna medico oggi?
E una madre medico?
Tratto distintivo dell’essere donna è proprio
l’aspetto della maternità. Come affrontano le nostre colleghe questo particolare periodo della loro
vita?
Cercando informazioni sul trattamento della maternità per le donne medico ed odontoiatre la prima cosa che balza all’occhio è che questo non
è uguale per tutte. Pur partendo da un’identica
situazione biologica prodotta dalla gravidanza e
successivamente dalla nascita (o adozione) di un
figlio, sono ancora diverse le risoluzioni a tutela dell’evento per le lavoratrici madri-medico, a
seconda che queste siano dipendenti, ospedalie-
Differenza di genere per fasce d’età
Fino a 35 anni
Oltre 35 anni
LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA
fig. 2
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PARI OPPORTUNITÀ
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Pescia, Porta Fiorentina
mo in esame il mantenimento del posto di lavoro.
Anche qui le più salvaguardate sono le dipendenti, avendo garanzia di poter mantenere il posto
almeno fino al compimento del primo anno del
figlio, con benefit aggiuntivi al rientro dal congedo di maternità come ad esempio i permessi
per allattamento. Invece, le libere professioniste
che svolgono attività di collaborazione possono
veder interrotto il loro rapporto lavorativo e le
convenzionate sono esposte al rischio di perdere
il rinnovo del contratto.
Per aiutare le nostre colleghe a districarsi in questo dedalo di normative, il Comitato per le Pari
Opportunità sta organizzando un incontro, che si
terrà in autunno, rivolto appunto ad illustrare i
diritti delle donne nel delicato periodo della maternità. Allo scopo di conoscerci personalmente e
di sentirci più vicine abbiamo anche allestito una
pagina Facebook “Comitato Pari Opportunità
– OMCEO PISTOIA” dove trovare informazioni
sulle nuove iniziative del Comitato.
Ricordiamo a chi volesse comunicare situazioni
di disagio (in atto o pregresse) di intervenire ai
nostri incontri, o almeno di illustrarlo al Comitato: nella speranza di riuscire a consigliare al
meglio e di riuscire a produrre qualche miglioramento della delicatissima condizione della donna
come medico e come madre.
LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA
re o presso case di cura private, convenzionate
oppure libero professioniste. Pur nell’ambito di
una normativa di legge comune per la tutela della gravidanza, variano i trattamenti economici in
base alla sede dove la madre svolge il proprio
lavoro e al suo tipo di contratto. Siamo abituate a
pensare, alla luce di quanto vediamo in altri ambiti lavorativi, che in questo particolare momento della vita la donna sia tutelata, e che lo sarà
anche nei primi mesi di vita del bambino; tuttavia, questo è vero solo nel caso delle dipendenti.
Per altre colleghe la situazione è ben diversa.
Circa un anno fa ENPAM ha cercato di spiegare
sul giornale “Previdenza” come funziona l’indennità di maternità, per fare un po’ di chiarezza.
Come prima cosa si ricorda che l’indennità di
maternità per le dottoresse è finanziata dai contributi versati da tutti i medici e gli odontoiatri
nell’ambito dei contributi fissi di quota A (per un
ammontare, nel 2014, di 43,50 euro).
La può richiedere chi esercita la libera professione, le convenzionate con il SSN, le specialiste
ambulatoriali, le tirocinanti del corso di formazione di Medicina Generale. Ne beneficiano anche coloro che non hanno redditi professionali
(ad esempio le neolaureate una volta che si sono
iscritte all’Ordine). Alle dipendenti ed alle specializzande non viene erogata tramite trattamento ENPAM ma attraverso l’INPS.
L’indennità di maternità prevista copre i due
mesi precedenti al parto ed i tre mesi successivi,
calcolando le mensilità pari all’ 80% del reddito denunciato ai fini fiscali e fissando, inoltre,
un limite massimo ed uno minimo che verranno
equiparati a reddito prodotto dall’attività professionale. Tale importo è erogato in un’unica soluzione entro 120 giorni dalla presentazione della
documentazione.
In caso di aborto, spontaneo o terapeutico, successivo al 3° mese di gravidanza è corrisposta
una indennità ridotta.
Non c’è obbligo di astensione dal lavoro, quindi
la donna può autogestirsi in autonomia (al contrario di quanto avviene per le dipendenti).
In caso di gravidanza a rischio la situazione cambia notevolmente in base al tipo di lavoro della
madre. Si spazia dalla possibilità di richiesta di
maternità anticipata (per le dipendenti) alla richiesta di inabilità temporanea (dal 61° giorno)
per le libere professioniste: in questo modo, ci
sono colleghe che vengono assistite fin dal primo giorno di inabilità al lavoro mentre altre sono
rimborsate solo a partire da due mesi, rimanendo così per un periodo di tempo senza contributi
economici.
Lo scenario si complica ulteriormente se prendia-
15
BUONA SANITÀ
Nell’attuale panorama sanitario, così affollato di notizie vere o presunte di malasanità, siamo lieti
di pubblicare una lettera indirizzata al Presidente di questo Ordine riguardante l’operato del dottor
Silvano Morini, nella convinzione che la buona Medicina trovi il suo fondamento in un rapporto di
stima e fiducia fra medico e paziente.
Livorno, 5 Giugno 2014
Egregio Dottore,
Le scrivo per manifestare, anche a nome di tutta
la mia famiglia, il mio ringraziamento all’oncologo Dott. Silvano Morini il quale coniugando in
maniera straordinaria le sue competenze mediche con la sua sensibilità e disponibilità nei rapporti umani, ha alleggerito per tanti anni il peso
fisico e morale della lunga malattia di mio padre rendendogli la vita serena e incredibilmente
“normale”.
Penso che, soprattutto per una persona malata,
sperimentare la “normalità” nella vita di tutti i
giorni rappresenti l’obiettivo più ambito ma anche il più difficile da raggiungere, se non grazie
all’aiuto di un medico curante “eccezionale” quale è stato il Dott. Morini per mio padre.
Il Dott. Morini ha dimostrato nei confronti di mio
padre doti di professionalità ma anche di empatia e simpatia nel senso etimologico dei termini
in un equilibrio virtuoso che spero possa essere
preso come esempio dal maggior numero possibile di giovani medici.
Purtroppo, o forse è il caso di dire per fortuna,
le parole non riescono a rappresentare compiutamente il mio pensiero fatto di ammirazione, stima e gratitudine ma chi conosce il Dott. Morini,
collega come lei o paziente, sicuramente capirà
fino in fondo.
Con l’occasione le porgo distinti saluti
LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA
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mednews
dalla letteratura internazionale
a cura di Gianna Mannori
La medicina di genere
Il valore della differenza
affidare alla figura femminile il mandato
di essere il manifesto che avrebbe sancito l’inizio del periodo cubista. Ne Le
Damigelle di Avignone l’artista richiama
espressamente il suo grande ispiratore
del passato, El Greco, ma se ne dissocia
radicalmente nei modi espressivi: rispetto alle figure visionarie, eteree ma ancora
realistiche del maestro seicentesco, le damigelle di Picasso sono figure completamente disgregate che hanno perso unità
di contorno e altro non sono che un puro
insieme di attributi femminili. Da Le Damigelle di Avignone in poi, la figura umana, gli oggetti e tutti gli aspetti del reale
verranno definiti in base ai loro elementi
costitutivi, a testimoniare che la realtà
non è definibile come un continuum ma
El Greco, La vision de San Juan, 1608-1614. New York, Metropolitan Museum of Art
Pablo Picasso, Les demoiselles d’Avignon, 1907. New York, Museum of Modern Art
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LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA
Nei primi anni del Novecento la pittura
cubista fece irruzione nel pensiero artistico europeo introducendo una cesura
filosofica che non è stata più ricomposta.
Con il distacco dal descrittivismo impressionista fu sancita in modo ineluttabile
la perdita di una concezione di tipo realistico dell’arte e si teorizzò che la rappresentazione del mondo oggettivo avvenisse attraverso un procedimento astratto
di tipo puramente scompositivo: sottoponendo le forme e i volumi a una frammentazione in elementi costitutivi essenziali, si valorizzò la ricerca degli aspetti
di differenza e di discontinuità piuttosto
che quelli di unitarietà. Quando Picasso
intese formalizzare la sua rottura rispetto agli stilemi artistici del passato, volle
17
dalla letteratura internazionale
come un insieme di parti ben distinte fra
loro.
Il principio filosofico che tanto fervidamente
animò l’ambiente culturale del cubismo ha
alimentato il pensiero di tutto il Novecento
e ne ritroviamo ancora spunti importanti nel
tempo di oggi, quello che stiamo vivendo: il
tempo della mescolanza delle realtà sociali
e dei popoli, della nuova dimensione globale. Con il dilatarsi dei confini geografici, con
l’impatto a volte drammatico fra culture diverse o diversissime, il nostro è veramente
un mondo che contiene e alimenta dentro di
sé il concetto di differenza come elemento
portante: differenza di razza, di condizione
sociale, di status economico, di assetto territoriale e, anche, di genere.
La medicina, con la sua rapidissima capacità
di evoluzione verso approcci di cura innovativi, è parte di questo cambiamento. Con la
nuova definizione dei percorsi assistenziali
è finito il tempo della medicina spontaneistica e i servizi sanitari devono rispondere
all’esigenza di fornire cure mirate a richieste
sempre più differenziate da un punto di vista clinico e sociale. Nasce così la Medicina
di Genere, dalla consapevolezza che, grazie
alla loro diversità biologica, gli uomini e le
donne presentano un’intrinseca differenza
nella suscettibilità alle malattie e, di conseguenza, nell’esigenza di cura: addirittura,
nella possibilità di applicare una definizione
comune di stato di salute.
LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA
18
Differenza e malattia
Per molti anni la ricerca medica e la sperimentazione clinica si sono tradizionalmente
rivolte a una popolazione maschile, sia per
la scelta degli argomenti di indagine che per
le modalità di campionamento e analisi dei
dati. Questo ha creato, nel tempo, un bias,
cioè un elemento di pregiudizio nei confronti della donna che ha portato a sottovalutare
la differenza di genere nell’insorgenza della
malattia. La medicina di genere è il tentativo
di ovviare a questo errore di fondo, approfondendo il concetto di diversità fra i sessi
per estenderlo alle varie branche della scienza medica.
Questa nuova consapevolezza ha consentito di acquisire informazioni sull’insorgenza
mednews
delle malattie nei due sessi e, attraverso un
lungo percorso, si è infine concretizzata in
specifiche raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, mirate a valorizzare le differenze di genere nella definizione dei piani di cura.
In termini di analisi epidemiologiche, è noto
che nei paesi industrializzati le donne presentano valori di mortalità generale mediamente inferiori rispetto agli uomini, grazie
all’effetto protettivo esercitato dagli ormoni
sessuali femminili.
Studi molto recenti, tuttavia, indicano che
questa differenza potrebbe andare ad attenuarsi in futuro, con la previsione che lo stato di salute delle donne presentarà un sensibile peggioramento. Contrariamente, infatti,
alla regola per cui l’innalzamento del livello
di istruzione e di condizione sociale di una
popolazione si ripercuote sempre in un miglioramento dello stato di salute, l’ingresso
delle donne nel mondo del lavoro e il raggiungimento di posizioni di carriera di tipo
apicale sembra aumentarne l’esposizione a
fattori di rischio tipicamente maschili, come
lo stress e gli stili di vita sbagliati. In questo
caso, il raggiungimento di obiettivi ritenuti
giustamente importanti lungo la strada della
parità avrebbe un effetto negativo sulla condizione fisica delle donne e su questo sarà
necessario intervenire con opportune strategie migliorative.
Indipendentemente dall’esposizione ai fattori di rischio, alcune malattie presentano una
diversa espressione clinica negli uomini e
nelle donne. Le cardiopatie ischemiche, per
esempio, mostrano mediamente un profilo
di tipo microcircolatorio nelle donne, laddove gli eventi tromboembolici massivi sono
più frequenti negli uomini. Anche il diabete
presenta una diversa espressività clinica nei
due sessi ma soprattutto è diversa la sensibilità di questa malattia alle terapie ipoglicemizzanti. Più in generale, donne e uomini
rispondono diversamente ad alcune tipologie di farmaci come gli anticoagulanti, gli
antiaggreganti piastrinici e gli antidiabetici
orali.
I geni della differenza
Da molto tempo i ricercatori si sono posti
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mednews
dalla letteratura internazionale
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LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA
il problema di identificare i meccanismi che
sottendono alle differenze biologiche, psichiche e comportamentali che caratterizzano i due sessi. La mappatura completa del
nostro genoma, una delle più importanti acquisizioni della storia recente della medicina, ha aperto grandi prospettive su questo
tema, spostando l’attenzione sullo studio dei
geni che compongono i cromosomi sessuali.
I primi studi sulla genomica di genere hanno prodotto dati contrastanti. È risultato che
i nostri cromosomi sessuali presentano un
importante sbilanciamento nella quantità
dei loro geni. In effetti, il cromosoma maschile è più piccolo dell’omologo femminile
e contiene una quantità assai minore di sequenze geniche. Il motivo di questa diversità consiste in una sua intrinseca fragilità
strutturale per cui, durante i cicli cellulari, il
cromosoma Y va facilmente incontro a errori
e delezioni importanti con la perdita di interi
settori del suo corredo genetico. Si tratta di
un cromosoma labile e questa acquisizione
scientifica ha sollevato incertezze sui meccanismi responsabili della differenziazione
sessuale a livello genomico.
Una risposta iniziale a questi quesiti potrebbe venire da una serie di recentissimi studi
comparsi sulla rivista Nature. Su queste pagine un gruppo di ricercatori americani ha
evidenziato che, nonostante la sua intrinse-
ca labilità, il cromosoma Y contiene alcune
sequenze geniche altamente conservate, che
vengono mantenute e
costantemente espresse durante l’attività replicativa delle nostre
cellule: gruppi di geni
che la natura mantiene
nel nostro patrimonio
genetico come una caratteristica essenziale
e non eliminabile. Si
tratta di sequenze dotate di un’importante
funzione regolatoria su
attività biologiche fondamentali delle cellule,
come la sintesi proteica
e l’espressione genica. Essendo strettamente specifici del cromosoma Y, questi geni
sono presenti nel corredo del maschio ma
non in quello della femmina e, per questo,
si ritiene che costituiscano le aree del genoma in cui si codifica la differenza di genere: una differenza che viene espressa in
tutte le cellule e in tutti i tessuti del nostro
organismo, a prescindere dalle diverse fasi
della vita e dall’assetto ormonale che le caratterizza. Così le codifiche del genere sono
scritte nell’adolescente come nella persona
anziana e sono quelle che rendono la donna
inevitabilmente diversa dall’uomo in tutti gli
aspetti della sua esistenza, dall’assetto biochimico e metabolico delle sue cellule fino
alla dimensione psicologica ed emotiva della
mente.
Sono le aree che, per tutta la durata della
vita, codificano la differenza come un valore
essenziale per la specie umana.
19
IN MEMORIA
Ricordo del Professor Emiliano Panconesi
Dott. Antonio Troiano
Come tutti sanno, è
recentemente mancato, alla età di 90
anni, il Prof. Emiliano Panconesi, già
Direttore di Cattedra
di Dermatologia e
Professore Emerito
dell’Ateneo Universitario Fiorentino.
Profondamente attaccato alle proprie
origini toscane ha
dato lustro alla nostra terra diventando maestro di dermatologia di
fama internazionale, rimanendo pistoiese verace
nello stesso tempo.
Chi ha avuto la fortuna di averlo come maestro,
lo ricorda come un professore come si suol dire
“di altri tempi” relativamente a preparazione,
cultura, carisma personale, capacità organizzative e didattiche, ma sicuramente “unico” per le
proprie doti umane e caratteriali.
LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA
20
Profondo conoscitore della dermatologia tutta,
era particolarmente ed universalmente apprezzato per la sua competenza in dermopatologia
psicosomatica ed immunologica.
I suoi interventi cattedratici e congressuali erano sempre particolarmente attesi e semplicemente “unici”, oltre che per i contenuti scientifici, anche per i continui richiami umanistici,
storici, artistici e le battute ad effetto che lasciavano sempre il sorriso sul volto di chi lo
ascoltava.
Circondato da capaci collaboratori da cui riusciva a ottenere il massimo, aveva instaurato con
gli stessi un rapporto di vera amicizia grazie anche alla sue proverbiali doti di allegria, attaccamento alla vita, capacità di divertirsi e “di stare
al mondo”.
Anche per tali motivi addolora, oltre che la sua
dipartita finale, forse ancora di più il suo precedente distacco sociale determinato da una patologia che aveva improvvisamente minato quei
rapporti interpersonali di cui era vero ed unico
maestro.
Pistoia, panorama
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LIVELLO MINIMO
SCHEDA DI LIVELLO MINIMO N° 21
Pierluigi Benedetti
LE MODIFICAZIONI AMBIENTALI
E LA SELEZIONE NATURALE
“La conservazione delle differenze e variazioni
individuali favorevoli e la distruzione di quelle
nocive in una specie, sono state da me chiamate selezione naturale o sopravvivenza del più
adatto”.
(Charles Darwin, L’origine della specie, 1849)
Da quella data il concetto della selezione naturale ha avuto ed ha nel mondo della scienza la
luminosa, solida, adamantina, schietta validità
di tutte le verità scientifiche, la cui evidenza
non viene messa in dubbio, se non da coloro
che non vedono nella scienza il solo modo per
interpretare i fenomeni naturali.
Tuttavia anche fra quelli che accettano senza riserve questo concetto, non di rado, il significato
del termine selezione naturale è stato frainteso
e il suo senso stravolto.
“Selezione naturale” non significa, infatti, come
spesso con superficialità e supponenza da parte
di alcuni viene interpretato, l’affermazione degli individui più forti, ma di quelli più adatti a
vivere in un determinato ambiente.
Questa falsa interpretazione è stata la base teorica sulla quale alcuni filosofi, storici e politici
hanno visto nella guerra il naturale processo
per il quale popoli, o come dicevano, le razze
più “forti” affermano, per natura, la loro dominazione sulle razze più “deboli”, arrivando
fino a giustificare, in certi casi, la distruzione di
intere popolazioni.
Altri, sostituendo al concetto di popolo definito
come razza, il concetto di classe sociale o di
fede religiosa, arrivarono alle stesse nefaste e
perniciose conclusioni.
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LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA
La nostra specie (Homo Sapiens Sapiens) prevalse sulle altre specie umane con le quali aveva condiviso il pianeta per decine di migliaia di
anni, perché fu la più adatta a sopravvivere in
un ambiente che, circa 40.000 anni fa, mutò in
maniera relativamente rapida per un cambiamento climatico importante (ultima glaciazione).
In quel periodo, per un abbassamento della
temperatura del pianeta, le calotte polari si
estesero fino alle zone temperate (circa 45° parallelo) e le regioni che permettevano la vita
delle piante, degli animali e degli uomini si ridussero sensibilmente.
Fino a allora le Specie Umane presenti sulla
terra erano più di una; e fra di esse i Neanderthaliani (Homo Sapiens Neanderthaliensis)
erano i più numerosi.
I Sapiens erano relativamente pochi; fisicamente meno forti dei Neanderthaliani, non
erano più dotati di loro nemmeno dal punto
di vista intellettuale; ma, originatisi in nicchie
ambientali povere di risorse, avevano necessità alimentari più ridotte rispetto ad essi.
Infatti la dieta dei Sapiens si basava soprattutto
su alimenti vegetali; e quando le disponibilità di cibo, in un ambiente abitabile divenuto
molto più freddo e meno esteso, si ridussero
rispetto al periodo precedente, poterono adattarsi e sopravvivere, mentre i Neanderthaliani,
più esigenti, per qualità e quantità, riguardo
alla dieta, scomparvero.
Sappiamo da studi recenti che i Neanderthaliani avevano le stesse capacità psichiche dei Sapiens con strutture anatomiche non identiche,
ma simili, che permettevano loro di articolare
un linguaggio, ed erano, come si è detto, fisicamente più forti: in uno scontro diretto i Sapiens
non avevano nessuna probabilità di prevalere
sui Neanderthaliani.
Questi ultimi avevano ossa e muscoli meglio
conformati e più sviluppati: potevano scagliare
oggetti, pietre o altro, più pesanti e più lontano, rispetto ai Sapiens, avendo la muscolatura della spalla più efficiente, con un muscolo
piccolo rotondo diversamente e più efficientemente strutturato. Le donne neandertaliane
avevano un bacino più adatto delle altre a far
fronte alle necessità del parto e a quelle di una
deambulazione rapida e sicura.
I Sapiens furono per decine di migliaia di anni
addirittura una preda dei Neanderthaliani, che
21
LIVELLO MINIMO
ne mangiavano le carni, come proverebbero
molti esemplari di crani di Sapiens aperti nella
parte occipitale per asportarne il cervello a scopo alimentare. Alcuni danno di questi reperti
diversa interpretazione.
Il punto debole dell’Uomo di Neanderthal fu
l’eccesso di specializzazione alimentare.
La carne entrava nella sua dieta in maniera
molto importante, e la caccia era la sua attività
prevalente.
Si calcola che le necessità caloriche di un maschio adulto si aggirassero sulle 5000 – 6000
calorie giornaliere, che derivavano essenzialmente dalla carne degli animali uccisi.
Quando nell’ultimo inverno glaciale, che durò
diverse migliaia di anni, la selvaggina si ridusse in maniera drastica, i Neandertaliani, scomparvero quasi completamente dalla faccia della Terra, lasciando libero il campo ai Sapiens,
meno esigenti in senso qualitativo e quantitativo riguardo ai bisogni alimentari.
Per quello che segue, valga di riferimento il recente testo di Christian De Duve, premio Nobel 1974,
lo scopritore dei lisosomi: “La genetica del peccato originale” Edizioni Raffaello Cortina Editore,
libro di facile lettura, che spiega in maniera chiara e lineare molti difficili concetti di biologia e genetica, chiarisce in parole semplici il meccanismo della selezione naturale e propone chiavi di lettura
interessanti per capire le differenze di genere fra i maschi e le femmine umane.
LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA
22
Il meccanismo genetico per il quale le specie
si differenziano, è basato su quello che si può
definire “un’ imperfezione” nella trasmissione
genetica fra le varie generazioni.
Infatti, pur essendo il meccanismo molecolare
della replicazione del patrimonio genetico molto preciso, ogni tanto (una volta su un miliardo) una base sbagliata viene inserita nel DNA
(errore di trascrizione). Si calcola che nell’uomo, ad ogni divisione cellulare, si verifichino
circa 6 errori, che rarissimamente hanno una
qualche rilevanza pratica nel comportamento
della cellula figlia.
Gli errori di trascrizione si possono verificare
sia nelle cellule della linea somatica (mitosi)
che in quelle della linea germinativa (meiosi)
con conseguenze molto diverse fra di loro.
Nel caso delle cellule somatiche l’errore di solito non ha significato pratico, ma in certi tessuti
con ricambio cellulare molto attivo, può, anche
se di rado, innescare fenomeni negativi per la
salute dell’individuo, magari nell’età meno giovane, cosa che, in linea di massima, ha scarsa
o nulla importanza per la sopravvivenza della
specie.
Molto diverso è il caso se l’errore di trascrizione interessa le cellule della linea germinale.
Infatti questi “errori” possono dar origine a figli
con fenotipi diversi da quelli dei genitori, alcuni
dei quali possono essere più adatti per vivere in
ambienti modificati.
L’esempio classico è la colonia di batteri, esposta a una sostanza tossica, a cui può sopravvivere, per un accidente genetico, un individuo
su un miliardo. Dato il numero di individui e la
velocità di riproduzione, in breve si seleziona
un ceppo resistente a quella sostanza, a volte
addirittura dipendente, per la sua sopravvivenza, dalla sostanza aggiunta.
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LIVELLO MINIMO
In condizioni naturali agenti fisici - come i raggi cosmici, radioattività naturale delle rocce - e
chimici - per esempio le diossine delle combustioni spontanee -, aumentano, anche se non
di molto, l’incidenza degli errori di trascrizione
nei passaggi mitotici e meiotici portando a possibili diversità fenotipiche fra le generazioni
cellulari.
Nell’unione di due linee germinali, quindi oltre
ai normali meccanismi di competizione fra alleli e spostamento di parti di cromosomi, che
di per sé già contribuiscono alla diversità fenotipica degli individui della specie, possono
esistere anche copie “imperfette” per errori di
trascrizione, che in ambienti mutati, potrebbero essere più adatte a sopravvivere. E’ intuibile
che quante più sono numerose le generazioni,
tanto più sono le probabilità di avere errori di
trascrizione.
Si è fatto sopra l’esempio del ceppo batterico;
per la popolazione umana valgono le stesse regole da cui possono derivare due considerazioni, che noi “Sapiens” attuali dobbiamo tenere
presenti.
Primo
Il mutamento climatico a cui sopra si è fatto
riferimento e che portò alla scomparsa dei Neanderthaliani, si verificò in diverse centinaia di
anni: un tempo troppo breve rispetto ai tempi
in cui le mutazioni genetiche possono selezionare fenotipi umani adattati a nuovi ambienti.
Sembra siano stati necessari almeno centomila
anni per avere una mutazione fenotipica rilevante nella linea filetica che ha portato all’uomo e che si fa risalire a circa venticinque milioni di anni fa.
I Sapiens sopravvissero perché erano già presenti sulla terra con caratteristiche fenotipiche
che permisero loro di sopravvivere in un ambiente più povero di disponibilità alimentari,
non certo per mutazioni genetiche favorevoli,
verificatesi in poche centinaia di anni.
Secondo
Per le attività umane, molte delle quali assurde e senza senso, l’ambiente in cui viviamo e
vorremmo continuare a vivere noi e, vorremmo che potessero vivere quelli dopo di noi,
che questo tempo chiameranno antico, cambia
ad una velocità vertiginosamente alta, rispetto
ai tempi dell’evoluzione naturale del pianeta,
che, quasi del tutto ignota alle umane menti,
segue il suo cammino.
Sarà bene ripensare a molti modelli di comportamento se non vogliamo fare la fine dei Neanderthaliani, i più forti fra gli Uomini fino all’ultima Glaciazione, ma ahimé, inadatti a vivere
mangiando poca o pochissima carne, i quali
scomparvero e lasciarono il campo ai Sapiens
che si nutrivano quasi esclusivamente di frutta
e verdura.
E si ricordi che non ci sono altre specie umane
sul pianeta oltre alla nostra, magari più adatte al mutato ambiente del futuro: i pochissimi
sopravvissuti fra i neandertaliani e gli altri, in
isolette sperdute, in recessi montani impervi o
in foreste “inaccessibili”, li abbiamo sterminati
tutti con le nostre malattie e le nostre armi,
poco meno di due secoli fa.
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LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA
“Vi scongiuro, fratelli, restate fedeli alla terra e non credete a quelli che vi parlano di assurde speranze! Essi sono degli avvelenatori,
che lo sappiano o no. Sono spregiatori della
vita, moribondi ed essi stessi avvelenati, dei
quali la terra è stanca . . .
Oltraggiare la terra ora è il più terribile peccato.”
Friedrich Nietzsche, Così parlò Zarathustra,
parte prima. Prologo di Zarathustra: paragr. 3.
23
ATTUALITÀ
La Sanità Toscana introduce nel proprio
Piano Socio-Sanitario le cure termali
Dr. Antonio Galassi, Direttore Sanitario Terme di Montecatini
Le Terme, da sempre riconosciute dalla Letteratura Scientifica come presidio utile alla salute e
complementare alla terapia farmacologia, furono
accettate fin dall’approvazione del primo piano
del SSN fra le strutture accreditate per l’erogazione mutualistica delle cure termali dal SSN nel
1978, riconoscimento successivamente ribadito
con il Progetto Statale “NAIADE”nel1998.
Recenti studi, finanziati dalla Regione Toscana,
in collaborazione con l’Università di Firenze,
dall’Università di Pisa, da FORST (Fondazione di
per la ricerca scientifica termale), nonché Borse
di Studio erogate da parte dell’Azienda a medici
e specializzandi, hanno validato ulteriormente la
capacità terapeutica e scientifica delle cure termali.
LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA
24
Le cure riconosciute dal SSN nel nomenclatore
mutualistico (Idropinica, inalatorie, vascolare
periferico, fanghi e bagni), nonché quelle fisioterapiche in regime privatistico, consentono un
intervento capillare sulla salute del cittadino con
problematiche patologiche croniche, dando sollievo terapeutico e incidendo materialmente sul
risparmio di spesa farmaceutica statale.
Le Terme inoltre, avendo una prevalenza di
clientela extraregionale, consentono alla Regione
Toscana una notevole compensazione economica da parte delle altre Regioni per i propri assistiti
che affluiscono alle Terme Toscane.
I Medici di Famiglia potrebbero più facilmente
contenere la spesa farmaceutica regionale indirizzando alle cure termali una quota percentuale
Montecatini Terme, Stabilimento Excelsior
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ATTUALITÀ
Saturnia, Cascate del Mulino
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Obiettivi prioritari per uno sviluppo appropriato
dell’offerta termale nella erogazione delle prestazioni sanitarie, sono:
individuazione di riferimenti certi per l’autorizzazione e l’accreditamento degli stabilimenti termali, anche in attuazione degli accordi nazionali
per la erogazione delle prestazioni termali;
individuazione di percorsi riabilitativi e definizione di prestazioni sanitarie per le quali esistano evidenze scientifiche d’efficacia se erogate in
ambiente termale, anche tramite l’attivazione di
sperimentazioni in relazione a specifiche patologie;
promozione dei rapporti tra strutture termali ed
Università, anche ai fini del coinvolgimento delle Aziende termali nella realizzazione di indagini epidemiologiche e di ricerche scientifiche nel
campo degli interventi sanitari termali;
verifica della possibilità di inserimento degli
stabilimenti termali nello sviluppo dei processi
di integrazione delle medicine complementari e
non convenzionali negli interventi per la salute;
sostegno ad azioni coordinate con il livello territoriale al fine di promuovere la realizzazione,
presso le Aziende Termali, di programmi finalizzati alla promozione di sani stili di vita e del
benessere.
LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA
dei propri assistiti affetti da patologie croniche
degli apparati gastrointestinale, polmonare, motorio, vascolare, dei disturbi metabolici, ecc.,
inoltre data l’attività di eccellenza svolta in ambito riabilitativo fisioterapico non convenzionato, presente nelle Aziende Termali, potrebbero
prescrivere, senza aggiunta di costi SSN e senza
particolari attese, terapie strumentali fisioterapiche e riabilitative da abbinare alle cure termali
convenzionate, ottenendo risoluzioni terapeutiche in tempi più brevi con costi limitati.
Il concetto di Stile di Vita trova la sua massima
espressione nelle strutture termali, dove il fatto
educativo alimentare, motorio, anti tabagico,
ecc., viene costantemente promosso con conferenze, libri, opuscoli, “percorsi salute” in palestra o nei parchi,dando ulteriore validità alle
terapie termali naturali conosciute da millenni.
Patrimonio educativo-culturale che non si esaurisce nelle due settimane di permanenza nel distretto termale ma che diventa propria del cittadino anche successivamente.
Su queste premesse si è svolto il 22 marzo alle
Terme di Montecatini un convegno per la presentazione del Piano Sanitario e Sociale Integrato
Regionale 2014-2019 “Curare la persona e non
la Malattia” di cui alleghiamo le premesse e il
programma.
25
LETTERE
Riceviamo e volentieri pubblichiamo
Choosing Wisely
Fare di più non significa fare meglio
LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA
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La semeiotica medica attraverso la quale il clinico cercava di individuare la diagnosi della malattia ormai è
un retaggio del passato. Oggi si ricorre a test diagnostici sempre più innovativi e sofisticati che sono utili e
indispensabili a formulare diagnosi corrette ma che troppo spesso vengono sovrautilizzati e rischiano di diventare dannosi. Lo stesso si verifica per trattamenti medici e chirurgici che vengono prescritti per abitudine,
per accontentare gli assistiti per paura di sequele medico-legali, per dimostrare di fare tutto il possibile e, ciò
che è più grave, per interessi economici perché nell’organizzazione sanitaria si è più attenti alla quantità delle
prestazioni che alla loro qualità ed appropriatezza.
Pensare di modificare questo stato di cose trova grandi difficoltà.
I medici, infatti, si trovano condizionati non solo dalle pressioni delle case farmaceutiche che enfatizzano
prodotti e presidi innovativi, da colleghi scrupolosi che prescrivono tanti esami ma anche dagli assistiti che
“infarinati di conoscenze mediche” da riviste o da siti internet (sostenute dalle industrie) richiedono esami o
trattamenti medici spesso inutili e talvolta rischiosi.
L’informazione medico-scientifica a tutti i livelli dovrebbe essere meno miracolistica e soprattutto libera da
conflitti di interesse!!
Oltre allo spreco di risorse si possono avere, come nel caso della TAC, possibili futuri danni alla salute per
l’eccessiva esposizione delle persone alle radiazioni per test inutili. Danni che, in futuro, potrebbero essere
motivo di contenzioso medico legale. Ancora l’eccessiva richiesta di esami allunga le liste di attesa creando
disagio e talvolta ritardi diagnostici alle persone che ne hanno reale necessità.
Occorre un sovvertimento di questo stato di cose.
Nelle aziende sanitarie si dovrebbero premiare di più la qualità e l’appropriatezza che la quantità delle
prestazioni; ha poco senso dopo una mammografia negativa in una mammella adiposa terminare il referto
con: “utile eseguire una ecografia”, oppure prescrivere una TAC cerebrale in una persona di 90 anni per una
semplice vertigine. In quest’ultimo caso la richiesta viene effettuata per accontentare i figli o i nipoti o per
paura di sequele medico legali.
Occorre far capire alle persone che il medico che prescrive più esami non è sempre il medico più competente.
Non ci si può aspettare che questi cambiamenti avvengano per merito dei medici, né per merito dei cittadini
né per merito dell’informazione medico scientifica né, tantomeno, per merito di una ottusa politica sanitaria
impegnata in tagli di spesa lineari.
Negli U.S.A. è in atto un processo “CHOOSING WISELY” promosso da molte società scientifiche e da associazioni di consumatori che si propongono l’obiettivo di ridurre le spese mediche inutili.
Anche in Italia è nato un analogo progetto “FARE DI PIU’ NON SIGNIFICA FARE MEGLIO” lanciato da SLOW
MEDICINE.
L’OMS stima una riduzione della spesa sanitaria tra il 20% ed il 40%; uno spreco causato da un inefficiente
utilizzo di risorse (WHO 2010).
La “Carta della Professionalità Medica per il nuovo millennio” si propone l’obiettivo del benessere dei cittadini e chiama in causa i medici perché si assumano la responsabilità dell’impiego appropriato delle risorse
ed evitino test e procedure superflue “fornire servizi non necessari non solo espone le persone a rischi e costi
evitabili ma anche riduce le risorse disponibili per altri” (2002 Fondazione ABIM “American Board of Internal
Medicine”, ACP “American College of Physicians”, e “Federazione Europea di Medicina Interna”).
TOP FIVE LIST
Howard Brody nel 2010 sottolineava la responsabilità etica di tutti i medici riguardo la sostenibilità economica del sistema sanitario e suggeriva ad ogni società scientifica di redigere una lista di cinque test o trattamenti
medici tra i più costosi e più frequentemente utilizzati dai membri di quella società che, senza apportare
benefici significativi al malato, lo esponessero a qualche rischio.
Non si tratta di un razionamento dell’assistenza sanitaria per tagliare indiscriminatamente i costi ma si
tratta di un intervento per eliminare gli sprechi e meglio tutelare la salute dei cittadini.
Le società scientifiche redigono la top five list grazie ad un gruppo di studio di alto livello con professionisti
competenti in epidemiologia, clinica,biostatistica, politica sanitaria e medicina basata su prove scientifiche
inconfutabili.
Anche la NPA (National Physicians Alliance) aderiva al progetto di Brody per la medicina di famiglia, la
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LETTERE
Dott. Alderico Di Ienno
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LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA
medicina interna e la pediatria per assicurare un uso più appropriato delle risorse e migliorare la qualità
delle cure.
Una analisi economica stimava una riduzione della spesa in almeno 5 miliardi di dollari se venissero eliminate quelle pratiche individuate dalla Top Five List.
La fondazione ABIM sulla base dei precedenti lancia l’iniziativa CHOOSING WISELY con la collaborazione di
CONSUMER REPORTS organizzazione di consumatori.
Nove società scientifiche hanno fatto una lista di cinque test o trattamenti molto utilizzati ma che potevano
essere messi in discussione . Sono state individuate 45 pratiche ad alto rischio di inappropriatezza che non
solo fanno lievitare enormemente i costi della sanità ma che possono procurare più danno che beneficio alla
popolazione.
Nel 2012 Annals of Internal Medicine individua una lista di 16 indagini radiologiche dai 45 test di C W ad
alto rischio di inappropriatezza tra questi:
Test di imaging per cefalea in persone senza fattori di rischio
Rx torace pre-operatorio di routine in persone senza sintomi
Test imaging per lombalgia senza segni
MOC in donne di età <a 65 anni e uomini in età <a 70 anni. Senza F.R.
TAC o RMN dopo sincope semplice senza anomalie neurologiche
PET, TAC SCINTI Ossea per stadi azione Ca prostata senza rischio di metastasi
PET, TAC Scintigrafia Ossea per stadiazione Ca mammario a basso rischio di metastasi
Altre società scientifiche hanno prodotto altre 18 liste in U.S.A. nel 2013.
Portando a 135 in totale i test ed i trattamenti sulla cui utilità ed efficacia sarebbe opportuno interrogarsi.
In Italia
La stima dell’OMS che vede nel 20%-40% uno spreco causato da utilizzo inefficiente delle risorse è verosimile
anche per l’Italia.
Stima OCSE
Il numero di apparecchi TAC e RMN in rapporto alla popolazione è uno dei più alti e di molto al di sopra
della media dei paesi OCSE:
Italia
media OCSE
22,4 RMN per milione di abitanti
12,5
31,6 TAC
22,6
Uno studio del 2011 ha dimostrato l’appropriatezza di prestazioni radiologiche ambulatoriali solo nel 56%
del totale delle prestazioni (Appropriateness analysis of out patient radiology requests M Cristofaro).
Analogamente gli impianti di pace-marker cardiaci, più utilizzati nel nostro paese che altrove, da adito a
qualche dubbio di appropriatezza.
Altro esempio eclatante è il parto cesareo il cui numero in rapporto ai parti normali in Italia è il più alto del
mondo.
Anche il consumo di antibiotici in Italia è uno dei più alti dei paesi OCSE.
SLOW MEDICINE lancia il progetto “FARE DI PIU’ NON SIGNIFICA FARE MEGLIO”
Segue la proposta di Brody invitando società scientifiche a stilare una lista di 5 test diagnostici o trattamenti
ritenuti a rischio di inefficacia e di in appropriatezza
Gruppo di studio con professionisti esperti in epidemiologia, clinica, biostatistica, politica sanitaria e medicina basata su prove scientifiche.
Le società scientifiche dopo aver raggiunto l’accordo si impegnano nel tentativo di dissuadere i propri membri
dall’utilizzo di quei test o quelle pratiche ritenute inappropriate.
In conclusione l’obiettivo è quello di ridurre i costi della spesa sanitaria non con ottusi tagli lineari ma intervenendo sulle cause più eclatanti di spreco per esami inappropriati. potenzialmente dannosi.
Aderiscono al progetto varie società scientifiche,gli Ordini dei Medici Chirurghi, federazione Slow food italia,
Altroconsumo, Istituto Mario Negri.
Il progetto intende coinvolgere non solo i medici ma anche gli altri professionisti della salute ed è inoltre prevista la partecipazione attiva dei cittadini e dei malati.
Il Ministero della Salute potrebbe fare proprio questo progetto e su indicazione delle varie Società Scientifiche
rendere fruibili solo quegli esami e quei trattamenti ritenuti adeguati, utili e soprattutto non dannosi.
Nel primario obiettivo di salvaguardare la salute dei cittadini si potrebbe ottenere una notevole riduzione dei
costi della sanità evitando pericolosi e poco lungimiranti tagli lineari di spesa sanitaria.
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PASSATO E PRESENTE
La Medicina degli Uomini (3)
Nota sulla storia della chirurgia
Pierluigi Benedetti
“Le mètier de chirurgien exige une alliance du
cerveau et de la main, un accord parfait entre le
jugement intellectuel et l’habilité manuelle”.
“Il mestiere del chirurgo esige un’alleanza fra mano e
cervello, un accordo perfetto fra capacità di giudizio e
abilità manuale”.
Mirko D. Grmek: Histoire de la pensée médicale
en Occident, 2, De la Renaissance aux Lumières,
Ed. du Seuil, 1997, p.225.
LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA
28
In altre parole il più grande studioso moderno di
Storia della Medicina afferma, nel testo sopra indicato, pietra miliare di questa scienza, che soltanto un ottimo medico può diventare un buon
chirurgo.
Mentre nessuno oggi mette in dubbio tale affermazione, nel passato per molto tempo venne attribuita al chirurgo una dignità inferiore a quella
del medico propriamente detto, del quale fu ritenuto un aiutante o un garzone.
È interessante rilevare che dagli albori della medicina e per tutta l’Era Antica, la pratica chirurgica fu considerata una cura di pari dignità, se
non superiore a quella dell’uso dei farmaci o alla
prescrizione di diete.
Un aforisma molto noto della Scuola Ippocratica
riferito dalla tradizione, recita: “Se puoi, cura il
tuo paziente con la dieta; se non basta, ricorri
ai farmaci; se anche questi falliscono, ricorri al
ferro; se non basta ancora, usa il fuoco. Se anche
questo rimedio fallisce la malattia è inguaribile”
Nei primi secoli dell’Era Volgare si verificò un
cambiamento drastico e singolare nella considerazione dell’attività chirurgica, da allora vista
come vile pratica manuale, indegna dei veri medici e da lasciare alla cura di “illetterati garzoni”.
Tale atteggiamento psicologico e pratico si mantenne fino al XVII – XVIII secolo, quando, dopo
un faticoso e lungo cammino illustrato dall’opera di chirurghi di eccezionale abilità, mai adeguatamente valorizzata, anche nel campo medico il lume della ragione si impose sulle tenebre
dell’ignoranza, cioè fino all’età dell’Illuminismo;
e se vogliamo fissare una data per detto cambiamento possiamo riferirci agli anni della Rivoluzione Francese, quando con leggi draconiane,
ma indispensabili per lo sviluppo di una moderna società, si pose fine all’ordinamento feudale,
retaggio insostenibile di una realtà economica e
sociale superata da secoli.
Non è, tuttavia, di immediata comprensione il
motivo per il quale, nei “secoli bui”, la chirurgia divenne pratica così poco considerata dalla
scienza medica ufficiale; e di questo argomento
trattano le righe seguenti, rimandando ai testi di
storia della chirurgia, numerosi e autorevoli, per
le notizie che illustrano come con un lungo e non
agevole itinere, dall’inizio del Medio Evo e fino
al XVIII secolo, la chirurgia poté riacquisire, nel
complesso delle scienze mediche, il posto che a
diritto le competeva.
Nella Storia Naturale di Plinio si legge che con questo fiore,
la peonia, il mitico medico Peone, guarì Marte, dio della
guerra, ferito in battaglia da Diomede.
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PASSATO E PRESENTE
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La grande considerazione per l’aspetto chirurgico
dell’attività medica si mantenne nei tempi classici, fino a dopo l’età di Galeno (129–216 d.C.), in
pratica fino all’inizio del Medioevo, per i sei–sette secoli in cui la cultura classica ellenistico–romana fu egemone fra i popoli che vivevano sulle
rive del Mar Mediterraneo e nei paesi limitrofi.
Le cose cambiarono drasticamente quando, nella
dissoluzione dell’Impero Romano d’Occidente e
l’avvento della Religione Cristiana, la cultura antica fu travolta; e nei “regni romano-barbarici”,
nati con l’arrivo dall’oriente e dal nord di nuovi
popoli, alla visione ecumenica del mondo si sostituì una cultura consona alle mutate condizioni
economiche e sociali, completamente chiusa al
progresso scientifico.
Il medico fu spogliato dell’abito dello scienziato
e rivestì di nuovo la veste talare del sacerdote:
non fu più visto come uomo di scienza, ma come
mediatore fra il malato ed il vero medico celeste:
Gesù Cristo. Si ritornò, nei fatti, ad una visione
preippocratea della malattia, considerandola, di
nuovo come agli albori della civiltà, un castigo
divino e vedendo nella cura dei malati un mezzo
per esprimere la carità del buon cristiano.
LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA
I primi medici, in tempi in cui non si poteva
nemmeno parlare di Uomini, furono di sicuro dei
chirurghi: una spina conficcata in un piede, una
foglia o un pugno di terra per tamponare una ferita sanguinante furono probabilmente le prime
esperienze mediche, molto avanti il tempo in cui
i nostri antenati cominciarono a usare utensili di
alcun genere, cioè prima della Preistoria, che per
convenzione facciamo iniziare con l’uso dei primi strumenti di pietra (Paleolitico); e sicuramente fra questi strumenti ci furono i primi “ferri”
chirurgici.
La figura del medico si venne poi delineando nelle più antiche civiltà, in maniera complessa: da
una parte il medico operava sulla base di esperienza e conoscenze teoriche preparando e somministrando farmaci ed intervenendo sul paziente con pratiche operative dirette; dall’altra veniva
visto come un sacerdote, cioè come un mediatore
fra l’umano e il mistero che circondava la malattia e la morte, intermediario fra l’uomo e le
divinità che inviavano le malattie o le facevano
guarire.
Non fu di poca importanza per la considerazione dell’opera del medico la sua abilità nel curare
le ferite in generale ed in particolare le ferite di
guerra.
Nel libro XI dell’Iliade (versi 505–515) dove
si narra del ferimento di uno dei due medici
dell’esercito acheo, Macaone, temendo per la
sua sorte, Idomeneo provvede con sollecitudine
a farlo portare dal campo alla tenda per essere
adeguatamente curato, perché, come dice rivolgendosi a Nestore: “Un medico vale molti uomini”, considerando la sua abilità nel curare i soldati feriti.
La figura del medico come mediatore fra il mondo degli uomini e degli dei non fu messa in dubbio fino al VI–V secolo avanti Cristo, quando in
Grecia nel periodo che, con buona ragione, fu
definito Illuminismo Ellenico la sfera dell’umano
e del divino furono separate nettamente.
Da quel momento chi si dedicava alla medicina
fu considerato, almeno nell’élite culturale del
tempo, che riconosceva alle malattie un’origine
puramente terrena, un professionista di alto livello etico, dedicato alla cura dei malati e non
più, oltre a questo, un sacerdote degli dei della
malattia e della guarigione.
I grandi medici ellenistici, esponenti della cultura
alessandrina del III – II secolo avanti Cristo, curavano i pazienti con farmaci e operavano “con
le mani”, come l’etimo greco di “chirurgo” ci ricorda, a seconda del tipo e della gravità del male.
29
PASSATO E PRESENTE
Molti dei Padri della Chiesa, convinti che il mondo degli uomini fosse prossimo alla fine, non
avevano esitato ad incitare i credenti nella nuova
religione a chiudere definitivamente con il passato, distruggendo insieme alle statue e ai templi
degli dei pagani anche tutto quello che la civiltà
antica aveva prodotto di positivo in campo scientifico.
“Può esservi forse qualcosa di comune fra Atene
e Gerusalemme, fra la Chiesa e l’Accademia ? ….
Fra il nemico e l’amico della verità ?” (Tertulliano: De Praescriptione Haereticorum).
Si ricordi la fine di Ipazia, alessandrina di elevatissima cultura, versata in scienze e filosofia e
vittima di cristiani fanatici di cui il recente film
“Agorà”, descrive in maniera edulcorata la tragica fine.
Per fortuna dopo le folle di fanatici cristiani del
V secolo che, guidati da monaci invasati e visionari, in nome di un sacrilego disegno di purificazione del mondo dal peccato, avevano distrutto i
LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA
30
templi degli antichi dei, bruciato le biblioteche e
perseguitato i pochi uomini di scienza sopravvissuti, ci furono nel secolo successivo altri monaci
i quali, pensando che forse le trombe angeliche
dell’Ultimo Giudizio non avrebbero squillato
tanto presto, dedicarono la loro vita, con pietosa abnegazione e cristiana umiltà, a mettere in
salvo quel che poterono della letteratura e della
scienza antica; copiando nei monasteri gli antichi
scritti, dallo studio dei quali dopo qualche secolo
sarebbe rinato il mondo degli uomini di scienza.
In quei secoli di miserie, fame, pestilenze e morte, avvenne, come si è riferito, la netta separazione fra l’attività del medico propriamente detto,
che curava più con preghiere, talismani e reliquie
di santi, che con farmaci veri e si guardava bene
dal “toccare” i malati, e l’attività dei suoi aiutanti a cui faceva eseguire “con le mani” i compiti materiali imprescindibili per la cura dei corpi
malati: incisione di ascessi, amputazioni, salassi,
sutura delle ferite, l’acconciatura delle ossa rotte
o slogate e simili altre “basse”
incombenze.
Durante i secoli del Medioevo
“la chirurgia fu relegata alle
cucine – dice sempre l’Autore
citato all’inizio –, mentre nelle aule i medici veri tenevano
dotte perorazioni, sulle influenze astrali che causavano
le malattie, e i talismani e le
pratiche esoteriche adatte per
curarle.
Tuttavia era ben chiaro a tutti
che nel campo medico il mestiere di chi operava con le
mani era necessario, anzi, indispensabile e nonostante ciò
la considerazione del chirurgo fu bassa e sottovalutata.
Una delle cause di non poca
importanza di questo “disprezzo”, fu il fatto che il chirurgo era un “illetterato”, cioè
aveva una bassa formazione
culturale, nel senso in cui allora si considerava la cultura;
e soprattutto, colpa gravissima agli occhi dei sapienti del
tempo e in particolare agli occhi dei “veri medici”, i chirurghi non conoscevano il latino.
Si tenga presente che la cowww.omceopistoia.it
PASSATO E PRESENTE
Ambroise Paré
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mente pratica e, mentre gli studenti di medicina
studiavano sui libri degli antichi, in cui grossolani errori non erano infrequenti, l’apprendista
chirurgo era il servo o, al più, il ragazzo di bottega del più anziano praticante la chirurgia, che di
solito esercitava il mestiere di barbiere.
Le condizioni di vita e di lavoro di questi apprendisti erano tanto dure che Ambroise Paré, il padre della chirurgia moderna, che non imparò mai
il latino ed apprese il mestiere di chirurgo nelle
botteghe dei barbieri, ebbe a scrivere:
« Mai nessuno pretese tanto da un servo, mai nelle isole un uomo bianco cercò così avidamente di
trarre profitto da un uomo nero, come un chirurgo-barbiere cerca di trarre guadagno dal pane e
dall’acqua di un apprendista ».
Il mondo per la fortuna degli apprendisti chirurghi e di tutti gli uomini, malati e sani, cambiò,
come si è detto, quando le tenebre dell’ignoranza
cominciarono ad esser rischiarate, nel XVIII secolo, dal lume della ragione.
(continua, forse)
LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA
noscenza del latino fino a tempi relativamente
recenti (XVIII secolo) fu considerata requisito
indispensabile per accedere a certe professioni,
come quella del medico, e per essere accettati nel
campo accademico.
Basti ricordare le vicende di Anton Van Leeuwenhoek (1632–1723) genio indiscusso e per lungo
tempo incompreso. Di modeste origini, nato e
vissuto in una piccola città dell’Olanda, lontano
da esperienze accademiche ufficiali, costruì ottimi microscopi e capì la loro potenzialità nello
studio della vita microscopica nel campo della
biologia e della medicina. Non conoscendo il latino, per decenni fu costretto a farsi tradurre dal
parroco del villaggio, nella lingua ufficiale della
scienza di allora, il rendiconto delle sue scoperte
rivoluzionarie perché fossero almeno esaminate
dalla Royal Society di Londra, il più autorevole
consesso scientifico del tempo. Solo dopo molti decenni, quando ormai le sue scoperte erano
divenute la base di tutta la ricerca scientifica del
tempo, fu riconosciuto degno dell’ammissione a
detta società.
La formazione del chirurgo era quasi esclusiva-
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COMUNICAZIONI
CASELLA PEC
Si comunica che questo Ordine ha provveduto ad attivare gratuitamente una Casella di Posta Elettronica (PEC) per tutti gli iscritti e che i relativi indirizzi sono stati comunicati al REGINDE, attraverso
la FNOMCEO.
Dietro esplicita richiesta degli interessati, sono state disattivate le caselle preesistenti ritenute non più
necessarie. Si ribadisce ulteriormente l’esigenza dell’Ordine di essere informato sugli indirizzi di posta elettronica non certificata di tutti gli iscritti e di essere aggiornato su tutte le eventuali variazioni.
CORSI DI AGGIORNAMENTO II SEMESTRE 2014
ORDINE DEI MEDICI CHIRURGHI E ODONTOIATRI
VIALE ADUA 172, PISTOIA
CALENDARIO EVENTI DA SETTEMBRE A DICEMBRE 2014
Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri, Pistoia
GIOVEDÌ 18 SETTEMBRE ore 19.30
Dott. Paolo Perrini
Recenti acquisizioni neurologiche
sulla nevralgia del trigemino
Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri, Pistoia
SABATO 4 OTTOBRE ore 8.30
Dott. Augustine Iroatulam
Le novità nella patologia
ambulatoriale chirurgica
Villa Cappugi, Pistoia
SABATO 4 OTTOBRE ore 8.30
Il codice rosa: formazione e
sensibilizzazione della rete
territoriale dell’ASL3
Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri, Pistoia
SABATO 25 OTTOBRE ore 8.30
Dott. Andrea Gavazzi
Nuove prospettive diagnostiche e terapeutiche per l’ipertrofia prostatica
benigna
Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri, Pistoia
SABATO 8 NOVEMBRE ore 8.30
Dott. Ivano Cerretini
Il dolore clinico
Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri, Pistoia
SABATO 15 NOVEMBRE ore 8.30
Dott. Paolo Frosini
I tumori della laringe
Eventuali variazioni verranno comunicate via mail.
Come consuetudine per ogni evento manderemo una mail per l’iscrizione.
L’ORDINE DEI MEDICI PER L’ARTE E LA CULTURA
I Monuments Men in Toscana
Maria Camilla Pagnini
L’uscita recente del film Monuments Men diretto e
interpretato da George Clooney ha portato alla ribalta una serie di eventi della seconda guerra mondiale che pur godendo di una vasta e informata
bibliografia non erano noti alla maggior parte del
grande pubblico. Si tratta della storia di un gruppo
di studiosi arruolati volontariamente nell’esercito
alleato per costituire un gruppo, la Monuments,
Fine Arts and Archives subcommission (MFAA)
basato sui lavori della Second Roberts Commission
che, per le proprie competenze, sarebbe stato in
grado di riorganizzare l’attività della Soprintendenza e quindi seguire anche il recupero delle opere trafugate dai nazisti da musei, chiese e palazzi,
con il perverso intento di una spoliazione sistematica del patrimonio, anzi dei “conseguimenti”così
come sono definiti nel film. Sul tema esistono preziosi resoconti basati su una capillare ricostruzione archivistica che narrano la storia di quel drammatico periodo. Ad esempio Ilaria Dagnini Brey
ha scritto Salvate Venere! (Mondadori 2010) nel
quale si racconta anche la vicenda dei Monuments
Officers e di alcuni Soprintendenti rimasti volontariamente asserragliati insieme alle opere loro affidate per controllare i ricoveri nei quali dipinti,
sculture, arredi preziosi e reperti erano stati nascosti per sfuggire alla spoliazione nazista. Lo stesso Fredrick Hartt (1914-1991), responsabile per la
Toscana della Sottocommissione per i monumenti,
docente di storia dell’arte e autore di fondamentali
monografie su vari artisti del Rinascimento italiano, scrisse già nel 1949 Florentine Art under fire.
Oltre la storia dei cinque protagonisti presenti nel
film di Clooney sappiamo che i Monuments Men
furono un gruppo di quasi 350 persone appartenenti a diverse nazionalità tutti formati nell’ambito dell’architettura, design, storia dell’architettura,
collezionismo e storia dell’arte il cui lavoro nelle
macerie del conflitto ebbe come primo esito quello
del salvataggio di molte opere ma, come rebound
successivo, si concretizzò nella formazione di una
intera generazione di architetti, conservatori e docenti che plasmarono con la loro attività la cultura
europea e americana nei decenni a venire.
E in Italia? O meglio, in Toscana? Il testimone fu
raccolto direttamente dalle mani di Fredrick Hartt
e affidato nell’aprile 1945 a un giovane architetto,
Guido Morozzi che, all’epoca, aveva 36 anni. Con
lui lavorarono altri allora giovani e giovanissimi
tecnici in forza alla Soprintendenza: Ubaldo Lumini, Nello Bemporad, Nello Baroni, Ferdinando
Guido Morozzi, Ponte Vecchio da via Guicciardini dopo
le distruzioni del 1944, bozzetto tratto da G. Morozzi,
Interventi di restauro, Firenze, 1979
Rossi, Pietro Finocchiaro, Alidamo Preti e Roberto
Lloyd che, nel 1946, anno in cui Morozzi redige la
Relazione sui danni sofferti, erano appena trentenni; in seguito furono coadiuvati anche da Rolando
Pagnini e Riccardo Gizdulich. Negli occhi di questi uomini le macerie divennero non solo i resti di
quegli edifici che avevano maggiormente “sofferto
per l’ira nemica”, ma anche un punto da cui partire, non una sconfitta, ma materiale da schedare,
conservare e selezionare per iniziare a ricostruire. E così fecero. Mentre a Firenze entravano i camion delle forze alleate che riportavano i dipinti
trafugati e recuperati dai luoghi in cui erano stati
ricoverati, Morozzi e i suoi tra Firenze, Arezzo e
Pistoia percorsero la provincia, il Montalbano e il
Valdarno, il Mugello e le campagne circostanti per
censire e individuare i luoghi da restaurare, anzi
da restituire alle comunità.
Il lavoro di coloro che furono i nostri Monuments
Men rimane nelle pagine redatte da Guido Morozzi, Relazione sui danni sofferti a causa della
guerra dal patrimonio artistico monumentale della
provincia di Firenze rimasto a lungo manoscritto e
pubblicato grazie a Claudio Paolini nel 2009, accompagnato da una interessante nota introduttiva
e da una significativa selezione di immagini scattate subito dopo le distruzioni e nei cantieri aperti
per i restauri. È Morozzi stesso a ricordare come
il lavoro di quei giovani architetti, disegnatori,
storici e ingegneri, collaboratori e impresari fosse
animato dalla fiducia di operare per salvaguardare
non solo edifici pregevoli, bensì i “conseguimenti”
della comunità.
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Bollettino n. 28 - Ordine dei Medici Chirurghi ed Odontoiatri della