La voce dell’ordine di Pistoia Rivista di informazione medica n. 28 settembre 2014 Ordine Provinciale dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Pistoia Quadrimestrale - Anno IX - n° 28 - settembre 2014 Tariffa R.O.C.: “Poste Italiane Spa sped. abb. post. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art.1, comma 1, DCB/PO” Pescia, Chiesa di San Francesco, cappella dell’Immacolata Sommario 1 • 3 • 6 • 7 • 11 • 14 • 16 • 17 • 20 • 21 • 24 • 26 • 28 • 32 • III • EDITORIALE Formazione del medico e accesso alla professione AGGIORNAMENTO SCIENTIFICO Dengue FISIOLOGIA Alterazioni del metabolismo del sodio AGGIORNAMENTO SCIENTIFICO La riabilitazione cognitiva MEDICINA DI GENERE Sistema immunitario e differenza di genere PARI OPPORTUNITÀ Anatomia dell’Ordine. L’universo femminile BUONA SANITÀ Lettera al dottor Morini MED-NEWS dalla letteratura internazionale La medicina di genre. Il valore della differenza IN MEMORIA Ricordo del Professor Emiliano Panconesi LIVELLO MINIMO N. 21 Le modificazioni ambientali e la selezione naturale ATTUALITÀ La Sanità Toscana introduce nel proprio Piano Socio-Sanitario le cure termali LETTERE Choosing Wisley: fare di più non significa far meglio PASSATO E PRESENTE La Medicina degli Uomini (3) Nota sulla storia della chirurgia COMUNICAZIONI Casella PEC Corsi di aggiornamento II semestre 2014 L’ORDINE DEI MEDICI PER L’ARTE E LA CULTURA I Monuments Men in Toscana Copertina: Pescia, Duomo Quarta di copertina: Pescia, panorama della città La voce dell’ordine di Pistoia Bollettino ufficiale quadrimestrale dell’Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri di Pistoia; anno IX n. 28 – settembre 2014 Dir. resp. Dott. Gianluca Taliani – Comitato di redazione: Egisto Bagnoni, Pierluigi Benedetti, Gianna Mannori, Ione Niccolai Reg. Trib. Pistoia n. 8 del 9/07/04 – Stampa: GF Press, Masotti EDITORIALE Egisto Bagnoni Presidente dell’Ordine di Pistoia FORMAZIONE DEL MEDICO E ACCESSO ALLA PROFESSIONE La situazione attuale è a dire poco drammatica e lo confermano i dati messi a disposizione dall’EMPAM per il convegno svoltosi a Bari nei giorni 13 e 14 giugno 2014. Il numero dei laureati per ogni anno è molto inferiore a quello dei giovani che accedono alla facoltà di Medicina, le iscrizioni delle donne diminuiscono ogni anno, moltissimi neolaureati, più di mille all’anno, vanno a lavorare in Francia, Germania e Gran Bretagna. Le università europee risultano migliori delle nostre e l’esame per l’accesso alla facoltà di medicina in Italia non risulta di qualità elevata. Abbiamo venti regioni con venti programmi di formazione post laurea diversi sia per le scuole di specializzazione che per il tirocinio per la medicina generale. Nel convegno di Bari abbiamo visto giovani medici illustrare le difficoltà delle realtà universitarie in cui vivono e tutti hanno invocato un cambiamento. Al microfono si sono alternati anche politici e cattedratici che hanno illustrato vecchi e nuovi progetti che negli ultimi decenni non sono mai stati portati ad una discussione parlamentare seria. In quella sede sono state avanzate ipotesi di cambiamento per aumentare il potenziale di accesso all’università attraverso l’ingresso libero per due anni e poi il concorso per proseguire. Come si può proporre certe riforme quando le università non hanno la possibilità di espandere la platea degli studenti? Ad oggi vi sono due dati certi: sono aumentati gli anni di studio e di frequenza per conseguire una specializzazione e sono diminuiti di molto i posti presso le sedi Universitarie Italiane. Attualmente si accede a una specializzazione molti mesi dopo la laurea, e la stessa cosa succede per accedere al tirocinio della medicina generale, a causa dei ritardi con i quali le Regioni pubblicano i bandi di concorso, le date degli esami e le graduatorie. Se non interverranno modifiche sostanziali, nel corso dei prossimi anni avremo una pletora di giovani medici senza lavoro per non avere avuto accesso alle specializzazioni e al tirocinio in medicina generale. Rimanendo tale la regolamentazione per l’ac- EDITORIALE cesso al lavoro avremmo il paradosso che questi giovani laureati dovranno emigrare per trovare un lavoro e allo stesso tempo dovremmo importare specialisti per coloro che nei prossimi anni andranno in pensione dagli ospedali. A questo punto non rimane che invocare una nuova e seria programmazione della formazione alla quale debbono partecipare tutte le istituzioni come Ordini, Università, sindacati medici e Ministeri competenti. Quando sento parlare di riforme e programmazione mi vengono i brividi perchè tutto si perde nei meandri della burocrazia. Potremmo guardare con giusto interesse quello che avviene nei paesi vicini. Esiste un Programma Europeo che potrebbe servire da guida per un cambiamento già collaudato. Un tentativo praticabile per dare una soluzione a questo grave problema potrebbe essere dato dalla istituzione di un biennio di formazione pratica al quinto e sesto anno del corso di laurea. Questo potrebbe dare la possibilità di accedere al primo anno di specializzazione rimandando al secondo anno la conferma con la stipula di un contratto a tempo determinato. Alla fine del percorso formativo, con il superamento dell’esame finale il medico potrebbe essere assunto a tempo indeterminato. In questo modo potrebbero essere superate le carenze strutturali delle Università e la carenza di personale ospedaliero. Rimanendo la situazione attuale, con l’accesso all’ospedale solo dopo la specializzazione, non vi sono prospettive. LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA 2 Dei problemi dei giovani si debbono fare carico tutti perchè riguardano il futuro della professione. Giovani e meno giovani debbono collaborare per dare migliori prospettive alla professione che incontra gravissime criticità per il crescente contenzioso legale innescato dalle note difficoltà a reperire adeguate coperture assicurative, dalla prevenzione del rischio clinico e da tante altre carenze di tutele. Non esiste ancora intesa con la magistratura per la segretazione dei verbali degli audit clinici. Il medico molte volte viene chiamato a testimoniare sugli audit quando la legge prevede per qualsiasi cittadino l’esonero della testimonianza contro se stesso. Non esiste in Italia la tutela del medico dipendente in ambito civilistico senza la riserva della colpa grave ed ancora peggio si trova il medico libero professionista al quale viene sempre applicata, in sede civilistica, la responsabilità contrattuale se non quella oggettiva. In sanità tutto può succedere ed il caso “stamina” è emblematico per una deriva delle istituzioni quando il CSM non interviene quando un giudice si pone al di sopra della scienza e della deontologia obbligando il medico ad eseguire terapie che non danno nessuna garanzia di sicurezza ed eticità. Ulteriore emergenza è rappresentata dalle professioni non ordinate che rappresentano 150 mila professionisti non registrati e non regolamentati che possono, inconsapevolmente, racchiudere al loro interno sacche di abusivismo. Pescia, Piazza G. Mazzini www.omceopistoia.it AGGIORNAMENTO SCIENTIFICO Dengue Dott. Michele Spinicci* e Prof. Alessandro Bartoloni** *Scuola di Specializzazione in Malattie Infettive, Università degli Studi di Firenze **SOD Malattie Infettive e Tropicali, Azienda Ospedaliero Universitaria Careggi, Firenze – Centro di Riferimento Regionale per lo Studio e la Cura delle Malattie Tropicali – Dipartimento Medicina Sperimentale e Clinica, Università degli Studi di Firenze siti ideali per la proliferazione del vettore; il costante incremento di mole e velocità dei viaggi internazionali, alla base della diffusione pandemica di tutti i sierotipi virali e dell’introduzione del virus in nuove aree dotate di vettori efficaci. In Europa la presenza di Aedes aegypti è limitata all’isola portoghese di Madeira, sede negli ultimi anni di una vasta epidemia di dengue, ad alcune regioni che si affacciano sul Mar Nero e ai Paesi Bassi. Il rischio di generare casi autoctoni, già Nel complesso l’incidenza globale dell’infezione ha mostrato negli ultimi 50 anni un incremento di circa 30 volte, con una costante diffusione a nuovi Paesi e dalle aree urbane e peri-urbane, dove la trasmissione era storicamente predominante, verso quelle rurali. Le ragioni di questa espansione epidemiologica sono molteplici: la propagazione geografica di vettori efficaci, favorita dai cambiamenti climatici e dall’assenza di adeguate misure di controllo; la rapida urbanizzazione di molte città in Asia e in America Latina ed il conseguente incremento di densità demografica; l’abbondanza di dispositivi di immagazzinamento di acque ferme, diffusi soprattutto in aree con scarso accesso a risorse idriche, che diventano registrati in Francia e Croazia nel 2010, è legato invece al vettore meno efficace Aedes albopictus, conosciuta anche come zanzara tigre, diffusa in 20 Paesi europei. Ad oggi, in Italia, nonostante la massiccia presenza di Aedes albopictus, la dengue rimane esclusivamente una patologia di importazione. In Toscana, secondo i dati raccolti dal Centro di Riferimento Regionale per lo Studio e la Cura delle Malattie Tropicali, afferente all’Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi, la dengue è la seconda diagnosi più frequente, dopo la malaria, in pazienti febbrili di ritorno da area tropicale. I casi confermati in laboratorio, negli anni 2006-2012 sono stati 61, registrati in nove diverse province. www.omceopistoia.it LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA La febbre dengue è una arbovirosi endemica in molte aree tropicali e subtropicali di tutto il mondo, causata da 4 sierotipi di virus Dengue (DENV 1-4) e trasmessa all’uomo attraverso la puntura di zanzare infette del genere Aedes spp, tra cui Aedes aegypti è il vettore più efficace. Attualmente si stima in oltre 230 milioni il numero di casi annui di dengue, con circa 2,5 miliardi di persone che vivono in aree a rischio di trasmissione. 3 AGGIORNAMENTO SCIENTIFICO L’infezione da virus Dengue è una malattia sistemica, con manifestazioni che vanno da forme asintomatiche fino a quadri di sindromi emorragiche e shock, con un alto tasso di letalità. Recentemente l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha ridefinito la classificazione delle sindromi cliniche associate all’infezione da virus Dengue, che in precedenza prevedeva la suddivisione dei casi sintomatici in febbre indifferenziata, dengue fever (DF), dengue haemorrhagic fever (DHF), fino alla dengue shock syndrome (DSS), che identificava i gradi III e IV della forma emorragica. Nelle linee guida emanate dall’OMS nel 2009 viene invece sancito che la dengue è un’entità unica, capace di un ampio spettro di presentazioni cliniche, con evoluzione ed esito spesso imprevedibili. Sono stati inoltre individuati i “segnali d’allarme” che permettono di discernere le forme di dengue non complicate da quelle potenzialmente gravi (dengue con segnali d’allarme), richiedenti stretto monitoraggio per il rischio di progressione a dengue grave. L’evoluzione verso forme gravi, che nel complesso costituiscono l’1% di tutti i casi, è favorita dalla presenza di fattori di rischio tra cui il sesso femminile, la giovane età, il sierotipo virale, ma soprattutto una precedente infezione da un virus Dengue di sierotipo diverso. Si ritiene che questo fenomeno sia dovuto ad una impropria liberazione di citochine vasoattive da parte delle cellule del sistema monocitico-macrofagico, in risposta agli immunocomplessi formati da anticorpi di una vecchia infezione che legano i nuovi virus eterotipi, senza riuscire a neutralizzarli. Dopo un periodo di incubazione medio di 4-7 giorni e mai superiore ai 14 giorni, la storia naturale dell’infezione si articola attraverso tre fasi: la fase febbrile, che può durare da 2 a 7 giorni, caratterizzata da comparsa improvvisa di febbre elevata con artromialgie intense, cefalea e profonda prostrazione; possono inoltre essere presenti nausea, vomito, rash cutaneo, epatosplenomegalia, iniezione congiuntivale e modesti fenomeni emorragici come petecchie o emorragie delle mucose. Gli esami ematochimici mostrano inizialmente una leucopenia, seguita da una rapida caduta della conta piastrinica. Al termine della fase febbrile, la maggior parte dei casi tende al miglioramento clinico, fino alla completa guarigione. La progressione verso la fase critica avviene intorno al 3-7° giorno di malattia, generalmente in coincidenza di un miglioramento della curva termica. In questa fase, l’aumento della permeabilità capillare determina una riduzione del volume circolante, palesato da un incremento dell’ematocrito. La presenza dei segni di allarme può dare una misura dell’entità della perdita di plasma, che nei casi gravi può condurre fino allo shock ipovolemico con insufficienza d’organo e coagulazione intravascolare disseminata (CID). Gravi fenomeni emorragici (cutanei, mucosali, gastrointestinali, etc) possono verificarsi in questa fase, in presenza o meno di ipovolemia e shock. LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA La fase critica si protrae per 24-48 h, al termine delle quali inizia la fase di recupero, caratterizzata da un progressivo riassorbimento di liquidi dal terzo spazio, risoluzione dei sintomi e normalizzazione dei parametri di laboratorio. In ogni fase di malattia, la gestione del paziente richiede uno stretto controllo di parametri vitali ed ematochimici; le misure terapeutiche consistono in interventi di supporto come l’infusione di liquidi, per il mantenimento di un adeguato volume circolante e gli antipiretici, evitando i farmaci 4 www.omceopistoia.it AGGIORNAMENTO SCIENTIFICO Aedes aegypti Aedes Albopictus (Zanzara tigre) che possono aggravare il rischio emorragico. Il sospetto clinico deve sorgere in tutti i quadri di sindrome virale in pazienti che abbiano soggiornato in aree endemiche nei 14 giorni precedenti all’insorgenza della sintomatologia. Nei primi 5 giorni di malattia la diagnosi può essere raggiunta tramite la ricerca del virus nel sangue attraverso tecniche di biologia molecolare o attraverso la ricerca dell’antigene virale NS1. Dopo il V giorno di malattia, virus e antigene scompaiono dal sangue, in concomitanza con la comparsa di anticorpi IgM e successivamente IgG, rilevabili con test ELISA. L’andamento del titolo anticorpale può fornire informazioni utili per distinguere un’infezione primaria, nella quale le IgM compaiono per prime e raggiungono il picco in poche settimane, mentre le IgG crescono lentamente, da una infezione secondaria, caratterizzata dalla presenza di alti titoli di IgG già durante la fase acuta. Nell’era della Global Health, la conoscenza di questa malattia e della sua epidemiologia è imprescindibile per ogni operatore di salute: permetterà da un lato di fornire a chi è diretto in aree tropicali corrette informazioni riguardo alle misure di prevenzione primaria, volte ad evitare le punture di insetti (repellenti cutanei, zanzarie- re, ecc.); dall’altro di mettere in atto tempestivamente le indagini diagnostiche e successivamente l’assistenza clinica al viaggiatore che è stato infettato dal virus Dengue. Infine consentirà l’applicazione delle misure di sorveglianza da parte dell’Igiene Pubblica, secondo le direttive del Ministero della Salute del 2012, come l’isolamento del paziente durante la fase viremica e la disinfestazione del vettore nella zona di residenza del caso. WHO. Dengue: guidelines for diagnosis, treatment, prevention and control - New edition. Ginevra; 2009. Lagi F et al. Imported Dengue Fever in Tuscany, Italy, in the period 2006-2012. Ahead of print. Ministero della Salute. Sorveglianza dei casi umani delle malattie trasmesse da vettori con particolare riferimento alla Chikungunya, Dengue, West Nile Disease - Aggiornamento 2012. Circolare 12922-P del 12/06/2012. Roma; 2012. LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA www.omceopistoia.it BIBLIOGRAFIA 5 FISIOLOGIA Alterazioni del metabolismo del sodio Ione Niccolai LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA 6 Il sodio è il più importante catione dello spazio extracellulare e insieme con i suoi maggiori anioni, bicarbonato e cloruro, rappresenta per oltre il 90% i soluti osmoticamente attivi di questo compartimento. Influenza indirettamente il volume dell’acqua intracellulare e la sua quantità totale presente nel corpo, ed è il maggior determinante del volume extra cellulare. Quindi, poiché il controllo del volume dei fluidi extracellulari dipende essenzialmente dalla regolazione del bilancio del sodio, ogni variazione di quest’ultimo sarà accompagnata da una modificazione di quest’ultimi (fluidi extracellulari). Si parla d’Iposodiemia quando il sodio sierico è inferiore a 135mmol/l. Nella maggioranza dei casi si tratta d’iposodiemia da diluizione che si realizza quando la perdita di sali e acqua viene sostituita solo da acqua libera priva di sali. L’unica terapia è il ripristino del volume, con soluzione isotonica di cloruro di sodio. Talvolta si parla d’intossicazione da acqua, in genere iatrogena, per somministrazione di acqua in eccesso, ad es. dopo interventi chirurgici in pazienti con insufficienza renale oppure in pazienti con diuresi inadeguata. In questi casi la sintomatologia, che può essere anche molto importante, presenta confusione mentale, crampi, tremori muscolari che possono sfociare in crisi convulsive, può essere dominata solo con lenta somministrazione di soluzione salina ipertonica (quando il sodio è inferiore a110 mmol/l) continuando fino alla scomparsa dei sintomi, non fino alla normalizzazione dei valori dell’Na serico. Quando invece l’iponatremia è asintomatica, il trattamento corretto consisterà nella sola restrizione dei liquidi e nella sospensione di ogni farmaco che può indurre iponatremia. L’iponatremia farmaco indotta è estremamente frequente, soprattutto in ambiente extra ospedaliero. È a tutti noto, infatti, che esistono numerosi farmaci di largo uso che alterano, se non adeguatamente controllati, l’omeostasi idroelettrolitica come certi diuretici, agenti psicotropi, antiepilettici, antineoplastici, FANS ed altri. In tutti questi casi il farmaco deve essere tempestivamente sospeso e non deve essere più somministrato. IPERNATREMIA: quando il sodio (Natrium in latino)nel sangue è superiore a 145mmol/l. Raramente è causata da eccesso di sodio, per apporto di quantità eccessiva di soluzioni ipertoniche di sodio, quanto piuttosto da deficit relativo di acqua libera nell’organismo (disidratazione ipertonica dovuta a perdite di acqua da cause renali ed extra renali). Etiologia – Perdita extra renale di acqua (cute, sudorazione, iperpnea, ustioni) – Perdita renale di acqua (diabete insipido, diuresi osmotica, glicosuria) – Assunzione di sale eccessiva non bilanciata da adeguate quantità di acqua. – Iperfunzione surrenale (m. di Cushing, iperaldosteronismo) – Ipercalcemia – Assunzione insufficiente di H2O (disfunzioni della regolazione della sete, nell’ictus cerebrale, nelle lesioni ipotalamiche). Sintomatologia – Sintomo dominante è la sete – Confusione mentale – Astenia – Diminuzione della diuresi. Terapia – Somministrazione molto lenta di liquidi privi di sodio, es. glucosio 5%. Quando la sodiemia è inferiore a 160mml/l si può proseguire la terapia sostitutiva per via orale fino alla normalizzazione del parametro. È molto importante che la normalizzazione del deficit di H2O avvenga molto lentamente. Nelle prime 24 ore è opportuno non sostituire più della metà dell’acqua calcolata, il resto nelle seguenti 48. www.omceopistoia.it AGGIORNAMENTO SCIENTIFICO La riabilitazione cognitiva Approccio preventivo nell’adulto sano, nel Mild Cognitive Impairment e nella demenza lieve Dott.ssa Sabrina Danti, psicologa, Dottorato di Ricerca in Neuroscienze, Università di Pisa Giacomo Handjaras, Corso di laurea in Medicina e Chirurgia, Università di Pisa www.omceopistoia.it di memoria associato a deficit di altre funzioni cognitive (amnesic multiple domain, MCI tipo II) siano a più alto rischio di sviluppare AD, con un tasso di conversione annuo tra il 10% e il 15% (Petersen, 2005; Brandt, 2008). Studi di neuroimmagine cerebrale hanno dimostrato che nella condizione di MCI il cervello dei pazienti va incontro a modificazioni funzionali e strutturali. In dettaglio, i cambiamenti strutturali, rilevati da tecniche come la Voxel Based Morphometry, che analizza l’intensità della sostanza grigia e bianca, e la Cortical Thickness, che misura lo spessore corticale, sono risultati poco specifici nel predire la progressione da individuo sano in MCI, e da quest’ultimo in AD, limitando la finestra temporale a tre anni prima dell’insorgenza conclamata della demenza, quando i disturbi cognitivi sono già marcati e potenzialmente non reversibili (Whitwell, 2007). Inoltre, tecniche di neuroimmagine funzionale (come la PET e la risonanza magnetica funzionale) hanno evidenziato che i pazienti MCI mostrano quadri specifici di ipermetabolismo, presumibilmente compensatorio, nelle regioni temporali e prefrontali ventrali e dorsolaterali durante l’esecuzione di compiti cognitivi. E’ stato dimostrato che questo reclutamento corticale compensatorio viene ad esaurirsi col progredire del declino cognitivo (Woodard, 2009; Peters 2014). Oggi sappiamo che tale processo di riorganizzazione funzionale può essere positivamente modulato da tecniche di neuroriabilitazione, come la stimolazione cognitiva non invasiva (Miniussi, 2011; Spector 2001, 2010) che sono considerate appropriate per contrastare il declino cognitivo nelle sue fasi iniziali. E’ stato dimostrato che accanto a fenomeni di perdita LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA La letteratura scientifica ha proposto molte definizioni della condizione di deterioramento cognitivo lieve (Mild Cognitive Impairment, MCI) nel tentativo di discriminare fra invecchiamento patologico e fisiologico. Circa 20 anni fa, Ronald Petersen ha proposto una definizione di MCI basata su criteri neuropsicologici e psicometrici, maneggevoli e replicabili (Petersen, 1995, 1999, 2004): questi criteri sono attualmente utilizzati da clinici e ricercatori in tutto il mondo. Recentemente tale definizione è stata applicata con successo nel definire il declino cognitivo lieve associato alla Malattia di Parkinson (Litvan, 2012), che sembra determinare un rischio ulteriore, assieme all’età di insorgenza della malattia e al fenotipo clinico, di sviluppare demenza associata a Malattia di Parkinson. Nel corso degli anni sono stati identificati diversi sottotipi di MCI con l’obiettivo di cogliere la vasta gamma di deficit cognitivi che i pazienti mostrano e di prevedere il loro decorso clinico (Petersen, 2004). Petersen, nel suo impianto concettuale (Petersen, 2009) aveva previsto quattro diversi tipi di MCI ed una loro possibile evoluzione verso la Demenza di Alzheimer (AD), la Demenza Fronto-Temporale, la Demenza a corpi di Lewy e la Demenza Vascolare. In particolare, la comunità scientifica si è focalizzata sul decorso del MCI a rischio di evolvere in AD, malattia neurodegenerativa che rappresenta la più alta casistica tra le varie forme di demenza (il 60% per pazienti con più di 60 anni, secondo le Linee Guida della Regione Toscana per la diagnosi e il trattamento della demenza rivolte ai MMG, 2011). Dopo numerose ricerche, la letteratura più recente sembra convergere verso l’ipotesi che i pazienti MCI con deficit 7 AGGIORNAMENTO SCIENTIFICO neuronale caratteristici dell’invecchiamento fisiologico, nel cervello sono conservate anche capacità riparatrici e rigenerative a tutte le età (Grafman, 1999; Cappa, 2012). Questo fenomeno di plasticità neurale determina la possibilità che il cervello possa essere modificato e modificabile dal prodotto della sua stessa attività. Inoltre, studi sul modello animale hanno dimostrato che un ambiente arricchito e l’opportunità di un maggiore esercizio producono variazioni morfologiche a livello cerebrale associate ad un miglioramento delle performances (Cotman, 2002; Marx, 2005; Lazarov, 2005; Nithianantharajah, 2006). Attualmente è quindi possibile ipotizzare che l’attività mentale e quella fisica rappresentino potenti mezzi per amplificare i meccanismi di difesa e di compenso contro l’insulto del tempo. Storicamente l’istanza riabilitativa è stata applicata soltanto nelle fasi molto avanzate delle malattie neurodegenerative, dimostrando scarsi effetti sul recupero cognitivo anche quando combinata con terapia farmacologica. Il background scientifico attuale suggerisce invece di intraprendere interventi neuroriabilitativi quando il declino cognitivo è ancora lieve ed è possibile attingere a meccanismi di compenso, come nell’MCI (Clément, 2013) e nelle fasi precoci della demenza per ottenere un’efficacia quantificabile almeno in termini di rallentamento dell’ingravescenza (Talassi, 2007). Inoltre, su questi presupposti, è possibile estendere l’applicazione di queste tecniche anche su adulti sani e cognitivamente integri, come prevenzione primaria delle malattie neurodegenerative del sistema nervoso centrale (Anguera, 2013; Chapman, 2013). In un protocollo di riabilitazione cognitiva è necessario effettuare innanzitutto una visita neuropsicologica approfondita che comprenda i test cognitivi di II livello (vedi ad es. “Protocollo di valutazione neuropsicologica”, Unità di Valutazione Alzheimer, Regione Toscana). I punteggi dei test cognitivi devono essere corretti per sesso, età e scolarità, per eliminare l’influenza delle variabili demografiche di base (Spinnler, 1987; Capitani, 1997). È sulla base di questi risultati, e grazie alla sensibilità clinica del neuropsicologo, che può essere programmato un piano neuroriabilitativo efficace, che deve necessariamente tenere conto del profilo cognitivo globale della persona, dei suoi punti di forza e di debolezza. In sintesi, un programma neuroriabilitativo è tanto più efficace quanto più è personalizzato, e deve esercitare in maniera differenziale le funzioni cognitive che hanno un deficit e quelle invece che sono ancora integre (Mazzucchi, 2012). L’idea di allenaMente nasce da una triplice esigenza. Innanzitutto una necessità oggettiva è la mancanza della capillarità sul territorio di un servizio di riabilitazione cognitiva, LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA Fig.1 Meta-analisi di studi di risonanza magnetica funzionale che utilizzano un compito cognitivo (Stroop Test, un test cognitivo di II livello). Le regioni in blu rappresentano le porzioni di corteccia delle regioni frontali dorso-laterali funzionalmente attive durante il compito. La mappa di attivazione è ottenuta da Neurosynth.org ed è proiettata su una superficie tratta dall’atlante del Montreal Neurological Institute. 8 www.omceopistoia.it AGGIORNAMENTO SCIENTIFICO www.omceopistoia.it LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA specialmente nel territorio pistoiese, ma anche in altre province. Attualmente nel Nomenclatore della Regione Toscana, l’istanza riabilitativa è prevista solo per i cosiddetti “codice 75” (cfr. grave cerebrolesione acquisita) durante i 90 giorni della degenza ospedaliera. Altre regioni invece stanno attivamente investendo risorse. Ad esempio, l’Emilia Romagna ha recentemente inserito nel suo Nomenclatore (marzo 2013, nota m1, codice 93.89.2-3) la possibilità di erogare un “Training per disturbi cognitivi” ambulatorialmente, sia come istanza individuale che di gruppo, per coloro che hanno un deficit cognitivo, anche lieve, a prescindere dall’eziologia. Secondariamente allenaMente vuole farsi portavoce di una nuova prospettiva culturale e applicare l’idea della prevenzione primaria nell’ambito delle malattie neurodegenerative, di modo da investire nel mantenimento del patrimonio cognitivo nelle fasce della terza e quarta età. Infine, allenaMente vuole portare dentro il nostro paese le più recenti novità scientifiche - i programmi di stimolazione cognitiva sono già una realtà in molti paesi occidentali, e sono per lo più somministrati tramite la rete internet (ad esempio http://www.cambridgebrainsciences.com). allenaMente è stato ideato grazie all’incontro della neuropsicologia con la tecnologia, tenendo conto degli insegnamenti finora tratti dalla neuroriabilitazione. E’ stato sviluppato un sistema che permette di somministrare degli esercizi cognitivi con semplicità, nel comfort della propria casa e con sedute frequenti. Dato che la connessione internet (ed il suo utilizzo) nel nostro paese non sono ancora così diffusi come all’estero, è stato creato un tablet da dare in comodato d’uso all’utente. L’interfaccia del tablet è stata altamente semplificata di modo che anche ultrasettantenni non familiari con la tecnologia (ad es. non in grado di usare il cellulare) possano utilizzarlo. La sfida tecnologica più grande è stata proprio quest’ultima. Inoltre, l’approccio riabilitativo punta ad allenare globalmente il profilo cognitivo della persona. Sono stati creati esercizi per stimolare tutte le funzioni cognitive (memoria, attenzione, linguaggio, capacità visuospaziale, programmazione motoria, funzioni esecutive). Gli esercizi sono adattivi: se la persona risponde con successo, divengono più difficili, viceversa si semplificano. Con questi accorgimenti allenaMente offre un programma di riabilitazione innovativo e completo, che adatta il livello della difficoltà in corso d’opera e massimizza l’efficacia dell’allenamento. Il tablet è uno strumento utile perché registra tutte le risposte date dalla persona e permette di controllare nel tempo il lavoro svolto entro le mura domestiche. Infatti, alla fine del percorso le performances cognitive verranno analizzate e commentate da personale esperto, che rilascerà un referto. Il pacchetto di allenaMente prevede una settimana di prova dello strumento a titolo completamente gratuito ed un’assistenza telefonica e/o domiciliare in caso di difficoltà nell’uso dello strumento. Ad oggi sappiamo che in patologie neurologiche ad origine neurodegenerativa o vascolare, purtroppo non esistono cure risolutive, né terapie che gestiscono i sintomi in maniera ottimale. Il miglior investimento possibile è una combinazione di allenamento fisico e mentale associati ad uno stile di vita e una terapia medica che rimuova tutti i potenziali fattori di rischio che influiscono sulla salute dell’organo cervello. allenaMente si inserisce in questo contesto e mira a promuovere la “ginnastica della mente” per farla entrare nella vita di tutti i giorni. 9 AGGIORNAMENTO SCIENTIFICO Fig.2 Esempi di esercizi cognitivi proposti da allenaMente. A) esercizio per la memoria visiva; B) esercizio per la memoria uditiva; C) esercizio per la pianificazione mentale; D) esercizio per l’attenzione divisa; E) esercizio per la flessibilità cognitiva; F) esercizio per la resistenza all’interferenza. BIBLIOGRAFIA Anguera JA et al. (2013) Nature 501: 97–101 Brandt J et al. (2008) Neuropsychol 23: 607–618. Capitani E & Laiacona M (1997) J Clin Exp Neuropsy 19:795–809. Cappa SF (2012) Amsterdam: ElsevierNorth Holland pp 2-11 Chapman SB et al. (2013) Cereb Cortex Aug 28, pp 1:10 Clément et al (2013) Cortex 49:1268-79. Cotman CW & Berchtold NC (2002) Trends Neurosci 25:295-301. LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA 10 Nithianantharajah J & Hannan AJ (2006) Nat Rev Neurosci 7:697-709. Peters F et al. (2014) J Alzheimers Dis 38:307-18 Petersen RC et al. (1995) JAMA 273:1274-78. Petersen RC et al. (1999) Arch Neurol. 56:303-8 Petersen RC (2004) J Intern Med 256:183:94. Petersen RC et al. (2005) Arch Neurol 62:1060-3 Petersen RC et al. (2009) Arch Neurol 66:12:1447-55. Grafman J & Litvan I (1999) New York: Springer-Verlag. pp 131-139. Spector A et al. (2001) Neuropsychol Rehabil 11:3/4:193-6. Lazarov O et al. (2005) Cell 120: 701713 Spector A et al. (2010) Int. J. Geriatr. Psychiatry 25:12: 1253-58. Litvan I et al. (2012) Mov Disord 27:349–356. Spinnler H & Tognoni G. (1987) J Neurol Sci 6(Suppl. 8): 1-120. Marx J (2005) Science 307: 1547. Talassi et al. (2007) Arch Geront Geriatr 1:391-9 Mazzucchi A (2012) Amsterdam: Elsevier-North Holland Miniussi C & Vallar G (2011) Neuropsychol Rehabil 21:553-9. Whitwell JL (2007) Brain 130:1777-86 Woodard LJ et al. (2009) Brain 132: 2068–78. www.omceopistoia.it MEDICINA DI GENERE Sistema immunitario e differenze di genere Dott.ssa Deanna Belliti, endocrinologia U.F. Consultoriale Valdinievole ASL 3 www.omceopistoia.it di Roma. Questa ricerca ha confrontato la produzione di citochine da parte delle cellule del sangue periferico di soggetti di sesso femminile e di sesso maschile, stimolate con diversi tipi di virus. I risultati ottenuti hanno dimostrato che le maggiori differenze fra uomini e donne riguardano la produzione di una specifica citochina, l’Interleuchina 10 (IL-10 ). L’IL-10 svolge una importante funzione di tamponamento per evitare che, una volta debellato il virus, l’organismo continui a far lavorare attivamente il sistema immunitario. Le cellule del gruppo maschile producono IL-10 in quantità 4 volte superiore rispetto alle cellule del gruppo femminile . Questo rilievo sembra dimostrare che la reazione immunitaria degli uomini sia sottoposta ad un “freno“ in modo maggiore di quanto succeda nelle donne; si potrebbe così spiegare la minore abilità degli uomini a combattere le infezioni virali e, all’opposto, la maggiore “resistenza” delle donne alle infezioni e la loro maggiore predisposizione a scatenare fenomeni di autoimmunità. Tuttavia i ricercatori hanno anche osservato che la minore produzione di IL-10 si manifesta in donne in età riproduttiva ma non dopo la menopausa quando la secrezione di ormoni femminili è fortemente ridotta. Gli ormoni sessuali sembrano, quindi, poter modulare il rilascio di citochine pro e antiinfiammatorie dalle cellule immunitarie. Ci sono numerosi e rilevanti aspetti riguardo all’influenza degli ormoni sessuali femminili e maschili sul dimorfismo immunitario e sulla suscettibilità e progressione dei quadri autoimmuni, seppure non sempre le evidenze si dimostrano univoche. Prima della pubertà, periodo in cui gli steroidi sessuali circolano in basse concentrazioni, non si rilevano significative differenze nelle risposte immunitarie nei due sessi. Durante la gravidanza, quando la produzione degli steroidi sessuali è molto elevata, si osservano notevoli ma anche differenti cambiamenti del corso di queste patologie. Infatti si assiste ad un evidente miglioramento di malattie come l’artrite reumatoide e la LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA L’immunologia è sicuramente uno dei campi in cui l’ottica di genere rappresenta uno strumento indispensabile, considerando le note disuguaglianze tra i due generi nello squilibrio della bilancia immunitaria. Le donne presentano una maggiore vulnerabilità alle patologie autoimmuni. Queste patologie mostrano, nella maggioranza dei casi, un andamento cronico e possono essere in vario grado invalidanti, accompagnandosi spesso a stanchezza persistente, dolore, disturbi dell’umore e riduzione delle capacità lavorative. Gli uomini, invece, sono più suscettibili alle malattie infettive batteriche, virali e parassitarie; infatti l’incidenza delle sepsi severe è più alta nel genere maschile e la prognosi risulta più spesso infausta. Gli uomini si dimostrano, per questi aspetti, il “sesso debole”. Gli studi ci dicono che le donne possiedono una maggiore reattività immunitaria; sembra che siano dotate di “poteri” immunologici speciali, liberandosi più velocemente dei microrganismi patogeni rispetto agli uomini. Le differenze più evidenti fra uomini e donne consistono nel trovare in queste ultime aumentati livelli di anticorpi nel sangue, un’aumentata tendenza alla loro produzione in seguito alla stimolazione delle loro cellule produttrici (plasmacellule) e differenti livelli di molecole attive, quali le citochine, nelle risposte immuni. Ma la migliore reattività femminile è un’arma a doppio taglio, infatti se eccessivamente alta e prolungata la risposta immunitaria tipica del genere femminile può causare patologie croniche e autoimmunitarie. È il continuo stato infiammatorio necessario per contrastare le infezioni che porta l’organismo ad uno stato di maggiore suscettibilità alle malattie autoimmuni. Questo può essere il motivo per cui le donne si ammalano con un’incidenza nettamente maggiore rispetto agli uomini di patologie infiammatorie autoimmuni. Per capire le basi della differente risposta alle infezioni da parte di uomini e donne sono stati condotti numerosi studi, uno fra questi è stato realizzato da alcuni ricercatori dell’Istituto Pasteur 11 MEDICINA DI GENERE sclerosi multipla e a un loro peggioramento nei mesi successivi al parto. Al contrario, il Lupus Eritematoso Sistemico (LES), più frequente in età fertile, tende a peggiorare in gravidanza e migliorare dopo la menopausa. Si può quindi affermare che con l’aumentare dell’età la suscettibilità alla malattia autoimmune decresce nella donna ed aumenta nell’uomo, eccetto che per l’artrite reumatoide che è molto più comune nelle donne in menopausa. Studi effettuati in vitro hanno dimostrato che esistono importanti connessioni tra estrogeni e sistema immunitario: recettori per gli estrogeni sono presenti sulle cellule immunitarie coinvolte nel meccanismo patogenetico della malattia autoimmune; i linfociti T e B sono pertanto stimolati dagli estrogeni che ne possono modificare le funzioni. A confermare queste osservazioni vi sono ricerche riguardanti gli interferenti /distruttori endocrini che indicano estrogeni esogeni o sostanze simil-estrogeniche come possibili cause dell’incremento delle patologie autoimmuni; queste molecole diffuse nell’ambiente in sinergia con altri fattori possono ridurre la tolleranza agli autoantigeni. Ulteriori osservazioni hanno dimostrato che altri ormoni sono in grado di interferire sul sistema immunitario. Infatti è nota l’azione soppressiva degli androgeni sulla risposta del sistema immunitario; quindi in condizioni di ridotta secrezione di androgeni si riduce anche la protezione dal rischio di malattie autoimmuni. LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA 12 Nelle donne gli androgeni, secreti dalle gonadi femminili e dal surrene, sono presenti a concentrazioni molto più basse rispetto a quelle circolanti negli uomini. È stato osservato che donne con LES mostrano livelli più bassi di androgeni sia di origine surrenalica che ovarica, rispetto a donne non malate, e che negli uomini affetti da artrite reumatoide i livelli di testosterone e DHEA sono più bassi, mentre nel liquido sinoviale di entrambi i sessi si riscontra un più alto tasso di estrogeni, per l’aumentata attività dell’aromatasi indotta dal Tumor Necrosis Factor. Un altro ormone di cui vi sono evidenze certe riguardo al suo coinvolgimento nelle risposte immunitarie è la prolattina (PRL). Accanto alla sua attività biologica principale di preparazione della ghiandola mammaria alla lattazione nel corso della gravidanza e dopo il parto, è possibile che la PRL, secreta dall’adenoipofisi, abbia un’azione di stimolo sul sistema immunitario. Infatti recettori per la PRL sono stati identificati a livello dei linfociti ed è stato anche dimostrato che gli stessi linfociti sono in grado di produrla, e in questo modo, attraverso un’azione paracrina potrebbe stimolare le cellule vicine a quelle dalle quali è stata prodotta. Sulla base delle note correlazioni tra estrogeni e PRL si potrebbe quindi ipotizzare un complesso meccanismo che vede negli estrogeni e nella PRL due importanti stimolatori del sistema immunitario. Tuttavia gli ormoni possono spiegare il diverso funzionamento dell’immunità nella fase centrale Il fiume Pescia www.omceopistoia.it MEDICINA DI GENERE Pescia, il campanile del Duomo www.omceopistoia.it BIBLIOGRAFIA “Gender and Risk of Autoimmunity Disease: Possible Role of Estrogenic Compounds” Ansar Ahmed S. et al, Environ Health Perspect. 1999; 107(suppl 5):681-686 “Stress e genere. La medicina di genere fra biologia e società” Marina Risi, in “Geni e comportamenti. Scienza e arte della vita “ a cura di F. Bottaccioli , Ed Red Milano 2009, pp. 71-82 “Genetic and hormonal factors in femalebiased autoimmunity” Rubtsov AV. et al., Autoimmune Rev 2010; 9(7):494-498 “X chromosome inactivation and autoimmunity” Brooks WH., Clin Rev Allergy Immonol 2010; 39(1):20-9 “Sex Differences in the response to viral infections: TLR8 and TLR9 Ligand Stimulation induces higher IL 10 production in males” M.G. Torcia , et al. PlosOne 2012 ;7(6): e39853 “The X chromosome and the sex ratio of autoimmunity” Selmi C. et al Autoimmune Rev, 2012; 11(6-7):A531-7 LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA della vita, ma in età più avanzata quando si riduce la potente azione degli estrogeni nella donna e anche negli uomini si ha il progressivo decremento del testosterone, altri fattori sicuramente entrano in gioco. Per questo molte ricerche sono ora rivolte allo studio del cromosoma X e al fenomeno del “silenziamento”, cioè l’inattivazione di uno dei due cromosomi X presenti nelle cellule femminili; in determinate situazioni ci può essere un ricorso alla riserva dell’X silenziato. Il cromosoma X contiene il più grosso numero di geni coinvolti in modo significativo nell’espressione del sistema immunitario. In studi sul genoma di pazienti con LES è stata osservata la parziale riattivazione del cromosoma X silenziato ed in particolare del gene deputato a codificare un recettore linfocitario responsabile della iperproduzione di anticorpi da parte dei linfociti B. Quindi il cromosoma X si dimostra essere un punto di vulnerabilità e potrebbe costituire il bersaglio dei numerosi fattori ambientali che concorrono alla genesi delle malattie autoimmuni. Un altro importante campo di ricerca riguarda l’interpretazione delle possibili connessioni dell’attivazione del sistema immunitario con eventi stressanti. La relazione fra stress e malattia non è semplice da documentare , tuttavia studi retrospettivi hanno rilevato che l’80% dei soggetti affetti da malattia autoimmune riferiva di aver sperimentato uno stress emozionale o fisico importante prima dell’insorgenza della malattia. Nelle donne il sistema immunitario è più sensibile agli stimoli esterni, mediante reazioni di allerta più marcate rispetto agli uomini. Questo avviene perché i cosiddetti “stressors “non solo agiscono direttamente sul cervello attivando l’asse ipotalamo – ipofisi – surrene ma sono in grado di in- fluenzare in modo indiretto il sistema immunitario attraverso meccanismi cerebrali. Esiste quindi una sinergia funzionale tra sistema nervoso e sistema immunitario. L’asse ipotalamo-ipofisi-surrene o “asse dello stress” stimola, tramite il suo braccio neuroendocrino, la corteccia surrenalica a produrre glucocorticoidi, sostanze ad elevato potere antinfiammatorio. Un’attivazione troppo frequente o cronica della risposta di stress non può che creare uno squilibrio della risposta immunitaria, perché può dare origine a immunodepressione e quindi aumentare la suscettibilità alle infezioni. Oppure, al contrario, può indurre una iperstimolazione della risposta infiammatoria, con successivo sviluppo di fenomeni di autoimmunità. Si può quindi affermare che l’autoimmunità è il risultato della combinazione di fattori genetici, immunitari, ormonali e ambientali che in vario grado possono concorrere alla sua manifestazione in organismi che presentano differenze individuali biologiche e di personalità. 13 PARI OPPORTUNITÀ Anatomia dell’Ordine L’universo femminile Dott.ssa Irene Corsini, odontoiatra Lo scorso maggio il Comitato per le Pari Opportunità ha ripreso la sua attività con ritrovato spirito. Una delle domande che ci siamo poste al primo incontro è stata: ‘Quante siamo nella provincia di Pistoia? Chi sono le nostre interlocutrici ?’ Il primo passo è stato semplicemente contarsi, con i dati preliminari ricavati dall’archivio delle iscrizioni per l’anno 2014 (fig. 1). Differenza di genere negli iscritti all’Ordine fig. 1 Si può notare dal grafico come la “quota rosa” sia ben rappresentata (667 donne a fronte di 913 uomini).Questi dati, considerando tutte le fasce di età, rispecchiano la totalità delle donne. Ma, come le colleghe più giovani sanno, nelle università oggi le studentesse sono assai più numerose rispetto ai decenni passati. Come si ripercuote tutto questo quando, finito il percorso di studi, la nuova generazione farà capolino nel mondo del lavoro? Se cerchiamo la diversità di genere, dividendo gli iscritti per fasce di età notiamo che il rapporto maschi/femmine cambia notevolmente (fig. 2). Osservando i grafici si può notare che fra i senior gli uomini sono più rappresentati rispetto alle donne (821 contro 487). Tra gli under 35 questa tendenza non si ripresenta, anzi si inverte (92 uomini contro 180 donne) . Questo dato, seppur banale, indica come in un prossimo futuro ci sarà un’inversione di tendenza, in cui la professione medica ed odontoiatrica potrebbe diventare una occupazione prevalentemente femminile. Questo ci porrà di fronte a problemi fino ad ora sottovalutati per quanto riguarda, ad esempio, l’impegno lavorativo e familiare che spesso grava sulle spalle della donna lavoratrice; ma anche ad un diverso approccio psicologico, ed una diversa sensibilità, che caratterizzano la donna nel suo rapporto con il paziente. Ma cosa significa essere una donna medico oggi? E una madre medico? Tratto distintivo dell’essere donna è proprio l’aspetto della maternità. Come affrontano le nostre colleghe questo particolare periodo della loro vita? Cercando informazioni sul trattamento della maternità per le donne medico ed odontoiatre la prima cosa che balza all’occhio è che questo non è uguale per tutte. Pur partendo da un’identica situazione biologica prodotta dalla gravidanza e successivamente dalla nascita (o adozione) di un figlio, sono ancora diverse le risoluzioni a tutela dell’evento per le lavoratrici madri-medico, a seconda che queste siano dipendenti, ospedalie- Differenza di genere per fasce d’età Fino a 35 anni Oltre 35 anni LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA fig. 2 14 www.omceopistoia.it PARI OPPORTUNITÀ www.omceopistoia.it Pescia, Porta Fiorentina mo in esame il mantenimento del posto di lavoro. Anche qui le più salvaguardate sono le dipendenti, avendo garanzia di poter mantenere il posto almeno fino al compimento del primo anno del figlio, con benefit aggiuntivi al rientro dal congedo di maternità come ad esempio i permessi per allattamento. Invece, le libere professioniste che svolgono attività di collaborazione possono veder interrotto il loro rapporto lavorativo e le convenzionate sono esposte al rischio di perdere il rinnovo del contratto. Per aiutare le nostre colleghe a districarsi in questo dedalo di normative, il Comitato per le Pari Opportunità sta organizzando un incontro, che si terrà in autunno, rivolto appunto ad illustrare i diritti delle donne nel delicato periodo della maternità. Allo scopo di conoscerci personalmente e di sentirci più vicine abbiamo anche allestito una pagina Facebook “Comitato Pari Opportunità – OMCEO PISTOIA” dove trovare informazioni sulle nuove iniziative del Comitato. Ricordiamo a chi volesse comunicare situazioni di disagio (in atto o pregresse) di intervenire ai nostri incontri, o almeno di illustrarlo al Comitato: nella speranza di riuscire a consigliare al meglio e di riuscire a produrre qualche miglioramento della delicatissima condizione della donna come medico e come madre. LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA re o presso case di cura private, convenzionate oppure libero professioniste. Pur nell’ambito di una normativa di legge comune per la tutela della gravidanza, variano i trattamenti economici in base alla sede dove la madre svolge il proprio lavoro e al suo tipo di contratto. Siamo abituate a pensare, alla luce di quanto vediamo in altri ambiti lavorativi, che in questo particolare momento della vita la donna sia tutelata, e che lo sarà anche nei primi mesi di vita del bambino; tuttavia, questo è vero solo nel caso delle dipendenti. Per altre colleghe la situazione è ben diversa. Circa un anno fa ENPAM ha cercato di spiegare sul giornale “Previdenza” come funziona l’indennità di maternità, per fare un po’ di chiarezza. Come prima cosa si ricorda che l’indennità di maternità per le dottoresse è finanziata dai contributi versati da tutti i medici e gli odontoiatri nell’ambito dei contributi fissi di quota A (per un ammontare, nel 2014, di 43,50 euro). La può richiedere chi esercita la libera professione, le convenzionate con il SSN, le specialiste ambulatoriali, le tirocinanti del corso di formazione di Medicina Generale. Ne beneficiano anche coloro che non hanno redditi professionali (ad esempio le neolaureate una volta che si sono iscritte all’Ordine). Alle dipendenti ed alle specializzande non viene erogata tramite trattamento ENPAM ma attraverso l’INPS. L’indennità di maternità prevista copre i due mesi precedenti al parto ed i tre mesi successivi, calcolando le mensilità pari all’ 80% del reddito denunciato ai fini fiscali e fissando, inoltre, un limite massimo ed uno minimo che verranno equiparati a reddito prodotto dall’attività professionale. Tale importo è erogato in un’unica soluzione entro 120 giorni dalla presentazione della documentazione. In caso di aborto, spontaneo o terapeutico, successivo al 3° mese di gravidanza è corrisposta una indennità ridotta. Non c’è obbligo di astensione dal lavoro, quindi la donna può autogestirsi in autonomia (al contrario di quanto avviene per le dipendenti). In caso di gravidanza a rischio la situazione cambia notevolmente in base al tipo di lavoro della madre. Si spazia dalla possibilità di richiesta di maternità anticipata (per le dipendenti) alla richiesta di inabilità temporanea (dal 61° giorno) per le libere professioniste: in questo modo, ci sono colleghe che vengono assistite fin dal primo giorno di inabilità al lavoro mentre altre sono rimborsate solo a partire da due mesi, rimanendo così per un periodo di tempo senza contributi economici. Lo scenario si complica ulteriormente se prendia- 15 BUONA SANITÀ Nell’attuale panorama sanitario, così affollato di notizie vere o presunte di malasanità, siamo lieti di pubblicare una lettera indirizzata al Presidente di questo Ordine riguardante l’operato del dottor Silvano Morini, nella convinzione che la buona Medicina trovi il suo fondamento in un rapporto di stima e fiducia fra medico e paziente. Livorno, 5 Giugno 2014 Egregio Dottore, Le scrivo per manifestare, anche a nome di tutta la mia famiglia, il mio ringraziamento all’oncologo Dott. Silvano Morini il quale coniugando in maniera straordinaria le sue competenze mediche con la sua sensibilità e disponibilità nei rapporti umani, ha alleggerito per tanti anni il peso fisico e morale della lunga malattia di mio padre rendendogli la vita serena e incredibilmente “normale”. Penso che, soprattutto per una persona malata, sperimentare la “normalità” nella vita di tutti i giorni rappresenti l’obiettivo più ambito ma anche il più difficile da raggiungere, se non grazie all’aiuto di un medico curante “eccezionale” quale è stato il Dott. Morini per mio padre. Il Dott. Morini ha dimostrato nei confronti di mio padre doti di professionalità ma anche di empatia e simpatia nel senso etimologico dei termini in un equilibrio virtuoso che spero possa essere preso come esempio dal maggior numero possibile di giovani medici. Purtroppo, o forse è il caso di dire per fortuna, le parole non riescono a rappresentare compiutamente il mio pensiero fatto di ammirazione, stima e gratitudine ma chi conosce il Dott. Morini, collega come lei o paziente, sicuramente capirà fino in fondo. Con l’occasione le porgo distinti saluti LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA 16 www.omceopistoia.it mednews dalla letteratura internazionale a cura di Gianna Mannori La medicina di genere Il valore della differenza affidare alla figura femminile il mandato di essere il manifesto che avrebbe sancito l’inizio del periodo cubista. Ne Le Damigelle di Avignone l’artista richiama espressamente il suo grande ispiratore del passato, El Greco, ma se ne dissocia radicalmente nei modi espressivi: rispetto alle figure visionarie, eteree ma ancora realistiche del maestro seicentesco, le damigelle di Picasso sono figure completamente disgregate che hanno perso unità di contorno e altro non sono che un puro insieme di attributi femminili. Da Le Damigelle di Avignone in poi, la figura umana, gli oggetti e tutti gli aspetti del reale verranno definiti in base ai loro elementi costitutivi, a testimoniare che la realtà non è definibile come un continuum ma El Greco, La vision de San Juan, 1608-1614. New York, Metropolitan Museum of Art Pablo Picasso, Les demoiselles d’Avignon, 1907. New York, Museum of Modern Art www.omceopistoia.it LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA Nei primi anni del Novecento la pittura cubista fece irruzione nel pensiero artistico europeo introducendo una cesura filosofica che non è stata più ricomposta. Con il distacco dal descrittivismo impressionista fu sancita in modo ineluttabile la perdita di una concezione di tipo realistico dell’arte e si teorizzò che la rappresentazione del mondo oggettivo avvenisse attraverso un procedimento astratto di tipo puramente scompositivo: sottoponendo le forme e i volumi a una frammentazione in elementi costitutivi essenziali, si valorizzò la ricerca degli aspetti di differenza e di discontinuità piuttosto che quelli di unitarietà. Quando Picasso intese formalizzare la sua rottura rispetto agli stilemi artistici del passato, volle 17 dalla letteratura internazionale come un insieme di parti ben distinte fra loro. Il principio filosofico che tanto fervidamente animò l’ambiente culturale del cubismo ha alimentato il pensiero di tutto il Novecento e ne ritroviamo ancora spunti importanti nel tempo di oggi, quello che stiamo vivendo: il tempo della mescolanza delle realtà sociali e dei popoli, della nuova dimensione globale. Con il dilatarsi dei confini geografici, con l’impatto a volte drammatico fra culture diverse o diversissime, il nostro è veramente un mondo che contiene e alimenta dentro di sé il concetto di differenza come elemento portante: differenza di razza, di condizione sociale, di status economico, di assetto territoriale e, anche, di genere. La medicina, con la sua rapidissima capacità di evoluzione verso approcci di cura innovativi, è parte di questo cambiamento. Con la nuova definizione dei percorsi assistenziali è finito il tempo della medicina spontaneistica e i servizi sanitari devono rispondere all’esigenza di fornire cure mirate a richieste sempre più differenziate da un punto di vista clinico e sociale. Nasce così la Medicina di Genere, dalla consapevolezza che, grazie alla loro diversità biologica, gli uomini e le donne presentano un’intrinseca differenza nella suscettibilità alle malattie e, di conseguenza, nell’esigenza di cura: addirittura, nella possibilità di applicare una definizione comune di stato di salute. LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA 18 Differenza e malattia Per molti anni la ricerca medica e la sperimentazione clinica si sono tradizionalmente rivolte a una popolazione maschile, sia per la scelta degli argomenti di indagine che per le modalità di campionamento e analisi dei dati. Questo ha creato, nel tempo, un bias, cioè un elemento di pregiudizio nei confronti della donna che ha portato a sottovalutare la differenza di genere nell’insorgenza della malattia. La medicina di genere è il tentativo di ovviare a questo errore di fondo, approfondendo il concetto di diversità fra i sessi per estenderlo alle varie branche della scienza medica. Questa nuova consapevolezza ha consentito di acquisire informazioni sull’insorgenza mednews delle malattie nei due sessi e, attraverso un lungo percorso, si è infine concretizzata in specifiche raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, mirate a valorizzare le differenze di genere nella definizione dei piani di cura. In termini di analisi epidemiologiche, è noto che nei paesi industrializzati le donne presentano valori di mortalità generale mediamente inferiori rispetto agli uomini, grazie all’effetto protettivo esercitato dagli ormoni sessuali femminili. Studi molto recenti, tuttavia, indicano che questa differenza potrebbe andare ad attenuarsi in futuro, con la previsione che lo stato di salute delle donne presentarà un sensibile peggioramento. Contrariamente, infatti, alla regola per cui l’innalzamento del livello di istruzione e di condizione sociale di una popolazione si ripercuote sempre in un miglioramento dello stato di salute, l’ingresso delle donne nel mondo del lavoro e il raggiungimento di posizioni di carriera di tipo apicale sembra aumentarne l’esposizione a fattori di rischio tipicamente maschili, come lo stress e gli stili di vita sbagliati. In questo caso, il raggiungimento di obiettivi ritenuti giustamente importanti lungo la strada della parità avrebbe un effetto negativo sulla condizione fisica delle donne e su questo sarà necessario intervenire con opportune strategie migliorative. Indipendentemente dall’esposizione ai fattori di rischio, alcune malattie presentano una diversa espressione clinica negli uomini e nelle donne. Le cardiopatie ischemiche, per esempio, mostrano mediamente un profilo di tipo microcircolatorio nelle donne, laddove gli eventi tromboembolici massivi sono più frequenti negli uomini. Anche il diabete presenta una diversa espressività clinica nei due sessi ma soprattutto è diversa la sensibilità di questa malattia alle terapie ipoglicemizzanti. Più in generale, donne e uomini rispondono diversamente ad alcune tipologie di farmaci come gli anticoagulanti, gli antiaggreganti piastrinici e gli antidiabetici orali. I geni della differenza Da molto tempo i ricercatori si sono posti www.omceopistoia.it mednews dalla letteratura internazionale www.omceopistoia.it BIBLIOGRAFIA Le donne medico e la medicina di genere. Convegno Nazionale FNOMCEO, Firenze 06 giugno 2014. Bellott W. E coll. 2014. Mammalian Y chromosomes retain widely expressed dosage-sensitive regulators. Nature 508:494. LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA il problema di identificare i meccanismi che sottendono alle differenze biologiche, psichiche e comportamentali che caratterizzano i due sessi. La mappatura completa del nostro genoma, una delle più importanti acquisizioni della storia recente della medicina, ha aperto grandi prospettive su questo tema, spostando l’attenzione sullo studio dei geni che compongono i cromosomi sessuali. I primi studi sulla genomica di genere hanno prodotto dati contrastanti. È risultato che i nostri cromosomi sessuali presentano un importante sbilanciamento nella quantità dei loro geni. In effetti, il cromosoma maschile è più piccolo dell’omologo femminile e contiene una quantità assai minore di sequenze geniche. Il motivo di questa diversità consiste in una sua intrinseca fragilità strutturale per cui, durante i cicli cellulari, il cromosoma Y va facilmente incontro a errori e delezioni importanti con la perdita di interi settori del suo corredo genetico. Si tratta di un cromosoma labile e questa acquisizione scientifica ha sollevato incertezze sui meccanismi responsabili della differenziazione sessuale a livello genomico. Una risposta iniziale a questi quesiti potrebbe venire da una serie di recentissimi studi comparsi sulla rivista Nature. Su queste pagine un gruppo di ricercatori americani ha evidenziato che, nonostante la sua intrinse- ca labilità, il cromosoma Y contiene alcune sequenze geniche altamente conservate, che vengono mantenute e costantemente espresse durante l’attività replicativa delle nostre cellule: gruppi di geni che la natura mantiene nel nostro patrimonio genetico come una caratteristica essenziale e non eliminabile. Si tratta di sequenze dotate di un’importante funzione regolatoria su attività biologiche fondamentali delle cellule, come la sintesi proteica e l’espressione genica. Essendo strettamente specifici del cromosoma Y, questi geni sono presenti nel corredo del maschio ma non in quello della femmina e, per questo, si ritiene che costituiscano le aree del genoma in cui si codifica la differenza di genere: una differenza che viene espressa in tutte le cellule e in tutti i tessuti del nostro organismo, a prescindere dalle diverse fasi della vita e dall’assetto ormonale che le caratterizza. Così le codifiche del genere sono scritte nell’adolescente come nella persona anziana e sono quelle che rendono la donna inevitabilmente diversa dall’uomo in tutti gli aspetti della sua esistenza, dall’assetto biochimico e metabolico delle sue cellule fino alla dimensione psicologica ed emotiva della mente. Sono le aree che, per tutta la durata della vita, codificano la differenza come un valore essenziale per la specie umana. 19 IN MEMORIA Ricordo del Professor Emiliano Panconesi Dott. Antonio Troiano Come tutti sanno, è recentemente mancato, alla età di 90 anni, il Prof. Emiliano Panconesi, già Direttore di Cattedra di Dermatologia e Professore Emerito dell’Ateneo Universitario Fiorentino. Profondamente attaccato alle proprie origini toscane ha dato lustro alla nostra terra diventando maestro di dermatologia di fama internazionale, rimanendo pistoiese verace nello stesso tempo. Chi ha avuto la fortuna di averlo come maestro, lo ricorda come un professore come si suol dire “di altri tempi” relativamente a preparazione, cultura, carisma personale, capacità organizzative e didattiche, ma sicuramente “unico” per le proprie doti umane e caratteriali. LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA 20 Profondo conoscitore della dermatologia tutta, era particolarmente ed universalmente apprezzato per la sua competenza in dermopatologia psicosomatica ed immunologica. I suoi interventi cattedratici e congressuali erano sempre particolarmente attesi e semplicemente “unici”, oltre che per i contenuti scientifici, anche per i continui richiami umanistici, storici, artistici e le battute ad effetto che lasciavano sempre il sorriso sul volto di chi lo ascoltava. Circondato da capaci collaboratori da cui riusciva a ottenere il massimo, aveva instaurato con gli stessi un rapporto di vera amicizia grazie anche alla sue proverbiali doti di allegria, attaccamento alla vita, capacità di divertirsi e “di stare al mondo”. Anche per tali motivi addolora, oltre che la sua dipartita finale, forse ancora di più il suo precedente distacco sociale determinato da una patologia che aveva improvvisamente minato quei rapporti interpersonali di cui era vero ed unico maestro. Pistoia, panorama www.omceopistoia.it LIVELLO MINIMO SCHEDA DI LIVELLO MINIMO N° 21 Pierluigi Benedetti LE MODIFICAZIONI AMBIENTALI E LA SELEZIONE NATURALE “La conservazione delle differenze e variazioni individuali favorevoli e la distruzione di quelle nocive in una specie, sono state da me chiamate selezione naturale o sopravvivenza del più adatto”. (Charles Darwin, L’origine della specie, 1849) Da quella data il concetto della selezione naturale ha avuto ed ha nel mondo della scienza la luminosa, solida, adamantina, schietta validità di tutte le verità scientifiche, la cui evidenza non viene messa in dubbio, se non da coloro che non vedono nella scienza il solo modo per interpretare i fenomeni naturali. Tuttavia anche fra quelli che accettano senza riserve questo concetto, non di rado, il significato del termine selezione naturale è stato frainteso e il suo senso stravolto. “Selezione naturale” non significa, infatti, come spesso con superficialità e supponenza da parte di alcuni viene interpretato, l’affermazione degli individui più forti, ma di quelli più adatti a vivere in un determinato ambiente. Questa falsa interpretazione è stata la base teorica sulla quale alcuni filosofi, storici e politici hanno visto nella guerra il naturale processo per il quale popoli, o come dicevano, le razze più “forti” affermano, per natura, la loro dominazione sulle razze più “deboli”, arrivando fino a giustificare, in certi casi, la distruzione di intere popolazioni. Altri, sostituendo al concetto di popolo definito come razza, il concetto di classe sociale o di fede religiosa, arrivarono alle stesse nefaste e perniciose conclusioni. www.omceopistoia.it LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA La nostra specie (Homo Sapiens Sapiens) prevalse sulle altre specie umane con le quali aveva condiviso il pianeta per decine di migliaia di anni, perché fu la più adatta a sopravvivere in un ambiente che, circa 40.000 anni fa, mutò in maniera relativamente rapida per un cambiamento climatico importante (ultima glaciazione). In quel periodo, per un abbassamento della temperatura del pianeta, le calotte polari si estesero fino alle zone temperate (circa 45° parallelo) e le regioni che permettevano la vita delle piante, degli animali e degli uomini si ridussero sensibilmente. Fino a allora le Specie Umane presenti sulla terra erano più di una; e fra di esse i Neanderthaliani (Homo Sapiens Neanderthaliensis) erano i più numerosi. I Sapiens erano relativamente pochi; fisicamente meno forti dei Neanderthaliani, non erano più dotati di loro nemmeno dal punto di vista intellettuale; ma, originatisi in nicchie ambientali povere di risorse, avevano necessità alimentari più ridotte rispetto ad essi. Infatti la dieta dei Sapiens si basava soprattutto su alimenti vegetali; e quando le disponibilità di cibo, in un ambiente abitabile divenuto molto più freddo e meno esteso, si ridussero rispetto al periodo precedente, poterono adattarsi e sopravvivere, mentre i Neanderthaliani, più esigenti, per qualità e quantità, riguardo alla dieta, scomparvero. Sappiamo da studi recenti che i Neanderthaliani avevano le stesse capacità psichiche dei Sapiens con strutture anatomiche non identiche, ma simili, che permettevano loro di articolare un linguaggio, ed erano, come si è detto, fisicamente più forti: in uno scontro diretto i Sapiens non avevano nessuna probabilità di prevalere sui Neanderthaliani. Questi ultimi avevano ossa e muscoli meglio conformati e più sviluppati: potevano scagliare oggetti, pietre o altro, più pesanti e più lontano, rispetto ai Sapiens, avendo la muscolatura della spalla più efficiente, con un muscolo piccolo rotondo diversamente e più efficientemente strutturato. Le donne neandertaliane avevano un bacino più adatto delle altre a far fronte alle necessità del parto e a quelle di una deambulazione rapida e sicura. I Sapiens furono per decine di migliaia di anni addirittura una preda dei Neanderthaliani, che 21 LIVELLO MINIMO ne mangiavano le carni, come proverebbero molti esemplari di crani di Sapiens aperti nella parte occipitale per asportarne il cervello a scopo alimentare. Alcuni danno di questi reperti diversa interpretazione. Il punto debole dell’Uomo di Neanderthal fu l’eccesso di specializzazione alimentare. La carne entrava nella sua dieta in maniera molto importante, e la caccia era la sua attività prevalente. Si calcola che le necessità caloriche di un maschio adulto si aggirassero sulle 5000 – 6000 calorie giornaliere, che derivavano essenzialmente dalla carne degli animali uccisi. Quando nell’ultimo inverno glaciale, che durò diverse migliaia di anni, la selvaggina si ridusse in maniera drastica, i Neandertaliani, scomparvero quasi completamente dalla faccia della Terra, lasciando libero il campo ai Sapiens, meno esigenti in senso qualitativo e quantitativo riguardo ai bisogni alimentari. Per quello che segue, valga di riferimento il recente testo di Christian De Duve, premio Nobel 1974, lo scopritore dei lisosomi: “La genetica del peccato originale” Edizioni Raffaello Cortina Editore, libro di facile lettura, che spiega in maniera chiara e lineare molti difficili concetti di biologia e genetica, chiarisce in parole semplici il meccanismo della selezione naturale e propone chiavi di lettura interessanti per capire le differenze di genere fra i maschi e le femmine umane. LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA 22 Il meccanismo genetico per il quale le specie si differenziano, è basato su quello che si può definire “un’ imperfezione” nella trasmissione genetica fra le varie generazioni. Infatti, pur essendo il meccanismo molecolare della replicazione del patrimonio genetico molto preciso, ogni tanto (una volta su un miliardo) una base sbagliata viene inserita nel DNA (errore di trascrizione). Si calcola che nell’uomo, ad ogni divisione cellulare, si verifichino circa 6 errori, che rarissimamente hanno una qualche rilevanza pratica nel comportamento della cellula figlia. Gli errori di trascrizione si possono verificare sia nelle cellule della linea somatica (mitosi) che in quelle della linea germinativa (meiosi) con conseguenze molto diverse fra di loro. Nel caso delle cellule somatiche l’errore di solito non ha significato pratico, ma in certi tessuti con ricambio cellulare molto attivo, può, anche se di rado, innescare fenomeni negativi per la salute dell’individuo, magari nell’età meno giovane, cosa che, in linea di massima, ha scarsa o nulla importanza per la sopravvivenza della specie. Molto diverso è il caso se l’errore di trascrizione interessa le cellule della linea germinale. Infatti questi “errori” possono dar origine a figli con fenotipi diversi da quelli dei genitori, alcuni dei quali possono essere più adatti per vivere in ambienti modificati. L’esempio classico è la colonia di batteri, esposta a una sostanza tossica, a cui può sopravvivere, per un accidente genetico, un individuo su un miliardo. Dato il numero di individui e la velocità di riproduzione, in breve si seleziona un ceppo resistente a quella sostanza, a volte addirittura dipendente, per la sua sopravvivenza, dalla sostanza aggiunta. www.omceopistoia.it LIVELLO MINIMO In condizioni naturali agenti fisici - come i raggi cosmici, radioattività naturale delle rocce - e chimici - per esempio le diossine delle combustioni spontanee -, aumentano, anche se non di molto, l’incidenza degli errori di trascrizione nei passaggi mitotici e meiotici portando a possibili diversità fenotipiche fra le generazioni cellulari. Nell’unione di due linee germinali, quindi oltre ai normali meccanismi di competizione fra alleli e spostamento di parti di cromosomi, che di per sé già contribuiscono alla diversità fenotipica degli individui della specie, possono esistere anche copie “imperfette” per errori di trascrizione, che in ambienti mutati, potrebbero essere più adatte a sopravvivere. E’ intuibile che quante più sono numerose le generazioni, tanto più sono le probabilità di avere errori di trascrizione. Si è fatto sopra l’esempio del ceppo batterico; per la popolazione umana valgono le stesse regole da cui possono derivare due considerazioni, che noi “Sapiens” attuali dobbiamo tenere presenti. Primo Il mutamento climatico a cui sopra si è fatto riferimento e che portò alla scomparsa dei Neanderthaliani, si verificò in diverse centinaia di anni: un tempo troppo breve rispetto ai tempi in cui le mutazioni genetiche possono selezionare fenotipi umani adattati a nuovi ambienti. Sembra siano stati necessari almeno centomila anni per avere una mutazione fenotipica rilevante nella linea filetica che ha portato all’uomo e che si fa risalire a circa venticinque milioni di anni fa. I Sapiens sopravvissero perché erano già presenti sulla terra con caratteristiche fenotipiche che permisero loro di sopravvivere in un ambiente più povero di disponibilità alimentari, non certo per mutazioni genetiche favorevoli, verificatesi in poche centinaia di anni. Secondo Per le attività umane, molte delle quali assurde e senza senso, l’ambiente in cui viviamo e vorremmo continuare a vivere noi e, vorremmo che potessero vivere quelli dopo di noi, che questo tempo chiameranno antico, cambia ad una velocità vertiginosamente alta, rispetto ai tempi dell’evoluzione naturale del pianeta, che, quasi del tutto ignota alle umane menti, segue il suo cammino. Sarà bene ripensare a molti modelli di comportamento se non vogliamo fare la fine dei Neanderthaliani, i più forti fra gli Uomini fino all’ultima Glaciazione, ma ahimé, inadatti a vivere mangiando poca o pochissima carne, i quali scomparvero e lasciarono il campo ai Sapiens che si nutrivano quasi esclusivamente di frutta e verdura. E si ricordi che non ci sono altre specie umane sul pianeta oltre alla nostra, magari più adatte al mutato ambiente del futuro: i pochissimi sopravvissuti fra i neandertaliani e gli altri, in isolette sperdute, in recessi montani impervi o in foreste “inaccessibili”, li abbiamo sterminati tutti con le nostre malattie e le nostre armi, poco meno di due secoli fa. www.omceopistoia.it LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA “Vi scongiuro, fratelli, restate fedeli alla terra e non credete a quelli che vi parlano di assurde speranze! Essi sono degli avvelenatori, che lo sappiano o no. Sono spregiatori della vita, moribondi ed essi stessi avvelenati, dei quali la terra è stanca . . . Oltraggiare la terra ora è il più terribile peccato.” Friedrich Nietzsche, Così parlò Zarathustra, parte prima. Prologo di Zarathustra: paragr. 3. 23 ATTUALITÀ La Sanità Toscana introduce nel proprio Piano Socio-Sanitario le cure termali Dr. Antonio Galassi, Direttore Sanitario Terme di Montecatini Le Terme, da sempre riconosciute dalla Letteratura Scientifica come presidio utile alla salute e complementare alla terapia farmacologia, furono accettate fin dall’approvazione del primo piano del SSN fra le strutture accreditate per l’erogazione mutualistica delle cure termali dal SSN nel 1978, riconoscimento successivamente ribadito con il Progetto Statale “NAIADE”nel1998. Recenti studi, finanziati dalla Regione Toscana, in collaborazione con l’Università di Firenze, dall’Università di Pisa, da FORST (Fondazione di per la ricerca scientifica termale), nonché Borse di Studio erogate da parte dell’Azienda a medici e specializzandi, hanno validato ulteriormente la capacità terapeutica e scientifica delle cure termali. LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA 24 Le cure riconosciute dal SSN nel nomenclatore mutualistico (Idropinica, inalatorie, vascolare periferico, fanghi e bagni), nonché quelle fisioterapiche in regime privatistico, consentono un intervento capillare sulla salute del cittadino con problematiche patologiche croniche, dando sollievo terapeutico e incidendo materialmente sul risparmio di spesa farmaceutica statale. Le Terme inoltre, avendo una prevalenza di clientela extraregionale, consentono alla Regione Toscana una notevole compensazione economica da parte delle altre Regioni per i propri assistiti che affluiscono alle Terme Toscane. I Medici di Famiglia potrebbero più facilmente contenere la spesa farmaceutica regionale indirizzando alle cure termali una quota percentuale Montecatini Terme, Stabilimento Excelsior www.omceopistoia.it ATTUALITÀ Saturnia, Cascate del Mulino www.omceopistoia.it Obiettivi prioritari per uno sviluppo appropriato dell’offerta termale nella erogazione delle prestazioni sanitarie, sono: individuazione di riferimenti certi per l’autorizzazione e l’accreditamento degli stabilimenti termali, anche in attuazione degli accordi nazionali per la erogazione delle prestazioni termali; individuazione di percorsi riabilitativi e definizione di prestazioni sanitarie per le quali esistano evidenze scientifiche d’efficacia se erogate in ambiente termale, anche tramite l’attivazione di sperimentazioni in relazione a specifiche patologie; promozione dei rapporti tra strutture termali ed Università, anche ai fini del coinvolgimento delle Aziende termali nella realizzazione di indagini epidemiologiche e di ricerche scientifiche nel campo degli interventi sanitari termali; verifica della possibilità di inserimento degli stabilimenti termali nello sviluppo dei processi di integrazione delle medicine complementari e non convenzionali negli interventi per la salute; sostegno ad azioni coordinate con il livello territoriale al fine di promuovere la realizzazione, presso le Aziende Termali, di programmi finalizzati alla promozione di sani stili di vita e del benessere. LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA dei propri assistiti affetti da patologie croniche degli apparati gastrointestinale, polmonare, motorio, vascolare, dei disturbi metabolici, ecc., inoltre data l’attività di eccellenza svolta in ambito riabilitativo fisioterapico non convenzionato, presente nelle Aziende Termali, potrebbero prescrivere, senza aggiunta di costi SSN e senza particolari attese, terapie strumentali fisioterapiche e riabilitative da abbinare alle cure termali convenzionate, ottenendo risoluzioni terapeutiche in tempi più brevi con costi limitati. Il concetto di Stile di Vita trova la sua massima espressione nelle strutture termali, dove il fatto educativo alimentare, motorio, anti tabagico, ecc., viene costantemente promosso con conferenze, libri, opuscoli, “percorsi salute” in palestra o nei parchi,dando ulteriore validità alle terapie termali naturali conosciute da millenni. Patrimonio educativo-culturale che non si esaurisce nelle due settimane di permanenza nel distretto termale ma che diventa propria del cittadino anche successivamente. Su queste premesse si è svolto il 22 marzo alle Terme di Montecatini un convegno per la presentazione del Piano Sanitario e Sociale Integrato Regionale 2014-2019 “Curare la persona e non la Malattia” di cui alleghiamo le premesse e il programma. 25 LETTERE Riceviamo e volentieri pubblichiamo Choosing Wisely Fare di più non significa fare meglio LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA 26 La semeiotica medica attraverso la quale il clinico cercava di individuare la diagnosi della malattia ormai è un retaggio del passato. Oggi si ricorre a test diagnostici sempre più innovativi e sofisticati che sono utili e indispensabili a formulare diagnosi corrette ma che troppo spesso vengono sovrautilizzati e rischiano di diventare dannosi. Lo stesso si verifica per trattamenti medici e chirurgici che vengono prescritti per abitudine, per accontentare gli assistiti per paura di sequele medico-legali, per dimostrare di fare tutto il possibile e, ciò che è più grave, per interessi economici perché nell’organizzazione sanitaria si è più attenti alla quantità delle prestazioni che alla loro qualità ed appropriatezza. Pensare di modificare questo stato di cose trova grandi difficoltà. I medici, infatti, si trovano condizionati non solo dalle pressioni delle case farmaceutiche che enfatizzano prodotti e presidi innovativi, da colleghi scrupolosi che prescrivono tanti esami ma anche dagli assistiti che “infarinati di conoscenze mediche” da riviste o da siti internet (sostenute dalle industrie) richiedono esami o trattamenti medici spesso inutili e talvolta rischiosi. L’informazione medico-scientifica a tutti i livelli dovrebbe essere meno miracolistica e soprattutto libera da conflitti di interesse!! Oltre allo spreco di risorse si possono avere, come nel caso della TAC, possibili futuri danni alla salute per l’eccessiva esposizione delle persone alle radiazioni per test inutili. Danni che, in futuro, potrebbero essere motivo di contenzioso medico legale. Ancora l’eccessiva richiesta di esami allunga le liste di attesa creando disagio e talvolta ritardi diagnostici alle persone che ne hanno reale necessità. Occorre un sovvertimento di questo stato di cose. Nelle aziende sanitarie si dovrebbero premiare di più la qualità e l’appropriatezza che la quantità delle prestazioni; ha poco senso dopo una mammografia negativa in una mammella adiposa terminare il referto con: “utile eseguire una ecografia”, oppure prescrivere una TAC cerebrale in una persona di 90 anni per una semplice vertigine. In quest’ultimo caso la richiesta viene effettuata per accontentare i figli o i nipoti o per paura di sequele medico legali. Occorre far capire alle persone che il medico che prescrive più esami non è sempre il medico più competente. Non ci si può aspettare che questi cambiamenti avvengano per merito dei medici, né per merito dei cittadini né per merito dell’informazione medico scientifica né, tantomeno, per merito di una ottusa politica sanitaria impegnata in tagli di spesa lineari. Negli U.S.A. è in atto un processo “CHOOSING WISELY” promosso da molte società scientifiche e da associazioni di consumatori che si propongono l’obiettivo di ridurre le spese mediche inutili. Anche in Italia è nato un analogo progetto “FARE DI PIU’ NON SIGNIFICA FARE MEGLIO” lanciato da SLOW MEDICINE. L’OMS stima una riduzione della spesa sanitaria tra il 20% ed il 40%; uno spreco causato da un inefficiente utilizzo di risorse (WHO 2010). La “Carta della Professionalità Medica per il nuovo millennio” si propone l’obiettivo del benessere dei cittadini e chiama in causa i medici perché si assumano la responsabilità dell’impiego appropriato delle risorse ed evitino test e procedure superflue “fornire servizi non necessari non solo espone le persone a rischi e costi evitabili ma anche riduce le risorse disponibili per altri” (2002 Fondazione ABIM “American Board of Internal Medicine”, ACP “American College of Physicians”, e “Federazione Europea di Medicina Interna”). TOP FIVE LIST Howard Brody nel 2010 sottolineava la responsabilità etica di tutti i medici riguardo la sostenibilità economica del sistema sanitario e suggeriva ad ogni società scientifica di redigere una lista di cinque test o trattamenti medici tra i più costosi e più frequentemente utilizzati dai membri di quella società che, senza apportare benefici significativi al malato, lo esponessero a qualche rischio. Non si tratta di un razionamento dell’assistenza sanitaria per tagliare indiscriminatamente i costi ma si tratta di un intervento per eliminare gli sprechi e meglio tutelare la salute dei cittadini. Le società scientifiche redigono la top five list grazie ad un gruppo di studio di alto livello con professionisti competenti in epidemiologia, clinica,biostatistica, politica sanitaria e medicina basata su prove scientifiche inconfutabili. Anche la NPA (National Physicians Alliance) aderiva al progetto di Brody per la medicina di famiglia, la www.omceopistoia.it LETTERE Dott. Alderico Di Ienno www.omceopistoia.it LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA medicina interna e la pediatria per assicurare un uso più appropriato delle risorse e migliorare la qualità delle cure. Una analisi economica stimava una riduzione della spesa in almeno 5 miliardi di dollari se venissero eliminate quelle pratiche individuate dalla Top Five List. La fondazione ABIM sulla base dei precedenti lancia l’iniziativa CHOOSING WISELY con la collaborazione di CONSUMER REPORTS organizzazione di consumatori. Nove società scientifiche hanno fatto una lista di cinque test o trattamenti molto utilizzati ma che potevano essere messi in discussione . Sono state individuate 45 pratiche ad alto rischio di inappropriatezza che non solo fanno lievitare enormemente i costi della sanità ma che possono procurare più danno che beneficio alla popolazione. Nel 2012 Annals of Internal Medicine individua una lista di 16 indagini radiologiche dai 45 test di C W ad alto rischio di inappropriatezza tra questi: Test di imaging per cefalea in persone senza fattori di rischio Rx torace pre-operatorio di routine in persone senza sintomi Test imaging per lombalgia senza segni MOC in donne di età <a 65 anni e uomini in età <a 70 anni. Senza F.R. TAC o RMN dopo sincope semplice senza anomalie neurologiche PET, TAC SCINTI Ossea per stadi azione Ca prostata senza rischio di metastasi PET, TAC Scintigrafia Ossea per stadiazione Ca mammario a basso rischio di metastasi Altre società scientifiche hanno prodotto altre 18 liste in U.S.A. nel 2013. Portando a 135 in totale i test ed i trattamenti sulla cui utilità ed efficacia sarebbe opportuno interrogarsi. In Italia La stima dell’OMS che vede nel 20%-40% uno spreco causato da utilizzo inefficiente delle risorse è verosimile anche per l’Italia. Stima OCSE Il numero di apparecchi TAC e RMN in rapporto alla popolazione è uno dei più alti e di molto al di sopra della media dei paesi OCSE: Italia media OCSE 22,4 RMN per milione di abitanti 12,5 31,6 TAC 22,6 Uno studio del 2011 ha dimostrato l’appropriatezza di prestazioni radiologiche ambulatoriali solo nel 56% del totale delle prestazioni (Appropriateness analysis of out patient radiology requests M Cristofaro). Analogamente gli impianti di pace-marker cardiaci, più utilizzati nel nostro paese che altrove, da adito a qualche dubbio di appropriatezza. Altro esempio eclatante è il parto cesareo il cui numero in rapporto ai parti normali in Italia è il più alto del mondo. Anche il consumo di antibiotici in Italia è uno dei più alti dei paesi OCSE. SLOW MEDICINE lancia il progetto “FARE DI PIU’ NON SIGNIFICA FARE MEGLIO” Segue la proposta di Brody invitando società scientifiche a stilare una lista di 5 test diagnostici o trattamenti ritenuti a rischio di inefficacia e di in appropriatezza Gruppo di studio con professionisti esperti in epidemiologia, clinica, biostatistica, politica sanitaria e medicina basata su prove scientifiche. Le società scientifiche dopo aver raggiunto l’accordo si impegnano nel tentativo di dissuadere i propri membri dall’utilizzo di quei test o quelle pratiche ritenute inappropriate. In conclusione l’obiettivo è quello di ridurre i costi della spesa sanitaria non con ottusi tagli lineari ma intervenendo sulle cause più eclatanti di spreco per esami inappropriati. potenzialmente dannosi. Aderiscono al progetto varie società scientifiche,gli Ordini dei Medici Chirurghi, federazione Slow food italia, Altroconsumo, Istituto Mario Negri. Il progetto intende coinvolgere non solo i medici ma anche gli altri professionisti della salute ed è inoltre prevista la partecipazione attiva dei cittadini e dei malati. Il Ministero della Salute potrebbe fare proprio questo progetto e su indicazione delle varie Società Scientifiche rendere fruibili solo quegli esami e quei trattamenti ritenuti adeguati, utili e soprattutto non dannosi. Nel primario obiettivo di salvaguardare la salute dei cittadini si potrebbe ottenere una notevole riduzione dei costi della sanità evitando pericolosi e poco lungimiranti tagli lineari di spesa sanitaria. 27 PASSATO E PRESENTE La Medicina degli Uomini (3) Nota sulla storia della chirurgia Pierluigi Benedetti “Le mètier de chirurgien exige une alliance du cerveau et de la main, un accord parfait entre le jugement intellectuel et l’habilité manuelle”. “Il mestiere del chirurgo esige un’alleanza fra mano e cervello, un accordo perfetto fra capacità di giudizio e abilità manuale”. Mirko D. Grmek: Histoire de la pensée médicale en Occident, 2, De la Renaissance aux Lumières, Ed. du Seuil, 1997, p.225. LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA 28 In altre parole il più grande studioso moderno di Storia della Medicina afferma, nel testo sopra indicato, pietra miliare di questa scienza, che soltanto un ottimo medico può diventare un buon chirurgo. Mentre nessuno oggi mette in dubbio tale affermazione, nel passato per molto tempo venne attribuita al chirurgo una dignità inferiore a quella del medico propriamente detto, del quale fu ritenuto un aiutante o un garzone. È interessante rilevare che dagli albori della medicina e per tutta l’Era Antica, la pratica chirurgica fu considerata una cura di pari dignità, se non superiore a quella dell’uso dei farmaci o alla prescrizione di diete. Un aforisma molto noto della Scuola Ippocratica riferito dalla tradizione, recita: “Se puoi, cura il tuo paziente con la dieta; se non basta, ricorri ai farmaci; se anche questi falliscono, ricorri al ferro; se non basta ancora, usa il fuoco. Se anche questo rimedio fallisce la malattia è inguaribile” Nei primi secoli dell’Era Volgare si verificò un cambiamento drastico e singolare nella considerazione dell’attività chirurgica, da allora vista come vile pratica manuale, indegna dei veri medici e da lasciare alla cura di “illetterati garzoni”. Tale atteggiamento psicologico e pratico si mantenne fino al XVII – XVIII secolo, quando, dopo un faticoso e lungo cammino illustrato dall’opera di chirurghi di eccezionale abilità, mai adeguatamente valorizzata, anche nel campo medico il lume della ragione si impose sulle tenebre dell’ignoranza, cioè fino all’età dell’Illuminismo; e se vogliamo fissare una data per detto cambiamento possiamo riferirci agli anni della Rivoluzione Francese, quando con leggi draconiane, ma indispensabili per lo sviluppo di una moderna società, si pose fine all’ordinamento feudale, retaggio insostenibile di una realtà economica e sociale superata da secoli. Non è, tuttavia, di immediata comprensione il motivo per il quale, nei “secoli bui”, la chirurgia divenne pratica così poco considerata dalla scienza medica ufficiale; e di questo argomento trattano le righe seguenti, rimandando ai testi di storia della chirurgia, numerosi e autorevoli, per le notizie che illustrano come con un lungo e non agevole itinere, dall’inizio del Medio Evo e fino al XVIII secolo, la chirurgia poté riacquisire, nel complesso delle scienze mediche, il posto che a diritto le competeva. Nella Storia Naturale di Plinio si legge che con questo fiore, la peonia, il mitico medico Peone, guarì Marte, dio della guerra, ferito in battaglia da Diomede. www.omceopistoia.it PASSATO E PRESENTE www.omceopistoia.it La grande considerazione per l’aspetto chirurgico dell’attività medica si mantenne nei tempi classici, fino a dopo l’età di Galeno (129–216 d.C.), in pratica fino all’inizio del Medioevo, per i sei–sette secoli in cui la cultura classica ellenistico–romana fu egemone fra i popoli che vivevano sulle rive del Mar Mediterraneo e nei paesi limitrofi. Le cose cambiarono drasticamente quando, nella dissoluzione dell’Impero Romano d’Occidente e l’avvento della Religione Cristiana, la cultura antica fu travolta; e nei “regni romano-barbarici”, nati con l’arrivo dall’oriente e dal nord di nuovi popoli, alla visione ecumenica del mondo si sostituì una cultura consona alle mutate condizioni economiche e sociali, completamente chiusa al progresso scientifico. Il medico fu spogliato dell’abito dello scienziato e rivestì di nuovo la veste talare del sacerdote: non fu più visto come uomo di scienza, ma come mediatore fra il malato ed il vero medico celeste: Gesù Cristo. Si ritornò, nei fatti, ad una visione preippocratea della malattia, considerandola, di nuovo come agli albori della civiltà, un castigo divino e vedendo nella cura dei malati un mezzo per esprimere la carità del buon cristiano. LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA I primi medici, in tempi in cui non si poteva nemmeno parlare di Uomini, furono di sicuro dei chirurghi: una spina conficcata in un piede, una foglia o un pugno di terra per tamponare una ferita sanguinante furono probabilmente le prime esperienze mediche, molto avanti il tempo in cui i nostri antenati cominciarono a usare utensili di alcun genere, cioè prima della Preistoria, che per convenzione facciamo iniziare con l’uso dei primi strumenti di pietra (Paleolitico); e sicuramente fra questi strumenti ci furono i primi “ferri” chirurgici. La figura del medico si venne poi delineando nelle più antiche civiltà, in maniera complessa: da una parte il medico operava sulla base di esperienza e conoscenze teoriche preparando e somministrando farmaci ed intervenendo sul paziente con pratiche operative dirette; dall’altra veniva visto come un sacerdote, cioè come un mediatore fra l’umano e il mistero che circondava la malattia e la morte, intermediario fra l’uomo e le divinità che inviavano le malattie o le facevano guarire. Non fu di poca importanza per la considerazione dell’opera del medico la sua abilità nel curare le ferite in generale ed in particolare le ferite di guerra. Nel libro XI dell’Iliade (versi 505–515) dove si narra del ferimento di uno dei due medici dell’esercito acheo, Macaone, temendo per la sua sorte, Idomeneo provvede con sollecitudine a farlo portare dal campo alla tenda per essere adeguatamente curato, perché, come dice rivolgendosi a Nestore: “Un medico vale molti uomini”, considerando la sua abilità nel curare i soldati feriti. La figura del medico come mediatore fra il mondo degli uomini e degli dei non fu messa in dubbio fino al VI–V secolo avanti Cristo, quando in Grecia nel periodo che, con buona ragione, fu definito Illuminismo Ellenico la sfera dell’umano e del divino furono separate nettamente. Da quel momento chi si dedicava alla medicina fu considerato, almeno nell’élite culturale del tempo, che riconosceva alle malattie un’origine puramente terrena, un professionista di alto livello etico, dedicato alla cura dei malati e non più, oltre a questo, un sacerdote degli dei della malattia e della guarigione. I grandi medici ellenistici, esponenti della cultura alessandrina del III – II secolo avanti Cristo, curavano i pazienti con farmaci e operavano “con le mani”, come l’etimo greco di “chirurgo” ci ricorda, a seconda del tipo e della gravità del male. 29 PASSATO E PRESENTE Molti dei Padri della Chiesa, convinti che il mondo degli uomini fosse prossimo alla fine, non avevano esitato ad incitare i credenti nella nuova religione a chiudere definitivamente con il passato, distruggendo insieme alle statue e ai templi degli dei pagani anche tutto quello che la civiltà antica aveva prodotto di positivo in campo scientifico. “Può esservi forse qualcosa di comune fra Atene e Gerusalemme, fra la Chiesa e l’Accademia ? …. Fra il nemico e l’amico della verità ?” (Tertulliano: De Praescriptione Haereticorum). Si ricordi la fine di Ipazia, alessandrina di elevatissima cultura, versata in scienze e filosofia e vittima di cristiani fanatici di cui il recente film “Agorà”, descrive in maniera edulcorata la tragica fine. Per fortuna dopo le folle di fanatici cristiani del V secolo che, guidati da monaci invasati e visionari, in nome di un sacrilego disegno di purificazione del mondo dal peccato, avevano distrutto i LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA 30 templi degli antichi dei, bruciato le biblioteche e perseguitato i pochi uomini di scienza sopravvissuti, ci furono nel secolo successivo altri monaci i quali, pensando che forse le trombe angeliche dell’Ultimo Giudizio non avrebbero squillato tanto presto, dedicarono la loro vita, con pietosa abnegazione e cristiana umiltà, a mettere in salvo quel che poterono della letteratura e della scienza antica; copiando nei monasteri gli antichi scritti, dallo studio dei quali dopo qualche secolo sarebbe rinato il mondo degli uomini di scienza. In quei secoli di miserie, fame, pestilenze e morte, avvenne, come si è riferito, la netta separazione fra l’attività del medico propriamente detto, che curava più con preghiere, talismani e reliquie di santi, che con farmaci veri e si guardava bene dal “toccare” i malati, e l’attività dei suoi aiutanti a cui faceva eseguire “con le mani” i compiti materiali imprescindibili per la cura dei corpi malati: incisione di ascessi, amputazioni, salassi, sutura delle ferite, l’acconciatura delle ossa rotte o slogate e simili altre “basse” incombenze. Durante i secoli del Medioevo “la chirurgia fu relegata alle cucine – dice sempre l’Autore citato all’inizio –, mentre nelle aule i medici veri tenevano dotte perorazioni, sulle influenze astrali che causavano le malattie, e i talismani e le pratiche esoteriche adatte per curarle. Tuttavia era ben chiaro a tutti che nel campo medico il mestiere di chi operava con le mani era necessario, anzi, indispensabile e nonostante ciò la considerazione del chirurgo fu bassa e sottovalutata. Una delle cause di non poca importanza di questo “disprezzo”, fu il fatto che il chirurgo era un “illetterato”, cioè aveva una bassa formazione culturale, nel senso in cui allora si considerava la cultura; e soprattutto, colpa gravissima agli occhi dei sapienti del tempo e in particolare agli occhi dei “veri medici”, i chirurghi non conoscevano il latino. Si tenga presente che la cowww.omceopistoia.it PASSATO E PRESENTE Ambroise Paré www.omceopistoia.it mente pratica e, mentre gli studenti di medicina studiavano sui libri degli antichi, in cui grossolani errori non erano infrequenti, l’apprendista chirurgo era il servo o, al più, il ragazzo di bottega del più anziano praticante la chirurgia, che di solito esercitava il mestiere di barbiere. Le condizioni di vita e di lavoro di questi apprendisti erano tanto dure che Ambroise Paré, il padre della chirurgia moderna, che non imparò mai il latino ed apprese il mestiere di chirurgo nelle botteghe dei barbieri, ebbe a scrivere: « Mai nessuno pretese tanto da un servo, mai nelle isole un uomo bianco cercò così avidamente di trarre profitto da un uomo nero, come un chirurgo-barbiere cerca di trarre guadagno dal pane e dall’acqua di un apprendista ». Il mondo per la fortuna degli apprendisti chirurghi e di tutti gli uomini, malati e sani, cambiò, come si è detto, quando le tenebre dell’ignoranza cominciarono ad esser rischiarate, nel XVIII secolo, dal lume della ragione. (continua, forse) LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA noscenza del latino fino a tempi relativamente recenti (XVIII secolo) fu considerata requisito indispensabile per accedere a certe professioni, come quella del medico, e per essere accettati nel campo accademico. Basti ricordare le vicende di Anton Van Leeuwenhoek (1632–1723) genio indiscusso e per lungo tempo incompreso. Di modeste origini, nato e vissuto in una piccola città dell’Olanda, lontano da esperienze accademiche ufficiali, costruì ottimi microscopi e capì la loro potenzialità nello studio della vita microscopica nel campo della biologia e della medicina. Non conoscendo il latino, per decenni fu costretto a farsi tradurre dal parroco del villaggio, nella lingua ufficiale della scienza di allora, il rendiconto delle sue scoperte rivoluzionarie perché fossero almeno esaminate dalla Royal Society di Londra, il più autorevole consesso scientifico del tempo. Solo dopo molti decenni, quando ormai le sue scoperte erano divenute la base di tutta la ricerca scientifica del tempo, fu riconosciuto degno dell’ammissione a detta società. La formazione del chirurgo era quasi esclusiva- 31 COMUNICAZIONI CASELLA PEC Si comunica che questo Ordine ha provveduto ad attivare gratuitamente una Casella di Posta Elettronica (PEC) per tutti gli iscritti e che i relativi indirizzi sono stati comunicati al REGINDE, attraverso la FNOMCEO. Dietro esplicita richiesta degli interessati, sono state disattivate le caselle preesistenti ritenute non più necessarie. Si ribadisce ulteriormente l’esigenza dell’Ordine di essere informato sugli indirizzi di posta elettronica non certificata di tutti gli iscritti e di essere aggiornato su tutte le eventuali variazioni. CORSI DI AGGIORNAMENTO II SEMESTRE 2014 ORDINE DEI MEDICI CHIRURGHI E ODONTOIATRI VIALE ADUA 172, PISTOIA CALENDARIO EVENTI DA SETTEMBRE A DICEMBRE 2014 Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri, Pistoia GIOVEDÌ 18 SETTEMBRE ore 19.30 Dott. Paolo Perrini Recenti acquisizioni neurologiche sulla nevralgia del trigemino Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri, Pistoia SABATO 4 OTTOBRE ore 8.30 Dott. Augustine Iroatulam Le novità nella patologia ambulatoriale chirurgica Villa Cappugi, Pistoia SABATO 4 OTTOBRE ore 8.30 Il codice rosa: formazione e sensibilizzazione della rete territoriale dell’ASL3 Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri, Pistoia SABATO 25 OTTOBRE ore 8.30 Dott. Andrea Gavazzi Nuove prospettive diagnostiche e terapeutiche per l’ipertrofia prostatica benigna Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri, Pistoia SABATO 8 NOVEMBRE ore 8.30 Dott. Ivano Cerretini Il dolore clinico Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri, Pistoia SABATO 15 NOVEMBRE ore 8.30 Dott. Paolo Frosini I tumori della laringe Eventuali variazioni verranno comunicate via mail. Come consuetudine per ogni evento manderemo una mail per l’iscrizione. L’ORDINE DEI MEDICI PER L’ARTE E LA CULTURA I Monuments Men in Toscana Maria Camilla Pagnini L’uscita recente del film Monuments Men diretto e interpretato da George Clooney ha portato alla ribalta una serie di eventi della seconda guerra mondiale che pur godendo di una vasta e informata bibliografia non erano noti alla maggior parte del grande pubblico. Si tratta della storia di un gruppo di studiosi arruolati volontariamente nell’esercito alleato per costituire un gruppo, la Monuments, Fine Arts and Archives subcommission (MFAA) basato sui lavori della Second Roberts Commission che, per le proprie competenze, sarebbe stato in grado di riorganizzare l’attività della Soprintendenza e quindi seguire anche il recupero delle opere trafugate dai nazisti da musei, chiese e palazzi, con il perverso intento di una spoliazione sistematica del patrimonio, anzi dei “conseguimenti”così come sono definiti nel film. Sul tema esistono preziosi resoconti basati su una capillare ricostruzione archivistica che narrano la storia di quel drammatico periodo. Ad esempio Ilaria Dagnini Brey ha scritto Salvate Venere! (Mondadori 2010) nel quale si racconta anche la vicenda dei Monuments Officers e di alcuni Soprintendenti rimasti volontariamente asserragliati insieme alle opere loro affidate per controllare i ricoveri nei quali dipinti, sculture, arredi preziosi e reperti erano stati nascosti per sfuggire alla spoliazione nazista. Lo stesso Fredrick Hartt (1914-1991), responsabile per la Toscana della Sottocommissione per i monumenti, docente di storia dell’arte e autore di fondamentali monografie su vari artisti del Rinascimento italiano, scrisse già nel 1949 Florentine Art under fire. Oltre la storia dei cinque protagonisti presenti nel film di Clooney sappiamo che i Monuments Men furono un gruppo di quasi 350 persone appartenenti a diverse nazionalità tutti formati nell’ambito dell’architettura, design, storia dell’architettura, collezionismo e storia dell’arte il cui lavoro nelle macerie del conflitto ebbe come primo esito quello del salvataggio di molte opere ma, come rebound successivo, si concretizzò nella formazione di una intera generazione di architetti, conservatori e docenti che plasmarono con la loro attività la cultura europea e americana nei decenni a venire. E in Italia? O meglio, in Toscana? Il testimone fu raccolto direttamente dalle mani di Fredrick Hartt e affidato nell’aprile 1945 a un giovane architetto, Guido Morozzi che, all’epoca, aveva 36 anni. Con lui lavorarono altri allora giovani e giovanissimi tecnici in forza alla Soprintendenza: Ubaldo Lumini, Nello Bemporad, Nello Baroni, Ferdinando Guido Morozzi, Ponte Vecchio da via Guicciardini dopo le distruzioni del 1944, bozzetto tratto da G. Morozzi, Interventi di restauro, Firenze, 1979 Rossi, Pietro Finocchiaro, Alidamo Preti e Roberto Lloyd che, nel 1946, anno in cui Morozzi redige la Relazione sui danni sofferti, erano appena trentenni; in seguito furono coadiuvati anche da Rolando Pagnini e Riccardo Gizdulich. Negli occhi di questi uomini le macerie divennero non solo i resti di quegli edifici che avevano maggiormente “sofferto per l’ira nemica”, ma anche un punto da cui partire, non una sconfitta, ma materiale da schedare, conservare e selezionare per iniziare a ricostruire. E così fecero. Mentre a Firenze entravano i camion delle forze alleate che riportavano i dipinti trafugati e recuperati dai luoghi in cui erano stati ricoverati, Morozzi e i suoi tra Firenze, Arezzo e Pistoia percorsero la provincia, il Montalbano e il Valdarno, il Mugello e le campagne circostanti per censire e individuare i luoghi da restaurare, anzi da restituire alle comunità. Il lavoro di coloro che furono i nostri Monuments Men rimane nelle pagine redatte da Guido Morozzi, Relazione sui danni sofferti a causa della guerra dal patrimonio artistico monumentale della provincia di Firenze rimasto a lungo manoscritto e pubblicato grazie a Claudio Paolini nel 2009, accompagnato da una interessante nota introduttiva e da una significativa selezione di immagini scattate subito dopo le distruzioni e nei cantieri aperti per i restauri. È Morozzi stesso a ricordare come il lavoro di quei giovani architetti, disegnatori, storici e ingegneri, collaboratori e impresari fosse animato dalla fiducia di operare per salvaguardare non solo edifici pregevoli, bensì i “conseguimenti” della comunità.