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COMUNI DEUROPA
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l'urgenza, interessano in questa sede soprattutto
perché sono validi a dimostrare la necessità
di una politica dell'energia comunitaria, non
più settoriale, non più limitata ad interventi
congiunturali o comunque a breve periodo, ma
affrontata in un'ampia prospetitva e tenendo
presente l'evoluzione tecnica. E' quindi ancora
una volta il problema della programmazione
comunitaria che si colloca al centro dell'attenzione di politici e di economisti europei con
ogni sua implicazione anche di carattere istituzionale. Se ancora vi fossero dubbi sul fatto
che la programmazione non è il frutto di una
scelta teorica a priori, o il frutto di una
particolare ideologia ma la conseguenza di una
spinta dei problemi reali e della esperienza d i
errori passati, la situazione della politica energetica della CEE costituisce uno degli elementi
fondamentali per superare tali dubbi e simili
malintesi.
Sono state sopra accennate l e ripercussioni
dell'utilizzazione di nuove forme di energia
su quelle tradizionali: i bisogni di energia
delia comunità aumentano rapidamente: l'utilizzazione dell'energia nucleare per la produzione di elettricità ha superato la fase sperimentale: non si può quindi più affrontare i n
modo settoriale i problemi della politica energetica senza avere presente il panorama completo delle varie fonti di energia, della politica
commerciale, degli sviluppi tecnici con riferimento al calendario delle tappe previste dal
Trattato di Roma. Di qui nasce l'esigenza della
programmazione in grado di stabilire chiaramente gli obiettivi a lungo t e m i n e e le v i e
e i mezzi per la sua attuazione con l'adozione"
anche di eventuali disposizioni transitorie per
consentire aile varie politiche nazionali di fondersi progressivamente nella predetta politica
comune.
Non è tuttavia possibile attuare tale indirizzo
unitario ed organico senza che le istituzioni
esistenti subiscano indispensabili revisioni, prima fra tutte quella della fusione dei tre Esecutivi delle Comunità in modo da costituire
un unico organo decisionale: questa necessità
è stata già sentita quando i Ministri dei Sei
Paesi il 5 aprile 1962 hanno affidato ali'Alta
Autorità della CECA, alla Commissione della
CEE e a quella dell'Euratom l'incarico di
elaborare le direttive di una politica energetica.
che sono contenute nel Memorandum apposito
redatto il 25 giugno 1962. Non bastano tuttavia
le collaborazioni occasionali o i gruppi di lavoro,
occorre istituzionalizzare questa necessaria
unitarietà di impostazione mediante appunto.
la creazione di un Esecutivo comune. D'altra
parte, via via che il potere esecutivo, rappresentato dall'auspicata unica Commissione
per le tre Comunità, concentrerà presso di sé
una più ampia sfera di competenze e, ci
auguriamo, più reali poteri nei confronti dell'organo rappresentativo degli interessi nazionali quale è il Consiglio dei Ministri, sempre
più indispensabile si rivela un Parlamento
europeo che con maggiori poteri e con l'investitura democratica diretta da parte del popolo
eui-opeo, sia in grado di assicurare quel controllo sull'Esecutivo e quell'equilibrio di poteri
che è indispensabile ad una democrazia non
solo sul piano nazionale ma anche su quello
sovranazionale.
E' questa la più importante conseguenza di
una programmazione europea che del resto
converge pienamente nella previsione già contenuta negli articoli 108 della CEE e 138 dell'Eura tom.
Ma vi è un'altra conseguenza che tocca più
da vicino il campo d'azione degli enti locali.
Si è già detto che la programmazione non può
esaurirsi nell'ambito verticale e settoriale ma
che essa deve essere la proiezione anche geografica dei vari problemi che essa è chiamata
ad affrontare: qui nasce la politica regionale
comunitaria vivacemente sottolineata nel corso
del Convegno di cui ci occupiamo da i'exMinistro belga Merlot e dal prof. Mossé dell'università di Grenoble. Dislocazione delle
industrie minerarie e siderurgiche, problemi
dell'emigrazione e quindi di domanda e di
offerta di mano d'opera, incidenza dell'evoluzione delle nuove e delle tradizionali fonti
di energia nelle varie aree della Comunità,
creazione di nuovi poli industriali di sviluppo,
cooperazione fra regioni di frontiera, difficoltà
delle regioni ad industria unica minacciata
,dall'evol;zione economica e tecnica, problemi
dei trasporti. costituiscono altrettanti modi di
incidenza della politica energetica e della programmazione che la dirige su una politica
regionale comunitaria.
Se quindi la programmazione è una necessità,
se essa comporta un'articolazione regionale, se
essa è un fatto politico prima ancora che
tecnico per i ,suoi riflessi sul bene comune di
una comunità, se essa deve assumere un carattere sostanzialmente democratico, non ci stancheremo ma di ripetere che gli enti locali
non possono stare alla finestra, estraniati da
problemi che riguardano direttamente i'avvenire di quelle popolazioni di cui essi costituiscono la ripartizione e l'organizzazione territoriale su base democratica. Non si dica che
- evidente
sproporzione tra i gravi
v i è una
maggio 1963
problemi sopra toccati e i numerosi enti locali
di diverse dimensioni che in Italia e negli altri
Paesi dell'Europa occidentale garantiscono la
democrazia a livello locale. Una simile confusione è il frutto di un equivoco, quello appunto che si ostina a considerare contraddittorie la tendenza a creare sempre più ampi
spazi organizzati istituzionalmente e l'aspirazione verso il rafforzamento di effettive autonomie locali. = Ad una sopranazionalità forte - scriveva Brugrnans nel suo "Panorama
del pensiero federalista " - saranno necessarie
forti autonomie affinché la base possa allargarsi quanto più si eleva la cima P. Via via
che il potere si allontana dal cittadino per
diventare sempre più ampio e concentrato
tanto più si deve respingere ogni tentazione
centralizzatrice ampliando il campo delle autonomie solidali e del pluralismo democratico
e riportando il potere a livello umano sul
piano locale.
Qualcuno dei nostri lettori potrà dire che
questi temi sono ormai risaputi e che insistervi ulteriormente costituisce mancanza di
misura o spreco inutile di energia. Che non
siano affermazioni nuove è risaputo ma in
tempi di così frequenti tentazioni trasfomistiche, la coerenza non è mai di troppo: inoltre
si tratta di una coerenza che tocca punti fondamentali ed irrinunciabili per l'avvenire dell'Europa e del nostro Paese: gli sviluppi economici e tecnici pongono sempre nuovi problemi
alla democrazia tradizionale e si tratta di non
chiudere gli occhi innanzi ad essi o di cadere
nell'iliusione pericolosa di poterli risolvere distruggendo i presupposti essenziali della democrazia. Si devono salvare l e caratteristiche
essenziali della democrazia, e quindi le libertà
e le autonomie degli enti locali ma si devono
adattare questi valori perenni alle esigenze
di un mondo che cambia e quindi a nuove
dimensioni, a nuove strutture, a nuove impostazioni. I1 Convegno del Lussemburgo ha avuto
questo indubbio valore positivo, quello appunto
di dimostrare che l e Comunità non sottovalutano la funzione degli amministratori locali
anzi ne sollecitano il contributo determinante:
ma esso è stato soltanto l'inizio di un dialogo
come hanno posto in rilievo tutti i delegati
italiani intervenuti nel dibattito da Crovetto
a Brossa, da Farina ad Alaimo, da Fiorelli a
Doneddu, dal relatore Diotaiuti a chi scrive.
Questo dialogo continua: è stato infatti già
promosso dal CCE un nuovo incontro tra amrninistratori locali ad esso aderenti e i rappresentanti della Commissione della CEE e del
Parlamento europeo per un esame congiunto
dei problemi della politica comunitaria regionale e dell'amenagement du territoire.
Questi aspetti del dialogo tra CCE e Comunità Europea costituiscono un prolungamento
naturale, anzi una dilatazione di quello realizzatosi nel Convegno del Lussemburgo di cui
ci siamo sopra occupati: i poteri locali, grandi
utilizzatori di energia, animatori naturali della
politica dell'amenagement du territoire che
tende, in particolare, ad un decentramento
industriale e che a sua volta esige un'idonea
politica dell'energia. non possono rimanere
estranei all'elaborazione di una politica regionale comunitaria: essa infatti costituisce l'articolazione di una programmazione europea
sovranazionale nella quale tutti i problemi
sopraccennati (amenagement du territoire, equilibrio città-campagna, produzione, distribuzione e costi dell'energia, ecc.) confluiscono.
Al sorgere del CCE, 12 anni fa. gli enti
locali apparivano soprattutto gli strumenti di
diffusione dello spirito europeo e la garanzia
di una unificazione europea non centralizzata
e non donata dall'alto: oggi essi assumono anche un sempre maggior rilievo proprio in relazione ai concreti aspetti economici e sociali
dell'integrazione.
Ciò significa che gli amministratori locali
non possono più ignorare l e vicende di queste
integrazioni ed i fatti politici che la condizionano, perché esci incidono direttamente sulle
collettività locali e quindi sulla loro azione
quotidiana.
Più di un anno ci separa dalla prossima
edizione degli Stati generali del CEE che
avranno luogo a Roma nell'ottobre 1964: si
apre quindi sin d'ora un periodo di riflessione
e di preparazione per gli amministratori locali
europei se vogliamo che i VI1 Stati generali
siano veramente una tappa decisiva nel coerente cammino del CCE per l'Europa federata.
l
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maggio 1963
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COMUNI D'EUROPA
l
Nuova strategia Atlantica e difesa delllEuropa
di Andrea Chiti-Batelli
l
La politica estera della Federazione europea
Nel numero di gennaio di il Comuni d'Europa )I Andrea Chiti-Batelli ha esposto
il suo punto di vista sui problemi militari dell'unità europea, prendendo lo spunto
dalle discussioni in corso sulla nuova strategia atlantica, dalla decisione gollista di
creare una force de frappe nazionale e dalle controproposte americane di una =forza
nucleare multilateralei~. Qui agli allarga il discorso ai problemi più generali dei
rapporti est-ovest, delle futurei relazioni tra Europa unita e Unione Sovietica e in
generale della politica estera europea: il che gli consente di chiarire' quuli sono le
premesse che gli hanno suggerito le conclusioni anche di quel precedente articolo.
i
1
Critica del "riformismo ,, europeista: il principio di adiaforia
I
1.
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:
'1
- Recapitolando
La conclusione a cui siamo pervenuti intorno
al problema della politica militare e difensiva
dell'Europa, nell'era atcmica e nell'epoca dei
missili intercontinentali, è che gli stati nazionali offrono solo due alternative antinomiche
e ugualmente insoddisfacenti: quella dell'oltranzismo di tipo gollista (la force de frappe nazionale, le cui conseguenze politiche - in senso
di involuzione conservatrice e autoritaria all'interno dei nostri stati, e in specie in Germania, e di aumento della tensione, dei fattori
di forza a scapito dei valori morali, nel conflitto e--ovest - sono fin troppo evidenti); e
quella dell',~unilateralismo II rinunciatario neutralista e pacifista, sullo stile dei marciatori della
pace (che provocherebbe una reazione a catena
di incalcolabili conseguenze, in ispecie in Germania, nel senso dello spirito di i, Monaco )i,
di un apeasemenf di una desistenza morale'
e ideale nei confronti dell'unione Sovietica
e degli aspetti meno accettabili e più ripugnanti della sua presenza in Europa Orientale
e in Germania, e relegherebbe gli europei in
una posizione di e pensionati della storia n).
Abbiamc visto altresì che le altre pseudomalternative che si possono proporre nell'ambito
nazionale, in tema di difesa dell'Europa, o
s'inquadrano nelle prime, o - Per la loro
stessa inconsistenza ed intima contradittorietà
- servono a rafforzarle: l'idea di una f o n a
nucleare multilaterale europea, senza un p0kre
politico e l l r ~ p e o(che non è se non una forma
di satellitismo intelligente nei confronti degli
Stati Uniti); la tesi di una difesa d o convenzionale de1YEuropa - che non è se non la
« Se la politica europea vertesse oggi direttamente sulla
coerente
e a
costruzione delle istituzioni democratiche federali, direi
della precedente posizione -, pSi~010gi~amente che converrebbe soprassedere ad ogni presa di posizione
circa I.eventuaie armamento nucleare autonomo europeo,
insostenibile e tale da costituire pertanto l'antie cercare di avere r a p i d a e n t e il parlamento. il governo e
camera e in un certo senso la
la costituzione europea. rinviando a questi organi ogni
dell'uniiateralismo e del neutraiismo (pi~ttost0 decisione in materia di difesa. Il fatto è però che alche difendersi male, meglio non difendersi
l'ordine del giorno della politica europea non c'è il k m a
costruzione della federazione, ma quello della difesa
d a t i o , e rimettersi interamente al buon cuore della
comune, e che in un modo o nell'altro ci sarà prima una
degli Americani).
qualche decisione importante su questo punto: l'azione
E, per quanto solo implicitamente - giac- per l'unità politica si svilupperà sulla base di quel che
nel frattempo sarà stato deciso in materia di difesa
il nostro direor% ve*eva essenzialmente
comune» (10):
su altri problemi - abbiamo constatato come la
prospettiva nazionale sia altresì incapace di
Smarriranno così in misura crescente le
c o n ~ p * e i rapporti fra Stati Uniti ed Europa
ragioni stesse della loro lotta, sperdendosi dietro
come una partnership fra u b a l i , ed oscilli un ingannevole e riformismo in cui l'obiettivo
invece tra l'idea dell'America Come potenza
della Federazione Europea risulterà sempre più
protettrice ed egemone, più uguale delle altre, sfumato e finalmente del tutto obliterato.
e quella - non meno equivoca in tale contesto - di un'Europa velletariamente nazionaE, un tema più
trattato ddla rivista di Mario
listica o irrealisticamente non engagée.
Albertini u Le Fédéraliste», specie, negli ultimi numeri in
L'idea feconda di unlEuropa doppiamente ordine alle vicende politiche italiane e spagnole.
(P) I n queste parole (A. SPINELLI,Ancora mù navedremo - aionalisrm,
impegnata senso che
europeo, u I1 Mondo», 9 aprile) risulta parin un0 Sforzo di mediazione e di promozione, ticolarmente evidente la duplice illusione. che noi comnel mondo, dei valori della libertà (che è battiamo. e) che ci possa essere una soluzione del problema della difesa - come di qualunque problema di imquanto c'è di vero nelvidea vecchia, ma in sé portanza
eumpea - diversa da quella federale, e tale
non fallace, dell'a Europa terza forza r ) resta, da non alterare le strutture stato-nazionali attuali, e che
in questa prospettiva nazionale, o del tutto tuttavia meglio e più facilmente di un'altra possa preparare condizioni migliori per il superamento, appunto
assente o - ancor peggio - completamente
federale, di tali strutture; b ) che la situazione di « n o n
snaturata.
attualità » del problema della Costituente europea, nel
),,
2.
- La
c*i dello Stato nazionale e le
Comunità a Sai ,,
CC
1
di essere fra loro direttamente contraddittorie,
ugualmente insoddidacenti ed egualmente lontane da una prospettiva di unificazione federale dell'Europa - può esser largamente generalizzata, giacché essa ha la sua radice' più
profonda in un fenomeno che ha esso stesso
portata generale: la crisi dello stato nazionale,
e quindi delle forze che lo swtengono e ne
accettano l e dimensioni.
Giova soffermarci un momento a considerare
in che senso tale crisi è influente per l'ordine
di problemi di cui qui ci preoccupiamo. Poiché
è il quadro stato-nazionale stesso a costituire
la causa della decadenza attuale delllEuropa
e a determinare necessariamente degli equilibri conservatori e imrnobilisti - così ragionano i federalisti, specialmente in tema di politica interna (1) - è vano voler cercare nuovi
equilibri senza aver eliminato la causa che
impedisce ad essi di formarsi.
Analogamente, poiché tale quadro non permette se non l'affermazione di forze che ne
accettano le dimensioni e i limiti, è inutile e l'esperienza anche recente ha largamente confermata questa inutilità - sperare di giungere
alla Federazione Europea attraverso una semplice opera di persuasione o di pressione esercitata dai federalisti sulle forze politiche nazionali e tradizionali, obbligate, dal tipo stesso della
lotta politica nazionale che esse conducano, a
ricercare, a livello europeo, solo una collaborazione di tipo confederale, e a determinarsi
in funzioni di alternative nazionali tutte ugualmente lontane dall'alternativa federale.
C& facendo essi saranno costretti a dover
sempre e dovunque constatare quel che uno
di loro, più decisamente impegnato su questa
via, ha giustamente ~ s e r v a t . 0- col solo torto
di considerare ciò una eccezime - a proposito
dell'attuale situazione politico-diplomatica curopea, relativamente ai problemi della difesa:
~~~~t~ analisi - che scopre
pOsizi0ni n~zionaliin ordine ai vari problemi
due alternative entrambe caratterizzate dal fatto
quadro delle politiche nazionali, sia un fatto occidentale.
e non un dato permanente, che risulta dall'analisi stessa
della crisi dello stato nazionale, e delle forze che lo
controllano. mai e per nessuna ragione disposte, spontaneamente, a porre «direttamente e precisamente » il
pmblema della « costruzione delle istituzioni democratiche
e federali » e a scegliere con ciò, come non faceva neppure Bertoldo, l'albero a cui esser impiccate. Senza conk
,
che quella eccezione della concretezza » può r i t o cersi anche contro le posizioni europeistiche piti attenuate
Ecco perché l'ubi consistam, la politica nazionale che più e meglio di un'altra possa facilitare e avvicinare la realizzazione della Federazione Europea non esiste e non può esistere;
e il compito dei federalisti non è quello di
appoggiare questa piuttosto che quella, cercando d'insegnar l'abbaco alle formicole e di
far capire agli stati nazionali e alle forze che
li sostengono il modo migliore, più prudente
e più ragionevole, per sopravvivere ancora
un poco a se stessi; sibbene quello di denunciarle con pari intransigenza tutte, indicando,
in antitesi a tali posizioni, quale è la sola, e
valida, alternativa federale.
L'esempio delle Comunità europee vale a
chiarire ulteriormente quest'ordine di considerazioni. Anche qui la loro genesi e la loro
funzione comanda l'atteggiamento che i federalisti devono assumere rispetto ad esse. Questa
genesi trova la sua spiegazione appunto nella
debolezza degli stati nazionali, costretti a cooperare per sopravvivere; e nel desiderio delle
forze che profittano così della loro sopravvivenza (i partiti) come della loro debolezza (i
grandi interessi economici) a favorire la collaborazione fra governi nazionali - gabellata e
i, venduta
all'opinione pubblica come unità
federale già in atto (quello che io chiamo
1'11oppio del popolo europeo
- strettamente
indispensabile per assicurare il mantenimento
dei poteri nazionali, e con ciò del proprio
potere. I1 che spiega il carattere profondo delle
Comunità, che è settoriale, e non a competenza generale; tecnocratico, e non democratico; intergovernativo, e non sovranazionale o
comunitario; e basta a far comprendere che il
compito dei federalisti non può esser, anche
qui, quello di appoggiare un'esperienza che
ha limiti ben precisi, ma quello di metterne
in luce la debolezza e le contraddizioni, e i
vicoli ciechi a cui essa conduce, senza un rinnovamento democratico e federale ab extra
estraneo alla logica comunitaria e al contenuto
stesso dei Trattati di Roma e di Parigi.
)))
3.
- Critica
delle false alternative na-
zionali
Del resto, che le alternative della politica
nazionale - anche quelle che si presentano con
la maschera dell'europeismO
dipinta
- siano tutte, in realtà, ugualmente
estranee a una reale prospettiva federalista riprima
dall'analisi
che
sopra abbiamo cercato di riassumere, dalla
stessa considerazione empirica di tali alter-
native.
CGS~,
in pclitica interna, i nostri regimi sono
incapaci di soddisfare l'esigenza fondamentale
di Uno stato
- un esecutivo insieme
forte e democratico - e l e soluzioni nazionali
possibili oscillano fra i due poli dell'autoritarisma sempre più antidemocratico e dell,impotenza di sistemi partitocratici sempre più corrotti e sempre meno competenti (2).
I1 regime gollista ha tutti i difetti - enormi - che i suoi avversari gli rimproverano,
e in particolare quello di rinnegare sempre
piu i principi della libertà e d'indebolire in
tal modo la posizione ideologica - il rayonn e m a t - e l e rivendicazioni deli'Europa di
fronte al mondo totalitario, già minata dal-
-
che, in nome di essa, si ritenga opportuno di assumere:
come ha fatto efficacemente - e da tale punto di vista
impeccabilmente - A. Gambino al recente Convegno
<< Espres-Economist»,
estendendo l'obiezione d'inattualità anche ai problemi economici e politici: «Per il mamento non esiste neppur la più remota possibilità di f a r
serii passi avanti verso l'integrazione europea... La strada
verso un'Europa politicamente unita è bloccata a tempo
indeterminato ». Così non solo le tesi federaliste. ma
anche le impostazioni agro-dolci sul tipo del Convegno
dwli amici del a Mondo» Che fare per l'Europa risultano condannate <C in radice», e queste ultime attraverso
una generalizzazione ineccepibile degli stessi argomenti
che parevano Biustificarle.
(2) Ho trattato di proposito quosto tema
la necessità
di una critica democratica ai gravi difetti attuali della
democrazia. a la sua possibile soluzione federale - i n
Partidi politici e Fecierahiorre Europea, estratto da « I
quaderni della crisi », in aprile 1963. Cfr. anche, nel
« Fédéraliste)) dell'ottobre 1962. la mia recensione al
volume del Club Jean Moulin L'Étnt et le n'toven; e in
quello del dicembre delio stesso anno la mia recensione
al volume di M e n d i R a n c e La rdpubliqur moderne.
-
COMUNI D'EUROPA
l'esistenza dei regimi iberici; ma conserva le
migliori chances per l'avvenire, se la sola alternativa ad esso è la resumazione del regime
pseudo-democratico della Quarta Repubblica,
vile, inetto e impotente (3).
Così il problema dell'adesione della Gran
Bretagna al Mercato Comune può esser visto
anch'esso nella luce di un'alternativa due volte
negativa. Contro la tesi gollista, ostile a tale
adesione, parlano i rischi sicuri di un rafforzamento di tendenze economicamente protezioniste e politicamente reazionarie neli'Europa a carolingia D. Contro il si, il fatto che solo
la creazione di un primo nucleo politico federale solido e vitale potrebbe resistere alla
pressione disgregatrice e ritardatrice che la
Gran Bretagna (contraria come De Gaulle a
ogni limitazione politica della sua sovranità
e come lui ostile a un'Europa sovranazionale
e favorevole a un'Europa <idegli stati I ) ) continuerà ad esercitare, e con molta più efficacia,
dall'interno di istituzioni comunitarie ancora
fragili e malferme (4).
Analogamente si può con buoni argomenti
sostenere che l'associazione della Spagna al
Mercato Comune favorirà il trend reazionario
di cui parlavamo e permetterà al regime franchista di rafforzarsi attraverso questa sorta di
legittimazione democratica implicita neila sua
ammissione nelle Comunità D; ma si può affermare con argomenti altrettanto validi che il
rifiuto della candidatura spagnola isolerà ulteriormente questo paese, lascerà abbandonati
i democratici spagnoli e favorirà le alternative
estremiste (5); e così via.
Anche dei problemi particolari, contingenti
o relativamente poco importanti, non sfuggono
a questa antinomia della disperazione. Lo status
quo, con un'apparenza d'autonomia per il Sud
Tirolo (la sola cosa che lo stato nazionale può
concedere?). Ciò significherà sugellare l'oppressione di una nazionalità spontanea )I che
merita ogni protezione e agire in senso anti-
europeo, consolidando il sistema attuale di
sovranità. L'annessione all'Austria? Essa costituirà, nelle condizioni presenti, un successo
del pangermanesimo, e contribuirà a sollecitare
i peggiori sentimenti nazionalisti ( 6 ) .
Una soluzione per la controversia tra Fiamminghi e Valloni? Si ricade neilo stesso vicolo
cieco: o lo status quo - i cui svantaggi e l e
cui ripercussioni antieuropee non hanno bisogno di essere sottolineati, perché hanno condotto alla situazione presente -, o la divisione, la cui assurdità non ha bisogno di esser
dimostrata, se ha come conseguenza (e nello
stato anarchico attuale dell'Europa non può
avere che questa conseguenza) la creazione
di due nuovi piccoli stati sovrani (7).
4.
- Le ragioni dell'a europeismo di sinistra .,
A quanto si è detto fin qui manca ancora una
osservazione secondo noi di particolare importanza. Se le conclusioni rigorosamente adiafore
della nostra analisi appaiono inaccettabili, appunto nel loro deludente arnletismo; se per esempio - prendiamo un tema di attualità - ogni
democratico che si rispetti ha un riflesso fortemente anglofilo e antigollista, almeno iniziale
e superficiale, di fronte al fallimento dei negoziati con la Gran Bretagna imposto dalla Francia (perfino il moderato Messaggero = di Roma
ha avuto parole grosse, parlando come Luns
di I, diktat, )I e addirittura di crimine )i contro
l'unità europea: e i federalisti dovrebbero esser
da meno?), ciò è dovuto al fatto che, implicitamente e inconsciamente, 'in questo tipo di
analisi ci sostituisce, alla prospettiva federalista (quale delle due alternative avvicina di
più aii'unione federaìe europea?), una prospettiva di tipo (i riformistico 11, o - come si
àice in questo caso - e europeistico I): essendo
ormai scontata la sopravvivenza indefinita degli stati nazionali - pensano in realtà coloro
che ragionano in tal modo - qual'è, in
questo quadro, la soluzione 6 meno peggio D,
che può consentire di sopravvivere un po' più
a lungo a dei regimi democratici, anche se
sempre meno validi, e allontanare un po' di
più le prospettive di involuzione conservatrice
e autoritaria? E in quest'ordine d'idee non c'è
dubbio che la scelta deve esser chiaramente
per l'alternativa antigollista, cioè filo-inglese.
E' quanto abbiamo cercato di sottolineare
- e di generalizzare - nella prima parte del
C
C
((
(3) Ho sviluppato questo concetto in « Comuni d'Europa », ottobre 1962.
(4) Nessuno si è espressa meglio, in proposito, dei federalisti belgi i quali. in una loro mozione approvata il
26 gennaio svorso a Bruxdles, hanno denunziato (la
duplice contraddizione che domina i negaiati f r a i Sei e
ia Gran Bretagna. Da un lato il generale ,De Gaulle, opponendosi all'adesione del Regno Unito, si atteggia a difensore intransigente dei Trattati di Roma, mentre ha sempre rifiutato qualsiasi iniziativa tendente all'integrazione
politica. Dall'altro gli altri cinque, legittimamente preoccupati di fronte alla prospettiva di una semplice alleanza
di stati sovrani dominata dal?a Francia, o d a un asse ParigiBonn, cercano nell'adesione della Gran Bretagna una politica d'equilibrio di potenze, altrettanto lontana da una
Federazione Europea democratica quanto i progetti gollisti ».Ho trattato più ampiamente questo argomento in
appendice all'opuscolo Contro la distellsione. estratto da
« I quaderni della crisi » dell'agosto 1961, nonché in
« Coauni d'Europa » dello stesso mese e del febbraio 1963.
(5) Di questo aspetto della questione ho discusso ampiamente nell'ultima parte della prefazione al volume di
D. RIDRUETO,Scritto in Spagna, Milano, Ed. di Comunità, 1962.
maggio 1963
(6) Ho svolto questo tema nel volume U m politica p m
llAl,to Adige (Bologna, « I l Mulino)), 1962,- pp. 199-208!.
che contiene gli atti di un Congrecso organizzato dalla rivista bolognese su questo tema.
('i)Ho svolto questo tema in « Comuni d'Europa )>P
dicembre 1962. commentando un articolo, ivi d a me tradotto. di L. Dierickx.
nostro studio, insistendo particolarmente sul
fatto che in tale prospettiva - quella che
considera ormai definitivamente perduta la
battaglia per l'unità federale dell'Europa l'alternativa a unilateralista :. è senza dubbio
quella che s'impone, e proprio nei suoi aspetti
il
che più hanno sapor di forte agrume
neutralismo, il disarmo europeo unilaterale, il
pacifismo non violento D, il pieno riconoscimento e legittimazione della presenza sovietica
in Europa orientale, anche nei suoi aspetti più
negativi e meno accettabili per un democratico coerente. In una parola: l'uscita dell'Europa dalla storia.
D:
C
Gli obiettivi di fondo di una
politica estera democratica e le
sue contraddizioni
1.
- Una politica estera
univoca ,, per
l'Europa: a) in generale
Riprendiamo ora il tema della politica estera
federalista, in particolare nei confronti del
mondo orientale, alla luce delle m antinomie
statiche )I dell'eur~peismo di destra e di sinistra che sopra abbiamo cercato di confutare
col procedimento dell'elisione reciproca.
Tali antinomie sembrerebbero a prima vista
non presentarsi qui, se si considera il problema degli obiettivi generali, degli scopi ultimi e lontani; ma riemerge invece, ed assume
un carattere anche più violento e drammatico,
se si considerano i mezzi e gli strumenti concreti con cui occorre realizzarli.
1 ) E' chiaro in primo luogo che, nella misura
in cui l'evoluzione interna del sistema comunista abbandona prospettive di guerra fredda
e di minaccia diretta, e i problemi militari
non sono quindi più in primo piano, la strategia occidentale deve puntare, come primo
ed essenziale obiettivo, alla propria trasformazione interna, in senso sempre più democratico: il che consentirà tra l'altro al mondo
cosiddetto a libero D, nella misura in cui saprà
divenire davvero sempre più <I libero », di
costituire un modello ed uno stimolo di efficacia crescente - e a lungo tempo corrodente
- per i regimi totalitari.
E' questo il primo obiettivo serio di una
politica estera democratica. E non c'è bisogno
di insistere qui su quanto abbiamo altre
volte cercato di dimostrare particolareggiatamente altrove ( 8 ) : e cioè che la federazione
-(8) E in particolare nell'opuxolo Per un federalismo
noz~vellegauche », estratto da « Comuni d'Europa» dell'aprile 1961.
ISTITUTO PER LO SVILUPPO ECONOMICO DELL'ITALIA MERIDIONALE
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Ente di diritto pubblico con sede i n Napoli, per l'esercizio
del Credito a medio termine, nel Mezzogiorno Continentale
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dei quali 5 di preammortamento, per la cosfruzione, il rinnovo o l'ampliamento di impianti industriali.
con rimborso in 5 anni, per l'acquisto o il rinnovo dei macchinari
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Tel. 875.188.
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Telefono n. 14.435.
Rappresentanza POTENZA Via Pretoria (Palazzo Assicurazioni Generali) Tel. 1883.
UfFicio di Rappresentanza
COSENZA
Cono Telesio, n. 17
Telefono n. 41.362.
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maggio 1963
è in Europa lo strumento istituzionale indispensabile per realizzare tale politica. La minaccia
gollista rende oggi tale préalable ancor più
evidente.
2) E' altresì chiaro qual'è il secondo fon-
I
damentale obiettivo di una politica democratica: un aiuto massiccio e alieno da arrièrepensées neo-colonialistiche in favore del mondo sottosviluppato, tendente ad avviarlo verso
una società industrializzata, capace di aprirsi
alla derriocrazia e di superare il nazionalismo.
E' anche questo un tema fondamentale, ma
che non è qui il caso di riprendere, come
non è il caso d i riprendere la dimostrazione
che solo l'unità federale darebbe agli europei
la responsabilità, e perciò la capacità di sacrificio, per affrontare organicamente questo compito essenziale, questo imperioso dovere morale
che incombe oggi ai popoli ricchi.
Come osservava alcuni anni fa R. Lowenthal (9), considerare gli obiettivi di cui ai
punti 1 ) e 2) come armi per combattere la minaccia sovietica o cinese sarebbe vederli sotto
un profilo troppo gretto e meschino, e perdere
di vista il loro valore di imperativo etico della
nostra civiltà:
2.
- b)
verso l'Europa orientale
Se invece si affronta il problema dei rapporti diretti con l'Europa orientale, allora il
dilemma emerge in forma più acuta, all'interno
deqe stesse posizioni democratiche.
Certo anche qui si può dire che la politica
estera della e sinistra europea 81 è univoca,
giacché essa non può non proporsi in questo
campo, gli obiettivi seguenti:
1 ) Favorire anzitutto il consolidarsi, nei
rapporti fra est ed ovest, di un tipo di relazioni quali si è venuto caratterizzando col passaggio, se così si VUOIdire, dalla guerra fredda alla coesistenza competitiva: il consolidarsi
cioè della coscienza sempre più piena che occorre escludere dalle prospettive della politica
estera qualsiasi ipotesi di ricorso alla guerra,
come mezzo normale >I di risolvere i conflitti internazionali, relegandola a quello di
extrema ratio nell'ipotesi (oggi poco probabile) di minaccia in atto e con mezzi violenti
e massicci di rottura definitiva dell'equilibrio
attuale e di egemonia a breve termine che
uno dei due blocchi sull'altro, imposta con le
a m i . E' questa la sola posizione responsabile
a cui costringe l'esistenza degli armamenti nucleari.
in
(9) R. L O W ~ T H A LCo-ezistance
.
ooith soviet comntunisni
<( Fabian i n h a t i o n a l essays », di pih autori, London.
p. 28.
The Hogarth Presse, 1957,
(10) Zhià.. D. 30.
( I l ) Ibid., pp. 323.
I
Un invito della Sezione tedesca del CCE
alle famiglie dei lavoratori italiani
Gli invii postali e le lettere per i lavoratori ospiti nella Repubblica federale
tedesca saranno recapitati con ritardo se i loro familiari, amici e conoscenti non
si atterranno fedelmente alle sottoindicate prescrizioni i n vigore.
Nell'indirizzo dovrà essere indicato - possibilmente i n stampatello o i n
calligrafia ben leggibile - prima il cognome e il nome di battesimo del lavoratore
ospite, poi, sotto, il nome della città o località d i lavoro attuale del lavoratore
italiano i n Germania, preceduto dal numero d'ordine del distretto postale (che i
familiari dovranno richiedere al lavoratore stesso). Sotto dovrà essere indicata
l'abitazione, vale a dire la via, il numero civico o altre indicazioni più precise
riferentisi all'abitazione del lavoratore ospite. Infine, sotto tutto, segue l'indicazione
dello Stato : Repubblica federale tedesca.
Preghiamo pertanto i Sindaci dei Comuni membri dell'AICCE d'i comunicare agli abitanti dei Comuni da loro amministrati queste informazioni nella
forma più adatta.
« m a quel che è opportuno sottolineare è che. mentre
in periodi di acuta tensione militare vi può essere talvolta
conflitto tra esigenze di uno sviluppo politica in senso
prosressivo e necessità immediata di una difesa militare a
breve termine (almeno nel senso di un conflitto sulle
priwità). in periodi di " coesistenza competitiva" le esigenze del progresso coincidono con quelle della difesa contro il comunismo» (10). e « i sacrifici per l'aiuto al
terzo mondo costituiscono un prezzo per la l i b d almeno
altrettanto utile quanto i sacrifici per gli armamenti
in periodi di tensione » (11).
3) Fin qui dunque tutto è chiaro: la politica
estera di una a sinistra europea D , vista negli
obiettivi lontani e nelle Ijnee generali, ha forma
univoca, e il contrasto sta solamente nella
impossibilità, per gli stati nazionali europei,
di iniziarla e condurla in porto. Democratizzazione interna? Ma la prima democratizzazione sta nel portare la democrazia a livello
dei pioblemi - e non svuotarla, lasciandola
a livello anacronistico degli stati nazionali.
Se no - ripetiamolo - non si sfugge al
dilemma tra autoritarismo e degenerazione
antidemocratica da un lato, e partitocrazia,
corruzione e impotenza dall'altro. Incoraggiamento su questa via del terzo mondo? Ma in
queste condizioni l'orientamento di unlEuropa
autoritaria e gollista è l'opposto - verso un
protezionismo egoistico - oppure mancano ai
governi nazionali a democratici, la responsabilità e la forza per compiere dawero i sacrifici necessari in tale direzione, anche solo
economici. I1 caso dell'Algeria - che la Quarta
Repubblica è stata incapace di risolvere - è
in tal senso quasi simbolico.
5
COMUNI D'EUROPA
Con questa iniziativa il Consiglio dei Comuni d'Europa spera d i essere d i
I
valido aiuto i n u n o degli aspetti più umani della vita quotidiana dei lavoratori
europei.
-
I
Questi vengono pertanto ad assumere, senza
3.
Le antinomie della politica oriendubbio, una funzione conservatrice dello status
tale n dell'Europa: C< dtranzismo
quo profondamente negativa, nella misura in
e N unilateralismo m
cui questo presenta aspetti antidemocratici immeritevoli di conservazione, ad est come ad
Ma qui appunto - se dall'enunciazione dei
ovest: carattere negativo aggravato dal fatto
fini si passa all'indicazione dei mezzi - nasce
che quando l'equilibrio che così si consolida
il contrasto e l'antinomia.
è quello bipolare attuale, questo a effetto conUna prima posizione afferma infatti che
servatore )I tende a manifestarsi in forma più
tale politica di (I incoraggiamento democradrastica e in favore, in entrambi i sistemi,
proprio di quegli elementi che più esigerebbero tico D del mondo totalitario non può essere
fatta se non praticando nei confronti di questo
di essere riformati, se si vuol dar vita a una
una politica di pieno riconoscimento delle fronsocietà più giusta e più libera. Ma assumono antiere attuali e dell'influenza sovietica in Euche una funzione positiva, nella misura in cui
ropa (anche, e soprattutto, per quanto concerne
un terzo conflitto mondiale, anche solo e conavrebbe oggi effetti apocalittici la Germania), e accreditando la serietà, il caratvenzionale
tere definitivo e senza arrières-pensées di tale
tali da minacciare la stessa sopravvivenza delriconoscimento attraverso una politica milila civiltà; e una funzione in tal senso insotare nello stesso senso: ritiro delle truppe e
stituibile, almeno fino a quando non ci sarà
delle basi americane dall'Europa, promosso dauna confederazione mondiale.
(Affermazione - notiamolo di passaggio - gli stati europei; rinuncia di questi ultimi ad
ogni armamento nucleare; soluzione e ragioche ha come corollario immediato l'altra, che
non c'è maggior nemico della pace, da un lato, nevole n per Berlino (ad esempio, installandovi
l'ONU ed affidando ad essa il controllo della
com'è owio, dei teorici dell'inevitabilità della
parte occidentale della città); smilitarizzazione
guerra - i I( cinesi
che esistono nei due
della Germania occidentale, e così via: in geschieramenti -, ma dall'altro anche, come è
nere senza richiedere alcuna contropartita per
meno o w i o ma non meno certo, i fautori del
tali atti.
disarmo nucleare, i quali ignorano la elemenUna volta assicurata definitivamente la pretare verità che se la pace non è frutto delsenza sovietica in Europa orientale da ogni
l'ordine e della legge - appunto la Federaminaccia eversiva, e scoraggiata per sempre
zione mondiale - essa non può essere frutto
ogni opposizione interna, i regimi comunisti,
che del terrore: e sia pure nel modo precario
fondamentalmente impopolari in quei paesi,
che cosi è solo possibile).
potranno
pensano i fautori di questa linea
Anche qui, ripetiamolo, tutto è chiaro, e c'è
di condotta - permettersi il lusso di qualche
solo da richiamare, ancora, la funzione capiliberalizzazione D , anche se pur sempre cautale che metterebbe alla Federazione europea:
tissima. E', essi dicono, tutto quello che c'è
anzitutto nel senso di una rottura dell'eqÙilibrio bipolare, e quindi di maggior apertura
da sperare.
del processo di sviluppo democratico di tali
Si obietta a questa posizione - e nessuno,
blocchi, che tale equilibrio oggi congela; e a
forse, lo ha fatto meglio di J. Mieroszewski
più lungo termine, e appunto per questo, di
(12) - che chi sostiene ciò dimentica che il
creazione di migliori prospettive per il consecomunismu ha una duplice faccia: in un certo
guimento dell'obiettivo finale sopraccennato:
senso positiva e e democratica » nei paesi in
quello appunto della Federazione mondiale.
via di sviluppo, o almeno in alcuni di questi,
dove spesso l'alternativa totalitaria, anche nei
2) Proprio in vista di tale più grandiosa e
suoi aspetti più fanatici, disumani e I( cinesi ,I,
definitiva realizzazione, il secondo scopo fonrappresenta la sola via di uscita alla miseria,
damentale di una politica estera i r democratialla fame, alla stagnazione a cui la mancanza
ca 2 pare altrettanto naturalmente e univocadi responsabilità e l'egoismo dei popoli ricchi
mente quello di favorire nel mondo comunista,
e cosiddetti a liberi B condanna quei. paesi; ma
ed in particolare nell'Europa orientale, una
profondamente reazionaria in Europa orientale,
progressiva evoluzione e democratizzazione, che
dove nessuna ragione storica di quel genere,
spinga il processo di revisione, iniziatosi con
l'awento a l potere di Kruscev, molto oltre l e
ancor troppo caute forme di destalinizzazione
(12) Nel volume Kehrt Deutschlend in h Osten mriick!
(Berlin. Colloquium Verlag, 1960). che è condotto da un
fin qui realizzate e anch'esse tutt'altro che punto
di vista rigorosamente neutrallstico, ma ispirato a
irreversibili.
idee chiare e a preciso senso ddla real&,
)),
,)
-
C
maggio 1963
COMUNI D'EUROPA
ma solo i carri armati russi spiegano storicamente la presenza di regimi comunisti, e ne
garantiscono il permanere (13). E' questa la
per cui
ragione - conclude Mieroszewski
la Russia difende nell'Europa orientale delle
r< posizioni di forza i>, e non
delle posizioni
I< ideologiche i> (che hanno rispetto
alle prime
una funzione puramente strumentale). Ed è
questa la ragione che esclude che il processo
di destalinizzazione, anche ammesso che possa
procedere oltre in Russia, possa facilmente
ripercuotersi - e in ogni caso andar oltre
limiti molto precisi - nei paesi satelliti.
D'altra parte, se è vero che oggi il mondo
occidentale, che tollera tante situazioni malsane e antidemocratiche nel proprio seno. e
anzi nella stessa Europa, non h a le càrte' in
regola né la coscienza interamente pulita per
presentare delle rivendicazioni democratiche
nei confronti del mondo orientale (charity
begins a t home), è anche vero che la sua
conclamata fede nei principi democratici risulterebbe ancor meno credibile se esso si disinteressasse completamente della sorte dei paesi
orientali - peggio, l'avallasse e la garantisse.
Ragionando sottilmente. e secondo le categorie umbratili del diritto internazionale, si può
certo sostenere, e con argomenti nel loro genere
impeccabili, che riconoscere diplomaticamente
un paese (come, ad esempio, la Germania comunista) o garantire una sfera d'influenza, e in
genere accettare e farsi garanti, attraverso
trattati e con precisi impegni, di una situazione
di fatto - operando così attivamente e nel
modo più efficace per il consolidamento di determinati regimi - non significa in alcun modo
approvazione morale e politica di questi ultimi. In pratica però, e in un'epoca di comunicazioni e di civiltà di massa, quel distinguo,
già di per sé troppo ipocrita, non regge di
fronte ad una analisi di semplice buon senso,
che giustamente confonde riconoscimento e
-
-
(13) I n tal senso anche G. MARTIGNETTI.
Per la disbem
&ione, « I quaderni deila crisi », ;ottobre 1960.
garanzia diplomatica da un lato, e approvazione e attivo appoggio politico dall'altro:
Erkennung e Anerkennung, come direbbero i
tedeschi. Così, per l'impossibilità della difensiva e della stabilizzazione in un conflitto di
tipo ideologico - Lowenthal 10 ha' secondo me
dimostrato in modo esauriente (14) - questo
generale e definitivo a riconosci mento^, lungi
dall'esser il suggello conclusivo della distensione
e dello status quo, segnerebbe l'inizio di nuove
e più audaci pretese e rivendicazioni del mondo orientale verso l'Europa libera (15).
La conclusione che sembra doversi dedurre
da tali obiezioni alla tesi a unilateralista i) è che
appare indispensabile - pena l'incoerenza democratica, e quindi l'indebolimento e il progressivo indietreggiamento, nel senso lowenthaliano - contestare intransigentemente la legittimità appunto democratica di quei regimi.
Ma anche tale conclusione è ben lontana dall'apparire senz'altro evidente, e solleva non pochi dubbi e riserve. Se tale contestazione infatti
è opera di singoli stati nazionali, allora è chiaro il rischio che rivendicazioni ideologiche si
trasformino fatalmente in rivendicazioni territoriali; che motivi ideali divengano contrasti
di forza, e servano solo ad aumentare la tensione, e con essa i trends reazionari nelle politiche interne dei paesi ad est come ad ovest
della cortina di ferro; e che l'effetto finale sia
pertanto opposto a quello sperato: un peggioramento, e non un miglioramento, delle condizioni politiche in cui vivono i popoli delle
ii nations
captives I).
Sono l e irnpasses - opposte, ma analoghe a cui conduce la posizione contraria, che ho
(14) in particolare nell'articolo con questo titolo pubblicato in « Der Monat » del novembre e in « Preuves » del
dicembre 1961. Si veda anche il suo articolo Die Euphorie
des Westens. « Der Monat », febbraio 1960. Ho a mia volta
riprew e cercato di sviluppare la tesi del Lowenthal in
una prospettiva federalista nel già citato articolo: Contro
la disliensione. estratto d a « I auaderni della crisi)).
agosto 1961.
(15) Si veda in tal senso la b r w q ma esaurientissima
nota di F. Bondy, in <C Preuves D. dicembre 1960.
definito a oltranzista v : che ha avuto l e sue
espressioni più tipiche e in un certo senso
più coerenti - ma senza dubbio più sterili e
controproducenti, ai fini degli stessi obiettivi
che dichiarava di voler perseguire - ieri, nella
dottrina dullesiana del roll-back (fallita perché
fondata sul bluff, come la rivoluzione ungherese si incaricò di dimostrare); oggi, nei niet
di De Gaulle e di Adenauer, altrettanto poco
responsabili e altrettanto fondati su ragioni di
politica interna, piuttosto che di politica estera.
4.
- Un
caso particolare: il prublema
tedesco
Tale duplice ordine di perplessità emerge
nella forma più acuta relativamente al problema tedesco.
La posizione i,oltranzista r ha certo ragione
quando sottolinea la crisi di fiducia nell'occidente che fin d'ora si va manifestando nella
Germania occidentale (16); il rischio che, di
concessione in concessione, si arrivi a una
nuova Monaco D (17); la necessità che ha l'occidente, se non vuol perdere la faccia e rendere poco credibile la sua fede nella democrazia, continuamente proclamata, di contestare
la legittimità dei regimi satelliti - e in particolare di quel Ciang Kai Scek europeo che
è Ulbricht - che ne costituiscono la stessa
negazione.
Ma non si rende conto -- ed è per questo
che gli i r unilateralisti n hanno un giuoco facile
contro di essa
che mantenere le rivendicazioni di cui essa parla, restando prigionieri di
un quadro puramente nazionale, rende anzi-
-
(16) E' la tesi che il corrispondente del « New Statesman
and Nation ». John Mander. svolge nel volume di
più autori Berli?r. und keine Zlluswn, Riitten und Loening
Verlag, H a m b w . 1962.
(17) In tal senso si esprime, nello stesso volume.
F. R. Alleman, che è più volte tornato sull'argomento
nella citata rivista Der Monat ». '(Si veda, in partiIare, un suo scritto nel numero di novembre 1962).
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l
l
COMUNI D'EUROPA
- I1
ceziane staliniana della e democrazia popolare 11,
tuttora imperante nell'Europa al di là del sipario di ferro, e consenta una qualche libertà
Naturalmente, se è facile indicare la diredi espressione e di diffusione alla cultura non
zione generale verso cui la politica orientale
conformista come all'opposizime politica.
dell'Europa federata dovrebbe muoversi (quelLa pressione e lo stimolo dell'Europa fedela, appunto, di una Federazione dell'Est, da
rata in favore di un'unificazione federale anche
favorire con tutte le forme di pressione poliad oriente potrebbe allora fare il resto.
tica, economica e diplomatica, sui singoli satelIn questa cornice - abbiamo avuto già occaliti come suli'URSS, che una grande potenza
sione di ricordarlo - l'idea del piano Rapacki,
come gli Stati Uniti d'Europa avrà a disposicioè, della creazione, nel cuore dell'Europa, di
zione), meno facile - ma, anche meno essenuna zona militarizzata potrebbe avere anziale - è precisare le singole tappe di tale
ch'essa, un suo valore positivo, al duplice fine,
processo (dato che una Federazione dell'Euda un lato, di venir quanto più possibile inropa orientale non si può imporre, dall'oggi al
contro a quelle che abbiamo definite esigenze
domani, per trattato).
legittime dell'unione Sovietica (garanzia da
Le circostanze e il momento potranno suggeogni mineccia di 11 aggressione 1 1 , almeno nella
rire i particolari, così come i passi successivi
misura in cui questa esigenza sia sincera, e
più adatti: e può ben darsi che la tesi più
non costituisca, secondo la felice espressione
suggestiva - ma probabilmente meno pradi Goriely, che abbiamo esposto all'ini-8 di Kennan, un semplice (i mito giustificativo )I
tica
del totalitarismo interno e dell'aggressività
zio, debba esser riveduta, e che le garanzie
esterna); e dall'altro di circoscrivere, subito didi Jiberalizzazione effettiva che l'Europa liplomaticamente l'area orientale federabile, e
bera dovrà chiedere per i satelliti debbano
di cui l'URSS dovrebbe riconoscere il diritto
esser inizialmente materializzate piuttosto nella
ad unirsi, se i popoli che in detta area abitano
loro uscita dal patto di Varsavia, nel ritiro
così vorranno.
delle truppe sovietiche e in qualche precisa
Beninteso, l'espressione « Piano Rapacki n va
modifica dei regimi interni che pur non anpresa in senso molto lato, e non come un
dando fino alle elezioni libere, costituisca tutriferimento preciso alle proposte del ministro
tavia in modo certo un superamento della condegli esteri polacco, che appaiono doppiamente
inaccettabili (citiamo la testimonianza non soriamente alle sue premesse (secondo le quali - articolo
Natwnalstuat und D e n w k ~ a t i enel « Foderalist » di b-spetta di due convinti neutralisti):
4.
piano Rapacki D
-
coforte del lualio-agosto 1962 - occorre si condannare
& sua sovranità »,
ma riconoscere al tempo stesso il valore positivo del
a diritto di nazionalità come espressione della libertà g e
nerale umana))), finisce per accettare la tesi « neutralunilateralista » (che abbiamo visto esser sostanzialmente
propria anche di Spinelli, secondo cui nel caso della
Germania occorrerebbe condannare l'uno e l'altro, e
rinunziare a ogni rivendicazione anche solo della libertà
per i tedeschi dell'Est. così come per gli altri Stati orientali: ché altro non significa la richiesta di un riconwcimento della D.D.R. così com'è. Tesi. come abbiamo gih
ricordato, che ha solo l'effetto controproducente di rendere il giuoco facile agli « oltranzisti » e di consentir loro
di presentarsi del tutto naturalmente come i soli campioni
della libertà e della democrazia contro il totalitarismo.
« il diritto dello Stato nazionale
1) anzitutto dal punto di vista politico,
giacché
<( un'accettazione
pura e semplice di questo piano
significherebbe concedere alla Russia tutto ciò che
essa vuol ottenere: la garanzia della divisione tedesca
e la separazione della Germania occidentale dall'accidente, serLa alcun obbligo sovietico di evacuazione delle
proprie truppe dai satelliti: sì che esso costituirebbe
finalmente non già un primo passo per organizzare
una cintura di neutrali in Europa. m a lo strumento
per rendere definitivammte impossibile una tale soluzione e per consolidare Io s t u h quo » (22).
(22) J. MIEROSZEWSIC~.o. e., pp. 56-7.
2) dal punto di vista militare, in quanto
« l a clausola prevista in detto piano che gli stati
firmatari dell'accordo si impegnerebbero, se detentori di
anni nucleari, a non utilizzarle contro i territori compresi nella zona smilitariszata stabilita d a l piano
stessa, consentirebbe allVAltoComando sovietico di trarre
il massimo vantaggio da uno dei suoi maggiori atoots,
la superiorità numerica e il concentramento di truppe:
vantaggio accresciuto dal fatto che il piano copre i
territori delle due Gerrnanie. dalla Polonia e dalla
Cecoslovacchia. ma non f a menzione dei territori della
Prussia orientale e della Rutenia sub-carpatica ceduta
da Benes a Stalin nel dicembre 1943. territori il cui
accesso è vietato a tutti i visitatori stranieri. e che
sono stati trrasfrmati dai Russi in una formidabile
base avanzata, comprendente quasi certamente anche
numerose rampe di lancio » (23).
Questi difetti cono praticamente incorreggibili oggi, giacché di fronte aU'Unione Sovietica
non vi è in Europa una grande potenza capace
di dialogare con essa su un piede di parità.
Ma non è utopistico sperare - ripetiamolo che tali difetti potrebber6 essere largamente
corretti ove questa potenza esistesse, e fosse
in grado di gettare sulla bilancia dei negoziati,
oltre e più che la sua forza economica unilaterale, il peso decisivo della ideologia federalista che essa incarnerebbe, e della sua potente
forza attrattiva e liberatrice.
5. - Fisima moralistica, o psrseguimento della politica di potenza c m
altri mezzi?
Alla ricerca tenace di questo accordo c m
l'Unione Sovietica dovranno esser dedicati,
come dicevamo, i primi anni di esistenza dell'Europa federata, nel corso dei quali in ogni
caso una force de frappe europea, delle dimensioni di quella americana o russa, non esisterà,
non potrà esser mise sur pied dell'oggi al
(23) H. HINTERHOFF.Désengagemente en Europe,
a Esprit », febbraio 1963.
(ooru~mv.a&ne a pag. 1.2)
maggio 1963
COMUNI D'EUROPA
mentali B che riuniscono - con un abuso tenninologico evidente, giacché il termine conferenza
interdipartimentale D si applica giuridicamente
alle conferenze organizzate dai Consigli generali in forza della legge del 1871 - alti funzionari, sotto la guida di un prefetto coordinatore 3 che assicura un vero potere di direzione
e dispone d'altra parte di un embrione di amministrazione; inoltre, dei a comitati regionali
d'espansione economica D, emanazione di interessi privati, vengono consultati e emettono dei
pareri; la decisione poi viene presa a livello
centrale, che fa così da arbitro nei conflitti tra
prefetti e prefetto coordinatore.
Questa organizzazione ignora completamente
l'esistenza delle assemblee locali; due circolari
emanate il 18 dicembre 1961 (3) forniscono del
resto delle precisazioni interessanti.
A livello regionale la circolare a relativa alla
funzione delle conferenze interdipartimentali
nella preparazione e nell'esecuzione dei piani
nazionali e regionali B ricorda che non è stato
possibile realizzare n, in occasione dell'elaborazione del IV Piano, a una procedura generale
di consultazioni decentralizzate~; cioè che in
realtà il IV Piano è il prodotto di cogitazioni
di twnocrati ministeriali.
Le procedure di consultazione previste da
questa circolare fanno delle conferenze interdipartimentali l'istituzione-chiave dei programmi regionali: alle decisioni sono associati soltanto i comitati regionali di espansione economica. Non si fa in alcun luogo menzione
dell'intervento di una qualsiasi assemblea eletta
per delle decisioni prese, in ultima istanza,
dal potere centrale.
Al livello dipartimentale, la circolare a relativa alle commissioni dipartimentali per l'équipement D istituisce in ciascun Dipartimento una
commissione presieduta dal prefetto e che comprende, inoltre, il presidente del Consiglio
generale, uno o più sindaci scelti dal prefetto,
i capi di servizi dipartimentali e in particolare
il tesoriere (pagatore) generale; questa commissione peraltro, ha solo un ruolo s consultivo=.
In tal modo il Consiglio generale è esautorato
a beneficio di un organismo che dipende dall'amministrazione centrale.
Questi testi non ledono formalmente l e strutture dipartimentali ma il loro risultato pratico
è quello di mettere l e assemblee elette fuori
dal giuoco di ogni deusione nel settore fondamentale della pianificazione del territorio, mentre l'autorità degli agenti dell'amministrazione
centrale subisce una duplice evoluzione; concentrazione delle competenze regionali al livello
interdipartimentale; deconcentrazione di certi
poteri centrali a benificio dei prefetti.
Così appaiono l e prime linee di queste nuove
collettività artificiali previste dall'art. 72 della
Costituzione, di cui il distretto della regione di
Parigi costituisce la prefigurazione, e che avranno lo scopo di sovrapporsi, e in realtà di sostituirsi, ai Dipartimenti.
Si aggiunga che la Costituzione, che non comporta più l'obbligo che i consigli delle collettività siano eletti a suffragio universale, permette la trasformazione dei Comitati d'espansione regionale in Consigli Regionali che saranno così istituiti in tutto o in parte su basi
corporative!
#
11.
-
L'Europa delle regioni
.
Ma il regionalismo P è anche uno strumento
di integrazione europea e di sistemazione del
nostro paese.
Balcanizzando la Francia e i paesi della
a Piccola Europa D,
resuscitando l'Europa medioevale delle regioni, i suoi promotori sperano
di far così sparire lo spirito nazionale all'intemo di un'Europa assoggettata alla dittatura
dei grandi monopoli europei, in particolare della
Rhur, l'uno dei quali, l'impresa Krupp, ha festeggiato recentemente il suo centosessantacinquesimo anniversario, 19 anni dopo la condanna
dei suoi dirigenti come criminali di guerra (4).
(3) « J. O. ». L. D. (n. 291) del 18-19 dicembre 1961
(pagg. 11.619 e 11.620).
(4) Le istituzioni europee sovranazionali (CECA,
EURATOM, CEE) realizzano queilo che si chiama un
federalismo economico parziale o « funzionale »; i principi
sui quali riposa questo federalismo sono identici a quelli
che hanno ispirato i promotori dei « disti-etti » e ne i-appresentano l'equivalente al livello internazionale: esautoramento delle collettività nazionali (o, ~r i distretti. locali). private di una frazione più o meno larga della loro
sovranità (o, per i distretti, delle loro competenze) a
beneficio di organismi k n o c r a t i c i , ristretti. lontani,
eletti al secondo grado o nominati dai governi e sottoposti
rigorosamente agli interessi privati.
Molto recentemente la a Revue militaire d'information = (n. 331, ottobre 1961), che ha carattere decisamente ufficiale ed è pubblicata sotto
gli auspici del Ministero della difesa, pubblicava un documento diffuso dal Comitato di
studio del =Partito del rinnovamento europeo
e francese., in cui si leggeva:
Nel futuro Senato europeo sederanno
francesi, italiani e olandesi, ma questi
francesi, questi tedeschi, questi italiani e
questi olandesi, così come gli altri europei accanto a loro, non saranno in detto
Senato come rappresentanti della Germania, della Francia o dell'Italia. Saranno nel Senato europeo i rappresentanti della Bretagna o della Borgogna,
della Baviera o del Palatinato, della Toscana o della Sicilia. Nei futuri Stati
Uniti d'Europa gli stati saranno l'equivalente europeo del Nebraska o dell'Illinois,
cioè delle regioni B.
culturali incoraggiano l'idea europea..., vede con
simpatia svilupparsi in molti luoghi dell'Europa
un regionalismo che supera l e frontiere n.
In parole povere si tratta di istituire delle
regio'ni al disopra delle frontiere, e il ravvicinamento con l e disposizioni prese fra il 1940 e
il 1944 dall'amministrazione del terzo Reich, che
riunì ad esempio, in una stessa entità l'Alsazia
e il Baden, si impone irresistibilmente.
Questo rawicinamento si impone tanto più
in quanto è noto lo sforzo molto importante di
sviluppo economico e l'immissione di mano
d'opera effettuato attualmente dal patronato tedesco in Alsazia (7).
E' necessario, commentare questi testi estremamente precisi, ciascuno dei quali costituisce
la maglia di una rete che si tesse contro le
libertà e a beneficio di una centralizzazione
estrema che, dopo avere distrutto l'autonomia
locale, minaccia l'esistenza stessa della nazione?
Sogni d'irresponsabilità? è tanto meno lecito
dubitarne in quanto è nota l'importanza che il
Consiglio d'Europa attribuisce al problema regionale. Molte risoluzioni sono
te votate nel
luglio 1961, dalla a Conferenza europea dei Poteri Locali * (5) e quindi sottoposti all'esame dell'Asseniblea nel Consiglio d'Europa che ha analizzato la a nozione di Regione D ; si tratta di
a raggruppamenti territoriali meno vasti degli
Stati e nei quali gli uomini trovano interessi
comuni di varia natura: geografica, storica ed
economica, - hanno costumi e talvolta dialetti
propri - di fatto un sentimento comune d i
appartenenza a un certo quadro di vita D (Risoluzione n. 12, 1960).
Uno degli argomenti dei regionalisti si riferisce alla disuguaglianza dello sviluppo delle
regioni francesi e alla necessità di una pianificazione deil'espansione regionale: tale sarebbe
lo scopo del IV Piano. Tale sarebbe anche l'oggetto della a Pianificazione europea
In realtà questa disuguaglianza di sviluppo è
inerente al regime economico della Piccola
Europa, liberale o monopolistico; i tentativi di
pianificazione non possono se non accentuare
questi squilibri tra i a deserti europei o francesi e le zone industrializzate; sarebbe troppo
lungo entrare qui nei particolari dei meccanismi
che spiegano questi squilibri; constatiamo semplicemente che da tre anni, nonostante le chiacchiere governative, questo problema si è costantemente aggravato; sul piano europeo è opportuno ricordare le conclusioni presentatP dal
signor Marjolin, Vice-Presidente della Commissione del Mercato Comune, nel corso di una
conferenza organizza'ta a Bruxelles sulle a economie regionali nel quadro del Mercato Comune D (8):
= Globalmente, il problema regionale comunitario resta essenzialmente identico ai problemi regionali nazionali, ma questi risultano trasposti in un am6ito superiore. Nel Mercato
Comune preso nel suo insieme le differenze regionali risultano pertanto aumentate. Lo squilibrio regionale è maggiore nella Comunità che
non in ciascuno dei paesi a sé presi D
Quali sono gli aspetti del Mercato Comune?
a La liberazione dei movimenti di mano d'opera, n d l a misura in cui amplificherà dei movimenti esistenti già molto importanti, agirà quasi certamente, almeno all'inizio, nel senso di
una più grande concentrazione D.
Infine, avvertimento agli eletti locali che
abbiano ancora qualche illusione sulla funzione che potrà svolgere il Mercato Comune nel
= ravvivamento delle campagne:
a Non si potrebbe neppure pensare, col pretesto di uno sviluppo regionale, a promuovere
la creazione di imprese senza, possibilità di
divenire redditizie, anche dopo un periodo in
cui fossero state sostenute dai poteri pubblici D.
C
Gli insegnamenti d d a stariia: le regioni al
di sopra. deillel fron4iere.
Ecco come in una lettera ad Hitler, il Gauleiter Buerckel giustificava l'unione amministrativa dell'Alsazia con i paesi del Baden e del
Palatinato; c'è solo da rilevare la strana somiglianza dei suoi argomenti con quelli fatti propri
dal Consiglio d'Europa.
a I due nuovi paesi (Gaue) dovrebbero trovarsi sulla riva destra del Reno. Proporrò che
la Lorena (compresi i paesi limitrofi attualmente ancora francesi) così come gli e Arrondissements D del Basso Reno (Wissemburg, Haguenau e Saverne) che sono in rapporti molto
stretti di ordine razziale, economico e geografico
con il Palatinato (Krummes Elsass) siano riuniti
alla Saar Palatinat, che questa formi un nuovo
paese (Reichgaue) con i territori del Baden settentrionali (Mannheim, Heidelberg, Schwetzingen). L'insieme deli'Alsazia, ad eccezione dei
tre a arrondissements D sopra ricordati, formerebbe anch'essa un 11 Reichgaue r cm il resto d d
Baden e i territori vicini che dovrebbero esservi annessi D . (Notes documentaires et études,
n. 1.039; 20 dicembre 1948: u Les Départments
de l'Est sous l'occupation allemande pag. 4).
V ,
Questo appello ai costumi e ai dialetti ha un
fine molto preciso: dare nuovo impulso alle tendenze autonomiste il cui contenuto è sempre
(l'appoggio dato ad esse tra il 1940 e il 1944
dall'occupante tedesco, lo dimostra) reazionario
e retrogrado (6).
Partendo da questa definizione, la a Risoluzione D, votata dal Consiglio, affronta i problemi
della ripartizione amministrativa che n dovrà essere riveduta a . = Questo sarà, sembra, il caso
francese dei Dipartimenti che o dovranno ingrandirsi, fondendosi tra loro, o dovranno accettare la creazione di una entità regionale che li
coordini = (Doc. 1324, par. 30).
Questo sminuzzamento si accompagna anche
ad operazioni s cosiddette = di integrazione di
regioni naturali al di sopra delle frontiere; su
questo problema la risoluzione della Conferenza
prende atto di una esperienza in corso neila
regione Ardennes-Eiffel: . a considerando che
questi contatti regionali al disopra delle frontiere basati su dati storici, economici, sociali e
(5) Conferenza europea dei Poteri locali, Consiglio
d'Europa (24 luglio 1961
Doc. 1324).
(6) « Questo regionalismo » razzia.le e linguistico nei
confronti del nostro paese è sempre in voga al dilà del
Reno, giacché molto recentemente un atlante pubblicato
dalla « Harbeke Verlag » a Monaco (1961) descrive così
la popolazione del nostro paese: « Francia
45.80~0.000
abitan ti... : i n Alsazia: 1.500.000 tedeschi; i n Bretagna:
1.200.000 bretoni; in Corsica e in Provenza: 500.000 jtaliani: in Francia: 200.000 fiamminghi: nei Pirenei 100.000
baschi » (citato d a « Le Monde » del 30 gennaio 1962).
-
...
...
111.
-
Regionalismo e squilibri
2.
Q
D
* * *
La politica regionale forma un tutto: il regionalismo= che i1 Governo si sforza di far
progressivamente accettare in Francia è certo
un mezzo per distruggere le collettività locali,
nate dalla storia del nostro Paese; ma il suo
prolungamento naturale, il regionalismo europeo, è anche un mezzo per distruggere l e collettività nazionali al fine di creare, di fronte ai
potenti monopoli economici che dominano la
piccola Europa, unlEuropa neo-feudale, balcanizzata, denazionalizzata, sottoposta a una tecnocrazia senza freno, strumento di questi monopoli.
---(7)
« Le Monde », 8 aprile 1961. c; L'Europa: un forte
stimolo per l'Alsazia: la Germania vi p o t a capitali e vi
attira gli uomini ». Dopo aver sottolineato lo spopolamento delle campagne, il carattere « povero» o « impreciso » delle raccomandazioni del Programma d'azione
regionale, detto giornale mette in risalto in particolare
che « l a inetà circa dei nuovi impieghi offerti nel basso
Reno sono dovuti a imprese tedesche Nel 1958 circa 3.000
operai dei paesi del Baden traversavano ogni giornq la
frontiera ; il movimento è ora divenuto inverso: circa
2.000 alsaziani che abitano le zone insufficientemente industrializza te... si trasferiscono in Germania. Il loro numero
è cresciuto rapidamente: essi non arrivavano a 600 nel
luglio scorso. Questa evoluzione si spiega per il fatto che
i salari sono ormai più elevati in Germania che non in
Alsazia... ».
18) « L e Moniteur des Travaux Publicsw, n. 50 del
16 dicembre 1961 (pag. 45).
...
...
COMUNI D'EUROPA
senz'altro parziali o comunque difficilmente
N ottime I > .
Evidentemente l'aspetto dimensionale assume
una importanza notevole nella soluzione del
presente problema, ma come si è detto non è
l'unico. Quindi la pianificazione deve essere
integrale cioè comprensiva di tutti gli aspetti
a cui si è prima fatto cenno. L'urbanistica
dovrebbe indicarci quale è la forma, l'estensione, l'espansione, ottime di una città; dovrebbe altresì indicarci quale struttura più
conveniente può caratterizzarla sia in termini di
viabilità che in termini di distribuzione della
diversa tipologia dell'utilizzazione del territorio.
L'economia dello spazio può suggerirci quale
è la dimensione ottima della città i n funzione
del costo dei pubblici servizi municipali. La
sociologia può insegnarci quali sono le dimensioni ottimali come ad esempio i conforts,
l'habitat, l e attrezzature di servizi. La sociologia generale che studia la vita dell'uomo nella
società pone in luce auali sono i t i ~ i c iasuetti
negativi della vita d~ll'uomonella- metropoli.
Quando parliamo di città ottima nella nuova
Europa non intendiamo riferirci semplicemente
all'aspetto dimensionale. ma anche a quello
piu propriamente politico e amministrativo,
cioè di organizzazione e di struttura.
Oggi nelle città la comunità non esiste, esiste
la collettività. La comunità, infatti, è in sintesi
esaltazione dei valori umani, la collettività
purtroppo mortificazione degli stessi.
L'individuo vive, soprattutto nelle grandi
città, in quartieri malsani, in abitazioni talvolta sprovviste dei più necessari servizi igienici, isolato dagli altri individui per quanto
riguarda le eventuali esperienze culturali; nasce
molto spesso così un individuo tarato, inutile
e nocivo alla società, privo di qualsiasi ideale
in cui credere e per il quale operare.
Nasce pertanto la cosiddetta indifferenza
politica: il cittadino si disinteressa delle vicende
della cosa pubblica, diventa persino estraneo
ai problemi che riguardano la vita dell'uomo
nella società, mantenendo talvolta con i pub-
maggio 1963
blici amministratori rapporti difficili e anche
ostili.
La città ottima nella nuova Europa dovrebbe
naturalmente avere certe dimensioni demografiche che non superino certi confini superiori e inferiori oltre i quali gli aspetti negativi
che ne derivano superano di gran lunga quelli
positivi.
E' evidente che la città ottima risulta dalla
somma di elementi e di caratteri ritenuti ottimali entro certi livelli, quali ad esempio
l'ampiezza demografica, la densità, la viabilità,
il traffico, la residenzialità, il grado di concentrazione industriale.
Ben poche città europee posseggono alcuni
di questi requisiti che definiscono la città
ottima; nella città moderna la collettività ha
preso il posto della comunità. Anche la organizzazione della società urbana su basi comunitarie è uno degli obiettivi della pianificazione
territoriale.
Occorre però tener ben presente che se si
vuole realizzare effettivamente nella nuova
Europa la città ottima bisogna modellarla e
strutturarla a misura dell'uomo, altrimenti se
così non fosse si cadrebbe nel puro tecnicismo
e nella completa negazione dei più elevati
valori umani.
Nuova strategia Atlantica e difesa delllEuropa
(continuazione dalla pag.
8)
domani, né sarà comunque interesse europeo
farlo: sì che questo periodo si presterà in
moda particolare al negoziato di fondo che
dicevamo. Se esso si concludesse positivamente,
nei termini che abbiamo indicati, allora - ripetiamolo - l'abbandono di ogni idea di force
de frappe europea dovrà essere definitivo,
attraverso un preciso impegno federale in tal
senso.
A qualcuno può sembrare frutto di moralismo astratto e gratuito - che non tiene conto
delle ferree esigenze della ragione di stato,
che giocheranno, com'è evidente, anche nel
caso della Federazione Europea - che questo
possa fare una politica di rinunzia all'armamento atomico non - come appare più logico
e naturale - in cambio di un'analoga rinuncia
da parte degli altri due 11 Grandi I > , ma sem-V
plicemente in cambio di un bene, per così
dire, non congruente con quello ceduto, e cioè
appunto la = detotalitarizzazione D dell'Europa
orientale, e sia pure solidamente garantita e
-
.ancrée a istituzioni che la renderanno irreversibile.
A questo rispondo, non tanto né soprattutto
- per quanto mi sembrino due argomenti di
peso -,
1) che 'tutte le formazioni politiche nuove
(la Repubblica francese uscita daila Grande
Rivoluzione, la Russia sovietica dell'immediato
primo dopoguerra o gli stessi Stati Uniti nel
loro primo periodo di esistenza) hanno fatto,
inizialmente, una politica estera generosa e
ideologica, riuscendo assai più che in periodi
successivi a capire quanto essa potesse giovare
agli stessi interessi ben compresi delle loro
ragion di stato;
2) e che in ogni caso. dlopo i fatti di Ungheria e il relativo consolidamento del sistema
sovietico, di cui abbiamo parlato all'inizio del
nostro discorso (24) non si vede quale altra
politica - al di fuori di quella 11 unilateralista ii
( 2 4 ) Si veda la nota 1 dell'art. precedente, apparso
nel numero di gennaio.
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COMUNI D'EUROPA
maggio 1963
(questa sì troppo rlnunciataria e suicida) perché una grande potenza la faccia comunque
propria - possa concretamente promuovere
questo obiettivo essenziale e in ogni caso irrinunciabile della politica estera degli Stati
#Europa.
Un altro argomento, infatti, mi sembra di
peso anche maggiore in proposito:
3) e cioè che chi ragiona in termini puramente tradizionali di ragion di stato e di politica di potenza dimentica che da quando - dalla
Rivoluzione Francese in poi - i valori morali
sono diventati sempre più diffusamente e in
forma sempre pifi cosciente criterio di giudizio politico (fino a ieri fra i popoli più civili,
oggi sempre più in tutto il mondo), considerare,
nel gioco della politica internazionale, solamente gli eleqenti della forza materiale cignifica vedere un lato solo - e spesso non
il più importante - della questione. Il peso
morale che una semplice proposta come quella
che abbiamo enunciato eserciterebbe, se costantemente e coerentemente ripetuta ad ogni
occasione favorevole; il fatto - grandioso, a
ben riflettervi - del ritorno alla libertà di
una nuova grande potenza, quale a scadenza
non lontana diverrebbero anche i Paesi dell'Europa orientale, se sapessero unirsi; il ben
maggiore peso - anzitutto morale, ma in secondo luogo economico - che una Europa federata, libera dagli oneri (schiaccianti anche
per i Grandi) del riarmo atomico, potrebbe
esercitare sul terzo mondo, disponendo in suo
favore delle somme ingentissime non sperperate in armamenti sempre più costosi; e soprattutto il ben maggiore prestigio morale di
cui potrebbe disporre, rappresenterebbero tutti
fattori di ii potenza II - anche considerati alla
luce della più fredda logica machiavellistica di un'entità quanto meno non trascurabile;
4) del resto, che quanto noi pro,poniamo
non costituisca una marché de dupes è ulteriormente provato da un quarto argomento:
e cioè dall'assoluto disinteresse con cui queste
nostre proposte sono considerate dagli 11 unilateralisti~):i quali, non le prendono neppure
in considerazione, giudicandole solo un modo
elegante per proporre ai sovietici delle condizioni inaccettabili in quanto colpirebbero la
loro stessa fede totalitaria che fa da cemento
ideologico non solo al loro impero, ma al loro
stesso regime interno, e un pretesto quindi per
perpetuare la tensione e propugnare il riarmo
atomico anche dell'Europa.
6.
- Una
politica di ricambio: l'irredentismo ideologico
In realtà il risultato che ci sì può attendere dagli sforzi per un accordo definitivo »
coi sovietici nel senso indicato dipende dal
giudizio che si dà del processo d i liberalizzazicne interna del mondo sovietico e della sua
effettiva portata. Ancora qualche anno fa, le
probabilità che i russi potessero accettare un
sacrificio (1 ideologico così grave come quello
sopra esposto apparivano minime (25). Oggi
una Russia meno fanatica, e più attenta al
ii pericolo cinese n, potrebbe seriamente prendere
in considerazione i vantaggi
-- di aver a Occidente un'Europa democraticamente sana, pacifica, con armamenti limitati, che avrebbe
((
))
( 2 5 ) Per le ragioni che ho cercato di spiegare nel
citato Contro la distensione. come pure nella decima
Parte del mio « Pour un renouvellement de i'action
fédéraiiste ».
La legge di « bronzo » di ogni totalitarismo vuole
che le «oscillazioni » che tali regimi tollerano restino
comunque comprese entro limiti ben definiti (limiti
ulteriormente ridotti per ciò che si riferisce al satelIiCi. presso i quali l'Unione Sovietica. affermando la
sua presenza, difende
secondo una giusta osservazione di Miei-oszewski
posizioni di potenza, e non
posizioni ideologiche. Le vicende sovietiche dell'ultimo
mese - se l'interpretazione che molti conumentatori ne
danno (cf. p. es. un interessante articolo nel « Messaggero» del 27 aprile 1963) sarà confermata - ne
costituiscorno una ~ i w aulteriore. Ma vale qui, ad orni
mcdo, la fondamentale massima crociana: «non chiedetevi dme va il mondo:
dove andate voi
stessi*. Questa è la via per cui 1'Europa deve andare,
e le proposte che essa generasamente deve formulare.
Agli altri incomberà la responsabilità di accettzi.le.
oppure di rifiutarle, e quindi la responsabilità delle
conseguenze che - come ora diremo - dall'una come
dall'altrn scelta dovranno esser trattate.
-
-
definitivamente rinunziato a ogni rivendicazione nei suoi confronti e sarebbe disposta
a una collaborazione economica crescente, nelle
relazioni reciproche come nello sviluppo del
terzo mondo: e ciò sarebbe tanto più probabile
se essa avesse ben presente - e sarebbe compito della diplomazia federale non lasciarle
alcun dubbio in proposito - quale sarebbe
l'alternativa a cui andrebbe incontro rifiutandosi a un tale sacrificio: alternativa a cui è
ora opportuno rivolgere la nostra attenzione.
L'Europa federata infatti non può non avere
una sua precisa politica di ricambio - occorre dirlo senza mezzi termini - nell'ipotesi che l'Unione Sovietica non rinunci alla
sua presa imperialistica sull'Europa orientale:
politica di ricambio fondata su una concezione organica e a lungo termine, e una sua
offensiva s - e non
strategia democratica
puramente difensiva -: senza le due quali
condizioni (lo abbiamo ricordato col Lowenthal)
la causa della libertà può risultare alla lunga
in Europa, se non perduta, certo seriamente
compromessa.
Orbene, tale strategia è appunto possibile,
secondo noi, all'Europa federata come un caso
particolare di quella politica d'intransigenza
democ~atica che abbiamo visto dover essere
iscritta sulla sua bandiera anche, e prima di
tutto, nei propri rapporti interni e nelle sue
relazioni col terzo mondo. Solo infatti ponendo
il problema dei satelliti al livello europeo e
in termini di politica estera federale (e non
nazionale, di questo o quel paese), e sulla base
di una esigenza di unione federale formulata
anche per l'Europa captiva, si riesce a trasformare delle rivendicazioni territoriali in
rivendicazioni democratiche, delle questioni nazionali in questioni di libertà, secondo lo schema jaspersiano sopra delineato; cioè a sostituire a un irredentismo territoriale un irredentismo ideologico, fondato sulla contestazione
della legittimità democratica dei regimi totalitari orientali (che YEuropa federata dovrà
riconoscere, tutti, solo de facto); e quindi sulla
rivendicazione del diritto, per gli abitanti di
questi paesi, di pronunziarsi liberamente circa
la loro volontà o meno di aderire alla Federazione Europea, come solo mezzo effettivo, in
tal caso, per tornare a regimi liberi.
Alla base di tale politica deve essere il
nuovo principio, che i federalisti non devono
cessare di proclamare, dell'autodecisione federale, mncepito non ccme l'arbitrio di darsi
un'organizzazione nazionale anarchica (cioè come diritto alla sovranità), ma come diritto
di ciascuno di richiedere l'adesione della propria comunità ad istituzioni federali europee,
e alla più ampia autonomia nell'ambito di
queste (26). Un diritto che avrebbe la sua
estrinsecazione visibile, notiamolo di sfuggita, nella cittadinanza federale automaticamente concessa - come oggi quella della
Bundesrepublik, ai tedeschi orientali che I( scelgono la libertà 11 - a tutti gli europei dell'Est
che riusciranno a varcare il sipario di ferro (così
come, fino all'eliminazione dei regimi fascisti
ivi imperanti, a tutti i cittadini della Spagna
e del Portogallo).
Tali rivendicazioni, avendo - ripetiamolo
ancora - un carattere sostanzialmente ideologico, e non territoriale; federale, e non nazionale; di natura morale, e non di politica di
potenza, dovra.nno esser sostanzialmente (i non
violente i ) , e perciò le questioni di politica militare sono, rispetto ad esse, meno importanti
( e del resto l'essenziale s u tale tema è già
stato detto da noi nella prima parte di questo
scritto). E' certo ad ogni modo che l'Europa
federata dovrebbe riprendersi, in caso di ostinazione russa, la sua piena libertà di azione
anche nel campo degli armamenti nucleari,
una rinunzia unilaterale risultando in tal caso
inconcepibile e controproducente; così come
dovrebbe esser, sempre nell'ipotesi sopra prospettata, tendenzialmente ostile, o almeno molto prudente, nell'accettare accordi Der la smilitarizzazione di questa o quella zona, i quali
potrebbero in tal caso significare.
im~licitag<
(26) Tale ultimo concetto è stato sviluppato in modo
particolarmente felice da G. H ~ R A U nel
D suo saggio
Per una Federazione di regioni mono etniche. «Comuni
d'Eumpa2. febbraio 1963.
mente, un riconoscimento di una presenza
sovietica che deve invece esser intransigentemente contestata. I1 che, beninteso, non esclude, anzi implica - come già abbiamo detto che le profferte di un regolamento definitivo
con YURSS, con le gravi rinunce che esso
implicherebbe per l'Europa unita, debbano essere costantemente e solennemente ripetute, ad
ogni occasione, mettendo così in risalto, anche
di fronte all'opinione pubblica internazionale,
da quale parte stia la volontà aggressiva e il
desiderio di mantener la tensione internazionale. Anche se l'obiettivo che simili profferte
permetteranno di raggiungere dovesse essere
soltanto questo, esse sarebbero tutt'altro che
inutili.
Ma è soprattutto nel settore economico (oltre
che, in genere, nel gioco diplomatico della
politica internazionale) che la Federazione Europea avrebbe la possibilità di compiere - senza rischi di guerra - delle pressioni che il
suo stesso potenziale renderebbe particolarmente efficaci, e che essa non dovrebbe
esitare a porre in atto, subordinando provvisoriamente i vantaggi di un'economia mondiale
sempre più integrata alle esigenze della libertà
politica.
E' questa, crediamo, la sola via che permette
di uscire dalle secche dell'oltranzismo e dell'unilateralismo, salvaguardando insieme le esigenze imperiose della pace e quelle, non meno
legittime, della libertà.
Questa via è impossibile, come abbiamo visto,
ai singoli stati nazionali: non è solo per la
insipienza dei loro governanti che essi mancano di ogni politica orientale seria, coerente
e concordata al livello europeo: anzi di ogni
politica orientale tout court (così come mancano, analogamente, di ogni alternativa responsabile al satellitismo atlantico, che non
sia lo stupido e anacronistico ii nazionalismo
europeo di marca gollista, o, all'estremo opposto, il puro e semplice ii unilateralismo ) i ) .
Questa via passa per l'abbattimento dell'assoluta sovranità dei nostri stati e la creazione della Federazione del continente. Se
in tal senso - nel senso che siamo andati fin
qui chiarendo - si deve parlare di Europa
terza forza ) I , ebbene, noi siamo per un9Europa
terza forza.
(C
COMUNI D'EUROPA
Organo deU'A.1.C.C.E.
Anno XI
-
Direttore resp.:
n. 5
- maggio 1963
UMBERTO SERAFINI
Redattore capo: EDMONDO PAOLINI
DIREGIONE,
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TORINO, TRAPANI, TRIESTE, VENEZIA.
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Anno XI Numero 5 - renatoserafini.org