L’Islanda negli equilibri strategici della regione del Nord Atlantico Politica estera islandese in materia di difesa dalla Seconda Guerra Mondiale ai nuovi scenari internazionali del mondo post guerra fredda Di Edoardo Cicchinelli SOMMARIO Parte I Note introduttive L’islanda “paese a parte” Il panorama storico Pag. 5 Capitolo I Pag. 17 Alla vigilia del conflitto. Islanda 1933-40 Allegato A - Risultati delle elezioni generali islandesi 1934 – 1942 Capitolo II 10 maggio 1940, una strana invasione Pag. 31 Capitolo III Pag. 40 La Seconda Guerra Mondiale in Islanda I primi mesi dell’esercito inglese Marina ed Aviazione britannica Le relazioni anglo-islandesei: Reykjavik e Londra amici per forza Gli stati uniti mandano i primi Marines L’avvicendamento delle truppe Le perdite militari sul suolo islandese La seconda parte del conflitto I convogli artici La partenza delle truppe di sua maestà britannica Allegato B-1: Il Contributo Islandese durante la guerra Allegato B-2: Lista delle perdite di navi mercantili alleate del 1942 Capitolo IV Nasce la Repubblica d’Islanda La fine della guerra ed il primo governo OlafurTthors Il Keflavik Agreement ed il secondo mandato Thors (1946-47) Allegato C: Keflavik Agreement Pag. 77 Capitolo V Pag. 93 Il Governo Stefànsson (1947-49): fine della neutralità e adesione alla Nato Icelandic Defence Force, il Governo Steinthorsson (1950-53) Allegato D: Risultato delle elezioni 1946 e 1949 Allegato E: Defense Agreement Capitolo VI Un precario equilibrio La prima “Cod War” contro L’Inghilterra La grande avanzata della sinistra parlamentare Thors il veterano al suo quarto Governo Si prepara la spallata all’ordine costituito Marzo 1956: tutto sembra pronto per cambiare 2 Pag. 117 Il responso delle urne Il Governo Radicale di Hermann Jònasson Allegato F – Elezioni generali islandesi 1953 e 1956 Capitolo VII Carri Armati in Ungheria scuotono l’Artico Il secchio bucato Pag. 148 Capitolo VIII “Governo Radicale”, le Cod Wars diventano un affare serio Finanziamenti Sovietici all’estrema sinistra islandese Allegato G: Statistiche Economiche Pag. 155 Capitolo IX La politica islandese intraprende un nuovo corso (1959-1971) Pag. 163 Capitolo X Il Governo “Radicale” ci riprova (1971-1974) Pag. 174 Capitolo XI I conservatori tornano a governare (1974-78) Pag. 179 Capitolo XII Pag. 183 Gli anni ’80, stabilità e benessere Allegato H – Opinione Pubblica Islandese, Sondaggi e Studi Scientifici Allegato I – Distribuzione seggi parlamentari 1959-1991 Capitolo XIII Pag. 193 L’Islanda a cavallo del nuovo millennio L’Islanda e la Nato. Il punto di vista dei militari L’Islanda e L’Unione Europea L’Islanda nell’ONU e in altre istituzioni internazionali Allegato L: The Security and Defence of Iceland at the Turn of the Century Parte II – Analisi storico strategica Il ruolo militare della Base Aerea di Keflavik durante la guerra fredda Pag. 219 Organizzazione delle forze statunitensi in Islanda Pag. 221 Attività in tempo di pace Pag. 224 3 I piani di rinforzo rapido in caso di crisi Pag. 226 L’Islanda vista dal Cremlino Pag. 228 Lo spiegamento sovietico nell’Oceano Artico Pag. 229 Esercitazioni e prove di guerra Pag. 232 Possibili scenari Pag. 234 Parte III: Il quadro istituzionale ed il sistema dei partiti in Islanda Il sistema politico della Repubblica d’Islanda Pag. 240 Partito Indipendente Pag. 241 Partito Progressista Pag. 242 Partito Socialdemocratico Pag. 243 Estrema sinistra Pag. 244 Il panorama parlamentare si complica dopo le elezioni del 1999 Pag. 245 Bibliografia Pag. 246 4 L’Islanda “paese a parte” – Note Introduttive Assai di rado giungono dalle nostre parti notizie che riguardano l’Islanda. Salvo per le industrie farmaceutiche che operano nel campo della genetica, e per frange di ambientalisti irritati dalla riapertura alla caccia alle balene, per tanti altri l’Islanda è terra incognita. In una posizione così defilata che spesso le definizioni di Europa dimenticano di includere1, è sempre rimasta ai margini dell’integrazione europea e non è stata in grado di sviluppare una industria turistica che le permettesse di farsi conoscere. Da un punto di vista socio culturale gli islandesi, più che europei, si considerano scandinavi in senso stretto: infatti mantengono fortissimi legami con la comunità degli altri stati nordici (con i quali condividono le radici della propria etnia, l’origine della lingua, le tradizioni e praticamente tutta la loro storia) e con questi paesi hanno avviato da tempo progetti politici importanti come il “Nordic Council” o l’unione passaportuale; con il resto dell’Europa invece non hanno mai avuto rapporti di grande rilevanza, eccezion fatta per l’Inghilterra. L’Islanda è un paese assolutamente unico in Europa per molti motivi: è un paese piuttosto esteso (circa 100.000 kmq), ma abitato da appena 275.000 persone, con una densità che non ha simili nel resto del continente; circa la metà della popolazione vive nella zona della capitale, quindi il resto dell’isola è quasi disabitato2. A causa del loro numero ridottissimo, spesso le statistiche perdono di valore3 ed è difficile scegliere dei dati oggettivi per tracciare un quadro esaustivo della società; comunque si può affermare con certezza che si tratta di un paese ad altissima scolarizzazione, standards di 1 In effetti l’Islanda si trova proprio a cavallo della dorsale atlantica (come testimoniato dall’intensa attività geotermica), quindi almeno tecnicamente tutta la parte occidentale del paese insiste sul continente americano. 2 Fonte per le statistiche, Iceland in Figures, 2000, Ministero affari e commercio estero. 5 vita elevati, ma dotatosi solo nel dopoguerra di una economia solida e prospera; potremmo dire che, come l’Italia seppure in tutt’altro contesto e condizioni, anche l’Islanda è stato uno dei miracoli della guerra fredda. Paesaggisticamente è una terra selvaggia e bizzarra, una enorme distesa di lava coperta di muschi e licheni, ghiacciai, torrenti in enorme quantità e sorgenti di acqua calda quasi ovunque; la Corrente del Golfo riesce a mitigare il clima, tanto che, statistiche alla mano, l’inverno di Zurigo o New York risulta ben più rigido4. L’Islanda, spazzata dai venti, è priva di alberi ed oltre la metà del territorio è definito “wasteland”; le condizioni minime per l’esercizio dell’agricoltura sono però oggi assicurate da modernissime serre, riscaldate dall’energia geotermica ed idroelettrica. Ciò che rende unica in Europa la storia dell’Islanda è però la mancanza assoluta di qualunque tradizione militare: gli islandesi non hanno mai partecipato attivamente ad alcuna guerra e sono privi di esercito. Tutte queste caratteristiche culturali e politiche ovviamente hanno le loro ragioni storiche e non sarà inutile, per rendere più preciso il quadro, tracciare un breve riassunto dei passaggi fondamentali della storia islandese. Il panorama storico L’Islanda è uno dei pochi paesi di cui si può narrare le vicende “dall’inizio”, essendo la colonizzazione evento assai recente nella storia. Il vichingo norvegese Ingolfur Arnason, tradizionalmente considerato il primo abitante dell’isola, vi si stabilì nell’874, 3 Ad esempio sono il paese con il più alto numero di premi Nobel rispetto alla popolazione, anche avendone vinto solo uno per la letteratura con Halldor Laxnes (1955), oppure il paese in cui si leggono più giornali anche se solo una testata raggiunge le 25.000 copie vendute. 4 Le medie invernali per Reykjavik si aggirano intorno agli zero gradi. Fonte: Iceland in figure. cit. 6 con la sua famiglia ed il seguito di schiavi irlandesi, nella zona che chiamò Reykjavik5. Prima di Ingolfur l’Islanda era disabitata da uomini e animali, solo alcuni uccelli marini componevano la fauna dell’isola. L’instaurazione delle prime fattorie ebbe successo, e dal 930 l’Islanda si considera stabilmente colonizzata; poche migliaia di persone, che vivevano soprattutto di allevamento e di pesca, in prossimità di sorgenti di acqua potabile e di acqua calda per le proprie attività. I capi e gli esponenti della nobiltà si radunavano periodicamente nella piana di Þingvellir, 40 km a Ovest di Reykjavik; da questi incontri, successivamente istituzionalizzati, ebbe vita l’Alþing, una sorta di parlamento, che fungeva anche da tribunale supremo e luogo di incontro di tutta la popolazione ad ogni estate. Ancor oggi il parlamento islandese si considera erede dell’Alþing, di cui ha mantenuto il nome, e viene fieramente considerato dagli islandesi il più antico parlamento in attività del mondo. Questo rudimentale assetto istituzionale fu la struttura portante dello stato islandese durante i tre secoli a seguire: è il periodo d’oro della libertà e della letteratura, in cui vennero redatte le saghe per cui il paese è tuttora noto. Questi scritti, con la loro storia, le loro leggende, tradizioni ed eroi, nonché l’idioma quasi immutato, rappresentano l’essenza dell’identità nazionale e del patrimonio culturale di una nazione. A partire dal XIII secolo la situazione va complicandosi: la popolazione, sempre più dedita alle attività stanziali, vede declinare il proprio naviglio, con conseguente difficoltà di mantenere i contatti con le terre scandinave, e la dipendenza, per i trasporti e le rotte commerciali, da soggetti esterni. L’Alþing poi non riusciva a far fronte alle esigenze di una società più complessa in quanto, raccogliendo le funzioni legislative e giudiziarie, lasciava l’esecutivo ai singoli capi clan, che non organizzati in un sistema 5 Il nome significa letteralmente “baia del fumo”, per i vapori che le sorgenti d’acqua calda sprigionavano 7 centralizzato, agivano perseguendo interessi particolari. Questi furono i motivi che portarono alla perdita dell’indipendenza ad opera della corona norvegese; nel “Patto di Fedeltà” del 1262, il re Haakon IV Haakonson (1204-1263), oltre ad imporre la propria autorità sull’isola, molto significativamente dava garanzia che almeno sei navi sarebbero salpate dalla Norvegia per l’Islanda ogni anno. Da questo momento le sorti degli islandesi saranno quindi sempre legate a chi esercita il predominio sui mari del Nord Atlantico. Nel 1380, quando Norvegia e Danimarca saranno riunite sotto la corona danese, anche l’Islanda passò a quest’ultima. Durante il XIV-XV secolo navi della lega hanseatica e inglesi cominciarono a frequentare le pescosissime acque del Nord Atlantico; lo sfruttamento del mare diviene, e rimarrà sempre, la prima fonte di approvvigionamento, anche se gli stranieri si mostreranno dediti tanto al semplice commercio come alla pirateria. Tra il XV ed il XVI secolo i pirati che giungevano in Islanda non trovavano resistenza in mare, mentre sulla terraferma gli islandesi si dimostrarono i validi eredi delle tradizioni vichinghe. Le cronache del 1431 riportano la notizia di una sanguinosa battaglia fra privati inglesi e islandesi a Skagafjordur, dove 80 pirati vennero uccisi6. Non sembrano certo cifre paragonabili agli scontri degli eserciti europei sul continente, ma questo episodio diviene significativo alla luce di quanto diremo tra breve. Curiosamente, una delle prime mappe geografiche del paese che si conoscono risulta ad opera del cartografo veneziano Benedetto Bordone: una piccola mappa di 7,4 per 14,6 cm raccolta ne l’Isolario, trattato geografico del 1547. E’ un disegno molto nella zona. Böðvar Guðmudsson, A history of iceland and icelanders from the very beginnings to the present day, Reykjavik 1995, p. 128. 6 8 semplice, con l’effigie di piccole torri in luogo delle città senza nome, recante la scritta “Islanda”. Durante il XVI secolo gli islandesi subirono una pesante umiliazione che modificò radicalmente la società per tutta la storia successiva: vennero disarmati e persero la loro forza militare. A grandi linee gli eventi si svolsero in questi termini: i danesi cominciarono a sottoporre i commerci dei locali con britannici e tedeschi ad un rigido monopolio, attraverso il quale conseguire il massimo profitto; gli islandesi si mostrarono assai reticenti nell’eseguire questo tipo di ordini e la corona agì d’astuzia: anziché mandare un forte contingente militare per sedare le rivolte ed imporre il proprio volere con la forza, optò per la confisca di tutte le armi. Nessun islandese poteva possederne e a partire dal 1570 essi vennero materialmente disarmati, nonostante gli appelli contro le imprevedibili conseguenze di questa politica che si alzavano da più parti. Pochi episodi ci fanno capire come nel giro di qualche anno questa decisione andava lasciando segni indelebili. Stando ad alcune cronache del 15787, al largo delle coste occidentali apparve una nave pirata con una settantina di uomini a bordo. Furono in grado di attaccare e di terrorizzare larga parte della popolazione senza incontrare alcuna resistenza per settimane. Nel 1627 due imbarcazioni provenienti dal Nord Africa saccheggiarono diversi villaggi, specie nelle isole Vestmann, al largo della costa meridionale; anche stavolta i locali non poterono esercitare che una minima resistenza; i razziatori agirono indisturbati, rapinando ed uccidendo circa 400 persone8. Con l’ascesa della potenza inglese vi fu una maggiore stabilità nel Nord Atlantico, e l’Islanda non fu più vittima della pirateria. I danesi comunque protrassero a lungo la politica monopolistica, aggravando le condizioni di vita della popolazione, già messe a 7 Boðvar Guðmundsson, A Short History, cit., p. 168. 9 dura prova dal clima e dall’isolamento; si stima che durante il diciottesimo secolo la popolazione fosse ridotta ad appena 35.000 – 50.000 abitanti, e si toccò probabilmente il punto più basso degli standard di vita del paese. Nel 1800 il re danese Cristiano VII (1766-1808) giunse a togliere qualunque autorità all’Alþing, ormai l’unico simbolo della tradizione. Pochi anni dopo la situazione si aggravò ulteriormente. Nel 1807 gli inglesi, temendo un appoggio della marina danese all’esercito di Napoleone, attaccarono Copenaghen e sedici battelli diretti in Islanda vennero requisiti e portati in Inghilterra. Ciò che sembrava un piccolo episodio di guerra rischiava di essere la pietra tombale di un intero popolo; gli islandesi sarebbero presto stati isolati e vittime di una brutale carestia se non avessero goduto dell’appoggio di un influente inglese, Sir Joseph Banks9, presidente della Royal Society; costui, insieme a Magnus Stephensen, a capo del Landsyfirretur (la Corte di giustizia che aveva sostituito l’Althing dopo lo scioglimento del 1800) persuase il governo a rilasciare i battelli diretti in Islanda e a concedere a questa, sebbene parte della corona danese, lo status di neutralità. Durante l’estate del 1809 navi da guerra inglesi giunsero in Islanda. Il paese era totalmente sguarnito, e la Royal Navy avrebbe potuto facilmente incorporarlo all’impero britannico. Nel rapporto del Capitano Francis Knott dell’ HMS Rover egli avanzava seri dubbi sull’opportunità di questa azione: le condizioni di vita e le difficoltà cui la popolazione era soggetta faceva temere che inglobare questi territori avrebbe portato alla corona più spese che profitti10; comunque, concludeva sicuro, anche la più piccola nave inglese lo avrebbe potuto fare in qualsiasi momento. 8 Boðvar Guðmundsson, A Short History, cit., p. 169. B. Groendal, Iceland, from Neutrality to Nato membership, Oslo 1971. 10 Alan Boucher, An Icelandic Revolution, in Atlantica and Icelandic Review, num. 3, 1968, Reykjavik. 9 10 In questo scenario visse l’avventuriero e faccendiere di origini danesi Jørgen Jørgensen11 (1780-1841); imbarcato su un mercantile del londinese Samuel Phelps, arrivo’ a Reykjavik il 21 giugno 1809. Al rifiuto delle autorità danesi di concedere l’autorizzazione a commerciare con la popolazione, i suoi uomini arrestarono gli ufficiali danesi ed occuparono la capitale, mentre Jørgensen si proclamava “lord protettore della nazione”. Dando l’impressione di agire sotto l’egida inglese, il novello Cromwell dichiarò l’Islanda indipendente e neutrale, comportandosi come se ne fosse divenuto il re. Il mese successivo il capitano Alexander Jones della HMS Talbot attracco’ al porto di Reykjavik e rimosse quest’impostore12. Questi fu arrestato come prigioniero di guerra danese e morì in Australia nel 1844. Il suo regno durato solo poche settimane viene ricordato come “hundadagakonungr” (regno dei giorni del cane, le settimane più calde dell’anno)13. L’episodio di Jørgensen, ai limite del grottesco, comunque ripropone la difficile situazione dell’isola, completamente disarmata e in una posizione assai precaria per la propria sicurezza; nel Febbraio del 1810 l’Islanda ottenne anche dalla Danimarca lo status di territorio neutrale14. Il diciannovesimo secolo fu il periodo del nazionalismo, quando comincio’ la lotta non violenta per l’indipendenza vera e propria; inizialmente le posizioni espresse dalla borghesia più ricca erano moderate, mirando non tanto ad una separazione netta dalla corona, quanto piuttosto alla libertà di commercio e al controllo sugli affari locali. Non mancavano illustri esponenti che si sarebbero battuti per una completa indipendenza, ma 11 Cfr. anche Guðmundur Halfdarnarson, Historical dictionary of Iceland, Londra, 1997. Alan Boucher, An Icelandic Revolution, cit. 13 Cfr. Iceland, Admiralty for Official Use Only, 1942. 14 Ciò non aveva alcuna implicazione di indipendenza, ma si riconosceva semplicemente che l’Islanda non voleva, ne avrebbe potuto avere, un ruolo attivo in nessun conflitto. 12 11 a lasciare perplessi i più era proprio la debolezza militare dell'isola, che senza la protezione di una grande potenza sarebbe stata in balia degli eventi15 . Già a partire dal 1843, con decreto del re Cristiano VIII (1839-1848), l’Alþing era tornato ad esercitare le proprie funzioni, seppure come organo consultivo. Si aprì quindi una stagione di riforme in cui la Danimarca si impegnava a passare progressivamente nelle mani islandesi la maggior parte delle funzioni istituzionali e politiche via via che questi si dotavano delle strutture necessarie ad esercitarle. Nel 1903 le funzioni del governatore danese vennero assunte dal primo ministro islandese, e, nello stesso ambito venne inoltre stabilito che la corte suprema danese avrebbe continuato nel suo ruolo di ultimo grado di giudizio solo fintanto che gli islandesi non si fossero dotati di un organismo autonomo (cosa che avvenne nel 1920). La Danimarca si impegnava a garantire la salvaguardia delle acque territoriali finché non fosse stata varata una guardia costiera nazionale. Gli affari internazionali dell’Islanda invece continuarono ad essere gestiti da Copenaghen, con la partecipazione di delegati. Allo scoppio della prima guerra mondiale gli islandesi godevano ancora dello status di neutralità acquisito un secolo prima, ma un prestigioso esponente dell’Alþingh, Guðmundur Björnson, sollevò con forza il problema dell’efficacia di questa condizione: «Crediamo davvero che l’assenza di difesa sia la miglior difesa? L’unica protezione del Lussemburgo fu l’assenza di difesa. La Germania e le altre potenze garantirono la sua sicurezza e il rispetto della sua neutralità, ma ora i dispacci ci dicono che la Germania ha incorporato il Lussemburgo nel Reich come stato indipendente. (…). Chi garantisce per l’Islanda? 16 Nessuno» . 15 Voce interessante fu quella del periodico Fjolnir, fondato nel 1835 da un gruppo di giovani intellettuali che facevano leva sullo spirito nazionalistico per un rinnovamento della letteratura e per la purificazione della lingua islandese dalle contaminazioni estere. Ancora oggi una apposita commissione linguistica ha il compito di trovare termini islandesi per parole nuove come computer, internet etc. 12 I timori di Guðmundur erano senza dubbio giustificati, eppure non solo l’Islanda rimase fuori dal conflitto, ma ne ebbe un vantaggio indiretto: nel Maggio 1918, il primo ministro danese annunciò l’istituzione di una commissione che avrebbe negoziato il futuro dell’isola, e che porterà allo storico “Atto d’Unione”. La grande guerra fu l’elemento che accelerò un processo di indipendenza già avviato da tempo, ed i Danesi, scossi dalle sorti dei propri compatrioti nello Schleswig-Holstein tedesco, non potevano rimanere insensibili alla causa della libertà nazionale. I negoziati si aprirono in luglio e dopo poche settimane l’accordo era pronto, approvato dall’Alþing per 37 voti favorevoli e 2 contrari e ratificato da un plebiscito popolare. La solerzia con cui i lavori vennero conclusi non deve però ingannarci sulla difficoltà del negoziato17; la delegazione danese propose una federazione fra i due stati, mantenendo quindi la gestione comune di alcuni campi. Gli islandesi invece erano fermi sulla netta separazione. L’articolo 19 dell’Atto d’Unione alla fine stabilì che la Danimarca riconosceva l’Islanda come stato sovrano, e questa si impegnava a garantire neutralità perpetua e a non istituire alcun vessillo di guerra. I due parlamentari che votarono contro la ratifica furono l’editore Benedikt Sveinsson ed il giudice Magnus Þòrfason. Attraverso le trascrizioni delle sedute parlamentari (Alþingìstiðindi) dell’epoca si capisce come la loro dissidenza non fu basata sulla questione dell’indipendenza di per se stessa, ma su una neutralità che poteva facilmente tramutarsi in lettera morta: 16 Alþingìstiðindi (verbali del parlamento), anno 1914, sez. B bis, 551. La fretta degli islandesi nel chiudere il negoziato poteva ben spiegarsi con il timore che, a guerra ancora in corso, la questione dell’indipendenza potesse finire sul tavolo delle trattative fra le grandi potenze. 17 13 “Questo atto non ci difende, se una nazione belligerante ha intenzione di occupare il nostro 18 territorio, lo farà senza alcuna considerazione di un accordo fra noi e i danesi” . Il dibattito fu vivace anche in sede extraparlamentare. Il giurista Magnus Arnbjarnarson, prendendo spunto da alcuni commenti dell’allora primo ministro Sigurður Eggerz (che pure aveva votato favorevolmente), pubblicò un pamphlet in cui polemicamente ricordava le sorti del Belgio e della Grecia, la cui neutralità era stata tenuta in nessun conto. Il giornale Njördur, pubblicato regolarmente ad Isafjordur (fiordi nord occidentali), nell’editoriale del 18 ottobre 1918 scrive: «Non c’è motivo di credere che gli inglesi vogliano invadere l’Islanda, ma se lo volessero l’Atto d’unione non può certo prevenirlo». Alla fine, il primo dicembre del 1918, lo stesso Eggerz poté annunciare alla folla il regio decreto che istituiva la bandiera nazionale islandese, e la firma dell’Atto d’Unione tra la Danimarca e l’Islanda; quest’ultima, seppure rimanendo formalmente associata alla corona danese, guadagnava lo status di nazione indipendente, sovrana ed eternamente neutrale. Dopo un periodo di 25 anni entrambe le parti avrebbero potuto chiedere unilateralmente lo scioglimento dell’unione. A questo punto il processo d’indipendenza poteva dirsi concluso perché nessuno dubitava che allo scadere dei 25 anni i due paesi si sarebbero definitivamente divisi. Le relazioni con i danesi rimasero buone ed amichevoli, mentre durante tutti gli anni venti gli islandesi si affacciarono molto raramente al contesto internazionale. Raggiunto 18 Magnus Þorfason, Alþingìstiðindi, verbali anno 1918, sezione B 166. Da notare come anche interventi di parlamentari che votarono a favore dell’Atto sollevarono perplessità e dubbi sulla clausola di neutralità. Cfr: Einar Arnarson, ibidem, 1918 sez. B 61. 14 l’obbiettivo dell’indipendenza i partiti si volsero ai problemi di interni, per rinsaldare una economia debole e creare quelle infrastrutture di cui il paese era pressoché privo. In questi anni venne anche sollevata la questione di una partecipazione alla Società delle Nazioni. Ovviamente un passo del genere sarebbe stato prematuro, anche perché l’Islanda non aveva un esercito, ne aveva intenzione di istituirlo (come fece, ad esempio, il Lussemburgo), quindi il tutto si risolse con un nulla di fatto19. Si potrebbe dire che il coinvolgimento dell’Islanda nelle relazioni internazionali e nella storia del mondo occidentale comincia solo quando decade la condizione di periferia che da sempre aveva segnato l’isolamento del popolo islandese. Ad operare questo cambiamento furono due ordini di motivi, l’uno politico, l’altro tecnologico. Il primo si espresse nella crescente interazione fra Europa e Stati Uniti d’America, che rese le rotte atlantiche delle vie di comunicazione importantissime (che come è noto diventeranno, da un punto di vista militare, addirittura irrinunciabili). L’Islanda si trova a fiancheggiare fisicamente questi canali, e quindi il fattore geografico, che prima aveva relegato il paese ai margini della storia, ne faceva un punto di importanza strategica. Da quella posizione l’isola inoltre poteva rappresentare una sorta di cancello al Nord Atlantico per il traffico in circolazione fra Oceano Artico, Mare di Barents e Mare del Nord. A rendere davvero incisivi questi cambiamenti di natura geopolitica vanno segnalati i progressi tecnologici: mezzi di trasporto sempre più efficienti ed affidabili e, soprattutto, l’aviazione andavano riducendo le distanza fra i continenti. 19 Solo nei primi anni trenta la questione venne riaperta da personalità di spicco, come il ministro di giustizia di allora, Jònas Jònsson (1885-1968), ma questo nuovo impulso internazionalista non andò oltre trattati e accordi stretti con gli altri stati scandinavi 15 In questo nuovo contesto tutto sarebbe mutato, e la neutralità che gli islandesi avrebbero voluto “perpetua”, durò appena 22 anni: «Chiunque abbia l’Islanda, tiene una pistola puntata su Inghilterra, America e Canada»20. Ben si esprime in questa frase, quanto stava accadendo: in tempo di guerra non solo vi fu l’occupazione dell’Islanda durante la II guerra mondiale da parte di truppe alleate, ma vi fu un suo inserimento nel sistema difensivo del Nord Atlantico per tutto il periodo della guerra fredda fino ai giorni nostri. 16 Capitolo I Alla vigilia del conflitto: Islanda 1933-1940. Per comprendere meglio quale fu il ruolo dell’Islanda durante la Seconda Guerra Mondiale sarà opportuno cominciare a considerare gli eventi dal decennio precedente lo scoppio del conflitto. Come abbiamo visto, raggiunto un compromesso soddisfacente per quanto riguardava la questione dell’indipendenza, gli islandesi si volsero alle loro questioni interne; ma a questo punto furono le grandi potenze europee a bussare alla porta del piccolo paese subartico. A partire dal 1933 i tedeschi aumentavano le loro attenzioni verso Islanda, mentre gli inglesi sembravano non dar peso a questa attività e continuarono i loro rapporti politici all’insegna della normalità. La vocazione puramente continentale della Germania ed i rapporti di lunga data fra Islanda ed Inghilterra sembravano dare a quest’ultima la convinzione che i tedeschi non avrebbero mai potuto intervenire sugli equilibri della regione: solo nel Novembre 1933 vi è il primo rapporto di un qualche interesse del console inglese a Copenaghen21: sir Hugh Gurney notava che la situazione dell’isola andava complicandosi per via di un fastidioso sviluppo del nazismo fra i giovani della capitale. Apparso in forme organizzate all’inizio dell’anno, il neonato Partito Nazionalsocialista Islandese di Gisli Sigurbjorson tentava di ottenere rispettabilità politica legando il suo credo ad un programma nazionalista ed indipendentista. Fu il maresciallo Italo Balbo che diede la prima prova di come il valore della regione stesse cambiando. Già nel 1931 il comandante italiano aveva concluso una traversata 20 Questa frase viene spesso erroneamente attribuita a Winston Churchill, il quale in realtà riprese quanto detto dall’analista politico nazista, Karl Hausofer, amico personale di Rudolf Hess. 21 Essendo ancora una colonia, a Reykjavik vi era solo un distaccamento dell’ambasciata britannica presso la Danimarca. I dispacci ed i rapporti dei diplomatici britannici sono stati molto dettagliatamente esaminati da Bittner, The Lion and the White Falcon, Londra 1983. 17 storica, da Orbetello a Rio de Janeiro in 7 tappe. Nel 1933 si pensa ad una impresa spettacolare: la “Grande Crociera del Decennale dell’Era Fascista”, un raid aereo dall’Italia a Chicago e New York e ritorno. La mattina del 30 giugno del 1933 Balbo, alla guida degli “Atlantici” (così vennero ribattezzati dal regime i componenti della spedizione) comanda il decollo di 24 idrovolanti modello Siai Marchetti S55 – X, appositamente modificati; fecero scalo a Reykjavik il 5 luglio successivo; gli islandesi si resero finalmente conto, forse con un po’ di inquietudine, di come i nuovi mezzi tecnologici potessero rivoluzionare la loro esistenza22. Alle elezioni del 1934 il Partito Nazista Islandese raccolse pochi voti e non ottenne rappresentanza parlamentare, eppure divenne oggetto di più seria osservazione. Prima di inoltrare il resoconto annuale per quell’anno, sir Gurney chiese alla delegazione di Reykjavik un dossier sul partito. L’ufficio redasse un documento tranquillizzante: si ribadiva che il partito non si presentava come asservito alla Germania, delineandosi piuttosto come spiccatamente antidanese ed indipendentista. Comunque gli iscritti, anche se supportati dalla colonia tedesca, erano troppo pochi per esercitare una qualche influenza significativa. Di tutt’altro avviso era invece Howard Little, lettore di Inglese presso l’università di Reykjavik, nonché giornalista del Manchester Guardian. Dalle pagine del suo giornale, egli ribadiva come l’assenza di qualunque difesa sull’isola la poneva a rischio insurrezione. A suo dire in Islanda abitavano non meno di 500 tedeschi, quasi tutti giovani uomini, perfettamente in grado di sgombrare il campo in attesa dell’arrivo di un contingente armato vero e proprio. Il “Northern Department” degli affari esteri di Londra (Foreign Office) , dopo le necessarie verifiche, riscontrò l’infondatezza di 22 La traversata fu spezzata in diverse tappe: Balbo decise di optare per la rotta polare nel viaggio di andata e per un ritorno via Azzorre e Portogallo. Il 15 luglio circa 1.500.000 di persone a Chicago 18 queste asserzioni, evidentemente esagerate, e non tardò ad etichettare Little come un allarmista.23 Anche se non si rivelo’ una buona fonte di informazioni, questo zelante professore ebbe il merito di attirare le attenzioni dell’intelligence inglese sull’isola e, nell’Ottobre 1936, il ministero degli esteri assegnò all’Islanda una sede diplomatica autonoma; venne nominato console John Bowering e Londra, oltre a compire un gesto ben gradito dai locali, dava prova di un nuovo e più attento interesse. Dall’aprile del 1937 Bowering fu in grado di presentare i primi dossier approfonditi. La sua attività fu rivolta soprattutto a tenere d’occhio i tedeschi; Bowering sembrava piuttosto scettico riguardo la presenza di agenti tedeschi nel paese, anche perché vi era ben poco su cui esercitare le tradizionali attività di servizi segreti. Il partito nazista o, più in generale, attività germanofile, erano invece temi più interessanti: il partito rimaneva senza dubbio piccolo, ristretto a parte della gioventù borghese della capitale e praticamente inesistente nel resto dell’isola, eppure come già Little aveva fatto notare, un paese privo di qualunque protezione era una facile preda. Un mese più tardi il “Foreign Office” intercettò un piano tedesco per la penetrazione nelle isole Faroer24; il rapporto dei servizi segreti militari venne girato al console, che ricevette ordine tassativo di sorvegliare qualunque attività potesse essere messa in relazione con tale manovra. In generale però Bowering non sembrava particolarmente allarmato, e le elezioni del Giugno 1938 sembravano dargli ragione: i partiti di sinistra riportarono una vittoria netta, il partito conservatore, l’unico che poteva essere soggetto a qualche convergenza salutarono gli aviatori italiani. Il volo si concluse il 25 Luglio al lido di Ostia, dove una folla festante attendeva il ritorno degli “atlantici”. 23 Foreign Office, documento in archivio num. 371/20315, in data 14 Luglio 1936; riportato da Bittner, The Lion, cit. p. 17. 24 Bittner, The Lion, cit. pag 18. 19 con i nazisti, perse 3 seggi, mentre i nazionalsocialisti riportavano un pessimo risultato rispetto alle elezioni del 1934, e rimasero non rappresentato in parlamento25. Il biennio ‘38-’39 vide un incremento di iniziative tedesche, sia pubbliche che private, per tentare di rafforzare i legami fra i due paesi. Nella primavera del 1938, un gruppo di piloti tedeschi giunse sull’isola per propagandare lo sviluppo dell’aviazione sportiva. L’ambasciatore Bowering non mancò di notare nel rapporto datato 15 luglio 1938 come l’iniziativa tedesca potesse benissimo celare una attività di ricognizione del suolo islandese, per individuare quali potessero essere le zone migliori per manovre di atterraggio e decollo26. Il caso del suicidio di uno dei tedeschi suscitò poi molta inquietudine, poiché dalle indagini emerse l’appartenenza del pilota al corpo delle SS. Nel 1939 il presidente dell’associazione islandese di volo e deltaplano ricevette la visita di un funzionario degli esteri britannico. Berlino si era mostrata oltremodo generosa, offrendo personale per lezioni di volo gratuite, e Londra si era giustamente insospettita. Sebbene i vertici dell’aeroclub negavano qualunque implicazione politica nelle loro attività, era chiaro che i tedeschi avevano instaurato un rapporto di amicizia e collaborazione (tra l’altro il club riceveva regolarmente le riviste tedesche “Luftwelt” e “Luftreise”). Lo sport fu un altro campo in cui i tedeschi portarono avanti quest’opera di amicizia interessata. Il 20 Ottobre 1938 il quotidiano Morgunblaðid (il principale giornale, filoconservatore) riportò un’intervista a Gisli Sigurbiornson, leader del partito nazista islandese ed intermediario fra l’associazione sportiva giovanile islandese e l’omologa tedesca. Gisli annunciò con soddisfazione che l’unione dei clubs di calcio tedeschi 25 Per i risultati elettorali vedasi quadro delle elezioni in allegato. Rapporto archiviato al num. 371/22264, German interest in icelandic flight conditions. Riportato da Bittner, The Lion, cit. p. 19. 26 20 aveva invitato due squadre islandesi ad una tournée in Germania e suggeriva di ripetere l’esperienza l’anno successivo a ruoli invertiti. Un allenatore tedesco ed il suo staff tecnico veniva quindi mandato in Islanda per l’estate successiva a mettere a disposizione delle squadre locali competenza e prestigio. Le visite fra i due paesi vennero poi facilitate e reclamizzate. Nel 1936 almeno 200 islandesi visitarono la Germania per le olimpiadi, mentre nel 1938 il console tedesco in Danimarca, Herr Cecil von Renter-Fink venne in visita ufficiale, non solo nella capitale, unico centro politico ed economico dell’isola, ma anche in altre zone periferiche pressoché prive di importanza. Il rapporto di fine anno del 1938 del consolato britannico è però ancora fermo su posizioni rilassate. Bowering sosteneva che tutti i tentativi tedeschi di simpatizzare con l’opinione pubblica islandese erano sostanzialmente falliti: troppo chiaro infatti sembrava essere il doppio fine, e questo alimentava insormontabili sospetti. Quando a partire dal marzo 1939 si sparsero le voci di un interesse tedesco per avviare un negoziato concernente diritti di transito aereo della Lufthansa, i comunisti islandesi iniziarono dalle pagine del loro giornale Þjòðviljinn una massiccia campagna antitedesca. Per l’estate era anche prevista la visita nella capitale dell’incrociatore Emden e la concomitanza degli eventi sembrava voluta. La risposta del mondo politico fu però ferma e niente affatto intimorita. In quel periodo il parlamento era riuscito a formare un governo ad amplissima maggioranza composto da Partito Popolare, che deteneva la leadership, Conservatori e Socialdemocratici, per un totale di 44 seggi, mentre all’opposizione solo tre deputati comunisti e 2 del “partito degli allevatori”27. Nel discorso all’Alþing del 17 Marzo 1939, il primo ministro Hermann Jònasson confermò la visita della delegazione tedesca, 21 ma considerò tutta la questione con toni pacati. La Germania era una nazione amica, e quindi non doveva suscitare alcun timore che un incrociatore scortasse i loro pescherecci; il governo però considerava inopportuno concedere diritti aerei alla Lufthansa28. In quella sede Jònasson si disse deciso anche a porre sotto controllo statale le spedizioni scientifiche che andavano susseguendosi con sempre maggior frequenza. La proposta Lufthansa venne quindi rifiutata ufficialmente sulla base di semplici argomentazioni: vista la situazione internazionale il governo non aveva intenzione di concedere alcun diritto aereo a compagnie straniere, dal momento che, tra l’altro, era in programma il varo di una compagnia di bandiera nel giro di pochi anni. La stampa filo-governativa appoggiò le mosse del parlamento, ed anche la visita dell’incrociatore Emden non ebbe alcun effetto sui rapporti fra i due paesi; i comunisti, che avevano portato avanti una campagna denigratoria nei confronti dei tedeschi attraverso le pagine del loro giornale Þjòðviljinn, vennero accusati di aver sollevato inutili allarmismi. E’ indubbio però che il paese andò scivolando verso un clima di attesa: in Europa la situazione era precaria ma gli elementi governativi sapevano che l’Inghilterra (che aveva esercitato qualche pressione già durante l’affare Lufthansa) si sarebbe opposta ad una ingerenza tedesca nell’isola. Eppure gli islandesi non volevano inimicarsi una grande nazione europea sulla base di campagne giornalistiche. I comunisti d’altro canto si ritagliarono il ruolo di “cani da guardia” in difesa degli interessi nazionali contro gli stranieri (ruolo questo che avrebbero mantenuto a lungo anche dopo la guerra), il che gli valse anche molte simpatie di non comunisti 27 Non sono rari nella storia politica islandese partiti che, più che condizionati da ideologie politiche, sono espressioni di interessi economico sociali particolari. 28 Nei primi anni trenta vi erano stati contatti fra gli islandesi, la compagnia tedesca, la Transamerican Airlines ed una compagnia britannica; solo quest’ultima aveva ottenuto una licenza per un servizio di idrovolanti di base ad Hafnafjordur (40 km a SO di Reykjavik), interrotto dopo poco tempo. 22 La Germania sembrava comportarsi in modo sempre più spregiudicato (i marinai dell’Emden marciarono braccio a braccio con simpatizzanti islandesi per le vie della città, cantando marce naziste), mentre Londra osservava ancora senza intervenire. La posizione del console Bowering era chiara: i tedeschi non facevano proseliti in Islanda, e da Reykjavik la prospettiva di un coinvolgimento in una guerra europea appariva come sempre remota. Ciò che rendeva però delicata la questione era l’assenza di qualunque difesa dell’isola: un gruppo sovversivo organizzato in poche mosse avrebbe potuto rovesciare il governo, quindi il problema non si risolveva vigilando sul Partito Nazista Islandese. Abbiamo accennato che nell’ultimo anno di pace le attività tedesche assunsero forma di spedizioni scientifiche. L’incremento vertiginoso e sospetto di queste ricerche, ora meteorologiche, geologiche o anche antropologiche, spinse il governo islandese a varare la già citata legge secondo cui ogni attività scientifica doveva ottenere una approvazione statale, nonché la supervisione di un apposito organo scientifico islandese. Oltre al desiderio di mantenere un certo controllo su queste ricerche, a spingere il governo su posizioni più guardinghe erano stati diversi segnali inquietanti: il quotidiano danese “Politiken” ad esempio nel febbraio 1939, riportava un articolo secondo cui Himmler, leader storico delle SS, aveva incaricato una équipe di antropologi di investigare i legami fra i popoli vichinghi e germanici; si apprese con lo stesso scetticismo che nell’esposizione culturale di Libniz dell’ottobre del 1939, organizzata dalla “Deusche Kulturpolitische Gesellschaft und Insitut fur Auslandkunde” era stato allestito un padiglione sulla vita e cultura islandese, e sulle relazioni fra Germania ed Islanda; una 23 credenza pseudoscientifica infatti mirava a dimostrare la presunta purezza del popolo islandese, e ciò riscuoteva un certo interesse in ambienti nazisti29. Nel marzo del 1939 l’Ammiragliato Britannico ricevette un dossier del professor William Tennant del “Queen’s College” di Cambridge; di ritorno dall’Islanda si disse molto disorientato da quanto aveva visto della spedizione voluta da Himmler. Innanzitutto il capo ricerca e la sua équipe sembravano scarsamente qualificati per il progetto assegnatogli. In secondo luogo, la spedizione si era diretta nelle regioni nord occidentali, ricca di profondissimi fiordi e porti naturali, quando era noto a tutti che il centro delle attività storiche e culturali del popolo islandese era sempre stata nel sud e nel sud ovest. Riporto’ inoltre alcune esperienze personali: mentre viaggiava nel nord e nell’est del paese spesso la popolazione locale gli chiedeva se fosse un cartografo tedesco30. Il consolato germanico era ovviamente un osservato speciale. Il collega di Bowering al tempo del suo insediamento era il professor Timmerman; dottore in ornitologia, si era pienamente inserito nel tranquillo ambiente di Reykjavik e non era mai sembrata persona particolarmente pericolosa. Nel Maggio del 1939 venne però sostituito da una figura ben più incisiva ed intraprendente, Werner Gerlach, arrivato con il prestigioso titolo di console generale. L’intelligence militare e l’ambasciata inglese a Berlino redassero presto le loro schede: Gerlach aveva insegnato patologia all’università di Basilea fino a che il governo del cantone svizzero non lo aveva rimosso dal proprio ruolo per le sue attività sovversive di stampo nazista. Il processo si chiuse però con l’assoluzione, ed egli partì per Berlino. Londra era certa che Gerlach fosse stato già in 29 In realtà l’islandese “ariano” apparteneva solo alla letteratura ed alle leggende, in quanto discende sì dai progenitori norvegesi, ma che giunsero dopo aver toccato nel loro viaggio la Scozia e l’Irlanda, con al seguito quindi un gran numero di mogli e schiavi celtici e irlandesi, nei secoli mescolatisi in un’unica popolazione. 30 Bittner, The Lion, cit., p. 25. 24 Svizzera un agente del consolato tedesco a Zurigo, anche per le informazioni fornite da colleghi inglesi che avevano lavorato presso le medesime università. Bowering aveva un ambizioso e zelante collega nella solitamente placida e calma vita diplomatica di Reykjavik. Nel 1939, un funzionario del “Northern Department”, F. Gage, ufficialmente in vacanza sull’isola, ebbe un giro d’incontri con personalità islandesi; ministri e docenti universitari parlavano di Gerlach come di una persona piacevole e particolarmente attiva nel suo lavoro, che si intratteneva spesso con l’ambiente accademico, che era riuscito a unificare la comunità tedesca presso il consolato e che aveva a lungo viaggiato nel paese31. Durante il periodo pre-bellico anche leve commerciali vennero abilmente mosse da Berlino. Gli inglesi sembravano non poter fronte alla crescente dipendenza delle merci islandesi dai mercati tedeschi per una condizione oggettiva: le esportazioni islandesi, pesca ed ovini, erano spesso in competizione con i prodotti inglesi, e quindi l’Inghilterra non poteva assorbire oltre una certa soglia. La cronica debolezza del commercio islandese venne ulteriormente inasprita dalla guerra civile spagnola, sottraendo un altro mercato importante; la Germania era quindi nella condizione di sfruttare al meglio la situazione. Il commercio dell’Islanda e della Danimarca con la Germania era ormai una crescente necessità, e tra il 1935 ed il 1938 la spesa tedesca in merci islandesi era quasi raddoppiata. Anche se l’Inghilterra rimase per tutti gli anni trenta il primo partner economico, il commercio con la Germania era meglio diversificato e si orientava su beni d’uso comune: mentre i prodotti inglesi erano principalmente attrezzature navali, la Germania forniva materiale da costruzione, medicinali e attrezzature elettriche. 31 T. Whitehead, The Ally who came in from the cold, Reykjavik 1998, p. 11. 25 Con estrema accortezza Berlino riuscì a chiudere una serie di tre accordi, nel 1937, ’38 e ’39, per l’acquisto di pesce islandese. Il primo accordo era piuttosto favorevole, proponendo dei prezzi di acquisto generosi e con lo scopo di far nascere un legame. L’anno successivo le quote di commercio vennero ritoccate al ribasso, ed infine nel 1939 non solo vennero sollevate le limitazioni del ’38, ma entrarono a far parte degli scambi anche quei prodotti che prima ne erano rimasti fuori (pesce surgelato ed il pesce in scatola). Questa sorta di elastico commerciale venne posto in essere proprio quando l’Inghilterra non aveva la possibilità di incrementare le sue importazioni. Ogni islandese di buon senso capiva che dietro la “generosità” tedesca si nascondevano malcelati interessi, e il primo ministro Hermann Jònasson, nelle conversazioni con il già citato Gage, considerava offensiva la spregiudicatezza tedesca; eppure cominciava a prendere consistenza il timore che l’Inghilterra in realtà non era più in grado di contrapporsi efficacemente ai tedeschi. Londra adottava una rigorosa politica liberista, ed era poco incline a concedere agli islandesi un trattamento privilegiato, tuttavia seguire l’esempio tedesco avrebbe forse portato qualche vantaggio. Ad una prima analisi poteva sembrare necessario un console generale attivo ed energico, nonché stretti legami con l’università, per dare modo ai servizi di piazzare un loro uomo come lettore d’inglese. Attività dispendiose, come l’istituzione di un servizio aereo fra le due nazioni, o un programma di realizzazione di infrastrutture della capitale, sarebbero state certamente utili. L’Inghilterra tuttavia, con la freddezza che spesso la contraddistinse, scelse un’altra strada. La Germania poteva anche aumentare la propria influenza economica in Islanda, ma per capitalizzare militarmente i propri investimenti, i tedeschi avrebbero dovuto passare sopra la Royal Navy, che sembrava ancora la migliore flotta in Europa. 26 Tra lo scoppio della guerra nel settembre del 1939 e l’arrivo delle prime truppe inglesi nel maggio del 1940, la situazione resto’ quasi immutata. Gerlack non si mosse da Reykjavik, mentre le visite militari cessarono in virtù della neutralità islandese. Quando la situazione in Europa venne modificata dalle vittorie tedesche, l’Ammiragliato britannico si mosse verso posizioni molto più allarmate. L’ago degli equilibri europei cominciava a pendere pericolosamente verso Hitler, ed a questo punto Londra era decisa a imporre a Reykjavik una collaborazione forzata con alcuni punti assolutamente intrattabili: gli inglesi avrebbero negato alla Germania qualunque accesso all’isola; anche le missioni scientifiche vennero interrotte, ed il blocco navale imposto dalla Royal Navy chiuse il commercio. Reykjavik, consapevole della gravità della situazione, poneva solo due condizioni: che il nuovo assetto non fosse lesivo dei propri interessi commerciali, e che ogni accordo fra le parti fosse “unofficial”, per non coinvolgere il governo direttamente. Ciò che gli inglesi non riuscirono ad ottenere (se non con la successiva occupazione), fu la rottura diplomatica e l’espulsione di tutti i tedeschi dall’isola. Reykjavik infatti riteneva questo passo in netto contrasto con la politica di neutralità. Nel giugno del 1939 la questione islandese venne discussa dal Comitato di Difesa Imperiale inglese; il tentativo di penetrazione in Islanda da parte dei tedeschi era un serio pericolo, in quanto poteva creare l’accerchiamento delle isole britanniche ed eludere il blocco navale. Era ovvio però che bisognava ripensare completamente il rapporto fra Inghilterra ed Islanda: se quest’ultima avesse interrotto i rapporti commerciali con la Germania, la sua già debole economia ne sarebbe stata seriamente danneggiata. Tra l’Ottobre ed il Dicembre del 1939 si aprirono quindi una serie di incontri “informali” tra le delegazioni dei due paesi. Gli islandesi avrebbero voluto mantenere il commercio con la Germania 27 ad indici fissi, ed incrementare quello con gli stati scandinavi. I britannici furono fermi e decisi nel rifiutare il primo punto, accettarono il secondo e concessero anche il commercio (di beni non strategici) con Belgio, Olanda, Svizzera ed Italia, nonché la possibilità di avviare accordi commerciali con USA, repubbliche centro e sud americane, Spagna, Portogallo ed altre nazioni, da determinare in seno ad una commissione congiunta (29 Dicembre 1939). La Gran Bretagna accettò inoltre di aprire i propri mercati alle importazioni di carne e pesce, fornì quei beni precedentemente importati dalla Germania (il 46% di ferro ed acciaio, carta ed affini, 52% delle importazioni di materiale chimico) e dovette assorbire le esportazioni. Questi accordi vennero negoziati mentre l’Inghilterra poneva in essere un tradizionale blocco navale ai danni della Germania. Nonostante i termini degli accordi appena pattuiti, il 6 Gennaio 1940 l’Islanda protestò ufficialmente; il motivo di irritazione stava nel fatto che la natura “unofficial” degli accordi non metteva al sicuro il paese, ormai un potenziale oggetto di rappresaglia. Gli Inglesi si aspettavano questa reazione, ed appena tre giorni prima, la questione era stata anticipata dal “War Cabinet”. Lord Halifax, da politico sottile e accorto, sostenne la necessità di presentare al governo islandese una nota confidenziale in cui Sua Maestà dava tutte le garanzie per la protezione delle navi islandesi e un intervento forte e diretto in caso di invasione tedesca. Tale nota, consegnata il 17 Gennaio, lasciò spiazzati gli islandesi che non avevano mai richiesto ne sottinteso un intervento militare sul territorio. 28 Dai primi giorni di Gennaio fino al Maggio, data dell’effettiva occupazione, tutte le branche dei servizi segreti esprimono pareri concordi32: l’Islanda e le Faroer si trovano in una posizione strategica che non può cadere in mano nemica, ma soprattutto, in caso di attacco tedesco alla Scandinavia, stabilire delle basi in Islanda diventava necessario. E’ noto che un simile evento non tardò a verificarsi, e durante l’Aprile 1940 truppe tedesche entrarono in Danimarca e Norvegia. Con la Germania vittoriosa in Nord Europa, si imponeva lo slittamento della linea del blocco navale più a nord-ovest. Quando Hitler ordinò l’invasione di Norvegia e Danimarca, il trauma fu notevole; l’Islanda era ancora formalmente una colonia e la possibilità di soffrire la stessa sorte dei fratelli scandinavi non era più solo teoria. In un editoriale dell’edizione speciale proprio del 10 Aprile, “l’ora fatale”, il giornale conservatore Morgunblaðid consta con delusione che la politica di neutralità era fallimentare in quanto non rendeva alcuna protezione di fronte alle grandi potenze. Il Þjòðviljinn, comunista, denunciò invece l’ingresso dei britannici alle Faroer; in un’ottica ai limiti della xenofobia, questi ultimi, più che i tedeschi, erano i veri nemici, e polemicamente si interrogava su quanto sarebbe passato prima di scorgere navi britanniche all’orizzonte. 32 Cfr “Admiralty – Plans Division” num. 1/10739, 5 gen 1940, German invasion of Denmark and possible seizure of bases in Faroes islands and Iceland. Oppure il memoriale del Capitano Daniel, director of plans del Department of Naval Intelligence Iceland, 26 Marzo 1940. Entrambi i documenti sono riportati da Bittner, The Lion, cit. in nota (num. 45 p. 107). 29 Allegato A - Risultati delle elezioni generali islandesi 1934 – 1942: Fonte: Alþingiskosningar (Statistiche Ufficiali) Seggi Parlamentari Partito 1934 1937 1942a 1942b Primo Ministro: Indipendente 20 17 17 20 - 1934-38 Hermann Jonasson (PP) Progressista 15 19 20 15 - 1938-39 Hermann Jonasson (PP) SocialDemoc. 10 8 6 7 - 1939-42 Hermann Jonasson (PP) Comunista 0 3 6 10 - 1942 Olafur Thors (PI) Altri 4 2 == == Num. Seggi 49 49 49 52 Partito: 1934 1937 1942a 1942b Indipendente 42.3% 41.3% 39.5% 38.5% Percentuali di voto Governo: 1934-38: PP, PSD 1938-39: PP (min.)* Progressista 21.9% 24.9% 27.6% 26.6% Socialdemoc. 21.7% 19.0% 15.4% 14.2% 1942: PI (min.)* Comunisti 6.0% 8.5% 16.2% 18.5% * = Governo di minoranza Altri 8.1% 6.3% == == 1939-42: PP, PI, PSD Partito Indipendente ==> Sjàlfstaedisflokkur (conservatori, liberali) Partito Progressista ==> Framsoknarflokkur (agrario, centro-sinistra) Partito Socialdemocratico ==> Alþyduflokkur (centro-sinistra) Partito Comunista ==> Unità Socialista (dal ’56 Alleanza popolare) 30 Capitolo II 10 Maggio 1940, una strana invasione Alle prime ore dell’alba navi da trasporto truppe entrarono nel porto di Reykjavik; sebbene una decisione di questo tipo era prevedibile, la popolazione locale per ore non seppe con chiarezza se si trattasse di soldati britannici o tedeschi. Comandante delle operazioni venne nominato il colonnello Sturges, alla guida di un contingente di 40 ufficiali e 775 uomini di truppa distaccati dalla Royal Navy “brigata 101” con artiglieria di supporto, oltre un gruppo dei servizi segreti. Sturges aveva ricevuto l’ordine di occupare e difendere la capitale e l’insenatura naturale di Hvalfjordur (poco a nord di Reykjavik e considerata fruibile come base navale), oltre che di prendere possesso dei campi aerei dell’isola. La decisione di dar vita a quella che fu, a tutti gli effetti, una occupazione aveva chiare implicazioni strategiche. Le isole Faroer non potevano assicurare, stando alle considerazioni del Segretario dell’Ammiragliato Britannico Mr. Phillips, una sufficiente base logistica per mancanza di condizioni ambientali favorevoli. Inoltre, qualora l’Islanda fosse stata invasa da truppe tedesche, i britannici avrebbero necessariamente dovuto contrattaccare, trasformando l’isola in un nuovo campo di battaglia33. Acquisita la consapevolezza della necessità di installare in Islanda infrastrutture militari e di entrare in possesso di un nodo vitale per l’intera regione, i vertici britannici erano di fronte ad un bivio; avrebbero potuto negoziare una alleanza con gli islandesi, procedendo quindi secondo i canali politici e diplomatici, come già era stato fatto per esautorare l’influenza economica tedesca nell’isola; oppure avrebbero potuto procedere 33 L’ammiragliato considerava indispensabile una base aerea e di rifornimento navale nella regione; le isole Faroer seppure anch’esse di una certa importanza, a causa delle ridottissime risorse, non avrebbero potuto far fronte alle esigenze di un contingente militare che poteva assumere dimensioni notevoli. 31 militarmente e senza preavviso. Entrambe le posizioni avevano dei pro e dei contro: il negoziato rischiava di allungare i tempi, visto che gli islandesi erano fermi su posizioni di una neutralità quasi esasperata. Una invasione invece avrebbe fatto perdere prestigio agli inglesi, che rischiavano di essere accusati di aver agito esattamente come le truppe di Hitler in Danimarca e Norvegia. La decisione venne presa ai primi di Maggio quando Winston Churchill informò il “Gabinetto di Guerra” che l’invasione era la strada da preferire; il governo islandese non avrebbe volontariamente permesso alcun dispiegamento di truppe e, qualora gli inglesi si fossero attardati in discussioni di questo tipo, rischiavano di essere disturbati o addirittura anticipati dai tedeschi. In questi primi mesi di guerra, visti gli spettacolari successi, l’apparato militare germanico sembrava davvero in grado di portare a termine con successo qualunque iniziativa; questo “atteggiamento psicologico” degli inglesi fece pendere la decisione per una invasione. Insieme al contingente militare però sarebbe partito anche un nuovo staff diplomatico, presieduto dal nuovo console Smith, con il delicato compito di evitare la spaccatura con il governo islandese e far capire che l’intervento britannico, lungi dall’essere un atto di guerra contro una nazione indipendente, mirava alla salvaguardia della libertà dell’Islanda contro una Germania il cui arrivo sembrava imminente. La mattina del 10 Maggio truppe e civili vissero una situazione paradossale. Quasi nessuno fra i soldati aveva visitato l’isola in precedenza, e pochi comunque ne avevano una idea chiara; i locali invece non sapevano chi fossero i nuovi venuti34. Pochi giorni prima, il tenente Douglas Haig Thomas aveva preparato una scheda informativa sul paese: un deserto di lava coperto di muschi e licheni la cui popolazione, al contrario delle credenze abituali, non era costituita da eschimesi ma era di chiara origine europea. In allegato alla scheda solo due mappe piuttosto approssimative, una dell’isola tutta e 34 D. Neuchterlein, Iceland Reluctant Ally, Connecticut 1960, p. 23. 32 l’altra della città. Reykjavik al tempo era la cupa capitale di uno stato povero, fatta di tante casette singole rivestite di bandoni di metallo ondulato; non vi era nulla di architettonicamente interessante se non la nuova università. La natura intorno alla capitale era sterile, priva di alberi, un paesaggio spesso definito “lunare”. Molti di coloro che servirono in Islanda ci hanno lasciato traccia delle loro prime impressioni nei diari di guerra. Il Colonnello Wilson, nel giorno dello sbarco, scrisse: «…Il tempo passava e alle 4:00 del mattino ci dirigemmo verso la baia di Reykjavik. Il paese sembrava collinoso e selvaggio, in lontananza solo montagne coperte di neve (…). L’aria era 35 fredda e chiara, e si poteva vedere ad una grande distanza» . Un ufficiale della RAF invece descrisse le prime impressioni in questi termini: «Ci fermammo sulla banchina per studiare la parte di Reykjavik che si vedeva, e la trovammo brutta, sassosa, spoglia, inospitale. Polvere di lava ovunque… si prega per un po’ di 36 pioggia e la polvere diventa fango» . Col tempo i diari dei soldati riportano impressioni più clementi: nonostante tutti i limiti che la città potesse avere, nonostante tutti i disagi che l’estrema instabilità del clima potesse causare, mentre Londra e le altre città europee vivevano tempi drammatici scanditi dalle sirene dei bombardamenti, black-out e razionamenti alimentari, Reykjavik rappresentava per i propri ospiti una condizione ben più agevole dei loro commilitoni nel resto d’Europa. I soldati distribuirono subito alla popolazione dei volantini per dirimere qualunque dubbio; le truppe di sua maestà si dicevano rammaricate di dover causare disturbo alla 35 36 Diario di guerra riportato da Bittner, The Lion, cit., nel prologo. Articolo non firmato, Off duty in Iceland, in Blackwood’s Magazine (periodico), Londra gennaio 1945. 33 popolazione civile e si sarebbero comportati all’insegna del massimo rispetto, col solo intento di difendere e proteggere gli islandesi contro la Germania. Uomini del console Bowering ricevettero le truppe e le guidarono subito per la città. Non vi furono incidenti. Gli inglesi requisirono alcuni autobus e battelli, dietro promessa di compensazione (garantita da un deposito di 2.000 sterline presso la Banca Nazionale Islandese), e si diressero verso il consolato tedesco. Trovarono Gerlach intento a distruggere documenti. Nonostante le proteste per la violazione dell’ambasciata, Gerlach ed i suoi uomini vennero presi in custodia. Anche altri edifici importanti della capitale vennero occupati, ad esclusione del parlamento. Nel corso della giornata, seguendo i piani riceviti, il colonnello Sturges piazzò una compagnia a Reykjavik, un altro distaccamento partì per Hvalfjordur, prendendo posizione sui due lati dell’entrata dell’insenatura; altri distaccamenti vennero mandati a prendere possesso del campo aereo di Kaldadharnes (70 Km a Est di Reykjavik), Sandseikhjd e Katnagharda (sudovest). Altri uomini rimasero per servizi ausiliari. Le forze di cui Sturges disponeva erano in realtà troppo ridotte per assicurare una presenza forte nell’isola, ed erano per lo più una testa di ponte in attesa di rinforzi. L’artiglieria era ridotta e con poche munizioni, mentre solo un vecchio idrovolante Supermarine Walrus costituiva la copertura aerea. Quando le navi trasporto completarono lo sbarco e lasciarono l’isola, il senso di isolamento doveva essere pesante per i soldati rimasti. La sera stessa Sturges venne ricevuto dal governo islandese. Il primo ministro Hermann Jònasson avanzò delle proteste formali ai vertici diplomatici e militari, accusando la chiara infrazione della neutralità islandese; eppure, secondo larga parte della storiografia islandese, ci fu un vero senso di “liberazione” tutti si resero conto che 34 non si trattava dei nazisti37. Nel discorso alla nazione, radiodiffuso nel tardo pomeriggio, il primo ministro invitò la popolazione a collaborare con gli “ospiti”, che avevano dato solenne garanzia di limitare al massimo il disturbo e che ogni danno sarebbe stato ampiamente rimborsato38. Il 14 maggio la “Forza Sturges” completò il dispiegamento dell’artiglieria, ed un altro piccolo distaccamento venne inviato ad Akureyri, la seconda città islandese circa 250 Km a Nord Est; pochi uomini che certo non avrebbero potuto rispondere ad una invasione tedesca, ma almeno avrebbero potuto avvertire la capitale. Il pericolo era che in questa primissima fase, dato che solo una parte dell’isola era sotto controllo, i tedeschi avrebbero potuto sbarcare indisturbati ed inosservati lungo tutta la costa orientale; ma il colonnello Sturges non disponeva di abbastanza uomini per spingersi oltre. L’indomani dello sbarco i giornali del paese trassero le loro analisi ed i loro spunti di riflessione. I commenti del Timinn, quotidiano del partito progressista (che liderava il parlamento) erano sostanzialmente in linea con il primo ministro; la politica della neutralità non sembrava più percorribile visti gli esempi danesi e norvegesi, e si doveva riconoscere che la Gran Bretagna doveva prevenire un ulteriore rafforzamento della Germania. Il quotidiano Morgunblaðid, non appartenente ad alcun partito ma storicamente filo conservatore, ammetteva che sebbene gli islandesi avrebbero voluto vivere in pace con 37 Queste considerazioni mi furono espresse dai professori Valur Ingimundarson e Þor Whitehead nel corso di alcune interviste; entrambi si dissero convinti che la pacifica mentalità islandese dell’epoca era molto più incline, se costretta, ad accettare gli inglesi piuttosto che i bellicosi germanici. 38 Le trascrizioni integrali del discorso vennero pubblicate pressocchè da tutti i giornali l’indomani mattina. 35 tutti, ciò non sembrava più possibile, e non ci si poteva lamentare dell’arrivo degli inglesi, da sempre amici, rispetto a quanto stava accadendo nel resto della Scandinavia. Analogamente, l’Alþidublaðid, quotidiano legato ai socialdemocratici anch’essi al governo, parlò di “male necessario”, ed invitò la popolazione alla pazienza. Di tutt’altro avviso i comunisti: il Þjòðviljinn, in un editoriale intitolato “Noi tutti protestiamo” attacca violentemente gli inglesi, il cui arrivo non sollecitato ne gradito offendeva la nazione. Chiunque appoggiava l’invasione o avrebbe lavorato per gli inglesi doveva essere considerato un traditore della patria. In generale la popolazione fu accogliente e benevola verso gli inglesi che, va riconosciuto, ebbero l’accortezza di rispettare alcuni simboli quali i palazzi parlamentari. Non si registrarono incidenti che andarono oltre le provocazioni verbali dei giovani della capitale che simpatizzavano per i tedeschi. Anche il governo si comportò pragmaticamente, cercando il dialogo e la cooperazione senza arroccarsi sullo sdegno e l’offesa. Nell’incontro col delegato britannico, in cui il governo presentò le sue proteste formali, si passò subito ad analizzare la situazione. Smith assicurava che l’intervento inglese era di natura difensiva, e promise che la permanenza si sarebbe protratta solo per il periodo di guerra; il nuovo console aveva avuto piena autorità a negoziare con gli islandesi accordi di natura economica, e dava piena assicurazione che ogni danno sarebbe stato risarcito e che non ci sarebbe stata alcuna interferenza nella politica islandese. Dall’altro lato dell’oceano intanto, l’ambasciatore inglese Lord Lothian informò il governo degli Stati Uniti su quanto stava accadendo39. Gli americani erano ancora chiusi su posizioni isolazionistiche, eppure è lecito pensare che se le forze tedesche si fossero avvicinate troppo (in Groenlandia, nelle colonie olandesi e probabilmente anche 36 in Islanda), ci sarebbe stata una reazione. In questo clima gli americani accettarono di buon grado l’intervento inglese, che doveva mettere al sicuro l’isola da una invasione tedesca; il Segretario di Stato Cordell Hull in sostanza accettava le giustificazioni britanniche. Un problema che ha interessato da vicino la storiografia islandese ed anche britannica è quello della effettiva concretezza di un piano di invasione germanico. Gli inglesi ritenevano di aver preceduto una iniziativa tedesca, e alcuni indizi sembrano sostenere questa tesi. Abbiamo già visto che nel periodo prebellico alcune attività tedesche venivano sospettosamente seguite dai servizi come “operazioni preliminari”, ed era ben chiaro ad entrambe le parte che la posizione strategica dell’Islanda sarebbe stata oltremodo utile a tutti, ma non risultano prove di piani in fase operativa prima del 10 maggio 1940. Circa trenta anni dopo gli eventi, il già citato Donald Bittner ebbe modo di intervistare il generale Arthur Williams. Egli rivelò che lo spionaggio aveva avvertito della possibilità di un lancio di paracadutisti in Islanda, cui sarebbe seguito un forte contingente di 50.000 uomini già in preallarme sull’Elba. L’invasione britannica doveva necessariamente prevenire questa eventualità40. Anche alcune pubblicazioni dell’US Marine Corp, che è possibile consultare presso l’archivio della base aerea di Keflavik, riportano aneddoti di questo tipo: un impiegato islandese del consolato tedesco, quando riportò a Gerlach la notizia dello sbarco inglese, il console rispose che doveva essersi sbagliato, che erano truppe tedesche anche se in anticipo di 10 giorni41. 39 Lord Lothian venne ricevuto dal governo USA il 10 Maggio, quindi in realtà ne Reykjavik ne Washington ebbero comunicazioni preventive. 40 Bittner, The Lion, cit. p. 15. 41 The United States Marines in Iceland, 1941-1942, ed. US Marine Corp., 1960; aneddoto riportato in una intervista al generale H.R. Paige. 37 Dopo l’invasione inglese, l’Ober Kommando der Wehrmacht lavorò ad un piano di contrattacco, denominato “Ikarus”. Hitler avrebbe voluto la conquista dell’Islanda per accerchiare l’Inghilterra ma gli analisti militari diedero parere fortemente negativo. Non era il contingente inglese in loco a preoccupare, quanto piuttosto gli squilibri della regione: gli inglesi avevano basi importanti alle isole Orcadi e nelle Shetland, e si erano assicurati il controllo delle Faroer. La reazione americana era ancora imprevedibile. L’Islanda sarebbe stata una sorta di enclave tedesca troppo lontana: poteva essere conquistata con un blitz improvviso, ma non poteva essere mantenuta. Il Grand Ammiraglio Eirich Raeder, dopo un incontro con il Führer nel Giugno 1940 trasse le sue conclusioni: per attuare il piano sarebbe stato necessario trasferire una grande quantità di uomini e mezzi, forzando il blocco navale inglese, e instaurarsi in un’area controllata dal nemico. Come rivelarono molti ufficiali tedeschi dopo la guerra, l’idea che i vertici militari si erano fatta era che l’Islanda poteva anche essere conquistata con un blitz, ma la linea di approvvigionamento passava attraverso il blocco navale inglese, quindi senza il controllo di un canale sicuro le perdite rischiavano di essere eccessive, e le postazioni così conquistate, sottoposte ad un assedio continuo, sarebbero state troppo fragili. Anche gli impedimenti tecnici vennero discussi, ma in generale il progetto “Ikarus” passò in secondo piano quando due questioni molto più coinvolgenti cominciarono ad essere analizzate: il piano “Leone Marino”, per l’invasione dell’Inghilterra, ed il piano “Barbarossa” per un offensiva sul fronte orientale. Intanto i marines del colonnello Sturges, dopo aver installato le batterie contraeree nella capitale, vennero rilevati il 17 Maggio dalla 147° brigata di fanteria, dalla 49° divisione dello Scottish Command, un contingente di 4.000 uomini, ed il generale Lammie assunse il comando delle operazioni. Anche l’esercito, sebbene in numero maggiore, non aveva a disposizione artiglieria pesante ne copertura aerea, e a causa 38 della penuria di alloggi nella capitale parte della truppa venne sistemata in tende provvisorie. Effettivamente gli inglesi non fornivano una immagine rassicurante alla popolazione che avrebbero dovuto difendere, ed anche le radiotrasmissioni della propaganda tedesca tentavano di far salire la tensione42. Tuttavia gli inglesi godevano del vantaggio di aver fatto la prima mossa: l’originario british defence plan considerava altamente improbabile uno sbarco tedesco che non fosse dal sud ovest43, in quanto in altre località i porti erano generalmente piccoli, le strade inadatte al transito pesante e facilmente sabotabili. Avere quindi gli inglesi già posizionati sullo sbarco obbligato era per il comando tedesco fonte di ulteriore titubanza. L’operazione “Fork”, come venne chiamata l’occupazione, procedeva comunque con pochi incidenti. In generale la popolazione e la polizia collaboravano con i militari, e solo il quotidiano comunista Þjòðviljinn si mostrava insofferente allo straniero. 42 Nel rapporto all’ammiragliato britannico del Colonnello Sturges (202/50 del 27 maggio 1940) egli ricorda come la radio tedesca aveva annunciato l’affondamento delle navi trasporto inglesi, che dovevano riportare i suoi uomini in patria, quando queste erano ancora in porto. 39 Capitolo III La Seconda Guerra Mondiale in Islanda E’ possibile dividere il periodo bellico in Islanda in due parti distinte: la prima va dal 10 maggio 1940 e si conclude con l’arrivo dell’esercito degli Stati Uniti (7 luglio 1941), che prendono progressivamente il posto dei soldati britannici; la seconda parte invece si protrae per tutto il corso del conflitto. Chiamare la prima parte come “fase britannica” e la seconda “fase americana” ci porterebbe però fuori strada, in quanto l’avvicendamento dell’estate del 1941 fu un processo lungo e scaglionato, e riguardò il solo esercito. La RAF e Royal Navy continuarono ad operare, svolgendo anzi un ruolo assai più importante rispetto al primo anno, man mano che la minaccia diretta alla madrepatria andava affievolendosi. Nei due periodi l’occupazione britannica ebbe modi e obbiettivi diversi: nel primo essi furono logistici e difensivi, principalmente affidati all’esercito che ebbe il compito di rendere l’Islanda una postazione sicura (a prova cioè di infiltrazioni nemiche) e di creare e gestire infrastrutture militari; l’impiego delle altre armi fu piuttosto marginale. Nella seconda parte invece marina ed aviazione svolsero un ruolo offensivo e strategico sempre più deciso via via che la guerra nel Nord Atlantico si inaspriva; il grosso dell’esercito inglese venne al contrario svincolato a seguito di accordi trilaterali con l’Islanda e gli Stati Uniti d’America che, ancor prima di entrare ufficialmente in guerra, accettarono di sostituirsi alle truppe britanniche con un contingente che raggiunse le 44.000 unità. 43 C. Marks, Armed Guardians: the Allies in the Defence of Iceland durino the WWII, Fort Wayne, 1998. 40 The British Army – il primo anno in Islanda Subito dopo il suo arrivo il comandante di brigata Lammie divise le sue truppe tra i vari obbiettivi sensibili, ma la dispersione era tale che da subito si richiesero rinforzi44. La minaccia di un possibile sbarco tedesco fu la preoccupazione principale dell’esercito, ed il nuovo console Smith fu molto sentitamente al fianco di Lammie per avallare queste richieste: era inaccettabile rendere l’Islanda oggetto di potenziali rappresaglie senza fornirle adeguata protezione, tanto più che un solo raid aereo avrebbe completamente raso al suolo Reykjavik; una simile evenienza avrebbe distrutto quel clima di collaborazione che la diplomazia stava costruendo per il buon lavoro dei militari. Mentre il War Cabinet faceva sapere che al tempo non vi erano rinforzi disponibili (addirittura si preparavano i piani di una evacuazione dell’Islanda in caso di disperata difesa dell’Inghilterra stessa), un imbarazzante incidente minò la fiducia della popolazione nei militari: ai primi di giugno si sparse la voce che un contingente tedesco fosse sbarcato nella parte orientale del paese45. La notizia era ovviamente infondata, ma scherzo, falso allarme o strategia della tensione che fosse, i britannici non furono in grado né di smentire né di confermare la notizia per giorni; in realtà solo la zona di Reykjavik era davvero sotto controllo. Intanto già il 18 maggio, appena una settimana dopo lo sbarco, il governo inglese si era rivolto al Canada per farlo partecipe dello sforzo; Il primo ministro canadese King espresse l’intenzione presso il Cabinet War Committee del suo paese di assistere il più possibile l’Inghilterra nel suo sforzo bellico. Eppure questa disponibilità non valse a 44 Vennero designate quattro zone principali: Reykjavik nel sud ovest, Akureyri nel nord, Seydhisfjordur nell’est e Hunafloi nel nord ovest. Circa due terzi delle forze vennero impiegate nella capitale, Akureyri ricevette buona parte del rimanente e le altre zone solo piccoli distaccamenti. 41 risolvere tutti i problemi. Specificatamente, il War Cabinet britannico avrebbe voluto che i canadesi accettassero di accollarsi l’intera difesa dell’Islanda, per reimmettere la loro 147° brigata di Lammie all’interno della 49° divisione. Ma Ottawa, che aveva già inviato la propria seconda divisione in Gran Bretagna, rimase piuttosto delusa dalla richiesta: il governo voleva che le proprie truppe rimanessero in patria oppure che servissero in Inghilterra, mentre l’Islanda non faceva nemmeno parte del Commonwelth. L’opinione pubblica canadese cominciava a preoccuparsi non solo della propria costa orientale46, ma anche di quella orientale: il Giappone di lì a poco avrebbe siglato il patto tripartito con la Germania e l’Italia, e la British Columbia ospitava una forte comunità nipponica. Alla fine il governo canadese decise di inviare il Royal Regiment of Canada rafforzato da una brigata di fanteria. Il contingente, chiamato “Z Force”, giunse sull’isola il 16 giugno del 1940, agli ordini del generale Lionel Page. La “Z Force” però sarebbe stata impiegata a rinforzo, e non in sostituzione, dei soldati britannici. A questo nucleo iniziale si aggiunsero nella prima metà di luglio Les Fusiliers Mont-Royal, The Cameron Highlanders of Ottawa e l’Essex Scottish ma il governo canadese non era soddisfatto di questa soluzione e fece capire fin da subito che questi dislocamenti dovevano essere intesi come temporanei. Fu lo stesso Winston Churchill, primo ministro e presidente del War Cabinet, ad intervenire nella questione: il 16 ottobre la 70° brigata inglese giunse in Islanda per sostituire i canadesi (a parte i Cameron Highlanders, che vennero sostituiti nell’aprile del 1941 per motivi tecnici). La scelta di Churchill si basava su diverse considerazioni: le truppe canadesi erano scarsamente addestrate, e nell’economia generale di guerra il Canada forniva un contributo non 45 D. Bittner, The Lion, cit., p. 58. 42 vitale, quindi tanto valeva accettare le obbiezioni; probabilmente, dopo il “battesimo del sangue” delle proprie truppe, i canadesi sarebbero stati più fermamente al fianco degli inglesi. Churchill sapeva che non dal Canada sarebbe giunta la svolta del conflitto. Comunque le continue richieste di rinforzi sortirono effetto e Londra venne incontro ai propri ufficiali: il 27 Giugno del 1940 giunse sull’isola la 146° brigata del Generale Harry Curtis, che assunse il comando delle operazioni; al seguito unità del genio e di supporto. A questo punto il presidio militare era ormai sufficiente a svolgere il compito di “prima fase”: dall’estate del ’40 in poi non vi furono significativi cambiamenti se non, come accennato, l’arrivo della 70° brigata, lasciando invariata la situazione47. In realtà l’esercito non smise mai di considerare uno sbarco nemico come una minaccia reale, e ulteriori rinforzi, quantomeno in termini di artiglieria o di coinvolgimento maggiore della altre armi, vennero sempre avanzate. Ma il dilemma era sempre lo stesso: dare all’Islanda significava togliere ad altri scenari, e le richieste di Curtis vennero spesso ignorate. L’esercito, come abbiamo accennato, ebbe anche il compito logistico di creare quasi dal nulla tutte le infrastrutture necessarie alle manovre operative. Purtroppo l’Islanda non disponeva della possibilità di fornire molta manodopera (circa 2.500 lavoratori, ma discontinuamente), ed altri 250 vennero importati dalle Faroer. Londra quindi affidò all’esercito il grosso delle operazioni nonostante che Curtis, giustamente, ritenesse che trasformare i soldati in operai ne avrebbe minato lo spirito. Comunque non vi erano alternative, ed i lavori si concentrarono per rendere operativi il prima possibile i campi 46 Una invasione tedesca del Canada era praticamente impossibile, e gli Usa avrebbero necessariamente reagito, ma la straordinaria efficacia della Wermacht riuscì a infondere negli avversari quella che Donald Bittner chiama “the Germans-can-do-anything mentality”. 47 In pratica solo nel giugno del ’41, a poche settimane dall’arrivo degli americani, il gen. Curtis ottenne altri rinforzi per proteggere la linea Reykjavik – Akureyri. 43 aerei di Kaldadharnes (30 km a sud est della capitale) e Reykjavik; essi furono dichiarati agibili seppure ad un profilo minimo di efficienza, rispettivamente il 31 maggio ed il 31 luglio 1940. Royal Navy, Royal Air Force – Il primo anno in Islanda L’ammiragliato britannico era su posizioni diverse rispetto all’esercito; la marina non aveva intenzione di coinvolgere in Islanda molti mezzi, in quanto ne ridimensionava il valore. La diversità di vedute risiedeva nel fatto che la marina privilegiava di gran lunga la base di Scapa Flow (isole Orcadi) e le Shetland; sottrarre al nemico tanto l’Islanda quanto le Faroer creava un vantaggio chiaro nella regione, garanzia di oggettiva improbabilità di un blitz tedesco. Sicuramente raggiungere i piccoli stati “neutrali” per le armate di Hitler sarebbe stata una mossa risolutiva, ma era certo impossibile mantenere le postazioni così guadagnate senza prima sbarazzarsi della Royal Navy; in pratica l’operazione “Ikarus”, che avrebbe molto agevolato l’operazione “Leone Marino”, era quasi impossibile senza quest’ultima48. E’ curioso osservare come esercito e marina leggessero in modo opposto anche considerazioni minori: per Curtis l’inverno rappresentava un momento a rischio perché il nemico poteva sfruttare la notte artica, al contrario la marina riteneva che proprio l’instabilità del clima invernale rendeva tale scelta piuttosto remota49. Fin da subito uno staff di ufficiali della Royal Navy accompagnò il generale Lammie, in attesa che l’ammiraglio Scott instaurasse il suo quartier generale completo 48 La questione non era però così semplice: l’intelligence riteneva che un piano dettagliato d’invasione dell’Islanda fosse stato redatto, nei minimi particolari, nel quartier generale prussiano di Wolfschanze; quando le attività tedesche nelle acque islandesi raggiunsero il momento di massima intensità (prima metà del ’41), i rapporti dello spionaggio in Norvegia furono più d’una volta allarmanti. Cfr B. Groendal, From neutrality, cit. 44 l’l1 luglio del 1940. La prima opzione fu quella di non operare nel porto di Reykjavik, ma si scelse Hvalfjordur, 15 miglia a nord della capitale: un fiordo profondo, poco esposto alle correnti e ben difendibile. In questo momento la flotta stabilmente assegnata all’Islanda era composta appena da 14 battelli antisommergibile, sei dragamine e una dozzina di ricognitori sparsi in vari porti, ma la battaglia dell’atlantico non era ancora entrata nel vivo e le unità impiegate erano ancora “non combattenti”. Intanto Hvalfjordur veniva allestita: si fece largo uso delle difese passive disponibili per l’epoca come passaggi minati, reti antisommergibili etc, venne dotata di artiglieria costiera e destinata a ospitare un deposito munizioni, sistemi di approvvigionamento idrico e una stazione di carburante (realizzata con i soldi delle leggi di “affitti e prestiti” americana), oltre a varie infrastrutture di supporto. Anche l’aviazione in questo primo periodo si trovava su posizioni simili a quelle già espresse dalla marina. L’esercito avrebbe voluto che anche la RAF contribuisse alla difesa dell’isola, con missioni miranti alla sorveglianza della costa ed intercettamenti aerei ravvicinati (difesa aerea tattica); l’aviazione invece, considerando improbabili i timori dell’esercito, era più favorevole a dedicarsi a operazioni di scorta e sorveglianza a lungo raggio (difesa aerea strategica), nonché ad operazioni antisommergibile. Militarmente parlando questi due ruoli sono molto diversi fra loro: innanzitutto coinvolgono apparecchi differenti, in secondo luogo mentre la difesa tattica viene esercitata in cooperazione con l’esercito, la difesa strategica richiedeva un comando unificato con la marina. L’Air Ministry risolse la questione pragmaticamente: una buona copertura della zona avrebbe richiesto una forza aerea versatile e polivalente, ma al momento non era possibile una diversione di mezzi, soprattutto caccia, dalla madrepatria. Non appena il 49 Bittner, The Lion, cit. p. 62. 45 campo aereo di Kaldadharnes fosse stato pronto, l’Air Ministry era disposto ad inviare il 98 RAF Squadron, 18 bombardieri leggeri “Fairey Battle”, per venire incontro alle esigenze dell’esercito. I mezzi non erano in realtà adatti allo scopo, ma a partire dal settembre 1940 Curtis ebbe la sua copertura aerea50. Per quanto riguarda il centro di comando, venne deciso che l’esercito stabilisse un quartier generale ad Àrtun (al tempo poco fuori Reykjavik, oggi è un quartiere inglobato nella città) con rappresentanti della marina e dell’aviazione, che mantenevano i loro centri nella capitale, ma solo in caso di attacco tedesco il comando sarebbe stato unificato e sotto il controllo di Curtis. Abbiamo accennato però che la politica di difesa tattica del 1940 era una situazione temporanea e non una priorità, e l’Islanda sarebbe presto divenuta una base per operazioni a lungo raggio. Il cambiamento dei ruoli avvenne a partire dalla prima metà del 1941, quando cominciarono ad arrivare in Islanda nuovi mezzi destinati alla difesa strategica. Finalmente il 19 marzo il Capitano Primrose della RAF, personalità forte e spesso i contrasto con il generale Curtis, poteva prendere il comando di un quartier generale distaccato ed autonomo dall’esercito, organizzando le operazioni di squadriglie inglesi, della Royal Canadian e dell’aviazione norvegese. Il passaggio alla fase di difesa strategica e alla fase offensiva vera e propria per la distruzione delle forze tedesche nel nord atlantico dall’estate del 1941 era ormai in via di attuazione. 50 Tra l’aprile ed il dicembre del 1941 anche una squadriglia di 6 intercettori Hurricane servì in Islanda, 46 Le relazioni anglo-islandesi: Reykjavik e Londra amici per forza L’aspetto diplomatico dell’occupazione inglese venne sempre gestito con la massima attenzione: non si trattava solo di una questione di prestigio, si voleva assolutamente evitare la rottura con i locali, la loro resistenza passiva ed i ritardi che ne potevano scaturire. Il generale Harry Curtis riconobbe immediatamente questo delicato equilibrio. In una breve lettera al generale Robert Haining del 3 luglio 1940 scrisse: «Le questioni politiche sono numerose e complicate. Il governo non vuole nessuno qui, incluso la Danimarca. Sono decisi a non compromettere in alcun modo la loro neutralità (…) La popolazione può essere di grande aiuto – ma se contro di noi, la situazione diverrebbe 51 intollerabile e forse pericolosa» . Il governo islandese non aveva alcuna intenzione di rinunciare alla propria neutralità, anche se ormai ridotta ad una questione di forma, e l’ambasciatore Smith si trovò quindi ad essere il fulcro di una situazione difficile ma non impossibile. In generale la politica del governo islandese mirava ad evitare la collaborazione attiva: ad esempio, gli inglesi erano costretti a pagare i servizi telefonici con i loro distaccamenti come dei semplici privati, oppure il governo non ostacolava ne favoriva accordi tra i soldati ed i propri cittadini, sempre nell’ottica di non essere “ufficialmente coinvolto”. Come già avevano fatto i suoi predecessori, Smith doveva ammettere che gli islandesi, ostinati per natura, non capivano le ragioni profonde della guerra ed erano ancora convinti che se non fossero sbarcati gli inglesi, con tutta probabilità sarebbero rimasti fuori dal conflitto. L’ambasciatore inglese era però ottimista: una buona politica sempre nell’ottica della difesa tattica. 47 commerciale poteva superare le resistenze, ed il carattere pragmatico degli islandesi non si sarebbe fatto sfuggire alcuna occasione. Nel 1940 il Regno Unito importò automaticamente la totale produzione di aringhe e carne ovina dell’Islanda52, a prezzi fino a quattro volte superiori nel periodo prebellico; accordi simili, ma a prezzi inferiori, vennero siglati anche l’anno successivo. Le esportazioni islandesi passarono così da 2.200.000 sterline del 1938 a 7.250.000 del 1941. In realtà questa espansione abnorme ebbe i suoi lati negativi: una forte inflazione, eccesso di moneta, l’aumento dei salari senza disponibilità di beni sul mercato; in una economia tanto precaria in generale gli effetti furono positivi ed il governo poteva dichiarare la piena occupazione dei suoi cittadini. Gli inglesi non erano ovviamente dei “benefattori disinteressati” (tra l’altro avevano imposto la fine del commercio con altri stati europei, non permettevano la conversione delle riserve di sterline in dollari e non erano in grado di soddisfare la richiesta di importazioni) ma il loro intervento creò quel paradosso insperato in base al quale l’economia di guerra, da sempre sinonimo di restrizioni e razionamenti, sarà una componente fondamentale del successo islandese53. Le resistenze dei locali potrebbero sembrare presuntuose o ingiustificate, ma per chi vive nei grandi stati europei, da sempre al centro di intensi scambi a tutti i livelli e di mille rivoluzioni, è difficile calarsi nella mentalità di un popolo così diverso. Un acuto osservatore, l’ammiraglio Darymple-Hamilton, riassunse la situazione in un rapporto all’ammiragliato nel 1942: 51 Lettera archiviata presso il British War Office, documento num. 106/3042 e riportata da Bittner, The Lion, nel prologo (The British view of Iceland). 52 T. Whitehead, The ally who came in from the cold, Reykjavik, 1998, p. 13. 53 Secondo W. C. Chamberlain, in Economic Development of Iceland, Columbia University Press 1947, l’intervento inglese cadde in un momento particolarmente critico. Senza le spese sostenute dalle forze militari, e priva di margini di miglioramento difficilmente l’Islanda avrebbe potuto sostenere il debito estero e pagare le importazioni nel quinquenni 40-44, periodo in cui invece essa passò dalla condizione di debitore quasi insolvente a sostanziale creditore. 48 «All’osservatore sembra che gli islandesi stiano rapidamente cadendo in confusione riguardo una situazione che sfugge al loro controllo. Per mille anni hanno vissuto una vita dura in pieno isolamento. I loro bisogni erano ridotti, ma occupavano tutto il loro tempo. Agricoltura e pesca erano le loro industrie, e la loro cultura basata sulla musica e sulla pittura, insieme ad una ammirazione particolare per la loro storia passata. Sono un popolo ostinato, dalle ferme convinzioni, infastidite dalle interferenze altrui; sono dei veri isolani. (…) Fino alla guerra erano un popolo semplice che viveva per conto loro. Ora tutto e’ cambiato: grazie all’occupazione, che ha fornito un impiego a tutti ed un buon salario, e mercati ultraricettivi per i prodotti ittici islandesi, i soldi non mancano. Ogni tipo di genere di lusso, dalle auto di prima classe ai vestiti alla moda, prima quasi sconosciuti in Islanda, vengono oggi importati. C’è una forte migrazione interna dalla campagna a Reykjavik, la manodopera nelle fattorie scarseggia e c’è una tendenza 54 generale ad una vita più comoda ed ad un apprezzamento dei lussi.» Sotto la guida di Howard Smith comunque l’ambasciata inglese a Reykjavik creò da subito un clima il più possibile di collaborazione, coinvolgendo gli islandesi stessi nella risoluzione dei problemi: venne creata una rete di “commissioni congiunte” fra i due paesi per evitare che spiacevoli incidenti potessero degenerare in proteste formali. Si istituì ad esempio un comitato per la liquidazione rapida dei danni causati dalla truppa, un comitato per gli incidenti e la manutenzione stradale55, nonché un comitato per la demolizione e ricostruzione in altra sede delle case vicino l’aeroporto di Reykjavik. Queste commissioni, che avevano di solito un uguale numero di rappresentanti (se non a maggioranza islandese) ed un budget adeguato56, furono l’ulteriore prova che anziché reagire sdegnosamente e chiudersi come feriti nell’orgoglio, gli islandesi collaborarono con gli occupanti. Mentre Smith tesseva la sua strategia diplomatica, anche i militari, in virtù di una disciplina esemplare riuscirono a convivere con la popolazione. La promessa di non 54 Rapporto all’Ammiragliato britannico, documento num. 199/671, da Bittner, The Lion, cit. p. 12. Fra tutti, questo fu probabilmente il comitato che si radunò più volte in quanto i trasporti militari misero a dura prova le infrastrutture viarie del paese. 56 Le richieste di rimborso che superavano una certa soglia passavano ad un ufficio preposto a Londra, ma ciò accadde raramente. 55 49 interferire sulla vita dei locali non poteva essere presa alla lettera, e la popolazione dovette sopportare qualche inconveniente minore: le radio delle imbarcazioni vennero sigillate57, vennero istituite aree off-limit, divieti di pesca nelle zone adiacenti attracchi militari e poco altro. La presenza di 28.000 soldati in un paese che all’epoca ne contava 120.000 non poteva non causare qualche attrito, eppure di incidenti gravi quasi non se ne registrano58. Insulti verbali o risse fra i giovani non destarono eccessive preoccupazioni: approssimativamente all’epoca vi erano circa 30.000 ragazze, mentre con la presenza dei soldati il numero di giovani maschi era raddoppiato; il generale Curtis prestò sempre molta attenzione a questo aspetto, imponendo ai propri uomini un codice comportamentale rigoroso59. Accanto a questi episodi meno piacevoli però vi erano anche momenti di apertura ed amicizia: il “Royal Regiment of Canada” eseguiva settimanalmente concerti radiofonici che si concludevano tutti con l’esecuzione dell’inno nazionale islandese, oppure vennero organizzati rinfreschi natalizi per i bimbi con tanto di Babbo Natale e regali, o parate militari dei pittoreschi reggimenti scozzesi. La 146° brigata, di istanza ad Akureiry, fece in dono alla locale cattedrale un prezioso candelabro in ottone, ancora oggi orgogliosamente esposto. Un aspetto che invece turbò gli animi fu la deportazione di alcuni islandesi in Inghilterra perché coinvolti in “azioni sovversive”. Nel settembre del 1940 due giovani a Reykjavik ed Akureyri vennero trovati in possesso di apparecchi radio con cui comunicavano regolarmente con la Germania. I due giovani non contravvenivano ad 57 Se i sigilli fossero stati rotti, l’equipaggio ne avrebbe dovuto rispondere; le radio potevano essere usate solo per questioni di emergenza o di servizio giustificato. 58 Nel rapporto annuale del 1940 Smith registra solo due casi, l’aggressione del segretario dell’ammiraglio ad un ballo e l’arresto di un gruppo d’islandesi che rifornivano clandestinamente alcune truppe di alcolici. 50 alcuna legge islandese e le autorità temporeggiarono; ma il rischio di una invasione tedesca era ancora alto e Curtis non perse tempo in considerazioni giuridiche: i due giovani vennero presi in custodia e spediti in Inghilterra. Ovviamente sulla stampa le reazioni furono vivaci: il quotidiano conservatore Morgunblaðid nell’editoriale del 4 Settembre 1940 scrisse: “gli inglesi hanno interferito nella nostra vita e nelle nostre vicende in modo del tutto contrario alle assicurazioni presentate al governo nel giorno del loro arrivo”. Anche il Timinn (il giornale dei progressisti, al governo) all’inizio fu molto critico, ma dalle sue pagine fu lo stesso ministro degli esteri Stefàn Stefànsson a sedare gli animi: il comportamento di quei giovani che sognavano anche per l’Islanda la barbarie della dittatura era deplorevole e vergognoso (6 Settembre). Il giornale socialdemocratico Alþydublaðid, nell’editoriale del 5 settembre, fu invece molto attento a non farsi trascinare dall’indignazione. L’analisi del giornale era semplice ma coerente: ogni atto mirante a facilitare una invasione del paese era contrario agli interessi della nazione, di conseguenza ogni atto contro gli inglesi era in pratica un atto contro l’Islanda stessa. Se il governo fosse intervenuto tempestivamente, o avesse dato prova di rigidità e fermezza, non avrebbe costretto i militari ad agire e nessun “caso diplomatico” sarebbe mai emerso. Un discorso a parte va invece fatto per il quotidiano comunista Þjoðviljinn. A differenza delle altre testate, fu sempre motivo di grande irritazione per gli inglesi in quanto fermo sulle posizioni ultranazionaliste ed anticapitaliste già espresse nel periodo prebellico. Dalle sue pagine si levavano costantemente attacchi ideologici ma anche basse insinuazioni. Da un articolo del 17 Settembre: «Anche se molti di loro sono persone accettabili, sappiamo bene che presso di essi vi è la spazzatura della miserabile civiltà degli stati capitalistici, ovvero uomini che una educazione 59 Impose alla truppa di rispettare i “Dieci comandamenti del soldato in Islanda” in cui includeva, tra l’altro, quello di trattare le donne islandesi come sorelle o come mogli. 51 perversa ed una società malata hanno reso come bestie. Questi sono gli uomini che seducono le nostre donne, fin anche i nostri bambini, che infettano con malattie veneree». Ma il Þjoðviljinn non si limitò solo a pubblicare articoli. In occasione di uno sciopero di lavoratori per l’incremento dei salari distribuì volantini in cui si chiedeva ai militari di non “rubare il lavoro ai lavoratori islandesi” (gennaio 1941). Smith, sempre conciliante, non poteva questa volta tollerare una sorta di appello all’ammutinamento, ed il generale Curtis era pronto ad agire; tuttavia i due decisero di mettere alla prova il parlamento, lasciando ad esso l’iniziativa. Dal processo che seguì scaturirono delle condanne, seppur lievi, anche per gli editori del giornale; uno dei quali però era Einar Òlgeirson, già deputato comunista, il che complicava molto la faccenda: essendo soggetto all’immunità per il periodo in carica, avrebbe scontato i tre mesi di custodia solo a fine legislatura. Verrebbe da chiedersi se Smith, da astuto diplomatico, non decise di “mettere alla prova” l’Alþing proprio perché consapevole dei problemi legali che potevano scaturire. Einar60, niente affatto intimorito e libero per tutta la durata della legislatura, decise di ripetere la provocazione: il 7 aprile lanciò una campagna per uno sciopero nel cantiere dell’aerostazione di Reykjavik, ancora una volta invitando i militari inglesi ad aderirvi. Il generale Curtis, alle prese con le ristrettezze dei tempi, non tollerò un tale comportamento: il 27 aprile 1941 il giornale venne chiuso e i suoi editori, tra cui anche Einar, trasferiti in Inghilterra. Smith tentò di spiegare che quanto era stato fatto andava incontro alle esigenze di sicurezza non solo dei britannici, ma di tutta la nazione, ma ovviamente il caso politico era scoppiato: al di là del fatto che il Þjòðviljinn era un 60 Circa il 90% dei cognomi islandesi sono patronimici, derivando dal nome del padre (in rari casi da quello della madre) più il suffisso –son per i maschi e –dottir per le femmine; per questo motivo gli islandesi sono soliti usare il nome e non il cognome quale nominativo principale. 52 giornale che tirava appena 1500 copie, un membro del parlamento era stato deportato, ed una protesta formale fu inevitabile. Ancora una volta la stampa si divise: il giornale conservatore Morgunblaðid, che forse mai avrebbe pensato di dover spendere un articolo in favore dei comunisti, scrisse chiaramente che la libertà dell’Islanda non esisteva più. Anche il Visir parlava della protesta del governo come del più serio incidente diplomatico fra i due paesi. L’Alþydublaðid fu ancora una volta più equilibrato: se da un lato gli inglesi avevano agito in modo odioso, dall’altro andava riconosciuta sia la responsabilità del governo, passivo e poco attento come sempre, sia del Þjoðviljinn stesso che incitava all’ammutinamento e interferiva su progetti militari. Dopo circa tre mesi Einar fu lasciato libero di tornare in patria, ma il generale Curtis non diede mai la licenza di riaprire il giornale; nel frattempo però qualcosa era cambiato. Un nuovo quotidiano comunista era stato fondato, il Nyatt Dagblad, ma con l’attacco nazista all’Unione Sovietica ora gli inglesi non erano più gli insopportabili aggressori, anzi erano salutati come alleati: si biasimavano casomai per il ritardo nell’aprire il “secondo fronte”, con buona pace degli slogan ideologi di qualche tempo prima. Un passo fondamentale nelle relazioni anglo-islandesi venne compiuto dallo stesso Winston Churchill il 16 agosto 1941. Di ritorno dall’incontro con il presidente americano Roosevelt in Canada, nel quale firmarono una dichiarazione d’intenti ricordata come la “Carta Atlantica”, il premier inglese decise di fare tappa a Reykjavik. Churchill venne ricevuto con tutti gli onori dalle autorità islandesi e dalla popolazione, passò in rassegna le proprie truppe e tenne toccanti discorsi nel palazzo del parlamento (Alþinghus). Egli ribadì la stima e la riconoscenza verso gli islandesi, rinnovò la garanzia che i suoi soldati avrebbero causato i minori disagi possibili e, cosa più 53 importante, affermò che a guerra finita “noi e gli americani ci assicureremo che l’Islanda riceva assoluta libertà”. Gli islandesi lessero queste parole come la promessa che i soldati si sarebbero ritirati e che l’Inghilterra avrebbe appoggiato la dichiarazione d’indipendenza del paese. La visita di Churchill fu un vero successo diplomatico, una sorta di bomba spirituale: la sua autorità ed il suo prestigio erano indiscutibili, e finalmente anche il mondo politico si sentì “preso sul serio”, non più trattato da colonia semisconosciuta ma interlocutore vero. La stampa non mancò di sottolineare questo evento, con i toni accesi del più vivo coinvolgimento. Il Timinn parlò di “un giorno memorabile per la storia d’Islanda (…), il più influente personaggio dell’impero britannico ha ripetuto che Inghilterra e Stati Uniti, quando la guerra sarà finalmente finita, garantiranno la piena indipendenza del nostro paese”. Anche il Morgunblaðid fu altrettanto entusiasta: “E’ vero che l’Islanda è un paese occupato, ma dobbiamo ricordare il motivo dell’occupazione: la lotta per la libertà dei piccoli stati”. Gli Stati Uniti mandano i loro primi Marines In Islanda gli inglesi stavano investendo uomini e mezzi in grande quantità, ma via via che i mesi passavano l’esito del conflitto sembrava sempre più incerto; la “rotta di Dunkerque”, la capitolazione della Francia, l’entrata in guerra dell’Italia, i successi militari in nord Africa e nei Balcani ponevano Londra in una situazione inquietante. Nel 1940 gli Usa erano ancora formalmente fuori dal conflitto, ma la loro politica andava modificandosi; ancora nel biennio ’35-’37 era stato varato un “pacchetto 54 legislativo di neutralità” che proibiva d’intrattenere rapporti commerciali con qualsiasi potenza belligerante. L’invasione della Polonia suscitò ampi dibattiti nelle aule del parlamento e sui giornali, e lo stesso presidente Roosevelt intervenne energicamente per l’abrogazione del “pacchetto di neutralità”, anzi giunse a strappare al congresso la cosiddetta legge “Cash and Carry”, per mettere ampie risorse americane a disposizione delle democrazie in guerra. Nell’estate del 1940 il popolo americano era chiamato a eleggere un presidente che l’avrebbe guidato nei difficili anni a venire e il partito democratico, abbandonando la tradizione contraria alla terza rielezione, confermò Roosevelt quale proprio candidato ed ottenne la fiducia della popolazione. Poco dopo l’occupazione tedesca della Danimarca, il presidente affermò che la colonia groenlandese apparteneva all’emisfero occidentale e che quindi ricadeva sotto la cosiddetta “dottrina Monroe”, in base alla quale gli Stati Uniti non avrebbero permesso una ingerenza lesiva della propria sicurezza da parte degli europei in quella parte del pianeta61. Nessun riferimento diretto veniva ancora fatto per quanto riguarda l’Islanda, ma è chiaro che da un punto di vista strategico la regione andava considerata nella sua interezza. Il problema della partecipazione al conflitto da parte degli Stati Uniti è stato ampiamente dibattuto, e sappiamo che da un punto di vista formale essi “entrarono in guerra” solo a seguito dell’attacco giapponese di Pearl Harbour. Tuttavia la politica di Roosevelt prima di quel tragico evento fu segnata da decisioni che quantomeno vanno classificate come “antineutrali”62: la legge di “affitti e prestiti”63 diede alla Gran Bretagna, ormai sola contro Hitler, la possibilità di ricevere rifornimenti continui; 61 Riportato da Björn Bjarnason Iceland’s Security Policy: Vulnerability and Responsability, in Deterrence and Defense in the North, 1985. 62 Riprendo qui la definizione data da A. Nevins e H. Steele Commager in Storia degli Stati Uniti, Einauidi, Torino 1960. 55 l’estensione di questa legge anche all’Unione Sovietica; sequestro di navi e congelamento di fondi dell’Asse; fornitura di 50 cacciatorpediniere alla Royal Navy in cambio dell’affitto di basi navali a Terranova e Guyana Britannica. Anche il Nord Atlantico fu teatro di questa “antineutralità” prebellica. Il governo inglese abbiamo visto che aveva delle difficoltà a mantenere a lungo le sue posizioni, e l’espediente canadese si era dimostrato tutt’altro che risolutivo. Winston Churchill avrebbe voluto coinvolgere gli americani nella difesa dell’Islanda, e la questione sembrava di primaria importanza: «L’unica cosa che importa è che gli americani giungano in Islanda, quanto prima ed in modo più massiccio possibile. Se noi dobbiamo rimanere o andar via, in tutto od in parte, è una questione secondaria; io penso comunque che sia preferibile che, per un certo tempo, entrambi 64 rimaniamo in Islanda» . Fu lo stesso presidente americano, in una cena di lavoro il giorno 28 maggio 1941, a comunicare a Lord Halifax, ambasciatore di sua maestà re Giorgio VI a Washington, la possibilità di studiare un piano di intervento americano in Islanda. Gli Stati Uniti tenevano pronta la prima brigata dei marines all’invasione delle Azzorre, qualora la Germania avesse occupato il Portogallo. Proprio questa forza avrebbe potuto essere reindirizzata nel giro di pochi giorni. La decisione del presidente Roosevelt maturava in un momento opportuno: i vertici militari dei due paesi, incontratisi ad inizio anno, avevano già tracciato le linee guida dell’operazione65; il 25 marzo Berlino aveva dichiarato zona di guerra anche le acque islandesi nel tentativo di irrigidire il blocco 63 Questa legge stabiliva che gli USA potessero prestare o affittare qualunque materiale, militare o di altro genere, a qualsiasi nazione la cui difesa avesse importanza vitale per il paese. 64 Nota di W. Churchill per il generale Ismay, 4 luglio 1941. Per gentile interessamento dell’Istituto Winston Churchill, Washington (via internet, www.Winstonchurchill.org) 65 B. Groendal, cit. p. 30. In un incontro segreto tenutosi a Washington, i generali britannici ed americani studiarono un primitivo assetto di guerra se e quando gli Usa fossero entrati nel conflitto. Tale piano di massima, noto come ABC-1, prevedeva il passaggio dell’Islanda agli americani. 56 navale alla Gran Bretagna; l’occupazione inglese procedeva bene, senza problemi con i locali, ed ormai le infrastrutture create potevano permettere un ingresso rapido e sicuro nel paese; colloqui informali con la diplomazia islandese condotti nel dicembre del 1940 sembravano incoraggianti66; solo tre settimane più tardi Hitler si sarebbe rivolto ad Est contro l’Unione Sovietica67 Nei contatti che seguirono, gli Stati Uniti fecero apertamente capire che non avevano intenzione di “invadere”, come avevano fatto gli inglesi, ma pretendevano un invito formale del governo islandese. Londra avrebbe voluto che Roosevelt imitasse la politica del “prima invadiamo e poi trattiamo”, ma il presidente fu irremovibile: non vi era solo un problema di opinione pubblica, ma anche il desiderio di non fornire all’Asse alcun argomento per la propria propaganda. Il 24 giugno 1941 al console Smith venne richiesto di esercitare tutta la sua abilità diplomatica per ottenere dagli islandesi questo invito, ma la strada sembrava in salita: paradossalmente i rapporti con i soldati britannici erano tanto buoni che l’Islanda riteneva un rischio cambiare occupante; inoltre, dopo che gli inglesi avevano così spesso ripetuto l’importanza strategica del paese, sembrava improbabile che se ne andassero se l’accordo con gli Usa non si fosse concluso. Le trattative si svolsero segretamente tra il console ed il primo ministro Jònasson ed i suoi consiglieri; Londra considerava vitale il buon esito dell’operazione e Smith riuscì ancora una volta a trovare il bandolo della matassa: gli islandesi redassero un memoriale in quindici punti da far sottoscrivere agli Usa. Esso prevedeva il ritiro immediato dopo la guerra, nessuna interferenza negli affari interni, riconoscimento della sovranità 66 D. Nuechtelein, Iceland reluctant ally, Connecticut 1960, p. 26. Il fatto che i servizi segreti britannici sapessero dell’attacco all’Unione Sovietica è ipotesi accettata da molti storici (Werth, Storia dell’Unione Sovietica; Gaeta Villani Petraccone, Storia Contemporanea). Questa informazione poteva essere di ulteriore conforto al presidente americano sull’opportunità del momento. 67 57 islandese, negoziati commerciali favorevoli ed altro ancora68. Ai britannici invece imponevano il rinnovo degli accordi commerciali, il ritorno di tutti i deportati e, ancora una volta, il riconoscimento della sovranità islandese. L’esplicita disponibilità ad avallare il perfezionamento dell’indipendenza islandese fu, come l’insistenza lascia intuire, un passaggio fondamentale: molti esponenti di spicco del parlamento avevano investito gran parte del loro prestigio politico nell’accelerare il dissolvimento dell’Unione69; gli inesperti parlamentari islandesi cominciavano ad accostare alla “strategia della pagnotta” anche le arti della politica. Per il primo luglio 1941 l’accordo era stato trovato fra i rappresentanti dei due paesi, ma, a norma di legge, doveva necessariamente essere ratificato dal parlamento. In realtà i primi marines sbarcarono a Reykjavik il 7 luglio, mentre l’Alþing tenne una sessione speciale per discutere la questione solo tra il 10 e l’11 dello stesso mese. Gisli Sveinsson, portavoce dell’ala destra dei conservatori si diceva molto scettico dell’analisi secondo cui la situazione internazionale era tanto grave da costringere l’Islanda a rivolgersi alle grandi potenze. Anche il progressista Palmi Hannesson aveva molte riserve ad abbandonare la politica di neutralità. I parlamentari comunisti invece sollevarono un altro tipo di obbiezioni: se veramente l’Islanda era così in pericolo da dover chiedere l’aiuto internazionale, anche l’Unione Sovietica, insieme a Regno Unito e Stati Uniti doveva far parte di questa “forza multinazionale ante litteram”. I fautori del piano del 1 luglio basarono le loro risposte su questi argomenti: la sicurezza del paese sarebbe stata assicurata dalla maggiore potenza navale del pianeta; era garantito al settore commerciale ampio sviluppo; sia Usa che Inghilterra si erano 68 Per il testo completo cfr. United States foreign policy, 1931-1941, US Department of State, Washington 1943, p. 151. 69 E. Loftsson, The Disguished Threat, in Scandinavian Journal of History, Vol. 10, num. 3, 1985. 58 dette favorevoli ad appoggiare la causa dell’indipendenza nazionale; la neutralità islandese non veniva infranta in quanto gli Usa non erano uno stato in guerra70. Le votazioni si chiusero con 39 voti favorevoli, 6 astenuti e 3 contrari. Il voto negativo venne espresso dai comunisti, la cui petizione per l’Urss era stata ampiamente battuta. La stampa accettò la linea espressa dalla maggioranza del parlamento71, concordando sul fatto che nonostante nessuno fosse entusiasta della situazione, quantomeno i negoziati venivano incontro alle condizioni intrattabili poste dal paese. Lo stesso premier Jònasson, dal giornale di partito, difese strenuamente la linea di governo, che, in ogni momento della trattativa aveva agito a protezione degli interessi nazionali. Il governo islandese acconsentì quindi a passare agli Stati Uniti il ruolo di difensori dell’isola, in virtù di un vero e proprio negoziato e non di un atto unilaterale. Tecnicamente però questo accordo fu un’opera di equilibrismo politico: l’Islanda sarebbe stata sotto occupazione di due stati, l’uno neutrale, l’altro in guerra contro un quarto stato con cui tanto gli Usa quanto l’Islanda erano formalmente in pace. Comunque ciò non significò l’entrata in guerra degli Usa in quanto il loro ruolo era, seppur ambiguamente, difensivo. L’esercito degli Stati Uniti avrebbe preso possesso delle basi, mantenendole operative, mentre la marina e l’aviazione britannica, in collaborazione con i commilitoni statunitensi avrebbero continuato a stazionarvi per le operazioni militari. Le trattative fra le parti si svolsero in maniera soddisfacente per tutti: gli inglesi erano riusciti a svincolare le loro truppe di terra senza perdere incisività nella regione ma, cosa più importante, avevano avvicinato gli Stati Uniti ad un conflitto dal quale 70 71 Per i dibattiti parlamentari, cfr. Alþingistiðindi, 1941. Il Þjoðviljinn era stato già chiuso. 59 erano ancora fuori. Non a caso Winston Churchill ebbe a commentare l’evento come “…una delle cose più importanti capitate fin dallo scoppio del conflitto”72. Gli islandesi, che non potevano opporsi alla militarizzazione dell’isola, avevano comunque costretto gli americani ad accettare una lunga serie di condizioni, prime fra tutte il riconoscere e garantire la loro sovranità ed a impegnarsi a spingere altri stati a fare altrettanto73; Ancora una volta il loro carattere pragmatico gli aveva permesso di trarre il massimo profitto dalla situazione, avendo a disposizione per le loro esportazioni sia i mercati inglesi (sempre più stressati) sia quelli nordamericani. Gli statunitensi dal canto loro, ben sette mesi prima dell’attacco di Pearl Harbour, entravano in Islanda su esplicito invito del governo (evitando qualunque problema d’immagine) e si ritagliavano una zona di sicurezza fondamentale, avendo già assunto le difese della Groenlandia il mese precedente. I tedeschi invece erano furiosi ma impotenti: in un telegramma al governo giapponese, il ministro degli esteri Ribbentrop commentò l’interferenza americana in una zona considerata teatro di operazioni militari (a causa del blocco navale all’Inghilterra) come un atto di guerra74, ma Hitler non si spinse oltre la constatazione dell’ennesima “provocazione americana”; Churchill non attendeva altro che qualche incidente tra la marina americana e la flotta tedesca non agevolasse il processo di entrata in guerra degli Usa, di cui era riuscito a chiudere un altro importante tassello. Mentre le potenze alleate incassavano questo successo, anche sul fronte interno ci fu un cambiamento costituzionale che poteva in qualche modo facilitare il dialogo. Il 72 Björn Bjarnason, Iceland’s Security Policy: Vulnerability and Responsability, in Deterrence and Defense in the North, Norwegian University Press, Oslo 1985, p.134. 73 Cfr. E. Lofsson, The Disguished Threat, cit.. A seguito dell’occupazione danese del ’40 l’Alþing varò una dichiarazione in cui affermava che il monarca danese non era nelle condizioni oggettive di esercitare le funzioni stabilite dall’Atto d’Unione, e che quindi queste venivano assunte da un reggente eletto dal parlamento. Per questo incarico venne eletto Sveinn Bjornrsson, già ambasciatore a Copenaghen, che diverrà il primo presidente della repubblica islandese. 74 W. Shirer, The rise and fall of the Third Reich, Londra 1960, p. 881. 60 leader progressista Hermann Jònasson stava coprendo la carica di primo ministro già dal 1934, ma i suoi tradizionali oppositori, i conservatori del “Partito dell’Indipendenza” decisero di tentare una manovra politica insieme ai socialdemocratici (già al governo con i progressisti) per aumentare il numero di seggi in parlamento e modificare i collegi elettorali, incrementando il peso relativo delle città. Il partito progressista aveva infatti la sua base elettorale nelle campagne, che in virtù di un complicato computo, erano rappresentate in modo più che tradizionale nell’Alþing75. Seguirono due tornate elettorali76 ed alla fine i conservatori riuscirono ad ottenere la leadership politica scalzando i progressisti che divennero il secondo partito (con una perdita di seggi del 25% dal luglio all’ottobre del ’42, quando le nuove leggi elettorali entrarono in vigore). Anche il Partito di Unità Socialista (SUP77 – comunisti) però giovò grandemente della manovra passando dai 3 seggi del ‘37, ai 6 del luglio ’42, ad un sorprendente risultato nell’ottobre: 10 seggi e 18.5% dei voti. Anche se la base elettorale del SUP era costituita da socialisti e sindacalisti, i vecchi vertici del partito erano di fede schiettamente comunista78, e ciò contribuì a rendere il dibattito politico più acceso che nel resto della Scandinavia, dove invece erano più forti i socialdemocratici. I comunisti furono anche abili a sfruttare una insanabile divergenza fra i leaders degli altri partiti: Òlafur Thors, leader carismatico del partito conservatore, non fu in grado di trovare accordi con Hermann Jònsson, leader del PP. I due partiti, detenendo rispettivamente il 38% ed il 27% delle preferenze, dal 1942 non furono in grado di formare coalizioni di governo, e il SUP si trovò spesso a giocare il ruolo di ago della bilancia79. 75 Per uno studio del sistema politico islandese cfr. anche D. Nuechterlein, Iceland Reluctant Ally, cit. La legge islandese prevede che modifiche alla costituzione passino al vaglio di una prima votazione, il parlamento viene sciolto e la modifica deve passare anche di fronte al nuovo parlamento; in caso di parere positivo si passa ad una nuova tornata elettorale a regole modificate. 77 Mi si consenta di usare la sigla inglese (SUP, da Socialist Unity Party) in luogo di quella, cacofonica, italiana. 78 T. Whitehead, The Ally, cit. p.15 79 Per il quadro delle elezioni vedi Allegato A (risultati elettorali ’34 -’42). 76 61 Al di la delle divergenze comunque, la politica dei concitati anni di guerra per gli islandesi non rappresentò una grande difficoltà rispetto a quanto ebbe a seguire; innanzitutto perché l’unione sovietica era alleata di inglesi ed americani, e questo non imponeva “barriere ideologiche” insormontabili e disinnescava la polemica con il SUP, ormai il terza forza politica del paese; inoltre essendo la presenza militare straniera indiscutibile almeno per tutta la durata del conflitto, la politica islandese si limitava a massimizzare i benefici economici della situazione. L’avvicendamento delle truppe Tra l’esercito degli Stati Uniti e gli inglesi vi furono diverse incomprensioni su come portare avanti l’avvicendamento delle truppe (i cosiddetti piani “Indigo”80 prima ed “Operation Galloper” poi), ed il processo fu graduale. I primi Marines americani sbarcarono a Reykjavik il 7 luglio del 1941; il giorno seguente il generale Curtis pronunciò un solenne discorso di benvenuto: «For strategic reasons England wishes to concentrate her forces. Iceland is therefore inviting the USA to protect the island during the war (…) Today we are deeply honoured by the arrival of a token reinforcement of the famous US marines to cooperate mutually with us in safeguarding Icelandic democracy (…) This is a historic moment on the road to victory in the antinazi campaign when once again the troops of the United States of America and Britain stand shoulder to shoulder in common cause»81. 80 Il piano “Indigo” originario prevedeva l’arrivo in Islanda di 28.000 uomini in breve termine, ma venne presto scartato. Seguì il piano “Indigo – 1” che fornì uno squadrone di P-40 per il controllo aereo e truppe di supporto. Il piano “Indigo – 2”, proposto per l’autunno coinvolgeva 10.000 uomini, ma anch’esso fu scartato per il piano “Indigo – 3”, da attuarsi a Settembre, che dimezzava le truppe ivi destinate. 81 Discorso trascritto dai registri conservati presso l’Imperial War Museum, Londra. 62 Essi vennero prima rilevati da truppe dell’esercito americano al comando del generale Bonesteel e poi cominciò l’avvicendamento vero e proprio; per i due anni successivi man mano che nuove truppe americane arrivavano, soldati britannici partivano e solo nell’estate del 1943 l’ultimo personale inglese sull’isola venne rimpatriato. Sul campo invece, la cooperazione fra Curtis e Bonesteel fu eccellente: gli americani non erano tecnicamente sotto comando inglese, ma tutte le operazioni vennero svolte in pieno accordo. Il 22 aprile del 1942 il generale Curtis, prima di partire anch’egli, affidò il comando delle proprie truppe rimanenti a Bonesteel che, per ordine del presidente Roosevelt, insignì il generale inglese della “Distinguished Service Medal” per meriti eccezionali resi al governo degli Stati Uniti. La perdite militari sul suolo islandese Nonostante i profondi dibattiti strategici che impegnavano i quartier generali dei belligeranti, “Iceland was perhaps one of the safest countries in the world during the WWII82”, il che indubbiamente favorì il clima di generale collaborazione cui si faceva ora riferimento. Tra il 1940 ed il 1946 l’esercito inglese conta solo una perdita dovuta ad un singolo raid di un aereo tedesco in ricognizione nel febbraio del 1941. Non per questo la vita doveva essere piacevole per la truppa, anche perché le interazioni fra militari e civili dovevano essere tenute al minimo per non turbare gli islandesi. Problemi seri si ebbero a causa della difficoltà di adattamento alle condizioni ambientali83: tre 82 Magg. Harpur, Jacobson, Cannon, Wood, Evans, Princes Louise’s Kensington Regiment, Viney Ltd, 1951. 83 Bitter, The British Occupation of Iceland 1940-47, 1974. 63 soldati si uccisero tra il 1940 ed il 42, ed altrettanti vennero rimandati a casa in precario stato mentale. Addirittura un Cameron Highlander, durante una crisi di nervi, tentò di nuotare fino a casa (ripescato dai commilitoni, si salvò). Decine di morti furono poi causate dall’alcool, da incidenti stradali e da condizioni atmosferiche. Anche incidenti da arma da fuoco per imperizia danneggiarono il contingente. Il 29 giugno del 1940 due soldati del Royal Regiment rimasero feriti mentre pulivano il loro fucile. Ciò causò un commento seccato del Generale di Brigata Page: «Due uomini, uno della compagnia A ed uno della compagnia C sono in ospedale per ferita d’arma da fuoco, subita mentre pulivano il loro fucile. In entrambi i casi si tratta di reclute che in condizioni normali non avrebbero avuto munizioni. Questo è il risultato di una condizione 84 anomala, come da ordini superiori, che prevede la distribuzione di munizioni a tutta la truppa» La seconda parte del conflitto L’intervento americano diede la possibilità di spiegare tutto il potenziale strategico dell’Islanda nella battaglia del Nord Atlantico. Anche se in un primo momento gli Usa erano formalmente neutrali, gli incidenti fra marina statunitense e tedesca si intensificarono a tal punto di poter parlare di “guerra non dichiarata”: il 21 maggio 1941 la nave americana Robin Moore venne affondata da un sottomarino tedesco. Il 4 settembre 1941 un U-Boot attaccò due cacciatorpediniere americane al largo dell’Islanda, prima di essere individuato e contrattaccato dalla USS Greer. Ancora il 17 ed il 31 ottobre i tedeschi affondarono la USS Kearney e la USS Reuben James. A seguito di questi incidenti, il presidente Roosevelt diede l’ordine di sparare a vista sui sottomarini tedeschi. Tutto come Churchill aveva previsto. 84 Canada, War Diaries, HD, Z Force, vol 1, 29 giugno 1941. 64 L’Atlantico settentrionale divenne uno dei teatri maggiormente importanti a partire dal 22 giugno 1941, giorno in cui scattò l’Operazione Barbarossa con le quali le truppe di Hitler rompevano l’accordo Molotov-Ribbentropp ed attaccavano l’Unione Sovietica. La Germania questa volta non fu in grado di ripetere i fulminei successi già ottenuti in Europa, e cominciò una guerra di logoramento. L’Inghilterra non era più sola a combattere contro Hitler, ed un avvicinamento tra Stalin e Churchill fu più che naturale85. Sebbene il dittatore sovietico chiese con insistenza più e più volte ai neo alleati angloamericani di aprire un fronte in Europa Occidentale per alleggerire la pressione tedesca lungo i propri territori, per molto tempo questi non poterono fare altro che assistere in rifornimenti l’Unione Sovietica. Avendo l’Islanda come centro di raccolta, gli alleati operarono secondo il sistema dei convogli protetti, coinvolgendo cioè le risorse aeree e navali in grande quantità; in questo modo riuscirono a mantenere aperto il flusso di rinforzi tra gli Usa e la Gran Bretagna, e tra questi e l’alleata URSS. I convogli vennero identificati dalla sigla PQ più un numero progressivo nel tragitto tra Islanda ed il porto sovietico di Archangel (penisola di Kola), e QP nel tragitto di ritorno. Le 17 navi dei primi due convogli, denominati “Dervish” e PQ1 salparono da Hvalfjordur il 21 agosto e 29 settembre 1941, ed arrivarono nel porto di Archangel senza incidenti il 31 agosto e 11 ottobre seguenti86. I convogli artici Nonostante questo primo successo le rotte atlantiche erano tutt’altro che sicure: nel periodo 1941-42 i sottomarini tedeschi affondavano nell’Atlantico più navi di quante gli 85 86 Il Soviet British Mutual Assistance Pact venne siglato già il 12 luglio 1941. Llewelyn Evans, Great WWII battles in the Artic, Greenwood Press, Londra, 1999, p.52. 65 inglesi erano in grado di costruire87. Gli U-Boot tedeschi sembravano essere dei branchi di lupi a caccia di facili prede, e dalle loro basi in Norvegia potevano agire con relativa semplicità. Gli U-Boot non erano comunque l’unica forza navale su cui i tedeschi potevano contare: agli inizi del 1942, per massimizzare i benefici delle postazioni ottenute, i tedeschi cominciarono ad allestire una importante flotta per i porti norvegesi. Particolarmente temute dall’Ammiragliato Britannico erano una mezza dozzina di unità pesanti fra cui la “corazzata tascabile” Lutzow, la formidabile Scharnhorst che montava cannoni da 11,1” e circa 2.000 uomini di equipaggio, e la nave gemella della Birmark, ovvero la Tirpiz, una fortezza da 35.000 tonnellate armata con cannoni da 16”. Il 1942 fu decisamente l’anno peggiore per gli alleati88: in quell’anno vennero affondati gli incrociatori Edinburgh e Trinidad, più cinque cacciatorpediniere, quattro dragamine, un sottomarino ed un vascello armato. Anche le perdite mercantili furono ingentissime, con circa ottanta battelli affondati appartenenti ad una dozzina di convogli diversi. Particolarmente tragico fu l’episodio del PQ 17. Salpato da Reykjavik il 27 giugno del 1942, il convoglio venne ben presto avvistato dagli U-boot tedeschi che cominciarono un micidiale attacco. Nella speranza di limitare le perdite l’Ammiragliato britannico diede ordine di disperdere il convoglio, e si consumò un massacro. Ben 22 navi alleate, su un totale di 35, tra il 5 ed il 10 luglio vennero affondate. Questa fu indubbiamente la più grande vittoria riportata dalla Germania, che costò agli alleati 430 carri armati, 210 aerei, 3.350 fra jeeps ed altri mezzi ed altre 100.000 tonnellate in materiali di vario genere. 87 Cfr. Maldwyn Jones, Storia degli Stati Uniti, Bompiani, Milano 1999, p.462. Per uno studio completo sulle perdite da entrambe le parti vedi anche Ruegg – Hague, Convoy to Russia 1941-45, World Ship Society, UK, 1992. 88 66 Anche gli islandesi vennero loro malgrado coinvolti dalla precarietà delle acque che abitualmente solcavano: negli anni di guerra 32 pescherecci vennero attaccati, di cui 18 affondati, e 138 marinai uccisi. I battelli islandesi inoltre trassero in salvo 1.655 naufraghi di diverse nazionalità89. Gli alleati cercarono di costringere sempre più la marina tedesca ad operare nelle acque costiere di Francia, Norvegia e Germania stessa, mentre la RAF bombardava sempre più massicciamente le basi navali si Saint-Nazaire, Brest, Brema ed altri porti. Il convoglio PQ17 avvistato dalla Luftwaffe il primo luglio 1947 I tedeschi nel Nord Atlantico mancavano di postazioni sicure lungo tutto l’arco che va dal continente americano fino alla Gran Bretagna, quindi non potevano avvalersi della forza aerea per le operazioni di pattugliamento. La strategia di blocco navale aveva dato i suoi frutti tentando di spezzare le linee di passaggio degli alleati, ma potendosi affidare solo sui loro U-Boot i tedeschi erano in una posizione che alla lunga mostrò i suoi limiti: i loro nemici potevano infatti avvalersi di un sistema integrato (aviazione, 89 Cfr in allegato B il “tributo di sangue” islandese. 67 marina, sorveglianza radar e sorveglianza sonar90, nonché difesa di queste postazioni grazie alle truppe di terra) all’interno di una fitta rete di basi in tutta la regione. A poco a poco gli alleati riuscirono ad avere il sopravvento in questa disperata lotta tra navi di superficie e navi sottomarine: il successo del 1942 non venne ripetuto ed anzi cominciò una inesorabile inversione di tendenza, non solo in questo ma anche in altri scenari, che avrebbe aperto la strada ad una massiccia offensiva sul continente europeo. U-Boot affondati nel Nord Atlantico da attacchi aerei, 1939-1945 D. Brown, C. Shores, K. Macksey, The history of the air warfare, Inghilterra, 1976 90 La tecnologia sonar venne impiegata anche per i cosiddetti sistemi SOSUS, ovvero lunghi cavi 68 La partenza delle truppe di Sua Maestà Britannica Come abbiamo visto, se l’esercito inglese si ritirò ufficialmente durante l’aprile del ’42, Royal Navy e Royal Air Force continuarono ad operare per tutto il corso del conflitto. Anche se gli islandesi preferirono non intervenire direttamente nei piani di guerra fra inglesi ed americani, la questione del ritiro a fine conflitto fu sempre la loro grande preoccupazione: in più d’una occasione il governo islandese chiese chiarificazioni alle due potenze sulla situazione delle forze armate e Londra fu sempre disposta a rinnovare le promesse date al suo arrivo. Il governo inglese non aveva intenzione di incorporare l’Islanda nell’impero britannico, ed i piani per mantenere postazioni permanenti nel paese vennero discussi ma subito scartati. I piani per il ritiro della marina e dell’aviazione furono piuttosto complessi. Il campo aereo di Reykjavik, principale, ed i secondari a Kaldadharnes, Sandgerdi, Melgerdi, Oddi e Hofn, e la base navale di Hvalfjordur avevano accumulato un gran numero di materiali e mezzi di tutti i generi, che andavano in qualche modo smaltiti. Il console Smith frattanto era prematuramente scomparso91 (24 luglio del 1942), ma ancora una volta l’ambasciata britannica, guidata ora da Edward Shepherd, lavorò in sintonia con gli islandesi: parte del materiale mobile venne riportato in patria, altro venne venduto a prezzi forfettari o regalato ai locali ed altro ancora venne distrutto o gettato in mare; tra il 1944 ed il 1945 la marina chiuse tutti suoi centri di osservazione e le postazioni radar. Il 6 Agosto 1945 il vessillo di guerra della Royal Navy venne sottomarini dotati di idrofoni in collegamento con stazioni di intercettazione. Il console perse la vita durante una battuta di pesca; una delle figure cruciali del periodo di guerra veniva meno, ed anche gli islandesi vollero tributargli la loro stima: “Mister Smith ha sempre mostrato nei confronti dell’Islanda la più profonda amicizia. Era persona stimata da tutti coloro che lo conoscevano, e la sua morte sarà da tutti compianta”. Morgunbladið (quotidiano), 24 luglio 1942. 91 69 ammainato, e l’ammiraglio in capo Watson fece ritorno in patria. Gli ultimi marinai salparono il mese successivo. Anche per l’aviazione il discorso fu simile, ma il personale ultimo venne rimpatriato solo nel marzo del 1947. In virtù di accordi con il governo infatti, gli inglesi si impegnarono ad addestrare personale islandese per impiegare tutte quelle strutture inesistenti prima della guerra. Cerimonie ufficiali celebrarono il passaggio dell’aeroporto di Reykjavik il 20 luglio del 1946, ed in un solenne discorso alla nazione il primo ministro Òlafur Thors ricordò l’onorevole comportamento della Gran Bretagna che: «…Ha mantenuto le promesse date ad una piccola nazione nel momento in cui le fondamenta della terra erano scosse e il destino della civiltà si dibatteva nell’incertezza. La promessa del governo britannico è stata mantenuta non appena le circostanze lo hanno permesso (…) Il console Sir Edward Shepherd voglia ricevere il ringraziamento del popolo islandese per la condotta dei britannici nei confronti della nostra nazione, dall’inizio del conflitto fino a 92 questo stesso giorno» . 92 Morgunbladið, 21 luglio 1941. 70 Allegato B-1: Il Contributo Islandese durante la guerra Anno 1940 - 10 Gennaio: Il peschereccio Hafstein salva 62 uomini del battello tedesco “Bahia Blanca”, seriamente danneggiato dai ghiacci fra la Groenlandia e l’Islanda durante la rotta Brasile Germania. Vennero tratti a Reykjavik; la maggior parte di essi si trovava ancora in Islanda quando il 10 Maggio sbarcarono i soldati britannici, che li arrestarono. - 2 Marzo: Il peschereccio Skutull è attaccato da un aereo tedesco. Nessuna vittima, ma fu il primo contatto della seconda guerra mondiale coinvolgente gli islandesi. - 16 Giugno: Il peschereccio Skallagrimur salva 353 uomini d’equipaggio del mercantile armato britannico Andia, affondato 85 miglia a largo della costa orientale. - 12 Luglio: Il battello inglese Volanta viene affondato da un aereo tedesco. Colpito da due bombe, affonda rapidamente, ma una piccola imbarcazione islandese riesce a recuperare i naufraghi, tranne il capitano. - 3 Agosto: Lo Skutull riesce a recuperare 27 naufraghi della fregata svedese Atos, affondata da un U-Boot a largo della Scozia - 14 Agosto: Il peschereccio Helgafell recupera 8 marinai della nave svedese Nils Gorton, affondata da un U-Boot tedesco al largo dell’Irlanda. Entra nel porto di Reykjavik 5 giorni dopo. - 1 Settembre: Il peschereccio Egill Skallagrimsson e l’Hilmir salva 40 naufraghi del Ville de Hasselt, battente bandiera belga. I due pescherecci continuano il tragitto verso Fleetwood, dove sbarcano i naufraghi. - 15 Settembre: Il battello norvegese Hird viene seriamente danneggiato 180 miglia a largo della Scozia. Il Thorolful, islandese, riesce a trarre in salvo i marinai prima che la nave affondi. Lo stesso giorno, ore 01:30 am, nel mare d’Irlanda i battelli Arjnbior Hensir e Snorri Godi salvano circa 500 uomini della nave trasposti Arca, bombardata da un aereo tedesco. Sul posto giunge un incrociatore inglese che ultima le fasi di recupero e riporta in patria i propri uomini. - 20 Settembre: Il Belgaum salva 44 marinai della baleniera New Sevilla; altri 200 marinai vengono salvati da altre imbarcazioni. La baleniera era stata attaccata da un U-Boot al largo della costa nord-occidentale d’Irlanda. - 21 Ottobre: il Thormodur salva 13 inglesi della fregata Pacific Ranger, affondata da un sottomarino tedesco 170 miglia ad ovest dell’Irlanda - 30 ottobre: Il peschereccio Bragi viene inavvertitamente speronato dalla nave inglese “Duke of York” al largo delle coste inglesi. 10 dei 13 componenti d’equipaggio perdono la vita. - 10 Dicembre: Due battelli britannici vengono distrutti da mine al largo della costa orientale d’Islanda. I 30 uomini d’equipaggio vengono tutti tratti in salvo. - 12 Dicembre: La nave islandese Sulan salva 37 marinai della nave belga Macdonnerie, colpiti da un siluro al largo delle isole Ebridi. - 14 Dicembre: Il battello Erna recupera 3 dei 20 uomini d’equipaggio della nave svedese Veronika, affondata da un aereo. 71 - 22 Dicembre: L’Arjnbior Hersir è attaccato da un aereo tedesco. Il capitano da ordine di abbandonare la nave, che viene presto affondata. L’equipaggio, trattosi in salvo con le scialuppe di salvataggio e senza aver subito vittime, viene recuperato da una nave inglese e portato in Irlanda. Anno 1941: - 5 Marzo: Lo stesso giorno il peschereccio Baldur recupera la scialuppa di salvataggio della nave olandese Simaloer e della nave inglese Homelea a nord della Scozia. - 10 Marzo: Il peschereccio Reykjaborg affondato da un U-Boot tedesco. - 11 Marzo: Il Frodhi è anch’esso attaccato da un sottomarino. - 12 Marzo: Il Petursey affonda, colpito da siluri di U-Boot. - 1 Aprile: L’Himlir salva 10 marinai della nave cisterna norvegese Betuin, affondata da un sottomarino tedesco al largo delle coste inglesi. - 3 Aprile: Un U-Boot tedesco affonda la fregata inglese Beaverdale, 300 miglia sud dell’Islanda. Il Gulltoppur individua una delle scialuppe di salvataggio, con 39 dei 75 membri d’equipaggio, 4 giorni più tardi. - 8 Aprile: Diverse imbarcazioni del porto di Hellissandur partecipano al recupero di 16 marinai norvegesi, la cui nave, il Lincon Elswarth, era stata affondata 150 miglia ad ovest dell’Islanda. - 5 Maggio: Il Sigurfari salva 17 uomini della Norvegese Paranger, colpiti ed affondati da un sottomarino tedesco tre giorni prima. Solo il capitano muore nello scontro. - 22 Maggio: Il peschereccio Bruarfoss salva 34 naufraghi inglesi, la cui nave era stata attaccata da un U-Boot circa 600 miglia ad ovest dell’Islanda (nei pressi delle coste groenlandesi). - 30 Maggio: L’Holmesteinn viene colpito ed affondato, i 4 uomini d’equipaggio dispersi. Fra i relitti vengono recuperati reperti militari: presumibilmente la piccola imbarcazione si è trovata in mezzo al fuoco incrociato di navi da guerra. - 29 Giugno: Il battello islandese Hekla, durante la traversata verso Halifax (Canada), viene silurato. Solo 7 dei 21 marinai d’equipaggio vengono salvati dalla nave scorta inglese Candytuft, dopo dieci giorni d’attesa sulle scialuppe. Uno dei superstiti morirà subito dopo. - 17 Agosto: La nave danese Sessa viene attaccata da un sottomarino tedesco ed affondata. Solo 3 marinai, dei 27 presenti, scampano all’affondamento, ma dopo 19 giorni naufragio solo uno viene trovato vivo. - 18 Agosto: Il peschereccio Faroese Solaris urta una mina ad ovest dell’Islanda. La nave affonda, cinque uomini d’equipaggio muoiono, mentre 3 tratti in salvo dall’Hogfrungur dopo tre giorni, in cui si erano alimentati solo di una piccola foca. - 12 Settembre: Una motonave islandese recupera al largo delle isole Vestamann (Islanda meridionale), le scialuppe della nave norvegese Einvik, affondata 8 giorni prima 450 miglia a sud ovest della costa. Un’altra scialuppa approda sull’isola. Complessivamente i 23 marinai vengono tutti salvati. - 16 Ottobre: Il battello Surprise viene guidato da un aereo inglese al recupero di 29 naufraghi. Dopo essere stati alla deriva per due settimane, dei 30 iniziali solo 1 marinaio era morto. - 2 Dicembre: Il peschereccio Svidi viene affondato da un attacco tedesco. Nessuna vittima. 72 Anno 1942: - 13 Febbraio: la piccola imbarcazione Graedi viene inavvertitamente speronata da un incrociatore americano vicino Reykjavik. Un marinaio morirà nell’incidente. - 26 aprile: Il Surprise viene individuato da un aereo tedesco 160 miglia a largo delle isole Vestmann. Riesce a tornare in porto con danni minori e senza vittime. - 19 Agosto: La Skaftfellingur, in rotta verso l’Inghilterra con 7 uomini d’equipaggio, recupera 52 marinai di un U-Boot affondato da un aereo tedesco. Poco dopo due incrociatori inglesi raggiungono la Skaftfellingur e prendono i tedeschi. - 24 Agosto: Un aereo tedesco modello Wulf FW 200 attacca il battello Vordur appena 20 miglia la largo della costa meridionale. Un uomo d’equipaggio viene raggiunto ed ucciso dai colpi di mitragliatrice. - 10 Settembre: Cinque piccole imbarcazioni vengono attaccate da un bombardiere tedesco appena qualche miglio al largo della costa orientale. Nessun marinaio perde la vita. - 29 Settembre: Un bombardiere tedesco attacca l’imbarcazione Egill al largo della costa orientale. L’equipaggio, dotato dalle forze inglesi di un mitragliatore, risponde al fuoco; l’aereo rinuncia all’attacco. - 8 Ottobre: ancora verso la costa orientale, due motonavi islandesi sono attaccate da aerei tedeschi, che mancano il bersaglio e se ne vanno senza causare danni. - 18 Ottobre: La nave Elgborg è attaccata al largo della costa nordorientale da un FW 200 tedesco. La nave riesce a scampare all’attacco riportando solo danni minori. - 23 Ottobre: Due giorni dopo aver lasciato l’Inghilterra, il battello Jon Olafur scompare per ragioni mai chiarite, tutti i 13 uomini dispersi. - 31 Ottobre: Il peschereccio Vigli affonda con i tre uomini d’equipaggio. Si ritiene per aver urtato una mina. - 4 Novembre: Il peschereccio Vordur recupera 4 aviatori inglesi che avevano tentato un ammaraggio al largo dell’isola di Mann. - 5 Novembre: Il Bruarfoss salva 44 naufraghi della nave inglese Dhaley, affondata da un U-Boot. Anno 1943: - 17 Maggio: Il peschereccio Gardar viene speronato dalla fregata inglese Miguel de Larrigana, al largo della scozia. Nell’incidente 3 marinai dei 13 d’equipaggio perdono la vita. - 16 Giugno: Il battello Sudin viene attaccato da un FW 200 a nord dell’Islanda. Due marinai vengono uccisi e tre feriti, ma la nave, seriamente danneggiata, riesce a tornare in porto. - 26 Novembre: La nave Himlir affonda con tutti gli 11 membri dell’equipaggio a Faxafloi (costa ovest). Essendo le condizioni atmosferiche buone, si ritiene che sia stato per cause militari. Anno 1944 - 10 Gennaio: Il peschereccio islandese Max Pemperton sparisce con tutto il suo equipaggio (29 uomini); l’impatto con una mina è la ragione più probabile. 73 - 10 Febbraio: La nave cisterna inglese El Grillo è attaccata da tre bombardieri tedeschi, a Seydisfjordur (Islanda Orientale). Irrimediabilmente danneggiata, la nave viene distrutta dagli inglesi stessi. Il relitto è ancora nella baia del paese. - 14 Marzo: Il peschereccio Sindri recupera 4 aviatori americani ammarati per problemi tecnici. - 6 Aprile: Otto aviatori americani, ammarati sotto costa occidentale, sono tratti in salvo da piccoli battelli islandesi. - 24 Ottobre: L’incrociatore canadese Skeena si infrange sugli scogli a Videi (l’isola antistante Reykjavik) a notte fonda. A causa di un ordine sbagliato, alcuni marinai abbandonarono la nave: 15 di essi moriranno in mare. I restanti 198 uomini invece verranno tratti in salvo solo alle 7:00 del mattino. Il Capitano Einar Sigurdsson, di un team di soccorso, verrà poi insignito del titolo di “Member of the British Empire” per il valore dimostrato. - 9 Novembre: La nave Godafoss viene affondata dall’U-300 tedesco. La godafoss poco prima aveva recuperato i naufraghi di una nave cisterna inglese al largo della penisola di Reykjavik, per essere poi attaccata dal sottomarino tedesco; 24 persone persero la vita. Anno 1945: - 21 Febbraio: La nave Dettifoss, parte di un piccolo convoglio diretto in Islanda, viene affondata alle 08:30 del mattino al largo di Belfast. Quindici persone persero la vita. Tabella Riassuntiva: Navi Attaccate di cui Affondate Naufraghi Recuperati Vittime Islandesi Operazioni: Anno 1940: 5 4 1.124 10 15 Anno 1941: 7 6 202 48 16 Anno 1942: 14 3 100 24 12 Anno 1943: 3 2 == 16 3 Anno 1944: 2 2 229 38 6 Anno 1945: 1 1 == 15 1 Totale: 32 18 1.655 138 53 74 Allegato B-2: Lista delle perdite di navi mercantili alleate del 1942 Data Nave bandiera causa convoglio 02/01 07/03 28/03 28/03 29/03 30/03 30/03 03/04 03/04 11/04 13/04 13/04 13/04 14/04 16/04 01/05 02/05 02/05 03/05 26/05 27/05 27/05 27/05 27/05 27/05 27/05 03/06 21/06 04/07 04/07 04/07 05/07 05/07 05/07 05/07 05/07 05/07 05/07 05/07 05/07 05/07 05/07 05/07 05/07 05/07 05/07 05/07 05/07 05/07 06/07 06/07 07/07 07/07 Wazirista Ijora Empire Ranger Raceland Bateau Effingham Induna Empire Starlight New Westminster Empire Cowper El Occidente Harpalion Kiev Lancaster Castle Empire Howard Tsiolkovsky Capecorso Jutland Botavon Syros Alamar City of Joliet Empire Lawrence Empire Purcle Lowther Castle Mormaksul Steel Worker Alcoa Cadet Christopher Newport Navarino William Hooper Bolton Castle Carlton Daniel Morgan Earlson Empire Byron Fairfield City Honomu Paulus Potter Pat Kraft Peter Kerr River Afton Washington Zaafaran Rodina Exterminator Massmar Heffron Hybert Pan Atlantic John Witherspoon Hartlebury Aldersdale UK URSS UK Panama Panama USA UK UK UK UK Panama UK URSS UK UK URSS UK UK UK USA USA USA UK UK UK USA USA USA USA UK USA UK USA USA UK UK USA USA Olanda USA USA UK USA UK URSS Panama USA USA USA USA USA UK UK U-134 Nave Aereo Aereo Nave U- 435 U- 376 Aereo Aereo Aereo U- 435 Aereo U- 435 Aereo U- 403 Nave Aereo Aereo Aereo U- 703 Aereo Aereo Aereo Aereo Aereo Aereo Mina Aereo Aereo Aereo Aereo Aereo U- 88 U- 88 U- 334 U- 703 Aereo U- 456 Aereo Aereo Aereo U- 703 Aereo Aereo Mina Mina Mina Mina Mina Aereo U- 255 U- 355 U- 457 PQ 7A P8 PQ 13 PQ 13 PQ 13 PQ 13 PQ 13 75 QP 10 QP 10 QP 10 QP 10 PQ 14 QP 11 PQ 15 PQ 15 PQ 15 PQ 16 PQ 16 PQ 16 PQ 16 PQ 16 PQ 16 PQ 16 PQ 17 PQ 17 PQ 17 PQ 17 PQ 17 PQ 17 PQ 17 PQ 17 PQ 17 PQ 17 PQ 17 PQ 17 PQ 17 PQ 17 PQ 17 PQ 17 QP 13 QP 13 QP 13 QP 13 QP 13 PQ 17 PQ 17 PQ 17 PQ 17 07/07 08/07 10/07 10/07 13/09 13/09 13/09 13/09 13/09 13/09 13/09 13/09 13/09 13/09 14/09 14/09 18/09 20/09 22/09 22/09 22/09 02/11 04/11 04/11 06/11 07/11 16/11 23/11 23/11 Alcoa Ranger Olopaca El Capitan Hoosier Empire beaumont John Penn Sukhona Africander Machbet Empire Stevenson Oregonian Wacosta Stalingrad Oliver Ellsworth Atheltemplar Mary Luckenbach Kentucky Silver Sword Bellingham Ocean Voice Gray Ranger Empire Gilbert Willim Clarke Dekabrist Empire Sky Donbass Chulmleigh Goolistan Kuznetz Lesov USA USA Panama USA Uk USA URSS Panama Panama UK USA USA URSS USA UK USA USA USA USA UK UK UK USA URSS UK URSS UK UK URSS 76 U- 255 U- 255 U- 251 U- 376 Aereo Aereo Aereo Aereo Aereo Aereo Aereo Aereo U- 589 U- 405 U- 457 Aereo Aereo U- 255 U- 435 U- 435 U- 435 U- 586 U- 354 Aereo U- 625 Nave U- 625 U- 625 U- 601 PQ 17 PQ 17 PQ 17 PQ 17 PQ 18 PQ 18 PQ 18 PQ 18 PQ 18 PQ 18 PQ 18 PQ 18 PQ 18 PQ 18 PQ 18 PQ 18 PQ 18 QP 14 QP 14 QP 14 QP 14 QP 15 QP 15 Capitolo IV Nasce la Repubblica d’Islanda Secondo l’Atto d’Unione, firmato nel 1918, dopo un periodo di 25 anni sia la Danimarca che l’Islanda avrebbero potuto chiederne l’abrogazione e la definitiva separazione fra i due stati. A seguito dell’invasione tedesca della Danimarca, il parlamento islandese aveva già risposto con la sospensione del trattato, in quanto il re Cristiano X non era nelle possibilità di esercitare le funzioni stabilite; al suo posto venne scelto un “reggente”, nella persona di Sveinn Bjornson. Il 17 maggio del 1941 l’Alþing aveva già stabilito che non avrebbe rinnovato il trattato in scadenza; tuttavia affermare che l’Islanda approfittò di una condizione di debolezza della Danimarca per una sorta di stoccata a tradimento è una tesi giustamente respinta dalla storiografia islandese; il processo d’indipendenza, che non fu frutto di un incidente violento ma di un lento percorso politico, era giunto a maturazione: già l’Atto d’Unione poneva l’Islanda in una situazione di piena autonomia e nessuno dubitava che al suo scadere i due stati si sarebbero separati; il termine di revisione dell’Atto cadeva proprio nell’anno 1944 ed era prevista dalle clausole la rescissione unilaterale; inoltre gli islandesi avevano avuto l’accortezza di ottenere il nullaosta dagli alleati, richiesto sempre con insistenza. La Repubblica d’Islanda (Lýðveldið Ìsland) venne solennemente proclamata nella mattina del 17 giugno 1944, nella piana di Thingvellir, il tradizionale ritrovo dei clan islandesi nel periodo vichingo; a traghettare il paese verso questo fondamentale giro di boa era stato il governo di Björn Thordarson, a capo di un gabinetto “nonpartisan” (un cosiddetto “governo tecnico”), alla guida del paese tra 1942 ed il 1944. Il reggente 77 Björnson (1944-1952) ne divenne il primo presidente93. L’ambasciatore inglese ed americano erano entrambi presenti alla cerimonia, ed anche il re Cristiano X volle inviare un telegramma di auguri al nuovo stato94. La prima apparizione internazionale del nuovo presidente avvenne il 26 agosto del 1944, quando Björnson venne ricevuto dal presidente Roosevelt. La questione della presenza degli americani in Islanda era un punto ancora da chiarire e, durante una conferenza stampa, il presidente islandese disse piuttosto schiettamente: «Siamo una nazione di persone individualiste, e non abbiamo stabilito una repubblica per essere meno indipendenti (…). Noi abbiamo intenzione di tenerci il nostro stato, tutto il nostro 95 stato, senza alcuna interferenza da parte degli stati esteri» . Meno di un anno più tardi la giovane repubblica si confrontò con il primo impegno importante. Durante la famosa Conferenza di Yalta (febbraio 1945) i leaders delle potenze alleate discussero alcuni assetti di massima dell’immediato futuro. Un passaggio fondamentale riguardava la costituzione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite: Stalin riteneva che solo gli stati in guerra contro l’Asse avessero maturato il diritto di divenire membri fondatori dell’ONU, mentre gli anglo-americani erano favorevoli a riconoscere il contributo indiretto di molti stati che non avevano dichiarato formalmente guerra, e di concedere loro quantomeno lo status di “nazione associata”. Alla fine Churchill, Roosevelt e Stalin trovarono l’accordo: tutti gli stati che avessero 93 Il 17 giugno, anniversario della nascita dell’eroe nazionale Jòn Sigurdsson, fu la data di entrata in vigore della costituzione. Il parlamento aveva già stabilito la separazione dalla Danimarca in due votazioni (febbraio e marzo ’44), ed in maggio si indisse il referendum popolare: il 95% degli islandesi si pronunciarono a favore dell’indipendenza. Cfr. J.R. Hjàlmarsson, A short history of Iceland, Reykjavik 1989. 94 B. Grondal, Iceland from neutrality…, cit. p. 35 95 New York Times, 25 agosto 1944. 78 dichiarato guerra alla Germania (praticamente già sconfitta) entro il primo di marzo sarebbero stati invitati all’assemblea costituente dell’ONU96. La giovane repubblica islandese venne quindi esortata a prendere una decisione ed il parlamento si chiuse in una sessione speciale: anche se era ovvio che la dichiarazione di guerra sarebbe stato un atto puramente formale che non avrebbe modificato in alcun modo la situazione, i tre partiti democratici decisero di rifiutare la proposta. L’Islanda era un paese disarmato da sempre, e l’assenza di qualunque forma di violenza, sia pubblica che privata, era una delle caratteristiche più tradizionali del paese. L'Islanda aveva aiutato indiscutibilmente cooperato con gli alleati fino a porre in discussione una neutralità sancita per legge, ma il passo che si richiedeva andava al di là dell’accettabile. Solo i deputati comunisti votarono a favore della richiesta di Yalta, e la proposta fu bocciata: l’Islanda non sarebbe divenuta uno dei membri fondatori dell’ONU. La fine della guerra ed il primo governo Òlafur Thors (1944-46)97 Quando la Seconda Guerra Mondiale giunse finalmente al termine, molti islandesi speravano che il paese potesse tornare alla situazione preesistente, e che gli stranieri onorassero le loro promesse di lasciare il paese. La politica di stretta neutralità, che durante la guerra era stata disattesa, a detta di molti sarebbe stata finalmente ristabilita e tutti i segnali secondo cui le potenze vincitrici si sarebbero impegnate a creare un nuovo ordine mondiale erano seguiti con acceso interesse. Dopo l’esperienza del governo nonpartisan, in carica fino all’autunno del 1944, il leader dei conservatori Òlafur Thors riuscì a costituire un nuovo gabinetto includendo i 96 M. Jones, Storia degli Stati Uniti, cit. p. 467. In realtà Òlafur aveva già guidato un governo nel ’42; durato solo due mesi, e per di più di minoranza, non fu una esperienza politica particolarmente rilevante. 97 79 socialdemocratici ed i comunisti; i soli progressisti, nemici di sempre, all’opposizione. Òlafur, oltre che la carica di premier, assunse il ruolo di ministro degli esteri, mentre ai comunisti assegnò il dicastero della pubblica istruzione e del lavoro; in questo modo il “governo di innovazione” aveva a disposizione 37 seggi su 52. Il partito comunista islandese diveniva una forza di governo vera e propria, in più alleata con un partito che viene usualmente definito di centro-destra; questa bizzarra coalizione trovava la sua ragion d’essere nel fatto che il Partito Indipendente non attuò una politica liberale e di mercato in senso stretto, ma preferì orientarsi su una campagna di investimenti pubblici finanziata dalle grandi ricchezze accumulate durante la guerra, e per un forte intervento dello stato in economia; definita dagli economisti “one sided” per il profondo squilibrio esistente fra il settore ittico e gli altri settori, venne sottoposta a meccanismi di controllo ed una accentuata centralizzazione anche per limitare il processo inflattivo causato dall’eccesso di moneta. il Partito Indipendente, promuovendo una politica di destra sociale attuò una politica di “destra sociale” più che di “destra liberale”, riuscì a trovare quell’intesa con i comunisti che in seguito non si sarebbe più rinnovata. Questo governo avrebbe dovuto affrontare la questione del rapporto con le forze americane, ma il quadro non era così semplice come il neopresidente Bjornson aveva presentato. Nel 1944 il Joint Chiefs of Staff degli Stati Uniti riteneva altamente auspicabile il mantenimento di almeno tre postazioni militari in Islanda: l’aeroporto di Keflavik (costruito proprio dagli americani durante la guerra), una installazione per idrovolanti nei pressi dell’aeroporto di Reykjavik e la base navale di Hvalfjordur98. Inoltre, con la spartizione della Germania, gli Stati Uniti avevano nel territorio tedesco le cosiddette 98 T. Whitehead, the Ally, cit. p. 18. 80 “Control Agencies” per gestire l’occupazione e seguire il nuovo assetto del paese; la possibilità di effettuare scali in Islanda era quindi una necessità non solo militare. Il primo ottobre del 1945 gli americani ruppero gli indugi e inviarono al primo ministro una nota confidenziale in cui chiedevano se l’Islanda fosse disposta a negoziare l’affitto di installazioni militari, eventualmente da sottoporre alla giurisdizione delle Nazioni Unite, se e quando l’Islanda avesse optato per parteciparvi. Alcuni “contatti informali” tra Òlafur e l’ambasciata britannica spinsero il premier a verificare la possibilità di una piattaforma di negoziato riguardante il breve periodo99, ma la richiesta americana prevedeva una locazione di lungo termine (99 anni). Nonostante la segretezza del contatto, dopo pochi giorni cominciarono a circolare voci insistenti sulla stampa. I giornali vicini ai partiti democratici di governo, il Morgunblaðid per i conservatori e l’Alþydublaðid per i socialdemocratici, in un primo tempo tentarono di assecondare la linea di riservatezza, mentre il Þjòðviljinn (quotidiano comunista) si buttò a capofitto nella questione. In un articolo del 10 ottobre riportò delle “voci” secondo cui il governo degli Stati Uniti aveva offerto una enorme somma di denaro per prendere in affitto le basi già impiegate durante la guerra; anche se non vi era alcuna prova della fondatezza di queste voci, l’Islanda, a detta del quotidiano, correva il pericolo di cadere vittima di quegli “ignobili islandesi” che, accecati dalla sete di denaro, erano disposti a svendere il loro stesso paese. Anche il Timinn, dei progressisti all’opposizione fu molto duro con il governo: il loro premier Hermann Jònasson aveva trattato in passato anche le questioni delicate alla luce del sole, Òlafur invece rifiutava di esprimersi con chiarezza di fronte alla nazione. 99 T. Whitehead, The Ally, cit. p. 21. 81 Il dibattito era ormai innescato ed anche esponenti importanti dei conservatori cominciarono a chiedere che il governo non facesse marcia indietro sulla questione del ritiro. Il ministro delle finanze Gunnar Þorodsen, in una intervista al Morgunblaðid del 2 dicembre, affermava che la presenza di basi militari americane in Islanda in tempo di pace avrebbe sicuramente compromesso l’indipendenza del paese. Nel discorso di fine anno, il leader socialdemocratico Stefànsson invece sembrava essere più conciliante: in linea con una spiccata vocazione internazionalista del suo partito, affermava che la posizione geografica dell’Islanda non era più garanzia di difesa, che l’importanza strategica del paese era sempre alta e che la comunità internazionale richiedeva all’Islanda di far fronte al problema della propria sicurezza come contributo alla pace mondiale100. Alla luce di questa sorta di “giro d’opinioni” piuttosto informale ma significativo, il primo ministro Òlafur Thors richiese agli Stati Uniti di attendere qualche tempo: la questione era resa ancor più spinosa dall’approssimarsi delle elezioni politiche, programmate per l’estate del 1946. Fornire ai comunisti o all’opposizione la possibilità di presentarsi in campagna elettorale come i “campioni dell’indipendenza” poteva essere un errore politico. Nel frattempo l’esercito degli Stati Uniti avrebbe continuato a ritirare le truppe in eccesso101, per definire la questione in un secondo momento. Con la dichiarazione d’indipendenza vi era effettivamente stata una ventata di nazionalismo nel paese, ma ovviamente non tutti si limitavano a considerare la posizione degli Usa come “abusiva”. 100 D. Nuecheterlein, Iceland Reluctant Ally, cit., p. 43. Il contingente americano aveva raggiunto il picco massimo di 44.000 unità durante la guerra, mentre nel 1946 rimanevano circa un migliaio di soldati. I tempi tecnici dell’evacuazione dovevano comunque essere considerati visto che gli inglesi, che non tentarono di ottenere diritti permanenti, completarono il ritiro nel marzo ’47. 101 82 Una delle voci più autorevoli che si mossero a favore di un accordo esplicito con gli americani fu il parlamentare Jònas Jònsson (in passato membro dei progressisti, ora indipendente). In un opuscolo del 1946, “Island og Borgundarholmur” (L’Islanda e l’isola di Bormhöl), egli affermò che l’Islanda non poteva vivere in pace e tranquillità senza la piena collaborazione con le potenze anglosassoni. Propose quindi un accordo della durata di 25 anni: agli Usa sarebbero stati concessi diritti militari sull’aeroporto di Keflavik, mentre l’Islanda avrebbe esportato i propri prodotti compensando a somma zero i dazi doganali con l’affitto delle basi. Per preservare la cultura e la società islandese poi, la base sarebbe stata isolata in modo da limitare al minimo i contatti fra civili e militari. Con l’approssimarsi delle elezioni la pressione dei partiti e dell’opinione pubblica sulla questione andò aumentando e il tentativo di rimandare un dibattito vero fallì; soprattutto i progressisti vedevano nell’incertezza del governo la possibilità di tornare a guidare una coalizione. Molti eventi poi riproponevano il tema con insistenza: gli inglesi aumentavano indirettamente le pressioni sugli americani con il ritiro delle loro truppe (1945-47); i sovietici invece si stavano ritirando da Bornhölm, piccola isola nel Mar Baltico appartenente alla Danimarca. Nei dibattiti parlamentari di aprile il leader dell’opposizione richiese ufficialmente che Òlafur Thors spiegasse come si erano svolti gli eventi di ottobre. Il primo ministro rese quindi noto che dopo la richiesta statunitense, egli aveva comunicato a Washington che l’Islanda era pronta a negoziare l’ingresso nell’ONU, ma che non intendeva affrontare il problema delle basi militari sul proprio territorio102. Per quanto riguardava le ultime truppe in Islanda, ormai solo un migliaio di uomini, la linea del premier era chiara: i soldati americani rimasti erano necessari per gestire gli impianti radar e 102 Alþyngistiðindi, 26 aprile 1946. 83 l’aeroporto di Keflavik; il semplice smantellamento dell’aerostazione non era pensabile, dal momento che si auspicava la sua riconversione all’aviazione civile, ma l’Islanda non aveva a disposizione personale tecnico specializzato. Quindi la linea attendista aveva una sua logica. Grazie a questa abile difesa Òlafur era riuscito a togliere la questione della base come uno dei maggiori scontri della campagna elettorale; la richiesta degli Usa era stata di fatto bocciata, senza però prendere provvedimenti definitivi (alcuni ministri comunisti ad esempio avrebbero voluto una dichiarazione netta di richiesta di ritiro degli americani). Il Keflavik Agreement ed il secondo mandato Thors (1946-47). Le elezioni generali del 30 giugno 1946 vennero combattute soprattutto sui problemi di politica interna, e non portarono grandi cambiamenti: i conservatori mantenevano i 20 seggi già conquistati alle elezioni precedenti, i comunisti erano fermi a 10 seggi mentre i socialdemocratici guadagnavano due rappresentanti (da 7 a 9), tolti ai progressisti che scendevano a 13 parlamentari. Òlafur era riuscito a passare indenne il momento critico della richiesta americana senza atti irreparabili, aveva respinto gli attacchi dell’opposizione e tolto ai comunisti la possibilità di far leva sui facili nazionalismi. L’esito elettorale mantenne il gabinetto di governo intatto senza rimpasti di rilievo, e la prima prova parlamentare di importanza rilevante venne discussa la stessa estate, ovvero l’adesione dell’Islanda alle Nazioni Unite. La questione era spinosa perché se da un lato l’ONU poteva fornire garanzia di sicurezza accordata a tutti i membri, dall’altro gli americani stessi, nella richiesta di ottobre, avevano avanzato l’ipotesi che Keflavik 84 fosse sottoposta alla giurisdizione delle Nazioni Unite: l’Islanda, in qualità di stato membro, poteva essere invitata ad ospitare truppe straniere per mantenere la sicurezza collettiva. L’opposizione chiese che la richiesta di partecipazione del paese fosse accompagnata da una nota ufficiale che sancisse dichiaratamente che l’Islanda non avrebbe ospitato truppe militari sul proprio territorio, ma questa strada sembrava poco praticabile; il governo quindi riferì in parlamento che una nota diplomatica venne spedita alle ambasciate di Reykjavik degli Stati Uniti, Gran Bretagna, Unione Sovietica, Francia e stati scandinavi: «L’Islanda è pronta ad assumere tutte le obbligazioni che la carta costitutiva impone ai membri. Una delle clausole più importanti concernenti le responsabilità dei membri è contenuta nell’articolo 43. Questo articolo riserva allo stato membro il diritto di negoziare con il consiglio di sicurezza tali responsabilità, ed il Comitato di Affari Esteri interpreta questa clausola nel senso che nessuna obbligazione può essere imposta alla repubblica islandese senza la sua approvazione. Il popolo islandese è fermamente contrario alla presenza di basi militari nel proprio paese e si opporrà a concedere simili diritti» 103 . Questa formula venne ritenuta accettabile da gran parte dell’arco costituzionale, e la richiesta di adesione all’ONU passò con ampio margine104. La seconda questione importante, dibattuta anch’essa all’indomani delle elezioni, fu poi la residua presenza di soldati americani a Keflavik. Il socialdemocratico Hannibal Valdimarsson propose una chiara mozione in cui si chiedeva il ritiro immediato di tutte le truppe; i compagni di partito non seguirono Hannibal, ma comunisti e progressisti si dicevano favorevoli. La proposta venne bocciata per soli 26 voti contro 22, ma il segnale politico era chiaro: i progressisti, memori delle sconfitte elettorali, erano tornati su posizioni isolazioniste e nazionaliste; i comunisti avevano sempre cercato di 103 Alþingistiðindi, 1946, Sez. A, Allegato A-II 85 svincolare la nazione dall’abbraccio straniero; i socialdemocratici più di sinistra erano fortemente attratti dalle posizioni espresse da questi due partiti. Nell’agosto del 1946 una rappresentanza del Dipartimento di Stato americano venne a Reykjavik nel massimo segreto per trattare la situazione con Òlafur, che manteneva la doppia carica di premier e ministro degli esteri. Il ritiro delle truppe sembrava essere inevitabile e l’accordo prese la forma di uno scambio di note ufficiali fra governo ed ambasciata americana concernente l’abrogazione del trattato di difesa risalente all’estate del 1941. Il protocollo d’intesa, che viene ricordato come Accordo di Keflavik, sanciva il ritiro di tutti i militari dall’isola entro sei mesi ed il passaggio delle strutture alla giurisdizione islandese; agli americani però veniva concesso di sostituire i militari con personale civile, avente il doppio compito di mantenere in attività lo scalo (per permettere agli Usa di operare le loro “control agencies” in Europa) e cominciare la preparazione e formazione di personale specializzato islandese. L’accordo sarebbe stato in vigore per almeno cinque anni, allo scadere dei quali entrambi i contraenti avrebbero potuto chiederne lo scioglimento.105 La bozza di trattato venne reso pubblico alla fine di settembre, e il passaggio parlamentare fu calendarizzato per il 5 ottobre. Si aprì un dibattito molto acceso perché se i conservatori appoggiavano il loro leaders, i comunisti erano fortemente contrari e minacciavano di abbandonare il governo; invece socialdemocratici e progressisti erano divisi. Il primo ministro Òlafur anche in questa occasione fece pesare tutta la sua abilità politica per serrare le fila del partito; nel discorso al parlamento spiegò la sua posizione in questi termini: 104 I risultati della votazione videro 41 voti favorevoli, 6 contrari e 5 astenuti. 86 «…Gli Stati Uniti, per un breve periodo di tempo, avranno la disponibilità dell’aeroporto di Keflavik, che è loro necessario per il mantenimento delle Agenzie in Germania. (…) I cittadini americani, ovviamente, dovranno ottenere visti e permessi di lavoro dal governo islandese, e saranno sottoposti alle leggi ed alla giurisdizione islandese per tutto il tempo del loro 106 soggiorno» . I socialdemocratici, come accennato, non trovarono la stessa unità dei colleghi di governo. Il segretario Stefàn Stefànsson era favorevole al trattato, mentre alcuni autorevoli membri, tra cui il già citato Valdimarsson, continuavano a denunciare la lesione della sovranità nazionale. Il partito comunista fu ovviamente il più tenace nell’osteggiare la ratifica del trattato. Innanzitutto si accusava il premier di aver agito all’insegna della solita spregiudicatezza e senza considerare il parlamento, in secondo luogo si respingeva l’idea che l’accordo fosse il miglior assetto possibile per l’Islanda visto che era vantaggioso solo per gli Usa. Senza mezzi termini, gli organi dirigenti del SUP si dissero pronti ad abbandonare il governo se fosse passata la ratifica del trattato. Il giornale di partito si lanciò in una campagna martellante, ed il 22 settembre si tenne una manifestazione imponente che vide l’appoggio di noti intellettuali come il futuro premio nobel Halldor Laxnes. Il dibattito era acceso anche in seno ai progressisti dove non vi erano opposizioni ideologiche ma forti considerazioni politiche: al di là del fatto che, come accennato, la linea del partito si era mossa su posizioni più oltranziste, la possibilità di una crisi di governo poteva rappresentare una rivincita allettante. Hermann Jònasson, segretario del partito, riteneva che la bozza elaborata da Thors era troppo generosa: non c’era bisogno 105 106 L’accordo completo è contentuto nell’Allegato C a fine capitolo. Alþingistiðindi, 1946, Sez. B, seduta speciale. 87 di un altro trattato per il ritiro degli americani, già esplicitamente pattuito nel ’41, e il periodo di cinque anni107 doveva essere portato ad appena un anno. Mentre il dibattito nell’Alþing si infuocava, anche in sede extraparlamentare la questione era seguita nel più vivo interesse. Pochi giorni prima del voto definitivo si era formata la “Associazione di Difesa Nazionale” (Þjoðvarnarfelag), una organizzazione politicamente trasversale non comunista, che stampava la rivista Þjoðvörn (Difesa Nazionale): l’unico intento dell’organizzazione era il ritorno all’isolazionismo. Quindi ferma condanna dell’Accordo di Keflavik e, qualora fosse passato, lavorare per la sua abrogazione senza ritardi. Il gruppo dirigente era composto da diversi intellettuali, e fra i redattori e collaboratori della rivista vi erano simpatizzanti di tutti i partiti. L’associazione si impegnò nella sensibilizzazione dell’opinione pubblica, raccolta di firme contro l’accordo ed una manifestazione fuori dal parlamento nei giorni di votazione. Un altro elemento da considerare fu il campo economico: gli americani non sembravano disposti a ripetere l’esperienza di legare le concessioni militari a canali commerciali privilegiati, come sicuramente Òlafur avrebbe preferito, ma per l’amministrazione Truman, alle prese con la “politica di contenimento” trattare con un governo in cui figurava un partito filosovietico era motivo di irritazione; al contrario l’Unione Sovietica evitò una massiccia crisi del settore ittico assorbendo, tra il 1946 ed il 1947 circa il 19% delle esportazioni islandesi108. L’Unione Sovietica divenne quasi improvvisamente il secondo partner commerciale dell’Islanda, e sembrava ripetere il 107 In realtà la durata minima sarebbe stata di sei anni e mezzo: dopo i cinque anni di durata regolare, entrambi i membri avrebbero potuto chiedere la revisione del trattato. Se dopo sei mesi non si concludeva un nuovo accordo, esso avrebbe cessato di valere dopo un periodo di un altro anno. 108 Prima del verificarsi della “guerra fredda” i contatti commerciali fra i due paesi erano stati nulli. Vedi J. Guðmarsson, A Reluctant European, Oxford, 1994, p. 44. 88 tentativo di sfruttare la vulnerabilità economica del paese (già avanzato dalla Germania negli anni ’30), o quantomeno ridurne la dipendenza islandese dai mercati occidentali. Il 5 ottobre finalmente si passò alle votazioni: dapprima vennero discussi gli emendamenti, ed in tre occasioni essi furono bloccati con uno scarto di soli tre voti109. Nella votazione finale invece i progressisti si spaccarono: cinque votarono con il governo e sette contro. L’accordo alla fine passò per 32 voti contro 19 ed un astenuto.110 Come minacciato, i comunisti uscirono subito dal governo, ed Òlafur dovette rassegnare le dimissioni. Il sacrificio politico del secondo gabinetto Òlafur necessita di qualche riflessione. Paradossalmente egli accettava di lasciare la poltrona di primo ministro per sostenere un accordo che non dava benefici a breve termine, e che anzi avrebbe minato i rapporti economici con l’Urss. Il motivo di questo atteggiamento va ricercato su più piani: innanzitutto l’esperienza del “governo di innovazione”, frutto della collaborazione fra centrodestra e comunisti, era comunque esaurita. Nato a guerra ancora in corso e sviluppatosi nei concitati anni subito successivi, sarebbe presto stato paralizzato dalle contraddizioni interne. In secondo luogo l’interesse sovietico, agli occhi del “west oriented” Partito Indipendente era più una minaccia che una occasione di sviluppo. Terzo punto, se i buoni rapporti con gli Usa erano una situazione auspicabile, i comunisti al governo ne erano un ostacolo. Comunque, il partito nelle ultime tornate elettorali si era assestato intorno al 40% delle preferenze e, a meno di una debacle alle urne, difficilmente sarebbe stato tagliato fuori dai governi successivi. 109 Questi emendamenti prevedevano il referendum consultivo ed il tentativo di spostare il più possibile nelle mani di entità islandesi il controllo della base. 110 Alþyngistiðindi, sessione plenaria 1946, sez. B. 89 Si aprì una lunga crisi di governo: i socialdemocratici rifiutavano di entrare in una coalizione a due con i conservatori (anche se avrebbero potuto contare su 29 voti su 52), mentre con i progressisti non arrivavano alla maggioranza dei seggi. I due partiti maggiori invece non sembravano disposti a collaborare. Solo nel febbraio del 1947 Stefànsson, socialdemocratico, fu in grado di formare un nuovo governo a tre escludendo i comunisti (ma escludendo anche i due leaders storici del Partito Indipendente e del Partito Progressista, rispettivamente Òlafur ed Hermann, non in grado di dialogare tra loro). E’ stato fatto notare che durante tutta la vicenda la posizione dell’Unione Sovietica fu ambigua: non avanzò alcuna protesta formale quando de facto gli Usa decisero di non seguire l’esempio britannico, ma provò a disturbare indirettamente le trattative tra islandesi ed americani azionando le leve economiche. Il professor Whitehead111 avanza delle ipotesi interessanti che però, in mancanza di documenti, vanno prese con la dovuta cautela: il Cremlino, all’inizio, considerava l’Islanda come un territorio di pertinenza degli Stati Uniti e quindi non era disposto a confrontarsi con essi in una sorta di “battaglia persa” in partenza. Quando però gli Usa incontrarono delle resistenze massicce ed inaspettate da parte dei locali (ed i comunisti diventarono forza di governo), l’interesse sovietico si fece più vivo, come testimoniano i rapporti economici. La linea filo-occidentale però procedeva, ma i sovietici si astennero da commenti negativi o proteste formali. Una spiegazione plausibile, Whitehead, potrebbe trovarsi nel fatto che i russi avessero intenzione di giocare questa carta in altri momenti, come ad esempio per controbattere un attacco diplomatico per il loro ritiro dall’Iran. 111 Docente di Storia Contemporanea all’Haskoli Island ed autore di numerose pubblicazioni. 90 Allegato C Scambio di note per la cessazione dell’Accordo Difensivo del 1 luglio 1941 e provvedimenti riguardo l’uso ad interim dell’aeroporto di Keflavik. Noto anche come Keflavik Agreement. (Fonte: Archivio ambasciata statunitense, Reykjavik) Luis G. Dreyfuss, Jr., minister of the United States in Iceland to Olafur Thors, minister for foreign affairs, 7 October 1946 Excellency: I have the honor to acknowledge the receipt of Your Excellency’s note of today’s date in the following terms: “I have the honor to refer to Your Excellency’s note nr. 616 dated September 19, 1946, proposing certain arrangements with regard to the termination of the defense agreement of July 1, 1941, the withdrawal of the United states Armed Forces now in Iceland, and the future use of the Keflavik airport. “In accordance with further conversation that have been taken place between representatives of the Government of Iceland and representatives of the Government of the United States I have the honor to suggest that the proposals for an agreement between the two Governments, set forth in Your Excellency’s note above mentioned be amended to read as follow: 1. The Government of Iceland and the Government of the United States agree to the abrogation of the defense agreement of July 1, 1941, which shall terminate upon the coming into force of the present agreement. 2. The Keflavik area and the airfields, hereinafter referred to as the airport, and all immovable installations constructed thereon by the United States will be listed in a joint Icelandic – United States inventory to be prepared concurrently with the transfer of the airport, will be transferred to the Government of Iceland. The airport shall then become the undisputed property of the Icelandic State in fulfillment of the undertakings of the government of the United States with respect thereto. 3. The Government of the United States will withdraw as promptly as possible United States military and naval personnel now in the city of Reykjavik and during a period of 180 days commencing upon the coming into force of the present agreement will progressively withdraw all United States military and naval personnel now in Iceland. 4. The Keflavik airport will continue to be available for use by aircraft operated by or on behalf of the Government of the United States in connection with the fulfillment of United States obligations to maintain control agencies in Germany. To this end the Government of the United States shall have the right and may, at its expense, maintain at the airport either directly or under its responsibility the services, facilities and personnel necessary for such use. The special character of the aircraft and their personnel will be respected as far as customs, immigration and other formalities are concerned. No landing fees shall be charged such aircraft. 91 5. Neither the stipulation in the foregoing paragraph nor any other stipulations in this agreement shall impair the sovereign rights of the ultimate authority of the Republic of Iceland with regard to the control and operation of the airport or any construction or activities there. 6. In connection with the operation of the airport the United States will train Icelandic personnel in airport techniques to enable Iceland to assume progressively the operation of the airport. 7. The Government of Iceland after having consulted the Government of the United States will place in effect operational, safety, and similar rules to govern use of the airport by all aircraft 8. The Government of Iceland and the Government of the United States will determine a mutually satisfactory formula for the equitable distribution between them of the cost of maintance and operation of the airport, provided, however, that neither Government shall be obligated to incur any expense wit regard to the maintenance and operation of the airport, which it does not deem necessary to meets its own needs. 9. No duty or other taxes shall be charged on material, equipment, supplies, or goods imported for the use of the Government of the United States, or its agents, under the agreement or for use of personnel in Iceland by reason of employment pursuant to the agreement. No export tax shall be charged on the removal of such articles. 10. No personnel of the United States resident in the territory of Iceland by reason of employment pursuant to the agreement shall be liable to pay income tax on the income derived from sources outside of Iceland. 11. Upon the termination of the present agreement the Government of the United States shall have the right to remove from the airport all moveable installations and equipment which have been constructed or provided by the United States or its agents after the date of the agreement unless by agreement such installations and equipment are bought by the Government of Iceland. 12. The agreement shall continue in effect until the obligations of the Government of the United states to maintain control agencies in Germany shall have been fulfilled; provided, however, that at any time after the lapse of five years from the coming into force of the present agreement, either government may propose to review the agreement. In such case the two Government shall consult as soon as possible. If no agreement is reached as a result of such consultation within a period of six months from the date of original notification, either Government may at any time thereafter give notice in writing of intention to denounce the agreement which shall then terminate twelve months from the date of such notice. Should the Government of the United State accept the amended wording set forth above, the affirmative reply of Your Excellency shall constitute, together with this note, the agreement of the two Governments in this matter.” I have the honor to inform Your Excellency that the Government of the United States accepts the agreement set out in Your Excellency’s note quoted above. Accept, excellency, the renewed assurances of my highest consideration. 92 Capitolo V Il Governo Stefànsson (1947-49): fine della neutralità e adesione alla Nato. Il governo liderato dai socialdemocratici non aveva intenzione di spingersi più in là del Keflavik Agreement in materia di sicurezza, mentre argomenti di politica interna cominciarono a farsi più pressanti: il nuovo assetto in tempo di pace dell’economia islandese presentava problemi urgenti perché le riserve finanziarie accumulate durante la guerra si andavano assottigliando, non si riusciva a contenere l’inflazione ed i sindacati si battevano per un aumento dei salari. Il commercio con l’Europa da ricostruire era difficile ed il mercato dei prodotti ittici si andava assestando; gli islandesi per tutto il periodo bellico avevano operato in una sorta di regime protetto, ed ora la normalizzazione dell’economia rischiava di far tornare il paese a livelli che si consideravano superati.112 Il nuovo governo però mancava della forza di portare avanti politiche dolorose, come la svalutazione della moneta o il taglio dei salari, e si preferì non abbandonare i meccanismi di controllo e centralizzazione dell’economia. Questi sforzi si rivelarono ben presto insufficienti, perché nel 1948 la decisione sovietica di cessare gli scambi commerciali tolse un altro importante mercato. Come accennato, il Cremlino si era reso conto che sottrarre l’Islanda dal campo occidentale era ancora un progetto irrealistico113, e la famosa tesi “dei due campi” rendeva imbarazzante per il regime di Stalin corteggiare un paese comunque capitalista. 112 Paradossalmente, mentre il resto d’Europa aveva vissuto la distruzione economica in tempo di guerra e si avviava alla ricostruzione con più forza di prima, l’Islanda rischiava di vivere un processo diametralmente opposto. 113 Nel 1949 l’Islanda indirizzava i due terzi delle sue esportazioni in Usa, Gran Bretagna e Germania Occidentale. 93 Questo fu il panorama politico in cui si aprì la questione della partecipazione al piano Marshall. Il pericolo di un collasso economico era una prospettiva concreta, vista l’ipertrofia causata dalla guerra in confronto agli usuali standard economici prebellici, ed un clima di instabilità ed irrequietezza avrebbe certo favorito gli estremismi. L’Islanda poteva ben rientrare nella “politica di contenimento” comunista dell’amministrazione Truman ora che Òlafur, grande architetto dell’allineamento ad Occidente, aveva tolto ai comunisti la possibilità di governare, ed il premier Stefànsson trovò l’appoggio di tutti i partiti democratici nella richiesta di partecipazione al Piano Marshall. I socialisti erano invece fortemente contrari all’adesione dell’Islanda, ma non vi erano solo motivazioni ideologiche: i nuovi accordi avrebbero mantenuto i livelli dei consumi alti, senza portare a quelle precondizioni necessarie per sostenere l’economia.114 Gli islandesi riuscirono a spuntare concessioni molto generose, che riguardarono ovviamente le esportazioni di pesce (di gran lunga il fattore economico principale), ma anche investimenti nell’industria ittica e nel settore idroelettrico. Ciò che favoriva gli islandesi era senza dubbio il forte squilibrio tra l’esiguità della popolazione (circa 140.000 nel 1950) e l’importanza strategica del territorio, quindi se all’interno del Piano gli aiuti dati all’Islanda furono una percentuale minima, da un punto di vista relativo il suo programma di assistenza economica fu sostenuto in modo più che proporzionale. Inoltre il Trattato di Keflavik del 1946 rappresentava per gli americani un passo indietro ma la lezione era acquisita: l’assistenza non venne vincolata a concessioni militari per evitare un approccio “aggressivo” nei confronti degli islandesi. Come è noto la strategia era un’altra: mantenendo un buon livello di prosperità diminuiva il pericolo di deriva dittatoriale. 114 E. Lofsson, The Disguished Threat, cit. p. 234. 94 Per quanto riguarda la politica di sicurezza, il governo di Stefàn Stefànsson affidò il ministero degli esteri al conservatore Bjarni Benediktsson, che suo malgrado fu costretto ad operare in un clima internazionale problematico e deteriorato. La presa di potere dei comunisti in Cecoslovacchia ed il blocco della città di Berlino erano segnali inquietanti che colpirono molto i paesi nordici, e la politica stalinista di operare con mezzi militari e fiancheggiatori comunisti locali gettava una cattiva luce sul SUP (che, tra l’altro, aveva appoggiato entrambe le iniziative sovietiche). La base di Keflavik registrava il passaggio di aerei non identificati sempre più frequentemente e una spedizione scientifica cecoslovacca faceva tornare alla memoria le spedizioni analoghe nel periodo hitleriano. I sovietici sembravano operare una mappatura del territorio via terra, mare ed aria. Già a partire dalla fine del 1948 cominciò a circolare l’ipotesi di una coalizione militare occidentale, cui l’Islanda avrebbe potuto in qualche modo partecipare. L’analisi dei vertici militari americani era chiara. Nel 1947 il US National Security Council definisce gli interessi strategici in Islanda: - Una base per manovre offensive in quanto il paese si trova vicino al cuore industriale dell’unico nemico credibile. - Una base da inserire nel sistema difensivo aereo, di importanza comparabile alla Groenlandia, in quanto giace sulla più probabile rotta di un attacco nemico. - Una base desiderata dal nemico. Gli Stati Uniti non avrebbero dovuto permettere al nemico di guadagnare postazioni pericolose nella regione - Una base per lo stazionamento e la copertura aerea, secondaria rispetto alle Azzorre ma importante per le comunicazioni con l’Europa.115 115 T. Whitehead, The Ally, cit., p. 19 95 E’ logico comunque credere che, in caso di scoppio di un conflitto, gli Stati Uniti avrebbero immediatamente occupato il paese, con o senza il consenso degli islandesi, per assicurarsi una postazione alternativa in caso di inagibilità delle basi dello Strategic Air Command (SAC) in Gran Bretagna116. Inoltre senza uno scalo intermedio, le rotte atlantiche avrebbero potuto essere coperte solo da aerei a quattro motori o bimotori appositamente modificati, mentre i voli di apparecchi con un solo motore sarebbero stati impossibili. Vien da sé che il tema di una alleanza militare, ovvero il definitivo abbandono della neutralità in via ufficiale, fu argomento tra i più sentitamente dibattuti. Sia l’associazione per la difesa nazionale, sia il partito comunista lanciarono una campagna martellante per sgomberare il campo da ogni possibile apertura e tornare una volta per tutte alla politica di distacco dalle vicende internazionali. Questo sentimento, frutto di nazionalismo, antimilitarismo e neutralismo, ottenne ampi consensi trasversali: sulle stesse posizioni si espressero anche personalità religiose117, come il reverendo Sigurbjor Einarson, associazioni studentesche e giovanili. All’inizio del 1949 vi erano stati dei contatti preliminari fra i leaders dei paesi scandinavi, per sondare le possibilità di una alleanza difensiva del Nord Europa, ma il progetto naufragò quasi subito118; l’Alleanza Atlantica cominciò quindi a definirsi in maniera più concreta, ed il dibattito permeò la nazione. Il leader storico del Partito Indipendente, Òlafur Thors, dalle pagine del Morgunblaðid portò avanti teorie di segno opposto rispetto ai neutralisti: una dichiarazione unilaterale di neutralità “non vale la carta su cui è scritta” anche se 116 V. Ingimundarsson, Buttressing the West in the North, Reykjavik 1999. La confessione di maggior seguito in Islanda è la chiesa nazionale, cristiana protestante, entità piuttosto istituzionalizzata: si può accedere al corpo della chiesa dopo la laurea in Teologia dell’università nazionale. 118 B. Groendal, Iceland from neutrality, cit., p. 42. 117 96 garantita verbalmente dalle grandi potenze (31 dicembre 1948). L’Islanda avrebbe dovuto considerare l’invito delle potenze occidentali con la massima attenzione, facendo valere le proprie obbiezioni ma con uno spirito di fondo aperto e conciliante. Il suo arcirivale invece, il progressista Hermann Jònasson, proprio lo stesso giorno in cui il Morgunblaðid pubblicava le tesi di Òlafur, rilasciava al giornale di partito dichiarazioni in cui esprimeva tutto il suo dissenso riguardo una alleanza militare: gli anglosassoni erano popolazioni amiche, ma ribaltando il punto di vista del suo avversario, affermava che la più grave minaccia a questa amicizia erano stati proprio gli attriti derivanti dalla presenza dei militari; la sovranità islandese aveva già sofferto durante la guerra, e la cultura nazionale doveva essere difesa. In generale poi, riteneva la minaccia sovietica esagerata. Anche un altro esponente importante del partito, la parlamentare Rannveig Þorsteindottir, particolarmente in sintonia con l’associazione di difesa nazionale, era fermamente contraria ad abbandonare la politica di neutralità.119 Il premier socialdemocratico Stefànsson tentò di rasserenare il clima politico lavorando su di una piattaforma di discussione per cercare, da un lato, una garanzia di sicurezza con le altre nazioni democratiche, dall’altro per assicurarsi che l’adesione al patto atlantico non prevedesse l’accettazione di truppe straniere in tempo di pace. I tre partiti di governo erano sostanzialmente d’accordo su questi principi, ed anche il Partito Progressista, quello con la più battagliera ala neutralista, accettò questa linea di principio.120 Il 12 marzo 1949 una commissione governativa partì alla volta di Washington per indagare approfonditamente i termini dell’intesa. Tale commissione era formata da tre membri, uno per ogni partito di governo: Bjarni Benediktson (ministro degli esteri, 119 Il 20 gennaio 1949 il Timinn (quotidiano, organo del Partito Progressista) riportò un estratto di un suo discorso ad un meeting dell’ADN, in cui incitava la folla difendere “…la libertà e l’onore” della nazione. 97 Partito Indipendente), Eynsteinn Jònsson (Progressisti), Emil Jònsson (Socialdemocratici). I rappresentanti militari della delegazione americana convinsero gli islandesi che le aerostazioni di Keflavik e Reykjavik erano a rischio di attacco già nelle primissime fasi di un eventuale conflitto. Lo scenario più plausibile ricalcava i timori già espressi nel 1940, ovvero che un gruppo di fiancheggiatori, stavolta comunisti, potesse prendere possesso delle installazioni, contemporaneamente allo sbarco di battaglioni invasori. Ovviamente gli americani non sarebbero rimasti a guardare in uno scenario di questo tipo, ma il paese sarebbe diventato un campo di battaglia.121 Gli islandesi erano a questo punto disposti ad accettare un nuovo piano che permettesse di usare il campo aereo di Keflavik come una testa di ponte permanente contro il pericolo di colpi di stato comunisti o in caso di guerra, e l’effetto deterrente del Patto Atlantico era molto interessante. Dopo dieci giorni di colloqui, i tre membri tornarono in patria per assicurare i proprio connazionali che avevano ricevuto ampie garanzie in merito alla peculiarità delle richieste islandesi. La dichiarazione finale prevedeva quattro punti fondamentali: 1) In caso di conflitto l’Alleanza avrebbe goduto di una posizione comparabile a quella degli alleati durante l’ultima guerra. 2) Tutti i membri della Nato riconoscevano la condizione speciale dell’Islanda. 3) Era acquisito il fatto che l’Islanda non aveva esercito e non aveva intenzione di istiuirlo. 4) Non sarebbe stato richiesto di ricevere truppe straniere o concessioni militari in tempo di pace. Il buon esito delle trattative fu possibile anche per il clima di grande collaborazione che l’ambasciatore americano Richard Buttrick era riuscito a instaurare con i 120 Il 27 febbraio 1949 il Timinn pubblicò una risoluzione del proprio comitato direttivo rispecchiava questi principi. 121 T. Whitehead, The Ally, cit., p. 37. 98 conservatori e soprattutto con Bjarni; i due si incontrarono spesso per discutere insieme della politica estera islandese ed il ruolo giocato dall’ambasciata probabilmente andò al di là dei soli oneri diplomatici: gli americani fornirono materiale propagandistico antisovietico (specie in occasione delle elezioni del ’49), e giunsero a indicare dei candidati affidabili e provatamente anticomunisti per gli incarichi di direttore del servizio radiofonico ed altri compiti “sensibili”. L’ambasciata giunse a stilare un vero e proprio archivio di sospetti comunisti da inviare al Dipartimento di Stato122. Un altro aspetto che è stato sottolineato riguarda l’incoraggiamento indiretto sul governo islandese esercitato dalla partecipazione al trattato dei colleghi scandinavi; sia Danimarca che Norvegia furono tra i primi signatari, e questo rafforzava il peso della comunità nordica nell’organizzazione.123 Il testo costitutivo del North Atlantic Treaty Organizzation venne finalmente pubblicato e le dirigenze dei partiti di governo lo approvarono; la discussione parlamentare cominciò il 28 marzo. In realtà non vi era dubbio che una ampia maggioranza si era espressa a favore del trattato, ma non tutto era scontato: non si era in grado di dire quanti fra i progressisti avrebbero accettato la linea di partito e quanto avrebbe potuto influire la campagna dei comunisti sul voto o sull’opinione pubblica. Preliminarmente alla discussione, i comunisti avanzarono una mozione di sfiducia sul governo, la cui risposta fu affidata agli stessi membri della spedizione diplomatica. Il ministro Eynsteinn Jònsson disse: «E’ oggi palese che non ci sono possibilità che l’Islanda venga lasciata fuori dalla guerra se un simile, infausto evento, dovesse verificarsi. A causa della posizione geografica, relazioni culturali ed affinità di governo l’Islanda dovrebbe cooperare con le nazioni democratiche. Ci 122 E. Loftsson, Island i Nato, Göteborg, 1981 p. 88 e E. Loftsson, “The disguished Threat”, cit., p. 232. Dello stesso autore cfr. anche articoli sul Thiodvillinn (quotidiano) in data 5 e 17 gennaio 1980. 123 B. Bjarnason, Iceland’s Security Policy, Oslo, 1977. 99 sono persone che non lo ammetteranno. Queste persone sono quelle il cui interesse è che il 124 nostro destino sia lo stesso destino dei Cechi e dei Polacchi» . I comunisti affidarono al loro leader, Brynjolfur Bjarnason, il compito di illustrare tutto il loro dissenso: «L’Unione Sovietica non ha mai richiesto alcuna base militare agli islandesi, e non ha mai richiesto privilegi particolari, ne in ambito militare ne in ambito civile. Nessun leader sovietico ha mai detto una parola che denunciasse aggressività nei confronti del nostro paese. I sovietici non hanno mai mostrato altro che amicizia. Gli Stati Uniti invece ci hanno chiesto tre basi militari per 99 anni (…) ed ora ci chiedono di usufruire del nostro territorio come una base offensiva in una prossima guerra. (…) Se la nazione sarà privata della possibilità di esprimersi liberamente, allora tutti voi onorevoli colleghi dovete sapere che la nazione considererà questi 125 trattati, cui voi volete aderire, come non validi, e solo voi ne avrete la responsabilità» . Il voto di sfiducia venne respinto ma vari parlamentari presentarono diversi emendamenti di fronte al parlamento. I progressisti Hermann Jònsson e Skuli Guðmundson chiesero che il trattato fosse ratificato da un referendum popolare; i socialdemocratici Hannibal Valdimarson e Gylfi Gislason chiesero invece che una dichiarazione specifica sull’Islanda divenisse parte integrante del trattato Nato. Anche i comunisti presentarono un gran numero di emendamenti al limite dell’ostruzionismo. Alla fine, nel pomeriggio del 30 Marzo si passò alla votazione. Fuori dal parlamento si era radunata una folla consistente e, temendo qualche gesto inconsulto, il governo aveva mobilitato le forze di polizia (120 uomini) e volontari delle proprie associazioni giovanili; un gruppo di manifestanti, aizzati dai comunisti, diedero vita a violenti scontri di piazza ed una fitta sassaiola distrusse le finestre del parlamento. La votazione finale vide 37 voti favorevoli, 13 contrari e due astenuti: votarono per il sì 124 Alþingistiðindi, 1948, Sez. D. 100 i 20 parlamentari conservatori, 10 progressisti e 7 socialdemocratici; contrari 10 comunisti, 2 socialdemocratici (Valdimarsonn e Gislason), un progressista (Zophoniasson); gli astenuti furono Hermann Jònasson e Skuli Guðmundson (progressisti). Sulla stampa più che la votazione parlamentare in se, scontata dopo che le segreterie della maggioranza si erano espresse favorevolmente, tennero banco gli scontri di piazza. In una nazione così poco abituata alla violenza, furono un vero e proprio shock: mentre il Þjoðviljinn parlava di genuina protesta popolare causata dal “tradimento” operato dal parlamento, i tre giornali democratici parlavano di tattiche rivoluzionarie: “I comunisti islandesi non rispettano la legge e l’ordine, e sono pronti ad usare la forza per i loro obbiettivi, se falliscono con i mezzi democratici”126. Il ministro degli esteri partì quindi per Washington, ove il 4 Aprile si sarebbe tenuta la cerimonia ufficiale della firma del trattato. Esso non prevedeva alcun riferimento specifico riguardo l’Islanda, ma fu lo stesso ministro a ribadire la posizione islandese nel suo discorso: «Le nazioni che stanno oggi unendosi in questa fratellanza sono dissimili fra loro in diversi aspetti; alcuni di essi sono fra i più grandi e potenti, altri piccoli e deboli. Nessuno è più piccolo e debole del mio paese, l’Islanda. Il mio popolo è disarmato, ed è sempre stato disarmato a partire dai giorni dei nostri antenati vichinghi. Noi non abbiamo esercito, e non possiamo avere un esercito. Il mio paese non ha mai mosso guerra contro un altro stato, e come paese disarmato non possiamo, ne vogliamo, dichiarare guerra a nessuno, come abbiamo affermato quando siamo entrati a far parte delle Nazioni Unite. In verità noi siamo nell’impossibilità di difenderci contro un attacco armato. Ci sono state quindi esitazioni nei nostri pensieri, se ci fosse un posto per noi in questo patto difensivo. Ma il nostro paese è, per certe circostanze, vitale per la sicurezza del nord Atlantico. Durante l’ultima guerra la Gran Bretagna si fece carico della difesa dell’Islanda, successivamente concludemmo un accordo con il governo degli Stati Uniti per la 125 126 Alþingistiðindi, 1948, Sez. D. Timinn, 1 aprile, 1948. 101 protezione militare della nostra isola. La nostra partecipazione a questo patto dimostra che per noi e per gli altri chiediamo simile condizione in caso di una nuova guerra, che noi tutti speriamo e preghiamo non abbia mai a verificarsi». Dopo la firma del patto atlantico, i comunisti continuarono a chiamare l’alleanza atlantica un “patto di guerra”, ma le forze politiche democratiche erano soddisfatte dell’esito della questione: la presenza di inglesi e scandinavi nel patto assicurava all’Islanda un certo equilibrio per non dipendere troppo dagli Usa. Anche gli americani erano piuttosto soddisfatti dal nuovo assetto, che assicurava loro, in un modo o nell’altro, la disponibilità dell’area. I piani di guerra alleati tra il ’46 ed il ’50 prevedevano una rapida iniziativa sovietica verso ovest; in risposta, lo US Strategic Air Command (SAC) avrebbe sferrato un attacco convenzionale ed atomico avendo l’Inghilterra come base principale in Europa. Ma se i russi fossero stati in grado di colpire l’Inghilterra il SAC avrebbe spostato a Keflavik il proprio centro offensivo.127 L’importanza di Keflavik, proprio in mezzo alle rotte atlantiche, è poi testimoniata da un altro dato importante: nel periodo 1947-50 gli Usa vi spesero circa 12 milioni di dollari.128 Poco dopo l’adesione, si assisté alla caduta del governo Stefànsson, a causa del ritiro dei progressisti. La crisi non fu generata da nessuno scontro politico di particolare gravità, ma su considerazioni generali. La dirigenza riteneva il partito in un buon momento: sebbene la maggioranza si fosse schierato con il governo, la carismatica figura di Hermann Jònsson aveva assunto un atteggiamento critico; gli scontri di piazza avevano minato il prestigio dei comunisti, cui poteva essere conteso il gruppo dei neutralisti non comunisti. Anche per quanto riguarda la politica interna il partito riteneva di poter riguadagnare i consensi perduti, ed il 23 ottobre 1949 si andò alle urne. 127 A. Cave, Operation World War III, Londra 1979, p. 160. 102 L’esito delle elezioni diede ragione ai progressisti, infatti tutti gli altri partiti subirono una battuta d’arresto: il Partito Indipendente ed il socialisti persero un seggio a testa (ottenendo rispettivamente 19 e 9 parlamentari), ed i socialdemocratici passarono da 9 a 7; i progressisti quindi ottennero 17 seggi, rispetto ai 13 dell’ultima tornata. Icelandic Defence Force, il Governo Steinthorsson (1950-53) Con l’adesione dell’Islanda alla Nato ed il “Keflavik Agreement” in vigore ancora per qualche anno, il problema della politica di difesa sembrava per un attimo accantonato. Subito dopo le elezioni Òlafur Thors tentò di varare un nuovo governo, ma l’esperienza fallì dopo pochi mesi129. L’empasse politica fu risolta dall’accordo fra progressisti e conservatori, i due maggiori partiti: ai primi sarebbe spettata la poltrona di primo ministro, i secondi invece ottenevano il ritiro della candidatura di Hermann Jònasson (che si era espresso negativamente sul Keflavik Agreement e sulla Nato) alla carica di premier e mantenevano il dicastero degli affari esteri, sempre nella persona di Benediktsson. Il progressista Steingrimur Steinthorsson compose così il proprio gabinetto, forte di 36 seggi parlamentari su 52. Ciò che ripropose con forza il tema politico della sicurezza del paese fu un evento internazionale: lo scoppio della guerra di Corea (giugno 1950). Questo conflitto drammatico suscitò ampie polemiche soprattutto sulla stampa non comunista e la prospettiva di una difesa militare del paese, che fino a pochi mesi prima sembrava un tabù, venne riproposta con decisione. 128 T. Whitehead, The Ally, p. 44. Non trovando la disponibilità delle altre forze politiche, Òlafur tentò la strada di un governo di minoranza monopartito, ma l’esperienza durò pochi mesi (dicembre ’49 – febbraio ’50). 129 103 Il settimanale Landvörn, edito dal già citato Jònas Jònsson e noto parlamentare dell’ala filo occidentale, nel numero del 14 luglio chiese che la Nato inviasse un contingente difensivo in Islanda e che il governo, in aperta rottura con la tradizione, istituisse una guardia nazionale. Anche il Manudagsblaðid asseriva che una forza di difesa preventiva era auspicabile: in caso di attacco sovietico gli americani avrebbero “controinvaso” il paese, trasformandolo suo malgrado in un campo di battaglia (24 luglio 1950). La situazione internazionale era di difficile interpretazione e tutti gli accordi posti in essere dall’Islanda a partire dalla fine della seconda guerra mondiale sembravano di colpo insufficienti a garantire la sicurezza del paese. Come i vertici militari facevano notare, senza una adeguata difesa, i campi aerei potevano essere sabotati senza difficoltà; il governo Stefànsson aveva già tentato di istituire una forza armata paramilitare derivata dalla polizia, ma il progetto era fallito. Nel settembre 1950 Benediktson partecipò ad uno storico incontro al Pentagono con lo Standing Group della Nato; dopo aver ripetuto le ben note peculiarità della posizione islandese, per la prima volta accettò di considerare il dispiegamento di circa 1.200 uomini per la protezione delle installazioni militari. Con l’aggravarsi del conflitto asiatico, tale numero fu portato intorno alle 3.300 unità. Nel febbraio del 1951 si avviarono negoziati segreti tra statunitensi ed islandesi a Reykjavik, che si conclusero quattro mesi più tardi: il 7 maggio del 1951 il governo islandese pubblicò il testo di un accordo difensivo con gli Usa, e contemporaneamente il primo contingente di soldati americani atterrava all’aeroporto di Keflavik. Tutto si era svolto nella maggiore segretezza e senza una sessione speciale del parlamento, e la dichiarazione fornita ai giornali era l’unica spiegazione ufficiale: 104 «A causa degli eventi degli ultimi mesi, l’incertezza della situazione internazionale e l’insicurezza sono cresciuti a dismisura. Anche se sanguinose battaglie non vengono ora combattute in questa parte del mondo, le Nazioni Unite sono state costrette a prendere le armi altrove per contrastare un attacco non provocato. L’Islanda è membro delle Nazioni Unite, e sebbene non possiamo supportare questa organizzazione con delle forze armate, non possiamo non riconoscere che attualmente la logica del conflitto e del pericolo stanno prevalendo nel 130 contesto internazionale» . Il “Trattato Difensivo” fra Islanda e Stati Uniti prevedeva due documenti: il primo131 concerneva le questioni generali, il secondo era invece una lunga serie di regolamenti minori riguardanti anche i minimi dettagli. Venne stabilito che gli Stati Uniti si facevano carico della difesa dell’Islanda, la quale avrebbe messo l’esercito in condizione di svolgere questa funzione, senza nulla a pretendere in termini di compensazione economica. Il governo islandese sottoponeva però alla sua approvazione il numero di soldati che sarebbero stati impiegati e riceveva il pieno controllo del traffico civile dell’aeroporto di Keflavik. Inoltre entrambi i governi avrebbero potuto notificare, in qualunque momento, la Consiglio della Nato l’intenzione di rivedere il trattato132. Qualora non si fosse raggiunto un accordo entro il termine di sei mesi, dopo un ulteriore periodo di dodici mesi entrambi i governi avrebbero potuto dichiarare unilateralmente la fine del rapporto. Il 7 maggio 1951 quindi il generale di brigata J. McGraw assunse il comando dell’Iceland Defence Force, di istanza a Keflavik. Oltre che proteggere l’aeroporto e le altre strutture dai possibili sabotaggi, i soldati avrebbero dovuto facilitare il monitoraggio radar ed aeronavale del nord Atlantico all’interno del “Distant Early Warning System”, per rilevare prontamente e respingere un attacco a sorpresa verso gli 130 La dichiarazione del governo venne pubblicata integralmente pressoché da tutta la stampa. Disponibile in Allegato E. 132 Sebbene questo trattato non venne stipulato fra l’Islanda e la Nato ma fra l’Islanda e gli Stati Uniti, essi agivano entro i termini e gli obbiettivi dell’alleanza atlantica. 131 105 Stati Uniti da parte di bombardieri sovietici. L’accordo però, almeno formalmente, non permetteva un uso offensivo della base.133 Da un punto di vista procedurale questo trattato presenta diverse anomalie: innanzitutto la completa segretezza in cui avvennero le trattative e la decisione da parte del governo di non passare per il voto parlamentare134. Questo fu possibile solo grazie al completo ed “informale” accordo fra tutte le forze democratiche, mentre i comunisti vennero arbitrariamente esclusi: il motivo di questa scelta non è da ricercarsi solo nel tentativo di velocizzare il processo, ma anche nel fatto che la minaccia interna di colpo di stato comunista era probabilmente uno dei pericoli da cui ci si voleva liberare.135 Sebbene il partito socialdemocratico era all’opposizione, in politica estera vi fu l’unanimità d’interessi col governo, e tutti i parlamentari dei tre partiti che, a suo tempo, si erano opposti alla Nato erano ora favorevoli a questi nuovi sviluppi. A rendere possibile questa piena sintonia fu molto probabilmente l’estrema cura con cui il governò si adoperò per assicurare all’Islanda il maggior controllo possibile della situazione: il secondo documento del trattato, quello riguardante i dettagli operativi, necessitò di una lunga trattativa di quattro mesi proprio per far sì che tutte le possibili obbiezioni fossero contemplate136. Se gli americani erano determinati ad usare questa opportunità per raggiungere una concessione militare di lungo termine (tentando di legare la durata 133 V. Ingimundarsson, The west in the north, cit., p. 86. I costituzionalisti del governo affermavano che queste obbligazioni non erano frutto di un nuovo accordo bilaterale fra Usa ed Islanda, ma rientravano in quanto già stipulato dal NAT, quindi il governo poteva agire per decreto esecutivo temporaneo. Cfr. V. Ingimundarsson, The Role of Nato and U.S. Military Base in icelandic Domestic Policy, 1949-1999, Reykjavik 2000, cap. primo. 135 Secondo E. Loftsson, (Disguished Threat, cit., p. 236.) la minaccia interna era più plausibile di quella esterna, ma a mio avviso i due eventi non potevano essere separati: un colpo di stato comunista poteva verificarsi solo come atto preliminare ad una invasione sovietica, analogamente ai timori espressi durante la guerra per le frange filonaziste. 136 D. Neuchterlein, Iceland Reluctant Ally, cit., p. 100. 134 106 dell’accordo difensivo a quella dell’alleanza atlantica) dall’altra parte solo un profilo minimo di cooperazione era compatibile con tutte le resistenze del mondo politico.137 Agendo in tutta segretezza e nel pieno accordo delle forze democratiche, si poté togliere ai comunisti la possibilità del dibattito politico per animare un forum di discussione pubblica. L’8 maggio del 1951 gli editoriali dei quattro giornali principali sono tutti dedicati al “Defence Agreement”. Solo il quotidiano comunista Þjoðviljinn si espresse polemicamente contro il colpo di mano del governo, mentre gli altri giornali rispecchiano le opinioni dei partiti di riferimento. Dal Timinn: “L’Islanda desidera la pace, ma allo stesso tempo sa che è necessario intraprendere azioni concrete e che non può vivere in un mondo di sogni; il popolo deve quindi saper scegliere quali misure prevengono la trasformazione dell’Islanda in un campo di battaglia, ed è compito del governo evitare questo pericolo. Si ritiene probabile che le atrocità della guerra possano essere tenute lontane avendo a disposizione una forma di difesa tangibile”. Il Morgunblaðid appoggiò invece la decisione del governo di non chiamare una sessione speciale del parlamento: il nuovo accordo rientrava nei termini del Trattato del Nord Atlantico, che era già stato approvato dal parlamento. L’Alþydublaðid dava invece una lettura dal punto di vista della scena internazionale: “E’ chiaro che i nostri pacifici vicini, che sono impegnati nel rafforzare la propria sicurezza per il mantenimento della pace mondiale, sono fortemente minacciati da una Islanda sguarnita”. Al di là delle motivazioni politiche, bisogna però anche soffermarsi sulle considerazioni militari. La Nato nasceva come organizzazione difensiva che, in caso di 137 T. Whitehead, The Ally, cit., pag 52. 107 attacco ad uno dei suoi membri, avrebbe reagito collettivamente. Eppure questo schema era ormai obsoleto; con i progressi tecnologici e la velocità con cui gli eserciti erano in grado di muoversi, non si poteva più attendere lo scoppio di un conflitto per organizzare le proprie difese.138 Se i tre giornali sopra citati rispecchiavano le posizioni dei partiti democratici, il Þjòðviljinn si accanì ferocemente contro un trattato che considerava un tradimento e l’inizio di una nuova occupazione dell’imperialismo americano: «Questo governo fantoccio ha abbandonato le sorti del paese in mano ad un esercito straniero. Una nuova occupazione dell’Islanda è ora cominciata e le promesse che “nessun contingente militare sarà ospitato in tempo di pace” sono state vergognosamente disonorate. (…) Questo accordo non vincola legalmente ne moralmente il paese, ma è un patto privato fra i più perversi politici della nazione ed una potenza straniera». Formalmente il Defense Agreement venne recepito come un decreto del governo, la cui ratifica parlamentare era un atto rinviabile ma non evitabile totalmente: in ottobre le camere discussero la questione, introdotta dal ministro degli esteri Benediktson. Egli, oltre alle valutazioni del governo su quanto era stato fatto, affermò che sebbene il governo non fosse obbligato a riferire al parlamento, tutti i membri non comunisti erano stati consultati ed avevano espresso parere positivo per iscritto139, il che equivaleva a dire che almeno 43 parlamentari avevano approvato l’operato del governo. Un altro intervento autorevole fu quello del socialdemocratico Stefànsson; egli molto semplicemente affermò che, visti gli eventi internazionali, l’Islanda poteva costituire un proprio esercito, chiedere l’assistenza della Nato oppure attendere e sperare. La seconda opzione era sembrata di gran lunga la preferibile.140 138 B. Groendal, From neutrality, cit., p. 48. V. Ingimundarsson, The Role of Nato, cit., capitolo primo. 140 Alþingistiðindi, 1951, sez. B. 139 108 I comunisti, per bocca del loro leader Einar Olgeirsson ribadirono tutto il loro ben noto dissenso e denunciavano l’atto come un preliminare di guerra, ma non riuscirono a bloccarlo. I loro fiancheggiatori non organizzarono manifestazioni e incidenti, anche perché la popolazione islandese era stata seriamente impressionata dalla guerra di Corea ed in linea di massima approvava la politica governativa.141 A differenza di quanto accaduto per gli altri trattati, il parlamento non si riunì in seduta comune, ma i due rami votarono nel novembre e nel dicembre del 1951: la “camera bassa” approvò per 23 favorevoli e 5 contrari, la “camera alta” per 12 a 3. Tutto sommato, grazie alla decisione di ritardare la votazione, il governo era riuscito ad abbassare i toni sottoponendo a dibattito un fatto compiuto, ed i comunisti non furono più in grado di drammatizzare la discussione. L’impatto economico della presenza dei soldati fu sensibile. Sebbene non era stata stabilita alcuna compensazione per l’Islanda, i cantieri militari, l’indotto ed i pagamenti in dollari a vario titolo furono una componente importante dell’economia islandese che, non essendo in grado di sostenere autonomamente gli standards di vita raggiunti, era in cronico deficit.142 Sebbene il periodo utile per le grandi costruzioni in Islanda è piuttosto breve a causa del clima instabile, i cantieri per le infrastrutture militari fornivano circa di 3.000 posti di lavoro e avrebbero alleviato la crisi dell’economia. Ancora più interessante è notare come la base abbia inciso sulle entrate di capitale estero in modo netto. Se nel 1951 questa quota era di poco superiore all’1%, passò al 10,25% nel ’52 e al 19.91% nel ’53. 141 G. Goendal, From Neutrality, cit., p. 50 L’Islanda nel 1939 era il paese più povero del nord Europa, mentre nel 1945 gli standard di vita erano paragonabili a quelli degli Stati Uniti. Cfr. Ingimundarsson, The West in the North, cit., p. 83. 142 109 Inoltre gli americani, che avevano stabilito per il 1952 la fine del Piano Marshall, prolungarono gli aiuti per un altro anno. Tra il 1948 ed il 1953 gli islandesi ricevettero circa 39 milioni di dollari a vario titolo (fondi incondizionati, agevolazioni, prestiti etc.). Se il percorso politico fu privo di grossi problemi, e l’economia ricevette almeno parziale sollievo, non è da sottovalutare il tanto temuto “impatto sociale”, che anzi nel giro di pochi anni portò ad un cambiamento dell’opinione di molti politici. Probabilmente quando il comando militare americano affermò, poco dopo il suo arrivo, che americani ed islandesi avrebbero dovuto imparare a conoscersi reciprocamente143, non sapeva che questa dichiarazione amichevole suonava agli islandesi più come una minaccia che come una apertura. Addirittura, per evitare complicazioni in una nota diplomatica il governo aveva chiesto agli americani di non inviare in Islanda truppe di colore.144 I militari vennero sottoposti al coprifuoco per le 22:00 (tranne il giovedì, fino a mezzanotte), ma evidentemente non bastò a rasserenare la popolazione di Reykjavik (allora 55,000 abitanti), ove i militari si riversavano giornalmente vista la vicinanza dalla base e l’assenza di altri centri ricreativi. L’associazione dei giovani conservatori (“Vaka”) pubblicò una risoluzione in cui, sebbene si ribadiva l’importanza del contributo delle forze armate alla causa nazionale, si chiedeva che vi fossero i minori contatti possibili fra civili e militari; inoltre si chiedeva ai giovani islandesi “di comportarsi in modo compatibile con l’onorabilità propria e della nazione”145. Evidentemente, come già durante la guerra, gli islandesi sembravano essere oltremodo gelosi delle loro donne. 143 Nuechterlein, Reluctant, cit., p. 111. Solo a partire dagli anni ’70 queste imbarazzanti limitazioni vennero rimosse, su pressioni di circoli afroamericani. Cfr. Whitehead, The Ally, cit., p. 62. 145 Morgunbladið, 4 luglio 1951. 144 110 Il settimanale Manudagblaðid, che pure era stato uno strenuo avallatore delle forze armate, pubblicò una lettera in inglese per criticare la scarsa disciplina dei militari: “Incidents and difficulties can and will always arise and cannot be helped, but continual clashes and disorders can be prevented if the one who commands applies necessary restriction”.146 Questi risentimenti alla lunga cominciarono ad avere un certo riscontro anche in ambito politico, e la campagna di discredito operata dai comunisti trovava terreno fertile per le proprie stoccate, ma progressisti e conservatori, nei due anni successivi alla firma del trattato, non modificarono la loro politica. Nel giro di pochi anni l’Islanda sperimentò una politica di sicurezza altalenante: la neutralità formale (1918-maggio 1940), la “non collaborazione attiva” (occupazione inglese), la protezione di una potenza amica (1941-46), il tentativo di inserirsi in un sistema di una “sicurezza collettiva” (adesione all’Onu), il sistema di “difesa collettiva” (adesione alla Nato) per poi divenire parte integrante di un network militare. Molti fattori segnarono questo percorso: benefici economici da un lato, resistenze culturali dall’altro, incertezza del clima internazionale sullo fondo. Fra tutte le entità politiche forse quella che contribuì più delle altre a questa fluttuazione fu il Partito Progressista. Analizzando la posizione dei partiti in un quadro d’insieme infatti, risulta chiaro che sia il Partito Indipendente che il Partito di Unità Socialista, nei due opposti, adottarono una politica precisa e ferma. Il Partito Socialdemocratico, sotto la risoluta guida di Stefàn Stefànsson, attuò una politica di stampo internazionalista, di collaborazione ponderata con i conservatori e chiusura con i comunisti, ma si trovò a far fronte ad una limitata ma visibile opposizione interna a questa linea (soprattutto 146 Manudagsbladið, 23 luglio 1951. 111 Valdimarsson). I progressisti invece erano il partito più lacerato: molte organizzazioni di base erano spiccatamente antimilitariste, ed anche la dirigenza di partito si trovò a votare spesso non unanimemente (come Hermann Jònsson ed Eynsteinn Jònsson, numeri uno e due della segreteria, alla votazione del ’46 per il Keflavik Agreement). A complicare la questione vi era poi il fatto che, in virtù degli esiti elettorali ed una debolezza intrinseca del sistema, i progressisti erano necessari alla formazione di un governo credibile: una volta che i conservatori ruppero definitivamente con i comunisti (1946), ed i socialdemocratici non erano disposti a collaborare né con questi ultimi né con i conservatori in una coalizione a due, i loro voti erano indispensabili. In questa scomoda situazione i progressisti vissero momenti sconfortanti, come il minimo storico alle elezioni del 1946, ma forse, grazie alla loro posizione fluttuante ed essendo comunque il secondo partito nazionale, riuscirono ad inserire un elemento di flessibilità in un mondo politico alquanto statico. Questo permise di non irrigidire e rendere prevedibili le reazione del parlamento, costringendo gli Stati Uniti a far buon uso delle loro offerte di collaborazione. 112 Allegato D – Risultato delle elezioni 1946 e 1949 Fonte: Alþingiskosningar (Statistiche Ufficiali) Elezioni del 1946 Partito Seggi Parlamentari % di Voto Indipendente 20 39.4 Progressisti 13 23.1 9 17.8 10 19.5 Socialdemocratici Comunisti Elezioni del 1949 Partito Seggi Parlamentari % di Voto Indipendente 19 39.5 Progressisti 17 24.5 Socialdemocratici 7 16.5 Comunisti 9 19.5 Governi: Periodo Primo Ministro Coalizione 1942-44 Björn Thordarsson Nonpartisan 1944-47 Ólafur Thors (PI) PI, PSD, PC 1947-49 Stefan Stefannson (PSD) PSD, PI, PP 1949-50 Ólafur Thors (PI) (minoranza) PI 1950-53 Steingrimur Stheinthrsson PP, PI 113 Allegato E Defense Agreement Pursuant to the North Atlantic Treaty (fonte: testo distribuito in occasione della conferenza per il 50esimo anniversario del trattato, Biblioteca Nazionale Islandese, Maggio 2001) Preamble Having regard to the fact that the people of Iceland cannot themselves adequately secure their own defenses, and whereas experience has shown that a country’s lack of defenses greatly endangers its security and that of its peaceful neighbors, the North Atlantic Treaty Organization has requested, because of the unsettled state of the world affairs that the United States and Iceland in view of the collective efforts of the parties to the North Atlantic Treaty to preserve peace and security in the North Atlantic Treaty area, make arrangements for the use of facilities in Iceland and thus also the North Atlantic Treaty area. In conformity with this proposal the following agreement has been entered into. Article I The United States, on behalf of the North Atlantic Treaty Organization and in accordance with its responsibilities under the North Atlantic Treaty will make arrangements regarding the defense of Iceland subject to the condition set forth on this Agreement. For this purpose and in view of the defense of the North Atlantic Treaty area, Iceland will provide such facilities in Iceland as are mutually agreed to be necessary. Article II Iceland will make all acquisition of land and other arrangements required to permit entry upon and use of facilities in accordance with this Agreement, and the United States shall not be obliged to compensate Iceland or any national of Iceland or other person for such entry or use. 114 Article III The national composition of forces, and the conditions under which they may enter upon and make use of facilities in Iceland pursuant to this agreement, shall be determined in agreement with Iceland. Article IV The number of personnel to be stationed in Iceland pursuant to this agreement shall be subject to the approval of the Icelandic Government. Article V The United States in carrying out its responsibilities under this agreement shall do so in a manner that contributes to the maximum safety of the Icelandic people, keeping always in mind that Iceland has a sparse population and has been unarmed for centuries. Nothing in this Agreement shall be so construed as to impair the ultimate autority of Iceland with regard to the Icelandic Affairs Article VI The Agreement of October 7, 1946, between the United States and Iceland for the interim Use of Keflavik Airport shall terminate upon the coming into force of this Agreement whereupon Iceland will assume the direction and responsibility for civil aviation operations at Keflavik Airport. The United States and Iceland will negotiate appropriate arrangements concerning the organization of the Airport to coordinate the operation thereof with the defense of Iceland. Article VII Either Government may at any time, on notification to the other government, request the Council of the North Atlantic Treaty Organization to review the continued necessity for the facilities and their utilization, and to make recommendations to the two Governments concerning the continuation of this Agreement. If no understanding between the two Governments is reached as a result of such request for review within a period of six months from the date of the original request, either Government may at any time thereafter give notice to give intention to terminate the Agreement, and the Agreement shall the cease to be in force twelve months from the date of such notice. 115 Whenever the contingency provided for in Article 5 and 6 of the North Atlantic Treaty shall occur, the facilities, which will be afforded in accordance with this Agreement shall be available for the same use. While such facilities are not being use for military purposes, necessary maintenance work will be performed by Iceland or Iceland will authorize its performance by the United States. Article VIII After signature by the appropriate authorities of the United States and Iceland, this Agreement, of which the English and Icelandic texts are equally authentic, shall come into force on the date of receipt by the Government of the United States of America of a notification from the Government of Iceland of its ratification of the Agreement. Done at Reykjavik, the fifth of May 1951 116 Capitolo VI Un precario equilibrio Durante i negoziati per il Defense Agreement gli americani avevano dovuto limitarsi ad un profilo minimo di richieste per non mettere in difficoltà i propri interlocutori, eppure era chiaro che così facendo non veniva espresso il pieno potenziale strategico dell’isola; dal febbraio del ’52 il Dipartimento Americano alla Difesa decise che in Islanda vi era urgente necessità di un incremento delle strutture militari, in termini di uomini e mezzi, per la difesa dell’Europa. Gli Usa tentarono quindi di intavolare trattative col governo per la costruzione di una nuova base militare, “la Base X”, nella parte sud orientale del paese, ma gli islandesi non sembravano disposti a discutere tali progetti di ampliamento; non solo la base esistente era motivo di irritazione e problemi politici, ma si temeva che la nuova postazione potesse divenire la piattaforma per attacchi nucleari contro l’Unione Sovietica. Il governo giunse ad ignorare anche le raccomandazioni del generale norvegese Øen, interpellato in qualità di esperto, sulle effettive necessità di una seconda base.147 Come abbiamo visto il rapporto con gli americani era stato sempre inteso da parte degli islandesi come una misura difensiva, mentre il dispiego di armi nucleari e l’aumento delle postazioni sarebbe chiaramente rientrato in una logica offensiva148. La Defense Forse infatti, al momento della firma del trattato del 1951 era forte di un battaglione di fanteria (circa 3.000 uomini), squadriglie di ricognitori ed intercettori, 147 Il generale si espresse appoggiando in pieno la richiesta americana, considerando insufficiente per la difesa del paese l’assetto raggiunto nel 1951. Cfr. V. Ingimundarsson, The west, cit., p. 86, e “T. Whitehead, “The Ally”, cit., p. 57. 148 Stando ad alcune note diplomatiche rintracciate da T. Whitehead, The ally, cit., p. 57, piani segreti di ampliamento delle basi riguardarono lo stazionamento di una forza di bombardamento continuo a medio raggio, aerei cisterna e bombardieri pesanti B-36 ed RB-36. 117 nonché del personale tecnico atto ad operare le tre postazioni radar di lungo raggio sparse sul territorio. Il Defense Agreement però non valse a rasserenare a lungo la questione, specie nel contesto internazionale: un altro evento, in teoria del tutto estraneo alle vicende fin qui trattate, segnò il ritorno dell’Unione Sovietica come antagonista del “campo occidentale”. La prima “Cod War” contro L’Inghilterra E’ cosa nota che l’economia islandese trae il suo maggior profitto, di gran lunga superiore ad ogni altro commercio, dallo sfruttamento dei mari; nel 1952 gli islandesi portarono le loro acque territoriali, ovvero lo spazio di loro esclusivo sfruttamento, da 3 a 4 miglia dato che un vecchio trattato, firmato nel 1901 con l’Inghilterra ancora dalle autorità danesi, era giunto a scadenza149. Questo un atto “unilaterale” era stato regolato Nota Bene: 30 A: Ingresso dell’Islanda nel Piano Marshall 25 20 USA URSS 15 B: Crisi del pesce 10 5 A 0 1944 1946 1948 B 1950 1952 1954 1956 Esportazioni islandesi in Unione Sovietica ed Usa in percentuale sull’esportazione totale 149 J. Hjalmarsson, A short history, cit., p. 131. 118 su di una precedente disputa internazionale in materia di pesca, risolta in questo senso, fra Norvegia e Gran Bretagna150, le reazioni degli inglesi furono tuttavia dure: essi avevano interessi nella regione da lunghissimo tempo, e l’associazione dei produttori ittici inglesi decretò un vero e proprio bando delle merci islandesi dai porti del Regno Unito. La Gran Bretagna era un mercato importantissimo, ed il boicottaggio, proclamato da una confederazione privata, non poteva essere risolto dal governo; questa fu la prima delle dispute sui diritti di pesca fra le due nazioni, che vengono spesso chiamate “Cod Wars”151 . A questo punto di mosse l’Unione Sovietica. Il Cremlino si offrì di occupare il vuoto lasciato dagli inglesi, importando prodotti ittici ed esportando in Islanda petrolio, cemento ed altri materiali a prezzi favorevoli152. Dal 1955 l’Urss era ormai il secondo partner commerciale: se nel 1951 i commerci fra i due paesi erano nulli, nel 1953 le esportazioni islandesi in Unione Sovietica ammontavano a circa 7.3 milioni di dollari, nel ’54 a 11.5 milioni e nel ’55 ben 14 milioni. Anche le importazioni in Islanda crebbero notevolmente, da nulle nel ’51, a 11.9 milioni nel ’54, e 15,8 milioni nel ’55. I commerci con gli Usa invece destavano allarme: le esportazioni islandesi decrescevano (da 14,3 a 8,9 milioni nel periodo ‘52-’55) mentre le importazioni aumentavano (da 16,7 milioni a 25,9 nello stesso arco di tempo), con netto squilibrio della bilancia commerciale.153 Anche se è effettivamente difficile determinare in termini precisi quanto questa operazione incise sull’opinione pubblica islandese, era certo paradossale che coloro che 150 B. Greondal, Neutrality, cit., p. 63. Non sempre quella del 1952 non è inserita fra le Cod War vere e proprie, cui si fa riferimento per indicare le crisi del ’58 e degli anni ’70. A differenza di queste ultime infatti, le reazioni inglesi si limitarono al boicottaggio commerciale, mentre nelle successive si mosse, a scopo per lo più intimidatorio, anche la Royal Navy (da qui il termine Cod War). Vedasi anche capitolo successivo. 152 Questi accordi vengono generalmente chiamati “barter trade” in quanto il rapporto non si instaura secondo lo scambio di merce per moneta, ma secondo merce per merce. 153 Dati convertiti in dollari al valore di allora (1 ISK = 0,09 $) da Nuechterlein, Reluctant, cit., p. 147. 151 A 119 dovevano essere gli “amici”, come l’Inghilterra, tentavano di mettere economicamente in ginocchio l’Islanda, mentre coloro che erano additati come i “nemici”, ovvero l'Unione Sovietica, avevano “tratto in salvo” il paese. I colleghi della Nato, e soprattutto gli Stati Uniti, guardarono con apprensione a questi sviluppi, ma i rapporti fra Islanda e Urss assunsero presto un peso notevole: alla metà del 1955 circa un terzo delle esportazioni islandesi giungeva sui mercati del Patto di Varsavia.154 L’Unione Sovietica cercava indubitabilmente di destabilizzare i rapporti tra Islanda ed altri paesi Nato, e comunque poneva in essere, sfruttando un allentamento della maglia dei rapporti diplomatici, una massiccia penetrazione commerciale. La grande avanzata della sinistra parlamentare Insieme a questa nuova iniziativa economica, l’erosione del supporto popolare alla Defense Force, già abbastanza visibile nel 1951, cominciò presto a divenire uno dei temi politici principali. La politica non fu ovviamente insensibile a queste più o meno evidenti manifestazioni d’insofferenza, e ben presto si consumarono piccole grandi rivoluzioni che modificarono la percezione del problema della difesa: un cambiamento di leadership al Partito Socialdemocratico, più orientata ad un atteggiamento radicale nel chiedere il ritiro della Defense Force; la creazione ex-novo di un partito neutralista nazionalista; il nuovo corso dei progressisti che (a seguito di una nuova sconfitta elettorale del ’53, di cui si dirà tra breve, per l’incapacità di trattare con le frange antimilitariste del proprio elettorato), sperarono di arginare l’emorragia di consensi 154 Solo l’Austria e la Finlandia, fatte le debite proporzioni, avevano scambi più intensi con l’Urss, fra tutte le nazioni occidentali. Cfr. Guðmundsson, Iceland, a Reluctant European, cit., p. 11 e 40. 120 formando un nuovo governo con i conservatori sulla base di una revisione del Defense Agreement. Per quanto riguarda il Partito Socialdemocratico era tempo ormai che venivano spesso in polemica fra loro due ali della dirigenza; quella del presidente del partito, Stefàn Stefànsson, che fino a questo momento aveva prevalso, e quella facente capo a Hannibal Valdimarsson, generalmente considerato il campione della corrente di sinistra. Il punto che più divideva i due era sostanzialmente il rapporto con i conservatori del Partito Indipendente: Stefànsson aveva, nel corso della sua carriera politica, formato diversi governi con il centrodestra (e fu anche a capo di un gabinetto tra il ’47 ed il ’49) e aveva espresso una linea politica di apertura all’occidente e di rifiuto di collaborazione con i comunisti. Valdimarsson riteneva al contrario che questa politica poteva essere lesiva degli interessi a lungo termine del partito, che rischiava di perdere consensi fra le organizzazioni dei lavoratori155; inoltre, questi si era spesso polemicamente schierato contro la linea del presidente in materia di politica estera (ad esempio il voto sulla Nato). Durante il congresso del 1952, Valdimarsson riuscì a scalzare Stefànsson dalla guida del partito ed anche ad ottenere la poltrona di direttore del giornale di partito (Alþydublaðid). In politica estera la linea della nuova dirigenza sarebbe stata meno accondiscendente del suo predecessore: “La situazione internazionale può, in un prossimo futuro, modificarsi al punto che gli islandesi possano rivedere il loro atteggiamento nei riguardi della Defense Force”156. 155 Il partito era tradizionalmente forte negli ambienti sindacali, e Valdimarsson temeva che il legarsi assiduamente con gli ambienti borghesi capitalistici, di cui i conservatori erano i principali esponenti, poteva essere dannoso. Per una trattazione del sistema politico e dei partiti islandesi, vedi capitolo dedicato. 156 Alþidubladið (quotidiano, organo del Partito Socialdemocratico), 10 dicembre 1950. 121 Sebbene Valdimarsson non si era opposto al trattato del 1951, spiegò di averlo fatto in considerazione della situazione internazionale critica, e sempre con l’idea che fosse un assetto temporaneo; si diceva poi pienamente d’accordo con tutti coloro che ritenevano necessario l’isolamento degli stranieri negli spazi a loro disposizione, per ridurre al minimo i contatti con i civili. Il secondo evento politico di questi anni fu, come accennato, la nascita del Þjoðvarnarflokkur Íslands, Partito di Difesa Nazionale; sebbene non fosse emanazione diretta della Lega di Difesa Nazionale (costituitasi precedentemente sulle proteste contro il Keflavik agreement e l’adesione alla Nato), ne condivideva i principi: ritorno alla neutralità, nessun compromesso con gli stranieri, ferma e strenua difesa dell’identità culturale della nazione. Questo partito, a volte definito come di area di centrosinistra, esauriva in realtà il suo scopo in un programma teso ad opporsi quantomeno alla presenza fisica dei soldati stranieri, e tentava di appellarsi a tutti quegli elettori che o votavano per il partito comunista esclusivamente per la loro politica di netto contrasto, ma che non si riconoscevano nell’ideologia del partito, oppure erano scontenti della condotta degli altri partiti di riferimento su questa materia. Il PDN, costituito in larga parte da intellettuali di sinistra, rappresentava il ritorno del nazionalismo in forme ben più organizzate che in passato.157 Il 6 settembre del 1952 il partito cominciò a pubblicare il proprio organo di stampa, il settimanale “Frjàls Þjoð” (Nazione Libera)158, come veicolo per le proprie posizioni ed anche come strumento di denuncia della condotta dei soldati159: 157 158 V. Ingimundarsson, “The role of Nato”, cit., p. 9. Anch’esso si ispirava al Þjodvörn, stampato qualche anno prima dalla Lega. 122 «…Dobbiamo isolare l’esercito, e dobbiamo pretendere che sia incondizionatamente confinato all’interno delle aree messe a disposizione, non meno di quanto accade all’esercito russo a Porkkala, Finlandia. Dovrebbe essere un punto d’onore per gli americani non perpetrare qui una intrusione più dannosa di quella dei russi in Finlandia…». Nell’articolo del 17 marzo 1953, due giorni dopo la fondazione ufficiale del partito, il giornale ne pubblica il “manifesto”: «…Una potenza straniera, che ha sempre desiderato il territorio islandese per trasformarlo in una postazione militare per un non specificabile periodo di tempo, è riuscita a stabilire una base e cerca costantemente di rafforzare la sua presenza nel nostro paese. (…) La nazione non deve dimenticare il rispetto degli antenati, nel continuare la lotta per l’indipendenza e la cultura nazionale (…). L’occupazione militare del paese in tempo di pace è pericolo e disgrazia per la nazione». Nella campagna elettorale che portò alle elezioni del 1953 la questione della base e della difesa fu ovviamente solo uno dei punti dibattuti, ma la presenza stessa del PDN imponeva agli altri partiti di prendere delle posizioni chiare. I conservatori, attraverso le pagine del Morgunblaðid, sembravano favorire la presenza della Defense Force in Islanda; come tutte le cose, anche gli annessi e connessi del Defense Agreement potevano essere migliorati (specie tutti i problemi riguardanti i rapporti di lavoro tra ditte islandesi ed americane), ma in generale il partito non modificava le sue opinioni: «Noi tutti sappiamo bene che fino a quando la situazione internazionale rimarrà così infelice come è oggi, gli equivoci e le scomodità che accompagnano la presenza della Defense Force sono inezie se comparate con il pericolo che risulterebbe dall’essere completamente 160 sguarniti». 159 Ad esempio, il 6 settembre il settimanale pubblicò un articolo in base al quale i soldati avevano trasformato in case per appuntamento almeno 14 appartamenti di Reykjavik. 160 Intervista a Benediksson, Morgunbladið, 3 giugno 1953. 123 Anche il Partito Progressista, che ancora non sembrava cedere alle “ali neutraliste” cui si accennava, invocò la difficoltà della situazione internazionale, definendo anzi la presenza militare americana necessaria non solo alla sicurezza degli islandesi, ma di tutta l’area del nord Atlantico; si riconosceva il bisogno di limare alcune imperfezioni, come la possibilità di limitare il movimento dei soldati, ma si puntava anche il dito contro una propaganda eccessiva ed a tratti irresponsabile di altre forze politiche.161 Le insofferenze popolari alla presunta “minaccia culturale” degli stranieri trovarono attenti uditori invece presso i socialdemocratici162; a differenza di Stefànsson, che aveva dato al partito una linea spiccatamente “internazionalista” o “western oriented”, il nuovo leader Valdimarsson si sarebbe comportato coerentemente al nuovo corso che intendeva dare al partito. Il Partito di Unità Socialista (comunista), di cui erano già ben note le posizioni, tentò di lanciare un progetto per un fronte unito “di tutti gli islandesi fedeli alla patria” per cacciare i nuovi colonialisti163, ma non riuscì, in questa fase pre-elettorale, a trovare la disponibilità seria di nessuna compagine democratica, e la proposta cadde sostanzialmente nel vuoto. Le nuove elezioni si tennero il 28 giugno del 1953, e la grande incognita era ovviamente il risultato del nuovo PDN; questo nuovo partito era un movimento d’opinione che poteva raggranellare solo qualche voto di protesta o era il frutto di una vera e propria irritazione di una parte consistente della nazione? E quale dei vecchi partiti avrebbe maggiormente sofferto la presenza del nuovo soggetto politico? 161 La dichiarazione d’intenti del partito è pubblicata sul Timinn in data 28 marzo 1953. B. Groendal, From Neutrality, cit., p. 53 163 Cfr. Þjoðviljinn (quotidiano, organo del Partito di Unità Socialista), 1 aprile 1953. 162 124 Le urne sancirono un buon successo del PDN: con il 6% dei voti otteneva due seggi in parlamento. Anche il Partito Indipendente guadagnò due seggi rispetto alle votazioni precedenti, ottenendone 21; il partito progressista passò da 17 a 16, ed anche i comunisti persero un seggio (7 seggi)164. Per i socialdemocratici fu una vera disfatta, non solo perché persero due rappresentanti (6 seggi), ma anche perché lo stesso leader Valdimarsson, promotore della “svolta a sinistra”, non riuscì a farsi eleggere nel proprio collegio.165 Le elezioni dimostrarono sostanzialmente che i conservatori mantenevano con fermezza il ruolo di primo partito del sistema politico islandese166; il PDN aveva sottratto molti voti ai comunisti e soprattutto ai progressisti167, mentre per Valdimarsson fu una umiliazione personale: avendo inglobato nel proprio programma molti punti di quello del PDN, avrebbero dovuto essere quello che meno aveva a temere dal nuovo partito. La riuscita del PDN dimostrava quanto il carattere islandese di difesa dei propri valori tradizionali non fosse affatto un po’ di colore in un sistema politico piuttosto statico, ma era una esigenza realmente sentita dalla popolazione. Le reazioni della stampa ovviamente rispecchiarono gli umori di vincitori e vinti. Il Þjoðviljinn attribuiva la sconfitta alla “disunione” dei partiti antagonisti alla base militare che non erano riusciti ad allearsi in una sorta di cartello d’intenti, come il 164 Per un quadro complessivo degli esiti elettorali, vedi appendice. Egli venne però “ripescato” nella quota proporzionale, in quanto il sistema politico islandese prevede la distribuzione di una quota di seggi su base proporzionale, ma solo tra i partiti che hanno ottenuto almeno un mandato con sistema maggioritario. Per una trattazione più approfondita del sistema elettorale rimando al capitolo dedicatovi. 166 Da notare che alle elezioni si era presentato anche il Partito Repubblicano, nato da una scissione di minoranza dall’Indipendente, ma rimase non rappresentato in parlamento e non sembrò aver danneggiato i conservatori in maniera rilevante. 167 In virtù del sistema maggioritario, il PDN sottraeva al PP abbastanza voti da fargli perdere collegi soprattutto in favore dei conservatori, come accadde a Reykjavik ove i progressisti persero il loro unico mandato proprio in questo modo. 165 125 partito aveva proposto.168 I progressisti non cercarono scuse per quella che era, a tutti gli effetti, una sconfitta elettorale; a causa di un certo lassismo, avevano ignorato i segnali delle loro ali neutraliste ed ora si trovavano in una posizione indebolita.169 Potrebbe non essere inutile ricordare che i progressisti avevano la loro base elettorale soprattutto negli ambienti cooperativi delle campagne e quindi i loro elettori se potevano sperimentare meno direttamente “l’impatto sociale” (che però era una sorta di punto d’onore nazionale), erano anche quelli che risentivano meno de “l’impatto economico” della base, ovvero la cosiddetta ricaduta occupazionale. La formazione di un nuovo governo, in virtù di questi esiti elettorali, fu difficoltosa. Il Partito Progressista aveva grosse resistenze a collaborare con i conservatori, ma una crisi di governo prolungata avrebbe certo portato a nuove elezioni, e con il partito in difficoltà ciò non era auspicabile170. Anche i socialdemocratici di Valdimarsson non modificarono, nonostante la sconfitta, la loro linea anticonservativa. Thors il veterano al suo quarto Governo Il 10 settembre 1953 Òlafur Thors riuscì a formare un nuovo governo con i progressisti, a patto di alcune concessioni ai colleghi di governo: Bjarni Benediksson avrebbe lasciato il ministero degli esteri in favore del progressista Kristinn Guðmundsson. I progressisti puntavano ad avere un peso maggiore agli esteri per una revisione dei trattati con gli Stati Uniti. Il pensiero del neoministro degli esteri venne da questi esplicitato in un lungo intervento al parlamento il 19 ottobre: 168 Þjoðviljinn, 30 giugno 1953. Timinn, 1 luglio 1953 170 Timinn, 11 settembre 1953. 169 126 «…alcune modifiche andranno necessariamente introdotte [nel Defense Agreement] se si vuole ottenere una condizione soddisfacente. (…) Noi tutti speriamo che la situazione internazionale volga alla distensione e che sia abbastanza pacifica da convincerci che la presenza di una forza di difesa non sia più necessaria». 171 Più interessante ancora per definire la nuova politica del partito, sarà però un lungo articolo apparso sul Timinn in data 10 novembre 1953; esso riportava la risoluzione finale dei lavori conclusi da una apposita commissione del partito sul problema della base militare di Keflavik. La commissione, costituitasi proprio per far fronte ad una vera e propria spina nel fianco del partito, stretto tra gli oneri di governo ed il malumore dell’elettorato, varò una serie di raccomandazioni: 1) la creazione di una apposita commissione governativa per trattare l’amministrazione dei problemi della difesa. 2) una nuova organizzazione dei cantieri in modo che l’ingresso di lavoratori stranieri fosse non necessaria. 3) il passaggio alla responsabilità del governo per i lavori di costruzione e mantenimento della base. 4) netta separazione tra personale civile e personale militare. 5) Nuovi regolamenti per limitare la circolazione sia dei militari, sia del personale civile straniero, al di fuori della base. 6) uno studio per la fattibilità del passaggio ad organismi islandesi della gestione delle nuove infrastrutture radar di prossima realizzazione.172 Il ministro Guðmundsson avviò negoziati formali all’inizio del 1954; il raggiungimento di un accordo sembrava essere molto difficile, visto il mandato del ministro degli esteri: stando alla risoluzione di cui sopra, egli avrebbe dovuto raggiungere un accordo che, de facto, avesse operato per un progressivo coinvolgimento di entità islandesi nel mantenimento della base, fino alla sostituzione degli stranieri. 171 172 Alþyngistiðindi, 10 ottobre 1953, Sez. B. Cfr. Timinn, 10 novembre 1953. 127 Solo il 27 maggio il ministro poté annunciare, in un discorso radiodiffuso, il raggiungimento di un accordo. I punti salienti dell’accordo prevedevano: 1) progetti di costruzione ed ampliamento della base pienamente compatibili con le esigenze delle industrie islandesi. 2) che personale islandese venisse completamente formato ed istruito per sostituire tecnici e lavoratori americani. 3) che le ditte appaltatrici americane cessassero i loro lavori e che tale mandato fosse concesso a ditte islandesi. 4) la possibilità per le ditte islandesi di acquistare dagli americani tutti i macchinari per espletare le loro funzioni. 7) la costruzione di un recinto intorno al perimetro della base in modo da controllare al meglio i movimenti dei soldati.173 Accanto a queste concessioni però, gli Usa strappavano un incremento dei soldati della Defense Force (che passarono da 3.900 a 6.200)174 e la possibilità di avviare un proprio canale televisivo la cui ricezione fosse possibile solo all’interno della base.. Ovviamente la stampa filogovernativa salutò la revisione del trattato come un successo (anche se, è stato fatto notare, che il Morgunblaðid preferì non commentare approfonditamente l’evento per lasciare al ministro progressista tutta la “responsabilità” di quanto stesse accadendo175). Il Frjals Þjoð al contrario in toni del tutto negativi: il nuovo accordo non cancellava affatto l’onta della base, e le nuove condizioni ottenute non facevano altro che “mercificare” la politica islandese.176 Anche l’Alþydublaðid, dei socialdemocratici, si disse favorevole alla politica adottata dal ministro, anche se avrebbe preferito che la formazione di “tecnici” islandesi fosse 173 Il discorso completo venne pubblicato sia dal Morgunblaðid che dal Timinn il 27 maggio ’54. V. Ingimundarsson, The West, cit., p. 88 175 Neuchterlein, “Reluctant”, cit., p. 130. 176 Frjals Þioð, 4 aprile 1954. 174 128 principalmente orientata ad assumere, il prima possibile, il controllo delle postazioni radar, che avrebbero servito l’aviazione civile.177 Si sa che il bicchiere è sempre per qualcuno mezzo vuoto e per altri mezzo pieno, ma al di là dei “commenti a caldo” bisogna notare che la posizione degli americani fu senza dubbio astuta; da un lato “cedevano” su tutta la linea concedendo a ditte islandesi di divenire prime appaltatrici, con indubbi benefici commerciali, ed accettavano una segregazione quasi umiliante per le proprie truppe; dall’altro però inficiavano il meccanismo che avrebbe avviato il progressivo avvicendamento di militari statunitensi con civili islandesi ottenendo l’aumento dei soldati a loro disposizione. Si prepara la spallata all’ordine costituito Durante il 1955 apparve chiaro a molti che la situazione internazionale si stava effettivamente placando; non solo la guerra di Corea si era assestata, ma la cosiddetta “diplomazia del sorriso” di Nikita Cruscev alimentava nuove speranze; la decisione del Cremlino di abbandonare la base navale di Porkkala, in Finlandia, poteva tra l’altro ben prefigurare un analogo passo americano in Islanda. La revisione del trattato del 1954 valse, per quanto riguarda la politica estera, un periodo di tranquillità, ma la situazione sarebbe presto cambiata nel 1956. Come abbiamo accennato, la sconfitta elettorale del 1953 toccò nel vivo la leadership di Valdimarsson, che, incalzato dai sostenitori di Stefànsson, fu costretto a cedere la poltrona di presidente del partito. Ad assumere questo ruolo venne quindi chiamato Haraldur Guðmundsson, vicino al vecchio leader Stefànsson. Valdimarsson, temendo di perdere peso politico, decise una mossa a sorpresa: alle elezioni dei vertici sindacali, 177 Alþydubladið, 28 maggio 1954. 129 legandosi ai comunisti, anziché al proprio partito, riuscì a farsi eleggere presidente della principale organizzazione dei lavoratori. Senza dubbio, in condizioni normali, tale scarsa considerazione della “disciplina di partito” avrebbe di certo portato all’espulsione di Valdimarsson; tuttavia i socialdemocratici decisero di non prendere alcun drastico provvedimento, temendo gli effetti di una scissione in un momento di grande debolezza.178 A questo punto però Valdimarsson tornava in una posizione di forza, e la linea del partito oscillò di nuovo: a seguito del congresso di novembre 1955, Gylfi Gislason (al fianco di Valdimarsson in numerosi “momenti critici”179), riuscì a far passare una risoluzione in cui si auspicava la formazione di una alleanza elettorale con i progressisti ed i nazionalisti del PDN, e, facendo riferimento alle mutate condizioni internazionali, si tornava a chiedere una nuova revisione del “Defense Agreement” in vista di un ritiro delle truppe. Qualora un accordo non fosse stato raggiunto, si sarebbe dovuto invocare l’Articolo VII del trattato per la sua definitiva abrogazione.180 Quindi, anche se non si giungeva ad aprire ai comunisti, la linea politica che si andava costruendo rappresentava una nuova “sbandata” a sinistra. Anche in seno al Partito Progressista il nuovo clima internazionale faceva sentire i suoi effetti; nella dichiarazione di fine anno, il leader Hermann Jònasson affermò: «E’ importante che, dal punto di vista della nostra nazione, si tenga fede ai propositi già espressi relativamente alla politica estera. E’ scontato che dobbiamo immediatamente ottenere il livello di preparazione tale che ci permetta di assumere il completo controllo della base che è stata costruita» 181 . 178 Nuechterlein, Reluctant, cit., p. 135. Vedi le votazioni sulla Nato, precedentemente esposte. 180 Per la risoluzione, cfr. Alþydublaðid, 17 novembre 1955. 181 Timinn, 31 dicembre 1951. 179 130 Effettivamente, i progressisti avevano sempre lasciato intendere che gli accordi del 1951 fossero una situazione temporanea, e sebbene nella dichiarazione sopra citata il partito non chiedeva un ritiro immediato delle truppe (né si dava un tempo limite), l’enfasi data alla necessità di preparare personale islandese era sempre stata funzionale a tale scopo. Una svolta importante per i progressisti si ebbe durante il congresso di Marzo 1956. Due punti segnarono il congresso, uno di politica interna, l’altro di politica estera. Sul fronte interno si gettarono le basi per una alleanza elettorale con il partito socialdemocratico, secondo una vera e propria spartizione dei collegi e nella speranza di ottenere abbastanza rappresentanti per formare un governo.182 In politica estera si espresse quanto segue: “Non c’è oggi alcun dubbio, come sanno tutte le persone ben informate, che le condizioni sono molto cambiate da quelle esistenti quando il Defense Agreement tra Islanda e Usa venne firmato, nel 1951. Per questo motivo sembra appropriato cominciare immediatamente la preparazione di una diversa organizzazione riguardo tale materia; sembra inoltre ineccepibile che, secondo l’Articolo VII di detto accordo, si proceda al riesame della necessità di mantenere le strutture che sono state rese disponibili agli Stati Uniti in funzione del Defense Agreement” 183 . L’obbiettivo del partito era quindi quello di forzare gli Stati Uniti ad accettare un nuovo assetto, agitando lo spauracchio dello stralcio definitivo dell’accordo, che prevedesse finalmente la sostituzione di personale militare americano con personale civile islandese, cosa peraltro già acquisita nel corso di precedenti negoziati, ma che non procedeva. Un’altra necessità, strettamente elettorale, era poi quella di far fuori il PDN, 182 183 Timinn, 11 marzo 1956 Ibidem. 131 che tanto aveva nuociuto in termini di consensi, assimilando il punto focale del programma. Nel frattempo l’attivissimo Valdimarsson, che guidava un sindacato largamente in mano ad esponenti vicini al partito comunista, colse l’occasione di un grande sciopero tra i lavoratori per lanciare nell’arena politica una nuova entità politica, la Althydubandalag (Alleanza Popolare).184 Questo partito, al di là degli intenti retorici di voler rappresentare i lavoratori, era in realtà il vecchio Partito di Unità Socialista (che vi confluì in toto) con in più le frange minoritarie dei “socialdemocratici di sinistra” di Valdimarsson; questi entrava nel nucleo direttivo del partito (la cui presidenza toccò al leader storico dei comunisti, Einar Olgeirsson) e venne questa volta definitivamente espulso dal PSD il 22 marzo185 Mentre il mondo politico si preparava a nuovi scontri, l’economia viveva l’ennesima crisi: le fluttuazioni del mercato del pesce costituivano un fattore di intrinseca debolezza, inoltre l’inflazione sfuggiva ad ogni controllo, tenuta alta ora dall’eccesso di moneta, ora da un incremento dei salari (effetto dello spettacolare sciopero guidato dai sindacati federati di Valdimarsson); i costi di produzione lievitavano, con evidente danno alla competitività delle industrie islandesi in campo internazionale, mentre le importazioni rimanevano alte e lo squilibrio della bilancia commerciale rischiava di degenerare pericolosamente. L’amministrazione Eisenhower tentò di controbilanciare la “deriva a sinistra” della società sia con interventi propagandistici, sia per mezzo delle leve economiche. Artisti di fama mondiale giunsero in Islanda e politici, giornalisti, intellettuali e rappresentanti dei lavoratori vennero invitati negli Stati Uniti; nelle università e nei sindacati gruppi 184 Þjoðviljinn, 15-16 marzo 1956. 132 non comunisti vennero invitati a collaborare, ma, come i fatti dimostrarono con scarso successo. La crescente opposizione alla base venne chiaramente indicata da un sondaggio segreto realizzato dall’istituto norvegese Gallup per conto del governo americano. Solo il 28% degli intervistati si disse a favore della base, ed il 48% contrario. Invece vi era un forte appoggio dell’alleanza atlantica, con un 44% di favorevoli ed un 22% di contrari. La maggior parte della popolazione che si era detta contraria basava la sua opposizione all’impatto culturale che gli stranieri potevano avere sulla società islandese, invece solo pochi ritenevano che potevano rendere l’Islanda un bersaglio di attacchi nemici.186 Dal punto di vista economico già la base di per sé rappresentava una iniezione notevole di capitale187, ma Eisenhower propose ai suoi consiglieri una azione spettacolare: far acquistare agli Stati Uniti tutta la produzione ittica islandese, da donare ai paesi del terzo mondo come gesto umanitario188. Questa operazione venne però sostituita (temendo un flusso incontrastato di richieste da altri paesi) con il finanziamento di un cementificio; queste proposte, certo gradite, furono però troppo tardive per raddrizzare la deriva dell’opinione pubblica piuttosto compromessa, ed in realtà non risolvevano il problema: l’Islanda continuava ad operare in un regime economico artefatto, non riusciva a diversificare le sue produzioni e non poteva contrastare l’inflazione; “gettare soldi sui problemi”, se poteva rappresentare una soluzione di breve periodo, non risolveva l’instabilità economica della nazione. 185 Alþydublaðid, 23 marzo 1956. V. Ingimundarsson, The Role of Nato, cit., p. 9-10. 187 La base impiegava direttamente, tra il ‘51 ed il ’55 almeno il 4% della forza lavoro della nazione. R. Arnason, Political Parties and Defence, Kingston (Canada) 1980, p. 48. 188 V. Ingimundarsson, Buttressing the West, cit., p. 89 186 133 Marzo 1956: tutto sembra pronto per cambiare Il 26 marzo del 1956 i progressisti sottrassero il loro appoggio al gabinetto di Òlafur Thors, ma prima che il parlamento fosse sciolto, progressisti e socialdemocratici, già in piena collaborazione, fecero in modo di discutere una risoluzione storica. Il 27 marzo Hermann Jònasson e Gylfi Gislason proposero di votare una mozione il cui passaggio fondamentale fu quanto segue: «L’Alþing dichiara che la politica estera dell’Islanda dovrebbe essere formulata in modo da assicurare l’indipendenza e la sicurezza del paese, che relazioni amichevoli siano intrattenute con gli altri paesi, ed in modo che il popolo islandese possa cooperare con i propri vicini, ovvero attraverso la cooperazione con la Nato. Alla luce di cambiamenti avvenuti dal momento della firma del Defense Agreement, nel 1951, ed alla luce delle dichiarazioni concernenti il rifiuto dello stazionamento di truppe militari in tempo di pace, una revisione del sistema fin qui adottato deve immediatamente prendere avvio, in modo che gli islandesi stessi possano agire per la cura ed il mantenimento delle installazioni difensive, oltre che obblighi militari, e che la Defense Force possa essere ritirata. Se non si riuscisse a trovare un accordo soddisfacente per entrambe le parti, allora il Defense Agreement decadda secondo i termini stabili dall’Articolo VII» 189 . Non è facile capire per quale motivo i due partiti abbiano prima cercato la crisi di governo, probabilmente i progressisti voleva dare un segnale forte ai propri elettori di un nuovo corso della loro politica estera. La posizione era chiara e decisa, e ovviamente scatenò il dibattito e gli emendamenti delle altre forze politiche. Il Partito Indipendente propose un emendamento volto a bloccare la proposta: anche se condivideva il fatto che un esercito straniero non dovesse stazionare nel paese per più tempo del necessario, riteneva la dichiarazione affrettata. Prima di chiedere il ritiro delle 134 truppe una apposita commissione parlamentare, da costituirsi, avrebbe dovuto investigare la situazione internazionale da un lato, e tutti i problemi legati alla situazione nazionale: gli islandesi avrebbero potuto svolgere i compiti della base, senza un esercito? Quale effetto avrebbe avuto una simile decisione sulla sicurezza globale, e degli altri partners Nato? Chi e come avrebbe coperto i costi delle operazioni?190 Anche i comunisti, per intervento del parlamentare Finnbogi Valdimarsson, introdussero un emendamento volto a togliere dalla dichiarazione l’allusione all’appartenenza alla Nato, ed a indicare per il 5 maggio 1957 la data entro cui il ritiro si sarebbe dovuto ultimare.191 Di particolare interesse fra gli interventi parlamentari, è senza dubbio quello del ministero degli esteri; Kristinn Guðmudsson disse: «Può anche esser vero che il pericolo di una guerra esista da qualche parte, come nel mondo arabo; ma nessuno ritiene plausibile il pericolo di un attacco diretto, o l’inizio di una guerra 192 mondiale fra Est ed Ovest» . La risoluzione non avrebbe significato lo stralcio del Defense Agreement a meno che i negoziati con gli Usa si fossero arenati; anche per quanto riguarda i costi di mantenimento, se l’Islanda non fosse stata in grado di sostenerli da sola avrebbe richiesto il contributo, totale o parziale, di altri soggetti (Usa? Nato?), senza per questo dover accettare la presenza di un esercito straniero. Il 28 marzo si passò alle votazioni. Dapprima la risoluzione dei conservatori, che venne battuta per 31 voti contro 18; votarono per il sì solo i rappresentanti del Partito Indipendente. 189 Alþingistiðindi, 1956, Doc. A-623 Alþingistiðindi, 1956, Doc. A-643 191 Alþingistiðindi, 1956, Sez. D. Intervento di F. Valdimarsson. 190 135 Venne poi dibattuta la risoluzione dei comunisti, per 39 a 10. Votarono a favore i 7 membri comunisti, i due parlamentari del PDN e Valdimarsson, ormai in collaborazione costante con i comunisti. Infine si votò la risoluzione congiunta di progressisti e socialdemocratici vera e propria. Solo i conservatori si opposero, e la dichiarazione passò per 31 voti contro 18.193 Inutile dire che L’Unione Sovietica salutò la risoluzione come una “vittoria della pace”.194 Sulla stampa le reazioni furono accese, e soprattutto i giornali dei due maggiori partiti duellarono in uno scambio di accuse. Il Morgunblaðid cercava di convincere i propri lettori che, essendo l’Islanda all’interno di una cooperazione, era moralmente obbligata ad assumere tali drastiche conclusioni in armonia con gli altri partners atlantici195. Il Timinn invece ribatteva che l’Islanda aveva tutto il diritto di agire in piena autonomia ed indipendenza, senza accettare interferenze da parte di altri stati196. Alla fine di aprile il Partito Indipendente tenne la sua convention nazionale, ed ovviamente nella risoluzione finale la “Dichiarazione di Marzo” venne aspramente criticata: l’atteggiamento era definito irresponsabile in quanto il ritiro delle truppe veniva aprioristicamente richiesto senza alcuna consultazione con i colleghi della Nato197. Per ironia della sorte, in maggio si aprì un consiglio dei ministri degli esteri Nato a Parigi, presieduto proprio da Guðmundsson. Egli, lungi dal sollevare la questione in quella sede, dovette anzi assistere ad una dichiarazione dei partners in cui si chiedeva a tutti i membri di non ridurre gli sforzi della difesa collettiva. Inutile dire che il 192 Alþingistiðindi, 1956, Sez. D. Intervento di K. Guðmundsson I conservatori avevano in realtà a disposizione 21 seggi, ma tre parlamentari non si presentarono alle votazioni. Gli esiti delle votazioni sono in Alþingistiðindi, 1956, sez. D. 194 T. Whitehead, The Ally, p. 69. 195 Morgunbladið, 2 aprile 1956. 193 136 Morgunblaðid denunciò la condotta del ministro, che non aveva avuto il coraggio di parlare apertamente di quanto stava accadendo nel proprio paese.198 Un evento di grande risonanza accadde sempre nel maggio 1956. Il settimanale in lingua inglese della base militare, “White Falcon”, pubblicò un articolo in base al quale il dipartimento americano alla difesa aveva bloccato i lavori di costruzione fino a quando la posizione islandese nei riguardi della Defense Force non fosse chiarita.199 La notizia ebbe l’effetto di una vera e propria bomba emozionale ed elevò il tono della polemica dei due partiti maggiori attraverso gli organi di stampa. In un editoriale, intitolato irriverentemente “I progressisti non si sentono bene”, il Morgunblaðid parlava di un “infarto” dei progressisti ora che gli Stati Uniti cominciavano a prendere sul serio la Dichiarazione di Marzo200. Hermann Jònasson attaccò pubblicamente gli Usa per interferire nelle vicende islandesi, ed addirittura accusò il Partito Indipendente di comportarsi come un vero e proprio agente degli americani, nella speranza di mettere le mani su qualche grosso appalto della base.201 In realtà queste insinuazioni, definite dai conservatori degne della più bassa politica202, non portarono mai a chiarire una collusione diretta fra l’amministrazione Eisenhower e il Partito Indipendente, ma il ruolo degli Usa fu comunque evidente: dapprima cercarono di persuadere la Banca Mondiale a concedere un prestito all’Islanda per la costruzione di una centrale idroelettrica sul fiume Sog, poi cercarono di ottenere dagli inglesi la fine del bando proclamato nel ’52 (ma gli inglesi ignorarono tale 196 Timinn, 7 aprile 1956. Morgunbladið, 27 aprile, 1956. 198 Morgunbladið, 10 maggio 1956. 199 White Falcon (periodico), Keflavik Base, 12 maggio 1956. 200 Morgunbladið, 25 maggio 1956. 201 Timinn, 30 maggio 1956. 202 Morgunblaðid, 1 giugno 1956. 197 137 proposta, sia perché non ricevevano nulla in cambio, sia perché non volevano interferire con la politica interna islandese)203. L’unico aiuto diretto fu in occasione di una visita ufficiale del cancelliere tedesco Konrad Adenauer che, nel maggio del ’56 offrì un prestito di 20 milioni di dollari per la realizzazione di detto impianto. Òlafur Thors rifiutò la proposta. Probabilmente temeva che potesse effettivamente passare come un “agente”, o come troppo legato ai paesi occidentali, oppure considerò la richiesta tardiva ed inutile a modificare il clima generale delle elezioni. Chi scrive ritiene possibile che il premier, con una mossa piuttosto spregiudicata, intendeva in un certo senso drammatizzare la situazione economica per dimostrare che il buon rapporto con gli americani era insostituibile204; solo il ricorso a nuovi aiuti da parte del blocco sovietico avrebbero potuto, in teoria, far fronte al nuovo “buco”, ma ciò, vista la situazione ed in considerazione del fatto che progressisti e socialdemocratici non erano comunque né filosovietici né tanto irresponsabili da intrappolare il paese in siffatto abbraccio, diventava fantapolitica. Il responso delle urne Il “botta e risposta” tra i due giornali continuò per tutta la campagna elettorale, fino alle votazioni che si tennero il 24 giugno. Anche se la politica internazionale fu solo uno degli argomenti trattati, tutti i partiti vi diedero ampio risalto. Come accennato, un evento da segnalare fu l’alleanza elettorale fra progressisti e socialdemocratici (che stabilirono congiuntamente di non competere negli stessi collegi); inoltre si presentava per la prima volta alla nazione Alleanza Popolare. 203 V. Ingimundarsson, The West, cit., p. 91. 138 Il responso delle urne fu come segue: Partito Indipendente 19 seggi (da 21 che ne aveva), Partito Progressista 17 (da 16), Partito Socialdemocratico 8 (da 6), Alleanza Popolare 8 (da 7 considerando i seggi del vecchio Partito di Unità Socialista)205. Il Partito di Difesa Nazionale zero (da due seggi alle elezioni del ’53). Alcune considerazioni sono necessarie per capire effettivamente quale fu la risposta degli elettori: innanzitutto il PDN perse la propria rappresentanza parlamentare ed uscì definitivamente di scena come entità politica; in secondo luogo solo il nuovo partito AP ottenne un incremento sia in termini di voti sia in termini di seggi. I conservatori infatti segnarono un +5,3% dei voti, ma persero due seggi. La coalizione PP+PSD invece, sebbene ottenne congiuntamente 3 seggi in più rispetto alle precedenti elezioni, perse in totale il 3,6% su base proporzionale. Risultato ancor più sconcertante alla luce del fatto che mentre il PSD otteneva un lusinghiero +2,7%, i progressisti tracollarono dal 21,9% al 15,6%, divenendo il partito più piccolo in termini di voti. Questa anomalia, che rende l’analisi politica piuttosto complessa, fu dovuta al fatto che dividendosi anticipatamente i seggi, i due partiti riuscirono a massimizzare le rappresentanze della quota maggioritaria. Il responso delle urne tolse la possibilità per la coalizione PP+PSD di porre in essere da soli un governo stabile, e dato che ormai si era ai “ferri corti” con i conservatori, l’unica proposta credibile fu allargare il governo ad Alleanza Popolare. Scelta non certo agevole nel complesso, se poche settimane prima della formazione del nuovo governo la stampa dei progressisti e dei socialdemocratici sembra impegnata a “preparare” i propri lettori: 204 Alla fine del 1955 la situazione economica era di nuovo grave: le importazioni superavano di gran lunga le esportazioni, i salari aumentavano, ed aumentava anche l’inflazione. Cfr. Guðmundsson, Reluctant European, cit., p.26. 139 «C’è una differenza fondamentale tra Alleanza Popolare ed il vecchio partito di Unità Socialista, ovvero il fatto che esso sia costituito e supportato da numerosi individui che disapprovano il comunismo, come la presenza di leaders carismatici quali Hannibal Valdimarsson dimostra». 206 «Alleanza Popolare ha ottenuto presso l’elettorato una posizione di forza tale che non può essere ignorato o trascurato ora che i negoziati per la formazione di un nuovo governo di sinistra 207 sono attualmente in corso». Finalmente un nuovo governo venne presentato in data 22 luglio. I progressisti detenevano la carica di primo ministro nella persona di Hermann Jònasson, mentre ai socialdemocratici spettò il ministero degli esteri, carica assunta da Guðmundur Guðmundsson208. Anche ai comunisti spettarono due ministeri. Il Governo Radicale209 di Hermann Jònasson La presenza di ministri comunisti nel governo della nazione fu un momento di grande apprensione per i partners occidentali; inutile notare come l’amministrazione Eisenhower non poteva certo approvare il passo, ma ciò che più conta furono ripercussioni squisitamente tecniche nel rapporto con i colleghi dell’alleanza atlantica. La Nato bloccò la circolazione di documenti riservati in Islanda; il pericolo che tali documenti potessero giungere a conoscenza del Cremlino attraverso i ministri di 205 Per il quadro completo, vedi allegato con i risultati elettorali. Timinn, 8 luglio 1956 207 Alþydublaðid, 17 luglio 1956. 208 Attenzione all’omonimia con il suo predecessore Kristinn Guðmundsson (progressista). 209 Questo governo viene usualmente ricordato dalla storiografia come “governo di sinistra”, ma preferisco questa diversa accezione in riferimento al fatto che partiti di sinistra parteciparono alla maggior parte dei governi fin qui descritti, ed anche perché questo governo tentò di mettere in pratica una politica “radicale” in materia di difesa. 206 140 Alleanza Popolare era un rischio che non poteva essere affrontato, anche se significava che uno degli alleati si trovava in una condizione di discriminazione. Questo fu un nuovo clamoroso strappo con gli altri partners. Il governo richiese formalmente che la circolazione di documenti fosse ripristinata normalmente, in quanto i ministri comunisti non avevano uffici riguardanti la politica estera, ma la Nato rifiutò. A questo punto il premier islandese giunse a minacciare l’uscita della Nato “in un’ora”, e gli alleati dovettero cedere210. In realtà tutta la vicenda va inserita in un quadro particolare, e gli eccessi dall’una e dall’altra parte vanno ridimensionati; a causa di un sistema di protezione inadeguato e della mancanza di competenza islandese nelle questioni militari, gli islandesi non ricevettero mai, ne chiesero di studiare, piani militari di importanza strategica; probabilmente il “caso” fu solo una prova di forza che si risolse senza conseguenze. Il nuovo governo avrebbe dovuto affrontare due emergenze: la prima era cronica debolezza dell’economia, che passava di crisi in crisi, la seconda riguardava il problema del rapporto con i militari. Nonostante le dichiarazioni del governo sull’intenzione di rivedere il Defense Agreement, bisogna però notare che la partecipazione alla Nato non veniva messa in discussione: in una nota del 30 luglio, emessa dal ministero degli esteri, si rassicuravano gli altri membri che le discussioni in corso riguardavano solo ed esclusivamente il trattato del ’51, mentre l’alleanza atlantica non rientrava nell’agenda politica del governo. Questo passaggio non è secondario poiché tutta la storiografia che è stata possibile consultare ritiene unanimemente che la percezione islandese di appartenere al “campo occidentale”, per affinità storica, politica e culturale, non fu mai messa in 210 V. Ingimundarsson, The West, cit., p. 92. 141 discussione, come pure, conseguentemente, l’appartenenza all’Alleanza Atlantica una volta che l’opzione neutralista era stata definitivamente abbandonata dopo la guerra. Il Governo di Hermann Jònasson non poteva esimersi dal far fronte a due problemi, quello economico e quello della sicurezza. Per quanto riguarda il primo punto la strada era in salita. Le condizioni del paese erano note: pressoché priva di materie prime (minerali, legname, vegetazione o terreni coltivabili), aveva i suoi unici proventi nel commercio estero di prodotti ittici, e viveva, per tutti i motivi legati al rapporto anomalo con i propri partners commerciali, decisamente al di sopra delle proprie possibilità intrinseche. Per tentare di modificare la situazione, sarebbero stati necessari interventi strutturali di lungo termine, da attuarsi facendo di nuovo ricorso al credito internazionale. Inoltre, se gli islandesi fossero riusciti a diversificare la propria economia, sarebbero stati meno condizionati da influenze esterne, e, per esempio, il peso relativo della base nell’economia nazionale si sarebbe ridimensionato. Per quanto riguarda la politica di difesa invece, il nuovo gabinetto intendeva tener fede alla Dichiarazione di Marzo, varata dagli stessi partiti che andarono a formare la nuova coalizione. La reazione del Morgunblaðid al varo del nuovo governo fu molto allarmata, non tanto perché i conservatori erano andati all’opposizione (cosa mai accaduta dal dopoguerra), ma perché i comunisti come forza di governo erano una presenza inquietante: «Si può davvero credere che l’Islanda sarà ritenuta degna di fiducia dopo aver posto la sua politica di difesa nelle mani di un governo supportato dai comunisti? Certamente no. Il Partito Progressista ed il Partito Socialdemocratico, quindi, hanno mosso un pericoloso passo nei 142 riguardi del popolo islandese, più di quanto loro ora comprendano: la sicurezza e l’indipendenza della nazione» 211 . La nota diplomatica del 30 luglio non valse ovviamente ad influenzare uno studio del Consiglio Atlantico, depositato il 1 Agosto, richiesto dall’Islanda stessa nel giugno del ’56. Questo documento fu una analisi piuttosto approfondita della posizione strategica dell’Islanda, non solo nell’ottica nazionale ma da un punto di vista globale, ed esprimeva raccomandazioni sulla necessità di mantenere una presenza militare: "In the view of the Council, the present international situation has not improved to such an extent the Defense Force are no longer required in Iceland (…) It is the tangible and visible evidence of forces and installation in being, in place and ready, which constitutes an effective deterrent against aggression (…) The North Atlantic Council, having carefully reviewed the political and military situation, finds a continuing need for the stationing of forces in Iceland and for maintenance of the facilities in a state of readiness. The Council earnestly recommends that the Defense Agreement between Iceland and the United States of America be continued in such form and with such practical arrangements as will maintain the strength of the common defense” 212 . In sostanza questo documento bocciava gli argomenti di quelle forze parlamentari che ritenevano possibile per l’Islanda il compito di prendere in consegna la base, attraverso propri “tecnici”, mantenerla efficiente ed eventualmente riconsegnarla a militari Nato in caso di guerra o crisi grave. Un’altra seria incognita che gravava sulla questione era rappresentata dalla disponibilità o meno degli americani a trattare con un governo in cui figuravano comunisti; 211 212 un programma di interventi Morgunblaðid, 24 luglio 1956. Come riportato da Nuechterlein, Reluctant, cit., p. 172. 143 strutturali sull’economia doveva necessariamente adire al credito internazionale, inoltre, a seguito del blocco dei lavori nella Base di Keflavik, i primi islandesi cominciarono ad essere “messi in mobilità”. Il dipartimento di stato americano adottò una politica dura, intravedendo nella fragilità economica islandese un mezzo da far pesare sul piatto della bilancia (come probabilmente il rifiuto della proposta di Adenauer da parte di Thors aveva implicitamente suggerito); gli americani chiesero segretamente agli altri alleati di non fornire appoggio economico o morale ad un gabinetto “infestato” da comunisti. A partire dall’agosto del 1956 il governo islandese tentò di ottenere prestiti dalla Germania e dalla Francia, nel tentativo, tra l’altro, di uscire dalla dipendenza unilaterale con gli Usa. Nessuno dei due paesi ora sembrava disposto a concedere credito al Governo Radicale; i delegati islandesi, che si sforzavano di dimostrare la loro lealtà alla Nato, trovarono sbarrata anche la porta della Banca Internazionale. Il dipartimento di stato aveva fatto sentire tutto il suo peso, e la banca nazionale islandese aveva difficoltà anche a trattare con i banchieri di New York. Il governo Usa era intenzionato a legare la ripresa economica ed i crediti alla questione della difesa; nonostante la possibilità che l’Islanda potesse guardare ad Est per accedere al credito, come i comunisti avrebbero desiderato, gli americani non ne erano intimoriti213. Il leader di Alleanza Popolare, già presidente del SUP, Einar Olgeirson, in visita a Mosca aveva avuto assicurazioni che i russi erano intenzionati a finanziare la costruzione di industrie idroelettriche nel paese, ma il tentativo di giocare questa carta portò al governo poco vantaggio, ed i colleghi di governo probabilmente compresero 213 T. Whitehead, the Ally, cit., p. 61. 144 che la penetrazione sovietica dell’economia era già vicina al punto di saturazione prima che cominciasse ad avere ripercussioni politiche troppo pesanti. All’inizio di ottobre il governo inviò un sostituto del ministro Guðmundsson (gravemente malato), il socialdemocratico Emil Jònsson, a Washington per cominciare a trattare con gli americani sulla questione del ritiro delle truppe. Intanto Vilhjalmur Thor, il direttore della Banca nazionale islandese (progressista dell’ala destra), apriva discussioni con rappresentanti statunitensi sulla situazione economico finanziaria dell’isola. Durante i colloqui gli americani legarono la questione degli aiuti direttamente ad una soddisfacente soluzione del problema della difesa; essi si dissero pronti a fornire aiuti finanziari, per ridurre il potere attrattivo sovietico, e sul piatto della bilancia mettevano una riduzione della Defense Force rispetto ai piani già preparati dal “Joint Chiefs of Staff”. L’amministrazione Eisenhower era ben lieta di legare la “questione Base” alla “Questione economica”: 5 milioni di dollari vennero offerti per la realizzazione di impianti idroelettrici e 3 milioni di dollari come fondo di intervento speciale, vincolati ad un soddisfacente esito delle trattative per entrambe le parti: «At an appropriate time and in the light of the economic measures taken by Iceland to stabilize its economy the United States would be willing to consider on their economic merits the financing of specific projects. A further consideration that will weight heavily with the United States Government in these subsequent discussions will be the actions which will be have to be taken by Iceland to demonstrate its willingness to continue to contribute effectively 214 to the defense of the Free World» . 214 Memoriale “Discussions between Hoover and [Vilhjamur] Thor”, 25 ottobre 1956, State Department Decimal File840b.10/10-256, come riportato da V. Ingimundarsson, The West, p. 94. 145 Questi colloqui tentarono di indagare sulla possibilità di un assetto simile a quello trovato nel ’46 con il Keflavik Agreement: allora gli americani avevano accettato di ritirare le proprie truppe sostituendole con personale civile. Nessuna nota ufficiale venne divulgata, ma almeno le trattative vennero riavviate su basi più propositive. Comunque, ancora il 9 ottobre, l’ambasciata americana a Reykjavik faceva sapere che la posizione del suo paese era ferma a quella già espressa dal Consiglio Nato l’estate precedente215. 215 Morgunbladið, 9 ottobre 1956. 146 Allegato F – Elezioni generali islandesi 1953 e 1956 Fonte: Alþingiskosningar (Statistiche Ufficiali) Anno 1953 Seggi % di voto Partito Indipendente 21 37.1 Partito Progressista 16 21.9 Partito Socialdemoc. 6 15.6 Unità Socialista 7 16.1 P. Difesa Nazionale 2 6.0 Partito Indipendente 19 42.4 Partito Progressista 17 15.6 Partito Socialdemoc. 8 18.3 Alleanza Popolare 8 19.2 P. Difesa Nazionale 0 4.5 Anno 1956 Governi: Anni Primo Ministro Coalizione 1953-1956 Olafur Thors Indipendente, Progressista 1956-1958 Hermann Jonasson Progressista, Socialdemoc, Alleanza Popolare 147 Capitolo VII Carri Armati in Ungheria scuotono l’Artico Come già in precedenza, a sbloccare la situazione fu un tragico evento di politica internazionale: il 6 novembre 1956 truppe sovietiche entravano in Ungheria per sedare una rivoluzione di ispirazione liberale. La brutale soppressione della rivolta ungherese da parte delle truppe sovietiche scioccò l’opinione pubblica in modo ben maggiore di quanto accadde con il golpe comunista del ’48 in Cecoslovacchia, e dissipò le illusioni riguardo le intenzioni pacifiche dell’Unione Sovietica, nonché la possibilità per l’Islanda di vivere in una sorta di isola felice al di là delle interferenze delle grandi potenze mondiali. In un drammatico editoriale intitolato “Momenti Critici”, il Timinn prese posizioni di netta condanna: «I russi si sono finalmente tolti la maschera, appaiono oggi quali essi sono: una grande potenza armata fino ai denti, senza pietà e riguardo per la libertà ed i popoli, pronti a soffocare nel sangue ogni tentativo di stabilire una cultura nazionale indipendente, se questo intralcia la loro sete di dominazione». 216 La condanna dell’intervento fu unanime, ed anche il quotidiano comunista Þjoðviljinn non fece sconti per nessuno: «Questi sono eventi che ogni buon socialista deve considerare con la massima serietà, perché rappresentano una grossolana violazione dei principi basilari del Socialismo riguardo i diritti delle nazioni. La condotta dell’Unione Sovietica in Ungheria non può in nessun modo essere giustificata». 216 Timinn, 6 novembre 1956. 148 I conservatori tentarono di cavalcare l’indignazione pubblica per presentare due mozioni in parlamento per annullare la Dichiarazione di Marzo e far cadere il governo. La prima mozione chiedeva che le trattative con gli americani concernenti il Defense Agreement non mettessero in discussione le installazioni militari necessarie alla difesa della nazione; la seconda invece chiedeva l’istituzione di una apposita commissione, per portare avanti questi trattati, composta di 5 membri distribuiti fra i partiti in base alla loro rappresentanza proporzionale. In questo modo essi non solo tentavano di avere voce in capitolo su una questione di competenza del governo, ma avrebbero avuto due posti su cinque in commissione. Quando cominciarono le sedute parlamentari, 18 novembre, ormai il clima politico era così mutato da rendere tali discussioni quasi inutili. Il ministro degli esteri stesso disse: “La mia opinione è che la situazione è oggi molto più critica di quella che fu nel 1951, quando la Defense Force venne invitata, e non credo che ora sia il momento di discuterne il ritiro”217. Anche il premier Jònasson, che pure volle negare ai conservatori una rappresentanza nelle trattative con gli americani, in una intervista al Timinn espresse tutti i suoi timori sulla nuova situazione: «Il panorama politico internazionale oggi è quantomeno traballante ed incerto, e nessuno conosce cosa può mai accadere (…). Nel 1951 considerammo corretto portare un esercito in Islanda a causa della guerra di Corea, e consideriamo giusto aumentare le difese della patria per mezzo di una forza militare quando vi è pericolo ed un attacco a sorpresa è possibile». 218 Anche i comunisti del Þjoðviljinn dovettero ammettere che la situazione era così seriamente compromessa che gli altri partiti democratici non avrebbero ammesso alcuna posizione se non quella di seguire il premier: 217 Alþingistiðindi, 18 November 1956, Sez. B, intervento di Guðmundsson. 149 «L’occupazione militare è ugualmente pericolosa in tempo di pace, in tempo di crisi ed in tempo di guerra; ma il nodo della questione è che all’interno del presente governo coloro che sono completamente contrari alla occupazione militare hanno deciso di collaborare con coloro che considerano questa occupazione un rimedio estremo, e tutti loro sono sostenuti dalla 219 maggioranza della popolazione» . Alla fine di questi concitati momenti risultò quindi chiaro che il governo islandese avrebbe operato secondo due direttive: la prima nel senso di non rinunciare ad una revisione parziale del Defense Agreement, ovvero senza mettere in discussione la continuità della presenza militare americana; la seconda che il governo non sarebbe stato sciolto. Forse i progressisti ed i socialdemocratici avrebbero potuto liberarsi de Alleanza Popolare per indire nuove elezioni, ma probabilmente chi ne avrebbe tratto maggior vantaggio sarebbe stato proprio il Partito Indipendente. Il 21 novembre si aprirono così le trattative tra Usa ed Islanda, che durarono appena qualche giorno; nel frattempo, come gesto di augurio e distensione, l’Inghilterra sollevava l’embargo alle merci islandesi in vigore ormai dal ’52. Finalmente il 6 dicembre del 1956 l’ambasciatore americano a Reykjavik rese noto che le modifiche stabilite venivano definitivamente accettate dal suo governo; il nuovo protocollo d’intesa stabilì che l’Islanda congelava, a tempo indeterminato, la propria richiesta di appellarsi all’Articolo VII del Defense Agreement, e che fosse stabilita una nuova commissione congiunta fra islandesi ed americani. Questa sorta di gruppo di contatto avrebbe dovuto mantenere i legami fra i due governi in materia di difesa e fornire la massima cooperazione possibile per affrontare congiuntamente tutti i problemi relativi al rapporto fra civili e militari. 218 219 Timinn, 18 novembre 1956. Þjoðviljinn, 30 novembre 1956. 150 Il nuovo accordo, essendo una semplice modifica, venne ratificata senza il voto del parlamento, e comunque l’intesa era trasversale. Poche settimane dopo l’accordo, lo United States International Co-operation Administration concesse un prestito di 4 milioni di dollari all’Islanda. Negare che possa esserci stata una connessione fra i due eventi è cosa difficile, come dimostrò lo stesso Morgunblaðid: «Questo prestito è stato reso disponibile da un fondo speciale che la Presidenza degli Stati Uniti destina ad operazioni considerate importanti alla sicurezza del paese. (…). Tale somma è stata concessa al governo islandese come indennizzo per lo stazionamento della Defense Force 220 nel paese; lo scambio che ha avuto luogo non potrebbe essere più chiaro» . Il 1956 si chiuse quindi con il governo di Hermann Jònasson ancora pienamente in carica: l’attuazione della Dichiarazione di Marzo sarebbe certo stato un passo difficile e controverso, che gli americani non sembravano disposti ad accettare; il governo si trovò per un momento ad un bivio pericoloso: o “perdere la faccia” cedendo agli americani e facendo lettera morta della dichiarazione, oppure fronteggiarli apertamente. Alla fine l’invasione sovietica in Ungheria tolse il governo da ogni impaccio, dimostrando come la situazione non era affatto così tranquilla come la distensione fra Est ed Ovest seguita alla morte di Stalin aveva fatto sperare. Il secchio bucato In questo modo si chiuse una vicenda che rappresentò, alla luce degli sviluppi successivi, una sorta di “ultima spallata” alla presenza stabile delle forze degli Stati 220 Morgunblaðid, 30 dicembre 1956. 151 Uniti in Islanda. La storiografia, islandese e non, si è spesso interrogata sull’effettivo senso di questo processo lungo ed articolato. Secondo alcuni studiosi, gli americani attuarono in Islanda una sorta di “imperialismo morbido”: data l’importanza strategica del paese non era pensabile un allentamento effettivo dei legami con i partners alleati, né la rinuncia ad un avamposto così importante come la base di Keflavik per il controllo di una regione vitale; tuttavia, lungi dal comportarsi come un occupante oppressore, vennero incontro alle esigenze di una nazione piccola ed isolata, le cui necessità economiche potevano non difficilmente essere soddisfatte. In un certo senso le cose, secondo questa corrente, molto difficilmente avrebbero potuto svilupparsi in modo differente da quello che si attuò. Altri storici invece ritengono che i politici islandesi avevano in realtà uno “spazio di manovra” sostanziale, sia perché l’uscita dalla Nato non fu nell’agenda di nessun governo, sia perché a sbloccare le situazioni più difficili furono eventi internazionali importanti che, almeno in teoria, avrebbero potuto non verificarsi, e senza i quali è impossibile provare a delineare vicende storiche mai accadute. Chi scrive, nel pieno rispetto delle vedute di massima sopra esposte, ritiene che a segnare profondamente la storia dell’Islanda fu la peculiarità della situazione economica. Così come improvvisamente era uscita dalla condizione di isolamento cui per secoli era stata condannata dalla posizione geografica, altrettanto improvvisamente, in virtù dei progressi della tecnica, si trovò al centro di interessi strategici fondamentali e la sua economia passò, all’improvviso, dall’indigenza alla prosperità. Ma questo passaggio non fu dovuto ad un innalzamento del potenziale economico del paese, ma da condizioni completamente artefatte. Con le sue sole forze, l’Islanda non avrebbe potuto mantenere i livelli di prosperità raggiunti con, e per, la guerra; l’Islanda, in sostanza, spendeva più di quanto guadagnava. 152 Qualunque governo che avesse voluto normalizzare l’economia avrebbe dovuto rinunciare a gran parte del benessere raggiunto, oppure far affidamento sull’assistenza internazionale. Interventi strutturali di ampio respiro in Islanda erano, alla metà del secolo, molto difficilmente raggiungibili: il mercato interno era ristretto a circa 150.000 abitanti; l’agricoltura era pressoché assente; risorse naturali erano inconsistenti (vulcanica per il 97% l’Islanda è priva di minerali, foreste, vegetazione), era possibile la produzione di un gran quantitativo di energia elettrica ma non era esportabile; l’allevamento era una risorsa utile ma poco competitiva per i costi di produzione e trasporto; l’unica risorsa davvero disponibile era il mercato del pesce, ma il fatto stesso di avere una sola voce di entrata (one sided economy) era indice di fragilità nei confronti di un mercato fluttuante. Se è vero che lo scadimento degli standards di vita, quand’anche questo significhi il ripristino di condizioni di “normalità”, è soluzione non auspicata da alcuna società libera, allora la ricerca di assistenza internazionale era l’unica strada percorribile. La condizione di partenza degli islandesi era quella di essere tradizionalmente legati ai mercati occidentali, in più, durante la guerra, l’Islanda era stata inserita in un sistema militare alleato. Se è vero che i rapporti con il blocco sovietico, che pure furono importanti, vennero tenuti ad una “soglia di sicurezza” che non permise una influenza negativa in una società genuinamente democratica, in mancanza di un terzo polo, il mondo gravante sugli Stati Uniti d’America era l’unica opzione rimasta. Questo non vuole affatto significare che la presenza della base di Keflavik in sé fosse per gli islandesi una sorta di miniera d’oro irrinunciabile per l’economia. Come giustamente nota R. Arnason: «There is no getting around the fact that defense is an important source of income for icelanders (…) but it must be realized that if the Keflavik base was closed down the national economy would not suffer an irreplaceable 153 loss»221, eppure gli Usa dimostrarono di poter legare indissolubilmente la questione della base al credito internazionale facendo “terra bruciata” intorno ai tentativi islandesi di cercare altri fondi nel 1956, mentre, al contrario, mantennero le promesse di intervento quando la questione della presenza militare, concreta ed efficace, divenne non più una questione del “se” ma una questione del “come”. L’Islanda, all’osservatore, in quel momento sembrava essere un secchio bucato a metà del livello, ma che pretendeva di essere colmo; e solo gli Usa pretendevano di riempirlo tenendolo ben saldo per il manico. 221 R. Arnason, Polical parties and defence, cit., p. 49. 154 Capitolo VIII “Governo Radicale”, le Cod Wars diventano un affare serio Con lo stralcio della risoluzione parlamentare di marzo, che avrebbe dovuto segnare il passo della politica estera del governo in carica dal ’56, ma che venne clamorosamente abbandonata per l’intervento sovietico in Ungheria, si aprirà per l’Islanda una lunga stagione di tranquillità della politica estera in materia di difesa, sostanzialmente improntata al mantenimento dello status quo; nuove contese ebbero però modo di verificarsi con altri partners occidentali. La coalizione di governo in carica riuscì a superare il voltafaccia, passaggio politicamente molto delicato, rimanendo unita; tuttavia se da un lato si accantonavano i progetti di revisione dei trattatati con gli Usa, dall’altro rimaneva aperto il problema della dipendenza dell’economia locale da forme di assistenza esterna. Nonostante la presenza di ministri comunisti nel governo, gli islandesi furono in grado di sollevare la questione della loro precarietà economica anche di fronte ai propri alleati della Nato, riuscendo a servirsi dell’alleanza militare come di una piattaforma diplomatica; una ulteriore prova che il problema difensivo e quello economico erano due facce della stessa medaglia. Costretti a rifiutare le ulteriori proposte di collaborazione economica con l’Urss222 (sia perché già abbondantemente sfruttate, sia perché i russi avevano dimostrato di essere inaffidabili aprendo e chiudendo trattative repentinamente ed a seconda degli sviluppi politici), gli islandesi trovarono l’appoggio dell’allora segretario generale della Nato, Paul-Henri Spaak; questi sosteneva che un intervento corale e ragionato avrebbe 222 Il Cremlino aveva offerto, sempre nel ’56, un vantaggioso prestito di 25 milioni di dollari da ripagarsi in forniture di pesce. V. Ingimundarsson, The Role of Nato and the U.S. Military Base in Icelandic Domestic Politics, Reykjavik, 1999, p. 12. 155 evitato che i sovietici potessero sfruttare la debolezza di una economia in cui avevano già avanzato delle iniziative importanti, quindi nel caso dell’Islanda un piano di “aiuti atlantici” aveva un alto valore strategico. Nel dicembre 1957 l’Islanda ricevette nuovi “prestiti politici”: cinque milioni di dollari dagli Usa, ed altri due milioni dalla Germania Occidentale, esito di una trattativa portata avanti a partire dall’assemblea della Nato.223 L’Islanda era ormai legata a doppio filo con gli altri partners del cosiddetto mondo libero, ed una iniziativa del premier sovietico Nikolai Bulganin ne diede la prova. Tra il 1957 ed il 1958 Bulganin inviò due lettere al primo ministro Hermann Jònasson; oltre ad illustrare alcuni progetti interessanti di natura generale (rinvio di test nucleari, creazioni di zone denuclearizzate, patti di non aggressione), fece ampi riferimenti alla situazione islandese: Bulganin lasciò intendere che mentre l’Unione Sovietica era ben disposta a garantire la sicurezza di una Islanda neutrale e libera, il fatto che ospitasse truppe straniere la poneva in condizione assai più delicata: gli americani avrebbero potuto usare l’Islanda per lo stazionamento di un arsenale atomico, o comunque servirsene in maniera ostile. Jònasson non si fece intimorire ed in una risposta, cordiale ma decisa, fece sapere che la Icelandic Defense Force aveva compiti difensivi appunto, e non vi era alcun piano per il dispiegamento di armi atomiche.224 Se il governo islandese riuscì a ignorare questa sorta di intimidazione velata che giungeva da oriente, una disputa molto aspra e controversa sarebbe presto scoppiata con l’Inghilterra. Era intenzione del governo espandere le acque territoriali dalle 4 miglia 223 V. Ingimundarsson, “Buttressing The West in the North”, Reykjavik, 1999, p. 97. 156 (acquisite poco tempo prima) a 12 miglia, come tentativo di avere un più ampio controllo sull’unica risorsa del paese. Gli islandesi parteciparono ai lavori di una conferenza internazionale, voluta dalle Nazioni Unite, che si tenne a Ginevra dal febbraio all’aprile del ’58. La conferenza avrebbe dovuto tracciare le linee guida dei regolamenti internazionali sul diritto marittimo, ma purtroppo si risolse in un nulla di fatto; la proposta canadese ad esempio (3 miglia di acque territoriali ma altre 9 miglia di acque di esclusivo sfruttamento degli stati costieri), alla quale gli islandesi guardavano con interesse, non ottenne la maggioranza qualificata.225 Il ministro comunista Ludvik Jòsepsson (Alleanza Popolare) per le attività peschiere, tentò di costringere gli alleati di governo a procedere senza ulteriori indugi, tuttavia il consiglio dei ministri volle a tutti i costi cercare una preventiva approvazione almeno degli altri membri della Nato226: purtroppo il progressista Guðmundur Guðmundsson, che partecipò al consiglio dei ministri degli esteri dei paesi Nato (Copenaghen, 1958), non fu in grado di ottenere dagli altri membri il pieno appoggio a questa iniziativa islandese. Alla fine il governo decise di agire, e varò l’estensione marittima a 12 miglia a partire dal primo di settembre 1958. Come annunciato, gli inglesi si rifiutarono di accettare questa imposizione unilaterale, giungendo a scortare i propri pescherecci con navi da guerra per difenderli dalle sei motovedette della Guardia Costiera islandese. Loro malgrado gli Stati Uniti non potevano sottrarsi allo scomodo ruolo di mediatori, ma la situazione era oggettivamente difficile: da un lato gli islandesi avevano arbitrariamente preso una 224 A tutt’oggi non vi sono documenti pubblici che attestano lo stazionamento di armi atomiche in Islanda, come sottolineato in una intervista privata con il professor T. Whitehead, tuttavia rivelazioni su dispiegamenti di missili nucleari in Groenlandia vennero rese note solo nel 1995. 225 B. Groendal, “From Neutrality to Nato membership”, Oslo, 1971, p. 62. 157 decisione senza l’avallo di alcuna istituzione internazionale, dall’altro la Gran Bretagna si riteneva in diritto di difendere i propri interessi illegittimamente lesionati. Se l’Inghilterra avesse usato violenza, come avrebbero dovuto reagire gli Usa, che dopo tutto erano i garanti della sicurezza islandese? Per fortuna il buon senso, da ambo le parti, evitò inutili spargimenti di sangue, ma la situazione rimase incerta per tutto il 1959. Intanto il “governo radicale” aveva avuto il tempo di cadere (dicembre 1958), inciampando sulla politica finanziaria di cui si dirà fra breve, ma anche il nuovo governo, liderato dai conservatori in collaborazione con il Partito Socialdemocratico, mantenne la linea del suo predecessore. Nel 1960 le Nazioni Unite convocarono una seconda conferenza internazionale sul diritto marittimo e gli inglesi, come segno di distensione per il buon esito dell’assise, decisero di interrompere la pesca entro le 12 miglia. Anche questa seconda assemblea sostanzialmente fallì: le 12 miglia si stavano delineando come una soluzione fattibile nei programmi di molti stati costieri, ma nessuna proposta concreta ottenne i due terzi di voti. Quando gli inglesi sembravano pronti a tornare alla loro “gunboat diplomacy”, il nuovo ministro della giustizia Bjarni Benediksson (il grande architetto dell’entrata dell’Islanda nella Nato) in una conversazione con l’ambasciatore Usa ventilò la possibilità che questa contesa fosse lesiva della partnership islandese nell’alleanza atlantica, poiché non faceva altro che fomentare il nazionalismo227. Solo a questo punto la diplomazia Usa prese sul serio la questione, spingendo per la creazione di un tavolo di trattative. Le parti finalmente si riunirono nell’estate del 1960: 226 E’ stato fatto notare che probabilmente il ministro Josepsson cercava di drammatizzare il più possibile lo scontro con gli alleati in vista di un allentamento dei rapporti con la Alleanza Atlantica. 158 la Gran Bretagna avrebbe riconosciuto la zona delle 12 miglia, in cambio di tre anni di licenza di pesca all’interno della zona e di una amnistia generale per tutti i vascelli che avevano solcato “abusivamente” le acque islandesi nel periodo precedente. Una soluzione che non poteva non considerarsi una vittoria piena per l’Islanda. Non è dato sapere se la mossa di Benediksson fu solo un abile bluff diplomatico o se il rischio di una “degenerazione” della contesa fosse reale. Certo è che la Nato ebbe un ruolo nel cercare di risolvere la crisi: almeno tre membri (Canada, Norvegia e Danimarca) si schierarono nettamente in favore degli islandesi, ed anche gli Stati Uniti avevano un interesse diretto a che le divergenze si appianassero. Molto più semplicemente e senza scomodare fumose vicende diplomatiche si può anche dire che la questione doveva per forza risolversi in un modo o nell’altro, e le 12 miglia non erano poi una pretesa talmente esagerata da giustificare l’intervento della Royal Navy, specie in comparazione delle cod wars successive. Come abbiamo accennato la colazione di “Governo Radicale” giunse al collasso nel tardo 1958, non su un problema di politica estera, ma per questioni economiche; senza entrare eccessivamente nel merito di una vicenda complessa ed intricata, possiamo dire che sostanzialmente il governo non riusciva colmare lo squilibrio della bilancia commerciale ed a porre un freno alla crescita dell’inflazione. Il primo ministro Hermann Jònasson avrebbe voluto varare una sorta di “pacchetto legislativo di salvataggio” che includeva, oltre ad una svalutazione della moneta, anche un congelamento dei salari; Alleanza Popolare, membro della coalizione di governo, su quest'ultimo punto si oppose fermamente e, controllando da vicino anche la federazione dei sindacati, polemizzò con gli alleati di governo in una posizione di forza228. Nell’impossibilità di procedere su una 227 V. Ingimundarsson, “The Role of Nato and the U.S. Military Base in Icelandic Domestic Politics”, Reykjavik, 1999, p. 12 228 J. Guðmarsson, “Iceland Reluctant European”, Oxford, 1994, p. 35. 159 questione importante come la politica finanziaria, il 4 dicembre 1958 Jònasson rimise il suo mandato nelle mani del Presidente Asgeirsson. Finanziamenti Sovietici all’estrema sinistra islandese I rapporti finanziari con Mosca sono senza dubbio una questione ricca di spunti e considerazioni. Da pochi anni abbiamo uno strumento di interpretazione in più: l’implosione sovietica ha dato accesso a nuovi archivi prima segretati, e stando ai documenti originali del Comitato Centrale del PCUS già studiati da Valerio Riva (Oro da Mosca, Mondatori, 1999), si evince chiaramente che anche l’estrema sinistra islandese poté beneficiare del cosiddetto “Fondo Sindacale Internazionale di Assistenza alle Organizzazioni Operaie di Sinistra” messo in piedi dal Partito Comunista dell’Unione Sovietica con il contributo degli altri PC del blocco. Anno 1955: erogazione di 15.000 USD Anno 1956: erogazione di 20.000 USD Anno 1959: erogazione di 30.000 USD Anno 1961: erogazione di 30.000 USD Anno 1963: erogazione di 25.000 USD Anno 1965: erogazione di 25.000 USD Anno 1966: erogazione di 25.000 USD Totale: 170.000 USD in undici anni Per avere una chiara idea dell’ammontare di questi fondi bisogna scindere il discorso in termini relativi ed assoluti. All’interno del Fondo l’Islanda è sempre nel gruppo dei 160 paesi meno finanziati. Nel 1955 ad esempio il Fondo aveva una disponibilità complessiva di 6.424.000 USD, ben 25 organizzazioni beneficiarie e solo il Partito Comunista del Portogallo e del Cile ottennero meno fondi degli islandesi (mentre il PC Italiano ricevette qualcosa come 2.640.000 USD ed il PC Francece 1.200.000). Dieci anni più tardi la situazione resta pressoché invariata: nel 1965 su un totale di quasi 16.000.000 di USD e 72 organizzazioni beneficiarie l’Islanda è al 58esimo posto, al pari di Haiti o Panama (il PCI, al primo posto, ricevette ben 5.600.000 USD ed il PCF 2.000.000 USD). Sebbene le percentuali sul totale ottenute dal Unità Socialista / Alleanza Popolare siano quasi irrisorie, le somme calate nella realtà islandese dell’epoca diventano di maggior spessore. Nel 1955 ad esempio Unità Socialista ricevette l’equivalente di 125.000 euro, mentre nel 1965 Alleanza Popolare intascò 160.000 euro, e questo per un partito il cui giornale ufficiale raggiungeva appena 1500 abbonati doveva essere una entrata rilevante229. L’esperienza dei finanziamenti comunque si esaurì in breve tempo, in quanto per altre strade sarebbe passata l’evoluzione politica islandese. A partire dal 1967 non si hanno notizie di ulteriori elargizioni del Fondo. Se poi l’Unione Sovietica abbia continuato ad operare per altri canali, ciò è ancora da dimostrare. 229 Il calcolo, piuttosto complesso per via di coefficienti di inflazione e deflazione altamente instabili, è stato effettuato dalla Dott.ssa Arnheidur Anna Elisdottir della Banca Nazionale Islandese (Sedlabanki). 161 Allegato G: Statistiche Economiche 19 58 19 56 19 54 19 52 Esportazioni verso Urss Esportazioni verso Est Europa 19 50 19 48 40 35 30 25 20 15 10 5 0 25 20 15 % sulle entrate nazionali delle rendite provenineti dalla Defence Force 10 5 0 1951 1952 1953 1954 1955 1956 1966 1976 35 30 25 % esportazione verso il Blocco sovietico 20 15 Risultat elettorali liste comuniste 10 5 0 1949 1951 1953 1955 1956 Fonte: Grafico 1 e 2 “Statistics of Iceland” (o per comparazione di), Ministero del Commercio Estero Grafico 3: Islands Sedlabankinn (Banca Centrale Islandese) 162 Capitolo IX La politica islandese intraprende un nuovo corso (1959-1971) Il parlamento non fu in grado di esprimere una nuova maggioranza (la caduta del governo infatti non implica lo scioglimento delle camere), ma prima di tornare alle urne tutti i partiti, con l’esclusione del Partito Progressista, decisero di varare una riforma costituzionale. I socialdemocratici formarono un governo (di minoranza, con l’appoggio esterno del PI), con il solo compito di portare i posti in parlamento a 60, ridisegnando i collegi elettorali, in modo da favorire le aree urbane a scapito delle rurali: in pratica, la stessa manovra del ’42, con i progressisti, che avevano la loro base elettorale nelle campagne, impossibilitati ancora una volta ad opporsi a questo passo. Alle elezioni del nuovo parlamento a 60 posti (ottobre 1959), il Partito Indipendente trasse un buon vantaggio, capitalizzando 24 deputati; I socialdemocratici ottennero 9 deputati; i progressisti 17 ed i comunisti 10 seggi230. Da notare che il Partito di difesa Nazionale rimase per la terza volta consecutiva non rappresentato, e non si ripresentò alle elezioni successive. In virtù del buon successo elettorale, il conservatore Òlafur Thors riuscì a formare un nuovo governo, composto da una coalizione di Partito Indipendente e Partito Socialdemocratico; questa formazione risultò essere estremamente longeva, rimanendo in carica per ben 12 anni (dal 1959 al 1971) e resistendo ad altre due tornate elettorali (1963 e 1967). 230 Per un quadro completo, vedi appendice sugli esiti elettorali. 163 Durante questo arco di tempo la politica estera islandese sarà basata sia sull’adesione alla Nato, sia sul Defense Agreement231 così com’era, segnando la fine degli esperimenti politici. Questa grande continuità, trattandosi di una democrazia e non di una dittatura, era indice di una ottima stagione per l’Islanda sotto molti punti di vista, e questo risultato diviene ancor più interessante se pensiamo che il governo precedente era caduto su problemi di politica economica. In questa sede non è particolarmente importante capire come si attuò questo successo, se non nella misura in cui ciò fu favorito e influenzato dal buon rapporto con gli Usa a tutti i livelli. Insieme al fattore economico dobbiamo inoltre annotare il rilassamento dei rapporti diplomatici (ripristino di relazioni amichevoli con il Regno Unito) ed un allentamento della “xenofobia” tradizionale della società islandese. Prima di iniziare questa analisi possiamo innanzitutto segnalare che la tecnologia contribuì a sgombrare il campo da uno dei potenziali momenti di attrito fra Islanda ed esercito degli Stati Uniti, ovvero lo stoccaggio di armi nucleari. E’ facile intuire che se gli americani ne avessero fatto richiesta, il governo islandese sarebbe stato probabilmente in difficoltà, ma il problema non si pose: a cavallo degli anni ’50 e ’60 la realizzazione di missili balistici intercontinentali, e missili “sea-lunched”, aveva ridotto l’importanza dell’isola come centro per lo Strategic Air Command. L’Islanda non era, e non sarebbe mai divenuta, un punto di stazionamento per bombardieri atomici, né per postazioni missilistiche. Per la marina invece l’importanza dell’Islanda rimaneva immutata se non accresciuta, visto che era impossibile il monitoraggio dell’area senza le postazioni 231 Ciò non vuol dire che gli islandesi diedero “carta bianca” per qualunque attività, ma certo le contese si riducono sia in quantità, sia in tenore. Ad esempio il governo islandese volle ridimensionare dei lavori di 164 acquisite, avamposti centrali dell’Early Warning System nella GIUK line (Groenlandia, Islanda, Regno Unito).232 Tutto ciò si tradusse in cambiamenti delle competenze di comando: nel primo decennio Keflavik era stata sotto l’Air Force Command. A partire dal 1 luglio del 1961 la Icelandic Defense Force sarebbe stata sotto comando della Marina, e gran parte degli uomini dell’esercito poterono essere ritirati (il personale totale passò da circa 5.000 a circa 3.000 effettivi).233 Anche per questo motivo negli anni ’60 quindi la base di Keflavik perse molto del suo potenziale polemico all’interno della politica islandese. Per quanto riguarda il risanamento economico, il “biglietto da visita” del nuovo governo fu un piano di intervento da 30 milioni di dollari, concertato da Fondo Monetario Internazionale e Organizzazione per la Cooperazione Economica Europea, di cui gli Stati Uniti erano stati i veri ispiratori234; inoltre una fortunata serie di buone annate del mercato ittico, ed una situazione congiunturale favorevole, offrì indubbi vantaggi alla situazione generale.235 La Nato, ma principalmente gli Stati Uniti, continuarono a spendere un alto prezzo per la disponibilità dell’area, non in termini di “affitto” della base (cosa esclusa dalle clausole dei trattati) ma per i consumi, i cantieri di ampliamento ed ammodernamento, etc., e l’Islanda continuò a giovarsi della ricaduta occupazionale; le entrate provenienti dalla Defense Force negli anni sessanta persero punti percentuali nell’insieme delle entrate dello stato, ma ciò non fu dovuto ad una riduzione delle attività militari, quanto piuttosto per la crescita generale della nazione. ampliamento della base navale di Hvalfjordur (1962), o, al contrario, si oppose al ritiro del 57esimo Stormo Intercettori di Keflavik, in quanto erano segno tangibile della natura difensiva della base (1965). 232 M. Thayer “The Role of the Keflavik Base in Iceland’s Defense and Nato’s security system”, in “Varnarstöðin ì Keflavik”, Reykjavik, 1978, p. 9 - 11. 233 Per uno studio più approfondito di competenze e ruoli della Base di Keflavik, vedi capitoli successivi. 234 V. Ingimundarsson, “Buttressing The West in the North”, op. cit. p. 100 235 Le esportazioni di prodotti ittici fornirono in tutto il periodo prebellico dal 70% al 90% delle rendite dello stato. 165 Precedentemente abbiamo fatto notare come a momenti di crisi fra l’Islanda e l’Occidente facevano puntualmente seguito iniziative commerciali sovietiche, che si ritraevano quando la situazione si rappacificava. Proviamo a controllare gli indici economici del periodo, per vedere se questa politica si ripropone. La percentuale delle esportazioni islandesi in Urss aveva oscillato, tra il 1956 ed il 1960 (governo radicale), intorno al 20%. Anche le importazioni dall’Urss erano state notevoli, muovendosi fra il 16 ed il 20%. A questi valori vanno aggiunti i contributi importanti da satelliti; ad esempio la Cecoslovacchia contribuì per un 5 - 7% nello stesso periodo.236 Con i conservatori al potere, queste percentuali scesero visibilmente: nel ’61 l’Islanda importava dall’Urss solo l’11% del totale, nel ’65 circa il 9% e nel 1971 siamo già sotto la soglia del 7%. Per le esportazioni il discorso non cambia: nel ’61 intorno al 7%, nel ’65 appena al 5,24% e nel 1971 all’8,16%.237 Anche per quando riguarda il commercio con gli Usa vi sono delle variazioni significative, ma non altrettanto drammatiche. Prima di dare un’occhiata al commercio con il mondo occidentale, è opportuno fare alcune precisazioni: con il blocco sovietico gli islandesi avevano degli accordi definititi di “barter trade”, ovvero scambi di merce per merce; questo faceva sì che i volumi di importazioni ed esportazioni fossero più o meno simili. Con il mondo occidentale spesso erano “merce per moneta”, quindi vista la peculiarità della situazione islandese, era più facile che prendendo in esame un singolo partner commerciale, esportazioni ed importazioni fossero sbilanciate. 236 Ironicamente il paese scandinavo con il più stretto legame militare ed economico con gli Usa, l’Islanda, era anche quello in condizione di dipendenza dal commercio con il mondo sovietico maggiore di quanto sperimentava la Finlandia, su cui il Cremlino esercitava una influenza politica notevole. Cfr: V. Ingimundarsson, “Between Solidarity and Neutrality: The Nordic Countries and the Cold War”, Reykjavik, 1992. 237 I dati statistici per queste analisi e per i grafici dell’andamento commerciale sono stati forniti dal Þjòðhagsstofnun (Istituto Economico Nazionale), Reykjavik. 166 L’Islanda esportava negli Stati Uniti (tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70) intorno al 25-30% del totale, anche perché i propri vicini erano produttori di merce in competizione con quella islandese. Per quanto riguarda le importazioni invece, esse erano più diversificate. Bisogna anche ricordare che a partire dal 1961 il commercio islandese con il Regno Unito (decurtatosi con l’embargo posto durante la Cod War del ’58) torna a pieno regime238, quindi l’abbassamento degli indici commerciali con i sovietici non comportò un innalzamento speculare di quelli con il Nord America poiché i questi nuovi spazi vennero rioccupati da più soggetti: Scandinavia, Germania Occidentale, Inghilterra, e gli stessi Usa. Export in Europa Occidentale: Export in Europa Orientale 1956: 49% 30% 1960 53,5% 24,3% 1966 65.9% 11,4% 1970 57.6% 10% Andamento delle esportazioni (% sul totale) con Usa e Urss: 35 30 25 20 Urss 15 Usa 10 5 0 1956 1958 238 1960 1962 1964 1966 1968 1970 1972 1974 A seguito del boicottaggio, le esportazioni islandesi in Inghilterra si erano dimezzate. 167 Andamento delle importazioni (% sul totale) con Usa e Urss: 20 15 Urss 10 Usa 5 0 1956 1958 1960 1962 1964 1966 1968 1970 1972 1974 Verrebbe da chiedersi se l’Islanda, in questo periodo di stabilità politica ed economica, non avesse tratto vantaggio dal cercare la partecipazione ad una delle due grandi strutture istituzionali che si andavano realizzando in Europa, ovvero la Comunità Economica Europea o la Zona di Libero Scambio (EFTA).239 Una maggiore integrazione avrebbe forse stabilizzato i canali di esportazione, magari riducendo il commercio con Usa o Urss, politicamente compromettenti, oppure elevato la caratura politica del paese; il problema però non era di facile soluzione. Essendo la sua “one sided economy” basata quasi esclusivamente sull’attività ittica, l’Islanda temeva che delegare questo aspetto ad un organismo sovranazionale avrebbe significato rinunciare al controllo, imprescindibile, dell’unico fattore produttivo del paese. Il trattato CEE inoltre prevedeva una parte normativa già completa riguardante l’unione doganale, premessa per l’integrazione economica, nonché il richiamo ad armonizzazioni legislative per dar luogo a politiche comuni.240 Il libero ingresso di prodotti agricoli avrebbe poi danneggiato la produzione locale che, viste le condizioni 239 A dire il vero l’Islanda entrò subito ed a pieno titolo a far parte del cosiddetto “Nordic Council”, l’assemblea degli stati scandinavi, ma questa istituzione non fu mai paragonabile, per peso politico ed interessi economici, agli altri due progetti europei, caratterizzandosi maggiormente come un forum per le politiche sociali di integrazione culturale. 240 B. Olivi, L’Europa Difficile, Bologna, 1998, p.50. 168 climatiche, si reggeva sulla produzione in serra e sarebbe certo stata soffocata dai prodotti europei. L’Efta poteva rappresentare per l’Islanda un motivo di interesse maggiore, in quanto si configurò meno politicamente della CEE; però l’Islanda si era trovata in forte contrasto con la Gran Bretagna (il paese più importante della Zona di Libero Scambio) per quanto riguarda le questioni di acque territoriali, e, a conti fatti, non sembrava voler forzare i tempi. Entrò a far parte dell’EFTA solo nel 1970. Comunque, le condizioni islandesi facevano il piccolo stato nordico un partner difficile ed i tentativi di cercare una formula di “associazione esterna” alla CEE, tra il ’62 ed il ’63, fallirono; Francia ed Italia consideravano questa condizione come temporanea, per permettere allo stato cui era concesso di limare gli impedimenti alla piena partecipazione, mentre nel caso islandese sarebbe stata una parte strutturale dell’accordo.241 Per questi motivi l’Islanda degli anni ’60 decise di rimanere fuori da tali strutture istituzionali, ma sembra sopperire a questa mancanza utilizzando la Nato in modo del tutto particolare,: gli islandesi, privi di qualunque competenza militare e tenuti allo scuro dei grandi progetti strategici in assenza di un sistema di sicurezza adeguato e di un interesse giustificato (quindi in una condizione di inferiorità242), usarono l’Alleanza Atlantica come una piattaforma diplomatica per gestire crisi e rapporti con l’estero, anche perché, dal punto di vista della politica internazionale, l’unico vero strumento di pressione in mano agli islandesi era l’Articolo VII del Defense Agreement243. 241 J. Guðmarsson, A Reluctant European, op. cit., p. 92 V. Ingimundarsson, The Illogic of Passivity: The Role of Iceland in Nato and U.S. Strategic Thinking, Reykjavik, 1998. 243 L’Articolo VII regolava le modalità per la terminazione dell’accordo. Cfr. testo del Defense Agreement in appendice. 242 169 Un altro aspetto che contribuì a comporre questa sorta di idillio fra gli Stati Uniti e l’Islanda fu un cambiamento della società, che cominciava ad essere meno suscettibile alle paure di perdita di identità nazionale ad opera della presenza straniera. Una polemica molto significativa scoppiò intorno all’Armed Force TV Service. A seguito della revisione del Defense Agreement del ’54, i militari avevano avuto il permesso di creare un loro servizio televisivo. In mancanza di una emittente islandese, il canale americano entrò pian piano nelle case degli abitanti del sud ovest dell’isola244 anche perché, nonostante le assicurazioni fornite, limitare le ricezioni alla sola area della base risultò essere molto difficile. Con una buona antenna anche a Reykjavik si potevano vedere i programmi televisivi. Nel giro di qualche anno la questione dell’impatto culturale si ripropose, ma è estremamente significativo notare come ormai il clima sociale era mutato rispetto agli anni addietro. Nel marzo del 1964 un gruppo di sessanta eminenti intellettuali firmò una petizione, indirizzata al parlamento: «I sottoscritti elettori credono che sia dannoso per diversi aspetti, nonché disonorevole per gli islandesi quali esponenti di una nazione civilizzata ed indipendente, permettere ad uno stato estero di operare una stazione televisiva, che raggiunge circa la metà della popolazione. Noi sappiamo che creare e mantenere una televisione islandese sia un proposito costoso e difficile per una nazione così piccola, ma è altresì necessario permetterne lo sviluppo concordemente con i desideri e le aspettative della popolazione, senza che siano per questo forzati i tempi. Per le ragioni sopra menzionate, i sottoscritti chiedono all’Alþing di rivedere le concessioni per la messa in opera della stazione televisiva straniera a Keflavik, in modo che essa sia sottoposta alla limitazione di operare solo entro, e non oltre, i confini della base militare ivi presente.»245 244 Ricordiamo che la base militare di Keflavik si trova ad appena 40 Km a Sud Ovest della capitale, nella penisola sud occidentale del paese. 245 Dall’Archivio Parlamentare: “Askorun til Alþingi”, 13 marzo 1964. 170 La questione era effettivamente curiosa perché l’AFTS, che nasceva per l’intrattenimento dei soli militari americani, suo malgrado deteneva il monopolio delle trasmissioni televisive. Il 1964 però non era il 1944, e la linea di demarcazione fra “buono” e “cattivo” non è più chiara come in passato. A questa petizione di sessanta intellettuali farà seguito una contro petizione firmata da ben 14.680 persone: «I sottoscritti elettori fanno appello al parlamento perché tutti coloro che siano in grado e vogliano ricevere trasmissioni televisive ne abbiano facoltà, da qualunque parte le trasmissioni provengano, in maniera completa e libera. Noi protestiamo vivamente contro ogni limitazione in questo campo, come ad esempio per bloccare le trasmissioni della stazione televisiva di Keflavik»246. E’ interessante notare come questa petizione faceva appello non tanto alla AFTS in sé, quanto piuttosto alla libertà generale di poter ricevere segnali televisivi, ma essendo quello l’unico canale raggiungibile, ciò perdeva valore. Comunque la questione venne disinnescata nel 1966: la radio di stato islandese cominciò le sue trasmissioni televisive (dapprima in via sperimentale due giorni a settimana, poi a pieno regime dal 1967). Contemporaneamente i segnali della base vennero efficacemente schermati, e i due canali procedettero in maniera separata ed indipendente. Purtroppo un monitoraggio dell’opinione pubblica per gli anni ’60 può solo basarsi su elementi indiretti in quanto non vi sono a disposizione sondaggi condotti su base scientifica in queste materie.247 Oltre al “caso AFTS” possiamo annoverare un sondaggio condotto dal quotidiano Visir in base al quale il 57% della popolazione si 246 Ibidem, “Askorun til Alþingi”, 4 giugno 1964 171 diceva favorevole alla presenza militare americana. Se escludiamo gli indecisi, i rapporti diventano 64% i favorevoli e 34% i contrari248, ma bisogna tener presente che questo sondaggio non fu condotto secondo rigorosi metodi statistici (individuando cioè un campione significativo della popolazione). Questa mancanza è ancor più frutto di rammarico se pensiamo che almeno due eventi dovettero toccare nel vivo le coscienze, ovvero l’intervento americano in Vietnam ed i furiosi bombardamenti del sud est asiatico (1966-67) da un lato, e dall’altro l’invasione della Cecoslovacchia (Primavera di Praga, 1968) da parte dei sovietici. Sappiamo che gli elementi che più sembravano resistere ad annoverare la base fra le caratteristiche permanenti della politica di difesa furono le frange giovanili dei partiti. Questi non riuscirono a riproporre il ritiro dei soldati fra le questioni politiche dibattute, ed il governo non vacillò mai nella sua condotta atlantica. A sgombrare il campo da eventuali dubbi fu lo stesso ministro degli esteri socialdemocratico Emil Jònsson che, in un reportage del quotidiano conservatore Morgunblaðid, quasi a commentare idealmente la Primavera di Praga rilasciò la seguente dichiarazione: «La nostra partecipazione all’Alleanza Atlantica insieme ad altri quattordici stati occidentali, tra cui le più grandi potenze militari, ci offre la sicurezza di cui sentiamo il bisogno. Il nostro contributo alla missione comune dei paesi della Nato è solamente quella di garantire le strutture sufficienti al mantenimento della difesa, per noi stessi come per tutti i nostri alleati. I nostri vicini, la Scandinavia, il Canada, la Gran Bretagna e gli Stati Uniti sono membri dell’Alleanza. Sembra loro intenzione perpetrare nella partecipazione, anche se il trattato accordi 247 Cfr. O. Hardarsson, Public Opinion and Iceland Western Integration, documento presentato alla conferenza Nordic Countries and the Cold War, 1945-1991, 24 giugno 1998. 248 Visir, 20 settembre 1968. 172 esplicitamente facoltà di ritirarsi dall’alleanza. Queste sono le nazioni a noi più legate, e, anche se noi siamo i più deboli, dovremmo fare causa comune con essi».249 249 Morgunblaðid, Dossier “Island og Nato” (L’Islanda e la Nato) pubblicato il 23 giugno 1968. Dichiarazione rilasciata da Emil Jònasson 173 Capitolo X Il Governo “Radicale” ci riprova (1971-1974) Alle elezioni del 1971, i risultati elettorali posero fine alla coalizione di conservatori e socialdemocratici250. Questi ultimi subirono una scissione ad opera di una frangia di dissidenti autodefinitasi “Unione dei liberali di sinistra” (Samtöek Frjalslyndra og Vinstrimanna), ed essi si unirono a progressisti e socialisti di AP per la formazione di una nuova maggioranza radicalmente di sinistra. Il nuovo governo, in carica dal 1971 al 1974, in politica estera adottò praticamente lo stesso programma che aveva già caratterizzato il primo “governo radicale” (1956-58): la richiesta di rinuncia al Defense Agreement e l’ampliamento delle acque territoriali. Dodici anni di leadership di centro destra sembravano non aver potuto, o voluto, cementificare la posizione delle forze armate americane nell’isola. Il perché di questo nuovo cambiamento è stato generalmente indicato nella ferma volontà di AP, che riteneva il ritiro americano una precondizione al suo inserimento nel governo; i progressisti dal canto loro, ormai all’opposizione da dodici anni, non trovarono difficoltà a legarsi a questo patto. Lo stesso leader del partito, Òlafur Johannesson aveva dichiarato qualche anno prima: «Voglio qui riaffermare che la partecipazione alla Nato e la presenza della Defense Force sono due questioni separate che non devono essere confuse. La presenza della Defense Force non è affatto una conseguenza inevitabile della partecipazione alla Nato. Quando l’Islanda entrò nell’Alleanza nel ’49 si riteneva che la sicurezza del paese potesse essere assicurata senza lo stazionamento di forze militari in tempo di pace. Confido nel fatto che ciò sia ancora possibile, nonostante le circostanze e le nuove tecnologie. Io quindi ritengo che, entro i limiti delle 250 Per il quadro completo delle elezioni, vedi appendice. 174 obbligazioni della nazione, la Defense Force debba gradualmente ritirarsi dall’Islanda. Questa è la politica del Partito Progressista»251 Prima di affrontare la questione Keflavik, il governo si lanciò in un’altra “Cod War”, per portare le proprie acque territoriali da 12 a ben 50 miglia (settembre 1972). Furono ancora una volta gli inglesi ad opporsi, scortando i propri pescherecci con navi militari. Ma questo nuovo incidente, ormai una sorta di “opera buffa”, non si risolse diversamente da quello del ‘58-’60. L’unica leva che gli islandesi potevano usare era ancora una volta la base di Keflavik, e gli statunitensi temevano uno strappo irreparabile, essendo la revisione del Defense Agreement già nell’agenda politica del governo. Sotto pressione americana la Gran Bretagna dovette cedere, accontentandosi di una licenza di pesca entro la nuova zona per un periodo di tre anni. Dopo il superamento di questa nuova crisi, si mise mano all’accordo del ’51. In una dichiarazione programmatica il governo formulò la sua nuova politica di difesa in questi termini: «Il governo ritiene che sforzi debbano essere fatti per un allentamento della tensione a livello mondiale e per il rafforzamento della pace e della riconciliazione, attraverso un più stretto contatto fra le nazioni ed attraverso una politica generale di disarmo. Riteniamo inoltre che pacifici rapporti fra le nazioni potranno mantenersi più facilmente senza le alleanze militari. Non c’è pieno accordo fra le forze di governo per quanto riguarda la partecipazione dell’Islanda all’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico. Comunque, alle presenti condizioni, l’ordine attuale non verrà modificato, anche se il governo seguirà più assiduamente possibile gli sviluppi di questi aspetti e rivedrà in ogni momento la posizione dell’Islanda in rapporto agli eventuali cambiamenti. Il governo conviene sull’opportunità di una conferenza speciale sulla sicurezza europea. Il Defense Agreement con gli Stati Uniti dovrà essere rivisto, per ottenerne la 251 Morgunblaðid, Dossier “Island og Nato”, 23 giugno 1968; dichiarazione di Òlafur Johannesson, leader del Partito Progressista 175 terminazione in modo che la Defense Force possa gradualmente lasciare il paese. L’obbiettivo sarà quello di vedere la partenza della Defense Force conclusa entro i termini della legislazione»252 Il 25 giugno del 1973 il governo si appellò quindi all’articolo VII del Defense Agreement; la procedura prevedeva una notifica, oltre che al governo degli Stati Uniti, anche al Consiglio Atlantico, che aveva facoltà di elaborare uno proprio studio. Tale documento venne presentato sei mesi dopo: la revisione del Defense Agreement avrebbe dovuto mantenere in attività le infrastrutture presenti in Islanda, in modo da perpetrare la sicurezza dell’Alleanza nel suo insieme e, specificatamente, dell’Islanda come punto cruciale fra i due lati dell’oceano253. In pratica si auspicava vivamente che un eventuale nuovo assetto non modificasse radicalmente la situazione, limitandosi a cambiamenti secondari e quindi mantenendo la presenza di militari nell’isola. Il primo ministro islandese Òlafur Joannesson (PP) era aperto al negoziato, e delle trattative bilaterali vennero poste in essere con l'amministrazione Nixon. Il 13 marzo 1974 il ministro degli esteri islandese ricevette il mandato per le trattative, che si sarebbero svolte a Washington (8-9 aprile); tale mandato conteneva i seguenti propositi: a) la Defense Force sarebbe stata ritirata gradualmente, ma entro la metà del 1976; b) aerei appartenenti alla Nato, in missione di ricognizione, avrebbero avuto diritto di atterraggio a Keflavik, ma non vi sarebbe stato lì alcuno stazionamento permanente di aeromobili; c) l’Islanda avrebbe fornito il personale tecnico necessario alla gestione delle postazioni radar e per l’aeroporto. Non molto diverso da quanto già visto in altri momenti della controversa storia della base. Dapprima gli americani offrirono una riduzione del personale (da 3.200 a 2.200 unità), ma questa proposta venne rifiutata, in quanto non affrontava il problema 252 Riportato da B. Bjarnason, Iceland’s Security Policy, Oslo 1977, p. 112. 176 centrale. Dopo una lunga serie di contatti cominciò a delinearsi un protocollo d’intesa basata su una nuova gestione della base di Keflavik: la Defense Force sarebbe stata ritirata nel giro di due anni, ma al suo posto sarebbero subentrate truppe della Nato e truppe americane secondo un complicato sistema di rotazioni. Nonostante questi accordi di massima fossero ancora in una fase preliminare di studio, erano avvertiti dall’amministrazione Nixon come un inaspettato passo indietro, ma a sbloccare la situazione fu ancora una volta un intervento esterno. Il governo norvegese si disse contrariato dalla scelta islandese di ridurre vistosamente il loro contributo alla difesa collettiva, e chiese apertamente di non abrogare il Defense Agreement esercitando tutta la sua influenza sui fratelli scandinavi. La “solidarietà nordica” è uno degli aspetti socioculturali più sentiti della comunità scandinava, ed ebbe effetti significativi. In realtà la posizione norvegese non era improntata su consigli disinteressati, ma aveva dei risvolti concreti: essi temevano che ad una riduzione della presenza americana in Islanda avrebbe fatto seguito l’aumento delle pressioni sulla Norvegia, come a compensare uno squilibrio regionale254. Nel marzo 1974, si tenne una massiccia campagna di sensibilizzazione dell’opinione pubblica sul problema della difesa nazionale. Elementi politici, gruppi di pressione, stampa si batterono per portare di fronte al governo una petizione popolare che chiedeva il mantenimento del Defense Agreement: ben 55.522 islandesi la firmarono, ovvero circa il 50% degli elettori. Il governo non poteva ignorare una simile prova di forza e dovette fermarsi a riflettere sul da farsi. Nel frattempo però una nuova crisi economica attanagliò la nazione; ancora una volta la presenza dei comunisti nel governo risultò complicare 253 254 B. Bjarnason, Vulnerability and Responsability, Oslo, 1985, p. 141. R. Tamnes, Military buildup and Nordic Stability in the 70s, Reykjavik 1998. 177 l’elaborazione di una politica finanziaria incisiva e, nella primavera del ’74, la coalizione era ormai alla paralisi ed il “secondo governo radicale” cadde. 178 Capitolo XI I conservatori tornano a governare (1974-78) Nuove elezioni si tennero nell’estate del 1974, e come era prevedibile, il Partito Indipendente riuscì a capitalizzare molti consensi; con il 42,7% dei voti e 25 seggi non poteva essere escluso dalla coalizione che avrebbe guidato l’Islanda nella legislazione successiva ed infatti riuscì presto a trovare un accordo con il Partito Progressista (28 agosto 1974).255 Il nuovo governo si presentava piuttosto forte, unendo i due maggiori partiti e potendo contare su 42 seggi su 60. I conservatori accettarono di lasciare ai progressisti il dicastero degli Esteri, ma solo dopo che l’intera coalizione aveva accettato la seguente dichiarazione programmatica in materia di difesa: «Per provvedere alla propria difesa, l’Islanda manterrà la sua partecipazione all’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico. La cooperazione speciale verrà inoltre mantenuta con gli Stati Uniti fintanto che una base difensiva e di pattugliamento sarà presente nel nostro paese. (…) Rientra nella politica del governo che le funzioni non militari della base vengano assunte da personale islandese il prima possibile»256 Tuttavia questo governo trovò ugualmente il modo ed il tempo di scatenare una profonda crisi diplomatica, affrontando il tema di una nuova estensione delle acque territoriali: da 50 a 200 miglia. E’ opportuno spendere qualche parola su questa nuova iniziativa per inquadrare debitamente il problema. Portare il limite a quasi 400 km dalla linea della costa significava delineare uno specchio d’acqua immenso257, ma questo provvedimento non 255 Per un quadro completo degli esiti elettorali, cfr. Appendice. B. Bjarnason, Iceland’s Security Policy, op. cit., p.115. 257 Siamo intorno ai 750.000 kmq, a fronte di una estensione territoriale di 100.000 kmq. 256 179 era dettato “dall’avidità” di sfruttare quante più risorse possibili, ma al contrario dal tentativo di difendere il mare dall’impoverimento. Nel 1975 flottiglie straniere pescavano in quelle zone circa 100.000 tonnellate di merluzzo all’anno, e commissioni scientifiche avevano già inoltrato allarmi sulla minaccia reale di un assottigliamento delle riserve di pesce.258 Gli islandesi, accanto a questa estensione, frutto di calcolo economico più che di romanticismi ambientalisti, vararono anche una serie di organismi di autocontrollo e sistemi di quote per limitare essi stessi lo sfruttamento delle riserve. Molti governi le cui flotte pescavano abitualmente nelle aree coperte da provvedimento islandese protestarono con Reykjavik, che però fu abile a chiudere i contenziosi con Germania, Belgio, Norvegia e Faroer sulla base di quote massime di pesca concesse a quelli che, a tutti gli effetti, diventavano ospiti delle acque islandesi soggetti alla sua giurisdizione. L’Inghilterra, nonostante i propositi ragionevoli alla base dei provvedimenti, non volle onorare la decisione islandese; si contestava apertamente un metodo arbitrario ed unilaterale di gestire aree in cui l’Inghilterra stessa aveva interessi commerciali. Nel periodo di crisi la Royal Navy assegnò ben 22 navi da guerra per la protezione di alcune zone all’interno delle 200 miglia in cui i pescherecci inglesi potessero operare al riparo dalla Guardia Costiera Islandese, che si prodigava nel tagliare le reti dei pescherecci che considerava abusivi.259 Neanche la Corte Internazionale dell’Aia riuscì a sbrogliare la matassa giuridica, e la situazione rimaneva critica.260 Questo nuovo conflitto giurisdizionale si rivelò ben più aspro dei precedenti; il 7 gennaio 1975 la fregata britannica Andromeda, con un equipaggio di 263 uomini giunse 258 P. Brown, Fightinig the cod war taught icelanders the lessono of conservation, The Guardian (giornale), 16 agosto 2000. 259 J. Paul & M. Spirit, Britain’s small wars, Inghilterra, 2000. 260 Joy Jonh (Console Onorario Islandese per il Newfound e Labrador), The Exclusive Fishing Zone and the Icelandic Cod Wars, Reykjavik, 1998 180 a speronare il battello della guardia costiera islandese, dieci volte più piccolo. Incidenti di questo tipo si ripetevano ormai da settimane, ed i due stati giunsero ad interrompere i propri rapporti diplomatici, fatto di per sé inaudito fra due paesi dell’Alleanza Atlantica. Il ministro degli esteri Einar Agùstsson, in data 19 febbraio 1976 inviò una nota a tredici colleghi di paesi Nato in cui spiegava: “The Icelandic government does not consider it possible to maintain diplomatic relations whit a country which time and again applies coercion against the people of Iceland by the use of military forces. As a result these relations will now be severed” Gli Stati Uniti guardavano alla vicenda con apprensione. L’Islanda non aveva altro elemento di contrattazione che mettere in gioco la propria politica di difesa, ed agli Usa interessava in prima persona che ciò non accadesse.261 Addirittura il segretario di stato Henry Kissinger fu nella imbarazzante condizione di dover rifiutare una richiesta del governo islandese, che chiedeva di affittare o comprare altri due piccoli vascelli armati, che avrebbero potuto essere usati contro la Gran Bretagna262. La Nato ancora una volta interferì nella vicenda nella sua “versione impropria” di forum diplomatico e l’allora segretario generale, l’olandese Joseph Luns, riuscì a riunire le parti in causa. Il 2 giugno 1976 entrava in vigore un accordo in base al quale la Gran Bretagna riconosceva il limite delle 200 miglia, ma otteneva una licenza di pesca per 25 battelli della una durata di sei mesi. Gli inglesi alla fine accettarono di fare un passo indietro, ma forse è improprio ripensare alla vicenda come un atto di prepotenza dei piccoli e tenaci islandesi, che riuscivano a tenere in scacco addirittura gli Usa; in fondo se per la Gran Bretagna era una questione di occupazione regionale, per l’Islanda era una questione di 261 R. Arnason, Political Parties and Defence, Canada 1980, p.53. 181 sopravvivenza nazionale. Inoltre lo “spauracchio” di uscire dalla Nato non poteva essere considerato una rappresaglia indiretta: Se l’Islanda non voleva avere rapporti diplomatici con la Gran Bretagna, che anzi era vista come una minaccia, come potevano entrambi partecipare alla stessa alleanza militare? E se gli Stati Uniti, i veri difensori dell’isola, non intervenivano mentre l’Unione Sovietica si affrettava a riconoscere il nuovo limite, chi sarebbe stato visto dalla popolazione come vero amico? Il Regno Unito, bisogna ammettere, prese una saggia decisione che costò qualche sacrificio, e fu anche costretto ad accettare una quota di pesca inferiore a quanto venne offerto da Reykjavik prima della crisi263. Ancora il 2 ottobre 2000 l’ufficio stampa dello Scotland Office pubblicava il seguente annuncio: «Brian Wilson urges former “Cod War” trawlermen to apply for compensation Individual payments of up to £20.000 era available to former distant water trawlermen who became unemployed following the settlement of the mid-70’s “Cod War”, under a new compensation scheme launched by the Government today. Commenting on the new compensation scheme, Scotland Office Minister Brian Wilson said: “Scottish former distant water trawlermen who fished icelandic waters, or their surviving dependant, my benefit from this new scheme (…). The Government recognises that the many distant water trawlermen who lost their jobs after the settlement of the “Cod Wars” received little or no help at the time”…(continua)». La vicenda si chiuse con un ultimo atto: il 10 dicembre 1976 entrò in vigore il Fishery Limits Bill, con cui anche il Regno Unito portava a 200 miglia il limite delle proprie acque di sfruttamento esclusivo. 262 263 H. Jònsson, Friends in Conflict, Hurst & co., Londra 1982. La quota di pesca fu fissata portata da 50 a 65.000 tonnellate annue. 182 Capitolo XII Gli anni ’80, stabilità e benessere Dopo il superamento di quest’ultima Cod War la politica estera islandese ha ben poco da dire. Per tutto il resto della guerra fredda non si segnalano altri momenti di crisi importanti: l’Islanda non procederà ad alcuna iniziativa per innalzare il limite delle 200 miglia, non chiederà il ritiro dei soldati americani e men che mai l’uscita dalla Nato. Le reciproche posizioni erano ormai pienamente cristallizzate, ed un esempio importante ci è dato proprio dal partito filosovietico Alleanza Popolare. Abbiamo visto che in passato aveva posto pregiudiziali antiamericane importanti per la sua partecipazione a formazioni di governo, ma questo non si ripeterà. Il partito entrò in alcune coalizioni (1978, 1981), ma senza pretendere alcuno stravolgimento della politica di difesa, se non il veto su eventuali ampliamenti del contingente statunitense. I conservatori del Partito Indipendente d’altro canto erano sempre stati i “migliori amici” degli americani, e mantenendo sempre la maggioranza relativa in parlamento, fecero sentire il loro peso politico. Se diamo un’occhiata agli indici economici della nazione, risulta ormai chiaro che il commercio con il blocco orientale non raggiunge più livelli di guardia. Sia le importazioni che le esportazioni nei primi anni del decennio sembrano “reggere” intorno al 10% (1980-83), successivamente il trend è visibilmente negativo: per le importazioni dall’Urss si passa dal 9% (1984), al 5,7% (1986) al 4,2% (1987). Le esportazioni in Urss vanno dal 7,8% (1984) al 4,28% (1986) al 3,64% (1987). Il commercio con i satelliti sovietici inoltre cessa quasi del tutto. Per quanto riguarda l’opinione pubblica abbiamo finalmente un valido strumento di analisi. Tra il maggio ed il giugno del 1983 la Commissione Islandese di Difesa ed 183 Affari Internazionali (Öryggismálanefnd) redasse uno dei più approfonditi screening sui temi della Nato e della Base264; il lavoro, condotto secondo canoni statistici rigorosi, dividendo cioè gli intervistati per categorie, aree politiche, etc. presenta dei risultati importanti. Alla domanda sulla continuazione della partecipazione islandese alla Nato, i risultati furono come segue: Favorevoli 53% Contrari 13% Indecisi 34% Quindi, fatte le debite proporzioni, tra coloro che hanno espresso una opinione risulta il seguente rapporto: Favorevoli 80% Contrari 20% Estrapolando però le varie categorie di intervistati, è possibile fare qualche riferimento interessante. L’opposizione alla Nato risulta più marcata in alcune fasce di età giovanili, dai 24 ai 29 anni e dai 30 ai 39; queste persone furono quelle che videro la guerra del Vietnam nel corso della loro vita postadolescenziale e studentesca265. Inoltre gli abitanti della città di Reykjavik e della regione del sud est (Rejkianes), tendono ad avere una percentuali di indecisi inferiore a quella degli abitanti degli altri distretti elettorali. 264 Redatto da Òlafur Hardarson, Icelandic Attitudes Towards Security and Foreing Affairs, 1985 Da notare che negli anni ’60 le organizzazioni giovanili dei partiti avevano sollevato forti perplessità sulla condotta filoamericana del governo. 265 184 Per quanto riguarda invece il problema della base militare di Keflavik e la sua effettiva necessità, gli intervistati risposero come segue: Decisamente Favorevoli 23% Tendenzialmente Favorevoli 31% Indifferenti 15% Tendenzialmente Sfavorevoli 15% Decisamente Sfavorevoli 15% Eliminando gli indecisi ed accorpando le risposte simili si ottiene: Favorevoli 64% Contrari 36% Il lavoro della commissione risulta molto curato nello scorporare i voti secondo tutte le categorie statistiche e politiche, tuttavia le risposte non cambiano di molto né destano eccessive sorprese (ad esempio il 84% di coloro che votarono per il centro destra si dissero favorevoli, mentre l’86% di coloro che votarono per i comunisti di Alleanza Popolare si dicevano contrari). Non deve destare sorpresa il fatto che il numero degli “indecisi” per il quesito riguardante la Nato sia piuttosto elevato; tutto sommato, da un punto di vista operativo, l’Islanda era stato un alleato passivo e senza un vero ruolo propositivo; invece la questione della base era una questione concreta e, probabilmente, il coinvolgimento apparentemente più interessato non era dettato da considerazioni di natura strategica, cui gli islandesi prestavano poca attenzioni, ma piuttosto dalla natura reale e visibile della base militare. Di un certo interesse risultano altri quesiti posti; gli islandesi rispetto ai 4-6 anni precedenti ritenevano che la minaccia di una guerra non si fosse affatto ridotta (solo il 6% delle risposte in questo senso); ben l’86% si diceva d’accordo con la creazione di 185 una area denuclearizzata per gli stati nordici, e una buona maggioranza (63%) si diceva d’accordo con l’idea di esigere un affitto per l’area di Keflavik. Altri sondaggi seguirono l’andamento dell’opinione pubblica islandese266, ma non si discostarono in maniera netta da quanto emerso dal lavoro della Commissione. E’ possibile affermare che forse il quadro si compose tanto nettamente per una più o meno profonda “americanizzazione” della società islandese? Cosa era stato, in sostanza, dei pericoli di minaccia all’identità culturale, come i più accesi neutralisti andavano ammonendo negli anni ’50? Dare una risposta esaustiva a questo problema è impresa difficile, anche perché è difficile individuare dei grandi valori di riferimento che siano nettamente contrapposti tra la società americana e altre società europee del dopo guerra. Gli statunitensi non erano esponenti di una società alternativa o vistosamente stridente con quella locale, come ad esempio era accaduto alle Hawaii, ed una certa affinità di fondo quindi deve essere considerata. E’ chiaro che oggi, abituati come siamo a comunicazioni fulminee e frequenti interazioni fra i popoli, una questione siffatta verrebbe affrontata con tutt’altro spirito, ma in aggiunta alla differenze dei tempi l’Islanda pagava il dazi a secoli di isolamento, che si tradussero in un forte ritardo nell’integrazione nella comunità internazionale. Tutto ciò contribuì a rendere la società islandese ancor più timorosa dello straniero, più xenofoba (senza per questo dare al termine alcun valore razzista e spregiativo). Bisogna riconoscere che la base di Keflavik poteva effettivamente rappresentare un elemento dirompente dal punto di vista sociale: ospitava sì che poche migliaia di persone e relative famiglie, ma fatte le debite proporzioni, era come se a pochi chilometri da Washington o Roma vi fosse una base straniera che ospitasse diversi 266 Cfr. O. Hardarson, Public Opinion and Iceland’s Western Integration, Reykjavik 1998. Vedi anche altri sondaggi in Appendice. 186 milioni di soldati. Inoltre, ancora oggi, solo poche città islandesi superano i mille abitanti e per assurdo la base militare era uno dei centri più popolosi del paese. Per questo motivo i militari furono organizzati in modo da limitare al massimo i contatti con i locali; all’interno della base vennero create tutte le strutture necessarie per vivere decorosamente senza “pesare” sulla comunità islandese, come scuole, negozi, chiese, impianti sportivi etc. Grazie a questa politica di “impatto morbido” e controllato la società ebbe modo di adeguarsi lentamente, senza uscirne compromessa e superando col tempo alcuni isterismi che l’avevano precedentemente caratterizzata. E’ verissimo che lo stato islandese, ancora in formazione, aveva sancito per legge la propria neutralità perpetua, rinnegando qualunque mentalità militarista (aliena alla storia islandese vista l’assenza di qualunque forza armata), ma l’Islanda, nello stralciare questi principi, non aveva meramente ceduto alle esigenze strategiche di uno stato più forte, aveva piuttosto attualizzato le proprie posizioni; è superfluo ribadire che in tempi di Guerra Fredda la posizione geografica dell’Islanda non le permetteva di isolarsi da ciò che aveva intorno, ovvero il crocevia aeronavale più trafficato al mondo. I sondaggi sopra riportati confermano che, col tempo, la società civile non aveva perso il suo tradizionale spirito pacifico, ma si rese pienamente conto delle ragioni della politica, delegando ad un altro stato, con cui avvertiva forti affinità, la propria difesa. Sarebbe riduttivo quindi parlare di un allineamento coatto. Appare chiaro che già a partire dalla fine degli anni ’70 si era aperto un periodo di grande stabilità in materia di politica di sicurezza, che non avrebbe più vacillato. Opinione pubblica, indici economici e mondo politico finalmente erano concordi nell’indicare il proprio cammino e l’Islanda si spogliò di quelle ambiguità altalenanti che, seppure erano valse indubbi vantaggi precedentemente, erano ormai superate. 187 Allegato H – Opinione Pubblica Islandese, Sondaggi e Studi Scientifici : Favorevoli o Contrari alla Base di Keflavik: Anno Fonte Favorevoli Contrari 1955 Istituto Gallup, Norvegia 37% 63% 1968 Giornale 64% 36% 1970 Giornale 55% 45% 1971 Giornale 67% 33% 1976 Giornale 52% 48% 1980 Giornale 64% 36% 1983 Giornale 64% 36% 1983 Commissione Governativa 64% 36% 1987 Commissione Governativa 55% 45% NB: Dati forniti da O. Harðarson, Public Opinion and Iceland Western Integration, (Reykjavik, 1998). Le percentuali sono ridisegnate escludendo dal computo gli indecisi. Per “Giornale” si intendono quotidiani che hanno condotti sondaggi i cui criteri scientifici non sono considerati pienamente affidabili. Per “Commissione Governativa” si intende la Öryggismálanefnd (Commissione per la Sicurezza e gli Affari Internazionali). Icelandic Attitudes Towards Security and Foreign Affairs – 1983 A cura della Öryggismálanefnd (Commissione per la Sicurezza e gli Affari Internazionali) 1) Partecipazione Islandese alla Nato: Favorevoli: 53 % Di quanti hanno fornito una opinione Contrari: 13% Favorevoli: 80% Indecisi: 34% Contrari: 20% 188 1.1) Responsi divisi per età 20-23 24-29 30-39 40-49 50-59 60-69 70-83 Favorevoli: 40% 39% 49% 66% 64% 64% 56% Contrari: 11% 17% 15% 13% 10% 9% 13% Indecisi: 50% 44% 36% 22% 27% 27% 31% 1.2) Responsi divisi per titoli di titolo di studio Istruzione Obbligatoria Superiori (A) Superiori (B) Superiori (C) Università Favorevoli: 50% 49% 58% 54% 62% Contrari: 8% 8% 17% 18% 28% Indecisi: 42% 43% 26% 28% 10% Note: Superiori (A): Solo 1 o 2 anni di studi secondari Superiori (B): Formazione Tecnica e Professionale Superiori (C): Formazione Commerciale e Generica 1.3) Responsi divisi per luogo di residenza Reykjavik Sud-Ovest Altri Distretti Elettorali Favorevoli 57% 57% 47% Contrari: 16% 13% 11% Indecisi: 27% 30% 42% 2) Presenza dei soldati dell’esercito degli Stati Uniti in Islanda (Base di Keflavik): Fortemente Favorevoli: 23% Di quanti hanno fornito un’opinione Tendenzialmente Favorevoli: 31% Approvano: 64% Indifferenti: 15% Disapprovano: 36% Tendenzialmente Contrari: 15% Fortemente Contrari: 15% 189 2.1) Responsi divisi per età: 20-23 24-29 30-39 40-49 50-59 60-69 70-83 Favorevoli: 39% 49% 51% 62% 59% 59% 68% Contrari: 37% 36% 30% 27% 26% 35% 24% Indecisi: 24% 15% 19% 11% 16% 6% 9% 2.2) Responsi divisi per titolo di studio: Istruzione Obbligatoria Superiori (A) Superiori (B) Superiori (C) Università Favorevoli: 56% 57% 53% 50% 49% Contrari: 26% 28% 32% 39% 41% Indecisi: 18% 15% 15% 11% 10% Note: Superiori (A): Solo 1 o 2 anni di studi secondari Superiori (B): Formazione Tecnica e Professionale Superiori (C): Formazione Commerciale e Generica 2.3) Responsi divisi per luogo di residenza Reykjavik Sud-Ovest Altri Distretti Elettorali Favorevoli: 54% 60% 52% Contrari: 32% 26% 32% Indecisi: 14% 14% 17% 190 3) Comparazione responsi ai quesiti 1 e 2 comparati: Partecipazione alla Nato→ Favorevoli Contrari Indecisi Favorevoli: 76% 2% 41% Contrari: 14% 96% 30% Indecisi: 9% 2% 30% Base di Keflavik↓ 4) Altri Quesiti 4.1) Creazione di una bando delle armi nucleari nei paesi nordici Favorevoli: 86% Contrari: 8% Indecisi: 6% 4.2) Giudizio sui movimenti pacifisti europei ed americani Favorevole: 66% Contrari: 16% Indecisi: 18% 191 Allegato I – Distribuzione seggi parlamentari 1959-1991: Anni 1959 – 1971 1959a 1959b 1963 1967 1971 Partito Indipendente 20 24 24 23 22 Partito Progressista 19 17 19 18 17 Partito Socialdemoc. 8 9 8 9 6 Alleanza Popolare 7 10 9 10 10 ULS n.p. n.p. n.p. n.p. 5 Anni 1974 – 1991 1974 1978 1979 1983 1987 1991 Partito Indipendente 25 20 21 23 18 26 Partito Progressista 17 12 17 14 13 13 Partito Socialdemoc. 5 14 10 6 10 10 Alleanza Popolare 11 14 11 10 8 9 ULS 2 0 n.p. n.p. n.p. n.p Alleanza Socialdemoc. n.p. n.p. n.p. 4 n.p. n.p. Partito Femminista n.p. n.p. n.p. 3 6 5 Partito dei Cittadini n.p. n.p. n.p. n.p. 7 n.p. Note: n.p.: non presente 1959a & 1959b: doppio turno di elezioni necessario per la approvare la modifica costituzionale per elevare il numero dei seggi in parlamento da 52 a 60. ULS: Unione dei Liberali di Sinistra (Samtöek Frjalslyndra og Vinstrimanna); gruppo formatosi a seguito di una scissione dal Partito Socialdemocratico. Partito Femminista: Samtöek um Kvennalista. Partito dei Cittadini: formatosi da una scissione dal Partito Indipendente. 192 Capitolo XIII L’Islanda a cavallo del nuovo millennio L’implosione del blocco sovietico e l’esaurimento della guerra fredda ha ovviamente segnato la fine di un’epoca; ma se un capitolo della storia si chiudeva, inaugurando un “nuovo corso” degli affari internazionali, i grandi cambiamenti aprivano tutta una serie di “problemi tecnici”, di cui l’Islanda stessa fu un esempio lampante. E’ evidente che il nuovo assetto mondiale cambiò radicalmente la natura geostrategica dell’Islanda, in quanto il Nord Atlantico non era più il palcoscenico, militarmente congestionato, di attriti e provocazioni fra le superpotenze. La Nato stessa ovviamente ha mutato il perso il ruolo contrapposizione ad un avversario che non esiste più (proprio mentre scrivo, 28 maggio 2002 si sta siglando a Pratica di Mare il nuovo accordo tra la Russia di Putin e la Nato). Gran parte della storia recente islandese però gravitava intorno a questo vecchio schema, e l’Islanda aveva potuto avanzare pretese importanti proprio in virtù della sua “posizione strategica”. Caduto questo schema la politica estera di Reykjavik ha dovuto ricostruirsi intorno a situazioni del tutto nuove. Per tentare di delineare un quadro quanto più esaustivo possibile risulterà forse utile dividere la presenza internazionale dell’Islanda secondo più piani: un piano militare, per trattare da vicino il nuovo ruolo islandese all’interno dell’Alleanza e nel rapporto privilegiato con gli Usa; un piano economico, nelle nuove possibilità offerte dalla globalizzazione e dal consolidamento dell’integrazione europea; un piano politico, ovvero la presenza islandese nelle istituzioni internazionali. 193 L’Islanda e la Nato. Il punto di vista dei militari La possibilità di una invasione di truppe convenzionali, o peggio di un attacco nucleare dal vecchio nemico, è scenario ormai impensabile; cosa è stato allora della base di Keflavik, pedina fondamentale per tutto il corso della guerra fredda, dell’Early Warning System? Questo sistema, concepito per evitare la possibilità di un devastante attacco a sorpresa, trovava in Keflavik il suo anello centrale. Era per questo mantenuto ai massimi livelli di efficienza. Se prestiamo attenzione a quali erano le capacità della base alla fine degli anni ’80, ci troviamo di fronte ad un imponente spiegamento di forze. I mezzi permanentemente disponibili per il lavoro di routine ammontavano a: 18 aerei intercettori F-15, 9 aerei per la sorveglianza marittima P-3, 2 aerei radar E-3 (AWACS), 1 aereo cisterna KC-135, più altri mezzi di supporto (senza peraltro contare il personale di terra, le postazioni radar, gli scali a disposizione per la Marina)267. La Military Air Defense Identification Zone (MADIZ, l’area all’interno della quale ogni aereo sconosciuto viene intercettato), si estendeva per 200 miglia nautiche, ed era la zona con il più alto numero di intercetti di aerei sovietici, quattro volte superiore a quelli in Alaska, per esempio. Nel 1985 tali intercetti ammontarono a ben 170 nell’arco dell’anno. Anche senza avere una dettaglia documentazioni dei bilanci è chiaro che una tale struttura richiedeva alti costi di mantenimento, che peraltro ricadevano in toto sull’esercito degli Stati Uniti (solo in minima parte sulla Nato). Il nuovo ordine mondiale ha ovviamente stravolto questa situazione; nel 1991 intercetti aerei furono appena 26 per tutto l’anno e ridotti a zero negli anni successivi; 194 l’arsenale schierato a Keflavik si rivelò non solo eccessivo ed antieconomico, ma proprio antistorico. Negoziati per un taglio significativo di costi alla luce delle nuove competenze furono intavolati dai governi islandese ed americano nel 1993 e 1996; a seguito dei nuovi accordi gran parte di uomini e mezzi vennero smobilitati, lasciando operativi a Keflavik solo 4 intercettori in “temporary duty” ed un personale di 200 soldati. In Islanda rimangono inoltre quattro potenti radar FPS – 117 ai quattro angoli dell’isola, nonché cinque elicotteri HH-60 del 56th Rescue Squadron attrezzati al recupero in mare. Da un punto di vista militare la base ha ormai un potenziale ed un ruolo ben ridotto rispetto al passato, e il maggior servizio offerto dalle infrastrutture di origine militare è oggi la copertura radar della regione, che peraltro è in larga parte passata ad una agenzia islandese. Nonostante questo cambiamento, nessuno dei governi interessati sembra intenzionato a smantellare completamente la base di Keflavik. Come lo stesso ministro degli esteri islandese ha affermato in occasione delle celebrazioni per il cinquantennale del Defense Agreement: «Credo che oggi abbiamo nel nostro paese un minimum necessario alla difesa del territorio. Il Governo non vede alcun motivo per chiedere ulteriori cambiamenti. Riteniamo che una capacità difensiva credibile sia necessaria, e continueremo a basare la nostra politica e la nostra difesa su queste considerazioni»268 La posizione dell’attuale ministro degli esteri è chiara; per quanto la base di Keflavik possa aver ridotto il suo ruolo, in mancanza di un esercito islandese è pressoché l’unica 267 Cfr: Iceland, Nato and the Keflavik Base, a cura della Commissione Islandese di Sicurezza (Öryggismálanefnd), 1989. 195 entità militare dell’isola; nessun paese europeo ha totalmente abolito le proprie difese e, anzi, la crisi dei Balcani ha messo in luce la necessità di una stretta collaborazione militare anche in Europa. Gli Stati Uniti dal canto loro non sembravano interessati ad un completo abbandono dell’isola; tutto sommato l’assetto dato dall’amministrazione Clinton sembra essere gradito ad entrambe le parti. Un altro aspetto che va sottolineato sono le nuove considerazioni di natura economica che ruotano intorno alla base. In tempi passati la Defense Force e la base di Keflavik hanno rappresentato delle risorse finanziare irrinunciabili per lo stato islandese, nonché una leva importante per accedere a commercio e credito estero. Oggi bisogna segnalare che la base di Keflavik ha perso un impatto economico profondo sulla nazione, proprio perché l’economia islandese è finalmente solida e prospera. Cinquant’anni di guerra fredda hanno portato in Islanda un miracolo economico paragonabile, nei suoi esiti conclusivi, a quello avvenuto in Italia nel dopoguerra e oggi gli standards di vita sono statisticamente fra i più elevati al mondo. L’Islanda può ora presentarsi come un partner commerciale con una dignità ed una credibilità propria, ha raggiunto cioè un equilibrio tale da non dovere (e neanche più poter più) legare la politica economica a quella difensiva, come ampiamente fatto in passato; in questa nuova cornice il ridimensionamento della Defense Force ha avuto un impatto minimo sulle casse della nazione. Il rapporto fra islandesi ed americani per quanto riguarda la base di Keflavik non esaurisce la politica difensiva di Reykjavik, che continua ad essere un membro della Nato. 268 Iceland and Security in the North Atlantic, Past, Present and Future, discorso tenuto dall’attuale ministro degli esteri e del commercio con l’estero Halldor Asgrimsson, in occasione del cinquantesimo anniversario del Defense Agreement, giugno 2001. 196 Come l’Alleanza Atlantica si è andata modificando negli ultimi anni, allo stesso modo l’Islanda ha sostanzialmente cambiato il suo ruolo, ritagliandosi uno spazio di maggiore vitalità durante tutti gli anni ‘90. Fintanto che l’attività principale della Nato era quella di contraltare del Patto di Varsavia, il ruolo islandese era molto deficitario, una sorta di alleato “non paritario” rispetto agli altri; non solo l’Islanda era priva di un esercito ed aveva delegato la propria difesa agli Stati Uniti, ma, in mancanza di competenze tecniche e di sistemi di sicurezza adeguati, era spesso tenuta all’oscuro dei grandi piani strategici. Gli anni ’90 segnano invece una inversione di tendenza. Con la fine della guerra fredda e l’inserimento di numerosi “ex nemici” fra le fila degli alleati, il ruolo della Nato si dovette necessariamente ridisegnare su nuove basi, pena la sua inutilità storico politica. Si aprì così a nuovi interventi anche al di fuori dei propri confini, improntati ad una sorta di mantenimento dell’ordine mondiale (o almeno nelle zone dove questa necessità sembrava più pressante), con un ruolo non più di natura strettamente militare269. Le cosiddette operazioni di “peace keeping”, interventi umanitari e di accoglienza di profughi di guerra ha aperto nuove strade percorribili anche da personale civile. Per tornare all’Islanda, nel 1997 essa ha per esempio inviato personale medico in Bosnia, al seguito di una unità britannica della Stabilization Force (SFOR). Fu un intervento piuttosto ridotto, coinvolgente appena 50 islandesi in tutto, ma qualche tempo dopo il governo islandese decise anche di ospitare profughi albanesi dal Kossovo, perpetrando una politica di coinvolgimento nei fatti internazionali. L’Islanda degli anni ’90 visse una stagione di piena sintonia con le strategie della Nato, avendo appoggiato spesso e volentieri i processi di “allargamento ad Est”, ed altri 197 programmi più o meno affini (come l’Euro-Atlantic Partnership Council o la Partnership for Peace270), come momenti di stabilizzazione dei paesi coinvolti dall’allargamento. L’Islanda si è caratterizzata per uno spirito particolarmente interessato e volitivo. In occasione del meeting di Reykjavik dell’aprile 1997, su questi temi la posizione del governo fu la seguente: “Our relation with Russia are at the same time going through a rapid transformation. We realize and recognize Russia’s difficulties in appreciating Nato’s enlargements, but frankly it is not for Russia to decide, veto, or prevent. (…) Nato enlargement will happen not because the Alliance wants to expand, but because the nations of Central and Eastern Europe are exercising 271 their sovereign right to choose their own security arrangements” L’attuale ministro Asgrimsson ha inoltre iniziato pochi anni or sono un progetto significativo, seppur ridotto in termini di uomini e competenze, ovvero una sorta di “unità di intervento rapido”; un gruppo di circa 100 persone, per lo più medici e personale di polizia, ha dato la sua disponibilità per interventi all’estero in condizioni assimilabili a quelli balcanici e dietro breve preavviso. E’ chiaro che è poco più che un piccolo gruppo di filantropi, ma conferma in un certa tendenza politica del governo. Un contributo tecnico di qualche entità reso alla Nato fu in campo informatico: l’Islanda, in virtù di indubbie competenze scientifiche e di “esperienza sul campo”, fornisce abitualmente personale specializzato per la realizzazione di software per sistemi radar. 269 E’ noto che la prima missione di Peace Keeping targata Nato risaliva al Libano del 1982; un fallimento, carico però di insegnamenti utili per il futuro. 270 Queste due assemblee nacquero la prima nel 1991 a 46 stati, la seconda del 1994 a 26 stati; “inventate” sostanzialmente per dialogare in forma quanto più spedita con ex-comunisti, regioni di influenza exsovietica e membri neutrali dell’UE (come Svezia, Finlandia, Austria e Irlanda), non sono generalmente ritenute istituzioni particolarmente incisive. 271 Discorso del ministro degli esteri islandese Halldor Asgrimsson in occasione del meeting Nato, Reykjavik, 5 aprile 1997. Fonte: Ministero degli esteri. 198 Reykjavik inoltre, nei primi anni ’90 ottenne una certa visibilità all’interno del Patto nel tentativo di sensibilizzare gli alleati sul legame fra difesa ed ambiente; al meeting di Londra del 1990, l’allora ministro degli esteri Hannibalsson tentò di far inserire le forze navale nei lavori per il controllo degli armamenti, con lo scopo di ridurre la possibilità di incidenti nucleari in mare272. Il suo sforzo fallì, per l’opposizione soprattutto di Gran Bretagna e Stati Uniti, poi la guerra del Golfo fece cadere il discorso, ed il piccolo staff islandese (appena 120 persone lavorano per il ministero) non fu in grado di riproporlo vivacemente. Con l’emergenza terrorismo però tutto torna di nuovo in discussione. La Nato ha avuto modo di uscire da quella che alcuni consideravano una sorta di “crisi d’identità” seguita dal crollo del vecchio nemico. Il patto atlantico nasceva come una alleanza difensiva ben definita, ma negli ultimi anni si andava riciclando come la componente fondamentale di “braccio armato” delle Nazioni Unite (con tutte le imperfezioni di questa definizione). Oggi la Nato non ha più bisogno di “aspettare un’occasione” per esprimere una propria ragion d’essere anche in aree a lei teoricamente estranee. L’Alleanza Atlantica si è oggi focalizzata su di un nemico preciso, il terrorismo internazionale che minaccia la sicurezza degli stati membri, dal loro interno o con l’appoggio di stati terzi. Un siffatto nemico, sgusciante e difficile da contrastare, fa tornare il ventaglio dei possibili interventi Nato su scelte prettamente militari: attività di servizi segreti ai massimi livelli ed interventi armati laddove ritenuto necessario per colpire “l’asse del male”. Inutile ricordare che con l’attacco alle Torri Gemelle è scattata per la prima volta l’ipotesi di applicazione dell’Articolo 5 del trattato. In questo nuovo contesto l’Islanda esce nuovamente di scena: il piccolo stato artico non è in grado di fornire personale né per contingenti armati né per l’attività spionistica. 272 P.W. Calvert, Uncertainty and Dissent: Iceland in the Post Cold War World, Illinois, 1996, pag. 178. 199 Inoltre il centro delle attività si allontana, spostandosi presumibilmente più a Sud. L’Islanda poi non è ritenuta un bersaglio credibile di stragi terroristiche, né tantomeno una possibile sede di organizzazioni sovversive. Non è facile prevedere se, nell’ottica generale di un maggior controllo degli spazi aerei, i comandi militari della base di Keflavik riusciranno ad avere la disponibilità di più efficaci risorse. Attualmente la situazione mi è stata illustrata da Fridþor Eydal, Deputy Public Affairs Officer dell’Icelandic Defense Force in questi termini: «No changes were made in the icelandic defense force or the Keflavik Naval Air Station relating to the terrorist attacks in the U.S. on 11 Sept 2001other than the general U.S. militarywide alterations of force protection status from time to time.»273 Una ripercussione politica rilevante in questo nuovo clima è quella di sgombrare il campo da una questione che fino a poco tempo fa serpeggiava negli ambienti islandesi: era ipotizzabile che fossero gli americani un giorno ad appellarsi all'articolo VII del Defense Agreement, per svincolarsi dalla difesa dell’isola? In un prossimo futuro ciò non è ritenuto plausibile. Ciò che si evince da questi fatti può essere riassunto in questo senso. L’attività dell’Islanda nella Nato è inversamente proporzionale alle attività militari di questa. Durante il post guerra fredda, la Nato stentava a trovare una identità credibile ed una ragion d’essere convincente, dovendo abbandonare la propria natura di alleanza difensiva contro il blocco sovietico. In questo scenario si sono aperte nuove possibilità “civili”, e la Nato si è trasformata in una sorta di avanguardia dei processi di integrazione in occidente dell’Europa orientale; non è un caso molti dei nuovi membri 200 della Nato sono anche i candidati all’ingresso nella UE. L’Alleanza inoltre si è espressa in azioni umanitarie e di “peace keeping” in vari scenari, e l’Islanda ha avuto modo quindi di accedere a queste iniziative come parte attiva, fornendo personale medico e assistenza di vario genere. Seppellita la guerra fredda e la “pace tiepida”, la nuova minaccia del terrorismo internazionale ha grandemente modificato questo processo. Ora si è individuato un nemico certo da combattere (cosa necessaria per il buon funzionamento di qualunque apparato militare), quindi la Nato da un lato mantiene il suo avvicinamento all’Oriente, che anzi si è accelerato, ma dall’altro plausibilmente ridurrà il suo coinvolgimento in azioni concertate con l’Onu su teatri regionali minori, come ad esempio poteva essere l’Africa, per dedicarsi ad un nuovo impegno contro il terrorismo; il fatto stesso che il presidente americano Bush si sia rivolto ai partners atlantici l’indomani dell’11 settembre implica un coinvolgimento reale e concreto intorno a questo obbiettivo, cui gli alleati dedicheranno la maggior parte dei propri sforzi. Come l’attuale Segretario Generale della Nato ha esemplificato proprio a Reykjavik di recente: «Subito dopo la fine della Guerra Fredda la Nato ha dovuto trasformarsi per costruire un nuovo modello di sicurezza per l’Europa; poi, di nuovo, per affrontare e risolvere l’instabilità dei Balcani. Ora deve cambiare ancora per occuparsi delle minacce del nuovo secolo»274 Le iniziative del terrorismo hanno quindi “cambiato le regole”, e l’Islanda non ha i mezzi per giocare questa nuova partita, che torna a vedere come primi attori forze armate, servizi di intelligence e strumenti di pressione molto concreti. Non spetta a 273 Mercoledì 29 maggio 2002, risposta giunta via Internet. Mr. Robertson, conferenza finale dell’ultimo Nato-Russia Permanent Joint Council (Reykjavik 15 maggio 2002). 274 201 questa ricerca spingersi tanto in là da prevedere se e come la Nato saprà reagire alle fragorose spaccature che l’hanno recentissimamente segnata, comunque con tutta probabilità Reykjavik tornerà ad essere un alleato fedele ma in una condizione ancor più carente che in passato; l’Islanda ha perso il suo status di nazione strategicamente importante, ma oltre a ciò neanche teoricamente potrebbe partecipare ad un “tributo di sangue” con gli alleati, cosa che in questa nuova cornice potrebbe rendersi necessario. Per quanto questa logica possa apparire brutale ed indegna, ciò riduce al minimo la capacità decisionale islandese all’interno dell’Alleanza; se Reykjavik sponsorizzasse vigorosamente una qualsivoglia campagna militare suonerebbe come un imbarazzante “armiamoci e partite” alle orecchie degli altri partners, e più probabilmente si limiterebbe a giudizi politici senza la presunzione di poter influenzare in qualche modo il processo decisionale. L’Islanda e L’Unione Europea Per quanto riguarda il punto di vista delle politiche di integrazione europea, l’Islanda non ha mai mostrato segni di un vero coinvolgimento, ed ha sempre limitato il suo interesse all’aspetto economico della questione. L’Islanda ha fatto parte fin dalla sua fondazione, alla metà degli anni ’50, del “Nordic Council” l’assemblea che gestiva rapporti privilegiati fra i tutti i paesi scandinavi inclusa la Finlandia, ma questa istituzione non ha mai rappresentato una entità politica di prima rilevanza; probabilmente lo stesso inserimento della Finlandia, troppo vincolata ad un sistema di “non provocazione” dell’Urss, non permise a questa 202 assise di confrontarsi con problemi politici veri, ed il suo profilo rimase sostanzialmente un forum di dibattito per politiche di integrazione socioculturale fra stati affini. Più interessante è invece il coinvolgimento islandese in un’altra istituzione europea, ovvero la European Free Trade Association. Molti degli stati che ne fecero parte in passato sono oggi membri dell’Unione Europea, ed attualmente l’EFTA raggruppa solo quattro piccoli ma prosperi stati: Islanda, Norvegia, Liechtenstein, Svizzera. Il motivo per cui l’Islanda ha preferito aderire all’EFTA, cui entrò nel 1970, è di facile spiegazione. L’economia islandese è a senso unico, poiché le caratteristiche della nazione, la scarsità della popolazione e delle risorse, fa sì che l’unico traino produttivo del paese sia la pesca; per avere una idea basta soffermarsi su questi dati: tra il 1991 ed il 1995 circa il 77% delle esportazioni è composto da prodotti ittici, e l’Islanda è tra le prime 20 nazioni al mondo per volume di pesca; l’agricoltura è praticamente assente e anche l’industria non riesce a soddisfare i consumi interni. Questo a fatto si che l’Islanda procedesse con i piedi di piombo in termini di inserimento in strutture sovranazionali, poiché senza una economia diversificata è molto difficile abbandonare posizioni protezionistiche o di stretta vigilanza. A differenza della CEE, l’EFTA si presentava come una istituzione senza velleità politiche ed esclusivamente commerciale. Questo schema ha resistito per tutti gli anni ’80, senza peraltro impedire che l’Islanda annoverasse fra i propri principali partners commerciali paesi dell’Unione. L’idea di una integrazione formale fra i due gruppi, cioè non sulla base di singoli accordi bilaterali fra gli stati, risale già al 1984; in un incontro svoltosi in Lussemburgo i ministri degli esteri di CEE e EFTA approvarono una dichiarazione per la creazione dello spazio economico europeo, una macro area che raccogliesse gli stati delle due 203 associazioni. Successivamente quindi si cominciò a prendere in esame la rimozione degli ostacoli al commercio fra questi paesi. Nel 1989 finalmente il presidente della commissione Jacques Delors propose una nuova forma di collaborazione, ovvero la cosiddetta Area Economica Europea. I membri dell’EFTA (allora Islanda, Austria, Liechtenstein, Norvegia, Svezia, Finlandia) reagirono positivamente. I negoziati partirono nel giugno del 1990, per arrivare alla firma del trattato di istituzione della AEE nel 1992, nel meeting di Oporto, che entrò in vigore il primo gennaio 1994. Lo scopo di questo accordo è quello di unire i 15 stati dell’UE e tre stati dell’EFTA (dei quattro stati rimanenti nell’EFTA infatti, la Svizzera ha bocciato per referendum, nel 1992, l’adesione all’AEE) in un unico mercato, regolato dall’aquis communitaire, ovvero quel sistema per la libera circolazione di persone, beni, capitali e servizi e omologando le regole della competizione. Il Trattato AEE, che consta di 129 articoli e ben 3500 “atti”, e raccoglie in un unico mercato ben 380 milioni di persone, che hanno la facoltà di vivere, lavorare ed investire nei 18 stati membri. Le differenze fra UE ed AEE sono diverse. Innanzitutto politiche agricole e politiche marittime non sono coperte da quest’ultimo se non in misura ridotta; in secondo luogo la AEE non è una unione doganale completa (non prevede una tariffa esterna comune); in terzo luogo non prevede una omologazione delle politiche commerciali con stati terzi. Per quanto riguarda l’Islanda questa soluzione sembra essere ottimale: «The EEA agreement ensures a link with those parte of european cooperation which have succeded best. An advantage of the EEA agreement is undoubtedly that certain aspects of 204 european cooperation which are either less attractive or actually against the interest of Iceland, remain outside the agreement»275 Dal punto di vista islandese gli aspetti più difficili da gestire sono ovviamente quelli della common fishery policy. Abbiamo ribadito più volte l’importanza di questo settore, e in un importante convegno economico del 1994 Örn Jònsson, allora presidente dell’istituto islandese per le politiche marittime, si esprimeva in toni assai allarmistici: «What is catastrophic about the situation of the North Atlantic region is the permanent over fishing and the question mark many scientists set to the how renewable the resources really are. In recent discussions the combined problem of over fishing and ecological changes has been put into focus. Climate changes can possibly have a more significant affect on recruiment of such central species as cod than we were led to believe (…). No fish, no fish products, no affluence»276 L’Area Economica Europea ha quindi dato la possibilità all’Islanda di partecipare a tutta una serie di istituzioni europee importanti senza compromettersi al di là delle proprie possibilità, proprio perché le politiche marittime sono escluse dagli accordi. L’Islanda ha aderito al Trattato di Shengen, entrerà presto a far parte del sistema di informazioni delle polizie europee (EUROPOL), ed ha ovviamente un ruolo attivo nelle varie sub commissione in cui si divide l’enorme lavoro dell’AEE. Nel prossimo futuro i nuovi sviluppi cui l’Islanda dovrà far fronte sono due: l’allargamento dell’Unione Europea e la cosiddetta Strategia di Lisbona. Per quanto riguarda il primo punto bisogna segnalare che esso interesserà da vicino anche Reykjavik poiché l’articolo 128 dell’AEE prevede appunto che i nuovi membri dell’Unione entrano a far parte dell’Area. Ormai il processo di allargamento ad Est è 275 Commento dell’attuale ministro degli esteri islandese, Halldor Asgrimsson in The Place of Iceland in European Cooperation, relazione alla 125esima sessione del parlamento (1999-2000). 205 avviato da tempo e, salvo imprevisti, un primo gruppo di candidati dovrebbe entrare dal 2003-2004; fra i primi nuovi partners dovrebbero esserci la Polonia, l’Ungheria, la Slovenia, la repubblica Ceca, l’Estonia e Cipro, ma è possibile che qualche paese del secondo gruppo (Slovacchia, Romania, Bulgaria, Lettonia, Lituania, Malta e Turchia) possa accelerare i tempi. La politica del governo islandese è comprensibile: «Relations between Iceland and many of the applicant countries have a shorter history then those with present EU members states, and whitin the administrations of those countries there is less knowledge of icelandic conditions. There is, therefor, good reason to strenghten relations with these countries, as within a few years they will have a considerable influence on icelandic interests»277 Al momento non è facile prevedere se e come l’Islanda sarà in grado di porre in essere incisive politiche di avvicinamento a questi stati prima di un loro ingresso nell’AEE, ma la situazione iniziale è ben poco incoraggiante: l’Islanda limita le sue politiche al settore economico, e negli ultimi tre anni gli indici di import – export non toccano l’1% del totale con quasi nessuno dei paesi candidati (solo la Polonia supera di pochissimo questa soglia). La cosiddetta “Strategia di Lisbona” venne elaborata nel Summit UE tenutosi nella capitale portoghese nel marzo 2000. L’obbiettivo dichiarato è quello di rendere l’Europa il sistema economico più competitivo del mondo entro l’anno 2010, attraverso un piano di sviluppo che periodicamente individui dei traguardi e faccia un monitoraggio dei progressi. Sebbene questa iniziativa nasca all’interno dell’UE, non poteva non coinvolgere da vicino anche gli stati EFTA-AEE. 276 Örn Jònsson, Geopolitics of Fish (relazione per il meeting Iceland in International Competition, 17-21 ottobre 1994). 206 La “strategia” in realtà non crea istituzioni nuove, ma avvia un sistema di contatti serrati per indirizzare gli sforzi comunitari su problemi concreti ed, eventualmente, superarli. Gli EFTA-AEE hanno invece istituito un vero e proprio comitato ad hoc, proprio nell’ottica della massima cooperazione con le istituzioni europee, per seguire da vicino i lavori dei summit; il comitato pubblica dei “commenti” a quanto avviene in sede europea, lavorando come una sorta di osservatore. Per avere una idea di quale sia il ruolo di questo comitato, ed il clima nel quale lavora, sarà utile dare un’occhiata a stralci del “commento” sul Summit di Barcellona (15-16 marzo 2002): «…The EEA EFTA States wish to emphasise their support for initiatives presented in the Financial Services Action Plan, and in particular the revision and further harmonization of the securities market legislation, as suggested in the report of the Committee of Wise Men (the Lamfalussy report). (…) The EEA EFTA States welcome the proposals for new procedural and enforcement rules under Articles 81 and 82 of the EC Treaty. (…) The EEA EFTA States would like to underline the importance of food safety issues related to the functioning of the internal market. The movement of safe and wholesome food is an essential aspect of the internal market and can contribute significantly to the health and well being of citizens, and to their social and economic interests.» Questo clima di piena collaborazione, comunità d’intenti e visione unitaria dei problemi porterà ad un ingresso dell’Islanda nell’Unione? La questione non si risolve con un sì o con un no, e nonostante l’AEE rappresenti di per se stessa una situazione soddisfacente il dibattito è aperto e disseminato di dettagli tecnici piuttosto complessi. Da un punto di vista politico e finanziario non vi sono impedimenti significativi; in termini di performance economica l’Islanda è uno dei pochi paesi europei che può 277 Halldor Asgrimsson, The Place of Iceland in European Coperation. cit. 207 agevolmente rispettare i cosiddetti parametri di Maastricht per entrare nell’Unione Europea.278 Un autorevole membro della Camera di Commercio islandese non molti anni fa (e dopo l’entrata in vigore della AAE) si espresse in maniera generalmente positiva279. Le perplessità della categoria riguardavano soprattutto l’impossibilità islandese a partecipare al processo legislativo dell’Unione, che influenzava necessariamente tutta l’Area. Inoltre c’era il timore che, rimanendo fuori dall’Unione Europea, gli investitori avrebbero ritenuto l’Islanda un paese meno appetibile. La proposta quindi era quella di avanzare la candidatura e lavorare sul cosiddetto “Accession Treaty”, ovvero quel negoziato di regole particolari per far riconoscere le proprie peculiarità e trovare una via accettabile per tutti. Un recente studio280 del ministero degli esteri e del commercio con l’estero (le due funzioni sono accorpate presso un unico dicastero) ha però rigettato questa ipotesi. Secondo questo rapporto l’Islanda potrebbe effettivamente cercare di ottenere una serie di clausole e dichiarazioni, al fine di sottoporre lo sfruttamento del mare al parere di commissioni scientifiche islandesi ed a licenze ministeriali autonomamente gestite, ma non potrebbe evitare investimenti stranieri in questo campo, cosa che invece l’AEE assicura. L’Islanda non potrebbe infatti far valere l’obbiezione che la pesca è un settore economico vitale e, come tale, debba essere protetto, poiché non è dato agli stati membri esentare interi settori commerciali dai principi generali dell’Unione. Anche per quanto riguarda le politiche di cooperazione in materia di sicurezza si avanzano delle perplessità. L’Islanda considera queste politiche auspicabili fintanto che 278 J.B. Hannibalsson (ambasciatore islandese presso Usa e Canada), Iceland’s Strategic Role in North Atlantic Security, in Icelandic Canadian (rivista), Vol. 55, num 4, anno 2000. 279 Jònas Fridhrik Jònsson, Iceland and the European Community, Reykjavik, 1994. 280 The Place of Iceland in European Cooperation, documento presentato al parlamento dal ministero degli esteri, 1999. 208 non entrano in conflitto con le ben consolidate relazioni atlantiche. L’Islanda ha basato la sua difesa sulla cooperazione bilaterale con gli Usa e sulla Nato. Undici dei quindici stati dell’Unione sono anch’essi paesi Nato, ed i quattro rimanenti (Austria, Finlandia, Irlanda e Svezia) sono comunque interlocutori a vario titolo; sebbene l’Europa ha l’ambizione di sviluppare un proprio sistema di sicurezza autonomo, nulla per Reykjavik potrebbe rimpiazzare il Patto Atlantico. Attualmente non sembrano esserci motivi per affermare che in un prossimo futuro la politica islandese possa cambiare. L’Islanda, con una popolazione di appena 270.000 persone nella regione sub artica, è comunque un micro stato con delle caratteristiche molto particolari; sebbene non vi sarebbero ostacoli politici o culturali all’integrazione, il paese ha oggi un suo equilibrio ben definito. Non è più dipendente dagli Stati Uniti per la propria sopravvivenza economica ed intrattiene già le relazioni più amichevoli possibili con l’Unione281; come tanti altri micro stati deve rispettare alcune proprie peculiarità, ma è riuscita a farlo senza limitare le proprie aspettative. Quindi è facile ritenere che fintanto che questa situazione rimarrà immutata, un ingresso islandese nell’Unione Europea non sarà nell’agenda politica dei governi futuri. 281 Vi sono poi impedimenti tecnici all’ingresso della corona islandese nell’Euro. L’ingresso nel sistema monetario limiterebbe le opzioni del governo in caso di fluttuazioni dell’economia, alzando ed abbassando i tassi di cambio e di interesse; l’esperienza insegna che tali fluttuazioni in Islanda hanno spesso avuto andamenti diversi da quelli del resto del continente, quindi abbandonare questa libertà di manovra vorrebbe dire assumersi qualche rischio in più. 209 L’Islanda nell’ONU e in altre istituzioni internazionali L’obbiettivo dichiarato di Reykjavik, in accordo con gli altri stati nordici, è quello di ottenere un seggio al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, nel 2009 o 2010282. Questa è probabilmente la sfida internazionale più difficile mai intrapresa dall’Islanda, che richiede una significativa valorizzazione del piccolo paese artico in ambito mondiale. Elevare la caratura politica di un paese piccolo è senza dubbio arduo, richiede un costante lavoro di partecipazione a quante più istituzioni internazionali possibili (anche al di fuori delle strutture ONU), ma permetterebbe all’Islanda di avere una opportunità unica di ampliare la propria influenza in campo internazionale. Nel suo lavoro all’interno delle Nazioni Unite l’Islanda ha focalizzato i suoi sforzi principalmente su due problematiche: la legislazione marittima internazionale e le violazioni dei diritti umani. L’interesse dell’Assemblea Generale dell’Onu sulle politiche del mare negli ultimi anni è andato crescendo, e, chiaramente, questo tocca da vicino gli interessi vitali di Reykjavik, che mostra segni di infastidito irrigidimento: «There have been cases of individual industrial countries whishing to discuss fisheries in the General Assembly and to tell other countries, especially fishery countries, what to do. This is a 283 dangerous trend and one that we must monitor carefully and oppose.» La posizione islandese prevederebbe un sistema di autocontrollo interno dei singoli stati, per il rispetto delle vigenti normative, affiancato da uno sforzo internazionale per abolire i sussidi statali alla pesca; tutto ciò per prevenire un impoverimento delle risorse 282 The Security and Defence of Iceland at the Turn of the Century, resoconto del working group del ministero degli esteri, 1999. 210 marittime, esiziale a tutto il settore ma che colpirebbe in maniera più profonda gli stati che hanno, come l’Islanda, una industria ittica fondamentale a tutto il sistema economico. In linea con questa strategia, l’Islanda partecipa con una delegazione permanente ai lavori della FAO; il dipartimento della pesca della FAO il Committee on Fisheries (COFI) sono le massime istituzioni sulle politiche marittime internazionali, all’interno delle quali la delegazione islandese ha l’obbiettivo di promuovere una serie di forum sull’effetto della pesca nell’ecosistema marino, e una convention sulla pesca abusivamente condotta. Il secondo campo in cui il governo islandese tenta di ritagliarsi una posizione in vista è quello sulla lotta alle violazioni dei diritti umani. E’ cosa nota che in questa campo molto è stato fatto ma ancor di più resta da fare, vista la disponibilità di molti stati ad accettare risoluzioni generali, per poi mostrarsi riluttanti nel guardare all’interno dei propri confini. La popolazione islandese, che certo non ha mai sperimentato sulla propria pelle questo tipo di problematiche, sembra essere particolarmente attenta alle iniziative umanitarie. Reykjavik ospita un ufficio permanente di Amnesty International (che comunque, per statuto, non può ricevere sovvenzioni governative), nonché la sezione della Croce Rossa Internazionale che riceve le più alte sottoscrizioni al mondo per capita. Suscita favori presso la popolazione l’attività dell’associazione Peace-2000, che si è distinta nell’assistenza delle vittime del disastro nucleare di Chernobyl ed in progetti sanitari in Bielorussia ed Ucraina, e che ha ricevuto diverse onorificenze dall’ex presidentessa della repubblica Vigdis Fingbogadottir.284 283 Ministro degli esteri e commercio estero Halldor Asgrimsson, relazione al parlamento in occasione del 60esimo anniversario del dipartimento dei rapporti con l’estero, 14 novembre 2000. 284 P.W. Calvert, Uncertainty and Dissent: Iceland in the Post Cold War World, Illinois, 1996, pag. 197. 211 La disponibilità islandese a lavorare ai progetti di UNIFEM in Kossovo ha mostrato un interesse particolare per quanto riguarda le problematiche di donne e bambini in situazioni critiche. Più importante ancora è l’adesione alla Corte Internazionale (nel 1998 l’Islanda è stato il decimo membro a riconoscerla), ICC nella sigla inglese, che avrà sede a Le Hague, Paesi Bassi. Questo organismo giuridico nasce per essere una istituzione permanente con una giurisdizione generale, differenziandosi quindi dai tribunali internazionali ad hoc per l’ex Yugoslavia ed il Ruanda, con lo scopo di perseguire i crimini contro l’umanità senza limitazioni di spazio e tempo. La ICC comincerà i lavori a pieno regime quando la “dichiarazione di Roma”, che la istituisce formalmente, sarà ratificata da almeno 60 paesi; nel frattempo i paesi che vi hanno aderito, come l’Islanda, possono procedere alla razionalizzazione dei propri statuti in vista di questa nuova corte. Il governo di Reykjavik ha inoltre recentemente collaborato con l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi (UNRWA), per la costruzione di una scuola nei “Territori”, ed ha istituito una propria agenzia per lo sviluppo dei paesi del terzo mondo285 (che in un prossimo futuro dovrebbe lavorare a contatto con l’UN Development Programme). Sebbene queste iniziative siano ancora ridotte, bisogna riconoscere che l’Islanda sta comunque tentando di allargare i confini delle loro azioni; fino a qualche anno fa infatti, i rapporti internazionali si esaurivano in Europa e nel Nord America. La lotta all’inquinamento su scala planetaria è un altro campo in cui l’Islanda non si risparmia; anche se è uno dei pochi paesi in cui è ancora possibile criticare 285 Hanno beneficiato di aiuti islandesi, sulla base di accordi bilaterali l’Uganda, Capo Verde, Mozambico, Malawi, Namibia e Timor Est. 212 “Greenpeace”286, i problemi dell’ambiente sono tenuti in massima considerazione. Nel 1989 l’Islanda propose all’assemblea generale delle Nazioni Unite che la International Atomic Energy Agency (IAEA) sviluppasse un regolamento per l’utilizzo dei reattori atomici in mare (l’ambiente marino torna spesso nei pensieri degli islandesi); all’inizio la proposta venne respinta poiché non faceva differenza fra imbarcazioni civili e militari, e si poté procedere solo escludendo queste ultime, e ridicolizzando così la questione. Sin dal 1990 Finlandia, Irlanda e Svezia hanno appoggiato le richieste islandesi di prendere seriamente in esame i danni ambientali causati da incidenti a reattori nucleari in mare; inoltre nel marzo 1995 Reykjavik ha ospitato una conferenza intergovernativa dell’Onu per proteggere i mari dagli agenti inquinanti prodotti a terra. Anche nei confronti dei grandi paesi l’Islanda si è posta polemicamente senza remore. Un rapporto ministeriale datato aprile 1995 accusa alcuni stabilimenti inglesi delle tracce di cesio 134 e cesio 137 trovate in campioni di acqua islandese287; il 27 agosto del 1995 i ministri per l’ambiente dei paesi nordici fecero appello alla Francia perché bloccasse i test nucleari nel Pacifico. Se il ruolo dell’Islanda in campo internazionale si limitasse a queste iniziative, sebbene interessanti e nobili, ci sarebbero ben poche possibilità di raggiungere l’obbiettivo del Consiglio di Sicurezza nei tempi previsti. Due strategie sembrano essere oggi percorribili, non alternative fra loro. La prima è quella di un maggiore coinvolgimento islandese in altre istituzioni, non necessariamente derivate delle Nazioni Unite, per ottenere quella “visibilità” che oggi manca. La seconda è il “gioco di 286 Il contenzioso fra le parti comincia ad essere preoccupante. Il governo islandese sembra intenzionato a ristabilire la caccia controllata alle balene; alcuni attivisti di Greenpeace per tutta risposta sono riusciti ad affondare due presunte baleniere nel porto di Reykjavik, tanto che l’associazione è accusata dal governo di usare modi propri dei gruppi terroristici. 287 P.W. Calvert, Uncertainty and Dissent: Iceland in the Post Cold War World, Illinois, 1996, pag. 207 213 squadra”, secondo le regole della diplomazia, con gli altri stati nordici. Già abbiamo accennato come gli obbiettivi islandesi sono stati avallati dagli altri partners del Nordic Council, ed un “blocco scandinavo” potrebbe anche trascinare altre nazioni europee. Tuttavia è impossibile prevedere gli esiti di questo cartello con troppo anticipo: seppure c’è un’idea di massima, in seguito le alleanze si costruiranno su progetti concreti, e non sarebbe la prima volta se il fronte nordico si spaccasse clamorosamente. L’Islanda dovrà quindi sforzarsi di aderire a quante più iniziative possibili; abbiamo già visto quali solo le sue posizioni nei riguardi della Nato, della cooperazione europea e delle Nazioni Unite. Un’altra area in cui la cooperazione comincia ad essere forte è quella delle repubbliche baltiche, che tra l’altro furono repentinamente riconosciute da Reykjavik. All’interno di un piano di collaborazione coinvolgente tutto il Nordic Council, l’Islanda contribuisce considerevolmente all’organizzazione e ricostruzione dei sistemi di controllo del traffico aereo (BALTNET), nonché al finanziamento dei centri di studi strategici della regione (BALTDEFCOL). L’Islanda partecipa inoltre a tutti i forum regionali dell’atlantico settentrionale, l’Artic Council, il Baltic Council ed il Barents Council, ma queste istituzioni rimangono istituzioni diplomatiche di basso profilo. L’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa solo da poco ha visto un vivo coinvolgimento islandese; l’Islanda istituì una propria delegazione permanente a Vienna, nel 1992, presso l’allora CSCE, ma un paio d’anni dopo non rinnovò il suo impegno. Solo nel marzo 1999 il governo ha reinsediato una propria delegazione a Vienna, per seguire la Kossovo Verification Mission, alla quale contribuiva con personale medico e operatori televisivi. 214 A conti fatti, la presenza islandese in campo internazionale è ancora troppo labile, e le velleità di accedere al consiglio di sicurezza rischiano di rimanere tali. Infatti il paese ha instaurato un regime di piena collaborazione con i vicini dell’Europa occidentale ed i fratelli scandinavi, ma trova ancora difficoltà ad uscire da questa “nicchia”, che esaurisce per di più la quasi totalità anche dei rapporti economici. Al di là delle repubbliche baltiche c’è poco altro, ed anche l’impegno islandese presso le Nazioni Unite è piuttosto circoscritto. Con il nuovo clima politico derivante dall’emergenza del terrorismo internazionale poi, c’è stato un radicale cambiamento delle priorità, che ha stravolto gli obbiettivi islandesi (formulati infatti prima dell’11 settembre); gli interventi umanitari, i problemi ambientali, le iniziative diplomatiche per il disarmo e la pacificazione di aree a rischio, tutte situazioni in cui almeno potenzialmente Reykjavik poteva dire la sua, hanno lasciato il campo a iniziative di tutt’altra entità. Guerra al terrorismo, un nuovo rapporto degli Usa con la Russia ed addirittura con la Cina, il problema del dialogo fra le religioni sono oggi i grandi temi internazionali. E su questi è ben difficile che la voce di Reykjavik possa farsi in qualche modo sentire. 215 Allegato L Riportiamo di seguito i suggerimenti finali dell’Öryggismalàskyrsla (gruppo di lavoro ministeriale), presenti in un documento tipo “libro bianco” dal titolo The Security and Defence of Iceland at the Turn of the Century. Tale documento venne presentato al ministro Halldor Asgrimsson nel febbraio 1999. Principal Suggestions The principal suggestions of the Working Group on the adaptation of defence and security arrangements are threefold: A. Icelandic participation in the peacekeeping work of the international community should be made a regular feature of the work of the Icelandic Government in security affairs. Icelandic members of peacekeeping missions should, as applicable at any time, participate in peace and surveillance work conducted under the auspices of the United Nations, the OSCE and NATO, in co-operation with one or more co-operating states, including the Nordic countries. B. Institutional and organisational measures should be taken by the Foreign Ministry to co-ordinate the participation of the Icelandic Government in peacekeeping work and take charge of the search for and appointment of appropriate employees and assume responsibility for their training and the terms of their employment. The relevant party should consult with other government agencies as required and participate in the preparation of the State Budget in as regards the participation. C. Means should be sought for Iceland to take on a larger role, alone or in cooperation with other countries, in the national defence, i.a. in the area of law enforcement, measures against acts of terrorism, civil defence, rescue work, exercises and patrolling Icelandic waters. Steps must be taken to ensure the possibility of utilising the experience and expertise of Icelanders who have been involved in peacekeeping projects abroad, in the interest of national defence and security, on their return to Iceland. Additional Suggestions The Working Group makes the following additional suggestions on specific aspects of the security and defence policy: 1. Training and Expertise Steps should be taken to make it possible for qualified individuals in Iceland to seek training and participate in colleges and courses on security and defence in 216 individual member states, including the Nordic countries, and in the relevant fora of NATO. Steps should also be taken to study specifically how the Foreign Ministry and the University of Iceland could co-operate on ensuring that there is, at any time, available expert knowledge of matters involving security and defence. 2. Participation in the Work of NATO The participation of the National Civil Defence of Iceland in the work of the Civil Emergency Planning Committee of NATO should be substantially strengthened, as the Committee has the important task of co-ordinating all civil emergency affairs concerning the member states in addition to providing a link with partnership states. This participation would make it easier for Iceland to prepare plans on reactions to crises and promote improved interoperability between Iceland and other countries in the conduct of exercises. Steps must be taken to ensure continued participation by Iceland in the NATO Military Committee; Iceland was first represented on the Committee in 1998. The participation is useful to the Icelandic Government, i.a. in preparations for the peacekeeping measures of the Alliance outside the common territory of the member states, including the Balkan Peninsula, where Iceland is already a participant. A study should be made of whether it is in the interest of Iceland to participate in the NATO Multinational Specialised Unit (MSU) in Bosnia and Herzegovina. The purpose of the Corps is to react to unexpected developments which do not require military intervention, but which are beyond the control of unarmed police officers. Special training of police and security units in projects of this kind could be useful to the government in preventive measures against sabotage and terrorism. A study should be conducted whether the time is ripe for Iceland to take a more active part in the work of the NATO Infrastructure Fund. Appropriations for construction projects have generally been reduced, and there are prospects of further reductions in investments in the Defence Base when the three new member states have joined the Alliance. The United States are now responsible for matters relating to Iceland in the Committee, but it is conceivable that it would serve Iceland's interests if it were represented on the Committee. 3. European Co-operation on Security and Defence It would be advantageous to establish a link with the European Security and Defence Identity, whether through closer co-operation of the Western European Union or the merger of the latter with the EU in the near future. At the same time, Iceland's link with the foreign policy forum of the EU should be strengthened. A good occasion will arise to take up that issue in late 1999, when Finland takes over the Presidency of the European Union and the Amsterdam Treaty has taken effect. 217 In order to ensure that Iceland's participation in the co-operation on police matters and immigration control is effective on the basis of the Schengen Agreement, this should be followed up with a co-operation agreement with EUROPOL, which is a system of information exchange between the police authorities in the EU member states. The EUROPOL Convention has been ratified by all member states. A centralised communications centre on illegal substances has already began operation. 4 Nordic Co-operation on Security and Defence A study should be made of the possibility of effective participation by Iceland in Nordic peacekeeping and rescue exercises with the participation of the Baltic States. Such exercises are now conducted under the auspices of Partnership for Peace. A special study should be made of whether it would be feasible for one or more Icelandic Coast Guard vessels to participate regularly in such exercises. 5 Minesweeping It is an urgent matter for the Icelandic Coast Guard to have the personnel and equipment available to deal with minesweeping, owing to Iceland's dependency on sea lines of communication. With the arrival of a new vessel for the Icelandic Coast Guard, new possibilities would arise of equipping vessels and train crews so as to render them useful in the event that mines are laid in the Icelandic economic zone. 6 Organisation of Defence The administrative organisation of security and defence should be thoroughly reviewed, i.a. for the purpose of ascertaining by what means the co-operation on security and defence, which currently fall variously under the Foreign Ministry and the Ministry of Justice, can be made more effective. Also, the role and composition of the Defence Committee should be reviewed with a view to reinforcing professional discussion of Icelandic defence matters. 7 Internal Security An assessment needs to be made of the actual risks posed to Iceland, including the administrative system and infrastructure, by sabotage and terrorist acts, organised crime and the proliferation of weapons of mass destruction It is important for the Icelandic Government to possess the greatest possible capacity of monitoring and reacting to the activities of extremist groups, in cooperation with other countries, and to continue the development of the Special Unit of the Police. Through Iceland's increased responsibilities in the international sphere, e.g. following the possible participation of Iceland in the United Nations Security Council in the future, the attention of disreputable political forces could be drawn to Iceland in a manner not familiar to Icelanders. Special regard must be taken of the internal security of Iceland in the foreseeable future. 218 Parte II – Analisi storico strategica Il ruolo militare della Base Aerea di Keflavik durante la guerra fredda La posizione geografica dell’isola islandese rappresentava di per se stessa un valore strategico intrinseco, un “fattore operativo permanente” determinato dal fatto di giacere fra il continente europeo e le coste nordamericane. Durante tutta la guerra fredda, la zona del Nord Atlantico, inclusi il Mar di Norvegia, l’Oceano Artico ed il Mare di Barents, fu uno dei teatri militari fra i più trafficati, sia per numero ed importanza di postazioni militari, sia perché vi si affacciavano tutti i maggiori contendenti. Sull’effettiva possibilità di una Terza Guerra Mondiale si è molto discusso, e per fortuna, qualunque analisi almeno per il periodo in esame, rimarrà sempre e solo una congettura. Negli anni ’80 uno schema ritenuto “plausibile” prevedeva questo tipo di sviluppo: una occasione di conflitto sarebbe potuta scoppiare in uno scenario regionale minore particolarmente instabile, fra tanti il medioriente ad esempio; sarebbe quindi seguita una fase di “escalation orizzontale” (cioè su base geografica), fino all’allargamento del conflitto all’Europa. In un primo tempo non vi sarebbe stata “l’escalation verticale” (da armi convenzionali ad armi nucleari). Le opinioni de commentatori e degli studiosi dell’epoca a questo punto si dividono: secondo alcuni la fase del conflitto convenzionale sarebbe durata fino all’improrogabilità di trattative di pace, e nessuno dei due contendenti avrebbe cercato in realtà l’annientamento totale dell’avversario. Altri invece sostenevano che il “deterrente atomico” non avrebbe retto a lungo, ma le opinioni non sono convergenti: chi riteneva l’utilizzo delle armi nucleari una sorta di catastrofica apocalisse dell’umanità era contraddetto da quanti, al contrario, ipotizzavano un loro utilizzo 219 circoscritto a pochissimi bersagli strategici (forse solo 1-2 città di media grandezza per parte), e che avrebbe, per assurdo, accelerano la ricerca di una soluzione pacifica. Uno dei concetti basilari che contribuirono a mantenere un equilibrio (secondo alcuni ben meno precario di quanto poteva apparire288), fu ovviamente quello di “deterrente” nucleare, o più semplicemente, il concetto di reazione. Americani e Sovietici avevano accumulato enormi arsenali, tuttavia nessun attacco sarebbe potuto essere così fulmineo e devastante da lasciare il nemico privo dei mezzi per rispondere altrettanto incisivamente.289 Le armi atomiche segnarono una nuova era nella storia militare, soprattutto da quando la tecnologia aveva permesso la realizzazione di missili con gittate di migliaia di chilometri, o che potevano essere lanciati anche da navi, aerei o sottomarini; tuttavia queste armi non segnarono la fine della strategia militare, e seppure cambiarono degli equilibri all’interno degli apparati, non rimpiazzarono affatto le forze convenzionali. E’ logico che la scelta dell’utilizzo di armi nucleari è politica più che militare, e se pensiamo che a tutt’oggi le sole bombe atomiche mai esplose in teatri di guerra furono quelle contro le città giapponesi, è facile credere che esse vennero sempre ritenute rimedi estremi e non semplici opzioni. In un contesto “nuclearizzato”, ma che non poteva rinunciare alle pratiche convenzionali, le acque del Nord furono un settore cruciale: rappresentavano il fianco nord della Nato, ma erano altresì vicine ai centri politici ed industriali dell’Unione Sovietica. Per questi motivi la base di Keflavik divenne una postazione irrinunciabile per gli Usa. L’intento di ambo le parti era quello di creare scenari convenzionali 288 Lo storico E. Hobsbawn parla addirittura di una “pace fredda”, ritenendo un conflitto diretto fra le superpotenze altamente indesiderabile per entrambe le parti. Vedi Il Secolo Breve, Einaudi, 1995. 289 Fatte le necessarie distinzioni, da questo punto di vista il mondo della Guerra Fredda fu diametralmente opposto da quello di oggi nelle strategie americane. Gli Stati Uniti tenteranno di 220 massicci secondo i concetti di “risposta flessibile”, ovvero senza limitarsi ad un bivio composto da “peacetime” da un lato o guerra termonucleare globale dall’altro.290 Per inquadrare meglio l’aspetto esclusivamente militare della vicenda sarà opportuno dividere il discorso secondo i punti di vista dei contendenti, secondo i compiti assegnati alla Iceland Defense Force, nonché la risposta sovietica nel contesto più ampio dell’intera regione. E’ opportuno ricordare che le analisi che seguiranno si intendono relative al periodo della Guerra Fredda, poiché attualmente, come già segnalato al capitolo precedente, la condizione strategica della regione è radicalmente mutata. Organizzazione delle forze statunitensi in Islanda291 L’impegno americano in Islanda aveva sostanzialmente due propositi: assicurare la difesa dell’isola e mantenere il controllo del mare circostante. La base di Keflavik rientra sotto le competenze dello United States Atlantic Command, che ha il suo quartier generale a Norfolk (Virginia). La responsabilità di questo comando si estende a tutto l’Oceano Atlantico, da polo a polo, incluso il Mare di Barents. La Icelandic Defense Force (IDF) è tuttora il componente più rilevante del contingente americano sull’isola. Esso consisteva nell’Air Forces Iceland e nelle forze di difesa terrestre. Altri elementi importanti di istanza a Keflavik erano il settore per la operazioni antisommergibile (Anti Submarine Warfare Group) e la Fleet Air Keflavik, per la sorveglianza marittima. fronteggiare il nuovo nemico, ovvero il terrorismo internazionale, con la prevenzione e la politica del “first strike”, colpire subito per stroncare. Cfr. Il Foglio, 12 giugno, 2002. 290 P. Petersen, Iceland in Soviet Military Strategy, Reykjavik 1987, p. 14. 221 La catena di comando era piuttosto complessa, poiché il comandante della base (un alto ammiraglio) era contemporaneamente capo di tutti e tre questi settori, ma non essendo essi fusi, a livello superiore rispondevano a comandi differenti: lo stesso ammiraglio di Keflavik nella funzione di comandante della IDF rispondeva direttamente al Comandante in Capo per l’Atlantico (CICLANT); nella funzione di comandante del settore antisommergibile era sottoposto al Comandante in Capo per la Flotta Atlantica (CICLANTFLT); nella funzione di comandante della Fleet Air Keflavik rispondeva invece al Commander Naval Air Atlantic (COMNAVAIRLANT). Questa catena di comando rispecchiava la situazione in condizioni normali. In caso di crisi Fonte: Iceland, Nato and the Keflavik Base, p. 26. CINCLANT: Commander in Chief Atlantic CINCLANTFLT: Commander in Chief Atlantic Fleet COMNAVAIRLANT: Commander Naval Air Atlantic COMICEDEFOR: Commander Iceland Defense Force COMICEASWGRU: Commander Iceland Anti Submarine Warfare Group COMFAIRKEF: Commander Fleet Air Keflavik 291 Per quanto riguarda i dati tecnici della composizione delle forze americane, qualora non diversamente segnalato, si fa riferimento al libro bianco Iceland, Nato and the Keflavik Base, edito dalla Commissione Islandese di Sicurezza (Öryggismálanefnd) nel 1989. 222 profonda o guerra vera e propria, la base passava dalla gestione statunitense alla gestione Nato292. Le unità combattenti sarebbero passate dal CINCLANT americano al Comando Alleato per l’Atlantico (ACLANT). Non vi è però un vero passaggio delle consegne: il CINCLANT detiene anche la posizione di Comandante Supremo Alleato per l’Atlantico (SACLANT), quindi, la stessa struttura è americana in tempo di pace e alleata in tempo di guerra.293 Le forze assegnate a Keflavik in tempo di pace erano considerevoli. Stando al rapporto di pubblico dominio della Commissione Islandese di Sicurezza del 1989, esse erano costituite da: - Aviazione Navale: la marina statunitense provvedeva allo stazionamento di uno squadrone per la ricognizione marina, forte di 9 aerei P-3; un ulteriore P-3 della marina olandese venne permanentemente stazionato a Keflavik dal 1985, sulla base di un programma di cooperazione con la Nato.. - Aviazione: forniva 20 caccia intercettori modello F-15 appartenenti al 57esimo Fighter Interceptor Squadron (di cui però solo 18 a Keflavik, gli altri due a rotazione negli Usa per la manutenzione), oltre a due Aerei Radar Airborne Warning And Control Wing System (AWACS) modello E-3. Un aereo cisterna KC-135 era permanentemente impiegato a Keflavik, appartenente però allo Strategic Air Command della base di Omaha (Nebraska). - Un contingente di 80 marines si occupava della sicurezza della base, e dell’addestramento del resto del personale militare disponibile per operazioni di sicurezza interna, per un totale di circa 400 persone. 292 L’Islanda era infatti membro a pieno titolo dell’Alleanza Atlantica, ma essendo priva di esercito aveva delegato agli Stati Uniti la difesa dell’isola, all’interno del quadro operativo della Nato. 293 In realtà questa è una semplificazione. Cambiano infatti gli organi superiori di riferimento (per il CINCLANT sarebbe il Joint Chiefs of Staff americano, il SACLANT invece riceve ordini dal Consiglio Atlantico), e le aree di competenza, che per il SACLANT va dal Polo Nord al Tropico del Cancro. 223 Attività in tempo di pace I compiti principali delle forze di istanza a Keflavik erano sostanzialmente due: la sorveglianza dei mari, sia per quanto riguarda le unità di superficie che quelle sottomarine, e il monitoraggio dello spazio aereo Il controllo marittimo era affidato agli aerei P-3, unità decisamente versatili in quanto in grado di essere equipaggiati con diversi modelli di missili e siluri, nonché bombe atomiche di profondità (B-57). A supporto degli aerei vi era poi un sistema di cavi idrofoni (SOSUS) che partendo da postazioni sulla costa si addentravano in mare per registrare eventuali presenze sospette. Non tutti i mezzi sovietici individuati in mare venivano tracciati, sia per motivi pratici di carico di lavoro, sia per evitare inutili provocazioni; solo in caso di elementi di novità (nuovi mezzi, presenze in aree precedentemente non battute, etc.) si procedeva ad un controllo costante. L’area di competenza dei P-3 americani era piuttosto ampia, toccando la punta meridionale della Groenlandia ad Ovest, fino alle isole britanniche; a nord l’estensione massima possibile arrivava, ma solo di rado, alle isole Svalbard, mai entro il Mare di Barents: la Norvegia aveva aderito alla Nato sulla precondizione che non vi sarebbero state attività militari oltre i 24° di longitudine Est e nella Finnmark (contea settentrionale del paese) per non provocare i sovietici. Le operazioni di pattugliamento a lungo raggio però erano piuttosto complesse, poiché spesso era necessario un “rifornimento preventivo” in altre basi norvegesi: infatti se sulla via del ritorno la base di Keflavik fosse stata inagibile per motivi legati alle condizioni 224 atmosferiche, gli aerei dovevano avere carburante sufficiente per raggiungere altri aeroporti, poiché in Islanda non ve ne erano altri capaci di riceverli.294 Difesa Aerea La sorveglianza dello spazio aereo era di competenza degli F-15 dell’aviazione, gli aerei in quel momento più sofisticati per operazioni di questo tipo295. Gli aerei AWACS e i Radar di terra coprivano una zona di circa 200 miglia nautiche intorno all’isola. Questa era la cosiddetta Military Air Defense Identification Zone (MADIZ). MADIZ islandese (zona scura) e portata dei Radar di terra. Fonte: Iceland, Nato and the Keflavik Base, p. 45 294 Questo fu anche uno de motivi per cui, in più di una occasione, gli Usa tentarono di ottenere l’autorizzazione per costruire una nuova base, all’angolo opposto di Keflavik sulla mappa islandese; ciò avrebbe ovviato al problema dei rifornimenti. 295 Questi velivoli avevano sostituito, nel 1986, 12 F-4, aerei più vecchi e meno versatili. J. Ausland, Nordic Security and the Great Powers, Usa 1986, p. 170. 225 Qualunque aereo non identificato che entrava nella MADIZ veniva intercettato e scortato fuori dall’area. Nel corso degli anni ’80 questi intercetti furono circa 1.200. Stando ai dati della IDF, la maggior parte di questi aerei erano Tupolev – 95 (quadrimotori di lungo raggio), in diverse versioni ma generalmente per la ricognizione aerea e navale, di istanza nelle basi della penisola di Kola. Occasionalmente però venivano intercettati anche i pericolosi Tu – 95 modello H, ovvero bombardieri strategici pesanti, capaci di trasportare armi atomiche.296 I piani di rinforzo rapido in caso di crisi Le forze militari americane operano secondo un sistema di allerta definito Defcon (da Defense Readiness Condition). Vi sono 5 livelli Defcon, il quinto è il più basso, anche se le forze strategiche nucleari non scendono mai sotto Defcon 4. A Defcon 1 le truppe sono schierate per i combattimenti. Questo sistema permette di avere una serie di iniziative che scattano automaticamente e con rapidità appena il Defcon cambia. I piani dettagliati non sono disponibili, ma nel caso di Keflavik ogni livello Defcon aveva una proprio effetto sulle operazione: dalla normale routine si poteva passare a ricognizioni più intensive, come la traccia di tutti i sottomarini, operazioni a ciclo continuo etc. Qualora si fosse presentata l’eventualità di una crisi seria nel teatro europeo297, si sarebbe avviato un controllo più profondo possibile del mar di Norvegia, e la difesa delle linee di comunicazione tra le sponde dell’Atlantico. I piani di rinforzo di Keflavik, oltre quanto già menzionato, prevedevano: 296 Vedi ad esempio Varnarstöðinn ì Keflavìk, pubblicazione a cura dell’ufficio relazioni esterne (Utanrikismàlanefnd) della base militare di Keflavik, 1978, p. 13. 297 Generalmente nei testi presi in esame si fa riferimento a due tipi di crisi: “inside the Area” e “out of Area”, intendendo per Area quella del Trattato del Nord Atlantico. Questa zona andava dal Polo Nord al Tropico del Cancro e dagli Usa alla Turchia. 226 - Uno squadrone di P-3, composto da altri 9 aerei - 3 AWACS E-3 - 24 F-15 - Approssimativamente 4 aerei cisterna - 24 F-4 Phantoms (attacchi aria-terra/mare) - 18 F-16 (attacchi aria-terra/mare) - Fanteria, composta da 3.000 uomini ben equipaggiati e supportati, oltre che riservisti a disposizione. Nessuno di questi rinforzi fu mai effettivamente schierato, se non in occasione di esercitazioni particolari, ma in caso di crisi vera la base di Keflavik quasi quadruplicava la sua forza aerea, passando da 30 a 110 – 112 mezzi. Per quanto riguarda le armi atomiche non sono disponibili piani precisi di libero accesso. Abbiamo visto come, in tempo di pace, il mondo politico islandese si era sempre schierato contro lo stazionamento in Islanda di questo tipo armi. In caso di guerra però la necessità di tempi di reazione brevi non avrebbe permesso lunghe discussioni. E’ estremamente probabile che, qualora le condizioni lo avessero richiesto, i militari avrebbero avuto a disposizione qualsiasi tipo di arma, tantopiù che gli aerei stanziati a Keflavik erano effettivamente in grado di trasportare ordigni nucleari. Gruppi antimilitaristi denunciarono in almeno due occasioni (1980 e 1984) lo stoccaggio di armi nucleari in Islanda, ma entrambe le campagne non furono in grado di produrre prove inconfutabili298. Da un punto di vista formale, Washington avevano sempre assicurato che non sarebbe mai stato preso un simile provvedimento senza il consenso 298 Bjorn Bjarnason, Iceland’s Security Policy: Vulnerability and Responsability, Oslo 1985, p. 143. 227 del governo islandese, tuttavia i tempi della politica sono spesso incompatibili con i tempi della guerra. L’Islanda vista dal Cremlino L’esercito sovietico aveva diviso il mondo in diversi teatri di operazioni strategiche (TMSA299 nella sigla inglese o TVD300 nella sigla russa), delle macroaree a loro volta divise in sub settori. Ogni area rappresentava ovviamente un insieme su base fisico geografica, nonché una certa omogeneità per condizione politica o caratteristiche militari. Avendo come punto di riferimento la città di Mosca, l’Islanda faceva parte del TVD Nord Occidentale, che raccoglieva anche le province russe di nordovest, le repubbliche sovietiche baltiche, gli stati di Norvegia, Svezia, Finlandia e Danimarca, insieme alle acque del Mar Bianco, di Barents, di Norvegia, Baltico e del Nord.301 L’area così designata si trovava al centro di una croce che aveva ai suoi punti estremi altri teatri importanti: ad Est e ad Ovest il cuore delle due superpotenze, a Nord ed a Sud l’Oceano Artico e l’Oceano Atlantico. Anche questi due TVD erano particolarmente importanti: mentre l’Atlantico costituiva la linea di collegamento tra Europa e Nord America, nell’Artico vi era il grosso dei sottomarini sovietici in grado di lanciare missili balistici a lungo raggio (SLBM302), che potevano colpire obbiettivi in Usa senza scendere al di sotto del Circolo Polare Artico. Semplificando un poco il discorso, si ritiene che durante gli anni ’50 e ’60, il Patto di Varsavia avesse un discreto vantaggio di forze convenzionali, mentre l’Occidente aveva 299 Theater of Strategic Military Action Teatr Voyennykh Deystviy 301 P. Petersen, Iceland in Soviet Military Strategy, Reykjavik 1987, p. 9. 300 228 un vantaggio in campo nucleare. Successivamente i sovietici erano riusciti a colmare il divario atomico, e godevano comunque di un vantaggio considerevole nei teatri europei, grazie al dispiegamento alla fine degli anni ’70 dei famigerati vettori SS-20 (missili nucleari a medio raggio) e SS-25 (testate nucleari intercontinentali); tuttavia, come gli americani, anche i russi ritenevano il ricorso all’arsenale nucleare altamente indesiderabile. Lo spiegamento sovietico nell’Oceano Artico L’importanza del TVD Nordoccidentale è testimoniata dall’organizzazione della marina russa. I Sovietici avevano quattro flotte fondamentali: la Flotta del Nord, la Flotta del Baltico, del Mar Nero e del Pacifico. La prima, assegnata a questo TVD, era indubbiamente la più potente e la meglio fornita. La Flotta del Nord aveva le sue basi operative nella penisola di Kola. Risulta interessante notare l’evoluzione di questa regione, che non fu solo militare: subito dopo la seconda guerra mondiale, la penisola era abitata da circa 300.000 persone; con un programma di sviluppo mirato, alla fine degli anni ’70 la popolazione aveva raggiunto quota un milione, e la sua capitale, la città di Murmansk era raddoppiata a 300.000 abitanti. La regione venne inoltre fornita di importanti infrastrutture, come le ferrovie, anche per supportare i cantieri navali ad uso della marina (Severomorsk). Le unità che ruotavano intorno a questa regione, secondo un rapporto del National Strategic Information Center americano303 erano ingentissime: circa 170 sottomarini 302 303 Submarine Lunched Ballistic Missiles M. Leighton, The Soviet Threat to Nato Northern Flank, Usa 1979. 229 1) Strategic Rear 2) Western 3) North America 4) Far Eastern 5) Southern 6) Northwestern 7) Southwestern 8) African 9) South America 10) Australian 11) Antarctica 12) Arctic 13) Atlantic 14) Pacific 15) Indian Teatri strategici sovietici e sub settori del teatro nordoccidentale Fonte: P. Petersen, Iceland in Soviet Military Strategy, p. 9 e 17. 230 (tra cui il 75% dei mezzi equipaggiati con SLBM dell’intera marina)304 e 5000 imbarcazioni di vario tipo, di cui una sessantina definiti “major surface combatants”, come la portaerei Kiev per aerei a decollo verticale. Ma la penisola ospitava anche importantissime basi per l’aviazione, circa 40 campi aerei di varia grandezza per velivoli di tutti i tipi, inclusi i bombardieri strategici; due divisioni motorizzate erano poi schierate lungo il confine con la Norvegia (27.000 soldati “contro” 500 guardie di frontiera norvegesi). Il secondo centro regionale sovietico era costituito dalla flotta del Baltico. Forte di 30 sottomarini e 60 navi di superficie era anch’essa una unità importante, particolarmente attrezzata per le operazioni anfibie. In realtà i compiti assegnati a questa flotta erano principalmente locali, in quanto si desiderava avere un controllo totale del Baltico per proteggere le coste sovietiche e le operazioni delle truppe di terra. Tuttavia bisogna notare che, anche in caso di inserimento della marina svedese fra le forze della Nato, i russi avevano un vantaggio spropositato. E’ questo un tipico caso di “difesa profonda”, la tattica piuttosto ambigua secondo cui la miglior difesa non è respingere gli attacchi del nemico, ma occuparlo per evitare che possa attaccare. Oltre a questi imponenti sistemi navali, i sovietici avevano altri appoggi nella regione, forse meno importanti ma che in caso di necessità si sarebbero mostrati di una qualche utilità. Uno di questi era rappresentato dalle isole Svalbard. Questo piccolo arcipelago era parte della Norvegia, tuttavia ospitava una comunità russa di circa 2000 persone, il doppio dei norvegesi, quasi tutti impiegati nelle miniere di carbone. L’isola non fu mai, in tempi recenti, al centro di dispute territoriali vere e proprie (la condizione dell’isola era stata regolata da un trattato del 1920), né tantomeno una base sovietica, 304 La politica sovietica degli armamenti era stata differente da quella adottata dagli Usa. Gli americani ritenevano le navi portaerei le punte di diamante della loro flotta, mentre i russi avevano optato per la 231 tuttavia molti incidenti sospetti testimoniano una attività russa costante e profonda. Nel 1975 ad esempio un Tu-126 (aereo radar) precipitò nell’isola di Hopen, e quando i norvegesi si rifiutarono di consegnare i registratori di volo, Mosca cancellò nervosamente alcune visite diplomatiche. I russi erano poi accusati di operare, all’interno delle loro enclave, delle postazioni radar non autorizzate. Un’altra attività ambigua riguardava il personale sovietico del piccolo aeroporto delle Svalbard: i russi occupavano costantemente nella struttura ben sei persone, a fronte di un solo aereo al mese della Aeroflot. Esercitazioni e prove di guerra Avendo una visione comparata delle forze in campo e delle esercitazioni condotte dai due schieramenti, è stato possibile ricostruire possibili scenari di guerra. La Nato conduceva nella zona due tipi di operazioni: Command Post Exercises (CPX) e le esercitazioni dal vivo. Le CPX non prevedono l’impiego di truppe ma stressano i comandi militari, gli staff, le capacità organizzative e le comunicazioni con gli altri comandi. Le esercitazioni dal vivo sono quelle che invece prevedono uno spiegamento di forze sul campo simulando un attacco o una difesa in uno scenario più o meno circoscritto. Gli schemi con cui queste esercitazioni venivano messe in pratica erano piuttosto regolari: ogni due anni ad esempio la Nato conduceva le esercitazioni chiamate “Express”, in cui si simulava la difesa della penisola scandinava in uno scenario invernale estremo. Oppure ogni quattro anni le esercitazioni “Teamwork”, in cui il produzione su larghissima scala di sottomarini di vario tipo, rinunciando alle portaerei e rimediando, in un secondo tempo, con navi in grado di trasportare aerei a decollo verticale (come la Kiev appunto). 232 Comando Supremo per l’Atlantico (SACLANT) coordinava le proprie manovre con il Comando supremo per l’Europa (SACEUR)305. Periodicamente nella base di Keflavik si svolgevano le operazioni Northern Viking; esse erano esercitazioni miranti ad ottenere un rafforzamento rapido delle truppe di terra nella zona, per proteggere le infrastrutture militari da infiltrazioni nemiche.306 Più interessante risultò invece l’esercitazione Ocean Safari 85307, sia perché coinvolse direttamente le difese aeronavali dell’Islanda, sia perché venne condotta contemporaneamente ad una vasta esercitazione sovietica, la Summerex 85. La Ocean Safari si caratterizzò per essere stata una notevole operazione, coinvolgendo tra l’altro ben tre unità portaerei e mezzi di scorta. L’obbiettivo principale fu quello di testare le capacità alleate di mantenere un flusso di rifornimenti nell’ottica di un conflitto europeo. Fondamentale quindi era testare le reali capacità di eludere il controllo delle forze sovietiche. E’ sempre difficile affermare con certezza come sarebbero andate le cose in una guerra reale, ma le esercitazioni fornivano sempre elementi di studio. In una conferenza stampa che seguì le operazioni, l’ammiraglio americano Mustin dichiarò: “If we do not control the Norwegian Sea, if we allow forces from the Soviet Northern Fleet get into the Atlantic, we place our own reinforcement and resupply forces in danger”.308 Le esercitazioni del Patto di Varsavia vennero sempre tenute nella massima considerazione da parte degli analisti militari alleati, che oltre a cercare di verificare l’efficienza sovietica, tentavano di interpretare i loro piani operativi. 305 J. Ausland, Nordic Security and the Great Powers, Usa 1986, p. 73. Cfr. il libro bianco Iceland, Nato and the Keflavik Base, cit., p. 65. 307 Nella nomenclatura degli studi militari il numero accanto al nome dell’esercitazione ne indica l’anno di svolgimento. 308 J. Ausland, Nordic Security, cit., p. 77. 306 233 Operazioni di portata mondiale furono la Okean 70 (1970) e la Okean 75 (1975). La prima coinvolse qualcosa come 200 mezzi fra sommergibili e navi di superficie, la seconda circa centotrenta; in entrambi i casi la Flotta del Nord svolgeva un ruolo centrale. Queste furono solo due manovre particolarmente spettacolari, ma operazioni minori erano ripetute costantemente: l’obbiettivo delle iniziative russe, al di là del tema delle singole operazioni, era quella di innalzare i tempi di reazione della Nato. Infatti incrementando i transiti militari si poteva indurre nell’avversario una sorta di routine che abbassava il livello di allerta, e diventava più difficile ad esempio riconoscere una esercitazione da un attacco isolato. L’esercitazione sovietica Summerex 85 (1985), cui partecipò sia la Flotta del Nord che la Flotta del Baltico, aveva il compito di simulare la difesa della penisola di Kola da attacchi Nato. Come illustra approssimativamente la figura, i russi avrebbero usato i loro sottomarini (soprattutto convenzionali) per creare più serie di sbarramenti in modo da ostacolare i movimenti delle flotte alleate, mentre i gruppi navali sovietici stanziati nel Baltico e nell’Artico avrebbero colpito i nemici imbottigliati fra le barriere da due direzioni. Possibili scenari La strategia sovietica aveva un obbiettivo massimo ed uno minimo. Il primo prevedeva il controllo completo del Mar di Norvegia (superficie, spazio aereo e profondità marine) per portervi operare con relativa impunità; il secondo quantomeno mirava alla negazione di una fruizione agevole della stessa area da parte della Nato309. 234 Schema della esercitazione Sovietica Summerex 85 Fonte: J. Ausland, Nordic Security and Great Powers p. 70. Le operazioni navali sovietiche nel nord atlantico avrebbero avuto probabilmente quattro tipi di indirizzi: 1) difesa dei propri sottomarini nucleari. 2) attacchi a portaerei nemiche. 3) attacchi a sottomarini atomici nemici. 4) operazioni “anti-SLOC” (dall’inglese anti sea lines of communications, per la neutralizzazione delle linee di comunicazione fra Nord America ed Europa). Questa serie di obbiettivi avrebbe probabilmente rappresentato anche la scala delle priorità. I sottomarini nucleari sovietici classe Delta e Typhoon (nella classificazione 309 W. Wright, Soviet Naval Operation in Oceanic Theaters of strategic military Action, Reykjavik 1997, 235 Nato) avevano la possibilità di imbarcare missili nucleari intercontinentali, quindi rappresentavano delle unità strategiche che sarebbero state tra i primi bersagli del nemico. La distruzione delle portaerei e sottomarini americani avrebbe evitato attacchi nucleari dal mare contro obbiettivi russi a terra. A differenza di quanto avvenuto durante la seconda guerra mondiale invece, le operazioni anti-SLOC fra le sponde dell’Atlantico avevano una priorità inferiore. Tutto sommato lo stesso effetto si sarebbe potuto ottenere con l’invasione degli stati dell’Europa occidentale delle truppe di terra, dedicando la marina alle altre operazioni. Se questo quadro operativo fosse stato effettivamente quello applicato dai russi in caso di guerra, l’Islanda rappresentava una spina nel fianco. I sovietici ritenevano l’isola una sorta di “portaerei inaffondabile”310: dalla base di Keflavik potevano partire operazioni contro i sottomarini atomici nelle acque settentrionali. Attraverso quella postazione la Nato poteva esercitare un controllo dello spazio aereo sulla rotta diretta fra le due superpotenze, svolgere una difesa delle proprie portaerei e dei propri sommergibili, e rendere difficili le operazioni anti-SLOC (vedi figura). L’Islanda inoltre si presentava come un territorio più facilmente difendibile rispetto al continente europeo. Mancando la continuità territoriale, i russi non avrebbero potuto sfruttare il vantaggio numerico in una invasione “all out”; il sistema di sorveglianza integrato, di cui Keflavik faceva parte insieme ad altre postazioni della GIUK Line (il cosiddetto Distant Early Warning System), rendeva poi impossibile l’eventualità di un attacco a sorpresa. p. 61. 236 SOVIET VIEW OF ICELAND AS THREAT TO SOVIET OPERATIONS Legenda: ASW: Anti Submarine Warfare AAR: Anti Aircraft Warfare ACW: Anti Carrier Warfare SLOC: Sea Lines of Communication fonte: W. Wright, Soviet Naval Operation in Oceanic Theaters of strategic military Action, p. 60 I sovietici avrebbero certo tentato di negare la fruizione dell’Islanda da parte delle forze Nato, anche se si ritiene che una invasione anfibia di ampia portata sarebbe stata una scelta inopportuna, a causa della congestione dell’area e delle caratteristiche ambientali. Più probabilmente piccoli contingenti di Spetsnaz 310 P. Petersen, Iceland in Soviet Military Strategy, Reykjavik 1987, p. 7. 237 (gli “uomini rana” sovietici) avrebbero potuto sabotare le infrastrutture: la distruzione dei depositi di carburante e dei Radar avrebbe reso Keflavik quasi inutile. Gli americani invece, oltre ad usare Keflavik come base aeronavale per operazioni offensive, avrebbero tentato di chiudere le maglie della GIUK Line per tentare di imbottigliare i sovietici al nord, impedendogli così di disperdere le loro unità anche in altri fronti. Contrariamente a quando afferma Jonh Ausland (in Nordic Security and the Great Powers) comunque questo obbiettivo sarebbe stato di lieve entità e difficilmente ottenibile. Innanzitutto c’è un problema di distanze: per esercitare una sorta di blocco navale “vecchio stile” si sarebbe dovuto ricorrere a una parte rilevante della marina americana. Le loro navi però, viaggiando alla stessa velocità delle navi di Murmansk, avrebbero impiegato il doppio del tempo dalla costa orientale degli Usa311. In secondo luogo, in caso di un conflitto vis-à-vis tra Stati Uniti ed Unione Sovietica, la battaglia fondamentale sarebbe stata quella del Nord Atlantico, il cui controllo avrebbe dato libero accesso ai territori del nemico; altri teatri regionali non avrebbero potuto incidere significativamente sugli esiti del conflitto, e le stesse linee di comunicazione fra le sponde dell’Atlantico sarebbero comunque saltate con una invasione terrestre delle truppe del Patto. 311 Una preoccupazione seria dei vertici della Nato era appunto che, essendo la coalizione di natura difensiva, il Patto di Varsavia avrebbe sempre avuto l’iniziativa in una situazione in via di degradazione: non avendo infatti impedimenti politici di sorta, Mosca si sarebbe potuta muovere più liberamente, visto il controllo pressoché totale che esercitava sugli alleati. Cfr Generale Tönne Hitfeld, Iceland in Nato Defense Policy, Reykjavik 1987, p. 72. 238 Schema di come l’esercito sovietico interpretava il sistema di difesa antisommergibile della Nato nel Mar di Norvegia. Riportato da: Tönne Hitfeld, Iceland in Nato Defense Policy, p. 73. 239 Parte III: Il quadro istituzionale ed il sistema dei partiti in islanda Il sistema politico della Repubblica d’Islanda L’Islanda è una repubblica parlamentare che si vanta di avere il parlamento (Alþing) in attività più antico del mondo. Originariamente questa assemblea riuniva i capi clan dell’era vichinga fin dal X secolo, nella piana di Thingvellir (circa 40 km a Est di Reykjavik); il moderno Alþing ovviamente non ha più nulla a che vedere con quella primitiva forma assembleare, che nel corso dei secoli visse momenti di crisi profonda, soprattutto ad opera delle dominazioni straniere: norvegesi e danesi giunsero a privarlo dei propri poteri o a chiuderlo del tutto. Malgrado ciò gli islandesi sono un popolo molto attaccato alle loro tradizioni, ed amano pensare che vi sia una qualche forma di continuità con quella che fu la base della società islandese più di un millennio addietro. Il sistema elettorale in uso fino alla metà degli anni ’80 era una complessa unione di proporzionale e maggioritario. Si concorreva nei distretti elettorali con il sistema maggioritario, vi era poi una quota di seggi distribuita su base proporzionale solo fra quei partiti che erano riusciti ad eleggere almeno un candidato uninominale. Questo diede vita a situazioni imbarazzanti, come nel 1956: il Partito Socialdemocratico vinse 1 seggio uninominale, e ne prese altri 5 dalla quota proporzionale. Qualora però avesse fallito la conquista di quel distretto col sistema maggioritario, sarebbe rimasto non rappresentato. Dal 1987 in Islanda vige il sistema proporzionale semplice. Il parlamento islandese è ovviamente proporzionato alla popolazione: fino al 1942 aveva appena 49 seggi. Divennero 52, poi nel ’59 i seggi furono portati a 60, e nel 1987 essi divennero 63. Questi incrementi non furono solo degli eventi amministrativi, ma ebbero un loro valore politico. Infatti i distretti elettorali in cui era diviso il territorio davano alle campagne più seggi di quanto fosse la loro effettiva rappresentatività su 240 base nazionale, a tutto beneficio del Partito Progressista che era il più forte in quelle zone e ne usciva sovrarappresentato. In occasione degli incrementi di seggi tutti gli altri partiti si coalizzarono contro il PP per ridisegnare più equamente la rappresentatività dei distretti312.A causa di queste manovra ad esempio i progressisti persero la maggioranza relativa alle elezioni del ’42, che videro il sorpasso del Partito Indipendente; ancora nel ’59 con il secondo allargamento il divario fra questi due maggiori partiti passò da 1 a ben 7 seggi; sicuramente vi furono anche motivi politici per questa debacle elettorale, ma senza dubbio il nuovo assetto amministrativo appesantì la sconfitta. Come è noto l’Islanda è un paese poco densamente popolato, ed il sistema dei partiti non può essere che semplice: per la maggior parte della storia postbellica, operarono in Islanda solo quattro partiti. Essi furono: Partito Indipendente (Sjàlfstæðisflokkurinn), Partito Progressista (Framsòknarflokkurin), Partito socialdemocratico (Alþyduflokkurin) e Partito Comunista / Socialista (vari nomi, vedi oltre). Altri partiti minori furono spesso legati a tematiche particolari, come il Partito di Difesa Nazionale (che si formò intorno alla opposizione alla base militare di Keflavik), oppure frutto di scissioni da altri partiti ma senza una incisività concreta. Partito Indipendente Questa formazione viene generalmente descritta come un partito di destra moderata. Nacque alla fine degli anni ’20 dall’unione di due altri partiti, il conservatore ed il liberale, e rappresenta soprattutto gli interessi commerciali della borghesia delle aree urbane. Nella storia islandese questo partito ha sempre giocato un ruolo fondamentale, 312 La Costituzione prevede che in questi casi vi sia un primo passaggio parlamentare, poi che le camere vengano sciolte e rielette con il vecchio sistema e qualora anche il nuovo Alþing accetti la modifica, le 241 poiché ha sempre goduto di ampi favori dell’elettorato: tradizionalmente il partito si attesta intorno al 35-40% dei voti, riuscendo a vantare una maggioranza relativa praticamente ininterrotta in parlamento. Il PI nella sua storia è quello che si è caratterizzato per una spiccata attitudine atlantica, cercando costantemente un buon rapporto con gli Stati Uniti; il partito fece parte sia del governo che votò l’ingresso islandese nella Nato, sia di quello che siglò il Defense Agreement con gli Usa. Dal punto di vista delle politiche nazionali, il PI si è spesso differenziato dai partiti liberali scandinavi per aver adottato politiche di welfare piuttosto importanti e per aver avallato forme di controllo dell’economia da parte dello stato Non ha un vero e proprio organo di stampa, tuttavia il quotidiano nazionale più diffuso Morgunblaðid (Giornale del Mattino, attualmente 25.000 copie giornaliere) è generalmente considerato vicino ai conservatori. Partito Progressista Fino a tempi recenti, questo partito è stata la seconda forza politica del paese. Ideologicamente parlando viene descritto come un partito di centro o centrosinistra. Ha la sua base elettorale soprattutto nei distretti rurali, e rappresenta spesso e volentieri gli interessi delle cooperative agricole, ma anche di alcuni gruppi intellettuali e negli ambienti scolastici. Il partito ha una storia piuttosto travagliata sia per le oscillazioni dei propri risultati elettorali, sia perché in occasione delle riforme dei distretti elettorali cui si accennava. Una delle figure più carismatiche del partito fu senza dubbio Hermann Jònasson, che ricoprì la carica di presidente per quasi un trentennio (dal periodo prebellico fino agli camere vengono nuovamente sciolte per le elezioni a sistema modificato. Questo è il motivo per cui in 242 anni ’60); per quanto riguarda la politica estera, è stato spesso accusato di aver condotto una linea ambigua. Quando al governo adottava una politica filoamericana (1941, per l’entrata in Islanda delle truppe americane in sostituzione del contingente britannico; 1951, Defense Agreemet), quando all’opposizione tentava di riguadagnare consensi irrigidendo le propri posizioni (1946, rifiuto del Keflavik Agreement per la permanenza di personale americano a Keflavik; 1949, opposizione al Trattato Nato). Il Partito Progressista possiede una proprio quotidiano (Timinn, Il Tempo), la cui diffusione ha oscillato negli ultimi trent’anni fra le 10.000 e le 15.000 unità. Partito Socialdemocratico Questa forza politica si è differenziata molto dalle altre socialdemocrazie scandinave, sia in termini politici che di consensi, rappresentando un partito piuttosto piccolo se paragonato ai colleghi nordici. Fu un partito fortemente caratterizzato da leadership personali, e non è un caso ad esempio che fra gli anni ’30 e ’50 visse ben tre scissioni, tutte a favore dei comunisti. Il partito socialdemocratico era piuttosto forte negli ambienti sindacali, nelle aree urbane e presso gli intellettuali. Uno degli uomini di punta fu Stefàn Stefànsson, che negli anni ‘50-’60 diede al partito una forte impronta anticomunista (nessuna collaborazione con l’estrema sinistra, da qui le scissioni dei socialdemocratici di sinistra cui si accennava); egli fu inoltre pronto più volte a collaborare in governi liderati dai conservatori, anche sulla base di una scelta di campo schiettamente atlantica. Il partito pubblica un giornale, l’Alþidublaðid (Giornale Sociale) che circola quasi esclusivamente fra gli iscritti al partito. occasione degli allargamenti in parlamento vi sono tornate elettorali straordinarie. 243 Estrema sinistra Parlando di un partito comunista islandese, si può inciampare sui nomi. Il Partito Comunista propriamente detto si presentò per l’ultima volta alle elezioni nel 1937. Venne sostituito alle elezioni (Alþidusosialistaflokkurin), per successive poi dal divenire Partito nel 1956 di Unità Socialista Alleanza Popolare (Alþidubandalag). Questi cambiamenti si ebbero in occasione di vicende politiche maggiori, come quella del 1956 in occasione dell’ingresso nel partito di “socialdemocratici di sinistra”, ma non cambiarono mai la sostanza delle cose. Nonostante i cambiamenti di nome c’è unanimità di vedute fra i politologi nel considerare il partito come schiettamente filosovietico. L’apertura di recenti archivi exsovietici ha addirittura permesso di stabile con certezza l’entità dei finanziamenti elargiti dall’Unione Sovietica. Certo ridotti e discontinui, questi pagamenti lasciano ben pochi dubbi. Vedasi anche Capitolo VIII. L’estrema sinistra islandese fu, in termini relativi, fra i partiti comunisti più forti d’Europa, sfiorando in diverse occasioni il 20% dei consensi e, ancor più sorprendentemente, diventando partito di governo nella stagione ‘71-‘74 e nel ‘78-‘79. Questo successo fu dovuto anche alla possibilità del partito di attirare, con il proprio antiamericanismo, larghe frange di elettorato neutralista ed antimilitarista, che pur non riconoscendosi nell’ideologia comunista era scontento della condotta di socialdemocratici o progressisti. Su una attività spionistica sovietica ad opera di membri di questo partito si è spesso discusso. P. Calvert, in Iceland in the Post Cold War World, riporta notizie secondo cui almeno tre prominenti membri del partito furono in contatto con ambienti della Stasi (Germania Est), ed il fatto che l’ambasciata dell’Urss a Reykjavik fosse la più grande 244 destava qualche sospetto. A tutt’oggi non vi sono prove di un effettivo coinvolgimento di islandesi in attività spionistiche, ma è vero anche che c’era ben poco da spiare: in mancanza di un sistema di sicurezza efficace i grandi piani strategici della Nato non circolavano in Islanda, ed una azione contro la base di Keflavik avrebbe richiesto personale altamente specializzato non disponibile in loco. Il panorama parlamentare dopo le elezioni del 1999 Lo schema a quattro partiti, salve rare occasioni ha accompagnato l’Islanda per gran parte della sua storia; attualmente però si registrano elementi di novità. Il Partito Indipendente ed il Progressista sono ancora al loro posto (alle elezioni del 1999 hanno ottenuto rispettivamente il 40% ed il 18% dei voti). Alleanza Popolare, Socialdemocratici e Partito Femminista si sono coalizzate nella Samfykinginn (Alleanza) che ha ottenuto un lusinghiero 26,8% dei voti. Altri partiti importanti sono il Partito dei Verdi ambientalisti (Grænt Framboð, 9.1%) e il Partito Liberale (Fryàlsyndi Flokkurinn, 4.2%). Il primo ministro attuale è il conservatore Davið Oddsson, il cui mandato scadrà per le elezioni politiche del 2003. 245 Bibliografia Archer Clive, The Nordic Response to the Soviet Presence, in The Soviet Union and the Northern Waters, Routledge, Londra 1988. Arnason Robert, Attitudes to American Military Base: the Canadian Case and the Icelandic Model, Queen’s University, Kingston (Canada) 1981. Arnason Robert, Political Parties and Defense: The Case of Iceland 1945-1980, Queen’s University, Kingston (Canada) 1980. Ausland John, Nordic Security and the Great Power, Westview Press, Boulder 1986. Bitzinger Richard, The Politics of Defense in Nato’s Northern Flank: Denmark, Norway and Iceland, in Nordic Security at the Turn of the Twenty-First Century, Greenwood Press, Westport 1995. Bittner Donald, The British Occupation of Iceland 1940-47, Londra 1974. Bittner Donald, The Lion and the White Falcon – Britain and Iceland in the World War II Era, Archon Books, Hamden 1983. Bjarnason Björn, Iceland’s Security Policy: Vulnerability and Responsability, in Deterrence and Defense in the North, Norwegian University Press, Oslo 1985. Bjarnason Björn, Iceland’s Security Policy, in New strategic Factors in the North Atlantic, Universitetsoforlaget & Science and Technology Press, Oslo e Guildford 1977. Calvert Philip, Uncertainty and Dissent: Iceland in the Post Cold War World, Southern Illinois University, Carbondale (Illinois) 1996. Chamberlain William Charles, Economic Development of Iceland throught the WWII, Columbia University Press, New York 1947. 246 Corgan Michael, Iceland and its Alliance – Security for a Small State, Edwin Mell Press, Galles 2003. Gissurarson Hannes, European Integration: Another View, in Iceland in International Competitions (Convegno di Politica Economica 17-21 Ottobre 1994), Reykjavik 1994. Gröndal Benedikt, Iceland from Neutrality to Nato Membership, Universitetsoforlaget, Oslo 1971. Guðmarsson Jonmundur, A Reluctant European: Iceland, EFTA and the EEC 19561963, Univesity of Oxford, 1994. Guðmudsson Böðvar, A history of iceland and icelanders from the very beginnings to the present day, Almenna Bòkafelagið, Reykjavik 1995. Harðarson Ólafur (a cura di), Icelandic Attitudes towards Security and Foreign Affairs, edito dalla Öryggismálanefnd, Commissione Islandese per la Sicurezza, Reykjavik 1985. Halfdarnarson Guðmundur, Historical dictionary of Iceland, Scarecrow Press, Lanham, Md., 1997. Hannibalson Jon Baldvin, Iceland Strategic Role in North Atlantic Security, in The Icelandic Canadian, Vol. 55, num. 4, anno 2000. Hjalmarsson Jon, A Short History of Iceland, Almenna Bòkafelagið, Reykjavik 1989. Tenente Hauenstein Ralph (a cura di), The American Forces in Iceland, edito dagli uffici delle forze armate americane (Fèlagprentsmiðjan), Reykjavik 1941. Huitfeld Tönne, Iceland in Nato Defence Policy, in Iceland, Nato and Security in the Norwegian Sea, The Atlantic Association of Iceland, Reykjavik 1987. 247 Ingimundarson Valur, Buttresting the West in the North, University of Iceland, Reykjavik 1999. Ingimundarsson Valur, The Role of Nato and U.S. Military Base in Icelandic Domestic Policy, 1949-1999, (inedito al momento della stesura della presente tesi), Reykjavik 2001. Jònasson Albert (a cura di), Iceland, NATO and the Keflavik Base, edito dalla Öryggismálanefnd, Commissione Islandese per la Sicurezza, Reykjavik 1989. Jones Maldwyn, Storia degli Stati Uniti, Bompiani, Milano 1999. Jònsson Hannes, Friends in Conflict: the Anglo-Icelandic Cod Wars and the Law of the Sea, Hurst & Co., Londra 1982. Jònsson Jònas, Iceland in the European Community, in Iceland in International Competitions (Convegno di Politica Economica 17-21 Ottobre 1994), Reykjavik 1994. Jònsson Örn, Geopolitics of Fish, in Iceland in International Competitions (Convegno di Politica Economica 17-21 Ottobre 1994), Reykjavik 1994. Kennedy-Minott Rodney, The Forward Maritime Strategy and Nordic Security in Nordic Security at the Turn of the Twenty-First Century, Greenwood Press, Westport 1995. Leighton Marian, The Soviet Threat to the Nato Northern Flank, National Strategy Information Center, New York 1979. Llewelyn Evans Mark, Great WWII Battles in the Artic, Greenwood Press, Westport Connecticut, Londra 1999. Loftsson Elfar, The Distinguised Threat. Iceland during the Cold War, in Scandinavian Journal of History, vol.10 num. 3, 1985. 248 Luttwak Edward, Strategia – La Logica della Guerra e della Pace, Rizzoli, Milano 2001. Marks Charles, Armed Guardians: The Allies in the defence of Iceland durino the WWII, Fort Wayne, 1998. Neuchterlein Donald, Iceland Reluctant Ally, Greenwood Press, Westport 1961. Norton Douglas, Responding to the Soviet Presence in Northern Waters: An Amercan Naval View, in The Soviet Union and the Northern Waters, Routledge, Londra 1988. Olivi Bino, L’Europa Difficile, Il Mulino, Bologna 1998. Peterson Phillip, Iceland in Soviet Military Strategy, in Iceland, Nato and Security in the Norwegian Sea, The Atlantic Association of Iceland, Reykjavik 1987. Ruegg Bob e Hague Arnold, Convoy to Russia 1941-45, World Ship Society, UK 1992. Shirer William, The rise and fall of the Third Reich, Simon and Schuster, New York 1960. Maresciallo Thayer, The Role of Keflavik Base in Iceland’s Defense and Nato Security System, past and present, in Varnarstöðin ì Keflavik, a cura dell’Ufficio Relazioni Esterne (Utanrikismalanefnd) della Icelandic Defense Force, Reykjavik 1978. Whitehead Þor, The Ally Who Came In From the Cold, Center for International Studies, University of Iceland, Reykjavik 1998. Wright Wayne, Soviet Naval Operations in Oceanic Theaters of Strategic Military Action, in Iceland, Nato and Security in the Norwegian Sea, The Atlantic Association of Iceland, Reykjavik 1987. 249 Documenti pubblici e altre fonti ufficiali - Fisheries. The collection and compilation of the fish catch and landing statistics in member countries of the European Economic Area. European Communities, 1999, Lussemburgo. - Wholesale trade in the European Economic Area. Office for Official Pubblications of the European Communities (a cura di), 1998, Lussemburgo. - Freedom of Association (Seminario organizzato dal Secretariat General of the Council of Europe in collaborazione con il Ministero di Giustizia Islandese), 26-28 August 1993, Reykjavik - European Economic Area: EEA and EFTA Agreements. Edizione ridotta e commentata a cura delle edizioni Fritzes, Stoccolma 1994. Discorsi dell’attuale ministro degli esteri islandese Halldor Asgrimarson, forniti nelle traduzioni inglesi dal Ministero degli Affari Esteri e del Commercio con l’Estero di Reykjavik: - The place of Iceland in European Cooperation” (reportage al parlamento, 2000). - Address to the Althingi (14 nov. 2000). - On the occasion of the 50th anniversary of the Defence Agreement between Iceland and the Usa (Convegno, 6-9 Giugno 2001). - Opening Remarks” alla conferenza “The Nordic Countries and the Cold War 1945-91 (24 Giugno 1998). - At the Meeting of the Standing Committee of the North Atlantic Assembly (5 aprile 1997). - At the meeting of Varðberg (“Associazione dei Giovani Atlantici”) and the Association of Western Cooperation (15 maggio 1995). 250 A cura del Working Group del Ministero per gli Affari esteri e Commercio con l’Estero, The Security and Defence of Iceland at the Turn of the Century (Libro Bianco), Reykjavik 1999. Alþingistiðindi, Verbali delle Assemblee Parlamentari. Alþingiskosningar, Statistiche Elettorali a cura del Ministero degli Interni. Iceland in figures, Statistiche Socioeconomiche a cura del Ministero degli Esteri e Commercio estero. Periodici: Boucher Alan, An Icelandic Revolution, in Atlantica and Icelandic Review, num. 3, anno 1968. Bjarnason Björn, Iceland and Nato, in Nato Review, num. 1, febbraio 1986. Gröndal Benedikt, Letter from Reykjavik, in Nato Letter (periodico del NATO Information Service) vol. 10, num. 3, Marzo 1962. Gröndal Benedikt, People and Politics on the Atlantic Barrier Islands, in Nato Review, numero 4 anno 1981. Kaiser Karl, The Nato Strategy Debate after Reykjavik, in Nato Review, num. 6, dicembre 1986. Articolo non firmato, Off duty in Iceland, in Blackwood’s Magazine, gennaio 1945, Londra. 251 Quotidiani Morgunbladið (Giornale del Mattino), quotidiano indipendente. Timinn (Il Tempo), quotidiano organo del Partito Progressista. Alþidubladið (Giornale Sociale), quotidiano organo del Partito Socialdemocratico. Þjoðviljinn (Volontà Nazionale), quotidiano organo del Partito di Unità Socialista / Alleanza Popolare. Visir (“mirino”), quotidiano indipendente. 252