Editoriale ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007 La radioattività: i dubbi, le paure e il bisogno di informazione Quando si parla di radioattività immediatamente si affacciano nei pensieri delle persone comuni gli eventi negativi che hanno accompagnato negli anni l’impiego dell’energia nucleare: vengono evocate le bombe di Hiroshima e Nagasaki, l’incidente alla centrale di Chernobyl, le armi all’uranio impoverito ecc. Il fatto che le radiazioni ionizzanti non si vedano e non si sentano crea quell’oscura sensazione di incertezza, di dubbio, di non completa fiducia verso chi ha responsabilità di gestione, di controllo. Occorre la consapevolezza di essere quotidianamente esposti a sorgenti naturali di radiazioni ionizzanti quali le radiazioni cosmiche, i radionuclidi naturali presenti nei terreni che contribuiscono all’emanazione del gas radon. Con questa fonte di esposizione, la principale per la popolazione con circa 2 mSv di dose efficace annua, abbiamo sempre vissuto e dovremo continuare a convivere. L’esposizione a radon rappresenta il più importante contributo (54 %) alla dose della popolazione. Studi e ricerche nel corso di questi anni si sono sviluppate per quantificarne la presenza nell’ambiente esterno, nei luoghi di lavoro e negli ambienti abitativi. La più importante di queste ricerche è stata condotta da Iss e Apat (allora Enea-Disp) con il concorso delle Agenzie regionali per l’ambiente (allora Pmp). In Emilia-Romagna gli studi sono stati completati con una indagine molto dettagliata sull’esposizione a radon nelle scuole materne e negli asili nido che ha fornito ulteriori dati tecnici, a completamento delle conoscenze utili a inquadrare i rischi per la popolazione. ARCHIVIO ARPA SEZ. DI PIACENZA Le sorgenti artificiali di radiazioni ionizzanti sono utilizzate dall’uomo in medicina (radiodiagnostica, medicina nucleare e radioterapia), in campo industriale (produzione di energia elettrica, controlli non distruttivi, misure di livello, spessore e densità, impianti di sterilizzazione ecc.), nella ricerca scientifica, in agrobiologia, in archeologia, in geologia e nelle prospezioni minerarie. L’Italia ha scelto di sospendere la produzione di energia elettrica con le centrali nucleari dopo il referendum conseguente all’incidente di Chernobyl. Il nostro paese deve risolvere il problema dei rifiuti radioattivi stoccati presso gli impianti, il problema relativo alla dismissione degli impianti nucleari esistenti, alla gestione del combustibile irraggiato ed essere in ogni caso organizzato per affrontare situazioni di emergenza che possono derivare da incidenti a impianti nucleari di paesi limitrofi. Il sistema di radioprotezione in Italia dopo la decisone sulle centrali ha subito una forte flessione; minore attività di controllo, meno sviluppo e ricerca, competenze che si stanno esaurendo e non vengono rinnovate ecc. Rimangono attivi, seppur in forma ridotta, il presidio della radioattività ambientale controllata sia a livello nazionale sia regionale con specifiche reti di monitoraggio, le reti attorno agli impianti e le reti di monitoraggio d’allarme. Questo sistema di controlli coordinato da Apat e realizzato dalle Agenzie regionali assicura, ancorché in modo minimale, il presidio permanente del territorio, il controllo sull’importazione di alimenti dall’esterno nonché una rete di strutture e competenze utilizzabili anche in situazioni di emergenza. La protezione dell’ambiente e la tutela della salute umana contro i rischi da radiazioni ionizzanti sono disciplinate in ambito internazionale con il continuo aggiornamento di criteri, procedure e raccomandazioni radioprotezionistiche oggetto di studio, in particolare dall’International Commission on Radiological Protection (Icrp), commissione scientifica autonoma fondata nel 1928. Le raccomandazioni dell’Icrp sono recepite a livello europeo da specifiche direttive comunitarie, i paesi membri devono poi tradurle in norme nazionali. La prima normativa organica sull’impiego pacifico dell’energia nucleare risale al 1964: l’ormai “pensionato” Dpr 185/64. Quella norma dettò per il più complessivo sistema di radioprotezione: regole e contenuti così innovativi che potrebbero essere considerati validi anche oggi. Furono inserite disposizioni riguardanti la protezione dei lavoratori con l’introduzione di figure quali l’esperto qualificato e il medico autorizzato incaricati rispettivamente della sorveglianza fisica e medica dei lavoratori, obblighi in capo al datore di lavoro, la valutazione dell’impatto ambientale/sanitario degli scarichi idrici e aeriformi, la protezione della popolazione, il regime autorizzativo, la pianificazione delle emergenze nucleari ecc. L’attuale normativa, il Dlgs 230/95, e i successivi aggiornamenti, adeguano le disposizioni al mutato assetto istituzionale e alle più avanzate conoscenze tecnico scientifiche mantenendo però inalterato l’impianto definito dal Dpr 185/64. Appare insufficientemente definito oggi il ruolo delle Agenzie regionali per l’ambiente. Allora quali sono i punti di svolta per un approccio più razionale alla radioattività? Innanzitutto creare le condizioni affinché siano sviluppate e mantenute nel tempo le competenze specifiche, oggi assolutamente insufficienti, per affrontare a livello nazionale e locale le questioni ambientali e sanitarie tuttora aperte (dismissione impianti, gestione rifiuti radioattivi, emergenze nucleari ecc.). In questo contesto il sistema delle Agenzie ha bisogno di crescere, di sviluppare competenze, di potenziare gli organici delle strutture operative di radioprotezione e di sviluppare maggiori sinergie e un miglior coordinamento tra Apat e le Agenzie regionali. L’informazione alla popolazione gioca un ruolo non esclusivo, ma fondamentale. Informazione che deve essere equilibrata, deve presentare in modo scientificamente corretto i problemi e come questi vengono affrontati e risolti, quali sono gli aspetti critici da gestire, quale l’impegno di chi gestisce e il ruolo e le attività di chi controlla ecc. Occorre, in buona sostanza, comportarsi in modo diametralmente opposto a come ci si è comportati con la localizzazione del deposito nazionale dei rifiuti radioattivi a Scanzano Ionico. Questo numero speciale di Arpa Rivista vuole offrire corretti e qualificati contributi scientifici sull’intero e ampio spettro degli aspetti legati alla presenza e utilizzo delle radiazioni ionizzanti. Abbiamo pensato inoltre che fosse utile sentire l’opinione di autorevoli rappresentanti del governo e dei principali enti impegnati in campo energetico circa la possibilità, ovvero l’ impossibilità, che in un momento difficile come quello attuale, le centrali nucleari possano tornare a essere una fonte di produzione di energia elettrica. Questo è il contributo che Arpa Emilia-Romagna vuole dare per una corretta conoscenza sulla radioattività, affinché si possa discutere di questi temi con competenza e cognizione di causa. Sandro Fabbri Alessandro Bratti Arpa Emilia-Romagna 1 numero 3 • anno X maggio-giugno 2007 sped. abb. postale art. 2 comma 20/C legge 662/96 Filiale di Euro 2.58 Abbonamento annuale: fascicoli bimestrali Euro 20,66 con versamento sul c/c postale n.751404, intestato a: Arpa Servizio Meteorologico Regionale Viale Silvani, 6 - 40122 2 Segreteria: ArpaRivista, redazione Via Po, 5 40139 Tel 051 6223887 Fax 051 6223801 [email protected] DIRETTORE Alessandro Bratti DIRETTORE RESPONSABILE Giancarlo Naldi COMITATO DI DIREZIONE Vito Belladonna, Mauro Bompani, Vittorio Boraldi, Fabrizia Capuano, Simona Coppi, Giuseppe Dallara, Sandro Fabbri, Francesco Fortezza, Gianfranca Galliani, Paolo Lauriola, Lia Manaresi, Giancarlo Naldi, Vanna Polacchini, Raffaella Raffaelli, Massimiliana Razzaboni, Attilio Rinaldi, Leonardo Riveruzzi, Licia Rubbi, Franco Scarponi, Mauro Stambazzi, Stefano Tibaldi. COMITATO EDITORIALE Coordinatore: Leonardo Riveruzzi Marco Biocca, Lea Boschetti, Giuseppe Caia, Giorgio Celli, Giorgio Corazza, Giorgio Freddi, Cesare Maioli, Giorgio Merli, Carlo Pellacani, Giordano Righini, Stefano Zan, Gianni Zapponi, Adriano Zavatti, Carlo Zoli. Chiuso in redazione il: 29-10-2007 Redattore: Daniela Raffaelli Segretaria di redazione: Claudia Pizzirani Impaginazione e grafica: Mauro Cremonini Stampa: Tipografia Moderna Registrazione Trib. di n. 6164 del 21/1/1993 Stampa su carta: Cyclus offset 1 ISSN-1129-4922 RIVISTA Rivista di Arpa Agenzia regionale prevenzione e ambiente dell’Emilia-Romagna Sommario Editoriale La radioattività: i dubbi, le paure e il bisogno di informazione Sandro Fabbri Alessandro Bratti 31 Tre le tipologie di ultima generazione Carlo Lombardi 3 Speciale radioattività Il controllo della radioattività di origine naturale Flavio Trotti 36 È nata con il nucleare la “Nimby” di casa nostra Lorenzo Pinna 6 La sorveglianza fisica per la radioprotezione Silvano Cazzoli 7 Sono quattro le centrali nucleari dismesse in Italia Ugo Spezia 10 Le criticità nella fase di dismissione Giuseppe Bolla 12 Prima criticità, trattare il combustibile irraggiato Roberto Mezzanotte 14 Rifiuti radioattivi, quale destinazione finale? Mario Dionisi 16 Il trasporto del materiale radioattivo e fissile Roberto Vespa 17 Trasportare in sicurezza il combustibile irraggiato, il ruolo delle Agenzie regionali per l’ambiente Laura Porzio 18 Sorgenti orfane in Italia, sotto controllo l’importazione di rottami metallici Luciano 19 Le reti di allarme radiologico in Italia Paolo Zeppa 20 Le reti per la sorveglianza in Italia Giancarlo Torri 34 Nucleare, è ancora un vicolo cieco Giuseppe Onufrio 38 Forum Esiste oggi un nucleare “sicuro”? Può costituire una fonte energetica praticabile in Italia? Con quali capacità di discutere e decidere? Giancarlo Naldi, Alberto Renieri, Gianni Mattioli, Maurizio Cumo, Giovan Battista Zorzoli, Pierluigi Bersani, Alfonso Pecoraro Scanio 44 Radioattività, nucleare selezione di siti A cura di Caterina Nucciotti 45 Nobel per la pace all’Ipcc e Al Gore A cura di Daniela Raffaelli 46 Il Manifesto per il clima 47 Conferenza nazionale sul clima, la lotta ai cambiamenti climatici è una priorità Lino Zanichelli 48 Parità di genere e politiche per il clima Paola Poggipollini 49 A Venezia il futuro della scienza e la scienza per il futuro Francesca Lussu 50 Third World Conference on the Future of Science, al centro le energie rinnovabili Ahmed Ghoniem, Zhores Alferov, ànos Miklòs Beér, Michael Bevan, Jeffrey Byron, Stephen Connors, Maurizio Cumo, Louis Schlapbach, Jefferson W.Tester, Dianna Bowles, Carlo Rubbia 22 Emergenze nucleari, la pianificazione nazionale e locale degli interventi Sergio Mancioppi 52 Il tempo e il clima 24 Monitoraggio e controllo, l’esperienza di Arpa Emilia-Romagna Roberto Sogni 55 Libri Il radon ambientale in Emilia-Romagna Inquinamento acustico 26 Strumenti operativi per la gestione di emergenze radiologiche, l’esperienza della Lombardia Rosella Rusconi 56 Memo/Eventi 27 L’uranio impoverito e le malattie dei soldati al ritorno da missioni di pace Antonietta M. Gatti, Massimo Zucchetti 54 Legislazione news INSERTO Speciale Conferenza nazionale sui cambiamenti climatici Roma 12-13 settembre 2007 28 Effetti sull’uomo, l’esposizione alle prestazioni di radiodiagnostica Paola Angelini 30 Le bassi dosi e il progetto Mariner Annamaria Colacci Disponibile in ArpaWeb, Documenti, cerca “ArpaRi vista”. Il cartaceo può essere richiesto alla redazione ([email protected]) che procederà all’invio fino a esaurimento. Speciale radioattività ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007 Il controllo della radioattività di origine naturale Tra i radionuclidi terrestri, componenti della radioattività naturale, il radon può costituire un problema sanitario per gli occupanti di un ambiente chiuso. Un’indagine effettuata alla fine degli anni 80 ha consentito di stimare i valori medi nazionale e regionali di concentrazione di attività di radon indoor. Esistono, inoltre, lavorazioni nel cui ciclo possono presentarsi materiali a elevato contenuto di radioattività naturale (NORM, Naturally Occurring Radioactive Materials). Tra i compiti delle Agenzie ambientali il controllo e il monitoraggio, la partecipazione agli interventi per la riduzione dell’esposizione e a campagne di informazione. IL RADON Il radon è un gas radioattivo inerte generato dal decadimento del Ra-226 (catena dell’U-238) nel suolo e nelle rocce e che da essi tende a fuoriuscire, penetrando in atmosfera e concentrandosi all’interno degli ambienti confinati. L’inalazione del radon o, per meglio dire, dei suoi discendenti instabili a breve tempo di dimezzamento, può costituire un problema sanitario per gli occupanti di un ambiente chiuso. La patologia collegata all’esposizione al radon è il tumore polmonare; si stima che il radon renda conto di circa il 10% dei casi normalmente rinvenuti di questa patologia. Il rischio è proporzionale al tempo di esposizione dell’individuo in un certo ambiente e alla concentrazione in aria del gas nell’ambiente stesso. La concentrazione del gas varia in funzione di molteplici parametri prevalentemente connessi alla geomorfologia locale e all’accoppiamento dell’edificio con il suolo (in termini costruttivi e meteoclimatici). In figura sono schematizzate le vie d’ingresso del gas in un’abitazione; in alcune situazioni, oltre al suolo, un'importante fonte di ingresso è rappresentata dal materiale edilizio del fabbricato (es. tufo vulcanico). Alla fine degli anni 80 si è svolta in Italia un’indagine per la misura del radon nelle abitazioni, a cura delle Regioni (per il tramite delle attuali Arpa) e con coordinamento dell’Istituto superiore di sanità (Iss) e dell’odierna Apat, che ha consentito di stimare i valori medi nazionale (70 Bq/m3) e regionali di concentrazione di attività di radon indoor; alcune regioni come Lazio, Lombardia e Campania hanno evidenziato livelli più elevati; valori più contenuti sono stati rilevati in Emilia-Romagna e Sicilia. La soglia di accettabilità ritenuta congrua dalla Commis- Dal libro La sfida del secolo di Piero Angela e Lorenzo Pinna, Mondadori, 2006 Racconta Lorenzo Pinna, giornalista Rai e saggista: “… e a proposito di radioattività siamo stati testimoni di un curioso episodio mentre realizzavamo lo speciale su Chernobyl per SuperQuark. Per sicurezza, tutta la troupe impegnata nelle riprese è stata dotata di un “dosimetro” per le radiazioni. Cioè un apparecchio in grado di misurare le radiazioni assorbite. Poiché per le riprese dello speciale dovevamo entrare nella zona interdetta, cioè entro i 30 chilometri dalla centrale, ci sembrava una precauzione necessaria. Infatti non solo abbiamo visitato, e “girato”, la cittadina fantasma di Pripyat, la più vicina alla centrale, ma ci siamo anche avvicinati a meno di 100 metri dal “sarcofago”, dove sono rinchiuse le rovine radioattive del disastro nucleare. Ebbene, prima di partire, il direttore della fotografia, oltre al dosimetro da portare indosso, se ne era fatto consegnare un altro, che aveva lasciato nella sua abitazione ARCHIVIO ARPA SEZ. DI PIACENZA La radioattività di origine naturale è costituita dalla radiazione cosmica, dai radionuclidi cosmogenici, dai radionuclidi terrestri (due principali serie di decadimento – capostipiti U-238 e Th232 – e il K-40). Di questi ultimi si tratta nel testo che segue. Contatore a flusso di gas alfa e beta a basso fondo sione internazione per la protezione radiologica (Icrp) è compresa nell’intervallo 200-600 Bq/m3. Negli anni successivi, le singole Regioni e le rispettive Arpa hanno provveduto a varare delle iniziative locali sulla pro- blematica radon nelle abitazioni che vanno dal monitoraggio sistematico orientato all’individuazione delle aree a rischio (prone areas), alla caratterizzazione di tipologie di ambienti cui prestare particolari attenzioni sotto il pro- a Roma. Sorpresa. Quando al ritorno siamo andati a leggere i dosimetri, quello rimasto a Roma aveva registrato una dose di radiazioni maggiore di quelli che avevamo indossato per tutto il viaggio nella zona interdetta e nella visita alla centrale di Chernobyl. Almeno dalla nostra piccola esperienza, vivere a Roma comporta una dose di radiazioni più alta di quella assorbita oggi (aprile 2006), nella zona intorno a Chernobyl.” Ho voluto riportare questo brano del libro citato non certo per coltivare assurde smanie “negazioniste” riguardo la gravità di quanto è successo a Chernobyl. Al contrario, nell’aprire questo corposo servizio su radioattività e nucleare, si intende sottolineare la complessità della materia, il bisogno di considerare tutte le fonti possibili, anche quelle più subdole, e la necessità di analizzare fenomeni e rischi solo sulla base di presupposti scientifici. Giancarlo Naldi 3 Speciale radioattività 4 filo della tutela della salute quali le scuole, alla sperimentazione ed esecuzione delle azioni di risanamento sui locali a forte contenuto di radon. A titolo di esempio, la Regione del Veneto ha approvato la mappa preliminare dei Comuni a rischio radon, ha ivi condotto il monitoraggio sistematico delle scuole dell’obbligo (e delle materne e nidi) – le bonifiche sugli edifici trovati non conformi sono in larga parte già avviate – ha prodotto manualistica tecnica sulle azioni mitigatorie. Un importante riferimento tecnico-istituzionale da qualche anno operativo è il Piano nazionale radon coordinato, presso il ministero della Salute, dall’Iss, nel cui ambito si stanno defi- ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007 nendo in modo standardizzato sul territorio nazionale i vari aspetti metodologici e attuativi sulla materia. Un discorso a parte merita il radon all’interno dei luoghi di lavoro. In questo caso, infatti, a recepimento di direttive europee, la legge italiana (Dlgs 241/00) prevede che vengano controllati i livelli in tutti i luoghi di lavoro sotterraneo e altrettanto è previsto per i luoghi di lavoro in superficie in zone ben identificate o con caratteristiche determinate; alle Regioni spetta individuare quest’ultima fattispecie di casistica, con l’approvazione di un’apposita Commissione nazionale, su cui grava il compito dell’indicazione di protocolli tecnici e metodologici indispensabili per la piena attuazione del dispositivo normativo del citato decreto in ordine alla protezione dei lavoratori dalla radioattività naturale (Capo IIIbis). Purtroppo, a tutt’oggi, tale Commissione risulta non insediata con la conseguenza che il dispositivo normativo è nei fatti sospeso. Fa eccezione l’esposizione al radon nei luoghi di lavoro sotterranei per la quale la Conferenza dei Presidenti delle Regioni, supplendo alla vacanza delle suddetta Commissione, ha varato una linea guida su come effettuare i controlli, dando attuazione allo specifico adempimento normativo. Va ricordato che il livello di azione (soglia di Attività lavorative con NORM in Italia (censimento provvisorio) TIPOLOGIA ATTIVITÀ N. ATTIVITÀ (*) CRITICITÀ RADIOLOGICHE NOTE Lavorazione minerali fosfatici (produzione fertilizzanti) 20 Il minerale di partenza (fosforite) ha elevati contenuti di U-238 3 aziende producono perfosfato Discariche fosfogessi 5 siti Elevato contenuto di Ra-226 e Pb-210 del sottoprodotto Vari stadi di attuazione delle bonifiche Centrali a carbone 13 Arricchimento radionuclidi naturali nelle ceneri Acciaierie a ciclo integrale 4 Arricchimento radionuclidi naturali (Pb-210 e Po-210) nelle polveri della sinterizzazione e di altoforno Estrazione petrolio e gas naturale oltre 7.000 pozzi Incrostazioni e morchie negli impianti con presenza di Ra-226 e Pb-210 Raffinerie petrolio 18 Incrostazioni negli impianti con presenza di radionuclidi naturali Estrazione allumina da bauxite 1 U-238 superiore all’ordinario nel sottoprodotto “fanghi rossi” Produzione refrattari 10 Arricchimento di Pb-210 e Po-210 nelle polveri di fusione; impiego di sabbie zirconifere (e derivati) in tutto il ciclo produttivo Poche ditte usano quantità rilevanti di sabbie zirconifere (e derivati) Produzione piastrelle 50 aziende principali Smalti, talvolta lo stesso impasto, contenenti sabbie zirconifere (e derivati) Da individuare le ditte con uso di quantità rilevanti di sabbie zirconifere (e derivati) Macinazione sabbie zirconifere 10 Impiego di sabbie zirconifere in tutto il ciclo produttivo Colorifici e produttori di ossidi di metallo/produzione ceramica - Impiego di sabbie zirconifere Settore non ancora indagato Miniere uranio 2 Accesso e riutilizzo aree estrattive Dismesse negli anni 70 Dato del principale produttore (Agip) (*) i dati derivano da contatti con associazioni di categoria/aziende ovvero rapporti/siti internet delle medesime (o di enti istituzionali) e sono relativi al periodo 2002-2004 attività oltre la quale sono prescritti interventi risanatori sull’edificio) nei luoghi di lavoro è di 500 Bq/m3 (derogabili ove si dimostri che il lavoratore non assume una dose efficace annua superiore a 3 mSv). Va altresì ricordato che Arpa, insieme agli organi del Ssn e alla Direzione provinciale del lavoro, è l’organo cui devono essere trasmesse le relazioni tecniche contenenti i risultati dei controlli nei casi in cui gli esiti degli stessi superino il citato livello di azione. NORM, NATURALLY OCCURRING RADIOACTIVE MATERIALS Esistono lavorazioni all’interno del cui ciclo possono presentarsi materiali a elevato contenuto di radioattività naturale (serie del Th-232, dell’U-238, K-40). Questi materiali sono, di volta in volta, le materie prime, i prodotti finiti, i residui e i rifiuti (in sé o all’interno di effluenti liquidi o gassosi). La legge italiana (sempre il Dlgs 241/00) disciplina le esposizioni dei lavoratori e dei gruppi potenzialmente a rischio della popolazione prevedendo controlli, riduzioni delle esposizioni per superamento dei livelli di azione prescritti (1 mSv/anno di dose efficace per i lavoratori, 0.3 mSv/anno per la popolazione), regime di radioprotezione in caso di inefficacia degli interventi mitigatori. Soprattutto viene indicato il pacchetto delle attività lavorative per le quali l’adempimento legislativo si pone, tra le più significative delle quali vi sono: produzione e commercio di fertilizzanti, lavorazione con sabbie zirconifere e produzione di refrattari, estrazione e raffinazione di petrolio e gas naturale, lavorazione e impiego di composti del torio (es. elettrodi per saldatura ecc.). Arpa, il Ssn, la Direzione provinciale del lavoro devono ricevere la relazione tecnica dell’Esperto qualificato sui controlli eseguiti in azienda ove occorra il superamento dei livelli di azione di lavoratori o pubblico. Anche per i NORM, tuttavia, come per il radon, l’attuazione ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007 del dispositivo di legge appare sospesa in attesa dell’insediamento della apposita Commissione nazionale di indirizzo. Un organico progetto di censimento delle attività lavorative con presenza di NORM in Italia è stato avviato agli inizi del decennio dall’attuale Apat in collaborazione con le Arpa, particolarmente quelle di Veneto, Emilia-Romagna e Toscana, finalizzato soprattutto a effettuare la valutazione dell’impatto sull’ambiente delle lavorazioni ovvero la stima di dose ai gruppi critici della popolazione. L’insieme delle categorie investigate, che non necessariamente coincide con quello del Dlgs 241/00, in termini estensivi (categorie ulteriori suggerite dalla letteratura scientifica) o restrittivi (categorie poco diffuse in Italia o poco problematiche per l’ambiente) è riportato in tabella. Va evidenziato che solo per esigenze programmatiche l’attenzione del progetto è stata concentrata sull’ambiente, essendo certamente doveroso approfondire gli aspetti dell’esposizione lavorativa. Tra le conoscenze acquisite nel corso del progetto segnalo le seguenti. • Nel campo della produzione e commercio di fertilizzanti, dove le possibili criticità sono riconducibili all’impiego tra le materie prime di minerali fosfatici quali la fosforite, non sussistono situazioni particolari essendo cessata nel nostro Paese la produzione dell’acido fosforico; le problematicità sono connesse alla presenza nel territorio di discariche alimentate in passato con fosfogessi, originati nella produzione di acido fosforico e nel decom- Fig. 1 Schematizzazione delle vie di ingresso del radon in un’abitazione missioning degli impianti ove tale lavorazione avveniva. • Importante è tutto il settore delle industrie che utilizzano, fra le materie prime, le sabbie zirconifere (possono contenere sui 23 mila Bq/kg di U-238 e Th-232): oltre alle lavorazioni collegate alla produzione di smalti e pigmenti e delle ceramiche e le lavorazioni di pretrattamento delle sabbie (macinazione), di sicuro interesse sono la produzione di materiali refrattari e l’industria delle piastrelle. L’Italia è uno dei maggiori produttori mondiali di piastrelle e l’80% della produzione nazionale del settore è concentrata nel cosiddetto “distretto ceramico”, tra Reggio Emilia e Modena. Una valutazione di dose sul gruppo critico della popolazione è stata condotta circa le emissioni in atmosfera delle polveri gene- rate nella fusione dei componenti (tra cui le sabbie zirconifere) del refrattario in una delle maggiori industrie italiane del campo tramite simulazioni con modello deterministico e sito–specifico; l’attenzione alle polveri è motivata dall’arricchimento che in esse durante il processo termico si determina per quanto attiene ai radioisotopi Pb-210 e Po-210 (discendenti dell’U-238). I valori di dose efficace ottenuti per gli individui del gruppo critico (meno di 1 µSv/anno) sono fortemente al di sotto del livello di azione di legge. Una stima simile è stata sviluppata per le emissioni in atmosfera delle polveri nel processo di cottura in una ditta di piastrelle, con ricorso a un modello di calcolo semplificato; i valori ottenuti sono stati dello stesso ordine di grandezza del caso precedente. • Il modello deterministico menzionato è stato applicato anche all’emissione di ceneri volanti nella combustione di carbone per produzione di energia elettrica, pervenendo a dosi efficaci agli individui dei gruppi critici, nel peggiore dei casi, pari a frazioni del µSv/anno. Infine, un riferimento importante per la verifica della compatibilità del contenuto di radionuclidi naturali in residui e rifiuti di lavorazioni interessate da NORM è costituito dal documento RP 122 (Radiation Protection) Part II dell’Unione europea. In esso, per ogni nuclide, è introdotto un livello generale di allontanamento in Bq/kg che garantisce, secondo scenari di esposizione appunto generali ma dettagliati, il rispetto del “criterio di dose” per gli individui (popolazione o lavoratori che si trovano ad avere a che fare con suddetti residui e rifiuti) di 0.3 mSv/anno; l’RP 122 prevede che i residui/rifiuti che contengono radionuclidi naturali in misura minore dei rispettivi livelli generali di allontanamento possono essere alienati dal sito di produzione senza ulteriori restrizioni di tipo radiologico. Flavio Trotti Arpa Veneto 5 Speciale radioattività ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007 La sorveglianza fisica per la radioprotezione La normativa italiana sull’impiego pacifico dell’energia nucleare stabilisce che sia attivato un sistema di sorveglianza fisica e medica di radioprotezione. A tale scopo la norma stabilisce, così come fece il Dpr 185/64, che siano le figure professionali dell’Esperto qualificato e del Medico autorizzato ad assicurare, per il datore di lavoro, rispettivamente la sorveglianza fisica e medica. 6 Gli Esperti qualificati sono una figura professionale regolamentata ai sensi dell’art. 2229 del Codice civile in quanto, per poter accedere a questa professione, queste figure devono essere abilitate dallo Stato e iscritte in un elenco ministeriale. Il ministero del Lavoro ha istituito la Commissione d’esame, tiene per legge gli elenchi, procede alla cancellazione degli esperti colpevoli di gravi inadempienze, vigila sulla corretta applicazione delle norme di sicurezza. Gli elenchi degli Esperti qualificati sono tenuti e gestiti dal ministero del Lavoro ai sensi del Dlgs 230/95 e succ. integr. e mod., in particolare il Dlgs 241/00 e il Dlgs 257/01. Vi sono tre gradi di abilitazione a seconda della complessità delle sorgenti radiogene che l’Esperto qualificato è chiamato a controllare. Per diventare Esperto qualificato occorre avere una laurea in ingegneria, in fisica, in chimica o in chimica industriale; inoltre, è necessario un tirocinio di sei mesi per ogni grado di abilitazione che, quindi, per il terzo grado assomma a tre tirocini di sei mesi ciascuno. Infine, il richiedente deve superare l’esame di ammissione agli elenchi secondo un programma d’esame molto selettivo. Questi elenchi sono operanti dal 1974 e, fino a oggi, queste figure professionali hanno contribuito alla progressiva riduzione dell’e- sposizione alle radiazioni ionizzanti per quanto riguarda i lavoratori, la popolazione e i pazienti, tanto che in Italia sono rari i casi di infortuni sul lavoro in questo settore. I rischi associati all’uso pianificato delle macchine radiogene e delle sorgenti sono normalmente ben conosciuti. Tuttavia, alcuni recenti avvenimenti, hanno posto all'attenzione della Commissione il problema delle sorgenti che per vari motivi non sono sotto controllo. Tali sorgenti “orfane” potrebbero essere ritrovate da persone (lavoratori o cittadini) ignare dei possibili rischi. Ciò ha già comportato gravi lesioni da radiazioni che in alcuni casi, anche se non in Europa, hanno avuto esito fatale. Le sorgenti sigillate possono presentare particolari rischi a causa delle ridotte dimensioni, spesso inferiori a quelle di una penna, dell'uso in dispositivi mobili ecc. Le sostanze radioattive sono contenute in una capsula metallica, che può essere facilmente raccolta dai cittadini e soprattutto dai rottamatori: il ritrovamento di sorgenti radioattive nei depositi di rottami e negli impianti siderurgici è un fenomeno piuttosto frequente in tutto il mondo. Per questo motivo il recente decreto legislativo 52/07 ha regolamentato gli aspetti di sicurezza Quasi la metà degli incidenti sono dovuti a irradiazioni da 192Ir (controlli non distruttivi, brachiterapia). Il 60Co (controlli non distruttivi, radioterapia) è responsabile di circa un quarto degli incidenti Fonte dei grafici: De Crescenzo, Giornata di studio “Sorgenti radioattive sigillate ad alta attività e sorgenti orfane”, Anpeq (Camaiore, 2007) relativi all’impiego delle sorgenti di alta attività e le sorgenti definite “orfane”. Un altro aspetto rilevante nell’attività dell’esperto qualificato in radioprotezione è quello relativo ai rischi da sorgenti radioattive naturali denominate NORM. Il Dlgs 241/2000 definisce appunto gli ambiti di attività relativi alle sorgenti naturali. Con l’emanazione di questo decreto, in attuazione della direttiva europea 29/96 in materia di protezione sanitaria della popolazione e dei lavoratori contro i rischi derivanti dalle radiazioni ionizzanti, si da piena attuazione del Dlgs 230/95, in quanto si amplia il campo di applicazione della radioprotezione ad alcuni settori specifici elencati nel decreto stesso, particolarmente per le radiazioni di origine naturale, quali: • attività lavorative durante le quali i lavoratori, ed eventualmente persone del pubblico, sono esposti a prodotti di decadimento del radon e del toron, o a radiazioni gamma o a ogni altra esposizione in particolari luoghi di lavoro quali tunnel, sottovie, catacombe, grotte e, comunque, in tutti i luoghi di lavoro sotterranei o interrati • attività lavorative durante le quali i lavoratori ed eventualmente, persone del pubblico, sono esposti a prodotti di decadimento del radon e del toron, o a radiazioni gamma o a ogni altra esposizione in luoghi di lavoro in superficie in zone ben individuate • attività lavorative implicanti l’uso o lo stoccaggio di materiali abitualmente non considerati radioattivi, ma che contengono radionuclidi naturali e provocano un aumento significativo dell’esposizione dei lavoratori e, eventualmente, di persone del pubblico • attività lavorative che comportano la produzione di residui abitualmente non considerati radioattivi, ma che contengono radionuclidi naturali e provocano un aumento significativo dell’esposizione dei lavoratori e, eventualmente, di persone del pubblico; (per esempio l’industria petrolifera, la lavorazione dei fosfogessi ecc.) • attività lavorative in stabilimenti termali o attività estrattive non disciplinate dal capo IV del medesimo decreto • attività lavorative su aerei per quanto riguarda il personale navigante. Silvano Cazzoli Associazione nazionale professionale esperti qualificati nella sorveglianza fisica della protezione contro le radiazioni ionizzanti (Anpeq) Dienca, Università di , www.anpeq.it Incidenti 1944-giugno 2001. Quasi la metà degli incidenti sono avvenuti in ambito industriale, un’importante frazione di incidenti con sorgenti sigillate è dovuta a sorgenti “orfane”; gli incidenti comportanti irradiazioni di pazienti sono percentualmente piccoli, ma hanno comportato un gran numero di vittime ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007 Sono quattro le centrali nucleari dismesse in Italia La protezione dalle radiazioni della popolazione, dei lavoratori e dell’ambiente è sempre stata il primo obiettivo nell’impiego pacifico dell’energia nucleare. A Trino, Caorso, Latina e Garigliano sono localizzate le quattro centrali nucleari costruite nel nostro Paese, oggi in fase di smantellamento. La proprietà e le responsabilità relative alla gestione e al decommissioning sono affidate a Sogin, società pubblica appositamente costituita nel 1999. Sogin ha anche la responsabilità degli impianti di ricerca del ciclo del combustibile nucleare di Saluggia, Casaccia e Trisaia, di proprietà Enea, e dell’impianto di fabbricazione di Bosco Marengo. Sogin è attualmente l’unico gestore italiano di impianti nucleari afferenti al settore energetico e detiene, dall’epoca della sua costituzione (1999), la proprietà e le responsabilità relative alla gestione e al decommissioning delle quattro centrali nucleari italiane ex-Enel (Trino, Caorso, Latina e Garigliano). Recentemente (2003) Sogin ha acquisito inoltre la responsabilità relativa alla gestione e al decommissioning degli impianti di ricerca e industriali operanti sul ciclo del combustibile nucleare: gli impianti Enea di Saluggia, Casaccia e Trisaia e l’impianto ex-FN di Bosco Marengo. Secondo le valutazioni condotte dall’Unscear (tabella 1), la produzione di energia nucleare è forse fra le attività antropiche quella nella quale si producono i maggiori quantitativi di radioattività. Prescindendo dall’esposizione associata all’industria estrattiva del minerale uranifero (non presente in Italia), i processi di produzione del combustibile nucleare (presenti in passato in Italia presso gli impianti Enea di Saluggia, Casaccia e Trisaia e presso l’impianto FN di bosco Marengo) danno origine a limitati scarichi aeriformi e liquidi. La fase successiva è quella dell’utilizzazione nelle centrali nucleari (entrate in esercizio in Italia a Trino, Caorso, Latina e Garigliano). Durante l’irraggiamento nei reattori, nel combustibile si accumulano sostanze altamente radioattive, che restano tuttavia confinate all’interno degli elementi di combustibile. Il funzionamento del reattore produce inoltre l’attivazione dei materiali strutturali e dei fluidi di processo. Per tale motivo le operazioni di routine connesse con l’esercizio di un impianto nucleare (purificazione dell’acqua di ciclo e di processo, manutenzione degli impianti) generano materiali ed effluenti radioattivi la cui varietà, quantità e tipologia possono variare anche notevolmente da impianto a impianto. Dopo essere stato utilizzato nel reattore, il combustibile irraggiato è immagazzinato temporaneamente nelle piscine di decadimento esistenti presso le centrali, per essere successivamente avviato a un deposito di stoccaggio o in alternativa a un impianto di ritrattamento. Il ritrattamento (processo mai attuato in Italia su scala industriale) produce effluenti a bassa attività, rifiuti solidi a bassa e media attività e rifiuti solidi ad alta attività condizionati in matrici vetrose. Questi ultimi sono tuttora stoccati nei depositi temporanei asserviti agli impianti esteri di ritrattamento nei quali è stato processato il combustibile utilizzato in Italia. LA tutte le principali normative nazionali e internazionali, e fra queste quella italiana. L’intervento operativo della radioprotezione si attua a diversi livelli, che riguardano da un lato il monitoraggio dell’ambiente e della popolazione e dall’altro la sorveglianza degli impianti, delle apparecchiature e dei lavoratori potenzialmente esposti. I principali livelli operativi sono i seguenti: - acquisizione dei parametri ambientali necessari per garantire il monitoraggio continuo delle condizioni dell’ambiente e dell’esposizione della popolazione - emanazione di specifiche per la progettazione di impianti e apparecchiature che possono comunque essere fonte di esposizione - verifica delle condizioni di sicurezza di impianti e apparecchia- ture in fase di realizzazione e di collaudo, con l’obiettivo di minimizzare il rischio per i lavoratori e la popolazione - controllo periodico della sussistenza delle condizioni di sicurezza di impianti e apparecchiature durante tutta la loro vita utile - delimitazione e sorveglianza delle zone ad accesso controllato, con definizione e applicazione degli accorgimenti da adottare per accedervi e permanervi - monitoraggio individuale dei lavoratori e delle persone in genere potenzialmente a rischio di esposizione alle radiazioni - diffusione della cultura della sicurezza e dell’informazione, allo scopo di sensibilizzare e orientare il comportamento dei decisori, dei lavoratori e del pub- Tab.1 Impegni di dose collettiva derivanti dalla produzione di energia elettronucleare (Fonte: Unscear, 1999) SORGENTE Impegno di dose collettiva efficace (Sv-uomo/GWa) RADIOPROTEZIONE OPERATIVA Il quadro di riferimento concettuale e metodologico proposto dalla Icrp costituisce la base sulla quale le organizzazioni intergovernative internazionali sviluppano i criteri guida della radioprotezione con riferimento alle diverse applicazioni, fra le quali la produzione di energia nucleare. Le linee guida così emanate sono quindi trasferite nelle normative e nelle regolamentazioni internazionali e nazionali. La cosiddetta radioprotezione operativa, ha sviluppato e affinato nel tempo le metodiche che stanno alla base del complesso sistema di protezione messo a punto dall’Icrp con la pubblicazione n. 60 (1990) e recepito in Componente locale e regionale a breve termine (1-2 anni) Industria mineraria e di lavorazione del minerale Fabbricazione del combustibile Operazione del reattore 1.5 0.003 1.3 Ritrattamento del combustibile irraggiato 0.25 Trasporto 0.1 Totale (arrotondato) 3 Componente globale a lungo termine (integrata su 10.000 anni) Estrazione e lavorazione del minerale (rilasci in 10.000 anni) 150 Confinamento geologico dei rifiuti del reattore 0,5 Radioisotopi dispersi (ritrattamento e stoccaggio di rifiuti solidi) 50 Totale (arrotondato) 200 7 Speciale radioattività ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007 Tab.2 Centrale di Caorso. Limiti di dose previsti per la zona sorvegliata e per la zona controllata Zona sorvegliata (mSv/anno) Zona controllata (mSv/anno) Globale 1 6 Efficace 1 6 Cristallino 15 45 Pelle (*) 50 150 Mani, avambracci, piedi e caviglie 50 150 Limite di equivalente di dose 8 (*) Se l'esposizione risulta da una contaminazione radioattiva cutanea, tale limite si applica all'equivalente di dose medio su qualsiasi superficie di 1 cm2. blico in condizioni normali e di emergenza. CONTROLLO DELLE DOSI OCCUPAZIONALI In attuazione dei principi della radioprotezione operativa, ai fini del monitoraggio radiologico dei lavoratori, gli impianti nucleari italiani sono caratterizzati dalla presenza di aree nelle quali può essere possibile l’esposizione alla radioattività. Ad esempio, l’impianto di Caorso è suddiviso in due zone distinte: - zona sorvegliata (ZS): ogni area dell’impianto in cui, sulla base degli accertamenti e delle valutazioni compiuti dall’esperto qualificato, sussiste per i lavoratori il rischio di superamento di uno dei limiti di dose indicati nella tabella 2 (seconda colonna), ma che non debba essere classificata zona controllata; in zona sorvegliata viene svolta la sorveglianza fisica della protezione dalle radiazioni ionizzanti. - zona controllata (ZC): ogni area dell’impianto (in zona sorvegliata) in cui sulla base degli accertamenti e delle valutazioni compiuti dall’esperto qualificato, sussiste per i lavoratori in essa operanti il rischio di superamento di uno dei limiti di dose indicati nella tabella 2 (terza colonna); in zona controllata viene svolta la sorveglianza fisica della protezione dalle radiazioni ionizzanti. Il controllo delle dosi occupazionali è effettuato attraverso le metodiche classiche previste dalla radioprotezione operativa e incorporate nelle prescrizioni di esercizio, che vanno dall’uso di indumenti a perdere (DIP) e del dosimetro personale, alla misura di contaminazione superficiale (contaminametro), alla misura di contaminazione interna (controllo degli escreti) al total body scanning (WBC). CARATTERIZZAZIONE RADIOLOGICA DEGLI IMPIANTI Per meglio rispondere alle esigenze della radioprotezione collegate alle attività di decommissioning degli impianti nucleari italiani, Sogin ha avviato nel 2000 un programma di caratterizzazione radiologica degli impianti, principalmente al fine di valutare le dosi occupazionali previste per ciascuna fase di attività. La map- patura dei livelli di radiazione presenti nelle aree di impianto, eseguita periodicamente, comprende per ciascuna di esse il rilievo di due valori di intensità di esposizione: - intensità di dose ambiente: misura presa a 1 m dal pavimento in punti prestabiliti e rappresentativi del rateo di dose medio presente nell’area - intensità di dose massima: misura presa nel punto in cui si registra la massima intensità di dose nell’area In alcuni locali particolarmente rilevanti si registra anche una intensità di dose di riferimento impianto, sul componente interno all’area più rappresentativo. Con riferimento alla centrale di Caorso, nell’edificio reattore si registrano ratei di dose ambiente relativamente elevati (tra 50 e 100 Sv/h) nel drywell e in alcuni locali del sistema clean-up. Dosi superiori sono presenti in locali normalmente non accessibili, in presenza di resine attive (separatori di fase clean-up) o sorgenti particolari (schermi TIP). Le dosi massime si registrano su tubazioni ubicate nel drywell e nei locali clean-up. In altri locali queste sono dovute generalmente a hot-spots (p.e. tubazioni drenaggio). A titolo esemplificativo, in figura 1 è riportata le mappa di caratterizzazione relativa alla sezione dell’edificio reattore a quota 61. Nell’edificio ausiliari i ratei di dose più elevati sono dovuti alla presenza di resine attive in serbatoi ubicati in locali normalmente non frequentati. Tale situazione, così come in generale in tutto il radwaste di centrale, è destinata a modificarsi sensibilmente a seguito dello svuotamento e decontaminazione di serbatoi e tubazioni. Negli edifici turbina, annex e offgas i ratei di dose ambiente sono molto modesti, inferiori a 0,1 Sv/h. Anche le dosi massime non eccedono 100-150 Sv/h e sono dovute in gran parte a materiali estranei a tali edifici (p.es., componenti provenienti dall’edificio reattore). Nei depositi dei materiali radioattivi l’unica sorgente è rappresentata dai rifiuti stoccati. CONTROLLO DEGLI EFFLUENTI Lo scarico nell'ambiente di effluenti liquidi e aeriformi provenienti da un impianto nucleare Fig. 1 Centrale di Caorso. Mappa di radiazione relativa alla sezione dell’edificio reattore a quota 61. è regolamentato da apposite prescrizioni tecniche che, attraverso la cosiddetta “formula di scarico” autorizzata, limitano la quantità di radioattività scaricabile su base annuale, trimestrale e giornaliera. Gli effluenti provenienti da un impianto nucleare sono suddivisi in liquidi e aeriformi, e per essi le norme di esercizio prevedevano l’applicazione di due diverse formule di scarico, fissate in modo tale da non consentire il superamento di prefissati valori di equivalente di dose ai gruppi critici di popolazione. Gli effluenti liquidi sono costituiti essenzialmente da: - liquidi provenienti dal circuito primario, dai drenaggi delle apparecchiature e dai controlavaggi dei filtri (trattamento condensato, clean-up, piscina del combustibile) - liquidi provenienti dal drenaggio dei pavimenti, dai drenaggi del laboratorio chimico caldo, dall’officina calda e dalla lavanderia. Questi effluenti sono raccolti in serbatoi di stoccaggio separati e sono trattati in modo differenziato al fine di ridurre al minimo la radioattività scaricata nell’ambiente. Ciò consente da un lato il recupero di buona parte dei liquidi trattati, dall’altro di adottare il sistema di purificazione più appropriato per ogni tipo di fluido per limitare i rifiuti secondari prodotti dal trattamento. Dopo il trattamento questi effluenti sono trasferiti in serbatoi di campionamento, analizzati, reintegrati nel processo o scaricati nel rispetto della formula di scarico. Gli affluenti aeriformi sono costi- Tab.3 Reti di monitoraggio ambientale. Matrici controllate, frequenza di campionamento, frequenza e tipo di misura Frequenza prelievo Frequenza misura Tipo di misura Settimanale Beta totale Mensile Spettrometria γ Mensile Trimestrale Sr90 Trimestrale Trimestrale Spettrometria γ Semestrale Semestrale Spettrometria γ Semestrale Semestrale Sr90 Semestrale Semestrale Spettrometria γ Mais Annuale Annuale Spettrometria γ Pomodori Annuale Annuale Spettrometria γ Carne Annuale Annuale Spettrometria γ Trimestrale Trimestrale Spettrometria γ Semestrale Semestrale Sr90 Mensile Spettrometria γ Mensile Cs137 Trimestrale Trimestrale Spettrometria γ Semestrale Semestrale Cs137 Sedimenti Semestrale Semestrale Spettrometria γ Terreno Semestrale Semestrale Spettrometria γ Uova Trimestrale Trimestrale Spettrometria γ Dosimetri TLD (esposizione) Bimestrale Bimestrale Intensità di esposizione Continua Mensile Spettrometria γ Mensile Beta totale Campione Aria Continua Latte Foraggio Insalata Pesce Acqua di fiume o di mare Continua Acqua potabile Fallout ARCHIVIO ARPA SEZ. DI PIACENZA ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007 Centrale nucleare di Caorso, Piacenza (in fase di decommissioning) tuiti, in linea di principio, dalle seguenti componenti: - aria di ventilazione degli edifici (reattore, turbina, trattamento rifiuti radioattivi) - incondensabili (aria, gas radiolitici, gas di fissione e di attivazione) estratti dall’acqua di ciclo. Prima dell’immissione nell’atmosfera, questi scarichi venivano monitorati in continuo con strumentazione appropriata per garantire il rispetto dei limiti giornalieri, mentre per il bilancio trimestrale e annuale venivano effettuati campionamenti con successiva analisi in laboratorio. Attualmente lo scarico degli incondensabili è nullo (in seguito alla fermata degli impianti) mentre l’aria di ventilazione è invece liberata nell’ambiente attraverso i camini degli impianti, previo controllo radiometrico. Lo scarico degli effluenti delle centrali nucleari italiane non ha mai superato (anche durante l’esercizio) una limitata percentuale delle quantità consentite dalle formule di scarico autorizzate, mentre a decorrere dalla fermata degli impianti l’entità degli scarichi si è praticamente azzerata. L'impatto radiologico degli impianti Sogin è continuamente sorvegliato mediante una rete di sorveglianza radiologica integrata da stazioni meteorologiche. La ripartizione dei punti di misura che fanno parte della rete è tale da fornire un’immagine significativa dello stato della radioattività nella zona circostante ciascun impianto. La frequenza delle misure è fissata dalle norme di sorveglianza in vigore. La rete di sorveglianza com- prende una rete di rilevamento del livello di esposizione ambiente, stazioni di misura fisse di campionamento dell’aria, stazioni di controllo delle condizioni meteorologiche e prelievi periodici di campioni ambientali nell'ecosistema terrestre e acquatico. A partire dal 2004 la rete di monitoraggio ambientale è stata ulteriormente integrata da Sogin attraverso l’acquisizione di una serie di laboratori mobili attrezzati su camper. La rete di rilevamento dell'esposizione comprende punti di misura equipaggiati con dosimetri integratori di dose. La scelta dei punti di misura è normalmente eseguita prendendo come riferimento le direzioni preferenziali del vento in prossimità dell’impianto e la posizione dei centri abitati più vicini. Le stazioni fisse sono situate intorno all’impianto, a una distanza in linea d'aria compresa fra qualche centinaio e qualche migliaio di metri. In queste stazioni si effettua la misura in continuo della radioattività ambiente e l’aspirazione dell’aria su filtri per misure periodiche in laboratorio. I dati radiometrici delle stazioni fisse e delle stazioni meteorologiche sono comunicati periodicamente all’Apat e ai centri specializzati delle Arpa competenti per territorio. I campioni ambientali da analizzare in laboratorio sono prelevati in diversi punti di misura, conformi alle richieste dettagliate nelle norme di sorveglianza (tabella 3), inglobando tutti gli ecosistemi. Ugo Spezia Sogin, Società gestione impianti nucleari - www.sogin.it 9 Speciale radioattività ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007 Le criticità nella fase di dismissione Lo smantellamento degli impianti, il trattamento di tutti i rifiuti radioattivi, il loro condizionamento per conservarli in sicurezza sono gli obiettivi generali delle operazioni di decommissioning conseguenti alla chiusura dei programmi nucleari nel nostro Paese. Sulla base degli indirizzi operativi contenuti nel decreto del ministero dell’Industria 7 maggio 2001, alcune attività sono state affidate alla Sogin (Società gestione impianti nucleari). Nell’articolo una sintesi di quanto realizzato, in corso di attuazione, e delle criticità riscontrate. La scelta del sito per il deposito nazionale per lo smaltimento definitivo dei rifiuti radioattivi è invece di responsabilità politica. 10 A valle della chiusura dei programmi nucleari nazionali e dei relativi impianti, gli indirizzi governativi generali relativi alla chiusura delle attività nucleari pregresse e alla sistemazione del combustibile nucleare e dei rifiuti radioattivi sono stati emanati dal ministro dell’Industria in uno specifico documento programmatico del 14 dicembre 1999 trasmesso al Parlamento il 21 dicembre 1999. Frutto di un’intensa collaborazione fra il ministero dell’Industria, l’Anpa (oggi Apat), la Conferenza StatoRegioni e gli esercenti degli impianti, il documento costituisce il primo inquadramento sistematico della gestione degli esiti del nucleare. In esso è definita la strategia globale per la gestione dei rifiuti radioattivi, del combustibile irraggiato, delle materie nucleari e per la successiva disattivazione degli impianti nucleari, fondata sulla disponibilità di un sito nazionale di smaltimento e stoccaggio dei materiali radioattivi. Il documento definisce come segue gli obiettivi generali: • trattamento e condizionamento di tutti i rifiuti radioattivi liquidi e solidi in deposito sui siti, in gran parte ancora non trattati, al fine di trasformarli in manufatti certificati, temporaneamente stoccati sul sito di produzione ma pronti per essere trasferiti al deposito nazionale • scelta del sito e predisposizione del deposito nazionale sia per lo smaltimento definitivo dei rifiuti condizionati di II categoria, (a media e bassa attività e vita medio-breve), che per lo stoccaggio temporaneo a medio temine, in una struttura ingegneristica, dei rifiuti di III categoria (ad alta attività e a vita lunga), in partico- lare quelli derivanti dal ritrattamento e il combustibile irraggiato non avviato al ritrattamento • disattivazione accelerata degli impianti nucleari nella loro globalità, obiettivo condizionato, tra l'altro, dalle seguenti azioni: - gestione del combustibile irraggiato sia mediante il ritrattamento all’estero, per la sola piccola quantità prevista, sia mediante stoccaggio a secco sul sito in appositi contenitori dual purpose, in attesa del suo trasferimento al deposito nazionale - alienazione delle materie nucleari e combustibile fresco Tab.1 Valorizzazione dei materiali derivanti dallo smantellamento degli impianti nucleari Sogin nel periodo 2001-2006 Consuntivo 2001 Consuntivo 2002 Consuntivo 2003 Consuntivo 2004 Consuntivo 2005 Preventivo 2006 (1) Totale IMPIANTO t Euro t Euro Materiale a discarica/riutilizzato 1.585 245 Caorso 1.514 28 Garigliano Latina Cirene Trino Bosco Marengo Materiale venduto (2) Caorso(3) t Euro t Euro 4.121 99 219 1.270 6 103 73 105 1.103 188 Euro 385 31 3.518 287 255 752 101 319 1.816 0 0 0 0 0 0 6.500 661 3.261 495 10.995 0 0 0 0 87 40 127 688 139.828,27 1.194 0,00 260 1.520 535 209.131, 57 4.584 84.836,10 917 1.583.122,60 3.068 73.963,16 60 2.048.533,90 11.728 344.738,00 1.772 307.403,26 175.280,40 675 0 100.189,85 8.977,00 0,00 0 0,00 0 0,00 108 0,00 310 64.479,94 219 77.519,97 148 Garigliano t 17.208 35 0 Totale materiale allontanato Caorso Euro 0 0 Bosco Marengo t 1.140 43 Latina Trino Euro 2.192 Garigliano Cirene (4) t 7.925 8.385,60 0 34.100,00 0 0,00 0 0,00 1 12.000,00 688 105.728,27 624 67.642,92 456 13.692,88 728 42.748,56 0 0,00 0 0,00 0 0,00 0 0,00 2.273 1.514 1.439 359 8.600 219 184 61.161,31 3.448 3.712 1.805 41.276,50 36 3.350,00 328 53.012,10 1.463.882,94 1.117 405.445,90 5.241 2.072.490,06 0,00 35 0 4.000,00 1.855 0,00 8.706 1.302 0 0,00 1 46.100,00 1.295.000,00 4.385 1.528.812,63 0 0,00 0,00 4.207 91 28.936 5.290 28 6 103 181 471 291 1.080 Latina 0 415 1.322 336 3.549 1.435 7.058 Cirene 0 0 0 1 0 0 1 731 659 6.956 1.389 3.296 2.350 15.380 0 0 0 0 87 40 127 Trino Bosco Marengo 4.388.209,45 687.794,66 Altri ricavi Materiale: Combustibile (5) (1) (2) (3) (4) (5) 6.300.000,00 0,00 96.118,63 0,00 0,00 0,00 6.396.118,63 i dati del 2006 relativi ai ricavi dei materiali venduti si riferiscono alla data di redazione della tabella. il materiale venduto include anche quello, eventualmente, ceduto a titolo gratuito. nel 2007 è prevista la vendita del rotore di bassa pressione della turbina per un importo stimato di 250.000 euro. nel 2007 è prevista la vendita di 6.806 tonnellate di materiale per un importo stimato di 1.200.000 euro. nel 2001 è registrata la vendita di combustibile fresco fatta da Sogin alla Siemens nel 1999 e nel 2000 con ricavi rispettivamente di 7,9 e 4,3 miliardi di lire (4,1 e 2,2 milioni di euro) ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007 In merito allo smaltimento definitivo dei rifiuti radioattivi di terza categoria (prodotti di fissione separati e vetrificati, combustibile irraggiato opportunamente condizionato), il documento stabilisce la necessità di valorizzare e continuare gli studi e le esperienze sullo smaltimento geologico condotte in Italia negli anni Settanta e fino all’inizio degli anni Ottanta in ambito Enea con la partecipazione di qualificate università e inseriti nell’ambito dei programmi di ricerca della Commissione europea. INDIRIZZI OPERATIVI Gli obiettivi strategici sono stati trasformati in indirizzi operativi alla Sogin dal Dm Industria 7 maggio 2001, che impegna la Società a porre in essere tutte le attività necessarie a perseguire gli obiettivi di propria competenza indicati nel documento, e in particolare a) trattare e condizionare, entro dieci anni, subordinatamente all'ottenimento delle necessarie autorizzazioni da parte dei competenti Organi, tutti i rifiuti radioattivi liquidi e solidi in deposito sui suoi siti al fine di trasformarli in manufatti certificati, temporaneamente stoccati sul sito di produzione, ma pronti per essere trasferiti al deposito nazionale b) completare gli adempimenti previsti nei contratti di ritrattamento a suo tempo sottoscritti nel 1980 dall’Enel con la Bnfl (British Nuclear Fuel Limited) e immagazzinare il restante combustibile irraggiato in appositi contenitori a secco nei siti delle centrali dove sono allocati in attesa di trasferimento al deposito nazionale c) concorrere alla disattivazione degli impianti nucleari dismessi dei principali esercenti nazionali (Enea, Fn ecc.), anche attraverso forme consortili d) provvedere alla disattivazione accelerata di tutti gli impianti elettronucleari dismessi entro venti anni, procedendo direttamente allo smantellamento fino al rilascio incondizionato dei siti ove sono ubicati gli impianti; il perseguimento di questo obiettivo è condizionato dalla localiz- zazione e realizzazione in tempo utile del deposito nazionale dei rifiuti radioattivi. Gli indirizzi operativi erano successivamente modificati attraverso l’emanazione del Dm Attività produttive 2 dicembre 2004, che all’opzione dello stoccaggio temporaneo a secco del combustibile aggiungeva la possibilità di inviarlo all’estero per il ritrattamento. AZIONI CONDOTTE In attuazione degli indirizzi operativi ricevuti, Sogin ha avviato tempestivamente l’attività di progettazione degli interventi di decommissioning degli impianti, sottoponendo fra il 2000 e il 2003 alle competenti Autorità - le istanze globali di disattivazione, volte a conseguire le autorizzazioni previste dal Dlgs 230/1995 - gli studi di impatto ambientale (Sia), volti a conseguire l’emanazione dei decreti di compatibilità ambientale previsti dalla Direttiva 97/11/CE, dal Dpcm 377/1988 e dal Dpr 348/1999. In parallelo, il Dm Industria dell’8 agosto 2000 autorizzava a stralcio Sogin a condurre alcune attività di smantellamento presso la centrale di Caorso. Dal 2001 a oggi – nelle more dell’ottenimento delle autorizzazioni complessive richieste – Sogin ha potuto ugualmente condurre, negli impianti con autorizzazioni puntuali, significative attività relative a: - rimozione di coibentazioni contenenti amianto - decontaminazione di circuiti - smantellamento di alcune parti convenzionali - smantellamento di apparecchiature del ciclo termico - condizionamento di rifiuti radioattivi derivanti dalla fase di esercizio - allontanamento delle materie prime nucleari (combustibile fresco) - invio all’estero del combustibile nucleare irraggiato destinato al ritrattamento - potenziamento delle misure anti-intrusione presso gli impianti - svuotamento della piscina del combustibile dell’impianto di Saluggia I materiali derivanti dallo sman- Tab.2 Servizi di trasporto e ritrattamento all’estero di combustibile nucleare irraggiato (biossido di uranio e plutonio), contratto sottoscritto con Areva Centrale di Caorso 1032 elementi + 6 barrette a UO2, pari a 190,442 t Centrale di Trino 8 elementi MOX pari a 2,463 t 39 elementi UO2 pari a 12,049 t Deposito Avogadro di Saluggia 49 52 63 48 Totale 234,96 t elementi UO2 pari a 15,034 t elementi cruciformi UO2 pari a 2,024 t elementi MOX pari a 12,882 t semibarrette UO2 pari a 0,066 t 11 tellamento delle installazioni sono stati oggetto di valorizzazione economica mediante cessione a terzi. Il rottame metallico rilasciabile (incluso il ferro di armatura) è normalmente venduto a imprese di rottamazione, che provvedono ad avviarlo ai forni di fusione per il riutilizzo produttivo. Il calcestruzzo è generalmente impiegato all’interno dello stesso impianto, previa frantumazione e deferrizzazione, per il riempimento degli scavi di fondazione degli edifici demoliti, ed è talvolta ceduto a terzi per la realizzazione di massicciate e opere di riempimento. I quantitativi eccedenti il fabbisogno interno e la eventuale richiesta esterna devono necessariamente essere conferiti a titolo oneroso a discariche autorizzate. I proventi della cessione dei materiali derivanti dalle attività di smantellamento degli impianti nel periodo 2001-2006 sono compendiati in tabella 1. Sul piano progettuale, in attuazione degli indirizzi che prevedevano lo stoccaggio a secco in Italia del combustibile nucleare irraggiato non sottoposto a contratti di ritrattamento, Sogin ha elaborato e sottoposto ad autorizzazione nel 2001 il progetto di due strutture di stoccaggio temporaneo localizzate presso i siti di Trino e di Caorso. Il cambiamento degli indirizzi relativi alla gestione del combustibile ha successivamente eliminato la necessità di queste due strutture. Sogin ha inoltre elaborato e sottoposto ad autorizzazione: - il nuovo parco serbatoi in cui trasferire in condizioni di maggiore sicurezza i rifiuti liquidi a maggiore attività presenti presso l’impianto di Saluggia - l’impianto di cementazione dei rifiuti radioattivi liquidi con annesso deposito temporaneo di terza categoria da realizzare presso il centro di Saluggia - quattro depositi temporanei di seconda categoria da realizzarsi presso i siti di Saluggia, Latina, Garigliano e Trisaia per ospitare i rifiuti condizionati prodotti in loco. ATTIVITÀ IN CORSO Le principali attività attualmente in corso riguardano, oltre che la prosecuzione degli interventi sugli impianti, l’invio all’estero (Francia) del combustibile nucleare irraggiato destinato al ritrattamento. In attuazione degli indirizzi emanati nel Dm Attività produttive 02.12.2004 e nell’Ordinanza commissariale 16.12.2004, è stato pubblicato in data 22.02.2005 nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea il bando emesso da Sogin per la gara internazionale relativa all’allontanamento del combustibile nucleare irraggiato tuttora presente nei siti del Piemonte (Saluggia e Trino) e dell’EmiliaRomagna (Caorso). In esito alle procedure di gara è stato sottoscritto con Areva uno specifico contratto, avente per oggetto i servizi di trasporto e ritrattamento all’estero di 234,96 t di combustibile nucleare irraggiato (inteso come quantitativo di biossido di uranio e plutonio, vedi tabella 2). Presso i siti di Caorso, Trino e Saluggia sono attualmente in corso, o in via di completamento, gli interventi di adeguamento e di collaudo delle infrastrutture ▼ verso operatori esteri qualificati e autorizzati Speciale radioattività ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007 Prima criticità, trattare il combustibile irraggiato ▼ 12 A cominciare dalle origini dello sviluppo dell’energia nucleare per usi civili, l’adozione del “ciclo chiuso” è stata in genere a lungo ritenuta la soluzione più ovvia per la gestione del combustibile nucleare irraggiato. Ciò significava riprocessare il combustibile, separando dalle scorie le parti riciclabili: l’uranio non ancora utilizzato e soprattutto il plutonio formatosi nel combustibile stesso durante il funzionamento del reattore, per l’irraggiamento neutronico dell’uranio 238. Il ciclo chiuso dava alla fonte nucleare una prospettiva praticamente illimitata, dal momento che l’impiego del plutonio nei reattori veloci avrebbe potuto moltiplicare per decine e decine di volte la quantità di energia estraibile dalle riserve di uranio. Per questo motivo, si sono andate formando, in diversi paesi, notevoli scorte di plutonio, in vista della maturazione, che in quegli anni si dava per scontata, della tecnologia dei reattori veloci. Lo sviluppo di quella tecnologia, invece, ha cominciato ad accumulare ritardi crescenti e l’impiego del plutonio ha finito con l’essere limitato alla fabbricazione, in miscela con l’uranio, di combustibile “a ossidi misti” – detto MOX, secondo l’acronimo della equivalente espressione inglese – da impiegare nei tradizionali reattori nucleari termici, in sostituzione di analoghe quantità di uranio fissile. Con questo secondo tipo di impiego, il plutonio produce un incremento potenziale dell’energia ricavabile dalle riserve di uranio valutato in alcune decine di punti in percentuale. D’altra parte, dopo due decenni di relativa crescita, verso la fine degli anni 70 anche la diffusione dei reattori termici, giunti alla loro seconda generazione, subì un drastico rallentamento. Basti pensare che dopo l’incidente avvenuto nella centrale di Three Mile per la movimentazione e il trasporto dei cask. tive, che scontano evidentemente anche la mancanza di un’esperienza operativa consolidata nel campo del decommissioning. A tale riguardo si avverte la necessità che l’iter autorizzativo incorpori elementi di certezza e puntualità attraverso la programmazione concordata degli adempimenti e la previsione di tempi di risposta certi. Importanza fondamentale assumerebbe la possibilità di consentire all’esercente di operare con un’autorizzazione di tipo generale per grosse aree di impianto o tipologie di intervento, spostando in parte l’intervento dell’Autorità di controllo dalla fase autorizzativa a quella di sorveglianza. PROBLEMI APERTI Pur a fronte dei progressi evidenziati, le attività di decommissioning degli impianti nucleari italiani sono condizionate da alcuni fattori essenziali, che possono essere così enumerati: - l’eccessiva lunghezza degli iter autorizzativi - la diffusa preoccupazione delle Amministrazioni locali - la perdurante mancanza di un deposito nazionale per i materiali radioattivi. Problemi di carattere procedurale sono legati all’eccessiva lunghezza e incertezza delle istruttorie e delle procedure autorizza- ARCHIVIO APAT La convinzione che si trattasse di un “ciclo chiuso” dava alla fonte nucleare una prospettiva praticamente illimitata. Si era certi, infatti, che il plutonio ottenuto come “scoria” nei primi reattori nucleari, potesse essere riutilizzato in nuovi reattori veloci, moltiplicando per decine di volte la quantità di energia estraibile dalle riserve di uranio. Ma la tecnologia dei reattori veloci non è maturata secondo le aspettative, con il risultato che in diversi Paesi restano stoccate notevoli scorte di plutonio. Complessivamente circa un terzo del combustibile nucleare irraggiato prodotto in tutto il mondo è stato riprocessato per renderlo meno pericoloso, mentre la parte restante è stoccata, in attesa dello smaltimento o della decisione circa il suo destino. In Italia la maggior parte del combustibile è stato già riprocessato in Gran Bretagna e il resto è ormai destinato all’impianto francese di La Hague. Trasporto del combustibile irraggiato Island (marzo 1979), negli Stati Uniti, il paese che sino ad allora aveva fatto il maggior ricorso all’energia nucleare e che ancora oggi ha il maggior numero di impianti in esercizio, non si è più avuto alcun ordine per l’installazione di nuovi reattori. In quel quadro, la soluzione “ciclo chiuso” è stata oggetto di una generale riconsiderazione, anche alla luce di altri aspetti del riprocessamento che la mancanza di un’utilità immediata del plutonio prodotto metteva in maggiore evidenza: i fattori economici, quelli radioprotezionistici (va tenuto conto che il riprocessamento del combustibile irraggiato è un’operazione intrinsecamente meno “pulita” dell’esercizio di una cen- Anche se le attività di smantellamento degli impianti possono ugualmente proseguire prevedendo lo stoccaggio temporaneo in sito, è necessario che il Governo operi attivamente per giungere alla realizzazione della piattaforma nazionale per lo stoccaggio dei rifiuti radioattivi (deposito nazionale). Solo così si potrà dare riscontro alle preoccupazioni delle Amministrazioni locali e fare in modo che esse non vedano con timore l’avanzamento delle attività sugli impianti. Sulla base delle possibilità previste dalla normativa vigente e di una revisione critica dei piani di attività, le mutate condizioni operative degli impianti possono consentire la liberazione di risorse umane e beni strumentali, incluse porzioni delle ampie aree di rispetto degli impianti e le zone non interessate dalle attività di decommissioning. Queste aree, nel rispetto delle condizioni di sicurezza, potrebbero essere reimpiegate per usi compatibili con la prossimità delle installazioni in fase di decommissioning, dando contemporaneamente un segnale positivo agli amministratori e alle popolazioni locali. Giuseppe Bolla Sogin, Società gestione impianti nucleari - www.sogin.it ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007 trale nucleare), quelli connessi ai rischi di proliferazione. Alcuni paesi, tra i quali la Francia, la Gran Bretagna e la Russia, non hanno modificato la loro scelta verso il riprocessamento del combustibile irraggiato, che continua ancora oggi a essere la soluzione adottata, mentre altri, a cominciare dagli Stati Uniti, che peraltro sembrano oggi in una fase di ripensamento, hanno abbandonato quella scelta e si sono orientati verso lo smaltimento del combustibile, considerato quindi alla stregua di un vero e proprio rifiuto radioattivo, pur se nessuno di loro ha ancora individuato una concreta, definitiva soluzione per tale smaltimento. Altri paesi, poi, hanno di fatto adottato una strategia di attesa, “wait and see”. Sia questi ultimi, sia quelli che hanno deciso di smaltire il combustibile irraggiato “tal quale” – i quali come detto non dispongono ancora degli strumenti necessari per attuare la loro scelta – mantengono il combustibile in strutture di stoccaggio temporaneo. Si tratta in alcuni casi di piscine, secondo la soluzione di stoccaggio in acqua, in altri di apposite strutture o di contenitori in calcestruzzo o ancora, di contenitori metallici, ove il combustibile irraggiato viene immagazzinato a secco. Particolarmente interessante è la soluzione dello stoccaggio a secco in contenitori dual purpose, adatti sia al trasporto del combustibile, sia al suo mantenimento di lungo periodo, essendo tali contenitori già pronti per il trasferimento del combustibile all’impianto di riprocessamento, o al sito di smaltimento, una volta individuato. Complessivamente – secondo i dati forniti dall’Agenzia internazionale per l’energia atomica – circa un terzo del combustibile nucleare irraggiato prodotto sino a oggi nei reattori di tutto il mondo è stato riprocessato, mentre la parte restante è stoccata, in attesa dello smaltimento o della decisione circa il suo destino. Nettamente diversa è la proporzione relativa al combustibile irraggiato prodotto nelle quattro centrali italiane di Latina, Trino, Garigliano e Caorso. La maggior parte di tale combustibile è stato infatti già riprocessato in Gran Bretagna e il resto è ormai destinato all’impianto di riprocessamento francese di La Hague. Più in dettaglio, in Italia, dall’inizio degli anni 60, quando entrarono in esercizio le prime centrali, fino al 1987, quando gli impianti allora funzionanti vennero definitivamente spenti (la centrale del Garigliano era già chiusa dal 1978, poco prima che fosse avviata quella di Caorso), sono state complessivamente prodotte 1865 tonnellate di combustibile irraggiato. Sulla base di accordi stipulati da tempo – quando, come detto, la chiusura del ciclo del combustibile nucleare con il suo riprocessamento era da considerare una scelta scontata – sono state riprocessate circa 1630 tonnellate nell’impianto inglese di Sellafield. Le ultime spedizioni verso quell’impianto, effettuate a seguito di tali accordi, sono partite dal deposito Avogadro di Saluggia, tra il 2003 e il 2005 e hanno riguardato 53 tonnellate di combustibile. I rifiuti radioattivi prodotti da tutte quelle operazioni di riprocessamento sono oggi ancora immagazzinati a Sellafield, ma dovranno in parte rientrare in Italia, in ottemperanza agli accordi stessi. Si tratta di circa 6000 m3 di rifiuti condizionati in matrice cementizia e di circa 16 metri cubi di rifiuti a più elevata attività, vetrificati. Per le rimanenti 235 tonnellate, il documento di indirizzi elaborato dall’allora ministero dell’Industria – all’indomani dell’istituzione della Sogin e trasmesso al Parlamento nel dicembre 1999 – prevedeva lo stoccaggio temporaneo in contenitori a secco. La maggior parte di tale combustibile si trova nella piscina della centrale di Caorso: 190 tonnellate, tutto il combustibile nucleare irraggiato prodotto dall’esercizio di quella centrale. Vi sono poi circa 30 tonnellate oggi stoccate del deposito Avogadro, provenienti in parte dalla centrale di Trino, in parte da quella del Garigliano, e 15 tonnellate di combustibile di Trino, stoccate nella piscina di quella medesima centrale. Negli anni successivi, fino al 2004, la Sogin e gli altri soggetti istituzionalmente coinvolti hanno lavorato, nell’ambito delle rispettive competenze, per dare attua- 13 Mappa dei reattori nucleari in Europa. Ciascuna area evidenziata in rosso corrisponde alla presenza di uno o più reattori in differenti stati d’uso: progettato, in costruzione, operativo, sospeso (anche permanentemente), smantellato, annullato. Fonte: International nuclear safety center (Insc) http://www.insc.anl.gov/pwrmaps/map/world_map.php zione a quegli indirizzi, prevedendo l’uso di contenitori metallici dual purpose di realizzazione tedesca. Si sono tuttavia manifestate presto le difficoltà da parte delle amministrazioni e delle comunità locali interessate ad accettare che – in attesa dell’individuazione di un sito nazionale ove trasferire i contenitori – la soluzione dello stoccaggio a secco fosse, sia pur provvisoriamente, realizzata sugli stessi siti che ospitano gli impianti in cui si trova il combustibile irraggiato. Ciò, ovviamente, nel timore che il “provvisorio” – in vista di un non semplice processo di individuazione del sito nazionale – potesse diventare “definitivo”. Le difficoltà sono state ulteriormente accresciute, e non di poco, con le vicende legate al decreto legge con il quale, nel novembre del 2003, è stato indicato il comune di Scanzano ionico per ospitare il deposito nazionale. Quegli eventi hanno verosimilmente avuto un ruolo non secondario nel determinare un mutamento radicale nelle scelte del Governo. Nel ridefinire gli indirizzi per la Sogin, il decreto 2 dicembre 2004 del ministro delle Attività produttive richiedeva alla Sogin stessa di valutare la possibilità di esportare temporaneamente il combustibile nucleare irraggiato, ai fini del suo trattamento e riprocessamento, un’impostazione che è stata confermata dalla successiva amministrazione. Si è giunti così all’accordo intergovernativo stipulato nel novembre 2006 tra il ministro per lo Sviluppo economico Bersani e il suo omologo francese Loos, che prevede la spedizione verso la Francia delle 235 tonnellate di combustibile italiano tra il 2007 e il 2012 e il rientro in Italia dei rifiuti prodotti dal riprocessamento entro il 2025. Nel maggio scorso la Sogin e la società francese Areva, proprietaria degli impianti di La Hague hanno trasformato l’accordo in contratto, del valore di oltre 250 milioni di Euro. Il primo combustibile a partire sarà quello di Caorso, le cui spedizioni sono previste iniziare fin dai prossimi mesi. Sarà poi necessario avviare tempestivamente un idoneo iter per l’individuazione del sito nazionale, sia in considerazione dell’impegno assunto nei confronti della Francia per il rientro dei rifiuti, sia per rendere effettiva la possibilità di liberare dagli oneri nucleari i siti che attualmente ospitano gli impianti. Roberto Mezzanotte Agenzia per la protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici (Apat) Speciale radioattività ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007 Rifiuti radioattivi, quale destinazione finale? Nel nostro Paese la produzione di rifiuti radioattivi è molto ridotta in quanto non ci sono centrali nucleari in funzione. Oggi tali rifiuti derivano dalle attività di smantellamento degli impianti e dalle attività sanitarie, industriali e di ricerca scientifica. Il “condizionamento” – l’immobilizzazione del rifiuto radioattivo in una matrice con caratteristiche di stabilità e compattezza – è la principale operazione adottata per la riduzione dei rischi di contaminazione. Apat, per contribuire all’effettiva e corretta gestione di tali rifiuti, ha acquisito un inventario aggiornato al dicembre 2006 dal quale risulta un totale di ca. 26.800 m3. Pur non destando particolari preoccupazioni, le maggiori criticità sono connesse al perdurante stoccaggio nei siti di produzione, in magazzini non progettati come depositi di medio e lungo termine. 14 Qualsiasi attività umana legata all’uso di materie radioattive ha come inevitabile conseguenza la produzione di rifiuti. Le fonti di produzione sono quindi legate non solo all’uso del nucleare per l’energia elettrica, ma anche all’utilizzo di sorgenti radioattive per uso medico (pratiche diagnostiche e terapeutiche), per uso industriale (radiografie, traccianti, irraggiamento di prodotti), e per ricerca. In Italia, dove non esistono centrali nucleari in funzione, la produzione di rifiuti radioattivi è molto ridotta. Sono, comunque, presenti tutte le tipologie di rifiuti, in quanto l’Italia è stata a suo tempo all’avanguardia in tutte le applicazioni del nucleare (centrali, impianti del ciclo, centri di ricerca ecc.). Mentre la produzione da tutte queste attività si è sensibilmente ridotta, oggi vengono prodotti rifiuti radioattivi principalmente dalle attività di smantellamento delle installazioni chiuse o in via di chiusura. Rimane comunque costante la produzione di rifiuti radioattivi dalle attività sanitarie, industriali e di ricerca scientifica. CLASSIFICAZIONE Ai fini della gestione dei rifiuti radioattivi, in Italia vengono adottati i criteri di classificazione definiti nella Guida tecnica n° 26 dell’Apat. Con riferimento alle tecniche di smaltimento, tale guida prende in considerazione due fondamentali parametri: la concentrazione di radioattività e il tempo di decadimento dei radionuclidi presenti. In tabella 1 sono descritti i criteri secondo cui sono identificate le tre categorie. CRITERI DI BASE NELLA Il fondamentale obiettivo nella gestione dei rifiuti radioattivi è la protezione dell’uomo e dell’ambiente, a breve e a lungo termine, e tutte le operazioni sono quindi mirate all’isolamento dalla biosfera del rifiuto, mediante la predisposizione di più barriere, per un tempo necessario a che la radioattività contenuta non sia diminuita a valori equiparabili a quelli del fondo naturale. zione. Tipici processi di condizionamento sono la cementazione, per i rifiuti a bassa e media attività, e la vetrificazione, per i rifiuti ad alta attività (dove le caratteristiche di stabilità devono essere garantite per un lunghissimo periodo di tempo). I rifiuti radioattivi condizionati vengono poi conservati in adeguate strutture, in attesa di essere trasportati in un deposito che garantisca l’isolamento dalla biosfera per il periodo di tempo necessario affinché il rifiuto perda la sua pericolosità. La principale operazione nella gestione dei rifiuti radioattivi consiste nel “condizionamento”, cioè l’immobilizzazione del rifiuto radioattivo in una matrice con caratteristiche di stabilità e compattezza tali da garantire una adeguata resistenza alla degrada- LA SITUAZIONE IN ITALIA A venti anni dal referendum del 1987, che ha di fatto sancito la chiusura delle attività nucleari e degli impianti esistenti in Italia, i rifiuti radioattivi lasciati in eredità dalle attività nucleari sono ancora stoccati presso i rispettivi siti di GESTIONE DEI RIFIUTI RADIOATTIVI produzione (sedi di centrali nucleari o impianti sperimentali di ricerca), in gran parte senza che siano stati sottoposti alle operazioni di condizionamento. Al quantitativo dei rifiuti già esistenti si andranno a sommare i rifiuti provenienti dalle attività di smantellamento delle installazioni nucleari che dovranno continuare a essere stoccati presso gli stessi siti, in quanto non esiste un deposito nazionale. Ciò, oltre a rendere impossibile la completa denuclearizzazione dei siti, presenta ulteriori problematiche come il graduale deterioramento delle attuali strutture di immagazzinamento dei rifiuti, che non sono state progettate, a suo tempo, come depositi di medio e lungo termine. Già nel 1995 e poi nel 1997, Apat (allora Anpa), in conferenze appo- Tab.1 Classificazione dei rifiuti radioattivi secondo la Guida Tecnica 26 APAT Categoria Definizione Esempi di tipologie Smaltimento Prima Categoria Rifiuti la cui radioattività decade in tempi dell'ordine di mesi o al massimo di qualche anno. Rifiuti da impieghi medici o di ricerca, con T1/2 pari ad alcuni mesi (I125, I131,P32) come i rifiuti convenzionali Seconda Categoria Rifiuti che decadono in tempi dell'ordine delle centinaia di anni a livelli di radioattività di alcune centinaia di Bq/g, e che contengono radionuclidi a lunghissima vita media a livelli di attività inferiori a 370 Bq/g nel prodotto condizionato. Rifiuti da reattori di ricerca e di potenza; rifiuti da centri di ricerca; rifiuti da decontaminazione e smantellamento di impianti. (Co60, Cs137, Sr90, Ni63) in superficie o a bassa profondità con strutture ingegneristiche Terza Categoria Rifiuti che decadono in tempi dell'ordine delle migliaia di anni a livelli di radioattività di alcune centinaia di Bq/g, e che contengono radionuclidi a lunghissima vita media a livelli di attività superiori a 3700 Bq/g nel prodotto condizionato. Rifiuti prodotti dal riprocessamento del combustibile; rifiuti contenenti transuranici da attività di ricerca. (Am241, Pu, U, Np237, Tc99) in formazioni geologiche a grande profondità. ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007 sitamente organizzate, cercava di sensibilizzare le amministrazioni competenti a intraprendere azioni adeguate affinché si giungesse in tempi rapidi alla realizzazione di un sito nazionale per raccogliere in condizioni di massima sicurezza la totalità dei rifiuti radioattivi ancora detenuti nei diversi impianti, nonché i rifiuti generati dal riprocessamento all’estero del combustibile irraggiato destinati a tornare in Italia. Nonostante le diverse iniziative intraprese dal Parlamento e dal Governo (ricordiamo ad esempio il lavoro della Commissione bicamerale d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti, il documento del ministero per lo Sviluppo economico “Indirizzi strategici per la gestione degli esiti del nucleare” (1999), e le conclusioni del Gruppo di lavoro istituito nell’ambito di un Accordo tra Governo, Regioni e Province autonome per la gestione in sicurezza dei rifiuti radioattivi (2001), non si sono registrati a oggi sostanziali progressi. Tuttavia, la recente ratifica dell’Italia alla Convenzione internazionale congiunta sulla sicurezza di gestione del combustibile irraggiato e sulla sicurezza di gestione dei rifiuti radioattivi, avvenuta nel maggio 2006, impone che vengano predisposti e attuati chiari e precisi programmi strategici per la soluzione del problema. In quest’ottica, un positivo passo in avanti è senz’altro rappresentato dall’impegno assunto dall’Italia, in conseguenza del recente accordo intergovernativo con la Francia (novembre 2006), riguardante il riprocessamento delle 235 t di combustibile irraggiato attualmente in stoccaggio nei siti italiani. In particolare, è previsto di poter disporre di un sito nazionale di stoccaggio entro il 2018. L’INVENTARIO DEI RIFIUTI RADIOATTIVI L’Apat, con lo scopo di contribuire a garantire un’effettiva e corretta gestione degli esiti del nucleare pregresso, ha acquisito un inventario aggiornato, in termini di volumi, masse, stato fisico, attività specifica, contenuto radionuclidico, condizioni di stoccaggio, di tutti i rifiuti radioattivi presenti in Tab.2 Inventario Rifiuti Radioattivi, Sorgenti dismesse e Combustibile Irraggiato per Regione Rifiuti radioattivi Regione Sorgenti Comb.Irragg. Totale Attività Volume Attività Attività Attività GBq m3 GBq TBq TBq Piemonte 4.822.048 4.207 4.334 281.325 286.152 17,70 Lombardia 54.873 3.126 130.366 3.689 3.874 0,24 Emilia-Romagna 2.074 4.326 151 1.320.000 1.320.002 81,66 Lazio 79.615 7.454 310.128 53 443 0,03 Campania 434.168 2.659 434 0,03 Toscana 14.503 350 419.000 0,005 434 0,03 Basilicata 362.507 3.411 37 4.690 5.053 0,31 Molise 39 104 0 0,04 2,E-06 Puglia 238 1.140 1 0,24 1,E-05 Sicilia 0.4 0.2 0,00 0,001 5,E-08 Totali 5.770.066 26.778 864.017 Italia, comprendendo anche il combustibile irraggiato, le sorgenti dismesse e il materiale nucleare. Secondo le recenti stime dell’inventario Apat (dicembre 2006), il totale è di ca. 26.800 m3, di cui: • ca. 7.500 m3 (28,0 %) di origine elettrica (le centrali nucleari Sogin) • ca. 13.050 m3 (48.7 %) dalla ricerca in campo energetico (Centri di ricerca Enea, ora Sogin, comprendendo gli impianti sperimentali del ciclo del combustibile: fabbricazione, riprocessamento ecc.) • ca. 6.240 m3 (23,3%) di origine medica e industriale. In tabella 2 sono riportati i dati di inventario dei rifiuti radioattivi al 31 dicembre 2006 suddivisi per regioni. Ai rifiuti presenti oggi in Italia, si aggiungeranno nel prossimo futuro i rifiuti provenienti dallo smantellamento delle installazioni nucleari che sono stimabili in circa 50.000 m3 di rifiuti prevalentemente di II Categoria. In più occorre considerare i rifiuti condizionati che rientreranno in Italia dall’Inghilterra, derivanti dalle operazioni di riprocessamento del combustibile Enel (le quantità sono stimabili in ca 5.000 m3 di II 1.609.757 Cat., 1.000 m3 di III Cat. cementati e 16 m3 di III Cat. vetrificati), nonché i rifiuti condizionati dal riprocessamento del combustibile che sarà inviato in Francia. Prosegue nel frattempo la produzione di rifiuti di origine non energetica (ospedali, industrie ecc.). La produzione annua è stimabile in un migliaio di metri cubi della Ia Cat., che vengono smaltiti come rifiuti convenzionali dopo alcuni mesi di stoccaggio, e in qualche centinaio di metri cubi della II Cat. che continuano invece ad accumularsi presso i diversi operatori e tenuti in stoccaggio senza un adeguato processo di condizionamento. CONCLUSIONI Anche se la situazione al momento attuale non desta preoccupazioni in termini di sicurezza, (anche perché è costantemente tenuta sotto controllo tramite appositi programmi di vigilanza sui vari impianti), la prospettiva diverrebbe preoccupante se gli sviluppi recentemente registrati non avessero il necessario e adeguato seguito. Quali potrebbero essere i possibili scenari nel caso mancanza di una tempestiva soluzione del problema deposito? Tutti gli Esercenti, grandi e pic- % 1.616.391 coli, diventano direttamente responsabili dell’intera gestione a lungo termine dei rifiuti di loro pertinenza, e questo significa che oltre a provvedere al condizionamento di tutti i rifiuti, devono anche garantire la loro conservazione realizzando in ciascuno dei loro siti adeguate strutture per lo stoccaggio a lungo termine. Inoltre, alcune di tali strutture dovranno accogliere anche i rifiuti di ritorno dall’estero di rispettiva pertinenza. È da considerare infine che la situazione in alcuni siti esistenti rimarrebbe comunque critica in quanto non possiedono certamente le caratteristiche minime richieste per ritenerli idonei a ospitare rifiuti radioattivi a lungo termine. Gli impianti e/o centri di ricerca sono stati individuati a suo tempo con criteri sitologici e di impatto ambientale (ad es. caratteristiche idrogeologiche e antropomorfiche del territorio) per svolgere attività, anche se di rilievo dal punto di vista del rischio radiologico, limitata nel tempo cioè per un periodo di 2030 anni. Mario Dionisi Agenzia per la protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici (Apat) 15 Speciale radioattività ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007 Il trasporto del materiale radioattivo e fissile In Italia il trasporto di materiale radioattivo è prevalentemente legato alla distribuzione di radiofarmaci o traccianti per applicazioni mediche, di prodotti per applicazioni di laboratorio e/o ricerca e alla raccolta dei rifiuti radioattivi generati da tali attività. Con minor frequenza, ma con attività per singolo collo nettamente superiori, si collocano i trasporti di sorgenti per applicazioni industriali, per terapia medica e i trasporti derivanti dal ciclo del combustibile nucleare o dalla dismissione di impianti nucleari. Nell’articolo una sintesi della normativa che regola il settore. 16 Il trasporto di materiale radioattivo e fissili speciali in Italia è sottoposto ai dispositivi della legge 1860/1962 e del Dlgs 230/95, oltre che a una serie di decreti e circolari di carattere specifico per le varie modalità di trasporto che fissano il regime tecnico-autorizzativo (ad es. la Circolare 162/96 del ministero dei Trasporti, per il trasporto su strada). I due atti normativi sopramenzionati, rispettivamente all’art. 5 e all’art. 21, prevedono che il trasporto di materiale radioattivo sia effettuato da un vettore appositamente autorizzato con decreto del ministero delle Attività produttive, sentiti il ministero dei Trasporti, il ministero degli Interni e l’Apat. La figura giuridica del vettore autorizzato è legata alla specifica modalità di trasporto; pertanto si identificano vettori autorizzati per il trasporto stradale, per il trasporto ferroviario, per il trasporto aereo e per quello via mare o acque interne (come nel caso della laguna di Venezia). Il vettore “autorizzato” risponde con piena responsabilità anche dei trasporti effettuati a mezzo di altri vettori “fisici” dei quali abbia la piena disponibilità dei mezzi (personale, mezzi di trasporto e attrezzature). In particolare, esso è responsabile della radioprotezione dei lavoratori e della popolazione oltre a essere sottoposto agli obblighi derivanti dal suo status giuridico, vale a dire: - ottenimento di specifiche autorizzazioni di trasporto (quando ricorra il caso) - invio dei riepiloghi trimestrali dei trasporti all’Apat - adempimenti circa la Security nel trasporto - adempimenti legati al Dpcm 10/02/2006 circa le emergenze durante il trasporto ecc. In Italia, il trasporto di materiale radioattivo, in termini di volume globale di colli, è prevalentemente legato alla distribuzione di radiofarmaci o traccianti per applicazioni mediche (diagnosi/ terapia), di prodotti per applicazioni di laboratorio e/o ricerca e alla raccolta dei rifiuti radioattivi generati da tali attività. Con minor frequenza, ma nella maggior parte dei casi con attività per singolo collo nettamente superiori, si collocano i trasporti di sorgenti per applicazioni industriali (sterilizzazione, gammagrafia, ecc.), i trasporti di sorgenti per terapia medica (radioterapia) e i trasporti di colli derivanti dal ciclo del combustibile nucleare o dalla dismissione di impianti nucleari (decommissioning). Questi ultimi due aspetti avranno nel breve-medio periodo una crescita legata anche all’accordo tra Francia e Italia circa il riprocessamento del combustibile nucleare ancora stoccato in Italia (accordo siglato a Lucca il 24/11/2006). Gli aspetti tecnici del trasporto sono fissati a livello internazionale dai cosiddetti regolamenti modali che traggono origine dalla specifica regolamentazione Iaea già incorporata nel cosiddetto Orange Book dell’Onu. Si identificano pertanto: • l’ADR per il trasporto su strada • il RID per il trasporto su ferrovia • l’ICAO TI/IATA DGR per il trasporto via aerea • l’IMDG code per il trasporto via mare, e • l’ADN per il trasporto via acque interne. Tutti i regolamenti modali menzionati, a esclusione del solo ADN, sono stati recepiti in Italia, così come sono periodicamente recepiti i loro aggiornamenti (generalmente su base biennale). La regolamentazione Iaea, e di conseguenza i regolamenti modali, fissano in particolare i requisiti per gli imballaggi e i colli in termini di: - prestazioni di contenimento e confinamento dei materiali radioattivi - attività contenibile in funzione dello specifico radionuclide e del suo stato fisico - limiti di livello di dose e contaminazione superficiale - requisiti per l’etichettatura/ marcatura per raggiungere, insieme agli altri dispositivi regolamentati, un livello accettabile di rischio tenuto conto dei fattori economici e sociali associati. La regolamentazione identifica nel rischio radiologico, nel rischio da criticità e in quello termico, i rischi verso i quali tutelare le persone, i beni e l’ambiente. - colli esenti - colli di tipo industriale - colli di tipo A - colli di tipo B(U) e B(M) - colli di tipo C. Le tipologie di colli sopraelencate sono presentate in funzione della loro capacità di sopportare, oltre che le condizioni regolari o normali di trasporto, anche condizioni anomale o incidentali che possano coinvolgerli. È importante sottolineare che la regolamentazione Iaea ha nella Garanzia della Qualità (in capo allo speditore, al vettore, al costruttore dell’imballaggio ecc.) e nella Garanzia della Conformità (in capo all’Autorità competente) i capisaldo del rispetto delle prescrizioni atte a perseguire l’accettabile livello di rischio. Roberto Vespa MIT Nucleare Nella regolamentazione sono definite le seguenti tipologie di colli: Il trasporto stradale eccezionale di un cask per combustibile nucleare irraggiato ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007 Trasportare in sicurezza il combustibile irraggiato, il ruolo delle Agenzie regionali per l’ambiente Il combustibile irraggiato estratto dalle piscine di stoccaggio degli impianti nucleari in fase di smantellamento è destinato attualmente al riprocessamento in un impianto all’estero. Il trasporto deve essere effettuato nel rispetto della normativa. Le attività delle Agenzie regionali per l’ambiente sono determinanti sia per la valutazione dell’eventuale impatto prodotto, sia in un’ottica di prevenzione sanitaria e ambientale. L’esperienza di Arpa Piemonte. ATTIVITÀ SVOLTE DA ARPA PIEMONTE In Piemonte, dal 2003 al 2007, hanno avuto luogo due campagne di trasporto: tredici trasporti dal Deposito Avogadro di Saluggia (VC) all’impianto di ritrattamento di Sellafield (GB) e dieci trasporti dall’impianto EurexSOGIN di Saluggia (VC) al Deposito Avogadro di Saluggia (VC). Nel corso di entrambe le campagne il coinvolgimento di Arpa Piemonte è stato particolarmente oneroso. Le attività svolte sono di seguito sintetizzate. Controlli radiometrici in qualità di Ente terzo L’Ente terzo è un organismo super partes che ha il compito di certificare il rispetto dei limiti fissati dalla Iaea per il trasporto di materie radioattive. In com- pleta autonomia decisionale sulla tipologia e sui modi su contenitori e veicoli di trasporto sono stati eseguiti: - controlli di contaminazione trasferibile alfa e beta-gamma - misure del rateo di dose gamma e neutronica. Queste misure, specificamente richieste nel caso di invio del combustibile a un impianto di riprocessamento estero, non sono strettamente riconducibili ai compiti istituzionali delle Agenzie regionali per l’ambiente e sono perciò state effettuate nell’ambito di uno specifico progetto. L’attività si è dimostrata di grande valenza poiché ha consentito di effettuare valutazioni di radioprotezione prima dell’avvio di ogni singolo trasporto, offrendo maggiori garanzie per l’ambiente e per la popolazione. Monitoraggio radiologico ambientale Al fine di valutare correttamente l'impatto potenzialmente prodotto dalle operazioni di trasferimento del combustibile nucleare irraggiato sull'ambiente e sulla popolazione è stato messo a punto un piano di monitoraggio straordinario. Esso è stato perfezionato tenendo specificamente conto del percorso seguito dai casks e dei luoghi di movimentazione degli stessi, prevedendo: - misure di spettrometria γ e di attività α e β‚ totale sui filtri di prelievo del particolato atmosferico - misure di spettrometria γ sui campioni di suolo ed erba - misure di dose ambientale gamma H*(10) con dosimetri a TLD. Supporto tecnico alla Prefettura di Vercelli Prima dell’avvio delle operazioni di trasporto è stata avviata una ARCHIVIO SOGIN L’avvio delle operazioni di decommissioning degli impianti nucleari impone lo svuotamento delle piscine di stoccaggio del combustibile irraggiato. Il combustibile estratto è destinato allo stoccaggio a secco – temporaneo in situ o definitivo in un idoneo deposito nazionale – o al riprocessamento presso un impianto estero. In Italia la strategia in atto prevede attualmente l’invio al riprocessamento. Il trasporto del combustibile nucleare irraggiato viene effettuato utilizzando appositi contenitori, casks o flasks, nel rispetto della normativa nazionale e internazionale vigente. L’insieme delle operazioni di trasferimento può produrre rischi per l’ambiente e per la popolazione, pertanto il ruolo delle Agenzie regionali per l’ambiente è determinante non solo per la valutazione dell’eventuale impatto radiologico prodotto, ma soprattutto in un’ottica di prevenzione. 17 fitta collaborazione con la Prefettura di Vercelli per la predisposizione del piano di emergenza. Durante l’esecuzione di ogni singolo trasporto il personale Arpa ha partecipato alla gestione attiva del piano di emergenza, garantendo turni di reperibilità aggiuntivi e la presenza di personale durante le operazioni di movimentazione e di trasporto. Informazione alla popolazione Già nelle fasi di preparazione dei trasporti la popolazione locale interessata ha manifestato la necessità di essere informata sui rischi connessi alle operazioni. Sul sito web di Arpa Piemonte è stata pertanto allestita una sezione, aggiornata dopo ogni singolo trasporto, con i risultati delle misure eseguite. CONCLUSIONI La duplice attività di controllo effettuata – come Ente terzo direttamente sui contenitori e sui veicoli di trasporto e istituzionale sull’ambiente – ha fornito la possibilità di effettuare una valutazione integrata dell’impatto radiologico prodotto – risultato in entrambi i casi non rilevante – consentendo di dare corrette informazioni sia alla popolazione interessata, sia agli operatori coinvolti indirettamente e perciò non classificati, quali rappresentanti delle forze dell’ordine e personale ferroviario. Anche il costante aggiornamento del sito web dell’Agenzia si è rivelato un utile strumento per fornire informazioni alla popolazione. Si può pertanto concludere che l’esperienza maturata da Arpa Piemonte ha evidenziato che le strategie di controllo adottate sono adeguate e utilizzabili, in via generale, dalle Agenzie regionali coinvolte. Laura Porzio Arpa Piemonte Speciale radioattività ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007 Sorgenti orfane in Italia, sotto controllo l’importazione di rottami metallici Il ritrovamento casuale di sorgenti radioattive abbandonate – le cosiddette “sorgenti orfane” – può comportare un’esposizione significativa alle radiazioni con effetti anche non trascurabili. Tra i casi accertati l’importazione di rottami metallici, all’interno dei quali, per errore o illecitamente, vengono smaltite sorgenti radioattive. La normativa europea e nazionale stabilisce specifiche modalità di controllo, di intervento in casi sospetti, di emergenza e di soccorso. Il ruolo e le funzioni del sistema Apat/Arpa/Appa. 18 Le autorità competenti e gli organismi di controllo nazionali preposti si sono trovate più di una volta a far fronte a situazioni nelle quali sorgenti sigillate utilizzate in passato, ad esempio, non sono state gestite in maniera adeguata e non sono sotto controllo, o a eventi di ritrovamento di sorgenti abbandonate. Tali sorgenti, cosiddette orfane, potrebbero essere rinvenute da persone ignare dei rischi radiologici a esse associati dato che l’esposizione alle radiazioni emesse potrebbe comportare, in alcuni casi, effetti anche non trascurabili. Nell’ambito della stessa problematica si inserisce l’importazione di rottami metallici, destinati alla fusione, all’interno dei quali, per errore o illecitamente, vengono smaltite sorgenti radioattive. È noto che l’Italia è grande importatore di tali materiali. È opportuno ricordare che pur se quegli eventi di fusione di sorgenti radioattive accidentalmente presenti nei rottami metallici non hanno fortunatamente avuto impatti radiologici significativi, le conseguenze economiche e sociali sono risultate, in taluni casi, di consistente rilievo. Il problema delle sorgenti orfane è stato oggetto di esame anche nell’Unione europea e ha prodotto l’emanazione di una specifica direttiva, la 2003/122/Euratom sul controllo delle sorgenti sigillate ad alta attività e sulle sorgenti orfane. Tale direttiva è stata attuata nell’ordinamento italiano con il Dlgs 52/2007, entrato in vigore il 9 maggio 2007, integrando le disposizioni recate dal Dlgs 230/1995, e successive modifiche. Quest’ultimo decreto contiene già da tempo specifiche disposi- zioni destinate a regolamentare quelle situazioni connesse con il ritrovamento di sorgenti orfane. Oltre alle norme stabilite nell’articolo 25 – che fissa specifici obblighi di comunicazione di smarrimento, perdita e ritrovamento di materie radioattive o di apparecchi che le contengano – di particolare rilievo assumono quelle disposizioni dell’articolo 100 ove si stabiliscono specifici obblighi in capo a tutti i soggetti che svolgono attività, ancorché non soggette alle disposizioni del Dlgs 230/1995, nell’esercizio delle quali si verifichino situazioni accidentali con materie radioattive. È il caso ad esempio di chi commercia o trasporta rottami metallici. Vanno inoltre ricordate le disposizioni stabilite nell’articolo 157, che prevede l’obbligo, per i soggetti che esercitano operazioni di fusione o di raccolta o di deposito di materiali metallici di risulta, di effettuare la sorveglianza radiometrica dei predetti materiali, in modo da rivelare la presenza di eventuali sorgenti radioattive al loro interno. Va peraltro osservato che l’efficacia di tale norma è attenuata dalla mancanza del previsto decreto di attuazione. In ogni caso molte acciaierie hanno volontariamente adottato sistemi di sorveglianza come buona norma di auto tutela. Con l’emanazione del Dlgs n. 52/2007, particolare rilevanza assumono quelle specifiche disposizioni che regolamentano i casi di rinvenimento o sospetto rinvenimento di sorgenti orfane. Vanno particolarmente citate le norme contenute nell'articolo 14, che disciplinano gli interventi di messa in sicurezza della sorgente mediante la predisposizione di appositi piani di intervento tipo da parte del Prefetto che si avvale, dei Vigili del fuoco (ai quali sono inoltre assegnati i primi interventi di soccorso tecnico urgente), delle Agenzie regionali per la protezione dell'ambiente, degli organi del servizio sanitario nazionale e, per i profili di competenza, delle Dire- zioni provinciali del lavoro. Inoltre, sempre nell’articolo 14, è previsto il potere da parte dell’autorità locale di respingere i carichi di rottami metallici, o parte di essi, nei quali siano state collocate sorgenti orfane, rinviandoli al responsabile estero dell’invio. Il decreto legislativo prevede inoltre la predisposizione di una campagna, condotta da Enea e Arpa/Appa, per l’individuazione e il successivo recupero di sorgenti orfane tramandate da passate attività. Da segnalare infine, tra le altre disposizioni stabilite dal Dlgs 52/2007, la possibilità prevista, quale provvedimento per favorire l’emersione di eventuali casi di detenzione di sorgenti non autorizzate e quindi fuori dal controllo istituzionale, di dichiarare, entro il 5 novembre 2007, tale detenzione, senza incorrere nelle sanzioni previste dalla legge. Luciano Agenzia per la protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici (Apat) ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007 Le reti di allarme radiologico in Italia Sul territorio italiano operano diversi sistemi di rilevamento progettati con finalità di pronto-allarme, nel caso di arrivo di una nube radioattiva da oltre frontiera. Le reti automatiche di monitoraggio dell’Apat generano la segnalazione di allarme e forniscono informazioni circa l’evoluzione della nube e i reali livelli della contaminazione radioattiva. La rete di monitoraggio del ministero dell’Interno, con le sue oltre 1200 stazioni di telemisura, consente il controllo capillare sul territorio nazionale del rateo di dose gamma in aria. Esistono, inoltre, alcune reti regionali che concorrono al sistema nazionale di pronto allarme radiologico. L’insegnamento derivante dagli eventi che seguirono l’incidente alla centrale nucleare di Chernobyl, ha costituito la base delle attuali organizzazioni di emergenza e delle necessarie infrastrutture che governi e organismi internazionali, hanno realizzato per fronteggiare al meglio le conseguenze che incidenti di tale portata provocherebbero anche al di fuori dei confini nazionali. La catastrofe del 1986 alla centrale di Chernobyl in Ucraina, infatti, mise in evidenza il potenziale impatto internazionale di un incidente nucleare e la necessità di disporre di adeguati strumenti, organizzativi e tecnici, a garanzia di una efficace risposta d’emergenza. Furono, così, realizzati sistemi per la tempestiva diffusione alla Comunità internazionale delle informazioni relative a un incidente nucleare, i sistemi di “pronta-notifica” e a integrazione di questi, molti paesi si dotarono di reti di monitoraggio, le reti di allarme, in grado di segnalare la presenza nell’ambiente di livelli anomali di radioattività, in modo continuo e con adeguata copertura territoriale. Attualmente, la situazione italiana vede il concorso di diversi sistemi di rilevamento progettati con finalità di prontoallarme e nel seguito si fornisce una breve panoramica delle reti oggi operative sul territorio nazionale. Le reti automatiche di monitoraggio radiologico dell’Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici (Apat) costituiscono una delle componenti funzionali del sistema integrato di supporto alla gestione delle emergenze che l’Agenzia ha realizzato ai fini dei compiti istituzionali a essa assegnati nel campo delle emergenze nucleari (Dlgs 230/1995 e s.m.). Le reti sono state progettate per la generazione della segnalazione di pronto-allarme all’arrivo, sul territorio nazionale, della nube radioattiva rilasciata nel corso di un eventuale incidente a carico di un impianto nucleare tra quelli che operano oltre frontiera. Le reti, denominate rete REMRAD E rete GAMMA, forniscono, inoltre, informazioni circa l’evoluzione della nube e i reali livelli della conseguente contaminazione radioattiva. A esse è affidato, infine, il compito di confermare le informazioni prodotte dai sistemi internazionali di pronta notifica, per i quali l’Apat opera quale Punto di contatto nazionale. Le due reti svolgono funzioni complementari tra loro. La rete REMRAD è in grado di rivelare livelli anche bassi di radioattività presente nel particolato atmosferico e la rete GAMMA consente la misura dell’intensità di dose gamma prodotta sia dalla radioattività aerosospesa che da quella depositata al suolo. Entrambi i centri di controllo delle reti sono operativi presso il Centro Emergenze dell’Apat. La rete REMRAD è composta da 7 stazioni automatiche, 5 delle quali ospitate all’interno di siti dell’Aeronautica militare di particolare importanza meteorologica, scelti in modo tale da coprire le più probabili vie di accesso nel paese di un’eventuale nube radioattiva proveniente dalle centrali nucleari europee. La rete analizza il particolato atmosferico raccolto su filtro, fornendo la misura della concentrazione in aria della radioattività alfa e beta, sia per la componente naturale che per quella artificiale. Sono effettuate, inoltre, analisi automatiche di spettrometria gamma ad alta risoluzione per l’individuazione dei radionuclidi gamma-emettitori. Completano l’allestimento delle stazioni, i sistemi di misura del rateo di dose gamma ambiente e dei principali parametri meteorologici. La rete GAMMA è costituita da 64 centraline di monitoraggio dell’intensità di dose gamma in aria, distribuite sull’intero territorio nazionale e per la maggior parte ospitate in siti del Corpo forestale dello Stato o presso sedi delle Arpa/Appa. La rete partecipa al sistema Eurdep, la piattaforma di scambio dei dati dell’Unione europea, realizzata ai sensi della Decisione del Consiglio dell’Unione europea 87/600/Euratom, alla quale i paesi partecipanti, devono inviare, in tempo reale, i dati di misura nel corso di una emergenza nucleare. La rete nazionale di monitoraggio del ministero dell’Interno- Dipartimento dei Vigili del fuoco, concorre autonomamente al sistema nazionale delle reti, come disposto dall’art 104 del Dlgs 230/95 e s.m. Istituita negli anni 60, in piena Guerra fredda, con scopi di difesa civile, nella sua prima versione operava come rete di osservazione, rilevamento e allarme del fall-out conseguente l’esplosione sul territorio italiano di un ordigno nucleare. Era costituita da oltre 1600 punti di rilevamento manuale finalizzato a fornire alle autorità militari le informazioni necessarie per la costruzione delle curve di ricaduta radioattiva nelle fasi successive all’attacco nucleare. Oggi la rete ha subito una profonda trasformazione e nella sua configurazione attuale opera in modalità automatica per monitorare l’intero territorio nazionale in tempo reale ed è in grado di effettuare previsioni e calcoli d’interesse civile e militare. La rete è composta da 1237 stazioni di telemisura del rateo di dose gamma in aria e la sua gestione è realizzata per mezzo dei 16 centri regionali di raccolta ed elaborazione delle misure e di un centro nazionale di controllo. Si deve evidenziare, infine, che anche a livello regionale sono state realizzate o sono in fase di progettazione alcune reti di monitoraggio con caratteristiche operative che consentono, tuttavia, un loro efficace concorso al sistema nazionale di pronto allarme radiologico. Un esempio su tutti è rappresentato dalla Rete di allerta nucleare dell’Arpa Piemonte. La rete, costituita da 29 centraline di misura dell’equivalente di dose ambientale H*(10), garantisce la copertura uniforme del territorio regionale e il monitoraggio dei principali centri urbani. I dati rilevati confluiscono, in tempo reale, al Centro funzionale dell’Arpa Piemonte, dove vengono visualizzati, elaborati, archiviati e gestiti ai fini della valutazione delle emergenze. Nel contesto nazionale, la rete rappresenta un presidio di confine per quanto riguarda il rischio potenziale costituito dagli impianti nucleari francesi. Il monitoraggio radiologico ambientale ai fini del prontoallarme, rappresenta una funzione operativa chiave prevista dal Piano nazionale delle misure protettive contro le emergenze nucleari e radiologiche della Presidenza del Consiglio dei ministriDipartimento della protezione civile. In tale ambito l’insieme delle reti descritte costituisce oggi un patrimonio ormai acquisito del sistema integrato nazionale di supporto alla gestione delle emergenze radiologiche. Paolo Zeppa Agenzia per la protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici (Apat) 19 Speciale radioattività ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007 Le reti per la sorveglianza in Italia La rete nazionale di sorveglianza della radioattività ambientale, la rete nazionale di rilevamento della ricaduta radioattiva, le reti di allarme, le reti regionali e le reti di sorveglianza locale degli impianti nucleari, la rete di rilevazione presso i valichi di frontiera costituiscono il sistema di monitoraggio in grado di rilevare anomalie nei livelli di contaminazione radioattiva sul territorio nazionale. Il sistema può ritenersi adeguato in relazione all’attuale situazione dell’industria nucleare nazionale e alle esigenze di protezione della popolazione in caso di incidenti rilevanti di natura transfrontaliera. Per quanto riguarda il numero dei controlli, permangono delle situazioni di non omogenea copertura del territorio nazionale. 20 La sorveglianza della radioattività ambientale trae giustificazione dall’esigenza di protezione della popolazione dalle esposizioni a radiazioni ionizzanti a seguito della presenza di isotopi radioattivi nelle matrici ambientali (aria, acqua, suolo ecc.) e negli alimenti derivante dalle attività industriali nucleari o da incidenti a impianti nucleari. L’esperienza acquisita a seguito dell’incidente di Chernobyl, inoltre, ha evidenziato la necessità di un sistema di allarme in grado di rilevare prontamente anomali livelli di contaminazione radioattiva, di identificarne la diffusione sul territorio e di valutare la dose al pubblico. Negli ultimi anni, infine, il progresso tecnologico e scientifico ha reso evidente che anche particolari attività non nucleari, che fanno uso di materie naturali contenenti radionuclidi e particolari situazioni di esposizione alla radioattività naturale (radon), possono essere responsabili di un aumento della esposizione alle radiazioni ionizzanti dei lavoratori e della popolazione non trascurabile. I CONTROLLI, QUADRO NORMATIVO I principi fondamentali che regolano il controllo e lo scambio di informazioni in materia di radioattività nell’ambiente, traggono origine dal trattato istitutivo della Comunità europea dell’energia atomica del 25 marzo 19571 - Trattato Euratom (articoli 35 e 36). Essi stabiliscono l’impegno di ciascuno stato membro a svolgere in maniera permanente i controlli sulla radioattività ambientale e a trasmettere i risultati alla Commissione europea su base periodica. Tali principi sono stati recepiti http://www.apat.gov.it/site/it-IT/Temi/Radioattivita_e_radiazioni/ nella legislazione italiana prima con il Dpr 185/1964, e più recentemente con il Dlgs 230/19952 e successive modifiche e integrazioni. Il decreto disciplina le attività che possono comportare un’esposizione dei lavoratori o della popolazione alle radiazioni ionizzanti. In particolare negli articoli 54 e 104, sono individuate le reti di monitoraggio quale strumento principale per la sorveglianza e il controllo della radioattività ambientale. Completano il quadro normativo: - la circolare n. 2 del 3 febbraio 1987 del ministero della Salute3 sulle modalità per la realizzazione del controllo della radioattività ambientale a livello regionale - il Dlgs 31/20014 in attuazione della direttiva 98/83 CE sulla qualità delle acque destinate al consumo umano - la raccomandazione Euratom 2000/4735, sui criteri generali per la realizzazione della struttura della rete di monitoraggio della radioattività ambientale - la raccomandazione 274/CE del 14 aprile 20036, sull’esposizione al cesio 137 in taluni prodotti di raccolta spontanei a seguito dell’incidente di Chernobyl. Non sono citati in questo articolo i dispositivi normativi che riguardano il monitoraggio per il rilevamento di eventi incidentali rilevanti in quanto citati nell’articolo sulle reti di allarme. Discorso a parte merita la problematica dell’esposizione dei lavoratori, ma anche della popolazione, a sorgenti naturali di radiazioni. Si tratta delle esposizione al radon7 e ai materiali contenenti elementi radioattivi di origine naturale, i cosiddetti NORM. Tale materia è considerata nel Dlgs 241/2000 che modifica il Dlgs 230/95. Fino a ora questa nuova problematica non è stata considerata nel sistema dei controlli e pertanto, al momento, ne rimane esclusa. Sono invece in corso numerose attività di censimento e di studio a livello nazionale e regionale per comprendere meglio l’impatto sui lavoratori e sulla popolazione e su come gestire gli eventuali interventi preventivi, correttivi o di risanamento. I soggetti ai quali la normativa affida compiti e responsabilità sono: - il ministero per l’ Ambiente e per la tutela del territorio e del mare, il ministero della Salute per la sorveglianza ambientale e degli alimenti, - il ministero dell’Interno con un’autonoma rete di allarme - le regioni e le province autonome per la gestione di reti regionali per le quali si avvalgono delle rispettive agenzie per la protezione dell’ambiente - gli esercenti degli impianti nucleari per la gestione delle reti locali. All’Apat sono affidate responsabilità di coordinamento della sor- ARCHIVIO ARPA SEZ. DI PIACENZA ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007 Pc collegato con stazione di monitoraggio dell'aria in continuo (gamma, I-131, alfa-beta) veglianza ambientale a livello nazionale e di controllo degli impianti nucleari a livello locale. RADIOATTIVITÀ AMBIENTALE, IL SISTEMA DI SORVEGLIANZA Per dare risposta alle esigenze di protezione della popolazione sulla sorveglianza della radioattività ambientale, nel rispetto dei dispositivi normativi e tenuto conto delle raccomandazioni della Commissione europea, uno degli strumenti messi in atto è costituito dal sistema delle reti di monitoraggio. Il complesso dei controlli è, dunque, organizzato in reti che si articolano in diversi livelli: nazionale, regionale e locale (intorno alle installazioni). Le prime due sono orientate verso la valutazione della esposizione della popolazione, le ultime sono orientate al controllo dello specifico sito industriale. In particolare attualmente sono operanti le seguenti reti di monitoraggio: 1) Rete di sorveglianza nazionale della radioattività ambientale (Resorad) La rete è costituita dalle 21 agenzie per la protezione dell’ambiente delle regioni e delle province autonome e da enti e istituti che storicamente producono dati utili al monitoraggio. Sono analizzate tutte le matrici ambientali e misurate le attività dei principali radionuclidi di interesse ambientale e alimentare. All’Apat sono affidate le funzioni di coordinamento tecnico sulla base delle direttive in materia, emanate dal ministero della Salute e dal ministero per l’Ambiente e per la tutela del ter- ritorio, nonché le attività di reporting, verso la popolazione e la Commissione europea. Questa rete è anche chiamata, in situazioni di emergenza, a fornire i dati radiometrici territoriali al Centro di elaborazione valutazione dati (Cevad). 2) Rete nazionale di rilevamento della ricaduta radioattiva del ministero dell’Interno. Questa rete è gestita dal Dipartimento dei Vigili del Fuoco e svolge la funzione di difesa civile. Nella sua configurazione attuale la rete è progettata per monitorare l’intero territorio nazionale in tempo reale e consiste in 1237 stazioni di telemisura della dose gamma assorbita in aria e 1 stazione di misura del particolato atmosferico. 3) Reti di allarme dell’Apat (Remirad e Rete Gamma): si veda altro articolo specifico sulle reti di allarme. 4) Reti regionali. Tutte le Regioni e le Province autonome gestiscono autonomamente proprie reti di monitoraggio. La maggior parte dei dati prodotti da queste reti confluisce nella rete Resorad, ma sono seguite anche altre attività di sorveglianza sul territorio, come approfondimenti nell’intorno dei siti nucleari o il controllo sui prodotti di importazione o ancora sugli impianti di fusione di rottami metallici. 5) Reti di sorveglianza locale della radioattività ambientale degli impianti nucleari. Si tratta di reti che hanno lo scopo di controllare la radioattività ambientale nell’intorno degli impianti nucleari. Sono progettate in funzione della tipologia dell’impianto e dei possibili scenari di incidente. In accordo con quanto definito dalla legislazione, i dati sono inviati all’Apat che svolge, altresì, attività di vigilanza sugli impianti stessi. Tali reti, in analogia con la rete nazionale, concorrono alla produzione dell’insieme di dati che vengono trasmessi al Cevad nel caso di emergenze radiologiche. Deve infine essere citata una rete, installata dal ministero delle Attività produttive, di circa trenta sistemi per la rilevazione della radioattività presso i valichi di frontiera con lo scopo di individuare possibile contaminazione di carichi metallici in ingresso nel nostro paese. LO STATO DELLA SORVEGLIANZA Il monitoraggio della radioattività ambientale in Italia può ritenersi adeguato in relazione all’attuale situazione dell’industria nucleare nazionale e alle esigenze di protezione della popolazione in caso di incidenti rilevanti di natura transfrontaliera. In particolare la maggior parte delle attuali attività dell’industria nucleare riguardano la dismissione degli impianti attualmente esistenti. Per quanto riguarda il numero dei controlli, permangono delle situazioni di non omogenea copertura del territorio nazionale. In genere l’area centro meridionale produce una quantità di dati inferiore a quella programmata in particolare per le misure più complesse dal punto di vista tecnologico. In merito alla radioattività naturale (radon e NORM) la normativa attualmente in vigore, limitatamente alle attività lavorative, affida specifiche responsabilità agli esercenti di tali attività, che devono garantire adeguati livelli di protezione dei lavoratori e della popolazione, ma non è previsto un piano di monitoraggio. Infine, relativamente all’esposizione al radon della popolazione nelle abitazioni, si ricorda che, in assenza di incidenti, tale fonte rappresenta il maggiore contributo all’esposizione a radiazioni ionizzanti della popolazione. Le indagini effettuate nel corso degli anni 1980-1990 hanno con- sentito di conoscere la situazione italiana. Da allora molte agenzie regionali e delle province autonome hanno effettuato e stanno effettuando indagini locali che consentiranno una migliore conoscenza del fenomeno e della sua distribuzione territoriale. Giancarlo Torri Agenzia per la protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici (Apat) NOTE 1 Legge 1203/1957 Ratifica ed esecuzione dei seguenti Accordi internazionali, firmati a Roma il 25 marzo 1957: a) Trattato che istituisce la Comunità europea dell'energia atomica e atti allegati (Trattato del 25 marzo 1957); b) Trattato che istituisce la Comunità economica europea e atti allegati (Trattato del 25 marzo 1957); c) Convenzione relativa ad alcune istituzioni comuni alle Comunità europee. Pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 317 del 23/12/1957, supplemento ordinario 2 Dlgs 230/1995 Attuazione delle direttive Euratom 80/386, 84/467, 84/466, 89/618, 90/641 e 92/3 in materia di radiazioni ionizzanti. Pubblicato su GU, SO n° 136 del 13/06/1995 3 Circolare n. 2 del 3 febbraio 1987 del ministero della Salute Direttive agli organi regionali per l’esecuzione di controlli sulla radioattività ambientale 4 Dlgs 31/2001 Attuazione della direttiva 98/83 CE relativa alla qualità delle acque destinate al consumo umano 5 Raccomandazione 2000/473/Euratom dell’8 giugno 2000 sull'applicazione dell'articolo 36 del trattato Euratom riguardante il controllo del grado di radioattività ambientale allo scopo di determinare l'esposizione dell'insieme della popolazione. GU L 191 del 27.7.2000 6 Raccomandazione 2003/274/CE della Commissione, del 14 aprile 2003, sulla protezione e l'informazione del pubblico per quanto riguarda l'esposizione risultante dalla continua contaminazione radioattiva da cesio di taluni prodotti di raccolta spontanei a seguito dell'incidente verificatosi nella centrale nucleare di Chernobyl. GU L 99 del 17.4.2003 7 Raccomandazione della Commissione 90/143/Euratom, del 21 febbraio 1990, sulla tutela della popolazione contro l'esposizione al radon in ambienti chiusi, gazzetta ufficiale n. L 080 del 27/03/1990. 21 Speciale radioattività ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007 Emergenze nucleari, la pianificazione nazionale e locale degli interventi Una risposta efficace a uno stato di emergenza nucleare o radiologica, qualunque sia la sua origine e la sua estensione, richiede l’assolvimento di numerose e articolate funzioni operative. La pianificazione degli interventi si inserisce organicamente tra tutte le attività di protezione civile finalizzate a limitare le conseguenze di un evento incidentale. Dall’esperienza maturata nella gestione a breve e a lungo termine degli incidenti nucleari più gravi – Windscale (UK, 1957), Kyshtyn (Urss, 1957), Three Mile Island (Usa, 1979) e Chernòbyl (Urss, 1986) – deriva l’attuale inquadramento delle emergenze per quanto riguarda le modalità di previsione e l’assetto pianificatorio. La situazione in Italia. 22 Il decreto legislativo 17 marzo 1995 n. 230 di recepimento delle direttive Euratom[1] definisce l’emergenza come “una situazione che richiede azioni urgenti per proteggere lavoratori, individui della popolazione ovvero l’intera popolazione o parte di essa”. È del tutto evidente quindi che la risposta efficace a uno stato di emergenza nucleare o radiologica, qualunque sia la sua origine e la sua estensione, richiede l’assolvimento di numerose e articolate funzioni operative. In questo contesto la necessità di preparazione all’emergenza, in condizioni di operatività ottimale, è resa reale dall’esistenza di una capillare pianificazione, modulata sulle reali e accertate sorgenti di rischio o definita in termini generali su scenari ipotetici in modo da rendere possibile affrontare anche emergenze non programmabili su porzioni estese del territorio nazionale. D’altronde anche la stessa legge quadro in materia di protezione civile (legge 24 febbraio 1992 n. 225 e successive modifiche e integrazioni) aveva già introdotto il concetto delle attività di previsione e prevenzione come parte integrante delle attività di protezione civile. La pianificazione, quindi, si inserisce organicamente tra tutte le attività finalizzate a preparare una risposta efficace per limitare le conseguenze di un evento incidentale[2]. Si tratta, nel caso specifico, delle emergenze nucleari e radiologiche, della conoscenza in termini quantitativi del rischio connesso (uso, impiego e manipolazione di sostanze radioattive, censimento di tutte le sorgenti di rischio nucleare e individuazione degli scenari incidentali di riferimento) e nelle conseguenti azioni di prevenzione (sistemi di monitoraggio automatico locali o nazionali, azioni di vigilanza e controllo sugli usi industriali o sanitari, informazione al pubblico, formazione degli operatori, esercitazioni). I concetti esposti trovano una loro giustificazione ed esplicazione non solo in termini di ratio tecnica e giuridica, ma si basano anche sulla cronaca e sulla storia degli anni di nucleare civile, a partire cioè dalle conferenze Onu di Ginevra denominate Atoms for Peace degli anni 50, passando per la firma e la ratifica dei trattati di limitazione e bando degli esperimenti nucleari in atmosfera (1962 e 1964), per arrivare agli incidenti nucleari di Windscale (UK, 1957), Kyshtyn (Urss, 1957), Three Mile Island (Usa, 1979) e Chernòbyl (Urss, 1986). È dall’esperienza derivante dalla gestione a breve e lungo termine degli incidenti menzionati (in particolare gli ultimi due), che deriva l’attuale inquadramento teorico e terminologico delle emergenze nucleari, sia per quanto riguarda le modalità di previsione che per quanto concerne l’assetto pianificatorio, con i concetti essenziali di fase dell’emergenza, di provvedimenti cautelativi, di recupero del territorio e di estensione geografica. La normativa di riferimento infatti (il già accennato decreto 230/95) introduce due diversi concetti di pianificazione, quella locale e quella nazionale, proprio sulla base dell’esperienza operativa maturata nel corso delle Incidenti oltre frontiera PIANIFICAZIONE NAZIONALE Conseguenze ipotizzabili a livello nazionale Caduta di satelliti Naviglio a propulsione nucleare Evoluzione a livello nazionale Attività non riconosciute a priori PIANIFICAZIONE PROVINCIALE O INTERPROVINCIALE Conseguenze ipotizzabili prevalentemente a livello locale Centri di ricerca Centrali elettronucleari Trasporto Figura 1 Schema organizzativo per la pianificazione di emergenza nucleare vicende storiche precedenti, pur nella cornice di un quadro scientifico comune a ogni tipologia di incidente coinvolgente sostanze radioattive o nucleari. PRINCIPI DI PIANIFICAZIONE In via prioritaria e ai fini della pianificazione indicata dalla normativa vigente, assume particolare rilevanza, anche alla luce delle considerazioni precedenti, la documentazione tecnica contenente: • l’esposizione analitica delle condizioni ambientali pericolose per la popolazione e per i beni, derivanti dal singolo incidente nucleare ragionevolmente ipotizzabile e della prevedibile localizzazione ed evoluzione nel tempo • la descrizione dei mezzi predisposti per il rilevamento e la misurazione della radioattività nell’ambiente e delle modalità del loro impiego[1] Quanto sopra naturalmente accompagnato dall’indicazione di massima delle condizioni incidentali, le cui conseguenze attese siano circoscrivibili nell’ambito provinciale o interprovinciale e di quelle che possano richiedere misure protettive su un territorio più ampio. Su tali presupposti tecnici – nonché sulla base della conoscenza della distribuzione delle sorgenti di rischio, delle risorse disponibili, della distribuzione e organizzazione delle responsabilità pubbliche e del flusso delle informazioni – è possibile passare alla fase di pianificazione vera e propria. SITUAZIONE ATTUALE In Italia attualmente sono sottoposti a pianificazione per emergenze nucleari e radiologiche tutti gli impianti nucleari previsti dagli articoli 36 e 37 del decreto legislativo 230/95. Sono inoltre ARCHIVIO ARPA SEZ. DI PIACENZA ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007 Misure di spettrometria gamma in campo e misure di dose con camera a ionizzazione Reuter Stoches - Bielorussia 2004 previsti dalla normativa piani di emergenza esterna anche per i porti autorizzati alla sosta di naviglio a propulsione nucleare, mentre ogni prefettura deve preparare un piano provinciale di emergenza per incidenti per il trasporto di materie radioattive. Due decreti specifici [3,4] hanno recentemente coperto la lacuna della pianificazione relativa a queste due categorie, dando indicazioni operative di pianificazione per le prefetture e indirizzando la preparazione dei relativi rapporti tecnici propedeutici ai piani. Tutto questo permetterà di completare il ciclo di pianificazione previsto dalla normativa ed esemplificato nella figura 1. Limiteremo l’esposizione a pochi cenni informativi relativi al contenuto del vigente Piano nazionale delle misure protettive contro le emergenze radiologiche, completato sotto la responsabilità del Dipartimento della Protezione civile nel 1996 e in procinto di essere sottoposto a una revisione. Rimandiamo ad altre pubblicazioni una descrizione più estesa del Piano stesso [5]. Il Piano, pur analizzando e tenendo in considerazione il maggior numero possibile di incidenti nucleari, ha come riferimento uno scenario incidentale in una centrale nucleare ad acqua leggera (LWR) da 1000 MWe, ubicata a circa 150 km dal confine nord-ovest italiano. Lo scenario ipotizzato comprende anche una condizione di diffusione atmosferica particolarmente sfavorevole, con un campo di vento tale da causare la contaminazione radioattiva di vaste aree del territorio nazionale nelle prime 24 ore successive all’incidente. A seguito delle valutazioni dosimetriche effettuate su tale scenario, il Piano prende poi in considerazione le varie azioni e gli eventuali provvedimenti restrittivi, anche alla luce dei valori limiti fissati dai regolamenti dell’Unione europea: - controllo tempestivo delle condizioni diffusive e radiometriche esistenti sul territorio italiano - adozione di provvedimenti specifici (riparo al chiuso, iodoprofilassi, evacuazione) - controllo radiometrico della catena alimentare - intensificazione delle misure effettuate dalle reti di rilevamento della radioattività ambientale (reti automatiche o non automatiche) - provvedimenti restrittivi a carico di derrate alimentari, in base ai livelli massimi ammissibili dell’Unione europea. La parte più propriamente operativa del Piano è riservata all’individuazione delle strutture preposte alla gestione delle emergenze nucleari e radiologiche, articolate in organismi decisionali (Presidenza del Consiglio dei ministri e Comitato operativo della Protezione civile o Prefetti delle province interessate), organismi tecnici (Centro di elaborazione e valutazione dati (Cevad) in modo particolare e le reti di rilevamento della radioattività), strutture operative territoriali (in particolare prefetture, strutture amministrative regionali e vigili del fuoco) e strutture di supporto logistico e informazione al pubblico (Dipartimento della protezione civile). Va infine menzionato, per la sua particolare rilevanza nello scenario incidentale di riferimento, il contesto internazionale del quale il nostro paese è parte integrante: per quanto riguarda gli incidenti in centrali nucleari oltre frontiera la comunicazione di allarme avviene sulla base di apposite Convenzioni internazionali tramite notifica da parte della Iaea (International Atomic Energy Agency) e tramite un sistema automatico di comunicazione di allarme sviluppato dall’Unione europea (sistema ECURIE), sistema quest’ultimo estremamente raffinato e di elevata affidabilità. Entrambi i meccanismi di comunicazione vedono il Dipartimento della protezione civile nel ruolo di Autorità com- petente nazionale e l’Apat nel ruolo di gestore e responsabile del sistema come Punto di contatto. PROSPETTIVE L’attività in corso si articola in due principali filoni strategici: • completamento dell’attività di pianificazione secondo lo schema generale di figura 1. In questa direzione i due decreti presidenziali citati hanno impostato il tema della pianificazione provinciale per il trasporto di radioattivi e fissili oltre al tema della revisione dei piani di emergenza per le aree portuali abilitate alla sosta di naviglio a propulsione nucleare • revisione del Piano nazionale con particolare riferimento allo scenario legato a ipotesi di incidenti transfrontalieri, con nuovi presupposti tecnici elaborati dall’Apat, oltre naturalmente alla fisiologica revisione dovuta a modifiche normative (a livello italiano o Ue) e/o organizzative, legate a mutamenti dei ruoli istituzionali delle strutture pubbliche coinvolte nella gestione di emergenze nucleari. Sergio Mancioppi Presidenza del Consiglio dei ministri, Dipartimento della protezione civile, Roma BIBLIOGRAFIA 1. Decreto legislativo 17 marzo 1995 n. 230, coordinato con le disposizioni dei decreti legislativi 26 maggio 2000 n. 187, 26 maggio 2000 n. 241 e 9 maggio 2001 n. 257. 2. Grazia Giamo, “Linee generali per la pianificazione delle emergenze” – Seminario AIRP Emergenze radiologiche complesse, Roma, 4-5 dicembre 2001. 3. Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, 10 febbraio 2006, “Linee guida per la pianificazione di emergenza per il trasporto di materie radioattive e fissili, in attuazione dell’articolo 125 del decreto legislativo 17 marzo 1995 n. 230 e successive modifiche e integrazioni” 4. Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, 10 febbraio 2006, “Linee guida per la pianificazione di emergenza nelle aree portuali interessate dalla presenza di naviglio a propulsione nucleare, in attuazione dell’articolo 124 del decreto legislativo 17 marzo 1995 n. 230 e successive modifiche e integrazioni”. 5. F. Colcerasa, G. Giamo, A. Parisi, A. Rainaldi, A. Rogani, “Pianificazione nazionale delle emergenze nucleari: presupposti tecnici, operatività e strumenti di attuazione”, Giornata di studio “Stato e prospettive della pianificazione delle emergenze incidentali nucleari alla luce della normativa attuale”, organizzata dalla regione Emilia-Romagna, Bologna, 26 novembre 1999. 23 Speciale radioattività ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007 Monitoraggio e controllo, l’esperienza di Arpa Emilia-Romagna L’Agenzia ambientale dell’Emilia-Romagna è attiva dal maggio 1996 e, anche in materia di radiazioni ionizzanti, ha compiti di natura tecnico-scientifica che riguardano controllo e monitoraggio, supporto alla pianificazione, analisi e ricerca. Alla base delle attività di Arpa in questo campo il modello DPSIR, con particolare riferimento alle cause primarie e ai fattori di pressione. Preziosa l’esperienza maturata dalle strutture territoriali della provincia di Piacenza dove è situata la centrale nucleare di Caorso. ATTUALE ASSETTO NORMATIVO E ISTITUZIONALE 24 Il principale atto normativo inerente la protezione della popolazione, dell’ambiente e dei lavoratori contro i rischi derivanti dalle radiazioni ionizzanti, è costituito dal Dlgs 230/95 e successive modifiche e integrazioni. In particolare è stata in esso recepita, attraverso il Dlgs 241/2000, la direttiva 96/29/Euratom che estende il campo d’applicazione a una serie di attività lavorative e di luoghi di lavoro che possono comportare esposizioni non trascurabili sia della popolazione sia dei lavoratori, a sorgenti naturali. La “lettura” del disposto normativo riserva alle Agenzie regionali un ruolo limitato, infatti l’Arpa è citata esplicitamente solo agli art. 10-quater “Comunicazioni e relazioni tecniche”, art. 22 “Comunicazione preventiva di pratiche”, art. 115-quinquies “Attuazione degli interventi” e art. 154 “Rifiuti con altre caratteristiche di pericolositàRadionuclidi a vita breve”. Ulteriori disposizioni normative in cui si citano le Arpa sono il Dpcm 10 febbraio 2006 Pianificazione di emergenza provinciale per il trasporto di materie radioattive e fissili, all’art. 6 “Attuazione del piano provinciale di emergenza”, nonché il Dlgs 52/2007 “Attuazione della direttiva 2003/122/CE Euratom sul controllo delle sorgenti radioattive sigillate ad alta attività e delle sorgenti orfane”, agli art. 14 “Rinvenimento di sorgenti orfane e interventi” e art. 16 “Campagna di recupero delle sorgenti orfane”. La Regione Emilia-Romagna ha emanato la Lr 1/2006 Norme per la tutela sanitaria della popolazione dai rischi derivanti dall’impiego di sorgenti di radiazioni ionizzanti, per dare attuazione alle norme nazionali che richiedono, a livello regionale: - l’individuazione delle Autorità competenti al rilascio dei nulla osta per le attività comportanti esposizioni a scopo medico e delle autorizzazioni all’allontanamento dei rifiuti prodotti - l’individuazione degli Organismi tecnici di supporto a tali Autorità - la definizione delle procedure per il rilascio dei nulla osta preventivi e delle competenze delle strutture incaricate delle attività di vigilanza e controllo sul corretto uso delle sorgenti di radiazioni. Le Autorità competenti al rilascio dei nulla osta e delle autorizzazioni (Comuni e Prefetture) si avvalgono delle Ausl e di Arpa per le funzioni di supporto tecnico e di vigilanza e controllo. Per l’istruttoria necessaria al rilascio dei pareri i Dipartimenti di sanità pubblica si avvalgono dell’Arpa secondo quanto stabilito dalla Lr 44/95 Riorganizzazione dei controlli ambientali e istituzione dell’Agenzia regionale per la Prevenzione e l’Am- biente Arpa dell’Emilia-Romagna. Negli Organismi tecnici, facenti capo alle Ausl, è prevista la presenza di rappresentanti di Arpa. L’ attività di vigilanza sull’applicazione della legge regionale è assegnata all’Arpa per quanto riguarda la tutela dell’ambiente da inquinamenti radioattivi. Il controllo della radioattività ambientale, la gestione della rete regionale di rilevamento e misura sono affidata all’Arpa. Indicatori presenti nell’Annuario Arpa (Ed. 2006) e nella Relazione Stato Ambiente della Regione Emilia-Romagna (Ed. 2004) DPSIR NOME INDICATORE / INDICE Attività lavorative con uso di materiali contenenti radionuclidi naturali (NORM) DETERMINANTI Strutture autorizzate all’impiego di radioisotopi, ovvero che detengono/impiegano sorgenti/apparecchi Impianti per trattamento dei rottami metallici (raccolta, deposito, fusione) PRESSIONE STATO Associazioni categoria Apat Associazioni categoria Impianti nucleari: attività di radioisotopi rilasciati in aria e in acqua e produzione di rifiuti solidi Sogin Quantità di rifiuti radioattivi detenuti Apat Numero di prestazioni di radiodiagnostica e di medicina nucleare Servizio sanitario regionale Dose gamma assorbita in aria per esposizioni a radiazione cosmica e terrestre Arpa, Apat Concentrazione di attività di radionuclidi artificiali in matrici ambientali e alimentari Arpa Concentrazione di attività di radon indoor Arpa Dose efficace media individuale e collettiva in un anno (radioattività di origine naturale ed antropica) Arpa, Apat Dose efficace media per prestazione di radiodiagnostica e di medicina nucleare Servizio sanitario regionale IMPATTO RISPOSTE FONTE Stato di attuazione del monitoraggio della radioattività ambientale (Rete regionale e Rete locale) Arpa Attività delle Commissioni provinciali Radiazioni Ionizzanti Arpa La Lr 44/95, istitutiva di Arpa Emilia-Romagna, affida all’Agenzia le attività connesse all’uso pacifico dell’energia nucleare e in materia di protezione delle radiazioni (art. 5 lett. m), recitando inoltre che “le Commissioni per la protezione dalle radiazioni ionizzanti… operano presso le Sezioni provinciali dell’Arpa” (art. 24). IL QUADRO CONOSCITIVO È evidente che le molteplici attività affidate all’Agenzia possono essere svolte correttamente solo disponendo degli indicatori ambientali, alla base del modello Determinanti-Pressione-StatoImpatto-Risposte (DPSIR) introdotto dall’Agenzia europea dell’ambiente ed Eurostat, con particolare riferimento alle cause primarie e ai fattori di pressione in materia di radiazioni ionizzanti (installazioni esistenti sul territorio, radionuclidi rilasciati sia artificiali che naturali). A tal proposito Arpa produce l’Annuario regionale dei dati ambientali, nonché collabora all’Annuario nazionale di Apat e alle Relazioni sullo stato dell’ambiente. In tabella un elenco di indicatori ambientali in tema di radiazioni ionizzanti. Rispetto alle sorgenti di radiazioni artificiali, il quadro conoscitivo è abbastanza consolidato: le installazioni intraprendono le rispettive attività a seguito di autorizzazioni rilasciate, è stato sviluppato un sistema di reti di monitoraggio nazionali, gestite dall’Apat, di reti regionali, gestite dalle Regioni/Arpa/Appa, che sono anche snodi territoriali della rete nazionale e di reti locali (all’intorno di siti nucleari), gestite dagli esercenti degli impianti e dalle Arpa. Relativamente alle sorgenti naturali c’è invece parecchio da fare in merito alla conoscenza, e relative esposizioni, delle attività lavorative con NORM e all’esposizione al radon. IL RUOLO DELL’AGENZIA REGIONALE Il ruolo dell’Agenzia in tema di radiazioni ionizzanti legato prioritariamente alle disposizioni normative e all’assetto istituzionale prevede quindi compiti derivanti dalla necessità di avviare, mantenere e/o migliorare la conoscenza delle fonti di pressione e dello stato dell’ambiente, quale fondamento per la predisposizione di valutazioni e di interventi di risanamento. Sono altresì da considerare i compiti derivanti dalle presumibili situazioni di emergenza radiologica/nucleare. In questo contesto si possono pertanto individuare per Arpa le seguenti linee di attività: - garantire la presenza di operatori delle Sezioni territorialmente competenti negli Organismi tecnici di supporto alle Autorità competenti al rilascio dei nulla osta all’impiego di sorgenti di radiazioni, nonché il supporto tecnico per l’istruttoria per il rilascio dei pareri. Attualmente sono operanti le Commissioni provinciali radiazioni ionizzanti istituite presso Arpa - istituire, qualora peraltro richiesto dalla Regione nell’ambito dell’applicazione della Lr 1/2006, l’anagrafe regionale delle sorgenti di radiazioni ionizzanti (strutture sanitarie, industriali e della ricerca che utilizzano sorgenti di radiazioni); un primo archivio regionale è stato realizzato nel 1993 - garantire l’attività di vigilanza per la salvaguardia e la tutela dell’ambiente da inquinamenti radioattivi (scarichi e rifiuti), da parte delle Sezioni territorialmente competenti, con l’eventuale supporto tecnico/strumentale dell’Area di Eccellenza, nonché il supporto alle Ausl territorialmente competenti per le verifiche rivolte alla tutela della salute della popolazione e dei lavoratori; attualmente si svolgono sopralluoghi in fase autorizzativa o, ad esempio, presso i depositi della società Protex - mantenere il sistema delle reti di monitoraggio della radioattività ambientale (Rete regionale e locale attorno all’impianto di Caorso, Reti nazionali), garantendo l’attività di campionamento delle matrici ambientali (Sezioni territorialmente competenti), nonché il supporto alla pianificazione, l’analisi e la valutazione da parte dell’Area di Eccellenza; emerge, in questo contesto, la necessità di una rivisitazione della Rete locale in relazione alla dismissione dell’impianto di Caorso - avviare opportune attività di controllo, in collaborazione con Apat, nell’ambito della dismissione dell'impianto di Caorso; ARCHIVIO ARPA SEZ. DI PIACENZA ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007 Sistema di analisi in spettrometria gamma Apat e Arpa Emilia-Romagna hanno infatti sottoscritto nel luglio 2005 un Protocollo d'intesa - garantire i controlli radiometrici da eseguire in qualità di Ente terzo sui contenitori di trasporto e i vagoni ferroviari durante le operazioni di trasporto del combustibile irraggiato dell’impianto di Caorso; è in corso la stipula di una Convenzione con MIT nucleare - effettuare stime di dose alla popolazione (da radionuclidi artificiali e naturali nell'ambiente e negli alimenti) - svolgere attività di ricerca finalizzata; si rammentano ad es. l'indagine radioecologica nel fiume Po, nel delta e nel litorale adriatico antistante (1982), le ricerche sul trasferimento di cesio e stronzio dai foraggi al latte vaccino e alle carni (1987-1994) - sviluppare sistemi informativi, ad es. la strutturazione di base dati regionali, la rete di trasmissione dati infraregionale e interregionale, la gestione delle pratiche di laboratorio quali il protocollo e la certificazione dei campioni analizzati, da parte dell’Area di Eccellenza, in collaborazione con il Servizio Sistemi informativi; esempi concreti sono il trasferimento automatico dei dati delle analisi di spettrometria gamma in LIMS e la prossima strutturazione di un data base delle misure in automatico delle stazioni di monitoraggio (dose gamma in aria) - garantire la partecipazione ad attività di intercalibrazione e interconfronto (nazionale e internazionale) e la loro promozione in ambito interregionale. Dal 1991 il laboratorio radiometrico partecipa a programmi intercalibrazione - garantire, da parte dell’Area di Eccellenza, l'esecuzione di controlli dosimetrici per i lavoratori esposti alle radiazioni ionizzanti in strutture dell’Agenzia (attualmente per la Sezione di Ravenna) - garantire attività di consulenza e certificazione per i privati; in tale contesto peraltro Arpa opera secondo un sistema di gestione della qualità certificato, disponendo di metodi di prova accreditati da SINAL/ISTISAN - fornire il supporto tecnico alle Autorità competenti (Prefetture), nonché al Centro di elaborazione e valutazione dati (Cevad), struttura tecnica nazionale di riferimento nella gestione delle emergenze radiologiche previste dal Piano nazionale di emergenza, sia nella predisposizione che nella gestione della pianificazione di emergenza per incidenti nucleari e radiologici (Piano di emergenza esterna per la centrale di Caorso, Piano nazionale emergenze radiologiche, Piani provinciali) - fornire il necessario supporto tecnico-scientifico per l’individuazione delle attività lavorative presenti sul territorio regionale che sono potenziali fonti di elevate esposizioni a NORM - supportare la Regione nell’individuazione delle zone a maggiore probabilità di elevate concentrazioni di radon; dal 2001 il Servizio di Sanità pubblica della Regione ha istituito un gruppo di lavoro - effettuare la formazione periodica del personale interno (Area di Eccellenza e Sezioni provinciali) e degli operatori sanitari coinvolti in attività di campionamento e vigilanza - garantire l'informazione agli operatori e alla popolazione, mediante l’organizzazione di specifiche iniziative, la produzione di rapporti periodici sull’attività svolta, l’implementazione e l’aggiornamento del sito internet. Roberto Sogni Arpa Emilia-Romagna 25 Speciale radioattività ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007 Strumenti operativi per la gestione di emergenze radiologiche, l’esperienza della Lombardia Per migliorare l’efficienza di risposta e garantire la rappresentatività e la significatività dei dati raccolti, Arpa Lombardia ha intrapreso e concluso entro il 2003 le azioni necessarie a predisporre il sistema dei controlli da attivare in caso di fallout nucleare. Le procedure da seguire sono descritte in un manuale appositamente redatto con il coinvolgimento di tutte le strutture interessate. Nell’articolo i principali problemi affrontati e le soluzioni individuate. 26 In caso di incidente radiologico che comporti la potenziale contaminazione di vaste aree di territorio – come successe ai tempi dell’incidente alla centrale elettronucleare di Chernobyl – le azioni che le Agenzie regionali per la protezione dell’ambiente devono intraprendere sono pianificate a livello nazionale e descritte in un Manuale operativo predisposto dal Cevad,, il Centro di elaborazione e valutazione dati che opera a supporto della Presidenza del Consiglio dei ministri [1], che individua i tipi di campioni da analizzare e le frequenze di prelievo. Alle Arpa è demandata la raccolta concreta di dati e informazioni, dalla scelta di punti di prelievo rappresentativi all’esecuzione di misure affidabili. Allo scopo di migliorare l’efficienza di risposta e garantire la rappresentatività e la significatività dei dati raccolti, Arpa Lombardia ha intrapreso e concluso entro il 2003 le azioni necessarie a predisporre il sistema dei controlli da attivare in caso di fallout nucleare. Tali attività sono descritte nel Manuale di Arpa Lombardia per la gestione delle emergenze radiologiche su vasta scala [2] [3], che è stato redatto coinvolgendo il più possibile tutte le strutture interessate. I principali problemi affrontati nella stesura e le soluzioni individuate sono descritti brevemente di seguito. I compiti operativi sono stati suddivisi tra le diverse funzioni e/o strutture dell’Agenzia, e sono di seguito sinteticamente descritti: 1. misure in campo, prelievo e pretrattamento campioni 2. analisi radiometriche 3. coordinamento, raccolta e interpretazione dei dati, rapporti con altri enti regionali e nazionali. Per ottenere una fotografia veritiera della contaminazione ambientale causata da un incidente occorre disporre di dati analitici rappresentativi: il primo problema affrontato è stato quello della definizione dei criteri di rappresentatività e della individuazione puntuale dei siti di campionamento, che sono di seguito elencati: - rappresentatività geografica: distribuzione omogenea sul territorio regionale (es.: punti di prelievo del terreno) - rilevanza per popolazione: possibilità di fornire informazioni sull’esposizione di una percentuale significativa di popolazione (es.: verifica della dose da irraggiamento nei maggiori centri abitati) - rilevanza per produzione: controllo dei siti di maggiore produzione di prodotti agricoli, di allevamento o industriali - rilevanza per consumi: controllo dei più importanti siti di smercio (alimenti) - maggiore vulnerabilità rispetto a un evento di fallout radioattivo (es.: acque potabili da prese superficiali presso laghi o fiumi). Sulla base di tali criteri sono stati individuati su tutto il territorio regionale i punti di controllo della dose gamma in aria (15 punti) e i punti di prelievo dell’aria (12 punti, di cui 2 ad alta sensibilità), delle ricadute umide e secche (15 punti), dell’acqua (alcune diecine, con diversa priorità), del foraggio (17 punti) e dei terreni (alcune diecine, con diversa priorità). Per quanto riguarda il controllo degli alimenti – in caso di emergenza il prelievo sarebbe effettuato dalle strutture sanitarie locali, mentre Arpa si farebbe carico della fase analitica – è stata coinvolta la Direzione generale Sanità regionale che ha incluso le indicazioni sulle modalità di controllo delle matrici alimentari nelle proprie Linee Guida [4] e ha attivato le strutture sanitarie locali per l’attuazione delle azioni preliminari previste. Un altro problema affrontato è stato quello dell’ottimizzazione nell’uso delle risorse analitiche, a cui si è fatto fronte; - stabilendo una scala di priorità per le matrici da analizzare nelle diverse fasi dell’emergenza - demandando il più possibile le procedure di pretrattamento dei campioni (normalmente condotte presso i laboratori di analisi) al personale incaricato del prelievo; a questo scopo sono state predisposte procedure semplificate che prevedono un uso di materiali molto limitato - definendo chiaramente le competenze dei tre laboratori di analisi. Il flusso dei dati verso le strutture decisionali e di coordinamento regionali deve essere rapido, e i dati trasmessi devono essere immediatamente utilizzabili per ulteriori valutazioni; il terzo problema affrontato è stato quello dell’omogeneizzazione delle codifiche dei campioni e della definizione di un protocollo unico di trasmissione dati (attualmente in fase di revisione). Il sistema è stato testato attraverso l’esecuzione di esercitazioni pratiche, che hanno coinvolto tutte le funzioni dell’Agenzia. Ad esempio, è stata verificata la procedura di controllo dei terreni e contestualmente è stato rideterminato il punto zero di contaminazione da gamma emettitori, stronzio 90 e isotopi del plutonio. Sono stati messi a punto metodi analitici rapidi per la misura di radionuclidi alfa e beta emettitori nelle acque, facilmente estendibili ad altre matrici liquide, ed è stato misurato il punto zero di contaminazione delle acque potabili. Il Manuale è stato redatto con l’intento di predisporre uno strumento esaustivo, versatile e di immediata applicabilità; è tuttavia migliorabile sia attraverso i suggerimenti e le critiche di tutte le parti coinvolte, sia attraverso l’esecuzione periodica di esercitazioni pratiche che consentano di verificarne la costante applicabilità. Ciò è vero anche per quanto riguarda le modalità di scambio delle informazioni e dei dati, che rappresentano un punto nevralgico e che dovrebbero essere costantemente testate e aggiornate, anche alla luce della continua evoluzione tecnica nel settore delle comunicazioni. Rosella Rusconi Arpa Lombardia [1] Centro di elaborazione e valutazione dati, Manuale operativo (luglio 1990), Rev. 4, Gennaio 1998 [2] Arpa Lombardia, Manuale per la gestione delle emergenze radiologiche su vasta scala, Rev. 1, 30 marzo 2005 [3] R. Rusconi, M.T. Cazzaniga, M. Forte, G. Sgorbati, La predisposizione di uno strumento operativo per la gestione delle emergenze radiologiche su vasta scala Convegno nazionale “Dal monitoraggio degli agenti fisici sul territorio alla valutazione dell’esposizione ambientale”, Torino, 29-31 ottobre 2003 [4] Regione Lombardia, Decreto Direzione Generale Sanità n. 23058 del 21.12.2004, “Linee Guida Regionali sulla previsione e gestione dei rischi conseguenti ad atti terroristici” ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007 L’uranio impoverito e le malattie dei soldati al ritorno da missioni di pace L’uranio impoverito, o DU, è un materiale di scarto del ciclo del combustibile nucleare con contenuto in U 235 pari allo 0.2%. Per la sua lunga vita media, è classificato nella fascia più bassa di rischio fra gli isotopi radioattivi. La piroforicità – prende fuoco per sfregamento – è tra le proprietà che lo hanno reso d’interesse per uso militare, principalmente nella punta di proiettili penetratori incendiari. La sua pericolosità è quella tipica di un materiale radioattivo alfa-emettitore: è nocivo se ingerito o inalato. Sugli effetti sanitari del DU utilizzato negli ordigni si è sviluppato un ampio dibattito. Studi condotti all’Università di Modena su campioni di liquidi organici prelevati da alcuni soldati hanno portato a concludere che probabilmente l’uranio non è il diretto responsabile delle patologie riscontrate, ma è qualcosa di ugualmente pericoloso: le polveri submicroniche create da questo tipo di bombe ad alta tecnologia. tipica di un materiale radioattivo alfa-emettitore: è nocivo se ingerito o inalato. La parte solubile viene eliminata attraverso i reni, mentre quella insolubile si può depositare nei polmoni e da qui passare ai linfonodi del mediastino. Un ampio dibattito si è sviluppato intorno alla pericolosità del DU: alcuni sostengono che le concentrazioni di DU nell’ambiente per uso bellico sono troppo basse e rendono trascurabili gli effetti. Ciò può essere vero per i Balcani. Ma esiste una popolazione, quella irachena, che ha subito un massiccio inquinamento da DU, e che nel territorio ha continuato a vivere senza precauzioni. È possibile effettuare una stima di massima degli effetti dell’esposizione di questa popolazione al DU, ottenendo dati fra i 10000 e i 20000 casi di tumore attesi nei prossimi 70 anni. Anche se questi dati sono gravi, tuttavia, vista la situazione della sanità in Iraq, sarà difficile evidenziare, dal punto di vista epidemiologico, maggiori insorgenze di tumori statisticamente rilevanti dovuti a questa pratica. Ma se il DU è l’untore lo si dovrebbe trovare all’interno dei tessuti patologici, perché solo se è all’interno può estrinsecare la sua debole pericolosità. Studi approfonditi con una nuova tecnica diagnostica sono stati condotti all’Università di Modena su campioni patologici di alcuni soldati e in alcun i casi su loro liquidi corporei. Dopo 57 casi analizzati si è dovuto convenire che forse l’uranio non è il diretto responsabile, 27 ARCHIVIO ARPA SEZ. DI PIACENZA Alla fine della guerra dei Balcani, al ritorno da missioni di pace, alcuni dei nostri soldati hanno cominciato ad avere problemi di salute. Alcuni sono morti; al momento si contano 42 morti e oltre 200 ammalati in forma più o meno grave. Appena l’opinione pubblica si è resa conto del problema ha cercato di capire e di trovare il colpevole. I mass media, avendo scoperto che nei Balcani erano state scaricate bombe all’uranio impoverito, hanno correlato le patologie con la radioattività del materiale, memori di quanto era accaduto a Hiroshima e Nagasaki. Ma cos’è l’uranio impoverito? È un materiale di scarto del ciclo del combustibile nucleare con contenuto in 235U del 0.2%. Il DU, per la sua lunga vita media, è classificato nella fascia più bassa di rischio fra gli isotopi radioattivi. Esistono nel DU alcuni prodotti di decadimento, anch’essi radioattivi (234Th, 234Pa, 231 Th) che portano l’attività specifica a circa 39.5 Bq/mg1. Il DU ha le stesse proprietà dell’uranio naturale: densità 1.7 volte quella del Pb e piroforicità (prende fuoco per sfregamento). Queste proprietà, insieme all’ingente produzione come scoria nucleare, lo hanno reso d’interesse per uso in ambito militare, principalmente nella punta di proiettili penetratori incendiari. Il processo di penetrazione polverizza il DU che esplode in frammenti incandescenti quando colpisce l'aria dall'altra parte della corazza perforata, aumentandone l'effetto distruttivo. La pericolosità del DU è quella Contatore alfa e beta a basso fondo ma vi è qualcosa di ugualmente pericoloso: le polveri submicroniche create da bombe ad alta tecnologia come quelle al DU. Questo tipo di ordigno, quando esplode, raggiunge una temperatura superiore ai 3000°C ciò significa che tutto ciò che si trova in quella combustione (carro armato, fabbriche, palazzi ecc.) viene sublimato, aerosolizzato, per poi ricondensarsi in minuscole goccioline che per la loro ridotta dimensione possono essere respirate e mangiate con cibo cresciuto in zone contaminate. La loro ridotta dimensione, si parla di nanoparticelle (0.5-0.010 micron) le rende capaci di oltrepassare la barriera respiratoria e quella digestiva. Quindi possono arrivare a tutti gli organi interni, essendo veicolate dal sangue. Questo significa che possono raggiungere il cervello e le gonadi contaminando il seme. Nei tessuti analizzati sono state rinvenute proprio particelle molto piccole, con composizione chimica non presente in nessun manuale di materiali in quanto deriva da combustioni casuali. Queste non sono biocompatibili, né biodegradabili e alcune sono chimicamente tossiche. Il nuovo inquinamento “bellico” quindi è l’indiziato n.1. Ulteriori studi all’interno di progetti europei saranno in grado, entro breve tempo, di identificare i meccanismi cellulari che portano alle patologie dei soldati. Antonietta M. Gatti Università di Modena e Reggio Emilia Massimo Zucchetti Politecnico di Torino M.Zucchetti, Caratterizzazione dell’Uranio impoverito e pericolosità per inalazione, Giano, n. 36 (sett-dic. 2000), pp. 33-44. 1 Speciale radioattività ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007 Effetti sull’uomo, l’esposizione alle prestazioni di radiodiagnostica A partire dalla scoperta dei raggi X, le radiazioni ionizzanti sono state impiegate in campo medico in modo sempre crescente, fino a diventare uno strumento essenziale di diagnosi e terapia. Le prestazioni di radiodiagnostica non sono tutte equivalenti in termini di dose efficace: si può dire che a una tomografia dell’addome corrisponde una dose efficace uguale a quella di 500 radiografie del torace e questo valore è equivalente a un’esposizione al fondo naturale di radiazioni della durata di 3 anni. Numerosi gli studi sul rischio di incidenza e/o mortalità per cancro in associazione a prestazioni mediche radiologiche; nell’articolo una sintesi delle evidenze a tutt’oggi. 28 Le radiazioni ionizzanti sono uno degli agenti cancerogeni più studiati e conosciuti. Attualmente il loro impiego in campo medico rappresenta, per la popolazione mondiale, la principale fonte di esposizione a questo rischio indotta dall’attività umana, come conferma anche il più recente rapporto Unscear pubblicato nell’anno 2000(1). Infatti a partire dalla scoperta dei raggi X, le radiazioni ionizzanti sono state impiegate in campo medico in modo sempre crescente, fino a diventare uno strumento essenziale di diagnosi e terapia. Tuttavia le prestazioni di radiodiagnostica non sono tutte equivalenti in termini di dose efficace1, ma questo indicatore può assumere valori che variano da pochi µS – come nel caso delle più semplici radiografie dentarie – fino a qualche decina di mSv per gli esami di tomografia computerizzata (TC) del torace o dell’addome(2). In particolare si può dire a scopo esemplificativo che a una TC dell’addome corrisponde una dose efficace uguale a quella di 500 radiografie del torace e questo valore di dose è equivalente a un’esposizione al fondo naturale di radiazioni della durata di 3 anni(3). Parecchi articoli pubblicati negli ultimi anni presentano stime del rischio di incidenza e/o mortalità per cancro in associazione a prestazioni mediche con impiego di radiazioni ionizzanti (4,5,6,7). Questi lavori basano le loro stime di rischio prevalentemente su modelli elaborati dagli studi epidemiologici sui sopravvissuti ai bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki. Il più importante studio di mortalità e incidenza di cancro in questi soggetti è il Life Span Study (LSS) basato su una coorte di 120.000 soggetti identificati in un censimento del 1950 e seguiti con un follow-up tuttora in corso, i cui esiti pubblicati si estendono al 1990(8,9). Di questa coorte circa 10.000 soggetti, che si trovavano entro 3 km di distanza dall’ipocentro, si ritiene Valori di dose efficace pro-capite per diverse realtà Regione o nazione Dose efficace pro-capite (mSv/anno) Emilia-Romagna (2001 proiez. amb.+deg.) 0.97 Emilia-Romagna (2004) 0.83 Emilia-Romagna (2006) 0.89 Toscana (2001) 1.50 Lombardia (2001) 0.60 Francia (UNSCEAR 2000) 1.00 Germania (UNSCEAR 2000) 1.90 Svezia (UNSCEAR 2000) 0.68 siano stati esposti a una dose al colon inferiore a 5 mSv e quindi l’analisi dei dati su questo gruppo rende lo studio LSS altamente significativo anche per elaborazioni sull’esposizione a basse dosi, cioè di entità comparabile a quelle della radiodiagnostica e, di conseguenza, di primario interesse per le politiche radioprotezionistiche(10). In particolare, l’analisi del rischio di cancro radioindotto da esposizione a basse dosi nei sopravvissuti ai bombardamenti atomici, evidenzia che il rischio stimato per unità di dose mostra un andamento lineare nella funzione dose-risposta senza alcuna indicazione di un valore soglia(11) e questo vale sia analizzando i dati di mortalità, sia quelli di incidenza di cancro. In alcuni articoli recenti(4,5,6,7) sono state pubblicate analisi condotte sulla base del modello sopra descritto e dei relativi valori di Eccesso di rischio relativo (ERR). Berrington de Gonzàles e Darby(6) hanno stimato che nel Regno Unito circa lo 0,6% del rischio cumulativo di cancro a 75 anni possa essere attribuito alla radiodiagnostica. Questa percentuale è equivalente a circa 700 casi annui di cancro. In alcuni lavori, riferiti alla TC in età pediatrica(4), si evidenzia come il rischio individuale sia piccolo e pienamente bilanciato dai benefici legati a una diagnosi più accurata quando la prestazione è offerta in condizioni di appropriatezza. D’altro canto, si potrebbe porre un problema di sanità pubblica evidenziabile moltiplicando il piccolo rischio individuale per le prestazioni eseguite annualmente che sono crescenti sia in termini numerici, sia di dose erogata. In Italia non sono pubblicati dati nazionali, né sul numero dei vari esami radiodiagnostici eseguiti, né sulle relative dosi associate. In Regione Emilia-Romagna è attivo, però, dal 2001 un sistema di rilevazione di questi parametri presso le Aziende del Servizio sanitario regionale. I parametri rilevati hanno consentito di stimare la dose efficace di esposizione a questa fonte di rischio per la popolazione emiliano-romagnola e di seguirne l’andamento nel tempo. Per la definizione del numero di prestazioni eseguite dal Servizio sanitario regionale si interroga la banca dati corrente della specialistica ambulatoriale (Flusso ASA) e si integra questa informazione con una richiesta diretta ai vari Servizi di radiodiagnostica per l’acquisizione del numero di prestazioni eseguite in regime di ricovero. Per quanto riguarda la dose efficace (E) associata a ogni singolo esame, invece, si opera in collaborazione con i Servizi di fisica sanitaria per il reperimento dei principali parametri tecnici di esecuzione delle indagini di radiodiagnostica (12). ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007 29 Il valore E moltiplicato per il numero delle prestazioni consente di pervenire al valore di dose efficace collettiva S, misurata in Sv persona(13), che rappresenta un’indicazione dell’esposizione della popolazione. Dividendo il valore S per il numero di residenti in Emilia-Romagna si può ottenere una stima del valore di dose pro-capite per la nostra popolazione. In tabella viene riportato questo valore per gli anni 2001, 2004, 2006 e questi dati sono posti a confronto con quelli di altre realtà nazionali e internazionali, rinvenibili in letteratura. In figura 1 invece si può vedere come il valore di dose efficace collettiva si distribuisce nelle varie modalità diagnostiche, cioè medicina nucleare, tomografia computerizzata e radiologia convenzionale. La valutazione del rischio connesso all’uso delle radiazioni ionizzanti in medicina deve essere considerato in stretta correlazione con il beneficio che il paziente riceve. Questo beneficio è difficilmente misurabile, ma è legato alla percentuale di esami radiologici realmente in grado di incidere sulle decisioni terapeutiche. Ne consegue quindi che nella prescrizione di Fig. 1 Dose efficace collettiva attribuita alle diverse modalità diagnostiche - anno 2005 un esame di radiodiagnostica è di fondamentale importanza garantire una buona verifica dell’appropriatezza di tale richiesta. Una volta presa la decisione di eseguire l’esame è necessario operare applicando al meglio il principio di ottimizzazione, in base al quale le dosi devono essere tenute al livello più basso compatibile con il raggiungimento dell’informazione diagnostica. Un’analisi dettagliata sulla frequenza dei vari esami di radiodiagnostica e sulle dosi efficaci associate a queste prestazioni consente poi di individuare punti critici su cui è necessario intervenire per garantire ai pazienti prestazioni più appropriate e ottimizzate. Paola Angelini Servizio Sanità pubblica Direzione generale Sanità e Politiche sociali Regione Emilia-Romagna NOTE 1 Con il termine dose efficace si intende la somma delle dosi assorbite dai vari organi e tessuti corrette per tipo di radiazione e per fattori peso specifici di ogni organo e tessuto(4) BIBLIOGRAFIA 7. Wise KN. Solid cancer risks from radiation exposure for the Australian population. Australas Phys Eng Sci Med. 2003;26(2):53-62. 1. Unscear (United Nations Scientific Committee on the Effects of Atomic Radiation). Sources and Effects of Ionizing Radiation. 2000 Report to the General Assembly with scientific annexes. New York, United Nations, 2000. 8. Pierce DA, Shimizu Y Preston DL Studies of the mortality of A-bomb survivors. Report 12, Part I Cancer:19501990 Radiat. Res. 1996; 146:1-27. 2. Hart D, Wall BF. Radiation exposure of the UK population from medical and dental X-rays examinations. NRPB (W4) Chilton, National Radiological Protection Board, 2002. 3. Royal College of Radiologists. Making the best use of a department of clinical radiology: guidelines for doctors. 5th edn. London, The Royal College of Radiologists, 2003. 4. Brenner DJ, Elliston CD, Hall EJ, Berdon WE. Estimated Risks of Radiation Induced Fatal Cancer from Pediatric CT. AJR 2001; 176:28996 5. Hall EJ. Lessons we have learned from our children: cancer risks from diagnostic radiology. Pediatr Radiol. 2002;32(10):700-6. 6. Berrington de Gonzales A, Darby S. Risk of cancer from diagnostic Xrays: estimates for the UK and 14 other countries. Lancet 2004; 363:345-51. 9. Muirhead CR. Studies on the Hiroshima and Nagasaki survivors, and their use in estimating radiation risk. Radiat Prot Dosimetry 2003; 104(4):331-35. 10. Pierce DA, Preston DL Radiation-related cancer risks at low doses among atomic bomb survivors Radiat. Res. 2000; 154:178-86 11. Preston DL, Pierce DA, Shimizu Y, Ron E, Mabuchi K. Dose response and temporal patterns of radiation-associated solid cancer risks. Health Phys 2003; 85(1):43-46. 12. Compagnone G., Angelini P., Pagan L. Monitoraggio della dose alla popolazione dell'Emilia-Romagna dovuta ad esposizioni mediche di radiologia diagnostica. La Radiologia Medica 2006; 111:470-481. 13. Icpr 60 (International Commission on Radiological Protection) Recommendation of the ICRP. Annals of the ICRP Vol 21 Publication 60, Oxford, Pergamon Press, 1990. Speciale radioattività ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007 Le basse dosi e il progetto Mariner L’uso delle radiazioni a basse dosi per scopo medico, in diagnosi e terapia, a fini energetici e – purtroppo – militari necessita di un accurato monitoraggio dell’ambiente di vita e di lavoro al fine di valutare attentamente gli effetti dell’esposizione. Il progetto di ricerca Mariner, coordinato da Arpa, ha indagato gli effetti in modelli in vitro e su un gruppo di radioesposti per motivi occupazionali. Utilizzata la tecnica Dna-microarray associata a un test del micronucleo per valutare mutagenicità e tossicità delle dosi assunte dai lavoratori. 30 Le radiazioni ionizzanti a basse dosi sono, probabilmente, uno degli argomenti più discussi e dibattuti nell’ambito della ricerca biomedica e della radioprotezione. Considerati una sorta di araba fenice fino a un decennio fa, gli effetti delle basse dosi erano descritti in maniera del tutto empirica. Le curve dose-effetto, costruite sulla base degli effetti osservati alle dosi misurate, si avvolgevano di mistero quanto più le dosi diventavano basse o bassissime. I modelli matematici, e una letteratura sempre più ricca dopo il disastro di Chernobyl, ci dicevano che alle basse dosi si assumeva che la curva continuasse lineare e che su questo assunto bisognava effettuare le stime di rischio: erano o non erano le radiazioni dei mutageni fisici e come tali privi di una dose soglia? Queste certezze cominciarono a vacillare pochi (pochissimi) anni fa quando anche per le radiazioni si iniziò a parlare di ormesi, cioè del fenomeno per cui una determinata sostanza agisce da stimolatore a basse dosi e diventa tossica al crescere della dose. L’ormesi, un fenomeno già conosciuto da Ippocrate e assunta alla dignità di teoria nel secolo scorso, è ormai stata invocata per almeno 5000 sostanze ed è stata subito ben accetta per descrivere il meccanismo d’azione delle sostanze promoventi, soprattutto per quelle con attività di interferenza endocrina, che, a basse dosi, stimolano la crescita cellulare. È più difficile spiegare come le radiazioni possano mostrare effetti ormetici alle basse dosi. E proprio questa difficoltà ha aperto due fronti scientifici: il primo, il più numeroso, costituito dai radioterapisti e dagli oncologi clinici, che misurano la portata di tale scoperta in termini di maggiore e migliore utilizzo delle radiazioni per la terapia dei tumori; il secondo più preoccupato di definire l’ordine di grandezza dei rischi associati alla diagnostica clinica e all’esposizione occupazionale. Nel mezzo si alza la voce degli scettici che negano l’esistenza dell’ormesi e la riconducono a una evidenza dovuta ad artefatti sperimentali. La discussione non è puramente accademica perché l’uso delle radiazioni a scopo medico, in diagnosi e terapia, e a fini energetici e, purtroppo, militari necessita di un accurato monitoraggio dell’ambiente di vita e di lavoro. In questo contesto è nato il progetto di ricerca Mariner, coordinato dall’Eccellenza Cancerogenesi, a cui hanno partecipato l’Unità di medicina del lavoro del S. Orsola-Malpighi, l’Istituto scientifico tumori di Genova, l’Università di Bologna e l’Università di Chieti. Mariner si è proposto di indagare gli effetti delle radiazioni a basse dosi in modelli in vitro e su un gruppo di radioesposti per motivi occupazionali. I soggetti, che si sono volontariamente sottoposti allo studio, sono stati selezionati tra il personale di reparti ospedalieri dove c’è un largo uso di sorgenti radioattive. Per questa indagine è stata utilizzata la tecnica Dna-microarray associata a un test del micronucleo. Il test del micronucleo rientra nei saggi di mutagenesi in grado di evidenziare un danno clastogeno, cioè un danno che interessa segmenti consistenti del cromosoma. La tecnologia microarray deriva dall’applicazione delle conoscenze nel campo della genomica e delle discipline da essa derivate. E’ una tecnica nuova, descritta per la prima volta nel 1999 e acquisita dal nostro gruppo di ricerca nel 2001. http://www.intermed.it/mariner/ Uno dei campi di applicazione è la tossicogenomica, una delle discipline omiche, che consente di identificare le interazioni gene-ambiente mediante l’individuazione degli effetti specifici che una determinata sostanza induce sul materiale genetico. Si assume che ogni specifica esposizione sia in grado di lasciare la propria impronta digitale, unica e inequivocabile, su un certo numero di geni che sono espressi in misura significativamente maggiore o minore rispetto a una situazione di non esposizione. La selezione dei soggetti avviene con le stesse modalità di qualunque studio clinico, identificando una popolazione di esposti e una di non esposti. La tecnologia può essere applicata anche agli studi in vitro su cellule esposte a dosi crescenti dell’agente da esaminare, così da ottenere una correlazione dose-effetto e potere, eventualmente, stabilire una dose soglia. I risultati preliminari del progetto Mariner sono stati presentati al congresso annuale della European Environmental Mutagenesis Society (EEMS), svoltosi a Praga nel luglio 2006, accolti con molto interesse e ritenuti particolarmente innovativi. Un giudizio confermato alla presentazione dei risultati definitivi al convegno annuale dell’American Association for Cancer Research, che ha ospitato 19.000 partecipanti a Los Angeles lo scorso aprile. Lo studio in vitro ha evidenziato un innegabile effetto ormetico indotto dalle dosi più basse di radiazioni saggiate. Lo studio sui soggetti reclutati ha messo in luce un’impronta digitale, rappresentata da 270 geni specificamente modulati negli esposti e che differenziano questo gruppo dal gruppo dei non esposti. Il progetto Mariner si è concluso con successo, ma ha posto nuovi quesiti e alimentato nuove ipotesi. Sebbene ancora non siamo in grado di rispondere al quesito fondamentale sull’innocuità delle basse dosi, abbiamo la certezza che le nuove tecnologie siano lo strumento giusto per sollevare il velo su molti misteri scientifici. Annamaria Colacci Arpa Emilia-Romagna ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007 Tre le tipologie di ultima generazione Le conseguenze degli incidenti nucleari del passato hanno determinato un adeguamento dei principi adottati e delle soluzioni utilizzate nella loro progettazione. Sicurezza, semplificazione del processo, economia ed effetto scala nella potenza unitaria, smantellamento degli impianti a fine vita, rifiuti ad alta attività, proliferazione sono gli aspetti più attentamente indagati. Sono di tre tipi i reattori attualmente allo studio: reattori avanzati, reattori evolutivi, reattori innovativi. Le soluzioni per la sostenibilità ambientale e per il non danneggiamento del nocciolo, oltre che per la non proliferazione, caratterizzano gli impianti più avanzati. SICUREZZA La sicurezza degli impianti di potenza costruiti nel mondo occidentale, più di 400, si è dimostrata di elevato livello e tale da garantire ampiamente la sicurezza del pubblico. L’unico grave incidente, quello della centrale di Three Mile Island (TMI), non ha avuto significativi impatti sanitari sul pubblico e sull’ambiente, a parte i contraccolpi psicologici dovuti all’incertezza della situazione, che si stava determinando subito dopo l’incidente. Non si considera l’incidente della centrale sovietica Chernobyl, per il diversissimo contesto tecnico, sociale e organizzativo. Peraltro non si deve dimenticare che questo è avvenuto non durante l’esercizio della centrale, bensì durante un esperimento. Tuttavia, l’incidente di TMI ha dimostrato da un lato la grande utilità del contenitore – adottato fin dalle prime costruzioni a difesa del reattore nucleare e degli impianti connessi –, dall’altro l’esigenza di fronteggiare anche la fusione del combustibile del reattore, che non veniva esplicitamente considerata. Infatti, in TMI si è avuta la fusione di una significativa porzione del combustibile nucleare, che però venne contenuta all’interno del recipiente a pressione del reattore, senza determinare pericoli all’esterno. Pertanto, nei nuovi reattori si fronteggia questa evenienza secondo tre possibili alternative d’intervento: • prevedere un crogiolo di contenimento del combustibile fuso, nel caso esso fuoriesca dal recipiente in pressione • modificare il processo, in modo che questo rimanga all’interno del recipiente in pressione (quello che è successo in TMI, per concause che non possono però essere sempre garantite) • adottare modifiche più sostanziali nel processo in modo che il combustibile venga sempre raffreddato e non possa mai fondere. Si è anche affermato il principio che i sistemi di protezione passivi, quelli che funzionano automaticamente sulla base di principi fisici, siano preferibili a quelli attivi, che richiedono apporti di energia per alimentare soprattutto delle pompe. A dire il vero, questa gerarchia di valori è stata poi ridimensionata, per cui la scelta dell’uno o dell’altro sistema dipende più dall’esigenza, qui sotto menzionata, di semplificare il sistema. SEMPLIFICAZIONE DEL PROCESSO ARCHIVIO ARPA SEZ. DI PIACENZA Il lungo periodo di rallentamento, se non di stasi, nella costruzione di nuove centrali nucleari, grosso modo 25-30 anni, ha ovviamente determinato un adeguamento dei principi adottati e delle soluzioni utilizzate nella loro progettazione. Volendo sintetizzarli in questa sede, forzatamente compressa, si possono raggruppare nei seguenti settori: - sicurezza - semplificazione del processo - economia ed effetto scala nella potenza unitaria - smantellamento degli impianti a fine vita - rifiuti ad alta attività - proliferazione Tenendo presente che questi settori sono interdipendenti, per semplicità qui verranno trattati separatamente. In realtà i continui miglioramenti della sicurezza effettuati nel passato erano avvenuti con l’aggiunta di nuovi o più articolati sistemi di protezione, che alla fine determinano un aumento della complessità del sistema. Da questa esperienza si è compreso che il sistema deve essere considerato nella sua interezza, cercando di eliminare situazioni potenzialmente pericolose, così da cogliere tutte le possibilità di semplificazione. ECONOMIA ED EFFETTO SCALA NELLA POTENZA UNITARIA Era oramai un postulato che le centrali nucleari per essere competitive dovessero essere di elevata potenza unitaria, fino a valori di 1600 MW. Questo perché l’onere del capitale era la voce di costo più importante e solo così poteva essere abbassato il costo per unità di potenza. D’altra parte è facile elevare la potenza unitaria fino ai limiti sopra indicati. In realtà, questo postulato è stato rimesso in discussione, per una serie di controindicazioni che vanno dall’aumento dei tempi di costruzione, alla maggior difficoltà di ottenere le autorizzazioni dall’ente di sicurezza nazionale, alle difficoltà finanziarie per grandi investimenti concentrati. Pertanto, attualmente si ritiene che abbiano diritto di cittadinanza anche reattori di piccola (100-150 MWe) e media potenza (300-600 MWe). SMANTELLAMENTO DEGLI IMPIANTI A FINE VITA Con l’invecchiamento di alcune centrali di potenza oramai a fine vita operativa, è emerso con tutta evidenza il problema del loro smantellamento, detto comunemente decommissioning. E’ un’operazione complessa, costosa e di lunga durata. In realtà, il costo assai elevato in termini assoluti viene ampiamente ridotto in termini finanziari, perché l’accantonamento di una modesta percentuale durante la vita dell’impianto, “rende” a fine vita e nel lungo periodo successivo, prima di iniziare il decommissioning vero e proprio, quanto serve all’operazione. Tuttavia, è risultato evidente che, se tale operazione viene tenuta nel giusto conto durante la progettazione e la costruzione dell’impianto, se ne può ridurre l’impatto complessivo. Inoltre, considerato che i principali componenti dell’impianto possono vivere molto più a lungo di quanto si era inizialmente ipotizzato, si è giunti alla conclusione che si poteva allungare di parecchio la vita dell’impianto, se pur ricorrendo a sostanziali manutenzioni, così da ridurre l’impatto del decommissioning, oltre a ridurre i costi e ad attenuare le difficoltà di trovare altri siti per la costruzione di nuove centrali. In conclusione, si assume comu- 31 Speciale radioattività nemente che i nuovi reattori debbano vivere 50-60 anni, contro i 25-30 ipotizzati per i reattori del passato. A conferma di tale posizione, si può menzionare il fatto che parecchi di questi reattori sono stati autorizzati a funzionare 10-15 anni oltre il previsto. 32 RIFIUTI AD ALTA ATTIVITÀ Il trattamento di questi rifiuti, derivanti per la stragrande percentuale dal combustibile scaricato, viene visto da molti contestatori dell’energia nucleare come un problema di tale gravità, da non consentire l’utilizzo di tale fonte energetica. Le contestazioni che nel passato si rivolgevano alla sicurezza delle centrali si sono progressivamente spostate su tale aspetto. Personalmente ritengo che questo problema venga amplificato ad arte, perché soluzioni esistono già e Paesi di grande sensibilità ambientale come la Svezia e la Finlandia stanno già realizzando i “cimiteri” dove riporre in modo stabile e sicuro questi rifiuti. Non bisogna dimenticare che si tratta di quantità modeste rispetto all’energia prodotta e che ceneri e gas tossici vengono prodotti in grande quantità nell’utilizzo di combustibili fossili. I progettisti di nuovi reattori si sono comunque posti l’obiettivo di ridurre ulteriormente questi rifiuti e addirittura di bruciarli in reattori appositi. Tutto questo non è facile, ma fattibile in certa misura, comunque il non raggiungere compiutamente queste obiettivi, non deve determinare assolutamente la condanna dell’energia nucleare. PROLIFERAZIONE La proliferazione è un aspetto delicato, che richiede qualche chiarimento tecnico. La vera difficoltà per produrre una bomba atomica sta nel procacciarsi il materiale fissile, che può essere o l’uranio-235 o il plutonio-239. Il primo si ottiene separando questo raro isotopo dall’uranio naturale, soluzione che è molto impegnativa per diversi aspetti, cosicché tale strada è stata seguita inizialmente solo dalle grandi Potenze. Il secondo viene prodotto trasmutando l’uranio-238 in plutonio-239 in un reattore. In realtà, la situazione è complessa, perché il plutonio-239 non può rimanere a lungo nel reattore, altrimenti viene progressivamente trasmutato in plutonio-240, un altro isotopo non fissile del plutonio. In pratica si fa una distinzione tra il Weapon Grade Plutonium, contenente alte percentuali di plutonio-239 (maggiori del 93 %) e il Civil Grade Plutonium, la miscela di isotopi del plutonio presenti nel combustibile scaricato da una centrale di potenza per usi civili. Infatti, il plutonio-240 è particolarmente nocivo per la “bomba”, perché emette neutroni che la fanno “predetonare”, riducendone grandemente la potenza e soprattutto aumentando considerevolmente le difficoltà per la sua costruzione1. Tuttavia, difficile non significa impossibile e questo è il perché non esiste un plutonio chiaramente non proliferante, come succede per l’uranio arricchito al di sotto del 20%. In realtà, i paesi che hanno seguito questa strada non hanno mai utilizzato il plutonio scaricato da reattori civili, ma quello ottenuto da specifici reattori, detti plutonigeni, costruiti con materiali naturali, sia per il combustibile, sia per gli altri componenti del reattore, che pertanto non richiedono alcun processo di separazione isotopica (non arricchiti). Tuttavia, i reattori civili non possono essere definiti certamente non proliferanti. Quest’aspetto è strettamente legato alla politica delle Grandi Potenze (Stati Uniti, Russia, Regno Unito, Francia e Cina), che hanno gli armamenti nucleari e in particolare a quella degli Stati Uniti, che è il Paese più preoccupato di questo aspetto. Lo scopo delle Grandi Potenze è di evitare la proliferazione delle armi nucleari ad altri paesi. Questo è stato politicamente ottenuto dal Trattato di non proliferazione (NPT: Non Proliferation Treaty), che, ratificato da 188 Paesi, entrò in vigore nel 1970, durò 25 anni e poi venne rinnovato nel 1995. Secondo tale Trattato, i paesi non nucleari accettano di rinunciare alla costruzione di armi nucleari, avendo in cambio il diritto di accesso alla tecnologia per reattori civili in possesso delle Grandi Potenze. Dal punto di vista storico, questo limite della sovranità nazionale è un aspetto completamente nuovo per trattati di tale ampiezza e ciò è un chiaro indice della grande importanza di questo problema. Inoltre, alcuni ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007 ma significativi avvenimenti di non rispetto di questo Trattato da parte di alcuni paesi hanno acuito la preoccupazione al riguardo. I modi per ridurre i pericoli di proliferazione comportano certamente delle penalizzazioni economiche; quest’esigenza non è tecnica, ma essenzialmente politica e la sua importanza e i suoi effetti sul progetto e funzionamento del reattore dipendono dalle richieste che derivano, per quanto detto, da imposizioni internazionali, che potrebbero anche modificarsi nel tempo. Questa premessa era necessaria per meglio comprendere le linee di sviluppo della ricerca e della progettazione dei nuovi reattori. Dal punto di vista pratico i reattori attualmente allo studio possono essere suddivisi in tre categorie: reattori avanzati, reattori evolutivi, reattori innovativi. - I reattori avanzati rappresentano la versione tecnologicamente migliorata degli attuali reattori (sostanzialmente quelli ad acqua, LWR). Sono impianti standardizzati, che massimizzano le potenze unitarie (1300÷1600 MWe) e utilizzano in genere gli stessi sistemi attivi di protezione dei reattori attuali. Questi reattori non introducono praticamente ulteriori caratteristiche di sicurezza intrinseca e passiva, non già presenti nelle attuali versioni, mentre invece hanno un sistema di contenimento che dovrebbe fronteggiare le conseguenze della fusione del nocciolo, mediante il già citato crogiolo (core catcher). Il punto di forza di questi reattori è la massima valorizzazione dell'esperienza acquisita, la standardizzazione e la riduzione dei costi unitari. Questi reattori sono già commercializzabili - I reattori evolutivi sono ancora basati sulla tecnologia dei reattori ad acqua, ma con modifiche importanti quali una riduzione della potenza unitaria, un I REATTORI aumento dei margini di progetto e una sostituzione dei sistemi attivi di protezione con altri di tipo passivo. Per la fusione del nocciolo, se ne riduce sostanzialmente la probabilità e nel caso avvenisse s’intende dimostrare che la massa fusa non uscirebbe fuori dal recipiente in pressione - I reattori innovativi sono quelli che mediante delle sostanziali innovazioni del processo e dei componenti cercano di ottenere un prodotto che ottimizzi i requisiti, che oggi si pretendono da un impianto nucleare e di cui si parlerà più diffusamente qui sotto. Questa è una schematica fotografia di quello che avveniva all’inizio degli anni ’90. Gli eventi successivi non hanno modificato concettualmente questa suddivisione, ma l’hanno resa più chiara, definita e accettata. Un evento importante c’è stato alla fine degli anni 90 quando il Department of Energy americano ha promosso e finanziato dopo tanti anni degli studi e ricerche nel campo nucleare, con specifico riferimento ai nuovi reattori. Non era questa l’unica novità, perché per la prima volta quest’iniziativa non riguardava solo le organizzazioni statunitensi, ma anche quelle di altri Paesi, che potevano parteciparvi, consorziandosi con organizzazioni di ricerca e industriali degli Stati Uniti, con l’unica condizione che il supporto economico non venisse dato dal DOE. Questa iniziativa, chiamata con l’acronimo NERI (Nuclear Energy Research Iniziative), è poi confluita nei primi anni del nuovo secolo in un’altra ben più ambiziosa e più internazionale, avente lo scopo di mettere a punto il o i reattori del futuro: quest’iniziativa passa sotto il nome di Generation IV. I Paesi che hanno aderito all’iniziativa fin dall’inizio sono: Argentina, Brasile, Canada, Corea del Sud, Francia, Giappone, Regno Unito, Stati Uniti, Sudafrica, Sviz- GENERATION IV • reattore ad acqua leggera alle condizioni supercritiche, sia termico, sia veloce • reattore a gas a temperature molto elevate (superiore agli HTGR), sia termico, sia veloce con ciclo a gas • reattore veloce a sodio con combustibile avanzato • reattore veloce a piombo • reattore a sali fusi ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007 zera; successivamente anche l’Unione Europea. Schematicamente i requisiti dei reattori di Generation IV sono i seguenti: - sostenibilità: fornire energia in modo da soddisfare gli obiettivi di protezione ambientale dell’atmosfera (aria pulita), da promuovere la disponibilità dei sistemi a lungo termine, da sfruttare in modo efficiente il combustibile, da minimizzare e gestire i rifiuti radioattivi e in particolare il relativo onere a lungo termine, migliorando di conseguenza la salute pubblica e l’ambiente - economia: avere dei costi lungo tutta la vita migliori di quelli delle alternative energetiche e un livello di rischio finanziario confrontabile con quello di altri progetti energetici - sicurezza e affidabilità: eccellere in sicurezza e affidabilità e avere in particolare una bassissima probabilità e bassissima estensione del danneggiamento del nocciolo, eliminare il piano di emergenza del sito - resistenza alla proliferazione e protezione fisica: garantire che essi siano la strada di gran lunga meno attraente e desiderabile per la diversione o il furto di materiali usabili per le armi, assicurare la loro protezione fisica contro atti di terrorismo. Ovviamente, nessun sistema sarà in grado di soddisfare appieno questi requisiti, ma cercherà di avvicinarsi il più possibile a essi, a parte il requisito sull’economia, che è indispensabile per il successo di un qualsiasi impianto e quindi anche di uno nucleare. Tuttavia, è abbastanza nuova l’attenzione a questi requisiti: la sostenibilità, il non danneggiamento del nocciolo, già sopra richiamato, la non proliferazione. I concetti proposti sono subito apparsi appartenenti a due tipologie, cioè esattamente quelle sopra definite come evolutive e innovative. Pertanto, è stato necessario introdurre una suddivisione tra quelli veri e propri di Generation IV e quelli meno innovativi e cioè evolutivi definibili di Generation III+ o meglio ancora con l’acronimo INTD (International Near Term Deployment). In sostanza, i primi sono quelli che, in linea di principio, dovrebbero poter soddi- sfare al meglio i requisiti imposti, ma ciò deve essere dimostrato con programmi di ricerca e sviluppo lunghi e onerosi e nel caso di una loro conclusione positiva, che non è però scontata, essi si pongono l’obiettivo di essere commerciabili a partire dal 2030; i secondi invece a priori non soddisfano completamente i requisiti imposti, ma in compenso, basandosi sulla tecnologia esistente, anche se con la messa a punto di nuovi componenti, hanno la quasi certezza di essere tecnicamente fattibili, affidabili e pronti per la commercializzazione entro il 2010-2015, purché riescano a dimostrare di essere anche economicamente competitivi. Il sostegno finanziario pubblico è assicurato per i primi, perché sono talmente innovativi, che il loro sviluppo non può essere finanziato da un’industria, ma assai meno per i secondi, perché la loro prevista commerciabilità entro brevi periodi dovrebbe invece consentire tale possibilità. I reattori che, sulla base dei requisiti imposti e delle regole di giudizio concordate, sono risultati meritevoli di appartenere alla Generation IV sono elencati in tabella. Come si vede concetti molto innovativi, alcuni dei quali appaiono poco realistici. Ci si riferisce in particolare ai due reattori ad acqua e a quello a gas veloce; i reattori a sodio sono meno innovativi, perché già costruiti nel passato e sono stati qui introdotti per modificarli sostanzialmente. Più convincente sembra il reattore veloce a piombo, perché, in linea di principio, potrebbe eliminare alcuni inconvenienti dei reattori a sodio, mentre quello a sali fusi a combustibile circolante, già studiato nel passato, ha in linea di principio delle caratteristiche interessanti, ma la circolazione del combustibile e il suo trattamento in sito coinvolgono problemi assai complessi e difficili da risolvere. Qui non ci si dilunga a descriverli, anche perché non ancora ben definiti nelle loro caratteristiche essenziali. I reattori appartenenti alla INTD sono più numerosi (sedici) e non tutti equivalenti per grado di sviluppo; essi comprendono sia quelli avanzati, sia quelli evolutivi. Sono i reattori bollenti e pressurizzati avanzati e quelli semplificati, i reattori pressurizzati integrati, il Upper Head Reactor Coolant Pump (1 of 8) Pressurizer Steam Generator Steam Outlet Nozzle (1 of 8) Internal Control Rod Drive Mechanism 33 Helical Coil Steam Generators (1 of 8) Core Outlet “Riser” Steam Generator Feedwater Inlet Nozzle (1 of 8) Core Downcomer Fig. 1 Spaccato verticale del reattore IRIS CANDU avanzato, e infine gli HTGR nella duplice versione con combustibile prismatico o a sfere, già utilizzato nel passato, ma con importanti varianti, tra cui l’uso del ciclo a gas. Una descrizione, anche sommaria, di tutti questi tipi di reattore è qui impossibile, perché ogni tipo richiede un'ampia spiegazione tecnica per motivare le scelte progettuali fatte. Tra questi, particolare menzione va data al reattore integrato IRIS (v. figura 1), perché viene sviluppato, sotto la responsabilità della Soc. Westinghouse, con un sostanziale apporto di università e industrie italiane. Non ci sono dubbi che il nucleare debba ripartire, anzi è già ripartito in molti Paesi, e per questo bisogna guardare con più attenzione al breve-medio periodo. Non bisogna fare salti tecnologici troppo azzardati, perché in questo campo le verifiche di applicabilità sono molto lunghe, impegnative e non sempre coronate da successo. In sostanza, bisognerebbe evitare di fare sul piano tecnologico una fuga in avanti, come talvolta nel passato. Occorre, quindi, dedicare una maggiore attenzione ai reattori evolutivi o INTD, preferendo quelli ad acqua, la cui tecnologia tanto è stata positivamente ed estensivamente verificata e che tanto ancora può dare introducendo quelle modifiche di processo, già evidenziate in molte concrete proposte. Per i reattori di Generation IV è bene invece privilegiare i reattori veloci e, in particolare, quelli che è possibile sviluppare in tempi ragionevolmente contenuti e più promettenti dal punto di vista dei costi. Infatti, tali reattori utilizzano in modo molto efficiente l’uranio e consentono, in linea di principio, di “bruciare” i rifiuti radioattivi. Carlo Lombardi Politecnico di Milano Il plutonio-240 decade α con un tempo di dimezzamento di 6.537 anni, tuttavia una frazione molto piccola pari a 4,95x10-6% decadimenti sono delle fissioni spontanee. Supponendo che queste emettano in media 2,15 neutroni, si ottiene che un chilogrammo di plutonio-240 emette poco meno di 106 neutroni al secondo. 1 Speciale radioattività ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007 Nucleare, è ancora un vicolo cieco 34 Dopo circa 60 anni di storia, il nucleare da fissione non ha ancora risolto i problemi principali di questa tecnologia: non esiste una soluzione alla gestione di lungo termine delle scorie, non esiste una filiera non proliferativa in senso militare, non esiste una tecnologia intrinsecamente sicura, nè è stata superata la limitatezza delle riserve di uranio (in attesa della cosiddetta generazione IV, non prima del 2025). La ripresa del dibattito sul nucleare ha però alcune ragioni. La principale di queste riguarda il fatto che, nei mercati liberalizzati – Usa in primo luogo –, visto il trentennale blocco di investimenti privati in nuovi impianti, il governo ha deciso di promuovere forti sussidi pubblici per evitare il crollo verticale del settore. SUSSIDI NUCLEARE PUBBLICI NEL AL MERCATO LIBERALIZZATO: GLI USA Com’è noto, nel 2005 il Congresso Usa ha approvato l’Energy Policy Act che introduce alcune novità fondamentali: • un incentivo pubblico all’elettricità da nucleare per 1,8 centesimi di dollaro al kWh, fino a una potenza installata di 6.000 MW • la possibilità di accedere a fondi a tasso agevolato fino all’80% dei costi di capitale • fondi assicurativi coperti dallo stato per coprire eventuali per- dite dovute ai ritardi nella costruzione. La liberalizzazione del mercato elettrico ha infatti bloccato gli investimenti nel nucleare che, pur avendo costi operativi più bassi delle altre fonti convenzionali, ha un costo dell’elettricità più elevato proprio per il forte costo di investimento che richiede. Le stime ufficiali del Dipartimento dell’energia Usa (US Doe) dello scorso febbraio riguardano i costi industriali dell’elettricità da nuovi impianti. Come si vede dalla tabella,, il differenziale stimato dal Doe tra nucleare e gas (cicli combinati) è di 0,8 centesimi di dollaro e dunque il sussidio dato ai primi 6000 MW negli Usa è più del doppio del differenziale, cosa che induce a pensare che la stima del costo del chilowattora nucleare sia più vicina ai 7 centesimi di dollaro. Secondo una recentissima analisi dell'agenzia di rating Moody's, nonostante i forti incentivi offerti dal governo Usa e la trentina di reattori per i quali sono previste le domande di sussidio, solo una o due saranno le centrali realizzate entro il 2015. Varie le ragioni, e tra queste i reali costi d’investimento valutati da Moody's almeno il doppio di quanto dice l'industria. Anche nel Regno Unito è in corso un dibattito per sussidiare la progressiva sostituzione delle centrali nucleari funzionanti in quel Paese. Stime costi dell’elettricità al 2015 (millesimi di $ 2005 al kWh) Capitale O&M Comb. Trasmiss Totale Carbone 32,64 4,89 14,82 3,72 56,07 Gas cicli comb. 12,16 1,44 37,97 3,67 55,24 Eolico 49,94 9,74 0 8,37 68,05 Nucleare 45,96 8,1 6,86 2,40 63,32 Nota: O&M rappresentano i costi di funzionamento e manutenzione. Sono inclusi anche i costi di trasmissione alla rete. Fonte: US DOE, 2007 ARCHIVIO GREENPEACE I 60 anni di ricerca e sviluppo nel campo della tecnologia nucleare non l’hanno resa competitiva nei mercati liberalizzati. I problemi principali che la tecnologia presenta risultano irrisolti e i costi d’investimento sono ancora soggetti a lievitazione. L’attuale dibattito sul tema ha componenti diverse: dai sussidi pubblici statunitensi a sostegno del mercato nucleare civile, alle discutibili operazioni dell’industria nazionale nell’Est europeo. Greenpeace risponde: no grazie. In conclusione, dopo 60 anni di sviluppo della tecnologia, con la maggior parte degli investimenti pubblici dei Paesi Ocse in ricerca e sviluppo in campo energetico assorbiti dalle tecnologie nucleari, questa fonte non è competitiva nel mercati liberalizzati. IL CASO FINLANDESE La costruzione del reattore francese EPR in Finlandia, (Olkiluoto-3) promossa dall’azienda finlandese Tvo (Teollisuuden Voima) e dalla francese Areva, rappresentava una sfida per ridurre i costi di investimento, riducendo i tempi di costruzione a 5 anni, mentre la media riscontrata tra il 1995 e il 2000 è di 116 mesi, quasi 10 anni. Questa sfida è stata già perduta, con un ritardo accumulato di 25 mesi e l’ultimo annuncio lo scorso agosto riguarda la necessità di rinforzare la protezione del reattore in caso di incidente aereo. Il costo iniziale per i 1600 MW del reattore era stimato in 2.5 miliardi di euro successivamente corretto a 3,2 ma già oggi le stime del costo finale superano i 4 miliardi. Secondo il consorzio Elfi, che raggruppa industrie finlandesi grandi consumatrici di elettricità, questi ritardi costeranno 3 miliardi di euro in più agli utenti. Bisogna aggiungere che, per fare in fretta, si rischia di fare male e di ridurre i livelli di sicurezza. Gli aspetti più critici riguardano: - la base di cemento non soddisfa i criteri di qualità richiesti - la struttura di contenimento del reattore – parte essenziale per la sicurezza in caso di eventi esterni e incidenti – è stata realizzata da un’azienda subappaltatrice polacca specializzata nella costruzione di chiglie di pescherecci; la qualità delle saldature non soddisfaceva i criteri di sicurezza - a oggi, le verifiche dell’ente di sicurezza nucleare Stuk hanno evidenziato 1500 non conformità ai criteri di sicurezza stabiliti - i piani presentati da Areva sono di bassa qualità per la scelta di subcontraenti senza la necessaria esperienza; Areva ha continuato i lavori anche nei casi in cui Stuk non ha accettato i progetti presentati - il ritardo annunciato dalla Tvo è dovuto sia ai problemi riscontrati nei condotti che collegano l’isola nucleare al circuito secondario, sia all’esigenza di rinforzare ulteriormente la struttura di contenimento per proteggere il reattore da eventi esterni (p. es.la caduta di un aereo). La differenza tra i costi previsti d’investimento e quelli effettivi è una costante storica dell’industria nucleare. La storia del reattore finlandese è infatti piuttosto comune: l’ultimo reattore cinese ha avuto un ritardo di 2 anni, quello in costruzione a Taiwan è in ritardo di 5 e l’ultimo reattore costruito nel Regno Unito è costato il doppio del previsto. LO SHOPPING NUCLEARE SOVIETICO DELL’ENEL Anche per l’ex blocco sovietico la questione della mancanza di investimenti è una questione rilevante per il rilancio del nucleare. Nell’ambito dell’acquisizione, da parte di Enel, del 66% della Slovenske Electrarne (Slovacchia) si prevede un piano di investimenti la cui parte più importante riguarda il completamento di due unità nucleari a Mochovce per 1,88 miliardi di euro per un totale di 880 MW. Si tratta di due Vver 440/V-213, reattori ad acqua pressurizzata di tecnologia sovietica di seconda generazione, la cui progettazione di base risale agli anni 70. Questo genere di reattori fu completamente eliminato dopo l’unificazione tedesca; nel 1990 un reattore di questo tipo costruito nell’ex Germania Est a Greisfwald, entrato in funzione nel 1989 fu disattivato, mentre la costruzione di altre 3 unità di terza generazione, fu bloccata definitivamente. In Finlandia due unità dello stesso tipo entrarono in funzione tra il 1977 e il 1980, ma all’epoca – ritenendo il livello di sicurezza non adeguato – i reattori furono riprogettati con un sistema di contenimento della Westinghouse e sistemi di controllo Siemens. La centrale che Enel si accinge a completare a Mochovce non avrà alcun sistema di protezione da eventi esterni: secondo le dichiarazioni ufficiali la caduta di un aereo sulla centrale è improbabile. Dichiarazione rilasciata peraltro a poche ore dalla diffusione del nuovo video di bin Laden lo scorso settembre. Enel sta inoltre partecipando in Bulgaria alla gara per la costruzione della centrale nucleare di Belene (per una quota del 49%). Si tratta di realizzare un reattore sovietico della filiera VVER 1000/320 – mai approvato in Europa occidentale – sito in zona sismica: nel 1977 un terremoto uccise 200 persone in un Speciale Chernobyl in ArpaRivista 3/2006 A Chernobyl, il 25 aprile 1986, si è verificato il più grave incidente nucleare civile di tutti i tempi: le esplosioni e gli incendi che si sono sviluppati hanno generato, per una decina di giorni, un fall-out radioattivo che ha interessato oltre 150.000 km2 di territorio e ha coinvolto più di sei milioni di persone. I fatti, le conseguenze sanitarie e ambientali nell’immediato e a lungo termine, le campagne di controllo e di monitoraggio, le iniziative di solidarietà alla popolazione colpita, la comunicazione nel corso dell’emergenza sono stati al centro di uno speciale in ArpaRivista 3/2006 disponibile in Arpaweb (www.arpa.emr.it/arparivista, Archivi). DR ARCHIVIO GREENPEACE ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007 35 raggio di 14 km dal sito di Belene. Un reattore della stessa filiera funziona a Temelin nella repubblica Ceca, ed è da sempre fortemente contestato dall’Austria per ragioni di sicurezza. Se, oltre Mochovce, andasse in porto anche l’operazione di Belene Enel investirebbe più sul nucleare sovietico che sulle fonti rinnovabili. UN DIBATTITO D’IMPORTAZIONE (CON SFUMATURE FRANCESI) Dunque il dibattito che attraversa l’Italia – ricorre in queste settimane il ventennale del referendum del 1987 – ha componenti diverse: dai sussidi pubblici statunitensi per evitare il crollo dell’industria, alle discutibili operazioni dell’industria nazionale nell’Est europeo. La presenza di Edf nel mercato italiano attraverso Edison (con Aem e Asm) è l’unica variabile che rende questo dibattito non del tutto astratto. La risposta di Greenpeace a queste aspirazioni è: no, grazie. Il potenziale di efficienza energetica – secondo il rapporto elaborato dal Politecnico di Milano per Greenpeace – consentirebbe di tagliare di 100 miliardi di kWh da qui al 2020, come richiesto dall’Ue, a costi inferiori sia del nucleare, sia di quelli dello scambio alla borsa elettrica. Giuseppe Onufrio Greenpeace Italia Sommario - La notte più lunga di Chernobyl Lucia Venturi - Responsabile scientifica di Legambiente - Impotenti di fronte al dramma, il racconto dei primi controlli nelle zone contaminate Il racconto di Vladimir Samsonov, direttore del Centro repubblicano di controllo delle radiazioni e monitoraggio ambientale di Minsk, a cura di Annamaria Colacci - Arpa Emilia-Romagna - Quei giorni in Emilia-Romagna, i primi controlli Intervista a Sandro Fabbri, allora direttore del Servizio Radioattività ambientale (ex Pmp). A cura di Daniela Raffaelli - Redazione ArpaRivista - L'ambulatorio mobile di Modena per il controllo delle patologie tiroidee Vincenzo Rochira - Dipartimento di Medicina, endocrinologia, metabolismo e geriatria, Università di Modena e Reggio Emilia - Arpa in Bielorussia, i controlli nelle zone colpite Laura Gaidolfi, Annibale Gazzola Arpa Emilia-Romagna - Le conseguenze sanitarie immediate e tardive Massimo Tosti Balducci, Marco Pellegri Dipartimento di Radiologia, Ausl 9, Grosseto - Con Legambiente Solidarietà un mese in Italia, per guarire almeno un po' Roberto Rebecchi, coordinatore regionale Legambiente Solidarietà - Conoscenza e informazione indipendenti per non avere più Chernobyl Gianni Mattioli - Università La Sapienza, Roma Speciale radioattività ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007 È nata con il nucleare la “Nimby” di casa nostra Vale la pena di ripercorre fin dalla nascita le tappe che hanno condotto alla diffusione della sindrome Nimby (not in my back yard), non per semplice curiosità storica, ma per comprendere l’importanza (oggi come allora) di fondare le scelte importanti di un paese sulle evidenze che la scienza offre e su una corretta informazione. Onde emotive, disinformazione e assenza di chiari percorsi decisionali finiscono per divenire una sorta di giacimento politico per i fautori del “no” a tutto e sempre. 36 Per la prima volta la parola “Nimby” (Not in my back yard, cioè l’opposizione a opere costruite nelle vicinanze della propria residenza) è apparsa nel 1980 sul giornale americano Christian Science Monitor. Da allora la sindrome “Nimby” si è straordinariamente ampliata, anche nel nostro paese, come confermano le note vicende (inceneritori, discariche, rigassificatori, elettrodotti, eolico ecc.). Fino a degenerare, almeno in alcuni momenti, in un fenomeno non più basato su interessi locali e particolaristici, ma su una vera e propria ideologia nichilista: il “Banana” (Build Absolutely Nothing Anywhere Near Anything: non costruite assolutamente niente, in nessun posto, vicino a nulla). La storia del Nimby nostrano è ben conosciuta grazie ai servizi televisivi e alle prime pagine dei giornali. Basti pensare alla No Tav della Valle di Susa, alla crisi rifiuti in Campania, al rigassificatore di Brindisi, e via enumerando fino a raggiungere la ragguardevole cifra di 170 contestazioni a opere che, sulla carta, dovrebbero migliorare la qualità della vita civile. Meno nota la preistoria del Nimby che, almeno nel nostro paese, si intreccia in modo indissolubile con quella del nucleare e con i primi incerti tentativi di programmare il futuro energetico di un paese che si stava rapidamente modernizzando. Il primo Nimby fu molto diverso da quello che vediamo in azione oggi e vale sicuramente la pena di raccontarne la storia. È il 1960, l’Italia si sta industrializzando, ma il suo consumo totale di energia è ancora basso: 50 Megatep (cioè milioni di tonnellate equivalenti di petrolio, oggi siamo a 190 Megatep). Le fonti energetiche importate per il sistema totale rappresentano il 50%, mentre per quello elettrico soltanto il 15%. Una situazione di autonomia ener- getica più che soddisfacente. Nel 1970, nel giro di soli 10 anni il quadro si capovolge. I consumi di energia passano da 50 a 120 Megatep. Moltiplicati per due volte e mezzo. È l’Italia del benessere , del cosiddetto “consumismo”, dell’automobile, del frigorifero, del riscaldamento generalizzato, delle vacanze per tutti e di tante altre comodità prima impensabili (e che divorano energia). Le importazioni schizzano all’80% per il sistema totale e a oltre il 50% per quello elettrico. Una situazione di poco migliore di quella attuale. Sempre nella parte del leone nelle importazioni i combustibili fossili, in particolare il petrolio. Quale fu la risposta dei governi di allora? Parlare di una risposta meditata ed efficace è forse eccessivo. Tanto che pochi anni dopo, nel 1973, l’Italia venne colta completamente impreparata dalla prima crisi petrolifera. Tuttavia alcune carte su cui puntare, all’epoca, esistevano. Una di queste era il nucleare. Senza entrare in un’altra storia molto complicata e travagliata possiamo dire brevemente che il nostro paese alla fine degli anni 60 aveva già tre centrali nucleari: il Garigliano, Latina e Trino. Erano state costruite da tre diverse società in concorrenza tra loro (Sme-Iri, Agip Nucleare, Edison), e questo dà subito l’idea di come la scelta nucleare non fosse coordinata molto bene e nemmeno programmata attentamente. Comunque le difficoltà non erano finite. E non si tratta di ostacoli tecnico scientifici, ma burocratici e amministrativi. Negli anni 70, nell’ambito dell’attuazione dei dettati costituzionali, venivano istituite le Regioni. Com’è noto alcune parti della Costituzione del 1948 non vennero immediatamente realizzate, ma rinviate ad altri tempi. Fra queste il Consiglio superiore della Magistratura, la Corte costituzio- nale e appunto le Regioni. Con le Regioni molti poteri venivano così delegati alle amministrazioni locali. La prima manifestazione del Nimby era adesso possibile. L’ultima parola per approvare una centrale era infatti passata al sindaco del Comune dove sarebbe stata costruita. Magari al sindaco di un Comune di 3000 o 4000 abitanti (i siti delle centrali vengono ovviamente scelti in zone non molto popolate). Anche senza furori ambientalisti o terrori radioattivi (poiché gli incidenti di Three Miles Island e di Chernobyl non si erano ancora verificati), proviamo a metterci nei panni del povero sindaco alle prese con la costruzione della centrale. Le prospettive erano desolanti. Si sarebbe visto piombare da fuori, per 5 o 6 anni, migliaia di lavoratori, centinaia di camion, decine di ruspe, di gru, che avrebbero sconvolto la vita del paesino. L’arrivo di molti soldi e la facilità a spendere avrebbero fatto rincarare tutto: dal cibo agli affitti. Poi finita la centrale tutti sarebbero scomparsi per lasciare un centinaio di tecnici, sempre venuti da fuori, a gestirla. Posti di lavoro per i locali: pochi o niente. Insomma una visione da incubo. Gli intralci del Nimby preistorico quasi fermarono la costruzione della centrale di Caorso che, decisa nel 1969, fu completata solo nel 1978. Il Piano energetico del 1975, il primo, dava largo spazio al nucleare, ma anche al carbone e all’importazione di elettricità. Tuttavia le cose non si muovevano. A peggiorare la situazione arrivò nel 1979 l’incidente alla centrale nucleare di Three Miles Island negli Stati Uniti, dove però la fusione del nocciolo – grazie al cupolone di contenimento del reattore – non liberò all’esterno quantità significative di radioattività. La paura fu però grande e il nostro “povero sindaco” aveva, adesso, diversi motivi in più per opporsi alla costruzione di una centrale nucleare nel suo Comune. Il Nimby cominciava ad assumere le sembianze attuali. L’incidente fece fare qualche passo indietro, ma il lentissimo procedere verso una decisione che limitasse la dipendenza energetica non deragliò completamente. Anche perché subito dopo l’incidente nucleare, la guerra Iran-Iraq fece precipitare l’intero pianeta in una nuova crisi energetica. Fu in queste prime fasi della guerra che il prezzo del petrolio raggiunse il record di 88 dollari al barile (in dollari attuali, allora il prezzo superò i 40 dollari del 1980), un record superato solo in questi giorni. I rischi della dipendenza energetica divennero, alla luce delle nuove turbolenze Medio Orientali molto chiare. Comunque la decisione ci mise altri tre anni ad arrivare. Nel 1983 due brevi leggi toglievano al “povero sindaco” l’ultima parola in fatto di scelta dei siti per le centrali nucleari e a carbone (ugualmente avversate). Queste due leggi davano il potere al Cipe (Comitato per la programmazione economica) di scegliere i siti delle centrali qualora Regioni e Comuni non avessero deciso fra la rosa di località proposta dal Governo centrale. La seconda legge indennizzava Comuni e Regioni, un tanto al chilowatt installato durante la costruzione e un tanto al chilowattora prodotto a centrale ormai in funzione. Era una “monetizzazione del disturbo” che venne poi sbandierata, in modo distorto, come “monetizzazione del rischio” dai movimenti ambientalisti. Il primo Nimby sembrava così disinnescato. Due anni dopo l’approvazione delle leggi che finalmente mettevano da parte e rimborsavano il “povero sindaco”, il nuovo piano energetico nazionale è pronto. Siamo nel 1985. Per il nucleare si conferma la costruzione di Montalto di Castro (già avanzata), e si da il via libera a Trino 2 e ad altre sei centrali, ognuna con due reattori. A conti fatti nel 2000 la dipendenza elettrica con l’estero sarebbe stata del 50-55% (contro più del 75% di oggi, senza nucleare) e quella totale sarebbe stata del 70% (contro il circa 8384% di oggi senza nucleare). Non eccezionale, ma considerando il quadro italiano un risultato di tutto rispetto. Più autonomia, maggiore diversificazione delle fonti. Nel marzo 1986 il Cipe approvava ufficialmente il nuovo piano energetico. Il 26 aprile 1986 esplodeva il reattore numero 4 della centrale atomica di Chernobyl. Fine del nucleare italiano. Sull’incidente alla centrale sovietica ci fu molta confusione, provocata anche dalle reticenze e dai silenzi delle autorità di Mosca. In Italia c’era un ente qualificato che poteva dire una parola definitiva sulla situazione: l’Enea, che aveva un dipartimento dedicato proprio alla radioprotezione. L’Enea fece le sue misure in tutto il paese e comunicò i risultati, del tutto rassicuranti. Ma pochi l’ascoltarono. Fu proprio in seguito agli psicodrammi (proibizione delle verdure a foglia larga e del latte) scatenati in tutta la nazione dall’incidente, che il Parlamento decise di “approfondire” la scelta nucleare fatta nel piano energetico appena approvato. Forse l’emotività, in problemi così complessi, non è una buona consigliera. E l’emotività, in quel maggio 1986, raggiunse sicuramente i livelli di guardia. Fu così che, con straordinaria celerità (straordinaria per i ritmi usuali del Parlamento italiano), appena 40 giorni dopo l’incidente, il Governo veniva invitato da Camera e Senato a convocare, entro l’anno, una Conferenza nazionale sulla sicurezza e la politica energetica che in pratica rivedesse il Piano energetico approvato tre mesi prima. La Conferenza (tenutasi a Roma nel febbraio 1987), cui parteciparano più di 150 istituzioni scientifiche e scienziati italiani e stra- Lorenzo Pinna giornalista e scrittore In apertura di questo servizio su radioattività e nucleare abbiamo citato un brano del libro che Lorenzo Pinna ha scritto insieme a Piero Angela per i tipi di Mondadori, La sfida del secolo. Gli autori si riferiscono alla sfida energetica e il libro è scritto in forma di dialogo per aiutare a comprendere quanto dalla soluzione che si darà a questa sfida dipenderà il destino dei nostri figli. Il cosmo, Dentro la terra, Il clima, La conquista dello spazio, Atlante della preistoria, L’atmosfera, istruzioni per l’uso, Cinque ipotesi sulla fine del mondo, sono solo alcuni titoli che testimoniano le fatiche di Lorenzo ARCHIVIO ARPA SEZ. DI PIACENZA ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007 37 nieri, sostanzialmente approvò o meglio “riapprovò” il Piano energetico e la scelta nucleare. Sulla base di una considerazione molto semplice: il reattore di Chernobyl era totalmente estraneo alla tecnologia nucleare italiana (e “occidentale”), quindi i rischi che presentava quel reattore non esistevano negli impianti che si era deciso di costruire in Italia. Ma nemmeno questa rassicurazione fu sufficiente a chi doveva decidere. Fra l’altro – almeno secondo i testimoni presenti alla Conferenza – molti parlamentari non si fecero nemmeno rassicurare, perché non andarono ad ascoltare le relazioni degli esperti. La “patata bollente” del nucleare fu quindi passata agli italiani. Che decidessero loro, in un referendum, il destino di questa fonte energetica. Sicuramente il grande spavento, dovuto a un’informazione confusa e a volte ingiustificatamente allarmista, che tutta l’Italia si era preso nei giorni di Chernobyl, non era stato dimenticato. Il referendum si tenne infatti un anno e mezzo dopo, nel novembre 1987 e i “sì” (cioè coloro che volevano chiudere il nucleare) vinsero con l’80%. È interessante ricordare i quesiti scritti sulla scheda per la votazione. Com’è noto questi referendum sono “abrogativi” cioè devono pronunciarsi se una certa legge debba essere mantenuta o eliminata. Ebbene, le leggi da abrogare per silurare il nucleare furono quei due brevi provvedimenti approvati nel 1983 che toglievano al “povero sindaco” l’ultima parola sui siti dove costruire le centrali (nucleari e a carbone) e lo rimborsavano per il disturbo. Inoltre, venne anche abrogata un’altra legge del 1973 che consentiva all’Enel – allora gestore unico del sistema elettrico – di partecipare a imprese nucleari internazionali. Il fenomeno Nimby poteva nuovamente ripartire e passare così dalla preistoria alla storia. Lorenzo Pinna Giornalista Rai e scrittore Pinna nella divulgazione scientifica e, più in generale, nel promuovere comunque e sempre un approccio scientifico alle grandi e piccole questioni che ci capita di dover affrontare. Lorenzo Pinna realizza servizi per le più importanti rubriche scientifiche televisive, fa parte della redazione di Quark e ha partecipato alla realizzazione delle serie più prestigiose insieme a Piero Angela, come Quark, viaggi nel mondo della scienza, La Macchina meravigliosa, Il Pianeta dei Dinosauri, Quark Economia ed Europa e altre ancora. Ha vinto numerosi premi, tra i più prestigiosi il Premio europeo Cortina Ulisse. Ringraziamo di cuore Lorenzo Pinna per aver voluto assicurare alla nostra rivista il suo prezioso contributo, peraltro con grande solerzia, dedizione e scrupolosità. Giancarlo Naldi forum Esiste oggi un nucleare “sicuro”? opinioni dalla scienza e dalla politica Può costituire una fonte energetica praticabile in Italia? Con quali capacità di discutere e decidere? • esiste oggi un nucleare sicuro? • esiste la possibilità che questo nucleare di “nuova generazione” possa costituire una praticabile fonte energetica? • i tempi per un’eventuale praticabilità di questa fonte sono compatibili con gli scenari attuali riguardanti il bisogno di energia? • e se tutto ciò fosse possibile, è pensabile acquisire in Italia quella autorevolezza politico-istituzionale che consente di collocare gli impianti, di stoccare le scorie in sicurezza, di organizzare il trasporto dei materiali radioattivi, e tutto ciò senza che abbia il sopravvento la filosofia e la pratica del “niet!”? ARCHIVIO ARPA SEZ. DI PIACENZA 38 Va poi aggiunto che le evidenze che abbiamo sotto gli occhi sul piano del cambiamento climatico, e sull’importanza delle componenti antropiche all’origine dello stesso, inducono a progettare e a realizzare una drastica riduzione delle emissioni climalteranti in atmosfera, come è sancito dal protocollo di Kyoto e, soprattutto, dalle intese successive. La stessa produzione di energie rinnovabili, che va ovviamente perseguita, non è esente da valutazioni e problematiche di carattere ambientale, oltre che economico. Si pensi in particolare a tutte le tematiche che riguardano il bilancio ambientale delle agrobioenergie e alle ricadute di carattere economico, politico e sociale delle stesse, alla dimensione globale (vedi andamento dei prezzi delle derrate alimentari ecc.). È proprio in questo contesto, quindi, che si assiste alla riapertura del dibattito sulla possibilità di affrontare la questione energetica, anche rivolgendo l’attenzione al nucleare di ultima generazione come possibile fonte. Ecco, allora, che scrivendo di radioattività e di nucleare, come stiamo facendo con questo speciale di ArpaRivista, viene da chiedersi: A distanza di molti anni ormai, da quando il nostro Paese ha scelto di bandire il nucleare per la produzione di energia, si avverte, di tanto in tanto, l’esigenza di riaprire una discussione su questo capitolo. Non mi riferisco alle iniziative di coloro che non hanno mai smesso di essere nuclearisti convinti o di quelli che lo fanno in modo strumentale, per gettare un sasso nello stagno della politica nostrana. Mi riferisco a coloro che si interrogano con onestà anche sulla base degli evidenti cambiamenti di scenario e di ciò che di nuovo la scienza può mettere a nostra disposizione. Il risparmio energetico costituisce sicuramente una strategia e una pratica necessarie a ogni livello possibile, e rappresenta di per sé una sorta di “fonte”. Ovviamente non basta, in quanto comunque di energia c’è bisogno e le fonti fossili, oltre alla loro finitezza, mostrano con tutta evidenza le problematiche di carattere ambientale che conosciamo. Su questi argomenti, tracciati in modo così sintetico e anche banalizzato, abbiamo chiesto un breve intervento a persone che, per le conoscenze che esprimono o per le responsabilità politico-istituzionali, rappresentano un punto di riferimento per il Paese sul piano culturale e dell’agire. Giancarlo Naldi ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007 Alberto Renieri Dipartimento Fusione, tecnologie e presidio nucleari, Enea G. Naldi L’energia da fonti fossili inquina, e costa, le fonti poi si avviano all’esaurimento. Il risparmio energetico è necessario, auspicabile e significativamente ottenibile in tempi medi, le fonti rinnovabili sono importanti ma non esenti da problemi. Ecco che si riapre un dibattito un po’ doloroso ma probabilmente necessario. Per cominciare oggi, a differenza di trenta anni fa, esiste un “nucleare sicuro”? A. Renieri La risposta è sì, con l’attenzione dovuta alla parola “sicuro” che ha un significato molto particolare, scientifico. La sicurezza che danno i reattori attuali è altissima, molto maggiore di tanti altri impianti convenzionali. forum destinata a esaurirsi in qualche centinaio di anni. I sistemi autofertilizzanti permettono però di utilizzare completamente l’uranio naturale, con un fattore 100 di più rispetto le tecniche utilizzate oggi, perché questi sistemi che utilizzano il sodio rendono fertile quell’isotopo dell’uranio che non è fissile. Praticamente trasformano un isotopo dell’uranio in un nucleo che diventa fissile, consentendo di utilizzare completamente l’uranio. Vengono bruciati completamente anche tutti i prodotti di attivazione che sono a lunga-media vita e che sono quelli che costituiscono oggi un grosso problema per via delle scorie che vanno stoccate con tempi lunghissimi di esaurimento (ordine di migliaia di anni). I reattori alla fine bruciano tutto e nel ciclo del combustibile previsto per questi reattori avremo un rifiuto nucleare che avrà la stessa radioattività dell’uranio che era in miniera. Abbiamo così ripristinato la situazione. Si otterrebbe anche l’effetto di abbattere la presenza nel mondo dell’uranio impoverito? I reattori di terza generazione, attualmente in fase di prima costruzione, mi riferisco all’Epr (European Pressurized Reactor) franco-tedesca e all’AP1000 della Westinghouse, producono un livello di sicurezza ancora superiore rispetto agli attuali reattori di seconda generazione. La prospettiva aperta dall’iniziativa di Generation IV, tramite il GIF, che è l’iniziativa internazionale di vari Paesi nel mondo che collaborano assieme agli Usa per “Generation IV”, risponde a una serie di richieste che sono state formulate in questi anni riguardanti: la sicurezza intrinseca, la sicurezza cioè relativa alla gestione del combustibile, che è uno dei punti critici del nucleare, la security e la non proliferazione, cioè la capacità di essere sistemi a prova di utilizzo, per scopi bellici. A tutte le questioni poste risponde la Generation IV. Per arrivare a dare risposte complete a tutte queste domande di sicurezza ci sarà bisogno di una sperimentazione che durerà molti anni. Il discorso dell’uranio impoverito è duplice. Da una parte l’uranio impoverito, utilizzato in questi reattori, verrebbe usato completamente. Praticamente si tratta di uranio in cui c’è una percentuale ancora alta di 238, l’isotopo dell’uranio non fissile, il 235 è stato utilizzato. L’uranio è impoverito perché è passato attraverso una fase di arricchimento: gli è stato tolto il 235 ed è rimasta la differenza. L’uranio impoverito non è di per sé più inquinante di quello naturale (anzi lo è di meno!), il problema è che viene utilizzato, in quanto pesante, per applicazioni belliche e finisce sparso come inquinante pericoloso per la salute. Quanto durerà ragionevolmente questa sperimentazione? I reattori autofertilizzanti, cioè con raffreddamento a metallo liquido o a gas, dovrebbero entrare nella fase industriale dal 2020 al 2030. Si pensa di avere già i primi reattori raffreddati a sodio in funzione verso il 2020. Riguardo l’impegno sul nucleare esiste un panorama internazionale molto variegato. Chi si occupa di una sperimentazione così impegnativa e importante? Se ne occupano gli americani, i giapponesi e i francesi. I francesi hanno realizzato dei reattori al sodio, Fenix e Superfenix. Fenix ha lavorato bene mentre il Superfenix ha avuto seri problemi nei circuiti di raffreddamento al sodio, che hanno portato alla chiusura del reattore. Adesso questi problemi (non di carattere nucleare) sono stati compresi. Prima ancora del presidente Sarcozy è stata lanciata una grande iniziativa che vuole dotare la Francia di un reattore al sodio entro il 2020. Non saranno sistemi solamente francesi ma globali, frutto di questa ricerca che vede impegnati insieme francesi, americani e giapponesi. Questo tipo di reattore, oltre a presentare elementi di sicurezza che riguardano intrinsecamente il nucleare, presenta anche altri elementi di minor impatto ambientale? L’utilizzo del sodio serve per avere un reattore cosiddetto “autofertilizzante”. Questo è un altro dei requisiti di Generation IV, la sostenibilità, che significa realizzare degli impianti per i quali la disponibilità del combustibile ci sarà per migliaia di anni a partire da oggi. Uno dei problemi attuali è che le risorse fossili, al di là del fatto che provocano effetto serra, comunque prima o poi finiscono. Anche dell’isotopo fissile dell’uranio, attualmente utilizzato, c’è una quantità ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007 Allora, tornando ai tempi di praticabilità della Generation IV, a fini energetici, quali sarebbero in definitiva? Secondo Lei, si tratterebbe di tempi abbastanza ragionevoli per una risposta alla domanda di energia? Una risposta ecologica: perché non producono gas serra, hanno la possibilità di sfruttare un combustibile che si trova in abbondanza sulla terra e, cosa non trascurabile, questi reattori rendono impossibile distogliere il combustibile per fini militari. Riguardo la sicurezza intrinseca, va sottolineato che il sistema stesso, anche con apparati elettronici non funzionanti o in presenza di errore umano, di per sé si spegne, senza il bisogno, come avviene oggi, dell’intervento di un sistema elettronico o di un operatore. Ripeto, si tratta di tecnologie che fanno sì che un reattore, senza bisogno di interventi esterni, per qualunque evento accidentale possa accadere si spegne da solo. Diceva che questo sistema consentirebbe anche di minimizzare le questioni riguardanti lo stoccaggio di scorie? Certamente, perché le scorie prodotte dalle centrali si compongono di due tipi: - i prodotti di fissione, che sono le scorie più leggere dell’uranio, sono radioattivi, ma, decadendo abbastanza velocemente, richiedono uno stoccaggio per un certo numero di anni, ma non si arriva alle migliaia di anni - esistono prodotti di attivazione più pesanti dell’uranio, che sono gli attinidi; si tratta di una serie di elementi che decadono in migliaia di anni. Sono una piccola frazione dei residui nucleari che richiedono uno stoccaggio per migliaia di anni. 39 opinioni dalla scienza e dalla politica L’obiettivo è di riuscire a “spaccare” questi attinidi, il più famoso è il plutonio, affinché alla fine del processo non esistano più. Questo si può fare o all’interno del reattore stesso oppure in un altro reattore opportunamente progettato (era la proposta di Rubbia, il sistema ADS, che ancora viene perseguito e fa parte dei possibili schemi). Si tratta di un reattore dove vengono fatti bruciare gli attinidi ottenendo come residuo solo materiale radioattivo che decade in un tempo di qualche centinaio di anni. In tal modo per le scorie non vi è la necessità di realizzare depositi geologici nei quali immagazzinarle per molte migliaia di anni. Questo è un punto cruciale che ha guidato Generation IV, rispondendo alle obiezioni che erano state poste, non tanto sulla sicurezza dell’impianto nucleare, perché già adesso gli impianti nucleari hanno un altissimo tasso di sicurezza, quanto sulla validità di tutto il ciclo di produzione e di stoccaggio dei rifiuti nucleari. 40 Se la scienza ci offre un cambiamento di scenario così radicale e positivo qual è il problema del nostro Paese nei confronti del nucleare? Ci sono state ultimamente molte discussioni e relativamente alla situazione italiana, non voglio entrare nel merito delle decisioni prese a suo tempo, a ragion veduta, da chi ha votato. Di fronte a una consultazione popolare non si possono fare commenti. La situazione è evoluta e si è compresa la difficoltà di mantenere un ritmo di sviluppo dell’economia e del nostro vivere utilizzando i combustibili fossili. Le fonti rinnovabili e alternative possono dare un contributo importante, ma a oggi possono costituire solo una frazione del fabbisogno totale, se vogliamo mantenere il nostro standard di vita per il numero di persone presenti sul pianeta. Fino a 2-3 secoli fa la legna era sufficiente, oggi l’energia ricavabile da fonti rinnovabili non basta più, oppure basta solo per un decimo della popolazione del pianeta. Anche questa frazione, ricavabile dalle rinnovabili, è importante, soprattutto in quelle zone dove il trasporto dell’energia è molto impattante. Il punto fondamentale, su cui tutti convergono, e sul quale tutti si trovano d’accordo, è che un Paese deve avere il giusto mix di fonti energetiche. Non si può rinunciare, almeno per un certo tempo, a quelle fossili, magari rendendole meno pericolose per l’ambiente (mi riferisco alla CO2) e sicuramente dovremo fare il massimo nel campo del risparmio, anche se l’Italia è già abbastanza “risparmiosa”. In Francia, ad esempio, nella distribuzione di energia elettrica le utenze mediamente sono di 20 kw per casa mentre da noi la norma è 3 kw, 5 kw al massimo. Abbiamo un altro clima, ma non siamo certamente quelli che spendono di più. Bisogna dare uno sviluppo alle rinnovabili laddove possono dare il contributo, anche sul piano del bilancio ambientale. In Italia sicuramente la rinnovabile più importante è l’idroelettrico. Una volta era sufficiente per tutto il Paese, adesso non più. E’ necessario pertanto dare impulso alle rinnovabili, soprattutto per il riscaldamento, con il solare e il fotovoltaico. A me pare che, volendo mantenere gli standard di vita dell’occidente – e tenendo conto dei cinesi, degli indiani e di quanti altri cominciano a reclamare il raggiungimento di standard ben più elevati di quelli che hanno attualmente – il nucleare diventi essenziale. Stiamo parlando di nucleare da fissione, bisogna arrivare al nucleare da fusione, all’Enea stiamo lavorando a questo, ma occorre ancora tempo. Mentre le centrali nucleari a fissione lavorano già quelle a fusione non sono ancora entrate in funzione. Un’idea per il futuro potrebbe essere il mix fissione e fusione. Ammesso che la scienza ci offra opzioni con elevati livelli di sicurezza e bassissimo impatto ambientale, mi pare che restino da esaminare i problemi politici che permangono: la localizzazione degli impianti, la localizzazione delle zone di stoccaggio di scorie, la questione dei trasporti del materiale, l’Italia è il paese in cui è molto difficile fare delle scelte a fronte di una diffusa “cultura del no”. Certo, si pensi ai gassificatori – che ci libererebbero dalla schiavitù dei gasdotti e, quindi, dal potere di fornitori monopolisti, litigiosi e incerti. I gassificatori non li facciamo, con un danno oggettivo, è chiaro che ci vuole un’impostazione diversa, improntata alla scientificità della proposta e alla correttezza del percorso decisionale. Io sono propenso a dei sistemi, delle infrastrutture nazionali che rispondano compiutamente a tali esigenze; mi riferisco, ad esempio, all’Apat, a organismi di controllo che ci sono, ma il cui potenziale va aumentato. Va creato un circuito virtuoso nei rapporti fra il cittadino, le istituzioni, gli enti, il mondo economico, in modo che le decisioni, così come avviene in Francia e da altre parti, vengano dibattute, ma si arrivi a una soluzione, consapevoli che non sarà condivisa da tutti. In Italia spesso si tenta di saltare questo aspetto e dopo ci si trova di fronte a un rifiuto, per certi versi anche ragionevole. Non dobbiamo forzare sui cittadini; dobbiamo pensare che le loro esigenze sono reali, dobbiamo creare un sistema trasparente nel quale confluiscano i pro e i contro in modo da trovare soluzioni controllabili. ARCHIVIO ARPA SEZ. DI PIACENZA forum ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007 Gianni Mattioli Università La Sapienza, Roma La geopolitica sanguinosa dell’energia e gli sconvolgimenti climatici sollecitano cambiamenti drastici nella struttura del bilancio energetico mondiale, caratterizzato dal massiccio ricorso ai combustibili fossili e periodicamente si riapre in Italia il dibattito sulla possibilità del ricorso al contributo dell’energia nucleare, cancellato nel 1991 come conseguenza del referendum che seguì all’incidente di Chernobyl. Negli Stati Uniti è dal 1978, ben prima di Chernobyl, che le imprese elettriche – come è noto private – non ordinano più impianti nucleari. E ormai da oltre quindici anni la stessa scelta è stata effettuata da tutti i paesi Ocse, con la sola eccezione del Giappone. Austria, Spagna e Svezia hanno chiuso i programmi nucleari prima dell’Italia e analoga scelta è stata effettuata, più recentemente, dalla Germania. Quanto alla Francia – esaurita la motivazione strategica della force de frappe – non ha proceduto al rinnovo degli impianti relativi al trattamento del combustibile, ha chiuso la sua filiera legata all’utilizzazione dell’Uranio 238. La recente intenzione di realizzare un nuovo impianto EPR riguarda un prototipo di Terza Generazione, dunque non significativamente innovativo rispetto al tipo allora presente nel programma italiano. Gli Stati Uniti, alla guida del consorzio internazionale Generation IV, indicano il 2025 come data possibile per la realizzazione di un prototipo di nuovo impianto, ove fossero risolti alcuni problemi oggi irrisolti. L’energia nucleare contribuisce oggi per il 6,4% ai consumi mondiali di energia e l’Aie (Agenzia internazionale per l’energia) prevede per i prossimi anni la riduzione di questo contributo, nonostante i programmi nucleari di Cina e India. Ma quali sono le cause di questo declino? In realtà, a prescindere dai problemi ingegneristici di sicurezza, è il problema della radioattività che richiede un salto di qualità di nuove conoscenze di fisica fondamentale: così l’Associazione per la protezione dalle radiazioni ionizzanti ricorda che anche il rilascio di microdosi di radiazioni, in condizioni di funzionamento di routine degli impianti, è comunque responsabile di tumori e leucemie per i lavoratori e per le popolazioni esposte. Dosi piccole e piccolissime di radioattività sono sufficienti a innescare quei processi di mutagenesi, che sono il punto di partenza delle malattie degenerative; si tratta di fenomeni ben noti ai biologi, che progressivamente, a partire dai dati desunti dagli effetti sanitari delle esplosioni di Hiroshima e Nagasaky, hanno corretto in senso peggiorativo le stime di correlazione tra dosi di radiazioni ed effetti sanitari gravi. La dose limite di radiazioni indicata dalla Commissione internazionale per la protezione dalle radiazioni (Icrp) per il personale addetto agli impianti e per la popolazione non significa “dose al di sotto della quale non vi è rischio” e neppure “dose minima assicurata dalla migliore tecnologia disponibile” perché ciò sarebbe troppo costoso. Dose limite – più elevata per i lavoratori, minore per la popolazione – significa quel livello di radiazioni cui sono associati effetti somatici (tumori, leucemie ecc.) o genetici, “che vengono considerati accettabili per l’individuo e per la collettività in vista dei benefici economici derivanti da siffatte attività con radiazioni.” La Icrp ha fornito anche la valutazione degli effetti sanitari gravi statisticamente prevedibili in corrispondenza di questa dose: nel caso dei lavoratori professionalmente esposti, una diecina di morti all’anno per tumore su 10.000 lavoratori. Deriva da ciò la complessità degli impianti e delle stesse procedure operative e ciò porta il costo del kWh a livelli non appetibili, in particolare per imprese private come le americane. ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007 forum Si perviene così alla questione del costo del kWh nucleare. Per le altre fonti energetiche utilizzate per la produzione di elettricità le tabelle internazionali forniscono con precisione il costo del kWh: carbone: 0,07 euro/kWh; olio combustibile: 0,05 euro/kWh; gas naturale: 0,04 euro /kWh; con impianti miniidro: 0,04 euro/kWh; da fonte eolica: 0,03-0,05 /kWh. Questa valutazione è invece difficile per l’energia elettrica prodotta dalla fonte nucleare. La risposta al problema dipende infatti dal grado di intervento dello Stato nella chiusura del ciclo del combustibile nucleare, che, come è noto, ha rilevanti aspetti di natura militare (ad esempio, il plutonio comunque prodotto negli attuali tipi di reattori) oppure presenta aspetti per i quali addirittura non si può parlare di tecnologie mature e commerciali, come nel caso della sistemazione delle scorie o dello smantellamento del reattore. L’Agenzia nazionale francese per la gestione dei rifiuti nucleari (Andra) avvia ora un laboratorio sotterraneo a Bure (Meuse) per nuovi studi sulla collocazione dei rifiuti a vita lunga ad alta attività, in funzione della stabilità della struttura rocciosa e della sua interazione con il calore generato dalla radioattività. Altri modi di gestione dei rifiuti (trasmutazione o stoccaggio in superficie) sono tutt’ora allo studio e si è dunque lontani dalla possibilità di indicare una tecnologia standard in base alla quale determinare la sua incidenza sul costo del kWh. Quanti tuttavia hanno avanzato proiezioni di costo al 2010 e al 2025 del kWh nucleare (per es. EIA/DOE Annual Energy Outlook 2004 and Projections to 2025”; Mit, 2003; ed altri), pervengono comunque a stime dell’ordine dei 0,06-0,07 euro/kWh. Ma, al di là delle questioni della sicurezza o dell’economicità, stiamo parlando di una fonte di energia che non può costituire l’alternativa ai combustibili fossili. Secondo le stime dell’Aie, al ritmo attuale di consumo dell’uranio 235 commerciabile – che, come si è detto fornisce un ben modesto contributo ai consumi mondiali di energia - la disponibilità della risorsa non va al di là dei trenta anni, che si ridurrebbero a ben poco, appena volessimo far assumere all’energia nucleare ruoli dello stesso ordine di importanza dei combustibili fossili. Certo, si potrebbe passare all’uso dell’uranio 238, molto più abbondante in natura, ma per ciò si dovrebbe passare attraverso la produzione di plutonio, secondo la linea intrapresa dai francesi con i reattori veloci. Si tratta di una tecnologia ad alto rischio (proliferazione nucleare e salute: un milionesimo di grammo la dose letale per inalazione). Finita la motivazione della force de frappe, la Francia ha abbandonato questa filiera. L’ estrazione di uranio dalle acque del mare – ogni tanto evocata – richiederebbe più energia di quanta se ne potrebbe produrre. È infine fatto di cronaca il rischio di proliferazione degli armamenti (già nel 1980 la conferenza internazionale Infce ribadiva il fatto che qualsiasi ciclo del combustibile nucleare ha in sé la possibilità di un uso militare) e resta il rischio del terrorismo, che ovviamente cresce a misura del moltiplicarsi dei possibili bersagli rappresentati dagli impianti nucleari. Dunque non verrà dalla fissione nucleare la risposta alla scelte urgenti che siamo chiamati ad effettuare. Certo, la ricerca non va abbandonata, in particolare in sede europea, anche se assai più promettente appare il settore della Fusione nucleare, per la quale esistono alcune reazioni pulite, anche se di utilizzazione più complessa. In conclusione, voglio citare il punto di vista del premio Nobel Carlo Rubbia, che, mentre ritiene che neppure le tipologie di reattori previste per la IV generazione daranno risposte adeguate ai problemi della fissione nucleare, ci ricorda che in un quadrato di 50 km di lato arriva annualmente tutta l’energia solare sufficiente per la produzione di energia elettrica necessaria al nostro Paese! 41 forum opinioni dalla scienza e dalla politica Maurizio Cumo Giovan Battista Zorzoli Presidente Sogin (Società gestione impianti nucleari) Acea spa, Roma Azienda comunale elettricità e acque Esiste oggi un nucleare “sicuro”? 42 la fusione del nocciolo. Occorre tuttavia notare che il concetto di sicurezza, che sul piano tecnico ha un significato oggettivo, è strettamente collegato alla percezione che se ne ha, e che costituisce il presupposto essenziale per una accettazione sociale diffusa. Credo che in questo campo ci sia ancora molto da fare, soprattutto in Italia. Esiste la possibilità che questa “generazione di nucleare” possa costituire una praticabile fonte energetica? Il nucleare è già una fonte energetica ampiamente utilizzata nei paesi industriali. Il contributo nucleare alla produzione di energia elettrica è del 33% nell’Unione europea, del 24% nei paesi dell’Ocse e del 16% a livello mondiale. Ci sono oggi 437 reattori in funzione nel mondo, 30 in costruzione, 74 in progetto e 182 in opzione. È vero che negli anni scorsi alcuni importanti paesi hanno avviato una approfondita riflessione sull’uso del nucleare. Ma le previsioni a medio termine pubblicate dall’Ocse (NEA) e dall’Onu (IAEA) inducono a ritenere che il contributo nucleare resterà fondamentale per il soddisfacimento dei fabbisogni energetici. I tempi per un’eventuale praticabilità di questa fonte sono compatibili con gli scenari attuali riguardanti il bisogno di energia? Le scelte politiche in campo energetico devono essere ampiamente condivise a livello sociale. I tempi sono quindi dettati dalla necessità di acquisire quel consenso diffuso che, per molti motivi, negli ultimi vent’anni in Italia è mancato. Quello che invece si può fare subito è riprendere l’impegno nelle attività di ricerca, ed è necessario farlo inserendo l’Italia nel contesto internazionale. L’impegno nella ricerca è indispensabile nell’immediato per acquisire le conoscenze avanzate che servono per portare a compimento, utilizzando le migliori tecnologie, il decommissioning degli impianti nucleari, la restituzione dei siti nucleari italiani alla piena fruibilità e la sistemazione definitiva dei materiali radioattivi. Nel medio e lungo termine è necessario che l’Italia partecipi alle iniziative di ricerca per consentire al sistema delle competenze nucleari (ricerca, industria, esercenti, enti di controllo) di tenere il passo con gli sviluppi della tecnologia, soprattutto in tema di sicurezza, sostenibilità e non proliferazione. Da qualche tempo in Italia si parla molto di ritorno al nucleare. Questo equivale a dire che nel breve-medio periodo verrà avviato in Italia l’iter autorizzativo per la realizzazione di impianti nucleari? Non lo credo per due fondate ragioni. In un paese dove anche l’insediamento di un ciclo combinato può trasformarsi in un happening dagli esiti imprevedibili – mentre nel caso di terminali di rigassificazione o di termovalorizzatori è ben noto il percorso di guerra che attende i proponenti – chi pensa che si possa realizzare oggi un impianto nucleare è un sognatore o un demagogo; comportamenti entrambi che, in un paese democratico, hanno tutto il diritto di esistere, ma non portano da nessuna parte. In secondo luogo dove funziona un effettivo mercato elettrico il project financing di un impianto nucleare è quasi impossibile e comunque troppo oneroso per l’elevato impegno di capitale e i lunghi tempi di realizzazione (oltre tutto resi incerti da sempre possibili opposizioni). L’unico paese che ha superato l’impasse, la Finlandia, ci è riuscita grazie a un consorzio di imprese che si è impegnato ad acquistare per dieci anni l’energia prodotta a condizioni predefinite. In altri termini, bypassando la logica di mercato. Adesso sta per partire la Francia, ma lì l’ostacolo sarà rimosso da qualche forma di intervento dello Stato. Anche se non è pensabile la realizzazione di impianti nucleari in Italia, il più importante gruppo elettrico italiano, cioè l’Enel, con le acquisizioni internazionali già definite produrrà circa il 6% della sua energia con tale fonte. Questa novità porta con sé l’acquisizione di know-how, lo sviluppo di un’adeguata cultura aziendale, l’inevitabile propensione a considerare il nucleare una delle direttrici lungo la quale espandersi. Il recente accordo con una società russa di progettazione di impianti nucleari ne è l’esplicita conferma. In parallelo, il ministro Bersani ha deciso a favore di una partecipazione dell’Italia allo sviluppo in corso su scala internazionale dei cosiddetti “reattori di quarta generazione”, incaricando Sogin di fungere da capofila di un insieme di risorse nazionali piccole, ma non minime. Solo per citare le più significative, Enea, Ansaldo Nucleare, Ansaldo Camozzi, Cesi Ricerca e il Consorzio interuniversitario Cirten. È interessante notare che, quando si discute in astratto sul nucleare, gli animi si accendono e le polemiche facilmente raggiungono il calo bianco, mentre le scelte operative dell’Enel e del ministro per lo Sviluppo economico al massimo hanno suscitato una salva di mugugni, nemmeno troppo protratti nel tempo. Si ha, insomma, la sensazione che, per fare passare certe iniziative, sia sufficiente che vengano realizzate in un “altrove” geografico o temporale. ARCHIVIO ARPA SEZ. DI PIACENZA La sicurezza dei reattori della terza generazione avanzata ha raggiunto livelli elevatissimi. I reattori di questo tipo sono progettati per contenere all’interno dell’impianto gli effetti degli incidenti anche più gravi, inclusa E se tutto ciò fosse possibile è pensabile acquisire in Italia quella autorevolezza politico-istituzionale che consente di collocare gli impianti, di stoccare le scorie in sicurezza, di organizzare il trasporto dei materiali radioattivi e tutto ciò senza che abbia il sopravvento la filosofia e la pratica del niet!? Credo che, sulla base di un approccio politico corretto, tutti i problemi siano risolvibili, anche i più complessi. Soprattutto in considerazione del fatto che tutte le attività in corso in Italia sono finalizzate alla rimozione dal territorio di fattori di rischio oggettivi. Se si riesce a spiegarlo nel giusto modo alla popolazione, e se si riesce a dare le necessarie garanzie sul piano tecnico e sociale, non c’è motivo perché si sviluppino resistenze aprioristiche. ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007 forum Pierluigi Bersani Alfonso Pecoraro Scanio Ministro dello Sviluppo Economico Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare Ministro Bersani, esiste oggi un nucleare “sicuro”? I reattori nucleari che si realizzano oggi nel mondo sono i cosiddetti reattori di III generazione, cioè reattori del tipo costruito nel passato anche in Italia con miglioramenti “evolutivi” nel progetto. Tali miglioramenti riguardano l’introduzione di diversi sistemi di sicurezza passiva e attiva che hanno ulteriormente ridotto la probabilità di severi incidenti e limitato le relative conseguenze fuori dal sito. Questo significa che, se per sicurezza intendiamo quella del reattore in esercizio, questi reattori possono essere considerati sicuri (anche se non in senso assoluto). Se nel concetto di sicurezza, come io ritengo, dobbiamo comprendere anche la non proliferazione a scopi bellici e il problema delle scorie radioattive, tali livelli di sicurezza sono pressappoco gli stessi dei reattori nucleari del passato. Per avere reattori nucleari complessivamente sicuri bisogna andare alla IV generazione. Esiste la possibilità che questa “generazione di nucleare” possa costituire una praticabile fonte di energia? In Italia, nel breve periodo, ritengo di no. Infatti quando parlo di nucleare parlo sempre e solo di IV generazione non solo per problemi di sicurezza complessiva e di costi, ma anche per il fatto che nel nostro paese bisogna ricostruire le condizioni per avere il nucleare, in termini di competenze, collaborazioni internazionali, infrastrutture e accettabilità. I tempi per un’eventuale praticabilità di questa fonte sono compatibili con gli scenari attuali riguardanti il bisogno di energia? Direi di sì in una ottica di lungo termine, in quanto la realizzazione di reattori nucleari di IV generazione è prevista per il 2030. Il presupposto è fare ciò che oggi è chiaramente indispensabile per il breve e medio termine (rigassificatori, stoccaggi gas ecc.). Se tutto ciò fosse possibile, è pensabile acquisire in Italia quella autorevolezza politico-istituzionale che consente di collocare gli impianti, di stoccare le scorie in sicurezza, di organizzare il trasporto dei materiali radioattivi e tutto ciò senza che abbia il sopravvento la filosofia e la pratica del no sempre, ovunque e a tutto? Autorevolezza politico-istituzionale significa adottare una corretta concertazione con le autonomie locali, basata sulla massima trasparenza e accompagnata da adeguate campagne nazionali di informazione e consapevolezza per le popolazioni, definite in sede di Conferenza unificata. Il banco di prova sarà la realizzazione del deposito superficiale definitivo per i rifiuti di II categoria e temporaneo per quelli di III, che dovrà contenere i rifiuti radioattivi provenienti dallo smantellamento del nucleare energetico pregesso e quelli medico-ospedalieri e industriali. ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007 Quella dell’energia pulita è una battaglia difficile, ma importante e degna di essere combattuta. L’energia, oltre a essere pulita, deve anche essere sicura. Ed è per questo che le fonti privilegiate del futuro dovranno essere quelle rinnovabili e prive di pericoli come, ad esempio, il solare, l’eolico, le biomasse. Tutte risorse che la natura ci mette a disposizione gratuitamente, e che non presentano rischi per la salute e per l’incolumità di tutti. L’energia nucleare, invece – e questo ormai è chiaro a tutti – presenta seri limiti nella realizzazione di nuovi siti e nella loro gestione. Si è creata una crescente consapevolezza sui rischi legati a questa fonte energetica fra molti Paesi, specie a livello europeo, e condivisa tra forze politiche anche molto diverse fra loro. Una cognizione del problema realmente partecipata, fondamentale per contrastare le forti pressioni delle lobby a favore del nucleare che nascondono i veri rischi legati alla sicurezza, alla proliferazione e allo smaltimento delle scorie radioattive. Senza contare, poi, l’enormità dei costi economici da sostenere per lo sfruttamento: l'energia atomica è costosissima, basti pensare che per la realizzazione di una sola centrale occorrerebbero ben 6000 miliardi delle vecchie lire. Non è un caso, infatti, che nessun privato scelga di costruire impianti nucleari. Il problema dello smaltimento delle scorie, questione di non poco rilievo, resta ancora irrisolto. A questo va aggiunto che la disponibilità di uranio su scala mondiale non potrebbe rappresentare una risposta energetica di ampio respiro in quanto si esaurirebbe nell’arco di qualche decennio. Non dobbiamo dimenticare, inoltre, che la tecnologia nucleare rappresenta una seria minaccia per la sicurezza globale, perché di fatto la sua presenza mette a repentaglio la pace e la sicurezza dei Paesi che la ospitano, in un momento come quello in cui viviamo, contrassegnato dalla sfida internazionale del terrorismo. Una seria politica energetica, che guarda al futuro, non può che investire con forza e determinazione sulle energie pulite e rinnovabili, sull’efficienza energetica, e sull’innovazione per trovare soluzioni sostenibili per il nostro Pianeta. È questa, insomma, la strada da seguire per contrastare i cambiamenti climatici in atto e salvaguardare anche il nostro Paese, proiettandolo in un avvenire finalmente attento alle esigenze ambientali. 43 Radioattività, nucleare selezione di siti SITI INTERNAZIONALI 44 http://www.insc.anl.gov/ International nuclear safety center (Insc); il centro internazionale opera per il miglioramento della sicurezza dei reattori nucleari anche attraverso lo scambio delle informazioni tra le nazioni. http://www.sogin.it/ Sogin (Società gestione impianti nucleari spa), istituita nel 1999 per volontà del Parlamento e del Governo con lo scopo di mantenere nell'ambito pubblico il controllo delle installazioni nucleari dismesse e avviate allo smantellamento. http://www.iaea.org/ International atomic energy agency (Iaea); agenzia internazionale per la cooperazione in campo nucleare. http://www.arpa.emr.it/piacenza/ecc_isotopica.htm Arpa Emilia-Romagna; nelle pagine della Sezione di Piacenza l’area dedicata all’eccellenza “Isotopia e radioattività ambientale”. http://www.icrp.org/ Icrp, Commissione internazionale per la protezione radiologica. Prepara raccomandazioni e linee guida su tutti gli aspetti della protezione da radiazioni ionizzzanti. http://www.enel.it/attivita/ambiente/nucleare/ Sito di Enel spa, pagine dedicate all’energia dal nucleare, dati europei e internazionali. http://www.unscear.org/unscear/index.html United nation scientific committee on the effects of atomic radiation (Unscear); comitato insediato dall’Assemblea generale Onu nel 1955. Ha il compito di valutare i livelli e gli effetti dell’esposizione alle radiazioni ionizzanti. http://www.gnep.energy.gov/ Global nuclear energy partnership (Gnep); progetto promosso dall’amministrazione Usa per sviluppare il consenso sull’uso allargato dell’energia nucleare, in particolare nei paesi in via di sviluppo. www.epa.gov/radon/ Agenzia per protezione dell’ambiente Usa, pagine dedicate all’inquinamento indoor da radon. SITI EUROPEI http://www.euratom.org/ La Comunità europea dell'energia atomica (Ceea) o Euratom è un'organizzazione istituita nel 1957 per coordinare i programmi di ricerca degli stati membri relativi all'energia nucleare e per assicurarne un uso pacifico. SITI NAZIONALI http://www.apat.gov.it/ Sito dell’Agenzia nazionale per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici (Apat). Nella sezione Temi/Radioattività e radiazioni un escursus normativo, l’attività di controllo e approfondimenti. http://www.casaccia.enea.it/ Sito del Centro ricerche Casaccia - Enea. Nato come centro multidisciplinare a supporto del programma italiano di ricerca nel settore dell'utilizzazione pacifica dell'energia nucleare, ha mantenuto nel corso degli anni la caratteristica di centro di ricerca, sviluppo, applicazione e trasferimento di tecnologie innovative. http://www.ispesl.it/radon/opuscolo/opuscolo.asp Istituto superiore prevenzione e sicurezza sul lavoro, opuscolo divulgativo “Il radon nei nostri spazi di vita”. http://www.epicentro.iss.it/problemi/radon/radon.asp Epicentro, Centro nazionale di epidemiologia, sorveglianza e promozione della salute (Istituto superiore di sanità). Nella sezione Salute e ambiente pagine sul radon. http://www.infn.it/indexit.php Sito dell’Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn), che promuove, coordina ed effettua la ricerca scientifica nel campo della fisica subnucleare, nucleare e astroparticellare, nonché lo sviluppo tecnologico necessario alle attività in tali settori. Opera in stretta connessione con l’Università e nell’ambito della collaborazione e del confronto internazionale. A cura di Caterina Nucciotti http://www.intermed.it/mariner/ Progetto Mariner, studio che utilizza tecniche di citogenetica e di microarray per identificare un panel di biomarcatori in grado di valutare i rischi di esposizione a radiazioni ionizzanti. http://www.anpeq.it/ Associazione nazionale professionale Esperti qualificati nella sorveglianza fisica di radioprotezione. http://www.greenpeace.org/italy/ Associazione internazionale onlus Greenpeace, nel sito italiano una sezione dedicata a Energia e clima contiene notizie e rapporti sul nucleare. http://web.tiscali.it/zona.nucleare/ “Zona nucleare” è il sito unico nazionale che fornisce un’informazione estesa e completa sul tema: raccolta delle scorie nucleari ("sistemazione, smaltimento e stoccaggio, in condizioni di massima sicurezza, dei rifiuti radioattivi") in Italia e argomenti correlati, mantenendo a ogni modo un comportamento apolitico e apartitico. http://www.solidarietalegambiente.org/ Associazione onlus Legambiente, nel sito pagine dedicate al tema del nucleare e ai progetti di solidarietà a favore della popolazione più colpita dalle conseguenze dell’incidente di Chernobyl. ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007 Nobel per la pace all’Ipcc e Al Gore La motivazione: “... per i loro sforzi volti alla costruzione e alla divulgazione di una vasta consapevolezza dell'effetto dell'uomo sui cambiamenti climatici, e per aver posto le fondamenta per le misure necessarie per contrastare tale cambiamento.” Il Premio Nobel 2007 per la Pace è stato assegnato al Comitato intergovernativo per i mutamenti climatici dell'Onu (Ipcc) e all'ex vice presidente statunitense Al Gore. La motivazione: “... per i loro sforzi volti alla costruzione e alla divulgazione di una vasta consapevolezza dell'effetto dell'uomo sui cambiamenti climatici, e per aver posto le fondamenta per le misure necessarie per contrastare tale cambiamento”. Si tratta di un importante riconoscimento al lavoro di quasi 20 anni dell’Ipcc e al lavoro della gran parte della comunità scientifica climatica mondiale, che ha partecipato attivamente alla stesura dei Rapporti di valutazione Ipcc. “È un onore e un grande riconoscimento per tutti gli scienziati e gli autori che hanno contribuito al lavoro dell’Ipcc” – ha dichiarato Rajendra Pachauri, presidente dell’Ipcc. “È il riconoscimento più significativo che l’Ipcc ha ricevuto per fornire ai policymaker informazioni equilibrate sulle cause e sugli effetti del cambiamento del clima e sulle risposte possibili” – ha detto Renate Christ, segretaria del Comitato. L'Ipcc, il Comitato intergovernativo Onu sul cambiamento climatico (Intergovernmental panel on climate change, http://www.ipcc.ch/), è stato costituito dall’Organizzazione mondiale di meteorologia (WMO) e dal Programma ambientale dell’Onu (Unep) per fornire ai decisori politici e a tutta la comunità scientifica mondiale una valutazione obiettiva della letteratura scientifica disponibile sui vari aspetti dei cambiamenti climatici, impatti, adattamento e mitigazione. Gli esperti scientifici (tra cui ci sono alcuni scienziati italiani) – che lavorano in maniera volontaria e non retribuita dall’Ipcc – sono scelti da una struttura (Ipcc Bureau) composta da scienziati qualificati a livello internazionale (l’unico membro italiano è Filippo Giorgi). Questi esperti rappresentano il più alto livello di expertise nei vari aspetti dei cambiamenti climatici. I Rapporti prodotti periodicamente dall’Ipcc riflettono l’analisi e la valutazione del consenso scientifico sui risultati riguardo i cambiamenti climatici, estratti dalla letteratura scientifica mondiale, insieme a indicazioni del grado di confidenza scientifica sulle conclusioni. L’ultimo Rapporto di valutazione (AR4-IPCC 2007) ha implicato sei anni di lavoro coinvolgendo: • 800 autori che hanno contributo ai contenuti dei vari capitoli • 450 autori responsabili di capitoli che hanno coordinato il lavoro di finalizzazione dei capitoli • 2500 revisori che hanno commentato e revisionato il lavoro Maggiori informazioni sulle attività dell’Ipcc e del Focal point italiano si possono trovare al sito http://www.cmcc.it dove sono disponibili anche le traduzioni dei Summary for Policy Makers (SPM) dei 3 volumi dell’ultimo Rapporto di valutazione. Le più recenti conclusioni del Comitato sono pubblicate anche in ArpaRivista 1/2007 “Se il clima cambia: evidenze, scenari futuri e strategie” e sul supplemento di ArpaRivista 3/2007 distribuito in occasione della Conferenza nazionale sul cambiamento del clima (Roma, 12-13 settembre 2007, http://www.conferenzacambiamenticlimatici2007.it). I fascicoli di ArpaRivista sono integralmente pubblicati in Arpaweb (www.arpa.emr.it). Al Gore – vice presidente di Bill Clinton dal 1993 al 2000 e sconfitto per una manciata di voti alle successive elezioni presidenziali Usa – sostiene da tempo l'urgenza di affrontare concretamente la questione del cambiamento climatico globale. Nel 2006 ha girato il mondo per presentare il film-documentario Una scomoda verità, premiato con l’Oscar nel 2007, nel quale illustra i rischi e le possibili conseguenze – fisiche, economiche e sociali – del riscaldamento del pianeta. Gore osserva, in conclusione, come gli effetti catastrofici possano essere scongiurati se si svilupperà una cooperazione globale, e se i singoli adotteranno comportamenti virtuosi per ridurre le emissioni di CO2 nell’atmosfera. Gore fornisce agli spettatori un vademecum composto di 10 “piccole azioni” utili; l’ultima azione della lista è “passa parola”, a rimarcare l’importanza di un processo di partecipazione dal basso capace di esercitare pressione sui decisori politici. A rimarcare anche come l’opinione pubblica può agire per far emergere la “verità nascosta”, a dispetto della manipolazione dell’informazione – nel film Gore affronta questo tema con informazioni documentate – indotta dalla lobby del petrolio. Tra le frasi con cui è stato pubblicizzato il documentario “The scariest film this summer is one where you are the villain and the hero” (Il film più spaventoso dell’estate è uno in cui tu sei sia il cattivo che l’eroe). Una parte degli incassi sarà devoluta al gruppo indipendente Alliance for climate protection. I premiati riceveranno una medaglia d’oro, un diploma e 1.53 milioni di dollari, che si divideranno. La cerimonia ufficiale di consegna del premio si svolge a Oslo il 10 dicembre, anniversario della morte del creatore del Premio, Alfred Nobel. Per iniziativa di Alfonso Pecoraro Scanio, ministro dell’Ambiente, della tutela del territorio e del mare, oltre 25 scienziati italiani che hanno partecipato alla redazione dei rapporti Ipcc, sono stati ricevuti da Romano Prodi, a Palazzo Chigi, il 25 ottobre. DR 45 Il Manifesto per il clima dalla conferenza nazionale sui cambiamenti climatici (Roma, 12-13 settembre 2007) Un New Deal per l’adattamento sostenibile e la sicurezza ambientale 46 I cambiamenti climatici costituiscono un problema nazionale. Le strategie per contrastarli vanno considerate prioritarie per l’iniziativa del Governo e per l’integrazione delle azioni di riduzione delle emissioni di gas serra e delle azioni di adattamento sostenibile nelle politiche sociali, economiche, finanziarie, agricole e territoriali. Queste azioni possono e devono rappresentare anche un importante volano per l’occupazione. La sicurezza, il benessere e la qualità della vita dei cittadini italiani di oggi e domani dipendono dalla salute del pianeta e del suo clima. Il ministero dell’Ambiente e per la tutela del territorio e del mare entro il 2008 definirà una strategia nazionale per l’adattamento sostenibile ai cambiamenti climatici e per la sicurezza del territorio. 1. In base ai risultati della Conferenza nazionale, coerentemente con le strategie delineate in sede Nazioni Unite (in particolare la Convenzione Onu sui cambiamenti climatici– Unfccc) e con quelle delineate in sede di Unione europea, è necessario sviluppare politiche concrete di mitigazione dei cambiamenti climatici rispettando gli impegni assunti e lavorando nelle opportune sedi internazionali per più significative riduzioni dell’emissione di gas climalteranti, avviando contestualmente iniziative concrete a favore del risparmio, dell’efficienza energetica e dell’utilizzo di fonti rinnovabili sostenibili. Si deve, innanzitutto, attuare il protocollo di Kyoto entro il 2012 e, nell’ambito della prossima rinegoziazione degli obiettivi di riduzione delle emissioni climalteranti, procedere alle ulteriori riduzioni delle emissioni di gas serra indicate dall’Unione europea, pari ad almeno il 20% entro il 2020 (che auspichiamo diventi del 30% come previsto dalla Ue, nel quadro di un accordo globale) e al 60% entro il 2050, coerentemente con le indicazioni dell’Intergovernamental Panel on Climate Change (Ipcc). 2. È necessario coordinare le misure di mitigazione con quelle di adattamento al cambiamento climatico, integrando da subito queste ultime nelle politiche settoriali di sviluppo economico, nella legislazione e nei programmi di finanziamento delle grandi opere, prevedendo azioni immediate di adattamento che possono già oggi essere avviate in Italia, a partire dalle politiche riguardanti: - la protezione degli ecosistemi e della biodiversità (terrestre e marina) - la gestione del suolo e delle coste - la gestione delle risorse idriche - la tutela sanitaria della popolazione - l’agricoltura e lo sviluppo rurale - l’industria e l’energia - il turismo In questo contesto assumono priorità la concreta attuazione di alcuni strumenti normativi, tra i quali: a) la Direttiva Quadro Acque 2000/60 (risorse idriche) b) la Direttiva Habitat 92/43/CEE e Direttiva Uccelli 79/409/CEE (biodiversità) c) la Convenzione internazionale per la protezione delle Alpi d) il sistema contabilità nazionale ambientale (legge delega) e il completamento del percorso di riforme delle norme sulla valutazione ambientale, soprattutto per quanto riguarda l’ integrazione della Valutazione ambientale strategica nei nuovi piani. 3. È necessaria la definizione immediata di un Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, che veda impegnato l’intero Governo, le istituzioni locali e territoriali e le parti sociali, connesso e integrato con l’avvio o la concreta implementazione dei due piani previsti dalle due grandi Convenzioni internazionali: • il Piano nazionale per la biodiversità, con particolare riferimento al ripristino ecologico e alla deframmentazione • il Piano nazionale di lotta alla siccità e alla desertificazione Inoltre, in un’ottica di piena sostenibilità ambientale, il Piano dovrà comprendere le migliori strategie di intervento per: - la difesa del suolo - la gestione integrata delle coste - l’adattamento del turismo in Italia - la gestione delle risorse idriche - un programma nazionale di partecipazione, informazione, sensibilizzazione dei cittadini sui cambiamenti climatici. La complessità del tema dei cambiamenti del clima e delle sue interconnessioni con gli aspetti di sviluppo socio-economico nazionale e con gli aspetti internazionali (legati alle politiche europee e all’attuazione delle direttive comunitarie, così come alle politiche extraeuropee e alle relazioni internazionali), richiede che il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici sia coerente con le strategie di mitigazione e le iniziative di ricerca sui cambiamenti climatici e la formazione. L’ esigenza di sviluppare strategie e piani di adattamento ai diversi livelli territoriali richiede la disponibilità, per le amministrazioni di tali ambiti, di dati, informazioni e documentazione, nonchè la predisposizione di rapporti periodici sullo stato di attuazione delle iniziative. Per conseguire queste finalità è opportuno attribuire, sul modello tedesco, all’Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici (Apat) le funzioni di centro di competenza sugli impatti e sull’adattamento ai cambiamenti climatici. 4. Devono inoltre essere promosse iniziative per assistere i paesi in via di sviluppo nella programmazione e nella attuazione di piani di adattamento sostenibile ai cambiamenti climatici anche al fine di prevenire squilibri sociali. Per favorire la sostenibilità nelle politiche di adattamento è opportuno proporre l’istituzione di un Fondo europeo di adattamento che possa supportare le iniziative di assistenza ai paesi in via di sviluppo, con particolare attenzione a quelli del bacino mediterraneo. 5. Si auspica che gli impegni del governo italiano per integrare le logiche di adattamento ai cambiamenti climatici all’interno delle politiche generali e settoriali possano essere conseguiti entro un arco temporale di tre anni. Per monitorare i progressi, così come per adeguare le politiche al ritmo incalzante del mutamento climatico, si auspica la convocazione della Conferenza Nazionale sull’adattamento ai cambiamenti climatici con una cadenza che segua almeno quella dei rapporti dell’Ipcc e che preveda sessioni di aggiornamento. ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007 Conferenza nazionale sul clima, la lotta ai cambiamenti climatici è una priorità La conferenza nazionale sul clima del settembre scorso ha attirato l’attenzione dei media e, in ultima analisi, ha proposto l’adattamento ai cambiamenti climatici tra le priorità dell’agenda politica italiana. Dalla “due giorni” romana è emersa la strategia di adattamento, ma più sfumato è apparso l’impegno per la mitigazione, che è legata alle politiche energetiche, alla mobilità, alle attività produttive e agricole. L’esempio dell’Unione europea è una chiara indicazione del percorso che Stato e Regioni possono cogliere per azioni decisive. Mitigazione e adattamento sono le due parole chiave del nostro lavoro. Se devo trarre una conclusione dalla due giorni romana è uscita molto forte l’analisi e la strategia di adattamento ai cambiamenti, ma più sfumato l’impegno per la mitigazione, che è nelle mani delle politiche energetiche, della mobilità, delle attività produttive e agricole. Qui si avverte una necessità di rafforzare la sinergia e l’integrazione delle politiche sia su scala territoriale – penso al bacino del Po – che tra i diversi settori della pubblica amministrazione e soggetti interessati al tema. Il governo di centrosinistra ha già invertito l’impostazione rispetto agli anni precedenti e corretto un sostanziale disimpegno su Kyoto, ma siamo anche consapevoli che la risposta è ancora insufficiente rispetto alla gravità del problema. Occorre “far squadra”. A questo riguardo, al di là del coinvolgimento delle Agenzie regionali per la prevenzione e l’ambiente e di alcune Regioni, come la nostra, chiamate a dare il proprio contributo sui temi della governance del Po, la partecipazione del sistema regionale alle strate- Sostenibilità e cambiamenti climatici in Emilia-Romagna l’impegno della Regione Diverse novità e forti investimenti caratterizzano le politiche per la sostenibilità che la Regione si sta accingendo a varare. Sul fronte della mobilità sostenibile, più risorse in arrivo anche dal Fondo nazionale per rafforzare e rinnovare il Trasporto pubblico locale, le infrastrutture urbane e i servizi ferroviari, mentre sono a bando i 5 milioni di euro per la conversione a metano/gpl dei veicoli inquinanti. Ormai vicina l’approvazione definitiva del nuovo Piano Energetico Regionale, che potrà contare su 30 milioni di euro all’anno per tre anni, oltre che sui fondi dei programmi europei per 80 milioni di euro in cinque anni. Tra gli assi prioritari, le fonti rinnovabili nelle aree industriali, l’energia verde attraverso le biomasse, ancora la mobilità sostenibile per merci e centri storici. Al piano si affianca l’atto di indirizzo sul rendimento energetico e la certificazione energetica degli edifici e degli impianti, già adottato dalla Giunta, che individua gli standard di prestazione energetica degli edifici, detta le norme per realizzarne la certificazione e rende obbligatorio l’uso delle fonti rinnovabili per la climatizzazione e l’acqua calda; prevista una percentuale obbligatoria di ricorso alle fonti rinnovabili per l’energia elettrica e termica, anche connettendosi a parchi fotovoltaici del territorio. WWW.CONFERENZACAMBIAMENTICLIMATICI2007.IT Il tempo stringe. I vertici internazionali, incalzati dalla comunità scientifica, hanno sancito la gravità dei cambiamenti climatici e assunto obiettivi di riduzione dei gas serra che per la prima volta coinvolgono senza eccezioni gli Stati sviluppati del mondo. L’Unione europea ha risposto prima e meglio di altri agli allarmi e imposto agli Stati membri di colmare i ritardi. In un momento in cui non solo gli addetti ai lavori, ma la stessa opinione pubblica avverte l’arretratezza e le difficoltà accumulate dal sistema Italia, l’iniziativa del ministero all’Ambiente e di Apat ha rappresentato un passaggio importante. La conferenza nazionale sul clima del 12 e 13 settembre ha avuto il merito di raccogliere diversi contributi scientifici e attirare l’attenzione dei mass media e, in ultima analisi, di proporre i cambiamenti climatici tra le priorità dell’agenda politica italiana. Positiva in tal senso l’approvazione di un manifesto e di un decalogo di azioni concrete da intraprendere. gie nazionali di sostenibilità e contrasto ai cambiamenti climatici è stata scarsa. Le Regioni giocano però, ai sensi del titolo V della Costituzione, un ruolo essenziale in diverse materie, quali le politiche territoriali, l’energia, la mobilità e svolgono una funzione altrettanto importante nell’indirizzo e coordinamento delle azioni locali. Dobbiamo, in tal senso, guardare all’Europa. Un esempio recente è la comunicazione della Commissione al Parlamento sul problema della carenza idrica e della siccità: “…L’adattamento ai cambiamenti climatici rappresenta una sfida per le autorità incaricate della pianificazione territoriale in Europa, soprattutto in ambito regionale”. Ci viene chiesto un impegno su dimensioni sovraregionali e di bacino, una politica che implica condivisione tra territori, forti investimenti e sostegni governativi adeguati. È quanto stiamo cercando di fare nel bacino del Po, dove un protocollo per la qualità dell’aria sta impegnando la nostra, come tutte le Regioni padane, in politiche coordinate di monitoraggio, limitazione e conversione energetica. Nella consapevolezza di una situazione meteoclimatica molto difficile, ove la mancanza di piogge rischia di vanificare molti sforzi. Alla fine di settembre l’Emilia-Romagna ha promosso un convegno sul climate change presso il nostro ufficio di rappresentanza a Bruxelles, coinvolgendo il ministero all’Ambiente. L’iniziativa ha destato l’attenzione di molti stakeholder europei e di altre Regioni italiane che vi hanno partecipato, portando proposte ed esperienze. Questo per dire che ognuno può e deve fare la sua parte. Alla base occorre però un patto tra Stato e Regioni che riconosca i rispettivi ruoli e valorizzi al massimo l’impegno comune. Lino Zanichelli Assessore all’Ambiente e sviluppo sostenibile Regione Emilia-Romagna 47 ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007 Parità di genere e politiche per il clima Quali sono i motivi che hanno impedito o limitato la partecipazione delle donne in posizioni strategiche per le scelte energetiche che incidono sul cambiamento climatico? Il progetto europeo Life “Climate for Change, Gender Equality and Climate Policy” ha portato un consistente numero di città europee a indagare su questo tema. Il Comune di Ferrara ha partecipato al progetto. Nell’articolo una sintesi dei risultati. 48 Come migliorare la partecipazione delle donne ai processi decisionali nelle aree politico amministrative che hanno rilevanza per il cambiamento climatico era l’obiettivo del Progetto europeo Life Climate for Change. Gender Equality and Climate Policy promosso e coordinato da Alleanza per il clima, l’associazione di Comuni ed enti territoriali europei, che s’impegnano per specifici obiettivi nella difesa del clima. Sotto la guida di Klima Bündnis (Germania) un consistente numero di città europee ha indagato i motivi che sino a ora hanno impedito o limitato la partecipazione delle donne in posizioni strategiche per le scelte energetiche che incidono sul cambiamento climatico. Le città che hanno sviluppato il progetto, dal dicembre del 2003 al febbraio 2005, sono state: Lathi in Finlandia anche per conto dell’Unione delle Città Baltiche, Sundsvall in Svezia, Berlino, Dresda, Francoforte e Monaco in Germania e le città italiane di Ferrara, Genova, Napoli e Venezia. L’approccio al progetto è stato quello di analizzare la posizione attuale di donne e uomini nelle aree e nei settori di rilevanza energetica all’interno delle amministrazioni nei vari Paesi europei. Sono state, poi, discusse le possibili strategie per raggiungere una partecipazione bilanciata ed equa di genere nell’ambito della salvaguardia del clima. I dati raccolti dalle città partner hanno confermato che la quota di donne tra i dipendenti è molto alta in tutte le amministrazioni comunali e, spesso, addirittura più alta di quella degli uomini. Tuttavia, è anche evidente che la presenza femminile si riduce in modo consistente nei posti dirigenziali o di leadership politica (nelle Giunte e nei Consigli comunali). Questo trend è ancora più marcato negli ambiti tecnici della protezione del clima, nonostante in tutta Europa vi siano più donne laureate che uomini. Le donne, però, sono visibilmente sotto rappresentate nelle materie scientifiche e, laddove impiegate, percepiscono un reddito inferiore. Nonostante tutto questo emerge che, in futuro, nei paesi occidentali si porrà non solo un problema demografico – che costringerà gli enti e le imprese ad affrontare la questione di rappresentanza femminile – ma si dovranno fare i conti con una crescente rivendicazione da parte delle donne di ricoprire posti di leadership tecnica e politica. Ma quali sono le barriere che le donne dovranno superare per assecondare la volontà di ricoprire posizioni decisionali di rilievo anche nel campo della tutela del clima? Manca innanzi tutto un’azione più incisiva da parte dei Governi centrali e locali che indirizzi e solleciti le donne a impegnarsi in corsi di studio scientifici. L’offerta di donne qualificate in campo scientifico è ancora bassa. Sembrerebbe poi mancare un ideale o, meglio, esempi di grandi donne e visibilmente di successo in questo campo. L’interesse delle donne per i campi tecnici e della difesa del clima è ancora limitato, poiché dimostrano di preferire attività direzionali più fondate sulla comunicazione che sull’assunzione diretta di posizioni apicali. Nei casi in cui, tuttavia, manifestino la propria disponibilità ad assumere incarichi in posti di responsabilità, vengono posposte agli uomini. Inoltre, l’organizzazione del lavoro è ancora fondata su gerarchie di stampo tradizionale, che http://www.climateforchange.net/ Poca determinazione femminile Problemi/impegni familiari che impediscono/rallentano la progressione di carriera Storicità dei settori (tipicamente affidati agli uomini) OSTACOLI Scarso interesse alla drammaticità dei cambiamenti climatici previsti Donne impiegate nel comune ma non in cariche decisionali (non sono motivate e ormai abituate a vedere l’uomo in certi settori) Gli ostacoli che determinano una scarsa presenza delle donne nei ruoli decisionali (Fonte: Climate for Change, Rapporto finale Comune di Ferrara, 2004) fanno leva più sulla fiducia-affinità che sul merito. Ciò non vale laddove all’assunzione per chiamata si preferisca la selezione tramite concorso. Spesso le donne hanno migliori risultati nelle prove di concorso. Quali sono, dunque, le possibili strategie per colmare l’insufficiente presenza e sensibilità femminile in ambiti fondamentali per la protezione del clima? A volte sono sufficienti semplici accorgimenti non onerosi per le amministrazione come: • assumere l’obiettivo d’incrementare la presenza femminile nei ruoli tecnici come prioritario da parte della leadership politica e del top management dell’ente • attivare indagini e audit sulla condizione femminile per definire la posizione del personale dirigenziale femminile • promuovere la formazione e training per personale dirigenziale, coinvolgendo maggiormente le donne • regolamentare anche il parttime per consentire al management femminile – in particolari periodi della propria vita, quali la maternità – di conciliare lavoro e impegni familiari • motivare le giovani donne con lauree scientifiche ad assumere responsabilità in campo tecnico • introdurre elementi di comunicazione esterna sulla politica di genere sviluppata all’interno dell’ente: monitoraggio delle posizioni dirigenziali femminili e report periodici, dimostrazione pubblica per l’impegno delle pari opportunità, competizioni e premi, certificazioni di pari opportunità nell’ambito di ecoaudit. Paola Poggipollini Comune di Ferrara A Venezia il futuro della scienza e la scienza per il futuro La “Third World Conference on the Future of Science” – che si è svolta a Venezia dal 19 al 22 settembre presso la fondazione Cini, sulla splendida isola di San Giorgio, di fronte a San Marco – ha riunito studiosi e scienziati provenienti da tutto il mondo. Le energie rinnovabili e il futuro della sostenibilità ambientale sono stati vagliati con dati tecnici e pareri informati, in una carrellata di tecnologie e strategie politiche sul lungo termine. La “Third World Conference on the Future of Science” tenutasi a Venezia dal 19 al 22 settembre presso la fondazione Cini, sulla splendida isola di San Giorgio, di fronte a San Marco, ha riunito studiosi e scienziati provenienti da tutto il mondo. Le energie rinnovabili, il futuro della sostenibilità ambientale, sono stati vagliati con dati tecnici e pareri informati, in una carrellata di tecnologie e strategie politiche sul lungo termine. Ma le università e i laboratori non hanno ignorato il breve e medio termine, e il legame con società e politica con cui la scienza deve confrontarsi. Gli scienziati presenti hanno infatti curato e dato ampio spazio alla presentazione delle tecniche già attualmente disponibili, e a quelle oggetto di ricerca e sviluppo, nella prospettiva degli scenari futuri. C’è accordo accademico sulla necessità di spostare il centro della produzione di carburanti dalle riserve fossili alle energie rinnovabili. Sul piano dello sfruttamento di biomasse come alternativa ai derivati del petrolio c’è già una spinta economica notevole, e sono già disponibili tecnologie di conversione dell’energia solare vantaggiose sul piano tecnico e su quello economico. Di recente le ricerche sulle tecnologie solari hanno accresciuto del 40% l’efficienza degli impianti fotovoltaici, come ci informa il Nobel per la fisica Zhores Alferov. E per Louis Schlapbach dell’Empa esistono già soluzioni competitive per realizzare nuclei abitativi che sfruttino riscaldamento, aria condizionata ed elettricità fornite da energie rinnovabili. Questo è il presente della tecnica, che però richiede sforzi economici, a livello governativo, per un progresso sul medio e sul lungo termine. I campi coltivati per ricavare biomasse adatte alla conversione in energia, e l’energia più disponibile di tutte, il sole, sottoforma di energia eolica e fotovoltaica, avranno bisogno di una partecipazione sociale che ne accolga le modificazioni necessarie al territorio. Stephen Connors del Mit indica che entro breve tempo lo sforzo per migliorare la produttività delle energie rinnovabili sarà impiegato nella conoscenza e trasformazione del territorio: ossia dove sfruttare meglio il sole, l’acqua e scegliere in modo più informato la migliore localizzazione di nuovi impianti per convertire in energia le fonti naturali. In Europa, come in America, non è in discussione la necessità di un simile impegno, il riscontro sul piano ecologico è ovvio. Resta da ricercare e pubblicizzare la sostenibilità e la convenienza economica. climalteranti e della criticità della situazione attuale e futura. È giusto parlare di cambiamenti climatici (climate change) e non di riscaldamento globale (global warming). La soluzione del sequestro della CO2 è una opzione da investigare con attenzione, e necessita di finanziamenti ingenti per indagare accuratamente in termini di effetti collaterali e potenziali impatti sulle varie matrici ambientali. È esigenza unanimemente percepita differenziare le fonti. Ciò significa non dipendere energeticamente da una sola sorgente. Ma prendere dove è disponibile, e preferibilmente da risorse endogene, locali; sia per questioni di equilibrio geopolitico, sia per perseguire un corretto principio di responsabilità, facendosi carico delle emissioni dei propri consumi energetici. A livello globale, si punta verso un rapido sviluppo della ricerca finalizzata a un corretto e sicuro utilizzo dell’energia nucleare, e sulla estensione della stessa ricerca alla IV generazione di impianti, meno rischiosi, più efficienti ed economici. C'è progresso tecnico e interesse per la ricerca, ma il cambiamento di registro costringerà a cambiamenti sociali, oltreché tecnici. Bisogna gestire la transizione, informando la comunità del cambiamento e istruendo gli scienziati alle nuove esigenze della tecnica. Soprattutto, c’è una ricerca e una promozione dei risultati a breve termine (tra cui il miglioramento delle vecchie fonti di energia) e per quelli a lungo termine. Alcuni scienziati americani (Mit) hanno messo in discussione le tesi del panel Ipcc, confutando la tesi della preponderanza dell’origine antropica delle emissioni Siamo in un periodo di transizione verso le energie rinnovabili, contro la schiavitù e le controindicazioni inquinanti dell'energia tradizionale (combustibili fossili, per lo più, e le loro fragilità ecologiche e tecniche). L’alternativa è rappresentata dalla conversione di biomasse in carburante, e lo sfruttamento di fonti rinnovabili come il sole, il vento, l’acqua. Sul piano economico cambieranno assetti di globalizzazione e standardizzazione radicati. Dalla progettazione globale bisognerà programmare sul regionale, scendendo nel locale. Sul sociale, bisognerà convertire l'opinione pubblica a un discorso che prima che ambientalistico sia di convenienza anche economica. Prima che la carenza di 49 http://www.thefutureofscience.org/ materie prime fossili e gli effetti dell'inquinamento da petrolio, gas e derivati costringano a una rieducazione brusca. Manca ancora una reale coscienza sociale della necessità di sostituire, o limitare fortemente, i combustivi fossili con fonti rinnovabili. Ci sono alternative rinnovabili sostenibili, nei servizi e nella convenienza economica, poco considerate per la diffidenza verso sistemi ancora poco pubblicizzati. Ci sono sempre effetti ambientali (campi elettromagnetici, cambiamento di uso del suolo, impatti dalle fasi di cantiere, nuove strade, traffico di mezzi pesanti, rumore ecc.) della produzione di energia. Non si può parlare di fonti a zero emissioni. L’unica con queste caratteristiche è il risparmio energetico, realizzato attraverso la gestione della domanda di energia. I progressi tecnologici stanno comunque tracciando la direzione di tecnologie sempre più performanti, in un’ottica di miglioramento continuo. E’ una questione di scienza come di politica, informazione e giurisprudenza. Per tradurre la parola della scienza alla comunità delle ideologie, della religione, dell’industria. Francesca Lussu Arpa Emilia-Romagna Fabrizio Roych Giornalista ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007 Third World Conference on the Future of Science, al centro le energie rinnovabili 50 AHMED GHONIEM MICHAEL BEVAN MIT (Massachusetts Institute of Technology, a private, coeducational research university located in Cambridge, Massachusetts), US John Innes Centre, UK Le strategie per il futuro dell’energia sono da ricondursi al miglioramento dell’efficienza dei processi di conversione dell’energia stessa nelle sue varie forme, delle tecniche di cattura e sequestro della CO2, dello sviluppo delle nuove generazioni di impianti nucleari e degli impianti a fonti rinnovabili. Particolare enfasi è stata data alla spinta verso lo sfruttamento dell’energia solare, che ha il vantaggio di poter sfruttare le opportunità di immagazzinamento dell’energia, a larga scala. La politica energetica globale dovrà intraprendere strategie di contenimento dei consumi e un’equa distribuzione delle risorse. ZHORES ALFEROV Nobel per la fisica La conversione dell’energia solare fotovoltaica promette le soluzioni più sostenibili alle problematiche energetiche a livello globale. I sistemi fotovoltaici stanno progredendo e rappresentano, già oggi, un’alternativa economicamente sostenibile agli impianti a fonti convenzionali. Le nuove tecnologie solari “multigiunzione” (che possono catturare gran parte dello spettro solare) hanno portato a un incremento del 40% l'efficienza di questi impianti. ÀNOS Per la fornitura di energia da fonti biologiche è importante il percoso di efficientamento degli impianti. Per la soddisfazione della domanda si dovrà sempre più guardare al sole, la maggiore risorsa globale di energia. Attraverso lo sviluppo delle nuove tecnologie e strategie. Piante batteri e alghe catturano CO2 e radiazione solare per produrre zuccheri. Nelle ere geologiche l'atmosfera è diventata ricca di ossigeno, e gli organismi che praticano la fotosintesi sono diventati carbone e petrolio. Il mondo che viviamo è stato fatto dalle piante. Ora l'equilibro dei gas atmosferici creato e mantenuto dalla fotosintesi, è stato squassato dallo sfruttamento intensivo di gas fossili e dal ritmo di crescita dell'industrializzazione. Sul piano ecologico: cambierà il clima, cambiando le disponibilità di cibo. Sul piano sociale: ci si sposta dove c'è ricchezza e industria, creando pressioni etniche. Bisogna riassestare gli equilibri naturali. Una soluzione può essere trovata nella coltivazione di piante per la produzione di biocombustibile. Migliorare i raccolti e renderli privi di impatti ambientali (per esempio puntando sulle colture meno idroesigenti). Rendere economicamente vantaggiosi questi processi. Introdurre una nuova generazione di biocarburanti per auto e aerei. Promuovere la ricerca su piante e biocarburanti presso politici e opinione pubblica. Entro il 2020 il 20% del carburante per trasporto sarà da fonti rinnovabili, prodotto con coltivazioni modificate e tecnologiche, a basso impatto ambientale. Per alleviare la dipendenza e lo sfruttamento dei gas fossili. MIKLÒS BEÉR MIT, US Carbone e gas naturale la faranno ancora da padrone nella produzione di energia elettrica. Il primo, per il basso costo e la vasta reperibilità della materia prima, il secondo perché meno inquinante (bassi livelli di ceneri, zolfo e mercurio, bassa anidride carbonica e rapporto carbonio/idrogeno). La tendenza è quella di andare verso combustibili fossili a minor contenuto di carbonio. Il metano (CH4) è tra i combustibili fossili, quello che ne contiene meno a livello molecolare. Per minimizzare il livello di concentrazioni di CO2 si studiano diversi metodi di sequestro del carbonio, il cosiddetto “CCS” (carbon capture and sequestration); intanto i nuovi impianti incrementano i propri livelli di efficienza per limitare la produzione di emissioni di gas climalteranti e dei residui di produzione. Sappiamo che per la seconda legge della termodinamica, passando da una forma all’altra si disperde calore, sottraendo energia all’elettrico. Si stanno studiando processi sempre più efficienti che porteranno incrementi dell’efficienza sino al raggiungimento del 50%. JEFFREY BYRON Direttore Empa (materials science and technology research institution) Zurich La risposta alla crescente domanda di energia in California è stata affrontata con una maggiore efficienza d'uso. Cresce economicamente, ma rimane stabile il consumo elettrico (a fronte di un aumento del 50% in 30 anni nel resto d'America). Non si è ancora al meglio. L'eccellenza nell'energia elettrica si sta raggiungendo anche nei trasporti grazie agli standard di efficienza nei carburanti, varati dal governo. Si punta alla riduzione per legge dei gas serra, all’efficienza nei vari settori dell'energia, aumentando l'uso di fonti a basso contenuto di carbonio. Lo scopo è l’abbandonare progressivamente la dipendenza da combustibili fossili, attraverso il miglioramento dell’efficienza, i progressi tecnologici nella costruzione degli impianti e nei motori dei veicoli, e uno sfruttamento accresciuto di fonti a basso contenuto di carbonio. Anche allo scopo di ridurre le scorie. ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007 STEPHEN CONNORS JEFFERSON W.TESTER Direttore Agrea (Analysis group for regional Energy Alternatives) MIT, US I governi puntano su biocombustibili e fonti rinnovabili, per un futuro di fonti energetiche diversificate. Ma nel presente le fonti primarie sono ancora dipendenti dai combustibili fossili. L'impegno per sfruttare le rinnovabili, come sole, vento e acqua, ripagherà gli sforzi finanziari per svilupparle, e anche per la riduzione dei gas serra e delle emissioni inquinanti. Per rendere possibile il passaggio alle fonti rinnovabili, occorre la conoscenza delle diverse dinamiche di immagazinamento e sfruttamento delle risorse, per giungere preparati al momento in cui saranno soppiantate le più dispendiose e inquinanti fonti fossili. Chi si impegnerà per le energie rinnovabili, dovrà pensare a una decentralizzazione dell'investimento produttivo, dovrà studiare le risorse disponibili su scala locale e regionale (vento, sole, corsi d'acqua), e impiegare quelle più efficaci. Indispensabile il coinvolgimento delle locali agenzie governative meteorologiche e ambientali. Occorre sviluppare una nuova concezione di sfruttamento su larga scala, spezzettato nel locale. Occorrono competenze sui luoghi, le caratteristiche, e i cicli delle fonti rinnovabili. Occorre preparare, in questa fase di passaggio dalle risorse fossili a quelle rinnovabili, tutte le competenze necessarie (per tecnologia e preparazione del territorio) a rendere efficace questo traghettamento. MAURIZIO CUMO Presidente Sogin, la società incaricata del decommissioning delle 4 centrali chiuse dopo il referendum dell’87 Nel medio-breve termine saranno disponibili i reattori nucleari di terza generazione, dal 2030 si passerà alla IV generazione di reattori nucleari. - I reattori americani "confermati" per altri 20 anni - Europa: ogni anno i detriti crescono di 40.000 metri cubi all'anno. 17.500 tonnellate, con un incremento annuo di quasi il 10% (1730 t). LOUIS SCHLAPBACH Chief executive officer at Empa (Materials science and technology research institution) L'uso di energia oggi è ripartita equamente tra trasporti, consumi domestici, e industria. Gli stati Uniti raggiungono un consumo di 10kW pro capite, Europa e Asia vanno dai 4 ai 6. Al di là della tecnica, esistono già automobili che usano meno di 5l per 100km con emissioni inferiori a 12kg di CO2 per 100km, abitazioni che usano solo fonti rinnovabili. Ma il costo dell'energia nei paesi industrializzati è basso, e l'alternativa ecologica è una questione sociale, prima che tecnica. Specie negli Usa, si assiste a uno smodato utilizzo dell'energia. Il basso costo fa sì che le alternative già efficienti di energia rinnovabile vengano ignorate, non siano un caso sociale stringente. C'è uno sviluppo nel breve medio termine promettente, ma intanto serve un coinvolgimento sociale, mentre la tecnica progredisce. Le automobili a basso consumo e le abitazioni a energia rinnovabile non sono viste come standard ma come un'opzione, poco popolare. Siamo nella transizione verso energie rinnovabili. Si cercano quelle più diffuse e meglio distribuite. Fra queste, una sottovalutata è quella geotermica, nella fattispecie idrotermica e quella da sistemi geotermici avanzati (EGS). In America, l'EGS si pensa potrebbe fornire nel 2050 fino a 100.000 megawatt. Adesso, anche in Europa, lo sfruttamento più tipico è quello dell’energia geotermica. DIANNA BOWLES University of York Se fino a ora abbiamo utilizzato energia solare vecchia, immagazzinata attraverso la fotosintesi dalle piante e fossilizzata nelle varie forme (carbone, petrolio, gas ecc.), è ora di utilizzare l’energia solare attuale. Nelle sue forme dirette (solare e fotovoltaico), e indirette: il vento non è altro che energia solare che riscalda le masse d’aria in maniera differente. Le masse più fredde si spingono verso quelle più calde a pressione inferiori creando il vento, che viene sfruttato dalle pale per la generazione di energia meccanica ed elettrica. C’è uno stato attuale della scienza, e una spinta per il progresso tecnico sul lungo termine. Dovremmo imparare dalle piante i migliori processi di sfruttamento dell’energia solare. CARLO RUBBIA Nobel per la fisica Occorre puntare sullo sviluppo del solare e in particolare sulle tecnologie, già disponibili, costituite dal solare a concentrazione che risolve il problema dello stoccaggio e immagazzinamento dell’energia attraverso l’utilizzo di un fluido di processo. Ciò permette, già oggi di mettere a disposizione tale fonte naturale in maniera continuativa e indipendente dai cicli notte giorno. Le sperimentazioni effettuate in America e in Europa (soprattutto in Spagna), ci offrono la possibilità di passare dalla fase sperimentale, a un pieno sfruttamento di queste fonti che, localizzate in aree desertiche relativamente ridotte, potrebbero contribuire a soddisfare le esigenze energetiche anche dei paesi più poveri, contribuendo a una loro rapida emancipazione. La ricerca sul nuovo nucleare rappresenta una opzione più critica, sia per ciò che concerne le problematiche di localizzazione delle scorie, sia per gli elevati costi, sia per la pericolosa vicinanza tra utilizzi a scopo energetico e bellico. LINK UTILI http://www.thefutureofscience.org/20th_presentfuture.htm http://www.thefutureofscience.org/21st_environmenthealth.htm http://www.thefutureofscience.org/22nd_ethicspolitics.htm http://www.thefutureofscience.org/ http://www1.eere.energy.gov/solar/solar_cell_structures.html#multijunction 51 Il tempo e il clima ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007 Maggio 52 Fig. 1 Mappa media dell’altezza del geopotenziale a 500 hPa. Isolinee ogni 20 dam. La mappa è stata calcolata a partire dalle analisi oggettive delle ore 00GMT realizzate dal Centro meteorologico europeo di reading (ECMWF) Fig. 2 Mappa media della pressione al livello medio del mare. Isolinee ogni 1 hPa. La mappa è stata calcolata a partire dalle analisi oggettive delle ore 00GMT realizzate dal Centro meteorologico europeo di reading (ECMWF) 26 un nuovo sistema atlantico irrompe nel Mediterraneo, portando temporali intensi con grandine e vento (tromba d’aria in Friuli). Nei giorni conclusivi del mese si ha una serie di’impulsi freddi che tengono basse le temperature e provocano temporali e grandine. Il bilancio mensile vede finalmente piogge superiori alla media su quasi tutte le regioni, a eccezione della val Padana orientale e della Sicilia. Le temperature saranno quasi ovunque superiori alla norma tra 1 e 3 gradi. Fig. 3 Mappa della pioggia accumulata SITUAZIONE METEOROLOGICA A GRANDE SCALA La mappa del geopotenziale medio mensile a 500 hPa mostra l’afflusso di correnti occidentali a curvatura ciclonica sull’Italia, mentre il campo medio mensile di pressione al suolo mostra che l’anticiclone si è ritirato sull’oceano. Con una perfetta tempistica, alla mezzanotte del primo maggio un fronte temporalesco attraversa la Sardegna e va a interessare le regioni tirreniche, marcando il cambio di rotta rispetto al secchissimo mese precedente al centronord. Il 2 arriva un nuovo fronte che porta temporali significativi anche sul Nord-Ovest e Toscana. A seguire un nuovo sistema temporalesco interessa le stesse regioni tra il giorno quattro e cinque, mentre i temporali saranno meno estesi al centro e zone interne del sud. Dove però l’instabilità durerà fino al 7. Durante la seconda settimana l’alta pressione porta tempo stabile e temperature in aumento: grazie anche a venti di caduta dai rilievi si registrano fino a 30° in pianura Padana e tra 32 e 34 gradi sulle coste adriatiche. Durante la terza settimana tornano le correnti atlantiche con temporali sparsi al Nord e temperature nella norma. Il 16 un primo impulso freddo interessa con temporali il Sud e il 18 un secondo impulso tra l’adriatico centrale e la Sicilia provoca un’ulteriore discesa delle temperature oltre a temporali sparsi. Nel frattempo al Nord rimonta l’anticiclone e tra Lombardia e Veneto le Tmax raggiungono i 34°. L’instabilità pomeridiana si fa sempre più sentire prima sui rilievi, poi anche sulla valle del Po, fino a quando il IL TEMPO IN EMILIA-ROMAGNA Il mese ha visto il ritorno delle piogge abbondanti sull’Emilia occidentale e parte del Ferrarese: infatti, con fasi alterne tra periodi umidi e periodi caldi e secchi, la parte occidentale della regione ha visto precipitazioni superiori alla norma. Da Modena verso la Comune PC PR RE MO BO FE RA FC RN Pioggia Pioggia Anom. Tmax osserv. clima pioggia mese 102 121 65 29 35 53 72 38 29 68 66 66 67 63 53 41 54 48 34 55 -1 -38 -28 0 31 -16 -19 24.7 25.8 26.6 27 26.4 25.8 23.7 25 24.3 Romagna, e soprattutto in quest’ultima, però, le piogge sono state ancora scarse, anche se alla fine del mese alcuni temporali molto intensi hanno interessato il ravennate. In particolare il 26 un temporale ha scaricato chicchi di grandine grossi come noci sul comprensorio frutticolo faentino, seguito il giorno dopo da un’altra grandinata significativa tra Faenza, Russi e zone a sud di Ravenna. Anche le precipitazioni cadute a inizio mese sull’Emilia sono state in prevalenza temporalesche, ma senza fenomeni violenti. Le giornate in cui il territorio regionale è stato interessato da temporali sono state 12. Le temperature sono state pure per questo mese superiori alla norma: di circa tre gradi sui valori delle massime e di circa due sulle minime. La nebbia in pianura è stata segnalata solo la mattina del 10. Tmax clima 21.9 23.1 23 22.6 22.9 22.7 21.4 22.1 21.5 Anom. Tmax 2.8 2.7 3.6 4.4 3.5 3.1 2.3 2.9 2.8 Tmin mese 11.8 13.1 11.2 11.4 14.8 15.1 14.7 11.9 12.9 Tmin clima 9.7 11.4 9 9.5 12.1 13 13 11 11.2 Anom. Tmin 2.1 1.7 2.2 1.9 2.7 2.1 1.7 0.9 1.7 Valori mensili della temperatura massima, minima e del totale mensile di precipitazione con relativi dati climatici di riferimento (anni 1960-1990) e anomalie rispetto agli stessi, rilevati in alcune località della regione Emilia-Romagna ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007 A cura di: Area previsionale e Sala operativa, Arpa-Servizio IdroMeteo Giugno 53 Fig. 1 Mappa media dell’altezza del geopotenziale a 500 hPa. Isolinee ogni 20 dam. La mappa è stata calcolata a partire dalle analisi oggettive delle ore 00GMT realizzate dal Centro meteorologico europeo di reading (ECMWF) Fig. 2 Mappa media della pressione al livello medio del mare. Isolinee ogni 1 hPa. La mappa è stata calcolata a partire dalle analisi oggettive delle ore 00GMT realizzate dal Centro meteorologico europeo di reading (ECMWF) superiori alla media sul Nord Ovest, l’Emilia, il Sud e le isole, inferiori al Centro. Le temperature sono state superiori alla media di un paio di gradi, a eccezione del Nord Ovest e del Lazio con valori intorno alla media. Fig. 3 Mappa della pioggia accumulata SITUAZIONE METEOROLOGICA A GRANDE SCALA Le mappe del geopotenziale medio mensile a 500 hPa e della pressione media al suolo, non catturano le profonde differenze registrate tra la prima e la seconda metà del mese: freddo e umido all’inizio, bollente alla fine. I primi sette giorni vedono il ripresentarsi di vortici ciclonici dal Nord al Sud e viceversa; i fenomeni più significati colpiscono il 1° giugno il Tigullio, dove cadono 150 mm, e il 7 la pianura lungo il Po quando una linea temporalesca stazionaria inonda la zona di Cento (FE) con 106 mm. Tempo autunnale interessa le regioni del Sud, dove correnti umide meridionali portano nubi basse con piogge moderate e prolungate. Fino al 16 l’instabilità provoca temporali sparsi al Nord, Centro, Puglia e Basilicata: temporale molto forte su Bologna il 12 e il 15 su Mestre. Un cambio della circolazione dal 18 spinge una lingua d’aria rovente dal Sahara verso le regioni meridionali. A causa probabilmente delle acque fredde del mare, un’intensa inversione termica mantiene fresche le quote basse, con nebbie diffuse sulle coste delle isole maggiori, e roventi le montagne. Un nuovo impulso caldo tra il 24 e il 26 rompe l’inversione e le pianure si arroventano fino ai 45 gradi, della Sicilia e della Puglia. Se in Sicilia queste giornate sono analoghe a quelle del giugno 82, in Puglia, si raggiungono i nuovi massimi assoluti con punte (da verificare) fino a 47 gradi. Il 27 il caldo cede per l’ingresso di correnti di maestrale che portano locali temporali sulle Alpi e l’Emilia. Alla fine del mese le precipitazioni risulteranno IL TEMPO IN EMILIA-ROMAGNA Precipitazione abbondante caduta su vaste aree del territorio regionale, nello specifico su Emilia e buona parte del ferrarese. In Romagna piogge nella media o sotto, particolarmente, lungo la fascia più prossima alla costa. Numerosi i giorni di pioggia nella prima metà del mese e alcuni eventi ne meritano menzione. Nella mattina del 7 una linea di convergenza, che dal Reno si protendeva fino al parmense, ha dato origine a copiose piogge temporalesche, con l’allagamento di Cento dove, presso l’Isit Bassi Buratti sono stati misurati 106 Comune PC PR RE MO BO FE RA FC RN Pioggia Pioggia Anom. Tmax osserv. clima pioggia mese 114 126 126 131 132 67 63 46 22 63 59 57 57 59 56 46 58 53 51 67 69 74 73 11 17 -12 -31 27.1 28.2 28.7 29.1 28.4 28.5 27.6 27.3 27.2 mm di pioggia. Nella zona si erano già abbattuti forti temporali un paio di giorni prima. Nel pomeriggio del 12 si sviluppa una linea di temporali stazionari nella zona tra Zola Predosa e Budrio, con epicentro nella zona ovest di Bologna. Nelle fasi salienti del fenomeno si registrano intensità superiori a 150 mm/h, per un totale di 59 mm. La terza decade è dominata dall’anticiclone subtropicale con assenza di precipitazioni e temperature alte che, però, non hanno mai raggiunto valori eclatanti. La Romagna, sotto l’influenza del Garbino (vento di caduta dall’Appennino) ha avuto medie mensili che più si sono discostate dai valori normali (circa 1.5°). Per le precipitazioni, tutte le principali città emiliane hanno avuto quantitativi doppi rispetto ai valori normali, mentre Rimini ha avuto solo il 40% di quanto atteso per il mese. Tmax clima 26.2 28.2 27.8 28.2 27.1 27.6 26.2 26.7 25.4 Anom. Tmax 0.9 0 0.9 0.9 1.3 0.9 1.4 0.6 1.8 Tmin mese 15.7 16.4 14.4 14.8 17.1 18.1 16 14.8 16.7 Tmin clima 14.3 16.5 13.9 14.3 16.2 18 14.4 13.4 15.4 Anom. Tmin 1.4 -0.1 0.5 0.5 0.9 0.1 1.6 1.4 1.3 Valori mensili della temperatura massima, minima e del totale mensile di precipitazione con relativi dati climatici di riferimento (anni 1960-1990) e anomalie rispetto agli stessi, rilevati in alcune località della regione Emilia-Romagna Legislazione DECRETO CORRETTIVO DEL DLGS 152/2006 IN PARLAMENTO 54 www.reteambiente.it La Conferenza unificata StatoRegioni, Città e Autonomie locali, riunitasi lo scorso 20 settembre, ha espresso parere favorevole condizionato sullo schema di decreto legislativo recante ulteriori disposizioni correttive e integrative del Dlgs 3 aprile 2006, n. 152, relative alle norme sulle acque, rifiuti e VIA, approvato dal Consiglio dei ministri nella riunione del 13 settembre. Ora il decreto, trasmesso in Senato, è all’esame delle competenti commissioni. Per poter essere approvato in via definitiva, il correttivo unificato necessita di tre approvazioni da parte del Consiglio dei ministri, intervallate da altrettanti passaggi nelle rispettive Commissioni parlamentari. Termine della delega a rischio? QUALITÀ DELL’ARIA: RECEPITA 2004/107/CE Dlgs 152 del 03/08/2007 GU n. 213 del 13/09/2007 Supplemento Ordinario n. 194 Obiettivo di questo decreto, che attua la direttiva 2004/107/CE, è quello di migliorare, in relazione all’arsenico, al nichel e agli idrocarburi policiclici aromatici lo stato di qualità dell’aria ambiente e di mantenerlo tale laddove buono. È inoltre assicurata la raccolta e la diffusione di informazioni esaurienti in merito alla concentrazione di queste sostanze inquinanti che possono avere effetti dannosi sulla salute umana o sull’ambiente. LA DIRETTIVA ISTITUITO IL COMITATO ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007 news DI VIGILANZA E DI CONTROLLO SULLA GESTIONE DEI RIFIUTI Decreto ministero dell’Ambiente e tutela del territorio e del mare del 25 settembre 2007 È stato istituito l’organo pubblico incaricato di monitorare sul funzionamento del sistema di gestione dei RAEE, di cui all’art. 15, comma 3, del decreto legislativo 151/2005, che attua le direttive europee relative alla riduzione dell’uso di sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche, nonché allo smaltimento dei rifiuti. Il Comitato, presieduto da un componente designato dal ministero dell’Ambiente, svolge i propri compiti avvalendosi dell’Apat e dell’eventuale collaborazione, per l’attività ispettiva, della Guardia di Finanza. QUALITÀ DELL’ARIA E TRA- SPORTO PUBBLICO: RIPARTITI I FINANZIARIA 2007 Decreto del ministero dell’Ambiente e tutela del territorio e del mare GAB/DEC/131 del 3 agosto 2007 www.minambiente.it Il decreto, approvato dal Ministro dell’ambiente di concerto con il ministro dei Trasporti e registrato alla Corte dei Conti il 21 settembre, definisce il programma di finanziamenti finalizzati al miglioramento della qualità dell’aria nelle aree urbane e al potenziamento del trasporto pubblico, ripartendo il Fondo per la mobilità sostenibile previsto dall’art. 1, comma 1121, della legge 27 dicembre 2006 n. 296 (legge Finanziaria per il 2007). Per tali finalità il programma promuove interventi e progetti finalizzati all’attuazione delle politiche di gestione della mobilità sostenibile. I campi di azione finanziati per le aree metropolitane sono, tra gli altri, trasporto pubblico, mezzi a basso impatto ambientale, distribuzione urbana delle merci, mobility manager, servizi complementari, mobilità ciclistica, parcheggi di interscambio, biocombustibili. FONDI DELLA OPPOSIZIONI ALLE SANZIONI AMBIENTALI, SI PRONUNCIA LA CASSAZIONE Corte di Cassazione, Sez. I Civile, sentenza 30 agosto 2007 n. 18320 (www.lexitalia.it) Interessante questa recente Sentenza della Cassazione che ribadisce l’inammissibilità dell’opposizione diretta verso i verbali di accertamento di sanzioni amministrative in campo ambientale (nella fattispecie si trattava di inadempienze relative alla tenuta dei MUD e dei registri di carico e scarico dei rifiuti). La Cassazione, inserendosi nel solco di una consolidata giurisprudenza, evidenzia come il verbale di accertamento redatto dall’Organo di vigilanza è autonomamente impugnabile ai sensi dell’art. 22 della legge 689/81 solamente quando riguarda infrazioni al codice della strada, mentre in tutte le altre materie può essere impugnata solo l’ordinanza ingiunzione emanata dall’Autorità competente. Pertanto, di norma, il verbale non incide sulla situazione giuridica soggettiva del contravventore, essendo esclusivamente destinato a contestargli il fatto e a segnalarli la facoltà di pagamento in misura diretta. ACQUE METEORICHE DI DILA- VAMENTO E SCARICO DI RIFIUTI LIQUIDI: PRONUNCIA DELLA CASSAZIONE Sentenza n. 33839 del 4 settembre 2007, Cassazione Penale, Sez. III Con questa pronuncia la Cassazione penale affronta il caso in cui le acque meteoriche di dilavamento non vengano canalizzate o immesse direttamente in una condotta: in tale situazione le acque non hanno natura di scarico, ma possono essere sottoposte alle norme sui rifiuti allorché, con il dilavamento delle superfici su cui cadono, producano rifiuti liquidi. Nel caso in esame, le acque piovane miste a residui di olio provenienti dai motori degli automezzi parcheggiati su un piazzale, unitamente a quelle scaturite da un autolavaggio, confluivano nel terreno circostante, inquinandolo, senza alcun sistema di convogliamento nella rete fognaria. Trattandosi quindi di reflui industriali la Suprema Corte configura il reato di abbandono di rifiuto liquido. Tale orientamento trova conferma in una recente sentenza della Corte di Giustizia della Comunità europea (causa C-252-05 del 10 maggio 2007), che considera rifiuti le acque reflue fuoriuscite, anche accidentalmente, dalla rete fognaria. DGR N. 1446, 1° OTTOBRE 2007 “Atto di indirizzo contenente linee applicative per il rilascio del parere integrato Arpa-Ausl nella dichiarazione di inizio attività (DIA) e nel permesso di costruire”. (www.regione.emilia-romagna.it) Questa recente delibera della Regione Emilia-Romagna ha provveduto a disciplinare la fattispecie del parere integrato di competenza Arpa-Ausl nell’ambito delle procedure per il rilascio di titoli abilitativi in materia edilizia secondo quanto previsto dall’art. 19, lett. h bis Lr 19 del 1982. Il provvedimento in esame trae origine dall’esigenza di razionalizzare le procedure degli Sportelli unici. Ciò è stato realizzato, tra l’altro, attraverso una sperimentazione volta a individuare i casi in cui il rilascio del titolo abilitativo edilizio (DIA o permesso di costruire) non necessiti dell’acquisizione del parere integrato Ausl-Arpa. Tale sperimentazione ha condotto all’adozione di una tabella nella quale è individuata in modo univoco la corrispondenza fra l’intervento edilizio e la tipologia di attività da sottoporre o meno a parere integrato. Per l’individuazione delle attività si è fatto riferimento in particolare al criterio della modifica sostanziale che viene specificamente definita nell’ambito della Direttiva. Inoltre, vengono definite le modalità di espressione del parere integrato. Esso consiste in un unico documento (in formato cartaceo fino all’adozione di quello in modalità telematica) a firma congiunta Ausl e Arpa territorialmente competenti, nel quale è espresso il parere unico, che è frutto di un esame contestuale, integrato da tutte le valutazioni riguardanti sia gli aspetti ambientali che quelli sanitari. Dall’applicazione della tabella è stato calcolato che discenderà una riduzione pari a circa il 30% delle pratiche soggette a parere. A cura di Giovanni Fantini Laura Campanini Veronica Celenza Area Affari istituzionali e legali Arpa Emilia-Romagna Libri IL RADON AMBIENTALE IN EMILIA-ROMAGNA Prevenzione nei luoghi di vita e di lavoro Collana Contributi, n. 51 Regione Emilia-Romagna Il volume descrive l’attività del gruppo di lavoro istituito dall’assessorato Sanità-Servizio sanità pubblica della Regione Emilia-Romagna allo scopo d’individuare un approccio metodologico per ottemperare al compito affidato alle Regioni dalla normativa vigente in tema di tutela dal rischio derivante dalla radioattività naturale nei luoghi di lavoro (v. articolo a pag. XX). Tra l’altro, è stato introdotto l’obbligo per le Regioni di individuare le aree del territorio a elevata probabilità di alte concentrazioni di attività di radon, dove tutti i luoghi di lavoro diventano assoggettati a misure di concentrazione di attività di radon media annua per la verifica del rispetto del livello di azione. Il radon, un gas radioattivo riscontrabile sulla crosta terrestre, è chimicamente inerte, inodore, incolore e insapore; tuttavia, gli studi scientifici condotti nel corso degli anni hanno stabilito che l’esposizione a radon può indurre tumore polmonare e, sin dal 1988, l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc) dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha classificato il radon tra i cancerogeni accertati del gruppo I, per i quali vi è la massima evidenza di cancerogenicità. Per questo motivo in molti paesi, soprattutto in Europa e nel nord-America, sono state attivate politiche sanitarie finalizzate alla riduzione di questo rischio. Considerato che in Italia i casi di tumore polmonare correlati a questa esposizione sono stimati in un numero compreso tra 1500 e 6000 all’anno, il ministero della Salute, tramite il Centro nazionale per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ccm), ha attivato una collaborazione con l’Istituto superiore di sanità (Iss), per dare avvio al Piano nazionale radon. Inoltre, la Commissione europea ha avviato indagini per acquisire informazioni sui progetti, realizzati o in corso, di mappatura del rischio radon, nonché sulle modalità di individuazione delle aree, nei paesi Ue. In questo contesto si colloca la scelta della Regione Emilia-Romagna di attivare uno specifico gruppo di lavoro, finalizzato a una lettura integrata delle informazioni già disponibili in regione rispetto al rischio radon e alla eventuale progettazione delle azioni da mettere in atto per arrivare all’identificazione delle aree a maggiore presenza di radon. Nel lavoro del gruppo si sono confrontate le opinioni e le esperienze provenienti dalle diverse professionalità presenti, essendo composto da fisici, chimici, ingegneri e geologi impegnati in attività di studio, ricerca e monitoraggio in enti come Regione, Arpa e Università. Non esiste una metodologia “approvata” a livello scientifico per quanto riguarda l’individuazione delle aree a maggior rischio radon, ma esistono essenzialmente due approcci: uno esclusivamente basato su misure di radon indoor, l’altro si riferisce a dati geologici. Entrambi i metodi presentano vantaggi e limiti. Le mappe che si basano solo su dati geologici non sono indicatori affidabili della concentrazione indoor di radon, che può dipendere da altri fattori, quali le modalità costruttive; l’approccio basato solo su misure indoor può risultare invece non “ottimizzato” rispetto alle informazioni necessarie, perché richiede generalmente un numero elevato di misure negli edifici, molte delle quali possono a posteriori risultare eseguite in zone a bassissimo rischio radon. Per questi motivi il gruppo di lavoro ha deciso di procedere in primis a una lettura integrata di tutte le informazioni disponibili con l’obiet- tivo di valutare lo stato delle conoscenze per arrivare all’identificazione di parti del territorio regionale da considerare a maggior rischio e su cui eventualmente attivare delle indagini specifiche di approfondimento. Dopo l’introduzione un capitolo è dedicato alla valutazione del materiale bibliografico disponibile; seguono capitoli che riportano dati di misura delle concentrazioni di radon in diverse matrici (indoor edifici, acque, rocce, gas) derivati da campagne di misura svolte nel corso degli anni sul territorio regionale e la descrizione della geologia del territorio regionale, con una proposta di classificazione dell’Appennino emiliano-romagnolo sulla base delle caratteristiche litologiche che possono influenzare il contenuto di precursori del radon nei suoli. Infine è illustrata l’analisi geostatistica effettuata che rappresenta il momento di integrazione dei vari dati. Le conclusioni costituiscono la sintesi del lavoro compiuto e delineano le prospettive di approfondimento. Il testo è corredato da 4 mappe cartografiche riferite ad alcune delle analisi descritte e da un CD che contiene, oltre alla copia del documento, il database dei dati ambientali associati alle varie matrici. Laura Gaidolfi, Arpa Emilia-Romagna A cura di Anna Callegari INQUINAMENTO ACUSTICO L’impegno del sistema agenziale Arpa Emilia-Romagna, 2007 106 pagine, distribuzione gratuita L’inquinamento acustico costituisce una delle problematiche ambientali in grado di influenzare la qualità della vita della popolazione residente in Paesi a elevato sviluppo tecnologico. La Direttiva europea 2002/49/CE delinea il quadro d’azione per la determinazione e gestione del rumore ambientale, definito come i suoni indesiderati o nocivi in ambiente esterno prodotti dalle attività umane, compreso il rumore emesso da mezzi di trasporto, dovuto al traffico veicolare, al traffico ferroviario, al traffico aereo e proveniente da siti di attività industriali. L’elevata sfida posta dalla Direttiva alle istituzioni nazionali e sub nazionali nel conseguimento degli obiettivi di prevenzione e riduzione dell’inquinamento acustico è stata raccolta anche dal Centro tematico nazionale Agenti fisici (CTN_AGF). I Centri tematici (CTN) sono nati nel 1998 su progetto Apat, a supporto operativo dell’attività dell’agenzia, ciascuno su una specifica problematica ambientale. Gestiti dalle agenzie regionali, affiancate da istituzioni scientifiche, hanno operato come strumento per uniformare metodi di lavoro, procedure, linguaggi e come mezzo di scambio delle informazioni all’interno del sistema. I risultati tecnico-scientifici conseguiti dal CTN_AGF nel corso dei due trienni di attività in tema di inquinamento acustico, sono stati presentati al seminario promosso da Apat e da Arpa Emilia-Romagna, tenutosi a Bologna nel gennaio 2005. Il volume raccoglie una sintesi dei lavori svolti, al fine di utilizzare i risultati raggiunti in una logica di sviluppo evolutivo delle conoscenze in materia. Il libro può essere richiesto ad Arpa Emilia-Romagna, Linea editoriale, tel. 051/6223.887, mail: [email protected] 55 ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007 Memo/Eventi 56 6-8 novembre Bologna COMPA 2007, Salone europeo della comunicazione pubblica, dei servizi al cittadino e alle imprese. Un evento speciale sarà dedicato al progetto “Ambienta, la comunicazione ambientale”, a cura di Enviromed, con il patrocinio del ministero dell'Ambiente, della tutela del territorio e del mare. Nel programma due iniziative incentrate sul tema “Clima ed energia”. Per informazioni: http://www.compa.it/ atmosferico e acustico. Impatto sulla salute e qualità della vita proposte da Università di Bologna, di Siena e di Torino, in collaborazione con Arpa Emilia-Romagna. Lo stato delle conoscenze, le evidenze epidemiologiche, gli effetti sanitari, le azioni di prevenzione e miglioramento, la comunicazione sono i temi trattati. Per informazioni: Segreteria organizzativa (Planning congressi), tel. 051/300100, [email protected], www.planning.it 9-11 novembre Milano Due ruote per il futuro, prima Conferenza nazionale della bicicletta per una politica di promozione della ciclabilità, per leggi che favoriscano la mobilità quotidiana su due ruote, per un’educazione all’ambiente, allo sport e al turismo sostenibile. Per iniziativa del ministero dell´Ambiente e della tutela del territorio e del mare e della Provincia di Milano. Per informazioni: [email protected] http://www.bici2007.it/ 21-23 novembre Roma Conferenza internazionale sul progetto HYDROCARE, nella gestione del quale svolgono un ruolo primario Apat (Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici) e Cinfai (Consorzio interuniversitario nazionale per la fisica delle atmosfere e delle idrosfere). Il progetto ha affrontato lo studio del ciclo idrologico dell’area dell’Europa che va dall’Adriatico ai Balcani, e si è concentrato sull’analisi delle problematiche relative all’acqua, vista come risorsa e come sorgente di rischio geo-ambientale. Per informazioni: http://www.apat.gov.it 11-15 novembre Roma 20th World Energy Congress. L’evento offre l’opportunità di assistere a dibattiti, tavole rotonde, esposizioni sul futuro energetico dell'Europa e internazionale, con ospiti del mondo politico e dell'industria. Per informazioni: www.rome2007.it 12-17 novembre Valencia Gli esperti dell’Intergovernmental Panel on climate change si incontrano in Spagna per presentare la sintesi finale del IV Rapporto Ipcc, che sarà il documento di riferimento per la Conferenza mondiale sul clima prevista dal 3 al 14 dicembre a Bali. Nella settimana conclusiva della Conferenza di Bali si svolgerà il vertice dei rappresentanti politici dei governi che dovranno assumere decisioni congiunte per un nuovo Protocollo sul clima. 15-17novembre Bologna Giornate di studio Inquinamento 22-25 novembre Milano Fiera della soft economy, la Campionaria delle qualità italiane. Nata dall’accordo tra Symbola (fondazione per le qualità italiane) e Fiera di Milano, la Campionaria è una fiera-evento in cui si racconteranno le diverse esperienze della qualità italiana Per informazioni: [email protected] http://www.lacampionaria.expocts.it 30 novembre Bari Convegno Cambiamenti climatici e rischi geologici in Puglia. L'incontro è organizzato dall'Ordine dei geologi della Puglia e dalla Società italiana di geologia ambientale e affronterà le tematiche dell’incremento degli eventi meteorici estremi e i fenomeni di dissesto idrogeologico e inondazioni, dovuti ai cambiamenti climatici, in tutto il territorio della regione Puglia. 7-10 novembre 2007 Rimini ECOMONDO, il valore del recupero, undicesima fiera internazionale del recupero di materia ed energia e dello sviluppo sostenibile. In mostra un’ampia gamma di opportunità tecnologiche, sistemi e attrezzature, servizi per risolvere i complessi e specifici problemi ambientali. Proposta dell’anno: il progetto espositivo Key energy, che intende porre il tema della sostenibilità energetica al centro del dibattito sullo sviluppo industriale del nostro sistema economico e sociale, in linea con il protocollo di Kyoto. Ecomondo Education – nuova iniziativa promossa dall’Agenzia nazionale per l’autonomia scolastica e dalla Regione EmiliaRomagna – sarà un’occasione di incontro con il mondo della scuola per parlare di stili di vita ecologici, di buone pratiche di gestione sostenibile e di crescita di responsabilità e partecipazione di cittadini e organizzazioni. Venerdì 9 novembre sarà presentato il nuovo volume dell'Issi (Istituto sviluppo sostenibile italia), Lo sviluppo sostenibile in Italia e la crisi climatica. Sarà presente all'incontro il sen. Edo Ronchi, curatore del libro. Tra le iniziative speciali del 2007 Caffè-Scienza, spazi ricreativi per potersi intrattenere in dibattiti su argomenti di interesse culturale e trasversale alla grande questione ambientale. Per informazioni: http://www.ecomondo.com/ Per informazioni: [email protected] http://www.sigeaweb.it/pagine/c o_conv.htm novembre 2007 - febbraio 2008 Torino I racconti della scienza, corso articolato nei seguenti incontri: 1617 novembre, 23-24 novembre, 14-15 dicembre (2007); 18-19 gennaio, 22-23 febbraio (2008). L’iniziativa è proposta con l’intento di fornire a ricercatori e scienziati gli strumenti per interfacciarsi con i giornalisti e comunicare correttamente la scienza. Gli obiettivi riguardano l´acquisizione di competenze di base nella comunicazione scientifica e nella gestione del rischio e l´approfondimento di aspetti particolari quali la comunicazione in radio e su web e l’organizzazione di mostre. Per informazioni: [email protected] http://www.fobiotech.org 4 dicembre Verona Seminario La radioattività nelle acque potabili e il gemellaggio di Arpa Veneto e Arpa Lombardia con la Polonia. Nel corso dell’iniziativa sarà illustrato l’esito del gemellaggio tra l’Italia e la Polonia realizzato nell’ambito del progetto europeo Extension of the sanitary supervision system in the area of water quality e affidato al ministero della Salute. Per informazioni: tel. 049/8239301 www.arpa.veneto.it 10 dicembre Ferrara Nell’ambito del ciclo di incontri sulla sicurezza alimentare promosso da Europass, in collaborazione con alcune Province dell’Emilia-Romagna, sarà affrontato il tema “Agronomia e industria agroalimentare, il caso micotossine”. Per informazioni: [email protected] http://www.europass.parma.it Pagine a cura di Daniela Raffaelli e-mail: [email protected] altri eventi alla pagina www.arpa.emr.it/eventi