Editoriale
ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007
La radioattività:
i dubbi, le paure e il bisogno di informazione
Quando si parla di radioattività immediatamente si affacciano nei pensieri
delle persone comuni gli eventi negativi che hanno accompagnato negli
anni l’impiego dell’energia nucleare: vengono evocate le bombe di Hiroshima e Nagasaki, l’incidente alla centrale di Chernobyl, le armi all’uranio
impoverito ecc.
Il fatto che le radiazioni ionizzanti non si vedano e non si sentano crea
quell’oscura sensazione di incertezza, di dubbio, di non completa fiducia
verso chi ha responsabilità di gestione, di controllo.
Occorre la consapevolezza di essere quotidianamente esposti a sorgenti
naturali di radiazioni ionizzanti quali le radiazioni cosmiche, i radionuclidi
naturali presenti nei terreni che contribuiscono all’emanazione del gas
radon. Con questa fonte di esposizione, la principale per la popolazione
con circa 2 mSv di dose efficace annua, abbiamo sempre vissuto e dovremo
continuare a convivere.
L’esposizione a radon rappresenta il più importante contributo (54 %) alla
dose della popolazione. Studi e ricerche nel corso di questi anni si sono sviluppate per quantificarne la presenza nell’ambiente esterno, nei luoghi di
lavoro e negli ambienti abitativi.
La più importante di queste ricerche è stata condotta da Iss e Apat (allora
Enea-Disp) con il concorso delle Agenzie regionali per l’ambiente (allora
Pmp).
In Emilia-Romagna gli studi sono stati completati con una indagine molto
dettagliata sull’esposizione a radon nelle scuole materne e negli asili nido
che ha fornito ulteriori dati tecnici, a completamento delle conoscenze utili
a inquadrare i rischi per la popolazione.
ARCHIVIO ARPA SEZ. DI PIACENZA
Le sorgenti artificiali di radiazioni ionizzanti sono utilizzate dall’uomo in
medicina (radiodiagnostica, medicina nucleare e radioterapia), in campo
industriale (produzione di energia elettrica, controlli non distruttivi,
misure di livello, spessore e densità, impianti di sterilizzazione ecc.), nella
ricerca scientifica, in agrobiologia, in archeologia, in geologia e nelle prospezioni minerarie.
L’Italia ha scelto di sospendere la produzione di energia elettrica con le
centrali nucleari dopo il referendum conseguente all’incidente di Chernobyl. Il nostro paese deve risolvere il problema dei rifiuti radioattivi stoccati presso gli impianti, il problema relativo alla dismissione degli impianti
nucleari esistenti, alla gestione del combustibile irraggiato ed essere in
ogni caso organizzato per affrontare situazioni di emergenza che possono
derivare da incidenti a impianti nucleari di paesi limitrofi.
Il sistema di radioprotezione in Italia dopo la decisone sulle centrali ha
subito una forte flessione; minore attività di controllo, meno sviluppo e
ricerca, competenze che si stanno esaurendo e non vengono rinnovate ecc.
Rimangono attivi, seppur in forma ridotta, il presidio della radioattività
ambientale controllata sia a livello nazionale sia regionale con specifiche
reti di monitoraggio, le reti attorno agli impianti e le reti di monitoraggio
d’allarme.
Questo sistema di controlli coordinato da Apat e realizzato dalle Agenzie
regionali assicura, ancorché in modo minimale, il presidio permanente del
territorio, il controllo sull’importazione di alimenti dall’esterno nonché una
rete di strutture e competenze utilizzabili anche in situazioni di emergenza.
La protezione dell’ambiente e la tutela della salute umana contro i rischi
da radiazioni ionizzanti sono disciplinate in ambito internazionale con il
continuo aggiornamento di criteri, procedure e raccomandazioni radioprotezionistiche oggetto di studio, in particolare dall’International Commission
on Radiological Protection (Icrp), commissione scientifica autonoma fondata
nel 1928.
Le raccomandazioni dell’Icrp sono recepite a livello europeo da specifiche
direttive comunitarie, i paesi membri devono poi tradurle in norme nazionali. La prima normativa organica sull’impiego pacifico dell’energia
nucleare risale al 1964: l’ormai “pensionato” Dpr 185/64. Quella norma
dettò per il più complessivo sistema di radioprotezione: regole e contenuti
così innovativi che potrebbero essere considerati validi anche oggi. Furono
inserite disposizioni riguardanti la protezione dei lavoratori con l’introduzione di figure quali l’esperto qualificato e il medico autorizzato incaricati
rispettivamente della sorveglianza fisica e medica dei lavoratori, obblighi
in capo al datore di lavoro, la valutazione dell’impatto ambientale/sanitario
degli scarichi idrici e aeriformi, la protezione della popolazione, il regime
autorizzativo, la pianificazione delle emergenze nucleari ecc.
L’attuale normativa, il Dlgs 230/95, e i successivi aggiornamenti, adeguano
le disposizioni al mutato assetto istituzionale e alle più avanzate conoscenze tecnico scientifiche mantenendo però inalterato l’impianto definito
dal Dpr 185/64. Appare insufficientemente definito oggi il ruolo delle
Agenzie regionali per l’ambiente.
Allora quali sono i punti di svolta per un approccio più razionale alla
radioattività? Innanzitutto creare le condizioni affinché siano sviluppate e
mantenute nel tempo le competenze specifiche, oggi assolutamente insufficienti, per affrontare a livello nazionale e locale le questioni ambientali e
sanitarie tuttora aperte (dismissione impianti, gestione rifiuti radioattivi,
emergenze nucleari ecc.).
In questo contesto il sistema delle Agenzie ha bisogno di crescere, di sviluppare competenze, di potenziare gli organici delle strutture operative di
radioprotezione e di sviluppare maggiori sinergie e un miglior coordinamento tra Apat e le Agenzie regionali.
L’informazione alla popolazione gioca un ruolo non esclusivo, ma fondamentale.
Informazione che deve essere equilibrata, deve presentare in modo scientificamente corretto i problemi e come questi vengono affrontati e risolti,
quali sono gli aspetti critici da gestire, quale l’impegno di chi gestisce e il
ruolo e le attività di chi controlla ecc.
Occorre, in buona sostanza, comportarsi in modo diametralmente opposto
a come ci si è comportati con la localizzazione del deposito nazionale dei
rifiuti radioattivi a Scanzano Ionico.
Questo numero speciale di Arpa Rivista vuole offrire corretti e qualificati
contributi scientifici sull’intero e ampio spettro degli aspetti legati alla presenza e utilizzo delle radiazioni ionizzanti.
Abbiamo pensato inoltre che fosse utile sentire l’opinione di autorevoli
rappresentanti del governo e dei principali enti impegnati in campo energetico circa la possibilità, ovvero l’ impossibilità, che in un momento difficile come quello attuale, le centrali nucleari possano tornare a essere una
fonte di produzione di energia elettrica.
Questo è il contributo che Arpa Emilia-Romagna vuole dare per una corretta conoscenza sulla radioattività, affinché si possa discutere di questi
temi con competenza e cognizione di causa.
Sandro Fabbri
Alessandro Bratti
Arpa Emilia-Romagna
1
numero 3 • anno X
maggio-giugno 2007
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29-10-2007
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Stampa:
Tipografia Moderna Registrazione Trib. di
n. 6164 del 21/1/1993
Stampa su carta:
Cyclus offset
1
ISSN-1129-4922
RIVISTA
Rivista di Arpa
Agenzia regionale
prevenzione e ambiente
dell’Emilia-Romagna
Sommario
Editoriale
La radioattività: i dubbi, le paure
e il bisogno di informazione
Sandro Fabbri
Alessandro Bratti
31 Tre le tipologie di ultima generazione
Carlo Lombardi
3
Speciale radioattività
Il controllo della radioattività
di origine naturale
Flavio Trotti
36 È nata con il nucleare la “Nimby”
di casa nostra
Lorenzo Pinna
6
La sorveglianza fisica per la radioprotezione
Silvano Cazzoli
7
Sono quattro le centrali nucleari
dismesse in Italia
Ugo Spezia
10 Le criticità nella fase di dismissione
Giuseppe Bolla
12 Prima criticità,
trattare il combustibile irraggiato
Roberto Mezzanotte
14 Rifiuti radioattivi, quale destinazione finale?
Mario Dionisi
16 Il trasporto del materiale radioattivo e fissile
Roberto Vespa
17 Trasportare in sicurezza il combustibile
irraggiato, il ruolo delle Agenzie
regionali per l’ambiente
Laura Porzio
18 Sorgenti orfane in Italia, sotto controllo
l’importazione di rottami metallici
Luciano
19 Le reti di allarme radiologico in Italia
Paolo Zeppa
20 Le reti per la sorveglianza in Italia
Giancarlo Torri
34 Nucleare, è ancora un vicolo cieco
Giuseppe Onufrio
38 Forum
Esiste oggi un nucleare “sicuro”?
Può costituire una fonte energetica
praticabile in Italia?
Con quali capacità di discutere e decidere?
Giancarlo Naldi, Alberto Renieri, Gianni Mattioli,
Maurizio Cumo, Giovan Battista Zorzoli,
Pierluigi Bersani, Alfonso Pecoraro Scanio
44 Radioattività, nucleare
selezione di siti
A cura di Caterina Nucciotti
45 Nobel per la pace all’Ipcc e Al Gore
A cura di Daniela Raffaelli
46 Il Manifesto per il clima
47 Conferenza nazionale sul clima, la lotta
ai cambiamenti climatici è una priorità
Lino Zanichelli
48 Parità di genere e politiche per il clima
Paola Poggipollini
49 A Venezia il futuro della scienza
e la scienza per il futuro
Francesca Lussu
50 Third World Conference on the Future of
Science, al centro le energie rinnovabili
Ahmed Ghoniem, Zhores Alferov, ànos Miklòs Beér,
Michael Bevan, Jeffrey Byron, Stephen Connors,
Maurizio Cumo, Louis Schlapbach, Jefferson W.Tester,
Dianna Bowles, Carlo Rubbia
22 Emergenze nucleari, la pianificazione
nazionale e locale degli interventi
Sergio Mancioppi
52 Il tempo e il clima
24 Monitoraggio e controllo,
l’esperienza di Arpa Emilia-Romagna
Roberto Sogni
55 Libri
Il radon ambientale in Emilia-Romagna
Inquinamento acustico
26 Strumenti operativi per la gestione
di emergenze radiologiche,
l’esperienza della Lombardia
Rosella Rusconi
56 Memo/Eventi
27 L’uranio impoverito e le malattie
dei soldati al ritorno da missioni di pace
Antonietta M. Gatti, Massimo Zucchetti
54 Legislazione news
INSERTO
Speciale Conferenza nazionale
sui cambiamenti climatici
Roma 12-13 settembre 2007
28 Effetti sull’uomo, l’esposizione
alle prestazioni di radiodiagnostica
Paola Angelini
30 Le bassi dosi e il progetto Mariner
Annamaria Colacci
Disponibile in ArpaWeb, Documenti, cerca “ArpaRi vista”. Il cartaceo può essere richiesto alla redazione
([email protected]) che procederà all’invio fino a
esaurimento.
Speciale radioattività
ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007
Il controllo della radioattività di origine naturale
Tra i radionuclidi terrestri, componenti della radioattività naturale, il radon può costituire un problema sanitario
per gli occupanti di un ambiente chiuso. Un’indagine effettuata alla fine degli anni 80 ha consentito di stimare i
valori medi nazionale e regionali di concentrazione di attività di radon indoor. Esistono, inoltre, lavorazioni nel
cui ciclo possono presentarsi materiali a elevato contenuto di radioattività naturale (NORM, Naturally Occurring
Radioactive Materials). Tra i compiti delle Agenzie ambientali il controllo e il monitoraggio, la partecipazione agli
interventi per la riduzione dell’esposizione e a campagne di informazione.
IL RADON
Il radon è un gas radioattivo
inerte generato dal decadimento
del Ra-226 (catena dell’U-238)
nel suolo e nelle rocce e che da
essi tende a fuoriuscire, penetrando in atmosfera e concentrandosi
all’interno
degli
ambienti confinati. L’inalazione
del radon o, per meglio dire, dei
suoi discendenti instabili a breve
tempo di dimezzamento, può
costituire un problema sanitario
per gli occupanti di un ambiente
chiuso. La patologia collegata
all’esposizione al radon è il
tumore polmonare; si stima che il
radon renda conto di circa il 10%
dei casi normalmente rinvenuti
di questa patologia.
Il rischio è proporzionale al
tempo di esposizione dell’individuo in un certo ambiente e alla
concentrazione in aria del gas
nell’ambiente stesso. La concentrazione del gas varia in funzione
di molteplici parametri prevalentemente connessi alla geomorfologia locale e all’accoppiamento
dell’edificio con il suolo (in termini costruttivi e meteoclimatici). In figura sono schematizzate
le vie d’ingresso del gas in un’abitazione; in alcune situazioni,
oltre al suolo, un'importante
fonte di ingresso è rappresentata
dal materiale edilizio del fabbricato (es. tufo vulcanico).
Alla fine degli anni 80 si è svolta
in Italia un’indagine per la
misura del radon nelle abitazioni,
a cura delle Regioni (per il tramite delle attuali Arpa) e con
coordinamento
dell’Istituto
superiore di sanità (Iss) e dell’odierna Apat, che ha consentito di
stimare i valori medi nazionale
(70 Bq/m3) e regionali di concentrazione di attività di radon
indoor; alcune regioni come
Lazio, Lombardia e Campania
hanno evidenziato livelli più elevati; valori più contenuti sono
stati rilevati in Emilia-Romagna
e Sicilia. La soglia di accettabilità
ritenuta congrua dalla Commis-
Dal libro La sfida del secolo
di Piero Angela e Lorenzo Pinna, Mondadori, 2006
Racconta Lorenzo Pinna, giornalista Rai e saggista:
“… e a proposito di radioattività siamo stati testimoni di un curioso episodio mentre realizzavamo lo speciale su Chernobyl per SuperQuark. Per
sicurezza, tutta la troupe impegnata nelle riprese è stata dotata di un
“dosimetro” per le radiazioni. Cioè un apparecchio in grado di misurare
le radiazioni assorbite. Poiché per le riprese dello speciale dovevamo
entrare nella zona interdetta, cioè entro i 30 chilometri dalla centrale, ci
sembrava una precauzione necessaria. Infatti non solo abbiamo visitato, e
“girato”, la cittadina fantasma di Pripyat, la più vicina alla centrale, ma
ci siamo anche avvicinati a meno di 100 metri dal “sarcofago”, dove sono
rinchiuse le rovine radioattive del disastro nucleare. Ebbene, prima di
partire, il direttore della fotografia, oltre al dosimetro da portare indosso,
se ne era fatto consegnare un altro, che aveva lasciato nella sua abitazione
ARCHIVIO ARPA SEZ. DI PIACENZA
La radioattività di origine naturale è costituita dalla radiazione
cosmica, dai radionuclidi cosmogenici, dai radionuclidi terrestri
(due principali serie di decadimento – capostipiti U-238 e Th232 – e il K-40). Di questi ultimi
si tratta nel testo che segue.
Contatore a flusso di gas alfa e beta a basso fondo
sione internazione per la protezione radiologica (Icrp) è compresa nell’intervallo 200-600
Bq/m3. Negli anni successivi, le
singole Regioni e le rispettive
Arpa hanno provveduto a varare
delle iniziative locali sulla pro-
blematica radon nelle abitazioni
che vanno dal monitoraggio sistematico orientato all’individuazione delle aree a rischio (prone
areas), alla caratterizzazione di
tipologie di ambienti cui prestare
particolari attenzioni sotto il pro-
a Roma. Sorpresa. Quando al ritorno siamo andati a leggere i dosimetri,
quello rimasto a Roma aveva registrato una dose di radiazioni maggiore
di quelli che avevamo indossato per tutto il viaggio nella zona interdetta e
nella visita alla centrale di Chernobyl. Almeno dalla nostra piccola esperienza, vivere a Roma comporta una dose di radiazioni più alta di quella
assorbita oggi (aprile 2006), nella zona intorno a Chernobyl.”
Ho voluto riportare questo brano del libro citato non certo per coltivare assurde smanie “negazioniste” riguardo la gravità di quanto
è successo a Chernobyl. Al contrario, nell’aprire questo corposo servizio su radioattività e nucleare, si intende sottolineare la complessità della materia, il bisogno di considerare tutte le fonti possibili,
anche quelle più subdole, e la necessità di analizzare fenomeni e
rischi solo sulla base di presupposti scientifici.
Giancarlo Naldi
3
Speciale radioattività
4
filo della tutela della salute quali
le scuole, alla sperimentazione
ed esecuzione delle azioni di
risanamento sui locali a forte contenuto di radon. A titolo di esempio, la Regione del Veneto ha
approvato la mappa preliminare
dei Comuni a rischio radon, ha ivi
condotto il monitoraggio sistematico delle scuole dell’obbligo (e
delle materne e nidi) – le bonifiche sugli edifici trovati non conformi sono in larga parte già
avviate – ha prodotto manualistica tecnica sulle azioni mitigatorie.
Un importante riferimento tecnico-istituzionale da qualche
anno operativo è il Piano nazionale radon coordinato, presso il
ministero della Salute, dall’Iss,
nel cui ambito si stanno defi-
ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007
nendo in modo standardizzato
sul territorio nazionale i vari
aspetti metodologici e attuativi
sulla materia.
Un discorso a parte merita il
radon all’interno dei luoghi di
lavoro. In questo caso, infatti, a
recepimento di direttive europee, la legge italiana (Dlgs
241/00) prevede che vengano
controllati i livelli in tutti i luoghi
di lavoro sotterraneo e altrettanto
è previsto per i luoghi di lavoro in
superficie in zone ben identificate o con caratteristiche determinate; alle Regioni spetta individuare quest’ultima fattispecie
di casistica, con l’approvazione di
un’apposita Commissione nazionale, su cui grava il compito dell’indicazione di protocolli tecnici
e metodologici indispensabili per
la piena attuazione del dispositivo normativo del citato decreto
in ordine alla protezione dei lavoratori dalla radioattività naturale
(Capo IIIbis).
Purtroppo, a tutt’oggi, tale Commissione risulta non insediata
con la conseguenza che il dispositivo normativo è nei fatti
sospeso.
Fa eccezione l’esposizione al
radon nei luoghi di lavoro sotterranei per la quale la Conferenza
dei Presidenti delle Regioni,
supplendo alla vacanza delle suddetta Commissione, ha varato
una linea guida su come effettuare i controlli, dando attuazione allo specifico adempimento normativo. Va ricordato
che il livello di azione (soglia di
Attività lavorative con NORM in Italia (censimento provvisorio)
TIPOLOGIA ATTIVITÀ
N. ATTIVITÀ
(*)
CRITICITÀ RADIOLOGICHE
NOTE
Lavorazione
minerali fosfatici
(produzione fertilizzanti)
20
Il minerale di partenza (fosforite) ha elevati
contenuti di U-238
3 aziende producono
perfosfato
Discariche fosfogessi
5 siti
Elevato contenuto di Ra-226 e Pb-210
del sottoprodotto
Vari stadi di attuazione
delle bonifiche
Centrali a carbone
13
Arricchimento radionuclidi naturali
nelle ceneri
Acciaierie a ciclo integrale
4
Arricchimento radionuclidi naturali
(Pb-210 e Po-210) nelle polveri
della sinterizzazione e di altoforno
Estrazione petrolio e gas
naturale
oltre 7.000
pozzi
Incrostazioni e morchie negli impianti
con presenza di Ra-226 e Pb-210
Raffinerie petrolio
18
Incrostazioni negli impianti
con presenza di radionuclidi naturali
Estrazione allumina da
bauxite
1
U-238 superiore all’ordinario
nel sottoprodotto “fanghi rossi”
Produzione refrattari
10
Arricchimento di Pb-210 e Po-210
nelle polveri di fusione; impiego
di sabbie zirconifere (e derivati)
in tutto il ciclo produttivo
Poche ditte usano
quantità rilevanti
di sabbie zirconifere
(e derivati)
Produzione piastrelle
50 aziende
principali
Smalti, talvolta lo stesso impasto,
contenenti sabbie zirconifere (e derivati)
Da individuare
le ditte con uso
di quantità rilevanti di
sabbie zirconifere
(e derivati)
Macinazione sabbie
zirconifere
10
Impiego di sabbie zirconifere
in tutto il ciclo produttivo
Colorifici e produttori
di ossidi di
metallo/produzione
ceramica
-
Impiego di sabbie zirconifere
Settore non ancora
indagato
Miniere uranio
2
Accesso e riutilizzo aree estrattive
Dismesse
negli anni 70
Dato del principale produttore (Agip)
(*) i dati derivano da contatti con associazioni di categoria/aziende ovvero rapporti/siti internet delle medesime (o di enti istituzionali)
e sono relativi al periodo 2002-2004
attività oltre la quale sono prescritti interventi risanatori sull’edificio) nei luoghi di lavoro è di
500 Bq/m3 (derogabili ove si
dimostri che il lavoratore non
assume una dose efficace annua
superiore a 3 mSv).
Va altresì ricordato che Arpa,
insieme agli organi del Ssn e alla
Direzione provinciale del lavoro,
è l’organo cui devono essere trasmesse le relazioni tecniche contenenti i risultati dei controlli nei
casi in cui gli esiti degli stessi
superino il citato livello di
azione.
NORM, NATURALLY
OCCURRING RADIOACTIVE
MATERIALS
Esistono lavorazioni all’interno
del cui ciclo possono presentarsi
materiali a elevato contenuto di
radioattività naturale (serie del
Th-232, dell’U-238, K-40). Questi materiali sono, di volta in
volta, le materie prime, i prodotti
finiti, i residui e i rifiuti (in sé o
all’interno di effluenti liquidi o
gassosi). La legge italiana (sempre il Dlgs 241/00) disciplina le
esposizioni dei lavoratori e dei
gruppi potenzialmente a rischio
della popolazione prevedendo
controlli, riduzioni delle esposizioni per superamento dei livelli
di azione prescritti (1 mSv/anno
di dose efficace per i lavoratori,
0.3 mSv/anno per la popolazione), regime di radioprotezione in caso di inefficacia degli
interventi mitigatori. Soprattutto
viene indicato il pacchetto delle
attività lavorative per le quali l’adempimento legislativo si pone,
tra le più significative delle quali
vi sono: produzione e commercio
di fertilizzanti, lavorazione con
sabbie zirconifere e produzione
di refrattari, estrazione e raffinazione di petrolio e gas naturale,
lavorazione e impiego di composti del torio (es. elettrodi per saldatura ecc.). Arpa, il Ssn, la Direzione provinciale del lavoro
devono ricevere la relazione tecnica dell’Esperto qualificato sui
controlli eseguiti in azienda ove
occorra il superamento dei livelli
di azione di lavoratori o pubblico.
Anche per i NORM, tuttavia,
come per il radon, l’attuazione
ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007
del dispositivo di legge appare
sospesa in attesa dell’insediamento della apposita Commissione nazionale di indirizzo.
Un organico progetto di censimento delle attività lavorative
con presenza di NORM in Italia
è stato avviato agli inizi del
decennio dall’attuale Apat in collaborazione con le Arpa, particolarmente quelle di Veneto, Emilia-Romagna e Toscana, finalizzato soprattutto a effettuare la
valutazione dell’impatto sull’ambiente delle lavorazioni ovvero la
stima di dose ai gruppi critici
della popolazione. L’insieme
delle categorie investigate, che
non necessariamente coincide
con quello del Dlgs 241/00, in
termini estensivi (categorie ulteriori suggerite dalla letteratura
scientifica) o restrittivi (categorie
poco diffuse in Italia o poco problematiche per l’ambiente) è
riportato in tabella. Va evidenziato che solo per esigenze programmatiche l’attenzione del
progetto è stata concentrata sull’ambiente, essendo certamente
doveroso approfondire gli aspetti
dell’esposizione lavorativa.
Tra le conoscenze acquisite nel
corso del progetto segnalo le
seguenti.
• Nel campo della produzione e
commercio di fertilizzanti, dove
le possibili criticità sono riconducibili all’impiego tra le materie
prime di minerali fosfatici quali
la fosforite, non sussistono situazioni particolari essendo cessata
nel nostro Paese la produzione
dell’acido fosforico; le problematicità sono connesse alla presenza
nel territorio di discariche alimentate in passato con fosfogessi, originati nella produzione
di acido fosforico e nel decom-
Fig. 1 Schematizzazione delle vie di ingresso del radon in un’abitazione
missioning degli impianti ove
tale lavorazione avveniva.
• Importante è tutto il settore
delle industrie che utilizzano, fra
le materie prime, le sabbie zirconifere (possono contenere sui 23 mila Bq/kg di U-238 e Th-232):
oltre alle lavorazioni collegate
alla produzione di smalti e pigmenti e delle ceramiche e le
lavorazioni di pretrattamento
delle sabbie (macinazione), di
sicuro interesse sono la produzione di materiali refrattari e l’industria delle piastrelle. L’Italia è
uno dei maggiori produttori mondiali di piastrelle e l’80% della
produzione nazionale del settore
è concentrata nel cosiddetto
“distretto ceramico”, tra Reggio
Emilia e Modena.
Una valutazione di dose sul
gruppo critico della popolazione è
stata condotta circa le emissioni
in atmosfera delle polveri gene-
rate nella fusione dei componenti
(tra cui le sabbie zirconifere) del
refrattario in una delle maggiori
industrie italiane del campo tramite simulazioni con modello
deterministico e sito–specifico;
l’attenzione alle polveri è motivata dall’arricchimento che in
esse durante il processo termico
si determina per quanto attiene ai
radioisotopi Pb-210 e Po-210
(discendenti dell’U-238).
I valori di dose efficace ottenuti
per gli individui del gruppo critico (meno di 1 µSv/anno) sono
fortemente al di sotto del livello
di azione di legge.
Una stima simile è stata sviluppata per le emissioni in atmosfera
delle polveri nel processo di cottura in una ditta di piastrelle, con
ricorso a un modello di calcolo
semplificato; i valori ottenuti
sono stati dello stesso ordine di
grandezza del caso precedente.
• Il modello deterministico menzionato è stato applicato anche
all’emissione di ceneri volanti
nella combustione di carbone per
produzione di energia elettrica,
pervenendo a dosi efficaci agli
individui dei gruppi critici, nel
peggiore dei casi, pari a frazioni
del µSv/anno.
Infine, un riferimento importante per la verifica della compatibilità del contenuto di radionuclidi naturali in residui e rifiuti di
lavorazioni
interessate
da
NORM è costituito dal documento RP 122 (Radiation Protection) Part II dell’Unione europea. In esso, per ogni nuclide, è
introdotto un livello generale di
allontanamento in Bq/kg che
garantisce, secondo scenari di
esposizione appunto generali ma
dettagliati, il rispetto del “criterio di dose” per gli individui
(popolazione o lavoratori che si
trovano ad avere a che fare con
suddetti residui e rifiuti) di 0.3
mSv/anno; l’RP 122 prevede che
i residui/rifiuti che contengono
radionuclidi naturali in misura
minore dei rispettivi livelli generali di allontanamento possono
essere alienati dal sito di produzione senza ulteriori restrizioni di
tipo radiologico.
Flavio Trotti
Arpa Veneto
5
Speciale radioattività
ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007
La sorveglianza fisica per la radioprotezione
La normativa italiana sull’impiego pacifico dell’energia nucleare stabilisce che sia attivato un sistema di
sorveglianza fisica e medica di radioprotezione. A tale scopo la norma stabilisce, così come fece il Dpr 185/64, che
siano le figure professionali dell’Esperto qualificato e del Medico autorizzato ad assicurare, per il datore di lavoro,
rispettivamente la sorveglianza fisica e medica.
6
Gli Esperti qualificati sono una
figura professionale regolamentata ai sensi dell’art. 2229 del
Codice civile in quanto, per poter
accedere a questa professione,
queste figure devono essere abilitate dallo Stato e iscritte in un
elenco ministeriale. Il ministero
del Lavoro ha istituito la Commissione d’esame, tiene per legge gli
elenchi, procede alla cancellazione degli esperti colpevoli di
gravi inadempienze, vigila sulla
corretta applicazione delle norme
di sicurezza. Gli elenchi degli
Esperti qualificati sono tenuti e
gestiti dal ministero del Lavoro ai
sensi del Dlgs 230/95 e succ.
integr. e mod., in particolare il
Dlgs 241/00 e il Dlgs 257/01.
Vi sono tre gradi di abilitazione a
seconda della complessità delle
sorgenti radiogene che l’Esperto
qualificato è chiamato a controllare. Per diventare Esperto qualificato occorre avere una laurea in
ingegneria, in fisica, in chimica o
in chimica industriale; inoltre, è
necessario un tirocinio di sei mesi
per ogni grado di abilitazione che,
quindi, per il terzo grado
assomma a tre tirocini di sei mesi
ciascuno. Infine, il richiedente
deve superare l’esame di ammissione agli elenchi secondo un programma d’esame molto selettivo.
Questi elenchi sono operanti dal
1974 e, fino a oggi, queste figure
professionali hanno contribuito
alla progressiva riduzione dell’e-
sposizione alle radiazioni ionizzanti per quanto riguarda i lavoratori, la popolazione e i pazienti,
tanto che in Italia sono rari i casi
di infortuni sul lavoro in questo
settore.
I rischi associati all’uso pianificato
delle macchine radiogene e delle
sorgenti sono normalmente ben
conosciuti. Tuttavia, alcuni
recenti avvenimenti, hanno posto
all'attenzione della Commissione
il problema delle sorgenti che per
vari motivi non sono sotto controllo. Tali sorgenti “orfane”
potrebbero essere ritrovate da
persone (lavoratori o cittadini)
ignare dei possibili rischi. Ciò ha
già comportato gravi lesioni da
radiazioni che in alcuni casi,
anche se non in Europa, hanno
avuto esito fatale.
Le sorgenti sigillate possono presentare particolari rischi a causa
delle ridotte dimensioni, spesso
inferiori a quelle di una penna,
dell'uso in dispositivi mobili ecc.
Le sostanze radioattive sono contenute in una capsula metallica,
che può essere facilmente raccolta
dai cittadini e soprattutto dai rottamatori: il ritrovamento di sorgenti radioattive nei depositi di
rottami e negli impianti siderurgici è un fenomeno piuttosto frequente in tutto il mondo.
Per questo motivo il recente
decreto legislativo 52/07 ha regolamentato gli aspetti di sicurezza
Quasi la metà degli incidenti sono dovuti a irradiazioni da 192Ir (controlli non
distruttivi, brachiterapia). Il 60Co (controlli non distruttivi, radioterapia) è
responsabile di circa un quarto degli incidenti
Fonte dei grafici: De Crescenzo, Giornata di studio “Sorgenti radioattive sigillate ad
alta attività e sorgenti orfane”, Anpeq (Camaiore, 2007)
relativi all’impiego delle sorgenti
di alta attività e le sorgenti definite “orfane”.
Un altro aspetto rilevante nell’attività dell’esperto qualificato in
radioprotezione è quello relativo
ai rischi da sorgenti radioattive
naturali denominate NORM.
Il Dlgs 241/2000 definisce
appunto gli ambiti di attività
relativi alle sorgenti naturali. Con
l’emanazione di questo decreto,
in attuazione della direttiva europea 29/96 in materia di protezione
sanitaria della popolazione e dei
lavoratori contro i rischi derivanti
dalle radiazioni ionizzanti, si da
piena attuazione del Dlgs 230/95,
in quanto si amplia il campo di
applicazione della radioprotezione ad alcuni settori specifici
elencati nel decreto stesso, particolarmente per le radiazioni di
origine naturale, quali:
• attività lavorative durante le
quali i lavoratori, ed eventualmente persone del pubblico, sono
esposti a prodotti di decadimento
del radon e del toron, o a radiazioni gamma o a ogni altra esposizione in particolari luoghi di
lavoro quali tunnel, sottovie, catacombe, grotte e, comunque, in
tutti i luoghi di lavoro sotterranei
o interrati
• attività lavorative durante le
quali i lavoratori ed eventualmente, persone del pubblico,
sono esposti a prodotti di decadimento del radon e del toron, o a
radiazioni gamma o a ogni altra
esposizione in luoghi di lavoro in
superficie in zone ben individuate
• attività lavorative implicanti
l’uso o lo stoccaggio di materiali
abitualmente non considerati
radioattivi, ma che contengono
radionuclidi naturali e provocano
un aumento significativo dell’esposizione dei lavoratori e, eventualmente, di persone del pubblico
• attività lavorative che comportano la produzione di residui abitualmente
non
considerati
radioattivi, ma che contengono
radionuclidi naturali e provocano
un aumento significativo dell’esposizione dei lavoratori e, eventualmente, di persone del pubblico; (per esempio l’industria
petrolifera, la lavorazione dei
fosfogessi ecc.)
• attività lavorative in stabilimenti
termali o attività estrattive non
disciplinate dal capo IV del medesimo decreto
• attività lavorative su aerei per
quanto riguarda il personale navigante.
Silvano Cazzoli
Associazione nazionale professionale
esperti qualificati nella sorveglianza
fisica della protezione contro le
radiazioni ionizzanti (Anpeq)
Dienca, Università di ,
www.anpeq.it
Incidenti 1944-giugno 2001. Quasi la metà degli incidenti sono avvenuti in ambito
industriale, un’importante frazione di incidenti con sorgenti sigillate è dovuta a sorgenti
“orfane”; gli incidenti comportanti irradiazioni di pazienti sono percentualmente
piccoli, ma hanno comportato un gran numero di vittime
ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007
Sono quattro le centrali nucleari dismesse in Italia
La protezione dalle radiazioni della popolazione, dei lavoratori e dell’ambiente è sempre stata il primo obiettivo
nell’impiego pacifico dell’energia nucleare. A Trino, Caorso, Latina e Garigliano sono localizzate le quattro centrali
nucleari costruite nel nostro Paese, oggi in fase di smantellamento. La proprietà e le responsabilità relative alla
gestione e al decommissioning sono affidate a Sogin, società pubblica appositamente costituita nel 1999. Sogin ha
anche la responsabilità degli impianti di ricerca del ciclo del combustibile nucleare di Saluggia, Casaccia e Trisaia,
di proprietà Enea, e dell’impianto di fabbricazione di Bosco Marengo.
Sogin è attualmente l’unico
gestore italiano di impianti
nucleari afferenti al settore energetico e detiene, dall’epoca della
sua costituzione (1999), la proprietà e le responsabilità relative
alla gestione e al decommissioning
delle quattro centrali nucleari italiane ex-Enel (Trino, Caorso,
Latina e Garigliano). Recentemente (2003) Sogin ha acquisito
inoltre la responsabilità relativa
alla gestione e al decommissioning degli impianti di ricerca e
industriali operanti sul ciclo del
combustibile
nucleare:
gli
impianti Enea di Saluggia,
Casaccia e Trisaia e l’impianto
ex-FN di Bosco Marengo.
Secondo le valutazioni condotte
dall’Unscear (tabella 1), la produzione di energia nucleare è forse
fra le attività antropiche quella
nella quale si producono i maggiori quantitativi di radioattività.
Prescindendo dall’esposizione
associata all’industria estrattiva
del minerale uranifero (non presente in Italia), i processi di produzione
del
combustibile
nucleare (presenti in passato in
Italia presso gli impianti Enea di
Saluggia, Casaccia e Trisaia e
presso l’impianto FN di bosco
Marengo) danno origine a limitati scarichi aeriformi e liquidi.
La fase successiva è quella dell’utilizzazione nelle centrali
nucleari (entrate in esercizio in
Italia a Trino, Caorso, Latina e
Garigliano). Durante l’irraggiamento nei reattori, nel combustibile si accumulano sostanze altamente radioattive, che restano
tuttavia confinate all’interno
degli elementi di combustibile.
Il funzionamento del reattore produce inoltre l’attivazione dei
materiali strutturali e dei fluidi di
processo. Per tale motivo le operazioni di routine connesse con
l’esercizio di un impianto
nucleare (purificazione dell’acqua
di ciclo e di processo, manutenzione degli impianti) generano
materiali ed effluenti radioattivi la
cui varietà, quantità e tipologia
possono variare anche notevolmente da impianto a impianto.
Dopo essere stato utilizzato nel
reattore, il combustibile irraggiato è immagazzinato temporaneamente nelle piscine di decadimento esistenti presso le centrali, per essere successivamente
avviato a un deposito di stoccaggio o in alternativa a un impianto
di ritrattamento.
Il ritrattamento (processo mai
attuato in Italia su scala industriale) produce effluenti a bassa
attività, rifiuti solidi a bassa e
media attività e rifiuti solidi ad
alta attività condizionati in
matrici vetrose. Questi ultimi
sono tuttora stoccati nei depositi
temporanei asserviti agli impianti
esteri di ritrattamento nei quali è
stato processato il combustibile
utilizzato in Italia.
LA
tutte le principali normative
nazionali e internazionali, e fra
queste quella italiana.
L’intervento operativo della radioprotezione si attua a diversi livelli,
che riguardano da un lato il monitoraggio dell’ambiente e della
popolazione e dall’altro la sorveglianza degli impianti, delle apparecchiature e dei lavoratori potenzialmente esposti. I principali
livelli operativi sono i seguenti:
- acquisizione dei parametri
ambientali necessari per garantire
il monitoraggio continuo delle
condizioni dell’ambiente e dell’esposizione della popolazione
- emanazione di specifiche per la
progettazione di impianti e apparecchiature che possono comunque essere fonte di esposizione
- verifica delle condizioni di sicurezza di impianti e apparecchia-
ture in fase di realizzazione e di
collaudo, con l’obiettivo di minimizzare il rischio per i lavoratori
e la popolazione
- controllo periodico della sussistenza delle condizioni di sicurezza di impianti e apparecchiature durante tutta la loro vita
utile
- delimitazione e sorveglianza
delle zone ad accesso controllato,
con definizione e applicazione
degli accorgimenti da adottare
per accedervi e permanervi
- monitoraggio individuale dei
lavoratori e delle persone in
genere potenzialmente a rischio
di esposizione alle radiazioni
- diffusione della cultura della
sicurezza e dell’informazione,
allo scopo di sensibilizzare e
orientare il comportamento dei
decisori, dei lavoratori e del pub-
Tab.1 Impegni di dose collettiva derivanti dalla produzione
di energia elettronucleare (Fonte: Unscear, 1999)
SORGENTE
Impegno di dose
collettiva efficace
(Sv-uomo/GWa)
RADIOPROTEZIONE
OPERATIVA
Il quadro di riferimento concettuale e metodologico proposto
dalla Icrp costituisce la base sulla
quale le organizzazioni intergovernative internazionali sviluppano i criteri guida della radioprotezione con riferimento alle
diverse applicazioni, fra le quali
la produzione di energia
nucleare. Le linee guida così
emanate sono quindi trasferite
nelle normative e nelle regolamentazioni internazionali e
nazionali.
La cosiddetta radioprotezione
operativa, ha sviluppato e affinato nel tempo le metodiche che
stanno alla base del complesso
sistema di protezione messo a
punto dall’Icrp con la pubblicazione n. 60 (1990) e recepito in
Componente locale e regionale a breve
termine (1-2 anni)
Industria mineraria e di lavorazione
del minerale
Fabbricazione del combustibile
Operazione del reattore
1.5
0.003
1.3
Ritrattamento del combustibile irraggiato
0.25
Trasporto
0.1
Totale (arrotondato)
3
Componente globale a lungo termine
(integrata su 10.000 anni)
Estrazione e lavorazione del minerale
(rilasci in 10.000 anni)
150
Confinamento geologico dei rifiuti del reattore
0,5
Radioisotopi dispersi
(ritrattamento e stoccaggio di rifiuti solidi)
50
Totale (arrotondato)
200
7
Speciale radioattività
ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007
Tab.2 Centrale di Caorso. Limiti di dose previsti per la zona
sorvegliata e per la zona controllata
Zona sorvegliata
(mSv/anno)
Zona controllata
(mSv/anno)
Globale
1
6
Efficace
1
6
Cristallino
15
45
Pelle (*)
50
150
Mani, avambracci,
piedi e caviglie
50
150
Limite di equivalente di dose
8
(*) Se l'esposizione risulta da una contaminazione radioattiva cutanea, tale
limite si applica all'equivalente di dose medio su qualsiasi superficie di 1 cm2.
blico in condizioni normali e di
emergenza.
CONTROLLO
DELLE DOSI
OCCUPAZIONALI
In attuazione dei principi della
radioprotezione operativa, ai fini
del monitoraggio radiologico dei
lavoratori, gli impianti nucleari
italiani sono caratterizzati dalla
presenza di aree nelle quali può
essere possibile l’esposizione alla
radioattività. Ad esempio, l’impianto di Caorso è suddiviso in
due zone distinte:
- zona sorvegliata (ZS): ogni area
dell’impianto in cui, sulla base
degli accertamenti e delle valutazioni compiuti dall’esperto qualificato, sussiste per i lavoratori il
rischio di superamento di uno dei
limiti di dose indicati nella tabella
2 (seconda colonna), ma che non
debba essere classificata zona
controllata; in zona sorvegliata
viene svolta la sorveglianza fisica
della protezione dalle radiazioni
ionizzanti.
- zona controllata (ZC): ogni area
dell’impianto (in zona sorvegliata) in cui sulla base degli
accertamenti e delle valutazioni
compiuti dall’esperto qualificato,
sussiste per i lavoratori in essa
operanti il rischio di superamento di uno dei limiti di dose
indicati nella tabella 2 (terza
colonna); in zona controllata
viene svolta la sorveglianza fisica
della protezione dalle radiazioni
ionizzanti.
Il controllo delle dosi occupazionali è effettuato attraverso le
metodiche classiche previste
dalla radioprotezione operativa e
incorporate nelle prescrizioni di
esercizio, che vanno dall’uso di
indumenti a perdere (DIP) e del
dosimetro personale, alla misura
di contaminazione superficiale
(contaminametro), alla misura di
contaminazione interna (controllo degli escreti) al total body
scanning (WBC).
CARATTERIZZAZIONE
RADIOLOGICA DEGLI IMPIANTI
Per meglio rispondere alle esigenze della radioprotezione collegate alle attività di decommissioning degli impianti nucleari
italiani, Sogin ha avviato nel 2000
un programma di caratterizzazione radiologica degli impianti,
principalmente al fine di valutare
le dosi occupazionali previste per
ciascuna fase di attività. La map-
patura dei livelli di radiazione
presenti nelle aree di impianto,
eseguita periodicamente, comprende per ciascuna di esse il
rilievo di due valori di intensità
di esposizione:
- intensità di dose ambiente: misura
presa a 1 m dal pavimento in
punti prestabiliti e rappresentativi del rateo di dose medio presente nell’area
- intensità di dose massima: misura
presa nel punto in cui si registra
la massima intensità di dose nell’area
In alcuni locali particolarmente
rilevanti si registra anche una
intensità di dose di riferimento
impianto, sul componente interno
all’area più rappresentativo.
Con riferimento alla centrale di
Caorso, nell’edificio reattore si
registrano ratei di dose ambiente
relativamente elevati (tra 50 e
100 Sv/h) nel drywell e in alcuni
locali del sistema clean-up. Dosi
superiori sono presenti in locali
normalmente non accessibili, in
presenza di resine attive (separatori di fase clean-up) o sorgenti
particolari (schermi TIP). Le
dosi massime si registrano su
tubazioni ubicate nel drywell e
nei locali clean-up. In altri locali
queste sono dovute generalmente a hot-spots (p.e. tubazioni
drenaggio). A titolo esemplificativo, in figura 1 è riportata le
mappa di caratterizzazione relativa alla sezione dell’edificio
reattore a quota 61.
Nell’edificio ausiliari i ratei di
dose più elevati sono dovuti alla
presenza di resine attive in serbatoi ubicati in locali normalmente
non frequentati. Tale situazione,
così come in generale in tutto il
radwaste di centrale, è destinata a
modificarsi sensibilmente a
seguito dello svuotamento e
decontaminazione di serbatoi e
tubazioni.
Negli edifici turbina, annex e offgas i ratei di dose ambiente sono
molto modesti, inferiori a 0,1
Sv/h. Anche le dosi massime non
eccedono 100-150 Sv/h e sono
dovute in gran parte a materiali
estranei a tali edifici (p.es., componenti provenienti dall’edificio
reattore). Nei depositi dei materiali radioattivi l’unica sorgente è
rappresentata dai rifiuti stoccati.
CONTROLLO
DEGLI
EFFLUENTI
Lo scarico nell'ambiente di
effluenti liquidi e aeriformi provenienti da un impianto nucleare
Fig. 1 Centrale di Caorso. Mappa di radiazione relativa alla sezione dell’edificio reattore a quota 61.
è regolamentato da apposite prescrizioni tecniche che, attraverso
la cosiddetta “formula di scarico”
autorizzata, limitano la quantità di
radioattività scaricabile su base
annuale, trimestrale e giornaliera.
Gli effluenti provenienti da un
impianto nucleare sono suddivisi
in liquidi e aeriformi, e per essi le
norme di esercizio prevedevano
l’applicazione di due diverse formule di scarico, fissate in modo
tale da non consentire il superamento di prefissati valori di equivalente di dose ai gruppi critici di
popolazione.
Gli effluenti liquidi sono costituiti
essenzialmente da:
- liquidi provenienti dal circuito
primario, dai drenaggi delle
apparecchiature e dai controlavaggi dei filtri (trattamento condensato, clean-up, piscina del
combustibile)
- liquidi provenienti dal drenaggio dei pavimenti, dai drenaggi
del laboratorio chimico caldo,
dall’officina calda e dalla lavanderia.
Questi effluenti sono raccolti in
serbatoi di stoccaggio separati e
sono trattati in modo differenziato al fine di ridurre al minimo
la radioattività scaricata nell’ambiente. Ciò consente da un lato il
recupero di buona parte dei
liquidi trattati, dall’altro di adottare il sistema di purificazione
più appropriato per ogni tipo di
fluido per limitare i rifiuti secondari prodotti dal trattamento.
Dopo il trattamento questi
effluenti sono trasferiti in serbatoi di campionamento, analizzati,
reintegrati nel processo o scaricati nel rispetto della formula di
scarico.
Gli affluenti aeriformi sono costi-
Tab.3 Reti di monitoraggio ambientale. Matrici controllate,
frequenza di campionamento, frequenza e tipo di misura
Frequenza
prelievo
Frequenza misura
Tipo di misura
Settimanale
Beta totale
Mensile
Spettrometria γ
Mensile
Trimestrale
Sr90
Trimestrale
Trimestrale
Spettrometria γ
Semestrale
Semestrale
Spettrometria γ
Semestrale
Semestrale
Sr90
Semestrale
Semestrale
Spettrometria γ
Mais
Annuale
Annuale
Spettrometria γ
Pomodori
Annuale
Annuale
Spettrometria γ
Carne
Annuale
Annuale
Spettrometria γ
Trimestrale
Trimestrale
Spettrometria γ
Semestrale
Semestrale
Sr90
Mensile
Spettrometria γ
Mensile
Cs137
Trimestrale
Trimestrale
Spettrometria γ
Semestrale
Semestrale
Cs137
Sedimenti
Semestrale
Semestrale
Spettrometria γ
Terreno
Semestrale
Semestrale
Spettrometria γ
Uova
Trimestrale
Trimestrale
Spettrometria γ
Dosimetri TLD
(esposizione)
Bimestrale
Bimestrale
Intensità
di esposizione
Continua
Mensile
Spettrometria γ
Mensile
Beta totale
Campione
Aria
Continua
Latte
Foraggio
Insalata
Pesce
Acqua di fiume o di
mare
Continua
Acqua potabile
Fallout
ARCHIVIO ARPA SEZ. DI PIACENZA
ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007
Centrale nucleare di Caorso, Piacenza (in fase di decommissioning)
tuiti, in linea di principio, dalle
seguenti componenti:
- aria di ventilazione degli edifici
(reattore, turbina, trattamento
rifiuti radioattivi)
- incondensabili (aria, gas radiolitici, gas di fissione e di attivazione) estratti dall’acqua di ciclo.
Prima dell’immissione nell’atmosfera, questi scarichi venivano
monitorati in continuo con strumentazione appropriata per
garantire il rispetto dei limiti
giornalieri, mentre per il bilancio
trimestrale e annuale venivano
effettuati campionamenti con
successiva analisi in laboratorio.
Attualmente lo scarico degli
incondensabili è nullo (in seguito
alla fermata degli impianti) mentre l’aria di ventilazione è invece
liberata nell’ambiente attraverso
i camini degli impianti, previo
controllo radiometrico.
Lo scarico degli effluenti delle
centrali nucleari italiane non ha
mai superato (anche durante l’esercizio) una limitata percentuale
delle quantità consentite dalle
formule di scarico autorizzate,
mentre a decorrere dalla fermata
degli impianti l’entità degli scarichi si è praticamente azzerata.
L'impatto radiologico degli
impianti Sogin è continuamente
sorvegliato mediante una rete di
sorveglianza radiologica integrata
da stazioni meteorologiche.
La ripartizione dei punti di
misura che fanno parte della rete
è tale da fornire un’immagine
significativa dello stato della
radioattività nella zona circostante ciascun impianto. La frequenza delle misure è fissata
dalle norme di sorveglianza in
vigore.
La rete di sorveglianza com-
prende una rete di rilevamento
del livello di esposizione
ambiente, stazioni di misura fisse
di campionamento dell’aria, stazioni di controllo delle condizioni
meteorologiche e prelievi periodici di campioni ambientali nell'ecosistema terrestre e acquatico. A partire dal 2004 la rete di
monitoraggio ambientale è stata
ulteriormente integrata da Sogin
attraverso l’acquisizione di una
serie di laboratori mobili attrezzati su camper.
La rete di rilevamento dell'esposizione comprende punti di
misura equipaggiati con dosimetri integratori di dose. La scelta
dei punti di misura è normalmente eseguita prendendo come
riferimento le direzioni preferenziali del vento in prossimità dell’impianto e la posizione dei centri abitati più vicini.
Le stazioni fisse sono situate
intorno all’impianto, a una
distanza in linea d'aria compresa
fra qualche centinaio e qualche
migliaio di metri. In queste stazioni si effettua la misura in continuo della radioattività ambiente e l’aspirazione dell’aria su filtri
per misure periodiche in laboratorio. I dati radiometrici delle stazioni fisse e delle stazioni meteorologiche sono comunicati periodicamente all’Apat e ai centri
specializzati delle Arpa competenti per territorio.
I campioni ambientali da analizzare in laboratorio sono prelevati
in diversi punti di misura, conformi alle richieste dettagliate
nelle norme di sorveglianza
(tabella 3), inglobando tutti gli
ecosistemi.
Ugo Spezia
Sogin, Società gestione impianti
nucleari - www.sogin.it
9
Speciale radioattività
ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007
Le criticità nella fase di dismissione
Lo smantellamento degli impianti, il trattamento di tutti i rifiuti radioattivi, il loro condizionamento per
conservarli in sicurezza sono gli obiettivi generali delle operazioni di decommissioning conseguenti alla chiusura
dei programmi nucleari nel nostro Paese. Sulla base degli indirizzi operativi contenuti nel decreto del ministero
dell’Industria 7 maggio 2001, alcune attività sono state affidate alla Sogin (Società gestione impianti nucleari).
Nell’articolo una sintesi di quanto realizzato, in corso di attuazione, e delle criticità riscontrate. La scelta del sito
per il deposito nazionale per lo smaltimento definitivo dei rifiuti radioattivi è invece di responsabilità politica.
10
A valle della chiusura dei programmi nucleari nazionali e dei
relativi impianti, gli indirizzi
governativi generali relativi alla
chiusura delle attività nucleari
pregresse e alla sistemazione del
combustibile nucleare e dei
rifiuti radioattivi sono stati emanati dal ministro dell’Industria in
uno specifico documento programmatico del 14 dicembre
1999 trasmesso al Parlamento il
21 dicembre 1999. Frutto di
un’intensa collaborazione fra il
ministero dell’Industria, l’Anpa
(oggi Apat), la Conferenza StatoRegioni e gli esercenti degli
impianti, il documento costituisce il primo inquadramento sistematico della gestione degli esiti
del nucleare. In esso è definita la
strategia globale per la gestione
dei rifiuti radioattivi, del combustibile irraggiato, delle materie
nucleari e per la successiva disattivazione degli impianti nucleari,
fondata sulla disponibilità di un
sito nazionale di smaltimento e
stoccaggio dei materiali radioattivi.
Il documento definisce come
segue gli obiettivi generali:
• trattamento e condizionamento
di tutti i rifiuti radioattivi liquidi
e solidi in deposito sui siti, in
gran parte ancora non trattati, al
fine di trasformarli in manufatti
certificati,
temporaneamente
stoccati sul sito di produzione ma
pronti per essere trasferiti al
deposito nazionale
• scelta del sito e predisposizione
del deposito nazionale sia per lo
smaltimento definitivo dei rifiuti
condizionati di II categoria, (a
media e bassa attività e vita
medio-breve), che per lo stoccaggio temporaneo a medio temine,
in una struttura ingegneristica,
dei rifiuti di III categoria (ad alta
attività e a vita lunga), in partico-
lare quelli derivanti dal ritrattamento e il combustibile irraggiato non avviato al ritrattamento
• disattivazione accelerata degli
impianti nucleari nella loro globalità, obiettivo condizionato, tra
l'altro, dalle seguenti azioni:
- gestione del combustibile irraggiato sia mediante il ritrattamento all’estero, per la sola piccola quantità prevista, sia
mediante stoccaggio a secco sul
sito in appositi contenitori dual
purpose, in attesa del suo trasferimento al deposito nazionale
- alienazione delle materie
nucleari e combustibile fresco
Tab.1 Valorizzazione dei materiali derivanti dallo smantellamento degli impianti nucleari Sogin nel periodo 2001-2006
Consuntivo 2001
Consuntivo 2002
Consuntivo 2003
Consuntivo 2004
Consuntivo 2005
Preventivo 2006 (1)
Totale
IMPIANTO
t
Euro
t
Euro
Materiale a discarica/riutilizzato
1.585
245
Caorso
1.514
28
Garigliano
Latina
Cirene
Trino
Bosco Marengo
Materiale venduto (2)
Caorso(3)
t
Euro
t
Euro
4.121
99
219
1.270
6
103
73
105
1.103
188
Euro
385
31
3.518
287
255
752
101
319
1.816
0
0
0
0
0
0
6.500
661
3.261
495
10.995
0
0
0
0
87
40
127
688
139.828,27 1.194
0,00
260
1.520
535
209.131, 57 4.584
84.836,10
917
1.583.122,60 3.068
73.963,16
60
2.048.533,90 11.728
344.738,00 1.772
307.403,26
175.280,40
675
0
100.189,85
8.977,00
0,00
0
0,00
0
0,00
108
0,00
310
64.479,94
219
77.519,97
148
Garigliano
t
17.208
35
0
Totale materiale allontanato
Caorso
Euro
0
0
Bosco Marengo
t
1.140
43
Latina
Trino
Euro
2.192
Garigliano
Cirene (4)
t
7.925
8.385,60
0
34.100,00
0
0,00
0
0,00
1
12.000,00
688
105.728,27
624
67.642,92
456
13.692,88
728
42.748,56
0
0,00
0
0,00
0
0,00
0
0,00
2.273
1.514
1.439
359
8.600
219
184
61.161,31 3.448
3.712
1.805
41.276,50
36
3.350,00
328
53.012,10
1.463.882,94 1.117
405.445,90
5.241
2.072.490,06
0,00
35
0
4.000,00 1.855
0,00
8.706
1.302
0
0,00
1
46.100,00
1.295.000,00
4.385
1.528.812,63
0
0,00
0,00
4.207
91
28.936
5.290
28
6
103
181
471
291
1.080
Latina
0
415
1.322
336
3.549
1.435
7.058
Cirene
0
0
0
1
0
0
1
731
659
6.956
1.389
3.296
2.350
15.380
0
0
0
0
87
40
127
Trino
Bosco Marengo
4.388.209,45
687.794,66
Altri ricavi
Materiale: Combustibile (5)
(1)
(2)
(3)
(4)
(5)
6.300.000,00
0,00
96.118,63
0,00
0,00
0,00
6.396.118,63
i dati del 2006 relativi ai ricavi dei materiali venduti si riferiscono alla data di redazione della tabella.
il materiale venduto include anche quello, eventualmente, ceduto a titolo gratuito.
nel 2007 è prevista la vendita del rotore di bassa pressione della turbina per un importo stimato di 250.000 euro.
nel 2007 è prevista la vendita di 6.806 tonnellate di materiale per un importo stimato di 1.200.000 euro.
nel 2001 è registrata la vendita di combustibile fresco fatta da Sogin alla Siemens nel 1999 e nel 2000 con ricavi rispettivamente di 7,9 e 4,3 miliardi di lire
(4,1 e 2,2 milioni di euro)
ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007
In merito allo smaltimento definitivo dei rifiuti radioattivi di terza
categoria (prodotti di fissione
separati e vetrificati, combustibile
irraggiato opportunamente condizionato), il documento stabilisce
la necessità di valorizzare e continuare gli studi e le esperienze
sullo smaltimento geologico condotte in Italia negli anni Settanta
e fino all’inizio degli anni Ottanta
in ambito Enea con la partecipazione di qualificate università e
inseriti nell’ambito dei programmi di ricerca della Commissione europea.
INDIRIZZI OPERATIVI
Gli obiettivi strategici sono stati
trasformati in indirizzi operativi
alla Sogin dal Dm Industria 7
maggio 2001, che impegna la
Società a porre in essere tutte le
attività necessarie a perseguire
gli obiettivi di propria competenza indicati nel documento, e
in particolare
a) trattare e condizionare, entro
dieci anni, subordinatamente
all'ottenimento delle necessarie
autorizzazioni da parte dei competenti Organi, tutti i rifiuti
radioattivi liquidi e solidi in
deposito sui suoi siti al fine di
trasformarli in manufatti certificati, temporaneamente stoccati
sul sito di produzione, ma pronti
per essere trasferiti al deposito
nazionale
b) completare gli adempimenti
previsti nei contratti di ritrattamento a suo tempo sottoscritti
nel 1980 dall’Enel con la Bnfl
(British Nuclear Fuel Limited) e
immagazzinare il restante combustibile irraggiato in appositi
contenitori a secco nei siti delle
centrali dove sono allocati in
attesa di trasferimento al deposito nazionale
c) concorrere alla disattivazione
degli impianti nucleari dismessi
dei principali esercenti nazionali
(Enea, Fn ecc.), anche attraverso
forme consortili
d) provvedere alla disattivazione
accelerata di tutti gli impianti
elettronucleari dismessi entro
venti anni, procedendo direttamente allo smantellamento fino
al rilascio incondizionato dei siti
ove sono ubicati gli impianti; il
perseguimento di questo obiettivo è condizionato dalla localiz-
zazione e realizzazione in tempo
utile del deposito nazionale dei
rifiuti radioattivi.
Gli indirizzi operativi erano successivamente modificati attraverso l’emanazione del Dm Attività produttive 2 dicembre 2004,
che all’opzione dello stoccaggio
temporaneo a secco del combustibile aggiungeva la possibilità
di inviarlo all’estero per il ritrattamento.
AZIONI CONDOTTE
In attuazione degli indirizzi operativi ricevuti, Sogin ha avviato
tempestivamente l’attività di
progettazione degli interventi di
decommissioning degli impianti,
sottoponendo fra il 2000 e il 2003
alle competenti Autorità
- le istanze globali di disattivazione, volte a conseguire le autorizzazioni previste dal Dlgs
230/1995
- gli studi di impatto ambientale
(Sia), volti a conseguire l’emanazione dei decreti di compatibilità
ambientale previsti dalla Direttiva 97/11/CE, dal Dpcm
377/1988 e dal Dpr 348/1999.
In parallelo, il Dm Industria
dell’8 agosto 2000 autorizzava a
stralcio Sogin a condurre alcune
attività di smantellamento presso
la centrale di Caorso.
Dal 2001 a oggi – nelle more dell’ottenimento delle autorizzazioni complessive richieste –
Sogin ha potuto ugualmente condurre, negli impianti con autorizzazioni puntuali, significative
attività relative a:
- rimozione di coibentazioni contenenti amianto
- decontaminazione di circuiti
- smantellamento di alcune parti
convenzionali
- smantellamento di apparecchiature del ciclo termico
- condizionamento di rifiuti
radioattivi derivanti dalla fase di
esercizio
- allontanamento delle materie
prime nucleari (combustibile fresco)
- invio all’estero del combustibile
nucleare irraggiato destinato al
ritrattamento
- potenziamento delle misure
anti-intrusione presso gli impianti
- svuotamento della piscina del
combustibile dell’impianto di
Saluggia
I materiali derivanti dallo sman-
Tab.2 Servizi di trasporto e ritrattamento all’estero di combustibile
nucleare irraggiato (biossido di uranio e plutonio),
contratto sottoscritto con Areva
Centrale di Caorso
1032 elementi + 6 barrette a UO2,
pari a 190,442 t
Centrale di Trino
8 elementi MOX pari a 2,463 t
39 elementi UO2 pari a 12,049 t
Deposito Avogadro
di Saluggia
49
52
63
48
Totale
234,96 t
elementi UO2 pari a 15,034 t
elementi cruciformi UO2 pari a 2,024 t
elementi MOX pari a 12,882 t
semibarrette UO2 pari a 0,066 t
11
tellamento delle installazioni
sono stati oggetto di valorizzazione economica mediante cessione a terzi. Il rottame metallico
rilasciabile (incluso il ferro di
armatura) è normalmente venduto a imprese di rottamazione,
che provvedono ad avviarlo ai
forni di fusione per il riutilizzo
produttivo. Il calcestruzzo è
generalmente impiegato all’interno dello stesso impianto, previa frantumazione e deferrizzazione, per il riempimento degli
scavi di fondazione degli edifici
demoliti, ed è talvolta ceduto a
terzi per la realizzazione di massicciate e opere di riempimento.
I quantitativi eccedenti il fabbisogno interno e la eventuale
richiesta esterna devono necessariamente essere conferiti a titolo
oneroso a discariche autorizzate.
I proventi della cessione dei
materiali derivanti dalle attività
di smantellamento degli impianti
nel periodo 2001-2006 sono compendiati in tabella 1.
Sul piano progettuale, in attuazione degli indirizzi che prevedevano lo stoccaggio a secco in Italia del combustibile nucleare
irraggiato non sottoposto a contratti di ritrattamento, Sogin ha
elaborato e sottoposto ad autorizzazione nel 2001 il progetto di
due strutture di stoccaggio temporaneo localizzate presso i siti di
Trino e di Caorso. Il cambiamento degli indirizzi relativi alla
gestione del combustibile ha successivamente eliminato la necessità di queste due strutture.
Sogin ha inoltre elaborato e sottoposto ad autorizzazione:
- il nuovo parco serbatoi in cui
trasferire in condizioni di maggiore sicurezza i rifiuti liquidi a
maggiore attività presenti presso
l’impianto di Saluggia
- l’impianto di cementazione dei
rifiuti radioattivi liquidi con
annesso deposito temporaneo di
terza categoria da realizzare
presso il centro di Saluggia
- quattro depositi temporanei di
seconda categoria da realizzarsi
presso i siti di Saluggia, Latina,
Garigliano e Trisaia per ospitare i
rifiuti condizionati prodotti in
loco.
ATTIVITÀ IN CORSO
Le principali attività attualmente
in corso riguardano, oltre che la
prosecuzione degli interventi
sugli impianti, l’invio all’estero
(Francia) del combustibile
nucleare irraggiato destinato al
ritrattamento. In attuazione degli
indirizzi emanati nel Dm Attività
produttive 02.12.2004 e nell’Ordinanza
commissariale
16.12.2004, è stato pubblicato in
data 22.02.2005 nella Gazzetta
Ufficiale dell’Unione europea il
bando emesso da Sogin per la
gara internazionale relativa all’allontanamento del combustibile
nucleare irraggiato tuttora presente nei siti del Piemonte
(Saluggia e Trino) e dell’EmiliaRomagna (Caorso). In esito alle
procedure di gara è stato sottoscritto con Areva uno specifico
contratto, avente per oggetto i
servizi di trasporto e ritrattamento all’estero di 234,96 t di
combustibile nucleare irraggiato
(inteso come quantitativo di
biossido di uranio e plutonio, vedi
tabella 2).
Presso i siti di Caorso, Trino e
Saluggia sono attualmente in
corso, o in via di completamento,
gli interventi di adeguamento e
di collaudo delle infrastrutture
▼
verso operatori esteri qualificati e
autorizzati
Speciale radioattività
ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007
Prima criticità, trattare il combustibile irraggiato
▼
12
A cominciare dalle origini dello
sviluppo dell’energia nucleare per
usi civili, l’adozione del “ciclo
chiuso” è stata in genere a lungo
ritenuta la soluzione più ovvia per
la gestione del combustibile
nucleare irraggiato. Ciò significava riprocessare il combustibile,
separando dalle scorie le parti riciclabili: l’uranio non ancora utilizzato e soprattutto il plutonio formatosi nel combustibile stesso
durante il funzionamento del
reattore, per l’irraggiamento neutronico dell’uranio 238. Il ciclo
chiuso dava alla fonte nucleare
una prospettiva praticamente illimitata, dal momento che l’impiego del plutonio nei reattori
veloci avrebbe potuto moltiplicare per decine e decine di volte
la quantità di energia estraibile
dalle riserve di uranio. Per questo
motivo, si sono andate formando,
in diversi paesi, notevoli scorte di
plutonio, in vista della maturazione, che in quegli anni si dava
per scontata, della tecnologia dei
reattori veloci.
Lo sviluppo di quella tecnologia,
invece, ha cominciato ad accumulare ritardi crescenti e l’impiego
del plutonio ha finito con l’essere
limitato alla fabbricazione, in
miscela con l’uranio, di combustibile “a ossidi misti” – detto MOX,
secondo l’acronimo della equivalente espressione inglese – da
impiegare nei tradizionali reattori
nucleari termici, in sostituzione di
analoghe quantità di uranio fissile.
Con questo secondo tipo di
impiego, il plutonio produce un
incremento potenziale dell’energia ricavabile dalle riserve di uranio valutato in alcune decine di
punti in percentuale.
D’altra parte, dopo due decenni
di relativa crescita, verso la fine
degli anni 70 anche la diffusione
dei reattori termici, giunti alla loro
seconda generazione, subì un drastico rallentamento. Basti pensare
che dopo l’incidente avvenuto
nella centrale di Three Mile
per la movimentazione e il trasporto dei cask.
tive, che scontano evidentemente anche la mancanza di
un’esperienza operativa consolidata nel campo del decommissioning.
A tale riguardo si avverte la
necessità che l’iter autorizzativo
incorpori elementi di certezza e
puntualità attraverso la programmazione concordata degli adempimenti e la previsione di tempi
di risposta certi. Importanza fondamentale assumerebbe la possibilità di consentire all’esercente
di operare con un’autorizzazione
di tipo generale per grosse aree
di impianto o tipologie di intervento, spostando in parte l’intervento dell’Autorità di controllo
dalla fase autorizzativa a quella di
sorveglianza.
PROBLEMI APERTI
Pur a fronte dei progressi evidenziati, le attività di decommissioning degli impianti nucleari italiani sono condizionate da alcuni
fattori essenziali, che possono
essere così enumerati:
- l’eccessiva lunghezza degli iter
autorizzativi
- la diffusa preoccupazione delle
Amministrazioni locali
- la perdurante mancanza di un
deposito nazionale per i materiali
radioattivi.
Problemi di carattere procedurale sono legati all’eccessiva lunghezza e incertezza delle istruttorie e delle procedure autorizza-
ARCHIVIO APAT
La convinzione che si trattasse di un “ciclo chiuso” dava alla fonte nucleare una prospettiva praticamente illimitata.
Si era certi, infatti, che il plutonio ottenuto come “scoria” nei primi reattori nucleari, potesse essere riutilizzato in
nuovi reattori veloci, moltiplicando per decine di volte la quantità di energia estraibile dalle riserve di uranio. Ma
la tecnologia dei reattori veloci non è maturata secondo le aspettative, con il risultato che in diversi Paesi restano
stoccate notevoli scorte di plutonio. Complessivamente circa un terzo del combustibile nucleare irraggiato prodotto
in tutto il mondo è stato riprocessato per renderlo meno pericoloso, mentre la parte restante è stoccata, in attesa
dello smaltimento o della decisione circa il suo destino. In Italia la maggior parte del combustibile è stato già
riprocessato in Gran Bretagna e il resto è ormai destinato all’impianto francese di La Hague.
Trasporto del combustibile irraggiato
Island (marzo 1979), negli Stati
Uniti, il paese che sino ad allora
aveva fatto il maggior ricorso all’energia nucleare e che ancora oggi
ha il maggior numero di impianti
in esercizio, non si è più avuto
alcun ordine per l’installazione di
nuovi reattori.
In quel quadro, la soluzione “ciclo
chiuso” è stata oggetto di una
generale riconsiderazione, anche
alla luce di altri aspetti del riprocessamento che la mancanza di
un’utilità immediata del plutonio
prodotto metteva in maggiore evidenza: i fattori economici, quelli
radioprotezionistici (va tenuto
conto che il riprocessamento del
combustibile irraggiato è un’operazione intrinsecamente meno
“pulita” dell’esercizio di una cen-
Anche se le attività di smantellamento degli impianti possono
ugualmente proseguire prevedendo lo stoccaggio temporaneo
in sito, è necessario che il
Governo operi attivamente per
giungere alla realizzazione della
piattaforma nazionale per lo stoccaggio dei rifiuti radioattivi
(deposito nazionale). Solo così si
potrà dare riscontro alle preoccupazioni delle Amministrazioni
locali e fare in modo che esse non
vedano con timore l’avanzamento delle attività sugli
impianti.
Sulla base delle possibilità previste dalla normativa vigente e di
una revisione critica dei piani di
attività, le mutate condizioni
operative degli impianti possono
consentire la liberazione di
risorse umane e beni strumentali,
incluse porzioni delle ampie aree
di rispetto degli impianti e le
zone non interessate dalle attività di decommissioning. Queste
aree, nel rispetto delle condizioni
di sicurezza, potrebbero essere
reimpiegate per usi compatibili
con la prossimità delle installazioni in fase di decommissioning,
dando contemporaneamente un
segnale positivo agli amministratori e alle popolazioni locali.
Giuseppe Bolla
Sogin, Società gestione impianti
nucleari - www.sogin.it
ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007
trale nucleare), quelli connessi ai
rischi di proliferazione.
Alcuni paesi, tra i quali la Francia,
la Gran Bretagna e la Russia, non
hanno modificato la loro scelta
verso il riprocessamento del combustibile irraggiato, che continua
ancora oggi a essere la soluzione
adottata, mentre altri, a cominciare dagli Stati Uniti, che peraltro
sembrano oggi in una fase di
ripensamento, hanno abbandonato quella scelta e si sono orientati verso lo smaltimento del combustibile, considerato quindi alla
stregua di un vero e proprio rifiuto
radioattivo, pur se nessuno di loro
ha ancora individuato una concreta, definitiva soluzione per tale
smaltimento. Altri paesi, poi,
hanno di fatto adottato una strategia di attesa, “wait and see”.
Sia questi ultimi, sia quelli che
hanno deciso di smaltire il combustibile irraggiato “tal quale” – i
quali come detto non dispongono
ancora degli strumenti necessari
per attuare la loro scelta – mantengono il combustibile in strutture di stoccaggio temporaneo. Si
tratta in alcuni casi di piscine,
secondo la soluzione di stoccaggio
in acqua, in altri di apposite strutture o di contenitori in calcestruzzo o ancora, di contenitori
metallici, ove il combustibile
irraggiato viene immagazzinato a
secco. Particolarmente interessante è la soluzione dello stoccaggio a secco in contenitori dual purpose, adatti sia al trasporto del
combustibile, sia al suo mantenimento di lungo periodo, essendo
tali contenitori già pronti per il
trasferimento del combustibile
all’impianto di riprocessamento, o
al sito di smaltimento, una volta
individuato.
Complessivamente – secondo i
dati forniti dall’Agenzia internazionale per l’energia atomica –
circa un terzo del combustibile
nucleare irraggiato prodotto sino a
oggi nei reattori di tutto il mondo
è stato riprocessato, mentre la
parte restante è stoccata, in attesa
dello smaltimento o della decisione circa il suo destino.
Nettamente diversa è la proporzione relativa al combustibile
irraggiato prodotto nelle quattro
centrali italiane di Latina, Trino,
Garigliano e Caorso. La maggior
parte di tale combustibile è stato
infatti già riprocessato in Gran
Bretagna e il resto è ormai destinato all’impianto di riprocessamento francese di La Hague.
Più in dettaglio, in Italia, dall’inizio degli anni 60, quando entrarono in esercizio le prime centrali,
fino al 1987, quando gli impianti
allora funzionanti vennero definitivamente spenti (la centrale del
Garigliano era già chiusa dal 1978,
poco prima che fosse avviata
quella di Caorso), sono state complessivamente prodotte 1865 tonnellate di combustibile irraggiato.
Sulla base di accordi stipulati da
tempo – quando, come detto, la
chiusura del ciclo del combustibile nucleare con il suo riprocessamento era da considerare una
scelta scontata – sono state riprocessate circa 1630 tonnellate nell’impianto inglese di Sellafield.
Le ultime spedizioni verso quell’impianto, effettuate a seguito di
tali accordi, sono partite dal deposito Avogadro di Saluggia, tra il
2003 e il 2005 e hanno riguardato
53 tonnellate di combustibile.
I rifiuti radioattivi prodotti da
tutte quelle operazioni di riprocessamento sono oggi ancora
immagazzinati a Sellafield, ma
dovranno in parte rientrare in Italia, in ottemperanza agli accordi
stessi. Si tratta di circa 6000 m3 di
rifiuti condizionati in matrice
cementizia e di circa 16 metri cubi
di rifiuti a più elevata attività,
vetrificati.
Per le rimanenti 235 tonnellate, il
documento di indirizzi elaborato
dall’allora ministero dell’Industria
– all’indomani dell’istituzione
della Sogin e trasmesso al Parlamento nel dicembre 1999 – prevedeva lo stoccaggio temporaneo
in contenitori a secco. La maggior
parte di tale combustibile si trova
nella piscina della centrale di
Caorso: 190 tonnellate, tutto il
combustibile nucleare irraggiato
prodotto dall’esercizio di quella
centrale. Vi sono poi circa 30 tonnellate oggi stoccate del deposito
Avogadro, provenienti in parte
dalla centrale di Trino, in parte da
quella del Garigliano, e 15 tonnellate di combustibile di Trino,
stoccate nella piscina di quella
medesima centrale.
Negli anni successivi, fino al
2004, la Sogin e gli altri soggetti
istituzionalmente coinvolti hanno
lavorato, nell’ambito delle rispettive competenze, per dare attua-
13
Mappa dei reattori nucleari in Europa. Ciascuna area evidenziata in rosso corrisponde
alla presenza di uno o più reattori in differenti stati d’uso: progettato, in costruzione,
operativo, sospeso (anche permanentemente), smantellato, annullato.
Fonte: International nuclear safety center (Insc)
http://www.insc.anl.gov/pwrmaps/map/world_map.php
zione a quegli indirizzi, prevedendo l’uso di contenitori metallici dual purpose di realizzazione
tedesca. Si sono tuttavia manifestate presto le difficoltà da parte
delle amministrazioni e delle
comunità locali interessate ad
accettare che – in attesa dell’individuazione di un sito nazionale
ove trasferire i contenitori – la
soluzione dello stoccaggio a secco
fosse, sia pur provvisoriamente,
realizzata sugli stessi siti che ospitano gli impianti in cui si trova il
combustibile irraggiato. Ciò,
ovviamente, nel timore che il
“provvisorio” – in vista di un non
semplice processo di individuazione del sito nazionale – potesse
diventare “definitivo”. Le difficoltà sono state ulteriormente
accresciute, e non di poco, con le
vicende legate al decreto legge
con il quale, nel novembre del
2003, è stato indicato il comune di
Scanzano ionico per ospitare il
deposito nazionale.
Quegli eventi hanno verosimilmente avuto un ruolo non secondario nel determinare un mutamento radicale nelle scelte del
Governo. Nel ridefinire gli indirizzi per la Sogin, il decreto 2
dicembre 2004 del ministro delle
Attività produttive richiedeva alla
Sogin stessa di valutare la possibilità di esportare temporaneamente il combustibile nucleare
irraggiato, ai fini del suo trattamento e riprocessamento, un’impostazione che è stata confermata
dalla successiva amministrazione.
Si è giunti così all’accordo intergovernativo stipulato nel novembre
2006 tra il ministro per lo Sviluppo economico Bersani e il suo
omologo francese Loos, che prevede la spedizione verso la Francia delle 235 tonnellate di combustibile italiano tra il 2007 e il 2012
e il rientro in Italia dei rifiuti prodotti dal riprocessamento entro il
2025. Nel maggio scorso la Sogin
e la società francese Areva, proprietaria degli impianti di La
Hague hanno trasformato l’accordo in contratto, del valore di
oltre 250 milioni di Euro. Il primo
combustibile a partire sarà quello
di Caorso, le cui spedizioni sono
previste iniziare fin dai prossimi
mesi. Sarà poi necessario avviare
tempestivamente un idoneo iter
per l’individuazione del sito nazionale, sia in considerazione dell’impegno assunto nei confronti della
Francia per il rientro dei rifiuti, sia
per rendere effettiva la possibilità
di liberare dagli oneri nucleari i
siti che attualmente ospitano gli
impianti.
Roberto Mezzanotte
Agenzia per la protezione
dell'ambiente e per i servizi tecnici
(Apat)
Speciale radioattività
ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007
Rifiuti radioattivi, quale destinazione finale?
Nel nostro Paese la produzione di rifiuti radioattivi è molto ridotta in quanto non ci sono centrali nucleari in
funzione. Oggi tali rifiuti derivano dalle attività di smantellamento degli impianti e dalle attività sanitarie,
industriali e di ricerca scientifica. Il “condizionamento” – l’immobilizzazione del rifiuto radioattivo in una matrice
con caratteristiche di stabilità e compattezza – è la principale operazione adottata per la riduzione dei rischi di
contaminazione. Apat, per contribuire all’effettiva e corretta gestione di tali rifiuti, ha acquisito un inventario
aggiornato al dicembre 2006 dal quale risulta un totale di ca. 26.800 m3. Pur non destando particolari
preoccupazioni, le maggiori criticità sono connesse al perdurante stoccaggio nei siti di produzione, in magazzini
non progettati come depositi di medio e lungo termine.
14
Qualsiasi attività umana legata
all’uso di materie radioattive ha
come inevitabile conseguenza la
produzione di rifiuti. Le fonti di
produzione sono quindi legate
non solo all’uso del nucleare per
l’energia elettrica, ma anche all’utilizzo di sorgenti radioattive per
uso medico (pratiche diagnostiche e terapeutiche), per uso industriale (radiografie, traccianti,
irraggiamento di prodotti), e per
ricerca.
In Italia, dove non esistono centrali nucleari in funzione, la produzione di rifiuti radioattivi è
molto ridotta. Sono, comunque,
presenti tutte le tipologie di
rifiuti, in quanto l’Italia è stata a
suo tempo all’avanguardia in tutte
le applicazioni del nucleare (centrali, impianti del ciclo, centri di
ricerca ecc.). Mentre la produzione da tutte queste attività si è
sensibilmente ridotta, oggi vengono prodotti rifiuti radioattivi
principalmente dalle attività di
smantellamento delle installazioni chiuse o in via di chiusura.
Rimane comunque costante la
produzione di rifiuti radioattivi
dalle attività sanitarie, industriali
e di ricerca scientifica.
CLASSIFICAZIONE
Ai fini della gestione dei rifiuti
radioattivi, in Italia vengono adottati i criteri di classificazione definiti nella Guida tecnica n° 26 dell’Apat. Con riferimento alle tecniche di smaltimento, tale guida
prende in considerazione due
fondamentali parametri: la concentrazione di radioattività e il
tempo di decadimento dei radionuclidi presenti. In tabella 1 sono
descritti i criteri secondo cui sono
identificate le tre categorie.
CRITERI DI BASE NELLA
Il fondamentale obiettivo nella
gestione dei rifiuti radioattivi è la
protezione dell’uomo e dell’ambiente, a breve e a lungo termine,
e tutte le operazioni sono quindi
mirate all’isolamento dalla biosfera del rifiuto, mediante la predisposizione di più barriere, per
un tempo necessario a che la
radioattività contenuta non sia
diminuita a valori equiparabili a
quelli del fondo naturale.
zione. Tipici processi di condizionamento sono la cementazione, per
i rifiuti a bassa e media attività, e
la vetrificazione, per i rifiuti ad alta
attività (dove le caratteristiche di
stabilità devono essere garantite
per un lunghissimo periodo di
tempo). I rifiuti radioattivi condizionati vengono poi conservati in
adeguate strutture, in attesa di
essere trasportati in un deposito
che garantisca l’isolamento dalla
biosfera per il periodo di tempo
necessario affinché il rifiuto perda
la sua pericolosità.
La principale operazione nella
gestione dei rifiuti radioattivi consiste nel “condizionamento”, cioè
l’immobilizzazione del rifiuto
radioattivo in una matrice con
caratteristiche di stabilità e compattezza tali da garantire una adeguata resistenza alla degrada-
LA SITUAZIONE IN ITALIA
A venti anni dal referendum del
1987, che ha di fatto sancito la
chiusura delle attività nucleari e
degli impianti esistenti in Italia, i
rifiuti radioattivi lasciati in eredità
dalle attività nucleari sono ancora
stoccati presso i rispettivi siti di
GESTIONE DEI RIFIUTI
RADIOATTIVI
produzione (sedi di centrali
nucleari o impianti sperimentali
di ricerca), in gran parte senza che
siano stati sottoposti alle operazioni di condizionamento.
Al quantitativo dei rifiuti già esistenti si andranno a sommare i
rifiuti provenienti dalle attività di
smantellamento delle installazioni nucleari che dovranno continuare a essere stoccati presso gli
stessi siti, in quanto non esiste un
deposito nazionale. Ciò, oltre a
rendere impossibile la completa
denuclearizzazione dei siti, presenta ulteriori problematiche
come il graduale deterioramento
delle attuali strutture di immagazzinamento dei rifiuti, che non
sono state progettate, a suo
tempo, come depositi di medio e
lungo termine.
Già nel 1995 e poi nel 1997, Apat
(allora Anpa), in conferenze appo-
Tab.1 Classificazione dei rifiuti radioattivi secondo la Guida Tecnica 26 APAT
Categoria
Definizione
Esempi di tipologie
Smaltimento
Prima Categoria
Rifiuti la cui radioattività
decade in tempi dell'ordine di
mesi o al massimo di qualche
anno.
Rifiuti da impieghi medici
o di ricerca, con T1/2 pari ad
alcuni mesi (I125, I131,P32)
come i rifiuti
convenzionali
Seconda Categoria
Rifiuti che decadono in tempi
dell'ordine delle centinaia di
anni a livelli di radioattività di
alcune centinaia di Bq/g, e
che contengono radionuclidi
a lunghissima vita media a
livelli di attività inferiori a 370
Bq/g nel prodotto condizionato.
Rifiuti da reattori di ricerca
e di potenza;
rifiuti da centri di ricerca;
rifiuti da decontaminazione e
smantellamento di impianti.
(Co60, Cs137, Sr90, Ni63)
in superficie o a
bassa profondità
con strutture
ingegneristiche
Terza Categoria
Rifiuti che decadono in tempi
dell'ordine delle migliaia di
anni a livelli di radioattività di
alcune centinaia di Bq/g, e
che contengono radionuclidi
a lunghissima vita media
a livelli di attività superiori a
3700 Bq/g nel prodotto condizionato.
Rifiuti prodotti dal riprocessamento del combustibile;
rifiuti contenenti transuranici
da attività di ricerca.
(Am241, Pu, U, Np237, Tc99)
in formazioni
geologiche a
grande
profondità.
ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007
sitamente organizzate, cercava di
sensibilizzare le amministrazioni
competenti a intraprendere azioni
adeguate affinché si giungesse in
tempi rapidi alla realizzazione di
un sito nazionale per raccogliere in
condizioni di massima sicurezza la
totalità dei rifiuti radioattivi
ancora detenuti nei diversi
impianti, nonché i rifiuti generati
dal riprocessamento all’estero del
combustibile irraggiato destinati a
tornare in Italia.
Nonostante le diverse iniziative
intraprese dal Parlamento e dal
Governo (ricordiamo ad esempio
il lavoro della Commissione bicamerale d’inchiesta sul ciclo dei
rifiuti, il documento del ministero
per lo Sviluppo economico “Indirizzi strategici per la gestione degli
esiti del nucleare” (1999), e le conclusioni del Gruppo di lavoro istituito nell’ambito di un Accordo
tra Governo, Regioni e Province
autonome per la gestione in sicurezza dei rifiuti radioattivi (2001),
non si sono registrati a oggi
sostanziali progressi.
Tuttavia, la recente ratifica dell’Italia alla Convenzione internazionale congiunta sulla sicurezza
di gestione del combustibile
irraggiato e sulla sicurezza di
gestione dei rifiuti radioattivi,
avvenuta nel maggio 2006,
impone che vengano predisposti
e attuati chiari e precisi programmi strategici per la soluzione del problema. In quest’ottica, un positivo passo in avanti è
senz’altro rappresentato dall’impegno assunto dall’Italia, in conseguenza del recente accordo
intergovernativo con la Francia
(novembre 2006), riguardante il
riprocessamento delle 235 t di
combustibile irraggiato attualmente in stoccaggio nei siti italiani. In particolare, è previsto di
poter disporre di un sito nazionale di stoccaggio entro il 2018.
L’INVENTARIO DEI RIFIUTI
RADIOATTIVI
L’Apat, con lo scopo di contribuire
a garantire un’effettiva e corretta
gestione degli esiti del nucleare
pregresso, ha acquisito un inventario aggiornato, in termini di
volumi, masse, stato fisico, attività
specifica, contenuto radionuclidico, condizioni di stoccaggio, di
tutti i rifiuti radioattivi presenti in
Tab.2 Inventario Rifiuti Radioattivi, Sorgenti dismesse e Combustibile Irraggiato per Regione
Rifiuti radioattivi
Regione
Sorgenti
Comb.Irragg.
Totale
Attività
Volume
Attività
Attività
Attività
GBq
m3
GBq
TBq
TBq
Piemonte
4.822.048
4.207
4.334
281.325
286.152
17,70
Lombardia
54.873
3.126
130.366
3.689
3.874
0,24
Emilia-Romagna
2.074
4.326
151
1.320.000
1.320.002
81,66
Lazio
79.615
7.454
310.128
53
443
0,03
Campania
434.168
2.659
434
0,03
Toscana
14.503
350
419.000
0,005
434
0,03
Basilicata
362.507
3.411
37
4.690
5.053
0,31
Molise
39
104
0
0,04
2,E-06
Puglia
238
1.140
1
0,24
1,E-05
Sicilia
0.4
0.2
0,00
0,001
5,E-08
Totali
5.770.066
26.778
864.017
Italia, comprendendo anche il
combustibile irraggiato, le sorgenti dismesse e il materiale
nucleare.
Secondo le recenti stime dell’inventario Apat (dicembre 2006), il
totale è di ca. 26.800 m3, di cui:
• ca. 7.500 m3 (28,0 %) di origine
elettrica (le centrali nucleari
Sogin)
• ca. 13.050 m3 (48.7 %) dalla
ricerca in campo energetico (Centri di ricerca Enea, ora Sogin,
comprendendo gli impianti sperimentali del ciclo del combustibile: fabbricazione, riprocessamento ecc.)
• ca. 6.240 m3 (23,3%) di origine
medica e industriale.
In tabella 2 sono riportati i dati di
inventario dei rifiuti radioattivi al
31 dicembre 2006 suddivisi per
regioni.
Ai rifiuti presenti oggi in Italia, si
aggiungeranno nel prossimo
futuro i rifiuti provenienti dallo
smantellamento delle installazioni nucleari che sono stimabili
in circa 50.000 m3 di rifiuti prevalentemente di II Categoria. In più
occorre considerare i rifiuti condizionati che rientreranno in Italia
dall’Inghilterra, derivanti dalle
operazioni di riprocessamento del
combustibile Enel (le quantità
sono stimabili in ca 5.000 m3 di II
1.609.757
Cat., 1.000 m3 di III Cat. cementati e 16 m3 di III Cat. vetrificati),
nonché i rifiuti condizionati dal
riprocessamento del combustibile
che sarà inviato in Francia.
Prosegue nel frattempo la produzione di rifiuti di origine non
energetica (ospedali, industrie
ecc.). La produzione annua è stimabile in un migliaio di metri
cubi della Ia Cat., che vengono
smaltiti come rifiuti convenzionali dopo alcuni mesi di stoccaggio, e in qualche centinaio di
metri cubi della II Cat. che continuano invece ad accumularsi
presso i diversi operatori e tenuti
in stoccaggio senza un adeguato
processo di condizionamento.
CONCLUSIONI
Anche se la situazione al
momento attuale non desta
preoccupazioni in termini di sicurezza, (anche perché è costantemente tenuta sotto controllo tramite appositi programmi di vigilanza sui vari impianti), la prospettiva diverrebbe preoccupante
se gli sviluppi recentemente registrati non avessero il necessario e
adeguato seguito.
Quali potrebbero essere i possibili
scenari nel caso mancanza di una
tempestiva soluzione del problema deposito?
Tutti gli Esercenti, grandi e pic-
%
1.616.391
coli, diventano direttamente
responsabili dell’intera gestione a
lungo termine dei rifiuti di loro
pertinenza, e questo significa che
oltre a provvedere al condizionamento di tutti i rifiuti, devono
anche garantire la loro conservazione realizzando in ciascuno dei
loro siti adeguate strutture per lo
stoccaggio a lungo termine.
Inoltre, alcune di tali strutture
dovranno accogliere anche i rifiuti
di ritorno dall’estero di rispettiva
pertinenza.
È da considerare infine che la
situazione in alcuni siti esistenti
rimarrebbe comunque critica in
quanto non possiedono certamente le caratteristiche minime
richieste per ritenerli idonei a
ospitare rifiuti radioattivi a lungo
termine. Gli impianti e/o centri di
ricerca sono stati individuati a suo
tempo con criteri sitologici e di
impatto ambientale (ad es. caratteristiche idrogeologiche e antropomorfiche del territorio) per
svolgere attività, anche se di
rilievo dal punto di vista del
rischio radiologico, limitata nel
tempo cioè per un periodo di 2030 anni.
Mario Dionisi
Agenzia per la protezione
dell'ambiente e per i servizi tecnici
(Apat)
15
Speciale radioattività
ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007
Il trasporto del materiale radioattivo e fissile
In Italia il trasporto di materiale radioattivo è prevalentemente legato alla distribuzione di radiofarmaci o traccianti
per applicazioni mediche, di prodotti per applicazioni di laboratorio e/o ricerca e alla raccolta dei rifiuti radioattivi
generati da tali attività. Con minor frequenza, ma con attività per singolo collo nettamente superiori, si collocano i
trasporti di sorgenti per applicazioni industriali, per terapia medica e i trasporti derivanti dal ciclo del combustibile
nucleare o dalla dismissione di impianti nucleari. Nell’articolo una sintesi della normativa che regola il settore.
16
Il trasporto di materiale radioattivo e fissili speciali in Italia è sottoposto ai dispositivi della legge
1860/1962 e del Dlgs 230/95,
oltre che a una serie di decreti e
circolari di carattere specifico per
le varie modalità di trasporto che
fissano il regime tecnico-autorizzativo (ad es. la Circolare 162/96
del ministero dei Trasporti, per il
trasporto su strada).
I due atti normativi sopramenzionati, rispettivamente all’art. 5 e
all’art. 21, prevedono che il trasporto di materiale radioattivo sia
effettuato da un vettore appositamente autorizzato con decreto
del ministero delle Attività produttive, sentiti il ministero dei
Trasporti, il ministero degli
Interni e l’Apat.
La figura giuridica del vettore
autorizzato è legata alla specifica
modalità di trasporto; pertanto si
identificano vettori autorizzati
per il trasporto stradale, per il trasporto ferroviario, per il trasporto
aereo e per quello via mare o
acque interne (come nel caso
della laguna di Venezia).
Il vettore “autorizzato” risponde
con piena responsabilità anche
dei trasporti effettuati a mezzo di
altri vettori “fisici” dei quali
abbia la piena disponibilità dei
mezzi (personale, mezzi di trasporto e attrezzature).
In particolare, esso è responsabile della radioprotezione dei
lavoratori e della popolazione
oltre a essere sottoposto agli
obblighi derivanti dal suo status
giuridico, vale a dire:
- ottenimento di specifiche autorizzazioni di trasporto (quando
ricorra il caso)
- invio dei riepiloghi trimestrali
dei trasporti all’Apat
- adempimenti circa la Security
nel trasporto
- adempimenti legati al Dpcm
10/02/2006 circa le emergenze
durante il trasporto ecc.
In Italia, il trasporto di materiale
radioattivo, in termini di volume
globale di colli, è prevalentemente legato alla distribuzione di
radiofarmaci o traccianti per
applicazioni mediche (diagnosi/
terapia), di prodotti per applicazioni di laboratorio e/o ricerca e
alla raccolta dei rifiuti radioattivi
generati da tali attività. Con
minor frequenza, ma nella maggior parte dei casi con attività per
singolo collo nettamente superiori, si collocano i trasporti di
sorgenti per applicazioni industriali (sterilizzazione, gammagrafia, ecc.), i trasporti di sorgenti
per terapia medica (radioterapia)
e i trasporti di colli derivanti dal
ciclo del combustibile nucleare o
dalla dismissione di impianti
nucleari
(decommissioning).
Questi ultimi due aspetti
avranno nel breve-medio periodo
una crescita legata anche all’accordo tra Francia e Italia circa il
riprocessamento del combustibile nucleare ancora stoccato in
Italia (accordo siglato a Lucca il
24/11/2006).
Gli aspetti tecnici del trasporto
sono fissati a livello internazionale dai cosiddetti regolamenti
modali che traggono origine dalla
specifica regolamentazione Iaea
già incorporata nel cosiddetto
Orange Book dell’Onu.
Si identificano pertanto:
• l’ADR per il trasporto su strada
• il RID per il trasporto su ferrovia
• l’ICAO TI/IATA DGR per il
trasporto via aerea
• l’IMDG code per il trasporto
via mare, e
• l’ADN per il trasporto via
acque interne.
Tutti i regolamenti modali menzionati, a esclusione del solo
ADN, sono stati recepiti in Italia,
così come sono periodicamente
recepiti i loro aggiornamenti
(generalmente su base biennale).
La regolamentazione Iaea, e di
conseguenza i regolamenti
modali, fissano in particolare i
requisiti per gli imballaggi e i
colli in termini di:
- prestazioni di contenimento e
confinamento dei materiali
radioattivi
- attività contenibile in funzione
dello specifico radionuclide e del
suo stato fisico
- limiti di livello di dose e contaminazione superficiale
- requisiti per l’etichettatura/
marcatura
per raggiungere, insieme agli
altri dispositivi regolamentati, un
livello accettabile di rischio
tenuto conto dei fattori economici e sociali associati.
La regolamentazione identifica
nel rischio radiologico, nel rischio
da criticità e in quello termico, i
rischi verso i quali tutelare le persone, i beni e l’ambiente.
- colli esenti
- colli di tipo industriale
- colli di tipo A
- colli di tipo B(U) e B(M)
- colli di tipo C.
Le tipologie di colli sopraelencate sono presentate in funzione
della loro capacità di sopportare,
oltre che le condizioni regolari o
normali di trasporto, anche condizioni anomale o incidentali che
possano coinvolgerli.
È importante sottolineare che la
regolamentazione Iaea ha nella
Garanzia della Qualità (in capo
allo speditore, al vettore, al
costruttore dell’imballaggio ecc.)
e nella Garanzia della Conformità
(in capo all’Autorità competente)
i capisaldo del rispetto delle prescrizioni atte a perseguire l’accettabile livello di rischio.
Roberto Vespa
MIT Nucleare
Nella regolamentazione sono definite le seguenti tipologie di colli:
Il trasporto stradale eccezionale di un cask per combustibile nucleare irraggiato
ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007
Trasportare in sicurezza il combustibile irraggiato,
il ruolo delle Agenzie regionali per l’ambiente
Il combustibile irraggiato estratto dalle piscine di stoccaggio degli impianti nucleari in fase di smantellamento è
destinato attualmente al riprocessamento in un impianto all’estero. Il trasporto deve essere effettuato nel rispetto
della normativa. Le attività delle Agenzie regionali per l’ambiente sono determinanti sia per la valutazione
dell’eventuale impatto prodotto, sia in un’ottica di prevenzione sanitaria e ambientale. L’esperienza di Arpa Piemonte.
ATTIVITÀ SVOLTE DA ARPA
PIEMONTE
In Piemonte, dal 2003 al 2007,
hanno avuto luogo due campagne di trasporto: tredici trasporti
dal Deposito Avogadro di Saluggia (VC) all’impianto di ritrattamento di Sellafield (GB) e dieci
trasporti dall’impianto EurexSOGIN di Saluggia (VC) al
Deposito Avogadro di Saluggia
(VC). Nel corso di entrambe le
campagne il coinvolgimento di
Arpa Piemonte è stato particolarmente oneroso. Le attività svolte
sono di seguito sintetizzate.
Controlli radiometrici in qualità di
Ente terzo
L’Ente terzo è un organismo
super partes che ha il compito di
certificare il rispetto dei limiti
fissati dalla Iaea per il trasporto
di materie radioattive. In com-
pleta autonomia decisionale sulla
tipologia e sui modi su contenitori e veicoli di trasporto sono
stati eseguiti:
- controlli di contaminazione trasferibile alfa e beta-gamma
- misure del rateo di dose gamma
e neutronica.
Queste misure, specificamente
richieste nel caso di invio del
combustibile a un impianto di
riprocessamento estero, non sono
strettamente riconducibili ai
compiti istituzionali delle Agenzie regionali per l’ambiente e
sono perciò state effettuate nell’ambito di uno specifico progetto. L’attività si è dimostrata di
grande valenza poiché ha consentito di effettuare valutazioni
di radioprotezione prima dell’avvio di ogni singolo trasporto,
offrendo maggiori garanzie per
l’ambiente e per la popolazione.
Monitoraggio radiologico
ambientale
Al fine di valutare correttamente
l'impatto potenzialmente prodotto dalle operazioni di trasferimento del combustibile nucleare
irraggiato sull'ambiente e sulla
popolazione è stato messo a
punto un piano di monitoraggio
straordinario. Esso è stato perfezionato tenendo specificamente
conto del percorso seguito dai
casks e dei luoghi di movimentazione degli stessi, prevedendo:
- misure di spettrometria γ e di
attività α e β‚ totale sui filtri di
prelievo del particolato atmosferico
- misure di spettrometria γ sui
campioni di suolo ed erba
- misure di dose ambientale
gamma H*(10) con dosimetri a
TLD.
Supporto tecnico alla Prefettura di
Vercelli
Prima dell’avvio delle operazioni
di trasporto è stata avviata una
ARCHIVIO SOGIN
L’avvio delle operazioni di decommissioning degli impianti nucleari
impone lo svuotamento delle
piscine di stoccaggio del combustibile irraggiato. Il combustibile
estratto è destinato allo stoccaggio a secco – temporaneo in situ o
definitivo in un idoneo deposito
nazionale – o al riprocessamento
presso un impianto estero. In Italia la strategia in atto prevede
attualmente l’invio al riprocessamento. Il trasporto del combustibile nucleare irraggiato viene
effettuato utilizzando appositi
contenitori, casks o flasks, nel
rispetto della normativa nazionale e internazionale vigente.
L’insieme delle operazioni di trasferimento può produrre rischi
per l’ambiente e per la popolazione, pertanto il ruolo delle
Agenzie regionali per l’ambiente
è determinante non solo per la
valutazione
dell’eventuale
impatto radiologico prodotto, ma
soprattutto in un’ottica di prevenzione.
17
fitta collaborazione con la Prefettura di Vercelli per la predisposizione del piano di emergenza.
Durante l’esecuzione di ogni singolo trasporto il personale Arpa
ha partecipato alla gestione attiva
del piano di emergenza, garantendo turni di reperibilità
aggiuntivi e la presenza di personale durante le operazioni di
movimentazione e di trasporto.
Informazione alla popolazione
Già nelle fasi di preparazione dei
trasporti la popolazione locale
interessata ha manifestato la
necessità di essere informata sui
rischi connessi alle operazioni.
Sul sito web di Arpa Piemonte è
stata pertanto allestita una
sezione, aggiornata dopo ogni
singolo trasporto, con i risultati
delle misure eseguite.
CONCLUSIONI
La duplice attività di controllo
effettuata – come Ente terzo
direttamente sui contenitori e sui
veicoli di trasporto e istituzionale
sull’ambiente – ha fornito la possibilità di effettuare una valutazione integrata dell’impatto
radiologico prodotto – risultato in
entrambi i casi non rilevante –
consentendo di dare corrette
informazioni sia alla popolazione
interessata, sia agli operatori
coinvolti indirettamente e perciò
non classificati, quali rappresentanti delle forze dell’ordine e
personale ferroviario.
Anche il costante aggiornamento
del sito web dell’Agenzia si è
rivelato un utile strumento per
fornire informazioni alla popolazione.
Si può pertanto concludere che
l’esperienza maturata da Arpa
Piemonte ha evidenziato che le
strategie di controllo adottate
sono adeguate e utilizzabili, in
via generale, dalle Agenzie regionali coinvolte.
Laura Porzio
Arpa Piemonte
Speciale radioattività
ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007
Sorgenti orfane in Italia, sotto controllo
l’importazione di rottami metallici
Il ritrovamento casuale di sorgenti radioattive abbandonate – le cosiddette “sorgenti orfane” – può comportare
un’esposizione significativa alle radiazioni con effetti anche non trascurabili. Tra i casi accertati l’importazione
di rottami metallici, all’interno dei quali, per errore o illecitamente, vengono smaltite sorgenti radioattive. La
normativa europea e nazionale stabilisce specifiche modalità di controllo, di intervento in casi sospetti, di emergenza
e di soccorso. Il ruolo e le funzioni del sistema Apat/Arpa/Appa.
18
Le autorità competenti e gli organismi di controllo nazionali preposti si sono trovate più di una
volta a far fronte a situazioni nelle
quali sorgenti sigillate utilizzate
in passato, ad esempio, non sono
state gestite in maniera adeguata
e non sono sotto controllo, o a
eventi di ritrovamento di sorgenti
abbandonate. Tali sorgenti, cosiddette orfane, potrebbero essere
rinvenute da persone ignare dei
rischi radiologici a esse associati
dato che l’esposizione alle radiazioni emesse potrebbe comportare, in alcuni casi, effetti anche
non trascurabili.
Nell’ambito della stessa problematica si inserisce l’importazione
di rottami metallici, destinati alla
fusione, all’interno dei quali, per
errore o illecitamente, vengono
smaltite sorgenti radioattive.
È noto che l’Italia è grande
importatore di tali materiali. È
opportuno ricordare che pur se
quegli eventi di fusione di sorgenti radioattive accidentalmente
presenti nei rottami metallici non
hanno fortunatamente avuto
impatti radiologici significativi, le
conseguenze economiche e
sociali sono risultate, in taluni
casi, di consistente rilievo.
Il problema delle sorgenti orfane
è stato oggetto di esame anche
nell’Unione europea e ha prodotto l’emanazione di una specifica direttiva, la 2003/122/Euratom sul controllo delle sorgenti
sigillate ad alta attività e sulle sorgenti orfane. Tale direttiva è stata
attuata nell’ordinamento italiano
con il Dlgs 52/2007, entrato in
vigore il 9 maggio 2007, integrando le disposizioni recate dal
Dlgs 230/1995, e successive
modifiche.
Quest’ultimo decreto contiene
già da tempo specifiche disposi-
zioni destinate a regolamentare
quelle situazioni connesse con il
ritrovamento di sorgenti orfane.
Oltre alle norme stabilite nell’articolo 25 – che fissa specifici
obblighi di comunicazione di
smarrimento, perdita e ritrovamento di materie radioattive o di
apparecchi che le contengano –
di particolare rilievo assumono
quelle disposizioni dell’articolo
100 ove si stabiliscono specifici
obblighi in capo a tutti i soggetti
che svolgono attività, ancorché
non soggette alle disposizioni del
Dlgs 230/1995, nell’esercizio
delle quali si verifichino situazioni accidentali con materie
radioattive. È il caso ad esempio
di chi commercia o trasporta rottami metallici. Vanno inoltre
ricordate le disposizioni stabilite
nell’articolo 157, che prevede
l’obbligo, per i soggetti che esercitano operazioni di fusione o di
raccolta o di deposito di materiali
metallici di risulta, di effettuare
la sorveglianza radiometrica dei
predetti materiali, in modo da
rivelare la presenza di eventuali
sorgenti radioattive al loro
interno. Va peraltro osservato che
l’efficacia di tale norma è attenuata dalla mancanza del previsto decreto di attuazione. In ogni
caso molte acciaierie hanno
volontariamente adottato sistemi
di sorveglianza come buona
norma di auto tutela.
Con l’emanazione del Dlgs n.
52/2007, particolare rilevanza
assumono quelle specifiche disposizioni che regolamentano i
casi di rinvenimento o sospetto
rinvenimento di sorgenti orfane.
Vanno particolarmente citate le
norme contenute nell'articolo 14,
che disciplinano gli interventi di
messa in sicurezza della sorgente
mediante la predisposizione di
appositi piani di intervento tipo
da parte del Prefetto che si
avvale, dei Vigili del fuoco (ai
quali sono inoltre assegnati i
primi interventi di soccorso tecnico urgente), delle Agenzie
regionali per la protezione dell'ambiente, degli organi del servizio sanitario nazionale e, per i profili di competenza, delle Dire-
zioni provinciali del lavoro. Inoltre, sempre nell’articolo 14, è previsto il potere da parte dell’autorità locale di respingere i carichi
di rottami metallici, o parte di
essi, nei quali siano state collocate
sorgenti orfane, rinviandoli al
responsabile estero dell’invio.
Il decreto legislativo prevede
inoltre la predisposizione di una
campagna, condotta da Enea e
Arpa/Appa, per l’individuazione e
il successivo recupero di sorgenti
orfane tramandate da passate attività. Da segnalare infine, tra le
altre disposizioni stabilite dal
Dlgs 52/2007, la possibilità prevista, quale provvedimento per
favorire l’emersione di eventuali
casi di detenzione di sorgenti non
autorizzate e quindi fuori dal controllo istituzionale, di dichiarare,
entro il 5 novembre 2007, tale
detenzione, senza incorrere nelle
sanzioni previste dalla legge.
Luciano
Agenzia per la protezione
dell'ambiente e per i servizi tecnici
(Apat)
ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007
Le reti di allarme radiologico in Italia
Sul territorio italiano operano diversi sistemi di rilevamento progettati con finalità di pronto-allarme, nel caso di
arrivo di una nube radioattiva da oltre frontiera. Le reti automatiche di monitoraggio dell’Apat generano la
segnalazione di allarme e forniscono informazioni circa l’evoluzione della nube e i reali livelli della contaminazione
radioattiva. La rete di monitoraggio del ministero dell’Interno, con le sue oltre 1200 stazioni di telemisura, consente
il controllo capillare sul territorio nazionale del rateo di dose gamma in aria. Esistono, inoltre, alcune reti regionali
che concorrono al sistema nazionale di pronto allarme radiologico.
L’insegnamento derivante dagli
eventi che seguirono l’incidente
alla centrale nucleare di Chernobyl, ha costituito la base delle
attuali organizzazioni di emergenza e delle necessarie infrastrutture che governi e organismi
internazionali, hanno realizzato
per fronteggiare al meglio le conseguenze che incidenti di tale
portata provocherebbero anche al
di fuori dei confini nazionali. La
catastrofe del 1986 alla centrale
di Chernobyl in Ucraina, infatti,
mise in evidenza il potenziale
impatto internazionale di un incidente nucleare e la necessità di
disporre di adeguati strumenti,
organizzativi e tecnici, a garanzia
di una efficace risposta d’emergenza. Furono, così, realizzati
sistemi per la tempestiva diffusione alla Comunità internazionale delle informazioni relative a
un incidente nucleare, i sistemi
di “pronta-notifica” e a integrazione di questi, molti paesi si
dotarono di reti di monitoraggio,
le reti di allarme, in grado di
segnalare la presenza nell’ambiente di livelli anomali di
radioattività, in modo continuo e
con adeguata copertura territoriale. Attualmente, la situazione
italiana vede il concorso di
diversi sistemi di rilevamento
progettati con finalità di prontoallarme e nel seguito si fornisce
una breve panoramica delle reti
oggi operative sul territorio
nazionale.
Le reti automatiche di monitoraggio
radiologico dell’Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici (Apat) costituiscono una delle
componenti
funzionali
del
sistema integrato di supporto alla
gestione delle emergenze che
l’Agenzia ha realizzato ai fini dei
compiti istituzionali a essa assegnati nel campo delle emergenze
nucleari (Dlgs 230/1995 e s.m.).
Le reti sono state progettate per
la generazione della segnalazione
di pronto-allarme all’arrivo, sul
territorio nazionale, della nube
radioattiva rilasciata nel corso di
un eventuale incidente a carico di
un impianto nucleare tra quelli
che operano oltre frontiera. Le
reti, denominate rete REMRAD E
rete GAMMA, forniscono, inoltre,
informazioni circa l’evoluzione
della nube e i reali livelli della
conseguente
contaminazione
radioattiva. A esse è affidato,
infine, il compito di confermare le
informazioni prodotte dai sistemi
internazionali di pronta notifica,
per i quali l’Apat opera quale
Punto di contatto nazionale.
Le due reti svolgono funzioni
complementari tra loro. La rete
REMRAD è in grado di rivelare
livelli anche bassi di radioattività
presente nel particolato atmosferico e la rete GAMMA consente la
misura dell’intensità di dose
gamma prodotta sia dalla radioattività aerosospesa che da quella
depositata al suolo. Entrambi i
centri di controllo delle reti sono
operativi presso il Centro Emergenze dell’Apat.
La rete REMRAD è composta da 7
stazioni automatiche, 5 delle
quali ospitate all’interno di siti
dell’Aeronautica militare di particolare importanza meteorologica,
scelti in modo tale da coprire le
più probabili vie di accesso nel
paese di un’eventuale nube
radioattiva proveniente dalle
centrali nucleari europee. La rete
analizza il particolato atmosferico
raccolto su filtro, fornendo la
misura della concentrazione in
aria della radioattività alfa e beta,
sia per la componente naturale
che per quella artificiale. Sono
effettuate, inoltre, analisi automatiche di spettrometria gamma
ad alta risoluzione per l’individuazione
dei
radionuclidi
gamma-emettitori.
Completano l’allestimento delle
stazioni, i sistemi di misura del
rateo di dose gamma ambiente e
dei principali parametri meteorologici.
La rete GAMMA è costituita da 64
centraline di monitoraggio dell’intensità di dose gamma in aria,
distribuite sull’intero territorio
nazionale e per la maggior parte
ospitate in siti del Corpo forestale dello Stato o presso sedi
delle Arpa/Appa. La rete partecipa al sistema Eurdep, la piattaforma di scambio dei dati dell’Unione europea, realizzata ai sensi
della Decisione del Consiglio
dell’Unione
europea
87/600/Euratom, alla quale i
paesi partecipanti, devono
inviare, in tempo reale, i dati di
misura nel corso di una emergenza nucleare.
La rete nazionale di monitoraggio
del ministero dell’Interno- Dipartimento dei Vigili del fuoco, concorre
autonomamente al sistema nazionale delle reti, come disposto
dall’art 104 del Dlgs 230/95 e
s.m. Istituita negli anni 60, in
piena Guerra fredda, con scopi di
difesa civile, nella sua prima versione operava come rete di osservazione, rilevamento e allarme
del fall-out conseguente l’esplosione sul territorio italiano di un
ordigno nucleare. Era costituita
da oltre 1600 punti di rilevamento manuale finalizzato a fornire alle autorità militari le informazioni necessarie per la costruzione delle curve di ricaduta
radioattiva nelle fasi successive
all’attacco nucleare.
Oggi la rete ha subito una profonda trasformazione e nella sua
configurazione attuale opera in
modalità automatica per monitorare l’intero territorio nazionale
in tempo reale ed è in grado di
effettuare previsioni e calcoli
d’interesse civile e militare. La
rete è composta da 1237 stazioni
di telemisura del rateo di dose
gamma in aria e la sua gestione è
realizzata per mezzo dei 16 centri
regionali di raccolta ed elaborazione delle misure e di un centro
nazionale di controllo.
Si deve evidenziare, infine, che
anche a livello regionale sono
state realizzate o sono in fase di
progettazione alcune reti di
monitoraggio con caratteristiche
operative che consentono, tuttavia, un loro efficace concorso al
sistema nazionale di pronto
allarme radiologico. Un esempio
su tutti è rappresentato dalla Rete
di allerta nucleare dell’Arpa Piemonte. La rete, costituita da 29
centraline di misura dell’equivalente di dose ambientale H*(10),
garantisce la copertura uniforme
del territorio regionale e il monitoraggio dei principali centri
urbani. I dati rilevati confluiscono, in tempo reale, al Centro
funzionale dell’Arpa Piemonte,
dove vengono visualizzati, elaborati, archiviati e gestiti ai fini
della valutazione delle emergenze. Nel contesto nazionale, la
rete rappresenta un presidio di
confine per quanto riguarda il
rischio potenziale costituito dagli
impianti nucleari francesi.
Il monitoraggio radiologico
ambientale ai fini del prontoallarme, rappresenta una funzione operativa chiave prevista
dal Piano nazionale delle misure
protettive contro le emergenze
nucleari e radiologiche della Presidenza del Consiglio dei ministriDipartimento della protezione
civile. In tale ambito l’insieme
delle reti descritte costituisce
oggi un patrimonio ormai acquisito del sistema integrato nazionale di supporto alla gestione
delle emergenze radiologiche.
Paolo Zeppa
Agenzia per la protezione
dell'ambiente e per i servizi tecnici
(Apat)
19
Speciale radioattività
ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007
Le reti per la sorveglianza in Italia
La rete nazionale di sorveglianza della radioattività ambientale, la rete nazionale di rilevamento della ricaduta
radioattiva, le reti di allarme, le reti regionali e le reti di sorveglianza locale degli impianti nucleari, la rete di
rilevazione presso i valichi di frontiera costituiscono il sistema di monitoraggio in grado di rilevare anomalie nei
livelli di contaminazione radioattiva sul territorio nazionale. Il sistema può ritenersi adeguato in relazione all’attuale situazione dell’industria nucleare nazionale e alle esigenze di protezione della popolazione in caso di incidenti rilevanti di natura transfrontaliera. Per quanto riguarda il numero dei controlli, permangono delle situazioni di non omogenea copertura del territorio nazionale.
20
La sorveglianza della radioattività ambientale trae giustificazione dall’esigenza di protezione
della popolazione dalle esposizioni a radiazioni ionizzanti a
seguito della presenza di isotopi
radioattivi nelle matrici ambientali (aria, acqua, suolo ecc.) e
negli alimenti derivante dalle
attività industriali nucleari o da
incidenti a impianti nucleari. L’esperienza acquisita a seguito dell’incidente di Chernobyl, inoltre,
ha evidenziato la necessità di un
sistema di allarme in grado di
rilevare prontamente anomali
livelli di contaminazione radioattiva, di identificarne la diffusione
sul territorio e di valutare la dose
al pubblico. Negli ultimi anni,
infine, il progresso tecnologico e
scientifico ha reso evidente che
anche particolari attività non
nucleari, che fanno uso di materie naturali contenenti radionuclidi e particolari situazioni di
esposizione alla radioattività
naturale (radon), possono essere
responsabili di un aumento della
esposizione alle radiazioni ionizzanti dei lavoratori e della popolazione non trascurabile.
I CONTROLLI,
QUADRO NORMATIVO
I principi fondamentali che regolano il controllo e lo scambio di
informazioni in materia di
radioattività nell’ambiente, traggono origine dal trattato istitutivo
della Comunità europea dell’energia atomica del 25 marzo
19571 - Trattato Euratom (articoli 35 e 36). Essi stabiliscono
l’impegno di ciascuno stato
membro a svolgere in maniera
permanente i controlli sulla
radioattività ambientale e a trasmettere i risultati alla Commissione europea su base periodica.
Tali principi sono stati recepiti
http://www.apat.gov.it/site/it-IT/Temi/Radioattivita_e_radiazioni/
nella legislazione italiana prima
con il Dpr 185/1964, e più recentemente con il Dlgs 230/19952 e
successive modifiche e integrazioni. Il decreto disciplina le attività che possono comportare
un’esposizione dei lavoratori o
della popolazione alle radiazioni
ionizzanti. In particolare negli
articoli 54 e 104, sono individuate le reti di monitoraggio
quale strumento principale per la
sorveglianza e il controllo della
radioattività ambientale.
Completano il quadro normativo:
- la circolare n. 2 del 3 febbraio
1987 del ministero della Salute3
sulle modalità per la realizzazione del controllo della radioattività ambientale a livello regionale
- il Dlgs 31/20014 in attuazione
della direttiva 98/83 CE sulla
qualità delle acque destinate al
consumo umano
- la raccomandazione Euratom
2000/4735, sui criteri generali per
la realizzazione della struttura
della rete di monitoraggio della
radioattività ambientale
- la raccomandazione 274/CE del
14 aprile 20036, sull’esposizione
al cesio 137 in taluni prodotti di
raccolta spontanei a seguito dell’incidente di Chernobyl.
Non sono citati in questo articolo
i dispositivi normativi che riguardano il monitoraggio per il rilevamento di eventi incidentali rilevanti in quanto citati nell’articolo
sulle reti di allarme.
Discorso a parte merita la problematica dell’esposizione dei lavoratori, ma anche della popolazione, a sorgenti naturali di radiazioni. Si tratta delle esposizione
al radon7 e ai materiali contenenti elementi radioattivi di origine naturale, i cosiddetti
NORM. Tale materia è considerata nel Dlgs 241/2000 che modifica il Dlgs 230/95. Fino a ora
questa nuova problematica non è
stata considerata nel sistema dei
controlli e pertanto, al momento,
ne rimane esclusa. Sono invece
in corso numerose attività di censimento e di studio a livello
nazionale e regionale per comprendere meglio l’impatto sui
lavoratori e sulla popolazione e
su come gestire gli eventuali
interventi preventivi, correttivi o
di risanamento.
I soggetti ai quali la normativa
affida compiti e responsabilità
sono:
- il ministero per l’ Ambiente e
per la tutela del territorio e del
mare, il ministero della Salute
per la sorveglianza ambientale e
degli alimenti,
- il ministero dell’Interno con
un’autonoma rete di allarme
- le regioni e le province autonome per la gestione di reti
regionali per le quali si avvalgono
delle rispettive agenzie per la
protezione dell’ambiente
- gli esercenti degli impianti
nucleari per la gestione delle reti
locali.
All’Apat sono affidate responsabilità di coordinamento della sor-
ARCHIVIO ARPA SEZ. DI PIACENZA
ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007
Pc collegato con stazione di monitoraggio dell'aria in continuo (gamma, I-131, alfa-beta)
veglianza ambientale a livello
nazionale e di controllo degli
impianti nucleari a livello locale.
RADIOATTIVITÀ AMBIENTALE,
IL SISTEMA DI SORVEGLIANZA
Per dare risposta alle esigenze di
protezione della popolazione
sulla sorveglianza della radioattività ambientale, nel rispetto dei
dispositivi normativi e tenuto
conto delle raccomandazioni
della Commissione europea, uno
degli strumenti messi in atto è
costituito dal sistema delle reti di
monitoraggio.
Il complesso dei controlli è, dunque, organizzato in reti che si
articolano in diversi livelli: nazionale, regionale e locale (intorno
alle installazioni). Le prime due
sono orientate verso la valutazione della esposizione della
popolazione, le ultime sono
orientate al controllo dello specifico sito industriale. In particolare attualmente sono operanti le
seguenti reti di monitoraggio:
1) Rete di sorveglianza nazionale
della radioattività ambientale
(Resorad)
La rete è costituita dalle 21 agenzie per la protezione dell’ambiente delle regioni e delle province autonome e da enti e istituti che storicamente producono
dati utili al monitoraggio.
Sono analizzate tutte le matrici
ambientali e misurate le attività
dei principali radionuclidi di
interesse ambientale e alimentare. All’Apat sono affidate le
funzioni di coordinamento tecnico sulla base delle direttive in
materia, emanate dal ministero
della Salute e dal ministero per
l’Ambiente e per la tutela del ter-
ritorio, nonché le attività di reporting, verso la popolazione e la
Commissione europea. Questa
rete è anche chiamata, in situazioni di emergenza, a fornire i
dati radiometrici territoriali al
Centro di elaborazione valutazione dati (Cevad).
2) Rete nazionale di rilevamento
della ricaduta radioattiva del
ministero dell’Interno. Questa
rete è gestita dal Dipartimento
dei Vigili del Fuoco e svolge la
funzione di difesa civile. Nella
sua configurazione attuale la rete
è progettata per monitorare l’intero territorio nazionale in tempo
reale e consiste in 1237 stazioni
di telemisura della dose gamma
assorbita in aria e 1 stazione di
misura del particolato atmosferico.
3) Reti di allarme dell’Apat
(Remirad e Rete Gamma): si
veda altro articolo specifico sulle
reti di allarme.
4) Reti regionali. Tutte le Regioni
e le Province autonome gestiscono autonomamente proprie
reti di monitoraggio. La maggior
parte dei dati prodotti da queste
reti confluisce nella rete Resorad, ma sono seguite anche altre
attività di sorveglianza sul territorio, come approfondimenti nell’intorno dei siti nucleari o il controllo sui prodotti di importazione o ancora sugli impianti di
fusione di rottami metallici.
5) Reti di sorveglianza locale della
radioattività ambientale degli
impianti nucleari. Si tratta di reti
che hanno lo scopo di controllare
la radioattività ambientale nell’intorno degli impianti nucleari.
Sono progettate in funzione della
tipologia dell’impianto e dei
possibili scenari di incidente. In
accordo con quanto definito dalla
legislazione, i dati sono inviati
all’Apat che svolge, altresì, attività di vigilanza sugli impianti
stessi. Tali reti, in analogia con la
rete nazionale, concorrono alla
produzione dell’insieme di dati
che vengono trasmessi al Cevad
nel caso di emergenze radiologiche.
Deve infine essere citata una
rete, installata dal ministero delle
Attività produttive, di circa
trenta sistemi per la rilevazione
della radioattività presso i valichi
di frontiera con lo scopo di individuare possibile contaminazione di carichi metallici in
ingresso nel nostro paese.
LO
STATO
DELLA SORVEGLIANZA
Il monitoraggio della radioattività
ambientale in Italia può ritenersi
adeguato in relazione all’attuale
situazione dell’industria nucleare
nazionale e alle esigenze di protezione della popolazione in caso
di incidenti rilevanti di natura
transfrontaliera. In particolare la
maggior parte delle attuali attività dell’industria nucleare
riguardano la dismissione degli
impianti attualmente esistenti.
Per quanto riguarda il numero
dei controlli, permangono delle
situazioni di non omogenea
copertura del territorio nazionale.
In genere l’area centro meridionale produce una quantità di dati
inferiore a quella programmata in
particolare per le misure più
complesse dal punto di vista tecnologico.
In merito alla radioattività naturale (radon e NORM) la normativa attualmente in vigore, limitatamente alle attività lavorative,
affida specifiche responsabilità
agli esercenti di tali attività, che
devono garantire adeguati livelli
di protezione dei lavoratori e
della popolazione, ma non è previsto un piano di monitoraggio.
Infine, relativamente all’esposizione al radon della popolazione
nelle abitazioni, si ricorda che, in
assenza di incidenti, tale fonte
rappresenta il maggiore contributo all’esposizione a radiazioni
ionizzanti della popolazione. Le
indagini effettuate nel corso
degli anni 1980-1990 hanno con-
sentito di conoscere la situazione
italiana. Da allora molte agenzie
regionali e delle province autonome hanno effettuato e stanno
effettuando indagini locali che
consentiranno una migliore conoscenza del fenomeno e della sua
distribuzione territoriale.
Giancarlo Torri
Agenzia per la protezione
dell'ambiente e per i servizi tecnici
(Apat)
NOTE
1
Legge 1203/1957 Ratifica ed esecuzione dei seguenti Accordi internazionali, firmati a Roma il 25 marzo
1957: a) Trattato che istituisce la
Comunità europea dell'energia atomica e atti allegati (Trattato del 25
marzo 1957); b) Trattato che istituisce la Comunità economica europea
e atti allegati (Trattato del 25 marzo
1957); c) Convenzione relativa ad
alcune istituzioni comuni alle Comunità europee. Pubblicato in Gazzetta
Ufficiale n. 317 del 23/12/1957, supplemento ordinario
2
Dlgs 230/1995 Attuazione delle
direttive Euratom 80/386, 84/467,
84/466, 89/618, 90/641 e 92/3 in
materia di radiazioni ionizzanti. Pubblicato su GU, SO n° 136 del
13/06/1995
3
Circolare n. 2 del 3 febbraio 1987
del ministero della Salute Direttive
agli organi regionali per l’esecuzione di
controlli sulla radioattività ambientale
4
Dlgs 31/2001 Attuazione della direttiva 98/83 CE relativa alla qualità
delle acque destinate al consumo umano
5
Raccomandazione 2000/473/Euratom dell’8 giugno 2000 sull'applicazione dell'articolo 36 del trattato
Euratom riguardante il controllo del
grado di radioattività ambientale allo
scopo di determinare l'esposizione
dell'insieme della popolazione. GU
L 191 del 27.7.2000
6
Raccomandazione 2003/274/CE
della Commissione, del 14 aprile
2003, sulla protezione e l'informazione del pubblico per quanto
riguarda l'esposizione risultante dalla
continua contaminazione radioattiva
da cesio di taluni prodotti di raccolta
spontanei a seguito dell'incidente
verificatosi nella centrale nucleare di
Chernobyl. GU L 99 del 17.4.2003
7
Raccomandazione della Commissione 90/143/Euratom, del 21 febbraio 1990, sulla tutela della popolazione contro l'esposizione al radon in
ambienti chiusi, gazzetta ufficiale n.
L 080 del 27/03/1990.
21
Speciale radioattività
ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007
Emergenze nucleari,
la pianificazione nazionale e locale degli interventi
Una risposta efficace a uno stato di emergenza nucleare o radiologica, qualunque sia la sua origine e la sua
estensione, richiede l’assolvimento di numerose e articolate funzioni operative. La pianificazione degli interventi si
inserisce organicamente tra tutte le attività di protezione civile finalizzate a limitare le conseguenze di un evento
incidentale. Dall’esperienza maturata nella gestione a breve e a lungo termine degli incidenti nucleari più gravi –
Windscale (UK, 1957), Kyshtyn (Urss, 1957), Three Mile Island (Usa, 1979) e Chernòbyl (Urss, 1986) – deriva
l’attuale inquadramento delle emergenze per quanto riguarda le modalità di previsione e l’assetto pianificatorio.
La situazione in Italia.
22
Il decreto legislativo 17 marzo
1995 n. 230 di recepimento delle
direttive Euratom[1] definisce
l’emergenza come “una situazione
che richiede azioni urgenti per proteggere lavoratori, individui della
popolazione ovvero l’intera popolazione o parte di essa”. È del tutto
evidente quindi che la risposta
efficace a uno stato di emergenza
nucleare o radiologica, qualunque sia la sua origine e la sua
estensione, richiede l’assolvimento di numerose e articolate
funzioni operative.
In questo contesto la necessità di
preparazione all’emergenza, in
condizioni di operatività ottimale, è resa reale dall’esistenza
di una capillare pianificazione,
modulata sulle reali e accertate
sorgenti di rischio o definita in
termini generali su scenari ipotetici in modo da rendere possibile
affrontare anche emergenze non
programmabili su porzioni estese
del territorio nazionale.
D’altronde anche la stessa legge
quadro in materia di protezione
civile (legge 24 febbraio 1992 n.
225 e successive modifiche e integrazioni) aveva già introdotto il
concetto delle attività di previsione e prevenzione come parte
integrante delle attività di protezione civile. La pianificazione,
quindi, si inserisce organicamente
tra tutte le attività finalizzate a
preparare una risposta efficace per
limitare le conseguenze di un
evento incidentale[2]. Si tratta,
nel caso specifico, delle emergenze nucleari e radiologiche,
della conoscenza in termini quantitativi del rischio connesso (uso,
impiego e manipolazione di
sostanze radioattive, censimento
di tutte le sorgenti di rischio
nucleare e individuazione degli
scenari incidentali di riferimento)
e nelle conseguenti azioni di prevenzione (sistemi di monitoraggio
automatico locali o nazionali,
azioni di vigilanza e controllo sugli
usi industriali o sanitari, informazione al pubblico, formazione
degli operatori, esercitazioni).
I concetti esposti trovano una
loro giustificazione ed esplicazione non solo in termini di ratio
tecnica e giuridica, ma si basano
anche sulla cronaca e sulla storia
degli anni di nucleare civile, a
partire cioè dalle conferenze Onu
di Ginevra denominate Atoms for
Peace degli anni 50, passando per
la firma e la ratifica dei trattati di
limitazione e bando degli esperimenti nucleari in atmosfera
(1962 e 1964), per arrivare agli
incidenti nucleari di Windscale
(UK, 1957), Kyshtyn (Urss,
1957), Three Mile Island (Usa,
1979) e Chernòbyl (Urss, 1986).
È dall’esperienza derivante dalla
gestione a breve e lungo termine
degli incidenti menzionati (in
particolare gli ultimi due), che
deriva l’attuale inquadramento
teorico e terminologico delle
emergenze nucleari, sia per
quanto riguarda le modalità di
previsione che per quanto concerne l’assetto pianificatorio, con
i concetti essenziali di fase dell’emergenza, di provvedimenti
cautelativi, di recupero del territorio e di estensione geografica.
La normativa di riferimento
infatti (il già accennato decreto
230/95) introduce due diversi
concetti di pianificazione, quella
locale e quella nazionale, proprio
sulla base dell’esperienza operativa maturata nel corso delle
Incidenti oltre frontiera
PIANIFICAZIONE
NAZIONALE
Conseguenze
ipotizzabili
a livello
nazionale
Caduta di satelliti
Naviglio a propulsione
nucleare
Evoluzione
a livello
nazionale
Attività non
riconosciute a priori
PIANIFICAZIONE
PROVINCIALE O
INTERPROVINCIALE
Conseguenze
ipotizzabili
prevalentemente
a livello locale
Centri di ricerca
Centrali elettronucleari
Trasporto
Figura 1 Schema organizzativo per la pianificazione di emergenza nucleare
vicende storiche precedenti, pur
nella cornice di un quadro scientifico comune a ogni tipologia di
incidente coinvolgente sostanze
radioattive o nucleari.
PRINCIPI DI PIANIFICAZIONE
In via prioritaria e ai fini della
pianificazione indicata dalla normativa vigente, assume particolare rilevanza, anche alla luce
delle considerazioni precedenti,
la documentazione tecnica contenente:
• l’esposizione analitica delle
condizioni ambientali pericolose
per la popolazione e per i beni,
derivanti dal singolo incidente
nucleare ragionevolmente ipotizzabile e della prevedibile localizzazione ed evoluzione nel tempo
• la descrizione dei mezzi predisposti per il rilevamento e la
misurazione della radioattività
nell’ambiente e delle modalità
del loro impiego[1]
Quanto sopra naturalmente
accompagnato dall’indicazione di
massima delle condizioni incidentali, le cui conseguenze
attese siano circoscrivibili nell’ambito provinciale o interprovinciale e di quelle che possano
richiedere misure protettive su
un territorio più ampio.
Su tali presupposti tecnici – nonché sulla base della conoscenza
della distribuzione delle sorgenti
di rischio, delle risorse disponibili,
della distribuzione e organizzazione delle responsabilità pubbliche e del flusso delle informazioni
– è possibile passare alla fase di
pianificazione vera e propria.
SITUAZIONE ATTUALE
In Italia attualmente sono sottoposti a pianificazione per emergenze nucleari e radiologiche
tutti gli impianti nucleari previsti
dagli articoli 36 e 37 del decreto
legislativo 230/95. Sono inoltre
ARCHIVIO ARPA SEZ. DI PIACENZA
ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007
Misure di spettrometria gamma in campo e misure di dose con camera a ionizzazione
Reuter Stoches - Bielorussia 2004
previsti dalla normativa piani di
emergenza esterna anche per i
porti autorizzati alla sosta di naviglio a propulsione nucleare, mentre ogni prefettura deve preparare un piano provinciale di
emergenza per incidenti per il
trasporto di materie radioattive.
Due decreti specifici [3,4] hanno
recentemente coperto la lacuna
della pianificazione relativa a
queste due categorie, dando
indicazioni operative di pianificazione per le prefetture e indirizzando la preparazione dei relativi
rapporti tecnici propedeutici ai
piani. Tutto questo permetterà di
completare il ciclo di pianificazione previsto dalla normativa ed
esemplificato nella figura 1.
Limiteremo l’esposizione a pochi
cenni informativi relativi al contenuto del vigente Piano nazionale delle misure protettive contro le
emergenze radiologiche, completato
sotto la responsabilità del Dipartimento della Protezione civile
nel 1996 e in procinto di essere
sottoposto a una revisione.
Rimandiamo ad altre pubblicazioni una descrizione più estesa
del Piano stesso [5].
Il Piano, pur analizzando e
tenendo in considerazione il
maggior numero possibile di incidenti nucleari, ha come riferimento uno scenario incidentale
in una centrale nucleare ad acqua
leggera (LWR) da 1000 MWe,
ubicata a circa 150 km dal confine
nord-ovest italiano. Lo scenario
ipotizzato comprende anche una
condizione di diffusione atmosferica particolarmente sfavorevole,
con un campo di vento tale da
causare
la
contaminazione
radioattiva di vaste aree del territorio nazionale nelle prime 24 ore
successive
all’incidente.
A
seguito delle valutazioni dosimetriche effettuate su tale scenario,
il Piano prende poi in considerazione le varie azioni e gli eventuali provvedimenti restrittivi,
anche alla luce dei valori limiti
fissati dai regolamenti dell’Unione europea:
- controllo tempestivo delle condizioni diffusive e radiometriche
esistenti sul territorio italiano
- adozione di provvedimenti specifici (riparo al chiuso, iodoprofilassi, evacuazione)
- controllo radiometrico della
catena alimentare
- intensificazione delle misure
effettuate dalle reti di rilevamento della radioattività ambientale (reti automatiche o non
automatiche)
- provvedimenti restrittivi a
carico di derrate alimentari, in
base ai livelli massimi ammissibili dell’Unione europea.
La parte più propriamente operativa del Piano è riservata all’individuazione delle strutture preposte alla gestione delle emergenze
nucleari e radiologiche, articolate
in organismi decisionali (Presidenza del Consiglio dei ministri
e Comitato operativo della Protezione civile o Prefetti delle province interessate), organismi tecnici (Centro di elaborazione e
valutazione dati (Cevad) in modo
particolare e le reti di rilevamento della radioattività), strutture operative territoriali (in particolare prefetture, strutture
amministrative regionali e vigili
del fuoco) e strutture di supporto
logistico e informazione al pubblico
(Dipartimento della protezione
civile).
Va infine menzionato, per la sua
particolare rilevanza nello scenario incidentale di riferimento, il
contesto internazionale del quale
il nostro paese è parte integrante:
per quanto riguarda gli incidenti
in centrali nucleari oltre frontiera
la comunicazione di allarme
avviene sulla base di apposite
Convenzioni internazionali tramite notifica da parte della Iaea
(International Atomic Energy
Agency) e tramite un sistema
automatico di comunicazione di
allarme sviluppato dall’Unione
europea (sistema ECURIE),
sistema quest’ultimo estremamente raffinato e di elevata affidabilità. Entrambi i meccanismi
di comunicazione vedono il
Dipartimento della protezione
civile nel ruolo di Autorità com-
petente nazionale e l’Apat nel
ruolo di gestore e responsabile
del sistema come Punto di contatto.
PROSPETTIVE
L’attività in corso si articola in
due principali filoni strategici:
• completamento dell’attività di pianificazione secondo lo schema
generale di figura 1. In questa
direzione i due decreti presidenziali citati hanno impostato il
tema della pianificazione provinciale per il trasporto di radioattivi
e fissili oltre al tema della revisione dei piani di emergenza per
le aree portuali abilitate alla sosta
di naviglio a propulsione
nucleare
• revisione del Piano nazionale con
particolare riferimento allo scenario legato a ipotesi di incidenti
transfrontalieri, con nuovi presupposti tecnici elaborati dall’Apat, oltre naturalmente alla fisiologica revisione dovuta a modifiche normative (a livello italiano o
Ue) e/o organizzative, legate a
mutamenti dei ruoli istituzionali
delle strutture pubbliche coinvolte nella gestione di emergenze nucleari.
Sergio Mancioppi
Presidenza del Consiglio
dei ministri, Dipartimento
della protezione civile, Roma
BIBLIOGRAFIA
1. Decreto legislativo 17 marzo 1995 n. 230, coordinato con le disposizioni dei decreti legislativi 26 maggio 2000 n. 187, 26 maggio 2000
n. 241 e 9 maggio 2001 n. 257.
2. Grazia Giamo, “Linee generali per la pianificazione delle emergenze” –
Seminario AIRP Emergenze radiologiche complesse, Roma, 4-5
dicembre 2001.
3. Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, 10 febbraio
2006, “Linee guida per la pianificazione di emergenza per il trasporto di
materie radioattive e fissili, in attuazione dell’articolo 125 del decreto
legislativo 17 marzo 1995 n. 230 e successive modifiche e integrazioni”
4. Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, 10 febbraio
2006, “Linee guida per la pianificazione di emergenza nelle aree portuali
interessate dalla presenza di naviglio a propulsione nucleare, in attuazione
dell’articolo 124 del decreto legislativo 17 marzo 1995 n. 230 e successive
modifiche e integrazioni”.
5. F. Colcerasa, G. Giamo, A. Parisi, A. Rainaldi, A. Rogani, “Pianificazione nazionale delle emergenze nucleari: presupposti tecnici, operatività e strumenti di attuazione”, Giornata di studio “Stato e prospettive
della pianificazione delle emergenze incidentali nucleari alla luce
della normativa attuale”, organizzata dalla regione Emilia-Romagna, Bologna, 26 novembre 1999.
23
Speciale radioattività
ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007
Monitoraggio e controllo,
l’esperienza di Arpa Emilia-Romagna
L’Agenzia ambientale dell’Emilia-Romagna è attiva dal maggio 1996 e, anche in materia di radiazioni ionizzanti,
ha compiti di natura tecnico-scientifica che riguardano controllo e monitoraggio, supporto alla pianificazione,
analisi e ricerca. Alla base delle attività di Arpa in questo campo il modello DPSIR, con particolare riferimento
alle cause primarie e ai fattori di pressione. Preziosa l’esperienza maturata dalle strutture territoriali della
provincia di Piacenza dove è situata la centrale nucleare di Caorso.
ATTUALE ASSETTO
NORMATIVO E ISTITUZIONALE
24
Il principale atto normativo inerente la protezione della popolazione, dell’ambiente e dei lavoratori contro i rischi derivanti dalle
radiazioni ionizzanti, è costituito
dal Dlgs 230/95 e successive
modifiche e integrazioni. In particolare è stata in esso recepita,
attraverso il Dlgs 241/2000, la
direttiva 96/29/Euratom che
estende il campo d’applicazione a
una serie di attività lavorative e di
luoghi di lavoro che possono comportare esposizioni non trascurabili sia della popolazione sia dei
lavoratori, a sorgenti naturali.
La “lettura” del disposto normativo riserva alle Agenzie regionali
un ruolo limitato, infatti l’Arpa è
citata esplicitamente solo agli art.
10-quater “Comunicazioni e relazioni tecniche”, art. 22 “Comunicazione preventiva di pratiche”, art.
115-quinquies “Attuazione degli
interventi” e art. 154 “Rifiuti con
altre caratteristiche di pericolositàRadionuclidi a vita breve”.
Ulteriori disposizioni normative
in cui si citano le Arpa sono il
Dpcm 10 febbraio 2006 Pianificazione di emergenza provinciale per il
trasporto di materie radioattive e fissili, all’art. 6 “Attuazione del piano
provinciale di emergenza”, nonché il
Dlgs 52/2007 “Attuazione della
direttiva 2003/122/CE Euratom sul
controllo delle sorgenti radioattive
sigillate ad alta attività e delle sorgenti orfane”, agli art. 14 “Rinvenimento di sorgenti orfane e interventi”
e art. 16 “Campagna di recupero
delle sorgenti orfane”.
La Regione Emilia-Romagna ha
emanato la Lr 1/2006 Norme per la
tutela sanitaria della popolazione
dai rischi derivanti dall’impiego di
sorgenti di radiazioni ionizzanti, per
dare attuazione alle norme nazionali che richiedono, a livello
regionale:
- l’individuazione delle Autorità
competenti al rilascio dei nulla
osta per le attività comportanti
esposizioni a scopo medico e delle
autorizzazioni all’allontanamento
dei rifiuti prodotti
- l’individuazione degli Organismi
tecnici di supporto a tali Autorità
- la definizione delle procedure
per il rilascio dei nulla osta preventivi e delle competenze delle
strutture incaricate delle attività di
vigilanza e controllo sul corretto
uso delle sorgenti di radiazioni.
Le Autorità competenti al rilascio
dei nulla osta e delle autorizzazioni (Comuni e Prefetture) si
avvalgono delle Ausl e di Arpa per
le funzioni di supporto tecnico e
di vigilanza e controllo. Per l’istruttoria necessaria al rilascio dei
pareri i Dipartimenti di sanità
pubblica si avvalgono dell’Arpa
secondo quanto stabilito dalla Lr
44/95 Riorganizzazione dei controlli
ambientali e istituzione dell’Agenzia
regionale per la Prevenzione e l’Am-
biente Arpa dell’Emilia-Romagna.
Negli Organismi tecnici, facenti
capo alle Ausl, è prevista la presenza di rappresentanti di Arpa. L’
attività di vigilanza sull’applicazione della legge regionale è assegnata all’Arpa per quanto riguarda
la tutela dell’ambiente da inquinamenti radioattivi.
Il controllo della radioattività
ambientale, la gestione della rete
regionale di rilevamento e misura
sono affidata all’Arpa.
Indicatori presenti nell’Annuario Arpa (Ed. 2006)
e nella Relazione Stato Ambiente della Regione Emilia-Romagna (Ed. 2004)
DPSIR
NOME
INDICATORE / INDICE
Attività lavorative con uso di materiali contenenti radionuclidi
naturali (NORM)
DETERMINANTI
Strutture autorizzate all’impiego di radioisotopi, ovvero che
detengono/impiegano sorgenti/apparecchi
Impianti per trattamento dei rottami metallici (raccolta, deposito,
fusione)
PRESSIONE
STATO
Associazioni
categoria
Apat
Associazioni
categoria
Impianti nucleari: attività di radioisotopi rilasciati in aria e in
acqua e produzione di rifiuti solidi
Sogin
Quantità di rifiuti radioattivi detenuti
Apat
Numero di prestazioni di radiodiagnostica e di medicina nucleare
Servizio
sanitario
regionale
Dose gamma assorbita in aria per esposizioni a radiazione
cosmica e terrestre
Arpa, Apat
Concentrazione di attività di radionuclidi artificiali in matrici
ambientali e alimentari
Arpa
Concentrazione di attività di radon indoor
Arpa
Dose efficace media individuale e collettiva in un anno
(radioattività di origine naturale ed antropica)
Arpa, Apat
Dose efficace media per prestazione di radiodiagnostica e di
medicina nucleare
Servizio
sanitario
regionale
IMPATTO
RISPOSTE
FONTE
Stato di attuazione del monitoraggio della radioattività
ambientale (Rete regionale e Rete locale)
Arpa
Attività delle Commissioni provinciali Radiazioni Ionizzanti
Arpa
La Lr 44/95, istitutiva di Arpa
Emilia-Romagna, affida all’Agenzia le attività connesse all’uso
pacifico dell’energia nucleare e in
materia di protezione delle radiazioni (art. 5 lett. m), recitando
inoltre che “le Commissioni per la
protezione dalle radiazioni ionizzanti… operano presso le Sezioni
provinciali dell’Arpa” (art. 24).
IL QUADRO CONOSCITIVO
È evidente che le molteplici attività affidate all’Agenzia possono
essere svolte correttamente solo
disponendo degli indicatori
ambientali, alla base del modello
Determinanti-Pressione-StatoImpatto-Risposte (DPSIR) introdotto dall’Agenzia europea dell’ambiente ed Eurostat, con particolare riferimento alle cause primarie e ai fattori di pressione in
materia di radiazioni ionizzanti
(installazioni esistenti sul territorio, radionuclidi rilasciati sia artificiali che naturali).
A tal proposito Arpa produce l’Annuario regionale dei dati ambientali, nonché collabora all’Annuario
nazionale di Apat e alle Relazioni
sullo stato dell’ambiente. In
tabella un elenco di indicatori
ambientali in tema di radiazioni
ionizzanti.
Rispetto alle sorgenti di radiazioni artificiali, il quadro conoscitivo è abbastanza consolidato: le
installazioni intraprendono le
rispettive attività a seguito di
autorizzazioni rilasciate, è stato
sviluppato un sistema di reti di
monitoraggio nazionali, gestite
dall’Apat, di reti regionali, gestite
dalle Regioni/Arpa/Appa, che
sono anche snodi territoriali della
rete nazionale e di reti locali
(all’intorno di siti nucleari),
gestite dagli esercenti degli
impianti e dalle Arpa.
Relativamente alle sorgenti naturali c’è invece parecchio da fare in
merito alla conoscenza, e relative
esposizioni, delle attività lavorative con NORM e all’esposizione
al radon.
IL RUOLO DELL’AGENZIA
REGIONALE
Il ruolo dell’Agenzia in tema di
radiazioni ionizzanti legato prioritariamente alle disposizioni normative e all’assetto istituzionale
prevede quindi compiti derivanti
dalla necessità di avviare, mantenere e/o migliorare la conoscenza
delle fonti di pressione e dello
stato dell’ambiente, quale fondamento per la predisposizione di
valutazioni e di interventi di risanamento. Sono altresì da considerare i compiti derivanti dalle presumibili situazioni di emergenza
radiologica/nucleare. In questo
contesto si possono pertanto individuare per Arpa le seguenti linee
di attività:
- garantire la presenza di operatori
delle Sezioni territorialmente competenti negli Organismi tecnici di
supporto alle Autorità competenti
al rilascio dei nulla osta all’impiego
di sorgenti di radiazioni, nonché il
supporto tecnico per l’istruttoria
per il rilascio dei pareri. Attualmente sono operanti le Commissioni provinciali radiazioni ionizzanti istituite presso Arpa
- istituire, qualora peraltro richiesto dalla Regione nell’ambito dell’applicazione della Lr 1/2006, l’anagrafe regionale delle sorgenti di
radiazioni ionizzanti (strutture
sanitarie, industriali e della ricerca
che utilizzano sorgenti di radiazioni); un primo archivio regionale è stato realizzato nel 1993
- garantire l’attività di vigilanza
per la salvaguardia e la tutela dell’ambiente da inquinamenti
radioattivi (scarichi e rifiuti), da
parte delle Sezioni territorialmente competenti, con l’eventuale supporto tecnico/strumentale dell’Area di Eccellenza, nonché il supporto alle Ausl territorialmente competenti per le verifiche rivolte alla tutela della salute
della popolazione e dei lavoratori;
attualmente si svolgono sopralluoghi in fase autorizzativa o, ad
esempio, presso i depositi della
società Protex
- mantenere il sistema delle reti di
monitoraggio della radioattività
ambientale (Rete regionale e
locale attorno all’impianto di
Caorso, Reti nazionali), garantendo l’attività di campionamento
delle matrici ambientali (Sezioni
territorialmente competenti), nonché il supporto alla pianificazione,
l’analisi e la valutazione da parte
dell’Area di Eccellenza; emerge,
in questo contesto, la necessità di
una rivisitazione della Rete locale
in relazione alla dismissione dell’impianto di Caorso
- avviare opportune attività di
controllo, in collaborazione con
Apat, nell’ambito della dismissione dell'impianto di Caorso;
ARCHIVIO ARPA SEZ. DI PIACENZA
ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007
Sistema di analisi in spettrometria gamma
Apat e Arpa Emilia-Romagna
hanno infatti sottoscritto nel
luglio 2005 un Protocollo d'intesa
- garantire i controlli radiometrici
da eseguire in qualità di Ente
terzo sui contenitori di trasporto
e i vagoni ferroviari durante le
operazioni di trasporto del combustibile irraggiato dell’impianto
di Caorso; è in corso la stipula di
una Convenzione con MIT
nucleare
- effettuare stime di dose alla
popolazione (da radionuclidi artificiali e naturali nell'ambiente e
negli alimenti)
- svolgere attività di ricerca finalizzata; si rammentano ad es. l'indagine radioecologica nel fiume
Po, nel delta e nel litorale adriatico antistante (1982), le ricerche
sul trasferimento di cesio e stronzio dai foraggi al latte vaccino e
alle carni (1987-1994)
- sviluppare sistemi informativi,
ad es. la strutturazione di base
dati regionali, la rete di trasmissione dati infraregionale e interregionale, la gestione delle pratiche
di laboratorio quali il protocollo e
la certificazione dei campioni analizzati, da parte dell’Area di
Eccellenza, in collaborazione con
il Servizio Sistemi informativi;
esempi concreti sono il trasferimento automatico dei dati delle
analisi di spettrometria gamma in
LIMS e la prossima strutturazione
di un data base delle misure in
automatico delle stazioni di monitoraggio (dose gamma in aria)
- garantire la partecipazione ad
attività di intercalibrazione e
interconfronto (nazionale e internazionale) e la loro promozione in
ambito interregionale. Dal 1991 il
laboratorio radiometrico partecipa
a programmi intercalibrazione
- garantire, da parte dell’Area di
Eccellenza, l'esecuzione di controlli dosimetrici per i lavoratori
esposti alle radiazioni ionizzanti
in strutture dell’Agenzia (attualmente per la Sezione di Ravenna)
- garantire attività di consulenza e
certificazione per i privati; in tale
contesto peraltro Arpa opera
secondo un sistema di gestione
della qualità certificato, disponendo di metodi di prova accreditati da SINAL/ISTISAN
- fornire il supporto tecnico alle
Autorità competenti (Prefetture),
nonché al Centro di elaborazione
e valutazione dati (Cevad), struttura tecnica nazionale di riferimento nella gestione delle emergenze radiologiche previste dal
Piano nazionale di emergenza, sia
nella predisposizione che nella
gestione della pianificazione di
emergenza per incidenti nucleari
e radiologici (Piano di emergenza
esterna per la centrale di Caorso,
Piano nazionale emergenze radiologiche, Piani provinciali)
- fornire il necessario supporto
tecnico-scientifico per l’individuazione delle attività lavorative
presenti sul territorio regionale
che sono potenziali fonti di elevate esposizioni a NORM
- supportare la Regione nell’individuazione delle zone a maggiore
probabilità di elevate concentrazioni di radon; dal 2001 il Servizio
di Sanità pubblica della Regione
ha istituito un gruppo di lavoro
- effettuare la formazione periodica del personale interno (Area
di Eccellenza e Sezioni provinciali) e degli operatori sanitari
coinvolti in attività di campionamento e vigilanza
- garantire l'informazione agli operatori e alla popolazione,
mediante l’organizzazione di specifiche iniziative, la produzione di
rapporti periodici sull’attività
svolta, l’implementazione e l’aggiornamento del sito internet.
Roberto Sogni
Arpa Emilia-Romagna
25
Speciale radioattività
ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007
Strumenti operativi per la gestione di emergenze
radiologiche, l’esperienza della Lombardia
Per migliorare l’efficienza di risposta e garantire la rappresentatività e la significatività dei dati raccolti, Arpa
Lombardia ha intrapreso e concluso entro il 2003 le azioni necessarie a predisporre il sistema dei controlli da attivare
in caso di fallout nucleare. Le procedure da seguire sono descritte in un manuale appositamente redatto con il
coinvolgimento di tutte le strutture interessate. Nell’articolo i principali problemi affrontati e le soluzioni individuate.
26
In caso di incidente radiologico
che comporti la potenziale contaminazione di vaste aree di territorio – come successe ai tempi dell’incidente alla centrale elettronucleare di Chernobyl – le azioni
che le Agenzie regionali per la
protezione dell’ambiente devono
intraprendere sono pianificate a
livello nazionale e descritte in un
Manuale operativo predisposto
dal Cevad,, il Centro di elaborazione e valutazione dati che
opera a supporto della Presidenza
del Consiglio dei ministri [1], che
individua i tipi di campioni da
analizzare e le frequenze di prelievo. Alle Arpa è demandata la
raccolta concreta di dati e informazioni, dalla scelta di punti di
prelievo rappresentativi all’esecuzione di misure affidabili. Allo
scopo di migliorare l’efficienza di
risposta e garantire la rappresentatività e la significatività dei dati
raccolti, Arpa Lombardia ha
intrapreso e concluso entro il
2003 le azioni necessarie a predisporre il sistema dei controlli da
attivare in caso di fallout
nucleare. Tali attività sono
descritte nel Manuale di Arpa
Lombardia per la gestione delle
emergenze radiologiche su vasta
scala [2] [3], che è stato redatto
coinvolgendo il più possibile
tutte le strutture interessate.
I principali problemi affrontati
nella stesura e le soluzioni individuate sono descritti brevemente
di seguito.
I compiti operativi sono stati suddivisi tra le diverse funzioni e/o
strutture dell’Agenzia, e sono di
seguito sinteticamente descritti:
1. misure in campo, prelievo e
pretrattamento campioni
2. analisi radiometriche
3. coordinamento, raccolta e
interpretazione dei dati, rapporti
con altri enti regionali e nazionali.
Per ottenere una fotografia veritiera della contaminazione
ambientale causata da un incidente occorre disporre di dati
analitici rappresentativi: il primo
problema affrontato è stato
quello della definizione dei criteri di rappresentatività e della
individuazione puntuale dei siti
di campionamento, che sono di
seguito elencati:
- rappresentatività geografica: distribuzione omogenea sul territorio regionale (es.: punti di prelievo del terreno)
- rilevanza per popolazione: possibilità di fornire informazioni sull’esposizione di una percentuale
significativa di popolazione (es.:
verifica della dose da irraggiamento nei maggiori centri abitati)
- rilevanza per produzione: controllo dei siti di maggiore produzione di prodotti agricoli, di allevamento o industriali
- rilevanza per consumi: controllo
dei più importanti siti di smercio
(alimenti)
- maggiore vulnerabilità rispetto a
un evento di fallout radioattivo (es.:
acque potabili da prese superficiali presso laghi o fiumi).
Sulla base di tali criteri sono stati
individuati su tutto il territorio
regionale i punti di controllo
della dose gamma in aria (15
punti) e i punti di prelievo dell’aria (12 punti, di cui 2 ad alta sensibilità), delle ricadute umide e secche (15 punti), dell’acqua (alcune
diecine, con diversa priorità), del
foraggio (17 punti) e dei terreni
(alcune diecine, con diversa priorità).
Per quanto riguarda il controllo
degli alimenti – in caso di emergenza il prelievo sarebbe effettuato dalle strutture sanitarie
locali, mentre Arpa si farebbe
carico della fase analitica – è stata
coinvolta la Direzione generale
Sanità regionale che ha incluso le
indicazioni sulle modalità di controllo delle matrici alimentari
nelle proprie Linee Guida [4] e
ha attivato le strutture sanitarie
locali per l’attuazione delle azioni
preliminari previste.
Un altro problema affrontato è
stato quello dell’ottimizzazione
nell’uso delle risorse analitiche, a
cui si è fatto fronte;
- stabilendo una scala di priorità
per le matrici da analizzare nelle
diverse fasi dell’emergenza
- demandando il più possibile le
procedure di pretrattamento dei
campioni (normalmente condotte
presso i laboratori di analisi) al
personale incaricato del prelievo;
a questo scopo sono state predisposte procedure semplificate
che prevedono un uso di materiali molto limitato
- definendo chiaramente le competenze dei tre laboratori di analisi.
Il flusso dei dati verso le strutture
decisionali e di coordinamento
regionali deve essere rapido, e i
dati trasmessi devono essere
immediatamente utilizzabili per
ulteriori valutazioni; il terzo problema affrontato è stato quello
dell’omogeneizzazione
delle
codifiche dei campioni e della
definizione di un protocollo
unico di trasmissione dati (attualmente in fase di revisione).
Il sistema è stato testato attraverso l’esecuzione di esercitazioni pratiche, che hanno coinvolto tutte le funzioni dell’Agenzia. Ad esempio, è stata verificata
la procedura di controllo dei terreni e contestualmente è stato
rideterminato il punto zero di
contaminazione da gamma emettitori, stronzio 90 e isotopi del
plutonio. Sono stati messi a
punto metodi analitici rapidi per
la misura di radionuclidi alfa e
beta emettitori nelle acque, facilmente estendibili ad altre matrici
liquide, ed è stato misurato il
punto zero di contaminazione
delle acque potabili.
Il Manuale è stato redatto con
l’intento di predisporre uno strumento esaustivo, versatile e di
immediata applicabilità; è tuttavia migliorabile sia attraverso i
suggerimenti e le critiche di tutte
le parti coinvolte, sia attraverso
l’esecuzione periodica di esercitazioni pratiche che consentano
di verificarne la costante applicabilità. Ciò è vero anche per
quanto riguarda le modalità di
scambio delle informazioni e dei
dati, che rappresentano un punto
nevralgico e che dovrebbero
essere costantemente testate e
aggiornate, anche alla luce della
continua evoluzione tecnica nel
settore delle comunicazioni.
Rosella Rusconi
Arpa Lombardia
[1] Centro di elaborazione e valutazione dati, Manuale operativo
(luglio 1990), Rev. 4, Gennaio
1998
[2] Arpa Lombardia, Manuale per
la gestione delle emergenze
radiologiche su vasta scala, Rev. 1,
30 marzo 2005
[3] R. Rusconi, M.T. Cazzaniga,
M. Forte, G. Sgorbati, La predisposizione di uno strumento operativo per la gestione delle emergenze radiologiche su vasta scala Convegno nazionale “Dal monitoraggio degli agenti fisici sul territorio alla valutazione dell’esposizione ambientale”, Torino, 29-31
ottobre 2003
[4] Regione Lombardia, Decreto
Direzione Generale Sanità n.
23058 del 21.12.2004, “Linee
Guida Regionali sulla previsione
e gestione dei rischi conseguenti
ad atti terroristici”
ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007
L’uranio impoverito e le malattie dei soldati
al ritorno da missioni di pace
L’uranio impoverito, o DU, è un materiale di scarto del ciclo del combustibile nucleare con contenuto in U 235 pari allo
0.2%. Per la sua lunga vita media, è classificato nella fascia più bassa di rischio fra gli isotopi radioattivi. La piroforicità
– prende fuoco per sfregamento – è tra le proprietà che lo hanno reso d’interesse per uso militare, principalmente nella
punta di proiettili penetratori incendiari. La sua pericolosità è quella tipica di un materiale radioattivo alfa-emettitore:
è nocivo se ingerito o inalato. Sugli effetti sanitari del DU utilizzato negli ordigni si è sviluppato un ampio dibattito.
Studi condotti all’Università di Modena su campioni di liquidi organici prelevati da alcuni soldati hanno portato a
concludere che probabilmente l’uranio non è il diretto responsabile delle patologie riscontrate, ma è qualcosa di ugualmente
pericoloso: le polveri submicroniche create da questo tipo di bombe ad alta tecnologia.
tipica di un materiale radioattivo
alfa-emettitore: è nocivo se ingerito o inalato. La parte solubile
viene eliminata attraverso i reni,
mentre quella insolubile si può
depositare nei polmoni e da qui
passare ai linfonodi del mediastino.
Un ampio dibattito si è sviluppato intorno alla pericolosità del
DU: alcuni sostengono che le
concentrazioni di DU nell’ambiente per uso bellico sono
troppo basse e rendono trascurabili gli effetti. Ciò può essere
vero per i Balcani. Ma esiste una
popolazione, quella irachena, che
ha subito un massiccio inquinamento da DU, e che nel territorio
ha continuato a vivere senza precauzioni. È possibile effettuare
una stima di massima degli
effetti dell’esposizione di questa
popolazione al DU, ottenendo
dati fra i 10000 e i 20000 casi di
tumore attesi nei prossimi 70
anni. Anche se questi dati sono
gravi, tuttavia, vista la situazione
della sanità in Iraq, sarà difficile
evidenziare, dal punto di vista
epidemiologico, maggiori insorgenze di tumori statisticamente
rilevanti dovuti a questa pratica.
Ma se il DU è l’untore lo si
dovrebbe trovare all’interno dei
tessuti patologici, perché solo se
è all’interno può estrinsecare la
sua debole pericolosità.
Studi approfonditi con una nuova
tecnica diagnostica sono stati
condotti
all’Università
di
Modena su campioni patologici
di alcuni soldati e in alcun i casi
su loro liquidi corporei.
Dopo 57 casi analizzati si è
dovuto convenire che forse l’uranio non è il diretto responsabile,
27
ARCHIVIO ARPA SEZ. DI PIACENZA
Alla fine della guerra dei Balcani,
al ritorno da missioni di pace,
alcuni dei nostri soldati hanno
cominciato ad avere problemi di
salute. Alcuni sono morti; al
momento si contano 42 morti e
oltre 200 ammalati in forma più o
meno grave.
Appena l’opinione pubblica si è
resa conto del problema ha cercato di capire e di trovare il colpevole. I mass media, avendo scoperto che nei Balcani erano state
scaricate bombe all’uranio impoverito, hanno correlato le patologie con la radioattività del materiale, memori di quanto era accaduto a Hiroshima e Nagasaki.
Ma cos’è l’uranio impoverito? È
un materiale di scarto del ciclo
del combustibile nucleare con
contenuto in 235U del 0.2%. Il
DU, per la sua lunga vita media,
è classificato nella fascia più
bassa di rischio fra gli isotopi
radioattivi. Esistono nel DU
alcuni prodotti di decadimento,
anch’essi radioattivi (234Th, 234Pa,
231
Th) che portano l’attività specifica a circa 39.5 Bq/mg1.
Il DU ha le stesse proprietà dell’uranio naturale: densità 1.7
volte quella del Pb e piroforicità
(prende fuoco per sfregamento).
Queste proprietà, insieme all’ingente produzione come scoria
nucleare, lo hanno reso d’interesse per uso in ambito militare,
principalmente nella punta di
proiettili penetratori incendiari.
Il processo di penetrazione polverizza il DU che esplode in
frammenti incandescenti quando
colpisce l'aria dall'altra parte
della corazza perforata, aumentandone l'effetto distruttivo.
La pericolosità del DU è quella
Contatore alfa e beta a basso fondo
ma vi è qualcosa di ugualmente
pericoloso: le polveri submicroniche create da bombe ad alta tecnologia come quelle al DU.
Questo tipo di ordigno, quando
esplode, raggiunge una temperatura superiore ai 3000°C ciò significa che tutto ciò che si trova in
quella combustione (carro armato,
fabbriche, palazzi ecc.) viene sublimato, aerosolizzato, per poi
ricondensarsi in minuscole goccioline che per la loro ridotta
dimensione possono essere respirate e mangiate con cibo cresciuto
in zone contaminate.
La loro ridotta dimensione, si
parla di nanoparticelle (0.5-0.010
micron) le rende capaci di oltrepassare la barriera respiratoria e
quella digestiva. Quindi possono
arrivare a tutti gli organi interni,
essendo veicolate dal sangue.
Questo significa che possono raggiungere il cervello e le gonadi
contaminando il seme.
Nei tessuti analizzati sono state
rinvenute proprio particelle
molto piccole, con composizione
chimica non presente in nessun
manuale di materiali in quanto
deriva da combustioni casuali.
Queste non sono biocompatibili,
né biodegradabili e alcune sono
chimicamente tossiche. Il nuovo
inquinamento “bellico” quindi è
l’indiziato n.1.
Ulteriori studi all’interno di progetti europei saranno in grado,
entro breve tempo, di identificare i meccanismi cellulari che
portano alle patologie dei soldati.
Antonietta M. Gatti
Università di Modena
e Reggio Emilia
Massimo Zucchetti
Politecnico di Torino
M.Zucchetti, Caratterizzazione dell’Uranio impoverito e pericolosità per
inalazione, Giano, n. 36 (sett-dic.
2000), pp. 33-44.
1
Speciale radioattività
ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007
Effetti sull’uomo,
l’esposizione alle prestazioni di radiodiagnostica
A partire dalla scoperta dei raggi X, le radiazioni ionizzanti sono state impiegate in campo medico in modo sempre
crescente, fino a diventare uno strumento essenziale di diagnosi e terapia. Le prestazioni di radiodiagnostica non
sono tutte equivalenti in termini di dose efficace: si può dire che a una tomografia dell’addome corrisponde una
dose efficace uguale a quella di 500 radiografie del torace e questo valore è equivalente a un’esposizione al fondo
naturale di radiazioni della durata di 3 anni. Numerosi gli studi sul rischio di incidenza e/o mortalità per cancro
in associazione a prestazioni mediche radiologiche; nell’articolo una sintesi delle evidenze a tutt’oggi.
28
Le radiazioni ionizzanti sono uno
degli agenti cancerogeni più studiati e conosciuti.
Attualmente il loro impiego in
campo medico rappresenta, per
la popolazione mondiale, la principale fonte di esposizione a questo rischio indotta dall’attività
umana, come conferma anche il
più recente rapporto Unscear
pubblicato nell’anno 2000(1).
Infatti a partire dalla scoperta dei
raggi X, le radiazioni ionizzanti
sono state impiegate in campo
medico in modo sempre crescente, fino a diventare uno strumento essenziale di diagnosi e
terapia.
Tuttavia le prestazioni di radiodiagnostica non sono tutte equivalenti in termini di dose efficace1, ma questo indicatore può
assumere valori che variano da
pochi µS – come nel caso delle
più semplici radiografie dentarie
– fino a qualche decina di mSv
per gli esami di tomografia computerizzata (TC) del torace o dell’addome(2). In particolare si può
dire a scopo esemplificativo che a
una TC dell’addome corrisponde
una dose efficace uguale a quella
di 500 radiografie del torace e
questo valore di dose è equivalente a un’esposizione al fondo
naturale di radiazioni della durata
di 3 anni(3).
Parecchi articoli pubblicati negli
ultimi anni presentano stime del
rischio di incidenza e/o mortalità
per cancro in associazione a prestazioni mediche con impiego di
radiazioni ionizzanti (4,5,6,7).
Questi lavori basano le loro stime
di rischio prevalentemente su
modelli elaborati dagli studi epidemiologici sui sopravvissuti ai
bombardamenti di Hiroshima e
Nagasaki. Il più importante studio di mortalità e incidenza di
cancro in questi soggetti è il Life
Span Study (LSS) basato su una
coorte di 120.000 soggetti identificati in un censimento del 1950
e seguiti con un follow-up tuttora
in corso, i cui esiti pubblicati si
estendono al 1990(8,9). Di questa coorte circa 10.000 soggetti,
che si trovavano entro 3 km di
distanza dall’ipocentro, si ritiene
Valori di dose efficace pro-capite per diverse realtà
Regione o nazione
Dose efficace
pro-capite
(mSv/anno)
Emilia-Romagna (2001 proiez. amb.+deg.)
0.97
Emilia-Romagna (2004)
0.83
Emilia-Romagna (2006)
0.89
Toscana (2001)
1.50
Lombardia (2001)
0.60
Francia (UNSCEAR 2000)
1.00
Germania (UNSCEAR 2000)
1.90
Svezia (UNSCEAR 2000)
0.68
siano stati esposti a una dose al
colon inferiore a 5 mSv e quindi
l’analisi dei dati su questo
gruppo rende lo studio LSS altamente significativo anche per
elaborazioni sull’esposizione a
basse dosi, cioè di entità comparabile a quelle della radiodiagnostica e, di conseguenza, di primario interesse per le politiche
radioprotezionistiche(10).
In particolare, l’analisi del rischio
di cancro radioindotto da esposizione a basse dosi nei sopravvissuti ai bombardamenti atomici,
evidenzia che il rischio stimato
per unità di dose mostra un andamento lineare nella funzione
dose-risposta senza alcuna indicazione di un valore soglia(11) e
questo vale sia analizzando i dati
di mortalità, sia quelli di incidenza di cancro. In alcuni articoli
recenti(4,5,6,7) sono state pubblicate analisi condotte sulla base
del modello sopra descritto e dei
relativi valori di Eccesso di rischio
relativo (ERR). Berrington de
Gonzàles e Darby(6) hanno stimato che nel Regno Unito circa
lo 0,6% del rischio cumulativo di
cancro a 75 anni possa essere
attribuito alla radiodiagnostica.
Questa percentuale è equivalente a circa 700 casi annui di
cancro.
In alcuni lavori, riferiti alla TC in
età pediatrica(4), si evidenzia
come il rischio individuale sia
piccolo e pienamente bilanciato
dai benefici legati a una diagnosi
più accurata quando la prestazione è offerta in condizioni di
appropriatezza. D’altro canto, si
potrebbe porre un problema di
sanità pubblica evidenziabile
moltiplicando il piccolo rischio
individuale per le prestazioni
eseguite annualmente che sono
crescenti sia in termini numerici,
sia di dose erogata.
In Italia non sono pubblicati dati
nazionali, né sul numero dei vari
esami radiodiagnostici eseguiti,
né sulle relative dosi associate.
In Regione Emilia-Romagna è
attivo, però, dal 2001 un sistema
di rilevazione di questi parametri
presso le Aziende del Servizio
sanitario regionale. I parametri
rilevati hanno consentito di stimare la dose efficace di esposizione a questa fonte di rischio per
la popolazione emiliano-romagnola e di seguirne l’andamento
nel tempo. Per la definizione del
numero di prestazioni eseguite
dal Servizio sanitario regionale si
interroga la banca dati corrente
della specialistica ambulatoriale
(Flusso ASA) e si integra questa
informazione con una richiesta
diretta ai vari Servizi di radiodiagnostica per l’acquisizione del
numero di prestazioni eseguite in
regime di ricovero.
Per quanto riguarda la dose efficace
(E) associata a ogni singolo
esame, invece, si opera in collaborazione con i Servizi di fisica
sanitaria per il reperimento dei
principali parametri tecnici di
esecuzione delle indagini di
radiodiagnostica (12).
ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007
29
Il valore E moltiplicato per il
numero delle prestazioni consente di pervenire al valore di
dose efficace collettiva S, misurata
in Sv persona(13), che rappresenta un’indicazione dell’esposizione della popolazione. Dividendo il valore S per il numero di
residenti in Emilia-Romagna si
può ottenere una stima del valore
di dose pro-capite per la nostra
popolazione.
In tabella viene riportato questo
valore per gli anni 2001, 2004,
2006 e questi dati sono posti a
confronto con quelli di altre
realtà nazionali e internazionali,
rinvenibili in letteratura. In
figura 1 invece si può vedere
come il valore di dose efficace
collettiva si distribuisce nelle
varie modalità diagnostiche, cioè
medicina nucleare, tomografia
computerizzata e radiologia convenzionale.
La valutazione del rischio connesso all’uso delle radiazioni
ionizzanti in medicina deve
essere considerato in stretta correlazione con il beneficio che il
paziente riceve. Questo beneficio è difficilmente misurabile,
ma è legato alla percentuale di
esami radiologici realmente in
grado di incidere sulle decisioni
terapeutiche. Ne consegue
quindi che nella prescrizione di
Fig. 1 Dose efficace collettiva attribuita alle diverse modalità diagnostiche - anno 2005
un esame di radiodiagnostica è di
fondamentale importanza garantire una buona verifica dell’appropriatezza di tale richiesta.
Una volta presa la decisione di
eseguire l’esame è necessario operare applicando al meglio il principio di ottimizzazione, in base al
quale le dosi devono essere
tenute al livello più basso compatibile con il raggiungimento dell’informazione diagnostica.
Un’analisi dettagliata sulla frequenza dei vari esami di radiodiagnostica e sulle dosi efficaci
associate a queste prestazioni
consente poi di individuare punti
critici su cui è necessario intervenire per garantire ai pazienti prestazioni più appropriate e ottimizzate.
Paola Angelini
Servizio Sanità pubblica
Direzione generale Sanità
e Politiche sociali
Regione Emilia-Romagna
NOTE
1
Con il termine dose efficace si
intende la somma delle dosi assorbite dai vari organi e tessuti corrette
per tipo di radiazione e per fattori
peso specifici di ogni organo e tessuto(4)
BIBLIOGRAFIA
7. Wise KN. Solid cancer risks from radiation exposure for the Australian
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Speciale radioattività
ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007
Le basse dosi e il progetto Mariner
L’uso delle radiazioni a basse dosi per scopo medico, in diagnosi e terapia, a fini energetici e – purtroppo – militari
necessita di un accurato monitoraggio dell’ambiente di vita e di lavoro al fine di valutare attentamente gli effetti
dell’esposizione. Il progetto di ricerca Mariner, coordinato da Arpa, ha indagato gli effetti in modelli in vitro e su
un gruppo di radioesposti per motivi occupazionali. Utilizzata la tecnica Dna-microarray associata a un test del
micronucleo per valutare mutagenicità e tossicità delle dosi assunte dai lavoratori.
30
Le radiazioni ionizzanti a basse
dosi sono, probabilmente, uno
degli argomenti più discussi e
dibattuti nell’ambito della ricerca
biomedica e della radioprotezione.
Considerati una sorta di araba
fenice fino a un decennio fa, gli
effetti delle basse dosi erano
descritti in maniera del tutto
empirica. Le curve dose-effetto,
costruite sulla base degli effetti
osservati alle dosi misurate, si
avvolgevano di mistero quanto
più le dosi diventavano basse o
bassissime. I modelli matematici,
e una letteratura sempre più ricca
dopo il disastro di Chernobyl, ci
dicevano che alle basse dosi si
assumeva che la curva continuasse lineare e che su questo
assunto bisognava effettuare le
stime di rischio: erano o non
erano le radiazioni dei mutageni
fisici e come tali privi di una dose
soglia?
Queste certezze cominciarono a
vacillare pochi (pochissimi) anni
fa quando anche per le radiazioni
si iniziò a parlare di ormesi, cioè
del fenomeno per cui una determinata sostanza agisce da stimolatore a basse dosi e diventa tossica al crescere della dose.
L’ormesi, un fenomeno già conosciuto da Ippocrate e assunta alla
dignità di teoria nel secolo
scorso, è ormai stata invocata per
almeno 5000 sostanze ed è stata
subito ben accetta per descrivere
il meccanismo d’azione delle
sostanze promoventi, soprattutto
per quelle con attività di interferenza endocrina, che, a basse
dosi, stimolano la crescita cellulare.
È più difficile spiegare come le
radiazioni possano mostrare
effetti ormetici alle basse dosi. E
proprio questa difficoltà ha
aperto due fronti scientifici: il
primo, il più numeroso, costituito
dai radioterapisti e dagli oncologi
clinici, che misurano la portata di
tale scoperta in termini di maggiore e migliore utilizzo delle
radiazioni per la terapia dei
tumori; il secondo più preoccupato di definire l’ordine di grandezza dei rischi associati alla diagnostica clinica e all’esposizione
occupazionale. Nel mezzo si alza
la voce degli scettici che negano
l’esistenza dell’ormesi e la riconducono a una evidenza dovuta ad
artefatti sperimentali.
La discussione non è puramente
accademica perché l’uso delle
radiazioni a scopo medico, in diagnosi e terapia, e a fini energetici
e, purtroppo, militari necessita di
un accurato monitoraggio dell’ambiente di vita e di lavoro.
In questo contesto è nato il progetto di ricerca Mariner, coordinato dall’Eccellenza Cancerogenesi, a cui hanno partecipato l’Unità di medicina del lavoro del S.
Orsola-Malpighi, l’Istituto scientifico tumori di Genova, l’Università di Bologna e l’Università
di Chieti.
Mariner si è proposto di indagare
gli effetti delle radiazioni a basse
dosi in modelli in vitro e su un
gruppo di radioesposti per motivi
occupazionali. I soggetti, che si
sono volontariamente sottoposti
allo studio, sono stati selezionati
tra il personale di reparti ospedalieri dove c’è un largo uso di sorgenti radioattive. Per questa
indagine è stata utilizzata la tecnica Dna-microarray associata a
un test del micronucleo.
Il test del micronucleo rientra nei
saggi di mutagenesi in grado di
evidenziare un danno clastogeno,
cioè un danno che interessa segmenti consistenti del cromosoma. La tecnologia microarray
deriva dall’applicazione delle
conoscenze nel campo della
genomica e delle discipline da
essa derivate. E’ una tecnica
nuova, descritta per la prima
volta nel 1999 e acquisita dal
nostro gruppo di ricerca nel 2001.
http://www.intermed.it/mariner/
Uno dei campi di applicazione è
la tossicogenomica, una delle
discipline omiche, che consente
di identificare le interazioni
gene-ambiente mediante l’individuazione degli effetti specifici
che una determinata sostanza
induce sul materiale genetico. Si
assume che ogni specifica esposizione sia in grado di lasciare la
propria impronta digitale, unica e
inequivocabile, su un certo
numero di geni che sono espressi
in misura significativamente
maggiore o minore rispetto a una
situazione di non esposizione. La
selezione dei soggetti avviene
con le stesse modalità di qualunque studio clinico, identificando
una popolazione di esposti e una
di non esposti. La tecnologia può
essere applicata anche agli studi
in vitro su cellule esposte a dosi
crescenti dell’agente da esaminare, così da ottenere una correlazione dose-effetto e potere,
eventualmente, stabilire una
dose soglia. I risultati preliminari
del progetto Mariner sono stati
presentati al congresso annuale
della European Environmental
Mutagenesis Society (EEMS),
svoltosi a Praga nel luglio 2006,
accolti con molto interesse e ritenuti particolarmente innovativi.
Un giudizio confermato alla presentazione dei risultati definitivi
al convegno annuale dell’American Association for Cancer
Research, che ha ospitato 19.000
partecipanti a Los Angeles lo
scorso aprile.
Lo studio in vitro ha evidenziato
un innegabile effetto ormetico
indotto dalle dosi più basse di
radiazioni saggiate. Lo studio sui
soggetti reclutati ha messo in
luce un’impronta digitale, rappresentata da 270 geni specificamente modulati negli esposti e
che differenziano questo gruppo
dal gruppo dei non esposti.
Il progetto Mariner si è concluso
con successo, ma ha posto nuovi
quesiti e alimentato nuove ipotesi. Sebbene ancora non siamo
in grado di rispondere al quesito
fondamentale
sull’innocuità
delle basse dosi, abbiamo la certezza che le nuove tecnologie
siano lo strumento giusto per sollevare il velo su molti misteri
scientifici.
Annamaria Colacci
Arpa Emilia-Romagna
ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007
Tre le tipologie di ultima generazione
Le conseguenze degli incidenti nucleari del passato hanno determinato un adeguamento dei principi adottati e delle
soluzioni utilizzate nella loro progettazione. Sicurezza, semplificazione del processo, economia ed effetto scala nella
potenza unitaria, smantellamento degli impianti a fine vita, rifiuti ad alta attività, proliferazione sono gli aspetti
più attentamente indagati. Sono di tre tipi i reattori attualmente allo studio: reattori avanzati, reattori evolutivi,
reattori innovativi. Le soluzioni per la sostenibilità ambientale e per il non danneggiamento del nocciolo, oltre che
per la non proliferazione, caratterizzano gli impianti più avanzati.
SICUREZZA
La sicurezza degli impianti di
potenza costruiti nel mondo occidentale, più di 400, si è dimostrata
di elevato livello e tale da garantire ampiamente la sicurezza del
pubblico. L’unico grave incidente,
quello della centrale di Three
Mile Island (TMI), non ha avuto
significativi impatti sanitari sul
pubblico e sull’ambiente, a parte i
contraccolpi psicologici dovuti
all’incertezza della situazione, che
si stava determinando subito dopo
l’incidente.
Non si considera l’incidente della
centrale sovietica Chernobyl, per
il diversissimo contesto tecnico,
sociale e organizzativo. Peraltro
non si deve dimenticare che questo è avvenuto non durante l’esercizio della centrale, bensì durante
un esperimento.
Tuttavia, l’incidente di TMI ha
dimostrato da un lato la grande utilità del contenitore – adottato fin
dalle prime costruzioni a difesa del
reattore nucleare e degli impianti
connessi –, dall’altro l’esigenza di
fronteggiare anche la fusione del
combustibile del reattore, che non
veniva esplicitamente considerata.
Infatti, in TMI si è avuta la
fusione di una significativa porzione del combustibile nucleare,
che però venne contenuta all’interno del recipiente a pressione
del reattore, senza determinare
pericoli all’esterno. Pertanto, nei
nuovi reattori si fronteggia questa
evenienza secondo tre possibili
alternative d’intervento:
• prevedere un crogiolo di contenimento del combustibile fuso,
nel caso esso fuoriesca dal recipiente in pressione
• modificare il processo, in modo
che questo rimanga all’interno del
recipiente in pressione (quello che
è successo in TMI, per concause
che non possono però essere sempre garantite)
• adottare modifiche più sostanziali nel processo in modo che il
combustibile venga sempre raffreddato e non possa mai fondere.
Si è anche affermato il principio
che i sistemi di protezione passivi,
quelli che funzionano automaticamente sulla base di principi fisici,
siano preferibili a quelli attivi, che
richiedono apporti di energia per
alimentare soprattutto delle
pompe. A dire il vero, questa
gerarchia di valori è stata poi ridimensionata, per cui la scelta dell’uno o dell’altro sistema dipende
più dall’esigenza, qui sotto menzionata, di semplificare il sistema.
SEMPLIFICAZIONE DEL
PROCESSO
ARCHIVIO ARPA SEZ. DI PIACENZA
Il lungo periodo di rallentamento,
se non di stasi, nella costruzione di
nuove centrali nucleari, grosso
modo 25-30 anni, ha ovviamente
determinato un adeguamento dei
principi adottati e delle soluzioni
utilizzate nella loro progettazione.
Volendo sintetizzarli in questa
sede, forzatamente compressa, si
possono raggruppare nei seguenti
settori:
- sicurezza
- semplificazione del processo
- economia ed effetto scala nella
potenza unitaria
- smantellamento degli impianti a
fine vita
- rifiuti ad alta attività
- proliferazione
Tenendo presente che questi settori sono interdipendenti, per
semplicità qui verranno trattati
separatamente.
In realtà i continui miglioramenti
della sicurezza effettuati nel passato erano avvenuti con l’aggiunta
di nuovi o più articolati sistemi di
protezione, che alla fine determinano un aumento della complessità del sistema. Da questa esperienza si è compreso che il sistema
deve essere considerato nella sua
interezza, cercando di eliminare
situazioni potenzialmente pericolose, così da cogliere tutte le possibilità di semplificazione.
ECONOMIA ED EFFETTO
SCALA NELLA POTENZA
UNITARIA
Era oramai un postulato che le
centrali nucleari per essere competitive dovessero essere di elevata potenza unitaria, fino a valori
di 1600 MW. Questo perché l’onere del capitale era la voce di
costo più importante e solo così
poteva essere abbassato il costo
per unità di potenza. D’altra parte
è facile elevare la potenza unitaria
fino ai limiti sopra indicati.
In realtà, questo postulato è stato
rimesso in discussione, per una
serie di controindicazioni che
vanno dall’aumento dei tempi di
costruzione, alla maggior difficoltà
di ottenere le autorizzazioni dall’ente di sicurezza nazionale, alle
difficoltà finanziarie per grandi
investimenti concentrati.
Pertanto, attualmente si ritiene
che abbiano diritto di cittadinanza
anche reattori di piccola (100-150
MWe) e media potenza (300-600
MWe).
SMANTELLAMENTO DEGLI
IMPIANTI A FINE VITA
Con l’invecchiamento di alcune
centrali di potenza oramai a fine
vita operativa, è emerso con tutta
evidenza il problema del loro
smantellamento, detto comunemente decommissioning. E’ un’operazione complessa, costosa e di
lunga durata.
In realtà, il costo assai elevato in
termini assoluti viene ampiamente ridotto in termini finanziari, perché l’accantonamento di
una modesta percentuale durante
la vita dell’impianto, “rende” a
fine vita e nel lungo periodo successivo, prima di iniziare il decommissioning vero e proprio, quanto
serve all’operazione.
Tuttavia, è risultato evidente che,
se tale operazione viene tenuta
nel giusto conto durante la progettazione e la costruzione dell’impianto, se ne può ridurre l’impatto
complessivo. Inoltre, considerato
che i principali componenti dell’impianto possono vivere molto
più a lungo di quanto si era inizialmente ipotizzato, si è giunti alla
conclusione che si poteva allungare di parecchio la vita dell’impianto, se pur ricorrendo a sostanziali manutenzioni, così da ridurre
l’impatto del decommissioning, oltre
a ridurre i costi e ad attenuare le
difficoltà di trovare altri siti per la
costruzione di nuove centrali.
In conclusione, si assume comu-
31
Speciale radioattività
nemente che i nuovi reattori debbano vivere 50-60 anni, contro i
25-30 ipotizzati per i reattori del
passato. A conferma di tale posizione, si può menzionare il fatto
che parecchi di questi reattori
sono stati autorizzati a funzionare
10-15 anni oltre il previsto.
32
RIFIUTI AD ALTA ATTIVITÀ
Il trattamento di questi rifiuti,
derivanti per la stragrande percentuale dal combustibile scaricato,
viene visto da molti contestatori
dell’energia nucleare come un
problema di tale gravità, da non
consentire l’utilizzo di tale fonte
energetica. Le contestazioni che
nel passato si rivolgevano alla sicurezza delle centrali si sono progressivamente spostate su tale
aspetto. Personalmente ritengo
che questo problema venga amplificato ad arte, perché soluzioni esistono già e Paesi di grande sensibilità ambientale come la Svezia e
la Finlandia stanno già realizzando
i “cimiteri” dove riporre in modo
stabile e sicuro questi rifiuti. Non
bisogna dimenticare che si tratta
di quantità modeste rispetto all’energia prodotta e che ceneri e gas
tossici vengono prodotti in grande
quantità nell’utilizzo di combustibili fossili. I progettisti di nuovi
reattori si sono comunque posti
l’obiettivo di ridurre ulteriormente questi rifiuti e addirittura
di bruciarli in reattori appositi.
Tutto questo non è facile, ma fattibile in certa misura, comunque il
non raggiungere compiutamente
queste obiettivi, non deve determinare assolutamente la condanna
dell’energia nucleare.
PROLIFERAZIONE
La proliferazione è un aspetto delicato, che richiede qualche chiarimento tecnico. La vera difficoltà
per produrre una bomba atomica
sta nel procacciarsi il materiale fissile, che può essere o l’uranio-235
o il plutonio-239.
Il primo si ottiene separando questo raro isotopo dall’uranio naturale, soluzione che è molto impegnativa per diversi aspetti, cosicché tale strada è stata seguita inizialmente solo dalle grandi
Potenze. Il secondo viene prodotto trasmutando l’uranio-238 in
plutonio-239 in un reattore. In
realtà, la situazione è complessa,
perché il plutonio-239 non può
rimanere a lungo nel reattore,
altrimenti viene progressivamente
trasmutato in plutonio-240, un
altro isotopo non fissile del plutonio. In pratica si fa una distinzione
tra il Weapon Grade Plutonium, contenente alte percentuali di plutonio-239 (maggiori del 93 %) e il
Civil Grade Plutonium, la miscela di
isotopi del plutonio presenti nel
combustibile scaricato da una centrale di potenza per usi civili.
Infatti, il plutonio-240 è particolarmente nocivo per la “bomba”,
perché emette neutroni che la
fanno “predetonare”, riducendone grandemente la potenza e
soprattutto aumentando considerevolmente le difficoltà per la sua
costruzione1. Tuttavia, difficile
non significa impossibile e questo
è il perché non esiste un plutonio
chiaramente non proliferante, come
succede per l’uranio arricchito al
di sotto del 20%. In realtà, i paesi
che hanno seguito questa strada
non hanno mai utilizzato il plutonio scaricato da reattori civili, ma
quello ottenuto da specifici reattori, detti plutonigeni, costruiti con
materiali naturali, sia per il combustibile, sia per gli altri componenti del reattore, che pertanto
non richiedono alcun processo di
separazione isotopica (non arricchiti). Tuttavia, i reattori civili non
possono essere definiti certamente non proliferanti. Quest’aspetto è strettamente legato alla
politica delle Grandi Potenze
(Stati Uniti, Russia, Regno Unito,
Francia e Cina), che hanno gli
armamenti nucleari e in particolare a quella degli Stati Uniti, che
è il Paese più preoccupato di questo aspetto. Lo scopo delle Grandi
Potenze è di evitare la proliferazione delle armi nucleari ad altri
paesi. Questo è stato politicamente ottenuto dal Trattato di non
proliferazione (NPT: Non Proliferation Treaty), che, ratificato da 188
Paesi, entrò in vigore nel 1970,
durò 25 anni e poi venne rinnovato nel 1995. Secondo tale Trattato, i paesi non nucleari accettano
di rinunciare alla costruzione di
armi nucleari, avendo in cambio il
diritto di accesso alla tecnologia
per reattori civili in possesso delle
Grandi Potenze. Dal punto di
vista storico, questo limite della
sovranità nazionale è un aspetto
completamente nuovo per trattati
di tale ampiezza e ciò è un chiaro
indice della grande importanza di
questo problema. Inoltre, alcuni
ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007
ma significativi avvenimenti di
non rispetto di questo Trattato da
parte di alcuni paesi hanno acuito
la preoccupazione al riguardo.
I modi per ridurre i pericoli di proliferazione comportano certamente delle penalizzazioni economiche; quest’esigenza non è tecnica, ma essenzialmente politica e
la sua importanza e i suoi effetti
sul progetto e funzionamento del
reattore dipendono dalle richieste
che derivano, per quanto detto, da
imposizioni internazionali, che
potrebbero anche modificarsi nel
tempo.
Questa premessa era necessaria
per meglio comprendere le linee
di sviluppo della ricerca e della
progettazione dei nuovi reattori.
Dal punto di vista pratico i reattori
attualmente allo studio possono
essere suddivisi in tre categorie:
reattori avanzati, reattori evolutivi,
reattori innovativi.
- I reattori avanzati rappresentano
la versione tecnologicamente
migliorata degli attuali reattori
(sostanzialmente quelli ad acqua,
LWR). Sono impianti standardizzati, che massimizzano le potenze
unitarie (1300÷1600 MWe) e utilizzano in genere gli stessi sistemi
attivi di protezione dei reattori
attuali. Questi reattori non introducono praticamente ulteriori
caratteristiche di sicurezza intrinseca e passiva, non già presenti
nelle attuali versioni, mentre
invece hanno un sistema di contenimento che dovrebbe fronteggiare le conseguenze della fusione
del nocciolo, mediante il già citato
crogiolo (core catcher).
Il punto di forza di questi reattori
è la massima valorizzazione dell'esperienza acquisita, la standardizzazione e la riduzione dei costi
unitari. Questi reattori sono già
commercializzabili
- I reattori evolutivi sono ancora
basati sulla tecnologia dei reattori
ad acqua, ma con modifiche
importanti quali una riduzione
della potenza unitaria, un
I
REATTORI
aumento dei margini di progetto e
una sostituzione dei sistemi attivi
di protezione con altri di tipo passivo. Per la fusione del nocciolo, se
ne riduce sostanzialmente la probabilità e nel caso avvenisse s’intende dimostrare che la massa fusa
non uscirebbe fuori dal recipiente
in pressione
- I reattori innovativi sono quelli
che mediante delle sostanziali
innovazioni del processo e dei
componenti cercano di ottenere
un prodotto che ottimizzi i requisiti, che oggi si pretendono da un
impianto nucleare e di cui si parlerà più diffusamente qui sotto.
Questa è una schematica fotografia di quello che avveniva all’inizio
degli anni ’90. Gli eventi successivi non hanno modificato concettualmente questa suddivisione,
ma l’hanno resa più chiara, definita e accettata. Un evento importante c’è stato alla fine degli anni
90 quando il Department of Energy
americano ha promosso e finanziato dopo tanti anni degli studi e
ricerche nel campo nucleare, con
specifico riferimento ai nuovi reattori. Non era questa l’unica novità,
perché per la prima volta quest’iniziativa non riguardava solo le
organizzazioni statunitensi, ma
anche quelle di altri Paesi, che
potevano parteciparvi, consorziandosi con organizzazioni di ricerca e
industriali degli Stati Uniti, con
l’unica condizione che il supporto
economico non venisse dato dal
DOE. Questa iniziativa, chiamata
con l’acronimo NERI (Nuclear
Energy Research Iniziative), è poi
confluita nei primi anni del nuovo
secolo in un’altra ben più ambiziosa e più internazionale, avente
lo scopo di mettere a punto il o i
reattori del futuro: quest’iniziativa
passa sotto il nome di Generation
IV.
I Paesi che hanno aderito all’iniziativa fin dall’inizio sono: Argentina, Brasile, Canada, Corea del
Sud, Francia, Giappone, Regno
Unito, Stati Uniti, Sudafrica, Sviz-
GENERATION IV
• reattore ad acqua leggera alle condizioni supercritiche, sia termico, sia veloce
• reattore a gas a temperature molto elevate (superiore agli HTGR),
sia termico, sia veloce con ciclo a gas
• reattore veloce a sodio con combustibile avanzato
• reattore veloce a piombo
• reattore a sali fusi
ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007
zera; successivamente anche l’Unione Europea.
Schematicamente i requisiti dei
reattori di Generation IV sono i
seguenti:
- sostenibilità: fornire energia in
modo da soddisfare gli obiettivi di
protezione ambientale dell’atmosfera (aria pulita), da promuovere
la disponibilità dei sistemi a lungo
termine, da sfruttare in modo efficiente il combustibile, da minimizzare e gestire i rifiuti radioattivi e in particolare il relativo
onere a lungo termine, migliorando di conseguenza la salute
pubblica e l’ambiente
- economia: avere dei costi lungo
tutta la vita migliori di quelli delle
alternative energetiche e un
livello di rischio finanziario confrontabile con quello di altri progetti energetici
- sicurezza e affidabilità: eccellere in
sicurezza e affidabilità e avere in
particolare una bassissima probabilità e bassissima estensione del
danneggiamento del nocciolo, eliminare il piano di emergenza del
sito
- resistenza alla proliferazione e protezione fisica: garantire che essi
siano la strada di gran lunga meno
attraente e desiderabile per la
diversione o il furto di materiali
usabili per le armi, assicurare la
loro protezione fisica contro atti di
terrorismo.
Ovviamente, nessun sistema sarà
in grado di soddisfare appieno
questi requisiti, ma cercherà di
avvicinarsi il più possibile a essi, a
parte il requisito sull’economia,
che è indispensabile per il successo di un qualsiasi impianto e
quindi anche di uno nucleare.
Tuttavia, è abbastanza nuova l’attenzione a questi requisiti: la sostenibilità, il non danneggiamento del
nocciolo, già sopra richiamato, la
non proliferazione.
I concetti proposti sono subito
apparsi appartenenti a due tipologie, cioè esattamente quelle sopra
definite come evolutive e innovative. Pertanto, è stato necessario
introdurre una suddivisione tra
quelli veri e propri di Generation IV
e quelli meno innovativi e cioè
evolutivi definibili di Generation
III+ o meglio ancora con l’acronimo INTD (International Near
Term Deployment). In sostanza, i
primi sono quelli che, in linea di
principio, dovrebbero poter soddi-
sfare al meglio i requisiti imposti,
ma ciò deve essere dimostrato con
programmi di ricerca e sviluppo
lunghi e onerosi e nel caso di una
loro conclusione positiva, che non
è però scontata, essi si pongono
l’obiettivo di essere commerciabili
a partire dal 2030; i secondi invece
a priori non soddisfano completamente i requisiti imposti, ma in
compenso, basandosi sulla tecnologia esistente, anche se con la
messa a punto di nuovi componenti, hanno la quasi certezza di
essere tecnicamente fattibili, affidabili e pronti per la commercializzazione entro il 2010-2015, purché riescano a dimostrare di essere
anche economicamente competitivi. Il sostegno finanziario pubblico è assicurato per i primi, perché sono talmente innovativi, che
il loro sviluppo non può essere
finanziato da un’industria, ma
assai meno per i secondi, perché
la loro prevista commerciabilità
entro brevi periodi dovrebbe
invece consentire tale possibilità.
I reattori che, sulla base dei requisiti imposti e delle regole di giudizio concordate, sono risultati meritevoli di appartenere alla Generation IV sono elencati in tabella.
Come si vede concetti molto innovativi, alcuni dei quali appaiono
poco realistici. Ci si riferisce in
particolare ai due reattori ad acqua
e a quello a gas veloce; i reattori a
sodio sono meno innovativi, perché già costruiti nel passato e sono
stati qui introdotti per modificarli
sostanzialmente. Più convincente
sembra il reattore veloce a
piombo, perché, in linea di principio, potrebbe eliminare alcuni
inconvenienti dei reattori a sodio,
mentre quello a sali fusi a combustibile circolante, già studiato nel
passato, ha in linea di principio
delle caratteristiche interessanti,
ma la circolazione del combustibile e il suo trattamento in sito
coinvolgono problemi assai complessi e difficili da risolvere. Qui
non ci si dilunga a descriverli,
anche perché non ancora ben definiti nelle loro caratteristiche
essenziali.
I reattori appartenenti alla INTD
sono più numerosi (sedici) e non
tutti equivalenti per grado di sviluppo; essi comprendono sia
quelli avanzati, sia quelli evolutivi.
Sono i reattori bollenti e pressurizzati avanzati e quelli semplificati, i
reattori pressurizzati integrati, il
Upper Head
Reactor Coolant
Pump (1 of 8)
Pressurizer
Steam Generator
Steam Outlet
Nozzle (1 of 8)
Internal Control
Rod Drive
Mechanism
33
Helical Coil
Steam Generators
(1 of 8)
Core Outlet
“Riser”
Steam Generator
Feedwater Inlet
Nozzle (1 of 8)
Core
Downcomer
Fig. 1 Spaccato verticale del reattore IRIS
CANDU avanzato, e infine gli
HTGR nella duplice versione con
combustibile prismatico o a sfere,
già utilizzato nel passato, ma con
importanti varianti, tra cui l’uso
del ciclo a gas. Una descrizione,
anche sommaria, di tutti questi
tipi di reattore è qui impossibile,
perché ogni tipo richiede un'ampia spiegazione tecnica per motivare le scelte progettuali fatte. Tra
questi, particolare menzione va
data al reattore integrato IRIS (v.
figura 1), perché viene sviluppato,
sotto la responsabilità della Soc.
Westinghouse, con un sostanziale
apporto di università e industrie
italiane.
Non ci sono dubbi che il nucleare
debba ripartire, anzi è già ripartito
in molti Paesi, e per questo bisogna guardare con più attenzione al
breve-medio periodo. Non bisogna fare salti tecnologici troppo
azzardati, perché in questo campo
le verifiche di applicabilità sono
molto lunghe, impegnative e non
sempre coronate da successo. In
sostanza, bisognerebbe evitare di
fare sul piano tecnologico una fuga
in avanti, come talvolta nel passato. Occorre, quindi, dedicare
una maggiore attenzione ai reattori evolutivi o INTD, preferendo
quelli ad acqua, la cui tecnologia
tanto è stata positivamente ed
estensivamente verificata e che
tanto ancora può dare introducendo quelle modifiche di processo, già evidenziate in molte
concrete proposte. Per i reattori di
Generation IV è bene invece privilegiare i reattori veloci e, in particolare, quelli che è possibile sviluppare in tempi ragionevolmente
contenuti e più promettenti dal
punto di vista dei costi. Infatti, tali
reattori utilizzano in modo molto
efficiente l’uranio e consentono,
in linea di principio, di “bruciare”
i rifiuti radioattivi.
Carlo Lombardi
Politecnico di Milano
Il plutonio-240 decade α con un
tempo di dimezzamento di 6.537 anni,
tuttavia una frazione molto piccola
pari a 4,95x10-6% decadimenti sono
delle fissioni spontanee. Supponendo
che queste emettano in media 2,15
neutroni, si ottiene che un chilogrammo di plutonio-240 emette poco
meno di 106 neutroni al secondo.
1
Speciale radioattività
ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007
Nucleare, è ancora un vicolo cieco
34
Dopo circa 60 anni di storia, il
nucleare da fissione non ha
ancora risolto i problemi principali di questa tecnologia: non esiste una soluzione alla gestione di
lungo termine delle scorie, non
esiste una filiera non proliferativa
in senso militare, non esiste una
tecnologia
intrinsecamente
sicura, nè è stata superata la limitatezza delle riserve di uranio (in
attesa della cosiddetta generazione IV, non prima del 2025).
La ripresa del dibattito sul
nucleare ha però alcune ragioni.
La principale di queste riguarda
il fatto che, nei mercati liberalizzati – Usa in primo luogo –, visto
il trentennale blocco di investimenti privati in nuovi impianti, il
governo ha deciso di promuovere
forti sussidi pubblici per evitare
il crollo verticale del settore.
SUSSIDI
NUCLEARE
PUBBLICI
NEL
AL
MERCATO
LIBERALIZZATO: GLI
USA
Com’è noto, nel 2005 il Congresso Usa ha approvato l’Energy
Policy Act che introduce alcune
novità fondamentali:
• un incentivo pubblico all’elettricità da nucleare per 1,8 centesimi di dollaro al kWh, fino a una
potenza installata di 6.000 MW
• la possibilità di accedere a
fondi a tasso agevolato fino
all’80% dei costi di capitale
• fondi assicurativi coperti dallo
stato per coprire eventuali per-
dite dovute ai ritardi nella costruzione.
La liberalizzazione del mercato
elettrico ha infatti bloccato gli
investimenti nel nucleare che,
pur avendo costi operativi più
bassi delle altre fonti convenzionali, ha un costo dell’elettricità
più elevato proprio per il forte
costo di investimento che
richiede. Le stime ufficiali del
Dipartimento dell’energia Usa
(US Doe) dello scorso febbraio
riguardano i costi industriali dell’elettricità da nuovi impianti.
Come si vede dalla tabella,, il differenziale stimato dal Doe tra
nucleare e gas (cicli combinati) è
di 0,8 centesimi di dollaro e dunque il sussidio dato ai primi 6000
MW negli Usa è più del doppio
del differenziale, cosa che induce a
pensare che la stima del costo del
chilowattora nucleare sia più
vicina ai 7 centesimi di dollaro.
Secondo una recentissima analisi
dell'agenzia di rating Moody's,
nonostante i forti incentivi offerti
dal governo Usa e la trentina di
reattori per i quali sono previste le
domande di sussidio, solo una o
due saranno le centrali realizzate
entro il 2015. Varie le ragioni, e tra
queste i reali costi d’investimento
valutati da Moody's almeno il doppio di quanto dice l'industria.
Anche nel Regno Unito è in corso
un dibattito per sussidiare la progressiva sostituzione delle centrali
nucleari funzionanti in quel Paese.
Stime costi dell’elettricità al 2015 (millesimi di $ 2005 al kWh)
Capitale
O&M
Comb.
Trasmiss
Totale
Carbone
32,64
4,89
14,82
3,72
56,07
Gas cicli comb.
12,16
1,44
37,97
3,67
55,24
Eolico
49,94
9,74
0
8,37
68,05
Nucleare
45,96
8,1
6,86
2,40
63,32
Nota: O&M rappresentano i costi di funzionamento e manutenzione. Sono inclusi
anche i costi di trasmissione alla rete. Fonte: US DOE, 2007
ARCHIVIO GREENPEACE
I 60 anni di ricerca e sviluppo nel campo della tecnologia nucleare non l’hanno resa competitiva nei mercati liberalizzati. I problemi principali che la tecnologia presenta risultano irrisolti e i costi d’investimento sono ancora
soggetti a lievitazione. L’attuale dibattito sul tema ha componenti diverse: dai sussidi pubblici statunitensi a sostegno del mercato nucleare civile, alle discutibili operazioni dell’industria nazionale nell’Est europeo. Greenpeace
risponde: no grazie.
In conclusione, dopo 60 anni di
sviluppo della tecnologia, con la
maggior parte degli investimenti
pubblici dei Paesi Ocse in ricerca
e sviluppo in campo energetico
assorbiti
dalle
tecnologie
nucleari, questa fonte non è competitiva nel mercati liberalizzati.
IL CASO FINLANDESE
La costruzione del reattore francese EPR in Finlandia, (Olkiluoto-3) promossa dall’azienda
finlandese Tvo (Teollisuuden
Voima) e dalla francese Areva,
rappresentava una sfida per
ridurre i costi di investimento,
riducendo i tempi di costruzione
a 5 anni, mentre la media riscontrata tra il 1995 e il 2000 è di 116
mesi, quasi 10 anni. Questa sfida
è stata già perduta, con un ritardo
accumulato di 25 mesi e l’ultimo
annuncio lo scorso agosto
riguarda la necessità di rinforzare
la protezione del reattore in caso
di incidente aereo.
Il costo iniziale per i 1600 MW
del reattore era stimato in 2.5
miliardi di euro successivamente
corretto a 3,2 ma già oggi le stime
del costo finale superano i 4
miliardi. Secondo il consorzio
Elfi, che raggruppa industrie finlandesi grandi consumatrici di
elettricità, questi ritardi costeranno 3 miliardi di euro in più
agli utenti.
Bisogna aggiungere che, per fare
in fretta, si rischia di fare male e
di ridurre i livelli di sicurezza.
Gli aspetti più critici riguardano:
- la base di cemento non soddisfa
i criteri di qualità richiesti
- la struttura di contenimento del
reattore – parte essenziale per la
sicurezza in caso di eventi esterni
e incidenti – è stata realizzata da
un’azienda
subappaltatrice
polacca specializzata nella costruzione di chiglie di pescherecci; la
qualità delle saldature non soddisfaceva i criteri di sicurezza
- a oggi, le verifiche dell’ente di
sicurezza nucleare Stuk hanno
evidenziato 1500 non conformità
ai criteri di sicurezza stabiliti
- i piani presentati da Areva sono
di bassa qualità per la scelta di
subcontraenti senza la necessaria
esperienza; Areva ha continuato i
lavori anche nei casi in cui Stuk
non ha accettato i progetti presentati
- il ritardo annunciato dalla Tvo è
dovuto sia ai problemi riscontrati
nei condotti che collegano l’isola
nucleare al circuito secondario,
sia all’esigenza di rinforzare ulteriormente la struttura di contenimento per proteggere il reattore
da eventi esterni (p. es.la caduta
di un aereo).
La differenza tra i costi previsti
d’investimento e quelli effettivi
è una costante storica dell’industria nucleare. La storia del reattore finlandese è infatti piuttosto
comune: l’ultimo reattore cinese
ha avuto un ritardo di 2 anni,
quello in costruzione a Taiwan è
in ritardo di 5 e l’ultimo reattore
costruito nel Regno Unito è
costato il doppio del previsto.
LO
SHOPPING NUCLEARE
SOVIETICO DELL’ENEL
Anche per l’ex blocco sovietico la
questione della mancanza di
investimenti è una questione
rilevante per il rilancio del
nucleare. Nell’ambito dell’acquisizione, da parte di Enel, del 66%
della Slovenske Electrarne (Slovacchia) si prevede un piano di
investimenti la cui parte più
importante riguarda il completamento di due unità nucleari a
Mochovce per 1,88 miliardi di
euro per un totale di 880 MW.
Si tratta di due Vver 440/V-213,
reattori ad acqua pressurizzata di
tecnologia sovietica di seconda
generazione, la cui progettazione
di base risale agli anni 70. Questo
genere di reattori fu completamente eliminato dopo l’unificazione tedesca; nel 1990 un reattore di questo tipo costruito nell’ex Germania Est a Greisfwald,
entrato in funzione nel 1989 fu
disattivato, mentre la costruzione
di altre 3 unità di terza generazione, fu bloccata definitivamente.
In Finlandia due unità dello
stesso tipo entrarono in funzione
tra il 1977 e il 1980, ma all’epoca
– ritenendo il livello di sicurezza
non adeguato – i reattori furono
riprogettati con un sistema di
contenimento della Westinghouse e sistemi di controllo Siemens. La centrale che Enel si
accinge
a
completare
a
Mochovce non avrà alcun
sistema di protezione da eventi
esterni: secondo le dichiarazioni
ufficiali la caduta di un aereo
sulla centrale è improbabile.
Dichiarazione rilasciata peraltro a
poche ore dalla diffusione del
nuovo video di bin Laden lo
scorso settembre.
Enel sta inoltre partecipando in
Bulgaria alla gara per la costruzione della centrale nucleare di
Belene (per una quota del 49%).
Si tratta di realizzare un reattore
sovietico della filiera VVER
1000/320 – mai approvato in
Europa occidentale – sito in
zona sismica: nel 1977 un terremoto uccise 200 persone in un
Speciale Chernobyl in ArpaRivista 3/2006
A Chernobyl, il 25 aprile 1986, si
è verificato il più grave incidente nucleare civile di tutti i
tempi: le esplosioni e gli incendi
che si sono sviluppati hanno
generato, per una decina di
giorni, un fall-out radioattivo
che ha interessato oltre 150.000
km2 di territorio e ha coinvolto
più di sei milioni di persone.
I fatti, le conseguenze sanitarie
e ambientali nell’immediato e a
lungo termine, le campagne di
controllo e di monitoraggio, le
iniziative di solidarietà alla
popolazione colpita, la comunicazione nel corso dell’emergenza sono stati al centro di uno
speciale in ArpaRivista 3/2006
disponibile in Arpaweb
(www.arpa.emr.it/arparivista,
Archivi). DR
ARCHIVIO GREENPEACE
ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007
35
raggio di 14 km dal sito di
Belene.
Un reattore della stessa filiera
funziona a Temelin nella repubblica Ceca, ed è da sempre fortemente contestato dall’Austria per
ragioni di sicurezza. Se, oltre
Mochovce, andasse in porto
anche l’operazione di Belene
Enel investirebbe più sul
nucleare sovietico che sulle fonti
rinnovabili.
UN
DIBATTITO
D’IMPORTAZIONE
(CON SFUMATURE FRANCESI)
Dunque il dibattito che attraversa l’Italia – ricorre in queste
settimane il ventennale del referendum del 1987 – ha componenti diverse: dai sussidi pubblici statunitensi per evitare il
crollo dell’industria, alle discutibili operazioni dell’industria
nazionale nell’Est europeo. La
presenza di Edf nel mercato italiano attraverso Edison (con Aem
e Asm) è l’unica variabile che
rende questo dibattito non del
tutto astratto.
La risposta di Greenpeace a queste aspirazioni è: no, grazie.
Il potenziale di efficienza energetica – secondo il rapporto elaborato dal Politecnico di Milano
per Greenpeace – consentirebbe
di tagliare di 100 miliardi di kWh
da qui al 2020, come richiesto
dall’Ue, a costi inferiori sia del
nucleare, sia di quelli dello scambio alla borsa elettrica.
Giuseppe Onufrio
Greenpeace Italia
Sommario
- La notte più lunga di Chernobyl
Lucia Venturi - Responsabile scientifica di Legambiente
- Impotenti di fronte al dramma, il racconto dei primi controlli nelle zone contaminate
Il racconto di Vladimir Samsonov, direttore del Centro repubblicano di
controllo delle radiazioni e monitoraggio ambientale di Minsk, a cura di
Annamaria Colacci - Arpa Emilia-Romagna
- Quei giorni in Emilia-Romagna, i primi controlli
Intervista a Sandro Fabbri, allora direttore del Servizio Radioattività
ambientale (ex Pmp). A cura di Daniela Raffaelli - Redazione ArpaRivista
- L'ambulatorio mobile di Modena per il controllo delle patologie tiroidee
Vincenzo Rochira - Dipartimento di Medicina, endocrinologia, metabolismo e geriatria, Università di Modena e Reggio Emilia
- Arpa in Bielorussia, i controlli nelle zone colpite
Laura Gaidolfi, Annibale Gazzola
Arpa Emilia-Romagna
- Le conseguenze sanitarie immediate e tardive
Massimo Tosti Balducci, Marco Pellegri
Dipartimento di Radiologia, Ausl 9, Grosseto
- Con Legambiente Solidarietà un mese in Italia, per guarire almeno un po'
Roberto Rebecchi, coordinatore regionale Legambiente Solidarietà
- Conoscenza e informazione indipendenti per non avere più Chernobyl
Gianni Mattioli - Università La Sapienza, Roma
Speciale radioattività
ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007
È nata con il nucleare la “Nimby” di casa nostra
Vale la pena di ripercorre fin dalla nascita le tappe che hanno condotto alla diffusione della sindrome Nimby (not
in my back yard), non per semplice curiosità storica, ma per comprendere l’importanza (oggi come allora) di fondare
le scelte importanti di un paese sulle evidenze che la scienza offre e su una corretta informazione. Onde emotive,
disinformazione e assenza di chiari percorsi decisionali finiscono per divenire una sorta di giacimento politico per
i fautori del “no” a tutto e sempre.
36
Per la prima volta la parola
“Nimby” (Not in my back yard,
cioè l’opposizione a opere
costruite nelle vicinanze della
propria residenza) è apparsa nel
1980 sul giornale americano Christian Science Monitor. Da allora la
sindrome “Nimby” si è straordinariamente ampliata, anche nel
nostro paese, come confermano le
note vicende (inceneritori, discariche, rigassificatori, elettrodotti,
eolico ecc.). Fino a degenerare,
almeno in alcuni momenti, in un
fenomeno non più basato su interessi locali e particolaristici, ma su
una vera e propria ideologia nichilista: il “Banana” (Build Absolutely
Nothing Anywhere Near Anything:
non costruite assolutamente
niente, in nessun posto, vicino a
nulla).
La storia del Nimby nostrano è
ben conosciuta grazie ai servizi
televisivi e alle prime pagine dei
giornali. Basti pensare alla No Tav
della Valle di Susa, alla crisi rifiuti
in Campania, al rigassificatore di
Brindisi, e via enumerando fino a
raggiungere la ragguardevole cifra
di 170 contestazioni a opere che,
sulla carta, dovrebbero migliorare
la qualità della vita civile.
Meno nota la preistoria del
Nimby che, almeno nel nostro
paese, si intreccia in modo indissolubile con quella del nucleare
e con i primi incerti tentativi di
programmare il futuro energetico
di un paese che si stava rapidamente modernizzando. Il primo
Nimby fu molto diverso da quello
che vediamo in azione oggi e vale
sicuramente la pena di raccontarne la storia.
È il 1960, l’Italia si sta industrializzando, ma il suo consumo totale di
energia è ancora basso: 50 Megatep (cioè milioni di tonnellate
equivalenti di petrolio, oggi siamo
a 190 Megatep). Le fonti energetiche importate per il sistema totale
rappresentano il 50%, mentre per
quello elettrico soltanto il 15%.
Una situazione di autonomia ener-
getica più che soddisfacente. Nel
1970, nel giro di soli 10 anni il quadro si capovolge. I consumi di
energia passano da 50 a 120 Megatep. Moltiplicati per due volte e
mezzo. È l’Italia del benessere ,
del cosiddetto “consumismo”,
dell’automobile, del frigorifero,
del riscaldamento generalizzato,
delle vacanze per tutti e di tante
altre comodità prima impensabili
(e che divorano energia).
Le
importazioni
schizzano
all’80% per il sistema totale e a
oltre il 50% per quello elettrico.
Una situazione di poco migliore
di quella attuale. Sempre nella
parte del leone nelle importazioni
i combustibili fossili, in particolare il petrolio.
Quale fu la risposta dei governi di
allora? Parlare di una risposta
meditata ed efficace è forse
eccessivo. Tanto che pochi anni
dopo, nel 1973, l’Italia venne
colta completamente impreparata
dalla prima crisi petrolifera. Tuttavia alcune carte su cui puntare,
all’epoca, esistevano. Una di queste era il nucleare. Senza entrare
in un’altra storia molto complicata e travagliata possiamo dire
brevemente che il nostro paese
alla fine degli anni 60 aveva già
tre centrali nucleari: il Garigliano,
Latina e Trino. Erano state
costruite da tre diverse società in
concorrenza tra loro (Sme-Iri,
Agip Nucleare, Edison), e questo
dà subito l’idea di come la scelta
nucleare non fosse coordinata
molto bene e nemmeno programmata attentamente.
Comunque le difficoltà non erano
finite. E non si tratta di ostacoli
tecnico scientifici, ma burocratici
e amministrativi. Negli anni 70,
nell’ambito dell’attuazione dei
dettati costituzionali, venivano
istituite le Regioni.
Com’è noto alcune parti della
Costituzione del 1948 non vennero immediatamente realizzate,
ma rinviate ad altri tempi. Fra
queste il Consiglio superiore della
Magistratura, la Corte costituzio-
nale e appunto le Regioni. Con le
Regioni molti poteri venivano così
delegati alle amministrazioni
locali. La prima manifestazione
del Nimby era adesso possibile.
L’ultima parola per approvare una
centrale era infatti passata al sindaco del Comune dove sarebbe
stata costruita. Magari al sindaco
di un Comune di 3000 o 4000 abitanti (i siti delle centrali vengono
ovviamente scelti in zone non
molto popolate). Anche senza
furori ambientalisti o terrori
radioattivi (poiché gli incidenti di
Three Miles Island e di Chernobyl non si erano ancora verificati), proviamo a metterci nei
panni del povero sindaco alle
prese con la costruzione della centrale. Le prospettive erano desolanti. Si sarebbe visto piombare da
fuori, per 5 o 6 anni, migliaia di
lavoratori, centinaia di camion,
decine di ruspe, di gru, che avrebbero sconvolto la vita del paesino.
L’arrivo di molti soldi e la facilità a
spendere avrebbero fatto rincarare
tutto: dal cibo agli affitti. Poi finita
la centrale tutti sarebbero scomparsi per lasciare un centinaio di
tecnici, sempre venuti da fuori, a
gestirla. Posti di lavoro per i locali:
pochi o niente. Insomma una
visione da incubo.
Gli intralci del Nimby preistorico
quasi fermarono la costruzione
della centrale di Caorso che,
decisa nel 1969, fu completata
solo nel 1978. Il Piano energetico
del 1975, il primo, dava largo spazio al nucleare, ma anche al carbone e all’importazione di elettricità. Tuttavia le cose non si muovevano. A peggiorare la situazione arrivò nel 1979 l’incidente
alla centrale nucleare di Three
Miles Island negli Stati Uniti,
dove però la fusione del nocciolo
– grazie al cupolone di contenimento del reattore – non liberò
all’esterno quantità significative
di radioattività. La paura fu però
grande e il nostro “povero sindaco” aveva, adesso, diversi
motivi in più per opporsi alla
costruzione di una centrale
nucleare nel suo Comune. Il
Nimby cominciava ad assumere
le sembianze attuali.
L’incidente fece fare qualche
passo indietro, ma il lentissimo
procedere verso una decisione che
limitasse la dipendenza energetica
non deragliò completamente.
Anche perché subito dopo l’incidente nucleare, la guerra Iran-Iraq
fece precipitare l’intero pianeta in
una nuova crisi energetica. Fu in
queste prime fasi della guerra che
il prezzo del petrolio raggiunse il
record di 88 dollari al barile (in
dollari attuali, allora il prezzo
superò i 40 dollari del 1980), un
record superato solo in questi
giorni. I rischi della dipendenza
energetica divennero, alla luce
delle nuove turbolenze Medio
Orientali molto chiare.
Comunque la decisione ci mise
altri tre anni ad arrivare. Nel 1983
due brevi leggi toglievano al
“povero sindaco” l’ultima parola
in fatto di scelta dei siti per le centrali nucleari e a carbone (ugualmente avversate). Queste due
leggi davano il potere al Cipe
(Comitato per la programmazione
economica) di scegliere i siti delle
centrali qualora Regioni e Comuni
non avessero deciso fra la rosa di
località proposta dal Governo centrale. La seconda legge indennizzava Comuni e Regioni, un tanto
al chilowatt installato durante la
costruzione e un tanto al chilowattora prodotto a centrale ormai in
funzione. Era una “monetizzazione del disturbo” che venne poi
sbandierata, in modo distorto,
come
“monetizzazione
del
rischio” dai movimenti ambientalisti. Il primo Nimby sembrava
così disinnescato.
Due anni dopo l’approvazione
delle leggi che finalmente mettevano da parte e rimborsavano il
“povero sindaco”, il nuovo piano
energetico nazionale è pronto.
Siamo nel 1985. Per il nucleare si
conferma la costruzione di Montalto di Castro (già avanzata), e si
da il via libera a Trino 2 e ad altre
sei centrali, ognuna con due reattori. A conti fatti nel 2000 la
dipendenza elettrica con l’estero
sarebbe stata del 50-55% (contro
più del 75% di oggi, senza
nucleare) e quella totale sarebbe
stata del 70% (contro il circa 8384% di oggi senza nucleare). Non
eccezionale, ma considerando il
quadro italiano un risultato di
tutto rispetto. Più autonomia,
maggiore diversificazione delle
fonti. Nel marzo 1986 il Cipe
approvava ufficialmente il nuovo
piano energetico. Il 26 aprile
1986 esplodeva il reattore
numero 4 della centrale atomica
di Chernobyl. Fine del nucleare
italiano.
Sull’incidente alla centrale sovietica ci fu molta confusione, provocata anche dalle reticenze e dai
silenzi delle autorità di Mosca.
In Italia c’era un ente qualificato
che poteva dire una parola definitiva sulla situazione: l’Enea, che
aveva un dipartimento dedicato
proprio alla radioprotezione. L’Enea fece le sue misure in tutto il
paese e comunicò i risultati, del
tutto rassicuranti. Ma pochi l’ascoltarono. Fu proprio in seguito
agli psicodrammi (proibizione
delle verdure a foglia larga e del
latte) scatenati in tutta la nazione
dall’incidente, che il Parlamento
decise di “approfondire” la scelta
nucleare fatta nel piano energetico
appena approvato.
Forse l’emotività, in problemi così
complessi, non è una buona consigliera. E l’emotività, in quel maggio 1986, raggiunse sicuramente i
livelli di guardia. Fu così che, con
straordinaria celerità (straordinaria
per i ritmi usuali del Parlamento
italiano), appena 40 giorni dopo
l’incidente, il Governo veniva
invitato da Camera e Senato a convocare, entro l’anno, una Conferenza nazionale sulla sicurezza e la
politica energetica che in pratica
rivedesse il Piano energetico
approvato tre mesi prima.
La Conferenza (tenutasi a Roma
nel febbraio 1987), cui parteciparano più di 150 istituzioni scientifiche e scienziati italiani e stra-
Lorenzo Pinna
giornalista e scrittore
In apertura di questo servizio su radioattività e nucleare abbiamo citato un brano
del libro che Lorenzo Pinna ha scritto
insieme a Piero Angela per i tipi di Mondadori, La sfida del secolo. Gli autori si riferiscono alla sfida energetica e il libro è
scritto in forma di dialogo per aiutare a
comprendere quanto dalla soluzione che si darà a questa sfida
dipenderà il destino dei nostri figli.
Il cosmo, Dentro la terra, Il clima, La conquista dello spazio, Atlante della
preistoria, L’atmosfera, istruzioni per l’uso, Cinque ipotesi sulla fine del
mondo, sono solo alcuni titoli che testimoniano le fatiche di Lorenzo
ARCHIVIO ARPA SEZ. DI PIACENZA
ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007
37
nieri, sostanzialmente approvò o
meglio “riapprovò” il Piano energetico e la scelta nucleare. Sulla
base di una considerazione molto
semplice: il reattore di Chernobyl
era totalmente estraneo alla tecnologia nucleare italiana (e “occidentale”), quindi i rischi che presentava quel reattore non esistevano
negli impianti che si era deciso di
costruire in Italia. Ma nemmeno
questa rassicurazione fu sufficiente a chi doveva decidere. Fra
l’altro – almeno secondo i testimoni presenti alla Conferenza –
molti parlamentari non si fecero
nemmeno rassicurare, perché non
andarono ad ascoltare le relazioni
degli esperti.
La “patata bollente” del nucleare
fu quindi passata agli italiani. Che
decidessero loro, in un referendum, il destino di questa fonte
energetica.
Sicuramente il grande spavento,
dovuto a un’informazione confusa
e a volte ingiustificatamente allarmista, che tutta l’Italia si era preso
nei giorni di Chernobyl, non era
stato dimenticato. Il referendum
si tenne infatti un anno e mezzo
dopo, nel novembre 1987 e i “sì”
(cioè coloro che volevano chiudere
il nucleare) vinsero con l’80%.
È interessante ricordare i quesiti
scritti sulla scheda per la votazione. Com’è noto questi referendum sono “abrogativi” cioè
devono pronunciarsi se una certa
legge debba essere mantenuta o
eliminata. Ebbene, le leggi da
abrogare per silurare il nucleare
furono quei due brevi provvedimenti approvati nel 1983 che
toglievano al “povero sindaco”
l’ultima parola sui siti dove
costruire le centrali (nucleari e a
carbone) e lo rimborsavano per il
disturbo. Inoltre, venne anche
abrogata un’altra legge del 1973
che consentiva all’Enel – allora
gestore unico del sistema elettrico
– di partecipare a imprese nucleari
internazionali. Il fenomeno
Nimby poteva nuovamente ripartire e passare così dalla preistoria
alla storia.
Lorenzo Pinna
Giornalista Rai e scrittore
Pinna nella divulgazione scientifica e, più in generale, nel promuovere comunque e sempre un approccio scientifico alle grandi e piccole questioni che ci capita di dover affrontare.
Lorenzo Pinna realizza servizi per le più importanti rubriche scientifiche televisive, fa parte della redazione di Quark e ha partecipato
alla realizzazione delle serie più prestigiose insieme a Piero Angela,
come Quark, viaggi nel mondo della scienza, La Macchina meravigliosa,
Il Pianeta dei Dinosauri, Quark Economia ed Europa e altre ancora.
Ha vinto numerosi premi, tra i più prestigiosi il Premio europeo Cortina Ulisse.
Ringraziamo di cuore Lorenzo Pinna per aver voluto assicurare alla
nostra rivista il suo prezioso contributo, peraltro con grande solerzia,
dedizione e scrupolosità.
Giancarlo Naldi
forum
Esiste oggi un nucleare “sicuro”?
opinioni dalla scienza e dalla politica
Può costituire una fonte energetica praticabile in Italia?
Con quali capacità di discutere e decidere?
• esiste oggi un nucleare sicuro?
• esiste la possibilità che questo nucleare di “nuova generazione”
possa costituire una praticabile fonte energetica?
• i tempi per un’eventuale praticabilità di questa fonte sono compatibili
con gli scenari attuali riguardanti il bisogno di energia?
• e se tutto ciò fosse possibile, è pensabile acquisire in Italia quella
autorevolezza politico-istituzionale che consente di collocare gli impianti,
di stoccare le scorie in sicurezza, di organizzare il trasporto dei materiali
radioattivi, e tutto ciò senza che abbia il sopravvento la filosofia
e la pratica del “niet!”?
ARCHIVIO ARPA SEZ. DI PIACENZA
38
Va poi aggiunto che le evidenze che abbiamo sotto gli occhi
sul piano del cambiamento climatico, e sull’importanza
delle componenti antropiche all’origine dello stesso, inducono a progettare e a realizzare una drastica riduzione delle
emissioni climalteranti in atmosfera, come è sancito dal
protocollo di Kyoto e, soprattutto, dalle intese successive.
La stessa produzione di energie rinnovabili, che va ovviamente perseguita, non è esente da valutazioni e problematiche di carattere ambientale, oltre che economico. Si
pensi in particolare a tutte le tematiche che riguardano il
bilancio ambientale delle agrobioenergie e alle ricadute di
carattere economico, politico e sociale delle stesse, alla
dimensione globale (vedi andamento dei prezzi delle derrate alimentari ecc.).
È proprio in questo contesto, quindi, che si assiste alla
riapertura del dibattito sulla possibilità di affrontare la
questione energetica, anche rivolgendo l’attenzione al
nucleare di ultima generazione come possibile fonte.
Ecco, allora, che scrivendo di radioattività e di nucleare,
come stiamo facendo con questo speciale di ArpaRivista,
viene da chiedersi:
A distanza di molti anni ormai, da
quando il nostro Paese ha scelto di
bandire il nucleare per la produzione di energia, si avverte, di tanto
in tanto, l’esigenza di riaprire una
discussione su questo capitolo.
Non mi riferisco alle iniziative di
coloro che non hanno mai smesso di
essere nuclearisti convinti o di quelli
che lo fanno in modo strumentale, per gettare un sasso
nello stagno della politica nostrana.
Mi riferisco a coloro che si interrogano con onestà anche
sulla base degli evidenti cambiamenti di scenario e di ciò
che di nuovo la scienza può mettere a nostra disposizione.
Il risparmio energetico costituisce sicuramente una strategia e una pratica necessarie a ogni livello possibile, e rappresenta di per sé una sorta di “fonte”. Ovviamente non
basta, in quanto comunque di energia c’è bisogno e le
fonti fossili, oltre alla loro finitezza, mostrano con tutta
evidenza le problematiche di carattere ambientale che
conosciamo.
Su questi argomenti, tracciati in modo così sintetico e
anche banalizzato, abbiamo chiesto un breve intervento a
persone che, per le conoscenze che esprimono o per le
responsabilità politico-istituzionali, rappresentano un
punto di riferimento per il Paese sul piano culturale e dell’agire.
Giancarlo Naldi
ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007
Alberto Renieri
Dipartimento Fusione, tecnologie e presidio
nucleari, Enea
G. Naldi
L’energia da fonti fossili inquina, e costa, le fonti
poi si avviano all’esaurimento. Il risparmio energetico è necessario, auspicabile e significativamente
ottenibile in tempi medi, le fonti rinnovabili sono
importanti ma non esenti da problemi.
Ecco che si riapre un dibattito un po’ doloroso ma
probabilmente necessario. Per cominciare oggi, a differenza di trenta anni fa,
esiste un “nucleare sicuro”?
A. Renieri
La risposta è sì, con l’attenzione dovuta alla parola “sicuro” che ha un
significato molto particolare, scientifico. La sicurezza che danno i reattori
attuali è altissima, molto maggiore di tanti altri impianti convenzionali.
forum
destinata a esaurirsi in qualche centinaio di anni. I sistemi autofertilizzanti permettono però di utilizzare completamente l’uranio naturale,
con un fattore 100 di più rispetto le tecniche utilizzate oggi, perché
questi sistemi che utilizzano il sodio rendono fertile quell’isotopo dell’uranio che non è fissile. Praticamente trasformano un isotopo dell’uranio in un nucleo che diventa fissile, consentendo di utilizzare completamente l’uranio.
Vengono bruciati completamente anche tutti i prodotti di attivazione
che sono a lunga-media vita e che sono quelli che costituiscono oggi
un grosso problema per via delle scorie che vanno stoccate con tempi
lunghissimi di esaurimento (ordine di migliaia di anni).
I reattori alla fine bruciano tutto e nel ciclo del combustibile previsto
per questi reattori avremo un rifiuto nucleare che avrà la stessa radioattività dell’uranio che era in miniera. Abbiamo così ripristinato la situazione.
Si otterrebbe anche l’effetto di abbattere la presenza nel mondo dell’uranio
impoverito?
I reattori di terza generazione, attualmente in fase di prima costruzione, mi riferisco all’Epr (European Pressurized Reactor) franco-tedesca
e all’AP1000 della Westinghouse, producono un livello di sicurezza
ancora superiore rispetto agli attuali reattori di seconda generazione.
La prospettiva aperta dall’iniziativa di Generation IV, tramite il GIF, che
è l’iniziativa internazionale di vari Paesi nel mondo che collaborano
assieme agli Usa per “Generation IV”, risponde a una serie di richieste
che sono state formulate in questi anni riguardanti: la sicurezza intrinseca, la sicurezza cioè relativa alla gestione del combustibile, che è uno
dei punti critici del nucleare, la security e la non proliferazione, cioè la
capacità di essere sistemi a prova di utilizzo, per scopi bellici.
A tutte le questioni poste risponde la Generation IV.
Per arrivare a dare risposte complete a tutte queste domande di sicurezza ci sarà bisogno di una sperimentazione che durerà molti anni.
Il discorso dell’uranio impoverito è duplice. Da una parte l’uranio
impoverito, utilizzato in questi reattori, verrebbe usato completamente.
Praticamente si tratta di uranio in cui c’è una percentuale ancora alta
di 238, l’isotopo dell’uranio non fissile, il 235 è stato utilizzato.
L’uranio è impoverito perché è passato attraverso una fase di arricchimento: gli è stato tolto il 235 ed è rimasta la differenza.
L’uranio impoverito non è di per sé più inquinante di quello naturale
(anzi lo è di meno!), il problema è che viene utilizzato, in quanto
pesante, per applicazioni belliche e finisce sparso come inquinante
pericoloso per la salute.
Quanto durerà ragionevolmente questa sperimentazione?
I reattori autofertilizzanti, cioè con raffreddamento a metallo liquido o
a gas, dovrebbero entrare nella fase industriale dal 2020 al 2030.
Si pensa di avere già i primi reattori raffreddati a sodio in funzione
verso il 2020.
Riguardo l’impegno sul nucleare esiste un panorama internazionale molto
variegato. Chi si occupa di una sperimentazione così impegnativa e importante?
Se ne occupano gli americani, i giapponesi e i francesi. I francesi hanno
realizzato dei reattori al sodio, Fenix e Superfenix. Fenix ha lavorato
bene mentre il Superfenix ha avuto seri problemi nei circuiti di raffreddamento al sodio, che hanno portato alla chiusura del reattore.
Adesso questi problemi (non di carattere nucleare) sono stati compresi.
Prima ancora del presidente Sarcozy è stata lanciata una grande iniziativa che vuole dotare la Francia di un reattore al sodio entro il 2020.
Non saranno sistemi solamente francesi ma globali, frutto di questa
ricerca che vede impegnati insieme francesi, americani e giapponesi.
Questo tipo di reattore, oltre a presentare elementi di sicurezza che riguardano
intrinsecamente il nucleare, presenta anche altri elementi di minor impatto
ambientale?
L’utilizzo del sodio serve per avere un reattore cosiddetto “autofertilizzante”. Questo è un altro dei requisiti di Generation IV, la sostenibilità, che significa realizzare degli impianti per i quali la disponibilità
del combustibile ci sarà per migliaia di anni a partire da oggi.
Uno dei problemi attuali è che le risorse fossili, al di là del fatto che
provocano effetto serra, comunque prima o poi finiscono. Anche dell’isotopo fissile dell’uranio, attualmente utilizzato, c’è una quantità
ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007
Allora, tornando ai tempi di praticabilità della Generation IV, a fini energetici, quali sarebbero in definitiva?
Secondo Lei, si tratterebbe di tempi abbastanza ragionevoli per una risposta
alla domanda di energia?
Una risposta ecologica: perché non producono gas serra, hanno la possibilità di sfruttare un combustibile che si trova in abbondanza sulla
terra e, cosa non trascurabile, questi reattori rendono impossibile distogliere il combustibile per fini militari.
Riguardo la sicurezza intrinseca, va sottolineato che il sistema stesso,
anche con apparati elettronici non funzionanti o in presenza di errore
umano, di per sé si spegne, senza il bisogno, come avviene oggi, dell’intervento di un sistema elettronico o di un operatore. Ripeto, si
tratta di tecnologie che fanno sì che un reattore, senza bisogno di interventi esterni, per qualunque evento accidentale possa accadere si spegne da solo.
Diceva che questo sistema consentirebbe anche di minimizzare le questioni
riguardanti lo stoccaggio di scorie?
Certamente, perché le scorie prodotte dalle centrali si compongono di
due tipi:
- i prodotti di fissione, che sono le scorie più leggere dell’uranio, sono
radioattivi, ma, decadendo abbastanza velocemente, richiedono uno stoccaggio per un certo numero di anni, ma non si arriva alle migliaia di anni
- esistono prodotti di attivazione più pesanti dell’uranio, che sono gli
attinidi; si tratta di una serie di elementi che decadono in migliaia di
anni. Sono una piccola frazione dei residui nucleari che richiedono uno
stoccaggio per migliaia di anni.
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opinioni dalla scienza e dalla politica
L’obiettivo è di riuscire a “spaccare” questi attinidi, il più famoso è il
plutonio, affinché alla fine del processo non esistano più. Questo si può
fare o all’interno del reattore stesso oppure in un altro reattore opportunamente progettato (era la proposta di Rubbia, il sistema ADS, che
ancora viene perseguito e fa parte dei possibili schemi). Si tratta di un
reattore dove vengono fatti bruciare gli attinidi ottenendo come residuo
solo materiale radioattivo che decade in un tempo di qualche centinaio
di anni. In tal modo per le scorie non vi è la necessità di realizzare depositi geologici nei quali immagazzinarle per molte migliaia di anni.
Questo è un punto cruciale che ha guidato Generation IV, rispondendo
alle obiezioni che erano state poste, non tanto sulla sicurezza dell’impianto nucleare, perché già adesso gli impianti nucleari hanno un altissimo tasso di sicurezza, quanto sulla validità di tutto il ciclo di produzione e di stoccaggio dei rifiuti nucleari.
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Se la scienza ci offre un cambiamento di scenario così radicale e positivo qual è
il problema del nostro Paese nei confronti del nucleare?
Ci sono state ultimamente molte discussioni e relativamente alla situazione italiana, non voglio entrare nel merito delle decisioni prese a suo
tempo, a ragion veduta, da chi ha votato. Di fronte a una consultazione
popolare non si possono fare commenti.
La situazione è evoluta e si è compresa la difficoltà di mantenere un
ritmo di sviluppo dell’economia e del nostro vivere utilizzando i combustibili fossili.
Le fonti rinnovabili e alternative possono dare un contributo importante, ma a oggi possono costituire solo una frazione del fabbisogno
totale, se vogliamo mantenere il nostro standard di vita per il numero di
persone presenti sul pianeta.
Fino a 2-3 secoli fa la legna era sufficiente, oggi l’energia ricavabile da
fonti rinnovabili non basta più, oppure basta solo per un decimo della
popolazione del pianeta. Anche questa frazione, ricavabile dalle rinnovabili, è importante, soprattutto in quelle zone dove il trasporto dell’energia è molto impattante.
Il punto fondamentale, su cui tutti convergono, e sul quale tutti si trovano d’accordo, è che un Paese deve avere il giusto mix di fonti energetiche.
Non si può rinunciare, almeno per un certo tempo, a quelle fossili,
magari rendendole meno pericolose per l’ambiente (mi riferisco alla
CO2) e sicuramente dovremo fare il massimo nel campo del risparmio,
anche se l’Italia è già abbastanza “risparmiosa”.
In Francia, ad esempio, nella distribuzione di energia elettrica le utenze
mediamente sono di 20 kw per casa mentre da noi la norma è 3 kw, 5 kw
al massimo. Abbiamo un altro clima, ma non siamo certamente quelli
che spendono di più.
Bisogna dare uno sviluppo alle rinnovabili laddove possono dare il contributo, anche sul piano del bilancio ambientale.
In Italia sicuramente la rinnovabile più importante è l’idroelettrico. Una
volta era sufficiente per tutto il Paese, adesso non più.
E’ necessario pertanto dare impulso alle rinnovabili, soprattutto per il
riscaldamento, con il solare e il fotovoltaico.
A me pare che, volendo mantenere gli standard di vita dell’occidente –
e tenendo conto dei cinesi, degli indiani e di quanti altri cominciano a
reclamare il raggiungimento di standard ben più elevati di quelli che
hanno attualmente – il nucleare diventi essenziale.
Stiamo parlando di nucleare da fissione, bisogna arrivare al nucleare da
fusione, all’Enea stiamo lavorando a questo, ma occorre ancora tempo.
Mentre le centrali nucleari a fissione lavorano già quelle a fusione non
sono ancora entrate in funzione.
Un’idea per il futuro potrebbe essere il mix fissione e fusione.
Ammesso che la scienza ci offra opzioni con elevati livelli di sicurezza e bassissimo impatto ambientale, mi pare che restino da esaminare i problemi politici
che permangono: la localizzazione degli impianti, la localizzazione delle zone
di stoccaggio di scorie, la questione dei trasporti del materiale, l’Italia è il paese
in cui è molto difficile fare delle scelte a fronte di una diffusa “cultura del no”.
Certo, si pensi ai gassificatori – che ci libererebbero dalla schiavitù dei
gasdotti e, quindi, dal potere di fornitori monopolisti, litigiosi e incerti. I
gassificatori non li facciamo, con un danno oggettivo, è chiaro che ci
vuole un’impostazione diversa, improntata alla scientificità della proposta e alla correttezza del percorso decisionale.
Io sono propenso a dei sistemi, delle infrastrutture nazionali che rispondano compiutamente a tali esigenze; mi riferisco, ad esempio, all’Apat,
a organismi di controllo che ci sono, ma il cui potenziale va aumentato.
Va creato un circuito virtuoso nei rapporti fra il cittadino, le istituzioni,
gli enti, il mondo economico, in modo che le decisioni, così come
avviene in Francia e da altre parti, vengano dibattute, ma si arrivi a una
soluzione, consapevoli che non sarà condivisa da tutti.
In Italia spesso si tenta di saltare questo aspetto e dopo ci si trova di
fronte a un rifiuto, per certi versi anche ragionevole.
Non dobbiamo forzare sui cittadini; dobbiamo pensare che le loro esigenze sono reali, dobbiamo creare un sistema trasparente nel quale confluiscano i pro e i contro in modo da trovare soluzioni controllabili.
ARCHIVIO ARPA SEZ. DI PIACENZA
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ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007
Gianni Mattioli
Università La Sapienza, Roma
La geopolitica sanguinosa dell’energia e gli
sconvolgimenti climatici sollecitano cambiamenti drastici nella struttura del bilancio
energetico mondiale, caratterizzato dal massiccio ricorso ai combustibili fossili e periodicamente si riapre in Italia il dibattito sulla
possibilità del ricorso al contributo dell’energia nucleare, cancellato nel 1991 come conseguenza del referendum
che seguì all’incidente di Chernobyl.
Negli Stati Uniti è dal 1978, ben prima di Chernobyl, che le imprese
elettriche – come è noto private – non ordinano più impianti nucleari.
E ormai da oltre quindici anni la stessa scelta è stata effettuata da tutti
i paesi Ocse, con la sola eccezione del Giappone.
Austria, Spagna e Svezia hanno chiuso i programmi nucleari prima dell’Italia e analoga scelta è stata effettuata, più recentemente, dalla Germania. Quanto alla Francia – esaurita la motivazione strategica della
force de frappe – non ha proceduto al rinnovo degli impianti relativi al
trattamento del combustibile, ha chiuso la sua filiera legata all’utilizzazione dell’Uranio 238. La recente intenzione di realizzare un nuovo
impianto EPR riguarda un prototipo di Terza Generazione, dunque non
significativamente innovativo rispetto al tipo allora presente nel programma italiano.
Gli Stati Uniti, alla guida del consorzio internazionale Generation IV,
indicano il 2025 come data possibile per la realizzazione di un prototipo di nuovo impianto, ove fossero risolti alcuni problemi oggi irrisolti.
L’energia nucleare contribuisce oggi per il 6,4% ai consumi mondiali di
energia e l’Aie (Agenzia internazionale per l’energia) prevede per i
prossimi anni la riduzione di questo contributo, nonostante i programmi nucleari di Cina e India.
Ma quali sono le cause di questo declino? In realtà, a prescindere dai
problemi ingegneristici di sicurezza, è il problema della radioattività
che richiede un salto di qualità di nuove conoscenze di fisica fondamentale: così l’Associazione per la protezione dalle radiazioni ionizzanti ricorda che anche il rilascio di microdosi di radiazioni, in condizioni di funzionamento di routine degli impianti, è comunque responsabile di tumori e leucemie per i lavoratori e per le popolazioni esposte. Dosi piccole e piccolissime di radioattività sono sufficienti a innescare quei processi di mutagenesi, che sono il punto di partenza delle
malattie degenerative; si tratta di fenomeni ben noti ai biologi, che
progressivamente, a partire dai dati desunti dagli effetti sanitari delle
esplosioni di Hiroshima e Nagasaky, hanno corretto in senso peggiorativo le stime di correlazione tra dosi di radiazioni ed effetti sanitari
gravi.
La dose limite di radiazioni indicata dalla Commissione internazionale
per la protezione dalle radiazioni (Icrp) per il personale addetto agli
impianti e per la popolazione non significa “dose al di sotto della quale
non vi è rischio” e neppure “dose minima assicurata dalla migliore tecnologia disponibile” perché ciò sarebbe troppo costoso. Dose limite – più
elevata per i lavoratori, minore per la popolazione – significa quel
livello di radiazioni cui sono associati effetti somatici (tumori, leucemie ecc.) o genetici, “che vengono considerati accettabili per l’individuo e
per la collettività in vista dei benefici economici derivanti da siffatte attività
con radiazioni.” La Icrp ha fornito anche la valutazione degli effetti
sanitari gravi statisticamente prevedibili in corrispondenza di questa
dose: nel caso dei lavoratori professionalmente esposti, una diecina di
morti all’anno per tumore su 10.000 lavoratori.
Deriva da ciò la complessità degli impianti e delle stesse procedure
operative e ciò porta il costo del kWh a livelli non appetibili, in particolare per imprese private come le americane.
ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007
forum
Si perviene così alla questione del costo del kWh nucleare.
Per le altre fonti energetiche utilizzate per la produzione di elettricità
le tabelle internazionali forniscono con precisione il costo del kWh:
carbone: 0,07 euro/kWh; olio combustibile: 0,05 euro/kWh; gas naturale: 0,04 euro /kWh; con impianti miniidro: 0,04 euro/kWh; da fonte
eolica: 0,03-0,05 /kWh. Questa valutazione è invece difficile per l’energia elettrica prodotta dalla fonte nucleare.
La risposta al problema dipende infatti dal grado di intervento dello
Stato nella chiusura del ciclo del combustibile nucleare, che, come è noto,
ha rilevanti aspetti di natura militare (ad esempio, il plutonio comunque prodotto negli attuali tipi di reattori) oppure presenta aspetti per i
quali addirittura non si può parlare di tecnologie mature e commerciali,
come nel caso della sistemazione delle scorie o dello smantellamento
del reattore.
L’Agenzia nazionale francese per la gestione dei rifiuti nucleari
(Andra) avvia ora un laboratorio sotterraneo a Bure (Meuse) per nuovi
studi sulla collocazione dei rifiuti a vita lunga ad alta attività, in funzione della stabilità della struttura rocciosa e della sua interazione con
il calore generato dalla radioattività. Altri modi di gestione dei rifiuti
(trasmutazione o stoccaggio in superficie) sono tutt’ora allo studio e si
è dunque lontani dalla possibilità di indicare una tecnologia standard
in base alla quale determinare la sua incidenza sul costo del kWh.
Quanti tuttavia hanno avanzato proiezioni di costo al 2010 e al 2025 del
kWh nucleare (per es. EIA/DOE Annual Energy Outlook 2004 and Projections to 2025”; Mit, 2003; ed altri), pervengono comunque a stime
dell’ordine dei 0,06-0,07 euro/kWh.
Ma, al di là delle questioni della sicurezza o dell’economicità, stiamo
parlando di una fonte di energia che non può costituire l’alternativa ai
combustibili fossili.
Secondo le stime dell’Aie, al ritmo attuale di consumo dell’uranio 235
commerciabile – che, come si è detto fornisce un ben modesto contributo ai consumi mondiali di energia - la disponibilità della risorsa non
va al di là dei trenta anni, che si ridurrebbero a ben poco, appena volessimo far assumere all’energia nucleare ruoli dello stesso ordine di
importanza dei combustibili fossili. Certo, si potrebbe passare all’uso
dell’uranio 238, molto più abbondante in natura, ma per ciò si
dovrebbe passare attraverso la produzione di plutonio, secondo la linea
intrapresa dai francesi con i reattori veloci. Si tratta di una tecnologia
ad alto rischio (proliferazione nucleare e salute: un milionesimo di
grammo la dose letale per inalazione). Finita la motivazione della force
de frappe, la Francia ha abbandonato questa filiera.
L’ estrazione di uranio dalle acque del mare – ogni tanto evocata –
richiederebbe più energia di quanta se ne potrebbe produrre.
È infine fatto di cronaca il rischio di proliferazione degli armamenti (già
nel 1980 la conferenza internazionale Infce ribadiva il fatto che qualsiasi ciclo del combustibile nucleare ha in sé la possibilità di un uso militare)
e resta il rischio del terrorismo, che ovviamente cresce a misura del
moltiplicarsi dei possibili bersagli rappresentati dagli impianti
nucleari.
Dunque non verrà dalla fissione nucleare la risposta alla scelte urgenti
che siamo chiamati ad effettuare.
Certo, la ricerca non va abbandonata, in particolare in sede europea,
anche se assai più promettente appare il settore della Fusione
nucleare, per la quale esistono alcune reazioni pulite, anche se di utilizzazione più complessa.
In conclusione, voglio citare il punto di vista del premio Nobel Carlo
Rubbia, che, mentre ritiene che neppure le tipologie di reattori previste per la IV generazione daranno risposte adeguate ai problemi della
fissione nucleare, ci ricorda che in un quadrato di 50 km di lato arriva
annualmente tutta l’energia solare sufficiente per la produzione di
energia elettrica necessaria al nostro Paese!
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forum
opinioni dalla scienza e dalla politica
Maurizio Cumo
Giovan Battista Zorzoli
Presidente Sogin (Società gestione impianti nucleari)
Acea spa, Roma
Azienda comunale elettricità e acque
Esiste oggi un nucleare “sicuro”?
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la fusione del nocciolo.
Occorre tuttavia notare che il concetto di sicurezza, che sul piano tecnico ha un significato oggettivo, è strettamente collegato alla percezione che se ne ha, e che costituisce il presupposto essenziale per una
accettazione sociale diffusa. Credo che in questo campo ci sia ancora
molto da fare, soprattutto in Italia.
Esiste la possibilità che questa “generazione di nucleare” possa costituire una
praticabile fonte energetica?
Il nucleare è già una fonte energetica ampiamente utilizzata nei paesi
industriali. Il contributo nucleare alla produzione di energia elettrica è
del 33% nell’Unione europea, del 24% nei paesi dell’Ocse e del 16%
a livello mondiale. Ci sono oggi 437 reattori in funzione nel mondo, 30
in costruzione, 74 in progetto e 182 in opzione.
È vero che negli anni scorsi alcuni importanti paesi hanno avviato una
approfondita riflessione sull’uso del nucleare. Ma le previsioni a medio
termine pubblicate dall’Ocse (NEA) e dall’Onu (IAEA) inducono a
ritenere che il contributo nucleare resterà fondamentale per il soddisfacimento dei fabbisogni energetici.
I tempi per un’eventuale praticabilità di questa fonte sono compatibili con gli
scenari attuali riguardanti il bisogno di energia?
Le scelte politiche in campo energetico devono essere ampiamente
condivise a livello sociale. I tempi sono quindi dettati dalla necessità
di acquisire quel consenso diffuso che, per molti motivi, negli ultimi
vent’anni in Italia è mancato.
Quello che invece si può fare subito è riprendere l’impegno nelle attività di ricerca, ed è necessario farlo inserendo l’Italia nel contesto
internazionale. L’impegno nella ricerca è indispensabile nell’immediato per acquisire le conoscenze avanzate che servono per portare a
compimento, utilizzando le migliori tecnologie, il decommissioning
degli impianti nucleari, la restituzione dei siti nucleari italiani alla
piena fruibilità e la sistemazione definitiva dei materiali radioattivi.
Nel medio e lungo termine è necessario che l’Italia partecipi alle iniziative di ricerca per consentire al sistema delle competenze nucleari
(ricerca, industria, esercenti, enti di controllo) di tenere il passo con gli
sviluppi della tecnologia, soprattutto in tema di sicurezza, sostenibilità
e non proliferazione.
Da qualche tempo in Italia si parla molto di
ritorno al nucleare. Questo equivale a dire
che nel breve-medio periodo verrà avviato in
Italia l’iter autorizzativo per la realizzazione
di impianti nucleari? Non lo credo per due
fondate ragioni. In un paese dove anche l’insediamento di un ciclo combinato può trasformarsi in un happening
dagli esiti imprevedibili – mentre nel caso di terminali di rigassificazione o di termovalorizzatori è ben noto il percorso di guerra che
attende i proponenti – chi pensa che si possa realizzare oggi un
impianto nucleare è un sognatore o un demagogo; comportamenti
entrambi che, in un paese democratico, hanno tutto il diritto di esistere, ma non portano da nessuna parte.
In secondo luogo dove funziona un effettivo mercato elettrico il project
financing di un impianto nucleare è quasi impossibile e comunque
troppo oneroso per l’elevato impegno di capitale e i lunghi tempi di
realizzazione (oltre tutto resi incerti da sempre possibili opposizioni).
L’unico paese che ha superato l’impasse, la Finlandia, ci è riuscita grazie a un consorzio di imprese che si è impegnato ad acquistare per
dieci anni l’energia prodotta a condizioni predefinite. In altri termini,
bypassando la logica di mercato. Adesso sta per partire la Francia, ma
lì l’ostacolo sarà rimosso da qualche forma di intervento dello Stato.
Anche se non è pensabile la realizzazione di impianti nucleari in Italia,
il più importante gruppo elettrico italiano, cioè l’Enel, con le acquisizioni internazionali già definite produrrà circa il 6% della sua energia
con tale fonte. Questa novità porta con sé l’acquisizione di know-how,
lo sviluppo di un’adeguata cultura aziendale, l’inevitabile propensione
a considerare il nucleare una delle direttrici lungo la quale espandersi.
Il recente accordo con una società russa di progettazione di impianti
nucleari ne è l’esplicita conferma.
In parallelo, il ministro Bersani ha deciso a favore di una partecipazione dell’Italia allo sviluppo in corso su scala internazionale dei cosiddetti “reattori di quarta generazione”, incaricando Sogin di fungere da
capofila di un insieme di risorse nazionali piccole, ma non minime.
Solo per citare le più significative, Enea, Ansaldo Nucleare, Ansaldo
Camozzi, Cesi Ricerca e il Consorzio interuniversitario Cirten.
È interessante notare che, quando si discute in astratto sul nucleare, gli
animi si accendono e le polemiche facilmente raggiungono il calo
bianco, mentre le scelte operative dell’Enel e del ministro per lo Sviluppo economico al massimo hanno suscitato una salva di mugugni,
nemmeno troppo protratti nel tempo. Si ha, insomma, la sensazione
che, per fare passare certe iniziative, sia sufficiente che vengano realizzate in un “altrove” geografico o temporale.
ARCHIVIO ARPA SEZ. DI PIACENZA
La sicurezza dei reattori della terza generazione avanzata ha raggiunto livelli elevatissimi. I reattori di questo tipo sono progettati
per contenere all’interno dell’impianto gli
effetti degli incidenti anche più gravi, inclusa
E se tutto ciò fosse possibile è pensabile acquisire in Italia quella autorevolezza politico-istituzionale che consente di collocare gli impianti, di stoccare le
scorie in sicurezza, di organizzare il trasporto dei materiali radioattivi e tutto
ciò senza che abbia il sopravvento la filosofia e la pratica del niet!?
Credo che, sulla base di un approccio politico corretto, tutti i problemi
siano risolvibili, anche i più complessi. Soprattutto in considerazione
del fatto che tutte le attività in corso in Italia sono finalizzate alla rimozione dal territorio di fattori di rischio oggettivi. Se si riesce a spiegarlo
nel giusto modo alla popolazione, e se si riesce a dare le necessarie
garanzie sul piano tecnico e sociale, non c’è motivo perché si sviluppino resistenze aprioristiche.
ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007
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Pierluigi Bersani
Alfonso Pecoraro Scanio
Ministro dello Sviluppo Economico
Ministero dell'Ambiente e della Tutela
del Territorio e del Mare
Ministro Bersani, esiste oggi un nucleare
“sicuro”?
I reattori nucleari che si realizzano oggi
nel mondo sono i cosiddetti reattori di III
generazione, cioè reattori del tipo
costruito nel passato anche in Italia con
miglioramenti “evolutivi” nel progetto. Tali miglioramenti
riguardano l’introduzione di diversi sistemi di sicurezza passiva
e attiva che hanno ulteriormente ridotto la probabilità di severi
incidenti e limitato le relative conseguenze fuori dal sito.
Questo significa che, se per sicurezza intendiamo quella del
reattore in esercizio, questi reattori possono essere considerati
sicuri (anche se non in senso assoluto). Se nel concetto di sicurezza, come io ritengo, dobbiamo comprendere anche la non
proliferazione a scopi bellici e il problema delle scorie radioattive, tali livelli di sicurezza sono pressappoco gli stessi dei reattori nucleari del passato. Per avere reattori nucleari complessivamente sicuri bisogna andare alla IV generazione.
Esiste la possibilità che questa “generazione di nucleare” possa costituire una praticabile fonte di energia?
In Italia, nel breve periodo, ritengo di no. Infatti quando parlo
di nucleare parlo sempre e solo di IV generazione non solo per
problemi di sicurezza complessiva e di costi, ma anche per il
fatto che nel nostro paese bisogna ricostruire le condizioni per
avere il nucleare, in termini di competenze, collaborazioni internazionali, infrastrutture e accettabilità.
I tempi per un’eventuale praticabilità di questa fonte sono compatibili
con gli scenari attuali riguardanti il bisogno di energia?
Direi di sì in una ottica di lungo termine, in quanto la realizzazione di reattori nucleari di IV generazione è prevista per il
2030. Il presupposto è fare ciò che oggi è chiaramente indispensabile per il breve e medio termine (rigassificatori, stoccaggi gas
ecc.).
Se tutto ciò fosse possibile, è pensabile acquisire in Italia quella autorevolezza politico-istituzionale che consente di collocare gli impianti, di
stoccare le scorie in sicurezza, di organizzare il trasporto dei materiali
radioattivi e tutto ciò senza che abbia il sopravvento la filosofia e la
pratica del no sempre, ovunque e a tutto?
Autorevolezza politico-istituzionale significa adottare una corretta concertazione con le autonomie locali, basata sulla massima trasparenza e accompagnata da adeguate campagne nazionali di informazione e consapevolezza per le popolazioni, definite in sede di Conferenza unificata. Il banco di prova sarà la
realizzazione del deposito superficiale definitivo per i rifiuti di
II categoria e temporaneo per quelli di III, che dovrà contenere
i rifiuti radioattivi provenienti dallo smantellamento del
nucleare energetico pregesso e quelli medico-ospedalieri e
industriali.
ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007
Quella dell’energia pulita è una battaglia
difficile, ma importante e degna di essere
combattuta. L’energia, oltre a essere
pulita, deve anche essere sicura. Ed è per
questo che le fonti privilegiate del futuro
dovranno essere quelle rinnovabili e
prive di pericoli come, ad esempio, il solare, l’eolico, le biomasse. Tutte risorse che la natura ci mette a disposizione gratuitamente, e che non presentano rischi per la salute e per l’incolumità di tutti.
L’energia nucleare, invece – e questo ormai è chiaro a tutti –
presenta seri limiti nella realizzazione di nuovi siti e nella loro
gestione.
Si è creata una crescente consapevolezza sui rischi legati a questa fonte energetica fra molti Paesi, specie a livello europeo, e
condivisa tra forze politiche anche molto diverse fra loro.
Una cognizione del problema realmente partecipata, fondamentale per contrastare le forti pressioni delle lobby a favore del
nucleare che nascondono i veri rischi legati alla sicurezza, alla
proliferazione e allo smaltimento delle scorie radioattive.
Senza contare, poi, l’enormità dei costi economici da sostenere
per lo sfruttamento: l'energia atomica è costosissima, basti pensare che per la realizzazione di una sola centrale occorrerebbero
ben 6000 miliardi delle vecchie lire. Non è un caso, infatti, che
nessun privato scelga di costruire impianti nucleari.
Il problema dello smaltimento delle scorie, questione di non
poco rilievo, resta ancora irrisolto. A questo va aggiunto che la
disponibilità di uranio su scala mondiale non potrebbe rappresentare una risposta energetica di ampio respiro in quanto si
esaurirebbe nell’arco di qualche decennio.
Non dobbiamo dimenticare, inoltre, che la tecnologia nucleare
rappresenta una seria minaccia per la sicurezza globale, perché
di fatto la sua presenza mette a repentaglio la pace e la sicurezza dei Paesi che la ospitano, in un momento come quello in
cui viviamo, contrassegnato dalla sfida internazionale del terrorismo.
Una seria politica energetica, che guarda al futuro, non può che
investire con forza e determinazione sulle energie pulite e rinnovabili, sull’efficienza energetica, e sull’innovazione per trovare soluzioni sostenibili per il nostro Pianeta. È questa,
insomma, la strada da seguire per contrastare i cambiamenti climatici in atto e salvaguardare
anche il nostro Paese, proiettandolo in un avvenire finalmente attento alle esigenze
ambientali.
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Radioattività, nucleare
selezione di siti
SITI INTERNAZIONALI
44
http://www.insc.anl.gov/
International nuclear safety center (Insc); il centro internazionale
opera per il miglioramento della sicurezza dei reattori nucleari anche
attraverso lo scambio delle informazioni tra le nazioni.
http://www.sogin.it/
Sogin (Società gestione impianti nucleari spa), istituita nel 1999 per
volontà del Parlamento e del Governo con lo scopo di mantenere
nell'ambito pubblico il controllo delle installazioni nucleari dismesse
e avviate allo smantellamento.
http://www.iaea.org/
International atomic energy agency (Iaea); agenzia internazionale
per la cooperazione in campo nucleare.
http://www.arpa.emr.it/piacenza/ecc_isotopica.htm
Arpa Emilia-Romagna; nelle pagine della Sezione di Piacenza l’area
dedicata all’eccellenza “Isotopia e radioattività ambientale”.
http://www.icrp.org/
Icrp, Commissione internazionale per la protezione radiologica. Prepara raccomandazioni e linee guida su tutti gli aspetti della protezione da radiazioni ionizzzanti.
http://www.enel.it/attivita/ambiente/nucleare/
Sito di Enel spa, pagine dedicate all’energia dal nucleare, dati europei e internazionali.
http://www.unscear.org/unscear/index.html
United nation scientific committee on the effects of atomic radiation
(Unscear); comitato insediato dall’Assemblea generale Onu nel
1955. Ha il compito di valutare i livelli e gli effetti dell’esposizione alle
radiazioni ionizzanti.
http://www.gnep.energy.gov/
Global nuclear energy partnership (Gnep); progetto promosso dall’amministrazione Usa per sviluppare il consenso sull’uso allargato
dell’energia nucleare, in particolare nei paesi in via di sviluppo.
www.epa.gov/radon/
Agenzia per protezione dell’ambiente Usa, pagine dedicate all’inquinamento indoor da radon.
SITI EUROPEI
http://www.euratom.org/
La Comunità europea dell'energia atomica (Ceea) o Euratom è
un'organizzazione istituita nel 1957 per coordinare i programmi di
ricerca degli stati membri relativi all'energia nucleare e per assicurarne un uso pacifico.
SITI NAZIONALI
http://www.apat.gov.it/
Sito dell’Agenzia nazionale per la protezione dell’ambiente e per i
servizi tecnici (Apat). Nella sezione Temi/Radioattività e radiazioni un
escursus normativo, l’attività di controllo e approfondimenti.
http://www.casaccia.enea.it/
Sito del Centro ricerche Casaccia - Enea. Nato come centro multidisciplinare a supporto del programma italiano di ricerca nel settore
dell'utilizzazione pacifica dell'energia nucleare, ha mantenuto nel
corso degli anni la caratteristica di centro di ricerca, sviluppo, applicazione e trasferimento di tecnologie innovative.
http://www.ispesl.it/radon/opuscolo/opuscolo.asp
Istituto superiore prevenzione e sicurezza sul lavoro, opuscolo divulgativo “Il radon nei nostri spazi di vita”.
http://www.epicentro.iss.it/problemi/radon/radon.asp
Epicentro, Centro nazionale di epidemiologia, sorveglianza e promozione della salute (Istituto superiore di sanità). Nella sezione
Salute e ambiente pagine sul radon.
http://www.infn.it/indexit.php
Sito dell’Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn), che promuove,
coordina ed effettua la ricerca scientifica nel campo della fisica subnucleare, nucleare e astroparticellare, nonché lo sviluppo tecnologico necessario alle attività in tali settori. Opera in stretta connessione con l’Università e nell’ambito della collaborazione e del confronto internazionale.
A cura di Caterina Nucciotti
http://www.intermed.it/mariner/
Progetto Mariner, studio che utilizza tecniche di citogenetica e di
microarray per identificare un panel di biomarcatori in grado di valutare i rischi di esposizione a radiazioni ionizzanti.
http://www.anpeq.it/
Associazione nazionale professionale Esperti qualificati nella sorveglianza fisica di radioprotezione.
http://www.greenpeace.org/italy/
Associazione internazionale onlus Greenpeace, nel sito italiano una
sezione dedicata a Energia e clima contiene notizie e rapporti sul
nucleare.
http://web.tiscali.it/zona.nucleare/
“Zona nucleare” è il sito unico nazionale che fornisce un’informazione estesa e completa sul tema: raccolta delle scorie nucleari
("sistemazione, smaltimento e stoccaggio, in condizioni di massima
sicurezza, dei rifiuti radioattivi") in Italia e argomenti correlati, mantenendo a ogni modo un comportamento apolitico e apartitico.
http://www.solidarietalegambiente.org/
Associazione onlus Legambiente, nel sito pagine dedicate al tema
del nucleare e ai progetti di solidarietà a favore della popolazione
più colpita dalle conseguenze dell’incidente di Chernobyl.
ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007
Nobel per la pace all’Ipcc e Al Gore
La motivazione: “... per i loro sforzi volti alla costruzione e alla divulgazione di una vasta consapevolezza dell'effetto dell'uomo sui cambiamenti climatici, e per aver posto le fondamenta per le misure necessarie per contrastare tale cambiamento.”
Il Premio Nobel 2007 per la Pace è stato assegnato al Comitato intergovernativo per i mutamenti climatici dell'Onu (Ipcc) e all'ex vice
presidente statunitense Al Gore. La motivazione: “... per i loro sforzi
volti alla costruzione e alla divulgazione di una vasta consapevolezza dell'effetto dell'uomo sui cambiamenti climatici, e per aver posto le fondamenta
per le misure necessarie per contrastare tale cambiamento”.
Si tratta di un importante riconoscimento al lavoro di quasi 20 anni
dell’Ipcc e al lavoro della gran parte della comunità scientifica climatica mondiale, che ha partecipato attivamente alla stesura dei
Rapporti di valutazione Ipcc. “È un onore e un grande riconoscimento
per tutti gli scienziati e gli autori che hanno contribuito al lavoro dell’Ipcc”
– ha dichiarato Rajendra Pachauri, presidente dell’Ipcc. “È il riconoscimento più significativo che l’Ipcc ha ricevuto per fornire ai policymaker
informazioni equilibrate sulle cause e sugli effetti del cambiamento del clima
e sulle risposte possibili” – ha detto Renate Christ, segretaria del Comitato.
L'Ipcc, il Comitato intergovernativo Onu sul cambiamento climatico
(Intergovernmental panel on climate change, http://www.ipcc.ch/), è stato
costituito dall’Organizzazione mondiale di meteorologia (WMO) e
dal Programma ambientale dell’Onu (Unep) per fornire ai decisori
politici e a tutta la comunità scientifica mondiale una valutazione
obiettiva della letteratura scientifica disponibile sui vari aspetti dei
cambiamenti climatici, impatti, adattamento e mitigazione. Gli
esperti scientifici (tra cui ci sono alcuni scienziati italiani) – che lavorano in maniera volontaria e non retribuita dall’Ipcc – sono scelti da
una struttura (Ipcc Bureau) composta da scienziati qualificati a livello
internazionale (l’unico membro italiano è Filippo Giorgi). Questi
esperti rappresentano il più alto livello di expertise nei vari aspetti
dei cambiamenti climatici. I Rapporti prodotti periodicamente dall’Ipcc riflettono l’analisi e la valutazione del consenso scientifico sui
risultati riguardo i cambiamenti climatici, estratti dalla letteratura
scientifica mondiale, insieme a indicazioni del grado di confidenza
scientifica sulle conclusioni.
L’ultimo Rapporto di valutazione (AR4-IPCC 2007) ha implicato sei
anni di lavoro coinvolgendo:
• 800 autori che hanno contributo ai contenuti dei vari capitoli
• 450 autori responsabili di capitoli che hanno coordinato il lavoro di
finalizzazione dei capitoli
• 2500 revisori che hanno commentato e revisionato il lavoro
Maggiori informazioni sulle attività dell’Ipcc e del Focal point italiano si possono trovare al sito http://www.cmcc.it dove sono disponibili anche le traduzioni dei Summary for Policy Makers (SPM) dei 3
volumi dell’ultimo Rapporto di valutazione.
Le più recenti conclusioni del Comitato sono pubblicate anche in
ArpaRivista 1/2007 “Se il clima cambia: evidenze, scenari futuri e strategie” e sul supplemento di ArpaRivista 3/2007 distribuito in occasione
della Conferenza nazionale sul cambiamento del clima (Roma, 12-13 settembre 2007, http://www.conferenzacambiamenticlimatici2007.it). I
fascicoli di ArpaRivista sono integralmente pubblicati in Arpaweb
(www.arpa.emr.it).
Al Gore – vice presidente di Bill
Clinton dal 1993 al 2000 e sconfitto per una manciata di voti
alle successive elezioni presidenziali Usa – sostiene da
tempo l'urgenza di affrontare
concretamente la questione del
cambiamento climatico globale.
Nel 2006 ha girato il mondo per
presentare il film-documentario
Una scomoda verità, premiato
con l’Oscar nel 2007, nel quale
illustra i rischi e le possibili conseguenze – fisiche, economiche
e sociali – del riscaldamento del
pianeta. Gore osserva, in conclusione, come gli effetti catastrofici possano essere scongiurati se si
svilupperà una cooperazione globale, e se i singoli adotteranno comportamenti virtuosi per ridurre le emissioni di CO2 nell’atmosfera.
Gore fornisce agli spettatori un vademecum composto di 10 “piccole
azioni” utili; l’ultima azione della lista è “passa parola”, a rimarcare
l’importanza di un processo di partecipazione dal basso capace di
esercitare pressione sui decisori politici. A rimarcare anche come l’opinione pubblica può agire per far emergere la “verità nascosta”, a
dispetto della manipolazione dell’informazione – nel film Gore
affronta questo tema con informazioni documentate – indotta dalla
lobby del petrolio. Tra le frasi con cui è stato pubblicizzato il documentario “The scariest film this summer is one where you are the villain
and the hero” (Il film più spaventoso dell’estate è uno in cui tu sei sia
il cattivo che l’eroe). Una parte degli incassi sarà devoluta al gruppo
indipendente Alliance for climate protection.
I premiati riceveranno una medaglia d’oro, un diploma e 1.53 milioni
di dollari, che si divideranno. La cerimonia ufficiale di consegna del
premio si svolge a Oslo il 10 dicembre, anniversario della morte del
creatore del Premio, Alfred Nobel. Per iniziativa di Alfonso Pecoraro Scanio, ministro dell’Ambiente, della tutela del territorio e del
mare, oltre 25 scienziati italiani che hanno partecipato alla redazione
dei rapporti Ipcc, sono stati ricevuti da Romano Prodi, a Palazzo
Chigi, il 25 ottobre. DR
45
Il Manifesto per il clima
dalla conferenza nazionale sui cambiamenti climatici
(Roma, 12-13 settembre 2007)
Un New Deal per l’adattamento sostenibile e la sicurezza ambientale
46
I cambiamenti climatici costituiscono un problema nazionale.
Le strategie per contrastarli vanno considerate prioritarie per
l’iniziativa del Governo e per l’integrazione delle azioni di
riduzione delle emissioni di gas serra e delle azioni di adattamento sostenibile nelle politiche sociali, economiche, finanziarie, agricole e territoriali. Queste azioni possono e devono
rappresentare anche un importante volano per l’occupazione.
La sicurezza, il benessere e la qualità della vita dei cittadini
italiani di oggi e domani dipendono dalla salute del pianeta e
del suo clima. Il ministero dell’Ambiente e per la tutela del
territorio e del mare entro il 2008 definirà una strategia nazionale per l’adattamento sostenibile ai cambiamenti climatici e
per la sicurezza del territorio.
1. In base ai risultati della Conferenza nazionale, coerentemente con le strategie delineate in sede Nazioni Unite (in particolare la Convenzione Onu sui cambiamenti climatici–
Unfccc) e con quelle delineate in sede di Unione europea, è
necessario sviluppare politiche concrete di mitigazione dei
cambiamenti climatici rispettando gli impegni assunti e lavorando nelle opportune sedi internazionali per più significative
riduzioni dell’emissione di gas climalteranti, avviando contestualmente iniziative concrete a favore del risparmio, dell’efficienza energetica e dell’utilizzo di fonti rinnovabili sostenibili.
Si deve, innanzitutto, attuare il protocollo di Kyoto entro il
2012 e, nell’ambito della prossima rinegoziazione degli obiettivi di riduzione delle emissioni climalteranti, procedere alle
ulteriori riduzioni delle emissioni di gas serra indicate dall’Unione europea, pari ad almeno il 20% entro il 2020 (che auspichiamo diventi del 30% come previsto dalla Ue, nel quadro di
un accordo globale) e al 60% entro il 2050, coerentemente
con le indicazioni dell’Intergovernamental Panel on Climate
Change (Ipcc).
2. È necessario coordinare le misure di mitigazione con
quelle di adattamento al cambiamento climatico, integrando
da subito queste ultime nelle politiche settoriali di sviluppo
economico, nella legislazione e nei programmi di finanziamento delle grandi opere, prevedendo azioni immediate di
adattamento che possono già oggi essere avviate in Italia, a
partire dalle politiche riguardanti:
- la protezione degli ecosistemi e della biodiversità (terrestre
e marina)
- la gestione del suolo e delle coste
- la gestione delle risorse idriche
- la tutela sanitaria della popolazione
- l’agricoltura e lo sviluppo rurale
- l’industria e l’energia
- il turismo
In questo contesto assumono priorità la concreta attuazione
di alcuni strumenti normativi, tra i quali:
a) la Direttiva Quadro Acque 2000/60 (risorse idriche)
b) la Direttiva Habitat 92/43/CEE e Direttiva Uccelli 79/409/CEE
(biodiversità)
c) la Convenzione internazionale per la protezione delle Alpi
d) il sistema contabilità nazionale ambientale (legge delega)
e il completamento del percorso di riforme delle norme sulla
valutazione ambientale, soprattutto per quanto riguarda l’
integrazione della Valutazione ambientale strategica nei
nuovi piani.
3. È necessaria la definizione immediata di un Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, che veda impegnato l’intero Governo, le istituzioni locali e territoriali e le
parti sociali, connesso e integrato con l’avvio o la concreta
implementazione dei due piani previsti dalle due grandi Convenzioni internazionali:
• il Piano nazionale per la biodiversità, con particolare riferimento al ripristino ecologico e alla deframmentazione
• il Piano nazionale di lotta alla siccità e alla desertificazione
Inoltre, in un’ottica di piena sostenibilità ambientale, il Piano
dovrà comprendere le migliori strategie di intervento per:
- la difesa del suolo
- la gestione integrata delle coste
- l’adattamento del turismo in Italia
- la gestione delle risorse idriche
- un programma nazionale di partecipazione, informazione, sensibilizzazione dei cittadini sui cambiamenti climatici.
La complessità del tema dei cambiamenti del clima e delle
sue interconnessioni con gli aspetti di sviluppo socio-economico nazionale e con gli aspetti internazionali (legati alle politiche europee e all’attuazione delle direttive comunitarie, così
come alle politiche extraeuropee e alle relazioni internazionali), richiede che il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici sia coerente con le strategie di mitigazione
e le iniziative di ricerca sui cambiamenti climatici e la formazione.
L’ esigenza di sviluppare strategie e piani di adattamento ai
diversi livelli territoriali richiede la disponibilità, per le amministrazioni di tali ambiti, di dati, informazioni e documentazione, nonchè la predisposizione di rapporti periodici sullo
stato di attuazione delle iniziative. Per conseguire queste finalità è opportuno attribuire, sul modello tedesco, all’Agenzia
per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici (Apat) le
funzioni di centro di competenza sugli impatti e sull’adattamento ai cambiamenti climatici.
4. Devono inoltre essere promosse iniziative per assistere i
paesi in via di sviluppo nella programmazione e nella attuazione di piani di adattamento sostenibile ai cambiamenti climatici anche al fine di prevenire squilibri sociali. Per favorire
la sostenibilità nelle politiche di adattamento è opportuno
proporre l’istituzione di un Fondo europeo di adattamento
che possa supportare le iniziative di assistenza ai paesi in via
di sviluppo, con particolare attenzione a quelli del bacino
mediterraneo.
5. Si auspica che gli impegni del governo italiano per integrare le logiche di adattamento ai cambiamenti climatici
all’interno delle politiche generali e settoriali possano essere
conseguiti entro un arco temporale di tre anni. Per monitorare i progressi, così come per adeguare le politiche al ritmo
incalzante del mutamento climatico, si auspica la convocazione della Conferenza Nazionale sull’adattamento ai cambiamenti climatici con una cadenza che segua almeno quella
dei rapporti dell’Ipcc e che preveda sessioni di aggiornamento.
ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007
Conferenza nazionale sul clima,
la lotta ai cambiamenti climatici è una priorità
La conferenza nazionale sul clima del settembre scorso ha attirato l’attenzione dei media e, in ultima analisi, ha
proposto l’adattamento ai cambiamenti climatici tra le priorità dell’agenda politica italiana. Dalla “due giorni”
romana è emersa la strategia di adattamento, ma più sfumato è apparso l’impegno per la mitigazione, che è legata
alle politiche energetiche, alla mobilità, alle attività produttive e agricole. L’esempio dell’Unione europea è una
chiara indicazione del percorso che Stato e Regioni possono cogliere per azioni decisive.
Mitigazione e adattamento sono
le due parole chiave del nostro
lavoro. Se devo trarre una conclusione dalla due giorni romana è
uscita molto forte l’analisi e la
strategia di adattamento ai cambiamenti, ma più sfumato l’impegno per la mitigazione, che è
nelle mani delle politiche energetiche, della mobilità, delle attività produttive e agricole.
Qui si avverte una necessità di
rafforzare la sinergia e l’integrazione delle politiche sia su scala
territoriale – penso al bacino del
Po – che tra i diversi settori della
pubblica amministrazione e soggetti interessati al tema. Il
governo di centrosinistra ha già
invertito l’impostazione rispetto
agli anni precedenti e corretto un
sostanziale disimpegno su Kyoto,
ma siamo anche consapevoli che
la risposta è ancora insufficiente
rispetto alla gravità del problema.
Occorre “far squadra”. A questo
riguardo, al di là del coinvolgimento delle Agenzie regionali
per la prevenzione e l’ambiente e
di alcune Regioni, come la
nostra, chiamate a dare il proprio
contributo sui temi della governance del Po, la partecipazione
del sistema regionale alle strate-
Sostenibilità e cambiamenti climatici in Emilia-Romagna
l’impegno della Regione
Diverse novità e forti investimenti caratterizzano le politiche per la sostenibilità che la Regione si sta accingendo a varare. Sul fronte della mobilità
sostenibile, più risorse in arrivo anche dal Fondo nazionale per rafforzare e
rinnovare il Trasporto pubblico locale, le infrastrutture urbane e i servizi ferroviari, mentre sono a bando i 5 milioni di euro per la conversione a
metano/gpl dei veicoli inquinanti. Ormai vicina l’approvazione definitiva del
nuovo Piano Energetico Regionale, che potrà contare su 30 milioni di euro
all’anno per tre anni, oltre che sui fondi dei programmi europei per 80
milioni di euro in cinque anni. Tra gli assi prioritari, le fonti rinnovabili nelle
aree industriali, l’energia verde attraverso le biomasse, ancora la mobilità
sostenibile per merci e centri storici. Al piano si affianca l’atto di indirizzo sul
rendimento energetico e la certificazione energetica degli edifici e degli
impianti, già adottato dalla Giunta, che individua gli standard di prestazione
energetica degli edifici, detta le norme per realizzarne la certificazione e
rende obbligatorio l’uso delle fonti rinnovabili per la climatizzazione e l’acqua calda; prevista una percentuale obbligatoria di ricorso alle fonti rinnovabili per l’energia elettrica e termica, anche connettendosi a parchi fotovoltaici del territorio.
WWW.CONFERENZACAMBIAMENTICLIMATICI2007.IT
Il tempo stringe. I vertici internazionali, incalzati dalla comunità scientifica, hanno sancito la
gravità dei cambiamenti climatici
e assunto obiettivi di riduzione
dei gas serra che per la prima
volta coinvolgono senza eccezioni gli Stati sviluppati del
mondo.
L’Unione europea ha risposto
prima e meglio di altri agli
allarmi e imposto agli Stati membri di colmare i ritardi. In un
momento in cui non solo gli
addetti ai lavori, ma la stessa opinione pubblica avverte l’arretratezza e le difficoltà accumulate
dal sistema Italia, l’iniziativa del
ministero all’Ambiente e di Apat
ha rappresentato un passaggio
importante.
La conferenza nazionale sul
clima del 12 e 13 settembre ha
avuto il merito di raccogliere
diversi contributi scientifici e
attirare l’attenzione dei mass
media e, in ultima analisi, di proporre i cambiamenti climatici tra
le priorità dell’agenda politica
italiana.
Positiva in tal senso l’approvazione di un manifesto e di un decalogo di azioni concrete da intraprendere.
gie nazionali di sostenibilità e
contrasto ai cambiamenti climatici è stata scarsa.
Le Regioni giocano però, ai sensi
del titolo V della Costituzione,
un ruolo essenziale in diverse
materie, quali le politiche territoriali, l’energia, la mobilità e svolgono una funzione altrettanto
importante nell’indirizzo e coordinamento delle azioni locali.
Dobbiamo, in tal senso, guardare
all’Europa. Un esempio recente
è la comunicazione della Commissione al Parlamento sul problema della carenza idrica e della
siccità: “…L’adattamento ai cambiamenti climatici rappresenta una
sfida per le autorità incaricate della
pianificazione
territoriale
in
Europa, soprattutto in ambito
regionale”.
Ci viene chiesto un impegno su
dimensioni sovraregionali e di
bacino, una politica che implica
condivisione tra territori, forti
investimenti e sostegni governativi adeguati. È quanto stiamo
cercando di fare nel bacino del
Po, dove un protocollo per la
qualità dell’aria sta impegnando
la nostra, come tutte le Regioni
padane, in politiche coordinate
di monitoraggio, limitazione e
conversione energetica. Nella
consapevolezza di una situazione
meteoclimatica molto difficile,
ove la mancanza di piogge rischia
di vanificare molti sforzi. Alla
fine di settembre l’Emilia-Romagna ha promosso un convegno sul
climate change presso il nostro ufficio di rappresentanza a Bruxelles, coinvolgendo il ministero
all’Ambiente. L’iniziativa ha
destato l’attenzione di molti stakeholder europei e di altre
Regioni italiane che vi hanno
partecipato, portando proposte
ed esperienze. Questo per dire
che ognuno può e deve fare la
sua parte. Alla base occorre però
un patto tra Stato e Regioni che
riconosca i rispettivi ruoli e valorizzi al massimo l’impegno
comune.
Lino Zanichelli
Assessore all’Ambiente
e sviluppo sostenibile
Regione Emilia-Romagna
47
ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007
Parità di genere e politiche per il clima
Quali sono i motivi che hanno impedito o limitato la partecipazione delle donne in posizioni strategiche per le scelte
energetiche che incidono sul cambiamento climatico? Il progetto europeo Life “Climate for Change, Gender Equality
and Climate Policy” ha portato un consistente numero di città europee a indagare su questo tema. Il Comune di
Ferrara ha partecipato al progetto. Nell’articolo una sintesi dei risultati.
48
Come migliorare la partecipazione
delle donne ai processi decisionali
nelle aree politico amministrative
che hanno rilevanza per il cambiamento climatico era l’obiettivo del
Progetto europeo Life Climate for
Change. Gender Equality and Climate Policy promosso e coordinato
da Alleanza per il clima, l’associazione di Comuni ed enti territoriali europei, che s’impegnano per
specifici obiettivi nella difesa del
clima.
Sotto la guida di Klima Bündnis
(Germania) un consistente
numero di città europee ha indagato i motivi che sino a ora hanno
impedito o limitato la partecipazione delle donne in posizioni
strategiche per le scelte energetiche che incidono sul cambiamento climatico. Le città che
hanno sviluppato il progetto, dal
dicembre del 2003 al febbraio
2005, sono state: Lathi in Finlandia anche per conto dell’Unione
delle Città Baltiche, Sundsvall in
Svezia, Berlino, Dresda, Francoforte e Monaco in Germania e le
città italiane di Ferrara, Genova,
Napoli e Venezia.
L’approccio al progetto è stato
quello di analizzare la posizione
attuale di donne e uomini nelle
aree e nei settori di rilevanza
energetica all’interno delle
amministrazioni nei vari Paesi
europei. Sono state, poi, discusse
le possibili strategie per raggiungere una partecipazione bilanciata ed equa di genere nell’ambito della salvaguardia del clima.
I dati raccolti dalle città partner
hanno confermato che la quota di
donne tra i dipendenti è molto
alta in tutte le amministrazioni
comunali e, spesso, addirittura
più alta di quella degli uomini.
Tuttavia, è anche evidente che la
presenza femminile si riduce in
modo consistente nei posti dirigenziali o di leadership politica
(nelle Giunte e nei Consigli
comunali).
Questo trend è ancora più marcato negli ambiti tecnici della
protezione del clima, nonostante
in tutta Europa vi siano più
donne laureate che uomini.
Le donne, però, sono visibilmente sotto rappresentate nelle
materie scientifiche e, laddove
impiegate, percepiscono un reddito inferiore.
Nonostante tutto questo emerge
che, in futuro, nei paesi occidentali si porrà non solo un problema
demografico – che costringerà gli
enti e le imprese ad affrontare la
questione di rappresentanza
femminile – ma si dovranno fare
i conti con una crescente rivendicazione da parte delle donne di
ricoprire posti di leadership tecnica e politica.
Ma quali sono le barriere che le
donne dovranno superare per
assecondare la volontà di ricoprire posizioni decisionali di
rilievo anche nel campo della
tutela del clima? Manca innanzi
tutto un’azione più incisiva da
parte dei Governi centrali e locali
che indirizzi e solleciti le donne a
impegnarsi in corsi di studio
scientifici. L’offerta di donne
qualificate in campo scientifico è
ancora bassa.
Sembrerebbe poi mancare un
ideale o, meglio, esempi di
grandi donne e visibilmente di
successo in questo campo.
L’interesse delle donne per i
campi tecnici e della difesa del
clima è ancora limitato, poiché
dimostrano di preferire attività
direzionali più fondate sulla
comunicazione che sull’assunzione diretta di posizioni apicali.
Nei casi in cui, tuttavia, manifestino la propria disponibilità ad
assumere incarichi in posti di
responsabilità, vengono posposte
agli uomini.
Inoltre, l’organizzazione del
lavoro è ancora fondata su gerarchie di stampo tradizionale, che
http://www.climateforchange.net/
Poca determinazione femminile
Problemi/impegni familiari
che impediscono/rallentano la progressione di
carriera
Storicità dei settori
(tipicamente affidati
agli uomini)
OSTACOLI
Scarso interesse alla drammaticità
dei cambiamenti climatici previsti
Donne impiegate nel comune
ma non in cariche decisionali
(non sono motivate e ormai abituate
a vedere l’uomo in certi settori)
Gli ostacoli che determinano una scarsa presenza delle donne nei ruoli decisionali
(Fonte: Climate for Change, Rapporto finale Comune di Ferrara, 2004)
fanno leva più sulla fiducia-affinità che sul merito.
Ciò non vale laddove all’assunzione per chiamata si preferisca
la selezione tramite concorso.
Spesso le donne hanno migliori
risultati nelle prove di concorso.
Quali sono, dunque, le possibili
strategie per colmare l’insufficiente presenza e sensibilità femminile in ambiti fondamentali
per la protezione del clima?
A volte sono sufficienti semplici
accorgimenti non onerosi per le
amministrazione come:
• assumere l’obiettivo d’incrementare la presenza femminile
nei ruoli tecnici come prioritario
da parte della leadership politica
e del top management dell’ente
• attivare indagini e audit sulla
condizione femminile per definire la posizione del personale
dirigenziale femminile
• promuovere la formazione e
training per personale dirigenziale, coinvolgendo maggiormente le donne
• regolamentare anche il parttime per consentire al management femminile – in particolari
periodi della propria vita, quali la
maternità – di conciliare lavoro e
impegni familiari
• motivare le giovani donne con
lauree scientifiche ad assumere
responsabilità in campo tecnico
• introdurre elementi di comunicazione esterna sulla politica di
genere sviluppata all’interno dell’ente: monitoraggio delle posizioni dirigenziali femminili e
report periodici, dimostrazione
pubblica per l’impegno delle pari
opportunità, competizioni e
premi, certificazioni di pari
opportunità nell’ambito di ecoaudit.
Paola Poggipollini
Comune di Ferrara
A Venezia il futuro della scienza
e la scienza per il futuro
La “Third World Conference on the Future of Science” – che si è svolta a Venezia dal 19 al 22 settembre presso la
fondazione Cini, sulla splendida isola di San Giorgio, di fronte a San Marco – ha riunito studiosi e scienziati
provenienti da tutto il mondo. Le energie rinnovabili e il futuro della sostenibilità ambientale sono stati vagliati
con dati tecnici e pareri informati, in una carrellata di tecnologie e strategie politiche sul lungo termine.
La “Third World Conference on the
Future of Science” tenutasi a Venezia dal 19 al 22 settembre presso
la fondazione Cini, sulla splendida isola di San Giorgio, di
fronte a San Marco, ha riunito
studiosi e scienziati provenienti
da tutto il mondo. Le energie rinnovabili, il futuro della sostenibilità ambientale, sono stati vagliati
con dati tecnici e pareri informati, in una carrellata di tecnologie e strategie politiche sul lungo
termine. Ma le università e i
laboratori non hanno ignorato il
breve e medio termine, e il
legame con società e politica con
cui la scienza deve confrontarsi.
Gli scienziati presenti hanno
infatti curato e dato ampio spazio
alla presentazione delle tecniche
già attualmente disponibili, e a
quelle oggetto di ricerca e sviluppo, nella prospettiva degli
scenari futuri.
C’è accordo accademico sulla
necessità di spostare il centro
della produzione di carburanti
dalle riserve fossili alle energie
rinnovabili. Sul piano dello sfruttamento di biomasse come alternativa ai derivati del petrolio c’è
già una spinta economica notevole, e sono già disponibili tecnologie di conversione dell’energia
solare vantaggiose sul piano tecnico e su quello economico. Di
recente le ricerche sulle tecnologie solari hanno accresciuto del
40% l’efficienza degli impianti
fotovoltaici, come ci informa il
Nobel per la fisica Zhores Alferov. E per Louis Schlapbach dell’Empa esistono già soluzioni
competitive per realizzare nuclei
abitativi che sfruttino riscaldamento, aria condizionata ed elettricità fornite da energie rinnovabili. Questo è il presente della
tecnica, che però richiede sforzi
economici, a livello governativo,
per un progresso sul medio e sul
lungo termine. I campi coltivati
per ricavare biomasse adatte alla
conversione in energia, e l’energia più disponibile di tutte, il
sole, sottoforma di energia eolica
e fotovoltaica, avranno bisogno di
una partecipazione sociale che ne
accolga le modificazioni necessarie al territorio. Stephen Connors
del Mit indica che entro breve
tempo lo sforzo per migliorare la
produttività delle energie rinnovabili sarà impiegato nella conoscenza e trasformazione del territorio: ossia dove sfruttare meglio
il sole, l’acqua e scegliere in
modo più informato la migliore
localizzazione di nuovi impianti
per convertire in energia le fonti
naturali. In Europa, come in
America, non è in discussione la
necessità di un simile impegno, il
riscontro sul piano ecologico è
ovvio. Resta da ricercare e pubblicizzare la sostenibilità e la convenienza economica.
climalteranti e della criticità della
situazione attuale e futura. È giusto parlare di cambiamenti climatici (climate change) e non di
riscaldamento globale (global
warming). La soluzione del
sequestro della CO2 è una
opzione da investigare con attenzione, e necessita di finanziamenti ingenti per indagare accuratamente in termini di effetti
collaterali e potenziali impatti
sulle varie matrici ambientali.
È esigenza unanimemente percepita differenziare le fonti. Ciò
significa non dipendere energeticamente da una sola sorgente.
Ma prendere dove è disponibile,
e preferibilmente da risorse
endogene, locali; sia per questioni di equilibrio geopolitico,
sia per perseguire un corretto
principio di responsabilità, facendosi carico delle emissioni dei
propri consumi energetici.
A livello globale, si punta verso
un rapido sviluppo della ricerca
finalizzata a un corretto e sicuro
utilizzo dell’energia nucleare, e
sulla estensione della stessa
ricerca alla IV generazione di
impianti, meno rischiosi, più efficienti ed economici.
C'è progresso tecnico e interesse
per la ricerca, ma il cambiamento
di registro costringerà a cambiamenti sociali, oltreché tecnici.
Bisogna gestire la transizione,
informando la comunità del cambiamento e istruendo gli scienziati alle nuove esigenze della
tecnica. Soprattutto, c’è una
ricerca e una promozione dei
risultati a breve termine (tra cui il
miglioramento delle vecchie
fonti di energia) e per quelli a
lungo termine.
Alcuni scienziati americani (Mit)
hanno messo in discussione le
tesi del panel Ipcc, confutando la
tesi della preponderanza dell’origine antropica delle emissioni
Siamo in un periodo di transizione
verso le energie rinnovabili, contro la schiavitù e le controindicazioni inquinanti dell'energia tradizionale (combustibili fossili, per lo
più, e le loro fragilità ecologiche e
tecniche).
L’alternativa è rappresentata
dalla conversione di biomasse in
carburante, e lo sfruttamento di
fonti rinnovabili come il sole, il
vento, l’acqua.
Sul piano economico cambieranno assetti di globalizzazione e
standardizzazione radicati. Dalla
progettazione globale bisognerà
programmare sul regionale, scendendo nel locale.
Sul sociale, bisognerà convertire
l'opinione pubblica a un discorso
che prima che ambientalistico sia
di convenienza anche economica. Prima che la carenza di
49
http://www.thefutureofscience.org/
materie prime fossili e gli effetti
dell'inquinamento da petrolio,
gas e derivati costringano a una
rieducazione brusca.
Manca
ancora
una
reale
coscienza sociale della necessità
di sostituire, o limitare fortemente, i combustivi fossili con
fonti rinnovabili. Ci sono alternative rinnovabili sostenibili, nei
servizi e nella convenienza economica, poco considerate per la
diffidenza verso sistemi ancora
poco pubblicizzati. Ci sono sempre effetti ambientali (campi
elettromagnetici, cambiamento
di uso del suolo, impatti dalle fasi
di cantiere, nuove strade, traffico
di mezzi pesanti, rumore ecc.)
della produzione di energia. Non
si può parlare di fonti a zero
emissioni. L’unica con queste
caratteristiche è il risparmio
energetico, realizzato attraverso
la gestione della domanda di
energia.
I progressi tecnologici stanno
comunque tracciando la direzione di tecnologie sempre più
performanti, in un’ottica di
miglioramento continuo.
E’ una questione di scienza come
di politica, informazione e giurisprudenza. Per tradurre la parola
della scienza alla comunità delle
ideologie, della religione, dell’industria.
Francesca Lussu
Arpa Emilia-Romagna
Fabrizio Roych
Giornalista
ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007
Third World Conference on the Future of Science,
al centro le energie rinnovabili
50
AHMED GHONIEM
MICHAEL BEVAN
MIT (Massachusetts Institute of Technology, a
private, coeducational research university located
in Cambridge, Massachusetts), US
John Innes Centre, UK
Le strategie per il futuro dell’energia sono da
ricondursi al miglioramento dell’efficienza
dei processi di conversione dell’energia stessa nelle sue varie
forme, delle tecniche di cattura e sequestro della CO2, dello
sviluppo delle nuove generazioni di impianti nucleari e degli
impianti a fonti rinnovabili.
Particolare enfasi è stata data alla spinta verso lo sfruttamento
dell’energia solare, che ha il vantaggio di poter sfruttare le
opportunità di immagazzinamento dell’energia, a larga scala.
La politica energetica globale dovrà intraprendere strategie di
contenimento dei consumi e un’equa distribuzione delle
risorse.
ZHORES ALFEROV
Nobel per la fisica
La conversione dell’energia solare fotovoltaica promette le soluzioni più sostenibili alle
problematiche energetiche a livello globale. I
sistemi fotovoltaici stanno progredendo e
rappresentano, già oggi, un’alternativa economicamente
sostenibile agli impianti a fonti convenzionali. Le nuove tecnologie solari “multigiunzione” (che possono catturare gran
parte dello spettro solare) hanno portato a un incremento del
40% l'efficienza di questi impianti.
ÀNOS
Per la fornitura di energia da fonti biologiche
è importante il percoso di efficientamento
degli impianti. Per la soddisfazione della
domanda si dovrà sempre più guardare al
sole, la maggiore risorsa globale di energia. Attraverso lo sviluppo delle nuove tecnologie e strategie.
Piante batteri e alghe catturano CO2 e radiazione solare per
produrre zuccheri. Nelle ere geologiche l'atmosfera è diventata ricca di ossigeno, e gli organismi che praticano la fotosintesi sono diventati carbone e petrolio. Il mondo che viviamo è
stato fatto dalle piante. Ora l'equilibro dei gas atmosferici
creato e mantenuto dalla fotosintesi, è stato squassato dallo
sfruttamento intensivo di gas fossili e dal ritmo di crescita dell'industrializzazione.
Sul piano ecologico: cambierà il clima, cambiando le disponibilità di cibo. Sul piano sociale: ci si sposta dove c'è ricchezza
e industria, creando pressioni etniche.
Bisogna riassestare gli equilibri naturali. Una soluzione può
essere trovata nella coltivazione di piante per la produzione di
biocombustibile. Migliorare i raccolti e renderli privi di
impatti ambientali (per esempio puntando sulle colture meno
idroesigenti). Rendere economicamente vantaggiosi questi
processi. Introdurre una nuova generazione di biocarburanti
per auto e aerei. Promuovere la ricerca su piante e biocarburanti presso politici e opinione pubblica.
Entro il 2020 il 20% del carburante per trasporto sarà da fonti
rinnovabili, prodotto con coltivazioni modificate e tecnologiche, a basso impatto ambientale. Per alleviare la dipendenza
e lo sfruttamento dei gas fossili.
MIKLÒS BEÉR
MIT, US
Carbone e gas naturale la faranno ancora da
padrone nella produzione di energia elettrica.
Il primo, per il basso costo e la vasta reperibilità della materia prima, il secondo perché
meno inquinante (bassi livelli di ceneri, zolfo e mercurio,
bassa anidride carbonica e rapporto carbonio/idrogeno). La
tendenza è quella di andare verso combustibili fossili a minor
contenuto di carbonio.
Il metano (CH4) è tra i combustibili fossili, quello che ne contiene meno a livello molecolare. Per minimizzare il livello di
concentrazioni di CO2 si studiano diversi metodi di sequestro
del carbonio, il cosiddetto “CCS” (carbon capture and sequestration); intanto i nuovi impianti incrementano i propri livelli
di efficienza per limitare la produzione di emissioni di gas climalteranti e dei residui di produzione.
Sappiamo che per la seconda legge della termodinamica, passando da una forma all’altra si disperde calore, sottraendo
energia all’elettrico. Si stanno studiando processi sempre più
efficienti che porteranno incrementi dell’efficienza sino al
raggiungimento del 50%.
JEFFREY BYRON
Direttore Empa (materials science and technology research institution) Zurich
La risposta alla crescente domanda di energia
in California è stata affrontata con una maggiore efficienza d'uso.
Cresce economicamente, ma rimane stabile il consumo elettrico (a fronte di un aumento del 50% in 30 anni nel resto d'America).
Non si è ancora al meglio. L'eccellenza nell'energia elettrica
si sta raggiungendo anche nei trasporti grazie agli standard di
efficienza nei carburanti, varati dal governo.
Si punta alla riduzione per legge dei gas serra, all’efficienza
nei vari settori dell'energia, aumentando l'uso di fonti a basso
contenuto di carbonio. Lo scopo è l’abbandonare progressivamente la dipendenza da combustibili fossili, attraverso il
miglioramento dell’efficienza, i progressi tecnologici nella
costruzione degli impianti e nei motori dei veicoli, e uno
sfruttamento accresciuto di fonti a basso contenuto di carbonio. Anche allo scopo di ridurre le scorie.
ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007
STEPHEN CONNORS
JEFFERSON W.TESTER
Direttore Agrea
(Analysis group for regional Energy Alternatives)
MIT, US
I governi puntano su biocombustibili e fonti
rinnovabili, per un futuro di fonti energetiche
diversificate. Ma nel presente le fonti primarie
sono ancora dipendenti dai combustibili fossili.
L'impegno per sfruttare le rinnovabili, come sole, vento e
acqua, ripagherà gli sforzi finanziari per svilupparle, e anche per
la riduzione dei gas serra e delle emissioni inquinanti. Per rendere possibile il passaggio alle fonti rinnovabili, occorre la conoscenza delle diverse dinamiche di immagazinamento e sfruttamento delle risorse, per giungere preparati al momento in cui
saranno soppiantate le più dispendiose e inquinanti fonti fossili.
Chi si impegnerà per le energie rinnovabili, dovrà pensare a
una decentralizzazione dell'investimento produttivo, dovrà studiare le risorse disponibili su scala locale e regionale (vento,
sole, corsi d'acqua), e impiegare quelle più efficaci. Indispensabile il coinvolgimento delle locali agenzie governative meteorologiche e ambientali. Occorre sviluppare una nuova concezione di sfruttamento su larga scala, spezzettato nel locale.
Occorrono competenze sui luoghi, le caratteristiche, e i cicli
delle fonti rinnovabili. Occorre preparare, in questa fase di passaggio dalle risorse fossili a quelle rinnovabili, tutte le competenze necessarie (per tecnologia e preparazione del territorio) a
rendere efficace questo traghettamento.
MAURIZIO CUMO
Presidente Sogin, la società incaricata del decommissioning delle 4 centrali chiuse dopo il referendum dell’87
Nel medio-breve termine saranno disponibili
i reattori nucleari di terza generazione, dal
2030 si passerà alla IV generazione di reattori nucleari.
- I reattori americani "confermati" per altri 20 anni
- Europa: ogni anno i detriti crescono di 40.000 metri cubi
all'anno. 17.500 tonnellate, con un incremento annuo di quasi
il 10% (1730 t).
LOUIS SCHLAPBACH
Chief executive officer at Empa
(Materials science and technology research institution)
L'uso di energia oggi è ripartita equamente tra
trasporti, consumi domestici, e industria.
Gli stati Uniti raggiungono un consumo di
10kW pro capite, Europa e Asia vanno dai 4 ai 6.
Al di là della tecnica, esistono già automobili che usano meno di
5l per 100km con emissioni inferiori a 12kg di CO2 per 100km,
abitazioni che usano solo fonti rinnovabili. Ma il costo dell'energia nei paesi industrializzati è basso, e l'alternativa ecologica
è una questione sociale, prima che tecnica. Specie negli Usa, si
assiste a uno smodato utilizzo dell'energia. Il basso costo fa sì
che le alternative già efficienti di energia rinnovabile vengano
ignorate, non siano un caso sociale stringente. C'è uno sviluppo
nel breve medio termine promettente, ma intanto serve un
coinvolgimento sociale, mentre la tecnica progredisce. Le automobili a basso consumo e le abitazioni a energia rinnovabile non
sono viste come standard ma come un'opzione, poco popolare.
Siamo nella transizione verso energie rinnovabili.
Si cercano quelle più diffuse e meglio distribuite. Fra queste, una sottovalutata è quella
geotermica, nella fattispecie idrotermica e quella da sistemi
geotermici avanzati (EGS).
In America, l'EGS si pensa potrebbe fornire nel 2050 fino a
100.000 megawatt. Adesso, anche in Europa, lo sfruttamento
più tipico è quello dell’energia geotermica.
DIANNA BOWLES
University of York
Se fino a ora abbiamo utilizzato energia solare
vecchia, immagazzinata attraverso la fotosintesi dalle piante e fossilizzata nelle varie
forme (carbone, petrolio, gas ecc.), è ora di utilizzare l’energia solare attuale. Nelle sue forme dirette (solare
e fotovoltaico), e indirette: il vento non è altro che energia
solare che riscalda le masse d’aria in maniera differente.
Le masse più fredde si spingono verso quelle più calde a pressione inferiori creando il vento, che viene sfruttato dalle pale
per la generazione di energia meccanica ed elettrica. C’è uno
stato attuale della scienza, e una spinta per il progresso tecnico
sul lungo termine. Dovremmo imparare dalle piante i migliori
processi di sfruttamento dell’energia solare.
CARLO RUBBIA
Nobel per la fisica
Occorre puntare sullo sviluppo del solare e in
particolare sulle tecnologie, già disponibili,
costituite dal solare a concentrazione che
risolve il problema dello stoccaggio e immagazzinamento dell’energia attraverso l’utilizzo di un fluido di
processo. Ciò permette, già oggi di mettere a disposizione tale
fonte naturale in maniera continuativa e indipendente dai
cicli notte giorno.
Le sperimentazioni effettuate in America e in Europa (soprattutto in Spagna), ci offrono la possibilità di passare dalla fase
sperimentale, a un pieno sfruttamento di queste fonti che,
localizzate in aree desertiche relativamente ridotte, potrebbero contribuire a soddisfare le esigenze energetiche anche
dei paesi più poveri, contribuendo a una loro rapida emancipazione. La ricerca sul nuovo nucleare rappresenta una
opzione più critica, sia per ciò che concerne le problematiche
di localizzazione delle scorie, sia per gli elevati costi, sia per la
pericolosa vicinanza tra utilizzi a scopo energetico e bellico.
LINK UTILI
http://www.thefutureofscience.org/20th_presentfuture.htm
http://www.thefutureofscience.org/21st_environmenthealth.htm
http://www.thefutureofscience.org/22nd_ethicspolitics.htm
http://www.thefutureofscience.org/
http://www1.eere.energy.gov/solar/solar_cell_structures.html#multijunction
51
Il tempo e il clima
ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007
Maggio
52
Fig. 1 Mappa media dell’altezza del geopotenziale a 500 hPa. Isolinee ogni 20 dam.
La mappa è stata calcolata a partire dalle analisi oggettive delle ore 00GMT
realizzate dal Centro meteorologico europeo di reading (ECMWF)
Fig. 2 Mappa media della pressione al livello medio del mare. Isolinee ogni 1 hPa. La
mappa è stata calcolata a partire dalle analisi oggettive delle ore 00GMT realizzate dal Centro meteorologico europeo di reading (ECMWF)
26 un nuovo sistema atlantico
irrompe nel Mediterraneo, portando temporali intensi con grandine e vento (tromba d’aria in
Friuli). Nei giorni conclusivi del
mese si ha una serie di’impulsi
freddi che tengono basse le temperature e provocano temporali e
grandine. Il bilancio mensile vede
finalmente piogge superiori alla
media su quasi tutte le regioni, a
eccezione della val Padana orientale e della Sicilia. Le temperature saranno quasi ovunque superiori alla norma tra 1 e 3 gradi.
Fig. 3 Mappa della pioggia accumulata
SITUAZIONE
METEOROLOGICA
A GRANDE SCALA
La mappa del geopotenziale
medio mensile a 500 hPa mostra
l’afflusso di correnti occidentali a
curvatura ciclonica sull’Italia,
mentre il campo medio mensile di
pressione al suolo mostra che l’anticiclone si è ritirato sull’oceano.
Con una perfetta tempistica, alla
mezzanotte del primo maggio un
fronte temporalesco attraversa la
Sardegna e va a interessare le
regioni tirreniche, marcando il
cambio di rotta rispetto al secchissimo mese precedente al centronord. Il 2 arriva un nuovo fronte
che porta temporali significativi
anche sul Nord-Ovest e Toscana.
A seguire un nuovo sistema temporalesco interessa le stesse
regioni tra il giorno quattro e cinque, mentre i temporali saranno
meno estesi al centro e zone
interne del sud. Dove però l’instabilità durerà fino al 7. Durante la
seconda settimana l’alta pressione
porta tempo stabile e temperature
in aumento: grazie anche a venti
di caduta dai rilievi si registrano
fino a 30° in pianura Padana e tra
32 e 34 gradi sulle coste adriatiche. Durante la terza settimana
tornano le correnti atlantiche con
temporali sparsi al Nord e temperature nella norma. Il 16 un primo
impulso freddo interessa con temporali il Sud e il 18 un secondo
impulso tra l’adriatico centrale e
la Sicilia provoca un’ulteriore
discesa delle temperature oltre a
temporali sparsi. Nel frattempo al
Nord rimonta l’anticiclone e tra
Lombardia e Veneto le Tmax raggiungono i 34°. L’instabilità
pomeridiana si fa sempre più sentire prima sui rilievi, poi anche
sulla valle del Po, fino a quando il
IL TEMPO IN EMILIA-ROMAGNA
Il mese ha visto il ritorno delle
piogge abbondanti sull’Emilia
occidentale e parte del Ferrarese:
infatti, con fasi alterne tra periodi
umidi e periodi caldi e secchi, la
parte occidentale della regione ha
visto precipitazioni superiori alla
norma. Da Modena verso la
Comune
PC
PR
RE
MO
BO
FE
RA
FC
RN
Pioggia Pioggia Anom. Tmax
osserv. clima pioggia mese
102
121
65
29
35
53
72
38
29
68
66
66
67
63
53
41
54
48
34
55
-1
-38
-28
0
31
-16
-19
24.7
25.8
26.6
27
26.4
25.8
23.7
25
24.3
Romagna, e soprattutto in quest’ultima, però, le piogge sono
state ancora scarse, anche se alla
fine del mese alcuni temporali
molto intensi hanno interessato il
ravennate. In particolare il 26 un
temporale ha scaricato chicchi di
grandine grossi come noci sul
comprensorio frutticolo faentino,
seguito il giorno dopo da un’altra
grandinata
significativa
tra
Faenza, Russi e zone a sud di
Ravenna. Anche le precipitazioni
cadute a inizio mese sull’Emilia
sono state in prevalenza temporalesche, ma senza fenomeni violenti. Le giornate in cui il territorio regionale è stato interessato da
temporali sono state 12. Le temperature sono state pure per questo mese superiori alla norma: di
circa tre gradi sui valori delle massime e di circa due sulle minime.
La nebbia in pianura è stata
segnalata solo la mattina del 10.
Tmax
clima
21.9
23.1
23
22.6
22.9
22.7
21.4
22.1
21.5
Anom.
Tmax
2.8
2.7
3.6
4.4
3.5
3.1
2.3
2.9
2.8
Tmin
mese
11.8
13.1
11.2
11.4
14.8
15.1
14.7
11.9
12.9
Tmin
clima
9.7
11.4
9
9.5
12.1
13
13
11
11.2
Anom.
Tmin
2.1
1.7
2.2
1.9
2.7
2.1
1.7
0.9
1.7
Valori mensili della temperatura massima, minima e del totale mensile di
precipitazione con relativi dati climatici di riferimento (anni 1960-1990) e
anomalie rispetto agli stessi, rilevati in alcune località della regione Emilia-Romagna
ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007
A cura di: Area previsionale e Sala operativa, Arpa-Servizio IdroMeteo
Giugno
53
Fig. 1 Mappa media dell’altezza del geopotenziale a 500 hPa. Isolinee ogni 20 dam.
La mappa è stata calcolata a partire dalle analisi oggettive delle ore 00GMT
realizzate dal Centro meteorologico europeo di reading (ECMWF)
Fig. 2 Mappa media della pressione al livello medio del mare. Isolinee ogni 1 hPa.
La mappa è stata calcolata a partire dalle analisi oggettive delle ore 00GMT
realizzate dal Centro meteorologico europeo di reading (ECMWF)
superiori alla media sul Nord
Ovest, l’Emilia, il Sud e le isole,
inferiori al Centro. Le temperature sono state superiori alla
media di un paio di gradi, a eccezione del Nord Ovest e del Lazio
con valori intorno alla media.
Fig. 3 Mappa della pioggia accumulata
SITUAZIONE
METEOROLOGICA
A GRANDE SCALA
Le mappe del geopotenziale
medio mensile a 500 hPa e della
pressione media al suolo, non
catturano le profonde differenze
registrate tra la prima e la
seconda metà del mese: freddo e
umido all’inizio, bollente alla
fine. I primi sette giorni vedono il
ripresentarsi di vortici ciclonici
dal Nord al Sud e viceversa; i
fenomeni più significati colpiscono il 1° giugno il Tigullio,
dove cadono 150 mm, e il 7 la
pianura lungo il Po quando una
linea temporalesca stazionaria
inonda la zona di Cento (FE) con
106 mm. Tempo autunnale interessa le regioni del Sud, dove correnti umide meridionali portano
nubi basse con piogge moderate
e prolungate. Fino al 16 l’instabilità provoca temporali sparsi al
Nord, Centro, Puglia e Basilicata:
temporale molto forte su Bologna
il 12 e il 15 su Mestre. Un cambio
della circolazione dal 18 spinge
una lingua d’aria rovente dal
Sahara verso le regioni meridionali. A causa probabilmente delle
acque fredde del mare, un’intensa inversione termica mantiene fresche le quote basse, con
nebbie diffuse sulle coste delle
isole maggiori, e roventi le montagne. Un nuovo impulso caldo
tra il 24 e il 26 rompe l’inversione
e le pianure si arroventano fino ai
45 gradi, della Sicilia e della
Puglia. Se in Sicilia queste giornate sono analoghe a quelle del
giugno 82, in Puglia, si raggiungono i nuovi massimi assoluti con
punte (da verificare) fino a 47
gradi. Il 27 il caldo cede per l’ingresso di correnti di maestrale
che portano locali temporali sulle
Alpi e l’Emilia. Alla fine del mese
le precipitazioni risulteranno
IL TEMPO IN EMILIA-ROMAGNA
Precipitazione abbondante caduta
su vaste aree del territorio regionale, nello specifico su Emilia e
buona parte del ferrarese. In
Romagna piogge nella media o
sotto, particolarmente, lungo la
fascia più prossima alla costa.
Numerosi i giorni di pioggia nella
prima metà del mese e alcuni
eventi ne meritano menzione.
Nella mattina del 7 una linea di
convergenza, che dal Reno si protendeva fino al parmense, ha dato
origine a copiose piogge temporalesche, con l’allagamento di
Cento dove, presso l’Isit Bassi
Buratti sono stati misurati 106
Comune
PC
PR
RE
MO
BO
FE
RA
FC
RN
Pioggia Pioggia Anom. Tmax
osserv. clima pioggia mese
114
126
126
131
132
67
63
46
22
63
59
57
57
59
56
46
58
53
51
67
69
74
73
11
17
-12
-31
27.1
28.2
28.7
29.1
28.4
28.5
27.6
27.3
27.2
mm di pioggia. Nella zona si
erano già abbattuti forti temporali
un paio di giorni prima. Nel
pomeriggio del 12 si sviluppa una
linea di temporali stazionari nella
zona tra Zola Predosa e Budrio,
con epicentro nella zona ovest di
Bologna. Nelle fasi salienti del
fenomeno si registrano intensità
superiori a 150 mm/h, per un
totale di 59 mm. La terza decade
è dominata dall’anticiclone subtropicale con assenza di precipitazioni e temperature alte che, però,
non hanno mai raggiunto valori
eclatanti. La Romagna, sotto l’influenza del Garbino (vento di
caduta dall’Appennino) ha avuto
medie mensili che più si sono discostate dai valori normali (circa
1.5°). Per le precipitazioni, tutte
le principali città emiliane hanno
avuto quantitativi doppi rispetto
ai valori normali, mentre Rimini
ha avuto solo il 40% di quanto
atteso per il mese.
Tmax
clima
26.2
28.2
27.8
28.2
27.1
27.6
26.2
26.7
25.4
Anom.
Tmax
0.9
0
0.9
0.9
1.3
0.9
1.4
0.6
1.8
Tmin
mese
15.7
16.4
14.4
14.8
17.1
18.1
16
14.8
16.7
Tmin
clima
14.3
16.5
13.9
14.3
16.2
18
14.4
13.4
15.4
Anom.
Tmin
1.4
-0.1
0.5
0.5
0.9
0.1
1.6
1.4
1.3
Valori mensili della temperatura massima, minima e del totale mensile di
precipitazione con relativi dati climatici di riferimento (anni 1960-1990) e
anomalie rispetto agli stessi, rilevati in alcune località della regione Emilia-Romagna
Legislazione
DECRETO CORRETTIVO DEL
DLGS 152/2006 IN PARLAMENTO
54
www.reteambiente.it
La Conferenza unificata StatoRegioni, Città e Autonomie
locali, riunitasi lo scorso 20 settembre, ha espresso parere favorevole condizionato sullo schema
di decreto legislativo recante
ulteriori disposizioni correttive e
integrative del Dlgs 3 aprile
2006, n. 152, relative alle norme
sulle acque, rifiuti e VIA, approvato dal Consiglio dei ministri
nella riunione del 13 settembre.
Ora il decreto, trasmesso in
Senato, è all’esame delle competenti commissioni. Per poter
essere approvato in via definitiva, il correttivo unificato necessita di tre approvazioni da parte
del Consiglio dei ministri, intervallate da altrettanti passaggi
nelle rispettive Commissioni parlamentari. Termine della delega
a rischio?
QUALITÀ DELL’ARIA: RECEPITA
2004/107/CE
Dlgs 152 del 03/08/2007
GU n. 213 del 13/09/2007
Supplemento Ordinario n. 194
Obiettivo di questo decreto, che
attua la direttiva 2004/107/CE, è
quello di migliorare, in relazione
all’arsenico, al nichel e agli idrocarburi policiclici aromatici lo
stato di qualità dell’aria ambiente
e di mantenerlo tale laddove
buono. È inoltre assicurata la raccolta e la diffusione di informazioni esaurienti in merito alla
concentrazione
di
queste
sostanze inquinanti che possono
avere effetti dannosi sulla salute
umana o sull’ambiente.
LA DIRETTIVA
ISTITUITO
IL
COMITATO
ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007
news
DI
VIGILANZA E DI CONTROLLO
SULLA GESTIONE DEI RIFIUTI
Decreto ministero dell’Ambiente e
tutela del territorio e del mare del 25
settembre 2007
È stato istituito l’organo pubblico
incaricato di monitorare sul funzionamento del sistema di
gestione dei RAEE, di cui all’art.
15, comma 3, del decreto legislativo 151/2005, che attua le direttive europee relative alla riduzione dell’uso di sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche, nonché
allo smaltimento dei rifiuti. Il
Comitato, presieduto da un componente designato dal ministero
dell’Ambiente, svolge i propri
compiti avvalendosi dell’Apat e
dell’eventuale collaborazione,
per l’attività ispettiva, della
Guardia di Finanza.
QUALITÀ
DELL’ARIA E TRA-
SPORTO PUBBLICO: RIPARTITI I
FINANZIARIA
2007
Decreto del ministero dell’Ambiente e
tutela del territorio e del mare
GAB/DEC/131 del 3 agosto 2007
www.minambiente.it
Il decreto, approvato dal Ministro dell’ambiente di concerto
con il ministro dei Trasporti e
registrato alla Corte dei Conti il
21 settembre, definisce il programma di finanziamenti finalizzati al miglioramento della qualità dell’aria nelle aree urbane e
al potenziamento del trasporto
pubblico, ripartendo il Fondo per
la mobilità sostenibile previsto
dall’art. 1, comma 1121, della
legge 27 dicembre 2006 n. 296
(legge Finanziaria per il 2007).
Per tali finalità il programma promuove interventi e progetti finalizzati all’attuazione delle politiche di gestione della mobilità
sostenibile. I campi di azione
finanziati per le aree metropolitane sono, tra gli altri, trasporto
pubblico, mezzi a basso impatto
ambientale, distribuzione urbana
delle merci, mobility manager,
servizi complementari, mobilità
ciclistica, parcheggi di interscambio, biocombustibili.
FONDI DELLA
OPPOSIZIONI ALLE SANZIONI
AMBIENTALI, SI PRONUNCIA
LA CASSAZIONE
Corte di Cassazione, Sez. I Civile,
sentenza 30 agosto 2007 n. 18320
(www.lexitalia.it)
Interessante questa recente Sentenza della Cassazione che ribadisce l’inammissibilità dell’opposizione diretta verso i verbali di
accertamento di sanzioni amministrative in campo ambientale
(nella fattispecie si trattava di
inadempienze relative alla tenuta
dei MUD e dei registri di carico e
scarico dei rifiuti).
La Cassazione, inserendosi nel
solco di una consolidata giurisprudenza, evidenzia come il
verbale di accertamento redatto
dall’Organo di vigilanza è autonomamente impugnabile ai sensi
dell’art. 22 della legge 689/81
solamente quando riguarda infrazioni al codice della strada, mentre in tutte le altre materie può
essere impugnata solo l’ordinanza ingiunzione emanata dall’Autorità competente.
Pertanto, di norma, il verbale non
incide sulla situazione giuridica
soggettiva del contravventore,
essendo esclusivamente destinato a contestargli il fatto e a
segnalarli la facoltà di pagamento
in misura diretta.
ACQUE
METEORICHE DI DILA-
VAMENTO
E
SCARICO
DI
RIFIUTI LIQUIDI: PRONUNCIA
DELLA CASSAZIONE
Sentenza n. 33839 del 4 settembre
2007, Cassazione Penale, Sez. III
Con questa pronuncia la Cassazione penale affronta il caso in
cui le acque meteoriche di dilavamento non vengano canalizzate o immesse direttamente in
una condotta: in tale situazione
le acque non hanno natura di scarico, ma possono essere sottoposte alle norme sui rifiuti allorché,
con il dilavamento delle superfici
su cui cadono, producano rifiuti
liquidi. Nel caso in esame, le
acque piovane miste a residui di
olio provenienti dai motori degli
automezzi parcheggiati su un
piazzale, unitamente a quelle
scaturite da un autolavaggio, confluivano nel terreno circostante,
inquinandolo,
senza
alcun
sistema di convogliamento nella
rete fognaria. Trattandosi quindi
di reflui industriali la Suprema
Corte configura il reato di abbandono di rifiuto liquido. Tale
orientamento trova conferma in
una recente sentenza della Corte
di Giustizia della Comunità europea (causa C-252-05 del 10 maggio
2007), che considera rifiuti le
acque reflue fuoriuscite, anche
accidentalmente, dalla rete
fognaria.
DGR N. 1446, 1° OTTOBRE
2007
“Atto di indirizzo contenente linee
applicative per il rilascio del parere
integrato Arpa-Ausl nella dichiarazione di inizio attività (DIA) e nel
permesso di costruire”.
(www.regione.emilia-romagna.it)
Questa recente delibera della
Regione Emilia-Romagna ha
provveduto a disciplinare la fattispecie del parere integrato di
competenza Arpa-Ausl nell’ambito delle procedure per il rilascio di titoli abilitativi in materia
edilizia secondo quanto previsto
dall’art. 19, lett. h bis Lr 19 del
1982. Il provvedimento in esame
trae origine dall’esigenza di
razionalizzare le procedure degli
Sportelli unici. Ciò è stato realizzato, tra l’altro, attraverso una
sperimentazione volta a individuare i casi in cui il rilascio del
titolo abilitativo edilizio (DIA o
permesso di costruire) non
necessiti dell’acquisizione del
parere integrato Ausl-Arpa. Tale
sperimentazione ha condotto
all’adozione di una tabella nella
quale è individuata in modo univoco la corrispondenza fra l’intervento edilizio e la tipologia di
attività da sottoporre o meno a
parere integrato. Per l’individuazione delle attività si è fatto riferimento in particolare al criterio
della modifica sostanziale che
viene specificamente definita
nell’ambito della Direttiva.
Inoltre, vengono definite le
modalità di espressione del
parere integrato. Esso consiste in
un unico documento (in formato
cartaceo fino all’adozione di
quello in modalità telematica) a
firma congiunta Ausl e Arpa territorialmente competenti, nel
quale è espresso il parere unico,
che è frutto di un esame contestuale, integrato da tutte le valutazioni riguardanti sia gli aspetti
ambientali che quelli sanitari.
Dall’applicazione della tabella è
stato calcolato che discenderà
una riduzione pari a circa il 30%
delle pratiche soggette a parere.
A cura di
Giovanni Fantini
Laura Campanini
Veronica Celenza
Area Affari istituzionali e legali
Arpa Emilia-Romagna
Libri
IL RADON AMBIENTALE IN
EMILIA-ROMAGNA
Prevenzione nei luoghi
di vita e di lavoro
Collana Contributi, n. 51
Regione Emilia-Romagna
Il volume descrive l’attività del
gruppo di lavoro istituito dall’assessorato Sanità-Servizio sanità pubblica della Regione Emilia-Romagna allo scopo d’individuare un
approccio metodologico per ottemperare al compito affidato alle
Regioni dalla normativa vigente in
tema di tutela dal rischio derivante
dalla radioattività naturale nei luoghi di lavoro (v. articolo a pag. XX). Tra l’altro, è stato introdotto l’obbligo per le Regioni di individuare le aree del territorio a elevata probabilità di alte concentrazioni di attività di radon, dove tutti i luoghi di
lavoro diventano assoggettati a misure di concentrazione di attività di
radon media annua per la verifica del rispetto del livello di azione. Il
radon, un gas radioattivo riscontrabile sulla crosta terrestre, è chimicamente inerte, inodore, incolore e insapore; tuttavia, gli studi scientifici
condotti nel corso degli anni hanno stabilito che l’esposizione a radon
può indurre tumore polmonare e, sin dal 1988, l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc) dell’Organizzazione mondiale della
sanità (Oms) ha classificato il radon tra i cancerogeni accertati del
gruppo I, per i quali vi è la massima evidenza di cancerogenicità. Per
questo motivo in molti paesi, soprattutto in Europa e nel nord-America, sono state attivate politiche sanitarie finalizzate alla riduzione di
questo rischio.
Considerato che in Italia i casi di tumore polmonare correlati a questa
esposizione sono stimati in un numero compreso tra 1500 e 6000
all’anno, il ministero della Salute, tramite il Centro nazionale per la
prevenzione e il controllo delle malattie (Ccm), ha attivato una collaborazione con l’Istituto superiore di sanità (Iss), per dare avvio al Piano
nazionale radon. Inoltre, la Commissione europea ha avviato indagini
per acquisire informazioni sui progetti, realizzati o in corso, di mappatura del rischio radon, nonché sulle modalità di individuazione delle
aree, nei paesi Ue. In questo contesto si colloca la scelta della Regione
Emilia-Romagna di attivare uno specifico gruppo di lavoro, finalizzato
a una lettura integrata delle informazioni già disponibili in regione
rispetto al rischio radon e alla eventuale progettazione delle azioni da
mettere in atto per arrivare all’identificazione delle aree a maggiore
presenza di radon. Nel lavoro del gruppo si sono confrontate le opinioni e le esperienze provenienti dalle diverse professionalità presenti,
essendo composto da fisici, chimici, ingegneri e geologi impegnati in
attività di studio, ricerca e monitoraggio in enti come Regione, Arpa e
Università.
Non esiste una metodologia “approvata” a livello scientifico per
quanto riguarda l’individuazione delle aree a maggior rischio radon, ma
esistono essenzialmente due approcci: uno esclusivamente basato su
misure di radon indoor, l’altro si riferisce a dati geologici.
Entrambi i metodi presentano vantaggi e limiti. Le mappe che si
basano solo su dati geologici non sono indicatori affidabili della concentrazione indoor di radon, che può dipendere da altri fattori, quali le
modalità costruttive; l’approccio basato solo su misure indoor può
risultare invece non “ottimizzato” rispetto alle informazioni necessarie, perché richiede generalmente un numero elevato di misure negli
edifici, molte delle quali possono a posteriori risultare eseguite in zone
a bassissimo rischio radon.
Per questi motivi il gruppo di lavoro ha deciso di procedere in primis
a una lettura integrata di tutte le informazioni disponibili con l’obiet-
tivo di valutare lo stato delle conoscenze per arrivare all’identificazione di parti del territorio regionale da considerare a maggior rischio e
su cui eventualmente attivare delle indagini specifiche di approfondimento. Dopo l’introduzione un capitolo è dedicato alla valutazione del
materiale bibliografico disponibile; seguono capitoli che riportano dati
di misura delle concentrazioni di radon in diverse matrici (indoor edifici, acque, rocce, gas) derivati da campagne di misura svolte nel corso
degli anni sul territorio regionale e la descrizione della geologia del territorio regionale, con una proposta di classificazione dell’Appennino
emiliano-romagnolo sulla base delle caratteristiche litologiche che possono influenzare il contenuto di precursori del radon nei suoli. Infine
è illustrata l’analisi geostatistica effettuata che rappresenta il momento
di integrazione dei vari dati. Le conclusioni costituiscono la sintesi del
lavoro compiuto e delineano le prospettive di approfondimento.
Il testo è corredato da 4 mappe cartografiche riferite ad alcune delle
analisi descritte e da un CD che contiene, oltre alla copia del documento, il database dei dati ambientali associati alle varie matrici.
Laura Gaidolfi, Arpa Emilia-Romagna
A cura di Anna Callegari
INQUINAMENTO ACUSTICO
L’impegno del sistema agenziale
Arpa Emilia-Romagna, 2007
106 pagine, distribuzione gratuita
L’inquinamento acustico costituisce una delle problematiche
ambientali in grado di influenzare
la qualità della vita della popolazione residente in Paesi a elevato
sviluppo tecnologico. La Direttiva
europea 2002/49/CE delinea il quadro d’azione per la determinazione
e gestione del rumore ambientale,
definito come i suoni indesiderati o
nocivi in ambiente esterno prodotti
dalle attività umane, compreso il
rumore emesso da mezzi di trasporto, dovuto al traffico veicolare,
al traffico ferroviario, al traffico
aereo e proveniente da siti di attività industriali. L’elevata sfida
posta dalla Direttiva alle istituzioni
nazionali e sub nazionali nel conseguimento degli obiettivi di prevenzione e riduzione dell’inquinamento acustico è stata raccolta anche dal
Centro tematico nazionale Agenti fisici (CTN_AGF).
I Centri tematici (CTN) sono nati nel 1998 su progetto Apat, a supporto operativo dell’attività dell’agenzia, ciascuno su una specifica problematica ambientale. Gestiti dalle agenzie regionali, affiancate da istituzioni scientifiche, hanno operato come strumento per uniformare
metodi di lavoro, procedure, linguaggi e come mezzo di scambio delle
informazioni all’interno del sistema.
I risultati tecnico-scientifici conseguiti dal CTN_AGF nel corso dei
due trienni di attività in tema di inquinamento acustico, sono stati presentati al seminario promosso da Apat e da Arpa Emilia-Romagna,
tenutosi a Bologna nel gennaio 2005.
Il volume raccoglie una sintesi dei lavori svolti, al fine di utilizzare i
risultati raggiunti in una logica di sviluppo evolutivo delle conoscenze
in materia.
Il libro può essere richiesto ad Arpa Emilia-Romagna, Linea editoriale,
tel. 051/6223.887, mail: [email protected]
55
ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2007
Memo/Eventi
56
6-8 novembre
Bologna
COMPA 2007, Salone europeo della
comunicazione pubblica, dei servizi
al cittadino e alle imprese. Un
evento speciale sarà dedicato al
progetto “Ambienta, la comunicazione ambientale”, a cura di Enviromed, con il patrocinio del ministero dell'Ambiente, della tutela
del territorio e del mare. Nel programma due iniziative incentrate
sul tema “Clima ed energia”.
Per informazioni:
http://www.compa.it/
atmosferico e acustico. Impatto sulla
salute e qualità della vita proposte
da Università di Bologna, di
Siena e di Torino, in collaborazione con Arpa Emilia-Romagna.
Lo stato delle conoscenze, le evidenze epidemiologiche, gli
effetti sanitari, le azioni di prevenzione e miglioramento, la
comunicazione sono i temi trattati.
Per informazioni: Segreteria organizzativa (Planning congressi),
tel. 051/300100, [email protected], www.planning.it
9-11 novembre
Milano
Due ruote per il futuro, prima Conferenza nazionale della bicicletta per
una politica di promozione della
ciclabilità, per leggi che favoriscano la mobilità quotidiana su
due ruote, per un’educazione
all’ambiente, allo sport e al turismo sostenibile. Per iniziativa
del ministero dell´Ambiente e
della tutela del territorio e del
mare e della Provincia di Milano.
Per informazioni:
[email protected]
http://www.bici2007.it/
21-23 novembre
Roma
Conferenza internazionale sul
progetto HYDROCARE, nella
gestione del quale svolgono un
ruolo primario Apat (Agenzia per
la protezione dell’ambiente e per
i servizi tecnici) e Cinfai (Consorzio interuniversitario nazionale per la fisica delle atmosfere
e delle idrosfere). Il progetto ha
affrontato lo studio del ciclo idrologico dell’area dell’Europa che
va dall’Adriatico ai Balcani, e si è
concentrato sull’analisi delle problematiche relative all’acqua,
vista come risorsa e come sorgente di rischio geo-ambientale.
Per informazioni:
http://www.apat.gov.it
11-15 novembre
Roma
20th World Energy Congress. L’evento offre l’opportunità di assistere a dibattiti, tavole rotonde,
esposizioni sul futuro energetico
dell'Europa e internazionale, con
ospiti del mondo politico e dell'industria.
Per informazioni:
www.rome2007.it
12-17 novembre
Valencia
Gli esperti dell’Intergovernmental
Panel on climate change si incontrano in Spagna per presentare la
sintesi finale del IV Rapporto
Ipcc, che sarà il documento di
riferimento per la Conferenza
mondiale sul clima prevista dal 3
al 14 dicembre a Bali. Nella settimana conclusiva della Conferenza di Bali si svolgerà il vertice
dei rappresentanti politici dei
governi che dovranno assumere
decisioni congiunte per un nuovo
Protocollo sul clima.
15-17novembre
Bologna
Giornate di studio Inquinamento
22-25 novembre
Milano
Fiera della soft economy, la Campionaria delle qualità italiane.
Nata dall’accordo tra Symbola
(fondazione per le qualità italiane) e Fiera di Milano, la Campionaria è una fiera-evento in
cui si racconteranno le diverse
esperienze della qualità italiana
Per informazioni:
[email protected]
http://www.lacampionaria.expocts.it
30 novembre
Bari
Convegno Cambiamenti climatici e
rischi geologici in Puglia. L'incontro è organizzato dall'Ordine dei
geologi della Puglia e dalla
Società italiana di geologia
ambientale e affronterà le tematiche dell’incremento degli
eventi meteorici estremi e i fenomeni di dissesto idrogeologico e
inondazioni, dovuti ai cambiamenti climatici, in tutto il territorio della regione Puglia.
7-10 novembre 2007
Rimini
ECOMONDO, il valore del recupero, undicesima fiera internazionale del
recupero di materia ed energia e dello sviluppo sostenibile. In mostra
un’ampia gamma di opportunità tecnologiche, sistemi e attrezzature,
servizi per risolvere i complessi e specifici problemi ambientali. Proposta dell’anno: il progetto espositivo Key energy, che intende porre il
tema della sostenibilità energetica al centro del dibattito sullo sviluppo
industriale del nostro sistema economico e sociale, in linea con il protocollo di Kyoto. Ecomondo Education – nuova iniziativa promossa dall’Agenzia nazionale per l’autonomia scolastica e dalla Regione EmiliaRomagna – sarà un’occasione di incontro con il mondo della scuola per
parlare di stili di vita ecologici, di buone pratiche di gestione sostenibile e di crescita di responsabilità e partecipazione di cittadini e organizzazioni. Venerdì 9 novembre sarà presentato il nuovo volume dell'Issi (Istituto sviluppo sostenibile italia), Lo sviluppo sostenibile in Italia
e la crisi climatica. Sarà presente all'incontro il sen. Edo Ronchi, curatore del libro. Tra le iniziative speciali del 2007 Caffè-Scienza, spazi
ricreativi per potersi intrattenere in dibattiti su argomenti di interesse
culturale e trasversale alla grande questione ambientale.
Per informazioni: http://www.ecomondo.com/
Per informazioni:
[email protected]
http://www.sigeaweb.it/pagine/c
o_conv.htm
novembre 2007 - febbraio 2008
Torino
I racconti della scienza, corso articolato nei seguenti incontri: 1617 novembre, 23-24 novembre,
14-15 dicembre (2007); 18-19
gennaio, 22-23 febbraio (2008).
L’iniziativa è proposta con l’intento di fornire a ricercatori e
scienziati gli strumenti per interfacciarsi con i giornalisti e comunicare correttamente la scienza.
Gli obiettivi riguardano l´acquisizione di competenze di base
nella comunicazione scientifica e
nella gestione del rischio e
l´approfondimento di aspetti particolari quali la comunicazione in
radio e su web e l’organizzazione
di mostre.
Per informazioni:
[email protected]
http://www.fobiotech.org
4 dicembre
Verona
Seminario La radioattività nelle
acque potabili e il gemellaggio di
Arpa Veneto e Arpa Lombardia con
la Polonia. Nel corso dell’iniziativa sarà illustrato l’esito del
gemellaggio tra l’Italia e la Polonia realizzato nell’ambito del
progetto europeo Extension of the
sanitary supervision system in the
area of water quality e affidato al
ministero della Salute.
Per informazioni:
tel. 049/8239301
www.arpa.veneto.it
10 dicembre
Ferrara
Nell’ambito del ciclo di incontri
sulla sicurezza alimentare promosso da Europass, in collaborazione con alcune Province dell’Emilia-Romagna, sarà affrontato il tema “Agronomia e industria agroalimentare, il caso micotossine”.
Per informazioni:
[email protected]
http://www.europass.parma.it
Pagine a cura di Daniela Raffaelli
e-mail: [email protected]
altri eventi alla pagina
www.arpa.emr.it/eventi
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ArpaRivista 3/2007, Speciale Radioattività - Arpae Emilia