senza
confini
ASSOCIAZIONE PER L’UGUAGLIANZA SOCIALE
DELLE PERSONE STRANIERE IN ITALIA
il mondo
a scuola
Strategie di gestione delle problematiche
connesse alla costruzione dell’identità negli
adolescenti in bilico tra due culture.
a cura di Serenella Bartocci
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INDICE
Presentazione
Introduzione
1. Il progetto
1.1 Il contesto
1.2 La struttura del progetto
1.3Gli Istituti coinvolti
1.4 La rilevazione della situazione di partenza
2. La formazione
3. La sperimentazione
3.1 La sperimentazione nella Provincia di Macerata
3.1.1 Il questionario
3.1.2 La “testimonianza”
3.1.3 L’animazione
3.1.4 Il “caso difficile”
3.2 La sperimentazione nella Provincia di Fermo
3.2.1 Le “interviste”
3.2.2 La lettura del film
3.2.3 La discussione
3.3 La sperimentazione nella Provincia di Ancona
3.3.1 La “convivenza”
3.3.2 L’autonarrazione
4. La mediazione interculturale
e l’esperienza nel progetto “Il Mondo a scuola”
5. Conclusioni
p. 2
p. 3
p. 5
p. 5
p. 9
p. 10
p. 12
p. 15
p. 18
p. 22
p. 23
p. 27
p. 27
p. 28
p. 30
p. 31
Appendice: i dati del questionario della Provincia di Macerata
p. 59
p. 32
p. 33
p. 34
p. 34
p. 39
p. 42
p. 52
In allegato due video autoprodotti:
“Oltre i Muri” dagli Istituti “Podesuuti Calzecchi Onesti” di Ancona e “Mannucci” sede di Jesi
“Adolescenti: istruzioni per l’uso” dall’Istituto “Vanvitelli Stracca Angelini” di Ancona
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PRESENTAZIONE
Gianni Fiorentini
Assessore alle Politiche sociali e Migrazione,
Politiche delle famiglie, Politiche dei giovani della Provincia di Ancona
Il sistema scolastico nel suo complesso sta vivendo un momento particolarmente difficile segnato da risorse insufficienti, logistica precaria, scelte politiche
involutive, disagio giovanile che si estende anche all’intero corpo docente.
All’interno di questo quadro assume particolare rilievo la dinamica dei processi
migratori, con numeri sempre più significativi di giovani immigrati, di prima e
seconda generazione, che a tutti gli effetti sono utenti di tutte le articolazioni
scolastiche.
Non governare questo processo significa esporre a gravissimi rischi di tenuta
l’intero sistema dell’istruzione e la possibilità di una crescita sociale in cui sia
determinante il concorso di tutte le diversità. La direzione non può essere quella
delle politiche meramente repressive che, puntando sulla percezione di insicurezza, sono pericolose per la coesione sociale e la reciproca comprensione,
valori di cui oggi sentiamo fortemente il bisogno.
Il progetto “il mondo a scuola”, finanziato dal FEI, ha provato ad occupare questo spazio con percorsi di integrazione ed inclusione coinvolgenti, utilizzando al
massimo tutte le risorse positive disponibili all’interno della scuola intesa come
articolazione prima e fondamentale della società moderna.
Sono sicuro dell’importanza dei risultati ottenuti e per questo è assicurato l’impegno della Provincia nella riproposizione del modello di intervento dotato di
adeguate risorse finanziarie. il mondo
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INTRODUZIONE
Orietta Zitti
Presidente della Cooperativa Sociale La Gemma onlus
Il progetto “Il Mondo a Scuola. Strategie di gestione delle problematiche connesse alla costruzione dell’identità negli adolescenti in bilico tra due culture”
nasce dal confronto, nell’ambito di una collaborazione già attiva, tra la Cooperativa Sociale La Gemma e alcuni insegnanti di un Istituto di Istruzione
Superiore di Ancona, che vivono in prima persona il disagio degli adolescenti
di origine straniera che vivono nel nostro Paese e frequentano qui la scuola, la
cosiddetta “seconda generazione”.
Nell’ambito di quel confronto, emergeva fortemente la necessità di intervenire
concretamente a supporto degli insegnanti che lavorano quotidianamente con
gli studenti immigrati che vivono il disagio di avere due diverse culture di riferimento: quella della famiglia di origine e quella del Paese dove vivono.
La Cooperativa Sociale La Gemma onlus, da parte sua, ha una esperienza più
che decennale nella gestione di servizi socio-educativi assistenziali, tra i quali
alcuni caratterizzati da una significativa presenza di cittadini di nazionalità non
italiana, dagli asili nido a centri di aggregazione giovanile a strutture di accoglienza, e si è resa quindi disponibile a realizzare una progetto mirato a questo
tipo di problematica.
L’opportunità offerta dal Fondo Europeo per l’Integrazione dei Cittadini di Paesi Terzi ha dato a questa idea la possibilità di realizzarsi e la capacità di estendere l’intervento su territori più ampi di quello cittadino e in contesti scolastici diversi, in modo tale da poter in futuro creare da una parte una rete di scuole-polo
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con una esperienza di formazione e di sperimentazione comune e dall’altra un
sistema consolidato di utilizzo della mediazione interculturale come strumento
di prevenzione del disagio giovanile.
Tutto questo nasce quindi da una rete attivata in altri contesti tra diversi interlocutori del privato sociale, che è principalmente lo strumento che ha permesso di
rilevare i bisogni del territorio, la formulazione di ipotesi di risposta ad essi e la
realizzazione sperimentale di attività.
La rete dunque appare oggi più che mai il solo strumento in grado di realizzare
azioni efficaci ed integrate prima di tutto, ma non solo, nel campo del sociale.
Viviamo infatti, in questo settore essenziale, un momento di crisi e transizione
particolarmente difficile, proprio quando si fanno più complessi i bisogni e pressanti le richieste del territorio, dove oggi si sente forte, tra le altre, l’esigenza di
un vero processo di inclusione delle nuove componenti, che non potrà realizzarsi senza il reale coinvolgimento di tutte le altre.
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IL PROGETTO
Serenella Bartocci, coordinatrice di progetto
1.1 Il contesto
L’espressione “seconda generazione” è ormai entrata nell’uso della nostra lingua per indicare un po’ sbrigativamente un segmento nuovo e complesso della
nostra società, che comprende bambini e giovani che hanno in comune le origini
straniere ma si trovano in situazioni assai diverse: da chi è nato e cresciuto nel
nostro Paese ai minori ricongiunti a quelli giunti soli, ai rifugiati, agli adottati
all’estero, ai figli di coppie miste.
Questa variegata generazione si trova di fronte a una serie di sfide: la gestione
della separazione, la rimodellazione dei ruoli familiari, la comprensione linguistica, le relazioni con i pari, la differenza, il disagio e le aspettative, in una continua ridefinizione della propria identità, già problematica data la fase evolutiva
dell’adolescenza, ma appesantita dal continuo “pendolarismo” tra due culture.
La famiglia propone generalmente ai figli modelli inadeguati al nuovo contesto,
dal quale rimane spesso socialmente isolata; i genitori puntano sulla realizzazione dei figli e i figli rifiutano le forme di integrazione subalterna dei genitori;
nascono conflitti di genere, i disagi sfociano in conflitti intergenerazionali.
Il primo a percepire il disagio il più delle volte è l’insegnante, “la cui buona
volontà nel gestire la classe multietnica raramente è sostenuta da programmi
formativi specifici” (Ettore Recchi Un mondo in classe 2008), mentre gli è sempre più richiesta, oltre a una competenza di contenuti e di metodi, anche una
competenza relazionale, come ad esempio dal D.P.R. n. 249 1998: “La comunità scolastica fonda il suo progetto e la sua azione educativa sulla qualità delle
relazioni tra insegnante e studenti.”
L’inclusione si fonda infatti su un concetto di intercultura legato alla relazione,
alla partecipazione, all’agire sociale, come metodo di lavoro che implica un
processo di de-costruzione/ri-costruzione dell’immaginario complesso che è la
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lente attraverso cui vediamo la realtà. Valutati i contesti micro e macro territoriali, tra i soggetti coinvolti (alunno-scuola-famiglia-territorio) si deve stabilire
un coinvolgimento attivo, il cui motore sono le strategie di mediazione.
In questo processo appare infatti evidente l’importanza del ruolo del mediatore,
che non può essere però un operatore da usare in situazioni di emergenza o come
sostituto dell’insegnante, ma “figura professionale in grado di ideare, progettare, attuare opportunità e modalità concrete che permettano l’instaurarsi di
relazioni simmetriche, negoziali e democratiche fra il servizio educativo, gli
alunni stranieri e le relative famiglie” (Jabbar e altri, Orientamenti per l’educazione interculturale, 2003).
Queste, in breve sintesi, le considerazioni di fondo dalle quali nasce il progetto
“Il Mondo a Scuola”, oltre che dalla consapevolezza di un passaggio probabilmente cruciale per il nostro Paese.
Al di là degli ultimi eventi nei territori nord-africani che stanno portando sul
nostro territorio un’ondata di arrivi, i dati recenti dicono in effetti che in Italia
la crisi economico-occupazionale tende a ridurre l’immigrazione, ma dopo un
trend positivo che nel 2008 per la prima volta ci faceva superare con il 7% la
media europea per incidenza degli stranieri residenti sul totale della popolazione. Inoltre, il primo effetto della crisi è un aumento della povertà e quindi delle
difficoltà soprattutto proprio delle famiglie che ormai si sono stabilite nel nostro
Paese e i cui figli sono nati qui o hanno avuto qui la loro formazione, in modo
tale che il rimpatrio ne viene quasi impedito (vedi gli ultimi rapporti sia della
Caritas/Migrantes, Immigrazione – Dossier Statistico 2010, sia dell’ISMU, XVI
Rapporto sulle migrazioni 2010).
Gli ultimi dati sulla popolazione scolastica, studiati dalla Fondazione Giovanni
Agnelli (Andrea Gavosto, “Il quadro dell’integrazione scolastica in realtà multiculturali: il contesto europeo”, Riccione 4 ottobre 2010) ci dicono infatti che il
numero degli alunni stranieri nella scuola italiana continua a crescere: da 84.000
pari al 3% nel 2001/2002 a 244.000 pari all’8,7% nel 2009/2010 nella scuola
primaria, che è la più significativa per prevedere le tendenze a breve-medio
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termine. Anche se l’intensità della crescita diminuisce (da +15% nel 2007/2008
a +7% nel 2009/2010) tuttavia le previsioni per i prossimi anni sono che “nonostante la crisi e la diminuzione recente della mobilità internazionale, la quota di
alunni stranieri nella scuola italiana è destinata a crescere almeno per un decennio”. Questo incremento sarà inoltre prevedibilmente trainato dalle nascite
da genitori stranieri già avvenute in Italia, e di conseguenza “all’interno della
popolazione scolastica di origine straniera crescerà dunque la quota dei nati
in Italia (seconde generazioni), che presentano aspettative e bisogni educativi
diversi da quelli degli immigrati di prima generazione”.
Nelle Marche in particolare, l’immigrazione è caratterizzata da presenza familiare che, insieme alla giovane età (80% di under 45) e alla pari distribuzione
di genere, determina forte presenza di minori con susseguente incremento delle
seconde generazioni e ulteriore rafforzamento delle caratteristiche già presenti.
A livello scolastico, naturalmente la presenza di minori di origine straniera è
maggiore nella scuola primaria, ma anche negli Istituti di istruzione secondaria
di secondo grado raggiunge ormai cifre rilevanti: secondo l’Anagrafe Regionale
degli studenti pubblicata nel 2° Report Regione Marche, nell’anno scolastico
2008/2009 gli iscritti con nazionalità diversa da quella italiana raggiungevano le
5.560 unità ed erano l’8%del totale.
La provenienza rispecchia quella dell’immigrazione in generale e ne riproduce
anche la grande frammentazione: erano presenti infatti con almeno 30 alunni
ben 28 cittadinanze straniere.
L’incidenza degli studenti stranieri per tipo di istruzione è estremamente connotata: 17% nell’istruzione professionale; 8,4/% nell’istruzione artistica; 6,9%
nell’istruzione tecnica; 3,7% nell’istruzione liceale (con una distribuzione quasi
opposta a quella degli studenti italiani).
Significativo anche il dato degli iscritti per anno di corso: gli studenti stranieri
passano da un 13% in prima classe a un 9% in seconda per poi diminuire ulteriormente al 6,9% in terza, 5,4% in quarta, fino al 3,8% in quinta.
Un altro chiaro indice di disagio è il ritardo di questi studenti, che raggiunge il
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70% su base regionale, con punta del 77,9% nell’istruzione professionale.
Questi dati evidenziano chiaramente la difficoltà della scuola nell’affrontare un
fenomeno ancora relativamente nuovo, che tuttavia è facile previsione immaginare di ancora più ampie proporzioni nell’immediato futuro, come confermano
i dati più recenti non ancora pubblicati e che ci sono stati gentilmente forniti
dal Servizio Istruzione, Formazione e Lavoro della Regione Marche: nell’anno
scolastico 2010/2011, gli alunni di nazionalità non italiana iscritti agli Istituti di
istruzione secondaria di secondo grado nella regione sono 6.619, con un incremento del 19% e una incidenza sul totale passata al 9,5%. Interessante notare
che già il 9% di questi alunni risultano nati in Italia.
D’altronde, il disagio che nella scuola può essere osservato ha dimensioni estremamente complesse, relative alla condizione di “straniero” sia rispetto al paese
di origine che a quello ospitante: l’evidenza del problema anche nel territorio
regionale è confermata anche da un Rapporto di ricerca dell’Università Politecnica delle Marche (Giovani immigrati di seconda generazione delle scuole secondarie di secondo grado nelle province di Ancona e Macerata, 2007), secondo cui i giovani di origine straniera di seconda generazione presenti sul nostro
territorio confermano la tendenza “ad elaborare un modello culturale che non è
proprio né della cultura d’origine né di quella ospitante, ma è il prodotto di un
movimento alterno tra le varie culture … In questo equilibrio instabile, gioca un
ruolo primario il rapporto sia con la prima generazione d’immigrati, portatori
di una maggiore coscienza della propria identità, sia con la cultura del paese
ospitante. Questa situazione di instabilità nei processi di riferimento culturali
è prodotta anche da differenti livelli di integrazione nella società ospitante, per
cui possono essere osservati livelli soddisfacenti o apprezzabili di integrazione
nelle istituzioni scolastiche, ma assenza o netta carenza di integrazione al di
fuori di esse”.
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1.2 La struttura del progetto
Considerando l’urgenza di rivolgere attenzione ai problemi degli adolescenti
di “seconda generazione”, la scelta è stata quella di rivolgere l’intervento a docenti e studenti di alcuni Istituti di Istruzione Scolastica di secondo grado delle
Province di Ancona, Macerata e Fermo, in considerazione del fatto che, per
l’accoglienza dei minori di nazionalità straniera nella scuola, anche nel nostro ambito regionale si è lavorato molto sulla formazione degli insegnanti nella
scuola dell’obbligo mentre più scarse appaiono ancora le iniziative nella scuola
secondaria, a fronte di bisogni sempre più evidenti.
Appare anche necessario indicare delle soluzioni possibili che siano anche comuni ai diversi territori della regione, per individuare percorsi il più possibile
condivisi.
Il progetto era quindi finalizzato a fornire ai docenti di diverse scuole delle tre
province alcuni strumenti per il riconoscimento e la gestione dei conflitti connessi ai processi di costruzione identitaria degli alunni stranieri di “seconda
generazione”, realizzando un percorso formativo che coinvolgesse insegnanti
e mediatori culturali, con l’intento di creare, a partire dagli operatori formati,
“gruppi d’intervento capaci di porre in essere azioni integrate di prevenzione,
elaborazione e gestione del conflitto rivolte ai singoli alunni, al gruppo classe, al
gruppo insegnanti, alle famiglie”.
E’ apparso infatti subito fondamentale che, per affrontare queste problematiche
complesse, si affiancassero ai docenti delle figure con specifica professionalità, in grado di relazionarsi con le diverse componenti: d’altra parte, questa è
un’esigenza presente in molti ambiti del sistema dell’istruzione, troppo spesso
affidati a docenti di buona volontà e con approfondita conoscenza della scuola e
degli allievi ma privi di strumenti per incrociare questo sapere con dati di analisi
più generale o con competenze adeguate a tutte le problematiche presenti nella
scuola.
La ricaduta sugli studenti, oltre che a medio e lungo termine, sarebbe stata te-
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stata già all’interno del progetto in una fase finale, forzatamente breve dati i
tempi imposti dalla progettazione FEI, in cui sperimentare alcuni interventi che
nascessero dalle competenze comuni acquisite durante la formazione.
Queste le azioni previste:
• Rilevazione delle caratteristiche specifiche che il problema assume nei
singoli contesti, per mezzo di focus group rivolti agli insegnanti referenti
degli Istituti individuati (inizialmente in numero di due) per ognuna delle
Province
• Corsi di formazione (uno per ogni zona) rivolti congiuntamente a insegnanti e mediatori culturali, finalizzati a definire ambiti di azione e metodologia d’intervento, con cui progettare insieme
• Sperimentazione di micro-progetti negli Istituti coinvolti
• Valutazione dell’attività e individuazione di buone prassi per la successiva
disseminazione a livello territoriale.
1.3 Gli Istituti coinvolti
Hanno partecipato al progetto complessivamente 11 Istituti, scelti naturalmente
per la loro rappresentatività rispetto alle problematiche in oggetto, oltre che
per la disponibilità offerta dai Dirigenti Scolastici a farsi coinvolgere in tempi
molto stretti e non aderenti a quelli già abbastanza rigidi della programmazione
scolastica.
Nella Provincia di Ancona:
Istituto di Istruzione Superiore “Podesti Calzecchi-Onesti” - Ancona
Dirigente Prof.ssa M. Antonietta Vacirca
Istituto di Istruzione Superiore “Vanvitelli Stracca Angelini” - Ancona
Dirigente Prof.ssa Paola Guidi
Liceo Artistico “E. Mannucci” - Ancona
(sperimentazione nella sede di Jesi) Dirigente Prof. Alfio Albani
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Nella Provincia di Fermo:
Istituto Professionale “O. Ricci” - Fermo
Istituto di Istruzione Tecnica Professionale
e Scientifica “L. Einaudi” - Porto Sant’Elpidio
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Dirigente Prof. Piero Ferracuti
(sperimentazione nell’Istituto coordinato “Tarantelli” di Sant’Elpidio a Mare)
Liceo Artistico “U. Preziotti” - Fermo
Dirigente Prof. Antonio Iandiorio
Dirigente Prof. Ciro Maddaluno
Nella Provincia di Macerata:
Istituto di Istruzione Superiore “Bramante” - Macerata
(sperimentazione nell’Istituto coordinato “I. Pannaggi” di Macerata)
Dirigente Prof.ssa Sabrina Fondato
Istituto di Istruzione Superiore “F. Filelfo” - Tolentino
(sperimentazione nella sede dell’Istituto Tecnico Economico)
Istituto Professionale “G. Varnelli” - Cingoli
Dirigente Prof Silvio Minnetti
Dirigente Prof. Elio Carfagna
Istituto Professionale per l’Industria e l’Artigianato “F. Corridoni” - Corridonia
Dirigente Prof. Raffaele Ciarapica
Istituto Tecnico per le Attività Sociali “ M. Ricci” - Macerata
Dirigente Prof. Maurizio Settembri
In questi Istituti, secondo i dati del Servizio Istruzione, Formazione e Lavoro
della Regione Marche, gli alunni di nazionalità non italiana a tutt’oggi assommano a 1351: senza grandi differenze tra i tre gruppi di scuole salvo una leggera
prevalenza nella Provincia di Ancona, rappresentano il 16% del totale, molto
più della media regionale, trattandosi perlopiù di Istituti Tecnici e Professionali
o comunque con diversi corsi di studi di questo tipo al proprio interno.
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stranieri
italiani
Tuttavia, per comprendere appieno questo
fenomeno è utile non fermarsi a una cifra
complessiva, per quanto significativa: la realtà appare meglio nella sua complessità se guardiamo il dato delle provenienze, che ci dà la misura di quale
arcobaleno di lingue e culture di origine sia rappresentato da questi ragazzi,
e quindi di quale compito sia per i docenti tenerne conto. I dati in questo caso
sono quelli raccolti direttamente negli Istituti all’inizio dell’anno per avere il
quadro della situazione, quindi possono differire leggermente da quelli che risulteranno dal monitoraggio regionale, dato che la frequenza di questi ragazzi,
pur dopo l’iscrizione, presenta spesso variazioni anche forti nell’arco dell’anno
scolastico, costituendo per ciò stesso una ulteriore difficoltà per il lavoro degli
insegnanti.
Negli 11 Istituti, questi 1351 ragazzi e ragazze rappresentano 61 nazionalità.
Tuttora predomina la presenza albanese, seguita da quella macedone e subito
dopo da quella marocchina: queste tre nazionalità raggiungono insieme il 39%,
quindi facilmente al loro interno tenderanno a formarsi gruppi omogenei. A distanza, ma con percentuali ancora significative tra il 5% e il 7%, seguono le comunità di Cina, India, Pakistan e Romania; sul 3% Moldavia, Perù e Tunisia, poi
tutte le altre: Afghanistan, Algeria, Argentina, Austria, Bangladesh, Bolivia, Bosnia, Brasile, Bulgaria, Camerun, Cile, Congo, Costa D’Avorio, Croazia, Cuba,
Ecuador, Egitto, Filippine, Francia, Germania, Ghana, Giordania, Guinea, Iran,
Irlanda, Kazakistan, Kosovo, Libano, Mauritania, Messico, Montenegro, Nigeria, Olanda, Polonia, Regno Unito, Repubblica Ceca, Repubblica Dominicana,
Russia, Santo Domingo, Senegal, Serbia, Siria, Sri Lanka, Tanzania, Togo, Turchia, Ucraina, USA, Uzbekistan, Venezuela.
Veramente, un mondo nuovo.
1.4 La rilevazione della situazione di partenza
Nel mese di ottobre, i docenti indicati dai Dirigenti Scolastici sono stati chiamati
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a partecipare ai focus group, allo scopo principale di comprendere i bisogni di informazione/formazione degli operatori scolastici che sarebbero stati coinvolti nel
progetto. Le aspettative erano di avere di fronte dei gruppi con alto grado di omogeneità, trattandosi di insegnanti scelti già sulla base di esperienza e motivazione
nei confronti dell’attività prevista. A tutti è stato chiesto di esprimersi sulle esperienze proprie e su quelle realizzate nella propria scuola per gli studenti stranieri
di seconda generazione, e su quali aspetti secondo loro avrebbero dovuto agire gli
interventi da effettuare in futuro. Dal racconto delle esperienze e dalla discussione
sono emersi diversi aspetti, che sono poi stati presi in considerazione per l’impostazione del lavoro. Dal punto di vista dei docenti, prevedibilmente, il problema
primario è quello dell’apprendimento della lingua, soprattutto per quanto riguarda
la lingua di studio in un contesto quale quello delle specificità disciplinari che caratterizzano gli studi superiori. In qualche caso, naturalmente, anche la lingua di
comunicazione crea difficoltà, che però si superano più rapidamente. Ormai tutti
gli Istituti offrono, con diverse modalità, corsi di Italiano L2 o comunque sostegno
linguistico, e in qualche caso anche sostegno allo studio, ma spesso si rilevano
limiti sia organizzativi (orario, definizione di gruppi e livelli) sia di preparazione
dei docenti che si occupano di questa attività (in genere sono docenti di italiano che
hanno sempre insegnato lingua madre e si trovano invece ad insegnare lingua straniera senza una specifica competenza). Sotto il profilo della comunicazione invece,
oltre che della socializzazione che pure è elemento fondante per l’apprendimento,
sono risultate spesso molto positive attività basate sull’uso di linguaggi alternativi
come l’arte, la musica, il teatro o il cinema, a dispetto dello scarso spazio che questi
trovano in una scuola come quella italiana, fondata essenzialmente sul linguaggio
verbale. I docenti rilevavano come motivo di difficoltà anche la propria scarsa conoscenza del retroterra culturale dei ragazzi (e delle famiglie) di origine straniera:
nei confronti stessi della scuola le diverse comunità hanno differenti atteggiamenti,
dalla diffidenza nei confronti di docenti perché donne alla completa delega che
sembra disinteresse, al peso di diversi progetti migratori sulla stessa presenza e
sull’impegno dei ragazzi nei confronti dello studio, a numerosi aspetti insomma
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che possono dare adito a incomprensioni anche gravi.
All’interno della scuola poi agiscono diverse componenti, soprattutto gli altri studenti, che tengono atteggiamenti spesso superficiali e contraddittori: i ragazzi italiani infatti sono in genere amichevoli con i loro compagni quando questi sono già
inseriti o comunque cercano una relazione e in genere non hanno consapevolezza
delle situazioni di difficoltà o di disagio; talvolta sono anche prevaricatori e offensivi, rivelando un’ostilità più o meno palese che si stempera solitamente con
l’aumentare della conoscenza e della consuetudine reciproca.
I docenti stessi non sono tutti disponibili, anzi l’atteggiamento più diffuso è di
resistenza, o al più di delega, di fronte ad iniziative o ad impegni specifici: sotto
questo aspetto agisce anche un difetto insito nella nostra struttura scolastica, in cui
è difficile anche la semplice comunicazione interna.
Naturalmente è cruciale il ruolo della Dirigenza, che è sempre in grado, se lo vuole,
di vincere l’apatia o la malavoglia del personale ostile al cambiamento favorendo
l’azione di individui o gruppi disponibili ad attivarsi ed innescando così forme
di pressione positiva. Troppo spesso poi, identificando la scuola con il personale
docente, si dimentica l’importanza di altre figure, a cominciare dal personale amministrativo che per esempio ha il compito di raccogliere i dati sulla popolazione
scolastica quindi ne ha sempre un quadro aggiornato, oppure prepara e gestisce
moduli e formulari e soprattutto è il front office con le famiglie.
Con gli alunni poi hanno spesso un rapporto più familiare i collaboratori scolastici, che hanno occasione di vedere i ragazzi fuori dalle aule, e di cogliere quindi
atteggiamenti e relazioni in genere nascoste ai docenti. Insomma secondo i nostri
docenti la scuola, se pure da una parte è vista come un’opportunità irripetibile
per la crescita dei cittadini nuovi, dall’altra però ha troppi limiti nello sviluppare (e talvolta anche individuare) le capacità, favorire la socializzazione, dare una
dimensione interdisciplinare all’insegnamento della lingua e dei linguaggi, darsi
strumenti di valutazione più sofisticati, investire di responsabilità tutta la comunità
scolastica al di là della buona volontà di pochi e dell’indifferenza di molti, curare
i rapporti con le famiglie.
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2. LA FORMAZIONE
Serenella Bartocci, coordinatrice di progetto
Il corso di formazione, destinato ai docenti degli Istituti di istruzione secondaria di secondo grado e a mediatori interculturali, si proponeva come finalità
generale di individuare strategie e modalità operative per affrontare in modo
culturalmente competente il disagio degli adolescenti di seconda generazione a
livello scolastico. Obiettivi più specifici sono stati individuati nell’analisi delle
principali problematiche emergenti nella scuola con gli adolescenti di “seconda
generazione”, nell’acquisizione di competenze di comunicazione interculturale, nella dotazione di un plafond comune di informazione reciproca (ai docenti sulla mediazione, ai mediatori sull’organizzazione scolastica) e nella individuazione di alcuni strumenti operativi atti a offrire una risposta più efficace in termini
interculturali.
I docenti portavano un patrimonio di esperienza di insegnamento ad adolescenti,
anche di “seconda generazione”, oltre che di motivazione a sviluppare le proprie competenze in materia. Per quanto riguarda i mediatori invece, sono stati
affiancati anche alcuni giovani in formazione accanto ad altri con esperienza nel
campo della mediazione interculturale: questo perché, anche date le caratteristiche di profilo del mediatore interculturale così come sono state definite dalla
delibera regionale n. 242 del 9/02/2010, non è stato facile reperire sul territorio
figure che possedessero i requisiti richiesti e insieme fossero disponibili e rispondessero a una domanda molto variegata in termini di provenienza culturale
e linguistica.
Quest’ultimo aspetto ha fatto anche sì che, a fronte di un numero di 27 docenti,
partecipassero alla formazione solo 8 mediatori a pieno titolo e 6 come uditori.
Il corso è stato tenuto in tre sedi (ad Ancona presso la sede della Cooperativa
Sociale “La Gemma”, a Macerata presso l’ITAS “M. Ricci” e a Fermo in parte
all’IPSIA “O. Ricci” in parte al LA “U. Preziotti”) strutturato in 6 giornate di
lavoro su:
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1) Percorsi di immigrazione, culture in pericolo, etnocentrismi, integrazioni e
nuove cittadinanze
Le caratteristiche della domanda scolastica “straniera”
2) Gli elementi della comunicazione e la competenza interculturale
3) L’organizzazione scolastica: criticità e risorse
4) La mediazione interculturale
5) Esperienze e proposte operative
6) Definizione di microprogetti per una sperimentazione
Dalla rilevazione delle attese dei partecipanti, emergevano come motivazioni
quasi alla pari interessi per i contenuti e per l’acquisizione di competenze, tra
le quali soprattutto una migliore capacità di ascolto e di relazione; come obiettivi, sia i docenti che i mediatori si ponevano soprattutto quelli di conoscere le
problematiche emergenti e di acquisire insegnamenti pratici per la gestione dei
problemi.
Le aspettative alla fine risultavano soddisfatte, se è vero che nelle valutazioni
finali le attività didattiche nel loro complesso hanno avuto un giudizio positivo
all’86%, e la qualità della docenza in particolare ha avuto un apprezzamento
del 93%.
Di fondamentale importanza per il successo del progetto si è rivelata la scelta di
integrare “verticalmente” già nel percorso formativo due componenti assai diverse per preparazione, cultura, condizioni professionali, quali insegnanti e mediatori, e successivamente di integrare “orizzontalmente” la fase di formazione
con una di immediata sperimentazione di quanto appreso e costruito insieme.
Il primo aspetto ha fatto sì innanzitutto che già in formazione si creassero esigenze e spazi di intercultura, per cui spesso le due componenti si sono trovate
a “spiegarsi” l’una all’altra, con il risultato di capirsi meglio e fare gruppo,
anche se con limiti di tempo e con differenze tra le tre situazioni; inoltre, se è
vero che l’apprendimento è una tipica esperienza individuale, tuttavia è ormai
riconosciuto che in situazioni di formazione condivisa, in cui operi non solo una
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buona comunicazione ma anche una interdipendenza tra i membri del gruppo
per la realizzazione di un obiettivo comune, il singolo ottiene un apprendimento
più significativo, ripensando e riformulando le proprie esperienze ed opinioni
nel confronto con gli altri, pur non pretendendo di applicare un vero e proprio
cooperative learning. Per quanto riguarda la scelta di integrare formazione e
sperimentazione, anche qui si sono scontati limiti e difficoltà: i tempi ristretti
innanzitutto, e legati alle rigidità del calendario scolastico oltre che del progetto;
la difficoltà di passare, appunto nei tempi brevi, da gruppo d’aula a gruppo di
progetto a un vero e proprio gruppo di lavoro; le limitate risorse, che non permettevano di realizzare quanto magari si sarebbe voluto.
Tuttavia, in questo modo i partecipanti al corso hanno potuto provare su di sé il
passaggio dal sapere al saper fare al saper essere, oggi unanimemente indicato
come il percorso didattico per eccellenza.
Gli insegnanti, infatti, si trovano oggi in una scuola dove non solo il sapere, fondamento del loro stesso percorso di apprendimento, non basta più: anche la fase
della didattica delle procedure tentata tra gli anni ’70 e ’90 sembra ormai insufficiente per vincere le resistenze di alunni che imparano ormai dovunque tranne
che a scuola, per affrontare l’eterogeneità di classi in continuo cambiamento e
dai mille bisogni diversi, per dare agli studenti il senso di ciò che devono apprendere e che ai loro occhi non ha più valore. Non solo per i ragazzi insomma,
ma anche per gli insegnanti è sempre più difficile orientare il cammino, perché
non è più chiara la visione della mèta: non resta quindi che credere nel cammino
stesso, pensando che non si può più aspettare un futuro, bisogna anticiparlo,
costruendolo insieme ai propri studenti, mettendoli nelle condizioni di agire in
un mondo complesso di cui alcune caratteristiche sono già chiare e non possono
più essere eluse. Anche questa quindi alla fine si è rivelata una scelta vincente,
perché ha permesso di coinvolgere il target finale di tutto il progetto, cioè gli
alunni, per i quali sono stati creati degli “spazi di accoglienza” che hanno permesso l’espressione di sé e il confronto con nuove realtà, in un percorso concreto di crescita sia individuale che di gruppo.
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il mondo
a scuola
3. LA SPERIMENTAZIONE
Serenella Bartocci, coordinatrice di progetto
In linea con quanto deciso al termine della formazione, i tre gruppi d’aula
hanno concordato in alcune riunioni pomeridiane la programmazione del
lavoro, che è stata poi esposta formalmente dagli insegnanti sia ai Dirigenti
Scolastici sia ai Consigli di Classe o ai Collegi Docenti interessati
In 9 Istituti sono state coinvolte altrettante classi prime e in uno è stata
scelta una seconda classe, in base alla considerazione che un intervento
volto all’integrazione delle diverse componenti di un gruppo classe fosse
più utile nelle classi iniziali; solo in un Istituto, per motivi di organizzazione
interna, si è scelto di lavorare con un gruppo misto, esclusivamente in orario
pomeridiano.
Sono stati interessati alle diverse attività sperimentali in totale 253 alunni,
di cui 172 di nazionalità italiana e 81 di altra nazionalità, con prevalenza
femminile in entrambi i gruppi.
Quelli che abbiamo chiamato “microprogetti” per essere forzatamente interventi piuttosto brevi, in relazione ai tempi previsti e alle risorse disponibili, sono stati alla fine 4, uno ciascuno per le scuole di Fermo e Macerata,
2 per le scuole anconetane.
Proprio i tempi piuttosto ristretti (tra febbraio e aprile per programmare
organizzare e realizzare gli interventi sperimentali, coordinando fino a 5
scuole nel caso della Provincia di Macerata) sono stati indicati dai docenti
in sede di valutazione finale come il principale aspetto negativo dell’esperienza fatta, insieme ad alcuni altri che si sono però riscontrati solo in singoli casi: la rigidità del sistema scolastico nel recepire proposte innovative
che costruiscono invece un percorso in divenire seguendo le risposte degli
studenti; la mancanza di figure professionali di supporto; le complicanze
del coordinamento di diverse scuole; sottovalutazione dell’utilizzo della
mediazione.
il mondo
a scuola
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Nel contesto scolastico più generale, alcuni docenti hanno lamentato la difficoltà di una rapida ricaduta del lavoro, in situazioni in cui pure se ne vede
il bisogno. Mentre gli insegnanti che avevano partecipato alla formazione
e che hanno poi realizzato le sperimentazioni hanno formato gruppi “molto
motivati e pieni di iniziativa” secondo il giudizio di una di loro, che forse
ha potuto così anche scoprire la fonte di possibili nuove collaborazioni, gli
altri colleghi sono stati talvolta collaborativi, in genere soddisfatti per l’effetto positivo del lavoro sulle classi, spesso interessati ma non coinvolti,
insomma come dice qualcuno “multiculturalità e integrazione rimangono
un problema per addetti ai lavori”
Il giudizio dei docenti tuttavia è stato unanimemente positivo e numerosi
sono stati i motivi di soddisfazione da loro sottolineati, soprattutto la crescita del gruppo degli alunni in un percorso di coinvolgimento sempre maggiore da un’iniziale diffidenza/indifferenza fino ad un evidente miglioramento
delle modalità relazionali attraverso la riflessione su se stessi; un’insegnante
lo descrive così: “All’inizio è stato quasi un gioco, poi si è passati alla curiosità per la rottura degli schemi quotidiani, si sono attraversate le strade
dell’ascolto e quindi si è giunti alla commozione della scoperta di sé, degli
altri e di sé nei confronti degli altri”.
Un altro aspetto da molti sottolineato è stato il fatto che i ragazzi si sono
sentiti valorizzati perché scelti, richiesti del loro parere e ascoltati, con il
risultato raro di un protagonismo positivo, nella libera espressione e nel
confronto reciproco, nonostante le insicurezze dell’adolescenza, tanto più
se accompagnate dal sentirsi “straniero”: ad esempio un ragazzo di famiglia
albanese, arrivato a scuola già vestito per il ruolo che doveva interpretare
nell’attività di animazione – v. sperimentazione nelle scuole del Maceratese – che all’ultimo momento non riesce ad entrare in scena nonostante
i tentativi di tutti per convincerlo, ma nella fase successiva, con il tramite
della mediatrice che lo fa esprimere in lingua e poi lo traduce, fa un racconto torrenziale di sé facendo commuovere tutti, trovando così la chiave
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il mondo
a scuola
per un rapporto nuovo con i compagni, con la scuola e, glielo auguriamo,
con il mondo in cui vive, ma non solo, offrendo anche ai suoi compagni la
possibilità di vedere diversamente lui e il mondo che condividono insieme.
Molti docenti hanno avuto modo di rilevare che in generale non solo i ragazzi stranieri, dopo questi interventi, si sono mostrati in classe più attivi
e partecipi, ma con tutta evidenza le loro relazioni con i compagni di nazionalità italiana sono migliorate, a dimostrazione di un clima di maggior
benessere di tutti nell’ambito scolastico.
In alcuni casi questi percorsi sono stati solo iniziati, ad esempio quando
sono emerse, in fase di discussione, problematiche conflittuali che non
riguardavano tanto i rapporti tra alunni o tra alunni e docenti, quanto lo
scontro tra sistemi valoriali che presiedono alle varie culture di origine, nonostante i ragazzi stranieri siano di seconda generazione: il dibattito si è acceso nel momento in cui si è passati da un dialogo che riguardava i progetti
e le aspirazioni personali e comuni a tutti gli adolescenti, ad una riflessione
generale su un sistema di idee, che sono proprie dell’identità di un popolo
e che provengono da un sostrato culturale che si è formato con il tempo (ad
esempio il modo di lavorare e i sistemi religiosi). Anche in questi casi tuttavia l’intervento realizzato con il progetto, secondo i docenti, “è risultato
positivo, perché ha fatto emergere dei contrasti che finora erano rimasti
sopiti e irrisolti e riteniamo che sia meglio che questi vengano alla luce nel
contesto scolastico, dove si possono approfondire e mediare, anziché in un
secondo tempo quando gli alunni, divenuti adulti, dovranno affrontare la
complessa società civile” in particolare data la presenza dei mediatori, che
prima e meglio hanno potuto individuare e gestire le prime avvisaglie dello
scontro culturale.
La voglia di scoperta e di esperienze nuove ha coinvolto comunque tutti i
ragazzi, italiani e stranieri, maschi e femmine, in una partecipazione spesso
anche emotiva, o di riflessione o di semplice divertimento, qualche volta
sfociata addirittura nell’organizzazione di riunioni conviviali fuori orario o
il mondo
a scuola
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di appuntamenti sui social networks, che comunque ha restituito alle scuole
gruppi più sereni e consapevoli, capaci di migliori relazioni anche con i
docenti.
I docenti stessi nel corso di queste attività da una parte hanno visto i loro
alunni sotto aspetti meno conosciuti e dall’altra hanno certamente dato di sé
un’immagine meno stereotipata (anche qualche alunno nota che “un’altra
cosa molto bella è stata di poter collaborare con i professori per un fine
comune”) nonostante qualche volta anche loro si siano trovati in difficoltà.
Un’insegnante ad esempio confessa che, in uno dei momenti di discussione
in classe, un’affermazione di un ragazzo albanese sulla presunta “debolezza” dei ragazzi italiani verso le norme imposte dalla famiglia è stata subito
da lei interpretata secondo un diffuso preconcetto come inclinazione a un
generale scarso rispetto delle regole, generando nell’immediato un rimprovero piuttosto che una decodifica che è poi seguita con l’aiuto della mediatrice, a conferma di quanto, già con i migliori intenti, occorre “confrontarsi
e lavorare su questi temi perché l’apertura mentale e la disponibilità ad
accogliere realmente chi è diverso da noi non sia solo una dichiarazione
verbale ma qualcosa di concreto”.
Gli alunni da parte loro, soprattutto quelli italiani, sembrano rimasti quasi
sorpresi dai risultati di questi brevi lavori: “ho capito molte cose in più di
quante ne pensavo”, “il mio rapporto con loro non è cambiato però non
penso più ciò che pensavo prima”, “io non ci pensavo, però …”. Riconoscono insomma di aver imparato molte cose dai loro compagni (“è come
se viaggiamo con la mente …”), tra cui anche che capire meglio gli altri fa
capire meglio se stessi: “questa esperienza … ci ha fatto capire … le loro
difficoltà con noi, (e) mi ha fatto riflettere quanto noi siamo cattivi con
loro, con le parole e gli insulti” oppure “si parlava degli immigrati, del
loro percorso … mi ha fatto ricordare anche il mio percorso …” o ancora
“è capitato anche a me e molto spesso anche io, come altri, ho fatto molte
cose che non avrei voluto fare pur di sentirmi accettata, perché noi siamo
22
il mondo
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ossessionati dal fatto che dobbiamo piacere agli altri …”.
Anche tra gli alunni insomma c’è una valutazione ampiamente positiva,
insieme a una notevole consapevolezza del percorso compiuto, come sintetizza uno di loro: “Questo progetto è stato davvero interessante perché
ha reso partecipi tutti quanti, e ci ha aiutato a confrontarci, ad esprimerci,
anche a divertirci, a stare insieme, ad unirci di più e a capirci”.
In alcuni casi, il grado di consapevolezza arriva a superare gli steccati delle
culture: “… gli immigrati sono un guadagno, non un danno, per la nostra
società: si arricchiscono con la nostra cultura e ci arricchiscono con la
loro.”
Notano anche l’importante ruolo della mediazione, esprimono gratitudine
agli insegnanti e apprezzamento per il progetto che è stato “molto utile ed
istruttivo, e sarebbe fantastico se, nelle classi che verranno, si svolgesse
nuovamente”.
Per finire, la frase di una ragazza di origine straniera: “C’è una cultura nuova e un nuovo modo di vivere che viene chiamato integrazione”.
3.1 La sperimentazione in Provincia di Macerata
I docenti della Provincia di Macerata hanno scelto di lavorare con la finalità
di “attivare strategie comunicative e didattiche che portino ad una risoluzione o modifica delle situazioni conflittuali nelle classi con presenze di
alunni con cittadinanza non italiana”.
Per definire il percorso, è stata indagata la situazione di partenza riguardo
quattro aspetti significativi: il grado di conoscenza e di frequentazione reciproca tra gli alunni di origine straniera e quelli di origine italiana, la realtà
delle relazioni familiari, quanto e se le altre culture siano apprezzate dagli
alunni e quale sia il loro grado di consapevolezza della propria identità.
Oltre che a dare ai docenti una base di conoscenza su cui procedere, questa
fase iniziale era naturalmente destinata anche a favorire negli alunni una
il mondo
a scuola
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riflessione sui propri modi di pensare/vivere le relazioni familiari, scolastiche e extrascolastiche, che costituisse un punto di partenza per costruire poi
nuove conoscenze attraverso l’interazione di gruppo e il confronto tra pari. 1
3.1.1 Il questionario 2
Il questionario, che è stato approntato dai docenti per l’indagine iniziale, ha dato
risultati abbastanza in linea con quanto era possibile aspettarsi, ma ha comunque
chiarito alcune questioni e ha offerto qualche elemento di riflessione.
Hanno risposto al questionario 118 ragazzi, di cui 85 di nazionalità italiana (24
maschi e 61 femmine), 33 di altra nazionalità (4 maschi e 29 femmine).
L’anno di nascita va dal 1991 (un solo caso) al 1996, ma l’85% dei ragazzi,
appartenenti a classi del biennio, sono nati tra il ’94 e il ’96: si tratta quindi nella
grande maggioranza di giovani tra i 15 e i 17 anni.
I genitori sono soprattutto di ceto operaio: il 59% dei padri e il 47% delle madri
dei ragazzi italiani, il 61% dei padri e il 42% delle madri delle famiglie straniere. Tra i genitori stranieri è più presente il lavoro autonomo, mentre è del tutto
assente quello impiegatizio.
In generale, le risposte non presentano differenze sostanziali tra i due gruppi,
1
Docenti e classi:
prof.ssa Maresa Cecchi, prof.ssa Marina Peral Sanchez
1°H Istituto “M. Ricci” di Macerata
prof.ssa Nicoletta Olivieri, prof. Sandro Luciani
1°B Istituto “Filelfo” di Tolentino
prof.ssa Sylvie Bartoloni, prof.ssa Antonella Montecchiari
1°G Istituto “Varnelli” di Cingoli
prof.ssa Luciana Ciocci
2°OSS Istituto “Corridoni” Corridonia
prof.ssa Nunzia Savino
1°A Istituto “Pannaggi” Macerata
2
Questo lavoro non sarebbe stato possibile senza la collaborazione della prof.ssa Patrizia David, Professore Associato di Sociologia dei processi economici e del lavoro presso l’Università di Camerino, che qui voglio ringraziare.
24
il mondo
a scuola
tranne alcuni aspetti.
Ad esempio, rispetto all’uso del tempo libero, i ragazzi stranieri passano nettamente più tempo a casa (70%) e quindi stanno un po’ di più da soli (39% contro
il 24%) mentre i ragazzi italiani passano più tempo “in giro” (53%). Nessun
ragazzo/a straniero/a, rispetto a un 5% degli italiani, frequenta centri di aggregazione.
E’ anche abbastanza naturale che i ragazzi stranieri abbiano più spesso amici di
diversa nazionalità (70% contro il 54% dei ragazzi italiani) dato il contesto in
cui vivono. Anche tra i molti che hanno un amico/a del cuore, il 42% dei ragazzi
stranieri ha questo rapporto con compagni/e di nazionalità diversa dalla propria,
cosa che avviene solo per il 12% dei ragazzi italiani. A conferma, risulta anche
che i primi si confidano un po’ di più con amici di diversa nazionalità, ma escono insieme a loro poco o per niente, e altrettanto poco insieme studiano.
Nel rapporto con la scuola, si rileva una maggiore tendenza degli alunni di origine straniera ad affidarsi di più all’insegnante piuttosto che alla propria iniziativa,
per esempio per inserirsi in un gruppo di lavoro in classe.
In questa sezione però il dato più interessante è che i ragazzi stranieri raccontano a casa quello che succede a scuola meno spesso dei loro compagni, ma
nonostante questo rimangono nettamente il maggior tramite tra la famiglia e la
scuola (82%), a conferma di quanto, nella generale difficoltà di rapporto tra la
scuola e le famiglie, quello in particolare con le famiglie straniere sia decisamente insufficiente.
Per completare il quadro dei rapporti familiari, vediamo che questi ragazzi sono
in contrasto con i genitori per motivi del tutto equivalenti: i ragazzi stranieri
soprattutto per i risultati scolastici, gli italiani per il comportamento (che comunque è il secondo per gli stranieri insieme alla gestione del tempo libero, che
probabilmente si connette a una scarsa applicazione allo studio) e subito dopo,
anche loro, per i risultati scolastici.
La seconda parte del questionario concerne più direttamente il rapporto reciproco tra i due gruppi e la relazione con la cultura propria e “altra”.
il mondo
a scuola
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Ad esempio, nel caso di dover vivere in un Paese straniero sia ai ragazzi italiani
che ai ragazzi stranieri, che hanno dato risposte simili anche nelle percentuali, mancherebbero innanzitutto gli amici poi il cibo. Piccole differenze si rilevano
sulla religione (che mancherebbe abbastanza ai ragazzi stranieri) e sul modo di
vestire (che mancherebbe invece agli italiani: d’altra parte, gli intervistati sono
in maggioranza ragazze).
La preponderante presenza femminile probabilmente spiega anche il fatto che,
tra molti dati simili tra cui sempre prevalgono amici e cibo, il modo di vestire prevedibilmente etnico incuriosirebbe gli italiani all’estero, mentre i ragazzi
stranieri sono più interessati alla musica.
E’ stato anche chiesto che cosa conoscessero dei propri compagni di altra nazionalità. I dati sono quasi identici: entrambi i gruppi conoscono soprattutto le
tradizioni, poi le canzoni, anche la famiglia dei compagni di diversa nazionalità,
ma qui soprattutto colpisce un’alta percentuale (28% dei ragazzi italiani e 21%
dei ragazzi stranieri) che dice di non conoscere nulla degli altri.
Se dal canto loro poi i ragazzi italiani vorrebbero conoscere degli altri soprattutto le tradizioni, i ragazzi stranieri sono più interessati alla famiglia, in un
evidente desiderio di integrazione su un piano più personale e quotidiano.
Rispetto a quanto invece hanno già fatto conoscere, i ragazzi stranieri hanno
certo avuto occasione di farlo di più, soprattutto a scuola, e quindi hanno trasmesso informazioni sulle proprie usanze, abitudini, tradizioni, ma anche musica, lingua, scrittura, cultura, città e monumenti del Paese di appartenenza; uno
dei ragazzi italiani invece, assai pragmaticamente, dice di aver fatto sapere “che
c’è molta crisi” e una ragazza italiana, orgogliosa delle proprie abitudini ma
evidentemente non fidandosene fino in fondo dice di aver comunicato, probabilmente alle sue compagne, “il fatto che c’è maggiore apertura mentale … o
almeno in parte”!
Il dato più significativo comunque è che ben il 60% dei ragazzi italiani non
abbia mai fatto conoscere agli altri qualcosa del proprio Paese: su questo piano, probabilmente la scuola non agisce in modo paritetico, considerando più o
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il mondo
a scuola
meno consapevolmente gli “altri” come ospiti di cui è gradito sapere chi sono,
piuttosto che come nuovi cittadini che, avendo iniziato altrove il loro percorso
di formazione (considerando quello familiare, anche se sono nati qui) hanno
bisogno tra l’altro di essere accompagnati ad una conoscenza approfondita del
nostro Paese e dei suoi abitanti.
Per una rilevazione più personale di questi aspetti, è stato infine chiesto ai ragazzi quale oggetto per loro importante avrebbero regalato ad un compagno di un
altro Paese, e quale oggetto dei suoi avrebbero gradito in regalo.
Il più gettonato da entrambi i gruppi come regalo, sia da fare che da ricevere, è
un abbastanza anonimo “oggetto ricordo”, anche una semplice foto, del proprio
Paese.
I ragazzi, o meglio le ragazze, di origine straniera regalerebbero volentieri un
gioiello (qualcuno specifica ad esempio “braccialetto dell’amicizia”, non è
quindi da pensare a cose molto preziose) o un abito (tradizionale) già ben sapendo evidentemente che le compagne lo avrebbero gradito, come infatti dicono. Offerto e gradito inoltre un disco di musica anche perché, come dice una
ragazza italiana, “così si ricorda sempre della nostra lingua attraverso i testi
delle canzoni”.
Molte risposte rivelano un notevole grado di sensibilità: regalerebbero infatti “qualcosa fatto da me per ricordargli che siamo amici” o “un pallone da
calcio, perché per me è una cosa importante perché mi rende felice” o ancora
“un oggetto che ha comprato durante il viaggio”. Diverse ragazze, italiane e
straniere, danno risposte del genere: “a me basta la sua amicizia” oppure “la
sincerità che ho nei suoi confronti” in cambio della stessa cosa; una di loro
invece afferma che per lei “il regalo più importante è il Corano però scritto
in italiano”. Si fa notare il fatto che nessun ragazzo straniero, a differenza di
alcuni italiani, negherebbe un regalo.3
3 Per i dati completi del questionario, si veda in Appendice
il mondo
a scuola
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3.1.2 La “testimonianza”
In questa fase i mediatori e le mediatrici sono stati chiamati a mettersi in gioco
in prima persona, prima ancora di intervenire professionalmente: sono andati
infatti nelle classi a raccontarsi, offrendo la diretta testimonianza della propria
personale esperienza del percorso di migrazione e di integrazione.
Questo intervento si proponeva agli alunni di origine straniera come possibilità
di contatto con ricordi, racconti, emozioni in cui specchiarsi e magari immedesimarsi, e agli alunni di nazionalità italiana come occasione di confrontare le
proprie opinioni, e magari i loro pregiudizi, con una realtà in carne e ossa.
E’ iniziato così un processo di coinvolgimento degli alunni nella costruzione
attiva di nuove conoscenze attraverso l’interazione, che si è poi sviluppato nelle
successive fasi. Per i risultati di questa, si rimanda al capitolo sulla mediazione
nella parte relativa, redatta dai mediatori che vi hanno partecipato.
3.1.3 L’animazione
Con l’intento di modificare le situazione problematiche delle classi sperimentando attività basate sull’ascolto e il rispetto dell’altro, è stata poi realizzata
nelle cinque classi una attività di animazione, che esplicitasse in contesti di role
playing dinamiche relazionali conflittuali o cooperative. Questa attività è stata
guidata dai mediatori su progetto specifico di una di loro in possesso di competenze nel campo,
Qui naturalmente si è dato ampio spazio ai linguaggi non verbali dalla gestualità
al disegno alla musica a tutte le tecniche di drammatizzazione, in più coinvolgendo i ragazzi in tutte le fasi di preparazione e messa in scena, partendo da un
semplice canovaccio presentato dall’animatrice che offriva una serie di stimoli
narrativi e simbolici dei percorsi di integrazione dello straniero. Dalla dimensione di un gioco di gruppo si passava, attraverso i meccanismi dell’improvvisazione, dell’immaginazione e delle dinamiche di gruppo, all’emersione di
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il mondo
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ricordi, interrogativi, stereotipi, scoperte, emozioni, di cui i ragazzi si sono fatti
portatori e protagonisti.
Nella successiva fase di riflessione emergevano le insicurezze iniziali (“all’inizio pensavo che veniva una vera schifezza perché nessuno ci insegnava quello
che dovevamo dire”) la soddisfazione del lavoro fatto (“sono orgoglioso di me e
dei miei compagni”) il senso della solidarietà (“nessuno si è arrabbiato di quello che abbiamo fatto nessuno ha commentato il lavoro degli altri”) naturalmente il divertimento e la voglia di rifare l’esperienza di una “giornata dimostrativa
che possiamo stare tutti insieme anche se siamo diversi”.
3.1.4 Il “caso difficile”
Nell’ultima fase, per avviare gli alunni a vivere le esperienze scolastiche e non con lo sguardo dell’altro, è stata usata una metodologia di problem solving di
casi in cui l’integrazione tra ragazzi di diversa nazionalità risulta difficile.
Anche in questo caso il lavoro dei mediatori è stato essenziale, a cominciare
dalla preparazione del “caso”, che è stato poi accompagnato da parte dei docenti
da una scheda di lettura e di lavoro per guidare la discussione, che è avvenuta
prima in piccoli gruppi poi in plenaria.
I mediatori hanno scelto un caso realmente accaduto, che forse anche come tale
ha toccato da vicino molti studenti, impegnandoli nell’individuare gli aspetti
problematici del caso, le responsabilità dei diversi attori, le possibili soluzioni.
Nei commenti, i giovani rivelano la loro sensibilità (“l’indifferenza è più dolorosa delle parole”) e la loro fragilità nella reazione da molti riconosciuta di
chiudersi in se stessi di fronte ai problemi, anche se poi nella riflessione tutti
affermano che le soluzioni si trovano solo aprendosi e confidando nell’aiuto
degli altri.
C’è anche una esplicita chiamata di responsabilità nei confronti della famiglia e
degli insegnanti, che dovrebbero comunque “accorgersi di quello che succede”
nelle relazioni di gruppo e che per di più, se da una parte sono i primi punti di
il mondo
a scuola
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riferimento per i problemi di un ragazzo, dall’altra però possono esserne anche
la causa originaria (“se gli adulti sono razzisti è appunto colpa loro del fatto che
a scuola a volte si va contro gli stranieri”). Responsabilità che vanno anche al
di là dell’ambito familiare e scolastico: qualcuno chiama in causa anche la storia
e una società che ha paura del diverso, ma che viene vissuta anche come un’opportunità (“Il ragazzo dovrebbe parlare con qualcuno al di fuori della scuola”
e le relazioni con i compagni possono stabilirsi “non solo nella scuola ma anche
al di fuori”) in un’accezione solidaristica fondamento di futuro (“se qualcuno
non viene aiutato da un altro non imparerà mai le cose nuove”). In qualche
caso, l’immedesimazione ha fatto anche emergere alcune storie personali che
ancora una volta hanno catalizzato e sciolto le emozioni.
“L’anno 2007, l’anno più triste della mia vita … i genitori mi hanno dato la
brutta notizia: “dobbiamo andare in Italia”; inizia un periodo con molti momenti difficili e brutti. Lasciare il tuo paese non é facile, lasciare la famiglia,
i nonni, gli zii, gli amici, la scuola, i posti del paese dove sei nato e cresciuto,
dove giocavi, le tue tradizioni, è un inferno … mi mancano anche i sassolini del
paese, mi manca il maestro della prima elementare.
Sono arrivato qua a 12 anni, a metà dell’anno scolastico in 1° media, non sapevo la lingua, non conoscevo nessuno, è stato terrificante per me! I genitori
mi hanno accompagnato e mi hanno lasciato davanti alla scuola. I compagni e
la maestra mi parlavano, ma non capivo niente e non sapevo cosa rispondere.
Lì erano molto razzisti come tanti italiani che non ci vogliono noi albanesi, mi
prendevano in giro, prendevano in giro il mio nome, mi sputavano in faccia,
mi dicevano “vai al tuo paese, qui non c’è posto per te”, mi hanno minacciato
anche con il coltello, ma alla fine la colpa era mia … io non sapevo spiegarmi.
Un giorno la maestra di matematica, facendo un compito alla lavagna e sbagliando un numero, mi ha detto: “ Così non si fa in Italia, così lo fanno solo
in Albania” e tutta la classe si è messa a ridere … in Albania avevo tutti i voti
ottimi, qua in Italia mi dovevo affogare per prendere 2.
Per tre anni non ho parlato quasi niente, neanche con la famiglia.
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il mondo
a scuola
Per noi albanesi la vita è stata sempre una sofferenza. Se adesso mi dicono
“Torniamo” sarò felice di tornare! Lasciare il tuo posto dove sei nato, è come
se ad una madre le strappi dal petto suo figlio. Il mio sogno è di tornare in Albania a continuare la scuola là. La mia lingua l’ho conservata perché mio nonno
prima di morire mi ha detto: “La lingua e il paese tuo non li dimenticare mai!”
Adesso in questa classe mi trovo bene.”
3.2 La sperimentazione in Provincia di Fermo
I docenti della Provincia di Fermo hanno programmato il proprio lavoro per
educare gli alunni al concetto di diversità come valore e alla costruzione della
propria identità, iniziando anch’essi con alcune domande formulate però non
come un questionario ma come domande aperte. Le domande, molto dirette,
erano rivolte a far esprimere agli alunni le proprie opinioni sul tema della diversità, particolarmente in ambito interculturale, aldilà di possibili infingimenti
e conformismi e provocare così un percorso di riflessione tale da mettere in
discussione in primo luogo stereotipi e pregiudizi che portano a percepire le
diversità come elementi di criticità ed ostacoli nello stabilirsi delle relazioni.
In secondo luogo, si voleva mettere in discussione l’idea di cultura come acquisizione statica, stimolando la riflessione sul fatto che invece nei valori riconosciuti da ognuno di noi, nei nostri stili di vita, nella percezione di quanto avviene
intorno a noi, sono già presenti elementi derivanti dall’incontro e dallo scambio
di diverse culture, che si evolvono nel tempo con l’intrecciarsi delle relazioni e
con il maturare delle esperienze.4
4
Docenti e classi:
prof.ssa M. Angela Ercoli, prof.ssa Tamara Marchetti, prof. Massimo Rossi, prof.ssa Adele Tomassoni
1°B Istituto “O. Ricci” Fermo
prof.ssa Elisabetta Achille, prof.ssa Ippolita Cotichini
1°B Istituto “Preziotti” Fermo
prof.ssa Loriana Lattanzi, prof.ssa A. Maria Pioppi, prof.ssa Tania Gallucci
1°A Istituto “Tarantelli” Sant’Elpidio a Mare
il mondo
a scuola
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3.2.1 Le “interviste”
Nella lettura delle risposte date alle “interviste” iniziali è stato chiesto l’aiuto competente delle psicologhe in servizio presso i CIC di Istituto, nell’ottica
dell’attivazione di tutte le risorse a disposizione all’interno dell’istituzione scolastica, oltre naturalmente all’apporto dei mediatori forniti dal progetto.
Dalle prime risposte, di carattere generale, non emergono difficoltà di relazione:
i ragazzi, sia italiani che non, non sembrano percepire negativamente la diversità in senso lato, anche se il fatto che molti si dichiarino sostanzialmente indifferenti di fronte ad essa lascia spazio a qualche dubbio su quanto questa dichiarata
indifferenza possa effettivamente celare, pur non consapevolmente. Scontato
il fatto che i rapporti con gli insegnanti, se incontrano qualche difficoltà, sono
condizionati quasi esclusivamente dai “loro” difetti (di rispetto e di ascolto, di
elasticità e disponibilità, di equità ecc.), quando le domande si fanno più dirette
comincia ad emergere, in alcuni casi, un certo grado di ostilità soprattutto in
studenti italiani maschi: una delle tre scuole ad esempio ha una presenza abbastanza significativa di alunni cinesi, e nei loro confronti c’è qualche esplicita
critica, soprattutto verso l’autoisolamento che viene loro rimproverato, e che
loro stessi riconoscono, anche attribuendolo più alle richieste dei genitori che ad
una propria scelta; altrove, si lamentano arroganza, prepotenze, maleducazione.
Quando poi si passa alla visione della propria ed altrui cultura, anche ragazzi,
soprattutto italiani ma non solo, che hanno buoni rapporti personali con compagni di altra nazionalità rivelano invece una avversione preconcetta contro le
altre etnie (“...nei loro paesi di origine alcune cose tipo spacciare-rubare e altro sono legali e quindi venendo in Italia fanno lo stesso”) ed anche, in pochi
casi, problemi relazionali derivanti dalla difficoltà di comprendere ed accettare
comportamenti legati ad altre culture (“...i cinesi … si credono superiori e ti
guardano con gli occhi che ti uccidono”). I ragazzi stranieri trovano gli italiani
troppo “deboli” mentre gli italiani li trovano troppo “aggressivi” e poco inclini
al rispetto della legge. I ragazzi italiani appaiono agli stranieri poco indipenden-
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il mondo
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ti, le famiglie sembrano troppo presenti e quindi i giovani non agiscono in modo
autonomo; mentre gli italiani vedono nei loro coetanei stranieri una spiccata
tendenza alla rissa, sono facili a venire alle mani …
3.2.2. La lettura del film
Il passo successivo è stato quello di far vedere e discutere un film, in cui i ragazzi potessero proiettare un po’ del loro vissuto.
I film infatti sono uno strumento didattico molto potente proprio perché si rifanno al reale senza essere reali, anche perché ad esempio nel film i concetti usuali di spazio e tempo possono essere completamente sovvertiti, e quindi la
rappresentazione del tempo può essere sia dilatata che condensata, così come
quella dello spazio.
Il film, proprio per le sue caratteristiche, è come una finestra aperta, diceva Musatti, su un “luogo altrove” in cui piano piano ci si lascia trasportare, allontanandoci dai problemi quotidiani: così le difese psichiche si allentano permettendo
alle emozioni, ai desideri e alle fantasie di uscire.
Il linguaggio visivo ha un potere di penetrazione comunicativa che stimola a
guardare il mondo attraverso lo sguardo di un altro, che sia il narratore o il
protagonista, e a comprendere quindi come gli altri vedono se stessi e il mondo;
come il racconto, il film consente di viaggiare nel tempo e nello spazio, di conoscere luoghi, modi di pensare e di vivere “altri”, ma usando un linguaggio più
intuitivo e ricco di suggestioni che possono essere, e sono, usate per molti scopi
didattici, non ultimo quello dell’accettazione della diversità etnica e culturale.
E’ stato proposto quindi agli studenti un film che affrontasse temi legati all’integrazione culturale, al conflitto tra culture, alla convivenza multietnica, e per
ottenerne una visione consapevole sono stati chiamati esperti con competenze
specifiche che aiutassero gli insegnanti a coinvolgere e stimolare gli studenti
alla discussione, per una prima presa di coscienza più approfondita delle problematiche oggetto delle “interviste”.
il mondo
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Gli studenti hanno avuto conferma del fatto che gli insegnanti erano effettivamente interessati a che esprimessero liberamente il proprio parere, e nonostante
qualche imbarazzo e difficoltà si è poi aperto il confronto, sulla base della fiducia che si stava ormai stabilendo.
3.2.3. La discussione
La discussione finale è avvenuta con il sostegno dei mediatori la cui presenza
ha facilitato, ad esempio, la comprensione di certi comportamenti diversi da
quelli cui siamo abituati e la distinzione, essenziale in termini di comunicazione
relazionale, tra questi e le interpretazioni spesso negative che ne diamo.
Sono state riesaminate le risposte date inizialmente alle interviste, anche per
riflettere sulla dichiarata indifferenza di fronte alle diversità, riconosciuta come
atteggiamento superficiale di comodo che non evita che nascano conflitti né
tantomeno facilita la nascita di rapporti costruttivi.
Anzi nel clima di confronto più aperto e collaborativo, stimolato anche con opportuni materiali didattici, la diversità è stata infine “rivalutata” come realtà
presente nella vita di ognuno proprio a partire dal quotidiano, e come valore
nella relazione (“se la ragazza è bella e simpatica che importa da dove arriva?
La cosa importante è starci bene insieme!” anche contro le raccomandazioni di
una madre diffidente … lei stessa straniera). Come dice Marco Aime in Eccessi
di culture: “A incontrarsi o a scontrarsi non sono culture, ma persone. Se pensate come un dato assoluto, le culture divengono un recinto invalicabile, che
alimenta nuove forme di razzismo. Ogni identità è fatta di memoria e oblio. Più
che nel passato, va cercata nel suo costante divenire.”
Riflessioni da coltivare per favorire l’equilibrio interiore e costruire condizioni
di maggior benessere complessivo nell’ambiente scolastico e nel contesto familiare e, in prospettiva, sociale. 34
il mondo
a scuola
3.3 La sperimentazione nella Provincia di Ancona
I due progetti delle scuole della Provincia di Ancona nascono dalla comune finalità di educare alla cittadinanza e alla consapevole costruzione di un progetto di
vita, proponendosi di avviare gli alunni innanzitutto a comprendere il significato
di “comunità” costruito sulla parità delle differenze e a riconoscere valore alle
pluralità come risorsa educativa, ma in particolare a sperimentare l’esperienza
di un vissuto condiviso.
Le scelte metodologiche hanno quindi privilegiato in questo caso l’interazione
tra componenti diverse del gruppo di pari, secondo lo spirito della peer education, e la cooperazione in ogni fase di un lavoro che si voleva comunque esperienziale. Due scuole hanno però scelto di condividere un’attività che abbiamo
chiamato di “convivenza”5, mentre un terzo Istituto6 ha fatto un’esperienza diversa, dimostrando una volta in più la duttilità delle scelte didattiche che si
adeguano alle situazioni di classe e di Istituto pur mantenendo scopi comuni.
3.3.1 La “convivenza”
Nell’incontro di programmazione, una docente ha proposto una riedizione, con
obiettivi in parte uguali in parte rinnovati, di un’esperienza fatta per alcuni anni
nella sua scuola ormai diversi anni or sono, chiamata allora “convivenza”: si
trattava appunto di convivere per alcuni giorni, classe e professori, fuori dalla
scuola in un luogo che permettesse una completa autogestione del quotidiano,
5
Docenti e classi:
prof.ssa Donatella Linguiti, prof. Pino Sergio
1°A Istituto “Podesti Calzecchi Onesti Ancona;
prof.ssa Laura Artero, prof.ssa M. Grazia Calzone, prof.ssa Stefania Sparaciari
1°A Istituto “Mannucci” sede di Jesi
6
Docenti:
prof.ssa Laura Baldelli, prof.ssa Silvia Pianelli
gruppo dell’Istituto “Vanvitelli Stracca Angelini” Ancona
il mondo
a scuola
35
dove però nel contempo fosse possibile svolgere delle attività formative.
La proposta è sembrata particolarmente adeguata alle finalità di questo progetto,
anche se rispetto alle altre proposte di sperimentazione presentava chiaramente
una maggiore complessità organizzativa. Nonostante questo, un altro Istituto ha
accettato l’idea e il lavoro è iniziato.
La prima fase è stata incentrata sulle classi, che dovevano prepararsi e conoscersi tra loro: sono state quindi realizzate attività specifiche, costruite sulle diverse
caratteristiche delle classi, frequentanti due corsi di indirizzo assai diverso; nel
contempo, il progetto veniva presentato ai genitori la cui adesione ad un’attività
così particolare era molto importante, soprattutto nel caso delle famiglie di origine straniera che infatti, pur con l’aiuto dei mediatori, hanno mostrato qualche
difficoltà in più a lasciare partecipare i loro ragazzi e soprattutto le ragazze.
In questa fase, gli studenti sono stati chiamati innanzitutto a definire se stessi
e la propria classe, sia in termini generali (dai dati anagrafici – 18 maschi e 16
femmine, 22 di nazionalità italiana e 12 di altra nazionalità, tra i 15 e i 18 anni
– ai gusti in tema di abbigliamento cibo ecc. alle inclinazioni di carattere) sia in
termini di valori condivisi, per dare un profilo dei comportamenti, basato sulla
realtà dei modi di essere e non sulla finzione delle apparenze.
A quel punto le classi si sono incontrate, presentate, conosciute, e hanno concordato gli aspetti organizzativi, dalle regole da seguire alla spesa da fare ai gruppi
e ai turni di cucina, pulizie ecc. I docenti intanto organizzavano anche le altre
attività, dai laboratori artistici e di scienze agli incontri e visite per conoscere il
territorio del luogo di soggiorno, alle serate con musica, festa dei genitori, osservazioni astronomiche, riflessioni guidate dai docenti e dai mediatori. E la comunicazione: un video, resoconti giornalieri per la cronaca della stampa locale.
Le due classi sono state poi insieme tre giorni in una struttura adatta allo svolgimento di attività anche di gruppo, gestita da una Cooperativa Sociale nel sito di
un antico monastero benedettino nei pressi di Fabriano. A conferma del fatto che
anche in questo tipo di contesto facendo si impara, ecco, senza filtri, una delle
sintesi scritte dai ragazzi:
36
il mondo
a scuola
cosa ho scoperto dei miei compagni
•
•
•
•
•
sotto sotto i miei compagni di classe sono legati e questo l’ho visto soprattutto nei giochi a squadre
S. non guardando come si veste è una persona brava e simpatica
andiamo d’accordo nonostante i difetti
le persone non si devono giudicare dall’aspetto o per quello che fanno perché conoscendole meglio scopri che sono delle persone speciali, non mi
aspettavo di legare così tanto con persone che prima non conoscevo
un compagno dell’altra classe mi stava molto antipatico perché ci parlavamo su Facebook e non ci capivamo bene invece dopo i 3 giorni siamo
diventati molto amici
cosa ho scoperto di me
•
•
•
•
•
•
•
nonostante tutto non mi importa cosa dice o pensa la gente
posso fare amicizia con persone totalmente diverse da me
sono molto più socievole di quello che pensavo
ho grossi problemi a relazionarmi con chi non conosco e spesso mi sento a
disagio ma ho cercato di fare tutto quello che si proponeva e non mi sono
chiusa in camera
sono affidabile come persona
sono più aperto di quello che pensavo
posso essere d’aiuto a qualcun altro
Riporto alcune voci che direttamente potranno esprimere una valutazione dei
risultati.
Un’insegnante:
“Tutti hanno apprezzato l’iniziativa. Qualcuno ha sottolineato l’amicizia che
è nata con i componenti dell’altra classe , qualcuno ha scoperto un aspetto del
proprio compagno di classe che non conosceva, molti hanno messo in evidenza
le dinamiche all’interno del gruppo quando si trattava di svolgere i compiti. In
il mondo
a scuola
37
tutti è emersa una riflessione su se stessi, sul proprio modo di relazionarsi con
gli altri e di affrontare i compiti che sono stati assegnati . Inoltre il confronto
con i ragazzi dell’altra classe in parte diversi, ma anche simili, perché comunque sono dei coetanei, è stato sicuramente un momento di crescita personale.
Credo che la classe ora sia più unita ed anche il mio rapporto con i ragazzi sia
cambiato …”
Una mamma:
“Pur non essendosi espresso dettagliatamente sullo svolgimento delle varie attività quotidiane, ho intuito subito che mio figlio ne è uscito “maturato”. Già al
suo approccio al rientro, ho notato un diverso atteggiamento, meno aggressivo,
rabbioso, conflittuale, ma più pacato, più “controllato”.
Ecco, questo mi ha profondamente colpito, in quanto lui non è estraneo ad esperienze di tale natura, è stato all’estero, ha “lavorato” d’estate presso un villaggio turistico, ma qui … si è trattato di un qualcosa in più. […]
Banditi tv, pc ed internet, il fulcro del loro quotidiano è stato il confrontarsi
gli uni con gli altri, alle prese con le difficoltà giornaliere, organizzandosi in
gruppi numerosi o meno, ma soprattutto “DIALOGANDO” piacevolmente senza sosta, espressione di volontà di liberarsi totalmente dei propri “scheletri”,
mettendosi a nudo con se stessi … verso gli altri …
Mi verrebbe di parafrasare il grande motto di Giovanni Paolo II: “aprite le
porte al mondo …”
Questo hanno realizzato ottimamente gli insegnanti che, senza lodi e senza onori, ci hanno dato una lezione indimenticabile …”
Una storia:
“E’ dall’inizio dell’anno scolastico che osservo R., quei suoi occhioni da cerbiatta triste, incorniciati da un bel colorito bruno, il capo sempre chino. E’
seduta al primo banco, da sola. Di tanto in tanto, in qualche ora di lezione
qualcuno occupa quel posto vuoto vicino a lei, e lei china il capo ancora di più,
38
il mondo
a scuola
tanto da far vedere solo la chioma intrecciata, si ritira nell’angolo fino quasi
ad appiattirsi sul muro bianco: la sua sagoma nera risalta ancora di più ed io
penso a come farò per vederla sorridere. E’ silenziosa, educata, non disturba
la lezione, non attira l’attenzione e quando le rivolgi la parola per chiedere se
ha compreso la spiegazione o l’esercizio o se è riuscita a prendere appunti ti
guarda meravigliata. Le compagne di classe solidarizzano tra loro anche per
difendersi dall’irruenza tipica dei maschi adolescenti, parlottano, confabulano,
ma lei, anche quando suona la campanella dell’intervallo, la vedi che si attarda
seduta al suo banco. Quelle poche volte che mi ha chiesto spiegazioni ha aspettato la fine della lezione per parlarmi.
Quando abbiamo pensato ad un progetto per la nostra classe, multietnica in
senso pieno, abbiamo pensato prima di tutto a R., a come fare integrazione
senza parlarne, senza mettere nessuno sotto i riflettori ma mettendoci tutti in
gioco, per cambiare atteggiamenti e “regole” non dette, per essere sul serio
una comunità in divenire.
Pian piano il progetto prende forma e si sviluppa attraverso momenti preparatori in classe per giungere finalmente alla settimana di “convivenza”. Iniziato
come un gioco, per eludere la solita lezione, giorno dopo giorno cominciano
tutti ad affezionarsi al progetto, lasciandosi prendere dalle attività e con la
voglia di essere protagonisti. R. sempre silenziosa si muove, tra questionari e
lavoro di gruppo, come una gazzella, partecipe e sfuggente allo stesso tempo.
Eccoci a San Cassiano: i monti, la voce del fiume e un prato infinito. Si mangia
insieme, si dorme insieme e il chiacchiericcio delle ragazze non è più escludente, diventa complicità e dà forza.
Tra un’attività e l’altra c’è chi sonnecchia, chi gioca con il pallone, chi si rincorre ma è ora di cucinare, R. abbandona la scopa e corre verso la cucina.
“Fermati”, si sente urlare, P. pronto rifà il verso e … esplode un gran sorriso:
finalmente R. ride, occhi illuminati e profondi, ride.
E’ sera, intorno al camino, ognuno ha tra le mani una “cartolina” da spedire
idealmente a un destinatario a scelta, e liberamente ci comunichiamo il perché
il mondo
a scuola
39
delle nostre scelte e delle nostre dediche: è la scusa per parlare di noi e della
nostra esperienza. Tra una parola e l’altra affiorano le emozioni nascoste. R.
rigira tra le mani la sua cartolina, con l’immagine di un bel ragazzo bianco e
della sua ombra. Finalmente rompe quel suo silenzio assordante: “Dedico
questa cartolina a tutti voi, l’ho scelta perché c’è il bianco ed il nero, ed ho
capito che siamo tutti uguali”.
Siamo tornati a scuola, R. non sta più al primo banco …”
3.3.2 L’autonarrazione 7
Scrive un’alunna: “secondo me la prima cosa che deve fare uno straniero per
integrarsi è raccontare il suo vissuto” e, dato che nell’adolescenza ci si sente
stranieri al mondo … in una delle scuole di Ancona si è scelto di lavorare sulla
narrazione di sé, selezionando un gruppo di studentesse e studenti di diverse
classi e corsi, oltre che nazionalità.
Il progetto prevedeva innanzitutto di far incontrare questi ragazzi che non si
conoscevano e che hanno accettato di lavorare insieme, proponendo loro uno
scopo comune: la produzione di un video. Al di là del prodotto finale, lo scopo
era quello di costruire un percorso di ascolto e condivisione, in cui la narrazione
di sé fosse strumento e costruzione insieme, nel prendere coscienza del mutamento di personalità che si sperimenta con l’imparare e con il crescere. Narrarsi
perché “ognuno di noi è speciale e unico, irripetibile: ogni persona ha le proprie caratteristiche, i propri interessi; ognuno è nato con uno scopo ben preciso,
perché tutti siamo importanti”
Partendo ciascuno dal proprio vissuto, gli studenti sono stati invitati a scoprire e
strutturare/ristrutturare il sé in relazione all’altro, all’interno di quel pezzetto di
mondo condiviso, nella convinzione che tutte le tecniche di auto narrazione, dal
7
Ringrazio per la consulenza offerta a questo proposito e per l’amicizia la dr.ssa Marina Ascoli, psicologa, psicoterapeuta, insegnante di yoga e formatrice
40
il mondo
a scuola
raccontare di sé ad un amico alle psicoterapie in un setting predefinito, hanno
un valore autoterapico e relazionale, mediato dallo stare insieme all’interno di
una comune esperienza. Con le parole di Duccio Demetrio in Il gioco della vita:
“ogni viaggio nel passato, lungo o breve, paziente o disordinato, casuale o cercato, è una rotta, “a vista” o meno, di carattere formativo.”
Hanno così preparato dei testi, effettuato le riprese, il montaggio, l’audio, lavorando in laboratorio in collaborazione con i tecnici, ma soprattutto “hanno
imparato a conoscersi, ad ascoltarsi, a condividere e a scoprire di avere tanti
punti in comune a prescindere dalle provenienze e dalle storie di vita lontane
… sono nate amicizie e forse qualche amore … la scuola è stata per loro il
luogo dell’incontro, dell’amicizia fuori dal contesto dell’apprendimento e delle
verifiche disciplinari” e anche per le insegnanti “E’ stato bello avere il mondo a
scuola … vederli ridere, aiutarsi, giocare, creare assieme … ascoltare e raccogliere i racconti delle loro vite, dei loro obiettivi, è stato come ricevere un dono
prezioso, perché ci hanno reso partecipi dei loro sogni” come quelli di O., che
a dieci anni ha lasciato il suo Paese per venire in Italia: “Ho un fratello e tutti e due frequentiamo questo Istituto, io il secondo anno e
lui il primo. Tutti e due siamo abbastanza bravi.
In questi diciassette anni di vita ho vissuto molto intensamente. Certe volte mi
sembra di avere centosettant’anni anziché diciassette. A volte mi pare di vivere
più vite parallele. Siccome ho viaggiato abbastanza mi sono fatto tante idee
sulla gente e sulle loro mentalità, sui loro stili di vita e sulle loro opinioni in
confronto agli extracomunitari come me.
Io non mi posso definire un ragazzo uguale agli altri, non sono diverso, no, perché io mi vesto come loro, parlo come loro, mangio come loro e mi vedo anche
con loro, ma io qui non ho niente. Io sono venuto qui per una vita migliore, per
una opportunità che al mio paese non c’era. Qua i miei amici anche se non
fanno niente una casa loro ce l’hanno. Se non faranno un lavoro in qualche
modo si arrangeranno, invece io ho una sola possibilità, cioè di farmi strada
attraverso lo studio per costruirmi un futuro solido nell’ambito professionale.
il mondo
a scuola
41
La scuola che ho scelto mi permetterà di frequentare la Facoltà di Farmacia e
laurearmi per avviare un’attività nel settore.
Oltre allo studio ho anche una grande passione: mi piace tanto lo sport che
faccio, il rugby. Il mister dice che sono molto portato e se mi impegnerò tanto
forse in un futuro vicino potrò giocare anche in nazionale. All’inizio quando
ne ho sentito parlare non mi sono molto interessato, ma dopo che sono andato
ai primi allenamenti mi è incominciato a piacere tanto. Così tanto che qualche
volta non studiavo per andare a tutti gli allenamenti. Quest’anno gioco con dei
compagni più grandi con cui si è creato un giusto clima come amici ma ancora
non riusciamo a fare squadra per vincere come succedeva l’anno scorso. Però
le ultime due partite le abbiamo giocate con la testa giocando tutti e quindici
come una cosa sola e infatti abbiamo vinto.
Credo di essere una persona simpatica, infatti faccio subito amicizia con tutti.
Con gli amici non ho tante preferenze, basta che loro rispettino me e io faccio
lo stesso da parte mia. Mi arrabbio molto di rado e cerco sempre di trovare una
soluzione attraverso le parole, ma quando qualcuno mi provoca passando alle
mani mi difendo, anche in modo cattivo. E’ nella mia natura. Specialmente in
questo momento della mia vita in cui mio padre non c’è più: non reggo più tante
battute come facevo prima, mi arrabbio spesso ma l’odio me lo tengo dentro e
so che questa cosa non è bella.
Ma dopo appena mi appaiono i ricordi dimentico tutto e gli occhi mi cominciano a lacrimare. Questo però solo pochi lo vedono e per me è un bene perché un
uomo non deve piangere, si deve far forza, se no che uomo è. Se dovessi invitare
un amico qui ad Ancona lo farei di sicuro ma con dei consigli molto importanti
per il suo futuro: ad esempio gli direi di studiare come faceva in … con lo stesso
metodo e di non farsi influenzare dagli altri compagni di classe che un mese studiano e altri quattro mesi no. Di essere sempre se stesso e di non far mai le cose
per farsi vedere dagli altri. Solo questo. E infine di cercare di sfruttare ogni momento della sua vita, e qualsiasi occasione si presenti la colga. Poi basta. Penso
che se seguirà questi consigli potrà vivere serenamente con tutti e con tutto.”
42
il mondo
a scuola
4. La mediazione interculturale e l’esperienza nel progetto
“Il Mondo a scuola”
Patrizia Carletti,
Presidente Associazione Senza Confini1
Nazmie Ceka,
coordinatrice Servizio di mediazione interculturale Gruppo UMAN – Senza Confini
Zana Dhroso, Joelle Garniér,
mediatrici Gruppo UMAN – Senza Confini
Di fronte ad una società sempre più multiculturale, negli anni ’90, l’Italia “individua nella progressiva acquisizione di cittadinanza la strada maestra verso l’integrazione e la partecipazione alla vita della società e si orienta verso un modello di società che riconosce nel suo interno l’esistenza di una pluralità culturale,
lasciando però alla sfera privata l’espressione e la perpetuazione delle identità
culturali. La responsabilità delle Stato nei confronti delle comunità straniere che
vivono sul territorio si concretizza pertanto da un lato nel promuovere procedure che garantiscano a tutti la possibilità di integrazione e di partecipazione alla
vita sociale, a prescindere dall’appartenenza etnica o dall’orientamento culturale e religioso e dall’altro nel garantire misure che prevengono e combattono
forme di discriminazioni e pregiudizi fondati su questi presupposti”
(Documento programmatico relativo alla politica dell’immigrazione degli stranieri nel territorio dello Stato, L. 6 marzo 1998 n. 40, art. 3)
1
L’Associazione Senza Confini di Ancona, nata nel 1995, opera a favore dell’uguaglianza delle persone straniere
in Italia. Le principali aree di attività sono la tutela del diritto alla salute degli immigrati, la formazione e sensibilizzazione degli operatori socio-sanitari, la mediazione interculturale. L’Associazione ha progettato e realizzato
il primo corso, nella regione Marche, di formazione per mediatori linguistico-culturali in ambito socio-sanitario
(1999-2000) e ha realizzato il primo convegno regionale sulla mediazione: “La mediazione interculturale: una
risorsa per i servizi socio-sanitari” (Ancona, 4 dicembre 2003), portando il tema nell’agenda politica regionale. Per
tale attività, nel 2005, è risultata vincitrice del premio nazionale Martignani. Nel 2004 ha collaborato alla stesura
della proposta di legge nazionale relativa alla definizione del profilo professionale del mediatore interculturale e
nel 2009 alla stesura della delibera regionale in tale ambito. Dal 2003, attraverso un gruppo di circa 30 mediatori,
Gruppo UMAN – Senza Confini, offre un Servizio di mediazione interculturale che opera attraverso convenzioni, nei servizi socio-sanitari pubblici di Ancona e di Senigallia. Oggi il gruppo UMAN ha un’esperienza ormai
consolidata nell’ambito dell’immigrazione e della mediazione interculturale e costituisce una preziosa risorsa per
tutto il territorio regionale. Per questo percorso desideriamo ringraziare le nostre maestre, Anna Belpiede, Marta
Castiglioni, Giovanna Zaldini.
il mondo
a scuola
43
In tale ottica veniva promosso l’associazionismo degli immigrati, riconoscendone un ruolo importante per l’accoglienza e l’integrazione dei nuovi arrivati,
così come si era verificato negli anni ‘70 e ‘80, in cui proprio le associazioni di
immigrati avevano svolto una funzione importante di sensibilizzazione, promozione della solidarietà e della tolleranza. Negli anni ‘90 compaiono interventi di
mediazione linguistico-culturale “di fatto”, per lo più spontanei e nella dimensione collettiva che diventano poi, negli anni 2000, servizi organizzati, con lo
scopo principale di far incontrare i diritti degli immigrati con il funzionamento
dei servizi di base quali quelli scolastici, sanitari, della giustizia, del lavoro,
dell’accoglienza.
Queste preziose esperienze sul campo, realizzate prevalentemente nelle regioni
del nord e centro Italia, sono state condotte, in genere, dal privato sociale no
profit che è stato l’attore più importante nell’organizzazione di associazioni/
agenzie in grado di fornire servizi di mediazione e anche nella pratica formativa.
Nel tempo, attraverso le relazioni con le istituzioni, compresa quella universitaria, lo scambio di esperienze ed il contributo di mediatori senior, il privato
sociale diventa capace di garantire una buona miscela di formazione teorica
ed esperienziale con tutto il suo bagaglio di monitoraggio e controllo qualità. Significativo è stato il contributo alla elaborazione degli attuali indirizzi ed
indicazioni normative che oggi costituiscono il punto di riferimento nazionale
per la definizione della figura professionale del ruolo e delle competenze del
mediatore e per l’impiego della mediazione interculturale nei servizi. A questo
proposito si faccia riferimento a:
• Documenti del CNEL “Politiche per la mediazione culturale, formazione
ed impiego dei mediatori culturali” (aprile 2000), “Mediazione e mediatori
culturali: indicazioni operative” (luglio 2009)
• Documento Isfol (Area Politiche sociali e Pari opportunità, Gruppo di lavoro sulla mediazione culturale, aprile 2009)
• Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome 09/030/CR/C9 (aprile 2009) che ha prodotto il documento “Riconoscimento della figura pro-
44
il mondo
a scuola
•
fessionale del Mediatore Interculturale”
Documento “Indirizzi per il riconoscimento della figura del mediatore interculturale” del Gruppo Tecnico Istituzionale per la promozione della Mediazione Interculturale, coordinato dal Ministero dell’Interno (2009)
Di fondamentale importanza è il documento approvato dalla Conferenza StatoRegioni che oggi è il punto di riferimento per tutte le Regioni e Province Autonome italiane.2
Considerata un ponte tra due parti, interfaccia tra gruppo e gruppo, tra amministrazioni/servizi e gruppo, la MI:
• promuove la conoscenza reciproca (culture, valori di riferimento, tradizioni, diritto, sistemi sociali, funzionamento dei servizi),
• agevola i percorsi di cittadinanza perché funziona come uno strumento di
“pari opportunità” e quindi facilita l’accesso ai diritti da parte delle minoranze,
• risulta essere un mezzo potente per migliorare le competenze interculturali
dei servizi e degli operatori che vi operano, perché in essa è insita una prospettiva di interscambio.
Alla mediazione viene attribuita la funzione di includere, avvicinare, disvelare,
rendere un po’ più “domestici” e trasparenti altri riferimenti e altre regole. Ad
essa si chiede di dare voce alle differenze, ai punti di vista diversi, alle rappresentazioni di altre culture e di alcuni significati nei modelli educativi, familiari,
nelle concezioni della malattia, della nascita, della morte… Il mediatore può
assumere inoltre un ruolo di cambiamento sociale, di stimolo per la riorganizzazione del servizio, di arricchimento della programmazione e delle azioni che
il servizio conduce. (Graziella Favaro)
2
Per la Regione Marche oltre al documento della Conferenza Stato-Regioni si faccia riferimento alla DGR
242/2009
il mondo
a scuola
45
La MI è uno strumento operativo, un dispositivo inserito all’interno dei servizi
e, come tale, è un processo che coinvolge l’interazione di più soggetti e l’organizzazione stessa del servizio. Essa porta con sé gli stimoli al cambiamento culturale ed organizzativo dei servizi affinché essi diventino più capaci di rispondere in modo appropriato alla domanda interculturale e aumentino l’autonomia
nella gestione del rapporto tra operatore e utente.
Si sottolinea che la MI non è una questione che riguarda i servizi sociali in senso
stretto del termine ma inerisce l’organizzazione e implica l’impegno, anche economico, degli specifici servizi, scuola, sanità, lavoro, giustizia ecc.
Alla luce di questi elementi che caratterizzano la MI, qualunque sia la sua dimensione, collettiva o singola, essa prevede un intervento professionale organizzato e non l’impiego sporadico e/o emergenziale di singoli interpreti.
Le esperienze più avanzate hanno dimostrato che il superamento dell’impiego
emergenziale, dunque improprio dei mediatori, può avvenire attraverso l’offerta
di un Servizio di mediazione organizzato. Questo consente, infatti, di offrire
mediatori interculturali di varie lingue, di lavorare stabilmente con programmi ed attività concordate all’interno dei servizi, di collaborare con le équipe di
operatori, di proporre soluzioni alle problematiche incontrate dagli operatori e
dagli utenti, di lavorare in rete con i servizi presenti nel territorio e con le comunità immigrate, di svolgere incontri di formazione sul campo con gli operatori,
di fornire consulenze su specifiche problematiche, di garantire un sistema di
monitoraggio e di valutazione dell’attività, di promuovere e far conoscere le
potenzialità della mediazione.
Le altre due fondamentali caratteristiche del dispositivo della mediazione sono
le competenze specifiche dei mediatori e la preparazione del terreno in cui la
mediazione andrà ad operare.
Il mediatore interculturale è:
• una persona di lingua madre che ha vissuto l’esperienza della migrazione,
che conosce bene la propria cultura d’origine e quella del paese ospite;
• un professionista che ha svolto un percorso formativo specifico qualificato
46
il mondo
a scuola
e che si aggiorna costantemente;
• un professionista che opera in modo organizzato.
Per consentire il funzionamento e dunque l’efficacia della MI è di fondamentale importanza “preparare il terreno” cioè organizzare interventi di formazione degli operatori italiani dei vari servizi, (scuola, sanità, centri per l’impiego,
carcere, centri accoglienza ecc), in cui la MI verrà utilizzata, volti a presentare
le funzioni della MI, il ruolo e le competenze dei mediatori, onde evitare rischi
di aspettative errate da parte degli operatori stessi, un impiego improprio dei
mediatori o conflitti tra gli operatori e la nuova figura che viene inserita nel
servizio.
Ci preme sottolineare che la mancanza di attenzione a questo aspetto, che richiede tempo e pazienza, quasi inevitabilmente conduce ad un fallimento della MI.
Infine desideriamo far presente alcune criticità che oggi devono essere affrontate e che riflettono il percorso accidentato delle politiche italiane sull’immigrazione che sono sempre state di breve respiro, discontinue, agite prevalentemente
nell’ottica di “pubblica sicurezza” e con modalità emergenziali e dunque con
scarso investimento sulle pratiche efficaci per accompagnare il percorso di cittadinanza degli immigrati (si ricorda che a tutt’oggi in Italia tutta la materia è
sostanzialmente gestita dal Ministro dell’Interno e non dal Ministero del Welfare come accade nella maggior parte dei paesi europei).
Le criticità riguardano un’offerta formativa per la figura professionale del mediatore, spesso poco qualificata, l’assenza di una “cultura della mediazione”,
modalità di impiego della MI troppo spesso con carattere emergenziale e temporaneo o “a progetto”, modalità di ingaggio e di contrattualizzazione dei mediatori incerta, difficoltà di passaggio “dal mediatore al servizio organizzato” e
di lavoro in équipe multidisciplinari.
La scuola costituisce per eccellenza il luogo della socializzazione in cui i ragazzi stranieri entrano in contatto con la lingua e la cultura italiane ed in relazione
con altri ragazzi.
il mondo
a scuola
47
La breve sperimentazione della MI nel progetto il “Mondo a scuola” rivolto
agli alunni delle scuole secondarie superiori ha fatto emergere alcune questioni
importanti. Di seguito si riportano alcune considerazioni dei mediatori e delle
mediatrici.3
La non conoscenza della lingua talora è causa di emarginazione e solitudine dei
ragazzi:
“… abbiamo capito perche i ragazzi cinesi non hanno una frequenza costante;
si tratta per tutti del problema della lingua…i ragazzi mi hanno raccontato che
in classe non capiscono niente, quindi si annoiano e saltano le lezioni. Vorrebbero che la scuola fornisse un assistente linguistico “che parli anche cinese…”
“…una ragazza cinese mi ha detto che vorrebbe una persona che conosca la
lingua italiana ed anche il cinese, e che nel corso d’italiano fatto a scuola non
ha imparato nulla,…tanto non si capisce e alla fine non si impara niente” (mediatrice cinese)
Spesso il rapporto tra alunni stranieri e italiani è difficile, il malfunzionamento
della comunicazione tra loro provoca conflitti e i diversi provvedimenti disciplinari non riescono a risolvere la situazione.
Partendo da questa idea il lavoro svolto ha avuto come obiettivo principale quello di capire in che modo e con quali metodologie e strumenti si possa impiegare
la mediazione interculturale nel lavoro scolastico quotidiano e di sperimentare
alcune ipotesi, a partire dalle difficoltà espresse dagli insegnanti durante il Corso
di formazione che ha preceduto il lavoro con gli alunni.
Nessuna delle 11 scuole in cui si è lavorato impiega la mediazione in modo sistematico e non vi era conoscenza da parte degli insegnanti del ruolo, delle funzioni, dei limiti, delle potenzialità della figura del mediatore né tantomeno del
dispositivo di mediazione, inteso come intervento organizzato e programmato,
3
Namzie Ceka, Zana Dhroso, Joelle Garniér, Ivanova Caro Montoya, Salhia Amara, Naazbi Soormahbi Chumroo,
Magda, Elizabeth Chumbipuma,Tatiana Pogar, Yang Lirong, Ermira Ago, Anila Kastrati, Aouad Mohamed
48
il mondo
a scuola
per cui il Corso e le sperimentazioni hanno costituito una preziosa occasione per
un confronto tra i mediatori e gli insegnanti su questi aspetti.
Per meglio comprendere i motivi delle scelte degli interventi di mediazione sperimentati nei microprogetti va premesso che:
• lo svolgimento del progetto e delle sperimentazioni con le classi ad anno
scolastico avviato (periodo febbraio-maggio) non ha consentito l’impiego
della mediazione nella fase dell’accoglienza dell’alunno straniero
• i tempi molto brevi del progetto non hanno consentito un lavoro con i genitori e la famiglia.
Questi due punti sono molto importanti, in quanto è emerso con chiarezza sia da
parte degli insegnanti che da parte dei mediatori che l’impiego della mediazione
nell’accoglienza e nella costruzione della relazione con i genitori sarebbe di
fondamentale importanza.
Dunque il lavoro si è concentrato soprattutto in aula con gli alunni, sperimentando alcuni strumenti tra cui:
• narrazione della personale esperienza migratoria delle mediatrici (nelle
classi di Macerata)
• presentazione e discussione in classe di un “caso” (classi di Macerata)
• proiezione di un film e successivo scambio di vedute con i ragazzi (classi
di Fermo)
• collaborazione con gli insegnanti nella predisposizione e somministrazione
di una breve intervista agli alunni con la scopo di avviare un dibattito sul
vissuto delle “differenze” a partire dalla propria esperienza in classe (classi
di Fermo)
• gioco di animazione (classi di Macerata)
Commentiamo brevemente alcuni risultati.
La narrazione da parte del mediatore o della mediatrice della propria esperienza
migratoria ha costituito un’occasione di apertura al dialogo, ha rappresentato
uno strumento molto forte per creare “lo spazio per la comunicazione”, una
il mondo
a scuola
49
funzione fondamentale della mediazione:
“… attraverso la mia lingua di origine creo empatia … racconto le difficoltà
che ho dovuto superare arrivando in Italia … racconto anche come ho usato la
mia condizione di immigrato/a per superare le difficoltà … e come ho imparato
a vivere in armonia con le persone in Italia” (mediatrice albanese)
“… grazie all’intervento del mediatore interculturale, penso che l’immigrato
possa acquisire sicurezza, consapevolezza e possibilità di interagire e di collaborare” (mediatrice rumena)
“… abbiamo cercato di avvicinare i due punti di vista, abbiamo chiarito alcuni
dubbi sulla religione e la cattiva interpretazione da parte degli alunni stranieri
della loro religione” (mediatore marocchino)
“… ho visto un vivo interesse da parte dei ragazzi e degli insegnanti, che mi
hanno chiesto approfondimenti e materiali. Durante gli incontri ho notato la
voglia di parlare di loro stessi, di far conoscere ai compagni la loro cultura.
Mi ha colpito molto una ragazza marocchina, che con gli occhi lucidi, parlando della sua esperienza in Italia, malgrado le difficoltà avute nell’inserimento
scolastico, ha detto di essere felice in Italia e allo stesso tempo fiera di essere
marocchina” (mediatrice albanese)
L’esposizione di un “caso”, la storia di un adolescente arrivato in Italia da poco
tempo che vive difficoltà di relazione con i compagni e subisce, in classe, anche
comportamenti razzisti, crea nei ragazzi una situazione di immedesimazione e
lo stimolo all’auto-narrazione, consentendo a tutti, stranieri e non, di esprimere
le loro difficoltà, le loro aspirazioni e facilitando un clima di ascolto e di confronto alla pari, superando l’impostazione etnico-folkloristica.
E’ emerso che molti ragazzi stranieri e italiani hanno vissuto storie simili e le
hanno raccontate in classe per la prima volta, facendo riflettere i compagni. La
possibilità, per i ragazzi stranieri, di raccontare il loro vissuto nella lingua madre
(su suggerimento delle mediatrice) li ha aiutati a esprimersi liberamente.
“…posso soltanto dire che la storia vissuta da questo ragazzo (…) così giovane
che ha saputo trovare nella sua lingua le parole giuste e il coraggio di sfogarsi
50
il mondo
a scuola
senza un minimo di animosità, ci ha così tanto commossi che l’intera classe
(compresa l’insegnante e le mediatrici) piangevano. È stato un momento veramente struggente e indimenticabile per tutti, sono certa che all’intera classe
sarà servito ad aprire gli occhi e a guardare “l’altro” diversamente. Pertanto,
ritengo che far raccontare la propria storia nella lingua d’origine sia un’ idea
da sfruttare in futuro ovviamente facendo degli incontri mirati (a secondo degli
alunni stranieri presenti)” (mediatrice afro-francese)
“… a me questa esperienza è piaciuta e mi è servita, perché mi ha fatto capire
e riflettere su quanto uno straniero soffra, soprattutto i primi anni, ad integrarsi
con gente che ha dei pregiudizi” (M., studentessa)
“… è stato molto interessante perché mi ha fatto capire che non c’è differenza
fra Italiani e stranieri, siamo tutti uguali, dobbiamo trattare tutti gli altri allo
stesso modo, a prescindere dal colore della pelle; mi ha fatto capire anche che
bisogna adattarsi a tutto” (I., studentessa )
“Nel mondo scolastico le problematiche dei ragazzi immigrati riguardano sia
la loro condizione giovanile che lo sradicamento culturale e la successiva integrazione in un nuovo ambiente, nonostante i ragazzi italiani abbiano dimostrato tutti un atteggiamento di apertura e di comprensione verso gli immigrati”
(mediatrice peruviana)
Il gioco di animazione è un intervento interculturale risultato molto valido per la
socializzazione; nella nostra esperienza avrebbe richiesto più tempo per cogliere e discutere gli elementi emergenti e trarre conclusioni.
In sintesi riportiamo alcune criticità e alcuni punti di forza del progetto, così
come li abbiamo vissuti:
- la presenza dei docenti in aula in alcuni casi è stata scarsa ed è emersa una
difficoltà nel lavorare in équipe e in modo organizzato; nel progetto di Fermo
la presenza degli insegnanti è stata di fondamentale importanza per la riuscita
dell’intervento di mediazione;
- sono mancati una discussione finale dei risultati tra insegnanti e mediatori ed il
il mondo
a scuola
51
coinvolgimento dell’Istituto nel suo complesso (anche a causa della ristrettezza
dei tempi per l’attuazione del progetto);
- nella fase di progettazione degli interventi non c’è stata la possibilità di coinvolgere genitori ed alunni;
- limitata esperienza nell’ambito della mediazione di alcuni mediatori coinvolti
e degli insegnanti;
- il corso di formazione che ha visto insieme mediatori e insegnanti ha consentito di iniziare a capire i bisogni degli insegnanti nella relazione con l’alunno
straniero e la necessità della mediazione culturale nel percorso scolastico;
- l’impegno e la flessibilità delle mediatrici che hanno operato nel territorio di
tre province hanno consentito l’instaurarsi di un clima favorevole al dialogo e
alla comunicazione da parte di tutti i ragazzi ed un clima di affiatamento tra le
parti;
- molti insegnanti hanno espresso la volontà di continuare il progetto.
Per il futuro è auspicabile il coinvolgimento dei mediatori interculturali nel lavoro di gruppo durante le riunioni di classe e di istituto per la progettazione d’interventi programmati e mirati all’accoglienza, alla costruzione della relazione
con le famiglie e alla costruzione di specifici percorsi scolastici; ci sembra importante anche il coinvolgimento dei mediatori in affiancamento all’insegnante
di L2. Nella gestione di situazioni di conflitto e disagio potrebbe essere utile un
lavoro di équipe che veda presenti anche altre figure professionali extrascolastiche.
Ci auguriamo che questa esperienza consenta l’avvio di una rete operativa tra le
scuole secondarie superiori, un servizio di mediazione organizzato e altri servizi
del territorio per poter offrire risposte integrate a problemi complessi.
52
il mondo
a scuola
CONCLUSIONI
Ennio Pattarin
Professore Associato di Sociologia Economica, Università Politecnica delle Marche
Non è semplice e facile progettare un intervento d’informazione e formazione
a favore dei docenti per l’inclusione dei ragazzi e ragazze di origine straniera
immigrati sui nostri banchi di scuola. Lo spaesamento con cui si indica la situazione materiale e psicologica dei migranti sembra riguardare anche il personale
scolastico; al quale, a fronte di una richiesta di contenuti, metodi e capacità
relazionali, si offre un sostegno al di sotto dei livelli necessari. Per questo, ogni
incremento formativo è salutare, anche quando sembra essere una goccia nel
mare della quotidianità scolastica.
Va riconosciuta alla scuola italiana un’impostazione di decisa integrazione, consolidatasi dal dopoguerra ad oggi, con chiari riferimenti al dettato costituzionale
anche per l’inclusione dei migranti. Ciò che si può definire stato costituzionale
del presente ha avuto nella scuola un chiaro riferimento pratico e metodologico,
che si è andato concretizzando in leggi e normative d’indirizzo. Così non è nel
resto d’Europa, dove negli Stati centrali si è preferito optare per un’impostazione differenziale, con classi d’ingresso e in parte di permanenza degli studenti
immigrati. Il nostro modello integrato prevede l’immediato inserimento nella
classe corrispondente per età, lasciando però alla scuola di riferimento una certa
flessibilità di decisione. Non si prevede, come per esempio in Francia, un’iscrizione pedagogique temporaire in una classe d’initation, poiché in Italia il carico
didattico e la formazione necessaria riguarda il docente della classe d’iscrizione
permanente. Inoltre a differenza dell’Inghilterra non esiste in Italia una figura
simile al mentore per gli insegnanti e al mentore di comunità etnica, cioè figure
maggiormente in sintonia con il modello multiculturale presente in Inghilterra,
ma lontano dalla nostra impostazione inclusiva. In Italia l’unica figura per qualche aspetto paragonabile al mentore per insegnanti è il docente referente per
l’intercultura a cui però si affianca il mediatore interculturale, figura quasi as-
il mondo
a scuola
53
sente negli altri paesi europei e del tutto diversa dal mentore di comunità etnica.
In più la nostra situazione è penalizzata da un iter incompiuto di decentramento
e autonomia scolastica, per il mancato accordo tra Stato e Regioni, nonostante
l’esistenza di un protocollo d’intesa, rimasto però bloccato per la mancanza di
finanziamenti alle Regioni. Il risultato di questa situazione è un buon modello
integrato in assenza però dei necessari supporti finanziari e formativi. Infatti, dal
punto di vista normativo si sono fatti dei passi avanti con il riconoscimento della
figura professionale del mediatore interculturale.
Nelle linee di indirizzo del Ministero degli Interni del 21 dicembre 2009, il
ruolo dei mediatori interculturali è di facilitazione, governance e agenti di cambiamento in 7 macro-aree: comunicazione, informazione e orientamento, gestione dei conflitti, accompagnamento e assistenza, formazione, consulenza e
progettazione, ricerca. Nello specifico ambito scolastico le attività prevalenti
sono: supporto ai docenti nelle procedure di prima accoglienza, facilitazione
del dialogo scuola/famiglia e tra famiglie autoctone e famiglie straniere, assistenza nella didattica interculturale, aggiornamento e supporto informativo circa
la provenienza e la storia didattica e personale dell’alunno straniero, collaborazione nell’insegnamento dell’italiano, assistenza nel recupero dell’apprendimento, recupero del disagio psicologico, orientamento scolastico e formativo,
animazione e proposte di iniziative interculturali extracurriculari e raccordo con
il territorio. La Regione Marche, con delibera n°242 del 9 febbraio 2010, completa questo quadro di riferimento nazionale individuando per il mediatore interculturale il ruolo di interfaccia tra popolazione immigrata e istituzioni italiane.
Aspetto innovativo se si è coscienti del carattere asimmetrico del rapporto tra
istituzioni e popolazione immigrata e quindi del ruolo ambivalente che ne deriva
per il mediatore interculturale, dovendo mediare tra il linguaggio elaborato delle
istituzioni e quello semplificato degli immigrati. Nonostante tutte queste difficoltà, l’offerta di corsi di italiano L2 è generalizzata, come avviene anche in tutti gli Istituti di questo progetto “Il Mondo a
Scuola”, mentre l’utilizzo di mediatori interculturali appare ancora sottodimen-
54
il mondo
a scuola
sionato, sia per il loro numero sia per le ore d’impiego. Nel nostro caso ai corsi
di italiano L2 si affianca il sostegno linguistico e in alcuni istituti risultano
positive attività basate sull’uso di linguaggi alternativi, come l’arte, la musica,
il teatro e il cinema. Secondo il parere degli insegnanti coinvolti, aspetti negativi riguardano l’organizzazione della L2, la scarsa conoscenza del retroterra
culturale dei ragazzi, l’atteggiamento superficiale degli alunni verso le tematiche interculturali, la presenza di alcuni atteggiamenti prevaricatori e offensivi,
l’atteggiamento dei docenti di resistenza e di delega di fronte ad iniziative specifiche. Non mancano gli ostacoli alla comunicazione interna e le carenze organizzative da parte della dirigenza nel vincere le apatie del personale. Evidenti
sono i limiti nel favorire la socializzazione e l’insegnamento interdisciplinare,
nel creare strumenti più sofisticati di valutazione, nei rapporti con le famiglie e
nell’investire la comunità scolastica e formativa.
Nella fase di attuazione del progetto, questi limiti trovano una ulteriore conferma nelle difficoltà di reperire un numero di mediatori interculturali con le
caratteristiche definite dalla normativa sopra indicata, ragione per cui ai docenti
e ai mediatori con più lunga esperienza sono stati affiancati anche alcuni giovani in formazione. Positiva, e in linea con i presupposti normativi, è quindi la
scelta di integrare fin dall’inizio insegnanti e mediatori e le fasi di formazione
con quelle di sperimentazione, al fine di trasformare questo ‘gruppo aula’, così
composto, in un gruppo di progetto e di lavoro. Emerge così fin dalle prime fasi
d’attuazione un aspetto focale di ogni azione formativa, dovuto alla capacità di
trasformare gli inevitabili conflitti verticali e trasversali del gruppo classe in
capacità progettuali collettive. Aspetto focale che non a caso riguarda anche la
mediazione interculturale, che per essere efficace si deve misurare con il compito di trasformare in identità progettuali e di vita gli inevitabili atteggiamenti
conflittuali dei migranti verso una società nel suo insieme poco accogliente, per
non dire discriminatoria. Dato che, come mostrano le cronache, non è facile
diventare nuovi italiani, quando simbologia e dichiarazioni senza mezzi termini
ti collocano tra i cittadini di serie B, anche da parte di persone che ricoprono
il mondo
a scuola
55
ruoli istituzionali. Ovviamente non sarebbe la presenza di bon ton a risolvere la
situazione, in un contesto europeo dominato da norme selettive d’immigrazione
finalizzate a mantenere un’elevata flessibilità del lavoro.
Nella sperimentazione del nostro progetto troviamo sia vari elementi dovuti alle
conseguenze del clima d’insofferenza verso l’immigrazione che si è creato, sia
iniziative di opposizione a questo clima, al fine di trasformare disuguaglianze e
differenze in relazioni sociali condivise. Dalla realizzazione dei 4 microprogetti
emerge un problema tipico della formazione, dovuto alle difficoltà di ricaduta.
Per cui mentre gli insegnanti precedentemente coinvolti nella prima fase della
formazione hanno dato risposte motivate con capacità autonoma d’iniziativa,
gli altri colleghi, pur soddisfatti e collaborativi, si sono mostrati poco coinvolti.
Ne deriva la sensazione che l’intercultura rimanga un problema per addetti ai
lavori. Aspetto questo che mostra ancora una volta una caratteristica del nostro
sistema scolastico, aperto più degli altri sistemi europei alla sperimentazione,
ma con forti difficoltà a trasformarla in forme di regolazione permanente. Limite
le cui cause vanno in ricercate non tanto e solo nei livelli formativi e di conoscenze pedagogiche degli insegnanti, ma nella scarsa autonomia di cui di fatto,
nonostante le leggi vigenti, i singoli istituti godono, con una ricaduta su aspetti
più volontaristici che propositivi. Tutto ciò, pur non potendo essere una giustificazione per l’insufficiente ricaduta e implementazione, rappresenta un ostacolo
al diffondersi di progetti interculturali, da tener presente e valutare.
La partecipazione degli alunni è l’altro aspetto rilevante della sperimentazione,
da cui emergono elementi più visibili e codificabili.
Un primo aspetto è la valorizzazione dei ragazzi attraverso la scelta e la disponibilità individuale, cui si uniscono le diverse forme di motivazione. Il motivare
i ragazzi nel mettersi in gioco può essere facile per un formatore professionale,
così non è per un’insegnante per il quale il saper fare presuppone un rapporto
con le conoscenze necessarie alla creazione di un habitat mentale, volto alla
continuità di pensiero e alla sua elaborazione. Attualmente, esistono non poche
difficoltà nell’unire il pensiero all’azione; poiché il sistema sociale attraverso i
56
il mondo
a scuola
suoi sistemi formativi e telematici richiede soprattutto un pensiero operativo,
cioè attitudine dei ragazzi ad acquisire le informazioni necessarie per risolvere
in modo rapido i problemi posti. Aspetto che presuppone superficialità mentale, termine con il quale non si intende riferirsi alla persona, ma al modo in
cui l’oggetto del pensiero viene elaborato: si indica il fluire libero del pensiero
operativo in modo rapido e sbrigativo, finalizzato nel nostro sistema sociale a
richieste di immediato adattamento alle mutevoli esigenze del mercato, sia dei
beni, sia del lavoro. Questo carattere soft del pensiero presuppone uno specifico
tipo di talento, ossia la capacità di pensare in prospettiva a ciò che si potrebbe
fare, senza l’obbligo di tener conto del contesto e dei riferimenti sociali. In positivo richiede nei casi migliori fantasia, duttilità, collaborazione, in negativo non
richiede molta esperienza e penalizza la riflessione. Queste attitudini facilitano
il lavoro di gruppo senza il dovere di andare a fondo nella conoscenza reciproca
e personale. In queste condizioni essere ritenuto privo di queste capacità personali è molto più devastante che essere ritenuto un ignorante. La ricerca di questo
tipo di personalità è incombente per i nostri adolescenti, sotto la minaccia di
essere considerati privi di personalità. Questa situazione produce nella scuola
una maggiore rilevanza della socializzazione rispetto all’apprendimento e, su
questo piano, una tacita contrattazione sulle regole con maggiore richiesta di
flessibilità nella loro applicazione. In più siamo in Italia e una certa dose di furbizia è sempre accolta. Questa situazione sembra produrre una contrapposizione
tra studenti autoctoni e immigrati proprio sul problema dell’adesione alle regole
soprattutto di carattere familiare e religioso. Gli studenti italiani hanno un atteggiamento più strumentale, gli stranieri hanno un atteggiamento più valoriale.
Questi due atteggiamenti si ripercuotono anche sulla concezione della scuola e
dello studio, maggiormente strumentale per gli uni e maggiormente valoriale
per gli altri. Pensiero operativo e atteggiamento strumentale si antepongono
così al pensiero riflessivo e all’atteggiamento valoriale verso le regole. In fondo
credono nella scuola più i ragazzi stranieri che non quelli italiani. Per i primi è
un’opportunità, se non l’unica la principale, per i secondi uno strumento in più
il mondo
a scuola
57
rispetto a quelli già posseduti. Per ambedue il problema è evitare il fallimento.
Un secondo aspetto è l’importanza delle autobiografie, di cui un esempio nella
fase della sperimentazione è il racconto che un ragazzo albanese fa di sé producendo un ascolto commosso da parte dei suoi compagni e insegnanti. Viviamo in un’epoca di bricolage delle biografie individuali, per effetto della scarsa
presenza di riferimenti stabili e di modelli di vita da imitare. Ne deriva una
maggiore esigenza di confronto e relazione tra le differenti biografie. La narrazione dei percorsi migratori, anche nella loro drammaticità, rappresenta un’occasione rilevante di confronto e partecipazione ad un’epopea della costruzione
della società multiculturale, in cui ci si può riconoscere per il valore attribuito
alle differenze culturali. Se da un lato la pratica riflessiva è scarsamente richiesta dalla società mass-medianica, d’altro lato le persone ne sono costantemente
sospinte dal carattere individuale delle loro scelte, senza però valide risposte,
per la continua distruzione dei legami sociali in una situazione di frammentazione sociale. Ne deriva che il confronto e la percezione di essere parte di
un progetto multiculturale può rappresentare una valida contrapposizione alle
forme di assimilazione inconsapevole imperanti. La stessa azione dei mediatori
interculturali va in questa direzione, essendo il mediatore una terza persona che
in modo professionale aiuta le parti a ricercare dei punti di accordo attraverso
un’azione riflessiva. Non vanno tuttavia nascosti i pericoli che il semplice confronto biografico può produrre, nascondendo il senso di fragilità e precarietà del
singolo individuo: si può innescare il pericolo di un’astratta concezione della
comunicazione ritenuta di per sé un valore e non un semplice strumento per
costruire relazioni significative, nascondendo in questo modo la situazione in
cui la comunicazione avviene e il suo carattere spesso asimmetrico negli ambiti
istituzionali, comportandosi come se tutti fossero alla pari con pari opportunità.
Un terzo aspetto, emerso dalla sperimentazione in fase di discussione, è attinente alle problematiche conflittuali con riferimento allo scontro tra sistemi valoriali. Un primo problema da tener presente nelle aule di scuola è la distinzione
tra conflitti di tipo adolescenziale tra alunni e conflitti valoriali di stampo etnico.
58
il mondo
a scuola
Giustamente l’opera dei mediatori interculturali riguarda i conflitti valoriali derivanti da diverse impostazioni culturali. Lo strumento utilizzato è quello della
decostruzione e ricostruzione del linguaggio al fine di ricercare alcuni punti
di accordo, senza avere l’ambizione della risoluzione del conflitto o invocare
principi di tolleranza, con il pericolo di offrire una versione più edulcorata di
cittadini di serie B, ritenuti inferiori ma comunque tollerati. Si deve sempre
tener presente il carattere performativo del linguaggio utilizzato. A questo proposito una certa rilevanza assumono le tecniche di mediazione utilizzate, il cui
fine non è la ricerca dell’armonia, in contesti in cui le stonature sono all’ordine
del giorno, ma lo svelamento dei conflitti. La mia preferenza va al modello narrativo derivante dalle teorie sistemiche, in cui la metafora sistemica viene posta
all’interno di quella narrativa con tecniche di decostruzione e costruzione del
linguaggio. L’idea di fondo è che gli individui per cambiare hanno bisogno degli
altri e lo possono fare mutando le narrazioni interattive con l’altro diverso da sé.
Il fine non è produrre assenso o armonia, ma co/elaborazione e co/costruzione di
una storia comune, che nel nostro specifico è una storia comune multiculturale. il mondo
a scuola
59
I DATI DEL QUESTIONARIO DELLA PROVINCIA DI MACERATA (valori %)
Alunni
di nazionalità
italiana
Se tuo padre lavora, che tipo di lavoro svolge?
Operaio / lavoro manuale
59
Impiegato / lavoro non manuale
13
Lavoro autonomo
16
Dirigente, libero professionista, imprenditore
11
Non lavora
1
Se tua madre lavora, che tipo di lavoro svolge?
Operaio / lavoro manuale
47
Impiegato / lavoro non manuale
13
Lavoro autonomo
8
Dirigente, libero professionista, imprenditore
6
Non lavora
26
Dove passi più frequentemente il tuo tempo libero?
Centro ricreativo, Centro giovanile
5
Casa
42
In giro
53
Con chi?
Da solo
24
Con il ragazzo/a
13
Con i compagni di scuola
4
Con altri amici
59
Tra gli amici che frequenti ci sono ragazzi di altra nazionalità?
Sì
54
No
46
Alunni
di nazionalità
non italiana
61
-
24
12
3
43
-
21
3
33
-
70
30
39
9
-
52
70
30
60
il mondo
a scuola
Alunni
di nazionalità
italiana
Hai un amico/a del cuore?
Sì
No
Se sì, è della tua stessa nazionalità?
Sì
No
Cosa fai con i tuoi compagni di classe di altra nazionalità?
Studio
Molto
Poco
Per niente
Esco
Molto
Poco
Per niente
Mi confido
Molto
Poco
Per niente
Quando lavori in gruppo come scegli i tuoi compagni?
Decidi tu chi chiamare nel tuo gruppo
Lasci che siano i tuoi compagni a chiamarti
Ti fai assegnare dall’insegnante
Vai nel gruppo già formato che ti piace di più
Racconti a casa ciò che succede a scuola?
sempre
qualche volta
mai
Alunni
di nazionalità
non italiana
85
15
79
21
88
12
58
42
6
52
42
9
61
30
12
36
52
9
36
55
16
53
31
27
46
27
22
32
16
30
16
34
25
25
36
63
1
15
79
6
il mondo
a scuola
Alunni
di nazionalità
italiana
Come conoscono i tuoi genitori ciò che fai a scuola?
Dai tuoi racconti
Dalla scuola
(colloqui con gli insegnanti, comunicazioni scritte)
Dagli altri genitori
Quanto sei in contrasto con i tuoi genitori a proposito di
Risultati a scuola
Molto
Poco
Per niente
Comportamento
Molto
Poco
Per niente
Amici
Molto
Poco
Per niente
Tempo libero
Molto
Poco
Per niente
Modo di vestire
Molto
Poco
Per niente
61
Alunni
di nazionalità
non italiana
66
82
34
-
15
3
22
58
20
43
39
18
31
50
19
27
49
24
14
30
56
6
58
36
17
40
43
28
36
36
12
27
61
18
30
52
62
il mondo
a scuola
Alunni
di nazionalità
italiana
Alunni
di nazionalità
non italiana
Se dovessi andare a vivere in un Paese straniero che cosa ti mancherebbe di più?
Cibo
28
25 Amici
54
50 Modo di vestire
9
2
Religione
3
18 Musica
5
3
Niente
1
2
Se dovessi andare a vivere in un Paese straniero cosa ti piacerebbe di più conoscere?
Cibo
19
22 Amici
32
38 Modo di vestire
19
7
Religione
11
11 Musica
17
18 Niente
2
4
Che cosa conosci dei tuoi compagni di altra nazionalità?
Le loro canzoni
10
16 Le tradizioni
43
42 La famiglia
16
16 Nulla
28
21 altro
3
5
E cosa altro vorresti conoscere?
Le loro canzoni
21
24 Le tradizioni
42
24 La famiglia
17
31 Nulla
14
15 altro
6
6
Hai fatto conoscere qualcosa del tuo Paese ai tuoi compagni di altra nazionalità?
Sì
40
70 No
60
30 il mondo
a scuola
Alunni
di nazionalità
italiana
Se hai risposto sì, che cosa hai fatto conoscere?
(risposte aperte)
Tradizioni e usanze
Musica
Religione
Cibo
Abiti (tradizionali)
Lingua, dialetto, scrittura
Amici
Cultura, scuola
Svaghi
Paese di abitazione, luoghi di incontro
Paese di appartenenza, città, monumenti
Famiglia
Niente
Tutto Se hai risposto no, che cosa ti piacerebbe far conoscere?
(risposte aperte)
Tradizioni
Musica
Religione
Cibo
Abiti (tradizionali)
Lingua, dialetto, scrittura
Amici
Cultura, scuola
Svaghi
Paese di abitazione, luoghi di incontro
Paese di appartenenza, città, monumenti
Famiglia
Niente
Tutto 63
Alunni
di nazionalità
non italiana
41
11
9
4
-
5
4
2
4
9
2
7
2
-
35
13
5
5
8
13
3
10
-
-
8
-
-
-
39
10
4
6
2
4
3
4
2
6
8
2
8
2
23
-
15
-
-
8
8
15
-
-
15
-
8
8
64
il mondo
a scuola
Alunni
di nazionalità
italiana
Alunni
di nazionalità
non italiana
Quale oggetto per te importante regaleresti ad un tuo compagno di un altro Paese?
(risposte aperte)
Gioiello
7
18
Abito (tradizionale)
4
18
CD musicale
5
11
Gioco, pupazzetto
12
-
Foto/oggetto ricordo della persona
9
3
Foto/oggetto ricordo dell’amicizia
6
9
Foto/oggetto ricordo del proprio/altrui Paese
20
20
Fiore, trucchi, profumo, diario
4
-
Quadro, libro, oggetto sacro
4
6
Cibo 1
-
Qualunque cosa, a sua scelta
-
-
Niente
14
-
Non sa, non risponde
14
15
E quale oggetto dei suoi ti piacerebbe che ti regalasse?
Gioiello
11
9
Abito (tradizionale)
16
5
CD musicale
4
5
Gioco, pupazzetto
2
14
Foto/oggetto ricordo della persona
3
-
Foto/oggetto ricordo dell’amicizia
4
9
Foto/oggetto ricordo del proprio/altrui Paese
21
14
Fiore, trucchi, profumo, diario
-
9
Quadro, libro, oggetto sacro
4
-
Cibo 1
5
Qualunque cosa, a sua scelta
7
5
Niente
12
5
Non sa, non risponde
15
20
Cooperativa Sociale La Gemma
Società cooperativa Onlus
piazza Stamira 13 - 60122 Ancona - tel 0712075383 fax 0712080879
[email protected]
[email protected]
Provincia di Ancona
Assessorato alle Politiche sociali e della migrazione
via Ruggeri 5 - 60122 Ancona - tel. 0715894334 fax 0715894361
[email protected]
g.fi[email protected]
senza
confini
ASSOCIAZIONE PER L’UGUAGLIANZA SOCIALE
DELLE PERSONE STRANIERE IN ITALIA
Associazione Senza Confini
via Veneto 11 - 60123 Ancona - tel. 333 6711915 - 347 8256347
senzaconfi[email protected]
le scuole sedi di sperimentazione
AnconaIIS “Podesti Calzecchi Onesti”
Strada di Passo Varano 17 - 60100 Ancona - tel. 071 2905276 fax 071 2863860
IIS “Vanvitelli Stracca Angelini”
Via Trevi, 4 - 60100 Ancona - tel 071 4190711 fax 4190712
LA “E. Mannucci”
via Montecappone 7 - 60035 Jesi - tel 0731 214386 fax 0731 648126
MacerataIIS “F.Filelfo”
sede ITE piazza San Giovanni Bosco - 62029 Tolentino MC - tel. 0733 960376 fax 0733 953147
IP “I. Pannaggi”
via Capuzi 40 - 62100 Macerata - tel. 0733 237058 fax 0733 237158
IPSAR “G.Varnelli”
via G. Mazzini 2 - 62011 Cingoli MC - tel. 0733 603866 fax 0733 606045
IPSIA “F. Corridoni”
via S. Anna, 9 - 62014 Corridonia - tel. 0733 434455 fax 432690
ITAS “M. Ricci”
via G. Di Pietro 12 - 60100 MC - tel 0733 31614 fax 0733 369043
www.inkarta.com
FermoISDAF “U. Preziotti”
via Marsala 34 - 63023 Fermo - tel 0734 229205 fax 0734 228458
IPSCT “E. Tarantelli”
corso Baccio 25 - Sant’Elpidio a Mare - tel. 0734 991431 fax 0734 993994
IPSIA “O. Ricci”
largo Cavallotti 5 - 63023 Fermo - tel 0734 228829 fax 0734 601114
Progetto finanziato dal Fondo Europeo per l’integrazione dei Cittadini di Paesi Terzi 2007 – 2013 – Azione 2
annualità 2009, Ministero dell’Interno, Dipartimento per le Libertà Civili e l’Immigrazione , Direzione Centrale
delle Politiche per l’Immigrazione e l’Asilo. Codice CUP: C83H10000000005. Cod. Progetto n. 3270
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Opuscolo con i risultati del progetto