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Corso di Laurea magistrale
in: Scienze dell’antichità: letterature, storia,
acheologia
Tesi di Laurea
Marciare su Roma:
Nuove strategie politiche nella
tarda Repubblica
Relatore
Prof.ssa Franscesca Rohr Vio
Laureando
Fabio Raoni Trombetta
Matricola 829322
Anno Accademico
2013 / 2014
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A mia madre Valentina
3
Indice
Premessa
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Introduzione
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Capitolo 1: Lucio Cornelio Silla
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Capitolo 2: Le marce del 44 a.C.
36
Capitolo 3: Ottaviano marcia ancora su Roma
68
Capitolo 4: Lucio Antonio e le marce del 41 a.C.
101
Capitolo conclusivo
127
Appendice
144
Abbreviazioni
147
Referenze bibliografiche
148
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Ringraziamenti
Con estrema sincerità desidero ringraziare la mia docente, Francesca Rohr, che mi ha
condotto con cesariana clemenza per tutto il periodo universitario. Dal primo esame
all’ultima, faticosissima prova, mi ha guidato nella marcia verso la laurea. Ci tengo che
il mio ‘grazie’ sia per Lei chiaro e, magari, motivo per continuare a dimostrare la sua
umanità a nuovi allievi, non solo come professoressa ma anche come persona sensibile e
dolce, come sempre lo è stata con me. Spero davvero ci siano altre occasioni di lavoro
insieme.
Ringrazio per motivi affini la Prof.ssa Cresci, il Prof. Lucchelli e il Prof. Calvelli: la
passione che mi hanno trasmesso con le loro lezioni ha reso piacevole ed arricchenti allo
stesso tempo tutto il tempo passato in quest’Ateno.
Il piccolo traguardo che raggiungo con questa tesi non sarebbe stato possibile senza
l’appoggio e il sostegno dei miei familiari.
I miei affezionatissimi nonni sono sempre stati al mio fianco; allo stesso modo anche mio
padre, seppur fisicamente distante, mi ha sempre spronato a dare il massimo e si è
convinto dei miei studi riponendo fede in me. Un ruolo speciale l’ha rivestito mia sorella
Carol che ha condiviso con me un grande dolore ma è riuscita a crescere e a darmi
manforte nonostante le difficoltà. A tutti loro esprimo la mia più sincera gratitudine.
Meritano un ringraziamento speciale le due donne che amo. La prima è la mia Valentina,
amica sincera, tenerissima madre, mio tutto. La sua presenza ha fortemente condizionato
tutta la mia formazione; più di tutti ha accettato il mio amore per l’antico. L’altra è Elena
Ciccarello, la mia dolce metà, che come un’insegnante esperta ha corretto molto di me,
ne ha tirato fuori il meglio e si è dimostrata paziente nei lunghi mesi di studio per questa
ricerca; il suo è stato un innegabile supporto.
Riservo spazio in questi ringraziamenti anche ai tanti compagni di università ed amici che
sia nella vita quotidiana, che nella stesura della tesi negli ultimi mesi, hanno alleviato le
difficoltà; per menzionarli tutti non basterebero poche pagine… ci tengo però a lasciar
memoria a chi leggerà che il contributo di tutti è stato prezioso, molto più che tanti anni
di studio.
Infine, tra questi ultimi, non posso astenermi dal ringraziare Paolo per la sua irrinunciabile
amicizia.
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Premessa:
Marcia o colpo di stato?
Marciare contro la propria patria è una scelta politica, un’azione militare guidata
da un capo che agisce oltre i poteri istituzionali conferitigli. Non esiste ad oggi una
definizione precisa di ‘marcia’ poiché il verbo ‘marciare’, nell’ampio contesto delle
guerre civili antiche, può assumere connotazioni diverse. In latino e in greco, lingue delle
fonti antiche indagate in questa ricerca, le fonti si riferiscono all’azione della marcia con
termini distanti dal significato moderno dell’espressione pur esprimendo il medesimo
concetto. La marcia verso la capitale viene comunemente associata ad un colpo di Stato,
un’azione illegale organizzata da soggetti politici che non agiscono nel rispetto dei
principi legali al fine di rovesciare l’ordine costituente; è questa la definizione di ‘golpe’,
una delle possibili conseguenze della marcia.
Le difficoltà nel far luce sul tema sono molteplici e di diversa natura; va
innanzitutto chiarito che l’interesse di questa ricerca, e quindi l’ottica attraverso la quale
vengono analizzate le vicende storiche, consiste nel comprendere il significato delle
marce su Roma verificatesi nel corso delle guerre civili di I secolo a.C. secondo la visione
degli antichi e quindi attraverso lo studio della storiografia romana, sulla base cioè di testi
in lingua greca e latina appartenenti alla tradizione Romana. Non si cercheranno dunque
parallelismi anacronistici con le vicende del “Secolo breve”1; si ritiene che la comune
visone moderna sia spesso inficiata e condizionata dai recenti avvenimenti novecenteschi,
dai colpi di Stato avvenuti in Europa come negli altri continenti, che hanno avuto pesanti
ricadute sulla nostra cultura. Per ciascun italiano l’espressione ‘marcia su Roma’ rimanda
al 19222, prima che ai protagonisti della tarda repubblica romana. Il mondo romano invece
era avulso da questo tipo di coscienza storica; fino all’88 a.C., la storia di Roma non
conosce cittadini che entrano in armi all’interno delle mura.
Questa tesi si propone di fornire una chiave di lettura delle vicende che rispecchi
Per la definizione vd. Hobsbawn 1994 (2006).
La bibliografia sulla marcia fascista del 1922 è abbondante; significativo è il recente contributo di G.
Albanese, cfr. Albanese 2008.
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la visione degli stessi storici antichi. Il termine marcia di conseguenza assume in questo
contesto un significato che non sempre è sinonimo di ‘colpo di Stato’.
Il punto di partenza per lo studio dell’argomento sono le fonti letterarie attraverso le quali
si propone in primo luogo la ricostruzione di quegli episodi della storia tardo repubblicana
che si possono interpretare come marce su Roma. Ad affiancare la discussione
storiografica si presenta una contestualizzazione storica che tiene conto delle dinamiche
politiche, dei protagonisti (attraverso brevi accenni prosopografici sui principali
personaggi della scena tardo repubblicana) e dei soggetti coinvolti: populus, milites,
Senatus. In secondo luogo si opera nella prospettiva di ritrovare in quelle fonti, che sono
l'esito della ricostruzione di storici di orientamento politico diverso, le differenti
interpretazioni accordate a questi avvenimenti e la strumentalizzazione degli stessi nella
propaganda politica. Particolare attenzione è dedicata dunque al confronto tra
testimonianze diverse sullo stesso tema. Il deficit della perdita di molti contributi antichi
non esclude infatti che non si possa coglierne l’eco in opere di autori successivi ai fatti
che usufruisco di un patrimonio di fonti al quale noi possiamo attingere solamente in
forma indiretta. Lo studio si propone, infine, di individuare eventuali elementi ricorrenti
e divenuti standard nella descrizione storiografica delle marce su Roma e le
contaminazioni nella descrizione tra un episodio e l'altro, potenziale strumento di
manipolazione della memoria e indizio per individuare quanto nella redazione letteraria
è riflesso di dinamiche evenemenziali o, diversamente, portato di interventi arbitrari
dell'autore antico.
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INTRODUZIONE
La tarda repubblica a Roma è un periodo di crisi del sistema politico che si risolve,
dopo numerosi quanto infruttuosi tentativi di soluzione, con il principato augusteo e
quindi con la fine della Repubblica. L’origine di questa crisi è rintracciabile in alcuni
cambiamenti che minano la stabilità raggiunta dall’oligarchia al potere, in particolare:
l’espansionismo senza un’adeguata organizzazione nella gestione dei territori conquistati;
le condizioni precarie della classe servile in continuo aumento; le proteste sia da parte dei
cittadini poveri che si impoveriscono vendendo le loro terre ai latifondisti, sia degli alleati
italici che chiedono l’equiparazione giuridica ai cives Romani. Questi e molti altri
problemi che affliggono la società romana non trovano una soluzione unitaria e
programmata da parte della classe politica romana. Con la scomparsa dei piccoli
proprietari terrieri viene meno il legame che vincola il cittadino, proprietario di un lotto
di terra, e l’esercito. Cala drasticamente il numero degli effettivi e la macchina bellica
Romana perde di efficacia; inoltre, i soldati rimasti distanti dalla patria per diversi anni
per le campagne militari faticano a ritornare alla vita quotidiana. Aumenta il proletariato
urbano e con esso anche i legami clientelari che, dopo l’introduzione del voto segreto3,
rendono, politicamente parlando, molto influenti alcuni nobiles. La classe politica si
divide sempre più tra conservatori del sistema e innovatori che intendo lasciare maggior
spazio di azione sia al ceto emergente degli equites sia agli italici. La separazione
dell’oligarchia in factiones favorisce l’ascesa politica di singole personalità che assumono
la leadership in Senato e presso il corpo elettorale, entrambi sempre più corruttibili. La
plebe Urbana viene strumentalizzata dai demagoghi e la curia vive in costante stato di
tumultus ogni volta che la politica collide con gli interessi dei tribuni della plebe.
L’accumularsi di queste problematiche sfocia in una lotta politica senza
precedenti; inizia il periodo noto come ‘Rivoluzione Romana’4. I Gracchi sono i primi
promotori di un programma politico innovativo che destabilizza alla radice il potere
Lex Gabinia tabellaria; n. 615/139; lex Cassia tabellaria; n. 617/137; lex Papiria tabellaria; vd. Rotondi
1966, pp. 297, 302, n. 623/131.
4
Celebre spressione tratta da Syme; cfr. Syme 1939 (2014)
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economico dell’oligarchia al potere, mettendo in discussione la legittimità
dell’occupazione della terra pubblica. La reazione violenta nei loro confronti dimostra la
cecità della classe dirigente riguardo alle problematiche del corpo civico. Il Senato non è
efficiente, non propone soluzioni e lo scontro tra optimates e populares manifesta in breve
che gli interessi dei singoli prevalgono sulla collettività. La corruzione viene percepita e
condannata dagli stessi senatori che perseverano nel promuovere una condotta non
lineare. Un altro tentativo rivoluzionario si deve imputare a Gaio Mario, homo novus, il
quale per far fronte alla mancanza di effettivi nella guerra di Numidia arruola i capite
censi, coloro i quali a causa della loro condizione economica non avevano i mezzi per
provvedere autonomamente all’acquisto delle armi. L’esperimento di Mario diviene
riforma, scardinando dalle basi l’apparato bellico; a differenza delle precedenti modifiche
applicate nel corso dei secoli, questa strategia ha fondamentali risvolti sia nella società
che nella politica. I milites diventano a Roma dei professionisti stipendiati ed equipaggiati
dallo Stato, che combattono per professione. Il generale dell’esercito di conseguenza
assume prerogative nuove; si crea, infatti, un legame molto stretto tra dux e miles che
altera il legame clientelare tradizionale. In breve tempo l’esercito diviene una forza
politica a tutti gli effetti; la strumentalizzazione delle truppe, sempre più politicizzate e
ghiotte di ricompense, trova il suo apogeo nel periodo delle guerre civili: la fortuna del
generale coincide con quella dei soldati e gli stessi duces, capi fazione, agiscono secondo
il sentimento dell’esercito. Nel campo di battaglia come nella politica i milites sono una
forza imprevedibile, alterano i rapporti di forza e consentono ai viri militares di perseguire
ancor più una politica di impronta personalistica; le stesse fazioni in Senato perdono la
loro auctoritas se private di generali fedeli alla loro causa. Le marce su Roma sono
l’estrema conseguenza di questo nuovo modo di fare politica; la minaccia degli eserciti
non si era mai palesata prima proprio perché i soldati non professionisti, anche se vincolati
da clientele militari, non erano fedeli al loro comandante come dopo le riforme mariane.
I soldati divengono quindi un nuovo soggetto politico; il tradizionale senatus populusque
romanus muta con cesariana rapidità, nel corso del I secolo a.C., in senatus milesque et
populus5.
Espressione di Tacito riferita all’anno della morte di Augusto; vd. Tac. ann. I, 7, 2; cfr. Cresci Marrone
2005, p. 152.
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Dopo lo scontro bellico (bellum socii, 91-89 a.C.) che porta all’integrazione degli italici
nel corpo civico, e quindi alla loro equiparazione giuridica, L. Cornelio Silla sfrutta per
primo le potenzialità delle truppe; per svincolarsi dal gioco politico degli avversari crea
un precedente che viene emulato da successivi generali della tarda repubblica. In perfetta
concordanza con il periodo storico, anche il quadro delle fonti si presenta articolato e di
non facile interpretazioni: la memoria storica sui fatti dall’epoca sillana al Principato è
ricca ed eterogenea, in quanto riporta in parte le differenti interpretazioni politiche del
periodo. In generale, il panorama delle fonti è ampio per il periodo preso in esame: della
storiografia in rebus ci sono giunte poche testimonianze, la maggior parte cursorie,
mentre si trovano contributi importanti nelle opere successive, soprattutto di autori tra I e
III secolo d.C.
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CAPITOLO 1
Lucio Cornelio Silla
Antefatti e protagonisti della prima marcia su Roma
Lucio Cornelio Silla è il protagonista della prima marcia su Roma.
Silla segue un cursus honorum atipico, entra nella vita pubblica in ritardo rispetto la
consuetudine 1; i suoi interessi fino alla prime magistrature riguardano soprattutto l’arte,
la filosofia e la letteratura greca2. Nato da una nobile famiglia patrizia nel 138 a.C.3, Silla
assume nel 106 a.C. la carica di questore, raggiunge Mario in Numidia mentre questi è
impegnato negli scontri contro Giugurta4. Silla dimostra in questa occasione di essere un
collaboratore capace, duttile e dinamico tanto che: “Con il suo comportamento e con tali
doti, in breve, divenne carissimo a Mario e ai soldati”5. Con la cattura del re di Numidia
si assicura personalmente amicizie e ricchezze; grazie alla riconoscenza di Bocco, re dei
Mauri, può finanziare poi la sue clientele a Roma6. Dopo la questura non si preoccupa
della politica cittadina per anni, dedicandosi esclusivamente alle campagne militari,
sempre al seguito di Mario7. Tenta nel 95 a.C. l’edilità, dopo che l’anno precedente aveva
fallito nel proposito di farsi eleggere pretore, carica che Silla otterrà per il 93 a.C. 8 Con
l’imperium propraetorius si occupa della restaurazione di Ariobazene I, re di
Cappadocia9, anche se la sua missione in realtà è un pretesto per controllare gli intenti di
La Lex Villia annalis stabiliva l’età e l’intervallo tra le cariche magistratuali romani; i limiti imposti erano
sull’età minima non sulla massima; vd. Rotondi 1966, p. 278, n. 574/180.
2
Numerose sono le testimonianze sugli interessi giovanili di Silla, che non corrispondevano alle
occupazioni adatte a un civis Romanus, per una sintesi storica, cfr. Carcopino 1979, p. 32.
3
Il confronto di diverse fonti antiche consente di risalire alla data di nascita, vd. Vell. II, 17, 3; Val. Max.
IX, 3, 8; Plut. Sull. 6, 14; App. b. c. I, 105, 492.
4
Cfr. Sall. Iug. 95, 1, Plut. Sull. 2, 7; 3, 1.
5
Sall. Iug. 96, 4: “Quibus rebus et artibus brevi Mario militibusque carissimus factus”.
6
Cfr. Carcopino 1979, p. 39.
7
Come legato; cfr. MRR, I, pp. 561-562, 564.
8
Vell. II, 15, 3; Plut. Sull. 5, 1-3.
9
Vd. Liv. perioch. LXX; cfr. Sherwin White 1977, p. 175.
1
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Mitridate nella zona limitrofa10. Con lo scoppio del bellum Italicum (90 a.C.) si trova
alleato di Mario; l’anno seguente, pur non avendo ancora manifestato con quale fazione
politica fosse schierato, si candida, con successo, al consolato11.
Già da tempo si era consumata però la rottura tra Silla e Mario12; Plutarco attribuisce
all’invidia di Mario la causa scatenante e mette in luce i diversi episodi che portano alla
guerra civile tra i due13.
Secondo la tradizione, Mario aveva cominciato a nutrire invidia nei confronti i Silla a
causa di un trofeo14 inviato da Bocco a Silla che delegittimava Mario come vincitore di
Giugurta esaltando al suo posto Silla15. L’invidia di Mario era stata poi alimentata dai
successi miliari del suo luogotenente durante le campagne contro Cimbri e Teutoni16. Silla
nel 102 a.C., avendo inteso che non poteva più legarsi a Mario per ottenere successi, si
era avvicinato all’altro console, Catulo17. Dopo la battaglia di Vercelli Silla aveva
approvvigionato a proprie spese l’esercito di Mario e Catulo, facendo fronte alla penuria
di viveri rifornisce a proprie spese, facendo fronte alla penuria di viveri18.
La strategia di Silla comincia a delinearsi proprio in questo periodo: egli da un lato cerca
di accattivarsi la benevolenza dei soldati, dall’altro di legarsi all’aristocrazia. Entrambi
gli stratagemmi per emergere da questo momento vengono perseguiti durante tutta la sua
carriera fino alla deposizione del potere.
L’ostilità tra Mario e Silla si palesa più apertamente quando quest’ultimo, tornato
dalla Cappadocia, viene onorato con doni da parte di Bocco; statue, trofei e vittorie
vengono dedicati nel Campidoglio, ma ciò che irrita di più Mario è: “una statua d’oro che
rappresentava Giugurta mentre da lui (Bocco) veniva consegnato a Silla”19.
Per un quadro delle dinamiche, vd. Plut. Sull. 5, 5-10.
Vell. II, 17, 2-3; Plut. Sull, 6, 18; MRR, II, p. 39.
12
Plutarco fa iniziare con il Bellum Iuguthinum la grande contesa tra Mario e Silla, vd. Muccioli – Ghilli
2011, p. 268.
13
“Φθόνος”; Plut. Sull. 3, 7; 4, 1; 5.
14
Si tratta di un anulus signatorius, Val. Max. VIII, 14, 4; Plin. Nat. Hist. XXXVII, 9; Plut. Mar. 10, 8-9.
15
Plut. Sull. 3, 8-9; è difficile riscostruire l’inizio delle avversità tra i due; cfr. Bertinelli 1997, p. 305.
16
Il riferimento è qui a Copillo (vd.Vell. II, 17, 3); cfr. RE, Copillus, col. 1214.
17
Quinto Lutazio Catulo, console con Mario nel 102 a.C.; cfr. MRR, I, p. 567.
18
Plut. Sull.4, 5.
19
Plut. Sull. 6, 1: “Ἡ μέντοι πρὸς Μάριον αὐτῷ στάσις ἀνερ-ριπίζετο καινὴν ὑπόθεσιν λαβοῦσα τὴν Βόκχου
φιλοτιμίαν, ὃς τόν τε δῆμον ἅμα θεραπεύων ἐν Ῥώμῃ καὶ τῷ Σύλλᾳ χαριζόμενος ἀνέθηκε εἰκόνας ἐν
Καπιτωλίῳ τροπαιοφόρους καὶ παρ’ αὐταῖς χρυσοῦν Ἰογόρθαν ὑφ’ ἑαυτοῦ Σύλλᾳ παραδιδό- μενον.”; cfr. Mar.
32, 4; i fatti si collocano nel 91 a.C.
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Le fazioni che spalleggiano i due generali non arrivano allo scontro aperto poiché
scoppia la guerra sociale, nella quale emerge Silla adombrando Mario; quando lo scontro
sembra ormai concluso le differenze di visione politica si intrecciano alla discordia tra i
due generali20. Silla, con un palese tentativo di legarsi alle più prestigiose famiglie
aristocratiche, prende in moglie Cecilia21, figlia del pontefice massimo Lucio Cecilio
Metello Dalmatico22; si allea così con gli optimates, in particolare con i Metelli che
nutrivano una forte avversione nei confronti di Mario23. Silla raggiunge il consolato,
Mario nel contempo patrocina l’integrazione completa della massa dei nuovi cives che la
guerra sociale aveva di recente promosso all’equiparazione giuridica24, con una
distribuzione equa tra le tribù affinché il peso del loro voto non fosse ininfluente: in questa
politica è seguito dal tribuno della plebe Sulpicio25, con cui dà inizio a quello scontro
politico che poi si tramuta in scontro armato fino ad arrivare alla guerra civile. Silla e
Quinto Pompeo26 cercano di placare il tumulto tra nuovi e vecchi cittadini e, vedendo
avvicinarsi le votazioni per la legge, proclamano il iustitium27; Sulpicio risponde a tale
provvedimento promuovendo azioni violente nel Foro: in questa occasione i consoli sono
costretti con la violenza a dichiarare cessato il periodo di pausa. Quinto Pompeo viene
deposto dalla carica28, suo figlio viene ucciso durante i disordini da parte dei fedeli alla
causa di Sulpicio29, mentre Silla è costretto a rifugiarsi nella casa di Mario30 per poi
raggiungere l’esercito stanziato in Campania. Essendo Silla lontano da Roma, Sulpicio fa
approvare la legge31 che attribuisce a Mario il comando degli eserciti per la campagna
Cfr. Gabba 1956, p. 88.
Era la quarta moglie per Silla che aveva ripudiato la moglie precedente per queste nozze: l’intento era
chiaramente politico, vd. Plut. Sull. 6, 21; cfr. RE, Caecilius 134, col. 1234; Carcopino 1979, pp. 123-127.
22
Cfr. MRR, I, p. 534
23
Cfr. De Dominici 1933, p. 139; Gruen 1965, p. 576.
24
La lex Iulia del 90 a.C. concedeva la cittadinanza ai socii,
25
App. b. c. I, 55, 242; Plut. Sull.8, 1; Oros. V, 19, 3; MRR, II, p. 41; Mario sembra essere stato il vero
ideatore delle leggi mentre Sulpicio l’animatore; vd. De Dominici 1933, p. 145; Powell 1990, p. 456
26
Cfr. MRR, II, p. 39.
27
Si tratta di una vacanza dalle attività che veniva solitamente indetta nelle situazioni di estremo pericolo;
App. b. c. I, 55, 244; Plut. Sull. 8, 6; cfr. Levick 1982, p. 508, nt. 43.
28
Plut. Sull. 8, 8.
29
Liv. perioch. LXXVII.
30
Plut. Mar. 32, 1, 4; la fonte utilizzata da Plutarco in questa biografia è di natura filo-mariana; a differenza
di quanto propone l’autore nella biografia di Silla (vd. Sull. 8, 7; 10, 2;) nella quale i fatti sono narrati con
un’accezione diversa, meno tendenziosa, cfr. Muccioli-Ghilli 2011, p. 353, nt. 213.
31
Vd. Liv. perioch.LXXVII; Vell. II, 18, 6; App. b. c. I, 55-56; Plut. Sull. 8, 2; Rotondi 1966, p. 346, n.
6/88.
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contro Mitridate32. Plutarco riconduce proprio a questo scontro il valore di principale
casus belli tra Mario e Silla in quanto considerato sia di agevole gestione per il carattere
non impegnativo delle operazioni militari che avrebbe comportato, sia vantaggioso per
gli enormi guadagni che ne avrebbero ricavato soldati e generali; il prestigio ottenuto
dalla campagna avrebbe avuto importanti ricadute nella politica di Roma e presso gli
eserciti33. Silla, volendosi assicurare la fedeltà delle truppe per questa campagna, aveva
concesso loro, durante la guerra sociale, di saccheggiare e di arricchirsi a spese degli
sconfitti e di compiere azioni deprecabili come nel caso dell’assassinio del consolare Aulo
Postumio Albino34: “…lasciò impunito un delitto tanto grave e, anzi, fu con orgoglio che
fece sapere in giro che avrebbe per questo avuto a disposizione soldati più alacri per la
guerra, pronti a cancellare l’errore con azioni valorose. Né si curava di quelli che lo
biasimavano; ormai la sua mente era occupata dal pensiero di distruggere Mario e di
essere nominato comandante nella guerra contro Mitridate (la guerra sociale sembrava
alla fine) perciò cercava di blandire l’esercito ai suoi ordini” 35. Quello che si può evincere
dal contributo di Plutarco è che la scelta strategica di Silla si delinea già nell’89 a.C.:
ovvero questi intende utilizzare il consolato per assicurarsi la fedeltà degli eserciti,
strumento imprescindibile per la guerra contro Mario, a sua volta necessaria per la sua
affermazione personale.
App. b. c. I, 56, 249; Plut. Sull. 8, 8; “La legge fu tosto cassata per vizi di forma (per essersi votata durante
l’iustitinum) in seguito al trionfo del partito Sillano (cfr. App. b. c. I, 59; Cic. Phil. VIII, 2, 7).”; Rotondi
1966, p. 345, n. 666/88.
33
Plut. 7, 1-3; Appiano, più sinteticamente fa coincidere questa come uno dei diversi motivi che portarono
allo scontro aperto tra i due; vd. App. b. c. I, 55, 242.
34
A. Postumio Albino era un consolare (“vir consolaris”, vd. Oros. V, 18, 22) legato di Silla nell’89 a.C.,
cfr. MRR II, p. 37.
35
Plut. Sull.6, 16-18: “ξύλοις καὶ λίθοις διαχρησαμένων, παρῆλθε καὶ οὐκ ἐπεξῆλθεν ἀδίκημα τοσοῦτον,
ἀλλὰ καὶ σεμνυνόμενος διεδίδου λόγον ὡς προθυμοτέροις διὰ τοῦτο χρήσοιτο πρὸς τὸν πόλεμον αὐτοῖς
ἰωμένοις τὸ ἁμάρτημα δι’ ἀνδραγαθίας. τῶν δ’ ἐγκαλούντων οὐδὲν ἐφρόντιζεν, ἀλλὰ ἤδη καταλῦ- σαι Μάριον
διανοούμενος καὶ τοῦ πρὸς τοὺς συμ-μάχους πολέμου τέλος ἔχειν δοκοῦντος ἀποδει- χθῆναι στρατηγὸς ἐπὶ
Μιθριδάτην, ἐθεράπευε τὴν ὑφ’ ἑαυτῷ στρατιάν.”; sull’episodio della morte di Albino anche altre fonti, vd.
Liv. perioch. LXXV; Val. Max. IX, 8, 3; Polyaen. VIII, 9, 2; Oros. V, 18, 22.
32
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14
Prima della marcia dell’88 a.C.
Nell’88 a.C. la marcia di Silla non è che il culmine, forse inevitabile, di un periodo
turbolento in cui la violenza è ormai strumento usuale, per ampie componenti della classe
dirigente, per rivendicare i propri diritti. A partire dai Gracchi, in diverse occasioni, anche
le figure dei tribuni della plebe e dei magistrati cum imperio erano diventate oggetto della
violenza popolare. La crisi delle istituzioni determina il frequente ricorso alla violenza,
che si produceva soprattutto nel foro, sede principale nella quale le masse, esattamente
come le personalità emergenti del periodo, trovavano alternative ad una politica basata
sul diritto e il rispetto delle istituzioni. La pratica della violenza aveva connotato
progressivamente l’azione politica in tutta l’Italia: quando il tribuno Marco Livio Druso
nel 91 a.C.36 propone l’allargamento della cittadinanza a tutti i socii fomenta il dissenso
di tutte le categorie sociali romane che si esprimono anche con la violenza. Druso viene
quindi assassinato dai sicari del suo principale avversario politico37 e la conseguenza è lo
scoppio del bellum sociorum38. Il conflitto italico vede Silla emergere rispetto ad altri
generali e per questo, dato che aspira a ottenere la magistratura che lo porterà allo scontro
con Mitridate, Silla si propone per il consolato dell’88 a.C.
Vinte le elezioni Silla ottiene l’imperium proconsulare, ambìto anche da Mario; la
speranza di poter condurre la guerra nella provincia d’Asia porta i due generali al conflitto
aperto e le fonti insistono particolarmente su questo tema.
Silla marcia su Roma: la memoria storiografica
Le testimonianze che si occupano della marcia di Silla sono numerose ma solo due
autori forniscono un quadro dettagliato e ricco di particolari che permette di cogliere le
diverse dinamiche e sfaccettature: Plutarco di Cheronea39 nella ‘Vita di Silla’ e Appiano
Vd. MRR II, pp. 21-22.
Si fa riferimento a Lucio Marcio Filippo, console nel 91 a.C.; cfr. MRR II, p. 20.
38
Fiore 1990.
39
Le opere plutarchee che si occupano dei fatti indagati in questa sede sono le biografie di Silla e di Mario,
vd. Valgiglio 1956; Muccioli – Ghilli 2011.
36
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15
di Alessandria nel primo libro dell’opera ‘Le guerre civili’40. Entrambi gli autori si
distinguono rispetto alle altre testimonianze per la narrazione dei fatti dettagliata; sebbene
compongano le loro opere in un periodo distante dai fatti e non siano testimoni diretti
degli avvenimenti (scrivono infatti tra I e II sec. d.C.), Plutarco e Appiano si avvalgono
di opere coeve ai fatti, a noi non pervenute, tra le quali le Memoriae di Silla41. Il suo
commentario incompiuto42 rappresenta la sede in cui sembra ripercorso il cursus honorum
senza precedenti che vede Silla ‘monarca mancato’43, costretto a dimettersi e a ritirarsi a
vita privata44. L’opera di Silla ha sicuramente forti ricadute nella storiografia, divenendo
un modello per il genere dei commentarii. Sono note diverse informazioni sull’opera,
utilizzata e rimaneggiata da alcuni autori antichi, che permettono di coglierne il valore
simbolico: molti storiografi si avvalgono delle Memoriae e ne confrontano i contenuti
con le altre fonti a disposizione sul periodo45.
Plutarco si serve anche di opere di natura differente e non dipendenti dalla vulgata
sillana; egli stesso dichiara in diversi punti del testo di utilizzare per la ricostruzione della
biografia “… solo quattro fonti oltre a Silla: Livio, Giuba, Strabone, Fenestella…altra
grande miniera di Plutarco devono essere state le fonti greche locali…”46. Livio è
identificato come fonte anche di Appiano mentre per quanto riguarda i contributi di
Il primo libro delle ‘Guerre civili’ di Appiano, ove è ospitata la memoria di questo episodio, si concentra
sul periodo che va dal tribunato di Tiberio Gracco (133 a.C.) al consolato di Crasso e Pompeo (70 a.C.).
Sul lavoro di Appiano vd. Gabba 1956.
41
Le Memoriae di Silla sono sicuramente la fonte principale di Livio, Appiano e Plutarco per i capitoli 79, poiché forniscono un’immagine solamente positiva del dittatore, vd. Carcopino 1979, pp. 164-168;
Hurlet 1993, pp. 111-112.
42
L’opera doveva essere composta da ventidue libri ma sia la misura sproporzionata del racconto
(diciannove libri si occupavano del periodo precedente la dittatura) sia l’ultimo libro in cui Silla predisse
la sua morte (vd. Plut. Sull. 37, 1-2) fanno intuire che l’ultimo libro (forse anche altri) fu scritto da altri;
sulla questione cfr. Carcopino 1979, pp. 166-167.
43
Due opinioni dividono il dibattito sulla dittatura che assunse Silla: una monarchia mancata secondo
Carcopino 1979; contra Hurlet che sostiene la legalità della magistratura di Silla: “…un général victorieux
a su trasformer une position de force issue d’une coupe d’Etat militaire en un pouvoir civil et
costitutionnel.”; cfr. Hurlet 1993, p. 170.
44
Cesare, secondo Svetonio, fu il primo a giudicare e dimostrare di non condividere la decisione del
dittatore: “propalam edebat [Caesar…] Sullam nescisse litteras qui dittaturam deposuerit.”; vd. Svet. Caes.
77; la stessa lettura anche in Appiano; vd. App. b. c. I, 103, 481-483. Per una descrizione accurata delle
scelte politiche di Silla, cfr. Carcopino 1979, pp. 150-153; Hurlet 1993, pp. 165-167.
45
Sull’utilizzo dell’opera Sillana vd. Cic. De divin. I, 33, 72; Plin. XXII, 12; Tac. Ann. IV, 56; Vell. II, 26;
Liv. Per. LXXXVII; App. I, 87; Plut. Sull. 17, 2; 28, 13; cfr. Valgiglio 1956, pp. 155-156.
46
Cfr. Musucci – Ghilli 2011, p. 248.
40
15
16
Giuba47 e Fenestella48, autori che scrivono sulla storia di Roma tra I sec a.C. e I sec. d.C.,
non si sa molto.
Appiano non precisa, a differenza dello storico di Cheronea, la natura delle sue fonti
per il periodo; tuttavia, l’attenzione ai particolari e il tentativo di ricostruire le dinamiche
nel loro complesso articolarsi permettono di intuire che anche le sue testimonianze
devono essere eterogenee. L’interesse di Appiano è differente da quello di Plutarco sia
per l’intento della sua opera storica, che non pone al centro il singolo personaggio, sia per
l’ideologia che sta alla base del suo lavoro. Appiano cerca di ricostruire la storia delle
guerre civili mantenendosi imparziale, non segue la narrazione della vulgata augustea
bensì cerca di avvalersi del maggior numero possibile di materiale a sua disposizione. In
particolare, all’interno del suo primo libro, si serve dell’opera di Asinio Pollione,
soprattutto a proposito delle vicende della guerra sociale49; invece, per i fatti dall’88 al 77
a.C., una certa importanza per quanto concerne la struttura del lavoro viene attribuita a
Dionigi di Alicarnasso50. Livio riveste il ruolo di risorsa principale “se pur non
direttamente”, afferma Gabba, “nella quale dovevano già essere esposti ampiamente, per
quanto non con intenzioni simili alle appianee, quei motivi che per lui, Appiano,
racchiudevano in sé il significato vero della storia di quell’età”51. L’importanza di Livio
in Plutarco ed Appiano è cruciale, tuttavia le altri fonti di natura italica utilizzate dallo
storico alessandrino consentono di notare la distanza dalla matrice liviana in alcuni punti
della narrazione52. Una spia della discrepanza tra Livio e Asinio Pollione nel racconto si
trova nell’intervento dell’elemento religioso-superstizioso, assente totalmente nel primo
libro di Appiano: la sua presenza in Plutarco indica di riflesso l’utilizzo da parte di
quest’ultimo di Livio.
L’opera di Livio non è giunta nella sua interezza ad oggi ma è possibile riproporre
i contenuti dell’opera liviana grazie alle Periochae, sintetici riassunti dei singoli libri
estratti, probabilmente, da precedenti epitomi53.
Per Giuba II di Mauretania, cfr. FGrH 275.
Per Fenestella come fonte di Plutarco; vd. Delvaux 1989, pp.126-146.
49
Cfr. Gabba 1956, pp. 85-87, 91, 96-97; Gabba – Magnino 2001, pp. 22-23.
50
Dionigi viene preso a modello per la struttura dell’opera ma anche utilizzato come fonte; Gabba 1956,
pp.93-95.
51
Cfr. Gabba 1956, p. 93.
52
Cfr. Gabba 1956, p. 97.
53
Per il problema delle epitomi di Livio vd. Reeve 1988, pp. 477-491.
47
48
16
17
Nella periocha 77 si trova la narrazione degli avvenimenti della marcia:
“Avendo il tribuno della plebe P. Sulpicio, per istigazione di G. Mario, presentato leggi
rovinose, per le quali gli esuli dovevano essere richiamati, i nuovi cittadini e i liberti
ripartiti dovevano essere ripartiti <nelle trentacinque tribù>, e G. Mario doveva essere
fatto comandante supremo contro Mitridate, re del Ponto, e dinnanzi alle ostilità dei
consoli Q. Pompeo e L. Silla avendo usato la forza uccidendo <Q. Pompeo> , figlio del
console Q. Pompeo e genero di Silla, il console L. Silla con il suo esercito marciò su
Roma e proprio dentro di essa combatté contro il partito di Sulpicio e di Mario e lo
scacciò.” 54.
Altra importante testimonianza è quella di Floro, epitomatore del testo liviano, che
riassume i libri di Livio senza seguire il criterio annalistico bensì dividendo l’intera storia
di Roma in quattro età, corrispondenti alla vita umana: infanzia (monarchia), adolescenza
(repubblica), maturità (pacificazione augustea) e vecchiaia (epoca dell’imperatore
Adriano)55. L’opera di Floro si distanzia dall’ Ab Urbe condita di Livio sia nella struttura
dell’opera, che l’epitomatore liviano riassume in brevi capitoletti tematici, sia nello stile
e negli intenti. Le periochae e l’epitoma di Floro sono in parte discordanti, in questo caso,
nei contenuti; sebbene entrambe le opere siano delle versioni più sintetiche della
medesima testimonianza, Floro fornisce una rilettura dei fatti basata anche su altre
opere56. Il paragrafo in cui si trova la menzione della marcia in Floro prende il nome di
‘Guerra civile contro Mario’:
“Principio e causa della guerra fu l’insaziabile sete di onori di Mario che sollecitò con la
legge Sulpicia l’incarico già affidato a Silla. Ma subito questi, insofferente dell’offesa,
radunò le sue legioni e, rimandando la guerra contro Mitridate fece entrare in Roma due
eserciti, per la Porta Esquilina e per la Porta Collina. Quindi, poiché i consoli Sulpicio e
Albinovano57 avevano opposto le loro schiere e si gettavano sassi e dardi da tutte le parti
dall’alto delle mura, egli stesso, scagliato un dardo si aprì un passaggio spargendo fuoco
Liv. perioch. LXXVII: “Cum P. Sulpicius trib. pleb. auctore C. Mario perniciosas leges promulgasset, ut
exsules reuocarentur et noui ciues libertinique in tribus distribuerentur et ut C. Marius aduersus
Mithridaten, Ponti regem, dum crearetur, et aduersantibus consulibus Q. Pompeio et L. Syllae uim
intulisset, occiso Q. Pompeio, Q. Pompei cos. filio, genero Syllae, L. Sylla cos. cum exercitu in urbem uenit
et aduersus factionem Sulpici et Mari in ipsa urbe pugnauit eamque expulit.”.
55
Cfr. Facchini Tosi 1998, pp. 11-19.
56
Cfr. Facchini Tosi 1998, p. 21, nt. 28.
57
Nessuno dei due era console secondo tutte le testimonianze ad esclusione di Floro.
54
17
18
e occupò vincitore la rocca del Campidoglio58, quasi facendola prigioniera, quella
Rocca59 che era riuscita a sfuggire sia ai Cartaginesi sia ai Galli Senoni”60.
Tralasciando l’errore sul ruolo attribuito a Sulpicio e Albinovano61, i contenuti espressi
nell’epitome di Floro sono simili a quelli delle periochae ma offrono anche ulteriori
informazioni. In particolare, i dettagli in più sono: il ruolo in prima persona di Silla nella
presa di Roma e l’episodio in cui Silla si apre la strada e minaccia con il fuoco i cittadini.
Questi dettagli nel racconto si trovano anche nei contributi di Plutarco62, Appiano63 ed
Orosio64. Il racconto liviano doveva essere originariamente minuzioso ed esteso; pur non
essendoci giunto nella sua interezza per il periodo delle guerre civili, può essere
considerato la fonte da cui dipendono molti contributi successivi sull’argomento. Gli
autori sopracitati sviluppano nelle loro opere l’episodio dell’arrivo di Silla per invadere
la città facendo emergere diversi particolari, ma l’elemento comune su cui tutti si
concentrano è il fuoco, strumento attraverso il quale Silla minaccia gli abitanti dell’Urbe
che gli impediscono di entrare con i suoi eserciti per la conquista. L’assenza nella
descrizione della menzione di queste dinamiche potrebbe essere frutto di una ponderata
scelta storiografica o di un utilizzo di fonti di natura differente da Livio; questa matrice
si può identificare, probabilmente, nelle stesse Memoriae di Silla. Minacciare i cittadini
di bruciare le loro case è un’azione deprecabile che difficilmente Silla avrebbe deciso di
ricordare tra le sue imprese, mentre componeva i commentari. È probabile, per questi
motivi, che la fonte da cui dipendono molti autori sia l’integra testimonianza liviana.
La notizia di uno scontro sul campidoglio trova riscontro tra le altre testimonianze esclusivamente in
Orosio, cfr. Oros. V, 19, 5.
59
Riferimento al rischio che i Romani corsero durante la seconda guerra punica all’avvicinarsi da Annibale
all’Urbe, vd. Flor. I, 22, 44-46; sulla conquista di Roma da parte dei Galli Senoni, vd. Flor. I, 7, 14-15.
60
Flo. II, 9, 6-7: “Initium et causa belli inexplebilis honorum Marii fames, dum decretam Sullae provinciam
Sulpicia lege sollicitat. Sed inpatiens iniuriae statim Sulla legiones circumegit, dilatoque Mithridate
Esquilina Collinaque porta geminum urbi agmen infudit. Inde cum consuli/es Sulpicius et Albinovanus
obiecissent catervas, suas, et saxa undique a moenibus ac tela iacerentur, ipse quoque iaculatus incendio
viam fecit arcemque Capitolii, quae Poenos quoque, Gallos etiam Senones evaserat, quasi captivam victor
insedit.”.
61
Alcuni studiosi ritenendo errata la notizia hanno ritenuto che l’errore dovette essere nel latino e ritengono
opportuno sostituire al nominativo plurare “consules” un dativo singolare ovvero “consuli”; con questo
intervento la frase risulterebbe storicamente verosimile: “…poiché Sulpicio e Albinovano avevano opposto
le loro schiere al console…”; cfr. Salomone Gaggero 1981, p. 303, nt. 5.
62
Vd. Plut. 9, 12.
63
Vd. App. b. c. I, 58, 258.
64
Vd. Oros. V, 19, 4.
58
18
19
Un’ulteriore conferma di questa ipotesi potrebbe provenire da due autori di età tiberiana,
Velleio Patercolo e Valerio Massimo: entrambi, nei loro contributi, valutano
positivamente la figura di Silla nel tessuto evenemenziale del I sec a.C. e non menzionano
particolari volti a danneggiare l’immagine di Silla.
Anche Velleio Patercolo si occupa nella sua ricostruzione storica della marcia di
Silla. Velleio è un autore di età tiberiana noto per essere allineato alla politica imperiale;
nel secondo libro della sua opera storiografica scrive sui fatti:
“Mentre Silla, lasciata Roma, si attardava nei pressi di Nola… Publio Sulpicio, un tribuno
della plebe facondo e dinamico, ben noto per ricchezze, influenza, amicizie e per la forza
d’ingegno e di carattere, che in passato con retti intendimenti si era presentato candidato
verso il popolo per la più alta carica, caduto all’improvviso in preda a rovinosa
sconsideratezza, come se si fosse pentito delle sue virtù, e come se i suoi buoni propositi
contrapponessero un esito funesto, si alleò con Gaio Mario (che a settant’anni passati
avrebbe voluto ancora fare incetta di comandi militari ed incarichi provinciali!) e presentò
al popolo una legge per togliere il comando a Silla ed assegnare a Mario la guerra contro
Mitridate. Ed altre leggi funeste ed odiose presentò, del tutto intollerabili in una libera
repubblica; per di più fece uccidere da sicari del suo partito il genero di Silla, figlio del
console Quinto Pompeo. Silla allora raccolto il suo esercito, fece ritorno a Roma, la
occupò militarmente…”65.
La versione delle vicende di Velleio riprende le medesime tematiche degli epitomatori66
liviani; infatti alcuni studiosi hanno evidenziato delle concordanze tra le Historie di
Velleio e gli Annales di Livio67. Tuttavia, il vero protagonista negativo della narrazione
Vell. II, 18, 4 – 19, 1: “Is egressus urbe cum circa Nolam moraretur,…Sulpicius tribunus plebis, disertus,
acer, opibus gratia amicitiis vigore ingenii atque animi celeberrimus, cum antea rectissima voluntate apud
populum maximam quaesisset dignitatem quasi pigeret eum virtutum suarum et bene consulta ei male
cederent, subito pravus et praeceps se C. Mano post septuagesimum annum omnia imperia et omnis
provincias concupiscenti addixit legemque ad populum tulit, qua Sullae imperium abrogaretur, C. Mario
bellum decerneretur Mithridaticums aliasque leges perniciosas et exitiabiles neque tolerandas liberae
civitati tulit. Quin etiam Q. Pompei consulis filium eundemque Sullae generum per emissarios factionis
suae interfecit. Tum Sulla contracto exercitu ad urbem rediit eamque armis occupavit…”
66
Contro questa ipotesi Gaggero che sostiene siano numerose le discordanze tra il testo di Floro, che si
avvale di Livio, e quello di Velleio: sembrano dimostrare l’uso di una diversa fonte da parte di quest’ultimo,
cfr. Salomone Gaggero 1981, p. 53.
67
Cfr. Paladini 1953, pp. 447-478.
65
19
20
di Velleio è il tribuno Sulpicio68. Anche Mario viene criticato apertamente dall’autore ma
è il tribuno ad essere accusato di aver aperto lo scontro con le sue leggi. Velleio sembra
voler porre in luce il cambiamento di rotta nella politica di Sulpicio che apparteneva ad
una gens nobile ma aveva scelto, forse anche in seguito ad una sconfitta elettorale, di
candidarsi per il tribunato, carica riservata ai plebei: è questo pentimento nei confronti
delle sue virtù a portarlo a compiere azioni sconsiderate, che hanno come conseguenza la
marcia di Silla per ristabilire l’ordine civico. La testimonianza velleiana risulta favorevole
a Silla, ne giustifica implicitamente l’azione senza far pesare alcun giudizio morale nel
suo operato, anzi condanna esclusivamente Sulpicio e di riflesso anche Mario, suo
alleato69.
Di tutt’altra natura risulta la testimonianza di Valerio Massimo sulle vicende della
marcia di Silla rispetto alla coeva opera di Velleio Patercolo; tuttavia, anche Valerio
Massimo va compreso tra gli autori fedeli all’ordine costituito da Augusto ed ereditato da
Tiberio e promotori del regime70. La narrazione dei fatti di Valerio Massimo si trova nei
“Factorum et dictorum memorabilium libri IX”71, un’opera in cui l’autore si avvale di un
patrimonio di fonti eterogeneo72. I fatti nell’opera vengono descritti attraverso degli
exempla moraleggianti, tratti per la maggior dalle vite dei personaggi più noti del passato
di Roma. Il fine dell’autore è quello di fornire ai retori del suo tempo delle valide
argomentazioni73. Gli exempla rappresentano le virtù e i disvalori e sono suddivisi nei
nove libri in categorie; tra queste viene annoverato un episodio inerente le vicende delle
marcia. Proprio per il fine educativo e moralistico dell’opera, il soggetto principale non è
la guerra civile o la marcia di Silla bensì Mario; il ricordo della marcia in Valerio Massimo
risulta perciò cursorio e serve solo a caratterizzare il personaggio. All’interno della
Parte della critica si è espressa negativamente nei confronti di Velleio come storico poiché questi valuta
“più che i fatti stessi gli uomini e su questi esprime il proprio giudizio: quindi siccome egli è…un uomo
d’ordine, i suoi giudizi non possono essere che negativi su quanti hanno cercato di portare cambiamenti
alla cosa pubblica…”; cfr. Nuti1997, p. 13.
69
Nel testo mentre Silla rientra tra i boni cives (vd, Vell. II, 17), al contrario Mario e i suoi sostenitori
vengono presentati come dei sovversivi; cfr. Nutti 1997, p. 13.
70
Vd. Faranda 1988, p. XX.
71
L’opera è nota così nella tradizione manoscritta ma dovette essere pubblicata in dieci libri, cfr. Faranda
1988, VIII.
72
La problematica sulle numerose fonti dell’autore è ben lungi dall’essere risolto, cfr. Faranda 1988, p.
XIX.
73
“…un comodo repertorio per le scuole di retorica e per coloro che nella storia cercano degli
insegnamenti”, cfr. Faranda 1988, XVIII.
68
20
21
categoria: “Chi commise dei fatti che aveva punito ad altri”74 si trova l’exemplum
dell’autore sulla marcia:
“Caio Mario, dopo essersi comportato da cittadino grande e salutare nel reprimere il
tentativo di Lucio Saturnino75, il quale aveva mostrato il berretto frigio agli schiavi come
un vessillo che li invitava a prendere le armi, allorché Lucio Silla irrompeva con il suo
esercito a Roma, messosi in testa un berretto frigio, ricorse all’aiuto degli schiavi.” 76.
Il topos della liberazione degli schiavi, ripreso per screditare Mario, rende l’azione di
Silla meno grave e la fa passare in secondo piano77.
Le fonti analizzate finora si collocano a meno di un secolo dalla marcia di Silla, una
tempistica per la quale è possibile ipotizzare sia ancora in circolazione un numero
abbondante di fonti dirette alle quali gli autori possono attingere.
Gli storici successivi al III secolo non hanno probabilmente accesso ad un così eterogeneo
patrimonio di testimonianze, pertanto si ritiene che essi dipendano esclusivamente dalle
opere storiografiche di età augustea-tiberiana.
Nel caso di Eutropio, nel breviario da lui composto, per la ricostruzione dell’età tardo
repubblicana si può ascrivere a Livio il ruolo di principale fonte78. Eutropio scrive nel IV
secolo, molto sinteticamente, una narrazione della marcia che in effetti non si discosta
dagli altri contributi di dipendenza liviana:
“Nel seicento sessantaduesimo anno dalla fondazione, a Roma scoppiò per la prima volta
il conflitto civile e lo stesso anno anche la guerra contro Mitridate. Fu C. Mario, console
per la sesta volta, a causare la guerra civile. Infatti, essendo il console Silla inviato contro
Mitridate, che aveva occupato l'Asia e l'Acaia, per condurre la guerra, e tenendo egli per
breve tempo un esercito in Campania, per eliminare i resti della guerra sociale, di cui
abbiamo parlato, che c'era stata in Italia, Mario insistette per essere mandato a combattere
contro Mitridate. Silla, spinto da ciò, giunse con l'esercito a Roma. Lì si scontrò con Mario
Val. Max. VIII, 6: “Ne illos quidem latere patiamur, qui quae in aliis uindicarant ipsi commiserunt.”.
Lucio Apuleio Saturnino, tribuno della plebe nel 100 a.C., cfr. MRR I, pp. 575-576.
76
Val. Max. VIII, 6, 2: “autem Marius, cum magnum et salutarem rei publicae ciuem in L. Saturnino
opprimendo egisset, a quo in modum uexilli pilleum seruituti ad arma capienda ostentatum erat, L. Sulla
cum exercitu in urbem inrumpente ad auxilium seruorum pilleo sublato confugit.”, l’episodio di Saturnino
viene trattato anche da altre fonti, cfr. Liv. perioch. LXIX; Plut. Mar. 42; Flor. II, 4.
77
Per quanto riguarda gli stereotipi come espedienti stilistici nella storiografia sulle marce si rimanda al
capitolo conclusivo.
78
Cfr. Hellegouarc’h 1999, pp. XXIV-XXVII.
74
75
21
22
e Sulpicio. Per primo entrò armato a Roma, uccise Sulpicio, mise in fuga Mario e così,
ordinati i consoli per l'anno successivo Cn. Ottavio e L. Cornelio Cinna, si diresse verso
l'Asia”79.
Un’altra testimonianza dell’episodio della marcia di Silla è quella fornitaci da
Orosio, autore cristiano, che nei primi decenni del V sec. d.C. scrive l’‘Historiarum
adversus paganos libri VII’. Orosio nel quinto libro ricostruisce la storia repubblicana
attraverso fonti che sono ascrivibili alla tradizione liviana, anche se non usa direttamente
Livio bensì compendi e riassunti successivi80.
“Quando le seppe Silla, che senza dubbio era un giovane insofferente 81, mosso da ira
incontrollata venne per prima cosa a schierarsi con quattro legioni davanti a Roma, e lì
uccise, prima vittima della guerra civile, Gratidio, legato di Mario; poi, fece irruzione con
l’esercito nella città e chiese fiaccole per incendiare Roma. Poiché tutti, per la paura, si
erano nascosti, giunse con rapida marcia attraverso la via Sacra al Foro. Mario tentò
invano di sobillare i nobili, di infiammare la plebe e infine di persuadere alle armi i
cavalieri contro Silla; avendo da ultimo istigato gli schiavi alle armi con la speranza della
libertà e della preda, e osato invano di far resistenza, decise di ritirarsi sul Campidoglio.
Ma quando le corti di Silla vi ebbero fatto irruzione dovette fuggire con grande strage dei
suoi.”82.
Eutr. V, 4: “Anno urbis conditae sexcentesimo sexagesimo secundo primum Romae bellum civile
commotum est, eodem anno etiam Mithridaticum. Causam bello civili C. Marius sexiens consul dedit. Nam
cum Sulla consul contra Mithridatem gesturus bellum, qui Asiam et Achaiam occupaverat, mitteretur, isque
exercitum in Campania paulisper teneret, ut belli socialis, de quo diximus, quod intra Italiam gestum fuerat,
reliquiae tollerentur, Marius adfectavit, ut ipse ad bellum Mithridaticum mitteretur. Qua re Sulla commotus
cum exercitu ad urbem venit. Illic contra Marium et Sulpicium dimicavit. Primus urbem Romam armatus
ingressus est, Sulpicium interfecit, Marium fugavit, atque ita ordinatis consulibus in futurum annum Cn.
Octavio et L. Cornelio Cinna ad Asiam profectus est.”.
80
L’utilizzo di Floro e della periochae si riscontra in numerosi passi dell’opera di Orosio, cfr. Lippold –
Bartolucci 1976, p. XXXVI.
81
Silla nell’88 a.C. non era giovane, aveva cinquant’anni, vd. Vell. II, 17, 3; Val. Max. IX, 3, 8; App. b. c.
I, 105, 492; cfr. Carcopino 1979, p. 42.
82
Oros. V, 19, 4-5: “quo Sylla cognito inpatiens reuera iuuenis intemperataque ira percitus cum quattuor
legionibus primum ante urbem consedit, ubi Gratidium Marii legatum quasi primam uictimam belli ciuilis
occidit, mox urbem cum exercitu inrupit, faces ad inflammandam urbem poposcit. Omnibus metu abditis,
per Sacram uiam cito agmine in forum uenit. 5 Marius cum permouere nobilitatem, inflammare plebem,
equestrem denique ordinem perarmare aduersus Syllam frustra adtemptasset, postremo seruis spe libertatis
et praedae ad arma sollicitatis, nequiquam repugnare ausus, tandem in Capitolium concessit. sed cum eo
Syllanae cohortes inruissent, magna suorum caede diffugit.”.
79
22
23
Non emerge con chiarezza di quale fonte si avvalga Orosio nel racconto della marcia in
quanto le informazioni che riporta non sembrano provenire esclusivamente da un unico
autore. Il numero di legioni con cui Silla entra in città non viene riportato in nessuna delle
due epitomi di Livio83. Per quanto riguarda Gratidio, il legato di Mario ucciso dai soldati
di Silla, e la scelta di Mario di chiamare gli schiavi alle armi in cambio della libertà, sono
informazioni che sembrano derivare dal contributo sopracitato di Valerio Massimo e da
un altro brano dello stesso autore: “La condizione del Foro era detestabile, ma se osservi
la vita militare, nascerà uno sdegno ugualmente grande. Essendo stata assegnata, grazie
alla legge Sulpicia, la provincia d'Asia a Gaio Mario, privato cittadino, perché
combattesse contro Mitridate, i soldati uccisero il legato Gratidio da lui inviato al console
Lucio Silla per ricevere le legioni, senza dubbio sdegnati, poiché erano costretti a passare
dal massimo comando a costui, che non stimavano affatto. Ma chi sopporterebbe un
soldato che corregge i decreti della plebe con la morte di un legato?”84.
La testimonianza di Orosio si avvicina molto a quella di Plutarco nei contenuti, in
particolare nel modo in cui vengono poste in luce le singole personalità piuttosto che le
dinamiche sociali; tuttavia, bisogna escludere l’utilizzo dello storico di Cheronea come
fonte per la composizione delle ‘Storie contro i pagani’. Orosio non conosce il greco: per
questo motivo utilizza esclusivamente testimonianze scritte in latino85. Per quanto ad
Orosio sia riconosciuta una forte dipendenza da Floro che emerge sia nella descrizione
del ritiro di Mario nel Campidoglio, sia nel ricordo delle minacce al popolo da parte di
Silla attraverso l’uso del fuoco, molti particolari appartengono ad una tradizione
differente sicuramente più favorevole a Silla.
La tradizione storiografica antica greca e latina che registra l’ingresso di Silla in
armi nell’Urbe si articola quindi in contributi di natura non omogenea; sebbene tutte le
opere citate trattino di storiografia, gli intenti con i quali vengono composte sono
differenti. Il racconto del primo ingresso di un esercito di cittadini a Roma rimane
83
Solo Plutarco precisa un numero di soldati ma non menziona il numero delle legioni; vd. Plut. Mar. 35,
6.
Vd. Val. Max. IX, 7, 1: “Detestanda fori condicio, sed si castra respicias, aeque magna orietur indignatio.
cum C. Mario lege Sulpicia prouincia Asia, ut aduersus Mitridatem bellum gereret, priuato decreta esset,
missum ab eo Gratidium legatum ad L. Sullam consulem accipiendarum legionum causa milites
trucidarunt, procul dubio indignati, quod ab summo imperio ad eum, qui nullo in honore uersaretur,
transire cogerentur. sed quis ferat militem scita plebis exitio legati corrigentem?”.
85
Cfr. Lippold – Bartalucci 1976, pp. XXXIV; 382-383.
84
23
24
impresso a lungo nella memoria storica; dopo aver suscitato l’interesse di autori
cronologicamente vicini ai fatti, la marcia su Roma diviene oggetto della tradizione
augustea che fa capo, probabilmente, a Livio. Tuttavia lo storico patavino non deve essere
che uno, sicuramente il più celebre, tra gli autori che confezionano la memoria del tempo
sillano. Le testimonianze latine del I secolo d.C. offrono una versione dei fatti che sembra
discostarsi dall’originale testo liviano, che non ci è giunto, e danno in seguito nuovo
materiale di lavoro agli autori dal II al V secolo. In un primo tempo si nota come già
Floro, nonostante venga riconosciuto tra i principali epitomatori dell’Ad Urbe condita di
Livio, elabori una versione dei fatti arricchita grazie all’utilizzo di materiale che va ad
aggiungersi a quello liviano. Anche Eutropio ed Orosio rientrano all’interno della
tradizione liviana e come Floro dispongono di un’ampia raccolta di fonti. Come
anticipato, di tutt’altra rilevanza sono i contributi di Plutarco ad Appiano i quali oltre al
filone liviano consultano, forse, opere di autori prossimi nel tempo ai fatti della marcia, e
che non rappresentano la voce della pars vincente al termine delle guerre civili.
«…un tempo in cui la forza della parola non fu nulla contro la forza della spada»86
Lucio Cornelio Silla è il primo generale romano a marciare alla testa dei suoi soldati
nell’Urbe, contro la sua patria: “…per primo questo esercito di cittadini invase la patria
come una città nemica.”87. Lo shock suscitato da questa invasione è riflesso nella memoria
storiografica a noi pervenuta: anche nel clima di guerra civile il marciare di milites contro
altri cives, lo scontro all’interno delle mura cittadine, sono percepiti come un fatto grave
e straordinario88. Nel rilevare questo, la tradizione si esprime in forma univoca,
Il titolo del paragrafo è una citazione tratta da Betti 1914, p. 122.
App. b. c. I, 60, 259: “…καὶ στρατὸς πολιτῶν ὅδε πρῶτος ἐς τὴν πατρίδα ὡς πολεμίαν ἐσέβαλεν”. Inoltre
Plutarco (vd. Plut. Mar. 35, 6) riferisce con precisione il numero dei fanti ossia circa trentacinquemila: “ἦσαν δὲ τρισμυρίων καὶ πεντακισχιλίων οὐ μείους ὁπλῖται”. Orosio invece parla di quattro legioni, vd. Oros,
V, 19, 4.
88
Tutte le fonti che si occupano dell’argomento tendono far risaltare questa novità introdotta da Silla; Liv.
perioch. LXXVII; Vell. II, 19, 1; Flor. II, 9, 1-7; App. b. c. I, 60, 269; Eutrop. V, 4; Oros. V, 19, 4.
86
87
24
25
indipendentemente dal pensiero personale dei singoli autori o delle loro fonti; così, sia
che le fonti siano favorevoli o contrarie a Silla, la violazione della città è comunque
percepita come un’azione degna di essere menzionata.
Secondo Appiano è Silla a creare il precedente che porta a decidere per mezzo degli
eserciti la politica dello Stato: lo storico alessandrino identifica in Silla un modello,
negativo, dal quale altri poi avrebbero attinto negli ultimi decenni della Repubblica89. La
stessa linea di pensiero è sposata da autori più vicini dal punto di vista temporale al
sullanum tempus, come Sallustio e Cicerone; questi ultimi, di schieramenti politici
opposti, concordano nel giudizio sulle azioni del dittatore90.
La degenerazione del conflitto politico evolve fino a giungere allo scontro armato tra
factiones, non più solo bande cittadine male armate che cercano di affermarsi per i propri
interessi attraverso l’uso della violenza, bensì eserciti con squilli di tromba, vessilli,
insegne e armature contro cittadini. Non si tratta più di un tumultus ma di un vero e proprio
scontro tra una factio e l’altra, rappresentate ciascuna dal proprio dux in quello che viene
definito bellum civile: “Il concetto di guerra civile implica il riconoscimento di una
contrapposizione tra due parti di forza più o meno analoga e comunque di analoga dignità
all’interno della stessa nazione”91.
L’inefficienza della classe politica e la perdita di potere da parte del Senato rispetto
all’emergere delle singole personalità (i viri militares) e dei tribuni della plebe trova la
sua apoteosi nella guerra tra cittadini92. Lo scontro politico con il gesto di Silla nelle vesti
App. b. c. I, 60, 270: “οὐδ’ ἔληξαν ἀπὸ τοῦδε αἱ στάσεις ἔτι κρινόμεναι στρατοπέδοις, ἀλλ’ ἐσβολαὶ συνεχεῖς
ἐς τὴν Ῥώμην ἐγίνοντο καὶ τειχομαχίαι καὶ ὅσα ἄλλα πολέμων ἔργα, οὐδενὸς ἔτι ἐς αἰδῶ τοῖς βιαζομένοις
ἐμποδὼν ὄντος, ἢ νόμων ἢ πολιτείας ἢ πατρίδος.”; “Dopo questo fatto le sedizioni non cessarono di essere
decise per mezzo degli eserciti, ed anzi si ebbero frequenti invasioni di Roma e battaglie intorno alle mura
e quanti altri accidenti porta seco la guerra, giacché non rappresentava più alcun freno per i contendenti,
usi alla violenza, il rispetto delle leggi, delle istituzioni repubblicane, della patria.”; cfr. Gabba 1956, pp.
85-87.
90
Entrambi giudicano a più riprese le conseguenze derivate dall’azione Sillana nel suo complesso, vd. Sall.
Cat. IX; XXXVIII; Cic. Att. IX, 10, 2-3; catil. III, 24; off. I, 43, 109; Phil. V, 17, 43-44; VIII, 7; nonostante
“Cicerone condivide in pieno il senso della restaurazione Sillana”, Silla rimane agli occhi dell’Arpinate un
personaggio storico negativo, cfr. Lanciotti 1977, p. 141.
91
Cfr. Urso 2001, p. 123.
92
Appiano ben riassume l’inizio dei grandi scontri e delle guerre civili: “μετὰ δὲ τοῦτο στρατοῖς μεγάλοις οἱ
στασίαρχοι πολέμου νόμῳ συνεπλέ- κοντο ἀλλήλοις, καὶ ἡ πατρὶς ἆθλον ἔκειτο ἐν μέσῳ. ἀρχὴ δ’ ἐς ταῦτα καὶ
πάροδος, εὐθὺς ἐπὶ τῷ συμμαχικῷ πολέμῳ, ἥδε ἐγίγνετο.“; “Da allora i capifazione presero a contrastare fra
di loro con grandi eserciti, proprio come in una guerra, e la patria giacque nel mezzo come premio.”; vd.
App. b.c. I, 55, 240.
89
25
26
di generale di Roma, passa oltre i confini che gli stessi concittadini possono immaginare:
sia i tabù della moralità, legati ai principi del mos maiorum93; sia i limiti della legalità,
dello ius; sia i solchi sacri, ossia il confine sancito da Romolo, il pomerium94. Quello che
emerge, ed è chiaro oggi come in rebus, è che l’esercito costituisce lo strumento attraverso
il quale si può dominare la repubblica; Silla è il primo a controllare e canalizzare le
bramosie dei soldati volgendole a proprio personale vantaggio95.
La portata dell’azione sillana, che si delinea come autonoma e distinta a partire proprio
da questa marcia, viene registrata come un fatto generante: l’incipit che apre le porte ad
un nuovo modo di fare politica. Per coglierne un’eco tra i contemporanei ai fatti sono
significative le parole di Sallustio, sebbene sia nota la posizione anti-sillana di
quest’ultimo: “…dopo la dittatura di Silla96 coloro i quali creavano disordini li
presentavano come nobili pretesti: alcuni per difendere i diritti del popolo, un’altra parte
per aumentare ancor più l’autorità del Senato; tutti simulavano di operare per il bene
pubblico, in realtà si adoperavano per accrescere la loro stessa influenza.”97.
La dominazione sillana non è una diretta conseguenza della marcia dell’88 a.C. ma
sicuramente rappresenta il primo sintomo del potenziale dell’operato di Silla. L’arrivo di
Silla a Roma è legato, come si evince anche da tutte le testimonianze antiche, alla ‘guerra
sociale’, da poco conclusasi98. Le problematiche politiche che derivano dalla guerra
sociale trovano sfogo anche nell’Urbe: dopo il conflitto nei campi di battaglia,
l’equiparazione giuridica può essere garantita a tuttotondo solamente integrando i nuovi
cittadini in maniera equilibrata nelle tribù; solo così il voto di questi avrebbe avuto un
peso paritario. La parte del Senato conservatrice costretta ad accettare i cittadini italici
Sebbene Hurlet (vd. Hurlet 1993, pp.171-172) sostenga che Silla: “Tout au long de sa carriére politique,
le mos maoirum fuit pour lui une règle de conduite…” si ritiene che le fonti abbiano tutt’altro parere quando
si tratta dei fatti della marcia su Roma.
94
Il confine sacro di Romolo era già stato ampliato, qui viene menzionato il mitico fondatore di Roma
perchè fu lui l’ecista che donò sacralità al territorio dell’Urbe; Sen. de brev. vitae, XIII, 8; Gell. XIII, 14, 3;
Tac. Ann. XII, 24.
95
Cfr. Paresi 2005, pp.208-209.
96
Per illa tempora si intende il periodo che seguì la dittatura di Silla, lo si evince dal contesto, vd. Sall. Cat.
XXXVII.
97
Sall. Cat. XXXVIII, 3: “…post illa tempora quicumque rem publicam agitavere honestis nominibus, alii
sicuti populi iura defenderent, pars quo senatus auctoritas maxuma foret, bonum publicum simulantes pro
sua quisque potentia certabant.”.
98
Con la lex Iulia de civitate latinis et sociis danda del 90 a.C., (vd. Rotondi 1966, p. 338, n. 664/90) e con
la lex Plautia Papiria dell’89 a.C, (vd. Rotondi 1966, p. 340, n. 665/89) viene concessa la cittadinanza agli
italici; Gabba 1956, pp. 33-34.
93
26
27
cerca di promuovere, attraverso la legislazione post conflitto, delle restrizioni al
potenziale elettorale di questi ultimi: “E così, dopo che la cittadinanza romana era stata
concessa agli italici con la cautela che i nuovi cittadini confluissero in otto tribù…”99.
Iscrivendo i nuovi cittadini in otto tribù l’elettorato dell’Urbe continua a mantenere saldo
il potere dato che le altre tribù di Roma hanno una netta maggioranza nel voto. In questo
contesto, il tribuno della plebe dell’88 a.C. P. Sulpicio Rufo attua, nel corso della sua
magistratura, una politica demagogica volta da un lato a favorire la parte avversa alle
posizioni del Senato, dall’altro ad attribuire a Mario la campagna mitridatica100. Perciò
Silla si trova, durante il consolato, nella situazione di doversi scontrare con Sulpico sia
per ottenere l’agognato comando militare sia perché deve, anche per rispettare i
provvedimenti senatori, opporsi alle esigenze degli italici promosse dal tribuno101. Il
Senato e i consoli non desiderano compromettere la loro posizione in un momento
delicato in cui la guerra si è appena conclusa, per questo propongono la vacanza delle
attività pubbliche102; temporeggiando però, danno motivo a Sulpicio di sobillare le masse
popolari accorse all’Urbe dai municipi italici: la reazione violenta di queste, capeggiate
da Sulpicio, porta i consoli a prendere misure drastiche tantoché Silla scappa verso gli
eserciti stanziati in Campania, da dove sarebbe dovuto partire per lo scontro con
Mitridate. Tra le perniciosae leges103 di Sulpicio, una concede a Mario l’imperium per la
guerra mitridatica; Silla, giuntone a conoscenza mentre è in viaggio o si trova già presso
le legioni, riesce a convincerle a non accettare questo oltraggio verso di lui e ad aiutarlo
a promuovere la propria causa. Attraverso la marcia su Roma, solo grazie all’intervento
delle legioni, Silla può riaffermare la sua autorità di console: partito dalla Campania risale
la via Appia con velocità e, assediata l’Urbe, vi entra con il suo esercito regolare; infine,
dopo essersi scontrato con il popolo, sconfigge le forze assoldate da Sulpicio e Mario,
ormai aperto nemico.
L’Urbe, il suo corpo civico e i suoi magistrati, allo stesso modo degli storici antichi,
Vell. II, 20, 2: “Itaque cum ita civitas Italiae data esset, ut in octo tribus contribuerentur novi cives ne
potentia eorum et multitudo veterum civium dignitatem frangeret plusque possent recepti in beneficium
quam auctores benefici…”. Il riferimento è alla lex Calpurnia, cfr. Rotondi 1966, p. 340, n. 665/89.
100
Vd. Liv. perioch. LXXVII; Plut. Sull. 8, 1; App. b. c. I, 55, 242; cfr. Rotondi 1966, p. 345.
101
Vd. Plut. Sull. 8, 1; App. b. c. I, 56.
102
Vd. nt. 27.
103
Vd. Liv. perioch. LXXVII; Vell. II, 18, 6; cfr. Powell 1990, pp. 446-447.
99
27
28
non rimangono impassibili all’invasione.
Analizzando le fonti che trattano della prima marcia su Roma si riscontrano
frequentemente tre soggetti collettivi, oltre ai protagonisti noti, che interagiscono nel
tessuto delle vicende descritte: il Senato, il popolo, i soldati104. Mentre popolo e Senato
sono elementi distinti ma costanti nella rappresentazione del corpo civico, i milites
compaiono tra i soggetti proprio a partire dal periodo di guerre civili inaugurato dalla
politica sillana. I soldati infatti, prima del professionismo militare introdotto da Mario,
non erano distinti dai cittadini. Sembra paradossale che sia proprio il maggior oppositore
della fazione popolare a sfruttare la riforma mariana per affermarsi in politica. Silla
interviene con la forza per reprimere le azioni illegali di Sulpicio; Mario, da privato
cittadino, dopo essere stato nominato promagistrato per la campagna mitridatica, si pone
a difesa della città105. Grazie ad un plebiscito, Sulpicio abroga l’imperium a Silla a cui è
già toccata in sorte la provincia d’Asia106.
Soldati, popolo e Senato, nella descrizione di Appiano e Plutarco, sono i soggetti che
intervengono nelle dinamiche della marcia, subendo o promuovendo le azioni dei
comandanti militari; le loro reazioni di fronte alla marcia sono al centro della
narrazione107. Silla parte per Capua con l’intento di raggiungere l’esercito lì stanziato che
è pronto a partire per la campagna militare contro Mitridate; qui convince le truppe a
marciare contro la patria.
Il quadro cronologico entro il quale questi soggetti agiscono maggiormente è circoscritto
tra il tumulto creato a Roma per il quale Silla è costretto a fuggire verso Nola 108 e il suo
rientro in armi in città109.
I soggetti operano con modalità e strategie differenti sia per il diverso status, e la
conseguente incidenza nelle vicende, sia per le scelte adottate durante l’azione in corso.
In questa sede si propone un’analisi delle conseguenze dell’operazione militare di Silla e
Tacito per primo sostituisce al tradizionale senatus popolusque romanus una nuova definizione di Roma
che include anche i soldati
105
Val. Max. IX, 7; Plut. Mar. 35, 4; cfr. MRR, II, p. 42.
106
Si fa riferimento alla lex Sulpicia de bello mithridatico C. mario decernendo, vd. Rotondi 1966, p. 345,
n. 666/88.
107
In Appiano i fatti dall’88 a.C. sono descritti con maggior precisione, con particolari minuti, cfr. Gabba
1956, p. 90; per Plutarco, cfr. Muccioli – Ghilli 2011, pp. 269-270.
108
App. b.c. I, 56, 248; Plut. Sull. 8, 8; per quadro storico cfr. Betti 1914, p. 120.
109
App. b.c. I, 63; Plut. Sull. 10.
104
28
29
dei sillani partendo dai soggetti sopracitati.
I soldati nei due schieramenti
I soldati di Silla dimostrano ferocia contro chiunque si contrapponga alle decisioni
del comandante già nelle fasi precedenti alla marcia, in particolare in tre occasioni:
a) Quando i tribuni militari mandati da Mario a Nola110, dove è stanziato l’esercito
sillano, vengono lapidati111; Silla giunge prima dell’arrivo degli ufficiali mandati e deve
esercitare la sua influenza sulle truppe.
b) Alla partenza dall’accampamento i soldati di Silla bramano di raggiungere Roma
per attaccarla112; Appiano registra che, diversamente, gli ufficiali appartenenti al ceto
senatorio, non condividono questa posizione: “gli ufficiali superiori dell’esercito, ad
eccezione del solo questore, lo abbandonarono recandosi a Roma, non potendo sopportare
di condurre le truppe contro la patria.”113. Il fatto è significativo ed emerge anche dalle
parole di Plutarco: “Era tutto un movimento e una fuga: chi passava dall’accampamento
in città, chi dalla città all’accampamento”114. In città si trovano Mario e Sulpicio che,
secondo quanto descritto, comandano un Senato non più in grado di intervenire e
uccidono gli amici di Silla115. Si può identificare il movimento di cui fa menzione la ‘Vita
di Silla’ con la diserzione degli ufficiali che si trovano tra le fila di Silla quando la truppa
lo incita “a condurli senza esitazione a Roma”116. Va premesso che si scorge nelle fonti
un atteggiamento diversificato dei soggetti, che rispecchia (in modo generalizzato) il
Plut. Sull. 8, 8, lo storico di Cheronea colloca l’esercito a Nola mentre Appiano sostiene fosse a Capua,
vd. App. b. c. I, 56, 248.
111
Valerio Massimo precisa che uno di questi era Marco Gratidio “Marii legatus”, vd. Val. Max. IX, 7,1;
App. b. c. I, 56; Plut. Sull. 8, 8; 9, 1; nella biografia di Mario si precisa fossero due i tribuni, vd. Mar.
XXXV, 6; MRR, II, p. 43.
112
L’esercito viene descritto come “desideroso, bramoso, volenteroso” traduzione di πρόϑυμον, vd. Plut.
Sull. 9, 5
113
Cfr. App. b. c. I, 57, 253.
114
Plut. Sull. 9, 2: “ἦσαν δὲ μεταστάσεις καὶ φυγαί, τῶν μὲν εἰς πόλιν ἀπὸ στρατοπέδου, τῶν δ’ ἐκεῖσε
διαφοιτώντων ἐκ τῆς πόλεως”.
115
Plut. Sull. 9, 2-3.
116
App. b. c. I, 57, 252. Plutarco sembra attribuire responsabilità diverse sulla decisione della marcia: una
conseguenza del comportamento dei soldati (Sull. 9, 1, 5); una decisione del generale (Mario, 35, 6).
110
29
30
grado sociale; lo stesso Silla non osa parlare di una simile guerra117; gli ufficiali, tutti
appartenenti all’ordo equestre o senatorio, abbandonano l’esercito118 mentre i soldati
rispondono coralmente affidandosi al dux: lo incitano all’azione. Levick suppone che gli
ufficiali, che Appiano definisce άρχοντες non precisandone perciò il grado, siano un
gruppo di luogotenenti di rango senatorio, non eletti (a differenza del questore Lucio
Licinio Lucullo119) che disertano dopo aver appreso i propositi del comandante a Nola.
Per queste ragioni Silla è costretto a sostituire i detentori dei ruoli di comando, attingendo
anche a soldati di umili origini come ricorda Sallustio: “Vi era poi chi ricordava la vittoria
di Silla: in quella circostanza alcuni soldati semplici erano diventati senatori”120.
c) Il Senato invia delle ambascerie a Silla. Le fonti su questo episodio sono
discordanti: Appiano menziona quattro ambascerie ma non precisa i protagonisti di
ciascuna121 mentre Plutarco fornisce diversi dettagli sull’ambasciata pretoria di Bruto122
e Servilio123: sono assaliti; vengono loro strappate le toghe e spezzati i fasci littori;
vengono minacciati e cacciati dall’accampamento124. La storiografia moderna riconosce
a Plutarco un errore in quanto ritiene che “abbia fuso in una sola ambasceria il contenuto
di varie”125. Plutarco si dimostra meno attento nella descrizione anche perché menziona
il sogno premonitore di Silla la notte prima della marcia su Roma, quando questi già si
trova con Pompeo e gli racconta la visione; in Appiano però il collega console raggiunge
Silla solo quando questi si sta avvicinando all’Urbe. Risulta difficile ritenere che in un
solo giorno Silla percorra il tragitto da Pitte a Roma, incontri il collega coordinandosi con
questi sull’attacco, accolga l’ambasciata dei nemici. Nei racconti di entrambi gli storici
emerge chiaramente in più punti la velocità dell’azione di Silla ma non è verosimile che
App. b. c. I, 57, 251.
Sull’argomento vd. Levick 1982, pp. 505-508.
119
App. b. c. I, 57; Gabba 1973, p. 139.
120
Sall. Cat. XXXVII, 6: “Deinde multi memores Sullanae victoriae, quod ex gregariis militibus alios
senatores videbant...”.
121
App. b. c. I, 57, 253-254.
122
Si tratta probabilmente di Marco Giunio Bruto, il medesimo di cui parlano Livio (vd. Liv. perioch.
LXXXIX) e Appiano (vd. App. b. c. I, 60, 271); vd. Münzer, RE, s. v. Iunius 51, col. 972.
123
Per Servilio vd. Münzer RE, s. v. Servilius 3, col. 1760
124
Appiano menziona solo degli ambasciatori, πρέσβεις, (vd. App. b.c. I, 57, 253); Plutarco invece sostiene
che il Senato inviò due patres Bruto e Servilio: “…τῶν στρατηγῶν, Βροῦτον καὶ Σερουΐλιον…” (vd. Plut.
Sull. 9, 4); si intuisce fossero magistrati cum imperio dalle togae praetextae, indossate e dai fasci littori con
i quali erano accompagnati, (quindi pretori dato che i consoli sono noti); i soldati strapparono loro le vesti
e spezzarono i fasci, un gesto dalla forte connotazione simbolica; vd. Vogel 1950, p. 62.
125
Vd. Gabba 1967, p. 167.
117
118
30
31
tutte queste azioni si siano svolte in un arco temporale così ristretto. L’ambasceria che
raggiunge Silla ad Pictas126, della quale fa memoria lo storico di Cheronea, va identificata
con la seconda o più verosimilmente con la terza127 tra le quattro di Appiano dato che
l’inganno architettato da Silla non sarebbe stato possibile ad una distanza considerevole
da Roma128.
Anche dopo aver preso la città, la ferocia dei soldati si palesa con saccheggi ed altre azioni
che vengono punite dal generale129.
I partigiani, i seguaci di Mario, stanziati presso di lui in città, vengono descritti secondo
le stesse caratteristiche che sono attribuite ai soldati di Silla: feroci e fedeli al proprio
dux130.
Il popolo contro il console
Plutarco afferma in più occasioni di avvalersi degli stessi commentari di Silla, le
Memoriae, per narrare la guerra civile; tuttavia esprime e dà spazio anche a giudizi propri
e di fonti non allineate alla vulgata sillana. Il personaggio di Silla che emerge nei singoli
episodi, in particolare in rapporto alle reazioni del popolo durante i fatti dell’88 a.C.,
suggerisce che le fonti plutarchee, come quelle di Appiano, sono eterogenee131.
Lo storico di Cheronea ricorda alcuni episodi in cui vengono espressi giudizi morali
negativi attraverso azioni dei cives prima, durante e dopo la presa di Roma; l’ostilità del
Si tratta della statio identificata a venticinque miglia da Roma, un crocevia tra la via Latina e la via
Labicana, vd. Strab. V, 3, 9, 237; Carcopino 1979, pp. 45, 198, nt. 47.
127
Gabba ritiene possibili entrambe (vd. Gabba, 1967, p. 167) ma accogliendo la descrizione di Appiano,
per la vicinanza a Roma e per le tempistiche degli spostamenti degli eserciti di Silla si preferisce ipotizzare
che l’ambasceria in questione sia la terza prima che il collega Pompeo giungesse presso di lui (a Nola si
incontrarono anche se Plutarco sostiene giungessero insieme da la, vd. Plut. Sull. 9, 5) ossia prima
dell’ingiunzione del Senato, Mario e Sulpicio a Silla di non porre il campo a una distanza inferiore a 40
stadi, (vd. App. b. c. I, 57, 255).
128
Si fa riferimento all’inizio delle azioni militari alle porte dell’Urbe dopo che Silla incontrò l’ultima
ambasciata del Senato, vd. App. b. c. I, 57, 256; Plut. Sull. 9, 9-10.
129
La testimonianza di questo episodio, svoltosi subito dopo il passaggio per la via Sacra, riportato da
Appiano, rientra in quel gruppo di informazioni tratte dalle Memoriae di Silla, poiché l’immagine che ne
consegue fa risaltare il generale e ne mette in luce caratteristiche; vd. App. b. c. I, 59, 264.
130
App. b. c. I, 57, 250; Plut. Sull. 9, 1, 5.
131
Gli autori consultati per l’individuazione delle fonti di Plutarco sono principalmente: Stadter 1965;
Warner 1973; Pelling 1979. Per Appiano, cfr. Gabba 1967, pp. XXII-XXIII.
126
31
32
popolo non sorprende dal momento che proprio i comizi votano un provvedimento che
toglie a Silla la conduzione della campagna mitridatica132. Questa iniziativa viene
promossa dal tribuno Sulpicio133, accusato, sia nel testo di Plutarco che in quello di
Appiano, di essere manovrato da Mario. Sulpico riesce a strappare al console, grazie
proprio al voto dei comizi, il comando militare; il tribuno perciò sovrappone la decisione
del Senato a quella del popolo134. Seppur spalleggiato politicamente da Mario, Sulpicio
ha un seguito consistente presso i cittadini romani, in particolare presso i nuovi cittadini:
il tribuno propone una legge che li distribuisce equamente nelle trentacinque tribù135. Per
questi motivi può giustificarsi, in parte, l’avversione a Silla, rappresentante degli interessi
più vicini all’aristocrazia senatoria piuttosto che al popolo o al ceto equestre136.
Quando i pretori137 Bruto e Servilio tornano in città, dopo essere stati umiliati dai soldati
sillani138, suscitano forti reazioni: “Qui l’umiliazione fu grande: vederli privi delle
insegne pretorie, sentirli annunciare che non era più possibile contenere la sedizione,
ormai fatale.”139. Lo sdegno e l’umiliazione non trovano un soggetto preciso nel testo
plutarcheo in quanto lo storico vuole far emergere che si tratti di un sentimento condiviso
e comune a tutti quelli che sono rimasti in città; in risposta, i partigiani di Mario si
preparano ma non sono esplicitamente loro i soli soggetti della frase precedente. La carica
simbolica dell’aver strappato gli attributi tradizionali del potere, i fasci e le toghe,
produce, secondo la testimonianza di Plutarco, una reazione bilanciata, proporzionale
all’affronto subito.
In un’altra occasione il popolo rimasto in città si schiera dalla parte di Mario:
“stavano per conquistare la città quando la moltitudine dei popolani disarmati, dai tetti,
gettando tegole e sassi, impedì ai soldati di proseguire e li costrinse a concentrarsi sotto
Plut. Sull. 8.
Cfr. MRR, II, p. 41; Powell 1990, p. 446.
134
Cfr. Rotondi 1966, p. 345.
135
I nuovi cittadini non avevano molta influenza politica poiché erano stati ascritti tutti in un’unica tribù;
vd. Liv. perioch. LXXVII; Vell. II, 18, 6; App. b. c. I, 55, 242-56; 246; Gabba 1967, pp. 162-164.
136
Sulpicio si faceva portatore degli interessi del popolo e degli equites mentre era particolarmente avverso
all’ordo senatorio; Plut. Sull. 8, 1-4; cfr. Powell 1990, pp. 450-455.
137
Vd. note 122 - 123.
138
App. b. c. I, 57, 253; Plut. Sull. 9, 1-2.
139
Plut. Sull. 9, 2: “…αὐτό-θεν τε δεινὴν κατήφειαν, ὁρωμένους τῶν στρατη- γικῶν παρασήμων ἐρήμους,
καὶ τὴν στάσιν οὐκέτι καθεκτήν, ἀλλ’ ἀνήκεστον ἀπαγγέλλοντας.”.
132
133
32
33
le mura”140. Che il popolo dell’Urbe sia schierato con la fazione di Mario non è un dato
poco rilevante ma non si deve nemmeno supporre che le motivazioni siano politiche,
ovvero che tutti i cittadini siano mariani. Per quanto ci sia già stato il via vai dalla città
all’accampamento di Nola (e viceversa) prima dell’assedio di Roma141, e per quanto
Mario voglia rappresentare insieme al tribuno Sulpicio quella parte politica che favorisce
il popolo piuttosto che il Senato142, si devono riconoscere nelle fonti anche altre
tematiche.
Sia Plutarco che Appiano offrono la medesima interpretazione all’arrivo di Silla e
dei suoi sotto le mura: la suburra è ostile in quanto la plebe urbana che lì risiede contesta
non la scelta politica ma l’azione sacrilega che sta compiendo il generale di Roma contro
la sua patria143. Mentre Appiano si concentra di più sull’aspetto sacrilego dell’accaduto144,
Plutarco dà maggior spazio a giudizi morali 145. Silla viene descritto come un invasato
dalle passioni che vede nemici in tutti coloro che incontra nel suo cammino
146
. La
clementia che Silla non ha poi dimostrato nei confronti di Gaio Mario rimanda
ideologicamente al mancato rispetto del costume romano, a comportamenti extra mores
ovvero a comportamenti che sono in contrasto con le virtutes di un nobile romano147.
A supporto di quanto sostenuto va posta in luce la reazione che i cittadini esprimono
mediante le elezioni: “…lo sdegno e il biasimo del popolo invece lo poteva chiaramente
leggere nei fatti: Nonio, suo nipote, e Servilio, che aspiravano a delle cariche, ne furono
esclusi e ne elessero altri, quelli di cui immaginavano che lo avrebbero disturbato di
Plut. Sull. 9, 11; la medesima descrizione dell’accaduto si riscontra in Appiano, vd. App. b. c. I, 58, 258.
Si allude al movimento e alla fuga dalla città verso l’accampamento e viceversa, vd. Plut. Sull. 9, 2.
142
Si fa riferimento a quell’arco cronologico compreso tra la partenza dall’accampamento di Nola a poco
prima dell’arrivo alle porte di Roma, cfr. Martin 2001, p. 163.
143
Lo svolgimento dei fatti è molto complesso, è possibile ricostruire un quadro parziale integrando diverse
fonti; vd. App. b. c. I, 58, 258; Flor. II, 9, 7; Oros. V, 19, 4; per una descrizione dettagliata, vd. Gabba 1967,
p. 169.
144
Vd. App. b. c. I, 58, 257-258.
145
Vd. Plut. Sull. 9, 12-14.
146
La descrizione di Silla prima dell’ingresso in città (Plut. Sull. 9, 12-13) riprende quella in cui l’autore
descrive il suo profilo; cfr. Plut. Sull. 6, 14.
147
Plutarco in particolare deplora il comportamento di Silla verso Mario dato che poco tempo prima
quest’ultimo l’aveva ospitato in casa durante una pericolosa sedizione nell’Urbe; vd. Sall. Cat. XI, 7-8;
App. b. c. I, 56, 245; Plut. Mar. 35, 2-3; Sull. 7, 8; 10, 2-3. Parte della critica non concorda sull’accaduto
ritenendo si tratti di una rielaborazione dei fatti ad opera di Plutarco o delle fonti a cui attinge (Livio), cfr.
Powell 1990, pp. 455-456.
140
141
33
34
più”148. Silla fa dichiarare nemici pubblici Mario e la sua cerchia di amici; il popolo si
dimostra nuovamente ostile contro il console in carica149.
Senato senza controllo
L’impotenza del Senato riecheggia tra le righe degli storici antichi in diversi
contributi; negli autori contemporanei, questa considerazione sulla più importante delle
istituzioni romane è interpretata come, già per il periodo iniziale della ‘rivoluzione
romana’, un topos letterario e propagandistico della fazione ‘popularis’. Questa visione
ricorre come caratteristica comune del periodo tardo repubblicano, anche se con accezioni
differenti: la responsabilità dell’inefficienza del sistema amministrativo e legislativo
viene attribuita da autori aderenti a schieramenti politici opposti all’una o all’altra fazione.
Ciò che emerge dalle testimonianze è che, facendo fronte a necessità differenti, ciascuna
delle factiones tardo repubblicane cerca di attribuire all’altra parte la responsabilità della
crisi e di proporsi come forza risolutrice. La matrice che ha originato questa immagine
letteraria del Senato è duplice: in parte deriva dalle opere redatte in rebus che recepiscono
tale polemica, in parte da quelle scritte post res, ossia successive alle guerre civili; in
queste ultime, in particolare, è riscontrabile una rielaborazione della memoria nel corso
dei secoli.
Plutarco e Appiano, per quanto riguarda il caso di Silla, non lasciano dubbi sul
giudizio attribuito “all’ininfluente Senato” nel momento di maggiore crisi, quello
precedente la marcia: “Il Senato non era più padrone delle proprie decisioni, ma era
vincolato dalle imposizioni di Mario e di Sulpicio.”150. Anche Appiano insiste su come
il potere del Senato sia subordinato alle decisioni del tribuno in carica e dell’homo
novus: “…per prepararsi avevano bisogno di tempo (Mario e Sulpicio), mandavano
Plut. Sull. 10, 4-5: “…ἡ δὲ παρὰ τοῦ δήμου δυσμένεια καὶ νέμεσις αὐτῷ φανερὰ δι’ ἔργων ἀπήντα. Νώνιον
μέν γε τὸν ἀδελφιδοῦν αὐτοῦ καὶ Σερουήϊον ἀρχὰς μετι- όντας ἀποψηφισάμενοι καὶ καθυβρίσαντες
ἑτέρουςκατέστησαν ἄρχοντας, οὓς μάλιστα τιμῶντες ᾤοντο λυπεῖν ἐκεῖνον.”.
149
Silla propose e fece approvare un Senatusconsultum che dichiarava hostes populi romani Mario e altri
dodici (lex Cornelia de exilio Marianorum); vd. Vell. II, 19, 1; Liv. perioch. LXXVII; Diod. Sic. XXXVII,
29, 3; App. b. c. I, 60; cfr. Rotondi 1966, p. 344, n. 666/88.
150
Plut. Sull. 9, 3: “…ἡ δὲ σύγκλητος ἦν μὲν οὐχ αὑτῆς, ἀλλὰ τοῖς Μαρίου καὶ Σουλπικίου διῳκεῖτο προστάγμασι…”.
148
34
35
un’altra ambasceria, fingendo che pure essa fosse mandata dal Senato…”151. Il gioco
politico e la strategia militare si compenetrano. In questi due estratti si pone in luce
come le normali istituzioni vengano sovvertite per dar spazio alle singole personalità.
L’immagine del Senato che emerge è negativa poiché non si riconosce l’auctoritas che
dovrebbe caratterizzarlo e, come nel caso dell’altro soggetto preso in esame, il popolo,
non si impongono i singoli: la curia sembra spogliata di personalità di spicco capaci di
stravolgere gli avvenimenti, anch’essa risponde coralmente all’imminente pericolo
perché non vi sono leader che si distinguono per le loro virtutes. Il tentativo da parte
dei mariani di ingannare Silla e Pompeo non va a buon fine; sebbene si evinca che solo
l’ultima delle ambasciate non viene inviata per decisione senatoria, l’idea
dell’ininfluenza dei patres non viene smentita.
App. b. c. I, 57, 255: “Μάριος δὲ καὶ Σουλπίκιος ἐς παρασκευὴν ὀλίγου διαστήματος δεόμενοι πρέσβεις
ἑτέρους ἔπεμπον ὡς δὴ καὶ τούσδε ὑπὸ τῆς βουλῆς ἀπε- σταλμένους…”.
151
35
36
CAPITOLO 2
Le marce del 44 a.C.
Quadro cronologico:
Antonio ed Ottaviano dal cesaricidio all’ottobre del 44 a.C.
Marco Antonio dopo la morte di Cesare conquista progressivamente, nel corso del
44 a.C., il predominio nel partito cesariano. La dittatura di Cesare termina con la sua
morte ma le trasformazioni che questi ha operato all’intero sistema costituzionale romano
nel corso della sua carriera continuano e vivono nel momento di transizione che segue la
sua morte. La factio di Cesare costituisce al momento del cesaricidio la forza
preponderante in Senato; inoltre molti cavalieri e soprattutto veterani e esponenti del
popolo sono favorevoli alla sua politica1. Ad Antonio spetta il compito di ridare
compattezza al partito di Cesare, quando la notizia dell’assassinio mette in fuga presso le
proprie case e presso l’opposta fazione politica molti dei cesariani2. La confusione e la
paura a Roma si placano solo quando Antonio convoca nel tempio di Tellus la riunione
senatoria del 17 marzo, perché i tentativi di mediazione con i capi dei congiurati dei primi
due giorni necessitano di una formalizzazione3. La seduta senatoria del 17 segna la storia
dell’intero anno: Antonio, supportato da Cicerone, propone l’amnistia per i congiurati e
la conferma degli acta Caesaris4; i repubblicani avrebbero voluto che Cesare venisse
dichiarato tiranno ma se così fosse stato sarebbe scoppiata la guerra civile5. Allo stesso
modo i cesaricidi auspicavano la cancellazione di tutti i provvedimenti del dittatore, ma
erano gli acta Caesaris a garantire anche le magistrature loro conferite. Questa linea
politica, approvata dal Senato e dal popolo, non risulta fedele allo memoria di Cesare e
lascia scontenti molti nel partito cesariano. È Antonio, console in carica, a ottenere la
Per la composizione della fazione cesariana, cfr. Syme 1939 (2014), pp. 70-83.
Cfr. Grattarola 1990, p. 15.
3
La riconciliazione tra le parti, voluta principalmente da Antonio, era già cominciata nella notte del 15
marzo attraverso una serie di contatti segreti; vd. Grattarola 1990, p. 15, nt. 30.
4
Vd. Cic. Phil. I, 2, 31; Plut. Brut. 19; Cic. 42; App. b. c. II, 133; cfr. Grattarola 1990, p. 18; Cresci Marrone
2013, p. 38.
5
Vd. Svet. Tib. 4, 1; App. b. c. II, 127; Dio XLIV, 25, 2; 28, 5.
1
2
36
37
leadership della factio cesariana, imponendosi in una dura concorrenza con Lepido, a
capo degli unici reparti armati presenti in città. Antonio già nella seduta del 18 Marzo
patrocina l’iniziativa di rendere pubblico il testamento di Cesare e di celebrare un funerale
pubblico6. In quello stesso giorno7 Antonio apre il testamento di Cesare nel quale il
defunto nomina G. Ottavio, nipote della sorella Giulia in quanto figlio di Azia,
designandolo proprio erede per tre quarti del patrimonio8. La lettura pubblica del
testamento riaccende e inasprisce gli animi dei cesariani, del popolo e dei veterani sia
perché Cesare dimostra anche dopo la morte la sua generosità, sia perché tra i secondi
eredi vi erano menzionati anche dei congiurati e non solo membri della sua factio.
Antonio, deluso, si occupa il 20 marzo dei funerali di Cesare9, organizzati “secondo
un’attenta regia con lo scopo di infrangere a proprio favore l’equilibrio di forze appena
raggiunto”10. L’effetto ottenuto da Antonio grazie al discorso al funerale di Cesare porta
ad un tumultus11 ovvero al prodursi di scontri armati e violenze dalla parte cesariana nei
confronti dei cesaricidi. Le conseguenze concrete di tali eventi non si colgono solo in quei
giorni ma anche nella politica successiva: Antonio acquista una posizione di potere ancora
maggiore poiché oltre ad essere console e capo dei cesariani riveste il ruolo di mediatore
con l’ala repubblicana del Senato. I ‘liberatori’ sono costretti ad affidarsi al console,
sebbene impauriti12. Antonio dimostra di mantenere aperto un canale di dialogo tra le
parti; allo stesso tempo però tenta di trasformare la fazione cesariana in antoniana13 e
tiene sotto controllo il giovane erede di Cesare.
Ottaviano ha appena diciannovenne anni quando riceve notizia dalla madre, mentre si
trova ad Apollonia, di quanto accaduto a Cesare e della decisione di questi di adottarlo14.
Il testamento era stato redatto il 13 settembre (Svet. Iul.83), la proposta di renderlo pubblico è nota da
Plutarco, vd. Plut. Brut. 19-20.
7
La cronologia è incerta, cfr. Cresci Marrone 2013, p. 39.
8
I lasciti di Cesare definivano inoltre gli altri eredi, gli eredi ‘secondi’ e comprendevano anche un legato
di 300 sesterzi a ciascun cittadino romano; vd. FGrHist. 90F, 127; Svet. Iul. 83, 88; Aug. 8, 2; Dio XLIV,
35, 2; XLV, 4, 3; cfr. Grattarola 1990, p. 20; Cresci Marrone 2013, p. 39.
9
Cfr. Grattarola 1990, p. 21, nt. 93.
10
Vd. Cresci Marrone 2013, p. 40; contrario il giudizio di Grattarola: “L’elogio funebre di Antonio fu un
capolavoro della sua politica di equilibrio e di riconciliazione”, cfr. Grattarola 1990, p. 22; per la strategi
funeraria; vd.Blasi 2012.
11
Per una descrizione dettagliata dei fatti si rimanda alla descrizione di Svetonio, cfr. Svet. Iul. 84-85.
12
Parte dei congiurati era fuggita da Roma e si era riunita ad Anzio per riorganizzarsi, cfr. Cic. fam. XI, 2.
13
Cfr. Grattarola 1990, p. 23; Cristofoli 2001, pp. 95-113.
14
Cfr. FGrHist.90 F, 31, 132; Liv. perioch. CXVII; Svet. Aug. 8, 4; Plut. Brut. 22; App. b. c. III, 9, 30; Dio
XLV, 3, 1.
6
37
38
Consultatosi con gli amici, Ottaviano sceglie di non tornare a Roma in armi per vendicare
il padre adottivo sia perché non ha notizie certe su quanto accade nell’Urbe sia perché si
rende subito conto che senza un supporto, senza una posizione all’interno del sistema di
potere, può essere il bersaglio di più di una compagine politica15.
Ottaviano sbarca nei primi giorni di aprile vicino a Lecce con la cassa privata e la cassa
di guerra, per la spedizione partica progettata da Cesare, e lì conosce il sentimento
amichevole delle truppe verso di lui, che precedentemente aveva temuto16.
Con
l’accettazione dell’eredità materiale Ottaviano si propone anche come erede politico di
Cesare; proprio per la connessione tra i due aspetti i famigliari fin da subito lo
sconsigliano di accettare la volontà di Cesare, potenziale fonte di pericolo17; infatti la
scelta di Ottaviano danneggia direttamente Antonio, che entra in competizione
direttamente con lui, e ciò lo pone in una situazione di pericolo. La situazione è instabile
anche per Antonio che deve preservarsi in quanto riveste una posizione potenzialmente
bersagliabile dai repubblicani.
Antonio nel mese di aprile a Roma propone un insieme di leggi, spalleggiato dai fratelli
Caio e Lucio, che rivestono rispettivamente la pretura18 e il tribunato della plebe19.Queste
leggi sono volte a consolidare la sua posizione che si delinea sempre più autocratica20. In
particolare l’intensa attività legislativa di Antonio si basa sull’utilizzo e la falsificazione
di provvedimenti di Cesare in via di ultimazione, acta Caesaris21, che sono stati
consegnati dalla vedova di Cesare al console e che questi manipola a suo uso. Antonio
cerca di condurre un doppiogioco perpetuando i buoni rapporti con la fazione
conservatrice in Senato, anche attraverso alcune concessioni22. Al contempo il console
cerca di mantenere saldo il partito cesariano del quale è ormai il leader indiscusso23.
Cfr. Grattarola 1990, p. 25, nt. 135.
Ottaviano, secondo le fonti, non si era recato al grande porto di Brindisi poiché lì erano stanziate delle
truppe, cfr. App. b. c. III, 10, 35.
17
Numerose fonti descrivono il fatto e riconoscono il legame tra eredità dei beni ed eredità politica; tra tutte
risulta analitica la testimonianza di Appiano; cfr. App. b. c. III, 11.
18
Cfr. MRR II, p. 319.
19
Cfr. MRR II, p. 323.
20
Vd. Cresci Marrone 2013, pp. 45-47.
21
Vd. Cic. Att. XIV, 18, 1; App. b. c. III, 5, 16; cfr. Cresci Marrone 2013, p. 44.
22
“Antonio non esitò a proseguire nella sua linea autonoma rispetto la politica di Cesare, favorendo anche
i pompeiani”; cfr. Grattarola 1990, p. 30.
23
A maggio Antonio era stato a Capua dove cercò di fidelizzare i veterani alla sua causa, vd. Cresci Marrone
2013, p. 46.
15
16
38
39
Antonio incontra l’ostilità dei repubblicani e del suo stesso partito solo dopo il 25 aprile
quando rende note le sue aspirazioni al governo della Gallia Cisalpina per il 43 a.C.: con
questa scelta mira ad avere una posizione strategica importante dopo il consolato; ma così
facendo priva il cesaricida D. Bruto24 della provincia assegnatagli da Cesare e si inimica
anche la componente estremista del gruppo cesariano interessata alla vendetta di Cesare
e non alla sua personale posizione25.
Ottaviano nel frattempo si muove nell’Italia del sud, affiancato da una ristretta schiera di
amici e di fedeli che erano stati agenti di Cesare, cercando di entrare in contatto con i
personaggi influenti dei municipi e con i nobili possidenti romani della Campania26. Già
in questa prima fase Ottaviano crea una propria fazione basata sul comune obiettivo della
vendetta di Cesare che lui solo in quanto figlio, può legittimamente promuovere; inoltre
raccoglie intorno a sé dei fedeli sostenitori e fomenta gli animi dei veterani del padre 27.
Nei primi giorni di maggio Ottaviano giunge a Roma: la sua entrata in città, accompagnata
da un folto seguito, avrebbe potuto assumere i connotati della marcia ma ciò non avvenne
perché gli eserciti cesariani erano in buona parte ad Apollonia. A Roma, davanti al pretore
urbano28, Ottaviano accetta formalmente l’adozione, quindi l’eredità, di Cesare29; pur
nelle vesti di privato cittadino decide di parlare pubblicamente. Il suo discorso
preannuncia la sua prima strategia politica a Roma: si presenta come cesariano senza però
parlare di vendetta30, tema che rivela a destinatari ben precisi delle sue strategie di
captazione del consenso come i veterani cesariani. Il discorso di Ottaviano non può in
ogni modo non tangere gli interessi di Antonio poiché danneggia la figura di quest’ultimo
all’interno della fazione cesariana.
Cesare aveva assegnato il governo delle province di Roma designando D. Bruto per la Gallia Cisalpina,
vd. Vell. II, 60, 5; per la magistratura; cfr. MRR II, p. 328.
25
Un esempio di questa ambivalente politica, e della percezione che ne ebbero i contemporanei ai fatti, si
trova nella lettera del 3 maggio del 44 a.C. di Cicerone ad Attico; cfr. Cic. Att. XIV, 17, 3.
26
Ottaviano si era recato prima a Napoli verso il 16 aprile e poi a Pozzuoli il 21 aprile, vd. Cic. Att. XIV,
11.
27
Ottaviano suscitò l’interesse di Cicerone che cercava di sincerarsi dei suoi intenti e che aveva avuto
notizie non precise, cfr. Cic. XIV, 10, 3.
28
Si fa riferimento a Caio Antonio, fratello del console, cfr. MRR II, p. 319.
29
Per l’arrivo a Roma con un folto seguito vd. App. b. c. III, 12; contro Dione che afferma che Ottaviano
giunse a Roma come un qualsiasi privato; vd. Dio XLV, 5, 2.
30
Il discorso non si poneva contro i repubblicani tantomeno predicava la vendetta contro i congiurati; vd,
Cic. Att. XV, 2, 3; “un discorso per Cesare e per se stesso, un discorso essenzialmente positivo”, per una
panoramica analitica del contenuto del discorso tenuto da Ottaviano; cfr. Grattarola 1990, pp. 34-35.
24
39
40
Solo dopo il 20 maggio Antonio incontra a Roma Ottaviano, fino a quel momento attivo
nel sud dell’Italia, tra la Campania e il Sannio, dove cerca di reclutare un consistente
esercito con il quale in seguito si presenta nell’Urbe31. Tra le prime azioni al suo rientro,
Antonio riceve nella propria dimora Ottaviano, in questo primo incontro conflittuale32 ciò
che emerge dalle testimonianze è che a nessuno dei due conveniva opporsi all’altro:
Ottaviano non è ancora abbastanza potente per contrastare Antonio e non ha alcuna
posizione legale per ascendere politicamente; d’altra parte Antonio non può rischiare di
esporsi ponendosi in contrasto con il già popolare erede33.
Ottaviano cerca nell’Urbe di sfruttare il momento a lui favorevole e per tutta
l’estate stabilisce su più fronti relazioni e alleanze con le partes del Senato, anche
politicamente avverse tra loro; inoltre attraverso il ricordo di Cesare valorizza il suo
legame politico con il dittatore presso i soldati cesariani e il popolo. Antonio cerca di
contrastare le iniziative di Ottaviano con la collaborazione dei suoi alleati: si adopera a
ostacolare le pretese di ascesa di quest’ultimo e gli impedisce di destabilizzare la
situazione cittadina già compromessa: trattiene i legati testamentari34; non lascia che
esponga il trono d’oro di Cesare durante le feste pubbliche35; non gli permette di
candidarsi al tribunato della plebe36. Mentre Ottaviano mira direttamente ad imporsi
nell’ambito dell’ortodossia cesariana, pur non ostacolando la politica di Antonio si pone
i medesimi intenti e con la sua posizione cerca di rinsaldare i rapporti con Lepido e altri
leader del suo partito37.
Vd. Cic. fam. XIV, 21, 2; Phil. II, 108; cfr. Chamoux 1986 (1988), p. 25; secondo Appiano la guardia del
corpo gli fu concessa con un decreto senatorio, vd. App. b. c. III, 4, 13; cfr. Cresci Marrone 2013, p. 47;
contro Grattarola che sostiene invece che la testimonianza appianea sia viziata da fonti filoantoniane che
volevano ppresentare come legale l’azione di Antonio, cfr. Grattarola 1990, p. 35.
32
Definizione che sintetizza il colorito racconto che emerge dallo studio delle fonti, vd. Grattarola 1990, p.
36.
33
In questa sede si accolgono come verosimili per la ricostruzione, per quanto ricchi di errori sui dettagli
cronologici espressi, i discorsi di Antonio e Ottaviano riscostruiti da Appiano; vd. App. b. c. III, 15-20; cfr.
Gabba 1956, p. 158, nt. 3.
34
Vd. App. b. c. III, 14, 48; Dio XLV, 5, 3.
35
Vd. Cic. Att. XV, 3, 2; App. b. c. III, 28, 106; Plut. Ant. 17, 2; Svet. Aug. 10; Dio XLV, 6, 1-4.
36
Benché fosse un patrizio Ottaviano ambiva al tribunato, vd. App. b. c. III, 31, 120; Plut. Ant. 16; Svet.
Aug. 10, 2; Dio XLV, 6, 2.
37
Antonio promosse la candidatura di Lepido nella seduta senatoria del 2 giugno al pontificato massimo
pur di evitare che Ottaviano ne potesse avere ambizione, cfr. Liv. perioch. CXVII; Vell. II, 63, 1; Dio XLIV,
53, 6; diversamente Appiano colloca la designazione già con la seduta del 17 marzo, vd. App. b. c. II, 123,
522.
31
40
41
La rottura nella politica antoniana con la pars repubblicana del Senato risale a quando si
approva tramite i comizi la legge sulla permutazione delle province38, facendo intervenire
anche i fratelli in suo supporto39. Con questo provvedimento, fortemente voluto da
Antonio ormai persegue una politica alternativa a quella dei repubblicani, ispirata più
marcatamente al recedente cesariano.
Anche l’apertura nei confronti di Sesto Pompeo, che veniva identificato come uno dei
possibili persecutori delle cause della Repubblica, rispondeva all’esigenza contingente di
Antonio di compromettere l’accordo tra Ottaviano e la parte dei ‘liberatori’, accordo che
si sarebbe potuto tenere come esito delle relazioni tra l’erede di cesare e Cicerone, avviate
già da maggio40.
Nel mese di luglio l’opposizione di Antonio ad Ottaviano si fa più intensa; ora l’erede di
Cesare costringe il console ad esporsi poiché, in seguito al rifiuto del primo di mostrare
ai giochi per la vittoria di Cesare la corona e il trono del dittatore41, Ottaviano smette di
frequentare il foro; per questo Antonio si trova costretto a riappacificarsi pubblicamente
con lui42. Antonio stava tornando ad un cesarismo più radicale e sapeva che opporsi
direttamente all’erede di Cesare gli avrebbe creato un danno d’immagine all’interno del
suo stesso partito contraddicendo questo recupero del modello rappresentato da Giulio
Cesare, al fatto responsabile della scelta di Ottaviano. Nel frattempo il console deve
inoltre guardarsi dalle mosse architettate da Ottaviano che effettivamente comincia ad
agire sul popolo e sui veterani, sulla cui fedeltà può contare fin da subito, criticando
aspramente la politica di Antonio: lo accusa di tradire la memoria di Cesare oltre che del
furto del patrimonio destinato anche ai cittadini43.
La riappacificazione tra i due non porta a risultati a lungo termine ma consente ad Antonio
Si fa riferimento alla seduta del 1 giugno e alla lex tribunicia de provinciis consolaribus, cfr. Cic. Phil.
V, 7¸vd. Rotondi 1966, p. 432.
39
Diversi i provvedimenti legislativi presi dagli Antonii nel giugno del 44 a.C. tutti volti a consolidare la
politica antoniana; cfr. Grattarola 1990, pp. 41-43.
40
Il rapporto tra Cicerone e Ottaviano risale già a fine maggio, vd. Cic. Att. XV, 12, 2.
41
Si fa riferimento ai ludi victoriae Caesaris celebrati tra il 20 e il 30 luglio, cfr. App. b. c. III, 28, 106.
42
Vd. App. b. c. III, 29-30
43
Secondo Appiano, Ottaviano si scagliava contro il console con pubblici discorsi, cfr. App. b. c. III, 28;
per Dione invece l’erede di Cesare allarmava Antonio poiché aveva cominciato ad elargire denaro ai
veterani, cfr. Dio XLV, 7, 2. Grattarola ritiene poco verosimile e inficiata da fonti antoniane questa
testimonianza di Appiano poiché Antonio da console, se Ottaviano avesse pronunciato pubblici discorsi,
avrebbe avuto un pretesto per accusarlo; cfr. Grattarola 1990, p. 45.
38
41
42
di continuare la sua politica ormai in rotta definitiva con i congiurati; infatti nel mese di
settembre Antonio, sempre per mezzo dell’attività legislativa, assegna delle province
senza eserciti ai capi congiurati44. Tornato ad un cesarismo radicale, ricongiuntosi, seppur
solo formalmente, con Ottaviano, Antonio con le sue leggi intende quindi accrescere il
suo potenziale bellico: ottiene in parte anche questo risultato già con l’attribuzione del
comando della legione Alaudae45.
Al mese di settembre risale la rottura definitiva tra Antonio e i repubblicani46 attraverso
le prime invettive di Cicerone contro il console e l’interventismo di Ottaviano presso i
veterani della Campania e quelle legioni stanziate originariamente nella provincia di
Macedonia47.
La risposta del console non si fa attendere: nei primi giorni di ottobre Antonio pronuncia
un discorso dai toni estremi contro Cicerone e il tribuno della plebe Cannuzio,
accusandoli di complottare contro lo Stato; conclude poi dicendo che i congiurati sono
dei nemici e che non sarebbero più dovuti rientrare a Roma48. In questo contesto si colloca
un fatto chiave per le vicende precedenti alla marcia: Antonio mette agli arrestasti, il 5 di
ottobre, dei soldati accusati di aver attentato alla sua vita, su ordine di Ottaviano. L’erede
di Cesare respinse l’accusa49.
Antonio promulga una serie di leggi che impediscono ai congiurati di avere seguito e clientele nelle
province assegnate loro; cfr. Grattarola 1990, p. 48.
45
Cfr. Cic. Phil. I, 20.
46
Rompendo con Cicerone Antonio perse un importante appoggio per il confronto con i repubblicani; cfr.
Grattarola 1990, p. 50.
47
Cic. fam. XII, 23, 2; Phil. 3, 30; App. b. c. III, 40, 164; Dio XLV, 13, 2.
48
Cic. fam. XII, 3, 3; XII, 2, 3.
49
Diverse fonti menzionano un attentato che sarebbe stato architettato contro Antonio, vd. Cic. fam. XII,
23, 2; FGrHist.90 F, 30, 122; Vell. II, 60, 3; Svet. Aug. 10, 13; Plut. Ant. 16, 8; Dio XLV, 8; si accoglie
l’ipotesi formulata da Grattarola, secondo il quale Antonio: “aveva più interesse ad inscenare l’attentato di
quanto non avesse Ottaviano ad attuarlo”, vd. Grattarola 1990, p. 52.
44
42
43
Antefatto della marcia
Le decisioni cruciali e gli interventi concreti sul campo da parte di Ottaviano si
svolgono fra ottobre e novembre del 44 a.C.50 quando l’erede di Cesare promuove
personalmente, e tramite i suoi agenti51, la propria propaganda politica; nel mentre
Antonio si trovava a Brindisi per recuperare le legioni lì richiamate dalla Macedonia52.
Ottaviano decide di fondare la sua affermazione sull’opposizione a Marco Antonio,
responsabile dell’amnistia, cogliendo i malumori dei veterani e del popolo affezionato al
dittatore assassinato, ovvero canalizzando questo malcontento e accentrando la sua prima
politica sul tema della vendetta. Ottaviano comprende presto però che l’appoggio del
popolo non è sufficiente alla sua causa; agisce dunque per legarsi a quella parte di Senato
che aveva visto nell’azione di Marco Antonio, nel corso del suo consolato, un’incoerenza
pericolosa. L’obiettivo di Ottaviano in questa fase è dunque indebolire Antonio grazie ad
un’alleanza con i repubblicani per poi, una volta acquistato il predominio tra i cesariani,
colpire i repubblicani e attuare la vendetta.
Il giovane Cesare trova in Cicerone il veicolo migliore per mettersi in luce agli
occhi dell’aristocrazia senatoria antiantoniana e al contempo lavora presso le colonie
fondate da Cesare per raccogliere consensi presso i veterani da quest’ultimo lì stanziati,
promettendo, appunto, la vendetta. Il doppio gioco di Ottaviano mira a trovare consensi
poiché entrambe le parti alleate e ingannate dal giovane non conoscono il vero intento
delle sue mosse: Cicerone è convinto di poter sfruttare il giovane come generale del
Senato contro Antonio mentre i veterani non hanno questi scopi bensì, quasi
esclusivamente, quello di vendicare Cesare e ottenere il riconoscimento dei suoi
provvedimenti in loro favore, se si accetta quanto sostiene Appiano, o forse sono
semplicemente lusingati dagli abbondanti premi in denaro promessi da Ottaviano. La
generosità del padre adottivo è la prima peculiarità che il giovane Cesare cerca di
dimostrare per attrarre a sé i soldati: giunto in diversi accampamenti, dislocati tra la
Cic. Att. 16, 8, 1; FGrHist. 90F, 31, 131; cfr. Syme 1939 (2014), p. 141.
Vd. FGrHist. 90 F, 31, 132.
52
Vd. nota 47.
50
51
43
44
Campania e la Puglia, preannuncia donativi di cinquecento denari ciascuno ai soldati 53.
La cifra significativa promessa da Ottaviano dimostra, fin da subito, come egli cerchi non
solo di legarsi ad un esercito bensì di ricollegarsi alla famigerata generosità di Cesare54;
un richiamo alle armi che nelle sue modalità rimembra presso gli arruolati la politica
caratteristica del dittatore ucciso55. Sebbene Cesare sia l’indubbio modello, il “nuovo
Pompeo”56 promuove la sua ascesa politica comprando il consenso57; assolda un numero
cospicuo di soldati, tra le diecimila e le tremila unità58. Lo stesso Appiano non è certo dei
dati numerici, a differenza di quanto sostiene parte della critica, perché le sue stesse fonti
discordano; tuttavia si accoglie quanto riferisce riguardo la diserzione di parte di questi
arruolati: il numero diminuisce solo in seguito, quando Ottaviano tiene il suo discorso a
Roma contro Antonio59.
All’arrivo delle due legioni macedoniche a Brindisi si presentano gli agenti di Ottaviano:
promettono gli stessi donativi offerti ai veterani campani, agitano gli animi sui temi
scottanti cari alla truppa (la vendetta di Cesare in primis) e promuovono le iniziative
politiche, illegali, del loro nuovo patrono60.
Assicuratosi l’appoggio dei milites Ottaviano insiste con Cicerone, con il quale mantiene
un fitto carteggio; lascia a lui l’ultima parola sulle modalità con cui operare nella speranza
di ottenere, attraverso di lui, delle facilitazioni per legalizzare la propria posizione e
mantenere l’alleanza con i repubblicani61. Cicerone infine consiglia il giovane di tentare
Le fonti, discordi in molti punti della descrizione dei fatti poiché inficiati da fonti di diversa natura, sono
invece concordi su questa cifra, vd. Cic. Att. XVI, 9, 2; FGrHist. 90F, 31, 136; App. b. c. III, 40, 165; Dio
XLV, 12, 2.
54
Per la liberalitas di Cesare un accenno esemplificativo in Svetonio, vd. Svet. Iul. 26-27; 38; anche se
qui si intende in senso più ampio come generosità.
55
La cifra corrisponde a “più del doppio dello stipendio annuale di un legionario”, ciò doveva consentire
ad Ottaviano un’ascesa politica sicura da qualsiasi pericolo proveniente sia ai repubblicani che da Antonio,
vd. Grattarola 1990, p. 95.
56
Arguta definizione di Syme, che riscontra il medesimo modus operandi che il giovane Pompeo aveva
attuato per emergere, cfr. Syme 1939 (2014), p. 141.
57
Strategia politica illegale ma ormai consolidata dopo le riforme mariane dell’esercito, cfr. Gabba 1973,
pp. 47- 123.
58
Il numero di diecimila, riportato da Appiano (vd, App. b. c. III, 40, 165) agli occhi della critica sembra
tanto esagerato quanto incerto; preferiscono quanto riferisce Cicerone, ossia tremila unita (vd. Cic. Att.
XVI, 8, 2); vd. Grattarola 1990, p. 95; cfr. Syme 1939 (2014), p. 141; contra, Brunt 1971, pp. 480-481.
59
Per la critica moderna sul tema vd. supra, cfr. App. b. c. III, 44, 172.
60
La propaganda di Ottaviano doveva già essere stata promossa quando egli si trovava ad Apollonia e nel
settembre del 44 a.C.; vd. App. b. c. III, 31, 123; ma la mossa decisiva sulle truppe è attribuibile all’azione
degli agenti giunti presso le truppe proprio a Brindisi; vd. Dio XLV, 12, 2.
61
Vd. Cic. Att. XVI, 9; 11, 5-6.
53
44
45
la via politica andando a Roma ma senza alcuna intenzione di sbilanciarsi o
compromettersi62.
La prima marcia di Ottaviano
Il 5 novembre del 44 a.C. Ottaviano giunge presso Roma con le truppe63: dopo
aver reclutato i veterani di Cesare in Campania marcia verso l’Urbe con l’intento di
proporsi “come erede politico di Cesare e al tempo stesso come salvatore della
repubblica”64. Posto il campo a quindici stadi dalla città, nel Campo di Marte, viene
presentato dal tribuno T. Cannuzio65 come nemico di Antonio per poi recarsi con i veterani
del suo seguito presso il tempio dei Dioscuri66. I veterani di Cesare sono armati e non
lasciano dubbi su quale ruolo rivestono all’interno delle mura cittadine sebbene
nascondano le loro armi. L’esercito privato di Ottaviano si trova accampato a soli quindici
stadi67 dalla città, distanza ravvicinata che consente celeri movimenti di truppa: raggiunto
da Cannuzio Ottaviano cerca di assicurare una parvenza di legalità al proprio operato
facendosi presentare al popolo dal tribuno, ma proprio con il suo discorso68, che segue
quello di Cannuzio, svela l’arcano che gli aveva consentito di acquisire molti consensi
eterogenei: si presenta come nemico di Antonio e salvatore della repubblica69. La reazione
Cic. Att. XVI, 8, 2: “…ducem se profitetur nec nos sibi putat deesse oportere. equidem suasi ut Romam
pergeret.”; “(Ottaviano)… si proclama nostro capo e crede necessario che io non venga meno. Il consiglio
che gli ho dato è stato quello di dirigersi a Roma.”.
63
Cic. Att. XVI,11, 6: “Romam veniet cum manu magna; sed est plane puer”.
64
Cfr. Grattarola 1990, p. 98, nt. 46-47.
65
Cfr. Brroughton, MRR, II, 323-324.
66
App. b. c. III, 41, 168: “…ταῦτα δ’ εἰπὼν ἐσῆγε τὸν Καίσαρα, αὐλισάμενον πρὸ τοῦ ἄστεος ἀπὸ σταδίων
πεντε- καίδεκα ἐν τῷ τοῦ Ἄρεως ἱερῷ. ὡς δὲ εἰσῆλθον, ὁ μὲν εἰς τὸν νεὼν τῶν Διοσκούρων παρῆλθε, καὶ τὸν
νεὼν περιέστησαν οἱ στρατευόμενοι ξιφίδια ἀφανῶς περιεζωσμένοι, Καννούτιος δὲ πρότερον ἐδημηγόρει
κατὰ τοῦ Ἀντωνίου”; “Con queste parole (Cannuzio) introdusse in città Ottaviano che si era fermato
dinnanzi alla città, a quindici stadi, nel recinto sacro a Marte. Quando poi entrò in Roma, Ottaviano si
recò al tempio dei Dioscuri, attorno al quale si disposero i veterani con i pugnali celati sotto le tuniche, e
Cannuzio per primo parlò contro Antonio”.
67
Uno stadio corrisponde a 185 metri circa perciò l’esercito di Ottaviano doveva trovarsi a 2, 775 metri
circa.
68
Cicerone, che si trovava ad Arpino, che era in continuo contatto epistolare con ottaviano, il giorno 11
Novembre non aveva ancora avuto notizia del discorso di Ottaviano (vd, Cic. Att. XVI, 13), questo dovette
essere pronunciato tra il 6 e l’11 di Novembre, il 10 Syme 1939 (2014), p. 141.
69
Copia del discorso si trova riportata nell’epistolario ciceroniano (vd. Cic. Att. XVI, 15, 3) che sembra sia
stato ripreso da Appiano, vd. App. b. c. III, 41, 169.
62
45
46
suscitata dall’invettiva del giovane Cesare suscita l’effetto sperato poiché l’esercito da lui
arruolato comincia a defezionare; gli storici antichi concordano nel riferire la reazione dei
soldati ma divergono nell’individuare le motivazioni che spinsero le truppe a tale
comportamento: per Appiano i soldati erano convinti di dover difendere Ottaviano in virtù
della riconciliazione con Antonio oltre che per la punizione dei congiurati; si risentirono
perciò di doversi opporre al console in carica70; secondo Cassio Dione, invece, il discorso
ha successo presso le sue fila ma è l’avvicinarsi delle forze di Antonio, numericamente
superiori, a spaventare i reparti di Ottaviano71.
La ragione della differente tradizione sull’accaduto risiede nel fatto che la fonte o le fonti
utilizzate da Appiano sono filoantoniane: l’intento è di presentare positivamente Antonio
attraverso la fedeltà dei veterani che si rifiutano di combattere contro il console ed ex
compagno. La conseguenza la narrazione è volta a denigrare invece l’operato corrotto di
Ottaviano; a questo fine anche le forze militari di Antonio vengono presentate come
numericamente inferiori rispetto alla realtà72. Parte della critica si è schierata a favore
della versione appianea attribuendo alle truppe, o a parte di esse, che ascoltarono il
discorso di Ottaviano, un autentico sentimento di fedeltà alla memoria di Cesare e un
cesarismo estremo che lo induceva a vendicarlo; tuttavia, questi soldati che condividono
il sentire di Ottaviano coinvolti nella causa non ritengono, in virtù di questa, Antonio un
nemico73.
Il colpo di stato non sortisce in questa fase l’effetto sperato: fallisce perché
Ottaviano, dopo aver marciato verso Roma forte degli strumenti per imporsi con la
violenza, nella speranza di una reazione positiva del Senato, non trova l’appoggio
auspicato oltre a perdere, dopo il discorso al popolo, molti dei suoi soldati74. I senatori
non si affidano a lui, non vedono in Antonio una minaccia tale da giustificare azioni
contro il console ancora in carica, lo stesso Cicerone non si presenta nell’Urbe75.
App. b. c. III, 42, 170.
Cfr. Dio XLV, 16, 6.
72
Si accoglie qui la considerazione formulata da Grattarola, cfr. Grattarola 1990, p. 99, nt. 54.
73
In particolare i centurioni dovevano nutrire maggiore fedeltà ad Antonio o forse maggior attaccamento a
quella parte dei cesariani che, sia in Senato che presso il popolo, nutrivano rancore per la mancata punizione
ai cesaricidi, cfr. Bellen 1985, p. 166.
74
Grattarola sintetizza il pensiero diversificato della critica moderna che si schiera pro o contro la versione
dei fatti di Appiano (App. b. c. III, 42, 170), cfr. Grattarola 1990, p. 99, nt. 54.
75
Cicerone temporeggia ed è indeciso su come agire e su dove andare, infine decide di raggiungere i suoi
possedimenti ad Arpino mentre Ottaviano si trova già a Roma, vd. Cic. Att. XVI, 15.
70
71
46
47
Ottaviano esce da Roma, prima dell’arrivo di Antonio, per reclutare truppe in Etruria;
sceglie come campo base Arezzo in quanto città natale di Mecenate, fedelissimo alleato
e amico, ma anche perché era terra di tradizioni mariane76. Dopo questi nuovi
reclutamenti e l’arrivo delle legioni che hanno nel frattempo defezionano da Antonio, la
posizione di Ottaviano comincia ad interessare l’ala repubblicana del Senato.
La marcia di Ottaviano trova diverse giustificazioni nelle fonti, compresa quella di
Augusto stesso per mezzo dell’opera di Nicolao Damasceno. L’operazione militare di
Ottaviano è frutto di un’iniziativa privata promossa attraverso una cerchia di collaboratori
ed amici. Ottaviano conduce gli eserciti reclutati grazie al nome del padre adottivo, ai
cospicui donativi e a una pubblicistica, per verba e per scripta, ricca di tematiche che
evocano per i contemporanei la politica di Cesare. Inoltre Ottaviano si lega parallelamente
a Cicerone: l’intento è di raggiungere una posizione di potere legislativa grazie alla
mediazione di quest’ultimo con il Senato. La consapevolezza di non agire nella legalità e
che un esercito non basta, seppur equipaggiato ed esperto nelle azioni belliche, spinge
Ottaviano ad elaborare una strategia diversificata: da un lato eccita le truppe con il ricordo
della munificenza di Cesare, dall’altro si presenta come il restauratore della libertà della
Repubblica.
Dall’analisi delle fonti si deduce che la marcia di Ottaviano si configura come un
tentativo di affermarsi politicamente. Quando Ottaviano accetta l’eredità politica di
Cesare si rende presto conto che necessita dell’appoggio di una esercito e che la forza
militare è necessaria per conquistare un posto di prim’ordine all’interno del corpo civico.
Pur essendo un privato cittadino può contare sul nome e sul patrimonio che eredita, ma
grazie a questi due fondamentali fattori è solamente in grado di assicurarsi un potenziale
bellico. L’appoggio politico di cui necessita non può ottenerlo nel partito cesariano in
quanto al suo vertice si trova saldamente Antonio, perciò è costretto a rivolgersi alla
fazione filorepubblicana che proprio a partire dall’estate del 44 a.C. comincia a subire il
rafforzamento del potere di Antonio. Antonio dopo il cesaricidio spera probabilmente di
poter ambire al potere di Cesare, per questo è il primo promotore del compromesso del
17 marzo; quando però Ottaviano compare nella scena politica ed inizia a palesare le sue
intenzioni, Antonio è costretto a non lasciare che la parte radicale dei cesariani lo
76
Vd. Sordi 1972, pp. 3-5, 9-10.
47
48
sostituisca per Ottaviano a causa dell’equilibrio che vuole continuare a mantenere nella
Repubblica. L’opposizione prima indiretta e poi sempre più calcata contro Ottaviano
costringe Antonio ad esporsi al punto che è costretto a ritornare sui suoi passi per evitare
che il partito cesariano si disgreghi. In questo frangente abbandona l’alleanza con i
repubblicani e cerca di accaparrarsi un esercito che gli consenta, al termine del consolato,
di mantenere una posizione di forza rispetto ai capi repubblicani ma anche nei confronti
dell’emergente Ottaviano, ormai alleato di Cicerone. Così facendo Antonio impaurisce
ancor più sia coloro i quali non tollerano da tempo le leggi antoniane del suo consolato
sia i capi congiurati che da poco defraudati di province ed eserciti che gli spettano secondo
gli acta Caesaris.
Questa situazione fortemente instabile viene colta dall’intraprendente Ottaviano che
riesce ad accreditarsi presso Cicerone come salvatore della libera Repubblica,
ottenendone, anche se non pienamente, la fiducia. Presso i soldati Ottaviano esercita negli
accampamenti una forte propaganda che tocca i temi cari ai veterani: donativi e vendetta
del patrono assassinato. Ottaviano tenta l’impresa in un momento in cui Antonio non può
esercitare la propria autorità in quanto impegnato a Brindisi per recuperare quelle legioni
corrotte in precedenza dalle spie del ‘nuovo Cesare’. Ottaviano entra in città presentato
da quel tribuno della plebe che, poco tempo prima, ha subito le accuse del console ma,
costretto a prendere una posizione politica per ottenere un riconoscimento dal popolo
piuttosto che dal Senato, pronuncia un discorso che delude il suo esercito privato poiché
ricalca i temi cari ai filorepubblicani, diversamente dalla posizione che assume quando
arruola le truppe. Se il partito di Cesare vive una crisi politica, l’inizio di una rottura,
questa non viene ancora percepita nell’autunno del 44 a.C. dai veterani Campani e del
sud Italia che non vivono quotidianamente il conflitto politico dell’Urbe: i soldati di
Cesare hanno in passato militato anche al fianco di Marco Antonio, non sono perciò
disposti a opporsi all’ex commilitone che ora riveste la massima carica della Repubblica.
Il Senato non ha inoltre modo di pensare, di prendere una posizione, in quanto il ritorno
di Antonio sembra imminente e il suo seguito molto più fornito di quanto Cicerone ed
Ottaviano lasciano intendere nell’Epistolario.
Fallisce per questi motivi il colpo di Stato di Ottaviano ma non la sua marcia. Con un
esercito privato Ottaviano varca gli stessi confini violati da Silla pur non combattendo
nell’Urbe vi entra accompagnato da cittadini in armi per ottenere ciò che Antonio gli
48
49
impedisce di chiedere da quando è tornato a Roma, nonostante questo il suo sforzo è
vanificato dalla contromarcia del console.
La contromarcia di Marco Antonio77
Il console in carica delude le aspettative del popolo e dei soldati non punendo i
cesaricidi; è avversario di quella pars repubblicana; oltre a ciò si dimostra ostile nei
confronti di Ottaviano in diverse occasioni. L’erede di Cesare sfrutta il malcontento
popolare verso Antonio e cerca l’appoggio dei cittadini per non essere emarginato
nell’agone politico del momento. Più volte Marco Antonio nel corso del 44 a.C. cerca di
opporsi e mettere in ombra le iniziative di Ottaviano: dapprima il console, accolto il
giovane nella sua casa, non vuole mostrarsi apertamente ostile ma poi, con i fatti si
svolgono tra l’estate e l’autunno di quell’anno, si scontra con lui78. Le fonti si esprimono
largamente sugli avvenimenti burrascosi di quei mesi, tuttavia un forte impatto sulla
memoria della vicenda proviene sicuramente dall’autobiografia di Augusto e dalla vulgata
augustea79: entrambe sono interessate a presentare i fatti sfavorevolmente ad Antonio,
nemico ormai sconfitto e dimenticato80.
Fino all’attentato, sventato o simulato, dei primi giorni di ottobre, Antonio
mantiene rapporti diplomatici con Cicerone e con i repubblicani; il suo potere continua a
restare stabile e forte nello Stato quanto all’interno del partito stesso. Quando però
Antonio prende nette posizioni avverse ai congiurati, cominciando a promulgare leggi
propriamente antoniane81, che mirano a portargli privilegi e vantaggi imminenti e per il
La definizione è tratta da un contributo sulla marcia su Roma del 1922 (vd. Chiapello 2012, p. 129);
questa scelta deriva dalla volontà di riprendere il parallelismo storico, solamente lessicale, che si riscontra
nell’opera di Syme (vd. Syme 1939 (2014)) riscontrato da Canfora, cfr. Canfora 2007, p. 63.
78
I discorsi dei due al loro incontro presso la casa di Antonio, elaborati da Appiano, permettono di cogliere
i sentimenti di entrambi, vd. App. b. c. III, 15-20.
79
Una fonte esemplare per comprendere come sia stata rielaborata la memoria sull’operato di Ottaviano
del 44 a.C. è Cassio Dione che non menziona nemmeno la marcia di Ottaviano e il colpo di Stato fallito,
cfr. Dio XLV, 10-13; si rimanda al paragrafo sulle fonti della marcia un discorso più approfondito sul tema.
80
Per la damnatio memoriae di Antonio e la tradizione storiografica su di lui, vd. Dio LI, 19, 3; cfr.
Chamoux 1986 (1988), pp. 295-307.
81
La lex tribunicia de provinciis consularibus (vd. Rotondi 1966, p. 432), grazie alla quale Antonio ottenne
la Gallia Cisalpina e fece attribuire province minori ai congiurati, va considerata come un unto di rottura
con la precedente politica inaugurata dall’amnistia del 17 Marzo, cfr. Grattarola 1990, p. 41. Da questo
77
49
50
futuro, la rottura con i repubblicani risulta inevitabile. Allo stesso modo i cesariani
perdono quella compattezza di fazione che Antonio ristabilisce dopo il trauma del
cesaricidio grazie alla sua posizione82.
Antonio, accompagnato da Fulvia83, dopo aver fatto condannare alcuni membri della sua
guardia del corpo84, si sposta, intorno al 9 ottobre, a Brindisi dove stanno giungendo le
quattro legioni che avrebbe poi dovuto condurre in Gallia Cisalpina85. Quando Antonio
arriva a Brindisi i milites sono già stati raggiunti ed influenzati dagli agenti e dal denaro
di Ottaviano, infatti i soldati riservano al console una fredda accoglienza e pretendono
che si giustifichi. La testimonianza di Appiano attribuisce ai soldati nei confronti di
Antonio un rimprovero per il suo ingiusto comportamento nei confronti della memoria di
Cesare: il console ha assicurato l’impunità verso gli assassini di Cesare; tema
strumentalizzato da Ottaviano per la sua ascesa politica86. In Cassio Dione le motivazioni
che spingono i soldati sono invece puramente economiche: “Quanto ad Antonio, i soldati
lo accolsero a Brindisi con entusiasmo, sperando di ricevere da lui una somma di denaro
superiore a quella offerta da Ottaviano, poiché credevano che egli possedesse maggiori
ricchezze del suo avversario”87.
Antonio, preoccupato per la gelida reazione riservatagli al suo arrivo dai milites, sospetta
che essi sino stati istruiti dalla propaganda ottavianea nei confronti di lui, comandante e
patrono, reagisce accusando i soldati di mancata fides e scredita Ottaviano in quanto
“giovanetto precipitoso”, per poi promettere ai soldati cento denari ciascuno come
momento (2 giugno del 44 a.C.) Antonio promulga molte leggi che portano molti vantaggi alla sua pars;
cfr. Cic. Phil. V, 3, 7;
82
Cicerone nel mese di aprile si dimostra preoccupato della ritrovata sicurezza del partito cesariano, vd.
Cic. Att. XIV, 1, 1.
83
Fulvia, moglie di Marco Antonio, “…all’indomani dell’assassinio di Cesare, Fulvia affiancò il marito,
presumibilmente con un ruolo attivo che giustifica l’attenzione di Cicerone nei suoi confronti…” vd. Rohr
Vio 2013, p. 81
84
Cfr. nota 49.
85
Vd. Cic. fam. XII, 23, 2; Phil. III, 30; App. b. c. III, 40, 164; Dio 45, 12, 1.
86
App. b. c. III 43, 175: “ἐπιμεμφόμενοι δ’ αὐτὸν οὐκ ἐπεξελθόντα τῷ φόνῳ Καίσαρος, χωρὶς εὐφημίας ἐς
τὸ βῆμα παρέ- πεμπον ὡς περὶ τοῦδε σφίσιν ἐκλογιούμενον πρώτου.”; “…accusandolo di non aver punito gli
uccisori di Cesare, senza applaudirlo lo accompagnarono alla tribuna, perché volevano che innanzi tutto si
giustificasse di questo innanzi a loro.”.
87
Dio XLV, 13, 1: “Ἀντώνιον δὲ τὴν μὲν ἀρχὴν φιλοφρόνως οἱ στρατιῶται ἐν τῷ Βρεντεσίῳ ἐδέξαντο,
προσδοκή-σαντες πλείω παρ’ αὐτοῦ τῶν προτεινομένων σφίσιν ὑπὸ τοῦ Καί- σαρος λήψεσθαι, ἐπειδὴ καὶ
πολλῷ πλείω κεκτῆσθαι αὐτὸν ἐκείνου ἐνόμιζον·”.
50
51
donativo88. La reazione delle truppe, che ricevono da parte di quel giovanetto quattro
volte di più, viene riportata da Appiano: “I soldati allora gli risero in faccia per la sua
taccagneria e alle sue espressioni irose risposero intensificando le grida e
abbandonandolo. Egli allora balzò in piedi e nell’andarsene disse soltanto questo:
“Imparerete a ubbidire”89. Antonio reagisce duramente alla risposta dei soldati in quanto
comprende che effettivamente le spie di Ottaviano agiscono nel suo campo e corrompono
i suoi uomini: il dux procede alla decimazione della legione Martia90. Il tentativo di
placare le istanze filo-ottavianee attraverso la punizione va tuttavia a discapito di Antonio
e della sua immagine; solo con un’altra violenza, questa volta nei confronti dei centurioni,
la diserzione si placa91.
L’episodio, seppur screditante poiché mostra la crudeltà di Antonio, non viene enfatizzato
per la sua illegalità, in quanto è diritto del comandante punire anche con la morte la
diserzione; piuttosto pone in cattiva luce Antonio la presenza della consorte Fulvia:
Cicerone e Dione propongono qui il tema della commistione extra mores nella vita del
console tra ambito pubblico e privato esemplificato dalla presenza della moglie sul campo
di battaglia; mentre Appiano non riporta la notizia92.
Seguendo l’andamento cronologico di Appiano, alla decimazione di quei “turbolenti” e
dei centurioni segue la pubblicazione, da parte deli agenti di Ottaviano, di opuscoli:
nell’accampamento, quando Antonio cerca gli artefici della corruzione, promettendo
premi per gli informatori e punizioni a chi li tiene nascosti, per scripta continua a
perpetrarsi la strategia politica del “nuovo Cesare”93.
Antonio fino a questo momento si comporta come un dux che segue la disciplina militare;
non si discosta dalla consuetudine del generale romano modello in quanto non ancora a
Vd. App. b. c. III, 43, 176; cfr. Mangiameli 2012, pp. 82-83.
App. b. c. III, 43, 177: “οἱ δὲ ἐγέλασαν τῆς σμικρο- λογίας καὶ χαλεπήναντος αὐτοῦ μᾶλλον ἐθορύ- βουν
καὶ διεδίδρασκον. ὁ δὲ ἐξανέστη τοσοῦτον εἰπών· «μαθήσεσθε ἄρχεσθαι.»”.
90
La versione qui accolta è quella di Appiano (vd. App. b. c. III 43, 178) poiché la testimonianza
ciceroniana è tendenziosa e Cassio Dione sembra dipendere proprio da quest’ultima; vd. Cic. Phil. V, 8, 22;
XIII, 18; Dio XLV, 13, 2; cfr. Grattarola 1990, p. 96, nt. 23.
91
Vd. Dio XLV, 35, 3; cfr. Mangiameli 2012, p. 85, nt. 350.
92
Vd. Cic. Phil. III, 4; V, 8, 22; Dio XLV, 13, 1-2; 35,3; “La stessa presenza di Fulvia, ribadita in Cicerone
e Dione e a cui significativamente non fa cenno Appiano, che utilizza fonti vicine ad Antonio, non sembra
estranea alla prassi del tempo, né nella sostanza né nelle sue modalità”; vd. Rohr Vio 2013, p. 85.
93
Vd. App. b. c. III, 44, 179; per gli slogan e a favore di Ottaviano; cfr. Mangiameli 2007, pp. 427-430. Per
l’articolata questione sul grado di alfabetizzazione dell’esercito nella tarda repubblica, cfr. Magiameli 2012,
p. 87, nt. 357.
88
89
51
52
conoscenza delle azioni intraprese in Campania e a Roma da Ottaviano94. Significativa è
la reazione di Antonio, che viene testimoniata da Appiano in forma di discorso diretto, al
giungergli della notizia delle imprese recenti di Ottaviano: “Cessi – aggiunse – il
risentimento; basta ormai a errori e punizioni; ho ordinato di darvi quelle cento dramme
non come donativo (questo non si addice alla fortuna di Antonio), ma, più che dono, come
omaggio per il primo incontro con voi; occorre essere ossequenti in questo, come in tutto
il resto, alla tradizione patria e militare”95. Il console è quindi costretto a giustificarsi per
far fronte al reale rischio di un abbandono in massa da parte delle sue truppe; tra le
informazioni pervenutegli va annoverata sicuramente la consistenza dei donativi
promessi da Ottaviano alle truppe. Antonio cerca una mediazione con i soldati, ma
nonostante l’instabile situazione non elargisce cifre superiori a quanto già annunciato per
coerenza e per evitare di lasciar credere ai milites che il comandante si sottomette alle
loro volontà96.
Stando all’interpretazione di Dione, solo dopo aver ricevuto la proposta di cento denari
l’esercito si ribella al console accusandolo di essere, in opposizione al modello di Cesare,
crudele e avaro97. La versione dei fatti di Appiano, che si discosta di molto da quanto
riporta Cassio Dione, descrive fin da subito l’esercito di Brindisi come avverso al console
e, solo dopo il discorso di questi e la sostituzione dei tribuni, la situazione muta
favorevolmente verso Antonio98.
Riottenuto il controllo delle legioni, Antonio marcia verso l’Urbe99: dapprima fermandosi
presso i municipi a raccogliere tributi e vettovaglie e poi con cesariana celeritas100.
Le notizie sulla posizione di Antonio sembrano incerte101, inoltre le tre legioni macedoni,
Vd, App. b. c. III, 44, 180.
App. b. c. III, 44, 181: “ἀλλ’ ὁ μὲν φθόνος οἰχέσθω, κεκορεσμένος,” ἔφη, “καὶ τοῖς ἁμαρτήμασι καὶ ταῖς
κολάσεσι· τὰς δὲ ἑκατὸν δραχμὰς ὑμῖν οὐ δωρεάν (οὐ γὰρ τοῦτό γε τῆς Ἀντωνίου τύχης), ἀλλὰ τῆς πρώτης ἐς
ὑμᾶς ἐντεύξεως προσαγορευ- τικὸν μᾶλλον ἢ δωρεὰν ἐκέλευσα δοθῆναι, καὶ χρὴ νόμῳ πατρίῳ τε καὶ
στρατιωτικῷ καὶ ἐς τάδε καὶ ἐς πάντα εὐπειθεῖς ὑπάρχειν.”.
96
Vd. App. b. c. III, 44, 181.
97
Vd. Dio Cass. XLV 13, 1; per l’analisi della fonte vd. supra.
98
Vd. App. b. c. III, 44, 183; la versione di Appiano sembra più coerente in quanto non sarebbero serviti i
cento denari promessi da Antonio se l’esercito fosse stato fin da subito a lui favorevole, cfr. Grattarola 1990,
p. 106, nt. 18.
99
La marcia parte dopo il discorso di riappacificazione con le legioni, cfr. Cic. Att. XVI, 1-2; App. b. c. III,
44, 183; Dio XLV, 13, 3. Cic. Phil. XIII, 18. L’esercito che Antonio conduceva doveva essere da lui
condotto in Cisalpina, Vd. Cic. Att. XVI, 8, 2.
100
Cic. Att. XVI, 13, 1. Sulla legalità degli eserciti ai leader, vd. Rohr Vio 2012, p. 70.
101
Vd. Cic. Att. XVI, 16, 1; 17, 1; Antonio punisce i soldati a Suessa oltre che a Brindisi; Phil. XIII, 18-19.
94
95
52
53
che Ottaviano pensa di aver convinto alla propria causa con la corruzione, sembrano
rimanere fedeli al console; queste notizie sconvolgono l’esercito privato di Ottaviano102.
Il 15 novembre Antonio entra a Roma: “Costituita per sé una coorte pretoria con uomini
molto validi nel fisico e nel carattere, scelti tra tutto l’esercito, si diresse a Roma, per
salire poi di lì a Rimini. Entrò in città in modo molto fastoso, dopo aver lasciato nel campo
dinnanzi le mura lo squadrone dei cavalieri, e recando con sé la guardia del corpo in armi,
che di notte era di presidio alla sua casa, con parola d’ordine e turni di guardia, come in
un accampamento”103.
L’oblio del fallimento di Ottaviano e la condanna di Antonio
Per quanto riguarda la narrazione delle vicende dell’autunno del 44 a.C. la
sfortuna di Antonio è duplice secondo la memoria storica: il console deve far fronte in
rebus alle invettive infamanti dei nemici politici; e dopo la sua sconfitta viene
nuovamente colpito dalla storiografia confezionata in favore del vincitore. La tradizione
risulta rielaborata affinché risalti un’immagine positiva di Ottaviano; questo processo
avviene in differenti tempistiche, in rebus e post res. Cicerone promuove una propaganda
denigratoria contro Antonio a partire dal settembre del 44 a.C., spiccano le orazioni
‘Filippiche’ scritte e, in parte, pronunciate a Roma. Inoltre ai moti anti-antoniani
dell’Arpinate si unirono quelli promossi da Ottaviano sia in quello stesso anno, sia in
seguito. Cicerone fornisce, inconsapevolmente, i pretesti oltre che le giustificazioni che
vengono successivamente ripresi da Augusto e dalla vulgata augustea; da quest’ultima
dipendono inoltre molti degli autori che trattano dell’ultima guerra civile della
Repubblica.
L’Oratore di Arpino riveste un ruolo primario tra le testimonianze in quanto oltre
Per le reazioni e le mosse di Ottaviano un’analisi è proposta nel paragrafo “La prima marcia su Roma
di Ottaviano”; vd. Cic. Att. XVI, 8, 2.
103
App. b. c. III, 45, 184: “Αὐτὸς δ’ ἐπιλεξάμενος ἐκ πάντων στρα- τηγίδα σπεῖραν ἀνδρῶν ἀρίστων τά τε
σώματα καὶ τὸν τρόπον ὥδευεν ἐς Ῥώμην ὡς ἐκεῖθεν ἐπὶ τὸ Ἀρίμινον ὁρμήσων. ἐσῄει δὲ ἐς τὴν πόλιν
σοβαρῶς, τὴν μὲν ἴλην πρὸ τοῦ ἄστεως στρατο-πεδεύσας, τοὺς δ’ ἀμφ’ αὑτὸν ἔχων ὑπεζωσμένους καὶ τὴν
οἰκίαν νυκτοφυλακοῦντας ἐνόπλους· συν- θήματά τε αὐτοῖς ἐδίδοτο, καὶ αἱ φυλακαὶ παρὰ μέρος ἦσαν ὡς ἐν
στρατοπέδῳ”.
102
53
54
ad essere fonte coeva ai fatti ci consente, attraverso il confronto tra l’Epistolario e le
orazioni contro Antonio, di ricostruire un quadro meno parziale delle dinamiche relative
alle marcia di entrambi su Roma. Paradossalmente si può definire con tali termini la
testimonianza dell’Arpinate perché è l’unico tra gli autori a non doversi confrontare con
la versione dei fatti elaborata da Augusto o da membri del suo entourage. Non a caso
Cicerone tende a giustificare, sebbene sia palesemente ostile ad Antonio, l’operato del
‘nuovo Cesare’ ma non omette la sua marcia bensì la valorizza per screditare quella di
Antonio. Al contrario persino autori aderenti o dipendenti dalla vulgata augustea
preferiscono omettere totalmente la marcia dell’uno e la “contromarcia” dell’altro.
Nella terza ‘Filippica’, pronunciata il 20 dicembre del 44 a.C. in Senato104, si può
osservare sia la presentazione della marcia di Ottaviano sia di quella di Antonio.
L’orazione mira a delegittimare Antonio; in particolare l’autore vuole strumentalizzare la
marcia di questi presentandolo come un nemico: “Chi infatti è così inesperto del mondo,
così indifferente della situazione politica del proprio paese, da non capire che, se Antonio
partendo da Brindisi fosse riuscito ad attuare la sua minaccia di giungere a Roma con
quelle forze di cui sperava di disporre, non avrebbe rinunciato a nessun atto di
crudeltà?”105.
L’ingresso del console in città viene presentato da Cicerone come potenzialmente
pericoloso; la conferma si riscontra anche nelle orazioni pronunciate in seguito.
Cicerone nelle tredicesima ‘Filippica’, pronunciata il 20 marzo del 43 a.C., offre infatti,
seppur con intenti diversi, dettagli sull’ingresso di Antonio in città: “Con quale furore,
con quale ardore si precipitava a Roma, a massacrare, cioè, tutti i migliori cittadini!”106,
e ancora aggiunge: “Con quale colonna di soldati entrò in città! Tra i gemiti dei Romani
lanciava a destra e a sinistra le sue minacce contro i proprietari, designava le case,
prometteva apertamente ai suoi la spartizione della città.”107.
Cicerone ne parla con altri “Familiares”, vd. Cic. fam. X, 28, 2; XI, 6a; XII, 22a, 1. 25, 2; vd. Monteleone
2003.
105
Cic. Phil. III, 2, 4: “Quis enim est tam ignarus rerum, tam nihil de re publica cogitans, qui hoc non
intellegat, si M. Antonius a Brundisio cum iis copiis, quas se habiturum putabat, Romam, ut minabatur,
venire potuisset, nullum genus eum crudelitatis praeteriturum fuisse?”.
106
Cic. Phil. XIII, 18: “Inde se quo furore, quo ardore ad urbem, id est ad caedem optimi cuiusque,
rapiebat!”.
107
Cic. Phil. XIII, 19: “Ingressus urbem est quo comitatu vel potius agmine, cum dextra, sinistra gemente
populo Romano minaretur dominis, notaret domos, divisurum se urbem palam suis polliceretur!”.
104
54
55
La marcia di Ottaviano nella terza ‘Filippica’ viene invece esaltata; bisogna ricordare però
che tra gli intenti che vuole raggiungere Cicerone con questo discorso c’è anche quello di
attribuire una posizione legale ad Ottaviano, oltre a fornirne una giustificazione alla sue
imprese: “Fu allora che il giovane Cesare – e direi meglio quasi ancora un fanciullo - ,
grazie al suo senno e al suo coraggio incredibili e veramente sovraumani, senza che noi
lo sollecitassimo, lo pensassimo e nemmeno lo sperassimo, poiché era evidente che si
trattasse di cosa impossibile, mise insieme con i soldati delle invitte armate veterane un
fortissimo esercito dando fondo al suo patrimonio; no, il vocabolario da me adoperato
non è quello adatto, se è vero che al suo patrimonio non ha dato fondo, ma l’ha investito
nella salvezza dello Stato”108.
L’aver ridimensionato il potenziale bellico di Antonio è per Cicerone motivo di lode per
il giovane; il vero interesse dell’Arpinate sia l’eliminazione politica di Antonio i temi
sviluppati dall’Oratore sono ripresi con ogni probabilità da Ottaviano stesso per
autorapppresentarsi nell’Autobiografia.
La testimonianza delle Filippiche si scontra però con l’effettivo rapporto di Cicerone con
Ottaviano precedente allo scoppio del conflitto di Modena tra Marco Antonio e Decimo
Bruto109; la testimonianza del legame controverso si trova nell’Epistolario ad Attico:
l’Arpinate diffida fin da subito di quel “puer” e teme per la sua ambizione110. La presa di
posizione da parte di Cicerone, che temporeggia tra Pozzuoli ed Arpino tra ottobre e
novembre, avviene solo in seguito alla partenza di Antonio per la Cisalpina, ovvero il 9
dicembre111. Le istanze ciceroniane in Senato contro Antonio sono coeve alla decisione
di prendere posizioni favorevoli ad Ottaviano; in tale frangente Cicerone riutilizza e
rielabora l’episodio per demonizzare Antonio. Se Cicerone si scaglia contro Antonio e fa
riemergere la negatività di ogni sua azione, dalla giovinezza all’ultima politica, non
avendo le stesse esigenze, la storiografia successiva ai fatti ignora/omette l’accaduto.
Cic. Phil. III, 2: “C. Caesar adulescens, paene potius puer, incredibili ac divina quadam mente atque
virtute… nec postulantibus nec cogitantibus, ne optantibus quidem nobis, quia non posse fieri videbatur,
firmissimum exercitum ex invicto genere veteranorum militum comparavit patrimoniumque suum ecfudit;
quamquam non sum usus eo verbo, quo debui; non enim ecfudit; in rei publicae salute conlocavit.”
109
Decimo Giunio Bruto Albino era stato designato governatore della Gallia; vd. Vell. II, 60, 5; Svet. Aug.
10, 2; App. b. c. II, 124; Dio XLIV, 14, 4; cfr. MRR II, p. 328.
110
Vd. Cic. Att. XVI, 10, 1-2; 13, 1-3; 13 a (b), 2; fam. XI, 27, 2.
111
Cicerone aveva deciso di rimanere lontano da Roma fino al 1 gennaio ma vi torna in anticipo rispetto al
suo programma; vd Cic. Att. XVI, 9; 11, 6; 15, 3.
108
55
56
La notizia dell’arrivo di Marco Antonio a Roma non viene menzionata da Velleio
Patercolo, Svetonio, Plutarco, Cassio Dione, tutti autori che trattano nelle loro opere,
anche se in modo cursorio, dei mesi d’autunno di quest’anno: il sospetto è che gli autori
non menzionino volontariamente l’accaduto. La vulgata augustea non si limita perciò a
esaltare l’operato ottavianeo ma, ritendendo difficoltoso trattare del tema dell’illegalità di
Ottaviano, sceglie di non esprimersi. I temi che questo episodio richiama vengono
percepiti come negativi e potenzialmente destabilizzanti per la figura del Princeps.
Antonio è relegato all’oblio nella memoria, sebbene siano numerosi gli aspetti di questi
avvenimenti che si presterebbero alla demonizzazione del console del 44, la strategia
adoperata dagli storiografi augustei ricalca i provvedimenti presi da Augusto.
Solo Appiano grazie alle sue fonti di indirizzo politico distante da Augusto e dalla
sua vulgata sceglie di occuparsi dettagliatamente delle marce di Ottaviano e di Antonio112;
nonostante ciò, lo storico alessandrino si dimostra incerto come le altre fonti sulla
posizione da prendere nei confronti dell’imminente scontro tra l’emergente Ottaviano e
Antonio113.
Già nel descrivere lo sbandamento dei soldati all’avvicinarsi di Antonio, Appiano sembra
seguire fonti filoantoniane in cui si esaltano da un lato la fides militum: (“…(i soldati) si
risentirono per quella dichiarazione contro Antonio che era stato il loro comandante ed
era console”114); dall’altro le difficoltà di Ottaviano, abbandonato dai suoi evocati, che:
“sperava di vincerla con la persuasione più che con la forza”115.
“Confluiscono in questa parte della trattazione appianea due filoni: quello augusteo, il cui fondamentale
interesse era il contrasto fra Ottaviano e Antonio ed un atro, più imparziale, che noi ricostruiamo soprattutto
attraverso la corrispondenza di Cicerone…”, vd. Gabba 1956, p. 162.
113
Vd. Scott 1933, p. 8.
114
App. b. c. III, 42, 170: “ἤχθοντο τῇ κατ’ Ἀντωνίου προαγορεύσει, στρατηγοῦ τε σφῶν γεγονότος καὶ ὄντος
ὑπάτου”.
115
App. b. c. III, 42, 171: “συνεχώρει ταῖς προφάσεσι καὶ τοὺς μὲν ἐπὶ τὰ ὅπλα ἔπεμπε”.
112
56
57
Il vecchio statista e l’avventuriero rivoluzionario116
Cicerone riveste un ruolo che lo pone in primo piano nella mediazione tra le parti
tra l’ottobre e il novembre del 44 a.C. In Senato come con Ottaviano, per mezzo della
comunicazione epistolare, si impegna a limitare il potere di Antonio e dei provvedimenti
che minano la delicata posizione di Bruto, Cassio e degli altri cesaricidi. L’Arpinate
patrocina la causa dei brutiani, ovvero si propone come capo di quel gruppo politico che
intende distruggere il partito cesariano già dopo la riunione senatoria del 17 marzo. Non
avendo gli strumenti per attuare il suo progetto, Cicerone tenta di avvalersi del figlio di
Cesare117. Le aspettative dei congiurati e di Cicerone di ripristinare la Repubblica si
infrangono subito dopo il cesaricidio; dopo una breve parentesi dove vige la
collaborazione tra le parti, già nella primavera del 44 a.C. la situazione torna ad essere
precaria. Antonio smentisce la politica dell’amnistia perseguita inizialmente in virtù di un
cesarismo più radicale, ma poi, con l’entrata in scena di Ottaviano, l’equilibrio viene
nuovamente e apparentemente rinsaldato118. La scelta politica di Antonio, che pare
discontinua nei propositi, si motiva in parte poiché questi deve far fronte alle ambizioni
di Ottaviano e alla sua politica demagogica nell’Urbe. Ottaviano si vede impedito nella
libera ascesa al potere, accettata l’adozione testamentaria di Cesare, proprio da Antonio
che a più riprese attraverso l’azione dei fratelli magistrati vuole bloccare i finanziamenti
economici del giovane sia pensa di poter evitare che questi interagisca con la politica
cittadina.
Allo stesso modo si trova in crisi l’Arpinate; deluso e disarmato, egli si trova
perciò nella condizione di vedere in Ottaviano un alleato, infatti “l’avventuriero
rivoluzionario” tempestava di richieste e di consigli l’Arpinate119. In questo caotico clima
si colloca il contatto epistolare tra Cicerone e Ottaviano. Dal mese di maggio l’Arpinate
Si riprende qui, nel titolo e nell’approccio alla tematica il paragrafo dedicato a Cicerone del ‘The Roman
Revolution’, cfr. Syme 1939 (2014), “Il vecchio statista”, p. 153, “l’avventuriero rivoluzionario”, p. 158.
117
La lex de prmutatione provincirum (vd, Cic. Phil. I, 10; 25;26; Liv- Epit. 117) del primo giugno sena
un discrimen nell’atteggiamento legislativo della fazione antoniana nei confronti degli assassini di Cesare,
cfr. Syme 1939 (2014), pp. 130, 154.
118
Cicerone lasciando l’Urbe il 6 aprile dimostra di non aver ancora colto l’instabilità politica e la strategia
di Antonio; cfr. Grattarola 1990, pp. 35-41; Syme 1939 (2014), p. 131.
119
Nei primi giorni di aprile Cicerone non prestava attenzioni ad Ottaviano (vd. Cic. Att. V, 3) ma già verso
la fine del mese cominciò il fitto contatto epistolare, vd. Cic. Att. XI, 2.
116
57
58
inizia una fitta corrispondenza epistolare con Ottaviano di cui si ha testimonianza grazie
all’Epistolario, in particolare nelle Lettere ad Attico120. Cicerone sicuramente non vede in
lui un repubblicano perché le ambizioni che lo muovono e il nome che porta121 sono fattori
estremamente incidenti nella sua personalità politica, ma la devozione con cui Ottaviano
si esprime e la sua giovane età122 suscitano nel console del 63 a.C.123 molte speranze.
Ad ottobre il fragile equilibrio politico a Roma si incrina: Antonio prende posizioni più
radicali per riavvicinarsi ai cesariani creando una definitiva rottura sia con Cicerone che
con la factio eterogenea che l’Arpinate rappresenta; nel mentre i rapporti tra il console e
il figlio di Cesare si caricano di tensione a causa del presunto attentato a danno del
primo124. I toni allarmistici che emergono dall’Epistolario, per la natura privata del
documento, sono la prova che la preoccupazione di Cicerone non simula una situazione
di pericolo bensì la percepisce.
Secondo quanto afferma Cicerone in una lettera ad Attico scritta il 2 Novembre:
“Antonio punta alla città d Roma con la legione Alaudae, impone tributi ai municipi,
guida una legione in formazione”; la notizia giunge all’Arpinate tramite Cecina di
Volterra (personaggio di cui non si sa nulla) mandato da Ottaviano: “familiarem suum”
125
. Cicerone sente il peso della responsabilità di cui viene investito da Ottaviano126, da
tempo infatti il giovane cerca il suo appoggio, tenta di convincerlo sia attraverso il
contatto epistolare sia inviandogli emissari e personaggi legati ad entrambi per pressarlo.
La notizia dell’arrivo di Antonio a Roma con l’esercito, che giunge all’Arpinate solo
grazie all’intervento di Ottaviano, può essere motivo valido per attaccare la recente
politica del console con l’appoggio del Senato127.
Grattarola sostiene che il progetto della marcia di Antonio è un’invenzione di Cicerone
Cfr. Cic. Att. XI, 2.
Vd. Cic. Att. XVI, 8, 1; 14, 2.
122
Vd. Cic. Att. XV, 11, 6.
123
Queste considerazioni si accostano al pensiero espresso da Syme sull’Arpinate; cfr. Syme 1939 (2014),
pp.157-159.
124
Vd. supra “La contromarcia di Antonio”.
125
Cic. Att. XVI, 8, 2: “Antonium cum legione Alaudarum ad Urbem pergere, pecunias municipiis imperare,
legionem sub signiis ducere”.
126
Dopo Cecina da Volterra venne mandato da Ottaviano anche Oppio per convincere Cicerone, vd. Cic.
Att. XV, 3.
127
In diverse lettere contenute nell’Epistolario si trova traccia della pressione esercitata da Ottaviano per
ottenere prima l’approvazione da parte di Cicerone quindi un riconoscimento legale della sua azione, vd.
Cic. Att. XVI, 8-12.
120
121
58
59
per giustificare quella di Ottaviano, di cui conosceva l’intenzione e che aveva patrocinato
in parte attraverso i suoi consigli128. Le vicende successive sembrano dimostrare però che
l’Arpinate viene ingannato proprio da quel puer; di Ottaviano dubita fin dall’inizio, per
la sua giovane età ma, soprattutto, per le ambizioni oscure, poiché risulta chiaro a
Cicerone che: “Ottaviano mirava al potere personale, Cicerone alla restaurazione del
potere senatorio”129. Nonostante Cicerone intuisca chiaramente la situazione per lui solo
attraverso le armi di Ottaviano è possibile in quel periodo la restaurazione della
Repubblica. Risulta difficile capire in quale misura l’uno sfruttò l’altro. Tra i progetti di
Ottaviano sembra di poter includere anche il far credere a Cicerone che la situazione sia
più grave di quanto non è realmente: Antonio è impegnato in Campania per recuperare
gli eserciti, non per giungere a Roma bensì per portarsi con questi in Gallia Cisalpina.
Antonio entra in Roma accompagnato esclusivamente da una selezionata guardia del
corpo130, concessagli forse dal Senato poco tempo prima, a differenza di Ottaviano che
non ha alcun diritto quando varca le porte dell’Urbe.
Si può sostenere che le vicende dei primi giorni di Novembre del 44 a.C. siano
giunte a Cicerone, che non si trovava a Roma per non compromettersi, dopo essere state
filtrare e rielaborate da Ottaviano. L’Arpinate ci fornisce le uniche fonti, con il suo
Epistolario e le ‘Filippicche’, coeve ai fatti; tuttavia bisogna considerare che l’autore è
palesemente schierato contro Antonio; ogni mossa del console viene riletta con intento
delegittimante. Dalle Epistolae ad Atticum si evincono diversi dati che consentono di
ricostruire la visione sulle vicende di Cicerone ma anche di cogliere i punti deboli delle
sue scelte. Le lettere di novembre risultano di fondamentale importanza in questa sede
poiché riportano in più punti le richieste e le opinioni di Ottaviano e la conseguente
reazione dell’Arpinate: in seguito Ottaviano stesso fornisce una versione dei fatti
plasmata per mezzo del suo entourage culturale in virtù della posizione raggiunta dopo le
guerre civili.
vd. Grattarola 1990, p. 104, nt. 1.
Due tesi vengono presentate dall’autore a secondo diversi criteri con cui sono state selezionate le fonti
dalla critica sul tema: tesi brutiana (Cic. ad Brut. I, 4, 1; XVI, 4, 7; XVII, 1, 4; Plut. Brut.22); tesi eleborata
nell’Autobiografia di Augusto (Plut. Cic. 44, 3; Svet. Aug. 94, 3; Dio XLVV, 14); vd. Grattarola 1990, p.
104, nt. 116.
130
Vd. Cic. Att. XVI, 8; App. b. c. III, 45, 184; cfr. Cresci Marrone 2013, p. 47.
128
129
59
60
Nelle Philippicae131 viene tratteggiata un’immagine di Antonio come individuo corrotto
e connotato da tratti estremamente negativi; tuttavia i fatti sono già avvenuti quando
Cicerone scrive e pronuncia le invettive; Antonio è un aperto nemico del Senato e del
popolo romano mentre l’Arpinate si scaglia contro di lui. Differentemente l’epistola che
testimonia l’avvicinamento di Antonio all’Urbe non sembra frutto dell’elaborazione
retorica di Cicerone, poiché non rivolta ad un auditorio che va convinto ad agire contro il
console, bensì ad Attico, legato all’Arpinate da uno stretto rapporto di amicizia. Nella
lettera datata 5 novembre ad Attico Cicerone mostra la sua inconsapevolezza oltre che la
diffidenza verso il progetto di Ottaviano: “poi, dato che ogni giorno ricevo lettere da
Ottaviano che mi sollecita ad assumermi il compito della grande impresa, ad andare a
Capua, a salvare per la seconda volta lo Stato repubblicano, a ritornare in ogni caso a
Roma immediatamente, «vergogna li trattenne dall’opporre un rifiuto, ma timore li prese
ad accettare». Egli, tuttavia, si è mosso e continua a muoversi attivamente, giungerà a
Roma con una schiera numerosa, ma è pur sempre chiaramente un fanciullo. Crede di
poter convocare immediatamente il Senato. Chi si presenterà? Se pure verrà, chi
nell’incertezza della situazione generale oserà attaccare Antonio?”132
Sebbene Cicerone parteggi per Ottaviano, lo schierarsi (non ancora apertamente) in suo
favore avviene solo in virtù del ridimensionamento della figura di Antonio, percepito
come pericolo maggiore rispetto all’ancora giovane erede di Cesare133. Questa
testimonianza avvalora l’ipotesi sulla manomissione delle informazioni operata da
Ottaviano fin dall’ottobre del 44 a.C. Sulla presa di posizione di Cicerone la responsabilità
deve essere in parte attribuita ad Ottaviano. Risulta quindi che l’intervento del giovane
Cesare su Cicerone in virtù dell’imminente marcia non è né un espediente storiografico
confezionato dalle fonti né una rielaborazione di Cicerone delle Filippiche ma un fatto
che si evince dall’epistola sopracitata.
Si possono formulare diverse considerazioni sul ruolo di Cicerone: sia
Si fa riferimento qui alla tredicesima delle ‘Filippicche’ in cui viene menzionato sia il comportamento
extra mores di Antonio a Brindisi e il suo arrivo a Roma del 15 Novembre, cfr. Cic. Phil. XIII, 19; per
un’interpretazione storica di quest’opera ciceroniana, vd. Marcone 2013, pp. 11-26.
132
Cic. Att. XVI, 11, 6: “deinde ab Octaviano cotidie litterae ut negotium susciperem, Capuam venirem,
iterum rem publicam servarem, Romam utique statim. Ai/desqen me\n a)nh/nasqai, dei=san d' u(pode/xqai.
is tamen egit sane strenue et agit. Romam veniet cum manu magna, sed est plane puer. putat senatum statim.
quis veniet? Si venerit, quis incertis rebus offendet Antonium?”;
133
Cfr. Syme 1939 (2014), p. 161; Knight 1968, p. 161; Grattarola 1990, p. 104;
131
60
61
sull’incidenza che questo ha sui fatti di novembre del 44 a.C., sia sulla portata della sua
testimonianza scritta nelle fonti successive. L’epistolario ad Attico dimostra la visione
poco lucida di Cicerone dei complessi progetti del giovane Ottaviano perché l’Arpinate
lo accoglie tra le sue amicizie non rendendosi conto ma non tanto che questi fosse
interessato esclusivamente all’eredità politica di Cesare, di quanto è potenzialmente
pericoloso. L’incidenza che Cicerone riveste nella marcia non risulta apparentemente
rilevante sul piano politico, in quanto non si presenta a Roma e non lascia sperare ad
Ottaviano nessuna prospettiva. Solo in seguito, lo si evince dalle orazioni contro il
console, quando Antonio perde altre due legioni, e poi ancora quando scoppia la guerra
di Modena, Cicerone promuove Ottaviano perpetuando la causa di questo in Senato
affinché gli venga conferito l’imperium propraetorium134.
La vulgata augustea non è la sola responsabile di aver creato l’immagine negativa
di Antonio bensì anche Cicerone, autore partecipe e coinvolto nelle dinamiche
evenemenziali di quell’anno; anch’egli dà un impulso importante alla produzione storica
sulle vicende. Nella consapevolezza della visione ciceroniana su Antonio, che proprio nel
Novembre di quest’anno vede una svolta, non si può attribuire all’Arpinate la
responsabilità di aver autonomamente inventato la marcia armata del console verso
l’Urbe.
L’intento di confezionare una memoria che scredita Antonio e che rende
favorevole al lettore il vincitore viene perseguito con diversi metodi; tra questi va
riconosciuto anche il tentativo in fieri di presentare a Cicerone le mosse del console sotto
un’altra luce.
Si può delineare un quadro della memoria sull’evento riconoscendo una triplice origine:
Cicerone cercò di creare un’immagine fortemente negativa di Antonio; Ottaviano
presentò a Cicerone una visione distorta della realtà mentre si muove verso l’Urbe con i
suoi evocati; Augusto e gli altri autori considerati fonti primarie, presentano le vicende
interpretandole a seconda della loro scelta politica.
La proposta di questo potere da attribuire ad Ottaviano venne promossa da Cicerone in Senato con
l’orazione nota come quinta filippica; vd. Cic. Phil. V, 46; Aug. RG. 1; Liv. perioch. 118; Dio. XLVI, 29,
2.
134
61
62
L’influenza della vulgata augustea
Augusto post res plasma la memoria storica per perseguire i suoi fini di
autolegittimazione, questa strategia politica che si avvale della storiografia ricade su
buona parte della tradizione letteraria a lui successiva, ma, come già visto, anche presso
Cicerone il “nuovo Pompeo” costruisce una versione dei fatti a lui favorevole.
Per quanto concerne quell’insieme di fonti che si possono identificare come dipendenti
dalla vulgata augustea si nota un’unanime tendenza ovvero l’omissione della prima
marcia di Ottaviano: nascondere il fallimento di questo primo colpo di Stato indica una
scelta ponderata da parte di chi si occupa, ufficialmente e grazie al permesso di chi gode
della posizione di potere, della presentazione storica dei fatti antecedenti alla
instaurazione del Principato. La posizione di Ottaviano è illegale quando entra a Roma
con il suo esercito privato ed è molto rischiosa sia perché riporta alla memoria di
Pompeo135 sia perché non riscuote successo inizialmente.
La tendenza che si riscontra nelle fonti è di enfatizzare nel racconto evenemenziale
episodi che non possono danneggiare l’immagine del vincitore. Il ricordo dell’arrivo a
Roma in armi di Antonio risulta altrettanto pericoloso in quanto rievoca anche altri fatti
omessi; probabilmente quelli antecedenti alla marcia, ossia la corruzione a cui fece ricorso
Ottaviano per assoldare degli eserciti. Non potendo occuparsi della materia liberamente,
dato che le tematiche non possono essere trattate in modo neutrale, gli autori aderenti al
modello della vulgata si concentrano su episodi tangenziali. Va anche ricordato che poco
dopo l’arrivo di Antonio a Roma scoppia la guerra di Modena136: le vicende prossime allo
scontro vengono facilmente assorbite tra le cause scatenanti della guerra. Tuttavia in
questa sede si sostiene che la guerra contro Antonio sia una fase successiva, una svolta
rispetto la precedente marcia e che i due fatti non siano direttamente collegati dal vincolo
causa-effetto; infatti Ottaviano si sposta in Etruria per arruolare nuove truppe, dopo la
delusione del fallimento del suo intervento nell’Urbe, e solo dopo che anche le legioni
Martia e Quarta passano tra le sue fila viene preso in considerazione dal Senato come
Lo stesso Cicerone per promuovere l’imperium propraetorius di Ottaviano in virtù dello scorntro con
Antonio prende l’exemplum di Pompeo per convincere i senatori repubblicani; vd. Cic. Phil. V, 43-44.
136
La guerra tra le forze di Antonio e quelle del Senato si consumò in diversi episodi concentrati tra le città
di Imola, Bologna e Modena in un arco cronologico che va dal 14 al 21 di aprile del 43 a.C.; cfr. Cresci
Marrone 2013, p. 54.
135
62
63
possibile generale contro Antonio. Inoltre lo scontro con Antonio avviene solo quando
questo è già un nemico della Repubblica, cioè quando il Senato si schiera apertamente
contro di lui quindi con tempistiche assai distanti dalla marcia di Ottaviano.
Tra i diversi autori che nell’antichità si occupano della vita di Augusto, o che
citano gli episodi anche solo tangenzialmente, nessuno ad esclusione di Appiano si
concentra sulla marcia del 44 a.C. Di particolare rilevanza sono perciò le due voci, spesso
contrastanti: il terso libro del Bellum civile di Appiano e la frammentaria biografia su
Augusto di Nicolao Damasceno. Queste due opere rappresentano due opposti poiché gli
autori utilizzano fonti che sostengono fazioni politiche opposte del periodo qui indagato:
Pollione è un cesariano favorevole ad Antonio mentre il damasceno è un collaboratore
della domus di Augusto. Le altre fonti si possono considerare dipendenti o aderenti alla
vulgata augustea; vengono riportate qui di seguito in virtù della rilevanza che hanno per
il discorso sulla marcia.
L’opera di Livio che si occupa del periodo non ci è giunta; sulla ricostruzione liviana dei
fatti si coglie solo un’eco attraverso gli epitomatori della versione originale.
Nella sintesi delle Periochae si percepisce chiaramente la tendenziosità della narrazione
liviana, si ripresentano le tematiche volte a legittimare Ottaviano e quelle che screditano
Antonio137. L’epitome di Floro è meno precisa della precedente analizzata nella
descrizione degli avvenimenti, ripropone la stessa versione confondendone i dettagli;
inoltre non separa gli eventi del 44 da quelli del 43 a.C.138.
Svetonio nella biografia su Augusto non si dilunga quando tratta l’argomento:
“(Ottaviano)…chiamò a raccolta i veterani di Cesare, in aiuto suo e della Repubblica,
spendendo in largizioni tutto quanto poté”139. Quanto afferma Svetonio è interessante
poiché sintetizza in una frase la pubblicistica augustea: Ottaviano nel 44 a.C. si vuole
presentare alla Repubblica come il salvatore e questa occasione più che un colpo di Stato
viene reinterpretata. Questa è la versione di Augusto, in virtù della vittoria di Azio già
conseguita: la posizione del princeps risulta come un aiuto da lui offerto alla Repubblica.
Dello stesso stampo è l’approccio al tema di Plutarco di Cheronea nella sua biografia di
cfr. Liv. perioch. CXVII.
Cfr. Flor. II, 15, 1-5.
139
Svet. Aug. 10, 13: “…veteranos simul in suum ac rei publicae auxilium quanta potuit largitione
contraxit…”.
137
138
63
64
Antonio: “…correvano entrambi (Ottaviano e Antonio) per l’Italia con grandi promesse
a richiamare i soldati per le città e i veterani ormai accasati, studiandosi vicendevolmente
e per tirare a sé le legioni armate”140.
Sebbene la testimonianza sembri meno tendenziosa di quella di Svetonio, quasi
imparziale al confronto, le parole che usa lo storico di Cheronea sono incisive per
dimostrare come questi, che a differenza di Svetonio si occupa della biografia dello
sconfitto ad Azio, parteggi per Ottaviano. La fonte scelta da Plutarco non è politicamente
distante da quella di Svetonio ed è sicuramente vicina alla presentazione dei fatti proOttaviano.
Se vi possono essere dubbi sulle fonti di autori distanti ai fatti come i due sopracitati, non
ve ne sono su Velleio Patercolo, fedele sostenitore del Principato.
Velleio scrive: “(Ottaviano) richiamò prima da Calazio e poi da Casilino i veterani paterni,
ai quali si aggiunsero poi altri dando vita ad un esercito. Allorché quando Antonio accorse
all’esercito, che giungeva a Brindisi da una provincia oltremare, la legione Marzia e la
Quarta, cogliendo la volontà del Senato e di quel valoroso giovane, prese le insegne, si
aggregarono ad Ottaviano” 141.
La versione dei fatti confluita in Velleio lascia intendere che Ottaviano è l’unico in grado
di opporsi alla dominatio Antonii142: Antonio si presenta al lettore come un avversario, un
nemico, come se le azioni del console in carica siano corrotte e avverse alla Repubblica
mesi prima rispetto dell’ufficialità del Senato. La chiave di lettura dei fatti nella
testimonianza di Velleio è palesemente inficiata dall’ottica imperiale; risulta perciò in
questo episodio una testimonianza poco affidabile per la veridicità storica. Si riscontra
tra le tematiche velleiane l’aver riproposto il medesimo spunto ciceroniano che si trova
nella lettera ad Attico, quando il 5 novembre del 44 a.C. si pone la questione: “Chi
nell’incertezza della situazione generale oserà attaccare Antonio?”143. La domanda
Plut. Ant. 16, 8: “Καῖσαρ δ’ ἀπελογεῖτο μέν, οὐκ ἔπειθε δέ· καὶ πάλιν ἦν ἐνεργὸς ἡ ἔχθρα, καὶ περιθέοντες
ἀμφότεροι τὴν Ἰταλίαν, τὸ μὲν ἱδρυμένον ἐν ταῖς κατοικίαις ἤδη τοῦ στρατιωτικοῦ μεγάλοις ἀνίστασαν
μισθοῖς, τὸ δ’ ἐν ὅπλοις ἔτι τεταγμέ- νον ὑποφθάνοντες ἀλλήλους προσήγοντο”.
141
Vell. II, 61, 2: “…primumque a Calatia, mox a Casilino veteranos excivit paternos; quorum exemplum
secuti alii brevi in formam iusti coiere exercitus. Mox cum Antonius occurrisset exercitui, quem ex
transmarinis provinciis Brundusiuni venire iusserat, legio Martia et quarta cognita et senatus voluntate et
tanti iuvenis indole sublatis signis ad Caesarem se contulerunt.”.
142
Cfr. Scardigli 1983, pp. 229-230.
143
Cic. Att. XVI, 11, 6: “…Quis incertis rebus offendet Antonium?”
140
64
65
dell’Arpinate trova una risposta nelle parole di Velleio ma il motivo della versione
velleiana è politico: “Languiva Roma sotto il dominio opprimente di Antonio…”144, e
dipende dallo stesso Augusto: “All’età di diciannove anni, con mia personale decisione e
a mie spese personali costituii un esercito con il quale restituii a libertà la repubblica
oppressa da una fazione”145.
Nelle fonti sopracitate si identifica la comune tendenza a mettere in luce il ruolo
positivo di Ottaviano: l’azione dell’erede di Cesare sposa la causa del Senato e della
Repubblica ponendosi in contrasto con Antonio che appare un nemico preannunciato.
Altra motivazione che ricalca la pubblicistica ottavianea nel presentare i fatti è
l’autodifesa da Antonio. Nicolao Damasceno propone la difesa da Antonio come tematica
legittimante delle azioni di Ottaviano; sebbene l’opera sia confezionata dopo i fatti, si
evince, dal confronto con le altre fonti, che la giustificazione appartiene ad Ottaviano
stesso già nel 44 a.C.146. Questa accusa contro Antonio si trova in contrasto con la
versione di Appiano in due punti: in primo luogo perché è Ottaviano che attenta in ottobre
alla vita del console; in secondo luogo per la versione dei fatti che fornisce lo storico
alessandrino in risposta al discorso post marcia di Ottaviano a Roma.
Appiano colloca la defezione dei veterani da Ottaviano solo dopo il suo discorso al popolo
a Roma, quando i milites apprendono per la prima volta di doversi scontrare con Antonio,
il console, l’ex commilitone147. L’effetto che sortisce l’invettiva di Ottaviano presso i
soldati permette di percepire che il presentare Antonio come un nemico pericoloso è
un’invenzione ottavianea.
Risulta chiaro perciò che Appiano, per la narrazione di quest’anno sceglie di avvalersi di
fonti, che non dipendono dalla vulgata augustea; la presentazione di Antonio del 44 a.C.
non segue né il paradigma della dominatio Antonii né il modello proposto nella Biografia
del damasceno.
Si riconferma anche per gli eventi della prima marcia su Roma che all’opera
Vell. II, 61, 1: “Torpebat oppressa dominatione Antonii civitas…”. Interessante e affine è anche la
testimonianza di Seneca ma condanna il comportamento crudele di Ottaviano in gioventù ma non menziona
né la marcia né il colpo di Stato, vd. Sen. de clem. I, 9, 1.
145
Augusto, Res Gestae. 1, 1: “Annos undeviginti natus exercitum privato consilio et privata impensa
comparavi, per quem rem publicam a dominatione factionis oppressam in liberatatem vindicavi.”; per la
traduzione e linterpretazione critica al testo; vd. Canali 2002, p. 7.
146
Cfr. Dobesch 1978, p. 92.
147
Cfr. App. b. c. III, 42, 175.
144
65
66
autobiografica di Augusto conseguono importanti ricadute nelle testimonianze successive
che si occupano delle tematiche delle guerre civili. Nicolao di Damasco risulta autore
fondamentale per carpire la portata dell’opera di Augusto stesso, infatti Nicolao è un
autore greco di età augustea che entra in contatto con il Princeps e si avvale direttamente
dell’autobiografia di Augusto148. Nei capitoli 30-31 Nicolao analizza il contrasto tra
Antonio e Ottaviano nel corso del 44 a.C.; parte dall’adozione testamentaria di Cesare e
sviluppa una narrazione in cui costantemente il futuro Principe agisce legittimamente,
l’ottica della narrazione risulta a lui favorevole. La narrazione di Nicolao termina con la
missione di Brindisi, che Ottaviano affida ai suoi agenti, dove giungono in ottobre del 44
a.C. le legioni in arrivo dalla Macedonia149.
La testimonianza di Nicolao sull’arrivo del giovane Ottaviano a Roma nei primi di
novembre non ci è pervenuta, ma rappresenta nell’antichità un valore significativo per
molte opere confezionate in seguito150. I passi di Nicolao in cui viene descritta la fase
precedente alla marcia, la preparazione, la portata della pubblicistica ottavianea, vengono
qui indagati separatamente proprio per la natura della fonte:
“Così riuscì a persuadere entrambe le legioni e accompagnarlo a Roma attraverso le altre
colonie e a respingere con energia la violenza di Antonio, se mai avesse avuto in mente
qualche piano. Arruolò anche altri soldati con la promessa di altri lauti guadagni e lungo
la strada esercitò ed istruì la nuove leve, ora separatamente ora tutte insieme, dicendo di
portarle contro Antonio”151.
La narrazione risulta congeniale a presentare positivamente gli scopi di Ottaviano;
vengono esaltate le sue virtù senza mai far trapelare il ruolo che riveste Antonio come
magistrato per non macchiare l’immagine del “nuovo Cesare” di illegalità. Nicolao
presenta Ottaviano come un valente condottiero che addestra le sue truppe per prevenire
“la violenza di Antonio” omettendo l’oggetto di questa violenza. Tuttavia sul piano legale
Ottaviano non ha alcun diritto per porsi a difesa della patria e l’autore non lo precisa. Si
Per un sunto degli studi e delle diverse fonti utilizzate da Nicolao; cfr. Dobesch 1978, pp. 115-118.
Vd. FGrHist. 31, 138.
150
Cfr. Sacrdigli 1983, pp. 11-12.
151
FGrHist. 90 F, 31, 138: “καὶ πείθει ἀμφότερα τὰ τάγματα εἰς Ῥώμην αὐτὸν παρὰ τὰς ἄλλας κατοικίας
προπέμψαι, τήν τε Ἀντωνίου βίαν, εἴ τι κινοίη, ἐρρω- μένως ἀμύνεσθαι. προσκατέλεξε δὲ καὶ ἄλλους
στρατιώτας μεγά- λοις μισθοῖς, καὶ τοὺς μὲν νεολέκτους ἐγύμναζέ τε καὶ ἀνεδίδασκε κατὰ τὴν ὁδὸν ἰδίᾳ τε
καὶ κοινῇ πάντας διαλεγόμενος ἐπὶ Ἀντώ-νιον ἥκειν.”.
148
149
66
67
ritiene perciò che la descrizione di Nicolao attenta e puntuale in molti punti ometta,
seguendo la ‘Biografia’ di Augusto, dettagli fondamentali per una narrazione storica
imparziale e riporti, tendenziosamente, altre notizie.
Si riscontra che la scelta di Augusto di intervenire nella produzione storiografica
manifesta gli effetti più drastici nella produzione sui fatti antecedenti il Principato. La
posizione assunta da Augusto a partire dal 27 a.C. non consente di trattare liberamente le
vicende nemmeno quando il potere e l’auctoritas del Principe sono saldi. Risentono
maggiormente dell’influenza di Ottaviano le narrazioni degli autori coevi e
immediatamente posteriori ai fatti come Livio (di conseguenza gli autori a lui strettamente
legati) e Velleio; tuttavia la tendenza anche in autori di I e II secolo d.C. è di collegarsi
direttamente alla tradizione favorevole al vincitore di Azio. La marcia in quanto tale viene
nella maggior parte dei casi omessa nella descrizione ma l’esercito privato di Ottaviano
viene invece menzionato152.
Nella tradizione storiografica di IV e V secolo la marcia di Ottaviano scompare. In autori
come Eutropio ed Orosio non si trova alcuna menzione dell’operato illegale di Ottaviano.
Ne parlano diversi autori anche se non si fa riferimento alla marcia; vd. Liv. perioch. CXVII; Flor. II,
15, 4; Eutr. VII, 1, 1; Dio XLV, 12, 3; particolare la testimonianza di Orosio che attribuisce ad Ottaviano la
responsabilità dello scoppio della guerra civile, vd. Oros. VI, 18, 1-2.
152
67
68
CAPITOLO 3
Ottaviano marcia ancora su Roma
Dopo il bellum Mutinense
Antonio lascia Modena il 21 aprile e si dirige a Nord-Ovest con le sue truppe
ormai indebolite dalla guerra1. In breve tempo P. Ventidio Basso si associa con il suo
esercito, arruolato nel Piceno2, ad Antonio il quale persegue una mediazione con gli altri
generali cesariani3.
La sconfitta segna l’esercito antoniano; il dux si trova costretto a ridefinire su nuove basi
le alleanze all’interno del partito cesariano, che si suddivide proprio negli ultimi mesi del
suo consolato, tra antoniani, ottavianei e moderati. Nel frattempo, nella primavera del 43
a.C., Ottaviano rimane l’unico generale superstite tra i cesariani che avevano combattuto
nella guerra contro Marco Antonio; in virtù di questa posizione, l’erede di Cesare resta
fortemente deluso per l’ingratitudine che il Senato dimostra nei suoi confronti. Morti i
due consoli, infatti, Ottaviano spera di colmare il vuoto politico che questi hanno
lasciato4, acquisendo la guida della pars antiantoniana della factio cesariana; l’erede di
Cesare conta in onori speciali e le sua strategia si scontra con quella della maggioranza
politica della Curia, che ambisce invece a un ridimensionamento politico dell’intero
‘partito’ cesariano. Il Senato si rivela compatto in questo frangente5: non è disposto a
concedere tale onore, il consolato, al ‘nuovo Cesare’ in quanto teme per la sorte della
Per una contestualizzazione storica, cfr. Syme 1939 (2014), pp. 186-193.
Per il ruolo di Ventidio nelle vicende tra la guerra di Modena e il triumvirato, cfr. RohrVio 2009, pp. 6194.
3
Per gli spostamenti dopo Modena di Antonio, vd. Cic. fam. IX, 12; X, 14; XI, 10; Liv. perioch. CXIX, 4;
Vell. II, 61, 4; App. b. c. III, 72, 275-277; Flor. II, 15, 4; Oros. VI, 18, 5.
4
Irzio e Pansa, consoli del 43 a.C. erano morti durante la guerra di Modena, cfr. Syme 1939 (2014), p. 193.
5
Dapprima vengono spostate le elezioni e poi vengono ostacolati i propositi di Ottaviano per candidarsi al
consolato con il pretesto che egli non aveva ancora l’età legale, cfr. Cic. fam. XI, 9-11; ad Brut. I, 17, 5-6;
in precedenza Cicerone aveva sostenuto che la sua giovane età non doveva rappresentare un problema, ma
prima che questi vincesse a Modena; cfr. Cic. Phil. V, 56; vd. Syme 1939 (2014), pp. 204-205.
1
2
68
69
Repubblica, individuando nell’avvento di Ottaviano una nuova ‘tirannide’6. Cicerone in
primis non propone più l’attribuzione del consolato ad Ottaviano poiché consapevole che
a quest’ultimo interessa esclusivamente l’assunzione di una posizione di potere; teme
inoltre che con l’erede di Cesare al comando dello Stato ritorni ad avere una posizione
preponderante in Senato anche la fazione che questi intende capeggiare. Il figlio di Cesare
infatti nel 43 a.C. continua a sfruttare il nome del padre per attrarre a sé un folto seguito
presso il popolo, oltre che per ottenere la fiducia degli eserciti mentre in Senato assume
posizioni moderate7. L’erede di Cesare capisce progressivamente l’importanza dei milites
perciò si svicola politicamente dai filorepubblicani; dimostra la sua inaffidabilità a
Cicerone, suo fautore fino a quel momento, quando persevera nei propri intenti nella
gestione militare post Modena8.
L’alleanza tra Ottaviano e la parte repubblicana del Senato si interrompe già quando, dopo
il 24 aprile, Decimo Bruto insegue Marco Antonio con due giorni di ritardo, mentre
l’erede di Cesare non si muove e coopta le due legioni consolari che secondo le
disposizioni senatorie spettavano al cesaricida9. Il Senato pochi giorni dopo incarica
Decimo Bruto di occuparsi della sconfitta definitiva di Antonio, ormai nemico pubblico,
e pone Ottaviano sotto il comando del congiurato10. La fazione cesariana non reagisce in
modo unanime; ciò va a vantaggio dei repubblicani che tributano onori a D. Bruto, tentano
di mettere in disparte Ottaviano e si adoperano affinché i governatori provinciali cesariani
rimangano nei territori di loro competenza per non soccorrere Antonio.
A maggio Ottaviano viene a conoscenza delle deliberazioni senatorie, perciò intraprende
una nuova linea politica che prevede il riavvicinamento con gli altri capi cesariani e al
contempo il mantenimento di una condotta formalmente corretta nei confronti del
I brutiani temevano Ottaviano in quanto lo ritenevano un possibile nuovo tiranno, vd. Cic. ad Br. I, 4; IV,
4; cfr. Grattarola 1990, p. 173.
7
La candidatura di Ottaviano al consolato venne promossa nell’Urbe da privati, da amici che lì si trovavano
e da alcuni senatori; cfr. Cic, ad Brut. I, 10, 3; Dio XLVI, 41, 3.
8
Cfr. Grattarola 1990, pp. 170-171.
9
Vd. Cic. fam. XI, 10, 4; 13, 1; Appiano sostiene invece che Ottaviano abbia raggiunto Ventidio oltre
l’appennino, cfr. App. b. c. III, 80, 326.
10
Antonio viene dichiarato hostis publicus nella riunione senatoria del 26/27 aprile; cfr. Grattarola 1990, p.
172; per l’attribuzione del comando a D. Bruto vd. Liv. perioch. CXX; App. b. c. III, 73; Dio XLVI, 40, 1.
Ottaviano si rifiuta di collaborare con D. Bruto; cfr. Oros. VI, 18, 5.
6
69
70
Senato11. Ottaviano, dai confini dell’Italia, invia alla Curia i tribuni delle legioni affinché
siano pagati i donativi promessi ai suoi soldati prima della guerra di Modena12; la risposta
del Senato incrina definitivamente i rapporti con l’erede di Cesare: solamente le legioni
Marzia e Quarta, che avevano disertato dalle fila antoniane, vengono pagate e solo con
metà della somma pattuita in caso di vittoria. Il Senato inoltre stabilisce che sia una
commissione di decemviri, Ottaviano escluso, a distribuire la somma ai milites13. Queste
deliberazioni si aggiungono alla decisione del Senato, ormai fortemente vincolato nelle
sue posizioni dalla pars repubblicana, di rivedere tutta l’attività legislativa di Antonio del
44 a.C.: questa mossa politica mina la posizione di tutti i cesariani poiché colpisce anche
gli acta Caesaris14. Compresa l'inevitabile rottura con Ottaviano, il Senato richiama i
generali congiurati con i loro eserciti nella speranza di avvalersi di questi come difesa del
senato contro un possibile attacco a Roma15. Ottaviano non nasconde la sua ambizione al
consolato16 e coglie l’occasione favorevole per distaccarsi politicamente dal Senato e da
Cicerone17. Con un discorso ultra cesariano si rivolge ai soldati e li esorta
all’interventismo per preservare i suoi e i loro interessi, oltre che quelli di tutti i capi
cesariani18.La politica repubblicana che a Roma ha trionfato in Senato fallisce invece
presso gli eserciti: i legati i senatori inviano alle legioni per i donativi vengono messi in
fuga dai milites19; in risposta, le stesse legioni ripongono la fides in Ottaviano ed inviano
i centurioni al Senato per perorare la loro causa economica, ossia per ottenere le terre e il
denaro promesso, e politica, ovvero per assicurare il consolato all’ “avventuriero
Ottaviano rimanda da Antonio alcuni soldati sbandati (vd. App. b. c. III, 80, 326; Dio XLVI, 41, 5) si
mette in contatto con Pollione (vd. Cic. fam. X, 33, 3) e Lepido (vd. App. b. c. III, 81, 330-332).
12
Vd. App. b. c. III, 86, 353.
13
Vd. App. b. c. III, 86, 352-354; Dio XLVI, 40, 6.
14
Vd. App. b. c. III, 82, 85.
15
Cfr.Cic. ad. Brut. XVIII, 1; Syme 1939 (2014), p. 203; Canfora 2007, pp. 47-63.
16
La notizia è nota già da metà maggio anche al resto dei repubblicani, cfr. Cic. ad Brut. I, 4a, 2; cfr.
Grattarola 1990, p. 177.
17
Ottaviano ambisce alla carica proponendosi già nel 44 a.C. come collega di Cicerone, quest’ultimo,
inizialmente lusingato, propone a sua volta la richiesta al Senato ricevendo un rifiuto; vd. App. b. c. III, 82,
337-339. Dopo Modena l’Arpinate, dimostra una volontà di distaccarsi da Ottaviano nel carteggio con
Bruto; cfr. Cic. ad Brut. I, 4a, 2.
18
Appiano riporta il discoro di Ottaviano in forma diretta, vd. App. b. c. III, 87.
19
Il ritorno dell’ambasceria si desume da un’epistola di Cicerone datata 29 maggio; calcolando il viaggio
di andata e ritorno i messi devono essere stati mandati intorno al 15 maggio, vd. Cic. fam. XI, 14; cfr.
Grattarola 1990, p. 177, nt. 62.
11
70
71
rivoluzionario”20. Le richieste dei centurioni al Senato non trovano seguito bensì
suscitano al loro ritorno l’ira dell’esercito21. Ottaviano a questo punto entra in contatto
con Antonio e Lepido, che si sono ricongiunti già dal 29 maggio22, e prepara la marcia su
Roma.
La situazione politica prima della marcia
La metamorfosi politica di Ottaviano tra il 44 e il 43 a.C. porta i cesariani e i
repubblicani a rivedere le proprie alleanze23. I repubblicani dopo la guerra di Modena
decidono, come si è visto, di non premiare il giovane avventuriero con il conferimento
del consolato; tale ostruzionismo alla sua ascesa politica costringe Ottaviano ad
appoggiarsi ad una compagine diversa, che gli consenta di emergere sorpassando i rigidi
vincoli temporali stabiliti dal cursus honorum e a prescindere dall’ostilità nei confronti
della causa cesariana. Molte legioni gli sono fedeli grazie alla memoria di Cesare e
promuovono l’azione di Ottaviano che, trovandosi in Gallia in una posizione strategica,
è il dux cesariano più vicino all’Urbe e quindi può raggiungerla in breve tempo. Inoltre,
grazie ai suoi sostenitori, Ottaviano viene a conoscenza delle decisioni e delle discussioni
nella Curia molto velocemente, quindi può agire di conseguenza. Le decisioni del Senato
tra fine aprile e metà maggio si concentrano su due fronti: da un lato limitano il favore
popolare nei confronti dell’erede di Cesare24, dall’altro cercano di assicurarsi la fedeltà
dei governatori provinciali cesariani che prima della guerra si erano dichiarati fautori
della lotto contro l’hostis Antonio. Gli agenti di Ottaviano in risposta promuovono la sua
Espressione di Syme, cfr. Syme 1939 (2014), p. 205. L’ambasceria di centurioni risale a luglio; sebbene
le fonti post res discordino nei dettagli e nei mandanti, la conferma delle loro azioni viene fornita da
Cicerone: vd. Cic. fam. X, 24, 6; Svet. Aug. 26; App. b. c. III, 88, 361; Dio XLVI, 42-43.
21
Vd. Grattarola 1990, pp. 188-189.
22
Vd. Cic. fam. X, 35; 18; 17; 23, 2; 34; App. b. c. III, 83, 342; cfr. RohrVio 2009, pp. 74-75.
23
Si fa riferimento in particolare al ruolo di Ottaviano che era stato incaricato in gennaio di guidare parte
degli eserciti contro Antonio, cfr. Cic. Phil. V, 42;45; ad Brut. I, 15, 7; App. b. c. III, 50, 206; Dio. XLV,
18-47.
24
Cfr. Liv. perioch. CXIX; Vell. II, 62, 4; App. b. c. III, 74, 304.
20
71
72
causa in un Senato dominato dai repubblicani25, e sobillano il popolino26; a causa della
mancanza di una linea politica stabile, parte dei cesariani si avvicina a posizioni
repubblicane e favorisce i capi congiurati anziché i generali del defunto Cesare. Il Senato
confida nell’esercito Planco affinché coadiuvi le smunte forze di D. Bruto nella sconfitta
di Antonio, dato che Lepido si allea con quest’ultimo.
I cesariani governatori di province occidentali e comandanti di truppe sono in
comunicazione epistolare continua: non potendo intervenire attivamente in Senato,
trovano questa alternativa come strumento della politica post Modena; al contempo
Cicerone e i senatori repubblicani più influenti tentano di rifornire di denaro i cesaricidi
in Oriente e di avvalersi della loro azione. La situazione politica è instabile.
Ottaviano in primis non si interessa ad inseguire Antonio: il suo obiettivo è già stato
raggiunto poiché la leadership del console del 44 nel partito cesariano è uscita
pesantemente ridimensionata dalla guerra di Modena né può disturbare la sua ascesa
politica. Prova che l’intento di Ottaviano non è quello di eliminare un altro capo
cesariano, che ora potrebbe divenire un potenziale alleato, ma solo ridimensionarlo, sta
nel fatto che quando Ottaviano riceve notizia delle deliberazioni senatorie del 27 aprile,
che lo pongono al servizio di un cesaricida, non solo non le accetta ma si rivolge anche a
Cicerone come ultimo tentativo prima di prendere posizioni ostili al Senato. La strategia
di Ottaviano è volta a raggiungere la leadership alla quale si oppone Antonio ma l’erede
di Cesare è consapevole che non è saggio continuare le ostilità con questo senza
l’appoggio certo della fazione repubblicana. Il Senato risulta ad Ottaviano l’organo che
fino a quel momento rappresenta la forza preponderante nello Stato per ottenere quanto
ambiva avere, ma dopo Modena la ricostituita fazione conservatrice non avendo più un
ostacolo come Antonio non intende sfruttare la popolarità di Ottaviano per perpetuare la
propria politica27.
Tra metà maggio e i primi di giugno Ottaviano temporeggia sul da farsi ma non rimane
totalmente inattivo; propone sicuramente già in questo periodo un accordo con Lepido,
Sulla composizione del Senato in questo periodo, vd. Cristofoli 2000, pp. 109-120.
Cicerone si lamenta pubblicamente in Senato dell’azione di alcuni suoi famigliari presso Roma, cfr. Cic.
ad Brut. I, 10, 3; vd. Syme 1939 (2014), p. 203.
27
Dopo l’arrivo dei centurioni a Roma Cicerone manifesta apertamente la contrarietà verso gli intenti di
Ottaviano; cfr. Cic. ad Brut. I, 10, 3; in precedenza l’Arpinate riteneva che solo tributando al giovane i
giusti onori si sarebbe potuto evitare lo scontro con lui; cfr. Cic. ad Brut. I, 3, 1; Plut. Cic. 45, 5.
25
26
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Antonio e Planco e contemporaneamente continua a stimolare con la sua propaganda le
truppe28. L’invio di quattrocento centurioni a Roma rappresenta un punto di rottura nella
politica di Ottaviano ed anche nelle decisioni del Senato; si palesa infatti la serietà degli
intenti del giovane e ciò sconvolge i piani dei senatori che vacillano durante tutto il corso
dell’anno sulle posizioni politiche da sostenere29. Al di là delle rielaborazioni
storiografiche post eventum30, la minaccia dei centurioni ottiene l’effetto sperato in
quanto il Senato si arrocca sulle proprie posizioni e cerca eserciti da contrapporre alla
violenza imminente di Ottaviano, richiamando dall’Oriente Bruto e Cassio e le legioni
stanziate in Africa31. Nel mentre, in una data incerta, Ottaviano viene a conoscenza
dell’alleanza tra Lepido ed Antonio e per questo si affretta ad assicurarsi una posizione
istituzionale; la rinnovata alleanza tra i capi cesariani rischia di escluderlo dai giochi, per
questo vuole assumere una posizione che gli consenta di porsi in primo piano nella scena
politica: ciò gli permette di agire legittimamente e quindi di trattare con loro32. La marcia
di Ottaviano diviene un’esigenza, una necessità per evitare di restare nuovamente escluso
dalle posizioni di primo piano o addirittura accerchiato dai nemici. A tali scopi, l’erede di
Cesare convince le truppe che il suo consolato è l’unica via possibile per evitare che i
nuovi consoli appartengano alla factio dei cesaricidi e che, quindi, i compensi vengano
elargiti a una sola parte dell’esercito, esclusi gli evocati cesariani, e che i veterani possano
perdere le terre loro assegnate.
Cfr. Syme 1939 (2014), p. 201; Grattarola 1990, pp. 196-199; Mangiameli 2012, p. 141.
Il riferimento si colloca verso i primi di luglio, cfr. Svet. Aug. 26, 1; App. b. c. III, 88, 361-362; Dio
XLVI, 41, 3; 42, 4; 43, 1, 3-4; cfr. Magnino 1984, pp. 189-190; Ghilli 2000, pp. 520-521, nt. 387.
30
In questa sede Si sostiene che l’intero episodio dei centurioni che chiedono il consolato per Ottaviano sia
non del tutto verosimile bensì una rielaborazione avvenuta dopo gli eventi ad opera degli autori antichi; cfr.
Cresci Marrone 2005, pp. 161-163.
31
Il richiamo delle legioni viene collocato cronologicamente dopo la diffusione a Roma della notizia
dell’alleanza stretta tra Antonio e Lepido, ossia verso il 6 di giugno, cfr. Cic. fam. X, 23; 35; App. b. c. III,
85, 349.
32
I primi accordi tra le forze congiunte di Antonio e Lepido con Ottaviano risalgono a un periodo compreso
tra la fine di giugno e l’inizio di luglio del 43; cfr. Plut. Cic. 46, 2; Brut. 27, 3; App. b. c. III, 30, 115; Dio
XLV, 8, 2.
28
29
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74
Le fonti sulla marcia
Gli autori che forniscono un quadro analitico delle vicende politico-militari
comprese tra la guerra di Modena e il secondo triumvirato sono Appiano di Alessandria e
Cassio Dione33. I due autori scrivono a proposito delle vicende qui in esame e
compongono le loro opere avvalendosi di un insieme eterogeneo di fonti primarie che
riflettono visioni politiche dell’accaduto anche opposte tra loro34.
Nel terzo libro delle ‘Guerre Civili’ dello storico alessandrino la narrazione non appare
unitaria ed è costruita su fonti di natura differente35. Magnino identifica due filoni
principali seguiti da Appiano: uno filoantoniano e l’altro filoaugusteo. Tuttavia, lo
studioso ritiene che per una descrizione dei fatti così puntuale e precisa l’autore scelga
volontariamente di avvalersi dei protagonisti stessi delle vicende ovvero Augusto e un
imprecisato autore di pars opposta attivo negli eventi di quel momento storico.
Nell’ampia narrazione appianea emerge una polemica costante sul ruolo del Senato e di
Cicerone, che per il 43 a.C. si presenta al lettore come il principale rappresentante della
classe politica romana, dato che molte delle personalità di spicco si trovano in quel
periodo a governare nelle province.
L’opera storica di Cassio Dione, seppur meno ricca di dettagli e non precisa come quella
dello storico alessandrino, riveste un ruolo altrettanto importante e fornisce un quadro
esaustivo delle dinamiche evenemenziali. Anche Dione usufruisce di un ampio
patrimonio di fonti non sempre omologate al modello della vulgata. L’autore inoltre,
animato da una chiara finalità di attualizzazione del racconto della storia politica di
Ottaviano, modello per i principi del suo tempo, si preoccupa di creare un parallelismo
tra la marcia di Ottaviano e quella di Settimio Severo, organizzata con lo scopo di
rovesciare il regno di Didio Giuliano36. La principale differenza che si coglie tra i due
Cfr. App. b. c. III, 73, 298 – 96, 396; Dio XLVI, 39-56.
Magnino identifica come fonti di Appiano da un lato l’autobiografia di Augusto e dall’altro un autore
imprecisato sul quale l’autore preferisce mantenere un prudente riserbo, vd. Magnino 1984, p. 21; altri
autori suggeriscono, per i toni antisenatori e filoantoniani si tratti di Asinio Pollione; vd. Anche Gabba
1956, p. 132; Zecchini 1972, pp.1290-1296; per Dione; vd. Freyburger Galland 1997.
35
Cfr. Magnino 1984, p. 10.
36
Cfr. Dio XLVI, 46, 4; cfr. Norcio 2001, p. 247, nt. 96; per Didio Giuliano in Dione, vd. Dio LXXII, 1117.
33
34
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75
autori risiede nella prospettiva con la quale presentano nel complesso i fatti: Dione è
filomonarchico e filosenatorio, perciò vede nella pace, di cui Augusto è il primo
promotore, l'unica soluzione per la stabilità politica e sociale37. La visione universalistica
dionea riserva per questi motivi un ruolo centrale alla classe dirigente augustea, l'unica
capace attraverso il mantenimento dell’ordine e delle differenze sociali di garantire libertà
e democrazia38. Nonostante la visione unitaria della concezione storica di Dione venga
accettata in modo quasi unanime dalla critica, non si può dire altrettanto sulla
presentazione del personaggio di Ottaviano: alcuni sostengono ci sia una frattura nella
caratterizzazione dell'erede di Cesare prima e dopo la battaglia di Azio. Gli autori moderni
che appoggiano questa posizione riscontrano una globale tendenza polemica sulla figura
di Ottaviano prima della sua vittoria nei conflitti civili39; per altri autori il giudizio è
positivo “anche se la narrazione è spesso impostata, ovviamente soprattutto nella fase
ottavianea, su un notevole realismo politico, quando non moralismo”40.
Appiano e Dione si concentrano sulla marcia con un approccio che tiene conto del diverso
approccio delle fonti a loro disposizione; a differenza delle altre testimonianze
sull’episodio41, si nota una consapevolezza sia della tradizione augustea che di quella non
allineata al regime.
Come per la prima marcia di Ottaviano, anche per la seconda è la tradizione liviana
a giocare un ruolo decisivo nella trasmissione della memoria storica dei fatti. L’opera di
Livio non ci è giunta ma sono diversi ed eterogenei i contributi grazie ai quali si possono
ricostruire le tematiche ed anche lo stile narrativo del testo. Epitomi e compendi dell’Ab
Urbe condita libri sono numerosi; la fortuna dell’opera di Livio continua fino ad epoca
tardo antica; l’autore patavino viene ripreso come fonte in quanto coevo ai fatti descritti
e vicino al nuovo ordine costituito da Augusto. La tradizione liviana riflette la versione
ufficiale delle vicende voluta da Augusto e ciò contribuisce alla sopravvivenza della sua
memoria. Livio dipende certamente dall’Autobiografia augustea; pertanto possiamo
La posizione filomonarchica di Cassio Dione viene sostenuta da molti studiosi; cfr. Noè 1994, p. 25;
contra Cassola 1993, pp. 117-127.
38
Dione è l’ultimo di una serie di autori greci che seguono questo filone di pensiero nel descrivere la storia
dell’impero romano; cfr. De Blois 1984, pp. 358-377.
39
Vd. Millar 1964, p. 92; Jones 1974, p. 163.
40
Cfr. Manuwald 1979, pp. 77-79; Noè 1994, p. 27.
41
Vd. Liv. perioch. CXIX; Plut. Brut. 27, 1-3; Svet. Aug. 26, 1; Eutr. VII, 2, 1; Obseq. 69.
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risalire alla voce del principe attraverso l’opera liviana e, laddove essa non sia pervenuta,
attraverso le sue versioni.
Le Periochae sono i riassunti più vicini cronologicamente, come anche nelle tematiche,
all’edizione di Livio42. A proposito della marcia di Ottaviano si nota di primo acchito nel
testo una narrazione favorevole a quest’ultimo; l’erede di Cesare, protagonista degli
eventi, viene presentato prima come oltraggiato da un Senato irriconoscente e poi come
meritevole della posizione ottenuta:
“Nei confronti di Gaio Cesare, il solo superstite dei tre comandanti di eserciti, non si
manifestò abbastanza grato il Senato, che decretò l’onore del trionfo a Decimo Bruto
liberato dall’assedio di Modena ad opera di Cesare, ma di Cesare e dei suoi soldati fece
menzione troppo poco riconoscente. Per questo G. Cesare, riconciliatosi per mezzo di
Lepido con Antonio, alla testa del suo esercito marciò su Roma e nel generale
sbigottimento per il suo arrivo di tutti quelli che non si erano comportati verso di lui con
equità, pur avendo solo diciannove anni, fu fatto console.”43.
Dal testo si colgono diverse tematiche care ad Augusto nella costruzione della propria
autorappresentazione, prime fra tutte il suo ruolo nella futura pax e la clementia:
Ottaviano infatti si riconcilia con Lepido e Antonio e raggiunge la carica istituzionale di
console senza macchiarsi di atti di crudeltà. Nella testimonianza di Livio il richiamo a
queste tematiche rimanda immediatamente al modello sillano, dal quale Ottaviano si
discosta quando entra nell’Urbe, e a quello di Cesare a cui invece si allinea per la
clemenza dimostrata44. Tramite le fonti liviane si colgono dunque i temi cari alla
propaganda augustea, che presenta la clementia come virtus attraverso la quale Ottaviano
imita Cesare: questa virtù legittima il suo operato e la sua eredità agli occhi dei cesariani.
Questa linea politica viene però perseguita solo post guerre civili: si ricordi infatti che
quando Ottaviano otterrà il consolato insieme agli altri triumviri agirà in virtù della pietas,
Vd. Reeve 1988, pp. 477-491.
Liv. perioch. CXIX: “Aduersus C. Caesarem, qui solus ex tribus ducibus supererat, parum gratus senatus
fuit, qui Dec. Bruto obsidione Mutinensi a Caesare liberato triumphi honore decreto Caesaris militumque
eius mentionem non satis gratam habuit. Ob quae C. Caesar reconciliata per M. Lepidum cum M. Antonio
gratia Romam cum exercitu uenit et praeclusis aduentu eius his qui in eum iniqui erant, cum XVIIII annos
haberet, consul creatus est.”.
44
Per la clementia di Cesare; cfr. Syme 1988, p. 707.
42
43
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perseguendo la vendetta del padre, ma dimenticherà i propositi di clemenza ad esempio
in occasione delle proscrizioni45.
Il testo di Livio, pur non omettendo il riferimento all'illegalità della presa del potere da
parte di Ottaviano, si impegna a presentarlo positivamente al lettore e ne loda l’impresa,
anche in virtù della giovane età.
Si differenzia dalla testimonianza liviana il resoconto di Svetonio:
“Si prese il consolato quand’era ventenne, dopo aver ostilmente condotte le legioni sotto
Roma e mandati avanti messi che lo sollecitassero per lui in nome dell’esercito”46.
La stessa severità si riscontra nel giudizio di Eutropio, che scrive in un periodo lontano ai
fatti e che narra avvalendosi del testo di Livio come fonte, senza però temere censure:
“Attraverso la mediazione con Lepido, Ottaviano si riappacificò con Antonio e, con
l’intento di vendicare suo padre che l’aveva adottato per testamento, partì per Roma con
le sue armate e, a vent’anni, si fece nominare con la forza console”47.
Sia Svetonio nel II secolo che Eutropio nel IV ricordano la marcia come iniziativa
personale di Ottaviano e mettono in luce, a differenza delle Periochae, come il consolato
di quest’ultimo non sia ottenuto tramite elezioni regolari ma grazie al timore che questi
esercita. Per quanto concerne la riflessione sulle fonti, non è da escludere che Eutropio
possa aver attinto da Svetonio le informazioni per comporre la sua opere; Svetonio
compose numerose opere anche se ne sono rimaste, oggi, nella memoria storica solamente
due48.
Con una sola frase Svetonio sintetizza l’operato di Ottaviano tra la sua adozione e il
consolato, ponendo in primo piano il collegamento tra l’ascesa dell’erede di Cesare e il
suo legame con gli eserciti. In Eutropio invece viene sviluppato con chiarezza il tema
Significativo quanto sostiene Flamiere de Lachapelle riguardo i fatti successivi alla formazione del
triumvirato: “Au nome de la pietas due à Caésar, la politique de clementia de Caésar n’a plus sa place”, vd.
Flamiere de Lachapelle 2011, p. 116.
46
Svet. Aug. 26, 1: “Magistratus atque honores et ante tempus et quosdam novi generis perpetuosque cepit.
Consulatum vicesimo aetatis anno invasit, admotis hostiliter ad urbem legionibus, missisque qui sibi
nomine exercitus deposcerent”.
47
Eutr. VII, 2, 1: “Mox Lepido operam dante Caesar pacem cum Antonio fecit et quasi vindicaturus patris
sui mortem, a quo per testamentum fuerat adoptatus, Romam cum exercitu profectus extorsit, ut sibi
vicesimo anno consulatus daretur.”; sul metodo di lavoro dell’autore; Cfr. Hellegouarc’h 1999, pp. XXIVXXVII.
48
Cfr. Lana 1975, pp. 437-458.
45
77
78
della vendetta di Cesare, senza timore di contraddire la rinomata clementia di cui si vanta
Augusto49.
La linea politica di Ottaviano si configura come volta alla captatio benevolentiae, prima
presso le masse Urbane e poi nei confronti dei veterani del padre; nell’estate del 44 l’erede
di Cesare infatti vuole proporsi per il tribunato della plebe ma Antonio gli proibisce la
candidatura50, perciò si rivolge ai veterani per marciare su Roma. Accuratamente, e a
buone ragioni, Antonio si prodiga per evitare che nello stesso anno Ottaviano possa
concorrere per il posto vacante di Pontefice Massimo51. L'erede di Cesare continua a
puntare sul consenso degli eserciti per ottenere la propria ascesa, ma attraverso le fonti si
deduce che anche il cursus sacrale rientra tra le possibili opzioni contemplate pur di
raggiungere una posizione di potere. Dalla narrazione dipendente da quella liviana
emergono infatti diversi riferimenti che consentono di cogliere come la propaganda
ottavianea, e più in generale tutta l’azione politica dell’erede di Cesare in questa fase, è
presentata come corretta sotto il profilo rituale ed esito della volontà divina.
All’indomani del consolato di Ottaviano si fa riferimento, in ottica comparativa, ai presagi
di Romolo, ossia agli auspici che preannunciano la fondazione di Roma52. Il richiamo
sacrale, che trova la sua probabile fonte nel testo liviano, rimane nella tradizione grazie a
Giulio Ossequente; quest’ultimo, seguendo la moda culturale del suo tempo (tra III e IV
secolo), scrive un breve compendio tematico paganizzante, noto come Liber prodigiorum,
con l’intento di riportare in auge i modelli passati, fonti di conoscenza e a cui ispirarsi e
“salvare col testo di Livio la dignità del passato nazionale”53. All’interno della sua opera,
che si basa interamente sulla narrazione liviana, vengono citati prodigi ed eventi
inspiegabili, mantenendo tuttavia lo schema annalistico. Tra i vari casi presi in esame si
trova in riferimento all’anno 43 a.C. una brevissima menzione della marcia di Ottaviano:
“Terribili tumulti si ebbero a Roma perché i veterani esigevano subito il consolato per
Cesare. Apparvero sei avvoltoi mentre Ottaviano passava in rassegna le truppe in campo
La clementia è una tra le virtutes che sono incise nel clipeus virtutis donato ad Augusto; vd. De Maria
1991, 127-128.
50
Cfr. App. b. c. III, 31, 120; Plut. Ant. 16; Svet. Aug. 10, 2; Dio XLV, 6, 2.
51
Cfr. Liv. perioch. CXVII; Vell. II, 63, 1; Dio XLIV; vd. Grattarola 1990, p. 42.
52
Cfr. Plut. Rom. 9, 5.
53
Cfr. Mastandrea 2005, p. XXVIII.
49
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79
di Marte; quando poi fu eletto console e salì sulla tribuna furono visti sei avvoltoi, segno
destinato - come un tempo gli auspici di Romolo - al fondatore di una nuova città”54.
Il raggiungimento del consolato di Ottaviano viene descritto attraverso le categorie del
sacro55; la narrazione della prodigiosa vicenda, confezionata da Livio e quindi, forse, da
Augusto stesso, prende a modello il mitico fondatore di Roma con lo scopo di dare al
lettore una chiave per interpretare i fatti successivi e di giustificare la marcia56. Si coglie
inoltre che il modello storiografico qui adottato per presentare i fatti riprende la
pubblicistica ottavianea post adozione, volta a rappresentarlo come figlio del divo Giulio,
nonché discendente proprio del primo re dell’Urbe. Enea infatti è progenitore mitico della
gens Iulia, alla quale è legato Romolo; questo richiamo consente di mettere in luce le
tematiche vicine alla marcia, spostando l’attenzione dal colpo di Stato e allo stesso tempo
tessendo le lodi del Principe57. La strategia politica di Ottaviano, volta a creare
un’immagine di sé che presenta il suo ingresso in città come una nuova fondazione dopo
quella di Romolo, avviene in due momenti differenti: sia subito dopo l’entrata in città
attraverso la propaganda, sia post eventum con la scrittura dell’autobiografia, di cui altri
autori poi si avvarranno per registrare il fatto58, ed il controllo della produzione
storiografica.
Di tutt’altra tendenza è la testimonianza plutarchea sulla marcia che si trova nella
biografia dedicata a Bruto:
“Mentre (Bruto) stava per passare in Asia, gli arrivò la notizia del cambiamento che era
avvenuto a Roma. Il giovane Cesare era stato rafforzato dal Senato contro Antonio, ma,
dopo aver cacciato quest’ultimo dall’Italia, ormai era divenuto egli stesso temibile perché
aspirava illegalmente al consolato e manteneva a sue spese grossi eserciti, mentre la città
Obseq. 69: “Veteranis Caesari consulatum flagitantibus terribilis tumultus Romae fuit. Caesar cum in
campum Martium exercitum deduceret, sex vultures apparuerunt conspecti veluti Romuli auspiciis novam
urbem condituro signum dederunt.”
55
I segni dell’ascesa di Ottaviano nell’opere di Giulio Osssequente trovano ampio spazio e si trovano
diverse corrispondenze di questi anche nel testo di Orosio; cfr. Mastrandrea 2005, pp. XXIII-XXIV.
56
Sul valore politico di tali auspici e la strumentalizzazione nella tradizione; si ricorda inoltre che prima di
accettare il nome di ‘Augustus’, Ottaviano aveva considerato di farsi chiamare come il fondatore di Roma;
cfr. Santini 1988, p. 218; Mastrandrea 2005, p. 250.
57
Magnino nel commento ad Appiano (vd. App. b. c. III, 94, 388) sostiene che: “è evidente comunque dalle
fonti la volontà, suggerita naturalmente da ambienti cortigiani, di collegare Ottaviano a Romolo (per
l’augurium a Romolo vd. Liv. I, 7, 1) secondo gli intenti della pubblicistica filoaugustea e tradizionalista.”;
cfr. Magnino 1984, p. 198.
58
Vd. Svet. Aug. 95; Dio XLVI, 46, 3; cfr. Scott 1925, pp. 91-92.
54
79
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non ne aveva alcuna necessità. Vedendo che il Senato mal sopportava queste sue azioni e
che rivolgeva l’attenzione fuori, verso Bruto, per il quale votava, rafforzandoglielo, il
governo delle province, si impaurì e mandò a chiamare Antonio per proporgli la propria
amicizia; disposte le truppe intorno alla città, ottenne il consolato, benché fosse
estremamente giovane, poiché era al ventesimo anno, come egli stesso dice nelle sue
memorie”59.
I riferimenti storici forniti dall’autore e la libertà con la quale vengono presentate le
vicende accomunano questo testo e quello appianeo60. Entrambi si discostano di molto
dalla versione della vulgata augustea e sottolineano le azioni illegali precedenti la marcia.
Plutarco inoltre fa riferimento all’autobiografia di Augusto e ne esplicita il ruolo di fonte
alla quale attinge61. In base a quanto afferma Plutarco, è Augusto stesso nella sua
autobiografia a non omettere la marcia su Roma nel racconto della propria vita; tuttavia,
si può notare una forte discrepanza su come l’assunzione del consolato venga presentata
in questa testimonianza rispetto a Svetonio, autore coevo a Plutarco, non ai fatti, o ad
Eutropio62. Inoltre si deduce anche in questo caso un’altra tematica sviluppata in rebus
dalla pubblicistica di Ottaviano: il timore della ripresa della pars pompeiana costringe
l’erede di Cesare ad agire per preservare i risultati ottenuti dai cesariani.
Nel corpus di testimonianze sulla marcia mancano i contributi di alcuni storici
vissuti tra I e II secolo che si interessano delle vicende storiche qui prese in esame. Il
silenzio di questi autori può essere dovuto a molti fattori, ma il principale va identificato
nella censura di determinati argomenti, considerati scomodi o pericolosi.
Le tematiche affrontate da Velleio nella sua opera storica collimano con la versione della
vulgata; sebbene non ci sia menzione né del colpo di stato né della marcia e la
Plut. Brut. 27, 1-3: “Μέλλοντι δ’ αὐτῷδιαβαίνειν εἰςτὴνἈσίαν ἧκενἀγγελία περὶτῆςἐνῬώμῃμεταβολῆς.
ὁγὰρνέος Καῖσαρ ηὐξήθημὲν ὑπὸ τῆς βουλῆς ἐπ’ Ἀντώνιον, ἐκβαλὼν δὲτῆςἸταλίας ἐκεῖνον, αὐτὸςἤδηφοβερὸς
ἦν, ὑπα- τείαν τεμνώμενος παρὰνόμον καὶ στρατεύματα τρέφωνμεγάλα, τῆς πόλεωςοὐδὲνδεομένης. ὁρῶνδὲ
καὶ ταῦτα τὴν βουλὴν βαρυνομένην, καὶ πρὸςτὸνΒροῦτονἀφορῶσαν ἔξω, καὶ ψηφιζομένηνἐκείνῳ καὶ
βεβαιοῦσαν τὰς ἐπαρχίας, ἔδεισε, καὶ τὸνμὲνἈντώνιον πέμπων εἰςφιλίαν προὐκαλεῖτο, τὰςδὲδυνάμειςτῇ πόλει
περιστήσας, ὑπατείαν ἔλαβεν οὔπω πάνυμειρά- κιονὤν, ἀλλ’ εἰκοστὸνἄγωνἔτος, ὡς αὐτὸςἐντοῖς ὑπομνήμασιν
εἴρηκεν.”.
60
Sulle fonti di Plutarco, vd. Scardigli 2000, pp. 344-352.
61
Augusto compose un’autobiografia in tredici libri nota come ’De vita sua’ di cui parlano Svetonio e
Plutarco, cfr. Svet. Aug. 5, 2; Plut. Brut. 41, 4.
62
In Svetonio Ottaviano ottiene con la forza il consolato; vd. Svet. Aug. 26. In Eutropio invece si trova un
lessico ancora più duro che si avvicina al significato di ‘estorcere’; vd. Eutr. VII, 2, 1.
59
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81
presentazione del consolato di Augusto sia volutamente posta in secondo piano, si trovano
le medesime legittimazioni augustee: la necessità di ricompattare le fila cesariane contro
il rinato partito pompeiano63.
La strategia del vincitore di Azio delineata nella sua Autobiografia si deduce
grazie ai contributi degli autori della vulgata che usano l’opera come fonte. Augusto si
giustifica con il pretesto dell’autodifesa, nel caso della seconda marcia non più nei
confronti di Antonio, come nel caso della prima64, bensì della rinvigorita fazione dei
congiurati. Inoltre, come Plutarco, Velleio mette in luce la volontà, questa volta attribuita
ad Antonio, di ricostruire la fazione cesariana per vendicare Cesare. La scelta
storiografica di Velleio riprende alla lettera la propaganda augustea: l’autore non si
arrischia nel presentare delle incongruenze e dei cambi di rotta nella politica di Ottaviano
che viene perciò continuamente deresponsabilizzato da tutte le decisioni che porteranno
in seguito ad un risvolto negativo65. Si deve attribuire ad Augusto stesso l’origine di
questa costruzione storiografica che porta il lettore ad interpretare tutti fatti antecedenti
la battaglia di Filippi, con la quale si arriverà alla soddisfazione della vendetta dei
cesariani, secondo una chiave di lettura unilaterale.
La scena politica all’indomani della partenza per Roma
La marcia verso l’Urbe rappresenta in tutta la tradizione antica l’ultimo atto della
prima fase politica di ascesa al potere di Ottaviano. L’erede di Cesare sfrutta il sentimento
di risentimento di un esercito avverso al Senato per promuovere una politica che si
avvalga di mezzi illegali ed ottenere una posizione costituzionale di prestigio. L’esercito
di Ottaviano dopo Modena comprende reclute, evocati, veterani e i legionari che sono
passati a lui dall’esercito consolare di Antonio nel novembre del 44; questo insieme
eterogeneo di truppe ha in comune con il comandante il desiderio di vendetta per la morte
Cfr. Vell. II, 65, 1-3.
Sulla legittimazione della prima marcia su Roma di Ottaviano si esprimono le fonti della vulgata le quali
utilizzano la stessa opera autobiografica del Principe, cfr. Nic. Dam. Vit. Aug. XXXI, 138; Vell. II, 61, 2.
65
Su Velleio come autore augusteo, vd. Pistellato 2007.
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Cesare e le ambizioni per il futuro: nelle tarda Repubblica, durante le guerre civili, gli
eserciti ottengono i benefici della vittoria quando il comandante la conquista attraverso la
loro azione; per questo si crea tra soldati e duces un vincolo di tipo clientelare e l’esercito
non rappresenta la collettività, ma solo una parte di essa. Ottaviano non intende accettare
con accondiscendenza l’ingratitudine del Senato; per questo motivo tiene una adlocutio
alle truppe di cui Appiano fornisce una testimonianza:
“«Voi sapete - disse - per quali motivi poco fa Antonio fu sconfitto, e vi è stato detto che
cosa i pompeiani hanno fatto in città contro quelli che da Cesare hanno ricevuto doni.
Allora, quale certezza avete voi per le terre e per i denari che avete ricevuto da lui, o per
me quale certezza di vita rimane, se così dominano in Senato i parenti degli uccisori di
Cesare? Io accetterò il destino qualunque esso sia, perché è bello anche soffrire qualcosa
per vendicare il padre, ma temo per voi, che siete così bravi e così numerosi e siete esposti
al rischio per me e per mio padre. Sapete anche che non sono ambizioso da quando da voi
non accettai la carica di pretore che mi offrivate con le insegne; ora vedo una sola via di
salvezza per ambedue: d’essere eletto console per intervento vostro. Tutto ciò che vi fu
dato dal padre mio sarà saldamente vostro e si aggiungeranno le colonie, che ancora vi
sono dovute, e tutti i donativi al completo; io poi sottoporrò a giudizio gli assassini e porrò
fine a tutte le guerre»”66.
Il discorso, che nella narrazione appianea si colloca tra il maggio e il giugno del 43,
sviluppa molti temi della propaganda augustea post eventum e probabilmente della
pubblicistica in fieri dell’“avventuriero rivoluzionario”67. La pietas verso il padre
assassinato motiva la scelta di vendicarlo ma anche l’ambizione alla massima carica dello
Stato. Il ricordo di Cesare è anche un tentativo di assimilarsi a lui da parte dell’erede;
App. b. c. III, 87, 358-360: “«Ἴστεδέ,” ἔφη, “καὶ ἐφ’ οἷς ὁ Ἀντώνιοςἔναγχος ἡττήθηοἷάτετοὺςΠομπηιανοὺς
ἐπύ- θεσθεἐνἄστει πεποιηκέναι κατὰτῶντινας δωρεὰς παρὰ Καίσαρος εἰληφότων. τίδὴ πιστὸν ἢ
ὑμῖνὧνἐλάβετε παρ’ ἐκείνουχωρίωντε καὶ χρημάτων ἢ ἐμοὶτῆςσωτηρίας, ὧδεἐντῇ βουλῇδυναστευόντων
τῶνοἰκείωντοῖςσφαγεῦσι; κἀγὼμὲνἐκδέξομαι τὸτέλος, ὅ τιἂν ἐπιγίγνηταί μοι (καλὸνγάρτι καὶ παθεῖν πατρὶ
ἐπικουροῦντα), ὑπὲρδὲὑμῶνδέδια τοιῶνδε καὶ τοσῶνδε, κινδυ- νευόντωνἐςἐμὴν καὶ τοῦ πατρὸςχάριν.
ἴστεμὲνδήμε
καθαρεύοντα
φιλοτιμίας,
ἐξοὗστρατηγεῖν
μοιδιδόντωνὑμῶν
ὑπὸ
σημείοιςοὐκἐδεχόμην· ἓνδὲμόνονὁρῶνῦνἀμφοτέροιςσωτήριον, εἰδι’ ὑμῶν ὕπατος ἀποδειχθείην. τάτεγὰρ
παρὰτοῦ πατρὸςὑμῖνδοθέντα πάντα βέβαια ἔσται, ἀποικίαι τε προσέσονται αἱ ἔτιὀφειλόμεναι, καὶ γέρα πάντα
ἐντελῆ· ἐγώτετοὺςφονέας ὑπὸ δίκηνἀγαγὼν τοὺςἄλλουςἂνὑμῖν καταλύσαιμι πολέμους.»”
67
Il discorso di Appiano potrebbe non essere fedele ma certamente la pubblicistica ottavianea non doveva
essere molto diversa nelle tematiche; vd. Botermann 1968, p. 149; Grattarola 1990, p. 191; Mangiameli
2012, pp. 290-301.
66
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83
inoltre, questa presa di posizione avviene in virtù delle promesse di Cesare ai veterani e
della celebre munificenza di quest’ultimo. Il cesarismo che si coglie nel discorso trova un
riferimento implicito nella testimonianza di Dione: “…si preparò allora a condurre la
guerra com’era stato già decretato; nello stesso tempo stimolò i soldati a giurare –
naturalmente di loro iniziativa68 – che non avrebbero mai combattuto contro gli eserciti
che erano appartenuti a Cesare, il che voleva dire contro gli eserciti di Lepido ed
Antonio…”69.
Cassio Dione tuttavia disincanta il lettore sul ruolo di Ottaviano nei fatti: l’erede di Cesare
ambisce al consolato, solo questo è il suo interesse. Lo storico di età severiana presenta
un Ottaviano disposto all’illegalità già dopo il primo rifiuto del Senato ad accettarlo tra i
candidati; inoltre, l’autore colloca come sincronici il discorso alle truppe e il suo tentativo
di riavvicinamento agli altri generali cesariani, frutto di un ponderato piano di Ottaviano.
Risulta chiaro che Dione segue il filone di testimonianze derivate dall’Autobiografia nella
sua ricostruzione evenemenziale, ma lo fa con un occhio molto critico rispetto alla
propaganda augustea; non si percepisce infatti l’autolegittimazione di Augusto nella
narrazione con gli stessi toni che si riscontrano nei testi liviani, quanto piuttosto una
critica implicita70.
L’adlocutio sortisce l’effetto sperato nell’esercito poiché questo ripone la fides nel dux e
un’ambasceria di quattrocento centurioni prende la strada per Roma con un duplice
intento: ottenere quanto spetta ai milites per diritto attraverso i mezzi previsti dalla legge,
e allo stesso tempo assicurare legalmente, attraverso un provvedimento senatorio, i diritti
del loro comandante. L’ambasceria inviata al Senato rappresenta il primo atto formale del
colpo di Stato: i centurioni sono a Roma i rappresentanti del sentimento delle truppe, ne
costituiscono il nerbo per il ruolo che rivestono nell’esercito71. La presenza in Senato di
questi ufficiali di rango intermedio deve intendersi come il segnale inviato da Ottaviano
Norcio fa notare l’ironia di Dione; cfr. Norcio 2001, p. 241.
Dio XLVI, 42, 3-4: “…ἡτοιμάζετομὲνὡς καὶ πολεμήσων καθάπερ ἐδέδοκτο, παρασκευάσας
δὲἐντούτῳτοὺςστρατιώτας αὑτοῦ, ἐφ’ ἑαυτῶνδῆθεν, ὀμόσαι αἰφνιδίως πρὸςμηδὲντῶνστρατοπέδων τῶντοῦ
Καίσαρος γενομένων πολεμήσειν ὅπερ που πρὸςτὸνΛέπιδον καὶ πρὸςτὸνἈντώνιονἔφερεν·…”.
70
Grattarola sostiene che “anche se Ottaviano aveva abbandonato la polemica antiantoniana (App. b. c. III,
87, 358) non è attendibile Dio XLVI, 42, 3, secondo cui Ottaviano, prima di mandare l’ambasceria, fece
giurare ai suoi soldati che non avrebbero più combattuto contro alcuna legione appartenuta a Cesare… la
versione di Dione può derivare dall’Autobiografia, volta a mostrare la sagacia di Ottaviano”; vd. Grattarola
1990, p. 192, nt. 178; contra Levi 1933, p. 207.
71
Cfr. Grattarola 1990, p. 192; per il ruolo dei centurioni nell’esercito, vd. Fields 2010, pp. 34-35.
68
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che questi non è più disposto alla diplomazia72; sicuramente è chiaro ai senatori presenti
che la missione, di cui i centurioni sono veicolo, maschera una minaccia. Per Grattarola:
“Era pur sempre un’iniziativa diplomatica, per quanto la composizione stessa
dell’ambasceria, tutta costituita da militari, preannunciasse, in caso di rifiuto, un’azione
di forza”73; in questa sede si sostiene invece che gli intenti di Ottaviano e dell’esercito
non siano persuadere il Senato quanto piuttosto intimidirlo: l’obiettivo dei centurioni è
ottenere subito ciò che chiedono; qualora la Curia opponga loro un rifiuto, l’assemblea
dei senatori sarà responsabile dell’ingresso in città dell’esercito intero. In quest’ottica si
può giustificare quanto affermano diverse testimonianze riguardo l’identità del mittente
di questa ambasceria, ossia l’esercito, precedentemente sobillato dal discorso di
Ottaviano74. Il mandante invece va sicuramente identificato nell’erede di Cesare che
sfrutta a suo vantaggio le pressioni dell’esercito e autorizza i centurioni. Il ‘nuovo Cesare’
agisce attraverso l’esercito perché ha già scelto una linea politica nuova che coincide con
il desiderio delle truppe: abbandona l’alleanza con il Senato in virtù del nuovo patto
stretto con Lepido e Antonio75. La delegazione dei centurioni offre all’erede di Cesare
nuove possibilità: innanzitutto gli evita il rischio di una defezione dei suoi soldati una
volta entrato in città, non commettendo nuovamente in questo modo gli errori della marcia
del 4476; inoltre, temporeggiando nell’assunzione di una posizione nettamente avversa al
Senato, si assicura la buona riuscita dell’alleanza con Antonio. Ottaviano lascia che i
milites, attraverso il loro diretto intervento si assicurino che non ci siano alternative alla
presa militare di Roma. Per questi motivi, i centurioni entrano in città spinti dalle
pressioni dell’esercito e con il permesso di Ottaviano, sebbene l’iniziativa sia per
quest’ultimo un fallimento preannunciato: il ‘nuovo Cesare’ è perfettamente a conoscenza
delle tendenze politiche prevalenti in Senato. La delegazione giunge al cospetto del
Senato e chiede il consolato per il proprio dux; i legati ricordano ai senatori altri esempi
storici di Romani consoli in giovane età e reclamano quanto spetta all’intero esercito
Vd. App. b. c. III, 88, 360.
Vd. Grattarola 1990, p. 192.
74
Appiano sostiene che sono le truppe, cfr. App. b. c. III, 88, 361; al contrario Svetonio e Dione lasciano
intendere al lettore che si tratta di Ottaviano e non dell’esercito; Svet. Aug. 26; Dio XLVI, 43, 4.
75
Cfr. Liv. perioch. CXIX; App. b. c. III, 96, 398; Dio XLVI, 43, 6; Eutr. VII, 2.
76
Si fa riferimento all’episodio descritto da Appiano per cui molti degli evocati dopo il discorso di
Ottaviano nell’Urbe lo abbandonarono poiché convinti di essere giunti lì per vendicare Cesare e non per
scontrarsi con Antonio; cfr. App. b. c. III, 42, 170.
72
73
84
85
secondo ciò che era stato stabilito dallo stesso Senato77. La risposta dei senatori alle
richieste dei centurioni è negativa. Si nota in questo caso, come per Silla, che marcia su
Roma, e per Cesare, che valica i confini dell’Italia, l’utilizzo di ambasciate che precedono
l’azione illegale con lo scopo di dare una parvenza di legittimità all’azione; il fallimento
di queste soluzioni promosse dai viri fa sì che la responsabilità dell’accaduto ricada sulla
curia.
Su questo rifiuto la storiografia antica offre punti di vista discrepanti che
permettono di cogliere l’avvalersi da parte degli autori che si occupano della memoria
dopo i fatti di fonti differenti e suggerisce come essi abbiano fatto proprie interpretazioni
diverse circa il ruolo dei protagonisti sulla scena. Le testimonianze di Appiano e di Dione
sono ricche di dettagli e molto simili tra loro nei contenuti, ma risulta che la narrazione
dello storico alessandrino, che è più attento alle dinamiche evenemenziali e meno ai
singoli personaggi, è meno tendenziosa rispetto a quella dionea. Cassio Dione legittima
in questa occasione, come in molti altri episodi, il ruolo del Senato, offrendo un’immagine
dei senatori equilibrata: nella narrazione i patres agiscono per legem e secondo il mos
maiorum, per il bene comune e non per contrastare Ottaviano:
“Non ottennero ciò che chiedevano: a dire il vero, nessuno si oppose, ma poiché molti
senatori richiedevano lo stesso provvedimento per altri uomini, e il provvedimento di
favore in questo caso sarebbe stato eccessivo, la richiesta fu, a ragione, respinta.”78.
Il tono moderato della testimonianza di Appiano si spiega invece poiché quest’ultimo, a
differenza di Dione, non sta utilizzando una fonte favorevole al Senato 79. Lo storico
alessandrino scrive a proposito delle richieste dei centurioni:
“Dissero questo con maggior franchezza, e alcuni senatori non tollerando che gli ufficiali
parlassero così apertamente, li redarguirono perché erano sfrontati al di là di quanto si
addicesse a dei militari.”80.
Vengono citati gli esempi di Corvino, dei due Scipioni, di Pompeo e Dolabella; Svet. Aug. 26, 1; App. b.
c. III, 88, 361; Dio XLVI, 43, 2; Dione fa inoltre menzione della richiesta di amnistia per un seguace di
Antonio (Dio XLVI, 46, 3) ma la critica ritiene la notizia errata cfr. Grattarola 1990, p. 193, nt.180.
78
Dio XLVI, 46, 3: “ἢ καὶ ἀφορμὴνὀργῆςλάβωσι τὸ καὶ δι’ ἐκείνηνδοκεῖν χαλεπαίνειν. ἀποτυχόντεςγοῦν
αὐτῆς (ἀντεῖπε μὲνγὰροὐδείς, πολλῶνδὲτὸ αὐτὸτοῦτο ὑπὲρἑτέρωνἅμα ἀξιωσάντων, καὶ τὸ κατ’ ἐκείνουςὡς
πολὺἐγίγνετο, εὐπρεπῶς πωςδιεκρούσθη).”.
79
Sulla possibile fonte di Appiano, vd. Magnino 1984, pp. 20-23.
80
App. b. c. III, 88, 362: “ταῦτα τῶνλοχαγῶν σὺν πλέονι παρρησίᾳλεγόντων, οὐκἀνασχόμενοί τινεςτῶν
βουλευτῶνλοχαγοὺς ὄντας ὧδε παρρησιάζεσθαι, ἐπέπλησσονὡςθρα- συνομένοις ὑπὲρτὸστρατιώταις
πρέπον.”.
77
85
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La reazione dei centurioni a tale rifiuto rappresenta un’interessante caso storiografico: la
notizia deriva da una fonte imprecisata che viene ripresa da Svetonio e in seguito da
Dione; non c’è un rapporto di dipendenza tra i due perché lo storico originario della
Bitinia, che scrive un secolo dopo il biografo antonino, si dimostra più informato e rende
un resoconto dettagliato sui fatti. Svetonio documenta in questo modo l’episodio
successivo alla risposta dei senatori: “… e poiché il Senato si mostrava esitante, il
centurione Cornelio, capo della delegazione, gettò indietro il mantello, mostrando
l’impugnatura della spada, e non esitò a dire in piena Curia: «Lo farà questa se non lo
farete voi»”81. Questa testimonianza trova spazio nell’opera svetoniana poiché
rappresenta un fatto eclatante, uno di quei rumores che fanno gioco all’autore, ma non
per questo va vista con sospetto: Svetonio, che non è testimone diretto delle vicende,
estrapola queste informazioni da un’altra opera, forse la stessa di cui si avvale anche
Dione. L’origine delle informazioni contenute negli estratti di Svetonio e Dione va
attribuita alla pubblicistica antiottavianea, fonte primaria che nei nostri testimoni su questi
fatti si alterna, come per Appiano, alla versione della vulgata. Gli elementi che in questa
sede risaltano sono due: il nome del centurione e la frase che quest’ultimo pronuncia a
voce alta nella piazza. Si riconosce che il nome Cornelio è frequentemente attestato a
Roma per il periodo tardo repubblicano ma il sospetto che si vuole qui evidenziare è che
si tratti di un espediente letterario per assimilare l’azione promossa da Ottaviano a quella
dell’altro Cornelio che prima di lui era entrato armato nell’Urbe, ovvero Lucio Cornelio
Silla.
La frase attribuita al centurione Cornelio sembra inoltre appartenere al filone storico
antiottavianeo; l’ufficiale di rango non elevato si esprime con sfrontatezza e il Senato
stesso, secondo quanto narra Dione, si domanda se la sua parola sia frutto del suo pensiero
piuttosto che di quello di Ottaviano che, venuto a conoscenza dei fatti: “non biasimò
l’operato di quel soldato, ma si lamentò perché erano stati costretti a deporre le armi prima
di entrare in Senato e perché uno dei senatori aveva chiesto se erano stati mandati
Svet. Aug. 26: “missisque qui sibi nomine exercitus deposcerent; cum quidem cunctante senatu Cornelius
centurio, princeps legationis, reiecto sagulo ostendens gladii capulum, non dubitasset in curia dicere: Hic
faciet, si vos non feceritis.”; anche Dione si esprime similmente; vd. Dio XLVI, 43, 4.
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86
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dall’esercito o da Ottaviano”82. La frase di Cornelio potrebbe provenire da una fonte non
di prosa bensì poetica83; in tal caso si tratterebbe di un verso, o parte di un verso, che
riprenderebbe un'opera perduta di un altrettanto sconosciuto autore, riadattata in prosa da
Svetonio84. Se l'ipotesi sull’origine poetica è corretta, va considerata l’iniziativa
compositiva di Dione per la sua opera storiografica; lo storico bitinico recupera il rumor
di Svetonio per poi integrare il contributo con la risposta dell’Arpinate, di cui ha
conoscenza: “E Cicerone interrompendolo aggiunse: «Se lo richiedete in questo modo,
egli l’avrà»”85.
Queste informazioni giungono esclusivamente da Dione; non è perciò possibile capire se
anch’esso prenda spunto dalla medesima fonte poetica o se invece accosti,
consapevolmente o meno, una fonte di altro genere alla precedente di Svetonio.
L’episodio di Cornelio ricorda inoltre un passo di Plutarco riferito a Cesare: “Si racconta
pure che uno degli ufficiali di Cesare venuto a Roma stava un giorno davanti al Senato,
quando udì che i senatori non volevano concedergli il prolungamento nel governo «Glielo
procurerà ben questa» esclamò, scuotendo con la mano l’impugnatura della daga.”86. Il
parallelismo tra questi due episodi, che si riscontra tra i due autori, può essere frutto di
una rielaborazione storiografica volta ad assimilare l’operato di Ottaviano a quello di
Cesare 87.
Entrambi gli episodi ricordano infine un passo della tragedia greca di Euripide intitolata
le “Fenicie”88; il riferimento non appare così improbabile se si considera che le opere
Dio XLVI, 43, 5: “ὁ δὲδὴ Καῖσαρ τὸμὲν ὑπὸ τοῦστρατιώτου πραχθὲνοὐκἐμέμψατο, ὅτιδὲτάτε ὅπλα
ἐςτὸσυνέδριονἐσιόντες ἀποθέσθαι ἠναγκάσθησαν, καί τις αὐ- τῶν ἐπύθετο πότερον παρὰτῶνστρατοπέδων ἢ
παρὰτοῦ Καί- σαρος ἐπέμφθησαν, ἔγκλημα ἐποιεῖτο…”.
83
Lane sostiene che: “Of the many citations fished out of hispigeon-holes by the scholasticus homo
Suetonius, many are in poetry. Some of these he credits to their poetical sources; and yet in the last edition,
that of Roth, the poetical character is not always indicated to the eye by the printer's art”; vd. Lane 1898, p.
17.
84
Cfr. Lane 1898, p. 19.
85
Dio XLVI, 43, 4: “οἵτεἄλλοι φανερῶςὠργίζοντο, καὶ εἷςτις αὐ- τῶνἐξῆλθέτεἐκτοῦ βουλευτηρίου, καὶ
τὸξίφος λαβών (ἄοπλοι γὰρἐσεληλύθεσαν) ἥψατό τε αὐτοῦ καὶ εἶπεν ὅτι, “ἂνὑμεῖςτὴν ὑπατείαν μὴδῶτετῷ
Καίσαρι, τοῦτοδώσει”. καὶ αὐτῷ ὁ Κικέρων ὑπολαβὼν “ἂνοὕτως” ἔφη “παρακαλῆτε, λήψεται αὐτήν.”.
86
Plut. Caes. 29, 7: “ὧνἐκεῖνοςοὐδὲνἐφρόντιζεν, ἀλλὰ καὶ λέγεταί τινα τῶνἀφιγμένων παρ’ αὐτοῦ ταξιάρχων, ἑστῶτα πρὸτοῦ βουλευτηρίου καὶ πυθόμενονὡςοὐδίδωσιν ἡ γερουσία Καίσαρι χρόνοντῆςἀρχῆς, ἀλλ’
αὕτη“φάναι „δώσει“, κρούσαντα τῇχειρὶτὴν λαβὴντῆς μαχαίρας.”.
87
Cfr. Cresci Marrone 2005, pp. 161-162.
88
Cfr. Eurip. Phoen. vv. 596-602: “Ετ.} ἐγγύς, οὐ πρόσω βέβηκεν• ἐς χέρας λεύσσεις ἐμάς;‫{ ׀‬Πο.} εἰσορῶ•
δειλὸν δ’ ὁ πλοῦτος καὶ φιλόψυχον κακόν.‫{ ׀‬Ετ.} κἆιτα σὺν πολλοῖσιν ἦλθες πρὸς τὸν οὐδὲν ἐς μάχην; ‫׀‬
{Πο.} ἀσφαλὴς γάρ ἐστ’ ἀμείνων ἢ θρασὺς στρατηλάτης.‫{ ׀‬Ετ.} κομπὸς εἶ σπονδαῖς πεποιθώς, αἵ σε
82
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tragiche di quest’autore hanno molto successo nella tarda repubblica a Roma e lo stesso
Augusto cita, secondo quanto sostiene Svetonio, in numerose occasioni le parole di
Polinice, uno dei protagonisti di questa tragedia89.
La posizione filosenatoria di Dione permette di escludere che la fonte sia legata alla
pubblicistica ottavianea dato che in questo periodo Ottaviano rompe i legami con
“l’ultimo dei suoi amici”90; tantomeno si può pensare che la testimonianza derivi
dall’Autobiografia confezionata da Augusto che presentava Cicerone come favorevole al
consolato91.
La notizia del fallimento dei centurioni che portano le istanze dell’esercito e di
Ottaviano in Senato suscita una reazione forte presso le truppe dell’erede di Cesare:
“L’esercito informato, ancor più si adirò e chiese di essere subito condotto verso la città:
lo avrebbero eletto loro con elezioni straordinarie, lui che era il figlio di Cesare, e intanto
senza fine esaltavano l’antico Cesare”92. La versione appianea si trova nuovamente in
contrasto con quanto afferma Dione: “…Mosse con tutto l’esercito verso Roma facendo
credere naturalmente di esservi stato costretto dai soldati”93. La discordanza tra i due
autori non implica necessariamente l’utilizzo di diverse fonti ma forse, più
semplicemente, indica una chiave di lettura differente delle vicende; sia Appiano che
Dione infatti non riportano asetticamente le fonti di cui dispongono ma riscrivono la
Storia.
Ottaviano si deresponsabilizza nella versione della vulgata e accredita ai soldati l’azione
violenta e illegale; di conseguenza, entrati in città, ne evidenzia invece il ruolo in quanto
σώιζουσιν θανεῖν. ‫{ ׀‬Πο.} καὶ σέ• δεύτερον δ’ ἀπαιτῶ σκῆπτρα καὶ μέρη χθονός. ‫{ ׀‬Ετ.} οὐκ ἀπαιτούμεσθ’•
ἐγὼ γὰρ τὸν ἐμὸν οἰκήσω δόμον. ”; “[A Polinice] Et.} E tu vattene al di fuori delle mura o morirai; ‫{ ׀‬Po.}
Chi, chi è tanto invulnerabile che puntando contro a noi la sua spada per dar morte non avrà la stessa
sorte?; ‫{ ׀‬Εt.}Eccol qua: non è lontano. [Porta la mano alla spada] Guarda dunque la mia mano. ‫{ ׀‬Po.}
Vedo. Vile è il ricco, pusillanime ed ignobile.”
89
In riferimento al verso v. 602 della tragedia; vd. Svet. Aug. 25, 4; cfr. Musso 2010, p. 343, nt. 77.
90
Vd. App. b. c. III, 92, 382; per Syme si tratta di una notizia incerta, cfr. Syme 1939 (2014), p. 206.
91
Ortmann sostiene che Dione come Appiano attinge a una fonte filorepubblicana; cfr. Ortmann 1988, p.
402; Grattarola 1990, p. 193, nt. 182.
92
App. b. c. III, 88, 363: “καὶ ὁ στρατὸς πυθόμενοςἔτιμᾶλλονὠργίζοντο καὶ ἄγεινσφᾶςεὐθὺςἐκέλευονἐςτὴν
πόλιν, ὡς αὐτοὶχειροτονήσοντες αὐτὸνἐξαιρέτῳ χειροτονίᾳ, Καίσαρος υἱὸνὄντα, πολλάτετὸν πρότερον
Καίσαρα ἀπαύστωςεὐφήμουν”.
93
Dio XLVI, 43, 6: “σπουδῇμετεπέμψατο, καὶ αὐτὸς ἐπὶ τὴνῬώμην, ἐκβιασθεὶς δῆθεν ὑπὸ τῶνστρατιωτῶν,
μετὰ πάντων”.
88
89
cittadini, che tramite i comizi centuriati, che sono parte fondamentale per la legalità della
Repubblica.
La seconda marcia su Roma
Ottaviano si trova ai confini dell’Italia, in Cisalpina, quando parte con le sue
legioni per raggiungere Roma94; la notizia proviene ancora una volta da Appiano:
“Ottaviano immediatamente dopo l’assemblea, si mise alla testa di otto legioni di fanti
con cavalleria sufficiente e tutte le truppe ausiliarie che sono al seguito delle legioni”95.
La marcia rappresenta il culmine dell’azione illegale dell’erede di Cesare che imita il
padre adottivo nella strategia politica come in quella militare:
“Attraversato il Rubicone dalla Cisalpina all’Italia, proprio quello che suo padre aveva
allo stesso modo attraversato dando inizio alla guerra civile, divise l’esercito in due parti:
a una ordinò di seguirlo con calma, con l’altra migliore, di truppe scelte, avanzò
rapidamente, desiderando di cogliere i nemici ancora impreparati.”96.
L’illegalità dell’azione di Ottaviano ricalca quella del padre adottivo quando attraversa il
pomerium con le armate; si spinge però oltre rispetto a quanto aveva fatto Cesare, il quale
non aveva osato marciare contro l’Urbe, o non ne aveva avuto la necessità.
Ottaviano decide di prendere un’iniziativa dato che era venuto a conoscenza dell’arrivo
nelle coste del centro-Italia delle due legioni africane richiamate in precedenza dal
Senato; inoltre, non essendo ancora ufficiale l’accordo con Lepido e Antonio97,
l’instabilità di questa alleanza non consente all’erede di Cesare di temporeggiare
ulteriormente. Come Cesare, Ottaviano attraversa il Rubicone98 tra fine luglio e l'inizio di
agosto; attraverso le vie consolari punta verso l’Urbe mentre il Senato, impaurito e ancora
Sulla consistenza delle truppe di Ottaviano vd. Botermann 1968, p. 202; Magnino 1984, p. 195.
App. b. c. III, 88, 364: “ὧδεδὲ αὐτοὺςὁρμῆςἔχοντας ὁ Καῖσαρ ἰδὼνἦγενεὐθὺς ἀπὸ τῆςσυνόδου, ὀκτὼτέλη
πεζῶν καὶ ἵππονἱκανὴν καὶ ὅσα ἄλλα τοῖςτέλεσισυνετάσσετο.”.
96
App. b. c. III, 88, 365: “περάσας δὲτὸνῬουβίκωνα ποταμὸν ἐκτῆςΚελτικῆςἐςτὴνἸταλίαν, ὅντινα αὐτοῦ καὶ
ὁ πατὴρὁμοίως ἐπὶ τῷ πολιτικῷ πολέμῳ πρῶτον ἐπέρασεν, ἐςδύο πάντας διῄρει· καὶ τὸμὲν ἕπεσθαι
κατὰσχολὴνἐκέλευσε, τὸδὲἄμεινον ἐπιλεξάμενοςἐτρόχαζεν, ἐπειγόμενοςἔτι ἀπαρασκεύους καταλαβεῖν.”.
97
Cfr. App. b. c. III, 85, 349; vd. Grattarola 1990, p. 194.
98
Cfr. Rondholt 2009, p. 434.
94
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90
in attesa degli eserciti africani, cambia il proprio orientamento e prende provvedimenti in
favore delle truppe che avanzano con cesariana celeritas:
“I senatori, avuta notizia della loro partenza (di Antonio e Lepido), mandarono ai soldati,
prima che si avvicinassero, il denaro, sperando che essi, ricevuto il compenso, tornassero
indietro…”99. La testimonianza di Dione trova corrispondenza con quanto afferma
Appiano: “E poiché gli venivano incontro dei messi con una parte del denaro che il Senato
mandava come donativo ai soldati, Ottaviano, temendo per i suoi mercenari, mandò di
nascosto chi li mettesse in fuga; quelli fuggirono con i denari.”100. Nella narrazione dello
storico alessandrino, al fallimento di questa prima ambasceria segue la reazione di popolo
e Senato, descritti ancora come timorosi e confusi101.
In Appiano i senatori non risultano in grado di mantenere i propri propositi e mutano
nuovamente opinione; ben presto dei messi senatori raggiungono Ottaviano per placare
l’avanzata dell’esercito contro Roma:
“Ci fu un ampio mutamento di opinione in tutti e per tutto: decisero di dare cinquemila
dramme, anziché duemila e cinquecento, e a otto legioni invece che a due, e che ne curasse
la distribuzione Ottaviano in luogo dei dieci incaricati; inoltre che Ottaviano si
presentasse candidato alla carica consolare, anche se assente. Rapidamente furono inviati
messi che lo avvisassero con cura di tutto questo.”102.
Le concessioni di questa ambasciata riprendono tutte le richieste di Ottaviano e dei
centurioni, esaudendole103; si tratta di una resa totale da parte dei senatori che ricorda il
medesimo modo di reagire del Senato nell’88 a.C., quando Silla si era avvicinato con
l’esercito consolare all’Urbe104.
Dio XLVI, 44, 2: “καὶἄλλα πολλὰἐκακούργουν. πυθόμενοιοὖνοἱ βουλευταὶ τὴνἔφοδον αὐτῶν, τάτεχρήματα
αὐτοῖς πρὶν πλησιάσαι σφᾶς ἔπεμψαν…”.
100
App. b. c. III, 88, 364: “ὧδεδὲ αὐτοὺςὁρμῆςἔχοντας ὁ Καῖσαρ ἰδὼνἦγενεὐθὺς ἀπὸ τῆςσυνόδου, ὀκτὼτέλη
πεζῶν καὶ ἵππονἱκανὴν καὶ ὅσα ἄλλα τοῖςτέλεσισυνετάσσετο.”.
101
Cfr. App. b. c. III, 89, 367-369; Dio XLVI, 44, 2; secondo Magnino questa notizia è palesemente
inattendibile, cfr. Magnino 1984, p. 195.
102
App. b. c. III, 90, 370: “Ἀθρόα δὴ πάντωνἐς πάντα ἦνμετάθεσις, ἀντὶμὲνδισχιλίων καὶ πεντακοσίων
δραχμῶν τὰς πεντακισχιλίας, ἀντὶδὲτῶνδύοτελῶντοῖςὀκτὼδοθῆναι, Καίσαρά τε αὐτοῖςἀντὶτῶνδέκα
ἀνδρῶνδιανέμειν καὶ ἐςτὴν ὕπατονἀρχὴν παραγγέλλειν ἀπόντα. πρέσβειςτεἐξέτρεχον, οἳτάδεφράσεινἔμελλον
αὐτῷ κατὰ σπουδήν.”.
103
Vd. nota 76.
104
Cfr. capitolo 2.
99
90
91
La posizione filosenatoria di Dione, o della sua fonte, può essere il motivo per il quale
l’autore unisce il contenuto di due ambascerie in un’unica e fa ricadere sui milites la
responsabilità del rifiuto anche di quest’ultima proposta:
“…i soldati non si sentirono per nulla obbligati da un atto che i senatori avevano compiuto
perché costretti, divennero anzi ancora più baldanzosi perché li vedevano impauriti”105.
A riprova della tendenziosità di Cassio Dione nel presentare le iniziative promosse dal
Senato si deve considerare il legame che lo storico istituisce tra gli eventi: il Senato invia
i propri messi prima che l’esercito di Ottaviano si muova, quando a Roma giunge la
notizia della partenza verso l’Italia di Antonio e Lepido. L’ambasciata fallisce e allora il
Senato muta posizione e si mette sulla difensiva grazie anche all’arrivo delle due legioni
d’Africa. In Appiano, invece, Ottaviano parte con l’esercito immediatamente dopo
l’arrivo dei centurioni, quindi oltrepassa il confine dell’Italia e riceve, mentre sta
marciando, dei messi che vengono messi in fuga, poi altri che gli concedono quanto
richiesto106 e infine, mentre i messi sono ancora presso di lui, una terza legazione del
Senato che smentisce la precedente:
“…non si doveva essere così vilmente impauriti, né accettare un’altra tirannide, né
abituare quelli che aspiravano al potere a conseguirlo con la violenza, né abituare i militari
a esercitare il potere sulla patria con le imposizioni, ma occorreva armarsi secondo le
possibilità e opporre agli assalitori la forza delle leggi.”107.
L’isteria delle decisioni della Curia narrata da Appiano108 si discosta dalla descrizione
offerta dallo storico bitinico, anche se in modo simile entrambi narrano la presa di
coraggio da parte del Senato e le misure confacenti alla situazione di crisi dell’agosto del
43109. La difesa della città si avvale delle legioni africane e di tutti i giovani in grado di
Dio XLVI, 44, 3: “ὧνγὰροὐχἑκόντεςἀλλ’ ἀναγκασθέντες ἔπραξαν, οὐδεμίαν σφίσιχάρινοἱστρατιῶται
ἔσχον, ἀλλὰ καὶ ἐπὶ πλεῖον, ἅτε καὶ ἐκπεφοβηκότες αὐτούς, ἐθρασύνοντο.”.
106
Questa ambasceria corrisponde a quella descritta da Dione, vd. Dio XLVI, 43, 3.
107
App. b. c. III, 90, 371: “μὴδεῖνοὕτωςἀνάνδρως καταπεπλῆχθαι, μηδὲἑτέραν ἐνδέξασθαι τυραννίδα
ἀναιμωτί, μηδὲἐθίσαι τοὺςἀρχῆςἐφιεμένουςἐκ βίας τυγχάνειν, μηδὲτοὺςστρατευομένους ἐξ ἐπιτάγματος
ἄρχειντῆς πατρίδος, ὁπλισαμένους δὲἐκτῶνἐνόντωντοὺςνόμουςτοῖς ἐπιοῦσι προτείνειν”. Il passo deriva forse
da Cicerone poiché contiene le motivazioni ideali e politiche dell’Oratore, cfr. Magnino 1984, pp. 195-196.
108
La critica si è dilungata sulle fonti di Appiano; in particolare qui si appoggia la teoria che sostiene che
l’autore utilizzato dall’Alessandrino è un testimone oculare; cfr. Magnino 1984, p. 196.
109
Cfr. App. b. c. III, 91, 373-376; Dio XLVI, 44, 4-5; significativa la posizione di Mangiameli a proposito
delle disposizioni prese dal Senato: “L’anelito alle libertà repubblicane rivela come fosse percepita la
prevaricazione dei viri militares, inaccettabile per quanti ancora credevano nella superiorità della
105
91
92
portare armi al fine di resistere all’assedio, in attesa dell’arrivo di aiuti da parte di D.
Bruto e Planco110. Ottaviano si preoccupa di nascondere, grazie al supporto di alcuni fidati
cesariani, sua sorella e sua madre, per non consegnare degli ostaggi ai senatori111; invia
inoltre alcuni cavalieri in città per placare i timori del popolo, presentandosi come un vero
cesariano112.
La versione dei fatti dionea dipinge un’immagine unitaria dei Romani in città: “questi
provvedimenti furono adottati mentre Ottaviano era ancora in marcia. In perfetto accordo
con i senatori tutti i Romani si mostrano nemici di Ottaviano…”113 ma all’arrivo presso
le mura dell’erede di Cesare: “Di nuovo ci fu un altro improvviso e straordinario
mutamento”114: alcuni senatori all’approssimarsi di Ottaviano alle porte della città gli
vengono incontro così come molti altri cittadini che stanno dalla sua parte 115. Ottaviano
entra nell’Urbe accompagnato da un folto seguito e le legioni sotto il comando del Senato,
abbandonati i loro comandanti, si professano in favore dell’erede di Cesare,
sottoponendosi al suo comando116. Dopo alcuni disordini Ottaviano esce dalla città per
assicurare legittime elezione e il 19 Agosto del 43 a.C. riveste il consolato117.
costituzione romana: mentre questi ultimi si armavano delle leggi, i professionisti delle armi dimostravano
di esercitare il potere.”; cfr. Mangiameli 2012, p. 134.
110
Cfr. App. b. c. III, 90, 372; 91, 374; Dio XLVI, 44, 5.
111
Vd. App. b. c. III, 92, 378.
112
Vd. App. b. c. III, 91, 376; cfr. Mangiameli 2012, p. 134.
113
Dio XLVI, 45, 1: “ἕως μὲν δὴ ἐν ὁδῷ ἔθ’ ὁ Καῖσαρ ἦν, ταῦτά τε οὕτως ἐγίγνετο, καὶ ὁμοθυμαδὸν αὐτῶν
πάντες οἱ ἐν τῇ Ῥώμῃ τότε ὄντες ἀντελαμ-βάνοντο”.
114
App. III, 92, 379: “ἦντε αὖθιςἑτέρα θαυμάσιοςἄφνωμεταβολή, θεόντωνἐς αὐτὸντῶν ἐπιφανῶν καὶ
προσαγορευόντων· ἔθειδὲ καὶ ὁ δημότηςλεὼς καὶ τὴνεὐταξίαν τῶνστρατιωτῶν ὡςεἰρηνικὴν ἀπε- δέχοντο”;
cfr. Dio XLVI, 45, 2.
115
Cfr. App. b. c. III, 92, 379.
116
I senatori “per quanto sapessero che anche questi erano veterani di Cesare e avessero in sospetto tutto
quello che era stato suo” aveva voluto rischiare (cfr. App. b. c. III, 85, 351) ma non ottenne la fiducia dei
militesche non esitarono a congiungersi con l’esercito cesariano di Ottaviano; cfr. App. b. c. III, 92, 381.
L’episodio suscita grande scalpore tanto che in seguito venne cambiato il nome del mese Sextilis in
Augustus¸ cfr. Macr. I, 12, 35; vd. Magnino 1984, p. 197.
117
Per i disordini nell’Urbe; vd. App. b. c. III, 92, 382-383; per l’elezione al consolato vd. App. b. c. III,
94, 388; Dio XLVI, 46, 2; contra Vell. II, 65, 2 che fissa la data di elezione al 23 settembre; vd. CIL I, 310;
cfr. Syme 1939 (2014), p. 206; Mangiameli 2012, p. 137.
92
93
Retaggi e fortuna della marcia
Fondamentale per la decodificazione della tradizione antica su questi fatti è
chiarire la natura della memoria della marcia di Ottaviano che si venne progressivamente
codificando e condizionò il ricordo delle vicende post eventum. In particolare sembra di
riscontrare una dipendenza tra la descrizione della marcia su Roma di Ottaviano e quelle
precedenti nelle categorie descrittive con le quali si presentano i fatti; si evince infatti un
vincolo ideologico, una chiave di lettura univoca delle vicende. Inoltre, si può in parte
attribuire la responsabilità di questa rielaborazione storiografica alla vulgata augustea.
La marcia su Roma di Ottaviano ha dei precedenti storici significativi che sicuramente
incidono nell’azione illegale dell’erede di Cesare. La marcia di Silla dell’88 a.C. e ancor
più quella di Cesare nel 49 a.C. rappresentano dei modelli con i quali Ottaviano deve
rapportarsi; a Roma infatti entrambi i dittatori sono ancora presenti nella memoria di tutto
il corpo civico per le loro imprese all’alba della formazione del secondo triumvirato118.
Già Cesare prima di suo figlio si era dovuto confrontare con il nemico politico di suo zio
Mario; Ottaviano compie la medesima impresa dei due predecessori per cui non si trova
in posizione favorevole in virtù della memoria storica: la tradizione letteraria sulle
vicende precedenti comprende, all’alba della sua impresa, già una propria versione dei
fatti con la quale Augusto, in seguito, deve confrontarsi. Sia nel 43 a.C. sia dopo la vittoria
di Azio, l’erede di Cesare deve discostarsi o avvicinarsi al modello di marcia sulla capitale
che è divenuto un topos letterario: il confronto politico che ne consegue rischia di
danneggiare la sua immagine.
Cesare, con un astuto espediente letterario, fornisce nei ‘Commentari’ una descrizione
della sua discesa in armi dalla Gallia all’Italia che porta il lettore dalla sua parte. Tuttavia
egli aveva varcato i confini dell’Italia, non quelli di Roma, per cui Ottaviano rischia
l’immediato paragone con Silla che da un lato, a differenza del padre adottivo,
rappresentava nell’88 a.C. il potere legale (in quanto console all’epoca della marcia119)
In diverse testimonianze coeve la memoria di Silla e Cesare, le loro dittature, risulta ancora forte, per
un esempio, cfr. Sall. Iugh. 95-96; Cic. Att. X, 4, 5.
119
Il potere legale di Silla non era tuttavia tale da consentirgli per decisione autonoma di portare degli
eserciti a Roma; vd. Capitolo 2.
118
93
94
ma dall’altro capeggiava una factio che lottava contro Mario, parente acquisito da
Ottaviano.
Silla e Cesare sono promotori di compagini politiche opposte tra loro per cui è opportuno
analizzare in che misura il retaggio delle loro imprese influisca nelle scelte di Ottaviano
che si propone come erede di Cesare. La storiografia risulta in tal caso utile quanto
fuorviante: gli autori coevi e post res plasmano la memoria storica in base alla loro
personale versione dei fatti, talvolta esplicita mentre in altre occasioni offuscata dalle
censure della loro epoca120.
Nel caso delle marce di Silla e Cesare si deve continuamente far fronte sia ad una
rielaborazione delle vicende in rebus operata degli stessi protagonisti, sia alle strategie
storiografiche della tradizione dopo i fatti. Gli autori post eventum rivestono un ruolo di
prim’ordine nella ricostruzione delle marce, dato che l’intero patrimonio di fonti primarie
di cui si avvalgono non è giunto sino ai giorni nostri. Le opere di Plutarco, Appiano e
Dione sono fondamentali per gli studiosi moderni proprio perché forniscono una versione
analitica delle vicende, basandosi sulle notizie degli storici coevi ai fatti.
Le metodologie e le dinamiche con cui sono descritte alcune vicende e la frequente
ricorrenza di alcuni dettagli permette di supporre una dipendenza tra le fonti: la ripresa di
medesimi schemi descrittivi può indicare che autori diversi abbiano usufruito dello stesso
autore come base per il proprio racconto. Alcuni studiosi moderni sostengono che lo
storico che racconta tutte le marce e vive a cavallo del periodo indagato è Asinio
Pollione121. L’opera storiografica di Pollione è perduta ma da diversi contributi si
evincono i contenuti da questo trattati, tra i quali appunto le marce di Silla, Cesare e
Ottaviano.
Asinio Pollione viene riconosciuto come autore autonomo rispetto alla successiva
tradizione della vulgata augustea, per questo la sua versione della marcia, ripresa da
Plutarco, Svetonio ed Appiano, e quella degli autori filoaugustei si trovano in contrasto122.
Dopo la morte di Cesare, il cesariano Pollione non intende rivestire più alcun incarico
Esemplare a questo proposito è la testimonianza stessa di Augusto nelle Res gestae 1, 4; cfr. Canali 2002,
p.7.
121
Cfr. Rondholtz 2009, pp. 433-434.
122
Secondo Rondholtz la versione dei fatti qui interessati, con particolare attenzione alla marcia di Cesare,
deriva da Asinio Pollione, fonte comune degli storiografi tra II-III sec. d.C.; cfr. Rondhltz 2009, pp. 438,
nt. 13; 439, nt. 16; 447.
120
94
95
pubblico e si dedica alla composizione letteraria; a differenza di Silla, Cesare ed Augusto,
che con le loro autobiografie legittimano il proprio ruolo politico, all'opera di Pollione
non deve essere imputato un fine giustificativo e/o screditante. Dopo le guerre civili i
vincitori elaborano di propria mano una strategia della memoria che mostra le loro
imprese secondo una luce favorevole al trionfatore, perciò questi scritti non possono
risultare imparziali; al contrario, la storia di Pollione viene percepita dagli storici antichi
di II-IV secolo come meno parziale, quindi verosimile ed affidabile, proprio per il minor
coinvolgimento nella politica romana123. Tra I e II sec. d.C. tuttavia la storia di Pollione
passa in secondo piano rispetto ai testi aderenti alle tematiche della vulgata augustea,
prima con i membri della gens Giulio-Claudia e poi ancora in età Flavia, quando si
esercita una forte censura sugli argomenti storici. Inoltre, un ruolo significativo nel
lasciare in ombra l’opera di Pollione è assunto, nel corso della prima età imperiale, dal
testo liviano che oltre ad essere approvato da Augusto rispecchia il gusto stilistico dei
contemporanei.
Il legame tra Cesare e Ottaviano appare il più diretto per l’eredità politica assunta da
quest’ultimo quando accetta l’adozione testamentaria. Per quanto concerne prettamente
la marcia di Cesare, grazie alle testimonianze di diversi autori si notano molti punti in
comune con la seconda marcia di Ottaviano, tra i quali l’attraversamento del Rubicone124
e la divisione strategica delle truppe125. Il richiamo a Silla emerge invece relativamente
alle necessità della marcia: come Silla, Ottaviano incanala i sentimenti delle truppe,
ambiziose di ricchezze e intolleranti nei confronti delle ingiustizie126. Ottaviano entra in
città armato con il pretesto di esercitare il consolato negatogli da una fazione; allo stesso
modo si era presentato Silla che però, a differenza dell’erede di Cesare, aveva ottenuto la
carica con regolari elezioni; anche Silla ambiva a qualcosa, ovvero al comando della
guerra mitridatica. L’azione di Ottaviano ricalca il medesimo iter del console dell’88 a.C.;
non si può supporre tuttavia con quanta consapevolezza avvenga l’imitatio Sullae.
Ottenuto quanto richiesto per le truppe e il consolato per sé, Ottaviano, dopo la
Rondholz 2009, pp. 438-439.
Cfr. Svet. Caes. 32, 6; Plut. Caes. 32, 8; Pomp. 60, 4; App. b. c. II, 35, 139.
125
Cfr. Plut. Caes. 32, 1-2; App. b. c. II, 35, 137-138.
126
Cfr. Plut. Sull. 7-10; App. b. c. I, 52-57; supracapitolo 2.
123
124
95
96
temporanea clementia verso gli sconfitti, proscrive i nemici e dimostra la sua
crudelitas127.
Si può notare inoltre un parallelismo tra le reazioni descritte da Appiano e Dione
da parte del popolo e del Senato all’arrivo in città di Ottaviano e quanto narrano lo stesso
storico alessandrino e Plutarco su Silla: i due soggetti ricorrenti, il cui ruolo emerge a più
riprese nella narrazione, risultano nelle testimonianze compartecipi all’azione128.
Il confronto con testimonianze filoaugustee e la presunta tradizione di Pollione consente
di cogliere la scelta di Augusto sulla composizione della propria memoria, dove il ricordo
della marcia si confonde con l’elezione al consolato129.
Il testo liviano giuntoci epitomato è la principale fonte filottavianea sul periodo; autore
coevo oltre che tra i protagonisti dell’entourage culturale del principato augusteo, Livio
descrive anche la marcia di Cesare130. Si suppone che lo storico patavino non riprenda la
descrizione di Cesare della propria marcia oltre il Rubicone, ma intenda piuttosto
allinearsi all’autorappresentazione del Princeps e che quindi l’assimilazione di Ottaviano
a Cesare non derivi da Livio ma sia opera dello stesso Ottaviano e recepita da Livio
attraverso la propaganda augustea. Augusto vuol far emergere il legame diretto con
Cesare per legittimare la propria causa: sebbene Cesare agisca anch’egli nell’illegalità,
rappresenta un modello positivo a cui accostarsi piuttosto che Silla (sebbene anche con
quest'ultimo abbia molti punti in comune). L’episodio del Rubicone diviene un topos per
creare un vantaggio al vincitore di Azio. A riprova della strumentalizzazione dell’episodio
va vista la testimonianza di Cesare che nel suo Bellum Civile non menziona
l’attraversamento del Rubicone per non far risaltare la sua azione contra leges131. La
scelta storiografica che propone Augusto sul tema perciò si discosta stilisticamente da
Cesare ma ne assume il modello militare e politico per rafforzare l’assimilazione al divus.
Cfr. Hinard 2006, pp. 256-269.
Per il ruolo di popolo e senato durante la marcia di Ottaviano; cfr. App. b. c. III, 88-90; Dio XLVI, 45;
per Silla vd. supra capitolo 2.
129
Per un esempio cfr. Vell. II, 65, 3.
130
Il testo epitomato si esprime sinteticamente a riguardo ma lascia intendere che l’opera originale di Livio
si occupava dettagliatamente della venuta di Cesare in Italia; vd. Liv. perioch. CIX; Eutr. VI, 19.
131
Si propone qui l’analisi di Rondholz, secondo il quale la narrazione di Cesare è divisa in “blocks” che
contrappongono l’azione del futuro dittatore al Senato; grazie a questa presentazione e alla manipolazione
dell’andamento cronologico delle vicende la narrazione porta il lettore a vedere positivamente la marcia di
Cesare; cfr. Rondholz 2009, pp. 434-435.
127
128
96
97
Si tratta di un’assimilazione in rebus, promossa fin da subito in un clima in cui l’imitatio
Caesaris è utile alla legittimazione e funzionale per il consenso presso i soldati.
La marcia del 43 a.C. porta ad Ottaviano grandi vantaggi nell’ascesa politica
poiché gli fornisce una posizione legale che gli consente poi di legiferare per perorare la
propria causa; tuttavia, in seguito, quando il suo potere si stabilizza e il Principato diviene
il nuovo sistema di governo, Augusto si trova a far fronte ad un passato scomodo in virtù
della pax e della futura stabilità politica dell’impero. L’imitatio Caesaris, sebbene lo
stesso Cesare non presenti la marcia con i medesimi toni, sembra la strategia migliore per
l’autorappresentazione: il padre adottivo del princeps è un divus e in quanto tale un
modello positivo al quale accostarsi tra i coevi e nella memoria.
Studi recenti sulla marcia
Gli storici moderni considerano la marcia del 43 a.C. con approcci differenti;
tuttavia, la maggior parte dei contributi sul tema non si concentra esclusivamente su
questo episodio ma più in generale sull’ascesa politica di Ottaviano o sulla situazione
politica del periodo132. Tra i primi e più esaustivi studi che riguardano l'argomento qui
preso in esame è opportuno ricordare l’opera di Ronald Syme, che nel 1939 dedica un
intero capitolo a ciascuna delle marce all’interno della monografia ‘The Roman
Revolution’133. L’approccio di Syme identifica le marce nel contesto di quella serie di
sconvolgimenti politici e sociali della tarda repubblica che portano alla pax sancita da
Augusto vincitore di Azio e fondatore di un nuovo sistema di governo. Le marce sono
perciò per l’autore dei tentativi di ascesa politica che si collegano tra loro per gli intenti
del futuro Principe, ovvero la volontà di riprendere direttamente i privilegi del padre
adottivo e l’assunzione di un potere personale. L’adozione del nome di Cesare avviene in
virtù della trasmissione della sua auctoritas ad Ottaviano. In quest’ottica, per
Vd. Syme 1939 (2014); Levi 1978; Grattarola 1990; Mangiameli 2012; l’unico contributo mirato
esclusivamente sulla marcia del 43 risulta quello di Canfora; vd. Canfora 2007.
133
Cfr. Syme 1939 (2014); per la marcia del 44 a.C. vd. pp. 139-152; per la marcia del 43 a.C. vd. pp. 197208.
132
97
98
“l’avventuriero rivoluzionario” la marcia in quanto tale significa mettersi alla prova e allo
stesso tempo testare le potenzialità del nome di Cesare nell’Urbe, sia presso il popolo sia
presso il Senato. L’importanza delle prima marcia, fallita e volutamente adombrata nella
tradizione, non viene sottovalutata tra le pagine di Syme rispetto alla seconda marcia di
Ottaviano.
Differentemente si pone a riguardo Canfora che invece dedica un intero saggio alla marcia
del 43 con dei paragoni frequenti alle Res gestae, ovvero egli fonda le sue teorie sulla
base della narrazione dello stesso Augusto. Lo storico italiano attribuisce alla “piccola”
marcia del 44 un valore minore poiché “non aveva avuto le dimensioni di un colpo di
Stato”134. Da questa affermazione, oltre che dall’approccio dell’opera, Canfora non solo
ritiene che ‘marcia’ sia sinonimo di ‘colpo di Stato’ ma asserisce anche che Syme nei suoi
capitoli, “da questo come da altri indizi”, definisce in tal modo la marcia e l’interventismo
militare di Ottaviano perché “sta pensando alla vicenda italiana del 1922, al gioco sottile
tra vecchio ceto politico (Giolitti in primo luogo) che cerca di usare Mussolini, ed il
giovane ed abile demagogo che lascia ai vecchi e sperimentati statisti tale illusione per
poi impadronirsi con un colpo a sorpresa di tutto il potere.”135. L’interpretazione di
Canfora può considerarsi plausibile nel richiamo storico alla recente vicenda italiana che
sembra volutamente ripresa da Syme per l’assimilazione dei protagonisti della marcia del
43 e quella di Mussolini. Quanto sostiene Canfora si scontra però con il pensiero di Syme
sull’incidenza della marcia del 44 e di riflesso anche su quella delle marce antecedenti a
partire da Silla. L’approccio di Canfora non considera “vera” la prima marcia né quella
di Silla e Cesare perché non portano al risultato immediato cui ambiscono. Come ricorda
Syme, l’idea di Cicerone di affiancarsi al giovane rivoluzionario per salvare nuovamente
la Repubblica si prospetta dall’autunno del 44136, ovvero quando Ottaviano stuzzica il suo
interesse richiedendo la compartecipazione dell'Arpinate per prendere Roma. Si evince
perciò che per Syme il nesso tra le due marce non risiede nel ruolo contrapposto di
Cicerone nella vicende né nel successo o insuccesso della marcia, bensì nella strategia
ottavianea. La prima marcia è un esperimento che non ha alcun precedente, la seconda
Cfr. Canfora 2007, p. 79.
Cfr. Canfora 2007, p. 72.
136
La notizia non è determinata cronologicamente dalle fonti, vd. Plut. Cic. 43, 5; App. b. c. III, 82, 388;
Dio XLVI, 42, 2.
134
135
98
99
invece viene attuata secondo il modello di Cesare per quanto riguarda la sua
progettazione, ma con le metodologie di Silla. La questione che fa riflettere è: marcia è
sinonimo di colpo di Stato? In Syme si deduce una differenziazione tra i due termini
mentre in Canfora non si colgono difformità.
La marcia del 43 si differenzia dalla seconda per due fattori: l’entrata in armi
dell’esercito in città e la riuscita dell’obiettivo come conseguenza diretta della marcia. Gli
evocati e i veterani di Ottaviano nel 44 non varcano il pomerium come un esercito, perché
non lo sono; “l’avventuriero rivoluzionario” li assolda in Campania e li conduce a Roma
con uno scopo: esercitare pressione affinché muti l’indirizzo del Senato sulla vendetta di
Cesare e forse mostrarsi come un’alternativa ad Antonio. Tuttavia, gli evocati si
dimostrano cives armati di propri mezzi o grazie ad Ottaviano, non un esercito. Le truppe
dell’erede di Cesare non hanno nelle fonti l’aspetto di truppe regolari, sebbene il
comandante nel tragitto verso Roma si comporti come un tipico generale romano e
stipendi, come in uso, i richiamati137. Ottaviano spera di spaventare i senatori e sobillare
il popolo con la sua impresa; tuttavia in questo momento non ha alcuna intenzione di
scontrarsi con dei cittadini in Roma, per questo i suoi sostenitori celano le armi e non le
manifestano. I piani di Ottaviano non ottengono però un risultato tangibile; il suo discorso
svela l’alleanza con i repubblicani e l’imminente arrivo di Antonio a Roma disperde i
cives danneggiandolo. Tuttavia, il fine di questa marcia non viene esplicitato dalle fonti
con precisione ma si intende chiaramente che si tratta di una strategia volta a soddisfare
la fame di potere di Ottaviano. Non si può perciò definire questa marcia un colpo di Stato,
si deve riconoscerne l’illegalità anche se l’intento di Ottaviano è porsi, come preannuncia
a Cicerone, “al servizio della Repubblica”, assumendo una posizione legale138.
Il racconto della prima marcia viene sviluppato principalmente da Appiano, autore
che usa materiale filo antoniano nella descrizione degli eventi di questo periodo. Si ritiene
che il racconto sia vincolato a una linea politica avversa all’erede di Cesare e che questo
fattore infici fortemente la memoria della prima marcia a differenza della seconda in cui
il corpus di fonti è maggiore e più eterogeneo.
Nel 43 a.C. la situazione politica e lo spiegamento delle forze militari sono differenti
137
138
La notizia si ritrova in Appiano, vd. App. b. c. III, 15.
Cfr. Cic. Phil. V, 50.
99
100
rispetto all’anno precedente. Antonio non è più il principale ostacolo per Ottaviano e
questi conduce oltre ai suoi evocati dall’Etruria anche diverse legioni regolari tra cui la
Marzia e la Quarta, passate ai suoi ranghi da quelli di Antonio già nel dicembre del 44, e
le due consolari ʽereditateʼ da Irzio e Pansa dopo la loro morte. I cesariani rappresentano
ancora un potenziale e al contempo una minaccia per Ottaviano ma la differenza rispetto
all’anno precedente è che la sua linea politica antecedente la marcia si delinea in virtù
dell’esercito che comanda: la vendetta di Cesare e i donativi ai soldati sono i due vettori
che gli assicurano la fedeltà del suo seguito. Ottaviano sfrutta i desideri dei propri soldati,
descritti come un corpo senza controllo139, per ottenere il proprio potere personale.
Ottaviano riesce a legarsi ai milites ideologicamente con il pretesto del padre adottivo,
impara la lezione dell’anno precedente e si presenta come promotore indispensabile per
assicurare i premi ai soldati. Ottenuta la fides presso i soldati cesariani e preparato il
popolo di Roma, attribuisce al Senato e ai pompeiani la causa della crisi tra i cesariani;
così facendo la marcia sulla capitale avviene senza ripensamenti.
139
Vd. Cic. ad Brut. I, 17, 5-6;
100
101
CAPITOLO 4
Lucio Antonio e le marce del 41 a.C.
Roma dopo Filippi
Il 23 ottobre 42 a.C. segna una svolta nella vicenda politica romana; dopo il
suicidio di Cassio avvenuto dopo la prima delle due battaglie combattute a Filippi e quello
di Bruto nella seconda1, la factio filorepubblicana non ha più dei leader accreditati né
speranze di riprendersi2. Solo pochi viri militares si oppongono ancora ai cesariani; tra
questi il figlio di Pompeo Magno, Sesto Pompeo3, Domizio Enobarbo4 e Murco5, tutti e
tre al comando di flotte che circondano l’Italia. Tuttavia, i vincitori sono senza dubbio
Ottaviano, malato nei giorni di battaglia, e soprattutto Marco Antonio, che acquista il
favore degli eserciti e al quale viene riconosciuto il merito per la vittoria6. Lepido, rimasto
in Italia per comandarla nominalmente, viene emarginato anche nell’assegnazione post
bellica delle province di competenza7; nel frattempo Antonio rimane in Oriente mentre
ad Ottaviano è attribuito il compito di distribuire ai veterani le terre promesse per il loro
servizio8.
Anche la situazione in Italia è difficile; in particolare alcuni problemi affliggono
l’Urbe: la mancanza di approvvigionamenti, dovuta all’embargo attuato da Sesto Pompeo
in Sicilia, affama Roma e crea gravi disordini; il ritardo nell’assegnazione delle terre
genera malcontento nei milites vincitori di Filippi. Ottaviano tarda a rientrare nella
capitale perché sembra sia in fin di vita ed è pertanto costretto a fermarsi a Brindisi 9; la
Vd. App. b. c. IV, 134, 567-568.
Per le vicende della guerra tra i triumviri e i capi cesaricidi a Filippi vd. Sheppard - Noon 2002 (2010),
pp. 52-80.
3
Per una ricostruzione puntuale sul personaggio vd. Hadas 1966; Valentini 2009.
4
Gn. Domizio Enobarbo, repubbicano, arrivò ad un accordo con Antonio nel periodo della guerra di Perugia
e dopo gli accordi di Brindisi fu magistrato cum imperium da 40 al 36 a.C.; nel 32 rivestì il consolato; cfr.
MRR, II, p. 417; Syme 1939 (2014), p. 226.
5
Vd. Syme 1939 (2014), pp. 226-227.
6
Vd. App. b. c. V, 14, 57; Sheppard - Noon 2002 (2010), p. 81.
7
La figura di Lepido viene frequentemente condannata della propaganda augustea; cfr. Syme 1939 (2014),
pp. 230-231; sul triumviro e sul suo ruolo, vd. Badian 1991, pp. 5-16; Weigel 1992; Allély 2004.
8
Vd. App. b. c. V, 3, 11.
9
Vd. App. b. c. V, 12, 45.
1
2
101
102
Curia, seppur impoverita di personalità di spicco in grado di sfruttare l’occasione,
annovera tra le sua fila dei filorepubblicani che sperano nel mancato ritorno dell’erede di
Cesare.
All’inizio del 41 a.C. Ottaviano torna a Roma e comincia ad occuparsi della
distribuzione dei veterani ma si accorge presto di quale grave fardello deve gestire; per
stanziare ventotto legioni ricorre all’esproprio di terre già occupate perché in Italia non
c’è altra disponibilità. Presto in tutto il suolo italico si sviluppano scontri tra cittadini10,
una nuova guerra civile combattuta non più tra factiones ma tra possidenti italici e
veterani. Inoltre, le tensioni sociali si intrecciano inevitabilmente con l’instabilità politica
del periodo: l’erede di Cesare ed i soldati erano consci della scadenza imminente del
mandato triumvirale; per questo le operazioni, che richiedono una progettualità
considerevole, vengono svolte celermente11. Ottaviano viene tuttavia preso di mira e si
inimica sia i veterani che i possidenti italici; in particolare i milites si dimostrano violenti
nelle loro proteste tanto che Ottaviano rischia la sua stessa vita. La situazione già
tumultuosa è inoltre aggravata dalla posizione assunta nei confronti dell’erede di Cesare
dal console in carica quell’anno, Lucio Antonio12, fratello del triumviro in Oriente, e da
Fulvia, moglie di quest’ultimo. Inizialmente non in competizione, poiché legati da
alleanza e parentela, Lucio e Ottaviano iniziano a scontrarsi per la questione della
distribuzione delle terre: il console intende promuovere se stesso e patrocinare la causa
del fratello piuttosto che lasciare il compito al solo Ottaviano, il quale avrebbe raggiunto
una popolarità pericolosa13. Lucio Antonio si propone quindi come unico paladino della
causa degli agricoltori espropriati, dando loro udienza a Roma ed unendoli in nome della
causa comune con il fine di ottenere un proprio seguito. Appoggiato (o addirittura
guidato) da Fulvia, Lucio, inoltre, si fa forte del malcontento popolare verso la politica
triumvirale; promuove e sostiene, invece, la legale carica di console che riveste. Ottaviano
in risposta, resosi conto che Marco Antonio è all’oscuro della vicenda14, sostiene che il
Vd. App. b. c. V, 12, 48 – 13, 51.
Appiano aggiunge alle problematiche dello stanziamento dei veterani anche la fretta di Ottaviano in
quanto il triumviro e i soldati erano consapevoli del reciproco bisogno per ottenere quanto sperato e
promesso, vd. App. b. c. V, 13, 52-53;14, 54; vd. Gabba 1970, pp. LXVIII-LXXIX.
12
Vd. MRR, II, p. 370; vd. Roddaz 1988, pp. 325-327.
13
Cfr. Gabba 1970, pp. XVIII-XIX.
14
Su queste posizioni si pone Gabba, il quale sottolinea che probabilmente il triumviro d’Oriente, pur
ricevendo le informazioni con ritardo a causa della distanza), preferì non intervenire: “l’eventualità, seppur
10
11
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103
compito gli spetti per l’accordo stretto a Bologna con quest’ultimo. Lucio Antonio si pone
dunque come nemico del Triumvirato, proponendo il proprio potere come legittimo e
accusando di tirannide i triumviri15. Per giustificare il fratello in Oriente, che a differenza
di Ottaviano non sta agendo in modo dispotico, Lucio ricerca consensi per la pars
antoniana e sostiene che Marco Antonio è, quanto lui, ostile al triumvirato e disposto a
rinunciarvi16. In questo clima sono i soldati che, a più riprese e con diverse strategie
comunicative, cercano di evitare lo scontro tra la componente sociale capeggiata da Lucio
Antonio insieme a Fulvia e i veterani di Filippi, alla cui sistemazione provvede Ottaviano.
Lucio Antonio prima del consolato
L’analisi del cursus honorum di Lucio Antonio risulta utile in questa sede per
comprendere la scelta politica intrapresa dal console del 41 a.C. e per cogliere degli
elementi che possano fornire un’immagine del personaggio ripulita dalla condanna
storiografica operata dalla pubblicistica filoaugustea17.
La prima menzione di Lucio nelle fonti proviene da Cicerone che lo include, insieme al
fratello Caio, nella lista degli accusatori portata da C. Memmio contro Gabinio: questa è
la prima occasione nota in cui il nostro protagonista si mette in mostra18. Non si conosce
con precisione l’anno di nascita, ma si suppone che Lucio, essendo stato questore di
Minucio Termo in Asia nel 50 a.C.19, possa essere nato intorno all’80 a.C. (era infatti
remota, di una vittoria di L. Antonio sarebbe comunque ritornata a suo vantaggio”; cfr. Gabba 1970, pp.
LVIII-LIX; contra Groag 1914, pp. 43-51.
15
Vd. App. b. c. V, 12, 49; oltre al ceto italico scontento, “la plebe urbana si unì volentieri alle
manifestazioni contro l’impopolare tirannia dei triumviri”, vd. Syme 1939 (2014), p. 231; persino alcune
testimonianze tendenzialmente filoaugustee lasciano intendere il dissenso triumvirale e l’apprezzamento
per Sesto Pompeo; Vio 1998, pp. 23-24.
16
Tutte queste notizie derivano dalla fonte antitriumvirale e filoantoniana di Appiano che viene scelta
dall’autore; vd. Sordi 1985, pp. 301-303.
17
Vd. Vell. II, 74, 2; Dio XLVIII, 1-15; cfr. Gabba 1970, pp. XXX-XXXVI; Roddaz 1988, 318-321.
18
Cfr. Cic. ad Quint. III, 1, 15; 2, 1; vd. Roddaz 1988, p. 325.
19
Per Minucio Termo vd. MRR, II, p. 250; per Lucio Antonio, p. 249.
103
104
necessario aver compiuto trent’anni per assumere la carica20). Nel 49 a.C. Lucio rimane
in Asia come questore21; di lui non si hanno più notizie fino al 44 a.C.22 quando esercita
il tribunato della plebe schierato politicamente con Cesare; poco prima della morte del
dittatore promuove una legge che permette a quest’ultimo di nominare la metà dei
magistrati ad esclusione dei consoli23. Il cesarismo di Lucio si riconferma anche dopo le
idi di marzo24; continua ad esercitare la magistratura, favorendo la politica di suo fratello
Antonio, il quale riveste nel 44 il consolato. Il tribunato del 44, anno di tumulti e forti
tensioni nel corpo civico, permette a Lucio di ricoprire una posizione chiave e di ottenere
il favore presso il popolo che era legato alla memoria di Cesare25. Seguendo la stessa linea
politica di Antonio, anche Lucio è partecipe alle difficoltà del fratello quando viene letto
il testamento di Cesare e si scopre che l’erede designato dal dittatore è C. Ottavio26.
All’arrivo di Ottaviano a Roma, Lucio non può evitare di presentarlo al popolo27. Sempre
nel corso del 44 a.C., per provvedimento di Marco Antonio, Lucio assume il delicato
compito di presiedere una commissione di sette membri con l’incarico di occuparsi di
stanziare parte dei veterani di Cesare: questa posizione lo pone al centro della critica di
Cicerone, che pochi anni prima lo elogiava per le sue virtutes28.
La lex Vilia annalis del 180 stabiliva un’età minima per ciascuna carica; cfr. Cic. Phil. V, 17; Liv. 40, 44;
ma venne in seguito modificata da Silla. Nel priodo delle guerre civili la rigidità di queste regole viene
spesso evasa; vd. Badian 1959, p. 81-89.
21
Cfr. Jos. A.J. XIV, 235.
22
Roddaz si pone un quesito per motivare il ritardo nell’avanzamento del cursus honorum: “Doit-on
interpréter cette attente et cette silences comme le signe d’un lent retour en grâce, comme cee fut le cas
d’un grand nombre de personagges qui avient à l’origine choisi le camp de Pompée ou n’avient pas pris
parti pour Caesar?”; vd. Roddaz 1988, p. 328.
23
Cfr. Cic. Att. XIV, 20, 2; 5; XV, 2, 2; 5, 3; 12, 2; Phil. V, 7; 20; VII, 17; XIII, 37; Plut. Ant. 15, 3; Dio
XLV, 9, 1; MRR, II, p. 323.
24
L’inizio della carriera politica lo vede affiancarsi a politici della factio ottimate, pompeiani nella guerra
civile tra Cesare e Pompeo; cfr. Hinard 1985, pp. 495-496; Roddaz 1988, p. 327.
25
Un esempio della sua popolarità, legata strettamente a quella dei fratelli, è proposto da Cicerone, cfr.
Cic. Att. XV, 12, 2.
26
Vd. Grattarola 1990, p. 20.
27
Cfr. Cic. Att. XIV, 20, 2-5; 21; XV, 2, 2; App. b. c. III, 12; Dio XLV, 5, 2; vd. Syme 1939 (2014), p. 129.
28
La menzione del compito di cui è incaricato si trova nelle dodicesima Filippica, le cui invettive sono in
contrasto con quanto scriveva nel 50 a.C. lo stesso Arpinate; cfr. Cic. Att. XVI, 3, 1; Phil. XII, 20; vd. Syme
1939 (2014), p. 130. Si segnala un interessante excursus sui motivi dell’ostilità di Cicerone verso Lucio e
Marco Antonio nel contributo di Roddaz; cfr. Roddaz 1988, pp. 330-334.
20
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105
Dopo la guerra di Modena, alla quale partecipa attivamente dalla parte del fratello29, non
riveste alcuna magistratura per il biennio 43-42 a.C.; Lucio sembra momentaneamente
uscire dalla scena politica per rientrarvi solo dopo Filippi come console nel 41 a.C.
insieme a P. Servilio Vatia, senza aver esercitato precedentemente la carica di pretore30.
Lucio Antonio console
Il 41 a.C. è un anno di forte tensione a Roma e in tutta la Penisola; la vittoria di
Filippi non porta alla pace e alla tranquillità desiderate poiché l’opposizione repubblicana
non è ancora definitivamente vinta; inoltre, molti cesaricidi sono ancora in fuga e
governano i mari. In Italia scoppiano diverse rivolte promosse da alcuni proscritti, che
trovano seguito grazie al malcontento causato dall’azione Triumvirale. L’origine di
questa crisi sociale può essere individuata nella carenza di rifornimenti alimentari: la
Sicilia infatti, granaio dell’Italia intera, si trova sotto il controllo di Sesto Pompeo, nemico
dei vincitori di Filippi31. Il disagio sociale, unito all’ instabilità politica, genera violenze
diffuse; Lepido, rimasto a governare l’Urbe durante la campagna per vendicare Cesare,
non gestisce autonomamente la situazione.
Il consolato di Lucio Antonio si colloca in questo clima; i suoi propositi sembrano
volti a ristabilire la Repubblica e ciò lo pone, anche grazie ad una carriera politica meno
marcata nel factio cesariana rispetto ad altri, in una posizione tale da risultare un
interlocutore valido tra le parti32. Per perseguire la sua scelta politica indipendente, Lucio
si sforza di captare consensi in più direzioni: da un lato si mantiene inizialmente neutrale
con le differenti factiones in Senato, dall’altro mira ad esaltare la propria figura presso
Partecipa sia al sacco di Parma (Cic. Phil. XIV, 8-9) sia alla battaglia di Forum Gallorum; Cic. Phil. X,
21; XI, 10; XII, 14, 20, 26; XIII, 4, 26; 37; XIV, 28; 36; Dio XVI, 37, 1. Zonar. X, 14.
30
Cicerone, nel marzo del 43 a.C., sostiene che Lucio Antonio ambisse alla carica già in precedenza; vd.
Cic. Phil. XII, 14; cfr. MRR, II, p. 370.
31
Vd. Dio XLVIII, 9, 4.
32
Vd. Roddaz 1988, p. 335.
29
105
106
l’elettorato Urbano. In virtù di questa sua scelta politica, celebra il trionfo 33 e mantiene i
rapporti con le armate, sia con i veterani che egli stesso aveva contribuito a stanziare nel
4434, sia con quelli che avevano militato a Filippi, appellandosi alla pietas nei confronti
di Marco Antonio, il quale era stato loro generale35. Oltre all’appoggio di milites e del
popolo, Lucio approfitta del malcontento verso i triumviri da parte dei membri della
nobiltà, tanto che, all’alba dello scontro con Ottaviano, molti nobiles si schierano contro
il triumviro; essi infatti auspicano il ritorno alle istituzioni tradizionali della Repubblica
di cui Lucio Antonio si fa promotore durante l’arco della sua magistratura36.
Le ostilità tra il console del 41 a.C., fiancheggiato da Fulvia e dall’agente di suo
marito, Manio37, e Ottaviano cominciano quando incombe la necessità di distribuire le
terre ai veterani di Filippi. Inizialmente Lucio e i suoi avanzano pretese nella ripartizione,
facendosi forti del ruolo che rivestono di sostituti del triumviro, Fulvia in via informale
mentre Manio in qualità di procurator38. Più complessa la questione per quanto riguarda
Lucio: egli sfrutta il legame parentale quando si rapporta con i soldati e parte del corpo
civico mentre con i nobili si autopromuove come esempio di legalità. Ottaviano non vuole
lasciarsi sfuggire la possibilità di consolidare la propria posizione politica dopo le
battaglie di Filippi, in cui era emerso come dux Antonio. L’erede di Cesare si rende conto
che ricompensare in prima persona i soldati è molto vantaggioso per il suo futuro oltre
che per la sua popolarità: “Ottaviano voleva di persona distribuire le terre a tutti quelli
che avevano combattuto con lui e con M. Antonio, secondo gli accordi presi dopo la
vittoria, allo scopo di acquistarsi la riconoscenza dei soldati; gli altri due (Lucio Antonio
e Fulvia) ritenevano che spettasse a loro assegnare i lotti di terreno ai propri soldati e
presiedere alla fondazione delle colonie, allo scopo di assicurarsi il forte appoggio dei
veterani”39. Lo stanziamento di 28 legioni (ca. 170 000 soldati oltre alla cavalleria)
Vd. Dio XLVIII, 4, 3; per Roddaz: “un triomphe sans signification militaire”; cfr. Roddaz 1988, p. 335.
Riferimento al compito di presidenza della commissione che nella primavera del 44 a.C. assegna colonie
ai veterani di Cesare, cfr. Cic. Phil. XII, 20.
35
Vd. App. b. c. V, 19, 77; 40, 169.
36
Vd. App. b. c. V, 29, 114.
37
Vd. App. b. c. V, 19, 74-75.
38
Vd. MRR, II, p. 375; Mangiameli 2012, pp. 176, 187.
39
Dio XLVIII, 6, 1-2: “ὅ τε γὰρ Καῖσαρ αὐτὸς πᾶσιν τοῖς τε ἑαυτῷ καὶ τοῖς τῷ Ἀντωνίῳ Συστρ ατευσαμένοις
ἤθελεν αὐτὴν κατὰ τὰς συνθήκας τὰς μετὰ τὴν νίκην αὐτοῖς γενομένας, ὅπως ἐς εὔνοιάν σφας ὑπαγάγηται,
ποιή- σασθαι· καὶ ἐκεῖνοι τήν τε ἐπιβάλλουσαν τοῖς σφετέροις κληρουχῆ- σαι καὶ τὰς πόλεις αὐτοὶ ἀποικίσαι
ἠξίουν, ἵνα τὴν ἰσχὺν αὐτῶνσφετερίσωνται.”
33
34
106
107
necessita di una vasta e complessa pianificazione della distribuzione nel territorio ma,
nonostante gli sforzi, risulta inevitabile per Ottaviano l’esproprio dei possessores italici40.
L’obiettivo del triumviro incaricato è quello di premiare le truppe senza perdere il
consenso dei vecchi proprietari terrieri; tuttavia, il risultato che ottiene non è quello
sperato: “Ma non riuscì a ingraziarsi né i veterani né i proprietari, essendosi lagnati gli
uni per la spoliazione, gli altri per non aver ricevuto compensi adeguati ai loro meriti”41;
lo dimostrano anche le azioni violente dei soldati rivolte ad attirare l’attenzione dell’erede
di Cesare, che per primo li aveva favoriti nella diatriba42.
L’abilità di Lucio Antonio sta nello sfruttare a proprio vantaggio la situazione sfavorevole
ad Ottaviano: si presenta infatti ai milites e agli espropriati come fautore della loro causa.
Secondo Appiano, Ottaviano sceglie infine di continuare le confische per attribuire le
terre ai veterani e per placare i tumulti che alle porte di Roma43 coinvolgono le truppe,
offrendo anche dei cospicui donativi ai soldati. Ottaviano viene presentato in tali vesti
poiché l’autore vuole sottolineare la sua responsabilità nei dissidi e di conseguenza nella
guerra44. Contrariamente, la versione della vulgata augustea, giunta a noi attraverso
l’opera di Cassio Dione che ne fornisce un’eco, si preoccupa di descrivere l’azione
dell’erede di Cesare come volta alla conciliazione delle parti sociali coinvolte45.
In base alle fonti sugli eventi si possono cogliere le diverse strategie adottate da Lucio
Antonio durante il consolato, che lo portarono a rivestire un ruolo di prim’ordine. La
valorizzazione della carica, che avviene attraverso un’intensa attività di promozione della
propria immagine presso i cives e presso il Senato, gli permette di apparire alla pars
conservatrice della curia come l’intermediario privilegiato e quindi un alleato contro il
Triumvirato46. Attraverso la vicinanza con Fulvia, e facendo appello al prestigio di Marco
Vd. App. b. c. V, 5, 21; cfr. Gabba 1956, p. 189.
Cfr. Svet. Aug. 13: “…neque veteranorum neque possessorum gratiam tenuit, alteris pelli se, alteris non
pro spe meritorum tractari querentibus.”.
42
Vd. Svet. Aug. 14; App. b. c. V, 15, 61-63; 16, 64-67; Dio XLVIII 9, 1-3; cfr. Mangiameli 2012, pp. 182183.
43
Si fa riferimento all’episodio che si svolge nel Campo Marzio descritto da Appiano, vd. App. b. c. V, 16.
44
Il testo appianeo nella descrizione di questi fatti è intriso di elementi che permettono di ricostruire la
propaganda antoniana del periodo; vd. Gabba 1956, pp. 191-195; Mangiameli 2012, pp. 183-184.
45
Vd. Mangiameli 2012, p. 183.
46
Appiano sostiene che il Senato, dopo la morte di Bruto e Cassio, era ancora in parte schierato contro il
Triumvirato, vd. App. b. c. IV, 138, 580-581. A dimostrazione della soliditas nei confronti della fazione dei
proscritti si deve considerare il favore, anche popolare, verso Sesto Pompeo; vd. Vio 1998, pp. 21- 36.
40
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Antonio, Lucio tenta di collegarsi politicamente a quest’ultimo presso i veterani cesariani
che dopo Filippi gli avevano riconosciuto all’unanimità la leadership: questa strategia è
funzionale a mantenere vivo il ricordo del triumviro che, trovandosi in Oriente, non può
far fronte agli attacchi della pubblicistica ottavianea. In seguito alla presa di posizione più
netta da parte di Ottaviano, che privilegia ora le pretese dei veterani, Lucio si propone
come paladino del ceto italico ed arruola per sé, tra questi cives, un proprio esercito di
evocati; fa appello inoltre alle forze antoniane, le quali riconoscono in lui l’azione del
fratello in Oriente. Attraverso questa politica, Lucio Antonio mette in crisi l’opera dei
Triumviri e anima le masse affamate, e per questo scontente, dell’azione triumvirale.
I milites e il fallimento delle mediazioni
La narrazione delle vicende del 41 a.C. ci giunge principalmente attraverso due
autori: Appiano e Cassio Dione. Le versioni di questi due autori, sebbene raccolgano
tradizioni diverse tra loro, consentono di ricostruire in forma parziale il tessuto
evenemenziale delle vicende che portarono al conflitto, scoppiato alla fine del 41 e
conclusosi nei primi mesi del 40 a.C. con la sconfitta di Lucio Antonio a Perugia. Gli
esordi dello scontro tra Ottaviano e il console di quest’anno fanno seguito ad un
avvenimento preciso: accompagnato dai figli di Marco Antonio, Lucio cerca di
raggiungere l’erede di Cesare che sta distribuendo le terre ai veterani nelle ultime colonie,
ma si deve allontanare per timore di un attacco della cavalleria di Ottaviano che, come
giustifica in seguito quest’ultimo, sta percorrendo la medesima via ma con altri intenti47.
Rifugiatosi presso le colonie antoniane, Lucio arruola un proprio esercito e scredita
Ottaviano presso le truppe facendo ricorso, ancora una volta, alla figura del fratello.
Nonostante Ottaviano cerchi di legittimare l’azione della cavalleria, l’esercito non prende
posizione48: “I capi dell’esercito, al corrente di questi avvenimenti, proposero una
mediazione a Teano e li riconciliarono a queste condizioni: che i consoli svolgessero le
Lo stesso autore precisa che Lucio credeva (o fingeva di credere) che quei cavalieri fossero stati mandati
contro di lui; vd. App. b. c. V, 19, 76-77.
48
Vd. App. b. c. V, 19, 78.
47
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loro funzioni tradizionali, senza ostacoli da parte dei Triumviri; che non fosse assegnata
terra a nessuno all’infuori dei combattenti di Filippi; che del ricavato dei beni confiscati
e del valore di quelli ancora da vendere anche l’esercito di Antonio in Italia partecipasse
alla divisione su un piede di eguaglianza; che nessuno di loro, Triumviri, procedesse più
a leve in Italia; che alla campagna di Cesare contro Pompeo partecipassero due legioni
antoniane; che fosse libero il transito delle Alpi alle truppe inviate da Cesare in Spagna e
che Asinio Pollione non le ostacolasse ulteriormente49; che Lucio, riconciliatosi a queste
condizioni, licenziasse la guardia del corpo e svolgesse le sue funzioni senza
impedimenti.”50.
Le condizioni poste dagli ufficiali dell’esercito ai due duces favoriscono in buona parte
Lucio Antonio e gli antoniani, ad esclusione delle ultime due clausole pro ottavianee51:
tutte i punti dell’accordo verranno in seguito elusi, eccetto le due condizioni finali52. In
Cassio Dione si deve riconoscere una corrispondenza con quanto afferma Appiano, anche
se nella testimonianza dello storico bitinico il tentativo di mediazione dei soldati non si
presenta così dettagliato; la scarna versione dionea pone in luce Ottaviano e lo
deresponsabilizza in merito allo scoppio degli scontri: “Ottaviano allora temette che la
situazione peggiorasse, e cercò di venire a un accordo con Fulvia e il console. Poiché, pur
mandando alcuni suoi messaggi, non ottenne nulla, si rivolse ai soldati e cercò di condurre
le trattative per mezzo di loro”53.
Dopo questo primo tentativo fallito, Lucio non rientra a Roma per timore di
Ottaviano, che a differenza sua dispone di una guardia del corpo54; si rifugia quindi a
Asinio Pollione, che si trovava con sette legioni in Transpadana, non lascia passare per il territorio che
controlla Salvidieno Rufo; vd. Vell. II, 76; cfr. MRR, II, p. 372.
50
App. b. c. V, 20, 79-80: “Ὧν οἱ ἡγεμόνες τοῦ στρατοῦ πυνθανόμενοι διῄτησαν αὐτοῖς ἐν Τεανῷ καὶ
συνήλλαξαν ἐπὶ τοῖσδε, τοὺς μὲν ὑπάτους τὰ πάτρια διοικεῖν μὴ κωλυομένους ὑπὸ τῶν τριῶν ἀνδρῶν, μηδενὶ
δὲ γῆν ὑπὲρ τοὺς στρατευσαμένους ἐν Φιλίπποις ἐπινέ- μεσθαι, τά τε χρήματα τῶν δεδημευμένων καὶ τιμὰς
τῶν ἔτι πιπρασκομένων καὶ τὸν στρατὸν Ἀντωνίου τὸν περὶ τὴν Ἰταλίαν ἐπ’ ἴσης διανέ- μεσθαι καὶ μηδέτερον
αὐτῶν ἔτι καταλέγειν ἐκ τῆς Ἰταλίας, στρατεύοντι δὲ ἐπὶ Πομπήιον τῷ Καίσαρι δύο συμμαχεῖν τέλη παρὰ
Ἀντωνίου, ἀνεῷχθαι δὲ τὰς Ἄλπεις τοῖς ὑπὸ Καίσαρος πεμπομένοις ἐς τὴν Ἰβηρίαν καὶ μὴ κωλύειν αὐτοὺς ἔτι
Ἀσίνιον Πολλίωνα, Λεύκιον δὲ ἐπὶ τοῖσδε συνηλλαγμένον ἀποθέσθαι τὴν φρουρὰν τοῦ σώματος καὶ πολιτεύειν
ἀδεῶς. ”.
51
Vd. Gabba 1956, p. 192; Mangiameli 2012, p. 184.
52
Vd. App. b. c. V, 20, 81; cfr. Mangiameli 2012, p. 185-186, in particolare nt. 141.
53
Vd. Dio XLVIII, 10, 2: “Καῖσαρ μὴ καὶ σφαλῇ τι, καὶ καταλλαγῆναι τῇ τε Φουλουίᾳ καὶ τῷ ὑπάτῳ ἠθέλησεν.
ἐπειδή τε οὐδὲν ἰδίᾳ καὶ καθ’ ἑαυτὸν προσπέμπων σφίσιν ἐπέραινεν, ἐπὶ τοὺς ἐστρατευμένους ὥρμησε καὶ δι’
αὐτῶν τὰς συναλλαγὰς ἔπραττεν”.
54
Vd. App. b. c. V 21, 82.
49
109
110
Preneste, città precedentemente occupata da Fulvia55. Intanto a Roma: “Non avendo
ottenuto nulla neppure attraverso i soldati, Ottaviano inviò alcuni senatori: mostrò loro
l’accordo concluso con M. Antonio e li nominò arbitri delle divergenze (così chiamava il
contrasto)”56; a riconferma di questi fatti Appiano precisa: “i comandanti dell’esercito,
avendo stretto tra di loro il giuramento di proporsi nuovamente come arbitri tra i capi per
decidere ciò che sembrasse giusto e costringere ai patti chi avesse rifiutato, richiamavano
a questo scopo Lucio e i suoi. Ma poiché quelli rifiutavano, Cesare li biasimava con odio
in presenza dei comandanti militari e presso le personalità più in vista.” 57.
I milites vengono scelti come arbitri del contrasto che oramai sembra potersi risolvere
solo con la guerra. Anche i senatori questa volta coadiuvano gli ufficiali dell’esercito che,
secondo la versione della vulgata augustea, agiscono per volere di Ottaviano58. Il rifiuto
di Lucio Antonio di scendere a patti non arresta la volontà dell’esercito; i soldati sono
decisi a trovare un accordo: “Questi si recarono presso Lucio e lo scongiurarono di
risparmiare a Roma e all’Italia la guerra civile e di accettare con vicendevole accordo che
la decisione spettasse a loro o ai comandanti militari”59.
La risposta ai soldati e ai senatori arriva da Manio il quale pone al centro della discussione
l’accordo siglato dopo la vittoria di Filippi tra l’erede di Cesare e Marco Antonio: l’agente
del ‘Principe d’Oriente’60 accusa il primo di aver evaso tale contratto in molti punti e
giustifica il suo operato, quello di Lucio e di Fulvia, in virtù degli interessi di Antonio61.
Secondo Appiano Fulvia rientra a Roma e affida la sua persona e i figli di Marco Antonio sotto la
protezione di Lepido; vd. App. b. c. V 21, 82; secondo la versione della vulgata Fulvia si sposta a Preneste
e vi rimane insieme a un seguito di cavalieri e senatori; vd. Vell. II, 74, 3; Dio XLVIII, 10, 3. In entrambi
gli autori la donna viene presentata negativamente e i suoi comportamenti extra mores vengono condannati
dalla storiografia post eventum; sull’argomento vd. Rohr Vio 2012, pp. 103-119.
56
Dio XLVIII, 11, 3: “ἐπειδὴ γὰρ οὐδὲν οὐδὲ διὰ τῶν στρατιωτῶν ἐπέρανε, βουλευτὰς ἔστειλε, τάς τε
συνθήκας σφίσι τὰς πρὸς τὸν Ἀντώνιον αὐτῷ γενο- μένας ἐκφήνας καὶ δικαστὰς τῶν διαφορῶν δῆθεν αὐτοὺς
ποιήσας.”.
57
App. b. c. V, 21, 84: “οἱ δὲ τῶν στρατῶν ἡγεμόνες συνομόσαντες κρινεῖν τοῖς ἄρχουσιν αὖθις, ὃ δοκοίη
δίκαιον εἶναι, καὶ τοὺς ἀπειθοῦντας ἐς αὐτὸ συναναγκάσειν, ἐκάλουν ἐπὶ ταῦτα τοὺς περὶ Λεύκιον. οὐ
δεξαμένων δ’ ἐκείνων, ὁ Καῖσαρ ἐπιφθόνως αὐτοὺς ἔν τε τοῖς ἡγεμόσι τοῦ στρατοῦ καὶ παρὰ τοῖς Ῥωμαίων
ἀρίστοις ἐπεμέμφετο.”.
58
Vd. Gabba 1956, p. 194; Mangiameli 2012, p. 187.
59
App. b. c. V, 21, 85: “οἱ δὲ ἐξέθεον ἐς τὸν Λεύκιον καὶ παρεκάλουν οἰκτεῖραι μὲν ἐπὶ τοῖς ἐμφυλίοις τὴν
πόλιν καὶ τὴν Ἰταλίαν, δέξασθαι δὲ κοινῷ νόμῳ τὴν κρίσιν ἢ ἐπὶ σφῶν ἢ ἐπὶ τῶν ἡγεμόνων γενέσθαι. ”.
60
Celebre espressione di Chamoux nel suo studio monografico sul ruolo di Marco Antonio in Oriente, vd.
Chamoux 1986.
61
In Appiano non si fa menzione esplicita della carta scritta ma il contenuto del contratto triumvirale si
evince dalle accuse dell’agente di Marco Antonio, vd. App. b. c. V, 22; in Dione l’accordo si presenta in
55
110
111
I milites marciano su Roma
Dopo questo ennesimo rifiuto iniziano da entrambe le parti i preparativi per la
guerra. A questo punto della narrazione di entrambi gli autori si colloca il sorprendente
interventismo dei milites; non era mai accaduto prima, infatti, che dei soldati, identificati
come veterani di Cesare, marciassero su Roma di loro iniziativa: “Allora i veterani
marciarono su Roma in gran numero, sostenendo che dovevano fare delle comunicazioni
al popolo e al Senato. Giunti a Roma, non pensarono più a queste comunicazioni;
raccoltisi in Campidoglio, vollero conoscere l’accordo che avevano concluso Antonio e
Ottaviano, l’approvarono e decisero di costituirsi giudici dei contrasti. Trascrissero tale
decisione sulle tavolette cerate, le sigillarono, le consegnarono in custodia alle Vestali;
poi comunicarono a Ottaviano, che era lì presente, e agli altri due per mezzo di
messaggeri, che in un determinato giorno dovevano recarsi a Gabii per discutere la
questione.”62.
La testimonianza di Dione presenta l’arrivo di questi soldati nella capitale come una
marcia; i milites sono condotti dai loro ufficiali ma agiscono coralmente, senza che
emerga né un mandante tra i contendenti né una personalità di spicco che li rappresenti.
A differenza di altri casi analizzati in precedenza in questo elaborato, la rielaborazione
storiografica non sembra aver voluto mettere in luce l’episodio, forse proprio per
l’assenza di una personalità di spicco.
I milites che giungono nella capitale sono ex soldati di Cesare che chiedono giustizia e
chiarezza tra il triumviro e il console, tantoché, giunti a Roma, verificano che l’accordo
triumvirale sia valido e sulla base di questo si costituiscono giudici tra i contendenti.
seguito, per non macchiare la figura di Ottaviano di slealtà; vd. Dio XLVIII, 11, 4. Per un’analisi specifica
del testo appianeo vd. Gabba 1956, p. 195.
62
Dio XLVIII, 12, 1-2: “κλινε. καὶ μετὰ τοῦτο ἐς τὴν Ῥώμην ἐκεῖνοι πλήθει πολλῷ, ὡς καὶ τῷ δήμῳ τῇ τε
βουλῇ κοινωσόμενοί τι, συνελθόντες τούτων μὲν οὐδὲν ἐφρόντισαν, ἀθροισθέντες δ’ ἐς τὸ Καπιτώλιον τάς τε
συνθήκας, ἃς ὅ τε Ἀντώνιος καὶ ὁ Καῖσαρ ἐπεποίηντο, ἀναγνω- σθῆναί σφισιν ἐκέλευσαν, καὶ ἐκείνας τε
ἐπεκύρωσαν, καὶ περὶ ὧν διεφέροντο ἑαυτοὺς δικαστὰς γενέσθαι ἐψηφίσαντο. καὶ ταῦτά τε ἐς δέλτους
γράψαντες καὶ κατασημηνάμενοι ταῖς ἀειπαρθένοις φυ- λάττειν ἔδοσαν, καὶ τῷ μὲν Καίσαρι παρόντι, τοῖς δὲ
ἑτέροις διὰ πρεσβείας, ἐς Γαβίους ἐν ῥητῇ τινι ἡμέρᾳ πρὸς τὴν δίκην ἀπαν- τῆσαι προσέταξαν.”.
111
112
In Appiano l’azione di questi soldati viene ricordata adottando le stesse tematiche di
Dione ma con delle differenze a livello lessicale e su alcuni dettagli: “Due legioni dedotte
ad Ancona, già dell’esercito di Giulio Cesare e che poi avevano servito con Antonio,
conosciuti i preparativi dei contendenti e rispettose dei rapporti di amicizia verso
entrambi, inviarono degli ambasciatori a Roma che li pregassero di venire ad accordi.
Avendo loro risposto Cesare che egli non combatteva contro Antonio ma che era assalito
da Lucio, gli ambasciatori, unitisi all’ufficialità di questo esercito, fecero tutti una comune
ambasceria presso Lucio, pregandolo di addivenire a un arbitrato con Cesare. Avevano
anche reso noto quello che avrebbero fatto, se non avessero accolto la risoluzione. Lucio
e i suoi accettarono, e fu stabilito come località per l’arbitrato Gabii, città a mezza via tra
Roma e Preneste, e fu preparato per gli arbitri un luogo di riunione e poste nel mezzo due
tribune per chi avrebbe parlato, come in un processo.”63.
La versione di Appiano è meno enfatica di quella dionea nel delineare l’azione
dell’esercito: per lo storico alessandrino si tratta di una ambasceria di soldati giunti a
Roma in rappresentanza delle due legioni stanziate ad Ancona, mentre Dione riconosce
nell’operato dei milites le stesse modalità esecutive di una marcia. Non disponiamo di
ulteriori dettagli che ci consentano di cogliere al meglio le sfaccettature dell’arrivo
nell’Urbe dei soldati (il loro equipaggiamento, il loro seguito, ecc), ma si può ritenere
verosimile la definizione dello storico bitinico perché effettivamente si notano dei punti
in comune con le testimonianze relative alle precedenti marce su Roma: i soldati giungono
in città poiché si rendono conto che le vie della diplomazia, promosse in precedenza dai
poteri forti e dai protagonisti della politica, non sono andate a buon fine; ciò porterà
inevitabilmente ad un conflitto armato. Solamente un loro intervento può garantire, a
giudizio dei milites, che la forza militare venga adoperata esclusivamente come ultimo
mezzo. I soldati infatti sono gli strumenti di quest’ultima scelta, pertanto si reputano i
giudici più adatti a risolvere la contesa e intendono farlo seguendo un loro metro di
App. b. c. V, 23, 90-92: “Δύο δὲ στρατοῦ τέλη τὰ ἐς Ἀγκῶνα πόλιν ᾠκισμένα, Καίσαρί τε ὄντα πατρῷα καὶ
ἐστρατευ- μένα Ἀντωνίῳ, τῆς τε ἰδίας παρασκευῆς αὐτῶν πυθόμενοι καὶ τὴν εἰς ἑκάτερον σφῶν οἰκειότητα
αἰδούμενοι, πρέσβεις ἔπεμψαν ἐς Ῥώμην, οἳ ἔμελ- λον ἑκατέρων ἐς διαλύσεις δεήσεσθαι. Καίσαρος δ’ αὐτοῖς
εἰπόντος οὐκ Ἀντωνίῳ πολεμεῖν, ἀλλ’ ὑπὸ Λευκίου πολεμεῖσθαι, συμβαλόντες οἱ πρέσ- βεις τοῖς ἡγεμόσι τοῦδε
τοῦ στρατοῦ, κοινῇ πάντες ἐς Λεύκιον ἐπρέσβευον, ἀξιοῦντες αὐτὸν ἐς δίκην Καίσαρι συνελθεῖν· δῆλοί τε
ἦσαν, ὃ πράξειν ἔμελλον, εἰ μὴ τὴν κρίσιν ὑποδέχοιτο”; vd. Gabba 1956, p. 195; Mangiameli 2012, pp. 189,
191.
63
112
113
giudizio, rispettando tuttavia le tradizionali forme di comunicazione politica a Roma:
preparano un tribunale fisico per la discussione, la quale assume tutte le caratteristiche di
un processo ordinario64.
La marcia su Roma dei milites va perciò interpretata come un’azione illegale: è
chiaro che, nonostante i propositi iniziali siano quelli di riportare una richiesta delle
legioni a Ottaviano, l’obiettivo ben presto muta e gli ambasciatori, forti della loro
posizione, impongono le loro richieste. Ottaviano, protetto dalla sua guardia del corpo,
avrebbe potuto contrastare questa ambasceria senza problemi se si fosse presentata come
tale, quindi priva di armamenti; deve però assecondare le loro richieste per captare il
consenso delle due legioni o perché costretto. In questa sede si ritiene plausibile che
l’intero esercito stanziato nel marchigiano abbia marciato verso l’Urbe, come sostiene
Dione, poiché solo così l’azione avrebbe avuto un peso tale da convincere Lucio e
Ottaviano, che fino a quel momento avevano mantenuto i propositi di guerra nonostante
diverse ambascerie si fossero già prodigate per la mediazione, a giungere alle trattative.
La fine delle trattative
Anche l’incontro organizzato dai soldati ai Gabii fallisce: “Cesare, giunto per
primo, mandò dei cavalieri verso la via donde veniva Lucio, per indagare se non si
vedessero da qualche parte delle insidie. Questi cavalieri scontratisi con altri cavalieri di
Lucio, o appunto in avanguardia o in avanscoperta, ne uccisero alcuni. Lucio si ritirò,
temendo, come disse, un inganno. E sebbene richiamato dagli ufficiali dell’esercito, che
promettevano di scortarlo, non si lasciò convincere”65
Vd. App. b. c. V, 23, 92.
App. b. c. V, 23, 93: “πρότερος δ’ ὁ Καῖσαρ ἐλθὼν ἱππέας ἔπεμψεν ἐς τὴν πάροδον τοῦ Λευκίου,
ἐρευνησομένους ἄρα, μή τίς ποθεν ὁρῷτο ἐνέδρα. καὶ οἱ ἱππέες οἵδε ἑτέροις ἱππεῦσι τοῦ Λευκίου, προδρόμοις
ἄρα ἢ καὶ τοῖσδε κατασκόποις, συμβαλόντες ἔκτεινάν τινας αὐτῶν. καὶ ἀνεχώρησε δείσας ὁ Λεύκιος, ὡς
ἔλεγεν, ἐπιβουλήν· καλούμενός τε ὑπὸ τῶν ἡγεμόνων τοῦ στρατοῦ, παραπέμψειν αὐτὸν ὑπισχ- νουμένων,
οὐκέτι ἐπείθετο. ”.
64
65
113
114
Ottaviano e Lucio non si incontrano neppure66; a Roma l’erede di Cesare avverte il Senato
dell’imminente scontro. Le versioni dei fatti di Appiano e Dione sono condizionate
dall’opposizione propagandistica tra i due viri; anche se si evincono in più punti le
rielaborazioni storiografiche della vulgata e della fonte appianea; il quadro evenemenziale
si presenta uniforme ma quest’ultima testimonianza è sempre favorevole a Lucio Antonio.
Le prime fasi del conflitto sono segnate dalla partenza di Ottaviano da Roma per
raggiungere il console, che ha il suo campo base a Preneste, mentre quest’ultimo si dirige
ad Alba Fucens per placare una rivolta presso le sue legioni lì stanziate67. Alla sua
partenza dall’Urbe l’erede di Cesare lascia Lepido a difesa della città con due legioni68,
per potersi concentrare sullo scontro con Lucio; quest’ultimo nel frattempo continua ad
organizzare le proprie forze. Un episodio saliente della guerra, antecedente alla presa di
Roma da parte di Lucio Antonio, è l’attacco di Ottaviano ai rinforzi condotti da Gaio
Furnio69: “Mentre Furnio conduceva a Lucio un altro esercito, Cesare fece un attacco
contro la retroguardia. Furnio si ritirò su di un colle e la notte si affrettò verso Sentino,
città dalla propria parte; Cesare non lo inseguì di notte, sospettando un’insidia, ma di
giorno poneva l’assedio a Sentino e insieme all’accampamento di Furnio”70.
Questo scontro tra eserciti documentato dalle fonti, successivo ad un primo conflitto in
cui Ottaviano era stato respinto a Nursia71, dimostra innanzitutto come l’Italia diventi il
teatro di questa guerra civile ed il corpo civico partecipi attivamente alla riuscita o meno
dei comandanti militari in base alla tendenza politica del municipio; le città si schierano
pro o contro Ottaviano soprattutto in base ai provvedimenti triumvirali per l’assegnazione
delle terre ai veterani di Filippi72. Sentino, come altre città dell’Etruria, nel 41 a. C. si
schiera dalla parte di Lucio Antonio perché annoverata tra le sedi destinate all’esproprio
La versione dei fatti è contrastante tra il racconto di Appiano e Dione, probabilmente perché dal
fallimento di questo incontro deriva la responsabilità del casus belli; cfr. App. b. c. V, 24, 95; Dio XLVIII,
12, 3-4; vd. Mangiameli 2012, pp. 191-192.
67
Vd. App. b. c. V, 30, 115.
68
Vd. App. b. c. V, 29, 114.
69
Sul personaggio di Furnio, vd. PIR2 590; Trombetta in corso di stampa.
70
App. b. c. V, 30, 116: “Φουρνίου δ’ ἄλλον στρατὸν ἄγοντος τῷ Λευκίῳ, ὁ Καῖσαρ ἐξήπτετο τῆς οὐραγίας· ἐς
δὲ λόφον ἀναδραμόντι τῷ Φουρνίῳ καὶ νυκτὸς ἐς ὁμογνώ- μονα πόλιν ἐπειγομένῳ Σεντίαν, νυκτὸς μὲν οὐχ
ἕσπετο ὁ Καῖσαρ ἐνέδραν ὑποπτεύων, ἡμέρας δὲ τήν τε Σεντίαν ὁμοῦ καὶ τὸ τοῦ Φουρνίου στρατό- πεδον
ἐπολιόρκει.”; sullo stesso episodio Cassio Dione che però non nomina Furnio (vd. Dio XLVIII, 13, 2),
perdonato post Azio da Augusto, mentre si trova menzione di altri sconfitti antoniani; cfr. MRR, II, p. 376.
71
Cfr. Dio XLVIII, 13, 2.
72
Vd. Roddaz 1988, p. 336.
66
114
115
di terre; la propaganda antoniana nel corso dell’anno aveva patrocinato la causa di
Antonio contro Ottaviano e i possidenti italici avevano scelto di appoggiare la pars del
console, non senza conseguenze73.
Lucio Antonio, nella consapevolezza di poter contare sul dissenso diffuso
nell’Urbe nei confronti del Triumvirato, organizza l’esercito e marcia su Roma mentre
Ottaviano sta assediando Furnio a Sentino:
“Lucio mandava innanzi rapidamente tre coorti verso Roma, che nottetempo si
introdussero di nascosto nella città: egli stesso seguiva con molte forze, cavalleria e
gladiatori”74.
La testimonianza dionea sulla marcia verso la capitale coincide con quella di Appiano
anche se, a differenza di quest’ultima, è palesemente inficiata dalla vulgata augustea:
“Lucio aveva mandato con vari pretesti soldati a Roma presso i suoi amici; poi giunse
egli stesso all’improvviso sul luogo”75. Lo storico di età severiana non presenta l’arrivo
del console come una marcia; tale scelta compositiva va identificata come uno tra i molti
espedienti letterari volti a demonizzare l’azione antiottavianea. Dione, non menzionando
la parola ‘marcia’ in riferimento al caso di Lucio, evita di fornire al lettore la medesima
chiave di lettura utilizzata per descrivere l’azione illegale di Ottaviano del 43, sulla quale
invece si esprime lungamente nel quarantaseiesimo libro della sua ‘Storia di Roma’76;
allo stesso tempo pone in luce positiva l’arrivo dell’erede di Cesare a Roma per
contrastare Lucio. Lo storico bitinico si concentra maggiormente sugli scontri che
coinvolgono gli eserciti del console alle porte e dentro la città di Roma: “…vinse la
cavalleria che gli si era opposta, respinse dentro le mura la fanteria, e con l’aiuto di quei
soldati che aveva spedito avanti, e che ora assalivano i cittadini che dal di dentro si
difendevano, conquistò la città. Lepido, a cui era stato affidato il comando del presidio,
In Dione si trova la dimostrazione della crudelitas di Ottaviano nei confronti di chi aveva aiutato Lucio
Antonio all’alba del conflitto di Perugia, in particolare contro le città di Sentino e Nursia; cfr. Dio XLVIII,
13, 6.
74
App. b. c. V, 30, 117: “Λεύκιος δὲ ἐς Ῥώμην ἐπειγό- μενος τρεῖς μὲν τάξεις προύπεμψεν, αἳ νυκτὸς ἔλαθον
ἐς τὴν πόλιν ἐσδραμοῦσαι, αὐτὸς δὲ σὺν πολλῷ στρατῷ καὶ ἱππεῦσι καὶ μονομάχοις εἵπετο.”.
75
Dio XLVIII, 13, 3: “τοῦ γὰρ Λουκίου ἐν τούτῳ τὸ μὲν πρῶτον στρατιώτας λάθρᾳ κατ’ ἄλλην καὶ ἄλλην
πρόφασιν ἐς τὴν Ῥώμην πρὸς τοὺς φίλους πέμ- ψαντος…”.
76
Vd. Capitolo 4.
73
115
116
non oppose nessuna resistenza per la sua inettitudine, e lo stesso fece il console Servilio,
un uomo molto indolente.”77
Secondo la testimonianza di Dione, Lucio è costretto a lottare contro la resistenza dei
soldati posti a difesa della città oltre che con i cittadini che non intendono lasciare che le
forze del console prendano il sopravvento. Insieme a Lucio, altri personaggi vengono
presentati dall’autore negativamente: Lepido, incolpato di non aver ostacolato l’assedio
in quanto addetto al presidio della città (secondo l’accordo stretto con l’erede di Cesare),
e Servilio, il collega di consolato di Lucio78. Entrambi i due viri sono soggetti alla critica
della vulgata augustea: la condanna del loro operato è funzionale alla legittimazione di
Ottaviano nel suo ruolo di Triumviro. L’attacco di Lucio Antonio all’’Urbe viene
rielaborato dalle fonti filoaugustee in funzione delle accuse al Triumvirato ed in
particolare alla politica ottavianea; Lepido, con la sua ‘inettitudine’, assume in questa
narrazione delle vicende la responsabilità del fallimento della politica triumvirale. Lo
storico bitinico in questo frangente sceglie di aderire alla storiografia pro-ottavianea, non
discostandosi dal modello rappresentativo da questa proposto79. Di tutt’altra natura
politica è la fonte che utilizza lo storico alessandrino per descrivere l’ingresso di Lucio a
Roma: “dopo che Nonio, incaricato della custodia delle mura, lo ebbe fatto entrare e gli
ebbe consegnato le truppe che comandava, Lepido se ne fuggì presso Cesare e Lucio
tenne un discorso ai Romani dicendo che presto Cesare e Lepido sarebbero stati puniti
per una magistratura esercitata violentemente; che suo fratello, invece, l’avrebbe deposta
volontariamente e avrebbe assunto in cambio il consolato, una magistratura ben più
legittima invece di una illegale, e tradizionale invece che tirannica.”80.
Le differenze tra le due versioni dei fatti derivano da un diverso interesse
storiografico degli autori, schierati pro o contro i protagonisti delle vicende belliche che
Dio XLVIII, 13, 3-4: “…καὶ τό τε ἱππι- κὸν ἀπαντῆσάν οἱ κρατήσαντος καὶ τοὺς πεζοὺς ἐς τὸ τεῖχος καταράξαντος, κἀκ τούτου καὶ τὸ ἄστυ, συνεπιθεμένων τοῖς ἔνδοθεν ἀμυνομένοις τῶν προαφιγμένων, λαβόντος
(οὔτε γὰρ ὁ Λέπιδος ὁ τὴν φυλακὴν αὐτοῦ ἐπιτετραμμένος ἀντέπραξέ τι ὑπὸ τῆς ἐμφύτου νωθείας, οὔτε ὁ
Σερουίλιος ὁ ὕπατος ἡσυχαίτερός πως ὤν)”.
78
Vd. MRR, II, pp. 370-371.
79
Cassio Dione si avvale non solo di fonti filoaugustee ma anche di altre testimonianze filorepubblicane,
cfr. Manuwald 1979, p. 217; Syme 1986, p. 214; Zecchini 1994, p. 49.
80
App. b. c. V, 30, 118: “καὶ αὐτὸν Νωνίου τοῦ φύλακος τῶν πυλῶν δεξαμ- ένου τε καὶ τὸν ὑφ’ αὑτῷ στρατὸν
ἐγχειρίσαντος, ὁ μὲν Λέπιδος ἐς Καίσαρα ἔφευγεν, ὁ δὲ Λεύκιος Ῥωμαίοις ἐδημηγόρει, Καίσαρα μὲν καὶ
Λέπιδον αὐτίκα δώσειν δίκην ἀρχῆς βιαίου, τὸν δὲ ἀδελφὸν αὐτὴν ἑκόντα ἀποθήσεσθαι καὶ ὑπατείαν ἀλλάξεσθαι, νομιμωτέραν ἀρχὴν παρανόμου καὶ πάτριον ἀντὶ τῆς τυραννικῆς.”.
77
116
117
coinvolgono l’Italia intera nel 41. In Appiano emergono alcune argomentazioni
attribuibili alla propaganda filoantoniana e filorepubblicana: quest’ultima sviluppa il
tema del dissenso verso il triumvirato in virtù della cattiva gestione della magistratura,
che già di per sé non ha motivo di esistere in quanto sovverte la tradizione Romana. Nel
resoconto di Appiano, Lucio giustifica la propria posizione politica ricorrendo a tematiche
care ai repubblicani; questa strategia gli consente sia di captare la benevolenza dei
conservatori, sia di riaffermare la posizione del fratello distante da Roma. Tra le
interpretazioni della critica moderna si propone qui la posizione di Marta Sordi la quale
sostiene che la narrazione appianea non sia attendibile per quanto riguarda la narrazione
di alcuni fatti militari della guerra di Perugia per l’utilizzo, da parte dello storico
alessandrino, di una fonte che vuole mettere in luce positiva Lucio Antonio81.
Il discorso di Lucio nella capitale va visto come una risposta alla contio tenuta da
Ottaviano nell’Urbe poco prima dell’esordio del conflitto82; il console riafferma la propria
posizione con successo tantoché, sempre Appiano, registra il consenso che questi ottenne:
“Come ebbe detto questo, si rallegrarono tutti e stimarono che il Triumvirato fosse oramai
finito e Lucio venne acclamato imperator dal popolo...”83.
I contenuti del discorso tenuto da Lucio nell’Urbe vengono omessi nella testimonianza
dionea, allineata alla vulgata; tuttavia, per screditare l’immagine del console, Dione
aggiunge un dettaglio: “Tenne anche un discorso in divisa militare, cosa che nessuno
aveva mai fatto”84.
L’intento di Dione è quello di presentare l’ingresso in città di Lucio come un’azione
deplorevole e sacrilega; porre in luce l’abbigliamento extra mores di generale indossato
all’ interno della città è funzionale a denigrare l’immagine del console: si vuole
focalizzare l’attenzione sul ruolo di Lucio in quanto dux militum piuttosto che come
console in carica, che l’avrebbe legittimato nell’azione. La testimonianza dello storico di
età severiana riporta in questo caso un motto della pubblicistica ottavianea del periodo,
attraverso il quale l’erede di Cesare mira a demolire la popolarità del console: oltre a
proporre un’alternativa politica, la propaganda antiantoniana vuole suscitare la
Vd. Sordi 1985, pp. 304-310.
Vd, App. b. c. V, 28, 107-110.
83
App. b. c. V, 31, 119: “Καὶ ὁ μὲν τάδε εἰπών, ἡδομένων ἁπάντων καὶ ἡγουμένων ἤδη λελύσθαι τὴν τῶν
τριῶν ἀρχήν…”.
84
Dio XLVIII, 13, 5. “καὶ ἔν γε τῇ στρατιωτικῇ σκευῇ ἐδημηγόρησεν, ὃ μηδεὶς ἄλλος ἐπεποιήκει.”.
81
82
117
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disapprovazione dei Romani verso Lucio, biasimando il suo modo di presentarsi come
capo dei soldati e non come capo dei cittadini. Un altro episodio in cui si può avvertire
l’eco dell’azione screditante di Ottaviano proviene da testimonianze epigrafiche di
Perugia: diverse ghiande missili lanciate dai soldati assedianti contro la città, nella quale
si trova Lucio, prendono di mira la calvizie di quest’ultimo85; sebbene questa pratica si
possa ascrivere all’uso consueto, alle pratiche dei milites contro il nemico, non si esclude
che derivi dalla pubblicistica ottavianea.
La presenza di Lucio in città è molto breve; esce dalla capitale dopo aver fatto
approvare un decreto in cui sancisce la propria posizione legale, e, probabilmente, quella
illegale dei Triumviri86. Il console lascia Roma per dirigersi verso le Gallie dove spera di
ricongiungersi con altri generali antoniani e di evitare lo scontro con Ottaviano che,
venuto a conoscenza dei fatti, marcia verso di lui87.
L’oblio delle marce del 41 nella vulgata
Tra le fonti che analizzano nelle loro opere lo sviluppo delle vicende storiche
dell’anno 41, Livio scrive a breve distanza dai fatti risulta un testimone di primaria
importanza. La sua voce, tuttavia, per questi avvenimenti è giunta a noi solo attraverso la
successiva versione epitomata delle Periochae; da questa dipendono in seguito altri
autori. Lo storico patavino, infatti, è autore quasi coevo alle vicende; compone l’Ab Urbe
condita durante il Principato augusteo e con l’approvazione del princeps. La versione
liviana è dunque una delle prime opere che si sforza, attraverso diversi espedienti
storiografici, di rielaborare in ottica filottavianea le vicende di quel periodo, in particolare
episodi che rischiano di danneggiare l’immagine di Augusto.
Vd. CIL XI, 6721; vd. Syme 1939 (2014), p. 234; per un’analisi puntuale sull’utilizzo e sul significato
propagandistico delle ghiande missili, vd. Mangiameli 2012, pp. 197-201.
86
Vd. Dio XLVIII, 13, 5; a Roma Lucio si attribuisce un imprecisato comando militare; cfr. Reinhold 1933,
p. 180.
87
Solo in Dione si trova notizia dell’ingresso di Ottaviano a Roma senza incontrare resistenza quando Lucio
era oramai distante; cfr. Dio XLVIII, 13, 5-6.
85
118
119
Sugli avvenimenti del 41 la Perioca CXXV si esprime brevemente, riassumendo in poche
righe l’intricato tessuto evenemenziale:
“Cesare, lasciato Antonio oltre mare (le province collocate in quel settore dell’impero
erano andate a lui), ritornò in Italia e distribuì le terre ai veterani. I rivoltosi tumulti del
suo esercito, che i soldati, corrotti da Fulvia, moglie di Antonio, avevano suscitato contro
il loro comandante, furono da lui soffocati con suo grave rischio. Il console L. Antonio,
fratello di M. Antonio, su istigazione della stessa Fulvia, portò guerra a Cesare. Accolte
nella sua parte le popolazioni, le cui terre erano state assegnate ai veterani, e sconfitto M.
Lepido preposto con l’esercito alla difesa della città, vi fece irruzione come nemico di
guerra. 88”.
Il protagonista della narrazione è l’erede di Cesare al quale si oppone Fulvia che riveste
il ruolo di antagonista principale; alla dux femina89 viene imputata la causa del dissenso
dell’esercito di Ottaviano verso il comandante; inoltre, non si trova menzione degli
espropri ai danni del ceto italico. I populi di cui fa menzione l’autore non vengono
ulteriormente specificati: questa definizione molto generica ha lo scopo di non presentare
queste popolazioni come cives che non appoggiano la politica triumvirale. Le accuse
contro Fulvia sono funzionali a delegittimare anche Marco Antonio; sebbene questi non
rivesta alcun ruolo attivo nelle vicende, egli è implicitamente coinvolto per i legami con
la moglie e il fratello, a dimostrazione che l’intera famiglia è partecipe del suo gioco
politico, condannato in seguito da Augusto. L’azione militare di Lucio si presenta come
quella di un nemico che attacca Roma e che riesce nei suoi intenti dopo aver sconfitto
Lepido, un altro soggetto bersagliato della propaganda ottavianea. Il riferimento
all’abbigliamento che Lucio indossa dopo la presa dell’Urbe90, connota la testimonianza
di Livio come critica nei confronti del fratello di Marco Antonio e trova corrispondenza
nella già citata testimonianza di Cassio Dione: si tratta di un espediente letterario
confezionato dalla vulgata augustea.
Liv. perioch. CXXV: “L. Antonius cos., M. Antoni frater, eadem Fuluia consiliante bellum Caesari intulit.
Receptis in partes suas populis quorum agri ueteranis adsignati erant, et M. Lepido, qui custodiae urbis
cum exercitu praeerat, fuso hostiliter in urbem inrupit.”.
89
Per l’espressione, utilizzata da Virgilio in riferimento a Didone (vd. Verg. Aen. I, 364), vd. Rohr Vio in
corso di stampa.
90
Il riferimento è alla divisa da militare, vd. Dio XLVIII, 13, 5.
88
119
120
Ad esclusione dell’epitome di Livio di Appiano e Dione non ci sono altre fonti che
raccontano la marcia di Lucio; tutti gli storiografi che trattano del periodo in questione si
concentrano sui protagonisti delle vicende e sulla successiva vittoria di Ottaviano a
Perugia, omettendo l’ingresso di Lucio nell’Urbe seguito da quello dell’erede di Cesare91.
Si deve però considerare che Augusto stesso fornisce una testimonianza, con la sua
Autobiografia, che influenza fortemente gli autori successivi; tuttavia, oltre a non esserci
giunta, non vi sono sufficienti indizi per coglierne l’eco sulle vicende in questione né si
può sapere se effettivamente trattasse degli argomenti in questione. Nelle Res gestae,
rielaborate e confezionate con cura quando le guerre civili si erano già concluse, non c’è
traccia degli avvenimenti; i temi trattati in fieri dalla pubblicistica ottavianea sono omessi,
in alcuni selezionati casi, dalla versione successiva del princeps.
La difficoltà della ricostruzione dello svolgimento della guerra può essere uno dei
motivi per i quali gli storici non entrano nel dettaglio delle vicende; gli studiosi moderni
concordano sulla problematicità di cogliere uno sviluppo organico del conflitto tra il
console e il divi filius92. Tuttavia, la complessità del susseguirsi degli avvenimenti non
può considerarsi l’unica motivazione della scelta di omettere la marcia; lo scoglio
maggiore consiste nel doversi confrontare con la versione dei fatti proposta da Augusto e
con un’altra fonte di matrice antoniana93. L’autobiografia di Augusto rivestì un ruolo di
prim’ordine quale fonte tra i contemporanei del principe e in seguito, per gli autori che
ne poterono usufruire, nella trasmissione della memoria: oltre a riportare la percezione
degli eventi del princeps, essa costituisce un modello dal quale è consigliabile non
prendere le distanze o si rischia di assumere una posizione politica pericolosa. Non è un
caso che solo storici ben lontani dai fatti, che recuperano la versione di autori non allineati
alla vulgata augustea, come Appiano e Dione, si esprimano lungamente in proposito. In
particolare, il racconto dello storico alessandrino è molto dettagliato e spesso in contrasto
con le altre fonti; per queste sue caratteristiche può fornire una chiave di lettura
fondamentale, sia per cogliere una versione politicamente opposta a quella del vincitore
Le fonti filottavianee non trattano l’argomento per concentrarsi sul ritratto negativo di Fulvia e di Lucio;
vd. Liv. perioch. CXXV; Vell. II, 74; Flo. II,16.
92
Vd. Reinhold 1933, p. 180; Gabba 1970, p. 67; Sordi 1985, p. 301.
93
Nel testo appianeo è palese l’utilizzo di un’imprecisata fonte non allineata alla vulgata; vd. Sordi 1985,
pp. 303-304.
91
120
121
del conflitto civile, svelandone quindi la pubblicistica in rebus e le rielaborazioni
letterarie, sia per individuare le fonti antoniane sopravvissute alla censura augustea.
La testimonianza di Appiano
I Bella Civilia costituiscono una parte considerevole, se non la principale, delle
fonti a disposizione oggi per lo studio delle tumultuose vicende della tarda Repubblica;
l’autore utilizza un patrimonio di fonti eterogeneo ed esteso, privilegiando per il racconto,
quando possibile, le opere di autori coevi se non partecipi ai fatti o loro testimoni diretti.
Appiano, a differenza di altri storiografi antichi, non si accontenta di registrare la versione
‘ufficiale’, bensì sceglie di quale patrimonio di fonti avvalersi per perpetuare la propria
visione storica94.
Nel caso degli avvenimenti preliminari alla guerra di Perugia si nota, oltre
all’utilizzo di fonti antoniane, una particolare predilezione per il personaggio di Lucio
Antonio95. I Bella Civilia per quanto riguarda i fatti del 41 a.C. si sviluppano a partire da
un’unica fonte, scelta dallo storico alessandrino tra quelle a disposizione necessariamente
per la condivisione del pensiero con l’autore. Anche altri storici composero storie sul
periodo, tra i quali Augusto: non utilizzare come fonte quest’ultimo risulta una scelta
politica ponderata96. Appiano afferma esplicitamente di avvalersi di “memoriali” in
riferimento al discorso di Lucio Antonio, che lasciano aperta la questione sulla natura di
questa fonte utilizzata97. La critica moderna cerca da diverso tempo di risolvere l’enigma
della fonte appianea per il bellum Perusinum; convincente è a tal proposito l’ipotesi di
M. Sordi: “L’autore è come si è già detto un antoniano, ma di chiara matrice repubblicana:
Per un discorso approfondito sul metodo di lavoro appianeo, cfr. Gabba 1970, pp. IX-XVII; Bucher 2000,
pp. 429-442.
95
Cfr. Gabba 1956, p. 198; Roddaz 1988, pp. 320-323; Mangiameli 2012, p. 193.
96
Alcuni autori sostengono che l’opera autobiografica di Augusto possa essere la fonte utilizzata da
Appiano anche per la guerra di Perugia e che sia lo stesso autore a reinterpretare i fatti in un’ottica
sfavorevole al vincitore del conflitto, vd. Grenade 1950, pp. 28-63; contra Gabba che ritiene inaccettabile
l’ipotesi che Augusto rappresentasse Lucio Antonio come il difensore della libertà delle Repubblica contro
la tirannide; vd. Gabba 1970, p. XIX.
97
Vd. App. b. c. V, 45, 191; cfr. Sordi 1985, p. 303.
94
121
122
a questo punto la possibilità che si tratti di M. Valerio Messalla Corvino98, che partecipò
a fianco di Cassio e Bruto alla battagli di Filippi99, che passò poi ad Antonio, che partecipò
a fianco di Ottaviano ma per conto di Antonio alla guerra contro Sesto Pompeo e che fu
autore di Commentarii de bello civili (htpomnemata)100 i cui frammenti rivelano che, da
Filippi, giungevano almeno alla guerra contro Sesto Pompeo, mi sembra degna di
considerazione”101. La studiosa rigetta la possibilità che la fonte sia Asinio Pollione102,
che invece viene riconosciuta come fonte di Appiano per molte altre parti del testo; alla
base delle considerazioni di Marta Sordi stanno due circostanze: lo storico e comandante
antoniano viene descritto e “le opere a noi giunte sulla sua opera storica affermano che
egli scrisse sulla guerra di Cesare e Pompeo e non forniscono elementi per ipotizzare un
prolungamento di quest’opera sino alla guerra di Perugia”103.
Pur riconoscendo il valore della ricostruzione della studiosa, Roddaz sostiene, nel suo
contributo su Lucio Antonio, che le motivazioni per le quali Pollione viene scartato tra i
possibili autori recuperati da Appiano per la descrizione delle vicende della guerra di
Perugia non sono valide104; in particolare, basandosi sul confronto con la testimonianza
dionea, afferma: “…si Messalla était effectivament la source principale d’Appien, on
expliquerait mal le récit de Dion Cassius qui l’a égalment consulté”105.
Il problema rimane ancora aperto, ma in questo contributo si ritiene che anche
l’ipotesi di Roddaz non sia esaustiva. In virtù del ruolo culturale che Messalla riveste
dopo l’instaurazione del Principato e del passato politico di Lucio Antonio prima di
Perugia, vicino alla causa repubblicana, si ritiene verosimile una vicinanza politica tra
l’autore e il soggetto: la pietas di Lucio verso il fratello, attestata non solo nella
letteratura106, e la successiva tendenza antitriumvirale trovano adesioni presso la pars
Per uno studio del personaggio vd. Valvo 1983, pp. 1663-1680.
Vd. Valvo 1983, p. 1663.
100
Per Valvo l’opera di Messalla è stata pubblicata dopo il 23 a.C.; vd. Valvo 1983, p. 1675; Sordi sostiene
che l’opera di Messalla sia stata scritta subito dopo la sconfitta di Sesto Pompeo; vd. Sordi 2002, pp. 420.
101
Vd. Sordi 1985, p. 316.
102
Per Gabba la fonte di Appiano è Asinio Pollione; vd. Gabba 1970, p. XXXVII; contra Sordi 1985, p.
304.
103
Vd. Sordi 1985, p. 305; l’autrice formula questa sua ipotesi sulla base del contributo di Zecchini su
Asinio Pollione; vd. Zecchini 1982, pp. 1285-1286.
104
Roddaz riprende le ipotesi formulate da Gabba; cfr. Roddaz 1988, p. 321.
105
Vd. Roddaz 1988, pp. 321-322, nt. 36.
106
Vd. RRC, 517/5.
98
99
122
123
senatoria sopravvissuta a Filippi proprio per volere di Lucio. Il console del 41 a.C. è
promotore della politica del fratello triumviro; allarga gli orizzonti del suo operato per
raggiungere un maggior consenso presso i repubblicani e i proscritti ancora in vita, tra cui
anche M. Valerio Messalla Corvino. Per questi motivi molti senatori incerti si schierano
con Marco Antonio, confidando nel ritorno alle istituzioni della Repubblica promosso dal
fratello. A dispetto di quanto sostiene Roddaz107, dalla descrizione delle fasi preliminari
dell’assedio della città di Perugia, in particolare dagli eventi di Sentino, si possono
ricavare significativi argomenti a sostegno della tesi della Sordi, ovvero a dimostrazione
dell’utilizzo di Messalla, o di un altro autore ignoto, come fonte comune di Appiano e di
Dione. Entrambi gli storici si concentrano sull’assedio della città al cui interno trova
appoggio e si rifugia Furnio, partigiano di Lucio Antonio; Ottaviano blocca l’antonianus
dux108 che porta soldati per rinforzare l’esercito del console, quando quest’ultimo entra
vittorioso a Roma. Confidando nell’arrivo di Salvidieno Rufo109, l’erede di Cesare
abbandona l’assedio e parte per l’Urbe. La figura di Furnio riemerge in seguito nella
narrazione di Appiano, quando questi riveste il ruolo di mediatore tra le parti al di fuori
delle mura di Perugia; gli assediati sono costretti per assenza di viveri ad arrendersi e
Furnio viene scelto per la sua dignitas da Ottaviano per concludere le trattative110. Di
nuovo le virtutes di Furnio vengono esaltate nel racconto appianeo quando, dopo la
sconfitta in Sicilia, Sesto Pompeo fugge in Asia, dove Furnio è governatore, e viene
catturato: “ridotto allo stremo dalla mancanza di vettovaglie cercò di venire a colloquio
con Furnio, che era stato amico di Pompeo il Grande e che per dignità era superiore agli
altri e anche di carattere più fidato.”111.
Tre tematiche che coinvolgono Furnio nella narrazione Appianea potrebbero
permettere di sostenere l’ipotesi, già avanzata da Sordi, che la fonte utilizzata da Appiano
siano i ‘Commentari’ di Messalla:
Zecchini risponde a Roddaz (vd. Roddaz 1988, pp. 320-323) con un contributo che precisa i punti a
favore dell’ipotesi che sia Messalla e non Asinio Pollione la fonte di Appiano, come in alcuni casi anche di
Dione (Dio L-LI, 1-17); cfr. Zecchini 1994, pp. 44- 52; in particolare vd. p. 48, nt. 25.
108
Espressione utilizzata dallo storico cristiano Orosio; vd. Oros. VI, 19, 2.
109
La menzione di Salvidieno Rufo nella narrazione appianea riconferma l’utilizzo da parte dell’autore di
fonti non filoaugustee; cfr. Rohr Vio 1997, pp. 26-39
110
Cfr. App. b. c. V, 40, 167-170; 41, 171; 50, 208-209. Secondo il concetto ciceroniano di dignitas, qui si
può fare appello all’onore del generale; cfr. Cic. Mur. 30.
111
App. b. c. V, 140, 584: “ἕως κινδυνεύων ὑπὸ τῆς ἀπορίας ἠξίωσεν ἐς λόγους ἐλθεῖν Φουρνίῳ, φίλῳ τε
Μάγνου γεγενομένῳ καὶ ἀξιώσει προύχοντι τῶν ἄλλων καὶ βεβαιοτέρῳ τὸν τρόπον”.
107
123
124
a. Sia Furnio che Messalla si avvicinano alla pars antoniana nel medesimo
periodo112 dopo un passato tra i filorepubblicani113; entrambi poi si trovano a scontrarsi
con Sesto Pompeo114; infine, passano alla fazione augustea nel periodo precedente o di
poco successivo al conflitto aziaco115.
b. Nella narrazione appianea Furnio viene nominato solo dopo Filippi, ovvero
quando comincia l’opera letteraria di Messalla; nel racconto dei fatti che precedono
Filippi, in cui è certo l’utilizzo di Pollione116, non si trova alcuna menzione di Furnio.
c. Sembra attestata, termine post quem il perdono di Furnio da parte di Ottaviano,
l’amicizia oltre che la vicinanza culturale tra Furnio e Messalla117.
Il comune percorso politico e la vicinanza culturale tra Furnio e Messalla durante
gli episodi collocati tra il 42 a.C. e il 35 a.C., anni oggetto dell’opera storiografica di
Messalla, possono essere il motivo per il quale il ruolo giocato da Furnio viene
evidenziato positivamente in ogni occasione in cui è coinvolto. Il successivo perdono di
Ottaviano, il quale dopo Azio necessita di un appoggio dell’oligarchia dei nuovi
nobiles118, dimostra che la clementia Principis implica l’otium letterario di entrambi gli
ex partigiani di Antonio. Le ricadute nella letteratura augustea si manifestano attraverso
una rielaborazione delle figure di Furnio e Messalla nel tessuto evenemenziale: sono poste
Secondo Velleio, Messalla passa alla factio di Ottaviano subito dopo Filippi (vd. Vell. II, 71, 1) mentre
secondo Appiano solo dopo il 33 a.C. (vd. App. b. c. IV, 161); Vd. Valvo 1983, p. 1664; cfr. Biffi 1994, p.
459.
113
Messala milita con Cassio e Bruto a Filippi; vd. Sordi 1985, p. 316; nelle fonti in riferimento al periodo
antecedente il Triumvirato, Furnio si colloca politicamente vicino all’Arpinate che in numerose occasioni
fa riferimento a lui come amicus; vd. Trombetta 2012. Anche Messalla, come Furnio, è politicamente
apprezzato da Cicerone; vd. Cic. ad Brut. I, 15, 1; cfr. Valvo 1983, p. 1675.
114
Per il coinvolgimento di Messalla nella lotta con Sesto Pompeo vd. App. b. c. V, 101, 423; vd. Davies
1973, p. 28.
115
Secondo Roddaz nel 41 a.C.; vd. Roddaz 1988, p. 321; Biffi 1994, p. 467; contra Syme che sostiene che
il passaggio alla fazione opposta avvenga solo nel 33 a.C.; vd. Syme 1986, p. 200; Zecchini 1994, p. 48, nt.
23. Per Furnio vd. Sen., Benef. II, 25, 1; Dio LII, 42, 4; cfr. Trombetta in corso di stampa.
116
Cfr. Zecchini 1994, pp. 45-46.
117
Vd. Hor. sat. 1, 10, 84- 90; su questa fonte si sviluppa lo studio di Ulmann il quale asserisce: “The use
of cum, simul, and simulhis shows that these names are to be taken together, i. e., we have here the chief
members of the circle of Messalla in 35 B. C”; vd. Ullman 1912, p. 163. Dello stesso parere Malaspina la
quale identifica in Orazio il principale mediatore tra i circoli culturali post aziaci a Roma; vd. Malaspina
1993, pp. 44-47.
118
Cfr. Syme 1986, pp. 1-4.
112
124
125
in luce le loro abilità letterarie e viene omesso invece il loro passato politico-militare119.
Solo in autori come Appiano e Cassio Dione è possibile una ripresa delle imprese perché
recuperano, come Plutarco, fonti non allineate alla vulgata augustea120.
Visto che prima di Filippi nessun autore cita Furnio e tanto meno ne parla positivamente,
è probabile che la fonte di cui si serve Appiano sia qualcuno vicino a Furnio, appunto
Messalla; in quest’ottica va visto l’unico caso che attesta l’amicizia di Furnio con Pompeo
Magno, rapporto che non viene attestato in nessun’altra testimonianza.
Riprendendo le motivazioni di Sordi e Zecchini, il caso di Furnio, personaggio
che non è stato studiato pur avendo un discreto rilievo, può rappresentare un fattore in più
per identificare in Messalla la fonte di Appiano per la descrizione dei sette anni che vanno
dalla battaglia di Filippi alla morte del ‘pirata’121. Lo stesso Gabba sostiene che, a
proposito della guerra di Sicilia, Appiano abbia utilizzato sia le Memoriae di Messalla
Corvino, sia l’Autobiografia augustea, sia l’opera di un possibile altro autore: “lo storico
sa combinare materiali di diversa provenienza in una propria, personale interpretazione,
coerente in sé con il resto del libro”122. In aggiunta a questo afferma che la fonte utilizzata
per i fatti di Perugia è un autore contemporaneo, e in taluni casi si dimostra la diretta
partecipazione di questo agli eventi; fra i brani di questo genere Gabba pone: “la
descrizione dell’assedio di Perugia e soprattutto dell’ambasceria di Furnio e dei suoi
compagni a Cesare con le successive discussioni nell’entourage di L. Antonio (App. b. c.
V, 40, 167- 41, 175; si rammenti che secondo gli Scholia Cruquiana ad Hor. serm. I, 10,
86, l’omonimo figlio di Gaio Furnio123 che fu console nel 17 a.C. avrebbe scritto di
storia)”124.
Si deve infine considerare il recente contributo di Mangiameli, in virtù di quanto
detto finora, nel quale l’autrice pone in evidenza il ritratto filorepubblicano di Lucio
Biffi a proposito sostiene che: “L’esaltazione di Messalla in App. b. c. V, 471-472 lascia intuire una
derivazione dalle sue Memoriae… per contro la storiografia di corte (Vell. II, 79, 4; Svet. Aug. 16, 6-8; Dio
XLIX, 5, 3-6; Oros. VI, 18, 27) sorvola sui meriti militari”; vd. Biffi 1994, p. 463.
120
Vd. Biffi 1994, p. 464.
121
L’espressione utilizzata è tratta dall’opera di Velleio (vd. Vell. II, 79, 3) e si riferisce a Sesto Pompeo;
viene qui riportata per il suo valore propagandistico che si ritrova nella tradizione storiografica successiva;
cfr. Valentini 2009, pp. 50-51,63.
122
Vd. Gabba 1970, p. XV.
123
Vd. PIR2, F 591; Trombetta in corso di stampa.
124
Vd. Gabba 1970, p. XVI.
119
125
126
Antonio che emerge in diverse occasioni dal testo di Appiano125. In particolare
Mangiameli mette in luce diversi punti comuni tra “l’adlocutio di Cassio alla vigilia di
Filippi”126 e quella di Lucio Antonio, riportate o rielaborate dallo storico
alessandrino127.
Vd. Mangiameli 2012, pp. 193-195.
Vd. Mangiameli 2012, p. 192; Etienne Duplesis 2013, p. CXIII.
127
Per il discorso di Cassio, vd. App. b. c. V, 37; per Lucio, vd. App. b. c. V, 39, 159-161; vd. Mangiameli
2012, pp. 192-193.
125
126
126
127
CAPITOLO CONCLUSIVO
Il lessico della marcia
Si propone di seguito una tabella riassuntiva del lessico utilizzato dagli autori che
si occupano delle marce su Roma, in riferimento all’azione dei duces e dei milites nelle
situazioni analizzate nei capitoli precedenti. Sostantivi e verbi sono citati così come
vengono riportati dalle fonti.
Nelle fonti antiche non si riscontra un approccio univoco nel descrivere l’azione della
marcia; il lessico utilizzato dai diversi autori è vario principalmente perché:
a) Termini latini e greci non sono sempre traducibili con precisione, pertanto la
differenza linguistica influenza decisamente la narrazione dello stesso evento. Gli
autori grecofoni che utilizzano materiale latino come fonte per la propria opera
sono costretti a tradurre molti termini riadattandoli al proprio vocabolario.
b) L’interesse degli autori e l’intento delle opere che si occupano della marcia non
sono univoci; tra le fonti vi sono biografie, epistole private, orazioni politiche e
raccolte storiche che sono scritte in un arco cronologico molto ampio e
rispondono a finalità differenti.
c) Alcuni autori cercano di presentare i fatti mettendo in luce o in ombra la marcia
e l’ingresso in armi dell’esercito; questa rielaborazione storiografica avviene
soprattutto attraverso l’utilizzo di verbi che presentino l’azione come un atto
ponderato. Esemplare è il caso di Ottaviano: gli autori identificabili come
aderenti alla vulgata augustea utilizzano un lessico che non lascia intendere che
Ottaviano ottiene l’ambito consolato solamente grazie alla forza.
La dipendenza di alcuni autori rispetto ad altri si nota anche a livello lessicale.
Interessante osservare che il repertorio di termini latini utilizzati per narrare l’arrivo e
l’ingresso dei milites in città raramente coincide con i verbi o i sostantivi che solitamente
gli antichi utilizzano per far riferimento alla marcia delle truppe (iter; agmen; cursus;
127
128
prōcēdĕre; ecc.)1; questo è indice del fatto che non esisteva nell’antichità un verbo che
riassumesse efficacemente questo tipo di azione militare. Il significato che oggi si
attribuisce ad una marcia armata contro il luogo fisico del centro di potere non trova un
corrispettivo sufficientemente esaustivo da divenire termine per antonomasia. Sebbene
alcuni autori assumano, nel corso dei secoli, il ruolo di modello cui ispirarsi o da cui
discostarsi per la rappresentazione dei fatti, non si può affermare lo stesso sul piano
lessicale. Livio e Asinio Pollione sono testimonianze di primaria importanza per tutto il
periodo trattato e le loro opere vengono riprese e rielaborate dagli storici successivi fino
alla tarda antichità; tuttavia, questi non sintetizzano con la creazione di un neologismo il
nuovo modo di fare politica sperimentato a Roma nel corso delle guerre civili, forse
volutamente: con la creazione di un topos sarebbe stato difficile giustificare l’azione dei
protagonisti delle vicende in una visione condivisa pr cui le innovazioni, e a maggior
ragione quelle prodotte con la violenza, sono pregiudizialmente negative. La storiografia
filoaugustea risulta quella maggiormente impegnata nella rielaborazione delle vicende
probabilmente perché dipendente o costretta al confronto con il resoconto storico di
Augusto.
1
Cfr. Glare 1968-1982.
128
129
Fonti
latine
Venit /veniet
Silla
Ottaviano 43-44
a.C.
Antonio
L. Antonio
Milites
Liv. perioch.
LXXVI;
Cic. Att. XVI,11, 6;
Cic. Phil. III,
Oros. V, 19, 5
Liv. perioch. CXIX
2, 4
Eutr. V, 4
Inrupit/
Oros. V, 19, 5
cum exercitu
Val. Max. VIII,
inrumpente
6, 2
armatus
ingressus est
Legiones
circumegit
Liv. perioch. CXXV
Cic. Phil. XIII,
Eutr. V, 4
19;
Flo. II, 9, 6
(Urbem)
armis
Vell. II, 19, 1
occupavit
admotis
hostiliter
Svet. Aug. 26, 1
legionibus
Cum exercitu
Eutr. VII, 2, 1
profectus
geminum
urbi agmen
Flo. II, 9, 6
infudit
ut Romam
pergeret
Cic. Att. XVI, 8, 2
129
130
Fonti
Greche
ἥγιτο / ἥγεν
Plut. Sull. 9, 9;
App. b. c. I,
57, 253
ἄγειν
εἰσῆλθον
App. b. c. I,
App. b. c. III,
57, 252
88, 363
App. b. c. III,
41, 168
FGrHist 90 F,
Προπέμψαι/
138;
προπέστειλεν
Dio XLV, 13,
3
ἥκειν
περιστήσας
FGrHist 90 F,
138
Plut. Brut. 27,
3.
App. b. c. V,
ἐπειγό-μενος
30, 117
Dio XLVIII,
συνελθόντες
12, 1
App. b. c. III,
τὸν τρόπον
προήγαγεν
45, 184
App. b. c. III,
94, 386
Dio XLVIII,
λαβόντος
ήπείχϑη
13, 4
Zonar. X, 14.
130
131
Tra oscuramento ed imitatio
L’intervento della storiografia augustea sulle vicende tardo repubblicane
condiziona fortemente il repertorio di testimonianze successive, che rappresentano il
materiale più abbondante giunto fino a noi. Non sono solo le marce in armi contro l’Urbe
a subire la censura augustea, ma anche le vicende storiche precedenti: il ruolo reale svolto
da Ottaviano nelle proscrizioni; la sua debolezza in campo militare ecc. La tendenza di
tutti gli autori filoaugustei, o che dipendono quasi esclusivamente da fonti della vulgata,
a non esprimersi sull’episodio della marcia rispecchia la volontà del princeps. Come già
asserito nei capitoli dedicati ad Ottaviano, le fonti filoaugustee plasmano la realtà storica
diminuendo la gravità e l’illegalità dell’azione dell’erede di Cesare nel corso della sua
ascesa politica; una prima applicazione di questo approccio si riscontra nelle Res gestae
di Augusto in cui i fatti considerati screditanti per l’immagine del principe vengono
omessi. Pur avendo a disposizione due modelli cui ispirarsi, Silla e Cesare, Augusto
preferisce evitare di riportare alla memoria insidie e conquiste che possano macchiare la
propria immagine di portatore di pace e restitutor rei publicae.. Le Memoriae di Silla e i
Commentari di Cesare, testimonianze sicuramente note al tempo di Augusto,
rappresentano la responsabilizzazione per scripta della politica dei vincitori: anche
Augusto scrive un propria autobiografia che però non ci è giunta e della quale non
conosciamo i contenuti (se non in pochi casi); non si possono quindi formulare ipotesi
che consentano di indagare se e in che modo Augusto si inserisca in questa tradizione.
Silla e Cesare operano una consistente rielaborazione dei fatti volta a legittimare la
propria condotta; entrambi rimettono in discussione le loro scelte politiche e si esprimono
sulla marcia giustificandola in quanto necessaria a salvare lo Stato1.
Le Res gestae sono l’unica testimonianza della volontà di Augusto ma si tratta di un
documento pubblico, bilingue (in redazione bilingue); rappresentano la voce del princeps
quando ormai il suo potere e la sua posizione politica sono stabili; ciò nonostante il divi
filius prende distanza dal proprio passato e congeda in poche righe tutte le peripezie
Le Memorie di Silla non ci sono giunte ma grazie al contributo di Plutarco ed Appiano, che utilizzano
l’opera del dictator come fonte, risulta abbastanza evidente la scelta storiografica del primo; cfr. Muccioli
– Ghilli 2011, pp. 247-249; per Cesare, vd. Caes. b. c. I, 6-7; vd. André 1949, p. 58.
1
131
132
vissute durante il decennio di guerre civili, mettendo in luce esclusivamente i suoi meriti.
La differenza tra questo documento epigrafico e i contributi di Silla e Cesare è
considerevole poiché il primo viene concepito per essere accessibile a livello universale
mentre i Commentarii, come l’autobiografia del principe, si rivolgono a una nicchia
ristretta di politici e letterati dell’Urbe. Se la volontà di Augusto è di oscurare le vicende
personali che determinarono la sua ascesa politica, allo stesso modo anche la storiografia
della sua corte non poté essere libera nel trattare tali argomenti; infatti, autori che si
occupano del periodo tardo repubblicano ricordano le marce di Silla e Cesare ma non
quelle del 44 e del 43 a.C., pur narrando le vicende di quegli anni. Livio, la tradizione
liviana e Velleio sono indicativi per dimostrare la politica adottata dall’erede di Cesare
nei riguardi della produzione letteraria. Augusto influenza direttamente Livio e di
conseguenza tutto quel repertorio di fonti i cui autori si limitano a confezionare una storia
che si basa sul testo dell’autore patavino.
L’influenza di Augusto su alcuni autori per la rappresentazione del proprio ritratto
politico è nota, non altrettanto facilmente si delinea l’intervento che il principe può aver
operato nella rappresentazione delle marce dei suoi predecessori. Ciò che si nota è che
l’erede di Cesare non intendeva associarsi nella rappresentazione a personaggi come Silla
e Cesare che erano stati dittatori; in virtù della scelta di oscurare la propria marcia, si
ritiene che Augusto si preoccupi, in misura difficile da ricostruire, di non creare un legame
tra sé e gli altri exempla. Mentre nel caso di Antonio la damnatio memoriae gli consente
di censurare alcuni episodi scomodi, il modello di Silla a Roma e quello del padre adottivo
in Italia possono risultare assimilabili alla strategia di violenza perseguita da Ottaviano.
Nei confronti di Silla, Augusto non può, pur essendo discendente acquisito di Cesare e
quindi anche di Mario, in qualità di promotore della pax e della concordia ordinum,
screditare a proprio vantaggio l’operato del console dell’88 a.C. in modo diretto: Silla era
un modello positivo per quella parte di nobiles tra i quali Augusto cercò il consenso anche
dopo la fine delle guerre civili. Nella marcia di Silla la voce della vulgata proviene da
Appiano e soprattutto da Plutarco, il quale sostiene esplicitamente di avvalersi di Livio;
entrambi gli autori descrivono il personaggio di Silla, nel suo avvicinarsi a Roma e nel
conquistarla, con toni che minano la coerenza della sua azione: le passioni investono
132
133
l’assediante che compie atti indegni verso l’Urbe e i suoi cives2. Il dato evenemenziale
non si scinde facilmente dalla rielaborazione storiografica; non è chiaro quanto ci sia di
vero nella narrazione ma nel complesso si coglie che in alcune sezioni della narrazione
entrambi gli autori scelgono di non riportare la voce di Silla e di avvalersi di altre
testimonianze. Silla dà l’ordine di attaccare la città e minaccia i difensori di dar fuoco alle
loro case: è verosimile che egli stesso scagli un dardo per aprirsi un passaggio? 3 Molti
punti in comune di questi episodi che sicuramente evadono dalla narrazione sillana nei
resoconti di Plutarco e Appiano si riscontrano in testimonianze dipendenti da Livio. Nel
confronto con Silla si può ritenere che Augusto, tramite lo storico patavino, abbia cercato
di rimarcare una certa distanza.
Diversamente si esprime la tradizione antica nel confronto tra Cesare e il vincitore di
Azio. Il rapporto più diretto tra Augusto e Cesare si istituisce per le virtutes in comune:
cardini della propaganda augustea, che emergono anche nelle fonti in riferimento alle
marce, sono la pietas, che Ottaviano sfrutta per assoldare i milites cesariani, e la
clementia, che il comandante dimostra nel suo ingresso in armi a Roma. Ottaviano si fa
forte dell’influenza di Cesare presso gli eserciti e il popolo; tuttavia, il padre assassinato
e la pietas di Ottaviano nei suoi confronti non trovano riscontro nella descrizione
dell’azione militare funzionale alla sua ascesa politica; al contrario questa virtus è al
centro dello scontro con i suoi avversari politici, sia Marco Antonio, quando questi si
oppone a lui nel corso del 44 in qualità di capofazione, sia verso i repubblicani Bruto e
Cassio, per vendicare il cesaricidio. L’ingresso in armi oltre i confini della legalità di
Cesare viene messo in ombra dalla vulgata e da Cesare stesso: si sposta l’attenzione verso
dettagli che sono politicamente e strategicamente ininfluenti; inoltre, è del tutto assente
una riflessione sulla gravità dell’accaduto che invece Appiano riporta come negli altri
casi.
Le marce sull’Urbe risultano un’esperienza ancora fresca e non codificata a Roma;
a differenza di altri episodi politici, non si canonizza un modello univoco di marcia nella
produzione letteraria per opera del vincitore; per questo Augusto evita a sua volta di
fornire un modello che lo ponga come imitatore dei predecessori. La tradizione sulle
2
3
Vd. Plut. Sull. 8-10.
Vd. Flo. II, 9, 6-7.
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134
marce si divide principalmente tra il filone liviano, condizionato direttamente dal
princeps, e tra storici che recuperano materiale eterogeneo diverso da Livio; tra questi
l’esponente principale è Appiano di Alessandria.
Sebbene i propositi di Augusto fossero volti all’oscuramento delle proprie vicende, si
riscontra nella memoria storica un’eccezione non prevista dal vincitore di Azio: Appiano
ricostruisce la seconda marcia su Roma di Ottaviano, avvalendosi dell’opera storica di
Asinio Pollione, ripercorrendo il modello fornito dall’autore per quella di Cesare.
Comparando le due marce è emerso un legame tra i due duces che, con ogni probabilità,
non risponde alle volontà di Augusto ma proviene dalla matrice storiografica
dell’opposizione repubblicana all’operato di entrambi4. Qualora fosse ascrivibile a
Pollione la creazione di un medesimo modello descrittivo, emerge il dubbio che la marcia
di Ottaviano sia stata confezionata con una forte rielaborazione rispetto al reale
svolgimento dei fatti: Pollione non è presente a Roma mentre accadono le vicende del
luglio-agosto del 43, si trova in Spagna in qualità di governatore5; non può dunque
assistere in prima persona, come nel caso di Cesare6 e dell’attraversamento del Rubicone,
così da descriverne altrettanto minuziosamente gli sviluppi. Per quanto non aderente ai
lietmotive della vulgata augustea, Pollione deve comunque confrontarsi con la censura di
Augusto: non può scrivere di chi può proscrivere!7 Quindi l’autore si adopera ad utilizzare
l’unica strategia storiografica che può consentirgli di narrare l’arrivo in armi in città di
Ottaviano, ovvero rappresentando l’atto come un’imitatio Caesaris: una strategia
elogiativa se si considera Pollione filocesariano. Si esclude che Appiano abbia ricostruito
lo sviluppo dell’intera vicenda di propria iniziativa; la marcia di Ottaviano viene anche
descritta da Cassio Dione che si esprime similmente a proposito.
Che effettivamente Ottaviano in fieri ponderi questa strategia, per perpetuare la pietas
verso Cesare, rimane comunque plausibile, ma in tal caso il princeps dovette cambiare
Per i due testi in questione, cfr. App. b. c. II, 35, 137 - 36, 38-152 (per Cesare); III, 87, 358 - 94, 387
(per Ottaviano).
5
Cfr. MRR, II, p. 343.
6
Plutarco (vd. Plut. Caes. 32, 7-9) ci informa che Pollione era presente presso il seguito di Cesare quando
questi era in procinto di attraversare il confine dell’Italia in armi; riporta dunque la versione di Pollione
sui fatti piuttosto che quella di Cesare, un “récit tendancieuz”; cfr. André 1949, p. 58.
7
Si fa riferimento a una frase che viene attribuita a Pollione in risposta a delle accuse da parte di
Ottaviano; vd. Macr. sat. II, 4, 21: “at ego taceo. Non est enim facile in eum scribere, qui potest
proscriberei”.
4
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idea in seguito, omettendo i fatti coerentemente con le Res gestae: dopo la vittoria di Azio
Augusto nonn aveva più interesse a celebrare il modello di Cesare presso i soldati poiché
questi ultimi non erano più la sua principale preoccupazione come lo erano nelle guerre
civili. L’unica ipotesi plausibile e che trova diversi riscontri è che Pollione
intenzionalmente ricostruisca la marcia di Ottaviano sulla base di quella di Cesare.
L’invio dei centurioni, l’attraversamento del Rubicone e la celeritas con la quale si svolge
la marcia sono elementi che caratterizzano entrambe le narrazioni. L’intervento di Asinio
Pollione sulla memoria avvalora l’ipotesi che la ricostruzione storica sia inficiata dal
controllo augusteo nella produzione storiografica: per quanto Pollione abbia una visione
degli avvenimenti limitata per la sua distanza dall’Urbe, può disporre di numerose
informazioni sullo sviluppo degli avvenimenti. Si deve escludere che il cliché con il quale
ricostruisce l’azione ottavianea nasca per mancanza di notizie certe. In quest’ottica,
l’episodio del centurione Cornelio, capo della delegazione dei centurioni dell’esercito di
Ottaviano8, risulta ancora più sospetto; la frase pronunciata dal soldato e l’intero episodio
possono essere accomunati ad un’altra vicenda legata a Cesare riportata da Plutarco e
Appiano9: entrambe le esclamazioni sono vicine nelle tematiche e nel tono patetico
teatrale che trova riscontro nella tragedia le Fenicie di Euripide. Questi indizi lasciano
supporre che sia stata operata una ponderata ricostruzione storiografica della scena di
entrambi gli episodi, riconducibile ad un’unica fonte da identificarsi con Pollione. Sia
Plutarco nelle vite di Cesare e Pompeo10che Appiano11 recuperano il testo di Asinio
Pollione; si può perciò ipotizzare che lo stesso valga per Svetonio e Cassio Dione, i quali
riportano l’episodio in riferimento ad Ottaviano. La creazione di un modello di marcia
stereotipata, preceduta da ambascerie di milites al Senato che minacciano l’uso della forza
in seguito al rifiuto della diplomazia, è funzionale a deresponsabilizzare il dux: da un lato
quindi devia l’attenzione della questione della legittimità dell’impresa verso dettagli
Vd. Svet. Aug. 26; Dio XLVI, 43, 4.
Plutarco sostiene si tratti di una frase pronunciata da un centurione (vd. Plut. Caes. 29, 7) o di un
ufficiale (vd. Plut. Pomp. 58, 3) di Cesare mentre Appiano attribuisce a Cesare stesso la frase; vd. App. b.
c. II, 25, 97. cfr. Capitolo 3.
10
Cfr. Marcone 2000, pp. 47-48; Pelling 2011, p. 302.
11
Vd. Gabba 1956, p. 132; Zecchini 1972, pp. 1263-1271; Randholz 2009, pp. 446-449.
8
9
135
136
teatrali12 (come appunto il richiamo al teatro greco, amato dallo stesso Augusto13);
dall’altro questo espediente consente alla testimonianza primaria, Asinio Pollione, di
trattare il tema delle marce senza incorrere nella censura del vincitore delle guerre civili.
Le frasi dei soldati pronunciate in risposta ai senatori vanno interpretate come rumores
atti a suggestionare il lettore; sono un espediente letterario confezionato da Pollione, poi
ripreso anche dagli altri autori.
La posizione politica di Asinio Pollione non è immediatamente riconoscibile; si comporta
come un fauctor Caesaris anche dopo la morte del dittatore; ma sia nel 49, con lo scoppio
delle guerre civili, che nel biennio 44 – 43 a.C., si presenta alla curia, grazie al carteggio
con Cicerone, come un repubblicano moderato a cui premono prima di tutto la pace e la
libertas. L’idea di Stato di Pollione che emerge dall’Epistolario è molto vicina agli ideali
professati da Cicerone: dal carteggio tra i due si coglie la volontà di un consensum
universorum14 che è in linea con le scelte politiche di Pollione. Sebbene il console del 40
a.C. si trovi, con molte probabilità, a marciare insieme a Cesare ed ad accettare i propositi
del triumvirato, in seguito alla marcia su Roma di Ottaviano lo storico si mantiene ostile
a quest’ultimo poiché schieratosi, fin da dopo il cesaricidio, con Antonio. Fedele ai propri
princìpi politici, di cui si trova traccia nell’epistolario e che si discostano dalla politica
prima ottavianea e poi augustea15, dopo il 39 a.C., quando celebra il trionfo contro i
Parthini, si ritira a vita privata dedicandosi all’otium letterario durante il quale scrive la
sua storia ‘di opposizione’ . L’alleanza politica con Antonio si perpetua anche dopo la
guerra di Modena; Pollione si avvicina ad Antonio con l’esercito di cui dispone solo dopo
la presa di potere violenta dell’erede di Cesare16; per questi motivi, alcuni autori moderni,
considerano l’autore come un promotore nè di Cesare nè di Antonio ma della causa
Repubblicana17; tuttavia sia il carteggio con l’Arpinate che il temporeggiare del 43 a.C.
nella provincia di competenza dopo Modena, vanno viste come il riflesso di strategie
Wiseman ritiene che l’episodio dell’attraversamento del Rubicone sia descritto nella storiografia
romana come una scena teatrale, cfr. Wiseman 1998, pp. 60-63.
13
Cfr. Svet. Aug. 25, 4.
14
Esemplare per spiegare la posizione di Pollione è l’epistola dell’aprile del 43; Cfr. Cic. fam. X, 31, 3-6;
per un analisi accurata del carteggio con l’Arpinate, vd. Massa 1993, pp. 409-513.
15
Cfr. André 1949, pp. 40-59; Massa 1993, pp. 503-510.
16
Vd. Liv. perioch. CXX; App. b. c. III, 97; contra Vell. II, 63, 3; quest’ultimo risulta però tendenzioso e
poco affidabile per la veridicità storica; cfr. Bosworth 1972, p. 461, nt. 120.
17
Vd. Massa 1993, pp. 499-501.
12
136
137
politiche adottate da Pollione, come da altri cesariani, per sondare l’indirizzo di una
factio, quella cesariana, che aveva perso l’unità con gli eventi successivi al cesaricidio.
L’opposizione di Pollione ad ogni forma di dominatio, che si palesa nell’interpretazione
storica dei fatti delle guerre civili, non viene sempre privilegiata; con Cesare Pollione
aveva fatto carriera e non aveva motivo di presentarlo negativamente, mentre con
Ottaviano lo storico rimane ostile anche durante il principato18.
Sulla stessa posizione politica durante il principato, si colloca M. Valerio Messalla
Corvino, autore di una storia che non ci è giunta ma il cui retaggio si riscontra, ancora, in
Appiano. Come Asinio Pollione, anche Messalla tratta le tematiche delle guerre civili
riportando la visione politica repubblicana in opposizione alla linea narrativa seguita dalla
vulgata augustea; l’opera che compone mette in luce L. Antonio ed affronta la sua marcia
come una lotta per la libertas contro la tirannide19. Ne consegue l’immagine di un Lucio
Antonio paladino della Repubblica mentre i triumviri, Ottaviano soprattutto, rivestono il
ruolo negativo di antagonisti. Tutta la vicenda dello scontro in Italia tra veterani e veteres
possesores non è argomento di discussione nelle fonti filottavianee poiché ciò che ne
consegue tra Lucio e Ottaviano assume i connotati di una lotta tra il potere triumvirale e
quello consolare che si risolve solo dopo Perugia, con la sconfitta di Lucio: si tratta di
un’opposizione al triumvirato che Augusto, da vincitore, non vuole venga ricordata.
Anche la figura di Lucio Antonio e la sua marcia trovano un riscontro negli episodi
precedenti; in particolare, si nota una corrispondenza con il personaggio di Silla: giunto
in città nelle vesti di generale, L. Antonio tiene una contio nella quale esprime gli ideali
politici, tipicamente repubblicani, per i quali intende liberare Roma dai tiranni. Il passo
appianeo che recupera l’opera di Messalla è vicino a quanto asserisce Silla, mentre marcia
su Roma20.
Asinio Pollione e Messalla hanno diversi punti in comune che rispecchiano il
gusto e le scelte storiografiche di Appiano; grazie alla ripresa dei loro contributi è
possibile ricostruire un quadro più completo e meno semplicistico delle vicende storiche
tra Cesare e Ottaviano. Entrambi gli autori pubblicano le loro opere quando le guerre
civili sono concluse da quasi un decennio e non incombono direttamente nelle censura di
Cfr. Morgan 2000, pp. 65-68.
Cfr. App. b. c. V, 30, 116.
20
Cfr. App. b. c. I, 57, 253.
18
19
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138
Augusto (come invece si ipotizza toccò ad altre opere)21. Il divi filius cerca di esercitare
un controllo della produzione ma Pollione e Messalla sembrano in parte svincolati dal
giogo della censura; potrebbe non essere un caso che la pubblicazione delle loro opere sia
avvenuta dopo che Augusto decide di non rivestire più il consolato ma assume la
tribunicia potestas perpetua; il consolato a Roma non consentiva alcun controllo sulla
produzione letteraria ma ci si deve domandare e se i senatori, soprattutto di fede non
favorevole al prnceps, percepiscano la scelta di Augusto come una svolta politica. Nella
speranza di un cambiamento, forse, entrambi gli storici contribuiscono a fornire
un’interpretazione dei fatti che viene sempre più adombrata dal principe soprattutto dalle
pressioni che esercita presso i circoli di intellettuali.
Tra fatti e topoi
Tra i risultati dell’indagine sulle marce emergono diverse novità per la ricerca e
analogie, tra cui le rielaborazioni storiografiche riguardanti i viri militares coinvolti nelle
vicende. Come si è posto in evidenza nei capitoli precedenti, nella storiografia i rari
episodi di marcia della tarda repubblica non vengono trattati in modo univoco dalla
traizione letteraria; tuttavia si nota a più riprese un riadattamento da parte degli autori
antichi, per cui situazioni già sperimentate e codificate nella tradizione Romana servono
da paradigma per spiegare i fatti. In particolare, nelle testimonianze sulle marce si
ripropone l’equivalenza marciante – nemico, e talvolta, si riscontrano elementi che
giustificano i comandanti che muovono contro l’Urbe, pur nell’azione extra mores. Uesto
studio ha messo in luce come nella memoria storiografica delle marce su Roma si
ravvisino delle analogie, esito in alcuni casi di una ripresa in rebus da parte di chi marcia
di episodi precedenti della stessa tipologia e in altri casi della omologazione da parte delle
fonti di eventi della stessa natura. La difficoltà di questa sintesi ricostruttiva consiste nel
separare il dato evenemenziale dal labor limae operato da alcuni autori all’interno del
Lo stesso Orazio si preoccupava della pubblicazione dell’opera di Pollione, vd. Hor. carm. II, 1; per la
censura augustea, cfr. Finley 1977, pp. 608-609; Cresci Marrone 1993, pp. 224-228, 264.
21
138
139
proprio lavoro, dettato dalla volontà da parte di questi ultimi di distogliere, oscurare o
esaltare un fatto attraverso uno stereotipo.
Le voci dei vincitori nel riportare i dati evenemenziali risultano quelle che più
facilmente creano interpretazioni soggette ad assurgere a modello; per questo motivo,
Silla, Cesare e Ottaviano vanno identificati come primi responsabili della produzione di
una memoria distorta, dato che la marcia rimane un atto illegale, da omettere anche
quando la posizione di potere raggiunta dai leader è stabile.
Il punto di partenza per questo confronto è l’individuazione delle differenti matrici della
produzione letteraria riflesso dell’orientamento politico degli autori; le fonti coeve ai fatti
si dividono appoggiando le opposte factiones che si contendono la scena politica della
tarda repubblica; le testimonianze post res offrono a loro volta, più o meno
consapevolmente, una visione faziosa: è in queste fonti che ricorrono maggiormente i
topoi.
Le motivazioni che determinano le marce sono accumunabili tra loro: si tratta di
uno strumento funzionale ad ottenere maggiore potere all’interno dello Stato, in
precedenza negato a colui che intraprende la marcia dalla classe politica oligarchica. Le
marce perciò non sono volte a destabilizzare l’ordinamento ma sono indirizzate
all’accrescimento del potere che viene percepito come illegittimo: sono marce contro una
factio in Senato o contro l’intero ordo senatorio. Questo principio si evidenzia in più
occasioni e in particolare spiega la scelta di Cesare di non giungere a Roma con l’esercito
bensì il dove si trovavano i senatori. Le voci dei leader che marciano appaiono
univocamente interessate al bene della res publica; sebbene compaiano elementi della
pubblicistica e della propaganda di diverse fazioni, l’obiettivo rimane quello di
appropriarsi o riappropriarsi del potere legittimo attraverso un atto extra mores, sacrilego
ed illegale, con il fine di tornare all’ordine costituzionale. Anche nel 41 a.C. con la marcia
dei milites verso l’Urbe, senza un dux che li guidi, i soldati giungono alle porte di Roma
per trasmettere delle comunicazioni a popolo e Senato; si costituiscono giudici sopra le
partes politiche, sorpassando poi il loro giudizio di cives votanti22.
La volontà di assumere una posizione di potere da parte delle singole personalità
caratterizza ciascuna delle marce: i viri militares sfruttano le necessità sociali facendosi
22
Vd. Dio XLVIII, 12, 1-2.
139
140
forti dell’appoggio delle truppe che condividono interessi e fortuna dei loro comandanti.
La politica dei donativi e delle promesse che inaugura Silla ritorna in più occasioni; con
questo espediente, grazie alla riforma militare di Mario che porta al professionismo
militare, i soldati assicurano fedeltà al comandante (non sono più vincolati alla Patria
attraverso il loro stesso podere che li rende possidenti-soldati). Si instaura un rapporto
miles-dux che è direttamente proporzionale a quello denaro-potere. I soldati conferiscono
potere al comandante con il loro servizio; le marce sono l’apogeo di questo gioco di forze
che sorpassa i rigidi confini del mos maiorum, del sacer, dello ius. Hanno origine perciò
i meccanismi propagandistici coevi e post eventum che vogliono attribuire un’immagine
positiva a coloro che decidono le marce e le guidano; in risposta, la factio soccombente
nel conflitto produce rappresentazioni opposte. Dai processi rielaborativi della
propaganda e della letteratura vanno esclusi i tentativi in fieri di riconciliazione e
mediazione: il Senato risponde alla minaccia delle truppe che muovono verso l’Urbe
inviando ambascerie ai viri che marciano. Questa mossa strategica della curia viene
registrata esclusivamente nei casi di Silla, di Cesare e di Ottaviano (nel 43 a.C.), ovvero
quando è proprio il gruppo senatorio ad essere preso di mira. L’invio di ambasciatori, tra
dictat e richieste di pace, risulta una costante degli strumenti antecedenti allo scontro e in
nessun caso arresta l’evolversi degli eventi: il Senato cerca di rispondere attraverso il
consueto modus operandi per evitare un conflitto civile. Se si possono escludere
rielaborazioni delle fonti riguardo al comportamento del Senato, è inevitabile che queste
ultime siano faziose nei confronti dei leader che marciano. Nel caso di Silla nell’88 e di
Ottaviano nel 43 a.C., i soldati strumentalizzati dai comandanti dimostrano una sospetta
ferocia nei confronti delle ambasciate del Senato; i milites si fanno promotori della
risposta cacciando con l’uso della violenza i legati. Il racconto conserva sicuramente un
nucleo di verità, riproducendo almeno parzialmente lo svolgersi degli eventi, ma non è
immune dal condizionamento della propaganda, all’origine delle distorsioni
storiografiche: sia Silla che Ottaviano intendono farsi promotori della voce dei soldati e
responsabilizzano questi ultimi per le decisioni in cui si interrompono le comunicazioni
della legalità. Le azioni dei comandanti in quest’ottica risultano obbligate dalla condotta
dell’esercito, anche se il successo porta privilegi ai duces.
Alla stesse strategie di distorsione della memoria storica appartiene un altro
espediente screditante che trova spazio nelle testimonianze favorevoli a chi marcia: i
140
141
nemici schierano tra le loro fila soldati di condizione servile. Gli episodi in cui si attua
questa pratica vengono enfatizzati dalle fonti per l’inusualità e l’intollerabilità che questi
suscitano presso i lettori; nonostante le riforme mariane inglobino nell’esercito i capite
censi, gli schiavi non sono cives e la pratica di comprendere gli schiavi nelle file
dell’esercito è contraria e fortemente in contrasto con il costume romano. Silla al suo
ingresso in città si trova a scontrarsi con gli schiavi assoldati da Mario, ai quali
quest’ultimo promette la libertà per il servizio militare prestato al suo seguito: l’episodio,
ricordato da più fonti, può considerarsi verosimile ma viene enfatizzato per screditare
Mario23. La matrice della notizia deriva con molta probabilità da Silla stesso che viene
ripreso da autori successivi; nella sua biografia su Silla, Plutarco afferma di avvalersi
delle Memoriae del dittatore per la sua vita. L’ipotesi che sia da attribuire allo stesso Silla
il racconto dell’intervento degli schiavi come strumento per colpire politicamente
l’avversario viene avvalorata da altri episodi della ‘Vita di Silla’, nei quali gli schiavi
vengono schierati contro il console dell’88 a.C. per contrastarlo24. Gli eserciti contro i
quali combatte Silla vengono posti così ad un livello sociale inferiore e ciò rende
accettabile la posizione del vincitore.
Un altro episodio in cui gli schiavi partecipano alle marce viene attribuito da Cassio Dione
a L. Antonio; nella marcia del 41 a.C. il console porta con sé, oltre ai soldati di cui
dispone, dei gladiatori25. A differenza del caso precedentemente analizzato, nella versione
dello storico bitinico è Lucio a chiedere l’aiuto degli schiavi, non chi difende l’Urbe.
Questa testimonianza risulta inaffidabile poiché Lucio disponeva di un vasto seguito,
maggiore di quello di Ottaviano26, perciò non avrebbe avuto bisogno di assoldare
gladiatori di condizione servile; si tratta dunque di una fonte in cui emerge il retaggio di
una volontà screditante da parte della vulgata augustea. In Cassio Dione la figura di Lucio
Antonio risalta negativamente; anche quando conquista la città strappandola alle forze
triumvirali, descrive Lucio come un generale piuttosto che come console27.
Si deve concludere che la versione dei fatti sulle marce nella storiografia sia
fortemente inficiata dalla politica dei vincitori; sebbene alcuni autori decidano di
Vd.Val. Max. VIII, 6, 2; Plut. Sull. 9, 3-5; Mar. 35; App. b. c. I, 58, 262; Oros. V, 19, 4-5.
Vd. Plut. Sull.18, 8; App. Mithr. 48, 189; cfr. Muccioli – Ghilli 2011, p. 364.
25
Vd. Dio XLVIII, 13, 5-6
26
Vd. App. b. c. V, 26, 105-106.
27
Vd. Dio XLVIII, 13, 5.
23
24
141
142
avvalersi di un patrimonio di fonti eterogeneo o scelgano di confrontarne diverse per
proporre una propria interpretazione, buona parte delle testimonianze antiche subisce
l’influenza della versione dei vincitori delle guerre civili. La scelta storiografica di
esprimersi su determinati argomenti, pericolosi per i risvolti politici, comporta l’utilizzo
di strategie comunicative tali da non mettere mai in cattiva luce il leader vincitore di cui
si parla; per questo, nel rappresentare alcuni episodi, il racconto abbandona la veridicità
storica e si colora di dettagli fuorvianti o screditanti. Descrizioni negative per l’arrivo in
armi in città accomunano le fonti quando si tratta della marcia degli sconfitti, (anche in
autori solitamente imparziali28), mentre per i vincitori si riscontrano principalmente due
atteggiamenti: l’omissione dell’accaduto, soprattutto nelle marce di Ottaviano, e la
rivisitazione storiografica delle vicende, tale da rendere legittima l’azione della marcia.
Riflessione storica sulla marcia
La marcia di eserciti verso la capitale è un’invenzione Romana proprio perché l’intento
dei promotori dell’azione, ed il risultato che ottennero, fu quello di dare voce a una
compagine politica che altrimenti non avrebbe avuto spazio. ‘Marciare’ va inteso come
l’uso volontario di un corpo armato appartenente ad un’istituzione, da parte di un
individuo o di una compagine politica, contro e la propria Patria. Questa azione dinamica
in cui si fonde l’ars militare romana e la politica non porta a rivoluzioni, bensì si configura
come uno dei numerosi fallimentari tentativi di cambiare lo status quo della tarda
Repubblica. I canali della comunicazione tra le parti vengono sostituiti dall’intervento
violento quando l’abilità oratoria e le clientele non sono più sufficienti per governare; il
Senato ostacola l’ascesa di alcuni viri e ciò dà adito a soluzioni estreme come le marce.
L’esperienza della marcia di Silla crea un precedente al quale la curia non risponde con
un provvedimento adeguato al termine del governo sillano: i valori, il costume romano,
non erano più sufficienti per placare la brama di potere delle personalità emergenti. Un
equilibrio che porta alla fine delle ripetute marce sulla capitale viene raggiunto solo con
Per un esempio si tenga presente la versione di Appiano sull’arrivo in armi di M. Antonio nel 44; vd.
App. b. c. III, 45, 184
28
142
143
Augusto; a quest’ultimo, a differenza dei predecessori, va il merito dii accorgersi del
pericolo e del peso politico rappresentato dai milites. La volontà di Augusto, che marcia
con gli eserciti sulla capitale per tre volte, è quella di ristabilire la pace interrompendo le
illegalità e placando qualsiasi tumulto con la creazione di uno Stato nuovo. Il princeps
attua questo proposito solo dopo la vittoria di Azio e decide di non menzionare nella
memoria storica il suo passato politico, segnato dall’illegalità. Cogliendo l’importanza
dell’esercito e le potenzialità politiche di quest’ultimo, Augusto protegge la nuova
costituzione sia attraverso il suo intervento nella cultura storica, sia prendendo
provvedimenti per la sicurezza del centro di potere attraverso l’istituzione della guardia
pretoriana.
Le marce sull’Urbs sono una caratteristica quasi esclusiva della Roma tardo
repubblicana; si tratta di azioni nelle quali emerge un unico soggetto politico non ancora
riconosciuto, che viene strumentalizzato da esponenti di spicco della classe politica, ma
la cui voce risulta preponderante durante le guerre civili.
143
APPENDICE
Cesare passa il Rubicone:
utrum de imperatore populi Romani an de Hannibale loquimur?604
La notte del 10 febbraio del 49 a.C. C. Giulio Cesare attraversa il Rubicone, fiume
che segna il confine a Nord dell’Italia con le Gallie, determinando con questa sua mossa
l’inizio della guerra civile contro Pompeo Magno e gli optimates. L’attraversamento del
flumen con la sola legione di cui dispone (è infatti in attesa dell’arrivo del grosso
dell’esercito che sta marciando verso l’Italia) viene interpretato come una dichiarazione
di guerra in quanto il dux ha violato il decreto del Senato; la Curia aveva in precedenza
preso provvedimenti sul rientro del comandante delle Gallie a Roma come privato
cittadino, negandogli il permesso di ripresentare la candidatura al consolato in absentia.
Era consuetudine a Roma che nessun cittadino in armi varcasse il confine sacro della città:
evadere la ritualità del sacro risultava sinonimo di illegalità. I primi giorni del nuovo anno,
mentre Cesare organizza l’avanzata delle sue truppe e la conquista di punti strategici nel
suolo italico, alcuni ambasciatori inviati dal Senato lo raggiungono presso la città di
Rimini; il dux, dopo aver ascoltato i messaggeri, propone le sue condizioni di pace in
cambio del permesso a candidarsi al consolato e del licenziamento delle truppe di Pompeo
(oltre che delle sue). Le richieste di Cesare arrivano a Roma in contemporanea alle notizie
sul suo repentino avvicinamento a Roma; i senatori, confidando in Pompeo, si spostano
con il comandante prima a Capua e poi a Brindisi. Cesare, ormai raggiunto dal suo
esercito al completo, punta allo scontro diretto con le forze di Pompeo e del Senato e non
intende dirigersi a Roma. Accortosi che un suo ingresso in armi nella Capitale sarebbe
stato vano, Cesare decide di raggiungere Pompeo, ormai nemico; questi conduce presso
il suo seguito insieme all’esercito anche i senatori; nell’Urbe rimangono solamente i
Patres che, per scelta politica o per timore, non hanno voluto partire con il dux del Senato.
Espressione utilizzata da Cicerone in riferimento all’attraversamento del Rubicone da parte di Cesare;
vd. Cic. Att. VIII, 11, 1.
604
144
Le fonti
A) La vulgata augustea e Appiano
Nei contributi aderenti ai modelli della vulgata augustea605, con la sola eccezione di
Cassio Dione606, la discesa di Cesare in Italia non viene presentata come una marcia verso
Roma; viene invece posto in luce l’episodio dell’attraversamento del Rubicone in armi
come dichiarazione di guerra e la successiva conquista da parte del dux delle piazzeforti
italiane. Diversamente la testimonianza di Cassio Dione presenta l’azione di Cesare come
una marcia su Roma che però non si concretizza; l’autore stesso afferma successivamente
nella narrazione che il comandante muta i suoi propositi dopo aver saputo della partenza
di Pompeo verso la Campania:
“Cesare saputo ciò non marciò contro Roma (capiva infatti che la città restava come
premio del vincitore, e diceva che la sua azione era diretta non contro di essa, quasi fosse
sua nemica, ma in difesa di essa, contro i suoi avversari politici)”607.
Il resoconto di Appiano va considerato separatamente alle altre testimonianze in quanto
l’autore attinge a fonti non riconducibili esclusivamente alla vulgata augustea per la
descrizione dei fatti; tuttavia, anche lo storico alessandrino non tratta l’episodio come una
marcia su Roma bensì come un attacco all’avversario Pompeo e al Senato608.
Vd. Liv. perioch. CIX; Vell. II, 50, 4; Flor. II, 18; Plut. Caes. 32; Pomp. 60, 4; Svet. Caes. 32; Oros. VI,
15, 3.
606
Vd. Dio XLI, 4, 2.
607
Dio XLI, 10, 1. “τε ὡς ἑκασταχόσε ἔπεμπε· Καῖσαρ δὲ ἐπειδὴ ταῦτα ἔμαθε, πρὸς μὲν τὴν Ῥώμην οὐκ
ἠπείχθη (ἆθλόν τε γὰρ αὐτὴν ᾔδει τοῖς κρα- τήσουσι προκειμένην, καὶ οὐκ ἐπ’ ἐκείνην ὡς καὶ πολεμίαν οἱ οὖσαν, ἀλλ’ ἐπὶ τοὺς ἀντιστασιώτας ὑπὲρ αὐτῆς δῆθεν ἐπιστρατεύειν ἔλεγε)”.
608
Per le vicende vd. App. b. c. II, 35, 137-141. L’opera di Asinio Pollione è la fonte principale di Appiano
per i fatti in questione (cfr. Zecchini 1972, pp. 1263-1271); l’autore era presente al seguito di Cesare quando
questi passa il Rubicone. Secondo Randholz la descrizione dell’attraversamento del Rubicone viene ripreso
da diversi autori (Lucano, Pluatrco, Svetonio, Appiano) sulla base del testo di Pollione; cfr. Randholz 2009,
pp. 446-449.
605
145
B) La versione di Cesare
Cesare lascia memoria nei suoi ‘Commentari’ della propria versione dei fatti
riguardanti il conflitto civile609; l’eco nella tradizione storiografica successiva è
considerevole poiché lo stesso Livio, autore da cui dipendono molto delle opere
successive, potrebbe aver attinto da questo scritto. Cesare stesso non menziona né il
Rubicone né la marcia verso l’Urbe: il suo ingresso in Italia e gli scontri con i generali
pompeiani sono presentati, paradossalmente, come una difesa della libertà e dei diritti che
gli sono stati negati. Questa lettura degli eventi è sicuramente funzionale agli intenti
propagandistici e apologetici del dux: uno dei motivi per il quale viene pubblicata l’opera
di Cesare è infatti legittimare la propria azione politica.
609
Per Cesare e la sua versione dei fatti vd. Caes. b. c. I, 9-12.
146
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Si adottano le abbreviazioni utilizzate nell’Aph. Si precisa inoltre che le traduzioni delle fonti latine e
greche presenti nel testo sono state scelte tra quelle proposte nelle referenze bibliografiche di questa
ricerca.
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