“Ti aspetti la città di Al Capone e trovi viali sereni, tra gli edifìci neoclassici dell’Esposizione universale del 1893. Letture giovanili ti parlano dei mattatoi di Chicago; invece ti appaiono fantasticigrattacieli.Ilcentro città ti si dispiega miracolo d’architettura, che sta all’urbanisticadelNovecento come Venezia a quella del Quattrocento. Ti aspettavi una città continentale, al centrodelNordamericaetisi paraunacittàmarina.”Sullo sconfinato Lago Michigan, Chicago è la più americana delle città statunitensi (basti pensare che McDonald’s è una sua multinazionale) e, diversamente da New York, SanFranciscooLosAngeles, a Chicago si ha il reality check,ovveroilpolsodiquel che pensa l’America vera, profonda.Comeundetective, Marco d’Eramo si addentra nellacittàelainvestiga.Vive l’avventura dell’esplorazione diuneuropeotrapiantatocon tutto il suo bagaglio concettuale dal Vecchio Mondo nella sconosciuta Chicago, conservando lo sguardo alieno e lo stupore da straniero. Arriva così a riconoscereilfamiliarepuzzo dimodernitàchecaratterizza questa città. Qui, si sono verificati tanti episodi centrali della modernità: la nascita dei grattacieli, la standardizzazione dei sapori, il sorgere della sociologia urbana, il primo reattore atomico,lascuolaeconomica dei Chicago Boys. Qui, in questa megalopoli multietnica, in questa Babele dei giorni nostri, si vede in atto la straordinaria potenza rivoluzionaria,sovversivadel capitalismopiùpuro. Marco d’Eramo, nato a Roma nel 1947, laureato in Fisica, ha poi studiato Sociologia con Pierre Bourdieu all’École Pratique des Hautes Études di Parigi. Giornalista, ha collaborato con “Paese Sera” e “Mondoperaio”, e collabora con“ilmanifesto”.Tralesue pubblicazioni:Inuovifilosofi (Lerici 1978), L’immaginazione senza potere, mito e realtà del ’68 (Mondoperaio 1978), la cura di La crisi del concetto di crisi(Lerici1980),Gliordini del caos (manifestolibri 1991),Viadalvento.Viaggio nel profondo sud degli Stati Uniti(manifestolibri2004)e, con Feltrinelli, Lo sciamano in elicottero. Per una storia delpresente(1999). Incopertina:©Photonica. Scansione,Ocre conversioneacuradi Natjus LadridiBiblioteche SaggiUniversale EconomicaFeltrinelli MARCOD’ERAMO Ilmaialeeil grattacielo Chicago:unastoriadel nostrofuturo Edizionerivedutae ampliata PrefazionediMike Davis ©GiangiacomoFeltrinelli EditoreMilano Primaedizionein“Campi delsapere”ottobre1995 Prima edizione nell''Universale Economica" novembre1999 Primaedizione(rivedutae ampliata) nell’"Unilversale Economica” SAGGIgiugno2004 Terza edizione marzo 2009 Stampa Grafica Sipiel Milano ISBN978-88-07-81571-3 La traduzione della Prefazionedi Mike Davis (© MikeDavis)èredazionale. Prefazione diMikeDavis L’11 luglio 1995 il servizio meteorologico nazionale avvertì gli abitanti diChicagocheMadreNatura stava per alzare le temperature al “calor rosso”. Era previsto il rapido arrivo di un’ondata di caldo potenzialmente letale che si sarebbe abbattuta sul Midwest, con l’epicentro in prossimità di Chicago. Il giorno successivo, mentre i termometri puntualmente esplodevano, i residenti in preda al panico saccheggiarono i negozi di elettrodomestici, portandosi via fino all'ultimo ventilatore e condizionatore disponibili nella zona. Era un panico tutt’altro che immotivato, dal momento che nella settimana successivaladifferenzatrala vitaelamortesarebbedipesa fin troppo spesso dalla possibilità di godere di un raffreddamentoartificiale. Chicago, si sa, è famosa perilsuoclimaestremo:una Mosca d’inverno, una Calcutta in estate. Come se fra la metropoli posta al centro del continente nordamericanoeilpoloNord, da una parte, e, dall’altra, il tropicocaraibicocorresseuna distanza non superiore all'altezza della Sears Tower. Ingennaioariapiùchegelida precipitaversosud,mentrein luglio la vallata del Mississippisitrasformainun vasto canale di raccolta dell’aria torrida che viene sospinta verso nord. A Chicago si usa comunemente direche,senontiuccidonoi rapaciartiglidelventopolare, sarà la calura estiva a soffocarti. Nel 1995, però, l’amministrazione cittadina esprimeva valutazioni molto diverse sulle responsabilità politiche nei riguardi di quellepunteestremedicaldo e freddo. Le bufere invernali rappresentano una minaccia diretta al commercio e al profitto, isolando il Loop, il quartiere degli affari, dalla cintura suburbana abitata dai pendolari e paralizzando l’aeroporto O’Hare, il più importante scalo aereo della nazione. Gli elettori, notoriamente tolleranti nei confronti della corruzione politica, diventano però spietati quando si sentono traditinelleloroaspettativedi validi servizi comunali nel periodo invernale. Di conseguenza, a Chicago la vista degli spazzaneve in funzione in un classico test per saggiare le capacità degli amministratori locali. Quando,nel1984,annoincui la città fu colpita da una pesante bufera di neve, gli interventi di pulizia delle strade furono estremamente maldestri, il sindaco Bilandic lu prontamente destituito dal suoincarico. Ilsoffocantecaldoestivo, invece, riesce di rado a ostacolare le attività commerciali o a incrinare il comfort delle classi medie che possono fare uso di impianti di aria condizionata. Sebbene a Chicago sia il caldo estremo, più che il freddo,arappresentareperla salute un rischio mortale, a restarne vittime sono tradizionalmente persone anziane, molto povere e, in stragrande maggioranza, di colore. Tali decessi, per di più, attirano l’attenzione generalesoloneicasiincuila mortalità raggiunga proporzioni da epidemia: come nella rovente estate del 1955, per citare l’ultimo esempio. A quarant’anni di distanza da quel disastroso evento,lacittà,benchéormai fosse massicciamente attrezzata per combattere le bufere di neve invernali, non disponeva di alcun piano di emergenza per affrontare una protratta ondata di caldo. Si dava quasi per scontato che gli individui socialmente più vulnerabili, privi di qualsiasi impiantodiariacondizionata, si raffreddassero usando economici ventagli o bagnandosi con l’acqua degli idranti. Qualche "normale” decesso per il caldo difficilmente avrebbe potuto mettereincrisiilsistema.Ma ciò che avvenne tra il 13 e il 20lugliofuunacarneficinadi dimensioni analoghe a quelle diunoscontrofraduejumbojet su una pista dell'O’Hare. In base a uno studio pubblicato negli "Annals of InternaiMedicine”,circa733 cittadinidiChicagomorirono in quei forni crematori in cui si erano trasformati i loro minuscoli alloggi e i fatiscenti edifici del Southside. Benché i funzionari municipali cercassero di giustificarsi tirando in ballo l’ira divina (che il 13 luglio aveva girato il termostato su 106 gradi Fahrenheit, corrispondenti a 41°C), nel 1996 una commissione scientifica dell’Amministrazione nazionale oceanica e atmosferica giunse alla conclusioneche,datiiprecisi avvertimentiforniticonlargo anticipo dall'Ufficio meteorologico,"sarebbestato possibile prevenire gran parte, se non la totalità, dei decessi causati da quella particolareondatadicalore”.1 La prevenzione, però, avrebberichiestochelostato di massima urgenza venisse riconosciuto prontamente. Invece, anche quando il numero di decessi da ipertermiaraggiunseitrezeri, l’atteggiamento dei funzionari municipali fu letargico, per non dire insensibile. Maria Antonietta si sarebbe senza dubbio riconosciuta nel monarca ereditario di Chicago. “Fa caldo,” si limitò infatti a dire il sindaco Richard M. Daley, "fa molto caldo. Abbiamo tuttiinostripiccoliproblemi, ma non esageriamo... A Chicago tutto è sproporzionato. Ed è per questo che la nostra città piace tanto. Perché ogni cosa arrivaallimiteestremo.”2 I limiti estremi durante quella lunga rovente settimana di luglio inclusero un parziale blackout (la ridotta erogazione di elettricitàdapartedell’Edison lasciò diverse zone cittadine senzaariacondizionata)euna "guerra idrica” che costrinse la polizia a scontrarsi con gli abitanti del centro città per impedirelorodifracassaregli idrantiantincendiocon"torce all'acetilene, martelli da fabbro, trapani meccanici e seghe, per farne scaturire l’acqua”. Intanto, mentre le ambulanze sfrecciavano vanamente da un ospedale all'altro,levittimedeicolpidi calore morivano come mosche per mancanza di personaleneirepartidipronto soccorso. A un certo punto metà dei nosocomi di Chicago chiuse le porte, rifiutandosi di accogliere ulterioripazienti. Ai margini del Loop, il responsabile dell'istituto di medicina legale tentava freneticamente di trovare carri refrigerati per gestire l’enorme flusso di cadaveri provenienti dall’obitorio cittadino,dovelesalmedelle vittime dell’ipertermia assommarono nel giorno di sabato a 300 e, la domenica successiva, a 240. "Nel momento più devastante dell’ondata di calore,” scrive Eric Klinenberg, “dieci enormi camion, più una caotica accozzaglia di ambulanze, macchine della polizia e automezzi dei pompieri adibiti al trasporto di cadaveri da ogni angolo della città, oltre a furgoni di troupe televisive e radiofonicheeautoprivatedi personale addetto alla sanità, ingombravano l’area circostante l’obitorio, formandounaparatadimorte così sconfinata e surreale da far sembrare incredibile che tuttociòstesseavvenendonel cuoredellacittà.” Nelsuostudiodiecologia politicasuldisastroprovocato dall’ondatadicaloredel1995 (che potrebbe essere letto comeunbrillanteepilogoaII maiale e il grattacielo), Klinenberg dimostra come il più largo tasso di mortalità fosse stato riscontrato tra afroamericanidiunacertaetà che vivevano soli nei quartieripiùpoverideighetti di South-side e Westside. Centinaia di vite avrebbero potuto essere salvate, sostiene,seildipartimentodi polizia avesse attivato le squadre appositamente addette al “controllo della comunità” affinché mettessero in guardia e, se necessario, evacuassero cittadinianzianiarischio.Ma il più giovane Daley e i suoi satrapi rimasero ancorati al dogma ufficiale, secondo cui ricadeva sulle spalle degli stessi poveri anziani la responsabilità di procurarsi un qualsiasi rimedio disponibile per sfuggire al calore. L’incapacitàdeglianziani di trovare tale rimedio e il fallimento dell’amministrazione cittadina nel soccorrerli, conclude Klinenberg, sono “segnoesintomodellenuove e pericolose forme di emarginazione e abbandono divenute attualmente endemiche nelle metropoli statunitensi e, in particolar modo, a Chicago”. Come hanno riconosciuto l’Ufficio meteorologico e numerose ricerche mediche, c’era ben poco di “naturale”, ammesso checifosse,neldestinodelle 733 vittime della peggiore sciagura verificatasi a Chicago.Quantoavvennenel luglio 1995 potrebbe essere meglioetichettato,suggerisce Klinenberg(citandoFriedrich Engels), come "strage sociale”. Nessuno, ovviamente, fu chiamato a rispondere penalmente di omicidio. Il “ChicagoTribune”,chesiera accanito su Bilandic per non aver usato tempestivamente gli spazzaneve, preferì tirare un pietoso velo sulle responsabilità di Daley in quel “piccolo problema” di centinaia di anziani cittadini morti di ipertermia. Né quel che era rimasto dei movimentiperidiritticivilie diPoterenero,untempocosì agguerriti,riuscìaimporreun dibattito pubblico sul sottofondo razzista della politica adottata in occasione dell’ondata di caldo. Alla fine, molti dei morti furono semplicemente sepolti in una fossacomuneeChicagoevitò imbarazzanti confronti sulla pesante vulnerabilità sociale che aveva reso possibile una simile ecatombe. L'ancien régime,nelcuimalignocuore Harold Washington aveva tragicamente mancato di conficcare un puntale d'argento, tornò alla sua prioritaria (e più lucrativa) preoccupazione: dare lustro all'immagine di un centro città rinato, di una Chicago che riapriva le braccia ai congressistieagliabitantidei dintorni. Questa falsa Chicago dovevecchiegloriedelblues, gangster e relitti industriali offrono una romantica ambientazione turistica - è solo l’ultima delle favolose facciate dietro cui antiche politiche di classe e razziale continuano a essere portate avanti con avidità e brutalità esemplari.Nonèuncasoche tantimartiridellasinistra-da Albert Parsons a Fred Hampton - siano sepolti proprioinquestacittà.Seèla più confortevole metropoli del Nordamerica, Chicago è anchelapiùspietata.Nonper assolvere New York o Los Angeles, che hanno le loro brave colpe, ma né l'una né l’altra di queste due città ha mai impiccato i leader del movimento operaio locale (comeèsuccessoaimartiridi Haymarket) o sparato su un corteo di pacifici scioperanti (è il caso del sanguinoso massacro del Memorial Day) o sommariamente giustiziato il capo delle Pantere nere locali(FredHampton). Marco d’Eramo descrive, con una visione fresca, esilarante e prettamente italiana, questi antichi campi di battaglia. Rifuggendo dall’approccio monografico della famosa scuola di Chicago,haavutoilcoraggio dicercarediincludereiltutto in una prospettiva storica globale. La sua Chicago è il capitalismo senza veli. In questa città, dove non molto tempo fa pascolavano i bisonti, la “strage sociale” è sempre stata una parte dell’epicoconflittoconcuila modernità capitalistica ha definito se stessa. Come i romanzi hard-boiled di Nelson Algren, i lamenti blues di Muddy Waters o, se vogliamo, Santa Giovanna dei macelli di Brecht, Il maiale e il grattacielo ricostruisce la Windy City senza abbellimenti di sorta. L’effetto è tonicamente dialettico. Il Capitale, dopotutto, era solo un abbozzoteorico:lastorianon espurgata di Chicago è la realtà. 1 S. Changon et al., ImpactsandResponsestothe 1995 Heat Wave: A Call to Action, in “Bulletin of the American Meteorological Society", 77, 7, pp. 14971506; Cnn, Chicago Braces for Another Scorcher, 29 giugno 1995; e National Weather Service, Public Affairs Office, Many Heat Deaths Pre-ventable, 1996 (cita Disaster Survey Report delNoaa). 2 Citato in Eric Klinenberg, Denaturalizing Disaster:ASocialAutopsyof the1995ChicagoHeatWave, bozza del 1999. Anche tutte le citazioni seguenti vengono dallabozza. Parteprima 1.ArrivoaChicagoland Ti aspetti la città di Al Capone e trovi viali sereni, tra gli edifici neoclassici dell’Esposizione universale del 1893. Letture giovanili ti parlano dei mattatoi di Chicago; invece ti appaiono fantasticigrattacieli.Ilcentro città ti si dispiega miracolo d'architettura, che sta all’urbanistica del Novecento come Venezia a quella del Quattrocento. Ti aspettavi una città continentale, al centro del Nordamerica, e ti si para una città marina. Per noi un lago grande è come il Lago di Garda o il Lago di Zurigo. Più spesso, la parola lago evoca le pozze alpine o le gocce dei castelli romani, il Lago di Nemi. Qui il Lago Michigan è un mare che si stendedavantiatesconfinato, 60.000kmqdisuperficie,150 chilometri per 400, come il Mare Adriatico. Le tempeste si abbattono sui frangiflutti e a volte gli spruzzi delle onde invadono l’autostrada urbana del “Lakeshore drive”, un vero e proprio lungomare. D’altronde l’area metropolitana di Chicago sembra disporsi lungo questo marecomeunastriscialunga quasi200chilometri,dasuda nord, dall’indiana al Wisconsin, e se Gary in Indiana fa già parte di "Chicagoland”,Milwaukeein Wisconsin sta per esserne fagocitata, in un unico immenso agglomerato litoraneo. D’inverno la morsa dei ghiacci stringe i grattacieli, i parchi,isuburbisconfinatidi villette unifamiliari. Dove il litorale è più aperto, le onde marine sono state paralizzate dal gelo mentre si abbattevano sulla riva e restano lì, sollevate a strati, lastre oblique di ardesia bianca bluastra, sovrapposte l'una sull’altra, inclinate ad angolo acuto sulla superficie. Nei porticcioli, i pescatori siedono sul ghiaccio, su vere e proprie sedie, davanti ai buchi in cui immergono le lenze:leautoritàavvertonodi mangiarenonpiùdiunavolta la settimana i pesci pescati nel lago vicino alle rive urbane, e di stare attenti ai pesci più grandi, cioè più vecchi, che hanno assorbito più inquinamento. Ma la gente se ne frega. D'altronde tutta l’acqua potabile della città arriva dal lago, da una conduttura che porta l’acqua dall’altomare (dall’"altolago”). Più di qualunque altra città marina, Chicago è squassata dal vento. Non per nulla il suo nomignolo è Windy City, la “città ventosa”, come è scritto anche sui pulmini scolastici, gli School buses. Le raffiche piegano i passanti, svellono i pali dei semafori. In tv, le previsioni del tempo non forniscono una sola temperatura,comedanoi.Ne danno due: quella dell’aria e quelladelvento(unpo’come dare la temperatura estiva all’ombra e al sole). L’aria puòesserea10sottozero,ma ilchili(il"gelo")delventoè a30sottozero.Leventatepiù glaciali vengono da nordovest, quando dall’Artico e dalla Siberia non trovano ostacoli nella loro discesa lungolapianacanadese.Con questo vento, con questi inverni, le stazioni della metropolitana sono sopraelevate all’aperto, senza nulla per riparare dalle folate digelo.Chiprendeitrasporti pubblici lo fa a suo rischio e pericolo: non usare - o non avere - l’automobile esige unapunizione. Ma già a primavera i marciapiedi delle strade sono invasi dai tavoli dei ristorantini. Al minimo tepore, costumi da bagno, canottiere, body. D’estate la folla si accalca sulle spiagge, come nei grandi lidi urbani, Glifada ad Atene, o San Sebastian. Molti fanno il bagno. Nel 1919 la prima sommossa urbana razziale scoppiò sul lido: un giovane nero aveva traversato in acqua la linea invisibile che separava i bagnanti di colore dalle ragazze bianche, e fu ucciso. D’estate i parchi lungo il lago si animano: festival di blues, concerti all’aperto, picnic e barbecue, pallaavolo,struscio,drague. Nei week-end la distesa azzurra si punteggia di una miriadedivelebianche. Questo mare rende anomala la geografia sociale di Chicago. In altre città interne degli Usa è dei ricchi l’ovest dall’aria pura, poiché ilventovisoffiaperprimo;è dei poveri l’est inquinato, in cui arriva l’aria già lordata dalle industrie e dagli umani. CosìEastSt.Louis.(Anchea LondraeaParigilaborghesia opulenta si è insediata all’ovest e ha lasciato l’est alla classe operaia.) Qui inveceilmareMichiganpone un limite invalicabile a est, e la distesa di terra si stende piatta come un biliardo per centinaia di miglia a settentrione, a meridione, a ponente.Ilquartierepiùricco della città si adagia dunque lungo le sponde del lago e l'asseovest-estèsostituitoda quello nord-sud: da sempre sonostatisituatiasudifetori, le fabbriche, i mattatoi, le raffinerie di lardo, gli stabilimenti puzzolenti dai miasmi acri: raffinerie di petrolioeacciaierieaccalcano le loro ciminiere verso Gary, al confine con l’indiana. Quasi solide nel loro spessore, dense volute di fumo multicolore, a volte arancioni, a volte bluastre, s’innalzano nel cielo. È nel profondo sud di Chicago che si trovano i ghetti neri. Invece, subito a nord e a sud dal centro degli affari, ecco i porticcioli con migliaia di barchedadiporto.Eancheun aeroporto per velivoli privati eunidroportoperidrovolanti. Il quartiere chic, la Gold Coast (la “Costa d’oro”), è una delle zone residenziali più ricche degli Stati Uniti. Sempre parallelo al lago si stende il “corso” di Chicago, laMichiganAvenue(dacuiil nomignolo “Boul Mich”, lo stesso che i parigini affibbiano al loro Boulevard Saint-Michel). Nella parte appena a nord del Chicago River, la Michigan Avenue è soprannominata Magnificent Mile (“Miglio magnifico”) per il lusso di boutique e palazzi. *** Versol’interno,aovest,a meno di un chilometro dal Magnificent Mile si erge ancora il complesso di edilizia popolare, dove il reddito familiare è quaranta volte più basso, dove la popolazioneènera,dovepuò capitarecheunbimbodiotto anni sia ucciso da una pallottola vagante mentre traversa la strada da casa a scuola: così vicina al lusso, Ca-brini-Green è una tale vergogna che la Chicago Housing Authority ha deciso dibuttaregiùalmenoglihigh rise. Non ci sono due Chicago, una fastosa e una misera.C’èunasolaChicago, con i suoi innumerevoli teatrini di avanguardia, i deliziosi ristoranti vietnamiti, afghani, peruviani, i mitici locali di blues e di jazz, le gangeicasermonipopolari. Dal 1992 al 2000, otto anni d’ininterrotta prosperità hanno ridisegnato la geografìa urbana, demolito vecchi orrori, sostituiti da civettuolivilliniurbani.Dove una volta sorgeva il mercatino delle pulci di Maxwell Street, oggi l’University of Illinois sta riqualificando l’area accanto al campus. Eppure anche ora vedi bambini che giocano nella melma, pile di pneumatici, corpi scuri coperti da strati di “sacchi a pelo ambulanti”, immagini che ti ricordano le strade di Lucknow o di Kanpur in Uttar Pradesh, India: bancarelle con fuochi di carbone, pile di pneumatici, bambini che giocano nella melma,corpiscuricopertida strati di "sacchi a pelo ambulanti”. Qui, gli abitanti di questa metropoli moderna, del paese più potente e più ricco del mondo scavano fra le immondizie, immergono testa e torace nei bidoni: "Si vedono certi animali feroci, maschiefemmine,sparsiper la campagna, neri, lividi, bruciatidalsole,attaccatialla terra che frugano con un’ostinazione invincibile; hanno come una voce articolata e, quando si alzano sui loro piedi, mostrano un viso umano, e in effetti sono uomini. Di notte si ritirano nelle loro tane dove vivono di...”. Così tre secoli fa Jean de La Bruyère descriveva i contadini del suo tempo.1 Nonsapevaquantoicittadini di questa metropoli gli avrebbero somigliato. E però l'University of Illinois è solo una delle sette università di Chicagoconlelorodecinedi premi Nobel e di premi Pulitzer. “A differenza di New York o San Francisco o Los Angeles,” mi dice James Weinstein, uno dei personaggi storici della sinistra americana, fondatore del quindicinale “In These Times", "a Chicago tu hai il realitycheck,il‘testdirealtà', cioè vedi quel che pensa l’America vera, sei immerso nell'America profonda.” Più che se fossi a Des Moines, Iowa, o a Omaha, Nebraska, dove c'è solo una parodia di città, perché qui a Chicago haiancorauncentrocittadino (trovipersinoleedicoleconi giornali, un’istituzione assente anche in grandi città come Denver, Colorado), qui hailametro,cisonopersinoi trasporti pubblici, ma è già l’America dei suburbi, quella di un centro relativamente piccolo circondato dalla sconfinata distesa di villette unifamiliari dei suburbs (i "suburbi”, più che i "sobborghi”). Parli con una femminista di un quartiere ricco, o con una trotzkista della Società storica di Chicago, o con un editorialista terzomondista (i più lontani apparentemente dal conformismo del "sogno americano”); ognuna e ognuno a modo proprio esprimono un amore sconfinato per questa città. Scavi e nel fondo trovi i motivipiùdisparati,lavitalità dei sindacati, della cultura alternativa, della galassia nera. Ma in realtà trasuda anche da questi anticonformisti minoritari quell'idea così americana, così capitalista, per cui l’ideale dell’essere umano è vivere nella casetta unifamiliare di sua proprietà, separata da un prato dalle casette altrui, e insieme goderedelleurbanamenities, e cioè concerti, teatri, ristoranti, cinema. L’idea che Chicago sia insieme una periferia (piacevole da abitarci) e una metropoli centrale (in cui andare a passarelaserata). Chicago aiuta a rispondere a un’altra domanda che, mi diceva Wolfgang Schivelbusch, tutti ci poniamo dopo un certo periodo negli Stati Uniti: "Quand’è - e come - che gli europei emigrati qui hanno smesso di essere europei e sono diventati americani? Che cosa li ha resi così impercettibilmente, ma così chiaramentediversinelmodo di convivere, di abitare, persino di usare gli strumenti?”.Ovvero,perdirla con Werner Sombart nel suo librodalcuriosotitoloPerché negli Stati Uniti non c’è il socialismo?2(1906): Che cosa ha Norimberga in comune con Chicago? Null’altro che le caratteristiche esteriori [e oggi nemmeno quelle], il fatto che molti uomini abitano in strade, in stretta vicinanza, e che dipendono per il loro sostentamento dal rifornimentoesterno.Per quanto riguarda Io spirito, nulla. Mentre Norimberga è una formazione simile al villaggio, cresciuta organicamente, Chicago è una vera "città”, costruitaadartesecondo princìpi “razionali”, nella quale (direbbe Tönnies)sonocancellate tutte le tracce di comunità ed è abbattuta la società pura. E se, nella vecchia Europa, la città è (o, per meglio dire,loerafinoadoggi) formata sull'immagine del villaggio, portando in sé il suo carattere, negli Stati Uniti, al contrario, la piatta campagnaèindefinitiva solo un insediamento cittadino al quale mancanolecittà. Chicago esprime la verità dell’America anche per un’altra ragione. In Europa il capitalismo è mascherato, imbrigliato dall’eredità della storia: in Francia dalla tradizione dello stato nazionale, in Italia dalla chiesa,inGranBretagnadalla nobiltà. Da noi il capitalismo trova un ostacolo nella tradizione già stratificata, nei costumi cristallizzati, nei pregiudizi che affondano nellanotte. Invece qui, negli Stati Uniti, percepisci il capitalismo in tutta la sua potenza nuda, in tutta la sua caricasovversivachetrasloca vite intere dalla foce del Mekong,daldeltadell’indoa climi polari. Vedi il capitale nellasuacapacitàdiplasmare gli individui, persino nel modo di muoversi, abitare, mangiare, nel palato, nel tatto, nella sessualità. "Per il capitalismo gli Stati Uniti d'America sono la terra di Canaan: la terra della promessa. Infatti solo qui sono state soddisfatte tutte le condizioni di cui esso abbisogna per lo sviluppo pieno e totale della sua natura. Come in nessun altro luogo, paese e genti erano creati per sollecitare la sua evoluzione alle forme massime”: non a caso con queste parole Werner Sombart iniziava il suo libro nel1906.3 Anche in questo Chicago è la più americana delle città statunitensi. In nessun altro luogo al mondo la fede nella potenza liberatoria del capitale, la religione capitalista è altrettanto integralista come qui. Se gli Stati Uniti sono la terra di Canaan del capitalismo, Chicago è la loro Gerusalemme. McDonald’s è una multinazionale di Chicago (per misurare la violenzaelavelocitàconcui i costumi s’impongono, si pensi che il primo McDonald’s è stato aperto non più di 45 anni fa, nel 1959: e sono bastati 36 anni perché la vita americana sia impensabile senza i McDonald’s). Solo un altro esempio: l’istituto di arte di Chicagoèunodeipiùgrandi ebeimuseidelmondo,grazie a mecenati salumieri e macellai. Ma qui i mecenati non si sono limitati a segnalare il loro nome sulle piastrine vicino ai quadri come in tutti gli altri musei. Qui, se cerchi una precisa opera di un preciso pittore (Nighthawks,"Ilbardinotte” di Edward Hopper, per dirne una), puoi pedalare: qui le tele sono organizzate in funzione dei donatori, non degliartisti.Inunasalatrovii quadridonatidalsignorx,tra cui un Picasso, un Hopper e un Utrillo. Poi, dieci sale più inlà,inununicolocale,ecco iquadriregalatidalsignorye trovi un Matisse, un Lichtenstein e di nuovo un Hopper: epoche lontane, generi diversi, pittori incompatibili sono sussunti e riuniti sotto l’egida del mecenate. E così via: nel museo d’arte, soggetto non è l’artista,èildonatore. Ultima annotazione: è inutilenegarechequestacittà si fa volere bene, è come affettuosa. Insieme ai politici più corrotti d’America, alle gang più violente, ai capitalisti più spietati, fiorisconoquiimovimentidi base più generosi. Sotto gli alberi del parco Lincoln, vicino al lago azzurro, gli scoiattoli ti guardano sfrontati, la testolina inclinata. Paffuti, si grattano la pelliccia bianca del petto quasipregustandolanocciola che tendi, mentre la coda riluce incorporea nei raggi di sole. 1Questocelebrepassodei Caractères (sezione De l'homme, par. 128) è stato studiato anche da Erich Auerbach in Mimesis, A. Francke, Bern 1946, trad. it. Einaudi,Torino1956,vol.II, pp.124-125. 2 Werner Sombart, Warum gibt es in den Vereinigten Staaten keinen Sozialismus?, trad. it. Etas Kompas,Milano1975,p.10. 3Ivi,p.5. 2.Ibinarideldomani C'è da restare esterrefatti a studiare la breve storia di questa città che, in centosettant’anni, è diventata una delle megalopoli mondiali e adesso conosce una sua già rugosa maturità. Fin da ora è delineabile un’archeologia del suo capitalismo che, in meno di mezzosecolo,daunvillaggio di duecento abitanti, la portò a fine Ottocento all’apogeo della potenza, quando fu la più grande "repubblica” commerciale del mondo: "repubblica ferroviaria", come nel Medioevo avevano dominato le repubbliche marinare. A scombussolare però non è solo la storia di Chicago,sonoiproblemiche essa pone. In nessun’altra città ci si accorge di quanto sia stato “ferroviario” il capitalismo e, per contro, di quantosia“ferroviaria”l’idea che per più di un secolo ci siamofattidelcomunismo. "Ferroviario” è quel comunismo che pensa d’impostare la pianificazione economica come si stabilisce l’orario ferroviario nazionale, prototipo della programmazionecentralizzata (enonpuònonesserlo).Una “tabella di marcia” della rivoluzionechepredisponele singole“tappe”comel’orario definisce i movimenti (fermate, arrivi, partenze, scambi), con la stessa precisione del minuto spaccato e, quindi, con lo stesso livello superiore di comando e dispositivo minuzioso di controllo. Il governo comunista è pensato come una sorta di "divinità sociale”onniscientecheabbia sempre presente le contemporanee posizioni di tuttiisoggettisociali(ditutti iconvogli,dituttiivagoni,di tutti i passeggeri, di ogni merce). Un piano prestabilito che disloca le risorse ai vari settori della società e alle varieareedelpaesesecondoi presunti bisogni, come le ferrovie allocano x locomotive e y vagoni alla linea Z nel mese K. Un Gosplan che pensa i flussi economici come fiumi di merci e passeggeri lungo i binari, in una sorta d'idrodinamica umana; che pianifica le infrastrutture sociali come metafore di ponti, cavalcavia e gallerie; che struttura la catena di comando come la gerarchia dei capistazione, degli ispettori dei biglietti, dei macchinisti e dei casellanti. L’idea che l’uguaglianza sia la folla mattutina, accalcata, di passeggeri resi simili dal viaggiare tutti in vagoni non più di prima, seconda e terza classe, ma "nella stessa classe", in un’umanità indistinta, ancorché assonnata; che vivere nella società comunista governata dallostatosiacomeviaggiare in un trasporto comune gestito dalle ferrovie: nell’uno e nell’altro caso tu neseisoloilpasseggero. Viceversa, il capitalismo ferroviario sterminava i bisonti,annerivadicarbonele città, sventrava le montagne per estrarre il ferro, desertificava foreste per bruciare il legno, speculava giàsuunaterraancoraignota, deportava eserciti di indiani in Africa e di cinesi in Nordamerica (ora i binari sono arrugginiti in Africa e Nordamerica, ma indiani e cinesisonoqui,relittilasciati dalla marea). L'idea che il progresso fosse un treno (la "locomotiva dell’economia”), che la civiltà arrivasse solo fino a là dove era visibile lo sbuffo del vapore. Quel capitalismo era ferroviario perché i binari non hanno senso se non connettono tra loro stazioni affollate, centri ad alta densità di popolazione. Il treno stabilisce fra i centri urbani una gerarchia espressa dal numerodilineediversechein un centro s’incrociano: il centro più grande "è servito” da più linee. Una linea di periferia può raccogliere pochiviaggiatoriallavoltain ogni fermata nei suburbi, ma soloapattodiscaricarliinun terminal centrale, dove essi lavorano e dove la densità è alta perché ci sono grandi fabbriche, grandi uffici, centralizzazione del luogo di lavoro: le “economie di scala”. Nel film di Chariot la folla mattutina che si riversa su, fuori dalla metro come gregge belante, definisce i "Tempi moderni” altrettanto quantolacatenadimontaggio della fabbrica. Anche questo ècapitalismoferroviario. A lungo si è studiata la bizzarria, l’assurdità del sistema distributivo nella pianificazione sovietica. Ma non è stato lo stalinismo, è stato il "capitalismo ferroviario” statunitense a costringere un allevatore del Wyomingaspediresutrenoi suoi buoi vivi per 2000 chilometri fino a Chicago, farli macellare lì, piuttosto che squartarli nella vicina Cheyenne. Questo capitalismo su ferro, ancora presente in Europa, sembra negli Stati Uniti solo un ricordo del passato. Come le chiesediuncultodimenticato e ormai abiurato, le stazioni sono templi antichi che si visitano, ma in cui non si prega più: al posto delle biglietterie sorgono negozi e al posto dei binari corsie pedonali. La Central Station di St. Louis è un Mall, un centro commerciale. E a Memphis, Tennessee, la sera alle nove è rischioso avventurarsi vicino alla stazione. Dissolta questa forma, negli Stati Uniti sembra aver presoilsopravventoquelche può essere chiamato “capitalismo automobilistico": più individualistico e più familista, come la macchina personale rispetto al vagone in un convoglio; più elastico nel controllo, perché libero dall’"orario ferroviario”, ma con una struttura di sorveglianza e una gerarchia di comando più efficaci perché più flessibili, più razionali perché meno ossificate; un centro decisionale altrettanto imperioso perché meno formalista. Il “capitalismo automobilistico” decentra, e scentra, nel comando, nell’organizzazione del lavoro, nella logistica, nella vita quotidiana degli umani, nell’idea che ci facciamo della civiltà. Automobile e camion collegano tra loro zoneadensitàcosìbassache resterebbero isolate in un mondo ferroviario. Il capitalismo a quattro ruote stravolge la nostra secolare immagine di città, consente che le periferie siano collegate tra loro, mentre primaeranoconnessesolodal centro, per il centro e attraverso il centro. Fa sì che sia possibile un’area metropolitana senza metropoli, senza centro città, senza downtown. Che la periferianonsiapiùperiferia di nessun centro, ma sia autocentrata. L’ideale civile non è più Inurbanità", ma la “suburbanità”: al contrario che in Europa, negli Stati Unitiiltermine"suburbio”ha una valenza positiva. In questo nuovo spazio che non è più città e non è più campagna, la massima aspirazione, il fine dell’umano vivere è possedere e abitare una villetta unifamiliare con garage,circondatadaunprato che ti separa più di un muro daltuovicinougualeatecon il suo prato e il suo garage. Ma sotto la grazia di suburbi alberati, sotto la diaspora socialeingiardinievialetti,il “capitalismo su ruota” delle casette unifamiliari esaspera la segregazione di razza e di classeespingequestasocietà verso l’implosione, la disintegrazioneinterna. In nessuna città come a Chicago il capitalismo su ferro ha dispiegato la sua potenza, ha forgiato popoli, ha plasmato culture, ha spostato e deportato milioni di vite uma-ne. In nessun posto come qui è possibile studiare i monumenti di questo capitalismo, scavare neifenomenichehasuscitato, analizzare le ondate di migrazione che le ferrovie hanno abbandonato sulla riva del Michigan, registrare l’ascesa e il declino di commerci e di industrie. Poiché è ormai trascorsa l’epoca del capitalismo su ferro,lostudiodiChicago,di unacittàvecchiamenodidue secoli, è già un’archeologia, un’archeologia della modernità. (Ti chiedi anche perché non c'è mai stato un "comunismo su ruote”.) Ma nello scavare più a fondo le domande ti assillano, ti rode un tarlo: e allora? E poi? Quale domani? Cerchi le traccedell’avvenire,gliindizi che ti traccino un percorso. Ecco perché un rapporto da Chicago diventa qualcosa di più, è un’archeologia del futuro. Quest'ansia del futuro assillava già Sombart che novantanni fa si chiedeva come mai, se il movimento socialista è un prodotto del capitalismo, il paese più capitalista di tutti, la Mecca del capitalismo, non ha generato un socialismo: 'Il futuro sociale dell’Europa e dell’America si formerà in modo uguale o diverso? Se uguale, sarà l’America o l’Europa il 'paese del futuro’?”.1 Le ferrovie sono quasi scomparse,ma''Chicagoland” resta una delle ''nazioni” più potenti: se una volta le sue stazioni ferroviarie erano le piùtrafficated’America,oggi quest'onore spetta a O’Hare, alsuoaeroporto.Nellarovina di interi quartieri, nella bancarotta di potenti dinastie finanziarie, nel contrasto fra lusso e miseria, fra sconvolgente bellezza e squallore disperato, Chicago è la prova vivente che un pianodelcapitalenonc’è,né c’è mai stato. Ha invece sempre agito la logica del capitale, una logica tutta particolare, illogica alla fine, eppureferrea,potentissima. *** Invano con lo sguardo cercheresti la Grand Central Station, quella che una volta fu la più affollata stazione ferroviaria della terra. Dall’alto dei 450 metri del grattacielo Sears (dal 1976 finoal1996ilgrattacielopiù alto del mondo), se con lo sguardo lasci a sinistra la sconfinata distesa azzurra del Lago Michigan e ti volgi a ovest e a sud del centro cittadino, dove oggi giace la terra di nessuno dei quartieri neri, tra gli edifici in rovina scorgi solo scali merci desolati.Sonodesertiecome rugosi per una ragnatela di binari arrugginiti, percorsi ogni tanto da rare, interminabili tradotte (di 80, 100 vagoni merci luna) che giungono dalle piantagioni di mais dello Iowa, dalle miniere dello Utah. Nelle regioni montuose, questi lumacheschi convogli ognuno lungo più di un miglio-sonospintidaquattro locomotiveadiesel(talvoltaa vapore): negli Stati Uniti quasi nessuna linea è elettrificata. I nomi stessi delle compagnie ferroviarie sono ottocenteschi, letti sullo schermoininnumerevolifilm western: Northern Pacific, Chicago Burlington & Quincy, Northwestern, Illinois Central, come se le ferrovie dovessero ancora entrare nel xx secolo. Ma furono queste compagnie, i capitali che le possedevano, la logica del profitto che le governava, a far sì che in cinquantanni uno sperduto villaggio di duecento abitanti divenisse una delle più potenti megalopoli del pianeta,ilpiùgrandemercato del legno, il centro cerealicolodelNordamericae della terra, il mattatoio dell’universo, per dirla con il romanziereUptonSinclair. I capitali: per un europeo nato dopo la Seconda guerra mondiale, le ferrovie sono legate allo stato, anzi alla nazione: ci sono ferrovie tedesche, francesi, italiane, ma non sono immaginabili due diverse compagnie ferroviarie nella stessa nazione. Come lo stato moderno è definito dal detenere il monopolio legittimo della violenza, così nell’Europa del secondo dopoguerra, le strade ferrate sonounmonopolionazionale. Sesipensaaunaconcorrenza alle ferrovie pubbliche, la si immagina da parte dell’autotrasporto privato, non la si concepisce da parte di altre compagnie ferroviarie. Negli Stati Uniti invecelestradeferratefurono private,comeprivatepertutta la prima metà dell’Ottocento erano le strade che infatti esigevano un balzello (il limite della città era segnato dal casello del pedaggio, il Tumike point): anzi, ai primordi della ferrovia, quando le locomotive erano lente, sulle strade a pedaggio pavimentateconassidilegno, i carri e le diligenze garantivano una rapidità e sicurezza superiori a quelle deitreni. Negli Usa era ovvio che le ferrovie fossero private, come private erano le compagniedibattellifluviali: l’unico settore europeo che ancora oggi somigli al capitalismo americano dell’ottocento è proprio quello delle compagnie di navigazione con i loro armatori,gliAristoteleOnassis, i Niarchos. Negli Stati Uniti,c'èunageneaologiatra battello fluviale e treno. Il vapore vi fece la sua apparizione prima sul ferryboat di Robert Fulton e solo poi sulla locomotiva. Furono gli stessi capitali newyorkesi e bostoniani a costruire e dominare reti di canali e strade ferrate. Il rapporto col battello influì persino nella forma dei vagoni. Mentre in Europa i vagoni ferroviari erano costruiti a mo’ di “carrozze” (e infatti così si chiamano), con scompartimenti chiusi e separati, ognuno con due file dirimpetto di 3-4 posti luna, come nelle diligenze, negli Stati Uniti i vagoni somigliavano ai ponti dei battelli con molte file di sedili,unadietrol’altrainun unico spazio aperto percorso da una corsia centrale. Il prototipo di vagone letto fu ideatoecostruitonel1859da George Mortimer Pullman uno dei più famosi e più violentiindustrialidiChicago - imitando le cabine letto dei battelli fluviali.2 E i miliardariamericanisifecero un punto d’onore nel comprarsi il treno più lussuoso, proprio come oggi possiedono uno yacht. Viaggiavano "in nave su rotaie”, sul proprio panfilo terrestre. Comelanave,iltrenoera un mondo privato, con leggi sue,suemisure.Ogniferrovia aveva il suo scartamento (la distanzatralerotaieequindi tra le ruote dei vagoni): la Erie Railroad adottava i 6 piedi, mentre nel Sud prevalevano i 5; tra le compagnie del New England e del Nord era diffuso lo scartamento inglese da 4 piedie81/2pollici,cosìche vagonicostruitiperunalinea non potessero viaggiare sull’altra.3Eraprivatopersino il tempo. Quanto la ferrovia abbia modificato la nostra percezione del tempo è motivo d’incessante stupore. Non a caso è proverbiale l’espressione “perdere il treno”. Prima delle ferrovie, sullaterrafermalanostravita erascanditaconlaprecisione del quarto d’ora. Solo in alto mare la misura della posizione dipendeva dalla precisionedeicronometri.Ma in campagna o nelle città nulla cambiava se arrivavi cinque minuti prima o dopo: la diligenza ti aspettava, la nave non ti lasciava a terra. Invece con un ritardo di un solominutoperdeviiltreno.I viaggì ferroviari furono così il più potente stimolo alla diffusione degli orologi personali nell’Ottocento. Nella vita dell’individuo comunediventavaimportante riconoscere e distinguere il minuto, persino il mezzo minuto.4 Ma nella definizione del tempo vigeva il caos. In quell’epoca ogni città scandivalasuaora:mentrea Chicago scoccava mezzogiorno, erano le 11.27 a Omaha, le 11.50 a St. Louis, le 12.17 a Toledo, le 12.31aPittsburgh.Secondoil “Chicago Tribune”, c’erano 27orelocaliinIllinoise38in Wisconsin. La Union Pacific operava su sei differenti ore solari.5 Non sembrava perciò affatto balzano che ogni compagnia ferroviaria avesse il suo tempo privato, adottasse la propria ora centrale. Poteva succedere che, nella stessa stazione, gli orologi scandissero ore differenti per ogni diversa linea. Nella stazione di Buffalo vigevano tre ore diverse, in quella di Pittsburghbensei.Solomolto tardi, come effetto delle esigenze ferroviarie (per coordinare gli orari), si sarebbe giunti a una standardizzazione del tempo. Solo nel 1883 le compagnie ferroviarie avrebbero diviso gli Usa in quattro zone, in quattro ore ferroviarie che diventarono pratica comune, ma che furono codificate legalmente negli attuali quattro fusi orari (Atlantic Time, Central Time, Mountain Time, Pacific Time)solonel1918,soloalla fine della Prima guerra mondiale.6 Che i viaggiatori vivessero in tempi diversi a secondadellalineaferroviaria sucuiviaggiavanoeraancora la più innocua tra le irrazionalità generate dalla lotta selvaggia tra le linee ferroviarie. Per le strade ferrate infatti si scatenarono le più spietate guerre commerciali dell'Ottocento, cheavoltefuronocombattute a colpi di arma da fuoco. La competizione era tale che spesso uno speculatore iniziava o minacciava di costruire una seconda linea (una linea fantasma) sullo stesso percorso di una linea già esistente solo per ricattarla: erano chiamate le blackmail lines, le linee del ricatto. Non si contano i ponti crollati perché costruiti in fretta e con materiale scadenteperabbassareicosti, gli incidenti causati da errori di personale troppo stanco perchétropposfruttato,itreni deragliati perché si risparmiava sulla manutenzione dei binari e degli scambi (e questo non solo nell’Ottocento: il 23 settembre 1993, l’espresso Los Angeles-Miami precipitò da un ponte in una laguna dell’Alabama, uccidendo duecento passeggeri: si diffuse allora la voce che i viaggiatorifosserostatiuccisi dai caimani e dai serpenti della laguna, mentre più prosaicamente erano morti perl’incuriadell’Amtrak).7 Queste disgrazie sono nulla rispetto alla strage vera e propria che i treni provocavano a cavallo del secolo: nel biennio 18981900, i morti in incidenti ferroviari furono 21.847, mentre nel solo anno 1903 i morti in disastri ferroviari negli Stati Uniti furono 11.006, un eccidio: su ogni milionedipersonetrasportate nemorivanonegliStatiUniti 19, mentre ne morivano in Austria, nello stesso periodo, 0,99, cioè venti volte meno: queste cifre erano fomite già nel1906daWernerSombart8 per dire che “al servizio di questa corsa al guadagno si pone un razionalismo economicoditalepurezzache nessuna comunità europea ne conosce di uguale. E l’interesse capitalistico si afferma senza riguardo: anche quando si fa strada sui cadaveri. Le cifre sull’entità degliincidentiferroviarinegli Stati Uniti possono solo servire da simbolo”. (Dopo un secolo di progresso, muoiono oggi negli Usa 42.000 persone l’anno in incidentid’auto,quandoperò la popolazione statunitense è quasi il quadruplo di quella delprimoNovecento;imezzi di trasporto cambiano, ma il numero di morti per abitante che essi causano resta pressochécostante.) I padroni del vapore furono tanto spregiudicati da essere chiamati robber barons, “baroni ladri”, e i nomi del commodoro Cornelius Vanderbilt, di Jim FiskeJayGouldsonofamosi per la loro crudele disonestà, perlelottesenzaesclusionidi colpi, comprese sparatorie e morti con eserciti privati, tra cui la celebre agenzia Pinkerton.9 Colpisce però che meccanismi pensati per assicurare il massimo profitto, cioè la concorrenza, illiberomercatosenzaregole, la deregulation, causassero così spesso bancarotte e panico; che strumenti creati per guadagnare soldi passassero il tempo a perderne. Tanto che a regolamentare la concorrenza selvaggia ci pensò il banchiere dei banchieri, Pierpoint Morgan, che nel 1885misefineallaguerradei prezzieconunaccordopose le reti ferroviarie Usa sotto l'ala protettrice della sua banca(l’accordotraicapitali detentori delle linee è contemporaneo a quello tra tempi e orari delle ferrovie).10 SeChicagofuresagrande dalle ferrovie, la sua fortuna fu finanziata dai privati, dai grandi banchieri dell’Est e di Londra. Nel 1858 i due terzi degli azionisti della Illinois Central vivevano in Inghilterra. Nel 1890, della Chicago Burlington & Quincy (fondata dai banchieri bostoniani Forbes, nome oggi di una famosa rivista) 113.198 azioni erano detenute da newyorkesi, 166.198 da bostoniani e solo 3.104 da Chicagoans. Nel consiglio della Northwestern su17amministratori,9erano della costa atlantica (8 di NewYork).11 Néc’èdastupirsiditanta finanza: aprire una linea ferroviaria era un investimento colossale per l’Ottocento. Ogni linea significava ponti, gallerie, stazioni, materiale rotabile, serbatoi d’acqua, stoccaggio del combustibile. Le risorse private, e persino delle banche,eranoinadeguate.Per incitareiprivatiainvestire,il governo federale prese a regalare alla compagnia la terra intorno alla linea (Land Grants): terra che avrebbe acquistato valore con la ferrovia e che la compagnia avrebbe rivenduto a caro prezzo. La politica dei Land Grants fu inaugurata proprio per la Illinois Central che partiva da New Orleans. Su pressione dei banchieri dell'Est, nel 1850, il governo regalòallacompagniaseilotti alternati di terreno per ogni miglio costruito, a patto che la linea arrivasse fino a Chicago. Nel 1850 Chicago rappresentava l’avamposto a ovest delle banche dell’Est: l’alleanza finanziaria tra Chicago e New York dura ancoroggi. Ma nella logica del capitale c’è una ragione più profonda che ha determinato la prodigiosa ascesa di Chicago. È quella che, centocinquant’anni dopo, determina oggi la crisi delle linee aeree. Questa ragione è la tirannia dei costi fissi. Proprio come per le linee aeree oggi, i costi fissi erano allora l’incubo delle ferrovie: più di un quarto delle spese era costituito dal servizio del debito (prestiti per gli investimenti iniziali). Inoltre, che corressero pochi o molti treni, le massicciate smottavano, i ponti crollavano, i binari arrugginivano lo stesso. Una locomotiva usava un decimo della legna solo per mantenere la pressione del vapore e un altro terzo solo permuoveresestessa,iltreno richiedeva altrettanti macchinisti e meccanici a prescindere dal numero di passeggeri. Così per il personaledellestazioni.Circa due terzi delle spese totali di una ferrovia erano perciò costifissi.Unavoltacostruita la linea con le stazioni e le infrastrutture, la compagnia non aveva altra scelta: riempireivagonialmassimo, anche in perdita. Se un trasporto costa 100, è meglio incassare 90 e perderne 10 piuttosto che perdere i 60 di costichegravanocomunque. L’imperio dei costi fissi era particolarmente dispotico neltrasportomerci.InEuropa la ferrovia viene abbinata di solito con il “viaggio” dei passeggeri, più che con il “trasporto” delle merci, delle cose. Invece negli Stati Uniti il settore passeggeri ha sempre rappresentato un introitosecondario:deiricavi delle ferrovie, nel 1870 i passeggeri rappresentavano solo un quarto, e nel 1916 solounquintodeltotale.12 Eccoperché1)leferrovie facevanoprezzispecialiperla tratta più lunga possibile senza trasbordi; 2) abbassavano i prezzi dove c’era più concorrenza; 3) facevano prezzi di favore ai clienti più grossi13; 4) tenevano alte le tariffe sulle tratte in cui erano in regime di monopolio e dove i clienti non avevano alcuna forza contrattuale. Il combinato composto di questi quattro fattoricausòunaserieinfinita di malversazioni, abusi, truffe, accordi di monopolio che provocarono la creazione di commissioni d’inchiesta del Congresso, innescarono denunce, provocaronoleggidiriforma. Ma nel frattempo plasmò la geografia urbana degli Stati Uniti. Chicago era la destinazione più lontana per le ferrovie dell’Est che qui finivano, ed era il punto di partenza per le ferrovie dell’Ovest che da qui si diramavano; a Chicago convergevano varie compagnie ferroviarie in feroceconcorrenzatraloro;a Chicagoiltrasportoviaacqua facevaconcorrenzaallestrade ferrate. Qui dunque la guerra delletariffeerapiùaspra. Così per un farmer dell’Iowaerapiùvantaggioso mandareilmaisnellalontana ChicagochenellavicinaDes Moines,comeaunallevatore del Nebraska conveniva spedire i buoi nella Windy City piuttosto che a Omaha. Con l’estendersi della rete, convenivamandareaChicago persino il bestiame dal Montanaoibuoidallelunghe corna (longhom) dal Texas. Man mano che il traffico cresceva,letariffecalavanoe i mercanti di Chicago erano in grado di comprare dai fornitoridelWestaprezzipiù alti e vendere ai clienti dell’Est a prezzi più bassi. Chicagoeraquindiilmercato piùconvenienteperambedue. Conilvolumedelcommercio aumentava il traffico ferroviario, in una spirale di crescita sempre più accelerata. Se nel 1850 Chicago dovette la sua fortuna all’esserela"portadelWest”, ai primi del secolo aveva già consolidato la sua ricchezza come "centro degli Stati Uniti”, centro delle vie di comunicazione, baricentro umano. Il 21 novembre 1848 era stata inaugurata la prima ferroviadiChicago,laGalena andChicagoUnion,lunga10 miglia,ben16km.Nel1860, la rete che si diramava da Chicago ammontava a 7500 km. Nel 1871, all’epoca del grande incendio, la rete ferroviariadiChicagocopriva piùdi16.000km;enel1880 la rete si era ancora raddoppiata, fino a 37.000 km.Aconfronto,l’interarete ferroviaria francese conta oggi 34.000 km, quella italiana 19.000. Dalla città si irradiavano quaranta linee ferroviarieesiècalcolatoche nel1914piùdellametàdella popolazione degli Stati Uniti (allora 100 milioni di abitanti)abitavanelraggiodi una notte di viaggio in treno daChicago. La logica dei costi fissi fece così che Chicago divenisse lo "sbocco naturale" di un mercato che andava dalle Montagne Rocciose a ovest agli Appalachiaest,dalCanadaa nord ai Caraibi a sud. Nella storia delle civiltà urbane, le linee ferroviarie hanno allargato a dismisura il “retroterra”dellecittà,manel caso di Chicago il bacino divennesterminato.Lalogica del capitale ha così cambiato la geografia del Midwest, geografia naturale e umana. Insieme al mais, al grano, ai maiali, alla legna, ai buoi, le ferrovie avrebbero portato milioni di immigrati, prima tedeschi, irlandesi, poi italiani, polacchi, poi ancora neri, e poi messicani, cinesi, indiani. Come trasporto passeggeri,leferroviesonoin disuso (è invece ancora fiorente il trasporto merci su rotaia); è venuta meno la causa prima della grandezza di questa città, ma non la logicadelcapitalecheancora oggi tiranna governa questa megalopoli di 8 milioni di persone,distesasullerivedel Michigan. *** È straordinario come la logica del capitale non dipenda dall’oggetto a cui si applica,masirealizzisempre uguale a se stessa, per terra, per mare, in cielo. Una locomotiva non è un jet e un aeroportononèunastazione. Ma le dinamiche si ripetono con minuziosa precisione. È sempre la tirannia dei costi fissiacrearequelcapolavoro surrealistachesonoitariffari aerei, con la cabina divisa in venti diverse fasce di prezzi per gli stessi sedili, o con l’assurdo di un biglietto di sola andata che costa il doppio dello stesso biglietto andataeritorno.Indefinitiva, cosa era Chicago se non uno hubferroviario?Quandooggi dagli scali periferici deportano le mandrie umane e smistano le torme di passeggeri nei loro scalihub, le linee aeree ubbidiscono alle stesse leggi che imponevano ai rancheros texani di caricare i longhorn suicarrimercidellaSantaFe diretti a Chicago. E per le stesse ragioni scatenano le guerretariffariesullerottepiù contese,dovesicombattonoa colpi di sconti, mentre praticano prezzi esosi sulle tratte più brevi e meno frequentate. Se comprato in Europa,unNewYork-Londra andata e ritorno può costare in bassa stagione 400 dollari, meno del biglietto a tariffa piena Roma-FrancoforteRoma, quattro volte più breve.Propriocomeavveniva perleferroviedell’Ottocento, quando per un bue il viaggio Buffalo-New York costava solo un dollaro. Mentre per unumano,nel1881unticket New York-Chicago giunse a costare solo 5 dollari. Nel 1888, il traffico intercontinentale americano era così pesante che il biglietto per la lunghissima tratta New York-California costòsolo29,50dollari.14 Il fatto è che, come le compagnie ferroviarie nell’Ottocento, le linee aeree sono governate, anzi tiranneggiate dalla logica dei costi fissi. Per poter operare, una compagnia aerea deve anzitutto comprare i velivoli; inoltre, almeno negli Usa, ogni compagnia deve costruire il proprio terminal; infine vanno costruiti e fatti funzionare hangar, centri di riparazione e manutenzione. Siamoacostifissidell’ordine dei miliardi di dollari che la compagnia deve affrontare ben prima che il primo passeggerosisiedainunsuo aereo: deve perciò chiedere prestiti, lanciare obbligazioni darestituireindecenni. Dai costi fissi dipende in buona parte quell’irreversibilità che osservava Claus Offe caratterizza la modernità: tu puoi scegliere liberamente se costruire un’autostrada in un posto o non costruirla. Ma una volta che l’hai fatto, si rivela quasi impossibile disfarla, revocarla.15 Questo destino irreversibile conferisce alle scelte una gravità di cui non siamo coscienti. 1 W. Sombart, op. cit, p. 26. 2 Wolfgang Schivelbusch,Geschichteder Eisenbahnreise, Carl Hanser Verlag,München-Wien1977, trad. it. Storia dei viaggi in ferrovia, Einaudi, Torino 1988,pp.109-117. 3 Da John F. Stover, AmericanRatlroads,Chicago University Press, Chicago 1961, p. 24. Per quanto sdraiato sulle posizioni dei "padroni del vapore”, il libro èpienodinotizie. 4 David S. Landes, Revolution in Time, Harvard 1983, trad. it. Storia del tempo, Mondadori, Milano 1984,pp.233-234e289-290. 5 J.F. Stover, op. cit., pp.157-158. 6W. Schivelbusch, op. cit.,p.46. 7 Sull'incuria in cui giacciono le infrastrutture americane, sempre più fatiscenti, vedi Kenneth F. Dunker, Basile G. Rabbat, Why America’s Bridges Are Crumbling, in “Scientific American”, marzo 1993, pp. 66-72. Per l’inquadramento storico, vedi il dossier su America’s Infrastructure, in “The Wilson Quarterly”, inverno1993,pp.18-49. 8 W. Sombart,op. cit., p.7. 9 The Robber Barons, the Great American Capitalists, 1861-1901, Harcourt, New York 1934, trad. it. Longanesi, Milano 1947,èiltitolodiunfamoso libroatintefortidiMatthiew Josephson, figlio di un banchiere che aveva allora simpatieperilcomunismo. 10 Ron Chernow, The House of Morgan. An American Banking Dynasty and the Rise of Modern Finance, Simon & Schuster, New York 1990. Sul Great Railroad Treaty del 1885 (noto anche come Corsair Compact),cfr.pp.53-58. 11 William Cronon, Natures Metropolis. Chicago and the Great West, Norton & Co., New York 1991, pp. 82-83. Molte pagine che seguonosonoindebitoverso questolibro. 12 J.F. Stover, op. cit., p. 173. 13I migliori clienti ricattavano le ferrovie minacciando di abbandonarle se avessero fatto viaggiare i concorrenti allo stesso prezzo. Le tariffe ferroviarie furono quindi una delle armi più micidiali nello stabilire e mantenere i monopoli, rendendo non competitivi i concorrenti. Così fu per il petrolio: John Rockefeller fu l’uomo che più sistematicamente usò le tariffeferroviarieperimporre il predominio della sua StandardOil. 14J.F.Stover,op.cit.,p. 115. 15 Su “questa straordinaria resistenza alla revisione” da parte della modernità, vedi Claus Offe, L’utopiadell’opzionezero,in AA.VV, Ecologia politica, Feltrinelli, Milano 1987, pp. 41-72. 3.Lamatematica applicataalmaiale In Europa, quando la pubblicità televisiva tocca l'apparato digerente, gli spot cercano di vendere prodotti lassativi - per lo più agli anziani-,mostranoprimavisi inaciditi dalla stitichezza, dalla “pigrizia intestinale”, e poi sorrisi soddisfatti, rilassati, ormai rasserenati dallabelladefecazione,grazie alla magica pillola. Nella tv statunitense predominano invece le pubblicità antidiarroiche - per lo più rivolte ai giovani -, che filmano coppie trentenni in situazioni imbarazzanti, un concerto, un pranzo di gala, unteatro,incuiilluiolalei di turno sono colti improvvisamente da una contrazione dolorosa, visibile in volto, costretti a una precipitosafuganeicessi.Ma questaminacciainagguatoin ogni intestino sarà ormai evitata dalla pasticca miracolosa. Ti chiedi perché, in che cosa differisce il cibo sulle due sponde dell’Atlantico. Nelle metropoli americane non cessa mai di stupirti il rito del mangiare, la cultura che esprime, la distorsione dei sapori che ingenera, l’obesità di classe che produce (sono più obesi i poveri dei ricchi e, tra i bambini di dieci anni, più i neri e gli ispanici dei bianchi). Addenti un hamburger da McDonald’s, con ketchup, senape, cipolla, cetrioli sott'aceto. Un gesto così liso che non te ne accorgi, non ci pensi. Ti sembra naturale. Ti pare ovvio che a Seattle come a New York, in locali arredati in modo uguale, offerto da inservienti con la stessa divisa, sempre allo stesso prezzo, sia sempre lo stesso hamburger. È disponibile ovunque, a tutte le ore, identico a se stesso, interscambiabile come un bigliettodaundollaro.Acasa e nei 200.000 fast-food del paese,1 gli statunitensi mangiano 52 miliardi di hamburger l’anno, cioè 5,2 miliardi di chili di carne macinata. Quest’illimitata disponibilitàcorripondeauna sfrenata voracità. Cibo accessibile a tutte le ore chiede di essere addentato in ogni occasione: per strada, il souvlaki sbocconcellato gocciola salsa sul marciapiede; in metropolitana,ilrecipientein poliestere pieno di chop-suey traballa accanto al finestrino; nel pullman del Greyhound, un’aladipollofrittadiffonde il suo lezzo; nella riunione d’ateneo spunta un hot-dog; in auto una fetta di torta inganna l’attesa del semaforo verde. Non è facile soddisfare questafameininterrotta,quest’inesauribile masticazione. Ogni anno nei 9000 impianti degli Stati Uniti vengono macellati e trattati (processed) 7,3 miliardi di polli(broilers,senzacontarei 9,3 miliardi di galline ovaiole) e 141 milioni di animali a carne rossa (33 milioni di buoi, 101 milioni dimaiali,unmilioneemezzo di vitelli, 5,8 di ovini).2 È il meat-packing, la "confezione della carne”. Un’industria colossale che plasma il continente americano ed è alla base del suo mito più leggendario, i cowboy; un’industria di cui gli statunitensi si accorgono, e per cui si allarmano, solo di fronte a casi clamorosi di avvelenamento. Negli Stati Uniti si contano 76 milioni di casi di avvelenamento da cibo all’anno (di cui 4 milioni da carne),30.000ricoveril’anno per salmonella e campilobatterio (che si contraggono dal pollame infetto) e si registrano 6000 infezioni di un virus che spesso uccide, il virus Ecoli 0157:H7. Il primo avvelenamentoincuimisono imbattutonellastampaUsasi verificò nel gennaio 1993 a Tacoma, sulla costa dell’Oceano Pacifico, nello stato di Washington, in un ristorantedellacatenaJackin the Box. Avvelenamento esemplare: questa catena gestiva in tredici stati del West 1170 ristoranti da hamburger, con un fatturato annuo di 800 milioni di dollari. Nelgennaio1993,inquel fast-food di Tacoma, per il virus Ecoli 0157:H7 i ricoverati furono 450; per 29 di loro vi fu cedimento dei reni; 21 ebbero bisogno di dialisi; tre bambini piccolissimi morirono: avevano rispettivamente 17 mesi, 23 mesi, due anni. La colpa fu attribuita alla mancalaosservanzadeinuovi standard di temperatura imposti per cuocere gli hamburger(almeno150gradi Fahrenheit, 77 gradi centigradi). Ma la carne era già infetta al macello. Proveniva da manzi del Michigan e del Colorado ed era stata trattata dalle Vons Companies (che possiedono la maggiore catena di supermercati della California). Sotto accusa l’ispettoratosanitariochenon aveva scartato la partita di bovini ammalati. Ma negli anni di Reagan, per i tagli al bilancioeladeregulationdel mercato della carne, gli ispettori erano scesi dagli 8400 del 1978 a 7200. E di questi 7200 posti, 550 erano vacanti. Nel corso del 2000 l’amministrazione Clinton ridusse ulteriormente le ispezioni federali sui capi macellati. E l'amministrazioneBushJr.ha ancoraallentatoicontrolli. Così l’avvelenamento di Tacoma ebbe il benefico effetto di far assumere altri 160 ispettori veterinari, comunque una goccia nel mare. Far analizzare una carcassa su cinque di mammiferi e pollame costerebbe 58 miliardi di dollari l’anno. Oggi il governo federale spende solo un miliardo di dollari l’anno, meno del 2% di questa somma (vuol dire che è analizzata solo una carcassa su290). In pochi mesi svanì l’emozione creata dai bambini uccisi dagli hamburger. Prima di essere cancellati dalla memoria, furono considerati una fatalità, come i morti della strada. Un prezzo del progresso,chesipagaperché il cibo sia prodotto industrialmente, sempre disponibile, a prezzo moderato,sempreugualease stesso, ovunque. Un prezzo come l’assenza di sapore in bistecche così succulente a guardare, così tenere da sciogliersi in bocca, ma così sciape. Un prezzo come la standardizzazione dei sapori, degliodori. Non è vano orgoglio quello di McDonald’s, la multinazionale di Chicago che si vanta di vendere lo stesso hamburger in tutto il pianeta, exploit che cercano d’imitare tutti i Burger King, i Jack in the Box della terra. La carne degli hamburger di Tacoma aveva infatti pascolato e muggito in Michigan. Da qui aveva viaggiato per 4000 km verso sud-ovest, per essere trattata in California, poi era stata cotta nello stato di Washington, a 2000 km a nord. Oggi si ragiona con la bisteccacomeconiltelefono, in cui il rame viene dal Cile, lozincodalCanadaeiltutto èassemblatoaSingapore. La rivoluzione industriale è esplosa in Inghilterra, ma è negli Stati Uniti, e più precisamente a Chicago, che si è prodotto un altro terremoto della modernità, che influisce sui sapori, sui nostriritialimentari,cambiai nostrisensi,l’olfatto,ilgusto: l’industrializzazione dell’allevamento. *** La catena di montaggio (l'assembly line) operaia si è imposta al mondo a partire dalla fabbrica dove dal 1908 la Ford costruì il modello T, la prima auto di serie. Nell'assembly line è il prodotto (l’auto) che si muove mentre l’operaio resta fermo a compiere sempre lo stesso gesto, fissare una vite, montare un pezzo. Ma pochi sanno che la catena di montaggio è stata pensata a imitazionedella“catenadismontaggio”, la disassembly line,inventataintornoal1830 nella città di Cincinnati in Ohio. All'inizio, nella sua forma più rudimentale, le carcasse dei maiali percorrevanolacatenaappese a un carrello ruotante mentre ogni operaio restava fermo a disossareuntaglio,semprelo stesso, scarnificare un osso, semprequello.Cincinnatiera così fiera della macellazione suina che si fregiava del nomediPorkopolis. L’industria del meatpacking (preparazione e confezione della carne) prese il via dai maiali e non dai manzi perché 1) i maiali erano difficili da “autotrasportarsi” al mercato: avevano gambe corte e cattivo carattere; i manzi erano più docili: i film western ci mostrano cowboys, non pig-boys: 2) il rapporto "peso totale/peso utile” era migliore per i maiali, di cui quasi nulla andava perso; 3) i metodi tradizionali di conservazione (salatura e fumigazione) funzionavano meglio per i suinicheperibovini. Per un contadino del lontano West era più conveniente spedire un maiale nutrito col proprio mais che mandare il mais coltivato:“Ilporco,”scriveva un giornalista inglese “è considerato la forma più compattaincuiilraccoltodel mais degli Stati Uniti può essere trasportato al mercato. Perciòilmaisèdatoaimaiali nella fattoria e quindi è spedito a Chicago in questa confezione [package] provvista dalla natura per il suo uso”. Altri definivano il maiale come “due quintali di maissuquattrozampe”.3 Fin dall’inizio quindi il maiale si rivelò l’animale ideale per poter essere industrializzato. Ma, proprio perché i maiali dovevano viaggiare,l’industriadeisuini dipendeva dai mezzi di trasporto. Finché il trasporto su acqua (per fiumi e canali) fu più conveniente, più diffuso di quello ferroviario, Cincinnati mantenne il predominio, il “titolo nazionale”diPorkopolis. Ma quando la ferrovia si estese e divenne facile far viaggiare i porci per migliaia di chilometri, Chicago prese il sopravvento e fu fiera di divenire essa stessa “Porkopolis”. Nel 1848 Cincinnati aveva macellato 350.000 maiali contro i 20.000diChicago,magiànel 1860 Chicago macellava 250.000 suini e si avvicinava alla sua rivale. Il sorpasso sarebbe avvenuto con la guerra di secessione, che avrebbe tagliato fuori dalla rete di approvvigionamento dei nordisti il bacino del Mississippi e dei suoi canali, e che avrebbe richiesto trasporti rapidi, per ferrovia, dienormiquantitàdiciboper le truppe (i famosi Cracker Trains, i “treni delle gallette”). Nell'inverno 18611862,con32.000suiniinpiù della rivale, Chicago sarebbe diventata ufficialmente la Porkopolis degli Stati Uniti. "ChicagoèilpiùgrandePork Packing Point degli Stati Unitiedelmondo”esultavail “Tribune”nel1864.4 *** Finita la guerra, nel Natale 1865, nella zona sud di Chicago, poi chiamata “Packingtown”, furono inaugurati quelli che sarebbero diventati i mattatoi più grandi del mondo, le Stock Yards di Chicago (l’orgoglio di Chicago, ChicagosPrideappunto).Nel 1868 i mattatoi erano già capaci di trattare simultaneamente 21.000 manzi, 75.000 maiali e 22.000 ovini. Nel 1910 questo complesso (comprendente alberghi, banche, mattatoi, industrie di conservazione...) avrebbe coperto200ettari,con13.000 recinti per gli animali, 480 kmdirotaie,40kmdistrade, 80 km di fogne, 150 km di condutture e 10.000 idranti.5 Al loro apogeo, dopo la Prima guerra mondiale, le Stock Yards avrebbero trattato 19 milioni di animali (più di sei bestie per ogni Chicagoan allora residente) e impiegato 30.000 dipendenti6 mentre l’insieme dell’industria meat-packing nel 1919 impiegava a Chicago46.000persone. Le Yards, con le loro grandi disassembly lines, rappresentano l’acme non solo della centralizzazione, ma anche della razionalizzazione capitalistica. Per i mattatoi industriali erano necessari capitalisemprepiùgrandi.Ai primi anni 1860 l’investimento per un mattatoio era di 50.000 dollari;allafinedeldecennio sarebbe stato di mezzo milione di dollari (di allora): le Union Stock Yards di Chicago furono volute e finanziate dalle grandi linee ferroviarie che caricavano e scaricavano il bestiame, per poter razionalizzare percorsi, tariffe, costi. Nel 1865, il capitale iniziale delle Union StockYardseradiunmilione didollari:il92,5%venivada nove grandi ferrovie (Burlington, Illinois Central, Alton ecc.), il 5% dai meatpackers di Chicago e il 2,5 dal pubblico. E le grandi ferrovie erano in mano alle banche dell’Est. Le Yards avrebbero ripagato questi investimenti: persino durante la grande depressione degli anni 1870 i dividendi avrebbero reso il 10% del capitale investito, con un piccodel15%nel1879. Nelle Yards questi altissimi profitti furono resi possibili da metodi sempre più "scientifici’’. Scientifico era l’uso del maiale fino alla sua ultima setola (con cui si fabbricavanospazzole).Nulla venivasprecato(nonsolonei suini, ma anche nei bovini e negli ovini). Nel 1920, si sarebbe giunti a produrre, da unmanzodi1000libbre(450 kg), ben 41 sottoprodotti, oltre, naturalmente, a 41 metri di budello da insacco. Con le viscere si facevano corde di violino. Dopo il 1879 fu trovato un metodo per disseccare il sangue, estraendone l’albume, così che i packers potessero rivenderlo con un pur piccolissimoprofittoalleditte di fertilizzanti. Gli zoccoli erano tritati per diventare colla. Le corna dei manzi diventavano bottoni e pettini. Le ossa più grandi manici di coltelli, di spazzole, bocchini di pipe. Le ossa più piccole erano tritate per diventare partedelmangimedeimaiali prossimi venturi: a tutt’oggi, il 14% del manzo lavorato negli Stati Uniti torna a nutrire altri bovini, riferiva JoelBleifuss.7 Eranocioèstateinventate quelle farine animali che ora incombono, minaccia terribile, sulla salute degli esseri umani attraverso la sindrome dell’encefalite bovina spongiforme, quella mucca pazza che ai più pare una vendetta della natura contro l’industrializzazione del ciclo vitale degli animali domestici. Oggi, di fronte al tremito inconsulto delle vacche folli, sembra un paradosso che allora l'uso di tutte le parti del bestiame avesse anche un movente “ecologico”, fosse reso necessario dalle ordinanze comunali per rimuovere le montagnedirifiuti.Cosìigas e i fumi prodotti dagli impianti di raffinamento, una volta mischiati a carbone, poterono essere usati come combustibile per l’illuminazione. Ma ad aprire nuovi orizzonti ai packers furono due nuovi sottoprodotti. Il primo fu l’"oleomargarina”, succedaneo animale del burro, prodotta con il grasso di scarto della macellazione, lavorato e raffinato. La margarina fu inventata in Francia durante la guerra franco-prussiana del 1870, e fu approvata dalle autorità sanitarie francesi nel 1872. IntrodottanegliUsanel1873, vi ebbe grande successo poiché si vendeva a metà prezzorispettoalburro. Il secondo sottoprodotto, di gran lunga il più importante, fu la carne in scatola. I primi tentativi d’inscatolare il cibo risalivano al 1820, ma il saporeeradisgustoso.Fusolo con l’introduzione delle autoclavi pressurizzate a vapore, diffuse nel mercato nel 1872-1873, che la carne potè essere cotta a temperature superiori, più rapidamente, e mantenere quindi un sapore migliore. Nel1874,WilsondiChicago brevettava il primo "Originai Corned Beef”. Lo scatolame fece la grandezza della ditta Libby,McNeilandLibby. Scientifica fu la produzione della carne anche in senso proprio: i chimici furono consultati fin dal 1870. All’inizio guardati con sospetto, si rivelarono preziosi nell’inventare sempre nuovi processi e semprenuovisottoprodotti. Ancora più impressionante fu l’organizzazione scientifica della catena di smontaggio, una razionalizzazione produttiva senza uguali nel mondo. Nelle Yards la disassemblyline raggiunse la sua perfezione “geometrica” ("il produrre suini attraverso la matematica applicata” avrebbe scritto nel 1906 lo scrittore Upton Sinclair nel romanzoTheJungle). Nel 1863 un impianto di Chicago sfruttò per la prima volta la forza di gravità nel macello dei maiali: invece di porre i recinti all’esterno a piano terra, in questo mattatoio le bestie erano spinte lungo un piano inclinato su fino al terrazzo sovrastante i due piani dell’edificio. Qui i maiali erano lasciati a riposare un giorno, prima di scendere al recintodimacelloalsecondo piano, dove erano uccisi con una martellata in testa, e poi erano scannati e dissanguati dalla gola. Ma qui, ecco la novità, il sangue colava in appositi serbatoi attraverso condutture inclinate. Su altri scivolilecarcassecalavanoal primo piano dove erano lavorate,disossate,suddivise, confezionate. Al piano terra c’eranopoi"ettariedettaridi prosciutti” appesi. Rimaneva il tempo perso della martellata in testa, poi dello sgozzamento, la necessità di trasportareilmaiale,ilsangue che stagnava nel corpo orizzontale. MaWindsorLelandtrovò lasoluzionenel1866quando inventò la macellatrice (la slauthering machine)·, un gancio infilato nello stinco delmaialevivoeratrainatoin alto da una cremagliera mossa da un elevatore a vapore così che il maiale restasse appeso per le gambe al nastro trasportatore sopraelevato lungo cui si muoveva ed era sgozzato ancora vivo (saltando la fase dellamartellataintesta)epoi erarasato,raschiato,scuoiato, sventrato, squartato, sezionato, suddiviso in tagli: ucciderelabestiaappesatesta in giù facilitava il dissanguamento e migliorava laqualitàdellacarne. Non solo. Con questo metodo, un macellaio poteva squartare e sezionare nove maiali in tre minuti. In due minuti invece il maiale era agganciato, montato, ucciso, scottato, raschiato, sventrato. Nel 1869, "la Chicago Butchers Association [l’associazione degli operai macellatori] sponsorizzò una gara per coronare il primo campione nazionale di macello: due dei cinque concorrenti,CharlesLeydene Thomas Mulroney, erano Chicagoans,glialtrivenivano da St. Louis, Buffalo, Toronto. Cinquecento spettatoripagaronoundollaro ciascuno per vedere il giovane Leyden macellare e preparare il suo manzo in 4 minuti e 45 secondi” e diventareilcampione.8 Nel1876fupoiinventata una setolatrice automatica, la hog-scrapingmachineconun sistema di lame rotanti regolate su molle, capace di rimuoveretuttelesetoledalla carcassainmenodiunquarto diminuto(15secondi). *** Più macchine, più scientificità, più razionalizzazione. Se per “impaccare” un maiale ci volevano ormai pochi secondi, per ottenere tanta rapiditàeranoperònecessarie centinaia di specializzazioni assolte da centinaia di uomini. Al suo apice, la disassembly line avrebbe impegnato 126 persone nel macellodiunsingolomaiale: laframmentazionedelsapere, la costituzione delle discipline,ladivisionesociale del lavoro. Problemi ardui, fondamentali,cheforsenonsi poneva la squadra di 157 persone impegnata nel macello di un solo bue in un mattatoiodimediagrandezza diChicago. Ilmacelloelaconfezione della carne erano quindi condotti “secondo i princìpi sistematici in accordo con il progresso illuminato della nostra nazione [in keeping with the enlightenment of the present age and progress of our country]”: con queste parole iniziava, nel 1875, la relazione annua della Pork Packers’ Association of Chicago, quasi riprendendo un reportage di James Parton sull’“Atlantic Monthly Review” del 1867 (letteralmente saccheggiato daglistorici)9dovesidiceva: “Chicago ora sfida l’umanità adammirareilmodosquisito in cui queste centinaia di migliaia di bovini l'anno, questo milione e mezzo di maiali e ovini sono accolti, alloggiati, nutriti e spediti,” così che il commercio del bestiame, “un mestiere barbaro e repellente, è stato ripulitodalfango,resolindo, facile, rispettabile e piacevole”. La “scientifica” macellatrice aveva due altre controindicazioni sensoriali. Poiché il maiale veniva sgozzato mentre era appeso vivo, il sangue pompato dal cuore schizzava dappertutto spruzzato con una violenza inimmaginabile dall’animale che dondolando penzoloni combatteva con la morte. Vi erainfineilrumore.Imattatoi antichi, in cui i maiali erano uccisi con una martellata in testa, erano silenziosi. Qui, il maiale appeso con un gancio infilatonellazampagrugniva, squittiva con un verso acuto. E questo gemito lancinante proveniva simultaneamente da migliaia e migliaia di maiali. “Non si potrebbe stare a guardare a lungo senza diventare filosofici, senza mettersiapensareasimbolie a cose simili, senza cominciareaudireilgrugnito dell’universo”scrivevaUpton Sinclair. "Era davvero lecito credere che non vi fosse in nessun luogo sulla terra o sopralaterraunparadisoper maiali dove si riposassero di tantesofferenze?”10Nellibro, Sinclair mostra come il sistema dei mattatoi usasse fino all'ultimo strato di pelle secca, fino all’ultimo osso in polvere,finoall'ultimagoccia di sangue non solo i maiali, maancheglioperaidelmeatpacking, bestie umane che o entravanonelclubdellefiere carnivore e diventavano complici della “giungla”, o eranodestinatesoloanutrirei padroni. La razionalizzazione in linea con il “progresso illuminato” spingeva i lavoratori a una produttività sempre più sfrenata: “Nel 1884 cinque tenditori [splitters] trattavano 800 bovini in 10 ore, 16 per ciascuno a ora, per 45 cent all’ora. Nel 1894, quattro splitters lavoravano 1200 manzi in 10 ore, 30 all’ora a persona, con un aumento della produttività di quasi il 100% in dieci anni. Ma la loro paga era scesa a 40 cent l’ora”.11 Nei reparti di scatolame, le donne erano pagate 5 cent per ogni 100 scatole che dipingevano ed etichettavano. Un’operaia riusciva a fame 2500 in un giorno.Eilprocessoèandato accelerandosi nel nostro secolo:seafineOttocentoin un mattatoio di Chicago una squadra "processava” 120 buoi all’ora, 25 anni fa negli Stati Uniti una catena di smontaggio lavorava 175 carcasse allora, e oggi ne lavora 390 (in Europa il limiteèfissatotrai75ei100 corpieinAustraliaa115). IllibrodiSinclairsuscitò enorme scandalo, fu per sei mesi in testa alle classifiche divenditanegliUsaeinGran Bretagna, fu tradotto in diciassette lingue, provocò una commissione d’inchiesta del Congresso. Paradossalmente,ilrisultato fu che la gente si preoccupò di quel che mangiava, delle analisi sanitarie e chiese controlli sul meat-packing, nonsullecondizionidilavoro edisfruttamentodeglioperai soggetti allora al metodo del caporalato. Paradossalmente ma non tanto. C’è qui un riflessoprofondocheriaffiora in altri campi della vita americana, puntiglioso, pignolo su alcuni particolari, quasi cieco sul quadro d’insieme. Già nel decennio 1870-1880 la Società umana dell’Illinois per la prevenzione della crudeltà sugli animali nulla aveva potuto contro la disassembly line, contro il “grugnito dell’universo”, ma molto si eradatadafare,conproteste, lettereaigiornali,petizionial Congresso, per rendere più umano il trasporto, e aveva ottenuto che le bestie non potesseroviaggiareperpiùdi un giorno senza essere scaricate, nutrite, abbeverate almeno una volta; che fosse proibito l'uso illegale di pungoli, fruste, forche; che i pavimenti dei vagoni non fossero più di assi di legno sconnesse. Tutto ciò infatti era interesse anche del meatpacking, perché la carne non fosse sciupata, arrivasse intatta, senza lividi e senza grumi, sulle vetrine dei macellai. *** La logica dei costi fissi esercitavacosìlasuatirannia sullo sfruttamento della campagna, sulla geografia urbana, sul lavoro e sugli svaghidegliumani,sullavita e sulla morte degli animali. Per esempio, questa logica accorciò la vita dei manzi a pocopiùdidueanni:primadi quel tempo i vitelli continuavano a crescere12; dopo quell’età, l’animale avrebbe consumato erba (o fieno), avrebbe sprecato pascolo senza crescere ulteriormente: era quindi quello il momento ottimale per trasportare i buoi in ferrovia (oggi la vita bovina si è ridotta ulteriormente: durasolo14mesi). Ma c’era un altro ambito sucuiagivaildispotismodei costi fissi. Ed era lambito delle stagioni, del ciclo annuale del caldo e del freddo. Come altre attività commerciali di Chicago, fino atuttoildecennio1860-1870, la macellazione dei maiali aveva seguito un ritmo stagionale. I maiali venivano macellati all’inizio dell’invemo, quando erano più grassi, quando il freddo permetteva di conservarne le carcasse e quando la mano d’opera era più a buon mercato, poiché erano finiti i lavori dei campi. Poi però, con il freddo, le strade diventavano impraticabili, i canali ghiacciavano e i suini macellati aspettavano la primavera nelle cantine ghiacciate. A Chicago, prima della guerra civile, a luglio era macellato un decimo dei maiali lavorati a dicembre. Ancoranel1870,tramarzoe novembre, i packers trattarono solo il 6% del volume annuale. Ma così le Yards funzionavano a pieno regime solo per una stagione e i milioni di dollari investiti negli impianti restavano inattiviperilrestodell’anno. Daquiilbisognoassoluto di far funzionare i mattatoi per dodici mesi e quindi di riprodurre l’inverno anche in estate. Un obiettivo che solo le ferrovie resero attuabile. Nel 1858, per la prima volta, viene usato ghiaccio invernale,presodailaghi,per immagazzinare il maiale estivo. Impianti che lavorano tutto l’anno rendono più regolarel’offerta,stabilizzano i prezzi, diminuiscono i costi fissi,permettonodivenderea prezzo più basso e conquistaremercatipiùvasti. Così d’inverno il ghiaccio comincia ad arrivare a Chicago per ferrovia, su sterminati convogli provenienti da laghi ghiacciati posti sempre più a nord. Questo ghiaccio viene immagazzinato in locali sotterranei, isolati termicamente, per essere usato d’estate. Intere tratte ferroviarie e stazionimagazzino sono costruite appositamente, reggimenti di operai immigrati vengono mandati a tagliare il ghiaccio sunelWisconsin. Ma, pure iniziata con i maiali, la rivoluzione del meat-packing sarebbe restata incompleta se non si fosse applicataallacarnedimanzo su cui pesava l’ostinato "pregiudizio”chepreferivala bistecca fresca, appena macellata. Per questa ragione i buoi che arrivavano a Chicago ne ripartivano vivi verso i mercati orientali di New York e della costa atlantica: per quanto si autoproclamasseconorgoglio “città bovina”, the bovine city, Chicago era un mercato dimanzi,piùcheuncentrodi lavorazione. Trovare il modo dispedireilbuetrattato(beef dressed), e non più il bue vivo, era essenziale per ridurre i costi, vendere a prezziimbattibilieallargareil propriomercato:ilmanzogià trattatopesasoloil45%della bestiaviva;inoltreilbuevivo perdeva peso durante i quattro giorni del viaggio Chicago-New York, e poi si ferivaconglizoccolioconle coma.Nel1866lo“Scientific American”suggerivadiusare le "scatole di ghiaccio su ruote” per trasportare fresca la carne. Suggerimento che poneva parecchi problemi pratici. Una prima soluzione venne da un mercante di Detroit, George H. Hammond, che nel 1868 costruì il primo vagone frigorifero riempiendo di ghiaccio le pareti dello scomparto.Malarivoluzione veraepropriapreseilviacon Gustavus F. Swift, macellaio bostoniano emigrato a ovest, che nell’inverno del 1877 rispedì a Boston due manzi trattati a Chicago lasciando aperteleportedeivagoniper conservarli al freddo. L’esperimentoebbesuccesso. Ora si trattava di costruire vagoni frigoriferi in cui la carne non toccasse il ghiaccio e non marcisse, tutte le parti delle carcasse viaggiassero alla stessa temperatura e non oscillassero troppo sbilanciando i vagoni, con ventilatori per far circolare l’aria. Dopo vari tentativi, Swift risolse il problema ponendo le barre di ghiaccio sul tetto del vagone, così che l’aria calda, salendo dal pavimento, alimentasse la ventilazione. Da allora i vagoni frigoriferi dilagarono e già nel 1884 le spedizioni da Chicago di manzo trattato superarono quelle di bovini vivi. Ancoraunavoltalalogica del capitale (ripagare gli investimenti fissi) plasma la geografia dell’America, fa sì cheifarmerdellontanoWest coltivino mais, allevino maiali e buoi che saranno trattati a migliaia di chilometri di distanza, a Chicago, e poi mangiati ancora a migliaia di chilometri sulla costa atlantica. Per questo si dovette costruire una gigantesca rete ferroviaria su tutto il continente, immani mattatoi a Chicago, avviare un nuovo settore, l’industria di raccolta e immagazzinaggio del ghiaccio naturale. Philip Armour, il più grande mercante di tutti i tempi, principe dei grossisti di Chicago (diceva di sé: "Sono solo un macellaio che vuole andareinparadiso”),13costruì a Pewakee, Wisconsin, una struttura lunga 360 metri, profonda 60 metri per immagazzinare 175.000 tonnellate di ghiaccio per volta. Non era finita qui: c’era da raffreddare non solo mattatoi e vagoni alla partenza,madariraffreddare, dinuovoeincontinuazione,i vagoni durante il viaggio. Così fu necessario costruire stazionidelghiacciolungole strade ferrate, ognuna con il suo magazzino di ghiaccio che richiedeva un approvvigionamentocostante. TraChicagoeNewYork,per un viaggio di quattro giorni, erano necessarie cinque stazioni. Ogni vagone di bue refrigerato richiedeva 400 chili di ghiaccio a stazione e 300 chili di sale. Per soddisfarequestarichiestaera necessario spedire in pieno invernomigliaiadispaccatori sui laghi ghiacciati, mandare altre migliaia di braccia a costruire infrastrutture (strade, depositi, foresterie per queste persone), altre ancora adibirle alla manutenzione. Un colossale spostamento di uomini, la creazione di intere cittadine. Etuttoquestosarebbedurato meno di vent’anni, spazzato via dalla refrigerazione artificiale. I frigoriferi avrebbero reso inutili specializzazioni operaie, competenze tecniche, avrebberolasciatodietrodisé iruderidellevecchiestazioni di ghiaccio, i depositi sotterranei; avrebbero restituito alle trote e ai pesci bianchiilaghidelWisconsin che per un breve lasso di tempo avevano conosciuto un’attività rabbiosa, la ressa dei lavoranti, lo strepito, le grida,ifuochi. Nel 1872 uno scozzese aveva brevettato in America un refrigeratore a compressione d’ammoniaca. Armour mise un frigorifero artificialeinfabbricanel1883 e Swift fece altrettanto nel 1887. Nel 1889 un saloon di Chicago ostentava fiero un Iceless Refrigerator.14 II macello dei bovini passò da 400.000manzinel1880apiù dì 2 milioni nel 1890. Dotate di frigoriferi artificiali, le fabbriche erano ormai illuminate dall’elettricità, collegate con i commercianti dituttoilmondoviatelegrafo e con i propri uffici cittadini viatelefono. Nel giro di trent’anni la rivoluzione del meat-packing era compiuta, l’apparato di produzione della carne americana era stato completamente centralizzato, con le bestie che arrivavano dalle lande più desolate del continente, venivano trattate in immensi mattatoi in modo industriale e poi redistribuite dinuovointuttal’America.Il motto degli Armour era "We feed the World”, “noi nutriamo il mondo”. Il tutto sotto la spinta dei costi fissi, della remunerazione degli investimenti iniziali. Proprio come era già avvenuto per le tariffe ferroviarie e per il mercato dei cereali. Non a caso Philip Armour, oltre al suo impero suino e bovino, commerciava per di più il 30%delgranomondiale.Elo stesso Armour avrebbe applicato al trasporto della frutta californiana il metodo dei vagoni frigoriferi: era iniziata l’epoca del fruitpacking. Poiché manteneva la carne “fresca”, la refrigerazione modificò il concetto stesso di bue. Lasciandoilmanzooriginario a migliaia di chilometri dal cliente e dai suoi occhi, il vagone frigorifero esigeva che fossero definite precise qualità standard delle carcasse, perché il cliente fosse sicuro di ricevere esattamente la mercanzia che voleva. La carne di qualità Chicago n. 1 veniva dall’Illinois, Iowa, Kentucky, Indiana ed era per i palati esigenti; la n. 2 veniva dal Colorado e dal Montana, doveceranoimiglioribovini occidentali;lan.3eradibuoi texani dalle lunghe coma. Una volta stabilite le qualità ideali di carne, era possibile comprarle e venderle astrattamente in anticipo sul mercato dei futures, proprio come i cereali. Dopo essere stataindustrializzata,lacarne era finanziarizzata: la rivoluzioneeracompleta. Il “frigorifero-senzaghiaccio” segnò quindi il trionfodelmeat-packingedei mattatoi di Chicago, quelli descritti da Upton Sinclair, che stavano al macello tradizionale come la grande fabbrica sta alla bottega medievale dell’artigiano: erano l’apoteosi della centralizzazione, il massimo delle economie di scala e quindi del gigantismo, la perfetta integrazione verticale, dalla bestia viva allo scatolame al ristorante. Erano la più grande industria di Chicago. Ma proprio la refrigerazione artificiale innescò un seppur lento declino: diventava inessenziale la posizione climatica di Chicago (così vicinaalghiaccionaturale).Il suoruolodisnodoferroviario sifacevamenoimportante:in un vagone frigorifero, se le carcasse potevano viaggiare per1000migliadaChicagoa New York, potevano anche percorrere 2000 miglia da Kansas City all’Atlantico. Già nel 1890 l’aiutante di Philip D. Armour, Michael Cudahy,aprivaunimpiantoa Omaha(Nebraska).Lostesso Armour apriva una packinghouseaKansasCity. Le Stock Yards di Chicago avrebbero toccato l’apogeo appena dopo la Prima guerra mondiale. Ma già l’automobile - e con essa il camion frigorifero - erano in agguato. Unito alla refrigerazione artificiale, il trasporto su ruota liberò il commercio della carne dalla “schiavitù” dei costi fissi, dalla rigida centralizzazione inerente alle ferrovie, rese meno appetibili le economie di scala. Il declino cominciò già negli anni venti. Non più grandi mattatoi centralizzati, ma impianti decentralizzati resi possibili dai camion che trasportavano la merce fin sull’usciodelnegozio.Conla Seconda guerra mondiale il destino delle Yards era segnato. Nel 1971, dopo centosei anni, i mattatoi di Chicago chiusero definitivamente, soppiantati dalle "filiali periferiche” di Kansas City, di Omaha, di Peoria. Ma anche in queste cittàimattatoisonodiventati invisibili.Invanolihocercati a Kansas City, sulle rive del Kansas. OggileStockYardssono cinte interminabili di mura grigie e marroni che nascondono ormai il niente e la ruggine in un silenzio spesso, angosciante quanto i grugniti di un tempo. Ma abbandonati dalla risacca, sono rimasti qui i milioni di immigrati che a ondate i mattatoi avevano attirato. I macellisisonoallontanatida Chicago, in una diaspora suina e bovina, ma qui ha sede McDonald’s; da qui dirigono altre grandi multinazionalidelcibo,come Quaker Oats; qui, al Mercantile Exchange c'è ancora il più grande mercato mondiale di bestiame, mercato concreto di merce immateriale,doves’ipotecano boviniesuinifuturi. Packingtown è una città morta a Chicago, è archeologia del capitalismo ferroviario. Ma è più florida che mai l’industria che Chicagohadatoalmondo:il meat-packing, per cui mangiamo il beef dressed (letteralmente “vestito”, preparato).Nonsivedepiùla “giungla”diSinclair,maoggi comenel1906,sololalogica delcapitale(laleggedeicosti fissi, l’esigenza della standardizzazione, la necessità della conservazione) connette il buechepascolanelMichigan e l'hamburger mangiato in California: è il muggito dell’universo. 1LacifraècitatadaEric Schlosser, nel suo documentatissimo Fast Food Nation. The Dark Side of the All-American Meal, Harper Collins, New York 2001, trad. it. Fast Food Nation,MarcoTropea,Roma 2002,p.297. 2 Dati tratti dal sito web del National Agriculture Statistical Service (Nass), www.nass.usda.gov. 3 Citazioni tratte da W. Cronon,op.cit., pp. 208-209 e226. 4 Citato da Louise Carroll Wade in Chicago's Pride. The Stockyards, Packingtown, and Environs in the Nineteenth Century, Illinois University Press, Urbana-Chicago 1987, pp. 32-33. 5 Robert A. Slayton, Back of the Yards. The Making of a Locai Community, Chicago University Press, Chicago 1986,p.20. 6 In Irving Cutler, Chicago, Metropolis of the Mid-Continent, The Geographical Society of Chicago, Chicago 1973, Kendall/Hunt Co., Dubuque (Iowa)19823,pp.160-161. 7 Nella rivista “In These Times”, 24 gennaio-6 febbraio1994. 9 Marzo 1867, n. 19, pp. 332-333. 10 Upton Sinclair, The Jungle (1906), trad. it. Mondadori,Milano1983,62. 11R.A.Slayton,op.cit., p.88. 12W.Cronon,op.cit.,pp. 222-224. 13 Harper Leech, John Charles Carroll, Armour and his Times, D. AppletonCenturyCo.,NewYork1938, p.236. 14L.C.Wade,op.cit.,pp. 199-200. 4.Comprareilfuturo Ecco una città che non solo ha inventato il commerciodelfuturo,mache ha cominciato a comprare e vendere l'avvenire ancora primadiesistere.Erail1833, soltanto centosettant’anni fa. Là dove il piccolo Chicago River sfocia nel Lago Michigan, non c’era ancora nessuna metropoli, nessuna grande stazione ferroviaria, nessun mattatoio. In questo villaggioappenaproclamatosi comune autonomo, vivevano soltanto 350 persone.1 Non c’era una sola strada lastricata.Soloalcunefattorie intorno, indiani, cacciatori di pellicce discendenti dei francesi, soldati della guarnigione Usa. E speculatori. Lotti di terra che nel1829eranostaticomprati a 33 dollari l’uno, arrivarono a 100.000 dollari (di allora) sette anni dopo, nel 1836, quando la città aveva raggiuntosoloi4000abitanti. A questo prezzo erano venduti appezzamenti vuoti, prati lasciati incolti dagli indiani costretti ad andarsene dopolarivoltadiFalcoNero (1832), “terra selvaggia” come osservavano i rari viaggiatori. Il boom dei prezzi era basato su una previsione:l’enormeaumento di valore dei terreni quando sarebbe stato costruito il canale che avrebbe collegato il Lago Michigan al fiume Illinois affluente del Mississippi. Poiché il Lago Michigan era già collegato a New York e all’Atlantico attraverso prima il Lago Erie e poi l’omonimo canale Erie (aperto otto anni prima, nel 1825), questo canale Michigan-Illinois avrebbe collegato l'Atlantico e New Yorkdaunlatoconlegrandi piane centrali, il bacino del Missouri-Mississippi dall’altro e Chicago sarebbe diventata il trait-d’union fra questedueimmensearee. Ironia della sorte, le speranze dei Chicagoans si fondavano allora sulle vie d’acqua, non sapendo che le loro fortune si sarebbero basate sulle vie ferrate. Naturalmente, dopo il boom speculativo, con la depressionedel1837,quando i lavori per il canale furono interrotti per il lievitare dei costi, i prezzi crollarono. Il canale dovette aspettare ancora più di un decennio e fu aperto solo nel 1848: all’evento fu dato un risalto molto maggiore che all’inaugurazione della prima lineaferroviariadellacittà,la GalenaandChicago. Chi aveva comprato nel 1833, aveva acquisito non la landa desolata che vedeva davanti a sé ma la terra futura,qualesarebbedivenuta dopo il canale. Aveva comprato un “futuro”. Che poi non si era realizzato. Quellascommessaavevaperò innescato un altro destino: quando infine il canale fu aperto, nel 1848, i Chicagoans non giocavano più sul futuro immobiliare dellacittàmaspeculavanosul commercio dei cereali. Il canale moltiplicò per dieci l’afflusso di grano e di mais dalle fattorie intorno: i contadini non dovevano più affrontareisentierifradici,le pozze e i disagi del viaggio per terra. Proprio nel 1848, ottantadue mercanti crearono il Chicago Board of Trade (Cbot), la Camera di commerciodiChicago. E dal commercio più grossolano e più arcaico, lo scambio di derrate agricole e di bestiame, doveva nascere la forma più sofisticata di mercato, quella sui “futuri”. Perché il corso delle derrate agricole dipende dalla meteorologia: buon tempo significaraccoltoabbondante, cioèprezzobasso.Viceversa, condizioniclimaticheavverse significano scarso raccolto, quindi prezzo alto. Per il bestiame, dopo un’epidemia, il prezzo salirà. Dopo uno scarso raccolto di soja, il prezzo scenderà perché gli allevatori dovranno abbattere molto bestiame perché non converràpiùnutrirlo. Seiosonounfabbricante di spaghetti, ho bisogno che mi sia garantito l’approvvigionamento in grano, devo comprarlo in anticipo sul prossimo raccolto.Solochefraunanno il raccolto potrà essere abbondantissimo, quindi il prezzo sarà molto più basso diquellochehopagatooggi, e allora avrò preso una fregatura. Viceversa, se coltivo grano e vendo oggi il prossimo raccolto, e poi l’anno prossimo ci sarà siccità, il prezzo salirà moltissimo,avròpresoiouna buggeratura. Ecco quindi nascereicontrattiatermine,i "contratti in avanti”. Il primo forward contract sul mais è firmatoaChicagoil13marzo 1851 per 3000 bushels (3 bushels fanno quasi un ettolitro) da consegnarsi nel giugno successivo. Certo, la stretta di mano del 1851 fra contadiniodorosidifienoedi letame non ha niente in comuneconlospettacolocui si assiste oggi nel modernissimo grattacielo del Mercantile Exchange a Wacker Drive. Dall'osservatorio che si affaccia a balconata sopra la saladelletransazioni,vediun antro di 3600 mq, un campo di calcio, con dentro 4000 persone (il parterre della Borsa può contenerne 4300) chesiagitano,gridano:ivolti si contraggono esaltati in adorazione delle cifre luminose che appaiono sui muri; le mani si muovono frenetiche; le dita parlano rapidissime in un linguaggio da sordomuti; le teste oscillano come a pregare le azioni. A non sapere nulla, assisti a un mistero antico, a una festa in un monastero tibetano, a un’allucinazione delle percezioni, quasi a un’estasi. Neanche da Wall Street si sprigiona questa religiositàaliena. L’esausta, febbrile trance ipnotica dei commessi (floor traders) ricorda i cerimoniali studiati dagli antropologi. E propriocomeunantropologo, ti rendi conto di star guardando riti destinati a scomparire: “che ci scompaiono proprio sotto i nostri occhi’’.2 Già oggi il Chicago Board of Trade e il Mercantile Exchange programmano di sostituire i pits materiali con una transazione cibernetica: lo sbracciarsi, l’annaspare, lo sgolarsisarannotuttisostituiti dal clic di un mouse che sancirà contratti su un computer in rete.3 Così già nel 2005 non esisterà forse più quel che nel 1848 ancora non c’era, e saranno scomparse le migliaia di commessi, in giacchette da camerieri del capitale che, stanchi, sciatti, svuotati dall’amplesso del mercato azionario, addentano un hamburger nella cafétéria al neon. Nel1848tuttoquestonon c’era, ma certo c’era già la frenesia: il luccichio degli occhi nella speranza del lucro, il terrore acquattato nella prospettiva della bancarotta. C’era già questa spintainavanti,quest'ansiadi futuro che sta a metà fra la tensione a bruciare i tempi e il timore per l’avvenire, l’incubo del fallimento. Con questa frenesia, i 350 Chicagoans del 1833 erano aumentati, diciassette anni dopo, di 80 volte (erano 30.000nel1850)e,dopoaltri ventun anni, si erano ancora più che decuplicati (erano 334.000 nell’autunno del 1871). Dal 1871 al 1900 la popolazione quintuplicò ancora fino a 1.698.000 abitanti, e nei successivi trentanni raddoppiò ancora, fino a contare 3,3 milioni di abitanti nel 1930. In meno di un secolo, dal 1833 al 1930 un villaggio di 350 persone era diventato una città di 3,3 milioni di abitanti. Il futuro era diventato un presente e oggi è un passato che forse non tornerà più, per la "disurbanizzazione”, la tendenza al declino delle città. Né si ferma qui il processo di distillazione del commercio. Lo stesso scambio dei futures, già così incorporeo rispetto ai buoi e alla soja, sarà esso stesso smaterializzato, instradato su circuiti integrati, immagazzinato nei chips, gestitodaiprocessori. Oggi a Chicago non ci sono più i mattatoi, non arrivano più convogli di legnameedicereali,lacittàè in declino come centro di commercio materiale, di merce tangibile. Deve la sua grandezza al permanere delle istituzioni astratte, della quintessenza spiritualizzata delcommercio.Unpo’come Londra che da tempo ha cessato di essere capitale di un impero coloniale, politico e militare, ma è restata capitale dell'impero, immateriale ma quanto concreto, della finanza, della banca: la City. Così a Chicago non transitano più manzi, ma futures sui buoi, non bushels di mais, ma futuresdisoja. *** Il commercio dei prodotti agricoli e dei loro futures ha fattolagrandezzadiChicago, l’ha plasmata. Nel frattempo ha modificato i prodotti agricolistessi,ha“ridefinito” i buoi, i manzi, il grano, il legname. Uno dei problemi conicontrattiinavantièche bisogna avere ben chiari gli standard della merce futura davendereecomprare.Quale qualità di grano, quale percentuale di umidità, quale deviazione dalla media è consentita. Per poterla vendere come se fosse denaro, bisogna che la merce stessa sia scambiabile ed equivalente. Lo stesso problema si pose nel tardo Ottocento nelle merci per corrispondenza, nei cataloghi postali (altra invenzione chicagoan).Èilproblemache ci si ripresenta oggi quando compriamo per e-mail. Se non c’è uniformità, non possiamofidarcidellaqualità di ciò che compriamo. E il commercio dei futures è una forma di acquisto per corrispondenza, solo nel tempo,nonnellospazio. Se non c’è standardizzazione non c’è mercato dei futures e, a sua volta, il mercato dei futures può vendere e comprare solo beni standardizzati. È il mercato dei futures rappresenta solo la forma finanziaria per cui nelle società opulente la mercecibo è disponibile sempre, ovunque, nei supermercati, con qualità controllabili, con caratteristiche paragonabili. Non ci si stanca mai di riflettere sulla potenza dispiegata dalla standardizzazione, sui meccanismi che essa è in gradodigenerare,dalleprese dei telefoni che funzionano solosesonotutteuguali,alle viti e ai bulloni che compriamo indifferentemente daunferramentaodaunaltro solo perché sappiamo che passo e calibri sono standardizzati, intercambiabili. In tutto l’immenso territorio degli Stati Uniti, camper e roulotte possono attingere acqua in tutti i campeggi solo perché prese e bocchettoni sono uniformi. Nathan Rosenberg4 ha mostrato come nell’Ottocento la standardizzazione sia stata il fulcro dell’innovazione tecnologica creando l’industria delle macchine utensili.Acontrario,chioggi usa il computer sa quali guai crei la mancanza di uno standard comune nel software. Perché sia possibile un mercatodeifuturesagricoli,il singolo contratto deve essere il più determinato possibile: va stabilito quando si può contrattare, quali sono i minimi limiti di oscillazione, quando la data di consegna, quale l’esposizione massima, qual è l’unità da scambiare. Nel caso di beni già immateriali, come le monete, è facile determinare le caratteristiche della "partita”: unasterlinaingleseèugualea un’altra sterlina. Ma quando si comprano manzi o maiali, come si fa a essere sicuri della quantità e qualità della merce che si compra? Ci si premunisce esigendo criteri uniformi di qualità, quantità, peso, volume..., anche se nel mondodellemacchineedegli utensili e delle monete la standardizzazione sembra più naturale, più intrinseca, in quanto questi strumenti sono artificiali, pensati per essere standard. Molto di più colpisce la standardizzazione inunagallina,inunuovo,in un vitello, in un porcellino o inunaqualitàdigrano. Niente è lasciato al caso. A questo scopo, si deve stabilire che il bovino vivo (Live cattle, unità di 40.000 libbre, circa 18 tonnellate) deve essere composto da animaliognunodi1050-1200 libbre(480-540chili)dipeso medio, con un massimo di deviazioneindividualedi100 libbre. Nei futures sul legname si stabilisce per l’unità (4400 metri cubi) un massimodiumiditàdel19%, il legno deve essere tagliato inassirettangolari,legatocon nastri di acciaio, avvolto in carta, in pacchi di assi di lunghezza omogenea non minoredi2,4enonpiùlunga di 6 metri, soddisfacente i criterifederaliperillegnoda costruzione, proveniente solo dai seguenti stati Usa e province canadesi California, Idaho, Montana, Nevada, Oregon, Washington, Wyoming, British Columbia e Alberta e così via con altre definizioni. Ma il primo passo in assoluto è creare una discontinuità, stabilire un criterio discontinuo di classificazione che istituisca unnumerolimitatodiqualità per ogni prodotto, mettiamo cinque e solo cinque qualità diverse di carote, ordinate in modo che la qualità 1 sia la più a buon mercato e la qualità 5 sia la più cara. Creare queste qualità, nominarequestitipidiversidi carota, è un’operazione commerciale ma è anche - senzascherzi-un’operazione epistemologica. In natura infatti non cresconocarotetutteugualidi qualità1operetutteugualidi qualità 2, ma carote, pere e frutti di sapori, qualità e misure diversi, anche se simili, che l’uomo raggruppa arbitrariamentesottoununico nome. Per esempio, nel grano, le diverse specie si differenziano in modo quasi continuo, con scarti lievissimi,perdimensionidei chicchi, tenore di umidità, consistenza, colore e potere nutritivodellafarinaprodotta. A questa scala continua di beni che la natura ci porge, perché essi diventino merce scambiabile in astratto, su carta, il mercante di futures deve sostituire una graduatoria discontinua di limitate qualità diverse: qualità1,2,3... Queste qualità definisconounazona,un’area in cui sono raggruppati grani diversi che poi vengono tutti catalogaticonlostessonome. Due grani molti simili possono trovarsi in qualità diverseperchéviciniallimite tra le qualità, come paesi contigui in nazioni diverse perché sulla frontiera. Ora, nonconvienecoltivarespecie della qualità bassa vicino al limite con la qualità alta; meglio coltivare specie situate verso il basso della qualitàalta,cherendedipiù. Ladefinizioneintervienecosì nella selezione delle specie, favorendo sempre le specie situate verso il basso delle qualitàsuperioriesfavorendo le specie situate verso l'alto delle qualità inferiori. Intere varietà situate in queste zone sfavorite scompariranno, a causa di una definizione originariamentearbitraria. Definire per esempio cinque e solo cinque tipi di mele farà sì che le mele prodotte saranno tutte di cinque e non più di cinque tipi.Senzasaperlo,ilmercato deifuturesaffrontaerisolvea modo suo la discussione medievale sugli universali, il dibattito tra nominalisti e realisti, quando gli scolastici cercarono di risolvere il dilemmaseinomidellecose sono pura convenzione, alito di voce, o se le idee corrispondono alla realtà oggettiva di ciò di cui esse sono idea, o se ancora esse hanno una realtà propria indipendente da noi che le pensiamo e dagli oggetti che vediamo. Per vendere e comprare un bue-futuro, il mercatodevedefinire“ilbue ideale”, “l’idea di bue”. Una volta definita quest’idea, fissato lo standard, la realtà del bue allevato deve adeguarvisi, altrimenti non trova mercato. Negli Stati Uniti ogni anno migliaia di tonnellate di mele sono buttate perché di dimensioni inferiori di qualche millimetro a quelle fissate dagli standard ufficiali. Qui, perquantoall’inizioderivida una pura convenzione arbitraria, il nome della cosa produce la sua cosa. Non solo. Esso ne definisce l’essenza, la quidditas, e perciò esclude dalla sua sostanza tutto ciò che non rientra nella definizione. Nel mercatodeifuturesdimanzo non è definito il sapore della bistecca, come nei futures delle mele non è definito il sapore, ma solo la varietà, la dimensione, il colore. Quindi la quidditas della mela, la “melità”èdefinitadalcolore, dalla consistenza, dalla dimensione, più in generale dalla forma, ma non dal sapore.Eseilsaporeètroppo “definito”,essosiscostadalla norma.Megliounnonsapore cheunsaporetroppopreciso. Quella stessa definizione che si disinteressa del sapore della cosa tende a produrre cosesenzasapore. Ecco perché nei supermercati le galline sono tutte uguali, le mele hanno identiche dimensioni, le arance hanno indistinguibili colori.Enullahasapore.Per poter essere sottomesse al mercato dei futures. Perché i signori di Chicago (e New York, e Hong Kong, e Londra,eSingapore)possano scommetterci, puntarci, non nelle bische clandestine, come i comuni mortali, ma nei grandi templi del denaro, nei "culpii”, come li chiama Oipaz, il protagonista del bellissimo romanzo dello storico inglese Edward Thompson.5 *** I future contracts furono inaugurati nel 1865, appena alla fine della guerra civile americana. Oggi, meno di centoquarant’anni dopo, Chicago è la capitale planetaria del mercato dei futures:circaunterzoditutti gli scambi mondiali passano per le rive del Lago Michigan, anche se il suo predominioèmessoarischio dalla concorrenza sempre più spietatadellealtrepiazzeche l’hannocostrettaaunaretedi alleanze. Il Mercantile Exchange ha stretto un patto con le piazze di Parigi, Singapore, Toronto, Sao Paulo, Montréal, mentre il Chicago Board of Trade si è alleato con il sistema francosvizzero Eurex. Dal 1865 il commercio dei futures si è andato sofisticando. Si comprano e vendono futures sulle derrate agricole, sul bestiame (vivo e congelato), sulla legna, sui fertilizzanti. Non solo. Un future sul maiale a un anno è un contrattochecompraoggiun contratto per maiali tra un anno. Questo è un concetto generale che vale per una quantità di altri contratti. Tutte le altre materie prime sono passibili di futures. Pensate al petrolio e alle sue fluttuazioni per ragioni politiche (guerra del Kippur, invasione del Kuwait). Non solo. Se io sono un importatoreamericanodiauto tedesche, so che tra un anno avrò bisogno di marchi tedeschi. Ecco quindi i futures sulle monete (introdottinel1972,dopoche nel 1971 Nixon aveva deciso difarfluttuareildollaro)che ebbero un boom spaventoso. Ma poiché i futures hanno sensopertuttociòchesubirà variazioni in futuro, ecco i futures sui tassi d’interesse, sugli eurodollari, sul Libor. Eccopoiifuturessugliindici azionari,einfattiaChicagosi trattanofuturessulloStandard & Poor s 500 Index,6 e sull’indice Nikkei. Ma basta guardarsi attorno ed ecco allargarsi il campo di attività dei futures: perché non trattare futures sui buoni di stato, sull’indice dei prestiti lanciatidaicomuniamericani, suitassideimutuiedilizi? Poi, nel 1982 Videa geniale:poichéifuturessono essi stessi variabili, si possono trattare futures sui futures, futures al quadrato, edeccoapparirele“opzioni” (sui futures). Nel 1999 (ultimo anno prima della recessione del 2000-2003), il volume di futures e options era stato di 254 milioni di contrattialChicagoBoardof Trade (ma l’anno prima, il 1998, era stato record, con 281 milioni di contratti), e di 201 milioni di contratti al Mercantile Exchange (Cme, anche lì il record è però del 1989, con 226 milioni). Il valore nominale dei contratti del Cme era di 19.000 miliardi di dollari nel 1986, 50.000 miliardi nel 1991 e 183.000 miliardi nel 1999.7 Contando l'indotto, scommettere sul futuro dà lavoro a circa 200.000 persone nell’area metropolitanadiChicago.8 Queste cifre sono così enormi da sembrare irreali. Materialmente vedi tanta gente in giacchette dai colori diversi, verdoline, celestine, gialle, rosse, a seconda delle funzioni di questi camerieri (commessi, clerks), inservienti affannati del denaro. Ma è l’immaterialità che ti colpisce. Qui si scambiano opzioni su futures su contratti a termine. Contratti alla terza potenza. Ma niente esclude contratti allaquarta,quintapotenza,in ungiocochesiautoalimenta. Un’immaterialità garantita da una rete telematica con 165.000 connessioni in 118paesi. Con questa tecnologia ultramoderna,quisigiocasul gioco. È quindi un gioco doppiamente pericoloso. Un primoavvertimentocifuil19 ottobre del 1987 quando la Borsa di New York perse il 21% in un giorno solo: il mercato dei futures perse il 29%efuaccusatodiesserela causa che amplifica i guadagni speculativi quando ci sono, ma amplifica anche le perdite: e infatti le perdite furonoancorapiùpesanticon ilcrolloazionariodel2001.E tu ti immagini questi milioni di tonnellate di cotolette di porco congelate che viaggiano immateriali via computer da Hong Kong a Londra via Chicago. E ti chiedi cosa capiterà alle scrofe, ai buoi, ai vagoni di mais, quando, un giorno o l’altro,questeretiandrannoin cortocircuito. Giocare sul futuro è un concetto ambiguo. Nel mercato del bestiame si acquistaildirittoacomprarsi una mandria tra un anno. Ma quanti altri diritti si possono comprare? Un cacciatore potrebbe comprare il diritto perl'annoprossimodisparare in una riserva a cento anatre. Un automobilista potrebbe comprarsiildirittoauntotdi incidentiassicuratiperl’anno prossimo. Ci sarebbe un mercato dei futures sugli incidenti stradali con titoli emessi dalle assicurazioni. Nel 2003 il Pentagono aveva persino proposto di istituire un mercato dei futures sugli attentati terroristici: la proposta suscitò un putiferio efuritirata.9 Anche questo è unfuture.Piùconcretamente, dal marzo 1993 al Chicago Board of Trade sono stati messi all’asta i futures sui diritti d’inquinare, di appestarel’ariaconl'anidride solforica. I diritti d’inquinamento sono i pollution rights, detti anche clean air (aria pulita, dal nome della legge del 1990, Clean Air Act, che ha introdotto il mercato borsisticodell’inquinamento). Secondoquestalegge-prima che l’amministrazione George W. Bush di fatto la svuotasse -, alle più inquinanti centrali a carbone degliStatiUnitieraassegnato un numero prefissato di permessi d’inquinamento. Ognuno autorizzava a emettere una tonnellata di anidridesolforica(SO2)inun certo anno. Se l’impianto emetteva più tonnellate, doveva comprare i corrispondenti diritti d'inquinamento; se ne emetteva di meno, poteva vendereadaltriipermessidi inquinare che "aveva risparmiato”,o“depositarliin banca”,tenendolidaparteper usarli in futuro. L’idea era di rendere conveniente per i produttori ridurre l’inquinamento e incitarli ad adottare macchinari che risparminoSO2. Vadaséche,dopoidiritti d'inquinamento, dopo i futures d’inquinamento, ci saranno anche le "opzioni” d’inquinamento. E anzi, gli Stati Uniti hanno cercato di rendere globale il mercato dell’inquinamento.Dopoaver firmato (ma mai ratificato e infine, con l’amministrazione Bush Jr. denunciato) il trattato di Kyoto nel 1997 sulla riduzione delle emissioni di anidride carbonica, gli Stati Uniti continuarono per anni a condizionare la propria ratifica alla possibilità di comprare diritti d'inquinamentodaaltripaesi. In questo modo, con il meccanismo dei futures il paese più inquinante del mondononriducevaaffattoil suo potenziale di avvelenamento, ma continuava ad accrescerlo confidando sui risanamenti ambientali altrui. Gli Usa si rivolgevanoinparticolarealla Russia che, dopo aver perso la Guerra fredda, ha subito una drammatica deindustrializzazioneequindi disponeva di un abbondante surplus di “crediti” d’inquinamento. La Russia sconfitta che, con i propri crediti, permette agli Usa vittoriosi di non tagliare le loro emissioni ci introduce a una forma inedita di risarcimenti di guerra, risarcimentiambientali. Ma già si è visto che questa soluzione di mercato all'inquinamento, e cioè la creazione di un mercato dell'inquinamento, è inficiata proprio nel suo presupposto: la scambiabilità, la convertibilità di un’unità standard d’inquinamento, in questo caso una tonnellata di anidride carbonica CO2 o solforosa SO2. Fin dalla prima asta, a vendere pollution rights sono state le industrie situate in zone a bassoinquinamento,mentrea comprarlisonostateindustrie inzoneadaltoinquinamento, colrisultatocontrarioaquello che i legislatori si prefiggevano, cioè di aggravareilproblemalàdove è già grave e di alleggerirlo dovenonèancoraurgente.È evidente: a un vecchio impianto converrà comprare diritti d’inquinamento piuttostochedotarsidinuovi macchinari.Egliimpiantipiù vecchi sono concentrati nelle zone industriali storiche, focolaidell’inquinamento. Sotto quest’apparente eterogenesi dei fini (la volontàdelbenecheproduce il male), soggiace una convinzione profonda, e cioè che i guasti (ambientali) prodotti dai meccanismi del mercato possano essere guariti solo dal mercato stesso e che l’opera di riparazione dei disastri causati dal desiderio di guadagno possa essa stessa diventare fonte di guadagno. C’è qui una simmetria tra il funzionamentodelmercatoin generale e quello dei futures in particolare. Come ci può essereilfuturedel future del future, così si può intraprendere un secondo businesscheripariidannidel primobusinessepoiunterzo che rattoppi i danni causati dal secondo, e così via, moltiplicando all’infinito speculazionieprofitti.Anche se certo non se lo immaginavano centosessant’anni fa i pellerossa e i cacciatori francesi sulle rive del fiume Chicago (parola cheinlinguaindigenavoleva dire “aglio”, o “cipolla”, almenocosìpare). 1 Cifra fornita da Irving Cutler, Chicago, Metropolis of the Mid-Continent, cit., p. 19. 2"Thesedieawayunder our very eyes": Bronislav Malinowski,Argonautsofthe Western Pacific (1922), Waveland Press, Prospect HeightsIll.1984,p.xv. 3 An Uncertain Future for Chicagos Pits, in “Financial Times”, 24 agosto 2000. 4 Nel volume Perspectives on Technology, Cambridge University Press, Cambridge (Mass.) 1976. Unaselezionediquestisaggi è stata tradotta in italiano da Rosenberg & Sellier, Torino 1987,coniltitoloLeviedella tecnologia. 5EdwardP.Thompson, The Sykaos Papers, Bloomsbury, London 1988, trad.it.Oipaz,EditoriRiuniti, Roma1991. 6LoStandard&Poors è un indice basato su 500 compagnie - 400 industriali, 40 finanziarie, 40 di servizi, 20 di trasporto - che insieme rappresentano l’80% dei valori delle azioni quotate a WallStreetaNewYork. 7Datireperibilineisiti web rispettivamente www.cbot.com e www.cme.com. 8 An Uncertain Future forChicagosPits,cit. 9“TheNewYorkTimes” del 29 luglio, editoriale del primo agosto 2003. La propostaerabasatasullafede nella razionalità del mercato, per cui le quotazioni dei futures sul terrore fornirebbero previsioni più attendibilisullaprobabilitàdi attentatifuturi. 5.Unaraschiatinaal cielo Chicago è la città che ha inventato i grattacieli, e si vede.Leformebalzanofeline verso le nuvole, si curvano nell’azzurro, i profili si stagliano inusitati, audaci, sempre leggeri. Una levità che solo la massiccia, concretainfusionedimiliardi di dollari ha potuto sollevare nell’aria. Una levità finanziata dai più grandi macellai e salsicciai del mondo:ancoraunavoltanon puoi non interrogarti sul rapporto tra bottegai ed estetica (di nuovo Venezia, con i suoi droghieri, i mercantidispezie). Solo un secolo fa, tra il 1880 e il 1890 la scuola di Chicago pose le basi dell’architetturamoderna.Tra i suoi esponenti spiccano Dankman Adler, Daniel H. Burnham e John W. Root, William Le Baron Jenney e Louis Sullivan, Frank Lloyd Wright, William Holabird e Henry Hobson Richard-son. Attenti alle costruzioni in ferrodellestazioniferroviarie europee, inventarono i grattacieli come strutture in cui il peso dell’edificio era sopportato non più dalle pareti, dai muri portanti, bensì da un telaio interno in ferro. Se gli edifici fossero esseri viventi, la rivoluzione attuata dalla scuola architettonica di Chicago equivarrebbe a quel che è stato per gli animali il passaggio dall’esoscheletro (case tradizionali il cui "scheletro” portante è la parete esterna, il muro maestro) ai vertebrati, con l’“endoscheletro”, la cui superficie esterna (pelle, grasso)èun"rivestimento”.Il paragone con i vertebrati si spingeoltre:ilgrattacielonon esiste senza un sistema circolatorio elaborato, senza un cuore (un motore, una potenza installata) che pompi elettricità, acqua, riscaldamento, esseri umani (cosa sarebbe un grattacielo senza ascensori?). Il grattacielo è inconcepibile senza le innovazioni tecniche difineOttocentochefannodi unedificiononun"oggetto”, ma un meccanismo tecnologico complesso, che funziona, e il cui funzionamento dipende da moltifattori:unsecoloprima sarebbestatobalzanodireche “un edificio funziona”. La metaforadelgrattacielocome organismo ci ricorda il paragone insistente tra macchine e corpi: in quel periodoanchelacittàdivenne un organismo e le sue vie divenneroarterie. Nel 1883 William Le Baron Jenney ricevette dalla Home Insurance Company l’incarico di costruire a Chicago un palazzo a dieci piani per uffici, a prova di fuoco: la città era rimasta traumatizzata dal grande incendio del 1871. Per permettere una maggiore luminosità, Le Baron Jenney usò per la prima volta in architettura uno scheletro di travidiacciaioBessemer.Già nel 1890 i palazzi a Chicago eranodisedicipiani,strutture audaci e imponenti, ordinate da salumai, grossisti del macello e delle granaglie, le cui signore compravano a man bassa le tele di pittori snobbati in Francia, gli impressionisti. Solo sedici piani, ed era considerato una sfida al cielo quel che ora ci pare appena un palazzone. Il fabbricato più alto a quell’epoca fu il Tempio Massonico di ventun piani, completato nel 1892,1 progettato da Bumham e Root. Non a caso Burnham era diventato noto ampliando i mattatoi di Chicago: fra l’altro il giovane architetto si era sposato con la figlia di John B. Sherman che diresse per lunghi anni le Stock Yards. È interessante che gli architetti di Chicago abbiano rivoluzionato la tecnica edilizia ai due estremi delle dimensioni degli edifici: nei grandigrattacieli,coniltelaio metallico, e nelle casette unifamiliari,conl’invenzione del leggerissimo telaio in legno balloon frame (a "struttura di mongolfiera”, fu chiamata così ironicamente per la sua leggerezza). Ambedue le innovazioni hanno agito sulla struttura, l’hanno alleggerita, sostituendo l’ossatura metallica ai pesanti muri esterniinuncaso,unleggero reticolato ligneo alle grandi travi nell’altro. L’idea di Louis Sullivan, "la forma segue la funzione”, ci dice quanto sia radicato il funzionalismo americano su cui,dopoil1945,imporràqui a Chicago la sua impronta Ludwig Mies van der Rohe, giàdirettoredellaBauhausin Germania. “Più è meno" e “Dio sta nei dettagli” erano due tra le massime preferite di Mies van der Rohe. Dagli edifici di Le Baron di fine Ottocento, al grattacielo neogotico,alto141metri,del "ChicagoTribune”deglianni venti (1925), costruito di frontealWrigleyBuildingin stile rinascimento francese, eretto nel 1924 dal colosso del chewing-gum, fino alle strutture severe, anni sessanta, di Mies van der Rohe, ai nuovi profili postmoderni di un altro oriundotedesco,HelmutJahn (che nel 1980 introdusse la moda dei vetri riflettenti colorati di vari colori che danno all’orizzonte di Chicago il tono variopinto di un arcobaleno per uffici), il centro di questa metropoli è uno straordinario museo vivente di architettura moderna. Perché i grattacieli non sono solo un’innovazione tecnica, sono una rivoluzione urbanistica, cambiano il modoincuièpensatalacittà. Anzi, per quanto i grattacieli siano il simbolo delle metropoli americane, essi mettono in crisi e infine negano l’idea stessa di città, se per città s’intende quel luogo dove ci si mischia, si entra a contatto con gli altri, dove si fondono non solo gli individui ma le loro culture, le loro attività e le funzioni del vivere sociale. Il grattacielo introduce e codificaquelladivisionedelle funzioniurbanechelascuola sociologica di Chicago considererà il criterio dell’evoluzione di una città: selacittàèun"vivente”,essa si evolve, essa si specializza, proprio come gli organismi che diversificano le funzioni di cellule e propri tessuti. La città sarebbe dunque costituita da zone divise per funzioni, una per il business, una per il divertimento, una residenziale. Il grattacielo è questa specializzazione realizzata nello spazio in modo così esasperato che negliUsatraigrattacieliele casette a un solo piano non c’è quasi nulla, o un estremo o l’altro (viene da rimpiangere persino i palazzoni a sei-otto piani), che le case sono lontane dal lavoroelàdovecisonouffici non ci sono case (la notte, downtown è deserta e i grattacieli giacciono come dinosauri fossilizzati). Come (rara)abitazione,ilgrattacielo nega la città - i contatti perchéèessostessounacittà chiusa e isolata all’interno della città, è organizzato come un’astronave lanciata nel cosmo, autonoma per la sopravvivenza, dalla lavanderiaallapalestra,coni suoi meccanici e i suoi idraulici, poliziotti e inservienti: l’utopia autarchica realizzata in pieno centro. Madinormailgrattacielo è pensato per la grande corporation (e di solito è costruito da essa). Esso è concepito per riprodurre l'organizzazione verticale di un’impresa gigantesca, grande quanto l'edificio, la cui altezza è metafora materiale del suo fatturato, coniverticidell’impresache hanno gli uffici al vertice dell’edificio.Facendoditutto per mettersi nei panni di Dio che ci guarda dal cielo, il padrone ci guarda dall’attico e volge lo sguardo in giù, là dove gli umani camminano sui marciapiedi cento piani più in basso e somigliano infine alle anonime formichine operose che i padroni bramano poter dirigere. Per quanto alti siano i suoi costi, il grattacielo assolveperfettamenteallasua funzione simbolica. In esso contasolochistasopradite, i “superiori”, mentre gli "inferiori” diventano trascurabili. Se dalla finestra il tuo sguardo scivola giù, le tue aspirazioni vanno su (la scalatasociale).C’èunalotta verso l'alto, tanto più aspra dove molti grattacieli si ergono in competizione tra loro: un edificio di trenta piani risulterà minuscolo se circondato (soffocato?) da altri di settanta e più. Come sa chi ha soggiornato a midtown Manhattan, anche chi sta al ventesimo piano si trovaalbuio,privatodelsole dai grattacieli attorno. Quel che solo cento anni fa era altezza vertiginosa, raggiungibile solo in mongolfiera, ora è ridotto a seminterrato,nelpozzocreato dai vicini più alti. Più i grattacielisalgono,piùsottile diventa la porzione di essi appetibile, perché luminosa, mentresemprepiùpianisono relegati a sottosuolo. Un grattacielo deve essere non alto e basta, ma più alto (da quilacorsaal"grattacielopiù altodelmondo”). È in atto una guerra tra grattacieli per conquistarsi letteralmente “un posto al sole”:c’èunescalation(dove l’arma è l’altezza). “Perché nelle foreste gli alberi sono così alti?” si chiede Richard Dawkins. La risposta sbrigativa è che tutti gli alberi sono alti, così nessun albero può permettersi di non esserlo: sarebbe totalmente oscurato. È grosso modo la verità, ma offende l’economicità della mente umana. Sembra un tale spreco, una tale inutilità [...] se solo fosserotuttipiùbassi,se solocipotesseessereun qualche compromesso sindacale per abbassare il limite di altezza della volta di fogliame. Sarebbero in competizionetraloroper la stessa identica luce solare, ma avrebbero “pagato"costidicrescita molto inferiori per arrivare alla volta. L’economia globale della foresta ne avrebbe guadagnato, e così ogni singolo albero. Sfortunatamente la selezionenaturalenonsi preoccupa di economie globali, non ha spazio per gli accordi [...]. È tipico delle corse agli armamenti, comprese quelleumane,cheanche se sarebbe stato meglio che nessuno avesse iniziato l'escalation, una volta avviata, nessuno possa non tenerle dietro.2 Alberi della foresta e grattacieli sono frutto di una competizione estrema, dilapidano risorse: per essere costruito e funzionare a tanta altezza, il grattacielo brucia una quantità spropositata di energia e di lavoro. Se la competizione è il motore del mercato, si capisce perché i grattacielisonostatiinventati “nella terra promessa del capitalismo”. Non è in discussione qui il razionalismo, è in discussione un certo razionalismo, quello bottegaio appunto, che dimentica le esternalità, i costi esterni e che a volte fa bancarotta. Costruire un grattacieloèconvenienteseil valore del terreno nel centro cittadino è talmente alto che vale la pena di moltiplicarne l’area del piano terra (“l’orma”) per cento piani nonostante le spese della costruzione e della manutenzione. Ma appena il valore del metro quadro in centro scende, il grattacielo diventa antieconomico: è più redditizio costruire uffici in periferiainedificipiùbassie piùlarghi,vistocheilterreno costa meno. Ecco quindi a Chicago grattacieli stupendi, colonne di vetro riflettente, strutture postmoderne di centinaiadipianiconincima frontoni di templi greci, obelischiaccecantidisolenel giorno, galassie di luce la notte. Una sorta di maledizione pesa però sulle compagnie che costruiscono i grandi grattacieli. Nel Trecento, il nuovoduomodiSienarimase interrotto dopo il fallimento dei banchieri Buonsignori; oggi le corporations falliscono spesso dopo aver completato le loro cattedrali. A New York, non c'è più la PanAm che aveva eretto un bellissimo edificio, sono decaduti i Rockefeiler del miticoEmpireStateBuilding, sta vendendo la sua torre anche l’orgogliosa Ibm; a Chicagohadovutotrasferirsi, licenziare 50.000 dei suoi 300.000 dipendenti, chiudere il proprio catalogo per corrispondenza la Sears, Roebuck & Co. che aveva costruitoilgrattacielo(allora) più alto del mondo (435 metri), prima di essere soppiantato nel 1996 dalle Petronas Towers di Kuala LumpurinMalaysia. Queste immani strutture, che sembrano destinate a sfidare l’eternità, si rivelano invece cagionevoli, sensibilissime al minimo refolo di recessione economica:appenalacrescita rallenta,leprimespesechele corporations tagliano sono quelle di rappresentanza immobiliare. E allora questi vertiginosiedifìcicominciano asvuotarsi,esuilussuosiatri di marmo si moltiplicano i cartelli “AFFITTASI”. E quando i grattacieli sono lasciati a se stessi, il degrado èfulmineo:eccoperchéinteri quartieri statunitensi sembrano essere usciti dal bombardamentodiDresda. Non ci sono solo i costi economici, c'è anche la fragilità funzionale di questi edifici destinati a durare per sempre nelle intenzioni dei loro architetti. Un modesto assaggiocenefuoffertodalla bomba posta all’inizio del 1993 sotto il World Trade Center di New York, il complesso dei due grattacieli gemelli,leTwinTowers,alte 411 metri: bastò un ordigno messo insieme da un gruppo dibombaroliperfarchiudere una struttura che ospitava 50.000impiegati,incrinarele basi del secondo grattacielo del mondo. E la prova definitiva della fragilità strutturale di questa “sfida al cielo” è venuta naturalmente l’11settembre2001,quando due aerei di linea dirottati si abbatterono contro questi edifici che sembravano indistruttibili, e li facero crollarecomecastellidicarta, seppellendo sotto le loro macerie 2800 esseri umani e ricoprendo Manhattan di uno strato di diossina cancerogena. Nonsoloigrattacielisono di per sé gli edifìci che meglio simbolizzano il capitalismo, ma le Twin Towers erano il centro di comando del capitalismo mondiale, l’equivalente capitalista di quel che San PietroaRomaèperlachiesa cattolica. Eppure i progetti presentati per ricostruire Ground viro (così fu chiamatadopoilcrollol’area su cui una volta si ergevano leTwinTowers)prevedevano tuttigrattacieliancorapiùalti diquellispazzativia.Sarebbe incomprensibile (errare humanum, perseverare...), se quelle Towers non avessero avuto un valore religioso: rinunciarvi sarebbe apparso un’apostasia. Viene il sospetto che i grattacieli stiano alla modernitàindustrialecomele piramidi stanno all’antico Egitto: costosi monumenti alla megalomania dei loro titolari. Dietro l’apparente razionalità, i grattacieli esprimono una follia prometeica,losfidareleleggi della gravità, la violenza dei venti. È questa follia che commuove, al tramonto, quandolenuvolesiriflettono nellevetratesospeselassù,in alto,nelcielo. 1 AA.VV, A History of Technology,ClarendonPress, Oxford 1958, trad. it. Boringhieri, Torino 1982, vol. v, L'età dell'acciaio, 1850-1900,pp.488-489. 2 Richard Dawkins, The Blind Watchmaker. Why the Evidence of Evolution Reveals a Universe Without Design(1988),Norton&Co., New York 1993, trad. it. L'orologiaio cieco, Rizzoli, Milano1988,pp.270-271. 6.Lavillettavolante Nella stanza ingombra di ninnoli, l’aitante protagonista sferra un diretto al suo corpulento avversario che è proiettato all’indietro contro la parete, la sfonda, rotola sull’erba del verde prato esterno dove finisce col giacere intontito. Quante voltehaivistoquestascenain un film americano e l’hai attribuita all’inverosimile muscolosità degli eroi di celluloide? E invece questa scena è realistica e chiunque potrebbesfondarelaparetedi una casa americana, proprio perché i "muri” sono sottili stratidilegno. Non ci si stanca mai di stupirsi di quanto sia realistico il cinema americano, realistico nel senso in cui Erich Auerbach parlava della letteratura medievale europea, della sua fìguralità. Quando percorri gli Stati Uniti, ti sembra di camminare sempre dentro un grande schermo, di non riuscire mai a destartene, tanto ogni insegna di motel sull’autostrada,ogniestintore sul marciapiede, ogni bancone di bar ti si presenta già visto, ti pare già (falsamente) noto da mille film. Falsamente, perché c’è sempre un impercettibile scartotraquelchevediequel che invece è ricordo di un fotogramma. Discrepanza sottile ma radicale. Attribuisci lo sfondamento dellapareteallaforzaerculea dell’eroe perché ti pare impossibile che una tecnologia cinematografica tanto sofisticata, con la computerizzata ingegnosità dei suoi effetti speciali, descriva una civiltà di “casettedilegno”,cioèrurale, primitiva.Èl’integrazionetra celluloideelegnoasembrarti un ibrido contronatura: il legno "figura” la natura, l’autenticità, mentre la celluloide “figura” l’inautentico, la plastica. L’uno la terra degli spaccalegna,l’altral’universo deisupermercati. Eppure oggi, per quanto assurdo appaia, nella nazione piùavanzatadellaterra,nella potenza dotata di portaerei atomiche, supercomputer e stazionispaziali,lastragrande maggioranza delle case è lignea: su 100 nuove abitazioni iniziate nel 2001, 79,6 erano unifamiliari, la quasi totalità in struttura di legno. Anzi, gli Stati Uniti costruiscono sempre più in legno:trent’anniprima(trail 1970 e il 1973) le case unifamiliari costituivano solo il57%deltotale.1 Il rapporto tra legno e abitazione è tanto stretto che basta un movimento ecologicomobilitatoasalvare una foresta sulla costa dell’Oceano Pacifico per far schizzare in alto il prezzo delle case in tutta l'America: quando un gruppo di pressionechiedechesiponga fine alla distruzione di una foresta, al Mercantile Exchange di Chicago ne risenteilcorsodeifuturessul legno. Negli Stati Uniti dunque chipensa“casa”pensalegno, come nell'Europa di qualche secolo fa. Con la differenza che,conl’industrializzazione, con l’acciaio, il cemento armato, i mattoni forati, nell’industriaediliziaeuropea il legno è scomparso, serve ormai quasi solo come materiale per le impalcature, per gli infissi, per i parquet. Quando pensiamo “casa”, in Europa pensiamo pietra, mattone, muri. Assistiamo come a un’inversione temporale: dove nel Vecchio continente il progresso tecnologicoharidottol’usodi un materiale "vecchio” come il legname, nel Nuovo continentelohacentuplicato. *** Per quanto sembri strano, è stato infatti il progresso a rendere così pratico l’uso del legno negli Stati Uniti, e questoprogressofurealizzato a Chicago nel 1833, quand eraunborgo.Finoadallorale caseinlegnoamericaneerano costruite secondo la tecnica europea, in cui tetto e piani superiori erano sorretti da pesanti travi, poggiate su grandi pilastri e fissate l’una all’altra con mortase, tenoni, incastri di precisione e rare inchiavardature. All’inizio questometodofudovutoalla scarsità di viti e chiodi, che erano fabbricati a mano ed erano carissimi. Poi divenne tecnica edilizia trasmessa da unagenerazioneall’altradalle corporazioni dei carpentieri finchéfuconsiderataquasiun dogma architettonico. Ma negli Stati Uniti, soprattutto quando si scatenò la corsa all’Ovest nell’ottocento, eranopochissimiicarpentieri qualificati. Non solo, ma nel 1830entraronoincommercio chiodi fabbricati a macchina che costavano un settimo dei chiodifabbricatiamano. La prima dimostrazione che con i nuovi chiodi era possibile supplire alla mancanza di carpentieri specializzati venne dalla costruzione della chiesa cattolica di Santa Maria a Chicago. Qui fu provato che unastrutturadileggereassidi legno, se numerose e connesse tra loro da tavolati trasversalifissaticonichiodi, era in grado di sostenere non solo un tetto, ma anche un secondo piano. Per la costruzione di edifici, si trattava di una vera e propria rivoluzione concettuale. Snelli travetti di legno si dimostravanoingradodifare quellavorochefinoadallora era stato appannaggio delle pesanti,spessetravidilegno. Si verificava che un fitto telaio di assi agili aveva una resistenza al vento e al peso per sino maggiore delle costruzionitradizionali. Questastrutturasembrava così assurdamente leggera e immateriale che i suoi critici la definirono ironicamente balloon frame, “telaio a mongolfiera”.2 Nel balloon frame, sottili travicelli dallo spessore standardizzato (2x4 pollici,cioè5x10cm)postia distanzastandarddi16pollici (41 cm), inchiodati l'uno all’altro, scaricavano sul pavimento tutto il peso e si dimostravano stabilissimi sia lateralmente sia verticalmente. È interessante notare che il balloon frame rivoluzionò il rapporto fra muri e pareti da un lato e telaiodall’altro,propriocome l’altra rivoluzione edilizia realizzata a Chicago (mezzo secolo più tardi), e cioè i grattacielichefeceroevolvere gliedificidagliesoscheletriai vertebrati. In ambedue i casi si trattava di agire sull’ossatura, sullo scheletro, d’invertire le funzioni, di scaricare,dirottarel’oneredel sostegno dal muro al telaio. Suquestotelaiodilegnosono poiapplicabilitettidiardesia, di tegole, pareti nei più vari materiali, in gesso, in mattone, in plastica, in legno stesso (negli Usa una casa con l’esterno in mattoni è comunqueastrutturalignea). I vantaggi del balloon frame furono enormi. In primo luogo consentì di sfruttare a scopo edilizio tronchi molto più sottili dei precedenti: fino ad allora si potevano usare solo megatronchi che mantenessero un diametro sufficiente per metri e metri. Pini sottili diventavano appetibiliperl’ediliziaquanto immani querce. (Nel nostro secolo sono state apportate migliorie al balloon frame: oggiperunacasaaduepiani non sono più necessari assi portanti alte due piani, ma bastano travetti alti un piano che si appoggiano e si reggono su quello inferiore: ciò permette l'uso di tronchi ancora più esili e più corti.) Inoltre, la leggerezza dell’intelaiatura ne facilitò il trasporto su lunghe distanze, permise cioè di prefabbricare gli elementi in serie, in una segheria dove le assi erano tagliate a misura, numerate a seconda della posizione che dovevano prendere nel telaio di casa e poi spedite a destinazione. Poichébastavanosolouna scalaapioli,chiodi,martellie seghe, queste case potevano essere costruite da un qualunque operaio e non richiedevano costosi carpentieri specializzati. C’era di più: ora a tirare su una casa balloon frante, due uomini ci mettevano meno tempo di quanto prima impiegassero venti uomini a costruireunacasacolmetodo antico. Nel 1855 Solon Robinson diceva: “Se non fosse stata per la conoscenza deiballoonframes,Chicagoe San Francisco non avrebbero mai potuto crescere, come fecero, da piccoli villaggi a grandicittàinunsoloanno”.3 Questa facilità di costruirsi la casa da soli (doit-yourself-home)produsseun effettoaddiritturaparadossale ecioècheacavallotraOttoe Novecento,inmoltecittà,tra i lavoratori immigrati ci fosseroalmenoaltrettanti(ea Detroit più) proprietari di case che tra i benestanti americani di nascita e anglosassoni di origine. Il fatto è che gli immigrati poveri si costruivano da soli le loro case balloon frame, mentregliagiatianglosassoni nati in America si facevano costruire dimore con la tecnica europea, molto più dispendiose.4 Ancor più decisivo fu il balloon frame nella colonizzazione del West. Senza queste casette a elementi pretagliati a misura, chechiedevanosolodiessere montati e inchiodati, casette però capaci di resistere alle tempestedinevedelMontana e alle ventate violente delle grandi piane, è probabile che lavitanelWestsarebbestata molto più difficile, la penetrazione più lenta. Checché ne dica il mito del rudepionierechesicostruiva la casa a colpi d’ascia con tronchi d’albero, in realtà fattorie e ranch del West furono tutti balloon frames tirati su a martellate con assi 2x4 pollici, spedite dalle grandi segherie di Chicago.5 Già dal 1846 furono posti in vendita progetti di case standardizzate, complete di istruzioni. Dopo il 1860 furono venduti vani prefabbricati, completi di porteefinestre. Nelsuofamosoreportage - Chicago - sull"'Atlantic Monthly Review” del 1867,6 James Parton scriveva: “Per economizzare il trasporto [i mercanti] stanno cominciando a spedire legname nella forma dì case già pronte. C'è una ditta di Chicago che è felice di fornire cottage, ville, scuole, negozi, taverne, chiese, tribunali, o intere città, all'ingrosso o al dettaglio, e d’inoltrarle ben confezionate in ogni angolo del paese”. E poiironizzava: Nessun dubbio che avremoprestolagioiadi leggere annunci pubblicitari in cui i fabbricanti di città dichiareranno che sono lieti di accettare le ordinazioni per i più piccoli villaggi, che possonoessereprenotate cittadine di contea, che metropoli possono essere fomite e spedite; che ogni città sul nostro listino può essere consegnata contrassegno trasportogiàpagato;file di cottage sempre pronte, chiese in ogni stile, n.b. Prelati e altri pregansi contattarci prima di comprare altrove.7 Il contadino dello Iowa poteva scegliere in un catalogo la casa dei suoi sogni, farsi spedire le assi standardizzate da 2x4 pollici, le porte e finestre prefabbricate e costruirsi la suafarmdasolo.Nel1895il “Ladies’ Home Journal" cominciò a pubblicare progetti di casa e offriva l’insieme delle specifiche e istruzioni di costruzione per appena 5 dollari. Nel 1919 questa rivista raggiunse una diffusione di 2 milioni di copie (su 106 milioni di abitanti).8 L'ultimo, decisivo vantaggio è che, per almeno un secolo e fino agli anni sessanta, il balloon frame ha ridotto in modo strepitoso il costo di costruzione di una casa. Insieme ad altri fattori meno neutri politicamente (vedi il capitolo 10), il balloon frame ha davvero messo alla portata della maggioranza dei cittadini americani una casa singola, staccata,diproprietà. *** A fronte degli incredibili vantaggi, il balloon frame presentava alcune controindicazioni.Laprimaè che, fra la parete esterna e quellainterna,lasuastruttura con spazi d’aria verticali fra untravettoel’altro,dalleassi del pavimento a quelle del soffitto, funzionava meglio della canna di un camino, meglio di un mantice per far tirarelefiamme.Ilsuotelaio era una vera e propria macchina incendiaria. Ben se neaccorseroiChicagoansnel 1871 quando il grande incendio distrusse buona partedellacittà(fud’altronde dopo quell’immane rogo che laborghesiadellaWindyCity s’appassionò tanto ai telai in acciaio dei futuri grattacieli). A questo problema fu messo unrimedioparzialeprimacon delle tavole fermafuoco, che bloccavano l'aria a diverse altezzenellospaziotraleassi verticali. Poi, nel xx secolo, unulteriorefrenoagliincendi èvenutodallanuovaversione - detta western -del balloon frame, che non richiede più assiverticilliportantialtedue piani. Ma il pericolo resta. Nonostantegliincendidicase siano diminuiti del 52% in ventanni, nel 2000 sono bruciate 284.000 villette unifamiliaricondanniper4,6 miliardi di dollari, 12.575 feriti e 2920 morti.9 Negli Stati Uniti gli incendi hanno sospintolacampagnalanciata contro il fumo negli anni ottanta, proprio come nella Russia zarista, già nel 1634, per prevenire i pericoli d’incendio, era comminata la pena di morte a chi fumava tabacco. Il secondo difetto è che queste strutture leggere e isolate consumano una quantità enorme di energia per la regolazione termica (riscaldamento d’inverno, condizionatore d’estate). Ma questa voracità energetica è considerata un inconveniente minore in un paese dove la benzina costa ancora 1,8 dollari a gallone (3,8 litri), mentre in Europa costa un dollaro al litro. Anzi, la costruzione di case unifamiliari è esplosa negli Usa dopo la guerra nel Kippur (ottobre 1973), dopo che è scoppiata la crisi del petrolio, quando l’edilizia avrebbe dovuto risparmiare energia. A queste controindicazioni si è aggiunto l’invecchiamento tecnologico.Il balloon frame è tipicamente statunitense: è quasi sconosciuto in Messico e assai poco diffuso in Canada. Negli altri paesi e continenti che nell’Ottocento nonadottaronoquestatecnica rivoluzionaria, sono stati sviluppati in questo secolo metodi di costruzione prefabbricata infinitamente più resistenti e più a buon mercato, per cui oggi il vantaggio propriamente economicodelballoon frame sièridottoquasianulla.Èil processoinversoaquelcheè avvenuto - per esempio nel settore delle macchine utensili - a fine Ottocento tra Gran Bretagna e Stati Uniti: proprio perché l’Inghilterra aveva sviluppato una tecnologia avanzatissima all’inizio del secolo, essa persistette nel suo uso, fu prigioniera del suo passato e fu superata dalle nuove tecnichesviluppatenegliStati Uniti. A fine Ottocento - mi raccontava Wolfgang Schivelbusch - una commissione d’inchiesta inglese in viaggio negli Usa per analizzarvi il progresso tecnologicoconclusecheuno dei motivi del sorpasso tecnicostatunitenseerachein Gran Bretagna i macchinari duravano troppo a lungo e passava troppo tempo prima che fossero sostituiti da una generazione di macchine più progredite, mentre negli Usa, dove le macchine si rompevanoprimaeandavano cambiate più spesso, il ricambio tecnologico era accelerato. La fragilità, il rompersi facilmente, il non durare come fattore di progresso. La casa balloon frame è solida nello spazio e nelle intemperie, ma non nel tempo, è deperibile, non è certo costruita per durare secoli. Per un europeo può essere un difetto, però a un occhio statunitense anche questa friabilità si rivela un vantaggio, un fattore di progresso. Infatti, la fragilità è il prezzo per la, e la condizione della, leggendaria mobilità residenziale degli americani. Gli ultimi dati dicono che ogni abitante statunitense cambia casa in mediaognicinqueoseianni. Più precisamente, negli otto anni dal 1992 al 2000, ogni anno ha cambiato casa tra il 15 e il 16% degli americani. Cioè, hanno traslocato annualmentepiùdi42milioni di persone, più di una su sei. Tra costoro, si sono spostati geograficamente, hanno cambiato contea (cioè provincia), il 6% di statunitensi, quindi circa 17 milioni di persone. E ben il 3% degli americani migra da stato a stato ogni anno, uno spostamentocheequivalealla migrazione da un paese europeo all’altro. Poiché la speranza di vita è di 76,9 anni, nel corso della sua esistenza, cambia casa in media più di dodici volte (12,3), contea quasi cinque volte(4,6),edemigradastato a stato due volte (2,3) nella vita (naturalmente si tratta di valorimedi).10 É un viavai ininterrotto, impressionante. Un su e giù ditraslochiemasserizie.Che peraltro la gente cerca di ridurrealminimoconastuzie: ecco perché le abitazioni negli Usa sono affittate tutte giàcorredatedigrandiarmadi a muro, di cucine, di grandi frigoriferi, di lavatrici e asciugatrici condominiali nello scantinato (altrimenti a ogni trasloco l’inquilino dovrebbe o ricomprarsi tutto o trasportarlo da un capo all’altrodelcontinente).Ecco perché si possono firmare contratti d’affitto persino per soli tre-quattro mesi (anche perché chi affitta - in un quartiere non popolare - è di solito benestante). Giriamo sempre intorno allo sfaccettato concetto di praticità. La mobilità geografica e residenziale è un valore, qualcosa per cui vale la pena sacrificare altre comodità, pagare altri costi perché “la libertà ha un prezzo” e la mobilità è l’espressione più immediata, più tangibile di questa libertà. Uomo libero è chi può stabilirsi dove vuole, cambiare casa, cambiare lavoro. (Nell'organizzazione sociale statunitense, questa definizione della libertà è ritagliata su misura dell’umano maschile, non dell’umanafemminile.) E il cambiamento deve costituire non solo una remota possibilità, confinata allo stato virtuale, ma va comprovato, ripetuto, a dimostrare a se stessi di essere davvero liberi quando, di tanto in tanto, rode il dubbio di essere prigionieri: seèverochelatiranniainizia sempre con limitazioni allo spostamento (permessi di polizia,passaportiinterni),se cioè non c’è libertà senza libertà di movimento, non basta però la mobilità ad assicurare la libertà: se tu fossiliberosolodimuoverti? ManegliStatiUnitilalibertà d’insediamento ha un valore emotivo più forte che altrove poiché questa nazione è nata da un muoversi, da un migrare. Per questa ragione l’Esodo, la fuga degli ebrei dall’Egitto dell’Antico Testamento, fa risuonare corde così profonde oltre Atlantico: perché l’esodo è il gesto fondativo degli Stati Uniti d'America e, persino nella singola scelta quotidiana, ha una valenza testardamentepolitica. Quandodiscuteleopzioni cheognunodinoihadavanti a sé per esprimere il malcontento nei confronti di una merce (l'automobile), di un’istituzione (la scuola), di una forza politica (un partito o un sindacato), Albert Hirschman osserva che la reazione prevista dall’economia classica, dall’economia di mercato, è l'uscita(Exit),la"defezione”: quella marca di automobile non mi soddisfa, l’abbandono, cambio macchina, “trasloco d’automobile"; così, nel mercatoscolasticoabbandono quellascuolaelacambio;nel mercatopolitico,escodaquel partito o da quel sindacato, o - più semplicemente - smetto di votarlo. Il caso estremo è quando “i capitali fuggono” da un paese perché "inospitale” nei loro confronti. Hirschman nota che in realtà c’è un altro modoefficacediesprimereil proprio malcontento e di migliorare la qualità (dell’automobile, della scuola, di quel partito) e questo modo è la protesta, l’uso della voce (Voice): in alcuni casi anzi, l’uscita si rivela controproducente perché non ci sarà più nessunoaprotestarecontrolu cattiva qualità di una certa marca (così la concorrenza privata spesso peggiora la qualità dei servizi pubblici: potendo scegliere fra treno e corriera, ho meno interesse alla velocità e alla puntualità deltreno,smettodiprotestare perritardielentezze,ecosìi treni arriveranno sempre più tardi). Ma Hirschman nota che la scelta Voice non ha mairiscossoungrandefavore negli Usa proprio perché "l’esistenza e lo sviluppo stessi degli Stati Uniti sono dovuti a milioni di decisioni che alla voce preferirono l'uscita”: "in una nazione che si era fondata sulla fuga prosperandovi, la fiducia nell’uscita come meccanismo sociale profondamente beneficoèstataindiscussa”.11 GliUsasonocioènatidauna scelta Exit e persino i movimenti più contestatori, quando rinnegano il sistema esistente, di norma scelgono la defezione, le comunità nel deserto, come fecero i "Figli dei fiori” negli anni sessanta. Traslocare, cambiare casa, muoversiènonsolousareun diritto costituzionale, ma un riaffermare la Costituzione, è testimoniarla nella propria vita. Il problema è che questa perpetua transitorietà, questo stato d’animo con le valigie pronteconviveconunamore divorante per la propria casa. La provvisorietà sistematica si coniuga con l'adorazione delfocolareimmutabile,della domesticità.Èunpo'quelche avviene per la famiglia. La famiglia è il valore centrale della società americana ma è la sua realtà più fuggevole poiché, appena i figli sono cresciuti, essa si disperde disseminandosi su tutto un continente in una diaspora irreversibile (facilitata e causata dalla mobilità). Qualcosapercuisièprontia uccidere, ma che è così fugace. La legge americana consentedisparareeuccidere chiunque penetri in casa tua contro la tua volontà. Kenneth Jackson12 cita Gaston Bachelard per cui lo spazioèdivisoneiduegrandi insiemi “Casa/Non Casa”, proprio come il mondo è divisoin“Io/NonIo”:laCasa quindi come simbolo del Sé. Ma in quanto simbolo di sé, una casa povera e malandata indica un Io sciatto, ozioso. La dimora diroccata può essere abitata solo da un residente bacato, vizioso (povero?). Quest’attaccamento geloso nei confronti della casa in quanto valore (la “casità”), idea di focolare, è solo formalmente contraddetto dalla facilità di traslocare. Mentre ci abiti, curiiltuogiardinettofinoallo spasimo, mettendo tutto il senso di te nella tonsura del prato, ma poi è senza rimpianti che l'abbandoni per un nuovo, uguale praticello. L’idolatria nei confronti del valore casa, della casità, è parisoloalladisinvolturacon cuilacasamateriale,inlegno echiodi,ècomprata,venduta, abbandonata. La costruzione fisicainballoonframeèsolo unostrumento,unutensiledel valore-casa. Inquestosenso,purmeno “casalinghi",glieuropeisono più feticisti nei confronti della dimora familiare: basti pensare alla retorica sulla casadegliavi.Lacasafisica, materiale, è un valore in sé, nonèarnese,essarappresenta la "solidità” (negli Usa essa rappresenta invece la “realtà”): non a caso in Europa si dice “investire nel bene immobile (si noti l’immobile), nel mattone (Italia), nella pietra (Francia)”,mentreinAmerica si parla di real estate, “proprietà reale". La stessa differenza che c’è tra l’orologio che ti regalavano da ragazzo (per la prima comunione, nei paesi cattolici), un orologio costoso, destinato a durare tutta la vita, che toccavi con piacere, come una bella stilografica, e invece lo Swatch, preciso, a buon mercato, di cui possiedi tutta una collezione, che cambi e indossi in accordo col colore del vestito, e che compri e getti con facilità (come una biro). Il paragone con l’orologiorisaleadAlexisde Tocqueville quando descriveva la natura dei prodotti manufatti “presso i popolidemocratici”: [L’operaio] si sforza d’inventare processi che gli permettano di lavorare non solo meglio, ma anche più rapidamente e a minor costo e, se non può riuscirci, di diminuire le qualità intrinseche dell’oggetto che produce, senza renderlo del tutto improprio all'uso cui è destinato. Quando solo i ricchi avevano orologi, questi erano quasi tutti eccellenti. Oggi se ne fanno solo di mediocri, ma tutti ne hanno uno. Così, la democrazia non tende solo a dirigere lo spirito umano verso le arti utili, ma porta gli artigianiaprodurreassai rapidamente oggetti imperfetti e il consumatore ad accontentarsi di questi oggetti.13 Questa relazione usa e getta, strumentale, con l’ambiente che ti circonda è un modo diverso di rapportarsi col mondo (e quindidiesseresestessi)che sièimpostoesièestesonella modernità.Nonèunrapporto causato solo dalla tecnica o dalle leggi del mercato, o dalla logica del dominio o dello sfruttamento: nel caso della villetta balloon frame, cosa vorrebbe infatti dire “sfruttare una casa”? Piuttosto, qui il rapporto strumentale si rivela l’unico modo per far convivere due miticontraddittori:daunlato il mito del focolare domestico, simbolo del tuo radicamento, che ti raffigura come quercia inamovibile, dall’altro l’aspirazione alla libertà, il perseguire la mobilità geografica, fisica, che spazza via le radici. Per ottenere l’uno (il focolare) e l’altra (la mobilità), per far crescere un’improbabile “quercia mobile”, bisogna allora smaterializzarle queste radici, far sì che esse siano indipendenti dal luogo fisico incuituabiti,cheessesiano presentiovunque,anchenella mobilità, letteralmente “astratte” dal sito in cui si radicano.Nelmondolatinola gens risiedeva là dove sì ergeva l'altare con gli dèi protettori della famiglia, i Lari; nell’America di oggi nessunosiportapiùappresso il “fuoco domestico”, ma la continuitàdelfocolarealdilà dello spazio e del tempo è garantita dalla standardizzazione delle villette e delle case. La standardizzazione,ancorauna volta. Il fatto che le casette siano costruite tutte esattamente nello stesso modo, stessa logica, stessi accessori, con assi della stessa sezione 2x4 pollici, ti fa vivere sempre nella stessa abitazione, che ti trovi in Texas o nel Maine, ti fa sentiresempreacasatua. L’impersonalità, l’anonimato delle case americaneèunacaratteristica ricercata,enonunamancanza di gusto o la spiacevole conseguenza del costruire al risparmio. Già ai suoi inizi nell’Ottocento, osserva John B. Jackson, la casa balloon frame erarapidaesemplice da costruire, era indifferente alle tradizioniarchitettoniche locali o popolari, ed era vista come temporanea; non perché sarebbe crollata, ma perché sarebbe stata venduta presto e presto ceduta a nuovi venuti. Solon Robinson e altri scrittori sulla conquista del West esortavano le famiglie a costruire le loro case balloon frame il più impersonalipossibileper poterrenderleaccettabili a ogni eventuale acquirente.14 Il “più impersonale possibile” come qualità positiva,comeciòchefacilita lo scambio. La standardizzazione, la dimora come strumento seriale, ti consente di ritrovare a migliaia di chilometri di distanza sempre lo stesso modellodicasa,stessoprato, stesso cortile, identico suburbio. Come puoi attraversare il mondo mangiando sempre lo stesso hamburger McDonald’s, così puoi traslocare per tutta l’America, dall’Atlantico al Pacifico, abitando sempre nella stessa villetta unifamiliareintelaioballoon. Che importa quindi se la villetta è fragile, se dopo qualche anno crolla? Quella villettarivivenellesuecopie, èduraturanoninsé,manella suareplicabilità. È "la casa nell'era della riproducibilità tecnica”, per usare le categorie introdotte da Walter Benjamin per l’arte. In quest’era, diceva Benjamin, si fa problematico il concetto di autenticità: sapevamoche“l’originale”di unquadroeraautenticoeche lesuecopieerano“false”,ma in che senso un capolavoro fotografico è autentico e la sua riproduzione è un "falso”? L’opera d’arte perde lasua"aura",dovel’auraèla lontananza della sua irripetibilità: riproducendola, latecnicaavvicinal’opera. Il rapporto tra riproducibilità tecnica del balloon frame oltre Atlantico e “aura” della magione avita nel Vecchio continentericalcalarelazione tra riproduzione e quadro orginale: “L’unità e la durata s’intrecciano strettissimamente in quest’ultimo [nel quadro], quanto la labilità e la ripetibilità nella prima [la riproduzione]”. La dimora secolare è unica e duratura quanto il balloon frame è labile e ripetibile. Con la riproduzione, l’opera “si avvicina” a tutti, con il balloonframelacasadiventa allaportataditutti. La differenza non è in negativo. Come “l’opera d’artediventaunaformazione con funzioni completamente nuove, delle quali quella di cui siamo consapevoli, cioè quella artistica, si profila come quella che in futuro potrà venir riconosciuta marginale”, e come “l’opera d’arte riprodotta diventa in misura sempre maggiore la riproduzione di un’opera d’arte predisposta alla riproducibilità”,15 così nella formazione “casa” la funzione che le era riconosciuta può diventare marginale e, nell’epoca della casa seriale, avremo la riproduzione di un focolare predisposto alla moltiplicazione. È in formazione una nuova idea dell’abitare, una nuova estetica, in un diverso rapporto con l’esterno. Quel cheaunocchioestraneopuò apparire ripetitività antiestetica è invece la soluzione creativa che la standardizzazione industriale fornisce per rendere compatibili due pulsioni contraddittorie, per per mettere all’uomo di vivere due sentimenti incompatibili, radicamento domestico e nomadismoesistenziale. *** Solo in un’autostrada degliStatiUnitipuòcapitarti di essere superato da una villetta con le tendine svolazzanti dietro le finestre, con il comignolo, il tetto spiovente e, a volte, anche una loggia davanti all’ingresso. Il villino è fissato sull’immenso rimorchio di uno di quei camioncromati,lucenti,coni due fumaioli alti accanto al muso minaccioso, che su e giù per le Interstates ti tallonano ruggenti, come nel film Duel di Steven Spielberg: si pensi che le dimensioni standard delle mobilehomes,"case mobili”, sono di 12x36 piedi, cioè sono larghe 3,60 metri e lungheben11metri.Secondo l’annuario statistico, negli Stati Uniti, su 119,1 milioni di unità abitative, il 7,4%, cioè 8,8 milioni sono costituite da mobile homes e datrailers.16 Sezioneassonometrica diunamobilehome Di fronte al metodo più raffinatodellacasareplicante, riprodottaserialmentesempre uguale a se stessa, la mobile home rappresenta la forma arcaica, primitiva, per conciliare perpetuità del focolare e mobilità residenziale. Mentre nel primo caso traslocando si abbandona la vecchia dimora per trovarne una nuova ma identica alla prima, qui la casarestasestessa,simuove fisicamente, funziona come unachiocciola,unguscioche ci si porta appresso. Questo guscio ti permette di viaggiare e insieme ti dà la sensazione di essere protetto. Rispetto alla casa, c’è lo stesso balzo tecnologico che si verificò nel tardo Medioevo tra il far viaggiare le monete d’oro e invece spedire un ordine di pagamento (l’invenzione degliassegni):nelprimocaso l’oro si muove fisicamente, nel secondo caso esso resta fermo, si muove il suo concetto, perché lo ritrovi uguale a sé a migliaia di chilometri di distanza. Ma come avviene spesso, la mobile home, in quanto soluzione tecnologica concettualmente arretrata, è però cronologicamente posteriore alla serialità del balloon frame, si avvale dei progressi produttivi novecenteschi e si presenta come più progredita: essa assimila l’industria automobilistica in quella edilizia. Non per nulla, il libro più completo sull’argomento,conimmagini belle e foto a volte commoventi, quello di Allan D. Wallis, s’intitola Wheel Estate, dove wheel (“ruota”) estate allude a Real Estate ("proprietà immobiliare”): wheel estate è una contraddizione in termini poiché è “proprietà immobiliare mobile”: di nuovo la conciliazione degli opposti, ma qui in senso materiale. La mobile home assimila i progressi automobilistici non solo e non tanto perché viaggia su ruote, quanto perché è prodotta industrialmente in unacatenadimontaggio. Il suo status ibrido tra casa e auto è emerso nella difficoltà di definire le sue fondamenta, il suo “telaio”. Secondo l’annuario statistico Usa,unamobilehome"èuna residenza mobile larga almeno 10 piedi e lunga almeno 35 piedi, disegnata per essere rimorchiata sul proprio chassis e senza bisogno di fondazioni permanenti”. Non si era mai sentito parlare dello chassis diunacasa! Ma questa definizione crea ulteriori problemi: lo chassis assimila la mobile homea un veicolo, non a un edificio, impedendole quindi l’insediamento nelle aree definiteresidenzialidalpiano regolatore. Non solo, ma nelle auto lo chassis è in metallo,mentreinquestecase èdilegno,conilrisultatoche l’ufficio federale (U.S. Department) dell’Housing and Urban Development (Hud) ha provato a imporre uno chassis metallico alle mobilehomes.17 Mezza casa, mezzo veicolo, la mobile home non ha però né la mobilità di una macchina né la comodità di una casa: troppo immane per spostarsifacilmente,ètroppo piccolaperabitarviconagio: lunga11metrielarga3,60è enorme sulla strada, ma non fanemmeno40mq.Poichéin mediaviabitano2,4persone, ci si sta proprio stretti (16,6 mq a testa sono meno degli standard abitativi - teorici dell’ex Unione Sovietica che eranodi19mqapersona).La soluzione più spaziosa, double wide, congiunge le dueunitàunaaccantoall’altra in modo che ora la casa sia largaildoppio,7metrie20,e il tutto abbia un’area di ben 79 mq che resta comunque quella di un minuscolo appartamentino urbano. C’è qui una seconda contraddizione: la mobile homeè basata sull’idea degli spaziinfiniti,dellasterminata prateria: ma in questa prodigale disponibilità di spazio, gli umani si arrangianoperstarcistrettini, per pigiarsi in locali angusti. Salta agli occhi la relativa piccolezza degli alloggi nelle sconfinate distese della campagnaamericana. Costruitainserie(oggile industriedelsettorechiedono chesiparlinonpiùdimobile homes, ma di manufactured homes, di “case fabbricate”, visto il significato deteriore che ha acquisito la prima locuzione), la casa mobile rappresenta il massimo della standardizzazione.Enonsolo perchélesuedimensionisono standard, perché i suoi componenti sono intercambiabili,maperchéha bisogno di un ambiente standardizzato: per poter viaggiare è necessario che i calibri e i passi delle prese d’acqua, i bocchettoni delle fogne (il dumping), le prese elettriche siano dovunque uguali. La mobile home ha dunque bisogno di specifici terreni attrezzati, dappertutto uguali a se stessi, che richiamano irresistibilmente le corsie d’ospedale, dove le case (o i trailers) in fila una accanto all’altra sono i degenti (in fila uno accanto all’altro) mantenuti vivi dalle tubature esterne: fleboclisi, cateteri,inalatoriperimalati; tubature d’acqua e fognarie, cavi elettrici, prese per la cable-tv per le case. Anche per le mobile homes il movimento è solo apparente poiché trasferisce da un sito attrezzato a un altro, identico sito attrezzato. Di diverso, rispetto alle case fisse, c’è il rapportoconlospazioesterno al caravanserraglio, deserto intornoaun’oasicarovaniera, terreno di tappa (anche se la tappa può prolungarsi per decenni). La mobile home mantiene così quel carattere cheleerastatoinstillatonella suaepocad’oro,conigrandi lavori del New Deal rooseveltiano e poi con l’industria bellica quando il governo dovette provvedere all’alloggio - insieme transitorio e semipermanente - di centinaia di migliaia di lavoratori: nel 1945 nel laboratorio atomico di Oak Ridge (Tennessee) 5000 trailers si aggiungevano a 9600 case prefabbricate e 16.000 baracche. Questo modello ha avuto successo e hatrovatomoltiimitatori.Nel settore minerario, la Exxon costruì un villaggio residenziale per 2000 minatori a Battlement Mesa (Colorado) vicino a un giacimento di scisti bituminose: quando i lavori furono terminati, queste mobile homes divennero villaggio residenziale per pensionati.18 Battlement Mesa è un buon esempio di quanto sia puro mito la mobilità delle mobilehomes(pericamperil discorso è diverso): in realtà il 95% delle case mobili va direttamente dalla fabbrica a unsitopermanenteepoinon vede mai più una strada. Statisticamente, la mobile home non si sposta più di quanto si sposti un cottage. La sua “mobilità” designa allora solo una maggiore economicità,unaserialitàpiù spinta,unacategoriaabitativa più dozzinale. Nel 2001 il prezzo medio di una mobile home era di 48.800 dollari contro i 170.000 dollari di una nuova casa unifamiliare costruita sul posto. Certo, ci sono anche case mobili da 190mqcontrestanzedaletto e due bagni, da 100.000 dollari, ma in genere la mobile home è la soluzione d’alloggio dimesso per cittadinipoveri.Peraffrontare il mutuo di una casa da 170.000 dollari è necessario unredditodi59.000dollari(è questo un criterio generale nelmercatoimmobiliareUsa: vengono concessi mutui su casechevalgonononpiùdel triplo del tuo reddito annuo lordo), mentre per comprare una mobile home da 48.800 dollari basta un reddito di 35.000.19 Il rapporto tra valore della casa e livello di redditoècomunquemoltopiù sfavorevole per le mobile homes: per esse i mutui sono molto più cari, perché i poveri "sono meno affidabili”,ilcontrollosuuna casa mobile più difficile, le rate inevase e le more molto più frequenti. Ancora una volta il proverbio: “Si presta soloairicchi”. Da qui la cattiva nomea delle mobile homes come rifugio per poveracci: il 37% delle famiglie che vivono in unacasamobilehaunreddito medio annuo inferiore a 20.000 dollari (poco al di sopra della soglia di povertà).20 Popolati da poveri, i campi di mobile homes sono percepiti come comunità chiuse, aliene, paragonabiliinEuropasoloai campi di zingari. Anche qui, cometraigitanidelVecchio continente, alla discriminazione altrui risponde uno spirito di accampamento, il sentimento di formare un gruppo chiuso rispettoalfuori:iresidentiin case mobili o in camper finiscono sempre per rincontrarsi, per frequentare gli stessi camp grounds. La stessa(pursemitica)mobilità separalacomunitàinternada quella esterna. Si genera così una subcultura delle case mobili e dei trailers, direbbero i sociologi. Anche diquestaghettizzazionesiha traccia nei film americani dove la polizia va sempre a cercareimalviventiincampi dimobilehomesediroulotte. Ma nel decennio reaganiano, nell’era clintoniana e ancor più con Bush Jr., una parte della classe media è stata declassata nel purgatorio dellemobilehomes.Ilreddito mediano21 delle famiglie residenti in questo tipo di alloggi è infatti sceso in dollari costanti (cioè tarati dell'inflazione), da 14.500 dollari nel 1981 a 13.400 dollari nel 1996, proprio perché in questi ventanni la fascia medio-bassa ha perso quote di reddito: nel 1980 al 60% meno agiato degli americaniandavail35,1%di tutto il reddito disponibile, mentrenel2000laloroparte era solo del 29,8 %, cioè avevanopersounsettimodel proprio reddito (al contrario gli introiti del 5% di americani più ricchi era passatodal14,6al20,8%).22 All’inizio degli anni ottanta, per rivitalizzare le vendite e attirare clientela di fasce più alte, l’industria del settorecercòdiotteneredallo Hud (U.S. Department of Housing and Urban Development) una categorizzazione in classi delle mobile homes che copiasseladivisioneinclassi di alloggi varata negli anni trentaperrilanciarel’acquisto di case private. In questa tassonomia discontinua, vi dovrebbero essere perciò una classe a, di lusso (di larghezza doppia, double wide, posta su fondamenta permanenti, con garage attaccato),classiBec,medie, einfineclassidedecostruite prima che lo Hud fissasse i suoi standard nazionali (nel 1976).23 Malgrado però tutti gli sforzi promozionali, l’immagine predominante dei residenti nelle mobile homes rimane quella non solo di povera gente, ma soprattutto di persone vecchie, di pensionati che si vendono la vecchiacasapermanente,che vale molto di più, si comprano una casa mobile a basso prezzo, e con la differenza ci vivono. Se nel 1981 i capofamiglia delle mobilehomesavevano un'età media di 46 anni, nel 1990 avevano51(50,8)anni,enel 1996quasi53(52,8). Ancor più significativo: nel 1980, un capofamiglia su quattro aveva meno di trentanni, dieci anni dopo i ventennieranoappenaunosu dieci,enel1996eranounosu dodici (l’8%). Ancor più che le mobile homes, i vecchi si comprano i camper, le motor homes con cui viaggiare e spostarsi e avere l’impressione di vivere un’eternavacanza,dimarein mare. Una vacanza a prezzo modico, risicata, e finché la salute ti assiste. Molti usano le motor homes per sfuggire ai rigori dell’inverno nel Nord degli Stati Uniti. Li chiamano snow birds (fringuelli bianchi, letteralmente “uccelli della neve”), perché in autunno percorrono in lunghe file le autostrade che scendono dall’Illinois, Michigan, Minnesota, Wisconsin, Ohio per sfuggire al vento ghiacciato, alle tempeste di neve, e si dirigono verso il tepore di Florida, Texas, Arizona, California. In aprile vedi interminabili cortei di camper ripercorrere le autostrade in senso inverso, direzione nord, guidati da "pantere grigie”. I più ricchi torneranno alla loro casa settentrionale. I più poveri andranno in uncamp ground inrivaaunodeigrandilaghi, nel Nord del Michigan, oltre Traverse City, o sul Lake SuperioraIsleRoyale. Inquesticampiedentroi trailers la vita è ancora più grama, ristretta, che in una mobile home: quest’ultima è una casa che cerca di farsi trasportaresuruote,ilcamper è invece un camioncino che pretende di diventare una casa.Nell’ibridotraveicoloe abitazione, la prima è più vicina all’abitazione, il secondo al veicolo: il passaggio da mobile a motor nell’aggettivare home. Una grossamotorhomeha14mq di superficie compresi i posti di guida, il cucinino e il bagnetto: pensate di viverci mesi e mesi, gomito contro gomito con il vostro vecchio partner. (Ci sono poi molte specie bastarde di abitazione: case fisse che hanno l’aggiuntadiunacasamobile. O case mobili attaccate a un camper che fa da stanza in più, o due camper attaccati l’unoall’altro.) Ultimo paradosso della mobilità: rispetto al nomadismo, assistiamo a due capovolgimenti del luogo comune. I vecchi si rivelano moltopiùnomadideigiovani e degli adulti. E la fascia di reddito medio-bassa si rivela più nomade di quella medioalta. Le frasi fatte "gioventù etàinquieta”e“vecchiaiaetà stabile e sedentaria” fanno posto a un’irrequietezza senile, o a una senilità mobile.SullacollinadiSanta Barbara (California) vivono in ville stupende ì pensionati più ricchi del mondo. Anziane signore molto in forma pedalano energiche verso il fornaio chic dove compreranno pane francese. In basso, vicino alla riva del Pacifico e ai supermercati Vons, il camp ground ospita migliaia di pensionati middle class assiepati, un camper accanto all'altro con i loro animali domestici (è incredibile quanti cani possano vivere in una motor home). Sembrano approdati qui come uccelli che si affollano sulla spiaggia dell’oceano, pronti a migrare inprimaveraconilorotesori racchiusi nello scrigno del propriocamper. 1 U.S. Bureau of the Census,StatisticalAbstractof the United States 2002, Government Printing Office, Washington D.C. 2002, taw. 920e921. 2 AA.VV, A History of Technology,cit.,vol.v,L’età dell'acciaio, 1850-1900, il capitolo Materiali e tecniche per l’edilizia, di S.B. Hamilton,pp.477-478. 3 Citato da Kenneth T. Jacksonnelsuofondamentale Crabgrass Frontier, The SuburbanizationoftheUnited States, Oxford University Press, New York 1985, p. 128. 4Ivi,pp.118,126. 5 Oltre al libro di K.T. Jackson,sulruolodelballoon frame,vediancheW.Cronon, Natures Metropolis, cit., pp. 178-180. 6"TheAtlanticMonthly Review”, n. 19, 1867, pp. 325-345. 7Ivi,pp.333-334. 8K.T.Jackson,op.cit., p.186. 9 U.S. Bureau of the Census,StatisticalAbstractof the United States cit.. taw. 333e334. 10Ivi,tavv.25e91. 11AlbertO.Hirschman, Exit, Voice and Loyalty, Harvard University Press, Cambridge (Mass.) 1970, trad. it. Lealtà, defezione, protesta, Bompiani, Milano 1982,pp.86-90. 12Inop.cit.,p.52. 13 Alexis de Tocqueville, De la démocratie en Amérique (1835), trad. it. Rizzoli, Milano 1982, libro III,cap.xi,p.465. 14 Citato da Allan D. Wallis, Wheel Estate. The Rise and Decline of Mobile Homes, Oxford University Press, New York 1991, p. 161: nella stessa pagina è disegnato lo schema di una casa balloon frame in cui sonospecificatelefunzionidi ognitrave,asse,tavolato. 15 Walter Benjamin, Das KunstwerkimZeitalterseiner technischen Reproduzierbarkeit (1936), originariamente pubblicato in Zeischrift für Sozialforschung, ora in Schriften, Suhrkamp, Frankfurt am Main 1955. In italianonellabellatraduzione di Enrico Filippini, Einaudi, Torino 1966. Le frasi citate sonoallepp.23-28. 16 U.S. Bureau of the Census,StatisticalAbstractof the United States, 2002, cit., tav.936. 17A.D.Wallis,op.cit.,p. 225. 18Suitrailersdurantela Seconda guerra mondiale, vedi K.T. Jackson, op. cit., pp. 261-262 e A.D. Wallis, op. cit., pp. 83-93. Su Battlement Mesa, A.D. Wallis,op.cit.,pp.192-193. 19 U.S. Bureau of the Census,StatisticalAbstractof the United States 2002, cit., tavv. 919 e 925 e l’inchiesta del “Chicago Tribune" del 5 maggio1993. 20 Dati riferiti al 1996 tratti dal sito di Foremost Insurance: www.foremost.com/market_fac 21IIredditomedioèla media dei redditi, mentre il reddito mediano è quel reddito per cui metà delle famiglie ha un reddito superiore e metà delle famiglie ha un reddito inferiore, è cioè quel reddito che divide la popolazione a metà ed è quindi più significativo. 22 U.S. Bureau of the Census,StatisticalAbstractof the United States 2002, cit., tav.659. 23 A.D. Wallis, op. cit., pp.242-245. 7.Minieredilegname “Madovesisonocacciati gli sterminati boschi dei Grandi Laghi?” La domanda ti si ripropone sempre più pressante, man mano che t’inoltri nei campi e nei frutteti - meli, peri, ciliegi della penisola del Michigan, daFlintsufinoaCharlevoix, o che ti allontani da Chicago verso nordovest, nel Wisconsin centrale e poi ancora nelle sterminate piattezze coltivate a cereali nel Sud del Minnesota. Ricordi il racconto Lassù nel Michigan di Ernest Hemingway con il giovane Nick; ti sfilano le immagini dei rudi spaccalegna, i lumberjacks. Ma nulla ormai differenzia queste regioni dalle grandi piane centrali, dal Sud dell’Illinois, dal Missouri. Ti coglie una delusione, come se ti avessero defraudato dei boschi. Proprio come a Chicago ti hanno scippato i grandi mattatoi (oggi diroccati) o la GrandCentralStation(rasaal suolo nel 1971). Ancora una volta, ti accorgi che la grandezza di Chicago è stata plasmata da quel che è scomparsoechelasuagloria èdovutaaquelchenonvedi: le Stock Yards da tempo abbandonate, le ferrovie dai binari ora arrugginiti, e le sconfinate foreste dei Grandi Laghi ormai disboscate. Per decenni, nella seconda metà dell’Ottocento, grazie agli alberi, Chicago divenne più ricca man mano che la regione dei Grandi Laghi si disboscava. Capitale mondiale del legno, Chicago erailpuritanesimofattacittà: la selva, tenebrosa come il peccato, selvaggia, pagana e abitata da selvaggi pagani, è per la civiltà un ostacolo da abbattere, un freno alla coltura dei campi e, per converso, la legna - frutto dell’abbattimento di queste foreste - è uno dei migliori mezziperlacolonizzazione. E gli statunitensi si dedicarono con tanta coscienziosa alacrità a distruggere la copertura biotica della crosta terrestre che entro l’inizio del xx secolo avevano disboscato, secondo la stima più prudente,300milionidiacri, 1,2 milioni di chilometri quadrati,unasuperfìciecheè il quadruplo dell’Italia, due volteemezzolaFrancia.1Se in Europa la rivoluzione industriale era stata stimolata dalla crescente scarsità di legno e proprio questa penuria aveva determinato il trionfo del binomio carbone/vapore, negli Stati Unitiavvenneilcontrario:fu la prodigale abbondanza di legno ad accelerare l’industrializzazione del paese. Proprio come per la villettaballoonframe:mentre in Europa il progresso tecnologico riduceva l’uso edilizio del legname, negli Stati Uniti un progresso architettonico faceva esplodereilconsumodilegna per le abitazioni (le case di legno sono uno dei grandi responsabili della deforestazione del Nordamerica). Per industrializzare il paeseecolonizzareilWest,il legno serviva a tutto e tutto richiedevalegna.Conilfuoco dilegnasiscaldavanoicorpi, si cuocevano i cibi, si muovevanolelocomotiveche viaggiavano su traversine di legno, trainando vagoni di legno,versostazionicostruite in legno che servivano fattorie di legno, circondate da recinti lignei. Ecco cosa scriveva nel 1880 il “Northwestern Lumbermen", bollettino - stampato a Chicago - della corporazione dei Lumbermen, “i mercanti dilegname”: Ogni nuovo colono nelle fertili praterie significa un nuovo arruolato nel vasto esercito di consumatori di legname, una nuova casa da costruire, un nuovo granaio, altri 40 acri di terra da staccionare,unanuovao forse un’altra dozzina di mangiatoie; significa un’estensionedellelinee ferroviarie con il loro conseguente massiccio consumo di legname; significa un incentivo addizionale per altri potenziali coloni per installare fattorie vicino a quella del primo arrivato;significachiese, scuole, negozi, marciapiedi di legno, strade lastricate [in legno].2 L’uso del legno spingeva l’industrializzazione e l’industrializzazione divorava la legna. Questa spirale sempre più accelerata prese un ritmo vorticoso a partire dal 1840-1850. Proprio a tempo perché, grazie all’apertura del canale Michigan-Illinois (1848), Chicago potesse partecipare allo sfruttamento del pino bianco,l’alberochecostituiva l’orgoglio dei Grandi Laghi.3 Il pino bianco era alto in media 50 piedi (15 metri), cresceva uniformemente per duesecoliepiùe,pienamente sviluppato, raggiungeva i 60 metridialtezza(unpalazzodi venti piani). Nei grandi esemplari il tronco aveva un diametro di 6 piedi (1,80 metri): per cingere la sua circonferenzadiquasi6metri dovevano tenersi per mano quattro uomini. Addirittura, fino al 1880, i legnaioli non consideravanodegnidiessere tagliati alberi il cui tronco avesseundiametrominoredi 3 piedi (90 cm). Il pino bianco era perciò il frutto di una secolare accumulazione di capitale naturale, era “lavoro morto” lasciato su terra da innumerevoli cicli solari: era la “manna petrolifera" di Chicago. Per sua sfortuna, il pino bianco possedeva qualità straordinarie per lo sfruttamento umano. Poiché perdeva i rami inferiori via via che s’innalzava, il suo troncoeraliscioesenzanodi per almeno dieci metri. La sua grana era fortissima, adatta a sopportare carichi e tensionienormi,perònonera coriacea ma abbastanza tenera da essere lavorata a mano. Ultimo, decisivo vantaggio: a differenza degli altri legnami duri, il pino bianco galleggiava, cioè si facevatrasportaredall’acqua. Già, perché la resistenza alluso intensivo, industriale del legname, si era sempre annidata nella difficoltà di trasportarlo: le regioni boscose sono umide e piovose e i sentieri vi si snodano fangosi, impregnati d’acqua, e la melma rende proibitivoiltiroaicavalliper più di brevi distanze. Nelle regioni attorno ai Grandi Laghi, il terreno era letteralmente imbevuto d’acquaamo’dispugnaodi pantano (il Wisconsin per esempiovantadiecimilalaghi e laghetti, primato che gli è conteso dal Minnesota). Invece il pino bianco era trasportabile sotto forma di lunghe, chilometriche zattere (il rafting). Esso risolveva il problema del trasporto, ma avevabisognodigrandicorsi d’acqua. Ancora oggi sul fiume Hudson o sul San Lorenzo si vedono gli interminabili convogli di legname scendere pigri dall'alto Canada verso l’Atlantico. Le vie d’acqua erano indispensabili per lo spostamentodellegno:daqui l’importanza dei Grandi Laghi,daquilafuriaconcui gli americani costruirono una faraonica rete di canali nella prima metà dell’Ottocento. Da qui l’ostinazione dei Chicagoans nel costruire il canale Michigan-Illinois che permettevaaipinibianchidei Grandi Laghi di penetrare nella valle del Mississippi fino a New Orleans, e di lì alle Indie occidentali, all’Europa. Chicago fu ricompensata. Senel1847eranogiuntinella WindyCity76.000metricubi (mc)dilegname,nel1851,tre anni dopo l’apertura del canale, la quantità si era quadruplicata, a 295.000 mc; nel 1869 arrivarono a Chicago2,3milionidimc-e persessantanni,finoal1930, ilvolumedilegnamesbarcato suisuoimolinonsarebbemai sceso sotto questa soglia. Il massimofutoccatonel1892, quando nel suo porto attraccarono 6 milioni di mc di legno. Da notare che negli arriviaChicagoillegnamefu l’unico settore in cui il trasporto via acqua riuscì a mantenere una superiorità sulle ferrovie sino alla fine dell’Ottocento (il legname ripartiva invece su rotaia al 95% per le grandi città dell’Est e i nuovi centri del West).Nonsoloeranolegnoi tre quarti dei carichi entrati nelsuoporto,mafinoal1880 la ferrovia faceva giungere a Chicago meno del 10% del legname; percentuale che sarebbe rimasta inferiore al 40% fino al 1898. L’epopea dellegnameèquindiunasaga chesisvolgesull’acqua. *** Era in autunno avanzato, dopo i lavori agricoli, che i lumbermen venivano a Chicago ad arruolare le "ciurme”(crews)diboscaioli. È vero che in città i salari eranopiùaltichealtrove(trai 100 e 200 dollari per stagione, oltre a vitto e misero - alloggio nelle baracche), ma la mano d’opera era più abbondante e si potevano scegliere gli spaccalegna migliori. E poi, qui i lumbermen potevano approvvigionarsi di asce, seghe, mozzi per i carri, di tonnellate di fagioli, porco, burro, sale, grano, biada, avena per uomini e cavalli. Soprattutto, qui trovavano credito,incambiodellalegna cheviavrebberosmerciatola primavera successiva. Credito,cioèdenarofrescoin un settore sempre a corto di liquidità, con drammatiche strozzature nel flusso di cassa: si sborsava a fine autunno e (forse) s’incassava seimesidopo.Il“credito”,la disponibilità di capitali, fu la leva con cui il legno fece grandeChicago. Appenailclimasifaceva più rigido, gli equipaggi viaggiavano a nord verso le "miniere di legname”, dove gli alberi andavano falciati. Neiprimiannisiabbattevano solo i tronchi che costeggiavano i corsi d’acqua, ma poi i taglialegna dovettero allontanarsene sempredipiù.Nelfrattempo, leciurme,cheall’inizioerano di circa quindici uomini, diventavano più numerose, finoasuperareilcentinaiodi membri. I boscaioli si addentravano sempre più nel regno del ghiaccio: solo il gelo poteva indurire il fondo dei sentieri tanto da permettereaitiridicavallidi trainare-suslittaosuruotai pesantissimi tronchi fino al bordo dei pantani. I nomi delle più famose “cave” di legna dell'Ottocento hanno infatti il nome di pantani: il "Pantano del Bue”, The Beef Slough, in Wisconsin, per esempio, o il West Newton SloughinMinnesota. Le immani cataste giacevano così per tutto l’inverno, in attesa del disgelo. Le sorti del “raccolto” dipendevano da quantaneveeracaduta.Sele nevicate erano state scarse, il disgelo non avrebbe liquefatto acqua sufficiente a far galleggiare le immense piledilegnacheattendevano sul bordo dei pantani. Solo tantissima neve, nel suo rapido sciogliersi, una sola volta l’anno consentiva per un brevissimo periodo ai cortei di tronchi di defluire verso i corsi d’acqua principali e da lì, lungo i fiumi, le imponenti processioni si avviavano verso i Grandi Laghi e i canaliartificiali. Nessuno storico è mai riuscito a trattenersi dal raccontare l’epopea dei maxiingorghi di alberi che si formavano sui fiumi quando un tronco s’incuneava nella riva o nel fondo, faceva da ostacolo,bloccavadietrodisé centinaia di migliaia di tronchi che si ammassavano finoaformareunamegadiga. Alcuni di questi ingorghi sonorimastifamosi,comenel 1869, a Chippewa Falls, in Wisconsin, dove il legname rimase intasato su una lunghezzadi24km,tantoche in alcuni punti la diga di tronchieraaltapiùdi9metri, unapalazzinaditrepiani.Nel 1889 sul fiume Menominee rimaseincastrataunaquantità di tronchi tripla rispetto a quella di Chippewa Falls, quasi un milione e mezzo di metri cubi. Disincastrare la diga era compito pericolosissimo, leggendario nella confraternita dei tagliaboschi: bisognava estrarre con i ganci i tronchi che facevano da zeppa, col rischio che tutta la catasta ti crollasse addosso. Fanno impressione, a tutt’oggi, le foto in cui vedi i boscaioli ottocenteschi passeggiare “sotto”ungigantesco,caotico ammasso di tronchi per cercare di disincagliarli. Anche per questo i lumberjackseranopagaticosì bene. Ma la loro epopea non riuscì mai a rivaleggiare con la risonanza dei cowboys. Forseperlanaturadistruttiva del loro lavoro che impediva di ricamare su di essi il mito dell’eroe positivo (anche i cowboysportavanoivitellial mattatoio, ma non li macellavano essi stessi). O forse perché il mondo del legname fu subito preda dei lumberbarons(assonantecon i robber barons, i "baroni ladri”, i briganti del capitalismo ottocentesco Usa). Certo è che un Frederick Weyerhaeuser non avevanientedainvidiareaun Daniel Gug-genheim, a un Andrew Carnegie, a un John Rockefeiler. La spietatezza di questo settore era insita nella sua base materiale, nella capacità cioè di accaparrarsi immense distese di foreste al prezzo più basso possibile. Per esempio,attornoal1860Ezra Cornell comprò mezzo milionediacri(2000kmq)di foreste di pino bianco nella valledelChippewaRiverper esercitare, secondo le sue parole, “un temibile e tremendo [fearful and terrible] monopolio”4: a vedere oggi l’arcadica dolcezza dell’Università di CornellaIthaca(statodiNew York),nontiverrebbemaiin mentecheessaèstatafondata grazie al terrore suscitato da un monopolio. Nell’accaparrarsi i terreni, la potenza del capitale si coniugava con la connivenza dei politici nell’alie-nare il pubblico demanio, nel vendere a prezzi di favore lotti di foreste nazionali agli amici. Le linee ferroviarie possedevanoimmensedistese di terra grazie ai Land Grants.Edietrolecompagnie s’intravedeva l’ombra delle banche, in particolare della Morgan. Quando all’inizio del Novecento, sotto la presidenza di Theodore Roosevelt, fu lanciata un’offensiva contro i grandi trust, fu aperta un’inchiesta anche sulla concentrazione nell’industria del legno. Iniziatanel1906,essafuresa pubblica solo nel 1913 (a dimostrazionedelleresistenze che aveva incontrato). Secondoilrapporto,neiLake States (Minnesota, Wisconsin,Michigan)iprimi 4 proprietari possedevano il 12% di tutto il legname, i primi 17 ne avevano il 22%; ai primi 44 ne apparteneva il 37%, e un totale di 215 proprietari ne deteneva il 65%.5 Nel 1913, sul Pacifico la concentrazione era ancora più pesante che sui Grandi Laghi. Sulla costa occidentale, Frederick Weyerhaeuser possedeva legna per 227 milioni di mc su 8000 kmq (una regione grande come l’Umbria). La Northern Pacific Railway possedeva 84 milioni di me su12.000kmq,elaSouthern Pacific Railroad 246 milioni dimcsu18.000kmq. Queste tre società, i Big Three, controllavano 40.000 kmq di boschi. Ma la concentrazione era ancora maggiore. Weyerhaeuser possedeva sì 227 milioni di mc, però attraverso pacchetti azionari, partecipazioni incrociate, società prestanome, controllava 690 milionidimc,cioèunjsesto dituttoillegnamedegliStati Unitieunquartodellegname commerciale.6 Si noti che questimilionidimetricubidi legna erano conteggiati mentre erano ancora piantati per terra, avevano rami, foglie verdi, pigne. Ci risulta difficile valutare alberi vivi come volumi. Ma non c'è nulla di illogico: li si calcolava come oggi si stima la capacità di un giacimento petrolifero. Il processo di concentrazione richiedeva segherie più grandi che però si giustificavano solo se trattavano quantità di legno ancora più imponenti che deforestavanoareeviaviapiù vaste e che per il trasporto richiedevano un sistema di bacini di raccolta e di chiuse (booms, da cui il termine boomingCompanies).Ancora nel 1850 bastava qualche migliaio di dollari per lanciarsi nel business del legname. Ma per lanciare la booming company di Beef Slough, Weyerhaeuser e i suoisociinvestirononel1870 ben un milione di dollari di allora. Per poter lavorare non solo d’inverno, ma in tutte le stagioni dell’anno, i grandi lumbermen cominciarono a costruirelineeferroviarieche s’inoltravano fra le solitudini dei boschi al solo scopo di riportarneviaitronchitagliati (compito agevole poiché spesso queste lande appartenevano già alle compagnie ferroviarie, grazie aiLandGrants). Le carte geografiche di alcune zone del Wisconsin presero la fisionomia di ricamialtombolo,tantoerano percorse da fitte trame ferroviarie. Curiosamente l’unicocasoincuiChicagofu danneggiata da quelle ferrovie che l’avevano resa prospera - i convogli ridussero l’importanza della città,permiseroailumbermen di essiccare il legname al terminal della ferrovia, di spedirlo già tagliato, cortocircuitandoigrossistiei mercanti di Chicago. La città aveva fondato la sua fortuna di “capitale mondiale del legname”edireginadelWest sul fatto che la legna vi arrivava via acqua e ne ripartiva su rotaia. Quando però la legna cominciò non solo a ripartire, ma anche ad arrivare su rotaia, non si fermò più a Chicago, vi transitòsoltanto. *** Ma l’industria del legname sui Grandi Laghi sopravvissesolodipochianni al declino del suo centro più importante. Oggi atterrisce il pensiero della fulminea, brutale velocità con cui i lumbermen arrivarono, distrussero intere regioni e scomparvero.Ilprimogrande boomingdellazonasiebbea Muskegon(nellapenisoladel Michigan)nel1864.Nel1870 fu inaugurato il boom del Pantano del Bue in Wisconsin. Tra il 1875 e il 1883 sul Saginaw River (Michigan) furono trattati ognianno1,3milionidime.7 Madopoappenaundecennio, già nel 1890 Frederick Weyerhaeuser spostava la base delle sue operazioni nell’Idaho e nello stato di Washington perché sui Laghi il legno stava finendo, le "miniere di legname” si esaurivano. Per millenni, nelle distese d'Eurasia, i popoli nomadi migravano dopo che le loro greggi avevano desertificato intere pianure. Nell’America dell’Ottocento i lumbermen furono i nomadi del capitale chesostituironoipastori. La produzione di legna dei Grandi Laghi toccò il massimo nel 1890 con 24 milioni di me; cominciò da allora a declinare, fino a stabilizzarsi intorno a un decimo di quel valore negli anni venti e dopo la Seconda guerra mondiale, quando l’assalto si sarebbe spostato nell’Ovest e nel Sud. (D’altronde le successive, micidiali offensive degli eserciti dei lumbermen nelle varie regioni hanno determinato nella geografia boschiva americana uno slittamentochespaesa.Nonti aspetti, per esempio, che le regioni del Sud, Mississippi orientale, Louisiana, Alabama,Georgiasianotrale piùboscosedegliStatiUniti.) Così, tra fine Ottocento e inizio Novecento, sconfinate distese del Wisconsin, del Michigan e del Minnesota apparivano come deserti sconvolti, cosparsi di spezzoni di alberi, mozziconi ditronchi,ramidiveltichele autoritàcercavanodiriciclare inimprobabilicampicoltivati per nuove fattorie. Tentativo presto abbandonato perché in queste lande settentrionali la deforestazione lasciava solo unaterrasabbiosainunclima inclemente. Nel frattempo peròicontadiniincendiavano i campi per prepararli all’aratura, e allora le montagne di segatura, schiappe e trucioli, lasciate dai boscaioli, scatenavano roghi immani come nel 1881 nel Michigan, nel 1894 a Hinckley, Minnesota. Nell’incendio di Peshtigo (Wisconsin) nel 1871, morironocirca1500persone, più di quante perissero nel BigFireche in quello stesso annodistrusseChicago.8 La regione era costellata di città fantasma, borghi abbandonati dove per brevi decenni aveva pulsato frenetica la vita delle segherie. (Allora scomparve ancheilraccoltoinvernaledel ghiaccio per la refrigerazione estiva e per il trasporto della carneneivagonifrigoriferi:il ghiaccionaturalefusostituito dalfreddoartificialeedecine di migliaia di spaccaghiaccio abbandonarono la regione.) Così, con la Prima guerra mondiale, il grande commercio e la grande industriadellegnoeranosolo un ricordo a Chicago. Dove prima si ergevano sconfinati boschidialtissimialberiinun deserto umano di pochi indiani, c’era ora una disalberata distesa coltivata, senza più indiani. Al posto degli alberi i grattacieli; invece dei boschi, i ghetti urbani. Come dalla fauna nordamericana furono spazzate via le mandrie di bisonti, così, in pochi decenni, dalla sua flora scomparvero le foreste di quei pini bianchi che intorno al1850HenryDavidThoreau descrivevacome“grandiarpe su cui il vento fa musica”. "Anche gli alberi hanno un cuore,” diceva Thoreau, e sottolineava: "Nulla nel mondo si erge più innocente [freeofblame]diunpino”.9 Compare qui il tema dell 'innocenzadella natura, degli animali e dei bambini, che irrompe nel secolo del progresso, nell’Ottocento, quando per Dostoevskij il piantodiunbambinodiventa insostenibile e Ivan Karamazovdicechelamorte di un bambino gli fa venire vogliadirestituireilbiglietto all’universo. Ecco il vecchio ronzino inastato dal carrettiere che, secondo una tradizione orale assai diffusa, Friedrich Nietzsche sull’orlo della follia abbraccia scoppiando in lacrime in una viadiTorinonelgennaiodel 1889.10NelSeicentonessuno avrebbe mai detto che gli alberi erano innocenti; nessunosisarebbecommosso per le frustate affibbiate a un cavallo; il piagnisteo di un bambino avrebbe suscitato solo la spazientita tolleranza per un’assordante seccatura e la mortalità infantile sarebbe statavissutacomeundestino, senza suscitare emozioni diverse da quelle provocate dalla morte di un adulto. La sofferenza del cavallo desta commozione, empatia, quando dietro le frustate s'intravede lo sbuffo della locomotiva, e quindi l’inutilità cosmica del suo soffrire, quando come “animale da traino” sta per andare in pensione e si avvia verso l’estinzione (nell’Ottocento nascono le associazioni contro la crudeltàversoglianimali,per la protezione della natura e quelladeibambini). Comeilselvaggiodiventa “buono” quando l'Occidentelostermina(nella tradizione che da fra’ BartolomédeLasCasasporta a Jean-Jacques Rousseau e propaganda sino nel nostro secolo l’idea - così diffusa negliStatiUniti-che“ineri sono come bambini”), così l’amoreperiboschicompare proprio quando divampa la distruzione delle foreste: Thoreau si ritira nello stagno di Walden nel 1845. Fino ad alloraiboschieranostaticosì abbondanti da apparire “ovvi”, da restare invisibili perché troppo presenti ovunque. Solo vent’anni prima che Thoreau si commovesse sull'innocenza dei pini bianchi, Alexis de Tocquevilleosservavanelsuo viaggiodel1830: In Europa ci si occupa molto delle solitudini dell’America. Ma loro, gli americani, non ci pensano per niente. Le meraviglie della natura inanimata li trovanoinsensibilie,per così dire, non vedono le ammirevoli foreste da cui sono circondati che al momento in cui esse cadonosottoilorocolpi. Illoroocchiosipascedi un altro spettacolo. Il popolo americano vede se stesso marciare attraverso i deserti, bonificando paludi, raddrizzando fiumi, popolandolasolitudinee domandolanatura.11 In America, la corrente trascendentalista rappresenta l'altra faccia dello sfruttamento capitalistico del legno. Mentre i lumbermen, quando guardano un bosco, vedono una cava di legname da misurare in metri cubi, i trascendentalisti vi scorgono una sorgente di spiritualità: “Nei boschi torniamo alla ragione e alla fede” scriveva Ralph Waldo Emerson. I capitalisti trovano nei boschi una fonte di ricchezza monetaria, i letterati vi cercano una fonte di ricchezza spirituale: “Al contrariodeipionieripuritani chepensavanochelamoralità finisse al bordo del terreno disboscato, i trascendentalisti pensavano che la moralità cominciasse qui, al limitare del bosco, perché l'uomo era intrinsecamente buono e non cattivo, e la perfezione avrebbe potuto essere massimizzata entrando nella foresta,” commenta Michael Williams.12 Facce di una stessa medaglia, quasi mai queste due sensibilità entrano in conflitto tra loro. Di rado la reverenza per il bosco come “cattedrale della natura” si oppone all’eccidio selvaggio compiutodallemotoseghedei boscaio-li.Piùspessol’amore per i boschi convive con lo sterminio degli alberi, come l’affetto per gli animali non vieta di assaporare una bistecca. Lo stesso Emerson, dopo aver trovato nei boschi fede e ragione, delineava un futuro in cui "le selvagge praterie saranno cariche di messi, le paludi di riso, le colline nutriranno greggi e mandrie” e, soprattutto, “le interminabili foreste diventeranno parchi graziosi perusarliesvagarsi". Se perciò gli Stati Uniti iniziarono a preoccuparsi per la scomparsa delle foreste e per la conseguente erosione del suolo proprio quando cominciarono a sterminarle industrialmente (le prime grida di allarme sono del 1847, contemporanee a Thoreau),ilcompromessotra forsennato uso del legno e passionaleamoreperilbosco fu realizzato razionalizzando l’usodiquestamateriaprima epianificandonela“coltura”. L’impiego massiccio di truciolare e compensato al posto del legno massello permise di ridurre gli sprechi (nella sola fase del taglio, il 10%dellegnoandavapersoa causa dello spessore delle seghe circolari). L’uso della polpa e il riciclaggio di carta e cartone compressero ulteriormente i consumi. Un enorme risparmio fu ottenuto con la sostituzione progressiva del legno con il carbone, il petrolio, il gase poi l’uranio come combustibili (per le locomotive, per lu cottura e per il riscaldamento degli ambienti). Così il consumo annuo pro capite di legname diminuìdidueterzi,dai4mc del Novecento al minimo storico di 1,5 mc nel 1975. Nello stesso modo, le tecniche di "coltivazione” hanno permesso di frenare la deforestazione e, in alcune zone, persino di rigenerare aree boschive, cosicché dal 1952 l’area forestale degli StatiUniti(Alaskacompresa) è aumentata di 400.000 kmq (una superficie pari alla Svezia), passando da 2,6 a 3 milionidikmqnel1992. Razionalizzazione e pianificazione incontravano però limiti invalicabili. Se il consumo pro capite si riduceva di due terzi, intanto la popolazione triplicava. Per di più, dal 1975 il consumo pro capite di legna negli Usa è di nuovo aumentato dell’11%. L’effetto combinato del riaumentato consumo pro capite e, insieme, della crescita demografica fa sì che nel 1999, con 279 milioni di abitanti, gli Stati Uniti consumassero 493 milioni di mc di legna contro i 320 del 1900, ovvero il 54% in più. Da esportatori che erano nell’Ottocento, oggi gli Stati Unitisonoimportatorinettidi legname (in particolare dal Canada).13 I nuovi boschi coltivati stanno alle antiche foreste comeicampidipatatestanno alle praterie selvagge. Come l’allevamentoscientificofissò periboviniapocopiùdidue anni il tempo da vivere perché rapidamente crescessero e proficuamente morissero, così, per accelerare il ciclo, la silvicoltura ha selezionato varietà di pini che svettano fulminei. La loro vita è più breveeuniforme.Lesementi vengono selezionate, i campi seminati, le piante irrorate di pesticidi,ilraccoltomietutoe immagazzinato. Dell’antico habitat forestale resta poco o nulla; molte specie sono vicine all’estinzione, le erbe originarie sono sempre più rare, la foresta si è più che dimezzata e le sue specie si sono impoverite, rendendola geneticamente più fragile, richiedendo così l’uso di sempre più potenti pesticidi. Ilsuoloesauritoesigesempre più concimi. E la spirale si avvita su se stessa. Tranne alcuneriservenaturali,doveè "un grazioso parco per svagarsi’’, la foresta americana è “area coltivata a legna”. E non può essere altrimenti:illegnocostituisce il 30% di tutte le materie prime lavorate negli Usa. La sua industria occupa 1,1 milioni di addetti (2000) e fattura 94 miliardi di dollari l’anno.14Èinevitabile:ilmito del pioniere coabita con la coltura degli alberi, l’amore per la natura con l’industria del legno. Vive nella propria “innocente” casetta lignea a balloon frame l’ecologo che per la deforestazione dell’Amazzonia s’indigna contro "i governi irresponsabilicheasfissianoil polmonedellaterra". Nel parco di Yellowstone (Wyoming) i campeggiatori vogliono rivivere i camp fires, i fuochi notturni dei pionieri del West e, nel bagliore delle fiamme, riassaporare la natura primigenia.Irangervogliono evitare che il bosco sia razziato dagli spigolatoli di legna da ardere. I campeggiatori vogliono disporre di legna facilmente accendibile. La soluzione pratica è un distributore automaticodiciocchidilegna già tagliati e impacchettati nellaplastica,aduedollarila confezione. 1 Michael Williams, Americans&TheirForests.A Historical Geography, Cambridge University Press, Cambridge (Mass.) 1989, pp. 489-490. Questo libro è una miniera di dati, mappe, grafici. 2Numerodel22marzo 1880, p. 1, citato da W. Cronon,Nature’sMetropolis, cit., p. 153: su Chicago capitale mondiale del commercio di legname, vedi tutto il suo capitolo The Wealth of Nature, pp. 148- 206. 3 II termine pine indica non i pini (quasi assenti in America nella versione mediterranea), ma molte specie di conifere sempreverdi: così i pini bianchi dei Grandi Laghi sono diversi da quelli rossi del West e dai gialli del Sud degli Stati Uniti, e ancora diversidagliabetiedailarici. 4M.Williams,op.cit., p.217. 5Ivi,p.218. 6Ivi,pp.426-428. 7Ivi,pp.204-205. 8W.Cronon,op.cit.,p. 202. 9FrasitrattedalDiario, rispettivamente del 16 settembre 1857 e del 20 dicembre 1851, citate in W. Cronon,op.cit.,pp.151e425 (nota11). 10 La discussione su quest’episodio in Curt Paul Jantz, Friedrich Nietzsche. Biographie, Carl Hauser Verlag,München-Wien19781979, trad. it. La vita di Nietzsche,Laterza,Bari1982, vol.III,p.30. 11 A. de Tocqueville, De la démocratie en Amérique,parteI,cap.XVII, Alcune fonti di poesia presso i paesi democratici, trad. it., cit.,pp.489-490. 12M.Williams,op.cit.,p. 17. Le citazioni di Emerson sono tratte dalla pagina precedente,p.16. 13 Cifre tratte da U.S. Bureau of the Census, Statistical Abstract of the United States 2002, Government Printing Office, Washington D.C. 2002, tav. 838, e Statistical Abstract of the United States 1993, cit., tav. 1153, e da M. Williams, op.cit.,pp.8e487-488. 14 U.S. Bureau of the Census,StatisticalAbstractof the United States 2002, cit., taw.832e837. 8.Iltramdelprogresso NeidintornidiChicago,i comuni hanno nomi arcadici. Almenocinquantanomisono attinentiadalberi,aboschi,a giardini. Sedici comuni si chiamano “Parco...”: Parco delCalumet,ParcodelCervo, Parco Sempreverde... Nove suburbi hanno per nome "Bosco...”: Bosco di Casa (Homewood), Boschi del Fiume (Riverwoods). Poi ci sono dieci "Boschetto...” (Grave): Boschetto di Primavera, Boschetto della Prateria,BoschettodegliAlci, Boschetto del Fiume della Volpe, Boschetto del Bufalo. Poi ci sono i comuni “Foresta”:ForestadelFiume, Vista della Foresta, Lago della Foresta (ma c'è anche Foresta del Lago). C’è Vailetta del Bosco e poi ci sono le combinazioni. C’è Foresta del Parco, ma anche Parco della Foresta e Parco del Bosco di Olmi, oltre a Colli del Noce americano (Hickory Hills). Chicago segue con disciplina quella regola che impone ai costruttori americani di battezzare le cittadine che mettonoinvenditaconinomi degli alberi che hanno abbattutopercostruirle. Inomidesignanoquinon tanto la realtà, quanto l’aspirazione dei pendolari alla propria "casetta nel bosco”, “al focolare rifugio”. Dal nome boschivo del suburbio, l’innocenza degli alberi (di cui parlava Thoreau) s’irradia fino a impregnarechiunqueviabiti. Le foreste dei Grandi Laghi sono rase al suolo per procurare legna per le ville balloon frame, ma questi alberi non saranno stati abbattutiinvano. Il loro sacrificio sarà servito a plasmare comunità umane immerse in “parchi”, "boschetti”, vicine alla metropoli per il lavoro, i divertimenti, gli acquisti (centri commerciali, Malls), malontanedallesuebrutture, dall’inquinamento, dalla criminalità,daltraffico. In città i poveri facevano dimostrazioni, i mendicanti tendevano le mani per strada, e le malattie si diffondevano rapidamentedaiquartieri più miserabili alle dimore dei benestanti attraverso i fattorini, le lavandaie, le guardarobiere e altro indispensabile personale di servizio; l’occhio, se non si cercava scientemente di volgerlo altrove, poteva in una passeggiata di cinque minuti rivolta in qualsiasi direzione posarsi su uno slum o almeno su un bimbo degli slum [...]. Nel sobborgo invece si poteva vivere e morire senza che nulla deturpasse l’immagine diunmondoinnocente,a menocheunatracciadel suo male inciampasse in una colonna di giornale. Esso era pertanto un asilo per la conservazione delle illusioni. Qui la domesticità poteva fiorire senza preoccuparsi dello sfruttamentosucuitanto era basata. Qui l’individualità poteva prosperare, dimentica dell’irreggimentazione che pure la permeava. Non era solo un ambienteinfunzionedei bambini;eraunavisione infantile del mondo, in cui il principio di realtà era sacrificato al principiodipiacere. Così scriveva Lewis MumfordnelsuoclassicoLa città nella storia. Due volte “innocente” - verso la natura e verso gli umani - è il suburbio americano: innocente del bosco (abbattuto) di cui scimmiotta la radura, innocente dell’inner city (devastata) dallacuiviolenzarifugge.Ma anche Mumford ricade nel vezzo di pensare un prima e un dopo della metropoli. Un prima, quando la città cresceva caotica, violenta ma vitale, dove era impossibile non vedere la miseria circostante, un ambiente in cui perciò gli “spiriti intelligenti non potevano vivere a lungo senza associarsi per porvi in qualche modo rimedio: protestavano, s’agitavano, tenevano comizi, organizzavano cortei, presentavano petizioni, pungolavano i legislatori, attingevanodenarodairicchi, distribuivano aiuto ai poveri, fondavano mense popolari e casamenti modello, facevano approvareleggi,acquistavano terreni da adibire a parchi, creavano ospedali e centri sanitari, biblioteche e università, a beneficio della comunitàintera”. Undopoin cui la città si dissemina e si frammenta in suburbi, in cui le persone si allontanano “non solo dalle attività urbane più intense, più sudicie e più produttive, ma anche da quelle più creative. La vita cessa di essere un dramma pieno di provocazioni, di tensioni e di dilemmiinattesi,ediventaun quieto rituale di gente che fa agaraachispendedipiù”.1 Ci sarebbe quindi un prima, quando (nell’Ottocento) la città si è fatta metropoli innervata da una rete di trasporti in comune(tram,omnibus).Eci sarebbe un dopo (il Novecento)incuicominciala fuga dalla città, prende il via la diaspora nei suburbi e il trasporto pubblico viene battuto da quello privato, l’automobile. Sembra logico: non si può fuggire da qualcosa che non c’è. Ma mostra Kenneth Jackson - la verità è meno consolatoria, meno ordinabile in uno schema logico pacificato, quello che ci dipinge un passato intriso di valori urbani, filantropici, che sarebbero andati persi nel disumanoNovecento. Si ripresenta, per le città, quel meccanismo che Michel Foucault descriveva per le prigioni:nonc’èunprimain cui sono state istituite le carceri, e un dopo in cui è stata proposta la riforma dei penitenziari. La riforma carceraria, dimostra Foucault inSorvegliareepunire,nasce insieme alla prigione moderna. I due eventi sono simultanei.Così,lafugadalla metropolicominciainsiemea essa, appena la città antica smette di essere la walking city,lacittàpedonale,appena cessa di essere prodotto artigiano e diventa invece manufatto tecnologico composto da moltissimi “pezzi", circuiti, meccanismi (rete fognaria, condutture d’acqua e di gas, sistema dei trasporti, rete elettrica, rete d’illuminazione notturna, sistema di raccolta e depurazione dei rifiuti e di disinfezione dell'acqua), con le sue pannes e i suoi “guasti”, proprio come gli altri prodotti tecnologici. Un’astronave è composta da milioni di "pezzi”, eppure è pensata come un unico prodotto (più o meno progredito, funzionale, comodo). Anche la città è un insieme il cui funzionamento dipende da milioni di diversi elementi,mararamenteessaè pensata come un unico tecnologico, il prodotto-città, rispetto a cui chiedersi se è “pratico”, “comodo”, “avanzato o obsoleto” tecnologicamente, se è consumer friendly. Solo quando si viaggia in paesi culturalmente distanti ci si accorge di non sapere usare alcunecittà.Ecivuoletempo per imparare a usarle. Con un po’ d’esercizio, si capisce subito quali città sono "più facilidausare”. Soltanto lo spaesamento ci fa cogliere l’aspetto “utensile”, “arnese”, della città, eppure è inconcepibile una metropoli di milioni di abitanti senza arterie che fannocircolareumani,acqua, corrente, gas, rifiuti (anche nell’età classica, una città come Roma potè varcare il milionediabitantigrazieagli acquedotti, al sistema fognario, a una pur rudimentale illuminazione notturna e agli edifici alti parecchipiani). La città moderna nasce perciòcomeprodottoecome centro industriale. Funziona sì come snodo ferroviario, serve cioè alle ferrovie, ma sono le ferrovie che la servono poiché senza di esse èimpensabileunagglomerato di milioni di umani. "Le locomotive in corsa apportarono frastuono, fumo, pulviscolo nel cuore stesso dellacittà.[...]Elefabbriche che sorsero lungo il suo percorso rispecchiarono l'ambiente sudicio e sciatto dellaferroviastessa.”2Già,le fabbriche. La città dell’Ottocento nasce da quella che Friedrich Engels chiamava “la tendenza accentratricedell'industria”: Anche la popolazione viene accentrata, come il capitale[...]. Il grande stabilimento industriale richiedemoltioperaiche lavoranoinsiemeeinun solo edificio; essi perciò devono abitare insieme e, là dove sorge una fabbrica di una certa grandezza, formano già un villaggio. Essi hanno dei bisogni, per soddisfare i quali sono necessarie altre persone; vi accorrono artigiani, sarti, calzolai, fornai, muratori, falegnami [...] nascono nuovi fabbricanti. Così dal villaggio nasce una piccola città, dalla piccolaunagrandecittà. Quanto più grande è la città, tanto più grandi sono i vantaggi per stabilirvisi. Si hanno ferrovie, canali e strade, lepossibilitàdisceltatra operai esperti diventano sempre maggiori; a causa della concorrenza traicostruttoriedilietra ifabbricantidimacchine che sono a disposizione lì sul posto, si possono erigere nuovi stabilimenti più a buon mercatocheinunazona distante [...] si ha un mercato,unaBorsadove siaffollanoicompratori; si è direttamente collegati con i mercati che forniscono le materie prime e acquistano i prodotti finiti. Di qui l’accrescersi straordinariamente rapido delle grandi città industriali.3 Quel che Engels scriveva nel 1845 per città come Manchester sembra pari pari la descrizione dello sviluppo di Chicago tra il 1850 e il 1900: i canali (il MichiganIllinois), le ferrovie, la Borsa (Chicago Board of Trade), il mercatoperilgrano,illegno, la carne, i mattatoi, le segherie, le fabhriche di mietitrici, le fabbriche di vagoni Pullman e quindi le acciaierie. Ovunque, a Manchester comeaChicago,lefabbriche s’installavano vicino alle stazioni, e gli operai andavano ad abitare vicino alle fabbriche in slum sovraffollati, malventilati, senzacessinéacquacorrente, ammassati nel tanfo e nel lereiume della povertà. Il centro città veniva squartato dagli sfondamenti ferroviari, le sue vie ricoperte da una fuliggine scura e grassa dispersa dalle locomotive e dalle ciminiere. Il fondo stradale era ricoperto dalle fecideicavallicheacentinaia di migliaia trasportavano su brevi distanze merci e macchinari,oltrecheumani.I canali erano inquinati da fogne e residui industriali scaricati nei corsi d’acqua. Sono identiche le parole con cui il rapporto dell’Ufficio sanitario di Chicago definiva laSouthFork,unbracciodel fiume cittadino: “una piscina stagnante di abominii”, "un fluido putrido e nerastro [...] su cui volano milioni di insetti”, e quelle con cui EngelsdescrivevailfiumeIrk a Manchester: "un corso d’acqua stretto, nerastro, puzzolente, pieno di immondizie e rifiuti [...] dal cui fondo salgono continuamente alla superficie bolle di gas mefitici che diffondono un puzzo intollerabile”,4 proprio come, secondo gli stranieri in visita nella Windy City, "Chicago s’impuzza fino a morirne [stinksherselftodeath]”.5 I trasporti a vapore, marittimi e terrestri, che convergevanoversolegrandi città, agevolavano la diffusione non solo delle merci e degli uomini, ma anche dei morbi. Gli storici sono concordi nell’attribuire allenaviavaporeeaitrenila fulminea diffusione ottocentesca del colera (di colera morì il filosofo che cantavailtrionfodellospirito assoluto, Hegel). Sovraffollamento e sporcizia facevano poi il resto. Così a Chicagoilcolerascoppiavaa ripetizione: dopo l’epidemia del 1851-1852, quella del 1854 uccise più di 1400 persone.Ilcontagiosidiffuse dinuovoallafinedellaguerra di secessione con 990 morti nel18666erimaseendemico, soprattutto tra gli immigrati, finoall’iniziodelNovecento. Nell’estatedel1885,il“Sun” segnalò casi di colera tra i bambini polacchi di cui si dichiarava “incapace di riportare i cognomi”.7 Nel 1882lamortalitàinfantileera tanto alta che più della metà dei bambini di Chicago moriva prima di arrivare ai cinque anni (e nelle aree meno agiate la mortalità era tripla che in quelle residenziali).8 Coketown, "Carbonia” cosìsichiamavalametropoli metafora di Dickens in Hard Times, e così Mumford chiama la città basata sulla triade “ferrovia, fabbrica e slum” -, era infatti inevitabilmente popolata di immigrati attratti dal lavoro che le fabbriche offrivano. Anzi, Coketown era identificata con l’umanità povera e sporca dell’immigrazione. Come la vulgata del Novecento attribuiscelafugadalleinner citiesamericaneallapresenza dei neri, e la fa cominciare con gli anni sessanta, con le rivolte dei ghetti neri, così il luogo comune dell’Ottocento attribuiva la ripulsa per le città alla presenza dei white ethnics, irlandesi, tedeschi, polacchi, italiani. Già nel 1845 Engels parlava degli irlandesi di Manchester. Ma negli Stati Uniti il fenomeno eraesasperato:nel1890,nelle città viveva solo un terzo degli americani, ma vi risiedevano ben due terzi degli immigrati. Nel 1910 viveva in città il 72% dei "nati all’estero” (foreign borrì). Appena potevano, i benestanti fuggivano dai miasmi, dalle epidemie, dall’inquinamento, dal rumore.Persinouncomunista come Engels provava ribrezzo a Londra: “Già il traffico delle strade ha qualcosa di repellente, qualcosa contro cui la natura umana si ribella”.9 La stessa ferrovia che faceva grande e mostruosa la metropoli costituiva però, per i più agiati, un mezzo per evaderne. La rivoluzione dei trasporticreavalagrandecittà e insieme innescava la fuga daessa.ANewYork,giànel 1832 una ferrovia portava fino alla 125a strada dove si adagiavano residenze di campagna (oggi è il cuore di Harlem).Gliabbonamentidei pendolarieranocari(tra35e 150 dollari l’anno quando, abbiamo visto, uno spaccalegna ben pagato ricevevatra100e200dollari annui) e selezionavano una clientela agiata. Man mano però che la rete dei trasporti si diversificava e s’integrava, la possibilità di sfuggire alla maledizione del centro cittadino si allargava a strati sempre più ampi, e meno abbienti. Dopo ferrovia e traghetti, le tre grandi tappe dei trasporti urbani sono costituite dall'omnibus a cavalli, dal tram e dall’automobile. *** Levecchietecnologienon si lasciano soppiantare senza combattere. Nathan Rosenberg ha mostrato che nell’Ottocento"icostruttoridi navi a vela risposero alla concorrenza del ferro e del vaporeconmolteimmaginose modifichenellaprogettazione dello scafo che includevano l’impiegodelferro”,inmodo tale che il veliero del 18701880era"piùveloce,conuno spazio di carico doppio in rapporto al tonnellaggio, e con un equipaggio ridotto a circa un terzo”, tanto che "la nave a vela divenne il principale approvvigionatore delle stazioni di rifornimento di carbone d’oltremare”.10 Piùvicinianoi,alloroinizio i computer hanno provocato la nascita di una nuova generazione di macchine da scrivere elettroniche nettamentepiùavanzatedelle precedenti. Così, quando apparve la trazione meccanica, si cercarono miglioramenti per la trazione animale. Verso il 1830 si cercò d’introdurre anche sulle strade il binario perfarcorreresurotaiaicarri tirati dai cavalli (sul binario l’attritodellaruotaeraminore eilcavallopotevatrainareun carico prima impensabile). Ma il binario sporgente dal piano stradale intralciava il trafficodeglialtriveicoli.Nel 1852fuinventatoilbinarioa pelosullastrada,rientratonel suoloinvecechesporgenteda terra come nella ferrovia. Questo binario non interferisce con gli altri trasporti e una coppia di cavalli può trainare (grazie a una migliore tecnologia dei freni) un vagone con 30-40 passeggeri, a una velocità maggiore, di circa 6-8 miglia l’ora (10-13 kmh). Le tariffe crollano e spostarsi diventa per la prima volta a buon mercato.ANewYork,giàdal 1853laretedeitramacavalli trasporta 7 milioni di passeggeri. Negli anni sessanta il tram a cavalli si afferma a Chicago, Cincinnati,Boston,Filadelfia, Pittsburgh.Ametàdeglianni ottanta, nel decennio d’oro per questo tipo di trasporto,cisonoin300città Usa525compagnieditrama cavalliche,su6000migliadi binari, impiegano più di 100.000 cavalli11 per trasportare 188 milioni di passeggeri l’anno, ovvero 12 viaggi l’anno per ogni residente (neonati compresi) in un centro di più di 2500 abitanti. Il tram a cavalli è il primoverotrasportopubblico di massa. E gli inconvenienti che crediamo propri del Novecento appaiono già a metà dell’Ottocento: "La gente è inscatolata come sardine," riferiva un giornale dell’epoca,“conilsudoreche fadaolio.Poichéisedilisono strapieni, i passeggeri stanno astrati,nelmezzo,dovesono appesi alle maniglie come prosciutti nella drogheria all’angolo” (tutta la metafora è da industria alimentare anche se le sardine sbattono disaporeconiprosciutti).12 Ma il tram a cavalli consente per la prima volta alla gran massa di abitare lontano dal luogo di lavoro; permetted’ingrandirelacittà, di aumentare la distanza tra lavoro e casa oltre la portata delle gambe, di far straripare la walking city. Fa compiere un primo passo verso la democratizzazione dei suburbi e delinea un sistema di trasporti integrato ferrovia+tram a cavalli. Il tram a cavalli non solo estende i suburbi, ma allarga le dimensioni del centro cittadino: diventa “centro” tutto quel che è a poche stazioni di horsecar. Nel 1888lapopolazionetotaledei suburbi di Chicago superava le 300.000 persone e i pendolari erano più di 70.000.13 *** Malaspintapiùpossente verso i suburbi la diede il tram elettrico (in inglese trolleycar).Èimpressionante la rapidità con cui gli Stati Uniti adottarono questa tecnica di trasporto. Il primo prototipo è del 1880, e già dieciannidopoèdiffusissimo (a confronto, l’automobile ci misealmenoventicinqueanni primad’imporsi).Latrazione elettrica non si ammala, non defeca, non scivola sul ghiaccio,nonvafrustata,non richiedecavallisupplementari che aspettino all’inizio delle salite per integrare il traino, viaggia più veloce dell’omnibus a cavalli, va a 10-15 miglia l’ora (16-24 kmh), trasporta molti più passeggeri (fino a 100 persone nelle ore di punta). Così le tariffe scendono ancora e il prezzo medio di un viaggio scende, a fine Ottocento, da un dime (dieci cent) a un nickel (un centesimo di dollaro). Nel 1890 le "linee ferroviarie stradali”,comesichiamavano allora (Street railways), trasportavano 2 miliardi di passeggeri l’anno, il doppio di tutto il resto del mondo. Nellecittàamericaneconpiù di 100.000 abitanti, ogni persona-bambinicompresicompiva172viaggil’anno.A confronto, Berlino, che disponevadelmigliorsistema di tram d’Europa, negli Stati Uniti avrebbe occupato appenala22aposizione.14 Anche nei tram proliferarono migliaia di piccole imprese private a competere luna con l’altra sulle stesse linee. Già tra il 1890 e il 1893 si ebbero fusionidi250società. È a Chicago che il progresso del tram fu più rapido e più capitalistico e questo progresso porta il nome di Yerkes. Charles Tyson Yerkes, speculatore di Borsa già finito in prigione nel 1871, arrivò a Chicago nel1881,sibuttònelmercato dicerealiedivennebrokerdi grano; con soldi in prestito acquistò un’opzione sulla NorthChicagoStreetRailway e,pocoapoco,sualtrelinee. Yerkes realizzò un sistema tecnico superbo per i suoi tempi, aggiunse 500 miglia (800 km) di linee di superficie, ne elettrificò 240, costruì il Loop (l’Anello) soprelevato che tutt’oggi correintornoalmezzomiglio quadrato del centro città (da allora il centro di Chicago si chiama il Loop). Chicago è così caratterizzata dalla sua sopraelevata che la metro si chiama la "L”, “el", abbreviazione di elevated. Nel 1895 Chicago aveva più miglia di tram, più linee e i viaggipiùlunghidiognialtra cittàsullaterra. Yerkes era il prototipo dell’affarista avido, che corrompeva i politici e se ne fregavadeidisagidegliutenti (“È la gente appesa alle maniglie che vi paga i dividendi” diceva ai suoi azionisti). E così lo descrisse Theodore Dreiser nei due romanzi II finanziere e II titano. Nonostante nel 1892 avesse donato all’Università di Chicago 250.000 dollari per l’osservatorio astronomico - lo Yerkes Observatorydotatodell’allora più grande telescopio del mondo15 -, la sua impopolaritàfavorìlaspintaa municipalizzare i trasporti (rivendicazione presente in tutte le piattaforme sindacali dell’epoca).Nel1897Yerkes tentò di farsi rinnovare l’appalto per cinquant’anni, i “suoi” assessori (aldermen) stavano per votarlo, ma una folla furibonda circondò il municipio. Il rinnovo non passòenel1899gliassessori di Yerkes non furono rieletti. AlloraYerkesvendettelesue linee e nel 1901 si spostò a Londra dove, con 15 milioni di dollari (di allora), comprò la metropolitana londinese e ildirittodielettrificarla. (Mentre gli Usa erano molto più avanzati nei tram, l’Europa era più progredita nellesotterranee:nel1866fu costruito il primo tube a Londra e nel 1898 il primo mètro a Parigi; mentre oltre Atlantico la prima subway apparveaBostonnel1897;la grande New York avrebbe atteso il 1904, e Chicago addiritturail1943.) Il tram dilatò a dismisura il processo di suburbanizzazione innescato dagli omnibus a cavallo. Il tram rese possibile “esplorare” la città. Le compagnie tranviarie pubblicavano orari e guide per permettere di variare il percorso e cambiare linea. Costruivano,afinetragitto,al terminal periferico, grandi parchi di divertimenti con birrerie e luna park (Coney IslandaNewYork,Riverside a Chicago). Tanto che la domenica, e d’estate, i passeggeri aumentavano e intere famiglie partivano in gita per visitare quartieri, monumenti e giardini della metropoli fino ad allora inavvicinabili.Cirimarrràper sempre ignoto il palpitante sentimento di attesa, la fame di novità inesplorata, l’apprensiva curiosità che assaliva quegli intrepidi viaggiatoriditram. Il tram permise a milioni di persone di fuggire il caos urbano, di entrare e uscire giornalmente dalla città. I tram estendevano la città a un’"area metropolitana” definitacomel’areadeitram. Nel 1910 i trasporti pubblici portavano nel Loop di Chicago un milione di pendolari (una cifra che sarebbe rimasta straordinariamente stabile nel corso del secolo: i pendolari avrebbero oscillato tra gli 800.000 e il milione; solo il mezzo di trasporto sarebbe cambiato).Aguardarelefoto di quegli anni, non ci vuole molto per capire perché la gente volesse fuggire. È inimmaginabile la ressa delle strade. In un’atmosfera avvolta nella scura fuliggine diCoketown(diunacittàche funziona a carbone per tutto, pertreni,cibo,riscaldamento, fabbriche,ancheperprodurre elettricità), al suono delle proprie campane le locomotive a vapore incrocianoleviedellacittàin ben duemila passaggi a livello-raramenterispettatiprovocando incidenti e rallentamentimostruosi.Sotto una rete di fitti cavi aerei, stracarichi tram elettrici si aprono un lento varco fra torrenti umani di pedoni, s’incuneano tra i facchini piegati sotto enormi sacchi, avanzano a singhiozzo tra le prime automobili, i calessi signorili, gli omnibus a cavalli, in mezzo a ingorghi di carriami oberati da pile di tronchiomontagnetraballanti di barili, con i cavalli che si ostacolano l’un l’altro, frustati dai carrettieri (teamsters:nellelinguelatine ilcamionistamodernononha mantenuto lo stesso termine delcarrettiereantico). Moltopiùdellametropoli attuale, la città d’inizio Novecento è multimediale: pedoni, treni a vapore, tram elettrici, veicoli a cavallo, vetture. Molto più che nell’odierna città occidentale, regna la folla. È la pressione fisica, mentale di milioni di epidermidi umane e animali, di odori, sporcizie, sudori. Il tanfo dei motori, i rumori. L’unico paragone possibile conlaChicagodialloranonè laChicagodioggi,maèuna città indiana, metti Calcutta, con la sua cappa di carbone che ti annerisce il vestito e il corpo in una mattina, con il suo ponte di Howrath, percorso da milioni di camion, risciò a pedale, a cavallo o a uomo, carri trainati da lenti buoi, automobili, biciclette, pedoni con le persone che quasi si passano una sopra all’altra senza farci caso. E poi gli storpi, i mutilati, i deformi che oggi tanto colpiscono nella città del Terzo mondo. “Innessunacittàalmondoho visto tanti frammenti mutilati di umanità quanti se ne trovanoaChicago,”scriveun polemico giornalista inglese, attivo membro della società teosofica, William Stead, venuto nella Windy City per assistere alle maestose celebrazioni colombiane del 1893 con i loro monumenti neoclassici, e rimasto per descrivereisuoimendicanti,i bordelli, i politici corrotti, le dame benefattrici e ipocrite. (La Chicago bene di allora rimase scandalizzata dal reportage di Stead. Solo diciott’anni dopo, nell’aprile del 1912, quando William Stead s’inabissò insieme al Titanic mentre veniva in Americaperpartecipareauna conferenza per la pace, solo allora il “Chicago Tribune” gli avrebbe consacrato due intere pagine con il titolo: “William Thomas Stead, studioso, sognatore e umanitario.Storiadiunavita notevole, con un ancor più notevolefinale”.)16 Nel 1894, Stead è disgustato dai paralitici, dai deformi, lasciati là sulla strada dagli incidenti sul lavoro nei mattatoi, nelle segherie,acciaierie,fabbriche McCormickePullman.Storpi mutilatidaltrafficostesso:gli incroci tra ferrovie e strade, senza cavalcavia, fanno strage, feriscono decine di migliaia di persone l’anno e ne uccidono centinaia (294 nel 1890; 323 nel 1891; 394 nel 1892; 431 nel 1893).17 Ma non morivano solo i bipedi. Si pensi che ancora nel 1910icavalliurbanieranoun esercito adibito non solo ai tram, ma alle carrozze private, ai taxi a cavallo, al trasporto di merci al dettaglio: più di 68.000 a Chicago, erano 128.000 a NewYork,12.000persinoin una cittadina come Milwaukee. E anche nel 1920 - quando circolavano sulle strade già milioni di auto modello T della Ford -, pur se più che dimezzati, i cavalli sarebbero stati ancora 56.000aNewYork,30.000a Chicago. Oltre a urinare e defecare, i cavalli si ammalavano, attiravano milionidiinsetti.Soprattutto, sottolefrustatedeicarrettieri, stremati dai carichi immani cui erano sottoposti, malnutriti, mal curati, mal alloggiati, i cavalli da tiro morivano a migliaia nelle metropoli di fine Ottocentoinizio Novecento. Intorno al 1880 ogni anno morivano 15.000 cavalli nelle strade dellasolaNewYork.Ancora nel 1912 Chicago ebbe 12.000 cavalli morti, cioè 32 al giorno.18 Vedere in pieno giorno un cavallo morire sotto i colpi di bastone era uno spettacolo così frequente che non stupisce più la commozione sull’innocenza deicavalli,sembramenofolle Nietzsche che abbraccia il vecchio ronzino torinese e non pare più così onirico il passo di Delitto e castigo di Dostoevskij in cui Raskolnikov sogna di essere bambino e di vedere un cavallo picchiato fino a morire da contadini ubriachi: insogno,“gridandosiapreun varco tra la folla verso il cavallino, cinge con le braccia il suo muso inerte, insanguinato, e lo bacia, gli baciagliocchi,lelabbra...”.19 I tram s’imposero così prestoancheperchéaiutarono a eliminare i cavalli come mezzi da trasporto e perché democratizzarono ancora di piùlacorsaversolaperiferia, permisero a milioni di Chicagoansdiabitarelontano dal centro, consentirono cioè che si costituissero suburbi a reddito moderato, se non modesto. In una città simile, tutti invidiavano chi poteva andarsene. Oggi gli urbanisti - e gli umanisti - americani fanno presto a deprecare la fuga verso i suburbi, ma chi non voleva scappare? Non a caso William T. Stead ha apposto al suo (curioso) resocontountitolo,SeCristo venisseaChicago,chelascia intravedere le ignominie che Cristo vi troverebbe, e che riecheggia un altro motivo ricorrentedifineOttocento,il ritorno di Cristo sulla terra per vedere i risultati del suo Vangelo, per esempio nel sogno del "Grande Inquisitore” di Ivan Karamazov; un motivo che sarebbe penetrato nel Novecento fino a Cristo si è fermato a Eboli di Carlo Levi. Ancora: Rudyard Kipling, visitata Chicago, scriveva in quegli anni: “Dopo averla vista, desidero seriamente non rivederla mai più”.20 Se scappava Kipling, immaginarsi gli operai, gli artigiani che, appena potevano, investivano i loro magri risparmi in una casa lontana da quell’abominio, unospaziosenzaressa,ormai raggiungibilegraziealtrolley (affollato). Glioperaipotevanoormai abitare lontano dalle fabbricheelontanidalcentro città. Le fabbriche stesse cominciarono perciò ad allontanarsidalcentroedalle stazioni centrali. I grandi impianti si dislocarono in periferia. A Chicago, le acciaierie erano originariamentepostesubitoa nord di downtown, sul Chicago River. Ma a fine Ottocentosispostaronoverso l’area del Calumet River, quasi al confine con l’Indiana, e poi si espansero ancora più a sud-est oltre il confinestatale.Lontanodalla città, a sud, furono situate all’inizio del Novecento quelle che sono ancora oggi due tra le più grandi acciaierie di tutti gli Stati Uniti:nel1901laInlandSteel sul lato orientale dell’indiana HarborCanalaEastChicago, e nel 1906 la Gary Works of U.S. a Gary (Indiana).21 (AncheinEuropasicominciò a parlare di "periferie operaie”,dibanlieues rouges : per esempio la nuova fabbrica della Fiat, il Lingotto, fu costruita nell’allora periferia di Torino trail1915eil1918.)Questa dislocazione periferica delle industrie fu accelerata dalla rivoluzioneelettricachenelle fabbriche sostituì il vapore come forza motrice con generatori a turbina. È del 1915 il primo libro - di GrahamR.Taylor-chetratta la deindustrializzazione dei centri cittadini ("lo spostamento delle fabbriche, unaauna,versoibordidella città”) e la formazione di suburbi industriali negli Usa. Il centro città non fu più il nucleo industriale della regionecircostante,mailsuo polo terziario, di servizi e commerci. Le ciminiere furono espulse dai centri. Anche per questo i tram incontraronotantofavore. Infine i tram modificarono la disposizione spaziale dei suburbi. Quando i collegamenti dipendevano dalla locomotiva a vapore, lentissima ad accelerare e ancor più a frenare, le varie stazioni dovevano distare tra loroalmeno3-4km.Quindii suburbi giacevano discosti, ognunoappallottolatointorno alla sua stazione. E il personale di servizio - pubblico e privato - abitava nello stesso suburbio, la servitù stava vicino alla magione padronale. Anzi, ogni suburbio riproduceva in piccololastrutturadellacittà, poiché anche qui i poveri si ammucchiavano intorno alla stazioneferroviaria. Il tram permise fermate moltopiùfrequentiequindii nuclei residenziali si sfilacciarono, si distribuirono in modo continuo, senza intervalli di campagna, lungo la linea tranviaria. Poiché le tariffeeranomoltopiùbasse, divenne conveniente a servitù, commercianti, commessi e artigiani dei suburbi ricchi andare ad abitare nei propri quartieri, meno dispendiosi, e venire a lavorare in tram. Anche i padroni trovavano un vantaggio nel pagare i trasportiperallontanaredagli occhi l’immagine e dalle narici l’odore delle classi subalterne. È questo uno spartiacque decisivo nella civiltà moderna, il momento in cui i padroni perdono contatto con la propria servitù, il momento in cui diventa impossibile un dialogo intimo come quello tra Jacques e il suo padrone nel romanzo di Diderot. È l’istante in cui i suburbi diventano segregati socialmente, c’è un suburbio per ogni classe e per ogni sottoclasse, e la definizione spaziale implica automaticamente la definizionesociale. I tram mantennero invece la struttura metropolitana radiale. Tra i diversi suburbi ladensitàdiabitantiètroppo bassa perché abbiano senso trasporti in comune che li connettonotraloro.Itrasporti in comune hanno senso solo se congiungono una periferia con un centro a forte densità lungo una linea su cui si adagiano più suburbi. Incontriamo qui quell’ambiguo rapporto che s’instaura tra innocenza suburbanaedensitàabitativa, che ritroveremo ancora. Il tram dilata dunque i suburbi ma sempre in una relazione tributaria, subalterna rispetto alcentrocittà,adowntown. Si capisce come il tram costituisca una curiosità archeologicaaDallas,doveil centro non c’è proprio, dove la sua immagine spettrale è costituita da nuovissimi, luccicantigrattacieliperuffici disperatamente vuoti, riecheg-gianti dei "suoni del silenzio”. La linea tranviaria ottocentesca di Dallas è così una curiosità per allocchi, come le carrozzelle di New York,diRoma,diChicagoo come i risciò a pedale che scompaiono dalle città asiatiche ma che fanno capolino a Los Angeles, VancouvereNewYork,dove sonobaldigiovanottibiondia spingere sulla biciclettacalessino su cui siedono grassicinesi. 1 Lewis Mumford, The City in History, Harcourt, New York 1961, trad. it. Bompiani, Milano 1967, pp. 614-615. 2 L. Mumford,op.cit., p.562. 3 Friedrich Engels, La situazione della classe operaia in Inghilterra ( 1845), trad. it. in Karl MarxFriedrich Engels, Opere complete, Editori Riuniti, Roma 1972, vol. iv, pp. 261262.Lequestioniurbanesono trattatenelcapitoloLegrandi città,pp.262-309. 4Ivi,pp.286-287. 5LouiseCarrollWade, Chicagos Pride. The Stockyards, Packing-town, und Environs in the Nineteenth Century, pp. 131132. 6 William K. Beatty, When Cholera Scoured Chicago, in "Chicago History” (The Magazine of Chicago Historical Society), primavera1982,vol.xi,n.1, pp.1-13. 7L.C.Wade,op.cit.,p. 298, cita il "Sun” del 27 agosto1885. 8DatifornitidaBessie LouisePierce(vol.III,p.54) della sua monumentale A History of Chicago considerata il testo base sul tema - pubblicata da Alfred A. Knopf, New York su un arcoditempodivent’anni:il volumeièdel1937,ilIIdel 1940,ilIIIdel1957. 9 F. Engels,op. cit., p. 263. 10 N. Rosenberg, Le vie dellatecnologia,cit.,pp.233234. 11 Frank Rowsome, Trolley Car Treasury. A Century of American Street Cars, McGraw & Hill Book Co.,NewYork1956,p.17e tuttoilcapitolo2:TheAnimal Railway, pp. 17-34. Altre fonti parlano di 415 compagnieinvecedi525. 12 K.T. Jackson, Crabgrass Frontier, cit., p. 41. 13Ivi,p.93. 14 Molti dei dati qui riprodotti sono tratti dal capitolo The time of the Trolley del libro di K.T. Jackson,op.cit.,pp.103-115 e dal cap. 7, Transportation, diI.Cutler,Chicago,cit.,pp. 201-231. 15 William T. Stead,If Christ come to Chicago!, Laird & Lee Publishers, Chicago 1894, p. 110 [in un’altra edizione, Book Review, New Haven 1894, il titolo diventa If ChristcametoChicago(what would He do?)].Della prima edizione americana si vendetteroben100.000copie. Le pagine 110-15 descrivono enfaticamente la corruzione del comune di Chicago che concesse quasi gratis l’appaltotranviarioaYerkes. 16 “The Chicago Tribune",21aprile1912. 17W.Stead,op.cit.,p. 194. 18K.T.Jackson,op.cit., p.106. 19 Fëdor Michajlovic Dostoevskij, Delitto e castigo, trad. it. Einaudi, Torino1981,parteI,capitolo v,p.73. 20CitatodaK.T.Jackson, op.cit.,p.93. 21I.Cutler,op.cit.,p.175. 9.Paradisidiperiferia Per fortuna ci è preclusa l’esperienza di un viaggio in un tram di Chicago a fine Ottocento su una linea Yerkes. Ma chiunque sia rimasto appeso a un autobus africanooindiano,perquanto ecologo,diventacomprensivo versogliamericanieversola passione che subito nutrirono per l’automobile, per il trasporto individuale. Perché l’Ottocento industriale e capitalista idolatrava sì l’individuo, ma solo nelle classi superiori, dove era concepibile l’individuo libero. “La mia libertà finisce dove comincia la tua,” recitava il dogma del liberalismo dell’epoca. Ma, per un benestante, la mia libertàfinivacolrecintodove terminava il mio giardino e iniziavailtuo,elatualibertà cominciava nel tuo calesse isolato dal mio. Per le classi subalterne invece la mia libertàfinivanelmiostomaco in cui era conficcato il tuo gomito, nel mio naso impigliato nella tua ascella: dovecomincialamialibertàe dove finisce la tua in una stanza in cui dormiamo in cinque, in un tram in cui siamo appesi in cento? L’individuo, l'"io”, era una moneta che aveva corso legalesoloneicetiagiati,nei gruppi dirigenti, lì dove prendeva la maiuscola e diventava l’Io hegeliano, il Soggetto della Storia, il Padrone del Conto in Banca. Aquestosoggettol’Ottocento riservava il diritto alla privacy, cioè al "privato”. Mentreimponevalacomunità forzata (il comunismo?) alle classisubalterne. Non a caso la razionalizzazione industriale e amministrativa consiste nel rendere intercambiabile l’elemento umano, nel far sì che un operaio sia equivalente all’altro, un impiegato sostituibile dall’altro, anonimizzato e desingolarizzato come il soldatonellatruppa.Findagli albori delle società moderne ciòcheerapubblico(gratuito o troppo a buon mercato) fu discreditato a favore di ciò cheeraprivatoecostoso:solo la riuscita ti permetteva di tirarti fuori dal disagio, dalla puzza,dallapromiscuitàdella comunanza:daquiilfascino, usato e abusato dalla pubblicità, del verbo "personalizzare” e del suo participio “personalizzata/o" affibbiato a prodotti anonimi destinati a milioni di clienti. È la forma comica in cui è drappeggiato un sentimento vero,tragico:l’aspirazionedi massaanonesserepiùmassa, maadiventare"persona”.Nel 1906 il futuro presidente Woodrow Wilson prediceva che l’automobile avrebbe portato al socialismo perché alimentava l’invidia verso i ricchi. Wilson non teneva conto di quella forma specifica che, secondo Pierre Bourdieu, ha assunto la lotta socialeinOccidenteecheèla rincorsatraclassi:primasolo la classe dominante abita nelle ville nei suburbi; dopo unsecolovivrannoinsuburbi ancheiproletari;primasoloi benestanti si permettono l’auto, poi, dopo mezzo secolo, possiederà la macchina anche chi ha un redditomodesto;primasoloi borghesi vanno in “villeggiatura”, poi le "vacanze” diverranno di massa.Ladistanzatemporale, il décalage, nella rincorsa, esprimeladistanzasociale.E l’ultimo secolo può essere letto come una gigantesca rincorsaadiventareindividui. L’automobile di massa, il modello T lanciato da Henry Fordnel1908fuquindimolto più di una rivoluzione industriale: ti concedeva di accedere all’individualità pur senza essere diventato ricco. Conl'automobile,cisipoteva permetterediessereindividui anche da operai, da commessi, da spazzini: “Il rapido consenso popolare per il nuovo veicolo è dovuto in granpartealfattocheessoha dato al suo proprietario un controllo sui propri movimenti che gli era negato dai mezzi precedenti. A portata di mano e pronto per un uso istantaneo, esso porta il suo proprietario dall'uscio di casa a destinazione secondo itinerari che egli stesso ha scelto e su tempi e programmicheeglistessoha stabilito,” diceva un rapporto presentato nel 1933 al presidenteHerbertHoover.1 Questa rivoluzione concettuale avvenne assai presto negli Stati Uniti, anzi nel primo quarto di secolo fece progressi mai più ripetuti. Nel 1920 c’era un’autoogni13abitantinegli Stati Uniti, ogni 228 in Gran Bretagna, 247 in Francia, 1017 in Germania, 1206inItalia.Leproporzioni europeediallorasonosimilia quelle asiatiche di oggi: una macchinaogni436abitantiin Cina, 238 in India, 81 in Indonesia (dati del 1997). Allora, la densità automobile/abitante era negli Stati Uniti cento volte superiore che in Italia, diciannove volte che in Francia. Nel 1999 il divario tra America ed Europa si era colmato e addirittura Italia e Germania avevano superato gli Usa quanto a densità di automobili per abitante: infatti c’era un’automobile ogni 2,69 abitanti nel Regno Unito, 2,54 abitanti in Giappone, 2,1 in Francia, 2,11negliStatiUniti,1,96in Germania e 1,85 in Italia: questo dato sembra incredibileeinfattiloè,visto che è dovuto solo alle perversioni tassonomiche del BureauoftheCensuschedal 1986 conteggia furgoncini (pickups), monovolumi (personal passenger vans), minibus (passengers minivans) e trazioni integrali (portutilityvehicles,Suv)non più fra le automobili, bensì fra i trucks, e perciò i dati europei e quelli statunitensi non sono comparabili.2 Ma neanche la malignità classificatoria degli statistici Usa può occultare il sostanzialeallineamentosugli standard americani di densità automobilisticaintuttiipaesi ricchi. Oggi gli occidentali possiedono molte più automobili, ma vi dedicano una porzione maggiore del proprio reddito. In novant’anni, l'accessibilità delle auto è prima cresciuta, poiperòèscemata.Nel1909 negli Stati Uniti erano necessari 25 mesi di paga media (lorda) di un operaio per comprare una modello T della Ford. Nel 1925, perché leautocostavanomoltomeno e perché i salari erano proporzionalmente più alti, per una modello T erano necessari solo tre mesi di paga.3 Oggi né negli Usa, né inEuropabastanotremesidi salario operaio per comprare la macchina (servono tra cinqueeseimesi,unregresso rispettoaottant’annifa). Così,quandoil5gennaio 1914HenryFordraddoppiòil salario operaio da 2,3 a 5 dollarigiornalierinonlofece solo per allargare il mercato (pagare agli operai che fabbricano un’auto un salario abbastanza alto da permettergli di comprarsi quella stessa auto). Questo salario è il tassello di una visione sociale più ampia, in cui i dipendenti sono esortati a fare ogni sforzo per accedere allo statuto di individui, a guadagnarselo e, aquestoscopo,èoffertoloro un salario tale che l'individualità diventi alla loro portata: non si è individui in teoria, ma nella pratica, nell’abitare, nel muoversi, nell’"avere il controllo sui propri movimenti". Mettere l’individualità alla portata di tutti significa rendere accessibileatutteletascheun veicolo personale, l’automobile, un’abitazione unifamiliarecomeloèlacasa balloon frame. Henry Ford spingeva gli operai a ‘‘conquistarsi la propria individualità” proprio mentre introduceva in fabbrica la catena di montaggio, un processo che segmentava la loro personalità lavorativa e finiva per renderli anomini, intercambiabili. Ma quella di essere una persona è forse l'unica illusione cui non si puòabdicare. Sulle automobili (e sui camion) degli Stati Uniti se ne sono viste, dette è scritte troppe. Giusto alcuni punti pocointuitivi.Autoecamion sconvolgono la struttura radiale della città, lasciata intatta persino dal tram che richiedeva una densità sufficientementealtadiutenti daessere-senonredditizioalmeno utile. L’auto richiede invece una densità sufficientemente bassa da restarescorrevole.Mentrecol tram ci si sposta dalla periferia verso il centro e viceversa (con l’eccezione di una o due linee “circolari”), con l'auto è possibile spostarsi da suburbio a suburbio. Già negli anni trenta prendeva piede negli Stati Uniti il pendolarismo intrasuburbi: il pendolare andava a lavorare non più in centromainun’altraperiferia Se la popolazione di Chicagocittàhatoccatoilsuo culminenel1940conquasi4 milioni (3,97 milioni) di abitanti,perpoideclinarefino ai 2,784 milioni del 1990 e poi risalire di un pizzico nel decennio successivo fino a 2,896milioninel2000,l’area metropolitana di Chicago ha invece continuato a ingigantirsi:nel1940contava 4.570.000 abitanti; sessant’anni dopo, nel 2000 eraquasiraddoppiataeaveva 9,2milionidiabitanti.Mentre nel 1940 otto Chicagoans su nove vivevano in città, ora sonopiùdiduesutreavivere fuori città. E se due terzi dei Chicagoans abitano nei suburbi, due terzi di questi suburbani lavorano in altri suburbi. Anzi, è raddoppiato il numero di persone che abitano in città e vanno a lavorare nei suburbi: sono circa 250.000 le automobili che ogni giorno emigrano da Chicago città per andare a lavorareinperiferia,controle 100.000 nel 1960. Questa rivoluzione ha sconvolto gli stili di vita, il rapporto tra lavoro, piaceri, famiglia, riposo,didecinedimilionidi persone. Oggi abitano nei suburbi più di 120 milioni di americani, il 40% della popolazionedegliStatiUniti. E oltre 60 milioni tra loro vivono in località non collegate da nessun trasporto pubblico. Poiché sostituisce una mobilità orizzontale (o trasversale) a una mobilità verticale (o radiale), l’automobile modifica i rapportinonsolodelcittadino conlasuacittà,madellacittà conipropridintornieconse stessa. Intanto, la città deve essere cosparsa di parcheggi. Nessunopotràmaidescrivere quanto i posteggi imbruttiscono le metropoli Usa. Proprio accanto a civettuoleboutiqueeccospazi sgraziati, voragini nere di parcheggi-multipiani costruiti al risparmio in cemento grezzo. Davanti all’Hilton di Chicago (che fu un tempo il più grande albergo di lusso delmondo),portierigallonati si sbracciano su guide di velluto rosso. Appena dietro l'Hilton, si stendono aree in malora cintate da reti metalliche cigolanti al vento, superfici ricavate da edifici demoliti. Il parcheggio interrompe il tessuto urbano, crea un terrain vague che scardina la rete sociale. Di notte i suoi spazi sono antri bui, fauci che minacciano scippo, percosse, stupro (l’assaltonelparcheggioèun pilastro dell'immaginario metropolitano). Proprio accanto al Magnificent Mile, il parcheggio interposto tra localino grazioso, negozio alla moda e ristorante per gourmet allena le persone a quella particolare arte, così sviluppata nelle città statunitensi, di guardare senza vedere, d’ignorare ancheapalpebresollevate,di usare gli occhi come siamo abituati a impiegare gli orecchiche,dopomillennidi rumorisubiti,sannoascoltare senza sentire, distinguono cioèisuonicheciinteressano dal rumore di fondo. Così, nelle metropoli Usa, questi particolari sgradevoli, “inevitabili costi del progresso”,comelabruttezza inenarrabile dei parcheggi, sono considerati un rumore visivodifondo. Per arrivare in città in auto,sononecessariestradea scorrimentoveloce.Laprima arteria costruita per le macchine e solo a esse destinata fu la Long Island MotorParkwaydiWilliamK. Vanderbilt (1906-1911). Per facilitare il pendolarismo, le autostrade devono penetrare nella città il più all’interno possibile. Meglio ancora, la devono traversare da parte a parte.Sirivelano“inevitabili” squarciurbanidifron-teacui sono bricolage dilettantesco gli sfondamenti del barone Haussmann che nell’Ottocento crearono i Grands Boulevards parigini. Ognimetropoliamericanadel Novecento ha avuto i suoi Haussmann. Robert Moses a NewYork,ilsindacoRichard J. Daley a Chicago, coloro che, secondo Marshall Berman, vedono se stessi come i demiurghi di una modernità finanziata con i fondi statali. Robert Moses che, nella descrizione di Berman, ha costruito ponti, litoranee,autostrade,eperciò ha distrutto case, strade, quartieri. Moses che amava New York e che, per amore, haresoBronxilBronx,neha fattounagiungla,quandol'ha sventrato per farvi passare una expressway che ha deportato 60.000 abitanti del quartiere, ha distrutto migliaia di edifici e ne ha resoinabitabilialtremigliaia, con i miasmi del carburante, il rumore dei veicoli. L’autostrada urbana degrada e distrugge i quartieri che squarciapropriocomefaceva la ferrovia nell’Ottocento. A chi gli chiedeva se le autostrade urbane creassero problemi umani diversi da quelle di campagna Moses rispondeva: "Si tratta di qualchedisagio,maanchesu questo si esagera”. La differenza era che “ci sono più case nelle strade [...] più genteperlastrada,equestoè tutto. [...] Quando si opera all’interno di una metropoli con troppi edifici, ci si deve aprireunvarcoconunascure dicarne”.4 Con la stessa “scure di carne” e con gli stessi fondi federali, si apriva un varco Daley per costruire l’autostrada Dan Ryan, la Kennedy, e ancora la Adlai Stevenson. Persino nell’aggraziata Boston, un’autostrada scorre - ferita non rimarginata - nel centro, passa vicino alle case del Settecento, domina locande ottocentesche. Ancora un allenamentoperlacapacitàdi non vedere. L’autostrada è tanto familiare che non la si nota più. Uno dei migliori ristoranti di pesce di Dallas, ricavato sopra una cisterna, stapropriosottoilcavalcavia diun'autostrada.All’uscitada fratti di mare ti accoglie il rimbombo dei Tir. Lungo l’autostrada urbana di Chicago,ilLakeShoreDrive, sulla corsia d’emergenza fanno jogging in tanti, incurantideigasdiscarico. *** Nel Novecento l'autostrada porta a compimento il progressivo svuotarsi della strada come "pezzo della sfera pubblica” che nell’Ottocento aveva già fatto passare dalla via di paese al viale urbano. "La strada del villaggio,” scrive Franco Moretti, “era certo mille volte più povera di stimoli della strada di città. Ma in compenso la quasi totalità della vita si svolgeva appunto per strada.” La città invece ha sì “valorizzato la strada come elemento di comunicazione, ma la ha drasticamente e irreparabilmente svuotata come luogo di esperienza sociale[...].Lagrandenovità della vita urbana, infatti, non consiste nell’aver gettato la gente per strada, ma nell'averla rastrellata e racchiusa negli uffici e nelle case. Non consiste nell’aver intensificato la dimensione pubblica, ma nell’aver inventatoquellaprivata”.5La via paesana era dove s’incontrano i "compaesani”, spazio di frequentazioni dunque; il viale urbano è un fondale di scena dove passanoglisconosciuti:nasce la categoria del passante. Fiorisce il lirismo della passante, la sconosciuta che non ameremo mai, gli occhi che s’incrociano una sola volta nella vita, la mano che non abbiamo sfiorata, la felicità intravista e subito persa: "Un lampo, poi la notte!-Fuggitivabellezza/il cui sguardo mi ha fatto all’improvviso rinascere. / Ti vedròforsesolonell’eternità? / Altrove, lontanissimo da qui!troppotardi!maiforse!/ Perché ignoro dove tu fuggi, tu non sai dove vado, / o tu che avrei amato, o tu che lo sapevi!”.6 La strada come luogo della solitudine che immagina incontri, li fantastica. Il viale urbano diventa il luogo dell’intimità solitaria, in cui ognuno segue il filo della propria esperienza. La via è solo eccezionalmente pubblica: scendere in piazza, scendere in strada diventa un “manifestare”, un atto sovversivo;èprotestaproprio in quanto gesto pubblico, perché nella quotidianità la via si è fatta luogo privato. Questa tendenza - a considerare gli spazi pubblici solo come fondali di esperienzeprivate-sicompie nei walkmen e nei telefonini cellulari. Qui la capacità di non sentire i rumori di fondo diventa volontà di abolirli, di “pulirli”. L’individuo non sentepiùisuonidellastrada, purofastidiodaeliminare,ma traversa la via immerso nel proprio mondo sonoro scelto aproprioarbitrio,chesiauna melodia risuonante nella cuffiaounavocelontanache cigiungesuonderadio. L’involucro di metallo e plasticadell’automobileèuna cuffia walkman all’ennesima potenza. Isola dai suoni, dal contatto. In auto l’Altro (macchina, pedone) diventa puroostacolochesifrappone tra te e la tua meta. L’auto è privata non solo come proprietà, ma perché rende esperienza privata quel che per secoli era stato tempo pubblico, comunicativo: il cammino del viandante nei Canterbury Tales, la diligenza di Tom Jones, il treno in cui incontriamo Myskin,l’idiota. L’auto espelle concettualmente,primachein pratica, il passante dalla strada: egli non è più un passante,èunveicoloumano, un bipede semovente. L’auto esige arterie apropria immagine. Ecco quindi in tutte le città le vie normali svuotarsitrannecheincentro (esolonelleorediaperturadi negozi e uffici). Ecco grandi stradoni desolati con rari assembramenti di modesta animazione in qualche incrocio. Per misurare la portata della rivoluzione intercorsa in meno di un secolo, basta paragonare l’indescrivibileressadellevie d’inizioNovecentoeilvuoto silenziosodioggi.Lastradaè diventataun'astrazione. Certo è che nelle città americane, in quest’astrazione, le auto ci vivono proprio comode. C’è da dire che hanno trovato anche un habitat familiare, come la struttura a graticola (gridiron) delle strade americane, reticolati di vie perpendicolari che disegnano isolati regolari (circa dieci ogni miglio in città). La struttura a graticola fu adottataaNewYorknel1811 esidiffuseintuttelecittà.Le linee rette diminuivano le dispute di confine, semplificavano i problemi di lottizzazione, “facilitavano la vendita e l’acquisto della proprietà immobiliare”. Un medico dell’epoca, Daniel Drake, diceva: “Le linee curve, sai, simbolizzano la campagna, le linee rette la città”.7 Il processo di graticolizzazione degli Stati Uniti culminò nel 1862, con l’Homestead Act che a osni aspirante fattore offriva terra del West a un prezzo nominale, e che dividevailpaeseinlottidaun quarto di miglio quadro, 64 ettari, ognuno bordato da strade: l’intera nazione diventava un immenso reticolato. Nel Novecento le ragioni del mercato sono state sostituite da quelle del traffico:lecurveostacolanoil flussodiauto,impedisconola visuale, creano incroci “irrazionali”, mentre la graticola costituisce un perfetto sistema di semafori. Ma per le auto le comodità non finiscono qui. Prediligono grandi stradoni? eccole accontentate con arterie larghe come piste d’atterraggio. È vietato che i parcheggi si sviluppino in pendenza?eccospianatetutte lealtureperprodurrecomodi biliardid’asfalto. Unacertaantipatialeauto la nutrono anche per gli alberi, e infatti negli Stati Uniti sono rare le arterie cittadine dotate di alberi, Commonwealth Avenue a Boston, Broadway a New Yorkperunbrevetrattosopra la 60a e poche altre. Però la sera, ormai stanche, anche le macchine cercano requie in un ambiente più aggraziato e allora migrano nei loro suburbi dove le attendono garage accoglienti, tutti per loroche,nelleregionifredde, d’invernosonoriscaldati.Qui finalmentepermettonoailoro servitori bipedi di ristorarsi per essere pronti, l’indomani mattina, col corpo acceso, il pieno di comflakes, la carrozzeria profumata di dopobarba. *** Eccoci nel suburbio dal nome boschivo, lontani dal Loop. Qui è possibile, anzi ricercato tutto quel che in città è precluso o osteggiato. Quilestradenonsichiamano più con numeri, ma possiedono nomi (per lo più alberati). Anche in città, nei quartierichesivoglionodare un tono, le strade sono nominate e non numerate : così nel Near North Side di Chicago, abitavo in una via che si chiama Oakdale, "Vailetta della Quercia” in una zona ovviamente senza vallinéquerce. Le curve poi sono il massimo dell’eleganza. Se nelsuburbiolestradegirano, il prezzo delle case sale, proprio perché le “curve simbolizzano la campagna" e lanatura,comedicevaDrake. Ancora più care le aree che hanno mantenuto colline e avvallamenti,chenascondono i paesaggi alla vista, e li scoprono dietro una cresta. Un colle, un tornante: il non plus ultra dello chic, creato apposta, se necessario, dai paesaggisti urbani al soldo delle immobiliari. Qui gli umani cercano di ricreare a caro prezzo, con gran dispiego di macchinari, quel che la natura elargiva senza tanto pensarci, quel che ci regalava ogni vallone abbandonato:curveedeclivi, Qui, nel suburbio, ai bambini è consentito giocare per strada, quell’attività divenuta così pericolosa in città, e non solo nelle città americane. Negli anni cinquanta, nella mia infanzia a Roma, in un quartiere medio di una media capitale diunmediostatoeuropeo,tra i cinque e i dieci anni, giocavo ancora sui marciapiedi con i ragazzini del rione e insieme scorrazzavamo in bande innocue che si colpivano con cartoccetti di carta tirati da cerbottane di plastica. In quest’inizio di xxi secolo, la socialitàdistradafrabambini diquartiereèinvecepreclusa all’infanziamiddle class che, per giocare all’aperto, deve recarsi in un luogo adibito a questa specifica funzione (parco, giardino pubblico), ma solo se accompagnata da grandi, senza poter quindi mai sperimentare quel nevralgico rito di formazione e di passaggio che è la vita fuoridalcontrolloadulto,dai luoghi da loro sorvegliati (casa,scuola),cheèquindila complicità infantile, congiurante, intessuta di segretiindicibiliaigrandi. La socialità di strada è oggi riservata ai bambini delle classi subalterne (un tempo erano chiamate le classi pericolose) nei quartieri poveri, dove le loro bande sono chiamate gang di “ragazzi di strada”. Quel processodicriminalizzazione (“un bambino perbene non gioca per strada”) per cui, arrivati in una città americana, si chiede all’albergatore: “È sicura questa via?”. La via è criminalizzataquandol’unico scambio sociale residuo, l’unico “pezzo di sfera pubblica”vissutonellastrada è lo scambio illegale, di spaccio - dove ci si scambia la droga -, di prostituzione dovesicommercianocorpi(il termine “donna da marciapiede"). Conl’elettricità,lasocietà umana sembrava aver sconfitto la notte. L’illuminazione (più che l’illuminismo filosofico) pareva aver vinto la nostra millenaria guerra con le tenebre: a fine Ottocento i visitatorinonsistancavanodi ammirare lo spettacolo notturno delle vie cittadine cosìpienedivita,ditrafficoe di confusione, tanto che, fa notare Wolfgang Schivelbusch, fu inventato il buio artificiale (quello delle sale cinematografiche, delle gallerie degli orrori nei luna park).8 La sconfitta della notteèstatadibrevedurata. Ancheseilverobuiociè ormai ignoto (il cielo stellato ci è invisibile) e l’orizzonte sulle città è sempre immerso inunaloneluminoso,lanotte ha riconquistato i suoi diritti, hareimpostoisuoiincubi,"le paure notturne”. Nelle ore piccole, la strada toma a configurarsi come al tempo de La ronda di notte di Rembrandt. Un sentimento nuovo, l’odio per la strada, l ’odofobia, s’inserisce in un sentimento preistorico: il terroredellanotte. Nel suburbio il bambino può giocare per strada, l’adulto può persino passeggiarvi, addirittura percorrerla in bici perché la strada è privata, perché l’intrusoènotato,seguitocon lo sguardo (l’idea che in una via ci siano intrusi). Segnali stradali incoraggiano i cittadini a vigilare, a segnalare alla polizia qualunque incontro insolito: su questi pannelli è tracciata l’immagine nera, in ombra cinese, del viso di uomo con un feltro dalla tesa minacciosa. Quel che sarebbe sconveniente in città, rivolgere la parola a un passante, diventa qui atto di cortesia poiché il passante è un vicino. Mentre la villetta europea è circondata da un recinto e il suo giardino è situato davanti, la casa unifamiliare americana si presenta inerme, con il prato davanti senza recinto; però dove la famiglia vive all’aperto e picnicca a barbecueèilcortiledietro la casa,nascostoallavista. Negli Stati Uniti, ogni bambino europeo rimane perciò estasiato dal binomio suburbio/casetta unifamiliare, colsuocorollariodipratiben curati e giochi all’aperto. La vita vi è davvero innocente, come diceva Mumford; la domesticità vi prospera, l’individualità vi fiorisce. Le metropoli sventrate dalle autostrade, butterate di parcheggi, ridotte a ghetti, intrisediviolenzasonosoloil prezzo che si paga per diventareindividui,peressere “persone”. Non basta. Ogni casetta tra alberi e prati deve avere accesso alla strada. Quindi per ogni due villette unifamiliari,videveessereun trattodistradasuicuiduelati queste case si affacciano. Se una casa col suo prato si affaccia per venti metri, a cento famiglie occorrerà un chilometro di strada, di doppia corsia centrale e di due marciapiedi. A diecimila famiglie, cento chilometri senzacontareletrasversali,le arterie principali, le strade veloci, le vie in cui sono situatiiserviziurbani,icentri commerciali. L’esigenza di viverenellanatura,diabitare tra alberi e prati produce più asfalto per abitante di qualunque cementificata, artificiale metropoli. E moltiplica la rete fognaria, quella telefonica, elettrica, dell’acquedotto. Ilnumerodiinfrastrutture per abitante cresce all’infinito. Per costruirle e farle funzionare serve una quantitàmostruosadienergia (senza contare che ogni casa ha il suo riscaldamento e raffreddamento). Per lavare ogni suo abitante bipede, quadrupede, o quadriruote, per innaffiare il suo praticello,ognicasabeveuna dose d’acqua letteralmente insensata. Niente fa capire finoachepuntoèirrazionale edistruttivaladisuguaglianza quanto le casette nel deserto californiano, ognuna con un praticello verde brillante circondato da un’infinita desolazionedipietreesabbia: un verde conquistato con migliaia di galloni d’acqua versati-ascopoestetico-su un fazzoletto, mentre tutto intornolaterraèletteralmente morta di sete. Dietro la sua apparenzainnocente,dietrola sua levità, il suburbio con la casetta balloon frame nasconde una voracità sconfinata, voracità di legna, di asfalto, di energia, di acqua. Il suburbio risucchia risorse anche umane. La sua popolazione è talmente diradata che proteggerla richiede un costosissimo dispiegamento di polizia (per secoli la gente si è ammucchiata nei paesetti medievali, nelle città, per proteggersi, per stare al sicuro). Né quest’ostentazione di forza basterebbe a garantire la sicurezza dei cittadini se tra poliziachecontrollaisuburbi egangchegovernanoleinner ciliés non vigesse una spartizione dei territori: ognuna evita di entrare nel territorio altrui e, se proprio deve, vi penetra come forza d’invasione in terra straniera. Durante la sommossa di Los Angeles nel 1992, non un solo vetro del ricco suburbio di Beverly Hills andò in frantumi. In compenso la polizia lasciò incendiare e saccheggiare tutto il Central District e attese l’intervento della guardia nazionale, esplicito “corpo di spedizione” esterno e quindi più “neutrale” dei poliziotti cittadini. Sempre nel 1992, molti statunitensi protestarono perché il governo mandò i marines in Somalia invece di spedirli a SouthCentralLosAngeles. Questa spartizione delle areed’influenzaspiegaanche un altro pilastro dell'immaginario contemporaneo, il terrore per lo psicopatico, come colui che sfugge al controllo sia dellegang,siadellapolizia,e che quindi può colpire ovunque e - più delle gang mettere a repentaglio l’incolumità suburbana. Lo psicopatico può nascondersi (conlasuasilhouetteneraeil feltro dalla tesa minacciosa) anche dietro la fisionomia bonariadelvicinodicasa.Da qui la sospettosità pignola, il vigile pavore che questa struttura urbana genera e alimenta: la solitudine è molto più minacciosa della folla. Il timore costituisce un incentivo potente al conformismo. La paura cerca pace in un vicinato socialmente simile a sé, con lavori simili, culture simili, similecoloredellapelle,oltre a redditi simili, imposti dal valore immobiliare in quel suburbio. Altro incentivo, la mobilità geografica: se devo traslocare a migliaia di miglia,pernonaveresorprese cercherò casa in un suburbio che mi somigli, in cui sia minimo lo spaesamento sociale, i figli non siano traviati da “cattive compagnie”, né le donne importunate da "tipacci”. Proprio perché diradato e fragile, il suburbio si difende con l’uniformità, con l’uguaglianza a sé, con l’autosegregazione. Il suburbioèdiasporaurbanain senso proprio, è separazione della società in segmenti sociali distinti, incomunicanti. *** L’automobile ha reso possibile questa forma di esistenza umana, ma a sua volta il suburbio esclude qualunque sistema di trasporto che non sia l’automobile. La densità abitativaètalmentebassache qualunque forma di trasporto in comune perde senso. I suburbisonostatifinanziatie costruiti grazie a una politica che ha smantellato i pubblici trasporti;maunavoltacreato il suburbio, diventa impossibile reintrodurvi autobus o tram, la nuova organizzazione non li consentepiù. Corollario di questo dato èchebambinieadolescenti,i teens - che ancora non guidano -, vanno accompagnati ovunque, dagli amici, in piscina, al cinema. Lemammesonochauffeuses. Il suburbio è costruito e pensatoperunacasalingache qui dovrebbe, mamma e moglie, vivere felice, lontana dalle ansie del lavoro, della città, della folla, degli sconosciuti.PerBettyFriedan il suburbio è il campo di concentramento in cui è racchiusaladonnaamericana, quella particolare specie umana che è la “casalinga suburbana” (assonante con “subumana”). L’esperienza dei lager “sembra terribilmente lontana dalla facile vita della casalinga suburbana americana. Ma la suacasanonèforseinrealtà un comodo campo di concentramento? Le donne che vivono secondo l’ideale della mistica della femminilitànonsisonoforse imprigionate da sole entro le angustemuradellelorocase? esse hanno appreso ad adattarsi al loro ‘ruolo biologico’. Sono diventate dipendenti, passive, infantili...”. Certo, non bisogna esagerare con la metafora:“Lacasasuburbana non è un campo di concentramento, e le casalinghe americane non sono in procinto di entrare nellacameraagas.Peròsono in trappola e, per evadere, debbono esercitare la loro libertàericonquistareilsenso delproprioio”.9 Auto e casetta ci erano apparsi(eperunversosono) strumenti per conquistarsi l’individualità, divenire persone. Anche all’essere persona si applica la formula liberale, ma in una nuova versione: “La mia individualità (di maschio) comincia dove finisce la tua (di femmina), la mia personalità si costruisce sul tuo anonimato”, il "mio essere libero si basa sul tuo essereintrappola”o,meglio, sulconfinartia"starealposto tuo”.Uninnocomunesileva alla mistica del suburbio e a quella della femminilità. E mai il suburbio è stato osannatocomenelperiodoin cuiledonnehannocercatodi evadere da questa trappola fiorita. È un meccanismo classico: l’ideologia del suburbio autosegregato, rinchiuso nello sconfinato orizzontedellapropriaaiuola, ha celebrato il suo trionfo politico alla fine degli anni settanta, con il reaganismo, quandoilsuoparadisoèstato messo in pericolo, quando le donne sposate, le madri con figli piccoli, le casalinghe suburbane sono entrate a decinedimilioninelmercato del lavoro. Nel 1970 solo 31,5 milioni di donne (il 43,3% della popolazione femminile Usa) facevano parte della forza lavoro. Nel 2000 erano 66,1 milioni, il 59,8%: in trent’anni erano entratinelmercatodellavoro più di 33 milioni di donne. Ancora più impressionante il confronto con il 1960. Nel 1960 faceva parte della forza lavoro solo il 28,8% delle donne sposate tra i 25 e i 34 anni: nel 2000 erano il 70,5%: prima due mogli giovani su tre non lavoravano, ora due su tre lavorano. Altrettanto vistoso il boom del lavoro tra le mamme: nel 1960 faceva partedellaforzalavorosoloil 18,6% delle donne con figli sottoiseianni;èil65%oggi: la percentuale è più che triplicata.10 È una rivoluzione del costume americano passata inosservatainEuropa,mache rischiavadifarsaltaretuttoil sistemadeisuburbi.Laprima rispostaèstatamoltiplicarele auto, così che potessero guidarenonsologliUlissedi periferia, ma anche le loro Penelopistancheditesserela tela: il 44% di auto nuove è acquistato da donne. La seconda è stata di spostare molti uffici verso i suburbi. Laterzaèstatadioffrirealle casalinghe lavori part-time, dato che comunque continuavano a lavorare a casa. La quarta è stata di lanciareunagrandeoffensiva a favore dei “valori familiari”, i family values, una crociata per rilanciare la mistica della femminilità materna e mogliesca. Non si sa però se le donne torneranno al focolare, se il suburbio entrerà in crisi, se un nuovo aggiustamento sarà trovato. Certo è che, ancora oggi,confinoeinfelicitàsono spessoilprezzocheledonne elasocietàamericanapagano per vivere nel mondo innocentedeisuburbi. È uno dei molti, esorbitanti costi del sogno americano. Perché, di fatto, questosognoconsistein“una casetta suburbana, con un pratorecintato,dueautoeun periodo di ferie all’anno”,11 nient’altro, niente di più poetico o profondo. A chi lo guarda dall’esterno, i prezzi di questo sogno sembrano insostenibili,rovinosi.Eppure esso ha mosso centinaia di milioni di persone, le ha convinte ad abbandonare la patria, la famiglia, ad affrontare l’ignoto, sfidare una società ostile, razzista. Bastaguardarelafierezzacon cui una donna immigrata "possiede” la propria lignea casetta unifamiliare in una foto di fine Ottocento per capire la potenza di questo miraggio, la sua capacità di far sopportare privazioni, superare stenti, ingoiare umiliazioni.Per70milionidi famiglie americane questo sogno si è avverato nella forma della proprietà: esse possiedono la loro casa. Ma anche la categoria del possedere si rivela enigmatica, dalle conseguenze imprevedibili, indesiderate. 1 Presidente Commission on Recent Social Trends in the United Stales, Recent Social Trends in the United States, Government Printing Office, Washington D. C. 1933,cit.inK.T.Jackson,op. cit.,p.173(ilcorsivoèmio). 2 Contando anche i trucks e i bus, la graduatoria didensitàdiveicoliamotore diventa:unveicoloogni1,26 abitanti negli Usa, 1,51 in Italia, 1,77 in Germania e Giappone, 1,78 in Francia, 2,36 in Gran Bretagna. Dati tratti dalle tavv. 1355 e 1308 diU.S.BureauoftheCensus, Statistical Abstract of the United States 2002, Government Printing Office, Washington D.C. 2002, e dal CalendarioDeAgostini. 3Ivi,p.161. 4 Marshall Berman, All That is Solid Melts into Air. TheExperienceofModernity, Simon&Schuster,NewYork 1982, trad. it. L'esperienza, della modernità, il Mulino, Bologna 1985, p. 363 (il corsivo è mio). A Moses è dedicata tutta la prima parte del quinto e ultimo capitolo (Nella foresta dei simboli: note sul modernismo a New York) di questo libro che incrocia molti temi qui trattati. 5FrancoMoretti,Segni e stili del moderno, Einaudi, Torino 1987, soprattutto il capitolo Homo palpitans. Comeilromanzohaplasmato la personalità urbana, pp. 160-161. 6 “Un éclair... puis la nuit!-Fugitivebeauté/Dont le regard m’a fait soudainement renaître! / Ne te verrai-je plus que dans l'éternité?/Ailleurs,bienloin d’ici!Troptard!Jamaispeutêtre!/Carj’ignoreoùtufuis, tu ne sais où je vais. / Ô toi quej’eusseaimée,ôtoiquile savait!": Charles Baudelaire, Àunepassante,inLesfleurs du mal (1857), Librairie Générale Française (Les livres de Poche) 1972, nella sezione Tableaux Parisiens, p.223. 7 Sul gridiron system, vedi K.T. Jackson, op. cit., pp.73-76. 8WolfgangSchivelbusch, Lichtblicke. Zur geschickte derKünstlichenHelligkeitim 19.Jahrhundert,Carl Hanser Verlag, München 1983, trad. it. Luce. Storia dell’illuminazione artificiale nel secolo xix, Pratiche Editrice, Parma 1994, il capitolosuLastrada,pp.87157, e le pagine su L'oscuramentodellasala,pp. 201-210. 9 Betty Friedan, The Femmine Mystique, Bantam Doubleday Dell, New York 1963,trad.it.Lamisticadella femminilità,Ed.diComunità, Milano 1964, cap. 12, Il comodo campo di concentramento,pp.273-302. Le citazioni sono tratte dalle pp.300e302. 10 Dati del Bureau of the Census. Considero in particolare le donne sposate perché il matrimonio è la condizione specifica della donna suburbana middle class,mentre - per esempio traleneredelleinnereitiesè maggioritarialacondizionedi madrecapofamiglia. 11 JulietB. Schor, The Overspent American (1998), HarperCollins, New York 1999,p.11. 10.Lafedesmuove anchelebanche Ti guarisce più della penicillina. Ti rafforza più dellosport.Tinutrepiùdella cultura.Nonèunamore.Non èlozen.Èlaproprietàprivata dicasapropria. Solopossederecasatuati rende davvero umano, scriveva Walt Whitman: “Un uomo non è pienamente e completamente uomo [a whole and complete man] se non possiede una casa e il terreno su cui essa sta”.1 Possederecasaòunapanacea morale, affermava Russell H. Conwell nella sua celebre conferenza Acres of Diamonds: “Un uomo non è unverouomosenonpossiede la sua casa, e chi possiede la propria casa è reso più onorevole e onesto e puro, e vero e parsimonioso [economica!] e prudente, dal fatto stesso di possedere casa”.2 La casa di proprietà rende grandi gli Stati Uniti, diceva il presidente Calvin Coolidge:“Nessuncontributo più grande può essere dato alla stabilità della Nazione e al progresso dei suoi ideali, quanto di farne una nazione di famiglie proprietarie di casa”. La proprietà privata della casa rende persino più coraggiosi, eroici: "Una nazionediproprietaridicasa, di gente che si è guadagnata unaporzionerealedelproprio paese,èinvincibile,”asseriva il presidente Franklin Delano Roosevelt. La proprietà della casa unifamiliare genera poesia, canti e lirismo che mai e poi mai potrebbero scaturire da case in affitto o multifamiliari, declamava il presidente Herbert Hoover: “Possedere la propria casa è la speranza e l’ambizione di quasi tutti nel nostro paese, cheessivivanoinunalbergo, un appartamento o in un caseggiato. [...] Queste immortali ballate Home, sweet Home, My Old Kentucky Home e The Little Gray Home in the West non sono state scritte a proposito di caseggiati o appartamenti [...] nessuno ha mai cantato canzoni su una pila di ricevuted’affitto”.3 Siamodifronteaunavera fede. Come un angelo custode, la proprietà privata della casa fa miracoli. Come ildiod’Israele,essarisolleva le nazioni. Come la giustizia celeste, ritempra i caratteri. Siamo giusti: non era solo Karl Marx a considerare la proprietà privata il fulcro delle nostre società. Nella comune preghiera a questa divinità si trovano riuniti Whitman, il poeta di "cogli l’attimo” e della sensualità, e Conwell,ilpastorebattista(e primo presidente della Temple University) che concilia capitalismo e cristianesimo. Insieme inneggiano al possesso della propria dimora presidenti politicamente antitetici, per una volta uniti: Hoover, l’uomodellacrisidel1929,e Roosevelt, fautore del New Deal. È letteralmente salvifica laproprietàprivatadellacasa, e compito dello stato è favorire il cammino di ognunoversolasuasalvezza. Le leggi devono quindi rendere più conveniente comprare la casa che affittarla. Perciò il sistema fiscale americano costituisce un unico immenso incentivo all’acquisto della casa: l’affitto non è deducibile dalle tasse mentre i mutui sì. Per pagare un affitto di 2000 dollari al mese, devo guadagnarne almeno 2500 (sopra ci devo guadagnare le tasse), mentre pagando gli stessi 2000 dollari mensili comeratadimutuo,miverrà dedotta dalle tasse tutta la parte di interessi e quindi in definitivaallemietaschesarà costatamenodi1500dollari: in sgravi fiscali sui mutui, Washington perde più di quanto spenda per tutti i finanziamenti diretti all’edilizia. I finanziamenti alla proprietàprivatasonoavolte più indiretti. Il governo federale paga le autostrade che connettono suburbi e luoghi di lavoro. I poteri pubblici pagano parte delle infrastrutture e la quasi totalità delle manutenzioni per i beni privati. Gli affittuari cittadini vengono tassati per favorire i suburbani proprietari. Così, negli anni trenta, servizi municipali, manutenzione delle strade, costi sanitari, fondi per le scuole pubbliche neisuburbibianchidiAtlanta (Georgia) erano tutti finanziati dalle tasse pagate daineridiAtlantacittà.4 Perfaraccedereicittadini alla beatitudine del possesso casalingo, le forze private avevanogiàfattolaloroparte con terreni fabbricabili a basso prezzo e case balloon frame, a buon mercato. A Chicago, una pubblicità del 1875 offriva per 600 dollari unlottodi25x125piedi(280 mq) e una casa piccola, con un tinello da 3x3,6 m, due camerette da letto, cucina e dispensa.5Agliimmigratiche sicostruivanodasolilacasa, i costruttori vendevano il nudo terreno in lotti. Così tantiimmigratirealizzavanoil “sogno americano" e si compravano la casetta. Nel 1920, nella zona dei mattatoi di Chicago, in Back of the Yards, il 57% dei residenti del quartiere possedeva la casa in cui abitava (e il 90% dei residenti era nato all’estero).6 Una casetta in senso proprio: dopo la Seconda guerra mondiale, il sognodituttiglisposimiddle class fu la villetta dei costruttori Leviti: un tinello da 3,6x4,8 metri, due stanzettedaletto,cucinaeun bagnoperuntotaledi69mq. *** Per quanto la casa fosse piccola, economica, su terreno a buon mercato, troppo spesso si rivelava effimera questa felicità immobiliare. Troppo spesso gli americani erano cacciati dall'Eden della proprietà privataperchénonriuscivano a pagare le rate del mutuo, perché le famiglie erano costrette a ricorrere agli usurai per procurarsi il contante(paricircaametàdel prezzo della casa), e poi non potevano fare a meno di accollarsi non uno ma due mutui (e il secondo era sempre a un tasso d'interesse piùalto).Semprepiùspessoi mutui andavano in protesto e gli aspiranti alla proprietà perdevano la loro casa. In periodi di recessione le sofferenze dei mutui si moltiplicavano. Nel 1932, sottoicolpidellagrandecrisi del 1929, ogni mese erano cancellati 250.000 mutui (oltrequelliperlefattorie):in quell’anno tre milioni di famiglie persero la casa per cui avevano pagato decine di rate. La presidenza Roosevelt introdusse due agenzie federali che, più di ogni altra misura,avrebberocontribuito a fare dell’America una “nazione invincibile” di proprietari di case. Queste agenzie furono la Home Owners Loan Corporation (Holc), approvata dal Congressoil13giugno1933, e la Federal Housing Administration (Fha), approvata l'anno dopo, il 27 giugno 1934, cui, dieci anni dopo, nel 1944, il Congresso aggiunse la Veterans’ Administration.7 Per quel che riguarda il loroscopoimmediato,queste agenzie sono una meraviglia di semplicità ed efficienza. Non si può fare a meno di ammirare la rapidità con cui assolsero il loro compito e fecero sì che comprare una casa diventasse molto più facile ed economico che affittarla.Nel1933negliStati Uniti era iniziata la costruzione di solo 93.000 case. Nel 1937 erano già 332.000; 458.000 nel 1939; 619.000 nel 1941. Nel 1972 la Fha aveva aiutato 11 milioni di famiglie a comprarsi la casa e altri 22 milioniafarvideilavori.Nel frattempo, la percentuale degli americani proprietari di casa era passata dal 44% del 1933 al 63% del 1972 (al 68% attuale). Nel 2001 stavanopagandounmutuo45 milioni di famiglie (il 43% deltotale). La Fha ebbe inoltre il merito - straordinario agli occhi americani - di non costare un centesimo ai contribuenti. E però, per i loro stessi meriti queste agenzie hanno lasciato dietro di sé una società devastata: semprecitroviamodavantila doppia valenza, la semplice leggerezzadelballoonframe, la straordinaria docilità dell’automobile, l’efficienza della Fha, e nello stesso tempo le loro implicazioni distruttive. La Holc servì a rifinanziare i mutui in pericolo. In due anni, dal 1933al1935,sborsòpiùdi3 miliardi di dollari per più di un milione di mutui, un decimo di tutti i mutui americani. La Fha - che sul lungo termine influì molto di più -invece non prestava denaro né costruiva case, ma assicurava i mutui accesi da bancheecostruttori(anzi,per quest’assicurazionepercepiva una commissione che accantonava in un fondo rischi, tanto che il suo bilancio presentava un leggerissimo utile) e, in caso d’inadempienza del debitore, risarciva il creditore. Queste due agenzie ebbero il merito di calmierare e regolare il funzionamento dei mutui negli Stati Uniti. In primo luogo allungarono la duratadelrimborso,finoagli attuali periodi standard di ventietrentaanni.Poi,itassi fissi d’interesse divennero la norma, e quelli variabili l’eccezione.Nonsolo.Poiché a garantire ogni mutuo era la Fha,edietrodiessailTesoro degli Stati Uniti con tutto il suo peso, i tassi d'interesse per i mutui trentennali sceseroaprecipizio:nel2001 erano, secondo il Bureau of the Census, solo del 6,9% annuo, e poi sono crollati ancora a causa della recessione(imutuisonotanto importanti che, diversamente dall’Europa, l’annuario statistico americano riporta i datisuinteressi,commissioni bancarie, durata media ventisei anni -, percentuali di protesti). Infine, e punto decisivo, lagaranziadellaFhapermise di accendere un mutuo versando in contanti solo il 7% del valore della casa controun50-57%colregime precedente.Percomprareuna casa da 200.000 euro, basterebbe cioè versare solo 14.000 euro in contanti. È questa, insieme ai bassissimi tassi d’interesse, la rivoluzione copernicana del mercato immobiliare che ha messolacasadiproprietàalla portata di (quasi) tutti gli americani. Oggi il debito che grava sulle famiglie americane a causa del mutuo per la casa unifamiliare ammonta a 6,2 miliardi di dollari.8 Ma proprio perché basta unanticipoirrisorio,èfissato in modo rigido il prezzo massimo della casa che può permettersi una persona con un dato introito. Negli Usa, banche e istituti finanziari rifiutano di accendere mutui se il valore della casa è più del triplo del reddito annuo lordo dell’acquirente. Se il reddito di una famiglia è di 50.000 euro l’anno, può comprareunacasachevaleal massimo 150.000. Ogni dato èunanellodiunacatena:non avrebbe senso concedere mutuiconanticipibassisele case non costassero poco rispettoaglistandardeuropei. Negli Stati Uniti il prezzo medio di una casa unifamiliare si aggirava nel 2001 intorno ai 217.000 dollari.Così,conlaHolcela Fha, gli Usa si lanciarono nella corsa alla casa di proprietà. (Però, con altri metodieperaltrevie,dopola Secondaguerramondialeela vittoria americana, anche i paesi europei sono diventati tutti "nazioni invincibili di proprietaridicasa”.) *** Le agenzie federali non potevano però prestare (o garantire) a vanvera, non potevano esporsi per case il cui valore sarebbe poi crollato. Dovevano seguire criteri che le tutelassero, e adottare accorgimenti che proteggessero i loro investimenti. Risvolto positivo, furono fissati standard di costruzione e livelli abitativi validi in tutta la nazione: non c'è infatti specie di squali più feroce degli agenti immobiliari statunitensi,capacidivendere ai pensionati bicocche di cartapesta a prezzi d’antiquariato. Ma il bisogno di tutelarsi ebbe altre conseguenze. Holc e Fha finanziavano e garantivano mutui per valori i più vicini possibili ai corsi del mercato immobiliare,perciòdovevano trovare criteri per classificare le varie aree edilizie, istituire un grading, una tassonomia discontinua, proprio come il Chicago Board of Trade avevafattoperilgranoeper illegnopervarareilmercato dei futures: anche i mutui ipotecari rappresentano una scommessa sul futuro valore dell'immobile. Opera sempre la stessa logica che, a una varietà continua di differenze minime, sostituisce una tassonomia discontinua in poche categorie. Ora, per qualicriteriiterrenielecase valgono più in un quartiere che in un altro? La Holc divise le zone in quattro categorie associate a quattro colori: zona a verde; zona B blu; C gialla, D rossa. Le zoneeranocosìdefinite: - a, verde: area nuova omogenea, sempre richiesta, nellefasisiadicrescitasiadi recessione. Omogenea stava per "Uomini di affari e professionisti americani [American business and professional men]”: per esempio, le aree ebraiche, o anche quelle con un’“infiltrazione di ebrei”, non potevano essere considerate ottimali e tanto meno“americane". - B, blu: area “ancora appetibile”, che ha raggiunto ilsuoapice,maresteràstabile permoltianni. - c, gialla: un’area "decisamenteindeclino". -d,rossa:un’areaincui “le cose che stanno succedendo in c sono già successe”. Le aree abitate da neri erano invariabilmente rosse, d. Ma gialle erano anche le aree in cui il livello dei prezzi “poteva attrarre elementi indesiderabili” cioè elementiwhiteethnics. Dalla sovvenzione all’acquisto della prima casa siamopassatiallavalutazione dell’immobile; dai corsi di mercato alla classificazione dei quartieri; e dalla graduatoria delle zone alla composizione razziale ed etnica. La Fha introdusse un sistema classificatorio ancora più accurato, basato su otto criteri ognuno con un suo pesorelativo.Eccoquilalista dei criteri con tra parentesi il pesopercentuale: 1. Stabilità economica relativa(40%). 2. Protezione da influenzeavverse(20%). 3. Libertà da inconvenientifortuiti(special hazards)(5%). 4.Adeguatezzadicentri sociali, commerciali e civili (5%). 5.Adeguatezzatrasporti (10%). 6.Sufficienzadiservizi einfrastrutture(5%). 7. Livello di tasse e particolariassetti(5%). 8.Appeal(10%). Benché la Fha insistesse sugliottocriteri,lasuaricetta assomigliava troppo al famoso pàté di allodola fatto in parti uguali di allodola e cavallo: un'allodola e un cavallo. Infatti i primi due criteripesavanodasoliperil 60%, più della metà e più degli altri sei criteri messi insieme. Ma cosa sono le “influenze avverse” o cosa determina la "stabilità” di un quartiere?Il Manuale per gli impiegati9 del 1939 spiega che l'affollamento riduce l’appetibilità (e quindi i quartieriacasetteunifamiliari sonopiùappetibilidiquellia condomini);chefumoeodori sono"influenzeavverse”,che "se un quartiere deve rimanerestabile,ènecessario che le proprietà continuino a essere occupate dalle stesse classi sociali e razziali”. La Fhatemevamoltissimoche"i gruppi non armoniosi di nazionalità o di razze" facessero crollare il valore delleproprietà.Questotimore laspingevaainserireclausole restrittive(covenants)per cui gli acquirenti di case in una zonabiancasiimpegnavanoa non venderle a neri. Solo nel 1948laCortesupremastabilì l'incostituzionalità di tali covenants.Lafedenellevirtù salvifiche della proprietà finisceinmoduloburocratico e diventa razziale. segregazione *** LaFhafuunodeipilastri del New Deal e in Europa Franklin D. Roosevelt è considerato il presidente più progressista della storia americana. In questo caso la suaazionefecesìchegliStati Uniti diventassero una nazionediproprietaridicase, non solo, ma di proprietari segregati razzialmente, di cittadini che avevano un interesse economico vero a mantenereledistanzerazziali. Ma è possibile attribuire questi esiti solo a quella che Albert Hirschman chiama la "perversità”? La perversità è un classico argomento conservatore per cui ogni “tentativo di spingere la societàinunacertadirezione avrà per effetto sì un movimento della società, ma nella direzione opposta”.10 Quest’argomento è stato formulato per la Rivoluzione francese che avrebbe cercato la libertà e prodotto la tirannia. Joseph de Maistre, citato da Hirschman, vi vedeva addirittura "un'affettazione della Provvidenza, nel senso che gli sforzi del popolo per raggiungereuncertoobiettivo sono precisamente lo strumento che essa impiega perallontanarlodaesso”.11 La tesi della perversione si rivela suggestiva non solo perladestra,maancheperla sinistra. E va di moda tra gli ecologi. L’automobile serve ad agevolare gli spostamenti, maconisuoiingorghifinisce perparalizzareiltraffico,così oggilavelocitàmediaincittà èinferioreaquelladeltrama cavalli. Ma la tesi della perversione finisce per difendere l’esistente, poiché ogni cambiamento lo peggiora. È l’equivalente moderno del leibniziano "migliore dei mondi possibili”incuitantocredeva Candide, nel romanzo di Voltaire.Sequelloesistenteè il migliore dei mondi possibili, ogni tentativo di cambiarlolopeggiorerà. Un’alternativa alla tesi della perversione è quella della malafede: è proprio in buona fede che legislatori e potenti del mercato hanno tradottol’ansiaproprietariain segregazione razziale? È l’ipotesi del cinismo, che a volte si rivela, più che attraente, irresistibile. È probabile che sia sincera la fededipresidentiepoetinelle virtù taumaturgiche della proprietà privata della casa, ma come dimenticare la sicumera con cui nell’Ottocento la Pennsylvania Railroad affermava di non temere scioperi perché i suoi dipendenti “vivono a Filadelfia e sono proprietari delle loro case, e quindi non possono permettersi [afford] di scioperare”? E come non restare ammirati e disgustati dalla sfrontatezza con cui il primo presidente della Provident Institution for Savings di Boston diceva: “Dagli una speranza, dagli unachancediprovvedereper la famiglia, di mettere da parte una riserva per la vecchiaia, di disporre di qualche comodità o lusso a buon mercato a cui legare il proprio cuore, e si sottometteranno di propria volontà, e con allegria, alle privazionieaglistenti"?12 Mal’ipotesidelcinismoè respingenteperchérinviaalla tesi del “complotto”, del "piano del capitale”, in definitiva a una "Storia segreta”, in cui i destini dell’umanitàsonodeterminati dagli intrighi, dalle congiure, dalletramesotterranee,come nel Pendolo di Foucault di Umberto Eco. Il risultato comunqueèsemprelostesso. Se ingenui accettiamo la buona fede - e i suoi effetti perversi -, siamo impotenti. Sepiù"scafati”ipotizziamoil cinismo, dobbiamo sopportaredirimanereignari, di non conoscere mai i burattinai, e siamo di nuovo impotenti. In ogni caso, ci troviamo manipolati da due “maniinvisibili”(perusareil concetto di Adam Smith), l'una divina (la perversione), l'altraumana(ilcinismo). Più probabile è un groviglio inestricabile di buonaemalafede,dicinismo e sincerità, un intreccio che nasce dall’ambiguità insita nell’ideastessadiproprietà,e nella sua praticabilità di massa.Nonsiamoingradodi misurarefinoinfondoquanto c’è di distruttivo nella distinzione primordiale tra Io e non-Io. Né sappiamo davvero fino a che punto si deformalarelazionetraMee Altro-da-Me quando si traduce in opposizione tra Mio e Tuo. Più vicini alla quotidianità, gli speculatori immobiliari che con nomi di parchi, giardinetti e laghetti battezzanodistesedicemento spianate a bulldozer, partecipano in realtà alla stessa estetica "arcadica” dei gonzi a cui le propinano. Certo è che la logica immobiliare pesa come una maledizione originaria sulla societàamericana.Enonsolo sugli esclusi, sui segregati, magiàsuchi,secondotuttele apparenze, dovrebbe assaporarneledelizie. Il possesso della propria casa dovrebbe produrre "parsimonia”, sicurezza, stabilità. Ma, proprio perché tutto è comprato a credito, quasi senza anticipo, l’atteggiamento comune è il contrario del risparmio, è la "spendacciosità”(inprestito). Ognuno è oberato da debiti, ha impegnato in rate tutti i prossimi decenni, anche le vite future, se possibile. Se tutto è a credito, tutto ti può essere tolto appena smetti di essere puntuale nelle rate. Nullaèpiùeffimerodiquesta proprietà.Dietrol’angolo,c’è semprel’esproprio.L’ansiadi possederediventaangosciadi perdere. Vive in un perpetuo timore questa nazione di invincibiliproprietaridicasa. È costretta a essere ottimista perché la sua condizione normale è l’insicurezza: qui sei licenziabile dall’oggi al domani,iltuopostodilavoro è alla mercé del più impercettibilesbalzod’umore del padrone, della minima ventatadirecessione.Inmolti mestieri non puoi nemmeno ammalarti se non vuoi rimanere disoccupato. Ti sei impegnatoapagareunmutuo per i prossimi trent'anni e puoi ritrovarti sul lastrico domattina. Hai ipotecato la vita tua e della tua famiglia, in senso proprio. L’agognata serenità della "casa, dolce casa” ti fa restare sveglio la notteperl’ansia.Nédormono sonni più tranquilli le famiglie agiate. Poiché tu sei quel che possiedi, più guadagnipiùdevipossederee più ti devi indebitare. L’americano è overspent ("sovraspeso”), secondo la bella espressione coniata da Juliet Schor, e l’America è una nazione che vive letteralmente a credito. A credito compra non solo la casa e la(e) macchina(e), ma gli elettrodomestici, l’università per i figli, le vacanzeinMessicoeilponte dentistico. Nel 2001 il debito totale delle famiglie Usa ammontava alla fantastica cifra di 7724 miliardi di dollarieilserviziodeldebito risucchia il 14% del reddito lordo e il 18% del reddito disponibile delle famiglie.13 Questa montagna di buffi condiziona tutti i comportamenti, persino la curva delle labbra e le espressioni del viso: più sei indebitato fino al collo e più devi mostrarti fiducioso nel futuro. Prova a chiedere a un europeolaritualedomandadi cortesia: “Come va?”, e ti risponderà bofonchiando: “Così così”, “Non c’è male", "Si tira avanti", "Potrebbe andar meglio (peggio)”. Formula la stessa domanda a un americano, e la risposta sarà un immancabile, grande sorriso accompagnato da "Great”, “Wonderful”, “Fine”, “Very good”: viene da sospettare che dietro tanta stereotipata soddisfazione di sé e del proprio presente si celi un modo per ubbidire all’ingiunzione di Benjamin Franklin che prescrive al debitore di tranquillizzare il creditore, perché “le azioni più irrilevanti influenzano il tuo credito”.14 Ma quest’ostentazione di fiducia nell’ogginascondel’ansiaper ildomani. La proprietà si rivela quindi un obiettivo perpetuamente rinviato, un fine sempre da perseguire. Mentrelanormalitàdellavita è perenne ricerca di questa proprietà che sfugge come la lepre meccanica del cinodromoinseguitadaicani, sempre imprendibile perché acceleraquandostaperessere raggiunta. Se ti va bene, la vitatrascorrenelrimborsodel mutuo. E, dopo i trentanni di rimborso, se hai avuto la fortunadipagaretuttelerate, sei già vecchio, sei già in pensione,ituoifiglisonogià emigrati in altre città, la tua casa è troppo grande. Ti conviene venderla e andare a vagabondare con una motor home: hai passato la vita a pagare una casa che, nella migliore delle ipotesi, sarà vendutaperpermettereaituoi posteri di accendere altri mutui. *** Leisure World è un complesso privato di 5000 residenti, vicino a Phoenix, Arizona,conregolesueesue istituzioni. Non è la più grande città privata per anziani dell’Arizona. Per esempio, Sun City ha 46.000 residenti e dieci centri commerciali,gestiscelibrerie, parcheggi, piscine, un museo d’arte, una linea d’emergenza,undipartimento di pompieri, un’orchestra sinfonica,uncorpodipolizia armata e un centro di day care. Ma a Leisure World sono sorti due problemi curiosi, raccontati da Joel Garreau.15 Il primo: un immigrato clandestino. Un medico di 42 anni aveva avutounacrisinervosaedera divenuto temporaneamente incapace di prendersi cura di sé; allora era stato ospitato daisuoigenitoriproprietaridi una casa a Leisure World. Il problema è che il regolamentodiLeisureWorld vieta ai minori di 45 anni di vivervi. Se volevano continuareaospitareilfiglio, dovevano andarsene, fu detto loro. E loro lasciarono la casa. Secondo problema: il bollettino locale divenne sgradito al governo privato dellacomunitàcheneimpedì la circolazione. Il direttore protestò, ma il primo emendamento della Costituzione, sulla libertà di parola, non si applica a una proprietàprivata. Ancora: Evan McKenzie racconta16 che a Santa Ana, California, una nonna di 51 anni ricevette una comunicazione giudiziaria per aver violato le regole della sua associazione, per “aver baciato e fatto brutte cose [doing bad things]” mentre era in un'auto parcheggiata. Lei riconobbe di aver baciato un suo amico per dargli la buonanotte, ma intentò causa. Il fatto è che queste sono tutte comunità private, basate sull’idea che l'associazione dei proprietari non solo possegga case e terreno, ma sia anche sovrana. Il nome ufficiale di queste enclaves private è Common Interest Housing Developments (Cid). Ce ne sono più di 150.000 negli StatiUnitieviabitanotrenta milionidiamericani.17 In questi Cid rientrano le gated communities, le città fortificate vere e proprie che, secondo Blakeley e Snyder, ammontavano a 25.000 nel 1997 e comprendevano circa tre milioni di unità immobiliari, non più solo come club di vacanze o cittadelle per anziani, ma sempre più alternative residenziali al limitare delle metropoli,inparticolareNew York, Miami, Chicago, Houston, Phoenix e Los Angeles.18 Adesso si costruiscono città chiuse persino dentro le città: con i suoi cancelli invalicabili, a separarladalrestodellacittà, ne sorge una anche a Chicago, là dove prima c’era la fabbrica Stewart Warner, enclavediricchiasserragliata a difendersi dalla disperazione delle vicine Latrhop Homes dove vivono solo neri e quelli che le persone agiate chiamano con cortesia i white trash (“spazzaturabianca”). Assistiamoquiallaforma estrema di fiducia nella proprietà le cui virtù taumaturgiche sono trasferite ed estese dalla casa di proprietà alla città di proprietà. Proprio come i costruttori americani non si limitano più a offrirti case, o grattacieli, ma ormai ti vendono città complete di municipio, commissariato, chiesa e scuole, così gli acquirentibramanoacquistare la proprietà non più di una casa (sempre soggetta al potere politico), ma di una città,intendendoconessauna comunità, una società con le sue leggi, la sua polizia, le sue tasse, insomma la sua "cosa pubblica”, la repubblica. Alla casa-tempio (delle divinità familiari) era succeduta la casa-merce. Poi anche la città diventa una merce: c’è una merce-città che si scambia, si compra, si vende,èquotata.E,attraverso il tramite della proprietà, il mondo delle merci si rivela contiguo a quello della politica, perché il possesso delproprietarioèlaformapiù alta di sovranità in una società che sulla proprietà si fonda.Eccoquindiapparireil governo privato, che sembra unacontraddizioneintermini, perché si governa la cosa pubblica. Ma qui è la dimensione pubblica a essere sussunta in quella privata. In questa città privata, il proprietario spera di sfuggire a tutti i mali della città pubblica, alla delinquenza, allasporcizia,allemalattie.E spera di conservare tutti gli agicittadini.Lacittàprivataè la forma estrema, compiuta delsuburbio.Quil’egoismoè codificato, la segregazione sancita, l’intrusione presa a fucilate. Non ci sono sconosciuti da temere, solo filispinatidaevitare. Quilafedenellaproprietà diventaintegralista,siamonel mondo del fondamentalismo proprietario. Un esperimento non nuovo. Nelle città dell’India, dal tempo dell’impero inglese vi sono istituzioni che si chiamano appunto colonies. Così, a New Dehli ci sono Defense Colony, Friends Colony... Sono complessi residenziali recintati (di solito immersi negli alberi e nei prati), controllati da una polizia privata, governati da proprie regole, muniti di propri servizi, vere e proprie enclavesdi agio in un casino cosmico. Senza saperlo, prefiguravano già l’utopia d’inglobare nel privato tutta la sfera pubblica. Come è utopiaunfortinoassediato. 1 K.T. Jackson, Crabgrass Frontier, cit., p. 50. 2 Russell Herman Conwell,AcresofDiamonds, Harpers & Brothers Publishers, New York 1915, p.19. 3K.T.Jackson,op.cit.: lefrasideitrepresidentisono riportate alle pp. 362 n. 14, 190e173. 4Ivi,p.132. 5L.C.Wade,Chicago's Pride,cit.,p.67. 6R.A.Slayton,Backof theYards,cit.,p.31. 7Suquestedueagenziee sullaloropolitica,idatisono tratti da tutto il capitolo 11 dellibrodiK.T.Jackson,op. cit.:FederaiSubsidyandthe Suburban Dream: How Washington Changed the American Housing Market, pp.190-218. 8 U.S. Bureau of the Census,StatisticalAbstractof the United States 2002, Government Printing Office, Washington D.C. 2002, tav. 1159,datidel2001. 9 K.T. Jackson, op. cit., pp.207-208. 10AlbertO.Hirschman, The Rhetoric of Reaction. Perversity,Futility,Jeopardy, The Bellknap Press of Harvard University Press, Cambridge (Mass.) 1991, trad. it. Retoriche dell’intransigenza, il Mulino, Bologna1991,cap.II,p.19. 11Ivi,p.25. 12CitatoinK.T.Jackson, op.cit.,p.51. 13 U.S Bureau of the Census,StatisticalAbstractof the United States 2002, tavv. 1142 e 1145, e Juliet B. Schor, The Overspent American (1988), HarperCollins, New York 1999,p.72. 14“Ilcolpodelmartello che il tuo creditore sente alle 5delmattinooalle8disera lo tranquillizza per sei mesi..." Questo passo dell’Advice to a Young Tradesman (1748) è stato reso celeberrimo da Max WeberinDieProtestantische Ethik und der Geist des Kapitalismus (1920), trad. it. L'eticaprotestanteelospirito delcapitalismo,inSociologia delle religioni, Utet, Torino 1988, vol. I, pp. 117-334. La lunga citazione di Franklin è nel cap. i, par. 2, Lo spirito delcapitalismo,allepp.133- 135. 15 Joel Garreau, Edge City. Life on the New Frontier, Doubleday, New York1988,pp.184-192. 16 In Trouble in Privatopia, in "The Progressive”, ottobre 1993, pp.30-34. 17 Evan McKenzie, Privatopia. Homeowner Associations and the Rise of Residential Private Government, Yale University Press,Yale1994. 18 Edward J. Blakeley, Mary Gail Snyder, Fortress America.GatedCommunities in the United States,Broking Institution Press, Washington D.C. 1997. La cartina e il grafico con la crescita delle cittàfortezzasonoallepp.56. Lametacittà(1): metropoliimperiali C'èunmodoincuilecittà statunitensi chiedono di essere percepite e studiate, unosguardoinapplicabilealle metropolieuropee,amenodi non relegarlo al passato remoto, alle póleis greche, o ai comuni medievali. Tutto spinge a osservare le città statunitensi come fossero individui, ovvero individualmente soggetti della storia, cioè soggetti indipendenti l’uno dall’altro, autonomi come nel Duecento furono i Comuni. Nessuno potrebbe scrivere la storia di Parigi dall’Ottocento a oggi comesoggettoindipendentee separatodalsoggettoFrancia. Tanto meno si potrebbe parlaredelsoggetto“Londra” astratto dai soggetti “Manchester", “Edimburgo”, “Glasgow”, e avulso dal soggetto “Regno Unito". Ma ancora oggi si può scrivere unastoriadiLosAngeles,per esempio nel libro City of Quartz di Mike Davis, come Giovanni Villani raccontava nella Cronica le vicende di Firenze. E comunque, le metropoli statunitensi rivolgono una parossistica attenzione a se stesse. È possibile scrivere un libro su Chicago e l’immaginario letterario americano (18801920)1incuisianalizzanole opere ambientate qui. È più improbabile un libro su Francoforte e l’immaginario letterario tedesco. Naturalmente quest’autocompiacimento sfiora e spesso sconfina nel provincialismo. Le guide turistiche americane hanno l’abitudine di informarci dei figli celebri delle varie città. La Frommer’s ci dice che “Chicagoèilluogodinascita di Walt Disney, Kim Novak, Johnny Weissmüller [il leggendario Tarzan], John Dos Passos, Edgar Rice Burroughs [il creatore di Tarzan] ed Ernest Hemingway”.2 Più modestamente, sempre per la Frommer’s, a Kansas City sono nati i jazzisti Charlie Parker e Ben Webster, il regista Robert Altman e l’attore Ed Asner, mentre Denver (Colorado) si deve contentare dell’attore Douglas Fairbanks e del direttore di band Paul Whiteman.3 Anche in questo camposicostruisceunascala gerarchicadellecittà. Nella geografia architettonica degli Stati Uniti, al 99% costituita da case a piano terra o al massimo di due piani, i grattacieli rappresentano la raraeccezione,nonlaregola, elaloropresenzaservesoloa dimostrare la potenza della città che li ospita, proprio come il fasto delle cattedrali medievali dimostrava la prosperità della borghesia cittadina. I grattacieli di Chicago,ipiùaltid’America, esprimono la sua borghesia come il duomo di Milano l’opulenza dei suoi mercanti. Eccoperchésiaccanisconoa costruire grattacieli anche metropolidovenonhanessun senso economico perché la densità abitativa è così bassa che il prezzo del terreno non giustifica la scelta verticale, comeaLosAngelesdove,su una sconfinata distesa di villette,unpugnodiinsensati grattacieli sorge proprio a downtown, cioè in pieno quartieredegradato.Inbaseai grattacielisipuòstabilireuna graduatoria urbana, con la trentina di grattacieli di Denver, la ventina di Kansas City, la decina di Des Moines. Già dall'autostrada, ancora a miglia di distanza, puoi valutare l’importanza di unacittàpesandol’altezzaeil numero dei suoi grattacieli che spiccano nella distesa dellegrandipiane. Ogni città ha con la propria(leproprie)università lostessorapportodifierezza, lo stesso intreccio di affari e dottrina,denaroecultura,che c’era nel Medioevo tra Bologna e il suo ateneo, tra Pisa e la sua università. Un rapportocheinEuropaesiste ancoraneicentridiprovincia (Camerino, Montpellier, Heidelberg, che agli atenei devono una bella fetta di entrate), mentre non si può dire che Roma o Amburgo siano molto fiere per le proprie università. Invece New York nutre un tacito complessoperladebolezzadi Columbia University rispetto alle università di Boston, Harvard e il Massachusetts InstituteofTechnology(Mit). Al contrario, San Francisco, Chicago, Minneapolis e Boston ostentano un orgoglio persino smodato per ipropriatenei. S’incontrano spesso frasi del tipo: "L’area di Los Angeles costituisce, come Prodotto interno lordo, la dodicesimanazionealmondo più ricca”. Cutler scrive: “Solo undici nazioni al mondo hanno un Prodotto nazionalelordopiùgrandedi quellodell’areametropolitana di Chicago”.4 Si ragiona come se la città avesse conti separati con l’estero e una propriabilanciacommerciale. Oppure si leggono dati sulla "capitalizzazione delle prime cento imprese con sede a Chicago”. La natura stessa della stampa Usa, il suo regime di monopolio regionale, fa sì che ogni metropoli abbia da leggere solo il suo giornale la cui diffusione rispecchia la propria zona d’influenza, cosicché la graduatoria dei quotidiani rispecchia quella tra le aree metropolitane: prima New York (con "The New York Times”), seconda Los Angeles (con “The Los Angeles Times”), terza Chicago (con “The Chicago Tribune"). Questa percezione delle città, come fossero entità statali separate, ha avuto il suo culmine nella storia dell’Ottocento, quando il potere di Washington era allentato. Non c’era una poliziafederale:l’Fbirisaleal 1924. Non c’era una banca centrale: la Federal Reserve sarebbe stata varata solo nel 1913.5Nonc’eraneancheuna valutaunica,(lacartamoneta era scarsa e ogni banca si stampava la sua). In città diverse avevano corso differenti banconote, creando ai viaggiatori problemi di cambio, aumentando con questo l’effetto di estraneità, di andare all’estero. Le rivalità dell’Ottocento tra Boston e New York sono raccontate come quelle tra le repubbliche marinare di Genova e Pisa, con vere guerrecommerciali. Così la natura, il ruolo e la percezione delle metropoli contribuiscono a quel generale senso di anacronismo che fa sembrare sfasate le linee temporali della storia europea e americana. Ognuno dei due continenti sembra per certi aspetti progredito rispetto all’altro e per altri più barbaro: gli Stati Uniti dell’Ottocentosonoanniluce avanti all’Europa nella rapiditàconcuiilcapitalismo industriale vi si espande e nella politica generale: già allora sono uno stato repubblicano, democratico, a dimensione continentale, mentre in Europa Santa Alleanza e Carboneria si affrontanoinstaterellicomeil ducato di Parma e Piacenza; ma nelle dinamiche interne gli Usa si trovano ancora all’epoca delle repubbliche marinare,deiComuni. Questo sfasamento temporale, quest’impressione di vivere in un altroquando (Elsewhen,diceiltitolodiun romanzodifantascienzadiH. Beam Piper) viene rafforzata quando si guardano alcune date precise. In Europa il 1848 fu l’anno delle rivoluzioni, delle barricate a Parigi, della Repubblica romana. A Chicago fu un anno altrettanto importante. Ma perché fu inaugurato il canale Michigan-Illinois, perché fu installato il primo collegamento telegrafico, fu aperta la prima linea ferroviaria, la Galena and Chicago,perchéfuinaugurata la prima strada pavimentata in legno, larga 8 piedi (2,40 m) che permetteva ai carri di viaggiarea10miglial’ora(a pedaggio). Nel 1848, in Europa fu pubblicato il Manifesto del partitocomunistadiMarxed Engels, a Chicago fu fondato il Chicago Board of Trade cheavrebbedatovitaallapiù lucrosa attività cittadina, il commerciodelfuturo. *** Esemplare fu, all’inizio dell’Ottocento, la competizione tra città per costruire canali navigabili e garantirsi così il monopolio delle vie di comunicazione con l’interno del continente. Se la città di New York costruivailgigantescocanale Eriechein570kmcollegava i Grandi Laghi con l’Oceano Atlantico, subito Filadelfia rispondeva con un canale ancora più titanico, la Main Line verso il fiume Ohio, di 650 km, con centinaia di chiuse. Boston, eclusa dai canali, cercava di rifarsi lanciandosi nelle ferrovie. Proprio come Chicago che conibinaricercavadibattere ibattellifluvialidiSt.Louis. Asuavolta,St.Louisavrebbe cercato d’impedire con ogni mezzo la costruzione dei ponti ferroviari sul Mississippi, ponti che avrebbero fatto il gioco di Chicago. Una visione della storiaincuiilsoggettononè “la borghesia”, ma sono le “borghesie cittadine” in lotta eincompetizionetraloro. Proprio a Chicago questa visione "città-centrica” raggiunge il suo culmine. “Nei tempi antichi tutte le stradeconducevanoaRoma,” scriveva un giornalista nel 1884, “nei tempi moderni tutte le ferrovie conducono a Chicago.” Qui compare un paragone frequente lungo tutto l’Ottocento, sui destini imperialidellecittà.“Èsicuro che sarà sede d’impero per sempre Chicago, l’inevitabile metropoli del Nord-Ovest,” scriveva Parton nel 1867.6 I sette colli di San Francisco come i sette colli fatali di Roma: ancora oggi Mike Davis scrive che nel 1880 “Los Angeles era una cittadina rurale, tributaria dell’imperiale San Francisco”.7 Questo rapportarsi all'antichità è un usocontinuogiànellanascita degli Stati Uniti. Nei verbali tenuti da James Madison dei lavori della convenzione di Filadelfia del 1787, molti sono i riferimenti storici. Ecco Madison chiedersi: "Potremmo forse trovare negli Stati Uniti gli ordinamenti introdotti da Solone? Potremmo paragonareicostumiegliusi di Sparta con i nostri? Sono forse note fra di noi le distinzioni tra patrizi e plebei?”.8 Nell’Ottocento, il paragone con l’antichità classicasiassociaall’ideache le città imperiali si spostino verso ovest, dalla Persia alla Grecia, a Roma, alla Spagna, allaGranBretagna,alNuovo Mondo così che di questo passato gli Stati Uniti possono sentirsi gli unici eredilegittimi.Ungiornaledi Albany, parlando di New York, diceva: “Una città con un simile commercio non potrà mai languire e sarà di gran lunga più grande di AlessandriaoTebe”. È quasi incredibile l’ossessione che tarlava l'America, nell’Ottocento, di trasporrenelpropriofuturoil passato della classicità, di fantasticareleproprierovine, di là da venire. Proprio mentre Goethe scriveva: “America, questo hai di meglio rispetto al nostro continente, quello vecchio, non hai ruderi di castelli e niente marmo, ”9 gli americani forgiavano uno dei sentimenti più caratteristici della modernità, e cioè la nostalgia del futuro.Uno dei profeti della crescita di St. Louis rispetto alle città atlantiche, Logan Reavis, prediceva che “dalle frenetiche città del Pacifico, pellegrini sentimentali giungerannolàdoveorasono Boston, Filadelfia e New York e contempleranno lunari, con malinconia, le tracce delle Atene, delle Cartagine, e delle Babele dell'emisfero occidentale”.10 Nel 1857 il “Chicago Magazine” stimava che "700.000 miglia quadrate di territori occidentali” fossero "parzialmente tributarie di Chicago”, dove la parola "tributario” esprime bene la metafora imperiale che c’è sotto: all’impero militare è sostituito il predominio commerciale: "Il commercio è un conquistatore potente, più di un esercito con bandiere,” scriveva nel 1846 un costruttore di Cincinnati (altra città "sconfitta” da Chicago). Quando l'8 ottobre 1871 scoppiò il grande incendiodiChicago,ilGreat ChicagoFire,cheuccise250 persone, distrusse 17.000 edifici, lasciò 100.000 abitanti senza tetto, un giornale di New Orleans scrisse con malcelata soddisfazione: “Chicago non sarà mai come la Cartagine dell'antichità. La sua gloria apparterrà al passato, non al presente, mentre le sue speranze, una volta così brillanti e serene, saranno infine rovinate e annerite dal fumo del suo destino crudele”.11 Ma già il 23 dicembre 1875, il “Chicago Tribune" poteva dire a proposito delle Union Stock Yards, i grandiosi mattatoi cittadini: “Gli stranieri che visiteranno la città senza averli visitati si sentiranno prestocomeilviaggiatoreche visitasse l’Egitto e non le piramidi, Roma e non il Colosseo,PisaenonlaTorre pendente”. Un europeo non paragonerebbe un mattatoio con il Colosseo. E nessuna città s’inorgoglirebbe del nome “Porkopolis” come Cincinnati, né si fregerebbe del titolo di "Bovine City” come Chicago. Ancora oggi lostatodelWisconsinèfiero didefinirsi,sulletarghedelle auto, Dairyland of America, “caseificio d’America”, titolo che noi non troveremmo proprioelogiativo. Appare qui uno sfasamentodellegerarchietra iduecontinenti.Astudiareil passato americano diventano importantieventidifformidai fatti che studiamo nei nostri manuali (congressi internazionali, vertici di capi di stato, elezioni, battaglie e trattati di pace); risaltano personaggiditipodiversodai nostri generali, politici, pensatori, artisti. Altre date segnano le epoche, o ne sottolineano altri aspetti, come abbiamo visto per il 1848. Nuove pietre miliari si stagliano: il 1842, quando a Buffalo Joseph Dart, proprietario di un negozio di ferramenta, introdusse l’elevatoredigranoavapore. Il 1873, quando a DeKalb, a 50migliaaovestdiChicago, JosephGliddeninventòilfilo spinato. O il 1866, quando a Chicago Windsor Leland inventò la macellatrice meccanica, la slaughtering machine. Risaltano in questa storia non musicisti o poeti, ma nomi più prosaici, che però hanno contribuito a plasmare il futuro: è fiorita addirittura una leggenda sul fabbricante di moschetti Eli Whitney che introdusse parti intercambiabili nelle armi. È sterminata la letteratura su Cyrus Hall McCormick, inventore della mietitrice, fondatore della McCormick Harvesting Machine Co. e di una delle più potenti dinastie di Chicago: durante l’Esposizione universale di Londra del 1851, la regina Vittoriascrissenelsuodiario: “La macchina mietitrice del signor McCormick [...] è chiaro che sarà tanto importante per l'agricoltura quantolagiannettaeiltelaio meccanico lo furono per l’industria”.12 Un riflesso di questo sfasamento è visibile nella toponomastica degli edifici e delle vie di Chicago dedicate a macellati, birrai, dentisti, mercantidigrano:c'èpersino un libro dedicato alla storia dei nomi delle vie di Chicago.13 Un’Avenue porta ilnomedelmercantedigrani ElliB.Beach.Bentreluoghi, unAvenue,unaParkway,una piazza evocano il birraio MichaelDiversey.LaHalsted Street evoca un banchiere di Filadelfia. Palmer Boulevard immortala uno dei principi mercantidiChicago,sociodi Marshall Field e mecenate dell’istituto d’arte. Un'altra grande Avenue ricorda Archibald Clybourne giunto quinel1823,diecianniprima che Chicago diventasse un comune, il suo primo macellaio commerciale. Oliver Newberry aprì nel 1832 una ditta di spedizioni di maiali e bovini. Suo figlio Walter aprì una grande biblioteca, la Newberry Library e oggi c’è a Chicago una Newberry Avenue, come c’è una McCormick Place e una Hutchinson Street, dalla famiglia di packers “Hutch” (il macellaio Charles Hutchinson fondò l'Art Institute of Chicago). Un’Avenue, la John D. Parker,eunastrada,laJoseph Throop, sono dedicate a mercanti di legnami. Una via è dedicata al primo dentista della città, Walter Alport. Uno dei più alti grattacieli della città, l’Hancock Center, porta il nome dell’uomo che presiedette nell’Ottocento il Chicago Board of Trade: quest’edificioèdettoancheil "Toro”, The Bull, per la sua solidità massiccia, scura, e per la coppia di lunghe antenne che porta in cima, e forse anche per ricordare l’animale che ha fatto la fortuna della città e che dà il nome anche alla squadra di basket,i“ChicagoBulls”. C’è una sorta di giustizia in questa toponomastica che dà a Cesare quel che è di Cesare, ai salumieri quel che èdelsalume,ealcommercio riconosce il suo ruolo nell’aver forgiato la potenza di Chicago considerata come organismo a sé stante, come unitàeconomicaeculturale. 1 Carl S. Smith, Chicago and the American Literary Imagination (1880-1920), Chicago University Press, Chicago1984. 2Frommer'sGuideUsa '93-94, Prentice Hall Travel, NewYork1993,p.510. 3Ivi,pp.605,621,767. 4 I. Cutler, Chicago, cit., p.279. 5 Con il Federal Reserve Act.Ilsistemafederaleriuscì anasceresolodopoilpanico finanziariodel1907:cfr.Ron Chernow, The House of Morgan, cit., pp. 120-130, 181-182. 6 J. Parton, Chicago, cit.,p.327. 7 Mike Davis, City of Quartz, Verso, London 1990 (Vintage Books, New York 1992),trad.it.Manifestolibri, Roma 1993, p. 25 (il corsivo èmio). 8 II resoconto di Madison è pubblicato in Documents Illustrative of the FormationoftheUnionofthe AmericanStates,Government Printing Office, Washington D.C. 1927, pp. 109-745. Ampi brani sono tradotti in italiano in La formazione degli Stati Uniti d'America (documenti), Nistri Liscili, Pisa 1961, vol. II, pp. 124479.Lacitazioneèap.241. 9 “Amerika, du hast es besser,/AlsunserKontinent, das alte, / Hast keine verfallene Schlösser / Und Keine Basalte" (il corsivo è mio). Dalla poesia Den Vereingten Staaten in Goethes Werke, Band 1,12 neubarb. Aufl., Verlag C.H. Beck, München 1981 ("HamburgerAusgabe"). 10Questecitazionisono tratte da W. Cronon, op. cit., pp. 42-43. Il libro di Reaves s’intitola significativamente: A Change of National Empire; or, Arguments in Favor of the Removai of the National Capital to the MississippiValley(1869). 11 Citato da I. Cutler, op.cit.,pp.30-31. 12 Passo citato da CharlesWilsoninAA.VV.,A HistoryofTechnology,vol.v, L’etàdell'acciaio,1850-1900, cit.,p.831. 13 Don Hayner, Tom McNamee, Streetwise Chicago. A History of Chicago Street Names, Loyola University Press, Chicago1988. Parteseconda 1.Nelcrogiolola maioneseimpazzisce Sul ponte levatoio metallico che traversa il ChicagoRivervicinoallasua foce, a sollevare lo sguardo coglie una vertigine, una pauradicadere,difrontealla fuga prospettica di grattacieli cheprecipitanosuincielo,in tutte le fogge, in tutti i materiali, in tutti i colori, in un abisso all’inverso che sprofonda verso l’alto. La vertigine deriva da un senso di sconfinata potenza, di arrogante padronanza del mondo che questi edifìci comunicano. E deriva anche dalla coscienza che a fondamenta sotterranee di tanto strapotere c’è il lavoro ormai secolare, ci sono le innumeri esistenze di masse sterminatedicafonigiuntiqui dalVecchiocontinente. Se in pochi decenni Chicago divenne l’"ineludibile metropoli del Nord-ovest [...] sicura di essere per sempre sede di impero” - come l’aveva chiamata Parton nel suo reportage del 18671 -, lo dovettenonsoloaimilionidi bovini, alle tonnellate di legnaecereali,algrovigliodi binari,maancheallemigliaia, e infine ai milioni di immigrati europei che quelle stesse ferrovie riversavano sulle rive del Lago Michigan insiemeamais,grano,maiali, pino bianco. Nelle sue vie risonavano gli idiomi più diversi, fino a farla essere davvero "la Marsiglia del nostro Mediterraneo”,2 caotico porto di terra e di mareincui-inunababeledi lingue, di fogge nazionali, sapori, odori e sporcizie s’incrociavanogreciedanesi, polacchi e irlandesi, scozzesi e siciliani, svedesi e serbi, olandesi e ucraini, lituani e bulgari...AfineOttocento,vi erano presenti più di venticinque etnie europee. Nel 1910, più di due terzi della sua popolazione erano costituiti da immigrati o da loro figli. Arrivavano non tutti insieme, ma a ondate successive. Per primi giunsero gli irlandesi cacciati dalla loro isola dalle ripetute carestiedellepatate(dal1845 al 1860). Ma già nel 1860 erano superati in numero dai tedeschi che arrivavano a fiotti, all'inizio soprattutto esiliati politici, dopo la repressione delle grandi sollevazioni del 1848 in Assia, in Baden e in Württemberg e la chiusura delparlamentodiFrancoforte (1849):questitedeschifurono chiamati i “quarantottini”, i 48ers.Né il flusso cessò con l’unità del Reich bismarckiano, anzi, divenne straripante: nel 1914, con i suoi800.000tedeschi(natiin Germania o figli di genitori tedeschi), Chicago era la più germanica delle città americane e la quinta città tedesca in assoluto. Tra il 1860 e il 1890 s'ingrossò anche l'immigrazione scandinava. Poi fu la volta degli ebrei russi, degli italiani, soprattutto dei polacchi: oggi più di un milione di Chicagoans sono di discendenza polacca. Anche gli italiani arrivarono tardi. Nel 1850, c’erano appena quattro italiani a Chicago e solo 43 in tutto l’Illinois. Nel 1860, gli italiani erano solo cento. Ma sarebberostati1357nel1880, 13.000 nel 1890 e ben 124.000nel1920. Più in generale, l’emigrazione europea può essere divisa in due fasi, comuni a tutti gli Stati Uniti: degli 8 milioni di europei emigrati in America tra il 1840 e il 1880, quasi tutti venivano dall’Europa del Nord-ovest (Gran Bretagna, Irlanda, Scandinavia, Germania). Invece i 24 milioni di immigranti giunti trail1880eil1930venivano per lo più dall’Europa orientale e meridionale (polacchi,ebreirussi,italiani, slovacchi, croati, serbi, ungheresi, spagnoli, portoghesi...)ancheseipaesi di vecchia emigrazione continuarono a fornire nutriti contingenti: tra il 1891 e il 1930 arrivarono più di un milionediimmigratisiadalla Germania sia dall’Inghilterra.3 Così la fuga dall’Irlanda ebbeilsuomassimotra1847 e1854,quandogiunseronegli Stati Uniti 1,2 milioni di irlandesi. L’esodo più massiccio dalla Germania fu invece del 1881-1892, quando sbarcarono 1,7 milioni di tedeschi. L’emigrazione di ebrei russi ebbe il suo picco nel periodo 1901-1914, con più di due milioni di ingressi. Negli stessi anni assumeva dimensioni apocalittiche l’esodo dalla Polonia e dall’Italia. Tra il 1900 e il 1914 sbarcarono più di 3 milioni di italiani (più di 200.000 l’anno in media). E dopo la guerra il flusso stava ricominciando, 222.000 emigratinel1921,quandogli Stati Uniti chiusero le porte dell’immigrazione.4 A spingere ognuno di questigruppic’eraognivolta una causa specifica. La malattia delle patate cacciava gli irlandesi, ma gli italiani meridionali presero a giungere a miriadi solo dopo il 1860, quando l’unità d’Italia immiserì il sud del paese.Iboemifuronosospinti nell’Illinois dalla repressione asburgica dei moti del 1848. Ma a scatenare un’ondata umana di 2 milioni e mezzo di persone poteva bastare il gesto di un anarchico nichilistacomequellochenel 1881ucciselozarAlessandro II Romanov: per giustificare la repressione, le autorità russefecerodegliebreiicapri espiatori della sovversione, riesumarono l’antica accusa di uccidere i bambini nella festivitàdiPesach(laPasqua ebraica), spinsero la popolazione a organizzare pogrom (parola che in russo vuol dire “rovina”, "distruzione”)egliebreirussi fuggirono in America, in un nuovo Esodo. L’immmigrazio-ne polacca esplose dopo il 1871 quando il cancelliere Otto von Bismarckimposeunapolitica di germanizzazione delle province orientali del Reich. Milioni di vite volteggiavano perciòinbaliadiesiticasuali, di eventi minuti verificatisi a migliaia di chilometri: secondo le dinamiche caotiche, un alito di vento può modificare un uragano sulla riva opposta del Pacifico; qui il furore di un despota altera la composizione etnica di una metropolioltreatlantico. Quandoperciòunpolacco litigavaconunitalianoinuna via di Chicago, a ricercare la catena delle cause che avevano prodotto quell’evento si rimarrebbe impigliati in un groviglio di peripeziepolitiche,daidecreti di un cancelliere tedesco all’attentato di un nichilista russo, proprio come capitava a Leibniz quando s’interrogava sulle cause che lo spingevano a scrivere la Monadologia: “V’è un’infinità di figure e di movimenti presenti e passati che entrano nella causa efficiente del mio scrivere attuale e v’è un’infinità di inclinazioni e disposizioni presenti e passate del mio animo, che entrano nella causa finale. E siccome tutto questo particolarizzarsi include altri contingenti anteriori o più particolari, ciascunodeiqualihabisogno, perché se ne possa rendere ragione, duna simile analisi, per questa via non si progredisce affatto”, e occorre quindi cercare una “ragionsufficiente”.5 *** Nelnostrocasodovepuò mai essere la ragion sufficiente di queste maree umane che traversano un oceano, si riversano nelle praterie,siaffollanosullerive paludosed’unlagoghiacciato d’inverno, infestato dalle zanzare d’estate? Una prima ragionestaneiprogressidella medicina che riduceva la mortalitàinfantileinnescando quella "bomba demografica” cheoggiattribuiamoalTerzo mondo, ma che allora esplodeva in Europa. Nel 1800, Europa e Stati Uniti contavano 185 milioni di abitanti (180 l'Europa e 5 gli StatiUniti).Nel1910,Europa e Stati Uniti avevano 542 milioni di abitanti, 450 milioni in Europa e 92 negli Usa,senzacontareglieuropei cheeranomigratiinAmerica Latinae“inOceania.Inpoco più di un secolo, la popolazione era passata da 185 a 542 milioni, con un aumento di circa il 300%: si eratriplicata. Una seconda buona ragione sta nella macchina a vapore. Abbiamo già visto come la vaporiera abbia creato Chicago con i suoi binari e i suoi commerci, l'abbia plasmata e modellata secondo le sue esigenze. Nello stesso modo, la nave a vapore ha generato l’immigrazione moderna. In primo luogo l’ha causata: il cargo a vapore rese talmente abuonmercatoiltrasportoin Europa del grano e del bestiame americano (ma anche russo, australiano, indiano)damandareinrovina milioni di contadini europei le cui terre non erano abbastanza fertili o i cui prezzi non erano competitivi: grazie ai vapori, i raccolti dellepraterieelemandriedel FarWestreseroletteralmente superfluiperl’Europamilioni dipropricontadini.Lenavia vapore non solo causarono l’esodo, ma lo resero possibile, non solo crearono unapovertà,maoffrironouna via per sfuggirla. Una volta, la traversata atlantica durava parecchie settimane, ora bastavano dieci giorni. Un tempo la tariffa era esosa, mentre alla fine dell’Ottocento per il ponte di terza classe bastavano 25-30 dollari,unasommacheanche un bracciante potevaraggranellare.(Proprio comeoggiiviaggiaereisono alla portata di chi emigra dal TerzoMondo.) Una volta innescato, il meccanismo si autoalimentava. I contadini europei andavano a lavorare per esempio nelle Stock Yards e così contribuivano a rendere più produttivo il meat-packing.Comescriveva nel 1894 William Stead, “indirettamente Armour e la sua classe hanno avuto un ruolo considerevole nella rivoluzione sociale che sta avvenendo in Gran Bretagna [...]. Armour sta rendendo difficile ai piccoli fattori del Glouchestershire di ottenere prezzi convenienti per il loro bestiame e non c’è dubbio che l’immenso sviluppo che Armoureisuoialleatierivali sono stati in grado di dare all'export americano di carne ha avuto un potentissimo impatto sulla politica britannica [...] il prezzo del bestiame irlandese è influenzato dai corsi sul mercato di Chicago [...] e se molti dei nostri aristocratici sono poco più di splendidi poveracci, lo si deve in gran parte ad Armour e alla sua classe”.6 Il flusso di emigrati contribuiva a impoverire chi restava e spingeva così a nuovepartenze. Ma da sole queste spiegazioninonbastano:esse sono ancora "cause" e non "ragioni”. E inoltre lasciano irrisolto un mistero. Perché mai dal 1865 - è il quesito apparentemente incongruo chesiponeStephenSteinberg -dopolafinedellaschiavitù, le industrie del Nord non hannoattintodalserbatoiodi manodopera costituito dai neri del Sud, già sul posto, e hanno invece chiamato milioni di europei da oltre oceano? Perché,perpoterusaregli exschiavinerinelleindustrie del Nord, bisognava trovare qualcuno che li sostituisse nella raccolta del cotone al sud (il cotone costituiva la materia prima per una delle piùimportantiindustrieeuna delle più forti esportazioni americane).Magliimmigrati europei, per quanto poveri, non accettarono il lavoro nei campi di cotone. Allora si pensò ai cinesi, abituati alla dura coltura delle risaie. Come diceva un piantatore: “Possiamo sbattere fuori i negri e importare coolies che lavoreranno meglio e più a buon mercato liberandoci dalla sfacciata impudenza negra” di modo che, con l’arrivo dei cinesi, i neri avrebberosmessodichiedere “40acrieunmulo”,scriveva un giornalista del Kentucky, ma il nuovo slogan sarebbe stato "lavora negro... o crepa”.7Solo che la maggior parte dei cinesi fu impiegata nelle miniere e nella costruzione delle ferrovie del West e solo pochi si lasciarono attrarre a sud. E quei pochi scapparono subito agambelevate,perladurezza del lavoro, la scarsità della paga, la crudeltà dei padroni bianchi. Insomma, dopo aver affrancato i neri, gli Stati Unitisisentirono"costretti”a trattenerli nei campi del Sud, ariorganizzarelaloroservitù. La situazione sarebbe cambiata solo con la Prima guerra mondiale, quando si sarebbe interrotto il flusso dall’Europa. Ci avviciniamo alla "ragion sufficiente”. In una fase di tumultuoso sviluppo industriale, senza un consistente flusso di immigrati,negliStatiUnitisi sarebbecreataunapenuriadi mano d’opera, il lavoro sarebbe diventato merce rara eilsuoprezzosarebbesalito, sarebbero cioè aumentati i salari operai. Invece, con i milionidiimmigrati,illavoro divenneabuonmercato,tanto disponibile che i lavoratori erano in competizione l’uno contro l’altro per riuscire a vendersi. Le statistiche storiche statunitensi sono ambigue, ma è abbastanza chiaro che, se dal 1870 al 1910 il Prodotto nazionale lordo (Pnl) pro capite aumentò del 250%, il salario annuo medio (in dollari costanti) aumentò solo del 20%trail1860eil1910.8 Mentre la ricchezza prodotta da ogni individuo aumentava di due volte e mezzo, il salario che egli riceveva cresceva solo di un quinto. In altre parole, per produrre la stessa quantità di ricchezza, bastava un lavoro pagato la metà. Questa situazione fu resa possibile nonsolodaiprogressitecnici, ma dai milioni di immigrati che fornivano mano d’opera abbondante, a buon mercato, docile e, soprattutto, mobile: se la mobilità è un segno dellalibertàe,inquantotale, è un valore positivo, la mobilità del lavoro è segno della libertà del capitale che può, a piacimento, assumere, licenziare, far compiere straordinari, traslocare in fabbricheecantierilontani.Si pensi che nel 1910 il 58% di tutti i lavoratori industriali degli Stati Uniti era nato all’estero (questa percentuale saliva al 76% nell'abbigliamento e al 67% nelleminierediferro). Né cerano sotterfugi o ipocrisie nell’uso degli immigrati europei. Spesso partivanodall’Europagiàcon uncontrattointasca,chiamati dalle agenzie del lavoro americane.Ancorapiùspesso essi erano chiamati per fare i crumiri, proprio come si usavano le donne (nel 1864 molte donne furono assunte dal “Chicago Times” per battereitipografiinsciopero) o si appaltava il lavoro ai carcerati.Semprenel1864,la compagniaferroviariaIllinois Central importava macchinisti dal Belgio per sconfiggere gli scioperanti.9 Durante il grande sciopero del 1886, Philip Armour, “il macellaio che voleva andare in paradiso”, fece venire migliaia di lavoratori da Baltimora, Filadelfia, New York,10 e la maggior parte erano polacchi, boemi, tedeschi. Per tutto l’Ottocento gli immigrati furono la grande arma del padronato contro il movimento operaio sindacalizzato per tenere bassi i salari, battere gli scioperi, a tal punto che uno dei maggiori movimenti sindacali, i Knights of Labor (iCavalieridelLavoro),lottò per far approvare la prima legge antimmigrazione, il Chinese Exclusion Act del 1882 che chiudeva le frontiere ai cinesi che lavoravano a salari troppo bassi in condizioni troppo infami. Si vede quanto è sbagliatoilluogocomuneper cui, da un lato, la parte reazionaria, conservatrice della società, sarebbe xenofoba, favorevole alla chiusura delle frontiere agli immigratie,dall’altrolato,la parte progressista e antirazzista vorrebbe le frontiere aperte. La verità è che le maggiori ondate d’immigrazionegliStatiUniti le hanno assorbite durante i periodi più conservatori, comelafinedell’Ottocentoo il decennio reaganiano. Sono le destre che nei fatti aprono lefrontiere,mentreaparolele chiudono. Sono i commerciantipiùrazzistiche assumono gli immigrati in nero.Sonoglistessixenofobi che“chiamano”gliimmigrati per tenere bassi i salari. Così alimentano il razzismo degli strati più popolari, proprio perché gli immigrati calmierano il mercato del lavoro e competono per risorse rare: alloggi vivibili, letti negli ospedali affollati, scuoledecentiperifigli. È più chiaro perché, spesso, in diversi paesi, sindacati e movimento operaio sono contro l’immigrazione per poter difendere il livello di vita: di nuovo, la volontà di disciplinare il lavoro e di renderloilpiùabuonmercato possibile ritraduce la lotta di classe in conflitto etnico e razziale.Perlestesseragioni, i vecchi immigrati si oppongono ai nuovi immigrati. Negli Stati Uniti, appena un’ondata si era (relativamente) stabilizzata e integrata, e i lavoratori cominciavano a organizzarsi, subito un’altra ondata offriva i propri servizi a prezzi ancora più stracciati. Basti leggere quel che l’11 agosto 1888 scriveva il giornale di Chicago di lingua tedesca “Illinois Staats-Zeitung” nel suo editoriale "Ospiti indesiderati” sulla nuova ondatadiimmigratiitaliani11: Le indagini condotte dal Congresso sugli immigranti italiani rivelano fatti davvero sgradevoli. Gli immigranti italiani possiedono un livello di cultura ed educazione così basso che i lavoratori americani, abituati a un più alto livello di vita, non possono competere con loro. È impossibile per gli americani piegarsi a livelli così bassi di esistenza - hanno scopertogliinvestigatori congressuali-,comeper esempioviveredirifiuti, essere ammassati insieme come animali, non avere la minima nozione di pulizia e igiene.Noncipuòessere nessun vantaggio per questo paese nel lasciar entrare gente simile. Al meglio, possono contribuireaportareuna condizione di barbarie. Se, in aggiunta a ciò, si pensachedaquiapochi anni queste persone mezzo civili avranno il diritto di voto e quindi contribuiranno a decidere il destino di questopaese,nonsipuò non rabbrividire all’idea di un futuro affidato in simili mani. Certi giornali angloamericani chiamano gli italiani i “cinesi dell’Est’’. Una legge contro l’immigrazione dall’Italia sembra giustificata sulla stessa base di quella contro i cinesi [...] dobbiamo ammettere che il governo italiano ha cercato di tenere lontani dalle nostre coste i suoi figli sporchi, ma queste misure hanno poco effetto perché lavoratori italiani sono assunti con contratto e trasportati negliStatiUniti. C’ètuttoinquestobrano: la concorrenza sleale nel mercato del lavoro, il paragone con i cinesi, la sporcizia dei “nuovi”, la richiesta di sbarramenti all’ingresso, l’ammissione che gli italiani sono "chiamati” dai padroni americani. È qui ripreso dal vivo il meccanismo che traduco Immediatamente il conflitto economico in razzismo, la lotta di classe in scontrodietnie.Nel1864una folla di 500 irlandesi attacca 12nerichelavoranoneimoli del legname.12 Il giornale ellenico“Loxias”dell'8aprile 1910 riporta l'attacco subito da uno spazzino greco da parte di un gruppo di irlandesi: “State lontani dal business dei rifiuti o vi uccideremotutti,voigreci”. Magliirlandesinonsono i soli. Ecco un italiano, tal Fiepi, accusato di assumere solo spazzini siciliani (e di pretendere perciò una tangentedi3dollariperogni postodilavoro).13Unlituano di Chicago, Stanley Balzekas Jr., racconta le esperienze di suo padre, giunto negli Usa nel 1912: “Era un mescolatore di cemento in una compagnia dove tutti erano italiani, e quando scoprirono che era lituano lo licenziarono. Allora venne a Chicago e lavorò come fabbro in una ditta tedesca e quando scoprirono che non eratedescolobuttaronofuori. Andòdaunfabbrosvedesee fulicenziato...”.14 *** In un famosissimo articolo in cui introduce in sociologia la nozione di marginalità, Robert E. Park nota come le migrazioni antichefossero“migrazionidi popoli”, quando intere nazioniotribùsimuovevano guidate dai loro re, le Völkerwanderungencosìcare agli storici romantici tedeschi, mentre le migrazioni moderne sono individuali: a partire sono individui, al massimo famiglie.15 “Quella che era un’invasione seguita da uno spostamentoforzatoodauna sottomissionediunpopoloda parte di un altro è diventata una penetrazione pacifica.” Nelprimocasoèilmigrante, l'invasore, che soggioga l’invaso(laprimamigrazione europea in America appartiene a questo tipo). Nella forma moderna “la migrazione di popoli si trasmuta in mobilità di individui” e la relazione di potere s’inverte e il migrante sarebbe lui soggiogato e sottomesso, l’invasore domato, “addomesticato” dall’invaso. La verità è più sottile: nella migrazione moderna, partono sì individui, ma arrivanopopoli:ognipersona parte individualmente, però poi, quando sbarca in America, l’individuo diventa immediatamente italiano, o polacco, o tedesco, perché si aggregaaquesta“comunità”, si fa difendere da essa, vi cerca non solo lavoro, ma anche protezione, espressione, e rappresentanza politica. Subito si costituiscono società di mutuo soccorso su base etnica per accogliere i nuovi arrivati: German Relief and Aid Society, Bohe-mian Society, United Hebrews Charities, Skandinavian Relief Society... Nelle comunità etniche cattoliche queste società sono integrate o sostituite dalle parrocchie. Ma ogni comunità costruisce le sue chiese come poi costituirà le sue società segrete, come l’irlandese Clan-na-Gael, costituita nel 1867 dalla Fenian Brotherhood. Ogni comunità sidotadisuepompefunebri, suoi cimiteri (come si vede anche oggi negli annunci mortuari). Così l’individuo è interamente definito dal suo appartenere a una “razza” come si diceva allora, a un’“etnia”,comesidiceoggi, allasua“comunità”,perusare il termine ufficiale. Se due verdurai si contendono il mercato a bastonate, è uno scontro tra popolo greco e popolo italiano (“The Greek Star” del 18 agosto 1908). Quando c’è una rissa per stradatrasvedesieitaliani,il giornale“L’Italia”(23giugno 1904)scrive:“Leduerazzesi prendono a botte”. Una sparatoria fra tedeschi e italiani diviene per il “Chicago Tribune” (15 maggio 1893) race riot, sommossa razziale. Nel 1874 un giornale tedesco gioisce perché la stampa svedese (“a lungo ostile verso tutto ciò che è tedesco”) ha mutato atteggiamentoe“sembraaver capito che la salvezza per gli svedesi non sta nell’opporsi aitedeschi”.16 Ecco il giornale polacco “Dziennik Zwiazkowy” del 3 agosto 1918 accusare il giornale ucraino "Swoboda” di aver attaccato i polacchi. Non stupisce che, appena arrivati a Chicago, i primi immigrati di un gruppo fondano subito un giornale nella loro lingua. E se in un gruppo etnico si oppongono due fazioni, ecco due giornali. I tedeschi hanno quattroquotidiani,glisvedesi tre,comeicechi,ecosìvia.È tutto un ininterrotto, febbrile scrivereeditorialiinfuocatiin decine di lingue diverse, una babeledivocichepatriottiche imprecano indignate contro l’altrui sciovinismo, che intolleranti esigono tolleranza; è un cercare di gridare più forte degli altri per diffondere il proprio messaggio, un tentativo di mantenere vivo l'uso e il ricordodellamadrelingua,un difendersi dal disprezzo circostante. Una catena del disprezzo tra le etnie che riflette abbastanza l’ordine cronologico di arrivo nel continenteamericano:iprimi arrivati disprezzano i secondi che disprezzano i terzi e così via. Da questa gerarchia del disprezzo,daquestapiramide di caste, sono esclusi i "fuoricasta”, coloro che in America erano arrivati davvero per primi, i pellerossa innanzitutto, poi i latini (incrocio di spagnoli e indios) e poi i neri, giunti subito, con i primi schiavisti. Costoro sono esclusi da questa gerarchia perché ancora oggi sono considerati non etnie, non popoli, ma "razze”. *** “Fuoricasta” a parte, i figli dei coloni inglesi disprezzano gli irlandesi, arrivatiappenadopodiloro,a tal punto che sugli annunci dei giornali capita, come nel "Chicago Tribune” del 26 febbraio 1866, di trovare l’avvertimento:NoIrishneed apply (“Irlandesi pregati di nonpresentarsi”).Secondi,in ordine d’arrivo e nella linea del disprezzo, i tedeschi considerati ubriaconi bevitori di birra: già nel 1849 è organizzato (come società clandestina) un partito antistraniero,iKnowNothing che contro i tedeschi appoggiano il proibizionismo (la xenofobia americana si è spesso permeata di proibizionismo, sull’alcol nel passato, sulle droghe nel presente).Quandonel1855il sindaco Levi D. Boone appoggiato dai Know Nothing impone la chiusura domenicale delle birrerie (nell’unico giorno in cui gli operaiottocenteschiriposano) eportaa300dollaridiallora il costo della licenza per gli alcolici,scoppiaaChicagola prima sommossa "politica”, i LagerBeerRiots. La stampa tedesca reagisce al disprezzo circostante vantando la "temperanza” germanica e tacciando gli irlandesi di ubriachezza.Così,il7marzo 1873, l’“Illinois StaatsZeitung” riferisce di una “battaglia tra poliziotti tedeschi e ubriaconi irlandesi” (corsivo mio). Lo stesso giornale, pochi mesi prima,il17agosto1872,così riferiva di un conflitto di lavoro:“Unoscontroviolento ha avuto luogo ieri alla fornace di mattoni Jones tra lavoratoritedeschieirlandesi. Come al solito gli irlandesi non potevano sopportarne le lodicheitedeschiricevevano dailorodatoridilavoroperla propria applicazione e temperanza”.Inquestacatena sihaperciòdisprezzoversoil basso(quellichesonoarrivati dopo) e risentimento verso l’alto. Così i cattolici sono disprezzati dai protestanti, ma,traicattolici,ipolacchisi risentonocontrogliirlandesi. Eccocomesiesprimeancora il 29 ottobre 1931, in pieno xx secolo, il giornale “Przebudzenie”: Ognuno di noi polacchi capisce che nelle scuole parrocchiali irlandesiinostribambini sono volontariamente e sistematicamente privati dellaloroanimapolacca e sottoposti a un processo di "irlandizzazione”. Ma nonètutto.Gliirlandesi in America mai furono amichevoli verso di noi e mai lo saranno. Si considerano un gruppo piùelevatoeprivilegiato e ci guardano con disprezzo. Siamo stati testimoni di molti incidenti quando un prete fuori della chiesa di San Mark rimproverandoibambini che giocavano vicino alla chiesa gridava: "Fuori da qui sporchi polacchi”. A simili "amici” della nostra nazione i nostri poveri polacchi affidano i figli perl’educazione. Alorovoltagliitalianiei polacchi, più in generale gli europei del Sud e dell’Est, sono disprezzati da tutti gli altri.Nelsuoeditorialedel20 ottobre 1912, il giornale “L’Italia” insorge contro WoodrowWilson: Il candidato democratico alla presidenza degli Stati Uniti Woodrow Wilson nelvolumevpagina212 della sua History of American People si esprime malignamente [viciously] come segue: “L’immigrazione continuò a riversarsi come prima, ma con un’alterazione nella stirpe [stock] che gli studiosi di questi fenomeni sottolinearono con inquietudine. Per secoli uomini dei vigorosi ceppi del Nord Europa avevano costituito la corrente principale di sangue straniero che ogni anno si aggiungeva alla vitale forzadilavorodelpaese, o anche uomini delle stirpi latino-galliche, dellaFranciaedelNord Italia. Ma ora arrivano moltitudini di uomini della classe più bassa, dal Sud dell’Italia, e uomini del genere più spregevole dall’Ungheria e dalla Polonia,uominidallecui file non traspare né qualificazione né energia, né iniziativa né intelligenza sveglia; e sono venuti in numeri crescenti anno dopo annocomeseipaesidel Sud Europa si stessero sgravando dei loro più sordidi e sfortunati elementi.Perfinoicinesi sarebbero più desiderabili come lavoratori, se non come cittadini, della maggior parte di questa feccia che affolla i nostri porti orientali”. Si noti la distinzione che Wilson opera tra italiani settentrionali e meridionali, una distinzione addirittura ufficiale, se è vero che i Reports of the Immigration Commission (1911) non distinguevano fra tedeschi bavaresi o prussiani, ma ai fini delle statistiche separavano in due categorie, quasi in due nazionalità distinte, italiani settentrionali e meridionali: tra i primi i lavoratori qualificati erano il 20%,traisecondiil15%;tra iprimil’analfabetismoeradel 12%, tra i secondi del 30%: anche qui si sovrappone una diversaprovenienzaregionale aunadiversacollocazionenel mercatodellavoro. La struttura del disprezzo etnico ricalca la gerarchia socialeeilmercatodellavoro sistrutturain“mercatoetnico del lavoro”. Così, negli Stati Uniti dell’Ottocento, le irlandesi furono quel che sono le filippine oggi in Europa: le domestiche per antonomasia. Su 29.470 domestici rilevati dal censimento del 1855 a New York, 23.386 erano irlandesi. Nel 1900, secondo la Commissione immigrazione degliStatiUniti,il71%delle irlandesi immigrate erano classificatecome"domestiche epersonale”(controappenail 9% delle italiane e il 14% delle ebree). Addirittura, all’epoca, persone serie si chiedevano perché le donne irlandesi avessero questa "vocazione”. Ebrei e italiani sostenevanochelelorodonne si rifiutavano di andare a servizio per castità, spirito di decenza, orgoglio familiare e altre simili baggianate (in Italia le italiane andavano a servizio eccome, negli Usa molte ebree erano arrestate per prostituzione). Si costruì una predisposizione etnica, razziale delle irlandesi alla domesticità. La spiegazione era molto più semplice. A causa della carestia delle patate,inIrlandaimatrimoni diminuirono: un terzo degli uominiedelledonnetrai25 e i 35 anni erano celibi, un sestodellapopolazionenonsi sarebbe mai sposato. Così l'irlandese era l'unico gruppo etnico in cui moltissime donne emigravano da sole, tanto che tra gli immigrati irlandesi c’erano 109 donne ogni100uomini,mentre,per esempio, tra gli italiani cerano solo 27 donne ogni 100 uomini (solo una su cinque immigrati italiani era di sesso femminile) e tra gli ebrei 77 donne ogni 100 uomini. Nel 1860, tra gli irlandesi di New York c’erano 87.000 maschi e ben 117.000donne.Questedonne appena sbarcate cercavano lavoroeilpiùdisponibileera andareaservizio:adifferenza delle altre immigrate, le irlandesi capivano l’inglese. Su questo flusso spontaneo s’inserirono agenzie del lavoro americane che importavano irlandesi e associazioni inglesi (London Female Emigration Society, British Ladies Emigration Society, Girls’ Friendly Society) che le esportavano dall’arcipelago. Ecco svelato il mistero della “predisposizione” delle irlandesi per il lavoro di domestiche.Ecco,ancorauna volta,comeunachiaralogica demograficaedimercatodel lavoro viene tradotta in carattereetnico,razziale.17 *** Se la gerarchia etnica ricalca quella sociale, se i nuovi arrivati fanno concorrenzaslealeachisiera insediato prima, l’ultimo arrivatovuoleinevitabilmente chiudere la porta dietro di sé e non lasciare entrare più nessuno. Non era solo l'"Illinois Staats-Zeitung” del 1888aconsideraregliitaliani ospitiindesiderati.Ecco,il19 maggio1891,ilgiornaledegli ebrei tedeschi di Chicago, "The Occident”, opporsi, in inglese maldestro, all'arrivo degliebreirussi: Gli ebrei di questa città,chesisonosempre presi cura di ogni membro della loro razza in disgrazia, si oppongonoariceveregli immigrati arrivati qui con il fondo del Barone Hirschesioppongonoa che siano spediti in questa città gli ebrei espulsi dalla Russia. Questo è chiaro e netto. La carità è una buona cosa, ma dovrebbe coprire tutte le fasi di una situazione. Sarebbe una disgrazia da ogni punto di vista la presenza a Chicago di grandi folle di poveri, estranei [aliens] nel modo di pensare e nel linguaggio. Qui non c’è posto per gli sfortunati espulsi dalla Russia. È moltopiùragionevolelo schema del Barone Hirsch perché colonizzino il Sudamerica. Gli ebrei russichesitrovanogiàa Chicago sono circa 12.000, formano una propriacoloniaesonoin molticasiunfardelloper i benestanti della loro razza e religione. Ed è pienamente giustificato l’atteggiamento assunto dalle più prominenti personalità nelle opere caritatevoli ebraiche. Chicago ha abbastanza sfortunati stranieri. In realtà quasi l'intero gruppo di questi immigranti rientra nelle clausole restrittive della nostra legge dell’immigrazione. Certo, li si aiuta a traversare l’oceano, ma pochi sono autosufficienti, di regola sono poveri, molti sono malati e molti sono criminali. Questo è il giudizio dei più intelligenti ebrei americani e agli exilés russi non dovrebbe essere permesso di insediarsi in questo paese. Questo brano è illuminante sul tema dei rapporti tra appartenenza di classe e appartenenza di "razza” e mostra quanto l’identità ebraica fosse meno compatta di quel che oggi si crede e quanto invece sia stata rafforzata, cristallizzata dalcircostanteantisemitismo, un antisemitismo che traversava l’Atlantico con gli immigrati. Così M. Osuch, presidente della Polish National Alliance, diceva nel 1888: "I polacchi sono una cosa, gli ebrei polacchi un’altra”.18 Non solo. “The Occident”, giornale di ebrei tedeschi, introduce un nuovo cardine del discorso sulla migrazione quando sostiene che gli esuli ebrei russi sono poveriecriminali.Ilmarchio della criminalità innata sembraunafiaccolacheivari gruppi di immigrati si passanoinun’idealestaffetta. Nel 1860 la rivista “Harpers Magazine” affermava che "circa il 75% dei nostri criminalisonoirlandesiepiù del 75% dei crimini di violenza commessi tra noi sono opera di irlandesi” e le discussioni sulle cause dell’allarmante tasso di criminalitàtragliirlandesi“si concentravano sui tratti etnici, in particolare la smodatezza della ‘razza’ irlandese”.19 Il testimone della criminalità passò poi agli ebrei. Nel 1908 il capo della polizia di New York, Theodore Bingham, attribuì agliebreilametàdelcrimine newyorkese: Non stupisce che, conunmilionediebreiper lo più russi -nella città (un quarto della popolazione),forsemetà dei criminali sono di questa razza, se consideriamo che l'ignoranza della lingua, più particolarmente tra uomini fisicamente inadatti al duro lavoro, portaspessosullaviadel crimine [...] tra i più esperti di tutti i ladri di strada sono i ragazzi ebrei sotto i sedici anni chesonoportatiavitedi delinquenza.20 Certo è che su nessun altro immigrato come su quelli italiani ha pesato il marchiodellacriminalità.Nel 1908, Arthur Train, già assistente del procuratore distrettuale di New York, scriveva che gli italiani del Nord “molto simpatico al carattere d’America, mostrano caratteristiche singolarmente simili alle nostre”; somigliano agli americani essendo “onesti, parsimoniosi, industriosi, rispettosi della legge e di buonanatura".21Imeridionali invece sono “ignoranti, pigri, indigenti e superstiziosi”, per di più “una notevole percentuale, soprattutto tra quelli di città, è criminale”. Non che tra gli irlandesi, gli ebrei e gli italiani non vi fossero delinquenti. A Chicago erano famosi i politici-gangster irlandesi, come John Coughlin, assessore eletto nella prima circoscrizione, quella dei bordelli, delle bische e dei saloon. Suo partner nel crimine era “Hinky Dink” Kenna, anch’egli boss della mala,comeJohnny"dePow” Powers,proprietariodisaloon e bische, che si vantava di comprareunvotoitalianocon unboccaledibirra.Semprea cavallo del secolo, la mala ebraica infuriava a Chicago con personaggi come la famosa Ike Bloom (nata Gitelson) e Jack Guzik che trafficavano in schiave bianche, o gangster come Davey Miller e Samuel "Nails” Morton considerati RobinHoodebraici.22 E naturalmente, tra gli italiani di Chicago c'erano "Diamond Jim” Colosimo, John Torrio e infine, negli anni venti, Alphonse (detto "Al”) Capone,23 che inventarono il moderno sindacato del crimine. ("Sindacato” da noi fa pensare al movimento operaio; in inglese significa “cartello capitalistico”: il “patto di sindacato” nelle società per azioni.) Nel famoso massacro di San Valentino(14febbraio1929), un commando della gang “italiana” di Al Capone assassinò in un garage di North Clark Avenue sette membri della gang “irlandese” del North Side guidata da George “Bugs” Moran. Le accuse di criminalità non erano affatto campate in aria (per ragioni note alla sociologia), ma la frequenza statistica è interpretata come un carattere. È un procedimento usuale: si descriveunasituazione;sene osserva la frequenza; dalla frequenza s’induce l’ineluttabilità della situazione, dall’ineluttabilità si ricava una caratteristica genetica. Una condizione diventa un destino. E un destino diventa un carattere. Gli individui diventano singoli e maiuscoli. Gli irlandesi diventano l’irlandese; gli ebrei l’Ebreo; gli italiani l’italiano. E l’individuo,ormaiSingolaree Maiuscolo,vieneaggettivato: uno diventa l’irlandese Ubriacone, l’altro l' Ebreo Avaro, il terzo l’italiano Mafioso. Questa tentazione di etichettare in cataloghi nazionali è sempre stata fortissima. Non vi sfuggiva nemmenoEngelsquando,pur dicendo che la sporcizia dei quartieri poveri è un fenomeno generale, nel caso particolare di Dublino aggiungeva che “senza dubbio vi ha la sua parte anche il carattere irlandese che, in determinate circostanze,nonsitrovaasuo agiochenellasporcizia".24A fine Ottocento-inizio Novecento la teoria dei “caratteri” genetici era luogo comune in un panorama dominato dalla figura di CesareLombroso. Il rapporto tra criminalità e nazionalità degli immigrati era considerato così essenziale che la Commissione immigrazione degli Stati Uniti pubblicò nel 1911 un volume, Immigrants andCrime,incuitracciòuno schema di “razze e nazionalità che mostrano caratteristiche criminali chiaramentedefinite”.Eogni nazionalità ha una “vocazione", una predisposizionegenetica solo per certi tipi di crimine. Tra gli arrestati, gli irlandesi primeggiano per ubriachezza e vagabondaggio; francesi ed ebree per prostituzione. Gli ebrei vengono secondi solo dopo gli americani per i crimini contro la proprietà, furto,ricettazione.Gliitaliani sono più versati per i crimini diviolenzapersonale,incluso l’assassinio. Per la commissione,"certeformedi criminalitàsonoinerentinella razzaitaliana”.25 Dire che il carattere criminale è geneticamente inscritto in un popolo non è un’operazione puramente concettuale; sarà sì filosofia delle scienze sociali, ma ha risvolti assai pratici, come si videnel1890inLouisiana,in un episodio spesso censurato dalla memoria di quegli italiani che oggi inveiscono contro la criminalità dei maghrebini immigrati in Italia. Il 15 ottobre di quell’anno, fu ucciso il sovrintendentedellapoliziadi New Orleans, David Hennessy. Gli abitanti ne attribuirono la responsabilità ai siciliani perché Hennessy era stato impegnato in un’operazione anticrimine nella colonia italiana. In un clima d’isteria, la polizia arrestò centinaia di italiani e nefeceprocessarenove.Con gran costernazione della comunitàamericana,lagiuria trovò sei dei nove accusati “noncolpevoli”enonriuscìa raggiungere un verdetto sugli altritre.Vocidicorruzionee minaccia ai testimoni riempirono New Orleans; politici e giornali chiesero che si rimediasse a questo “fallimento” della giustizia. Una folla attaccò la prigione, netiròfuoriundiciitalianieli linciò. L’affare assunse le dimensioni di una crisi internazionale. Come scrive Nelli, "per un breve periodo, nel1891,unaguerratraItalia e Stati Uniti parve una prospettiva concreta”.26 Infineneldicembredel1891, nell’annuale messaggio al Congresso, il presidente Benjamin Harrison definì il fatto “il più deplorevole e disonorevole incidente, un’offesa contro la legge e l’umanità”, concesse un risarcimentoaifamiliaridelle vittimeelacrisirientrò. La spada di Damocle del linciaggio non pendeva solo sulcapodegliitaliani.Così,il 26 febbraio 1909 il giornale grecodiChicago"TheGreek Star” parla di greci linciati a Omaha (Nebraska) perché uno di loro ha ucciso un poliziotto. Il giornale ammette che, “secondo la polizia di Chicago, i greci hanno commesso numerosi crimini, in alcuni tipi dei qualioccupanoilprimoposto in città”. Di fronte a queste accuse di criminalità, ecco dunque la comunità fare quadrato,respingeresdegnata leaccuseall’esternoecercare di fare pulizia al proprio interno.Tipica,epatetica,èla reazione della comunità italiana. Da un lato, di fronte all’accusa di essere dominati dall’associazione criminale Manonera, i notabili della comunità fondano un’effimera e impotente Manobianca che dovrebbe esserelasettasegretaitaliana "buona” contro la banda italiana "cattiva”. Inutile dire che la Manobianca fallì in breve tempo (come rapidamente scomparve la Manonera, sostituita dal più moderno, capitalistico sindacato del crimine di Al Capone). Dall’altro lato, con comica sicurezza, i giornali della comunità italiana negano l’evidenza. Ecco la conclusione, sbrigativa, tagliente, quasi sdegnata che trae Γ8 ottobre 1892 il giornale italiano di Chicago, "L’Italia”: "Questa favola della Mafia è di un’irragionevole stupidità, un’imbecillità pura e semplice [...] per dirla brevemente, la Mafia non esiste né a Chicago né in Italia”. In quest’affermazione colpisce non tanto la Spudoratezza della menzogna, quanto l’idea che qualcuno possa credervi, in una sorta d’infantile "Non sono stato io”, nonostante il dito ancora sporco di marmellata. Lo stesso infantilismo già visto nell'"Illinois Staats-Zeitung” quando autoelogiava le virtù germaniche come ci si vanta di essere primi della classe ("Gli irlandesi non sopportano le lodi che i tedeschi ricevono dai datori di lavoro per la loro applicazione e temperanza”). La competizione etnica, la salvaguardia dell’onore nazionalesirivelanoperquel che sono, campanilismo, provincialismo. Chicago è una delle città più internazionali del mondo, fin dalla sua origine. È costitutivamentecosmopolita. Ciò non le impedisce di essereprovinciale.Scopriamo qui uno degli aspetti più opachi della modernità: mentrenellesocietàanticheil cosmopolitismo erodeva lo spirito provinciale, nelle società moderne una composizione cosmopolita non neutralizza il provincialismo, ci convive, anzi lo rafforza. Così a New York e a Parigi cominciano ad avvertirsi tracce di provincialità, mentre Roma, per quanto non sia mai stata tantocosmopolitadaldeclino dell’impero romano, sedici secoli prima, resta un grosso paesonediprovincia.Lecittà tendono a diventare più provinciali, proprio perché segregano tra loro le componenticosmopolite. È straordinario il set di cinque mappe storiche della città di Chicago pubblicato dalmunicipionel1976,incui i vari colori mostrano gli insediamenti nei diversi quartieri delle differenti comunità etniche in cinque momenti diversi della storia dellacittà(1840,1860,1870, 1920, 1950). In nessun’altra città sarebbe possìbile questa mappa.Inprimoluogoperché non verrebbe in mente a nessun funzionario di consacrare tempo, energie e finanzecomunaliperstabilire le frontiere del quartiere ucrainoequelledelquartiere danese, e poi osservare gli spostamenti di questi confini linguistici nel tempo. In secondo luogo, e soprattutto, perché sarebbe oggettivamente impossibile tracciare le differenti aree. Tranne alcuni casi specifici, negli stessi quartieri convivrebbero immigrati di nazionalità differenti, non ci sarebbe segregazione residenziale etnica, sarebbero tutte zone più o meno "integrate” che non potrebbero essere colorate con etnie diverse. Anche in questo Chicago è la città più etnicad’America.Quiirituali etnici, fidanzamenti, matrimoni, funerali sono osservati ancora con pignola puntualità. Ancora negli anni sessanta (quarant’anni dopo l’arrivo degli ultimi italiani), il socio-logo Gerald D. Suttles scriveva a proposito delquartierediAddams: In realtà molti italiani sono proprio “americanizzati”.Spesso però questa gente conduce una sorta di doppia vita. Durante il giornoescedalquartiere perfareilpropriolavoro senza tanto pensare alla propria etnicità. Ma quando la sera torna a casa, è obbligata a riassumere la sua vecchia identità. Non è tanto una questione di gusto, quanto di necessità. È presumibile che gli altri conoscano già l’etnicità di una persona. E le fughe da quest’etnicità possono essere interpretate come snobismo o tentativo di mentire. Per di più, gli appartenentiaglialtritre gruppi etnici [neri, messicani e portoricani] rifiutano di accettare l’americanizzazione altrui, indipendentemente da quanto essa sia spinta. Per gli altri, il tentativo di minimizzare la propria etnicità è solo una manovra astuta per sfuggire alla responsabilità degli errori passati o per conquistarsi la fiducia altrui. Infine ci sono parecchi old-timers, residenti di antica data, nel quartiere e sarebbe davvero maleducato ostentaredifrontealoro ilproprioamericanismo. Così nei limiti del vicinato locale, un italiano che “recita” a fare l’americano corre il rischio di essere preso per un impostore, uno snob, un opportunista, unvile,undelatore.27 È questo il meccanismo per cui nelle migrazioni moderne partono individui, ma arrivano popoli o etnie, perché nella patria di accoglienza ognuno è contemporaneamente costretto all’assimilazione e insieme confinato, ricacciato nella propria etnicità. Il melting pot, il “crogiolo”, si rivela una maionese impazzita, in cui l’uovo sta per conto suo, separato dall’olio, distinto dal limone. La società si segmenta in paratie. Questo non vuol dire chelepersonenonsisentano americane. Mai come negli Usa si vedono tante case con davanti la bandiera nazionale chesventolasuunpennone:i nazionalismi si sovrappongono a strati e il nazionalismo etnico non indebolisce, anzi rafforza quello statunitense. L’americanizzazione è totale, solo che essa convive con l’appartenza etnica, si sovrapponeaessa. Basti pensare alla cucina, considerata generalmente il bastione della cultura etnica negli Stati Uniti. Essa è apparentemente fedele alle tradizioni popolari, ma solo nei nomi. Si apprezza un pastramichenonhapiùnulla a che vedere con l’originale: la cucina è uno dei campi in cui meglio si esercita quell 'invenzione della tradizione su cui dovremo tornare. Donna Gabaccia ci racconta le successive trasformazioni che nel gusto e nella consistenzahasubitoilbagel nella storia gastronomica statunitense: i bagels "divennero identificati come tipicamente 'ebraici' solo quando gli ebrei cominciarono a venderli nei loro quartieri multietnici. Quando i bagels emersero dalle drogherie del ghetto come una novità ebraica, i bagels con formaggio cremoso divennero subito un pilastro di quella cucina nota come la ‘New York deli’ [deli è l’abbreviazione del termine-comunealtedescoe all’yiddish-diDelikatessen], e fu lanciato nel mercato e prodotto industrialmente per tutto il paese sotto questa nuova identità regionale. Quando il commercio internazionale li portò in Israele, i bagels acquisirono una terza identità come ‘americani’".28Enonèilsolo bagelauscireirriconoscibile, reinventato da quella betoniera che è la società americana.Igermoglidisoja sonodivenutiilsimbolodella cinesitàincucina,mainCina non sono mai stati usati (d’altronde i fortune cookies sono stati inventati a San Francisco e tra i cinesi della madrepatria sono oggetto di scherno verso gli americani). Se in Cina e in Italia i gamberitivengonoservitinel piatto con tutta la loro testa, qui saranno accuratamente sgusciati e decapitati (altrimenti farebbero orrore). La pastasciutta mantiene il suo aspetto (i linguini al maschile) ma è americana nella cottura, nell’adeguamento al piatto unico,nelladeformazionedei sughi. L’insalata greca contiene vegetali mai usati nell’Ellade. Nessuno in Francia mangerebbe un paninodeepfrench.Leforme dell’etnicità ricoprono una sostanza genuinamente americana, come nel Québec dove le lumache stanno lì a segno della "francesità”, ma leostrichesonomangiatecol ketchup. Nel grande contenitore della società americana, le etnie si muovono isolate, tentando di essere compatte all’interno, in competizione l'una con l’altra. Forse in questoschemasocialestauna parte della risposta alla domandachenovantannifasi poneva Sombart: “Perché negli Stati Uniti non c’è socialismo?’’. Non è chiaro sequestosecolaretradursidel conflitto sociale in scontro etnico,dellalottadiclassein guerra tra razze, sia stato premeditato dalla classe dirigente o si sia invece prodotto per logica interna, a prescindere dalla volontà di chiunque, in un meccanismo sfuggito di mano a chi all'iniziosiproponevasolodi ottenere forza lavoro più a buonmercato,piùdocile,più mobile,menoriottosa. Certo, c’è da rimanere stupiti per le capacità dimostrate dalla classe dominante americana, un’élite superficialmente snobbatainEuropa,machesi è dimostrata in grado non solo di governare (almeno fino a oggi) un processo così esplosivo e di canalizzarlo in forme tutto sommato controllabili di conflittualità, ma anche di costruire in due soli secoli il più grande imperodelmondoapartireda quel che Woodrow Wilson chiamava la “feccia di cui si sgravava l’Europa”, a partire dai poveracci del Vecchio continente. "Datemi un cafone, anzi un milione di cafoni, e vi solleverò il mondo” è il messaggiochecicomunicano i capitalisti americani di fine Ottocento. Colpisce il contrasto fra la separatezza delle varie componenti etniche degli Stati Uniti e la compatta saldezza della sua forzafinanziariaeindustriale. Ma non è solo a colpi di lungimiranza che la classe dominante americana ha cancellato il socialismo dalla faccia degli Stati Uniti. Per questo, essa ha agito un po’ come quell’eroe voltairiano che si vantava di uccidere inesorabilmente i propri nemici con un sapientissimo dosaggio di preghiere, esorcismiearsenico. 1 J. Parton, Chicago, cit.,p.327. 2Ivi,p.330. 3 Stephen Steinberg, The Ethnic Myth. Race, Ethnicity and Class America (1981), Beacon Press, Boston 1989, p.35. 4 U.S. Bureau of the Census, Historical Statistics of the United States, Government Printing Office, Washington D.C. 1975, serie C89-119,vol.I,pp.105-106. 5GeorgWilhelmLeibniz, Monadologia (1714), capoversi 36 e 37, trad. it. Laterza, Bari 1957, pp. 132133. 6 W. T. Stead, If Christ come to Chicago!, cit., pp. 84-85. 7CitatidaS.Steinberg, op.cit.,p.184. 8 U.S. Bureau of the Census, Historical Statistics oftheUnitedStates,cit.,serie D722-727,D733-73,D779793eF1-5,p.164. 9B.L.Pierce,AHistory of Chicago, cit., vol. II, pp. 163-164. 10L.C.Wade,Chicagos Pride,cit.,p.252. 11 A Chicago erano (e sono) pubblicate decine di giornalietnicinellelinguepiù svariate. Intorno al 1940 il governo finanziò una ricerca che compilasse (e traducesse in inglese) un’antologia di tutta la stampa etnica della città dai suoi inizi ottocenteschi al presente. Il frutto è la Chicago Foreign Language Press Survey, conservata in microfilm (una copia è consultabile nella libreria della Chicago HistoricalSociety),dacuiho tratto tutte le citazioni di articoli"etnici". 12 B.L. Pierce,op. cit., vol.II,p.26. 13"L’Italia",25giugno 1904. 14RichardC.Lindberg, Ethnie Chicago, Passport Books, Lincolnwood (111.) 1994,p.126. 15 Robert E. Park, Human Migration and the Marginal Man, in “The American Journal of Sociology", vol. xxxiii, maggio 1928, n. 6, pp. 881893. 16 “Illinois StaatsZeitung”,27novembre1874. 17Tuttalaquestionedelle domesticheirlandesiètrattata da S. Steinberg, op. cit., pp. 153-166. 18 B.L. Pierce,op. cit., vol.III,p.37. 19S.Steinberg,op.cit., p.116. 20Ivi,pp.112-113. 21 Citato dal documentato libro di Humbert S. Nelli, Italians in Chicago 1880-1930. A Study in Ethnic Mobility, Oxford University Press, New York 1970,p.126. 22 R.C. Lindberg, op. cit.,pp.179-180. 23 Per le informazioni biografiche di base su John Coughlin, Michael Kenna, Alphonse Capone, è utile June Skinner Sawyers, Chicago Portraits, Loyola University Press, Chicago 1991, in cui sono riunite 250 brevibiografiediChicagoans celebri,daCyrusMcCormick a John Belushi (figlio di un immigrato albanese). Il criterioètuttoparticolareper definire chi era Chicagoan e chi non lo era. Per esempio, EnricoFermiloera. 24 F. Engels, La situazione della classe operaiainInghilterra,inKarl Marx-Friedrich Engels, Opere complete, cit., vol. iv, p.270. 25 Immigrants and Crime, Government Printing Office, Washington D.C. 1911, citazioni dalle pp. 2 e 209. 26 H.S. Nelli, op. cit., p. 130. 27 Gerald D. Suttles, The Social Order of the Slum. EthnicityandTerritoryinthe Inner City, Chicago University Press, Chicago 1968,p.105. 28DonnaR.Gabaccia,We Are What We Eat. Ethnie Food and the Making of America, Harvard University Press, Cambridge (Mass.) 1998,pp.5-6. 2.AddioChicagobella Sotto gli argini, invisibile dall’alto, il flusso di camion scorre rumoroso nell’autostrada urbana Dan Ryan. Sopra, al livello del terreno, all'incrocio tra Randolph Street e DesPlains, vicinissimoalLoop,loslargo deserto è circondato da vecchi edifìci segati in sezione,comeunatomografia assiale, con le pareti esterne coperte da pubblicità murali. In un angolo del piazzale c’è la sede locale della Caritas. Nulla ti dice che poco più di cento anni fa, nel 1886, questo luogo, Haymarket Square, allora un mercato all’aperto, fu il teatro di un dramma dalle inimmaginabili conseguenze. Nemmeno una piccola lapide menziona quei fatti e quegli uomini che per decennisonostatiricordati(e venerati) come martiri del movimento operaio. Nulla rivelachequinacqueilPrimo maggio come festa dei lavoratori(ilPrimomaggioè festeggiato quasi ovunque, manonnegliStatiUniti,dove ènato). Invano,passeggiandotrai parcheggi semivuoti e una stazione di benzina, cercheresti una spia di quell’evento che decapitò il movimento anarchico. Un secolo fa Chicago era la capitale mondiale dell’anarchia.Equestosecolo trascorso sembra essere durato più di un millennio, oggi che l’anarchia ha rifatto capolino - dopo decenni di oblio - nelle manifestazioni contro la globalizzazione, come a Seattle nel 1999, a Praganel2000,aGenovanel 2001 : l'anarchismo diventa un modo per essere anticapitalisti senza farsi inchiodare a un comunismo che ricorda troppo l’Unione Sovietica, rappresenta un’interiorizzazione della libertàdimercatoinfunzione sovversiva. Cento anni fa gli anarchici sembravano una minaccia in grado di far crollare il capitalismo e la società americana, una minaccia che andava combattutaeannientata,oggi esprimono la scorciatoia teorica di una protesta strutturatainreteinformatica. *** Ilpiùtumultuososviluppo industriale (e demografico, e d’immigrazione) Chicago lo conobbe durante la lunga depressione internazionale che si estese dal 1873 al 1896,scanditadatrepicchidi recessione ancora più drammatica, un primo dal 1873al1878,unsecondodal 1882 al 1886, un terzo dal 1892al1896.Inqueiperiodi la disoccupazione imperversava massiccia e le famiglie morivano letteralmente di fame. Nell’inverno del 1885 un terzo dei carpentieri della cittàeradisoccupatoeil39% della forza lavoro era forzatamente inattivo.1 È proprio durante questi tre picchi di recessione si verificarono gli scontri più aspri tra capitalisti e lavoratori, negli scioperi del 1877, nel movimento per le otto ore del 1886, nel boicottaggio Pullman del 1894: tutte e tre le volte l’epicentro di questa vera e propria “guerra di classe” fu Chicago dove - crisi o non crisi - continuavano a riversarsi centinaia di migliaia di immigrati. Molti erano importati proprio per fare i crumiri, indebolire i sindacati, introdurre nella forza lavoro una divisione etnica, linguistica. Nel 1891 la figlia di Karl Marx, Eleanor, scriveva al sindacalista americano Samuel Gompers: “La questione più immediata [è] impedire l’introduzione di lavoro sleale da un paese all’altro, vale a dire che lavoratori, i quali non conosconolecondizionidella lotta di classe in un determinato paese, siano importati dai capitalisti in questo stesso paese, per abbassare i salari o allungare il tempo di lavoro, o per entrambelecose”.2 Ma tra queste immani masse umane giungevano anche gruppetti di esiliati politici. Per dirla con Theodore Draper, “il movimento socialista americanoèinenormedebito con gli immigranti sia per i propri progressi sia per i propriproblemi”.3Daunlato era difficile - e quasi sempre impossibile - che un operaio irlandese e uno italiano, un polacco e un tedesco facessero fronte comune contro i padroni, senza disperdere il fiume della loro forza in una miriade di rigagnoli astiosi. Dall’altro lato però, tra questi operai vi erano militanti che dall’Europa portavano con sé una “coscienza di classe”. Così la xenofobia si alimentava di un nuovo stereotipo. Non solo gli immigratieranosporchi,pigri e criminali, ma erano anche sovversivi, comunisti, negatori di Dio e della proprietà privata. Negli anni ventiinAmerica,chipensava a un italiano si riferiva o al criminale Alphonse Capone, oaglianarchiciNicolaSacco e Bartolomeo Vanzetti (condannatiamortenel1921, uccisi nel 1927). In realtà, i militantisocialistieanarchici erano un’infima minoranza rispetto alla massa di immigrati, per lo più impolitici o proprio conservatori, ma tant’è: nel 1915 al Partito socialista americano(Sp)eranoaffiliate 14 sezioni straniere e ancora nel 1917, su 80.126 iscritti, 32.894, il 40%, erano nati all’estero.4 Sul milione circa di tedeschi che arrivò negli Usa nel decennio 1850-1860, parecchie migliaia erano emigrati politici che fuggivano la rivoluzione fallitadel1848,eranoi48ers, i“quarantottini”.Tracostoro, ipiùeranoliberaldemocratici; solo un esiguo gruppetto era socialista.Furonolorochenel 1854 fondarono a Chicago il giornale “Der Proletarier”: il socialismo non fu importante nella storia dei milioni di tedeschiimmigratinegliUsa, ma i tedeschi furono importanti nella storia del socialismoamericano.5 Chicago era una città di esiliati politici come Parigi o Zurigo, o Lugano - vi ricordate la canzone anarchica Addio Lugano bella? -, ed era tutto un pullulare,unnascereemorire di giornali socialisti, anarchici, rivoluzionari in tedesco, in polacco, in inglese, in boemo... Erano poche migliaia di militanti - nel 1886 cerano a Chicago 2500 membri attivi, 20.000 simpatizzanti, ma la loro influenza era sproporzionatamente più grande del loro numero, i giornali che stampavano incredibilmente più vivi e influenti di quanto sia oggi immaginabile. Come nelle corporations"leazioninonsi contano, ma si pesano", così nelle forze politiche, i militanti e gli aderenti si pesano e non si contano. Forze con pochi iscritti possono avere un peso enorme.Altre,conmilionidi membri, possono essere innocue,quasiirrilevanti. Ma bisogna immaginarla lavitadiquestimilitantinella Chicago dei mattatoi e delle ciminiere, babele dalle mille lingueenazionalità,permeata daimiasmideimacelliedalla fuliggine dei treni. Bordeggiavano nella vita, infervorati, precari, sempre senza un soldo, sempre in pericolo, minacciati dalle forze dell’ordine costituito, dalle milizie private americane, dalla polizia statunitense, dagli agenti segreti mandati dall'Europa a sorvegliarli (o ucciderli) qui negli Usa. Certo, erano litigiosi, pedanti, “tedeschi”, intolleranti sulle loro differenze dottrinarie tra bakuniniani, lassalliani, marxisti (sarebbe istruttivo vedere quanta gente sa oggi chi era Ferdinand de Lassalle), sempre a scomunicarsi tra loro, ad affrontarsi in furibonde polemiche.“Costituivanouna setta, nel senso di un piccolo gruppo autoreferenziale che aderisce a un'ideologia (o fede) esclusiva e precisa. Ma noneranounasettaperscelta [...] erano categoricamente antisettari. [...] Marxisti, lassalliani, anarco-co-munisti erano tutti opposti al socialismo utopico.” Cercavano di parlare alle masse, di smuovere i lavoratori, anche se "è incontestabile che tendessero a essere dogmatici, rigidi, spesso incomprensibili per le masse che cercavano di coinvolgere”.6Organizzavano non solo manifestazioni, scioperi, ma anche feste, danze,recite,picnic. Ognioccasioneerabuona per un picnic, anche l’annuncio della chiusura di un giornale, come avvenne nel settembre 1879 per “The Socialist”. E i balli! A Chicagosidanzavanoballidi tutt'Europa: “Ieri notte si potevaassistereaognitipodi ballo, il ‘Bohemian dip', il ‘German lunge’, l''Austrian kick’, il ‘Polish ramp’, lo ‘Scandinavia trot’. Tutti questi paesi sembravano rappresentati, ma è meglio aggiungere che nativi americani, irlandesi e inglesi si notavano per la loro assenza”.7Almenoottocorali erano affiliate al movimento operaio e alcune orchestre rivoluzionarieeranofamose.8 Avevano una vera e propria passione per organizzare feste questi rivoluzionari, quasi un anticipo, un acconto della grande festa, dell’allegra gioia che speravano di assaporare presto. La più importante era “L’Alba della Libertà", festeggiata ogni marzo, per 37 anni, dal 1872 fino al 1909, dai socialisti di Chicago per celebrare l’anniversario della Comune diParigi.Inalcunianni,come nel 1879, a questa ricorrenza parteciparono più di 40.000 persone: vi suonavano orchestre,vicantavanocorali, venivanorappresentatiquadri viventidisignificatopolitico, recitateopereteatrali. Ognioccasioneerabuona per riunirsi (e per una birra). Era festa quando dall’Europa arrivava un rivoluzionario, come nel 1892, quando giunse negli Usa il leader anarchico Johann Most, già deputato del Reichstag, imprigionato varie volte e fuggito nel 1878 dalla Germania bismarckiana. Parafrasando l’espressione "Animale da preda”, Most definiva l’uomo Animale da proprietà(èiltitolodiunsuo pamphlet del 1884)9; a Londrapubblicavailgiornale "Die Freiheit” ("La libertà”), dovescriveva: Io seguo quattro comandamenti. Tu negherai Dio e amerai Verità;perciòiosonoun ateo. Tu combatterai tirannia e cercherai libertà;perciòiosonoun repubblicano. Tu ripudierai proprietà e difenderai uguaglianza; perciò io sono un comunista. Tu odierai oppressioneefomenterai rivoluzione; perciò io sono un rivoluzionario. Lunga vita alla rivoluzione sociale! (15 luglio1882) *** I rivoluzionari avevano proprie società segrete e proprigruppiarmati,comele Lehr und Wehr Vereine, Società di educazione e difesa, con un addestramento militare. Da notare che la Lehr und Wehr Verein di Chicago organizzava picnic, allestivacarriallegoriciperle feste,bandeperleparate. È straordinario come i gruppi oppressi e dominati dellasocietà,peremanciparsi, cerchino di copiare gli strumenti delle classi dominanti.Lapassioneperle societàsegretedeglianarchici tedeschi e scandinavi ricalcava le società della borghesia.Nellostessomodo, di fronte alla violenta ostilità contro ogni forma di sindacalizzazione, gli operai americani cercarono di ricalcare la massoneria. Nel 1869, nove operai di sartoria di Filadelfia fondarono il Noble and Holy Order of the KnightsofLabor(KofL),il Nobile e Sacro Ordine dei Cavalieri del Lavoro, organizzato in logge ognuna coniproprimaestrieconun Gran Maestro Lavoratore al vertice,unordinediprofonda ispirazione religiosa, contrario al sistema salariale, organizzazione che sarebbe rimasta segreta fino al 1881. Nel1884iKofLcostrìnseroil magnate delle ferrovie (e classico prototipo del robber baron) Jay Gould a scendere a patti e a riassumere gli scioperanti. Da allora il numero di iscritti dei K of L crebbe a dismisura: dal 1884 al 1886 decuplicarono da 71.000a730.000. All’ascesa dei K of L corrispondeva il declino dell’altro embrione di organizzazione operaia dell’epoca, la Federation of Organized Trades and Labor Unions (costituita a Pittsburgh nel 1881) che proprio nel dicembre 1884 tenne la sua convenzione a Chicago. I venticinque delegati rappresentavano appena 50.000 operai statunitensi, eppure a questa convenzione furono presentate due mozioni storiche. La prima, proposta da un tipografo di Chicago, diceva: “Decidiamo che il primo lunedì di settembre di ogniannosiadichiaratofesta nazionale dei lavoratori e raccomandiamo che sia osservata da tutti i salariati, indipendentemente dal sesso, dalla professione e dalla nazionalità”.10 La scelta del primolunedìdisettembreper il Labor Day riempiva un vuoto di feste “nella più piacevole delle stagioni dell’anno, quasi a metà tra il 4 di luglio e Thanks-giving”. La seconda mozione, presentata dalla Federazione dei Carpentieri, riguardava una rivendicazione già radicata nel movimento operaio,quelladelleottoore. Già nel 1856 gli operai di Melbourne in Australia chiedevano le tre otto: “otto oreperillavoro,ottooreper ilriposo,ottoperquelcheci pare”. Negli Stati Uniti, durantelaguerracivile,trail 1861 e il 1865, nelle città industriali sorsero molte leghe per le otto ore. Nell’agosto del 1866, al suo congresso di Ginevra, la Prima Internazionale riprendeva questa rivendicazione: “Noi proponiamoottooredilavoro come limite legale della giornata lavorativa. La riduzione della giornata lavorativa viene adesso generalmente richiesta dai lavoratori americani; noi la chiediamo per i lavoratori di tutto il mondo”.11 Il Primo maggio 1867 a Chicago scesero in piazza più di 10.000manifestantinelprimo grande sciopero per le otto ore. Nel ricordo di questo sciopero,lamozionedel1884 recitava: "Decidiamo che le otto ore costituiranno la giornatalavorativalegaledae dopoilPrimomaggio1886e raccomandiamo alle organizzazioni del lavoro di conformare le loro leggi a questa risoluzione entro il tempo fissato”.12 Era il giorno in cui l’edilizia tornava in attività; il giorno prima erano rescissi i contratti di affitto cittadini e agricoli; e questa festa diventava una contro-pasqua, una “pasqua dei lavoratori”, ricordooperaiodeiritipagani dellaprimavera. Ci voleva una bella fiducia a chiedere le otto ore nell’inverno 1884, in piena recessione, con folle di disoccupati, famiglie sul lastrico. I giornali dell’epoca lanciavano l’allarme: le otto ore erano “comunismo, sinistro e rampante”, avrebbero incoraggiato "l’ozio e il gioco d’azzardo, la crapula e l’ubriachezza” e avrebbero portato solo salari più bassi, più povertà e degrado sociale tra i lavoratoriamericani.13 *** A Chicago poi, il clima era ancora più aspro che altrove. Nel novembre 1884 un grande corteo, “la marcia dei poveri”, aveva sfilato sotto le case dei ricchi, di George Pullman, di Marshall Field, di Swift e Armour. Il corteo era guidato dal leader anarchicoAlbertParsonseda sua moglie Lucy Gonzales, unamessicanadicolore.Nato nel 1848, da una famiglia puritana del Sud, già editore di un giornale a Waco (Texas), trasferitosi a Chicago nel 1873, ex tipografo, Parsons era il leader dell’anarchismo americano, a Chicago aveva fondato il giornale “The Socialist”ederaildirettoredi "TheAlarm”. L’annodopo,il4maggio 1885, a Lemont, nei suburbi, la guardia dell’Illinois aprì il fuoco contro una folla di disarmati cavatori di pietre e ne uccise due. A fine giugno scoppiava uno sciopero nella Street Car Company: gli addetti ai tram chiedevano orari più brevi, paghe uniformi, fine delle vessazioni antisindacali. In risposta,laproprietà(Yerkes) licenziò i sedici più importanti leader sindacali. Fu in quell’occasione che il capitano di polizia John Bonfield diede lordine di “sparare per uccidere”, un ordine che sarebbe risuonato di nuovo a Chicago ottant'anni dopo (vedi il capitolo Praga in Illinois). Bonfield si presentò così come il difensore dei proprietari, organizzò una “squadra rossa" da infiltrare nel movimento operaio e addestrò le truppe alle nuove tecnicheantisommossa. Era in agitazione anche un’altra grande fabbrica di Chicago,laMcCormick,dove si producevano le mietitrici meccanicheedovelavecchia generazione, quella dei fondatori (il vecchio Cyrus e suo fratello Leander), aveva cedutolamanonel1884;ora governava il giovane Cyrus, benpiùaggressivo,checercò subitod’imporreuntagliodei salaridel10-15%,nonostante lafabbricafosseincondizioni fiorenti: malgrado la crisi dell'inverno 1884-1885, la McCormick realizzava un profitto del ben 71% annuo sul capitale versato! Non solo: mentre la maggioranza degli operai cui veniva decurtato il salario era cattolica, la famiglia McCormick donava altri 100.000 dollari al Seminario teologico presbiteriano di Chicago.14 Dopo questa donazione, uno sciopero scoppiò nella fabbrica della compagnia nel quartiere Pilsen. Come Yerkes e come molti altri padroni statunitensi, il giovane McCormick ricorse non solo alla polizia, ma anche all’agenzia Pinkerton per proteggere i crumiri, fatti affluire allo scopo di far fallirelosciopero. Contortodestinoquellodi Allan Pinkerton, ‘'l’occhio che non dorme mai”, sinonimo d’investigatore privato: proletario scozzese, nato a Glasgow nel 1819, subito militante del movimento operaio dei Cartisti, fu costretto a emigrare negli Usa per ragioni politiche, per evitare di essere mandato in una colonia penale. Giunto a Chicago, fu eletto sceriffo della Kane County alla fine del 1840, e nel 1850 aprì la sua Pinkerton National Detective Agency (attiva ancora oggi), il cui scopo originale era di aiutare a fuggire in Canada gli schiavi evasi dal Sud. Ma questo intento fu presto abbandonato. In breve tempo Pinkerton divenne il braccio armato dei grandi gruppi industriali. Fu usato anche nelle loro lotte intestine, come quelle tra Vanderbilt e Fisk e Gould. Durante la guerra civile fu nominato da Lincoln capo dei servizi segreti degli Stati Uniti per l’Union Army. Dopo la guerra, la sua agenzia si dedicò soprattutto a combattere gli scioperi operai, una tradizione proseguita,dopolasuamorte (1884),daiduefigli,William eRobert,tantochetrail1933 eil1935l’agenziaavevaben 1228agentioperativiinfiltrati in ogni sezione sindacale del paese.15 Verso il 1890 la Pinkerton aveva 2000 agenti attivi e 30.000 riserve, più dell’esercito federale in servizio. Nonostante Pinkerton, la proprietà non riuscì a battere gli scioperanti per la riluttanza di O’Donnell, capitanodipoliziadellazona di Pilsen, un irlandese, a schierarsi contro operai irlandesi (ancora l’intreccio lotta di classe/lotta di etnie). Ma dopo pochi mesi, il 16 febbraio 1886, appena O’Donnell fu trasferito e Bonfield fu promosso ispettore al quartier generale centrale, McCormick serrò fuori dalla fabbrica 1482 operai, molti dei quali erano iscrittiaiKofL.Questavolta la polizia di Chicago aiutò la direzione e 300 uomini stazionarono ai cancelli. Il primo marzo i crumiri entrarono in fabbrica protetti dagli agenti. L’indomani la polizia caricò una pacifica riunionedi"chiusifuori”ene arrestòmolti. Nel frattempo la campagna per le otto ore e per il Primo maggio s’intensificava in tutti gli Stati Uniti. La base dei KnightsofLaboraderivaalle azioni, anche se la direzione andavacauta,comespiegòin una circolare del 13 marzo 1886 il Gran Maestro Lavoratore Terence Vincent Powderly: “Nessun’assemblea dei K of L deve scioperare per le otto ore il primo maggio dando l’impressione di obbedire a ordini dal quartier generale perché tali ordini non sono e non saranno dati”16: appare qui un atteggiamento tipico dei sindacati americani, quello di pompiere, di ammortizzatore dei conflitti, di spegnitore degli incendi sociali. Dopo la dissoluzione del suo Sacro Ordine dei Cavalieri del Lavoro, nel 1907 Powderly finirà funzionario dell’ufficio immigrazione. Ma, per quanto la direzione dei K of L facesse da pompiere, la base si mobilitava spontaneamente: i lavoratori fumavano "Tabacco8-ore”,compravano “Scarpe 8-ore” e cantavano “il canto delle 8-ore”. Il movimento si diffondeva a macchiad’olio.Eitimoridel padronato crescevano in proporzione:inunservizioda Chicago del primo maggio 1886, il “New York Times” riferiva che alla vigilia i membri della Camera di commercio locale avevano offerto 2000 dollari alla guardianazionaledell’Illinois per comprare una mitragliatrice. Ovunque scoppiavano scioperi: il 9 aprile, a East St. Louis, la polizia aprì il fuoco sugli scioperanti e ne uccise nove. In risposta, gli operai incendiarono più di cento vagoni. *** EilPrimomaggiogiunse. Quel giorno, in tutto il paese scioperarono 350.000 operai in11.562stabilimenti.Soloa Chicago gli scioperanti furono 40.000 e in 80.000 sceseroinpiazzasfilandoper Michigan Avenue, sottobraccio, guidati da Albert e Lucy Parsons, insiemeailorofigliAlbertJr. e Lulu. In 11.000 manifestarono a Detroit, in 25.000 a New York. La giornata si era svolta pacificamente, la partita sembrava vinta: in quel giorno a Chicago, una giornata lavorativa più corta fu concessa a 45.000 operai, senza bisogno che scioperassero. Si calcola che, negli Usa, 180.000 - sui 350.000 scioperanti ottennero allora le otto ore.17 MaallaMcCormick... Il 2 maggio 1886 fu un giorno calmo: solo poche manifestazioni. Il 3, August Spies, direttore del giornale “DieArbeiterZeitung”,parlò a circa 6000 legnaioli in sciopero dall’alto di un vagone merci vicino alla fabbrica McCormick: ma molti astanti erano boemi e polacchienoncapivanocosa stesse dicendo. Alle tre e mezzo suonò la sirena alla McCormick e circa 200 ascoltatori andarono ai cancelliperaiutareglioperai a dare una strigliata ai crumiri. Subito arrivarono Bonfield e 200 poliziotti che caricarono. Il frastuono attirò ancora più ascoltatori, finché giunselostessoSpies,seguito da tutta la folla. Furono accoltidalfuocodellapolizia. Almeno4manifestantifurono uccisieparecchiferiti. Subito fu indetta per l’indomani,4maggiosera,ad Haymarket, una manifestazione che fu autorizzata dal sindaco Harrison. Alle otto e mezzo del 4 maggio sera August Spies (che non aveva partecipato all’organizzazione)parlavain piedisuuncarrettodavantia 3000 persone e mandava messaggeri per chiamare Albert Parsons e Samuel Fielden (che non erano stati avvertiti del comizio) perché loaiutasseroatenerediscorsi. Erapresenteancheilsindaco. Spies e Parsons avevano già parlato e se ne erano andati, quando poco prima delle dieci scoppiò un temporale e la folla si ridusse a un trecento astanti infradiciati. Allorailsindacoseneandòe ordinò che i 176 agenti di polizia presenti fossero rimandatiacasaoriassegnati all’ordinariaamministrazione. Ma alle dieci e mezzo - il sindacoeraappenaarrivatoa casa, Samuel Fielden stava finendo il discorso di chiusura -, il capitano Bonfieldordinòaisuoiagenti di sciogliere la manifestazioneconlaforzae li dispiegò nel nuovo schieramento antiguerriglia. In quel momento una bomba lanciata da una traversa scoppiò tra i poliziotti, ne uccise sei e ne ferì più di cinquanta. La polizia aprì il fuoco. Si scatenò una battaglia. Nessuno ha mai saputo quanti manifestanti furono uccisi. Si sa solo che nefuronoferiti200. Né si sa chi gettò la bomba. O perché il capitano Bonfield aspettasse che il sindaco fosse andato a letto per caricare. O perché uno degli organizzatori del comizio di Haymarket vivesse da allora in poi con i soldidellapoliziaedivenisse testimone contro gli anarchici. Fatto sta che era il primo attentato alla dinamite nellastoriadegliStatiUnitie che esso avvenne mentre la lotta per le otto ore stava vincendo. La notizia dilagò negliStatiUnitigonfiandosia dismisura: a Cincinnati gli strilloni gridavano: “Le bombe degli anarchici nell’Haymarket di Chicago - centopoliziottiuccisi”.18 Il 5 maggio mattina il sindaco dichiarò "lo stato di guerra” a Chicago. Migliaia diabitazionifuronoperquisite senza mandato, centinaia di anarchici arrestati. La polizia dichiarò di aver trovato arsenali di bombe e di armi. Era facile accusare di violenza gli anarchici. Soprattutto quando le polizie - pubblica e privata - non facevano altro che sparare sulla folla. Nel 1877, quando, riferendosi a Chicago, il “New York Times” titolava “La città in mano ai comunisti”,19 per reprimere lo sciopero, il governo federale aveva mandato in tutta fretta nella Windy City dal Dakota i reparti dell’esercito freschi reduci dalla guerra contro gli indiani che avevano ucciso il generale Custer: pellerossa o operai,semprenemici. Non stupisce allora che, nella piattaforma anarchica approvata a Pittsburgh nell’ottobre 1883, Albert Parsons avesse declamato: "Conlaforzainostripadrisi sono liberati dall’oppressione politica, con la forza i loro figli dovranno liberarsi dalla schiavitù economica. 'È quindi vostro diritto,’ dice Jefferson, ‘e vostro dovere ricorrereallearmi’,”primadi concludere: "Tremate oppressori del mondo! Poco oltre il vostro sguardo miope giàsorgelalucescarlattadel giorno del giudizio”.20 Il sottotitolo del pamphlet di Johann Most, Revolutionäre Kriegswissenschaft (La scienza della guerra rivoluzionaria), suonava: "Manuale d’istruzione per l’uso e la preparazione di nitroglicerina e dinamite, fulmicotone, bombe, miccia, veleni...”. Gli anarchici non erano agnelli sacrificali e la stampa aveva buon gioco nello scatenarsi contro di loro. Già il 5 maggio, il "Chicago Tribune” si scagliava contro le “socialistic, atheistic, alchoolic European classes”. Il 15 maggio 1886 il rispettabile "Albany Law Journal”scriveva: È preoccupante che levitediuominibuonie onesti, la sicurezza di donne e bambini innocenti, l’immunità della proprietà debbano essere, anche per una sola ora, in una grande città,allamercédipochi miserabili stranieri puzzolenti, capelloni, dagliocchiselvaggi,che mai hanno fatto un’ora di lavoro onesto in vita loro,mache,resifollida anni di oppressione e pazzi d’invidia verso i ricchi, pensano di livellare la società e le sue distinzioni con qualche bomba. [...] Ci dovrebbe essere una legge [...] che permetta alla società di schiacciare questi serpenti appena sporgono la testa, prima che mordano. [...] Lo stato delle cose quasi giustifica il ripristino di un comitato di vigilanza e della legge di Lynch [cioèillinciaggio].21 Il fatto è che nel caso specifico di Haymarket i ritrovamenti veri di armi furono poca cosa: anni dopo, il capo della polizia di Chicago, il capitano Frederick Ebersold ammise che la polizia aveva posto deliberatamente armi e bombe nelle sedi degli anarchici.22Dellecentinaiadi arrestati,solotrentunofurono accusati e, tra loro, solo undicifuronoincriminati:due divennero testimoni, uno non fu mai trovato; infine furono processati in otto: August Spies, Louis Lingg, Samuel Fielden, Adolph Fischer, George Engel, Oskar Neebe, Michael Schwab e Albert Parsons. La lista di questi accusati è notevole perché 1) comprende tutti i massimi dirigentianarchiciaChicago: noneranopersonequalunque, erano direttori di giornali, oratorifamosi,leader;2)sette su otto erano stranieri (solo Parsons era statunitense, FieldeneranatoinInghilterra eglialtrieranotuttitedeschi); 3) al momento del lancio della bomba nessuno di loro era presente ad Haymarket, tranne Fielden che stava parlando(ealcunidiloronon ci avevano nemmeno messo piede). La nazione era in preda alla più totale isteria. Le chiese erano scatenate contro questi atei. Il padronato chiedeva una punizione esemplarecontroisovversivi. Ivignettistinonfacevanoche disegnaregrandispadechesi abbattevano su mostriciattoli. "Libertà o Morte”, così la didascalia di disegni truculenti: “Libertà (di andartene se le istituzioni dellanostraRepubblicanonti aggradano) o (commetti assassini e sarai punito con la) Morte”.23 L’indicazione più lapidaria venne dal "Chicago Herald” del 22-23 luglio 1886: "Hanno cercato di distruggere la società. La societàdevedistruggerli”. Nell'arringa finale, il procuratore Julius Grinnell chiarì il problema in modo inequivocabile: “La legge è sotto processo. L’anarchia è sottoprocesso.Questiuomini sono stati scelti e incriminati dal Grand Jury perché loro sono i leader. Non sono più colpevolidellemigliaiacheli seguono. Gentiluomini della giuria, condannateli, fatene un esempio, impiccateli e avrete salvato le nostre istituzioni,lanostrasocietà”. Il 20 agosto la sentenza: colpevoli tutti gli imputati, sette furono condannati a morte. Oskar Neebe fu condannato a quindici anni. Un movimento di difesa si organizzò su scala mondiale. Manifestazioni si tennero in Francia, Olanda, Russia, Italia, Spagna. Oscar Wilde fece circolare una petizione. William Morris e il giovane BernardShawparlaronoinun comizio. Il cancelliere Otto von Bismarck proibì tutte le manifestazioniinfavoredegli accusati di Haymarket. Il parlamentofrancesetelegrafò il 29 ottobre per protestare contro l’imminente esecuzione. Sotto queste pressioni, la condannaamorteaFieldene Schwab fu commutata in ergastolo.LouisLingg,cheal processo aveva detto: "Vi disprezzo.Disprezzoilvostro ordine, le vostre leggi, la vostra autorità basata sulla forza. Impiccatemi per questo!”, si suicidò in circostanze mai chiarite facendosi saltare la testa con una capsula esplosiva in boccamentreeraincella.Gli altri quattro, August Spies, AlbertParsons,GeorgeEngel e Adolph Fischer furono impiccati l'11 novembre 1887. Il 13 novembre mezzo milione di persone assistette ai funerali su Milwaukee Avenuecostellatadibandiere nere sulle case di polacchi, tedeschi,boemi. Non fu solo l'estremo addio ai "martiri di Haymarket”, come da allora furono chiamati i quattro impiccati, fu il funerale al movimento anarchico negli Stati Uniti. Da allora, la parola “anarchico” sarebbe stata un insulto in America, untermineimpronunciabile.I padroni approfittarono dell’atmosfera di caccia alle streghe per licenziare gli operai sindacalizzati, per stilare una lista nera dei dipendenti che non dovevano mai più essere riassunti da nessuno(ilblacklisting).Così i Cavalieri del Lavoro entrarono in una fase di declino irreversibile. Al loro posto si espanse l’American Federation of Labor (Afl) guidata dal conservatore e moderatoSamuelGompers. Labattagliaperleottoore subì una battuta d’arresto formidabile, nonostante alcune delle conquiste del Primo maggio 1886 fossero preservate. La Afl mandò a Parigi un delegato al Congresso internazionale del lavorodel14luglio1889(per celebrare il centenario della presa della Bastiglia) perché proponesse il Primo maggio come festa mondiale del lavoroeinricordodeimartiri di Haymarket. Da allora il Primo maggio è festeggiato ovunque come festa del lavoro, tranne che negli Usa (e, dopo Margaret Thatcher, in Inghilterra): lo stesso Adolf Hitler, nel primo anno di potere, lasciò che fosse festeggiato in Germania, il giornoprimadimetterefuori legge tutti i sindacati (2 maggio1933). Nel 1889 il “Chicago Times” pubblicò un’inchiesta sulla corruzione della polizia cittadinadacuirisultavachei capofila dei corrotti erano i capitaniBonfieldeMichaelJ. Schaak (che aveva condotto le perquisizioni delle case degli anarchici) che taglieggiavano bische, saloon e bordelli per assicurarne la protezione, mentre battevano cassa negli ambienti padronaliperinfiltrarelaloro "Squadra rossa” nel movimento operaio (un secolo dopo, nel 1975, si sarebbe scoperto che la “Squadra rossa” di Chicago usava fondi federali per spiareeinfiltrareimovimenti disinistra).Bonfieldcercòdi far chiudere il “Chicago Times”. Ma lui e Schaak furono costretti alle dimissioni. I buoni borghesi di Chicago (guidati da Field, Armour, Swift e Pullman) elargirono un fondo di 100.000dollariperifamiliari dei poliziotti uccisi ad Haymarket e innalzarono un monumento ai caduti: varie volte deturpata (soprattutto negli anni sessanta), la statua del baffuto poliziotto è stata infine rimossa da Haymarket e posta al sicuro, nell'atrio dell’accademia di polizia, pocodistantedalì. IborghesidiChicagonon pensavano solo alla gloria della loro polizia. Avevano preoccupazionipiùprosaiche: MarshallFieldproposechela Camera di commercio e l'Union League organizzassero una colletta per far sì che il presidio dell’esercito non fosse più tanto lontano da Chicago e che le truppe potessero intervenire subito. Il suo suggerimento fu accolto e le due associazioni comprarono 250ettariditerraaHighland, a 50 km a nord di Chicago, cheoffrironoalgovernodegli Stati Uniti nell’ottobre 1887 perché vi costruisse un forte. Dopo la morte del generale Sheridan, amico intimo di FieldePullman,insuoonore, il nome fu cambiato in Fort Sheridan, col motto "Essenziale alla libertà dal 1887”. Il forte fu poi connesso alla città da una strada militare, Sheridan Avenue, per permettere alle truppe d’intervenire con la massima celerità in caso di disordiniemanifestazioni.Da allora,laquietedeipossidenti fu assicurata. Anzi, molti borghesi trasferirono le loro case lungo la Sheridan Avenue, sulla riva nord del Lago Michigan, quasi si sentisseropiùsicuri. Mafuancoraunavoltaun tedescoascompigliarequesta favola con la sua morale, il monumento per i poliziotti, l’obbrobrio per gli anarchici. Nato in Germania nel 1847, John Peter Altgeld fu portato da piccolo negli Usa. Qui studiò legge e diventò avvocato. Nel 1875 venne a Chicago per esercitare la professione.Conirisparmisi diede al mercato immobiliare fino ad accumulare una fortuna. Cominciò a farsi un nome con il pamphlet La nostra macchina penale e le sue vittime (1884), in cui mostrava come la prigione non solo non redimeva i criminali,maliincalliva:“La maggior parte degli arrestati [...] sono i poveri, gli sfortunati, i giovani, i trascurati” e le vittime dei rigori della legge sono reclutate “tra coloro che stanno combattendo una battaglia ineguale nella lotta perl’esistenza".24Nel1892si candidò a governatore dell’Illinois. Vinse e divenne (primo nato all’estero a ottenere questa carica) governatore dello stato in annicrucialiperChicago:nel 1893 vi fu l’Esposizione universale e nel 1894 vi divampò uno dei più duri scontri sociali della storia degliStatiUniti. Il 26 giugno 1893 il governatore Altgeld firmò l’attodelperdonoperSamuel Fielden, Michael Schwab e Oscar Neebe e gli impiccati. Affermò che il processo era stato ingiusto, che i giurati eranoprevenutiesceltitrachi era già convinto della colpevolezza. Nel suo testo Altgeld scrisse che il giudice Joseph Gary aveva condotto il processo con “maliziosa ferocia”. Non fu tanto il perdono, quanto la motivazione(cheriabilitavail ricordo dei “martiri”) a imbestialire l’opinione pubblica di allora. Sobriamente, il “New York Times" lo definì “demente”; altrilochiamarono“ilNerone dell’ultimo decennio del secolo”.25 Il “Toledo Biade” disse che il governatore Altgeld “aveva incoraggiato l’anarchia, la rapina e la distruzione della civiltà”. Il “Chicago Tribune” rincarò: “Il governatore Altgeld apparentemente non ha nemmeno una goccia di puro sangue americano nelle sue vene”; gli abitanti della cittadina di Naperville sfilarono in corteo bruciando ilsuoritratto.Siparlòperfino diempeachement.26 Se anche Altgeld non avesse di nuovo preso una posizione scomoda nel 1894 durante lo sciopero Pullman, si capisce perché l’establishmentdiChicagoce l’avesse con lui e facesse di tutto per impedirne la rielezione. Altgeld morì a 55 anni di apoplessia cerebrale nel 1902. Una folla di 150.000 persone partecipò al suo funerale. La stessa stampa che lo aveva linciato rimpianse la grande perdita dellungimirantestatista. 1 Bruce C. Nelson, BeyondtheMartyrs.ASocial History of Chicago’s Anarchists 1870-1900, Rutgers University Press, NewBrunswick1988,pp.1113. 2 Lettera di William Thorne ed Eleanor MarxAveling a Samuel Gompers del 25 gennaio 1891, in Karl Marx-Friedrich Engels, Opere complete, Editori Riuniti,Roma1972,vol.il,p. 587. 3TheodoreDraper,The Roots of American Communism, Viking Press, NewYork1956,p.31. 4Ivi,p.32. 5 Albert Fried (a cura di), Socialism in America, fromtheShakerstotheThird International.ADocumentary History,ColumbiaUniversity Press, New York 1970, p. 181. Sul ruolo dei tedeschi nel socialismo americano vedi tutto il capitolo The Germans,pp.181-255. 6Ivi,pp.180-181. 7 Testimonianza citata da B.C. Nelson, op. cit., p. 135. Sulla vita sociale degli anarchici di Chicago vedi tutto il capitolo 6, Dancing and Picknicking Anarchists, pp.127-152. 8Ivi,p.129. 9 Riprodotto in A. Fried, op.cit.,pp.213-220. 10 Citato in Philip S. Foner, History of the Labor Movement in the United States, International Publishers, New York 1955, 9voll.,vol.II,p.97. 11 Citato da Bruno Cartosio,Da Chicago a tutto il mondo, in "il manifesto", 29aprile1994. 12 P.S. Foner, op. cit., vol.II,p.98. 13Ivi,p.103. 14 William J. Adelman, Haymarket Revisited, Illinois Labour History Society, Chicago1976,p.11. 15 J. Skinner Sawyers, Chicago Portraits, cit., pp. 208-210. 16 P.S. Foner, op. cit., vol.II,p.101. 17Ivi,vol.II,p.104. 18 Jeremy Brecher, Strike!, Straight Arrow Books,TheBookDivisionof Rolling Stone, San Francisco 1972, trad. it. Sciopero! Storia dell’insorgenza operaia di massa negli Usa dal 1877 ai giorni nostri, la Salamandra, Milano 1976, 2 voll.,vol.I,p.73. 19 Citato da Bruno Cartosio in Lavoratori negli Stati Uniti. Storie e culture politiche dalla schiavitù all’Iww, Arcipelago ed., Milano1989,p.86. 20 Manifesto of the InternationalWorkingPeople Association (1883) in A. Fried,op.cit.,pp.208-212. 21 Citato da WJ. Adelman,op.cit.,p.18. 22 P.S. Foner, op. cit., vol.II,p.107. 23 “Chicago History”, estate1986,pp.44-45. 24 Russell Frazer, John Peter Altgeld: Govemorfor the People, in AA.VV., American Radicals, Monthly Review Press, New York 1965, pp. 127-144. Questo brano di Altgeld è citatoap.130. 25Ivi,p.134. 26 J. Skinner Sawyers, op.cit.,p.12. 3.Lottadiclassein vagoneletto Ruderi di un antico impero manifatturiero, le immani impalcature metalliche delle fabbriche in rovina si ergono arrugginite, spettrali, ai lati dell’autostrada sopraelevata, nel profondo South Side di Chicago. Qui capisci cosa vuol dire l’espressione rust belt. Eppure miasmi insopportabili continuano a emanare. In cielo nubi colorate si levano dalle acciaierie ancora in attività, dalle residue raffinerie e centrali termiche. Volute spesse, a volte viola, a volte arancioni, quasi troppo pesanti per essere sostenute. Qui capisci perché, tuttora, Chicago è la più grande città industrialedegliStatiUniti,la piùgrandepotenzaindustriale del mondo. I profili dei grandi serbatoi cilindrici, degli immensi capannoni di metallo, dei giganteschi silos scandiscono, tra una ciminierael’altra,l’orizzonte visibile da terra. In alto, la ruggineelespiredifumoche sorgono dai geyser di un paesaggio lunare. In basso, nello specchio d’acqua, sul piccolo Wolf Lake, qualche barca a vela evolve bianca, fingendo di navigare nell’Arcadia. Qui, poco distante dal Wolf Lake, e accanto alle darsene deserte del Calumet Lake, tra la 111a e la 113a sud, all'incrocio con Champlain,instradealberate, sorgonocaseinmattoniadue e tre piani, alcune spartane, altrepiùagiate:dal1975sono monumento nazionale. C'è una chiesetta in pietra e un palazzo circolare di fine Ottocento in rovina. È la Pullman Town, da quel Pullman che in Europa è diventato sinonimo di corriera: "prendere il pullman”. Figlio di famiglia povera, nato a New York nel 1831, George Mor-timer Pullman è uno dei rari capitalisti ad aver fatto fortuna con un prodotto più costoso: di solito i patrimoni si accumulano con prodotti più a buon mercato, come fece Henry Ford. I primi vagoni con cuccette cortissime, strette, sovrapposte su tre file, senza materasso e senza lenzuola, apparveronegliUsanel1836 ma erano scomodissimi: riscaldati da stufe a legna e illuminatidacandele,l’ariavi erairrespirabile;maadaprire lafinestracisiricoprivainun battibaleno della fuliggine della vaporiera. Nel 1859 Pullman costruì il suo prototipo di vagone letto, il Pioneer, con scompartimenti copiati dalle cabine dei battelli, con in basso la poltrona e in alto il comodo, lungo letto, di giorno ripiegabile contro la parete, conlesuelenzuola,copertee cuscino. Questo vagone letto costava 18.000 dollari, mentre un vagone cuccette precedente costava meno di 4000 dollari. Inoltre era più altodi75cmepiùlargodi30 cm di quelli in uso allora, esigeva cioè di modificare pontiegallerie. IlPioneersarebberimasto quindi una curiosità, se nel 1865 la Chicago and Alton Railroad non avesse realizzato le modifiche necessarie per far sì che questo vagone potesse trasportare la salma del presidente Abraham Lincoln da Chicago a Springfield. Pochi mesi dopo, anche la Michigan Central Railroad adattò ponti e gallerie per consentirealgeneraleUlysses Grant il piacere di viaggiare sul Pioneer da Detroit a Galena.1 Allora la Chicago and Alton mise in servizio il vagone Pullman a titolo sperimentale: tutti pensavano che sarebbe stato un fiasco visto il prezzo dei biglietti (mezzodollaroinpiùperuna poltrona Pullman). Fu invece un successo: i passeggeri eranoprontiapagarecaropur di poter davvero dormire in treno. Così, due anni dopo, nel 1867 viaggiavano già 48 vagoni letto quando fu fondataaChicagolaPullman Company con un capitale sociale di un milione di dollari. Fu introdotto prima un"vagone-albergo”,conletti e ristorante, poi il vagone ristorante, infine nel 1875 il vagone-salotto (parlor car). Nel1894laPullmanoperava (in regime di monopolio) su 200.000 km di ferrovie (i tre quarti del totale Usa), su cui la Pullman gestiva i propri vagoniconpropriopersonale, ne assicurava riparazioni e manutenzione (grazie a un pedaggio di 2 centesimi a miglioperognibiglietto). Nel 1894 la Pullman operava con 2573 vagoni, di cui 1900 vagoni letto, 650 vagoni buffet, 58 vagoni ristorante.2 Nel 1893 lavoravano negli stabilimenti Pullman 14.000operaiarticolatiindue reparti: uno per assicurare la manutenzione della flotta Pullman, l’altro per costruire vagoni. Nel 1893 furono fabbricati 12.500 vagoni merci,650vagonipasseggeri, 939 vagoni di tram, 313 vagoniletto. Di fronte al boom degli affari,fuallametàdeglianni settanta che George Pullman decise di accorpare la produzione a Chicago e di edificareuna“cittàPullman”, imitata dalle città padronali costruite dall’industriale laniero Sir Titus Salt a Saltaire in Inghilterra e dai padroni siderurgici per eccellenza, i Krupp, a Essen in Germania. Pullman comprò1600ettariditerreno vicinoalLagoCalumet,a20 km a sud del Loop, e nel 1880 iniziò i lavori. Per la prima volta a costruire una cittàcontribuìunpaesaggista. Tutto,daimattoniagliinfissi, fu costruito da operai Pullman. Le 1750 abitazioni erano tutte in mattoni grazie all’argilla estratta dal terreno circostante.Ilprimoresidente vi si trasferì nel 1881. Nel 1885 c’erano già 8500 abitanti e 2700 operai negli stabilimenti. Al suo apogeo, nel 1893, i residenti erano 12.600 e gli operai 5500 (sui 14.000 dipendenti complessivi). Le case, dotate di acqua e di gas, erano spartaneperglioperai,medie pergliimpiegati,lussuoseper i dirigenti. Le strade erano asfaltate. Le fogne erano canalizzate in una fattoria il cui terreno così concimato produceva ortaggi per gli abitanti e mangime per un allevamento di vacche il cui latteandavaallacittà.Lacittà avevaunascuola,unachiesa, unalbergo,ilFlorenceHotel, un supermercato, negozi, una biblioteca con 8000 volumi scelti per la loro “elevatezza morale”,3luoghidiriunionee un teatro, l’Arcade Theater inaugurato nel 1883 alla presenza di Marshall Field e del generale P.H. Sheridan. Parchi,giardini,laghetti,viali alberati e prati: nel 1896 la Pullman Town fu premiata dalla giuria della seconda Esposizione internazionale di igiene e farmacia a Praga: a Pullman Town non si ebbero casi di colera, febbre gialla e difterite,4quandoChicagoera bersagliata dalle epidemie. Nonerasoloilcomunismo a volercreare“l’uomonuovo”: nel 1893, nell’opuscolo distribuito all’Esposizione universale, la Pullman annunciava che un nuovo, superioretipodilavoratoresi eraevolutonellacittà: Negli undici anni di esistenza della città, il lavoratore Pullman si è sviluppato in un tipo distinto - distinto nell’aspetto, nel lindore dell’abbigliamento, in tutte le indicazioni esternedelrispettodisé. [...]Nonèeccessivodire che un campione rappresentativo dei lavoratori Pullman sarebbe quaranta per cento migliore, nel dimostrare parsimonia e finezza e tutte le indicazioniesternediun salutaremododivita,di quanto sarebbe un campione rappresentativo di ogni gruppo equivalente di lavoratori selezionato ovunquealtrove.5 E Pullman era fiero di mostrarelasuacittà.Durante l’Esposizione colombiana del 1893 almeno 10.000 stranieri andarono a sincerarsi sull'uomo nuovo” in visite guidate. Nella città non cerano ospedali: i malati gravi venivano spediti a Chicago. Non c’era neanche una prigione (si ricorreva a quelladiHydePark,pocopiù a nord). Non c’erano bar, tranne all’Hotel Florence destinatoaivisitatori,aprezzi pazzeschi, per garantire la temperanza degli abitanti. I contratti di affitto erano minuziosi, somigliavano a quelli delle odierne città private,conclausolepignole: entrare e uscire dagli edifici in silenzio; non entrare con i piedi bagnati; non martellare o segare il legno nei piani o negli scantinati; non fumare incantina;riempireepulirele lampade al mattino; lasciare un po’ di cenere nel fondo della stufa... La clausola chiave era quella dei “dieci giorni”, valida anche per negozi e locali pubblici. Il contratto poteva essere rescisso con un preavviso di soli dieci giorni anche se l’affitto era stato pagato per un anno. Questa clausola permetteva alla Pullman di sbarazzarsi di ogni “ospite” indesiderato, di ogni sindacalista,diogniagitatore. È curioso come tutte le utopie realizzate abbiano questa ossessione di controllare i più minuti gesti dei propri sudditi, fin dalle famose, egualitarie comunità dei gesuiti in Paraguay, dove il livello di strada era sopraelevato perché i benevoli padri potessero, passeggiando, controllare la moralità degli indios attraverso le finestre. Come scrisseunresidenteaWilliam T.Stead,gliabitanti“pagano l’affitto alla Pullman Company, comprano gas della Pullman Co., camminano su strade possedute dalla Pullman Co., pagano tasse d’acqua alla Pullman Co. Perfino quando comprano l’ombrellino per le loro mogli o lo zucchero per le loro tavole al mercato, trattano con la Pullman Co. Mandano i loro figli alla Pullman School, vanno a messa nella chiesa di Pullman; guardano, ma non possono entrare nell’hotel di Pullman col suo bar privato, perché questo è il limite. Pullmannonglivendeilloro grog. Per questo devono andare oltre la ferrovia”.6(In realtà gli abitanti si facevano consegnare di nascosto vagonidibirra.) Gli abitanti si sentivano controllati e spiati, non parlavanocongliestraneiper paurachefosseroinformatori della Compagnia, e tutta la perfezione delle linde casette e dei viali alberati non compensava l’oppressione. “Si ribellano segretamente perché la Pullman Company continua a sorvegliarli oltre l’orariodilavoro.Dichiarano che sono legali mani e piedi da un monopolio filantropico,” scriveva nel 1885 il “New York Sun”.7 Non c’era un minimo di democrazia; di elezioni neanche a parlarne; tutto venivadecisoeimpostodalla Compagnia,cioèdaPullman, inuncapitalismofeudale. Ma quest’utopia padronale aveva due contraddizioni. Per poter mantenere il controllo assoluto sulla “sua” città, ignaro del valore terapeutico che proprio allora l’America scopriva nel possedere la propriacasa,GeorgePullman si rifiutava di far accedere alla proprietà i residenti: li preferiva affittuari, così potevano essere scacciati dalla città sui due piedi. Non potevano quindi sviluppare quel sentimento proprietario, capitalistico, che avrebbe dovuto caratterizzare l’homo novus pullmanianus. Né potevano sentirsi parte della città. La chiesa costruita da Pullman, e affittata dai presbiteriani, la Green Stone Church, poteva contenere solo 650 fedeli, su una popolazione tra gli 8000 e i 12.000 abitanti. E gli operai erano delle più svariate nazionalità e religioni: nel 1892 quasi i due terzi (il 72%) erano stranieri. Professavano ben quindici fedi diverse. I più numerosi erano cattolici, luterani, episcopali, metodisti e presbiteriani.Solocongrandi difficoltà cattolici e luterani poterono costruirsi una chiesa. A denunciare con ardore la “tirannia Pullman” furono un pastore luterano svedeseeunpretecattolico. La seconda contraddizione era che per Pullman la sua città doveva essere sì un’utopia, ma un’utopia redditizia: era un investimento,einquantotale dovevagenerareprofitti. Anzi, la soglia dei dividendi era fissata al 6% annuo (la soglia minima dei dividendi della compagnia Pullman era fissata all’8% annuo). Quindi se le strade eranopulite,lapuliziaveniva caricata subaffitto, così come la tonsura dei prati, la cura degli alberi e tutte le altre amenitàfuoridellaportatadei salari operai che Pullman pagava. Gli affitti a Pullman Town erano quindi esosi, tra il 30 e il 50% superiori a quelli vigenti nei dintorni. Il gas che Pullman comprava a 33 cent lo distribuiva beneficoa2,25dollari.Mille galloni d’acqua ricevuti dal comune a 4 cent venivano distribuiti a 10. L’affitto era decurtato direttamente dalla busta paga. Quando questa pratica fu dichiarata illegale, ilsalariovennepagatoindue assegni, uno pari all’affitto, che andava subito girato alla Pullman al momento dell’incasso, e l’altro per vivere. Né gli operai potevano andare ad abitare altrove,penaillicenziamento e il blacklisting (la "lista nera” di chi non andava più assunto). *** Nel 1893 la recessione si abbatté violenta sugli Stati Uniti. Tre milioni di persone rimaserosenzalavoro:allora, esseredisoccupativolevadire restare nudi di fronte alla miseria, non avere da mangiare, perdere la casa, ricorrere all’elemosina e alle opere di carità. Solo a Chicago i disoccupati erano 200.000. Alla Pullman le ordinazioni per nuovi vagoni crollarono (mentre il reparto manutenzione e riparazione manteneva il suo ritmo abituale). Fioccarono i licenziamenti. Da 5500 che eranostatiall’iniziodel1893, a novembre gli operai erano rimasti solo 1100. Per abbassare i costi, Pullman tagliòlepagheorarietrail25 e il 40%. Ma poiché anche l’orarioeraridotto,iltaglioai salari fu ancora più duro, tra il 30 e il 70%. In questo modo anche l’anno successivolaPullmanriuscìa pagare ai suoi azionisti un dividendo dell’8% e ad accantonare profitti non distribuiti per 2,3 milioni di dollari. Così Pullman riassunse e nell’aprile 1894 entravano ai cancelli 4000 operai. Intanto però la Pullman rifiutò di diminuire gli affitti: la città doveva continuare a erogare dividendi. Con salari così bassi e affitti così alti, la sopravvivenza divenne problematica nella città utopica. Poiché lavoravano poche ore a salario ridotto, alcuni operai trovavano in busta paga 1,8 dollari la settimanaintuttoepertut-to (quanto un anno prima avevanoguadagnatoinunsol giorno).8 Quandoil7maggio1894 un comitato di fabbrica andò a chiedere la riduzione degli affittieunaumentodeisalari, elaPullmanrisposepicchee poi il 10 maggio licenziò tre delegati, lo sciopero divenne inevitabile. Come gli operai scrissero in un appello ai Chicagoans, “la gente di Pullman ha scioperato contro una schiavitù peggiore di quelladeinegrinelSud.Loro almeno erano ben nutriti e ben curati, mentre gli schiavi bianchi di Pullman, per quanto lavorassero sempre consolerzia,nonriuscivanoa guadagnaretantodavestirsie nutrirsi decentemente - e appenadatenereuniticorpoe anima”.9 Mapercapirel’atmosfera in cui iniziò lo sciopero Pullman, va rivissuta la violenza con cui si combatteva quella che i giornali chiamavano la "guerratracapitaleelavoro”. Meno di due anni prima una battaglia si era svolta a Homestead,sulfiumeOhioin Pennsylvania, davanti alle acciaierie della Carnegie Steel Company. Dopo aver ordinato il licenziamento di tutti gli operai iscritti al sindacato, nel 1892 la Carnegie ordinò la serrata e mandò a chiamare 300 Pinkerton per sorvegliare gli impianti e proteggere i crumiri. I Pinkerton arrivarono su due chiatte armati di Winchester, ma furonoaccoltidaunafolladi 10.000 persone con fucili, pistole,bastoni,pale.Quando cercarono di sbarcare, scoppiòunasparatoria.Morti e feriti da ambo le parti. I Pinkertonsiritirarono.Magli operai attaccarono le chiatte concandelottididinamite.Al tramontogliagentisiarresero e furono fatti passare tra due ali di folla inferocita che li picchiò. Il bilancio fu tra gli scioperanti di 9 morti e 40 feriti e, tra i Pinkerton, di 7 morti,20feritidallepallottole e quasi 300 dalle percosse. Ma la vittoria degli operai fu effimera. Contro di loro fu schieratalaguardianazionale della Pennsylvania per proteggere i crumiri. La Carnegie denunciò i dirigenti sindacali per omicidio. Altri 150 militanti furono accusati di reati minori. Dopo quattro mesi di crumiraggio e angherie giudiziarie, lo scioperofusconfitto. All’iniziodel1894,perla crisi economica, il lavoro nelleminiereeracosìscarsoe mal pagato che uno sciopero dilago dall’Atlantico al Pacifico.Dapartedeipadroni l’impiego dei crumiri fu così massicciocheintuttoilpaese scoppiarono furibonde battaglie tra scioperanti e crumiri. Capitava, come avvenne a Duquoin, Illinois, che gli scioperanti dirottassero dei treni merci perandareasabotareminiere che avevano ripreso a lavorare con i crumiri. Per impedirel’afflussodicarbone i minatori ammucchiavano tronchi sui binari o inchiodavano traversine o fissavano bulloni per far deragliare i treni. Spesso i governatori degli stati inviavanoleguardienazionali (anche Altgeld mandò le truppe contro gli scioperanti in sommossa). Ma, dopo più di due mesi di lotta, gli scioperantieranoallostremo. Il 30 maggio il “New York Times” scriveva: "I minatori dicono che le loro donne e i bambini sono alla fame. Ormai si nutrono soprattutto di erbe, non hanno farina, carne o altri generi alimentari”.10 A quella data lo sciopero Pullman era già cominciato da 19 giorni. “Abbiamo scioperato perché eravamo senza speranza...”11 L’unica speranza per i lavoratori Pullman veniva dall’Aru, l'American Railway Union. Eugene Debs, forse il leader piùamatointuttalastoriadel movimento operaio americano, aveva fondato l’Arusolounannoprima,nel 1893, per superare le divisioni e l’ostilità reciproca delle varie Fratellanze ferroviarie, causa principale delle tante vittorie delle grandi compagnie. Grazie a un contratto favorevole strappatoallaGreatNorthern, gli iscritti all’Aru crebbero, finché nel 1894 furono 150.000. Per superare la frammentazione, l’Aru accettava tutti, macchinisti, personaledeitreni,facchini,e potevano aderirvi i lavoratori di ogni impresa che avesse qualcosa a che fare con le ferrovie. Ecco perché l’Aru accolse gli operai Pullman che nella primavera del 1894 s’iscrissero in massa (e di nascosto: il sindacalismo era bandito da Pullman Town): all’inizio di maggio alla Pullman c’erano 4000 iscritti suddivisiin19sezioni. Debs e i leader dell’Aru erano contrari allo scontro diretto: l'11 maggio avevano sconsigliato lo sciopero dichiarato dalle sezioni Pullman.Unmesedopo,il12 giugno, mentre lo sciopero dei minatori era ancora in atto, in pieno conflitto Pullman, 400 delegati si riunirono a Chicago per il primo congressonazionaledell’Aru. Ogni giorno i delegati andavano davanti ai cancelli Pullman, parlavano con gli scioperanti, vedevano la povertàoperaia,constatavano lo strapotere della Compagnia. Debs chiese ancoraditrattare,maPullman rimase inflessibile. A quel punto, i 400 delegati all’unanimità votarono il boicottaggio: i ferrovieri del paese non avrebbero lavorato su nessun treno che trainava vagoniPullman. Il 26 giugno il boicottaggio divenne operativo. La partecipazione andò al di là di ogni aspettativa e nel giro di due giorni undici ferrovie di Chicagofuronoparalizzate.Il boicottaggio si estese a tutto il paese, dall’Atlantico al Pacifico.Fuquestalaprotesta operaia che, in tutta la storia degli Stati Uniti, più si avvicinò a uno sciopero generale nazionale. Il “New York Times” del 29 giugno avvertiva: lo sciopero “aveva assunto le proporzioni della più grande battaglia tra capitale e lavoro che fosse mai avvenuta negli Stati Uniti”,12 Ormai l'avversario dell'Aru non era più la Pullman, era il cartello delle grandi compagnie ferroviarie riunito nella General Managers’ Association (Gma). Fondata nel 1886 (dopo Haymarket), nel 1894 la Gma riuniva 24 linee ferroviarie che rappresentavano 65.000 km di rotaie, 221.000 dipendenti e un capitale globale di 810 milioni di dollari. La Gma si dotòditrecomitati:incasodi sciopero e di conflitto sindacale, il comitato 1 doveva assicurare l’afflusso di crumiri; il comitato 2 doveva rispondere alle rivendicazioni,uniformandoi salari (anche se voleva, una ferrovia non poteva concedere aumenti contro il parere della Gma); il 3 era il comitato di crisi che sedeva in permanenza durante i conflittidilavoro. Il25giugnoilcomitatodi crisidichiaròilsuoappoggio a George Pullman: nessuna compagnia avrebbe tollerato di viaggiare senza i vagoni Pullman. Il 26, il comitato decise che sarebbe stato licenziato ogni ferroviere che avesse rifiutato di agganciare i vagoni Pullman. Il suo coordinatore John M. Egan assoldò trenta investigatori perchétrovasseropuntideboli nel sindacato. Non era solo solidarietà con Pullman: “Sarà uno scontro fra la più grande e più potente organizzazione dei lavoratori ferroviari e tutto il capitale ferroviario. Un successo nel boicottaggio Pullman significheràilsuccessodiuna sola organizzazione che perciò potrà unire tutti i lavoratori delle ferrovie” (“The New York Times” del 27 giugno). Perciò, scrive Lindsey: “Tutti gli sforzi dellaGmafuronodirettiaun solo scopo - il completo annientamentodell’Aru".13 Lo sciopero era talmente forte e organizzato che le linee ferroviarie erano paralizzatenellacalma,senza che scoppiassero disordini, senza dare appigli di interventi alle varie guardie nazionali; il 2 luglio John Egan ammise: “La situazione è arrivata a un punto morto”. Ma gli avvocati della Gma stavano studiando il modo di far intervenire Washington: “Una parte vitale della strategia dell’Associazione era di trascinare il governo degliStatiUnitinelloscontro e quindi far apparire che la battaglia non era più tra i lavoratorieleferrovie,matra ilavoratorieilgoverno”.14E le compagnie erano sicure di trovareunacaldaaccoglienza nel presidente Grover Cleveland e soprattutto nel suo ministro della Giustizia, Richard Olney, che gestì il conflitto Pullman: Richard Olney era stato per anni avvocato delle compagnie ferroviarie, era stato membro di vari consigli di amministrazione (tra cui quello della New York Central), aveva fatto parte egli stesso della Gma; era azionista e consigliere d'amministrazione della ferrovia Chicago Burlington & Quincy, ed era cointeressato, insieme a GeorgePullman,nellaBoston & Maine. Costui era l’uomo che avrebbe dovuto, imparziale,decideretraArue Gma. Tanto che nominò, a rappresentarlo a Chicago in questo conflitto, Edwin Walker, altro avvocato delle compagnie ferroviarie, allora legale della Chicago Milwaukee&St.Pauledella stessaGma. Lospuntolegalecheoffrì alla Casa Bianca l’occasione d’intervenireful’interruzione di servizio pubblico: il governo avrebbe potuto inoltrare la posta sui treni senza vagoni Pullman, ma non lo fece e quindi il servizio postale risultava interrotto. Mesi prima un giudice aveva invocato la leggeantitrust(ShermanAct, 1890) per proteggere una compagnia contro il “monopolio" degli scioperanti: “Uno sciopero è essenzialmente una cospirazione per estorcere con la violenza. [...] Non conosco scioperi pacifici,” recitava la sentenza.15 Quindi, dietro richiesta di Walker,il2luglioigiudicidi Chicago emisero un’ingiunzione che “proteggeva” 22 compagnie dalla “cospirazione criminale”messainattodagli scioperanti per bloccare il servizio postale, e vietava a Debs e “a qualunque altra persona [...] d’interferire, ostacolare, impedire in ogni modo”l’attivitàdelleferrovie cheentravanoaChicago,edi “costringere o indurre, o cercare di spingere con minacce, intimidazioni, persuasione, forza o violenza qualunque dipendente” delle ferrovie a rifiutare di compiere il proprio dovere.16 Non solo era passibile di prigione chi scioperava, ma andava incarcerato anche chi cercavadiconvincereglialtri ferrovierianonfareicrumiri: l’ordinanza ingiungeva agli “implicatinellacospirazione” d’astenersi dal “dirigere, ordinare, aiutare, assistere o favoreggiare in qualunque modo” chiunque a commettereogniattoproibito dall’ingiunzione. L’American Railroad Union si rifiutò di ottemperare all’ingiunzione. Il 3 agosto il presidente Cleveland ordinò al comandante di Fort Sheridan di dirigere le truppe su Chicago per far rispettare l’ordinanza federale. Il presidente degli Stati Uniti aveva sì il potere di mandare truppe in uno stato per proteggerlo dalla violenza, ma solo su richiesta del parlamentodellostatoo,seil parlamentononerainseduta, su richiesta del governatore. E il governatore Altgeld non chiese mai l’intervento federale, anzi vi si oppose e mandò un telegramma di protesta,senzaesito. Il 4 luglio, il giorno dell’indipendenza, le truppe federali entravano a Chicago a presidiare la città e le ferrovie. Si videro le tende deisoldatipiantateneiparchi e sui marciapiedi in pieno centro. E solo allora scoppiarono quei disordini che i soldati avrebbero dovuto sedare ma che in realtà avevano innescato. Furono dati alle fiamme edifici dell’Esposizione universale. La stazione dell’Illinois Central fu incendiata,700vagonifurono distrutti. I soldati usarono le armi; 25 lavoratori rimasero uccisi e almeno 60 feriti gravemente. Truppe furono mandateaiquattroangolidel paese. In California ogni treno era scortato da un reparto: negli Stati Uniti non sieranomaivistitantisoldati per le strade dall’epoca della guerracivile.17Lastampaera scatenata contro gli scioperanti.“Daunosciopero a una rivoluzione.” Lo spauracchio dell’anarchia veniva sbandierato di nuovo: “Anarchici e socialisti pianificavanoladistruzionee il saccheggio del tesoro”; “Anarchici in rotta per l'America dall’Europa”.18 Una copertina di “Harper’s Weekly” titolava “L’Avanguardia dell’anarchia”. Il "Chicago Herald” del 3 luglio metteva in guardia dal "tollerare anarchici come Debs e lasciargli disintegrare le istituzionidelpaese”. Debs era il più bersagliato. Come già prima per Altgeld, il “New York Times” sostenne, citando luminari medici all’uopo reclutati,cheDebseraafflitto dainsanitàmentale.Ementre ilgovernofederaleabolivala libertà di scioperare e la libertà di parola (a favore dello sciopero), la grande stampa brandiva lo spauracchio della dittatura operaia: “Il sogno di un dittatore”, titolava il 2 luglio il "Chicago Herald”, mentre l’indomani il “Chicago Tribune” riprendeva il tema, precisandolo: “Il dittatore Debs contro il governo federale”.19 Dai loro pulpiti i pastori tuonavano contro questi miscredenti. L’opinione pubblica riceveva l’immagine di una Chicago completamente in fiamme e distrutta, tanto che i reporter appena arrivati si stupivano della calma in città. A quel punto la Gma era decisa a rifiutare ogni offerta di Debs direvocarelosciopero(Debs chiedeva solo che gli scioperantifosseroriassunti). Il 10 luglio Debs e gli altri leader dell’Aru furono arrestati e rilasciati su cauzione. Per quanto lo scioperofosseforteintuttoil paese, esso era ormai senza direzione. L’ultima speranza fu abbattuta il 12 luglio dal sindacato Afl. All’Afl e a Samuel Gompers non spiacevachefossesconfittala “concorrenza” di Eugene Debs e dell’Aru. Così la Afl decise di non aderire allo scioperogeneraleinappoggio all’Aru, sostenne un’ultima offerta di trattativa proposta da Debs (e rifiutata dalla Gma) e, quasi uno sfregio, stanziò 1000 dollari per la difesa legale di Debs, per solidarietà.Idirigentidell’Afl gioirono perché, come i Knights of Labor erano stati annientati dalla bomba di Haymarket, così l’American Railway Union fu spazzata viadallasconfittaPullman.Il 17 luglio Debs e altri tre leader furono riarrestati (furono condannati solo a metàdicembreapenefraitre e i sei mesi di reclusione: Debsebbeseimesi).Ilgiorno dopo l’arresto, il 18 luglio, suicancellidellaPullmanera affissoilcomunicato:“Questi cancelli saranno aperti appena il numero degli operatori sarà sufficiente per costituire squadre in tutti i reparti”. Due giorni dopo l’esercito lasciava Chicago e tornavaaFortSheridan. Il sindacato di Debs fu spazzato via. Debs fondò il Partito socialista americano (Sp) e per decenni fu il suo candidatostoricoalleelezioni presidenziali. Sempre nel 1897 morì George Pullman, vittorioso ma inacidito e isolato. Nel 1907 Pullman Town fu messa in vendita. Nel 1981 l’ultimo vagone è uscito dalle catene Pullman. Certo, il movimento operaio americano non finì con lo sciopero Pullman, come avrebbero dimostrato l'Industrial Workers of the World (Iww), la centrale del sindacalismo rivoluzionario fondataproprioaChicagonel 1905, e poi le sollevazioni operaie del 1919 (l'estate rossa”) e del 1936-1937. Ma allora svanì l’idea di uno sciopero generale. Soprattutto, lo sciopero Pullman mostrò con brutalità da che parte stava il governo federale, quanto era pronto a torcereeancheainfrangerela leggepurdievitarechenegli Usa si costituisse un movimentooperaiocompatto. Sedovessimopensarealle peripezie di Haymarket e dello sciopero Pullman come riflettiamo su vicende dell’impero romano o di quello cinese, concluderemmo che la classe dominante dell’impero americano ha impiegato la forza solo in alcuni momenti decisivi, ma allora l’ha esercitata senza scrupoli, con tutta la sua potenza, contro bersagli mirati, contro chi riteneva i suoi nemici principali(iKnightsofLabor prima, l’American Railway Union e Debs poi). Contro questi nemici ha dispiegato tutte le armi, la stampa, l’opinione pubblica, la magistratura, l’esercito, il denaro per batterli e isolarli persino dagli altri operai e sindacati. Da qui il tacito appoggio a tutti i sindacati moderati. Già nel 1906 WernerSombartscriveva: [Ai dirigenti operai] tocca un premio più ricco se giurano fedeltà al partito dominante: da unacaricabenpagatadi ispettoredifabbricasino a segretario di stato, a seconda dell’importanza chesiattribuisceachiè da sistemare. È una procedura assolutamente collaudata che i partiti dominanti impiegano da anni con il successo migliore: rendere “innocui” i dirigenti operai influenti con l’attribuzione di una carica governativa. [...] Almomentosembrache il presidente dell’American Federation of Labor sia destinato a essere [...] direttore dell’ufficio statistiche del lavoro, mentre John Mitchell, il vittorioso dirigente dei minatori, [...] riceverebbe un posto da sottosegretario di stato a Washington. Si è constatato che, con questa prassi, nel corso di pochi anni, 13 dirigenti operai nel Massachusetts e 30 a Chicago hanno conseguito posizioni di funzionario[statale].20 L’osservazione di Sombart avrebbe trovato innumerevoli conferme. Terence Powderly, abbiamo giàvisto,divennefunzionario nella Commissione sull’immigrazione.Durantela Primaguerramondiale,Hugh Frayne della Afl fu membro del War Industries Board, mentre lo stesso Samuel Gompers fu nominato capo del Labor Committee del Consiglio della difesa nazionale.21 Sombart si stupiva, ma questa pratica, allora così americana, è dilagata in Europa. In Italia un leader sindacale è stato ministro del Lavoro per la Democrazia cristiana. Un ex sindacalista era ministro per la Famiglia nel primo gabinettoBerlusconi.Altriex sindacalistisonofunzionariin vari ministeri. Alcuni quadri del sindacato sono adesso manager dell'industria privata. Ora che il sindacato europeo sembra in agonia, vale forse la pena d’interrogare la debolezza storica del sindacalismo americano alla luce delle sue sconfitte in alcune tra "le più grandi battaglie tra capitale e lavoro”. 1 Almont Lindsey, The Pullman Strike. The Story of aUniqueExperimentandofa Great Labor Upheaval, Chicago University Press, Chicago1942,pp.21-22. 2 W.T. Stead,IfChrist cometoChicago!,cit.,p.86. 3 Dominic A. Pacyga, Ellen Skerret, Chicago, City of Neighborhoods, Loyola University Press, Chicago 1986,p.429. 4A.Lindsey,op.cit.,p. 49. 5Ivi,p.50. 6W.T.Stead,op.cit.,pp. 88-89. 7 A. Lindsey, op. cit., p. 65(ilcorsivoèmio). 8Ivi,p.99. 9Ivi,p.101. 10I particolari sullo sciopero dei minatori in J. Brecher, Strike!, cit., vol. I, pp.96-103. 11 A. Lindsey,op. cit., p. 128. 12Ivi,p.203. 13Ivi,p.139. 14Ivi,pp.144e142. 15Ivi,p.157. 16P.S.Foner,Historyof the Labor Movement in the United States, cit., vol. II, p. 267. 17 A. Lindsey, op. cit., p.16. 18 P.S. Foner, op. cit., vol.II,p.269. 19 A. Lindsey, op. cit., pp.313-315. 20 W. Sombart,Perché negli Stati Uniti non c'è il socialismo?,cit.,p.43. 21 James Weinstein, Ambiguous Legacy. The Left in American Politics, New Viewpoints, Franklin Watts Inc.,NewYork1975,trad.it. Storia della sinistra americana, il Mulino, Bologna1978,p.58. 4.Quandoi francofortesidivennero caniroventi Le statistiche te lo ripetono, ma l’incredulità resta. Per quanto giri e osservi, è impossibile convincerti che i tedeschi costituiscano il primo gruppo etnico degli Stati Uniti, più degli inglesi, più degli irlandesi. Vedi i segni dei neri, le tracce degli italiani, l’influenza dei messicani, l’impronta degli irlandesi, la matrice inglese, l’orma francese nei cajun della Louisiana, ma l’influsso tedesco sembra evaporato. Mentre nel crogiolo americano gli altri gruppi vanno fieri della propria differenza, dal black is beautiful (nero è bello) degli anni sessanta al fiorire dell’orgoglio white ethnic negli anni settanta, l’identità germanica sembra essere completamente digerita, assimilata. Una dissolvenza straordinaria se si pensa alla brutalità con cui in questo secolo lo stato tedesco ha posto al mondo intero il problemadella"germanicità”. Eppure le cifre sono lì: il censimento 2000 contava 43 milioni di americani di discendenza tedesca contro 30 milioni irlandese e 24 milioni inglese. Staccati italiani (15,7 milioni), polacchi (9 milioni), francesi (8,3), scozzesi (4,9), norvegesi (4,5) e svedesi (4,0).Itedeschisonoilprimo gruppo etnico di origine europea in tutte le cinque grandi regioni (Northeast, Midwest, South, West e Pacific), sono i primi in 28 dei 50 stati (persino in Alaska) e in ogni stato del Midwest.1 Quest 'assenza tedesca disturba in particolare a Chicago,lapiùgermanicatra le metropoli americane. Mentre trovi un museo polacco, lituano, ucraino, svedese, messicano, non ce n’èunotedesco.Mentrepuoi assistere al tet, il Capodanno vietnamita, o alla grande parata irlandese di San Patrizio, l’elemento tedesco riaffiora solo nella persistente origine germanica deicognomi,oinrareGoethe Street, Schiller Street. Chicago ha avuto sindaci irlandesi e persino cecoslovacchi, ma mai un sindacotedesco. Questa scomparsa è stupefacente se paragonata alla gelosa vitalità della cultura tedesca negli Stati Uniti dell’Ottocento. All’inizio, verso il 1830, i tedeschicercaronodifaredel Texas una comunità germanica. A metà secolo ripeterono il tentativo nel Wisconsin, tanto che questo stato fu poi definito una “provincia tedesca”.2 "Resistettero all’americanizzazione con l’orgogliodellaloroculturae dellalorolingua,eciòtesea lasciare le comunità tedesche come isole in un mare di americanismo.”3 In queste isole leggevano giornali tedeschi, si curavano in ospedali tedeschi, studiavano tedesco nelle scuole, ascoltavano prediche in tedesco nelle chiese luterane, cantavano canti tedeschi e suonavano musica tedesca. Era la German-America (comesidiceLatin-America), il Deutschtum fiero di sé ma irriso dagli anglofoni (Dachshund element lo definivano: Dachshund è la razza tedesca di cani bassotti). In queste isole vivevano socialisti e anarchici, ma per lo più i tedeschi erano impolitici. Anzi, alcuni divennero capitalisti spietati verso i lavoratori: John Jacob Astor, mercante di pellicce; Frederick Weyerhaeuser, disboscatore dell’America; George Westinghouse, industriale;KlausSperkles,re dellozuccherotrasferitosialle Hawaii; gli Anheuser-Busch, birraidiSt.Louis,proprietari tuttoradellaBudweiser. A Chicago, durante l’Ottocento,furonopubblicati più di trenta quotidiani in lingua tedesca. Uno dei migliori ospedali della città era il German Hospital costruito nel 1883. L’orchestra cittadina era la Theodor Thomas Orchestra, dal tedesco che l’aveva fondata nel 1890. Uno dei circoli più esclusivi era il Germania Club creato nel 1865,cometedescheeranole più importanti corali. Per capire la presa che la German-America aveva sui suoi membri, basti pensare cheilprimoservizioluterano ininglesesitenneaSt.Louis solo dopo il 1890 e che, per esempio, nella cittadina di Belleville(Illinois)ancoranel 1905 persino molti neri e nativi americani parlavano tedesco.4 *** Poiarrivòlaguerra.Giàil 5agostodel1914unafolladi 10.000tedeschimanifestavaa Chicago a favore della neutralitàdegliStatiUniti.La guerra si rifletteva sui rapporti tra i gruppi etnici: per irredentismo antinglese, gli irlandesi d’America avrebbero simpatizzato con i tedeschi,mentreipolacchi(la Polonia fu aggredita dagli imperi centrali) sarebbero stati ostili. Nel ceppo inglese cresceva la diffidenza per i tedeschi. L’“Abendpost" del 31 dicembre 1914 si lamentava: "Noi siamo di stirpe e cultura tedesca, ma siamo anche cittadini degli Stati Uniti. Ci definiamo german-americani e siamo ognigiornopiùfieridiquesto nome. A noi la designazione 'german-americano’ pare appropriata e calzante. Nessun’altra lo sarebbe. Ma altri dissentono. Ci negano questo diritto. Scherniscono l’implicazionedigermanismo contenuta in quest’impressione e ci chiamano hyphenated Americans, cioè americani con una riserva mentale, o americanidiserieB”.5 Il cuore wasp degli Stati Uniti batteva per l'Intesa: in queimesi,nellastampaerain corso una violentissima campagna contro le "atrocità tedesche in Belgio”, con notizie per cui i tedeschi tagliavano le mani ai bambini. (Queste “atrocità" sono scomparse dai libri di storia, non se ne trova più traccia.) Nella German-America invece molti tifavano per il Reiche,insecondabattuta,si schieravano per la più stretta neutralità Usa. Ma anche nella comunità tedesca di Chicago le posizioni si divisero, prendendo spunto dal centenario di Bismarck il primo aprile 1915. L’"Abendpost” del primo marzo si schierò contro la ricorrenza: "Il giuramento di cittadinanza americana dovrebbe precludere la celebrazione pubblica di nascite o anniversari di uomini politici stranieri, indipendentemente dalla loro grandezza”. Mentre l''Ίllinois Staats-Zeitung" era favorevoleallecelebrazionie pubblicava pagine di annunci di questo tenore: “Una Germaniaunita è invincibile. Possa la tua giusta causa guidarciallavittoria!”.Infine, al centenario di Bismarck parteciparono 4000 invitati che manifestarono per la neutralità americana. La sensibilitàetnicaerataleche, quando un candidato di origine tedesca, R. Sweitzer, si presentò alle elezioni comunali nel 1915, molti tedeschi non lo votarono perché aveva eliminato la “ch” dal suo cognome originale,Schweitzer. Man mano che i sottomarini tedeschi affondavano navi nell’Atlantico, l'opinione pubblica era sempre più antigermanica. Quando il 6 aprile 1917 gli Stati Uniti dichiararono guerra agli imperi centrali, i tedeschi d’America furono considerati disertori dalla Germania e traditori dagli Stati Uniti. Negli Usa si apriva la caccia al nemico interno. Già il 7 aprile furono arrestati per spionaggio a Chicago i dipendenti di varie industrie. Perpauradisabotaggi,furono recintati di filo spinato persino i mattatoi, in quanto “industriavitale”.Neglistessi giorni, sessanta tedeschi furono arrestati per il cosiddetto complotto hindi (per fomentare azioni antinglesiinIndia).6 Quanto pesassero i tedeschi a Chicago lo dimostrò, a guerra già dichiarata,ilsindacoWilliam Hale Thomson nell’aprile del 1917, quando rifiutò di ricevere il maresciallo Joffre, eroedellaMarna(generaledi una potenza alleata): “Qui ci sonosolo3681abitantinatiin Francia, mentre Chicago è la sesta città tedesca per abitanti, la seconda città boema, la seconda città svedese, la seconda città polacca, la seconda città norvegese, e quindi è presuntuosoinvitarequalcuno in nome di tutto il popolo di Chicago”.7 Ma ormai tutto ciò che ricordavalaGermaniaveniva cancellato. Fu allora che i würstel cambiarono nome, non più Frankfurter, ma hot dogs (“cani roventi”; gli ispanici li chiamano perros calientes). Altre rinominazioni ebbero meno successo: dopo un fugace Liberty Steak, l’hamburger è tornato a essere amburghese, e i Sauerkrauten non si chiamano più Liberty Cabbage(fasorridere“cavolo della libertà"). Era violenta soprattutto la campagna contro i giornali in lingua tedesca della German- America.Il20luglio1917,a commento conclusivo di un articolo su "La slealtà della stampa german-americana”, la direzione delI"‘Atlantic MonthlyReview”scriveva: Per temperamento noi statunitensi siamo tolleranti e aperti. Crediamo in questa temperanza e nella sua tradizione. Similmente crediamo nella e rispettiamo la grande maggioranza di cittadini americani di origine tedesca [...] ma ora questi giornali, dimentichi dei loro privilegi, stanno esaurendo la nostra pazienza [...] il nucleo della stampa germanamericana in questo paese consiste francamente di giornali nemici. Giornali nemici, stampati in lingua nemica, protetti dalle nostre leggi e ammessi alle tariffe preferenziali delle poste! [...] Il rimedio è una sana censura di guerra sulla propaganda nemica e una forte tassa di guerra sull'uso stampato di lingua nemica. [...] Perché qui come in Europa è il pensiero tedesco il principale aggressore[offender]. Inunaletteraal“Chicago Tribune” dell’8 agosto 1917, un lettore sbottava: “Speriamo che questo governo la smetta di cincischiare [dilly-dallying] conquesticosiddettigermanamericani e che li metta in campo di concentramento finoallafinedellaguerrache sarà accelerata da quest’azione, specie se accoppiata con la totale soppressione della stampa german-americana”.8 A giugno il presidente Wilson avevafattoapprovareunduro Espionage Act, ma non era riuscito a inserirvi la censura sulla stampa. Allora escluse dagli sconti postali la stampa sovversiva e autorizzò il sovrintendente alle Poste a stralciare a suo arbitrio dagli invii tutto ciò che incoraggiava "tradimento, insurrezione o resistenza violenta a ogni legge degli StatiUniti”.9 Chiunquefosse“straniero nemico" doveva presentarsi alleautorità(un’esenzioneera concessa a chi dimostrava di veniredall'AlsaziaeLorena). Nella primavera 1918, secondo il ministero di Giustizia, c’erano a Chicago 14.340 enemy aliens. Innumerevoli furono poi le retate.Moltitedeschifinirono in campo di concentramento. Il 12 marzo 1919 l’“Abendpost” avrebbe stimato a circa 5000 i tedeschi d'America, di cui molti Chicagoans, internati durantelaguerraneicampidi concentramento di Fort Oglethorpe (Tennessee), Fort Douglas(Utah)eHotSprings (North Carolina).10 Quest’internamento preannunciava la reclusione di massa che sarebbe stata riservata nel 1942 ai giapponesid’America,conla differenzachequieracolpito uno dei gruppi etnici più numerosi della nazione, con risvoltieconomiciepolitici. In campo di concentramento finirono musicisti, banchieri, le cui proprietàfuronosequestratee mai davvero restituite, e anche famiglie potenti come gli Anheuser-Busch. Ma ancora più pesanti furono le implicazioni politiche. Nell’apriledel1917,nellasua piattaforma di St. Louis, il Partito socialista (Sp) di Eugene Debs sancì la sua opposizione alla guerra: "La classe operaia americana non ha dispute con la classe operaia tedesca [...] denunciamo la dichiarazione di guerra del nostro governo come un crimine contro il popolo degli Stati Uniti e contro le nazioni del mondo [...] [perciò] raccomandiamo ai lavoratori [...] una continua, attiva, pubblica opposizione alla guerra con dimostrazioni, petizioni di massa e tutti gli altri strumentiinnostropotere”.11 L’Sp americano si schierava contro la guerra. Questa scomoda posizione scatenò una caccia alle streghe(cosìcomeneglianni cinquanta chiunque fosse di sinistra era considerato spia dell’Urss). Da sempre negli Stati Uniti l’idea di socialismo rinviava ai tedeschi. Ed erano tanti gli immigrati nel Partito socialista: nel 1915 si contavano 14 sezioni “straniere”. Dopo il Manifesto di St. Louis, molti intellettuali (tra cui Upton Sinclair) abbandonarono il partito e lo accusarono, di essere venduto al nemico (e quest’accusa fece sì che nell’Sp crescesse il peso dei tedeschi che vi trovavano un riparo). Il governo scatenò una repressione violenta. Nell’ultimo anno di guerra, sulle oltre 5000 sezioni dell’Sp, circa 1500 furono distrutte. A Chicago l’“Arbeiter Zeitung” e il “Sozial Demokraten” furono perquisiti e chiusi, come anche il Radical Book Store.12 Il sindacato Iww, Industriai Workers of the World, fu angariato persino per il suo neutralismo, i suoi membri furono chiamati Iww = Imperial Wilhelms Warriors(“guerrieriimperiali delKaiser”)13:aChicago166 leader furono arrestati per sabotaggio e tradimento; 99 di loro furono condannati. Altricentofuronocondannati altrove. Poi fioccarono le condanne basate sull’Espionage Act per cui finirono imprigionate circa 2000 persone. Nel marzo 1918 furono arrestati Adolph Gerner, segretario nazionale dell’Sp, J. Lewis Egdahl, direttore dell’"American Socialist”, Irwin St. John Tucker,delPeople'sParty.A dieci anni fu condannato il segretario di stato dello stato di Washington (sul Pacifico), Emil Herman.14 Persino EugeneDebsfucondannatoa dieciannidiprigioneperaver tenuto un “linguaggio profano, scandaloso e offensivo” in un comizio. Debs entrò in prigione pochi mesidopolafinedellaguerra ecirestòfinoal1921quando il presidente Warren Harding graziòluiealtri23prigionieri politici. Nelle presidenziali del 1920, il candidato detenutoDebsavevaottenuto 920.000 voti. Ancora una volta gli operai e il movimento socialista costituivano per gli Stati Uniti“ilnemicointerno”ela guerra contro la Germania giustificavaleazionicontroi leaderoperai. Scrive Hagwood: “Tra il 1855 e il 1915, i tedeschi in America non vivevano negli StatiUniti,manellaGermanAmerica, e parlavano e scrivevano per la GermanAmerica più che per gli Stati Uniti. La Prima guerra mondiale, con i suoi odi e le sue persecuzioni, la sua propaganda e la sua coercizione, sciolse gli hyphen dai loro ormeggi e concluse l'era germanamericana che tanto era durata. I tedeschi in America e gli americani di stirpe tedescafuronomessidifronte al dilemma che così spesso, in guerra, si pone a una minoranzadioriginestraniera che così a lungo ha resistito all’assimilazione. Dovevano dividersi in 'tedeschi' e ‘americani’ pur di origine tedesca. Il ‘germanamericano’ era un’anomalia che non poteva più esistere”.15 E la prima, immediata forma che assunse la cancellazione dell’identità tedescafuilcambiodeinomi, ilribattezzarsidituttociòche aveva un sapore teutonico. Così, dopo 53 anni, il 9 maggio 1918, il Germania Club decise di diventare il Chicago Lincoln Club. Dieci giornidopo,l’hotelBismarck si mutò in hotel Randolph e l’hotel Kaiserhof in hotel Atlantic.LaSocietàdimutuo soccorso Kaiser Friedrich divenne Società di benefìcienza George Washington16 e la Bismarck School, Scuola General Frederick Funston. Nella 28a circoscrizione furono cambiati i nomi di vie come via Reno, via Berlino, via Lubecca...L’ospedaletedesco divenneilGrantHospital.La TheodorThomasOrchestrafu ormai la Chicago Simphony Orchestra. Le persone, le famiglie si sentirono costrette a cambiare il nome con cui pensavano a sé. L’“Abendpost” del 20 agosto 1918 riportava che avevano chiesto al tribunale di poter cambiare nome più di cinquanta cittadini tra cui: Harry H. Fei-chenfeld, proprietario di una polleria, voleva diventare H.H. Field; OttoW.Mayervolevaessere chiamato Mayor; Hans Kaiser, John Kern; Emma Gutmann aveva provato Gutmanmaallafinesidecise per un Goodman. Berta Griesheimer chiese di chiamarsi Gresham, e Joseph G. Schumann, figlio di uno Schumann, si cambiò in Shumann. Ancora una volta incontriamo la terribile potenza del nominare, e rinominare. I giornali tedeschi fallirono. Dopo 70 anni di esistenza (55 da quotidiano), l’“Illinois Staats-Zeitung” smise di uscire tutti i giorni nel 1918, per chiudere definitivamente nel 1925. Prima del 1914 si contavano cinquantaperiodiciinIllinois; nel 1926 si erano ridotti a dieci di cui nessun quotidiano.L’usodellalingua sidiradò.Nell'agosto1918la Gran Loggia massonica dello stato ordinò alle sette logge germanichedinontenerepiù le riunioni in tedesco.17 Le corali sospesero i Lieder del sabato pomeriggio. L’insegnamento del tedesco declinò.AChicago,nell’anno scolastico 1914-1915 lo avevano studiato 18.160 allievi in 112 scuole. Nel 1917 un’ordinanza comunale lo abolì dalle elementari. Nel 1929 in nessuna scuola laica di Chicago lo s’insegnava più. Nel 1914, nelle chiese luterane di St. Louis circa il 30%usaval’ingleseeil70% il tedesco; ma nel 1929 nel 75% si predicava in inglese. A Belleville (Illinois), dove nel 1905 persino neri e americani parlavano tedesco, nel 1929 solo un servizio al meseeratenutointedescodai pastori luterani “per i vecchi”.18 L’americanizzazione non era cominciata certo con la Prima guerra mondiale, ma allora avvenne la cesura: I tedeschi sono l’unico gruppo etnico cui fu chiesto di abiurare, di rinnegare la propria identità. Questa rottura fu facilitata dall’esaurirsi del flusso migratorio tedesco per le leggi restrittive varate nel 1921 e poi nel 1924. Il Johnson-Reed Act del 1924 stabilìcheognigruppoetnico aveva diritto a una quota d’immigrazione pari al 2% del totale di membri di quel gruppogiàpresentinegliStati Uniti nel 1890. Così 1 ) l’immigrazionevenivafrenata di botto; 2) la data del 1890 cancellava del tutto gli emigranti dal Sud e dall’Est dell’Europa che erano approdati in massa negli Usa solodopoil1890.IlJohnsonReed Act era diretto contro italiani,polacchierussi,mai tedeschi lo risentirono come un atto contro di loro. Hagwood parla di restrizioni drastiche “specie contro la stirpetedesca”.19 Per tutte queste ragioni, dalla metà degli anni venti non vi fu più un problema tedesco negli Stati Uniti. E infatti esso non si ripresentò nella Seconda guerra mondiale. Come scrive O’Connor,“adifferenzadella Prima guerra mondiale, il filogermanismo non era più un problema quando il paese entròinguerracontrol’Asse. Non ci fu nessun’isteria allora, tranne che contro gli innocenti giapponesiamericani. E come avrebbe potuto esserci, con un Eisenhower alla guida della seconda forza di spedizione contro la Germania, uno Spaatz che comandava i bombardieri che stavano polverizzando la Germania, un Nimitz alla testa della flotta del Pacifico, un Eichelberger e un Krueger al comando di due armate sotto ilgeneraleMacArthur?”.20 Sapendo che i tedeschi costituisconoilprimogruppo etnico degli Stati Uniti, una nuova prospettiva si apre al pensiero che, in parte, la Seconda guerra mondiale è stata una guerra civile fra tedeschi, tedeschi d’America da un lato, tedeschi di Germaniadall’altro. P.S. Ma bisognerebbe citare almeno un precedente ai generali Usa di origine tedesca. A Washington, all’angolo nordoccidentale dei giardini dietro la Casa Bianca, tra Connecticut AvenueeHStreet,siergeun monumentobronzeocostruito nel1910,appenacinqueanni prima che i fran-cofortesi diventassero cani, per di più roventi. È dedicato a Frederick William Augustus Henry Ferdinand, Baron von Stauben, nato in Prussia nel 1736emortoaNewYorknel 1794, "in grato riconoscimento dei suoi servizi al popolo americano nella sua lotta per la libertà [...]. Dopo aver servito come aiutantedicampodiFederico il Grande di Prussia, offrì la sua spada alle colonie americane [...] diede addestramento militare e disciplina ai cittadini soldati che realizzarono l’indipendenza degli Stati Uniti”. Quando si dice "la disciplinaprussiana”! 1 U.S. Bureau of the Census,StatisticalAbstractof the United States 2002, Government Printing Office, Washington D.C. 2002, tavv. 1373e1387. 2 Richard O’Connor, The German-Americans. An Informal History, Little, Brown & Co., Boston 1968, p.377. 3 John A. Hagwood, The Tragedy of German America.TheGermansinthe U.S. of America during the NineteenthCenturyandAfter, G.P.PutnamSons,NewYork 1940,p.xiv. 4Ivi,p.290. 5 Citato in Rudolph A. Hofmeister, The Germans of Chicago, Stipes Publishing Co., Champaign (111.) 1976, p.63. 6 Andrew Jacke Townsend, The Germans of Chicago,tesiall’Universitàdi Chicago del 1927, ristampata in “Jahrbuch der deutschen- amerikanischen historischen Gesellschaft von Illinois”, 1932,pp.99-100. 7 J.A. Hagwood, op. cit.,p.297. 8CitatoinFrederickC. Luebke, Bonds of Loyalty. German Americans and World War i, Northern Illinois University Press, DeKalb(111.)1974,p.235. 9JamesWeinstein,The Decline of Socialism in America: 1912-1925, Monthly Review Press, New York1967,rieditodaRutgers University Press, New York 1984,p.144. 10R.A.Hofmeister,op. cit.,pp.70-71. 11St.LouisManifestoof the Socialist Party (1917), pubblicatoinA.Fried(acura di), Socialism in America, cit.,pp.521-526. 12 A.J. Townsend, op. cit.,p.105. 13PatrickRenchaw,The Wobblies. The Story of the Syndacalism in the United States, Anchor Books, Doubleday, New York 1967, trad. it. Il sindacalismo rivoluzionario negli Stati Uniti, Laterza, Bari 1970, p. 185. 14 Ivi, p. 101 e J. Weinstein,op.cit.,p.161. 15 J.A. Hagwood, op. cit.,p.xviii. 16R.A.Hofmeister,op. cit.,p.72. 17Ivi,p.74. 18 J.A. Hagwood, op. cit.,p.300. 19Ivi,p.298. 20R.O’Connor,op.cit., p.452. 5.Nellacapitaledi Hobohemia DavantialSocialSecurity Building si erge oscena una mazza da baseball in metallo battuto, alta quattro piani, e non ti consola affatto sapere che a crearla è stato Claes Oldenburgchel’habattezzata Batcolumn. Accanto, tra Halsted e Canal, sulla West Madison Street, spiccano quattrograttacielidi52piani, le Presidential Towers: tre piani di uffici alla base sovrastatida49dialloggiper complessivi 3000 appartamenti. Vi abitano inquilini rampanti che le scelgono per la vicinanza al centro, alla Borsa, alle banche. La loro costruzione, neglianniottanta,ècostataai contribuenti americani più di 100 milioni di dollari tra sussidi federali, incentivi dello stato, aiuti del comune, esenzioni fiscali, crediti agevolati, vendita dei terreni a prezzi di favore (politico), opere di demolizione e infrastrutture. Dai rari passanti, dall’aspetto burocratico, nessuno immaginerebbe che appena trentanni fa questa via era la capitale dei vagabondi d’America, con i suoi bar, negozi di vestiti usati, alberghetti, barbieri, bordelli, negozidipegni.1 È incredibile quanti negozi di pegni -Pawnshops -esistanonegliStatiUniti.In Europa è rarissimo vedere l’insegna"Pegni”.Quiinvece t’impegni tutto, l’orologio, i gioielli, la radio, la pistola. Nel Vecchio continente il "banco dei pegni” sembra retaggio desueto del Medioevo. Negli Usa invece, appena superata la frontiera invisibile che separa i quartieri (e le classi), ecco moltiplicarsi le insegne Pawnshops e di Checks Cashed (incassa assegni) che lampeggianonellanottecome luci di flipper in tilt. Dalle loro vetrine sai di aver abbandonatolazonaborghese e di essere entrato in un’area operaia, o di immigrati, o di irregolari. Ci metti tempo a capireperchénegliUsacene sonotanti.Poidiventachiaro. C’è chi non offre garanzie sufficienti, chi ha emesso troppi assegni scoperti, chi è indietro col mutuo, chi è un “alieno illegale”, immigrato clandestino: nessuno di loro può avere un conto in banca. Non sa perciò dove versare l'assegno della paga; deve rivolgersi a uno di questi banchi,artigianidellafinanza che - previa commissione trasformano il salario in contanti. Non avere un conto in banca è più di un disagio economico, è un marchio sociale che ti rende la vita difficile, ti ostacola nelle inezie: è come l’auto, l’80% degli americani la possiedono,maquel20%che non ne dispone se la passa davvero male. Oggi non ci sono più Pawnshops né Checks Cashed su West Madison Street, quella che eraunavoltalapiùfamosae popolata Skid Row d’America. Il termine Skid Row nasce a Seattle dove era riferito alla strada usata da un commerciante di legname, Henry Yesler, per far scivolare [to skid] i tronchi verso la sua segheria in riva al mare. Lungo questa stradaceranoalberghetti, taverne, ristoranti, bordelli e altri servizi per i taglialegna. Negli anni venti però Skid Road, come era chiamata all’inizio, divenne soprattutto residenza di poveri, ex boscaioli disoccupati, lavoratori a breve termine. Col tempo, il nome dell’area fu accorciatoinSkidRowe usato come generico termine peggiorativo. Skid Row designava in ogni città americana un posto in cui erano concentrati e insieme altamente visibili gli ubriaconi. C’era anche l’implicazione di una mobilità verso il basso [skid, scivolare] e di un ambiente sociale, fisico edeconomicocostrittivo [row,riga,fila,rango].2 Ogni città degli Stati Uniti ha avuto la sua Skid Row:laBoweryaNewYork, South Main Street a Los Angeles, Scollay Square a Boston, Third Street a San Francisco, Skid Road a Seattle. Ma la più importante era West Madison Street a Chicago,neltrattofraHalsted e il Chicago River. Qui s’incrociavano lavoratori stagionali, itineranti, cottimisti, disoccupati, vagabondidituttalanazione. Allora l’America era un ininterrotto viavai di lavoratori, in una mobilità forsennata: tra il 1880 e il 1920aBostonilturn-overera tale che la città cambiava quasi tutta la popolazione ogni dieci anni. Ma era a Chicago, nel cui comune correvano 5000 km di rotaie, che ogni giorno torrenti di uomini celebravano l’apoteosi della mobilità. Nel centro ferroviario dell'America, i treni smistavanoescaricavanonon solo grano, mais, maiali, buoi, legname, ma destini umani,traiettoriedivita. Alla vigilia della Prima guerra mondiale, scrivono Hoch e Slayton, “500.000 lavoratori senza residenza regolarefluivanonellaedalla Windy City [...] ancora nel 1922 Chicago aveva più di 200 agenzie private di collocamento che piazzavano annualmente un quarto di milione di uomini, senza contare naturalmente chi faceva la fila davanti ai cancelli delle fabbriche di tuttalacittà”.3Nelle packing housessolometàdeglioperai lavorava tutto l’anno, l’altra metà andava e veniva.4 La richiesta di manodopera mobile, spedibile e rinviabile a piacere, generò quella moderna figura sociale che è il single, lavoratore senza famiglia (perché lontana o perché inesistente), perciò senza focolare. Nasceva un "senza-casa"chenoneraperò un "senzatetto" perché alloggiavainpensioni,stanze ammobiliate, alberghetti. Il fenomeno era iscritto nella rivoluzioneindustriale,prima nell’esodo dalle campagne verso le fabbriche, poi nell’immigrazione. (Già nel 1845 Engels notava questi houseless, come si diceva allora: “Ogni mattina a Londra 50.000 persone si alzano senza sapere dove potranno posare il capo la notteseguente.Ipiùfortunati, quelli che riescono a metter daparteperlaseraunoodue pence, vanno in una delle cosiddette camere d’alloggio [lodging-houses] che abbondano in ogni grande città e dove, in cambio del denaro, ricevono asilo. Ma qualeasilo...”5) A Chicago, nel quartiere dei mattatoi (Back of the Yards) il 27,3% dei residenti era a pensione: appena scesi dal treno, gli immigranti andavano a vivere dai connazionali che, per pagare il mutuo della casa, avevano bisogno di affittare stanze. Ma solo di rado il pensionante aveva diritto a una stanza per sé, proprio come avviene per i maghrebini che oggi emigrano in Italia, solo che allora erano gli italiani a dormireindieciinunastanza diLittleTuscania. Ma la stessa logica che ordinavalavoratoriàlacarte era potenzialmente sovversiva poiché creava un nuovotipodicittadino,senza casa né famiglia, difettoso cioè dei due pilastri della morale politica. Si ricordi quali poteri taumaturgici assegnavano gli americani alla proprietà della casa che, nelle parole di Roosevelt, avrebbefattodegliStatiUniti una“nazioneinvincibile”.Ed ecco che questo stesso capitalismo creava milioni di lavoratori instabili, e quindi potenzialmente “immorali”, "pericolosi”. Questacontraddizioneera ancora più stridente per un altro, più inedito tipo di lavoratore single “senza-casa ma con-tetto”: a fine Ottocento era apparsa una nuovafigurasociale,ledonne lavoratrici sole (operaie, sarte, segretarie, commesse). Nella sola Chicago cerano poco più di 100.000 donne che guadagnavano uno stipendio. Di esse il 21%, circa22.000,vivevanoinuna stanza ammobiliata,6 generando le maldicenze dei benpensanti. Ma queste lavoratrici preferivano le stanze ammobiliate alle pensioni proprio per la privacy e la libertà: in quasi la metà di queste stanze (il 49%) era consentito alle affittuarie invitare uomini. Sui quartieri di stanze ammobiliate fin da allora plananolevocid’immoralità, in base alla convinzione diffusa che vivere senza la famiglia produce (ed è causatoda)perversione. La cattiva fama di questi quartieri sembra trovare conferma nel loro brutto aspetto: a volte il lavoratore rimanedisoccupato;avolteil disoccupato non trova più lavoro;ildisoccupatocronico a volte diventa alcolista; l’alcolistaavoltedàunpo’di matto.C’èildisagiato"senzacasa” ma che si può permettereuntettoec'èpoiil barbonesanstoitniloi,senza tetto né legge. Non solo: con lecrisieconomiche,leondate di licenziamenti, gli affittuari in ritardo con la pigione, l’avida voracità dei tenutari che risparmiano sulla manutenzione degli edifici, il quartiere si degrada, le facciate si screpolano, le insegne penzolano, i vetri dellefinestresifrangono. Così nelle Skid Rows del primo Novecento, accanto alla pensione dignitosa, ecco apparire la locanda stamberga,l’alloggiotugurio. Il quartiere si stratificava, vi viveva non un solo gruppo sociale,maunasocietàintera, conlasuagerarchiaepersino i suoi esclusi. Anzi, a Skid Rowvigevaunveroeproprio sistema di casta. In cima c'erano gli hoboes, lavoratori stagionali, itineranti. Potevano fare i macellai, raccoglitori di ghiaccio, muratori, boscaioli, addetti alle ferrovie. Gli hoboes lavoravano duro, anche se in lavoribreviedispersisututto il continente, nella pesca del salmone sul Pacifico, nella raccoltadifruttainCalifornia odiostricheSull’Atlantico. Illorolavoromigranteha edificatogliStatiUnitieuno scrittore li ha chiamati “le truppe d’assalto dell’espansione americana”. Nels Anderson, che era stato hobo,scrivenellasuaclassica ricercadel1923:“Nonostante le sue debolezze, e io le conoscevobene,loconsidero unadellefigureeroichedella frontiera.Graziealsuolavoro e al suo aiuto si costruirono ferrovie, si valorizzarono miniere fuori mano, si fondaronocittàavamposto’’.7 L'hobo condivideva la fede nel duro lavoro, ma dalla middle class, dalla classe operaia "stanziale” delle fabbriche lo separava il nomadismo che lo rese sospetto.Ibigottibenpensanti ritenevanoglihoboesbeonie criminali.8 Erano invece soffusidaunaloneromantico diliberivagabondinelfilmdi Chariot o nelle ballate di Woody Guthrie. La nazione dei vagabondi, dei barboni e dei nomadi ha finito per chiamarsi negli Usa "Hobohemia”, riferita ai bohémiens,aglizingari. Nella gerarchia di Hobohemia,sottogli hoboes, eccoitramps,ivagabondi:se gli hoboes erano lavoratori migranti, i tramps erano migranti senza lavoro (“the hoboworksandwanders,the tramp dreams and wanders", “l’hobo lavora e vaga, il tramp sogna ed erra”),9 vivevano di lavoretti, furti, elemosina, fieri del proprio nomadismo. Mentre gli hoboes avevano spesso cura nel vestire, i tramps pendevano verso lo straccione. Erano più sporchi degli hoboes che li disprezzavano e affibbiavano lorovariepitetiingiuriosi. Sotto gli hoboes e i tramps, vivevano i bums, gli stanziali. Ogni casta era divisainsottocaste.Ibumssi dividevano tra chi lavorava (lavapiatti,facchinid’albergo, sguatteri)echimendicava.E, sotto i mendicanti, altre sottocaste fino a chi nemmeno mendicava, viveva inscatoledicartoneefrugava tra i rifiuti. Quel che a uno sguardo esteriore appare confuso nella categoria della marginalità e dell’esclusione sociale(“ipezzentisonotutti uguali”) si rivela essere un universo strutturato, rigido, gerarchico, con le sue repressioni. Hobohemia era una nazione di maschi, bianchi, per lo più americani (il 62% eranonatinegliUsa),singles, alfabetizzati (solo il 5% era analfabeta, ma un altro 5% era andato al college). Tanto che Nels Anderson scrive di loro: “l'homeless era un lettore accanito [extensive reader], specialmente quelli chesispostavano,gli hoboes eitramps”.10Daquilemolte edicole e librerie che costellavano le Skid Rows, oltre naturalmente ai Pawnshops. Gli oggetti più impegnati erano i vestiti, seguiti dagli orologi e dagli anelli.11 Nel 1921 si contavano ben 62 banchi di pegni intorno a Skid Row, West Madison. A Chicago, Hobohemia aveva un ristorante e una scuola di migranti per migranti, l'Hobo College. Hobohemiaeraunmondo segregato: nella Skid Row di West Madison non c’era posto per i neri che avevano la propria zona più a sud, su State Street, tra la 22a e la 30a. Oggi la Skid Row nera gravita intorno al Martin Luther King Drive. Non c’è nessuna ragione presentabile (perché il razzismo dovrebbe essere meno atroce in giacca e cravatta?), ma mai la segregazione razziale è tanto cocentecomequandoseparai barbonineridaquellibianchi edividegliubriaconisecondo ilcoloredellapelle. In Hobohemia, nella stessa strada, nella stessa persona, si passa senza discontinuità dalla classe lavoratricealsotto-proletario, siscivola(skid)dalle“truppe d’assalto dell’espansione americana” agli esclusi, ai pezzenti ubriaconi. Qui si vede quant’è labile la frontieratradisoccupazionee povertà, tra working poor (povero che lavora) e senzatetto. *** “Povertà”: finalmente è stata detta questa parola scomoda, così ovvia e insieme imbarazzante da definire. Povertà, uno “stato di natura”. Si è poveri come si è vecchi, o giovani. Ma cosaèla“sogliadipovertà”? quando si comincia a essere poveri? (a che età si diventa vecchi?) "Povero” è uno di quei concetti sociologici spontanei di cui Pierre Bourdieu consiglia di diffidare perché la loro spontaneità è traditrice, veicolainsél’ideologia,cioè la visione inconscia del mondo che la società plasma in noi. Povero è un’unica, indistinta nozione di disagio, penuria, mancanza. Così la definiscelasociologia:“Ogni tipodipovertàèriconducibile allattocheundatosoggettoo popolazione difetta della capacità di coprire i costi della produzione e riproduzione dell’essere umano”.12Ilverbo"difettare” indicasìmancanza,maanche difetto come contrario di qualità. Ma perché tanti soggetti e tante popolazioni dovrebberodifettare? Che la povertà fosse un flagello in Europa, gli americani lo capivano. Essa, scrive Robert Castel, “corrispondeva a caratteristiche oggettive del vecchio mondo: rarità delle risorse, sovrappopolazione, ingiustizia e irrazionalità”. Ma perché negli Stati Uniti? Appenaneglistatidellacosta est a industrializzazione rapida la povertà diventa un problema verso il 1820, subito si moltiplicano i rapporti delle commissioni sulla povertà (già allora!), da cui emerge che "lo scandalo non è nel numero dei poveri ma nel loro esistere”.13 "Il pauperismo dovrebbe essere estraneo al nostro paese,” scrive nel suo Forth Annual Report (1821) la New York Society for the Prevention of Pauperism, "[per] il nostro territoriocosìesteso,ilnostro suolo così ricco”, per l’eccellenza delle istituzioni americane, per "il vasto campo aperto all’industria e alle imprese, l’assenza totale dihandicapciviliepolitici,e la completa sicurezza nel godimento dei vantaggi naturali o acquisiti”. "Nel nostro paese così favorito, in cui il lavoro è tanto richiesto e così ben pagato, e in cui i mezzi di sussistenza sono così facili da ottenere e così poco costosi, la povertà non ha da esistere né dovrebbe esistere [need not and ought not to exist]” scrivevano i commissari per le AlmshousesdiNewYorknel loroAnnualReportfor1847. Negli Stati Uniti la povertà non poteva, non dovevaesistere perché qui la popolazione era scarsa, le risorse e il territorio inesauribili, agli antipodi della situazione responsabile della povertà secondo il reverendo Robert Malthus. Ecco la vivida sintesi che Engels abbozza della tesi malthusiana: "La terra sarà sempre sovrappopolata e perciò dovranno regnare sempre bisogno, miseria, indigenza e immoralità; la sorte e la destinazione eterna dell’umanità è di esistere in numero troppo alto e quindi di essere suddivisa in classi diverse, delle quali le une sonopiùomenoricche,colte, morali, e le altre più o meno povere,miserabili,ignorantie immorali”.14 La teoria di Malthus delineava quel che poi sarebbe stato chiamato il darwinismo sociale, per cui anchetragliumanisarebbein corso una lotta per la sopravvivenza. Gli uomini, diceva il reverendo inglese Joseph Townsend (17391816),sicomportanocomele capre dell’isola di Juan Fernandez, dove gli spagnoli sbarcarono una coppia di barbutiovinichesimoltiplicò fino a riempire l’isola e a soffrire la fame. Allora, "le piùdebolicedetteroperprime e l’abbondanza tornò. Così esseoscillaronotralafelicità elamiseria,orasoffrendoper la mancanza di cibo ora godendodell’abbondanza”. Come per le capre, "è la quantitàdicibocheregolala quantità delle popolazioni umane” e lo fa attraverso “afflizioniepovertà“Finchéil ciboèabbondante,gliuomini continuano a crescere e a moltiplicarsi e ognuno è in grado di mantenere una famiglia o di prestare soccorso agli amici in proporzione alla sua forza. I debolidevonodipenderedalla precariagenerositàdeifortie, primaopoi,ipigri finiscono col soffrire le conseguenze naturali della loro indolenza”,15 Già, perché dietro questa visione della povertà serpeggia l’idea che l’uomo sia per natura indolente:“Le folle di indiani pigri e dissoluti costituivano il primo ostacolo [alla civiltà],” scriveva Parton.16 Guarda caso, questa pigrizia innata emerge nella storia delle idee quando la rivoluzione industriale irreggimenta il lavoro. Antonello La Vergata traccia un intenso percorso17 di quest’“innato principio d’indolenza nell'uomo” tra SetteeOttocento,dallafelice pigriziadelbuonselvaggioin Rousseau, all’"indolente sensualità” in cui, secondo il dottor Johnson, "ognuno sprofonderebbe, senza più curarsideglialtrieneppuredi se stesso [...] se non si facessero mai sentire né malattie né povertà". La povertà stimola a vincere la naturale indolenza: l’uomo agiscesolosottolasferzadel bisogno. Lo spettro della povertà sprona l’uomo a "un virilecimento”,dicenel1833 ilcalvinistascozzeseThomas Chalmers (anch’egli, come Malthus e Townsend, predicatore). Ecco perché, per una lunga tradizione di pensiero che va da Joseph Townsend nel Settecento a Robert Nozicknegliannisettantadel Novecento,ogniassistenzaai poveriècontroproducente,in un’ennesima variazione dell’argomento della perversione, come lo chiama Hirschman. (Questa tesi è oggi ripetuta pari pari nel dibattito sulla sovrappopolazione nel Terzo mondo:ogniaiutoumanitario aumenterebbe la popolazione e aggraverebbe perciò la miseria:fatelimoriredasoli.) Per Nozick, che ha riformulato la teoria dello statominimo,lostatononha obbligo di assistere i poveri, anzi in linea di principio è immoralechelofacciaperché nonpuòappropriarsideibeni diunindividuoperdarliaun altro: "La tassazione sui redditi da lavoro è alla stregua del lavoro forzato”.18 Per il reverendo Townsend, invece, le leggi sui poveri favoriscono i mali che dovrebbero combattere, incoraggiano imprevidenza e indolenza e distruggono “speranza e paura” che sono "lemolledell’industria". Questa tesi ha trovato i consensi più inaspettati. La commissione inglese sulla legge sui poveri trovò nel 183319 che la cassa per i poveri rovinava il paese ed “era un ostacolo per l’industria,unaricompensaai matrimoni sconsiderati, uno stimolo all’aumento della popolazione; eliminava gli effetti dell’aumento della popolazione sul salario; era un’innovazione nazionale avente lo scopo di scoraggiare gli uomini diligentieonestieproteggere i pigri, i viziosi, gli irriflessivi;spezzavaivincoli familiari, ostacolava l’accumulazione di capitali, dissolvevailcapitaleesistente e rovinava il contribuente”. Argomenti usati anche oggi controiprogrammipubblici. Il fatto più curioso è che un comunista come Engels condivideva queste conclusioni: “L’assistenza favorisce la pigrizia e l’aumento della popolazione ‘superflua’. Nelle attuali condizioni sociali è chiaro cheilpoverovienecostrettoa essere egoista e che, se è libero di scegliere e può vivere ugualmente bene, preferisce non far nulla piuttosto che lavorare. Ma l’unica conclusione è che gli attuali rapporti sociali non valgono nulla, non già, come concludevano i commissari malthusiani, che la povertà è un delitto da trattare sulla base della teoria della dissuasione mediante il terrore”.20 Alla stessa conclusione cui giungevano il reverendo Townsend e il comunista Engels perveniva nel 1795 anche il libertino marchese Donatien-Alphonse-François deSade.Ilpiù"sadiano”trai personaggideLaphilosophie dans le boudoir, Dolmancé, così definisce la “beneficienza”: Abitua il povero ad aiuti che ne dissipano l’energia; costui non lavora più perché conta sulla vostra carità e quando questa comincia a mancargli diventa un ladro o un assassino. Sento che tutti si domandano come poter eliminare l’accattonaggio e nel frattempo seguitano a farequellecosechenon possono che moltiplicarlo. Ma domando e dico: non volete aver più mosche nellavostrastanza?Non lasciate più in giro lo zucchero che le attira! Nonvoletepiùpoveriin Francia? Non distribuite più elemosine e, soprattutto, eliminate le case di carità! L’individuo nato nell’indigenza, vedendosi privato di questepericoloserisorse, impiegherà tutte le sue forze e i mezzi ricevuti dalla natura per tirarsi fuori dallo stato in cui è nato, e non v’importunerà più. Senza pietà distruggete dalle fondamenta queste detestabili case dove avete la sfrontatezza di accogliere i frutti del libertinaggiodelpovero, cloache spaventose che vomitano ogni giorno nella società uno sciame disgustoso di nuovi individui che possono sperare solo nel vostro portafoglio.21 Ognuno con i suoi scopi, Townsend per instillare i principi morali, Engels per sovvertire i rapporti sociali, Dolmancé per rivalutare le pratiche di “controllo delle nascite” - sodomia, masturbazioneeinfanticidio, ognuno però condivide l’ideacheaiutareipoverisia controproducente, che l’individuo abbandonato a sé sia indolente, che solo la sferza del bisogno lo spinga ad agire. L’idea che la povertà sia educativa, ortopedica: raddrizza l’ignavia. Anche al di là dell’Atlantico l’assistenza a domicilio era considerata dannosa. Nel 1821, nel suo rapportoallacommissionedel Massachusetts sui poveri,22 Josiah Quincy scrive: “Più assisteteipoveri,piùdovrete assisterne”; "il modo più disastroso di soccorrere i poveri, il più costoso, il più nefastoperilorocostumieil più distruttivo per le loro abitudini di lavoro, consiste nell’aiutarli in seno alla loro famiglia”.Tantopiùchenegli StatiUniti-agliocchiditutti gli americani, allora come oggi-vigeilmiglioreregime politico della storia. Da qui una sola conclusione: "Poiché, malgrado le ragioni che rendono la povertà impossibile negli Stati Uniti, tuttavia i poveri esistono, costoro devono portarla in se stessi” (Castel). La povertà è un male morale; l’individuo povero è povero, difetta di soldi, perché ha in sé difetti morali, manca di virtù. “Le cifre ufficiali mostrano quanto grande è la parte del pauperismo che, nella città come nello stato, è causata dalla pigrizia, dall' intemperanza, dagli altri vizi,” afferma la New York AssociationforImprovingthe ConditionofthePoornelsuo Tredicesimo rapporto annuale(1856). Comincia allora, già nell’Ottocento, quell’esercizio intellettuale (dalle pesanti ricadute politiche) che separa i poveri “meritevoli [deserving]” - di aiuto,diassistenza-daquelli "immeritevoli”. Nel libro che s’intitola appunto The Undeserving Poor, Michael Katz ritraccia il dibattito politico e sociologico dalla "guerra alla povertà” di Lyndon Johnson negli anni sessantaalla“guerracontroil welfare” di Ronald Reagan negli anni ottanta. La dicotomia meritevole/immeritevole appare già nel 1821 quando Josiah Quincy distingue due tipi di poveri: “il povero impotente,nellacuicategoria sono inseriti tutti coloro che sono totalmente incapaci di lavorare, per vecchiaia, infanzia, malattia o invalidità”. Poi ci sono i "poveri capaci [...], tutti coloro che sono capaci di lavoro, di un tipo o di un altro,machedifferiscononel grado di capacità e nella specie di lavoro di cui sono capaci”.23 Vi sarebbe quindi una povertà inevitabile, e una di cui è invece responsabile l’individuo. Poiché vi è una povertà inevitabile, e poiché le risorse per lenirla sono limitate, diventa essenziale setacciare il grano dal loglio e, nella società, ogni giorno impersonare il dio del giudiziouniversale:separarei salvati dai sommersi. Filantropi, operatori sociali, governi s’impegnano perciò in una snervante opera classificatoria per distinguere i poveri meritevoli da quelli non (o solo in parte) meritevoli, e quindi definire l’assistenza che ognuno deve ricevere, i diversi gradi di punizione intrinseci nella carità e, infine, i rimedi moralidaapportareallecause moralidellapovertà. *** Siccome i pubblici poteri non osano “condannare i poveri alla pena di morte per fame" (Engels), vanno fissati parametri “oggettivi” per definire la povertà. Quello che - abbiamo visto in Hobohemia - è uno slittamento continuo (spesso nella stessa persona) dalla classe operaia alla marginalità, dalla disoccupazione al vagabondaggio, deve essere risistematoinunatassonomia discontinua, una classificazione che separi i poveri dai non poveri. Bisogna stabilire una “soglia dipovertà”,unpo’comel’età della pensione definisce una sogliadivecchiaiaerisponde alla domanda: in che anno si è vecchi? Così: sotto che reddito si comincia a essere poveri? Per definire la soglia di povertà, gli enti assistenziali americanihannofattousodel “coefficiente di Engel” dal nome di un direttore dell’istituto prussiano di statistica,ErnstEngel:questo sagace funzionario aveva notato nel 1857 che c’è una relazioneinversatraredditoe percentuale di spesa per il cibo: la parte di reddito consacrata all’alimentazione scema via via che il reddito cresce. Le famiglie più povere mangiano peggio, ma dedicano al cibo una parte maggiore dei propri soldi, mentre le più ricche mangiano meglio, spendono di più in assoluto per il nutrimento, ma vi dedicano unafettaminoredelleentrate. Si può quindi calcolare un coefficiente (coefficiente di Engel) che, moltiplicato per la spesa minima del cibo, fornisce una stima del bilanciototaleminimosottoil quale si è poveri. Se M è la spesaminimaperilciboedE è il coef-fidente di Engel, il reddito minimo C per emergeredallapovertàèC= MxE.24 Questa definizione basatasullapurasussistenzaspiegaperchéneipaesiricchi siano considerate povere persone con redditi che sarebbero lauti nel Terzo mondo. Negli Stati Uniti la soglia di povertà per una famiglia di quattro persone era fissata nel 2002 a 18.400 dollari l’anno,25 mentre in India lo stipendio di un alto funzionariostatalenonsupera i 5000 dollari. Il fatto è che, solo per mangiare, una famiglia americana non può spendere meno di 4600 dollari. Ma qual è la spesa minima per il cibo? Negli anni quaranta la Social SecurityAdministration(Ssa) eseguì calcoli pignoli sul fabbisogno giornaliero in calorieesullorocosto.Mail bisogno di calorie varia da 1200-1800 per un bambino sotto i dieci anni a 4500 per unbracciante.Inoltrenessuno riesce mai a comprare sistematicamente i cibi meno cari. Nessuno chiede al negoziante: “Per favore mi diale2000caloriepiùabuon mercato che ha”. Il paniere minimo di spesa per il cibo risulta quindi largamente arbitrario. Un secondo problema sta nel valore stesso del coefficiente di Engel. Nel 1954 il dipartimento dell’Agricoltura lo stimò a 0,33perunafamigliaditreo più persone. Ma il dipartimento del Lavoro lo stimòa0,25perunafamiglia di tre o più persone. Queste differenze sembrano bizantine ma cambiano il destinodimilionidipersone. Secondo le definizioni correnti, l’ufficio statistico Usa contava nel 2002 34,6 milioni di poveri (il 12,1%, unamericanosuotto).Mase la soglia di povertà fosse spostata di un 25%, i poveri sarebbero 49,3 milioni, il 16,5% della popolazione.26 Questa differenza nei calcoli fa sì che 15 milioni di personeentrinoononentrino nei programmi federali e statali, usufruiscano o meno di refezioni a scuola, di assistenza medica gratuita, di tesserealimentari. Definire la soglia di povertà è oggetto di lotta politica. A seconda delle definizioni,cipossonoessere 22 milioni di poveri in più o in meno (quanto tutti gli abitanti di Olanda e Danimarca messi insieme). La questione non riguarda sololoro,riguardal'immagine complessiva della società americana. Nel primo caso, nel paese più ricco e più tecnologico del mondo vi sono certo ben 35 milioni di poveri,mavisonoanche247 milioni di non poveri. Sarebbe allora vero quel che il presidente Hoover sosteneva proprio un minuto prima della grande crisi del 1929: "Mai l’umanità è stata più vicina a realizzare la soppressione della povertà”. Nel secondo caso invece meno di 224 milioni di non poverifronteggianopiùdi57 milioni di poveri. La differenza è quella tra una riuscita e un fallimento. Definire la soglia di povertà non è una questione accademica, come già ben sapevaJosiahQuincy:cambia la vita di milioni di persone, definisce le dimensioni dell'apparato assistenziale, stabilisce l’ammontare della spesa pubblica, influisce sull’idea che ci facciamo della società, indirizza le sceltepolitichedellapubblica opinione. L’esempio più vistoso lo offre la definizione di disoccupato. Ovunque si sente dire che flessibilità, mobilità del lavoro, diminuzione degli oneri sociali, riduzione dei salari effettivi, hanno creato negli Stati Uniti milioni di posti di lavoro tanto che lì il tasso di disoccupazione oscillerebbe trail5eil6%controun10% e passa in Europa. Da qui l’invito a seguire il modello americano per creare posti di lavoro. La definizione americana di disoccupato diventa perciò un’arma politica in Europa. Ma negli Stati Uniti 2,1 milioni di detenuti sono esclusi dalla forza lavoro e sono perciò esclusi dal computo dei disoccupati (e già questo farebbe salire dell’1,5% il tasso di disoccupazione). Per di più, molte persone, scoraggiate, non si iscrivono piùallelistedicollocamento: dal 2001 al 2003 più di 4 milionidipersonesonouscite dallaforzalavoro27(equesto aggiungerebbe un altro 3% alla disoccupazione e ci troveremmogiàcosìailivelli europei). Ma non basta: il puntoèchenegliUsavigono bencuriosicriteriperdefinire la disoccupazione: "I civili occupati comprendono tutti i civilichedurantelasettimana di riferimento hanno compiuto per paga o per profitto un minimo di un'ora dilavoroolavorato15orela settimana, o più, come lavoratori non pagati nell’impresa familiare [...]. I disoccupati comprendono tutti i civili che non hanno avuto lavoro durante la settimana di riferimento, che hanno fatto sforzi specifici per trovare un lavoro nelle precedenti quattro settimane (come fare richiesta direttamente a un datore di lavoro o a un servizio di collocamento pubblico o provare [checking] con amici), e che erano disponibili a lavorare in quella settimana, tranne se temporaneamente malati”.28 Ovvero, negli Stati Uniti una personahaunpostodilavoro, non è disoccupata, se è stata retribuitaperuna sola ora in tuttalasettimanaprecedente! Se in Europa la disoccupazione fosse definita con gli stessi criteri, anche qui apparirebbero improvvisamente milioni di postidilavoro. Ilfattoèchequesticriteri nonsonoinnocenti.DalNew Deal, da quando nel 1935 il presidente Roosevelt fece votare il Social Sécurity Act, c’è negli Stati Uniti un sussidio di disoccupazione finanziato da una specifica tassa federale. Nel 2001 ne hanno beneficiato 10 milioni di americani, con un sussidio medio di 238 dollari la settimana, per una spesa complessiva di 31,6 miliardi di dollari.29 Se i criteri di disoccupazione fossero più realistici (tipo non aver lavorato nemmeno 15 ore la settimana precedente) raddoppierebbe il numero degliaventidirittoalsussidio. La filosofia è: non si può abrogare il Social Security Act, ma si restringe il suo campodiapplicazione,sitira suicentesimi. Il punto non è tanto l’avarizia,èlapignoleriacon cuisiformulanodefinizionie sottodefinizioni. A guardarlo da fuori, questo indefesso sottilizzare sulle categorie puòparerefarneticante,quasi la guerra raccontata da Jonathan Swift tra piccolipuntisti e grandi-puntisti nell’isola di Lilliput, dove Gulliver assiste ai massacri trachivuolerompereleuova à la coque dalla parte della puntagrandeechidallapunta piccola. Però, come avviene perognifrontiera,tracciareil confineèsìunattoarbitrario ma, una volta definito, esso separa davvero un dentro da unfuori,unNoidaunVoi. Da un lato questa dicotomia non ha nulla di reale (avere un lavoro se si è pagati un’ora alla settimana), dall’altro essa produce una suarealtà:separachiriceveil sussidio di disoccupazione e chi non lo riceve e chi, lavorando solo un’ora la settimana, non ha diritto al sussidio, ma è considerato working poor, riceve Medicaid, tessere alimentari, rientra nelle graduatorie per un alloggio nell’edilizia popolare. È una situazione ambigua che un ingenuo attribuirebbe alla disoccupazione (e ai criteri perdefinirla).Lostatoperòla classifica sotto la rubrica dell’indigenza: il riflettore è spostato dalle politiche del lavoro alle opere di beneficienza.Ipoteripubblici e la pubblica opinione non amano queste situazioni grigieincuinonc’èbiancoe nero, povero e agiato, disoccupatoeoccupato,incui le "colpe” non sono nettamenteattribuibili. C’è qui uno stato di disagio, di ristrettezze, tipico diHobohemia,doveildentro e il fuori non sono più così definiti,doveappareillusoria la distinzione di Quincy tra chiècapacedilavorareechi è incapace, dove non si sa distinguere tra povero meritevole e povero immeritevole. Hobohemia suscitava ostilitàancheperaltrimotivi. Innanzitutto essa costruiva una comunità. Non c’era più l’emarginato singolo, l’escluso atomizzato, letteralmente "sperso”, ma una sottosocietà con una sua cultura, sue gerarchie, servizi sociali,un-poveromavivotessuto economico fatto di lavoretti, commerci, baratti e favori. Gli Hobohemians contrastavano con lo stile di vita americano, erano celibi in un mondo che idolatra i quadretti familiari, detestavano i suburbi in una società che li adora, e amavano vivere nel centro città dove potevano incontrarsi e usufruire di servizi e comodità altrimenti indisponibili: paradossalmente sono gli stessi motivi che spingono oggi i giovani yuppy ad abitare nelle asettiche PresidentialTowers. Per la sua vicinanza al centro degli affari, Hobohemia era altamente visibile.Equestavisibilitàdà fastidio più di tutto il resto. Se almeno i poveri si decidessero a farsi invisibili! È il fastidio la ragione profonda che ha spinto le pubbliche autorità a chiudere il mercato delle pulci di Maxwell Street, a radere al suolo gli alberghetti di West Madison, la Skid Row di Chicago, e a costruirvi le Presidential Towers a gran spese dello stato. La stessa ansia di nascondere i poveri che,aldilàdell'Atlantico,nel 1994, spingeva il premier britannico, il conservatore John Major, ad attaccare i mendicanti: la loro vista "è offensiva”, essi nuocciono ai commercianti e allontanano i turistidallecittàe,seproprio non vogliono usufruire del welfare,chesianomandatiin prigione.30 Quest'ansia supera le barriere del tempo e della politica. Nel 2000 "The Observer” titolava: “Officiai: Givingtobeggarsiswrong”31 per dare la notizia che il governo laburista di Tony Blairavevastanziato240.000 sterline per lanciare una campagnachedissuadessedal dare l'elemosina. Come non pensare a quella fantastica lettera, riportata da Engels,32 cheunadistintasignoraspedì al"ManchesterGuardian”nel 1845? Signor direttore, da qualche tempo per le strade principali della nostra città s’incontra una moltitudine di mendicanti i quali, in parte coi vestiti laceri e l’aspettomalato,inparte mettendo a nudo piaghe e deformità ripugnanti, cercano di suscitare la compassione dei passanti in modo spesso assai impudente e molesto. Sono dell’opinione che, quando si paga non soltanto la tassa per i poveri, ma si contribuisce generosamente alle istituzioni benefiche, si siafattoasufficienzaper avere il diritto di esser preservati da tali sgradevoli e impudenti molestie; e perché mai dunque si pagano tasse così elevate per il mantenimento della polizia cittadina se questa non provvede neppure a far sì che si possa girare indisturbati perlacittà? 1CharlesHoch,RobertA. Slayton, New Homeless and Old.CommunityandtheSkid Row Hotel, Temple UniversityPress,Philadelphia 1989,pp.183-185. 2Ivi,pp.88-89. 3Ivi,pp.11-12. 4R.A.Slayton,Backof theYards,cit.,pp.124-125. 5 F. Engels, La situazione della classe operaiainInghilterra,inKarl Marx-Friedrich Engels, Opere complete, cit., vol. iv, p.269. 6R.A.Slayton,op.cit.,p. 19. 7 Nels Anderson, The Hobo. The Sociology of the Homeless Man (1923), Chicago University Press, Chicago 1961, trad. it. Donzelli,Roma1994,p.18. 8 C. Hoch, R.A. Slayton,op.cit.,pp.36-40. 9N.Anderson,op.cit., p.105. 10Ivi,p.205. 11 W.R. Patterson, Pawnbroking in Europe and theUnitedStates,in“Bulletin of Labor 21”, marzo 1899, Government Printing Office, Washington D.C., pp. 256279, citato in C. Hoch, R.A. Slayton,op.cit.,pp.33-34. 12 Luciano Gallino, Dizionario di sociologia, Utet, Torino 1978, s.v. Povertà,p.536. 13 Robert Castel, La “guerre à la pauvreté” aux États Unis, in “Actes de la recherche en sciences sociales”, n. 19, gennaio 1978, pp. 47-60, da cui sono trattelecitazioniseguenti. 14F.Engels,op.cit.,p. 501. 15JosephTownsend,A Dissertation on the Poor Laws, by a Well-wisher to Mankind (1786), California University Press, Berkeley 1971, pp. 37-40 (il corsivo è mio). 16 J. Parton, Chicago, cit.,p.330. 17 Antonello La Vergata,NonostanteMalthus. Fecondità, popolazioni e armonia della natura, 17001900, Bollati Boringhieri, Torino 1990, pp. 72-80, da cui sono tratte le citazioni seguenti. 18 Robert Nozick, Anarchy, the State and Utopia, Basic Books, New York1974,p.169. 19 Estracts from Information received by the Poor Law Commissioners, Published by Authority, London1833,p.xvi,citatoda F. Engels, op. cit., p. 503 (il corsivoèmio). 20F.Engels,op.cit.,p. 503. 21 Donatien-Alphonse- François de Sade, La philosophie dans le boudoir (1795), Gallimard, Paris 1976, pp. 76-77, trad. it. Newton Compton, Roma 1974,p.83. 22 Report of the MassachusettsGeneralCourt Committee on Pauper Laws, Albany 1821, citato da R. Castel,op.cit.,pp.49-50. 23 Citazioni tratte da Michael B. Katz, The Undeserving Poor. From the WartoPovertytotheWaron Welfare, Pantheon Books, NewYork1989,pp.12-1.V 24 Martin Rein, Problems in the Definition and Measurement of Poverty in Peter Townsend (a cura di), The Concept of Poverty, Heinemann, London 1970, p. 50. Questo volume è fondamentale per la discussione sul concetto di povertà. 25 U.S. Bureau of the Census,PovertyintheUnited States: 2002, Current Population Reports, Government Printing Office, Washington D.C. settembre 2003. 26Ivi,tav.5. 27 “The New York Times”,27aprile2003. 28 U.S. Bureau of the Census,StatisticalAbstractof the United States 2002, Government Printing Office, Washington D.C. 2002, p. 364(ilcorsivoèmio). 29Ivi,tavv.528e529. 30Serviziinprimapagina del “Guardian” e dell’“Independent” del 28 maggio1994. 31 Ufficiale: dare ai mendicanti è sbagliato, in “The Observer”, 8 ottobre 2000. 32F. Engels, op. cit., pp. 496-497. 6.Allamensadella natura Ci vuole la luce delle fiamme per richiamare lo sguardo su quella particolare istituzione statunitense che sono gli "Sro hotel" (Sro sta per Single room occupancy), alberghetti a tariffa settimanale bassissima dove risiede chi non può permettersi un appartamento, il lavoratore povero, la pensionata, il beneficiario di un sussidio di disoccupazione. Questi alberghetti erano tipici delle SkidRowse la loro zona era chiamata Sro district. Le fiamme sono quelle che periodicamente li distruggono, in un vero e proprio stillicidio: un morto qui,dueferitilì.L’ultimofalò digrandidimensionièstatoil J.R. Plaza Hotel, noto però come lo Zanzibar. Cento ospiti dovettero essere evacuatiil14febbraio1999e tre rimasero gravemente feriti.Manonsemprevacosì bene, anzi la storia di Chicago è costellata dai bagliori di questi roghi che inceneriscono decine di - letteralmente-poverevite.A Chicago, il 12 febbraio 1955 un rogo divampò nel Barton Hotel, su West Madison: vi morirono 29 persone. Il 14 marzo 1981, un cortocircuito nella lavanderia del Royal BenchHotelinnescòilfuoco. Tra le macerie restarono 19 cadaveri.Il16marzo1993,le fiamme distrussero il Paxton Hotel, 130 stanze, a pochi isolati dal Magnificent Mile, ilvialedilusso.Anchequi19 imorti(e30iferiti). Gli Sro sembrano molto propensi a bruciare. La loro infiammabilità è tanto proverbiale che nel 1990 la più famosa scrittrice di gialli diChicago,SaraParetsky,ha incentrato un romanzo, Bum Marks (Scottature),1 proprio sul rogo di uno Sro. La sua eroina, l’investigatrice Vie Warshan-ski, tipica Chicagoan figlia di un polacco e di un’italiana, divorziata, accanitapraticantedijogging, indaga su quest’incendio doloso perché nell’alberghetto viveva una sua vecchia, disastrata zia, devotaallabottiglia. Sara Paretsky riprende il luogo comune: se Sro hotel significaSkidRow,SkidRow vuol dire alcolismo. Già nel 1827iGuardianideipoveridi Filadelfia mettevano in guardialealtrecittà:“Daitre quarti ai nove decimi dei poveri del nostro paese possono attribuire la loro degradazione al vizio d’intemperanza”.2 Gli Sro devono portare impresse le stigmatedelvizioedell’alcol perché altrimenti mostrerebbero la povertà nelle sembianze che i modernipiùdetestano,quelle della ristrettezza sciatta, di uno squallore liso, ma senza tragedie. La povertà impietosisce o indigna solo nelle sue forme spettacolari, adeguate alla commozione dei tg che mostrano il derelittocopertodistracci,la barbona che giace assiderata sotto un foglio di giornale. L'homeless estremo, in quanto inerme, esprime il “povero meritevole”. Questi poveri totali sono però relativamente rari. “A Chicago si contano 40.000 homeless·, a pernottare in strada tutto l’anno sono 1215.000, mentre i Chicagoans che vivono sotto la soglia di povertà sono quasi un milione,” mi diceva Charles Hoch:12.000homelessinuna metropoli sembrano "normali”, ma un milione di poveri nella sola Chicago è unacifraspaventosa. Nell'insieme degli Stati Uniti, la proporzione è circa lastessa,diunhomelessogni 500 abitanti, un homeless ognisessantapoveri:equesta percentuale è rimasta notevolmente stabile negli ultimi quindici anni. Nel 2002, gli americani sotto la soglia della povertà erano ufficialmente 34,6 milioni, mentre gli homeless “cronici", per quanto di difficile stima, erano valutati intorno al mezzo milione: secondo il Department of Health and Human Services, ogni notte sono senza tetto circa 600.000 americani (uno su 500 circa), mentre circa 1,7 milioni di giovani hanno avuto almeno un’esperienza di senza tetto nell’ultimo anno.3 Solo da poco più di ventanni gli homeless sono diventati il pubblico simbolo della miseria (l'houseless dell’Ottocento è ora slittato nell'homeless, quasi un passaredal“senzadimora”al “senza focolare”): homeless non è solo una condizione, è una categoria. Nel 1975 non cera un solo studio sociologicosuglihomeless in quanto tali; nel 1984 erano 34, nel 1986 erano 48 e nel 1988 i titoli sul tema riempivano più di sessanta pagine di bibliografia a spazio uno.4 Ridurre agli homeless la categoria del “povero meritevole” fa puntare i riflettori sulla povertàestremaedimenticai working poors; commisera chi è già nel baratro e lascia nell’ombra chi è in bilico; accresce la distanza tra benefattore e beneficiato; soprattutto, taglia il numero dei “meritevoli”, genera una concezione emergenziale della pubblica assistenza. Si aiutano gli homeless come si soccorrono gli alluvionati (la miseria come catastrofe naturale). Certo,dagliannisettantai senzatetto sono cresciuti, ma in parte proprio per l’attenzione rivolta loro. NeglianninovantaaChicago 17.000 persone vivevano in Sro: tante, ma poche rispetto agli anni sessanta quando in città c’erano ben 80.000 camere. In quarantanni anni le successive bonifiche urbanenehannodemolitepiù dell’80%, per radere al suolo le Skid Rows, con l'alibi ufficiale di trovar loro una sistemazione più "dignitosa”, secondol’ideacheiburocrati dell’assistenza si fanno della dignità, un’idea ammoniacale, detersiva, insetticida, al linoleum. Un concetto di dignità respinto dagli ospiti degli Sro che ostinatamente, a ogni sondaggio, per più del 90% ripetono di essere assai soddisfatti del loro albergatoriomododivivere. Questo smantellamento delle Skid Rows, e delle loro comunità umane, ha colpito tutti gli Stati Uniti: secondo Katz, tra il 1970 e il 1982 sono svanite in tutto il paese piùdiunmilione(1.116.000) di unità monolocali. Nel frattempo, il prezzo degli affitti è salito vertiginosamente, tanto che sette milioni di ménages spendono in affitto più della metàdelproprioreddito. Nell'ediliziapopolare,una situazione già rovinosa è diventata catastrofica. Si pensichenel1980,negliStati Uniti solo l’l% del mercato immobiliare era di proprietà pubblica, contro il 46% in Inghilterra e Galles (prima delle privatizzazioni thatcheriane) e il 37% in Francia.5 Solo così si spiega quel retrogusto di assurdità percepibile negli Sm: se uno non ha abbastanza soldi per affittarsi una casa, finisce in un albergo. Sembra il "non hanno pane? Allora dategli brioche” attribuito a Maria Antonietta. Anche perché gli Sro, per quanto a buon mercato, non sono regalati. Allo Zanzibar nel 1999 una stanza costava 125 dollari la settimana, 540 dollari al mese.6 Sei anni prima al Paxton una stanza veniva 90 dollari la settimana, 380 al mese. Hitte e due le tariffe eranosolodipocoinferiorial prezzoacuisipotevaaffittare un monolocale decente a Chicago. Solo che per affittare un monolocale ci vogliono due mesi di anticipo, bisogna pagare con cartadicreditooconassegni. Così i 50-60 dollari di differenza tra la pigione allo Zanzibar e l’affitto in un quartierepopolarespalancano unbaratroincolmabiletragli integratiei"disintegrati”,tra lamiddleclasseipoveri. D’altra parte, che alternative avrebbe un ospite di Sro? Forse un alloggio popolare, se vincesse alla lotteria delle assegnazioni. Ma chiunque preferirebbe dormire sul marciapiede pur di non finire nei complessi popolari come Cabr-ni-Green o Taylor Homes, divenuti sinonimo di giungla urbana, dove accade persino che un bimbo sia ucciso da una pallottolavagantementrevaa scuola.Restanoglishelters. *** Ogni pomeriggio una lunga fila, per lo più di neri, si snoda sul marciapiede di State Street, all’angolo con Balbo,inunazonachepuresi starigentrificando.7Èunodei 49 temporary shelters che elenca l’Housing and Urban Development (Hud),8 suddividendoli in shelters dalla violenza domestica, shelters transitori (massimo 120 giorni di permanenza) e in ovemight (massimo 12 ore),divisirigorosamenteper sesso (la povertà va soccorsa solo se astinente). Alcuni shelters sono specializzati in giovani, altri in disabili mentali, altri in homeless vétérans. Gli aspiranti a un letto s'incolonnano presto, pronti a una lunga attesa, perché anche qui vale la regola dei parchi nazionali: first come, first served, “chi primo arriva, meglio alloggia”: non c’è prenotazione. Perciò questo rito si ripete a ogni calar del sole, e poi, una volta entrati, non si può più uscire da questo luogo senza intimità, doveinteoriaèvietatoanche bere una birra: non si può negaresoccorsoaipoveri,ma l’aiuto deve essere elargito con la stessa parsimonia che si vuole inculcare in questi incorreggibili "imprevidenti”. L’assistenza deve essere disagevole, deve sanzionare l’indegnità di chi ne beneficia, funzionare come undeterrentechescuotadalla colpevolepigrizia. Negli anni ottanta, più si disquisivadihomeless,piùsi moltiplicavano gli shelters, perché le stesse politiche che offrono un'immagine melodrammatica, operistica, della povertà moltiplicano i poveri; perché le bonifiche urbane eliminano le alternative ai rifugi (demoliscono gli Sro); perché, impostando il problema della povertà in termini di tetto, pensano i suoi rimedi come puri "ripari’’, come “tetti” appunto: a Chicago, nel novembre 1982 i dormitori temporanei avevano meno di 700 posti letto. Quattro anni dopo, erano già 2000.9 Gli shelters sono fioriti nell’era di Reagan come dal 1820 proliferarono le almshouses, case di carità. Nelle almshouses erano ammucchiati indigenti, ciechi, vecchi, orfani. Nelle almshouses i miseri trovavano rifugio ma anche controlloepunizione. Gli shelters, come le almshouses, cancellano l’autonomia degli ospiti. Gli alberghi Sro si addensavano in zone con una vita di quartiere, con un tessuto di relazioni. Gli shelters sono dispersinellacittà:perridurre la visibilità dell’indigenza, la atomizzano.Nell’albergoSro, la persona è un individuo indipendente, con il suo fomelletto, la possibilità di leggere,bere,ricevere,lasua intimità.Nelloshel-ter,èuno sfollato che va accudito e controllato. La categoria decisiva è quella dell 'accudire, e sorvegliare, che si prolunga anche nell’assistenza a domicilio. Il problema è sempre quella "regolamentazione dei poveri” cui Frances Fox Piven e Richard Cloward dedicarono uno studio ormai classico. Madri abbandonate dal marito, e perciò assistite dal welfare, subivano ispezioni di mezzanotte (midnight raids) per verificare che l’uomo non dormisse a casa di nascosto. Se le donne protestavano, i giudici sentenziavano: “Chiunquebeneficidiaiutiha perfettamente il diritto di sbatterelaportainfacciaagli ispettori. Ma certo corre il rischio di essere cancellato dalle liste”.10 Lo stesso rischio lo correvano le madri il cui alito, durante le ispezioni, sapeva di whisky ed erano ritenute indegne dell’aiutostatale. Se "la filantropia diventa una strategia politica” (Castel), deve incorporare almeno un elemento umiliante,perquantopiccolo, che funga da segnaletica ideologica: nessuno può usufruire a cuor leggero del pubblico aiuto; sarebbe diseducativo e disgregherebbe i valori sociali. Non si può impunemente necessitare di assistenza, altrimenti si aprirebbe la strada alla perniciosa, “sensuale indolenza” di cui parlava il dottor Johnson. Nei supermercati dei quartieri popolari si accettano i Food Stamps(i“bollini-cibo”).Nel 2001 7,4 milioni di famiglie (17,3 milioni di persone) ricevevano tessere alimentari perunamediadiunpo’piùdi 2000dollariannuidialimenti a nucleo. Solo che non li ricevevano in denaro, ma appunto in tessere, quasi si fosse in tempo di guerra col razionamento. Il razionamentoce,nondelcibo ma della fiducia nel raziocinio di chi riceve l’aiuto. Buoni-pane o buonicarne al posto del denaro segnalanoladiffidenza,come i genitori che preparano la merendaperscuolainvecedi dare i soldini per comprarla nel timore di un cattivo uso del denaro. I Food Stamps costituiscono l’esempio più perfetto della pignola, umiliante parsimonia con cui unostatoocchiutoelargisceil suo aiuto col contabriciole. Lacertificazionedeicriteridi povertàèminuziosa,fiscalee siripeteperognunodeimille programmidiassistenza.Solo per quanto riguarda il cibo, oltreaibollinialimentari,viè un programma cibo per mamme e bambini (nel 2001 ne usufruivano 4,5 milioni di persone). Poi vi sono i buoni pasto-scuola: buoni-breakfast per 4,1 milioni di bambini e buoni-lunch per 24,1 milioni (in realtà a scuola vi sono anche i buoni-latte); più altri 1,5 beneficiari di sussidi alimentari per bambini e anziani, per 8,9 milioni di ragazzi di 5 milioni di famiglie.111 Food Stamps sono solo una tessera di un complicato mosaico alimentar-assistenziale. Contro i pregiudizi correnti, negli Usa per lo stato assistenziale i poteri pubblici (federale e locali) spendonoun’enormità e ogni anno di più. Nel 2000 hanno speso in welfare 1820 miliardi di dollari, un quinto delProdottointernolordo.La crescitapubblicaèproseguita nell’era reaga-niana e nel decennio successivo: dal 1980al2000èaumentatadel 370%indollaricorrentiedel 77% in dollari costanti. E la somma che i poteri pubblici spendonoinwelfareperogni cittadino è passata (in dollari costanti del 2000) da 4518 dollari nel 1980 a 6465 un ventennio dopo12: il governo deve tamponare quelle stesse ferite sociali che la sua politica fiscale e di spesa produce. Questa spesa spropositata si disperde però in mille rivoletti,ognunoatamponare una falla qui, una falla là, a lenire una specifica miseria con il suo specifico apparato burocratico, i suoi criteri, ispezioni e certificati. Nella ricerca affannosa di criteri oggettivi,scientifici,disoglie contabili, lo stato assistenziale americano cade nello stesso peccato di cui accusa i poveri: l’imprevidenza, la logica a corto termine, lo spreco. Tra la voce welfare del bilancio Usa e una vera lotta alla povertà, corre la stessa differenza che passa tra una spesa e un investimento: la prima è puro onere, il secondo è pensato in vista di unfuturomiglioramento. *** Non a caso il verbo più usato nei confronti della povertàè“alleviare”,comesi alleviano i dolori di un paziente. Dalla fine del Settecento, da quando fu elaboratoilconcettomoderno di vivente, tutto era paragonatoalvivente,lacittà, la nazione, la società. Con il positivismo e Auguste Comte,lostudiodellasocietà diventava una fisiologia del corpo sociale. Come ogni organismo, la società ha le suepatologie,interesueparti si ammalano; la società può esserecolpitadacontagio,da cancrena, da paralisi, da convulsioni. Se la povertà è una malattia sociale, filantropi e governi possono solo alleviarne i sintomi perchéessaperunaparteèun male incurabile, è fenomeno naturale dovuto alla "sfortuna”, per un’altra è generata dalle malattie morali, dai vizi del l’individuo (ecco il "povero immeritevole”) e quindi non rientra nelle competenze sociali. Come le capre dell’isola di Juan Fernandez, gli umani più deboli e più ignavi sono destinati a patire fameesofferenze.Anchenel darwinismosocialelapovertà è incurabile, perché impressa nel patrimonio genetico. Come per un’altra “patologia sociale”, la delinquenza, che Cesare Lombroso vedeva inscrittaneitrattisomaticidel criminale, nelle sue “tare”, cosìlapovertàèleggibilenel bagaglioereditario.Comeper i malthusiani, così per i darwinisti (e per molti altri successivi“scienziati”sonali) ognimisuracontrolapovertà potrà solo lenirne i sintomi, sarà perciò palliativo, analgesico, in definitiva “tranquillante” (socialmente parlando). Rispetto alla teoria delle cause morali, il darwinismo sociale non colpevolizza più l’individuo povero: si è predisposti alla povertà come al diabete. I darwinisti cercavano cioè di mitigare la condanna morale (e penale) che si abbatteva sui poveri mostrandocheessinonerano responsabili. Il darwinismo socialesipresentavacomeun progressorispettoall’ideache “la povertà è un vizio”. E da uncertopuntodivistaloera: da crimine volontario, la povertà diventava delitto involontario. Solo che l’involontarietàhaunprezzo: l’assoluta incorreggibilità - a meno di procedere con una sterilizzazioneeugeneticache disinfetti l’umanità dai suoi esemplari “tarati”: “Si dovrebbe almeno impedire ai deboli e inferiori di sposarsi liberamente come i sani,” scriveva lo stesso Charles Darwin.13 Col darwinismo sociale,l’individuononòpiù colpevole della povertà, solo che dal vizio morale si è passati al vizio genetico che riproduce la povertà come "flagello inesorabile". È un ciclo che si ripresenta spesso in sociologia: con intenti progressisti, le “scienze” sociali elaborano una teoria che scagioni i poveri, che spieghiperchéècosìdifficile combattere la povertà, che individui gli ostacoli (personalità, patrimonio ereditario, ambiente, mentalità). Ma questo spiegare "perché il povero è povero” finisce di nuovo con l’incolpare la vittima della suainfelicità. Questo meccanismo è lampante nella teoria della "cultura della povertà”. Il termine fu coniato nel 1959 dall’antropologoOscarLewis chenegliannisessantascrisse libri straordinari tratti dalle testimonianze dei portoricani a New York. Oscar Lewis distinguelapovertàoggettiva (penuria economica, indigenza) dalla cultura della povertà che "è al contempo un adattamento e una reazione dei poveri alla loro posizione marginale in una società stratificata in classi, molto individualistica, capitalista”.14 Così nei poveri,lapressioneesercitata dai problemi di quotidiana sopravvivenza focalizza l’attenzione sul presente; la mancanza di opportunità riduce le ambizioni; il disprezzo circostante induce un senso d’inferiorità; l’incapacità degli uomini di provvedere alle proprie famiglie plasma nuclei centrati sulle madri (mothercentered households). Un’altra caratteristica della cultura della povertà è "l’assenza della fanciullezza come stadio particolarmente protratto e protetto del ciclo di vita”15 (a contrario, la cultura del benessere si misura dal protrarsi e dal proteggersidell’infanziaoltre iconfinibiologici). Laculturadellapovertàè quindi una risposta alla pressione ambientale. Ma, una volta generata, essa “tende a perpetuarsi di generazione in generazione a causadelsuoeffettosuifigli. Ifanciullideiquartieripoveri, giunti all’età di sei o sette anni, hanno già assorbito, di solito, i valori e gli atteggiamenti della loro sottocultura e non sono psicologicamentepreparatiad approfittare appieno dì mutamenti di condizioni o di piùnumeroseopportunitàche possono presentarsi nel corso dellavita”.16 La trasmissione generazionaleèdecisivanella teoria di Oscar Lewis perché fa passare da una reazione presente a un'eredità dal passato,perciòincancellabile. È evidente la finalità “di sinistra” di questa teoria: vuole spiegare perché il povero incontra tante difficoltà a emergere dalla povertà, perché il ciclo della miseria si autoriproduce, perché non basta il puro sussidio materiale, ma serve, si direbbe oggi, un attacco “multidimensionale”. Quesia finalità è chiara non solo in Oscar Lewis, ma anche In uno dei padri spirituali della sinistra statunitense, Michael Harrington. Nel suo The Other America, libro chiave per la riscoperta, negli anni sessantadelNovecento,della povertà americana, i poveri sono “coloro che, per ragioni aldilàdellorocontrollo,non possono essere di aiuto a se stessi. [...] La povertà negli Stati Uniti è una cultura, un’istituzione, un modo di vita. Ce un linguaggio del povero, una psicologia del povero, una visione del mondo del povero”.17 Lo stessoOscarLewisscriveva: Quando i poveri comincianoadavereuna coscienza di classe o a essere membri attivi delle organizzazioni sindacali, o quando adottano un modo internazionalista di vedere il mondo, non fanno più parte della cultura della povertà, sebbene possano continuare a essere disperatamente poveri. Ogni movimento, sia esso religioso, pacifista o rivoluzionario, che organizza e dà speranze ai poveri e promuove in modo efficace la solidarietà e un senso d’identificazione con gruppi più numerosi, distrugge il nucleo psicologico e sociale della cultura della povertà.18 Ma nel giro di dieci anni la "cultura della povertà” era diventata un potente strumento teorico in mano ai conservatori. Mentre per Oscar Lewis solo il 20% dei poveri americani era permeato dalla cultura della povertà (che quindi non poteva render conto del restante 80%), i conservatori echivolevasmantellarequel tantodistatosocialechec’era hanno visto la cultura della povertà come il fattore che spiega perché i poveri sono poveri. Oscar Lewis diceva: "La questione cruciale,dalpuntodivistasia scientifico sia politico, è: quanto peso nella cultura della povertà va attribuito ai fattori interni, autoperpetuantisi, rispetto ai fattorisocialiesterni?Lamia posizione è che, a lungo termine, i fattori autoperpetuantisi sono assolutamente minori e inessenziali rispetto alle strutture fondamentali della società circostante”.19 Ma la cultura della povertà è stata vista come il meccanismo eh e produce povertà “senza assistenzadapartedelmondo esterno”,comedicevaDaniel Moynihan. Attraversolaculturadella povertàereditatadaigenitori, ancora una volta “il povero porta la povertà in sé”. La trasmissione culturale è diventata il fattore decisivo che riproduce la povertà. È chiaro qui come il moderno conservatore usa il concetto di cultura. Come fattore d’identità, la cultura soppianta il sangue, la stirpe, la razza. Il discorso politico moderno passa dalla razza all’etnia, all’identità nazionale come "identità culturale”. La cultura dei serbi contro la cultura dei croati.Periteoricidelsocialrazzismo, come Thomas Sowell, la cultura è immutabile quanto i geni: "Gruppi oggi afflitti da assenteismo, malavoglia e necessità di essere costantemente sorvegliati al lavoro o a scuola, sono tipicamente discendenti di personeconglistessicostumi un secolo o più fa. L’eredità culturale può essere più importante dell’eredità biologica”.20 Gli “scienziati sociali” si ostinanoatradurreindiverse versioni la stessa, tautologica spiegazione:"Ilpoverodifetta perché difetta”. Difetta di denaro perché difetta una volta di qualità morali, un’altra di adeguati geni biologici. Adesso il povero è povero perché manca della cultura per uscire dalla povertà, è imprevidente, rassegnato, non ha senso familiare. Per i conservatori di ogni tipo, la cultura della povertà costituisce allora un eccellente strumento per ridare dignità intellettuale al “povero immeritevole” e per prepararel’ultimaversionedi questa figura, la più immeritevole,l'underclass. *** Fu una copertina del settimanale “Time” del 19 agosto 1977, The American Underclass, a sancire la notorietà nazionale del termine. All’inizio l'underclass si riferiva a quei poveri che languono nella miseria anche nei periodi di crescita e di disoccupazione calante. Poi questa "perpetua underclass” ha acquisito il significato più generale di “comportamento socialmente disfunzionale”. Sotto una nuova terminologia, ritroviamo qui le idee ottocentesche sul vizio. Ecco come si esprimeva "Time”: “l'underclass produce una percentuale sproporzionatamente alta della delinquenza giovanile della nazione, dei fallimenti scolastici, dei tossicodipendenti e delle mamme sovvenzionate [welfare mothers], e gran partedelcrimineadulto,della disgregazione familiare, del degrado urbano e della richiestadiassistenzasociale. [...] I membri violenti dell' underclass sono responsabili dalla maggior parte dei crimini che si sono diffusi come un’epidemia attraversolanazione”(ancora la metafora medica dell’epidemia). Nel 1821 il Quarto rapporto annuale della Società di New York per la prevenzione del pauperismo si estasiava di fronte al geometrico rigore del creato: “Per una legge giusta e inflessibile della Provvidenza, la miseria è stata consacrata come compagna e punizione del vizio”.21 Un secolo e mezzo dopo, la copertina di “Us NewsandWorldReport”del 17 marzo 1986 ribadiva: le “comunità underclass rischiano di diventare enclaves di povertà permanente e di vizio”. Con l'underclass si riaggregano in un solo coacervo vizio, cultura e razza. Così la rivista “Fortune” nel 1987: “‘Underclass’ descrive uno stato mentale e uno stile di vita. È una condizione almeno altrettanto culturale cheeconomica”.22 Ma l'underclass produce uno slittamento di collocazioneedisoggettonel "povero immeritevole”, sposta il riflettore da Skid Rowal ghetto dell’mner city, dal povero bianco al povero nero o ispanico, come trasferisce il nucleo del vizio dalla droga alcol alle droghe crack, eroina, cocaina, dall’ubriacone al tossico. La cultura dell 'underclass congiurerebbe con l’eredità razziale per riprodurre crimineemiseriadeigiovani neri o ispanici incapaci di trovare (o mantenere) un lavoro perché inadatti, indolenti o privi delle qualifiche (il povero difetta sempre di qualcosa, oltre che di soldi: qui delle qualificazioni). Proprio studiando i ghetti neri di Chicago, William Wilson ha ridefinito l'underclass in termini di disoccupazione, di persone permanentemente fuori del mercato del lavoro: e in realtà la mappa delle zone di povertà di Chicago e quella delle aree di disoccupazione si sovrappongono perfettamente.23 Wilson invoca la disoccupazione contro l’interpretazione razziale dell'underclass, ma finisce così nel ricadere in quella “culturale”. Ora un elemento razziale nella povertà urbana invecec’è,perchéleindustrie e le società che creano posti di lavoro fuggono dalle città dove si concentrano proprio le popolazioni razzialmente segregate. Inoltre, i posti di lavorocreatinegliStatiUniti negli anni ottanta e novanta del secolo scorso non sono proprio qualificati: sguatteri, commessi, lavandai, vigilantes, pony-express non richiedonocorsiditecnologia avanzata (nel Loop di Chicago i pony-express corrono in bicicletta, non in motorino). Infine, tutta una corrente razzista individua le ragioni della disoccupazione proprio nel carattere e nella cultura dei neri e degli ispanici. Ancora una volta, concetti introdotti a scopo progressivo sono usati a fini punitivi: la disoccupazione strutturale di Wilson viene riciclata per condannare la pretesa indolenza, incompetenza e indisciplina nera.24Danotarechefratutte le ragioni (etiche, genetiche, culturali) invocate per "spiegare” la povertà, in questacarrellatanonabbiamo mai trovato i difetti di un sistema economico e sociale che andrebbe corretto o riformato, se non rivoluzionato. La società sembra sempre innocente dei poveri che genera e condanna. Anche a confermare quest’innocenza serve l'underclass quando fa da ponte con la criminalità e le gang urbane. Da problema sociale, la povertà diventa problema poliziesco. Il poverocoincidedinuovocon il delinquente. Può tornare in auge la tesi malthusiana per cui“lapovertàèundelittoda trattare sulla base della dissuasione mediante il terrore” (Engels). Mentre si affermava il tema dell’underclass, il numero di detenuti statunitensi si è moltiplicatopercinquefinoa toccare la pazzesca cifra di 2,1 milioni di detenuti. Per avere la stessa percentuale, l’Italia dovrebbe avere 400.000carcerati.Cenesono 50.000, otto volte meno. Negli Usa il carcere diventa un rito di passaggio per un numero crescente di giovani. Inquestocontestovannolette le ricorrenti dichiarazioni di “guerra contro la droga”. In realtà sono guerre contro i drogati, in particolare i residenti delle inner cities. Esse generano l’illusione che ilproblemadelladroga(edei poveri che l’assumono) sia solubile con tecniche belliche. Paradossalmente però, proprio perché si riannoda alla teoria ottocentesca delle "classi pericolose” e offre un’alternativa repressiva all'azione sociale, proprio "per lu sua minaccia, l'underclass è stata una scoperta confortante”25 per unasocietàchenegadiessere divisa in classi ma rivendica un gruppo sotto le classi. L'underclass riduce il problema della povertà a un segmento modesto: le cifre variano da esperto a esperto, maafrontedi34,6milionidi poveri, le stime oscillano da 500.000 persone a 8 milioni (comunque un quarto dei poveri), più credibilmente da un milione a 4 milioni. L'underclass fa della povertà una questione di colore di pelle: si concentra sui neri e sugliispaniciedimenticache vi sono 20 milioni di poveri bianchi. Ignora i working poors, enfatizza la povertà urbana e dimentica la piaga dellapovertàruralediffusain tuttigliStatiUnitienonsolo nelDeltadelMississippi(non a caso detto l’Etiopia d’America). Così, homeless e underclass costituiscono le due facce - luna meritevole, l’altra immeritevole - della medaglia. La geografia complessa, il mosaico variopinto, stridente e chiassoso della povertà si semplificano, si dissolvono, finché, nel silenzio della metropoli,emergonoduesole figure. Da un lato il senzatetto,chesialadistratta, indaffarata, anziana signora caricadisacchettidiplastica, una bag-Lady, o che sia l’allampanato, sperso quarantenne che, sotto un berretto di lana da sci, con uno sguardo mite, trascina tuttiisuoiaveriinuncarrello da supermercato sullo spartitraffico di un’autostrada Dall'altro lato la silhouette, così inquietante per gli americani, del giovane teppista nero, con il berretto da baseball rovesciato, la visiera all’indietro, le scarpe da ginnastica che gli fanno due piedoni enormi, la maglietta fino alle ginocchia. Ognuna delle due figure è estrema, caricaturale, e paga un prezzo per quest’immagine.L'homelessè sì una vittima, un innocente, merita l’assistenza pubblica, ma perciò stesso è considerato inerme, come un "disabile sociale” (ricordo della categoria “disabile al lavoro”). Il membro dell’underclass è sì in pieno possesso delle sue facoltà, "abile”, ma perciò stesso è pericoloso, criminale, va represso. Poco importa che queste due figure costituiscano insieme una percentuale minima (comunque meno di unterzo)deipoveriamericani e una parte minore nel problema della povertà. Il fatto è che esse esauriscono tuttoildiscorsosullapovertà. Lo esauriscono nell’immaginario, per la loro forza emotiva, per la potenza dei fantasmi che esse evocano; e lo esauriscono nell’azione sociale, perché ambedue veicolano un solo messaggio, quello della fatalità, della condanna naturale.Selapovertàèfatta solo di homeless - innocenti ma innocui - e di membri dell’underclass - colpevoli quindipericolosi-,alloranon c’è alternativa a quel modo spietato d’impostare il problemachemetteincampo Malthus quando, citando le parole di un poeta, dice: il povero viene alla mensa festosa della natura e trova che non c’è posto per lui e aggiunge egli - la natura gli ingiunge di andarsene (she bids him to be gone) "perché prima della sua nascita egli nonhachiestoallasocietàse lovolesse”.26 1 Sara Paretsky, Bum Marks, Bantam Doubleday Dell Publishing, New York 1990. 2 M.B. Katz, The UndeservingPoor,cit.,p.13. 3 Martha R. Burt, Pmctical Lessons: Demographics and Geography: Estimating Needs,negliattidi“The1998 National Symposium on Home-lessness Research”, a cura di Linda B. Fosburg e Deborah L. Dennis, per i dipartimentidell’Housingand Urban Development e dell'Health and Human Services, Washington D.C. agosto1999. 4M.B.Katz,op.cit.,p. 193. 5 K.T. Jackson, The Crabgrass Frontier, cit., p. 224. 6 “The Chicago Tribune",15febbraio1999. 7 II verbo regentrify deriva dal termine gentry, "nobiltà di campagna” inglese: e quindi vuol dire “riannobilire un quartiere degradato”. 8 Nel sito www.hud.gov:80/local/chi/shel 9 C. Hoch, R.A. Slayton, New Homeless and Old, cit., p.224. 10 Frances Fox Piven, Richard A. Cloward, Regulating the Poor. The Functions ofWelfare State, Vintage Books, New York 1971,p.167. 11 U.S. Bureau of the Census,StatisticalAbstractof the United States 2002, Government Printing Office, Washington D.C. 2002, taw. 541e542. 12IIBureauoftheCensus ha bruscamente interrotto la seriestoricaomogeneaperla spesa pubblica in welfare nel 1995, data dopo la quale ha cambiato tutte le definizioni rendendo inconfrontabili i dati.Lamiastimaperil2000 è basata sul fatto che, per ogni e qualunque anno confrontabile (dal 1980 al 1995),lenuoveseriestoriche riducono l’ammontare totale di un fattore 1,8 rispetto alla definizione precedente: ho perciò rimoltiplicato per tale fattorel’ultimodatodel2000. L’estrapolazione è basata sul confronto delle taw. 607 e 775 dell’edizione 1999 (l’ultima che riporta i vecchi dati) e della tav. 513 dell'edizione 2002 del Statistical Abstract ofthe UnitedStates,cit. 13 Charles Darwin, The Descent of Man (1871), Prometheus Books, New York 1997, trad. it. L'origine dell’uomo,NewtonCompton, Roma1972,p.148. 14 Oscar Lewis, La Vida. A Puerto Rican Family in the Culture of Po-verty San Juan and New York, Random House, New York 1966, trad. it. Mondadori, Milano1972,p.51. 15Ivi,p.55. 16Ivi,p.51. 17 Michael Harrington, The Other America. Poverty in the United Stales (1962), PenguinBook, New York 1981,pp.17-18. 18O.Lewis,op.cit.,pp. 55-56. 19CitatodaS.Steinberg in The Ethnie Myth, cit., pp. 123-124. 21 Citato da R. Castel, La “guerre à la pauvreté" auxÉtatsUnis,cit.,p.49. 22 Nell’articolo America’s Underclass: What to Do?, n. 115, 11 maggio 1987. 23 William Julius Wilson, The Truly Disadvantaged. The Inner City, the Underclass and Public Policy, Chicago University Press, Chicago 1987,pp.51-55. 24 Cfr. la recensione di Michael Katz al libro di Lawrence Mead, The New Politics of Poverty: the Nonworking Poor, apparsa su “Dissent” dell’ottobre 1992, pp.548-553. 25 M.B. Katz, op. cit., p. 196. Per le stime sull’underclass,pp.204-205. 26CitatodaF.Engels,La situazione della classe operaiainInghilterra,inKarl Marx-Friedrich Engels, Opere complete, cit., vol. iv, p.502.IlpassodiMalthusin realtà è il seguente: "Un uomo nato in un mondo già posseduto, se non può ottenere sussistenza dai suoi genitori,acuifavaleregiuste richieste, e se la società non vuole il suo lavoro, egli non ha diritto alla minima porzione di cibo, e di fatto non c’è attività [business] dove lui è. Al grandioso festinodellanaturanonc'èun postoliberoperlui.Lanatura gli ingiunge di andarsene ed eseguirà rapidamente i propri ordini”.Questopassoapparve nella seconda edizione di An Essay on the Principle of Populationefuomessonelle edizioni successive dal 1807 inpoi. Lametacittà(2):un disordinecosì avvincente Che vorace curiosità, che indefesso frugare e, diciamolo, che protervia, che convinzione di sé! Fin dalla sua nascita Chicago passa il tempo a raccontarsi, a studiarsi. In solo centosettant’anni di vita ha accumulato una sconfinata bibliografia su se stessa. Ma nonèlaquantitàacolpire.È ilmodoconcuisièstudiata. Non una città fra le tante, energica, vivace, ma pur sempreuncasoparticolare.E neanche quale caso irripetibile, come amano considerarsi le grandi metropoli: l’eccezionalità di Parigi,l’unicitàdiNewYork. No, Chicago si è studiata come caso esemplare, nel senso in cui l’intendeva il filosofo John Dewey che, proprio all'Università di Chicago,frail1893eil1904, pose le basi della più americana tra le correnti filosofiche, il pragmatismo. PerDewey,l’induzione-cioè il processo classicamente definitocomel’inferirel’idea generale dai molti casi particolari-consisteinrealtà nell’individuare "un caso esemplarmente rappresentativo”1 di tutti gli altri. Così, per studiare la società moderna, Chicago costituivailcaso. In effetti, quale migliore esempio che questa metropoli, in sessant’anni sorta dal nulla, per studiare dove si organizza la vita urbana, come nascono le patologie sociali, quali sono le fasi d’integrazione degli immigrati? È da Chicago e dalla sua università che la sociologia si è imposta in quantodisciplinaaccademica, col nome di scuola sociologica di Chicago, o dell’“ecologia umana”. La sociologia urbana non solo è statafondataaChicago,masi è costruita studiando Chicago. Per i fondatori della scuola, per William I. Thomas,perRobertE.Parke perErnestW.Burgess,questa città era davvero il caso più rappresentativo nel senso di Dewey (Park e Thomas invitavano i loro studenti a seguireicorsidifilosofiadei pragmatisti). Innanzitutto perché, scriveva Park, "la città mostra il bene e il male della natura umana nei loro estremi” e questo fa della città "un laboratorio, una clinicaincuilanaturaumana e i processi sociali possono essere studiati meglio e con profitto”2 (si noti il termine “natura”eilparagonemedico della "clinica”). Poi, perché "il fenomeno più rilevante della società moderna è la crescita delle grandi città” e perché negli Stati Uniti quest’urbanizzazione, "pur iniziata più tardi che in Europa,haavutoluogo[...]in modo più logico”3: privilegiato tema di studio è sì la città, ma soprattutto la città americana perché più logica,piùrazionale. Certo, Chicago costituiva un gigantesco esperimento urbanointemporeale,conle sue ondate di immigrati, con l’esplosione industriale, la macchina politica che dilagava insieme alla città, il mondo del crimine, i disoccupati, i marginali, gli hoboes, i tramps, i bums. Il materiale c’era: qui era possibilestudiare“leforzein azione nella comunità urbana”. ("La scienza che cercadiisolarequestifattorie di descrivere la caratteristica costellazione di istituzioni prodotta dalla cooperazione di queste forze è quel che chiamiamo ecologia umana, per distinguerla da quella animaleobotanica.”)4 Maauneuropeofaquasi venire invidia l'energia, la curiosità con cui i ricercatori di Chicago si sono messi a indagare la loro città, la pertinacia con cui questi accademicihannofrequentato ospizi,bische,bordelli,ghetti di immigrati. Nelle loro indagini applicavano le idee del pragmatista George H. Mead.PerMead,il"sé”diun individuo è una struttura sociale, è l'interiorizzazione delprocessoconcuigruppidi individui interagiscono con altrigruppi.Il"sé”diognuno è costruito dalla nostra interazione reciproca. "L’azione individuale può allora essere considerata come la mutua creazione di parecchi ‘sé’ in interazione. Così i ‘sé’ acquistano un significato sociale, diventano dei fenomenisociologici.”5 Ecco perché la sociologia diChicagos’interessaacome gli attori sociali vedono se stessi. Le menzogne degli intervistati sono altrettanto indicative delle verità: ambedue rivelano il “sé”, il processosociale,inaugurando quella tecnica d’indagine che Oscar Lewis avrebbe ripreso trentanni più tardi con le famiglie portoricane. Ecco perché molte ricerche di Chicago sono vere e proprie storie di vita, raccolte in lunghi anni di colloqui, una sorta di autobiografie verificate. Così II giovane delinquente (1926) di John Slawson, Il ladro professionista (1937) di Edwin Sutherland, Lo scippatore (1930) di Clifford Shaw. Come sempre in inglese, a designare la categoria, il titolo è al singolare, con l’articolo determinativo: abbiamo già incontrato L’Hobo (non Gli hoboes, o Un hobo) di Nels Anderson. Ma poi c’è La ragazza disadattata ( 1923) di William I. Thomas, L’uomo marginale (1937) di Everett Stonequist. Solo che qui,avolte,quelsingolaredi categoria è anche un singolaredipersona:siamodi fronte a un "sé” la cui esperienza racchiude il gruppo sociale di cui esso è caso “esemplarmente rappresentativo”. Il rischio peròèchecosìunasituazione diventa un destino, una fase transitoria diventa un tipo umano.PerPark,unsenso“di dicotomiamorale,diconflitto è caratteristico di ogni immigrante nel periodo di transizione, quando i vecchi costumisonosmessieinuovi nonsisonoancoraformati.È inevitabilmenteunperiododi subbuglio interno”. Solo che inquest’"uomomarginale""il periodo di crisi è relativamente permanente. Il risultato è che egli tende a diventare un tipo di personalità”.6 È così che gli italiani diventano L'Italiano, gli ebrei L’Ebreo. Il contadino polacco è il titolo della monumentale ricerca di W.I. Thomas e di Florian Znaniecki considerata il cardine della scuola di Chicago,cominciatanel1908 eterminatanel1918. "Contadino” e "polacco”. Polacco, perché intorno al 1908 era questo il gruppo d’immigrazione più forte e perciò costituiva il fenomeno più macroscopico di crescita e mutamento per la città. Contadino, perché questi immigratinonsolopassavano da un paese all’altro, ma da paesanidiventavanocittadini, da una mentalità rurale ne acquisivano una metropolitana. Se è vero, come diceva Dewey, che "nell’indagine sociale, i problemi genuini sono posti soltanto da situazioni sociali reali, che presentino in sé medesime conflitto e confusione”,7qualeproblema più genuino dell’immigrazione che portava in sé ogni sorta di conflittoeconfusione? *** “Confusione” è sinonimo di quel che i sociologi di Chicago chiamavano la “disorganizzazione sociale”. Per Burgess, “i processi di organizzazione e disorganizzazione possono essere pensati come in relazione reciproca, come cooperanti a un equilibrio mobile dell’ordine sociale verso un fine ritenuto progressivo”; la crescita urbana va quindi pensata come “la risultante di organizzazione e disorganizzazione, analoghe ai processi anabolico e catabolicodelmetabolismo”.8 Qui la metafora naturale è spinta fino a pensare la città come un vivente con il suo metabolismo (le arterie cittadine). La disorganizzazione, per la scuola di Chicago, è quindi unasituazionetransitoria:"La disorganizzazione personale risultava da una transizione troppo rapida da una società popolanapreindustrialeauna civiltà urbana altamente meccanizzata. Pochi tra i gruppi etnici che compivano questa transizione erano capaci di sfuggire alla severa disorganizzazione, ma col tempo tutti mostravano l’abilità di guarirne [recover]”.9 La disorganizzazione non solo era transitoria, ma contribuiva a un nuovo ordine, più vario. In fondo a quest’impostazione c’è l’evoluzionismo positivista, per cui la società (e la struttura urbana) evolvono verso "un fine ritenuto positivo".PerPark,ildestino finale dell’immigrazione era l’assimilazione, l’integrazione. Quella che la scuola di Chicago formula è lasociologiadelcrogiolo,del melting pot, dove le etnie si fondono in una nuova lega. Park teorizzava un ciclo in quattrotappeperirapportitra comunità migrante e comunità d'accoglienza: rivalità,conflitto,adattamento eassimilazione. 1 ) La fase dellarivalità: all’inizio, quando gli immigranti sbarcano come pura forza lavoro, quando le relazionisocialisonoridottea una coesistenza basata sui soli rapporti economici, vige la rivalità, ovvero "l’interazione senza contatto sociale”: "la rivalità è il processo che organizza la società” e determina la ripartizione geografica della società e la divisione del lavoro. 2) Mentre "la rivalità determina la posizione di un individuo nella comunità, il conflittogliassegnaunposto nella società”: la rivalità è impersonale e inconscia, il conflitto è conscio e personalizzato e crea una solidarietà nella comunità immigrata. 3) “L’adattamento può essere considerato - quale una conversione religiosa - come una sorta di mutazione”: i gruppi rimangono rivali potenziali ma accettano le loro differenze. 4) Nella fase di assimilazione, "c’è interpenetrazione e fusione, nel corso delle quali gli individui acquisiscono la memoria, i sentimenti e gli atteggiamenti dell’altro gruppo e, condividendo la loro esperienza e la loro storia,s’integranoinunavita culturale comune”.10 L’ultima fase, assimilazione, noncoincideconl’amalgama: oggigliebreiamericanisono integrati, assimilati, ma non amalgamati. Negli Stati Uniti si è ormai smarrita gran parte di questa fiducia nell’inevitabilità dell'assimilazione, ma allora essa sembrava indissolubile da quella fame di futuro, da quelprotendersinell’avvenire che permeava l’agire quotidiano. Di fronte al turbinosocrescerediunacittà come Chicago, al suo essere domani del tutto diversa, nuova,rispettoaquelcheera ieri, era inevitabile che, dal punto di vista filosofico, l’esperienza assumesse un valore progettuale, anticipatorio. Ed è quest’atteggiamento mentale la caratteristica peculiare del pragmatismo. Mentre l’empirismoinglesesiriferiva sempre a un'esperienza passata, da catalogare e repertoriare,nelpragmatismo l’esperienza è anticipatoria, prepara il domani. Non per nulla, il pragmatismo si presenta come la formulazione filosofica del'ottimismodemocratico. Inquestavisioneottimista si colora di aspetti positivi persino la figura che più affascina la scuola sociologica di Chicago, l'"uomo marginale”, cioè “l’uomo al margine di due culture e di due società, che nonsisonomaicompenetrate e fuse”: marginali per eccellenzasonogliimmigrati. Per Park, l’essere al margine rende più liberi: "Quando l’organizzazione tradizionale della società si rompe, come risultato di contatto e collisione con una nuova invadente cultura, l’effetto è, per così dire, di emancipare l’uomo individuale. Le energie che prima erano controllatedaicostumiedalla tradizione sono ora liberate. L’individuo è libero per nuove avventure, ma egli è più o meno senza direzione nécontrollo”.11Troviamoqui in nuce la “cultura della povertà”, poiché è lo scontro di due culture che produce disorganizzazione.Eperòc’è un abisso tra disorganizzazione e povertà: intanto, la "cultura della marginalità” ha aspetti positivi. L’uomo marginale è il metropolitano per antonomasia, se la città è l’ambiente in cui l’uomo è sempre un po’ straniero, comedicevaSimmel,eperciò “più libero, teoricamente e praticamente”. I sociologi di Chicago formulavano queste tesi sugli immigrati quando ancora si organizzavano linciaggi controitalianiegreci,quando un futuro presidente, Woodrow Wilson, parlava di “vigorosi ceppi” del Nord Europa e di “feccia spregevole” del Sud Europa. Demolivano cioè l’interpretazione razziale delle “patologie urbane” (metafora medica) e ne fornivano una spiegazione ecologica. Burgess avrebbe parlato persino di “ecologia delcrimine”. Spazzavano via il luogo comune per cui il crimine dipendeva dall’incapacità degli immigrati di adattarsi all’Americaemostravanoche al contrario la criminalità nasceva dall’adattamento: si diffondeva nella seconda generazione, tra i giovani già partecipi della nuova cultura, mentre era assente dalla prima generazione, degli immigrati appena arrivati, impermeabili alla nuova cultura e ancora ligi al vecchio codice morale. Smontavano perciò le spiegazionimoralistichedella devianza, giusta la tesi di Dewey: “Affrontare i problemi umani in termini di biasimo e approvazione morale, di malvagità e di virtù, costituisce probabilmente il maggiore ostacolosingoloallosviluppo di metodi appropriati in camposociale”.12 Propugnavano uno sguardo etnologico: “Finora l’antropologia si è concentrata nello studio dell’uomo primitivo. Ma anche l’uomo civilizzato è interessante come soggetto d'indagine [...]. Gli stessi metodi pazienti usati nello studio degli indiani del Nordamerica possono essere bene impiegati nell'indagare costumi, credenze, pratiche sociali e concezioni di vita dominanti a Little Italy a Chicagoonelregistrareipiù sofisticati stili di vita degli abitantidiGreenwichVillage [allora quartiere chic di Manhattan]aNewYork”.13 Però la questione morale, cacciata dalla porta, rientra dallafinestra.Perlascuoladi Chicago già la libertà dell’individualismo è ambivalente e infrange i valori collettivi. Il disordine (mentale, sociale, morale) esercita un’attrazione irresistibile per questi sociologi. Le loro ricerche hanno indagato i fenomeni sempre di disorganizzazione, mai di organizzazione. Quest’ultima,eicriterisucui sifonda,l’hannosempredata per scontata. Ma così l’immagine che ne trasmettono è la più banale, perbenista possibile (il matrimonioèorganizzazione, il divorzio è disorganizzazione). Spregiudicati su tutto, tranne che sui pregiudizi. Ne seppe qualcosa William I. Thomas trovatonel1918,a55anni,in unastanzad’albergoconuna signora, cacciato dall’università e mai più riammesso (ancor peggio: l’episodio fu censurato dalla storia della sociologia e riesumatosolonel1966).14È con un fremito di timore e piacere, di avventura e pericolo che Park affrontava lacittà: Il processo di segregazione urbana stabilisce distanze morali che fanno della città un mosaico di piccoli mondi che si toccano ma non si compenetrano.Ciòrende possibile agli individui di passare con facilità e rapidità da un ambiente morale a un altro e incoraggia l’affascinante ma pericoloso esperimento di vivere simultaneamente in parecchi, diversi mondi contigui, ma nettamente separati. Tutto ciò tende a dare alla vita di città un carattere superficiale e avventizio; tende a complicare le relazioni sociali e a produrre nuovi e divergenti tipi individuali. Introduce nello stesso tempo un elemento di opportunità [chance]eavventurache aumentaglistimolidella vita cittadina e le conferisce, per nervi freschi e giovani, una peculiareattrazione.15 Piccoli mondi chiusi... Come le specie viventi si evolvono differenziando i propri tessuti, così per i sociologi di Chicago, quando cresce e diventa più complessa,lacittàsidividein “aree naturali”, “ognuna con lasuafunzionenaturale”:qui la metafora diventa addirittura darwiniana (anzi lamarckiana). Le differenti areeurbane,scrivevaParknel 1929, "sono il prodotto di forzechesonocostantemente al lavoro per generare un’ordinata distribuzione di popolazioni e funzioni all’interno del complesso urbano”.16 Se il fattore più importante di sviluppo delle città industriali è costituito dalla domanda di manodopera, cioè dall’immigrazione, alle varie tappe dei rapporti etnici corrispondono diverse aree cittadine.“L’invasione”degli immigrati “ha l’effetto di un’onda di marea che inonda dapprima le colonie di immigrati, i porti di primo arrivo,sloggiandomigliaiadi abitanti che straripano nella zona successiva e così via finchél’impulsodell’ondaha esauritolasuaforzanellapiù distante zona urbana” (la metaforaquièidrica).17 Il criterio che destina le singole aree alle diverse funzioni è, per l’ecologia urbana,lacompetizioneperlo spaziourbanopiùfavorevole. “La prima scelta di lotti desiderabili di terreno è inevitabilmente fatta da chi può pagare i prezzi più alti.”18 Il distretto centrale degliaffarisisviluppaquindi nel posto più favorevole per banche,uffici,sedicentralidi ditte, alberghi di lusso, per chi può trarre il massimo profitto da un terreno caro. Fuori dal centrai business district si collocano i magazzini e le industrie leggere. Più distanti sono le industrie pesanti che richiedono vasti spazi ma debbono essere vicine ai centri di trasporto. Poiché fruttanomenodenarodiuffici e industrie, le residenze sono lontanedalcentroeoccupano la terra non reclamata dal commercio. Vicino alle industrie, la terra non è attraente per l’uso abitativo (rumori, odori, veleni) e quindi vi si affolla chi ha bassi redditi: abita non solo vicino al lavoro, ma anche a buonmercato. La competizione plasma le città secondo lo schema, detto “ipotesi zonale di Burgess”:1)zonacentrale:il business district (Loop); 2) zona di transizione: aree industriali, slum e zone di primo insediamento delle popolazionimigranti;3)zona deiquartierioperaifuoridagli slum; 4) zona residenziale agiata; 5) infine la zona dei pendolari. Le zone non sono circolari perché deformate dallageografiaedaitrasporti. Per l’ecologia urbana, la città è naturalmente segregante. Ecco un cardine dell'idea americana di città. La prima volta che, uscendo daNewYork,m’inoltrainella provincia, giunta la notte, mi fermai a Youngstown, Ohio, centrosiderurgicodi200.000 abitanti.Cercavodamangiare e dormire e, da europeo, andai al centro, a downtown. Ma tutto era spento, vuoto, sinistro. Dovetti chiedere a un’auto della polizia, tornare vicino agli svincoli autostradali, dove erano concentratimoteleristoranti. Toccavo per la prima volta conmanolaseparazionedelle funzioni che vige anche in metropoli come Denver, Minneapolis... Questa separazione pervade tutto, tanto che nelle città americane a volte ti prende l’angoscia, ti viene l’animo a cas-settini, con i fazzoletti in un tiretto, le mutande in un altro, le camicie in un terzo. Ti viene da dubitare che queste metropoli abbiano un futuro. E il dubbio ti sorge per la rigidità con cui separano nello spazio le varie funzioni del vivere urbano. Dove si abita, non si lavora; dove si lavora, non ci si diverte. È così negato tutto ciò che per noi rende attraente il vivere urbano: che siano contigui ufficio, casa, ristorante, negozio, caffè, cinema. L’accavallarsi delle funzioni. Qui invece è la loro separazione a prescrivere la geografia cittadina: il centro degliaffaridisabitatodinotte (e dunque pericoloso); le distese di villette senza bar, senzaedicole;iMalls,funghi nel deserto; e, vicino alle autostrade, le lunghe arterie monocommerciali: in una le autousate,inun’altraimotel. A un occhio europeo questa divisione di spazi e funzioni pare una malattia, una fatalità triste che accompagna la formazione degli Stati Uniti, qualcosa da subireeacuifarel’abitudine. Nell’ipotesi migliore, questa separatezza ci si presenta come l’esito, laterale e indesiderato,dialtriobiettivi: avereunagrandecasaconun bel prato; poter raggiungere presto in auto i negozi, l’ufficio o la fabbrica; concentrare le industrie per impuzzare l’area più ristretta possibile, accalcare gli uffici per moltiplicare contatti e dunqueaffari. Ma,aguardaremeglio,la segregazione di spazi e funzioninonèinvolontaria,è stata teorizzata e considerata "più logica” (Burgess), perché qui lo spazio fisico coincideconlospaziosociale tanto da concentrare in aree urbanisticamente disorganizzate la disorganizzazione sociale, familiare, mentale. Dove la separazione delle funzioni si fa segregazione dei gruppi è quando sociologi e pianificatori cominciano a pensare che "i piccoli mondi chiusi”diPark(quelliche"si toccano ma non si compenetrano”) è bene che restinochiusiedèmeglioche non si sfiorino perché, dove vengonoacontatto,làsicrea un confine urbano che è insiemeunafrontierasociale, una fessura. È qui, in queste zone di frattura dell’ordine sociale, e perciò di disorganizzazione, che nasce la criminalità secondo la classicaricercadiFredericM. Thrasher,The Gang. A Study of1313GangsinChicagodel 1927. Ora,nonè“naturale”che lo spazio sociale coincida con lo spazio fisico. “Lo spazio è uno dei luoghi dove il potere si afferma e si esercita,esenzadubbionella formapiùsottile,quelladella violenza simbolica come violenza non percepita.”19 È questopotereafarcoincidere i due spazi. Se il sociologo formula l’ipotesi zonale, il politico decide lo zoning, il piano regolatore. Scrive Kenneth Jackson: "In teoria lo zoning doveva proteggere gliinteressidituttiicittadini limitando la congestione e la speculazione terriera. [...] In realtà lo zoning era un meccanismo per tenere i poveri e le industrie sgradevoli fuori dalle aree benestanti. [...] Le città del sud usarono lo zoning per rafforzare la segregazione razziale”.20 Così “è stata operata una vera e propria costruzione politica dello spazio” che "ha favorito la costruzione dì gruppi omogeneiabasespaziale”.21 L’ipotesizonalediBurgesssi rivela la classica ipotesi che crea la propria conferma, “naturalmente”. *** Ma forse è giunta l’ora d’interrogare questo termine, “natura”, che incontriamo a ogni piè sospinto. La metafora naturale per i fenomeni sociali è radicata nel pensiero positivista: per Auguste Comte, il sociologo studia la società come il fisiologo il corpo umano, e prescrive cure ai suoi malanni, proprio come il medico fa con il paziente. Ora, Chicago fu negli anni trenta una roccaforte positivista: qui a partire dal 1938 fu pubblicata l'Intemational Encyclopedia of Unified Science sotto la direzione degli alfieri del neopositivismoOttoNeurath, Rudolf Carnap e Charles Morris. La metafora naturale (di tipo tellurico, geologico, fisico) non è estranea al marxismo: "scosse” sociali, "terremoti”, rivoluzioni che “scoppiano”; mentre il pensiero conservatore predilige la metafora organicista. I sociologi di Chicago le usano ambedue, sia le “ondate" dell’immigrazione, sia le “patologieurbane”. MaquandoThrasherparla di “storia naturale del crimine" in che senso usa la “storianaturale”,termineche indica i musei dove si visitanoscheletrididinosauri e collezioni di farfalle? La rispostalatroviamonel“Wall Street Journal” del 15 aprile 1993: “Una generazione di scienziati sta imparando che la più importante legge di naturaèlaleggedell’offertae della domanda”. E noi che non ceravamo arrivati. Ma ora tutto è chiaro. È “naturale” la tendenza alla segregazione nelle città Usa: gli abitanti resistono all’idea divederdecurtatoilvaloredi mercato delle proprie case quando i neri vengono ad abitare nel loro quartiere. È "naturale” la rivalità, “la forza che organizza la società"(Park)perisociologi di Chicago: rivalità è sinonimo di concorrenza nel mercato. Naturale è quindi l’economia di mercato. Naturale la lotta per la proprietà. Inscritto nella natura umana, il capitalismo conlesueleggidell’offertae della domanda, più ferree di quelle di Newton. Nel pragmatismo dell’ultimo Dewey,l’attodelconoscereè definito come una transazione:comenegliaffari noncisononécompratoriné merci se non nelle transazioni, così oggetto e soggetto esistono solo nei processidelconoscere. L’attività commerciale come modello teorico per descrivere l’atto del conoscere! Siamo qui di fronte alla produzione di un "mito”, nel senso di Roland Barthes: è descritto come fenomeno naturale (le "eterne” regole del mercato) quel che invece è prodotto della storia, ed è considerato immutabile (perché "naturale") quel che invece è transitorio e costruito.22 Nel crescere, le città genererebberoighettiurbani, come nel maturare gli adolescentisecernonoipropri foruncoli. Quando fu formulata, l’“ecologia urbana” si considerava progressista perchédistruggevapregiudizi e luoghi comuni: se i ghetti urbani sono prodotti dalla crescita"naturale”dellecittà, il loro degrado non è colpa degli abitanti. La scuola di Chicago sottrasse all’interpretazionegeneticala devianza, la violenza delle bande cittadine, le subculture giovanili. Ma l'ecologia urbana aveva la forza di distruggere l’interpretazione genetica, innatista, perché sostituiva un’inesorabilità naturale (quella dei cromosomi) con un’altra fatalità, quella della più importante “legge di natura” secondo il "Wall Street Journal”, la legge della domandaedell’offerta. A onor del vero, per i sociologidiChicagolanatura era perfettibile e la città migliorabile, come testimoniano le loro proposte di riforma urbanistica. Erano ottimisti sulla dinamica sociale, come ottimista era il pragmatismo di Dewey. La disorganizzazioneeraperloro transitoria,unpurgatorio,non un inferno, e dai sociologi odierni li separa un fossato grande come quello che divide un marginale da un emarginato. La scuola di Chicago è declinataforseproprioperché troppo ottimista, assimilazionista, troppo poco positivista. In campo accademico il suo declino inizia nel 1935 quando, contro le storie di vita della scuola di Chicago, prende il sopravvento la sociologia quantitativa dei Talcott Parsons, dei Paul Lazarsfeld, deiRobertMerton,finanziata dai grandi contratti dell'esercitoUsaeinscrittain un paradigma di totale positivismo, per cui unico criterio di scientificità è l’assoluta impersonalità matematizzante. Nella realtà sociale, la scuoladiChicagoèmessain crisi dalla questione nera su cui l’assimilazionismo di Park si rivela perdente e l’approccio culturale insufficiente. Già all’interno della scuola di Chicago, in TheNegroFamilyinChicago del 1932, Franklin Frazier distingue tra assimilazione culturale e assimilazione sociale: i neri hanno assimilato la cultura americana,manonperquesto sono socialmente integrati. MaèdopolaSecondaguerra mondiale, quando la questione nera diventa il problema sociale americano, che si rivela impotente l’approccio in termini di culturaecomunità. Eppure nel 1978, proprio unsociologonerodiChicago (una delle città più segregate degli Stati Uniti), William Julius Wilson, pubblica un discusso volume dall’espressivo titolo The Declining Significance of Race, in cui sostiene che l’emergere di una borghesia nera da un lato e l’ulteriore impoverirsi del sottoproletariato nero dall’altro divaricano condizioni di vita, culture e identità tra i vari segmenti della popolazione nera e riduconocosìlarilevanzadel fattore razziale. Eppure la razza conta anche per i neri agiati: "L’esperienza dello status di classe media non è uniforme nei diversi gruppi. Al contrario, è colorato dall’intersecante realtà della razza”.23Frarapportietnicie relazioni razziali continua a esserciunabisso. Gli immigrati europei furono discriminati, linciati, usati come crumiri, proprio come i neri. Ma, scrive Steinberg, mentre il messaggio implicito agli immigranti è: "Che tu lo voglia o no, tu diventerai come noi", quando si viene alle minoranze razziali, il tacito assioma è: “Non importaquantotusiasimilea noi, tu resterai sempre separato”.24 È questa ineludibile linea del colore chedobbiamovarcare. 1JohnDewey,Logic.The TheoryofInquiry,HenryHolt and Co., New York 1948, trad.it.Einaudi,Torino1949 (19733), cap. xxi, vol. II, pp. 549-550. 2RobertE.Park,Ernest W. Burgess, Roderick D. McKenzie, The City (1925), Chicago University Press, Chicago 1967, cap. I di Robert Park, Suggestions for the Investigation of Human Behavior in the Urban Environment, (pp. 1-46), p. 46. 3 Ivi, cap. II, E. Burgess, The Growth of the City(pp.47-62),p.47. 4 R.E. Park et al., op. cit.,pp.1-2. 5AlainCoulon,L'École de Chicago (1987), Presses UniversitairesdeFrance,coll. Que-sais-je?, Paris 19933, p. 15. Questo volumetto costituisce il migliore approccio alla scuola di Chicago. 6 R.E. Park, Human Migration and the Marginai Man,cit.,p.893. 7J.Dewey,op.cit.,cap. xxiv, p. 618 (il corsivo è mio). 8 E.W. Burgess, The Growth of the City, in R.E. Park, E.W. Burgess, R.D. McKenzie, op. cit., pp. 54 e 53. 9 Robert E.L. Faris, Chicago Sociology, 19201932 (1967), Chicago University Press, Chicago 1979,p.63. 10 Le frasi sono tratte da IntroductiontotheScienceof Sociology ( 1921 ) di R.E. Park e E.W. Burgess nel seguenteordine:pp.506,508, 510, 735. Nella formulazione hoseguitoA.Coulon,op.cit., pp.35-39. 11 R.E. Park, Human Migration and the Marginal Man,cit.,p.891. 12J.Dewey,op.cit.,p. 614. 13R.E.Park,op.cit.,p. 3. 14A.Coulon,op.cit.,p. 26. 15 R.E. Park, op. cit., pp.40-41. 16 Robert E. Park, Sociology, in Wilson Gee (a cura di), Research in Social Sciences, Macmillan, New York1929,p.29. 17 E.W. Burgess, op. cit.,p.58. 18R.E.L.Faris,op.cit., p.58(ilcorsivoèmio). 19 Pierre Bourdieu, Effets de lieu, in Pierre Bourdieuetal.,Lamiseredu monde,ricercacollettivasotto la direzione di Pierre Bourdieu, Éd. du Seuil, Paris 1993,p.163. 20 K.T. Jackson, The Crabgrass Frontier, cit., p. 242. 21P.Bourdieu,op.cit., p.167. 22 Roland Barthes, Mythologies, Éd. du Seuil, Paris 1957, trad. it. Einaudi, Torino1974,pp.191-238. 23MaryPattilloMcCoy, Black Picket Fences. Prìvilege and Peril among the Black Middle Class, Chicago University Press, Chicago1999,p.209. 24 S. Steinberg, The EthnicMyth,cit.,p.42. Parteterza 1.Bronzeville:lafine dellasperanza Su State Street, all’incrocio con la 35a, il profiloseverodelPolitecnico costruito da Mies van der Rohe si staglia come un’ultima sentinella. Più oltre, a sud, per miglia, la desolazione.Adestra,finoal 2000 si ergevano le Taylor Homes, casermoni popolari sbarrati da reticolati a ogni piano, dalle facciate già incendiateesventratequando erano ancora abitati. Oggi alcuni di essi sono già demoliti e i loro ruderi rendonopiùamaroilsensodi mortechealeggia.Asinistra, corre la sopraelevata e, oltre, si stende una terra crivellata, ferraglie, pneumatici e cartoni, sacchetti di plastica che volano nel vento. Dal 1950 a oggi, due terzi degli abitantihannoabbandonatoil quartiere e, su tre che rimangono, due vivono sotto lasogliadipovertà. Ti sembra impossibile che, dalla Prima guerra mondialeefinoasessantanni fa, quest’incrocio fosse il centro animato del quartiere nero più pimpante (cui era stato affibbiato il nomignolo di Bronzeville). Non solo di giorno,maanchedinotte,tra la25aela39a,StateStreetera piena di luci, e le musiche filtravano da dietro le porte dei locali. Dancing come il Palace Garden o il Peking offrivano jazz a una clientela mistafinoalleorepiccole. Tutto intorno, sette cinemaproiettavanofilmogni giorno diversi accompagnati da un’orchestra in carne e ossa. In una settimana d’autunno del 1916 si poteva scegliere tra La ragazza di Frisco, Una lezione dalla vita, Lo scudo dell’ombra, Il soldato della compagnia K ("contuttoilcastdicolore”), Frutto proibito, I peccati della città.1 Tanto che l’austero settimanale nero, “TheChicagoDefender”,ele organizzazioni di mutuo soccorso come la Urban League,mettevanoinguardia i giovani immigrati neri contro le tentazioni della città,ilvizio,ibar,ladanza. A quel tempo per i contadini neri del Sud in procinto di emigrare a nord, Chicago era Land of Hope (“Terra di speranza”), o The Promised Land (“La Terra promessa”), come cantavano alcuni versi. Land of Hope è anche il titolo del documentato libro di James R.Grossman.2Tralabriosità di allora e l'apatia sorda di oggi, puoi misurare il crollo delle speranze per i neri. C'e stata forse negli Stati Uniti un'epocaincuilaconvivenza tra bianchi e neri era un problema da risolvere. C’è stataforseun’epocaincuigli americani di buona volontà hanno pensato che un giorno o l’altro il loro popolo avrebbe avuto una tintarella, capelli un po’ ricci, ma sarebbe stato amalgamato. Forse qualcuno un tempo ha nutrito questa speranza, nonostante mai, in tutta la storia americana, l’apparato scolastico abbia lanciato un’offensiva seria contro l’ideologia della discriminazione. Certo è che ora questa speranza pare svanitainunfatalismogrigio. Oggi ti sembra che il problema nero sia vissuto come un fardello, un’ineluttabile infelicità nazionale, un’acre ostilità cronica,senzapacenéguerra. Sessant'anni fa Gunnar Myrdal scriveva quell’opera fondamentale che è An AmericanDilemma(finitonel gennaio 1943).3 E rispetto a sessant’anni fa la situazione sembraaggravata,nonostante tutti i Civil Rights Act, il movimento per i diritti civili degli anni sessanta, le rivolte dei ghetti urbani, nonostante lePanterenereeiMusulmani neri,personalitàcomeMartin Luther King, Malcolm X, Jesse Jackson. Allora sembrava che il problema nero4 fosse appannaggio soprattutto del Sud rurale; oggi è proprio delle grandi cittàdelNordedell’Ovest. Sequalcosatifadisperare degli (e negli) Stati Uniti, è proprio questo rapporto tra bianchi e neri, la loro separazione ostile, pesante, opaca. Tra passanti di colore diverso si erge un muro diffidente di rancore spesso. La prima cosa di cui ti accorgi visivamente è quel chenonvedi: e quel che non vedi rappresenta un doppio paradosso. Da un lato non vedi molti neri-neri, di quel colorenerocheconoscebene chihaviaggiatoinAfrica,ma vedi invece molti neri chiari (i neri di Santo Domingo usano dire che “i neri statunitensi sono bianchi un po’colorati”). Il che vuol dire due cose. La prima è che la "razza nera” è definita in America dalla popolazione bianca: “Chiunque abbia una traccia nota di sangue negro nelle sue vene - non importa in quale remoto passato acquisita-èclassificatocome negro.Nessunapercentualedi ascendenza bianca, tranne il cento per cento, consentirà l’accesso alla razza bianca”.5 Quest’atteggiamento è agli antipodi di quello prevalente in Africa o nei Caraibi dove, all’interno della stessa famiglia, è privilegiato, coccolato il figlio dalla carnagione più chiara, in una sorta di razzismo interiorizzato presente negli Usa negli anni venti, come raccontaMalcolmX:“Aquei tempi,quasiistintivamente,la maggior parte dei genitori negritrattavanomoltomeglio i loro figli dalla pelle più chiara”.6 Niente di tutto ciò nella tassonomia statunitense del colore. È vero che i censimenti dell’Ottocento distinguevano gli schiavi in "M”(mulatti)e“B”(black)e che dal 1890 le rilevazioni suddiviseroimulattiinquarti e ottavi di sangue nero (i nazisti tedeschi avrebbero distinto fino ai sedicesimi di sangue ebreo). Ma questa classificazione andava contro la cultura dominante. Già nel 1893 James Bryce scriveva: “Mentreinpaesiportoghesio spagnoli chi non è evidentemente nero è riconosciuto come bianco, negli Stati Uniti ogni traccia disangueafricanomarchiaun uomo come un negro e lo assoggetta a incapacità connesse alla razza. Nell’America Latina, chiunquenonèneroèbianco; nell’America teutonica, chiunque non è bianco è nero”.7Così,dal1920(efino al 2000), il Bureau of the Census considerò nero chiunque avesse anche un solo, remoto antenato nero, secondo la “regola della singola goccia di sangue” (one-drop-rule).8 "Cercando didefinireconprecisione[pin down]l'essenzadellarazza,di fatto la one-drop-rule rese quest'essenza inconoscibile, quindi invisibile. Per perseguire il sogno di un’essenza della razza, ha gettato alle ortiche la realtà percettibile del colore della pelle: ha reso metafisico ciò cheerafisico.”9 Dove la natura ci offre una gradazione continua di tinte che degradano senza sbalzidall’incarnatopiùscuro al più chiaro, la società produce una discontinuità tassonomica(quiibianchi,là i neri), proprio come - per poter commerciare i futures, perpotervenderequindibuoi astratti, mele future - il mercato aveva sostituito definizioni discontinue di mele e di buoi alle concrete varietà continue di grano, di mele, di manzi. E come lì il nuovo nome della cosa (la mela) produceva la nuova cosa stessa (la nuova varietà standardizzata di mela), così il chiamare nera una persona dalla pelle chiara un po’ abbronzata la confina in una “razza" nera nuova, perché questa nuova entità che chiamiamo razza non è più definita da proprietà fisiche, tra cui il colore molto scuro della pelle, ma è definita dal suo “non essere bianca”. Negli Usa vi sono addirittura centinaia di migliaia di “neri inconsci”, di persone di pelle nivea che non sanno, e vengono a sapere solo casualmente,diesserenerein base alla one-drop-rule. Assistiamo di nuovo, letteralmentesullapelledegli umani, al processo con cui i moderni hanno risolto il medievale problema degli universali: producono realtà attraverso il semplice nominarla. Il fatto che la “razza nera” sia qui un puro prodotto culturale non toglie nulla alla sua concreta realtà storica,comesannoineriche nesubisconoglieffetti.Molti leader dei movimenti neri sono in parte bianchi, come Booker T. Washington e FrederickDouglass(ambedue con padre bianco), W.E.B. DuBois,MalcolmXeMartin Luther King (con una nonna irlandeseeavipellerossa). Il leader dei Musulmani neri, Louis Farrakhan, antìbianco estremo, ha tratti “caucasici”epellechiara. Il secondo aspetto implicitoinquestatonalitàdi carnagione è che nel passato ci devono essere state molte mescolanze razziali. Un sondaggio citato da Myrdal mostrava che nel 1930 il 71,7% degli intervistati neri aveva almeno un lontano ascendente bianco.10 C’è statoquindiunperiodoincui leduerazzesisonomescolate confrequenza:eradurante lo schiavismo, e la mescolanza avvenivadinormatrabianco maschio e schiava nera. Notatecomeilmitonarrauna leggenda inversa, simmetrica eopposta:ilrazzismobianco èossessionatodall’incubodel maschio nero stupratore che violenta la donna bianca, mentre per secoli è stato il maschio bianco stupratore a violentare la donna nera (lo stesso meccanismo per cui il coniuge adultero è il più geloso, perché proietta sul suo partner i propri comportamenti). La discriminazione sessuale negli Stati Uniti è quindi sempre stata asimmetrica. È più forte il tabùcontroilrapportodonna bianca-uomo nero, è più debole la discriminazione contro la relazione uomo bianco-donna nera. È più osteggiato il matrimonio; è più tollerato il rapporto informale, o clandestino, ricordo delle avventure ancillari. Il risultato è che in testa alla gerarchia dei tabù c’è quello contro il matrimonio fra una donna bianca e un uomo nero. Un tabù che trova spazio nella comunità nera e riecheggia nelle parole di Malcolm X controlebianche,“diavolesse dagliocchiazzurri”. Quiincappinellaseconda cosa che per la strada non vedi: non vedi coppie miste, comeinveceneincontritante in altre città a forte popolazione nera, a Parigi, a Londra. Solo trentasette anni sono passati da quando nel 1967 la Corte suprema ha dichiarato illegali tutte le norme che nei singoli stati limitavano i matrimoni interrazziali: c’era voluto più di un secolo dalla fine della guerracivileedall’abolizione dellaschiavitù. Cerchi le statistiche per mettere alla prova quest'impressione di segregazione.Su56,5milioni di coppie sposate censite negli Usa, solo 363.000 sono coppie miste bianchi-neri.11 cioè lo 0.64%, ovvero una coppia su 156, mentre i neri rappresentano il 12,7% della popolazione (36,2 milioni contro 230,3 milioni di bianchi).12 Il razzismo inerente in queste percentuali risalta ancora di più se si confrontanoimatrimonifrai bianchi e le altre razze (asiatici, hawaiiani, nativi). Benchéglistatunitensicensiti sottoquesterazzesianopoco più di un terzo dei neri (13,7 milioni contro 36,2), i matrimonimisticonibianchi sono 1,051 milioni (contro 363.000):ibianchisisposano con gli asiatici 7,6 volte di più che con i neri. Il fatto è cheilfigliodiunmatrimonio misto è ricacciato tra i neri: il/la bianco/a che genera un figlio con la/il nera/a espone suo figlio al razzismo, alla discriminazione. Implicita nella segregazione sessuale è l’idea che i "neri non sono assimilabili”, malgrado siano in America da quasi quattro secoli,comeglianglosassoni. *** Da centoquarant'anni i neri non sono più schiavi negli Stati Uniti, eppure ogni aspetto della vita è contro di loro. A cominciare proprio dallasperanza di vita, di 5,7 anniinferiore(71,7anniperi neri, contro 77,4 per i bianchi), alla mortalità infantile, che è quasi il triplo per i neri (14,6 per mille contro 5,8 per mille per i bianchi), alla mortalità materna, quasi il quadruplo per le puerpere nere rispetto alle bianche (25,4 contro 6,8 per mille); dal tasso di omicidi (rispetto ai bianchi i neri hanno il 630% di probabilità in più di essere assassinati) alla detenzione: i neri sono il 12,7% della popolazione, ma costituiscono il 43,6% dei detenuti13: nell’America di George Bush Jr., la percentuale di adulti neri dietrolesbarreèdi7150ogni 100.000 (2002), mentre nel Sudafrica dell’apartheid, nel 1993,eranosolo851,ovvero novevoltedimeno. E poi c’è il reddito. Il reddito mediano14 delle famiglie nere era nel 2000 paria34.192dollari,controi 53.246 di reddito mediano della famiglia bianca. Nei trentasei anni passati dal 1964,daquandofuapprovato il Civil Rights Act, la situazionedellefamiglienere è migliorata solo marginalmente: nel 1970 il reddito mediano di una famiglia nera era il 61,3% di una bianca, nel 2000 il 64%. Nel 2002, il 24% dei neri viveva sotto la soglia di povertà, contro solo l’8% dei bianchi. Persino nell'essere sgraziati vale la discriminazione razziale e i ragazzi neri sono più obesi dei bianchi: il 41% contro il 28% su una media nazionale del34%.15 L’oppressione, il disprezzo, la segregazione sonocosìinsopportabilicheti viene da chiederti perché i nerinonsirivoltino,noncon qualche sommossa come spessoèavvenutonelleinner cities, ma con una vera e propria esplosione. Ti pare che nei centoquarant’anni dall’emancipazióne dalla schiavitù a oggi la situazione sia addirittura peggiorata. Ti sembrachesistiarealizzando la profezia pronunciata già nel 1835 da Alexis de Tocqueville: “Il più temibile dei mali che minacciano l’avvenire degli Stati Uniti nasce dalla presenza dei neri sul loro suolo. Quando si cercalacausadegliimbarazzi presenti e dei pericoli futuri dell'Unione, si arriva quasi sempre a questo primo fatto, daqualunquepuntosiparta”. Tocqueville vedeva questa maledizione nella natura stessa dello schiavismo moderno che confinava la schiavitù a una sola razza. Presso gli antichi gli schiavi erano della stessa razza dei padroni e quindi, una volta affrancati, erano uguali e indistinguibili; i bianchi moderni invece, limitando la schiavitù alla razza nera, hanno fatto sì che il suo marchiorestivisibiledopola liberazione: "Il ricordo della schiavitù disonora la razza e la razza perpetua il ricordo della schiavitù [...] Non c’è un africano che sia venuto liberamente sulle rive del nuovo mondo, ne consegue chetutticolorocheoggivisi trovanosonoschiaviliberati”. Oggi, un secolo e mezzo dopo,tisembraancoraattuale il giudizio di Tocqueville suglieuropei:"Hannoviolato verso il nero tutti i diritti dell’umanità e poi l’hanno istruito sul valore e sull’inviolabilità di questi diritti. Hanno aperto i propri ranghi ai loro schiavi e, quando questi ultimi tentavano di penetrarvi, li hannocacciaticonignominia. Volendo la servitù, si sono lasciati spingere malgrado se stessi, o a propria insaputa, versolalibertà,senzaavereil coraggio di essere né completamente iniqui, né interamente giusti”.16 Un giudizioprecisato,centotrenta anni dopo, da Malcolm X: "L’uomobiancohaperpetrato su se stesso, oltre che sul negro, una frode talmente gigantesca da trovarsi rinchiuso in una trappola”.17 Unatrappolachiaraneinomi, scoperti da Saul Bellow,18 di due navi negriere francesi: una si chiamava JeanJacques, dal nome del filosofo ginevrino Rousseau, profeta dell’uguaglianza originaria di tutti gli uomini, e l’altra Contrat social, dal titolo della sua maggiore opera: Jean-Jacques e Contrat social trasportavano schiavi neri tra i flutti dell’oceano. *** Questa maledizione, questo peccato originario li vedi ogni giorno, su ogni strada, ovunque negli Stati Uniti. Ma poi questo paese, magnanimo e benevolente, proclama che un mese all’anno è il "Mese della storia nera”, il Black History Month. Un po' come l’Onu celebra-unatantum-l’anno della terra, qui uno su dodici è battezzato mese dei neri. Qui, dove nessun presidente hamaichiestopubblicamente scusa a 35 milioni di afroamericani per lo schiavismo bianco: nessun leader ha mai compiuto un gesto come quello di Willy Brandt in ginocchio davanti alle vittime della guerra nazista. Particolarmente commosso e ricco di manifestazioni è il Black History Month a Chicago, metropoli in cui il 36,7% degliabitantiènero;cittàche solo a Detroit cede il record della segregazione negli Usa: più del 70% delle famiglie afro-americane vive in quartieri abitati al 95% da neri. E l’Illinois batte ogni record nella segregazione scolastica: ben l’83% degli studenti neri vi frequenta scuole segregate. In questo mese, Chicago riscopre non solo di avere una storia nera, macheinerihannofattogran parte della sua storia, fin dal primo insediamento, nel 1784, sulla foce del fiume Chicago e del Lago Michigan: fu un nero, JeanBaptiste Point du Sable, a costruire la prima capanna, per commerciarvi in pellicce. Una visita guidata promette un "pellegrinaggio” nei siti neri della città. Potete passeggiare nella stazione ferroviaria Illinois Central Railroad dove da Alabama, Mississippi, Louisiana, Georgia,trail1910eil1920, giungevano a migliaia i neri della “Grande migrazione” dal Sud al Nord provocata dalla Prima guerra mondiale: con quel conflitto infatti s’interruppe il flusso di emigrazione dall’Europa. Noncapitaspessodiriflettere sugli effetti a distanza delle guerre:anoieuropeilaPrima guerra mondiale richiama la nascita dei fascismi, la rivoluzione russa, i gas asfissianti, i morti nelle trincee.Noncivieneinmente di collegare la Marna, o Caporetto, o la fine dell’impero asburgico con un’ondata umana dal sud degli Stati Uniti che avrebbe provocatounamutazionecosì fortenellecittàdelnord:circa mezzo milione di neri abbandonòilSudruraletrail 1916eil 1919 (un altro milione di neri li avrebbe seguiti negli anni venti). La popolazione nera di Chicago era di 44.000 abitanti nel 1910,di110.000nel1920(ed entro il 1930 altri 150.000 neri del Sud vi sarebbero sbarcati). I neri di New York passaronoda91.000del1910 a152.000del1920.19 Rispettoaimilionidineri cheavrebberoabbandonatoil sud tra il 1940 e il 1960, questa migrazione sembra un rigagnolo (anche negli anni quaranta la spinta decisiva vennedallaguerramondiale), ma da un punto di vista culturale fu importantissima. Introdusse la figura del nero urbano, proletario o sottoproletario, mentre fino adalloraeranera"lacapanna dellozioTom”.Ilneroeraun bifolco ex schiavo, un bracciante liberto, e i bianchi del Sud consideravano i neri dei bambini: “I negri sono stanchidiesseretrattaticome bambini," scriveva un emigrante. "I neri sono infantilmente disarmati in fattodiabitazioneediigiene sanitaria,” scriveva il "Chicago Tribune”.20 Nel 1910 la più autorevole enciclopedia del mondo, la Britannica,scriveva: Il negro apparirebbe situato in un inferiore livello evolutivo rispetto al bianco [...]. Mentalmente il negro è inferiore al bianco [...]. Possono essere considerate vere per l’intera razza [...queste] osservazioni fatte dopo unlungostudiodeinegri americani: "I bambini negri erano acuti, intelligenti e pieni di vivacità ma, avvicinandosi all’età adulta, un cambiamento si produceva in loro. L’intelletto sembrava offuscarsi, l’animazione cedeva il posto a una sorta di letargia, la vivacità all’indolenza”. Per il resto la (loro) condizione mentale è simile a quella di un bambino, naturalmente dibuonapastaeallegro, ma soggetto a improvvise crisi di emozione e passione in cuiècapacedicompiere atti di straordinaria atrocità.21 Nulla di nuovo: ritroviamoquil’indolenzadel selvaggiodeprecatadaldottor Johnson, la pigrizia dei pellerossa irrisa da Parton. Nonsolo,mailtemposembra essersi fermato, visto che più di ottant’anni dopo un accademico di Harvard rilanciava la tesi dell’inferiorità mentale dei neri, tesi ripresa a titoli cubitali dalla stampa: “Newsweek” del 24 ottobre 1994sichiedevaincopertina: “QI: è destino?”, dove QI sta per quoziente intellettuale e doveilpuntointerrogativodà per scontata l’inferiorità intellettuale dei neri. Erano perciòben-pensantiigiornali bianchi del Sud quando sostenevano che, in quanto bambini, i neri emigravano perchéc’eraqualcheperverso chelitentavaeliilludeva:si sparse persino la voce che a convincere i neri a emigrare fossero agenti tedeschi infiltrati. I bianchi non capivano che quel che attirava i neri a Chicago e a NewYorkeralasperanza,la speranza di salari migliori·, speranza di un rapporto di lavoro proletario e non servile, speranza di luci vivide, di piaceri che sarebbero stati grandi quanto duro il lavoro; speranza di una città in cui ti potevi sederesull’autobusaccantoal bianco senza essere picchiato (neglistatidelSud,negliUsa, ai neri era riservato il fondo dell’autobus,tantoèveroche “guardare il mondo da dietro l’autobus"èunmodoperdire chelosivedecongliocchidi un nero). Come non valeva più la separazione sull’autobus, così gli emigranti neri speravano che a Chicago non valesse più nessuna norma segregativa, nessunaleggeJimCrow(Jim Crow era il nomignolo che indicava il generico negro segregato) basata sul principio “uguali ma separati”. Il morire di questa speranza è il grande enigma del Novecento, di questo secolodistoriaamericana. *** Che molti bianchi meridionali fossero ostili all'emigrazione nera è comprensibile (a volte la poliziaimpedìfisica-menteai neri di salire sui treni). Più curiosochemoltechiesenere e molti notabili neri meridionali si opponessero all’esodo. Si entra qui nell'enigmatico mondo del conservatorismonerodicuii più recenti esponenti di spicco sono stati: Clarence Thomas, nominato nel 1991 giudice della Corte suprema dal presidente George Bush senior per aver diretto la commissione federale per le pari opportunità come un organo di segregazione effettiva; naturalmente Colin Powell,segretariodistatodal 2001 nell'amministrazione George Bush Jr. (dopo aver guidato nel 1991 la prima guerra del Golfo, come capo degli stati maggiori riuniti delle forze armate Usa, agli ordini di Bush senior) e infine, Condoleezza Rice, consigliera per la sicurezza nazionale dello stesso Bush Jr. Tutti costoro sono conservatori convinti, e anzi Clarence Thomas si è dichiarato ostile alle affirmative actions (o “discriminazioni positive”), grazie alle quali egli stesso aveva potuto studiare per entrareinmagistratura. Una parte del conservatorismo nero nasce dal negoziato con i bianchi: ostentare fede nei loro valori più tradizionali può strappare maggiori concessioni. Così pensava per esempio Booker T. Washington. Vi è poi il neroconservatoreperchécosì egli diventa un portavoce neropiùascoltatodaibianchi. Vi è ancora un conservatorismo separatista, come quello del settimanale “ChicagoDefender”:ancheil palazzo sede del “Chicago Defender” rientra nel giro turistico organizzato per il Black History Month. Il “ChicagoDefender”erastato fondato nel 1905 da Robert Abbott con un capitale di 25 cent; con la guerra mondiale divenne il più diffuso giornale nero degli Stati Uniti, con due terzi delle venditefuoriChicago.Abbott aborriva i termini Negro o Black; per lui il popolo nero era the Race, la Razza, e i neri erano chiamati the Race men o the Race members, i membridellaRazza. Il "Defender” svolse un ruolo di primo piano nella Grande migrazione propagandandounavisionedi Chicago prospera, rosea, non razzista, attaccando i bianchi del Sud, denunciando i linciaggi. Il “Defender” veicolava l’ideologia del lavoro, della riuscita professionale,inunaparolail benpensantismo. Ecco la tavoladellaleggeausodegli immigranti dal Sud propagandata dal “Chicago Defender”il20ottobre1917: Non usare linguaggio volgare in luoghipubblici. Non agire scortesemente con gli altriinluoghipubblici. Non lasciarti trascinare in risse di strada. Non usare la libertà come licenza di far quel chetipare. Nonprendereleparti di chi viola la legge, siano uomini, donne o bambini. Nonrenderetestesso unfastidiopubblico. Non incoraggiare mai e in nessun luogo giocatori, o donne, o uomini sconvenienti a esercitare la loro professione. Non riunirti in assembramenti per strada ostacolando il passaggioaltrui. Non vivere in case insalubri,nondormirein stanze senza ventilazione. Non violare le leggi comunali sulle condizioniigieniche. Non permettere ai bambini di elemosinare perstrada. Non permettere ai ragazzi di picchiare o assalire venditori ambulanti. Non fare il portatore di secchi di birra, e non permettereai bambini di rendere questoservizio.22 Non tradire o abusare la fiducia di chi tidàlavoro. Non lasciare il lavoro appena hai qualche dollaro in tasca...23 Benpensanti, i conservatorinerifannopropri i pregiudizi bianchi. Ai vecchi neri di Chicago, agli Old Settlers, i nuovi venuti neri del Sud sembravano sporchi e maleducati, proprio come ai vecchi immigrati tedeschi facevano orrore i nuovi immigrati italiani, o come gli ebrei di Chicago volevano impedire l'afflusso degli ebrei russi. Più in profondità, il pregiudizio antinero di molti neri attiene all’immagine dei neri che i bianchi riflettono sui neri, come succedeva alle donne che ricevevano un'immagine maschiledellafemminilità. Il paragone neri/donne è esploso negli anni sessanta, ma il confronto fu già formulato da Myrdal con lungimirantechiarezza: Con lo svolgersi della rivoluzione industriale tanto le donne quanto i negri si emanciparono dal sistema paternalistico preindustriale. Sino a poco tempo fa, la maggior parte degli uomini ha accettato la dottrinasecondolaquale le donne, come i negri, hanno una dotazione inferiore di quelle qualità che conferiscono prestigio e potere. Lo studiodell’intelligenzae della personalità delle donne ha all’ingrosso la stessastoriadìquellosui negri. Le donne, come i negri, sono spesso indotte a credere nella propriainferiorità.Come al negro veniva assegnato il suo “posto” nella società, così vi era un“posto”perladonna. Nei due casi gli uomini credevano di agire nel verointeressedeigruppi subordinati,confinandoli al loro “posto”. [...] Comecisono“lavorida negri”, così esistono "lavori femminili”. Essi di solito comportano bassi salari e poche possibilità di avanzamento.Isindacati impediscono alle donne di fare concorrenza. La concorrenza femminile, come quella dei negri, è particolarmente temuta dagli uomini a motivo dei bassi salari per i quali le donne sono disposte a lavorare, proprio perché hanno così limitate alternative.24 Un ulteriore aspetto rafforza il paragone neri/donne, ed è che "per il negro in quanto tale il problemanegroèilproblema deiproblemi,”scriveMyrdal: "Come inevitabile sottinteso nei rapporti sociali la ‘razza’ è altrettanto importante del sesso, anche negli ambienti americani più emancipati nei quali in apparenza il sesso è relativamente affrancato e la 'razza’ è soppressa. Il leader negro, lo studioso negro di scienze sociali, l'artista o uomodiletterenegrotendea vederetuttiiproblemisociali, economici,politiciefinanche estetici e filosofici dal punto di vista negro. Più ancora, ci si attende che lo faccia”.25 “Le masse negre sono imprigionate non soltanto dietro i muri della segregazione e discriminazione, ma anche del problema negro.”26 WilliamH.Boone,professore della Clark Atlanta University, in Georgia (un ateneoneroperrampollidella borghesia nera), per spiegarmi perché sono tanto piùnumeroseleragazzenere deiragazzineriafrequentare l’università, e sul perché il tasso di fallimento scolastico è così spaventosamente alto tra i maschi neri, mi diceva che "il giovane maschio nero è troppo aggressivo”, "dobbiamo insegnargli a ridurrelasuaaggressivitàche si dimostra autolesionista” e attribuiva questa “aggressività” a ragioni storico-culturali. Già Myrdal dedicava un paragrafo allo stereotipo del nero “aggressivo” come uno dei pregiudizirazziali. Masisamaidovefinisce il senso della propria identità e dove comincia o l’autosegregazione o uno spiritodi“puliziaetnica”?Sta tuttoquiildibattitochenegli anni novanta ha furoreggiato negli Usa sul Politically Correct, “Pc”, quel movimento che chiede l’insegnamento del patrimonio culturale delle minoranzeetniche,razziali,di genere, e non solo del “Dewm”. Dewm è un acronimo che sta per Dead european white male: nelle università americane s’insegna solo quel che è statopensato,scritto,dipinto, composto da “Maschi bianchi, europei e morti”.27 Sul rapporto tra identità e autosegregazione, William Boone mi tracciava un paragone con la cultura ebraica, frequente tra i neri. Scrive Grossman: “Come gli ebrei tedeschi che nel tardo Ottocento temevano che l’afflusso di loro correligionari dall’Europa orientale avrebbe messo in pericoloilloromarginalema sostanziale punto d’appoggio nellaChicagodeigentili,così gli Old Settlers neri consideravano se stessi vulnerabili alle immagini stereotipate emanate dai nuovi venuti visibilmente stranieri”.28 Nel descrivere l’oppressionecheiltemanero esercita sui neri, Myrdal scriveva: “Da un economista ebreononcisiattendechesia uno specialista in tema di lavoro degli ebrei. Non si presume che un sociologo ebreo debba confinarsi a studiare sempre il ghetto. La sortediuncantanteebreonon è di cantare eternamente soltanto canzoni popolari ebraiche”.29 Ancora oggi, gli ebrei sono citati come esempio di legittimo mantenimento delle proprie tradizioni etniche e religiose e sono usati come termine di paragone ambivalente, discriminati sì dai goym, dai gentili, ma favoriti rispetto ai neri proprio per il colore della pelle. La pubblicistica (antisemita) della Nation of Islam usa spesso il termine “olocausto”: “600 milioni di nerisonomortinell’olocausto nero’negliultimi6000anni” dichiarava nella primavera 1994 un esponente dei Musulmanineri.Implicitanel paragone è la rivendicazione: se gli ebrei difendono la loro cultura e preferiscono vivere tra ebrei, perché noi non dovremmo esercitare anche noi il nostro separatismo? Il rapporto neri/ebrei è un tema ricorrente della pubblicistica americana. Una copertina del settimanale "Time” del 31 gennaio 1969 titolava “Black vs Jews: A Tragic Confrontation”. Non è chiaro se il tema è ricorrente solo perché è cronico (chi ha visitato Harlem oggi, a New York, stenta a credere che ancora nel 1910 fosse un quartierediebrei)operchéla stampaamericanahaunasua intrinseca ripetitività che sfiora e spesso oltrepassa la leziosaggine. Il separatismo nero ha quindi una lunga tradizione conservatrice che solo con i movimentidegliannisessanta ha acquisito uno status di sinistra. Il lato conservatore del separatismo è dovuto anche a un fattore di classe. Vi sono ampi strati dell’(esigua) borghesia nera che sarebbero messi in pericolo da un’integrazione, poiché traggono reddito, lavoro, prestigio e potere proprio dalla condizione di separatezza: in ospedali integrati e non segregati i dottori neri dovrebbero dipendere da primari bianchi o comunque vedrebbero attaccata questa nicchia professionale. Lo stesso avviene per le scuole, dove l’esistenza di college neri garantisce un corpo docente nero.Idemperlastampanera che nella separatezza di pubblico trova una qualche garanzia per i suoi redattori. È quel che Myrdal chiamava “i vantaggi degli svantaggi": per esempio, le gang che spadroneggiano nei ghetti neri delle inner cities sono separatiste e conservatrici, proprio perché solo su quest’assetto possono sperare di perpetuare il loro strapotere. C’è però nel separatismo un sentimento più profondo, unvoleressere-perunavolta nellavitasociale-partedella maggioranza e non della minoranza. È quel che mi spiegavanoallaClarkAtlanta University quando chiedevo cosa spingeva studenti neri, chepureavevanovintoborse distudioperateneiprestigiosi come Harvard o Cornell, a iscriversi invece ad Atlanta: "La sensazione, in classe, di stare in una maggioranza di neri, di rappresentare la regola e non l’eccezione, di costituire la norma e non la devianza”. Proprio in questo sta l’ambiguità: che le valenze "positive” di un comportamento sono indistricabili dalle sue connotazioni negative, distruttive. Ancora più ambiguo il conservatorismo nero sul piano politico. I neri che emigravano sognavano di poter esercitare il diritto di voto: nel Sud le riforme elettorali di fine secolo avevanoristrettoatalpuntoi criteri per registrarsi che i nerieranoesclusidalleurnee talisarebberorimastifinoalle lotte per i diritti civili di trent’anni fa. L’Illinois, lo statodiChicago,eralapatria di Abraham Lincoln, il presidente repubblicano che avevacombattutocontroquel Sudincuiibianchischiavisti erano per lo più democratici: dalSudsonovenutigliultimi presidenti democratici, Jimmy Carter ( 1977-1981) dalla Georgia e Bill Clinton dall’Arkansas ( 1993-2001). Perciò i neri immigrati a Chicago aderivano al partito repubblicano e appoggiavano - anche su indicazione del ''Defender”edelsuodirettore Abbott - il sindaco repubblicano William Hale Thompson che pronunciava battutacce oscene e razziste sui cattolici30 che erano gli immigrati bianchi più numerosi(irlandesi,polacchi, sloveni,italiani)chevotavano massicciamente per i democratici (il primo, e sinora unico, cattolico a diventare presidente degli StatiUnitièstatonel1961un democratico, John F. Kennedy). NegliStatiUnitisolocon ilNewDeal,esoloafatica,e con la creazione di un nuovo “bloccostorico”,ilpresidente Franklin Delano Roosevelt avrebbe modificato questo spartiacque razziale dello schieramento politico: ancora nel 1932 il voto nero si era riversato sui repubblicani e i lavori pubblici della Tennessee Valley avevano creatopostidilavoroafavore esclusivamente dei disoccupati bianchi. Ma nel 1934siassistéalribaltamento e un nero democratico dell'Illinois, Arthur Mitchell, batté il deputato uscente, il repubblicano Oscar De Priest che nel 1929 era stato il primonerodelnordaentrare nel Congresso degli Stati Uniti.Nel1936trequartidei voti neri andarono a Roosevelt.Però,soloapartire dagliannisessantasisarebbe fatta largo una schiera di politici neri democratici, da Jesse Jackson al sindaco di Chicago Harold Washington, a Jesse Jackson Jr. deputato dei suburbi meridionali della Windy City (con i Jackson padre e figlio abbiamo un esempio di dinastia politica nera). E la nomea di politicanti corrotti sarebbe stata affibbiata ai neri democratici come prima era riservata ai neri repubblicani. Nel 1917 a Chicago, per uno scandalo di scommesse e gioco clandestino, Oscar De Priest fu definito dal “Tribune” “il re nero del vizio” con gli stessi toni che una settantina di anni dopo sarebbero stati usati per il sindaco democratico di Washington, Marion Barry, condannato nel 1990 per uso etrafficodicocaina. *** Il conservatorismo politicotrovaunacontroparte nel modo di schierarsi nel conflitto sociale. In Europa è difficile immaginare quanto peso abbia avuto il problema razziale nella storia del movimento operaio americano.Abbiamogiàvisto come tanti immigrati europei fossero importati negli Stati Uniti proprio come crumiri, come strìke-breakers, “rompisciopero”. Alimentare le rivalità etniche e gli odi razziali è sempre stato uno degli strumenti usati dal padronato americano per abbassareicostifissi,ridurre i salari, battere la protesta operaia. Ma una volta assimilati, gli immigrati bianchi si iscrivevano ai sindacati, scioperavano e il loro "peccato originale” di crumiraggio svaniva dal loro e dall’altrui ricordo. Per i crumiri neri invece, il marchio del crumiraggio si coniugava con il colore della pelle e diventava così indelebile. Poiché venivano assunti come crumiri, i neri erano considerati una scab race, "razza rognosa”. Scab vuol dire insieme “crumiro" e "rogna”. A sua volta, il razzismo così generato divideva i lavoratori: gli immigratibianchi,assuntiieri come crumiri, sparavano sui neri, crumiri di oggi: in queste condizioni, come dice Bruno Cartosio, diventava difficile "operare una separazione tra la forza del razzismobiancocontroineri inquantoneri,elaforzadella difesa bianca della propria sopravvivenzacontroineriin quantocrumiriocheaplabor, manodopera a basso prezzo”.31 Nel 1894, quando i mattatoi scioperarono in massa in solidarietà con il boicottaggio Pullman, i packers fecero arrivare treni di neri dal Sud. Nel 1895 minatoriitalianiinscioperoa Spring Valley uccisero un numero imprecisato di crumiri neri.32 Negli scioperi ai mattatoi del 1904, i packers assunsero 18.000 crumiri neri (ne arrivarono 1400 su un solo treno)33: sei anni dopo di questi assunti sarebbero rimasti a lavorare solo 365. Sempre a Chicago, neri furono assunti come crumiri per lo sciopero dei teamsters, carrettieri (1905), per quello degli strilloni dei giornali (1912), per il grande sciopero delle acciaierie dell’United States Steel nel 1919, quando 360.000 operaiincrociaronolebraccia perdiecisettimaneeipadroni assunsero dai 30 ai 40.000 neripersostituirli. La Grande migrazione nera non era causata solo dalla penuria di manodopera e dall’interruzione del flusso migratorio europeo. Era incoraggiata dal crescere della conflittualità operaia: nel 1916 scoppiarono a Chicago 71 scioperi, contro i 25 dell’anno prima. Quando nel marzo del 1916 i pulitori deivagoniPullmanentrarono in sciopero, furono sostituiti da neri. Nel 1916 un nero meridionale poteva trovare lavoro alla Harverster International(exMcCormick) semplicemente attraversando lalineadipicchettaggio. Nel1916,unpastorenero delSouthSidereclutòinuna notte 300 donne nere per rompere uno sciopero di cameriere d’albergo. I grandi packers finanziavano lautamente i politici e le chiese nere. Negli anni venti il vescovo della chiesa Ame (African Methodist Episcopal) di Chicago, Archibald Carey, diceva: “L’interesse del mio popolo sta nel benessere della nazione e nella parte di popolo bianco che lo controlla”: all’inizio del secolo la sua cappella era stata salvata dalla chiusura dagli Armour e dagli Swift. Durante l’ultimo grande sciopero dei mattatoi, nel 1921, i neri furono di nuovo assunti a decine di migliaia, ma questa volta furono assunti per restare: i packers volevano premunirsi una voltapertuttecontroscioperi esindacatibianchi.34 Nei rapporti operai si ripropone quindi un altro aspetto di quel “circolo vizioso” che per Myrdal caratterizzalaquestionenera: “Il pregiudizio e la discriminazione dei bianchi mantengono il negro in una condizione d’inferiorità, per tenore di vita, salute, istruzione, maniere e morale. Ilcheasuavoltafornisceun sostegno al pregiudizio dei bianchi”.35(Myrdaltraevada questa situazione un motivo d’ottimismo: se il vizio è circolare, anche la virtù può esserlo e la riforma di un aspetto parziale ripercuotersi sugli altri aspetti; così, se diminuisce di un po’ il pregiudizio razziale, questo migliora il livello dei neri, il che riduce a sua volta il pregiudizio,inun’interazione reciproca.) Neirapportioperaiquesto circolo vizioso significa che, se i neri spinti dal bisogno economico si fanno assumere come crumiri, essi rafforzano i pregiudizi razziali dei sindacati che lasciano libero sfogo alle proprie tendenze segregazioniste.Cosìavvenne nell’American Federation of Labor, il cui presidente Samuel Gompers agli occhi deinerieradivenuto,durante la Prima guerra mondiale, simbolo del razzismo sindacale: famosa è la sua frasedel1901:laFederazione “nonaffermanecessariamente chelebarrieresocialiesistenti trainerieibianchipossanoo debbano essere abbattute”.36 A Chicago nel 1919, su 110 Unions affiliate all’Afl, 36 escludevano o rifiutavano di integrare i neri nelle loro sezioni. Fuori dall'Afl, 13 delle 15 maggiori unioni discriminavano i neri.37 Questa discriminazione produceva l’ostilità dei neri contro i sindacati e fece fallire anche i tentativi sindacali d’integrazione razziale: questa spirale della “guerra in seno al popolo" si sarebbe interrotta nel 1935 con il Cio (Committee for Industrial Organization) fondato da John L. Lewis, con i grandi scioperi del 1936, ma lascia una traccia sul sindacalismo americano ed è una delle cause storiche dellasuadebolezza. *** L’America ha dedicato risorse intellettuali incredibili alla questione nera: “L’energia intellettuale assorbita dal problema negro inAmerica,seconcentratain una sola direzione, avrebbe smosso le montagne,” scrivevaMyrdal.38 Ma questi tesori d’intelligenza risultano vani. La questione nera è vissuta come un’ossessione: “L’unico modo per risolverla è creare qualche preoccupazione che distragga ibianchidalproblemanero,” scriveva ironicamente lo scrittore Frank Tannenbaum.39 Un modo per rimuovere la questione nera risulta bene da come l’Americaraccontaasestessa le grandi sommosse nere, i race rìots che hanno costellatoilNovecento,perlo più d’estate. Il primo sanguinoso race not in una grande città industriale del Nordscoppiònelluglio1917 aEastSt.Louis.Ilmitonarra inevitabilmente di una follia compressa che esplode per un’inezia, uno sgarbo che funzionadadetonatoreinuna non meglio precisata Santa Barbara.L’iradelghettonero è pensata come lava di un vulcano sempre pronta a erompere e a mettere a repentaglio benessere e sicurezza dei bianchi. Così è avvenuto nella sommossa di Los Angeles, nell’aprile del 1992, attribuita solo all’assoluzione di alcuni poliziotti che avevano picchiato selvaggiamente un nero. È oggi delimitata da baracconi abbandonati, industriediroccatelaspiaggia di Chicago che il 27 luglio del 1919 vide scoppiare una delle prime sommosse nere delle metropoli industriali statunitensi. La vulgata su questa sommossa suona così: faceva un caldo boia quel giorno, e i Chicagoans si erano riversati sulla riva del Lago Michigan. Sulla spiaggia di fronte alla 27a strada, nel South Side, un ragazzo nero di 17 anni, Edward Williams, oltrepassò la linea invisibile che separavainacquaineridalle ragazzebiancheefuuccisoin una sassaiola. Gli scontri dilagarono in tutta la parte sud di Chicago per quattro giorni, fino al 31 luglio, e la calma tornò definitivamente solo l’8 agosto, grazie a un acquazzone e alla guardia nazionale: nel frattempo, 38 persone furono uccise (23 neri, 15 bianchi), 537 ferite, migliaia vennero arrestate, più di mille restarono senza tetto. Ma la “situazione era un po’piùcomplessa”,tantoper eufemizzare.40 In primo luogo,sullosfondogravavala questione abitativa (su cui torneremo). Tra il 1917 eil 1919,aChicagogangbianche avevano gettato 24 bombe contro case di neri che avevano osato andare ad abitare in quartieri bianchi. Nel 1919 poi, la situazione era acuita dai problemi della pace. Erano stati congedati quattro milioni di soldati, e nove milioni di lavoratori nell’industria bellica dovevano riconvertirsi. Così, i packers, che avevano prosperato con le scatolette e le razioni alimentari, licenziarono10.000neridalle Stock Yards. Vi si aggiungevano200.000reduci neri che premevano sul mercato immobiliare, vista la penuriadicase,esulmercato del lavoro. Nell’aprile del 1919,laChicagoAssociation ofCommercetelegrafavaalle Camere di commercio del Sud: “Hai bisogno di lavoro Negro?Quigrandesurplusdi Negri, sia soldati congedati sia civili, pronti ad andare a lavorare”.41 Quando ci raccontano la sommossa di Chicago, tralasciano di dirci che in quella stessa estate altre 25 sommosse nere scoppiarononellecittàUsa.A Chicago, ad avvelenare ulteriormente la situazione, era venuta la rielezione, con l’appoggio decisivo dei neri, del sindaco repubblicano William Hale Thompson, odiatodaibianchicattolicidi origineeuropea. Una pubblicazione dell'epoca titolava "Un’epidemia di scioperi a Chicago” e raccontava: “L’afa dell’estate è accompagnata da un numero di scioperi e di serrate quale non si è mai visto prima”.42 Per tutto giugno e luglio del 1919 nei mattatoi si susseguirono i “gatti selvaggi”, gli scioperi spontanei. Ai primi di luglio l’associazione dei costruttori fece la serrata per 100.000 edili. Per di più, proprio a Chicago, il 20 luglio il comitato nazionale sindacale autorizzò il voto che indisse per il 22 settembre il grande sciopero nazionale delle acciaierie che sarebbe durato dieci settimane, fino all’8 gennaio 1920. Non solo: per il fine settimana in cui scoppiò la sommossa erano stati programmati scioperi da 36.000lavoratoritracuituttii trasporti pubblici. A fine luglio a Chicago, circa 250.000 lavoratori erano in sciopero o stavano subendo unaserrata.43 C’è da aggiungere che, a scontriiniziati,ilgovernatore dell’Illinois ritardò l’invio dellaguardianazionale(come era avvenuto anche a St. Louis nel 1917); che durante lasommossaigrandipackers, gli Armour e gli Swift in testa, per battere gli scioperanti bianchi e fomentare disordini, mandarono carri di cibi e di carne per nutrire i neri. Il 41% degli scontri avvenne nelquartieredelleYardschei neri traversavano solo per andare a lavorare. Già il 7 agosto i neri tornarono a lavorare nei mattatoi scortati dallapolizia. Può darsi fosse falsa l’accusa lanciata dal giornale sindacale "New Majority”,44 e cioè che le azioni dei packers avessero causato gli scontrirazziali.Puòdarsiche noncisiamaistatoun"piano del capitale” che coscientemente dirottasse lo scontro di classe in lotta di razza. Certo è che la stessa logica del capitale, tenere i salari più bassi possibili, sconfìggere le proteste e gli scioperi, ridurre il costo umano,provocavaesfruttava ilcircoloviziosodelrazzismo bianco e del crumiraggio nero,dellesommosserazziali e della segregazione. Non è una pura coincidenza che quell’estatedel1919,theRed Summer, l'estate rossa”, segnasse una sconfitta pesante del movimento operaio statunitense e nello stesso tempo vedesse svanire lasperanzacheavevaportato tanti neri meridionali nel Nord, in un processo di odio razziale che avrebbe fatto diventareChicagolacittàpiù segregata d’America. ChicagoLand of Hope oggi? L’umorismo nero pare diventatoilgeneredimaggior successo nella toponomastica statunitense: chiunque abbia girovagato per Nord Filadelfia (il South Bronx locale) non può fare a meno dipensarecheFiladelfiavuol dire letteralmente "Città dell’amorefraterno”. Ilmeccanismoinnescatoa Chicago nell’estate del 1919 è un processo che vediamo agire ancora oggi in altre zone del mondo. Ancora una volta, il conflitto di classe viene dirottato, canalizzato, tradotto in conflitto razziale, etnico, per cui la razza, l’etnia, la nazione sono "riscoperte”, o “immaginate” dopo la rivoluzione industriale, dopo la modernizzazione, dopo la trasformazione capitalistica. I race riots ci aspettano nel nostro futuro europeo, non sono una folkloristica, estiva usanzayankee. 1 The Girl of San Francisco, A Lesson from Life, The Shielding Shadow, The Trooper of Company K, Forbidden Fruit, The Sins of the City, elencati con altri trentotto film nel "Chicago Defender”del7ottobre1916. 2 James R. Grossman, Land of Hope: Chicago, Black Southeners, and the Great Migration, Chicago University Press, Chicago 1989. 3 Gunnar Myrdal, An American Dilemma. The Negro Problem and Modern Democracy, Harper and Brothers, New York 1944. Voluminoso (1024 pagine grandiditesto,526paginedi introduzione, note, appendici e bibliografia), questo libro non è tradotto in italiano (sono disponibili solo alcune sintesi).Ilterminenegro non aveva ancora il carattere insultante (allora espresso da Nigger) che ha assunto alla fine degli anni sessanta. Quindi autori progressisti come Myrdal usavano il termine negro quando noi useremmo nero e nelle citazioni ho lasciato questo termine. 4 Volutamente mantengo le espressioni "problema nero”, “questione nera" di Myrdal anche se hanno un sapore anacronistico. 5G.Myrdal,op.cit.,p. 113. 6 Autobiography of MalcolmX,incollaborazione conAlexHaley,GrovePress, New York 1965, trad. it. Rizzoli,Milano1993,p.11. 7 James Bryce, The American Commonwealth (1893), Macmillan, New York1917,vol.n,p.555. 8LawrenceWright,One Drop of Blood,in "The New Yorker”, 25 luglio 1994 (pp. 46-55),p.47-48. 9 Scott L. Malcomson, One Drop of Blood. The American Misadven-ture of Race, Farrar Strauss Giroux, New York 2000, p. 356 (il corsivoèmio). 10G.Myrdal,op.cit.,p. 133: lo studio citato è The Anthropometry of the American Negro (New York 1930) di Melville J. Herskovits che studiò un campionedi1551neri. 11 268.000 coppie nero/bianca e 90.000 matrimoni bianco/nera: e la prevalenza dei matrimoni nero/bianca esplicita la volontà cosciente d’infrangere il tabù razziale pereccellenza. 12 U.S. Bureau of the Census,StatisticalAbstractof the United States 2002, Government Printing Office, Washington D.C. 2002, tavv. 15e45. 13Ivi,taw.91,98e288 eU.S.DepartmentofJustice, Bureau of Justice Statistics Bulletin, Prisoners in 2000, WashingtonD.C.luglio2003, p.9. 14 Per la definizione di redditomediano,vedinota21 ap.87. 15 Dalla rivista “Prevention”, sondaggio LouisHarris,settembre1992. 16 A. de Tocqueville, De la démocratie en Amérique, cit., parte II, cap. x, par. Posizione che occupa la razza nera negli Stati Uniti; pericoli che la sua presenza fa correre ai bianchi, citazioni tratte dalle pp.337,338e358. 17Autobiografia...,cit., p.218. 18SaulBellow,Papuas andZulus,in“TheNewYork Times”,10marzo1994. 19 J.R. Grossman, op. cit.,p.4. 20 Ivi, frasi citate alle pp.37e169. 21 Encyclopœdia Britannica (1911), vol. xix, pp. 344-345, citata da S. Steinberg, The Ethnic Myth, cit.,p.30. 22 Robert Slayton riportal’usanza,traglioperai dei mattatoi, di portarsi o farsi portare un secchio di birra nel mattatoio per il lunch: in un solo mezzogiorno dalla zona di Whiskey Row, dove c'erano 46 bar, uscirono 1065 secchi di birra. Cfr. R.A. Slayton, BackoftheYards,cit.,p.101. 23 Citato da J.R. Grossman, op. cit., pp. 145146. 24 G. Myrdal, op. cit., appendice5,p.1077. 25Ivi,pp.27-29. 26Ibidem. 27 Su rapporto tra PoliticallyCorrectepolitiche delle identità, vedi il contributodiBarbaraEpstein alvolumeBeyondPC,toward a Politics of Understanding, curatoeintrodottodaPatricia Aufderheide,GraywolfPress, Saint Paul (Minn.) 1992, pp. 148-155. 28 J.R. Grossman, op.cit.,p.144. 29G.Myrdal,op.cit.,p. 28. 30J.R.Grossman,op.cit., pp.176-177. 31 B. Cartosio, Lavoratori negli Stati Uniti, cit.,p.46. 32WilliamM.TuttleJr., Race Riot. Chicago in the Red Summer of 1919, Atheneum, New York 1970, p. 113. Sul problema del crumiraggio nero tutto il capitolo Labor Conflict and RacialViolence,pp.109-156. 33Ivi,p.117. 34 Tutte queste notizie sonotrattedaJ.R.Grossman, op. cit., cap. 8, The White Man'sUnion,pp.208-245. 35G.Myrdal,op.cit.,p. 75. 36 Lettera di Samuel Gompers alla stampa, del 19 aprile 1901, cartella corrispondenza Afl, Washington D.C., citata da MarcKarsoneRonaldRadsh, The American Federation of LaborandtheNegroWorker (1849-1949), in Julius Jacobson (a cura di), The Negro and the American Labor Movement, Doubleday Anchor, New York 1968, p. 158. 37 W.M. Tuttle Jr., op. cit.,pp.143-144. 38 Gunnar Myrdal, Value in the Social Theory, Harper and Brothers, New York 1958, trad. it, Einaudi, Torino1966,p.90. 39Ivi,p.95. 40 Per una descrizione dettagliata della sommossa, vediW.M.TuttleJr.,op.cit., soprattuttolepp.3-66. 41Ivi,p.131. 42 Taylor Graham, An Epidemie of Strikes in Chicago, in "The Survey”, vol. ILII, 2 agosto 1919, pp. 645-646. 43W.M.Tuttle,op.cit., pp.140-141. 44 Riportata da J.R. Grossman,op.cit.,p.223. 2.AllahsulLago Michigan Quel che Ginevra è per i calvinisti, Chicago lo è per i musulmani neri, i Black Muslims. A Chicago, nel profondo South Side, all’angolo tra la 79a e South Cottage Grove Avenue, spicca, come la pubblicità di una pompa di benzina, l’insegna di una mezzaluna che circonda una stella a cinque punte a sovrastare la moschea costruita nel 1934 da Elijah Muhammad, il fondatore della setta, il suo nuovo Maometto. La moschea è corredata di un ristorante,diunapasticceriae di un parking Salaam. A Chicagoogniannositienela convention della Nation of Islam (Noi), che - a detta degli organizzatori - raduna 12.000fedelichepaganotrai 30ei50dollariperascoltare il loro leader Louis Farrakhan.Nessunosaquanti siano i musulmani neri negli Stati Uniti. È esagerata la cifra di 100.000 aderenti che sbandierano.Eppureègrande illoropesopoliticoemorale. Il 5 agosto 1995 la Million Man March a Washington D.C. fece discutere tutto il mondo. Anche se meno controversa, cinque anni dopo, il 16 ottobre 2000 la MillionFamilyMarchradunò una folla ugualmente imponente. Nessun politico afroamericano può essere legittimato in quanto “nero” senza l’avallo dei Black Muslims. Ben lo sa Jesse Jacksonchenel1988dovette assicurarsi il loro appoggio per poter ingaggiare battaglia nelle primarie presidenziali: questosostegnolopagòcaro, procurandosi l'ostilità degli ebrei, visto il feroce antisemitismodellaNationof Islam testimoniato dal pamphlet The Secret Relationship between Blacks andJewspubblicatonel1991 dal Dipartimento di ricerche storichedellaNoi. Ma poiché è una delle forze che controllano dall'interno il sistema penitenziario americano (come avvenne per Malcolm X, è dietro le sbarre che la maggior parte dei neri americani diventa Black Muslim), la sua influenza va ben oltre la minoranza nera, tanto che, dopo l’attacco al WorldTradeCenternel2001, è stata l’unica forza politica di massa organizzata ad affermare pubblicamente che "la ‘guerra al terrorismo’ era lacontinuazionediunalunga storia di aggressione occidentale contro l’IsIam, risalente alle crociate”: certo chedopol’11settembre2001 nondovetteesserefaciledirsi musulmani negli Stati Uniti! Ma la Noi si oppose apertamente alle guerre contro l’Afghanistan prima e contro l’Iraq poi. E, con la sua solita, sobria aggettivazione,illeaderdella Noi, Louis Farrakhan, disse cheresponsabilidegliattacchi dell’11 settembre erano i “bugiardi, puttanieri, magnaccia e truffatori” che avevano traviato la società americana e la politica estera e si erano così meritati la punizionedivina.1Maperfino di fronte a queste posizioni i governanti americani rinunciarono a prendere di pettolaNationofIslam. Perché il peso dei Black Muslims deriva dal loro essere una forza organizzata, disciplinata,conun’ideologia ferrea, con proprie attività economiche. La Noi ha un quindicinale, “The Final Call” (“La chiamata finale”, con una tiratura di 400.000 copie), ha scuole per infermiere, una sua catena di ospedali, un’università, l’University of Islam, un corso di addestramento militare per un (non tanto) piccoloesercitodiguardiedel corpo, il Fruit of Islam. In questo, la Nation of Islam non si differenzia da molte altre sette religiose statunitensi che sono nello stesso tempo una fede, un business,unalobbypolitica,a volteunagang.Religioniche tengono non sinodi o concili, ma convention, come fanno i rappresentanti di commercio o gli odontotecnici. Così la Nation of Islam affitta le sue forze paramilitari come vigilantes e ha formato quattro società di vigilanza, tra cui “Noi Security Agency”, che hanno vinto appalti per garantire la sicurezza di complessi di edilizia popolare nel distretto di Columbia, a Pittsburgh, Filadelfia, Los Angeles, Brooklyn, Chicago, assicurandosi nel giro di pochi anni 20 milioni di dollari di fatturato, ma anche incappando in disavventure finanziarie e giudiziarie, a causa dell’eccessivo amore per le auto di lusso e per le giovaniabitantichenutrivano gli agenti dei musulmani neri.2 Così, mentre la Nation of Islam fa proseliti nei ghetti aeri più miserabili e nella popolazione carceraria in nomedella“guerradirazza”, il suo leader Farrakhan abita in un quartiere residenziale integrato, viaggia circondato da gorilla e ama esibirsi in concerti di violino. A delineareilpersonaggio,basti quest'episodio: Louis Farrakhan (il suo nome di battesimo è Louis Wolcott) prima definì l’ebraismo la “sinagoga di Satana” e una “religionedafogna”,poi,per rispondere alle accuse di antisemitismo, ha suonato in pubblico brani del compositore (ebreo) Mendelssohn.Ormaidaquasi quarantanni, Farrakhan è circondato dal sospetto di aver ordinato nel 1965 l’uccisione di Malcolm X, sospetto che non ha mai davvero smentito e che anzi rafforza con affermazioni quali: “Proprio il lavoro di Malcolm fece di ognuno di noi un killer potenziale. Quando Malcolm oltrepassò questa linea, la morte era inevitabile”. D’altronde, quando nel 1998 uscì di prigione uno dei killer condannati per l’omicidio di Malcolm X, tal Muhammad Abdul Aziz (che negli anni sessanta si faceva chiamare 3X Butler), subito Farrakhan lo nominò capo della sicurezza della moschea di Harlem,untempoguidatadai leader del movimento per i diritti civili,3 la stessa moschea frequentata negli anni ottanta da due giovani, Richard X e Chuck che avrebbero poi fondato il più celebre gruppo rap del pianeta, i Public Enemy.4 Farrakhan, che da anni combatte contro il tumore, agiscecomequeipredicatoriimbonitori televisivi della moral majority che sostenneroReagan.Esempre la Nation of Islam invoca repressione,leggeeordine. La Nation of Islam potrebbe perciò essere solo uno di quei tanti miscugli di furbizia e creduloneria, cialtroneria e piccola delinquenza, affarismo e volontà di mutuo soccorso che la modernità senza sosta secerne a lenire le disperazioni individuali. Ma nelsuonascereedespandersi si delinea un problema che allora sembrava marginale, ma che all'inizio del terzo millennio è improvvisamente diventatocentralenellastoria del mondo. Negli anni sessanta del secolo scorso, il Coranociparlavasolodiuna civiltàlacuigrandezzasiera ormai dissolta da secoli. A quel tempo sembrò balzano che un filosofo comunista (parigino) come Roger Garaudy si convertisse all’IsIam. Allora nessuno avrebbe mai immaginato che trent’anni dopo l’Islam, Allah, il fondamentalismo musulmano e la jihad sarebbero stati al centro dell’attenzione e - ancor più sorprendente - della preoccupazione occidentale, che vi avrebbe dedicato innumerevoli progetti di ricerca, libri, articoli, documentari. Nella Nation of Islam si cela perciò un enigma cruciale:perché,ecomemai, contadini neri del Sud inurbati nella città delle ferrovie, dei mattatoi, della catena di smontaggio, hanno cercato una nuova speranza, unaragionedivita,unmezzo di affrancamento nella conversione all’IsIam (peraltro, un ben curioso islamismo)?Comeèsuccesso che, per i neri, Chicago da Land, of Hope, da "Terra di speranza”, sia divenuta roccafortedimusulmani?Che ci fa Allah sulle rive ghiacciate del Lago Michigan? Come mai negli annicinquantaesessanta,nei ghetti urbani di Filadelfia e Detroit pregare Allah pareva ai neri un’arma nella lotta di liberazione? Era solo stravaganza o al suo interno serpeggiava una prefigurazione del futuro? E ancora: perché l’austerità puntigliosa del musulmano Malcolm X (niente fumo, né alcol, né gioco d’azzardo, né carne di maiale, né rapporti sessuali misti tra neri e bianchi, stretta fedeltà coniugale) è stata una delle guide spirituali del trasgressivo, immoralista movimento studentesco europeo degli anni sessanta? Comemaineglianninovanta del xx secolo, un ex campione di boxe yankee (Muhammad Ali, alias CassiusClay)èandatoinIran a inchinarsi sulla tomba dell’ayatollah Khomeini e un altro, Mike Tyson, appena uscito di prigione, si è recato per prima cosa in una moschea? Secondo la leggenda, la NationofIslamfufondatanel 1931aDetroitdatalWalliD. Fard giunto l’anno prima negliStatiUnitidallaMecca. Per i musulmani neri, Walli D.Fard,“chesieracamuffato da venditore ambulante di sete”, è un’incarnazione di Allah: era mezzo nero e mezzo bianco "affinché potesse essere accettato dai negri d’America e guidarli, mentre, nello stesso tempo, avrebbe potuto muoversi indisturbato tra i bianchi e capire e giudicare la vera naturadeinemicidelnegro”.5 Ancora oggi il giorno della sua nascita è celebrato dai fedeli come giorno della salvezza.FardfondòaDetroit la moschea n. 1 e insegnò il verbo a Elijah Muhammad (1897-1975), il cui nome era Elijah Poole, figlio di ex schiavi della Georgia. Fard scomparve misteriosamente (la storia della Nation of Islam è costellata di scomparse) ed Elijah Muhammad si trasferì a Chicago, dove nel 1934 costruì la moschea n. 2, da allorailcentrospiritualedella setta. La setta vivacchiò fino agli anni cinquanta quando aveva, secondo quanto affermaMalcolmX,menodi 1000 fedeli. Fu negli anni cinquanta, proprio grazie a Malcolm X, che la Nation of Islam moltiplicò le sue moschee e i suoi credenti, attirò l’attenzione nazionale: nel 1960 Eric Lincoln pubblicò il suo The Black Muslims in America, in cui coniò il termine “musulmani neri”. Poi Malcolm X ruppe con il suo mentore Elijah Muhammad, si allontanò dalla Nation of Islam e fu ucciso. Dieci anni dopo, nel 1975,dopolamortediElijah Muhammad,lasettasidivise in due: un’ala più moderata, che faceva capo al figlio di Elijah, l’imam W. Deen Muhammad, fautore di un ritorno all’osservanza della dottrina ortodossa islamica; l’altra ala, capeggiata da Farrakhan, ha poi preso il sopravvento. Solo nel 2000 W. Deen Muhammad e Farrakhan si sono riappacificatipubblicamente.6 *** Ilfattoèchelaforzadella Nation of Islam sta proprio nellaradicalitàdellaguerradi razza che essa sostiene, almeno a parole. La sua dottrina è semplice e, in un certo senso, è una verità sperimentale: la religione cristiana è falsa perché,per i neri,l’infernononsipresenta dopo la morte, nella vita ultraterrena delle anime, ma l’inferno è qui, su questa terra, in questa società, e i suoi demoni sono gli uomini bianchi. E chi potrebbe negare che l’uomo bianco ha reso la vita un inferno all’uomo nero, prima con la schiavitù, poi con i linciaggi, leleggiJimCrow,lamiseria, l’abiezione? Agli orecchi di un detenuto nero chiuso nel penitenziario di Angola, Louisiana, uno dei più feroci carceri del pianeta, o di un abitantediEastSt.Louisodi Nord Filadelfia, la frase “l’inferno esiste per i neri su questaterraeibianchisonoi suoi diavoli” è una rivelazione che ha in sé una verità accecante, inoppugnabile. Solo che nel linguaggio comune, “l’infernoc’èsuquestaterra” è una metafora (“una vita d’inferno”) come, secondo Jean-Paul Sartre, per un razzista “l’enfer, c’est les autres”, “l’inferno sono gli altri”. Per la Nation of Islam invece, per la sua cosmogonia, questa tesi va intesanelsensoletterale. Ecco dunque la cosmogonia dei musulmani neri, come è riassunta da MalcolmX.Dopochelaluna si fu staccata dalla terra, i primiesseriumani,cheerano di colore, fondarono la città santadellaMecca.Traquesto popolo negro c’erano 24 sapienti, uno dei quali, in conflitto con gli altri, formò la tribù negra di Shabaz, particolarmente forte, da cui discendono i cosiddetti negri americani. "Circa 6100 anni fa,quandoil70%delpopolo era soddisfatto e il 30% insoddisfatto, nacque fra questi ultimi un certo Yakub.”7 Yakub divenne scienziato, predicò dottrine ereticheallaMeccatantoche fu esiliato con i suoi 59.999 seguaci nell’isola di Patino, dovemillennidopol’apostolo Giovanni avrebbe scritto l'Apocalisse. Sdegnato per l’esilio, Yakub decise di creare una razza di bianchi attraverso una selezione genetica: “Sapeva benissimo che gli esseri umani che sarebbero derivati da tale processo sarebbero stati di pellepiùchiaraepiùdeboli,e anchepiùsuscettibilidiesser preda della malignità e cattiveria. In tal modo egli avrebbe ottenuto quella razza di diavoli bianchi che aveva vagheggiato”.Laselezionedi una razza bianca dalla razza neraoriginariarichiesesecoli, alla fine dei quali “sull’isola di Patmo cerano soltanto questi diavoli biondi, dalla pelle chiara e dagli occhi celesti; dei selvaggi nudi e senza alcun senso di vergogna, pelosi come animali, che passeggiavano su quattro zampe e vivevano sugli alberi”. Dopo altri seicento anni, questa razza tornòtrainerioriginarie,nel giro di sei mesi, “servendosi di menzogne che spinsero i negriacombattersil’unocon l’altro,questarazzadidiavoli aveva trasformato quello che erastatounparadisoterrestre in un inferno dilaniato dalle lotte e dai contrasti”. Ma la profezia asserisce che, dopo 6000 anni, durante i quali la razza bianca di Yakub avrebbe dominato il mondo, l’originaria razza negra avrebbe dato i natali a un uòmo la cui saggezza, sapienza e potere sarebbero statiinfiniti. Costui sarebbe stato, naturalmente, Elijah Muhammad. Sarebbe sbagliato sorridere di fronte alle enormità di cui è costellata e intessuta questa saga. E non soloperchédecinedimigliaia di persone vi credono, il che sarebbe già una buona ragione. Chi saremmo mai noi per disprezzare queste credenze, quando migliaia di paralitici cattolici si recano ogni anno a bagnarsi nell’acqua sporca di una vasca in una grotta francese sperandoinunmiracolo? Non solo. A partire dal ghetto, questa setta ha messo a punto l’obiettivo più raffinato delle ideologie moderne: riscrivere la storia come arma per fare la storia. Hamessoinpraticalatesidi Dewey: "lo scritto storico è essostessouneventostorico. È qualcosa che si verifica e che nel suo verificarsi ha conseguenze d’ordine esistenziale [...]. La concezionemarxistasulruolo dellelottediclassenellavita sociale ha essa stessa [...] accresciutoilsignificatodelle lottediclasse”.8Asuomodo, questa saga compie una rivoluzione copernicana. Scrive Alessandro Portelli: “Affermando che i bianchi sono una creatura dei neri, la storia di Yakub ottiene il risultato non trascurabile di rimettereinerialcentrodella storia”. Ecco allora che, diffondendo una fola inverosimile, Malcolm X ottieneuneffettomoltoreale, "contribuiscepiùdichiunque altro a trasformare lo studio della storia. Se oggi è impossibile continuare a dire che i neri non hanno storia e non hanno passato”,9 questo losideveaMalcolmX.Cioè, paradossalmente, al mito di Yakub. Ma nella storia di Yakub c’è un altro elemento di straordinaria modernità: ed è che questa riscrittura della storiaèfattacomerivelazione religiosa, simile per molti aspetti alle moderne sette cristiane degli Stati Uniti. La tesi per cui i negri “costituiscono la perduta e ritrovata nazione dell’IsIam qui in questo deserto dell’America del Nord” somiglia come una goccia d’acqua alla rivelazione del profeta Mormon, trasmessa nell’OttocentoaJosephSmith dall’angelo Moroni per cui, dopo l’abbandono della torre di Babele, una tribù d’Israele "persa e ritrovata”, i Lamaniti, progenitori dei pellerossa, avrebbe attraversato l’Atlantico. La stessareincarnazionediAllah negli Stati Uniti corrisponde allatradizionemormonicaper cui Cristo si sarebbe manifestato in America dopo lasuaresurrezione.Enessuno negli Usa piglia in giro la chiesamormonechecontrolla un intero stato, lo Utah, e costituisce un formidabile impero economico e finanziario. Profondamente americana è l’idea che un 'identità è stata "persa e ritrovata", è l’affermazione persino patetica di una continuità data per dimenticata, sommersa dall’oblioeinfinesalvatadai flutti della memoria. Questa continuità, per quanto immaginata, ti salva, ti consente di non essere più individuo isolato, disperso a caso su quest’immenso continente, ma di far parte di una comunità (umana, sociale, religiosa) che ignoravamo non perché non esisteva, ma perché ce l’avevanonascosta. Il secondo tema, assai poco islamico e molto americano, della Nation of Islam è l’Avvento. Secondo lastoriadiYakub,ildominio bianco, durato 6000 anni, è giunto alla fine e l’arrivo di Elijah Muhammad segna l’avvento del regno dei neri. L’avvento è comune a molte sette cristiane. Gli stessi mormoni vedono la loro comunitàcomequellacittàdi Sion che il Cristo avrebbe ordinato di stabilire nel Nuovo mondo negli "ultimi giorni del creato” e la chiamano infatti Chiesa di Gesù Cristo dei Santi dell’Ultimo Giorno (Church of Jesus Christ of the LatterDay Saints). Per non parlare poidelleinnumerevolichiese avventiste degli Stati Uniti che annunciano prossima la fine del mondo e imminente l’avventodelregnodiDio.Il primo leader degli avventisti, WilliamMiller,annunciòche la fine del mondo sarebbe giuntail21marzo1844.Quel giorno il sole sorse ancora e laterracontinuòaruotare,ma gli avventisti non persero la fede, e spostarono la fine del mondoal22ottobredel1844, epoiancora.Enonsonosolo estremisti come David Koresh che si credeva l’Agnelloreincarnatoechesi è lasciato bruciare con un centinaio di suoi fedeli in un casale di Waco, Texas, nell’aprile 1993. Né ingenui come quelle migliaia di coreani e coreane di Chicago che, nell’ottobre 1992, ho visto attendere asserragliati nelle loro chiese per tutto un giornoetuttaunanottecheil mondo finisse, per scoppiare apiangerequandopoisisono accorti che dovevano continuare a vivere. No, perché negli Stati Uniti la sola Chiesa avventista del Settimo giorno (una fra le molte dénominations avventiste) controllava negli anninovanta44caseeditrici, 14 college, 2 università, scuole mediche, dentali e fisioterapiche, 437 scuole secondarie, 4411 scuole elementari, finanzia 437 ospedali e 2435 stazioni radio.10 Fanatici forse, ma dotati di tanto senso degli affari e di capacità organizzativa. La credenza nell’avvento è quindi qualcosa di profondo, di personale, che vaoltrelareligione-siaessa cristianaoislamica-echefa da pendant al pensare positivo, a quel positive thinking che per ogni tesi esige una verifica sperimentale subito, che a ogni sacrificio assegna un corrispettivo materiale, tangibile. L’avvento terrestrizza il regno dei cieli, traslocaal-di-quatuttol’al-dilà. Esso porta su terra il paradiso, o il regno del signore, proprio come la NationofIslamportasuterra il regno del demonio, l’inferno. L’awentismo trasferisce il problema del senso (che senso ha la nostra vita?) dalla storia sacra alla storia profana, dalle anime immateriali agli individui corporei, da oltre la fine del tempoall’oggi.Daquideriva la fiducia continua-mente reiterata, nonostante ogni smentita, di una data precisa, prossima, alle ore x del giorno y dell’anno z, per la fine del mondo (Rapture in inglese). L’avventismo radicalizza all’estremo la predestinazione calvinista, poiché chi attende la fine del mondo è già un eletto del Signore destinato a entrare nel suo regno. Chi crede nell’avvento si attribuisce le stigmate della santità; e lo fa esigendo che l’agostiniana "città di Dio” sia costruita oggi, adesso, possibilmente separata dalla “città degli uomini”. *** Entriamo qui in uno dei meandri più intricati, quello dell’indissolubileintrecciotra fanatismo religioso e mentalità positivista. Per l’opinione corrente, la mentalità positivista è atea, scettica, crede solo ai fatti, è materialista, mentre il religioso sarebbe l’opposto, spiritualista e fideistico. Ma positivismo e fideismo sono accoppiati sin dalle origini moderne, fin da Auguste Comte:chiragiona“inmodo positivo”puòesserereligioso fondamentalista. Per compiere il salto dal fatto positivo alla fede, basta considerare la verità rivelata essa stessa come un fatto, basta seguire le “istruzioni” del libro di dio come si seguono le istruzioni d’uso degli elettrodomestici. È qui che entra in gioco l’interpretazione letterale, e non più metaforica, delle affermazioni religiose: “l’inferno su terra” inteso letteralmente; il “diavolo bianco” inteso letteralmente per la Nation of Islam, ma anche i brani della Bibbia interpretati alla lettera per le sette protestanti. Secondo un sondaggioGallupdel1983,il 62% degli americani “non aveva dubbi” sul fatto che Gesù tornerà sulla terra. Un altro sondaggio del 1980 trovò che il 40% degli americani consideravano la Bibbia“larealeparoladiDio [...] da prendere alla lettera parola per parola". Nel 1988 un sondaggio con domande formulate in modo diverso diede un 31% di persone che consideravano la Bibbia la "reale parola di Dio da prendere alla lettera parola per parola”. Il 31% rappresenta 61 milioni di americanisoprai19anniche credono alla Bibbia parola per parola, persino nelle immagini terribili e barocche dell’Apocalisse di san Giovanni (in inglese, il libro dell’Apocalisse si chiama Revelation).11 Un’altra saldatura tra pensiero positivista e fondamentalismo religioso si produce nell’immensa potenza retorica che negli Stati Uniti è conferita ai numeri.La comunicazione di massa sfrutta molteplici figure retoriche del numero, dalla ripetizione ("In 12 giorni, con 12 fiale, 12 anni di meno sul vostro viso”), all'enumerazione ("1 offerta eccezionale, 2 stili di vita, 3 vantaggi"), al doppio senso ("99 dollari per 99 giorni di viaggio”, "920 tonnellate a 920 km/h”): il numero non è maisolodenotativo,maèuno strumentolinguisticoincuisi nascondono sempre connotazioni.12 Ma per gli Stati Uniti è qualcosa di più. Già Sombart notava l’ammirazione tutta americana“diognigrandezza misurabileepesabile:siaessa ilnumerodegliabitantidiuna città, il numero dei pacchi postali, la velocità delle ferrovie, l’altezza di un monumento, la larghezza di un fiume, la frequenza dei suicidi”. E dava come ragione:“Lavalutazionedella grandezza in termini di numeri non significa null’altro che poter mettere radice nell’anima dell’uomo procurandosi denaro con lo strumento capitalistico. [...] Le grandi dimensioni del paese americano hanno sollecitato questa caratteristica, ma innanzitutto doveva essere risvegliato il senso in genere per il numero”.13 Un secolo dopo Sombart, chiunque abbia vissuto un po’ negli Stati Uniti riconosce la straordinaria potenza del numero che pervade la comunicazione scritta, orale, visiva.Ilnumerogarantiscela verità di una tesi: ridotta alla sua quantità numerabile, una tesi diventa positiva, verificabile: un numero è un fatto. Solo che questa verità numerica è usata in modo disinvolto. La funzione del numero non è di indicare quale numero, ma di essere unnumero. Già a questo stadio il numero assolve una funzione non più aritmetica ma cabalistica, religiosa, proprio come per le sette cristiane il 666èilnumerodellaBestiao dell’Anticristo, proprio come per i Black Muslims Yakub aveva 59.999 fedeli; come 6100 (e non 7400 o 5200) annifa,unatondapercentuale del 70% (e non uno stupido 68)degliuominioriginari,dei neri, era felice e il 30% (e non un prosaico 32) era scontento. Agisce la stessa funzione retorica quando Malcolm X dice che la massoneria e il diavolo “hanno solo 33 gradi di conoscenza, mentre Allah ne ha360”,dove“grado”èusato una volta come "stadio” e un'altra come unità di misura angolare.14 Dopo l’interpretazioneletterale,ora il numero costituisce il secondopontetrapositivismo e religiosità integralista, e quel che li connette è che il numero pretende di essere intesoletteralmente,anzi,èla letteralitàfattasisegno. *** Ma Yakub è uno scienziato, anzi uno "scienziato pazzo”. E così l’intreccio tra pensiero positivo e superstizione si fa ancora più esplicito e più profondo. Nel racconto originale di Elijah Muhammad,piùdi6000anni faYakub“conobbeilproprio futurogiocandoconl’acciaio. Con questo metallo ha sempre giocato la razza che egli creò. L’acciaio è diventato il metallo più utile. Yakub ne vide la capacità di attrazione magnetica [...] e concepì un essere umano, improbabile ma creato per attrarreglialtri,che,dotatodi unasicuraconoscenzaditutti gli espedienti e di tutte le menzogne, avrebbe sottomesso il negro originario...”15 All’origine dell'infernocisonolascienza e la tecnologia che hanno creatoildiavolobianco. Questacontaminazionedi scienza e demonologia non è peculiare della Nation of Islam, né di Chicago. "In realtà,ildestinodellascienza a Los Angeles,” scrive Mike Davis, “esemplifica il ruolo inverso tra ragion pratica e quel che i disneyani chiamano l'immagegneria [imagineering]. Dove uno potrebbe aspettarsi che la presenza della più grande comunità di scienziati e ingegneri coltivi una società illuminata, la scienza si è invece associata con la letteratura da quattro soldi, con la psicologia volgare e persino col satanismo per creare un altro mattone del mito californiano.”16 Il rapportotrascienza,religione e magia si rivela dunque più enigmatico. Da un lato la scienza esercita un’egemonia indiscussa sulle società moderne, dall’altro queste società sono totalmente ignoranti sul procedere scientifico. E l’ignoranza aumenta col crescere della conoscenza scientifica e con l’industrializzarsi della vita. Nei nostri gesti quotidiani non solo non usiamo mai procedimenti scientifici, ma sempre più ignoriamo come funzionano gli oggetti che adoperiamo senza sosta e ci sono indispensabili. Come mai una cornetta di plastica bucherellatatrasmettesuonia distanza? Come succede che premountastoel’oscuritàfa posto alla luce? Premo un altro tasto e un’immagine venuta da un altro continente apparesulloschermo?Nonlo so - rispondono i più -e non m’interessa saperlo: qualcun altrolosa.Piùsonosofisticati i prodotti tecnologici, più l’ignoranza cresce: i calcolatori hanno reso inutile saper far di conto e c’è un analfabetismo aritmetico di ritorno. Ecco quindi che, per la stragrande maggioranza, la scienza e i prodotti tecnologici sono magia. Per “magia” s’intende ogni processo in cui c'è una sproporzione lampante tra lo sforzorichiestodaungestoe il risultato del gesto: non costa fatica pronunciare una sola parola eppure, se questa parola è “Apriti sesamo”, essa basta per spostareungrandemacignoe per entrare nella caverna di Alì Baba; non costa nulla intonareformule"magiche”e così ottenere oro dai sassi. È in questo senso che, per la società, la scienza è una magia. Tanto più la società è tecnologizzata, tanto più la sua ideologia è magica. Può essere magia bianca, ed elargire benefici all'umanità, oppure magia nera, stregoneria, e suscitare l'inferno delle catastrofi ecologicheebelliche,eallora gliscienziatisonostregoni,o pazzicomeYakub.17 Ancora. Se la verità scientificaèlaveritàufficiale della società, per una società che ignora il procedimento razionaledellascienza,questa società crede che la scienza dica il vero. Il punto è che alla scienza ci si crede. Non dimentichiamo che fin dai suoi albori il positivismo venera la scienza come una religione; al contrario una religione può essere considerata una “descrizione scientifica del mondo”; e in America è stata davvero fondata una “religione scientifica” (Christian Science) che ancor oggi pubblica un autorevole quotidiano: il "Christian Science Monitor”. E oggi tutta la società moderna pratica la fede nella scienza. Così il determinismo della previsione scientifica non si discostapiùdallaprofeziadel discorso religioso. Ecco perché negli Stati Uniti la profezia sociale si è spesso travestita da previsione scientifica e l’utopia si è espressa come fantascienza, come nel classico Looking Backward (1897) di Edward Bellamy,chefuilvangelodei cosiddetti “Nuovi apostoli” delsocialismoamericano. Nel sovrapporsi di previsione e profezia, la ferrea determinazione delle leggi della meccanica finisce con il somigliare sempre più alla fatale predeterminazione dell'astrologia e la predestinazione degli astri figura sempre più l’inesorabilità del destino sociale. Nel 1952-1953 Theodor W. Adorno, uno dei fondatori della scuola di Francoforte, concentrò i suoi studisullarubricaastrologica del"LosAngelesTimes”: Dato che per la maggior parte degli individui il sistema sociale è il “destino”, indipendente dalla loro volontà e dal loro interesse, esso viene proiettato sugli astri al fine di ottenere così una maggiore dignità e giustificazione, che quegli stessi individui sperano di condividere. Nello stesso tempo, l’idea che le stelle, purché vengano lette in modo esatto, offrano qualcheconsiglio,mitiga proprio quella paura dell’inesorabilità dei processi sociali che è alimentata dalle persone stesse che contemplano le stelle. Quest’aspetto dell’ambivalenza dell’astrologiaèsfruttato dallato“razionale”della rubrica. L’aiuto e il conforto offerti dagli astri spietati ammontano all’idea che solo chi si comporta razionalmente [...] ha una qualche possibilità di soddisfare con l’adattamento le contraddittorie esigenze irrazionali dell’esistente. Così la discrepanza tra gli aspetti razionali e quelli irrazionali della rubrica esprime una tensione inerente alla realtà sociale stessa. "Essere razionali” significa non mettere in discussione situazioni irrazionali,mariuscirea trarne il massimo vantaggio dal punto di vista del proprio interesseprivato.18 Se la previsione scientifica non si discosta dalla profezia religiosa e il determinismo razionalista si confonde con la fatalità astrologica e l’inesorabilità della divina provvidenza, alloraalverboreligiosoviene attribuita quella certezza inoppugnabile, positiva che - peripositivisti-caratterizzail discorso scientifico. Si crede all’avvento del Cristo come alle equazioni di Maxwell, al numero della Bestia (666) comealnumerodiAvogadro (6x1023): questo spiega la forza del creazionismo negli Stati Uniti e i ricorrenti tentativi di proibire l’insegnamento del darwinismo nelle scuole, perchéilraccontobiblicoche narra come Dio creò la terra circa 5000 anni fa e invece l’evoluzionismo che narra come le specie si siano evolute in miliardi di anni sono visti come due teorie scientifiche in competizione, dicuiunadeveesserefalsa. Molti fondamentalisti cristiani tolgono così i loro figli dalla scuola perché non imparino il darwinismo. 16100annifadelloscienziato pazzo Yakub non appaiono più così insensati in questo contesto in cui - per consentircialmenounsorriso -itexanisivantanodiessere talmente indisciplinati "da non obbedire nemmeno alla legge di gravitazione universale”. *** Va tutto bene, si dirà, tuttogiusto,masolounidiota puòcredereche6000annifa ci fosse l’acciaio, che si usasse il magnetismo, che i neri abbiano costruito la Mecca e così via. C’è un limite anche alla credulità. Eppure... Eppure,chedifferenzac’è fraessereprontiadammettere l’incredibile e invece l’apertura mentale? Per il "pensiero positivo", essere aperti mentalmente, essere open-minded, è una qualità fondamentale: vuol dire essere pronti ad accettare le novità,acogliereleoccasioni di guadagno, a non escludere nessuna ipotesi. Solo trentanni fa potevamo mai immaginare che non avrebbe suscitato nessun senso di follia o d’insanità mentale lo spettacolo di un passante che inveisce da solo, urla, sbraita mentre cammina per la strada? Oggi questo passante sta soltanto parlando al telefonocellulare. È davvero sottile la frontiera tra credulità e aperturamentale:ognigiorno larealtàmetteaduraprovala ragione. Una sera a cena, un amicotrai30ei40,bianco, progressista, buon padre, saggio pagatore di un mutuo perlacasa,midicevaintutta ragionevolezza che sì, l’Aids è un complotto dei bianchi perdistruggereineri,proprio come il crack che spinge i neri alla delinquenza, alla povertà, e li tiene sotto il tallone bianco. Il mio amico dava così credito a una tesi assai diffusa tra i neri, non solo nella Nation of Islam, ma in tutte le inner cities dove è chiamata comunemente The Plan: “A partire dal 1980 la roba [la droga]hafattounveroboom [...], quel che credo, man, è cheeratuttocomeungrande complotto[masterpian].Noi, il nostro popolo - voglio dire noi, i neri - non potevamo fare altro che brillare e continuare a progredire [...] quandoquestaputtanadiroba è arrivata [...] ci ha riportato indietro di cinquant'anni”, diceva Ryckey, un ragazzo nerodiChicago,alsociologo Loïc Wacquant.19 The Conspirancy: Youth Gangs, Violence and Drug (“Il complotto: gang giovanili, violenza e droga”): così s’intitolavainfattiundiscorso diFarrakhanmessoinvendita su cassetta. E il mio amico bianco, di fronte alla mia incredulità, usava l’argomentorazionalistadella “scatola nera”: non sai cosa succede nella scatola, ma guarda cosa entra e poi cosa esce, e cerca di trovare il meccanismopiùsempliceche spieghi come l’input si trasformanell’output.Finoal 1978,mifacevanotare,prima del diffondersi di Aids e crack,ildivariodiredditotra neri e bianchi diminuiva, da allora è aumentato. Citava statistiche: a poco a poco quella "leggenda metropolitana” che mi aveva fatto sorridere restava balzana,maacquisivaunasua plausibilità. Ma il vero dubbio su questo tema e, in generale, sulla questione della credulità, lo fanno sorgere le rivelazioni apparse sulla stampaamericanaafine1993 eriprese(senzamiglioresito) nell'estate del 1997.20 Il governo di Washington ha ammesso che per decenni i militari hanno portato a termine esperimenti di massa usando a loro insaputa centinaia di migliaia, forse milioni di cavie innocenti. Negli anni cinquanta e sessanta lo stato maggiore americano mandava intere divisioni di coscritti vicino a dove era scoppiata una bomba atomica per “vedere cheeffettofaceva”,peravere uno screening di massa sulle conseguenze delle radiazioni. Esperimenti sugli umani li avevano già compiuti i nazisti, sugli stranieri, sui propri prigionieri di guerra, sugliebrei,suglizingari.Ma, di nuovo, quella era una dittatura, anzi era la barbarie fattaregime.Quino,quièun governo democraticamente eletto dai propri cittadini che fa esperimenti sui propri elettori. Addirittura, i laboratori militari hanno volatilizzato germi chimici e batteriologicineivagonidella metropolitana di New York, sempre "per vedere che effetto fa” su centinaia di migliaiadiignaricivili. C’era un umorismo macabro nell’irrorare radiazionidinascosto,mentre nelle scuole si facevanoleesercitazioni antiatomiche e agli studenti si insegnava a coricarsi per terra e mettere la testa sotto il banco in caso di esplosione nucleare. Agliadultisivendevano rifugi antiatomici da collocare nel giardino di casa. Le città si riempivano della segnaletica gialla e nera che indicava la presenza del rifugio antiatomico negli edifici. Si pubblicavanomanualisu come sopravvivere in caso di attacco atomico.21 Per quanto riguarda quell’epoca,èdiabolicocome leautoritàprendevanoingiro icittadini,edèpateticocome costoro si fidassero del loro governo, ignari del tumore che esso instillava nei loro corpi. Una fiducia per cui addirittura, scrive Bruno Cartosio, l’immagine del "fungo” acquistava una popolarità sempre maggiore.Daglistatidel Sud-ovest i turisti, insiemealleriproduzioni delle straordinarie bellezze naturali, mandavano cartoline su cui erano immortalate le esplosioni nucleari sperimentali nel deserto del Nevada. Anche l’aggetivo "atomico” diveniva sinonimo diffuso di eccezionale, fantastico [...]: caffè atomico, lavanderia atomica,amoreatomico, bacio atomico, cocktail atomico, disinfestazione atomica, lavamacchine atomico.Ancheleattrici di Hollywood divennero "bombe".22 Per quanto riguarda l’oggi, l’aspetto più impressionante di queste rivelazioni è la scarsa impressione che hanno suscitato: un paese che ha cacciato un presidente (Richard Nixon) perché ha registratodelleconversazioni, un paese che minacciava di cacciarne un altro (Bill Clinton) per una macchia su un vestito e un episodio di amoreancillare,questostesso paese non fa una piega di fronte a simili notizie. Come se, sotto sotto, le sospettasse già, come se si sfiorasse qui quellalineadiconfineoltrela quale l’ipocrisia della democrazia non è più sostenibile: allora meglio tacere. E allora perché non credere che questo stesso governo, questo stesso paese tiabbiamentitoanchesualtro e che l’Aids sia o il frutto indesiderato di una ricerca di guerrabatteriologicaol’esito di un complotto antinero? E che il crack sia deliberatamente diffuso nelle innercities? Masetihannomentito,se ti mentono, e se la bugia è così enorme, perché non pensarechehannomentitosu tutto, e in particolare su quel chenonpuoicontrollare,cioè sul passato? Perché i bianchi non avrebbero mentito ai propri ex schiavi neri sulla loro storia, se mentono ai propri cittadini bianchi sul loropresente,anzimettonoin pericoloillorofuturo? È nell’orizzonte di quest’immensa menzogna, di questa cosmica falsità, che s’inserisce il problema del demonio. Parlare dei diavoli bianchi implica che il demonio si manifesti ovunque, che sia pervasivo, proprio come i bianchi e le bianche; che popoli le tue città, le tue vie, la tua vita, che il demonio sia ubiquo, onnipresente, che ti assilli, ti tenti.Ancheinquestocasola Nation of Islam è ben lungi dall’essere isolata. Il satanismo, il terrore per (e la fede nel) demonio si radica nella fede cieca nella CostituzionedegliStatiUniti. Se la Costituzione è perfetta, se gli uomini sono fondamentalmente buoni, come mai in questo paese dilaganoilmale,l’ingiustizia, laferocia,lacattiveria? Quando il sistema americanofallisce,come succede, naturalmente, di tanto in tanto, gli americani non cercano i difetti del sistema, guardano a diavoli umani che hanno rovinato un sistema perfetto. [...] L’idea che il sistema americano è perfettoenonpuòessere migliorato viene dalla storia peculiare dell'America. I padri fondatori dell’America (Thomas Jefferson, George Washington, Benjamin Franklin) eranodeglidèio,senon dei,almenoindividuipiù perfetti di qualunque vivente di oggi. Tracciarono un sistema unico che potrebbe durare per sempre senza miglioramenti. Che era, ed è, perfetto. Nessun altro paese ha avuto padrifondatorinelsenso in cui gli Stati Uniti hanno avuto padri fondatori. Il solo altro stato che li ebbe, l’Urss con Marx e Lenin, ha appena respinto ufficialmenteisuoipadri fondatori restituendo Leningrado al suo nome originale di San Pietroburgo.23 Anche il laico e progressista Lester Thurow usa il termine “diavoli umani”: qui, come nel dibattito sulla povertà e sull’underclass,la reazione è stupita, è attonita: com’è possibile che nel sistema americano che garantisce a tutti il diritto alla felicità esista però l’infelicità, l’ingiustizia? Perché c'è il diavolo.QuandolaNationof Islamidentificaneibianchiil demonio, in realtà manifesta tutta la sua adesione al sistema americano, la sua fede nella Costituzione e ci mostracome,inognisistema sociale che i cittadini considerano non migliorabile (comegliamericaniritengono la Costituzione degli Stati Uniti),lapresenzadeldiavolo sia destinata a diffondersi poiché, se non è possibile incolpare il sistema, l’ingiustizia di classe, la faziositàdileggietribunali,è pur necessario trovare qualcuno responsabile del proprio dolore, della propria sorte iniqua. Un demonio, milioni, decine di milioni di demoni. *** Maquestodiavolobianco era “un selvaggio nudo e senza alcun senso di vergogna, peloso come un animale, che passeggiava a quattro zampe e viveva sugli alberi”. Ricordo un capocantiere francese in Senegai che, all’inizio degli anni settanta, mi diceva, comodo davanti agli aperitivi nel tramonto di Dakar, che i suoi operai neri erano sì bravi, “ma sai, sono appena scesi dai rami [ils sont à peine descendus des branches]”. Per il razzista bianco, il nero è un primate appena sceso dagli alberi. Eccoallorache,perlaNation of Islam, il bianco è un animale peloso che a quattro zampecamminasuglialberi. Se l’angoscia ti sopraffà nel guardare ai musulmani neri,èperchéproprioquando la Nation of Islam sbandiera l'orgoglio della negrità, in questo preciso gesto di contrappasso, essa esibisce quella subalternità di cui parlava Myrdal. Subalternità nel tema dell’avvento (del regnodeineri,controilregno del signore Gesù, bianco e biondo), nella scelta della cronologia (i 6000 anni di Yakub contro i 5000 della Bibbia), nel ruolo della scienza(èloscienziatoneroa creare il bianco contro la tecnologia bianca che ha colonizzato e schiavizzato i neri), nel colore del demonio (nell’immaginario bianco il diavoloènero).Essarimanda al mittente bianco le sue contumelie, ma come dal basso, impoverite, quasi ridicolizzate. Il suo islamismo, invocato come antitesi al cristianesimo bianco,ècristianizzato.Quasi fosse la versione povera, e nera, delle sette protestanti, essacirivelatantissimosulla lororeligiosità. Nello stesso tempo la Nation of Islam delinea il fondamentalismo dei nostri tempi. Un fondamentalismo nuovo,moderno,chesiforgia dalcontattoconl’altrodasé. SullerivedelLagoMichigan i neri discendenti di schiavi erano ormai proletari, sottoproletari urbani colonizzati dal protestantesimo cristiano bianco.Ungruppodiloroha trovatounaviadisalvezzain un’improbabile versione dell’IsIam.Maproprioperché sradicata dall’IsIam tradizionale, questa setta “ha inventato i metodi di azione socialeemobilitazionechesi sono ritrovati in numerosi gruppi islamici dell’Europa occidentale negli anni novanta; la lotta contro gli spacciatori e contro la tossicodipendenza, la ‘riabilitazione’ delle gang mediante la conversione dei loromembri”24;d’altrondela NationofIslamèsbarcatafin dal 1986 in Gran Bretagna dovedichiara2000credentie dove ha aperto una scuola di cui il governo ha ordinato la chiusura nel 1998.25 Ma l’influenza dei Black Muslims sul Vecchio continente va oltre il proselitismo diretto. La “via nera all’IsIam” è servita da modello ai fondamentalisti maghrebini ed egiziani in Inghilterra e in Francia, agli integralisti turchi in Germania. E a loro volta, costoro hanno reimportato nelle terre d’origine del Corano, in Nordafrica, in Anatolia, in Asia, questa versione “riformata” dell'Islam. Così, non solo nella modernità di Chicago negli anni cinquanta i neri incontrarono l’IsIam, ma a Chicago l’IsIam incontrò la modernità del sottoproletario urbano nero. Così s’innescò una catena di retroazioni sistemiche, un feedback che alla lunga ha portato la questione islamica dalla periferia al centro della modernità. Inunpercorsocircolarela strampalata religione di Yakub ha infatti riplasmato i comportamenti del fondamentalismo ortodosso nel Corano. Un po’ come le sette riformate statunitensi sono risbarcate a evangelizzare il Vecchio continente. Basti pensare che nella Nation of Islam ogni moscheahaunsuopastore.Il concetto di “pastore” è quanto di meno coranico ci sia, riguarda il gregge delle anime, riporta a una tradizione occidentale che implica anche lo "stato pastore”,cioèilwelfarestate che recupera e assiste le pecorelle smarrite, instaura una “polizia della felicità”.26 Per di più, in America, il pastore è per antonomasia la figura delle chiese riformate cristiane. Pastore di una moscheaècomedirerabbino di una pagoda. A dimostrazione ulteriore di quanto sia arbitrario l’islamismo della Nation of Islam, di quanto esso sia una religione immaginata: vediamoquiquell’invenzione del proprio passato su cui dovremotornare. Quest’arbitrarietà si manifesta nel problema del nome. Nella sua postfazione all’Autobiografia di Malcolm X, Alex Haley (che l’ha redatta e che ha poi scritto il best-seller Radici) conclude: “La notte calò sui resti mortali di El-Haji Malik ElShabazcheerastatochiamato anche Malcolm X, Malcolm Little,BigRed,Satana,Home Boy e in altri modi...”.27 Il padre di Malcolm X aveva come cognome Little; Malcolm, alto e con i capelli rossicci,fuchiamatoBigRed quando faceva parte della mala; poi rifiutò il suo cognome di discendente di schiavi del signor Little e si chiamò X come i membri della Nation of Islam. Poi, dopo il pellegrinaggio alla Mecca e l’allontanamento dalla sua setta, egli fu El Hadji della tribù di Shabaz. Questodarsietogliersiinomi con estrema facilità, come se ilproprionomefosseunpaio di calzini, tocca un ganglio centraleeinsiemedescriveun atteggiamento. Il ganglio centrale è il ruolo nevralgico che ha il nome nella trasmissione ideologica. Quando il filosofo francese Louis Althusser afferma che "l’ideologia interpella gli individui in soggetti”,28 egli dice che un individuo è immerso nella sua ideologia appena è interpellato (“ehi tu!”), appena è chiamato per nome, appena è “nominato”. Questo nome veicola quindi l’ideologia cui siamo sottoposti. Perciò cambiare nometoccaunnodocentrale. Però il gesto di Malcolm X esprime una mentalità che crede che sia davvero possibile cambiare nome, e cioè ideologia; una mentalità che si ritiene libera di darsi i propri nomi. Una mentalità che era l’elemento costitutivo, originario del colonialismo europeo, come mostra Tzvetan Todorov in paginemagistralisuquelche egli chiama “la furia nominatrice” di Cristoforo Colombo, quale risulta dal suodiariodibordo: Colombo si appassionaallasceltadei nomi per il mondo vergine che ha sotto gli occhi; e - non diversamente dal suo anche quei nomi debbono essere motivati [...].“Allaprimaisolada me incontrata ho dato il nomediSanSalvador,in onore dell’Alta Maestà che mi ha meravigliosamente concesso tutto questo. La seconda l’ho chiamataSantaMariade Concepción; la terza Fernandina, la quarta Isabella e la quinta Juana; in questo modo ho dato a ciascuna di esse un nuovo nome.” Colombo sa dunque perfettamente che quelle isolehannogiàdeinomi, naturaliinuncertosenso (ma in un’altra accezionedeltermine),I nomi degli altri tuttavia lo interessano poco, e vuolribattezzareiluoghi infunzionedelpostoche essioccupanonelquadro dellascoperta,vuoldare loro dei nomi giusti; il nominarli, inoltre, equivale a una presa di possesso.[...] Le cose debbono avere i nomi che a loro convengono. In certi giorni quest’obbligo getta Colombo in uno stato di vera e propria furia nominatrice. [...] Il suopiacereètaleche,in certi giorni, dà successivamente due nomi alla stessa località (così, per esempio, il 6 dicembre 1492 un porto chiamato Maria all’alba diventa San Nicolas al vespro). Se, invece, qualcun altro vuol imitare Colombo nell'attività di assegnare nomi, egli ne annulla le decisioni per imporre il nome scelto da lui: durante la sua fuga, Pinzón aveva dato a un fiume il proprio nome (cosa che l’Ammiraglio non faceva mai), ma Colombo si affrettò a ribattezzarlo "fiume di Grazia”.29 Innessunpostosullaterra questa furia nominatrice ha pervaso e continua a pervadere gli animi come negliStatiUniti.Prendeteuna zona a caso. Per esempio, nello stato di New York, quella intorno all’Università di Cornell che si trova nella cittadina di Ithaca (isola dell'EgeopatriadiUlisse)che è a 44 miglia da Syracuse (cittàsiciliana).Ithacaèasua volta a 63 miglia da Manchester(cittàinglese)che è a 73 miglia da Palmyra (città nel deserto siriano) che è a 73 miglia da Warsaw (capitale polacca). Se vi spingete verso ovest, nell’Ohio,trovatecheCanton (Cina)èa17migliadaDover (Inghilterra),cheèa2miglia daStrasburg(Francia)e38da Ravenna (Italia). Ancora più a ovest, in Indiana, trovate a poca distanza le uscite per Angola, Syracuse, Warsaw, LaPaz,Bremen. Ancora una volta incontriamo il rapporto tra i nomi e le cose, ma qui lo troviamo in questa furia nominatricecheesprimebene quale forma ha preso negli Stati Uniti la presunzione di libertà dei suoi abitanti che, novelli Cristoforo Colombo, nominando, postulano la libertà d'installarsi in un luogo, di possederlo. E che, proprio mentre esercitano questa libertà nominando, la svuotano, la rendono astratta perché creano una geografia virtuale in cui Anthiochia costeggia Valparaiso che è vicina a Varsavia. Non solo: questa libertà appioppa il concetto di “Antiochia” a quattro ranch del Middle West;Paris,lasofisticataville lumière, diventa Paris nell'Idaho, grazioso, ridente villaggettodi800abitanti. C'è di più. Questa libertà è esercitata sì, ma come una coazione a ripetere l’antico. Un emigrante fa 9000 chilometri, traversa un oceano e mezzo continente per ritrovare (ricrearsi) la Ravenna da cui era partito. Questa libertà genera allora una miriade di "tribù perse e ritrovate”, non solo quella d'Israele o quella di Shabaz, malatribùritrovataepersadi Berlino, la tribù ritrovata e persa di Genova, quella di Monaco. Ecco quest’apparente libertà rivelarsi per quel che essa è: ilfruttodiunacostrizione,di un obbligo che ti impone di ricercarti, di ricrearti la tua tribù "persa e ritrovata”. Anche a costo, come fece Malcolm Little per liberarsi dal giogo del cristianesimo dei negrieri bianchi, di ritrovarsi con un nome che avrebbe potuto appartenere a unodeitantimercantiarabidi schiavineri. 1Dichiarazioniriportate dall'Economist” del 18 ottobre2001. 2Daunaseriediarticoli del “New York Times” del marzo 1994 e del 13 settembre 1996 e dal “Washington Post” del 2 settembre1996. 3 “The New York Times”,31marzo1998. 4 Gilles Kepel, A l'Ouestd’Allah,Éd.duSeuil, Paris1994,trad.it.AOvestdi Allah, Sellerio, Palermo 1996, cap. III, par. "L’Islam alsuonodelrap”. 5 Autobiografia di MalcolmX,cit.,p.205. 6“TheNewYorkTimes”, 2febbraio2000. 7 Le citazioni tra virgolette sono dall'Autobiografia di MalcolmX,cit.,allepp.201204. 8J.Dewey,op.cit.,cap. xii,pp.297-298. 9 Alessandro Portelli, La linea del colore. Saggi sulla cultura afroamericana, Manifestolibri, Roma 1994, pp. 126 e 124, e tutto il capitolo Malcolm X e l’uso dellastoria,pp.121-131. 10 Frank S. Mead, Handbook of Denominations in the United States (1961), Abingdon Press, Nashville 19909,pp.19-20. 11 Paul Boyer, When Time Shall Be No More. Prophecy Belief in Modern American Culture, Harvard University Press, Cambridge (Mass.)1992,p.2.Illibrodi Boyer è utile per capire la modernità del pensiero apocalittico negli Stati Uniti di oggi. (I sondaggi più recenti confermano le stesse percentuali di fede nella letteralitàdellaBibbia.) 12 Esempi tratti dall’articolo Rhétorique du nombre di Jacques Durand, nel numero monografico Recherches rhétoriques della rivista "Communications", coordinato da Roland Barthes,n.16,1970,pp.125132. 13 W. Sombart,Perché negli Stati Uniti non c’è il socialismo?, cit., p. 14 (il corsivoèmio). 14 Autobiografia di MalcolmX,cit.,p.195. 15 Elijah Muhammad, Message to the Blackman in America, Muhammad Mosque of Islam n. 2, Chicago 1965, p. 112, brano riprodotto nell'Autobiografia diMalcolmX,cit.,p.202. 16 M. Davis, City of Quartz,cit.,p.23. 17 Riprendo questo ragionamento dal mio saggio L'abisso non sbadiglia più, pubblicato nel volume collettivoGliordinidelcaos, Manifestolibri, Roma 1991, pp.22-24. 18 Theodor W. Adorno, TheStarsDowntoEarth.The “Los Angeles Times ” AstrologyColumn.AStudyin Secondary Superstition., in Soziologische Schriften II, Suhrkamp Verlag, Frankfurt amMain1975,trad.it.Stelle su misura, Einaudi, Torino 1985,p.16. 19 Loïc J.D. Wacquant, The Zone, in P. Bourdieu et al.,Lamisèredumonde,cit., (pp.201-204),p.204. 20 Per esempio dal “New York Times” del 6, 17 e25dicembre1993edel24, 29luglioe2agosto1997,dal “Boston Globe” del 2 agosto e9novembre1997. 21BrunoCartosio,Anni inquieti. Società media ideologie negli Stati Uniti da Truman a Kennedy, Editori Riuniti,Roma1992,p.153. 22Ivi,p.155. 23 Lester Thurow, Head to Head. The Coming Economic Battle Among Japan,Europe,andAmerica, William Morrow and Co., New York 1992, p. 261 (il corsivoèmio). 24G.Kepel,AOvestdi Allah,cit.,introduzione. 25 “Christian Science Monitor”,18settembre1998. 26 Questo tema è stato introdottodaMichelFoucault in due conferenze tenute all’Università di Stanford il 10 e il 16 ottobre 1978, Omnes et Singulatim; verso una critica della ragion politica, in “Millepiani". 3,1994, p. 33. Foucault parla anche del “gregge di Platone”. 27 Autobiografie di MalcolmX,cit.,p.513. 28 Louis Althusser, Idéologie et appareils idéologiques d'Etat, pubblicato nel volume Positions, Éditions Sociales, Paris1976,inparticolarealle pp.110-116. 29 Tzvetan Todorov, La conquête de l'Amérique. La question de l’autre, Éd. du Seuil, Paris 1982, trad. it. Einaudi,Torino1984,pp.3234. 3.Cabrini-Green,dove c’erailparadiso Ti mostrano i fori delle pallottole sulle pareti, ti indicano i bossoli. Non sono tracce della Seconda guerra mondiale, sono i segni della diuturna guerra tra gang che si combatte nel complesso di edilizia popolare di CabriniGreen. In un anno sono stati uccisitrebambini. Madre Frances Cabrini eraunasuora,1laprimasanta nata in America; William Greeneraunleadersindacale. A vederlo da fuori, questo complesso popolare non pare peggio di Sarcelles vicino Parigi o Tor Bella Monaca a Roma. Edifici di una ventina di piani, spogli, stile anni cinquanta-sessanta,circondati da prati stentati in cui, per la troppa fatica, hanno rinunciato a crescere gli alberelli piantati da architetti progressisti. Di diverso c'è solochelafacciatadelsettore centrale di questi edifici, con i ballatoi esterni, è chiusa da una rete di ferro che va dal primo piano all’ultimo. Così, nei vari piani, vedi camminare, parlare, sedere, sempredietrolagrata,dentro una gabbia. Finestre sono divelte da esplosioni o incendi. Dentro, graffiti sui muri, sporcizia, infissi sconnessi. Sui marciapiedi si molleggiano adolescenti con enormi scarpe da ginnastica; lunga maglia in felpa con cappuccio; berretto da baseball (visiera sulla nuca) secondo la moda del momento: nel 1992 aveva la X, dal film Malcolm X di Spike Lee, nel 1994 OJ, dal nome di O.J. Simpson ex calciatore nero accusato di aver ucciso la ex moglie bianca... Il complesso si trova a meno di un chilometro dal MagnificentMile,ilcorsopiù lussuoso di Chicago, e dagli ultimi grattacieli con portieri inlivrea,pensilineepassatoie di velluto. Solo che, su appena 6000 residenti, in un anno normale a CabriniGreensicontanotrai4ei7 omicidi, tra le 20 e le 30 violenze sessuali, circa 300 aggressioni,oltre100furti.A Cabrini-Green all’ultimo conteggio nel 2000 erano censiti poco più di 6000 abitanti, rispetto ai 20.000 dell’epoca d’oro, e al 98% erano neri,2 tutti sotto la soglia di povertà: il 56% ha meno di vent’anni e nella maggior parte dei nuclei il capofamigliaèdonna:l’uomo non c’è, o morto, o in prigione, o andato via, o cacciato perché di peso. È con queste percentuali che il progetto s’è conquistato la fama del più famoso, infame ghetto urbano degli Stati Uniti, tanto da diventare una vergogna nazionale e da spingere il comune di Chicago a votare il suo abbattimento; un’altra, non meno importante ragione per tantapremuraècheilterreno su cui sorge il progetto, così vicino all’area lussuosa della GoldCoast,fagolaatuttigli speculatori edilizi. La Chicago Housing Authority (Cha)haincoraggiatol’esodo da Cabrini-Green per smantellare almeno tutti i palazzoni (high rìse): senza andareincontroaprotestetre li ha già buttati giù, per gli altriaspettacheglioccupanti senevadano.Cosìlestrutture fatiscenti ancora oggi visibili sono la testimonianza di una storiadestinataasparire,sono l’immagine di una parabola che ha segnato il xx secolo americano. Cabrini-Green è una storia iniziata durante la Seconda guerra mondiale, quando la Chicago Housing Authority costruisce il primo complesso Cabrini, 583 appartamenti in edifici di due-tre piani. Il complesso è inaugurato nel 1942 da EdwardJ.Kelly(unodeitanti sindaci di Chicago di origine irlandese) come uno “strumento”percombatterela segregazione razziale, per ospitarecioèfamiglieal75% bianche e al 25% nere, proporzione allora considerata ottimale. Ma quandonel1943leprime581 famiglievannoadabitarvi,le proporzionisonoinvertite,ei bianchicheciabitanoosono poveriosonoferitidiguerra: “Questa comunità mista di neri, bianchi poveri, invalidi di guerra e disadattati inquadrava i soggetti di quest'esperimento d’inclusione sociale,” racconta in un testo autobiografico il sociologo RichardSennettcheaCabrini ha vissuto una parte della suainfanzia, e che aggiunge: “Non c’era niente di particolarmente americano nello sforzo di usare l’alloggio per i poveri come un laboratorio per i problemi insoluti nella società nel suo insieme [...]. Cabrini e altri insiemidialloggipopolaridel Novecentoavevanoquestodi speciale, che cercavano di trattare insieme due ferite sociali ugualmente profonde: larazzaelaclasse”.3 Ma intanto il panorama razziale di Chicago cambia. Finoaglianniquarantaineri meridionali giunti con la Grandemigrazioneeranostati concentrati nel South Side, a “Bron-zeville", vicino ai mattatoi e alle acciaierie. Ma con la Seconda guerra mondiale, con la carenza di manod’operaeilboomdella produzionebellicadiChicago (si pensi all’acciaio e alla carne in scatola), una seconda, ben più gigantesca ondatadiemigrazionenerasi riversadalsudchetrail1940 e il 1960 porterà nel nord tre milioni di neri.4I neri di Chicagosaliranno,trail1940 e il 1960, da 277.000 fino a 812.000. Questo flusso cambierà i rapporti razziali della città: se nel 1900 i neri erano solo l’l,7% del totale, diverrannoil14,2%nel1950, il 32,7% nel 1970, fino al 36,8%attuale. Così, negli anni cinquanta, la segregazione nonsaràpiùunaconseguenza involontaria ma un esito ricercato, e l’obiettivo delle autoritàcittadinenonsaràpiù integrare,bensì"risegregare”: a questo scopo, il sindaco Richard J. Daley (altro irlandese, defunto padre dell’attuale sindaco) lancia a Cabrini la costruzione di edifici alti una ventina di piani (la parte “Green” del complesso)incuiconcentrare la popolazione nera che vive nelcentrocittadino. (L’azione di Daley non era proprio innocente: da ragazzo, negli anni venti, faceva parte di una gang bianca che gettava bombe contro i neri che osavano andareadabitareneiquartieri bianchi. La comunità irlandese di Chicago è storicamente antinera, d’altronde come tutti i white ethnics. Cicero, quartiere italo-polacco di Chicago, negli anni sessanta era considerato da Martin Luther Kingilsimbolodell’apartheid nel Nord degli Usa; a Bridgeport, nucleo irlandese di Chicago, nel 1964 scoppiarono disordini perché volevano crearvi un liceo nero.) Trail1958eil1962sono perciò realizzati 23 edifici vanantitrai7ei19pianiper un totale di 2992 appartamenti; nel 1962 sono completati altri 1096 appartamentiinottoedificida 15 e 16 piani. In questi edifici, già all'inizio, la percentuale di popolazione nera è vicina al 100%, anche se un nuovo inquilino diceva allora: “Qui è un paradiso,” rispettoallesuecondizionidi vita precedenti.5 E quarantanni dopo l’inquilina Viola Holmes ribadisce: “Pensavo di vivere in paradiso. Era bello. Non sto scherzando”. E un'altra inquilina, Rochelle Satchell, insiste: “Erano perfetti”.6 Sempre nel 1962, l’operazione di “concentramento” dei neri poveri fa un altro passo in avantinelSuddellacittàcon il più grosso e, se possibile, ancor più disperato quartiere delle Robert Taylor Homes, che costeggia State Street tra la35ae la 49a, il più grande complesso di edilizia popolare in tutti gli Stati Uniti: 28 palazzoni da 16 piani,con4312appartamenti. La sproporzionata altezza degli edifici, che sembrava un’economia di scala, si è rivelata poi uno degli elementi più distruttivi da un punto di vista sociale, di manutenzione, di comunicazione tra vicini. Negli anni ottanta, nelle Taylors Homes, il 72% della popolazioneeraminorenne,il 90% delle famiglie con bambiniavevaunadonnaper capofamiglia, la disoccupazione era al 47% e, “anche se a Robert Taylor Homes viveva meno dello 0,5% di tutta la popolazione di Chicago, vi si commettevano l’11% di tutti gli omicidi cittadini, il 9% delle violenze sessuali e il 10% delle aggressioni aggravate”.7 Nell’autunno del 2000 i demolitori stavano buttando giù anche il complesso delle Taylor Homes.8 Ma non è smantellando le case che si risolvonoiproblemidichivi abita: la loro povertà non viene dissolta dalla dinamite o cancellata dalla ruspa. La tragedia di questi progetti è così immane che i loro abitantisisonomobilitatiper resistere alla demolizione: ti fa venire il groppo alla gola parlareconuninquilinodelle Taylor Homes che protesta perché non vuole traslocare, non vuole essere cacciato da quell’abominio.9 Le Taylor Homes erano un inferno, ma gli abitanti volevano restarci. Forse perché anche nei gironi più demoniaci c'è una vita di vicinato, o perché queste almeno erano le bolge che conoscevano e cui erano abituati, in cui sapevano meglio destreggiarsi, o infine perché presentivano che un inferno dotato di tetto è meglio di uno sul marciapiede all’addiaccio. Nel tentativo di spingere sempre più a sud la rigentrificazione del Near SouthSidediChicago,anche ineripoverivengonorespinti sempre più giù, verso Gary, versol’indianaosemprepiùa ovest: il ghetto trasloca, e l' inner city si fa meno inner, maancorapiùdisperataepiù segregata. Oggi il Far West Side è diventato addirittura più malfamato del tradizionaleSouthSide. Per risolvere i problemi dei complessi popolari, il comune di Chicago sembra aver adottato una strategia alla Maria Antonietta (“Se non hanno pane, dategli brioche”) e, invece di abbattere la miseria e l’ignominia in cui vivono i neri, si limita ad abbattere il cemento che di quest’ignominia è solo l’involucro esistenziale. Tanto l’abitare nelle case popolariègiàunasentenzadi condanna, come usare i trasportipubblici,percuivale la massima: "Chi dopo i trentanni prende l’autobus tuttiigiorni(nonvaallavoro inmacchina)èunfallito”. Così,invecedimitigarela segregazione, la Chicago HousingAuthoritysilimitaa deportarla "lontano dagli occhi, lontano dal cuore”. Il problemanonsonolecase,o gli high rìse, il problema è l’apartheidamericana. *** La segregazione abitativa non colpisce solo i disoccupatinelleinner cities, ma anche la classe media nera. Nell’area in cui ha studiato la classe media nera di Chicago, Mary Pattillo McCoy trova che ben il 98% degli abitanti sono neri.10 Come il suo corrispettivo bianco, questa classe media nera aspira al "sogno americano”, ovvero a una casetta unifamiliare in legno, col praticello davanti, in un suburbio. Solo che le domande di mutuo per comprarsilacasasonomolto più spesso respinte se i richiedenti sono neri. Mentre i neri costituiscono il 12,7% della popolazione statunitense, essi ottengono soloil4,8%deimutui. Si ricordi che, per garantire i mutui, la Federal Housing Authority includeva nei contratti clausole segregazionistiche, giustificandole con il valore di mercato della casa da assicurare.Siricordiilvalore centrale della proprietà della casa nel "sogno americano”. Tutti qui stanno rimborsando un mutuo o brigano per ottenerlo. Un operaio bianco povero che si svena per pagarelerate,eche,seviene licenziato, deve vendere la casa ipotecata, non vuole salassarsi per qualcosa il cui valore sarà crollato se verranno ad abitarci dei neri. Segregazione razziale e razzismo diventano un’istanza economica primaria, stanno nel portafoglio prima che nei cuori. Il rifiuto dei mutui è un aspetto della segregazione residenziale che riguarda i neri relativamente agiati, ancora una ristretta minoranza. Per tutti gli altri, la segregazione abitativa è pesantissima, come mostrano Douglas S. Massey, dell'Università di Chicago, e Nancy A. Denton nel loro libro dal titolo emblematico: American Apartheid.11 Già nel1976circolavalacanzone Città di cioccolata, che diceva: “Città di cioccolata, suburbi alla érema” come risultato dell’intensa suburbanizzazione degli Stati Uniti iniziata con l’amministrazione Roosevelt e accelerata negli anni quaranta e cinquanta man mano che l’emigrazione nera dalSudscurivala“cioccolata cittadina”: la civiltà dell’automobile si coniuga con l’urbanesimo dell’apartheid. Lasegregazioneèdoppia: i neri sono prima concentrati nelle città e poi segregati in uno stesso quartiere: nello stato dell’Illinois, su 12,4 milionidiabitanti1,9milioni sono neri. Di questi, 1,4 milioni vivono nella Cook County, la contea che contienelacittàdiChicago,e di questi 1,1 milioni vivono nel comune di Chicago in senso stretto. Se negli Stati Uniti nel loro insieme i neri sono il 12,7% della popolazione, essi costituiscono il 16% degli abitanti dello stato dell’Illinois, il 26,1% degli abitantidellaCookCounty,il 36,8% dei residenti del comunediChicago.Nelcaso di Detroit l’escalation della concentrazione è addirittura apocalittica: i neri sono il 14,3%,inMichigan,il20,8% nell’area metropolitana, e l’81,6% nella città. Allora capisci perché downtown Detroit ti appare come una città all’indomani di una guerra. Il passaggio dalla nazione alla regione, dalla regioneall’areametropolitana e da quest'ultima alla centrai city somiglia al processo di concentrazione progressiva dell’inquinamento che si produce negli anelli successivi della catena alimentare. E anzi, i Chicagoans più avvertiti si vantanochenellaWindyCity questa concentrazione progressiva della razza sia stata contenuta, e persino addebitano a tale contenimento la prosperità della città negli ultimi anni. SeChicagononèfinitacome Detroit, ti dicono, è perché è riuscitaatrattenerviunametà della popolazione bianca mantenendoineriseparati. Il progresso di segregazione si ripete poi all’interno della città, prima dituttoalivellodiarea,senza risparmiare i ceti agiati: “Nella versione anni novanta dell’areanera[BlackBelt]del South Side di Chicago, c’è una fascia di quartieri contiguiconunapopolazione totale di più di 250.000 abitanti [...] in cui più del 95% dei residenti è nero,” anche se “più del 69% ha posti di lavoro da colletti bianchi e hanno un reddito medianofamiliaresuperiorea quello di Chicago nel suo insieme”.12 Dall’area, la segregazione si replica nel quartiereepoinell’isolato,in unprocessofrattale.Nellibro di Massey e Denton sono riportati dati terrificanti sul tasso di “ipersegregazione" nelle metropoli degli Stati Uniti, cioè non solo di segregazione, ma anche di isolamento, concentrazione, aggregazione e tutti gli altri indicatori che i sociologi usano per misurare la separazione razziale. A Chicago la segregazione nera è del 90,6%, l’isolamento è dell’82%, la loro concentrazione dell’88,7%. Ma la segregazione è altissimaovunque:83%aLos Angeles, 83,5% a Filadelfia, 83,7aSt.Louis.13 Vièpoiunasegregazione più sottile, una segregazione nel tempo, non solo nello spazio:quandoraccontadella suagioventù,RichardSennett ricorda (ma tutto è vero ancora oggi): “Lo spazio della città era diviso per razza, ma lo era anche il tempo vissuto. Durante il giorno le razze possono mescolarsi [...]; di notte le razze quasi non s’incontravano”. Divertimenti, uscite, riunioni sociali, feste continuano a scandire la segregazione del tempo.14 Lasegregazionehaeffetti devastanti sulle politiche fiscaliesociali.Poichévigeil “localismo fiscale” e i servizi sociali (scuole, ospedali, trasporti pubblici...) sono finanziati in parte dalle imposte locali (di distretto scolastico,dicittà,dicontea), iquartierieicentriurbanipiù bisognosi di servizi mancano dei soldi per realizzarli. Viceversa, per quel che riguarda i fondi federali e stataliperfinanziarelo“stato sociale”, la segregazione separa spazialmente i benestanti dai poveri, chi paga le tasse e chi invece beneficia dei fondi pubblici. La segregazione fa sì che i quartieri "pagatori di tasse” siano convinti di non riceverne nulla in cambio, essa accentua perciò l’ideologia antistatalista del “noi paghiamo e gli altri vivono a sbafo”. La segregazione è quindi il più fertileterrenodicolturaperle ideologie di autoriduzione fiscale. Il celebre referendum Proposition 13 (“Riduciamoci le tasse"), approvato in California nel 1978, costituì la piattaforma elettoralereaganianaeoggiè ripresodaileghistinostrani.I grandi,disperaticomplessidi edilizia popolare come il Cabrini-Green e le Taylor Homes sono stati solo la pratica estrema della segregazione di razza e di classe, sono stati cioè l’edificazione concreta del ghetto. *** La segregazione induce a paragonare gli Stati Uniti al sistema dell’apartheid sudafricano, ma il paragone forse più appropriato - e che viene spontaneo a chi abbia soggiornatoinIndia-èquello con il sistema delle caste. Il primo a usare il concetto di “casta” per analizzare la posizione sociale dei neri negli Usa fu Gunnar Myrdal. Esserebianchioesserenerio essere gialli o essere natives (pellerossa) o isolani del Pacifico costituisce un sistema multiplo, proprio come il sistema delle caste. NonacasoinIndialaparola casta non è indigena ma è stata importata dagli europei (essa fu coniata dai portoghesi che con il latino castus,“puro”, designavano i brahamani e, per estensione, il sistema castale) e per chiedere a qualcuno a che casta appartiene gli si chiede “Qual è il tuo nome?”. Di nuovo il problema del nome, sia come atto del nominare, sia come stato dell’essere nominati. Nella tradizione indiana,perdesignarelacasta si indica il concetto di “colore”, colore dell’arcobaleno. Qui, negli Usa, si tratta di un altro colore. La casta, come la razza, si sovrappone alla classe. Vi sono in India membri di classi inferiori (backward castes) e perfino di intoccabili, fuori casta (scheduled castes), che sono ricchi, mentre capita di incontrare brahamani poveri. Proprio come negli Usa c'è una minoranza di neri agiati, di fronte alla gran massa di neri poveri. La casta ci è imposta dalle nostre vite precedenti, dalla casta non si puòevadere,comenonsipuò sfuggire all’appartenenza razziale. L’unica speranza di sfuggire al proprio destino di casta e di razza sta nella vita ventura, nella prossima reincarnazione in India, nell’aldilà religioso negli Stati Uniti (da qui il fondamentalismo religioso nero,"L’infernoèsullaterra” dei Black Muslims, e da qui le conversioni di massa al buddhismo e al cristianesimo dei fuoricasta indiani che tentavano di sfuggire al destino di paria). La casta nascenell’economiaagricola, come lo schiavismo negli Usa, ma subisce una mutazioneesiadattaallavita urbana dell’India moderna. La cultura della casta è pervasiva e contagiosa in Indiacomelaculturarazzista negliStatiUniti:religioniche non conoscevano le caste, comequellacristianaequella musulmana, si sono rapidamente "castizzate” una volta penetrate nel subcontinente e nell’universo culturale indiano. Il sistema delle caste si basa su una gerarchia di tabù (alimentari, sessuali, comportamentali) e di pregiudizi. In un ambito corporeo, nel razzismo Usa c'è una scala di tabù che culmina con “l’intoccabilità delladonnabianca”.Manegli Usa i neri sono considerati intoccabili - cioè "contaminano” quel che toccano - in un senso più sottile, ma non meno drammatico: sono intoccabili finanziariamente, perché svalutano ciò con cui vengono a contatto, fanno crollare il prezzo dei terreni in cui abitano. Una nuova categoria di paria, i paria economici. Identico è lo statuto di ufficiositàperidueproblemi, ambedue ufficialmente, formalmente risolti dalla legge: in India le caste sono abolite dalla Costituzione, comenegliUsainerigodono di uguali diritti civili a forza di sentenze della Corte suprema. Ma l’ipocrisia di questo formalismo è svelata dal fatto che, in India come negli Usa, si sente il bisogno di affirmative actions : si propongono cioè sempre nuove "discriminazioni positive”, quali l’assegnazione di una certa quota di posti (nelle scuole, negli uffici) a una certa minoranza. Il criterio delle quote,adottatoinmoltiuffici pubblici statunitensi per i neri, è stato richiesto per le fascebasseeintoccabilidalla MandaiCommissioninIndia. Ma le affirmative actions producono scarsi effetti perché non incrinano il pregiudiziodimassa.InIndia nel governo, per volontà di Gandhi, c’è sempre, dall’indipendenza, un ministrointoccabileeministri delle caste inferiori. Oggi ci sono poeti paria, musicisti delle caste inferiori e anche banchieri. Ma il gap di povertà e di emarginazione è rimasto lo stesso. Proprio come negli Usa tra i neri ci sono generali, senatori, giudici della Corte suprema, congressisti, sindaci, divi dello spettacolo, sportivi ricchissimi. Ma tutto questo non ha potuto evitare che, dopo essere sceso tra il 1945 eil1950,ildivariotrareddito mediano delle famiglie bianche e nere a partire dal 1978 abbia ricominciato a crescere, e nel 2000 la distanzatrabianchieneriera quasialtrettantachenel1954, quasicinquantanniprima.15 La similitudine va ancora oltre: negli Usa è sempre stato ed è impossibile creare un partito politico nero, propriocomeinIndiaèfallito ogni tentativo di fondare un partito che unificasse tutte le casteinferiorieifuoricasta:il principio di casta, come quellodirazza,èunprincipio “divisore”, che separa e genera esso stesso sottocaste. Mentre, da parte dei dominanti, s’incoraggia l’odiotralecastecomfquello fra le razze. Come ogni societàmulticastale,lasocietà multirazzialedegliStatiUniti è multirazzista e crea le sue proprie gerarchie. La casta dei bianchi si divide nelle castedeibianchiprotestantie dei bianchi cattolici (gli ortodossi sono inferiori rispetto a tutti e due). A loro volta i bianchi cattolici si dividono in nordici (tedeschi e irlandesi), latini e orientali (polacchi, croati...). Tra i gialli statunitensi, il sistema castale si divide a sua volta con i coreani in posizione arretrata: forse questo fa sì che l’odio razziale tra i coreanieinerisiacosìforte. Tra gli stessi neri, i portoricani sono stati sostituiti come paria dagli haitiani (cui si nega persino l’ingresso perché sarebbero "portatoridiAids”). Gli stessi pregiudizi si moltiplicanp: come per il razzismo orientale il bianco puzza, così per il razzismo bianco è luogo comune la puzzadeineri,mentre“Come mi diceva recentemente un fratello negro: ‘Non hai mai sentito come puzzano le donne bianche quando sono bagnate? ' ” (Malcolm X).16 Gli Stati Uniti hanno così sostituito il principio di appartenenza etnica al principio castale moltiplicando le caste (proprio come in India dove esistono più di 3000 caste in cui si sono frammentati i cinque gruppi originari: brahamani, guerrieri, artigiani, contadini e intoccabili). Nell’eternadiscussionein corso negli Stati Uniti su quale fattore è preminente nellasituazionedeineri,sela "razza” o la "classe”, gli studiosi americani sono restii a usare il concetto di "casta” perché colpisce al cuore uno dei più radicati miti fondanti degli Stati Uniti, quello della mobilità sociale e cioè dell’assenza di una struttura rigida di classe. Gli statunitensi hanno sempre ostentato orgoglio perché il loroèun"paesesenzaclassi”. Maquestamobilitàsocialesi scontra con il sistema “castale” dell’origine etnica (tanto più razziale) cui non puoi sfuggire. La faccenda è tanto più paradossale in quantoilsistemadellecasteè un sistema olistico che non lascia spazio all’individualismo occidentale, come ha mostratoLouisDumont17che narra con quali tappe e in quali modi l’Europa postmedievale abbia generato la nozione di individuo in quanto soggetto storico indipendente. Certo, l’individuo in carne e ossa è esistitosempreeovunquetra gli umani, ma per molte civiltà non è stato questo singolo a costituire l’agente della storia. In India il soggetto storico è la casta, in molti popoli era la tribù, nell’antica Roma era lagens, quella che ti dava il “nome” (ancoraunavoltaintervieneil nome). Solo l’Occidente moderno ha prodotto una visione della società in cui il soggettostoricoèl’individuo. C’è di più: Dumont mostra quanto sia falsa la contrapposizione fra aspirazione all’eguaglianza e difesa della libertà individuale, l’antitesi fra egualitarismo e individualismo. Falsa quest’antitesi perché le società tradizionali non si sono mai poste il problema della diseguaglianza, in quanto fondate sul principio di gerarchia, e perché si può dare uguaglianza solo tra individui. Eguaglianza e individuo si affermano col capitalismo, con l’apoteosi dell’individuo padrone, imprenditore, capitalista che deve poter disporre di individui uguali tra loro, uguali come operai, come acquirenti, poi uguali come cittadini. Ora l’America, in quanto “terra promessa del capitalismo” secondo la definizione di Sombart, ha portato all'estremo limite l’individualismo e l’eguaglianza formale. Ma le stesse necessità del capitale hanno riprodotto e nutrito un sistema castale, una frammentazione in sottosistemi olistici, per cui unindividuonegliStatiUniti non è un individuo e basta, egliprimaè“nero”,poihaun "nome”. Il sistema castale delle razze è stato riprodotto prima dallo schiavismo, poi dagli immigrati come forza lavoro mobile, docile e crumira, poi dall’importazione a nord dei neri usati a loro volta per sconfiggere gli scioperi degli operai immigrati, poi dal mercato immobiliare che ha prodottosegregazioneproprio perché il valore in denaro delle case è determinato dal pregiudizio razziale e lo rafforza. La logica del capitale appare in questo senso cannibalica, poiché, in base alle sue necessità, essa incrina e distrugge alcuni valoricardinechestannoalla basedell'ideologiacapitalista, quelli che costituivano lo “spirito del capitalismo” di cuiparlavaMaxWeber. 1 Irving Cutler cita suor Cabrini (1850-1917) come uno dei due “Italian immigrants" che divennero “world renowned” mondialmente celebri: l’altro è il fisico Enrico Fermi (op. cit.,p.99). 2AA.VV,Cabrini-Green. In Words + Pictures, W3 Chicago,Chicago2000,p.5. 3 Richard Sennett, Respect in a World of Inequality,Norton,NewYork 2003,p.7. 4 U.S. Bureau of the Census, Historical Statistics oftheUnitedStates.Colonial Times to 1970, Washington D.C.1975,partei,p.95. 5Dallaprimapaginadel “Chicago Tribune” del 15 ottobre1992. 6 AA.VV., CabriniGreen. In Words + Pictures, cit.,pp.36e32. 7 Gregory D. Squires, Larry Bennett, Kathleen McCourt, Philip Nyden, Chicago.Race,Class,andthe Response to Urban Decline, Temple University Press, Philadelphia 1987, pp. 113114. 8Sulledemolizioniesui vari progetti di edilizia popolare, i dati sono consultabili sul sito: www.thecha.org. 9 Mi è successo nell’agosto 2000 a Filadelfia, a margine della convention repubblicanacontrocuierano venute a dimostrare le associazioni di homeless d’America. 10 M. Pattillo McCoy, Black Picket Fences, cit., appendiceB,p.226. 11 Douglas S. Massey, Nancy A. Denton, American Apartheid. Segregation and theMakingoftheUnderclass, Harvard University Press, Cambridge(Mass.)1993. 12 R. Sennett, op. cit., pp.17-18. 13 M. Pattillo McCoy, op.cit.,p.28. 14 D.S. Massey, N.A. Denton, op. cit., tabelle alle pp.71e77. 15 Nel 1954 il reddito mediano delle famiglie bianche era 1,7 volte superiore a quello delle famiglie nere; nel 2000 era 1,6voltemaggiore. 16 Autobiografia di MalcolmX,cit.,p.323. 17 Louis Dumont, Homo Æqualis. Genèse et épanouissement de l’idéologie économique, Gallimard, Paris 1977, trad. it.Adelphi,Milano1984. 4.Ilcoloredeifelini EraancoranottenelWest Side di Chicago, quel 4 dicembre 1969, e l’orologio segnava le quattro e trenta, quando dall’appartamento al primopianodel2337diWest Monroe Street risuonarono spari,epoispari.Piùtardifu trovato un centinaio di bossoli. Appena le pistole tacquero, la strada brulicò di poliziotti. Le autoambulanze portarono via due cadaveri e cinque feriti. Erano morti Fred Hampton, 21 anni, presidente del partito delle Pantere nere (Black Panther Party) nell’Illinois, e Mark Clark, 23 anni, leader delle Pantere nere di Peoria, Altri tre giovani furono arrestati, quattro feriti: due ragazzi (Ronald Satchel, 19 anni, e Blair Anderson di 18) due ragazze (Brenda Harris, 18 anni,eVernlinBrewerdi17). Dei 14 poliziotti (di cui cinque neri) che avevano partecipato all'irruzione, uno si era fatto male alla mano con i vetri rotti di una finestra, un altro aveva ricevutounapallottolainuna gamba. Secondo la versione ufficiale, il 2 dicembre un informatore aveva riferito all’Fbi che in quella casa, sede delle Pantere nere di Chicago, c'era un deposito di armi illegali. Per la spiata, l’informatore fu pagato 300 dollari. Quando i poliziotti avevano fatto irruzione, ripetevanoletv,glioccupanti avevano sparato contro la porta e la polizia aveva reagito: più volte gli agenti avevano ordinato di sospendere il fuoco, ma dall’interno avevano continuato a sparare. Hampton era stato trovato morto nel suo letto con due pallottole in testa. Il procuratore annunciò che le sette Pantere superstiti sarebbero state incriminate per tentato omicidio. Sempre il 5 dicembre, la polizia perquisìlacasadiBobbyLee Rush, viceministro della Difesa e il più alto dirigente vivo delle Pantere nere dell’Illinois. Furono trovate armi e spiccato un mandato d’arresto. Il 6, Rush “si arrese” davanti a una folla di 5000persone,mentreleggeva i risultati di un’autopsia indipendente per cui Hampton era stato ucciso nel sonno. Rush fu ammanettato datrepoliziottineri,tracuiil presidente dell’AfroAmerican Patrolmens League, associazione degli agenti di colore (il “Chicago Tribune” del 7 titolava in prima: “Poliziotti neri arrestano Rush, leader delle Panterenere,davantia5000” e,all’interno,insisteva:"Rush siarrendeapoliziottineri”). L'8 dicembre il sindacato United Auto Workers (Uaw), la National Association for the Advancement of Colored People (Naacp) e un’altra dozzina di organizzazioni chiesero una commissione d’inchiesta sull'uccisione delle Pantere. Ogni giorno un’interminabile fila aspettava di visitare l’appartamento di West Monroe. “Ci sono giovani, operaiconvestitimacchiatidi vernice, donne di mezz’età col cappellino fiorito, impiegatibenvestiti,anziani, impiegati postali nella loro divisa grigia [...] la folla è maggiore al pomeriggio quando sul marciapiede si mettonoincodalunghefiledi scolari dalle giacche con i colori brillanti”.1 Giovani Pantere mostravano che non c’erano tracce di pallottole intornoallaportad’ingressoe cheinveceibuchisullepareti eranoconcentratisoprailetti dove erano stati trovati i mortieiferiti. L’11 dicembre, sotto un titolo cubitale a tutta pagina esclusivo, il “Chicago Tribune”riportavalaversione del procuratore con tanto di foto con cerchietti a indicare le tracce dei proiettili sulla porta. Foto poi smentite perchéqueiforinoneranodi pallottole. La domanda se la polizia avesse compiuto un omicidio politico diventava una minuziosa controversia sutracce,porte,pareti,angoli di pallottole, un dibattito alla Perry Mason. Il 19 dicembre il ministero della Giustizia degli Stati Uniti istituì un gran giurì: all’amministrazione repubblicana di Richard Nixon non spiaceva punzecchiare il sindaco democratico di Chicago, Richard Daley. Il 15 maggio 1970ilgrangiurìemiseilsuo verdetto: la polizia aveva sparato più di 90 colpi, mentre dall’interno ne era stato sparato uno solo, il procuratore aveva mentito, avevano mentito la polizia di Chicago e il laboratorio criminale.2 Le Pantere nere fecero causa a governo, stato e città. Gli anni passarono. Nel1977l’istanzafurespinta. Ancora altri anni. Infine nel 1982 l’ufficio della Cook Countyapprovòuncompenso per 1,85 milioni di dollari pagati-perunterzociascuno (616.333dollari)dalgoverno federale,dallaCookCountye dalla città di Chicago - per avercospiratoperdistruggere il partito delle Pantere nere e aver violato i diritti civili dei suoi membri. Tredici anni dopo,lagiustiziariconosceva che Hampton e Clark erano stati uccisi nel sonno. Ma ormai non importava più a nessuno. Le Pantere nere si eranodissolteedal1971non erano più una minaccia. I tempi erano cambiati: nel 1983 Bobby Rush fu eletto consigliere comunale di Chicago. Ma nel 1969, per il governolePanterenereerano ilpericolonumerouno.Come avevadettonelmarzo1968il direttore dell’Fbi, J. Edgar Hoover: “Costituiscono la minacciapiùpericolosaperla sicurezza interna degli Stati Uniti”. Tanto che, quando fu ucciso Fred Hampton, non c’era più in libertà nessun leader nazionale. L’ultimo, DavidHilliard,27anni,capo di stato maggiore delle Pantere nere, era stato arrestato il giorno prima a San Francisco. Era rifugiato all’esterol’ideologo,Eldridge Cleaver. Erano in carcere BobbySealeeHueyNewton, i due uomini che appena tre anni prima, nel 1966, avevanofondatoaOaklandil partito della Pantera nera per l’autodifesa, prendendo a prestito il simbolo del nero felino da un gruppo per i diritti civili dell'Alabama (la Lowndes County Freedom Organization). Per far fronte a queste minacce l'Fbi non lesinò né soldi, né infiltrati, né pallottole. Il 6 aprile 1968 sette Pantere, tra cui Cleaver eHilliardfuronoaffrontateda almeno 48 poliziotti. Cleaver si arrese spogliandosi completamente. Il diciassettenne Bobby Hutton, che era con lui, uscì disarmato, a mani alzate ma conlasuadivisadiPantera,e fucrivellatodipallottole.Tre Pantere nere furono uccise a Los Angeles il 5 agosto. In settembre Newton fu condannato per omicidio preterintenzionale. Nel 1969 furono incarcerate due Pantere a Denver, 21 a New York, decine a New Haven, quasi 300 a Los Angeles. Le sedi delle Pantere furono assaltate con autoblindo ed elicotteri in tutto il paese, da Boston a Indianapolis a Denver. Nel settembre 1969 fucondannatoeimprigionato anche Bobby Seale, accusato di “cospirazione” insieme ad altrisettemembridellanuova sinistra americana per la sommossa durante la convention democratica di Chicago del 1968. Nello stesso mese, a Chicago morì in carcere, per le ferite ricevute quaranta giorni prima,LarryRobertson.Il13 novembre, in uno scontro a fuoco con la polizia di Chicago morirono due poliziotti e la Pantera nera Spurgeon Jake Winters. Il 7 dicembre, un titolo del “New York Times” diceva “Il pedaggio[toll]perlePantere nereèoradi28[morti]”,tanti i loro militanti uccisi dal primo gennaio 1968 (il 20 dicembre un avvocato di San Francisco avrebbe diffuso i nomi di 19 militanti uccisi).3 Il 10 dicembre, accanto al reportageincuisidescriveva illuttodeineridiChicagoper la morte di Fred Hampton, una corrispondenza da Los Angeles raccontava l’incursione della polizia nella sede delle Pantere nere di Los Angeles con uno scontroafuocoduratoquattro ore. (Intanto il "Chicago Tribune" intervistava il giudice che ad agosto aveva condannato Fred Hampton per aver derubato un gelataio.)4 Da quando il partito è stato fondato, sono state accise trenta Pantere; nel primo anno dell'amministrazione Nixon ne furono arrestate oltre 400 sotto svariate imputazioni; le sedi delle Pantere a Los Angeles, Oakland, Chicago, Des Moines e in altre quindici città sonostateattaccatedalla polizia. Quasi tutti i membri del loro comitato centrale originario sono stati eliminati: assassinati, imprigionati o costretti all’esilio.Ildipartimento della Giustizia ha un corpo speciale per le Pantere; l'Fbi le considera la maggiore minaccia alla sicurezza nazionale; almeno due commissioni del Congresso e numerosi gran giurì indagano sul loroconto.5 Non che le Pantere nere fossero mammole. Erano colpite da quella spettacolarizzazione della lotta politica che avevano pensato di poter sfruttare a proprio favore, con le loro tipiche divise, scarpe pesanti, giaccheneredicuoioebasco alla Guevara. Già il nome Pantere era da titolo (e da poster) di film più che di partito, e infatti colpì l’immaginario producendo felinidituttiicolori.Pantere bianche si chiamò un gruppo hippie degli anni sessanta. Panteregrigiefuilnomeche si diede negli anni settanta un’associazione di anziani. "La Pantera” si definì un movimento studentesco italiano nel 1990. D’altronde con uno “spettacolo” era iniziata la loro ascesa: il 2 maggio1967trentaPanterein divisa e armate fecero irruzione nel palazzo del Congresso di California a Sacramento costringendo l’allora governatore Ronald Reagananascondersi. Non solo. In quegli anni le tecniche di guerriglia esercitavano un gran fascino perché sembravano vincenti, capacidifermareinVietnam lapotentemacchinadaguerra americana. Così, se Fred Hamptonfuuccisonelsonno, molte Pantere furono ammazzateinscontriafuoco. La loro prima preoccupazione,giànel1966, era stata di comprare fucili e pistole e d’insegnarne l’uso, comedocumentaperesempio il film Afferra il momento (1970). Con una qualche fatuità il ministro dell’istruzione del partito, George Murray, si vantava nel 1968 perché “nelle prime due settimane d’agosto 38 poliziotti sono stati uccisi negli Stati Uniti e particolarmente in una regione dove i membri del partitoeranostatiorganizzati; a Cleveland (Ohio) è stata tesaun’imboscataallapolizia che ha portato alla morte di trepoliziottiealferimentodi altri27[...]Abbiamoancheil piacere di dirvi che i compagni che hanno diretto quest’imboscata sono ex soldati negri che avevano servito l’imperialismo Usa nel Vietnam, ma che una voltarientratinegliStatiUniti hanno avuto un’istruzione politica e si sono lanciati nellaguerriglia”.6 Il riferimento alla guerriglia non era occasionale.SullasciadiPaul Sweezy e Leo Huberman, e dell’ultimo Malcolm X, le Pantere pensavano ai ghetti neri degli Stati Uniti come a una "colonia interna” che doveva combattere la propria guerra di liberazione nella giunglaurbana,propriocome Giap nella giungla del Mekong o come gli irlandesi a Belfast. La stessa segregazione nei ghetti neri spingeva a pensarsi come sudditi isolati in una colonia o, nel linguaggio dell'apartheid sudafricano, in un Bantustan. Con le forze dell’ordine il rapporto era di tipo coloniale: la polizia entrava (ed entra) nell’inner city come in un territorio occupato. Da qui il terzomondismo delle Pantere e il richiamo a Franz Fanon ed Ernesto “Che” Guevara (nonsoloperilbasco).Perciò lePanteresipensavanocome “partito”, struttura militare organizzata, e non come una setta,unareligione.Daquiil loromarxismo.Unmarxismo benstrano-pienodicitazioni nonsolodiMaoZedong,ma anche del dittatore coreano Kim II Sung -, mirante a un partitocheavrebbedovuto,in una bizzarra analogia con la classe operaia, organizzare il Lumpenproletariat nero: “È probabilecheMarxeLeninsi rivolterebbero nella tomba se potessero vedere come i sottoproletari afroamericani stanno mettendo assieme l’ideologia del partito delle Pantere nere,” diceva Bobby Seale.7 Ma questo marxismo non era più stravagante dell’islamismodiMalcolmX. Il loro terzomondismo trovava conforto nella popolarità delle Pantere nere nelmondo.Nelluglio1968si tenne a Dar-es-Salaam, Tanzania,unamanifestazione per la liberazione di Huey P. Newton. I vietcong giunsero a proporre la liberazione di prigionieri di guerra americaniincambiodiSeale, Newton e altre Pantere che eranostateimprigionate.8 *** Guerra fredda, relazioni internazionali, guerra del Vietnam spiegano in parte perché l’Fbi considerasse le Pantere una minaccia tanto pericolosa (come nella Prima guerra mondiale erano stati i tedeschi, come nel maccarthismoisovietici,così ildissensointernoerasempre considerato quinta colonna dellostraniero),tantopiùche Edgar Hoover, quando sentivaparlaredicomunismo, vedeva letteralmente rosso. Eppure in questo timore sbandierato rimane qualcosa diopaco.Unprimoindizioce lo fornisce l’organizzazione interna delle Pantere. Seale era presidente, Newton ministrodellaDifesa,Cleaver ministro dell'informazione, Hilliard capo di stato maggiore, Ray "Masai” Hewitt e poi George Murray ministri dell’istruzione. StokelyCarmichaelfuperun po’ ministro dell’AfroAmerica colonizzata. Per quanto difficile, è possibile prendere sul serio questi titoli, ma il dubbio è inevitabile di fronte a un ‘'viceministro della Difesa dell'Illinois” come Bobby Rush o a un "maresciallo di campo” come Dan Cox. Il capo di stato maggiore Hilliard aveva 26 anni. Il "presidente del partito dell'Illinois”FredHamptonfu ucciso a 21 anni e, nello stesso appartamento, il “viceministro della Salute dell'Illinois” Ronald Satchel fuferitoa19anni.Farebbero sorridere questi titoli se per essi in tanti non fossero stati disposti a morire, e a uccidere. Allora la mobilitazione dello stato americano ti sembra sproporzionata: la supergigantesca, tecnologica organizzazione dell’Fbi mobilitata contro quella che dal di fuori poteva sembrare una banda di ragazzotti i cui effettivi, al suo apice, furono valutati tra i 2000 e i 5000 membri (comprese le centinaia di infiltrati delle varie polizie). A confronto, nellasolaChicagonel1968la gang nera della Blackstone Nation poteva contare 2000 membri; oggi i Crips e i Bloods, le due maggiori bande di Los Angeles, hanno effettivi di migliaia di giovani, E queste bande erano, e sono, armate quanto le Pantere, visto che nei loro depositi di armi vengono trovati non solo mitra ma anchebazooka. Nulla,néperl’età,néper il proselitismo, né per l’arsenale, rendeva quindi tanto temibili le Pantere. Delleduel'una:oiltimoredi EdgarHoovererastrumentale e ingigantiva apposta il pericolo costituito dalle Pantere per colpire altri nemici, un po’ come, nel 1886, dietro gli anarchici il verobersaglioerailsindacato deiKnightsofLaborocome, nel1917,dietroaitedeschiil vero obiettivo erano i Wobblies, il sindacato degli Industrial Workers of the World. Oppure Hoover credeva davvero alla minaccia delle Pantere e allora bisogna capire le ragioni profonde di questo timoreperlePanterementrei Blackstones non suscitavano alcunaapprensione. Unaragionestavaproprio nella loro politicità. La gang tradizionale sta al posto suo, mentre le Pantere tutto facevano fuorché stare al posto loro. Così è con approvante sussiego che il “Chicago Tribune” diceva: “Legangdistrada,inclusala Blackstone Nation e i Vice Lords,sonoinapertoscontro conlePantere.Nonvogliono averenienteachevederecon gli insegnamenti maoisti, filosofie filocomuniste e la restrittiva disciplina delle Pantere. Questo ha spesso portato a un’aperta ostilità,”9 con il tono di dire che, di fronte a un comunista, uno spacciatoreerauncherubino. La differenza era che, mentre le altre gang vivono nella e della cultura della povertà, le Pantere appartenevano a quella categoriadicuiparlavaOscar Lewis, di "movimento religioso, pacifista o rivoluzionario, che organizza edàsperanzeaipoveri”eche quindi "distrugge il nucleo psicologico e sociale della cultura della povertà”. In questosenso,lePantereerano accomunateaLutherKingea Malcolm X, non solo nel destino di essere eliminati fisicamente, ma perché “organizzavanoedavanouna speranza". La perdita della speranza è davvero quel che oggi colpisce di più nella situazione dei neri d’America,manonèsoloper caso o per fatalità che questa speranza si è smarrita: almeno in parte essa è stata letteralmenteuccisa. Se, in quanto gang, le Pantere incutevano paura perché politiche, in quanto politiche esse intimorivano perché gang. I militanti dei diritti civili, i membri dello Sncc (Student Nonviolent Coordinating Committee), esponenti del Black Power (Stokely Carmichael, H. Rap Brown) erano per Cleaver "hippy negri, studenti di college che hanno voltato le spalle alla classe media negra” e che, per questa loro origine, “non possono istituire un nesso effettivamente politico con i fratelli neri”.10 Le Pantere invece facevano paura proprio perché i fondatori erano figli del ghetto che avrebbero potuto guidare una gang se non avessero creato un partito. Newton aveva fatto parte delle bande del ghetto di Oakland, Seale era stato cacciato dall’aviazione per indisciplina; Eldridge Cleaver trascorse la sua giovinezza in riformatori e carceri, come racconta nell’autobiografìa Anima in ghiaccio.Huey voleva infatti organizzare i "fratelli del quartiere che avevano combattuto contro i porci [i poliziotti]”,fratelli“cheerano stati suoi soci, con cui aveva fatto a pugni menandoli di santa ragione”.11 “Ci fu un momento potente attorno al 1968-1969,quandolePantere parevano poter diventare la gang finale rivoluzionaria.”12 In quanto gang, le Pantere parlavano il linguaggio del ghetto; in quanto partito ne traducevano le rivendicazioni conunavalenzagenerale.Per bocca loro, la marginalità sottoproletaria delle inner cities si esprimeva come classegenerale.Ilpercorsodi Cleaver somigliava a quello di Malcolm X fin nel dettaglio di aver fatto il camerieresuitrenienellavita inprigione. La perdita della speranza significava il ritorno alla normalità. Invece di fare politica nelle Pantere, si tornava all’antica macchina politica (si diventava consigliericomunali).Oppure si tornava nelle bande. La scomparsa delle Pantere produsse una recrudescenza delle gang all’inizio degli annisettanta.Malafinedella speranza significò che le Pantere tornarono esse stesse aessereinuncertosensouna gang. Eldridge Cleaver, dopo aver aderito alla chiesa mormona e alla setta del reverendo Moon, dalla fine degli anni ottanta e fino alla sua morte nel 1998 (a 62 anni) non fece altro che entrareeusciredalleprigioni per uso e spaccio di crack. Ma nulla sintetizza meglio questatraiettoriaquantoHuey Newtonchenegliultimianni voleva a tutti costi essere chiamato Stagolee, dal nome del mitico fuorilegge nero, “cattivo fino all’osso, predatoreditutti”:“Untempo HueyNewtonpotèforseaver riunito in sé tutti e tre gli uomini, Malcolm [X], Nkrumah [il rivoluzionario africano] e Stagolee. Ma per quasi tutti gli ultimi quindici anni della sua vita fu solo Stagolee, un tossico che vagava scalmanato per le strade di Oakland gridando nelle ore piccole Ίο sono Huey P. Newton!’. Vagava perquestestrade[...],vagava implorando di essere ucciso, scrivendo un interminabile biglietto di addio dalla vita a nome di Stagolee. E infine, una mattina presto d’estate del 1989 [il 22 agosto], all’angolo della Nona e di Center Street, Huey si prese le sue tre pallottole da due altri nottambuli fuori di testa”.13 Perché, contrariamenteaglistereotipi, le gang sono un pilastro dell'ordinesociale. 1“TheNewYorkTimes”, 10dicembre1969. 2Mike Royko, Boss. Richard J. Daleyof Chicago (1971), PenguinBooks, New York1976,p.212. 3 “The New York Times”,21dicembre1969. 4 “The Chicago Tribune",12dicembre1969. 5 Tom Hayden, Trial, HoltandWinston,NewYork 1970, trad. it. Un processo politico: Chicago 1969, Einaudi,Torino1973,p.121. 6 Citato da Valerio Evangelisti, Sinistre eretiche. Dalla banda Bonnot al sandinismo,SugarCo,Milano 1985,pp.85-86. 7BobbySeale,Seizethe Time, Random House, New York 1970, trad. it. Cogliere l'occasione. La storia del Black Panther Party e di Huey P. Newton, Einaudi, Torino1971;p.11. 8Ivi,p.290. 9“TheChicagoTribune”, 14dicembre1969. 10 Citato da V. Evangelisti,op.cit.,p.79. 11B.Seale,op.cit.,pp. 61-62. 12 M. Davis, City of Quartz,cit.,p.298. 13 S.L. Malcomson, One DropofBlood,cit.,p.464. 5.Eroigrecie lumpencapitalisti Sei in piena Gangland, la terra delle gang. Sui muri si sovrappongono i graffiti, rabbiosi. Scarabocchi aguzzi, gigantografiedinumeri,mani larghe di vernice, spray esplosi, macchie rosso sangue, scie blu come di proiettili traccianti. Geroglifici di una lingua perduta.Questigraffitimurali rappresentano visivamente quel che i sociologi di Chicago chiamavano la disorganizzazione sociale, il disordine. In quegli interstizi urbani dove, sembra, la razionalità sociale cede il posto all’imprevedibilità, la civiltà al furore. Dove gli uominisonobestieelebestie sono belve. O almeno così li descrivono articoli, serial, filmdicassetta.Dovel’odioè senza scopo, la ferocia senza lìmiti, e il presente è senza futuro. Maaunocchioallenato,e al corrente, quei segni che per te sono guazzabuglio demente, quegli arzigogoli sovrappostiparlano.Indicano dove comincia e finisce il territoriodiunagang.Avolte riportano segni di tregua o dichiarazioni di guerra (cancellare i graffiti altrui è un'aggressione). Oppure raccontano: la morte di un compagno, la deposizione di un leader, l’imprigionamento diunragazzo.Ocomunicano. Secondoalcuni,puoileggervi persinoavvertimenti,contratti per omicidi notificati al popolo delle gang. Quel che era rumore diventa suono, lo scarabocchiosifalinguaggio, sotto al disordine s’intravede l’ordine, sotto la disorganizzazione, in filigrana,unastruttura. *** Non c’è parola più mistificante di gang. Dici gangepensibandagiovanile, violenza adolescenziale, tinta dicrudeltà,macomepossono essere crudeli i bambini: un romantico manipolo di modernibrigantiemasnadieri a cavallo delle loro moto Harley Davidson. Oggi però, negli Usa, sulle moto ci vedi solo attempati ciccioni, residuatidegliannisessantae settanta, Easy riders incanutiti, le cui Honda trascinanopersinounridicolo rimorchietto per trasportare i bagagli.Inrealtànonfaialtro che riproiettarti il mito della gang, come ti è impresso dai film,daWestSideStorynegli anni cinquanta, a The Warriors nei settanta, a Colors negli ottanta, e poi decine di altri (The Bronx, FortApache...),ametàstrada fra discendenti di cowboy e psicopatici di Arancia meccanica. Ma vi sono gang con migliaia di membri come i celebri Crips (e i loro antagonisti Bloods) di Los Angeles. A Chicago le due bande rivali dominanti degli anni novanta erano i Vice Lords, accreditati di migliaia di membri, e i Gangster Disciples cui la stampa attribuiva dai 30.000 ai 55.000membriin35stati.1Il capo dei G.D.s era Larry Hoover, un signore di mezz’età che da più di ventanni dirigeva la gang da dietro le sbarre. Anche il suo vice Jeffrey Hatcher era un quarantenne. Nel 1992, quando uscì di prigione a 42 anni, il capo dei Vice Lords trovò ad accoglierlo signore impellicciate e ingioiellate, signoriconscarpedilucertola davanti a lunghissime limousine.2 Il capo dei Latin King,Gustavo"Gano"Colon, ha 43 anni; il leader dei Chicago Two Sister ha 36 anni.3 Traballa il romanticismo giovanilista. Tanto più che alcune gang durano da parecchie generazioni, come i Vice Lords.Altrecambianonome: a Chicago i Blackstone Rangers già negli anni sessanta avevano 2000 membrieorasichiamanogli El Rukns. A Los Angeles moltigenitorisonostatinella stessa gang dei loro figli. In alcune famiglie, quattro generazioni di maschi sono stateaffiliateallastessagang e molti padri incoraggiano i figliaentrarvi.4 Ancora: all'inizio degli anni ottanta, i Vice Lords e i Gangster Disciples di Chicago sono sbarcati a Minneapolis e vi hanno aperto filiali (o “capitoli", come si dice per le chiese), seguitiaruotanellametropoli del Minnesota dai Bloods e Crips di Los Angeles5: come se le gang di Londra e Parigi aprissero succursali a Stoccolma. Oppure: 120 leader delle gang provenienti da 25 metropoli americane si riuniscono a congresso in un grande albergo per discutere una tregua nazionale, con la benedizione di un’organizzazione autorevole come la Naacp (National Association for the Advancement of Colored People), con copertura mediatica assicurata dai grandi network tv. È avvenutoaKansasCitynella primaveradel1993.6Ancora, nel 1997 “Time” raccontava che i Gangster Disciples avevano creato un’organizzazionenonprofit, Gowth and Development ("Crescita e sviluppo), attraverso la quale, “nelle aree più povere di Chicago, organizzavano pulizie di quartiere, partite notturne di pallacanestro e spedizioni locali in cui venivano distribuiti ai poveri centinaia di cestini con piatti di maccheroni e formaggio, pollastre arrostite e pietanze farcite”. E tal Wallace ("Gator") Bradley che era stato “consigliere di guerra” dei G.D.s si è presentatodue volte candidato come assessore ed è stato persino ricevuto alla Casa Bianca da BillClinton.7 Troviamo qui un crisma di ufficialità, un'impronta di pubblicità che sembrano incompatibili con l’idea spontaneadibandagiovanile. Laparolagangcoprecosìun campo semantico (e un ambito storico) insospettatamente vasto. All’inizio il termine gang vuol dire “squadra”, squadra di lavoro: erano gang a costruire ponti e ferrovie nel West, e gangers (non gangsters) i loro membri. (Tutto ciò che è collegato al lavoro è vilipeso. Se la squadra di lavoro è gang, invece l’equipaggio, il reparto, crew, è la piccola banda che si riunisce per un colpo o per un’incursione, e che non costituisce una gang strutturata.) Gang è un concetto che va quindi da bande di pochi adolescenti chescompaionodopoqualche annoaveriepropriesercitidi giovani e adulti, dotati di arsenali, di filiali e di una struttura che può durare nei decenni. Altrettanto vasto è l'orizzonte temporale delle moderne gang americane che ormai coprono più di un secolo e mezzo di storia. Le gang appaiono subito negli Stati Uniti, insieme all'urbanizzazione e all'immigrazione europea, se èverochegiàintornoal1840 suscitavano il terrore dei borghesi i Bowery Boys e i DeadRabbits(Coniglimorti), giovani irlandesi cui spetta l’onore di aver inventato la moderna gang di strada negli slum della Bowery, di Five Points e di Paradise Alley.8 Fin dall’inizio le gang si battezzano con humour nero ("conigli morti”, “ombre fantasma”...) o con animali, come le squadre sportive dei Tori di Chicago, i Falchi di Atlanta, gli Squali di San Diego, i Calabroni di Charlotte. Così le gang di VipereEgizianeoFalconinel quartiere Addams studiato da Suttles,oleTigribiancheei Dragoni volanti tra le bande cinesi di New York. La gang come squadra, la vita come sport: nel football ci sono i Cowboys di Dallas, a Chicago c'è la gang dei Rangers. All’inverso, in una civiltà violenta come quella americana, la violenza negli stadi è assai meno selvaggia che in Europa. Gang copre perciò un campo tanto vasto da sembrare concetto inutile, senoncomeingredientebase delleleggendemetropolitane, come fantasma costruito dei nostri terrori sociali: il mito dellaganginquantodistillato puro dell' underclass è quotato a caro prezzo nel mercato dell'immaginario. In realtà le gang americane hanno alcuni caratteri comuni. Il primo è che ognuna di loro ha una base territoriale in un quartiere cittadino di solito a bassissimoreddito. NelsuoclassicolibroThe Gang(1927)incuicensivale esattamente 1313 (ancora la retoricadelnumero!)gangdi Chicago, Frédéric Thrasher considerava terra delle gang le aree interstiziali della città ("la frontiera intramurale della gangland”), le zone di rottura dei valori sociali. Ma oggi, se disorganizzazione sociale c’è, essa non si situa solo nelle zone interstiziali, neiquartieridovesiapreuna frattura nell’ordine sociale, o allora la città è tutta una frattura e l’interstizio si è inghiottito l’intero tessuto urbano, poiché a Chicago e nelle altre metropoli americane l’assoluta maggioranza degli abitanti del centro città vive ormai in slum o ghetti ("città di cioccolata, suburbi di crema...”). Nell'inner city, nonc'èunordinesocialecon isole di caos ma, semmai, un mare di caos con isole di ordine. “Ghetto” è ormai una sterminatadistesaurbanacon centinaia di migliaia di residenti che “non soffre di ‘disorganizzazione sociale’, ma costituisce un universo dipendente, finemente differenziato e gerarchizzato, che si organizza secondo principi specifici”.9 Qui, scriveva Thrasher, dove “le istituzioni normalmente orientative come famiglia, scuola,chiesavengonomeno, la gang sorge come istituzione sostitutiva’ .10 La gang è quindi un’istituzione; come tale, rispecchia i principi in base a cui è gerarchizzatalavitadiquelle masse umane che vivono nelleinnercities. Ed è qui che giunge la prima sorpresa: questi principi non sono affatto devianti rispetto a quelli che reggono la società in generale.Sonoglistessi,solo che operano in una penuria estrema. Così, mentre per la società circostante è malthusiana la dottrina, per gli abitanti del ghetto è malthusiano l’universo in cui vivono, non perché sovrappopolato,maperchéle risorsevisonorare,icapitali privati sono fuggiti, quelli pubblici sono elargiti col contagocce: non ci sono banche, ma solo Checks CashedePawnshops. Proprio come la società circostante, anche il ghetto è organizzato secondo il principio della concorrenza. Ma poiché è esercitata per appropriarsidirisorserare,la competizione si fa estrema, diventa guerra di tutti contro tutti. Nell’inner city la condizione normale è quella descritta da Thomas Hobbes: “Ogni uomo è nemico di un altro,gliuominivivonosenza altra sicurezza se non quella chedàlorolapropriaforzao lapropriasagacia[...]e,quel cheèpeggioditutto,domina un continuo timore e il pericolo di una morte violenta:elavitadell’uomoè solitaria, povera, lurida, brutale e corta”.11 In questa lottaognunopuòcontaresolo su di sé ed elabora quindi quel che Martin Sanchez Jankowski chiama l' individualismo diffidente. Nulla esprime meglio questa diffidenza dellmcredibile quantità di sbarre e lucchetti che infestano le aree povere. Nei supermercati, il reparto alcolici è protetto da grate degne di Fort Knox. Altrettanto blindate le farmacie.Carichedicatenele porte delle abitazioni. Molte persone restano intrappolate negli incendi per quanto si sono sprangate bene dentro casa. Qui la diffidenza si fa lucchetto. Maselacompetizioneèil principio in base al quale va ordinatalasocietàdelghetto, allora anche nell 'inner city predomina il darwinismo sociale: l’idea che nella selezione delle specie umane sopravvivanosoloipiùadatti. Ai due estremi della scala sociale, nei ricchi suburbi bianchi e negli slum di colore, troviamo la stessa visione hobbesiana della società come campo di battaglia di una diuturna guerra per la sopravvivenza, incuisoloimigliorivincono, mentre i più deboli “cedono perprimi”,comeavvennealle capre dell'isola di Juan Fernandez, secondo il reverendoJosephTownsend. Ma come fanno proprio gli sconfitti a credere nel darwinismosociale,percuiil vincitore non solo domina, ma è anche migliore? Come fannoaconsiderarsinonsolo perdenti, ma anche peggiori? Nessuno può ritenersi pessimo (nel cristianesimo, perlomenogliultimidioggi saranno i primi di domani, e glioppressisarannobeati,pur se nel solo aldilà). L'unico modo per elaborare questa sconfitta, per farsene una ragione, pur mantenendo la fede nel darwinismo sociale, è l’idea che la partita sia truccata (da qui la fortuna di cui gode l’idea del Plan, del complottobiancoperdrogare e far ammalare la gente di colore degli slum). La squadra del ghetto perde sempre perché la competizione è falsata, qualcuno bara, non a tutti è concessa un’uguale opportunità. Un ragazzo chicano di Los Angeles dice: "I ricchi Anglo [...] sono organizzatissimi, si tengono per sé tutto il succo buono e lasciano noi, gli asiatici e i neri, a combattere per il resto".Perunragazzonerodi New York gli anglosassoni "si tengono per sé le grandi cose della vita e lasciano noi negri e spics [spregiativo per Latinos]acombatterecongli spaghetti e con le teste dì patata [spregiativi per italiani e irlandesi] per i rimasugli”. Eundiciannovenneirlandese di Boston: “Tutti i ragazzi sanno che questi ricchi bastardiequestetested’uovo cilascianoacombattere,noi, negri e spics, per lavori di merda”.12 *** Le gang sono quindi organizzazioni ("istituzioni sostitutive”) che sorgono nelle inner cities per procurareailoromembriquei benefici da cui il ghetto è escluso nel suo complesso. Molti giovani aderiscono a unagangpernonrassegnarsi, per evitare quel vicolo cieco sociale,quelbinariomortoin cui vedono appassire genitori e familiari. Nel ghetto, paradossalmente, sono i membri delle gang i cittadini chepiùhannofedenelsogno americano, che più credono nell’iniziativaindividuale,nel mito dell’imprenditore privato che rischia e che, dalla povertà, assurge alla ricchezza. Ma cosa potrebbe rischiare un ipotetico imprenditoredell’innercity? Non certo il capitale economico, il denaro, poiché quest'universo hobbesiano è proprioun“capitalismosenza denaro”.Neiquartieripoveri, i lavori sono pochi, mal pagati, precari. Il nerbo dell’economia, accanto alle sparute attività legali, è un variegato settore sommerso che va dal quasi legale al francamente criminale, dalla fruizione indebita dei sussidi statali (mariti che fingono di aver lasciato le mogli perché possano ricevere gli assegni per madri capifamiglia) al traffico di bollini alimentari (FoodStamps),perpassareal donoapagamentodelproprio sangue, allo strozzinaggio (i loan sharks, gli squali dei prestiti), fino a spaccio e killeraggio. Né il nostro ipotetico imprenditore potrebbe mettereincampocompetenze ocultura,perchéquilascuola è il primo girone dell’infemo sociale. Se la scuola deve essere maestra di vita, la scuoladell’innercityistruisce alla sconfitta: quello scolastico è il primo dei fallimentichecostellerannole vite adulte. L’emarginazione comincia con gli studi interrotti, l'essere espulsi (drop out) da una scuola di serieB.Nessuno degli ultimi cinque sindaci di Chicago (neanche il nero Harold Washington)hamaimandato i figli alla scuola pubblica. E lascuolaèdiseriebperchéi distretti scolastici statunitensi sono finanziati dalle tasse locali, basate sui valori delle proprietà immobiliari nel distretto. Dove le case valgono molto, le tasse sono elevate, i bilanci delle scuole opulenti, gli stabilimenti ben equipaggiati, gli insegnanti ben pagati. Dove le tasse sono basse, perché le case valgono poco, gli insegnanti sono mal pagati, gli istituti scadenti. Più il ghetto è povero, più la scuola fa schifo, più il ghetto s’impoverisce.Loscoramento è bene espresso dalla battuta di un ragazzo del South Side di Chicago: “Fra un po’, per friggere gli hamburger da McDonald’s ci vorrà un diploma d’ingegneria areonautica”.13 Perché stupirsi allora quando questi piccoli imprenditori del ghetto mettono in palio le uniche cosechepossonorischiare:se stessi, la propria vita o la propria libertà? Forza, conoscenza delle armi, addestramento alla rissa sono spesso le sole carte che possonogiocarsiquestiadepti delsognoamericano.Qui“la violenzaèlamonetacorrente della vita e diventa la valuta dell'economia della gang".14 La violenza si rivela essere nonlosfogo-sadicoesenza scopo - tante volte descritto nel mito della gang, ma lo strumento razionale in un mondo hobbesiano: “Noi troviamo tre cause principali di lotta: la competizione, la diffidenza,lagloria.Laprima fa combattere gli uomini per guadagno, la seconda per la salvezza, la terza per la reputazione”.15 La competizione usa la violenza perimpadronirsideibeniela diffidenza la usa per difenderli(sulmoventegloria bisogneràtornare), E se per decenni l'auto è stata la locomotiva dell'economia mondiale, la droga è il settore trainante dell'economia dei ghetti urbani. È termine consacrato "economia politica della droga”, o “economia politica del crack”, in cui l'odierno commercio mondiale di droga può essere paragonato ai commerci di droghe (spezie, pepe, cardamomo, cannella, ma anche oppio) di Venezia, degli olandesi e inglesi. Eric Hobsbawm ha paragonato il cartello di Medellin alle Compagnie delle Indie.16 Se a Los Angeles “la stima di 10.000 membri delle gang che si guadagnano da vivere con il commercio di droga è corretta, allora il crack è davvero il datore di lavoro dell’ultima spiaggia, equivalente di parecchie grandi fabbriche di auto e di centinaia di McDonald's”.17 Da quindici anni almeno l'industria della droga “è il solo datore di lavoro in espansionecheoffrelestesse chancediriuscitaatuttisenza discriminazione nel cuore delle metropoli americane,” dice il sociologo Philippe Bourgois alla fine del suo straordinario racconto di una notte in una crack house di NewYork: I ragazzini del mio palazzo non sono né apaticinédisorganizzati. Anzi sono troppo bene organizzati. [.,.] I più determinati, i più fortunati, i più spietati tra loro dirigono reti di vendita che fatturano migliaia di dollari al giorno. E non hanno 18 anni. [...] Perché chiedersi cosa li porta a rifiutare lavori senza prestigio nel privato quando possono mettere su ditte di cocaina o di crack in cui la loro identità [...] smette di costituire un handicap per diventare un atout? Come ogni buon americano, gli spacciatoricredonoduro come ferro al "sogno americano";daglistracci ai milioni grazie all’impresa privata. Certo, la maggior parte di loro non riuscirà. Saranno stritolati malgrado i loro sforzi e molto probabilmente diventeranno preda del buco o della depressione. Ciò non impedisceachiriescedi guidare la Mercedes, la Jaguar, la Porsche fino all’idrante antincendio all’angolo per farla lavare e lucidare dagli strafatti del crack, mentre lui, a dieci metri da lì, osserva fiero i bambini del quartiere che divorano con gli occhila"barca”.18 L’espressione chiave è qui “ditte di cocaina”, come si dice ditte di pannolini, imprese di cracker. Mettere su una ditta di crack può aprire luminose prospettive. In questo senso si può capovolgere l’espressione marxiana di “Lumpenproletariato” e dire, come fa Mike Davis, che i "Crips diventano altrettanto lumpencapitalisti quanto proletarifuorilegge”.19 La gang è quindi una società del terziario che commercia e fornisce servizi perlopiùclandestini,masolo perché nell'ambito legale la cultura di strada costituisce un ostacolo (mentre nell’illegalità è un atout). Se finiscono spesso male i pur numerosi tentativi delle gang di intraprendere commerci legali, di comprare e affittare immobili, fioriscono invece distillerie illegali, lotterie clandestine, combattimenti di galli con scommesse. Rendono bene le attività di protezione e demolizione. Proteggono (e ricattano) i commercianti; demoliscono (incendiano) immobili o esercizi su commessa di speculatori che vogliono cacciare inquilini recalcitranti, di operatori commerciali che vogliono liberare aree, o di usurai "squali dei prestiti” - che vogliono minacciare debitori morosi. Attraverso questi servizi le gang interagiscono con l’economia legale, con ì capitalistiingiaccaecravatta. Nelle loro imprese lumpencapitaliste, i membri delle gang vanno spesso incontro all’arresto e alla galera. Ma se la scuola pubblica è maestra di fallimento, la prigione è una scuola di riuscita sociale. Lo è per il classico meccanismo descritto da Michel Foucault: inprigioneentraunautoredi infrazioni alla legge ed esce un criminale. "Questo personaggio diverso che l’apparato penitenziario sostituisce al colpevole condannato [l'infracteur condamné] è il delinquente" .20Ciòcheeraunepisodioin una vita diventa un destino, anziunavocazione. Negliultimiventidueanni la prigione è divenuta un'esperienza così diffusa da aver perso parte del suo potere dissuasivo. In questi ventidue anni, da quando è iniziata l’era reaganiana gli Stati Uniti hanno sperimentato una carcerarizzazione senza precedenti della società e il numero dei detenuti sì è più che quadruplicato. La popolazione carceraria statunitense si divide in tre categorie: 1) i detenuti nei penitenziari federali e statali (pen in gergo); 2) i reclusi nellecarcerilocali(jails),che assommano in media alla metà dei detenuti nelle prigionistataliefederali;3)i minorenni in riformatorio. Per ottenere il totale delle persone sorvegliate dal sistema giudiziario, a queste tre andrebbe aggiunta una quartacategoria:icittadiniin libertà condizionata, o su parola.Eitotalifannopaura: nel 2002 erano dietro le sbarre più di 2,2 milioni di americani e la popolazione sotto controllo giudiziario degli Stati Uniti era di quasi settemilionidipersone. Mentre per quarant'anni (1930-1970) i detenuti nelle prigioni federali e statali hanno sempre oscillato intorno ai 100 ogni 100.000 abitanti, nel 1990 erano diventati 311 ogni 100.000 abitanti e i dati del 2002 davano 480 reclusi ogni 100.000 abitanti. Ancora più impressionanti le cifre assolute: da meno di 200.000 prigionieri nel 1970 a 1.361.000 nel 2002. A costoro bisogna aggiungere 666.000detenutinellejails,i 111.000 rinchiusi nei carceri minorili, i 29.000 prigionieri inaltritipidicarceri(militari, perindiani,speciali),cosìche il totale dei reclusi alla fine del 2002 era di 2.166.000 statunitensi. Ben 766 carcerati su 100.000 abitanti: a titolo di paragone, in Giappone nel 2000 vi erano solo 47 detenuti per 100.000 abitanti; in Norvegia 56; in Francia 80; in Italia 94; in Germania 97. Cioè negli Usa ci sono 16 volte più prigioniericheinGiapponee 8voltepiùcheinItalia.Solo la Russia del dopo Guerra fredda ha cifre paragonabili: 730 detenuti ogni 100.000 abitanti.21 Se a costoro si aggiunge chi è in libertà condizionata o per buona condotta, il totale dei sorvegliati superava i 4,3 milionidipersonenel1990e i 6,9 milioni alla fine del 2002. Cioè, a ogni momento, più di due persone (2,5) su cento negli Stati Uniti sono prese nelle maglie della giustizia. Il numero dei carceratiècresciutoinsiemea quello degli indigenti, e cioè ai licenziamenti, riduzioni fiscali, tagli alle politiche sociali e, insieme, l'inasprimento delle pene e il ricorso sempre più facile al carcere. Di fronte al fallimento di questa politica, l’opinione pubblica ha chiesto, e le autorità hanno sancito,piùcarcere,piùpene. È una soluzione di tipo fondamentalista: ritiene cioè che il sistema non funzioni nonperchévisiaqualcosadi sbagliato, ma perché non è stato applicato fino in fondo. Comechipensacheilterrore sia inefficace perché non terrorizza abbastanza. La societàpiùpotenteeopulenta della storia è anche la più carceraria. Boomdeicarcerati22 Paradossalmente,il numerodeiprigionieriè moltoinferioreaquelche dovrebbeessereinbasealle condannecomminate:purdi disingorgareleprigioni,molti magistratiUsas'inventano sanzionicreativecomefar andareingirolagenteconal collouncartelloindicanteil criminecommesso: l’equivalentemodernodella gogna.Ciònontogliechei penitenziaristrabocchino.Il carcerediconteadiChicago, costruitonel1928per ospitare1200detenuti,ne contienepiùdi8000:nelsolo 198825.000detenutia Chicagofuronorilasciatiper sovraffollamento.Molti condannatinonentranoin prigioneperil“tutto esaurito”,oneesconoprima dellascadenzaperfarpostoa detenutipiùpericolosi.C'è unasortadilistad'attesa,di standbyancheperilcarcere. Tuttoquestofasìchenegli StatiUnitiungiovanenerosu quattrofiniscainprigionetra i18ei25anniecheininteri quartieripiùdellametàdelle personesianosoggettea sorveglianzagiudiziaria.23 Il carcere diventa un elemento familiare del panorama quotidiano e assurge a rito di passaggio, comeuncorsoallieviufficiali perlegang:visonovarigradi di status sociale e i più alti sonoattribuitiachièstatoin prigione più a lungo, più volte, ed è stato più attivo nell’organizzare la gang dietrolesbarre.Ipiùgiovani ascoltano con ammirazione i racconti dei veterani, le loro esperienzecarcerarie,nelpen o nella pinta (il termine dei Latinos). Certo che, se si può, il carcere è meglio evitarlo: un terzo delle gang studiate da Martin Sanchez Jankowski dispone di un proprio avvocato. Molte usano i minorenni proprio perché per loro le pene sono più miti: la criminalità infantile si rivela, più che segno di barbarie, strumento calcolato per minimizzare i rischi carcerari dell’impresa lumpencapitalista. Le gang affidano lo spaccio ai bambini esattamente per lo stesso motivo per cui i padroni dell’Ottocento li facevano lavorare in miniera: perridurreicosti. *** La sfera di azione delle gang non si esaurisce nell’imprenditoria lumpencapitalista e nell’economia, per quanto criminale. Qui entra in gioco la seconda caratteristica: le gang sono tutte a base etnico-razziale. Nella storia americana sfilano gang irlandesi, italiane, ebree, greche, cinesi, coreane, vietnamite, nere, portoricane, dominicane. Proprio come la popolazione è segregata etnicamente, così anche la violenza delle gang è divisa in comparti etnici. Base territoriale: un preciso quartiere; base sociale: un gruppo etnico-razziale. Negli StatiUnitilasommadiquesti due fattori è chiamata una community. La community è un gruppo etnico preciso in una precìsa area: qui lo traduco con “quartiere”. Non solo la gang nasce in un quartiere, ma non potrebbe sopravvivere né prosperare senza il sostegno del quartiere, senza la sua rete informativa, senza la sua omertà. Ma assistenza, omertà,informazioni,lagang leottieneseasuavoltaèutile al quartiere. Questo scambio reciproco è asimmetrico perchélaganghapiùbisogno del quartiere di quanto esso abbiabisognodilei:mentreil quartiere sopravvive alla scomparsadellagang,lagang nonsopravviveall’ostilitàdel quartiere. Perciò la gang spessoproteggeimembridel quartiere, li difende dagli speculatori immobiliari, sventalemenedeglioperatori commerciali,moderal'avidità degli strozzini, difende l'area dalla violenza delle gang di altriquartieri. Ecco cosa dice Jorge, muratore di 59 anni di Los Angeles: “La gente di fuori stasempreadareaddossoalle gang,manonvedonoilbene cheloropossonofarepernoi. [...] Intanto ci proteggono dalla gente di fuori che vorrebbe derubarci e picchiareinostriragazzi.[...] Noicisentiamopiùsicuricon loro che con la polizia”. E Raquel, 47 anni, madre di cinquefigli:"Socheunsacco di gente pensa che le gang sono cattive, ma non vede quante buone cose fanno per lacomunità”.24 In una società che si diletta con le milizie private, lagangèunaviadimezzotra la polizia ufficiosa del quartiere e il suo gruppo di pressione. La gang assume qui un ruolo “politico”. Persino i suoi gesti criminali servonoaprovocaremaggiori stanziamenti statali e governativi per aiutare il quartiere.Jim,52anni,padre diduefigli,diNewYork: Se non fosse per le gang, questa comunità non vedrebbe nessun programma sociale e nemmeno un posto di lavoro. Abbiamo un saccodidisoccupatiqui, soprattutto ì giovani. Ma nessuno al governo se ne frega. Se non succedesse nulla, continuerebbero a lasciarli disoccupati. Si preoccupano solo quando le gang si muovono nell’illegalità, solo allora fanno partire unprogrammadilavoro. Così, vedi, abbiamo bisogno che le gang ci aiutino. È il loro comportamento che preoccupa i politici, non i normali ragazzi disoccupati.25 Ci troviamo perciò davanti a una struttura articolata di più elementi formata dal quartiere, dalla gang, dagli apparati statali repressivi e di assistenza (la cosiddetta street-level bureaucracy), dai politici e dai mass media in cui ogni polo è in interazione con l'altroeincuiognirapportosi riflette retroattivamente sugli altrirapporticosìchevisono vari livelli di relazione. Tra gang e apparato repressivo il primo livello di relazione, quello apparente, è la guerra. Da un lato la polizia è vista comeforzad’invasione,come una gang esterna, la "gang degli Anglo”. La teoria della “colonia interna” delle Pantere nere, vissuta di persona. Così si esprime un poliziotto di 40 anni del dipartimentodipoliziadiLos Angeles: Le gang sono come belve e nella comunità nessuno sa nulla. Qualcosa succede in pieno giorno e nessuno havistoniente.[...]Così fermiamo un bel po’ di membri della gang per interrogarli. Poi vado e faccio domande nella comunità e nessuno sa niente. È un sentimento inquietante quando fai domande in questi quartieri: nel viso dei residenti c’è un’espressione di puro disprezzo verso di noi. Non ho mai visto niente di simile; per lo meno nondopoilVietnam.26 In questo Vietnam interno, il quartiere offre alla gang dei “santuari” dove sfuggire alla caccia, come la giunglaaivietcong.Nonsolo: quandogliassistentisociali,i magistrati intraprendono programmi di riabilitazione, perconvincerecioèimembri delle gang che il loro comportamento è antisociale, che devono imparare un mestiere e diventare produttivi, questa loro azione è vista come un lavaggio del cervello, come un atto totalitario, da paragonare alla setta del reverendo Moon o agli stessi campi di rieducazionevietnamiti.27 Manellecittàstatunitensi questa guerra dura ormai ininterrotta da centocinquant’anni senza né vincitori né vinti e quindi, sotto lo scontro, si sono stabiliti altri livelli di relazione, di simbiosi, addirittura di dipendenza reciproca, di mutuo, diffidente parassitismo. La poliziahabisognodellegang peraumentarelapropriafetta nel bilancio comunale. I politici hanno bisogno delle gang da un lato per dimostrare che si battono contro la criminalità, dall’altroperottenerevotinei quartieri in cui operano le gang.Leganghannobisogno dei politici per allentare la pressione della polizia, e degli assistenti sociali per favorire iniezioni di denaro nel quartiere. A loro volta, i leader politici locali della Gangland rafforzano la propria posizione agendo da mediatori tra autorità e gang. Perimassmediapoi,legang sonounamercedavenderee che fa vendere, mentre per l’industria dello spettacolo sono un ingrediente formidabile per intrattenere e farfremereilpubblico. Si è operato un vero capovolgimento prospettico: se all’inizio le gang ci parevano mettere a repentaglio la sopravvivenza della società, ora si dimostrano parte integrante della trama che costituisce il tessuto urbano degli Stati Uniti. Se il loro comportamento pareva dettatodaistintoferino,oraci appare la risposta più razionale possibile in un universo malthusiano, in una situazione hobbesiana sottoposta al darwinismo sociale, cioè ai tre capisaldi dottrinali che reggono le polìtiche della società nei confrontideipoveri. Se prima eravamo spaventati di fronte alla violenzadiquestiUfoumani, ora siamo colpiti dal loro straordinario conformismo, che fa riflettere. Alla fine degli anni sessanta le gang erano contestatrici, mentre negli ottanta sono state conservatrici. Nei primi anni settanta, ai Crips veniva attribuita l'etimologia Continuous Revolution in Progress, e loro stessi si richiamavanoalBlackPower, mentre poi avrebbero compiuto, come la Blackstone Nation di Chicago, una vera e propria "rivoluzione manageriale”,28 l’equivalente per le gang dell'adozione del modello giapponese nell’industria. E neglianninovantaiGangster Disciples avevano creato la propria organizzazione politica, 21st Century Vote, per fare opera di lobby e capitalizzare i propri rapporti con le comunità dell'inner city.Le gang seguono perciò gli stessi orientamenti presenti nella società complessiva: guevariste negli anni sessanta, reaganiane negli ottanta, clintoniane nei novanta. Anche al suo interno, la gang fa politica nelle forme canoniche: le più organizzate si dotano di un presidente, di un vicepresidente, di un ministro della Guerra (un warlord) e un ministro delle Finanze (un tesoriere), La conquista del potere all’interno di una gang avviene come in un partito o inunsindacato,conlapratica del voto di scambio (appoggio in cambio di favori).Eilmantenimentodel potere implica cautela nei confronti del dissenso interno.29 In quanto soggetto sia economico sia politico, la gang si comporta proprio comelegrandiistituzioni. È stupefacente come giovanotti poveri, espulsi dalla scuola, destinati alla prigione, siano in grado di formulare strategie tanto razionali, o per lo meno così simili a quelle perseguite dai politiciedaigrandiborghesi, come se la logica che soggiace alla formazione degli aggregati sociali scorresse sotterranea più forte, più cogente di qualunque emarginazione, di ogni ignoranza. (È qui che si rivelano insufficienti sia lo sguardo miserabilista, che leggelasocietàdelloslumin termini di pura fame, sia quello populista che la interpreta in chiave di creatività indomita e primigenia.) Il conformismo si manifestaneiminimidettagli. Imembrichiamanolapropria gang il club, un club in cui t'invitano, o da cui sei escluso, un club in cui ci si chiama fratelli, un club che imita, parente povero e illegale, fraternities e sororities, i club che nelle università americane fondano il nucleo di futura solidarietà su cui si definiranno le successive traiettorie sociali. Fraternitiesesororitiesdicui inEuropaèdifficilemisurare l’influenza. Inuncertosenso,legang sono davvero dei club, delle élite. Per quanto la stampa spari cifre a vanvera, i membri delle gang sarebbero 37.000 a Chicago e, a seconda del timore che si vuole ispirare, oscillerebbero dai 10.000 ai 100.000 a Los Angeles.30 Comunque poche decine di migliaia in megalopoli di milioni di abitantieconuno-duemilioni almeno che vivono negli slum: una piccola minoranza perciò, per quanto organizzataearmata.Daqui, soprattutto nelle gang più grandi e famose, deriva la fierezzadiappartenervi,come di rientrare in un’élite. Ottenere il rispetto altrui è uno dei moventi più forti nell’aderire a una gang. Proprio nelle aree più disprezzate della città, il rispetto diventa la merce più importante: acquista un valore tale da poter spesso essere scambiato con la vita. Non dimentichiamo che in questi quartieri, la vita è "povera, lurida, brutale e corta”elamorteèsemprein agguato. Appartenere a una gangsignificaalloraaccedere aunasortadiimmortalità.Un succedaneo, o una forma di gloria. “Credono nella loro immortalità, un’idea [...] che è nutrita da tutti i membri delle gang che parlano costantemente dei loro onorevoli predecessori caduti in nome della gang. Nessuno dimentica chi è caduto e per qualescopo.”31 Finisce così che questi ragazzi in scarpe da tennis, berretto da baseball e blue jeans, onorino i commilitoni morticonglistessiesattigesti con cui i guerrieri omerici sacrificavanoailoroeroi,seè vero quel che racconta Lincoln Keiser a proposito dei Vice Lords di Chicago che,primachechiunquebeva alla bottiglia, versano un po’ di liquore per terra in memoria dei compagni uccisi.32 1 “Time”, 19 maggio 1997, p. 42; "Newsweek”, 1 novembre1999,p.46. 2 “The Chicago Tribune”,20dicembre1992. 3 “The Chicago Tribune”, 10 gennaio 2000; "The St. Louis PostDuspatch”, 19 settembre 1997. 4 Martin Sänchez Jankowski, Islands in the Street. Gangs and American Urban Society, California University Press, Berkeley 1991,pp.180-181. 5 "The Wall Street Journal”,29aprile1993. 6 "The Chicago Tribune", 30 aprile e 2 maggio 1993; "The New YorkTimes”,2maggio1993. 7 “Time”, 19 maggio 1997,p.42. 8 M. Davis, City of Quartz,cit.,p,315. 9LJ.D.Wacquant,The Zone,inP.Bourdieuetai,La misere du monde, cit., (pp. 181-195),p.188. 10 Citato in R.E.L. Faris,ChicagoSociology,cit., p.74. 11 Thomas Hobbes, Leviatano(1651),partei,cap. 13, trad. it. Laterza, Bari 1974,vol.X,pp.109-110. 12M.SânchezJankowski, op.cit.,pp,85-86. 13 L.J.D. Wacquant, op. cit.,p.185. 14M.SânchezJankowski, op.cit.,p.139. 15T.Hobbes,op.cit.,p. 108. 16 In “New York Review of Books”, 20 novembre1987,p.35. 17M.Davis,op.cit.,p. 314. 18 Philippe Bourgois, Une nuit dans une “shooting gallery". Enquête sur le commerce de la drogue à EastHarlem,in “Actes de la recherche en sciences sociales”, n. 94, settembre 1992(pp.59-78),pp.78-79. 19M,Davis,op.cit.,p. 310. 20 Michel Foucault, Surveilleretpunir.Naissance delaprison,Gallimard,Paris 1975,trad.it.Einaudi,Torino 1976,p.275. 21 Statistiche elaborate dal Research Development & Statistics Department dell’Home Office (ministero degli Interni) inglese, e accessibili al sito www.homeoffice.gov.uk. 22DatielaboratidaU.S. Bureau of the Census, Historical Statistics of the UnitedStates.ColonialTimes to1970,GovernmentPrinting Office, Washington D.C. 1975, tav. H 1135-1143, p.420edaU.S.Departmentof Justice, Bureau of Justice Statistics Bulletin, Prisoners in 2002, Washington D.C. luglio2003,p.1. 23LoïcJ.D.Wacquant,Le gang comme prédateur collectif, in “Actes de la recherche en sciences sociales", n. 101/102, marzo 1994(pp.88-100),p.97n. 24M.SânchezJankowski, op.cit.,pp.183-184e190. 25Ivi,p.239. 26Ivi,p.257. 27Ivi,p.274enota23a p.355. 28 M. Davis, op. cit., pp. 299-300, 29 M. Sânchez Jankowski, op. cit., pp. 24 e 92-94. 30 "The Chicago Tribune”,5maggio1993;M. Davis,op.cit.,p.270. 31 M. Sânchez Jankowski,op.cit.,p.140. 32 Lincoln R. Keiser, The Vice Lords: Warriors of the Streets, Holt, Rinehart & Winston, New York 1979, p. 54, citato da M. Sânchez Jankowski,op.cit.,p.342,n. 6. 6.Negliingranaggi dellaMacchina Eleggi il consiglio delle acque, lo sceriffo di contea e il segretario comunale. Indichi sulla scheda il consiglieredicircoscrizionee gli amministratori universitari.Tirechialleurne per i procuratori e i giudici. Scegli a suffragio il governatore dello stato, il vicegovernatore,iltesoriere,i deputati statali e i giudici della Corte suprema statale. Si vota a tutti i livelli, federale, di stato, distretto, provincia (county), città, quartiere (ward). Vi sono persino Distretti di bonifica delle zanzare, che hanno rappresentantieletti. Selademocraziaconsiste nel votare, e se misura della democrazia è il numero di pubblici uffici designati elettivamente, allora non c'è dubbio;gliStatiUnitisonoil più democratico paese della terra e della storia. Come in medicina c'è un accanimento terapeutico,cosìnellapolitica statunitense c’è un accanimento elettorale: addirittura,conleprimarie,si vota per scegliere chi votare. Nell’osservare l’ossessiva celebrazione dello scrutinio, ritrovi la fede totale nella bontà del proprio sistema di vita, t'imbatti di nuovo nell'estremismo che tanto spesso abbiamo incontrato, quil’estremismodell'urna. Nel1906WernerSombart aveva calcolato quante volte dovesse votare un cittadino americano,peresempionello statodell'Ohio.Glieravenuto il risultato di 22 scrutini l'anno. Non che una persona dovesse recarsi al seggio 22 volte, poiché molte elezioni erano raggruppate.1 Ma doveva ogni anno nominare con il voto 22 cariche ufficiali. A rifare nel 2000 lo stessocalcolo,uncittadinodi Chicagovotapiùdi100volte in quattro anni,2 comprese le primarie ma esclusi i referendum. A paragone, un italiano vota sette volte ogni cinque anni: anche tenendo conto delle elezioni anticipate, neanche due volte l’anno,neancheundecimodi unamericano. Quest’indigestione elettorale ha enormi conseguenze. Molto più che inEuropa,lavitadimilionidi persone dipende dal voto popolare: molte cariche pubbliche, che nel Vecchio continente sono amministrative (basate su esamieconcorsi),nelNuovo sonoinveceelettive.Controil pregiudizio comune, l’influenzadellapoliticasulla vitaquotidianaèpiùprofonda negli Stati Uniti che in Europa. Dipendono dal suffragio approvvigionamento idrico, nomina e salario dei professori (decisi da un consiglio eletto), tutte decisioni che sono in Europa burocratiche e qui politiche. Non solo. È la conquista del consenso a determinare prestigio,redditoecarrieradi milionidiamericani. La notte delle elezioni presidenziali del 2000, a Chicago la festa dei democratici si teneva all’Hilton. Nei vari piani c’erano varie feste. In un salone si palpitava per la presidenza della repubblica, inun’altrasalaperunseggio senatoriale, altrove per una carica provinciale. Ancora più istruttiva otto anni prima erastatalanottedelvotodel 1992, che trascorsi in un HolidayInnnellaperiferiadi St.Louis,Missouri,aseguire i risultati con una folla di militanti democratici e sindacalisti, quella che una volta si chiamava “la Macchina” (politica). Tra lattine di Bud e hot dog, si susseguivano applausi, ovazioni, presentazioni di vincitori a braccio alzato come in un incontro di boxe. Sui tabelloni alle pareti, il flusso dei risultati sulle cariche di Attorney, di Sceriffo,diClerk,diquestoe diquello,relegavainsecondo piano i risultati presidenziali. Gli astanti palpitavano per queste cariche minori, che esercitavano un impatto immediatosullalorovita. Il suffragio pervade l'esistenza:moltoprestosiva a scuola di elezioni. Nelle high school gli adolescenti imparano a candidarsi, a fare campagna. Nei college, i foglietti appesi alle bacheche diffondono un'ininterrotta tribuna elettorale: studenti organizzano raduni e parate con tanto di majorette per candidate e candidati, vendono magliette per finanziarne la campagna, distribuiscono volantini e stampiglianospilledaportare all’occhiello. Ma questa fede assoluta nella bontà del metodo politico per designare i dirigenti coesiste con un totale disprezzo per la politica. Si venerano le elezioni, si disprezzano gli eletti. Per un politico americano la prima regola è presentarsicomenonpolitico, anzi come vessillifero della crociata contro gli sporchi politici. E in nessuna città degli Stati Uniti la politica è considerata così sporca come a Chicago. Se vuoi dire che qualcuno è marcio, basta che loparagoniaunpoliticodella CookCounty. Dagli anni settanta ai novanta, più di venti dei cinquanta consiglieri (aldermen ) di Chicago sono stati condannati per corruzione. Gli aldermen sono chiamati Grey Wolves, “lupi grigi” per la loro leggendaria voracità. Uno di loro dichiarava nel 2000 di essere stato alderman per ventitré anni, "abbastanza a lungo da aver visto due dozzine di colleghi finire in prigione”.3 Chissà cosa direbbe Nikolaj Vasil’evic Gogol': nella primavera del 1993,WalterKozubowski(di originepolacca)fucostrettoa dimettersi da segretario comunale di Chicago (carica elettiva)perchéserainventato impiegaticomunalifantasma, tipo anime morte, di cui intascava gli stipendi. E poiché negli Stati Uniti sono elettive, cioè politiche, cariche (per esempio di giustizia, o di polizia) in Europaottenuteperconcorso, cioè per selezione amministrativa, nella corruzione politica rientra quel che da noi è malversazione burocratica. Nel 1983 quindici giudici furono incriminati per corruzione. Nel 1993, un giudice di contea fu dichiarato colpevole di aver vendutoprocessiperomicidio e aver intascato soldi per assolvere gangster assassini digangster. Nulla di nuovo rispetto agli anni trenta, quando il presidente del Partito democratico era Pat Nash (orgine irlandese) e il partito chiese a suo cugino, Tom Nash,avvocatodiAlCapone (origineitaliana),didiventare tesoriere della Cook County. Nulla di nuovo, appunto: ma qui sta il problema. Agli scandali della polizia di Chicago è stato dedicato un libro dal titolo To Serve and Collect (“Per servire e intascare”) che parafrasa il motto dipinto sulle auto, To Serve and Protect. La corruzione della polizia di Chicago è cronica, fin da quando furono radiati per corruzione gli ufficiali protagonisti della sparatoria di Haymarket (1886). Non passa anno senza che scoppi un caso. Una volta ( 1996) sette agenti sono condannati per estorsione; un’altra (1997)siscoprechegliagenti infiltrati nelle gang sono diventati membri delle gang infiltratinellapolizia;un’altra (1999) che un veterano pluridecorato proteggeva un canale di droga MiamiChicago; che uno dei più leggendaridetectiveerainun giro di gioielli rubati (2000); di nuovo quattro agenti accusatidiestorsioneaidanni di immigrati polacchi (2000).4 Si capisce perché sulla polizia di Chicago circola la battuta: "Basta una melasanaperrovinaretuttoil paniere”. *** La corruzione è segno di sottosviluppo politico, di modernità imperfetta. Come pratica di governo, come strumento di consenso, è attribuita alle tirannie sudamericane, ai despoti africani, o la si confina a sistemiancorafeudalisottola patina capitalista, come il Giappone o l’Italia meridionale. Eccoci invece a Chicago, nella città più industria-lizzatadellapotenza più sviluppata della terra, nella metropoli che (appena centosettant’anni fa) è sorta dal niente e si è sviluppata ubbidendo interamente alla logica e alle esigenze del capitale. Qui, nel Nuovo mondo, nella "terra promessa del capitale”, secondo l’espressione di Sombart, troviamo una corruzione strutturale. Il dilagare della corruzione negli Stati Uniti rappresenta un mistero, proprio come la povertà: gli americani capivano che la miseriadilagasseinEuropa,a causa del retaggio feudale, dell’angustia, delle scarse risorse. Ma come poteva esistere qui, in un continente inesauribile, in un sistema politicoliberoedemocratico? Così per la corruzione essa può imperversare altrove, nei vecchi mondi, nei vecchi regimi, ma non negli Stati Uniti. “L’idea, inculcata dai manuali patriottici, è che nell’anno 1789 un gruppo di saggi fondò un nuovo governoinunnuovomondo,” chelacorruzioneèunmorbo e-scrivevaWalterLippmann - “noi sentiamo che non dovrebbeesserciquieche,se solo avessimo un po’ più di coraggio o di giudizio o di qualcosa, noi potremmo amputare il tessuto malato e persemprepoiviverefelici”.5 Quilacancrena,lacorruzione dei corpi è metafora al quadrato della metaforica corruzione politica. Quest’immagine diffusa presuppone una certa idea di "corpo sano della politica”, una condizione in cui la società si organizzerebbe in perfettatrasparenza: "Spesso pensiamo alla corruzione come a un morbo che si diffonde implacabilmente in uncorpopolitico,minandone la forza e l’integrità e rapinandoicittadiniinquesto processo”.6 Larealtàèmenoingenua. Stiamo parlando, non dimentichiamo,diunasocietà che non si chiede come hai fattoisoldi,maselihaifatti e quanti ne hai fatti. “In un sistema politico in cui il criterio base è che ‘denaro parla’, non è facile stabilire dove i parlatori - e le loro parole -hanno oltrepassato la lineadellacorruzione.”7Nési possono ignorare le angustie della vita: un buon poliziotto che si comporta da buon cittadino non potrà mai guadagnare (onestamente) abbastanzasoldipermandare i propri figli in un buon college. Ma la contraddizione giace ancora più in profondità. George Cass, presidente della Northern Pacific Railway, diceva nel 1873 che “nel Congresso persino un saggio onesto si corromperebbe”8: come poteva uno dei robber barons, proverbiali per la spietata venalità, dar lezione di moralità ai politici? A pretendere dalla politica disinteresse e dedizione all’interesse generale è un'opinionepubblicaprontaa giurare sul vangelo di Adam Smith che la società si regge sull’impresa privata, che la prosperità generale, la ricchezza delle nazioni è fondata sulla statistica degli egoismi individuali: "Non è certo dalla benevolenza del macellaio, del birraio o del fornaio che ci aspettiamo il nostro pranzo, ma dal fatto che essi hanno cura del proprio interesse. Noi non ci rivolgiamo mai alla loro umanità,maalloroegoismo, e con loro non parliamo mai dellenostrenecessità,madei lorovantaggi”.9 Ma se il mercato è il meccanismo “naturale” secondo cui è organizzata la società,anchelapoliticadeve organizzarsi come un mercato. Anche nel mercato politico devono agire domanda e offerta, profitto e perdita. La lotta politica assume allora la forma della concorrenza.Loscontrodelle idee da propaganda diventa pubblicità. E la concorrenza indossa le vesti della competizioneelettorale.Ivoti sono insieme merci da comprare e risorse da vendere. In questo mercato l’imprenditoreèilpartito.Eil partito agisce da imprenditore.Lasuafunzione non sta nel “concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”,10manelgarantire l’elezione del maggior numeropossibiledicandidati al maggior numero possibile dicariche. Nel mercato politico, esitodellacompetizioneèun oligopolio che sbarra l’ingresso a nuovi, minori competitori. Come è impossibile a una piccola impresa inserirsi nel mercato dei detersivi e rompere il duopolio costituito da Unilever e Procter&Gamble, così,nelmercatopoliticoUsa il duopolio di repubblicani e democratici ha sbarrato l’ingressoaogniterzopartito. Giànel1906sicomparavano “i vecchi, grossi partiti americani con i trust giganteschi, che dispongono di così grandi capitali, che dominano così esclusivamente tutte le fonti dimaterieprimeedimercati di vendita, da escludere ogni concorrenza che si manifesta ai loro fianchi da parte di ogni ‘terzo’ partito. Se si affaccia un concorrente, alloraivecchipartitifannodi tutto per farlo scomparire dalla scena. In caso di necessità si alleano” .11 La storia politica americana è costellatadifugacimeteoredi terzipartitisortietramontati, dall’Anti Masonic Party del 1830, ai Know Nothing del 1850 fino alla candidatura di Ross Perot alle presidenziali del 1992 e - all’altro capo dello spettro politico - quella diRalphNadernelleelezioni del2000. Se la politica è un mercato, e se i partiti sono imprenditori, “dal punto di vista degli imprenditori di partito,ivotisonorisorseper ottenereilcontrollodicariche governative”.12 La forma classica assunta da questo imprenditore politico è chiamata negli Stati Uniti la "Macchina politica". "La macchina politica e il boss politico devono la loro esistenza all’interesse della politica di partito. I partiti erano organizzati per vincere elezioni.Lamacchinapolitica èsoloundispositivo[device] tecnico inventato per perseguire questo scopo. Il boss è l’esperto che guida la macchina. È altrettanto necessario per vincere le elezioni quanto un allenatore professionista è necessario al successo nel football'’13: già nel1920RobertParkusavala metafora calcistica per la politica. Con la sua definizione, Park andava controcorrente. Sulla Macchina si riversa infattiildistillatopiùpurodel disprezzo antipolitico: la Macchina è vista “come piovra che protende un tentacolo in ogni tasca in un infinito processo di corruzione [graft], estorsione e furto sfacciato. Questa macchina-mostro governa conilterroreeconsideracon disprezzoilegittimibisognie desideri dei residenti”.14 Il disprezzo per la Macchina si riflette nella definizione dei suoi di-rigenti. Quando un politico è rispettato, è un leader, quando è attaccato diventa un boss, il capo di una gang: come da “insigne statista"a"loscopoliticante”. Parlando del sindaco di Chicago, Mike Royko scriveva: "Gli editorialisti deciserochedopotuttoDaley non era un leader politico progressista, di una nuova specie. Cambiarono nastro e lo iscrissero di nuovo nel ruolodi‘boss',unostrumento dellaMacchina”.15 Come altre macchine, quella politica è un'invenzione dell’Ottocento, che si è sviluppata a New York dove, verso il 1830, la Tammany Society prese il poterenell’organizzazionedel Partitodemocratico:daallora, Tammany Hall , (sede della società) è diventata sinonimo di Macchina politica. Macchine sorsero ovunque con i loro boss: George Cox (repubblicano) a Cincinnati, Abe Ruef (repubblicano) a San Francisco, Thomas J. Pendergast (democratico) a Kansas City, James Michael Curley (democratico) a Boston, Edward Hull Crump (democratico) a Memphis. Ma sono le Macchine di Chicago le più longeve e le più potenti, dalla Macchina repubblicanadiWilliamHale Thompson a quella democratica di Anton Cermak, che dal 1930 governa la città con Kelly, Nash,conDaley(dal1955al 1976). Non è un caso se agli inizi del terzo millennio un altro Richard Daley governa la Windy City: il figlio del “boss”. Certo in mezzo secolo, dagli anni cinquanta, di acqua sotto i ponti del fiume Chicago ne è passata tanta:èpassatoilreaganismo, l’ondatadelleprivatizzazioni, la deindustrializzazione e la perditadipiùdi400.000posti di lavoro industriali,16 circa due terzi del totale. La Macchina non poteva restare quella di una volta. Ma il giovane Daley sembra aver seguito nel 2000 il precetto che formulava nel xix secolo il principe siciliano Fabrizio di Salina, protagonista del romanzo (e film) Il Gattopardo: "Bisogna cambiare tutto perché nulla cambi”: "Gli attuali arrangiamenti del governo di Chicago sono non tanto un ritorno al vecchio regime, quanto un tentativo parzialmente riuscito di ricostruire il vecchio regime nelle nuove condizioni politicheedeconomiche”.17È così che si manifesta quella che Joel Rast chiama la straordinaria “capacità di recupero della Macchina di Chicago”,18 una forma di organizzazione ormai secolare, nata nella città dei tram a cavallo e ancora al poterenellacittàdegliaereie dell'informatica. LaMacchinaèsortasutre pilastri. Il primo è il clientelismo. A torto lo si considera un residuo del patriziato, dall’origine latina del nome. Come osservano Fox Piven e Cloward, nella lotta politica "l’introduzione delclientelismosegnalachei clienti detengono risorse politiche che i dominanti hanno bisogno di sopprimere ocircuire”.Nonc’ènecessità di clientelismo senza una democrazia in cui i clienti dispongono di leve di pressione. Il clientelismo “puòalloraessereconsiderato come una concessione alla classe lavoratrice estorta alle classi superiori e medie, e la Macchina può essere vista comelamaterializzazionedel compromesso di classe”. Infine il clientelismo non è praticabile se non ci sono beni da distribuire, esso dipende cioè dallo sviluppo economico che “provvede nuove risorse per costituire una base clientelare che assimili nuovi gruppi nel sistemapolitico”.19 Se la Macchina è un imprenditore politico, se i voti sono i denari con cui si compranogliufficipubblici,i voti vanno comprati: "A uno viene prestato un dollaro; all’altro si procura gratis un bigliettoferroviario;quinelle giornatefreddesidistribuisce carbonegratis;làsiregalaun polloperNatale;sicomprano medicineaimalati,siprocura una bara a metà prezzo se è morto qualcuno. E accanto a tutta questa assistenza c’è un generoso trattamento nei saloon dove viene svolta la parte forse più essenziale del lavoro elettorale [...] uno otterràlalicenzadivenditore ambulanteoperlagestionedi saloon, l’altro ha violato il regolamento edilizio o ha sulla coscienza un'infrazione [...] tutto viene sistemato dalla Macchina”.20 La Macchina americana agiva nell’Ottocento come la DemocraziacristianainItalia dopo il 1947 quando agli elettori regalava pacchi di pasta o, meglio, la scarpa destra prima del voto e la sinistra dopo. Ma è nell’agostodell’anno2000-e non del 1890 - che ho visto bancarelle organizzate dal Partito repubblicano in occasione della sua convention, distribuire pane gratis ai cittadini di Filadelfia, con i più indigenti che riempivano sporte e bisacce:dopoduemillenni,di nuovo panem (et magari circenses). Però, come nella Dc, nelle Macchine politiche Usa la vera moneta per comprare consenso è stata l’elargizione dei pubblici impieghi. Un pregiudizio tenace propala l’idea che negli Usa l’amministrazione statale sia snella,eidipendentipubblici siano pochi rispetto all’Europa. Idea che, come tuttiiluoghicomuni,sirivela falsa. In proporzione al numero di abitanti, oggi gli Stati Uniti hanno altrettanti dipendenti pubblici della burocratica Italia. Nel 2000, su 281 milioni di abitanti cerano 26,1 milioni di dipendenti pubblici a tempo pieno (di cui 21,1 impiegati daglientilocaliedaglistati,e 5 dal governo federale, compresi i 2,1 milioni di militari),21 contro per esempio i 4,2 milioni di dipendenti pubblici su 57 milioni di italiani. Ovvero, 9 dipendenti pubblici su 100 abitanti. Si scopre qui che il reaganismo, lungi dal ridurre i pubblici dipendenti, negli anni ottanta li aveva accresciuti: da 18,1 milioni nel 1980 a 20,4 milioni nel 1990. Il suo vero effetto è stato di ribaltare le proporzioni tra dipendenti federali e impiegati locali. Mentre nel 1950 più della metà (il 57%) dei dipendenti pubblici era federale, oggi i federali sono meno di un quinto del totale (il 19%, compresi i militari). La rivoluzione reaganiana si rivela una vittoria non tanto privatistica, quanto localistica: sottrae uomini e risorse al governo centrale per affidarli a quello locale. Così il reaganismo - tipico movimento anti-Macchina ha ridato vigore alle Macchine locali che erano rimasteacortodirisorse. Solo a fine Ottocento gli Stati Uniti hanno introdotto concorsi per le assunzioni pubbliche (Civil Service Commission nel 1883, Civil Service Rules nel 1903). E questaregolanonsièdiffusa davvero fino al New Deal di Roosevelt(convarieleggitra il 1936 e il 1940). Si può immaginarechearmapotente fosse in mano ai partiti il clientelismostatale. Altra greppia a cui pascere le clientele erano le pensioni di guerra. Nell’Ottocento la Macchina repubblicana costruiva consensonelleareeruralidel Nordgraziealladistribuzione a pioggia di vitalizi ai veterani. Nel 1870 (all’indomani della guerra civile), i reduci che ricevevano una pensione di guerra erano 200.000, ma da allora in poi, benché le forze armate contassero solo 40.000 militari in servizio, i pensionati aumentarono: nel 1893lostatoerogava760.000 pensioniaveteranie216.000 avedoveeorfani:lepensioni d’invalidità militare erano 15 volteilnumerodeimilitariin servizio!22 Ma la vera riserva inesauribile di pubbliche prebende, la Macchina la trovava nei posti comunali, negli impieghi locali, dai poliziotti ai pompieri, agli spazzini, agli uscieri. Nella nuovaversioneinvece,seuna volta lo strumento di pressione politica della Macchina era “l’esercito clientelare dei dipendenti comunali” adesso è il subappalto ai privati dei servizi pubblici: “La privatizzazione dei servizi pubblici affida la maggior parte dei contratti a imprese pienedigratitudinepossedute da amici di vecchia data su cui [Richard Daley] può sempre contare per un appoggio politico”.23 Arriviamoalsecondopilastro della Macchina, la sua base locale. Si è sempre detto che l’Americaèungrandepaese. Ma forse è un paese troppo grande per pensarlo politicamente. Per me cittadino, c'è un abisso tra i destini dell'America e le fogne del mio rione, tra la politica estera e l'efficienza dei pompieri, tra gli Stati Uniti come nazione democraticaelamiamodesta democrazia personale in cui ioindividuopossoincideresu quella limitata porzione di mondochemicircondaeche mi attiene. Si è sempre detto che l’America è decentrata per il suo sistema politico federale, ma essa lo è in primo luogo per l’esperienza politica personale dei suoi cittadini. C'èunoscollamentotrala decisione di quali strade asfaltare e le grandi opzioni politiche tipo destra-controsinistra. Da questo scarto deriva l’impoliticità delle organizzazioni politiche, il loroessereapparati(conquel tanto di opacità ideologica che questo termine implica), cioè Macchine. Questo per quanto riguarda il lato della domanda politica. Ma il localismo è terreno fertile per la Macchina anche dal lato dell’offerta politica: “La forzadelleMacchineeraresa possibile dall’alto grado di decentramento del sistema federale”.24 Stati, contee e comunieanchequartierisono dotati di tali poteri e risorse da rendere quasi inevitabile chelalottapoliticatrapartiti si concentri sui temi locali, persino di vicinato, e trascuri igrandispartiacquenazionali. Ma la radice locale della Macchina affonda ancora di più nella struttura della società in gruppi primari, in communities,inquelchePark chiamava un gruppo "noi” (che ci identifica rispetto a "voi”). Tra le organizzazioni “nate con il proposito di controllare il voto popolare, la macchina politica è basata su relazioni personali, locali, cioè primarie [...]. La macchina politica è in realtà un tentativo di mantenere, dentro l'organizzazione amministrativa formale della città,ilcontrollodiungruppo primario. Le organizzazioni così costituite, di cui Tammany Hall è la classica illustrazione, appaiono assolutamentefeudalinelloro carattere. Le relazioni tra il boss e il suo coordinatore di zona [ward capta in] sembrano precisamente quelle implicate dalla relazione feudale: di lealtà personale da un lato e di protezione personale dall’altro.Ledoticheunatale organizzazione esalta sono le vecchie virtù tribali di fedeltà, lealtà e devozione agli interessi del capo e del clan. La gente nell'organizzazione, i loro amici e simpatizzanti, costituisconoungruppo‘noi’, mentre il resto della città è solo mondo esterno, non proprio vivo, non davvero umano nel senso in cui lo sono i membri del gruppo ‘noi’".25 L'abbiamo trovato infine il termine feudale. Non è il solo Park a paragonare la macchina a un feudo. Già LordBrycescriveva: Come nei giorni del feudalesimo un contadino doveva al suo padrone occasionali versamenti in denaro oltre al servizio militare cheglirendeva,cosìora il vassallo americano deve dare, oltre a contributi in denaro, anche servizio cavalleresco nelle primarie, nelle campagne, nelle elezioni. Ma i suoi impegni sono più gravosi di quelli del vassallo feudale perché quest’ultimo poteva liberarsi dal suo obbligo sul campo con una somma in denaro, mentre sotto la Macchina un pagamento indenaronondispenserà mai dall’obbligo di servire nell’esercito dei workers.26 Ma come può la Macchina essere un “dispositivo tecnico” inventato per rispondere a una situazione del tutto moderna,quellademocraticaelettorale e, insieme, un residuofeudale?Comepuòla Macchina essere un trust capitalistico (Sombart) e una strutturafamiliare?Daunlato “la Macchina ideale è un’organizzazione efficiente. È un’organizzazione aziendale [business organìzation],condottaperil profitto dei suoi membri, che devevincereelezioniditanto in tanto, In cambio di incentivi materiali spartibili, dàabbastanzavotidaottenere il controllo della pubblica autorità. In compenso, l'uso astuto della pubblica autorità fornisce più incentivi per rafforzarelaMacchina”.27 Dall'altro lato, “la Macchinasaldaisuoilegami con gli uomini e le donne ordinarie attraverso elaborate reti di relazioni personali. La politica è trasformata in legami personali. Il commissariodiquartieresarà sempre un amico in caso di bisogno. Nella nostra società sempre più impersonale, la macchina, attraverso i suoi agenti locali, adempie l’importante funzione di umanizzare e personalizzare l’assistenza a chi ha bisogno”.28 Ecco che ci viene proposto un ossimoro: come può un dispositivo dell’anonima democrazia di massa essere una famiglia personalizzata?Lasoluzione checivieneadditataèquella diunapersistenzadell’antico. Il passato coesisterebbe nel presente. Così un 'innovazione, uno strumento inventato dal moderno, la Macchina, è presentata come unresiduofeudale. Il quadro che ci viene delineato presuppone che vi sia una contraddizione tra sangue e modernità, tra logica del denaro e logica della stirpe, tra rapporti di clientela personale (relazioni primarie, premoderne) e relazioni di pubblicità (secondarie, impersonali,moderne).Come se il Giappone, portato a modello di ipermodernità tecnologica e potenza capitalistica, non funzionasse grazie a un sistema clientelare,aunaMacchina,a un’ideologia zen. Come se, agli inizi del terzo millennio, l’ultracapitalismo dei Chicago Boys non si miscelasse perfettamente con l'ossessivo richiamo ai valori familiari per preparare il cocktailreaganiano.Comese il denaro non si trasmettesse per via di sangue (per eredità). Èquestounpuntonodale, una decisiva questione prospettica. La modernità crea un sistema elettorale; il sistema elettorale esige una macchina politica; la Macchina, per assolvere il suo compito, deve plasmarsi come una grande famiglia, come un clan, come un gruppo “noi”. Però tutto questo procedimento viene vistononcomeprodottodella modernità, ma come ripescaggio del premoderno, un riaffiorare del feudalesimo. Qui non è questione di verità o falsità, se la Macchina ha o non ha caratterifeudali,masequesti caratteri feudali sono visti come residuo del passato oppure come caratteristiche funzionali del moderno. È una differenza dirimente. Per capirci: la sociologia tedesca del primo Novecento sottolineò come le grandi corporations fossero sotto moltissimi aspetti identiche agli ordini religiosi: d’altronde, nella desolazione di Detroit, il profilo dei quartieri generali della General Motors richiama irresistibilmente le abbazie medievali. Eppure a nessuno verrebbeinmentedidireche unacorporationè un residuo del passato, è un’eredità del feudalesimo. Siamo qui nell'imprescìndibile, preliminare scontro di ogni lottapolitica:edèlalottaper le definizioni della politica. Costituisce un’arma assegnare al passato questa invece di quella caratteristica del presente. Quando nel Settecento un Voltaire riesce a definire l'avversario come residuo dei secoli bui ("oscurantista”) e se stesso come fautore della luce (“illuminista"), e questa definizioneèaccettata,hagià vintolapartita. *** Dire che la Macchina ha componenti feudali significa affermareche-propriocome la corruzione - la Macchina rispecchia una modernità incompiuta, è un grumo opaco di struttura “tribale”, retaggio precapitalistico e preurbano. Ciò implica a sua volta che, per battersi contro la corruzione e contro il feudalesimo della Macchina, bisogna portare a compimento la trasparenza del mercato. Quest’uso politicodelrinvioalpassatoè evidentissimo nel terzo pilastro su cui si fonda la forza della Macchina, la sua baseetnica.Ancoraunavolta sono loro i protagonisti della storiaamericana,queimilioni dì derelitti, sporchi, affamati che, bianchi, sbarcavano dall’Europa o, neri, migravanodalSuddelpaese. A queste orde di cafoni non solo trusts e corporations devono la propria incredibile potenza finanziaria, ma i grandipartiti,gliimprenditori elettorali devono il loro strapotere politico. Questi milioni di poveri e di analfabeti non erano solo nuovebraccia,nuovicrumiri, nuovaforzalavoromarginale, ma erano anche nuovi elettori: “Per gli imprenditori politici erano una miniera d’oro, erano un esercito di potenziali votanti in una dimensione mai vista prima”.29 La Macchina li accoglieva, li proteggeva, li minacciava, li guidava per manoneiseggi. Usati come mandrie elettorali, questi "barbari immigrati” erano accusati dell’"imbarbarimento” della politica. Il disprezzo per eli immigrati stingeva nel discredito per la Macchina definitadaBaileyAldrich"un dispotismo dello straniero [alien], da parte dello straniero, per lo straniero, temperato da occasionali insurrezioni della gente perbene”.30I movimenti contro la corruzione della Macchina erano così movimenti anti-immigrati. Vediamo delinearsi quel pasticcio politico così caratteristico del mondo moderno, di movimenti che propugnano insieme sciovinismo, chiusura delle frontiere e moralizzazione. Eccocheilcerchiosichiude: nella metafora medica, la Macchina è un residuo feudale perché è contaminata dalleordetribalidiimmigrati cheportanonegliUsailvirus del loro passato precapitalista. È una tesi circolare, quindi infalsificabile (e indimostrabile):lacorruzione è caratteristica dei regimi feudali, la Macchina è corrotta perché caratterizzata dagli immigrati europei che vengonodasocietàfeudali.A maggior ragione, questo ragionamento fu esteso ai politici neri visto che i neri venivano da un regime schiavistapiùchefeudale. Maquestaèsololaprima metàdellastoria.L’altrametà èche,percarpireilvotoela fedeltà elettorale degli immigrati, la politica americanasièristrutturatasu baseetnica(razziale)e-così facendo-haresopermanente estabileladivisioneetnica(e razziale).Nonacasoleprime Macchine sembrarono appannaggio degli irlandesi che avevano costituito la prima ondata migratoria, tanto che un professore di Harvard scrisse un articolo intitolato La cattività irlandese delle città americane.3I A Chicago la poltronadicapodellapolizia spettò agli irlandesi per un secolo fino al 1960. Ma naturalmente, dalla fine dell’Ottocento, il posto di vicecapo della polizia fu appannaggio dei tedeschi. Ritroviamo qui un metodo proprio del principio castale: come in India si ha la lottizzazione per casta di alcuni posti governativi, qui si ha una rigida lottizzazione etnica. Se il sindaco di Chicagoèstatoquasisempre irlandese, da quarant’anni, fino all’arresto di Walter Kozubowskierastatopolacco ilsegretariocomunale.Come in Italia il manuale Cencelli distribuiva i portafogli alle varie correnti democristiane, così un non scritto manuale prescriveledosidiognietnia nei vari governi, dalla circoscrizione comunale fino alla Casa Bianca dove è inammissibile che vi sia uno staff senza un ispanico, senza un nero, senza un italoamericano... Perché nelle grandi città la Macchina non puòbasarsisuunasolaetnia, ma deve reggersi su una coalizione etnica. Il repubblicano “Big" Bill Hale Thompsonfueletto(1915)e rieletto (1919) sindaco di Chicago grazie a una coalizione di neri e tedeschi. A New York Fiorello La Guardia racchiudeva la coalizione etnica nella sua personapersuopadreitaliano e sua madre ebrea. Nel 1930 il ceco Anton Cermak, speculatore e palazzinaro, antiproibizionista,riplasmòla macchina democratica di Chicago aggregando polacchi, cechi, slovacchi, tedeschi del Sud e neri per bilanciaregliirlandesi.Poigli irlandesi ripresero le redini, malacoalizionerestò. Avviene così che agli inizidelxxisecololapolitica funzioni in base a criteri etnici. Nel 1987 al sindaco nero di Chicago, Harold Washington, che si presentava per un secondo mandato,siopposegranparte della macchina democratica, costituita dai white ethnies, guidata dall’alderman Edward Vrdoliak. Basta guardare i nomi degli aldermencheparteciparonoa questa rivolta contro il sindaco nero per misurare le dosi nella ricetta etnica della Macchina. Ecco sfilare nomi slavi come Aloysiouks Majerczyk, John Madrzyk, William Rrystyniak, Roman Puchinsky, vocali italiane tipo Vito Marzullo, Anthony Laurino, Michael Nardulli, Frank Damato, sonorità irlandesi come Michael Shenan, Patrick O’Connor, Gerald McLaughlin, Frank Brady,reminiscenzetedesche (Bernard Hansen e Jerome Orbach).32 Quando pochi mesi dopo, il 25 novembre 1987, il sindaco Washington (rieletto) morì, per nominare il rimpiazzante diventarono appetiti i quattro aldermen ispanici Jesus Garcia, Juan Sóliz, Luis Gutiérrez, Raymond Figueroa, non in quanto singoli voti, ma in quanto “blocco ispanico”,33 in quanto corrente. E nel 2000ilfattoreetnicocontinua a essere determinante nella politica cittadina, secondo DavidMoberg. Ci sembra così arcaica, così tribale questa composizione!Maèunerrore prospettico. Stiamo parlando del più giovane sistema politico della storia (a parte i regimicomunisti).Innessuno dei vecchi sistemi europei si dà una simile ripartizione. A Parigi il consiglio comunale non è composto dal consigliere alverniate del primo arrondissement, borgognone del ΧIIΙ, pied noirdel xix. A Roma i posti in consiglio non sono spartiti in funzione dell'origine calabrese, sarda o abruzzese. Non è possibile: 1) perché non ci sono quartieri sardi o quartieri abruzzesi (o borgognoni); 2) perché la politica non seleziona i consiglieri secondo questi criteri. Ma la ragione 2 rafforza la ragione 1. È la lottizzazione etnica a mantenereeanziarafforzare le identità (e le antipatie) etniche nei decenni. Ogni postocomunaleriservatoaun irlandese sarà tolto a un polacco, ogni favore a un italiano sarà a scapito di un ispanico... La politica non fa rivivere le vecchie rivalità etniche, ne crea di nuove: “Un irlandese che arrivava quiodiandosologliinglesie gli irlandesi protestanti ben presto odiava polacchi, italianieneri.Unpolaccoche all’arrivo odiava solo ebrei e russiimparavasubitoaodiare gli irlandesi, gli italiani e i neri”.34 Siamo di fronte a un nuovo aspetto dell’identificazionetraspazio fisico,spaziosocialeespazio politico. Qui lo strumento omogeneizzante è il voto maggioritario dei consiglieri (aldermen),circoscrizioneper circoscrizione. Il criterio maggioritario è implicito nel metodo elettorale (il 51% governa), ma esso diventa totalitarioquandoilsistemaè uninominale e l’elezione serve non solo a determinare le grandi opzioni politiche, ma anche a scegliere i responsabili degli acquedotti. L’ideaastrattaèchesielegge un commissario delle fogne perché sarà un buon commissario con un buon programma d’igiene. Il risultato pratico è che, per essere eletto, un buon commissario deve farsi specchio della maggioranza, promettere agli elettori quel che la maggioranza vuol sentirsidire,peresempioche - anche se le fogne cadono a pezzi - non è necessario ricostruirle e quindi non c’è bisogno di nuove tasse. Il criterio diventa: "Io ti dico quelcheiopensochetupensi che io debba pensare”. Tocqueville la chiamava la tirannia della maggioranza (che comunque è sempre meno peggio di una tirannia dellaminoranza). Una tenace tradizione di pensiero,chegiungefinoalla Trilateral Commission dei nostrigiorni,considerachela democrazia è debole e inefficiente: 2400 anni fa, secondoTucidide,giàPericle polemizzava con quest’idea di Sparta efficiente perché autoritariaediAteneimbelle perchédemocratica-,quando diceva che "per noi ateniesi non sono le discussioni che danneggiano l’agire”.35 Una tradizione falsa, dice Tocqueville: “Quel che rimprovero al governo democratico[...]nonè,come molti pretendono in Europa, la sua debolezza, ma al contrario la sua forza irresistibile. E quel che mi ripugnadipiùinAmericanon è l’estrema libertà che vi regna, è la mancanza di garanzia contro la tirannia”. Questa tirannia è tanto più dispotica, quanto più vasti sono i campi che dipendono dall'elezione: Quando negli Stati Uniti un uomo o un partito soffrono un'ingiustizia, a chi volete che si rivolgano? all’opinione pubblica? ma è lei che forma la maggioranza; al corpo legislativo? esso rappresenta la maggioranza e le obbedisceciecamente;al potere esecutivo? è nominato dalla maggioranza e le serve da strumento passivo; alla forza pubblica? la forza pubblica non è altrochelamaggioranza in armi; alla giuria? la giuria è la maggioranza rivestita del diritto di pronunciare sentenze: i giudici stessi, in certi stati, sono eletti dalla maggioranza.Perquanto iniqua o irragionevole sia la misura che vi colpisce, vi tocca dunquesottomettervi.36 La tirannia della maggioranza vige anche in fabbricadovetipuoiiscrivere aunsolosindacato;madove si fa schiacciante è nel caso della composizione etnica. In unquartiereal40%polaccoe al 60% irlandese, i rappresentanti eletti con l’uninominale saranno sempre irlandesi e procureranno posti agli irlandesi,cosìcheilpoliziotto di quartiere sarà irlandese... Ai polacchi conviene dunque raggrupparsi in un quartiere in cui saranno maggioritari e potranno eleggere un aldermanpolaccochefaràgli interessi dei polacchi. (Naturalmente, quando per l’arrivodinuovioccupantila composizione etnica di un quartierecambia,peruncerto periodo i vecchi residenti continuano a detenere il poterepolitico:cosìfupergli irlandesi quando arrivarono gli italiani, così oggi per gli italiani in quartieri ormai a maggioranza ispanici e neri: ma queste sono solo fasi di assestamento.) Oltre la politica degli alloggi, dopo i criteri dei mutui ipotecari, anche il metodo elettorale contribuisce a edificare la community come un preciso gruppo omogeneo (per religione, censo ed etnia) in un preciso quartiere, a separarlo dalle altre communities, a costruire un’identitàsegregandoladalle altre. Così le identità etniche nonsisciolgononelcrogiolo, ma permangono e forse si rafforzano. La comune origine etnica è più forte dell'opposta appartenenza di partito, come ha dimostrato nel 1994 il sindaco di New York, il repubblicano conservatore Rudolph Giuliani,chehaappoggiatoil governatore dello stato di New York, il democratico progressista Mario Cuomo, nella sua campagna (persa) contro il candidato repubblicano, Pataki, dal cognomegreco:lasolidarietà italoamericana ha sopraffatto ladivergenzapolitica. *** Insediamento territoriale, composizioneetnica,rapporto con la community. Abbiamo già incontrato un’organizzazioneconqueste caratteristiche,ederalagang. Eselagangsistrutturacome un'impresacapitalistaecome un soggetto politico, non stupisce se i soggetti politici si strutturano un po’ come gang. Negli aspetti esteriori: nei due casi, il capo è chiamato “Boss”. Nella reputazione: gli immigrati avrebbero portato nella politica il virus della corruzione proprio come avrebbero contagiato la società con la criminalità; come i vari gruppi etnici si sonopassatiiltestimonedella malavita organizzata, dalle gang irlandesi, alla mafia italiana,allegangcinesi,così nelle organizzazioni politiche localiilpredominioèpassato daungruppoetnico/razzialea unaltro,daiwhiteethnicsagli ispanici e ai neri. Nei valori: Parkparladi“fedeltàelealtà” come virtù esaltate dalla Macchina politica; per Sânchez Jankowski, i leader dellegangsonosceltiper“la lorolealtàsimbolicaversogli amici, per la lealtà verso la community”.37 Vi è però un filo più sottilecheconnetteMacchine politiche e gang. Ed è il tentativo, in una società capitalista, di affermarsi senza disporre di capitali, o disponendo di risorse non valutarie: quel che, nel caso dello slum, avevamo chiamato "capitalismo senza denaro’'. Se è vero che la Macchina è un “imprenditore di partito”, essa è un imprenditore che cerca di convertire in potere e denaro risorse extra-economiche come il consenso, i voti, propriocomelagangcercadi capitalizzare il suo dominio dellastrada.Lacompetizione politicaavvieneinunmondo unpo'menohobbesianodello slum, ma anche la Macchina compete per appropriarsi di risorserare:iposticomunali, le cariche governative, gli ufficielettivi.Aunlivelloun po’ più elevato, anche la Macchina è lumpencapitalista. Da qui il disprezzocheicapitalistiveri provano per questi capitalisti malriusciti: non si conosce nessun politico che con la corruzione abbia mai accumulato una grande fortuna(diquellechetifanno entrare nella graduatoria dei piùricchid’America),mentre si conoscono molti imprenditori che hanno accumulato una grande fortuna corrompendo i politici. Scorgiamo qui un’idea che sembra avere un radioso futuro davanti a sé, l'idea che il mondo sarebbe più onesto, il potere sarebbe più trasparente se fosse interamente controllato dalle forze dell’economia (dalla logica del mercato) e se al controllo politico fosse lasciatoilsettorepiùristretto possibile. Non che nella Macchina siano tutti puri e casti. È leggendaria la corruzione di Jim Curley di Boston, la venalità razziale di Edward Crump, la criminalità di Frank Hague (detto "Io sono la Legge”) a Jersey City, i rapporti con la mafia della Macchina di Chicago. È che, se per corruzione s’intende "un abuso del proprio ruolo pubblicoascopodibenefìcio privatoinmodoillegale”,38la Macchina agisce spesso in modo perfettamente legale. Anche qui, il problema è definire la corruzione. L’attività di lobbying (di pressione sui partiti e sui parlamentari,ancheattraverso il finanziamento delle loro campagne, perché approvino leggi e clausole favorevoli ai grandigruppi)differiscedalla corruzione pura e semplice solo perché è lecita e (teoricamente) regolata dalle leggi.Questastessaattivitàdi lobbying,esercitatanondaun gruppofarmaceuticomadagli abitanti di un quartiere, diventa “voto di scambio”, corruzione politica. Ecco una decisiva asimmetria tra politica e denaro: i politici che usano il denaro dei capitalisti per ottenere potere sono ritenuti più loschi dei capitalisticheusanoilpotere dei politici per guadagnare denaro. La bandiera delle mani puliteinpolitica,abbiamogià visto,fuspessobranditadagli xenofobi antimmigrati. Ma ancora più spesso è stata usata per restringere il dominio della politica (nel senso in cui si parla di “dominio di una funzione matematica", l’ambito in cui essaèdefinita).Innomedella lotta ai corrotti, si cerca di ridurre la sfera pubblica a vantaggio delia sfera privata. In nome della lotta alla corruzionesonostatevintele più antidemocratiche controrivoluzioni della storia statunitense. È vero che la società americana nutre una fede totale nella bontà del metodo elettivo, è vero che essa pratica una sorta di accanimento elettorale, ma è anche vero che sono pochissimi gli americani che votano. L’affluenza alle urne èstatadel50%nelleelezioni presidenziali del 2000, del 39% nelle legislative del 2002: ad assicurare la maggioranza bastava nel primo caso il 25% e nel secondoil19,5%degliaventi diritto. Ovvero a determinare il futuro del paese era l’opinione rispettivamente di un quarto e di un quinto dei suoi abitanti. Incappiamo qui in una nuova contraddizione: l’accanimento elettorale si accompagna alla disaffezione elettorale, gli americani votano moltissime volte, ma pochissimiamericanivannoa votare. Se misura della democrazia è il numero di pubblici uffici designati elettivamente allora, si era detto, gli Stati Uniti sono il più democratico paese della terra e della storia. Ma se misura della democrazia è quanto i suoi cittadini partecipanoalvoto,alloragli Stati Uniti sono il meno democratico dei regimi elettorali. Non sempre è stato così. Primadellagrandecampagna moralizzatrice di fine Ottocento, il numero dei votanti era altissimo e, dal 1840 al 1896, si aggirò intorno al 78%, senza mai scendere sotto il 69%. A questa partecipazione contribuivano le Macchine che mobilitavano le grandi masse di immigrati bianchi e di neri ormai liberi cittadini. Proverbiale è il caso di Filadelfia, dove nel 1902 la Macchina riuscì a mandare a votareil105%(!)degliaventi diritto e a far eleggere il suo candidato con l’85,4% di questi votanti. Contro tali frodi, contro la corruzione, per abbattere il potere delle Macchinefuristrettoildiritto divoto:pervotarebisognava registrarsi, per registrarsi si doveva dimostrare di non essere analfabeti e per di più andava pagata una tassa che non tutti potevano permettersi. In Texas nei vent'annitrail1884eil1904 il tasso di affluenza alle urne crollòdall’80al30%.Intutti gli Stati Uniti i votanti alle presidenzialisceserodal79% del1896al49%del1920.Da allora non sono mai più tornati sopra il 70%, anzi l’afflusso era del 45% nel 1988 e del 50% nel 2000.39 La crociata contro la corruzionesiètradottaquiin una limitazione della pratica (senondeldiritto)divoto.Vi è quindi una visione della corruzione, un’immagine della Macchina per così dire "di destra” che ogni tanto torna d’attualità per essere usata.Piùcheunastoriadella corruzione, si dovrebbe tracciare una storia dell’immagine della corruzione. *** La corruzione può infatti essere vista non come un morbo,macomeunbenefico rimedio. Non sempre ciò che è illegale è pernicioso. Senza ricorrere a Robin Hood, vi sono spesso iniquità terribili sebbene legali. Quindi, come dice Amartya Sen, "un’attivitàillegaleecorrotta puòancheesserevantaggiosa per la comunità nel suo insieme”.40 La corruzione diventa una forma di redistribuzione del reddito praticata con metodi paralegali o illegali; ed essa finisce per "beneficiare ampi settori della società".41 Così, senza la Macchina, sostengono i suoi fautori, i gruppi etnici non avrebbero mai potuto emanciparsi. È grazieagliimpieghicomunali che milioni di irlandesi, italianiepolacchisonopotuti uscire dagli slum, dalla disoccupazione, dalla criminalità. Non solo: senza la Macchina, e senza il consenso forte che la circonda, e quindi senza la suacapacitàdifaraccettareai cittadini tasse comunali più pesanti,noncisarebberomai state le opere pubbliche né i servizi pubblici nelle città. Peresempio,itrasportiurbani sarebbero ancora privati, come erano una volta. È una variante della Macchina, con il suo blocco di alleanze etniche, che dalla fine degli anni sessanta ha consentito l’elezione dei sindaci neri, e, attraverso gli impieghi comunali, ha permesso a una minoranza di neri di conquistarsiapocoapocoun posto al sole e nella middle class: dal 1970 al 1999 i dipendentipubblicilocalineri sono raddoppiati, da 500.000 a più di un milione, e quelli ispanici sono quasi quadruplicati (da 123.000 a 417.000).42 Prevale il mito “della macchina come benefattrice, di una specie di famiglia allargata che per i poveri provvede i servizi e per gli imprenditori snellisce la burocrazia. Il Boss e i suoi sono visti non come cinici opportunisti ma come amici nelbisogno[...]chechiedono in cambio solo un appoggio leale".43 Questa visione - per così dire populista - fu rafforzatadallemodificheche il New Deal apportò alla Macchina. Negli anni trenta, quasi una famiglia americana su due (tra il 40 e il 45%) ricevette aiuti federali e, di questi beneficiari, l'85% era per Roosevelt. Nello stabilire legamitravotantidellaclasse operaia e Partito democratico “alcuni fra i i tramiti più importanti furono le vecchie macchine politiche che furono nutrite dai fondi dei programmi federali. [...] Lungidalrendereobsoletala Macchina, Roosevelt la rinvigorì per almeno un decennio. L’esempio più famosofuilrapportodelNew Deal con la Macchina di Chicago - stabilito in cambio del sostegno del sindaco Anton Cermak alla Convenzionedel1932-incui i fondi federali permisero di centralizzareiriottosibossdi quartierediChicago”.44 Quest’appoggio Cermak lo pagò con la vita: il 15 febbraio 1933 era in visita a MiamiinsiemeaRoosevelte fu colpito dai colpi sparati contro il presidente da tal Giuseppe Zangara. Cermak disse a Roosevelt: “Sono fiero che sia toccata a me invececheavoi"emorìventi giorni dopo; Zangara, nel momento in cui veniva giustiziato, proferì: “Sporchi capitalisti”. Il secondo innesto che il New Deal apportò alla Macchina fu il sindacato: il Partito democratico strinse stretti rapporti organizzativi con la nuova confederazione Ciò (Congress of Industrial Organizations).Inmoltecittà, leUnionsfunzionaronocome Macchine locali e i sindacalisti diventarono membri della Macchina. Anche sul sindacato si esercita la stessa criminalizzazione che abbiamovistoesercitarsisulla Macchina: una stessa tonalità losca sembra colorare ambedue. Nel 1968 così si esprimeva Norman Mailer: “Qui a Chicago i finanziatori di Humphrey [candidato per lepresidenzialidiquell’anno] avevano provveduto agli svaghidellaConvenzionecon un cabaret o night all’Hilton, l’Hubaret, dove occorreva una guida per distinguere i dirigentisindacalidaimafiosi [...] c'erano anche tutti i neri corruttibili e una rappresentanza dei maneggioni più loschi e più astutichemaiavesseroavuto contatti con gente come il sindaco Daley e i Blackstone Rangers [...] in tal modo Hubie Humphrey arrivò a Chicago sorretto dai nove decimi del Partito democratico organizzato, dai neri, dai sindacalisti, dalla mafia...”.45 In questo brano c’è tutto, dal termine “losco" allacatenamafia/sindacati/ nericorrotti/sindacoDaley/ gang dei Blackstones. Il cerchio si chiude: in origine gang designava una squadra dilavoratori;oraun’unionedi lavoratori è trattata da gang. Lerivendicazionidegliumili, le loro organizzazioni sono sempre ritenute losche: e la profezia si autoavvera, nel senso che alcuni sindacati Usahannoavutorapporticon la mafia, come i celebri teamsters (camionisti) di Jim Hoffa. La natura etnica di Chicago, la sua potenza industriale (e quindi il peso elettorale dei lavoratori), la preminenza della sua mafia spiegano in parte lo straordinario persistere della Macchina (nella sua forma classica) a Chicago, Non che altrove i principi e i meccanismi politici siano cambiati - infatti negli anni settantaeottantainerihanno conquistato tante poltrone di sindaco grazie agli stessi strumenti per cui sindaci venivano eletti cinquant'anni prima italiani e un secolo primairlandesi.Maaltrovela Macchina ha assunto nuove forme o non è più chiamata così.AChicagoessapersiste. Secondo Royko, così funzionava il sistema a Chicago negli anni settanta sottoilsindacoDaley(padre), (ma da allora non molto è mutato): Il capo del sindacato degli uscieri era nei consigli direttivi della polizia, dei parchi cittadini, nella commissione per gli edifici pubblici. Il capo del sindacato degli idraulicieranelcomitato sanitario e guidava la paratadiSanPatrizio.Il capo del sindacato degli elettricisti era vicepresidente del consiglio dell’istruzione. Il sindacato dei sarti aveva un uomo nel consiglio della biblioteca. Il boss del sindacato dei dipendenti municipali sedeva nel consiglio della Chicago Housing Authority che gestisce i progetti di edilizia pubblica della città. Il capo della Chicago Federation of Labor e qualcuno del sindacato camionisti partecipavano alla gestione dei programmi controlapovertà.46 Da questo quadro si potrebbepensareche,seppure in modo perverso, la Macchinarappresentileclassi lavoratrici. Però, se i voti sono la moneta con cui la Macchina compra il potere governativo, il denaro è la risorsa con cui si possono comprare voti. C’è quindi sempre stata una stretta alleanza tra Macchina e mondo degli affari. A Chicago, il quotidiano repubblicano - “The Chicago Tribune” ha appoggiato la candidatura democratica alla poltrona di sindaco di RichardM.Daleyilgiovane, proprio come il padronato repubblicano di Chicago avevasostenutopervent'anni suo padre Richard J. Daley. In parte, la finanza si adegua e va a brucare nella mano di chi detiene il potere di decidere sui lavori pubblici, sui contratti comunali, sulle licenze edilizie. In parte, la finanzasfruttalacorruttibilità dellaMacchinaperimboccare scorciatoie nell'iter burocratico. In parte però, il suo è un vero, anche se sotterraneo,appoggioalruolo sociale che la Macchina svolge: “La Macchina spesso realizza un delicato bilanciamento politico sopra un baratro di divergenze di classe, ottenendo voti dai tanti poveri e denaro dai pochi ricchi. Queste classi spesso si scontrano su punti di politica, di cultura, di interesse economico, ma i boss possono volgere questi gruppi contrastanti in forze complementari che appoggiano la Macchina. In questoprocesso,leMacchine aiutano a disinnescare conflitti di classe potenzialmente gravi”.47 Nel costante contrattare con la Macchina,ilpadronatosache conlesuebustarellepaganon solo appalti più rapidi, e a prezzigonfiati,maancheuna tregua sociale. La Macchina fornisce “un metodo per incorporare le classi lavoratrici nella politica, tenendo fuori le loro rivendicazioni dall’ordine del giornopolitico’’.48 Ilruolostabilizzantedella Macchina sta proprio nella sua corruzione di fondo. La Macchinaècorrottanontanto perché i boss intascano bustarelle, quanto perché compra la fedeltà politica di interi gruppi accontentando solo alcuni loro membri. La veracorruzionestainquesto: nel tradurre rivendicazioni collettive in concessioni personali,unpostodiusciere aquesto,unsussidioaquello. La politica elettorale diventa "una politica dell'individuo, strutturata su clientelismo e incentivi selettivi”.49 La Macchina consentirà una vita più agiata a qualche sindacalista,manonamplierà i diritti dei lavoratori; aiuterà qualche etnico a trovare lavoro ma non solleverà lo stato dei gruppi etnici e razziali. La Macchina creerà un ceto impiegatizio nero clientelare, ma i ghetti neri sarannosemprepiùdesolati.I politici neri hanno un ruolo rilevante nella Macchina di Chicago che però non è mai riuscitaascalfireneanchecon un’unghia l’inferno dello slum. "Se per ‘poveri’ intendiamo i poveri come classe, allora la Macchina nonstapropriodallapartedei poveri. I politici della Macchina non hanno mai inteso sollevare intere classi fuori dalla povertà, perché povertà e dipendenza li aiutavano a mantenersi al potere. La pacificazione politica - specie quando si estende oltre la Macchina ad altri leader della comunità - rende arduo per le comunità povere fare un uso indipendente delle proprie risorsepolitiche.”50 Anche qui, come per le gang, si è operato un ribaltamento prospettico. Quel che appariva un morbo si dimostra una condizione fisiologica della vita politica; quella corruzione che pareva in grado di minare l’organismo sano della democraziaelettoralesirivela un pilastro stabilizzante dell’equilibrio sociale. La Macchina, bersaglio di ogni vituperio e oggetto di unanime disprezzo, assolve invece funzioni vitali, attutisce i conflitti, opera un compromesso. Le campagne contro la corruzione e contro la Macchina divampano perciò quando il prezzo della pace sociale si rivela troppo alto, quando al mondo degli affari questo compromesso costatroppocaro,indenaroo in potere. Quando i politici non stanno più al posto loro, quandolaMacchinainvadeil territorioaltrui,allorapartono le crociate sulle Mani pulite nella politica. Ma, ristabilito il giusto prezzo, tutto torna nellanormalità. Una riprova di questo ciclo la si ha guardando quantetestedipoliticipotenti sono davvero cadute negli Stati Uniti a causa della corruzione. Ben poche. Dalla fine della Seconda guerra mondiale la vittima più illustre è stata Spiro Agnew, vicepresidente (di origine greca) durante la presidenza Nixon, accusato divarie bustarelle e riconosciuto colpevole di evasione fiscale permiseri29.500dollari.Ma Agnew cadde nell’ottobre 1973,nelgeneralecrepuscolo nixoniano sotto l’onda dello scandalo Watergate (scoppiato nel giugno 1972) che però non fu, si noti, una storia di corruzione economica: a Richard Nixon erano addebitati non soldi incassati ma microfoni per intercettareiprogrammidegli avversari.Piùdevastantinella vita pubblica americana si sono sempre rivelati gli scandali sessuali: si disvela qui la vera gerarchia del peccato, in una società in cui il corpo è più maligno del denaro e l’erotismo è più satanico dell’egoismo, in cui, come diceva il pastore Conwell, la ricchezza è considerata strumento di bontà: “Devi diventare ricco. [...] Il denaro è potere e tu devi essere ragionevolmente ambizioso di averlo. Devi, perchéconessopuoifarepiù bene di quanto ne faresti senza”.51 C’è di più: di solito gli scandalisessualisonoscovati e denunciati quando è in pericolo quel compromesso sociale che la Macchina e la corruzione garantiscono. Nulla mostra meglio il conservatorismo della Macchina quanto la sua reazione quando qualcosa sembra minacciare l'ordine esistente. Lo si vide nei bei parchidiChicago,inunafine d’agosto. 1 W. Sombart, Perché negli Stati Uniti non c’è il socialismo?,cit.,pp.35-36. 2Chicagononeleggeil consiglio scolastico, a differenza di quasi tutti gli altri comuni statunitensi, ma elegge tre consiglieri d’amministrazione dell’università (statale) dell'Illinois. 3 "The International Herald Tribune”, 12 maggio 2000. 4I casi del 1996 e del 1999 e uno del 2000 sono riportati dal "Chicago SunTimes", 20 ottobre 2000, in un articolo di rassegna sui legami tra cops e mobs, per gli altri: "Associated Press News Service”, 10 febbraio 1997; "The Chicago Tribune”,22novembre2000. 5 Walter Lippmann, A Theory about Corruption, in "Vanity Fair", novembre 1930, n. 35, 3, (pp. 61-90), riedito in AA.VV., Political Corruption, a Handbook, Transaction, New Brunswick 1989, p. 569 (il corsivo è mio). 6 Michael Johnston, Political Corruption and Public Policy in America, Brooks/Cole,Monterey(Cal.) 1982,nelcapitoloCorruption anddemocracy,p.172. 7 Abraham S. Eisenstadt, Political Corruption in American History (1978), ripreso in AA.VV., Political Corruption,aHandbook,cit., p.547. 8 Citato da Jacob van Klaveren in Corruption: The Special Case oft he United States, in AA.VV., Political Corruption,aHandbook,cit., p.563. 9 Adam Smith, An Inquiry into the Nature and Causes of the Wealth of the Nations(1776),trad.it.Idesi, Milano 1973, libro I, cap. II, p.18. 10 Articolo n. 49 della Costituzione italiana. D’altronde negli Stati Uniti i partitinonhannoun’esistenza costituzionale: non sono mai menzionati dalla Costituzione. Al contrario, nella Costituzione della v repubblicafrancese,l’articolo 4 dice: “I partiti e i gruppi politici concorrono all’espressione del suffragio. Si formano ed esercitano la loro attività liberamente. Devono rispettare i principi della sovranità nazionale e della democrazia”. L'articolo 21 della Costituzione tedesca del 1949 recita: ‘Ί partiti cooperano alla formazione della volontà politica del popolo". 11W.Sombart,op.cit., p.48. 12 Frances Fox Piven, Richard A. Cloward, Why Americans Don’t Vote, Pantheon Books, New York 1988, p. 36 (i corsivi sono miei). 13 R.E. Park, E.W. Burgess,R.D.McKenzie,The City,cit.,p.35. 14M.Johnston,op.cit., p.37etuttoilcapitolosuThe PoliticalMachine. 15M.Royko,Boss,cit., p.88. 16Dal1954al1996,cfr, David Moberg, Chicago, to Be or Not to Be a Global City, in "World Policy Journal”, vol. xiv, n. 1, primavera 1997, (pp. 71-86). p.75. 17 Joel Rast, Remaking Chicago. The Political Origins of Urban Industrial Change, Northern Illinois University Press, DeKalb (111.)1999,p.157. 18Ivi,p.167. 19 F. Fox Piven, R.A. Cloward,op.cit.,p.36n. 20W,Sombart,op.cit., p.41. 21U .S. Bureau of the Census,StatisticalAbstractof the United States 2002, Government Printing Office, Washington D.C. 2002: la cifra dei dipendenti locali e degli stati è ottenuta sommandoivarisettoridella tav. 445 (che dà un totale parecchio superiore ai totali menzionati nelle altre tabelle);quelladeidipendenti federalicivilidallatav.441e quella dei militari sottraendo nella tav. 492 il personale civile dal totale dei dipendentidellaDifesa. 22 U.S. Bureau of the Census, Historical Statistics oftheUnitedStates.Colonial Times to 1970, Government Printing Office, Washington D.C. 1975, vol. II, serie Y 904-916eY998-1009. 23DavidMoberg,How Does Richte Rate?, in “Reader" (Chicago’s Free Weekly), 19 febbraio 1999, vol.xxviii,n.20,p.28. 24 F. Fox Piven, R.A. Cloward,op.cit.,p.38. 25 R.E. Park, E.W. Burgess,R.D.McKenzie,op. cit.,pp.35-36(icorsivisono miei). 26 J. Bryce, The American Commonwealth, cit.,vol.II,p.122. 27M.Johnston,op.cit., p.41. 28 Robert K. Merton, Social Theory and Social Structure, The Free Press of Glencoe,Illinois1957,p.74, citatodaM.Johnston,op.cit. 29M.Johnston,op.cit.,p. 46. 30CitatodaRichardC. Wade, in The Enduring Chicago Machine, in “ChicagoHistory”,primavera 1986,p.5. 31Ìbidem. 32 David K. Fremon, Chicago Politics Ward by Ward, Indiana University Press, BloomingtonIndianapolis1987,p.3. 33Ivi,pp.345esgg. 34 M. Royko, op. cit., p. 31. 35 Tucidide,La guerra del Peloponneso (410 a.C. circa),libroII,40,2. 36 A. de Tocqueville, De la démocratie en Amérique, trad. it. cit., parte II, cap. vii, paragrafo Tirannidedellamaggioranza, p.258. 37M.SânchezJankowski, Islands in the Street, cit., p. 75. 38M.Johnston,op.cit.,p. 8. 39I dati di questo capoverso sono tratti da F. FoxPiven,R.A.Cloward,op. cit., rispettivamente alle pp. 30,109,83edaU.S.Bureau of the Census, Statistical Abstract of the United States 2002,cit.,tavv.11e372. 40 Amartya Sen, Corruzione e crimine organizzato, in “Politica ed economia”,luglio1993,p.8. 41M,Johnston,op.cit., p,174. 42 U.S. Bureau of the Census,StatisticalAbstractof the United States, cit., tav. 501 dell'edizione 1993 e tav. 444dell’edizione2002. 43M.Johnston,op.cit., p.37. 44 F. Fox Piven, R.A. Cloward, op. cit., pp. 131132. 45 Norman Mailer, Miami and the Siege of Chicago.AnInformaiHistory of the American Political Conventions of 1968, Weidenfeld & Nicholson, London 1968, trad. it. Mondadori,Milano1969,pp. 133-134(ilcorsivoèmio). 46M.Royko,op.cit.,p. 74. 47Johnston,op.cit.,p.41. 48 F. Fox Piven, R.A. Cloward,op.cit.,p.74. 49J.Rast,op.cit.,p.29. 50M.Johnston,op.cit.,p. 65, 51R.H.Conwell,Acresof Diamonds,cit.,pp.18,20. 7.PragainIllinois Quel24agosto1968,250 aerei cargo a reazione dell’Air Force erano pronti a decollare verso Chicago da Fort Hood in Texas, da Fort Riley in Kansas, da Fort Sill in Oklahoma, da Fort Carson in Colorado. Loro destinazionieranol’aeroporto O’Hare e la base aeronavale diGlenview.QuesticargoC141 trasportavano 6000 soldati addestrati all’antiguerrigliainassettoda combattimento con tutto il loroequipaggiamento.Giàgli ufficiali coordinavano i preparativi a Fort Sheridan, quellabasemilitarefinanziata nel 1886 dai buoni borghesi Chicagoans dopo la paura di Haymarket,quellastessabase da cui le truppe federali si erano incolonnate nel 1894 perpattugliarelacittàdurante lo sciopero Pullman. Cinque elicotteri da combattimento UH-1Huey,glistessiusatiin Vietnam, erano a disposizionedell’esercito.1 5649soldatidellaguardia nazionale dell’Illinois stazionavano vicino al centro di Chicago pronti a intervenire con autoblindo e mitragliatrici. Gli 11.900 agenti della polizia di Chicago erano stati messi in turni di dodici ore ciascuno. Si aggiungevano parecchie centinaia di agenti di stato e di contea e un imprecisato numero di poliziotti privati e vigilantes. Mai si erano visti tanti agenti segreti dell’Fbi e delle varie agenzie governative concentrati in una sola città a sorvegliare alberghi, pensioni, giornali, luoghipubblici. Tantaforzaimponenteera stata radunata per proteggere la convenzione del Partito democratico che doveva aprirsi l’indomani, il 25 agosto, per scegliere il candidato presidenziale da opporre al repubblicano Richard Nixon nella campagna d’autunno. Di per sé la convenzione non era palpitante.Eranoassentiidue unici candidati con forti possibilità di vittoria. Mancava Lyndon Baines Johnson, presidente uscente, che il 31 marzo aveva rinunciato a ricandidarsi, sotto i colpi che infliggeva alla sua popolarità l’incancrenirsidellaguerrain Vietnam. Non c'era Robert Francis (Bob) Kennedy che aveva vinto cinque delle sei primarie cui aveva partecipato, l'ultima delle quali in California, dove era stato colpito a morte nella nottedel5giugno. Si profilava una nomina del candidato johnsoniano, Hubert Humphrey, classica figura di democratico da Guerrafredda,sorretto,come diceva Norman Mailer, “dai nove decimi del Partito democratico organizzato, dai neri, dai sindacalisti, dalla mafia’’.Acontrastarlocerano un intransigente Eugene G. McCarthy del Minnesota, fautorediunrapidoritirodal Vietnam, e George S. McGovern del Sud Dakota, un’altra - seppur più moderata - colomba. Il solo, improbabile motivo di suspense era Ted Kennedy, l’unico sopravvissuto dei tre fratelli: sarebbe entrato in lizza all'ultimo momento? (No, rimase defilato.) Non c’era partita, tanto che tre giorni più tardi, il 28 agosto, Humphrey avrebbe ricevuto lanominaalprimoturnocon 1761 voti contro i 601 di McCarthy e i 146 di McGovern. Ma allora, a giochi quasi fatti, perché Chicago era in stato d’assedio? Perché il sindaco aveva rafforzato il coprifuoconeiparchicittadini dopo le 23.00? Un anno prima, Richard J. Daley aveva voluto a tutti i costi la convenzione nella sua città, dove i democratici non si riunivano dal 1956. Voleva che i delegati atterrassero a O’Hare, il suo aeroporto, i giornalisti percorressero la John Kennedy, la sua autostradaurbana. Ma da un anno molto era cambiato.Il30gennaio1968 i vietcong e le truppe del Vietnam del Nord avevano lanciatounattaccoallavigilia del Capodanno buddhista (l'"offensiva del tet”): fu allora che gli Stati Uniti persero la fiducia dì poter vincere quella guerra. A febbraio i gruppi pacifisti lanciarono l’idea di una grande manifestazione contro laguerradatenersiaChicago durante la convenzione d’agosto. A fine marzo, si ritirava dalla competizione elettorale il presidente Johnson.Pochigiornidopo,il 4 aprile, una pallottola uccideva Martin Luther King inunalberghettodiMemphis. Subito,intuttelegrandicittà degli Stati Uniti scoppiarono sommossenere,concentinaia di morti, incendi, saccheggi. A Chicago i tumulti divamparono nel West Side. Quella sera il sindaco Daley così riassunse in tv i suoi ordini che davvero non lasciavanoaditoadubbisulla sua posizione (e sulla sua sintassi): “Ho detto al sovrintendente di polizia davvero enfaticamente e davvero definitivamente che doveva immediatamente emanare un ordine, da lui firmato, di sparare per uccidere ogni incendiario e chiunqueavesseunamolotov [...] e di emanare una circolaredipoliziadisparare per mutilare e storpiare chiunque saccheggiasse un negozionellanostracittà”.2 All’inizio i manifestanti speravanodiessere100.000e leautoritàeigiornalipresero sul serio questa cifra, predissero l’invasione di Chicago da parte di hippy, capelloni, sbandati, omosessuali... comunisti. I preparativi polizieschi erano così evidenti che nell'estate molti contestatori cominciaronoaconsigliareai propri seguaci: state lontani. Quel che le autorità davvero temevano non era tanto il movimento pacifista, quanto il congiungersi tra protesta controlaguerrainVietname rivolta dei ghetti neri. Il sindaco Daley ricordava perfettamente le marce guidate nel 1966 da Martin Luther King nei sobborghi bianchi di Chicago: finché la protestasilimitavaaglislum, non creava grandi fastidi, ma quando i neri non restavano piùalpostoloro,alloral’aria cambiava. Per tutta l’estate 1968 Daley andò in giro a inaugurare opere pubbliche per i neri. Il primo agosto decretò che una lunga arteria verso sud fosse ribattezzata Dr King Drive, col nome dell’uomo che non aveva potutosopportaredavivo. Nel frattempo, ogni giorno la tv elencava i morti americani e le missioni dei bombardieridell’AirForcein Vietnam.Quattroanniprima, nel 1964, il contingente in Vietnam era di soli 16.000 soldati. Ora, nell’agosto del 1968,agliordinidelgenerale Westmoreland, c’erano 543.000uomini.Tralaguerra del Vietnam e i preparativi della convenzione, faceva capolino nei giornali Usa la crisi cecoslovacca: l'Unione Sovietica di Leonid Breznev minacciava l’invasione per bloccare la piega che aveva preso la Primavera di Praga con i tentativi di riforma condotti da Alexander Dubcek,finchénellanottetra il 20 e il 21 agosto 1968 le truppe del Patto di Varsavia (reparti di Urss, Polonia e Germania Est) entrarono in Cecoslovacchia. *** In quest’atmosfera si diressero a Chicago solo i pochi pacifisti che osavano sfidare l’imponente apparato militare e di polizia: "Una forza di difesa di almeno 25.000uominieraaChicago. Daley disponeva di un esercito più grande di quello che George Washington aveva avuto ai suoi ordini. Mai in passato in così tanti avevanotemutocosìtantoda così pochi. Al massimo, erano giunti 5000 contestatori”.3 Ecco come li descriveva,perbenista,unpo’ disgustato, il rapporto della commissione Walker incaricata d’indagare sulle violenzepoliziesche: C’erano naturalmente molti hippy,icapelloni,ilove beads, i convinti nemici dell’acqua e sapone, i vessilliferi dell’amore libero in flagrante disdegno delle convenzioni [...]. Nella folla erano compresi Yippies [attivisti dello Youth International Party]venutiper“farele lorocose”,giovinastrial seguito di qualche politico, professionisti con ideali politici, dissidenti, anarchici, rivoluzionari convinti, bande di motociclisti, attivisti negri, giovani delinquenti e agenti di polizia e del Servizio segreto travestiti. C’erano anche dimostranti che sventolavanolabandiera dei vietcong e la bandiera rossa della rivoluzione, e semplici curiosi, venuti soltanto per ficcare il naso, che spesso divennero, volenti o nolenti, partecipanti.4 I pacifisti scelsero come base Lincoln Park. Appena a nord del Magnificent Mile, traprati,leggeriavvallamenti, grandi alberi e minuscole colline, Lincoln Park si stende per poco più di due miglialungolarivadelLago Michigan a circondare uno zoo costellato da laghetti. I residenti dei condomini di lusso della Gold Coast vengonoacorrerviintutaoa lasciar giocare il cane. Nei giorni di festa, dai quartieri più poveri arrivano stuoli di famiglie a bivaccarvi con i loro barbecue: sull’erba vi si costeggiano tribù ispaniche e distintigruppetticontovaglia e bottiglia di vino nel secchiello. Lincoln Park, capita spesso di vederlo occupato da boy scout, da corali, da gruppi che vi suonano, fanno pic nic e, nelle notti destate, vi dormononellabrezzamarina. Per i giovani giunti da lontano, Lincoln Park costituivaperciòlasceltapiù ragionevole per pernottare. Ma il sindaco Daley non la pensava così e mantenne il rigido coprifuoco alle undici di sera. A mezzanotte di domenica 25 agosto, la polizia cominciò a caricare il migliaio scarso di pacifisti cheeranorimastisuipratidel parco;picchiòanchepassanti, donne, persone anziane, giornalisti e fotografi. Cortei, cariche della polizia si susseguironoanchelunedì26, quando di nuovo fu sgomberato con violenza inaudita Lincoln Park, dove uno striscione diceva: “Benvenuti a Praga”. Le cariche si ripeterono martedì 27,mal’acmefuraggiuntola sera di mercoledì 28, quando lapoliziacaricòidimostranti nel centralissimo Grant Park, davanti all’albergo Hilton dove alloggiavano i delegati importanti.Lì,sullaMichigan Avenue, poliziotti e soldati della guardia nazionale si scatenarono. “Chiunque si trovasse sul cammino di qualche poliziotto veniva colpito.Lapoliziacontinuava a picchiare sulla schiena gente che tentava di mettersi in salvo con tutta la velocità possibile. Vidi un uomo gettatoaterra,perlastrada...” Secondo un altro testimone, gli agenti “inseguivano singoli dimostranti per un interoisolatoelipicchiavano. In molti casi [...] gli agenti attaccavano indiscriminatamente qualunque civile che si trovava nei pressi”.5 “Senza ragioneapparente,ipoliziotti dagli elmi blu spiaccicarono gli astanti contro le vetrine dell'Haymarket Inn, un ristorante dell’albergo. Alla fine le vetrine si ruppero spedendo all’indietro donne dimezz’etàurlantiebambini attraverso i vetri rotti.”6 Giornalisti e fotografi furono di nuovo malmenati e inseguiti.Inquelsoloscontro furono arrestate 178 persone. A mezzanotte Michigan Avenue era pattugliata da autoblindo con le mitragliatricipesantispianate. Quelmercoledì,lecariche della polizia non furono molto peggiori delle precedenti, ma per la prima voltavennerofilmatedalletv per 17 minuti di fila. Decine di milioni di spettatori assistettero ai pestaggi, proprio mentre nell’Anfiteatro Humphrey otteneva la nomination sulla stessa linea di Johnson: proseguire i bombardamenti in Vietnam poiché “un ritiro sarebbetotalmenteirrealistico ecatastrofico”. L’indomani un corteo a cuipartecipavanoanchemolti delegati fu di nuovo caricato e furono arrestati 150 manifestanti (inclusi 9 delegati). Nella notte, gli uffici di McCarthy furono perquisiti dalla polizia. Humphrey difese l’operato del sindaco Daley. In totale, durante la convenzione furono compiuti 668 arresti, lamaggiorpartediresidentia Chicago, a dimostrare che la temuta invasione rossa non c’era proprio stata. I feriti furono 192 tra i poliziotti, imprecisatoilloronumerotra i dimostranti. Polizia e giornali parlavano di montagne di armi: per lo più erano pietre, mattoni e bastoni. Circolò la voce che fossero state lanciate contro lapoliziapersinovedovenere (ragnivelenosi)7:sugliagenti furono più spesso lanciati sacchetti di plastica pieni di feci e di urine. Quel giorno l’U.S. Air Force aveva compiuto121bombardamenti sul Vietnam del Nord. Con 308 morti e 1134 feriti, la settimana trascorsa era stata la più letale per il corpo di spedizione Usa, portando il totale in quella guerra a 27.101cadutie169.296feriti americani.8 Non potrebbe esserci sproporzionepiùstridente:fra la guerra in Vietnam, con i suoimorti,elaguerriccioladi Chicago, con i suoi contusi. Sproporzione però a Chicago stessa, tra i commandos aviotrasportati a Fort Sheridan e gli sparuti gruppettidiragazzitrasandati aLincolnPark.Sproporzione tra l’enorme risonanza mondiale che ebbero le manganellate di Grant Park sugliYippiesbianchieinvece il silenzio assuefatto sui ricorrenti morti delle sommosse nere. In fin dei conti, nei cinque giorni di scontrinonc’erastatounsolo caduto. A posteriori, aveva ragione quell’adolescente nerochedicevaauncronista del "New York Times”: “Voglio proprio vedere se queste guardie nazionali li attaccano come hanno attaccato noi. [...] Credo proprio che non spareranno neanche a uno di questi ragazzibianchi”.9 Eppure le immagini della convenzione di Chicago fecero il giro della terra. Si sovrapposero, in fotomontaggio mentale, a quelle,altrettantofamose,che riprendevano gli inermi praghesi a discutere con i carristi sovietici, all’ombra dei cannoni. Tanto che il giornale tedesco "Die Welt" commentò: “I russi possono far valere che, con 300 feriti nelle vie di Chicago, la convenzione democratica è stataforsepiùsanguinosadel lorocoupdiPraga”. La sproporzione si accentuò nel settembre 1969, quando la giustizia processò per "cospirazione” sette tra gli organizzatori della protesta:RennieDavis,David Dellinger, John R. Froines, Tom Hayden, Abbie Hoffman, Jerry Rubin, Lee Weiner, a cui per buona misura aggiunse il leader delle Pantere nere Bobby Seale. Il processo si tenne in un clima incredibile. Il procuratore generale si riferì alle idee degli imputati come alla “rivoluzione dei finocchi”. Il giudice federale Julius Hoffman rifiutò che Seale si difendesse da solo: “La complessità della causa rende la difesa inopportuna” e, per assicurarsi che Seale tacesse, lo fece legare alla sedia e imbavagliare in aula pertuttoillungoprocesso.La dice lunga sul procuratore bianco Tom Foran la sua sicurezza che il nero Seale fosse l’unico imputato “che nonerafinocchio”.10Nonper nulla il nero Bobby Seale fu l’unico condannato a quattro anni di prigione, non per “complotto”, ma per "disprezzo per la corte”, mentre gli altri imputati bianchi furono prosciolti dall'accusa di "cospirazione”, condannati solo per reati minori, e non scontarono la galera. *** Cospirazione, ecco la parola decisiva. Secondo le autorità, il complotto è una chiaveinterpretativacheapre tutteleportenellastoriaUsa: complottavano gli anarchici nel 1886; complottavano Eugene Debs e i sindacalisti delle ferrovie nel 1894; complottavano i Wobblies durante la Prima guerra mondiale. Gli oppositori complottano, come i potenti onoranoigenerali.SePalmer e Pullman avevano riverito Sheridan, ecco Daley ossequiare il generale Westmoreland: “Siamo onorati, la nostra città è onorata di avere un tale straordinario esempio di soldato della nostra bella provincia. Ne siamo fieri, ognuno dovrebbe esserne fiero, e chi non ne è fiero dovrebbeandarsenedalpaese senonglipiace”.11 Dietro ogni minaccia all’ordine costituito si nasconde un complotto, possibilmenteconilconcorso dellostraniero,oraitedeschi, ora i sovietici o i vietnamiti. Quando non sono stranieri, i fomentatori vengono almeno da altri stati degli Usa: il processodiChicagosibasava su una legge dall’ironico nome Civil Rights Act (del 1968) che puniva agitatori esterni (outside agitators) ritenuti responsabili di disordini razziali. Come aveva detto un repubblicano del Mississippi: "Qui ce la vediamo con un Stokely Carmichael o con un Rap Brownchevediamoviaggiare di stato in stato, di città in città, e al loro seguito arriva sempre conflagrazione, spargimento di sangue, uno scippo generalizzato, e perdita di vite e di proprietà”.12 Daley non esitò a usare l’argomento del complotto a caldo, quando, di fronte alle proteste dei mass media, spiegò a Walter Cronkite dellaCbs:"Latvnonavevale informazioni che avevo io. C’erano rapporti sul mio tavolo che certe persone progettavanodiuccidereitre contendentiperlapresidenza; che pianificavano di uccidere molti leader incluso me stesso. Così ho preso le mie precauzioni”. Di questi fantomaticirapportinonsene è mai più parlato, ma allora convinsero l'opinione pubblica. Ma anche i contestatori invocarono la teoria del complotto per spiegare la repressione di Chicago (un po' come i neri negli slum evocano il grande complotto bianco, The Plan). Per Eldridge Cleaver, lo scontro era stato organizzato da un complotto per far eleggere Nixon, screditare i democratici e spingere un pubblicoatterritoancorapiùa destra. Per Cleaver, la tattica della destra consiste sempre nelgonfiarelaminacciadella sinistra per creare timori.13 Per Dick Gregory, era la Cia che tentava di sovvertire il paese ed era coinvolta nell’assassinio di King e dei dueKennedy.14 Il complotto, olaretedicausenascoste,la “storia notturna" sembra l’equivalente mondano, terreno degli oroscopi di Theodor Adorno: come lì la predizione delle stelle rendeva accettabile l’inesorabilitàdelfatosociale, così qui il complotto spiega l’imperscrutabilità delle sorti politiche. Il complotto non è plausibile. Né vale l’idea del rapportoWalker,percuicifu provocazionedeimanifestanti e, in risposta, sovrareazione delle forze dell’ordine che sfociò in una “spontanea sommossa di polizia [police not]”.Magariqualcheagente diedeinumeri,malaragione piùprofondaepiùvisibiledi quei pestaggi sta nel muro d’incomunicabilità fra l’America dei giovani manifestanti e il popolo americano (We, the people) rappresentatodallaMacchina. Daley incarnava le generazioni di immigranti white ethnics, operai, poliziotti, piccoli negozianti che ingoiando rospi, sgobbando, sgomitando, si eranofattilargonellasocietà, inseguivano il sogno americano, edificavano la modernità delle autostrade urbane, degli aeroporti, dei grattacieli. Quell'universo etnico fatto di solidarietà e razzismo,diacciaierieefeste di matrimonio, di identità sanguigne e prosaico senso del denaro, di pragmatismo tenace e radicate superstizioni.Daquilatotale incomprensione per i neri ("rimangono negli slum perché non fanno come noi, perché non si rimboccano le maniche”);daquiildisprezzo peripacifisti.AllaMacchina, a Daley, come a tanti colletti blu,imanifestantirisultavano marziani, con le poesie incomprensibili di Allen Ginsberg, le canzoni di Phil Ochs e Pete Seeger, le antipatriottiche bandiere vietnamite(inunpaeseincui da sempre ogni casetta sperduta inalbera sul praticello l’asta con la bandiera a stelle e strisce). Ma proprio da questo non capire nasceva il timore per unmondochenonrientranei propri orizzonti. Non a caso, questo terrore dell’ignoto ha sempre tentato di razionalizzarsi adducendo il complotto dell'alieno, dello straniero. C’è una parte di verità nella paura, sempre eccessiva, ostentata dalla classedirigenteamericananei confronti degli oppositori: il timore che ti coglie di fronte a un’inezia sì, ma inspiegabile,ilpatemaperun dettaglio che non rientra al suoposto. C’è come un sistematico, volontario eccesso di prudenza nel prendere sul serio ogni minimo germe di rivolta, ogni abbozzo di sovversione. Era sproporzionata tutta la potenza dei capitalisti di Chicago dispiegata nel 1886 controAlberteLucyParsons oiltimorepaventatonel1894 peruna"dittatura”diEugene Debs.Cosìfannosorriderele truppe d’assalto degli Stati Uniti schierate nel 1968 contro qualche hippy. C’è qualcosadirisibile(senonvi affiorasse il retrogusto ferreo delpotere),chericordacome già nel 1801, raccontando a caldo, con la passione degli sconfitti,lafallitarivoluzione napoletana del 1799, Vincenzo Cuoco ironizzasse sui governanti del Regno delleDueSicilie: Alcuni giovinetti entusiasti,ripienilatesta delle nuove teorie, leggevano nei fogli periodicigliavvenimenti della Rivoluzione francese e ne parlavano tradiloroo,ciocchéval molto meno, ne parlavano alle loro innamorate ed ai loro parrucchieri. Essi non avevanoaltrodelittoche questo,négiovanisenza grado, senza fortuna, senzaopinionepotevano tentarne altro. Fu eretto un tribunale di sangue col nome di “Giunta di stato” per giudicarli come se avessero già ucciso il re e rovesciato laCostituzione.15 La repressione eccessiva, il timore spropositato si rivelano una costante dei moderniregimi,comeseessi paventassero la propria caduta, come se fossero coscienti di una propria insospettata fragilità. In questa reazione sproporzionata s’intravede la loro natura profonda, come queigigantinerborutichepoi aprono la bocca e hanno la voceinfalsetto. Non sai mai però se questa reazione pesante è paranoia o saggezza politica. In fondo, Yippies e hippy sono scomparsi o diventati Yuppies, come accadde a Jerry Rubin. I contestatori di allora sono più saggi, o più disperati o morti, mentre la Macchina fa ancora girare i suoi ingranaggi. In quell’agosto a Chicago, nonostante tra i dimostranti fosseropresentilefrangenere più politicizzate, come il Black Power e le Pantere nere, la repressione si consumò nella più totale indifferenza del South Side e divaricò la frattura - che ancora perdura - tra protesta dei bianchi e malcontento nerodeglislum. Non solo. Rispetto alle tante scene di violenza che Chicago ha visto nella sua breve storia, in quelle del 1968 irrompeva la novità dei mass media e della tv. Ma mentre pochi mesi prima, a maggio, le immagini degli scontri parigini nel Quartiere Latino avevano suscitato la solidarietà nazionale con gli studenti (“picchiano i nostri ragazzi”) e innescato uno sciopero generale, qui le riprese tv non scossero la società, anzi. La violenza della polizia di Chicago indignòsìl’opinionepubblica straniera(chedisolitoètanto più incline ad adontarsi quanto più migliaia di chilometri distano le cause del suo nobile sdegno), ma ricevette l’appoggio pieno degli americani, come mostrarono i sondaggi a caldo. Daley rappresentava davvero le idee della maggioranza, silenziosa forse, certo manesca. La stessaviolenzaindiscriminata contro i giornalisti si rivelò alla lunga meno improvvida di quanto parve. Non dimentichiamo che gli anni sessanta sono stati l’unico periododellastoriaamericana in cui stampa e tv ebbero un ruolo realmente critico, per esempio sulla guerra in Vietnam.Saràuncaso,mada allora, da quei giorni in cui i giornalisti furono massacrati di botte, a oggi, il clima è radicalmente cambiato. Basti pensare all’atteggiamento di supina, complice ossequienza, dei mass media americani nelle due guerre contro l’Iraq, nel 1991 e nel 2003. Né mai, una vera voce di dissenso si è levata nei confronti del reaganismo. Dopo le bastonate della polizia di Chicago, stampa e tv sono rientrate nei ranghi, sono di nuovo disciplinate, come nei giorni del 1877 quandoil“NewYorkTimes” diceva di Chicago “La città nellemanideicomunisti”. Perciò dal fotomontaggio mentale che allora colpiva tutti-icarriarmatidiPragae le manganellate di Chicago si può ricavare quanto fallaci siano le percezioni contemporanee. Allora quei tank trasmettevano il messaggio di una potenza mastodontica, inamovibile, pertinace.Mentrel’isteriadei poliziotti americani pareva indicare l’avvicinarsi di una crisi,anchesottoicolpidella sconfitta militare in Asia. Il regime sovietico e il Patto di Varsavia parevano incrollabili. Gli Stati Uniti sembravanoinpredaarivolte e convulsioni. Oggi, sono passati trentacinque anni, il Patto di Varsavia non esiste più, l'Unione Sovietica si è dissolta, la Guerra fredda già sicancellanellamemoria,eil figlio di Richard Daley è al suo quarto mandato di sindaco. 1“TheNewYorkTimes”, 25agosto1968. 2M.Royko,Boss,cit.,pp. 168-169. 3Ivi,p.182. 4 Walker Report, Chicago, ottobre 1968, trad. it. Dissenso politica e violenza.Testodel“Rapporto Walker”, Mondadori, Milano 1969,p.12. 5Ivi,pp.259e258. 6 “The New York Times”,29agosto1968,p.1. 7 Rapporto Walker, “Supplemento”,pp.344-352. 8 "The New York Times”,30agosto1968. 9Ivi,29agosto1968,p. 24. 10 T. Hayden, Trial, cit., pp.36e43 11 M. Royko, op. cit., p. 196. 12CitatodaJ.Anthony Lukas, The Chicago Conspiracy Trial, in "BritannicaBookoftheYear 1970”,Chicago1971,p.441. 13 Nell’introduzione al libro di Jerry Rubin, Do It, Simon and Schuster, New York1969,trad.it.(diLietta Tornabuoni) Fallo!, Milano Libri,Milano1971,pp.9-10. 14T.Hayden,op.cit.,p. 18. 15 Vincenzo Cuoco, Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799 (1801), Laterza, Bari 1980,cap.vi,p.30. Lametacittà(3):i missionaridelmercato assediatiaFortScience "LaGuerrafreddaèfinita e l’ha vinta l'Università di Chicago.” Ecco come, in un editoriale del 1991, il “Washington Post" encomiava il premio Nobel per l'economia, George Stigler, appena scomparso.1 Asolitrediciannididistanza, sembra strano che al suo autore e al suo pubblico una tale sentenza suonasse non ridicola, ma anzi plausibile. Ungruppodidottiprofessori avevaforsesgominatoacolpi di dissertazioni l'arsenale nucleare dell’Unione Sovietica? Ancor più sconcertato è chi ha studiato nelle quiete, immense biblioteche di quest’università, ha passeggiatotraipratietragli edifici neogotici, osservato i ragazzi leggere sdraiati nell'erba primaverile o, nell'inverno di Chicago, fare jogging e alitare vapore denso. Nulla più di questa studiosa, serena atmosfera potrebbe distare dal fragore immondo della guerra. Si fa faticaapensarecheinquesto raccoglimento idilliaco avevano studiato i Chicago Boys, quel gruppo di economisti che salirono alla ribalta internazionale negli anni settanta, quando le dittature sudamericane adottarono la loro politica economica: guardando questi giovani gentili, studiosi non riesci a capacitarti che fra qualcheannopotrannoessere i consiglieri di un generale Pinochetqualunque. Un sospetto si era insinuato all'uscita del Quadrangle, l'accogliente club al centro del campus: uscendo da una colazione in un bel sole novembrino, al docentechemiavevainvitato chiesi dov’era la più vicina stazione della metro e lui mi sconsigliò dal viaggiarvi, persino di giorno, e volle a tutti i costi chiamare un taxi (da allora la stazione della metropolitana vicina al campusèstatasemplicemente chiusa). Un altro dubbio scaturisce dai “telefoni d’urgenza” ( 134 nel campus e dintorni) installati dall’università, collegati al commissariato di polizia che manda subito un’auto a prenderti o scortarti.2 Ma finché rimani nel campus o nelsuoquartiere,HydePark, l’inquietudine di questi segnali è soverchiata dalla soggezione che incute tanta sapienza. 13.000 giovani seguiti da 2200insegnanti(unoognisei allievi)3 studiano in quest’università fondata da John D. Rockefeiler che le donò35milionididollarinel 1892 e poi ancora 10 milioni nel 1910. Qui c’è tutto per studiare. Le sue biblioteche raccolgono 5,4 milioni di volumi e i suoi archivi 7 milioni di pezzi. All’università è associato l’Argonne National Laboratory. Le cliniche mediche sono tra le migliori degli Stati Uniti. La casa editrice dell’universita, The Chicago University Press, pubblica più di 50 riviste e 250-300volumil’anno;ilibri incatalogo(inprint)sonopiù di 4000, più della metà di quelli pubblicati in tutta la sua storia.4 Hanno tenuto corsi all'Università di Chicago 75 luminari insigniti da premi Nobel, e sono attualmente docenti nell’ateneo 123 membri dell’Accademia americana delle arti e delle scienze, 41 membri dell’Accademia nazionaledellescienze.Tutto è dispensato a profusione perché i futuri specialisti possano padroneggiare al meglio i propri ambiti: per ogni studente c'è un dipendentedell’università. A Chicago ci sono altre sei università: la Loyola (cattolica), la Roosevelt, la De Paul, la Chicago State University, la Illinois University at Chicago (pubbliche)elaNorthwestern a Evanston. Ma, per il mondo, l’Università di Chicago è una sola, quella dove Dewey fondò il suo laboratorio pedagogico, dove nacque la sociologia urbana, dove Fermi costruì il primo reattore atomico, dove fiorisce una scuola d’economia da 22 premi Nobel.5 Per entrare alla Northwestern basta essere ricchi, ma per studiare all’University of Chicago bisogna anche essere i migliori. Nel suo messaggio annuale, fiero il rettore afferma che il 63% dei suoi neoiscritti era tra i migliori 5% della classe finale dell’highschool. Del sistema educativo americano avevamo scorto finora solo l’aspetto degradato, quello dei licei pubblici nei quartieri popolari,dovecapitadidover passare attraverso un metal detector, installato per impedire che gli adolescenti portino armi all’interno. I licei pubblici sono un esempio dell’“America come utopiaallarovescia”,secondo l’espressione di Loïc Wacquant; indicano in anticipounacurvadidegrado cheancora-perpoco-nonè presenteinEuropa:nellehigh schoolsdelghettodiChicago itrequartideglistudentinon finiscono la scuola in corso, pur senza esami di passaggio traleclassi.6 L’Università di Chicago esprime invece il risvolto di eccellenza dell’istruzione americana.Mostrachevipuò essere un livello di vertice fantastico, senza bisogno che essopoggisuunabaseestesa di qualità. Come dire che un paese può sfornare atleti formidabili a partire da una popolazione tutta di pappamolle.(Inrealtàc’èuna spiegazione per questo apparentemistero,edècheil bacino di reclutamento delle piùprestigioseuniversitàUsa ècostituitonondallanazione Stati Uniti, ma dal mondo intero che vi spedisce i suoi rampolli più promettenti.) È questo un punto chiave per decidere se gli Stati Uniti sonoindecadenzaoppureno: chiunque scruti gli slum, le inner cities e l’apartheid americano non può non ritenere che gli Stati Uniti hanno imboccato il viale del declino. Ma chi invece osserva la straordinaria competenzaecreativitàchele grandi università sfornano a ripetizione non può non ricredersi,eanzirestaattonito di fronte alla contemporanea presenza dei due aspetti, l’orridosqualloredeighettie l’innocente spiritualità dei campus. E qui la compresenza è fisica perché il quartiere di Hyde Park, dove si trova l’UniversitàdiChicago,èuna piccola enclave letteralmente assediata dai più derelitti quartieri neri, con le rovine diroccatedelleTaylorHomes a ovest e con le lande sterminate di fatiscenti villette unifamiliari a sud. Ovunque, ruderi di casette carbonizzate, sventrate, fabbriche abbandonate, finestre nere come bocche sdentate, carcasse di automobili, crateri nell’asfalto. Ma quei neri in berrettodilanacheditantoin tantointerromponoilsilenzio della solitudine non varcano mai la linea invisibile che li separa dal piccolo paradiso studioso. Né i dotti assediati si avventurano in sortite temerarie. Ti raccontano di aver osato, per andare in centro,eroici,attraversare in busquest’inferno. *** Crescat scientia; vita excolatur (Cresca la scienza, si raffini la vita) recita il motto dell’università, ma ingentilire, raffinare la vita è prerogativa dei ricchi, se è vero che un anno di studio undergraduate costa 23.600 dollari di sola iscrizione (tuition) cui si aggiungono però 1200 dollari di libri, 1600dollaridiassicurazione, 9200dollariperlarettadella stanza e 600 per i trasporti, peruntotaledipiùdi36.000 dollari.7 L'eccellenza la si ottiene col denaro: i 35 milionidipoverinondevono fardimenticarechenegliStati Uniti chi ha soldi vive (fa ricercaestudia)bene. 23.600 dollari sono tanti, e però le rette degli studenti costituiscono solo il 31% delle entrate dell’Università diChicago(esclusiiproventi delle cliniche universitarie e del laboratorio di Argonne). Se poi dalle rette si detraggono le borse di studio chel’universitàdistribuisceai ragazzi più dotati per innalzare la qualità del proprio vivaio, le somme nette versate dagli studenti costituiscono meno di un quinto del totale. Paradossalmente, se i corsi fossero gratuiti e se la selezione avvenisse solo attraverso rigidi esami di ammissione, la qualità sarebbe salva e l’Università diChicagoperderebbesoloil 18% delle sue entrate.8 Con tariffe così esose persegue perciò altri obiettivi: 1) uno sbarramento di censo che precludal’accessoallamiddle classe garantisca il prestigio dell’università come luogo in cui si formano gli eredi della classe dominante; 2) stabilire e confermare un principio ideologico: che si acquisisce sapere come si accumula capitale;checulturaescienza sottostannoallestesseleggidella domanda e dell'offerta, delcapitaleedellavoro-che reggono gli altri settori dell'umanoagire;chescienza e cultura sono sussunte, direbbe Kant, dalle categorie del libero mercato. Quindi l'università è un’impresa privata che produce e vende sapienza. (Con un fatturato che,incluselecliniche,sfiora i 2 miliardi di dollari, l’UniversityofChicagoèuno dei maggiori datori di lavoro dell'Illinois,conisuoi12.500 dipendenti.) Non a caso, la teoria del “capitale umano” è stata articolata nel 1964 da Gary Becker dell’Università di Chicago (Nobel per l’economianel1992).Sapere e competenza sarebbero un capitale perché producono reddito, permettono maggiori guadagni. Sarebbero un capitale umano perché, a differenza di altre forme di capitale, non possono essere separate dalla persona fisica di chi lo detiene. Investire in cultura e scienza è dunque una scelta razionale, è un affare: accumula capitale in vistadiunfuturoreddito. Ma se l'istruzione è un investimento,vasoppesatain funzione della produttività marginale,secioèrendepiùo meno di altri investimenti. Perungenitoreèpiùproficuo investire 100.000 dollari nel diploma del figlio all’UniversityofChicagoche comprareazionidellaDuPont deNemours?Selarispostaè sì, chiederà alle banche un mutuo universitario da restituire con i futuri guadagni del laureato. Ma la risposta può essere no, se il capitale umano si svaluta perchétroppodiffuso,troppo disponibile. Vi sarebbe in giro troppa cultura, troppa scienza, tanto che non produrrebbero più profitti (curiosa teoria quella che prevede un eccesso di sapienza!). Vale la pena investireincapitaleumanose questo è abbastanza raro, altrimentisideprezza. A guardare lo sfacelo di oggi, e il pazzesco analfabetismo di ritorno, fa sorriderelapreoccupazionedi Richard Freeman che nel 1976 scriveva un libro intitolatoL'americano troppo istruito.9Fortunatamenteperi “capitalistiumani”,neglianni ottanta, col reaganismo le cose cambiarono: mentre dai primi anni settanta, i salari reali dei giovani che non hanno terminato la scuola secondaria sono diminuiti di più del 30%, i profitti da istruzione si sono involati. Questo spiega, secondo Gary Becker,comemaisemprepiù studenti si siano iscritti alle università private nonostante le rette rincarassero a un ritmo spaventoso: "I profitti da college crebbero ancora piùrapidamentedeicosti”.10 I principi del mercato governano perciò non solo l’economia,malaculturaela scienza.Anzi,perlascuoladi Chicago, il mercato costituisce la sola fonte di ogni razionalità; i suoi criteri ordinano le scelte razionali dell'individuo nei campi più disparati,dalmatrimonioalla famiglia.Questorazionalismo è una versione scarnificata dell'utilitarismo formulato da Benthamnell’Ottocento.Non solo ogni atto è mosso dalla ricerca dell’utile, ma qui il generico utile si restringe a utilematerialecheasuavolta si riduce a interesse economico e quest’ultimo a profitto monetario. Tutto ciò che sfugge alla logica del libero mercato è irrazionale, quindi inefficiente. Ogni interferenzaconimeccanismi di mercato è dannosa. Ma al mercato attiene tutta la sfera dell’interesse privato. Quindi è irrazionale e inefficiente tuttociòchelimitailprivato: ogniinterventostataleèfumo negliocchi. I Chicago Boys sono quindi sinonimo di liberismo totale, economia del laissezfaire, rifiuto di ogni vincolo statale ai criteri di mercato. Perpetuanounatradizioneche nelNovecentohaavutoilsuo più autorevole esponente nell’austriaco Friedrich von Hayek. Dal 1950 al 1962 Hayek fu professore di scienza sociale e morale all’Università di Chicago, lasciandovi la sua impronta. Nel 1974 Hayek ricevette il Nobel, insieme a Gunnar Myrdal che si situa ai suoi antipoditeorici:lagiuriadava uncolpoalcerchioeunoalla botte. Giàunavolta,nellastoria, il nome di una città era stato associato all'estremismo liberista, agli integralisti del mercato, ed era Manchester, la città che Engels considerava esemplare per tracciare la rivoluzione industriale dell’Ottocento (e la cui descrizione, abbiamo già visto, si attagliava così bene a Chicago). Progenitori dei Chicago Boys furono i manchesteriani-queicrociati del libero scambio tra le cui file militava James Wilson, che nel 1843 fondò il settimanale“TheEconomist”. La loro ostinata campagna nell’Inghilterra ottocentesca per far revocare le Corn Laws, i dazi sull’importazione del grano, anticipa la deregulation reaganiana nell’America del Novecento, quando si è allentato ogni freno alla concorrenza e abolito ogni vincolosuiprezzi. Se si lasciasse fare al mercato, tutto andrebbe meglio: secondo un celebre passo di Adam Smith, l’individuo, “perseguendo il proprio interesse, spesso persegue l’interesse della società in modo molto più efficace di quando intende effettivamente perseguirlo”, perché “egli mira solo al suo proprio guadagno ed è condotto da una mano invisibile, in questo come in altricasi,aperseguireunfine che non rien-tra nelle sue intenzioni”.11 Miliardi di singoli microinteressi volteggiano nello spazio dell'economia, urtano l'uno contro l'altro, si neutralizzano, si rafforzano, si deviano, come molecole nella teoria statistica dei gas. Per Smith questa spontanea statistica degli egoismi individuali produce il benessere collettivo, molto più di una conscia azione pubblica (programmazione, pianificazione).Ognifrenoal libero gioco degli egoismi privati è quindi un ostacolo sullaviadelbenessere.Perciò lo stato deve ridurre al minimolasuasferad’azione. Dai manchesteriani ai reaganiani, i teorici del laissez-faire hanno sempre voluto dimagrire lo stato. EccocomeMarxsintetizzava la posizione di Richard Cobden (leader, insieme a Brighi, dei manchesteriani): “Riduciamolaspesapubblica e ci sarà possibile ridurre anche gli oneri fiscali”.12 Centotrent’anni dopo, il primo atto dei reaganiani fu di ridurre le tasse (ma non le spese). Dietro il liberismo c’è dunque non solo una precisa idea di ciò che è razionale e diciòchenonloè,maanche un'idea dello stato: lo “stato guardiano notturno”, quello che Nozick chiama lo “stato minimo”, ridotto alle sue funzioni di poliziotto che vigila sull’incolumità degli individuiesull’integritàdelle loro proprietà. In questo schema, lo stato non dovrebbeassicurarenésanità, né scuola, né infrastrutture (strade, ponti, comunicazioni). Un’idea di stato implica una visione delle istituzioni, cioè del diritto. Anche il concetto di giustizia viene sussunto nell’economia. E le leggi di mercato diventano criteri della giustizia. Questa scuola di pensiero, che ha avuto il suo capostipite a Chicago in Ronald Coase (premio Nobel), è detta law andeconomies. Ma ecco che l’interpretazionedelleleggisi fa influenza sulle leggi: quando esponenti di questa scuola, Robert Bork e Douglass Ginsburg, vennero nominati giudici della Corte suprema degli Stati Uniti da Ronald Reagan, la corrente teorica si fece posizione di potere nella magistratura e produsse sentenze che definirono ciò che è lecito e ciò che è giusto. Se redistribuirelerisorsetraceti privilegiati e classi sfavorite non rientra in ciò che è giusto, allora lo stato non deve assistere i poveri. Di più:quest'azioneafindibene finirebbe per avere effetti negativi. È la "perversione”, quel luogo retorico del discorso reazionario che abbiamo già incontrato con Hirschman, percuiognipoliticapubblica “progressista” avrebbe effetti controproducenti: “I tentativi di conquistare la libertà faranno precipitare la società nella schiavitù, l’aspirazione alla democrazia produrrà oligarchia e tirannide, e i programmi di assistenza sociale accresceranno la povertà anziché diminuirla”.13CosìnegliStati Uniti, negli anni ottanta si diffuse l’idea che lo stato assistenziale sia nocivo. Nel suo libro assai pubblicizzato contro il welfare, Charles Murray sosteneva nel 1984 che esso fa più danno che bene, creando una cultura di welfare-dipendenza, di assuefazione all’assistenza14 (ritroviamo la "cultura”, prima“culturadellapovertà”, ora “cultura del welfare”): i poveri non vanno aiutati, altrimenti ci fanno l’abitudine. Se compito dello stato nonèassistereipoveri,tanto meno gli spetta rilanciare l’economia nei periodi di recessione. La loro vera battaglia i Chicago Boys l’hannocombattuta(eperora vinta) contro chi sosteneva che Io stato deve intervenire per creare posti di lavoro quando infuria la disoccupazione, che compito dello stato è correggere gli sbandamenti del settore privato. Cioè, il vero nemico teorico dei Chicago Boys è John Maynard Keynes e il keynesismo, favorevole a un intervento statale, a un aumento della spesa pubblica per uscire dalle recessioni. È contro il keynesismo che per decenni Milton Friedman (altro Nobel di Chicago) ha perorato il monetarismo col fervore di un agit-prop bolscevico. Se il libero mercato è capace di autocorreggersi, come sostengono i Chicago Boys, allorailcapitalismoèstabile; seinveceperusciredallecrisi c'è bisogno dell’intervento pubblico, come sosteneva Keynes, significa implicitamente che il capitalismo è instabile: per Friedman “è l’azione stessa dello stato a destabilizzare, e dovrebbe essere consentito al processo autocorrettivo del liberomercatodioperarecon solo un minimo di intervento statale”.15 L’unico intervento che Friedmanriconosceallostato è la politica monetaria. È un’altra versione dello statopoliziotto,quipoliziottodella moneta: vigila che ne circoli non più, e non meno di una certa quantità. È lo “stato minimo” in economia. In questa visione viene meno l’idea di servizio pubblico, poiché solo sotto forma di merce i servizi possono essere scambiati. Così Friedman suggeriva che lo stato non fornisse più scuole, madistribuisseaicittadinidei voucher, buoni con cui ogni genitore potesse comprarsi il tipo di scuola di suo gradimento per i figli: un suggerimento che molte destre nel mondo hanno da allora cercato di mettere in pratica. È il concetto di sfera pubblica a essere messo in discussione.“Neilavoridella scuoladiChicagoilcontrollo sociale è stato dipinto come inefficaceesuperfluoecome un ostacolo sulla via di un’economia più perfetta, cioè un’economia competitiva. Questi lavori definisconoibenicollettiviin modo sempre più ristretto e quindi assegnano all’arena privata una categoria sempre più vasta di attività economiche.”16 Persino i costi sociali di un'attività detti “esternalità”, o diseconomie esterne - sono traslocati il più possibile dal campodell’azionecollettivaa quella del contratto privato. Ronald Coase ha esteso il concettoditransazionefinoa includervi l’acquisto e la vendita del diritto di danneggiare.17 Né è un’idea astratta,bensìunadellemerci che si trattano alla Borsa di Chicago, una merce che abbiamo già incontrata, i diritti e i futures d’inquinamento: un’industria compra il diritto di emettere veleni. Poi si quotano i futures di questi diritti. Non pernullaainaugurareinuovi grattacieli della Borsa di Chicago fu chiamato Milton Friedman. Ai Chicago Boys potrebbe essere mossa la classicacriticacontroiteorici del laissez-faire, che Schumpeter sintetizza così: essi in realtà raccomandano quel che hanno l’aria di descrivere,18 Ma insistendo sulla necessità di svuotare la sfera pubblica, di trasferirne nell’ambito privato tutte le attività, i Chicago Boys non fannoaltrocheraccomandare di portare all’estremo un processo che nell’ultimo secolo ha già invaso spazi e tempi del nostro vivere. Il viaggiare,lospostarsi,daatto pubblico (in trasporti pubblici, camminando sulla pubblica via) è diventato gesto privato compiuto all’interno della propria proprietà, l’automobile, che recinge dagli altri e isola in unabitacolo privato. Sempre più la piazza, come luogo d’incontro, di svago, è sostituita dai grandi Malis, daglishoppingcenters,uguali intuttoallepiazze,tranneche a una certa ora “chiudono”, che sono privati. Una porzione crescente dello svago pubblico diventa fruizione privata. Non si potevaascoltaremusicasenza i suonatori, senza cioè immergersi nel pubblico. Oggi la musica può essere assaporata in solitario, da radio, registratori, lettori laser; la musica è posseduta nellaformadellamercecd,ο cassetta,esicompenetranole due accezioni: il privato del possesso e il privato della privacy.Spettacolo - teatro o cinema-eraoccasionedivita pubblica; ora sempre più è sostituito dalla tv che permette persino di non andare nell’arena ad assistere ai moderni ludi. La città stessa, abbiamo visto (Parte prima, cap. 10), si struttura come città privata, con una costituzione privata, una polizia privata, e il concetto di democrazia si assottiglia fino a coincidere con l’assemblea dei condomini. Nel dilatarsi, la parola “privato” si amplia di senso, include parti di mondanità. Mentre la parola “pubblico” si deteriora, raggrinzisce a pelledizigrino. Quest’espansionismo del privato,questosuopervadere ed esaurire l’esperienza del mondo, è possibile solo se fondato su una simmetrica onnipotenza dell’individuo, cioè solo se l’individuo “costituisce l’unità ultima delle scienze sociali” e se “tutti i fenomeni si risolvono in decisioni e azioni di individui che non possono o non hanno bisogno di essere ulteriormente analizzate in termini di fattori sovraindividuali”.19 È l’individuo il soggetto delle “scelte razionali”. Unici moventi legittimi sono i suoi interessi. Esclusivo soggetto dellastoriaèl’individuonudo di ogni determinazione sociale, sbiancato di ogni retaggiostorico,svincolatoda ogni appartenenza, letteralmente astratto, motivato solo ad assicurarsi quella proprietà che è sì mezzo di benessere, ma è anchescopoinsé. *** Parafrasando Asterix, verrebbe da dire: “Sono pazzi, questi Chicago Boys”. Ma come? Basta che sporgano il naso fuori dal campus, che attraversino un viale,epoivedanoseillibero gioco degli egoismi produce davveroilbenesseregenerale. Ma è possibile che una brevissima capatina alle Taylor Homes non gli abbia mai instillato un dubbio? Come si fa a parlare dell’efficienza del mercato dopo aver visto l’abominio dello slum? Come possono i Chicago Boys pensare all’individuo astratto, quando tutto intorno nella loro città non vivono che "neri”, “ispanici", "white ethnics”, cioè sempre e solo etnie e caste?Quandogruppisociali, identità, retaggi storici si giustappongono mantenendosi separati e determinano la vita fin nell’indirizzo? Anzi, la smentita sperimentale è ancora più estrema: a produrre una società articolataincaste,segmentata inetnieerazze,èlalogicadel profitto individuale. Non è una società tradizionale, precapitalistica a essere strutturata in gruppi predefinitieindestinisociali da cui l’individuo non può sfuggire qualunque cosa faccia (puoi essere ricco e famoso ma sempre nero o ispanico o italiano rimarrai). No, è la logica del capitalismo individualista che, storicamente, negli Stati Uniti, ha organizzato la società americana in sistemi distici(communities). MatantipremiNobelnon possono essere pazzi. Il fatto è che, nella loro opulenza, il campus e il circostante quartiere di Hyde Park sembrano confermare le forme più estreme di liberismo. Qui, direbbe Mumford, “si può vivere e morire senza che nulla deturpi l’immagine di un mondo innocente [...] qui l’individualità può prosperare, dimentica dell’irreggimentazione che pure la permea”. Qui i poteri pubblicisisonofattidavvero “stato minimo" quando, per impedirechecalasseillivello del quartiere, hanno delegato a un’associazione privata il diritto di espellere ed espropriare residenti, abbattere edifici. L’associazione di quartiere era la Hyde Park Kenwood Community (al 70% finanziata dall’università: d’altrondeilsuodirettoreera il fratello del rettore).20 Così tra il 1960 e il 1970 la popolazionediminuìdel26%, ineridel40%. Dipiù.Qui,nelcampuse dintorni, si ha l’avvisaglia di quello che Nozick chiama lo stato ultraminimo: lo stato minimo, lo stato-poliziotto, sarebbe infatti ancora troppo redistributivo perché con le tasse di alcuni pagherebbe l'incolumità fìsica di tutti e quindi, attraverso la polizia, redistribuirebbe risorse (orrore!). Invece "uno stato ultraminimo mantiene il monopolio su tutti gli usi della forza esclusi quelli di immediata autodifesa e così esclude la vendetta privata [...]maprovvedeprotezionee servizi di rispetto delle leggi solo a chi compra le sue politiche di protezione e vigilanza.Chinoncompraun contratto di protezione non è protetto”.21Setiassaltanoper strada e tu non hai comprato la protezione pubblica, la polizia non verrà in tuo soccorso. Accadrebbe per l’incolumitàquelchesuccede alla salute in un sistema sanitarioprivatistico:ècurato chi paga. E l’Università di Chicago paga. Paga una sua polizia privata, con tredici automobili di pattuglia (su unasuperficiedisolitrekmq) chedisponedituttiipoteridi polizia e che opera l’80% degliarresti.Naturalmente,in questo quartiere si contano solo un omicidio e una dozzinadifurtil'anno,mentre là fuori, appena oltre la frontiera invisibile, nei ghetti vicini gli omicidi sono decine, le aggressioni centinaia,ifurtimigliaia.C’è da chiedersi come si fa a viverecosì,instatod’assedio, in perpetua ansia, sempre pronti a chiamare la polizia, attentianonvarcarelasoglia dell'inferno, rinchiusi nella propriacolony,nella fortezza assediata. Chissà che idea di cultura ne deriva. Verrebbe da perdere la fede nel mercato. Ma, appunto, fede è il concettochiave.Sembrerebbe fuori luogo a proposito di un razionalismo così angusto, di un tale riduzionismo economico. Eppure è il termine più spesso usato per descrivere l’entusiastica fiducia della scuola di Chicago nel laissez-faire. "Fede ardente nel potere organizzativo e nell’efficienza del libero mercato [...] straordinaria intensità dell’adesione all’efficienza dell'interazione di mercato.”22 È alla logica dell'irrazionale e della magia che ricorre Edythe S. Miller per tracciare la sua ironica sintesi delle tesi dei Chicago Boys: L’economia competitivaèassuntasia come stato ideale sia come realtà raggiungibile, se solo fossero rimossi impedimenti non naturali (cioè, una presenza statale). Così oggi la deregulation è regolarmente equiparata alla competizione, quale che sia la realtà dell'industria e del mercato. La magia sta invece nell’assegnare unapotenzabenignaagli attributi essenziali di questosistema:proprietà privata, libero contratto, e libero scambio. La regolamentazione è descritta come inefficace, corrotta e, comunque, superflua. L’impresa privata è sempre efficiente, e sempre è caso da manuale di competizione. [...] La solaistituzioneammessa nell’analisi è il mercato; un mercato [·.·] posizionato come neutrale,senonbenigno, meccanismo di allocazione e distribuzione. L’individuo è accettato comelasolarealtà.23 Al di là del sarcasmo, Edythe Miller coglie il perenne argomento con cui ogni integralismo rifiuta le smentitedell’esperienza:seil miracolo non avviene, è perché non si è pregato abbastanza; se il comunismo non si è realizzato, è perché c’era poco comunismo. Se nell’economia di mercato imperversano miserie e abomini, non è perché vi è qualcosa di sbagliato, ma perché non c’è abbastanza mercato,perchéancoratroppi ostacoli si frappongono alla perfetta realizzazione della competizione pura, trasparente e immacolata. La ricetta di ogni integralismo è “Encore un effort...": il mercato funziona mede, dunque ancora più mercato. Di nuovo, riduzionismo, positivismo estremo si coniugano con fideismo, fondamentalismo. Se un iranianoscrivesseoggilesue Lettere persiane, definirebbe iChicagoBoysgli"ayatollah del capitale”, a conferma della tesi di Adorno: “La forma borghese della razionalità ha bisogno da sempre di supplementi irrazionaliperrestareciòche essa è: un’ininterrotta mancanza di equità avallata daldiritto”.24 Nel Vangelo secondo Chicago,l’interventostataleè il male: contagia con la sua corruzione. Ecco che la lotta contro la corruzione politica non tende a una politica migliore, ma a ridurre, tendenzialmenteasopprimere la politica a favore delle transazioni di mercato. Se fuori del campus c’è miseria, è a causa dell'inefficienza statale.L’orrorechecirconda l’Università di Chicago diventa paradossalmente una prova a favore del sistema di mercato. L’oppressione e lo sfrattamento nascono dalla leggendaria corruzione della CookCounty.Ladesolazione è ingigantita dagli sprechi e dalle inefficienze pubbliche. Che i capitalisti siano stati facilmente convinti da questi argomenti è ovvio. Come disse George Stigler, “un conferenziere che denuncia il cannibalismo può a ragione considerare l’applauso dei vegetariani come una dubbia dimostrazione della sua eloquenza". Lo straordinario è che l’opinione pubblica mondiale si è convinta di questa tesi, l’ha fatta sua. È diventato senso comune considerare ciò che è pubblico come inevitabilmente più inefficiente e più corrotto di ciò che è privato, ritenere il mercato più trasparente della politica,equindiilpoteredel capitale meno iniquo del potere politico. In questo capovolgimento del comune sentire sta la vittoria dei Chicago Boys, una vittoria che va al di là della Guerra fredda perché ha convertito larghe fette dell’opinione pubblicaoccidentale. Né questi milioni di umani possono essere tutti gonzi abbindolati dall’imponente apparato ideologico - tv, cinema, giornali - benché anch’esso abbia la sua parte. Senza bisognodiricorrereall’utopia anarchica, di una società senzastato,oal“deperimento dello stato" perseguito dal marxismo, nella polemica contro lo statalismo c’è potente un’ansia di libertà, quella stessa che spinge alla protestapolitica,allelotteper i diritti civili, alla Disobbedienzacivile,titolodi unfamosopamphletdiHenry David Thoreau che appunto comincia"Dicuoreaccettoil motto: ‘Migliore è quel governo che meno governa’; evorreivederlorealizzatopiù rapidamente e sistematicamente. Esplicitato, finalmente equivale a questo che anche credo: Ottimo è quel governo che non governaaffatto'”.25 La prima battaglia politica,abbiamogiàvisto,la sicombatteperimpossessarsi delledefinizionipolitiche(“io sono un leader, tu sei un boss”).Il sistema di mercato ha vinto la sua battaglia impossessandosidellalibertà: si dice appunto libero mercato, libero scambio. Per gran parte dell’umanità, davvero lo stato è un’esperienza quotidiana di tirannide. È per fuggire quest’angheria (oltre che la povertà) che tante ondate umanesiriversanonegliStati Uniti.Laforzadiconvinzione sta proprio nell’idea che le leggi del mercato (della domanda e dell'offerta) siano ubique, valgano per tutti, mentre la giustizia statale è per alcuni più giusta che per altri. Il mercato lascerebbe a ognunounachancenegatada altri sistemi. Porterebbe in sé un’idea di democrazia (sintetizzata nell'uomo che si fa da sé): “Il vantaggio decisivo dei sistemi di mercatoèchedecentralizzano il potere lontano dalle Washington del mondo e verso gli individui, uomini d’affari, lavoratori e consumatori”.26 La fiducia nelle virtù palingenetichedelmercatoha una lunga storia. Già per i manchesteriani, esso esaltava le virtù morali dell’uomo, ne tempraval’indole,lorendeva forte e, viceversa, lasciava sopravvivere solo i forti (di nuovoildarwinismosociale): "Il laissez-faire inietta ferro nel carattere di un uomo. Se non lo fa, ed egli perisce, presumibilmente il suo carattere non è degno di essereresod’acciaio”.27Oggi gli studenti chiamano il campus di Chicago il “monastero” e sulla via principalediHydeParknonè possibile bersi una birra, non c’è un solo locale con alcolici. Una buona parte dei manchesteriani erano pacifisti: “Credevano che il libero commercio avrebbe dato a compratori e venditori intuttoilmondouninteresse economico così forte a mantenere la pace, che essi preverrebbero i loro governi dal fare guerra”.28 Ancora oggi, osserva Benedict Anderson, prevale “il pregiudizio che ci sia una qualche imperscrutabile connessione tra capitalismo e ‘pace’, tale che 'libero mercato’ sia istintivamente contrapposto non solo all’economia pianificata ma allaguerra”.29Estraordinario dove noi umani andiamo a ficcare le nostre speranze: in quegli stessi anni, altri utopisti, i saint-simoniani, pensavano che i treni e le ferrovie, permettendo ai popoli di conoscersi tra loro, avrebbero posto fine alle guerre,nonconsiderandoche avrebbero invece trasportato più rapidamente truppe e cannoni. C’è qualcosa di commovente, persino di patetico, nella fiducia che tanti umani ripongono nell’equitàdelmercato,diun sistema economico in cui le iniquità gridano vendetta al cielo. Questa capacità d’illudersi si rivela però una forza irresistibile: è in grado di smuovere le montagne (e anche le banche, abbiamo visto), rivoluziona la geografiaumana,sconvolgei continenti. Ritroviamo quella doppiezza in cui così spesso siamo incappati, qui nel duplicegiocodellalibertà:da unlatomiriadidipersoneche aspirano alla mera libertà di vivere, dall’altra il capitale che chiede di avere mano libera,dinonesserevincolato da nessun potere che gli sia superiore. *** Èunsabatodiluglio.Nel fresco condizionato, la biblioteca Joseph Regenstein è quasi deserta. I suoi cinque livelli sono divisi ognuno in due settori: un’area è la sala di lettura, con sedie, tavoli e computer di ricerca; l’altra, senza finestre, è il deposito dei libri dove interminabili file di scaffali retrattili, una accanto all’altra, contengono centinaia di migliaia di volumiognipiano.Dopoaver individuato la posizione sul computer, ogni lettore va a cercarsi da solo in questi meandri i libri che vuole consultare. Fra tutte queste muraglie di carta si perde il senso dell’orientamento. Per effetto di accumulazione, ogni libro è indistinto dall’altro. Nel silenzio più totale, pare di essere in un immanecimiterodelpensiero umano,dovesonoaffastellate le sue ossa, come nelle moderne necropoli, a condominio.Cometombeche nessuno mai visita, innumeri volumiriposerannointattiper sempre, nella frescura del buio. Per una politica di risparmio energetico, infatti, dopo pochi minuti la luce si spegne, e tu resti cieco, solo, inerme (omicidio nella biblioteca?)aimmaginareche ti ritroveranno incartapecorito, come un volume che si sbriciola sotto ledita. 1GeorgeF.Will,in"The Washington Post", 8 dicembre1991,p.C7. 2 Serge Halimi, L’université de Chicago, un petit coin de paradis bien protégé, in “Le monde diplomatique”,aprile1994. 3Nell’annoaccademico 2003-2004.Datitrattidalsito www.uchicago.edu. 4 Dal sito www.press.uchicago.edu. 5I dati sui premi Nobel sonoaggiornatial2003. 6LoïcJ.D.Wacquant,De l’Amérique comme utopie à l’envers,inP.Bourdieuetal., La misère du monde, cit., p. 177. 7 Per l’anno accademico 2001-2002. 8I calcoli sono basati sul bilancio al 30 giugno 2002, edescludendoleentratedegli ospedali, dalla pagina http://adminet.uchicacgo.cdu/fi 9RichardFreeman,The Overeducated American, Academic Press, New York 1976. 10GaryBecker,Human Capital Revisited, The 1989 Ryerson Lecture, Chicago University Press, Chicago 1989,p.4. 11 Adam Smith, An Inquiry into the Nature and Causes of the Wealth of Nations(1776),trad.it.Idesi, Milano1973,libroiv,cap.n, p.444. 12 Karl Marx, artìcolo sul “New York Daily Tribune", 28 dicembre 1852, in Karl Marx-Friedrich Engels, Opere complete, cit., vol.xi,p.478. 13 A.O. Hirschman, Retoriche dell'intransigenza, cit.,cap.II,pp.19-20. 14 Charles Murray, Losing Ground. America’s Social Policy, 1950-1980, Basic Books, New York 1984. 15W.CarlBiven,Who Killed John Maynard Keynes? Confliets in the Evolution of Economic Policy, Dow Jones-Irwin, Homewood(Ili.)1989,p.59. 16 Edythe S. Miller, Economies for What? Economic Folklore and Social Realities, in “Journal of Economic Issues”, giugno 1989,(pp.339-356),p.349. 17RonaldH.Coase,The Problem of Social Cost, in “Journal of Law and Economics", n. 3 (1960), pp. 1-44. 18 Joseph Alois Schumpeter, History of Economic Analysis, Oxford University Press, New York 1954, trad. it. Edizioni scientifiche Einaudi di P. Boringhieri, Torino 1959, p. 1062. 19Ibidem. 20S.Halimi,op.cit. 21 R. Nozick, Anarchy, theStateandUtopia,cit.,pp. 26-27. 22W.C.Biven,op.cit.,p. 53. 23 E.S. Miller,op. cit., pp. 353-354 (i corsivi sono miei). 24TheodorW.Adorno, Jargon der Eigentlichkeit. Zur deutschen Ideo logie, Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Mein 1964, trad. it. Il gergo dell'autenticità, Bollati Boringhieri, Torino 1989, p. 36. 25 Henry David Thoreau, Civil Disobedence ( 18491862), in Walden and Other Writings, Bantam Books, NewYork1981,p.85. 26 Gary Becker, in "Business Week”, 30 dicembre1991,p.22. 27WilliamD.Grampp, The Manchester School of Economics, Stanford University Press, Stanford (Cai.)1960,p.80. 28Ivi,p.7. 29 Benedict Anderson, The New World Disorder, in “The New Left Review”, n. 193, maggio-giugno 1992 (pp.3-14),p.6. Epilogo Mareeumane,dinuovo Fuori dallo stadio strapieno, il gelo di febbraio attanaglia la città. Dentro, l’aria è torrida fino a sudare per la partita di pallacanestro dei Chicago Bulls, i “Tori di Chicago”. I giocatori, in pantalonciniemaglietta,sono quasi tutti neri, altissimi, felini quando saltano a sovrastareilcanestro.Unfilm suungruppodi“coattoni”di Los Angeles, giocatori di basket da strada, s’intitolava WhiteManCan’tJump("Chi non salta bianco è”, 1992), doveinamericanojumphaun secondosignificatosessuale. Sui bordi del campo majorette in lustrini, lunghe gambe e seno in evidenza, ritmanolefolated'attaccodei Tori. Sulle gradinate, tra le migliaia di spettatori assiepati, un gruppo di ragazze, con la sciarpa islamicaintornoalviso,faun tifo indiavolato. Sono studentessedell’Universityof Illinois at Chicago, figlie di emigrati musulmani. Ma non è la loro origine religiosa a colpire, è l'immagine autocontraddittoria, quasi la foto istantanea di un paradosso umano lì nella bolgia dell’arena, sotto i riflettori.Ilfoulardstrettosul capoeintornoalcolloindica un rispetto della tradizione islamicasmentitodaquelche i dottori del Corano avrebbero definito l’applauso frenetico di femmine a maschi seminudi. Come alla Mecca c’è ora un McDonald’s,cosìaChicagoi velientranoallostadio. *** È meriggio assolato, il 4 di luglio, festa dell’indipendenza, nei parchi chepermigliabordeggianoil Lago Michigan da Lincoln, a Belmont, su fino a Foster. Sull’erbaadecinedimigliaia i clan familiari con i loro picnic. Una signora punjabi appallottola distinta con la punta delle dita della ma no destra la sua polpettina di riso, verdure e dal; una megafamiglia messicana si accalca attorno a tacos e burritos; un nugolo di bambini vietnamiti insegue aquiloni, involtini primavera allamano.Ognunoconlasua origine in bocca, e però così americano. Pochi di loro parlano inglese, ma tutti già portanolestigmateyankee:la passione per i cubetti di ghiaccio, comprati a pacconi, gli immensi refrigeratori portatili, l’inondazione di salse in flaconi di plastica, il perpetuo masticare patatine, popcorn,spuntini,salatini;il barbecue messo lì, come altare dei penati, su cui giovani maghrebini immolano un pollo, adolescenti neri offrono hot dog agli dèi, un austero parsi sacrificabracioled’agnello. *** Piccoli segni di due grandi fenomeni. Il primo: l’immigrazione che da vent anni ha ripreso a fluire verso gli Stati Uniti ha di nuovo rotto ogni argine e sta sconvolgendo la loro geografiaumanatantoquanto laalteraronoleondatedifine Ottocento-inizio Novecento. Un secolo dopo, riprende la migrazione dei popoli, la Völkerwanderung.Ilsecondo: la possibilità di essere insieme statunitensi e vietnamiti, o sikh, o iraniani. Cioè un nuovo modo di essereamericani. Nel 2000 risiedevano negli Stati Uniti 31,1 milioni di persone nate all’estero (di cui più di 7 milioni di clandestini). Di costoro ben 18,1 milioni erano stati ammessi dal 1980, e addirittura 10,2 milioni dal 1990 in poi, più che tra il 1900eil1910(9,3milionidi immigrati), e più che in tutti gli altri decenni della storia americana. Non solo, tra il 1990 e il 2000 sono entrati negli Stati Uniti più immigrati che nel quarantennio tra il 1931 e il 1970. La novità sta nel fatto che ora il grosso non sbarca piùdall'Europa.Trail1981e il 2000, su 16,4 milioni di immigrati legali, solo 2 milioni venivano dall’Europa (267.000 polacchi e 456.000 ex sovietici), mentre ben 5,7 milioni giungevano dall’Asia e 8 milioni dall’America, di cui 3,9 dal solo Messico, da cuiperaltrogiungeil70%dei clandestini (cioè 4,2 milioni su7). Le ondate di una volta sono sommerse da altre maree umane, dall’America Latina, dall’Asia, dall’IsIam, persino dall’Africa (585.000 dal 1981 al 2000): per la prima volta - a contraddire Tocqueville -, vi sono negli Stati Uniti umani giunti dall’Africa di propria spontanea volontà e non più solo deportati come schiavi. QuestanuovaAmericasmette diessereoccidentale,nazione costruita da europei con immigrati europei, civiltà bianca edificata da etnie bianche (crudele e ostile all’alterità africana, nera). Multirazzista e multirazziale, si fa persiana, cambogiana, persiana,coreana. Nelplasmarsidellanuova geografia umana, si dissolve la nozione di Occidente, quella che dall’Ellade in poi fa tutt’uno col concetto di nuovo, Nuovo mondo o (vichianamente) "popolo giovane”: gli elleni erano nuovi rispetto all’Asia, l’AmericaèilNuovo mondo, gli Stati Uniti sono una nazione giovane (nessuno chiamerebbelaGermaniauna "nazionegiovane”,ancheseè più recente degli Usa). Dopo lapreistoria,iflussimigratori sembravano tutti andare da estaovest:gliindoeuropeiei mongoli in Europa, gli europei e (deportati) gli africani in America e poi il Far West negli Stati Uniti. Ora però, la Cina, l’Estremo Oriente si trova a occidente degli Stati Uniti, e il flusso migratorio dall’Asia verso l’America è un flusso migratorioversooriente. Datempo,gliemigratidal Vecchio continente avevano smesso di essere europei, eranodiventatiamericani,ma restavano occidentali. Ora, conilsovrapporsidellenuove migrazioni alle vecchie, gli Stati Uniti cessano anche di essere occidentali, proponendo un inedito ibrido di irlandesi e sikh, cinesi e napoletani, libanesi e messicani. Così anche la Chicago etnica assume un sapore vecchiotto, quello dell’America di una volta, ormaiirriconoscibile. *** Nella gola del gran canyondelColorado,leggila storiadimilionidianninelle stratificazioni geologiche delle diverse rocce, ognuna col proprio colore, la sua consistenza. Nelle arterie di Chicago, leggi la stratificazione di un secolo e mezzo di immigrazioni. Per 38 chilometri, da Evanston nel Nord, fino a Blue Island nelSud,WesternAvenue-la più lunga via di Chicago traversa quartieri di russi, indiani, pakistani, polacchi, tedeschi, arabi, lituani, ucraini, croati, italiani, portoricani, messicani, vietnamiti, irlandesi, neri ed ebrei: “È un sogno per un sociologoeunincuboperun addetto al censimento,” raccontava l’articolo di testa di “Usa Today”.1 E quasi nessuna zona è abitata dagli immigrati che il nome suggerisce. Tu penseresti che Pilsen è il quartiere dei boemi. No, è il barrio dei messicani. Vai nel quartiere lituano, e ti capita come nel quartiere ungherese di Cleveland:chei“lituani”-di qui-comegli"ungheresi”di làsonotuttiscuridipelle,per lo più con capelli crespi e labbra carnose. Sulla Clark Avenue, verso nord, trovi il cimitero svedese, perché una volta qui cera la roccaforte scandinava,maoraciabitano arabi. Sulla Milwaukee Avenue,restanoalcunescritte in polacco a ricordare il passato, sovrastate e quasi tutte cancellate dalle réclame in spagnolo: i polacchi si sono spostati più a nord, su Avondale, tra Central Park e Pulaski, a “Jackowo” (dal nome di una chiesa), dove ti sembradiessereaCracoviae tutto è polacco, dalle insegne ai generi alimentari nelle drogherie, ai giornali. Su Nord Broadway trovi un recente quartiere vietnamita, che ha fatto salire i prezzi degli affitti, perché prima dell’ordine asiatico lì c'era malavita ispanica che aveva sostituito a sua volta gli scandinavi. Sempre verso nord, lontano, sulla Lincoln Avenue,all'incrocioconBryn Mawr, proprio accanto al vecchio cimitero boemo, scompaiono le scritte in alfabeto latino e si stende tutto un quartiere coreano. Ancorapiùanord,suDevon, tra Rockwell e Western, nel giro di pochissimi anni è sorto tutto un quartiere indopakistano. Ainiziosecolo,intornoal centro (il Loop) di Chicago, le comunità etniche si distribuivano in piccole cittadine ognuna con la sua Main Street (il suo corso), l'una accanto all’altra. “A nord del Loop era Germania. A nord-ovest Polonia. A ovesteranoItaliaeIsraele.A sud-ovest erano Boemia e Lituania. E a sud era Irlanda.”2 Poi arrivarono i neri dal sud. Dopo toccò agli ispanici che quadruplicarono tra il 1960 e il 1980, fino a essere 785.000 nel 2002 (quando, contando l'area metropolitana, gli ispanici erano più di un milione e mezzo). Negli anni settanta e ottantaeccogliasiaticie,con lafinedellaGuerrafredda,di nuovo i polacchi che fanno una concorrenza spietata sul mercato del lavoro e si offrono per tariffe stracciate, inferiori persino a quelle dei messicani indocumentados, residenti senza permesso. All'afflusso di nuovi arrivati corrispondeva l’esodo nei suburbi dei vecchi white ethnics, così che nel 2002 nerieispanicieranoil63,3% nel comune di Chicago, ma solo il 36,5% nell’area metropolitana.3 Gli irlandesi hanno in parteabbandonatoBridgeport per spostarsi più a sud verso Mount Greenwood, Ashburn e Beverly. Mentre i polacchi più poveri stanno a Jackowo, i più benestanti hanno popolato i suburbi di Jefferson Park, Norwood, Edison. Già da decenni gli italiani agiati risiedono a River Forest, Melrose Park, Riverside,OakPark.Eanche le zone di prima periferia si stanno spopolando, a favore delle aree più lontane, come nella dilatazione di una nube gassosa. In questo processo l’espansione migratoria, già predetta da Burgess con l’ipotesi zonale, si coniuga con quella struttura automobilistica della comunitàurbanacheabbiamo osservatonellaprimaparte. Da qui una duplice impressione:laprimaèchela storia si ripeta, che le nuove migrazioni asiatiche e latinoamericane ripercorrano gli stessi processi che nell’Ottocento avevano seguito gli europei, come in un ciclo con cui l’America, dopo una fase di digestione, riprende a ingerire popolazioni, fagocitando nuove energie da nuovi continenti.Ecioè,cheagisca la stessa logica del capitale che un secolo fa aveva attrattotantaforzalavoroper calmierare la mano d’opera già presente: non a caso la grande ondata migratoria di fine xx secolo ha acquistato impulsonell’erareaganianae ha coinciso - per esprimersi come il "New York Times” dell’Ottocento - con le più dure sconfitte dei lavoratori (o le maggiori vittorie del capitale) nella “guerra tra capitale e lavoro”. Come nella sommossa razziale del 1919aChicagos’intravedeva in filigrana la furibonda competizione tra neri ewhite ethnics sul mercato del lavoro, così la sommossa di Los Angeles del 1992 è stata vistacomel’esploderediuna nuova ostilità tra neri e ispanici, tanto che "The Atlantic" dell'ottobre 1992 titolava la sua copertina Blacks versus Browns, "Neri contro marroni” (dove "marroni” sta per ispanici).4 Scriveva "La Prensa San Diego” del 15 maggio 1992 che,nell’interpretareiriotsdi Los Angeles secondo lo schema bianco-nero, i mass media avevano perso di vista ilpuntocruciale: I tumulti non sono divampaticontrobianchi o neri, ma sono stati innescati dai neri contro le comunità latine e asiatiche! Quel che è successo è uno scontro razziale di prima grandezza da parte della comunità nera che vede svanire la sua consistenza e influenza. Confrontati a quasi un milione e mezzo di Latinos che stanno prendendo il controllo dell’inner city, i neri si sono rivoltati, hanno distruttoesaccheggiato.5 Oggi come un secolo fa vediamo queste masse di milioni di umani spostate, traslocate dal mercato mondiale che, dice Benedict Anderson, i suoi fautori immaginano“comeunaforza di pace e di ordine, ma che tuttalastoriamodernamostra essere l'istituzione più sovversiva che noi conosciamo”.6 Oggi, come nell’ottocento, la logica del capitale fa sì che nelle migrazioni partano individui, ma arrivino popoli, che la lotta di classe generi scontri di razze. Ma l'altra impressione è che, sotto questa apparente continuità, cambino i modi delle migrazioni. Che muti il significatostessodellaparola migrare. *** Gli emigrati di oggi sono diversi già prima di fare le valigie. In loro la percezione della propria povertà è più dolorosa, più acuta. “La differenza tra le masse del Terzo mondo di un secolo fa e di oggi è che adesso esse sanno, attraverso le meraviglie della comunicazione moderna, di essere povere e che altri non losono.”7Oggilaricchezzaè più contigua alla miseria e ogni giorno lo sfarzo del Nord entra nelle stamberghe del Sud planetario; il lusso parigino si dispiega nelle tv delle bidonville africane. (A contrario, la miseria del Terzo mondo è spettacolo correnteperlefamiglieagiate che, durante laute cene, vedono nei tg scheletrici bambini del Bangladesh: con i mass media, si costeggia così spesso la povertà nel privato di casa propria che non fa più impressione rasentarla in carne e ossa appenafuoridallaporta.) Di nuovo diversi sono i migranti quando partono, per lo più in aereo. Non si valuta abbastanza la rivoluzione del volare. L’aereo cancella la distanza inmodoassaipiùdrasticoche trenienavi:ancoraunavolta siamo di fronte a quell’esigenza di “annullare lo spazio per mezzo del tempo” che, secondo Marx, ha generato i moderni mezzi di comunicazione di massa.8 Di nuovo il mutamento quantitativo (di velocità) trasformalaqualità.Lastessa logica dei costi fissi che per le ferrovie agiva dentro un continente,siapplicaoggiper lelineeaereesututtoilglobo terrestre.Nonrichiedenépiù tempo,népiùdisagio,népiù denaro migrare dai paesi più lontani. La distanza è ormai irrilevante, tanto che le filippine migrano in Italia, all’altrocapodelmondo,con la stessa facilità con cui vi giungono gli eritrei da ben più vicino. Cioè: il fattore viaggio è secondario nel determinaredadoveequanto simigra. Non solo. L'aereo è più egualitario della nave: basti paragonare i terminal internazionali all’O’Hare Airport di Chicago o al KennedydiNewYorkconle foto di inizio secolo che ci mostrano lo sbarco degli immigrati europei ai moli di Ellis Island. La differenza è quella tra un gruppo di persone e una mandria di animali. Questa maggiore uguaglianza discende anche dal turismo. Fino alla Seconda guerra mondiale, gli stranierichesbarcavanonegli Stati Uniti erano per lo più immigrati.9 Dopo il 1945 invece, gli stranieri che sono atterrati negli Stati Uniti sono per lo più turisti: nei dieciannitrail1990eil2000 gli stranieri non immigranti ammessi negli Usa sono stati 269 milioni, mentre gli immigrati legali erano 10,2 milioni,cioèventiduevoltedi meno.10 Gli aerei hanno reso possibile il turismo intercontinentale a centinaia dimilionidipersonenonsolo perché spendono meno soldi, ma soprattutto perché spendono meno tempo, la risorsa più scarsa per i salariati odierni (impiegati compresi). Via mare serviva invece un agio temporale, un disporredimesi.Eilturismo è connesso all’immigrazione dauntriplicelegame: 1 ) Non traggano in inganno le immagini strappacuore di vietnamiti nascosti in vascelli fantasma, messicani ammassati nei camion sotto cassette di verdura:oggigranpartedegli immigraticlandestinivarcala frontiera come turista, è in possesso di un po’ di soldi e diunbigliettodiritorno,solo chenonlousaerestaoltrela scadenza consentita dal permesso temporaneo di soggiorno. La difficoltà di separare turisti veri da turisti falsièunodeimotivipercui l'immigrazione clandestina è tanto cresciuta rispetto a un secolofa. 2) Il turismo consente un’ispezione preliminare, di andare a vedere con i propri occhicomesisonosistematii conterranei già emigrati, di giudicaresedavverolavitavi è così prospera. Quest’avanscoperta era semplicemente impensabile per i contadini siciliani o bavaresidell'Ottocento. 3) Ma oggi l’influsso piùfortestanellafacilitàcon cuipermetteditornareacasa spesso e consente ai parenti restati in patria di venire a visitare l’emigrato (innescando così nuove migrazioni). Per nave era meno frequente il ritorno in Europa. Spesso, la visita al paesenatioprecedevadipoco la morte, solo dopo la pensione, quando ormai a tornare era uno straniero spaesatoinunapatriachenel frattempo si era trasformata. Da qui quel senso di lacerazione, di abbandono definitivo, d’irrimediabile tagliodelpropriopassatoche una volta opprimeva l’imbarcooltrel’oceano.Peri nuovi migranti invece, tornare ogni anno dagli Stati Uniti in Corea non è più arduo che per un muratore napoletano in Germania passare il Natale coi parenti sulMediterraneo. Perciò, quando parte, l’emigrato di oggi non saluta mai la propria patria per sempre. Rimane “in linea” non solo via radio, ma via telefono, via fax, tv, posta elettronica. Potenza del telefono: la facilità con cui tiene i contatti rispetto alle laboriose, rade epistole vergate da mani incerte. Squilla il telefono di un filippino nel suo privato newyorkese,e,damigliaiadi miglia, la sua comunità natia di Cebu irrompe nella sua nuovacasadisera,dimattina, a ghiribizzo. Il legame è agevole quanto quello che unisceunamammaaParigia una figlia a Lione, città diversediunostessopaese. Latvvietadidimenticare la propria lingua, aggiorna sull’attualità politica della propria terra. Attraverso l’antenna parabolica, l’emigrato indiano segue le vicende del Bharatya Janata Party, mentre il white ethnic di una volta riceveva sempre meno notizie e sempre meno vi si interessava: chi vive all’esterosmettedopounpo’ diappassionarsiaglisportdel proprio paese e s’interessa a quelli del paese ospite. Per non parlare della valanga di fax che si abbatte da un continente all’altro. La posta elettronica connette i conti bancari in tempo reale, unifica perciò i bilanci familiari. La famiglia è una lumpen-multinazionale con sediinpaesidiversi. Ecco perché i sociologi americani, per definire le migrazioni contemporanee, parlano di comunità transnazionali: non c’è un paesettomessicanodaunlato e un quartiere di Chicago dall’altro a duemila miglia. Vi è una sola comunità che connette questi due luoghi, che "è un’entità binazionale”11: non è più né messicana,néChicagoan,ma qualcosadidiverso,dinuovo. Un tempo, l’immigrato cercava di mantenere la propria identità difendendosi dall’assedio circostante, costituendoperciò,oltremare, una "Little Italy” o "Piccola Odessa”oChinaTown:erano enclaves, isole di italianità, russità, cinesità che un oceano separava dalla loro madrepatria e che nel chiùdersi su di sé trovavano la caparbietà per mantenersi italiane,russe,cinesi. Oggi il barrio messicano di Pilsen è a tutti gli effetti (per flusso di denaro, costumi, spettacoli, cucina, frequentazioni amichevoli, scambi matrimoniali) più vicino a Michoacàn, o a qualunque altra città messicanacheaEvanstonoa ParkForest.Assistiamoauno sdoppiamento dello spazio. Da un lato la comunità si concentra in un luogo, in un vicinato (per esempio il Barrio di Chicago), ma dall’altro lo spazio della comunità prescinde dal circondario che la attornia e, come in un iperspazio, connette siti lontanissimi tra loro (per esempio Guadalajara e Chicago, Cebu e Roma, Amritsar e Vancouver). La comunità si fa indipendente dalla sua terra. Può darsi italianità senza Mediterraneo,indianitàsenza Gange. Svincolata dal suolo, l’identità cambia significato: è altro il parigino senza la Senna, come inedito è il tuareg senza il Sahara. (Lo straordinario non è che il significato muti, è che un’identità persista.) Prescindendo dalla sua culla, l’appartenenza si fa più astratta. Non per questo la comunità si allenta, anzi, ridotta al suo nucleo, può persino rinchiudersi e diventare più coesa come avvieneaipopolinomadi,gli zingari, o in diaspora, gli ebrei (primo esempio di comunità transnazionale). È una nuova comunità, sì più immateriale ma con odi non meno cruenti, connessa da onde elettromagnetiche, fibre ottiche, cavi telefonici, reattorideijumbo. Essere tamil a Melbourne o cinesi a San Francisco non è più un dato di fatto ovvio, determinatoallanascita.Èun differenziale semantico: 'Ί corpi umani, trascinati nel vorticedelmercato,nonsono solo un’altra forma di merce. Come seguono la scia di cereali e di oro, di gomma e ditessili,petrolchimicaechip di silicio, portano con sé memorie e abitudini, credenze e usi culinari, musicheedesiderisessuali.E questecaratteristiche,chenei paesi d'origine erano portate con leggerezza e quasi inconsciamente, acquistano un risalto drasticamente diverso nelle diaspore della vitamoderna”.12 Portare il velo a Tlemcen èovvio,indossarloinunliceo di Sarcelles nella banlieue di Parigi è vietato. Nello stadio dei Chicago Bulls il foulard islamico lancia un messaggio totalmente diverso che a Isfahan. Ciò che era naturale si fa voluto, un’ovvietà diventa una scelta. È in questo senso che per i moderni nazionalismi BenedictAndersonhaconiato nel1983iltermine“comunità immaginate”, non perché siano irreali, anzi sono tanto reali che in loro nome si uccideesimuore,maperché sono state portate all’esistenza dall’essere pensate, immaginate, sono "artefatti culturali di un particolaretipo”.13 *** Elaborare una comunità presente significa dotarla di un passato, pensarla come primordiale,comeunafatalità originaria. Si è italiani per destino (già, ma cosa vuol dire essere italiani?). La nazionalità è considerata innata, come le idee platoniche. E, come nel platonismo il conoscere è un ricordare, così il modo specificodipensareun'etniao una nazione è di raccontarla come un risveglio (della coscienza nazionale o etnica) “da un lungo sonno”14: nei manuali di storia, arrivati all’Ottocento, c’è sempre il capitolo I risvegli delle nazionalità, benché solo allora i nazionalismi siano nati. Tra gli esempi di Anderson nessuno colpisce più del nazionalismo indonesiano: l’Indonesia è una recentissima entità, costituita da 13.000 isole in cui parlano più di 300 lingue miriadi di popoli che sino a un secolo fa ignoravano la reciproca esistenza. In che consisterebbe l’originaria identità indonesiana di cui andare fieri, per cui combattere e morire? I confini indonesiani sono ritagliati esattamente sull’impero coloniale olandese: se gli olandesi avessero posseduto la Malesia, oggi anche a Kuala Lumpur sarebbero indonesianiperdestino? Il libro di Benedict Andersonfapartediunfilone di studi che analizza la “creazionedelpassato”,come L’invenzionedellatradizione, a cura di Hobsbawm e Ranger,incuisiracconta,fra l’altro, come sia falso che da tempi immemorabili gli scozzesi portassero gonnellini, kilt, differenziati per clan, ma che la sottana tartan, "lungi dall'essere un capo tradizionale delle Highlands,fuinventatadaun inglese dopo l’Unione del 1707; quanto ai tartan differenziati per clan, l’invenzione è addirittura successiva”.15 Anche noi abbiamo osservato il nascere di tradizioni, alcune effimere come l'"Αlba della Libertà”, l’anniversario della Comune di Parigi, che gli anarchici di Chicago festeggiarono per trentasette anni, altre più durature come il Primo maggio, una "Pasqua operaia”. In un altro campo, Edward Said affermava esplicitamente di voler ricercare come è stata costruita la categoria di Oriente: "L’Oriente era un'invenzione dell’Occidente”.16 Questi studi sulla "creazione del passato” si sonoaffermatineiprimianni ottanta 1) quando ormai era evidente il carattere inedito delle nuove migrazioni; 2) dopo che nei sessanta si era imposto il modello rivendicativo nero “Black is beautiful” e dopo che alcuni neri avevano letteralmente inventato una loro originaria identità islamica (la storia di Yakub deiMusulmanineri);3)dopo che nei settanta i white ethnics statunitensi avevano espresso, anche a rimorchio dei neri (e del movimento femminista),quelcheGunnar Myrdal chiamò una "romanticaetnicità”: Gli scrittori etnici si sono concentrati in un astratto inseguimento dell’identità storica, ma non hanno mai chiarito attraverso studi intensivi qualitratticulturalisono implicati, chi vuole quest’identità, chi dovrebbe volerla e perché,ecomedovrebbe manifestarsi. Temo perciò che si debba definire questo movimento come un romanticismo intellettuale upperclass.17 Myrdal sottovalutava la profondità del romanticismo etnico che aveva radici ben più tenaci di un’agiata cerebralità. Quante volte in questo volume ho scritto che negliUsacisonototneri,tot ispanici, tot discendenti di origine tedesca? Gli Stati Uniti pubblicano statistiche precisissime sull'origine etnica e razziale dei loro abitanti. Eppure - abbiamo visto - già l’importantissima categoria nero è geneticamente illusoria, poiché nei censimenti, per ben ottant’anni, dal 1920 al 2000, è stato definito nero chiunque avesse una sola gocciadisanguenero. Arriviamoquiaunpunto nevralgico-checiriportaalla potenza del nominare. A comecioèilsemplicedareun nome a qualcosa (sia una mela, un’etnia, un tipo di legno) generi quel che è nominato, lo faccia diventare reale, o ne muti la realtà. Questapotenzanominatriceè qui esercitata dall'Ufficio statistico. Benedict Anderson ha sottolineato il ruolo che hanno i censimenti nel contribuire a produrre "comunità immaginate”. Il censimento pretende di suddividerelapopolazionein categorie che non si sovrappongono (nessuno appartiene a due categorie diverse) e che esauriscono tutti gli abitanti (nessuno sta fuori dalle categorie), insomma quella che in algebra astratta è chiamata la partizionediuninsieme.Solo che non per tutti gli insiemi c’è una partizione. "La finzionedelcensimentoèche ciascuno vi rientra e che ognuno ha un - e solo un posto chiaro.”18 Per evitare lacune, i censimenti hanno inventato la geniale categoria “Altri” (a volte sostituita da “Diversi”) che raccoglie tutti quelli che rimangono fuori dalla tassonomia. Suddivisa la popolazione, queste classi sono poi riportate nelle domande di assunzione e cartelle cliniche, nei registri scolastici, libretti di lavoro e archivi di polizia, e così cambiano la vita degli individui: nel tempo “acquistano vita sociale reale quelle che prima erano fantasiestatali”.19 Nulla è più espressivo delle categorie usate dal Bureau of the Census statunitense. “Il concetto di razza che il Bureau of the Census usa riflette l’autoidentificazione; cioè la percezione individuale della propria identità razziale”.20 Ognuno dichiara perciò la razza a cui pensa di appartenere. Vi sono definite cinque razze: “indiani americani” e “nativi dell’Alaska”; "asiatici”; “neri”o“africaniamericani”, “nativi hawaiiani” e “altri isolani del Pacifico”, e “bianchi". Già questa suddivisionegridavendettaal cielo: la categoria "asiatico” mischia in una sola razza popolazioni indoeuropee (indiani), dravidiche (tamil), mongolidi (cinesi), male-' si, tartari, razze completamente diversetraloro. Mal’incredibileècheper oltre un secolo, e fino al censimentodel2000,ognuno doveva scegliere a quale razza appartenere. Se sua mammaeracineseesuopapà bianco, lui/lei poteva “iscriversi” a una sola di questeduerazze.Quandonel 1997l’OfficeofManagement and Budget (Omb) decise di porre fine a questa coercizione tassonomica che stava diventando uno scandalo,leresistenzefurono tali che fu bocciata la proposta d’inserire una voce "razza mista” come alternativa alle cinque razze. Si scelse invece una via straordinariamente barocca che riflette quelli che Anderson chiama i "deliri burocratici”.Invecedi“razza mista”, fu inserita una sesta voce, “altra razza”, e inoltre si diede il permesso allo stesso rispondente di dichiarare più razze contemporaneamente, così che "per il censimento del 2000, esistono 63 possibili combinazioni delle sei categorierazzialidibase,che includono le sei categorie di chi indica esattamente una solarazzaele57categoriedi colorocheindicanodueopiù razze”.21 Il risultato è cioè ora che negli Usa ci troviamo di frontealdeliriocombinatorio di 63 razze diverse! Basta questa cifra a dimostrare ancora una volta quel che LucaCavalliSforzaciricorda in continuazione, e che cioè la razza non ha alcun fondamento genetico, non esistecioèunarazza,esistono solo popolazioni, ragion per cui ogni classificazione razziale è arbitraria: “Per esempio, non sappiamo rispondere al problema: 'Quante razze esistono sulla terra?’”.22EinveceilBureau of the Census sì che conosce larispostaaquestoproblema: le razze umane sono 63, non unadipiù,nonunadimeno. Ma la coercizione all’autoimprigionamento razziale è così introiettata nella società americana che solo pochissimi cittadini hanno sfruttato la possibilità di definirsi in modo multirazziale o di “altra razza” e solo il 2,4% delle risposte riportava un’appartenenza razziale multipla o “altra razza”: cioè nulla rispetto alla multirazzialità presente negli Stati Uniti. Ognuno vuole appartenere a una razza, e a un'etnia.Tantoche,studiando i decessi dei bambini negli Stati Uniti tra il 1983 e il 1985, si osservò una netta discrepanza tra l’etnia di origine dichiarata nei certificati di nascita e quella attestata nei certificati di morte.23 Il fatto è che i genitori avevano dichiarato origini diverse, a testimonianza che si vuole appartenere a un’etnia. Il Census crea e alimenta la coscienza di un’etnia la cui esistenza è almeno problematica. Questa volontarietà è addirittura lampante nel caso delle razze: il 6% di coloro chesidichiaranonerisembra bianco agli intervistatori, mentreunterzotracoloroche sidefinisconoasiaticisembra agli osservatori o nero o bianco.Mal'incongruenzasta a monte, nel sistema di definizioni. Per gli statistici americani, almeno dal 1973, quando un comitato federale stabilì la nuova tassonomia razziale,24 l’umanità è spaccatainduegruppi,unodi origine ispanica, l’altro di origine non ispanica. Immaginate un dialogo surreale come: "Lei chi è?”. “Iosonononispanico.” E nulla manifesta meglio l’assurditàdiquestadivisione quanto la categoria di ispanico o latino. Ispanico comprende gli indios boliviani, i bianchi cileni, i neri caraibici, persone di lingua portoghese come i brasiliani.Nonènéunarazza né un’etnia né una lingua. E però finisce per funzionare come una settima razza aggiuntaatuttelealtreperché un argentino biondo con gli occhi azzurri non è contato tra i bianchi, un indio dello Yucatan non è incluso tra i nativi e un haitiano nero come il carbone non è compresotraineri. Ora,lostraordinarioèche queste categorie vengono interiorizzate e finiscono per definire nuove comunità. Ne abbiamo già avuto un esempio poche pagine fa quando “La Prensa de San Diego” perorava la causa della comunità latina, e deprecava gli assalti dei neri contro i latini: ma molti di questi latini sono neri. Ancora: tra il 1960 e il 1990 gli indiani americani sono passati da mezzo milione a quasi due milioni (una crescita del 250%, impossibile demograficamente): da un certo momento deve aver fattochicdefinirsinativi.Ma nonèsoloquestionedigusti, centranoancheisoldi. Iscriversiaunaminoranza bendefinitahaisuoi(poveri) vantaggi. Attraverso la discriminazione positiva, una serie di contributi federali, di posti di lavori pubblici vengono assegnati alle varie minoranze secondo un sistema di quote. Così c’è un interesse materiale a essere nativo o asiatico o ispanico. Tanto è vero che oggi gli immigrati arabi si lamentano di essere assimilati alla categoria bianchi e vorrebbero una propria "razza” arabi con una sua quota di impieghi statali e di contributi. Vorrebbero farsi riconoscere come casta legittimata, ottenere per esempio una poltrona nel governo. Ecco: si comincia con l'arbitraria categoria latino, o nativo, che non ha nessun preciso contenuto razziale o etnico, ma poi si acquista un interesse a essere latini o asiaticieinfinesiostentauna fierezza dell'ispanicità. Si diventaveri latinos, autentici nativi, suprematisti bianchi. Sivaallaricercadellapropria genuinaidentità,siscavanole proprie radici. Quanto più l’origine è incerta, tanto più la ricerca si fa accanita e si manifesta in una, tutta americana,"sfrenatapassione per la genealogia”.25 E davvero, ovunque in America, inciampi nel travaglio dell'origine. Per casoincontriinuncampeggio un professore universitario e subitotiraccontalasuaansia di andare in Russia a rintracciare i suoi avi, tedeschi del Volga. Puoi rimanere deluso dalle tue origini,comeècapitatoauna giornalista che mi raccontava il suo disinganno nel visitare laStettinodacuiisuoierano partiticinquantanniprima. Un’amarezza più grande laprovaronoisoldatinerinel corpo di spedizione americanoinviatonel1992in Somalia per l’operazione pomposamente definita RestoreHope("Restaurare la speranza”).Lì,acontattocon i somali, la loro identità afroamericana fu brutalmente messa in discussione. Loro, neri statunitensi, erano americani e davvero non avevanonullaincomunecon i somali. Eppure negli Stati Uniti quest’identità afroamericana, costruita dall’oppressionebianca,dalla segregazione circostante, è vera,tangibile. È straordinario: per quanto quasi nessun nero sia nero, per quanto un abisso, più che un oceano, separi oggi i neri americani dagli africani, la società statunitense ha costruito un' autentica identità nera, afroamericana. Assistiamo qui al processo di "costruzione dell'autenticità”. ForsenoneracosìcheMartin Heidegger intendeva pervenire ai concetti di autentico e inautentico, al centrodelsuopensiero;stadi fattocheanch’eglinutrivaun desiderio nostalgico per l'"origine” e venerava l''insostituibile radicamento secolare nel suolo alemannosvevo”dellaSelvaNera.26Ed èsintomaticochelaquestione dell’origine s’inscrivesse nell’orizzonte del modernismo reazionario, della "rivoluzione conservatrice”, in cui Heideggeroperava. La modernità di questo procedimentostanelfattoche la pretesa origine non è mai stata originaria, che la sua primordialitàèun’invenzione moderna. È proprio un’ansia per il futuro a presentarsi come un rimpianto per il passato, in un desiderio di nostalgia. Corollario secondario, la duplicità implicita nella creazione del passato rimescola le carte di destra e sinistra. La sinistra, peremancipareleminoranze, appoggia le azioni di discriminazione positiva e quindi ci tiene alle definizioni, alle identità etniche (si pensi a tutta la polemica sull'insegnamento Politically correct, Pc). La destra, contraria alle azioni positive, per scrollarsene l’onere auspica l’abolizione dellecategorieetnico-razziali: per mantenere le disuguaglianze si fa più egualitaria.Questorimescolio riproduce in ambito statunitense il capovolgimento che avvenne nel movimento comunista, quando passò dall’internazionalismo proletariodiMarxaifrontidi liberazione nazionale di Lenin, dove il nazionalismo, una volta considerato strumento di oppressione della borghesia sui proletari, fupropagandatocomemezzo diemancipazionedellemasse dall’imperialismo. *** Diciotto tra libanesi e americani di origine libanese furono arrestati nel luglio 2000 in Nord Carolina, accusati di finanziare gli Hezbollah attraverso un contrabbando di sigarette.27 Nell’agosto2000,igenitoridi un adolescente israelianoamericanouccisonel1996in un attentato a Gerusalemme intentaronounacausada600 milioni di dollari contro parecchie opere pie e organizzazioni non profit islamiche, sostenendo che in realtàraccoglievanofondiper finanziare il terrorismo.28 Molto prima dell’ 11 settembre 2001, le cronache statunitensi erano piene di episodi simili. Già nel 1993 ricordo due americani dell’area di Chicago, ma di originepalestinese,arrestatia GerusalemmedalloShinBet, la polizia segreta israeliana perchéfinanziavanoilgruppo fondamentalistaHamasanche sequeisoldieranodestinatia enti di beneficienza, secondo il direttore di "Al Bustan”, unodeimoltigiornaliarabidi Chicago(“AlOflokAiarabi”, “Al Mahjar Newspaper”, “Arab Journal”, “Muslim Journal”), dove la comunità araba ammonta a 150.000 persone e dove nell’inverno 2000 si assistette a una mobilitazioneeccezionaleper sostenere la seconda Intifada palestinese.29 Quindi,nonsoloilvelofa iltifoperiBulls,masulLago Michigan si fa politica per la striscia di Gaza: e così avvieneintuttigliStatiUniti, come ha dovuto constatare incredula un'America ancora tumefatta dalle macerie del WorldTradeCenter.Èsegno distintivo della nostra epoca quel che Benedict Anderson chiama il “nazionalismo in teleselezione [long-distance nationalism]”.30 Un nazionalismoesacerbatodalla distanza, estremizzato dall’affermare un’identità a repentaglio. Molti punjabi fautori del Kahlistan indipendente vivono a Chicago, come molti sikh appoggianoilorocompatrioti da Vancouver e molti tamil partecipano da lontano alla guerrigliaattraversolaretedi calcolatori Tamilnet. Per finanziare la campagna che portò nel 1993 alla distruzione della moschea di Ayodhya, il concilio mondiale hindu, “il Vishwa Hindu Parishad raccolse somme tremende dai suoi membri in Nordamerica e in GranBretagna”.31 Negli anni novantalacomunitàcroatadi Chicagononhalesinatosoldi, armi e uomini alla causa dei compatrioti in Europa: anche qui la religione è l’elemento aggregativo. Come molti palestinesi di Chicago si ritrovanointornoallaMosque Foundation, così i croati si organizzano intorno ai francescani, e i serbi intorno allechieseortodosse. Con Cleveland che è la maggiore città slovena del mondo (più grande di Lubiana) e che nel 1991 ha avutounruolopreponderante nell’appoggio finanziario alla neoproclamata repubblica di Slovenia, ci accorgiamo che una parte della guerra iugoslava si è combattuta tra l’Ohioel'Illinois.Conrisvolti curiosi. Il pope di una chiesa ortodossa serba è anche il presidente dell'associazione cetnica e ammetteva candidamente che i serbi di Chicagomandavanovolontari a combattere in Iugoslavia. Non solo, ma diceva che i serbi avevano ricomprato gli ospedali da campo americani nella guerra del Golfo del 1991 : ecco sale operatorie che girano i teatri di guerra, dall’IraqallaBosnia. Nulladituttociòènuovo, si dirà. È addirittura leggendario l’appoggio, antico di più di un secolo, della comunità irlandese americana alla causa indipendentista e, nel dopoguerra, alla guerriglia nell’Ulster. Persino sulle pareti del pub dell’hotel HiltondiChicagofannobella mostradisémanifestidell’Ira eproclamideiProvisionais. Ladifferenzastanelfatto che i discendenti di irlandesi si sentono americani con radici (passate) in Irlanda, mentre i finanziatori degli Hezbollah o i volontari serbi o croati si sentono libanesi o croati"ora”inAmerica. Gli universitari neri fautori dell’insegnamento Politically correct (Pc) cercano nella storia e nella cultura africana le proprie radici per agire qui, ma per niente al mondo andrebbero volontari in Sudafrica, né si sognerebbero mai di sentirsi zairoti,tanzaniani,senegalesi. Invece i volontari che negli ultimi quindici anni sono partiti per i Balcani o per la striscia di Gaza si sentono croati o palestinesi al presente.Inquestosenso,essi sono contro-emigrati, sono croati di origine americana, palestinesi di origine statunitense; come ci sono sikh di origine canadese, tamildiorigineaustraliana.Si assiste a “uno slittamento da americano ad armenoamericano ad armenoamericano”,32 dove la sottolineatura si sposta dall’americano all’armeno (o alsikh...).Mentreuntempoi cognomi dei politici americani ci parlavano delle loro origini di immigrati, Eisenhower, Galtieri, Trudeau,oggisiassisteauna diaspora di segno inverso: i politici emigrano dall’America verso i loro paesid’origine.Ilprimocaso clamoroso fu Andreas Papandreu che iniziò la sua vita come cittadino greco, divennecittadinoamericanoe quindi, opportunamente richiamato, divenne di nuovo cittadino greco e poi premier greco. Negli anni novanta, il capitalistacanadesedisistemi computerizzati Stanislaw Tyminski si presentò in Polonia contro Lech Walesa. Rein Taagepera, professore universitario all'Università di CaliforniaaIrvine,fubattuto nella campagna presidenziale in Estonia. Il colonnello in pensione dell'esercito statunitense Alexander Einseln (era emigrato da Tallin negli Usa a 18 anni) è diventato capo di stato maggiore nell’Estonia indipendente. Il cittadino statunitense Milan Panic è statoprimoministroserbo;lo statunitense Mohammad Sacirbeyèstatoambasciatore della Bosnia alle Nazioni Unite. Moheen Qureshi, ex vicepresidente della Banca mondiale,divennepremierad interim del Pakistan essendo detentore di una green card, cioè residente permanente negli Usa. Quando il miliardario di Long Beach Kim Kethavi si presentò alle presidenziali del 1993 in Cambogia, i suoi uffici elettorali rigurgitavano di bandiere americane.33 E il “New York Times” (17 febbraio 1993) osservò che, nell’improbabile caso di vittoria, secondo le leggi americane, "avrebbe probabilmente dovuto rinunciare alla sua cittadinanzastatunitense”. Ancora uno sdoppiamento: i nazionalismi esplodono da tutte le parti, ma insieme si allenta il vincolodinazionalità,cambia natural’ideadinazionecome appartenenza per sempre. Si puòparagonarel'amorpatrio alla fedeltà coniugale, il vincolo di nazionalità a quello matrimoniale. Altre civiltà hanno conosciuto la poligamia (poliandria) sincronica, più partner simultaneamente. Attraverso ildivorzio,lanostraciviltàha sostituitoallamonogamiauna poligamia (poliandria) diacronica: l'individuo cioè ha a ogni momento un(a) solo(a)coniuge,manelcorso della vita, in tempi diversi, diacronicamente, ha più coniugi.Rispettoalvìncolodi nazionalità, le migrazioni del secolo scorso costituivano un divorzio dal paese d'origine cui seguiva, attraverso l’assimilazione, un risposarsi nella terra d’accoglienza: nel corso della sua vita, l’individuo era cittadino di due nazioni diverse, ma a ognimomentoeracittadinodi una sola patria: quando rifiutavadidivorziare,comei tedeschinegliStatiUnitifino allaPrimaguerramondiale,la sua renitenza era condannata alla stregua di adulterio patriottico. Oggi invece la migrazione ricostituisce, rispetto alla nazionalità, una poligamia sincronica ma diatopica (in luoghi diversi). L’individuo appartiene a più nazionalità contemporaneamente ma in luoghi diversi e, soprattutto, in modo reversibile. Questa reversibilitàèlegataalsogno diuna"migrazionecircolare”, ma è possibile solo a patto che l’assimilazione rimanga parziale. Rispetto ad appena pochi decenni fa si è capovolto il rapporto con l’integrazione: un tempo gli immigrati s’inchinavano al diktat "Che tu lo voglia o no, diventerai come noi”, oggi disdegnano l’assimilazione, anzi la subisconocomeinevitabile,il minimo indispensabile. È la sconfittadiquelchepotrebbe essere chiamato il modello francese, di totale assimilazione e oblio delle proprie origini nella figura del citoyen, per cui l’armeno CharlesAznavour,gliitaliani Yves Montand e Léo Ferré furono i cantanti della francesità. *** Edècosìfacileportarein sé nazionalità multiple. A Chicago salta agli occhi. Il coreano che d’estate manda i figli a studiare a Seul vuole che "siano americani e non dimentichino il proprio paese": questi bambini sarannoamericani,mail‘loro paese” continuerà a essere la Corea,inunaviadiChicago. E però saranno pienamente americani e il nazionalismo coreano si sovrapporràaquelloUsa,etu potrai essere yankee e libanese, nello stesso atteggiamento per cui la squadra che vince il campionato Usa di basket (Nba) è dichiarata campione "mondiale”, dove perciò gli Stati Uniti esauriscono il mondo. Dove la nazione americana è l’orizzonte di vita, mentre la nazione palestinese, croata, tamil è l'identitàcuianeli. Nel risucchiare milioni di umani da un continente all’altro, quell’incredibile tornado che è il capitalismo, la forza “più sovversiva che abbiamo mai conosciuto”, riplasma anche il concetto di nazione.Insuabalia,idestini umani si aggrappano a identità lontane, a sensi di vitacheapparirebberoirrisori se per essi gli interessati non fosseroprontiamorire. “Senso di vita”, “morte”: Benedict Anderson notava quel peculiare emblema del nazionalismo moderno che è il monumento al Milite Ignoto: altre culture hanno eretto cenotafi, ma in quei sepolcri l’identità del morto era nota, mancava solo la salma. Qui no, riempire il cenotafio sarebbe sacrilego: in quella tomba il corpo assente è la nazione: a Roma ilMiliteIgnotoèl’italiano,a Parigi,sottol’Arcoditrionfo, quel vuoto è colmo di francesità. “Il significato culturale di tali monumenti diventa ancora più chiaro se si cerca di immaginare una tomba, diciamo, dell’Ignoto Marxista o un cenotafio dei Liberali Caduti.”34 Proprio perchéè“immaginata”,epoi vissuta come un destino, un dato primordiale e immodificabile, l’identità nazionale attiene al senso e alla morte, “questioni cui tutte le scuole di pensiero evoluzioniste/progressive rispondono con impaziente silenzio”.35 Delle sue azioni il nazionalista deve rispondere ai suoi morti. Anzi, la nazione è ciò che fa deimortiinostrimorti,come i Vice Lords che sacrificano birraailorocaduti. Così,nelleviediChicago ognuno si porta dentro i suoi brandellidisenso,diinferi,di aldilà. La città si dissolve al suoesternoneisuburbi,nelle villette, nei diuturni cicli di degrado e bonifica. Ma essa si disloca anche nelle interiorità dei patriottismi, nella diaspora delle fedi, con una Sheridan Avenue a Ho Chi Min City, una Lincoln Avenue a Seul, un Humboldt Park a Guadalajara, una Devon Avenue a Lahore. Incrociunapersonaesivede cheilsuovicinodìcasastaa Belgrado, e poi subito un’altra che tra sé e sé parla con Calcutta. Allora, ai tuoi occhi la mappa stradale di Chicago traccia una precaria trama di vita sospesa nel silenzio,nelvuotocosmicodi sensi irraggiungibili. Nessun paesealmondopiùdegliStati Uniti, e nessuna città più di Chicago,titrasmetteunsenso di metafisica: qui anche i mattatoi emettevano il grugnito dell’universo. La metafisica è esasperata dal contrastofrailpositivismo,le scelterazionalidimercatodei Chicago Boys e l’insensato sudare,l’ammazzarsidifatica dei suoi abitanti. L'avidità intrisa di fede, la “fame di vento”nellaCittàVentosa. Ti ferisce l'intensità con cui ognuno combatte la sua lotta, fa il suo dovere, fluttuante su un abisso di nulla. Tra State e Superior, davanti alla Cattedrale del Santo Nome, nel centro elegante della città, una vecchia lacera dai bianchi capelliispidispazzaigradini del sagrato con una scopa di saggina. Ogni pomeriggio la ritrovilìapulirelapietracon un'energia instancabile, senz'altroscopodelloscopare che lo spazzare stesso. Adempie a questo compito con un’urgenza, come prima dell’irreparabile,comel'unico modo di salvare l’equilibrio del mondo. Forse è così che, nella cosmologia indiana, Siva Nataraja non può smettere di danzare, perché con la sua danza leggiadra sostieneilpesodell’universo. La sua immane responsabilità, la sua fatica solitaria frappone tra lei e il mondo un muro di opacità che impedisce ai valori e ai giudizi altrui di tangerla. Il suospazzarerisuonacomeun urlo,eimponeilsilenzio. *** E poi però, in una serena notte destate, per i fuochi d’artificio del 4 di luglio, dai bassifondivengonoafiumane torrenti di scuri corpi dal South Side, volti candidi dai villini del Nord. E poi tratti spigolosi di indios. Occhi a mandorla. Pallidi nasi adunchi. E braci nere di pupille indiane. E diavolesse dagli occhi azzurri. Dai suburbipiùlontani,daCicero e da Calumet, da Gary e da EvanstonsiriversanoaGrant Park,davantiall’ArtInstitute, sullarivadelLagoMichigan, sotto grattacieli svettanti. Fantastici fiori di luce multicolore tuonano e s’irradianonelnerodelcielo. E un calore immenso emana dalla folla, da questi milioni di umani insieme, una speranza allegra e ostinata, un’adesione intensa, una fierezza,unasoddisfazionedi esserci, che t’instilla un’immotivata, struggente fiducianelfuturo. 1 “Usa Today”, 12 aprile 2000. 2M.Royko,Boss,cit.,p. 30. 3 Dai "2002 Data Profiles" del sito dell’U.S. Bureau of the Census: www.census.gov. 4JackMiles,Blacksvs. Browns.Immigrationandthe New American Dilemma, in “The Atlantic Monthly”, vol. 270, n. 4, ottobre 1992, pp. 41-68. 5Ivi,p.51. 6 B. Anderson, The New WorldDisorder,cit.,p.8. 7 W. C. Biven, Who Killed John Maynard Keynes?,cit.,p.193. 8KarlMarx,Grundrisse der Kritik der politischen Ökonomie(1857-1858),Dietz Verlag, Berlin 1953, trad. it. Lineamenti dell’economia politica, La Nuova Italia, Firenze 1970, III, 2 II processo di circolazione del capitale,vol.II,p.161. 9 Nel decennio 19211930 sbarcarono negli Usa 4,1 milioni di immigrati controsoli719.000visitatori. Nel decennio successivo, 1931-1940, dopo le restrizioni sull'immigrazione, sbarcarono528.000immigrati contro 775.000 visitatori. Da U.S. Bureau of the Census, Historical Statistics of the United States, cit., vol. I, tavv.C89-101eH941-951. 10DaticalcolatidaU.S. Bureau of the Census, Statistical Abstract of the United States 1999, cit., taw. 5e7eU.S.Immigrationand Naturalization Service, Statistical Yearbook of Immigration and Naturalization Service 2000, Government Printing Office, Washington D.C. 2002, tav. 37. 11 Douglas S. Massey et al., Return to Aztlón. The Social Process of International Migration from Western Mexico, California University Press, Berkeley (Cal.)1990,p.7(Aztlànèper gli ispanici la regione a cavallo tra il Messico del nordeilsud-ovestdegliStati Uniti). 12 B. Anderson, The New World Disorder, cit., p. 8. 13 Benedict Anderson, Imagined Communities. Reflection on the Origin and Spread of Nationalism (1983), Verso, London 1992, p.4. 14Ivi,p.196. 15 Hugh Trevor-Roper, LatradizionedelleHighlands inScozia,inTheInventionof Tradition, Cambridge University Press, Cambridge 1983,trad.it.Einaudi,Torino 1987,p.23. 16 Edward W. Said, Orientalism, Vintage Books, NewYork1979,p.1,trad.it. Bollati Boringhieri, Torino 1991; Feltrinelli, Milano 1999,p.11. 17 Gunnar Myrdal, The Case against Romantic Ethnicity, in "Center Magazine”, 1974, p. 30, citato da S. Steinberg, The EthnicMyth,cit.,p.50. 18B.Anderson,Imagined Communities,cit.,p.166. 19Ivi,p.169. 20 U.S. Bureau of the Census,StatisticalAbstractof theUnitedStates2002,cit.,p. 5. 21 U.S. Bureau of the Census, Population Division, Special Population Staff, ‘‘Racial and Ethnie Classifications Used in Census2000andBeyond",12 aprile2000. 22 Luca e Francesco CavalliSforza,Chisiamo.La storia della diversità umana, Mondadori, Milano 1993, p. 333. 23L.Wright,OneDrop ofBlood,cit.,p.53. 24Ivi,p.50. 25 Eric J. Hobsbawm et al, in The Invention of Tradition, Cambridge University Press, Cambridge 1983,trad.it.Einaudi,Torino 1987, p. 281, la fa risalire al decennio1890perlefamiglie che volevano stabilire la propriapurezzawasp. 26 Martin Heidegger, Warum bleiben wir in der Provinz?(“Perchérestiamoin provincia?”), in "Der Alemanne”, marzo 1934 (il corsivoèmio)citatoinPierre Bourdieu, L’ontologie politique de Martin Heidegger(1975),LesÉd.de Minuit,Paris1988,trad.it.il Mulino,Bologna1988,p.62. 27 "The New York Times",22luglio2000, 28Ivi,13agosto2000. 29 "The Chicago Tribune”,29dicembre2000. 30 È il titolo di un capitolo del volume The Spectre of Comparisons. Nationalism,SoutheastAsiaand the World, Verso, London 1998,pp.58-74. 31 Praful Bidwai, Bringing Down the Temple: Democracy at Risk in India, in "The Nation”, 25 gennaio 1993,p.86. 32 Benedict Anderson, Long Distance Nationalism, in The Spectre of Comparisions, Verso, London1998. 33Ivi,pp.19-20. 34 B. Anderson, Imagined Communities, cit., pp. 9-10. Ma il culto del Milite Ignoto sarà durato menodiunsecolo,dissacrato dallageneticacapace-grazie alDna-diridareunnomeai brandellipiùdilaniatidiogni soldato morto in battaglia: nessun milite caduto potrà mai più, a rigore, restare Ignoto. 35 Ibidem (il corsivo è mio). P.S.Unbluesancora,e poi. Su Halsted Street c’è un locale fumoso, celebre nella storia del blues: si chiama, appunto Blues. Qui ci saluteremo, dopo aver tanto giratoperChicago.Sulpalco, vicinoalbanconedeiliquori, si esibiscono cantanti, trombettisti e batteristi neri, maanzianiodimezz’età,eil pubblicoètuttobianco.Irudi distici dei blues stridono con lelunghissimeunghielaccate dirossodisignoreacconciate con ricercatezza di periferia. Aprovareilbrividodelsound nero vengono provinciali dallegrandipianecentraliche si distendono sotto 'l'impero diChicago”,comescrivevano icronistidell’ottocento. E pensare che appena ottani anni fa il blues era musica di giovani neri per giovani neri. Ma era un’altra epoca, un’altra America, un’altra Chicago. Dall’Alabama, dal Mississippi,dallaLouisiana,i raccoglitori neri di cotone biancoaccorrevanoafiumane sulle rive del Lago Michigan come a una terra promessa. Fu così che, da Memphis e New Orleans, i treni dell’IllinoisCentralportarono qui i grandi del blues e del jazz,daBessieSmithaLouis Armstrong, a suonare in localicomeil.Lamb’sCaféo in sale da ballo come il Trianon. Chicago ha lanciato la prima industria discografica nera ed è stata per più di mezzo secolo una capitale del blues, il pui maggiore festival si tiene all’aperto,ogniiniziogiugno, nei parchi della città. Ma nel frattempo i neri furono rinchiusineiloroghetti,nella black belt ("cintura nera”) e, musicalmente, Chicago divenne “un luogo in cui white boys met horn [i bianchi scoprirono la tromba]”.1 Non per nulla John Belushi e i Blues Brothers sono così profondamenteChicagoans,e bianchi. Nel blues risuona quindi una Chicago che ormai non cepiù.Quellacresciutaconla logica dei costi fissi e del capitale "ferroviario”, dei mattatoi, del commercio di legname e di granaglie. La Chicago dal sostrato tedesco, delle etnie bianche (white ethnics),dei sindaci irlandesi (Daley, Kelly), degli oriundi polacchi e dei gangster italiani (Al Capone, Sam Giancana). Chicago si presenta come esemplare, rappresentazione fedele dell’America: si descrive come necessaria, “ineludibile metropoli del Nord-ovest,”scrivevaParton. Osservare Chicagoland significa raccontare la sua stratificatageografiaurbanae umana; la sua storia architettonica e industriale diventa un’archeologia del capitale. Archeologia del capitale in quanto scavo nei vari strati delle macerie che essohalasciato,deglieserciti umani che ha spostato e mandato allo sbaraglio, delle invenzioni che ha imposto, dalla casa col telaio ligneo leggero (balloon frame) al grattacielo, dalla mietitrice meccanica al vagone frigorifero per i manzi macellati, al Mercantile Exchangedovesicontrattano opzioni per titoli futuri su vitellididomani. Di questa storia così breve, e così gonfia, sono state spazzate via perfino le effigi. I mattatoi sono chiusi; la Grand Illinois Station rasa alsuolo.Haymarketridottoa cavalcavia. Hobohemia rigentrificata. Bronzeville, una volta vivacissima, landa desolata. Distrutti il Lamb’s Café e il Trianon: tutto un libro di foto mostra la “Chicago perduta", come un'Atlantide sommersa.2 Arrugginite le acciaierie di Calumet.Trasformataincittà privata la fabbrica Stewart Warner. Interi ghetti svaniti, soppiantati da distese di civettuole town homes. Spazzati via dal vento gli anarchici, le Pantere nere, i sindacalisti di Debs, i boscaioli che estinsero da queste lande il pino bianco, i ferrovieri, gli hoboes. Tutti trascinati via dalla storia, o forse sepolti in un cimitero alla Spoon River (Edgar Lee Masters, un altro figlio di Chicago). Fra breve anche le torri semincendiate e diroccatedelleTaylorHomes ediCabrini-Greenrifluiranno nella Lost Chicago, rimarranno soltanto un mito nella memoria, come solo un ricordosaràl'esaltatafrenesia deipitsdelChicagoBoardof Trade e del Mercantile Exchange. Un’archeologia dunque, maun’archeologiadelfuturo. Perchéquestodistruggersi e divorarsi fulmineo, questo annientarsiericostruirsièciò che caratterizza il moderno. “Tutto ciò che era stabile si dissolve nell’aria,” scrivevano Marx ed Engels nel Manifesto del partito comunista,3 una frase ripresa da Marshall Berman come titolo del suo libro su “l'esperienza della modernità”. È già scomparso quel che appena ieri aveva creatoefattograndeChicago. Elacittàcheoggivediamoè destinata a svaporare. Quel che non cambia è il processo del dissolvimento, è il vivere del proprio morire, è l’autofagia come tecnica di crescita: Chicago sembra praticare incessantemente su se stessa quel processo che Schumpeter considera la caratteristica principale del capitalismo, e cioè “la distruzione creatrice".4 Tutto si dissolve nell’aria, è vero, maquesto,completavaMarx, "costringe a guardare con occhiodisincantatolapropria posizione e i propri reciproci rapporti”. Come avrai capito, lettore, né io sono un americanista, né questo è un volume di studi americani, tanto meno una storia di Chicago. Anzi, avrai notato che ho cercato di riportare intatto il mio ricorrente sguardo alieno, lo stupore da straniero, da "europeo”: in Germania o in Francia sono costretto a sentirmi italiano, maunavoltainAmericasono obbligato a sentirmi europeo e a chiedermi, come faceva Wolfgang Schivelbusch, quand’è che “noi siamo diventatiloro’’. Nonèverochenoisiamo architetti e ingegneri dei nostri libri, demiurghi che primadelineiamounprogetto epoilo“mettiamoinopera”. In realtà chi scrive s’imbatte in un libro. Così, io sono inciampato in Chicago: nulla nella mia formazione, prima scientifica e poi francofona, nulla nella mia esperienza professionale mi ci aveva preparato.Questacittàmisiè dispiegata come un fattore d'ordine capace di dare una trama alle preoccupazioni, ai problemi disparati e però confusamente connessi che mi arrovellavano e mi si aggomitolavano nella mente intorno alla modernità e alla sua natura. La città di Chicago si è presentata ai miei sensi come un personaggio di romanzo, come un soggetto capace di trasformare un saggio in un racconto,unostudio in una narrazione. Sarà perché ho incontrato questa città in un momento particolaredellamiavita,ma subitohosentitolasuapuzza, la puzza di modernità. Chiunque viaggi sa che, a vivere troppo a lungo in una città, non si annusano più i suoi odori; ma quando vi si torna dopo una lunga separazione, per quanto sia pulita, ogni città ti accoglie con la sua puzza fortissima, insopportabile e familiare. Ecco, Chicago puzza di moderno. Non è un aroma, è un lezzo forte. Forse così si spiega “il paradosso per cui questa città sta più a cuore agli europei che a noi” [Chicagoans], come scrive NelsonAlgren.5 Dopo avervi vissuto dall'autunno del 1992 alla primavera del 1993, mi ci sono voluti altri due anni di studio e di nuovi soggiorni perimpadronirmideiconcetti e degli strumenti appena sufficienti a fare affiorare gli elementi di moderno di cui avevo presentito giusto l'odore. Solo nel corso del lavoro ho capito come mai tanti episodi centrali della modernità si erano verificati qui sulle rive del Lago Michigan: la nascita dei grattacieli, la standardizzazione dei sapori, il sorgere della sociologia urbana, il primo reattore atomico,lascuolaeconomica deiChicagoBoys... È inutile rielencare qui i tratti salienti della modernità che abbiamo cercato di far affiorare dallo scavo: la potenza del nominare, il problema dell’autenticità, il dilatarsi della dimensione privata, il meccanismo sociale in cui il confitto di classeèl’inputeloscontrodi razza è l’output. Soprattutto, a Chicago non cessa di stupire la straordinaria potenza rivoluzionaria, sovversiva del capitalismo, unapotenzacheèancorlungi dall'esaurirsi. Sconvolte dalla “rivoluzione permanente” operata dal capitalismo, risaltano in primo piano le masse umane prese nel suo vortice. Diventano protagonisti i milioni di diseredati trascinati da un continenteaunaltro,ognuno con la sua ostinata speranza di una vita migliore. Centosettant’anni fa, sulle rive del Michigan cerano tepee indiani, capanne di cacciatori di pellicce. Oggi vietnamitivicelebranoilloro Capodanno, il tet, e arabi pregano nelle sue moschee. Centosettant’anni fa la prateria era popolata di bisonti, un paesetto doveva ancora sorgere. Oggi, agli inizi del xxi secolo, questa megalopoli di otto milioni di abitanti ha compiuto il ciclo dellamodernità.Nellasuagià rugosa maturità, il problema all’ordine del giorno è se la metropoli - come modo di vivere urbano, come civiltà cittadina - si sta dissolvendo in una struttura diffusa, reticolare, multicentrica, in una via di mezzo che non è più né città né campagna. Anche la metropoli si dissolvenell’aria. Per misurare l’abisso scavato da soli centosettant’anni anni, basti paragonare gli slum di Manchester descritti da Engels e i ghetti di Chicago: squallore, lerciume, desolazionesonoidentici,ma contreenormidifferenze:1)i residentideglislumdiEngels eranobianchi, ora a Chicago sono di colore: 2) erano operai,orasono disoccupati; 3)perlestradec'eraunafolla brulicante, una torma, ora colpisce il silenzio della solitudine, di strade quasi deserte. A Chicago la sovversiva logica del capitale ha potuto dispiegarsi senza vincoli, senza essere frenata da uno statalismo (come in Francia), da un’aristocrazia (Gran Bretagna), da una chiesa (Italia). Perciò qui il capitalismo si è imposto prima,einmodopiùestremo. Ecco perché vi abbiamo incontrato situazioni, configurazioni che in Europa stanno solo ora manifestandosi, o sono solo in fase di abbozzo. In questo senso è un’archeologia del futuro, del futuro europeo. Futuro come linea di tendenza, quindi non necessariamente buono (Wacquantparlaaddiritturadi “America come utopia alla rovescia”). All’inizio del Novecento, i viaggiatori europei,Sombartcomeanche 23 segretari di trade unions inglesi (la cosiddetta “spedizione” Mosely del 1902), tutti riferivano che gli operai americani stavano meglio di quelli europei, le loro case erano più belle, il loro cibo di gran lunga migliore (!), e le operaie “eleganti".6 Oggi, un leader sindacale americano direbbe lastessacosa,aruoliinvertiti, degli operai tedeschi: negli Stati Uniti, il benessere dei lavoratori è cresciuto e declinato in anticipo. Non solo le grandi tendenze, ma persino i particolari sono premonitori:ivecchifrancesi hanno smesso di portare la casquette e giocano a bocce col berretto da baseball. Gli elegantoni italiani escono ormai in (carissime) tute da ginnasticaescarpedatennis; i barboni cominciano a costruirsi le loro baracche di cartoneanchenelcentrodelle città europee accanto alle vie dilusso. Nascostapiùinprofondità c'è un’altra caratteristica di Chicago che prefigura la modernità di altre metropoli ed è il suo essere insieme provinciale e globale. "Città globale” è un concetto introdotto da Saskia Sassen: in un'economia globale, delocalizzata, i servizi vanno accentrati e "città globali” si rendono necessarie perché "concentrano l’infrastruttura” e “il controllo globale”. "Quest’ultimoèessenzialese la dispersione geografica dell’attività economica - che sia di fabbriche, uffici o piazzefinanziarie-deveaver luogo sotto la continua concentrazionedellaproprietà e dell’appropriazione del profitto.”7Inquantoculladel mercato dei futures, Chicago è città globale per antonomasia,ma-comenota DavidMoberg-loèinmodo provinciale: "Chicago manca di alcuni attributi tipici della ‘cittàmondiale’.[...]Sebbene la sua influenza su teatro, letteratura, arte e vita intellettuale sia andata crescendo negli ultimi decenni, è ben lungi dall’avvicinarsi-comecentro della cultura di massa o d’influenza ideologica - al livellodiLosAngeles,conil suocinemaeisuoistudios,o di New York con la sua editoria, pubblicità e moda. (Il ‘Chicago Tribune’, per quanto estremamente redditizio e localmente influente, non ha la statura nazionaleointernazionaledel ‘New York Times’, ‘Wall Street Journal’, ‘Los Angeles Times')”.8 Città dell’economia globale sì, ma insieme profondamente midwestern. Un radicamento dislocato che preannuncia il registroesistenzialedellevite prossimeventure. Il bailamme cosmopolita e provinciale, l’incrociarsi quotidiano di polacchi e filippini, di russi e sikh, prefigura un mondo in cui le identità saranno costruite diversamente, altrimenti immaginate. Scorrere le frequenze radio di Chicago è scegliere in un catalogo di corsi di lingue. Ti viene da riflettere su Babele: non doveva essere così tremenda. Magari non era l’inferno in cui le lingue cozzano, ma il purgatorio, cacofonico però sopportabile,incuigliidiomi scivolano uno sull’altro, comebrusiichesentimanon ascolti. Forse ci si poteva vivere, come qui a Chicago, pensi dopo una stretta di mano nel camminare di sera su Halsted Street: un blues ancora,epoi... *** Questo libro è stato contagiatodalsuoargomento: nellesuevarievite,hasubito anch’esso l'incessante, fulmineo trasformarsi di Chicago. Per tallonare l’incontenibileautofagiadella città, da quando è uscito in italiano (novembre 1995) è stato corretto già per la terza edizioneitaliana(1996).Nel frattempo mutavano i paesaggi di Chicago, cambiavano le statistiche, nuovi studi venivano pubblicati di cui era impossibile non tener conto. E perciò il libro è stato di nuovo revisionato per le edizioni tedesche (hard cover 1996, tascabile 1998), poi in quella italiana tascabile (1999). Ha quindi subito un processo di "distruzione creatrice” ancora più massiccio per l’edizione in lingua inglese (2001 ). Ora, per la seconda edizione tascabile italiana e per la traduzione svedese ho potuto utilizzare anche i dati conclusivi del Censimento 2000, oltre a riaggiornare tutte le statistiche: né è decentemente possibile discorrere di grattacieli, della Nation of Islam, del longdistance fondamentalismo come se l'11 settembre del 2001 non fosse avvenuto. Con gli aggiornamenti statistici, le riscritture, gli emendamenti, è aumentato ancor più il numero - già grande-dipersoneversocui sono debitore e che - in diversimodieinvariamisura - mi hanno permesso d’intraprendere e portare a termine la ricerca, poi mi hanno corretto errori e inesattezze, e quindi hanno fiutato questo volume a farsi un po’ di strada nel mondo. Troppo lungo e tedioso sarebbe specificare l’aiuto di ognuno. Ma certo conoscono le ragioni della mia gratitudine Tariq Ali, Guido Ambrosino, Benedict Anderson, JoelBleifuss, Pierre Bourdieu, Franco Carlini, Manuela e Bruno Cartosio, Francesco Cataluccio, Albertine Cerutti, Deborah Cole, William Cronon,MikeDavis,Giulioe Luce d’Eramo, Micaela Di Leonardo, Valerio Evangelisti, Carlo Feltrinelli, Adelin Fiorato, Marina Forti, Roberta e Larry Garner, Maria Grazia Giannichedda, Friederike Hausmann, Jane Hindle, Charles Hoch, Leo Kadanoff, Linda Grace Kobas, Ann Lovell, Corinne Lucas, Beth Mafchinot, Giulia Maldifassi, Ornella Mangione, David Moberg, Franco Moretti, Anna Nadotti, la famiglia Nnoberavez,AlessandraOrsi, Antonella Palombo, Giorgio Parisi, Valentino Parlato, Luigi Pintor, Alessandro Portelli,TeresaPrado,Saskia Sassen, Marie-Ange Schütz, Wolfgang Schivelbusch, Erik Schneider, Maria Concetta Straccamore, Anna Maria Testa, Graeme Thomson, Fabrizio Tonello, Lietta Tornabuoni, Fernando Vianello, Susan Watkins, James Weinstein, i gentili addetti delle biblioteche Harold Washington, Newberry,Regensteinedella ChicagoHistoricalSociety. 1 Eric J. Hobsbawm, The Jazz Scene (1961), trad. it. Storia sociale del Jazz, Editori Riuniti, Roma 1982, p.158. 2 David Lowe, Lost Chicago, Houghton, Mifflin 1975, riedito da Wings Books,NewYork1993. 3 Karl Marx, Friedrich Engels, Manifest der Kommunistischen Partei (1848), trad. it. Laterza, Bari 1972,p.59. 4 Joseph Alois Schumpeter, Capitalism, Socialism and Democracy (1946), George Allen and Unwin,London1954,trad.it. Edizioni di Comunità, Ivrea 1964,cap.vii. 5 Nelson Algren, Chicago: City on the Make (1951), Chicago University Press,Chicago1983,p.87. 6 W. Sombart, Perché negli Stati Uniti non c'è il socialismo?, cit., p. 100. Sul cibo "l'operaio americano è assai più vicino ai nostri migliori ceti medi di quanto nonlosialanostraclassedei salariati: egli già pranza, non mangiasoltanto". 7 Saskia Sassen, Cities inaGlobalEconomy(1994), Pine Forge Press, Thousands Oaks2000,p.85. 8 D. Moberg, Chicago, to Be or Not to Be a Global City, cit., p. 80. Che poi nel 2000il“ChicagoTribune”sia diventatoproprietariodelben più influente “Los Angeles Times" è solo un’ulteriore manifestazione della potenza globale di Chicago e del suo simultaneoprovincialismo. Bibliografia* *Sonoriportatiquisoloi lavori da cui sono tratte citazioni testuali o notizie, informazionispecifiche.Sono esclusequindioperechepure mi sono state utili, ma che non ho usato esplicitamente. Sono anche esclusi articoli apparsi su quindicinali, settimanaliequotidiani. AA.VV., A History of Technology,ClarendonPress, Oxford 1958, trad it. Boringhieri, Torino 1982, vol. v, L’età dell'acciaio, 18501900. AA.VV., Cabrini-Green. In Words + Pictures, W3 Chicago,Chicago2000. AA.VV., Political Corruption, a Handbook, Transaction, New Brunswick 1989. WILLIAM J. ADELMAN, Haymarket Revisited, Illinois Labour History Society, Chicago1976. THEODORW.ADORNO,The Stars Down to Earth. The "Los Angeles Times" AstrologyColumn.AStudyin Secondary Superstition, in Soziologische Schriften II, Suhrkamp Verlag, Frankfurt amMain1975,trad.it.Stelle su misura, Einaudi, Torino 1985. -, Jargon der Eigentlich