Comitato tecnico-scientifico
Centro Studi Ubaldiani
“Padre Emidio Selvaggi”
Quaderni
Ubaldiani
3
SOMMARIO
p3
Il raffronto fra
la Vita Prima e la Vita Secunda
Angelo M. Fanucci
p9
La diffusione delle Vite latine di S. Ubaldo
(secc. XII-XVII)
François Dolbeau
p 17
S. UBALDO,
LA VITA COMUNE DEL CLERO E DEI CANONICI REGOLARI A GUBBIO
Pietro Benozzi
p 22
Un’identità incredibilmente equivocata
CHI ERA PIETRO DEGLI ONESTI, O “PIETRO PECCATORE”
Angelo M. Fanucci
p 23
Il Libro primo
della Regula Clericorum
Patrizia Biscarini, Elena Giglio e Filippo Paciotti
Presentazione
Il raffronto fra
la Vita Prima e la Vita Secunda
Angelo M. Fanucci
Sale in cattedra François Dolbeau
Nei primi due Quaderni Ubaldiani abbiamo pubblicato le
due Vite di Ubaldo, che tradizionalmente vengono ormai
chiamate Vita prima, quella scritta da Giordano, canonico
a S. Florido di Città di Castello, e Vita secunda quella scritta
da Tebaldo, monaco a Fonte Avellana, e successore eletto
di S. Ubaldo nel Vescovato di Gubbio.
Vite scritte ambedue immediatamente a ridosso della morte del Santo: ne è prova il fatto che la Vita secunda di Tebaldo fu offerta nel novembre del 1163 come un prezioso
cadeau all’imperatore Federico Barbarossa: prezioso e …
interessato, perché nel corso del loro incontro, nel 1155,
Ubaldo dovette aver in qualche modo garantito all’Imperatore la fedeltà del Comune di Gubbio.
In che rapporto stanno le due Vite?
Teoricamente tre sono le ipotesi possibili:
1.Tebaldo e Giordano derivano entrambi da un modello comune;
2. Giordano deriva da Tebaldo;
3.Tebaldo deriva da Giordano.
L’improponibilità di un modello comune
L’esistenza di un ‘modello comune’ sarebbe a priori piuttosto seducente, perché spiegherebbe bene
come mai i due agiografi raccontino quasi sempre gli stessi
episodi,
come mai li mettano in fila l’uno dopo l’altro, sostanzialmente nello stesso ordine,
come mai ciascuno dei due narratori produca di esclusivamente proprio solo quegli aneddoti in cui compare di
persona, oppure al racconto dei quali la sua collocazione
ecclesiale lo abilita.
Ma l’ipotesi non regge:
• innanzitutto perché non esiste un briciolo di testi
monianza che alluda a una fonte comune;
• in secondo luogo perché cozza contro la ristrettezza
del tempo: se è vero, com’è vero, che ambedue le biografie vennero redatte nel periodo immediatamente
posteriore al 1160, non sapremmo in alcun modo
dove collocare la fonte comune ipotizzata.
L’IMPROPONIBILITÀ DELLA DIPENDENZA DI
GIORDANO DA TEBALDO
È impensabile che Giordano dipenda da Tebaldo. Perché
non è possibile che la Vita di Tebaldo fosse già in circolazione nel momento in cui Giordano si accingeva a scrivere
la sua:
cosciente non solo della propria superiorità letteraria, ma
anche della propria autorità di vescovo, segue la traccia segnata da Giordano senza avvertire alcun bisogno di citarlo,
perché al testo che ha davanti egli conferisce un nuovo
aspetto tutto personale, elevato, dignitoso.
perché Giordano all’inizio del suo scritto, nel prologo,
cita le sue fonti, e Tebaldo non c’è; se la Vita di Tebaldo fosse già stata in circolazione, Giordano non avrebbe
potuto non citarla
- in quanto estremamente autorevole, dato che, nell’immediato post mortem di Ubaldo, Tebaldo era stato
eletto a succedergli;
- in quanto Tebaldo era stato un grande amico di
Ubaldo;
• perché se Tebaldo avesse già scritto la sua Vita, e Giordano scrivendo la sua avesse evitato di citarlo, sarebbe
apparso a tutti puerile: tutti avrebbero potuto rimproverarglielo, quanto meno accusandolo di presunzione,
visto che lui poteva far conto solo sui normali ricordi
di confratello, mentre Tebaldo aveva a disposizione ben
altra documentazione per scrivere la vita del Santo.
Anche l’esame della lingua e dello stile conferma quanto
asserito qui sopra: il carattere semplice e ingenuo che Giordano rivela in tutto il suo scritto mal si concilia con l’astuzia di chi, scrivendo, rubacchia da altri.
E infine va tenuto presente, a mio parere, che Giordano
sta vivendo un momento di estrema debolezza: si trova
a Gubbio, o nelle sue vicinanze (Camporeggiano?), da
ospite, forse perché cacciato dalla carica di Priore che ha a
lungo ricoperto, ma lontano da Gubbio, dove ha referenti
deboli e poco numerosi.
•
LA VITA DI TEBALDO È UN RIFACIMENTO COLTO
DELLA VITA DI GIORDANO
Acclarata la priorità cronologica di Giordano su Tebaldo,
occorre dire che sul piano formale Tebaldo surclassa Giordano. Infatti
• nella scelta dei singoli vocaboli (lessico),
• nell’organizzazione dei vocaboli in una proposizione
(la grammatica),
• nella strutturazione delle varie proposizioni in un’unità
più complessa, detta ‘periodo’ (la sintassi).
Giordano si rivela come una mezza calzetta, Tebaldo
emerge come un vero uomo di cultura, di una cultura che
OVVIAMENTE è la cultura del tempo.
Dati i rapporti cronologici ai quali abiamo accennato, il
primum intentum di Tebaldo è quello di emendare il testo di
Giordano
• dalle goffaggini di stile,
• dalle incongruenze di composizione,
• dalle negligenze cronologiche.
E questo ha conferito alla Vita di Tebaldo tutte le caratteristiche di un rifacimento colto.
Su questo piano io avevo preso una clamorosa cantonata quando, nella prefazione alla prima edizione (1979)
avevo scritto: «Ai raggi X dell’analisi estetico/letteraria
Giordano si rivela come uno che sa da che parte si tiene
la penna. Certamente è più primitivo di Teobaldo, cioè
meno preciso, meno controllato, meno ordinato, più
istintivo; ma la Vita di Giordano dal punto di vista della
validità estetico/letteraria giustifica in pieno il giudizio
intravisto dal Cenci: LA MIGLIORE».
Giudizio da rettificare; credo di non aver avuto, allora, il
tempo necessario per calibrarlo, e di essere stato come…
‘rintronato’ dall’aver letto, primo tra gli Eugubini del
sec. XX, certi brani autenticamente lirici: il commento
di Giordano all’ultima omelia che S. Ubaldo rivolse ai
suoi nella Pasqua del 1160, o, prima di essa, atmosfera
struggente del dialogo con il console Bambo, a un passo
dalla morte.
LA PERFETTA RAGIONEVOLEZZA DELL’IPOTESI CONTRARIA
Secondo Dolbeau l’ipotesi che Tebaldo dipenda da Giordano è accettabile da tutti i punti di vista.
I due scritti hanno un plafond culturale comune: sia Tebaldo
che Giordano dànno uno spazio eccessivo al racconto dei
miracoli, perché ambedue ubbidiscono ad un preconcetto,
che chi è pratico di leggende agiografiche sa bene: per certi
scrittori delle età medie, la base della santità doveva consistere molto nel prodigio.
Su questo plafond culturale comune s’inseriscono le differenze che già il Cenci aveva sottolineato, ad onta dell’esiguità del materiale comparativo di cui egli disponeva (la
Vita di Giordano l’aveva solo nel parziale rifacimento di
Stefano da Cremona (1519).
Il Cenci ci ricorda che, quando due racconti sono chiaramente in contatto l’uno con l’altro, il criterio condiviso
dagli studiosi stabilisce che è antecedente nel tempo
• il racconto dai contenuti più semplici,
• il racconto dallo stile più povero,
• il racconto dalla forma meno rifinita.
Sotto tutt’e tre queste luci, la Vita di Giordano ci si presenta come la prima, mentre quella di Tebaldo è chiaramente
la Vita secunda.
Il fatto che Tebaldo non lo abbia citato Giordano ha anch’esso in questa tre luci una sua logica: il dotto Avellanita,
In proposito il Cenci, pur disponendo di un testo gravemente mutilo, aveva scritto, nel 1916: il suo (di Giordano
n.d.r.) stile è semplicissimo, qualche volta rozzo. Brevissime sono le
narrazioni. Se qualche volta si dilunga un poco, ciò lo fa solo o per la
descrizione dei particolari, o per inserirvi brevi parlate ed opportune
citazioni scritturali. (…) Abbiamo in Giordano uno stile famigliare
privo di eleganza: il periodo invece di Tebaldo è sempre studiato, rotondo, ben rispondente ai gusti letterari del tempo. Giordano aveva da
scrivere per i più fedeli e quindi segue una forma semplice e dimessa.
la reduplicatio (iustis et probis), soprattutto l’ossìmoro (mors/
vita) disposto a chiasmo: vivifice mortuus..., mortaliter vivus.
‘Cólto’ dunque, Tebaldo, certamente! Ma... non esageriamo! Egli veniva da una scuderia che ospitava cavalli di razza ben più dotati di lui.
Dolbeau concorda e sintetizza: la Vita redatta da Tebaldo
ha tutte le caratteristiche di un rifacimento colto della Vita
di Giordano.
Quale scuola ha alle spalle Tebaldo
Il “pesante scarto di valore formale” fra le due Vite è imputabile a due fattori diversi.
Innanzitutto alla diversa formazione letteraria che i due
hanno alle spalle.
Giordano ha imparato il latino nella scuola della Canonica
di Città di Castello, cioè in una di quelle benemerite scuole
di taglio popolare che tenevano il latino nel dovuto onore,
ma non ne facevano un oggetto di culto; per questo lo
scritto di Giordano, sia per la sua semplicità, sia per lo stile
meno rifinito, sia per la forma più andante, ci si presenta
come il lavoro primitivo.
Tebaldo invece si era formato alla scuola di Fonte Avellana,
dove in fatto di ars dictandi, Pier Damiani e il suo biografo
Giovanni da Lodi, detto Il Grammatico, avevano dato origine ad una scuola di altissimo profilo, che la lingua latina
l’usava magistralmente.
Una cultura letteraria controllatissima. Io ne ho fatta una
duplice esperienza, un diretta e una indiretta.
L’esperienza diretta dell’autocontrollo come stigma fondamentale di questa cultura l’ho fatta quando, insieme con
Barbara Minelli che stava stendendo la sua tesi di laurea
in Lettere Classiche, ho letto e riletto la Vita Iohannis Laudensis, di autore sconosciuto, e non solo ho potuto centellinare un latino piacevolissimo soprattutto nella musicalità
del periodare, ma mi sono reso conto che la perfetta padronanza della lingua di Cicerone permetteva agli avellaniti
di… giocarsi su un po’; una volta infatti ci siamo trovati
di fronte a tredici esametri (numero magico!) ‘affondati’
dall’anonimo autore, senza nessuna avvertenza previa, nel
testo prosastico, quasi una sfida al malcapitato lettore: «Ma
ce l’hai o non ce l’hai nel tuo orecchio un residuato di senso della metrica quantitativa?». Quella strepitosa cultura
letteraria sapeva coltivare anche il divertissement.
L’esperienza indiretta l’ho fatta chiedendo un giudizio articolato ad un luminare della Facoltà di Lettere Classiche
dell’Università degli Studi di Perugia, uno specialista in
tema di latino medioevale, al quale avevo inviato il testo
della Epistula dedicatoria che Tebaldo premette alla sua Vita,
chiedendogli quale tipo di cultura emergesse da quello
scritto.
Risposta: Chi ha scritto queste righe era sicuramente un
dotto di routine, ma nulla più. Ricercato quanto basta. Sonoro. Cultore della concinnitas anche a prezzo di qualche
forzatura, ben al di là di quello che richiederebbe la volontà
di evidenziare i contenuti del discorso. Tebaldo dimostra
buona padronanza del lessico, sa usare agilmente le figure
retoriche più in voga, come la gradatio (veraciter/fideliter),
La diversità dei destinatari
Ma forse ancora di più lo scarto di valore formale fra le
due Vite è imputabile alla totale diversità dei lettori ai quali
i due autori pensano mentre scrivono.
Giordano scrive pensando ai confratelli in coro con i quali
presto, nel primo anniversario della morte di S. Ubaldo,
leggerà e ascolterà tre delle nove letture del Matutino.
Tebaldo scrive pensando, più che al dedicatario della sua
fatica, Federico Barbarossa, ai dotti dignitari della sua corte, tra i quali non mancavano certo latinisti di vaglia: il suo
compito non poteva essere quello del semplice cronista;
non era una pia biografia che si richiedeva alla sua penna,
ma un lavoro degno di essere presentato alla corte del Cesare germanico.
Quando si seppe che l’Imperatore, che aveva conosciuto
Ubaldo di persona, voleva un degno racconto della sua vicenda terrena, la Vita di Giordano apparve a tutti improponibile, per i motivi cui sopra abbiamo accennato.
Logico dunque che il compito di venire incontro al desiderio dell’Imperatore venisse affidato al dotto Tebaldo, che
era anche colui che la Chiesa eugubina aveva eletto come
suo Vescovo.
E Tebaldo si valse del vecchio lavoro come di una traccia,
e su quella, come sulle testimonianze da lui raccolte, eseguì
la seconda biografia.
La diversa fortuna delle due Vite
Essa riuscì di soddisfazione dei concittadini di Ubaldo.
Questo spiega anche perché la Vita di Giordano cadde nel
dimenticatoio: era troppo umile e troppo semplice; fu naturale che venisse dimenticata, e la vita vera, perché “biografia” o “storia” in quel tempo, come nell’antichità, significava un buon lavoro letterario, restò quella di Tebaldo.
Tanto più che essa fu dallo stesso agiografo.???????(nota
Dolbeau in un articolo del 1981 in BDSPU scrive: «la Vita
prima, quella di Giordano, circola a Gubbio, ad Assisi, a
Bologna, e a Mortara; serve da modello a Petrus de Natalibus
ed a Augustinibus di Pavia. La Seconda Vita invece sembra
conosciuta soltanto a Gubbio e a Gualdo Tadino. Forse
gli umini del Medioevo, preferivano, come quelli di oggi,
il tono caloroso e realistico della Vita prima alla freddezza,
un pò compassata della Vita secunda»). ( Don Angelo, non
contraddice quanto tu affermi????)
Una nuova luce anche sui rapporti tra le due versioni
della Vita secunda
La scoperta della Vita di Giordano getta la sua luce chiarificatrice anche sui rapporti fra le due redazioni della Vita di
Tebaldo, la ‘forma lunga’ e la ‘forma breve’.
Dolbeau si è rammaricato del fatto che questi rapporti non
siano mai stati approfonditi, grazie alla immotivata convinzione, radicata negli eruditi di Gubbio, che l’esemplare
medioevale della ‘forma breve’ conservato alla cancelleria
comunale rappresentasse il manoscritto originale; e questo
li dispensava da qualsiasi dimostrazione; e sulla loro scia
tutti gli storici hanno unanimemente ammesso l’anteriorità
di questa versione. (…)
Ora la scoperta del testo di Bologna permette di dimostrare l’infondatezza di questa teoria: se è vero, com’è vero,
che la Vita di Tebaldo è un rifacimento colto della biografia
redatta da Giordano, questo vuol dire che, quando le due
versioni di questa vita si distinguono una dall’altra per delle
varianti stilistiche, quella più vicina al modello corrisponde
evidentemente al primo stadio dell’opera.
Dolbeau questo esame l’ha fatto, ed è arrivato alla conclusione che la ‘forma lunga’ della Vita sancti Ubaldi di Tebaldo è regolarmente più fedele al testo della Vita beati Ubaldi
di Giordano ritrovata a Bologna.
E di conseguenza, non la forma breve, ma quella lunga è
la più antica (…).
La Vita di Tebaldo, ancora meglio rifinita, e su essa venne
redatto l’ufficio per la liturgia, e il suo manoscritto, come
titolo nobiliare della città, venne inserito negli atti consiliari. ??????
che vuol dire ‘elabora’?
Vuol dire che qua sceglie e raffina, formalmente: qua arricchisce la frase, là abbandona le notazioni che gli sembrano
troppo minute e non rispondenti al genere letterario che si
è prefisso? Vuol dire solo questo?
No, non vuol dire solo questo. “Elabora il testo di Giordano” vuol dire anche che Tebaldo, ogni qualvolta il particolare racconto non rivestiva carattere manifestamente prodigioso, ometteva quel particolare, con un danno notevole
sul piano dei contenuti, rendendo la vita di Tebaldo meno
pregevole di quella di Giordano. Per questo preconcetto
- sottolineava Cenci - Tebaldo ci defrauda di momenti bellissimi, che illuminano mirabilmente la figura interiore del
protettore eugubino. Giordano è invece ricco di questi particolari, sebbene non ometta né il racconto dei prodigi, né
delle grazie ricevute per intercessione del Santo (…).
In conclusione, quello che di Giordano aveva potuto leggere autorizzava il Cenci ad affermare che, sul piano dei
contenuti, Giordano sembra alle volte più ampio di Teobaldo, mentre in realtà la sua maggiore ampiezza non consiste che nella maggiore abbondanza di particolari; ma è
un’ampiezza più andante, più umile, che non si stacca in
nulla dalla forma del semplice cronista.
Verissimo: Tebaldo segue la traccia segnata da Giordano,
ma dà ad essa un nuovo aspetto tutto personale, elevato,
dignitoso. Verissimo.
Ma a questo punto il Cenci pone un’affermazione assolutamente inaccettabile.
Scrive: Tebaldo non tradisce la verità, ma alla narrazione
particolareggiata sostituisce un racconto, un’affermazione
generale che contiene tutta la verità senza scendere alle minuzie della cronaca.
Falso. Come vedremo nel prossimo capitolo, Tebaldo si
permette omissioni che pregiudicano gravemente la nostra
possibilità di capire chi era davvero S. Ubaldo.
Quello del Cenci è un giudizio interlocutorio e destinato
ad essere superato, perché Cenci aveva a disposizione una
parte troppo piccola dello scritto di Giordano.
E dunque, pur evitando ogni indebita criminalizzazione
del nostro grande concittadino, non possiamo non prendere le distanze da lui.
TEBALDO MUTILA IL TESTO DI GIORDANO
Le differenze fra la Vita secunda di Tebaldo e la Vita prima
di Giordano riguardano solo la forma o anche i contenuti? Rielaborando il testo di Giordano da par suo (cioè da
dotto di routine), Tebaldo ha anche snaturato la figura di S.
Ubaldo?
Per rispondere a questa domanda i due nostri campioni
dell’agiografia ubaldiana, Cenci e Dolbeau, avevano a disposizione strumenti totalmente diversi: Cenci disponeva
di un testo monco e frammentario, che gli permetteva solo
un giudizio interlocutorio; Dolbeau aveva a disposizione il
testo completo, che non solo gli permetteva, ma esigeva da
lui un giudizio definitivo.
Il giudizio definitivo di Dolbeau
Il giudizio interlocutorio del Cenci
Dolbeau, quando ebbe finito di leggere, per la prima volta
ai nostri giorni, l’intero testo della Vita beati Ubaldi di Giordano, con l’onestà dello studioso serio scrisse: «L’esame
del testo completo, così come è conservato nel manoscritto di Bologna, permette di confermare la conclusione a cui
era arrivato il Cenci».
Onore al merito.
Ma la conclusione da confermare riguardava solo la diversa
qualità complessiva dei due componimenti.
Quanto invece alla diversità dei contenuti fra la Vita di
Per Cenci, ad onta della superiorità formale di Tebaldo su
Giordano, la moderna scienza storiografica, per la quale
la storia più che un tessuto di idee è un tessuto di fatti, dà
maggior valore alla Vita prima di Giordano, perché semplice e priva di studiati atteggiamenti preconcetti, ma ricca di
particolari, un documento più pregevole perché più originale, più spontaneo, e quindi indubbiamente più storicamente attendibile.
Tebaldo elabora l’opera di Giordano. Tutti d’accordo. Ma
to in termini SOSTANZIALMENTE (N. B.!) identici da
ambedue gli agiografi (fra parentesi, l’eventuale diversità
di collocazione), mentre il segno “–” sta a dire l’assenza
totale dell’episodio in oggetto in uno dei due.
Giordano e quella di Tebaldo, Dolbeau poteva dire quello
che Cenci non poteva assolutamente. E Dolbeau l’ha fatto;
ha redatto una pregevolissima tabella comparativa, nella
quale il segno “=” vuol dire che ciò di cui si parla è riferiVITA DI GIORDANO
VITA DI TEOBALDO
1 Prologo
2–4 Infanzia e adolescenza
- Formazione a San Secondo (2, 1)
- Trasferimento alla cattedrale (2, 2)
- La scuola di Fano (3)
–
= 1 (fine)
= 1 (inizio)
–
- Amicizia con Giovanni da Lodi (2)
- Rifiuto del matrimonio (4, 1–3)
- Regola di vita (4, 4–7)
5–8 Il canonico di Gubbio
- Ubaldo prete e priore (5, 1)
–
- Ubaldo dona i suoi beni (5, 2)
- Incendio di Gubbio (6, 1)
- Dopo una crisi Ubaldo si riprende (6, 2–3)
- Viaggio a Ravenna (7,1–4)
- La regola persa e ritrovata (7, 5–9)
- Riforma dei canonici (8)
9–10 Ascesa al vescovato
- Rifiuto della sede di Perugia (9)
- Nomina a vescovo di Gubbio (10,1–2)
10–15 Il vescovo e la sua cittá
- Opposizione al nuovo vescovo (10, 3–8)
- Sopportazione delle offese (11)
- Atteggiamento nei confronti del clero (12)
- Ubaldo nella guerra civile (13)
- Ubaldo e la guerra con l’estero (14)
=2
cfr. 9
- Il vescovo e l’imperatore (15)
16–18 I miracoli compiuti in vita da S. Ubaldo
- Il sacrestano di Fonte Avellana (16, 1–2)
- Il paralitico di S. Orphitus (16, 3–4)
- Prima guarigione di un cieco (16, 5)
- Il cieco delle ciliege (17)
- Il miracolo rifiutato (18, 1–6)
- Ubaldo e il culto della verità (18, 7)
- Guarigione del prete Azo (18, 8)
19–20 Sofferenze e morte del vescovo
- Austerità della vita quotidiana (19, 1)
- Malattie della vecchiaia (19, 2–7)
- L’ultima Pasqua (20, 1–8)
- Morte del santo (20, 9)
= (17 e 16)
=3
- Vita sregolata dei canonici (3)
–
=6
=6
=5
–
= 4–5
=7
=8
–
= 10
–
= 11
= 15
= 12
= 13 (fine)
= 13 (inizio)
= 14
–
–
= 16
cfr. 9
= 18–20
–
= 21
21–29 Funerali di Ubaldo
e miracoli compiuti dal santo
- Arrivo della folla (21, 1–2)
- Guarigioni dei primi giorni (21, 3–10)
- La bambina sordomuta (22)
- La sepoltura di Ubaldo (23, 1–13)
–
= 21
= 22–23
= 24 (o 23?????)
cfr. 25
= Profezia di Ubaldo in merito al suo
successore (25) (o 24?????)
= 25–26
= Visione del Priore di Fonte Avellana (26)
= (27–30)
–
–
–
–
- Gubbio luogo di pellegrinaggio (23,14–17)
–
- Elenco dei miracolati (24–25)
- Incontro del narratore con due senesi (26)
- Prima liberazione di prigionieri (27)
- La tempesta placata (28)
- Seconda liberazione di prigionieri (29)
Con davanti agli occhi l’evidenza dei tagli operati da Tebaldo, sulla base della sua salda e profonda conoscenza della
cultura medioevale Dolbeau s’è chiesto:
Tebaldo quegli insulti, quelle violenze, quella guerra
sorda che gli Eugubini mossero a Ubaldo nella prima
metà del suo servizio episcopale, non solo le sintetizza
di molto, quasi essiccandone la quantità e la portata, ma
le racconta in chiave di edificazione pia, e non (come
furono realmente) come espressione di due modi diametralmente diversi di intendere la figura del vescovo,
da parte dell’opinione pubblica del tempo e da parte di
S. Ubaldo.
PERCHÉ TEBALDO HA TAGLIATO QUEGLI EPISODI, E
NON ALTRI?
E ha risposto: probabilmente perché alcuni di quegli
episodi gli apparivano
• puerili (La scuola di Fano, che in realtà doveva essere
un orfanotrofio: che senso può mai avere, nella vita di
un santo, il fatto che abbia trascorso una parte della sua
infanzia in un orfanotrofio?)
• eterodossi (Il miracolo rifiutato: un Santo che non fa miracoli che ci sta a fare sulla scena, a fare le parole crociate? ).
• Perché sconvenienti: le malattie della vecchiaia. Perché
mai, pensa Tebaldo, dilungarsi su quelle migliaia di pustole purulente, e sul fatto che il liquido secreto ‘integhiva’ in poco tempo?
Perché sproporzionati: la sepoltura di Ubaldo. Perché
mai sembrare un comportamento indegno di un cristiano, quasi pagano, quello di stringersi per più giorni, giorno e notte, intorno al catafalco di Ubaldo, come fecero
gli Eugubini a partire dal 16 maggio 1160?
•
Ma Tebaldo non si è limitato ad accantonare alcuni degli
episodi narrati da Giordano.
Altri episodi hanno tutta l’aria di essere stati abbreviati ed edulcorati.
Perché? E quali?
• Perché incompatibili con la dignità del Santo: la durissima e prolungata opposizione degli Eugubini al nuovo vescovo coerente
- con il fatto che il clero e il popolo in prima istanza, alla morte del vescovo Stefano, non si fossero
messi d’accordo sul nome di Ubaldo, come sarebbe
sembrato naturalissimo, vista la scelta dei Perugini due
anni prima,
- e con il fatto che la delegazione inviata a Roma
perché fosse il Papa Onorio II a sciogliere il nodo doveva tassativamente chiedere che la scelta cadesse su
di un prelato della Corte Pontificia.
*
**
Amabile lettore di questo terzo Quaderno Ubaldiano, non
ti sembra il caso che Gubbio conferisca a François Dolbeau la cittadinanza onoraria, o (meglio ancora) il Premio
Bandiera?
Perché è grazie a lui che sulla bandiera invisibile della nostra città dal colore ferrigno il profilo di Ubaldo ha acquisito un profilo nuovo ed entusiasmante.
La diffusione delle Vite latine di S. Ubaldo
(secc. XII-XVII)*
François Dolbeau
Le opere che riguardano santi antichi o dell’Alto Medioevo si sono spesso trasmesse, per semplice routine, da una raccolta
agiografica ad un’altra, indipendentemente dalla vitalità e dall’estensione geografiche dei culti. In compenso, a partire dall’XI secolo, la diffusione delle Vite consacrate a santi recenti è strettamente legata al loro semplice impiego nella liturgia.
La storia di un testo agiografico diventa allora il riflesso della popolarità di un culto.
Appena si comincia a studiare il dossier di Ubaldo († 1160), si è colpiti da due caratteristiche principali:
- lo squilibrio tra i pochi manoscritti medioevali e l’abbondanza, veramente prodigiosa, delle biografie moderne;
- l’esistenza di due Vite, posteriori di pochissimo al 1160, che si sono fatte concorrenza durante il Medioevo.
La redazione quasi simultanea di più biografie non è senza confronto, ma si osserva generalmente nel caso di santi molto
famosi, il cui culto è divenuto subito universale: per esempio – per ricordare solo i contemporanei di Ubaldo – Bernard
de Clairvoux († 1153) o Thomas Becket († 1170). Il primo fenomeno è eccezionale e giustifica un tentativo di spiegazione.
Nella presente esposizione, ho diviso per comodità la storia del dossier agiografico di Ubaldo in quattro periodi: dal 1160 a
2/3 del XIV secolo, dal 1370 al 1512, dal 1512 all’inizio del XVII secolo, infine dal 1623 in poi, data della prima edizione
in senso stretto di una delle Vite medioevali.
Questa ripartizione corrisponde approssimativamente alle grandi divisioni della storia di Gubbio: epoca comunale, governo dei Montefeltro poi dei Della Rovere, amministrazione pontificia. All’interno di ogni sezione, la presentazione
delle testimonianze esistenti sarà seguita da qualche riflessione critica. Si tratta evidentemente di un bilancio provvisorio,
perché una lettura esaustiva di tutti i manoscritti e degli stampati disponibili avrebbe richiesto una difficile ricerca, non
soltanto in Umbria e nell’Italia del Nord, ma anche nelle biblioteche austriache e delle regioni renane. Per quanto sia parziale la mia documentazione, io penso che sia tuttavia sufficiente per abbozzare una storia della trasmissione e suggerire
piste nuove ai ricercatori che potrebbero riprendere ulteriormente questo dossier.
Nel corso del primo periodo che va dalla morte del Santo ai 2/3 del XIV secolo, il culto di Ubaldo sembra aver avuto una
portata esclusivamente locale. La bolla di Celestino III, di cui ci parlerà G. Barone, gli conferisce sicuramente un carattere
ufficiale nel 1192, ma ne limita anche in un certo modo, con le parole apud vos, la diffusione alla diocesi di Gubbio.
Rare sono le testimonianze che ci sono pervenute da quest’epoca. Sono nell’ordine della loro scoperta:
a - Gubbio, Archivio di Stato, Libro delle riformanze, n. 1, f. 209-214 e 217-220, utilizzato dagli eruditi dal XVI secolo.
Questi fogli, che contano da 25 a 27 lunghe righe per pagina, sono databili, in base alla scrittura, all’estrema fine del XII
secolo e all’inizio del XIII. Essi costituivano inizialmente un libretto indipendente, aggiunto successivamente – al fine
di assicurarne la conservazione – ad un registro comunale per gli anni 1326-1327. Essi contengono, in una recensione
un po’ abbreviata (BHL 8355), il racconto di Tebaldo (Theobaldus), priore di Fonte Avellana, eletto vescovo di Gubbio
alla morte di Ubaldo.
b - Gubbio, Archivio di Stato, Armanni II C 4 bis, f. 1-2v, scoperto da Pio Cenci nel 1916. Sotto questa segnatura
sono conservati due fogli staccati da uno stesso codice, utilizzati all’inizio del XVI secolo per la rilegatura di un manoscritto di grammatica. Databili ugualmente alla fine del XII secolo o ai primi anni del XIII, essi contengono in forma
frammentaria la più antica vita di Ubaldo, cioè quella che fu redatta da Giordano (Iordanus), priore del capitolo di Città
di Castello (BHL 8354 t o Vita prima).
Cenci credeva che questi fogli provenissero da un lezionario, ma l’ipotesi sembra incerta perché non vi si riscontra alcuna
*
AA.VV., Nel segno del santo protettore Ubaldo, vescovo, traumaturgo, santo. Atti del convegno internazionale di studi, Gubbio 15-19 dicembre 1986, «La
Nuova Italia», Firenze 1990, pp. 189-208. Traduzione dal francese di Maria Antonietta Leonardi.
«Decrevimus ut festum transitus ipsius, sicut beatissimi confessoris, apud vos perpetuo habeatur» : Acta Sanctorum, Mai. t. 3, p. 640A.
F. Dolbeau, Les manuscrits hagiographiques de Gubbio, in Analecta Bollandiana, 95 (1977), p. 370. I fogli 215-216, trascritti verso l’inizio del XVII secolo,
servono a colmare una lacuna sopravvenuta dopo il 1588 (ibid., p. 364-5).
P. Cenci, La vita beati Ubaldi scritta da Giordano di Città di Castello, in Archivio per la storia ecclesiastica dell’Umbria, 4 (1917-1919), p. 70-136 (soprattutto
p. 72-3); F. Dolbeau, Les manuscrits hagiographiques de Gubbio, p. 372.
menzione di lezione. Malgrado la disposizione in due colonne, la giustificazione della superficie scritta (215 x 157 mm)
è pressappoco la stessa del manoscritto precedente e non corrisponde più di tanto al formato delle raccolte agiografiche
(leggendari o lezionari dell’ufficio) destinate alla lettura pubblica.
c - Assisi, Archivio della Cattedrale, Lezionario, s. n., scoperto da Cenci qualche mese dopo, Armanni II C 4 bis.
Il testo, diviso in nove brevi lezioni, com’è d’abitudine in un lezionario non monastico, fu copiato nella seconda metà
del XIII secolo. Esso è preso dai primi paragrafi (2. 1-4. 5) del racconto di Giordano e appare in un supplemento fuori
calendario assieme a letture relative a Savinus di Spoleto, Venantius di Camerino e Crispolitus di Bettona.
Altri tre esemplari, attualmente smarriti, risalivano probabilmente allo stesso periodo:
d - Un manoscritto, conservato una volta nella cancelleria episcopale di Gubbio, attestava la lunga recensione del
racconto di Tebaldo, cioè la versione primitiva (BHL 8357 o Vita secunda), dedicata all’imperatore Federico Barbarossa.
In una copia della fine del XVI secolo, inviata ai Bollandisti di Anversa da Vincenzo Armanni, questo testimonianza era
chiamata vetustissimus codex originalis.Il vocabolario degli antichi storici è spesso impreciso e sbaglieremmo nel tradurre
l’aggettivo originalis con autografo, ma il superlativo vetustissimus non può affatto, sembra, intendersi come una testimonianza posteriore al XIV secolo.
e - Un leggendario, appartenente a san Francesco di Gualdo e disperso verso il 1650, conteneva parimenti una
Vita di sant’Ubaldo, adattata essenzialmente al racconto di Tebaldo, con alcuni miracoli nel finale presi da Giordano.
Questa collezione, che raggruppava una cinquantina di santi venerati in Umbria, fu senza dubbio compilata nella diocesi
di Nocera Umbra. Essa è considerata dalle fonti antiche d’antiquissimus liber o di vetustissimus manuscriptus codex10. La critica
interna permette di attribuirla verosimilmente al secondo quarto del XIV secolo.
f - Infine un inventario, compilato nel 1578, dei manoscritti di Fonte Avellana conserva il ricordo di un volume di
Gregorio Magno, che conteneva nel finale una vita del beato Ubaldo:
Gregorii pp. enarratio super Iob et in Actus apostolorum, et beati Ubaldi vita. Reverendissimo et sanctissimo fratri11.
L’insolito raggruppamento di tali opere e il parallelo del Libro delle riformanze di Gubbio fanno supporre che si trattava di
una raccolta eterogenea, nella quale un libretto agiografico era stato allegato arbitrariamente ad un insieme patristico12.
Siccome Tebaldo era stato priore di Fonte Avellana, probabilmente la sua relazione veniva letta nella sua antica abbazia.
La descrizione del catalogo è troppo vaga perché sia possibile datare il volume. Ma la storia della biblioteca di Fonte
Avellana e l’affetto che Ubaldo aveva per questa abbazia fanno pendere piuttosto per una Alta datazione.
Questo primo bilancio suggerisce le seguenti riflessioni:
• Eccettuati alcuni frammenti di Giordano (Armanni II C 4 bis), di cui si ignora l’origine, tutte le testimonianze reperite
provengono da Gubbio o dalle regioni adiacenti (Assisi, Fonte Avellana, Gualdo Tadino). Come succede per la maggior
parte dei santi del XII secolo, questa tradizione manoscritta è scarsa. Ma essa resta più abbondante di quelle riguardanti
A titolo di paragone, il frammento del leggendario di Gubbio conservato nell’Armanni II C 2 presenta 54/55 righe per colonna e una giustificazione di 443 x 266 mm. Per l’omeliario-leggendario dell’Archivio della Cattedrale (II D 5-6), le cifre sono rispettivamente di 44/46 righe e 380/390
× 230/245 mm.
P. Cenci, La vita beati Ubaldi, p. 73-74. Alcune sue fotografie sono conservate nella raffazzonata raccolta Armanni II C 4 bis, f. 3-4.
Cfr. A. Brunacci, in Bollettino della Deputazione di Storia Patria per l’Umbria, 45 (1948), pp. 28-31. Le referenze rinviano alle divisioni della mia edizione: La vita di sant’Ubaldo, vescovo di Gubbio, attribuita a Giordano di Città di Castello, in Bollettino della Deputazione di Storia Patria per l’Umbria, 74 (1977),
pp. 95-112.
Sull’anteriorità della forma lunga vedere La vita di sant’ Ubaldo, pp. 87-8.
Act. SS., Mai. t. 3, p. 628C.
R. Guerrieri, Le cronache e le agiografie francescane medioevali gualdesi ed i loro rapporti con altre cronache e leggende agiografiche umbre, in Miscellanea Francescana
33 (1933), pp. 198-241; F. Dolbeau, Le légendier de San Francesco de Gualdo: tentative de reconstitution, in Bollettino della Deputazione di Storia Patria per l’Umbria,
73 (1976), pp. 157-75.
10
Rispettivamente in Gubbio, Archivio di Stato, Armanni I C 12, f. 5 e II C 4, f. 27.
11
C. Pierucci, Inventari dell’antica biblioteca di Fonte Avellana (secc. XI-XVIII), in Fonte Avellana nella società dei secoli XIII-XIV. Atti del III Convegno del
Centro di Studi Avellaniti, Fonte Avellana, 1979, pp. 189-90, n. 61. Le ultime parole stampate in italico rappresentano l’incipit di Moralia in Iob.
12
Nell’attuale Vat. lat. 622 (di Fonte Avellana) un libretto relativo a Pietro d’Alesssandria (BHL 6698f) è stato allegato alla fine del Registrum delle
lettere di Gregorio.
10
Giovanni da Lodi († circa 1105) o Pietro Parenzo (martorizzato a Orvieto nel 1199)13. Sbaglieremmo se considerassimo
questa mediocrità relativa come l’indice di un culto che stentava a radicarsi14. In realtà Gubbio non è stato mai un centro
importante di produzione di libri. D’altra parte i compilatori di leggendari medievali sono reticenti nell’accogliere i santi
contemporanei. Di conseguenza le biografie di Ubaldo sono circolate sotto forma di libretti più fragili e più facili da
smarrire15.
• Nella stessa Gubbio, fu il racconto di Tebaldo che servì a confezionare dopo il 1192 l’ufficio liturgico del santo16. È lo
stesso che è stato adottato dai due poteri più interessati alla promozione del culto di Ubaldo, cioè il vescovo e il comune.
Ma mentre il manoscritto della cancelleria episcopale conservava la stesura primitiva, dedicata a Federico Barbarossa, la
versione scelta dalle autorità comunali corrisponde ad un testo monco, di cui sono stati volutamente eliminati i riferimenti all’imperatore e la maggior parte dei miracoli che non riguardavano i cittadini di Gubbio.
Questi ritocchi non sono dovuti al caso, e risalgono verosimilmente a un membro di una fazione guelfa. Ci piacerebbe
sapere in quale momento il libretto relativo a Ubaldo venne inserito nel registro del 1326-27. Perché fu precisamente nel
corso di quegli anni che cominciò la redazione dello Statuto vecchio promulgato nel 1338. A titolo di paragone fu nel 1347
che il Comune di Orvieto decise di celebrare solennemente il culto di Pietro Parenzo17. Non sarebbe dunque sorprendente che a Gubbio, in questa prima metà del XIV secolo, in cui dominava a livello locale il partito guelfo, si sia voluto
ufficializzare un racconto che sopprimeva ogni traccia di sottomissione e di fedeltà all’imperatore.
• Infine l’adozione da parte delle autorità comunali ed ecclesiastiche del racconto di Tebaldo non poteva che ostacolare
la diffusione del testo concorrente di Giordano. Mi pare significativo a questo riguardo che il primo agiografo che abbia
tentato una sintesi delle due tradizioni, il compilatore del leggendario di Gualdo, abbia preferito seguire la Vita «ufficiale»
e relegato in appendice i miracoli che leggeva solamente in Giordano.
***
La nostra seconda epoca nella storia della trasmissione, che copre la fine del XIV secolo e tutto il XV, coincide pressappoco col periodo in cui Gubbio è governata dalla famiglia dei Montefeltro (1384-1508). Essa è segnata da un considerevole sviluppo del culto di Ubaldo, sia nell’Italia del Nord che nei paesi germanici. L’entrata di Gubbio in un insieme
più vasto, la contea e poi il ducato di Urbino, ha potuto giocare un ruolo in questa estensione, ma bisogna ammettere
che lo stato attuale della nostra documentazione non permette affatto di valutare l’influenza esatta della nuova geografia
politica.
Sul piano locale ci sono da rilevare soltanto le dodici lezioni inserite per la festa di sant’Ubaldo nei foglietti 476-477v.
del breviario Roma, Bibl. Naz., Sess. 146. Questo volume che può risalire alla fine del XIV secolo, sembra ad uso di un
monastero benedettino di Perugia18. Gli estratti che riguardano Ubaldo sono, come ci si poteva aspettare, presi dal racconto – divenuto ufficiale – di Tebaldo.
Altri manoscritti liturgici dell’Umbria settentrionale comprendono probabilmente lezioni analoghe. Sarebbe per esempio
interessante verificare il santorale di un breviario di S. Pietro di Perugia (Roma, Bibl. Vallicelliana B 92)19. Ma tali ricerche
sono difficili per chi non ha la fortuna di risiedere nell’Italia centrale!
Nei paesi germanici il vescovo di Gubbio è venerato sotto il nome del suo successore Theobaldus (o Thiébaut), senza che
13
Ho analizzato sommariamente la tradizione che riguarda Giovanni da Lodi, in Les manuscrits hagiographiques de Gubbio, p. 363. Su Pietro Parenzo, vedi
lo studio di V. Natalini, San Pietro Parenzo. La leggenda scritta dal maestro Giovanni, canonico di Orvieto, in Lateranum, n.s. 2 (1936), p. 4.
14
La relazione degli avvenimenti del 1160, l’esistenza di due biografie, la canonizzazione del 1192, l’eclisse progressiva di Giovanni Battista, l’antico patrono di Gubbio, tutto dimostra la vitalità subitanea del culto di Ubaldo. La prima testimonianza dei Ceri risalirebbe al 1186: cf. il documento
pubblicato da F. Costantini, in A. Seppilli, i Ceri di Gubbio. Saggio storico-culturale su una festa folclorica, Perugia 1972, p. 397 (nel quale saggio io tradurrei
il modello con ‘moule’, piuttosto che con macchina di legno).
15
I due leggendari di Gubbio che ci sono pervenuti sono antecedenti alla canonizzazione di Ubaldo (Armanni II C 2; Cattedrale II D 5-6). Ma né la
vita di Giordano né quella di Tebaldo sono penetrate, a mia conoscenza, nei leggendari compilati nel XIII secolo nell’Italia centrale.
16
Conservato a Gubbio nel ms. II C 18 dell’Archivio della Cattedrale (XIV secolo) e in diverse copie tardive del fondo Armanni (I D 24, II C 4, II C
23). Edizione parziale in L. Giampaoli, S. Ubaldo canonico regolare lateranense, vescovo, patrono, cittadino di Gubbio, t. 2, Rocca S. Casciano 1886, pp. 346-9.
17
A. Vauchez, il culto dei «nuovi» santi in Umbria nei secoli XIII e XIV, in Il santo patrono nella città medievale: il culto di San Valentino nella storia di Terni, Roma
1982, p. 200.
18
è scritto da S. Corbin, in Cahiers de civilisation médiévale, 10 (1967), pp. 413-4.
19
Non ho avuto accesso a questa testimonianza del XIV secolo, citata da R. Amiet, Inventaire des manuscrits liturgiques conservés dans les bibliothèques et les
archives de Rome, in Scriptorium, 39 (1985), p. 113.
11
nessuno abbia dato fino ad ora una spiegazione soddisfacente a tale fenomeno20.
Da quando sono state sottoposte ad un esame scientifico le reliquie conservate a Thann (Alto Reno) e sul Monte Ingino,
non c’è più alcun dubbio che il santo venerato in Alsazia sia diverso dal patrono di Gubbio21.
È proprio così che si intendeva nel Medioevo, molto tempo prima del viaggio in Umbria di due canonici di Thann nel
1544. La Vita, che circolava a nord delle Alpi con il titolo di Vita S. Theobaldi (BHL 8028), riproduceva il racconto di Tebaldo, e noi possiamo supporre che esso fosse stato ottenuto direttamente da Gubbio. Surius e i Bollandisti sono venuti
a conoscenza di diversi manoscritti oggi introvabili22. Di quella Vita si conserva tuttora una copia del XIV secolo negli archivi parrocchiali di Thann23. Un compendio di BHL 8028 si legge parimenti nella raccolta compilata da Jean Gielemans
(† 1487), canonico di Rouge-Cloître presso Bruxelles24. Per quanto riguarda le lezioni inserite nei breviari di Basilea del
1478 e del 1515, io stesso ho potuto verificare, secondo una trascrizione del XVII secolo appartenuta ai Bollandisti25, che
anch’esse dipendevano dalla Vita secunda. La maggior parte dei rappresentanti di questa tradizione renana è da situarsi nel
XV secolo, perché è stato in quel momento che il pellegrinaggio di Thann ha avuto il suo massimo splendore: i miracoli
raccontati in tedesco nel Tomus miracolorum sancti Teobaldi 26 sono datati tra il 1407 e il 1521.
La più antica testimonianza di questa tradizione tedesca sembra risalire alla fine del XIV secolo. Si tratta di un documento, copiato presso i Cistercensi di Zwettl in Austria, sui foglietti restati bianchi di un leggendario del XII secolo27. All’interno del testo, il vescovo confessore è chiamato correttamente Ubaldus, ma i titoli testimoniano già l’uso transalpino che
confonde il santo con il suo biografo: De sancto Theobaldo episcopo (f. 129), De miraculis sancti Theobaldi. Incipit prologus in vitam
sancti Tyboldi episcopi (f. 185). Il copista di Zwettl ha dapprima trascritto sul f. 129 estratti discontinui della Vita secunda,
concepiti per una lettura durante l’officio. Ma siccome disponeva di spazi bianchi ha riprodotto dapprima diversi miracoli
(f. 129v)28, poi una nuova serie di estratti ripartendo dal prologo (f. 185rv)29. Egli conosce alcuni racconti di guarigione
che mancano nel manoscritto della versione breve, ma ignora la dedica a Federico I, caratteristica della versione lunga30. Il
testo di Zwettl non coincide dunque esattamente con nessuna delle due forme di testo riscontrate a Gubbio e suppone
l’esistenza di un intermediario perduto tra il manoscritto della cancelleria episcopale e quello del palazzo comunale. La
sua testimonianza parziale, ahimè, sarà dunque di una importanza capitale per una eventuale edizione critica della Vita
secunda 31.
Nell’Italia settentrionale, contrariamente a quanto si è osservato a nord delle Alpi, si è imposta quasi dappertutto
20
Il nome Ubaldus, che non esiste nel territorio germanico, è stato inteso come un diminutivo ipocoristico (= grazioso, affettuoso) del comune
Theobaldus.
21
Vedere a questo proposito l’opuscolo pubblicato a Thann nel 1986, con il titolo Saint-Thiébaut. Gubbio-Thann. Nei ceri di Gubbio, A. Seppilli ha
dedicato un capitolo (p. 141-53) alla festa di S. Ubaldo a Thann. Il lavoro fondamentale resta quello di M. Barth, Zur Geschichte der Thanner St. Theobalduswallfahrt im Mittelalter, in Annuaire de la société d’histoire des régions de Thann-Guebwiller, 1948-1950, Colmar 1950, pp. 19-82.
22
In Act. SS. Mai. t. 3, p. 628F, Daniel Papebroch nomina esplicitamente due esemplari dei Certosini di Liegi e di S. Salvatore d’Utrecht. Sono forse
le due stesse testimonianze alle quali aveva attinto Surius, certosino di Colonia, nel suo adattamento del 1579.
23
Saint Thiébaut. Gubbio-Thann, p. 37. Grazie a don Ubaldo Braccini, ho potuto consultare una riproduzione fotografica, nell’Archivio vescovile di
Gubbio, sotto la segnatura II C 62. Si tratta di un libretto di 24 foglietti contenenti 30-31 lunghe righe per pagina. Databile ai primi anni del XV secolo
(forse persino alla fine del XIV), contiene la Vita S. Theobaldi seguito dall’Ufficio del santo. Manca la dedica iniziale e la finale è indirizzata a dei fratres
(come nella versione breve), ma il corpo del testo presenta gli episodi caratteristici della versione lunga (in particolare l’incontro con l’imperatore). Come il
leggendario di Zwettl scritto successivamente, il libretto di Thann è dunque intermediario tra le due forme di testo rappresentate dalle testimonianze
di Gubbio. Questi manoscritti tuttavia non sono direttamente apparentati, perché il primo (contrariamente al libretto di Thann) riporta ancora il nome
Ubaldus, mentre il secondo ignora l’innovazione nostra pusillanimitas (per vestra maiestas) della raccolta di Zwettl (vedere infra n. 30).
24
De codicibus hagiographicis Iohannis Gielemans canonici regularis in Ribea Valle prope Bruxellas, Bruxelles 1895, p. 39, n. 4.
25
Bruxelles, Bibl. Royale, 8582-8585, f. 40-41v.
26
Ed. G. Stoffel, Colmar 1875.
27
Zwettl, Stiftsbibl. 49, f. 129rv e 185rv, descritto in Xenia Bernardina. Pars seconda, Wien 1891, p. 320; nominato da H. Fros, in Analecta Bollandiana,
102 (1984), p. 375, e nel Novum Supplementum Bibliothecae Hagiographicae Latinae, Bruxelles 1986, p. 844 (BHL 8358 fg.).
28
Sotto il seguente avvertimento: «Obmissa prolixa et devotissima legenda ipsius beatissimi Ubaldi aliqua miracula que in vita et post mortem deus
propter ipsius merita operatus est hic breviter inseruntur…».
29
30
Inc. «Tyboldus contra votum meritum Eugubine eccclesie electus…».
Nel prologo, sussiste l’espressione vestra serenitas, ma le parole vestra maiestas sono sostituite da nostra pusillanimitas.
31
Un’altra testimonianza di BHL 8028, di cui bisognerà tener conto, è Bamberg, Staatliche Bibliothek, Q.V. 39, f. 191-6v, a. 1455-1456, scoperto
troppo tardi perché mi sia possibile classificarlo qui. Il suo copista è un domenicano di Bamberg, «Albertus Raynnoldi», che assume le funzioni di
cappellano a Zwettl. Secondo la descrizione di F. Leitschuh, nel Katalog der Handschriften der königlichen Bibliothek zu Bamberg, Bamberg (1895, t. 1, p.
820-1, n. 231, il testo è incompleto e s’interrompe poco prima del capitolo 24 (sulle parole de inventione dragmae).
12
la Vita di Giordano. Da essa dipende il sunto inserito verso il 1370 da Petrus de Natalibus nel suo Catalogus sanctorum32.
È sempre essa che è riprodotta nei manoscritti liturgici della congregazione di Fregionaia, approvata da Martino V nel
1421 e divenuta nel 1446 congregazione del S. Salvatore del Laterano33. Verso la fine del Medioevo, ad imitazione dei
Mendicanti, la maggior parte degli ordini religiosi cerca di distinguersi con delle devozioni e un santorale particolari. Nel
corso della prima metà del XV secolo, un forte desiderio di riforma riunisce a poco a poco in un’unica congregazione
numerosissimi canonici regolari di S. Agostino: è naturale che questi abbiano visto in S. Ubaldo, che aveva ristabilito la
regola a Gubbio, un precursore degno di venerazione.
In seguito il manoscritto al quale ho pubblicato nel 1977 il testo integrale della Vita prima34, è una preziosa testimonianza
di questa spiritualità canonicale. Conservato nella Biblioteca Universitaria di Bologna sotto la segnatura 1473bis, apparteneva una volta ai canonici regolari di S. Giovanni in Monte, riformati nel 1417. Scritto da mani diverse durante 2/3
del XV secolo, riporta avvenimenti datati del 1427, 1433, 1434 144235. Si tratta di una compilazione originale, concepita
soprattutto ad uso liturgico di S. Giovanni in Monte: si noterà in particolare l’importanza dei testi dedicati a Petronius, il
vescovo fondatore, a Fridianus di Lucca, ad Agostino e Monica, etc. Persino nella chiesa di S. Giovanni una cappella era
dedicata a sant’Ubaldo36, il che implicava evidentemente la trascrizione di un racconto agiografico.
Una analoga spiegazione vale anche per l’esemplare di Soleure (= Solothurn), Zentralbibliothek, S 378, che ho segnalato
nel 198137. Si tratta questa volta di un breviario datato 1470-71, che apparteneva ai canonici di S. Croce di Mortara presso
Pavia, aggregati alla Congregazione del Laterano nel 1449. Inoltre si constata che nella chiesa di S. Croce, ricostruita a
partire dal 1458, era dedicata una cappella a S. Ubaldo38. Siccome il modello del manoscritto di Soleure non era perfettamente adattato alla liturgia locale, tre aggiunte contemporanee servono, alla fine del volume, da supplemento per l’uso
proprio di S. Croce; esse riguardano il cardinale Warinus, vescovo di Palestrina e vecchio canonico di Mortara († 1158),
proprio suo contemporaneo: Ubaldo di Gubbio (secondo la Vita prima), infine S. Monica, madre di S. Agostino.
Non saremo dunque sorpresi di leggere un estratto della Vita di Ubaldo (BHL 8357b) nell’Elucidarium christianarum religionum, pubblicato a Brescia nel 1511 da Augustinus de Novis. L’autore in effetti, per numerosi anni, era stato priore di
S. Croce di Mortara39. Egli assunse ugualmente in due riprese, nel 1497 e nel 1502, le funzioni di rettore generale della
Congregazione del Laterano. Senza avere carattere ufficiale, il suo Elucidarium rappresenta in qualche modo il santorale
proprio dei canonici riformati: a fianco di Warinus di Palestrina, di Ubaldo e di Monica, ci si trovano santi recenti come
Bernardo da Mentone e Jean de Bridlington, ma anche vescovi tardo antichi di cui si pensava che fossero vissuti secondo
la regola (Albinus d’Angers, Herculanus di Perugia, etc.)40. La notizia relativa ad Ubaldo poggia sulla doppia tradizione
di Giordano e di Teobaldo, il che lascia supporre che Agostino de Novis, come il suo predecessore di Gualdo, avesse
proceduto ad un’indagine bibliografica approfondita.
A partire dalla fine del XIV secolo, il vescovo e il comune di Gubbio non sono più i soli ad assicurare la promozione del
culto di Ubaldo. Il successo del pellegrinaggio di Thann a nord delle Alpi, la devozione dei canonici regolari di Fregionaia, nell’Italia settentrionale, spiegano una diffusione molto più ampia delle biografie latine di Ubaldo. Si può sperare
ancora di nuove scoperte notoriamente tra i breviari della Congregazione del Laterano41.
***
Sarò più breve sugli ultimi due periodi, nel corso dei quali gli eruditi hanno sistematicamente sfruttato e spesso contri32
F. Dolbeau, La vita di sant’Ubaldo, p. 91 e 95 n. 42.
33
Ho attinto questa cronologia da L. M. Loschiavo, Da Mortara a Fregionaia. Annali dal 1083 al 1402, Napoli 1985.
34
La vita di sant’Ubaldo (cf. n. 6), pp. 81-116.
35
Cf. A. Testi Rasponi, Note marginali al Liber Pontificalis di Agnello, in Atti e memorie della R. Deputazione di Storia Patria per le provincie della Romagna, ser.
IV/2 (1912), p. 223-35.
36
O. Rogari, Vita di sant’Ubaldo, cittadino, vescovo, patrono di Gubbio, Perugia 1960, p. 127-8; F. Dolbeau, La vita di S. Ubaldo, p. 93, n. 5. Il culto di Ubaldo
potrebbe essere stato introdotto presso i canonici da uno dei primi riformatori: Bartolomeo da Roma; quest’ultimo fu sepolto presso i benedettini di
S. Benedetto Po con delle reliquie del vescovo di Gubbio: cf. S. De Rosinis, Lyceum Lateranense, Caesenae 1649, t. 1, p. 104.
37
Un nouveau témoin de la Vita S. Ubaldi attribuée à Giordano, in Bollettino della Deputazione di Storia Patria per l’Umbria, 78 (1981), p. 235-7. Eccellente
descrizione del manoscritto in A. Schönherr, Die mittelalterlichen Handschriften der Zentralbibliothek Solothurn, Solothurn 1964, p. 35-7.
38
L. M. Loschiavo, Da Mortara a Fregionaia, p. 54 e 84-5.
39
C. De Rosinis, Lyceum Lateranense, t. 1, p. 80-3.
40
Gli stessi nomi si ritrovano nell’Officia canonicorum regularium Lateranensium S. Augustini, Venise 1621, di cui un esemplare è indicato con la segnatura
H 2, f. 226-261, tra i manoscritti della Biblioteca Vallicelliana.
41
Bisognerà verificare ad esempio il Santorale d’Oxford, Bodl. Libr., Canonici liturg. 388 (SC 19470), breviario dell’Italia del Nord della seconda
metà del XV secolo.
13
buito a distruggere o a smarrire la documentazione medievale.
Il XVI secolo e l’inizio del XVII sono caratterizzati a Gubbio dalla moltiplicazione delle biografie in onore di Ubaldo.
Il principale avvenimento che inaugura questo terzo periodo è l’arrivo nel 1512 della Congregazione del Laterano sul
Monte Ingino. Questo insediamento, conseguente ad un voto del nuovo duca d’Urbino, Francesco Maria I Della Rovere,
doveva provocare a medio termine un importante sviluppo dei pellegrinaggi a S. Ubaldo, divenuto sempre più importante per il trattamento degli indemoniati42.
Per tutto il XVI secolo la famiglia Della Rovere, che aveva una devozione particolare per il vescovo di Gubbio, non
cessò di contribuire alla diffusione del suo culto. La nascita di un patriottismo locale, alla ricerca di antiche tradizioni e
di ricostruzioni genealogiche spiega d’altra parte una fioritura di iniziative individuali.
La presenza dei canonici del Laterano provocò all’inizio alcune difficoltà con il capitolo della cattedrale. Una volta stabilitasi la giovane fondazione, si pensò di dare alle stampe per la prima volta la biografia di Ubaldo. Questo lavoro fu
condotto a termine da Stefano Serva da Cremona, che pubblicò a Parma dapprima una Vita latina, poi un adattamento
in italiano, nel 1519 e 152343.
Le due opere erano già rarissime verso il 1650 e lo storico Vincenzo Armanni patì tutte le pene del mondo per procurarsi
una copia manoscritta dell’edizione in italiano44. Nel 1760, R. Reposati disponeva ancora di una copia dell’edizione latina,
di cui riprodusse alcuni frammenti45.
Da allora nessuno storico di Gubbio ha saputo mettere mano sulle pubblicazioni di Stefano Serva. Speriamo che, riportando l’attenzione sul dossier di Ubaldo, questo intervento permetta la riscoperta o dell’uno o dell’altro dei due libretti. La
compilazione italiana di Stefano da Cremona si fondava sulla biografia di Giordano, arricchita o interpolata da tradizioni
locali e completata dal racconto di miracoli avvenuti dal 1517 al 1519. Benché sia vissuto a Gubbio, l’autore ha scelto di
riferirsi non al racconto che era in uso nella liturgia del capitolo della cattedrale, ma alla relazione (scritta da un canonico)
che circolava da mezzo secolo nella congregazione del Laterano46.
La sua opera, dedicata ad Elisabetta ed Eleonora Gonzaga, duchesse d’Urbino, doveva avere una profonda influenza
sui biografi futuri. Serve per esempio da fondamento alle compilazioni del conte Federico Falcucci, (Perugia 1606) e di
Michelangelo Eugenio di Gubbio (Roma, 1628), entrambe dedicate all’ultimo duca d’Urbino, Francesco Maria II Della
Rovere47.
Tra le altre Vite redatte nel XVI secolo conviene segnalare almeno il lavoro del cronista Fra’ Girolamo Maria da Venezia
fondato soprattutto sulla Vita secunda e rimasto allo stato di manoscritto (in Armanni II C 7). Nemmeno l’Ubaldus di
Giovanni Andrea Palazzi sembra avere avuto gli onori della stampa. Questo poema in 1146 esametri è trasmesso in tre
esemplari:
Gubbio, Archivio di Stato, Armanni II C 4, f. 94-121, XVI secolo (a. 1561?)
Vaticano (Città del), Bibl. Vaticana, Urb. Lat. 715, a. 1561
Vaticano (Città del), Bibl. Vaticana, Urb. Lat. 734, a. 156348.
Le copie del fondo Urbinas, secondo le lettere preliminari, sono esemplari con dedica indirizzati rispettivamente al duca
Guidobaldo II (1538-1574) e a suo fratello il cardinale Giulio Della Rovere. L’autore, ancora giovane, esercitava allora le
funzioni di maestro di scuola a Gubbio49. Egli cita nella sua prefazione il nome di Tebaldo, ma potrebbe aver seguito so42
In un epoca in cui quelli (i pellegrinaggi) di Thann erano ostacolati in Alsazia dai contrasti religiosi.
43
C. De Rosinis, Lyceum Lateranense, t. 2, pp. 286-9. L’esistenza di una ristampa a Roma nel 1628 (Cenci, La vita beati Ubaldi, pp. 132-3) mi pare
dubbiosa: mi domando se non ci sia una confusione del Cenci con la pubblicazione di Michelangelo Eugenio.
44
Gubbio, Archivio di Stato, Armanni II C bis, f. 5-21v. Se ne trasmise il testo ai Bollandisti che ne diedero una retroversione latina parziale in Act.
SS., Mai, t. 7, pp. 778-90.
45
Vita di S. Ubaldo vescovo e cittadino di Gubbio scritta da Teobaldo di lui successore..., Loreto 1760, passim (estratto ripreso da P.Cenci, La vita beati Ubaldi,
p. 106, 113, 118, 122-3).
46
Il suo modello potrebbe facilmente confondersi con il manoscritto smembrato all’inizio del XIV secolo, di cui due foglietti furono ritrovati dal
Cenci. Esso terminava con la preghiera Deus qui piorum lamentationes... (secondo Act. SS. Mai. t. 7, p. 778E), presente ugualmente nei manoscritti di
Bologna e Soleure (F. Dolbeau, La vita di sant’ Ubaldo, p. 116, n. 81; Un nouveau témoin…, p. 237, n. 4). È vero che questa preghiera anche nella liturgia
di Gubbio è legata alla relazione di Tebaldo (ed. L. Giampaoli, S. Ubaldo..., t. 2, p. 345).
47
Esse possono essere consultate sul fondo Barberini della Biblioteca Vaticana (UV 107 e 108).
48
Questa testimonianza omette il verso 455 e potrebbe essere stato trascritto in Armanni II C 4, di cui riproduce qua e là l’impaginazione.
49
Egli diventerà più tardi professore di scienze umane a Imola e pubblicherà molti dei suoi discorsi (nel 1573 e nel 1575 a Bologna).
14
prattutto Stefano da Cremona. Il suo poema, ravvivato da numerosi paragoni, è destinato sia ad incensare a pari merito
la famiglia di Urbino sia a commemorare S. Ubaldo50.
Restano ancora numerosi documenti da classificare o da identificare: le Vite di fra’ Francesco Vandino e di Baldangelo
Abati, originari di Gubbio51; il poema in «ottava rima» di Andrea Montonesi52; e soprattutto la biografia dedicata dal conte Gabriele Gabrielli († prima del 1604) al vescovo di Gubbio Andrea Sorbolonghi (1600-1616)53. Questo aristocratico
di Gubbio, che fa successivamente il governatore di Imola, di Faenza e di Forlì, era stato incaricato ufficialmente dal suo
comune natale di ottenere da Clemente VIII che un ufficio doppio venisse recitato il 16 maggio da tutti i fedeli costretti alla
lettura nelle ore canoniche54. Egli aveva per questo preso a prestito55 o fatto copiare una quantità di documenti su Ubaldo
che passarono poi in parte nelle mani di Vincenzo Armanni56.
***
La pubblicazione del 1623 del racconto di Tebaldo da parte di Carlo Olivieri segna l’inizio dell’ultimo periodo57. Dopo
un secolo di preponderanza schiacciante, la tradizione di Giordano, che Stefano da Cremona aveva reso popolare, avrebbe conosciuto una eclisse totale, per l’impossibilità di essere controllata su un documento medioevale. Già da qualche
decennio si manifestavano le nuove esigenze degli storici con la trascrizione di copie basate su uno dei due esemplari di
Tebaldo allora consultabili.
La più antica delle copie datate risale al 1588 (Armanni I D 29, f. 64-69) e si basa sul libretto del palazzo comunale58.
La seconda fu effettuata nel 1593 a partire dall’esempio della cancelleria episcopale, su ordine del comune e con l’attenzione del conte Gabrielli: trasmessa da Armanni ai Bollandisti, essa servì, prima di scomparire, all’edizione degli Acta
sanctorum59. Altre copie, soprattutto della versione lunga che fu l’ultima ad essere stampata sono finite in diverse biblioteche
di Gubbio, Roma, Torino60. Le une servivano come pezze giustificative alle suppliche indirizzate alla curia romana, in
vista di ottenere un ufficio di S. Ubaldo: è notoriamente il caso di Roma, Vallicelliana G 96, f. 47-56, che è preceduta da
una proposizione di due lezioni di breviario61. Gli altri erano ad uso degli storici locali e debbono essere maneggiati con
precauzione perché alcune sono state contaminate con diversi elementi: ho così mostrato nel 1977 che la copia perduta
del 1593 era stata arricchita (per non dire interpolata) da un aneddoto preso da Petrus de Natalibus62. A questa attività
50
Ecco a titolo di esempio i versi 766-776, che evocano la processione notturna degli artigiani a S. Ubaldo:
Continuo morem grati excepere minores
Seraque posteritas servat, supplexque quotannis,
Qua luce aethereum moriens pervenit Olympum,
Arreptis facibus conscendit culmina montis,
Argumenta suae et praefert sibi quilibet artis
Lanamque serramque tenaci et forcipe ferrum,
Agminibus magnis, tenebris dum noctis opacae
Cuncta silent, aliquis specula de montis ut alta
Prospiciens credat flammis templa ipsa locumque
Comburi totumque incendi lumine tractum,
Reliquiasque colunt Ubaldi et nobilis corpus…
51
Citati da M. Eugenio, Vita di S. Ubaldo Baldassini da Gubbio…, Roma 1628, p. XVIII-XIX.
52
Pubblicato in Urbino nel 1597, secondo P. Cenci, La vita beati Ubaldi, p. 134. Conosco soltanto un estratto riprodotto da Armanni III D 2, p.
722-7.
53
Menzionato da L. Jacobilli, Bibliotheca Umbriae sive de scriptoribus provinciae Umbriae, Foligno 1658, p. 122.
54
Dalle lettere del Signor Vincenzo Armanni, t. 3, Macerata 1674, p. 422; Act. SS., Mai. t. 3, p. 625F.
55
Fu tra le sue carte che si ritrovò nel 1604 il leggendario di Gualdo: cf. F. Dolbeau, Le légendier de San Francesco de Gualdo, p. 162-3, n. 5.
56
V. Armanni, Della famiglia Bentivoglio…L’Archivio Armanno, Bologna 1682, p. 187.
57
S. Ubaldi canonici regularis lateranensis, civis et episcopi Eugubini vita a b. Tebaldo…scripta, Perugia 1623, di cui un esemplare è inserito in Armanni II C 7.
58
«Hoc est exemplum et transumptum progressus vite totius divi Ubaldi ep. Eugubini extractum et exemplatum e quodam libro antiquo cartis pecudinis confecto numero cartarum 207 et in ultimis cartis dicti libri...Hieronymus Guidarellius...ex dicto libro exemplavi et extraxi qui liber conservatur
in Archivio communis Eugubii sub anno domini 1588...».
59
Act. SS., Mai. t. 3, Antverpiae 1680, p. 628C-E.
60
Lista in Anal. Boll., 95 (1977), p. 364-5.
61
Ibid., f. 45: «Ubaldus Eugubii in Umbria nobili genere natus…Hae duae lectiones quadraginta lineas breviarii conficient».
62
La vita di sant’ Ubaldo, p. 87. Da una copia analoga della recensione lunga dipende il sunto di Gabriel Fiamma, Le vite de’ santi descritte dal Rever.mo
Monsignor G. F., canonico regolare Lateranense…, t. 3, In Venetia 1602, f. 61-63.
15
erudita degli anni 1580-1650, a questo interesse prodigioso per i documenti originali bisogna attribuire paradossalmente
la scomparsa di una buona parte delle eredità medioevali.
Il responsabile dell’edizione del 1623, Carlo Olivieri, come pure Stefano da Cremona, era canonico regolare del Laterano, legato alla basilica del Monte Ingino. Dopo essere stato per lungo tempo esorcista, divenne sul tardi priore della
casa di Gubbio63. Non era una grande mente, come discretamente insinua il suo confratello Celso Rosini64. Il suo zelo
per i canonici in generale e la sua congregazione in particolare lo portarono a ritoccare in diversi passaggi il suo modello
medioevale. Laddove Tebaldo descriveva crudamente la vita scandalosa del capitolo di Gubbio, Olivieri interpola alcuni
avverbi più leggeri: aliquantulum diventa inordinate, fere tra nullius e religionis. Una frase indecente per orecchie pie: Quisque
habebat pelicem suam et relicta disciplina ecclesiastici ordinis turpitudini et luxurie serviebat muliebri, viene del tutto soppressa. Per
quanto riguarda la chiesa di Sancta Maria in Portu, dove Ubaldo aveva cercato il modello della sua riforma, essa veniva trasformata con una aggiunta indiscreta in un istituto canonicorum regularium lateranensium. Notiamo di sfuggita che l’atteggiamento dell’Olivieri nei confronti del racconto di Tebaldo spiega forse a posteriori perché la congregazione del Laterano
aveva una volta adottato la relazione di Giordano, nettamente meno severa nei confronti dei canonici di Gubbio.
Parte del testo ritoccato fu ristampato tale e quale a Pistoia nel 1647 da un altro canonico del Laterano originario di Gubbio, Ubaldo Marioni65. Ma le interpolazioni e i tagli di Olivieri erano stati notati da Vincenzo Armanni, il quale pubblicò
nel 1674 la prima edizione corretta della recensione breve66. Con questo antico diplomatico entra in scena il primo storico
degno di questo nome. Rispettoso dei documenti medioevali che si è preoccupato di conservare per i posteri e di cui riproduce persino l’ortografia67, possiede già la maggior parte delle qualità che si richiedono ai filologi moderni. Gli manca
soltanto quel gusto degli anniversari che ci ha riuniti qui e che si vede apparire nel 1760 in occasione del VI centenario
della morte del santo con la biografia del Reposati68.
Dei cinque poteri che si erano succeduti nel corso delle varie epoche per diffondere il culto di Ubaldo: vescovo e comune
di Gubbio, canonici del Laterano e di Thann, famiglia Della Rovere, rimanevano soltanto i primi tre, simbolicamente
uniti nella richiesta che, nel 1702, ottenne da papa Clemente XI, originario di Urbino, il riconoscimento di un ufficio semidoppio per la festa del 16 maggio 69. Ma lo studio e l’uso delle Vite medievali di Ubaldo erano passate ormai nelle mani di
storici professionisti: dall’Armanni al Reposati, dal gesuita Papebroch a mons. Pio Cenci. È a quest’ultimo torna il merito
di avere nel 1917 resuscitato la tradizione che veniva da Giordano interamente eclissata dal XVII secolo. È anche giusto
terminare questa esposizione eccessivamente lunga evocando la sua memoria.
63
Pubblicò dapprima una raccolta di coniurationes, intitolata Baculus daemonum, Perugia 1618, nel quale Ubaldo ha un posto centrale.
64
Lyceum Lateranense, t. 1, p. 174-8: «Non is ille erat, cuius e penu promi posse quidpiam tale crederetur».
65
Essendo sfuggita questa edizione a Cenci, penso che sia utile darne qui il titolo esatto secondo l’esemplare della Biblioteca dei Bollandisti a Bruxelles (Hag. B. 3419): S. P. Ubaldi episcopi Eugubini et Canonici Regularis Lateranensis vita a B. Tebaldo episcopo, eius coevo, et successore descripta; ac olim ex antiquis
exemplaribus excerpta et impressa. Denuo in lucem edita per P. D. Ubaldum Marionum Patritium Eugubinum Canonicum Regularem Lateranensem, Pistorii: Apud
Petrum Antonium Fortunatum, 1647, 20 p. A pagina 20 è riprodotto il colophon della copia autenticata il 18 ottobre 1622 da Octavius Castelloctus,
che servì all’edizione di Olivieri (= Torino, Bibl. Naz., H VI 23, distrutto nel 1904).
66
Dalle lettere del Signor Vincenzo Armanni, t. 3, p. 408-21.
67
Ibid., p. 423.
68
Cf. n. 44.
69
Die XVI Maii in festo sancti Ubaldi episcopi semiduplex, Romae, Typis camerae apostolicae, 1702, 4 p.: «ad enixas episcopi civitatis Eugubine instantias
et civitatis predicte ac P. Abbatis Congregationis Canonicorum Regularium Lateranensium Procuratoris generalis…».
16
S. UBALDO,
LA VITA COMUNE DEL CLERO E DEI CANONICI REGOLARI A GUBBIO
Pietro Benozzi
delle singole chiese, sono iscritti in uno specifico κάνον
(canone), e questo autorizza a chiamarli canonici:
• sono al servizio pastorale dei Vescovi,
• abitano in case per presbiteri,
• hanno in comune la mensa e il dormitorio,
• vivono e pregano insieme.
Prima di illustrare la personalità di S. Ubaldo e come instauratore della ‘vita Apostolica’ tra i chierici eugubini, sia
quelli diocesani di S. Mariano, sia quelli regolari, presentiamo sinteticamente una panoramica della vita comune
del clero.
I. DALLE ORIGINI ALLA RIFORMA GREGORIANA
Le comunità episcopali
La Chiesa eredita da Cristo lo spirito e lo stile di vita comunitario che aveva caratterizzato il suo rapporto pluriennale con gli Apostoli; la formazione delle coscienze e i riti
(catecumenato e liturgia) si disegnano sulla falsariga della
vita comune; determinante in questa direzione, oltre che
l’esempio degli Apostoli, è la testimonianza dei testi della
S. Scrittura circa la profonda comunione che nel progetto di
vita ispirato a Cristo deve regnare tra tutti i sui seguaci.
Dopo la pace costantiniana, cresce a dismisura il fenomeno del monachesimo.
Ma i monaci non sono chierici, non sono stati ordinati in
sacris; solo alcuni di loro diventano sacerdoti, per il servizio della comunità; tutti gli altri rimangono laici.
In parallelo con l’esperienza monastica, visti i risultati spirituali, individuali e di gruppo, da essa raggiunti, si afferma
il bisogno di dar vita anche a dei monasteria clericorum, ossia
a case per preti.
Le prime esperienze di comunità episcopali, cioè di vita
comune del clero intorno al proprio vescovo, orientate ex
professo alla vita perfetta, cioè alla santità ebbero come protagonisti S. Eusebio a Vercelli e specialmente S. Agostino a
Ippona; è lui che della propria iniziativa scrive: Volui habere
in domo episcopi monasterium clerícorum .
Altre esperienze di comunità episcopali, a sostegno della
vita comune del clero, le fecero Giuliano Pomerio (uno
dei massimi teorici della mistica altomedievale) e S. Cesario ad Arles, S. Gregorio a Tours, S. Ilario a Poitiers, S.
Basilio a Cesarea (dove nacquero i Monaci Basiliani, che
in realtà erano dei Canonici Regolari), S. Martino a Tours,
S. Epífanio di Cipro, vescovo di Salamina...
Anche diverse chiese rurali, soprattutto al tempo di S
Gregorio Magno e per opera sua, accolsero comunità di
sacerdoti.
L’organizzazione della chiesa primitiva
La ‘vita Apostolica’ (Apostolica vivendi forma) della primitiva
comunità di cristiani diventerà il modello della vita comune del clero; tutte le continue riforme ecclesiali che tenteranno di stroncare abusi dei chierici in tema di celibato,
di preghiera liturgica in coro, di coabitazione fraterna, di
cassa comune verranno motivate con il recupero di quel
tipo di vita.
I Padri Apostolici basano la vita comunitaria sul mistero
eucaristico. Il più noto tra di loro è S. Ignazio vescovo,
secondo di Antiochia (martire a Roma tra il 107 e il 110
d.C), inizia a parlare del «collegio dei presbiteri» assieme
ai diaconi.
I cristiani si raccolgono in comunità: sono le chiese locali, il
cui centro è l’Eucaristia, alla luce della Parola di Dio.
Nelle chiese locali appaiono presto delle liste, degli elenchi;
in greco ‘elenco’ è κάνον, canone. Elenchi di poveri, elenchi di vedove, di chierici, di diaconi.
Anche i presbiteri, in quanto ordinati in sacris al servizio
Le prime esperienze stabili di vita canonicale
La vita comune del clero diventa Vita Canonica quando
viene normata da regole speciali, scritte per imporre direttive sugli atti comuni, sulla liturgia e in materia di povertà
e di celibato.
La prima documentazione che delinea la figura giuridica del
canonico appare nel 531, nel Concilio di Toledo di quell’anno, e rilanciato in un altro Concilio della stessa diocesi, nel
589.
Nel 633 l’autorità ecclesiastica parla dell’ufficio divino, della
fedeltà a una chiesa, di obbedienza al vescovo come di precisi
Chierico è colui che, anche solo con i cosiddetti ordini minori (ostiariato,
lettorato, esorcistato ed accolitato) è entrato a far parte del clero, con tutti
gli impegni e i benefici che questo comporta; il segno del’appartenenza al
clero è stato per molti secoli la tonsura (che il popolo chiamava chierica).
Per cogliere la fisionomia di questa forma di vita, occorre risalire agli esordi della Chiesa.
Cfr. Atti degli Apostoli. «Essi ascoltavano con assiduità l’insegnamento degli apostoli, vivevano insieme fraternamente. partecipavano
alla Cena del Signore e pregavano insieme (cap. 2)». «La comunità dei
credenti viveva unanime e concorde, e quelli che possedevano qualcosa
non lo consideravano mome proprio, ma mettevano insieme tutto
quello che avevano» (cap. 4).
Clemente Romano, Policarpo di Smirne...
Vedi anche la Lettera a Diogneto.
Volli avere con me nella casa del vescovo un monastero di chierici.
Cfr. Sermo 355, in PL 39, 1570.
17
‘obblighi dei canonici’ .
S. Egberto vescovo di York (732-766), chiarisce cosa intende per ‘Regola canonicale’ : Canones dicimus regulas, quas
Sancti Patres constituerunt, in quibus scriptum est quomodo Canonici, id est Regulares Clerici, vivere debent. «Chiamiamo canoni
le regole che stabilirono i Santi Padri, nelle quali c’è scritto
come debbono vivere i Canonici, cioè i Chierici Regolari».
Le costituzioni di Gualtiero, arcivescovo di Sens (887-893)
usano in continuazione l’espressione: Canonici Regolari. Le
comunità seguono i canoni degli antichi Padri.
rinnovare i costumi dei canonici.
Grande è l’influsso, sulla chiesa intera, dapprima del ricco
e potente monastero di Cluny, ma poi, anche in antitesi a
Cluny, del monachesimo riformato: i Cistercensi (da Cistercium,
una località dove da giovane Bernardo era stato eremita) del francese S. Bernardo di Clairvaux, grande mistico,
grande teologo († 1153); i quali perseguono il recupero integrale della Apostolica vivendi forma; i Certosini di S. Bruno,
che nel 1084 fondò in Calabria la prima certosa, comunità
di eremiti che vivono ciascuno nella propria cella e ogni
tanto hanno momenti di vita comune; i Camaldolesi di
S. Romualdo († 1027, a Camaldoli e a Fonte Avellana), i
Vallombrosani di S. Giovanni Gualberto († 1073) a Vallombrosa e a Passignano, e Anselmo da Baggio (poi papa
col nome di Alessandro II) a Lucca.
L’ordo canonicus distinto dall’ordo monasticus
Per lungo tempo le comunità canonicali fecero riferimento,
come regola della loro vita comune, agli Statuta sanctorum
Patrum: un centone di norme tradizionali (religiose, spirituali, giuridiche) che variavano da comunità a comunità.
Poi comparvero regole ad hoc .
La più antica Regola canonicale è quella di S. Crodegango, che fu vescovo di Metz dal 712 al 766, e la pubblicò
nel 754. Essa conteneva disposizioni dettagliate per quello
che riguardava la recita in coro dell’Ufficio Divino, il capitolo comunitario (assemblea plenaria dei canonici, in vista
di una quotidiana calibratura della vita comune), la mensa
e l‘ospitalità: 34 capitoli di norme impegnative per ogni
aspetto della vita comune: si glissava invece sulla possibilità di possedere dei beni privati e sul celibato dei preti.
In epoca carolingia, il Sinodo di Aquisgrana, nell’anno
817, emanò la Regula Imperialis, detta anche di Aquisgrana
e, più tardi, nell’856, di Aix-la­-Chapelle. L’iniziativa era di
Ludovico il Pio († 840) e aveva come scopo dichiarato
quello di riformare la vita comune del clero in tutte le chiese
dell’impero, ma le due perniciose mitigazioni, quella sui versanti della povertà e del celibato dei chierici da chiostro,
non vengono toccate.
Il protagonista indiscusso e il Sinodo decisivo
Già Leone IX, un nobile alsaziano che fu prima canonico
e poi vescovo a Toul, grande sostenitore dei Cluniacensi,
s’era proposto di riformare la Chiesa, ma il protagonista
indiscusso della riforma effettiva fu il monaco Ildebrando
da Soana (piccolo borgo d’origine longobarda, poco lontano da Grosseto), futuro papa Gregorio VII.
Le due istanze fondamentali che egli portò avanti furono:
• la riforma della vita comune del clero, che da lì in
avanti, tramite la cancellazione degli articoli 115 e 122
della Regola di Aquisgrana, decisamente lassisti, avrebbe recuperato in pieno la vita comune, nella sua materialità, e la proibizione delle proprietà private;
• il ritorno alla Apostolica vivendi forma, la vita comunitaria della chiesa primitiva.
Il sinodo decisivo fu quello Lateranense del 1059, voluto e guidato da Nicolò II, che decise su questioni di fondo:
• la libertà e l'autonomia della chiesa,
• la nomina dei vescovi,
• la compravendita delle cariche ecclesiastiche,
• il controllo dell'episcopato,
• il matrimonio dei preti,
• la povertà volontaria e radicale del clero...
Di fatto la Chiesa approvò per la prima volta la vita religiosa del clero.
II. L’EPOCA DELLA RIFORMA GREGORIANA
All’inizio del II millennio, grande era la decadenza della
vita del clero, e non solo nei chiostri; ma si stavano attivando i fermenti che preparano la riforma del clero.
La riforma
Alla ribalta della riforma salgono papi, vescovi, personaggi carismatici, comunità vive...; S. Pier Damiani e vari altri
ecclesiastici autorevoli s’impegnano in prima persona a
È il Concilio di Clermont-Ferrand che parla.
Cfr. PL 89, 379.
Canonici regulares e canonici saeculares
Le decisioni del Sinodo Lateranense del 1059 ebbero forti
effetti positivi, primo fra tutti il recupero della centralità
del Servizio petrino (il magistero e il governo del Papa), causa e fondamento dell’unità della Chiesa.
Ma ebbero anche conseguenze impreviste e negative, peraltro non volute:
• il Papa monopolizzò la funzione magisteriale, il magistero dei vescovi scomparve;
Cfr. C. Egger, La vita comune del clero a Gubbio nei sec. XI e XII, in Atti del
III convegno di studi umbri, Gubbio 23-27 maggio 1965, Gubbio - Perugia
1966, pp. 387-396.
I capitoli 113-125 e 131-145 trattano della disciplina dei Canonici, ma
la regola è più permissiva di quella di S. Crodegango. Vengono emanate
anche norme per le Canonichesse (28 capitoli).
18
stati canonici regolari. Eugenio IV vi chiamò quelli del priorato di
S. Maria di Fregionaia (Lucca) che, dopo un periodo di decadenza, era rifiorito nella riforma operata dal sacerdote Bartolomeo da
Roma e da due canonici provenienti da S. Croce di Mortara, Leone
Gherardini e Taddeo da Bagnasco.
Nel 1446 Eugenio IV stabilì che la congregazione si chiamasse ‘del Salvatore Lateranense’ e dichiarò i canonici:
continuatori legittimi della vita canonicale, che in Laterano esisteva in precedenza. In realtà prima del 1446, non
esistevano i Lateranensi. Si usa questa espressione per
sottolineare la loro presenza al Laterano (documentata
in epoche intorno al 1000), ma è un uso improprio. In
realtà solo il Concilio Vaticano II ridarà valore ai carismi
e ai ministeri, sulla scia del primato alla Parola di Dio e
all’Eucarestia.
la visione teologica e spirituale della chiesa si ridisegnò, reinterpretando la Communio’su principi prevalentemente giuridici e assumendo come referente essenziale la potestà gerarchica.
•
Il clero si divise in due gruppi:
• Canonici proprietarii o Saeculares, che si dedicarono, sì,
all’Ufficiatura Corale, ma continuarono a seguire la regola di Aquisgrana, molto permissiva;
• Canonici Regulares, che accolsero la riforma di Gregorio VII, dando di nuovo vita al communiter vivere (o regulariter vivere, o canonice vivere).
Di fatto, i Canonici Saeculares esercitando il loro ministero,
restarono in stretta unione con il vescovo diocesano, innanzitutto a servizio della sua cattedrale e poi nelle parrocchie.
I Canonici Regulares, invece, sulla scia della legislazione che
riformava la chiesa, intrapresero una strada indipendente
dalla giurisdizione vescovile, vivendo in priorati o abbazie
autonome.
Punti di debolezza dei Canonici Regolari furono:
• la mancanza di un fondatore carismatico;
• la varietà delle regole vissute nelle varie case;
• l’autonomia delle canoniche.
III. VITA COMUNE DEL CLERO AL TEMPO DI S. UBALDO
La coesistenza di Comunità Secolari (diocesane) e
Comunità Canonicali
Ci sono differenze sostanziali tra i due tipi di Comunità,
quelle Secolari (diocesane) e quelle Canonicali.
Il Clero Secolare o diocesano (Canonici proprietarii, o Saeculares), uniformandosi ancora alla Regola di Aquisgrana,
• vive fisicamente accanto al Vescovo locale, in quanto abita o in un episcopio o in una ‘casa dei presbiteri’pensata per esso;
• segue le sue disposizioni ed è al diretto servizio suo o
dei suoi rappresentanti;
• presta servizio e si fa carico della recita corale dell’Ufficio, in cattedrale;
• gli è permesso di possedere dei beni e del denaro.
Il loro prestigio diminuisce a mano a mano che i monaci,
una volta quasi tutti laici, iniziano ad accedere in massa al
sacerdozio.
In conclusione, possiamo dire che i Canonici Regolari
aprono la strada a quel tipo di vita religiosa che avrà la sua
pienezza con gli ordini mendicanti (Francescani e Domenicani, sec. XII-XIII).
La fioritura delle comunità riformate di Canonici Regolari
In questo tipo di vita si diffonde ovunque la decadenza morale: concubinato, simonia, corsa alla proprietà privata....
L’ambiente riformista tenta di metterci le mani, ma questi canonici reagiscono a qualsiasi tentativo di introdurre
riforme nel loro stile di vita; accadrà anche a S. Ubaldo
trovare forti opposizioni.
In tutta Europa si moltiplicarono le comunità di Canonici Regolari riformati, sotto la guida di regole più austere
di quella di Aquisgrana. Personaggi carismatici e canonici esemplari si dedicarono a ‘riformare’ chiese cattedrali,
collegiate, monasteri, abbazie, dando vita anche a nuovi
priorati, prepositure, rettorati e canoniche.
Scrive l’abate Egger: I canonici aderenti al nuovo spirito riformarono capitoli esistenti di cattedrali o collegiate, oppure fondarono
nuove sedi, e questo è il caso più comune e la soluzione più facile.
Alle volte da un eremo sorse una canonica o una Congregazione
canonicale (come ad Arrouaise), oppure raggruppamenti ospitalieri s’inserirono nell’Ordine dei Canonici Regolari come avvenne al
Gran San Bernardo, Congregazione tuttora esistente.
Nel 1083 ad esempio, ad opera del marchese Adamo Del
Bosco, la Congregazione di S. Croce di Mortara nacque
come co­munità di sacerdoti secolari e di laici. Nel 1449 si
unirà ai canonici regolari lateranensi, con tutte le proprie
filiali.
Ancora l’abate Egger: Al Laterano, fin dal secolo IX, c’erano
Il Clero Regolare o Religioso (Canonici Regulares):
• vive in comunità, staccato dal Vescovo locale e non è
al suo diretto servizio;
• abita in un complesso architettonico a se stante, chiamato ‘canonica’, in genere donato da persone benestanti o da signori o politici, sollecitati dagli abitanti
del territorio;
• presta servizio religioso nella propria chiesa, sempre
aperta al pubblico;
• recita l’ufficio in coro a tutte le ore stabilite, anche a
mezzanotte (il Mattutino);
• ha tutto in comune, compresa la mensa e anche il
dormitorio comune;
• è provvisto di una cassa comune, alla quale vi accedono solo il Priore e l’economo;
19
• non gli è permesso avere proprietà private.
In buona sostanza, vige il rigore di vita voluto dai riformatori.
cato di Alessandro II († 1073) avevano costituito il primo
nucleo dei Canonici Regolari Lateranensi, perché addetti
alla Basilica Lateranense; furono ancora essi che dettero
vita anche al capitolo regolare della cattedrale di Città di
Castello, come risulta dai documenti di papa Pasquale II
(1099 -1118).
Il giovane Ubaldo e i Canonici Regolari
Accanto alla chiesa dei Santi Secondino e Agapio (= nota
come ‘Chiesa di S. Secondo’), immediatamente fuori le
mura di Gubbio, esisteva una comunità sacerdotale in cui
la qualità della vita comune era decisamente buona. Tra le
altre iniziative, quei Canonici gestivano a scopi educativi
l’accoglienza di ragazzi e di giovani che vivevano accanto
alla canonica; era una prassi assai diffusa, come attesta anche S. Pier Damiani in una Lettera ai Canonici di Fano10.
S. Ubaldo risiedette per diverso tempo a Fano: che età
aveva? Se fosse stato già un giovanetto, avrebbe risieduto presso la canonica regolare di S. Giacomo, al centro
della città, nella quale si compivano gli studi umanistici
e filosofici del quadrivium; se invece, come ha dimostrato
François Dolbeau11, Ubaldo fu a Fano ancora un fanciullo, in qualità di orfano (e per questo la Vita secunda di Tebado ha omesso del tutto l’episodio: lo giudicava indegno
di un futuro vescovo), risiedette nella canonica di S. Maria
a Mare12, ambedue le case appartenevano13 ai Canonici.
La riforma operata da S. Ubaldo
Anche S. Ubaldo, contrastando il lassismo del clero, nutriva profonda insoddisfazione nei confronti della regola
di Aquisgrana; attribuiva ad essa lo stato di degrado nel
quale si trovava la sua canonica di S. Mariano e avvertiva
irrimandabile il desiderio di una Regola più coerente con
quei Consigli Evangelici (povertà, castità, obbedienza) che
danno sapore alla vita dei religiosi, monaci o canonici che
siano. La Regola Portuense era ricca di spiritualità, in sintonia con la riforma gregoriana, impregnata di insegnamenti
provenienti dal vangelo, dai Padri della Chiesa e soprattutto dalla dottrina e dall’esperienza di S. Agostino.
Si recò dunque a Ravenna, con un compagno, sperimentò per un po’ di tempo la vita religiosa della comunità di
Pietro il Peccatore, in piena comunione con quei canonici.
Trascrisse fedelmente la sua regola e, con un viaggio di
ritorno piuttosto movimentato, portò con sé a Gubbio il
prezioso codice.
Non fu facile far accettare la nuova regola dai confratelli
di S. Mariano che la vedevano di malocchio e s’erano quasi
tutti rifiutati di accompagnare S. Ubaldo a Ravenna; ci vollero degli anni, ma alla fine tutti i canonici della cattedrale
eugubina la adottarono come norma di vita.
La Regula Portuensis e i Canonici Regolari Lateranensi
Pietro degli Onesti, detto il Peccatore († 1119), riformatore
dei Canonici Regolari, devotissimo della Madonna Greca,
nel 1114 dettò una nuova regola14 per i Canonici che officiavano l’antica chiesa di S. Maria in Porto, presso Ravenna, famosa, cantata da Dante e dal Petrarca.
Nel 1553 la vecchia chiesa verrà demolita e si porrà la prima
pietra di un maestoso tempio, consacrato poi nel 1606.
A S. Maria in Porto la vita canonicale regolare è molto intensa e ben presto questo priorato ravennate diviene una
delle più rinomate case dell’Ordine canonicale. S. Ubaldo ne vuole prendere visione personalmente. Non sarà
certo l’unico a farlo: molte canoniche, in Italia ma anche
dell’estero, come quella di S. Magno presso Ratisbona,
adottarono la Regula Portuensis, approvata da Papa Pasquale II nel 1116; in seguito l’abbracciarono anche i Canonici
Regolari di S. Frediano di Lucca, i quali, sotto il pontifi-
Cfr. Op. 27, De communi vita Canonicorum;
10
S. Ubaldo sostiene la vita canonicale a 360 gradi
Ma la sua opera di riformatore non si limitò a S. Mariano.
Sappiamo che S. Ubaldo beneficò innanzitutto la Comunità di S. Secondo, che gli era diventata cara fin da quando
era giovane: la promosse a canonica collegiata con i privilegi che le concesse nel maggio del 1140.
In quell’occasione donò alla chiesa di S. Secondino e ai suoi
futuri rettori due proprietà:
• vinea iusta crucem sancti secundini;
• unum aquae molum molendini in foce Camignani, in loco qui
dicitur Calcinarius 15.
A proprie spese restaura e abbellisce la chiesa di S. Secondo16.
Altrettanta benevolenza ottennero da lui gli insediamenti
religiosi verificatisi a Gubbio durante la sua vita. Esempio
di questa sollecitudine e benevolenza, gli atti ufficiali che
decise nel maggio del 1160, prima di morire, concedendo
Ad Clericos Fanenses in PL
145, 503.
11
Cfr. A.M. Fanucci, S. UBALDO, il suo vero volto, Gubbio 2007, p 93 ss.
12
Cfr. M. Eugenio, Vita di S. Ubaldo Baldassini, ed. P. Massotto, Roma,
1628, p. 13-15; O. Rogari, Vita di S. Ubaldo, cittadino, vescovo, patrono di
Gubbio, Perugia 1960, p. 37.
13
N. Widloecher, La congregazione dei Canonici Regolari Lateranensi,
Scuola Tipografica Oderisi, Gubbio 1929, p.. 58 e ss.
15
P. Cenci, Carte e diplomi di Gubbio dall’anno 900 al 1200, Perugia 1915
pp. 137-138.
14
Cfr. C. Egger, La vita comune del clero a Gubbio nei sec. XI e XII, in Atti
del III convegno di studi Umbri, Gubbio 23-27 Maggio 1965. Gubbio-Perugia
1966, pp. 387-396.
16
Cfr. G. Giampaoli, S. Ubaldo canonico regolare lateranense, vescovo, patrono
e cittadino di Gubbio, vol. II 1886, Rocca San Casciano, p. 22.
20
numerosi diritti e beni alla Collegiata di S. Felicissimo, in
perpetuum, all’abate e alla Canonica.
no, allorché i codici a lui attribuiti furono liberati dai testi
molto austeri d’ispirazione monastica, poco adatti alla vita
comunitaria di presbiteri19.
Anche Ubaldo non propugna più la regola Portuense ma
quella comune del grande vescovo d’Ippona20. Ne è prova
quanto accadde a S. Secondo nel 1142: Papa Innocenzo II
rivolse il 23 Marzo 1142 un documento a Letone, rettore
di S. Secondo, con il quale non solo prese questa chiesa
sotto la protezione della Santa Sede, ma vi confermò l’Ordine
Canonicale secondo la regola di S. Agostino21.
Excursus dell’Abate Egger sulla canonica di S. Secondo17
La Canonica di S. Secondo ebbe nel 1141 il privilegio dell’esenzione allorché quei canonici accettarono di osservare la regola di S. Agostino; Innocenzo II il 23 marzo di
quell’anno ne sanzionava la decisione inviando una bolla
di privilegi al priore Letone. Evidentemente il vescovo
Ubaldo aveva sostenuto i suoi vecchi confratelli in questo
cammino di perfezione. Poco dopo eresse quella chiesa in
parrocchia, e il vescovo Offredo, nel 1180, confermò le
concessioni di Ubaldo.
Negli ultimi decenni del secolo XII la canonica di S. Secondo divenne florida per dipendenze e possedimenti di
terreni; poté ricostruire in stile gotico la chiesa e il monastero con un grande chiostro. Seguì un periodo di assestamento economico all’inizio del secolo seguente con
i primi sintomi di decadimento dovuto alla mancanza di
elementi; nel 1224 papa Onorio III raccomanda al priore
di tenere nella comunità almeno sei canonici. Nel 1343
i canonici di S. Secondo costruirono l’altare gotico nella
chiesa rinnovata dalla munificenza dei Gabrielli che erano
ghibellini. Come si vede, i canonici tennero una politica
alquanto ambigua di amicizia tra le opposte fazioni.
Il declino divenne più grave allorché vennero in Gubbio
comunità religiose riformate che non sempre fecero risplendere i vecchi fasti della Canonica di S. Secondo.
All’inizio ebbero grande sviluppo i nuovi canonici regolari
di Lecceto, che, uniti ai Renani di S. Salvatore di Bologna,
si vennero a stabilire nel 1313 nella chiesa di S. Ambrogio
sul monte Foce. In quel piccolo eremo, oggi disabitato,
erano di casa il fervore della preghiera e lo zelo della vita
cristiana, grazie anche alla santità del beato Arcangelo Canetoli18.
***
Ulteriori approfondimenti, in G. Picasso, Ubaldo e la vita
comune del clero nel volume edito e curato da S. Brufani ed
E. Menestò, Nel segno del Santo Protettore Ubaldo, vescovo, taumaturgo, santo. Atti del Convegno Internazionale di Studi,
Gubbio, 15-19 dicembre 1986, «La Nuova Italia» GubbioFirenze 1990. In sintesi il discorso dello studioso si concentra sulle due chiese che, a Gubbio, nel sec. XII, incarnarono la vita comune del clero: la cattedrale di S. Mariano
con i Canonici Secolari, e la Chiesa di S. Secondo fuori le mura
(chiostro con elementi del I millennio, chiesa ampliata nel
sec. XIV) con i Canonici Regolari.
S. Ubaldo abbandona la Regola Portuense e adotta
quella di S. Agostino.
È ancora Egger a sostenere che S. Ubaldo, cui stava a cuore unicamente lo sviluppo interno positivo dell’Ordine Canonicale e non era legato feticisticamente a questo o a quel
modello, negli anni tra 1120 e il 1125, volle rinnovare la
vita comune dei chierici mediante la Regola Portuense.
In seguito, dopo non lievi controversie, tutti i riformatori
del clero optarono gradualmente per la regola di S. Agosti-
19
Cfr. C. Egger, De antiquis regulis Canonicorum Regularium, in Ordo Canonicus, 1946, pp 48 e ss, (Archivio di S. Secondo, Gubbio).
20
Cfr. C. Egger, S. Ubaldo C.R. e la restaurazione dell’ideale canonicale. Ottavo centenario della sua morte, in Il Salvatore, giugno 1960, (Archivio di S. Secondo, Gubbio). Soltanto dopo la separazione dell’Ordo
monasterii dalla Regula S. Augustini (Regula III), i canonici iniziarono ad
adottare ufficialmente la regola di S. Agostino, sostituendo progressivamente le norme anteriori.
17
Cfr. C. Egger: La vita comune del clero... cit., p.5 . Vedi anche: La vita
canonicale alla luce della spiritualità dell’Ordine, in Il Salvatore, Gubbio
1967, p. 4.
18
Il corpo di questo canonico bolognese è incorrotto, custodito nell’urna sotto l’altare maggiore della chiesa eugubina di S. Ambrogio. Cfr. N.
Widloecher, Alle sorgenti dell’Ordine Canonicale, in Il Salvatore, 1962, pp
24-27. (Arch. S. Secondo, Gubbio).
21
Cfr. C. Egger, Le regole dei Canonici Regolari nei secoli XI-XII, in
Salvator Mundi, Gubbio 1963, pp. 5-9.
21
Un’identità incredibilmente equivocata
CHI ERA PIETRO DEGLI ONESTI, O “PIETRO PECCATORE”
Angelo M. Fanucci
Pietro degli Onesti, detto (Pietro) peccatore, autore di
quella Regula Clericorum Regularium che si diffuse rapidamente nella prima metà del sec. XII con il nome di Regula
Portuensis, secondo la prefazione alla pubblicazione delle
medesima Regula Portuensis nella Patrologia Latina, vol.
163, col 689 ss., era il Priore di Santa Maria in Porto, vicino a Ravenna, uno dei più illustri priorati dei Canonici
regolari d’Italia.
Religioso eccellente agli occhi di tutti, insoddisfatto come
tutti i migliori per il lassismo cui dava adito la Regola
d’Aquisgrana, la più diffusa di tutte le regole adottate dalla varie comunità canonicali, nel 1114 e il 1116, scrisse
lui, una nuova Regola, subito elogiata dal Pasquale II, che
concesse a quei canonici anche diversi privilegi a beneficio dei chierici del suo istituto, che presto si diffuse e fu
adottata da varie canoniche con il nome di Regula Portuensis
o di Constitutiones Portuenses. Il lassismo al quale, secondo
il nostro autore e molti altri, dava adito la Regola di Aquisgrana si esprimeva sia sul piano della prassi di castità, sia
su quello della prassi di proprietà privata.
cato a Roma, dalla Tipografia Caballina; la sua tesi fu poi
ripresa anche da Antonio Ludovico Muratori, nel volume
Sancti Petri Damiani Opera.
Negli stessi anni un dotto esponente del clero ravennate, Girolamo Rosso (Rubeus), aveva dimostrato di avere le
idee chiare, ma il suo scritto non aveva avuto eco.
Ancora più articolata di quella del Cajetano la confutazione di quel’abbaglio nell’opera dello storico e teologo
Gabriele Pennotto di S. Giuliano, abate generale della
Congregazione Lateranense, morto nel 1639, nella sua
Generalis totius sacri Ordinis Clericorum Canonicorum historia,
in tre libri: il primo dedicato ai Canonici (Regolari) di S.
Agostino, il secondo all’origine e allo sviluppo dell’Ordine
dei Canonici Regolari, il terzo alla Congregazione Canonicale del Santo Salvatore al Laterano (Roma, Tipografia
della Camera Apostolica, 1624).
***
Come è stato possibile un abbaglio del genere? Com’è
stato possibile che in molti l’abbiano condiviso, secondo
quanto attesta lo stesso abate di S. Baronto? L’unico appiglio per prendere una cantonata del genere era nel fatto
che Pietro degli Onesti e Pier Damiani avevano lo stesso
nome, erano ambedue di Ravenna, appartennero ambedue allo stesso casato.
Per evitarlo sarebbe bastato riflettere sul fatto
• che Pietro degli Onesti, superiore (nel cenobio) Portuense, sempre e soltanto sacerdote e chierico regolare,
***
A proposito della identità dell’autore della Regula Portuensis
si verificò un abbaglio colossale.
Non si sa chi l’abbia preso per primo, ma è certo che la
Regula Portuensis venne attribuita a Pier Damiani, e inserita
nel suo Opera omnia, non solo da personaggi periferici della cultura di allora, ma anche dalle autorevolissime Edizioni Charles Chatelin, Parigi 1542, sia nella prima edizione,
quella detta ‘di via Jacobea’, sia nell’ultima (1663), nell’edizione curata da Egidio Tompere, e detta ‘di via Aurigaria,
presso il Pozzo certo’.
Ma nel frattempo, a confutare quell’abbaglio, era uscita
nel 1608 l’edizione critica della Regula Portuenis (Regola
del chierico ravennate Pietro degli Onesti), curata da Costantino
Cajetano, di Siracusa, abate di S. Baronto, della Congregazione Cassinese; il volume del Cajetano venne pubbli-
Nel quinto libro della sua Storia della propria appartenenza a Ravenna,
parlando del 1116 così Pietro degli Onesti si esprime: «In questi tempi
era ritenuto esemplare Pietro prefetto del cenobio portuense, un personaggio che, rampollo della nobile famiglia ravennate degli Onesti, non
del tutto privo di cultura letteraria, nella sua qualità di sacerdote, per
sciogliere un voto che aveva fatto alla Madonna spinto dal pericolo di
annegare durante un viaggio in mare, nel porto di Ravenna le costruì
una chiesa e un cenobio, che più tardi, prendendo motivo dal nome del
luogo, venne chiamato Cenobio Portuense. Lì dette vita ad un gruppo
di sacerdoti di vita comune, dopo aver imposto loro alcune leggi che sul
finire di quel 1116 inviò al Papa Pasquale II, che, dietro richiesta dello
stesso Pietro, controfirmò la dedica di Pietro: A Pasquale per volontà di
Dio vescovo della somma e apostolica sede, Pietro Peccatore… Dunque penso che possa sufficientemente constare quanta distanza ci sia tra
questo Pietro Portuense e Pier Damiani. Certo, tutt’e due si chiamano
Pietro, tutt’e due sono di Ravenna; da santi vissero senza far male ad
alcuno, press’a poco nella stessa età: tutto questo fece sì che molti non li
abbiano adeguatamente distinti. Vennero chiamati ambedue ‘Peccatore’:
era venuta in auge l’abitudine che chi viveva in un comunità religiosa per
umiltà d’animo si dichiarasse ‘peccatore’: se ne renderà facilmente conto
chi avrà attentamente esaminato i documenti di quei tempi».
La Patrologia Latina (PL) è una enorme raccolta di scritti dei Padri della Chiesa e di altri scrittori ecclesiastici in lingua latina, realizzata tra il
1844 e il 1855 dall’abate francese Jacques-Paul Migne. Comprende complessivamente 221 volumi inclusi gli indici. Nonostante l’assenza di un
apparato critico, la Patrologia Latina rappresenta uno strumento fondamentale per lo studio dei Padri della Chiesa, le opere dei quali vengono
solitamente citate dagli studiosi cattolici come “attinte dal Migne”. Le
opere coprono un periodo di circa 1000 anni, dagli scritti di Tertulliano
fino a quelli di papa Innocenzo III, per un totale di 217 volumi. I primi
73 volumi, da Tertulliano a Gregorio di Tours, furono pubblicati tra il
1844 e il 1849, i volumi dal 74 al 217, da papa Gregorio I a Innocenzo
III furono pubblicati tra il 1849 e il 1855.
Affermazione non condivisa dal Cenci, secondo il quale non è affatto
certo che Pietro ‘Peccatore’ appartenesse al casato degli Onesti.
22
visse al tempo di Papa Pasquale II, e morì a Ravenna il
27 Marzo 1119;
• che Pier Damiani, monaco benedettino della Regola
di S. Romualdo, abate del Monastero di Fonte Avellana, cardinale di S. Romana Chiesa, visse al tempo di
Leone IX, Stefano IX, Niccolò II e Alessandro II, con
i quali collaborò in ruoli di grande importanza, e morì
a Faenza il 21 febbraio 1072;
• che l’Abbazia di S. Maria in Porto da sempre è appartenuta e appartiene ai Canonici della Congregazione
Lateranense;
• che Fonte Avellana dalla sua fondazione da parte di
S. Romualdo (anno 982) fu eremo e cenobio indipendente.
Il Libro primo
della Regula Clericorum
Patrizia Biscarini, Elena Giglio e Filippo Paciotti
Questo articolo offre un breve sunto del Libro primo della Regula Clericorum, nota anche come Regula Portuense, attribuita a Pietro degli Onesti, clericus ravennas: nei prossimi
numeri dei ‘Quaderni Ubaldiani’ ci riserveremo di studiare
ulteriormente questo importante testo e di fornirne altre
sintesi. In questi mesi la nostra analisi si è concentrata sul
prologo e il primo dei tre libri di cui la Regula è composta.
La trascrizione presa in esame è quella pubblicata in J. P.
Migne, Patrologia latina, volume 163, da colonna 689 a 748;
un manoscritto della Regula è stato inoltre consultato dal
dott. Filippo Paciotti e dal canonico regolare don Pietro
Benozzi presso l’Archivio di S. Pietro in Vincoli a Roma.
Interessante è il fatto che il suddetto manoscritto contenga una carthula che riporta una breve annotazione sulla
famiglia di Pietro degli Onesti. Al momento forniamo il
contenuto e la struttura generale del Prologus e del Liber I.
La Regula è introdotta da un Prologus (analizzato da monsignor Ubaldo Braccini) che sottolinea che tutti i monaci e
le altre categorie abbiano una regola, ed è necessario dunque che anche i canonici ne abbiano una. Fonte di questa
regola deve essere la Grazia Divina, così come deve essere imprescindibile il riferimento alle Sacre Scritture, ai
Santi Concili, all’esperienza di uomini religiosi (molteplici
le riprese dalle regole di S. Agostino e S. Benedetto), alle
usanze dei luoghi.
Il primo libro, composto da trentasei capitoli, si può a nostro parere suddividere in sei parti, che trattano rispettivamente i seguenti temi:
• motivi per cui i canonici devono fondare la propria
azione sulla povertà e sull’obbedienza (capp. I-III);
• necessità di avere un Priore e modalità della sua elezione (capp. IV-VIII);
• accoglienza dei novizi e degli altri fratres e regole di
condotta su molteplici aspetti (capp. IX-XIX);
• caratteristiche degli edifici della comunità e regole di
comportamento all’interno degli spazi comuni (capp.
XX-XXII).
• regole di comportamento durante la vita di clausura e
durante le uscite dei fratres dal convento (capp. XXIIIXXVIII);
• precetti legati all’ascesi ed esortazioni al silenzio
(capp. XXIX-XXXVI);
Del resto basterebbe citare la testimonianza di Dante
Alighieri. Egli nel XXI canto del Paradiso (versi 106123) fa parlare Pier Damiani, che si presenta come chi ha
vissuto nella solitudine del Catria, mentre Pietro Peccatore
visse nella Chiesa della Madonna al lido Adriano:
Questo il brano che ci interessa:
«Tra’ due liti d’Italia surgon sassi,
e non molto distanti a la tua patria,
tanto, che’ i troni assai suonan più bassi,
e fanno un gibbo che si chiama Catria,
di sotto al quale è consecrato un ermo,
che suole esser disposto a sola latria ».
Così ricominciommi il terzo sermo;
e poi, continuando disse: «Quivi
al servigio di Dio mi fe’ sì fermo,
che pur con cibi di liquor d’ulivi
lievemente passava caldi e geli,
contento ne’ pensier contemplativi.
Render solea quel Chiostro a questi cieli
fertilmente; e ora è fatto vano,
sì che tosto convien che si riveli.
In quel loco fu’ io Pier Damiano,
e Pietro Peccator fu nella casa
di nostra Donna in sul lito hadriano,
Il Cajetano non senza orgoglio ricorda che un suo grande
ed eruditissimo amico, un religioso, tale Pietro Mariani, si
pericolò a tradurre in esametri latini i versi di Dante.
Nella prima parte (capp. I-III), tradotta ed presa in analisi da monsignor Ubaldo Braccini e dalla dott.ssa Elena
Giglio, fondamentale è il richiamo alle figure dell’Antico
23
Si indicano poi gli edifici atti ad ospitare le famiglie di artigiani e altri lavoratori che partecipano all’economia della
comunità. All’interno del chiostro vanno rispettate regole
di comportamento adeguate al luogo e al proprio ruolo (si
ribadisce la continua obbedienza ai superiori nel muoversi
e nell’agire all’interno dei locali).
La quinta parte (capp. XXIII-XXVIII), esaminata dal dott.
Filippo Paciotti e dalla prof.ssa Patrizia Biscarini, riguarda
le regole di comportamento durante la vita di clausura e
durante le uscite dei fratres dal convento. Norme rigorose
sono dettate in merito alle attività interne conventuali, tutte improntate all’ubbidienza delle direttive dei superiori. Si
stabilisce, inoltre, che solo i confratelli più prudenti, saldi nell’ubbidienza, saggi e virtuosi possano essere inviati
fuori e solo se strettamente necessario. Essi possono uscire per visitare gli infermi, per mettere pace tra i litiganti,
per esortare gli animi, per fare del bene, per raccogliere
conversazioni private (consilia secreta) degli uomini. La conversazione con le donne (allocutio secreta) è permessa, ma
deve essere sempre fatta alla presenza di testimoni. Nell’uscire e nel rientrare in convento, i confratelli devono
sempre sottostare ad un rituale specifico, volto a chiedere
il perdono per gli eventuali peccati commessi a contatto
con la mondanità. Anche le visite ai genitori e ai parenti
devono essere limitate e sempre in presenza di fratres autorevoli ed affidabili. Di tutti gli affari mondani, inoltre, è
certamente preferibile che si occupino i laici che ruotano
intorno alla comunità religiosa.
L’ultimo tema è sui precetti legati all’ascesi ed alle esortazioni al silenzio (capp. XXIX-XXXVI) è stato studiato
dalla prof.ssa Biscarini. La Regula indica i casi in cui il
Priore deve concedere ai fratelli la pratica dell’ascesi. I fratres, quindi, sono esortati a non fare consigli privati tra
di loro, tranne i superiori a cui è stato concesso di fare
confessioni; a non praticare amori carnali. Punizioni graduali, assegnate in ordine alla gravità del peccato commesso, sono da comminare ai colpevoli, specie se recidivi, da
parte del Priore, evitando però il più possibile il clamore
e lo scandalo per non turbare gli animi dei confratelli più
giovani e sensibili. In particolare, si fa affidamento alle
cure di medicina dell’anima, attraverso penitenze, digiuni,
preghiere. Il Liber I si chiude con diversi capitoli dedicati
alla virtù del silenzio. Questo è raccomandato a tutti: non
solo ai canonici, ma anche ai laici, indicandone precisamente i tempi, durante il giorno e nel corso dell’anno, e i
luoghi all’interno del convento. L’osservanza del silenzio,
tuttavia, non deve impedire ai membri della comunità religiosa di compiere ciò che deve essere fatto, evitando di
fare strepiti e rumori inutili.
e Nuovo Testamento: in particolare l’esempio dei Leviti
e degli Apostoli indica la via principale che permette di
raggiungere la perfezione nella povertà e nell’obbedienza
attraverso la rinuncia alla proprietà e alla propria volontà.
Sull’esempio del Vangelo i fratres sono invitati a porre attenzione all’amore per il prossimo, alla pudicizia, e ad evitare l’ira e gli affari del secolo. Si raccomanda loro, inoltre,
di praticare il digiuno e l’obbedienza, di visitare i poveri e
gli afflitti, di vivere nell’attesa del giorno del giudizio, di
desiderare più di tutto la vita eterna e di pregare.
La seconda parte (capp. IV-VIII), studiata dalla dott.ssa Elena
Giglio, nel ribadire la necessità dell’elezione di una guida
per i fratres, indica nelle Scritture le doti che il Priore deve
possedere, la più importante delle quali è essere guidato
dall’amore di Dio nel condurre, far crescere e ammonire
gli altri. Per questo motivo i fratres non devono mai essere
privi di una guida, anzi questa va eletta seguendo un protocollo preciso, e tenendo sempre conto della ispirazione
divina.
La terza parte (capp. IX-XIX), approfondito sempre dalla
dott.ssa Giglio e dal dott. Filippo Paciotti, riguarda l’accoglienza dei novizi e dei fratres: l’estensore della regola
considera i diversi casi che possono presentarsi relativamente alle persone che chiedano di entrare a far parte della comunità, suggerendo precise norme per l’accoglienza
di ognuno e descrivendo nei dettagli la prassi da seguire
per la professione. Interessante il fatto che i giovani che
rinunciano al secolo debbano prima disporre dei loro beni
lasciandone una parte ai parenti secondo le loro necessità,
distribuendoli ai poveri o offrendoli alla Chiesa.
Una volta accolti i fratres seguiranno le norme che riguardano l’amministrazione dei beni della comunità e accetteranno le ammonizioni, gli insegnamenti dei superiori e i
compiti che saranno loro affidati tenendo sempre presente che, qualsiasi cosa facciano, operano per il bene della
comunità. Si insiste quindi sull’osservanza della povertà e
sull’obbedienza ai superiori, indicando in modo specifico
le occasioni in cui tenere questa condotta.
L’organizzazione degli spazi all’interno del convento è il
tema della quarta parte (capp. XX-XXII), tradotta e analizzata dal dott. Filippo Paciotti. In questi capitoli si enumerano i vari locali che formano il convento, dando particolare rilevanza al claustrum, e specificando tutte le funzioni
in essi svolte. Con una logica precisa si organizzano i vani
secondo tre principali tipi di attività: quelle intellettuali (biblioteca, sala del capitolo, la camera), quelle pratiche (mulino, pistrinum, cucina, cellarium) e quelle destinate alla vita di
comunità (refettorio, dormitorio, digestorium, calefactorium).
Questo passo sembra adombrato nella divisione che S. Ubaldo fa dei
suoi beni. Scrive Giordano: Ubaldo «smembrò l’interom patrimonio lasciatogli dal padre: una piccola porzione la destinò ai parenti di lui, tutto
il resto lo divise tra i poveri e la canonica».
24
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Quaderno 3 - Basilica di S.Ubaldo