Terra di Santi e culla del Cristianesimo
Scritto da Biagio Venezia
Lunedì 17 Ottobre 2011 16:58
Un convegno per ridare ad Atripalda, sede e cuore dell’antica Abellinum, il ruolo storico e
archeologico che, grazie a pregevoli testimonianze del passato, di sicuro le compete
Lo scorso 23 settembre si è tenuta ad Atripalda una delle tre giornate del Congresso
Internazionale “San Modestino e l’Abellinum cristiana”, organizzato, in occasione dell’Anno
Giubilare di San Modestino, dalla diocesi di Avellino.
Al congresso hanno partecipato numerosi e qualificati studiosi, che con le loro relazioni hanno
avuto modo di approfondire e sistematizzare questioni e vicende storiche, archeologiche e
culturali, alcune delle quali già note, altre invece nuove, soprattutto in riferimento al periodo
paleocristiano. Durante la giornata di Atripalda, tenutasi nella cornice della chiesa madre di S.
Ippolisto, è stata evidenziata la rilevanza strategica della media valle del Sabato nella diffusione
del cristianesimo in Irpinia, oltre che l’unicità di monumenti e testimonianze venute alla luce
attraverso gli scavi e i restauri dello Specus Martyrum e della basilica paleocristiana ad
Atripalda, ma anche della basilica di San Giovanni a Pratola Serra e dell’Annunciata di Prata
P.U. Oltre alla minuziosa trattazione e all’illustrazione delle fasi e tecniche di scavo e di restauro
da parte dei dott. G. Muollo, G. Zappella, M. Fariello e G. Villani (della Soprintendenza ai Beni
Archeologici), l’incontro si è giovato dell’intervento di cultori della materia come il dott. A.
Montefusco, i proff. F. Barra, P. Peduto e C. Lambert (dell’Università di Salerno) e del prof.
emerito Heikki Solin dell’Università di Helsinki, nonché delle relazioni dei proff. G. Passaro e V.
Iandiorio (dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose della Pontificia Facoltà teologica dell’Italia
Meridionale).
L’intento di questo nostro contributo non è quello di essere esaustivo rispetto a quanto è stato
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discusso - considerato che, tra qualche tempo, verranno pubblicati gli atti del convegno -, ma di
essere testimonianza e prima possibilità di condivisione di un importante evento culturale che
ha chiarito e fatto emergere alcuni punti controversi sulla storia della nostra comunità.
Fino agli anni ’60 del secolo scorso si riteneva, sulla scorta di quanto riportato dalla storiografia
locale (Barberio), che il nostro patrono S. Sabino fosse stato vescovo di Canosa prima di morire
ad Abellinum di ritorno da un viaggio a Roma. È provato che nell’anno 525 vi fosse un vescovo
Sabino con il titolo di episcopus campanaus che partecipò, a seguito di Papa Giovanni I, a un
importante convegno a Costantinopoli. Questa tesi era stata sostenuta, su suggerimento di L.
Cassese, dal parroco atripaldese Don Lorenzo Spina in due opuscoli pubblicati nel 1938 e nel
1951. Essa non venne però accettata dagli atripaldesi; per un’atavica e pregiudiziale paura,
cioè quella di un’appropriazione della figura del vescovo Sabino da parte della chiesa avellinese
(dalla quale in passato dipendeva quella atripaldese), alcune fedeli giunsero fino all’aggressione
fisica del povero parroco sui gradini della chiesa madre. Non solo, nonostante fonti
inoppugnabili e pur riconoscendo che si tratta di due figure diverse, gli studiosi canosini
sostengono che anche un loro vescovo Sabino partecipò anch’egli alla missione a
Costantinopoli. Proprio a causa di una tale congerie di ipotesi e interpretazioni, uno dei relatori
ha avanzato la proposta di un convegno comune tra studiosi canosini e avellinesi per dirimere e
sistematizzare questa
vexata quaestio.
Durante i lavori del convegno è stato inoltre messo in risalto l’importante ritrovamento dei resti
della basilica di San Giovanni di Pratola, risalenti alla fine del VI secolo, che ha accertato la
presenza di una fonte battesimale conseguente al necessario spostamento temporaneo della
cattedra vescovile a Pratola Serra. La fine del VI secolo segna infatti l’inizio della decadenza
dell’antica Abellinum soprattutto a causa delle prime occupazioni longobarde. L’assenza di
tombe databili in periodi successivi sia nei pressi delle mura che nell’area cimiteriale di S.
Ippolisto e della basilica paleocristiana di Capo la Torre conferma tale ipotesi. Non si è a
conoscenza della ragione dello spostamento della cattedra, ma il ritrovamento della fonte
battesimale lo rende certo, dal momento che l’amministrazione del sacramento del battesimo
era al tempo prerogativa dei vescovi. Tale ritrovamento, in un’area non molto distante da
Abellinum e in una zona nella quale era già presente un insediamento catacombale quello della
basilica dell’Annunciata – Nunziatella – in territorio di Prata P.U., attesta inoltre che gli invasori
longobardi, pur gestendo con determinazione i territori conquistati, non distruggevano le
istituzioni locali preesistenti così come si è sempre sostenuto. Questo nonostante il fatto che
essi fossero sì in massima parte cristiani ariani, ma che la loro definitiva conversione al
cattolicesimo avvenne solo nella seconda metà del VII sec.
Altro importante oggetto di discussione è stato il lavoro di scavo e scoperta della basilica di
Capo La Torre. Centosedici sono le lapidi ritrovate e ricomposte, al loro recupero sono state
applicate metodiche innovative proprie dell’archeometria, come l’analisi isotopica. Ciò ha
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consentito in larga parte di acquisire una tracciabilità ben definita dal sito di estrazione della
pietra fino al laboratorio d’incisione, ricostruendo una via commerciale che può essere
ipotizzata, per comparazione, anche in epoca postclassica e in siti diversi.
In 26 casi su 116 è possibile una datazione ad annum compresa tra il 347 e 556; la lapide più
recente è datata 558 ed stata ritrovata però entro la cinta muraria di Abellinum. 64 lapidi sono in
marmo bianco, 47 in marmo bianco venato e 5 in pietra colorata, e soltanto 10 presentano
fenomeni di degrado: anche da ciò diviene chiaro che si tratta di un patrimonio epigrafico
notevole, forse il maggiore di tutto il sud se si considerano ritrovamenti effettuati in un unico
sito. Ai lavori di scavo ha partecipato anche uno dei massimi esperti di epigrafia latina, ovvero il
prof. Heikki Solin dell’Università di Helsinki (che sta curando sotto il profilo filologico e storicoepigrafico l’edizione di un volume monografico della collana
Inscriptiones Cristianae Italiae septimo saeculo antiquiores
), il quale in cinque anni di studio sul posto ha ricomposto e esaminato le lapidi.
Durante il convegno è stato dibattuto anche di altre questioni, come ad esempio le controversie
tra la chiesa di Avellino e quella di Atripalda. E certo non sono potute mancare considerazioni e
spunti sullo Specus Martyrum di Atripalda. Come quelli relativi a un affresco, se pur modesto, in
cui è raffigurato il martirio per decapitazione di S. Ippolisto e dei suoi 19 compagni, affresco che
era precedentemente collocato sul dorso dell’antico altare di S. Romolo, e che poi fu rimosso e
sistemato nella posizione attuale a fine Ottocento a seguito dei restauri effettuati dal barone
Francesco Di Donato. Questo affresco raffigura scene della vita dei santi su tre colline: sulla
collina di sinistra è dipinto S. Ippolisto che predica alla folla; in quella centrale si vede un tempio
e davanti ad esso il santo legato alla coda di un toro che viene trascinato a valle verso il fiume;
sulla collina di destra si vede invece un castello e la riva del fiume in cui è raffigurata la scena
del martirio dei nostri santi. Non è assodato il luogo in cui venne martirizzato S. Ippolisto: non vi
sono infatti testimonianze archeologiche dirette, ma solo notizie riportate in racconti agiografici,
il più antico dei quali risaliva probabilmente al X sec. e che è andato perduto, mentre
un’ulteriore fonte è contenuta nella
passio redatta dal vescovo di
Avellino Ruggiero nel XII sec. Ipotesi per la collocazione del martirio sono state avanzate da
Scipione Bellabona, che, così come Serafino Pionati nell’Ottocento, si pronuncia a favore del
territorio di Manocalzati, mentre Francesco Scandone, pur manifestando un certo scetticismo,
non esclude che un tempio dedicato a Giove potesse sorgere su un colle di fronte alla città. In
questo quadro complesso di ipotesi storiche si intrecciano vari elementi di indubbio interesse,
come la presenza di un tempio di epoca romana su una delle colline di Abellinum e, appunto, il
luogo del martirio di S. Ippolisto. Queste domande sono state riproposte dopo la scoperta di un
reperto archeologico venuto alla luce nel 1963 durante i lavori della superstrada Ofantina
all’altezza dello svincolo di Manocalzati. Si tratta di un pozzo di epoca romana profondo 42
metri che, a seguito di ispezione speleologica, fu ricondotto a un pozzo di controllo di un
acquedotto, che riforniva l’antica colonia. Un po’ più in alto rispetto a questo sito si trova la
collina di Montechiuppo, che viene chiamata in molti scritti anche Monte Capitolino: potrebbe
essere questa la conferma dell’importanza della zona nel periodo romano. Agli inizi degli anni
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’70, in occasione di una ricorrenza della chiesa di Manocalzati, il vescovo del tempo, mons.
Pasquale Venezia, si recò in pellegrinaggio sulla collina per apporvi una croce in segno di
memoria del luogo dove probabilmente avvenne il supplizio di S. Ippolisto.
Trattandosi di un convegno ecclesiale, non sono ovviamente stati affrontati i temi legati
all’antica Abellinum in tutte le loro sfaccettature. Ma potrebbe essere proprio questa l’occasione
per supportare nuove iniziative culturali, anche e soprattutto alla luce delle recenti scandalose
vicende che riguardano il parco archeologico. Si potrebbe, anzi dovrebbe, cercare di
organizzare un ulteriore convegno per sistematizzare e condividere i risultati degli scavi eseguiti
all’interno delle mura della Civita, visto che recentemente è stato individuato anche il decumano
romano, e cominciare a progettare il recupero della tomba a camera e dell’anfiteatro
attualmente sepolti. Questo per ridare ad Atripalda, sede e cuore dell’antica Abellinum, il ruolo
storico e archeologico che, grazie a pregevoli testimonianze del passato, di sicuro le compete.
Biagio Venezia
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