Relazioni
Alberto Gallo
università di Trieste
Il pretore di Lonigo a Firenze*
Il primo contatto con l’opposizione antifascista Ettore Gallo lo ha
avuto a Firenze, nel gennaio del 1942, in circostanze alle quali accennano brevemente i suoi profili biografici. Questi ci dicono che, dopo
essersi laureato in Legge a Modena ed essere entrato in magistratura,
Ettore si è laureato in Scienze politiche a Firenze e in quella Università
è stato assistente volontario alla cattedra di Diritto corporativo durante gli anni accademici 1940-41 e 1941-42. Ebbene, è stato allora che si è
messo nei guai con le autorità, ed è stato grazie a quei guai che ha
avuto la sorte di incontrare Piero Calamandrei, aderendo più tardi al
Partito d’Azione. Un esito – a rifletterci – tutt’altro che scontato per un
giovane magistrato educato nel culto dello Stato autoritario e che, sin
dalle prime pubblicazioni nelle riviste giuridiche, aveva manifestato
un’adesione convinta ai princìpi dello Stato corporativo.
Ettore non ci ha lasciato molte piste per ricostruire il travaglio interiore di quei primi anni Quaranta. E nemmeno ha mai descritto le circostanze esatte e la natura di quell’episodio fiorentino che, in un paio
di occasioni, ebbe a definire un «incidente di percorso», e tuttavia lo
ha rievocato qualche volta nelle conversazioni con noi figli. Pertanto,
il compito che mi sono assegnato per questa temeraria incursione in
un campo estraneo ai miei interessi professionali, riguarda innanzitutto il recupero della memoria famigliare, ma include anche un esame
degli scritti giovanili che possa darci un’idea più precisa, e fuori
dall’anedottica, dei riferimenti culturali e del modo di pensare di
Ettore tra il 1936 – l’anno in cui discusse la tesi di laurea in Giurisprudenza – e il 1942, quando la sua breve esperienza accademica fiorentina si concluse improvvisamente.
Vediamo subito che cosa Ettore stesso, occasionalmente, ha detto
del proprio itinerario.
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L’insegnamento di Ettore Gallo
1. Calamandrei, il 32° carristi, Meneghetti, Magagnato
Un cenno all’episodio fiorentino, per esempio, si trova nel discorso
tenuto a Bassano del Grappa il 25 aprile del 1998:
Guai ad ingannare i giovani […]. Quando ne assumono contezza sono divenuti i tuoi più fieri irriducibili nemici. Così è stato di me, giovanissimo
magistrato, assistente a Via Laura, a Firenze, alla cattedra di diritto corporativo di Giuliano Mazzoni, approdato all’antifascismo dagli studi scientifici più che dalla passione politica, quando Calamandrei, Calogero,
Codignola, eredi del prestigioso Istituto “Alfieri”, distrutto dal fascismo
come nido di sovversivi […], m’impartirono nell’anno accademico 41-42 i
primi ammonimenti, che sperimentai poi duramente nell’anabasi e nella
catabasi sanguinose di quel litorale d’Africa…1
Oltre che sull’episodio fiorentino, qui l’accento cade sull’esperienza
fatta in Africa settentrionale dopo il primo contatto con gli antifascisti.
Le vicissitudini di quei mesi – ricordava – gli avevano confermato gli
ammonimenti ricevuti a Firenze. «Ammonimenti», si badi bene.
Ettore era partito per la Cirenaica nella tarda primavera del 1942
con il battaglione anti-carro del 32° carristi di stanza a Verona. Tornò a
casa tra l’estate e l’inizio dell’autunno, rimpatriato da un’ordinanza
che richiamava in servizio la giustizia minore (la cui improvvida mobilitatazione aveva gettato nel caos le preture) e che gli salvò letteralmente la vita poiché, poco dopo, quel battaglione anticarro venne annientato dagli inglesi. I mesi passati al fronte furono dunque importanti per la rimeditazione delle conversazioni fiorentine e stabilirono
vincoli di cameratismo che non andarono del tutto perduti. Come
sappiamo, nell’abitazione di Ettore di via Ognibene, a Lonigo, una
dozzina di ufficiali del 32° carristi avrebbe organizzato una prima
struttura della Resistenza subito dopo l’8 settembre 19432.
Il cenno all’esperienza in Africa settentrionale implica però anche
una confessione. Sta a significare che nella primavera del 1942, anche
dopo aver preso contatto con gli antifascisti fiorentini, mancava ad
Ettore quella spinta emotiva più profonda («approdato all’antifascismo più dagli studi scientifici che dalla passione politica») che gli
venne invece dall’esperienza della guerra e ci consente perciò di delimitare la portata dell’episodio fiorentino sul piano della militanza antifascista. A Firenze erano crollate le certezze ma non vi era stato un
impegno ad operare nella cospirazione antifascista.
Relazioni. Alberto Gallo
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Subito dopo il rientro dall’Africa si svolse però un dramma famigliare che sottolinea i cambiamenti comunque intervenuti nei mesi
precedenti. Ettore era tornato dal fronte con i sentimenti che ci ha descritto, ma suo fratello Arnaldo, che era allora istruttore degli equipaggi dei sommergibili alla base navale di Pola, non era ancora stato
al fronte e voleva battersi. Non si trattava soltanto di acceso patriottismo, ma anche di un problema di coscienza perché, dopo mesi e mesi
passati ad istruire quei ragazzi che partivano (e che spesso non tornavano), Arnaldo non se la sentiva più di restare rintanato nelle retrovie.
Ettore corse a Pola e riuscì a fermarlo. Si fece promettere dal fratello che non avrebbe preso una decisione senza prima discuterne con
lui. Per qualche mese ancora continuò il confronto a distanza tra i due
fratelli, ma l’aggravarsi della situazione militare, nell’inverno 1942-43,
fece precipitare la decisione di Arnaldo. Ettore ricevette una cartolina
dalla base navale di Bordeaux, con la quale Arnaldo gli comunicava
che sarebbe presto partito per una missione in mare aperto. Da quella
missione non tornò: il sottomarino “Tazzoli”, sul quale si era imbarcato, venne affondato dalla Raf al largo del golfo di Biscaglia il 16 maggio del 1943. Soltanto dopo la guerra si seppe con certezza del destino
di Arnaldo, dato allora per disperso, ma Ettore si portò chiuso nel
cuore questo lutto durante tutta la Resistenza3. È possibile che il gesto
del fratello, con tutta la carica simbolica che possedeva, lo abbia spronato a prendere egli stesso una decisione. Deve essere stato in quel
periodo, infatti, che Ettore si è recato a Padova per incontrare Egidio
Meneghetti.
In un bel ricordo di Licisco Magagnato, tenuto al Teatro del Bibiena
di Mantova, Ettore ha rievocato l’episodio fiorentino soprattutto per
sottolineare come per molti mesi, tra l’autunno del 1942 e la primavera del 1943, egli fosse rimasto estraneo all’ambiente del nascente azionismo vicentino:
In realtà, il battesimo dell’antifascismo io lo avevo ricevuto soltanto a cavallo fra gli anni ’41-’42 a Firenze, e da maestri quali furono Calamandrei e
Calogero. Ero allora assistente volontario all’Istituto Alfieri dell’Università
[...] e, a causa di un incidente politico di percorso (che qui sarebbe lungo e
fuori luogo riferire), fui attratto nell’area del Partito d’Azione clandestino.
Ma su di un piano squisitamente intellettuale e ideologico, e senza una vera militanza politica che s’iniziò soltanto dopo il luglio 1943. [...] In realtà,
io da Firenze avevo avuto soltanto l’indicazione di Egidio Meneghetti...4
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L’insegnamento di Ettore Gallo
Calamandrei, dunque, gli aveva fatto il nome di Egidio Meneghetti:
probabilmente perché coloro che a Firenze mantenevano i contatti con
Antonio Giuriolo (in primis Enzo Enriques Agnoletti) erano stati arrestati nel gennaio del 1942. Inaugurando il 13° Congresso Nazionale
dell’Anpi a Padova, tre mesi prima di morire, Ettore ha rievocato
nell’Aula Magna del Bo’ l’incontro con Meneghetti:
... iniziai qui nello studio di quel sommo farmacologo che fu Egidio
Meneghetti, i primi incontri finalizzati all’organizzazione del Partito
d’Azione veneto, di cui Egli fu sempre riconosciuto spontaneamente come
capo indiscusso. Anche se poi, dopo l’8 settembre ’43, gli incontri furono
finalizzati piuttosto all’organizzazione e alle intese della Resistenza...5
A chi legga il discorso di Padova non sfuggirà forse un particolare
rivelatore: Ettore vi ricordò (ne aveva conservata memoria per 50 anni) che, reincontrandolo a Palazzo Giusti nel gennaio del 1945, nelle
note, drammatiche circostanze, Meneghetti lo aveva chiamato «per la
prima volta col nome di battesimo». La deferenza del più giovane, che
deve aver caratterizzato i primi contatti, si venne poi trasformando
con gli anni in una solida amicizia (nel dopoguerra, Ettore lo volle per
testimone alle proprie nozze, assieme a Licisco Magagnato).
Il passo conclusivo della formazione antifascista di Ettore fu l’incontro con l’«affettuosa tirannia intellettuale» di Licisco Magagnato
(“Franco” nei Piccoli maestri). Questi era stato arrestato il 5 dicembre
del ’43 e incarcerato prima ai Paolotti di Padova e poi agli Scalzi di
Verona assieme a Norberto Bobbio e molti altri6; uscito dagli Scalzi nel
marzo del ’44, si era stabilito a Noventa Vicentina da dove aveva preso contatto con Ettore:
…aveva da poco compiuto i 22 anni quando, preannunziato, mi attese
all’uscita della Pretura di Lonigo, di cui allora ero il magistrato titolare,
dicendomi che, avendo preso residenza per ovvie ragioni di prudenza a
Noventa Vicentina, [...] si metteva a disposizione della Resistenza del basso vicentino. Come ho già detto, a me pareva tanto ragazzo ancora per
tanto proposito, specie con l’infermità che si ritrovava. Non potevo immaginare in quel momento quanta energia, quanta determinazione, quanta
serietà di pensiero ci fosse dietro quel volto sorridente di studentello claudicante, appoggiato a quella nera bicicletta d’altri tempi.
Non che io fossi molto più anziano [...] avevo 29 anni; ma la professionalità conseguita e le esperienze avute mi facevano erroneamente presume-
Relazioni. Alberto Gallo
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re di essere ben più maturo. Mi resi conto in seguito che, al contrario, egli
possedeva una maturità politica di gran lunga superiore alla mia7.
A Mantova – tra gli amici di Licisco, in un ambiente più intimo
delle grandi manifestazioni politiche, e con toni più dimessi dei suoi
consueti – Ettore ha ricordato quanto grande fosse la propria impreparazione politica ancora nella primavera del 1944 e quanto grande
fosse il suo debito nei riguardi di Magagnato. Già da molti mesi era
un dirigente del CLN e tuttavia, privato di un contatto diretto e costante con l’ambiente degli azionisti vicentini, egli era rimasto al margine del dibattito politico. Fu Cisco Magagnato che lo immise a viva
forza in quel dibattito, introducendolo nell’ambiente dell’azionismo
vicentino, ma anche padovano e veronese:
Durante i 45 giorni di Badoglio avevo avuto contatti con elementi dell’antifascismo locale [di Lonigo], e a Vicenza con i socialisti Luigi Faccio e
Mario Segala. Fui perciò invitato da Segala alla fondazione del CLN provinciale di Vicenza verso i primi di ottobre 1943. Subito dopo avevo costituito in Lonigo il Comitato mandamentale di Liberazione, con la collaborazione del comunista, ex-combattente di Spagna, Virgilio Marchetto
(Leo) che era stato paracadutato dagli Alleati nella nostra zona. Quando
Cisco prese residenza nel mandamento, stavamo organizzando le prime
formazioni territoriali partigiane [...]. Cisco si diede subito a collaborare a
questa prima organizzazione. Ma frattanto teneva i contatti con il Partito
d’Azione vicentino, padovano e veronese nei quali m’introdusse.
In realtà, io da Firenze avevo avuto soltanto l’indicazione di Egidio
Meneghetti, docente all’Università di Padova, con il quale avevo già preso
contatti [...]. Ma nel vicentino, degli azionisti conoscevo soltanto l’avv.
Pino Ronzani e l’ing. Rigoni di Asiago che aveva partecipato alle prime
riunioni del CLN provinciale. Cisco m’introdusse ovunque. Conobbi così
tutti gli amici azionisti di Vicenza e gli Zorzi di Verona e Cologna Veneta8.
Magagnato impedì a Ettore di immergersi nel lavoro organizzativo
e lo costrinse a riflettere sui problemi politici nazionali:
Cisco mi portava regolarmente l’“Italia Libera” ed altri giornali clandestini (Unità, Avanti!), e discuteva la situazione che si andava sviluppando al
sud, alla quale era attentissimo. Io confesso che, preso com’ero dalle responsabilità della lotta, ero piuttosto distratto rispetto a quelle vicende.
Ma Cisco non mi dava tregua e mi costringeva a parlarne9.
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L’insegnamento di Ettore Gallo
In seguito, dopo l’arresto di Pino Ronzani, Magagnato designò
Ettore a rappresentare il PdA nel CLN provinciale, sino al dicembre
del 1944 quando anche Ettore venne arrestato (solo allora, e a malincuore, si decise a ricoprire egli stesso quell’incarico).
Il racconto di Ettore, in sostanza, ci trasmette l’idea di un processo
di maturazione che ha nell’episodio fiorentino il suo inizio: qualche
cosa di più di una stagione del dubbio, come si è detto, ma anche
qualche cosa di meno di una stagione della formazione. Il ritardo nella formazione politica è forse l’aspetto che più esplicitamente separa
l’itinerario di Ettore da quello dei “piccoli maestri” vicentini. Più anziano di loro di qualche anno (ma tutti sappiamo quanto contino anche pochi anni in quella fase della vita), su tante cose Ettore ne sapeva
assai meno di loro10. In più di un’occasione ha rimpianto di non avere
avuto le loro medesime chances: le conversazioni e le buone letture, la
stanza di Giuriolo al secondo piano di via Lodi, i professori antifascisti del liceo Pigafetta, e si è provato a delineare, per sommi capi, il
proprio personale percorso:
Per noi, un po’ meno giovani, era stato un po’ più difficile: sia perché – come nel mio caso – vissuti fino dall’adolescenza in comuni periferici di
provincia ad economia agricola povera, e sottoposti alla cosiddetta “leva
fascista” (all’avvento del fascismo al potere eravamo sui sette-otto anni),
sia perché, o non ci fu un corso ulteriore di studi, o se ci fu – come nel mio
caso – fu in un ambiente necessariamente autoritario, come la Scuola militare di Napoli, dove percorsi gli studi liceali. Anche se debbo riconoscere
che l’atmosfera, più che fascista, era patriottico-risorgimentale…11
Quella maturazione individuale – quel paio di anni, dilatati dall’accelerazione impressa alle coscienze dallo svolgersi della tragedia europea – che sta al centro del romanzo-verità di Luigi Meneghello e della
sua più ampia riflessione sull’“educazione italiana”, delle testimonianze di Enrico Nicolini e della ricostruzione che Mario Mirri ci ha lasciato del clima culturale di quegli anni e del percorso che portò lui e
Francesco Ferrari ad avvicinarsi al gruppo di Giuriolo12, quella maturazione nel caso di Ettore dovette procedere a tappe forzate (a partire
dalla primavera del 1942) e in ritardo rispetto a quella dei più giovani
compagni.
Relazioni. Alberto Gallo
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2. Ipotesi di lavoro
Insisto sul ritardo rispetto alla generazione dei “piccoli maestri”
perché la circostanza introduce i problemi che mi sembra valga la pena di esaminare.
In primo luogo, quello della più lunga esposizione alla socializzazione delle istituzioni, in virtù della differenza di età, ma soprattutto a
causa delle sventure famigliari che hanno costretto Ettore a passare
buona parte della giovinezza nei collegi e che lo hanno privato di un
possibile contrappeso famigliare alla socializzazione fascista, un contrappeso rappresentato, nel suo caso, da un padre di idee socialiste
perduto nella tenera infanzia. Vedremo, tra poco, quanto profonda sia
stata la “fascistizzazione” dell’orfano di guerra, senza tentare di minimizzarla in alcun modo.
Tuttavia vedremo anche come, all’interno della cultura autoritaria,
l’educazione giuridica gli abbia trasmesso una cultura “politica” liberale, centrata sulla certezza del diritto e l’indipendenza della funzione
giudiziaria, che vediamo manifestarsi assai chiaramente nella tesi di
laurea in Procedura civile del 1936. Il lettore ricorderà che la cultura
giuridica tradizionale potè convivere benissimo (o abbastanza bene)
con il regime fascista perché quest’ultimo, grazie al monopolio dell’attività legislativa, aveva tutto l’interesse a incentivare il principio di legalità, ossia il rigoroso rispetto della norma, qualunque essa fosse. La
mia ipotesi di lavoro è che sino al 1936 la formazione giuridica di
Ettore contenesse una potenziale antinomia, che allora ovviamente
non si manifestò, ma che potè essere recuperata più tardi, grazie
all’incontro con Calamandrei. Una più marcata accentuazione di elementi autoritari si ritrova invece fra il 1938 e il 1940, in concomitanza
con gli studi di Diritto corporativo. Vedremo come nella tesi del 1940
e negli scritti pubblicati dopo il 1939, l’accento si sposti sulla discrezionalità del potere politico e sulle finalità extragiuridiche dell’ordinamento, ben al di là di quanto possa suggerire un semplice spostamento di interessi da una disciplina all’altra.
E così arriviamo all’“incidente di percorso” e all’ovvio interrogativo: quale genere di “eresia” poteva mai uscire da un corporativista ortodosso, formatosi nella Facoltà Fascista di Scienze politiche di
Firenze? Come ha fatto Ettore a mettersi nei guai? La mia ipotesi è che
egli avesse cercato di ricavare una qualche forma di coerenza nella legislazione corporativa sulla base dei princìpi generali del Diritto amministrativo, tentativo che lo ha portato a risultati paradossali e politi-
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L’insegnamento di Ettore Gallo
camente inopportuni, ma – sia chiaro – del tutto involontari.
A questo punto sorge spontaneamente il terzo interrogativo, il più
pertinente al nostro argomento: se le cose stavano così, perché un
semplice “incidente di percorso” è divenuto scelta politica? Lo shock
africano poteva portare tanto all’attendismo quanto alla militanza antifascista. Che cosa vi era dunque, nella formazione giuridica di
Ettore, che ha permesso a Calamandrei di penetrare le sue difese in
modo così profondo e duraturo? Perché non c’è dubbio che si sia stabilita, a partire da allora, una duratura sintonia con il pensiero costituzionale e l’evoluzione politica di Calamandrei. La mia ipotesi di lavoro è che i punti di contatto si siano stabiliti inizialmente intorno al patriottismo democratico di Calamandrei, alla sua concezione “pubblicistica” del processo civile e alle sue idee sull’autonomia e l’indipendenza dell’ordine giudiziario.
Ma procediamo con ordine e cominciamo dal problema della socializzazione autoritaria, riepilogando brevemente gli avvenimenti
dell’infanzia e della prima giovinezza.
3. Catastrofe di una famiglia borghese
Ettore ha perso la madre prima di compiere i due anni, il padre
prima dei tre anni e lo zio che lo aveva adottato a undici anni. La madre è morta di tifo, il padre è stato ucciso al fronte, il padre adottivo è
morto in giovane età, il fisico minato dalla trincea.
Non saprei dire se esistano studi sugli effetti che epidemie e guerre
hanno avuto sulla mobilità sociale nell’Italia del Novecento, ma ricordo che la storia sociale francese ha utilizzato come categoria operativa
il “decesso prematuro del padre”. Gli studi francesi sulla piccola borghesia dei mestieri e del commercio hanno dimostrato, per esempio,
che il decesso prematuro del capofamiglia è stata una causa di declassamento sociale più frequente dello stesso fallimento economico13. In
società prive di ammortizzatori sociali, come sappiamo, è la solidarietà della parentela che supplisce e funge da ammortizzatore, ma
quando le sventure si accumulano, come nel nostro caso, anche quei
meccanismi entrano in crisi.
Tanto più che la famiglia di Ettore non apparteneva certo alla grande
borghesia meridionale. Non c’erano latifondi in famiglia. Il nonno
Ambrogio (1836-1923) era cancelliere del tribunale di Castrovillari, in
Calabria, e dei due figli maschi era riuscito a mandare all’università sol-
Relazioni. Alberto Gallo
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tanto Alberto, il papà di Ettore. Alberto (1878-1916) si era laureato in
legge a Napoli e aveva trovato lavoro nello studio dell’avvocato
Minozzi, un professionista piuttosto noto nella Napoli di allora. Si era
sposato e aveva avuto quattro figli maschi dei quali Ettore era il più piccolo. Possiamo dire perciò che l’ascesa alla borghesia delle professioni
era appena iniziata quando nel 1915 il papà di Ettore venne richiamato
come ufficiale di complemento d’artiglieria. Cadde sul Pasubio l’anno
seguente e i quattro orfanelli furono riportati in Calabria.
Rimasero in tre, perché il secondogenito morì di spagnola nel 1918,
e alla fine furono separati e affidati ai parenti che li potessero crescere.
Ettore fu affidato al fratello minore del padre, lo zio Francesco (18841925), che una volta rientrato dal fronte lo portò con sé a Villafranca
di Verona dove aveva trovato un impiego presso il locale Ufficio del
registro.
Ettore ha molto amato questo padre adottivo con il quale ha vissuto per quasi sei anni. Non che, nemmeno allora, la vita fosse stata facile. A Villafranca, come dappertutto, la piccola borghesia lottava duramente per mantenere un minimo di decoro. (Di “onesta agiatezza”
non se ne parla nemmeno: l’anedottica famigliare tramanda storie di
geloni e di cappottini rimediati da pezzi di coperta). Il periodo più
difficile per Ettore iniziò comunque con la morte dello zio: dopo essersi provata a crescere il bambino da sola, la vedova infatti lo affidò
al collegio dei Padri Salesiani e fece ritorno a Castrovillari14.
Dagli 11 ai 18 anni la vita di Ettore è così trascorsa nell’internato
del collegio religioso e poi del collegio militare della “Nunziatella” di
Napoli (al quale era approdato dopo aver ottenuto la licenza ginnasiale al liceo Maffei di Verona), internato interrotto dalle vacanze estive
che trascorreva a Castrovillari, dove poteva rivedere la madre adottiva e i due fratelli maggiori. La scelta della Nunziatella era stata dettata dalla necessità: la selezione infatti era severa (veniva ammesso circa
il 5% dei candidati), ma la retta era modestissima e alla fine del corso
si guadagnavano le stellette, ciò che consentiva a un giovane privo di
mezzi di ultimare gli studi superiori e di evitare il servizio di leva15.
4. Strategie di sopravvivenza
La necessità, in effetti, ha governato la giovinezza di Ettore sino
all’ingresso in magistratura, e anche un poco oltre, come vedremo tra
poco. A Villafranca ha fatto le elementari di corsa, saltando due classi
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L’insegnamento di Ettore Gallo
(ma ha poi perso un anno, immobilizzato in un busto di gesso per una
crisi di reumatismo articolare) e alla Nunziatella doveva mantenere
una media elevata per conservare l’esenzione dalle tasse. Uscito dal
collegio nel 1932, si è iscritto alla Facoltà di Giurisprudenza di Napoli e
ha iniziato un’altra corsa laureandosi a Modena, a 22 anni, nel luglio
del 1936. Ettore si è mantenuto all’università lavorando come “ragazzo
di studio” presso quell’avvocato Minozzi nel cui studio legale aveva
lavorato il padre (in memoria del quale probabilmente gli è stata data
una mano) e tuttavia gli è toccato di tirare letteralmente la cinghia16.
La necessità spiega anche un piccolo mistero del curriculum vitae,
ove si legge che è stato in magistratura dal 1936 al 1946. Come si può
osservare nella Tavola 1, Ettore ha superato il concorso per uditore
giudiziario nel 1937 e quindi non poteva aver preso servizio nel 1936.
Tav. 1. Studi e prime esperienze professionali
1920-24 Elementari a Villafranca di Verona
1924-29 Internato al collegio dei Salesiani e licenza ginnasiale al liceo
“Scipione Maffei” di Verona
1929-32 Internato al collegio militare “La Nunziatella” e maturità
classica al liceo “Umberto I” di Napoli
1936
Laurea in Giurisprudenza all’Università di Modena
1936
Impiego come segretario giudiziario presso il tribunale di
Parma
1937
Concorso per uditore giudiziario e tirocinio nel medesimo
tribunale
1938
Vicepretore a Bologna
Iscrizione alla Facoltà di Scienze politiche “Cesare Alfieri”
dell’Università di Firenze
1939 (?) Vicepretore titolare della pretura di Lonigo (Vicenza)
1940
Esame per il grado di pretore aggiunto (aprile)
Laurea in Scienze politiche all’Istituto “Cesare Alfieri” (novembre)
1940-42 Assistentato volontario presso l’Istituto di diritto corporativo
della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Firenze
Egli è stato sì alle dipendenze del Ministero di Grazia e Giustizia a
partire dal 1936, subito dopo la laurea, ma inizialmente in qualità di
Relazioni. Alberto Gallo
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segretario giudiziario presso il tribunale di Parma, ove ha prestato
servizio anche durante il periodo di tirocinio, nella seconda metà del
1937, cessando di farlo, probabilmente, soltanto in occasione della nomina a vicepretore presso il tribunale di Bologna nel 1938. La circostanza spiega anche un’altra inesattezza del curriculum ove si legge
che si è laureato in Giurisprudenza a Modena e in Scienze politiche a
Firenze con il massimo dei voti e lode. È vero che si è laureato con il
massimo dei voti, ma solo a Firenze e non anche a Modena come la
frase, tecnicamente corretta, lascia intendere (potrà sembrare strano,
ma a Ettore Gallo, la laurea in Legge con il 110 e lode, l’università italiana non l’ha data).
Queste piccole incongruenze, infatti, hanno un’origine comune nello
stato di necessità in cui Ettore venne a trovarsi durante gli studi universitari. Egli deve aver analizzato per bene e programmato esattamente le
strategie necessarie. La possibilità di trovare un impiego presso un tribunale del nord, che gli consentisse di sopravvivere in attesa del concorso per uditore e durante il periodo di tirocinio, deve essere all’origine del trasferimento dall’Università di Napoli a quella di Modena poco
prima della laurea. A Modena, però, il relatore aveva preteso che discutesse la tesi nella sessione autunnale mentre Ettore non poteva aspettare
e dovette laurearsi, senza i pieni voti, nella sessione estiva, come una
volta mi raccontò piuttosto imbarazzato (si vergognava di circostanze
che magari avrebbero inorgoglito un’altra persona).
Il concorso per segretario giudiziario lo vinse tuttavia a Parma sicché,
una volta vinto il concorso per uditore nel giugno del 1937, gli si pose il
problema di ottenere la nomina in quella città. Sebbene fosse risultato
terzo al concorso nazionale, non gli fu concesso di scegliere la sede come
era costume per i primi classificati. Ettore si recò allora a Roma e chiese
di essere ricevuto dal Ministro guardasigilli: fu trattato con una freddezza che sconfinava nella scortesia, ma la spuntò (il Ministro ascoltò in silenzio le rimostranze, gli allungò la lista e gli disse «scelga!»).
Pochi erano i giovani, seppure brillanti e studiosi, che avevano la
possibilità di sopravvivere durante gli anni dell’università e poi, ancora, durante il periodo che trascorreva tra il conseguimento della laurea e il primo stipendio di magistrato. Ettore ce la fece, come abbiamo
visto, accorciando di qualche anno il proprio corso di studi, svolgendo un lavoro precario mentre studiava all’Università di Napoli e impiegandosi come segretario giudiziario in attesa della giudicatura retribuita. Ma come altri giovani privi di mezzi non potè evitare di indirizzarsi, sin dall’inizio, alla carriera nella giustizia minore. Sotto que-
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L’insegnamento di Ettore Gallo
sto profilo la sua vicenda privata si inquadra nel più vasto problema
della selezione economica dei magistrati.
5. La selezione economica dei magistrati
A proposito dell’evoluzione dell’ordinamento giudiziario italiano, si
cita spesso il giudizio di Guido Neppi Modona che ha osservato, in un
lavoro ormai classico, come il regime fascista si fosse limitato a perfezionare gli strumenti di controllo sulla magistratura già predisposti dallo Stato liberale17. Non bisognerebbe tuttavia dimenticare che lo Stato liberale non era la stessa cosa nel 1921 e nel 1865. Il fascismo ha dovuto
sradicare le conquiste dell’ordinamento Rodinò del 1921 e riproporre
soluzioni tipiche del decreto Rattazzi del 1859 o dell’ordinamento
Cortese del 1865, facendoci fare un salto indietro di più di mezzo secolo. Inoltre, insistendo troppo sugli elementi di continuità si rischia di
non vedere la portata dei cambiamenti che si sono comunque verificati
durante il ventennio. Uno di questi cambiamenti significativi è stata
l’istituzione nel 1930 di una carriera separata per i giudici di pretura.
Sino ad allora la carriera nella magistratura giudicante era rimasta
unica, secondo lo schema tradizionale: concorso per uditore, breve tirocinio negli organi collegiali, tirocinio più lungo nelle preture, esame
pratico per la nomina a vicepretore, un certo numero di anni nelle
preture e infine la possibilità della promozione a giudice di tribunale.
La riforma Rocco del 1930, completata dalle modifiche apportate dal
Ministro De Francisci nel 1933, separò invece la carriera nella pretura
da quella nella magistratura collegiale. Sin dall’inizio. O si faceva il concorso per divenire pretore o si faceva quello per divenire giudice di tribunale. Nel primo caso l’esame era più semplice, nel secondo caso più
difficile; nel primo caso si cominciava a guadagnare quasi subito, nel
secondo caso bisognava affrontare un più lungo tirocinio non retribuito.
Sono andato in cerca di una giustificazione per questa scelta e l’ho
trovata in uno scritto del 1933 del Primo Presidente della Corte di
Cassazione18. In pratica, vi si sostiene che il precedente sistema avrebbe allontanato i giovani più brillanti, spaventati dalla troppo lunga sosta nelle preture. E si sottolinea che il pretore abbisognava di una cultura giuridica più pratica e semplice, sicché non serviva mandare i futuri giudici di tribunale nelle preture.
Poco convincente, dal momento che tutte le precedenti riforme erano state indirizzate a realizzare una formazione il più possibile com-
Relazioni. Alberto Gallo
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pleta del magistrato grazie alla doppia esperienza di giudice monocratico e negli organi collegiali. La verità, assai evidente (lo dice apertamente anche Antonello Gustapane nel suo recente studio)19, è che si
introdusse un criterio di classe, costringendo il segmento più povero
della classe media – quello che non poteva permettersi il tirocinio gratuito – a percorrere la carriera del pretore, una carriera dalla quale – e
questo è veramente il punto – era poi quasi impossibile passare ai tribunali. I pretori, infatti, avrebbero potuto farlo soltanto dopo 22 anni,
soltanto per un decimo dei posti disponibili, soltanto se possedevano
un’anzianità non inferiore a quella del giudice meno anziano e, infine,
soltanto se, al contrario dei colleghi della collegiale, avessero conseguito il cosiddetto “merito distinto”. Insomma, quasi impossibile.
Spesso Ettore ha rievocato con noi figli questa sua esperienza. Era
convinto che la maggiore sensibilità democratica dei magistrati di oggi si potesse spiegare – non solo, ovviamente, ma anche – con la democratizzazione delle condizioni di accesso alla magistratura. Le lotte
sindacali e i diritti conquistati dai lavoratori, il conseguente miglioramento delle condizioni di vita della classe operaia e delle classi medie,
e infine la più ampia scolarizzazione e la liberalizzazione dell’accesso
all’università, hanno finalmente consentito a molti giovani non privilegiati di diventare giudici!
6. Educazione militare ed educazione giuridica
Gli elementi sin qui raccolti ci consentono di farci una prima idea
della formazione del pretore di Lonigo, descritto da chi l’ha conosciuto,
a mezzo degli anni Trenta, come un giovane serio e sicuro di sé, al quale
le prove della vita non avevano tolto il piacere dell’umano convivio20.
Alla Nunziatella, in un ambiente che – come si ricorderà – egli definì
«patriottico-risorgimentale» piuttosto che autoritario, aveva trovato:
qualche grande Maestro, come Floriano Del Secolo, spiritualmente allievo
di De Sanctis e molto vicino a Benedetto Croce, che mi allontanò dallo spirito la retorica fascista (dopo la Liberazione fu senatore, e direttore di
“Risorgimento liberale”)21.
Anche altre testimonianze – come quella del comunista Mario
Palermo – confermano l’idea di un’impronta monarchica e liberale,
quasi piemontese, del collegio militare di Napoli, e un atteggiamento
128
L’insegnamento di Ettore Gallo
addirittura antimilitarista nel caso di Floriano Del Secolo22. Non metterei la mano sul fuoco, invece, quanto al superamento della retorica
fascista, nella misura in cui questa si sovrapponeva e aderiva all’acceso patriottismo dell’orfano di guerra. Troppe cose qui si confondevano: la memoria “eroica” del padre – rimasto fermo al suo posto, al comando della batteria di Cima Palon, mentre si udivano i colpi di piccone degli austriaci che scavavano la galleria ove avrebbero collocato
la mina –, il bisogno di un’identità forte in chi non possedeva altri riferimenti e doveva, per forza di cose, sentirsi socialmente fragile e infine il dannunzianesimo di quella gioventù, a cavallo tra gli anni Venti
e Trenta, a dispetto delle lezioni di Floriano Del Secolo.
Possiamo immaginare che per Ettore, come per molti altri italiani,
Patria e Fascismo si confondessero e che questo gli bastasse. Ettore è
stato inquadrato nelle organizzazioni dell’Opera Nazionale Balilla sin
dal 1927; con le stellette prese nel 1932 è entrato nella Milizia; una volta all’università è entrato nel GUF, e con la leva GUF del 1936 ha preso la tessera del PNF (da questo e dalla Milizia sarà poi espulso per
«indegnità morale»). La socializzazione fascista è stata dunque completa ed è impossibile che nulla sia penetrato, che i valori e la liturgia
condivisi non abbiano prodotto alcun effetto sul suo spirito.
Ciò che mi sembra suggerire, invece, che la componente liberale
sia stata comunque importante in questa prima fase, è la maggiore
pervasività e sistematicità dell’educazione giuridica e la maggiore
coesione dell’identità culturale e di corpo della magistratura. Non so
se disponiamo di una riflessione sul grado di coesione interna alle singole istituzioni, ma mi sembra evidente che alcuni corpi dell’apparato
statale siano più coesi e “formativi” di altri, grazie a carriera, gerarchia e sapere tecnico.
Alla Nunziatella, Ettore ha stabilito amicizie che sono durate tutta
la vita (alcuni compagni di collegio, come il capitano Fiandini, li ritroverà nella Resistenza) ed è rimasto affezionatissimo al suo “Rosso
Maniero” e all’Associazione degli ex allievi, di cui ha seguito le vicende sino agli ultimi giorni di vita, ma l’educazione militare si è interrotta a 18 anni. È stata l’educazione giuridica invece che l’ha forgiato e
influenzato in profondità.
Nonostante la fretta di laurearsi e nonostante la necessità di lavorare sia durante gli studi sia dopo il concorso per uditore, Ettore è stato
infatti un giovane studioso curioso e appassionato. Nella Tavola 2 sono riuniti gli scritti giovanili che ho potuto rintracciare. Non posso
escludere che ve ne siano degli altri ma quelli elencati qui sotto do-
Relazioni. Alberto Gallo
129
vrebbero bastare per darci un’idea del giovane studioso e del suo modo di ragionare: essi rappresentano comunque una guida più sicura di
ogni ipotesi che si possa avanzare sulla scorta dei ricordi personali o
di singoli aneddoti.
Tav. 2. Scritti giovanili
1936
1939
1940
1941
1942
Natura giuridica della volontaria giurisdizione, tesi di laurea in
Giurisprudenza, Regio Ateneo di Modena, 1936.
Sopravvenienza del decreto d’amnistia pendente il termine per
l’impugnazione, in «Temi Emiliana. Rivista di giurisprudenza», XVI (gennaio-febbraio 1939), n. 1-2, parte I - Giurisprudenza, pp. 47-56.
La revoca del riconoscimento alle associazioni sindacali riconosciute, ivi, parte II - Dottrina, pp. 105-120.
Riconoscimento e revoca del riconoscimento alle associazioni professionali, tesi di laurea in Scienze politiche, Istituto “Cesare
Alfieri”, Regia Università di Firenze, 1940.
Recensione a G. Balzarini, Gli enti sindacali (nel Trattato di diritto corporativo diretto da G. Chiarelli, Soc. Ed. Libraria, Milano
1940, vol. I, parte I, pp. 75-220), in «Bollettino bibliografico e
rassegna sistematica di giurisprudenza», Università di
Firenze, Istituto di diritto amministrativo - Istituto di diritto
corporativo, I, n. 3-4 (marzo-luglio 1941).
Recensione a G.G. Lo Schiavo, Gli uffici di collocamento (nel
Trattato di diritto corporativo diretto da G. Chiarelli, Soc. Editr.
Libraria, Milano 1940, vol. I, pp. 347-388), ivi, I, n. 5-6 (agosto-dicembre 1941), pp. 90-102.
Recensione a N. Passalacqua, Legislazione sociale e contratto collettivo di lavoro, SAET, Roma, 1940, ivi, II, n. 2-4 (aprile-giugno
1942), p. 131.
Diritto corporativo: rassegna della giurisprudenza per l’anno 1941
(non pubblicato per la cessazione del Bollettino bibliografico
nel 1942).
La tesi di laurea in Procedura civile, stesa tra i 21 e i 22 anni, è un
lavoro piuttosto breve (un centinaio di pagine) ma denso di idee: vi
dedicheremo una speciale attenzione perché l’entusiasmo dello stu-
130
L’insegnamento di Ettore Gallo
dente e una certa simpatica sicurezza rivelano, più delle pubblicazioni, gli amori e le insofferenze giovanili. Della tesi Ettore non ne fece
nulla, nemmeno un breve articolo, forse in conseguenza della delusione subita all’esame di laurea, ma forse anche perché, dopo il 14 maggio 1936, data finale della stesura, le sue energie furono assorbite dal
lavoro al tribunale di Parma, dal concorso e dal tirocinio.
I lavori successivi, infatti, sono stati scritti a Bologna nel corso del
1938, dopo la nomina a vicepretore, e pubblicati nel primo volume del
1939 di Temi Emiliana. Il primo saggio, pubblicato nella sezione
“Giurisprudenza”, riguarda ancora un tema di procedura (civile e penale) e prende le mosse da una sentenza della II sezione della Corte
d’appello di Bologna a conclusione di un processo al quale Ettore doveva aver assistito 23 . Il secondo saggio, pubblicato nella sezione
“Dottrina”, riguarda invece un problema di Diritto corporativo. Come è
arrivato Ettore al Diritto corporativo, impegnato com’era a muovere i
primi passi nella carriera di pretore? L’ipotesi che mi sembra più plausibile è che vi si sia appassionato studiandolo per l’esame di uditore che
aveva sostenuto nel giugno del ’37. Per la carriera di pretura, infatti, le
due prove scritte vertevano su di un tema di Diritto civile e commerciale e su di un tema di Diritto penale, ma la prova orale comprendeva civile, penale, le due Procedure e il Diritto sindacale e corporativo24.
Più difficile fare supposizioni sulle ragioni di questo nuovo interesse
al di là dell’occasione contingente offerta dalla preparazione in vista del
concorso. Di certo vi è che in quegli anni Ettore cominciò a comprare libri. Ora poteva permetterselo. Ma è anche probabile che, raggiunta la
sicurezza nel lavoro, abbia sentito il desiderio di allargare i propri interessi. I libri di storia, i trattati di sociologia e di economia che compaiono nella sua biblioteca a partire dal 1938 possono essere considerati altrettanti segnali di questa aspirazione, concretizzatasi nell’iscrizione, alla fine di quello stesso anno, all’Istituto “Cesare Alfieri” di Firenze che
proprio allora era stato trasformato in Facoltà di Scienze politiche.
Firenze non era troppo lontana da Bologna e quindi il progetto di una
seconda laurea al “Cesare Alfieri” dovette sembrargli realizzabile.
A partire dall’anno seguente, quando venne destinato a reggere la
pretura di Lonigo, in provincia di Vicenza, deve essergli riuscito più
difficile recarsi a Firenze, ma gli riuscì comunque di laurearsi nel novembre del 1940 con una tesi che riprendeva e sviluppava il saggio
sulla revoca del riconoscimento alle associazioni sindacali del 1939.
Prima però di vedere i lavori di questa nuova fase, facciamo un passo
indietro e soffermiamoci, come promesso, sulla tesi di laurea del 1936.
Relazioni. Alberto Gallo
131
7. La certezza del diritto
L’interesse di Ettore per l’argomento della tesi – la natura giuridica
della volontaria giurisdizione – è nato da un saggio del 1927 di
Giovanni Cristofolini (che aveva insegnato a Modena qualche anno
prima che vi approdasse Ettore) nel quale veniva criticata una sentenza della Corte di Cassazione25. La Cassazione aveva annullato la vendita di un immobile, proprietà di un minore, per incompetenza territoriale del tribunale che l’aveva autorizzata (l’autorizzazione al genitore esercente la patria potestà era stata data dal tribunale di S.M.
Capua Vetere mentre l’immobile si trovava a Napoli). Si era trattato
con ogni evidenza di un raggiro: l’autorizzazione era stata chiesta a
un tribunale incompetente territorialmente proprio per poterne ottenere successivamente l’annullamento.
Indignato, il laureando si chiedeva: «Qual è lo scopo del diritto?»
(sono le parole con cui si apre la tesi) rispondendosi che lo scopo del
diritto è di assicurare la certezza dei negozi giuridici:
Ora, se tale è [...] lo scopo del diritto non si può fare a meno di rimanere
perplessi innanzi a istituti che, e le lacune della legge e la comune interpretazione, hanno portato a conseguenze che contrastano manifestamente
con quello scopo, sì da sovvertire addirittura talvolta l’ordine giuridico
col ledere la sicurezza dei rapporti e col favorire, sia pure involutamente,
il raggiro o l’artifizio tendente a carpire la buona fede del contraente.
[...] Quando, ad esempio, dal silenzio della legge e col conforto di dottrina
e giurisprudenza, si afferma senza riserve che l’atto del giudice onorario
territorialmente incompetente è nullo in via assoluta, e che naturalmente
nessun termine di decadenza o di prescrizione può mai opporsi a tale nullità, mi domando quale sicurezza di rapporti ne possa mai venire...26
La soluzione suggerita da Cristofolini, che vi vedeva un caso di
nullità relativa, non lo aveva interamente soddisfatto. Gli sembrava
«un gran passo verso quella invocata tutela delle ragioni dei terzi»
perché «la nullità relativa può essere promossa unicamente dal contraente» e perché «l’atto annullabile si sana sia in virtù di conferma
espressa o tacita, sia per il decorso di un quinquennio»27, e tuttavia ne
sottolineava gli inconvenienti derivanti dai termini fissati dalla legge
e dai limiti posti all’impugnazione. Secondo Ettore la soluzione andava cercata «su principî più generali», ricorrendo alla teoria della rappresentanza del codice civile:
132
L’insegnamento di Ettore Gallo
Il genitore esercente la patria potestà riveste infatti la figura di un mandatario ex lege. L’art. 224 c.c., primo cpv., dice testualmente: «il padre rappresenta i figli nati e i nascituri in tutti gli atti civili, e ne amministra i beni»! Il padre dunque è rappresentante dei figli; soltanto che la legge, con
lo stabilire che [...] non può eccedere senza autorizzazione giudiziale i limiti della semplice amministrazione, ha voluto attribuire al genitore una
rappresentanza limitata, stabilendo che per eccedere quei limiti occorre
un ulteriore provvedimento. [...] Esattamente al modo stesso con cui il privato conferisce ad un terzo mandato per rappresentanza nei limiti della
semplice amministrazione, inducendosi, ogniqualvolta lo ritenga necessario od opportuno, a conferirgli mandato ad hoc per le operazioni eccedenti quei limiti. Il mandato ad hoc corrisponderebbe al provvedimento d’autorizzazione giudiziale28.
Stabilita così «l’analogia fra le due figure del mandatario contrattuale e di quello legislativo», passava ad applicarla al caso discusso da
Cristofolini:
L’autorizzazione giudiziale è in qualche modo (poniamo ancora per incompetenza territoriale) inficiata. Il genitore crede invece di essere autorizzato ad eccedere i limiti della semplice amministrazione e compie
l’alienazione. Sovviene ancora qui la teoria della rappresentanza? Io credo
di sì! Anche in questa infatti vi ha un caso analogo e per di più contemplato, sia pure implicitamente, dalla legge. Intendo parlare del momento in
cui il mandato viene a mancare perché revocato a tutta insaputa del mandatario. Anche qui il mandatario agisce e compie negozi di tale qualità,
mentre invece ormai non è più tale; egli crede di esserlo, ed i terzi pure,
che così lo hanno ritenuto sino a quel momento, non hanno motivi per
non continuare a reputarlo tale.
Così in qualche modo avviene – come dicevamo – nel nostro caso. Il genitore che ha dalla legge un mandato generale ma limitato, ritiene di aver
avuto ora anche quello specifico che invece è imperfetto. Ma egli lo ignora:
anch’egli perciò agisce e compie negozi in quella certa qualità che non ha
ma crede di avere e che i terzi hanno tutti i motivi per credere che vi sia29.
Concludendo:
Ora, è principio generale di diritto (e – si badi bene – principio statuito a tutela della buona fede dei terzi) che gli atti compiuti dal rappresentante che
ha cessato di essere tale nel tempo in cui ignora la causa di tale cessazione,
Relazioni. Alberto Gallo
133
sono validi rispetto ai terzi di buona fede (arg. dell’art. 1762 c.c.); perché allora, trovandosi nella stessa situazione, quel rappresentante legale che è il
genitore, non dovrà per i suoi atti ammettersi identica soluzione?30
Ettore si rende conto delle possibili obiezioni all’analogia stabilita
tra l’autorizzazione del giudice e il mandato del mandatario contrattuale e delle possibili obiezioni in merito alla diligenza del terzo che
invoca la buona fede, e ricorre, per ribatterle, all’autorità di Nicola
Coviello e di Santi Romano nel primo caso e a quella di Giuseppe
Chiovenda nel secondo. Esprime innanzitutto le proprie riserve «sulla
natura schiettamente privatistica del principio ricavabile dall’art. 1762
c.c.» e ribadisce la validità degli atti compiuti «non perché error communis facit ius, ma perché – come in altro caso sostiene il Coviello – facit
ius l’atto del potere governativo [...] fino a che non venga annullato»:
Diversamente infatti sarebbe se l’atto fosse stato compiuto senza autorizzazione giudiziale; la rappresentanza paterna sarebbe allora arbitrariamente arrogata e la sua figura sarebbe piuttosto prossima al falsus procurator. Checché si sia detto infatti sulla natura dell’autorizzazione in genere, noi riteniamo dover aderire all’opinione del Forti e del Santi Romano
che fanno in merito la dottrina prevalente e per i quali l’atto giuridico non
preceduto da autorizzazione è una parvenza di atto emesso contro un divieto di legge [...]. Ma nel nostro caso invece l’autorizzazione c’è stata [...].
Ora, noi ci serviamo di tale affermazione proprio per detrarne l’ulteriore
conseguenza della piena validità degli atti compiuti in seguito al provvedimento annullabile. L’annullabilità del provvedimento insomma agli effetti della nostra tesi vale allo scopo di poter affermare che provvedimento ci fu, sebbene imperfetto, e che sull’esistenza di tale provvedimento e
sulla sua autorità va posta la soluzione della questione31.
Senza entrare nel merito della tenuta o dell’eventuale originalità
del ragionamento, vi si può comunque cogliere lo spirito che anima lo
studente ventiduenne. Scopo del diritto è la legalità, la certezza di un
diritto eguale per tutti, ma ciò non significa sottomissione passiva al
diritto positivo. Le lacune della legge – la grande preoccupazione del
giuspositivismo! – vanno colmate con la ricerca dei princìpi generali
dell’ordinamento: il giurista ha un compito creativo – che gli viene
dall’impegno stesso a realizzare la certezza del diritto – e non deve
rinchiudersi nell’esegesi della norma o rassegnarsi a constatare che la
legge è dura, ma è legge.
134
L’insegnamento di Ettore Gallo
Questo porsi del giovanissimo studioso emerge anche più chiaramente dalle riflessioni e dai riferimenti dottrinali che troviamo nel corpo centrale della tesi dedicato all’indagine sulla natura della volontaria
giurisdizione. I passi che abbiamo sinora citato, infatti, si trovano in
un’appendice intitolata Cenno su un particolare aspetto delle applicazioni
del nostro studio ove il risultato dell’indagine viene per l’appunto “applicato” al problema delle conseguenze degli atti del giudice onorario.
8. Teorie formalistiche e teorie sostanziali
Sull’annosa questione della natura della volontaria giurisdizione le
simpatie di Ettore sono tutte dalla parte delle “teorie sostanziali”
(Chiovenda e Carnelutti, ma anche Calamandrei)32. Respingendo le
teorie “formaliste”, egli è consapevole di non dire nulla di originale,
ma vuole comunque polemizzare con i “formalisti”33, i quali «si perdono in insussistenti osservazioni formali» e si limitano a definire la volontaria giurisdizione in base alla mancanza di contradditorio, al fatto
che il termine “decreto” è mutuato dalla terminologia degli atti amministrativi, alla mancanza della “cosa giudicata”. Ciò che gli importa di
sottolineare sono, da un canto, le lacune del Codice di procedura civile, il quale si limita a riunire la materia in base alle comuni caratteristiche procedurali, e dall’altro, il pericolo che la dottrina, adagiandosi
sulla lettera della norma, rinunci al compito di interpretarla:
... abbiamo omesso di proposito di accennare al Calda che col suo estremismo formalistico pretenderebbe addirittura che le forme adottate dalla
legge debbano servire per determinare, caso per caso, se trattasi o no di
giurisdizione contenziosa. Del resto l’Autore, che conclude negando addirittura ogni criterio ed ogni concetto, è stato finemente confutato dal
Chiovenda che chiama l’affermazione ‘arbitraria’ ed aggiunge ch’essa
“condurrebbe ad escludere l’utilità di ogni procedimento logico, sia deduttivo, sia induttivo, nell’interpretazione della legge”34.
Ettore però si allontana da Chiovenda sulla questione centrale della distinzione tra volontaria giurisdizione e giurisdizione ordinaria,
stabilita da quest’ultimo in funzione della diversità dei risultati (rispettivamente, la costituzione di stati giuridici nuovi e l’attuazione di
rapporti esistenti). Se ne allontana facendosi forte della lettura della
dottrina tedesca (aveva studiato il tedesco proprio a questo scopo). In
Relazioni. Alberto Gallo
135
questo caso si tratta del pensiero di Jakob Weismann (Lehrbuch des
Deutschen Zivilprozessrechtes)35, il quale nelle sentenze costitutive e determinative rinviene elementi di volontaria giurisdizione commisti ad
elementi di giurisdizione ordinaria.
Proseguendo nella critica a Chiovenda:
Io non credo che le sentenze costitutive contengano ‘sempre’ l’attuazione
di un diritto alla costituzione di un nuovo stato giuridico: vi sono in effetti
sentenze costitutive in cui non saprei dove si possa ravvisare la preesistenza di un diritto qualsiasi allo stato giuridico che potrà eventualmente
sorgere da esse36.
E ricorrendo alla distinzione carneluttiana tra sentenze d’accertamento costitutivo e sentenze dispositive, insiste semmai sull’attività
“creativa” della giurisdizione ordinaria:
Nelle prime si rinviene la stessa attività che il giudice spiega nelle sentenze d’accertamento puro, soltanto che a quell’attività, che consiste poi in
un accertamento di presupposti, la legge connette un “maggiore effetto”,
in quanto fa derivare un determinato effetto giuridico non dalla sola esistenza di determinati presupposti materiali, ma anche e sopratutto dal loro accertamento da parte del giudice: in quest’ultimo caso il Carnelutti avvicina la sentenza al negozio giuridico [...] perciò non comprendiamo come il Cristofolini chiami ‘esagerata’ l’affermazione dell’Autore.
[...] nei casi di sentenze dispositive vere e proprie [...] non ci sembra che si
possa seriamente parlare di un diritto preesistente alla sentenza e da questa realizzato [...]. Un solo diritto preesiste nella parte, e questo non è altro
che il diritto d’azione, inteso come il potere di chiedere al giudice la composizione di un conflitto d’interessi non composto a priori dalla legge materiale, la tutela di un interesse non ancora elevato a diritto subiettivo in
grazia di una norma materiale precostituita, tutela la cui concessione e il
cui diniego è pienamente affidata all’officium iudicis37.
Saltando qualche passaggio in questo nostro necessariamente sommario riassunto, arriviamo al tentativo di Ettore di dare una sua propria definizione della volontaria giurisdizione «sulla base della definizione carneluttiana» («tutela dell’interesse collettivo alla buona amministrazione degli interessi privati»), ma tenendo conto della lezione di
Antonio Cicu, i cui studi «hanno fortemente scosso la natura privatistica di certi interessi»:
136
L’insegnamento di Ettore Gallo
... un’attività con cui lo Stato provvede all’interesse collettivo della certezza dei rapporti giuridici e della tutela degli interessi di persone fisiche, di
aggregati, e di enti diversi dallo Stato: interessi alla cui buona amministrazione lo Stato è particolarmente interessato. Qualunque poi sia per essere
la forma che venga imposta all’esercizio di tale tutela, la sostanza di essa
non muta38.
9. Indirizzo “pubblicistico” e funzione giudiziaria
Ciò che non lo convince, in effetti, dell’impostazione carneluttiana,
è la definizione troppo privatistica degli interessi tutelati dalla volontaria giurisdizione e la tendenza a contrapporre interessi pubblici e
privati. Un caso ipotetico di esemplare dissidio tra interessi “interni”
dello Stato e interessi di volontaria giurisdizione è quello immaginato
da Carnelutti: lo Stato è interessato ad acquistare, ovviamente a un
prezzo conveniente, l’immobile di un incapace indipendentemente
dall’interesse che quest’ultimo possa avervi, ma il giudice è tenuto a
vagliare esclusivamente l’interesse “più lontano” anteponendolo a
quello “immediato” dello Stato:
Ma è facile rilevare che tutta la costruzione si regge prima su una confusione di termini e poi su una distinzione puramente scolastica che non
trova alcun riscontro nella realtà giuridica.
Innanzitutto, anche volendo aderire alla teorica del Carnelutti di interessi
pubblici interni ed interessi pubblici esterni, non è a quello interno che deve anteporsi l’interesse del minore nella sua portata pubblicistica, bensì a
quello esterno della sicurezza dell’ordine giuridico; a quello interno
dell’interesse economico-amministrativo corrisponderebbe invece l’interesse particolare del minore nel più stretto ambito privato.
Questo – beninteso – per rispondere alla teorica sul suo stesso terreno. Ma
ciò che rende assolutamente insussistente – ripetiamo – tutta la costruzione è il fatto che essa riposa su una distinzione che non ha ragione di esistere. L’interesse che anima l’attività di volontaria giurisdizione non ha in
sé assolutamente nulla di privatistico, come non lo ha nessun interesse
che riguardi la certezza e la tranquillità dell’ordine giuridico. L’interesse
dello Stato è già nell’interesse del singolo sin dal momento iniziale in cui
quest’interesse tocca il campo del diritto [...]. Fra il minore e lo Stato non
vi ha in quel caso conflitto alcuno d’interessi pubblici: né quello che il giudice attua col provvedimento è interesse (sia pure per la sua natura me-
Relazioni. Alberto Gallo
137
diata) diverso da quello dello Stato. Il giudice realizza un unico superiore
interesse: quello dello Stato alla certezza dei rapporti giuridici e alla tutela
degli interessi minorili39.
Questa lunga citazione ci dà un’idea abbastanza precisa delle convinzioni del laureando. L’interesse dello Stato coincide – deve coincidere – esattamente con quello del cittadino. Esso è “superiore” perché
racchiude in sé, sin dall’inizio, gli interessi diversi da quelli dello
Stato, garantendoli mediante la certezza dei rapporti giuridici. Un’altra convinzione si rivela poco più avanti, venuto il momento di definire i princìpi che reggono l’esercizio della volontaria giurisdizione, che
Ettore individua nei medesimi princìpi che reggono l’esercizio della
giurisdizione ordinaria piuttosto che in quelli mutuabili dal diritto
amministrativo:
Un secondo argomento lo incontriamo in quelle ‘garanzie d’indipendenza’ o comunque in quelle condizioni di libertà dalle ingerenze del potere
esecutivo con cui l’Autorità giudiziaria esercità le funzioni di volontaria
giurisdizione; garanzie d’indipendenza e condizioni di libertà che sono
senza menomazioni le stesse che all’Autorità giudiziaria sono attribuite
nell’esercizio delle ordinarie funzioni giurisdizionali40.
L’idea che la “libertà dalle ingerenze del potere esecutivo” sia una
caratteristica essenziale della giurisdizione ordinaria, e come tale rivelatrice della natura della giurisdizione volontaria, nella misura in cui questa la condivide con quella, gli viene dalla lettura di Conrad Bornhak
(probabilmente del Grundriss des Deutschen Staatsrechts)41:
Bornhak definisce la v.g. come l’insieme delle “funzioni delle autorità giudiziarie estranee al processo ed esercitate dai giudici godendo dell’indipendenza giudiziaria.” È manifesto che qui l’autore pone addirittura
nell’indipendenza attribuita al giudice nell’esercizio delle funzioni di volontaria giurisdizione il criterio esclusivo e distintivo fra quest’attività e le
altre funzioni di amministrazione della giustizia, in cui l’Autorità giudiziaria è legata da vincoli di dipendenza gerarchica42.
L’analisi della natura giuridica della volontaria giurisdizione si
conclude con un argomento ad absurdum – un procedimento consueto
nel ragionare di Ettore, che ritorna anche nelle opere della maturità –
mediante il quale esclude che gli atti del giudice onorario si debbano
138
L’insegnamento di Ettore Gallo
ispirarare ai princìpi del diritto amministrativo, poiché in tal caso
«non ci sarebbe ragione per escludere alcuno di questi principî.
Mentre [...] nessuno può negare che invece un numero più che sensibile di essi è assolutamente inapplicabile...»43.
Infine, la parte della tesi che ci può interessare al di là degli aspetti
più tecnici, si conclude con un’indagine sui criteri di classificazione
degli atti di volontaria giurisdizione e con una proposta di classificazione che – rigettato il «criterio puramente formale» basato sull’identità dei partecipanti ma anche i criteri più sostanziali adottati da
Chiovenda e fondati sulla «natura dell’attività che l’organo giurisdizionale spiega nei diversi casi» – si fonda invece sull’accertamento
della «diversa gradazione che nei vari casi può presentare l’attività
del giudice o dei suoi organi ausiliari».
Anche qui è determinante l’influenza della dottrina tedesca, in
questo caso di Walter Jellinek che Ettore ha scoperto grazie a
Cristofolini e che si è letto con avidità:
Che la classificazione dello Jellinek, sappia di un’eccessiva complessità,
che il suo concetto della giurisdizione onoraria, nonostante abbia pretese
di universalità, non si adegui invece all’istituto qual è presso di noi, sono
certamente osservazioni che ne sminuiscono il valore pratico, ma l’originalità del metodo ha pur sempre nella sua opera un’impronta d’indistruttibile genialità44.
Distinguendo tre gruppi di atti: a carattere meramente ricettizio, di
documentazione e legalizzazione e infine il più importante gruppo degli atti che dalla dottrina tradizionale riceve «la dubbia, se non addirittura scorretta, denominazione di giurisdizione volontaria cum causae
cognitione», propone una suddivisione all’interno del terzo gruppo di
atti sulla base del maggiore o minore intervento del magistrato:
… sia il Carnelutti che altri illustri autori riuniscono in un’unica categoria
gli atti in cui il magistrato esercita una funzione puramente ricettizia con
quelli nei quali esercita un controllo di legittimità. Ora, a noi modestamente non pare che si possano confondere così facilmente atti cui la partecipazione o meno dell’imperium del magistrato conferisce un’impronta
caratteristica che ne gradua diversamente la natura. [...] E di quanta importanza sia questa possibilità di seguire il suaccennato crescendo, non
v’ha chi non lo veda: perché gli è appunto dalla maggiore o minore preponderanza dell’intervento statuale che si potrà arguire la corrispondente
Relazioni. Alberto Gallo
139
influenza esercitata sulla validità e sulla efficacia del negozio con quell’intervento compiuto.
Ché qualora domani – in sede processuale – un’eccezione minacci la validità di quell’intervento, s’indagherà sino a qual punto esso abbia influito
sul negozio; e se l’indagine dimostrerà che l’esistenza del negozio non ha
subito completamenti dalla partecipazione statale, ma soltanto sulla sua
efficacia ha influito quella partecipazione, non sarà più così facile negare
ex-abrupto validità al negozio solo perché vien meno quella dell’organo
statuale, o almeno certo non gli si potrà attribuire quell’inefficacia ipso iure che viene dalla sanzione di nullità assoluta45.
Ecco dunque la conclusione pratica dell’indagine sulla volontaria
giurisdizione che, come abbiamo visto all’inizio, gli ha consentito di
“riformare” la sentenza della Cassazione nel senso della piena validità
del negozio giuridico da essa annullato.
Possiamo ora mettere in ordine le impressioni suscitate da questo
lavoro. Da un canto vi si ritrovano alcuni degli elementi tipici della
cultura giuridica “liberale” – principio di legalità e enfasi sull’indipendenza della magistratura nell’esercizio della funzione giurisdizionale – elementi che nella formazione giuridica di Ettore si sono consolidati anche grazie all’autorità degli autori tedeschi ante-Weimar: i già
citati Weismann, Bornhak e Jellinek, ma anche Konrad Hellwig e
Wilhelm Kisch46. Del resto, come si è già accennato, la difesa della legalità era sostanzialmente compatibile con gli scopi del regime fascista, il quale poteva permettersi di incoraggiare la rigorosa osservanza
delle fonti giuridiche e non sentiva il bisogno – almeno sino ai tentativi di svolta totalitaria dei primi anni Quaranta – di imporre ai giuristi
una particolare interpretazione della norma sulla base di principi direttivi apertamente politici47.
Ma vi sono anche elementi più o meno marcatamente autoritari.
Anche l’idea elevata che il laureando ha della funzione del magistrato –
la cui autorità deriva ed è inseparabile dall’autorità dello Stato – trovava
un ovvio fondamento nel quadro della cultura autoritaria. E ad essa è riconducibile anche l’impostazione “pubblicistica” del processo civile, derivata da Chiovenda, le cui idee Ettore ha sposato entusiasticamente,
non esitando in qualche caso ad entrare in polemica con esse quando le
ha trovate troppo “moderate”. Ma il segno più sicuro di un quadro di riferimento politicamente autoritario è il compiacimento con il quale il
laureando sottolinea, ogni volta che gli sia possibile, che non si può parlare di “preesistenza” di diritti nelle parti, polemizzando con Chiovenda
140
L’insegnamento di Ettore Gallo
a proposito delle sentenze costitutive («non saprei dove si possa ravvisare la preesistenza di un diritto qualsiasi allo stato giuridico che potrà
eventualmente sorgere da esse») o con Cristofolini a proposito delle sentenze dispositive («non ci sembra che si possa seriamente parlare di un
diritto preesistente alla sentenza e da questa realizzato»).
In sostanza mi sembra confermabile l’ipotesi di lavoro dalla quale
siamo partiti: nel laureando ventiduenne convivevano elementi “tradizionali” ed elementi autoritari e si trattava di una convivenza non
conflittuale. Negli anni successivi, grazie agli studi di Diritto corporativo, gli elementi autoritari si sarebbero rafforzati a scapito di quelli
“tradizionali”.
10. La questione dello scioglimento del sindacato
Come si è detto, la prima pubblicazione in materia di Diritto corporativo è il saggio sulla revoca del riconoscimento alle associazioni
sindacali, pubblicato nel gennaio-febbraio del 1939 su Temi Emiliana.
Si tratta della polemica con Silvio Lessona alla quale accennava piuttosto imprecisamente l’avvocato Prosperini di Vicenza nel 1949, in
una nota su Oratoria. Rivista di Eloquenza :
L’avvocato Ettore Gallo è nato a Napoli 35 anni fa [...]. Svolse non dimenticata attività scientifica alla Università di Firenze, dove fu, prima, assistente
poi incaricato. Apprezzati i suoi scritti giuridici in varie Riviste come quello giovanile (1938) su “Temi Emiliana” (citato dal “Foro It.” e da “Giurispr.
It.” sulla “sopravvivenza [sic] del decreto di amnistia pendente il termine
per l’impugnazione” e quello in polemica col Prof. Lessona sul “Riconoscimento e revoca del riconoscimento alle associazioni professionali” in
“Bollettino della Università di Firenze”: la tesi del nostro ebbe il consenso
della dottrina e segnò l’inizio della crisi del sistema corporativo48.
Imprecisioni a parte sulla posizione accademica dell’autore, i titoli
e i luoghi di pubblicazione dei saggi, bisogna dire subito che il saggio
del 1939 ovviamente non «segnò l’inizio della crisi del sistema corporativo» come troppo generosamente scrisse il buon avvocato Prosperini. Se qualcuno fu messo in crisi dal saggio, questi fu lo stesso autore, pochi anni dopo, come vedremo. Ma gli argomenti di Ettore potevano effettivamente risultare fastidiosi o politicamente inopportuni.
Vediamo perché.
Relazioni. Alberto Gallo
141
Il potere di revoca era previsto dall’art. 9 della legge “fondamentale” del 3 aprile 1926, legge che aveva assegnato la rappresentanza di
tutti i lavoratori al sindacato fascista: una sorta di regolamentazione a
posteriori degli accordi firmati tra la Confindustria e il sindacato fascista a Palazzo Vidoni nel 1925.
La legge del 1926 stabiliva le modalità per il riconoscimento delle
nuove associazioni di categoria e stabiliva, per l’appunto, anche i casi
in cui il governo lo poteva revocare. La questione non interessava soltanto la dottrina. Il lettore ricorderà forse che il potere di revoca fu utilizzato da Mussolini nel 1928 per ridimensionare l’influenza della
Confederazione Generale dei Sindacati Fascisti guidata da Rossoni. La
Confederazione Generale venne spezzata in sei confederazioni diverse e Rossoni fu costretto a dimettersi. Lo “sblocco” (come allora si diceva) del sindacato fascista – vale a dire, il suo frazionamento – era
stato insistentemente richiesto dalla Confindustria e venne giustamente considerato un suo successo. Il sindacato dei metallurgici cercò
di compensare la sconfitta introducendo nel 1929 i fiduciari di fabbrica, ma ancora una volta la Confindustria protestò e ancora una volta
ebbe l’appoggio di Mussolini49. La facoltà di revoca venne utilizzata
da Mussolini anche nel 1932, e poi più ampiamente nel 1934, quando
fu revocato il riconoscimento a 675 associazioni sindacali, inquadrate
contestualmente nel neonato ordinamento corporativo50.
Chiarito che non si trattava di una questione esclusivamente dottrinale, vediamo che cosa diceva la legge in merito ai poteri di revoca. La
legge diceva semplicemente: «Quando concorrano gravi motivi e, in
ogni caso, quando vengano meno le condizioni richieste per il riconoscimento [...], il riconoscimento può essere revocato» (corsivi miei).
Quanto ai “gravi motivi”, la dottrina riconobbe concordemente che il
provvedimento governativo aveva carattere discrezionale, dividendosi
invece nell’interpretare il carattere del provvedimento nel caso del venire meno delle tre condizioni necessarie al riconoscimento: la qualità
dei dirigenti, le finalità dell’associazione, e infine, un numero adeguato
di iscritti fissato dalla legge in una determinata quota degli occupati.
Da un lato si erano espressi per il carattere discrezionale della revoca Zanobini, Barassi, Cioffi e E. Ranelletti51, ma dall’altro pesava
l’opinione in contrario di Ferruccio Pergolesi e del Solazzi che la consideravano un atto vincolato52. Per i primi, dunque, il governo poteva,
se lo riteneva opportuno, revocare l’autorizzazione quando i requisiti
richiesti dalla legge fossero venuti meno; per i secondi il governo doveva senz’altro procedere alla revoca del riconoscimento.
142
L’insegnamento di Ettore Gallo
Una soluzione “intermedia” era scaturita dall’analisi più approfondita che vi aveva dedicato Silvio Lessona nella prima parte del Corso di
diritto corporativo redatto in collaborazione con Giuliano Mazzoni53.
Lessona aveva posto innanzitutto il problema dello scopo della norma:
… non è possibile – diceva – che la legge abbia voluto attribuire al potere
discrezionale del Governo la conservazione o no della personalità giuridica anche se manchino i presupposti necessari al riconoscimento…54
Sicché sembrava doversene «concludere senz’altro che il riconoscimento deve essere revocato quando vengano meno i presupposti di
legge (od anche uno solo di essi) e può esserlo per gravi motivi».
Tuttavia tale conclusione – secondo Lessona – non poteva essere integralmente sostenuta se si teneva conto «della circostanza che il
Governo ha il modo di intervenire per ricostruire due dei presupposti
di legge che vengano spontaneamente mancare» e cioè quello delle finalità obbligatorie, decretando la revisione degli statuti, e quello della
qualità dei dirigenti, provocandone la sostituzione. In entrambi i casi
restava dunque al governo la scelta tra la revoca del riconoscimento e
la ricostituzione dei presupposti richiesti dalla legge.
Ma nel terzo caso – quando fosse venuto meno il numero minimo di
iscritti previsto dalla legge – il governo era impotente a modificare la situazione di fatto e doveva pertanto procedere senz’altro alla revoca. Il
governo era tenuto a revocare il riconoscimento perché diversamente
sarebbe stato violato il principio della libertà sindacale: infatti, venendo
a mancare la libera volontà associativa, si sarebbe imposto il principio
del sindacato obbligatorio che invece il fascismo aveva ripudiato55.
11. La polemica col Lessona
È bene ricordare, a questo punto, che il regime fascista vantava, soprattutto di fronte alle nuove generazioni, la propria superiorità nei
riguardi del totalitarismo comunista perché avrebbe rigettato il principio del sindacato obbligatorio e assicurato la libertà associativa tollerando le associazioni sindacali non riconosciute, e nello stesso tempo
vantava la propria superiorità nei riguardi dello Stato liberale perché
alle associazioni sindacali riconosciute avrebbe concesso un vero e
proprio potere d’imperio. Gli studiosi che negli anni Trenta redigevano i testi universitari di Diritto sindacale e corporativo, sebbene fosse-
Relazioni. Alberto Gallo
143
ro abbastanza anziani per aver assistito alla distruzione dei sindacati
cattolici e socialisti e al completo svuotamento del sindacalismo fascista, ripetevano le stesse cose.
Rimane il fatto, però, che almeno il Lessona si era fatto venire quello scrupolo a riguardo dell’ipotesi di un sindacato “scatola vuota”, ciò
che si può comprendere meglio se si ricordano i suoi mai cessati rapporti con Calamandrei e con l’opposizione liberaldemocratica fiorentina. Con Calamandrei vi era un rapporto antico, quasi famigliare: Calamandrei, come è noto, si era laureato con Carlo Lessona a Pisa e nello
studio forentino di Carlo aveva iniziato l’attività forense prima della
Grande Guerra.
Silvio aveva mantenuto i rapporti con Calamandrei anche dopo il
consolidamento del regime. Dal 1926 al 1929 aveva dato vita alla rivista «Il Foro Toscano» con Calamandrei, Enrico Finzi e Giulio Paoli,
tutti e tre animatori, assieme a Salvemini, Ernesto Rossi e ai fratelli
Rosselli, del Circolo di Cultura distrutto dalle squadre fasciste nel 1924
e disciolto dal prefetto di Firenze nel 1925. Nella seconda metà degli
anni Venti, dunque, Silvio Lessona collaborava con elementi notoriamente antifascisti e soggetti a molteplici vessazioni (per le pressioni
dei fascisti, nel 1929 Giulio Paoli dovette lasciare la cattedra di Diritto
penale alla Facoltà di Giurisprudenza e l’insegnamento al “Cesare
Alfieri”)56. Nel 1933 Lessona e Calamandrei firmarono assieme un articolo sulla «Rivista di diritto pubblico», segno che i rapporti non si erano del tutto interrotti57.
Anche i primi lavori “fascisti” di Silvio Lessona sono abbastanza
tardivi: nel 1929 I sindacati e lo stato fascista e Rapporto fra stato ed associazioni di lavoro nello stato fascista; nel 1934 La potestà di governo nello Stato
fascista; poi seguirono regolarmente i corsi e le lezioni di Diritto corporativo58. L’impressione che se ne ricava è di una conversione piena, ma
abbastanza tardiva, veicolata, più che dal conservatorismo, dalla fascinazione per la modernizzazione fascista e da un giudizio definitivo
sull’incapacità dello Stato liberale a far fronte alla crisi del diritto pubblico tradizionale e alle crisi economiche e sociali della fine degli anni
Venti59. Questa breve parentesi su Silvio Lessona ci serve per mettere
subito in chiaro che la polemica di Ettore partiva da posizioni che si
volevano più, e non meno, ortodosse di quelle del Lessona.
Il punto di partenza del ragionamento di Ettore riguardava la classificazione degli atti amministrativi. Ecco spiegato, tra l’altro, come
egli sia arrivato a un tema di diritto corporativo: mettendo a profitto e
riprendendo le nozioni di diritto amministrativo apprese durante la
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L’insegnamento di Ettore Gallo
stesura della tesi sulla volontaria giurisdizione che, come abbiamo visto, aveva trattato approfonditamente le distinzioni proposte dalla
dottrina in materia di attività di accertamento e di attività costitutive
di diritti. È probabile perciò che nel 1937, preparando l’esame di uditore sul Corso di diritto corporativo di Lessona e Mazzoni (nell’edizione
del 1936) egli sia rimasto colpito dal problema della revoca che, nella
soluzione prospettata dal Lessona, contraddiceva manifestamente le
convinzioni che si era venuto facendo.
Innanzitutto Ettore ricondusse la natura discrezionale o vincolata
del provvedimento al contenuto – costitutivo o di accertamento –
dell’attività della pubblica amministrazione:
Caratteristica della attività costitutiva è la posizione di libertà dell’attività
amministrativa di fronte alla legge: libertà relativa, ben si intende, libertà
giuridica e non arbitrio, ma sempre libertà che si esplica nell’apprezzare
senza vincoli la opportunità di costituire o meno l’effetto giuridico anche
allorché si siano verificati i presupposti di legge. [...] Discrezionalità, dunque! Ecco la caratteristica degli atti costitutivi. Ben diversa invece appare
la posizione dell’attività di accertamento. Qui è la natura stessa dell’attività che non consente libertà di determinazioni: [...] quando tutta l’attività
si limiti a una mera registrazione o certificazione [...] mancherebbe anche
ogni motivo logico per sottrarre il cosiddetto potere esecutivo alla comune soggezione all’attività legislativa, anche perché in tali ipotesi è possibile disciplinare e prevedere le singole categorie di atti. [...] ovunque sia
presente la natura d’accertamento dell’attività ivi ritroveremo l’assoluta
subordinazione alla legge60.
Una difficoltà nel procedere del ragionamento si presentava però a
proposito della possibilità medesima di annoverare il riconoscimento
dei sindacati (e la revoca del riconoscimento) tra gli atti costitutivi di
diritti:
Si suole infatti affermare che in tale categoria di atti il singolo o l’ente [...]
hanno un diritto preesistente [...] e normalmente esso si svolge in ogni
senso possibile tranne che in quello vietato dalla norma e per il quale appunto fa d’uopo l’autorizzazione. [...] Senonché il concetto di autorizzazione ci pare vada ben oltre un giudizio di mero accertamento [...] occorre
infatti tener conto della evoluzione del diritto, inteso come supremo valore dello spirito, e del particolare momento storico che lo contempla, per
cui, se in epoca liberale – ad es. – il portare armi potè sembrare una facoltà
Relazioni. Alberto Gallo
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del più ampio diritto di libertà, non può stupire che successivamente, per
i mutati valori dello spirito pubblico in rapporto a condizioni storico-sociali diverse, esso possa apparire un vero e proprio diritto che l’autorità
statale costituisce nel singolo privato61.
Si noti, in merito alla “preesistenza dei diritti”, l’evoluzione rispetto alla tesi del 1936, ove il problema era stato trattato sulla base di
un’ampia casistica e in termini sostanzialmente tecnici, nonostante
quella sorta di compiacimento al quale si è accennato, mentre qui fa
capolino una interpretazione evolutiva del diritto «come supremo valore dello spirito» tutta centrata sull’autorità dello Stato:
Ora è bene ricordare come su questo punto si ritenne in passato che l’atto
della pubblica amministrazione fosse semplicemente riconoscitivo di un
preesistente diritto: ed è bene ricordarlo per non ripetere con qualche recente autore che il nome stesso dell’atto fa escludere la natura costitutiva
che gli si vorrebbe attribuire. Il nome infatti è derivato al provvedimento
da quella ormai superata opinione che abbiamo accennato; ma la dottrina
si è oggi consolidata nel senso che l’atto medesimo sia attributivo del diritto, perché il preesistente fenomeno della aggregazione [...] è il substrato
sociale su cui viene a fondarsi l’atto amministrativo, ma la personalità di
fronte al diritto non esiste se non per espresso precetto di legge o per la
speciale volontà della pubblica amministrazione62.
Superata in qualche modo la difficoltà circa la natura delle autorizzazioni («da ritenersi una specie ibrida da riporre nella zona grigia
che dagli accertamenti costitutivi va verso l’attività propriamente costitutiva»), Ettore può arrivare al punto:
Il vero è invece che coll’attività di accertamento non ha nulla a che fare il
provvedimento che revoca il riconoscimento alle associazioni professionali riconosciute quando siano venute meno le condizioni richieste. Il vero è
che l’atto di revoca è il solo fatto giuridico che costituisca questa nuova
realtà negativa che è la fine dell’Ente; prima di esso l’associazione continua a vivere integralmente la sua vita nella pienezza di ogni sua manifestazione qualunque sia il numero dei soci, qualsivoglia la qualità dei dirigenti e lo snaturamento della finalità. Non v’ha luogo a concezione diversa [...] senza contraddire manifestamente principî basilari del diritto amministrativo vigente.
Tale atto di revoca pertanto rientra nell’attività costitutiva della pubblica
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L’insegnamento di Ettore Gallo
amministrazione: e come atto costitutivo, è atto discrezionale [...] tanto discrezionale che la legge lo ha caratterizzato con quell’eloquente “può” che
da solo è tutta una dimostrazione [...]. C’è voluta tutta la buona volontà di
valorosi commentatori per fare di un verbo facultante così esplicito un rigido vincolante “deve”…63
Per questa via Ettore arriva facilmente ad attribuire carattere discrezionale alla revoca anche nel caso della diminuzione degli iscritti:
… la revoca [...] ha sempre un’unica origine: il venir meno delle condizioni richieste per il riconoscimento. La sua natura pertanto è quella che è;
ma è sempre la stessa. O è atto vincolato o è atto discrezionale: ma affermare che uno stesso atto possa essere ora vincolato, ora discrezionale, è
cosa, ci pare, senza precedenti nella dottrina degli atti amministrativi64.
E può sottolineare le conclusioni paradossali – anche sul piano politico – cui arriverebbe il procedimento di Lessona:
… allorché dunque si sostiene che è vincolato il provvedimento di revoca
del riconoscimento nel caso in cui venga meno il numero dei soci, si viene in
sostanza ad affermare che tale provvedimento è emanato in sede di un’attività di accertamento costitutivo, in cui [...] si viene a dare giuridica efficacia
ad uno status che già preesiste all’atto stesso di revoca [sicché] ciò che veramente determina la revoca non è tanto la volontà statuale che [...] ha un mero valore giuridico di accertamento, ma è invece il venir meno della “libera
volontà associativa di quell’aliquota di individui”; è questo lo status giuridico preesistente al provvedimento amministrativo, è questo – per dimostrata
definizione – il preesistente diritto cui l’attività accertativa dell’Autorità dà
giuridica efficacia: il preesistente diritto, cioè, dei soci a vedere riconosciuti
gli effetti giuridici della loro libera volontà [...] dissociativa65.
Terminando col sottolineare come la necessaria conclusione non
potesse piacere allo stesso Lessona che, in altro luogo, si era pronunciato in termini assai più ortodossi:
… a seguire l’interpretazione del Lessona, ne discenderebbe questa semplice conseguenza: che, praticamente, allorché i soci intendono por fine ad
un ente sindacale, manifesteranno questa loro volontà recedendo dall’associazione, e raggiungeranno così perfettamente l’intento voluto, perché
lo Stato deve revocare il riconoscimento. Ora non crediamo sia il caso di
Relazioni. Alberto Gallo
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spendere parole a confutare l’assurdo di questo che pure è un corollario
immediato della teoria del Lessona. La dottrina è pacifica nel ritenere l’irrilevanza della volontà sociale per lo scioglimento dell’Ente sindacale riconosciuto, e d’accordo del resto con tale dottrina è per primo lo stesso
Lessona il quale più innanzi, in tema di analisi dell’espressione “scioglimento” [...] così si esprime: “non si può riconoscere ai soci il potere di
scioglierla a loro piacimento”66.
12. Implicazioni politiche
Il lettore che ha avuto la pazienza di seguire il ragionamento sin
qui ne avrà già colto le implicazioni politiche. Ettore – che non ha problemi di “cattiva coscienza” come il suo più anziano antagonista –
procede trionfalmente nella sua dimostrazione del fatto che la legge
del 1926 consente effettivamente al regime di non revocare i poteri a
un sindacato senza iscritti (si pensi alle conseguenze, per esempio, in
materia di contrattazione collettiva) con tanti saluti al ripudio fascista
del principio del sindacato obbligatorio.
Il lettore abbia ancora la pazienza di leggere la conclusione dell’articolo per avere la misura della pericolosità che dà al ventiquattrenne
vicepretore di Bologna la crescente padronanza dei ferri del mestiere
(in questo caso dell’esegesi della norma in ossequio alle intenzioni del
legislatore):
… non possiamo esimerci dall’offrire una spiegazione idonea del troppo
tormentato inciso “in ogni caso” [...]. E ci richiamiamo al Lessona, per il
quale – come dicemmo – o esso inciso tende effettivamente “a demarcare
fra le due ipotesi [...] oppure non avrebbe senso”. [...]
Poniamo per un momento che l’inciso fosse stato omesso; infatti se, come
vuole il Lessona, esso non ha senso all’infuori di quello che egli vorrebbe
attribuirgli, vuol dire che, ammettendo per ipotesi che il senso proposto
dal Lessona non sia esatto, l’inciso è superfluo, ed il dettato della legge
dovrà riuscire limpido anche senza di esso. Leggiamo dunque l’articolo
che, così mutilato, viene a risultare come segue: “Quando concorrano gravi motivi e … vengano meno le condizioni richieste ecc…”.
Ora [...] quale sarebbe stata la prima elementare e logica illazione dell’interprete? Che per procedere alla revoca del riconoscimento sarebbe stato
necessario il simultaneo concorso di due presupposti: quello dei gravi
motivi e il venir meno delle condizioni richieste: si noti infatti il valore di
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L’insegnamento di Ettore Gallo
quella esplicita congiunzione “e” che ne sarebbe risultata! Ed ecco che allora il legislatore, ad evitare questa possibilità ed a chiarire l’assoluta indipendenza delle due condizioni tra di loro, colloca al suo giusto posto
quell’inciso “in ogni caso” che potrà essere tutt’al più non correttamente
usato, ma che esprime chiaramente ciò che il legislatore ha voluto significare. Non sempre – in altri termini, dice la legge – può il Governo revocare il riconoscimento dato: è necessario che concorrano gravi motivi; in
ogni caso però (cioè anche se non concorrano gravi motivi) può il
Governo procedere ugualmente alla detta revoca allorché vengano meno
le condizioni richieste. [...] è questa la lettura più semplice, più piana, più
spontanea: per essa non v’ha bisogno di costruire teoriche ardite con limitazioni e suddistinzioni: per essa anche l’eloquente potestativo finale non
richiede inversioni e snaturamenti, e tutto l’articolo assume una composta
armonia che non ha nulla di ermetico67.
In effetti, tanto entusiasmo filologico ed esegetico poteva risultare
inopportuno. Tutto quel ragionare attorno al «può» e al «in ogni caso»
della legge, rischiava di rompere le uova nel paniere di quel vantato
equilibrio fra tradizione e rivoluzione che ancora nel 1940 era rivendicato dal Ministro guardasigilli Grandi68. Ettore tuttavia non era nemmeno sfiorato dal dubbio di avere esagerato. Al contrario, con malcelato entusiasmo considerava che per effetto della sua interpretazione
«non viene per nulla leso né menomamente minacciato il principio
statutario del nostro ordinamento sindacale che bandisce il sindacato
obbligatorio» perché esso aveva la sua ragion d’essere solamente nel
momento della formazione del sindacato. Ma una volta che questo si
fosse costituito, partecipando così alla vita dello Stato – «e vi partecipa così da vicino che allo Stato dà gli elementi personali degli organi
centrali ed oggi della stessa assemblea legislativa», considerava con
soddisfazione – non si poteva pretendere che lo Stato rimanesse indifferente alle sorti del sindacato e rinunciasse ad esercitare quei poteri
di indirizzo che la legge opportunamente gli riservava. Anche in questo caso mi sembra sostanzialmente confermabile, dunque, l’ipotesi di
lavoro dalla quale siamo partiti, e cioè che fra il ’36 e il ’39 vi sia stata
un’accentuazione di elementi autoritari nella formazione di Ettore,
senza dimenticare, però, che anche ora la rappresentazione autoritaria
dello Stato conviveva accanto a nozioni della cultura costituzionale liberale che la retorica del regime riciclava ecletticamente assieme alla
critica socialista dello Stato liberale. Nella voluta ambiguità della cultura giuridica ufficiale, il cerchio della definizione totalitaria dello
Relazioni. Alberto Gallo
149
Stato non si era completamente chiuso, e nel lavoro di Ettore troviamo, accanto alla rivendicazione della discrezionalità della revoca,
un’agguerrita opzione garantista in materia di impugnazione degli atti del governo, come vedremo ora a proposito della tesi del 1940.
13. Il problema della sindacabilità
La tesi difesa al “Cesare Alfieri” nel novembre del 1940, come si è
accennato, rappresenta uno sviluppo delle idee esposte nell’articolo
del 1939. Il problema della revoca è ora inquadrato in una più ampia
riflessione sui presupposti del riconoscimento dei sindacati che occupa tutta la prima parte della tesi. Vi è anche un’introduzione storicopolitica che si segnala per l’acritica ripetizione di ciò che si leggeva nei
testi universitari di Dottrina del fascismo (il superamento del liberalismo e del socialismo, la menzogna della centralità della corporazione
nel nuovo ordine istituzionale ecc.). L’assoluta mancanza di originalità (i passaggi dei manuali sono riportati quasi testualmente) ci dice
che l’adesione era sincera, ma scarsamente rielaborata.
La novità risiede invece nell’ultimo capitolo che riprende un breve
cenno dell’articolo del ’39 al problema della sindacabilità del provvedimento di revoca. Tra la dottrina favorevole alla sua tesi del carattere
integralmente, e non parzialmente, discrezionale della revoca, Ettore
aveva potuto annoverare anche il Corso di diritto sindacale e corporativo
di Eutimio Ranelletti, Procuratore Generale del Re e docente alla
Facoltà di Giurisprudenza della Statale di Milano, un vecchio nazionalista confluito nel fascismo e piuttosto reazionario69. Incassando
l’opinione favorevole (favorevole per partito preso) di Ranelletti alla
natura integralmente discrezionale del provvedimento di revoca,
Ettore aveva voluto però prendere le distanze dalla concomitante opinione del Ranelletti sulla insindacabilità dello stesso:
Facciamo però ogni riserva sulla affermata insindacabilità del provvedimento perché il suo carattere discrezionale non implica per ciò solo l’insindacabilità. Per aversi questa occorrerebbe trattarsi di atto emanato
nell’esercizio del potere politico [...], ma non riteniamo che qui si versi in
tale ipotesi. Bisogna infatti tenere ben distinto il provvedimento emesso
nell’esercizio di un potere politico dalla valutazione delle circostanze di
ordine politico che possono rientrare nel potere discrezionale senza però
per questo mutare la natura dell’atto70.
150
L’insegnamento di Ettore Gallo
Questo breve passo è all’origine dell’ultimo capitolo della tesi intitolato Le impugnazioni. Osserviamo subito che, mentre nei manuali di
Diritto corporativo questo problema occupa di norma una paginetta,
la tesi di Ettore vi dedica un intero capitolo, segno che il problema lo
aveva interessato, e tanto più interessato perché lo riportava a tematiche del diritto amministrativo che, come si è visto, costituiva da un
pezzo il suo punto di osservazione privilegiato.
La dottrina prevalente, infatti, considerava l’interesse del sindacato
al riconoscimento giuridico e alla riacquisizione dello stesso in caso di
rifiuto del riconoscimento o di revoca, come un interesse legittimo
della specie dei cosiddetti “diritti affievoliti”, o “interessi condizionalmente protetti”, in virtù dei poteri discrezionali che, come abbiamo
visto, il governo poteva esercitare. Di conseguenza, la tutela di questi
interessi legittimi era sottratta al sindacato della magistratura ordinaria e affidato alla giustizia amministrativa. L’esame di un eventuale ricorso del sindacato contro il provvedimento del governo sarebbe spettato dunque al Consiglio di Stato, il quale avrebbe potuto modificare
o interamente riformare l’atto governativo, esercitando i medesimi
poteri discezionali del governo.
Tuttavia le competenze di merito del Consiglio di Stato erano tassativamente elencate dalla legge e tra di esse non rientravano i ricorsi
contro il rifiuto e la revoca del riconoscimento, sicché bisognava dedurne che, in sede giurisdizionale, gli spettasse di decidere sui ricorsi
per competenza di legittimità. Anche su questo punto Ettore si era
trovato in disaccordo con il Lessona che, a suo modo di vedere, avrebbe confuso le due competenze, sebbene riconoscesse che sull’eccesso
di potere «passa la linea di confine fra competenze di merito e competenze di legittimità»71.
I casi di illegittimità esaminati nella tesi sono gli stessi che la più
parte della dottrina prendeva in considerazione sicché non vale la pena di soffermarvisi troppo, se non per l’accenno, in materia di eccesso
di potere, allo stratagemma che il governo poteva mettere in atto per
impedire la stipulazione di un contratto collettivo svantaggioso per il
padronato:
Si pensi al caso in cui si supponessero inesistenti nell’associazione condizioni che indubitabilmente invece sussistono (travisamento dei fatti) o si
revocasse il riconoscimento ad un ente al solo scopo di impedirgli di stipulare un contratto collettivo svantaggioso per gli interessi di determinati
capitalisti (sviamento di potere) o si desse atto nella narrativa di fatto del
Relazioni. Alberto Gallo
151
provvedimento di benemerenze [...] disponendosi però la revoca perché
l’ente non persegue la finalità obbligatoria sancita dalla legge (mancanza
di nesso logico fra i motivi e il dispositivo), o si negasse il riconoscimento
per motivi sociali a un ente che poco prima fu insignito di un’alta onorificenza civile per l’opera prestata a vantaggio della nazione (contradditorietà dei provvedimenti)72.
La strategia interpretativa di Ettore consisteva nel parare anticipatamente l’obiezione sull’impossibilità della competenza di merito del
Consiglio di Stato per arrivare poi a reintrodurla di fatto mediante
l’esame dei singoli casi di eccesso di potere e di violazione di legge,
sottolineando che «il giudizio di legittimità attraverso il sindacato di
certe specie [...] si avvicina molto al giudizio di merito» e che nel caso
del travisamento dei fatti e dello sviamento di potere «i confini sono
appena percettibili»73. Conclusione della quale mostrava, per l’appunto, di essere tutt’altro che dispiaciuto.
Un procedimento simile portava a conclusioni ancor più “legalitarie” sul delicatissimo problema di che cosa si dovesse intendere per
atto politico.
14. Nozione restrittiva di “atto politico”
La legge disponeva infatti che il ricorso al Consiglio di Stato non
fosse ammesso contro atti e provvedimenti emanati dal governo
«nell’esercizio del potere politico» perché, diversamente, questi avrebbero perduto il loro carattere discrezionale. Il problema consisteva
dunque nel decidere se l’atto di rifiuto o di revoca del riconoscimento
al sindacato rientrasse o meno tra gli “atti politici”.
Sul punto la dottrina e la giurisprudenza si erano divise. Da un canto si sosteneva (per esempio, da parte di Renato Balzarini e di Guido
Zanobini) che si trattava senza dubbio di atti politici ai quali non si potevano opporre né diritti soggettivi né interessi legittimi, dall’altro (per
esempio da parte del Lessona) si controbatteva che dovevano considerarsi atti politici del governo solo quelli che ponevano in gioco l’interesse generale dello Stato, la sua sicurezza e le sue finalità e che tali non
potevano considerarsi il rifiuto e la revoca del riconoscimento giuridico
dei sindacati74 (curiosa conclusione, a pensarci bene!). Non meno divisa
era stata la giurisprudenza. L’interpretazione estensiva era stata sostenuta da una sentenza della IV Sezione del Consiglio di Stato nel 1925 e
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L’insegnamento di Ettore Gallo
ribadita l’anno sucessivo da un’altra sentenza che tuttavia era stata cassata dalla Corte di Cassazione nel 1927. Più tardi lo stesso Consiglio di
Stato aveva riveduto le proprie posizioni e nella primavera del 1933
due sentenze avevano sostenuto che «quando l’interesse dello Stato
possa ritenersi supremo e quindi politico non può agevolmente definirsi in astratto, ma occorre sia ricercato caso per caso…»75.
Ma nel 1940 i tempi erano cambiati. Mentre si alzavano sempre più
insistenti le voci che invocavano la nuova ondata rivoluzionaria, si
guardava con sempre maggiore attenzione (e invidia) al più compiuto
esperimento nazionalsocialista di concentrazione totalitaria del potere
che aveva schiacciato ogni pretesa di autonomia nella magistratura e
nella cultura giuridica tedesche, e si era anche cominciato a guardare
ai successi del sindacato verticale nazista che si dimostrava più congeniale alle necessità di un’economia “programmata” e all’economia di
guerra. A guerra iniziata, i tempi non erano certamente favorevoli alle
interpretazioni restrittive del campo d’azione del potere politico.
Ettore sembra rendersi conto della delicatezza dell’argomento (e
del momento) e procede con insolita cautela ma senza deflettere dalla
linea che si è dato:
Certamente la seconda [opinione] è molto più larga e anche pericolosa
perché la determinazione del carattere politico del motivo specifico di un
atto concreto non può dipendere se non dall’autorità che la emana o
dall’autorità superiore, onde seguendo tale opinione, si ha per risultato
che al Governo centrale è possibile sottrarre al sindacato giurisdizionale
qualunque parte della sua attività semplicemente col darle la parvenza di
carattere politico. L’altra opinione, invece, consentendo al giudice di accertare, almeno entro dati limiti, l’esistenza di tale carattere con la considerazione della materia alla quale l’atto si riferisce, pur senza disconoscere le imperiose ragioni della politica, mantiene entro confini abbastanza
precisi le conseguenze giuridiche che possono derivarne76.
Messa in chiaro la propria opinione e data tutta l’enfasi possibile
all’indirizzo stabilito dalla sentenza del 1933, egli si prova a definire la
sfera “politica” dell’attività governativa limitandola agli atti istituzionalmente “politici”, per esempio «in materia di rapporti con le
Assemblee legislative», ove quegli atti «sono costantemente politici»,
mentre in altre sfere, come «in materia di pubblica sicurezza», l’atto
governativo «può essere [politico] o può non essere, a seconda dei casi». Sicché in questo secondo caso la materia avrebbe dovuto essere
Relazioni. Alberto Gallo
153
sempre vagliata per stabilire se si trattasse o meno di attività sindacabile per competenza di legittimità.
Le parole con le quali Ettore conclude la tesi del 1940 non lasciano
adito a incertezze quanto alla sopravvivenza di questo elemento legalitario della sua formazione giuridica:
È evidente quindi che non potendo porsi in via assoluta ed aprioristica la
nozione di atto politico, anche la proponibilità del ricorso contro il provvedimento che denega o revoca il riconoscimento alle associazioni è da
vagliarsi, sotto questo riguardo, caso per caso, tenendo presente i criteri di
cui sopra77.
15. L’incidente di percorso
La riflessione sulla discrezionalità dello scioglimento del sindacato
e quella sui ricorsi contro lo scioglimento costituivano probabilmente
gli aspetti più interessanti del lavoro di Ettore. Non so dire se
Giuliano Mazzoni, che ne orientò la tesi al “Cesare Alfieri”, avesse letto l’articolo pubblicato su «Temi Emiliana» e lo avesse quindi incoraggiato a svilupparlo nella tesi, ma poiché tra Lessona e Mazzoni vi era
uno strettissimo sodalizio scientifico e accademico, bisogna supporre
che Mazzoni avesse comunque dimostrato un qualche interesse, se
non un vero e proprio apprezzamento, per le critiche di Ettore. Diversamente non si capirebbe perché questi avesse deciso di laurearsi proprio a Firenze: a 26 anni aveva abbastanza esperienza della vita per
non cacciarsi da solo nei guai.
Ettore comunque si era laureato bene, come si è detto: con 110 e lode. La laurea con il massimo dei voti era tutt’altro che comune al
“Cesare Alfieri”. Nella stessa sessione di Ettore si erano laureati altri
20 studenti: la sua era stata l’unica lode e la media dei 21 laureati era
stata di 90 punti (per curiosità sono andato a controllare i voti di laurea dei dieci anni precedenti e la media generale è risultata ancora intorno ai 90 punti). Tenendo conto di ciò, è abbastanza naturale che
Mazzoni abbia accolto (o eventualmente anticipato) l’aspirazione di
Ettore a collaborare con le attività dell’Istituto di Diritto corporativo e
lo abbia proposto per un posto di assistente volontario.
La seconda lettera della corrispondenza (passiva) di Ettore con
Mazzoni – ora conservata presso l’Istrevi78 – tratta proprio di questo e
della rielaborazione della tesi in vista della pubblicazione:
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L’insegnamento di Ettore Gallo
Firenze, 14 novembre [1940]
Caro Gallo, vi ringrazio per la vostra lettera e vi rinnovo le mie congratulazioni.
Vi ho proposto al Rettore come assistente volontario all’Istituto di diritto
corporativo, da me diretto, e spero di vedervi qualche volta. Se poi vi
iscriverete anche alla Scuola di Perfezionamento in Studi corporativi presso l’Università, avremo modo di stare assieme anche più spesso. I corsi si
iniziano a questa Scuola generalmente in dicembre. Le farò avere anche
copia del Bollettino che si pubblica qui e vi sarò grato della vostra collaborazione. Quando ci incontreremo riparleremo anche della vostra tesi e
dell’opportunità, riveduta da voi, di pubblicarla. Con viva cordialità, vostro Mazzoni
Iniziò così la breve esperienza accademica di Ettore a Firenze. Le
lettere di Mazzoni e quelle dell’altro assistente alla cattedra, Marco
Sambo, coprono il periodo dal 17 settembre 1940 al 4 aprile 1942 e ci
consentono di fissare qualche punto sicuro. Ettore – che ora reggeva la
pretura di Lonigo – poteva recarsi a Firenze soltanto quando glielo
consentivano i doveri dell’ufficio: gli riuscì comunque di frequentare
la Scuola di perfezionamento e collaborò al «Bollettino bibliografico»
dell’Istituto con le recensioni che abbiamo visto nella Tavola 2. Intanto
preparava il suo libro. Non dovette farsi vedere molto a Firenze durante quel primo anno accademico poiché, all’inizio del successivo,
Mazzoni gli scrisse in termini piuttosto perentori che, se desiderava
essere confermato, avrebbe dovuto assicurare una presenza più continua e tenere un certo numero di esercitazioni con gli studenti79.
Durante i mesi di novembre e di dicembre del 1941, le attività didattiche furono però sospese per consentire il trasferimento dell’Istituto
nell’antico convento della Crocetta, in via Laura, ove aveva sede il
“Cesare Alfieri”. Ettore tornò così a frequentare le aule di via Laura che
aveva conosciuto da studente. Mazzoni fu così cortese da avvertirlo per
tempo, in modo che potesse far decorrere l’abbonamento ferroviario dal
gennaio del 1942 e gli fissò i temi per le esercitazioni settimanali di gennaio, febbraio e marzo (che egli avrebbe dovuto tenere il sabato, potendo solo allora allontanarsi dalla pretura):
Firenze, 2 Dicembre 1941.
Caro Gallo, ho potuto effettuare il trasferimento di sede dell’Istituto che è
ora in grado di riprendere a funzionare. Cominceremo le esercitazioni col
gennaio secondo l’orario che vi sarà tempestivamente comunicato. Intanto
Relazioni. Alberto Gallo
155
vi suggerisco due temi per due distinte esercitazioni da tenere quest’anno e
cioè: a) Inquadramento sindacale individuale e iscrizione all’associazione:
diritti soggettivi o interessi legittimi? b) I ricorsi dell’associazione sindacale
contro il rifiuto di riconoscimento o contro il rifiuto di inquadramento in
una associazione superiore. Dato che quest’anno la massa degli studenti ci
verrà a mancare proprio nel periodo che generalmente è più intenso, e cioè
nel marzo (per effetto di richiami alle armi) ho in programma di effettuare
molte esercitazioni (2 alla settimana) nel periodo gennaio-marzo, di modo
che anche se nel periodo successivo vi saranno dei vuoti... nelle file, il lavoro principale sia già svolto [sic] in tempo. Vi ricordo anche di preparare per
i primi di gennaio la rassegna di giurisprudenza per il Bollettino (che si
continuerà), tenendo presente che nel numero che è in stampa, non esce la
vostra rassegna, onde potete ricominciare le ricerche tenendo presente la
giurisprudenza trattata nel II° fascicolo pubblicato. In questo mese, prima
di prendere contatti coll’istituto, avrete quindi il vostro lavoro! Che vi auguro proficuo. Con molta cordialità, G. Mazzoni
La lettera successiva, dei primi di febbraio, è un po’ meno cordiale:
Firenze, 2 Febbraio 1942 XX.
Al Dott. Ettore GALLO, R. Pretura, LONIGO.
In conformità degli accordi intercorsi, Vi confermo di aver fissato per sabato 7 corr. la Vostra esercitazione sul tema: “I ricorsi dell’associazione
sindacale contro il rifiuto di riconoscimento o contro il rifiuto di inquadramento in una associazione superiore.” Vi sarò grato di conferma. Cordiali
saluti IL DIRETTORE (Prof. G. Mazzoni) Mazzoni
Niente più «Caro Gallo» ma «Dott. Gallo, R. Pretura», niente più
«vostro Mazzoni» bensì «Il Direttore, Prof. G. Mazzoni», nemmeno un
«vi aspetto a Firenze», ma il mero richiamo agli accordi presi. Qualche
cosa deve essere successo. A spiegare che cosa sia successo durante le
esercitazioni di gennaio interviene il ricordo di Ettore, anche se il narratore, come succede in questi casi, badava a dare il senso degli avvenimenti piuttosto che a precisare date e circostanze. Tuttavia, il raffreddarsi del rapporto con Mazzoni, testimoniato dalla lettera del 2
febbraio, e una seconda più importante circostanza (che vedremo tra
breve) consentono di collocare l’«incidente di percorso» tra il 7 e il 27
gennaio del 1942.
I temi che Mazzoni aveva indicato per le esercitazioni rappresentavano, per così dire, i cavalli di battaglia di Ettore. Il tema dei ricorsi
156
L’insegnamento di Ettore Gallo
contro il rifiuto e la revoca del riconoscimento del sindacato rimandava, come abbiamo visto, alla sindacabilità del provvedimento governativo per competenza di legittimità e all’altro problema – altrettanto
delicato – della definizione più o meno restrittiva di “atto politico”. Il
tema “diritti soggettivi o interessi legittimi” rimandava al problema
della natura pienamente o parzialmente discrezionale del riconoscimento e dell’inquadramento corporativo del sindacato, e alla particolare interpretazione del ripudio fascista del sindacato obbligatorio che
Ettore aveva dato sin dal 1939. Possiamo dunque immaginare che egli
abbia tirato fuori tutto ciò che di originale aveva da dire. Tanto più
perché si rivolgeva a studenti che stavano preparando l’esame sul
Corso di Lessona e Mazzoni, il quale risultava sostanzialmente immutato, nel 1941-42, rispetto all’edizione del 1936 che egli aveva criticato.
Anche di questo bisogna tener conto: del fatto, cioè, che a dispetto
dell’interesse dimostrato da Mazzoni, nessuna delle critiche di Ettore
era stata accolta nel manuale.
Ora, come si è visto, le critiche di Ettore al Lessona erano espressione di una posizione “ultraortodossa” sul problema della discrezionalità, e di una posizione che poteva essere giudicata eccessivamente
legalitaria sul problema dei ricorsi. Quale dei due argomenti lo mise
nei guai?
Il tema fissato per febbraio era quello dei ricorsi e dunque le esercitazioni tenute in gennaio erano state dedicate all’altro tema. Ciò concorda, del resto, con l’ordine dei temi fissati da Mazzoni nella lettera del 2
dicembre. Sulla base di questa circostanza, e anche in base allo svolgimento successivo degli avvenimenti, possiamo stabilire con una certa
sicurezza che le idee che lo misero nei guai non furono quelle “legalitarie”, ma quelle “ultraortodosse”. L’insistenza sulla assoluta discrezionalità del governo in materia di scioglimento, anche nel caso del sindacato
“scatola vuota”, e il paradossale tentativo di conciliarla con il ripudio
del sindacato obbligatorio, furono interpretati dalle autorità accademiche come una parodia dell’ortodossia sindacale fascista.
Forse ciò non si sarebbe verificato se le esercitazioni si fossero svolte tranquillamente, senza destare troppa attenzione. Invece il numero
degli studenti era andato crescendo da una settimana all’altra e persino studenti estranei al corso avevano gremito l’aula. Le idee di Ettore
avevano trovato un pubblico attento, persino entusiasta, tanto che applausi e grida avevano interrotto più volte le lezioni. Lusingato, il pretore di Lonigo pensava ormai di essersi affermato come un sottile teorico del diritto corporativo quando fu convocato e redarguito aspra-
Relazioni. Alberto Gallo
157
mente dal rettore, Arrigo Serpieri, il quale era stato informato che le
esercitazioni propagandavano «eresie» e che avevano dato luogo a
manifestazioni «anti-nazionali».
Solo a quel punto – confessava Ettore, molti anni dopo – era stato
preso dal sospetto che tutti quegli studenti non fossero venuti a bere la
sua dottrina e che quegli applausi non fossero il risultato di uno straordinario entusiasmo per la materia (magari invece qualche sospetto lo
aveva avuto, ma sarebbe comprensibile se, lusingato da tanto consenso,
non si fosse posto troppe domande). Davanti a Serpieri, comunque, si
era sentito in diritto di rivendicare la propria buona fede e aveva anche
buttato lì un: «Io credevo che all’Università non si facesse politica».
Serpieri naturalmente l’aveva presa male e aveva rincarato la dose, minacciando conseguenze non soltanto accademiche.
Ebbene, Serpieri aveva tutte le ragioni per essere sospettoso poiché
sapeva qualche cosa che molti sapevano a Firenze, ma che Ettore –
che veniva da Lonigo! – non poteva sapere. Da settimane la polizia
politica setacciava l’ambiente universitario per «rintracciare – come
scrisse Calamandrei nel suo diario – organizzazioni comuniste e anche, pare, i fili di una certa tendenza di fascisti “puri”, che vorrebbero
abbattere il regime attuale e instaurare in Italia il nazismo [!]»80.
L’Ovra aveva fatto degli arresti d’assaggio, non aveva trovato reti
naziste né reti comuniste, ma uno degli arrestati nel periodo in cui
Ettore aveva tenuto le sue esercitazioni, un certo Masini, per scagionarsi dall’accusa di essere comunista aveva confessato di aver partecipato alle riunioni dei liberalsocialisti. Con questi nuovi elementi,
l’Ovra aveva ripescato una vecchia denuncia contro Calogero e
Capitini, alla quale in precedenza non era stato dato credito, e il 27
gennaio aveva arrestato a Firenze Tristano Codignola, Raffaello
Ramat, Enzo Enriques Agnoletti, Carlo Francovich, alcuni studenti,
un operaio, e infine anche Calogero e Capitini (a Roma e a Perugia),
rinchiudendoli tutti alle Murate81.
Subito dopo il disastroso colloquio con Serpieri e prima degli arresti del 27 gennaio, Ettore aveva incontrato in una casa privata, di notte, Piero Calamandrei, Guido Calogero e Tristano Codignola. L’iniziativa era stata di Codignola, allora assistente a Giurisprudenza e al
“Cesare Alfieri”. Era stato “Pippo” Codignola, infatti, a mandare quegli studenti ad applaudire l’assistente di Mazzoni!
Questo primo incontro con l’antifascismo (Ettore probabilmente
voleva soprattutto capire chi esattamente gli avesse fatto quel brutto
tiro e per quale ragione) fu piuttosto uno scontro. Nessuna folgorazio-
158
L’insegnamento di Ettore Gallo
ne sulla strada di Damasco. Invece, una discussione pacata, ma serrata e durissima, sino a tarda notte. Calamandrei e Calogero non fecero
sconti: i due non erano assolutamente disposti a blandirlo ed Ettore
dovette difendersi dalle obiezioni, dall’ironia e dagli “ammonimenti”
dei due più anziani e autorevoli interlocutori.
Rispondendo a una mia precisa domanda sulle sensazioni con le
quali era uscito da quel colloquio, Ettore aveva ricordato, a distanza di
anni: inquietudine, preoccupazione, quasi un senso di oppressione, come se quei due gli avessero posto sulle spalle un fardello troppo pesante da portare (autoironicamente, ammetteva anche di aver pensato:
«Loro però all’Università ci sono già; io non ci entrerò mai più!»). Prima
di vedere in quale modo il contatto con i liberalsocialisti abbia incrinato
le convinzioni di Ettore, conviene però terminare la nostra cronaca.
Gli arresti del 27 gennaio posero fine ai contatti con Calogero e con
Codignola; soprattutto al contatto con quest’ultimo che più facilmente, in precedenza, Ettore aveva avuto occasione di incontrare in via
Laura. Codignola fu condannato nel giugno, inviato al confino e, amnistiato, potè tornare a Firenze soltanto alla fine di novembre. Il contatto con Calogero e Codignola riprenderà soltanto nel dopoguerra,
sotto il segno della comune militanza azionista e più tardi dell’amicizia: li ricordo entrambi nella casa vicentina di Ettore, in Contrà Porta
S. Croce, a metà degli anni Sessanta, Calogero con il suo sorriso aperto, disponibile e curioso di ogni cosa, Codignola decisamente beffardo
(guarda Ettore e ridacchia: «Allora? non fu un bello scherzo?»).
Ettore ebbe modo invece di rivedere Calamandrei nei mesi successivi. Nonostante il richiamo del rettore e il raffreddamento dei rapporti
con Mazzoni, dovette continuare le esercitazioni nei mesi di febbraio e
di marzo (una lettera inviatagli il 10 marzo da Marco Sambo fissa le
possibili date per le esercitazioni nella seconda metà di quel mese).
Terminò anche la rassegna della giurisprudenza del 1941 (in materia di
Diritto corporativo) che si doveva pubblicare nel «Bollettino» dell’Istituto. L’aveva già scritta prima dell’“incidente”, ma dovette riscriverla
completamente perché – come lo aveva avvertito Mazzoni il 15 febbraio
– il dattiloscritto non si trovava più. L’ultima lettera della corrispondenza fiorentina gli fu inviata il 4 aprile da Marco Sambo assieme alle bozze di stampa. Come si è segnalato nella Tavola 2, il lavoro tuttavia non
fu pubblicato: l’ultimo «Bollettino» del 1941 (pubblicato nel 1942) si
chiuse con questa laconica comunicazione: «In seguito al richiamo alle
armi della quasi totalità dei suoi Redattori, il “Bollettino” è costretto a
sospendere la pubblicazione che sarà ripresa non appena possibile».
Relazioni. Alberto Gallo
159
Anche Ettore era stato richiamato, partì per la Cirenaica, si fece un
pezzo di offensiva, tornò a Lonigo e lasciò perdere il Diritto corporativo. I contatti con Mazzoni non furono ripresi e la tesi sul riconoscimento dei sindacati non divenne un libro. La copia dattiloscritta della
tesi – ora conservata presso l’Istrevi – è piena di cancellature e di correzioni a penna, traccia del lavoro fatto nel 1941. Non esiste invece un
manoscritto che testimoni della riscrittura alla quale accennavano i
progetti fatti con Mazzoni nell’autunno del 1940. I colloqui fiorentini
devono aver scosso la sua fiducia nell’originalità di quel lavoro: non
c’era più modo di salvarlo.
16. L’incontro con i liberalsocialisti
Torniamo al nostro problema: come è avvenuto che un semplice
“incidente di percorso” (del quale ora conosciamo esattamente natura
e limiti) si sia trasformato in scelta politica? Meglio ancora: perché il
contatto casuale con i liberalsocialisti toscani non si è limitato ad innescare un processo di “uscita” dal fascismo ed è rimasto invece il punto
di riferimento politico di Ettore durante la Resistenza e poi anche nel
dopoguerra? Quale genere di compatibilità o di affinità si manifestò
allora tra il pretore di provincia e i liberalsocialisti toscani?
Bisogna dire, innanzitutto, che tra le varie correnti che confluirono
nel “delta azionista” (per usare l’efficace immagine di Giovanni De
Luna)82, quella dei liberalsocialisti toscani era forse l’unica che in quel
momento poteva avvicinare il pretore di Lonigo. Il gruppo toscano
era portatore di riflessioni e di stimoli assai più congeniali all’esperienza e alle radici culturali di Ettore, di quanto lo fossero, per esempio, i gruppi di Giustizia e Libertà o i liberaldemocratici di La Malfa.
Possiamo chiederci come avrebbe reagito il pretore di Lonigo se,
invece di venire in contatto con i liberalsocialisti, gli fosse capitato di
misurarsi – supponiamo – con le più radicali posizioni di Giustizia e
Libertà. Come avrebbe reagito ai discorsi sul “fronte di classe”, alla
predicazione dell’azione rivoluzionaria? Il linguaggio di GL era per
lui, in quel momento, troppo radicale e troppo esplicitamente politico;
si ricollegava, inoltre, troppo evidentemente all’opposizione dei fuoriusciti, a esperienze sostanzialmente estranee ai giovani cresciuti nel
regime fascista. Anche nel gruppo “milanese” vi erano piani e tatticismi elaborati dalla lucidità – potremmo dire “leninista” – di La Malfa.
Più in generale, tutto l’ambiente che ruotava attorno a Tino e La Malfa
160
L’insegnamento di Ettore Gallo
– la Banca Commerciale, Mattioli, Cuccia – quell’ambiente e quel modo di pensare erano estranei alla cultura dell’ex allievo della
Nunziatella e anche, direi, all’esperienza umana e professionale del
pretore di provincia.
Basta pensare invece alla personalità e al profilo intellettuale di
Calogero, per capire quanto profonda fosse l’influenza che egli poteva
esercitare sui giovani come Ettore. Calogero – come ebbe a osservare
invidiosamente La Malfa – si portava dietro i giovani83. Sapeva che cosa quei giovani sapevano. Sapeva che cosa avevano studiato a scuola
e sapeva come spiegar loro le cose, come tirarli fuori dalla confusione
di idee in cui si trovavano. Aveva un bel dire Croce che le idee di
Calogero erano «confuse». La stessa eterogeneità di ispirazioni dei liberalsocialisti – la dimensione “religiosa” di Capitini, la cultura giuridica di Calamandrei, il liberalismo di Calogero, ma anche la sua lettura di Marx sociologo delle società industriali – rappresentavano una
forza piuttosto che una debolezza. Si stava formando un grande magazzino di idee dove ognuno prendeva e portava qualche cosa. Quel
gruppo era in divenire: non tutto fatto, ma tutto da fare.
Questo spirito di libertà e di rinnovamento credo che abbia permesso ad Ettore di ritrovarsi in molte delle idee dei liberalsocialisti
senza doversi disfare completamente della propria formazione, recuperandone anzi alcuni elementi – patriottismo, indirizzo “pubblicistico”, principio di legalità – che inizialmente egli potè ridisporre, quasi
intatti, in un diverso ordine.
Lo scarno racconto di Ettore sulle conversazioni fiorentine ha un
solo punto fermo: il principale degli “ammonimenti” che gli furono
“impartiti” riguardava il carattere immorale della guerra: la vittoria
della Germania nazista avrebbe portato al servaggio dell’Europa e
della patria stessa, e anche alla fine della civiltà giuridica europea. Su
questi due tasti batterono e ribatterono Calogero e Calamandrei. Tutto
il resto è più sfumato e si riduce a un vago cenno alle critiche che gli
furono fatte per le idee espresse nelle esercitazioni. D’altra parte, comprendo ora che Ettore non avrebbe comunque potuto spiegare a me,
studente di liceo, gli aspetti più tecnici delle questioni giuridiche né
avrebbe potuto descrivermi in che modo i toscani avessero affondato
il coltello della loro tagliente ironia sulle sue ardite idee in materia di
diritto corporativo. Questo secondo punto può essere trattato soltanto
con un ragionamento che – sia chiaro – è assolutamente indiziario.
Vediamo il primo punto. Il “disfattismo” di un personaggio come
Calamandrei fece a Ettore un’enorme impressione. Calamandrei era
Relazioni. Alberto Gallo
161
non soltanto il padre del “mussoliniano” codice di procedura civile, il
continuatore del lavoro di Chiovenda, ma anche il volontario della
Grande Guerra (4 stellette, Croce di guerra, Encomio solenne), uno
dei primi ufficiali italiani a entrare in Trento liberata. Calamandrei – il
cui antigermanismo era vivissimo sin dai tempi dell’interventismo
democratico – gli disegnò un ritratto angoscioso di un’Europa imbarbarita dal trionfo nazista e dall’affermazione dell’aborrito “diritto libero”. Credo che nasca di qui l’idea – che Ettore avrebbe poi difeso
fermamente e in modo sempre più agguerrito con il passare degli anni – che la Resistenza italiana è stata un episodio della guerra europea
contro il servaggio cui erano destinati interi popoli e non semplicemente una guerra civile tra italiani84.
Calamandrei gli prospettò anche l’eventualità di una sconfitta militare dell’Italia? Non si può escludere perché, nei primi mesi del 1942, il
suo Diario alterna momenti di vera e propria disperazione a momenti di
euforia e di speranza. Il 13 gennaio, per esempio, raccoglie voci romane
sulle soluzioni istituzionali possibili dopo la caduta del regime; il 4
marzo invece, saputo dell’occupazione giapponese di Singapore, scrive
angosciato: «Se il Giappone attacca la Russia è la pace certa».
In ogni caso, in quei primi anni di guerra e di vittorie naziste, il rovello, il motivo dominante dei pensieri di Calamandrei, era effettivamente l’asservimento del diritto alla forza. In un libro fresco di stampa, Pier Giorgio Zunino ha accostato l’amarezza e lo sconforto del
Diario alle incertezze di molti intellettuali italiani e addirittura all’accettazione, da parte di alcuni, di un nuovo ordine europeo dopo la
vittoria del nazi-fascismo85. È un’interpretazione – a mio avviso – senza fondamento. Quando Calamandrei maledice l’indifferenza dei più
e si ribella al relativismo storicista, sta ponendo il problema – terribile
per la sua propria concezione del diritto – del trionfo della forza nella
storia («non c’è che la forza che conti») e si sta ponendo il problema di
un ancoraggio extragiuridico che salvi il giurista dall’ipocrisia della
legittimazione ex post della forza.
La difesa ostinata del principio di legalità, della fedeltà alla norma
anche se ingiusta, era stata per Calamandrei, negli anni immediatamente precedenti, l’ultima trincea di fronte alla prospettata svolta totalitaria del regime. Era stato per questo che nel 1941 egli era arrivato alla
piaggeria di solleticare l’orgoglio del regime vantando la «chiarezza
dello spirito italiano», allo scopo, per l’appunto, di allontanare lo spettro del “diritto libero” nazista dai nuovi codici “mussoliniani”.
Ebbene, proprio allora, nel momento della massima disperazione di
162
L’insegnamento di Ettore Gallo
fronte alla prospettiva di un’Europa conquistata dal nazi-fascismo –
quella disperazione che troviamo nelle pagine del Diario – Calamandrei aveva cominciato a riflettere, contradditoriamente, intorno al
“principio di legalità”, la sua certezza più radicata. Dobbiamo un ritratto inconsueto di “questo” Calamandrei al già citato libro di Paolo
Grossi sulla scienza giuridica fiorentina, ove è mostrato efficacemente
il progredire della crisi tra la recensione entusiastica a La certezza del diritto (1942) di Lopez de Oñate e i lavori immediatamente successivi. Ci
ritorneremo sopra tra poco.
Per ora, il riferimento al travaglio di Calamandrei, che lo porterà a
mettere in discussione il suo stesso rigoroso giuspositivismo, ci serve
per introdurre il nostro secondo punto – la critica distruttiva che
Calamandrei e Calogero fecero alle idee giuridiche di Ettore – per il
quale, come si è detto, non abbiamo alcuna testimonianza diretta.
Non potendo avanzare ipotesi sul merito delle critiche, possiamo però
provare a confrontare le idee di Ettore, così come sono emerse dai suoi
lavori, con il profilo dei giuristi liberali del “Cesare Alfieri” e della
Facoltà giuridica fiorentina, dei quali Calamandrei era senza dubbio
l’esponente più noto.
La mia ipotesi è che, a Firenze, Ettore abbia dovuto constatare che
esisteva un mondo di giuristi liberali che, già prima dell’avvento del
fascismo, aveva sviluppato la critica dell’ordinamento del 1865 e che
molte delle novità positive che lui aveva associato al fascismo erano
manipolazioni o semplificazioni di questa tradizione. Prima di sviluppare questo argomento, è opportuno però fare un breve cenno alla tradizione liberale del “Cesare Alfieri”. Ettore era arrivato a Firenze poco
dopo che questa tradizione era stata interrotta da un processo di fascistizzazione che, seppure iniziato negli anni Venti, aveva subito un’accelerazione proprio fra il 1936 e il 1938. Egli potè tuttavia entrare in
contatto con quella tradizione, nel modo inconsueto che abbiamo appena visto.
17. Calamandrei e il “Cesare Alfieri”
Gli studi di Carlo Curcio e di Giovanni Spadolini sul “Cesare Alfieri”
purtroppo s’interrompono alle soglie del periodo che ci interessa86. Essi
sono comunque importanti perché pongono in rilievo un aspetto poco
conosciuto della tradizione politica italiana: il tentativo da parte della
nobiltà piemontese e toscana della Destra storica di contrastare la buro-
Relazioni. Alberto Gallo
163
cratizzazione “borghese” dello Stato liberale. Il “Cesare Alfieri” è nato
infatti, come scuola privata, per iniziativa del marchese Carlo Alfieri e
con il sostegno, anche economico, di altri noti e titolati esponenti della
Destra (il barone Bettino Ricasoli, il barone Sidney Sonnino, il marchese
Gino Capponi, il principe Demidoff, il conte Giovanni Guarini) con
l’obiettivo di educare la nobiltà nell’arte del governo e di forgiare una
classe dirigente «distinta – come dicevano loro – dalla casta burocratica»
nelle cui fila affluivano numerosi i figli della borghesia.
I grandi spauracchi di questi uomini – che avevano il culto della
Camera dei Lords – erano il cesarismo napoleonico e il socialismo di
Stato di Bismark. Il loro mondo era tramontato già alla fine del secolo,
eclissato prima dal modello bismarkiano e poi dalle aperture di
Giolitti, e anche la scuola fiorentina aveva dovuto cambiare. Quando
il diploma dell’“Alfieri” permise di accedere ai concorsi per gli impieghi prefettizi e ministeriali, l’“Alfieri” divenne una scuola che educava soprattutto quell’odiata casta burocratica che in origine s’era inteso
arginare. Anche i riferimenti culturali vennero cambiando col nuovo
secolo. Delle origini rimase l’enfasi su Tocqueville, sul self government
e sul parlamentarismo, ereditati dalla tradizione costituzionalista piemontese, mentre il rinnovarsi delle generazioni andava introducendo
i nuovi motivi delle scienze sociali europee e le nuove dottrine giuridiche: le “dottrine della crisi” del diritto privato e del diritto pubblico
di fine secolo.
Possiamo seguire a grandi linee l’evoluzione successiva dell’istituto e, in parte, anche le sorti del gruppo di docenti liberaldemocratici
che attorniava Calamandrei, grazie all’«Annuario» dell’Istituto, che
copre il periodo 1903-1938 e al «Bollettino» dell’Associazione degli ex
allievi che copre il periodo 1930-194387.
Piero Calamandrei, che allora insegnava Procedura civile a Siena,
all’“Alfieri” aveva tenuto il suo primo e ultimo discorso inaugurale
nel novembre del 1920: si tratta del noto saggio Il significato costituzionale delle giurisdizioni di equità, nel quale Calamandrei, relativizzando
per un momento il suo rigoroso giuspositivismo, oltre a richiamare il
problema delle “lacune della legge” sottolineava come il comando generale della legge non rispondesse più alla complessità introdotta nei
rapporti sociali dalle trasformazioni economiche e alla generale ansia
di giustizia manifestatesi nel dopoguerra88. Calamandrei si sarebbe segnalato l’anno seguente per la prolusione senese all’inaugurazione
dell’a.a. 1921-22. Governo e magistratura fu un vero e proprio atto di accusa contro la pratica governativa di ingerenze preventive (grazie al
164
L’insegnamento di Ettore Gallo
controllo del Pubblico Ministero), di ingerenze dopo il giudicato e di
controllo clientelare della carriera dei magistrati, e si concludeva con
queste parole: «Dall’Università ho voluto dire ai magistrati italiani
che l’Università è con loro»89.
Nei primi anni Venti, il poco più che trentenne docente di Procedura civile divenne, di fatto, il punto di riferimento dei professori antifascisti o semplicemente non fascisti dell’“Alfieri”. Alcuni di essi
parteciparono alle riunioni del Circolo di cultura prima ancora della
sua costituzione ufficiale, come Riccardo Dalla Volta, che all’“Alfieri”
insegnava Economia politica, e che nel Circolo aveva tenuto una conferenza nel 1923. Mario Marsili Libelli, che insegnava Scienza delle finanze e Contabilità dello Stato, fu promotore assieme a Calamandrei
della costituzione del Circolo. Di altri, come Giulio De Notter, che
all’“Alfieri” insegnava Diritto e procedura penale, Calamandrei era
collega nell’Ordine degli avvocati. De Notter, vecchio liberale, nel
gennaio del 1925 firmò la protesta dell’Ordine contro la devastazione
degli studi degli avvocati antifascisti. Altri, come il suo fraterno amico
Enrico Finzi (Istituzioni di diritto civile), Giuseppe Valeri (Nozioni di
diritto industriale e commerciale), Giovanni Lorenzoni (Sociologia ed
economia applicata), Manfredi Siotto-Pintor (Storia dei trattati e delle
relazioni diplomatiche), firmarono con lui il Manifesto di Benedetto
Croce nel maggio del 192590.
Possiamo dire che una buona metà dei professori dell’“Alfieri”
erano vicini a Calamandrei, per idee, sensibilità o anche solo per consuetudine e amicizia. Altri erano più conservatori oppure avevano
una loro originale posizione dottrinale, come Santi Romano. All’estremo opposto vi era Giovanni Brunetti, preside della neonata Facoltà di
Giurisprudenza (che aveva iniziato a funzionare nel 1925) il quale
all’“Alfieri” insegnava Diritto civile. Di Brunetti, convinto fascista,
Calamandrei ci ha lasciato un’immagine indimenticabile mentre, nascosto nel vano di una finestra del palazzo di Piazza S. Marco (ove
erano state sistemate le facoltà di Lettere e di Giurisprudenza) assiste
silenzioso al tentativo degli studenti fascisti di estromettere Salvemini
dall’aula nella quale stava facendo lezione91.
È chiaro che l’“Alfieri”, così com’era, non poteva piacere al regime,
ma prenderne il controllo non era così semplice. La scuola era privata
e Carlo Alfieri l’aveva posta sotto la protezione del Senato che ne nominava il soprintendente. Solo nel 1928 questi venne sostituito da un
Regio Commissario e solo nel 1936 il regime si decise a farla finita,
modificandone lo statuto che venne conformato a quello delle Facoltà
Relazioni. Alberto Gallo
165
di Scienze politiche. Infine, nel 1938, l’istituto venne ufficialmente trasformato in Facoltà Fascista di Scienze Politiche. Il passaggio decisivo,
comunque, era stato quello del 1936, quando il regime aveva potuto
liberarsi dei professori sgraditi grazie al riordino degli indirizzi. In
questo modo indolore, e senza troppa pubblicità, erano stati cancellati, per esempio, gli insegnamenti di Piero Calamandrei (Istituzioni di
diritto processuale), Enrico Finzi (Istituzioni di diritto privato), Mario
Marsili Libelli (Scienza delle finanze e diritto finanziario), Federico
Cammeo (Diritto amministrativo) e Giorgio La Pira (Istituzioni di diritto romano)92.
Naturalmente, non tutti i vecchi liberali o liberaldemocratici erano
stati allontanati. Alcuni si erano convertiti, qualcuno subito dopo il delitto Matteotti, altri, più numerosi, a cavallo degli anni Venti e Trenta.
Riccardo Dalla Volta, per esempio, nell’inaugurare l’a.a. 1926-27 aveva
ringraziato calorosamente il più illustre degli ex-allievi – Italo Balbo –
per il concorso prestato alla fondazione dell’Istituto Superiore di
Scienze Economiche e Commerciali che aveva scorporato dall’“Alfieri”
buona parte delle materie economiche (e che sarebbe divenuto poi la
Facoltà fiorentina di Economia e commercio). In quell’occasione aveva
rivolto un pensiero al Condottiero, appena scampato a un attentato.
Altri si erano adeguati, allineati, o semplicemente defilati.
Ed erano arrivati nuovi insegnanti. Una pletora, dopo la trasformazione dell’Istituto in Facoltà universitaria. La verità è che era impossibile mantenere le distanze dal governo per una Facoltà di Scienze politiche che aveva un rapporto diretto con il Ministero degli Esteri grazie allo “Studio fiorentino di politica estera” (che pubblicava la prestigiosa «Rivista di studi politici internazionali»), con il Ministero delle
Colonie grazie al “Centro di Studi Coloniali” (fondato, come lo
“Studio”, nel 1931) e con il Ministero delle Corporazioni grazie alla
Scuola Sindacale di Firenze. Questi rapporti istituzionali, inoltre, incentivavano la crescita delle discipline internazionalistiche, coloniali e
sindacalcorporative a scapito dei vecchi insegnamenti. Si pensi, per
esempio, al vecchio insegnamento di Legislazione coloniale comparata, tenuto sin dal 1913 da Santi Romano, che nel 1930 si moltiplicava
in ben cinque nuovi insegnamenti. La stessa cosa era successa con le
discipline giuslavoristiche che alla fine degli anni Trenta erano una
mezza dozzina, anche senza tener conto dei diversi insegnamenti di
diritto corporativo e di economia corporativa93.
Infine, la politica degli incarichi aveva facilitato l’approdo all’“Alfieri” non soltanto dei giuristi e degli economisti che avevano la catte-
166
L’insegnamento di Ettore Gallo
dra nelle rispettive Facoltà, ma anche di ministri, senatori, sottosegretari, funzionari dei ministeri e del Consiglio Nazionale delle Corporazioni, e di gerarchi che provenivano direttamente dai corsi del PNF,
dall’Istituto Nazionale di Cultura Fascista, dal Sindacato fascista
Scrittori e Autori. A questa progressiva fascistizzazione dell’“Alfieri”,
diede un contributo importante anche l’Associazione degli ex allievi,
fondata nel 1930 sotto gli auspici di Italo Balbo, divenuto oramai il
nume tutelare dell’Istituto. L’associazione manteneva i contatti tra il
corpo docente e gli ex allievi che avevano fatto carriera nell’amministrazione statale e nel Partito, mentre la rubrica del «Bollettino» intitolata Operosità dei soci forniva gli input informativi a questa rete informale, segnalando gli incarichi governativi, le onorificenze ottenute, le
promozioni, i concorsi vinti e le pubblicazioni di docenti ed ex allievi.
Insomma, il vecchio “Alfieri” di Calamandrei e dei suoi amici era
irriconoscibile quando vi era arrivato Ettore. Ma ci pensarono Codignola e Calamandrei a raccontargli come il vecchio gruppo fosse stato
prima emarginato, poi cacciato e come, infine, le vergognose leggi razziali avessero privato della cattedra Enrico Finzi e Federico Cammeo,
quest’ultimo scomparso subito dopo, «umiliato, isolato»94. Deve essere
stato un brutto risveglio per Ettore. Sulle spalle della sua incolpevole
ambizione accademica veniva gettato un fardello di colpe che gli appartenevano nella misura in cui credeva nel regime e lo sosteneva. È
per questa ragione, probabilmente, e non soltanto per l’impeto oratorio, che tanti anni dopo Ettore avrebbe parlato di un “Cesare Alfieri”
«distrutto dal fascismo come nido di sovversivi». La testimonianza
personale di Calamandrei e di Codignola ci spiega l’enfasi sulla repressione piuttosto che sulla capacità del regime di conquistare consenso
sfruttando l’umana debolezza dei docenti meno coerenti.
18. Riscoperta della cultura liberale
Un brutto risveglio, dunque. Sino ad allora Ettore aveva potuto
conciliare l’ammirazione per Santi Romano e quella per Cammeo, entrambi citati più volte nei suoi lavori. Di Romano aveva utilizzato entusiasticamente, come si è visto, il Corso di diritto pubblico, di Cammeo
aveva studiato il Commentario delle leggi sulla giustizia amministrativa
(che in materia di ricorsi gli era stato necessarissimo): possibile che
non avesse trovato incompatibile la puntigliosa affermazione del principio della divisione dei poteri da parte di Cammeo (seppure rinchiu-
Relazioni. Alberto Gallo
167
sa nel tecnicismo di quei fascicoli)95, con l’autoritarismo romaniano
che tanto lo aveva affascinato? Possibilissimo.
E non soltanto perché in uno Stato autoritario tutte le vacche si vogliono grigie, ma soprattutto perché, come si è già accennato, quella
che lui aveva cominciato a chiamare, intorno al 1940, la «passata dottrina», quella dottrina aveva spesso anticipato la critica dello Stato liberale, ben prima, e più seriamente di quanto sostenevano le formulette apprese sulla Dottrina del Fascismo del Costamagna, che gli avevano dato da studiare al “Cesare Alfieri”96.
Questa considerazione assume immediatezza e concretezza se si
considera il profilo scientifico di coloro che Paolo Grossi ha chiamato
«i protagonisti degli studi giuridici a Firenze» tra le due guerre: Finzi,
Cammeo e Calamandrei97. A dispetto della intensa frequentazione,
delle comuni battaglie al “Cesare Alfieri” e all’università, e dell’amicizia che li legava, essi presentano infatti un ventaglio di posizioni che
va dalle speranze “corporative” di Finzi, in tema di diritti di proprietà, all’ostinazione con cui Cammeo continuava la sua battaglia
(sempre più minimalista) in difesa dei diritti del cittadino, contro lo
strapotere della pubblica amministrazione.
Enrico Finzi98, liberale di formazione nazionalista, capitano d’artiglieria nella Grande Guerra, aveva pubblicato nel 1915 un libro importante, Il possesso dei diritti99, dedicato ai rapporti di fatto, vale a dire,
a quei rapporti che per la mancanza dei presupposti richiesti dalla
legge non sono costituiti come rapporti giuridici perfetti, ma che possono essere recuperati alla dimensione della “giuridicità”100. Questo
stesso approccio “dal basso” aveva condotto Finzi a riconsiderare nel
1920 il problema della nullità del negozio giuridico da un punto di vista “anti-formalistico”101, e a riconsiderare il concetto di proprietà dal
punto di vista dello “scopo sociale” nella prolusione per l’a.a. 1922-23
al “Cesare Alfieri”, tema che egli riprese ancora nel 1935, al Primo
congresso nazionale di Diritto agrario, suscitando, per la sua radicalità, le reazioni del fascismo più conservatore102.
Più noto, l’itinerario scientifico di Federico Cammeo103. Di lui Ettore
conosceva, oltre al Commentario, il capitolo che Cammeo aveva pubblicato nel Trattato di Vittorio Emanuele Orlando, intitolato Della manifestazione della volontà dello Stato nel campo del diritto amministrativo. Già prima dell’avvento del fascismo, Cammeo aveva posto il dito sulla piaga,
facendo del problema dell’attività “legislativa” dell’esecutivo una questione cruciale per l’evoluzione dello Stato liberale. I confini fra leggi e
regolamenti, la sottomissione delle “leggi” emanate dal governo ai
168
L’insegnamento di Ettore Gallo
princìpi dell’ordinamento, avrebbero deciso della libertà dei cittadini e
della loro posizione nei riguardi della pubblica amministrazione. Ecco,
dunque, una critica della continuità tra Stato amministrativo e Stato di
diritto che le formulette del Costamagna non potevano spiegare.
Nel pensiero di Calamandrei di quei primi anni Quaranta, la convivenza tra innovazione e fedeltà ai principi dello stato di diritto si
esprimeva in termini anche più congeniali all’esperienza professionale del pretore di Lonigo. Molto brevemente – si tratta di cose note – va
ricordato che Chiovenda è l’iniziatore di una critica sistematica del
processo civile che il Codice del 1865 aveva concepito come una realtà
che riguardava esclusivamente le parti e i loro scopi, sicché alle parti
aveva affidato la più completa disponibilità degli strumenti processuali. Ma le parti non sempre sono eguali. Sono eguali davanti alla
legge, ma chiunque può capire che nella realtà del processo vi è sempre una disparità di forze. Agli inizi del secolo lo stesso movimento
socialista aveva cominciato a chiedere che al giudice fosse assegnata
una funzione riequilibratrice. Ed è Chiovenda, e con lui Calamandrei,
che dà vita a una concezione alternativa del processo, nettamente ispirata a princìpi pubblicistici, persino autoritari, come ammise lo stesso
Calamandrei. Come sappiamo, quest’opera di revisione, cominciata
all’inizio del secolo, si affermò con il Codice di Procedura civile del
1941 (uno dei codici “mussoliniani”) al quale proprio Calamandrei
diede un contributo decisivo.
Ora, preparando queste note e prima di leggere la tesi di laurea di
Ettore in Procedura civile, mi sono chiesto se tra le “affinità” possibili
tra il grande processualista e il pretore di Lonigo vi fosse anche l’esperienza professionale di quest’ultimo104. Dopo aver letto la tesi, l’ipotesi
è divenuta una convinzione. La tesi mi sembra che testimoni, oltre
ogni ragionevole dubbio, il consenso che in Ettore riscuotevano le
idee di Chiovenda e di Calamandrei e pertanto ci autorizza a porci
una domanda che – seppure nei limiti di un ragionamento indiziario –
ci può dare il “clima” del primo incontro con Calamandrei e anche la
sensazione precisa del disagio di Ettore nel ribattere le obiezioni dei
suoi interlocutori. La domanda è: in che modo, e con quali argomenti,
poteva Ettore sostenere le sue critiche alla «passata dottrina» contro
colui dal quale le aveva apprese? Basterebbe questa circostanza per
spiegarci l’imbarazzo (e quel senso di oppressione) che Ettore ricordava dopo tanti anni.
Il punto debole del pretore di Lonigo era che – come si è venuto accennando – gran parte delle novità che egli aveva associato allo Stato
Relazioni. Alberto Gallo
169
autoritario gli venivano invece dalla critica liberaldemocratica dello
Stato liberale, e gran parte delle sue convinzioni “legalitarie” più radicate sarebbero risultate incompatibili con la fede nello Stato autoritario se qualcuno si fosse data la pena di dimostrarglielo.
Un ragionamento analogo (e sempre sul piano indiziario) si può
fare a proposito del problema dell’autonomia dell’ordine giudiziario e
delle ingerenze del governo. Anche qui doveva risultare piuttosto imbarazzante per Ettore discutere con chi, come Calamandrei, aveva denunciato il clientelismo governativo e le ingerenze dello Stato liberale
nella vita giudiziaria prima dell’avvento del fascismo, poiché, come
abbiamo visto, Ettore sapeva anche per esperienza personale che quegli stessi problemi non avevano certamente trovato soluzione nel quadro dello Stato autoritario.
Più di questo non si può dire. Al massimo, ci si può chiedere perché Calamandrei, Calogero e Codignola abbiano concesso a Ettore
tanta fiducia. Mandargli gli studenti alle esercitazioni, per suscitare
un caso, instillare dubbi e far scoppiare contraddizioni, era stata certamente un’iniziativa avveduta. Ma perché poi concedergli anche un incontro clandestino? E perché parlargli con tanta franchezza? E per
giunta in un momento come quello, con l’Ovra che batteva le aule e i
corridoi dell’università? Probabilmente quei tre videro nell’assistente
di Mazzoni qualche cosa che faceva ben sperare e decisero di correre il
rischio. Credo che, col senno di poi, si possa dire che non sbagliarono
a scommettere su di lui.
19. Stato e diritti
Avviamoci alla conclusione di questa già troppo lunga riflessione, la
quale resterebbe tuttavia incompleta se rinunciassimo a vedere in che
modo, nella maturità, Ettore abbia fatto i conti con la questione centrale
che è emersa dall’analisi dei suoi lavori: il rapporto tra Stato e diritti.
Il lettore ricorderà come il laureando del 1936, a proposito della
classificazione degli atti amministrativi (costitutivi, di accertamento...), insistesse con un certo compiacimento sulla “creazione di diritti” da parte dell’ordinamento, e come il pretore di Lonigo, più tardi,
in materia di diritti sindacali, polemizzasse con l’idea di una “preesistenza di diritti” sostenuta dalla «passata dottrina». Alla base di questo porsi del giovane giurista, come si è visto, c’era la formazione giuspositivistica sulla quale si era innestata la concezione autoritaria del
170
L’insegnamento di Ettore Gallo
potere statale. Anche l’attività “creativa” del giudice era stata vista soprattutto come un’emanazione dell’autorità dello Stato. Tutto cominciava e tutto terminava nell’ambito dell’ordinamento giuridico.
Questa costruzione, questo equilibrio sono entrati in crisi nel momento in cui lo Stato ha smesso di incarnare per Ettore tutte le virtù e
la società civile tutte le manchevolezze, le insufficienze che autorizzavano la tutela dell’incapace. La smitizzazione dell’immagine eroica di
uno Stato “giustiziere” e la scoperta che esisteva già un’alternativa alla modernizzazione fascista – questa è stata la nostra ipotesi – hanno
consentito a Ettore di liberare dal quadro autoritario il suo vivissimo
senso della legalità e di svilupparlo al servizio di un’altra idea di
Stato, uno Stato che non è più un fine in sé, ma uno strumento per la
realizzazione dei diritti. La «riscoperta della cultura liberale» – questa
la conclusione – è consistita sostanzialmente in un riassemblaggio “liberaldemocratico” degli elementi legalitari e statalisti embedded nella
sua formazione giuridica.
Più tardi, dopo la Resistenza e la costituzione della Repubblica democratica, il principio di legalità avrebbe dovuto trovare un nuovo e
più solido fondamento nella libertà politica che, attraverso il suffragio, legittimava l’autorità del legislatore. Dovremmo aspettarci dunque che chi, come Ettore, aveva creduto anche durante il fascismo nel
principio di legalità, a maggior ragione vi trovasse conferma (e se ne
appagasse) nel nuovo contesto istituzionale. E invece, proprio nel dopoguerra, la delusione per l’inerzia del legislatore nel riformare lo
Stato e nel dare attuazione ai princìpi della Costituzione ha avviato in
Ettore un ripensamento dell’indirizzo giuspositivista non soltanto in
materia di interpretazione della norma, ma anche col sottrarre all’ordinamento la disponibilità assoluta del diritto in materia di diritti fondamentali. La nostra Costituzione – sosteneva Ettore da ultimo – ha
abbandonato la tradizione continentale del diritto pubblico nel momento in cui si è limitata a “riconoscere” quei diritti anziché “crearli”.
Ha abbandonato una tradizione che vedeva nello Stato-legislatore una
priorità logica rispetto ai diritti dell’uomo e del cittadino:
La nostra Costituzione [...] si agganciava all’opposta concezione della tradizione anglosassone di “common law”, secondo cui, invece, i diritti fondamentali dell’uomo preesistevano, o avevano comunque anteriorità logica rispetto a qualunque istituzione politica e ad ogni potere costituito, legislatore ordinario e costituzionale compresi105.
Relazioni. Alberto Gallo
171
Niente, meglio di queste parole, potrebbe sottolineare quanto radicale sia stato il cambiamento nella considerazione del rapporto tra
Stato e diritti. Non più riassemblaggio di vecchi elementi, ma una vera e propria rivoluzione, nel senso copernicano del termine. Questo
mutamento di prospettiva, del resto, si ritrova già in un lavoro della
fine degli anni Settanta che si apre con un richiamo alla pionieristica
riflessione di Capograssi sull’“esperienza giuridica”:
In realtà, il fenomeno giuridico non si esaurisce nella produzione di fonti
formalizzate, ma opera incessantemente nella vita concreta di ogni giorno,
attraverso i consociati, i giudici, la comunità, trasferendo su quello che i
filosofi chiamano il “piano intenzionale del diritto” quei valori che si vanno affermando attraverso il sottile equilibrio dei processi psicologici, sociali ed economici. Non è esatto, perciò, che la “scienza delle norme” integri tutta la “scienza del diritto” anche se ne rappresenta una parte ragguardevole: in realtà questa non può non riguardare il fenomeno giuridico nella sua globalità, presentandosi perciò anche come “scienza
dell’esperienza giuridica”. È in questa concreta realtà dinamica che è possibile cogliere il modo e la ragione per cui un certo comportamento o la
configurazione di un valore passa dal piano del fatto, dal piano del sociale
a quello del giuridico106.
La cosa interessante è che questa linea di sviluppo del pensiero di
Ettore segue la medesima traiettoria del ripensamento per il quale, come si è già acennato, è passato Calamandrei. Durante il fascismo, nel
pretore di Lonigo il principio di legalità era un portato naturale della
formazione giuridica, ma in Calamandrei – lo si è già detto a proposito dell’interpretazione data da Zunino – vi era stata invece anche la
consapevolezza che si trattava di una trincea contro la minaccia di
una svolta totalitaria del regime.
Paolo Grossi ha individuato i segni dell’inquietudine di Calamandrei già nel Corso di diritto costituzionale tenuto nell’autunno del 1944,
subito dopo la liberazione di Firenze (Appunti sul concetto di legalità) e
nell’articolo pubblicato, poco dopo, sulla rivista «La nuova Europa»
(La crisi della legalità) pur sempre nell’ambito del più tradizionale approccio giuspositivista. Ma quest’ultimo è stato poi spietatamente riesaminato dal 1950 sino alla morte nel 1956. In Processo e giustizia (1950)
Calamandrei si interroga «sulla giustizia intrinseca della legge, la sua
rispondenza sociale, la sua moralità [...] anche nei regimi parlamentari»; in La crisi della giustizia (1951) rievoca l’antica esaltazione della “in-
172
L’insegnamento di Ettore Gallo
differenza” del giurista in contrapposizione alla faziosità del politico
per chiedersi se quella indifferenza non sia un’illusione. E si affaccia,
dopo il viaggio in Inghilterra in quello stesso anno 1951, la curiosità
per il mondo di common law prima volutamente ignorato; infine, con La
funzione della giurisprudenza nel tempo presente (1955) Calamandrei riconosce apertamente la funzione positiva dell’interpretazione evolutiva e
revoca la condanna senza appello del “diritto libero”107.
Certe “rivoluzioni”- verrebbe da dire – riescono meglio da vecchi
che da giovani. Ma qui non c’entrano vecchiaia o gioventù, bensì il
concretissimo evento storico che è stata la lotta di Liberazione. Tanto il
Maestro fiorentino quanto il pretore di Lonigo sono stati trasformati
dall’esperienza umana e politica della Resistenza. Possiamo dire che
entrambi – fatte le doverose differenze – nel 1945 erano diversi dalle
persone che si erano parlate in quella riunione notturna del gennaio
del 1942. In entrambi, per esempio, vi era stata un’apertura sul sociale
che mancava nel 1942. Mancava in Ettore, a dispetto della giovinezza
travagliata, degli stenti e dell’esperienza che aveva fatto della durezza
dei rapporti sociali, ma mancava anche in Calamandrei che – a dispetto delle socializzazioni e dei consigli di fabbrica prospettati dai manifesti liberalsocialisti del 1940 e del 1941 – scoprirà per davvero soltanto nel dopoguerra il lato “socialista” del liberalsocialismo108.
Ricordiamo tutti l’eco profonda che la partecipazione popolare alla
lotta di Liberazione ha suscitato nell’animo di Calamandrei: lo spettacolo della sofferenza contadina, il vero e proprio shock provocato dagli scioperi operai del 1943. Calamandrei ci ha raccontato in pagine
memorabili l’emozione provata nello scoprire che esisteva un popolo
italiano e che questo popolo esprimeva una volontà, il sollievo per la
fine dell’isolamento ventennale, il sentimento di gratitudine e di vera
e propria ammirazione che fluisce verso le “masse” che si sono mosse!
Ettore non ci ha lasciato altrettante tracce a testimonianza di questo
medesimo sentimento eppure qualche cosa traspare, per esempio, dal
racconto delle peregrinazioni che Magagnato gli impose per costituire
i Comitati di Liberazione nei municipi del mandamento di Lonigo :
Io ero perplesso, parendomi che il Comitato mandamentale potesse supplire e che, d’altra parte, nelle zone più periferiche la situazione sarebbe
stata sostenuta dai comandi partigiani delle formazioni territoriali. Ma
Cisco insistette, obiettando che occorreva in ogni piccolo centro una direzione politica [...] finii per adattarmi: e cominciò il calvario, Cisco non mi
diede più pace.
Relazioni. Alberto Gallo
173
Dall’uno all’altro Comune, fino a quelli di poche anime nei piccoli centri
più lontani, sfidando il coprifuoco in ore notturne, mi guidava attraverso
strade campestri facendo da battistrada con la sua nera implacabile bicicletta. In meno di un mese, ogni comune del mandamento ebbe il suo comitato,
con relativo presidente, democraticamente eletto in nostra presenza109.
Questa, in fondo, è stata la scuola di democrazia di Ettore: il rispetto delle regole e delle procedure, ma anche l’organizzazione del consenso, e infine, la sorpresa malcelata per l’ampiezza della partecipazione, per le centinaia di sconosciuti che, in quelle poverissime campagne,
riemergevano dal lungo silenzio che aveva seguito la sconfitta storica
dei movimenti contadino e operaio. Attraverso il contatto umano, prima ancora che politico, con i proletari, con gli artigiani, con la piccola
borghesia di paese, si è saldata in Ettore, una volta per sempre, l’identità tra Popolo e Patria. In un uomo che mancava di compiacimenti populisti (il suo ideale di vita era semmai “grande-borghese”) il riscatto e
la dignità della patria si sono associati indissolubilmente alla partecipazione popolare. Nonostante le delusioni che verranno dopo il 25
aprile, Ettore è rimasto fedele al futuro, intravisto allora, di un paese
migliore e capace di trasformare lo Stato. Qui credo che stiano le radici
della rivoluzione copernicana: sono le forze sociali, ora, che devono
piegare lo Stato alla realizzazione dei diritti. E solo in questo momento
si può dire compiuto quel processo di affrancamento del “sociale” dallo “statale” iniziato a Firenze, grazie a un “incidente di percorso”.
174
L’insegnamento di Ettore Gallo
Note
* Questo saggio è dedicato alla memoria di Antonino Recupero, il quale mi ha
incoraggiato a scriverlo nel gennaio del 2003. Nino Recupero, professore di storia
moderna all’Università statale di Milano, è improvvisamente mancato il 3 novembre 2003: chi lo ha conosciuto non ne può scordare la gentilezza d’animo e l’impegno generoso nell’insegnamento, la serietà degli studi e la civile fermezza di idee.
1. E. Gallo, Commemorazione dell’anniversario della Liberazione a Bassano del
Grappa (VI), 25-4-1998, p. 2. Dattiloscritto, 18-4-1998. Ringrazio Laura Sardi, per
tanti anni segretaria di Ettore Gallo alla Corte Costituzionale, la quale mi ha fornito copia dattiloscritta di questo e degli altri discorsi citati nel testo.
2. Il documento autografo che narra l’episodio si trova ora nell’archivio dell’Istituto storico della Resistenza e dell’età contemporanea della provincia di Vicenza
(Istrevi).
3. Sull’affondamento del “Tazzoli” si veda: Stato Maggiore della Marina Italiana,
L’epopea dei sommergibili. Allegato al Notiziario del 10 ottobre 1987. Per uno strano
concorso di casualità è toccato a me, nell’estate del 1998, di rinnovare quel dolore
fornendo a Ettore le circostanze precise della morte di Arnaldo: Ettore si chiuse allora in un mutismo assoluto e si allontanò per una lunga camminata solitaria.
4. E. Gallo, Per Licisco Magagnato. Commemorazione tenuta al Teatro del Bibiena di
Mantova, pp. 2-4 (dattiloscritto, s.l. e s.d., ma probabilmente del marzo 1988, in occasione del primo anniversario della scomparsa di Licisco).
5. Memoria e attualità della Resistenza per la democrazia. Atti del 13° Congresso
Nazionale dell’A.N.P.I., Padova, Abano Terme, 29-31 marzo 2001, Comitato Nazionale dell’ANPI, Roma 2002, pp. 9-12.
6. Sugli incarcerati agli Scalzi si veda G. Silvestri, Albergo agli Scalzi, Garzanti,
Milano 1946; per Magagnato: A. Trentin, Antonio Giuriolo (un maestro sconosciuto),
presentazione di Enrico Opocher, Neri Pozza Editore, Vicenza 1984, p. 117; N.
Pozza, Un lavoro segnato da intelligenza, rettitudine, coerenza e R. Zorzi, A Licisco
Magagnato il Premio di Cultura città di Bassano, in Licisco Magagnato, 1921-1987, a cura
di Angelo Colla e Neri Pozza, Neri Pozza Editore, Vicenza 1987, pp. 55-60 e 61-70.
7. Gallo, Per Licisco, cit., p. 2.
8. Ivi, pp. 3-4.
9. Ivi, p. 4.
Relazioni. Alberto Gallo
175
10. Ettore ne era consapevole e a Mantova terminò il ricordo di Magagnato dicendo semplicemente: «… del “maestro” io ho portato nella lotta soltanto il cosidetto nome di battaglia: quei nomi su cui Gigi [Meneghello] ha così mirabilmente e affettuosamente ironizzato. In realtà, facendo di tutto per non darlo a divedere, il piccolo grande maestro è stato proprio lui, Cisco»: ivi, p. 15. Sul ruolo di Magagnato
nella direzione del Partito d’Azione vicentino dopo che Giuriolo andò in montagna
si veda M. Mirri, Fra Vicenza e Pisa: esperienze morali, intellettuali e politiche di giovani
negli anni ’40, in Il contributo dell’Università di Pisa e della Scuola Normale Superiore alla
lotta antifascista ed alla guerra di liberazione. Atti del Convegno 24-25 aprile 1985, a cura
di Filippo Frassati, Giardini Editori, Pisa 1989, pp. 265-402.
11. E. Gallo, Resistenza e Costituzione, in Il Veneto nella Resistenza. Contributi per
la storia della lotta di liberazione nel 50° anniversario della Costituzione, Associazione
degli Ex-consiglieri della Regione Veneto, Venezia 1997, pp. 93-94. Sul ruolo esercitato dagli esponenti del vecchio antifascismo sui più giovani, Ettore ha scritto:
«… dopo il 25 luglio 1943 furono gli esponenti del vecchio antifascismo che predisposero i nostri cuori alla lotta unitaria. Quegli uomini che ostinatamente non
avevano mai dimesso nelle città, nelle campagne, negli stabilimenti la loro sorda
avversione alla dittatura, o quelli che tornavano liberi dalle galere fasciste delle
isole o dal confino politico, o rientravano da una vita di stenti trascorsa all’estero,
magari con l’esperienza delle brigate internazionali nella sfortunata guerra di
Spagna contro l’invasione franchista, furono costoro a portarci alle prime iniziative dopo la disfatta dell’otto settembre, assumendo la prima direzione dell’impari
lotta», ivi, pp. 94-95.
12. E. Nicolini, Relazione e Mirri, Fra Vicenza e Pisa, cit., in Il contributo, cit., pp.
91-102 e 265-402.
13. Cfr. il numero speciale L’atelier et la boutique. Études sur la petite bourgeoisie
au XIXéme siècle, sous la direction de H.-G. Haupt et Ph. Vigier di Le Mouvement
Social, n. 108 (juillet-septembre 1979), e in particolare il saggio di Jean Le Yaouanq
alle pp. 89-112.
14. La vedova dello zio Francesco ci aveva provato anche con l’aiuto di un fratello, trasferitosi a questo scopo a Villafranca, ma l’arrangiamento non aveva funzionato e i due avevano dovuto tornare a Castrovillari. Ringrazio mia sorella
Leonilde che sulla giovinezza di nostro padre ha raccolto testimonianze a Napoli
e a Castrovillari, aiutandomi a chiarire questa come altre circostanze.
15. Si veda in proposito la testimonianza di Mario Palermo che nel 1914 fu
uno dei 5 candidati ammessi degli 88 che si erano presentati: Memorie di un comunista napoletano, Libreria Dante & Descartes, Napoli 1998 (1ª ed. Guanda, Parma
1975), p. 16.
16. In famiglia circolava, a questo proposito, l’aneddoto della “depressione
misteriosa”: un pomeriggio il compagno di camera aveva trovato Ettore a letto,
abbattuto da un’angoscia che egli stesso non sapeva spiegare; dopo un breve interrogatorio si era appurato che non aveva mangiato nulla nei due giorni precedenti e una spedizione in trattoria aveva posto fine, grazie al danaro del generoso
amico, alla misteriosa depressione.
17. G. Neppi Modona, La magistratura e il fascismo, in G. Quazza (a cura di),
Fascismo e società italiana, Einaudi, Torino 1973, pp. 125-181.
176
L’insegnamento di Ettore Gallo
18. «Questa separazione che già esisteva nell’ordinamento giudiziario del
1875 e che fu soppressa nel 1890 con la riforma Zanardelli, è stata ristabilita per la
forza delle cose, avendo l’esperienza dimostrato che occorrono nei giudici delle
preture e in quelli dei collegi cultura, attitudini e psicologia diversi, e che l’unificazione fin dall’inizio delle carriere è di grave pregiudizio al buon reclutamento,
giacché i migliori elementi sono distolti dall’entrare in magistratura dal periodo
obbligatorio del pretorato»: M. D’Amelio, Ordinamento giudiziario, in Enciclopedia
Italiana, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma 1933, vol. XVII, p. 309.
19. A. Gustapane, L’ autonomia e l’indipendenza della magistratura ordinaria nel sistema costituzionale italiano: dagli albori dello Statuto albertino al crepuscolo della
Bicamerale, Giuffré, Milano 1999, pp. 70-78. Cfr. anche E. Ferri, Il tirocinio degli uditori giudiziari nella realtà normativa della Repubblica italiana, in Aa.Vv., Il magistrato:
dal reclutamento alla formazione professionale, C.S.M., Roma 1982, pp. 13-30.
20. La signora Anita Cavaggioni, animatrice della vita culturale di Lonigo, sin
dagli anni Trenta, aveva appena compiuto 101 anni quando mi ha concesso un
colloquio nella sua casa di Lonigo nel febbraio del 2003. Grazie alla sua incantevole arguzia e lucidità mi ha restituito un ritratto vivo del giovane pretore. Se può
leggere queste righe, le invio un ringraziamento di cuore.
21. Gallo, Resistenza e Costituzione, cit., p. 94.
22. Floriano Del Secolo, studioso del Trecento, tra l’altro ha curato, assieme a
G. Castellano, l’edizione dei due volumi di Benedetto Croce, Poeti e prosatori
d’Italia, Laterza, Bari 1927. «Il suo senso umano e democratico sprigionava da
ogni suo atto o parola, non parlava mai della guerra in atto, e se noi gli chiedevamo di parlarcene, lo faceva senza la retorica e l’enfasi che in quei tempi imperversavano, specie tra noi allievi e gli ufficiali»: M. Palermo, Memorie, cit., p. 21. Si badi, tuttavia, che la testimonianza di Mario Palermo riguarda gli anni della Grande
Guerra sicché non se ne può dedurre un giudizio sul grado di fascistizzazione
della Nunziatella durante il Ventennio.
23. La sentenza (17 marzo 1938) si legge nello stesso numero della rivista alle
pp. 278-280.
24. Cfr. Gustapane, L’ autonomia, cit., n. 45 a p. 71. Le prove scritte di Ettore sono ora conservate presso l’archivio dell’Istrevi.
25. G. Cristofolini, Efficacia dei provvedimenti di giurisdizione volontaria emessi da
giudice incompetente, in Studi di diritto processuale in onore di Giuseppe Chiovenda nel
25º anno del suo insegnamento, Cedam, Padova 1927.
26. E. Gallo, Natura giuridica della volontaria giurisdizione, tesi di laurea in giurisprudenza, Regio Ateneo di Modena, a.a. 1935-36, pp. 1-2.
27. Ivi, p. 61.
28. Ivi, p. 63.
29. Ivi, pp. 63-64.
30. Ivi, p. 64.
31. Ivi, pp. 64-66.
32. Nella copia della tesi che utilizzo manca la bibliografia e le note a piè di
pagina sono brutalmente abbreviate (secondo l’uso dei giuristi), ma non così tan-
Relazioni. Alberto Gallo
177
to da precludermi l’identificazione delle monografie citate. Qualche margine di
dubbio rimane sugli estremi degli articoli di rivista. Il riferimento qui è a: G.
Chiovenda, Principii di diritto processuale civile: le azioni, il processo di cognizione, 3a.
ed. riveduta e notevolmente aumentata, Jovene, Napoli 1923; F. Carnelutti, Lezioni
di diritto processuale civile, 4 voll., La Litotipo Editrice Universitaria, Padova 19201925 e P. Calamandrei, Limiti fra giurisdizione e amministrazione nel processo civile, in
«Rivista di diritto commerciale», 1 (1917), pp. 759 e sgg.
33. E.T. Liebman, Nota alla causa Trani-Barone, «Rivista di diritto processuale
civile», 2 (1925); F.G. Lipari, Nota, «Rivista di diritto processuale civile», 4 (1927);
A. Calda, I concetti di giurisdizione e d’azione, Coop. Tipografica Azzoguidi,
Bologna 1910.
34. Gallo, Natura, cit., p. 19.
35. J. Weismann, Lehrbuch des Deutschen Zivilprozessrechtes, 2 voll., F. Enke,
Stuttgart 1903-1905.
36. Gallo, Natura, cit., p. 23.
37. Ivi, p. 23-25.
38. Ivi, p. 30.
39. Ivi, pp. 34-36.
40. Ivi, pp. 41-42.
41. K. Bornahk, Grundriss des Deutschen Staatsrechts, Werner Scholl, Leipzig 1921.
42. Gallo, Natura, cit., p. 42.
43. Ivi, p. 44.
44. Ivi, p. 51. Il riferimento è a: W. Jellinek, Der fehlerhafte Staatsakt und seine
Wirkungen: eine Verwaltungs- und prozessrechtliche Studie, J.C.B. Mohr, Tubingen
1908; rist. Scientia Antiquariat, Darmstadt 1958.
45. Ivi, p. 54. Il riferimento è a F. Carnelutti, Lezioni, cit., vol. II, n. 90, p. 201.
Gli «altri illustri autori» sono: G. Zanobini, Sull’amministrazione pubblica del diritto
privato, «Rivista di diritto pubblico», 3 (1918), pp. 191 sgg.; Liebman, Nota, cit., p.
279 e Lipari, Nota, cit.
46. K. Hellwig, Grenzen der Ruckwirkung, A. Topelmann, Giessen 1907; W. Kisch,
Beitrage zur Urteilslehre, C.L. Hirschfeld, Leipzig 1903; rist. Scientia Antiquariat,
Darmstadt 1969. Secondo l’uso introdotto dal fascismo, nella tesi i titoli delle opere
straniere sono sempre dati in italiano anche quando, come nel nostro caso, non esisteva una traduzione italiana: così Beitrage zur Urteilslehre di Wilhelm Kisch è citato
come Contributi alla teoria della sentenza.
47. Particolarmente convincenti, tra l’ampia bibliografia sull’argomento: P.
Ungari, Alfredo Rocco e l’ideologia giuridica del fascismo, Vita e Pensiero, Brescia 1963;
N. Bobbio, Cultura e fascismo, in Quazza, Fascismo, cit., pp. 209 sgg.; C.
Schwarzemberg, Diritto e giustizia nell’Italia fascista, Mursia, Milano 1977; R. Teti,
Codice civile e regime fascista. Sull’unificazione del diritto privato, Giuffrè, Milano 1990.
48. G. Prosperini, Il processo Ghelfi alla Corte di Assise di Vicenza (12 agosto 1949).
L’arringa di parte civile dell’Avv. Ettore Gallo, «Oratoria. Rivista di Eloquenza», anno VI, n. 11-12 (novembre-dicembre 1949), p. 344.
178
L’insegnamento di Ettore Gallo
49. I fiduciari furono poi introdotti nel 1939, con scarsi risultati. Cfr. R. Sarti,
Fascismo e grande industria, 1919-1940, Moizzi, Milano 1977 (ed. orig. Fascism and
the Industrial Leadership in Italy, 1919-1940, University of California Press, Berkeley
1971), pp. 114-115. Sulle forzate dimissioni di Rossoni, Roland Sarti cita un lavoro
di Carmen Heider che non mi è riuscito di rintracciare (Capital and Labour under
Fascism, Columbia University Press, New York 1930).
50. E. Gallo, La revoca del riconoscimento alle associazioni sindacali riconosciute,
«Temi Emiliana. Rivista di giurisprudenza», anno XVI, n. 1-2 (gennaio-febbraio
1939), parte II - Dottrina, n. 3, p. 106.
51. G. Zanobini, Corso di diritto corporativo, 2ª edizione aggiornata, Giuffrè,
Milano 1936, p. 108; L. Barassi, Diritto sindacale e corporativo, 3ª ed. rifatta e aggiornata, Giuffrè, Milano 1938, p. 157; A. Cioffi, Istituzioni di diritto corporativo, 3ª ed. riveduta ed aggiornata, Hoepli, Milano 1936, p. 80; E. Ranelletti, Corso di diritto sindacale e corporativo, 2 voll., Giuffrè, Milano 1933-34, I, p. 267.
52. F. Pergolesi, Istituzioni di diritto corporativo, 3ª ed. rielaborata ed agg. anche con
la legislazione libica, Zanichelli, Bologna 1938, p. 365; G. Solazzi, Diritto sindacale e
corporativo. Appunti dalle lezioni, R. Università di Parma, a.a. 1934-35, Lit. Zanlari e
C., Parma 1935, p. 137.
53. S. Lessona, G. Mazzoni, Corso di diritto corporativo. Anno accademico 19351936, raccolto da Rasponi, Gruppo universitario fascista, Casa ed. Poligr. universitaria C. Cya, Firenze 1936-XIV, più tardi ristampato con poche modifiche (S.
Lessona, G. Mazzoni, Corso di diritto corporativo. Anno accademico 1938-1939,
Cedam, Padova 1939- XVII).
54. Ivi, p. 106.
55. Ivi, pp. 107-110.
56. Sul Circolo di cultura si veda il racconto dello stesso P. Calamandrei, Il
manganello, la cultura e la giustizia, in Non mollare 1925, La Nuova Italia, Firenze
1955, pp. 71-112; si legge ora in Id., Scritti e discorsi politici, a cura di Norberto
Bobbio, 2 voll., La Nuova Italia, Firenze 1966, vol. I, pp. 1-50. Sulla rivista «Il Foro
Toscano» e l’allontanamento di Giulio Paoli cfr. P. Grossi, Stile fiorentino. Gli studi
giuridici nella Firenze italiana, 1859-1950, Giuffrè, Milano 1986, pp. 111 e 83.
57. S. Lessona, P. Calamandrei, Sulla responsabilita degli enti pubblici per atti illeciti dei loro organi, «Rivista di diritto pubblico», fasc. 8-9 (agosto-settembre 1933),
pp. 450-489.
58. S. Lessona, I sindacati e lo stato fascista, Carnesecchi, Firenze 1929; Id., Rapporto
fra stato ed associazioni di lavoro nello stato fascista, Ed. del Diritto del Lavoro, Roma
1929; Id., La potestà di governo nello Stato fascista, Mantero, Tivoli 1934.
59. Per l’insistenza di Lessona sul carattere modernizzatore del fascismo e sulla necessità di governare l’economia mediante la “programmazione” si veda la
parte introduttiva al già citato corso del 1938-39.
60. Gallo, La revoca, cit., pp. 113-114.
61. Ivi, p. 114.
62. Ivi, p. 112.
63. Ivi, p. 117.
Relazioni. Alberto Gallo
179
64. Ivi, p. 116.
65. Ivi.
66. Ivi, pp. 116-117.
67. Ivi, pp. 119-120.
68. Cfr. Teti, Codice civile, cit., p. 7 sgg., ma sul problema un po’ tutto il volume. Ringrazio Mario Piccinini, dell’Università di Cassino, per avermi segnalato
l’interessante lavoro di Teti.
69. A titolo di esempio si veda E. Ranelletti, La donna-giudice ovverosia la Grazia
contro la Giustizia, 2ª ed., A. Giuffrè, Milano 1957.
70. Gallo, La revoca, cit., p. 119.
71. E. Gallo, Riconoscimento e revoca del riconoscimento alle associazioni professionali, tesi di laurea in Scienze Politiche, Istituto “Cesare Alfieri”, Regia Università
di Firenze, 1940, p. 146. Il passo del Lessona criticato si trova in Lessona,
Mazzoni, Corso, cit., p. 127; e nella già citata edizione del 1939 a p. 104.
72. Gallo, Riconoscimento, cit., p. 152.
73. Ivi, p. 153.
74. Lessona, Mazzoni, Corso, cit., p. 126.
75. Gallo, Riconoscimento, cit., n. 1 a p. 155 e n. 1 a p. 157.
76. Ivi, pp. 155-156.
77. Ivi, p. 157.
78. Si tratta di dieci lettere di Mazzoni in data 17-9-1940, 14-11-[1940], 12-11941, 29-8-[1941], 21-10-1941, 16-11-[1941], 2-12-1941, 2-2-1942, 15-3-1942 e di due
lettere di Marco Sambo del 10-3-1942 e del 4-4-1942.
79. «21 ottobre 1941-XIX. Caro Gallo, sta per iniziarsi il nuovo anno accademico ed io devo procedere, come è d’uopo, alla nomina o conferma degli assistenti
di cui 2 alla cattedra e 2 all’Istituto. Prima di procedere a ciò, desidererei conoscere da voi se avete intenzione di continuare ed, anzi, di accrescere la vostra attività
per l’Istituto. Purtroppo io mi trovo in questa situazione: di 4 assistenti, nessuno
risiede sul posto, perché 2 sono in servizio militare e 2 abitano fuori Firenze. Dato
che quest’anno intendo intensificare l’attività dell’Istituto sotto forma di esercitazioni (da far tenere anche agli assistenti) e di dare incremento al Bollettino (per il
quale è allo studio di trasformarlo in Rivista) (sic), vorrei da voi precisa assicurazione che potrete ogni tanto venire a Firenze sia per tenere i contatti con me e gli
studenti facendo 1 o 2 esercitazioni di diritto corporativo o del lavoro, sia per seguire sul posto l’attività scientifica dell’Istituto. Resta inteso che desidererei anche
che continuaste la collaborazione per il Bollettino, della quale vi ringrazio. Se potete darmi queste assicurazioni, sarò ben lieto di confermare il vostro nome come
Assistente volontario all’Istituto di diritto corporativo (che quest’anno si trasferisce in Via Laura, 48). Vi prego di darmi risposta entro il 28 ottobre, Abbiatemi con
cordialità, vostro G. Mazzoni P.S. Le esercitazioni saranno pubblicate in volume,
o, in ogni caso, nella Rivista».
80. Cfr. P. Calamandrei, Opere politiche e letterarie, La Nuova Italia, Firenze
1966, vol. II, Diario, 1939-1945, a cura di Giorgio Agosti, tomo 2 (1942-45), pp. 7-8.
180
L’insegnamento di Ettore Gallo
81. Ivi.
82. G. De Luna, Storia del Partito d’Azione, 1942-1947, Editori Riuniti, Roma
1997 (2ª ed.), p. 3.
83. Ivi, p. 29.
84. E. Gallo, Guerra civile, in Enciclopedia del diritto, vol. 19, pp. 890-899, Giuffrè,
Milano 1970; Id., La questione della continuità dello Stato, in Passato e presente della
Resistenza, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Roma 1994, pp. 66-96; si vedano
anche le voci scritte per il Dizionario della Resistenza, a cura di Enzo Collotti,
Renato Sandri e Frediano Sessi, 2 voll., Einaudi, Torino 2000-01.
85. P.G. Zunino, La Repubblica e il suo passato. Il fascismo dopo il fascismo, il comunismo, la democrazia: le origini dell’Italia contemporanea, Il Mulino, Bologna 2003, pp.
133-152.
86. C. Curcio, Carlo Alfieri e le origini della scuola fiorentina di Scienze Politiche,
Giuffrè, Milano 1963; G. Spadolini, Il “Cesare Alfieri” nella storia d’Italia. Nascita e
primi passi della Scuola fiorentina di scienze sociali, Le Monnier, Firenze 1975. Cfr. anche Id., Il Cesare Alfieri nella storia d’Italia, «Nuova Antologia», n. 2100 (dicembre
1975), pp. 461-472.
87. Annuario del R. Istituto di Scienze Sociali Cesare Alfieri in Firenze, Firenze,
1903-1938; L’ Alfieri. Bollettino dell’Associazione fra gli antichi studenti del R. Istituto
superiore Cesare Alfieri, Tip. già Chiari succ. C. Mori, Firenze 1930-1943. Le collezioni complete dell’Annuario e del Bollettino si trovano soltanto alla Biblioteca
Marucelliana di Firenze. Per l’inizio degli anni Quaranta si veda anche P. Biondi,
La Facoltà di Scienze Politiche come facoltà di perfezionamento, in Funzione e struttura
delle Facoltà di Scienze politiche. Atti del Convegno interuniversitario 16-17 aprile 1942XX, premessa di Arrigo Serpieri, Regia Università di Firenze, Firenze 1943. Una
breve ma interessante visione retrospettiva si trova nel discorso di insediamento
del Preside, Prof. Sandro Rogari, pronunciato il 1° novembre 2000 davanti al
Consiglio di Facoltà: http://www.scpol.unifi.it.
88. P. Calamandrei, Il significato costituzionale delle giurisdizioni di equità, in
Annuario del R. Istituto di scienze sociali “Cesare Alfieri, Anno Accademico 1920-21,
Firenze 1921.
89. Id., Governo e magistratura. Discorso letto il 13 novembre 1921 per la solenne
inaugurazione degli studi nell’Aula Magna della R. Università di Siena, Stab. tip. S.
Bernardino, Siena 1922.
90. Id., Il manganello, cit., pp. 3-9, 19-20 e 25.
91. Ivi, p. 34.
92. Un elenco parziale delle materie soppresse, in Spadolini, Il “Cesare Alfieri”,
cit., p. 364.
93. Le informazioni si ricavano dai numeri dell’Annuario relativi agli a.a. 1929-36.
94. Le parole virgolettate sono in Grossi, Stile fiorentino, cit., p. 142, n. 31.
95. F. Cammeo, Commentario delle leggi sulla giustizia amministrativa, Vallardi,
Milano diverse date. I fascicoli del primo volume furono pubblicati tra il 1901 e il 1911.
96. C. Costamagna, Dottrina del fascismo, Utet, 1938-XVI.
97. Grossi, Stile fiorentino, cit., p. 108. Il vivo ritratto di Cammeo, Calamandrei
Relazioni. Alberto Gallo
181
e Finzi disegnato dal bel libro di Paolo Grossi ha ispirato le considerazioni che seguono nel testo.
98. Su Finzi «personaggio frainteso e minimizzato», cfr. Grossi, Stile fiorentino,
cit., pp. 79 sgg., e alle pp. 168-190.
99. E. Finzi, Il possesso dei diritti, Athenaeum, Roma 1915. Esiste una ristampa
della prima edizione a cura della Fondazione Piero Calamandrei, con prefazione
di Salvatore Romano: Giuffrè, Milano 1968. Di quei temi Finzi si era occupato già
nella tesi di laurea: Id, Saggio intorno alla formazione storica di alcuni istituti giuridico-sociali: occupazione-detenzione; possesso; proprieta; furto, dissertazione di laurea,
Stab. Tip. Mondivi & figli, Mantova 1907.
100. «Rapporti di fatto soltanto nel senso del loro raffronto a un modello di
rapporto perfetto e assolutamente tipico, che un formalismo miope potrebbe condannare nella fossa delle invalidità, ma che invece l’ordinamento, per le istanze
sociali da cui è mosso, recupera alla dimensione della giuridicità ad un più basso
livello possessorio, facendone tanti possessi di diritti costruiti sulla analogia economico-sociale col rapporto perfetto»; Grossi, Stile fiorentino, cit., p. 176.
101. E. Finzi, Studi sulle nullità del negozio giuridico. I. L’articolo 1311 del Codice
civile, Zanichelli, Bologna 1920.
102. E. Finzi, Diritto di proprieta e disciplina della produzione, Tipografia Mariano
Ricci, Firenze 1935, estratto da Atti del Primo congresso nazionale di diritto agrario
italiano, Firenze 21-22-23 ottobre 1935.
103. Ho avuto il tempo di dare appena una rapida scorsa a un libro che avrebbe meritato una lettura attenta e che all’“itinerario giuridico” di Cammeo dedica
un intero capitolo: B. Sordi, Giustizia e amministrazione nell’Italia liberale. La formazione della nozione di interesse legittimo, Giuffrè, Milano 1986. Per le opinioni di
Calamandrei, Carnelutti, Finzi, Forti e Lessona sull’opera di Cammeo, si veda il
volume già citato di Grossi, p. 131, n. 4.
104. Quali fossero le idee di Ettore sul processo, i suoi rapporti con gli avvocati (specialmente i grandi avvocati che qualche volta capitavano nelle preture di
provincia), il rispetto profondo che aveva per la dignità e l’integrità dei vecchi
magistrati che il regime aveva ereditato dall’epoca liberale, si può ricavare da un
libro, oggi quasi dimenticato, del suo amico Gigi Ghirotti (uno dei Piccoli Maestri),
dedicato alla vita e alle idee dei giudici italiani degli anni Trenta, Quaranta e
Cinquanta. Il libro, intitolato semplicemente Il magistrato (Vallecchi, Firenze), uscì
nel 1959 ed ebbe una seconda edizione (quasi raddoppiata) nel 1963. In vista della
seconda edizione, Ghirotti aveva intervistato decine e decine di magistrati e di avvocati, ma nella prima edizione il contributo di Ettore era stato proporzionalmente maggiore: vi si ritrovano ricordi personali degli anni passati nelle preture,
aneddoti, certi giudizi (per esempio, sulla eccezionalità della corruzione tra i magistrati), i dilemmi comportamentali dei giudici di allora (l’alternativa tra l’isolamento più rigoroso e una cauta apertura al mondo) e – a quanto pare – anche i
rapporti non sempre facili che Ettore, prima di divenire lui stesso avvocato, aveva
avuto con gli avvocati.
105. E. Gallo, I diritti inviolabili e irrinunciabili della Costituzione repubblicana. Lineamenti delle origini e delle garanzie costituzionali, C.B.A.R., Brescia 1994, pp. 10-11.
106. E. Gallo, Sciopero e repressione penale, Il Mulino, Bologna 1981, p. 12. Il vo-
182
L’insegnamento di Ettore Gallo
lume è stato pubblicato nel 1981 ma Ettore vi ha lavorato tra il 1976 e il 1980, come è detto nell’introduzione. Il riferimento è a: G. Capograssi, Studi sull’esperienza
giuridica, P. Maglione, Roma 1932, ripubblicato in Id., Opere, 7 voll., Giuffrè,
Milano 1959-1990, vol. II., e al saggio L’esperienza giuridica nella storia, ivi, vol. III.
107. Cfr. Grossi, Stile fiorentino, cit., pp. 150-154.
108. Ringrazio il prof. Giuliano Vassalli per i cenni illuminanti sulla “conversione socialista” di Calamandrei. Una cosa è leggere gli scritti di un uomo e un’altra cosa è ricevere una testimonianza diretta degli avvenimenti che lo hanno visto
protagonista. Di Vassalli si legga in ogni caso un indimenticabile ricordo di
Calamandrei in Piero Calamandrei e la Costituzione, FIAP, Milano 1995, pp. 13-35.
109. Gallo, Per Licisco, cit., p. 5.
Renato Camurri
università di Verona
Il mite resistente
1. Profilo di un maestro di democrazia
Il titolo non tragga in inganno, ma come ci aveva spiegato Norberto
Bobbio in un affascinante articolo pubblicato nel 1993, non si deve
confondere la mitezza con la remissività o peggio con la debolezza.
Scriveva il filosofo torinese:
... la mitezza è il contrario dell’arroganza, intesa come opinione esagerata dei
propri meriti, che giustifica la sopraffazione. Il mite non ha grande opinione
di sé, non già perché si disistima, ma perché è propenso a credere più alla miseria che alla grandezza dell’uomo, ed egli è uomo come tutti gli altri. A maggior ragione la mitezza è contraria alla protervia, che è l’arroganza ostentata.
Il mite non ostenta nulla, neanche la propria mitezza… La virtù ostentata si
converte al suo contario. Chi ostenta la propria carità manca di carità. Chi
ostenta la propria intelligenza è in genere uno stupido. A maggior ragione la
mitezza è il contrario della prepotenza...1
Giocando sui contrasti tra virtù diverse, Bobbio completava il suo
ragionamento aggiungendo che:
la semplicità è il presupposto necessario o quasi necessario della mitezza e la
mitezza è un presupposto possibile della compassione. In altre parole, per essere miti bisogna essere semplici... per semplicità intendo il rifuggire intellettualmente dalle astruserie inutili, praticamente dalle posizioni ambigue2.
Non ho conosciuto di persona Ettore Gallo, però guardandolo da
lontano e ricostruendo le tappe di una parte della sua intensa vita di
uomo pubblico, mi è venuto spontaneo il richiamo alla virtù della mitezza, consapevole che tuttavia essa sintetizza solo uno dei tratti pre-
184
L’insegnamento di Ettore Gallo
valenti della sua personalità. È indubbio, infatti, che ci troviamo di
fronte ad un profilo biografico di difficile ricostruzione: Gallo ha attraversato quasi sessant’anni della storia politica, istituzionale e culturale italiana, lasciando in vari ambiti tracce rilevanti del suo operato.
Sono altrettanto convinto che, come sempre avviene nella ricostruzione di una biografia3, le vicende private di una personalità siano decisive per capirne la dimensione pubblica. Nel caso di Ettore Gallo, i particolari che maggiormente colpiscono e che lui stesso negli ultimi anni
di vita aveva più volte rimarcato, riguardano la precocissima perdita
di entrambi i genitori e una serie di altri gravi lutti che segnarono la
sua vita4, oltre all’esperienza del collegio militare della Nunziatella5.
In particolare il costante richiamo alla figura del padre, capitano di
artiglieria, morto nel 1916 sul Pasubio, assunse il significato non solo
di una ricerca volta a riempire un vuoto affettivo, testimoniata dai regolari pellegrinaggi di Gallo all’Ossario che su quella montagna raccoglie i resti dei caduti e dalla sua partecipazione alle annuali commemorazioni organizzate dalle associazioni combattentistiche, ma rappresentò anche l’identificazione con quei valori patriottici per i quali il
padre era morto.
Tuttavia, pur intrecciando la dimensione privata con quella pubblica,
non si arriva ancora a comporre un suo profilo completo, né tanto meno
si riesce a ricostruire alcuni passaggi della sua esperienza nella
Resistenza. Ciò può, in effetti, apparire paradossale se rapportato al ruolo avuto da Gallo nella stagione apertasi dopo l’8 settembre del 1943.
In realtà, se per un momento allarghiamo il discorso per un confronto comparativo ad altre figure chiave della resistenza vicentina ed escludiamo i “medaglioni” dal chiaro intento agiografico, ci accorgeremo che,
con la sola eccezione di Antonio Giuriolo e pochi altri casi6, la maggior
parte dei personaggi di primo piano non si sono sottratti a questo stesso
destino7. Spesso le loro storie si trovano diluite all’interno di quadri analitici più ampi: le storie di gruppi, di organizzazioni, di formazioni partigiane combattenti (le brigate in particolare), dove il racconto delle vicende politico-militari, prevale sulla descrizione dei profili individuali.
Nel caso di Gallo conosciamo gli episodi cruciali della sua esperienza partigiana, ma le lacune più consistenti riguardano il suo percorso
formativo, e l’approdo all’antifascismo, e le sue posizioni espresse in
merito alle questioni più scottanti affrontate dalla resistenza vicentina
e veneta tra il ’43 e il ’45.
Per quanto riguarda gli anni giovanili e la sua formazione, il contributo di Alberto Gallo qui pubblicato8, offre spunti interessanti per
Relazioni. Renato Camurri
185
capire come un giovane italiano, fascista, maturò negli anni ’30 il suo
distacco dal regime e attraverso quali riflessioni, quali incontri, arrivò
a compiere il salto verso l’impegno nella lotta al regime fascista.
Non mi soffermerò, dunque, su questa fase della vita di Ettore
Gallo, ma mi concentrerò essenzialmente su quella apertasi dopo l’8
settembre del 1943, cercando di incrociare le poche fonti disponibili: le
carte dell’Archivio del Partito d’Azione vicentino9, le Carte Gallo10 recentemente depositate all’Istrevi presso il Museo del Risorgimento e
della Resistenza di Vicenza, oltre alla letteratura disponibile.
A questo riguardo va aggiunto che Gallo non ha scritto molto sulla
sua esperienza nella Resistenza. Ha avuto un’intesa attività di oratore
– si ricordi, ad esempio, il suo lungo impegno nell’ANPI nazionale e
vicentino – ma a parte il contributo dato nella Relazione di sintesi presentata al convegno promosso nel 1976 dall’Istituto per la storia della
resistenza delle tre Venezie e dal Comune di Vicenza11, Gallo non ha
lasciato molte tracce scritte. Solo negli ultimi anni, intuendo il cambiamento di clima culturale in atto nel paese, era tornato a scrivere su
questo tema12.
Tenendo conto di queste considerazioni preliminari, ho cercato di
definire un primo quadro interpretativo entro il quale collocare l’attività di Ettore Gallo nella resistenza. Esso tiene conto di tre ambiti nei
quali si sviluppò la sua azione politica tra il 1943 e il 1946, ricoprendo
diversi ruoli pubblici che naturalmente spesso si intrecciarono.
2. Il partigiano “combattente”
Partiamo dunque dalla partecipazione diretta alla lotta antifascista,
e da un luogo preciso: Lonigo, piccolo comune vicentino dove dal
1938 Gallo ricopriva il ruolo di pretore.
In una lettera datata 10 giugno 1946, indirizzata alla Commissione
Triveneta per il riconoscimento delle qualifiche di partigiano con sede
in Padova, Gallo presentò ricorso contro il provvedimento con il quale
la Commissione gli aveva riconosciuto la qualifica di partigiano a partire dall’8 settembre ’44, con inquadramento nella brigata “Argiuna”
della Divisione Vicenza.
Gallo ricostruì puntigliosamente le tappe della sua carriera partigiana, retrodatò il suo passaggio nella Resistenza al 10 settembre del
’43, giorno in cui riunì nella sua abitazione di Lonigo 12 ufficiali del
disperso btg. controcarri del 32° carristi residente nella stessa cittadi-
186
L’insegnamento di Ettore Gallo
na, ai quali si aggiunsero altri 8 elementi sbandati dopo l’8 settembre.
Scriveva il giovane magistrato:
In tal occasione si gettava[no] le basi per la costituzione del settore Militare di
quel Mandamento, dislocato su cinque compagnie per i quattordici comuni.
La coscrizione dei partigiani e la dislocazione dei reparti avvenne poscia effettivamente per la di lui personale designazione: il comando tecnico venne assunto dal cap. Fiandini e sorgeva così quell’unità che divenne poi la brigata
“Martiri di Grancona”, delle cui azioni il ricorrente fu coordinatore assieme al
predetto capitano13.
Di seguito Gallo, in questa sorta di autobiografia, elencò le tappe
salienti della sua esperienza di resistente citando in primo luogo la
fondazione, avvenuta nel marzo 1944, della brigata interprovinciale
“Tre Stelle” (alla quale aderivano formazioni del basso veronese e del
basso padovano), per la quale «richiedeva e riceveva personalmente
sulla pianura di Legnago lancio di materiale bellico nonché il cap.
Monti dell’Aeronautica del Governo Nazionale (Erik) che venne paracadutato per il compimento di un’importante missione militare
nell’Italia occupata e che all’uopo veniva ospitato ed assistito dal ricorrente»14.
Gallo accennò ai motivi che portarono allo scioglimento della brigata “Tre Stelle” avvenuto il 17 luglio (nel testo fa riferimento a «disaccordi successivamente insorti con la missione dei S.I.M. di Verona»),
senza aggiungere ulteriori particolari. Anche nella seconda relazione,
del convegno del 1976, quella dedicata al Comando provinciale
Militare, non si va oltre un generico riferimento al «contrasto insorto
tra elementi moderati ed altri più aperti»15, mentre lo stesso Gallo nella
citata Relazione di sintesi, aggiunge qualche particolare alla versione ufficiale indicando la ragione dello scioglimento nei «dissapori interni di
carattere politico»16.
La vicenda non ebbe conseguenze particolarmente gravi sulla struttura organizzativa delle formazioni partigiane; potrebbe quindi essere
tranquillamente archiviata come un caso (non infrequente) di crisi
apertasi all’interno del gruppo dirigente di una formazione partigiana.
Tuttavia essa, per la complessità della situazione determinatasi, costituì un test importante per l’allora trentenne Ettore Gallo (“Maestro”),
alla sua prima esperienza alla guida di una formazione partigiana.
Oggi, infatti, sulla base di nuovi documenti archivistici, possiamo ricostruire con maggiore precisione sia il contesto in cui Gallo mosse i suoi
Relazioni. Renato Camurri
187
primi passi da dirigente della Resistenza vicentina, sia quell’intricato
episodio.
Ma vediamo i fatti. Nel maggio del 1969, Virgilio Marchetto
(“Leo”), al tempo dei fatti vice segretario generale dell’esecutivo politico e Commissario politico della Brigata “Tre Stelle” per conto del
partito comunista, inviò a Gallo un plico contenente vari documenti
relativi all’intricata vicenda. Tra questi vi era il verbale dell’adunanza
dei vertici politici e militari della brigata, tenutasi il 17 luglio 1944 che
aveva all’ordine del giorno: «scioglimento della Brigata Tre Stelle e
determinazione delle cause e delle responsabilità»17.
Nel documento si ricostruisce la genesi della formazione della brigata, collocata nella notte tra il 16 e 17 aprile del ’44, al termine di una
riunione tenutasi nell’abitazione di “Mirko”, qualificatosi come «demo-cristiano», che da quel momento assunse l’incarico di cassiere della nuova formazione. Fu proprio il mantovano “Mirko” il personaggio chiave della crisi della “Tre Stelle”. Accolto nella brigata «con viva
simpatia [...] in grazia dell’allegata qualifica politica di democraticocristiano, si appalesò invece ben presto quale elemento a tendenze
reazionarie che basava la sua azione politica su alcune clientele personali da lui elette attorno»18. Fu accusato di essere in contatto con elementi già espulsi dal Comitato di Liberazione della località di residenza, e di aver in più occasione diffamato il vice comandante per la sua
appartenenza al Partito Comunista.
Il verbale si sofferma su altri particolari e racconta della
assoluta incomprensione e ostilità del Mirko per lo spirito ed i fini del Fronte
Nazionale venne dimostrata dall’assurda sua pretesa che dai Comitati di
Liberazione della Zona fossero esclusi i comunisti e gli operai in genere […] che
egli non ebbe ritegno a richiedere per iscritto al Segretario generale, come non
ebbe pudore di attuare senz’altro nel Comitato locale da lui presieduto, dal quale con ogni pretesto ed ostruzionismo, tenne lontani i comunisti. Del resto quel
Comitato non era che la rappresentanza delle sue clientele personali19.
Andando avanti nella lettura del testo si apprende che “Mirko” interferì nei contatti avviati con difficoltà dal segretario generale della
brigata con una Missione militare per la programmazione di alcuni
lanci e che, scavalcando gli organismi interni, prese accordi con la
Missione, la quale «con troppa strana buona fede e non encomiabile
leggerezza, si lasciava persuadere assai facilmente dalle sinuose vacuità del Mirko, senza nemmeno avvertire il bisogno di conferire con
188
L’insegnamento di Ettore Gallo
gli altri capi dell’Unità o comunque di svolgere un’inchiesta fra elementi non sospetti»20.
Secondo quanto precisa il verbale, “Mirko” si impossessò e nascose
le armi del lancio che aveva direttamente concordato con la Missione, e
le distribuì agli uomini a lui fedeli che di lì a pochi giorni «proclamavano nella loro zona di influenza un Comitato a carattere prettamente
militare avente per iscopo l’instaurazione di una dittatura militare reazionaria, con esclusione di tutti i partiti del Fronte Nazionale»21. A
fronte della situazione venutasi a creare, gli Esecutivi della brigata ne
decisero lo scioglimento con la conseguente devoluzione delle risorse
finanziarie all’ufficio Amministrazione del Comando Militare.
La vicenda non si chiuse a questo punto, ma ebbe un’ulteriore coda. Con due successi documenti dell’Esecutivo militare, rispettivamente datati 11 e 15 agosto 1944, la brigata intimava al “Mirko” la restituzione dei documenti amministrativi in suo possesso e di un ingente somma (9020 lire), risultato di spese compiute senza alcuna autorizzazione o di prelievi di cassa giustificati facendo riferimento ad
operazioni rivelatesi fasulle22.
Ma torniamo al documento indirizzato alla Commissione Triveneta. Esso continuava ricordando l’impegno profuso nei primi mesi
del ’44 per la ricostruzione dell’esecutivo militare provinciale che si
era venuto a trovare in grave difficoltà dopo gli arresti compiuti nei
mesi precedenti. Gallo scrisse di avere a più riprese convocato «gli ufficiali comandanti i vari settori mandamentali della provincia» e di
avere convinto il maggiore Mario Malfatti ad assumere il Comando,
affiancato dal cap. Mario Fiandini e dal ten. Prandina.
Così Gallo completa la ricostruzione di questo suo impegno:
Costituito l’esecutivo, provvedeva a stabilire i contatti con i settori e a riordinare l’organizzazione provinciale in rapporto ufficiale tenuto nei sotterranei
della Basilica di Monte Berico. Rimaneva successivamente sempre in contatto
col predetto esecutivo del quale entrava poi a far parte il cap. Nino Bressan e
nel quale rientrava il partigiano Gino Cerchio, studiando e coordinando assieme ad essi varie azioni nonché richieste e ricezioni di materiale bellico sui
campi di lancio23.
Di seguito Gallo ricostruiva le altre tappe della sua attività partigiana citando il sostegno dato alla formazione della brigata “Carlo
Rosselli” e indicando come testi il ten. Henny Da Rin, «allora reggente
della Federazione del P.A, il ten. Danda comandante della Brigata
Relazioni. Renato Camurri
189
“Rosselli”, il prof. Licisco Magagnato di Vicenza, il prof. Sergio Perin
di Valdagno». Le recenti ricerche di Benito Gramola, hanno portato
ulteriori conferme circa l’impegno di Gallo nella formazione della
“Rosselli”: tra esse merita di essere segnalata la lettera del 10 ottobre
1944 indirizzata dal “Maestro”, a nome della direzione provinciale del
Partito d’Azione, al Comando Regionale Militare di Padova e al
Comando Provinciale Militare di Vicenza. Così si legge nella missiva:
Per l’opportuno inquadramento e conseguente riconoscimento da parte di cotesto Comando regionale, il Partito d’Azione Vicentino notifica di aver perfezionato in data odierna la costituzione, già da due mesi iniziata, di un reparto
armato forte di 146 effettivi tutti aderenti a questo Partito, che ha fornito l’armamento.
Il reparto ha preso stanza nella zona che si estende sulla riva sinistra del torrente “Agno”, dal Comune di Brogliano al rifugio della “Gazza”: un suo distaccamento di circa 35 effettivi agisce sulle pendici occidentali dei colli Berici
nella zona che si estende da Arcugnano ad Alonte.
Il gruppo s’intitola al nome glorioso di “Carlo Rosselli”, fondatore del movimento “Giustizia e Libertà”.
Il comando del gruppo è affidato al maggiore Alberto Zaccheria che assume
lo pseudonimo di “Argonauta”, Commissario politico del reparto è il dr.
Renzo Zorzi che assume lo pseudonimo di “Abel”...24
Sulla base di queste considerazioni, Ettore Gallo si rivolgeva alla
Commissione Triveneta sottolineando puntigliosamente che la sua attività era da
inquadrarsi dovunque fuori che nella brigata “Argiuna” della quale non ha mai
fatto parte e nella quale invece codesta Commissione si è compiaciuta inquadrarlo. È evidente, invece, che un’attività militare è svolta sul piano provinciale e particolarmente in quell’esecutivo che successivamente costituì gli effettivi dello
Stato Maggiore della Divisione “Vicenza” (in quel momento era ormai in carcere), gli danno il diritto morale quanto meno di trovar posto fra lo Stato maggiore
della predetta Divisione “Vicenza” (comando) o tutt’al più d’essere inquadrato
nel comando della Brigata “Martiri di Grancona” o in quello della “Rosselli”.
È anche manifesto da quanto esposto che l’attività partigiana dello scrivente iniziatasi al 10 settembre 1943 cessava soltanto con suo arresto da parte della S.S.
germanica. Saliente a questo proposito la sua partecipazione al convegno di località Villaverla con il Capo della Missione Militare Alleata (Maggiore Freccia)
per la delimitazione della zona partigiana Montana con quella di pianura […]25.
190
L’insegnamento di Ettore Gallo
Con il riferimento a due momenti cruciali della sua esperienza partigiana, la partecipazione al convegno di Villaverla, episodio che rimane tutto da chiarire26, l’arresto avvenuto il 3 dicembre del ’44 e il
successivo trasferimento a Palazzo Giusti di Padova, nelle mani del
reparto del maggiore Carità, dove rimase fino alla liberazione27, si
chiudeva l’autobiografia di Ettore Gallo.
Come emerge tra le righe di questo documento, il curriculum resistenziale comprendeva molti altri importanti incarichi riconducibili
essenzialmente a due altri livelli tra loro strettamente legati: il Partito
d’Azione e il CLN.
3. Gallo e la galassia azionista
L’attività di Gallo in seno al PdA, come del resto tutta la storia di
questo partito in sede provinciale, meriterebbero maggiori approfondimenti28. Nella genesi del partito vicentino possiamo distinguere, per
praticità, tre fasi: una prima collegabile ai contatti intrapresi da
Antonio Giuriolo a partire dalla primavera del 1937 con ambienti culturali esterni a Vicenza. Risalgono a quel periodo gli incontri di
Giurolo con Luigi Russo, conosciuto dal giovane vicentino a Vicenza
nel ’35 in occasione di una lezione tenuta dal critico letterario, e con
Francesco Flora a Milano. Tramite quest’ultimo Giuriolo fu messo in
contatto con Carlo Ludovio Ragghianti, incontro che risultò decisivo
per la sua formazione politica29.
Nel ’38 Giuriolo compì altri viaggi a Bologna e a Firenze collegandosi con il gruppo della rivista «La Nuova Italia» di Enzo Enriquez
Agnoletti, Tristano Codignola, Cesare Luporini e Carlo Fruno, personaggi attraverso i quali potè allargare ulteriormente la sua cerchia di
conoscenze negli ambienti antifascisti. Con il passare dei mesi la trama
dei contatti si infittì sempre più. Attraverso un curioso gioco di concatenazioni, Giuriolo entrò in contatto con altre personalità dell’area liberalsocialista e attraverso queste con alcuni giovani vicentini. Russo, ad
esempio, avviò Giuriolo alla conoscenza dell’opera di Aldo Capitini30 e
tramite quest’ultimo egli potè fare la conoscenza di Enrico Niccolini, di
quattro anni più giovane31. È accertato che tra l’autunno del ’39 e la primavera del ’40, Giuriolo partecipò a numerose riunioni a Milano e in
altre località32, che portarono alla saldatura dei diversi gruppi liberalsocialisti attorno al cosidetto Manifesto Calogero33.
Tra un viaggio a Bologna, una riunione a Milano, un’altra a
Relazioni. Renato Camurri
191
Firenze, Giuriolo cominciò anche a tirare le fila dei contatti nel vicentino. È questo il secondo livello nel quale egli si muove. Tra i primi giovani, oltre al citato Niccolini, a volerlo conoscere di persona vi fu
Licisco Magagnato: la sera del 10 giugno 1940 – poco dopo l’annuncio
dell’entrata in guerra dell’Italia al fianco della Germania contro
Inghilterra e Francia – Magagnato, allora studente al liceo classico
Pigafetta34, avvicinò per strada Giuriolo: poche battute furono sufficienti per verificare la comunanza di idee sul da farsi in campo politico e sulle prospettive della lotta al fascismo.
Varie fonti attestano che Magagnato, da tempo in stretti rapporti
con Neri Pozza e Antonio Barolini, fu il trait d’union con altri giovani
che attraverso di lui si avvicinarono al costituendo gruppo liberalsocialista guidato da Giuriolo. Tra questi si possono citare: il fratello di
Magagnato, Bruno, Benedetto Galla (Bene), entrambi studenti al liceo
classico. Frequentavano lo stesso istituto anche Enrico Melen e Mario
Mirri, mentre dal liceo scientifico arrivò Gaetano Galla, cugino di Bene.
Successivamente, tra il 1941 e il 1942, a più riprese, si aggregarono a
questo nucleo anche Luigi Ghirotti, Renzo Ghiotto, Lelio Spanevello,
Dante Caneva, Rosino Fontana e Luigi Meneghello35.
Le modalità di questo processo aggregativo assumono una valenza
importante per capire i profondi movimenti che interessano la generazione dei giovani italiani cresciuti sotto il regime fascista36. Tre mi
sembrano gli aspetti da sottolineare: il ruolo di talent-scout giocato da
Magagnato, l’importanza degli scambi intergenerazionali che mettono
in contatto persone di età differenti (come Pozza e Barolini) che si
muovono tra la cultura ufficiale del regime e gli ambienti della cultura
di «minoranza»37, la centralità del liceo Pigafetta come palestra di formazione antifascista.
Anni or sono Mario Mirri, rievocando i suoi anni vicentini, scrisse
che la sua – e quella dei coetanei (tra i quali cita Francesco Ferrari38, anch’egli studente nello stesso liceo classico) con i quali condivise il percorso di avvicinamento alle idee liberalsocialiste – fu «la conseguenza
del collegamento, che stabilimmo con Licisco Magagnato e Niccolini,
con Giuriolo poi; essa si svolse in parallelo e quasi a complemento, del
tipo di formazione, che ci dava il liceo»39. In particolare due furono i
docenti che esercitarono un influsso decisivo su molti giovani ed entrambi insegnavano storia e filosofia: si trattava di Giuseppe Faggin40 e
Mario Dal Prà41. Di quest’ultimo Mirri scrive:
Mario Dal Prà era capace di tenere accesa una eccezionale tensione intellettuale
192
L’insegnamento di Ettore Gallo
e morale, intellettuale morale insieme, occorre insistere, per il senso che riusciva
a darci, che ogni problema discusso fosse un problema vitale, da cui non poteva
non dipendere il nostro atteggiamento e il nostro comportamento complessivo,
verso la realtà e il mondo in generale, verso la società, il paese, la famiglia...42
Il terzo livello in cui si mosse Giuriolo è, infatti, quello regionale
che ha il suo epicentro a Padova. Qui, a partire dal 1941, presso
l’Istituto di Filosofia del diritto dell’Università, dove lavorava come
assistente il trevigiano Enrico Opocher e dove, a partire dal mese di
novembre, con l’inizio dell’anno accademico, arrivò Norberto Bobbio,
fresco vincitore di cattedra, cominciarono a darsi appuntamento i liberalsocialisti veneti.
Nell’estate di quello stesso anno, una visita di Enzo Enriques Agnoletti a Vicenza segnò un’accelerazione del processo organizzativo di
quest’area. Giuriolo era già considerato un punto di riferimento per il
Veneto, partecipava assiduamente agli incontri padovani e stringeva i
contatti avviati con i giovani vicentini che a più riprese si erano a lui avvicinati, incontrandoli nella casa di Vicenza o in quella di Arzignano43.
Nel corso del ’42, il giovane professore partecipò a quasi tutti gli incontri decisivi di quello che in quel periodo si definiva ancora come un movimento «di rinnovamento politico e sociale italiano»44 e che di lì a poco
si trasformò nel Partito d’Azione. Si segnala la sua presenza alla riunione tenutasi nel mese di luglio a Milano45 e sul versante veneto a quella
di ottobre a Treviso nello studio dell’avvocato Leopoldo Ramanzini, dove si ritrovarono Ugo La Malfa, Bruno Visentini, Norberto Bobbio,
Enrico Opocher, oltre a Luigi Martignoni e Agostino Zanon Dal Bò da
Venezia, Giuseppe Schiavon da Treviso, Flavio Dalle Mule da Belluno,
Luigi Cosattini e Fermo Solari da Udine, Walter Dolcini da Padova, oltre a Giuriolo46.
L’incontro trevigiano diede il via libera all’organizzazione in tutte le
città delle prime strutture del partito. Per quanto riguarda Vicenza, la
riunione che segnò l’avvio di tale processo organizzativo, si tenne in
dicembre nell’abitazione di Luciano Tomelleri alla presenza di
Giuriolo, Antonio Barolini, Giuseppe Faggin, alcuni giovani del “gruppo” Magagnato e Ragghianti in rappresentanza del nazionale. Nei suoi
primi mesi di vita, il partito vicentino si dedicò all’attività di proselitismo e alla diffusione di materiale di propaganda. Successivamente
l’impegno organizzativo si concentrò su alcune iniziative editoriali con
le quali si tentò di attirare l’attenzione di un pubblico più vasto, esterno alla cerchia del partito. Nell’inverno del 1942-43, il gruppo azionista
Relazioni. Renato Camurri
193
vicentino mise in piedi la casa editrice Collezioni del Palladio che diede vita ai «Quaderni di cultura moderna», una collana dove a partire
dal gennaio del ’43, con il determinante impulso di Mario Dal Prà, furono pubblicati sei opuscoli di argomento storico, filosofico e letterario.
Giuriolo scrisse un breve saggio su Fogazzaro e un altro, rimasto inedito su La responsabilità sociale della cultura47, Dal Prà sull’universalismo
cristiano, Magagnato sul pensiero di Mazzini, Alfredo Poggi sui rapporti tra fede e ragione, Romolo Murri sulla conoscenza mistica, mentre Alfredo Poggi firmò una biografia di Piero Martinetti, il filosofo milanese che nel ’31 aveva deciso di rifiutare il giuramento imposto dal
regime ai docenti universitari, figura che negli anni ’30 ebbe un ruolo
importante nella formazione di molti giovani intellettuali poi entrati a
vario titolo nelle fila dell’antifascismo militante48..
In questo percorso attraverso gruppi, esperienze politiche e culturali che diedero vita al Partito d’Azione (PdA) vicentino, non si incontra
mai la figura di Ettore Gallo. Risulta pertanto difficile stabilire quali furono i canali utilizzati dal giovane pretore per avvicinarsi alla galassia
azionista e a quando risalga la sua adesione al partito. Gli indizi utilizzabili sono essenzialmente due ed entrambi rimandano ad ambienti
non vicentini: i contatti con i gruppi libaralsocialisti fiorentini di cui
parla Alberto Gallo nel contributo qui raccolto49, e quelli con gli ambienti padovani avviati, con tutta probabilità, nell’autunno del ’4250.
Certo è, invece, il primo contatto con Licisco Magagnato verificatosi nel tardo autunno del 1943. Fu lo stesso Gallo, a distanza di anni, a
confermare questa data, ricordando la circostanza dell’incontro con il
più giovane Magagnato.
Così scrisse Gallo:
... ti presentasti a me, mentre stavo uscendo dalla pretura di Lonigo, con quella
tua nera inseparabile bicicletta e l’accattivante sorriso che ti illuminava il volto: e
mi dicesti che, divenuta difficile per te l’aria di Vicenza, avevi preso alloggio a
Noventa Vicentina col pretesto di una simulata convalescenza, anche per studiare, con l’occasione, il pensiero di C. Cattaneo (di cui portasti poi nella Resistenza
e nella politica l’accorto pragmatismo, oltre all’idea degli Stati Uniti d’Europa).
Ti mettevi, perciò, a disposizione della Resistenza del Basso vicentino.
Eri poco più che ventenne e a me parevi troppo ragazzo ancora per quei tanti
propositi. Ma non sapevo con quale tempra, con quale superlativa intelligenza
io avessi a che fare: soprattutto non potevo immaginare che di lì poco, non tu,
ma la Resistenza leonicena sarebbe stata a tua disposizione. Con quel tuo instancabile andirivieni per tutta la confluenza delle tre province, con quella
194
L’insegnamento di Ettore Gallo
spola continua che tessevi con i centri decisionali del regionale veneto, in
realtà se non l’intera resistenza vicentina, certamente la frangia azionista, l’hai
animata tu: anche se poi al C.L.N. Provinciale mandavi noi a rappresentare il
piccolo, eroico partito...51
Difficile risulta anche stabilire le modalità di partecipazione di
Ettore Gallo alla vita interna del partito. La consultazione dell’Archivio
del PdA non fornisce in tal senso elementi chiarificatori.
In linea generale si può dire che la sua partecipazione sia stata assidua, ma nello stesso tempo limitata. Mi spiego. Gallo fu costantemente membro dell’esecutivo provinciale e, come si legge dai verbali di
questo organismo, intervenne attivamente alle discussioni, ricoprì altre cariche interne, partecipò ai dibattiti congressuali. Godette sempre
di grande considerazione, ottenne sempre larghi consensi nei congressi provinciali e regionali, ma l’impressione che lo storico ricava dalla
lettura delle carte d’archivio è che in realtà l’interesse maggiore di
Gallo fosse indirizzato altrove.
Il suo impegno prevalente fu rivolto al Comitato di Liberazione
Nazionale Provinciale (CLNP) dove fu designato dal PdA (assieme a
Dal Prà, Henny Da Rin, Licisco Magagnato, Jacopo Ronzani), sin dalla
sua fondazione avvenuta, in via definitiva – dopo la conclusione
dell’esperienza del Comitato interpartitico, di cui, per altro, Gallo aveva fatto parte – nei primi giorni dell’ottobre 194352.
Non sono in grado di spiegare compiutamente questo passaggio,
perché mancano riscontri documentari. In questa scelta entrarono sicuramente le sue vocazioni e passioni, entrò anche la formazione giuridica, ma in essa vi fu anche un preciso ragionamento che ispirò alcune
sue prese di posizione durante il periodo di impegno nel CLNP e che in
seguito, a guerra finita, egli ribadì con coerenti prese di posizioni53.
Insomma, l’idea che mi sono fatto è che Gallo avesse in anticipo capito che la vera battaglia per la difesa del programma politico della
Resistenza si sarebbe combattuta all’interno del CLN, ai vari livelli
della sua struttura centrale e periferica, e che quindi scelse di concentrare il suo impegno dentro questo organismo.
4. Il grande mediatore: l’impegno di Gallo nel Comitato di Liberazione
Distingueremo la nostra analisi in due periodi: il primo relativo al
periodo della clandestinità, compreso tra la costituzione del CLNP e
Relazioni. Renato Camurri
195
l’arresto di Gallo avvenuto nel dicembre del ’44, il secondo al periodo
che segue la Liberazione, l’unico di cui si dispone di una sufficiente
documentazione archivistica54.
Per quanto attiene alla fase della clandestinità sappiamo che delegato dal PdA, Gallo svolse importanti missioni per conto del CLNP, concernenti essenzialmente i rapporti con il Comando Militare Provinciale
e con le formazioni partigiane di montagna. Gallo potè in questo modo
stringere legami personali con tutti i più importanti comandati partigiani. Egli era fermamente convinto che bisognava migliorare i rapporti
tra il Comitato e le formazioni partigiane; occorreva, in altre parole,
puntare ad una diversa organizzazione sul territorio.
Lui che in quelle stesse settimane stava sperimentando in prima persona le difficoltà di coordinare sul territorio le esperienze cospirative,
era convinto che in quel momento, la cosa più saggia da fare fosse quella «di concretare una struttura organizzativa portante e decentrante»55,
in grado di coordinare gli sforzi delle neonate formazioni partigiane. In
questa prospettiva, Gallo ritenne decisiva per il rafforzamento della
Resistenza sia la separazione di competenze tra il CLNP e il CMP, sia la
scelta del decentramento, politico e militare, che riteneva di fondamentale importanza e che a posteriori spiegò in questi termini:
... si trattava di un’esigenza in qualche misura imposta dalla necessità delle
difficili comunicazioni, ma per altro verso corrispondente a quel senso nuovo
dell’autonomia locale che si andava avvertendo come reazione al rigoroso
centralismo della dittatura e della monarchia. Esso comportava, poi, anche
l’esperimento, sia pure limitato, di un altro essenziale principio, quello della
“partecipazione” soprattutto popolare alla lotta e alle sue decisioni...56
In altre occasione, a distanza di anni, tornò a chiarire questo concetto
centrale nella sua riflessione sul valore dell’esperienza ciellenistica.
Secondo Gallo i Comitati di Liberazione furono l’espressione dell’unione di tutte le forze politiche dell’Italia democratica prefascista, in nome
della comune lotta al nazifascismo. In questo modo il popolo
si era dato autonomamente un governo e aveva ripreso le armi contro l’occupante nazista: e i governi, come si sa, sono espressione di un indirizzo politico
della maggioranza, che nel caso – non potendovi essere elezioni – era rappresentata da quelli che, con o senza armi, in montagna, nelle pianure e nelle città
si erano intesi in questo nobile scopo...
196
L’insegnamento di Ettore Gallo
Partendo da questi presupposti, Gallo poteva affermare che i CLN
erano «istituzioni popolari di libertà che costruivano lentamente il tessuto democratico della nuova Italia, e dove era possibile garantivano
la democrazia istituzionale su quelle vaste zone libere che i partigiani
riuscivano a controllare»57.
Alla luce di queste considerazioni possiamo dunque interpretare il
ruolo svolto da Gallo, soffermandoci su due degli episodi più famosi
che lo videro protagonista nel periodo precedente al suo arresto. Il
primo riguarda la sua partecipazione in rappresentanza del CLNP, alla riunione svoltasi in località Centrale di Zugliano l’11 novembre del
’44; riunione che secondo Gallo non aveva l’obiettivo di unificare le
varie forze partigiane58, ma più modestamente quello di delimitare in
maniera precisa le diverse zone di influenza, nell’ottica di un migliore
coordinamento delle forze in campo per la quale egli si era battuto sin
dalla nascita del CLNP59. È chiaro, tuttavia, che il ruolo di Gallo in
quell’occasione fu soprattutto politico, chiamato a una difficile mediazione nel tentativo di comporre i contrasti tra le istanze sostenute delle formazioni del Partito comunista e quelle autonome (la brigata
“Mazzini” e la “Sette Comuni”)60.
Al di là degli scarsi risultati ottenuti, l’episodio è interessante perché
svela anche un particolare della personalità del giovane Gallo che è utile rievocare. Al convegno di Centrale di Zugliano partecipò anche il
maggiore inglese John Prentice Wilkinson (“Freccia”) comandante della
Missione inglese per il Veneto61, a causa del quale Gallo subì a Palazzo
Giusti la notte delle torture più dure. I fascisti erano in possesso di un
verbale dell’incontro dove si citava la presenza al convegno del
“Maestro” e di “Freccia” e volevano che Gallo rivelasse chi si nascondeva dietro quest’ultimo nome di battaglia. Gallo in realtà non lo sapeva.
A distanza di anni commentò con queste parole quell’episodio: «non so
se, per quello che mi hanno fatto quella notte, avrei saputo tacere: sta di
fatto che ho dovuto sostenere il ruolo di “eroe per forza” (titolo di un
famoso film) in faccia a Carità che immeritatamente mi credeva deciso
a non parlare è […] ma la verità era che non lo sapevo!»62
Il secondo episodio, altrettanto noto, ci rimanda ad un’altra delicata
missione svolta per conto del CLNP. Si tratta del famoso “caso Marozin”63, il capo della divisione Pasubio, operante nelle valli al confine tra
la provincia di Vicenza e Verona. La vicenda è stata in più occasioni
analizzata per essere nuovamente ricostruita64. Soffermiamoci, dunque,
solo sui fatti essenziali. Uomo dalla forte personalità, capace di atteggiamenti stravaganti, facilmente irritabile e lunatico, dotato di uno
Relazioni. Renato Camurri
197
spiccato senso del comando, Marozin impose alla sua formazione una
rigida disciplina interna, e una linea ispirata ad una completa apoliticità, clamorosamente smentita dall’accordo siglato con la missione Rye
che gli offrì un riconoscimento ufficiale che lo metteva alle dirette dipendenze del re, esonerandolo da qualsiasi altra obbedienza65.
Incurante delle disposizioni del CLNP e del CMP, la sua formazione fu protagonista di discusse azioni militari, condotte senza considerare i rischi per le popolazioni civili, le quali, infatti, a più riprese manifestarono al CLNP le loro lamentazioni66. Il comitato vicentino, dopo
aver invano tentato di arrivare ad una chiarificazione, affidò a Gallo il
compito di “diffidare” Marozin.
Racconta Gallo che quando, superate non poche difficoltà e mettendo a rischio la sua stessa incolumità, riuscì ad ottenere un incontro
con il comandante “Vero”, iniziò a parlargli degli scopi del CLN e del
CMP, esortandolo a muoversi d’intesa con questi organismi, gli spiegò
«che il CLNP, aveva il governo legittimo della provincia perché
Istituzione popolare di libertà, sicchè anche la sua formazione era tenuta ad osservarne le direttive»67.
Insomma, anche in questa difficile situazione il “Maestro” difese il
ruolo dei comitati di liberazione come garanti di un progressivo ritorno alla legalità e come “laboratori” della democrazia della Nuova
Italia; come forme di autogoverno, tema questo sempre presente nella
riflessione di Gallo che andrebbe opportunamente approfondito. In
altre parole Gallo leggeva la vicenda Marozin non tanto e non solo come un atto di insubordinazione, ma come un attacco al CLNP portato
dalle forze badogliane tramite la citata missione Rye.
L’epilogo della vicenda Marozin vide nuovamente la chiamata in
causa di Ettore Gallo. Verso la metà di agosto del ’44, il CLNP prima
dichiarò il Marozin “fuorilegge” e successivamente lo condannò a
morte: Gallo fu l’estensore di questa sentenza68 che, causa l’abbandono del territorio vicentino da parte del comandante “Vero”, non fu
mai eseguita69. Essa, tuttavia, ci conferma l’idea che Gallo aveva elaborato, e costantemente ribadito, circa il ruolo e le funzioni dei comitati
di liberazione. Un ruolo che egli riteneva di primaria importanza anche per quanto riguardava l’attività amministrativa e legislativa svolta dagli stessi organismi.
Nella Relazione di sintesi, Gallo presentò a tal riguardo un bilancio
di luci e ombre. In quelle pagine ricordò i principali atti di “governo”
predisposti dal CLNP: il lancio del prestito patriottico, la preparazione delle liste delle personalità candidate ad assumere incarichi negli
198
L’insegnamento di Ettore Gallo
uffici governativi e negli enti locali70. Le vicende dell’autunno-inverno
del ’44, l’arresto dell’avanzata alleata, l’indebolimento del governo
ciellenestico, gli accordi del dicembre ’44 con il governo di Roma, furono fattori che a parere di Gallo ridussero drasticamente i poteri di
governo del Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia (CLNAI) e
dei comitati provinciali71. Ciononostante, e pur in presenza dell’affermarsi di una chiara strategia tendente ad esautorare il ruolo dei comitati, Gallo ricordò altre decisioni prese dal CLNP che dimostrarono la
volontà di ribadire la capacità di governo da parte di questo organismo: in primo luogo la ferma protesta indirizzata al Governo Alleato
per la gestione dei bombardamenti e in secondo luogo la celebrazione,
ad opera dello stesso Gallo, del matrimonio civile di un comandante
partigiano, la cui validità fu, a guerra finita, riconosciuta da una sentenza definitiva del Tribunale di Vicenza72.
Nella parte relativa all’attività legislativa, la Relazione di sintesi seguì lo stesso metodo analitico. Gallo tese cioè a mettere in evidenza la
capacità del CLNP di superare i vincoli posti dagli accordi di Roma.
In particolare segnalò tre ambiti nei quali si concentrò l’attività del comitato: la gestione della giustizia, la questione dell’epurazione e i problemi del mondo del lavoro, soffermandosi di seguito sulle iniziative
concretamente avviate. Tra queste il testo citava il nuovo quadro normativo pensato per garantire in via transitoria il funzionamento delle
amministrazioni locali, la cui stesura fu affidata dallo stesso CLNP a
Gallo e a un funzionario dell’amministrazione provinciale73. Il giovane
magistrato segnalava anche la bozza di progetto, stesa su incarico del
CLN regionale, dedicata al funzionamento dei Tribunali di guerra,
delle Corti d’Assise popolari e delle Commissioni di giustizia, che fu
in seguito trasmessa al CLNAI74.
Molti dei temi che Gallo affrontò nel CLNP durante il periodo della clandestinità, furono al centro della sua azione politica ed organizzativa anche dopo la Liberazione. Naturalmente la cornice istituzionale era profondamente mutata: i comitati provinciali erano stati ridotti
ad organi di carattere consultivo e subivano le pesanti interferenze
dell’Allied Military Governement (AMG). In pochi mesi anche il sentire della popolazione mutò radicalmente. Come mettono in evidenza
i documenti d’archivio, all’entusiasmo delle prime settimane, subentrò ben presto un sentimento di sfiducia e disillusione nei confronti
delle istituzioni provvisorie75.
Senza entrare nel merito di una valutazione complessiva dell’operato del CLNP nei primi mesi del dopoguerra76, possiamo chiederci
Relazioni. Renato Camurri
199
quale fu il ruolo e quali le iniziative che caratterizzarono l’impegno di
Ettore Gallo in questa fase. Partiamo da un’osservazione di carattere
generale. La lettura dei verbali del CLNP evidenzia in maniera molto
chiara il suo accresciuto peso “politico”. Basti un esempio in tal senso:
fu Gallo nella seconda seduta del “nuovo” CLNP, svoltasi l’8 maggio
1945, a formulare la proposta finale relativa alla ripartizione di compiti tra i vari membri dell’organismo: a lui furono attribuite le “deleghe”
per la giustizia, gli affari legali e politici, oltre ai rapporti con i comitati periferici, le attività politiche e la stampa77.
Sul piano operativo Gallo si accingeva dunque a continuare il lavoro avviato negli ultimi mesi del ’44, prima del suo arresto. Come
emerge da alcuni passaggi della Relazione di sintesi, vi era in lui la piena consapevolezza del depotenziamento subito dai comitati locali.
Nello stesso tempo trovo non casuale che a pochi giorni dalla sopracitata riunione del CLNP, il PdA presenti, nella riunione del 12 maggio
’45, un ordine del giorno del seguente tenore:
Il P.d’A. rilevando che, con la nomina dei dirigenti le pubbliche amministrazioni della città e provincia, il CLN ha esaurito il suo compito di carattere squisitamente amministrativo, che per le funzioni di governo nell’ambito del territorio
della provincia funziona il prefetto, designato dal CLN, chiede che il Comitato
stesso limiti in modo assoluto ed esclusivo la sua attività al campo della epurazione e alle direttive politiche di carattere generale, nonché alla normalizzazione della provincia dove regna il caos. Insiste perché l’energia e l’opera del CLN
non vengano disperse in questioni di carattere esclusivamente amministrativo,
ma siano bensì rivolte ad evitare che attraverso l’AMG il Governo luogotenenziale riesca a valorizzare e consolidare le forze della reazione78.
Non siamo in grado di spiegare come questo testo, approvato dal
CLNP in quella seduta, sia stato elaborato. È pur vero che nelle sue linee portanti questo documento riprende alcune indicazioni fornite
dal CLNAI79, ma viene spontaneo pensare che dietro vi sia la mano e
la mente giuridica di Gallo.
Da quel momento, infatti, la battaglia per la giustizia e il ristabilimento della legalità occuparono gran parte delle sue energie80. Seguì
passo dopo passo la difficile costituzione della commissione di giustizia istituita dal CLNP 81, si oppose alla decisione unilaterale del
Procuratore del regno che aveva ordinato lo scioglimento delle commissioni di istruttoria nominate dal Questore su proposta della stessa
commissione giustizia del CLNP.
200
L’insegnamento di Ettore Gallo
Gallo difese strenuamente queste commissioni che considerava
l’ultimo baluardo contro il totale smantellamento della giustizia ciellenistica, attuato per volontà degli alleati a partire dal 4 maggio 1945
con l’entrata in vigore in tutto il nord del D.L.L. 22 aprile 1945 promulgato dal governo provvisorio di Roma che istituiva le Corti
d’Assise straordinarie82. Così Gallo rievocò quei passaggi:
... soltanto le commissioni istruttorie di Giustizia, proposte a suo tempo dal
CLN vicentino e passate nei decreti del CLNAI, sopravvissero nella nostra
provincia. Infatti, quando lo scrivente assunse le funzioni di Capoufficio del
P.M. presso la Corte d’Assise straordinaria, le ripropose al Governatore alleato. Egli si convinse subito della loro utilità e mise a disposizione l’ufficiale alleato alla Giustizia, autovettura e interprete, per accedere presso tutti i CLN
mandamentali allo scopo di costituire, su designazione di questi ultimi, le
Commissioni Giustizia.
Deve dirsi, tuttavia, che purtroppo il loro funzionamento fu poi piuttosto
scarso a causa dell’incomprensione dei CLN mandamentali che, presi da ben
altre preoccupazioni, sottovalutarono l’importanza di questa funzione83.
L’attività della Corte d’Assise straordinaria fu oggetto di varie critiche e accuse84: le troppe scarcerazioni di fascisti ritenuti pericolosi e
responsabili di vari reati, la mitezza delle pene adottate nei confronti
dei collaborazionisti e le varie assoluzioni, indussero il CLNP a prendere ufficialmente posizione con un comunicato che fu pubblicato sulla stampa locale, nel quale oltre a richiamare l’importanza di arrivare
ad una «giustizia serena ma inflessibile», si invitò la popolazione alla
massima collaborazione85.
Deludenti furono anche i risultati ottenuti dalla commissione di
epurazione nominata nel maggio del ’45 dal CLNP, che scontò il numero esiguo e la genericità delle denunce, spesso affidate all’anonimato86. Se è vero che migliori furono i risultati raggiunti dalla cosiddetta «commissione per il confino», promossa sempre da Gallo in
qualità di commissario alla giustizia del CLNP87, il quadro complessivo che emergeva nel campo dell’amministrazione della giustizia era
dunque sconfortante.
Impegnato in prima persona su questo fronte, Gallo non perse
mai imparzialità ed equilibrio nei suoi giudizi e non risparmiò dure
critiche alle formazioni partigiane. Esemplare in questo senso risultò
la relazione intitolata I CLN in difesa dell’ordine pubblico, presentata il
16 dicembre 1945 al terzo congresso provinciale del CLNP, tutta in-
Relazioni. Renato Camurri
201
centrata sul tema della legalità. In quell’occasione, dopo aver denunciato senza mezzi termini la caotica gestione delle attività di polizia
svolta dalle forze partigiane dopo la Liberazione88, si soffermò ad
analizzare l’aumento della criminalità ordinaria registratosi in quei
mesi affermando che dietro a questo fenomeno vi era anche «l’assuefazione all’illiceità che noi stessi abbiamo determinato nelle coscienze
durante il periodo cospirativo, istigando quotidianamente i cittadini
a disobbedire»89.
Anche l’analisi dell’andamento delle epurazioni portò Gallo a formulare considerazioni altrettanto lucide e disincantate, affermando
che «sono talvolta le vostre stesse denunce che, vaghe e imprecise,
consentono all’imputato di uscirne per il rotto della cuffia», per proseguire poi con il seguente richiamo:
è bene che ci parliamo chiaro, avviene spesso che i Comitati periferici con la
stessa facilità con cui sono pronti a sollevare scandali giornalistici per una denuncia che non ebbe l’esito sperato, siamo altrettanto pronti a rilasciare a destra e a manca compiacenti dichiarazioni discriminatorie a favore di individui
che avrebbero meritato solo disprezzo90.
Il suo era, insomma, un chiaro appello alle forze della Resistenza
perché continuassero la loro battaglia su un nuovo terreno come quello della rieducazione morale delle masse, che in quel momento riteneva una delle condizioni necessarie per evitare la veloce evaporazione
del patrimonio ideale dell’antifascismo.
Mettendo in ordine i diversi pezzi della sua frenetica attività svolta
nei primi mesi dopo la Liberazione, si ricava la sensazione che egli
avesse presto intuito il cambiamento del clima politico in atto. Si stava, in altre parole, preparando l’avvio del processo politico alla
Resistenza che anticipò i processi giudiziari che di lì a poco anche nella nostra provincia si aprirono nei confronti di alcuni partigiani91.
Di fronte a questa situazione Gallo era convinto che in quel preciso
momento la lotta per la difesa della Resistenza si doveva identificare
totalmente con quella che, citando Jhering, chiamò «la lotta per il diritto»; l’impegno al quale dedicò il resto della sua vita.
Nel 1965, in occasione del ventennale della Liberazione Gallo ricordò che
al fondo della lotta, della rivoluzione che portavamo colla nostra guerra, c’era
però il senso profondo della legalità, della legittimità dello Stato di cui pro-
202
L’insegnamento di Ettore Gallo
prio noi “ribelli” eravamo i rappresentanti e i portatori, e non quelli che vantavano di difendere l’ordine costituito.
Questa certezza di essere gli autentici rappresentanti del legittimo Stato italiano, quello del popolo, quello della democrazia e della civiltà, era sempre immanente in ogni nostro comportamento, direi indipendentemente dalle speranze di una vittoria delle nostre armi e della guerra alleata. Era qualcosa di
diverso dalla particolare idea politica che ciascuno di noi poteva professare, o
dai motivi psicologici o emozionali del gruppo sociale da cui si proveniva, e
persino dall’idea stessa di Libertà, che pur costituiva il generico denominatore
comune della ritrovata unità antifascista...92
Relazioni. Renato Camurri
203
Note
1. N. Bobbio, Elogio della mitezza e altri scritti morali, Milano 1998, pp. 39-40. La
prima versione di questo testo, nato come conferenza tenuta a Milano nel marzo del
1983, fu pubblicata nel dicembre 1993 in allegato alla rivista «Linea d’ombra».
2. Ivi, p. 44.
3. Sui problemi metodologici relativi all’uso delle biografie cfr. A. Riosa (a cura di), Biografia e storiografia, Angeli, Milano 1983, G. Levi, Les usages de la biographie, «Annales», 6 (1989), pp. 1325-1336, E. Mana, La biografia politica: alcune osservazioni sulla produzione italiana recente, «Ricerche di storia politica», 10 (1995),
pp. 101-116.
4. Toccante risulta in tal senso la ricostruzione della conversazione avuta da
Adriano Sofri nel carcere di Pisa con Ettore Gallo il 12 giugno 1998. Vedi A. Sofri,
Ettore Gallo una vita difficile, «La Repubblica», 5 luglio 2001.
5. Vedi a questo proposito F.P. Casavola, Ettore Gallo, Napoli 2002.
6. Cfr. A. Trentin, Antonio Giuriolo (un maestro sconosciuto), Neri Pozza, Vicenza
1984. Un’altra eccezione potrebbe essere considerata quella di Masaccio (Primo
Visentin), trevigiano di origine, comandante della brigata “Martiri del Grappa”,
operante anche in territorio vicentino. Su di lui vedi G. Corletto, Masaccio e la
Resistenza fra il Brenta e il Piave, ivi, 1965 (più volte ristampato), L. Vanzetto,
Masaccio, intellettuale e partigiano di estrazione contadina, «Storia e Cultura», 4 (1991),
e B. Gramola, “Monte Grappa tu sei la mia Patria”. La Brigata “Martiri del Grappa”,
Vicenza 2003, ad indicem. Sul tema delle biografie partigiane vedi l’interessante lavoro di R. Perry Alan, Il santo partigiano martire. La retorica del sacrifico nelle biografie
commemorative, Longo, Ravenna 2001.
7. Più ampia, appare invece la letteratura dedicata ai “quadri” intermedi della resistenza vicentina. Tra gli esempi che si possono citare segnaliamo: M. Faggion, G.
Ghirardini, N. Unziani, Malga Campetto nella storia della Brigata Garemi, Schio 1989, M.
Faggion, G. Ghiradini, Figure della resistenza vicentina. Profili e testimonianze, a cura di
E.M. Simini, Schio 1997, B. Gramola (a cura di), Fraccon e Farina cattolici nella resistanza, Vicenza 2001. Tra l’autobiografia e la biografia si colloca invece il bel volume di
E. Franzina, E.M. Simini, “Romero”. Igino Piva, memorie di un internazionalista,
Odeonlibri, Schio 2001. Per un bilancio complessivo delle biografie, comprese quelle
apparse in lavori di carattere enciclopedico, vedi G. Cisotto, La resistenza nel vicentino. Tra storia e storiografia, in S. Perini (a cura di), Tempi, uomini ed eventi di storia veneta. Studi in onore di Federico Seneca, Minelliana, Rovigo 2003, pp. 546-548.
204
L’insegnamento di Ettore Gallo
8. Vedi infra, pp. 00-00.
9. Civiche Raccolte Storiche-Museo del Risorgimento e della Resistenza
Vicenza (d’ora in avanti CRS-MRRV), Archivio Partito d’Azione.
10. Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea della provincia
di Vicenza “Ettore Gallo”, Archivio Gallo (d’ora in avanti ISTREVI, AG) in fase di
riordino.
11. Vedi E. Gallo (a cura di), Relazione di sintesi sui rapporti particolari del C.L.N.
provinciale del Comando militare provinciale e della Divisione “Vicenza”, in Atti del convegno di studio La resistenza nel vicentino, Istituto per la storia della resistenza nelle
Tre Venezie-Comune di Vicenza, Vicenza 25 gennaio 1976 (copia dattiloscritta),
pp. 1-41. Si tratta di un testo pieno di interessanti riflessioni sui caratteri e sull’organizzazione della Resistenza nel vicentino.
12. Segnaliamo, per quanto riguarda le vicende che qui ci interessano, la prefazione al volume di B. Gramola, La formazione del Partito d’Azione vicentino. La Brigata
Rosselli, Rossato Editore, Valdagno 1997, pp. 7-18; Id., Resistenza e Costituzione, in
Aa.Vv., Il Veneto nella resistenza, Associazione degli ex Consiglieri della Regione
Veneto, Venezia 1997; Id., Giustizia e Resistenza, in E. Collotti, R. Sandri, F. Sessi (a
cura di), Dizionario della Resistenza, vol. II, Einaudi, Torino 2001, pp. 677-699.
13. ISTREVI, AG, Ricorso di Ettore Gallo alla Commissione triveneta per il riconoscimento della qualifica di partigiano, Vicenza 10 giugno 1946.
14. Ivi, p. 2.
15. Cfr. Il Comando provinciale Militare, in La resistenza nel vicentino, Atti del convegno di studio promosso da Istituto per la Storia della Resistenza nelle Tre VenezieComune di Vicenza, Vicenza 25 gennaio 1976 (copia dattiloscritta), p. 15.
16. Vedi Gallo (a cura di), Relazione di sintesi, cit., p. 22.
17. ISTREVI, AG, f. Brigata Tre Stelle, Verbale d’adunanza, 17 luglio 1944.
18. Ivi, p. 2.
19. Ibidem.
20. ISTREVI, AG, f. Brigata Tre Stelle, Verbale d’adunanza, p. 3.
21. Ivi, p. 4.
22. ISTREVI, AG, Dichiarazione dell’Esecutivo Militare della Brigata Tre Stella, 11
agosto 1944 e Decisione concernente il nominato Mirko, ex-cassiere della Zona Tre Stelle,
15 agosto 1944.
23. Ivi, p.2.
24. La nascita della brigata viene ricostruita in B. Gramola (a cura di), La formazione del Partito d’Azione, cit., pp. 95-103. Il testo completo della lettera si trova
ivi, p. 76.
25. ISTREVI, AG, Ricorso, cit., p. 2.
26. Il riferimento a questo incontro non trova riscontri nella letteratura resistenziale. È probabile che si tratti di un errore e che Gallo si riferisca alla riunione
di Centrale di Zugliano di cui si parla diffusamente più avanti in questo stesso
contributo.
27. Vedi T. Dogo Baricolo (a cura di), Ritorno a Palazzo Giusti. Testimonianze dei
Relazioni. Renato Camurri
205
prigionieri di Carità a Padova (1944-1945), La Nuova Italia, Firenze 1972, pp. 166171, dove Gallo rievoca la sua prigionia e la figura di Luigi Faccio con cui condivise quell’esperienza.
28. Un buon punto di appoggio è costituito dal lavoro di F. Bonfini, Il Partito
d’Azione a Vicenza, tesi di laurea, Università di Roma La Sapienza, Facoltà di
Scienze Politiche, a.a. 1996-97, rel. P. Scoppola.
29. Vedi A. Trentin, Antonio Giuriolo, cit., pp. 27-28.
30. Sull’influsso di Capitini sul giovane Giuriolo e sugli incontri diretti tra i
due cfr. ivi pp. 28-32 e pp. 38-39.
31. Vedi la ricostruzione di E. Niccolini in F. Frassati (a cura di), Il contributo
dell’università di Pisa e della Scuola Normale Superiore alla lotta antifascista ed alla guerra di Liberazione, Atti del convegno 24/25 aprile 1985, Giardini, Pisa 1989, pp. 96-99.
32. Trentin ricostruisce con precisione gli spostamenti di Giuriolo in questo
periodo, tracciando una mappa delle personalità con le quali Giuriolo entrò in
contatto, cfr. A. Trentin, Antonio Giuriolo, cit., pp. 42-47.
33. Per una recente ristampa del testo vedi G. Calogero, Difesa del Liberalsocialismo, Marzorati, Milano 1972.
34. Licisco Magagnato (Vicenza 1921-Venezia 1987), è un’altra figura dell’azionismo e della Resistenza vicentine che andrebbe adeguatamente rivisitata. Su di
lui si veda almeno A. Colla, N. Pozza (a cura di), Licisco Magagnato 1921-1987,
Neri Pozza, Vicenza 1987.
35. La formazione politica e culturale di questo gruppo, avvenuta negli anni
’40 tra Littoriali della cultura e i primi contatti con gli ambienti antifascisti, e l’incontro con Giuriolo vengono magistralmente raccontati da L. Meneghello, Fiori
italiani, Rizzoli, Milano 1976, pp. 141-182.
36. Su questo tema, e su quello del rapporto tra intellettuali e regime, ci limitiamo a segnalare i lavori più significativi: R. Zangrandi, Il lungo viaggio attraverso
il fascismo, Feltrinelli, Milano 1963; M. Isnenghi, Intellettuali militanti e intellettuali
funzionari. Appunti sulla cultura fascista, Einaudi, Torino 1979 (in particolare le pp.
170-175, 248-251, 255-257); U. Alfassio Grimaldi, M. Addis Saba, Cultura a passo romano. Storia e strategia dei Littoriali della cultura e dell’arte, Feltrinelli, Milano 1983;
L. La Rovere, Storia dei GUF. Organizzazione, politica e miti della gioventù universitaria fascista (1919-1943), Bollati Boringhieri, Torino 2003.
37. Cfr. a tal proposito E. Franzina, Storia di giovani. Le stagioni dei piccoli maestri
e la resistenza nel vicentino, in Aa.Vv., Anti-eroi. Prospettive e retrospettive sui “Piccoli
maestri” di Luigi Meneghello, Pierluigi Lubrina Editore, Bergamo 1987, pp. 57-85.
38. Cfr. M. Mirri, Fra Vicenza e Pisa, cit., pp. 267-268 e pp. 293-295 e p. 300 dove
l’autore ricorda che Ferrari, nonostante le sue precarie condizioni di salute (soffriva sin da giovane di una miocardite di origine reumatica), che lo costringevano a
non allontanarsi dalla sua casa a Piovene Rocchette, dopo l’8 settembre diede un
contributo attivo all’organizzazione clandestina. Sulla sua biografia politica vedi i
contributi raccolti in Aa.Vv., Francesco Ferrari. Scritti e testimonianze, Neri Pozza,
Vicenza 1986, mentre sulla sua esperinza come dirigente del Pci si rimanda a G.
Pupillo, Il pesciolino rosso. I comunisti a Vicenza dal 1942 al 1990, Ergon Edizioni,
Vicenza, ad indicem.
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L’insegnamento di Ettore Gallo
39. M. Mirri, Fra Vicenza e Pisa, cit., p. 279.
40. Sulla sua figura di insegnante e studioso vedi F. Volpi (a cura di), Ars
majeutica. Studi in onore di Giuseppe Faggin, Neri Pozza, Vicenza 1985.
41. Ivi, pp. 279-282.
42. Ivi, p. 279. Mario Dal Prà (Montecchio Maggiore, Vicenza 1914-Milano
1992), rievocò le sue origini, la sua formazione giovanile e universitaria, nonché la
sua esperienza (divisa tra Veneto e Lombardia) nella Resistenza in M. Dal Prà, F.
Minazzi, Ragione e storia. Mezzo secolo di filosofia italiana, Rusconi, Milano 1992, pp.
9-139. Sul suo ruolo nel Partito d’Azione vicentino cfr. F. Bonfini, Il Partito
d’Azione a Vicenza, cit., pp. 21 sgg.
43. A. Trentin, Antonio Giuriolo, cit., pp. 75-78. Sugli incontri nella casa in collina dei Giuriolo si veda il ricordo di N. Bobbio, L’uomo e il partigiano, in A.
Barolini, Per Antonio Giuriolo, Vicenza 1966, pp. 22-23.
44. C.L. Ragghianti, Disegno della Liberazione italiana, Nistri Lischi, Pisa 1954, p.
276.
45. Cfr. G. De Luna, Storia del Partito d’Azione 1942-1947, Roma, 19972, p. 27.
46. Ivi, p. 34, oltre a A. Trentin, Antonio Giuriolo, cit., p. 85.
47. Brani di questo inedito sono ivi pubblicati alle pp. 89-90.
48. Sulla genesi della collana vedi M. Dal Prà, F. Minazzi, Ragione e storia, cit.
p. 101. L’elenco completo delle pubblicazioni, con i titoli originali si trova ivi alle
pp. 135-136, nota n. 14. Fu il caso, ad esempio, di Guido Piovene e Eugenio
Colorni, sul cui rapporto mi permetto di rinviare al mio contributo Il “lungo viaggio” di Guido Piovene nell’Italia fascista, in S. Strazzabosco (a cura di), Guido Piovene
tra idoli e ragione, Marsilio, Venezia 1996, pp. 139-171 e più diffusamente a S.
Gerbi. Tempi di malafede: una storia italiana tra fascismo e dopoguerra Guido Piovene ed
Eugenio Colorni, Einaudi, Torino 1999.
49. Vedi supra alle pp. 00-00.
50. Gallo fa cenno alle riunioni tenutesi a Padova presso l’Istituto di farmacologia diretto da Egidio Meneghetti, senza tuttavia chiarire quale fu il suo ruolo.
Cfr. la sua testimonianza in Comitato nazionale dell’ANPI (a cura di), Memoria e
attualità della resistenza per la democrazia. 13º Congresso nazionale dell’ANPI, PadovaAbano Terme 29-31 marzo 2001, Atti, Roma 2002, p. 10.
51. Vedi E. Gallo, Impegno morale e lotta per la libertà, in A. Colla, N. Pozza (a
cura di), Licisco Magagnato, cit., pp. 34-35.
52. Un buon punto di riferimento per quanto attiene la formazione del CLMP
rimangono le annotazioni contenute in Istituto per la storia della Resistenza nelle
Tre Venezie-Comune di Vicenza, La resistenza nel vicentino, cit., pp. 1-34.
53. Vedi, in particolare, E. Gallo (a cura di), Relazione di sintesi, cit., pp. 1-4.
54. Cfr. M.G. Maino (a cura di), Politica e amministrazione nella Vicenza del dopoguerra. Verbali del Comitato di Liberazione Nazionale provinciale, 7 maggio 1945-3 luglio 1946, Neri Pozza, Vicenza 1997, e in particolare per quanto concerne il dibattito storiografico sul ruolo e la funzione del CLN si rimanda alla Prefazione di E.
Franzina, ivi, pp. 1-6.
55. E. Gallo (a cura di), Relazione di sintesi, cit., p. 17.
Relazioni. Renato Camurri
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56. Ivi, p. 18.
57. E. Gallo prefazione a B. Gramola, La brigata Rosselli, cit., pp. 10-11.
58. In realtà la situazione era molto più complessa, come si può dedurre analizzando la genesi di questa riunione che prendeva spunto dal tentativo del comando della brigata garidaldina “Garemi” di arrivare ad un comando unico delle
formazioni di montagna. Sulla vicenda vedi G. Zorzanello (a cura di), “Che almeno
qualcuno sappia questo”. Archivio storico della brigata Stella 19 settembre 1944-1 gennaio 1945, Scripta Edizioni, Valdagno 1996, pp. 40-41.
59. E. Gallo, Prefazione a B. Gramola, La brigata Rosselli, cit., p. 16.
60. Vedi il verbale della riunione riportato in G. Zorzanello, “Che almeno qualcusno sappia”, cit, pp. 202-203 e E. Gallo, Dall’unità antifascista la resistenza armata,
«Vicenza», maggio-giugno 1965, p. 62.
61. Sulla sua figura vedi adesso E. Ceccato, Freccia, una missione impossibile,
Cierre, Verona 2004.
62. E. Gallo, Prefazione a B. Gramola, La brigata Rosselli, cit., p. 17.
63. Si tratta di Giuseppe Marozin (Arzignano, Vicenza 1915-Chiampo, Vicenza
1966). Su di lui oltre alla memoria autobiografica F. Catalano (a cura di), Giuseppe
Marozin, Odissea partigiana. I 19 della Pasubio, Milano 1965, si veda la voce di J.P.
Jouvet in Dizionario della resistenza. Luoghi, formazioni, protagonisti, vol. II, Einaudi,
Torino 2001, pp. 578-579.
64. Cfr. Istituto per la storia della resistenza nelle Tre Venezie-Comune di
Vicenza, La Resistenza nel vicentino, cit. pp. 21-23.
65. Sulla missione Rye vedi C. Saonara (a cura di), Le missioni alleate e la
Resistenza nel Veneto. La rete di Pietro Ferraro e dell’OSS, Marsilio, Venezia 1990, p.
316. Circa i contrasti tra la Rye, la formazione di Marozin e il Comitato di liberazione Regionale si rimanda a E. Brunetta, Introduzione a Il Governo dei C.L.N. nel
Veneto. Verbali del Comitato di Liberazione Nazionale Regionale Veneto (6 gennaio
1945-4 dicembre 1946), Neri Pozza, Vicenza 1984, p. 11.
66. Sull’atteggiamento delle popolazioni nei confronti del Marozin vedi G.
Zorzanello (a cura di), “Che almeno qualcuno sappia questo”, cit., pp. 47-48.
67. Vedi E. Gallo, Prefazione a B. Gramola, La Brigata Rosselli, cit., p. 13.
68. Cfr. G. Campagnolo, L. Cerchio, A.E. Lievore (a cura di), Contributo per la
storia della resistenza nel vicentino, [s.d.], p. 43, copia dattiloscritta depositata presso
la Bibioteca Civica Bertoliana di Vicenza.
69. Anche su questo passaggio (vedi ivi, pp. 14-15), Gallo aggiunge qualche
nuovo particolare.
70. Copia del documento elaborato datato 14 settembre 1944 si trova in appendice a G. Campagnolo, L. Cerchio, A.E. Lievore, Contributo per la storia, cit., p. 175.
Il nome di Gallo era indicato per la carica di Prefetto.
71. Cfr. E. Gallo, Relazione di sintesi, cit., pp. 28-29.
72. Si veda, per la stessa tipologia di atto, ISTREVI, AG, f. CLN Vicenza, documentazione varia relativa al matrimonio civile tra Alberto Sartori (“Loris”) e
Anna Maria Marini (“Nadia”).
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L’insegnamento di Ettore Gallo
73. Secondo quanto Gallo segnalò il lavoro rimase incompleto e andò distrutto
in seguito all’arresto del funzionario della provincia. Vedi E. Gallo (a cura di),
Relazione di sintesi, cit., p. 31.
74. Anche di questo documento non rimase traccia. Ivi, p. 32.
75. Vedi G. Pupillo, Il pesciolino rosso, cit., pp. 65-66.
76. Ivi, pp. 73-80.
77. M.G. Maino (a cura di), Politica e amministrazione, cit., p. 65.
78. Ivi, p. 68 (corsivi nel testo).
79. Ci riferiamo a G. Grassi (a cura di), Verso il governo del popolo. Atti e documenti del CLNAI, 1943-1946, Feltrinelli, Milano 1977, doc. 54.
80. Non tutte in realtà, in quanto Gallo fu preso da una miriade di incombenze
di carattere amministrativo e fu spesso chiamato a dirimere complesse problematiche relative ai rapporti con le autorità militari e civili.
81. La vicenda viene ricostruita da M.G. Maino (a cura di), Politica e amministrazione, cit., pp. 30 sgg.
82. Su questa legge e sulle successive modifiche introdotte si rimanda a G.
Neppi Modona, La magistratura e il fascismo, in G. Quazza (a cura di), Fascismo e società italiana, Einaudi, Torino 1973, pp. 167-181, R. Canosa, P. Federico, La magistratura in Italia dal 1945 ad oggi, Il Mulino, Bologna 1974, pp. 122-143, ai contributi
raccolti in L. Bernardi, G. Neppi Modona, S. Testori, Giustizia penale e guerra di liberazione, Milano 1984, oltre che al saggio di C. Pavone, La continuità dello Stato:
Istituzioni e uomini, in Id. (a cura di), Alle origini della repubblica. Scritti su fascismo,
antifascismo e continuità dello Stato, Bollati e Boringhieri, Torino 1995, pp. 123-159.
83. E. Gallo (a cura di), Relazione di sintesi, cit., p. 33. Sulla ricostituzione delle
commissioni cfr. la versione di M.G. Maino (a cura di), Politica e amministrazione,
cit., p. 31.
84. Sul suo funzionamento vedi il contributo di M. Massignani, Le sentenze della Corte d’Assise straordinaria di Vicenza nell’anno 1945, «Venetica», 5 (2002), pp.
137-154, mentre per un quadro comparativo relativo alle altre province venete rimandiamo al numero monografico della stessa rivista intitolato Processi ai fascisti
1945-1947, 1 (1998), pp. 47-205.
85. Ivi, pp. 231-32.
86. L’unico tentativo di analisi del fenomeno delle epurazioni è quello presentato ivi, alle pp. 50-53. Un documento interessante per capire il clima in cui lavoravano gli organismi preposti all’epurazione è quello di Mario Orefice, del PdA, con
il quale il 9 ottobre 1945 annunciò al suo partito le dimissioni da membro della
Commissione provinciale d’Appello Epurazione Dipendenti Aziende private.
Vedi CRS-MRRV, b. 4. Per quanto riguarda il quadro nazionale cfr. H. Woller, I
conti con il fascismo. L’epurazione in Italia 1943-1948, Il Mulino, Bologna 1997.
87. Ivi, pp. 50-51.
88. Brani della relazione sono citati in G. Pupillo, Il pesciolino rosso, cit., p. 70.
89. Ibidem.
90. Ibidem.
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91. Vedi a tal riguardo E. Franzina, L’azione politica e giudiziaria contro la resistenza (1945-1950), in M. Isnenghi, S. Lanaro (a cura di), La Democrazia Cristiana dal
fascismo al 18 aprile. Movimento cattolico e Democrazia Cristiana nel Veneto. 19451948, Marsilio, Venezia 1978, pp. 220-259.
92. E. Gallo, Dall’unità antifascista la resistenza armata, «Vicenza. Rivista della
provincia», 3 (maggio-giugno 1965), cit., p. 17.
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