(1818-1883) a.a. 2010\2011 Prof. Vincenzo Romania Nascono nell’800 in una epoca di grande mutamento sociale. Non cercano di spiegare le dinamiche di piccoli gruppi, o le situazioni di comunicazione interpersonale, ma si preoccupano piuttosto di studiare in generale cosa significhi per un individuo vivere in una società. Il modello di riferimento è la psicologia delle masse, ma anche lo sviluppo delle scienze mediche e dal ‘900 della psicologia. Si sviluppano negli stati che vedono per prime il consolidarsi degli stati nazionali: Francia, Germania, Regno Unito. Seppure siano ancora lontane dallo svillupare una riflessione sulle tecniche di raccolta dei dati, questi studi sono una prima esplorazione nella metodologia delle scienze sociali, ovvero nello studio di cosa sono e come vanno analizzati i fatti sociali. In particolare si studiano: il mutamento sociale, la differenziazione, il rapporto uomo/istituzioni. Il metodo più ricorrente è l’analisi storico-comparativa, ma anche l’analisi statistica di dati di seconda mano. Alla pubblicazione di testi di sociologia non corrisponde ancora una istituzionalizzazione della materia nelle università europee. Il suo pensiero è sicuramente filosofico; La sua opera ha anche un importante rilevanza storica, poiché innova il modo di fare storia; La sua opera scientificamente più importante e citata è Il Capitale (1863) testo di economia politica; Come vedremo, gli studi sull’ideologia, il capitalismo, l’alienazione nel processo industriale, le classi sociali, fondano la riflessione sociologica. Pur tuttavia, nell’opinione pubblica è conosciuto soprattutto per il Manifesto del partito comunista (1848), scritto insieme ad Engels e per la teoria e prassi politica da esso desunta e successivamente sviluppata. I cosiddetti marxisti sono spesso persone che non conoscono Marx. Il pensiero di Marx è quindi attraversato da una dimensione utopica e da una analitica-scientifica. La dimensione utopica, parimenti ad una religione, ha l’ambizione trascendentale di realizzare una società priva di qualsiasi differenza di classe e di ceto. Il Marx analitico si occupa invece: a) di comprendere le ragioni storiche per cui avvengono le rivoluzioni; b) di fornire un modello generale del capitalismo. Il nostro interesse andrà ovviamente alla seconda dimensione, indipendentemente dal valore storico-politico della filosofia politica che ispira la prima. È uno dei suoi primi scritti giovanili, risale al periodo liceale. In esso viene delineato l’idea comunitarista del suo pensiero, espressa come realizzazione dell’individuo nei fini collettivi condivisi. «Il criterio principale che ci deve soccorrere nella scelta d’una condizione è il bene dell’umanità, la nostra perfezione. Non si obietta che i due interessi potrebbero contrapporsi ostilmente l’un l’altro, che l’uno dovrebbe distruggere l’altro; la natura dell’uomo è tale che egli può raggiungere la sua perfezione individuale solo agendo per il perfezionamento, per il bene dell’umanità…La storia chiama grandi uomini quelli che, mentre operavano per la comunità, nobilitario sé stessi» Scopo dell’analisi di Marx è quello di confutare l’idealismo che pregnava tutta la filosofia tedesca del suo tempo e di scoprire, quello che egli chiama il vero soggetto della storia. Si appoggia perciò su Hegel che individuava nella sfera civiile un forte egoismo che non portava alla partecipazione alle decisioni ed alla vita dello stato. L’individuo che agisce viene così subordinato agli ideali della partecipazione politica incarnati dallo stato, che diventa la forza motrice dello sviluppo sociale. Lo Stato, come la religione, afferma Marx, fanno partecipare l’individuo ad un mondo irreale e fantastico di armonia, bellezza e felicità, mentre la loro vita quotidiana si svolge in un mondo di dolore e miseria. Secondo Marx, anche l’ideale della partecipazione politica sostenuto da Hegel è illusorio. Per realizzare la vera democrazia è necessario superare il contrasto fra egoismo individualista e dimensione sociale dello Stato, garantendo a tutti il diritto di partecipare attivamente alla vita politica (suffragio universale). Sono l’opera marxista in cui più chiara è la critica contro Stato e Chiesa. È questo il periodo in cui lo stato prussiano lo espelle prima dalla Germania e poi dalla Francia, a causa della sua fede ebraica e delle sue idee. La sua posizione, quindi, non è ateistica ma antiistituzionale: «La soppressione della religione in quanto felicità illusoria del popolo è il presupposto della sua vera felicità. La necessità di rinunciare alle illusioni sulla propria condizione, è la necessità di rinunciare a una condizione che ha bisogno di illusioni. La critica della religione è quindi, in germe, la critica della valle di lacrime di cui la religione è aureola» Con i Manoscritti del 1844, Marx si sposta verso il crinale utopico, sostenendo che una vera e propria revisione del modo di vivere assoggettato tipico degli abitanti degli stati moderni non può essere superato se non da una «prassi rivoluzionaria» e questa non può essere condotta se non dalla classe che lui ritiene più universale, ovvero il proletariato: «una classe con catene radicali…che, per la sua sofferenza universale, possiede un carattere universale3, e non rivendica un diritto particolare, perché non ha subìto un torto particolare, bensì l’ingiustizia di per sé, assoluta» A differenza di come il marxismo ci è stato raccontato dai libri di storia, Marx chiedeva alla classe dominata soprattutto un azione di revisione intellettuale del modo di vivere e non una rivoluzione violenta o antidemocratica. Il suo modello, in effetti, non prevedeva un esito simile a quello prodottosi in Unione Sovietica o a Cuba: « Quando il proletariato annuncia la dissoluzione dell’ordinamento tradizionale, la dissoluzione effettiva di questo ordine sociale…Come la filosofia trova nel proletariato le sue armi materiali, così il proletariato trova nella filosofia le sue armi intellettuali» Ma i Manoscritti sono soprattutto una critica alla razionalità costi/benefici che informava l’economia politica del tempo. Marx riteneva infatti disumano parlare allo stesso modo di merci, capitale, prezzi e lavoratori, senza considerare questi ultimi come esseri umani capaci di scegliere e di creare autonomamente. In effetti, in tale riflessione, Marx è piuttosto un liberale: la sua critica al capitalismo è infatti una critica al fatto che i lavoratori (di fabbrica) vengono posti in una condizione di completo assoggettamento, nella quale non possono esprimere le proprie capacità. «L’economia politica non conosce, dunque, l’operaio disoccupato, l’uomo operaio che trova al di fuori di questo rapporto di lavoro. Il ladro, il mariuolo, il mendicante, il disoccupato, l’affamato, il lavoratore miserabile e delinquente, sono figure che non esistono per essa economia politica, bensì solo per altri occhi, quelli del medico, del giudice, del becchino.. L’alienazione è quindi la perdita delle caratteristiche intellettuali e creative di dominio sulla natura che distinguono gli esseri umani dagli animali. L’individuo isolato che compie azioni di appropriazione per la sopravvivenza è secondo Marx una invenzione dell’economia capitalista che ne degrada la natura. (vedi prossima slide) La produzione diventa quindi una attività volta al solo soddisfacimento dei bisogni basilari dell’individuo: “L’uomo torna all’abitazione in caverne, ma in una forma di estraneità e di ostilità. Il slvaggio nelal sua caverna – elemento naturale e sereno che gli dà gioia e protezione – non si sente estraneo, o piuttosto si sente così familiarmente come il pesce nell’acqua. Ma l’abitazione-sottosuolo del povero è una abitazione ostile, che <<sta come una potenza estranea, che gli si concede soltanto per il suo sudore di sangue>> (Manoscritti economico-filosofici: 243). Anche il capitalista è alienato, poiché il capitale, le leggi del denaro e la sua proprietà privata dominano anche la sua esistenza: “Il suo godimento è solo cosa secondaria, un riposo, subordinato alla produzione, un riposo, subordinato alla produzione, godimento calcolato, dunque anch’esso economico, chè egli mette il suo godimento nel costo del capitale, e quindi il suo godimento gli cosa solo quanto di ciò che ha dissipato in esso è risarcito dalla riproduzione del capitale con profitto. Il godimento è così sussunto sotto il capitale, e l’individuo che gode sotto quello che capitalizza, mentre prima (nella società feudale) avveniva il contrario” (ibid., 229) Nei Manoscritti Marx parla per la prima volta di comunismo, in sostituzione del termine democrazia usato nei contributi precedenti. Anticipando e prendendo in qualche modo le distanze dalle applicazioni storiche successive del comunismo, egli individua un comunismo rozzo dal quale si distacca ed un comunismo proprio che si basa non sulla soppressione totale della proprietà privata, ma soprattutto del suo carattere di autoalienazione dell’uomo. Il comunismo viene quindi definito come “ritrono completo, consapevole” alla ricchezza dello sviluppo storico dell’uomo. Questo ritorno prevede un superamento dell’egoismo capitalista e una tensione alla comunità. Il modello originario di comunista non prevede quindi un modello statale o sociale prevalente ma un intento di accrescimento delle potenzialità umane. Sviluppata nella Ideologia Tedesca (1845-6), insieme ad Engels, vede la storia come il processo in cui gli uomini creano e soddisfano continuamente i loro bisogni, generandone al tempo stesso sempre di nuovi. Questo processo “creativo” differenzia la società creando nuovi ruoli, nuove occupazioni, nuove istituzioni. Questa concezione supera le altre visioni della storia idealistiche e teleologiche, tipiche della filosofia metafisica. In tal senso, anche il materialismo storico ha una importanza propriamente “sociologica”. “La storia non è altro che la successione delle singole generazioni, ciascuna delle quali sfrutta i materiali, i capitali, le forze produttive che le sono stati trasmessi da tutte le generaizoni precedenti, e quindi da una parte continua, in circostanze del tutto cambiate, l’attività che ha ereditato; d’altra parte modifica le vecchie circostanze con un’attività del tutto cambiata” (Ideologia Tedesca, 1845-6 Come conseguenza del materialismo storico, Marx produce una analisi storico-comparativa delle diverse epoche storiche studiandole come “stadi” di evoluzione del sistema di divisione del lavoro: “ I diversi stadi di sviluppo della divisione del lavoro sono altrettanto forme diverse della proprietà; vale a dire, ciascun nuovo stadio della divisione del lavoro determina anche i rapporti fra gli individui in relazione al materiale, allo strumento e al prodotto del lavoro” (ibid.: 9). Le società con il modello di stratificazione più semplice sono quelli tribali, in cui la divisione più importante è quella di genere, nelle quali le donne non hanno un ruolo produttivo come gli uomini, ma esclusivamente domestico\educativo. In queste società prevale lo scambio: non si produce in eccedenza ai bisogni della comunità e la differenziazione è minima; la proprietà è comune. Esempi: le società nomadi di caccia, raccolta, pastorizia. L’aumento della popolazione nelle tribà, i conflitti fra le tribù che entrano in contatto e l’assoggettamento dei più deboli vanno di aprti passo all’aumento della divisione del lavoro. La prima forma di stratificazione verticale è composta da capifamiglia patriarcali, al vertice; membri della tribù al di sotto e infine gli schiavi. Fra le tribù si sviluppano diversi sistemi di produzione ed approviggionamento e questo dà vita sia al commercio che alla guerra. Lo scambio di merci, bestiame, metalli, schiavi si fonda dapprima sul baratto e poi sull’uso del denaro. Ciò da vita a relazioni di interdipendenza ed allo sviluppo di società più ampie. Marx sviluppa modelli di sviluppo differenziati per le società europee e per quelle orientali, dalle società tribali a quelle classiche. L’indice più evidente della specializzazione nell’ambito del lavoro che ha origine con il passaggio alle società classiche, dice Marx risiede nel contrasto fra la città e la campagna, che ha origine con l’urbanizzazione. La società antica, sorge in effetti, come uninone di più tribù in una città, mediante patto o conquista. La società antica, in quanto civiltà urbana, è la prima forma di società divisa in classi. Le classi sorgono allorché il sovrappiù originato dalla ricchezza appropriata privatamente diventa sufficiente perché un gruppo si riproduca per cooptaizone e si separi nettamente dalla massa dei produttori. Durante l’intera storia di Roma, la classe dominante è legata alla proprietà privata della terra. La crescita della popolazione, e le imprese militari portano a un’estensione della schiavitù e ad una concentrazione crescente della proprietà terriera. Gli schiavi vengono così a reggere l’intero peso della funzione produttiva e la classe patrizia detiene il monopolio del bene pubblico e l’organizzazione militare. Con lo sfruttamento delle province del regno, il conflitto di classe ha luogo fra patrizi e plebei e si basa soprattutto sulla pratica dell’usura: “Non appena l’usura dei patrizi romani ebbe rovinato completamente i plebei romani, ossia i piccoli contadini, questa forma di sftruttamento ebbe termine e l’economia schiavistica pura subentrò a quella dei piccoli contadini”. Quando anche i piccoli contadini diventano schiavi, si sviluppano grandi proprietà dette latifundiae, nei quali si pratica la produzione agricola per il mercato. Alla fine però essi diventano antieconomici e la ricchezza dei grandi proprietari decade. La stessa schiavitù comincia ad essere abolita e i terreni spezzettati vengono assegnati a piccoli terrieri. La schiavitù, secondo Marx, crea dal suo interno le ragioni della disgregazione dell’impero, le quali verranno soltanto accentuate dalle invasioni barbariche. I barbari, alle prese con il compito di amministrare i territori conquistati accolgono l’eredità romana: il nuovo ordine sociale si basa sulla posizione di predominio del comandante miliatre. Più tardi questa direzione si trasformerà in vera e propria monarchia. A partire dal IX secolo la servitù della gleba assume un ruolo fondamentale in una e conomia che si basa sulla produzione agricola su bassa scala. C’è, per Marx, un ritorno alla campagna e “il signore non cerca di trarre il più possibile di vantaggi dal suo possesso fondiario: piuttosto consuma ciò che vi si trova, e lascia pacificamente la cura del raccolto ai servi della gleba e ai fittavoli” (Manoscritti, p. 189). La disgregazione del feudalesimo e lo sviluppo del capitalismo hanno, secondo Marx, origine nella crescita della città. Come nell’antichità, lo sviluppo delle cittàprocede parallelamente alla formazione del capitale mercantile e usuraio e ad un sistema monetario che ne garantisce la sopravvivenza e disgrega l’economia agricola. Nel XIV secolo in Inghilterra la servitù della gleba viene abolita, e in Italia sorgono i <<primi inizi della produzione capitalistica>>. Tuttavia la forza delle corporazioni e la autonomia dei contadini, ancora non alienati dai loro beni di produzione, impedisce la formazione di un sistema capitalistico moderno basato sulla accumulazione primaria. In tutte le società divise in classi, la classe dominante elabora o riprende dal passato forme ideologiche per legittimare il suo dominio: «La classe che dispone dei mezzi della produzione materiale dispone con ciò, in pari tempo, dei mezzi della produzione intellettuale (geistig), cosicché ad essa in complesso sono assoggettate le idee di coloro ai quali mancano i mezzi della produzione intellettuale» (Ideologia tedesca, cit., 35-36). La coscienza ha, a sua volta, una natura sociale che è influenzata da questa costruzione «ideologica» della realtà: «Non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza» (Per la critica dell’economia politica, p. 11) L’ideologia è quindi un complesso di idee che viene prodotto per legittimare il dominio di classe, «in parte un abbellimento e coscienza della dominazione, in parte uno strumento morale di essa» Queste idee hanno una genesi che Marx non spiega: non si comprende bene dai suoi studi, ad esempio, perché alcuni valori più generali persistono nel tempo, trasversalmente alle ideologie. Le ideologie, dice Marx, tendono a conservarsi nel tempo, anche al mutare dei rapporti sociali: ancora una volta, tuttavia, manca una spiegazione di come ciò accada. Infine, il modello è riduzionista: l’ideologia viene considerata, al pari della cultura, come una «sovrastruttura». Secondo Marx, l’ideologia nasce da rapporti sociali.. Si stratifica in particolari usi linguistici («il linguaggio è la coscienza reale, pratica») che influenzano il modo in cui ogni individuo percepisce il mondo. Ogni ideologia sorge dalle classe dominanti e si diffonde alle classi dominate. La costruzione sociale della realtà dalla prima reificazione linguistica si realizza in una reificaizone legislativa: il diritto, come il linguaggio, «costruiscono» la realtà e giustificano il dominio di classe. Il dominio di classe è un processo che secondo Marx è stato accompagnato sempre nella storia da un complesso ideologico. È solo grazie allo sviluppo della scienza dall’Illuminismo in poi che è stato possibile metterlo in evidenza e criticarlo. Tuttavia alcune scienze, ed in particolare l’economia politica, sono esse stesse influenzate dalla ideologia dominante e non riescono a scorgere il carattere limitato delle loro teorie. Quando Marx parla di «illusione dell’epoca» anticipa un tema fondativo della sociologia della conoscenza: la scienza è sempre influenzata dai valori e della cultura della società nella quale viene prodotta. E’ spiegata da Marx ancora a partire dal concetto di ideologia. 1) in una società stabile, esiste equilibrio fra modo di produzione, rapporti sociali e sovrastruttura. Quando i modi di produzione variano gradualmente, nasce una tensione fra le nuove forze produttive e i rapporti di produzione esistenti (caso del settore automobolistico in Italia). Questa tensione dà origine a veri e propri conflitti di classe. Questi possono portare o alla rovina comune di tutte le classi (come a Roma) o alla trasformazione rivoluzionaria dell’intera società (rivoluzione francese) che porta al dominio di una classe ex subalterna. Questo dominio dà vita ad un nuovo periodo di stabilità. Per Marx esso sarebbe avvenuto quando, a causa dei fattori tipici del sistema produttivo capitalista, il proletariato si fosse impoverito al punto da rivoltarsi. A differenza di altre rivoluzioni precedenti, l’unico modo possibile di rivoluzione per il proletariato sarebbe stata l’abolizione del sistema capitalistico, e lo sviluppo di una società comunista. Andiamo allora a vedere come Marx intendeva il capitalismo, a partire dal suo testo più famoso, Il Capitale (1863). È un sistema basato sulla produzione di merci. Per sostenersi esso deve non solo soddisfare ma anche creare dei bisogni. Ogni merce ha secondo Marx due tipi di valore: un valore d’uso e un valore di scambio. Il valore d’uso, che ha luogo nel consumo, riguarda la capacità del bene di soddisfare i bisogni dei consumatori Il valore di scambio è invece un concetto relativo e riguarda il valore che l’oggetto assume quando viene scambiato con altre merci (esempio beni di lusso, capi d’abbigliamento vintage). Sia valore d’uso che valore di scambio sono secondo Marx determinati dalla forza lavoro necessaria a produrre un prodotto. A differenza delle teorie economiche classiche egli non considera l’importanza della domanda nella determinazione dei prezzi delle merci. Questo processo è alla base dell’alienazione: «Ciò che l’operaio scambia con il capitale è il suo stesso lavoro…rgli lo aliena. Ciò che riceve come prezzo, è il valore di questa alienazione» (Il Capitale, vol. 1, 188). Il profitto è dato dalla differenza fra ricavi e costi. I costi stessi vengono dati da una parte di capitale costante, costituita dalle spese per la produzione fisse (attrezzature, strutture, ecc.) e da una parte variabile data dalla forza lavoro. Il plusvalore è tanto più alto quanto più alto è il ruolo del lavoro e basso quello del capitale costante in una produzione. Pertanto, secondo Marx gli imprenditori cercheranno di spostare la propria produzione, al più possibile, verso settori i cui costi fissi sono bassi ed il saggio di plusvalore sarà dato dalla differenza fra il valore di scambio dei prodotti ed il costo in termini di forzalavoro. Il capitalismo si basa sulla ricerca del profitto in una situazione di libera concorrenza. Marx considera l’importanza della del progresso tecnologico e della meccanizzazione della produzione come armi per la sopravvivenza dell’imprenditore alla concorrenza. La diffusione delle tecnologie a un numero sempre maggiore di produttori porta però ad un aumento della produzione, ad una diminuizione dei prezzi e ad un potere di mercato che per le classi proletarie non aumenta. Ciò comporta quindi un calo del saggio di profitto a cui l’imprenditore, secondo Marx, reagisce soprattutto aumentando lo sfruttamento del lavoro. «Il vero limite della produzione capitalistica è il capitale stesso, è questo: che il capitale e la sua autovalorizzazione appaiono come punto di partenza e punto di arrivo, come motivo e scopo della produzione; che la produzione è solo produzione per il capitale, e non al contrairo: i mezzi di produzione non sono dei semplici mezzi per una continua estensione del processo di vita per la società dei produttori» (IL CAPITALE, I, 219). Il capitale è quindi soggetto a crisi perenni dovute alle sue contraddizioni interne fra cui per prima quella fra reddito crescente del capitalista e invariato del proletariato. Erroneamente si crede che Marx aveva previsto una rivoluzione guidata dal proletariato e connessa ad uno sfruttamento crescente dello stesso. In realtà, quello che Marx aveva previsto era che l’alienazione crescente avrebbe fatto ribellare i lavoratori, poiché gli effetti della divisione del lavoro «mutilano l’operaio facendone un uomo parziale, lo avviliscono a insignificante appendice della macchina, distruggono con il tormento del suo lavoro il contenuto del lavoro stesso, gli estraniano le potenze intellettuali del processo lavorativo» «Appena il lavoro comincia ad essere diviso ciascuno ha una sua sfera di attività determinata ed esclusiva che gli viene imposta e dalla quale non può sfuggire: è cacciatore, pescatore o pastore, o critico, e tale deve restare se non vuol perdere i mezzi per vivere; laddove nella società comunista, in cuoi ciascuno non ha una sfera di attività esclusiva ma può perfezionarsi in qualsiasi ramo a piacere, la società regola la produzione generale e appunto in tal modo mi rende possibile di fare oggi questa cosa, domani quell’altra, la mattina andare a caccia, il pomeriggio pescare, la sera allevare il bestiame, dopo pranzo criticare, così come mi vien voglia; senza diventare né cacciatore, né pastore, né critico» (cit., p.24) Marx è importante al nostro studio perché: Individua rapporti di dipendenza fra sfere diverse del sistema sociale (economia, cultura) Introduce il metodo storico-comparativo in sociologia; Mette in relazione la produzione delle idee con i rapporti sociali che persistono in una società; Sottolinea come anche la produzione scientifica sia influenzata dalla «illusione del tempo»; Mette in luce gli aspetti disumanizzanti della produzione culturale. Sceglie come proprio ambito di studio, inzialmente i fenoneni macrosociali per allargarsi negli ultimi decenni anche alla sfera della vita quotidiana. Ha un approccio che dà una importanza primaria alle strutture e non dà nessuna possibilità di agency agli individui: l’appartenenza di classe definisce infatti ineluttabilmente le possibilità di vita dell’individuo. Nella sua versione originale, una attenzione secondaria viene data alle forme di potere simbolico, studiate solo come forme di giustificazione del potere economico. Non ha tenuto conto del ruolo che avrebbero avuto i sindacati nel difendere i lavoratori; Non ha valutato in pieno gli effetti anche positivi delle tecnologie sulla produzione; Non ha potuto prevedere l’effetto degli stati a supporto dell’economia; Ha, più in generale, peccato di idealismo, contraddicendo così il suo modello storicista. Pierre Bourdieu (1930-2002) Immanuel Wallerstein (1930- ) Antonio Gramsci (1891-1937) La Scuola di Francoforte