PER UN RIESAME DELLE FONTI GRECHE E LATINE SULL’ISOLA D’ELBA NELL’ANTICHITÀ II. GLI ARGONAUTI Premessa Gli antichi formularono nel tempo varie teorie sull’itinerario seguito dagli Argonauti nel ritorno in patria (RIZZO, MARTELLI 1988-1989, pp. 26-28, con ampia bibliografia precedente; BREGLIA PULCI DORIA 1997; GREEN 1997, pp. 301-303); queste diverse ipotesi, come noto, rispecchiavano il progressivo ampliamento delle conoscenze geografiche, soprattutto per quanto riguarda l’Occidente (ancora valido DELAGE 1930; MOREAU 2000). Via via che commerci ed esplorazioni rendevano familiare al mondo greco una nuova terra – o un nuovo mare – ecco che lì spuntavano oggetti, culti, toponimi legati agli eroi di Giasone, come un’avanguardia remota della grecità a venire1. In vari luoghi nel Mediterraneo occidentale, e in particolar modo nel Mar Tirreno, il passaggio degli Argonauti è evocato da nomi o cose di cui la tradizione erudita ci ha conservato memoria più o meno vivida (Apoll. Rhod., IV, 552-555; vd. anche Strabo, I, 2, 38-40; V, 1, 9). Nel Tirreno gli Argonauti sarebbero transitati durante uno dei diversi itinerari ‘occidentali’, sia che entrassero nel Mediterraneo dallo Stretto di Gibilterra dopo aver seguito le coste Atlantiche2, sia che dal sistema fluviale centroeuropeo, attraverso Ringrazio ancora gli amici Franco Cambi, M. Letizia Gualandi, Daniele Manacorda e Cynthia Mascione per avermi offerto l’opportunità (e gli stimoli) di scrivere questa breve nota, ospitandola nella collana di studi su Populonia. Carmine Ampolo, come sempre, mi ha incoraggiato nella ricerca, rileggendo queste pagine e fornendomi preziosi suggerimenti. Questo testo in parte riprende il mio contributo ad un lavoro comune con un’équipe di geologi del CNR e dell’Università di Pisa, incentrato sul possibile rapporto tra aspetti geologici ed elementi mitici (DINI et alii, c.s.); l’occasione d’incontro è scaturita peraltro proprio dall’esame di un ciottolo di aplite elbana trovato purtroppo fuori contesto nello scavo di via S. Apollonia a Pisa. 1 Un’utile sintesi delle problematiche connesse al mito e ai miti nell’Occidente greco è offerta dagli Atti del XXXVI Convegno di Studi sulla Magna Grecia, svoltosi a Taranto nel 1996 e edito nel 1997; vd. inoltre Le mythe grec 1999 e, soprattutto, BOARDMAN 2004 (segnalatomi da C. Ampolo, che ringrazio); esamina il rapporto tra miti e fenomeni naturali BUONAJUTO 2000. 2 Come voleva Timeo, FGrHist 566 F 85 = Diod., IV, 56. 231 © 2005 Edizioni all’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale il Rodano, si gettassero nel Mar Ligure e da lì nel Tirreno3. Sebbene non abbia alcuna rilevanza nella dinamica del racconto4, la tappa all’isola d’Elba appare ben radicata nella tradizione erudita (e non solo, come vedremo) ed è sostenuta da elementi toponomastici e materiali. Di seguito esamineremo i singoli passi relativi a questo episodio mitico, per poi tentarne una lettura d’insieme. 1. La tradizione 1.1 TIMEO (FGrHist 566 F 85 = DIOD., IV, 56) Oujk ojlivgoi ga;r tw~n te ajrcaivwn suggrafevwn kai; tw~n metagenestevrwn, w|n ejsti kai; Tivmaio", fasi; tou;" A j rgonauvta" meta; th;n tou~ devrou" aJrpagh;n puqomevnou" uJp A j ijht v ou prokateilh~fqai nausi; to; stovma tou~ Povntou, pra~xin ejpitelevsesqai paravdoxon kai; mnhvmh" ajxivan. jAnapleuvsanta" ga;r aujtou;" dia; tou~ Tanavido" potamou~ ejpi; ta;" phgav", kai; kata; tovpon tina; th;n nau~n dielkuvsanta", kaq jeJtevrou pavlin potamou~ th;n rJuvsin e[conto" eij" to;n wjkeano;n katapleu~sai pro;" th;n qavlassan, ajpo; de; tw~n a[rktwn ejpi; th;n duvsin komisqh~nai th~n gh~n e[conta" ejx eujwnuvmwn, kai; plhsivon ginomevnou" Gadeivrwn eij" th;n kaq j hJma~" qavlattan eijspleu~sai. jApodeivxei" de; touvtwn fevrousi, deiknuvnte" tou;" para; to;n wjkeano;n katoikouvnta" Keltou;" sebomevnou" mavlista tw~n qew~n tou;" Dioskovrou": paradovsimon ga;r aujtou;" e[cein ejk palaiw~n crovnwn th;n touvtwn tw~n qew~n parousivan ejk tou~ wjkeanou~ gegenhmevnhn. Ei~nj ai de; kai; th;n para; to;n wjkeano;n cwvran oujk ojlivga" e[cousan proshgoriva" apov te tw~n jArgonautw~n kai; tw~n Dioskovrwn. Paraplhsivw" de; kai; th;n ejnto;" Gadeivrwn h[peiron e[cein ejmfanh~ shmei~a th~" touvtwn ajnakomidh~". Peri; me;n ga;r th;n Turrhnivan katapleuvsanta" aujtou;" eij" nh~son th~n ojnomazomevnhn Aijqavleian to;n ejn aujth/~ limevna, kavlliston o[nta tw~n ejn ejkeivnoi" toi~" tovpoi", jArgw/~on ajpo; th~" new;" prosagoreu~sai, kai; mevcri tw~nde tw~n crovnwn diamevnein aujtou~ th;n proshgorivan. Paraplhsivw" de; toi~" eijrhmevnoi" kata; me;n th;n Turrhnivan ajpo; stadivwn ojktakosivwn th~" JRwvmh" ojnomavsai limevna Telamw~na, kata; de; Formiva" th~" jItaliva" Aijhvthn to;n nu~n Kaihvthn prosagoreuovmenon5. Seguendo quindi l’ipotesi presente in Timageto (FHG, IV, 519 fr. 1), autore di un’opera Peri; Limhvnwn, secondo cui dal medesimo lago centroeuropeo si dipartivano due bracci dello stesso fiume Istros, uno diretto verso il Ponto, l’altro verso il mar Ligure. 4 Per Valverde Sánchez (1989, pp. 248-250) si tratta addirittura soltanto di uno «scalo tecnico». 5 Il brano non offre problemi testuali, tranne la forma del toponimo dell’isola d’Elba, Aijqalivan nei codd. C e D, rispetto all’Aijqavleian preferito dagli editori. Ricordo che la lezione dei manoscritti si trova in Apollonio Rodio e in alcuni codici di Strabone. 3 232 © 2005 Edizioni all’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale Timeo proponeva per gli Argonauti un itinerario di ritorno assai articolato, tramite il Tanais, l’Oceano Atlantico e le coste tirreniche, per poi giungere alla Sirte nel prosieguo del racconto. La sintesi che ne dà Diodoro è strutturata in due nuclei, ognuno con le relative prove. Ad un percorso ‘oceanico’, scandito dalle tracce del culto dei Dioscuri – che avevano partecipato alla spedizione – e dalla presenza, nella toponomastica, di nomi ispirati ai Dioscuri medesimi e agli stessi Argonauti (senza tuttavia che venga esplicitamente citato alcun toponimo), fa seguito un tratto ‘mediterraneo’ anch’esso segnato da indizi toponomastici, che però questa volta vengono localizzati ed esplicitati (rispettivamente il Porto Argòo, il porto Telamone, Gaeta), mentre non si tiene più alcun conto del culto dei Dioscuri (né forse avrebbe avuto senso, in un’area di profonda e antica ellenizzazione). Nel tratto successivo, qui non citato, gli Argonauti giungeranno nella Sirte dove lasceranno come traccia del loro passaggio un tripode iscritto conservato a Euesperidai. Sebbene la menzione di Timeo all’inizio del brano non lasci dubbi sull’autore seguito in via preferenziale da Diodoro, l’accenno in fondo al capitoletto a notizie posteriori alla conquista romana dell’Istria6 dimostra che Diodoro ha inserito dati di altre fonti, e che comunque ha fortemente compendiato7. 1.2 APOLLONIO RODIO (IV, 654-658) Stoicavda" au\te lipovnte" ej" Aijqalivhn ejpevrhsan nh~son, i{na yhfi~sin ajpwmorxavnto kamovnte" iJdrw~ a{li": croih~/ de; kat’ aijgialoi~o kevcuntai ei[kelai: ejn de; sovloi kai; truvcea qevskela keivnwn e[nqa limh;n jArgw~/o" ejpwnumivhn pefavtistai8. 6 IV, 56, 8: si ricorda la scoperta delle sorgenti del fiume che sfocia nell’Adriatico presso l’Istria e che prima era stato ritenuto un ramo dell’Istro, dando così origine alla errata tradizione dell’itinerario argonautico Istro - Adriatico. 7 JACOBY, in FGrHist 566 F 85 Kommentar. Noten, p. 340 n. 436: «Diodor hat gekürtz, in § 4 vielleicht stark». Nota infatti l’A. che non solo non si fa menzione dell’aition dei ciottoli, ma neanche della sosta da Circe (che invece Timeo probabilmente ricordava in 566 F 84). 8 ei[kelai: tutti i codici hanno ei[keloi/i[keloi (nom. pl. maschile), lezione che già nell’edizione di Brunck (Lipsiae 1780) veniva opportunamente corretta nel nom. pl. femminile ei[kelai, riferito agli yh~foi menzionati al v. 655, che sono soggetto sottinteso di kevcuntai al v. 656; l’errore nella tradizione manoscritta sarebbe forse imputabile alla contiguità tra ei[keloi e sovloi del v. 657. Solamente Fränkel, nell’edizione oxoniense del 1961, rifiuta l’emendamento di Brunck e ritorna al testo tràdito, trovandosi costretto però a postulare una lacuna di almeno un verso in cui collocare un sostantivo maschile al nom. plurale (livqoi nella proposta di Fränkel) e, a questo punto, anche un accenno agli stleggivsmata dello Pseudo-Aristotele, di Licofrone e di Strabone. Anche Vian, nell’edizione parigina del 1981, accetta la lacuna postulata da Fränkel e come lui riporta in apparato la proposta di Matthiae (poikivlai al posto di ei[keloi) mutandola però in poikivloi e concordando così l’aggettivo con un eventuale gloi~oi in cui correggere il croih~/ del v. 656. La difficoltà di concordare ei[kelai con un sottinteso yh~foi aveva indotto Platt (1919) a correggere croih~/ in un nom. pl. croiaiv. Nell’edizione curata da Paduano e Fusillo, del 1986, 233 © 2005 Edizioni all’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale 1.3 PS. ARIST., Mir., 105 Fasi; de; kai; to;n I[ stron rJeov nta ejk tw~n E j rkunivwn kaloumevnwn drumw~n scivzesqai, kai; th/~ me;n eij" to;n Povnton rJei~n, th/~ de; eij" to;n A j drivan ejkbavllein. Shmei~on de; ouj movnon ejn toi~" nu~n kairoi~" eJwravkamen, ajlla; kai; ejpi; tw~n ajrcaivwn ma~llon, oi|on ta; ejkei~ a[plwta ei\nai: kai; ga;r Ij avsona to;n me;n ei[sploun kata; Kuaneva", to; de; ejk tou~ Povntou e[kploun kata; to;n I[ stron poihvsasqaiv fasi: kai; fevrousin a[lla te tekmhvria oujk ojlivga, kai; kata; me;n th;n cwvran bwmou;" uJpo; tou~ Ij avsono" ajnakeimevnou" deiknuvousin, ejn de; mia/~ tw~n nhvswn tw~n ejn tw/~ A j driva/ polutele;" iJero;n A j rtevmido" uJpo; Mhdeiva" iJdrumevnon. E [ ti de, kai; levgousin, wJ" oujk a[n parevpleuse ta;" Plagkta;" kaloumevna", eij mh; ejkei~qen ajpevplei. Kai; ejn th/~ Aijqaleiva/ de; nhvsw/, th~/ keimevnh/ ejn tw/~ Turrhnikw/~ pelavgei, a[lla te deiknuvousin mnhmei~a tw~n ajristevwn kai; dove pure si segue, in linea di massima, il testo di Vian, non si accetta la lezione ei[keloi (e la conseguente lacuna) e si torna alla correzione di Brunck. truvcea: i principali codici riportano la lezione teuvcea («armature»: cf. JESSEN 1895, p. 770: «Waffen»), che troviamo accolta nelle edizioni di Merkel (Lipsiae 1852) e di Seaton (Oxonii 1900), nonché da Platt (1919), sia pure con un diverso significato (si tratterebbe infatti, sulla base di Svet., Aug., 72 di fossili interpretati dagli antichi come armi di eroi: sulla questione vd. in generale BOARDMAN 2004, p. 17 e passim). Tuttavia appare improbabile, sulla base della coerenza interna del racconto di Apollonio, che gli Argonauti all’isola d’Elba avessero lasciato delle armature. Ancora più difficile pensare alle attrezzature per la nave, secondo un uso attestato in Od., XV, 218; XVI, 326, 360. Il termine in questione ha anche, presso i tragici, il significato generico di «recipiente», con varie accezioni, dall’urna funeraria (Aesch., Ag., 435; Soph., El., 1114) a vaso per libagioni (Aesch., Ch., 99; Eur., IT., 168), ad anfora (Aisch., fr. 107). Si ricordi che nella pittura vascolare non mancano raffigurazioni di Argonauti con anfore (ad es. LIMC, I 2, p. 596 fig. Amykos 11, dove peraltro uno degli Argonauti ha in mano uno strigile), e che le anfore compaiono anche in un altro episodio argonautico, la corsa ad Egina (Apoll. Rhod., IV, 1765-1772). Viene però generalmente preferita, in quanto lectio difficilior, la lezione truvcea del Soloranus, che corrisponde anche ad una antica correzione nel Laurentianus (LIVREA 1973, ad loc.). Questo lascia però irrisolto il problema del significato. «Sensu ignoto» commenta Fränkel in apparato, e nelle Noten (1968, 519) pensa per esempio a «farbige Abdrücke der Kleiden» o a «wundersame Fußstapfen von heroischen Ausmasse». La eventuale menzione di truvcea nell’accezione di «cenci, stracci, vesti» rimanda ad altri episodi argonautici, come i giochi a Lemno in cui il premio era appunto una veste (Pind., Pyth., IV, 253; RIZZO, MARTELLI 1988-1989, pp. 36-37, per un drappo raffigurato su una nota olpe in bucchero con scene argonatutiche; BREGLIA PULCI DORIA 1997, p. 239, 243; SORDI 2002, pp. 263 sgg.). Interessante l’interpretazione di LIVREA 1973, ad loc.: truvcea infatti non avrebbe solamente il significato di «cenci, stracci» ma anche, come in Anth. Pal., VII, 705-706, quello di «rovine, resti», anche se «... con un’ardita metafora». Tale è in fondo il senso della recente traduzione di Paduano e Fusillo (1986), mentre nell’edizione di Vian del 1981 (Notes complémentaires) si propone, sia pure in via ipotetica, una sostanziale identità con (ajpo)stleggivsmata. Un’altra possibile correzione, sempre riportata da Livrea (1973, ad loc.), è truvfea, sulla base di una glossa di Esichio (s.v. truvfo"), in cui equivarrebbe a «pezzo di pane» o «legno consumato, logorato». e[nqa: la lezione dei manoscritti (ejn de) sembrava infatti frutto della ripetizione meccanica del nesso omerico ejn de; del verso precedente. La correzione e[nqa è stata poi recepita dalla quasi totalità degli editori (LIVREA 1973, ad loc.). Occorre tuttavia notare che nel Laurentianus troviamo un eu\ de;, corretto in ejn de;; dalla stessa mano che, al verso precedente, aveva preferito la lectio difficilior truvcea: evidentemente la lezione ejn de;; era ritenuta buona. La lezione e[nqa introduce un nesso relativo tra le tracce materiali degli Argonauti, tra cui i ciottoli screziati, e il Porto Argòo. 234 © 2005 Edizioni all’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale to; ejpi; tw~n yhvfwn de; legovmenon: para; ga;r to;n aijgialo;n yhvfou" fasi;n { llhne" oiJ th;n nh~son oijkou~nte" levgousi th;n ei\nai poikivla", tauvta" d’ oiJ E croi~an labei~n ajpo; tw~n stleggismavtwn w|n ejpoiou~nto ajleifovmenoi: ajpo; ga;r ejkeivnwn tw~n crovnwn ou[te provteron eJwra~sqai muqologou~si toiauvta" yhvfou" [ ti de; touvtwn fanerwvtera shmei~a levgousin, ou[q’u{steron ejpigenomevna". E o{ti ouj dia; tw~n Sumplhgavdwn ejgevneto oJ e[kplou", aujtw/~ tw/~ poihth/~ ejn ejkeivnoi" toi~" tovpoi" mavrturi crwvmenoi. Th;n ga;r duscevreian tou~ kinduvnou ejmfanivzonta levgein o{ti oujk e[sti parapleu~sai to;n tovpon: ajlla; q’oJmou~ pivnakav" te new~n kai; swvmata fwtw~n kuvmaq’aJlov" qorevousi puro;" t’ojlooi~o quvellai Peri; me;n ou\n ta;" Kuaneva" ouj levgetai pu~r ajnapevmpein, peri; de; to;n porqmo;n to;n dialambavnonta th;n Sikelivan, ejf’eJkavtera keimevnwn tw~n tou~ puro;" ajnafushmavtwn, kai; th~" nhvsou sunecw~" kaiomevnh", kai; tou~ peri; th;n Ai[tnhn rJeuvmato" pollavki" th;n cwvran ejpidedramhkovto"9. Il brano ha una struttura di notevole complessità rispetto agli altri della raccolta. Giannini (1966, p. 273) vi individua almeno due nuclei principali, il secondo dei quali contiene due ulteriori ripartizioni: l’aition elbano e l’excursus sulle Simplegadi. Anche Flashar (1972, pp. 122-124), facendo propria un’opinione di Jacoby (FGrHist 566 F 85 Kommentar p. 341), vi vede un insieme di fonti diverse. Come vedremo il processo logico è articolato e talora opaco. 9 oi\on ta; ejkei~ a[plwta ei\nai: il testo tràdito non dà senso, in quanto contraddice l’assunto che la navigazione fluviale in quelle aree era possibile, donde le correzioni di Casaubon (tou~ ta; ejkei~ a[plwta mh; ei\nai), di Geffcken (1892, 92: oi[ontai ejkei~ a[plwta ei\nai), di Giannini (1966: oi\on ta; ejkeivnou plwta; ei\nai); Günther (1889, 27-28 e 28 n. 1) vede nella frase oi[on ta;; … ei\nai un frammento del testo timaico, nella parte in cui lo scrittore nega l’opinione espressa da altri circa la possibilità di navigare dal Mar Nero all’Adriatico o al Tirreno attraverso l’Istro; la frase sarebbe poi stata assorbita, ma in maniera confusa, nell’epitome pseudoaristotelica. La proposizione intera potrebbe anche essere stata inserita durante l’ultimo ‘ampliamento’ della raccolta, a correggere l’affermazione ejn toi~" nu~n kairoi~" che, adesso, doveva tener conto dell’impossibilità di navigare dall’Istro all’Adriatico (constatata dopo la conquista romana dell’Istria). Aijqaleiva/: il toponimo tràdito è Aijgialeiva CG, Aijgialiva EF, Aijgialiva/ Aldina, forse per attrazione dell’aijgialo;n delle righe successive. Anche in questo caso notiamo l’alternanza tra la forma dittongata e non del toponimo. La pertinenza all’Elba del paradoxon è comunque fuori discussione. Per completezza si ricorda che a poca distanza dall’Elba, verso N, abbiamo un’altra isola, l’odierna Capraia, che secondo Plin. n.h. III, 81 (e, come fonti secondarie, Sol. III, 2; Mart. Cap. VI, 644) era detta dai Greci Aegil(i)on: essa occupa una posizione strategica per le rotte nord tirreniche, permettendo il collegamento con la Corsica e le coste provenzali. Dalle acque della Capriaia proviene, tra l’altro, un frammento di anfora iono-massaliota arcaica (PANCRAZZI 1982, p. 342; BEJOR, GRAS 1985) ajpo; tw~n stleggismavtwn: i codici hanno steleggismavtwn C, sthleggismavtwn EF Aldina 1, stelgismavtwn L. Sembra che la lezione stleggismavtwn sia accolta sulla base del brano di Strabone che si riferisce allo stesso episodio. Si noti comunque che anche nel brano di Licofrone (infra, 1.4) il termine adottato è stelgivsmata, mentre negli scholii ad loc. ricorre il termine ajpestelgivsanto. Il termine più comune è comunque quello formato sul tema stleg- (LIDDELL-SCOTT, ad loc.); ma la sostanziale uniformità dei codd. nell’impiego della forma con epentesi consiglia di mantenere questa lezione, pensando che Strabone, nel riportare l’episodio, abbia invece adottato il termine nella sua forma più comune. 235 © 2005 Edizioni all’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale Il qaumavsion a[kousma che dà origine al capitoletto pseudoaristotelico è il fatto che l’Istro, scendendo dalla selva Ercinia, si biforca gettandosi con un ramo nel mar Nero, e con l’altro nel mar Adriatico. La digressione sulla rotta del viaggio di ritorno degli Argonauti vi entra solo di riflesso, in quanto costituirebbe la più evidente testimonianza della navigabilità dei sistema Istro-Adriatico. A partire da questo assunto, il passo si struttura in una serie di approfondimenti successivi, simmetricamente articolati nell’alternanza ‘notizia raccolta/prove materiali addotte’. Il primo periodo (Fasi;… ejkbavllein), come abbiamo visto, contiene l’assunto del paradoxon. La frase successiva (Shmei~on de;… ei\nai) introduce l’argomentazione, a sua volta articolata in un momento contemporaneo al compilatore, in cui le prove sono talmente evidenti che vengono taciute (ejn toi~" nu~n kairoi~"), e in un passato indeterminato, in cui trova posto la vicenda argonautica (ajlla; kai; ejpi; tw~n ajrcaivwn ma~llon). Il primo dato che viene proposto è il percorso di uscita dal mar Nero, attraverso l’Istro (kai; ga;r jIavsona ... fasiv), supportato da due tipi di prove materiali: gli altari nella cwvra e il santuario fondato da Medea in un’isola dell’Adriatico (ejn de; ... iJdrumevnon). Fino a questo punto l’argomentazione è coerente con l’assunto che un ramo dell’Istro sfociasse nell’Adriatico. L’affermazione successiva ( [Eti de; levgousin [...] ajpevplei) lascia invece perplessi sul piano logico (FLASHAR 1972, p. 123: «ist nicht sehr verständlich»): se leggiamo in ejkei~qen un riferimento al percorso Istro-Adriatico, come vorrebbe la costruzione della frase, non si capisce quale valore probatorio abbia il passaggio attraverso le Plagktai; nh~soi, collocate da Apollonio Rodio (e da altri prima di lui: cf. Hom., Od., XII, 61; GREEN 1997, pp. 324-326 e 330) presso lo Stretto di Messina. Il senso di questa frase è meglio comprensibile alla luce dell’ultima notazione sulle Planctai. Si intende infatti confutare l’opinione di chi, confondendo Cianee - Simplegadi - Planctai (le prime due incontrate nel viaggio di andata, e le ultime durante il rientro a Iolco), sosteneva che il viaggio di ritorno avesse seguito il medesimo itinerario dell’andata. Inoltre la collocazione delle Planctai nei mari occidentali, e in particolare nello stretto di Messina (sulla base dell’autorevole testimonianza omerica), presuppone un itinerario fluviale che non poteva prescindere dalla biforcazione dell’Istro, sia che si arrivasse al Tirreno attraverso il sistema Eridano/Rodano, raggiunto dall’Adriatico (come Apollonio Rodio), sia direttamente da uno dei rami dell’Istro (come voleva Timageto FHG IV, 519, fr. 1). In questo modo, un po’ forzatamente rispetto al paradoxon da cui aveva preso le mosse tutto il capitoletto, viene introdotto l’aition elbano. Quello dei ciottoli screziati è uno mnhmei~on tra gli altri, il più vistoso e caratteristico, certamente più interessante che non il semplice dato toponomastico (che non viene recepito nel De Mirabilibus Auscultationibus, ma trova ampio spazio in Apollonio Rodio, Diodoro/Timeo e Strabone). 236 © 2005 Edizioni all’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale 1.4 LYKOPHR., 871-876 kai; dhroclaivnou shko;n wjmhstou~ luvkou, o}n Krhqevw" a[mnamo" oJrmivsa" skavfo" e[deime pentevkonta su;n nauhgevtai", krovkai de; Minuw~n eujliph~ stelgivsmata throu~sin, a{lmh" oujde; foibavzei kluvdwn, oujd jojmbriva smhvcousa dhnaio;n nifav". Il brano fa parte della sezione dell’Alessandra in cui si espongono le peregrinazioni di Menelao. Ovviamente l’itinerario non è descritto ma evocato, attraverso allusioni a miti – anzi, spesso attraverso allusioni a versioni ‘minori’ o comunque meno note dei miti – che rendono oggi problematica l’identificazione dei singoli siti10. In particolare si osserva che le possibili tappe del nostos di Menelao si concentrano nelle acque africane e siciliane, con l’eccezione appunto della sosta che una tradizione di studi sostanzialmente concorde tende a localizzare all’isola d’Elba11, e nel corso della quale Menelao avrebbe visto sia il tempio innalzato a Eracle dagli Argonauti, sia le tracce del loro sudore sulla spiaggia. Gli scoliasti, invero, non accennano in alcun modo all’isola tirrenica, e propongono anzi due diverse localizzazioni per l’episodio e le testimonianze eroiche, una in Sicilia12 e l’altra nella Sirte13. Va detto che in apparato si propone di correggere Sikeliva/ in Aijqaliva/, sulla base appunto delle altre testimonianze14, ma ci si aspetterebbe una forma più articolata, in cui si specifichi ad esempio che si tratta «di un’isola nel Tirreno chiamata Aithalia». È certamente singolare questo assoluto silenzio degli scoliasti sulla possibile collocazione elbana dell’episodio: si propongono anzi ben due diverse localizzazioni non attestate altrove, senza curarsi di prendere apertamente le distanze da una tradizione che dobbiamo ritenere ormai ben consolidata e con la quale ci aspetteremmo che qualsiasi commentatore si dovesse confrontare. 10 Esegesi delle proposte di localizzazione da ultimo in BRACCESI 1999; vd. anche i commenti di CIACERI 1982, ad loc.; VANOTTI 1996. 11 Accolgono la localizzazione all’Elba il Ciaceri (comm. ad loc., che riporta un’osservazione di HOLZINGER 1895, pp. 260-261), la Vanotti (1996), la Breglia Pulci Doria (1997, p. 239), il Braccesi (da ultimo 1999, pp. 71 sgg.) e le due recenti riedizioni commentate di Fusillo, Hurst, Paduano (1991, pp. 260-261) e Gigante Lanzara (2000, pp. 34-36, che pure chiama in causa l’Holzinger). Avrebbero invece pensato alla Sicilia alcuni «moderni», per dirla con il Ciaceri (l.c., p. 265). 12 Scholl. Lykophr. Alex., 283, 15: e[sti de; tovpo" ejn Sikeliva/, e[nqa gumnasavmenoi oiJ jArgonau~tai to;n iJdrw~ta aujtw~n u{steron ejn th~/ a[mmw/ ajpestelgivsanto, o{qen kai; mevcri tou~n nu~n divkhn ejlaivou ejn tai~v" ~ yhvfoi" faivnontai rJanivde" a}v" oujde; oJ kluvdwn th~v" ~ qalavssh" oujde; o[mbro" duvnatai kaqa~rai. 13 Ibid., 281, 32; 282, 1: peri; Suvrtin th~"v Libuvh" Ij avswn ejdeivmato kai; oiJ loipoi; A j rgonau~tai meta; to; ejpitelevsai ajgw~na"; 282, 6; 282, 10; peri; th;n ejkei~se qavlassan nao;n e[ktisan, o]n eijp ~ on, tw~/ H J raklei~ ktl. 14 Ibid., 283, 15 in app. 237 © 2005 Edizioni all’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale Un tale silenzio può derivare forse dalla coscienza di un’indubbia pertinenza all’Elba dell’episodio dei ciottoli e degli Argonauti: ad es., la Gigante Lanzara (2000, pp. 35-36) afferma che l’aition come descritto da Licofrone sarebbe in sé incomprensibile, ma l’allusione si coglie se si presuppone la conoscenza dell’opera di Apollonio Rodio. Diversamente, dovremmo pensare che vi sia stata da parte di Licofrone una contaminazione tra il porto Argòo ‘libico’ di Apollonio Rodio (IV, 1620) – con l’altare di Posidone e Tritone, e possibile tappa del nostos di Menelao –, e il porto Argòo elbano, in un gioco di specchi non estraneo alla poetica licofronea. 1.5 STRABO, V, 2, 6 [Esti de; kata; th~n Aijqalivan limh;n jArgw~o" ajpo; th~" jArgou~", w{" fasin. ejkei~se ga;r pleu~sai th;n th~" Kivrkh" oi[khsin zhtou~nta to;n jIavsona, th~" Mhdeiva" ejqelouvsh" ijdei~n th;n qeavn: kai; dh; kai; tw~n ajpostleggismavtwn pagevntwn, a} ejpoivoun oiJ jArgonau~tai, diamevnein e[ti kai; nu~n diapoikivlou" ta;" ejpi; th~" hjiovno" yhvfou"15. Le notizie di Strabone sull’Elba si sviluppano all’interno di una sezione dedicata a Populonia e al suo rapporto con le isole tirreniche. In particolare, mentre i dati ‘minerari’ sull’isola scaturiscono da un’osservazione diretta del geografo, integrata con notizie di altri autori (CORRETTI 2004), la descrizione delle tracce degli Argonauti, alla fine del capitoletto ‘elbano’, appare piuttosto come la doverosa citazione di una tradizione ben nota e anzi ineludibile. Nella immediatamente successiva considerazione sul rapporto tra i diversi miti e la tradizione omerica, soffermandosi in particolare sui nostoi, Strabone menziona anche le peregrinazioni di Menelao – ma è ben poco ovviamente per vedervi un’allusione alla notizia licofronea del passaggio di Menelao all’Elba. 1.6 ANTIGONO DI CARISTO? POxy. 2694, 10 SGG. Il papiro si presenta fortemente lacunoso e consente solamente la parziale lettura di singole parole, generalmente integrate. Se è pressoché certa la menzione delle isole Stoicadi – tappa immediatamente precedente l’Elba nell’itinerario argonautico di Apollonio –, il ricorrere in due righe contigue delle sequenze di lettere ]aleian e ]gialous ha fatto supporre che si accennasse anche all’isola d’Elba e alle sue spiagge, in particolare ovviamente a quella con i famosi ciottoli. La lettura del nome jAntivgonon tre linee sotto fa supporre poi che anche Antigono di Caristo, autore di Mirabilia, avesse incluso l’aition elbano nella sua raccolta di fenomeni (comm. ad loc.; LIVREA 1973, ad loc.). 15 La forma non dittongata del nome dell’isola (Aijqaliva) è accolta nell’edizione di Sbordone e di Lasserre, mentre in quella di Aly (1972) si preferisce quella dittongata in base alla testimonianza di Polibio in Stefano di Bisanzio, s.v. 238 © 2005 Edizioni all’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale 2. Un’analisi dei dati La tradizione relativa alla sosta argonautica all’Elba si presenta non univoca. Sebbene non si riscontrino esplicite contrapposizioni tra versioni diverse del mito, emergono tra un autore e l’altro delle differenze (riassunte nella tabella sottostante) che possono essere motivate sia con la derivazione da fonti diverse, sia con il ricorso selettivo – per esigenze poetiche o di concisione – a singoli elementi di un complesso mitografico invece unitario. Diodoro/Timeo Mir. Ausc. Antigono ? Licofrone Apollonio Strabone Porto Argoo ciottoli soloi trychea etc. tempio di Eracle ? I segni del passaggio degli Argonauti riguardano da un lato un toponimo (il porto Argòo), dall’altro tracce materiali di vario tipo, di cui i più comuni sono i ciottoli screziati. 2.1 LA TRACCIA TOPONOMASTICA. IL PORTO ARGÒO La connessione Argonauti / Porto Argòo è presente in Diodoro/Timeo, Apollonio e Strabone ed è quindi solidamente documentata. Va notato anzi che il Porto Argòo, nella tradizione letteraria, viene ricordato solo in relazione al mito argonautico (se si eccettua la menzione nella Tabula Peutingeriana, infra: ma nella mappa il richiamo al mito argonautico è ovviamente precluso dalla natura stessa del documento). Non compare né in Tolomeo né in Plinio né in altri geografi o itinerari che pure includono l’Elba: ma ciò può derivare dall’essere l’Elba un’isola tutto sommato piccola e da considerare come un’entità unitaria16 (e infatti non ci sono altri centri che vengano ricordati, tranne un Portus Longus sempre nella Tabula Peutingeriana). Un altro Porto Argòo lo ritroviamo solamente sulle coste libiche, e ancora unicamente in connessione al racconto argonautico di Apollonio (IV, 1620); identificabile con Euhesperidae, la località ha quindi un nome per la geografia reale e uno per lo spazio del mito. Sebbene il suo nome figuri solo in pagine di letteratura, ritengo tuttavia 16 In CIL, VI, 2375 b 9 un Turranus Rufus è detto senz’altro ex Ilva, senza che se ne indichi la provenienza da un centro urbano specifico; cf. anche CIL, VI, 3077 (la provenienza di un Sextus Rubrius è Ilvada). 239 © 2005 Edizioni all’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale che il Porto Argòo elbano corrispondesse ad una località realmente esistente17; del resto Diodoro (IV, 56), attingendo a Timeo, definisce il Porto Argòo «il più bel porto in quei luoghi», riferendosi quindi ad una realtà geografica. L’etimologia argonautica, essendo l’aition posteriore al riferimento reale, non può costituire la valida spiegazione del toponimo; vale allora la pena di soffermarsi sulla possibile origine del nome della località, per trarne indicazioni anche in riferimento alla genesi del mito18. Anche se l’aggettivo ajrgw/o~ " appare impiegato solo in relazione alla nave Argo, è più che probabile la derivazione del toponimo (e del nome della nave stessa) dall’aggettivo ajrgovv" e quindi dalla radice *arg-, che rimanda al significato di ‘splendente, luminoso’ (già SABBADINI 1919-1920, p. 5; sulla radice CHANTRAINE 1999, pp. 104-105, e REITER 1962, pp. 445-452; KNOEPFLER 1981, pp. 321 sgg.). La denominazione del porto elbano scaturirebbe quindi da un elemento percettivo, luministico o cromatico, che lo caratterizzava e lo rendeva sicuramente identificabile. Analoghe considerazioni valgono per altri toponimi formati a partire dalla radice *arg- (DINI et alii, c.s.; vd. anche GRASBERGER 1888, pp. 179-182). [Argennon veniva chiamato un promontorio nella parte sudoccidentale della penisola di Eritre, distante solo 60 stadi dall’isola di Chio, e che poteva fornire anche un ancoraggio (HIRSCHFELD 1895b, che elenca le fonti antiche e ricorda che al suo tempo era noto come Cap Blanc; vd. anche MÜLLER 1883, p. 400); lo stesso nome aveva un altro promontorio nella parte nordorientale dell’isola di Lesbo (HIRSCHFELD 1985c, con fonti antiche); un terzo [Argennon sporgeva dalla costa orientale della Sicilia, presso Taormina (HÜLSEN 1895). Senza passare in rassegna tutti gli altri toponimi possibilmente derivanti dalla medesima radice, vale la pena di ricordare l’ jArgai~on o[rov" descritto da Strabone in Cappadocia, e dalla cui cima, perennemente innevata, si potevano vedere sia il Mar Nero che il Golfo di Isso (Strabo, XI, 2, 7). E tornando all’Elba non vogliamo omettere il vicino Mons Argentarius citato solo dal tardo Rutilio Namaziano (red., 1, 319), qualora non vada semplicemente connesso alla disponibilità nell’area del prezioso metallo19. 17 I numerosi ritrovamenti di materiale romano a Portoferraio già a partire dal XVI sec., al tempo degli imponenti sbancamenti per la costruzione delle fortezze e della città medicea, presuppongono un centro abitato (CORSI 1989 così anche CIAMPOLTRINI 1990, p. 426, che lo identifica con Porto Argòo ma non vi riconosce un centro amministrativo autonomo; vd. anche ZUCCA 2003, p. 41), di cui non conosciamo il nome antico: Ferraria compare infatti solo in pochi documenti medievali. Ma l’area da prendere in considerazione è più ampia, dovendo includere anche la zona tra Le Trane e Magazzini, dove sono stati segnalati ritrovamenti di epoca arcaica e classica (tra cui il noto bronzetto di offerente: infra). 18 E non posso non ricordare qui le lunghe e illuminanti conversazioni sull’argomento con Giuseppe Nenci (deciso assertore dell’importanza per la navigazione antica dei ‘Capi Bianchi’ – tra cui come vedremo anche il Porto Argòo) e Orlanda Pancrazzi, attenta e affezionata conoscitrice della realtà elbana. 19 Ipotesi, quest’ultima, recisamente esclusa da DOBLHOFER 1972-1977, II, p. 152 ad loc., secondo cui il nome deriverebbe dalla luminosità dei banchi di talcoscisti a grana fine che 240 © 2005 Edizioni all’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale I paralleli fin qui evocati riguardano solo elementi ‘forti’ del rilievo costiero e montuoso; tuttavia, anche un’area aperta come un approdo poteva essere denominata a partire da elementi cromatici. Oltre all’Argennus portus di Plin., n.h., VI, 97 – che anche nella radice si richiama al caso elbano – si possono ricordare quanto meno un Leuko;" Limhvn e una Leukh; jAkthv in Egitto (Ptol., IV, 5, 7; IV, 5, 15), o la Leukh; jAkthv menzionata dallo PseudoScilace (LXVII, 31), nonché il Leuko;" Limhvn nello Stadiasmus Maris Magni (CXXXIX, 2). Il ricorso a elementi cromatici nella toponomastica – e in particolare nella toponomastica costiera – è un fatto recentemente indagato proprio nel caso elbano (CORRETTI 2004a, con bibliografia precedente; DINI et alii c.s.): lo stesso nome greco dell’isola potrebbe derivare dall’osservazione e valorizzazione di un fattore coloristico (forse le coste scure del distretto minerario nell’Elba orientale): e se il promontorio a NO di Portoferraio – dove, come vedremo, è possibile collocare il Porto Argòo degli antichi – si chiama ancora oggi Capo Bianco, un altro Capo Bianco chiude a N il golfo di Porto Azzurro, mentre una Spiaggia delle Pietre Albe si trova all’estremità occidentale dell’isola, accanto ad una Punta Nera… Sono in particolare i promontori ‘bianchi’ a rivestire un ruolo rilevante per la navigazione antica, sempre legata a punti di riferimento costieri il più possibile visibili dal mare aperto. Da tempo è stato osservato (NENCI 1973) che nel reticolo delle antiche rotte marittime questi promontori ‘bianchi’ sono situati in punti di rilievo, spesso alla giunzione di diversi itinerari20. Anche in questo caso l’isola d’Elba è esemplare: il Capo Bianco a Nord di Porto Azzurro si trova all’ingresso di un ampio bacino portuale e al punto di arrivo della frequentatissima rotta costiera di avvicinamento da Sud; la Spiaggia delle Pietre Albe è proprio in corrispondenza della traversata dalla Corsica; il Capo Bianco presso Portoferraio segnala l’ampio e sicuro approdo a chi si avvicina da Nord, cioè dalla costa Toscana o dal mar Ligure. L’identificazione Porto Argòo-rada di Portoferraio viene accolta da tutti gli studiosi (SOLARI 1914, pp. 218-219 con breve bibliografia precedente) e si basa in primo luogo sulla Tabula Peutingeriana, che pur nella schematicità e convenzionalità della raffigurazione cartografica rappresenta l’isola d’Elba con una forma semilunata, inserendo la scritta Ango portus – da correggere ovviamente in Argo portus – proprio nella concavità che non può rappresentare che la rada di Portoferraio (in generale BOSIO 1983, p. 43, 44, fig. 10). caratterizzano il promontorio. Che il toponimo nasca da un’assimilazione e banalizzazione in latino, ad es., di un jArganqwvneion o[ro", analogo a quello noto in Bitinia e legato pure esso al mito argonautico (HIRSCHFELD 1895a)? Il nome ricorda il re di Tartesso fortemente legato ai Focei (Hdt., I, 163). 20 Dall’uomo dipende ovviamente non il posizionamento dei promontori, ma la scelta – sulla base di un’attenta osservazione – di quelli più facilmente riconoscibili e significativi per l’orientamento marittimo. 241 © 2005 Edizioni all’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale E si consideri inoltre che la frase di Diodoro (da Timeo) «il più bel porto in quei luoghi» (IV, 56) appare appropriata solo se riferita all’insenatura in questione21. Il recentissimo incrocio dei dati geologici e di alcuni elementi nella tradizione mitografica (DINI et alii c.s.) permette forse una migliore comprensione dell’aspetto toponomastico e mitico. Un ampio tratto di costa a Ovest di Portoferraio, che culmina nel Capo Bianco, è infatti costituito da una parete a picco di aplite, una roccia bianca a grana finissima, dotata di una certa durezza e di singolare brillantezza (e quindi ajrgovv", non semplicemente leukovv"22), tale che ancora oggi appare ben visibile a notevole distanza, come può verificare chiunque giunga a Portoferraio con il traghetto da Livorno (DINI et alii c.s.). La presenza poi di banchi di aplite – oggi nascosti dall’espansione urbana – anche all’interno della rada di Portoferraio, potrebbe spiegare perché ad essere definito ‘luminoso’ sia non un ‘promontorio’, ma un ‘porto’ (DINI et alii c.s.). Né si tratta di un porto qualunque, come abbiamo visto, sia per le sue caratteristiche intrinseche (già notate dagli antichi) sia per la sua posizione strategica nell’ambito delle rotte verso il Tirreno settentrionale, le coste galliche e la catena insulare Corsica-Sardegna. 2.2 LE TRACCE MATERIALI. I CIOTTOLI Al dato toponomastico si affianca un elemento materiale, i ciottoli ‘colorati’ lasciati dagli Argonauti, anch’esso ben presente nella tradizione23. L’unicità dell’aition è rimarchevole: in nessun altro luogo del Mediterraneo (ma supra riguardo gli scolii a Licofrone) è attestato un fenomeno analogo, né in rapporto agli Argonauti né in relazione ad altri miti; e del resto questa unicità è ben sottolineata nelle fonti antiche. È costante la localizzazione delle pietruzze in prossimità del mare (De 21 Una semplice ricerca delle occorrenze di kavllisto" e limhvn nelle fonti letterarie greche mostra che tale entusiastica definizione viene applicata, oltre che al nostro Porto Argòo, al Surakovsio" limhvn in Corsica (Diod., V, 13, 3 = Timaios, 566 F 164), a Xarmouthas, sulla costa orientale dell’Arabia (Diod., III, 44, 7), al Pireo (Diod., XI, 41, 2), a Panormos di Sicilia (Diod., XXII, 10, 4-5), al Portus Lunae (Strabo, V, 2, 5), a Taranto (Strabo, VI, 3, 1), a Aspis nella Sirte (Strabo, XVII, 3, 20). Il porto Argòo era quindi valutato al livello di alcuni dei principali porti del Mediterraneo. 22 Che il toponimo potesse derivare dal colore bianco delle rocce intorno appunto a Capo Bianco era stato proposto da tempo (ad es. SOLARI 1914, p. 218-219, che cita LOTTI 1886, p. 238; SABBADINI 1919-1920, p. 5) e accolto da tutti, senza tuttavia che si sottolineasse la particolarità del ricorso all’aggettivo ajrgovv" rispetto a leukovv". 23 Per la sua assenza in Diodoro/Timeo cf. JACOBY 566 F 85 Kommentar e Noten n. 436, secondo cui Diodoro ha fortemente contratto il brano timaico; e GEFFCKEN 1892, pp. 53 n. 1, per il quale è possibile che talvolta Diodoro abbia volutamente tralasciato notizie che sapeva di inserire in altra parte dell’opera, come nel caso dei capp. IV, 56 e V, 13, ambedue riguardanti l’Elba e che, secondo lui, si integrano a vicenda. 242 © 2005 Edizioni all’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale Mirabilibus Auscultationibus, Strabone, Licofrone, probabilmente Apollonio24, forse Antigono di Caristo). Proprio Apollonio – debitamente emendato – collega direttamente i ciottoli al Porto Argòo, seguito molto probabilmente da Strabone: del resto nell’economia dell’intera vicenda argonautica – almeno come la conosciamo da Apollonio Rodio – la breve sosta all’Elba, priva com’è di eventi o incontri, è un elemento assolutamente minore, cronologicamente e topograficamente unitario25. Più sfuggente è la precisa natura delle pietruzze e quindi la ragione della loro decantata unicità. Gli autori alludono infatti in vario modo al processo di formazione dei ciottoli: – gli schizzi degli strigili degli Argonauti hanno macchiato i ciottoli (Mir. Ausc.: ajpo; tw~n stleggismavtwn; Lykophr., 874: eujliph~ stelgivsmata); – i ciottoli sono stati formati dal rapprendersi degli schizzi (Strabo, V, 2, 6: tw~n ajpostleggismavtwn pagevntwn); – è con i ciottoli stessi che gli Argonauti si sono detersi, dando alle pietruzze il colore della loro pelle (Apoll. Rhod., IV, 656: yhfi~sin ajpomorxavnto…). Di conseguenza, diverso doveva essere anche il loro aspetto: se per Apollonio i ciottoli avevano un colore analogo alla pelle di Giasone e compagni26, in Strabone e nel De Mirabilibus Auscultationibus le pietre sono (dia)poikivlai, e in Licofrone conservano gli eujliph~ stelgivsmata. L’aggettivo poikivlo" indica come noto non un singolo colore ma un effetto cromatico, derivante dalla compresenza di più colori, distinti tra loro o cangianti (da ultimo CHANTRAINE 1999, pp. 923-924; vd. anche DÜRBECK 1977, pp. 132 e 187-188, in cui il contrario di poikivlo" è oJlov – o monovcrou"). In particolare, poikivlo" e yh~fo" appaiono spesso insieme in riferimento a mosaici. Se un qualche elemento materiale era a fondamento di questa diffusa (e confusa) opinione, a cosa potevano effettivamente riferirsi gli autori sopra citati? E quale poteva essere il rapporto con la realtà geologica dell’isola d’Elba? Occorre innanzitutto ricordare che dell’aition abbiamo resoconti succinti, generalmente epitomati e ovviamente non di prima mano, e che l’interesse del narratore è principalmente mitologico ed eziologico, e solo in minima parte ‘scientifico’. Ma una nota nel De Mirabilibus Auscultationibus, 105 suggerisce di non dare per scontato un riferimento alla realtà elbana disattento e banalizzante: nel capitoletto si afferma infatti che sono «i Greci che abitano nell’isola» a mettere in relazione i ciottoli screziati con la sosta degli Argonauti. 24 Se accettiamo la correzione e[nqa che mette in relazione il porto Argòo con le altre tracce degli Argonauti: supra. 25 E tuttavia si consideri che in Mir. Ausc., 105 è proprio l’aition elbano dei ciottoli, ed esso solo, ad essere evocato come prova del percorso tirrenico / occidentale. 26 Si ricordi tuttavia che il brano è molto tormentato ed è quindi difficile stabilire un senso preciso per il testo di Apollonio. 243 © 2005 Edizioni all’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale Quindi una fonte locale e ben informata, e probabilmente sensibile agli aspetti geo-mineralogici dell’isola. Detto questo, osserviamo che sono varie le realtà materiali da cui tale aition poteva scaturire. 2.2.1 Minerali ferrosi? Pietre color della pelle, o colore dello sporco che veniva abitualmente raschiato via con gli strigili, potevano certamente alludere a minerali ferrosi; così peraltro intendono la maggior parte dei commentatori, da Holzinger (1895, p. 261) a Ciaceri (1982, p. 265) a Braccesi (1999, p. 73). Anche pietre ‘cangianti’ richiamerebbero ovviamente la tipica cristallizzazione dell’ematite elbana, detta oligisto o pietra lucciola. Che la prima percezione del minerale ferroso fosse proprio coloristica è stato sottolineato in altra sede (CORRETTI 2004a, p. 126). Questa lettura è fortemente condizionata dall’importanza delle miniere di ferro dell’isola, e del resto la connessione tra Argonauti e risorse minerarie non è una novità27. Sono anzi proprio i detriti sulle spiagge ad attirare i primi sguardi dei prospectors di cui gli Argonauti costituiscono un mitico antecedente28. La presenza di minerale ferroso in prossimità del mare è tuttavia un fenomeno se non frequente, tale comunque da non poter essere descritto come ‘unico al mondo’ (DINI et alii, c.s.). Ma è anche un elemento topografico – che inevitabilmente sfugge a chi non ha conoscenza diretta dell’isola d’Elba – a impedire di ‘chiudere’ il cerchio. Le miniere di ferro infatti sono presenti solo nella parte orientale dell’isola, mentre nessun affioramento metallifero appare intorno al probabile sito del Porto Argòo, cioè Portoferraio: ma abbiamo visto che proprio il Porto Argòo è il ragionevole scenario dell’aition argonautico. Ne conseguirebbe una diversa localizzazione del Porto Argòo, in prossimità dei giacimenti a ferro dell’Elba orientale – ad esempio nell’area di Porto Azzurro, ancora presso un Capo Bianco, come abbiamo visto. 2.2.2 I ciottoli de ‘Le Ghiaie’? Non resta allora che tornare a Portoferraio e seguire Lucas Holstenius (1684, p. 15) che nel XVII sec. proprio nei pressi di Portoferraio («in parte hujus insulae et juxta salinas, quae sunt a tergo castelli Majoris»), sulla spiaggia delle Ghiaie, osservò direttamente («vidi») la presenza di ciottoli bianchi screziati di nero che la geologia definisce apliti con inclusioni tormalinifere (DINI et alii c.s.). In ambito locale quest’identificazione appare ben radicata ed indiscussa (ad es. SOLARI 1914, pp. 218-219; SABBADINI 1919-1920, p. 5; la 27 Già Strabo, I, 2, 39. Un cenno da ultimo in CAMPOREALE 2004, pp. 52 e 371; vd. più diffusamente BREGLIA PULCI DORIA 1997, pp. 241, 245 e passim. 28 CORRETTI, BENVENUTI 2001, p. 139. 244 © 2005 Edizioni all’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale pubblicistica elbana legata al turismo ancora oggi accoglie l’identificazione29 senza minimamente prendere in considerazione l’ipotesi del rapporto con i minerali di ferro); riesce difficile spiegare un tale ‘successo’ facendolo derivare semplicemente da un erudito del XVII sec.: ci si chiede quindi se non sia stato invece l’Holsten ad attingere ad una tradizione locale già viva. Del resto l’aspetto puntinato dei ciottoli – che tuttora attira l’interesse di turisti e curiosi – giustifica l’aggettivo poikivlo" e, se vogliamo, le lucide macchie nerastre ben si prestano ad essere interpretate come eujliph~ stelgivsmata. 2.2.3 Scorie metalliche? Boardman (2004, pp. 90-91) fornisce un’interessante interpretazione dei ciottoli argonautici: essi sarebbero «depositi delle scorie di antiche lavorazioni». Le scorie fayalitiche derivanti da attività di riduzione si presentano sotto forma di colaticci nerastri di varie dimensioni e sono facilmente riconoscibili: esse sono chiaro segno di un’antica attività metallurgica e, indiziando la presenza di risorse metallifere nelle vicinanze, sono ovviamente oggetto di attenzione da parte di prospectors/metallurghi. Le spiagge elbane restituiscono sia accumuli di scorie (di età tardorepubblicana: CORRETTI 2004, con bibliografia precedente) sia scorie fluitate da depositi a monte, non solo in prossimità delle miniere ma anche nelle altre parti dell’isola; esiste tuttavia, al momento, un problema di cronologia30. 2.3 LE ALTRE TRACCE MATERIALI Se l’elemento toponomastico e l’aition delle pietruzze ricorrono in gran parte della tradizione, il solo Apollonio ricorda altre tracce materiali presenti sulla spiaggia insieme ai ciottoli31. La prima (v. 657) consiste in sovloi, strumenti per le gare di lancio del peso. Il lancio del peso o del disco è attività tipica degli Argonauti: ad esempio, Teti trova i compagni di Giasone sulla spiaggia sovlw/ rJiph~/si t∆ ojistw~n / terpomevnou" (Apoll. Rhod., IV, 851-852). Un enorme sovlo" – di dimensioni ‘eroiche’ – viene da Giasone impiegato addirittura in occasione della conquista del vello (Apoll. Rhod., III, 1366, 1372). Nel contesto del poema di Apollonio simili oggetti appaiono comuni complementi di questi giovani eroi, dediti a discipline atletiche soprattutto se non impegnati 29 http://www.isolegreche.it/nonsoloisolegreche/elba_giglio/elba.html; http://www. elba2000.it/portoferraio_elba/leggende.html 30 L’ipotesi di antiche lavorazioni implica non solo che queste dovevano essere precedenti all’arrivo dei primi prospectors, ma anche che l’attività metallurgica non doveva essere più in corso. I dati archeologici finora disponibili non sono di aiuto; le prospezioni di superficie hanno permesso di documentare intense fasi produttive di età repubblicana e poi medievale (si rimanda a CORRETTI 2004). 31 Nel De Mirabilibus Auscultationibus si accenna comunque genericamente a a[lla te deiknuvousi mnhmei~a … kai; to; ejpi; tw~n yhvfwn de; legovmenon. 245 © 2005 Edizioni all’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale in altre attività più necessarie (FRÄNKEL 1968, pp. 516-517). Apollonio poteva quindi darne per scontata la presenza nel caso di una sosta ‘tecnica’, com’è quella all’isola d’Elba, anche indipendentemente dal reale riscontro materiale: tanto più che quest’ultimo sarebbe stato necessariamente generico, dato che in fondo qualsiasi pietra arrotondata e di grosse dimensioni era sufficiente ad evocare un sovlo" eroico (a Natursteine pensa infatti FRÄNKEL 1968, p. 519). Possiamo tuttavia ritenere che la notizia di cui Apollonio si servì per la redazione dell’episodio elbano si basasse almeno in parte su tradizioni locali e quindi relative a realia; e ci possiamo chiedere, in questo caso, cosa poteva divenire, nel mito, un sovlo". Secondo Walther (1891, 96 n. 1) «spectant fortasse ad ferri abundantiam». Ricordiamo infatti che un sovlo" in ferro massiccio (sovlon aujtocovwnon) è premio e attrezzo di una delle gare del funerale di Patroclo (Il., XXIII, 826; Hesych., s.v. aujtocwvneuton divskon, h] sidhrou~n, h] kecwneumevnon). Masse di ferro arrotondate, purtroppo ormai fuori contesto, sono state rinvenute in passato all’isola d’Elba, sia a Santa Lucia presso Portoferraio (ADEMBRI 1983, s.v.), che a Cavoli, nell’Elba occidentale (ZECCHINI 2001, tav. 93 in alto). Inoltre blocchi di minerale ferroso arrotondati dall’erosione sono visibili sulle spiagge dell’Elba orientale (DINI et alii c.s.). Ma ancora una volta la suggestione mineraria ci porterebbe necessariamente lontano dal Porto Argòo. Qui, sarebbero proprio le inclusioni di tormalina dell’aplite a fornire i possibili sovloi della tradizione (DINI et alii c.s.): queste inclusioni sono infatti di forma sferoidale, sono pesanti e possono raggiungere dimensioni ragguardevoli; inoltre, essendo costituite di materiale più duro della roccia aplitica che le ingloba, l’erosione tende a ‘liberarle’. È molto probabile che prima dell’afflusso turistico degli ultimi decenni – e ancora più diffusamente nell’antichità – fosse ancora possibile vedere sulla spiaggia in questione sfere nerastre grosse e pesanti, frammiste ai ciottoli screziati. Per quanto riguarda infine gli altri realia argonautici visibili all’Elba secondo Apollonio, la loro identificazione appare disperata, essendo il testo qui molto probabilmente corrotto (teuvcea / truvcea / truvfea: supra, 1. 2.). Si rimanda quindi a quanto detto sugli aspetti testuali (supra). 2.4 IL SANTUARIO DI ERACLE È menzionato solamente nel brano di Licofrone la cui pertinenza all’isola d’Elba, come abbiamo visto, rimane sub iudice. La ‘dissonanza’ del quadro licofroneo rispetto al resto della tradizione non deve stupire: è proprio del poeta di Calcide variare rispetto ai canoni mitografici, oscurando dietro allusioni elementi ben conosciuti di un mito e esaltandone invece particolari altrimenti ignoti32; si è anche ipotizzato che Licofrone per tutto l’aition elbano si ispirasse STI 32 Un’esposizione del procedimento licofroneo per ‘allusione’ ed ‘elusione’ da ultimo in MU2001, di cui non mi sento tuttavia di seguire le proposte di datazione dell’intero poemetto. 246 © 2005 Edizioni all’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale non a Timeo (come vorrebbero FUSILLO, HURST, PADUANO 1991, pp. 260-261) ma alla possibile sua fonte – nonché padre adottivo del poeta stesso – Lico di Reggio (AMIOTTI 1982, p. 454 con bibliografia precedente; vd. anche DOGNINI 2003, p. 25); pensa invece ad Apollonio Rodio la Gigante Lanzara (2000, p. 348). Le principali dissonanze del brano in questione rispetto alle altre testimonianze consistono in un altrimenti ignoto passaggio di Menelao nell’alto Tirreno33 ed in un sacello a Eracle omesso dal resto della tradizione, la quale pure conosce e descrive santuari fondati dagli Argonauti in onore anche di membri della spedizione; ad esempio l’istituzione di un culto dei Dioscuri alle isole Stoicadi viene ricordata da Apollonio solo pochi versi prima della sosta all’Elba (IV, 651-653). Si può tuttavia osservare che mentre in quest’ultimo caso la notizia dell’istituzione del culto viene giustificata dal poeta con il ruolo avuto dai Dioscuri nella riuscita della perigliosa traversata fluviale-lacustre, la menzione della fondazione di un santuario eracleo all’Elba – non connessa a eventi di rilievo – poteva non apparire necessaria e tale piuttosto da rallentare il ritmo della narrazione, il cui baricentro era già spostato sul successivo episodio di Circe. Se poi nel brano di Diodoro/Timeo e nel De Mirabilibus Auscultationibus l’intenzione epitomatoria può aver portato a omettere il dato a favore di elementi molto più pregnanti, è soprattutto in Strabone – che avrebbe invece modo di esprimere in suo intento descrittivo – che questo silenzio stupisce. Ma si potrebbe supporre che la fonte ‘libresca’ da cui Strabone ha tratto la notizia argonautica fosse proprio Apollonio, che aveva già espunto il dato dell’altare ad Eracle dando all’aition la forma ‘canonica’: e il fatto che ambedue – Strabone e Apollonio – citino contemporaneamente e insieme sia il porto Argòo che i ciottoli variopinti, ricordando peraltro la successiva sosta da Circe, rafforza l’idea di questa connessione diretta. Dati letterari e toponomastici documentano abbondantemente l’importanza del culto di Eracle nel Tirreno (da ultimo PANESSA 2003): non solo simJ raklevou" iJerovn (Ptol., III, 1, 4; vd. PANESSA, l.c.) e un Portus bolicamente, un H Herculis (Itin. Mar., 499.7) inquadrano da Nord a Sud il litorale prospiciente l’Elba. Non stupirebbe quindi un luogo di culto dedicato all’eroe presso il Porto Argòo. Purtroppo non ci possiamo spingere troppo oltre nell’indagine: troppo sfuggente, ad esempio, è la menzione di Eracle per ricavarne indicazioni sulla possibile fisionomia del culto34 (l’Eracle euboico, non avversario ma protettore di Era, a sua volta protettrice degli Argonauti35? l’Eracle della via Heraclea, 33 Su Menelao in Occidente vd., oltre ai commenti di Ciaceri e Gigante Lanzara ad loc., anche BRACCESI 1999, pp. 69-76, con bibliografia precedente, in part. VANOTTI 1996. 34 Vd. già Dionys. Hal., I, 40, 6 (citato in epigrafe a CAPDEVILLE 1999): «spanivw" a]n eu{roi tiv" jItaliva" cw~ron, e[nqa mh; tugcavnei timwvmenov" oJ qeovv"». L’affermazione dionigiana è ripresa appunto da CAPDEVILLE 1999, che fornisce tra l’altro una documentatissima rassegna bibliografica sull’argomento. 35 Su cui vd. ancora VALENZA MELE 1979, pp. 29 sgg.; vd. anche SCATOZZA 1998, pp. 417-419 con bibliografia. Importante il complesso delle metope dell’Heraion alla foce del Sele, 247 © 2005 Edizioni all’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale protettore dei Greci dall’Iberia alla Sicilia36?). Per completezza si ricorda che dall’Elba proviene un altare in granito che un P. Acilius Attianus prefetto del pretorio sotto Traiano e Adriano dedicò Herculi Sancto37. È stato rinvenuto a Seccheto, nell’Elba occidentale, presso la cava stessa: e si è sostenuto che questa poteva anche essere la sua collocazione definitiva (TADDEI 2001, pp. 266-267). Che Acilio Attiano avesse interessi nell’isola è documentato dalle fistule in piombo con il suo nome rinvenute proprio a Portoferraio38. Fermo restando che si può trattare anche di un culto a titolo privato e in ambito domestico, perché – ma è, e rimane, solo una suggestione – non immaginare una connessione con il santuario di Eracle presso Porto Argòo di cui parla Licofrone? 2.5 UNA PRIMA SINTESI DEI DATI: LA GENESI DEL MITO Da quanto finora esaminato appare evidente che almeno a partire dal IV sec. a.C.39 si era formata un’articolata tradizione riguardo al passaggio degli Argonauti all’isola d’Elba, e che almeno uno degli elementi ‘forti’ della leggenda – i ciottoli screziati – era maturato in seno ad una comunità ellenica stanziata nell’isola. La presenza di aspetti del mito di diversa natura ma di pari vigore nella tradizione (la toponomastica e le pietruzze variopinte) presuppone per l’episodio argonautico una genesi complessa, con un successivo momento di unione e armonizzazione. Un primo nucleo si deve essere sviluppato intorno allo ‘splendente’ porto nel golfo di Portoferraio, quando con un elementare gioco paretimologico la nave Argo viene fatta attraccare nella rinomata insenatura. Questa notizia è certamente in Timeo, teste Diodoro40, fondazione ‘argonautica’, su cui vd. da ultimo MASSERIA, TORELLI 1999, pp. 246-247. 36 Una messa a punto in PLÁCIDO 1993, pp. 78-79 e passim; vd. MOREL 1998, p. 42; MASSERIA, TORELLI 1999, p. 215. 37 Prima notizia ed edizione in LITTIG, HUELSEN 1903, con ampia nota prosopografica; connetteva il manufatto alla Villa delle Grotte il Tosi (1930), ma la cronologia della villa, ora stabilita sulla base di un riesame dei dati archeologici, impedisce tale accostamento (CASABURO 1997, pp. 61 e 63). Una rapida verifica tra le iscrizioni latine di Roma, recentemente indicizzate, mostra che l’epiteto sanctus con riferimento a divinità viene nella stragrande maggioranza dei casi associato a Silvano e poi a Ercole, con minime occorrenze per altre divinità. 38 Vd. nota precedente. Che a P. Acilius Attianus potesse essere riferita la villa della Linguella suggerisce CASABURO 1997, p. 63. 39 Ma le prime tracce del mito argonautico in Occidente risalgono ovviamente molto più indietro nel tempo: si rimanda per comodità a RIZZO, MARTELLI 1988-1989 (fonti letterarie e iconografiche), a PLACIDO 1996 e a BREGLIA PULCI DORIA 1997, in part. p. 239. L’episodio elbano è strettamente legato alla sosta da Circe, la cui collocazione occidentale e tirrenica è già presente, come noto, nella Teogonia (1011-1016), in un luogo la cui eventuale interpolazione nel VI sec. a. C. (proposta in WEST 1966) è stata messa in dubbio (si rimanda da ultimo a BRACCESI 1997, pp. 82-84; MELE 1997, p. 161). Inoltre si è pensato di collegare le «isole dei Beati» del medesimo brano proprio con le isole dell’Arcipelago toscano (BRACCESI 1999, p. 23, vd. anche CERCHIAI 1995). 40 Si noti per inciso che la definizione del Porto Argòo come kavllisto" limhvn (Diod., IV, 56, da Timeo) ha un immediato parallelo sempre in Diodoro (V, 13) a proposito del Surakovsio" Limhvn 248 © 2005 Edizioni all’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale e da lui passa in Apollonio Rodio. L’altro nucleo, forse anche indipendentemente dal primo, si può essere formato invece a partire da fenomeni naturali anch’essi ambientati su una spiaggia dell’Elba (ma non necessariamente, almeno all’inizio, il Porto Argòo): pietre colorate o screziate che era possibile connettere agli Argonauti solo attraverso l’inedito espediente degli schizzi di sporco, insieme probabilmente ai grossi massi che diverranno i sovloi della tradizione. Non è escluso che l’aition alludesse ai minerali depositati sulla spiaggia – segnale promettente per occhi intenti alla ricerca di metalli – e che in un primo momento fosse localizzato proprio nell’Elba orientale, quella delle miniere, senza continuità topografica con l’altro segno argonautico nel Porto Argòo. Anche per la notizia dei ciottoli si è spesso postulata una derivazione da Timeo (soprattutto GEFFCKEN 1892, pp. 24-25; GIANNINI 1966, p. 273; da ultimo anche FUSILLO, HURST, PADUANO 1991, pp. 260-261); tuttavia la constatazione che laddove (Diod., IV, 56) si cita espressamente Timeo e il passaggio degli Argonauti all’Elba questo aition non viene menzionato, ha sollevato legittimi dubbi (panoramica in FLASHAR 1972, pp. 122-124; supra, n. 5) e ha fatto pensare o a Lico di Reggio (AMIOTTI 1982, con bibliografia precedente) o direttamente ad Apollonio Rodio (GIGANTE LANZARA 2000, p. 348). Il fatto che Apollonio derivi da Timageto (su cui ancora GISINGER 1956) la parte dell’itinerario argonautico immediatamente precedente il passaggio dall’Elba, ci fa chiedere se possa essere proprio attraverso l’autore del Peri; Limevnwn – ben informato di cose massaliote e tirreniche – che Apollonio ha raccolto la notizia: e comunque esisteva un altro autore di un Peri; Limevnwn più volte citato negli scolii alle Argonautiche41, Timostene, comandante della flotta del Filadelfo e quindi non solo contemporaneo di Apollonio, ma probabile conoscitore anche dei mari di Occidente. Infine il santuario di Eracle, ricordato solo da Licofrone e collocato dagli scolii in Sicilia o in Libia (supra). Se anch’esso fosse presente in Timeo, o se Licofrone avesse attinto direttamente a Lico di Reggio (vd. soprattutto AMIOTTI 1982) non è possibile dire; non vi sono tuttavia ragioni per pensare ad un autoschediasma. Ad un certo punto il mito argonautico nell’isola viene globalmente riconsiderato, magari nell’ambito di una più generale risistematizzazione dei complessi mitografici dell’Occidente. Elementi diversi (la falesia di Capo Bianco, i ciottoli…) riscontrati in momenti diversi (e forse in diverse parti dell’isola) confluiscono allora in un unico insieme mitico ed eziologico, armonizzato ormai con il resto del patrimonio mitografico occidentale. In quest’isola d’Elba ormai ‘vista da lontano’, e divenuta quindi un’entità unitaria, le articolazioni in Corsica, ancora in una sezione dell’opera di Diodoro (il c.d. Libro delle Isole) in cui si tende a vedere Timeo come fonte principale (bibliografia anche in CORRETTI 2004, p. 276 e n. 20). 41 DELAGE 1930, p. 99. 249 © 2005 Edizioni all’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale geologiche e topografiche interne sfumano, divenendo impossibili da percepire (e in fondo inutili da esprimere) da parte di un lontano elaboratore e narratore di miti. Così tutto avviene, per semplicità, al Porto Argòo: l’attracco della nave eponima e poi i giochi e la detersione, e forse anche la fondazione del santuario. E lo sporco degli Argonauti non origina più gli scuri minerali di ferro (né potrebbe, nel Porto Argòo), ma va a segnare irrevocabilmente i candidi ciottoli delle Ghiaie, dando origine ad un fenomeno che scientemente gli antichi affermano costituire un unicum in tutto il Mediterraneo (cogliendo peraltro nel segno, come oggi dimostrato dalla geologia: DINI et alii, c.s.). Gli interessi geografici e paradossografici, la grande fortuna di cui godette la sua opera e il fatto che essa costituisse la prima sistematizzazione delle conoscenze storiche, etnografiche e geografiche sull’Occidente (FRASER 1972, pp. 763-764 sgg.) spingerebbero a riconoscere in Timeo il rielaboratore di questo episodio mitico (in particolare BREGLIA PULCI DORIA 1997, p. 238; ancora fondamentale GEFFCKEN 1892). L’osservazione tuttavia che i diversi elementi compaiono tutti e insieme per la prima volta in Apollonio Rodio ci fa piuttosto ipotizzare – concordando parzialmente, in questo, con la Gigante Lanzara (2000, p. 348) – che proprio al poeta alessandrino vada ascritto l’intervento di riorganizzazione del materiale mitico sul tema in questione42. Si ricordi peraltro che Apollonio Rodio era Bibliotecario ad Alessandria tra il 260 e il 230 a.C. circa, un decennio dopo la probabile permanenza di Licofrone (discepolo di Lico di Reggio e possibile portatore di tradizioni calcidesi raccolte nella città dello Stretto43 e solo in parte confluite in Timeo: AMIOTTI 1982). 2.6 I GRECI NELL’ISOLA: DAL MITO ALLA STORIA Gli eroi con Giasone, nelle loro diverse origini e storie, costituiscono una sorta di sintesi della grecità. Il mito degli Argonauti è caratterizzato quindi da una grande complessità di livelli di lettura e di rapporti con altre saghe e con figure mitiche anche locali, e si prestava a molteplici e anche contrastanti impieghi propagandistici, il che complica l’identificazione dei ‘portatori d’interesse’ nello sviluppo e diffusione dei singoli episodi argonautici. Ad esempio Bute, legato a Segesta e al mondo elimo, avrà il suo ruolo al tempo delle spedizioni occidentali di Atene, e altrettanto si potrebbe dire di Phaleros (RAVIOLA 1997, pp. 347 sgg.), facendo quasi da contraltare alle interpretazioni in chiave filosiracusana del medesimo mito. Telamone stesso, argonauta eponimo del 42 Anche PONTRANDOLFO, MUGIONE 1999, p. 338 sgg. pensano che sia Apollonio Rodio a riunire e riorganizzare molte tradizioni anche antiche. 43 Sulla collaborazione tra emporia focea e città calcidesi dello Stretto, in particolare Reggio, vd. di recente MOREL 1994. Non a caso sarà Reggio la prima località in cui cercheranno rifugio i Focei fuggiti da Alalia (Hdt., I, 167). 250 © 2005 Edizioni all’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale porto sulla costa toscana a SE dell’Elba, ci riporta ad Egina, importante tappa argonautica e patria dell’emporos Sostrato, che a Gravisca dedica ad Apollo egineta un’ancora. Ifito, figlio di Naubolo, è focidese, e quindi foceo (BREGLIA PULCI DORIA 1997, p. 245); senza poi voler affrontare la figura di Aithalides, araldo argonautico che proprio a Lemno svolge un ruolo di rilievo e il cui nome richiama sia l’Elba che Lemno e Chio (su Aithale /Lemno/Chio vd. da ultimo CORRETTI 2004a; vd. anche CODECASA 2002, con suggestioni toponomastiche e folkloriche che necessitano però di più salda documentazione). E l’elenco potrebbe proseguire. Né l’indagine può limitarsi al solo mondo greco, dato che il mito di Giasone viene precocemente assimilato anche dalle comunità etrusche (ancora RIZZO, MARTELLI 1988-1989; SORDI 2002), pronte esse pure a ‘reclutare’ gli eroi per propaganda interna o internazionale (dei molti interventi sull’argomento si rimanda ad es. a MASSA PAIRAULT 1990; MENICHETTI 1995; CIAMPOLTRINI 1995). E tuttavia nel nostro caso è estremamente interessante, com’è già stato sottolineato (COLONNA 1981, p. 447), il riferimento nel De Mirabilibus Auscultationibus agli {Ellhne" oiJ th;n nh~son oijkouvnte", autori dell’attribuzione del fenomeno dei ciottoli alla sosta degli Argonauti, sulla base peraltro di un dato cronologico di impossibile verifica (ajpo; ejkeivnwn ga;r tw~n crovnwn … { teron ejpigenomevna"). Non solo abbiamo notizia della presenza di Greci ou[q uj s nell’isola (e nell’opuscolo pseudoaristotelico, almeno nel suo nucleo ritenuto più antico, notiamo un costante interesse per tutto ciò che riguarda i Greci in aree periferiche44), ma li vediamo all’opera nella rielaborazione e trasmissione di un mito eziologico, probabilmente inteso a convalidare e rafforzare, evocando illustri predecessori, la loro presenza nell’isola tirrenica. Chi siano questi Greci non è chiaro. Il termine oijkou~nte" fa pensare ad una popolazione stanziale, più che a navigatori che frequentano i porti dell’isola. Il pensiero corre subito alla guarnigione siracusana che, secondo l’interpretazione di un passo di Diodoro (XI, 88), dovette rimanere sull’isola dopo l’incursione del 453/2 a.C. (in questo senso COLONNA 1981, p. 447; vd. anche MASSA PAIRAULT 1990, p. 155 e n. 56; VANOTTI 1996, pp. 337 sgg.). L’espansione siracusana nell’alto Tirreno (che più tardi porterà anche alla creazione di un Portus Syracusanus in Corsica: Diod., V, 13, 3) è vicenda ben nota: iniziata almeno con i Dinomenidi attraverso il controllo dello Stretto di Messina e la vittoria di Cuma, prosegue dopo la caduta dei tiranni con la conquista dell’Elba e continua nel IV sec. a.C. con le iniziative diplomatiche, propagandistiche e militari di Dionisio I45. È ragionevole pensare che 44 Ad es. Ps. Arist., Mir., capp. 1, 22, 79, 81, 85, 87, 100, 105, 107, 109, 111, 123, 132, 149, 150. FRASER 1972, n. 383 vede nel nucleo dei capitoletti centrali dell’opera una forte impronta timaica, pur non escludendo la derivazione di notizie anche da Lico di Reggio, espressamente citato; FLASHAR 1972, ad loc. tende invece a ridurre il ruolo di Timeo. 45 Ancora utile ANELLO 1980. 251 © 2005 Edizioni all’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale proprio il controllo (diretto o tramite Populonia, come intuì COLONNA 1981) delle risorse metalliche dell’Etruria mineraria, più che la propagandata lotta alla pirateria etrusca46, abbia costituito l’obbiettivo ultimo di tale consistente impegno della città siciliana47. L’aition elbano assumeva quindi un’importanza cruciale nella dimostrazione di un diritto acquisito da Siracusa sulla piccola ma ricca isola: è stato già sottolineato (VANOTTI 1996, 337 sgg.) che nella versione di Licofrone la menzione dei ‘Dori’ Minii e la sosta dello spartano Menelao rimandano ad un ambiente dorico quale, in Occidente, quello appunto di Siracusa: dorico, soprattutto, in opposizione alla ‘ionica’ Atene, al momento delle aspirazioni egemoniche della città attica nei mari d’Occidente dalla metà del V sec. a.C. Si ricordi, per inciso, che Siracusa è colonia di quella Corinto in cui la vicenda di Giasone e Medea si sarebbe drammaticamente chiusa. Ma, a proposito di Corinto, non si deve ridurre il coinvolgimento della città dell’Istmo al solo ruolo di ‘puntatore’ verso Siracusa. La diffusione del mito argonautico in Etruria avviene infatti ad un livello cronologico assai precedente le dinamiche espansionistiche della città siciliana, sì che si è postulato un ruolo autonomo di Corinto al tempo del suo inserimento nell’ambiente tirrenico (RIZZO, MARTELLI 1988-1989; vd. anche DE FIDIO 1995, p. 114; BREGLIA PULCI DORIA 1997, pp. 244-245). Braccesi poi (1999, pp. 71-78 e sgg., con bibliografia precedente), vedendo in Menelao la proiezione mitica e propagandistica di Dorieo, ipotizza che la sosta dello spartano all’Elba – così fuori dell’ambito ‘canonico’ delle sue peregrinazioni, contenute tra il Mediterraneo Orientale e centrale e le coste libiche – esprima precisi interessi di Dorieo e della sua metropoli sull’arcipelago toscano: l’embrione di un progetto espansionistico mai realizzato (e altrimenti difficile da documentare). Ma l’indagine può essere più fruttuosamente portata in altre direzioni, come proposto da Breglia Pulci Doria (1997, pp. 239 sgg.). Si è già inteso dimostrare in altra sede (CORRETTI, BENVENUTI 2001; CORRETTI 2004a) che aspetti toponomastici (tra cui il nome stesso dell’isola, Aijqavlh) e spunti nella tradizione antiquaria concernente l’isola (topos della miniera bimetallica in Mir. Ausc., 93; menzione di un Abas a capo del contingente elbano-populoniese in Verg., Aen., X, 172 sgg.48) rendono plausibile l’ipotesi che navigatori ed 46 Esiste tuttavia una tradizione (analizzata da CIAMPOLTRINI 1995) che ricorda una battaglia navale tra gli Argonauti e i pirati Tirreni e che si conclude con la ‘divinizzazione’ di Glauco, che una recente esegesi vorrebbe vedere raffigurato su un frammento della decorazione del tempio di Talamone. 47 Interessante anche la presenza di una litra di Siracusa del terzo quarto V sec. a. C. a S. Piero a Grado, in un’area con funzioni emporiche/portuali e artigianali (lavorazione del minerale ferroso dell’Elba): vd. BRUNI 2001, pp. 88-89, e 2003, che collega indirettamente il ritrovamento agli interventi siracusani nel nord Tirreno e in particolare all’Elba. 48 Sulla possibilità di intravedere in Abas il relitto di un Abante euboico – filtrato attraverso il recupero di memorie locali confluite in Virgilio per il tramite di eruditi come, ad es., 252 © 2005 Edizioni all’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale esploratori Euboici prima e Focei poi abbiano avuto un ruolo di primo piano nell’incorporazione dell’Elba nella geografia ellenizzata dell’Occidente, reale e mitico. E abbiamo visto prima che anche la radice *arg-, che traspare nel nome del Porto Argòo, ricompare nella toponomastica delle coste orientali dell’Egeo, nell’area gravitante intorno a Focea: un elemento in più a convalidare l’ipotesi di una qualche influenza dei Focei nella genesi dell’episodio argonautico dell’Elba. Ma si può andare ancora più indietro, osservando con Knoepfler (1981, pp. 321 sgg.) che A [ rgoura/ A j rgou~ssa è il nome di un porto presso l’antica Lefkandi – nella più antica Eubea quindi – posto in prossimità di un promontorio dalle rocce luminose e ben visibili, e sede probabilmente di un culto di Hera (ibid., pp. 326 sgg.). Inoltre, comunque si intenda l’origine dei ciottoli ‘argonautici’, ne scaturisce un’attentissima osservazione della costa per leggervi in filigrana le possibili risorse minerarie dell’interno: prerogativa questa di navigatori e prospectors come, per il mondo greco occidentale, sono appunto i Focei e, prima di loro, gli Eubei49 (per un possibile tramite cumano nell’introduzione del mito argonautico in Etruria vd. anche CERCHIAI 1995). Appare inoltre evidente che l’itinerario argonautico dallo sbocco nell’Adriatico alla navigazione nel Tirreno, così come narrato da Apollonio Rodio sulla base di Timageto e Timeo, attraversa regioni frequentate da emporoi Focei e in particolare Massalioti (diffusamente BREGLIA PULCI DORIA 1997, pp. 239-240; CORRETTI, BENVENUTI 2001, pp. 141, 144). Se l’attività focea nell’alto Adriatico è un’acquisizione recente (ROSSIGNOLI 2003 e VERONESE 2003, ambedue con abbondante bibliografia precedente), Massalia conosceva e utilizzava certamente la via del Rodano e controllava con una serie di avamposti la costa ligure almeno fino ad Antibes. L’etrusca Pisa comprendeva anche un vivace fondaco foceo (BONAMICI 1993; CORRETTI 1994; BRUNI 1998, p. 36, con cautela); lo stanziamento foceo ad Alalia presupponeva poi un’attiva presenza nelle acque dell’arcipelago toscano e nel punto di arrivo della rotta dalle isole, cioè a Populonia50; e con l’allontanamento dei Focei dopo la battaglia di Alalia sarà la principale colonia di Occidente, Massalia, a inserirsi attivamente nei traffici tirrenici (da ultimo BATS 1994, p. 147). Varrone – mi ero dubitativamente espresso in CORRETTI, BENVENUTI 2001, p. 139, n. 66; CORRETTI 2004a, p. 128 con bibliografia precedente). Sugli Abanti come segno di antiche frequentazioni euboiche vd. di recente anche MELE 1997, pp. 159-160; SOUEREF 1998, pp. 229-230. 49 CORRETTI 2004, passim. Vd. inoltre, con bibliografia e alcuni spunti sia sul patrimonio mitico che sulla percezione delle coste da parte dei Focei nell’Adriatico e nell’antica Liguria, ROSSIGNOLI 2003; VERONESE 2003, che peraltro riconoscono la validità del rapporto di ‘continuità’ (diffusamente descritto ad es. in MOREL 1998) tra le attività degli Eubei e dei Focei in Occidente. 50 La presenza di una comunità di origine greca, collegata alle attività produttive e commerciali, emerge sempre più dalle ricerche archeologiche, anche senza forzare in chiave troppo ‘focea’ il significato del tuttora oscuro scolio serviano ad Aen., X, 172 (cenni bibliografici in CORRETTI, BENVENUTI 2001, pp. 140 e 144). 253 © 2005 Edizioni all’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale Indizi materiali suggeriscono che potrebbe essere proprio in quest’orizzonte arcaico che il Porto Argòo attira naviganti e stranieri, suscitando magari le prime ipotesi paretimologiche51. Si noterà che questo (grossolano) livello cronologico coincide proprio con il periodo di maggiore impegno dei Focei (e dei Greci d’oriente) nel Tirreno, e con la prima menzione dell’isola d’Elba in Ecateo (Hec., fr. 67 Nenci = 59 Jacoby, ap. Steph. Byz., s.v. Aijqavlh). Coincide anche con la diffusione nel Tirreno del minerale elbano allo stato grezzo, da Genova a Pisa al litorale di Follonica: e ci si chiede se il fondaco foceo sull’Arno aveva un qualche ruolo nella diffusa presenza di ematite dell’Elba a Pisa e nel territorio52. La commercializzazione di minerale ferroso allo stato grezzo, pratica non comune, aveva nel caso dell’Elba una sua ragion d’essere nella contiguità miniere di ferro / spiagge e approdi53: e proprio da questa contiguità avrebbe tratto spunto, secondo una delle esegesi proposte, l’aition dei ciottoli argonautici. Ma è solo una suggestione. 2.7 PER NUOVE RICERCHE… Seguendo il filo delle suggestioni osserviamo che dall’intreccio dei testi di Apollonio Rodio e di Licofrone si ricaverebbe la possibile esistenza di un luogo di culto presso il maggiore bacino portuale dell’Elba, un luogo legato alla memoria degli Argonauti anche da ‘reliquie’ (sull’esempio dei dischi che una notizia tramandataci dagli scolii a Apollonio Rodio IV, 1217 ci dice conservati in Colchide: PFISTER 1909, p. 334; p. 336 sgg.; da ultimo BOARDMAN 2004, pp. 90-91, p. 273 nr. 600). Se questo luogo di culto è veramente esistito, appare ancor più pressante l’esigenza di un riesame della documentazione archeologica elbana, che tenti almeno di contestualizzare vecchi ritrovamenti tra i quali, ad esempio, il bronzetto di offerente scoperto nel XVIII sec. a Le Trane, Portoferraio (prodotto populoniese della fine del VI sec. a.C.)54, la cui probabile funzione votiva meriterebbe una maggiore valorizzazione. ALESSANDRO CORRETTI 51 Pur non potendo ancora disporre di un’affidabile carta archeologica dell’isola d’Elba, è stato più volte osservato che lo stanziamento umano, che alla fine dell’età del Bronzo appare diffuso su tutta l’isola ricalcando in particolare gli affioramenti di filoni cupriferi (CORRETTI, PANCRAZZI 2001; ZECCHINI 2001, p. 65; CORRETTI 2004, p. 285), tra VII e VI sec. a.C. tende a concentrarsi intorno al golfo di Portoferraio (per una messa a punto sulle presenze arcaiche all’isola d’Elba vd. di recente ADEMBRI 1998). 52 Da ultimo CORRETTI 2003; BRUNI 2003, con bibliografia precedente. Il Bruni (2001, pp. 87-89), che ha a più riprese ridimensionato sostanzialmente l’ipotesi del fondaco foceo, pensa ad ruolo dei principes etruschi di Pisa nella gestione delle miniere elbane e nella commercializzazione del minerale e del metallo, ruolo che sarebbe venuto meno con lo sviluppo di autonome e consistenti attività a Populonia all’inizio del VI sec. a.C. 53 CORRETTI, BENVENUTI 2001, p. 144, con bibliografia precedente. 54 ALBORE LIVADIE 1985; vd. anche CRISTOFANI 1985, pp 14 sgg., p. 23, nr. 30. 254 © 2005 Edizioni all’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale Bibliografia B. ADEMBRI, 1983, Materiale archeologico elbano conservato a Firenze, ms. B. ADEMBRI, 1998, Nota sulle presenze arcaiche all’isola d’Elba, in In memoria di Enrico Paribeni, Roma, pp. 25-30. CL. ALBORE LIVADIE, 1985, Isola d’Elba. Bronzetto di offerente, in G. 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