geniodonna www.geniodonna.it • www.geniodonna.ch Avere futuro è un diritto Fotografia di Carmen Ancora. e ndono voc ) e r ip r i n a 40 Gli itali dario (pag. n e r e f e r o con il vot Premiato dalla UE - progetto Geniodonna I.D. 7671128 - Interreg Italia/Svizzera Fondo Fesr Poste Italiane Spa - Spedizione in A.P. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1 comma 1 - DCB Como Periodico delle pari opportunità di Como e del Cantone Ticino - Anno 2 - N. 21/22 - Luglio/Agosto 2011 gd gd per un progetto di pari opportunità Le frecce all’arco dei Congedo di paternità obbligatorio anche per il partner – Parità retributiva – Recupero nel lavoro delle donne e dei giovani “inattivi” – Norme temporanee perché siano elette nel Parlamento un numero adeguato (30%) di donne – Quattro linee di ricerca proposte da Geniodonna a tutta la rete dei movimenti delle donne Quattro ipotesi che Geniodonna propone alla discussione • Conciliazione famiglia-lavoro. Anche il partner, alla nascita di un figlio, deve usufruire di un congedo obbligatorio per paternità della stessa durata di quello per maternità della madre, retribuiti entrambi al 100% e agganciati alla fiscalità generale: questo renderà reale la condivisione nella coppia delle incombenze e conferirà all’evento nascita il giusto valore sociale ora minacciato dalla assenza di una organica assistenza e incentivazione pubblica. • Parità salariale donna-uomo. L’Istat calcola un differenziale tra il 10 e il 20% a cui si aggiungono carriere in settori meno pagati, ruoli dirigenziali riservati ai maschi, presenza minima (6%) nei ruoli dirigenti di responsabilità amministrativa delle società. Bisogna stabilire che cosa è discriminazione, quando scatta, quando e come va prevenuta e sanzionata. • Recupero al lavoro delle donne e dei giovani inattivi. Circa 2 milioni e mezzo di donne e 2 milioni e 100 di giovani fino ai 29 anni, scoraggiati, hanno smesso di cercare lavoro e sono fuori da ogni attività. Quest’area sociale è una grande opportunità di sviluppo (lo suggerisce anche la Ue), se viene resa appetibile per le aziende con crediti fiscali specifici e se, con un sostegno alle retribuzioni dei singoli, le persone vengono indotte a mettersi di nuovo nella ricerca del lavoro e nel mercato. • Nuove regole elettorali. La presenza delle donne in Parlamento è del 21,3% alla Camera, del 18,3% al Senato, il che ci colloca al 55° posto su un totale di 188 Paesi. Bisogna rompere gli impedimenti economico-sociali che tengono le donne lontane dalle elezioni, iniziando anche dai meccanismi elettorali che limitano il numero delle donne elette. Le liste elettorali dovrebbero essere, obbligatoriamente e non per “liberalità” dei partiti, formate per metà da donne e per metà da uomini; poi regole elettorali temporanee dovranno assicurare alle minoranze di genere una quota minima di elette (30%) in tutte le assemblee e gli organismi elettivi. Infine bisogna restituire agli elettori il diritto di scegliere le persone da eleggere, di cui i partiti si sono appropriati. di Maurizio Michelini O ttocentomila. Avevano deciso di avere un figlio e in ottocentomila hanno immediatamente ricevuto il licenziamento o sono state costrette alle dimissioni, firmate in bianco nelle mani del datore di lavoro all’atto dell’assunzione: ottocentomila donne, dice il recente rapporto annuale dell’Istat. Una grave violenza, la negazione disumana di un diritto. Un’alternativa barbara tra maternità e lavoro. E ancora, gli “inattivi”: 2 milioni e mezzo di donne e 2 milioni e 100mila di giovani fino ai 29 anni hanno rinunciato a cercare un lavoro che non c’è, e ora sono costretti a non fare nulla; e poi la minaccia della povertà e della disoccupazione per il 24% della popolazione, dice l’Istat. Il pensiero corre alla manifestazione del 13 febbraio scorso e alla forza che le donne hanno allora mostrato, alla loro capacità di proporre un ruolo di parità e di sviluppo a tutto il Paese, di raccogliere anche gli uomini attorno a un progetto di nuovi rapporti di collaborazione e di condivisione fra i partner. “Se non ora quando? Adesso!”. Lo slogan del 13 risuona ancora nella mente: ma ora urla la disperazione degli inattivi, l’indignazione delle ottocentomila donne, ottocen- T Tre donne re donne con grande esperienza nella comunicazione hanno contribuito alla nascita e alla crescita del nostro periodico: Giovanna Galeazzi esperta redattrice di libri e riviste, Graziella Monti redattrice a cui si deve anche l’aspetto e la vivacità dell’impaginato e della linea grafica, Katia Trinca Colonel giornalista acuta e attenta cronista dei fatti e degli avvenimenti culturali. A queste tre “ragazze” viene ora affidata la direzione del giornale su mia proposta e con il pieno assenso dell’editore, Il Senato delle Donne. Abbiamo costruito un nuovo strumento editoriale, una serie di eventi culturali (cinema, teatro, musica, corsi) per realizzare il progetto Geniodonna mirato sulla necessità delle pari opportunità fra donne e uomini, progetto che l’Unione Europea ha premiato. L’esperienza è stata corale e lo sarà ancora di più. è giunto il momento di dare un’impronta nuova, nella convinzione che la sensibilità femminile individuerà altre aree di comunicazione. Tre donne quindi per dare più forza al giornale e metterlo in grado di confrontarsi con più efficacia in un futuro ormai vicino con il mercato: la sensibilità femminile fatta di concretezza e creatività sarà quanto mai opportuna. Nei prossimi mesi Geniodonna cercherà di portare la propria attenzione e quella dei movimenti femminili sull’autonoma individuazione di precisi contenuti su cui giocare il proprio peso per realizzarli. La nostra voce, nell’area comasco-ticinese si è posta come la voce del punto di vista femminile: chiediamo alle donne e agli uomini di darci sempre di più il segno di una concreta adesione. Anche in vista degli sviluppi futuri la scelta di tre donne alla direzione del giornale ci pare una garanzia. Maurizio Michelini Hanno collaborato a questo numero PIETRO BERRA, SUSANNA CASTELLETTI, ELENA D’AMBROSIO, LAURA DOTTI, VERA FISOGNI, IL GRUPPO DI LECCO (Lelia, Nicoletta, Onorina, Tina, Tiziana, Valeria, Vera) GRAZIELLA LUPO, daniela mambretti, MADDALENA MASSAFRA, MANUELA MORETTI, GIULIANA PANZERI, PIERANGELO PIANTANIDA, MARIALUISA RIGHI, alina rizzi, TIZIANA ROTA, MARIA TATSOS, KATIA TRINCA COLONEL. GENIODONNA Direzione: Giovanna Galeazzi, Graziella Monti, Katia Trinca Colonel. Direttore responsabile: Maurizio Michelini ([email protected]). Art director: Graziella Monti ([email protected]). Redazione Como ([email protected]): Guido Boriani, Andrée Cesareo, Cristina Sonvico, Idapaola Sozzani. Segretaria: Selika Magatti, Giulia Pelizzari. Fotografia di copertina: Carmen Ancora. Como, viale Giulio Cesare 7 - tel. 0312759236 - Fax 0312757721 [email protected] • www.geniodonna.it • Facebook: Genio donna Redazione di Lugano-Massagno: Antonella Sicurello • [email protected] - via Foletti, 23 Condizioni di abbonamento per la Svizzera: frs. 50.- annuali. Editore: Senato delle Donne, presidente: Cristina Sonvico - via don Minzoni, 12 - Como - tel. 334.2308707 p. Iva e c.f.: 03145230136 - E-mail: [email protected] FAFT (Federazione Associazioni Femminili Ticino), presidente: Fabrizia Toletti - via Foletti, 23 Lugano-Massagno. www.faft.ch Progetto Geniodonna I.D. 7671128 Interreg Italia/Svizzera Fondo Fesr • Genio Donna, Reg. Trib. Ord. di Como n. 2/09 del 22/01/2009 – Copyright© by Geniodonna. Stampa: Speed Graph - via Spluga, 80 - 23854 Olginate (LC) - Tel. 0341.680002 Questa rivista è stampata su carta certificata di pura cellulosa (E.L.C.) biodegradabile e riciclabile. Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte della rivista può essere riprodotta, rielaborata e diffusa senza autorizzazione scritta dell’editore. SOMMARIO 1 2 Le frecce all’arco dei movimenti femminili di M. Michelini di A. Sicurello 13 10 Ho smesso di bere perché amo vivere 14 Focus Lo slancio delle donne 16 per rigenerare i valori Idee&Parole Donne migranti i fantasmi nel 21 “libro delle facce” Ticino. La violenza domestica si combatte informando 20 di A. Sicurello Le quattro “sorelle” del patriottismo Vocazione non solo lavoro di G. Lupo 37 44 di P. Berra 32 Identità femminile di E. D’Ambrosio e maternità due universi autonomi 38 di M. Righi Studentessa si prostituisce per pagare le spese e avere denaro di M. Massafra di P. Berra 34 46 Uniamoci per aver aiuto e diventare madri 25 Il profilo di donna antidoto alla morte di T. Rota 35 Felici senza figli è possibile? di A. Rizzi di K. Trinca Colonel Le donne dei rifugi montani Nucleare addio! di G. Panzeri di P. Piantanida 40 Martha Graham La danza linguaggio libero del corpo di S. Castelletti Il piede lo specchio del corpo e dell’anima di L. Dotti L’invasione delle donne lombarde 22 negli States di M. Tatsos Vivisezione una ferita all’etica della natura 18 di V. Fisogni Testimonianza 30 Gruppo di Lecco (Lelia, Nicoletta, Onorina, Tina, Tiziana, Valeria, Vera) Ticino. Dossier alcolismo di A. Sicurello Quando l’alcol Con un bicchiere di era il mio Dio troppo si schiaffeggia la salute 11 Ticino. Dossier alcolismo di A. Sicurello Goccetto antistress? Pericolosa illusione Una Giunta “rosa” per il bene comune di M. Moretti Poliziotta per caso tra risse e rapine 9 4 Il bisogno urgente della democrazia paritaria 42 48 Ticino. Pari opportunità? In azienda si può di A. Sicurello delle donne nel sociale e in politica gd movimenti femminili tomila madri cacciate dal lavoro e l’angoscia di coloro che sono disoccupati e senza mezzi. è urgente che i movimenti delle donne individuino programmi concreti, costruttivi, chiari che diano contenuti di reale miglioramento e tutela alle donne e ai bisogni fondamentali di tutti. Occorre progettare autonomamente meccanismi di promozione e di parità: soluzioni costruite con la ricerca e la discussione fra tutti i movimenti femminili di tutte le città, evitando centralismi di vecchio stampo e ricercando anche il contributo degli uomini. L’esperienza storica delle donne e la consapevolezza di se stesse sono le risorse da cui trarre nuove regole di promozione sociale e di partecipazione alla direzione politica e amministrativa a tutti i livelli: sulle soluzioni individuate sarà necessario dare vita ad un coinvolgimento e a una pressione politica per farle passare. Questa capacità di portare avanti e proporre al Paese e alle forze sociali e politiche un proprio progetto è la parte nuova e forse più difficile: un programma messo a punto coralmente e autonomamente è il presupposto perché i movimenti femminili “parlino” a tutti e propongano una meta da realizzare, da cui scaturisca un assetto sociale più giusto e nuove possibilità di sviluppo generale anche economico (se le donne avessero tali, che respinga la loro riduzione a oggetto sessuale, la mercificazione del loro corpo e l’uso della loro immagine a fini del mercato. Non aspettiamo da altri (enti, associazioni, partiti) quelle nuove norme - istituti di aiuto, di solidarietà, di promozione - che solo i movimenti delle donne possono elaborare, da cui scaturisca una presenza femminile paritaria nel sociale, nelle amministrazioni e in politica arrivando fino al Parlamento. Contribuire ad accendere “i fuochi di ricerca” nei movimenti sarà il lavoro dei prossimi mesi di Geniodonna, che darà vita ad un gruppo di studio composto anche da esperti su alcuni punti (vedi box) che appaiono decisivi e in grado di generare processi innovativi, di riscatto e di giustizia: e poi sarà il momento della discussione fra tutti i movimenti delle donne in tutte le città, seguito da manifestazioni e iniziative per sorreggere e realizzare il progetto. pieno accesso nel lavoro secondo gli economisti il Prodotto Interno Lordo farebbe un salto di 5/7 punti, cioè vivremmo meglio tutti). E allora, forti del 13 febbraio, riprendiamo dalla costruzione di una presenza paritaria delle donne nella società e nel lavoro che rompa i meccanismi maschili di esclusione, che spezzi il depotenziamento del loro ruolo di direzione nella politica e nelle amministrazioni, che abbatta la chiusura delle donne dentro il nucleo famigliare, schiacciate da molteplici ed esclusivi compiti di madri, di educatrici, di dispensatrici di cure parenluglio/agosto 2011 - GD n. 21/22 - Scultura di Diana di Augustus Saint-Gaudens. 1 gd l’equilibrio di una nazione Intervista a Vittoria Franco ricercatrice di Storia della Filosofia Il bisogno urgente della Si fonda sulla possibilità di conciliare famiglia e lavoro, sul congedo paterno obbligatorio per condividere il lavoro di cura, sulla parità salariale per le stesse funzioni, sull’aumento della presenza delle donne nelle assemblee elettive di Manuela Moretti manifestazione del 13 febbraio, vuole essere un piccolo monito per le nuove generazioni, affinché le giovani donne di oggi ricordino le conquiste femminili del passato e guardino al futuro con la consapevolezza degli sforzi che è ancora necessario compiere per una reale parità. L’autrice approfondisce con noi i punti fondamentali del suo libro. “Care ragazze, ho incontrato tante di voi, in circostanze e luoghi diversi: nelle scuole, nelle università, nei partiti, nelle associazioni. Alcune entusiaste e consapevoli, altre sfiduciate, dal futuro incerto, rassegnate. Altre ancora desiderose di affermarsi, di superare ogni ostacolo pur di realizzare i propri progetti di vita…”. È con queste parole che Vittoria Franco si rivolge alle nuove generazioni di donne in un breve e intenso volume dal titolo Care ragazze. Un promemoria (Donzelli, € 16). Il libro, che è stato recentemente ripubblicato con un capitolo dedicato alla 2 sul passato. Ho voluto semplicemente raccontare la mia storia, la mia esperienza, che in molto coincide con quella di una parte del femminismo italiano. Uno dei rischi della contemporaneità, come lei afferma nel suo libro, è di confondere la libertà con la mercificazione del corpo… Questo è il punto cruciale che è emerso anche in occasione della Vittoria Franco, lei definisce manifestazione del 13 febbraio, il suo libro “un promemoria”. quando alcuni opinionisti hanno Perché? tentato di far credere che in fonPerché il mio intento è quello di do si trattava di una protesta di un offrire alle giovani donne una certo moralismo, oppure l’hanno serie di appunti, senza metter- attribuita al desiderio di prendere mi in cattedra e impartire lezioni distanza rispetto alle parole d’or- - GD n. 21/22 - luglio/agosto 2011 gd alla Scuola Normale di Pisa e senatrice del Partito Democratico democrazia paritaria Alexander Calder, sculture in movimento (mobile). dine del femminismo. In realtà non è così: la libertà conquistata dalle donne della mia generazione era la possibilità di decidere del proprio destino, di scegliere se e come diventare madri, per esempio, di decidere come impostare la relazione con l’altro genere. Prima di quell’epoca le donne erano in balia del destino, di quello biologico innanzitutto: molte donne erano, ad esempio, vittime delle gravidanze indesiderate, o di un matrimonio da cui era difficile sottrarsi. Da quel momento in poi le donne sono divenute padrone del loro destino: è questo il senso profondo della libertà. Invece la libertà di cui oggi parlano molti uomini è un’altra forma molto insidiosa di assoggettamento, si tratta di una libertà tesa a soddisfare il desiderio maschile di impossessarsi del corpo della donna, quindi è un equivoco della libertà. Concretamente, che cosa sarebbe ancora necessario fare, a suo avviso, per difendere i diritti delle donne? Io riassumo tutto quello che si può fare in una espressione che è “democrazia paritaria”: significa in sintesi riconoscimento per le donne del loro desiderio e della loro capacità di partecipare alla costruzione di tutte le istituzioni della democrazia. Dentro questa espressione rientra la parità sul lavoro, quindi più lavoro per le donne, più servizi che aiutino la conciliazione tra maternità e lavoro e condivisione del lavoro di cura tra uomini e donne. Oltre alla conciliazione, è necessaria infatti una condivisione, e un intervento in questo senso è sicuramente il congedo paterno obbligatorio. Sono due parole diverse – conciliazione e condivisione – che servono entrambe a stabilire condizioni di partenza di maggiore parità tra uomini e donne: finché non ci mettiamo su questo piano di uguale partenza, non ci potrà essere parità. Il problema delle donne è che partono diseguali e purtroppo la maternità rimane ancora un elemento di discriminazione. Sono necessarie inoltre leggi che facciano innalzare la rappresentanza istituzionale delle donne: se dopo tanti decenni di battaglia le donne sono ancora così poche nelle istituzioni, vuol dire che c’è qualcosa che non va e che è necessario correggere con un lavoro di cultura politica. luglio/agosto 2011 - GD n. 21/22 - 3 Cos’è la libertà per le donne? Luce Irigaray definisce la libertà come “etica dell’amo a te”: ha inventato non una sola parola, ma un’espressione che in italiano è anche un errore, rendendo intransitivo un verbo transitivo. Quella intransitività indica che deve esserci tra l’uomo e la donna uno spazio di rispetto, che definisce l’autonomia della donna e che non può essere invaso dall’uomo. È questa la premessa per combattere la violenza nei confronti della donna: se l’uomo la considera come un suo possesso, allora diviene lecito anche violentarla, e se si sottrae ai suoi desideri, può anche ucciderla, come purtroppo accade. Uno spazio di rispetto che l’uomo non può invadere e che definisce l’autonomia della donna gd amministrazione al femminile Una Giunta “rosa” di Valeria Campagni con Nicoletta Erba, Tina Nasatti, Lelia Natali, Tiziana Rota, Onorina Schiano Moriello, Vera Ventola cantante di musica leggera recentemente scomparsa, e per la presenza della fabbrica automobilistica Lamborghini. Gli abitanti sono circa 7.300: la maggior parte autoctoni, altri provenienti dalla città, da cui si sono allontanati per vivere un’esistenza “più a dimensione umana”, lontano dal caos, dal traffico di Bologna o di Modena, e un modesto La forza delle donne… Il sesso è una delle tante variabili che determinano il percorso politico di una persona. Per le donne spesso è una penalizzazione. Ciò che davvero dovrebbe contare sono le idee che una donna porta nella politica e quanto la sua coscienza di gruppo e la sua consapevolezza delle reali esigenze femminili siano sviluppate. Sant’Agata Bolognese Comune fra i pochissimi in Italia con amministrazione al femminile S iamo a Sant’Agata Bolognese, paese situato tra Modena e Bologna nella ricca pianura padana, un tempo terra paludosa che una donna, la contessa Matilde di Canossa, volle bonificare nel lontano Medioevo. Questo paese è ricordato per aver dato i natali a Nilla Pizzi, la famosa 4 numero di stranieri ben integrati nella realtà sociale del territorio. Grazie a Valeria, originaria di questo paese, siamo venute a conoscenza dell’unicità dell’amministrazione, tutta al femminile, di questo Co- - GD n. 21/22 - mune: un’amministrazione tutta di donne. Ma non è stata una scelta: sono state le dimissioni per motivi di lavoro di due assessori che ha fatto diventare rosa la compagine. Siamo sette amiche e siamo partite da Lecco, dove abitiamo, per capire come agisce questa amministrazione. Siamo arrivate un po’ prima dell’orario stabilito e questo ci ha permesso di girare sotto i portici del centro storico del paese, entrare in un bar e bere un caffè, ascoltare qua e là la gente che a piccoli gruppi chiacchierava, individuare il palazzo della Partecipanza, la chiesa parrocchiale, e in mezzo alla piazza, un pozzo con una secchia di bronzo e un gran librone su cui si legge, inciso a futura memoria, l’incipit dell’antica storia di Sant’Agata Bolognese. Poi l’incontro con le Assessore e la Sindaca, anche loro curiose di conoscere sette amiche intraprendenti e pronte per una chiacchierata a tutto luglio/agosto 2011 amministrazione al femminile gd per il bene comune campo sull’essere donne impegnate in politica, nel lavoro, in famiglia… e nei piaceri della vita. Come vi sentite per essere l’unica giunta del tutto femminile in Italia? E il paese come ha reagito? Giorgia. In modo molto positivo, perché già eravamo conosciute come amministratrici (come me, assessore al secondo mandato, o come Daniela, sindaco al secondo mandato) o come operatrici nel sociale. Comunque molte donne ci hanno appoggiato perché vedevano in noi concretezza e operatività. Daniela. Ci sono state chiacchiere e battute da parte di qualcuno: “Son donne, vedremo che cosa sono capaci di fare…” Comune di Sant’Agata bolognese. Il sindaco e la Giunta; da sinistra: Fabiana Ferioli, assessore Lavori Pubblici e Ambiente Giorgia Verasani, vicesindaco Daniela Occhiali, sindaco Francesca Cavrini, assessore Servizi Sociali, Sanità e Pari Opportunità Erika Zambelli, assessore alla Cultura. Come conciliate l’impegno in Comune con famiglia e professione? Giorgia. Sono mamma di un bambino di 8 anni e di professione sono insegnante: se non fossimo aiutate dai nostri compagni e dai nostri genitori, che credono e supportano il nostro impegno politico, sarebbe molto dura. Io, se non avessi l’aiuto costante dei miei famigliari, non ce la farei. Tutte noi lavoriamo per cui gli spazi che ritagliamo per la famiglia sono pochi, tenuto conto dell’impegno luglio/agosto 2011 - GD n. 21/22 - 5 Quali sono stati i motivi che vi hanno spinto a impegnarvi in politica? Avete avuto consuetudini famigliari nel fare politica? Daniela. L’impegno politico femminile, in queste terre, ha radici lontane. Alcune di noi provengono da famiglie o da madri impegnate, per esempio, in associazioni come l’Udi, gli Scout o la Lega Ambiente… altre no. Per tutte noi la prima esigenza è stata quella di lavorare per il bene del proprio paese. gd amministrazione al femminile Francesca. Ottimi. Il rapporto con le associazioni, che conoscono bene le esigenze e i problemi del territorio, è una delle cose più confortanti. Sentiamo molto più vicine le persone che lavorano gratuitamente per la comunità che i partiti politici. costante che occorre nell’amministrazione del paese. Daniela. Al mio primo mandato di sindaco, ho sempre lavorato come insegnante elementare. Avendo 3 figli, devo dire che è stato difficile, pur avendo i famigliari che mi aiutavano. Per questo ho deciso di stare in aspettativa in questo secondo mandato: è troppo impegnativo e il tempo da dedicare all’amministrazione è continuo e quotidiano, per cui non posso esercitare la mia professione d’insegnante che esige impegno, tempo e dedizione. Il nocciolo della questione non è “quante” donne amministrano ma la “qualità” delle donne che amministrano Riuscite a staccare la spina dai problemi politici-amministrativi quando siete in famiglia? Daniela. Non riesco a dividere la mia vita a pezzettini. Dentro mi restano non solo i problemi… ma anche quando un progetto è andato a buon fine non riesco a staccarmi dal mio essere responsabile del paese… se vado in giro in bicicletta e vedo l’erba alta, ai lati della strada, vorrei poter risolvere subito il problema. L’amministrazione del paese per me è totalizzante. A me però piace questo coinvolgimento. Giorgia. Poco fa, prima venire in Comune, sono andata a bere un caffè al bar con mia madre e subito sono stata coinvolta da un cittadino che aveva un problema da risolvere. Sant’Agata è un paese piccolo, dove tutti si conoscono, per cui è difficile avere una privacy nel tempo libero. Voi assessore siete state scelte per competenze professionali? Fabiana. Alcune di noi praticano professioni molto diverse dai compiti amministrativi a cui sono delegate dal Sindaco, ma siamo supportate dai tecnici e dal personale comunale: con loro c’è un rapporto trasparente, serio e professionale; si lavora tutti insieme e c’è sintonia fra noi, abbiamo principi e ideali comuni. Sono il nostro braccio. Occorre che i soldi pubblici siano usati in modo oculato. Ecco perché è importante lavorare insieme, tecnici, assessori, impiegati. Le competenze si acquisiscono nel tempo, con il contributo di tanti. Qual è l’idea migliore su cui avete investito e di cui siete orgogliose? Daniela. Di particolare rilevanza è l’avvio delle procedure per la sostituzione del vecchio Piano Regolatore Generale (Prg) con i nuovi strumenti previsti dalla legge regionale dell’Emilia Romagna per il nuovo Piano Strutturale Comunale (Psc) concertato con l’associazione intercomunale Terre d’acqua e la Il vostro essere donna vi aiuta, vi facilita nel rapporto con i cittadini? Daniela. Tre sono le caratteristiche tipicamente femminili che ci contraddistinguono: saper ascoltare, saper comunicare con i cittadini ed essere operative. Quando dobbiamo realizzare un progetto passiamo molte ore ad analizzare e approfondire ogni dettaglio per poi attuarlo. E il nostro modo di lavorare i cittadini lo vedono, lo sperimentano e, quindi, ci danno fiducia. Soprattutto le donne. Come sono i rapporti con le associazioni? 6 - GD n. 21/22 - luglio/agosto 2011 amministrazione al femminile Provincia di Bologna. Questo nuovo Psc ha il compito di definire in un arco temporale di 15 anni uno scenario strategico di assetto del territorio, garantendo nel contempo la tutela dell’integrità fisica e dell’identità culturale del territorio comunale nonché la salvaguardia dei valori culturali ambientali e paesaggistici. Concretamente che cosa significa? Daniela. Abbiamo scelto di crescere pochissimo, anche se gli oneri di urbanizzazione fanno piacere a tutti gli amministratori comunali. Però più cresci più snaturi l’identità del paese; per cui vogliamo incentivare la ristrutturazione dei vecchi nuclei, assegnare aree edificatorie vicino al paese sottoscrivendo accordi con i privati al fine di ottimizzare al meglio le sinergie pubblico-privato. Realizzare nuovi interventi su terreni che oggi sono agricoli significa un aumento del numero di abitanti. Ciò comporta la necessità di garantire più servizi e aree pubbliche come il verde, i parchi, le piste ciclo-pedonali. Da qui la nostra scelta di garantire uno standard elevato di qualità urbana dei nuovi insediamenti. Siamo contrarie a insediamenti in mezzo alla campagna che non hanno alcun contatto con il centro, tanti piccoli nuclei chiusi dove gli stessi abitanti non si conoscono. Vogliamo che le persone si incontrino, e noi come amministratori cerchiamo di conoscerle, di comunicare… nei luoghi pubblici, anche al bar… La cementificazione in Italia è molto intensa, e coinvolge aree agricole e naturali. Quanto a Sant’Agata viene rispettato l’ambiente? Daniela. Il Comune di Sant’Agata Bolognese ha numerose aree verdi gd pubbliche, all’interno dell’area urbana e non. Nei nostri parchi, oltre alla manutenzione ordinaria, le opere di miglioria sono svolte anche grazie all’attività di cittadini volonterosi che si sono resi disponibili per la piantumazione o per ripristinare le panchine in disuso dei parchi. Non basta avere parchi e prati, occorre avere una cura continua. E poi abbiamo il bosco di Santa Lucia, un’area verde nella campagna in prossimità del centro. Realizzato sui terreni della Partecipanza e con la convenzione del Comune, è reso fruibile alla comunità ed è entrato a far parte nel sistema museale delle Terre d’Acqua (sei Comuni limitrofi accomunati da progetti) e viene visitato dalle scuole, oltre a essere area di studio di gruppi naturalistici e scientifici. Un’altra area di studio legato all’ambiente è il progetto che l’industria automobilistica Lamborghini, presente nel territorio di Sant’Agata, sta attuando con la partecipazione dell’Università di Bologna e di Bolzano in collaborazione con il Comune in un ampio spazio agricolo; il progetto prevede la messa a dimora di 10mila querce, che serviranno per studiare la relazione tra piante, anidride carbonica e clima. Quanto e come investite in attività culturali? Erika. Tanto, perché riteniamo che proporre opportunità per stare bene insieme e condividere occasioni di musica, di teatro, di letteratura e poesia sia valore e condizione irrinunciabile per la formazione di un pensiero libero e critico. Abbiamo un piccolo teatro storico che ha ospitato e ospita attori di livello nazionale. D’estate proponiamo il festival Sonica, soprattutto per i giovani: tanti, in quell’occasione, vengono non solo dai paesi e dalle città vicine ma da tutta Italia. In collaborazione con i Comuni che fanno parte dell’associazione intercomunale Terre d’Acqua, ogni anno proponiamo percorsi culturali e tematiche che spaziano dalla poesia alla memoria storica, dal monologo luglio/agosto 2011 - GD n. 21/22 - 7 gd amministrazione al femminile me scrive il nostro responsabile alla Cultura sul giornalino municipale. alla conoscenza di percorsi artistici. E poi c’è la fiera di fine maggio, opportunità non soltanto di fare festa e di musica, ma anche di promozione (o di semplice conoscenza) dei prodotti agricoli, commerciali e industriali del territorio (per esempio l’automobile Lamborghini) e, perché no, anche dei nostri animali da cortile… così poco conosciuti dai bambini del giorno d’oggi. Questi investimenti hanno anche un ritorno economico per la comunità. Tanti artisti ospiti di Sant’Agata, apprezzandone il clima culturale, ritornano e, nonostante siano attori di fama nazionale, pur di recitare in paese chiedono compensi modesti. Il regista Massimo Martelli ha scelto di girare a Sant’Agata Bolognese gli esterni del film tratto dal libro di Stefano Benni Bar sport, che ha come protagonista Claudio Bisio, consacrando così Sant’Agata “a luogo dove la conservazione della tradizione e la spinta al futuro si fa paese, identità culturale della nazione”, co- 8 Il vostro lavorare nel sociale è frutto di una storia e di una tradizione antica? Erika. Ricordo la Partecipanza, l’antica forma di proprietà collettiva di terreni, tuttora in uso in molti paesi dell’Emilia e in Veneto, nel Polesine. La Partecipanza di Sant’Agata è nata nel Medioevo ai tempi in cui i terreni paludosi e malsani erano di proprietà della contessa Matilde di Canossa, che li diede in gestione ai contadini poveri, e prevedeva di tramandare solo ai discendenti maschi di alcune antiche famiglie del luogo la gestione delle terre feudali. Giorgia. In questi ultimi anni anche le donne dal cognome “antico”, come per esempio il mio, possono beneficiare dei terreni comuni (non però il loro figlio, perché porta il cognome del marito…) Un tempo queste terre comuni servivano al sostentamento di tutto il paese, - GD n. 21/22 - che era formato da poche famiglie: erano i cosiddetti “fuochi”, e con questo nome sono stati tramandati. Comunque l’abitudine a impegnarsi, a sentirsi responsabili concretamente attraverso associazioni o partiti o enti per il bene comune non la vogliamo perdere. Vi aspettate un ritorno per ciò che fate in politica? Daniela. Innanzitutto vogliamo chiarire che il nostro impegno non ha un ritorno di potere o economico come per un politico di professione…, ma certamente ognuna di noi si aspetta una gratificazione, un riconoscimento da parte dei cittadini. È umano per chi come noi si espone tanto. Sarebbe bello che il nostro grande impegno, alla fine del mandato, abbia inciso per il miglioramento sociale e culturale dei cittadini di Sant’Agata. Sala del palazzo pubblico di Siena, Allegoria del Buon Governo affreschi di Ambrogio Lorenzetti. luglio/agosto 2011 gd professioni In Ticino le gendarmi sono mosche bianche. Ma questo lavoro non è precluso alle donne: basta avere un carattere forte e un uomo comprensivo. Parola di una di loro Poliziotta per caso tra risse e rapine di Antonella Sicurello O gni mattina indossa la divisa e non sa che cosa l’aspetta: un incidente, un’aggressione, una rapina o forse una rissa. Un lavoro non certo alla portata di tutti, quello della poliziotta, che Martina MaroniMariotti, 27 anni di Arzo, svolge da quattro anni nel Reparto mobile del Sottoceneri. È una delle 33 donne gendarme della Polizia cantonale ticinese, che rappresentano, su un totale di 428 agenti, solo l’8 per cento della forza lavoro della Gendarmeria. Complessivamente le donne attive nella Polcantonale, inclusi i servizi amministrativi, sono 92 su 657 (14 per cento). Le donne sono più presenti nella polizia giudiziaria: 32 su 113 (28 per cento). Alla scuola di polizia è attualmente iscritta solo un’alunna (su 23). organizzato a turni. E se ci sono imprevisti, bisogna lavorare a oltranza, fino alla conclusione dell’intervento. Al di là di questo, ogni donna ha le proprie attitudini: io, per esempio, non farei mai l’infermiera. Ma forse, rispetto all’infermiera, le donne non percepiscono il mestiere di poliziotta come adatto a loro. Invece lo è. Certo, non bisogna avere un carattere fragile, altrimenti si rischia di farsi coinvolgere troppo e di non riuscire a smaltire le emozioni accumulate durante la giornata. È possibile conciliare lavoro di poliziotta e vita privata? È difficile trovare uomini che capiscano questa professione, perché spesso non digeriscono il lavoro a turni e il fatto che un intervento non possa essere lasciato a metà. Personalmente è un problema che non mi riguarda, dato che sono sposata con un gendarme che lavora nel mio stesso reparto. Diverse colleghe sono legate a poliziotti. È stata mai discriminata solo per il fatto di essere donna? No. Con i colleghi non ho mai avuto problemi. A volte capita che durante gli interventi le persone facciano battute, ma solo sulla mia giovane età. Fare il gendarme era il suo sogno di bambina? No, ho scelto questa professione per caso. Prima ho frequentato la scuola d’arte come pittore e decoratore, perché mi piaceva disegnare. Sono stata poi sei mesi in Australia e al rientro ho lavorato in un bar nel periodo estivo e a Zugo come decoratrice espositrice per circa quattro mesi. Una volta in Ticino, ho visto sul giornale l’inserzione per la scuola di polizia. Un mio amico si era iscritto e mi sono detta: “Perché no?” Oggi sono contenta di quella scelta. luglio/agosto 2011 - GD n. 21/22 - 9 Perché così poche donne scelgono di entrare nel corpo di polizia? Forse perché si ha a che fare con le armi o perché il lavoro è Non ha mai avuto paura? No, però per determinati interventi, come le violenze domestiche o le risse, preferisco essere con i colleghi. gd laalcolismo coppia Dossier di Antonella Sicurello Con un bicchiere di troppo si schiaffeggia la salute L’alcolismo è la malattia sociale più diffusa in Svizzera e ogni anno causa costi pari a tre miliardi di franchi – Il consumo pro capite è tra i più alti al mondo S i inizia con un bicchiere, con l’illusione di poter soffocare i dispiaceri o per conformarsi alle abitudini degli amici. Dall’euforia alla sbornia il passo è spesso breve, e quando la bottiglia si trasforma nel migliore amico farne a meno diventa molto complicato. L’alcolismo non va infatti sottovalutato. Spesso considerato solo un vizio, in realtà è una vera e propria malattia sociale, la più diffusa in Svizzera. Difficile dire con esattezza quante siano le persone colpite, poiché i malati visitati dal proprio medico non rientrano nelle casistiche. In generale, ci si basa soprattutto sulle morti da cirrosi epatica per stimare il numero di alcolisti in un Paese (il 90% della mortalità per cause legate al fegato è dovuto all’alcolismo). Si fanno poi altre valutazioni, come la disponibilità di bevande alcoliche sul mercato, il consumo pro capite annuo di alcol puro, i ricoveri ospedalieri, gli infortuni e le assenze dal lavoro. La Svizzera è tra i Paesi al mondo che consumano più alcol: 8,6 litri annui pro capite, che sale a 10,2 se si considerano soltanto le persone con più di 15 anni. Va comunque detto che, se si beve in modo moderato, la salute non è messa in pericolo. Secondo Ingrado, il Servizio ticinese di cura dell’alcolismo e altre dipendenze, non bisognerebbe andare oltre i due bicchieri di bevande alcoliche al giorno, che possono diventare quattro in occasioni eccezionali, da consumare però lentamente (un bicchiere all’ora). Le donne, che assimilano più velocemente l’alcol, dovrebbero bere ancora meno. L’alcol 10 è bandito durante la gravidanza e agli adolescenti con più di 16 anni è raccomandato un consumo più moderato rispetto agli adulti. Se si eccede nel consumo, si può compromettere seriamente il proprio benessere. L’alcol colpisce il fegato, il sistema nervoso, muscolare ed endocrino, il pancreas e il cervelletto. Su 60 mila decessi all’anno, circa 3 mila sono dovuti all’abuso di alcol. I costi sociali che ne derivano, dovuti a malattie, decessi prematuri, invalidità, incidenti, ammontano a tre miliardi di franchi all’anno. - GD n. 21/22 - luglio/agosto 2011 la coppia alcolismo gd SUL WEB • Sul sito del Servizio ticinese di cura dell’alcolismo e altre dipendenze si trovano informazioni e consigli. www.ingrado.ch • L’associazione Radix realizza progetti per la promozione della salute e la prevenzione delle dipendenze. www.radixsvizzeraitaliana.ch • Nell’ambito della campagna nazionale 2008-2012, si mira a promuovere il dialogo sulle bevande alcoliche.www.io-parlo-di-alcol.ch Il vuoto dopo un abbandono e la carenza di affetto sono spesso alla radice della dipendenza – L’hanno confessato alcuni alcolisti durante una riunione di Aa C Quando l’alcol era il mio dio arlito ha 71 anni e da 24 non beve più. Lo confessa con orgoglio ai suoi amici, la voce spezzata dall’emozione e gli occhi leggermente velati, durante la riunione degli Alcolisti anonimi (Aa), una delle tante cui partecipa da quando ha avuto la forza di uscire dal baratro alcolico. Attorno a un tavolo ovale, sorseggiando acqua e caffè e gustando cioccolatini, biscotti e caramelle, si svolge l’atto di condivisione tra undici persone, sei donne e cinque uomini, che cercano e danno sostegno nella comune battaglia contro l’alcol. Il silenzio che segue ogni intervento sembra voler dare il tempo a ognuno di loro di fare propria l’esperienza narrata e la consapevolezza di non essere soli. Con loro, nel seminterrato della Chiesa evangelica a Lugano, c’è anche Geniodonna. Una volta al mese, infatti, la riunione è aperta anche ai non alcolisti. La lettura delle tradizioni e del quarto passo apre l’incontro del Gruppo Arianna. Secondo la filosofia degli Alcolisti anonimi, la strada verso la sobrietà va percorsa a piccoli passi (dodici) e seguendo le dodici tradizioni dell’associazione. Il quarto passo, che invita a fare “un inventario morale profondo e senza paura di noi stessi”, sembra essere il più difficile da intraprendere. “Sono a metà ed è davvero tosto”, confessa Luigi, tossicodipendente e alcolista (tutti si presentano con il nome di battesimo e come alcolisti). A occhio avrà circa 40 anni. “Le comunità e la psichiatria non sono servite a farmi smettere di bere e drogarmi. Per me, che non ho avuto i genitori vicini e sono stato sbattuto da un collegio all’altro, l’alcol e la droga erano la mia medicina. Vivevo nel mio mondo, senza problemi. Ora faccio fatica a scavare in me stesso. Ma con Aa sono arrivato ad avere tante 24 ore alle spalle da sobrio.” Infanzie negate, matrimoni falliti, abbandoni e amori sbagliati accomunano le storie di questi alcolisti. Gregor ha dovuto toccare il fondo prima di capire che doveva combattere l’alcolismo, ma luglio/agosto 2011 - GD n.21/22 - 11 gd alcolismo Un giorno alla volta... Gli Alcolisti anonimi sono un’associazione di persone che si aiutano a vicenda per rimanere sobri. Ne fanno parte in tutto il mondo due milioni di persone. In Svizzera sono attivi circa 200 gruppi. L’obiettivo di chi si rivolge all’associazione, che si basa sull’anonimato, deve essere quello di stare lontani dal primo bicchiere “un giorno alla volta”. Gli Alcolisti anonimi della Svizzera italiana sono divisi in sei gruppi, di cui uno in lingua inglese. L’associazione garantisce reperibilità di 24 ore al giorno chiamando il numero 0848 848846 oppure lo 091 8262205. Internet: www.aasri.org ora è pensionato e dice di essere felice della propria vita. “Proseguo il cammino in Aa anche se non rispetto tutti i passi alla lettera”, ammette. “Per me è importante venire qui, stare con gli amici e capire che sono alcolista.” Alcolisti, infatti, secondo Aa, si è per tutta la vita. La fame di affetto è alla radice della dipendenza di Andreas. Orfano e poi adottato, ha ricercato la figura materna nelle donne. “Ogni volta che una storia andava male, iniziavo a bere”. “Oggi sostituisco l’alcol con una sigaretta o una passeggiata. Faccio di tutto per superare i momenti difficili.” Per Tania, che avrà suppergiù 40 anni, non è stato facile accettare di essere alcolista. “Ho iniziato a bere a 14 anni. L’alcol era il mio dio. Ho costruito la donna che sono oggi bevendo. Il quarto passo mi ha dato serenità. Prima mi vestivo sempre di nero, oggi anche con capi colorati.” Per fare il primo passo, cioè ammettere di essere impotente di fronte all’alcol, Cristina ha impiegato tre anni. “Avevo perso la fede, con tutto quello che avevo passato”. 12 “Ora mi affido ogni giorno a un potere superiore e cerco di migliorarmi.” Ester, invece, è ancora al primo passo. “Ero arrivata a un punto in cui il ‘subdolo’ mi rendeva la vita impossibile. Dopo un anno in Aa capisco ora i passi. Sono più serena e non mi riconosco più. Oggi, infatti, ero in colonna, ma sono riuscita a non arrabbiarmi. Non mi era mai successo.” Sabrina ammette di non avere compiuto i passi a fondo. “Sono pigra, lo ammetto. Ma prima di venire in Aa non ero mai contenta. Vengo qui altrimenti so che ci ricasco.” Esauriti gli interventi (due donne e un uomo si sono limitati ad ascoltare), la riunione è decretata chiusa dopo un’ora e mezzo. Ognuno dà un’offerta per pagare l’affitto del locale, acquistare i libri e gli opuscoli, le bevande e il cibo. L’ultimo atto prima di lasciarsi è la lettura della preghiera della serenità, stando in piedi e tenendosi per mano: “Signore, concedimi la serenità di accettare le cose che non posso cambiare, il coraggio di cambiare quelle che posso e la saggezza di conoscerne la differenza”. - GD n. 21/22 - luglio/agosto 2011 alcolismo gd Per le donne l’alcol è una fonte di energia e un ansiolitico per far fronte alle incombenze quotidiane – Daniele Intraina, direttore di Ingrado, le mette in guardia sulle conseguenze di un abuso Goccetto antistress? Pericolosa illusione I l Servizio ticinese di cura dell’alcolismo e altre dipendenze (Ingrado) è un ente specializzato nella consulenza e nel trattamento di persone che abusano di alcol e altre sostanze. Chi vi si rivolge è seguito da équipe multidisciplinari a livello ambulatoriale (nei consultori) oppure nel centro diurno o in quello residenziale (con ricovero). Il 30% delle persone dipendenti da alcol che chiedono aiuto a Ingrado sono donne (336 nel 2010). Per saperne di più, abbiamo interpellato il direttore, Daniele Intraina. Quante donne abusano di alcol in Svizzera? Si stima che vi siano circa 300 mila persone dipendenti dall’alcol e un terzo sono donne. Per dipendenza s’intende il consumo quotidiano massiccio, ma anche l’abuso intensivo ripetuto, per esempio durante i fine settimana. L’alcolismo femminile è un fenomeno che desta preoccupazione? Oltre all’aspetto quantitativo, preoccupa quello di tipo qualitativo. Infatti, per motivi fisiologici, una donna, a pari condizioni rispetto a un uomo (quantità di alcol ingerita, peso corporeo ed età), diviene più velocemente dipendente dall’alcol. E a causa delle differenti modalità di assorbimento gastrico, il suo organismo è più vulnerabile e quindi più soggetto allo sviluppo di complicanze epatiche e psichiche dovuto all’abuso. Quali sono i motivi che spingono le donne a cercare una soluzione nell’alcol? L’illusoria ricerca di soluzioni attraverso il consumo di alcol ha un’origine psicologica, individuale. Il desiderio di controllare l’ansia derivante da conflitti interni ed esterni, la ricerca di carica ed energia per affrontare le innumerevoli richieste derivanti dalla famiglia o dal lavoro e, più in generale, dal proprio ruolo sociale portano a un consumo eccessivo che può tramutarsi in una dipendenza. Tra le situazioni che possono far sorgere o alimentare l’abuso vi sono l’eccessiva routine, l’autonomia e l’allontanamento dei figli, il disinteresse da parte del compagno o marito, la sensazione di indifferenza rispetto al proprio ruolo. Come viene affrontata la malattia? La dipendenza da alcol femminile non si affronta in modo differente rispetto a quella maschile. Ma luglio/agosto 2011 - GD n.21/22 - 13 gd alcolismo verso le donne vi è più attenzione alla dimensione psicologica-emotiva, con particolare sensibilità rivolta alle tematiche della famiglia e della maternità. Quest’ultimo aspetto è delicato e di particolare importanza per i significati simbolico-psicologici che riveste e per un fattore molto concreto: durante una gravidanza non solo l’abuso, ma anche il consumo di alcol costituisce un grave fattore di rischio rispetto al normale sviluppo psicofisico del nascituro. L’approccio degli Alcolisti anonimi si differenzia molto dal vostro? Gli Alcolisti anonimi costituiscono una forma di auto-aiuto, dove vige la reciprocità e si segue la teoria dei dodici passi che mira al riappropriarsi della propria vita. Per alcuni alcolisti questa modalità può essere efficace, in altri casi può servire da complemento accostandola ad altri interventi professionali quali quelli offerti da Ingrado. Si affronta la dipendenza in più fasi. L’accertamento del grado di motivazione al cambiamento, la successiva disintossicazione e disassuefazione alla sostanza, il sostegno psicosociale, la prevenzione alla ricaduta e il mantenimento del benessere riacquisito costituiscono passaggi obbligati durante i quali l’intervento va scelto e calibrato secondo le caratteristiche individuali e famigliari della persona dipendente. Testimonianza Ho smesso di bere perché amo vivere Mariella beveva tre bottiglie di champagne al giorno. Quando ha capito che l’alcolismo l’avrebbe uccisa, si è rivolta agli Alcolisti anonimi e ne è uscita vincente M i chiamo Mariella e potrei avere qualsiasi età, essere adolescente, una mamma, una stimata professionista. Essendo donna, la mia vita di bevitrice è stata segreta: ho fatto di tutto per nasconderlo, anche a me stessa. La bottiglia mi dava il coraggio di compiere le medesime azioni Qual è la differenza sostanziale tra alcolismo femminile e maschile, anche nell’immaginario collettivo? Storicamente l’abuso alcolico femminile è ricondotto a motivazioni di tipo psicologico, mentre quello maschile a fattori di tipo socioculturale, dove il consumo-abuso si associa al ruolo sociale e alle dinamiche di gruppo. Se da una parte questa distinzione mantiene una sua valenza, negli ultimi decenni c’è stata una progressiva diminuzione della differenziazione tra i sessi nelle motivazioni che portano all’abuso alcolico. Questo è particolarmente evidente nelle fasce giovanili: sia nella modalità d’abuso sia nelle motivazioni, tra ragazze e ragazzi si rilevano sempre meno differenze. La percezione sociale dell’abuso alcolico femminile e il relativo immaginario collettivo rimane comunque discriminante. Nei confronti della donna vi è ancora un’elevata stigmatizzazione che, purtroppo, non fa che alimentare un profondo senso di colpa già presente nella donna dipendente da alcol. 14 - GD n. 21/22 - luglio/agosto 2011 alcolismo che un’altra persona poteva intraprendere con facilità. Certamente non sono diventata alcolista per una maledizione o per malvagità. La medicina e la psichiatria hanno stabilito che molti bevono per cause emotive. Io credevo di poter fare cose meravigliose con la mia vita, e quando questo non è avvenuto, non sono riuscita ad accettare la delusione. E pensare che l’alcol neppure mi piaceva. Non ho bevuto fino a 40 anni. Ho iniziato a bere sporadicamente un goccio di champagne: mi toglieva l’ansia, mi dava euforia e sollievo. Era come assumere un antidepressivo. Mi sono avvcinata alla bottiglia dando la colpa alla fragilità, alla vita compulsiva, al divorzio, ai figli irriconoscenti ai miei sforzi di mamma monoparentale e ai vuoti della mia vita. Dilatata dal mio Io, la richiesta di indulgenza, la delusione nella mia ambizione di perfezione, ho creduto alle illusorie promesse dell’alcol, crudele ingannatore. Da bevitrice ciclica, sempre sola in casa, nell’arco di tre-quattro anni ho aumentato le quantità, fino a smettere solo da ubriaca. Ho dovuto lasciare il lavoro e ho perso la famiglia. Il medico diceva che ero depressa, ma le pastiglie non servivano a nulla. Mi sono rivolta anche a Ingrado ma senza risultati. Ero morta dentro, niente poteva raggiungermi né volevo esserlo. Senza alcol non potevo più vivere. Sono stata male per un anno ininterrottamente, bevendo già al mattino, di nascosto. Nessuna crisi d’astinenza: l’alcol era ovunque. Di notte, chiamavo un taxi che andava ad acquistare lo champagne in un night. Mi sono resa conto di aver toccato il fondo quando gd ho fatto un sogno tremendo: il mio cane mi sbranava i piedi. Al risveglio ho chiesto di essere ricoverata immediatamente. In clinica ho potuto disintossicarmi fisicamente, ma uscita da lì dovevo affrontare la vita quotidiana. Non avevo bisogno né di prediche ipocrite né delle accuse risentite che finora mi avevano fatto: “Se ci volessi bene, smetteresti”, “Dovresti vergognarti”. Non ero né un mostro sgradevole né immorale. Ero una donna disperatamente malata. Sei mesi prima dalla mia uscita da questa clinica, su indicazione del mio medico di famiglia, avevo partecipato a un paio di riunioni di Alcolisti anonimi, ma credo per fare piacere ai famigliari. Non facendolo per me, avevo continuato a bere. “Se vuoi smettere di bere è affare nostro, se vuoi continuare è affare tuo”, mi fu detto. Onestamente, peggio di così non poteva andare. Tutte le strade battute non avevano avuto alcun successo e ho ripreso a frequentare le riunioni. Per due anni ho partecipato senza proferir parola, ascoltavo e basta. Leggevo la letteratura che avevo acquistato, e con la lista dei telefoni degli amici che mi fu consegnata alla prima riunione, ho imparato a chiedere aiuto prima che l’ansia o una paura sul lavoro, o in ogni momento della giornata, salisse. Avevo persone amiche 24 ore su 24. Con medici e terapeuti non era mai stato possibile. Nell’anonimato ho trovato la seconda libertà. In Aa nessuno mi diceva nulla. Riconoscere le mie paure e la devastazione che racchiudevo in me, sintomo del mio alcolismo, è stato fondamentale per farmi aiutare. Tuttavia l’ammissione d’impotenza di fronte all’alcol è stato il primo passo verso la sobrietà. In primis, ho tolto tutto quel che era alcolico in casa, persino i cioccolatini con il liquore. Dopo un mese ho ricominciato a lavorare. Sono alcolista, pur non bevendo da undici anni. Si è alcolisti per tutta la vita, perché l’alcolismo è una malattia inguaribile, fisica, psichica e mentale. In Aa ho imparato a convivere con questa malattia. Chi ne ha sofferto non potrà mai tornare a bere normalmente. L’allergia durerà per tutta la vita, ma con Aa la paura è svanita. Occorre solo stare in guardia sempre dal primo bicchiere. E questo è possibile un giorno alla volta. Io continuo a frequentare Aa dedicando amore all’associazione. Il recupero da questa indecifrabile tortura deve includere la cura per l’ossessione mentale. E io, in Alcolisti anonimi, l’ho trovata. Ora nella mia casa l’alcol c’è, ma solo per mio marito o per gli ospiti che ricevo. Non per me, perché io ho troppa voglia di vivere. Tutti i giorni ringrazio per aver ritrovato la libertà. Dossier illustrato con quadri del pittore statunitense Edward Hopper. luglio/agosto 2011 - GD n.21/22 - 15 gd focus Lo slancio delle donne di Vera Fisogni questa dimensione al centro del 13 febbraio può spiegare almeno due (misteriosi) fenomeni correlati al movimento di oltre un milione di persone nelle piazze italiane: 1) la presenza di tanti uomini, che difficilmente una questione percepita come “soltanto” femminile avrebbe mobilitato e 2) il mancato seguito di iniziative di quella portata. Subito dopo il 13 febbraio, se ci pensiamo, non si sono avute manifestazioni – C he il vento, in Italia, stia cambiando, è un dato di fatto. Un soffio rigenerante di primavera ha attraversato le città, da Milano a Napoli, sovvertendo equilibri di potere ormai inadatti a rappresentare le istanze della popolazione. Al di là del dato politico, questo vento del mutamento possiede una consistenza primariamente morale: ci si aspetta una rigenerazione dei principi ai quali orientare la condotta, premessa di quella vita buona in cui, fin da Aristotele, si è vista l’essenza del cittadino e, in un ultima analisi, della virtù politica. promosse da donne – capaci di muovere un così ampio consenso. Qualcuno si aspettava un 8 marzo decisamente diverso, più “assertivo”, e molti analisti si sono chiesti in quel momento se l’onda lunga della piazza non fosse stata un fuoco di paglia. Evidentemente c’era al lavoro qualcosa di diverso, più spirituale e archetipico, rispetto a quanto animava i cortei del femminismo storico. Rispetto e dignità. Ma proprio questo aspetto, tanto cruciale nella spiegazione del fenomeno, ha una radice tutta femminile, che va cercata in quel 13 febbraio, data tanto densa di significati quanto difficile da comprendere nella sua complessità. La mia idea è che la rifondazione dei valori – a cui la società civile guarda con grandi aspettative – sia iniziata proprio dalla mobilitazione delle donne. In Adesso basta!, il motto con cui quell’evento è passato alla storia, sono stati rivendicati il rispetto e la dignità: i pre-requisiti, a ben vedere, di qualsiasi discorso morale, perché senza guardare (respicio) all’altro, riconoscendolo degno di una qualche attenzione, non è proprio possibile tratteggiare nessuna priorità valoriale. Un fuoco di paglia? Riportare 16 - GD n. 21/22 - luglio/agosto 2011 gd focus per rigenerare i valori La forza morale. Con sorpresa, vediamo oggi come stia lavorando, sottotraccia – ma non troppo – quello slancio morale di matrice femminile, originato da uno sfregio che vede le donne nel ruolo di vittime e di prime attrici. Tutto è nato, come sappiamo, dallo scandalo dalle ragazze che si vendevano al Sultano Silvio Berlusconi, con l’aspettativa di un posto in tv o di un seggio al Parlamento. Ma come si spiega che lo slancio morale sia (prio- ritariamente) femminile? Al di là degli svantaggi patiti dalle donne, nel lavoro, nel riconoscimento dei diritti e dell’immagine in senso lato, tutte condizioni che inclinano a una reazione, andrebbe fatta luce su una dimensione più metafisica. L’orientamento femminile alla vita è particolarmente sensibile al concreto. Ora, il valore è qualcosa che si scopre nell’esperienza, nel rapporto con i bisogni primari, a cui proprio le don- Wassily Kandinsky, Passioni. luglio/agosto 2011 - GD n. 21/22 - ne principalmente fanno fronte, misurandosi con la gestione dell’economia familiare, con i figli e la rete degli affetti. Il senso del concreto. Le donne sono tanto vicine a questa concretezza quanto la politica come “sistema” (fatto anche di donne, ma questa è un’altra storia) appare lontana. Nel rapporto con la realtà si sperimenta il positivo della vita, quel “positum” che in senso metafisico è all’origine dell’orientamento al bene, cioè al perseguimento di quanto ci realizza, a partire dalla vita. Mai come oggi meriterebbe di essere riletto un pensatore del livello di Max Scheler, autore di una fondamentale Etica materiale dei valori. Per concludere, è molto interessante – e a mio giudizio prova il ruolo decisivo delle donne nella ricostruzione della morale – il fatto che i giovani siano ritornati a partecipare alla politica. Il linguaggio femminile, che va diretto al concreto, ha fastidio degli orpelli retorici e sa esprimere i problemi, si presta magnificamente ad essere inteso da menti aperte al confronto e da interlocutori affamati di progettualità, tratti peculiari dei ragazzi. Non a caso la lingua materna – come ha magistralmente spiegato Luisa Muraro – è decisiva per la costruzione della realtà. In qualche modo, proclamando i valori, le donne hanno assunto, forse senza rendersi conto, un ruolo antico e sempre attuale di guida, dalle dirompenti potenzialità politiche. 17 gd lettura olistica Il piede: specchio Intervista alla riflessologa Roberta Bonafede che legge nella dita dei piedi di Laura Dotti to “olistico” (dal greco olos che significa intero), quindi considera l’individuo come un’entità inscindibile di corpo, mente e spirito. Il riflessologo non isola la malattia per tentare di eliminare i sintomi, né agisce su di un organo e apparato, ma opera piuttosto sulla persona nella sua interezza, allo scopo di raggiungere o, meglio, di farle raggiungere, uno stato equilibrato e armonico. Il dolore che si manifesta nei punti del piede, in aree precise, può corrispondere a organi o ad altre strutture; esso è un segnale che consente al riflessologo di riconoscere una disarmonia, prima ancora che si manifesti, e di attivare il potenziale autocurativo della persona. Roberta Bonafede è riflessologa plantare da oltre dieci anni, si occupa di fitoterapia, lettura delle dita dei piedi (dattiloscopia) e cromoterapia plantare. È cofondatrice della neonata associazione I 5 Elementi che si prefigge di divulgare tutto ciò che riguarda la “medicina naturale”. La riflessologia ha una storia molto antica? Era nota già al tempo degli antichi egizi – spiega Roberta Bonafede. In realtà le sue origini si confondono con quelle dell’uomo: pensate al gesto della madre che accarezza i piedini del figlio e come il neonato insista nel giocare con i suoi piedi e nel succhiarsi gli alluci, ricordandosi del piacere provato nel premere le piante contro la parete dell’utero materno prima di nascere. In Egitto, a Saqqarah è stata ritrovata la tomba di Ankhmahor, conosciuta anche come la tomba del “Medico”, risalente alla VIa dinastia, circa 4300 anni fa. In essa c’è una pittura murale, dove si vede all’opera un medico che stimola le dita dei piedi e delle mani del paziente. I geroglifici tradotti riportano questa frase: “non farmi male”, e la risposta del medico: “agirò in modo da meritare la tua lode”. Il piede è il riflesso del nostro modo di “muoverci” nella vita. Cosa svela? La lettura del piede è lo specchio della nostra anima, ovvero di tutto il nostro modo di esprimerci nel mondo. La forma del piede, le dita dei piedi, le righe, i calli, i gonfiori e altri segni ci possono dare un’interpretazione del vissuto sia fisico che emozionale della persona. I piedi sono un libro aperto nella “conoscenza” del vissuto di ognuno di noi. Ho organizzato un seminario per la lettura delle dita dei piedi che si chiama dattiloscopia: le dita dei piedi, che possono cambiare molto velocemente, ci danno informazioni specifiche sul carattere della persona. Puoi spiegare in cosa consiste e qual è la finalità di un trattamento di riflessologia? La riflessologia è un trattamen18 - GD n. 21/22 - Senza il “dito” delle ambizioni, incapaci di decidere In un tuo seminario hai raccontato di come un ragazzino, privato del secondo dito in quanto “fuori misura”, non sia stato più in grado di prendere decisioni. Esiste una biunivocità tra il piede e la mente? Assolutamente! “Riflessologia”, è un qualcosa che si riflette in ambedue le direzioni. Al ragazzino era stato amputato il “dito delle ambizioni”, era un bambino molto propositivo fino a che non gli hanno amputato il dito; a seguito dell’operazione la mamma ha notato un grande cambiamento. Questo succede anche a chi viene donato un organo di un’altra persona. Un altro esempio che posso fare è quello di un uomo a cui, da un giorno con l’altro, si luglio/agosto 2011 gd lettura olistica del corpo e dell’anima e nella cromoterapia plantare la personalità e gli squilibri gonfia un testicolo, apparentemente senza spiegazioni; guardando i piedi si è notato un rossore e un rigonfiamento nella zona riflessa del testicolo e gli è stato chiesto se avesse preso un colpo in quel punto: la sua risposta è stata che due giorni prima aveva giocato a calcetto e aveva ricevuto un calcio proprio in quel punto del piede! Nella tomba egizia di Ankhmahor di 4300 anni fa il disegno di un medico che stimola le estremità. Il piede ha la forma di un seme di ciò che è l’uomo al suo punto di partenza ne l’alluce, e poi fasciate. Queste donne erano considerate “intoccabili”, trattate come bambole. Tutte le loro emozioni venivano così messe a tacere, tanto che non erano in grado di prendere decisioni, di avere voce in capitolo rispetto a nulla e neanche di Donne orientali avere emozioni: non potevano prive di emozioni essere indipendenti perché non una volta rotte più in grado di camminare da sole dita dei piedi le. Avendo le dita spezzate, non erano in grado di avere emozioE la storia del piede fem- ni, essendo le dita, soprattutto minile? Viene in mente le ultime quattro, legate a delle la dolorosa e antica usan- emozioni specifiche: gioia, doloza orientale di fasciare re, desideri, sessualità, creatività, i piedi delle giovani per legami affettivi! Lasciavano solo ridurne le dimensioni. la parte puramente razionale, la Che impatto aveva que- testa, ovvero l’alluce. sto trattamento sul loro mondo emozionale e Più controllabili le donne con i tacchi altissimi sulla loro vita? Le donne cinesi, soprattutto quelle nobili, erano Veniamo ora a un fatto che risottoposte a questo terribi- guarda anche il nostro monle trattamento: venivano loro do: il tacco. spezzate le dita dei piedi, tran- In un mondo dove la donna cerluglio/agosto 2011 - GD n. 21/22 - ca di diventare sempre più manager e meno mamma o donna, i tacchi diventano sempre più alti. Io personalmente non seguo molto il mondo della moda, ma mi sembra che quest’anno siamo arrivati al plateau e a un tacco 13. Considerando il fatto che la zona del tallone è legata alla materialità, alle cose concrete della vita, e che le dita sono legate, invece, alle emozioni e alla parte più spirituale, il tacco porta a stimolare la parte emozionale, molto di più di quella pratica: porta, paradossalmente, ad avere la testa ancora più tra le nuvole! Rende la donna “leggera” e quindi più controllabile. Senza considerare le gravi problematiche che porta a livello fisico, per cui problemi di schiena, di postura, dolori alle gambe… Il calzare delle libertà è andare scalze Qual è allora la calzatura capace di rispettare ed esaltare, senza sottometterlo, il nostro essere femminile? Bella domanda! L’ideale sarebbe lo stare senza scarpe. Così si potrebbe esprimere liberamente la nostra femminilità e la nostra personalità, senza timore di esporci o di essere giudicati! Servirebbe a prenderci più cura dei nostri piedi e quindi di noi stesse, cosa che, forse, è ancora troppo difficile da immaginare nella nostra società. 19 gd Ticino/violenza La violenza domestica si combatte informando In netto aumento nel 2010 gli interventi della polizia ticinese, secondo il principio “chi picchia se ne va”. Allontanate dalla propria abitazione anche alcune donne famiglie in cui si verificano maggiormente gli atti di violenza. “Prima gli interventi erano suddivisi equamente tra le famiglie miste e con entrambi i coniugi stranieri e svizzeri”, puntualizza Pierluigi Vaerini, capitano della Polizia cantonale ticinese. “Nel 2010 i casi di violenza si sono avuti soprattutto nelle famiglie di stranieri: 322 interventi contro i 216 nelle famiglie miste e i 251 nei nuclei con partner svizzeri”. Ma a che cosa si deve la crescente richiesta da parte delle vittime di violenza di un intervento delle forze dell’ordine? “Soprattutto a una maggiore sensibilizzazione su questa problematica attraverso le campagne e conferenze pubbliche e alla facilità di accesso alle informazioni”, risponde Vaerini. “Gli agenti possono così reagire tempestivamente alle richieste di aiuto, che arrivano per il 50 per cento dal luganese.” di Antonella Sicurello A tre anni dalla modifica della legge sulla polizia, che prevede l’allontanamento dalla propria abitazione di chi commette violenza, gli interventi degli agenti ticinesi sono aumentati di quasi il 50 per cento. Il forte incremento si è registrato nel 2010 (789 interventi, + 47 per cento rispetto al 2009), mentre nei due anni precedenti gli interventi erano rimasti stabili (circa 500). Per quanto riguarda il 2010, si è avuta una crescita del 22 per cento degli allontanamenti ordinati dall’ufficiale della polizia cantonale (109). Tra le persone allontanate dalla propria casa, secondo il principio “chi picchia se ne va” (vedi Geniodonna, novembre 2009), vi erano anche sette donne (6,4 per cento del totale). Stabili, invece, gli allontanamenti volontari (65). Rispetto agli altri anni, è cambiata anche la tipologia delle 20 - GD n. 21/22 - Le vittime di violenza possono quindi fare affidamento su un’ampia rete di sostegno. Così non è, almeno in Ticino, per le persone violente. Da tempo, infatti, si discute, senza risultati concreti, sull’opportunità di realizzare strutture specifiche che si prendano carico degli autori di violenza. Altri Cantoni (circa la metà) ci sono già riusciti. Alcune deputate ticinesi, che nel novembre 2010 hanno presentato una mozione in questo senso, sono ancora in attesa di ricevere una risposta dal governo. “L’allora consigliere di Stato Luigi Pedrazzini aveva reagito positivamente, dichiarando l’intenzione del governo di muoversi in questa direzione”, sottolinea Pelin Kandemir Bordoli, prima firmataria della mozione. “Spero che nella nuova legislatura il Consiglio di Stato mantenga questa posizione, rispondendo positivamente con un progetto alle nostre richieste.” luglio/agosto 2011 idee&parole gd Donne migranti i fantasmi nel “libro delle facce” di Pietro Berra L a “specificità di essere donna”: un’espressione che al giorno d’oggi viene declinata in tutti i campi, dal lavoro alla salute, dallo sport alla politica. A volte si esagera persino un po’. Rischia di diventare un luogo comune, una frase retorica. Provate, allora, a declinarla al passato. Agli eventi storici di cui le donne sono state parte “silente”, o meglio “silenziata”, e spesso più importante di quanto non si trovi scritto nei libri di storia. Possono saltare fuori – dalla memoria e dagli archivi – delle sorprese inaspettate. Perciò Geniodonna sta dedicando dall’inizio di questo 2011, centocinquantesimo dell’Unità d’Italia, una serie di articoli sull’apporto femminile al Risorgimento. Serie che si conclude su questo numero con nuovi interessanti documenti scovati da Elena D’Ambrosio, per lasciare posto a un’altra, che qui cominciamo e che porteremo avanti nei prossimi mesi: la storia, e le storie, delle italiane emigrate. Ed è un’epopea che davvero ci riguarda tutti. Provate, qualora aveste dei dubbi, a inserire il vostro cognome nel motore di ricerca della Ellis Island Foundation, che sta digitalizzando i registri degli sbarchi negli Stati Uniti dal 1880 al 1920. Io ho rintracciato 351 potenziali “zii d’America”, cioè persone con il mio stesso cognome. Otto sono addirittura miei omoni- mi. Uno di questi l’ho ritrovato su Facebook, ma con la biografia del mio bisnonno. Che, però, in America non è mai stato. Ho provato a scriverlo a chi ha avuto l’idea – peraltro simpatica – di creare i profili degli emigranti che hanno fatto grandi gli States. Ho provato a dirgli che probabilmente si è sbagliato: ha “copiaincollato” da un altro sito la biografia del mio avo musicista, applicandola però a un altro Pietro Berra, che tra gli emigranti celebri è finito non già per meriti personali, ma per essere stato il padre di uno dei più fenomenali giocatori di baseball di tutti i tempi, Yogi Berra. E così il mio falso bisnonno è ancora lì, sul “libro delle facce”. Non risponde alla mia richiesta di amicizia, ma ne ha stabilite numerose con gli altri espatriati celebri, da Einstein a Walt Disney. Nella lista, a dire il vero, scarseggiano le donne: quattro su 52, di cui solo una ha effettivamente brillato di luce propria (l’attrice di Broadway Lily Claudette Colbert), mentre le altre sono dei “numeri fortunati”, e niente più: la prima persona sbarcata nel nuovo centro accoglienza di Ellis Island nel 1892 e due sopravvissute del Titanic. Dimenticata persino Ella Grasso, il primo governatore donna (eletto, altre avevano preso il posto del marito morto) degli Sati Uniti d’America. Nelle pagine seguenti troverete la storia di questa formidabile figlia di una casalinga di Voghera. luglio/agosto 2011 - GD n. 21/22 - 21 idee&parole gd L’invasione delle donne Nella migrazione all’inizio del ‘900 fu il nord Italia a fornire il 57% degli espatri di Pietro Berra L a proverbiale casalinga di Voghera – per la verità l’espressione nasce solo nel 1966, quando da un’indagine della Rai risulta che il campione di telespettatori cui risultano più ostiche le cronache politiche è composto da signore del comune pavese – ha partorito la prima governatrice degli Stati Uniti d’America. Non è una battuta, bensì è la storia di Maria Oliva, che il 4 ottobre del 1906, all’età di 14 anni, sbarcò a Ellis Island e nel “nuovo Mondo” si innamorò di un altro emigrato, Giacomo Tambussi, contadino di Perleto (provincia di Alessandria), arrivato negli States nel 1904. Dall’unione tra i due nacque, nel 1919, Ella Rose Giovanna Oliva Tambussi. I genitori si sacrificarono per farla studiare. E lei non li deluse: nel 1942 si laureò al Mount Holyoke College (South Hadley, Massachusetts); nel 1952 cominciò la carriera politica nelle fila del partito democratico; nel 1975 fu la prima donna ad essere eletta governatore di uno degli Stati della federazione americana, per la precisione il Connecticut. Dovette lasciare a metà del secondo mandato per motivi di salute: il 5 febbraio del 1981, dopo 28 anni di vittorie ininterrotte alle urne, perse la lotta contro il cancro. Lombardia. All’ultimo censimento dell’Aire, l’Anagrafe degli italiani residenti all’estero, ovvero quelli che hanno conservato fino ad oggi la cittadinanza italiana, risultano 318.414 lombardi fuori dai patri confini, su un totale di 4.115.235 italiani. E Como è al quarto posto tra i 12 capoluoghi di provincia con 35.391 emigrati (prima Milano con 89.926, seguita da Varese con 39.818 e da Bergamo con 39.032). Ma il fenomeno migratorio ha coinvolto gli italiani ben più massicciamente di quanto non dicano i numeri degli iscritti all’Aire. Secondo i dati raccolti dal Centro studi emigrazione di Roma, ben 2.300.000 cittadini hanno lasciato la Lombardia, tra il 1876 Ella Grasso punta di un iceberg Non sono mancate le onorificenze postume, per questa pioniera del “femminismo applicato”. Subito dopo la morte, Ronald Reagan le assegnò la Medaglia presidenziale della libertà e nel 1993 è entrata nella National Women Hall of Fame. Ma, quel che più conta ai fini del nostro discorso, è il fatto che la sua figura sia stata rivalutata anche dalla Ellis Island Foundation, che sul proprio portale l’ha inserita nell’elenco “degli immigrati e figli o figlie di immigrati”, che hanno “contribuito a tenere accesa la lampada della libertà”. Peraltro è l’unica donna in una lista di soli uomini, dal compositore Irving Berlin al segretario di Stato Colin Powell. La figura di Ella Grasso è solo la punta di un icerberg: quello composto da oltre dodici milioni di nostre connazionali emigrate all’estero, dove per decenni hanno vissuto nell’ombra. Un fenomeno che ha coinvolto massicciamente anche la ricca 22 - GD n. 21/22 - luglio/agosto 2011 idee&parole lombarde negli States gd I legami femminili diedero struttura e coscienza ai gruppi che diventarono comunità e il 1976, per stabilirsi all’estero. E negli anni della Grande emigrazione, quando le navi dirette in America salpavano a ritmo quasi quotidiano, fu il Nord, più ancora che il Sud, a veder partire i propri figli in cerca di un futuro migliore: Lombardia, Veneto, Piemonte e Friuli fornirono, da soli, il 57% degli espatri (3.015.360 persone su 5.257.830). Una lunga rimozione Il fenomeno migratorio è stato a lungo rimosso nel nord Italia: è dell’11 gennaio 2005 il riconoscimento del portale www.lombardinelmondo.org da parte della Regione ed è ancora in fase di costru- La prima donna eletta governatore del Connecticut. A lato: Ellis Island, controllo degli immigrati appena sbarcati. zione, sullo stesso sito, la sezione dedicata alle ricerche genealogiche (http://ricerchefamiliari.lombardinelmondo. org/, tra le prime banche date già disponibili in rete quella dell’Archivio di Stato di Como). Un’antropologa veneta, Francesca Massarotto, si sta invece prodigando per portare l’attenzione sul ruolo delle donne in questo esodo. E nei suoi studi non manca di sottolineare le molte analogie tra le nostre emigrate di cento anni fa e le straniere che arrivano oggi in Italia. Le une e le altre spesso invisibili, ma determinanti per trasformare, spesso ricorrendo ai ricongiungimenti familiari, “accozzaglie” di lavoratori stranieri in una comunità. “In Europa e negli Stati Uniti i primi flussi italiani erano soprattutto di manovali precari e stagionali i quali, finito il lavoro, tornavano a casa o vagavano alla ricerca di nuove occupazioni – scrive la Massarotto in uno dei suoi saggi. Gli uomini soli vivevano ammassati in camerate e baracche di prima accoglienza, dove dormivano e cucinavano insieme, attendendo il momento luglio/agosto 2011 - GD n. 21/22 - 23 gd idee&parole di poter tornare in patria. Le cronache del primo Novecento raccontano con dovizia di particolari del proliferare di truffatori e approfittatori senza scrupoli (i moderni “banchisti”), che lucravano sulla buona fede degli emigranti e sulle loro necessità. [...]. La donna ha cambiato definitivamente la composizione di queste collettività, rendendole permanenti, basate sulla famiglia, sulla salvaguardia delle proprie origini e allontanandole dagli 24 sfruttatori”. Molte hanno fatto i mestieri più umili (allora le chiamavano “serve”, oggi si definiscono colf e badanti), ma alcune delle loro figlie e nipoti hanno fatto carriera. Ella Grasso è stata la prima di una serie. Non a caso, in tempi recenti una giornalista Rai, Patrizia Angelini, ha creato un’associazione e un premio per valorizzarle. Per saperne di più: www.italianwomenworld.com - GD n. 21/22 - luglio/agosto 2011 idee&parole gd Il profilo di donna antidoto universale alla morte La figura femminile nella scultura monumentale e funeraria nell’area lecchese di Tiziana Rota L a donna, immagine privilegiata dagli scultori, non è mai il soggetto di monumenti commemorativi, per definizione riservati ai “grandi uomini” protagonisti, dove compare come corollario narrativo o più spesso sotto forma di allegoria: la musa, la patria, le cinque giornate, la madre, la sposa, la storia ecc. Nei monumenti funerari gli scultori di fine Ottocento e del Novecento possono ancora esaltare il corpo femminile anche al di fuori dell’iconografia religiosa, strettamente vincolata a modelli classici, nelle figure angeliche sempre più femminilizzate, nelle sinuose fanciulle liberty, ma soprattutto nella realistica rappresentazione di donne contemporanee: le dolenti che visitano, vegliano, custodiscono la memoria dei defunti e, incuranti degli sguardi, esibiscono la bellezza dei corpi con l’intensità dei sentimenti. Attraverso alcuni esempi presenti nel lecchese ma abbastanza rappresentativi di un fenomeno culturale più diffuso cercherò di percorrere le trasformazioni di questa particolare iconografia come ho documentato nella ricerca Scultura all’aperto a Lecco e provincia (2009). Cimitero monumentale, Lecco. luglio/agosto 2011 - GD n. 21/22 - 25 gd idee&parole La sinuosità liberty Nella cultura europea di fine Ottocento si assiste alla progressiva metamorfosi delle classiche figure angeliche, intermediarie tra l’uomo e il divino, in ambigue e misteriose figure femminili. L’angelo di Giulio Monteverde (Tomba Oneto, Staglieno, 1882) è l’immagine profondamente sensuale che colpisce il gusto dei contemporanei e diventa un modello per la scultura simbolista. Ed ecco caste fanciulle ancora munite di ali ma ben definite dai morbidi e sinuosi panneggi mossi dal vento, (Francesco Confalonieri, Lecco, 1896) ad esprimere attraverso la gestualità la gamma di sentimenti consolatori dal dolore straziante, alla mestizia incredula, alla fiducia nella fede. Due giovani accosciate si consolano in un abbraccio che esprime la pietà verso il defunto. Le vesti trasparenti, i capelli raccolti in morbida crocchia, mazzi di fiori abbandonati in grembo declinano le simbologie del cordoglio nelle forme sensuali del Liberty. (Luigi De Paoli, Mandello del Lario, 1910). Dolcissima ed invitante una giovane donna si china porgendo un ricco bouquet variegato di fiori. Morbida è la linea della sua postura che scende dal capo piegato alla spalla nuda, si insinua tra i seni evidenziati dalla trasparenza del tessuto, si piega attorno alla gamba protesa e ci fa dimenticare il marmo. (Giuseppe Mozzanica, Lecco, 1937). Nella cappella Borletti (Monumentale, Lecco) una giovane seduta con le mani congiunte, riccamente adornata, bracciale, collana tra i capelli, veste operata e sandali è collocata su di un piedistallo affiancato da due sedili. Alle sue spalle una nicchia a tutto sesto rivestita di mosaico dorato in cui campeggia una croce. Il contesto suggerisce le frescure di un ninfeo in cui una languida e sensuale figura anni Trenta brilla tra le dorature secessioniste. Mentre il gusto realistico ottocentesco indugiava nella descrizione minuta dei particolari, dei costumi, dei comportamenti della moda del tempo rendendo con assoluta fedeltà e crudezza il mondo borghese dei committenti, il simbolismo accentua la componente intimista e soggettiva e offre immagini indeterminate in cui le certezze positiviste sono messe in discussione. In alto: Francesco Confalonieri, Lecco, 1886. A lato: Giuseppe Mozzanica, Lecco, 1937. 26 - GD n. 21/22 - luglio/agosto 2011 idee&parole gd Il dolore vero di donne reali Se l’angelo diviene figura seducente e simbolica, la dolente dei primi cinquant’anni del Novecento, realistica rappresentazione della donna contemporanea, esprime, nella sua gestualità e fisicità tutte le sfumature del lutto e della sua elaborazione (raccoglimento, rassegnazione, preghiera, supplica, distacco…). Gli scultori hanno così l’opportunità di modellare, scolpire donne vere, credibili nella loro fedeltà al modello; sempre meno impongono pose eclatanti e preferiscono cogliere gli atteggiamenti quotidiani. Così splendidi ritratti a figura intera o a mezzo busto popolano i cimiteri e si affiancano alle iconografie più classiche dei soggetti religiosi. L’abbraccio ai morti in guerra Anche le allegorie ispirate a moduli classici che rappresentano la famiglia sacrificata dal valoroso soldato alla Patria, spesso presente nei monumenti ai caduti, si umanizzano, compensano la retorica del genere e rappresentano spesso il lato più interessante delle composizioni. Così la bella figura classica nel rilievo della cappella Torri Tarelli (Francesco Confalonieri, Monumentale Lecco, 1907) bilancia l’altisonanza delle allegorie della guerra e della fede, mentre la madre col puttino giocoso nel Monumento ai Caduti di San Giovanni (Angelo Montegani, 1925, Lecco) è più credibile dell’esultante soldato e infine l’abbraccio del bimbo che quasi sfugge alle braccia della splendida donna che lo regge, per trattenere il padre soldato nel Monumento ai Caduti di Lecco (Giannino Castiglioni, Lecco) è certo molto convincente. La donna madre Il tema della maternità è presente in ambito funerario, oltre che nelle Pietà, soggetto privilegiato ad esprimere dolore della madre di fronte alla morte del figlio, nell’iconografia della Madonna col Bambino della tradizione cristiana, dove la madre, dallo sguardo triste In alto: Cimitero monumentale, Lecco, A lato: Luigi De Paoli, Mandello del Lario, 1910, luglio/agosto 2011 - GD n. 21/22 - 27 gd idee&parole e assorto, già conscia del destino che attende il figlioletto, è fonte di identificazione per chi ha subito una perdita ed è fonte di speranza e attesa di protezione per chi a lei si rivolge. Non mancano poi elaborazioni in chiave laica del tema secondo due connotazioni di segno opposto: la giovane madre disperata per esprimere il vuoto e l’abbandono, o la serena coppia madre figlio, per ribadire grande fiducia nella vita. Il giovane Luigi Milani scolpisce in marmo di Carrara un’imponente giovane donna che stringe il suo figlioletto e un mazzolino di fiori. Il corpo massiccio e solido sottolinea la forza di reggere, assieme al bimbo, il dolore espresso nel bel volto, assorto e sollevato, a cui fa da contrappeso la capigliatura/velo che scende dalle spalle ai piedi. Una delle migliori prove di questo artista lecchese che ha popolato nel corso degli anni i cimiteri del territorio (Monumentale, Lecco, 1937). Lo scultore Fulvio Simoncini (Monumentale, Lecco, 1991) è originale interprete dell’accento più vitalistico e rasserenante della maternità, e della figura femminile in genere, nella scultura funeraria. Propone qui una giovane madre nuda, seduta a terra, come una moderna Madonna del prato, mentre stringe al seno il piccolo con un gesto protettivo. Serena 28 Fulvio Simoncini, Monumentale, Lecco. Sotto: Giannino Castiglioni, Monumento ai Caduti di Lecco. - GD n. 21/22 - luglio/agosto 2011 idee&parole e sorridente, esprime il caldo abbraccio totalizzante e originario che è all’inizio di ogni vita e a cui i viventi tendono in una nostalgia inconscia ed inesauribile. Un inno alla vita che nasce, perfettamente coerente con la sua destinazione, il gruppo scultoreo Madonna della maternità in pietra serena, realizzato nel 1935 da Luigi Supino (Genova 1984-?) per il Padiglione Gianbattista Sala dell’Ospedale di Lecco ed ora felicemente trasferito nel piazzale d’ingresso del nuovo Ospedale Manzoni. Una bellissima Madonna accoglie benevola e protettiva i neonati che le donne offrono e consegnano alla sua protezione. Le tre figure di donna con i due bambini creano un gruppo piramidale in cui scorre circolarmente un’intesa affettuosa di gesti e di sguardi. I volti molto somiglianti, differenziati dalle capigliature o dalle aureole, sembrano voler alludere ad una sequenza temporale del ruolo materno: l’attesa piena di incognite della donna inginocchiata a occhi chiusi che chiede protezione, l’offerta del neonato in fasce della puerpera, il legame aperto madrefiglio della Madonna e del bambino. La superficie picchiettata e scabra della pietra, i volumi semplici e maestosi sembrano voler suggerire un arcaismo mitico, nonostante la classicità delle figure e la modernità dei volti. gd Luigi Supino, Madonna della maternità. Sotto: Lydia Silvestri, She, Abbadia Lariana. She, la pura forma E infine She, una donna, pura forma in divenire della scultrice Lydia Silvestri, affacciata sul nostro lago, si offre ai naviganti come le sculture e le logge delle antiche ville, pensate per essere ammirate dall’acqua (Abbadia Lariana, 1971). Il bronzo “monumentale” si svolge e, inarcandosi con profonda curvatura, compete con il profilo dei monti sull’altra sponda. Si sente la spinta delle gambe rimaste in un piedistallo celato dall’edera: imprimono uno slancio rotatorio alle forme morbide e poderose, che si generano dalla forte tensione ascensionale. Una linea astratta indugia sull’anatomia di Lei (She), scava profondi golfi, espone rotondità esasperate, sconvolge l’unità della visione in un gioco di ambiguità e, come una spirale senza fine, attrae nel calmo vortice carico di promesse. luglio/agosto 2011 - GD n. 21/22 - 29 gd idee&parole Le donne comasche Le quattro “sorelle” Luisa De Orchi, Anna Martinez, Amalia Biancardi e Virginia Sironi di Elena D’Ambrosio I l patriottismo femminile comasco, che annovera tra i suoi massimi esempi personaggi del calibro di Giuseppina Perlasca Bonizzoni, che operò in collegamento con Luigi Dottesio, diede altre ammirevoli prove all’indomani della liberazione di Como dagli austriaci ad opera dei Cacciatori delle Alpi guidati da Garibaldi, “avanguardia – riprendiamo dal periodico locale Il Corriere del Lario del 28 maggio 1859 – dell’esercito liberatore sardo-francese”. Il Municipio di Como si era subito mobilitato per allestire provvisori ospedali militari, utilizzando alcuni istituti destinati alla educazione dei giovani, quali il Collegio Gallio, e adattando allo stesso scopo case private messe a disposizione dai cittadini. Fu costituita una apposita Commissione con il compito di raccogliere biancheria, bende, filacce e offerte in denaro, mentre a una “gentile signora”, Virginia Sironi, fu affidato l’incarico di raccogliere presso la propria abitazione “offerte di tela”. In questi improvvisati ospedali furono alla fine ricoverati soprattutto i soldati francesi feriti nella battaglia di Solferino, provenienti da Bergamo e da Brescia dove avevano ricevuto le prime cure. è importante in questo frangente proprio il ruolo svolto da numerose donne comasche che con diverse mansioni prestarono gratuitamente assistenza ai ricoverati. Il Corriere del Lario, diretto da Annibale Cressoni, nel supplemento del 7 settembre 1859, segnalò “alla pubblica riconoscenza” le cittadine più meritevoli, alcune delle quali, (e cioè: Felicita Molteni, la stessa Virginia Sironi, Luigia Pagani, Giuseppina Novati), ricevettero in seguito una medaglia dal governo imperiale francese, che volle nella medesima circostanza premiare con un attestato “tutta la città che con entusiasmo concorse a sollievo dei sofferenti soldati di Francia”. Allorché nell’ottobre del 1859 Garibaldi lanciò una sottoscrizione nazionale per l’acquisto di un milione di fucili, le donne di Como furono tra le prime ad aderirvi il 2 novem- 30 bre, in cui viene annunciata la lodevole iniziativa di “una privata associazione di molte cittadine comensi, d’ogni condizione” che aveva offerto “la collettiva somma” di fr. 660.00 a cui si aggiungeva una sottoscrizione femminile nel comune di Rovenna, per un totale di fr. 703.50. La notizia fu ripresa dal giornale milanese Il Pungolo, affinché il nobile esempio delle “generose sorelle di Como” fosse imitato dal “sesso gentile degli altri luoghi d’Italia, con unanime concorso”. Le diverse sottoscrizioni che furono aperte a Como registrarono una larga partecipazione delle donne e seguirono il corso degli eventi: dalla sottoscrizione per la spedizione in Sicilia, alla sottoscrizione per un dono nazionale a Garibaldi subito dopo il successo dell’impresa, alle sottoscrizioni successive ai fatti dell’Aspromonte in soccorso di Garibaldi ferito e dei suoi, rinchiusi nelle fortezze sarde, fino alla creazione dei Comitati di provvedimento per Roma e Venezia. Scorrendo - GD n. 21/22 - luglio/agosto 2011 idee&parole protagoniste del Risorgimento gd del patriottismo raccolsero fondi, armi, risorse – Aiutarono Garibaldi a Caprera Gerolamo Induno, Il ritorno. i lunghi elenchi dei sottoscrittori, ricorrono tra le “firme” femminili i nomi di Luisa De Orchi, Anna Martinez, Amalia Biancardi e Virginia Sironi. Questo quartetto costituì a Como il punto di riferimento principale per qualsiasi iniziativa patriottica “al femminile”. La De Orchi in particolare era in contatto con il Comitato femminile per il fondo sacro per Roma e Venezia, istituito a Genova nell’estate del 1861, che a Milano faceva capo a Laura Solera Mantegazza. La Mantegazza divenne la principale referente di Luisa, la quale mantenne costanti contatti epistolari con la patriota comasca Elena Casati Sacchi (figlia di un’altra patriota comasca, Luisa Riva Casati) anch’essa membro del Comitato femminile (si veda, Luisa De Orchi, Lettere di una garibaldina, a cura di Costaza Bertolotti e Sara Cazzoli, Marsilio, Venezia 2007). Lo stesso Garibaldi in uno dei diversi appelli alle donne italiane, ripreso anche da Il Corriere del Lario, cita Como e i nomi della De Orchi, Martinez, Biancardi e Sironi tra le più attive nella raccolta di fondi. Del resto il Generale ebbe un sincero legame d’affetto con la popolazione di Como, scaturito dai fatti del ‘48 e del ‘59, e in particolare con il gentil sesso comasco, che nemmeno la rottura, quasi istantanea, del suo matrimonio con Giuseppina Raimondi nel gennaio del 1860, spense. Un sentimento ampiamente corrisposto dalle “donne comensi” che nutrivano verso il “redentore dei popoli”, come dimostrano le diverse lettere “di risposta” scritte da Garibaldi e conservate presso l’Archivio storico risorgimentale del Museo Civico Garibaldi di Como (Archivio Mori, cart. XVI, fasc.1), ad esempio una minuta indirizzata alle “carissime e gentilissime donne di Como” che scrisse da Caprera il 6 gennaio 1863 e che probabilmente consegnò nelle mani del medico comasco Gilberto Scotti, giunto in visita: “Voi m’avete mandato una parola d’affetto, ed un felice augurio, io v’invio l’anima mia. A voi mi legano certe reminescenze che non possono finire. Io le ricordo con orgoglio baciandovi la mano”. Nell’Archivio Mori (cart. XVI, fasc. 6) abbiamo trovato uno dei piccoli dipinti rappresentanti la casa di Garibaldi a Caprera che Luisa De Orchi, improvvisatasi pittrice, si era messa a vendere per raccogliere denaro per la liberazione di Roma e Venezia. Il Corriere del Lario nel numero del 26 aprile 1862, pubblicava una sorta di “rendiconto” dei dipinti della De Orchi, da lei stessa stilato: 200 le copie vendute (il costo variava da L. 1 a L. 3)con un introito di L. 370, denaro che inviò direttamente a Garibaldi, con cui ebbe sempre contatti. Alla fine la donna ringraziava di cuore “le buone patriote di Como” che l’avevano coadiuvata nella distribuzione. Ringraziava inoltre “Elena Sacchi in Genova, Ida Rampoldi di Gessate, ed in particolar modo la benemerita signora Laura Mantegazza Solera di Milano”. Un’altra iniziativa patriottica intrapresa dalle donne di Como fu il dono di due bandiere alla Brigata Cacciatori delle Alpi, che nel maggio del 1860 aveva assunto la definitiva denominazione di Brigata Alpi. luglio/agosto 2011 - GD n. 21/22 - 31 gd donna e/o madre Identità femminile e maternità due universi autonomi Suscita polemiche in Francia il libro della filosofa francese Elisabeth Badinter Le Conflit la femme et la mère – A settembre uscirà anche in Italia di Maria Tatsos L a maternità è davvero l’essenza dell’identità femminile? Il desiderio di avere un figlio è il denominatore comune di tutte le donne, a qualsiasi latitudine? Chi sceglie di non avere figli è una perfetta egoista? A questi interrogativi, la filosofa femminista francese Elisabeth Badinter ha dedicato il saggio Le Conflit – La femme et la mère (Flammarion) che alla sua uscita lo scorso anno in Francia è diventato subito un bestseller e oggetto di grandi polemiche. Al punto che l’autrice è stata bollata da alcuni come “veterofemminista”. A settembre sarà pubblicato finalmente anche nella traduzione italiana, da Corbaccio. E si può prevedere che farà discutere, essendo l’Italia al contempo patria del mammismo e uno dei Paesi che meno sostengono le madri, con il risultato che il nostro tasso di fecondità è fra i più bassi d’Europa. minismo contemporaneo, che esalta un ritorno alla natura. Insieme dipingono il ritratto della madre ideale: totalmente devota al bebè, che deve allattare a oltranza - finché lui lo richiede - a lavare pannolini ecologici per non inquinare l’ambiente e a decifrare grugniti e vagiti del neonato. Attenzione, donne: portata all’estremo, questa visione diventa la migliore alleata del maschilismo più spinto. Incoraggiare le madri a consacrarsi totalmente al bambino e a ogni suo desiderio significa allontanarle dal mondo del lavoro che è sinonimo di autonomia, non solo economica. Una pacchia per l’uomo di casa, che in Italia è già più restio che altrove a condividere il carico del lavoro domestico. Un toccasana per la coppia? Non necessariamente. “Fare un figlio modifica sempre gli equilibri”, com- La filosofa, 67 anni, che è madre di tre figli e nonna, è nota per le sue posizioni controcorrente. Questa volta, il suo è grido d’allarme. La crisi economica con il dilagare della disoccupazione e del precariato ha colpito soprattutto le donne. E la sirena di un’ideologia naturalista le sta seducendo. “Se il mondo del lavoro è deludente e non vi dà il posto giusto che meritate, né lo status sociale e l’indipendenza economica che sperate, perché farne una priorità?”, scrive Badinter, per illustrare questa posizione. C’è una generazione di giovani donne, cresciute da madri perennemente stressate tra famiglia e lavoro, che di fronte a questa situazione si è convinta che “le cure e l’educazione dei loro bambini potrebbero essere il loro capolavoro”. In fondo, l’istinto materno non è quanto di più naturale esista? A spingere le donne verso casa c’è una coalizione eterogenea composta da ecologisti, studiosi del comportamento umano e un certo fem32 - GD n. 21/22 - luglio/agosto 2011 donna e/o madre menta Paola Leonardi, sociologa, psicoterapeuta e fondatrice della Scuola di Socio-psicologia delle donne a Framura, in Liguria. “Il neonato dipende totalmente dalla madre, che subisce cambiamenti fisici, psicologici, sociali. Il rapporto fusionale fra madre e figlio a volte può allontanare il padre”. Il sesso va in crisi e la coppia scoppia. Elisabeth Badinter difende il modello materno francese, che ha radici storiche precise. Non a caso, la Francia è il gd Paese in cui sono stati inventati i nidi e gli asili. Presso la nobiltà, in seguito imitata dalla borghesia, una donna era, nell’ordine, sposa, persona con doveri sociali e infine madre. Ecco perché era invalsa l’abitudine di affidare i neonati a una nutrice. L’identità femminile non poggiava solo sulla maternità. Eredi di questa cultura, le francesi sono fra le poche europee a fare felicemente figli e a rientrare al lavoro, senza sentirsi troppo in colpa per non essere madri a tempo pieno. Certo, dagli anni Settanta a oggi, la condizione femminile è mutata radicalmente. Molte di quelle donne che hanno portato avanti le battaglie femministe hanno rotto con la generazioni delle loro madri, scegliendo di non avere figli. Lo raccontano in una serie di interviste Paola Leonardi e Ferdinanda Vigliani nel libro Perché non abbiamo avuto figli, edito da Franco Angeli, facendo parlare la prima generazione di italiane che hanno vissuto il passaggio dalla maternità per obbligo a quella per scelta. Avanguardia di un cambiamento epocale, che consente oggi alle donne di rivendicare a testa alta la scelta di essere childfree, senza figli per libera scelta. È quella “ridefinizione dell’identità femminile” di cui parla anche Badinter. Secondo una ricerca della sociologa americana Kristin Park, la motivazione primaria delle childfree è la libertà, che la condizione di non-madri offre per la crescita personale e l’autonomia affettiva ed economica. Sono per lo più donne metropolitane, colte e con prospettive di lavoro e gratificazioni per la propria autostima. Ma in Italia l’immagine della donna senza figli continua a oscillare fra la vittima di un destino avverso e l’egoista dedita solo a compiacere se stessa. “È ancora forte il peso della riprovazione sociale, commenta Paola Leonardi. “In realtà, come vedo dalle donne che frequentano la nostra Scuola, c’è il desiderio di capire quali sono i propri desideri. La completezza del proprio essere donna non passa per forza attraverso i figli”. Insomma, se da una parte c’è chi tenta di far leva sui sensi di colpa delle madri per rispedirle a casa, dall’altra ci sono donne che non ci stanno più. Donne che vogliono avere tutto, soddisfazioni professionali e materne al contempo. E donne felici, anche senza essere madri. “Che si voglia o no, la maternità è solo un aspetto importante dell’identità femminile, non più il fattore necessario per acquisire il sentimento di pienezza del proprio sé femminile”. Parola di nonna Elisabeth Badinter. luglio/agosto 2011 - GD n.21/22 - 33 gd donna e/o madre Uniamoci per avere aiuto e diventare madri L’ultimo saggio di Nicoletta Sipos Perché io no? Quando non si riesce a diventare mamma: storie, consigli e soluzioni – 60mila coppie chiedono aiuto alla scienza – Le difficoltà procedurali spingono molte al turismo procreativo di Katia Trinca Colonel N icoletta Sipos non ha solo scritto un libro, ha intrapreso una battaglia. Il romanzosaggio Perché io no? Quando non si riesce a diventare mamma: storie, consigli e soluzioni (Sperling & Kupfer) non è solo il racconto di un gruppo di donne alle prese con i problemi della maternità, è anche una leva che squarcia la disinformazione sull’infertilità, sulle difficoltà legislative, psicologiche e pratiche che le donne italiane incontrano sulla loro strada quando decidono di mettere al mondo un figlio e non ci riescono in modo naturale. Ogni anno, nel nostro Paese, 60mila nuove coppie che non possono procreare naturalmente chiedono aiuto alla scienza. Si parla addirittura di un’emergenza sanitaria. Eppure, la legislazione italiana pone numerosi ostacoli sul cammino di chi decide di 34 utilizzare la procreazione medica assistita. Nicoletta Sipos ha preso a cuore la causa delle coppie infertili e con il suo libro – e il relativo blog che ne è scaturito – ha lanciato un appello alle donne. Unitevi, fate conoscere le vostre storie, rompete le scatole per ottenere quello che è un vostro diritto, così che non sia necessario intraprendere il cosiddetto “turismo procreativo”: vagare per l’Europa (Barcellona, Madrid, Austria, Repubblica Ceca) con un dispendio economico che solo le coppie benestanti possono permettersi. è giunto il momento che si riesca, nel proprio Paese, ad avere la massima assistenza, a poter utilizzare tutte le risorse che la scienza mette a disposizione. E soprattutto, amiche, non smettete di riflettere su ciò che state vivendo, mettetelo in comune con altre donne. L’informazione è la cosa più importante per potere decidere in libertà, senza condizionamenti politici - GD n. 21/22 - luglio/agosto 2011 donna e/o madre o religiosi. “L’infertilità è ancora un tabù – spiega la Sipos – se ne parla poco e male. Poi si conosce poco il proprio corpo. Le giovani non sono bene informate sui tempi della fertilità, sul concepimento, la contraccezione. Questo libro l’ho scritto anche per loro, perché sappiano cosa significa cercare un bambino. Così, quando verrà il momento di desiderare una gravidanza, saranno più preparate.” Le storie di Angelica (vuole un figlio, non arriva ma non si pone il problema), Carlotta (niente figli per convinzione), Rosa (insieme a uomo divorziato che ha già tre figli e in cerca di una gravidanza), Monica (l’unica felicemente “toccata” da una maternità naturale), Chiara (in cerca del secondo figlio), la 18enne Sandra e le altre numerose amiche di cercounbimbo.net, tutte le seguiremo nelle loro peripezie tra esami clinici, conta dei giorni fertili, in- gd Nicoletta Sipos – giornalista e scrittrice (intervistata da Laura Dotti per il n.13 del novembre 2010 di Geniodonna) ha lavorato per diversi quotidiani tra cui Avvenire e Il Giorno, è stata inviata speciale del settimanale Gente prima di diventare, nel 1994, redattore capo di Chi che ha lasciato nel giugno 2009 – ha particolarmente a cuore la causa delle donne e lo ha dimostrato già nel suo primo romanzo “impegnato” Il buio oltre la porta (Sperling & Kupfer) arrivato alla terza ristampa, storia vera di una signora della buona società massacrata di botte dall’insospettabile marito. Ha contribuito alle raccolte Mondadori Cuori di pietra (2007), Facce di bronzo (2008) e Corpi (2009); Alle signore piace il nero (Sperling & Kupfer, 2009) e al Supergiallo 2010 Eros e Thanatos. dirizzi di luminari, rocamboleschi viaggi all’estero. E soprattutto vorremo condividere la nostra storia e abbracciarle idealmente. Grazie alla battaglia di Nicoletta. Felici senza figli è possibile? Intervista ad Angelica protagonista del romanzo di Nicoletta Sipos di Alina Rizzi N onostante l’indice di natalità italiano sia bassissimo, sembra comunque che per una donna scegliere di non avere neppure un figlio sia un’esperienza poco diffusa. Infatti si discute molto sulla legge 40 che riguarda la procreazione assistita, sui limiti e le difficoltà che derivano dal volere un figlio quando la natura non aiuta. Il libro Perché io no? (Sperling & Kupfer, 2010, € 17) di Nicoletta Sipos, giornalista e scrittrice, offre un panorama esaustivo dell’argomento, trattandolo però con la levità e a volte l’ironia di un romanzo. Un romanzo “corale” in cui si intrecciano le storie vere di tante donne che hanno voluto un figlio con l’aiuto della scienza. Tra queste, protagonista del romanzo, c’è Angelica. Il nome è di fantasia ma la storia assolutamente autentica. Non è stato difficile intervistare questa donna di 43 anni, manager, e chiederle come si affronta una tardiva voglia di maternità negata della natura e alla fine anche dalla scienza. “Lo dico nel finale del romanzo e ci credo fermamente: non è stato facile ‘resettarmi’ per affrontare l’esistenza non più come futura madre ma come donna, e basta. Ciò nonostante non ho voluto cedere alla tentazione di commiserarmi. Mi sento completa come donna anche se, come ha detto qualcuno, non si smette mai di desiderare un figlio proprio. Ma posso assicurare che si può vivere una bella vita, piena e serena, anche senza figli.” Ma Angelica non è giunta a questa conclusione senza aver tentato tutte le strade possibili per diventare madre, e non ha problemi a raccontarlo. luglio/agosto 2011 - GD n.21/22 - 35 gd donna e/o madre “Ho conosciuto Massimo, il mio attuale compagno, il primo anno di università e la sera stessa in cui ci siamo conosciuti abbiamo fissato la data delle nozze: 9/9/99, ma non ci siamo mai sposati. Però siamo cresciuti insieme, abbiamo finito gli studi, iniziato a lavorare e comprato la nostra casa. A trent’anni abbiamo iniziato a pensare a costruire una famiglia. Un giorno però sono stata male, sembrava un’appendice finita in peritonite, ma nel corso dell’intervento il chirurgo si è accorto che in realtà si trattava di una ciste di endometriosi ‘esplosa’ che aveva infiammato il peritoneo. Questo ha comportato il mio primo cesareo (ironia della sorte, ho subito due cesarei senza fare neanche un figlio) e da lì è iniziato il calvario. A causa di una serie di errori medici ho avuto un’emorragia interna, ma non pensavo di aver subito anche un danno riproduttivo.” Ad Angelica il suo ginecologo non aveva fatto esami approfonditi e lei è vissuta tranquilla, posticipando la maternità a tempi migliori. Solo a 37 anni, dopo altri interventi, un nuovo ginecologo ha scoperto come stavano le cose. “L’intervento mi aveva molto danneggiato le tube,” spiega Angelica, “e reso molto difficile procreare. In più, la legge 40 aveva allungato enormemente i tempi di attesa. Ma il mio orologio biologico correva sempre più veloce. Così, concluso l’iter degli esami di routine vengo iscritta nelle liste di attesa per una Pma (Procreazione Medicalmente As- sistita) di 2° livello in una struttura pubblica. Ma mi viene comunicato che occorrono due anni di attesa. A questo punto decido di rivolgermi a un centro privato di una città vicino alla mia, ma esco dalla prima visita devastata, con l’impressione di essere solo un’opportunità di ricavo per medici ai quali non interesso assolutamente come persona.” Decidi quindi di rinunciare? “No! Anche perché nel frattempo mi ero avvicinata al sito cercounbimbo.net dove avevo trovato tantissime indicazioni, Dopo questo contatto decido di tentare la strada estera in Austria, dove trovo un ambiente completamente diverso da quello del centro italiano. Con il morale risollevato mi preparo all’avventura austriaca ma, pochi giorni prima di partire, scopro di essere incinta! La mia felicità dura poco e alla settima settimana la gioia lascia posto a un dolore immenso. Non mi voglio arrendere e negli anni successivi supero tutti i limiti fisici e mentali che mi ero imposta pur di raggiungere il mio sogno. Passo dal Belgio alla Repubblica Ceca, dalla Pma omologa a quella eterologa che comporta un lungo e profondo percorso di elaborazione, ma sempre senza successo.” Quando hai capito che non potevi andare oltre? “Nel 2009. A causa di una stimolazione sbagliata eseguita nella Repubblica Ceca, i miei valori legati alla funzionalità della tiroide si ‘sballano’ completamente e ci vorrà più di un anno per normalizzarli. Questo episodio inatteso mi fa riflettere sul fatto che forse era ora di dire basta ai tentativi.” Nonostante tu abbia accettato di non diventare madre, aiuti però le altre donne che provano anche per anni ad avere un figlio. “Sì. Nel corso di questi anni, incontrando tante persone e sentendo raccontare tante storie, ho sentito la necessità di fare qualcosa per aiutare chi si trovava in una condizione simile alla mia. Tramite il sito cercounbimbo.net ho cercato di raggiungere più persone possibili, mettendo a disposizione la mia storia e quella delle mie amiche, anche per il libro di Nicoletta Sipos, così da fornire informazioni utili alle coppie che si scoprono infertili (una su 4), ma anche a tutte le donne (e sono tante!) che non sanno bene come funziona il proprio corpo. Le moltissime testimonianze che sono arrivate al sito in questi tre mesi di vita del libro mi hanno commosso e convinta di aver fatto la scelta giusta.” Il servizio fotografico per donna e/o madre è di Marco Boriani. 36 - GD n. 21/22 - luglio/agosto 2011 chirurgia plastica gd Vocazione non solo lavoro di Graziella Lupo* S ul primo numero che ho ricevuto di Geniodonna (n° 9) ho avuto la soddisfazione di trovare presentata una mia intervista, quale donna chirurgo plastico. La cosa mi ha fatto molto piacere, perché ho dedicato tutta la mia vita e con la massima passione a questo mestiere che non ho mai considerato solo un “lavoro”, ma una vocazione personale: io dovevo fare proprio quello. Mi ricordo che già a tre anni d’età, quando mi chiedevano cosa avrei fatto da grande, rispondevo sempre: “il dottore”. Tutti i miei giochi sono stati ispirati quasi esclusivamente a quel mestiere che io non giudicavo tale, ma alla stregua di un bellissimo “gioco” del quale non ho mai potuto fare a meno. Ho avuto una vita molto fortunata, ho potuto esercitare la mia professione per cinquant’anni senza mai fermarmi e ne ero felice. Naturalmente ciò ha comportato dei sacrifici, che non ho mai considerato tali, ma solo strade per raggiungere la meta. Non mi stancavo di lavorare, e la vita ospedaliera mi si calzava come un guanto. L’amore per e dei miei pazienti mi ha largamente compensato di qualche fatica in più. Naturalmente l’inizio è stato arduo, tuttavia ho avuto la grande fortuna di avere un maestro, allora unico al mondo: il professor Gustavo Sanvenero Rosselli, al quale devo tutto il mio sapere nel campo della chirurgia plastica. Dopo quarant’anni di primariato ho dovuto – con sommo rincrescimento – lasciare l’ospedale per raggiunti limiti d’età, ma, grazie al cielo, ho potuto continuare a lavorare ancora, privatamente, sino a 83 anni. Poi c’è qualcuno che ha detto: “Alt, ora basta, hai lavorato abbastanza!”, e un piccolo ictus mi ha ridotto all’inattività chirurgica. Non l’ho considerata una catastrofe, ma un segno del Signore che mi diceva di smettere, cosa che non ero capace di fare da sola. Da una vita di totale abilità ho dovuto imparare a essere “diversamente abile” come sono ora. Ho colto tuttavia l’occasione per seguire la mia passione per la pittura, per mettermi a dipingere, cosa che ho fatto con grande entusiasmo grazie a un valido e noto maestro, Germano Bordoli, al quale va tutta la mia riconoscenza. Ecco, ora ho 90 anni e da otto ormai sono “ferma”, ma ho una bella carrozzina elettrica con cui posso ancora uscire da sola. Naturalmente gli anni sono tanti, e passano, ahimè, con la velocità luglio/agosto 2011 - GD n. 21/22 - mentre gli acciacchi non mancano. Non ho mai avuto rimpianti! Solo riconoscenza di aver potuto con le mie mani fare più felici tante persone e questa è solo gioia. Purtroppo vivo sola, i miei più cari amici sono morti o più infermi di me e non possiamo mai incontrarci. Sono sempre più curiosa delle cose del mondo attorno a noi, ma con grande dispiacere vedo che queste cose non vanno come dovrebbero andare: la guerra, gli omicidi continui, i rapimenti, la fame, la disonestà, la mancanza di lavoro… Ma i veri colpevoli siamo noi, non il Padre Eterno, che ci ha regalato un mondo meraviglioso del quale non siamo capaci di capire e di gioirne la magnificenza ogni giorno. Un fiore che sboccia, il mio gatto che dorme beato, il pensiero dei miei genitori, pochissimi amici rimasti, una telefonata, un raggio di sole. Non posso non essere riconoscente. Ho avuto un’infanzia felicissima con dei genitori assolutamente straordinari, loro non ci sono più, ma vivono sempre in me. Non sono religiosa, nel senso stretto della parola, ma porto un rispetto infinito per tutto ciò che è Vita, che ci è elargita. Aspetto con fiducia la fine perché sarà stabilita e condotta da un “Altro”, e non da me per fortuna. Se siete invalidi e vecchi, cercate di essere riconoscenti verso coloro che hanno cura di voi: sono i nostri angeli. Pensate in positivo. Ci sono ancora tante cose da scoprire anche da vecchi: la vita è una scoperta continua, non ve ne siete ancora accorti? *Chirurgo plastico ex primario all’Ospedale Sant’Anna di Como 37 Intervista alla scrittrice Deborah Gambetta Vivisezione una ferita di Marialuisa Righi tuivo quanto fosse insultante costringere un animale in gabbia e crescendo ho approfondito, elaborato questo mio “sentire” leggendo, informandomi sui diritti e sul destino degli animali. “Tutti abbiamo bisogno di qualcuno che ogni tanto ci dica: ‘ Non temere, è tutto a posto, anche se non è vero per niente, anche se le cose, a posto, non lo sono affatto.’ Questa la riflessione di Stefano Marri, protagonista dell’ultimo avvincente romanzo scritto da Deborah Gambetta per la collana Verdenero (Edizioni Ambiente) intitolato per l’appunto è tutto a posto. In copertina l’immagine di un cane nero schiacciato contro una parete grigia, gli occhi svuotati di preghiere e una cerniera che gli chiude la bocca. Le pagine del libro cercheranno di aprire quella cerniera, lasciando che le vicende umane dei protagonisti diano voce all’orrore della vivisezione, dei canili lager, del traffico internazionale di cuccioli e di tutto il rimosso quotidiano che vede negli animali le vittime predestinate di una discesa agli inferi, con l’uomo al centro, senza vergogna. Incontriamo la scrittrice a margine della presentazione al pubblico del suo libro, organizzato dall’Associazione Gruppo Ambiente 2 febbraio. La causa animalista è al centro del romanzo con la vivisezione come cardine su cui ruota la caduta e la rinascita del protagonista: perché hai scelto questo argomento? Il maltrattamento degli animali in qualsiasi forma sia esplicato mi angoscia, la vivisezione poi per l’incalcolabile dolore che causa agli animali è una mia particolare ossessione. Penso che la vivisezione sia un crimine assolutamente inutile, che non serve a salvare vite umane ma solo a mantenere un mercato al cui vertice ci sono le multinazionali farmaceutiche. Che fare? Ci vorrebbe una rivoluzione culturale che può passare solo attraverso l’informazione, bisogna che la gente sappia cosa accade in quei centri di ricerca e quali sono le associazioni che usano ancora la sperimentazione animale, tipo la Theleton. Io sarei per segnalarle… Ad esempio, mi sta bene che sui pacchetti di sigarette ci sia scritto che il fumo fa male, uccide, avvelena chi ti sta intorno ma vorrei vedere una cosa simile anche per le associazioni che richiedono donazioni, un banner sotto la richiesta che precisa: “Se doni a questo ente, vai a finanziare in parte anche la vivisezione, e la vivisezione è questa cosa qui”. Come nasce la tua passione animalista? Fin da piccola sono cresciuta con la costante presenza di animali in casa e fuori, mio padre faceva il rappresentante di mangime per piccoli animali, lo accompagnavo spesso negli allevamenti, diciamo che la naturale predisposizione alla cura e osservazione degli animali ha trovato un terreno fertile su cui crescere. Ero una bimba che detestava il circo, rifiutavo di andarci perché non capivo cosa ci fosse di divertente nel vedere animali trattati come pagliacci, snaturati. Già allora in38 - GD n. 21/22 - Ed ecco una foto di un gatto o di una scimmia con un elettrodo piantato nel cervello. C’è differenza tra approccio maschile e femminile rispetto alla causa animalista? No, assolutamente, penso sia un comune sentire che prevarica il luglio/agosto 2011 animali in gabbia all’etica della natura piumini d’oca, scelgo farmaci da banco generici, uso cosmetici e prodotti per la casa, per quanto mi è possibile cruelty free, ho smesso di comprare borse in pelle. E per le scarpe ci sto arrivando. Controllo sempre che gli inserti in pelliccia siano ecologici e mi informo su tutto. Che cosa pensi dei veterinari intesi come addetti ai lavori? Il mio più caro amico è un veterinario, ho sempre avuto il mito del veterinario che non solo cura gli animali, ma li salva. Il protagonista del romanzo è un veterinario e lo è anche la figura orribile che si arricchisce con il traffico dei cuccioli. Come in tutte le categorie ci sono i corrotti e gli incorruttibili, certo è che se tutti veterinari fossero come il mio amico il business dei canili lager e il traffico dei cuccioli crollerebbe sotto il peso di scelte etiche e coerenza professionale. sesso di appartenenza. Credo sia solo una questione di sensibilità, di empatia soggettiva. Come vivi nel quotidiano il tuo impegno animalista? Piccole cose, piccoli passi che fanno la differenza. Sono diventata vegetariana. Non compro Si può sperare in un mondo senza più questo assordante e inascoltato dolore? Penso che, se l’evoluzione esiste, una concezione dove gli animali non siano più considerati oggetti ma esseri senzienti sarà inevitabile. Il mio sogno è che la gente smetta di mangiare la carne, ma, senza arrivare a tanto, basterebbe insegnare il rispetto per la vita e la morte di ogni creatura vivente. Il fermo immagine che ti strazia di più e quello che ti consola? Vedere un animale in gabbia. La consolazione è che ci sia della gente che apre quella gabbia. luglio/agosto 2011 - GD n. 21/22 - Qual è il tuo animale totem? Senza dubbio il gatto. Sono avanti millenni… ANIMALI “SACRIFICATI” N el triennio 2007-2009 sono stati uccisi a causa della vivisezione oltre 1.200 scimmie e 2.571 cani, tanto per citare gli animali più vicini all’uomo. Il numero complessivo di animali “sacrificati” è molto maggiore e risponde alla cifra di 2.603.671 (in lieve calo rispetto al triennio precedente quando erano 2.735.887). Le specie più utilizzate rimangono topi (1.648.314) e ratti (682.925), seguite da uccelli (97.248), altri roditori e conigli (73.362) e pesci (59.881). “Animali largamente impiegati a causa del loro basso costo e perché facilmente maneggiabili, piuttosto che per ragioni strettamente scientifiche” scrive la Lega Antivivisezione (Lav). Dai dati appena pubblicati in Gazzetta Ufficiale emergono due aspetti sconcertanti: l’aumento dell’utilizzo di primati, una categoria di animali che dovrebbe essere protetta dal decreto legislativo 116/92, il cui impiego dovrebbe rappresentare un’eccezione e non una regola. Pessimo destino anche per i cani impiegati “per esperimenti fortemente invasivi” scrive la Lav “che comportano alti e prolungati livelli di dolore come studi di tossicità e indagini legate a problematiche nervose e mentali umane e cancro”. Il secondo aspetto è rappresentato dall’aumento degli animali utilizzati vivi e soppressi per fini didattici. Anche in questo caso, così come per i primati, si dovrebbe trattare di un’eccezione, grazie soprattutto alla legge 413/93 che dà diritto all’obiezione di coscienza, una “legge” scrive la Lav “che evidentemente rimane silente o addirittura viene ostacolata”. 39 gd nucleare Vogliamo vivere senza minacce Nucleare Dopo Germania e Svizzera, anche il popolo italiano col referendum dice no all’energia atomica, sconfessando il Governo e salvaguardando salute, ambiente e avvenire dei figli – Affermata anche l’eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge e l’acqua come bene di tutti di Pierangelo Piantanida dotta col Decreto Omnibus è stato spazzato via e sono state respinte le manovre denigratorie sullo strumento referendario. Una scelta, quella dell’elettorato, che non solo è affluito copiosamente alle urne, raggiungendo un quorum di oltre il 57%, come da decenni non si vedeva nel Paese, ma che con una maggioranza schiacciante, più del 95% dei votanti, ha segnato quella che dovrebbe essere la parola fine per l’atomo, come è stato costretto a riconoscere lo stesso Presidente del Consiglio, secondo cui “dovremo dire addio al nucleare dopo il voto popolare”. V enticinque milioni e mezzo di “sì” per dire “no” all’energia atomica. Tanti sono stati infatti gli italiani che hanno scelto di abrogare il nucleare, di tutelare l’acqua come bene comune e non come merce, e di affermare l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, senza alcun salvacondotto per il presidente del Consiglio, i presidenti delle Camere e i ministri. Sul nucleare è stata bocciata senza appello la costruzione di nuove centrali in Italia: il trabocchetto della “moratoria” intro- 40 - GD n. 21/22 - Oggi come 25 anni fa Un voto arrivato sull’onda lunga di quanto accaduto 25 anni fa a Chernobyl – e per la cronaca si ricorda fra le maggiori affluenze ai referendum la consultazione del 1987, guarda caso riguardante proprio l’abbandono dell’atomo all’indomani del disastro in Bielorussia –, ma che ha trovato sicuramente vigore dopo l’incidente all’impianto giapponese di Fukushima. Evento che ha dimostrato, una volta di più e si direbbe “al di là di ogni ragionevole dubbio”, l’intrinseca rischiosità e pericolosità di tali strutture per l’ambiente e la sa luglio/agosto 2011 nucleare liberi di scegliere, uguali nei diritti gd L’erba del vicino è più verde! Così la confinante Svizzera, attraversata da grandi mobilitazioni come non accadeva da tempo, con 15-20mila persone a darsi appuntamento nei pressi del- la centrale di Beznau, nel nord del Paese, il cui Consiglio Federale ha deciso che non verranno eretti nuovi impianti dopo che i cinque esistenti termineranno il loro ciclo vitale (fra il 2019 e il 2034). Ma soprattutto ha indicato per il domani una nuova strategia energetica, che entro il 2050 porterà la Confederazione a prediligere il risparmio e l’efficienza oltre che l’energie pulite, potenziando cioè l’idroelettrico e le fonti rinnovabili: utilizzando i combustibili fossili (con impianti di cogenerazione e centrali a gas a ciclo combinato solo se necessario). Di decisione “irreversibile” ha parlato pure il Governo tedesco (stimolato dalle decine di migliaia di manifestanti da Berlino a Monaco, da Amburgo a Friburgo…), che farà terminare l’esistenza delle 12 centrali del Paese entro il 2022, per optare su “una nuova strada”, ha dichiarato la Cancelliera tedesca Angela Merkel, in cui “l’elettricità del futuro sia sicura, affidabile ed economicamente sostenibile”. Prima potenza industriale a rinunciare all’energia atomica, la Germania dimostra, come sostengono scienziati e ambientalisti, che una strategia energetica che non prevede tale forma di approvvigionamento energetico è tutt’altro che utopistica e irrealizzabile, ma che può essere perseguita. E ciò grazie a un mix di azioni quali la riduzione del consumo di elettricità, il coinvolgimento delle industrie energivore, l’adeguamento delle abitazioni per renderle più efficienti a livello energetico, l’incremento della quota di energia derivante da fonti rinnovabili e la diminuzione delle emissioni di gas serra. luglio/agosto 2011 - GD n. 21/22 - 41 addio! lute delle popolazioni: la fissione nucleare non è controllabile, una volta innescata. E poi vi è il pericolo per le generazioni future a cui verrebbero lasciate in eredità delle vere “bombe ad orologeria” e l’insoluto problema delle scorie radioattive, con cui convivere forzatamente per centinaia, migliaia di anni. Una scelta razionale di salvaguardia, non frutto soltanto dell’emotività, ma che riprende considerazioni ambientali, sanitarie, economiche e sociali fatte proprie dalla maggioranza degli italiani, grazie anche al grande sforzo compiuto da una larga fetta della realtà civile (organizzazioni ecologiste in primis) per favorire l’informazione e la sensibilizzazione sulle tematiche anti-nucleari. Temi compresi, come s’è visto, dalla maggior parte dei nostri concittadini, che si sono dimostrati capaci di ragionare sugli avvenimenti, di saperli vagliare a differenza della ottusità del governo accecato dal giro di affari che la combriccola nucleare si porta appresso. Tutto al contrario di quanto è accaduto recentemente in altre nazioni: la Germania, la Svizzera e in parte la Francia, Paesi in cui proprio l’evento nipponico ha aperto gli occhi alla classe politica dirigente, che ha saggiamente deciso di abbandonare l’opzione atomica per i propri bisogni energetici. gd vita sulle cime Le donne dei rifugi montani centro di calore e di sapienza La presenza femminile ha assicurato la sopravvivenza di insediamenti familiari in alta quota come punti di ristoro di Giuliana Panzeri pravvivere fino ad oggi grazie all’attività di rifugio o di trattoria praticata tradizionalmente, ma anche per la continuità rappresentata da una figura femminile che ha accomunato almeno una parte di essi: in questi punti di ristoro, di accoglienza, di vero e proprio ritrovo sociale in suggestivi e panoramici ambienti naturali, la madre di famiglia era un vero e proprio perno materiale e psicologico nei molteplici ruoli di cuoca, dispensiera, organizzatrice del servizio ai tavoli, punto di riferimento per le mansioni di marito e figli e per l’armonia dell’ambiente. La storia di queste donne è fatta di una quotidianità dura ed operosa, condotta per l’intero arco dell’esistenza in rapporto diretto con l’ambiente di montagna, la sua severità e la sua dimensione libera e grandiosa, ma anche di L ’Alpe di Carella, baita ristorante che domina il paese di Eupilio, è un antico insediamento tra i tanti sorti sui diversi versanti del monte Cornizzolo, avamposto prealpino del Triangolo Lariano: uno degli alpeggi dalla tradizionale economia silvopastorale ancora numerosi e in piena attività dopo l’ultima guerra. Ma negli anni ’50 del secolo scorso le cose avevano iniziato a cambiare: sul versante nord della montagna, in val Ravella, gli alpeggi venivano abbandonati o addirittura abbattuti per lasciar posto alla foresta e a una nuova idea di bosco e di natura, figlia dell’economia moderna e dei suoi rituali di evasione. Eppure, alcuni di questi insediamenti sarebbero riusciti a so- 42 - GD n. 21/22 - capacità di accoglienza e di mediazione. Dalla Pia Molti, ad esempio, ricordano ancora che, fino agli anni ’80 e oltre, chi si proponeva di passare dall’Alpe di Carella diceva soltanto: “Andiamo dalla Pia”. La Pia – Pia Ratti, classe 1921, scomparsa nel 2004 – era quasi un’istituzione, sempre presente con il suo sguardo vivace sotto la crocchia dei capelli rossi poi striati di grigio; il suo grande grembiule nero appariva dalla cucina dietro le grandi pentole che diffondevano gli aromi del brasato e della lepre in salmì, sostava al banco per servire vino e caffè, si dileguava verso la stalla per poi tornare con il secchio caldo del latte appena munto, senza fare mancare una parola e un saluto. luglio/agosto 2011 vita sulle cime Monte San Primo. Da Maria Pia e Iside Più a nord, nel cuore del Triangolo Lariano, nella baita ristoro di famiglia sui monti di Sormano, ai piedi del San Primo, sui prati alti da cui affiorano maestose le Grigne, ancora oggi è Maria Pia Ceresa, classe 1937, a cucinare la polenta con il brasato, il coniglio, il capriolo. Il lavoro in montagna per Maria Pia non è però iniziato qui: i ricordi più intensi sono quelli della gestione del Rifugio Palanzone, a quasi 1300 metri di quota. Fu il marito, Flavio, racconta la donna, a decidere per questa attività all’indomani del matrimonio, nel 1964, e lei si adeguò a questa scelta dovuta alla necessità. Fu così che Maria Pia conobbe l’ambiente spettacolare e difficile della montagna, quello in cui ancora oggi iniziano i suoi mattini: “Salivamo fin lassù da Palanzo, il nostro paese, con il cavallo, e più tardi, in jeep; d’inverno, con la neve, si saliva a piedi, con i bambini ben imbacuccati.” A gestire il rifugio erano spesso Maria Pia e la suocera, Iside: fu così che il passaggio del sapere che è il cuore stesso dell’accoglienza, le ricette di cucina, avvenne da suocera a nuora, e quei piatti tradizionali sono ancora oggi il vanto dell’attuale ristoro. Da Martina e Giuliana Sull’altro versante del Monte San Primo, che domina il promontorio di Bellagio e l’Alto La- gd rio, Martina Boleso, di Lezzeno, giovane sposa nel 1921, era destinata a dare il suo nome al rifugio che il marito volle costruire pochi anni dopo accanto all’alpeggio di famiglia, a oltre 1200 metri di quota. Più tardi toccò alla nuora, Giuliana Vaccani, di fare i conti con quel luogo di cui la suocera era ancora il perno – lo sarà fino agli anni ’70 – ma la cui continuità, fino alla moderna gestione attuale, sarebbe poi stata riposta nelle sue mani. Circa le scelte di vita delle due donne, nonna Giuliana, conversatrice brillante e senza peli sulla lingua dall’alto dei suoi 83 anni, assicura: “Allora comandavano gli uomini” dice convinta “e ci siamo adattate per necessità. Da Lezzeno, sul lago, si saliva a piedi fin lassù e prima che al rifugio, si doveva star dietro all’alpeggio e agli animali, con la paura dei fulmini d’estate e delle valanghe d’inverno.” Ma quella vita finì per appartenere a Giuliana, e per farle ereditare quel ruolo centrale e insostituibile che già era stato di Martina. E i piatti a base di polenta che ai nostri giorni decretano il successo del rifugio sono ancora una volta frutto del passaggio di saperi. Veduta dall’Alpe Carella - Cornizzolo sul lago di Pusiano. luglio/agosto 2011 - GD n. 21/22 - 43 gd video squillo La studentessa si prostituisce per pagare le spese e avere denaro Intervista a una giovane video squillo, una cam-girl – Dalle foto messe sul web agli incontri per appuntamento alla creazione di un giro di habitués di Maddalena Massafra no consigli per trovare lavoro. Un ragazzo mi ha contattata per segnalarmi un sito nel quale, a suo dire, avrei potuto guadagnare molto in breve tempo.” Il sito in questione è molto visitato, ce ne sono tanti. è il regno delle cam girl, ragazze video squillo, spesso poco più che maggiorenni, che si spogliano davanti allo schermo di un computer, e per farlo si fanno pagare bene. Usano nickname accattivanti per chattare con i clienti. Sono sexy, disinibite, trasgressive. Sono le Lolite del terzo millennio, viaggiano veloce, su banda larga, si destreggiano ai bordi di una prostituzione senza sporcarsi troppo le mani, la coscienza. “I voyeur del web – racconta Sara – pagano profumatamente per qualche minuto di conversazione, se così possiamo definirla. Si spendono fino a 150 euro, di cui 70 vanno ai responsabili del sito e 80 a me. Studiavo sempre con il computer acceso e quando qualcuno mi contattava accendevo la cam per mostrarmi. Poi riaprivo i libri e continuavo a studiare.” M i sono incontrata con Sara, ventitre anni, mia coetanea e con la sua storia: si mantiene agli studi universitari prostituendosi. Non è stato semplice ascoltarla, mettendo da parte i pregiudizi, lo ammetto. Prostituzione: di solito sinonimo di violenza, tratta di schiave, coercizione, degrado. qui è una scelta, storie di ragazzine che si vendono, senza scendere sul marciapiede. Quella di Sara D. è una di queste storie, che squarcia il velo sulla prostituzione studentesca: mamma casalinga e papà operaio, ragazza normale, sogna di diventare avvocato; ma nel frattempo, tra una lezione e l’altra, si sfila jeans e maglietta da studentessa modello, per indossarne altri, più succinti e trasgressivi. La “prostituzione part-time” – come la definisce lei – per Sara è arrivata quasi per caso, con Internet. “Un anno e mezzo fa stavo chattando su un forum di discussione nel quale gli studenti si scambia- 44 - GD n. 21/22 - Il portale precisa di non essere un sito di escort, bandendo nel- luglio/agosto 2011 video squillo la maniera più assoluta la parola “incontro”. “Tuttavia – come spiega Sara – il confine tra la cam e il letto può essere molto sottile: tramite il sito ho conosciuto altre ragazze che, come me, sfruttavano il proprio corpo per mantenersi. Una di loro mi disse che, oltre a vendersi su Internet, lo faceva anche dal vivo e che i guadagni erano nettamente superiori. Ho deciso di provare. Ho aspettato che mi contattasse uno dei clienti abituali e poi gli ho proposto un incontro dal vivo. Lui, ovviamente, ha accettato. Aveva l’età di mio padre. Le prime volte ti senti sporca, colpevole. Poi, pian piano, ci fai l’abitudine, e a quel che non ti abitui sopperiscono i soldi. I pri- mi incontri sono serviti da volano per nuovi appuntamenti. Nel giro di qualche mese sono riuscita a crearmi un giro di clienti e di habitués non indifferente, con guadagni intorno ai tremila euro mensili. Poi – dice sorridendo – dipende dal mese.” Sara parla con disinvoltura, sembra sicura di sé, non se ne vergogna, lo fa per il proprio futuro, come ripete più volte mentre racconta la sua storia. “Malattie, gravidanze inattese, violenze, non mi spaventano quanto l’idea che i miei genitori possano scoprire quello che faccio.” Non è più BambolinaSexy86 che parla adesso, ma Sara. La stessa Sara che il fine settimana torna a casa e dorme nella cameretta gd di quand’era bambina, che la domenica accompagna la mamma a fare la spesa, che poi va a casa della nonna a mangiare con tutta la famiglia e fa giocare i cuginetti. La Sara dei buoni voti, degli esami da trenta e lode. Un velo di tristezza le offusca lo sguardo, ma solo per qualche istante, poi ritorna ad essere impenetrabile, come sempre. Nello spiraglio di confidenza che s’è creato, domando perché lo fa. “Alcune ragazze fanno le cameriere, altre le baby-sitter, altre ancora lavorano come commesse nei negozi. Io vendo il mio corpo. Fare l’università è un lusso, un privilegio che i miei genitori mi avrebbero potuto garantire. Ma a stento, con uno stile di vita al limite della povertà. Questo lavoro mi permette di pagare l’affitto, le tasse universitarie, comprare tutto ciò che voglio e avere più tempo per i miei studi e per il divertimento.” Prostituirsi per mantenersi all’università sembra una semplificazione troppo spiccia. Davvero non c’è altro modo per guadagnarsi da vivere? “La differenza che c’è tra chi lo fa per necessità e chi invece per avere accesso a uno stile di vita più elevato, è marginale. La verità è che, se vuoi, se lo vuoi veramente intendo, un lavoro alternativo che ti consenta di sopravvivere lo trovi. Parliamoci chiaro però, un guadagno veloce ed elevato alletta molto più che trascorrere il sabato sera a girare hamburger in un fast food, o a rispondere ai clienti di qualche call-center che, il più delle volte, ti appendono il telefono in faccia, scocciati. Certo, devi essere disposta a scendere a compromessi. Ma queste sono le regole del gioco.” luglio/agosto 2011 - GD n. 21/22 - 45 gd ritmi liberi Danzatrice e coreografa statunitense creatrice del moderno vocabolario coreografico Martha Graham La danza è il linguaggio libero del corpo e intimo dell’anima di Susanna Castelletti na? Martha Graham nasce a Pittsburgh l’11 maggio del 1894 in una famiglia piuttosto agiata. Nel 1911 assiste, in compagnia del padre, a una perfomance di Ruth St. Denis durante la quale in Martha sboccia un grandissimo amore per la danza che segnerà tutte le sue scelte future. Dal 1913 al 1920 essa si dedicherà infatti allo studio di questa disciplina proprio presso la Denishawn School di Los L ’11 maggio 2011 è stato il 117° anniversario di nascita di Martha Graham, danzatrice e coreografa che ha costruito la danza moderna: il motore di ricerca Google le ha dedicato un doodle (logo) costituito da una sequenza di figure tratte da schizzi della stessa Graham tracciati attorno al 1930. Chi è Martha Graham, considerata la più grande danzatrice e coreografa americana del XX secolo? Quale è stato il suo ruolo nell’evoluzione di questa discipli46 - GD n. 21/22 - Angeles diretta dalla St. Denis e dal marito Ted Shawn. L’iniziazione presso Ruth St. Denis è fondamentale dal momento che essa è una delle figure chiave del balletto del primo Novecento. Il panorama mondiale della danza appare fortemente influenzato da quello che viene definito come cosmopolitismo culturale. Contemporaneamente le donne luglio/agosto 2011 ritmi liberi iniziano ad acquisire una maggiore consapevolezza di sé che le porta a rifiutare i principali modelli diffusi dalla società patriarcale. È in questo clima che si distinguono le madri della prima danza moderna: Isadora Duncan (1878-1927), grazie alla quale nasce la cosiddetta “danza libera”, e la già citata Ruth St. Denis (1879-1968). Donne che cercano di fare la differenza danzando! In questo clima libero e favorevole si forma Martha Graham, il cui debutto avviene nel 1919 con un assolo creato appositamente per lei da Ted Shawn. Da questo momento prende il via una carriera di interprete lunghissima e molto intensa che si concluderà solo nel 1969 con il ritiro ufficiale dalle scene. Dopo svariati anni passati presso la Denishawn School, Martha si unisce ai Greenwich Village Follies con i quali nel 1923 debutta felicemente a New York. Gesto e psicologia Il grande successo di pubblico e di critica ottenuto le permette di dedicarsi alla sperimentazione e alla propria creatività coreografica. Nel 1926 fonda la Martha Graham Dance Company e, in questi anni, crea tutta una serie di assoli, nei quali mette in pratica le possibili relazioni tra gesto e motivazione psicologica. Le creazioni della Graham hanno assunto una fortissima valenza politica e per certi versi dichiaratamente rivoluzionaria: basti pensare che tra le sue creazioni si annoverano Heretic (ispirata alle teorie femministe); Letter to the World (un omaggio alla vita della poetessa Emily Dickinson); Frontiers (con tematiche legate al nazionalismo) oppure Chronicle (opera fortemente antimilitarista). Intanto, nel corso degli anni, la compagnia evolve – vengono ingaggiati interpreti maschili, è tra le prime a ospitare ballerini di colore e prendono il via le tournée internazionali – così come evolve lo spirito creativo della sua fondatrice. A partire dagli anni Quaranta infatti le pièces risentono della forte influenza dei concetti della psicoanalisi e della mitologia classica e, in particolare, delle figure femminili che la caratterizzano (Medea, Clitemnestra, Fedra…). Nonostante il successo, nel 1969, all’età di 76 anni, Martha Graham si vede costretta ad abbandonare le scene. La Legion d’onore Una decisione che la danzatrice vivrà molto male e alla quale seguirà un periodo di intensa depressione. Continua però la sua attività coreografica e non mancano i riconoscimenti: nel 1976 è la prima danzatrice a ricevere dal presidente degli Stati Uniti la medaglia presidenziale della libertà e nel 1984 viene insignita gd della Legione d’Onore da parte del governo francese. Martha Graham muore il primo aprile del 1991 a Barcellona lasciando a perpetuare la sua memoria non solo la sua compagnia, ma anche un vero e proprio vocabolario coreografico: il metodo Graham che nel corso degli anni ha influenzato e influenza ancora intere generazioni di ballerini e coreografi. La libertà del corpo La base di quest’ultimo è costituita dalla libertà dalle cinque posizioni del balletto classico, dai suoi passi prestabiliti, dalle scarpette a punta e dai tutù a favore di un approccio gestuale fatto di principi semplici e dinamici in una vera e propria arte corporea, attraverso la quale l’essere umano può esprimere le proprie emozioni liberandosi da vincoli e da tabù, che permettono al corpo di esprimersi liberamente senza doversi adattare a rigidi schemi e posture. Como, Parco di Villa Olmo, sabato, 9 luglio, ore 21.30 - Prima data tour italiano MARTHA GRAHAM DANCE COMPANY, Coreografie Martha Graham luglio/agosto 2011 - GD n. 21/22 - 47 gd Ticino /aziende virtuose Pari opportunità? In azienda si può di Antonella Sicurello tro vincitori: Citibank Svizzera (categoria grandi imprese del settore privato), Ergon Informatik di Zurigo (medie imprese private), il Dipartimento federale dell’economia (Dfe) con il suo Ufficio dell’agricoltura (amministrazione pubblica) e il Centro giovani e famiglia Schlossmatt di Berna (organizzazioni no profit). P remiare le aziende più virtuose in materia di pari opportunità è da anni nell’agenda della Società svizzera degli impiegati di commercio (Sic). Con il Prix égalité, consegnato per la quinta volta a Zurigo a fine maggio, la Sic attribuisce un riconoscimento che va oltre il premio monetario di 1.000 franchi: le imprese pubbliche e private che si distinguono per politiche aziendali a favore della parità di genere sono un esempio positivo per il mondo del lavoro. Attraverso un questionario, 234 aziende (di cui cinque ticinesi) hanno tracciato un bilancio sul lavoro svolto al loro interno a favore della parità. La giuria l’ha poi valutato, decretando i quat- 48 È stato consegnato a Zurigo il Prix égalité istituito dalla Società svizzera degli impiegati di commercio. Tra i finalisti la Cooperativa Migros Ticino Da sottolineare lo sforzo compiuto dal Dfe, che negli ultimi tre anni ha raddoppiato la percentuale di donne con cariche a livello dirigenziale o di quadro. - GD n. 21/22 - E l’Ufficio federale dell’agricoltura ha fatto di più: quattro anni fa non c’erano donne a occupare ruoli dirigenziali, oggi rappresentano il 33 per cento. La quota di donne a livello di quadri è passata dal 2 al 32 per cento. L’esempio positivo di Migros Ticino Tra i finalisti, oltre a Banca Coop e alla Polizia cantonale del Canton Lucerna, c’era anche un’impresa che parla italiano, la Cooperativa Migros Ticino. L’impresa leader nel commercio al dettaglio ha ricevuto una menzione quale esempio positivo nell’applicazione delle pari opportunità, soprattutto per l’inserimento di donne tra i quadri superiori. “Le pari opportunità rappresentano un aspetto importante della politica di gestione delle risorse umane di Migros Ticino”, afferma la portavoce Francesca Sala. “Le donne sono presenti a tutti i livelli, in particolare in quelli di maggiore responsabilità: 19 per cento tra i quadri, 36,7 per cento tra i quadri inferiori, 25 per cento nel Comitato di direzione e 40 per cento a livello di Consiglio di amministrazione, di cui presidenza e vicepresidenza sono occupate da donne”. Come si sono raggiunti questi risultati? “L’azienda si è dotata di un metodo di gestione basato su una valutazione del livello delle qualifiche necessarie a esercitare ogni singola funzione”, spiega Sala. “Questo metodo fa capo a un sistema informatico che, considerate funzione, esperienza e prestazione individuali, permette di definire le singole retribuzioni in modo obiettivo e scientifico”. luglio/agosto 2011