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Spedizione in abbonamento postale 45% - art.2, comma 20/B, legge 662/96 - D.C.I.Trento - Periodico quadrimestrale registrato dal Tribunale di Trento il 9.5.2002, n. 1132. Direttore responsabile: Sergio Benvenuti - Distribuzione gratuita - Tax perçue-ISSN 1720-6812
STORIE
ALTRE
IN QUESTO
NUMERO
Michelin:
un futuro per la
memoria
di Giuseppe ˇerrandi
La cronistoria
di Rodolfo Taiani
Giuseppe Mattei:
un sindacalista in
prima linea
di Paolo Piffer
La lettera inedita:
la Michelin scrive al
Vescovo di Trento
Era la fabbrica
di Luigi Sardi
Territori abbandonati:
la ex Montecatini di
Mori
di Angiola Turella
rivista periodica a cura del museo storico in
trento, anno quarto, numero dieci, novembre 2002
http://www.museostorico.tn.it
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STORIE
ALTRE
Michelin:
un futuro per
la memoria
di
Giuseppe Ferrandi
Lo stabilimento Michelin
intorno al 1930
C
on questo numero di
“AltreStorie” si vuole
proporre una riflessione
che incrocia il tema della destinazione urbanistica dell’area ex
Michelin. Questione complessa
e strategica al centro del Piano Regolatore del Comune di
Trento che ha giustamente suscitato l’attenzione di addetti ai
lavori e di quella parte di opinione pubblica interessata a nuove
proposte per la città e il suo futuro. Si è all’inizio di un dibattito
comunque positivo, un segno
di vivacità e una disposizione
all’innovazione e alla sperimentazione comune a quanti, fuori
e dentro l’amministrazione municipale, stanno ragionando su
questi temi. L’auspicio è che si
individuino le forme per coordinare esigenze e funzioni diverse,
per pensare in grande senza necessariamente prefigurare scelte
difficili da sostenere sul piano
dei costi e del successivo mantenimento. E’ positivo che sul piano del metodo sembra prevalere
l’indicazione di coloro che chiedono la condivisione di un progetto generale, la valorizzazione
dell’esistente e del potenziale
offerto dalle istituzioni culturali
e museali della città, la necessità
di determinare sinergie.
Il focus di questo numero è
rappresentato dalla storia della
Michelin, un nome ma anche un
luogo-simbolo della trasformazione della città e del Trentino.
Questa estate la questione è stata
posta da alcuni protagonisti del
mondo del lavoro degli anni
Sessanta e Settanta. Molti di loro
si sono espressi affinché la demolizione dell’imponente struttura e la determinazione di nuovi
spazi culturali non significasse la
rimozione e la cancellazione di
quel “pezzo” di memoria.
Ci sono molteplici modi per
ricordare, descrivere e indagare
il rapporto tra la città e la sua
fabbrica più rappresentativa e
importante.
C’è un aspetto legato alle lotte
sindacali e ad una storia che ha
visto intrecciarsi la rivendicazione dei diritti dei lavoratori ad
una prospettiva di emancipazione, tradottasi nelle forme di una
partecipazione diretta e in quelle
di un nuovo protagonismo sociale e politico. Michelin, con le sue
difficili vertenze e con i tentativi
di realizzare un avanzato laboratorio sindacale, ha esercitato la
propria capacità di trascinare,
ma allo stesso tempo di dividere,
i vari attori presenti sul territorio
e nella società, coinvolgendo
in questo vorticoso rapporto
migliaia di persone. Una classe
operaia che ha incontrato gli
studenti della Facoltà occupata,
ma che ha anche costituito con
le proprie lotte un fattore di radicale cambiamento interno alla
società e alla comunità trentina.
Michelin non è solo lotte sindacali e protagonismo dei lavorato-
ri, è qualcosa di più, che va oltre.
L’area dove è sorta e si è sviluppata a cavallo della guerra e in
particolare negli anni Sessanta
era circondata da campagne,
posta alla periferia di una Trento
lontana anni luce dalle attuali caratteristiche e vocazioni. La storia dello stabilimento e della sua
linea di produzione, con il passaggio da una produzione tessile
ad una di tipo metalmeccanico,
hanno accompagnato il mutamento, hanno scandito i tempi
di una trasformazione profonda,
materiale e immateriale. E’ uno
dei segni della transizione che ha
interessato a livello economico e
strutturale il Trentino e il suo capoluogo passando da un modello
prevalentemente agricolo ad un
modello industriale, ma è anche
un registro sul quale sono stati
incisi i cambiamenti di mentalità e di costume. La storia di
quel mutamento epocale rischia
di essere disperso nonostante
le buone intenzioni di singoli,
associazioni o istituzioni come
il Museo storico. Attrezziamoci
per impedire che si determini
questo vuoto di memoria collettiva. Ricordiamoci che tra la
città dei sobborghi rurali, la città
di Degasperi e Battisti, e quella
odierna che ospita l’università e
gli istituti di ricerca impegnati
in campi avanzati del sapere, i
palazzi che governano l’autonomia, c’è comunque qualcosa di
significativo.
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STORIE
ALTRE
La cronistoria
di Rodolfo Taiani
Lo stabilimento Michelin
alla vigilia della chiusura
C
onclusa la prima guerra
mondiale, la domanda
sempre più pressante di
pneumatici indusse la Michelin,
nata nel 1898, a creare in Italia una nuova unità produttiva
destinata alla fabbricazione di
filati di cotone, indispensabili
nella confezione delle coperture, dopo che nel 1919 era
stato introdotto un nuovo tipo
di pneumatico basato su strati
di fili paralleli anziché tele in
gomma incrociate. Nel rispetto
degli indirizzi di politica industriale del Governo italiano, tesi a favorire gli insediamenti industriali nelle
province da poco annesse
al Regno d’Italia, la scelta
dell’ubicazione di questo
nuovo stabilimento cadde su Trento. Nel 1926 fu
così iniziata sulle sponde
dell’Adige, presso «Palazzo delle Albere», su di
un’area di 115.000 mq, la
costruzione del «servizio
filatura», nome ben presto cambiato in «cotonificio trentino». L’attività
produttiva fu avviata nel
1930, mentre la consacrazione
solenne dello stabilimento al
Sacro Cuore di Gesù avvenne il
13 settembre 1931. Il 6 maggio
1934 fu, invece, ufficialmente
inaugurato l’edificio - già completato sul finire del 1933 -, che
accoglieva la mensa operai e il
pensionato femminile dove alloggiavano le numerose operaie
provenienti da fuori città. Precedentemente tali servizi erano
stati ospitati presso il palazzo
delle Albere. Seguì il difficile periodo della guerra: a metà
giugno del 1940 lo stabilimento
fu sottoposto a sequestro governativo, revocato solo il primo
gennaio 1946, mentre in uno dei
bombardamenti del 1943 fu colpita e gravemente danneggiata
la sala filatura.
L’introduzione del radiale, rivoluzionario pneumatico brevettato nel 1946 e commercializzato
a partire dal 1949, che prevedeva una struttura a strati in filo
d’acciaio disposta perpendicolarmente al battistrada, portò
radicali cambiamenti nell’industria trentina. Nel 1957,
infatti, s’inaugurò l’attività di trafilatura e cordatura
dell’acciaio: ma è anche
l’anno in cui l’Azienda
aprì la sala cinema-teatro,
uno spazio ricreativo che
diverrà ben presto luogo
di appuntamento domenicale per un vasto pubblico formato non solo da
dipendenti, ma anche da
esterni all’azienda. Il massimo sviluppo dello stabilimento fu raggiunto, infine, fra il 1963 e il 1966,
quando venne realizzato
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STORIE
ALTRE
Clermont Ferrand:
delegazione di sindacalisti
trentini davanti ai cancelli
della casa madre sul finire
degli anni sessanta
il nuovo reparto di trafilatura.
Gli anni immediatamente successivi saranno quelli della contestazione operaia e studentesca
e del mutamento di strategia da
parte della Michelin.
La costruzione a Fossano, in
Piemonte, di uno stabilimento
per la fabbricazione del cavo
d’acciaio innescò una sorta di
competizione fra le due industrie e l’inizio di un lento ridimensionamento del polo produttivo di Trento.
Con gli anni Settanta iniziò così
un processo di lenta e progressiva riduzione del personale che
conobbe un’accellerazione nel
decennio successivo.
Contemporaneamente s’iniziò a
parlare anche di chiusura, ipotesi contrastata solo parzialmente
dall’ altra prospettiva di apertura di un nuovo stabilimento,
seppur di dimensioni minori, a
Spini di Gardolo.
Nel susseguirsi di voci e ipotesi sul destino dell’industria si
giunse così al 1997, anno della
definitiva cessazione da parte
della Michelin di ogni attività
produttiva a Trento e dell’inizio di un intenso dibattito sulla destinazione d’uso dell’ex
area Michelin sfociato già nel
1998 in una prima rassegna
di conferenze e relativa mostra, promosse dall’Assessorato
istruzione, educazione permanente e biblioteche del Comune
di Trento e dal titolo “La fabbrica e la città”.
Centro di documentazione sui movimenti politici e sociali in Trentino
È stato costituito dal Museo storico nel 1989
e ha il compito di raccogliere documentazione
d’archivio, libri, opuscoli, periodici, materiali
a stampa, fotografici e audiovisivi relativi ai
movimenti sociali, culturali e politici attivi in
Trentino dagli anni Sessanta in poi. Fino ad oggi
sono stati acquisiti 34 fondi archivistici di persone di associazioni culturali, ma anche delle federazioni provinciali dei partiti, dei gruppi extra
parlamentari, materiali documentari sulle lotte
sindacali. È stata costituita inoltre una biblioteca ed emeroteca specializzata. Oltre a questa
attività di raccolta, il Centro di documentazione
ha organizzato o collaborato ad appuntamenti di
studio sulla realtà sociale, politica e culturale
degli anni Sessanta e Settanta tramite cicli di
conferenze, rassegne cinematografiche, appuntamenti seminariali. Nel 1998 il Museo, in coproduzione con la Filmwork di Trento, ha realizzato
un documentario sul movimento studentesco a
Trento negli anni Sessanta dal titolo “Le due
città”, per la regia di Lorenzo Pevarello e la cura
storica di Diego Leoni. Si può richiedere copia
della cassetta vhs presso gli uffici del Museo
dietro versamento del solo rimborso spese di €
7,00 per la riproduzione.
Responsabile del Centro è Giuseppe Ferrandi
Tel. 0461.230482
e-mail: [email protected]
Altre informazioni e l’elenco dei fondi archivistici sono consultabili al seguente indirizzo:
www.museostorico.it/cdr/default.htm
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STORIE
ALTRE
Giuseppe
Mattei: un
sindacalista in
prima linea
di Paolo Piffer
Giuseppe Mattei sul palco
A detta di molti è stato il sindacalista che meglio ha rappresentato la volontà della classe
operaia trentina di affrancarsi
da uno stato di subalternità rispetto alle logiche padronali di
sfruttamento della forza lavoro.
Dopo anni di lotta, Giuseppe
Mattei, 76 anni, ripercorre quegli anni, dai Cinquanta ai primi Settanta, che lo hanno visto
protagonista della vita sindacale della provincia, ma anche interlocutore di una realtà sociale
in movimento. Una realtà contrassegnata dall’istituzione della Facoltà di
sociologia a Trento e dall’emergere di nuove domande e aspettative di vita che svegliarono dal
torpore, non senza dolorose lacerazioni, un territorio sonnacchioso e ancora culturalmente,
ma anche materialmente, arretrato. La Michelin di via Sanseverino fu il terreno di lotta
privilegiato, il luogo dove sperimentare accordi innovativi, uno spazio di crescita della
consapevolezza dei propri diritti, civili e politici. Di formazione cattolica, quella conciliare
del magistero di papa Giovanni XXIII e attento ai principi
egualitari del marxismo, Giuseppe Mattei, funzionario dell’ufficio provinciale del lavoro,
diventò segretario provinciale
delle Acli nel 1947.
L’anno seguente,
insieme a Lorenzo
Toffolon e Tullio
Barozzi, diede
vita alla Libera
confederazione generale del
lavoro (Lcgl)
per poi essere nominato,
nel 1950 e
ininterrottamente fino
al 1974,
segretario
provinciale dei metalmeccanici
(Fim) della Cisl. “Per
capire il clima degli
anni Cinquanta - esordisce Mattei - basti
pensare che ai rappresentanti della Cgil era
vietato far parte della Commissione interna composta da Fim e
Uilm (i metalmeccanici della Uil). Infatti, la Michelin era una
fabbrica che godeva degli aiuti
del Piano Marshall; quelli della
Cgil erano comunisti e, quindi,
niente Commissione interna, se
si volevano avere le commesse
americane”. Dal punto di vista
sindacale, ma anche sociale, cosa ha rappresentato la Michelin?
“La Michelin è l’azienda dove
più si è sviluppata la contrattazione aziendale, prima propugnata solo dalla Cisl e poi anche
dalla Cgil quando, nel 1956, ha
potuto far parte della Commissione interna. La contrattazione alla Michelin è sempre stata
accompagnata da grandi mobilitazioni e lotte a causa dell’intransigenza della proprietà,
nota, anche a livello internazionale, per la sua linea di paternalismo verso i dipendenti (servizi
sociali e ricreativi in cambio di
mano libera in termini di condizioni di lavoro e di retribuzione)
e di negazione di rapporti corretti e costruttivi con le organizzazioni sindacali. Essendo
la Michelin la maggiore azienda
in provincia di Trento (nel 1970
arriverà a 1561 dipendenti), ha
rappresentato il punto di riferimento e il sostegno pratico anche alle vertenze nelle aziende
minori”. Tra il 1956 e il 1960 lei
fu anche, contemporaneamente
con l’incarico sindacale, assessore alle attività economiche del
Comune di Trento, eletto nelle
fila della Dc. “Esatto. Quell’incarico era importante per poter
sostenere l’intervento pubblico nel processo di industrializzazione del Trentino, quello
era l’obiettivo. Di quegli anni
fu la predisposizione della zona industriale della Clarina ma
anche, con il contributo della
Regione, l’operazione di salvataggio della Caproni che fu rilevata da una società pubblica, la
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STORIE
ALTRE
15 maggio 1974:
assemblea degli operai nel
cortile dello stabilimento.
Sul palco il ministro del
lavoro Gino Bertoldi e il
segretario nazionale della
FIM-CISL Pierre Carniti
(foto Giorgio Salomon)
Aeromere. Per comprendere, in
termini sociali, cosa significasse
il processo di industrializzazione del Trentino basta ricordare il
tema di un convegno che, come
Cisl, organizzammo nel 1958,
presente Nino Andreatta ”L’industrializzazione del Trentino
contro la politica dell’emigrazione”. Quali furono i momenti salienti della vita sindacale
alla Michelin? “Il primo fu nel
1961. C’era in ballo il passaggio
dal contratto dei tessili a quello dei metalmeccanici. Si passò
dalla produzione dei copertoni
fatti prevalentemente di cotone
a quella di cavetti in acciaio. La
richiesta principale era di avere
la mezz’ora pagata per la mensa,
prevista dal contratto dei tessili
e non da quello dei metalmeccanici. Fu una vertenza boicottata dalla Cgil che non scioperò.
Voleva ricucire i rapporti con
la direzione dopo l’ostracismo
degli anni precedenti ma era
anche contraria alla contrattazione aziendale integrativa. Una
scelta che si riteneva indebolisse la contrattazione nazionale e
l’unità della classe operaia. Per
la Fim-Cisl fu invece una scelta strategica a livello nazionale e la prima, di questo tipo, in
Trentino”. Gli anni Sessanta come proseguirono, sul terreno
delle lotte sindacali? “Nel 1964
la vertenza era per il premio di
produzione. Si ottenne di speri-
mentare l’aggancio del salario
- fino ad allora attribuito prevalentemente dalla direzione in
maniera discriminata - all’andamento della produttività generale dello stabilimento. Attraverso
una formula, determinata dal
rapporto tra la produzione globale e le ore lavorate da tutti nell’arco dell’anno (P/H), si
arrivava all’indice di produttività. Quella trattativa fu l’inizio di un processo democratico
all’interno della fabbrica. Tutte le maestranze, mano a mano,
venivano consultate e votavano
i vari punti. Lo si faceva davanti ai cancelli perché il diritto di
assemblea interna non c’era ancora. Poi, nel ’68, dopo 60 ore
di trattativa, alle 3 e mezza di
una mattina ottenemmo altri
importanti risultati, approvati dagli operai, ad ogni cambio
turno, davanti all’entrata. Nel
1969, io per la Fim, Sandro
Schmid per la Fiom e Del Buono per la Uilm costituimmo lo
SmuT (Sindacato metalmeccanico unitario Trento), con sede
e tessere unitarie. Il 29 maggio
di quell’anno si svolse a Trento
la prima manifestazione unitaria
di massa. La polizia ci aggredì
davanti alla Michelin e fui ferito. Seguirono altri pestaggi davanti alla Ignis, alla Marzotto e
in altre fabbriche”. In quegli anni di svolta, qual era il rapporto
con la società trentina? Che ti-
po di coinvolgimento? “Si riuscì a coinvolgere le forze più
vive della società che contribuirono alla crescita del protagonismo delle classi subalterne. Mi
riferisco a quella parte di società
trentina che faceva riferimento
al Concilio Vaticano II e quindi alle Acli, al vescovo Gottardi,
alla pastorale del lavoro di don
Giuseppe Grosselli, a don Dante Clauser ma anche alla sinistra
Dc e ai partiti della nuova sinistra come Psiup e Mpl. Inoltre,
con il movimento studentesco
ci sono stati rapporti dialettici
e collaborativi, almeno con la
parte meno estremista.
A questo proposito ho ben presente un convegno, nel luglio
del ’68 tra operai e studenti con
la presenza di Bruno Trentin per
la Fiom-Cgil e di Macario della Cisl ma anche le iniziative sul
territorio riguardanti le politiche dei trasporti, della casa, della sanità, delle pensioni e della
pianificazione urbanistica”.
Le vostre rivendicazioni unitarie avevano un coinvolgimento
a livello nazionale? “Certo, avevamo il sostegno delle
componenti più avanzate della
dirigenza sindacale nazionale,
da Pierre Carniti della Fim-Cisl, a Bruno Trentin per la FiomCgil a Giorgio Benvenuto della
Uilm-Uil nonostante l’unità sindacale, in Italia, fosse ben lontana come, d’altra parte, a livello
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STORIE
ALTRE
maggio 1968:
Sandro Schmid e
Giuseppe Mattei in un
momento degli scontri
davanti alla Michelin
(foto Giorgio Rossi)
internazionale.
Proprio a questo proposito, era la fine degli anni Sessanta, con
una delegazione sindacale unitaria andammo
a Clermont Ferrand, casa madre della Michelin,
per incontrare i sindacalisti francesi. Fu un
disastro. I sindacalisti
comunisti, in pratica sequestrarono Sandro Schmid e gli altri
della Fiom-Cgil perché quell’iniziativa, il tentativo di internazionalizzare rivendicazioni
comuni, non era condivisa dalla
centrale francese o, comunque,
doveva essere autorizzata dalla
Federazione sindacale mondiale che raggruppava i sindacati
di orientamento comunista. Volevamo fraternizzare e fummo
costretti a giustificarci”. Non fu
certo un buon viatico per le lotte che vi attendevano in Italia.
“Direi proprio di no. Le vertenze dei primi anni Settanta furono particolarmente dure. Nel
1971 adottammo l’autolimitazione della produzione e gli
scioperi a scacchiera.
La direzione della Michelin ci
denunciò alla Magistratura, che,
influenzata dalla destra democristiana, gli diede ragione. In
tutto, ho subito decine di processi. Sempre la direzione mandò una lettera all’arcivescovo
Gottardi che denunciava il nostro comportamento, ritenuto
“eversivo”, e minacciava gravi
ritorsioni se non avesse bloccato
il sostegno che avevamo dai sacerdoti e dalle associazioni cattoliche più avanzate. Nel 1974,
quando le rivendicazioni coinvolsero anche lo stabilimento
di Fossano, in Piemonte, fummo tutti denunciati per violazione di proprietà privata per aver
indetto un’assemblea all’interno
della fabbrica.
La denuncia colpì anche il Ministro del lavoro, il socialista Gino
Bertoldi, il segretario nazionale
della Fim-Cisl, Pierre Carniti, don Grosselli e don Clauser
che avevano partecipato all’incontro, era il 15 di maggio. E’
di quegli anni l’ “occupazione”
del Duomo, nel corso del Quaresimale. Il Vescovo consentì ad
un’operaia di leggere un intervento dal pulpito sulle ragioni
della lotta, dando così il suo sostegno alle rivendicazioni ope-
raie. E poi ricordo molto
bene la partecipazione di
massa ad una manifestazione al Sociale, a favore
del divorzio, in cui erano
presenti l’abate Franzoni e la parlamentare Luciana Castellina”. A che
conclusioni arrivò quella vertenza così dura?
“La Fiom-Cgil, con Schmid, dopo 400 ore di sciopero,
firmò l’accordo. Dietro c’erano
anche le spinte del Pci nazionale
e locale e di Ugo Panza, segretario provinciale della Cgil-Camera del lavoro, che volevano
si arrivasse ad un compromesso, come a Fossano. Io non firmai l’accordo perché rimaneva
a cottimo una parte del salario
e si riduceva la composizione e
la funzionalità dell’esecutivo di
fabbrica. E poi l’esperienza unitaria trentina, nonostante l’appoggio di Pierre Carniti, non era
ben vista a livello nazionale, ma
neanche locale. Fui espulso dalla Fim trentina insieme a tutto
il direttivo. L’esperienza trentina, per me, si chiudeva - ma anche per Schmid che prese la via
della segreteria nazionale della Fiom a Roma - e accettai di
andare alla segreteria provinciale milanese dei metalmeccanici
dove mi occupai dell’Alfa Romeo di Arese che allora contava
16.000 dipendenti”.
I protagonisti delle lotte operaie degli anni Sessanta e Settanta hanno così commentato, nel luglio
scorso, le diverse ipotesi formulate sul destino dell’ex area Michelin:
“[…] Non possiamo dimenticare. Non sarebbe giusto. Cancellare ogni traccia sarebbe come fare violenza alla storia e alla cultura del Trentino. Ecco che allora mi sento di avanzare una proposta: la creazione
di uno spazio aperto dedicato all’archeologia industriale” (Sandro Schmid, “l’Adige” 21 luglio 2002).
“[…] Ci sono molti aspetti e ragioni per la realizzazione di un “luogo” che ricordi e, ricordando, utilizzi
un pezzo non insignificante della storia industriale trentina…”
Ma adesso, prima che le ruspe senz’anima cancellino tutto un passato, evitiamo di compiere un altro
errore, un’altra cancellazione di memorie utili al futuro dello sviluppo della nostra terra. Un invito quindi a tutti […] a spingere per la realizzazione di un piccolo progetto che non deve morire per ignoranza,
per prevalenti interessi economici o per mettere una pietra tombale su storie ed esperienze che magari
non si sono condivise, ma non per questo possono essere meno utili a quel confronto dialettico sulla
costruzione del futuro” (Giuseppe Mattei, “Trentino” 24 luglio 2002).
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STORIE
ALTRE
La lettera
inedita:
la Michelin
scrive al Vescovo
di Trento
SOCIETÁ PER AZIONI
MICHELIN ITALIA
Stabilimento: 38100 TRENTO via Sanseverino, 47
All’inizio degli anni
Settanta lo scontro
fra operai e alta dirigenza della Michelin
raggiunge livelli di
grave tensione. Lo testimonia una lettera
inedita del 1970, che
proponiamo ai lettori
di AltreStorie, nella
quale l’ing. Giancarlo
Borrella della Michelin scrive al vescovo
di Trento Alessandro
Maria Gottardi, chiedendone l’intervento
per risolvere una difficile situazione il cui
perdurare avrebbe potuto portare anche a
“conclusioni spiacevoli”.
Trento, 15.5.1970
A S.E.
Mons. Alessandro Maria Gottardi
Arcivescovo di
TRENTO
Oggetto: Rivendicazioni sindacali presso la S.p.A. MICHELIN Italiana
– Stabilimento di Trento
In data 2 del decorso mese di aprile le Organizzazioni Provinciali dei Lavoratori di Trento indirizzarono alla Associazione Industriale ed alla Direzione del nostro Stabilimento di Trento una richiesta
di incontro al fine di discutere una serie di rivendicazioni a livello
aziendale.
La piattaforma rivendicativa risultò articolata in nove punti,
suddivisi in richieste normative e richieste di carattere economico.
A soli tre mesi dall’entrata in vigore dell’accordo 21 dicembre
1969 (8.1.1970) per il rinnovo del C.C.N.L. della Industria Metalmeccanica, le Organizzazioni Provinciali dei Lavoratori pretendono, quindi,
l’accoglimento di un insieme di rivendicazioni complessivamente molto
pesanti.
In particolare, venne richiesto all’Azienda:
a) di riconoscere i delegati di reparto;
b) di conferire ad un “consiglio dei delegati di reparto” la caratteristica di agente contrattuale per le rivendicazioni a livello integrativo aziendale. A tale organismo dovrebbero essere concessi permessi e
guarentigie, in modo da assicurarne una completa funzionalità;
c) lo scioglimento della Commissione Interna ed il passaggio delle relative attribuzioni ai rappresentanti sindacali.
Come si constata in modo evidente, le predette richieste normative contrastano sia con le norme del precedente C.C.N.L. 15.12.1966 che con le
nuove disposizioni dell’accordo 21.12.1969 (8.1.1970).
Sotto il profilo economico vennero presentate le seguenti richieste:
1) Perequazione delle paghe di Stabilimento.
2) Istituzione di paghe personali per i cottimisti con mantenimento
del livello retributivo raggiunto, in caso di qualsiasi spostamento di
posto di lavoro.
3) Istituzione di tre scatti di anzianità del 5%.
4) Abolizione della 4ª e 5ª categoria .
5) Istituzione di una indennità di lavoro notturno di circa £. 1.000
per notte.
6) Aumento del premio annuo (pre-feriale) esistente in Stabilimento
dalle 80 ore (del 1969) a 208 ore di retribuzione globale di fatto (nel
1970 è già stato previsto da un precedente accordo aziendale di portare
il premio a 100 ore).
Pur tenendosi conto dei notevoli oneri conseguiti alla recente applicazione del nuovo C.C.N.L. metalmeccanici, l’Azienda volle compiere un
passo in avanti in favore dei lavoratori e dichiarò la propria disponibilità a trattare, mantenendo però il dialogo su un piano di serietà
e di concretezza.
Tale trattativa venne articolata in due parti onde assicurare un esame
approfondito e produttivo.
Nell’interno dello Stabilimento si riunirono: la Direzione, la Commissione Interna e le rappresentanze di lavoratori. Gli incontri in tale
sede raggiunsero una fase soddisfacente e si tradussero per molti posti
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STORIE
ALTRE
Gli operai in Duomo
chiedono al Vescovo
Gottardi di leggere una
lettera sulle loro
rivendicazioni
(foto Giorgio Salomon)
di lavoro alla eventualità di
accordare un aumento del valore
medio di £. 25 orarie.
Riportata in sede sindacale, le conclusioni raggiunte tra i lavoratori e l’Azienda nell’interno dello
Stabilimento non vennero approvate dalle Segreterie Provinciali dei
Sindacati, i quali mantennero, pure, in modo quasi completo, le richieste economiche presentate in prima istanza.
Sul piano concreto, l’Azienda presentò le proprie conclusioni in
ordine alle varie richieste offrendo diverse concessioni economicamente apprezzabili.
Nonostante la buona disponibilità dell’Azienda le Organizzazioni
Sindacali ruppero deliberatamente le trattative dichiarando unicamente
che era già troppo tempo che lo Stabilimento Michelin di Trento non
entrava in sciopero mentre da parte loro si ravvisava opportuno che le
concessioni debbano essere strappate con la forza, in modo da tenere
costantemente agitati i lavoratori e la piazza.
I termini della buona disponibilità aziendale possono essere valutati esaminando la seguente documentazione allegata:
1) copia di lettera inviata ai lavoratori dipendenti;
2) copia del comunicato della Direzione esposto in fabbrica;
3) tabella dei livelli retributivi degli operai di SAMI Trento.
Con riferimento a quanto sopra esposto, questa Azienda segnala la situazione determinatasi affinché i fatti possano essere valutati in tempo, con serenità e obiettività.
A questo proposito, non è certamente pensabile che, senza
particolari motivi eversivi, le Segreterie Provinciali dei Sindacati
di Trento abbiano deciso di rinunciare ad una serie di concessioni non
solo interessanti sul piano dei rapporti interni di fabbrica ma soprattutto economicamente valide.
L’Azienda ha infatti esaminato con molta serietà e attenzione
le varie rivendicazioni, d’altra parte così presto aggiuntesi a quelle
definitive in sede contrattuale.
Tale nuovo sforzo economico dell’Azienda avrebbe dovuto essere,
però, compensato da una normalità produttiva e sindacale, all’interno
dello Stabilimento, ciò in riferimento pure alle leggi economiche alle
quali nessuno può sottrarsi.
Una risposta alla serietà di intenti dell’Azienda è stata ancora data in questi giorni dai Sindacati i quali hanno fatto sì che la
produzione nello Stabilimento sia scesa di oltre il 60%, facendo così
commettere una azione illecita sia sotto l’aspetto contrattuale che
legale.
Rimane chiaro che, a fronte di questa situazione, l’Azienda non
potrà certamente migliorare in futuro le proprie concessioni mentre,
per contro, sarà facile che non possano essere mantenute neppure quelle
preannunciate.
Per contro, in mancanza di un regolare approvvigionamento dei
semi-lavorati dello Stabilimento di Trento, l’Azienda sarebbe costretta a sospendere dal lavoro circa 11.000 dipendenti delle varie unità
produttive.
In questa fase di rapporti di lavoro del tutto atipici e di azioni illegali commesse da chi segue l’indirizzo delle Segreterie sindacali metalmeccaniche di Trento, si ritiene doveroso sottoporre alla
Sua cortese attenzione il caso determinatosi, particolarmente per la
eventualità che un progressivo deterioramento della situazione possa
condurre, in un secondo tempo, a conclusioni spiacevoli non solo per
l’Azienda, ma pure per i lavoratori dipendenti.
Nell’incontro, voglia gradire i migliori saluti
(dott. Ing. Giancarlo Borella)
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STORIE
ALTRE
Era la fabbrica
di Luigi Sardi
E
ra la certezza del posto
di lavoro, della buona
paga, della continuità
nell’occupazione. S’indovinava
anche una forma di orgoglio
quando l’operaio diceva “io lavoro alla Michelin” nome pronunciato alla trentina, raramente
alla francese. Generazioni di
concittadini hanno percorso
quel Lungadige Sanseverino per
raggiungere i cancelli dello stabilimento, timbrare il cartellino,
cominciare un’altra giornata di
lavoro sotto quei capannoni che
ancora oggi conservano un loro
fascino.
Nel Trentino, ma è già passato
mezzo secolo, il nucleo dei lavoratori si era formato nei durissimi anni del primo dopoguerra,
fra il 1950 e il 1960. Si sgobbava. Ma si intravedeva un futuro.
Si arrivava in bicicletta, ma si
poteva sognare la Vespa. Certo,
il padrone era particolarmente
autoritario e la gestione dentro,
qualche volta anche fuori la
fabbrica, era severa e repressiva. Però si scopriva un sindacalismo che cresceva, che era
lì sul grande cancello, fra la fine
del turno di notte e l’inizio del
turno di giorno. Insomma all’alba. Per riprendere, fra sigarette
fumate in fretta, un dialogo, un
discorso che di giorno in giorno
diventava sempre più importante ed era sempre più ascoltato e
condiviso.
Attorno a Trento, le tradizioni
operaie non erano molto estese
perché a dominare era l’agricoltura, più ricca di pellagra
che di raccolti, stretta attorno
al campanile e salvo rare eccezioni, mai aperta al progresso.
Più importante era la tradizione
operaia nel roveretano. Comun-
que Michelin, Sloi, Italcementi
erano punti di forza, ben prima
che arrivasse la Ignis di Spini di
Gardolo chiamata da Flaminio
Piccoli la cattedrale del lavoro.
La Michelin si era insediata sul
territorio della città nei primi
decenni del ventesimo secolo
e nel lungo arco di tempo che
l’aveva vista al massimo del
fulgore produttivo, contava
1500 operai che, con le rispettive famiglie, corrispondevano
a 5000 forse 6000 cittadini.
Quella popolazione ha ricavato dalla fabbrica benefici di
ordine economico e sociale e
nello stesso tempo ha contribuito alla crescita della città.
Era uno stabilimento moderno e
socialmente all’avanguardia in
quanto metteva a disposizione
dei lavoratori e delle loro famiglie, strutture di tutto rispetto: la
mensa, un grande teatro dove il
dopolavoro aziendale organizzava incontri culturali, feste e
balli a carnevale e capodanno e
spazi per lo svolgimento di attività sportive: il tennis, la pallavolo, le bocce, il calcio.
Il giornalismo trentino, alla fine
degli anni Cinquanta, si interessava poco a quello che avveniva
nella fabbrica, salvo nei giorni
di festa che solitamente coincidevano con la distribuzione dei
pacchi dono nei giorni del Natale e la Befana per i figli dei dipendenti. A distribuirli nel teatro della Michelin, arrivavano
le autorità di spicco della città
e nelle redazioni era un gioco di
fioretto per evitare d’attribuire,
nelle didascalie delle fotografie,
l’appellativo di befana magari
alla consorte del commissario
del governo o a quella del questore. Ma si scoprivano anche
valenze culturali, oltre che sociali ed economiche che erano
un importante punto di riferimento per tutta la città. Ricorda
un recentissimo studio dell’Associazione artistico-culturale
“Formato Arte” fatto da Diego
Mazzonelli e dagli architetti
Manuela Baldracchi e Fulvio
Nardelli imperniato proprio sulla Michelin, come fra gli anni
che vanno dal 1940 al 1980,
non venivano prese decisioni
di ordine urbano-sociale senza
confrontarle con la presenza
importante della Michelin, con
il pensiero della grande fabbrica e di quello che poteva essere il suo futuro. Ancora oggi a
Trento, il nome Michelin rimanda ad eventi vissuti con grande
intensità, i suoi vecchi capannoni di elegante fattura architettonica, richiamano giornate di fatica, ma anche occasioni di vita
collettiva, di esperienze nuove,
di un patrimonio complessivo
che non deve essere cancellato.
E’ attorno al 1964 che i tre
giornali della città, sia pure
con taglio diverso, “entrano”
nel mondo del lavoro. E’ vero,
le biciclette hanno lasciato il
posto alle moto e poi, improvvisamente, sono arrivate - sia
pur pagate a colpi di cambiale
- le Seicento, uno dei pochi fiori
all’occhiello della Fiat che in
quegli anni aveva ancora per
motto “Terra-Cielo-Mare”, con
Mirafiori a rappresentare il sogno di ogni metalmeccanico in
cerca di certezze. L’ingresso
massiccio nel mondo del lavoro
dei giovani che avviene appunto alla metà degli anni Sessanta
diventa l’elemento decisivo
per comprendere il fenomeno
scoppiato in quell’epoca oramai
11
STORIE
ALTRE
entrata nella storia della Nazione come Autunno Caldo. Anche
loro provengono dalle valli e
dalle campagne, spesso è la prima volta che vedono una fabbrica dall’interno, sanno poco del
sindacato, s’interessano poco
alla politica o più esattamente,
vivono nella solida tradizione
dei loro paesi che è cattolica e
democristiana.
I giornali avvertono questo nuovo momento che vede l’industria aumentare l’occupazione
ma intensificando e razionalizzando drasticamente il lavoro
lo rende faticosissimo e pericoloso. Nelle redazioni aumenta
l’attenzione agli infortuni sul
lavoro che coincide con l’installazione delle più elaborate
catene di montaggio. Alla Sloi
si scopre la mortalità da piombo
tetraetile, all’Italcementi quello
delle polveri che soffocano gli
abitanti di Piedicastello, alla
Prada i fumi che sanno di naftalina e scatenano raffreddori
allergici e crisi d’asma. Sono gli
operai della Michelin a scendere per primi in piazza in difesa
della salute e contro i salari che
sono rimasti bassi.
Cortei di mille operai Michelin
ai quali si aggiungono i lavoratori di altre fabbriche sono eventi eccezionali per una comunità,
come quella trentina, chiusa,
assopita nelle proprie tradizioni improvvisamente scossa, e
anche violentemente, dai contenuti e dai metodi delle prime
contestazioni studentesche.
Il maggio del 1968 fu fortemente caratterizzato dalla lotta dei
lavoratori della Michelin con i
quali iniziò un rapporto sempre
più intenso con gli studenti di
Sociologia. Culminò il 28 maggio con un enorme corteo e più
o meno in quegli anni cominciò
a crescere la risposta degli industriali e di una parte del potere
politico dell’epoca, scatenando
una sequenza di interventi repressivi che, tenuto conto della
limitata dimensione industriale
della città, ebbero una intensità
senza confronti.
La massa degli operai Michelin
fece da scudo alle cariche della
Celere, ai processi nei confronti
di sindacalisti e militanti della
sinistra, agli attentati, che avevano preso di mira le fabbriche, l’Università, i sindacalisti,
culminati nella mancata strage
del gennaio 1971 davanti a palazzo di giustizia. Se non passò
la strategia della tensione, se
i danni - pur gravi - rimasero
limitati, lo si è dovuto anche
ad un giornalismo sempre più
presente, sempre più testimone
anche lui cresciuto nelle molte
albe passate sui cancelli di via
Sanseverino.
12
STORIE
ALTRE
Territori
abbandonati:
la ex
Montecatini
di Mori
di Angiola Turella
I
l dibattito di questi anni
sul riuso del complesso
ex Montecatini di Mori,
così come in misura diversa il
confronto sull’area della ex Michelin a Trento, sottolinea anche
nell’ambito di questa provincia
i problemi e le valenze della
dismissione dei grandi insediamenti industriali. In Europa,
dopo una serie di importanti
interventi di trasformazione avviati già negli anni Ottanta, questo tema ha assunto il significato
di un nuovo modo di trasformare la città e il territorio: il piano
per la deindustrializzazione e
il recupero del bacino minerario della Ruhr, il riuso di aree
più tradizionalmente urbane
come i Docklands di Londra,
il quartiere Bicocca di Milano,
il Lingotto di Torino e, ancora, il piano di riconversione
approntato dall’Iri per le aree
siderurgiche di Genova, Taranto
e Bagnoli, esemplificano come
la questione delle aree dismesse
rappresenti un’occasione unica
di intervento concreto sulla città
costruita e sul suo territorio. Se
la cessazione delle tradizionali
attività di produzione e l’ammodernamento di servizi e infrastrutture impongono in generale
un ripensamento dell’impianto
della città industriale, il riuso
degli insediamenti abbandonati
richiede un disegno strategico
di cambiamento attento non
solo alla riconversione di queste
parti urbane e alla trasformazione del loro paesaggio, ma
anche al rispetto della memoria
storica appartenente a un’intera
comunità.
Nel 1990, scrivendo sul numero
della rivista “Rassegna”, interamente dedicato ai “territori
abbandonati”, Vittorio Gregotti
sottolineava come il recupero
degli insediamenti industriali
dismessi metta in gioco quantità
decisive per la trasformazione
della città, segnando allo stesso
tempo la stabilità nello sviluppo
fisico: la riqualificazione della
città costruita rivela una “nuova attenzione all’ambiente in
termini non solo ecologici ma
soprattutto morfologici e, in generale, ai valori dell’esistente”.
Il piano, invece che muoversi in
termini di espansione, viene in
questo modo a puntare a un’integrazione fra le parti che già
segnano la città e in generale
il territorio, non ponendo attenzione ai soli oggetti del costruito ma alle relazioni fra essi, alle
gerarchie fra le parti.
Di fronte a un’idea di progetto
che si misura con il contesto
storico e geografico nei suoi
elementi strutturali, vale la
pena ritornare sugli interventi
di rinnovamento che hanno interessato la zona mineraria della Ruhr. Individuati una serie di
aspetti dominanti del quadro
regionale - il paesaggio urbano
costituito da centri abitati ben
collegati e accessibili, il complesso sistema di infrastrutture
(canali, tracciati ferroviari, centrali elettriche, depositi) legato
alle attività estrattive, la presenza di nuove e diversificate
attività produttive, la spontanea
fruizione dei canali per lo svago -, il progetto di sviluppo si è
orientato alla loro ridefinizione
e integrazione per ricomporre
un’idea di territorio fondata
sull’esistente e condivisa dagli
abitanti. La trasformazione
dell’area dismessa ha quindi
significato la ricostruzione del
paesaggio attraverso l’intreccio
di spazi con valenze e funzioni
diverse: da una parte il miglioramento ecologico dei canali,
la sistemazione dei sentieri, la
tutela dei terreni inedificati, la
conservazione dei fabbricati
industriali o delle infrastrutture
assunte a simbolo dell’identità
storica della regione hanno
fornito nuove prospettive per il
tempo libero nonché opportunità culturali e sociali, dall’altra il
recupero dei manufatti dismessi
come ambienti di lavoro per
moderne imprese e la creazione
di un sistema di collegamenti fra
questi rinnovati insediamenti e i
centri urbani limitrofi hanno risposto all’esigenza di costituire
una nuova dimensione urbana.
Perché di fronte al complesso
della ex Montecatini di Mori
è significativo richiamare così
diffusamente il caso della Ruhr?
Quel “corpo morto”, così come
da più parti è stato definito,
adagiato lungo la sponda del
fiume Adige, rappresenta per
dimensione e articolazione dei
manufatti edilizi, interrelazione
fra volumi, opere idrauliche
ed elementi infrastrutturali, un
episodio unico non solo nella
storia socio-economica trentina
ma nello stesso paesaggio figurativo locale.
Realizzato a partire dal 1927
dagli ingegneri e dai tecnici
della Montecatini lungo la
sponda dell’Adige poco a sud
di Mori, il complesso industriale si configura secondo un
progetto di rimodellamento del
territorio che disegna secondo
una decisa infrastrutturazione
quella stretta lingua di terra fra
il monte e l’ansa del fiume. La
costruzione del canale e della
diga sul fiume - la realizzazione
della centrale, i cui lavori iniziati nel 1927, consentono già alla
fine del 1928 di avviare la prima
fornitura di energia allo stabilimento - si traduce in un com-
13
STORIE
ALTRE
Una foto panoramica
del complesso industriale della Montecatini di Mori tratta
dal recente volume
“Acqua, aria, energia
elettrica: la Montecatini di Mori”, a cura
di Diego Leoni e con
interventi di Antonella
Agostino, Paolo Calzà,
Fulvio Irace e dello
stesso Diego Leoni.
Il volume, edito nel
2000 dall’editore Nicolodi di Rovereto, traccia la storia di questo
complesso industriale,
sorto nel 1929 e chiuso
nel 1983, proponendosi come un orizzonte di
ricerca interdisciplinare al quale ricondurre
gli interventi dei futuri
progettisti chiamati a
realizzare il progetto
di riqualificazione e
riutilizzo dell’area.
plesso imponente, soprattutto
se proiettato sullo sfondo di
un territorio che allora presenta
un’economia sostanzialmente
rurale. Destinato a diventare la
più importante unità di produzione dell’alluminio in Italia, lo
stabilimento sfrutta nel modo
più logico l’area lungo il fiume: i grandi corpi longitudinali
delle sale forni si dispongono
perpendicolarmente all’edificio
della centrale, nelle particelle
residue si collocano gli impianti ausiliari e i servizi, mentre a
sottolineare l’autosufficienza
funzionale della fabbrica, si
sistemano attorno, ma fuori dal
perimetro degli stabilimenti, le
ville della dirigenza e il fabbricato alloggi per i capi reparto.
Un’ordinata gerarchia delle
funzioni disegna quindi in
modo preciso e duraturo la
topografia del paesaggio, secondo un modello di ordinata
compresenza di funzioni non
infrequente nella tipologia dei
grandi stabilimenti industriali.
Con il declino dell’attività
produttiva, che nel 1983 ha portato alla chiusura dello stabili-
mento, lo smantellamento dei
manufatti e il loro abbandono
hanno consegnato l’immagine
di questi luoghi a quella che
viene definita “archeologia industriale”.
Dopo anni di discussioni, dettate in particolare dal radicamento dell’idea della fabbrica
nella memoria storica della
comunità della Vallagarina, il
complesso ex Montecatini pone
ora il problema del suo riuso in
relazione non solo alle esigenze
della pianificazione provinciale di individuare funzioni e
regole attraverso cui ridefinire
questa parte di territorio, ma
anche in relazione agli aspetti
culturali e sociali legati alla
trasformazione di un insediamento industriale che fa parte
del paesaggio figurativo e della
storia locale.
Nel 1998 il concorso promosso
da Tecnofin Strutture con la
Provincia autonoma di Trento
e i comuni di Mori e Rovereto,
sottolineando la valenza territoriale del complesso produttivo e
la sua “posizione strategica” rispetto all’asta dell’Adige e alla
viabilità nord-sud, ha orientato
ogni proposta di recupero verso
una destinazione mista per attività produttive e servizi. I risultati mancati di quel concorso,
l’emergere di nuove proposte di
riuso assieme al richiamo delle
amministrazioni locali perché
l’ente pubblico assuma un ruolo
centrale nella fase progettuale e in quella decisionale per
l’intervento sull’area, rivelano
tuttavia lo scarto fra gli esiti del
dibattito e il perseguimento di
un obiettivo complessivo. Nelle
molte incognite che segnano
ancora oggi le ipotesi di riuso
di quel complesso imponente,
il problema del metodo diventa
allora centrale: il confronto con
il contesto storico e geografico,
il recupero di quei principi insediativi che hanno regolato la
costruzione della fabbrica, la
riconversione dell’insediamento attenta a tradursi in un’immagine a sua volta riconoscibile,
la valorizzazione degli spazi
aperti, dovrebbero quindi essere gli elementi di un progetto,
costruito a partire dai valori di
quel territorio abbandonato.
14
STORIE
ALTRE
AGENDA
Editoria
La ricognizione aerea italiana e austriaca nella
Grande Guerra
In un volume di grande formato e riccamente
illustrato viene ripercorsa la storia della nascita
dall’aerofotografia in Italia e del suo fondatore
il geologo Giovanni Battista Trener. L’esame dei
fondi archivistici che riguardano in particolare il
Trentino ha evidenziato un’enorme ricchezza di
documentazione fotografica non solo come testimonianza di un periodo che ha segnato la storia
della gente e del territorio della nostra regione,
ma anche come straordinaria fonte di dati per altri
settori di studio, non strettamente militare, quali il
cambiamento del paesaggio (le montagne, le foreste, i siti archeologici, l’idrografia, lo sviluppo dei
centri urbani, delle vie di comunicazione e il loro
impatto sul territorio) La macchina di sorveglianza. La ricognizione aerofotografica italiana ed
austriaca sul Trentino, 1915-1918, a cura di Diego Leoni, Patrizia Marchesoni e Achille Rastelli,
ed. Museo storico in Trento, Museo tridentino di
scienze naturali, Museo storico italiano della guerra di Rovereto, Trento 2001, pagg. 208, € 62,00.
Al volume è allegato un CD-Rom sul pilota Mario
Tschurtschenthaler
Dialetti trentini in Brasile
Circa 130 anni fa iniziarono i grandi flussi dell’emigrazione trasoceanica cui presero parte approssimativamente 30.000 contadini dell’allora Tirolo italiano. Il Museo pubblica uno studio di Ivette Marli Boso
che riscopre il tragitto storico non solo di una parlata ma, soprattutto, del modo di essere e di pensare
della comunità trentina in Brasile. Il volume conduce alla riscoperta di una cultura in precario equilibrio
tra la fedeltà alle origini e innovazioni dovute al contatto con la nuova realtà brasiliana.
Noialtri chi parlen tuti en talian: dialetti trentini in Brasile, di Ivette Marli Boso, ed. Museo storico in
Trento, Trento 2002, pagg. 298, € 19,80
Catalogo editoriale
Il Museo ha pubblicato l’edizione aggiornata del proprio catalogo editoriale che conta oramai più di
cento titoli. Questo volumetto, pur presentandosi formalmente come un catalogo editoriale, ha tuttavia
il pregio di essere costruito in modo tale da offrire una sorta di itinerario a tappe attraverso la storia del
Museo del Risorgimento di Trento dall’anno di fondazione, il 1923, fino alla trasformazione odierna in
Museo storico in Trento. Accanto al breve saggio introduttivo di Sergio Benvenuti, che ripercorre per
sommi capi questa vicenda ricordandone i principali protagonisti, vi è, infatti, la presentazione di tutte
le opere edite in circa settant’anni di attività, dal primo volume Pagine di guerra e della vigilia di legionari trentini a cura di Bice Rizzi del 1932, fino all’imminente Uno «strano bazar» di memorie patrie:
il Museo Civico di Trento dalla fondazione alla prima guerra mondiale, di Giuseppe Olmi, del 2002.
Completano il catalogo un utile indice dei nomi e una breve rassegna biografica degli autori e curatori
che hanno contribuito alle tante pubblicazioni segnalate. Il catalogo è disponibile, a richiesta, presso
l’Archiblioteca del Museo, in via Torre d’Augusto n. 35, Trento.
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STORIE
ALTRE
AGENDA
Cinema
Cinema e fantastoria
Il Museo storico, in collaborazione con il Centro
servizi culturali S. Chiara, propone quattro giornate dedicate al cinema fantastorico con spettacoli
pomeridiani e serali presso il Teatro Sperimentale
in via S.Croce, Trento - INGRESSO LIBERO 19 dicembre:
Ore 16.00 Il grande dittatore, USA 1940
Ore 18.00 1941: Allarme ad Hollywood, USA 1979
Ore 20.00 Atlantide, Francia, 1921
Ore 22.00 Metropolis, Gemania, 1926
20 dicembre:
Ore 16.00 Ritorno al futuro, USA, 1985
Ore 18.00 The Day After, USA, 1983
Ore 20.00 La seconda guerra civile americana,
USA, 1997
Ore 21.30 La jetée, Francia, 1962
L’esercito delle dodici scimmie, USA, 1995
21 dicembre:
Ore 16.00 I Banditi Del Tempo, UK, 1980
Ore 18.00 Il viaggio nella luna, Francia, 1902
La Diabolica Invenzione, Cecoslovacchia, 1957
Ore 20.00 Fatherland, USA, 1994
Ore 22.00 Vogliamo i colonnelli, Italia, 1973
22 dicembre:
Ore 16.00 Train de vie- Un treno per vivere, Francia, Romania, Olanda, Belgio, 1998
Ore 18.00 Il Dottor Stranamore, ovvero: come imparai a non preoccuparmi e ad amare la bomba,
UK, 1964
Ore 20.00 Civilizzazione, USA, 1916
Ore 22.00 I vestiti nuovi dell’imperatore, UK,
Italia, Germania, 2001
Il programma potrà subire qualche variazione
Appuntamenti
Alla ricerca delle menti perdute: viaggi nell’istituzione manicomiale
Nell’ambito del progetto di iniziative che verrà realizzato nel corso del 2003 «Alla ricerca delle menti
perdute: viaggi nell’istituzione manicomiale», il Museo organizza un incontro seminariale con Giorgio
Bedoni e Bianca Tosatti sul tema arte e psichiatria.
Venerdì 29 novembre 2002, presso la sala incontri del Museo storico in Trento, via Torre
d’Augusto, 41 con inizio ad ore 15,00, Forme
e colori della follia. L’incontro sarà seguito dalla
proiezione dei documentari di Raffaele Andreassi,
Lo specchio, la tigre e la pianura (1960) e Antonio
Ligabue, pittore (1965).
Collaborazioni
Esposizione storica del libro fondiario e del
Catasto
Il Museo del Libro Fondiario e del catasto (via
Gilli 4, Trento) ha attivato una collaborazione con
il Museo storico al fine di rendere il suo patrimonio documentario disponibile anche per le attività
didattiche delle scuole. Al di là del suo apparente
tecnicismo, il Museo del Libro Fondiario dispone,
infatti, di documenti di notevole valore storico,
dall’epoca teresiana fino alla metà del Novecento.
Sono esposti strumenti di misurazione tecnica,
documenti fondiari e legislativi originali, registri
e mappe che testimoniano l’evoluzione e il controllo del territorio regionale dal punto di vista
cartografico, fiscale e giuridico. Il sito del Museo
è visitabile all’indirizzo http://www.regione.taa.it/
giunta/museo_it/museo_pag_it.htm.
Danze di società di tradizione ottocentesca
Come annunciato in precedenza è iniziato in ottobre, presso la sede del Museo storico in Trento
e in collaborazione con la «Società di Danza» di
Modena, il seminario dedicato all’apprendimento
delle danze sociali dell’Ottocento. Sotto la guida
del maestro Fabio Mollica, gli iscritti a questo
speciale seminario stanno riscoprendo il fascino
e il piacere dell’arte della Quadriglia, della Contraddanza, delle danze di coppia figurate, Valzer,
Mazurka e Polka. Gli appuntamenti del 2003 sono
fissati per il 17 gennaio, il 14 febbraio, il 14 marzo
e l’11 aprile, giornata finale nella quale si terrà
anche una festa danzante della quale daremo in
seguito maggiori dettagli. Il seminario ha riscosso un ampio successo di pubblico con decine di
iscritti. Per ulteriori informazioni rivolgersi al numero telefonico 0461.230482 oppure all’indirizzo
di posta elettronica: [email protected].
Via Torre d’Augusto, 41
Hanno collaborato: Giuseppe Mattei, Walter
ALTRESTORIE - Periodico di informazione.
38100 TRENTO
Nicoletti, Giorgio Rossi, Giorgio Salomon,
Direttore responsabile: Sergio Benvenuti
Tel. 0461.230482
Luigi Sardi, e Angiola Turella
Comitato di redazione: Giuseppe ˇerrandi,
fax 0461.237418
Periodico quadrimestrale registrato dal Tribunale
Patrizia Marchesoni, Paolo Piffer, Rodolfo
www.museostorico.it
di Trento il 9.5.2002, n. 1132, ISSN-1720-6812
Taiani
e-mail:[email protected]
Per ricevere la rivista o gli arretrati, fino ad esaurimento, inoltrare richiesta al Museo storico in Trento. In copertina: manifesto pubblicitario Michelin
realizzato nel 1934 da George Plassé
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STORIE
ALTRE
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