1 Questo lavoro, realizzato dagli alunni della terza e quarta A mercurio dell’ITC “L:Mossa” di Oristano, non ha alcuna pretesa di opera d’arte. E’ solo il prodotto conclusivo di un’attività svolta nel corso dell’a.s. 2006/2007 e che ha visto impegnati gli alunni delle due classi per diversi mesi. L’obiettivo principale era quello di far conoscere agli alunni la storia della nostra isola e soprattutto della nostra provincia attraverso attività che non fossero strettamente manualistiche e teoriche. Proprio per questo gli alunni della terza sono stati invitati a percorrere le vie del proprio paese alla ricerca delle vie dedicate a personaggi o eventi della Sardegna. Gli stessi alunni, poi, hanno effettuato ricerche su quei personaggi e hanno confrontato le notizie, nonché la presenza della stessa via o piazza in diversi paesi. Per qualche personaggio i ragazzi si sono improvvisati giornalisti intervistando parenti o chiedendo notizie a persone che ancora ricordano eventi o personaggi. 2 I ragazzi hanno poi rielaborato i lavori. Spesso è stato necessario approfondire eventi o avvenimenti del passato in cui i nostri personaggi sono stati protagonisti. Questi approfondimenti sono stati realizzati dagli alunni della quarta che hanno svolto un lavoro di ricerca sulla Sardegna partendo dal tempo dei giudicati sino ad oggi. Ne è emerso un lavoro interessante e diverso che è stato raccolto e stampato come segno dell’impegno e della possibilità di fare storia partendo dalla nostra storia locale e perché no? a spasso tra le vie del nostro paese 3 4 Amsicora Amsicora un latifondista sardo punico di Cornus e visse circa nel terzo secolo avanti Cristo. La storia di Amsicora si svolse durante la seconda guerra punica quando i romani, per far fronte alle spese che dovettero affrontare durante il conflitto con Annibale, decisero di attuare in Sardegna una politica fiscale imponendo tributi tasse insostenibili. Fu proprio per questo che i sardi decisero di ribellarsi alleandosi con Cartagine che inviò sull’isola uno dei suoi uomini più valorosi: Asdrubale. I romani come contromossa decisero invece di inviare in Sardegna il generale Tito Manila Torquato. La rivolta ebbe luogo nella pianura del basso Tirso dove erano presenti tanti ricchi proprietari terrieri che, temendo di perdere tutto per via di questa politica attuata dai romani, si ribellarono capeggiati da Amsicora. Si narra che il primo conflitto ebbe luogo in assenza di Amsicora, e a prendere il suo posto fu il figlio Josto che imprudentemente decise di sfidare Tito Manilo ma senza ma senza un buon esito, perché venne sconfitto. Mentre Tito si recava a Carales le forze armate di Amsicora e Asdrubale si riunirono e partirono all’ attacco ma anche stavolta perdendo il conflitto dove mori Josto e fu catturato Asdrubale. Nella notte seguente Amsicora, sconvolto dalla morte del figlio, si tolse la vita. 5 Eleonora d’Arborea Eleonora d’Arborea nacque probabilmente in Catalogna intorno al 1340 da Mariano IV giudice di Arborea. Eleonora visse i primi anni della giovinezza ad Oristano. Quando nel 1347 morì il giudice Pietro III di Arborea un’assemblea di notai, prelati, funzionari della città e dei villaggi elesse giudice il padre di Eleonora, Mariano IV, che resse il giudicato dal 1347 al 1376. Eleonora, prima del 1376, sposò il quarantenne Brancaleone Doria, del celebre casato genovese. Il suo matrimonio fu l’inizio dell’alleanza tra gli Arborea e i Doria. Dopo le nozze abitò a Castelgenovese (l’attuale Castelsardo) dove nacquero i figli Federico e Mariano. Nel marzo del 1383 Eleonora poté dimostrare per la prima volta le sue doti politiche e il suo coraggio, quando suo fratello, il giudice d’Arborea, Ugone III, con l’unica figlia Benedetta, caddero vittime di una rivolta popolare. In seguito a questi avvenimenti Eleonora scrisse al re una relazione sulle condizioni della Sardegna e chiese di riconoscere proprio figlio Federico come legittimo successore di Ugone. 6 Inviò suo marito Brancaleone a trattare direttamente col re. Brancaleone fu trattenuto col pretesto di farlo rientrare in Sardegna appena una flotta fosse stata allestita, ma effettivamente era diventato un vero e proprio ostaggio. Quindi venne chiamato a regnare Federico Doria che in quel periodo era poco più che decenne e perciò, secondo le consuetudini del giudicato d’Arborea, troppo giovane per assumere la pienezza dei poteri. Venne deciso di porre alla guida del giudicato in sua vece sua madre Eleonora, allora quarantenne. Si dimostrò dotata di straordinaria abilità politica e di grande forza d’animo, punendo con fermezza gli uccisori del fratello e stroncando sul nascere un movimento di ribellione. Eleonora si mosse per liberare suo marito Brancaleone che fu liberato nel 1390, in seguito alla pace di Sanluri, stipulata nel 1388, tra la giudicessa e il sovrano Catalanoaragonese. Questa pace fu causa di grave malcontento presso le popolazioni sarde, poiché tutte le terre conquistate precedentemente e legate da giuramento di fedeltà al giudicato d’Arborea tornarono, nelle mani del sovrano iberico. Nel 1391 gli arborensi guidati da Eleonora partirono alla riscossa riuscendo a conquistare una buona parte di territori. Eleonora nel 1392 riordinò la Carta de Logu, una raccolta di leggi. Nel proemio Eleonora dichiara di aver ripreso e arricchito la Carta de Logu di suo padre; questo documento rivela 7 anche la volontà della giudicessa di collocare le antiche tradizioni del suo popolo nella cornice di uno stato di diritto. Eleonora dopo tutti i suoi sforzi e la sua buona volontà vide crollare il suo progetto a causa della peste che decimò la popolazione e consegnò senza combattere la Sardegna agli aragonesi. Anche Eleonora cadde nelle mani della peste e nel 1402 morì. La Carta de Logu di Eleonora restò in uso anche dopo la sua morte più precisamente fino al 1827. Questo testimonia l’importanza di tutto ciò che fece Eleonora per la Sardegna. 8 Leonardo Alagon Leonardo De Alagon fu l’ultimo dei quattro marchesi che governarono il marchesato di Oristano e conte di Goceano. A questo personaggio è stato intestato il nome di una via per aver opposto resistenza alla tirannia con la quale gli Aragonesi governavano il popolo oristanese. Leonardo De Alagon nacque nel 1436, discendente da una delle più potenti famiglie feudatarie, trasferendosi con la sua famiglia dall’Italia in Sardegna nel giudicato d’Arborea suoi genitori decisero di farlo crescere alla dipendenze della corte aragonese combattendo per gli stessi aragonesi e sposando all’età di 21 anni una donna spagnola di stirpe nobile. De Alagon ottenne il titolo di marchese e il marchesato tramite ereditarietà da parte dello zio nel 1470. questo fatto provocò l’invidia del viceré aragonese che governava il giudicato d’Arborea . Il governatore volle che quel marchesato entrasse a far parte dei territori della Corona così da poterli governare lui stesso e decise quindi di attaccare il neo- marchese che rifiutò di cedere i suoi beni alla Corona aragonese. 9 Il marchese aveva dalla sua parte il popolo e organizzò un esercito di Oristanesi decisi a conquistare l’indipendenza della Sardegna. De Alagon e il suo esercito vinsero la battaglia e la Corona d’Aragona dovette riconoscerlo il legittimo marchese di Oristano. Il viceré però non si arrese e quattro anni dopo convinse il re d’Aragona ad attaccare il marchese. Il popolo aragonese tornò in guerra e questa volta ebbe la meglio, sequestrò tutti i beni dell’ormai ex-marchese e lo fece arrestare. Leonardo De Alagon morì nel 1494 prigioniero degli Aragonesi. 10 Domenico Alberto Azuni Domenico Alberto Azuni nacque a Sassari nel 1749 da una famiglia medio borghese. Si laureò in leggi nel 1772 e dopo 2 anni partì a Torino dove divenne pubblico funzionario dell’ufficio generale delle regie finanze. Inviato a Nizza ebbe modo di dimostrare le proprie competenze e iniziò a pubblicare il dizionario universale di giurisprudenza mercantile. I riconoscimenti non tardarono ad arrivare; Vittorio Amedeo III gli conferì il titolo e i privilegi di senatore nel 1789, e lo incaricò di redigere il codice della marina mercantile degli stati Sardi. Occupata Nizza dai Francesi, lo studioso fu costretto a vagare per alcune città italiane tra invidie e gelosie per la sua rapida e strepitosa carriera. Chiese di rientrare in Sardegna con un impiego ufficiale, ma gli venne negato. Nonostante le difficoltà, Azuni continuò a studiare e pubblicò nel 1796 Il sistema universale dei principi del diritto marittimo d’Europa, opera che gli valse la cittadinanza di Pisa e l’incarico da parte di Napoleone di scrivere il nuovo codice marittimo e commerciale Francese. Intorno al 1800 ebbe modo di dedicare alcune 11 opere geografiche e politiche alla Sardegna che sempre amò. Con la caduta di Napoleone perse ogni incarico ma grazie all’intervento di alcune persone vicine a Vittorio Emanuele I, fu nominato giudice del supremo magistrato di Cagliari, fin quando nel 1820 entrò in pensione e qualche anno dopo divenne presidente della biblioteca universitaria di Cagliari, fino al 1827 quando morì. 12 Gian Maria Angioy Nato a Bono il 1751 fu giudice della Reale Udienza e professore di diritto civile nell’ università di Cagliari. Magistrato di grande prestigio e popolarità che, a partire dal 1795, rappresentò il punto di riferimento della borghesia cagliaritana più avanzata. Nel 1793 partecipò alla resistenza dei sardi contro i francesi quando questi avevano bombardato Cagliari e tentato un approdo sull’ isola. Grazie a questa resistenza Angioy si guadagnò una grande popolarità dal re Vittorio Amedeo e dal governo. Un anno dopo, però, il popolo cagliaritano si ribellò con i Savoia perché voleva più autonomia e Angioy si schierò con il popolo opponendosi al regime feudale e accattivandosi anche il favore delle popolazioni rurali. Mandato come vicario per riportare ordine nella città di Sassari attraversò tutta l’isola tra le acclamazioni delle popolazioni. La sua avventura politica fu comunque breve perché nel 1796 fu sconfitto e costretto all’esilio in Francia. 13 Ignazio Porcu Nacque a Ghilarza nel 1784. Ignazio Porcu era sposato ma non potendo avere figli, adottava i bambini poveri di Ghilarza. Fondò una congregazione di carità e la nominò erede del suo importante e cospicuo patrimonio. Questa congregazione, annualmente, doveva dare parte di questa somma di denaro ai poveri. Ignazio era un uomo molto generoso e per questo era molto amato dai cittadini di Ghilarza. Morì il 26 Marzo del 1862 all’età di 78 anni. Nel 1905 fu commemorato con una lapide, posizionata nella parte sinistra della cappella del cimitero. I ghilarzesi lo ricordano, anche con una via detta:” Notaio Ignazio PorcuCorrias O ”Via del benefattore”; e con un vico detto : ”Vico della carità”; luogo dove era solito distribuire cibo ai poveri. 14 Alberto Lamarmora Alberto Lamarmora nacque a Torino nel 1789, da una famiglia aristocratica. Fece l’accademia militare di SaintCyr, dove ne uscì con il grado di sottotenente; amava l’esercito ma la Sardegna conquistò il cuore ben presto. Nel 1821, sospettato di liberalismo, venne sospeso dal servizio e trasferito in Sardegna e da lì iniziò il suo interesse verso l’isola che durò per ben 18 anni. Rientrò in servizio con la caduta del trono di Carlo Alberto, fu nominato generale e nel 1849 fu inviato in Sardegna come commissario straordinario, con un esercito militare; questa mossa gli costò le antipatie degli intellettuali dell’isola di quel tempo. Ma questo non bastò a diminuire il suo interesse scientifico e politico della Sardegna, che lo portò alla pubblicazione di due opere divenute famose, La carta dell’isola e del regno di Sardegna e i 3 volumi del Viaggio in Sardegna. Attraverso queste opere, Alberto voleva far conoscere l’isola a chiunque, ma non mancarono ragioni politiche visto che i Piemontesi avevono necessità di conoscere la terra Sarda in quanto faceva parte del loro regno. Nel 1855 Cagliari gli conferì la cittadinanza Sarda e gli dedicò un busto di marmo; a lui fu anche intitolata la punta più alta del Gennargentu. Morì a Torino nel 1863. 15 Arcivescovo Antonio Sotgiu Antonio Sotgiu nacque a Ghilarza nel 1803. Studiò da uno zio materno presso la cattedrale di Oristano e poi a Cagliari dove a 20 anni si laureò in filosofia e diritto. Dopo aver finito gli studi tornò dai genitori che nel frattempo si erano trasferiti a Corbello per amministrare i beni ereditati dalla zia materna e continuare il culto di “nostra signora della mercede” alla quale era dedicata una piccola chiesa in campagna di proprietà della famiglia. Tutta questa devozione influenzò Antonio che stava decidendo del suo futuro tanto che nel 1826 divenne sacerdote. Per la preparazione e la dedizione del suo lavoro nel 1845 divenne preside del seminario di Oristano, nel 1857 deputato al Parlamento e nel 1871 nominato Arcivescovo di Oristano con grande gioia del popolo. Le sue opere si basavano sull’aiuto ai bisognosi, infatti i poveri della città e dei paesi vicini accorrevano per poter usufruire della sua bontà. Anche l’educazione dei giovani gli stava a cuore e cercò di coinvolgere il più possibile i ragazzi nello studio. Con loro fu affettuoso e severo, un insegnante e un esempio. Istituì una casa-scuola nella quale i costi erano ridottissimi per gli studenti più poveri ; in essa accoglieva i ragazzi più portati per lo studio e che avessero buona volontà e se qualcuno non aveva alcuna possibilità provvedeva lui stesso. L’arcivescovo aveva nel cuore il suo paese natale e nella sua prima visita pastorale a Ghilarza, constatato che la parrocchia aveva bisogno di un restauro, dopo averne parlato col parroco e le autorità del paese, riuscì a far 16 partire i lavori nel 1873 e la parrocchia fu consacrata nel 1877. Carità e umiltà , così si può descrivere il suo operato; non parlava mai di sé, non faceva mai pesare l’importanza delle sue cariche. Per questo uomo che morì per un male fisico alle gambe nel 1878 ci resta solo il ricordo e una lapide: “ Antonio Sotgiu, nato il 5 dicembre 1803 e morto in Oristano il 5 aprile 1878 del quale è rimasto nel tempo il ricordo della sua carità, umiltà e pietà che avevano caratterizzato la sua vita di uomo e di religioso.” 17 Salvator Angelo De Castro Salvator Angelo De Castro era un intellettuale, canonico e politico. Gli è stata intestata una via per quello che ha fatto per la Sardegna. Nacque ad Oristano nel 1817. studiò sia a Oristano che a Sassari e a Cagliari laureandosi a soli 20 anni in diritto. Nel mentre che si laureò si sviluppò la sua carriera da intellettuale avvicinandosi ai grandi scrittori europei suoi contemporanei. Nel 1839 divenne sacerdote e fu inserito alla facoltà giuridiche di Cagliari. Nel 1843 ebbe la docenza di diritto canonico ed insieme ad altri intellettuali fondò la rivista scientifica letteraria e politica chiamata la Meteora. Fu la rivista più importante sarda creata con la collaborazione di illustri persone come Gioberti, Leopardi, Byron e Hugo. Questa rivista andava contro il governo dei Savoia, e non era da tutti mettersi contro i Savoia. Salvator Angelo De Castro era per una Sardegna libera e indipendente da ogni governo. Finita la carriera di docente canonico entrò in politica come deputato. Fu sempre contro le idee del governo ma fu dalla parte della chiesa. Nel 1855 cambiò strada e divenne provveditore agli studi di Oristano e poi preside del liceo di Cagliari e poi provveditore agli studi di Sassari. 18 Nei periodi in cui non era impegnato in politica si dava alla ricerca letteraria spinto dal suo patriottismo sardo che lo portò come altri a credere dell’autenticità”Corte d’Arborea ” e a non rassegnarsi e a non perdere la speranza di una Sardegna libera Salvator Angelo De Castro mori’ ad Oristano nel 1880. 19 Conte Dottore Pietro Nieddu FONDATORE DELLA SOCIETA’ S.O.M.S L’avvocato Conte Pietro Nieddu nacque il 26 Giugno 1823 a Cagliari, battezzato il 27 giugno 1823 nella Parrocchia di S. Cecilia. Pietro Nieddu, nobile magistrato,filantropo visse in Oristano attorno alla metà del secolo scorso. Egli continuò la tradizione paterna curando, nell’azienda di S. Margherita, culture sperimentali. Per questa attività figura nell’elenco dei Benemeriti dell’agricoltura compilata dalla prefettura di Cagliari nel 1879. Assume la carica di Procuratore del Re presso il tribunale di Oristano, si trasferì in città facendosi promotore di numerose iniziative. Particolarmente, prese a cuore le sorti della classe artigianale locale e degli operai, in genere sprovvisti di sussidi in occasione di malattia, mancanza di lavoro, vecchiaia. Nel 1866 fu tra i promotori della realizzazione di un Asilo Infantile. Nello stesso anno il Conte Nieddu provvide alla stesura della “soscrizione” o manifesto del 1866, il programma della Società Operaia di Mutuo Soccorso e d’istruzione alla quale diedero adesione 79 persone artigiani e operai. Per acclamazione il fondatore venne proclamato presidente a vita, egli continuò a interessarsi delle attività del sodalizio anche quando da Oristano si trasferì a Cagliari. 20 Carlo Sanna Nacque a Senorbì nel 1859 da una famiglia di contadini. Frequentò il collegio militare di Firenze e l’accademia di Modena. Gli venne affidato il comando della Brigata tmCatanzaro” che, nel 1916, bloccò l’offensiva austriaca. L’anno dopo gli fu assegnata la 330 divisione che ebbe il compito di fermare il nemico dopo la disfatta di Caporetto. Divenne il simbolo dell’eroismo dei combattenti sardi, gli vennero date varie onorificenze sia a livello nazionale che europeo. Nel dopoguerra gli vennero affidate importanti cariche nel governo fascista, supremo militare e del tribunale speciale per la difesa dello Stato. Nel 1926 celebrò alla camera il conferimento del premio Nobel a GRAZIA DELEDDA. Mori a Roma nel 1928. 21 Sebastiano Satta Sebastiano Satta nacque a Nuoro nel 1867. Studiò e si laureò in giurisprudenza a Sassari, dove esercitò come avvocato penalista. Fu un appassionato di poesia sarda e italiana. Satta era molto devoto alla Barbagia, terra natale, e nutriva una particolare simpatia per i banditi del luogo che, pur di sfuggire alla cattura, diventavano simili ad animali randagi. Tragedie familiari e crisi economiche non avevano reso facile la vita del poeta tra i massimi della Sardegna. Colpito da paralisi, visse 6 anni di dolore, morendo nel 1914, a 47 anni a Nuoro. Scrisse alcune poesie : i “Versi ribelli”, (1893); l’ode ”Primo Maggio” (1910); i “Canti del Salto e della Tanca”, pubblicati nel 1924. Le poesie di Satta mettevano in buona luce la Sardegna, che, dagli estranei, era vista come un “madre-cattiva”. 22 Antioco Zucca Antioco Zucca nacque a Villaurbana il 21 ottobre del 1870 da una famiglia di ricchi proprietari. Frequentò Il Ginnasio comunale “De Castro” ad Oristano. Nel 1890 conseguì il diploma di maturità nel Liceo “Dettori” di Cagliari. L’anno dopo si iscrisse a Lettere, a Bologna dove conobbe Giosuè Carducci. Nel 1894 si trasferì a Roma. Si laureò in Lettere nel 1896 e nello stesso anno ricevette un premio dal Ministero della Pubblica Istruzione per la sua prima opera chiamata “L’uomo e l’inferno”. Insegnò materie letterarie, per tre anni consecutivi, nel Ginnasio comunale di Santu Lussurgiu. Qualche anno dopo pubblicò un’altra sua opera chiamata “Il Lamento del Genio”. Si laureò in Filosofia, a Roma, con il professor Giacomo Barzelloti. Dopo alcuni anni uscì il canto poetico, “Dopo il dolore”, un testo scritto in polemica con l’idea della “Vendetta divina” sostenuta in ambienti ecclesiastici dopo il terremoto di Messina e Reggio Calabria avvenuto nel 1906. Stampò il suo quarto poema “Il Grande Enigma”. Insegnò a Roma, presso l’Istituto tecnico “Vincenzo Gioberti”,dove conobbe personalmente Grazia Deledda, con cui ebbe vent’anni prima una breve corrispondenza epistolare. 23 All’età di 50 anni ricevette l’invito a fare il rappresentante italiano della Lega monista, ma rifiutò l’incarico. Nel 1937 la casa editrice Cedam stampa la sua più grande opera chiamata “I rapporti tra l’individuo e l’universo”. Per raggiunti limiti d’età si concluse la sua carriera di insegnante e decise di fare rientro a Villaurbana, in Sardegna. Nel 1955 l’accademia di studi superiori “Phoemix” di Bari decide di premiarlo con la laurea “honoris causa” in Psicologia. Morì a Villaurbana, a causa di un infarto, il 6 Maggio del 1960 all’età di 90 anni. 24 Antioco Casula MONTANARU Antioco Casula è nato nel 1878. Studiò diversi anni al ginnasio che si trova a Cagliari e nel collegio di Lanusei, in seguito lascia gli studi e fa ritorno al proprio paese. In seguito si arruola nei carabinieri. Antioco Casula scrisse poesie in lingua sarda e diventò amico di molti intellettuali come Sebastiano Satta. Nel 1904 pubblica Boghes de Barbagia usando lo pseudonimo di Montanaru. Nel 1909 abbandona l’arma e si sposa, e va a dirigere l’ufficio postale de Desulo, in seguito insegna come maestro elementare. Antioco Casula perde la moglie e il figlio maggiore tra il 14 e il 16. Si riposa nel 18 e nel 22 esce Cantigos d’Ennargentu, sua opera. Riesce a rappresentare l’isola nel Congresso nazionale dei dialetti d’ Italia. Viene arrestato, e perde gli altri due figli tra il 26 e il 27. Nel 33 esce Sos cantos de sa solitudine. Finita la guerra partecipa al concorso nazionale di poesia dialettale fatto da Ungaretti, e fa da giurato. Lo vince nel ‘ 49 con S’olia. Pubblica nel 50 Sa Lantia, ma nel 53 viene colto da paralisi, e muore dopo 2 anni. Nel 1978 esce la raccolta Sas ultima canzones. Cantigos de amargura. E’ considerato il maggior poeta lirico in lingua Sarda. 25 Giuseppe Manno Nacque ad Alghero il 17 marzo 1876, faceva parte del patriziato cittadino. Dopo aver seguito gli studi ad Alghero si iscrisse nel collegio dei nobili di Cagliari e successivamente nella facoltà di legge dell'università cagliaritana, laureandosi nel 1804. Di buona cultura umanistica, venne subito notato dai magistrati della Reale Udienza. Nel 1811 iniziò la sua collaborazione con il "Foglio periodico di Sardegna". L'anno dopo venne nominato sostituto dell'avvocato fiscale patrimoniale. Nel 1816 fu nominato segretario privato del futuro Re Carlo Felice. L'anno dopo divenne primo ufficiale della Segreteria di Stato per gli affari di Sardegna. Fu eletto consigliere nel Supremo Consiglio di Sardegna, del quale partecipò attivamente. Tra il 1825 e il 1827 pubblicò Storia di Sdegna, nelle quale vengono ricostruiti gli avvenimenti della Sardegna fino al 1789. L'anno dopo pubblicò il saggio "Sui vizi dei letterati". All'età di 47 anni si sposò con Tarsilla Calandra, torinese, da cui ebbe 3 figli maschi. Negli anni successivi gli vennero affidate cariche di grande prestigio tra cui quella del Presidente del Senato di Nizza e di senatore del Regno. Molto importanti furono gli interventi che fece in Senato sui problemi sardi. La sua ultima opera fu "Note sarde e ricordi". Morì il 25 gennaio 1868 a Torino. 26 Monsignor Giovanni Sotgiu Giovanni Sotgiu nasce a Norbello il 1° aprile 1883. Poco dopo lui e la sua famiglia si trasferiscono a Ghilarza, paese di origine della madre, e qui Giovanni prova dei sentimenti sinceri verso la religione Cristiana. Dopo essersi laureato in legge, ed essere stato sottotenente all’accademia Militare di Napoli, nel 1912, a soli 29 anni, diviene sacerdote e acquista tutte le virtù che San Francesco insegnò ai suoi frati. In circa tre anni riesce ad avere risultati materiali e spirituali nella diocesi di Hingan-fu, una vasta terra abitata da circa 2 milioni di abitanti. Vennero costruite tre Chiese, 17 cappelle, 15 scuole maschili e 3 femminili, 2 orfanotrofi, 4 farmacie e fu assicurata l’assistenza per i poveri ed i malati. Circa 1000 adulti e migliaia di bambini furono convertiti ed battezzati. Dopo 3 anni dal suo arrivo in Cina, nel 1928, grazie ai buoni risultati, Padre Giovanni venne nominato “primo prefetto apostolico della missione di Hingan-fu”. Una sera del 1930 egli si recò in una città vicino alla sua per la benedizione di una nuova chiesa; siccome in quel periodo giravano molti vandali e saccheggiatori, Padre Giovanni decise di fermarsi qualche giorno in più nella città per assicurare protezione e difesa agli abitanti. Qualche giorno dopo, senza dare ascolto a chi lo avrebbe voluto ospitare ancora più a lungo, iniziò il suo viaggio di ritorno assieme ad un pagano ed un cristiano. Giunti vicino alla città i tre vennero assaliti da un grande gruppo di briganti che cercava denaro. Senza tener conto del fatto di aver 27 assalito il Monsignore, lo spogliarono, gli diedero 26 colpi di lancia nella schiena ed infine lo decapitarono. I cristiani del luogo dopo aver raccolto i suoi resti, ricucirono la testa al corpo del Padre e la custodirono in un luogo sicuro e segreto. I confratelli fecero una degna sepoltura nel colle che si affacciava nella città dove il Padre aveva dato tutto se stesso per migliorare le condizioni di vita. La famiglia ed il Parlamento italiano commemorarono la morte di questo frate; la notizia della sua morte si diffuse anche tramite quotidiani importanti come “Il Messaggero” o “Il Corriere della Sera”. A Ghilarza la via dove si trova la casa della sua famiglia è ora chiamata “via Padre Giovanni Sotgiu” in suo onore. 28 Attilio Deffenu Era un intellettuale meridionaliste, giornalista e combattente. Nacque a Nuoro nel 1890; frequentò il ginnasio nella sua città natale, poi si trasferì a Sassari per frequentare il liceo. Nel 1908 si iscrisse in legge a Pisa, qui si avvicinò all’ambiente anarchico e collaborò con la stampa socialista sarda e italiana. Si laureò nel 1912, successivamente tornò a Nuoro; divenne corrispondente del GIORNALE D’ITALIA, partecipando attivamente al la vita politica. Nel 1913 si batté per il liberalismo capitalistico, che favoriva le industrie del nord e che si opponeva al meridione e alle isole agro-pastorali. Nel 1914 fondò la rivista Sardegna, cui collaborarono numerosi intellettuali, politici, ecc. per questa rivista sfruttò tutta la sua esperienza politica. Successivamente si trasferì a Milano, dove esercitò la professione di avvocato e legale dell’Unione Sindacale. Nel luglio 1914 scoppiò la 1° Guerra Mondiale e, alla fine dello stesso anno, con De Ambris, Corridoni, Casetti e Bianchi, fondò i fasci d’azione interventista rivoluzionaria. Si arruolò come volontario, ma sospettato come “sovversivo”, fu mandato al fronte. Il 16 giugno 1918 morì sul Piave al comando dei fanti della Brigata Sassari. 29 Marco Josto Marco Josto nacque a Jerzu il 25/02/1885 e frequentò le scuole fino al liceo Classico a Cagliari. Nel 1915 all’età di 20 anni fu chiamato al fronte della prima guerra mondiale col grado di sotto tenente. Dopo che venne congedato continuò gli studi a Ferrara e poi Bologna dove prese la laurea in medicina e chirurgia. Dopo di che si specializzò in alte facoltà presso l’università di Roma, poi rientro a Jerzu dove fece il medico condotto per oltre 50 anni. I suoi hobby erano la fotografia cui si dedicò 20, 30 anni e le automobili oltre al suo lavoro. Era amante delle novità e si teneva sempre aggiornato sulle novità della scienza e della industria. Questo risultò uno stimolo durante le crisi agricole dovute alle incertezze del mercato e alla primordiale tecnica di commercializzazione del prodotto vitivinicolo quando si fece promotore della costituzione a Jerzu della cantina sociale. Alla fine dei suoi anni si dedicò nuovamente e completamente allo studio frequentando l’università dove pubblico un dizionario dei toponimi che chiamò “I comuni della Sardegna” dopo numerose ricerche. Si spense nel 1995 all’età di 100 anni. 30 Emilio Lussu Nacque in provincia di Cagliari ad Armungia nel 1890. Avvocato , scrittore ma soprattutto grande icona politica e anche uomo di grosso spessore e carisma nella cultura sarda e italiana. Iniziò i suoi studi a Lanusei e quindi a Roma per poi laurearsi in giurisprudenza a Cagliari. Partecipò alla prima guerra mondiale nella Brigata Sassari; scrisse la sua opera più famosa “ Un anno sull’ Altipiano”(1938). Fondò il Partito Sardo d’Azione con Pili, Bellieni, Mastino. Fu deputato negli anni 1921/24 e si schierò contro il fascismo. In seguito a questa decisione gli fu teso un agguato dove uccise anche uno dei suoi aggressori. Per questo fu mandato in esilio a Lipari. Evase nel 1929 a Parigi dove fondò, con Roselli e Nitti, il movimento “ Giustizia e Libertà” che divenne il centro delle rivolte antifasciste. A Parigi incontrò Joyce Salvatori, che sposò e da cui ebbe anche un figlio. Tornò in Italia nel 1943 e prese parte alla resistenza del Partito d’Azione. Fu ministro e deputato per poi arrivare al Partito Socialista Italiano. Fu tra i fondatori del Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria. Muore il 5 Marzo del 1975 a Roma. Le sue maggiori opere sono: “La catena”, “Marcia su Roma e dintorni”, “Sul Partito d’Azione e gli altri”. 31 Antonio Gramsci Nacque ad Ales nel 1891 e dopo l’istruzione primaria a Ghilarza ed il ginnasio a Santulussurgiu frequentò il liceo a Cagliari dove visse con il fratello Giovanni. Si trasferì poi a Torino iscrivendosi nel 1911 alla facoltà di lettere. Iniziò l’attività giornalistica con “il grido del popolo” e “l’avanti” suscitando dell’interesse negli ambienti intellettuali per la qualità della scrittura e il suo pensiero. Nel 1917 diventò dirigente della sezione socialista della città, diede vita al settimanale l’Ordine Nuovo. Nel 1921 entrò nel comitato centrale del partito comunista d’Italia e nel 1922 fu delegato a Mosca nell’esecutivo dell’internazionale. Nella capitale russa conobbe la violinista Giulia Schucht che poi diventerà sua moglie e gli darà due figli, Delio e Giuliano. Nel 1923 fu dirigente politico a Vienna, e nell’anno seguente dopo la morte di Matteotti per cause fasciste venne eletto alla camera dei deputati e diventò segretario generale del partito. Usciva a Milano, su sua indicazione, il quotidiano l’Unità. Andò nel 1926 a Lione per il terzo congresso del Partito comunista d’Italia dove vide approvate le sue tesi politiche centriste. 32 Dopo lo scioglimento dei partiti d’opposizione in Italia nel Novembre del 1926 Gramsci fu arrestato e condotto prima Ustica e poi a San Vittore di Milano, fu condannato nel 1928 a vent’anni, quattro mesi e cinque giorni di carcere, venne portato a Turi, e nel febbraio iniziò la stesura dei quaderni dal carcere. Nel 1930, si ammalò e ottenne una cella individuale che gli consentì di studiare con più tranquillità. Nel 1933, sostenuto da un movimento d’appoggio esterno, ottenne la libertà vigilata e quattro anni dopo ormai morente riacquistò la piena libertà. Morì il 27 aprile di quell’anno e le sue ceneri furono sepolte in una piccola tomba del cimitero degli inglesi a Roma. Le lettere che Gramsci scrisse dal carcere ai familiari sono considerate uno dei più belli e toccanti epistolari della letteratura italiana. 33 Antonio Segni Antonio Segni nacque a Sassari da una nobile e ricca famiglia di latifondisti , il 2 febbraio del 1891. Nel 1913 si laureò in giurisprudenza e si iscrisse al partito socialista sin dalla sua fondazione, e dal 1923 al 1924 ne fu consigliere comunale. Dal 1920 insegnò in diverse università italiane, comprese quelle di Cagliari e Sassari, e in quest’ultima fu Rettore Magnifico. Segni, durante la sua vita, fu sposato con Laura Carta Caprino, dalla quale ebbe quattro figli; ottenne la laurea di dottore “Honoris Causa” in scienze agrarie dall’Università di Washington. Ricevette anche il premio “Carlo Magno” per i meriti che acquisì nell’azione svolta a favore dell’Unità Europea. Facendo parte del partito popolare, Antonio Segni, con l’entrata in Italia del fascismo, dovette abbandonare l’attività politica, e sino alla sua caduta visse in riservatezza, ad eccezione di qualche intervento come oppositore del regime. Con la fine della dittatura, fu uno dei fondatori e organizzatori della Democrazia Cristiana, di cui divenne uno dei più importanti leader nazionali. Nel 1951 Segni divenne Ministro della pubblica Istruzione,e venne riconfermatogli anni successivi. Otto anni dopo, divenne Presidente del Consiglio dei Ministri e Ministro dell’Interno, spodestando così Fanfani dalla guida del governo, sua da un anno. Il 6 maggio venne eletto Presidente della Repubblica. 34 La sua presidenza durò 2 anni e fu caratterizzata dalle continue opposizioni alle riforme strutturali e di sistema volute dai socialisti. Questi problemi emersero durante la crisi del primo governo Moro, quando i socialisti, spinti dalla paura di mosse avventate da parte di alcuni apparati dello Stato, fecero importanti rinunce pur di riuscire a ricostruire il governo di centro-sinistra di Moro. Segni mise Moro e Nenni (socialista del Psi) davanti a una scelta: se non avessero rinviato le riforme strutturali italiane, vi sarebbe stato un gabinetto tecnico-burocratico appoggiato dal centro-destra. Moro e i socialisti optarono per porre fine all’azione riformatrice del centro-sinistra; così Segni raggiunse ampiamente il suo intento. Il 7 agosto 1964, due anni dopo la sua elezione, fu colpito da un ictus cerebrale, e una volta accertato il suo stato di impedimento permanente, fu costretto a dare la dimissioni anticipate. Ottenne la nomina di senatore a vita, per essere stato presidente della Repubblica, e vi restò fino al 1° dicembre 1972, data della sua morte. 35 Flavio Busonera Flavio Busonera il “ Medico Buono ” che con il cuore e l’intelligenza aveva dato prova in Sardegna come in Friuli di solidarietà e di speranza in un riscatto umano e civile. Nato a Oristano il 24 luglio 1894, era ragazzino quando poté assistere alla prima uscita dell’ automobile piemontese, simbolo dei progressi raggiunti dall’industria settentrionale e del distacco tra nord e sud dell’Italia. Figlio di un piccolo fabbricante di gazzose poteva considerarsi fortunato tancto che potè frequentare il liceo ”Dettori” a Cagliari dove studiò anche Gramsci. Fu uno studente già di idee socialiste e partecipò attivamente alla sconfitta dei liberalmassoni campeggiati da Carboni-Boi. Dopo la maturità fu chiamato alle armi per la grande guerra. Si congedò poi come tenente dei bombardieri e si iscrisse in medicina partecipando anche alle battaglie politiche del dopoguerra. Fù tra i fondatori della sezione comunista. Subì un processo per manifestazione pubblica di un’opinione ostile all’istruzione fondamentale dello stato e venne rimosso da tenente. Visto dai fascisti come tenace avversario fu costretto a lasciare la Sardegna e si trasferì con la moglie a Claut (Valcemina) dove si distinse per la testimonianza di solidarietà che seppe dare a quelle popolazioni. L’occasione per manifestare le sue idee politiche la ebbe quando si trasferì a Cavarzerano. Qui la resistenza al fascismo aveva avuto i suoi morti sin quando (4-1921) negli 36 scontri erano stati accusati il consigliere Ravanello e il capolega Benzato. Venne la guerra e l’8 settembre si mise ad organizzare e dirigere la raccolta delle armi abbandonate e prese contatti con i primi nuclei della resistenza padovana. Nel suo paese si era appena formato il CLN e lui vi rappresentò il partito socialista L’attività fu intensissima , tra i compiti c’era quello di nascondere gli ex prigionieri alleati che erano riusciti a fuggire, garantendogli i mezzi per attraversare l’Adriatico e raggiungere le coste jugoslave, dove li attendevano i sommergibili inglesi. Organizzò inoltre squadre di partigiani diventando il primo commissario della brigata di Venezia. Nel maggio-Giugno 1944 a Cavarzerano ci furono una serie di lanci di armi e rifornimenti alleati per i partigiani. Fu Busonera ad interessarsi per il recupero dei materiali e del nuovo smistamento e fu responsabile anche come medico. Fu per questo che cadde in trappola dei repubblicani. Fu preso da essi, trasportato a Rovigo poi a Padova, dove fu rinchiuso al Parlotti. I partigiani e il gruppo della “Garibaldi-Padova” organizzarono un piano per l’evasione ma i familiari di Busonera si opposero, lui stesso non fu d’accordo. Gli eventi precipitarono: venne trovato ucciso il colonnello repubblicano sardo Fronteddu e l’uccisione venne attribuita agli anti-fascisti. Furono prelevati dal Parlotti 10 prigionieri: 7 uccisi fucilati, e per gli altri ,tra cui Busonera, si improvvisò una forca dove era caduto Fronteddu. 37 Anche negli ultimi momenti Busonera si dimostrò coraggioso. I fascisti costrinsero gli universitari ad assistere alla sua impiccagione. La sua scomparsa e l’affetto che per lui aveva la popolazione, incitò altri coraggiosi a dare il proprio contributo alla resistenza. 38 Velio Spano Velio Spano nacque a Teulada nel 1905 da Attilio e Antonietta Contini. Fina da studente si unì al partito comunista e diventò uno dei dirigenti della federazione giovanile. Dopo di che si trasferì a Torino dove si dedicò alla stampa illegale del partito dopo la promulgazione delle leggi eccezionali fasciste. Venne arrestato e si trasferì in Francia, successivamente in Africa perché costretta a espatriare. In seguito rientrò in Italia clandestinamente e assunse la direzione clandestina de “L’unità”. Organizzo in Tunisia un partito antifascista dei lavoratori italiani dove però fu condannato a morte dal governo Pètain. Rientrò in Italia infine dove fu eletto deputato e poi senatore. Si spense nell’ottobre del 1964. Le opere più importanti furono: I comunisti Italiani e le unità contro l’invasore. Il partito della classe operaia. Ciò che ho visto nella Cina Popolare. Il banditismo sardo e i problemi della rinascita. Contro la legge dei monopoli per la rinascita della Sardegna. L’autonomia dei partiti e l’avvenire della Sardegna “Il lavoratore”. Ente ragione in Sardegna? Per l’unità del popolo sardo. 39 Renzo Laconi Renzo Laconi nacque a S. Antioco nel 1916. Fece i suoi primi studi a Cagliari e si laureò in lettere. A 24 anni entrò a far parte del Partito Comunista prima a Firenze e in seguito a Cagliari. Fu uno dei tanti che animò le prime lotte operaie e la ripresa dell’attività legale dei comunisti. Nell’Assemblea Costituente offrì un valido contributo alla stesura delle “leggi fondamentali della Repubblica”. Laconi fu uno dei maggiori esponenti della vita politicointellettuale del dopoguerra. Fu un uomo con vaste conoscenze in ambito politico, giuridico-istituzionale e letterario. Uno dei problemi sui quali si concentrò maggiormente fu il nesso tra autonomia democratica e rinascita economica e sociale della Sardegna. Morì a Catania all’età di 51 anni. 40 Michelangelo Pira Michelangelo Pira nasce a Bitti nel 1928 e muore a Cagliari nel 1980. Oltre che scrittore fu giornalista nonché Capo dell’Ufficio resoconti del consiglio regionale sardo e docente di Antropologia culturale nell’università di Cagliari. Scrisse opere di forte impatto nella cultura isolana quali La rivolta dell’oggetto,il romanzo in dialetto bittese Sos sinnos, Sardegna tra due lingue, una raccolta di conversazioni radiofoniche riunite in volume. Sua è anche la raccolta di radiogrammi “Paska Devaddis”,del 1981. Si intuisce il suo interesse particolare per la lingua sarda. Angelo Dettori Il bonorvese Angelo Dettori,meglio noto come “Anzelu”,è vissuto ttra il 1894 e il 1981.Fu direttore della rivista di poesia sarda “S’Ischiglia” e autore di un Glossario sardologudorese,del 1978.Una raccolta di sue liriche è Rizolos cristallinos,del 1977. 41 ALFREDO TORRENTE Alfredo Torrente nacque a Potenza l’11 febbraio del 1919 da una famiglia molto povera. Si sposò con Alba De Murtas ed ebbero quattro figli, Massimo, Carla, Serena e Luciano Torrente. Era un uomo che nel poco tempo libero che aveva, viveva la natura andando a caccia e a pesca. Il 5 ottobre del 1990, gravemente malato morì per un arresto cardiaco a seguito di un intervento chirurgico. Fu obbligato a venire in Sardegna all’età di sedici diciassette anni perché il padre per motivi di lavoro era stato trasferito all’università di Cagliari, dove fece tutte le scuole compresa l’università. All’età di ventitre anni si laureò in scienze politiche. Nel 1949 quando fu istituita la regione autonoma della Sardegna venne candidato nelle liste dell’allora partito comunista italiano e quando venne eletto risultò il più giovane consigliere comunale in Sardegna. Durante le sue cinque legislature si occupò in modo particolare del settore dello sviluppo dell’agricoltura e della pesca in Sardegna. (Cabras 1960, occupazioni degli stagni; Al centro Alfredo Torrente) 42 Durante la sua attività politica decise di seguire degli enti di sinistra quali la Camera del Lavoro, la Lega delle Coooperative e altre associazioni che erano sempre legate al pensiero di sinistra. (Guspini 04-06-1964, Manifestazione cooperativa) Era un uomo molto stimato perchè nell’1949 a seguito di una legge che permetteva ai sindaci di affidare terre incolte alle cooperative di contadini, lui insieme ad altri politici di quel tempo e con delle associazioni di contadini fecero pressioni ai sindaci perchè facessero i decreti per l’ acquisizione di quelle aree incolte e dessero da lavorare a queste cooperative di contadini La guerra era finita solo da pochi anni e c’erano ancora delle classi privilegiate cioè quelle che avevano ancora dei titoli nobiliari ad esempio i conti e i signori che avevano ancora una certa importanza ed erano i proprietari delle terre che però non avevano interesse a coltivarle per cui preferivano lasciarle incolte piuttosto che dar lavoro a persone che poi gli andavano contro. 43 Le manifestazioni che fecero in quel periodo portarono a dei climi molto tesi perché c’erano ancora dei prefetti di idee fasciste e quando organizzavano queste manifestazioni occupavano queste terre dimesse.A Zeppara nella zona del Guspinese, durante un comizio che incitava i manifestanti a occupare queste terre, Alfredo Torrente venne arrestato in piazza, e contemporaneamente questa azione venne fatta verso tutti i politici di sinistra, la cosa più brutta è, che vennero considerati come delinquenti e vennero quasi tutti condannati, tra cui anche Alfredo Torrente ad una pena detentiva di otto mesi senza condizionale. (IX Congresso Nazionale del Partito Comunista Italiano; Palazzo dei congressi dell’ EUR Roma, 30 gennaio – 5 febbraio 1960) Nonostante questa condanna e le minacce che riceveva non si arrese e continuò a fare quello che aveva iniziato a fare da tempo, anzi, questo gli servì come uno stimolo in più.Diventò un grande trascinatore perchè conosceva molto bene i problemi dell’agricoltura.Quando venne fatta una legge speciale che si chiama piano di rinascita che dava dei fondi speciali per la rinascita dell’economia sarda, lui 44 era il maggior oratore perché rimaneva in consiglio a esporre quelli che potevano essere i problemi dell’economia, la sua forza era la conoscenza e l’approfondimento che aveva fatto di questi argomenti e sapeva come gli agricoltori e i pescatori potevano essere aiutati. Contemporaneamente alla carriera politica svolgeva anche l’attività di insegnante ed era dirigente di queste associazioni. Dell’attività parlamentare prendeva solo il 30% dell’indennità di consiglio regionale perché il resto lo dava al partito e alle organizzazioni.Era un uomo che si batteva in prima persona per tutelare i diritti delle persone, ad esempio lo stagno di Cabras prima era privato e lui fu uno tra i maggiori artefici della vittoria dei pescatori che ottennero lo stagno, un’ altra battaglia personale riguardava la quarta provincia sarda, quella che oggi è la provincia di Oristano con proposte di legge, indicazioni a livello nazionale, però c’erano delle persone che non ci credevano alla quarta provincia.C’è un aneddoto che parla di un treno che chiamavano treno di Torrente che parte da Oristano per Cagliari alle sette del mattino e arriva verso le otto e un quarto, questo linea che è ancora presente fu creata perché lui non viaggiava in macchina ma in treno o in autobus e vedeva che c’erano molte persone tra cui degli studenti e dei lavoratori che dovevano andare a Cagliari e entravano a lavorare o a scuola verso le otto ed erano costretti a prendere il treno che partiva da Oristano alle quattro e mezzo del mattino e quando arrivavano a Cagliari dovevano stare buttati li tre ore e con grande forza di volontà riuscì istituire questa linea. 45 Cosimo Orrù Alla fine del settembre del 1943, Cosimo Orrù, giudice sanverese, prese parte a un comitato di liberazione antifascista in Busto Arsizio. Durante uno sciopero degli operai nel marzo del 1944 sorsero dei cortei che si diressero verso il comune e la casa del fascio; i manifestanti vogliono assalire anche la sede del tribunale, ma i magistrati convincono i manifestanti a far entrare solamente una delegazione. All’interno del tribunale vi erano due giudici, Vincenzo Ferulano e, appunto, Cosimo Orrù, anch’essi di idee antifasciste. Cosimo Orrù il 20 giugno del 1944 venne arrestato dalle SS e trasferito nel carcere di San Vittore a Milano e dopo una lunga serie di interrogatori, deportato in Germania nel campo di Flossemburg. Dopo innumerevoli soprusi e atrocità subite da un capobaracca, particolarmente accanito contro i magistrati, Cosimo Orrù morì nella baracca n° 23 nel dicembre del 1944, nel medesimo campo. Viene ricordato come medaglia d’oro alla resistenza in quanto impegnato nella lotta al nazifascismo. 46 47 Sulla diffusione del Cristianesimo in Sardegna ci mancano notizie sufficienti per formulare serie ipotesi fino al II secolo. La Sardegna, per la sua posizione al centro delle più importanti rotte commerciali e di diffusione religiosa, ebbe conosciuto qualche predicatore anche in precedenza. Numerosi missionari cristiani, che partivano da Cartagine per andare in Francia, fecero tappa nel giudicato di Caralis o in qualche altra città. Nel III secolo le comunità cristiane sarde costituivano una realtà clandestina molto attiva, capace di un’estesa opera di conversione. La persecuzione cristiana nel 303 colpì brutalmente l’isola.Tra i martiri sardi ricordiamo Antioco, Lussorio, Efisio, Saturnino. Quando poi nel 313 Costantino riconobbe ai cittadini romani il diritto alla libertà di culto, la chiesa sarda poté portare alla luce del sole la propria opera. Con l’invasione dei Vandali, Bizantini e Arabi la Sardegna subì delle conseguenze anche per quanto riguarda la religione. Tante chiese, monasteri, abbazie risentono dell’influenza di queste popolazioni. La dominazione spagnola tra il XVI e XVIII segnò la storia dell’isola dal punto di vista religioso. I cattolicissimi reali spagnoli emanarono ben presto dei provvedimenti per l’allontanamento di tutti gli ebrei da Cagliari, Iglesias e Alghero, ritenendo che la loro presenza rappresentasse un rischio per la purezza della fede 48 cattolica del territorio. Fu pure istituito il Tribunale del Santo Officio a Cagliari e Sassari, ma l’attività di esso pian piano si affievolì. Nell’isola ancora oggi si venerano tanti Santi della Sardegna e si trovano tanti santuari ad essi dedicati. Tra essi ricordiamo soprattutto San Sebastiano, San Pietro, San Giovanni Battista, San Lussorio, Sant’Efisio e così via. 49 Cattedrale di S. Giusta S.S. Trinità di Saccargia 50 San Pietro di Zuri N.S. di Castro Oschiri 51 La Sardegna e i Giudicati I quattro giudicati sardi I Giudicati sardi erano regni indipendenti, formatisi come conseguenza dell'isolamento cui fu costretta la Sardegna in seguito all'espansione araba nel Mar Mediterraneo, tra VIII secolo e IX secolo d.C., ed al contemporaneo abbandono da parte dei Bizantini. Questi regni avevano una struttura territoriale e amministrativa già abbastanza definita; tutti e quattro furono retti da sovrani chiamati giudici. Il giudicato di Cagliari si estendeva sul territorio corrispondente a quello delle odierne province sarde di Cagliari, di Carbonia-Iglesias e d'Ogliastra; aveva come capitale Santa Igia. Era il Giudicato che aveva nel suo territorio i Campidani di Cagliari, terre fertili e produttive, oltre ad altre ricchezze come le attività minerarie dell'Iglesiente. 52 Nel nord dell'isola si trovava il giudicato di Torres, con capitale Torres l'attuale Sassari. Si estendeva sul territorio corrispondente all'odierna provincia di Sassari e alle parti più settentrionali delle attuali province d’Oristano e di Nuoro. Questo regno giudicale, di tradizione vicina a quella Carolingia nei costumi e negli usi diplomatici, si sgretolò, quando la sua ultima regina, Adelasia, fu abbandonata dal legittimo consorte e lasciò il regno nelle mani dei suoi rapaci vassalli(1259). Il giudicato fu così suddiviso tra le potenti famiglie dei Doria e dei Malaspina, mentre altri territori andarono al confinante giudicato d’Arborea. A nord est dell'isola era situato il piccolo giudicato di Gallura, per posizione e scarsità di risorse ben presto controllato da Pisa, che ne determinò l'estinzione all’incirca in contemporanea col giudicato di Calaris. Il Giudicato di Gallura si estendeva sul territorio corrispondente all'odierna provincia d’Olbia-Tempio e sulla parte settentrionale della provincia di Nuoro. La sua capitale si trovava a Civita. Il più duraturo dei quattro fu il giudicato d’Arborea, con capitale Tharros e poi dal 1076 Oristano. Si estendeva sul territorio corrispondente all'attuale provincia di Oristano, a quella del Medio Campidano e a gran parte della Barbagia. Prosperò sino al XIV secolo, dovette affrontare le pretese sulla Sardegna del regno d’Aragona, a cui il papa Bonifacio VIII aveva concesso una “licenza d’invasione”. La lunga guerra che divise i due regni si prolungò fino al 1410, quando l'ultimo re d’Arborea cedette quel che 53 rimaneva dell'antico regno alla Corona aragonese per 100.000 fiorini d'oro. Il Giudicato fu retto nel tempo degli Arborea, il nome con il quale si facevano chiamare le dinastie dei Lacon-Gunale, dei Lacon-Serra, dei Bas-Serra, dei Cappai de Baux, e alla quale apparteneva l'eroina leggendariamente celebrata Eleonora d'Arborea, che governò come reggente in nome dei figli dal 1383 al 1402, data in cui presumibilmente morì di peste. La società: La società all'interno dei villaggi era divisa in tre classi: quella dei liberi, quella dei colliberti e quella dei servi. La prima classe comprendeva i Mayolares, i proprietari terrieri, gli artigiani, i mercanti, che potevano migliorare la loro posizione ed avanzare verso le classi sociali superiori, la seconda (colliberti) erano servi liberati che però mantenevano alcuni obblighi specifici verso i loro padroni; la terza (i servi) probabilmente rappresentava la maggior parte della popolazione. 54 In Sardegna la condizione era molto diversa da quella continentale che era basato su rapporti di tipo personale tra il servo e il signore oppure il servo e la terra. I proprietari terrieri non avevano il controllo sui servi; i servi, invece, appartenevano ai loro signori per le loro giornate di lavoro. Sul piano personale erano liberi e potevano sposarsi liberamente, avere un proprio cognome. Il lavoro dei servi consisteva nell'attività agricola e nella custodia del pascolo, del bestiame. Il lavoro delle donne si svolgeva invece all'interno della casa. Economia: Dopo l'XI secolo, la Sardegna fu interessata da una crescita demografica; dopo quest’aumento demografico la popolazione non fu composta solo da pastori, ma anche da contadini che in seguito all’abbattimento dei boschi, si spostano dai villaggi originali. In questo modo le popolazioni delle campagne si sparsero anche grazie all’appoggio dei singoli giudicati. Questo fenomeno s’interruppe nel XIII secolo, perché in questo periodo si svilupparono i centri urbani (Cagliari, Sassari, Oristano); quindi ci fu un abbandono di piccoli centri rurali. Nel 1348, a causa di una terribile epidemia di peste che interessò tutta Europa questo fenomeno di espansione si arrestò. 55 Organizzazione dei villaggi: Nel corso del 300 si costituì un sistema di organizzazione del villaggio che rimase quasi immutato fino all’800. I terreni intorno al villaggio non erano né recintati e né divisi in lotti perché appartenevano a tutti e venivano assegnati a ciascun contadino, di anno in anno, con l’estrazione a sorte. Tutto il complesso di queste terre era diviso in due parti (rotazione annuale): il VIDAZZONE era destinato alla produzione di cereali; il PABERILE era invece destinato al pascolo del bestiame domestico (cioè buoi o cavalli da lavoro, asini, capre). L’ allevamento vero e proprio, cioè quello delle greggi, veniva praticato sul pascolo di collina o di montagna, lontano dal villaggio. Le sole proprietà private dei contadini erano costituite da piccoli orti o da vigne, più vicini al villaggio e recintati. Con quest’organizzazione comunitaria del territorio e con la divisione tra i terreni destinati al pascolo e quelli destinati all’agricoltura si riusciva a difendere le colture dal bestiame e ad evitare gli scontri tra pastori e contadini. Questo però faceva rimanere arretrata l’agricoltura legata alla rotazione annuale e impossibilitata a migliorare perché ogni anno i terreni erano affidati a coltivatori diversi che non avevano neanche il tempo di portare delle modifiche migliorative. 56 Sa die de sa Sardigna Il 28 aprile di ogni anno si festeggia Sa Die De Sa Sardigna, conosciuta anche come la festa del popolo sardo. Tale ricorrenza vuole rievocare un fatto storico: i cosiddetti “Vespri Sardi”, vale a dire l’insurrezione popolare del 28 aprile 1794 che determinò l’espulsione dei Piemontesi e del Viceré Balbiano da Cagliari e da tutta l’isola. La Sardegna era stata annessa al Piemonte nel 1720 ed inizialmente tale unione venne accolta bene dal popolo sardo, ma successivamente il malcontento popolare crebbe. Il motivo di questo malcontento era dovuto anche al fatto che la Sardegna era stata coinvolta nella guerra della Francia rivoluzionaria contro gli stati europei e dunque contro il Piemonte. Nel 1973 una flotta francese aveva tentato di impadronirsi dell’isola, sbarcando a Carloforte e insistendo successivamente anche a Cagliari, ma i sardi avevano opposto resistenza con ogni mezzo, in difese della loro terra e dei Piemontesi che dominavano allora la Sardegna. La resistenza ai Francesi aveva entusiasmato gli animi, perciò ci si aspettava un riconoscimento ed una ricompensa dal governo Sabaudo per la fedeltà dimostrata alla corona. I Sardi chiedevano che fosse loro riservata una parte degli impieghi civili e militari e una maggiore autonomia rispetto alle decisioni della 57 classe dirigente locale. Il viceré Balbiano mostrava però un atteggiamento disinteressato ed assenteista che non faceva altro che accrescere l’odio popolare nei confronti del governo piemontese. Il 29 aprile 1793 i rappresentanti del parlamento locale si riunirono per presentare delle richieste al re. Tali richieste vengono dette “le cinque domande”, perché formulate in cinque punti e prevedevano: 1) Il ripristino della convocazione decennale dei Parlamenti, interrotta dal 1699; 2) La riconferma degli antichi privilegi, soppressi dai Savoia; 3) La concessione ai Sardi di tutte le cariche, ad eccezione della vicereale e di alcuni vescovadi; 4) La creazione di un Consiglio di Stato, a fianco del viceré, per la gestione degli affari ordinari; 5) La creazione a Torino di un Ministero per gli affari di Sardegna. Venne così mandata a Torino una delegazione di sei membri per illustrare al sovrano le richieste, ma vennero ricevuti dal re solamente tre mesi dopo il loro arrivo: gli ambasciatori sardi vennero assecondati con promesse indefinite e in seguito congedati. Il viceré, infatti, aveva precedentemente condizionato il governo sostenendo che le proposte riassunte nelle “cinque domande” contrastavano l’autorità piemontese. Il governo piemontese rifiutò quindi di accogliere qualsiasi richiesta in un clima di tale esasperazione la borghesia cittadina con l’aiuto del resto della popolazione scatenò il moto insurrezionale. 58 La scintilla che dette però definitivamente fuoco alle polveri della contestazione nel 1794 fu l’arresto ordinato dal viceré di due capi del partito patriottico, gli avvocati cagliaritani: Vicenzo Cabras ed Efisio Pintor. La popolazione furiosa decise di attaccare la residenza del viceré Balbiano e di cacciare tutti i Piemontesi dall’isola. La Reale Udienza, composta di soli giudici sardi, assunse, secondo il dettato della costituzione di allora, le redini del governo. Fu creata una milizia popolare agli ordini di Vincenzo Sulis, si arrestarono i piemontesi, compreso il viceré, e si tennero in buona custodia in alcuni conventi. Il 7 maggio 1794, tra il tripudio generale, vennero allontanati da Cagliari circa 500 Piemontesi seguiti poi dai loro corregionali di tutta la Sardegna. 28 Aprile 1794, cosa accadde quel giorno… Intorno all’una di pomeriggio di quel giorno, una compagnia di granatieri di reggimento svizzero Schmidt, scende dalla Porta Reale, a Cagliari, dirigendosi verso il quartiere di Stampace. I soldati sono in uniforme di parata e la gente pensa di essere di fronte ad un'esercitazione. Ad un certo punto una parte dei soldati si dispone circondando l’abitazione dell’avvocato Cabras. Viene così ordinato l’arresto, sia di Vincenzo Cabras che del genero, Efiso Pintor, anche lui avvocato, considerati 59 dalle autorità piemontesi di essere due pericolosi rivoluzionari. Insieme all’avvocato Cabras uscì il fratello Bernardo, mentre Efiso riuscì a scappare. Gli abitanti del quartiere di Stampace furono i primi ad accorrere sdegnati contro l’arresto, in quanto profondamente avversi nei confronti del castello abitato da aristocratici nullafacenti e piemontesi boriosi. Si aggiungono, poi, i quartieri di Marina e Villanova. I rivoltosi dei tre borghi si sbarazzarono così delle Porte che impedivano l’unificazione del movimento, e poi puntarono decisi sul castello. Per ordine del viceré e del generale delle armi si cominciò a sparare cannonate contro la popolazione. Anche tra gli abitanti di Castello vi fu chi appoggiò decisamente la rivolta e con coraggio tentò, senza riuscirci, di impadronirsi dei cannoni. I rivoltosi, in una vera battaglia, con morti e feriti, riescono a conquistare il castello con il Palazzo Viceregio, uccidendo nello scontro decisivo il comandante delle guardie e costringendo il viceré e i suoi funzionari a rintanarsi nelle loro stanze per il terrore di essere massacrati. Ma non solo il popolo cagliaritano, anche le elites dirigenti cittadine nutrirono, in quel momento, un’avversione nei confronti dei piemontesi. E il visconte di Flumini, Don Francesco Asquer, a capo di un centinaio di persone, arresta i piemontesi presenti in città. Si giunse comunque ad un accordo col viceré: i Piemontesi avrebbero avuto tutti salva la vita e i beni ma tutti avrebbero abbandonato l’isola al più presto. 60 Tancas serradas a muru Di questo clima di violenze e di sopraffazioni si fece interprete un anonimo poeta (forse Melchiorre Murenu, un povero poeta dialettale cieco, di Macomer, o forse il sacerdote ozierese Gavino Achea) che nell’occasione compose questa quartina rimasta famosa nella tradizione popolare: Tancas serradas a muru (Tanche chiuse a muro/ Fattas a s’affer’afferra. Fatte nel generale arraffa arraffa/ Si su Chelu fid in terra, Se il cielo fosse stato in terra/ L’haiant serradu puru! Avrebbero chiuso pure lui!) 61 L'editto delle chiudende La Sardegna ,nonostante avesse dato la corona ai Savoia, era considerata un dominio, quindi sede di un viceré ed emarginata e lontana economicamente anni luce dal territorio continentale. Ci furono iniziative per migliorare l'agricoltura, ancora estensiva e primordiale, con i signori feudali ed il clero che incameravano il 50% della rendita e possedevano il 90% di proprietà fondiaria, sulla quale il governo non aveva nessuna giurisdizione. Fallirono però tutti i tentativi di riforma, favorendo la piaga del banditismo e del furto del bestiame (abigeato) che lo stato combatteva riempiendo le galere ma non risolvendo il problema; si tentò di ripopolare l'isola, oramai quasi disabitata, con "l'immigrazione forzata" di Corsi, Liguri, Maltesi, ma anche questo tentativo non portò a nessun risultato positivo Nel primo quindicennio del XIX secolo la Sardegna evidenziava una crisi economica caratterizzata dai pochi scambi, carestie e dell’agricoltura arretrata; il governo piemontese decise che era necessario, con un atto legislativo, una riforma della proprietà terriera. Infatti nel 1820 fu applicata la legge chiamata "Editto delle Chiudende" la quale stabiliva il diritto di recintare i terreni non soggetti a servitù di pascolo o di passaggio; quindi i terreni venivano liberati dall’uso collettivo. 62 Si cercava di creare la formazione di una classe di piccoli e medi proprietari terrieri in grado di migliorare la produzione e di opporsi ai signori. Una conseguenza negativa era che i poveri proprietari che non potevano permettersi di recintare vedevano portarsi via i loro campi dai prinzipales i più grossi proprietari terrieri. Si crearono inoltre conflitti insanabili tra contadini e pastori che portarono l'isola a una divisione delle classi povere che si combatterono tra loro, poiché la recinzione dei terreni limitava sempre più gli spazi a disposizione per i pascoli; questo portò a numerose sollevazioni popolari soprattutto nelle zone a prevalente economia derivante dalla pastorizia. Intanto, nel 1821, scoppiarono in Piemonte dei moti per ottenere una nuova costituzione più liberale ed il Re Vittorio Emanuele I, pur di non concedere quanto richiesto dal popolo, abdicò in favore del fratello Carlo Felice, viceré della Sardegna, che lontano da Torino affidò la reggenza a Carlo Alberto, il quale accettò le richieste dei rivoltosi, non riconosciute però dal legittimo sovrano Carlo Felice. Il sovrano chiese aiuto alle potenze europee per ristabilire l'ordine destituendo Carlo Alberto e insediandosi a Torino solo il 19 aprile 1821, dopo che gli alleati sconfissero i liberali piemontesi. 63 Il banditismo sardo Parlare di banditismo in Sardegna significa ricostruire un aspetto importante della sua storia passata, ma anche affrontare un drammatico problema, ancor oggi di attualità, che pone spesso l'isola al centro dell'attenzione della stampa e dell'opinione pubblica nazionale. Quello del banditismo e, più in generale, della criminalità rurale, infatti, non è un fenomeno nuovo. Già nel Medioevo, durante il periodo spagnolo e, soprattutto, durante il dominio sabaudo, le autorità dovettero affrontare questo problema e tentare con diversi mezzi, anche con la repressione militare, di stroncare l'attività delittuosa dei banditi, punirne i delitti, frenare l'azione e limitare gli aiuti che le comunità rurali offrivano loro. Ma furono iniziative che non risolsero il problema, poiché alle radici del banditismo e delle varie forme di criminalità diffuse nelle campagne stavano motivi di ordine economico, sociale e culturale che non potevano essere eliminati con l'intervento militare, con gli arresti, con le condanne penali. E per questo che le ricorrenti campagne di repressione, attuale nei secoli sino ai nostri giorni, non sono riuscite a stroncare definitivamente questo fenomeno, che ha continuato a persistere sotterraneamente, esplodendo talora in episodi particolarmente gravi e dando luogo a un diffuso stato di insicurezza e di sofferenza civile che condiziona pesantemente, ancor oggi e soprattutto in alcune zone dell'isola, l'attività produttiva e l'intera vita comunitaria 64 Si dovrà pensare che nella Sardegna di cent'anni fa fermentassero diffusi impulsi di ribellione, oscuri risentimenti, sotterranei desideri di rivalsa: del resto non ne mancavano i motivi. La figura del bandito veniva idealizzata, veniva visto come il vendicatore d'ogni torto e il depositario di tutte, o quasi tutte le virtù , eccettuate, naturalmente, quelle della mitezza e della clemenza. I torti che il bandito vendicava si identificavano con quelli che in quest'isola ciascuno -chiunque, si vuol dire, non disponesse di ricchezza né di potere- per un verso o per l'altro era costretto a subire. La vendetta, così, diventava atto di giustizia, di generale riparazione, di riscatto collettivo. Ed ecco allora, formarsi l'immagine del bandito coraggioso e spietato però giusto, per di più saggio e, quando se ne presentava l'occasione, coraggioso al punto di gettarsi in un fiume per salvare il carabiniere che nell'inseguimento vi era caduto. Ne nascevano suggestioni alle quali non era facile sottrarsi. Lo stesso Antonio Gramsci ammetteva di aver subito, da ragazzo, il fascino dei banditi Giovanni Tolu e di Francesco Derosas. La violenza e la prepotenza ,esercitate così dai singoli, come dall'autorità non dovevano essere un dato immaginario: la povertà diffusa, aggravata dalla crisi, esponeva i più ai soprusi di coloro i quali detenevano la ricchezza e il potere. I tempi difficili che la Sardegna viveva avevano ristabilito una condizione sostanzialmente feudale, poiché avevano reso più pesanti i vincoli della dipendenza dei più poveri dai più ricchi 65 Secondo una delle idee correnti, il bandito era il povero che si ribellava all'arbitrio dei ricchi e che così ne scardinava il sistema di potere. Fu così, in effetti, in più di un caso. Giovanni Tolu probabilmente il più famoso tra tutti i banditi sardi- si diede alla macchia dopo aver ridotto in fin di vita il parroco del suo paese (Florinas) dal quale, probabilmente non senza motivo, si riteneva perseguitato e che gli impediva di sposare la ragazza che teneva in casa come domestica e che in realtà pare fosse la figlia del pio uomo di chiesa, incline a svaghi non precisamente mistici. Lo spietato 'BERRINA' impose all'intera Dorgali l'assoluta obbedienza ai suoi decreti Un altro di Orune, divenne bandito per aver reagito ad un atto ingiusto: uccise infatti un tale che si era impossessato di un suo capo di bestiame; e fu bandito di ferocia senza limiti, che dopo aver ucciso un suo nemico, non esitò a squartarne e decapitarne il cadavere per farne rotolare la testa ai piedi del padre. Ma non sempre il bandito era il povero che si ribellava alla prepotenza dei ricchi. Poteva anche accadere, e in effetti accadde in più di un caso, che tra latitanti e possidenti si instaurasse un rapporto di alleanza e di mutuo sostegno largamente vantaggioso per entrambe le parti: il bandito diventava, se si può dire così, il braccio armato del possidente, ne tutelava gli interessi e i beni, ne scoraggiava i nemici e in cambio ne aveva la protezione che a chi vive alla macchia è sempre necessaria. 66 E certo che il fenomeno del banditismo non poteva essere fatto risalire a un modo di amministrare la giustizia ben lontano dall'essere assolutamente limpido. Ma è altrettanto sicuro che i vizio dell'apparato giudiziario, che non erano pochi né tutti lievissimi, non incoraggiavano alla fiducia; così a darsi alla latitanza poteva essere non solo il colpevole, ma anche l'innocente che colpito da un'accusa ingiusta, sapeva di aver ben poche possibilità di scagionarsi. 67 Il Fascismo In Sardegna Nel 1915 l’Italia e la Sardegna iniziarono ad entrare a contatto con la prima guerra mondiale,(evento straordinario, dove l’Italia non era in ottime condizioni) pur avendo diversi problemi, ma offrirono comunque il loro meglio come vite umane, mezzi etc. La Sardegna non essendo molto grande era arruolata quasi tutta in un unico gruppo molto famoso e conosciuto chiamato “Brigata Sassari” che durante la guerra fece diverse imprese. La Sardegna essendo paesaggio rurale non poteva essere formata da soldati commercianti, imprenditori etc, ma da contadini che erano numerosi e ancor più numerosi erano i pastori che si trovavano per lo più nell’entroterra (la Barbagia). La guerra portava una situazione che andava sempre più regredendo, questo soprattutto a livello economico. Il sogno di una Sardegna autonoma si interrompe il 28 ottobre 1922, quando il fascismo prende il potere con il colpo di stato riconosciuto come “La marcia su Roma”. Sino a quel momento il fascismo in Sardegna non esisteva. Con l’ascesa al governo di Mussolini, le squadre fasciste si moltiplicarono e la loro azione violenta si fece più intensa, 68 con scontri e spedizioni punitive contro avversari socialisti, popolari e sardisti. Con le leggi “fascistissime”, volute da Mussolini per abbattere le opposizioni, scomparvero tutti i partiti e con loro le libertà politiche e civili. Ci furono bonifiche e la creazione di nuovi centri, soprattutto Terralba (dopo già nel dopoguerra la società bonifiche sarde aveva iniziato ad operare su una superficie di oltre 10.000 ettari), la Nurra dove nacque Fertilia ( dopo il 1930, operò l’Ente di colonizzazione Ferrarese, impegnando una superficie di oltre 12.000 ettari) e Sanluri (dove l’opera nazionale combattenti trasformò circa 2350 ettari). Nel 1927 venne creata la provincia di Nuoro, con l’obbiettivo di dare un centro di direzione politico amministrativo alle zone interne. A Terralba fu costruita, Mussolina, oggi Arborea, nell’Oristanese, attuati durante il fascismo, ma nonostante ciò il mondo rurale Sardo si trovò nella condizioni iniziali. La Sardegna si ritrovò ancora con 325 centri abitati su 352 senza fognature, 440.000 abitanti su 1.100.000 circa senz’acqua corrente in casa, 175 comuni su 334 e 163 frazioni su 189 senza caseggiato scolastico, 145 centri (fra i quali 77 comuni) senza energia elettrica, la composizione della popolazione attiva uguale a quella del 1910, il reddito medio tra i più bassi d’Italia. Dopo il decennio 1922-32, quando era sembrato che il regime fosse in grado di cogliere esigenze fondamentali dell’isola e di avviarle a soluzione di politica portata avanti negli anni 33-43 aveva in realtà sacrificato la Sardegna agli obbiettivi nazionali. Nel settore industriale si registrò un iniziativa rilevante, legata soprattutto all’industria estrattiva, la valorizzazione del bacino di Sulcis (dove nel 69 1938 fu fondata Carbonia, una delle città nuove del Fascismo), si collocarono in un piano di potenziamento delle risorse nazionali seppure rimasero evidenti i segni di arretratezza del settore come, la scarsa presenza di capitale sardo nelle imprese, la parziale lavorazione minerale in sede regionale con conseguente esportazione di questo fuori dall’isola; Occorre dire comunque che l’industria estrattiva ridusse un aumento sensibile dell’occupazione, la formazione di una classe operaia specializzata. Carbonia fu inaugurata alla fine del 1938; per costruirla si impiegò solo un anno, e fu molto importante nella produzione di carbone per il quale Mussolini annunciò un impegno straordinario. Nel 1938 Carbonia contò 8.000 abitanti che crebbero sino a diventare 40.000 nel 1944. Venne definita la <<città nuova>>, così si caratterizzò per una rigida divisione gerarchica degli spazi, che mentre assegnava a dirigenti e impiegati le zone vicino alla piazza centrale, distribuì le case dei minatori in aree sempre più lontane dal centro. Questa piazza progettata per accogliere 40.000 persone, e destinata alle “adunate oceaniche” che sono poi l’unica forma prevista di partecipazione civile. La massiccia propaganda attuata dal regime per unificare la nazione sotto il profilo culturale 70 funzionò, in Sardegna, solo in parte: le culture locali non furono soffocate, così come la lingua sarda, i costumi e gli usi tradizionali, che il fascismo avrebbe voluto abolire. L’organizzazione fascista dello stato fu accolta con indifferenza dal mondo sardo, che espresse un consenso molto limitato al regime: soltanto la borghesia ed il mondo urbano espressero nell’isola un adesione ampia. Anche la Sardegna in ogni modo sperimentò le conseguenze della politica totalitaria del regime: controllo sulla stampa, sulla scuola e su ogni manifestazione della vita pubblica. Ogni opposizione era soffocata con arresti e condanne al confino. Cagliari ma anche Sassari fecero registrare una vera e propria impennata demografica: la prima passando dai 61.400 abitanti del 1921 ai 100.620 del 1936, la seconda dai 44.150 del 1921 ai 51.700 del 1931. La crisi del 1929 in Sardegna ebbe conseguenze devastanti; Nel Campidano orientale di Cagliari un lungo ciclo favorevole della produzione vinicola portò a diffusi investimenti col conseguente indebitamento di centinaia di viticoltori. Nel settore minerario la crisi andò ulteriormente aggravandosi a partire dal 1930, con conseguenze gravi sui livelli di occupazione di fronte alla generale caduta dei prezzi dei minerali, la soluzione adottata dalle società fu quella di licenziare in alcuni posti e licenziare. 71 L’antifascismo in Sardegna Non è semplice ricostruire l’antifascismo in Sardegna poiché non ci sono molte testimonianze scritte al di fuori di verbali della polizia o di deposizioni in tribunale, che risultano parzialmente schierate dalla parte del fascismo nonostante la precisione con la quale venivano redatti. A questo problema si aggiunga anche la carenza, o meglio l’insufficienza, della documentazione del tempo; infatti degli archivi di Stato esistenti in Sardegna, solo quello di Nuoro ha mantenuto tutti, o quasi, i documenti relativi al periodo fascista. L’antifascismo sardo pone gli stessi quesiti che offre lo stesso antifascismo italiano, ovvero: -Quale fu la reale dimensione dell’antifascismo? -Quali furono i motivi e i contenuti dell’opposizione al fascismo? -Quali furono le zone geografiche e i gruppi sociali con un tasso più alto di opposizione al regime? -Nel ventennio di regime totalitario quali furono i momenti di maggiore opposizione al fascismo? Ma a questa serie di domande si può aggiungere qualche quesito riguardante più precisamente la condizione regionale; infatti, come molte regioni del Mezzogiorno, la 72 Sardegna mostrava alcune forme di “sovversivismo” istintivo che si rivoltava da sempre contro le dittature. La reale dimensione del fascismo sardo è difficile da definire, ma vi fu. Esistette di fatto un diffuso atteggiamento di indifferenza nei confronti di questi regimi totalitari. Fu così anche per il fascismo il quale si appoggiava su un’organizzazione spettacolare, che aveva bisogno di masse da inquadrare per incidere realmente sulla volontà del popolo; di conseguenza a questo fatto il fascismo trovò molte difficoltà ad entrare in un ambiente così piccolo e diviso come quello della campagna sarda. Anche nel momento di maggior “consenso” verso il fascismo esistette un atteggiamento di distacco, se non di ostilità, soprattutto in gruppi borghesi, i quali avevano già provato esperienze politiche nei movimenti democratici. Esistette pure una piccola rete di opposizione organizzata, sia di tipo spontaneo(seguendo l’onda delle tradizioni locali specifiche come nella zona mineraria),sia con l’appoggio di qualche collegamento con l’estero (come per il Partito Comunista d’Italia e per i gruppi sardisti legati dall’azione e dal carisma di Emilio Lussu). I motivi e i contenuti dell’opposizione sono da ritrovare in principio nella tradizione di antagonismo nei confronti dello Stato centralizzato e “continentale”, di cui il fascismo offriva una versione particolarmente rigida e autoritaria. L’antifascismo in Sardegna viene considerato il prolungamento di questo antagonismo, scatenato anche dal malessere che colpì economicamente tutti i ceti di lavoratori legati alla terra i quali non riuscivano più a 73 sopportare un carico fiscale troppo elevato. Vi è poi la mancanza di una storia del “consenso” che il fascismo ebbe nella metà degli Anni Trenta presso il ceto medio delle città e delle campagne. Le zone geografiche e i gruppi sociali che espressero un più alto potenziale di resistenza e di non-conciliazione verso il fascismo furono sicuramente il Sulcis-Iglesiente e di conseguenza la classe operaia che, dopo la nascita di Carbonia, fu rinforzata numericamente; essa conservò una tradizione sindacale, che il fascismo stesso inizialmente assecondò in quanto politicamente utile, e una memoria di comportamenti singoli o collettivi sentiti come espressione della coscienza di classe. Al di fuori di questa zona, la quale presenta molte manifestazioni antifasciste, anche la classe operaia della città (soprattutto di Cagliari) diede vita ad alcuni gruppi di oppositori irriducibili. Cosi come accadde in gruppi borghesi delle tre maggiori città, i quali però furono trattati decisamente meglio rispetto alla classe operaia, come sembrano evidenziare i documenti dell’epoca; non vi è stata infatti una forte repressione violenta come contro la classe operaia e questo dimostra che vi era una scelta di classe contro la quale scagliarsi: questa era ovviamente il proletariato operaio e i ceti subalterni delle campagne. Proprio dal mondo rurale emergono singole, ma numerose, personalità di oppositori magari non proprio consapevoli della loro indole antifascista ma comunque fermi nel rifiuto dell’istituzione fascista. 74 I momenti di maggiore e densa aggregazione antifascista furono dall’entrata in vigore della uota Novanta(31 dicembre 1927, parità con la sterlina a 92.46 lire) al 1931/1932, e poi nel quinquennio che inizia dall’intervento in Africa; nel primo periodo esistette una opposizione generalizzata e diffusa, collegata praticamente alle condizioni pietose del mondo rurale e al notevole peso fiscale al quale il proletariato era sottoposto; nel secondo periodo invece le manifestazioni legate alla questione economica svanirono forse anche per le numerose opere di bonifica attuate intelligentemente dal fascismo, in questo modo le manifestazioni assunsero più radicalmente un carattere politico. Questo antitotalitarismo che aveva da sempre caratterizzato il modo di pensare dei sardi, negli anni del fascismo conobbe un suo prolungamento che tende a radicalizzarsi con l’aumento della presenza fascista nell’isola. In questo fenomeno Lussu individuava, seppur attribuendole una consapevolezza che non possedeva, una vera e propria carica rivoluzionaria in senso antifascista. Questa carica rivoluzionaria faceva capo soprattutto al mondo rurale e restava legato a quell’odio contro lo Stato con cui la propaganda trovò un difficile terreno di confronto e conversione (seppur bisogna dire che il fascismo fu molto furbo nell’individuare questi temi e utilizzarli razionalmente). Questa coscienza antifascista restava unita dallo spirito delle popolazioni agro-pastorali nelle quali il fatto di essere del paese aveva la meglio su qualsiasi altro fatto. Spesso questa coscienza dava libero sfogo alla maggiore 75 forza organizzativa dei partiti di sinistra tra cui il Partito Sardo d’Azione. Tra i più grandi protagonisti di questo antifascismo sardo possiamo trovare personaggi come Giovanni Agostino Chironi (da ferroviere a tipografo per il Partito Comunista d’Italia), Andrea Lentini (un sindacalista tra lotte per le miniere e repressioni fasciste), Francesco Fancello (un socialista contadino), Francesco Doranti (un sacerdote che si oppose al fascismo). Possiamo concludere che l’antifascismo in Sardegna è esistito più che altro come forma di coscienza etnica regionale e come forma di ribellione contro le condizioni al quale il fascismo sottoponeva la classe proletaria sarda 76 Storia della Sardegna regione autonoma L’unificazione dell’Italia del 1861 non attenuò il malessere dell’isola. Nel 1865 l’abolizione dei diritti sui terreni divenuti proprietà privata, provocò un ondata di moti popolari. Questi suscitarono i richiami dei deputati sardi e l’istituzione di commissioni parlamentari d’inchiesta che non portarono alcun effetto. Il decennio 1870-1880 segnò nell’isola dei progressi, con la ripresa dell’agricoltura e dell’allevamento, la costituzione di linee ferroviarie, il potenziamento dei collegamenti marittimi e la creazione di istituti bancari. Ma gli avvenimenti internazionali ben presto determinarono il tracollo dell’olivicoltura, viticoltura e allevamento sardi. Tra 1887-1891 fallirono anche le banche, portando alla rovina piccoli produttori agricoli e piccoli risparmiatori. Analfabetismo, povertà, disoccupazione, emigrazione, spopolamento delle campagne e banditismo costituivano il drammatico quadro dell’isola di fine secolo, nel quale tuttavia, non mancarono di affermarsi punte altissime di cultura e di impegno autonomistico. Nel 1897 diveniva Ministro dell’Agricoltura il cagliaritano Francesco Cocco Ortu, al quale si devono leggi speciali in campo rurale. Queste leggi ebbero grande influenza nell’isola, contribuendo 77 all’affermazione di un’intraprendente borghesia commerciale urbana. Con la prima guerra mondiale, la società regionale visse la prima significativa esperienza di integrazione nel contesto nazionale. La Brigata Sassari, della quale fu figura carismatica il capitano Emilio Lussu, offri sul fronte austriaco uno straordinario contributo di valore e vite umane. Questa esperienza determinò nei reduci una maturazione umana e civile ed una riscoperta dell’identità regionale che diede origine nel dopoguerra al movimento autonomistico e alla fondazione, nell’ aprile 1921, del partito Sardo d’Azione. Il nuovo partito riusciva, nel maggio dell’anno stesso, ad eleggere 4 deputati, divenendo la seconda forza politica della Sardegna. Il governo fascista spense ogni aspirazione autonomistica e, pur intervenendo in alcuni settori, e modificò le condizioni generali dell’isola. Furono realizzate alcune imprese di bonifica, la più significativa Mussolina (Arborea) e nell’ambito della politica autarchica, ossia della produzione 78 nazionale, ottenuta contro lo sfruttamento di risorse interne, fu dato grande impulso allo sfruttamento minerario, in particolare delle miniere di carbone, con la fondazione della nuova città di Carbonia (1938). Con la seconda guerra mondiale, la Sardegna, destinata dal governo ad essere la base delle operazioni aeree del Mediterraneo, fu ripetutamente bombardata dalle forze alleate: in particolare Cagliari, che conobbe gli attacchi più devastanti nel 1943 e che fù distrutto per il 75%. Dopo l’ armistizio del 8 Settembre, le truppe tedesche si ritirarono dall’ isola che venne occupata dalle forze alleate. Riprendeva la vita politica, con il rientro degli antifascisti. Il 27 Gennaio 1944, l’ istituzione di un Alto commissariato per la Sardegna, Alto commissariato il generale Pietro Pinna., avviava il percorso verso l’ approvazione dello Statuto Speciale (legge costituzionale 26 febbraio 1848 n°3) e la nascita della Regione Autonoma Della Sardegna ( 8 Maggio 1949, elezione del primo Consiglio Regionale). La Regione Autonoma Della Sardegna nacque dunque, come organo di governo dei sardi l’ 8 Maggio del 1949, quando fù eletto il primo consiglio regionale, a conclusione di un percorso che determinò la “specialità” del suo Statuto. Tale percorso conobbe significativi passaggi, il primo dei quali fù l’ istituzione, con RDL n°21 del 27 Gennaio 1944 di un Alto Commissariato che sovrintendeva alle amministrazioni statali, civili e 79 militari dell’ isola. La carica di un Alto Commissariato fù attribuito al generale Pietro Pinna. Il 29 Aprile del 1947, la consulta votò e approvò un progetto di statuto che venne inviato per l’ esame al Presidente dell’ Assemblea Costituente. Nel Settembre dello stesso anno la SottoCommissione per il coordinamento degli statuti speciali iniziò l’ esame dello Statuto Sardo, che fu emanato con Legge Costituzionale n°3 del 26 Febbraio 1948 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 9 Marzo. Lo Statuto Sardo è stato di recente modificato con le leggi costituzionali n°2 del 31 Gennaio 2001 e il n°3 del 18 Ottobre 2001. La prima legge consente alle regioni a statuto speciale di organizzarsi sul modello già previsto per le regioni a statuto ordinario, con una forte connotazione presidenziale. La seconda modifica il titolo V della costituzione e riguarda sopratutto il decentramento di funzioni della regione agli enti locali, con la ripartizione delle competenze tra Stato, regione, sistema delle autonomie locali. Sullo Statuto speciale sono fondati l’ ordinamento interno e l’ autonomia della Regione Sarda, costituita dall’ organo legislativo ( consiglio regionale ) e degli organi esecutivi (Giunta Ragionale, Presidente Della Regione), che durano in carica 5anni. La seduta inaugurale del consiglio regionale ebbe luogo il 28 Maggio del 1949. Il 31 Maggio l’avvocato Anselmo Contu fu eletto suo Presidente. L’Assemblea era composta da 60 consiglieri, successivamente portati ad 80 ed eletti a suffragio universale . 80 Il Presidente della Regione è a capo dell’Esecutivo e rappresenta la Regione Sarda. Il primo Presidente della regione fu l’avvocato Luigi Caspellani, che fu eletto dal Consiglio Regionale il 25 Giugno 1949 e che fu a capo di una Giunta composta da 8 assessori. Il numero degli assessorati è stato successivamente ampliato. Il popolo Sardo ha eletto, dal 1949 ad oggi, i membri di tredici consigli regionali, che hanno dato luogo alla formazione di quarantacinque giunte. 81 82 Questo lavoro è stato realizzato da noi alunni delle classi 3^a e 4^a Mercurio nell’anno scolastico 2006/2007 con l’obbiettivo di conoscere sempre meglio la storia dei nostri paesi e della nostra isola. Per la realizzazione di questo progetto siamo stati impegnati sia durante le ore curriculari di Storia sia individualmente e in ore pomeridiane con l’aiuto della prof.ssa Antonella Franceschi e dell’assistente tecnico Pietro Masala. Abbiamo utilizzato diversi strumenti quali: fotocamera, PC, Internet e video. La stampa dell’opuscolo è stata realizzata in orario pomeridiano da noi stessi alunni. 83 Classe 3’A mercurio Anedda Valentina Carzedda Marcello il più bello Casta Cristiana Casu Andrea Crobu Mirko Di Blasi Roberta Esposito Luca Fais Jacopo Manca Ivan Orpianesi Stefano Pinna Luca Poddesu Giulia Porcu Stefano Salaris Irene Soddu Enrico Stara Giacomo Ullasci Francesco Vidili Chiara 84 Classe 4^A Mercurio.. Pili Andrea Piras Laura Foddis Maurizio Zuddas Ilenia Meloni Francesca Miscali Francesca Carta Gianluca Frau Mattia Galbraith Robert Gaudiello Marco Madeddu Andrea Garau Davide Manca Manuel Petucco Gabriele Sanna Stefano Serra Gianluca Boassa Matteo Simbula Martina Boschetto Roberto 85