1
Questo lavoro, realizzato dagli alunni della terza e
quarta A mercurio dell’ITC “L:Mossa” di Oristano,
non ha alcuna pretesa di opera d’arte.
E’ solo il prodotto conclusivo di un’attività svolta
nel corso dell’a.s. 2006/2007 e
che ha visto
impegnati gli alunni delle due classi per diversi
mesi.
L’obiettivo principale era quello di far conoscere
agli alunni la storia della nostra isola e soprattutto
della nostra provincia attraverso attività che non
fossero strettamente manualistiche e teoriche.
Proprio per questo gli alunni della terza sono stati
invitati a percorrere le vie del proprio paese alla
ricerca delle vie dedicate a personaggi o eventi
della Sardegna.
Gli stessi alunni, poi, hanno effettuato ricerche su
quei personaggi e hanno confrontato le notizie,
nonché la presenza della stessa via o piazza in
diversi paesi. Per qualche personaggio i ragazzi si
sono improvvisati giornalisti intervistando parenti o
chiedendo notizie a persone che ancora ricordano
eventi o personaggi.
2
I ragazzi hanno poi rielaborato i lavori.
Spesso è stato necessario approfondire eventi o
avvenimenti del passato in cui i nostri personaggi
sono stati protagonisti.
Questi approfondimenti sono stati realizzati dagli
alunni della quarta che hanno svolto un lavoro di
ricerca sulla Sardegna partendo dal tempo dei
giudicati sino ad oggi.
Ne è emerso un lavoro interessante e diverso che
è stato raccolto e stampato come segno
dell’impegno e della possibilità di fare storia
partendo dalla nostra storia locale e perché no? a
spasso tra le vie del nostro paese
3
4
Amsicora
Amsicora un latifondista sardo punico di Cornus e visse
circa nel terzo secolo avanti Cristo.
La storia di Amsicora si svolse durante la seconda guerra
punica quando i romani, per far fronte alle spese che
dovettero affrontare durante il conflitto con Annibale,
decisero di attuare in Sardegna una politica fiscale
imponendo tributi tasse insostenibili.
Fu proprio per questo che i sardi decisero di ribellarsi
alleandosi con Cartagine che inviò sull’isola uno dei suoi
uomini più valorosi: Asdrubale.
I romani come contromossa decisero invece di inviare in
Sardegna il generale Tito Manila Torquato.
La rivolta ebbe luogo nella pianura del basso Tirso dove
erano presenti tanti ricchi proprietari terrieri che,
temendo di perdere tutto per via di questa politica
attuata dai romani, si ribellarono capeggiati da Amsicora.
Si narra che il primo conflitto ebbe luogo in assenza di
Amsicora, e a prendere il suo posto fu il figlio Josto che
imprudentemente decise di sfidare Tito Manilo ma senza
ma senza un buon esito, perché venne sconfitto. Mentre
Tito si recava a Carales le forze armate di Amsicora e
Asdrubale si riunirono e partirono all’ attacco ma anche
stavolta perdendo il conflitto dove mori Josto e fu
catturato Asdrubale.
Nella notte seguente Amsicora, sconvolto dalla morte del
figlio, si tolse la vita.
5
Eleonora d’Arborea
Eleonora d’Arborea nacque probabilmente in Catalogna
intorno al 1340 da Mariano IV
giudice di Arborea. Eleonora
visse i primi anni della
giovinezza
ad
Oristano.
Quando nel 1347 morì il
giudice Pietro III di Arborea
un’assemblea di notai, prelati,
funzionari della città e dei
villaggi elesse giudice il padre
di Eleonora, Mariano IV, che
resse il giudicato dal 1347 al
1376.
Eleonora, prima del 1376,
sposò
il
quarantenne
Brancaleone
Doria,
del
celebre casato genovese. Il suo matrimonio fu l’inizio
dell’alleanza tra gli Arborea e i Doria.
Dopo le nozze abitò a Castelgenovese (l’attuale
Castelsardo) dove nacquero i figli Federico e Mariano.
Nel marzo del 1383 Eleonora poté dimostrare per la prima
volta le sue doti politiche e il suo coraggio, quando suo
fratello, il giudice d’Arborea, Ugone III, con l’unica figlia
Benedetta, caddero vittime di una rivolta popolare.
In seguito a questi avvenimenti Eleonora scrisse al re una
relazione sulle condizioni della Sardegna e chiese di
riconoscere proprio figlio Federico come legittimo
successore di Ugone.
6
Inviò suo marito Brancaleone a trattare direttamente col
re. Brancaleone fu trattenuto col pretesto di farlo
rientrare in Sardegna appena una flotta fosse stata
allestita, ma effettivamente era diventato un vero e
proprio ostaggio.
Quindi venne chiamato a regnare Federico Doria che in
quel periodo era poco più che decenne e perciò, secondo le
consuetudini del giudicato d’Arborea, troppo giovane per
assumere la pienezza dei poteri. Venne deciso di porre alla
guida del giudicato in sua vece sua madre Eleonora, allora
quarantenne.
Si dimostrò dotata di straordinaria abilità politica e di
grande forza d’animo, punendo con fermezza gli uccisori
del fratello e stroncando sul nascere un movimento di
ribellione.
Eleonora si mosse per liberare suo marito Brancaleone che
fu liberato nel 1390, in seguito alla pace di Sanluri,
stipulata nel 1388, tra la giudicessa e il sovrano Catalanoaragonese.
Questa pace fu causa di grave malcontento presso le
popolazioni sarde, poiché tutte le terre conquistate
precedentemente e legate da giuramento di fedeltà al
giudicato d’Arborea tornarono, nelle mani del sovrano
iberico. Nel 1391 gli arborensi guidati da Eleonora
partirono alla riscossa riuscendo a conquistare una buona
parte di territori.
Eleonora nel 1392 riordinò la Carta de Logu, una
raccolta di leggi.
Nel proemio Eleonora dichiara di aver ripreso e arricchito
la Carta de Logu di suo padre; questo documento rivela
7
anche la volontà della giudicessa di collocare le antiche
tradizioni del suo popolo nella cornice di uno stato di
diritto.
Eleonora dopo tutti i suoi sforzi e la sua buona volontà
vide crollare il suo progetto a causa della peste che
decimò la popolazione e consegnò senza combattere la
Sardegna agli aragonesi.
Anche Eleonora cadde nelle mani della peste e nel 1402
morì.
La Carta de Logu di Eleonora restò in uso anche dopo la
sua morte più precisamente fino al 1827.
Questo testimonia l’importanza di tutto ciò che fece
Eleonora per la Sardegna.
8
Leonardo Alagon
Leonardo De Alagon fu l’ultimo dei quattro marchesi che
governarono il marchesato di Oristano e conte di Goceano.
A questo personaggio è stato intestato il nome di una via
per aver opposto resistenza alla tirannia con la quale gli
Aragonesi governavano il
popolo oristanese.
Leonardo De Alagon nacque
nel 1436, discendente da una
delle più potenti famiglie
feudatarie,
trasferendosi
con la sua famiglia dall’Italia
in Sardegna nel giudicato
d’Arborea
suoi
genitori
decisero di farlo crescere
alla dipendenze della corte
aragonese combattendo per
gli
stessi
aragonesi
e
sposando all’età di 21 anni
una donna spagnola di stirpe
nobile.
De Alagon ottenne il titolo di marchese e il marchesato
tramite ereditarietà da parte dello zio nel 1470. questo
fatto provocò l’invidia del viceré aragonese che governava
il giudicato d’Arborea .
Il governatore volle che quel marchesato entrasse a far
parte dei territori della Corona così da poterli governare
lui stesso e decise quindi di attaccare il neo- marchese
che rifiutò di cedere i suoi beni alla Corona aragonese.
9
Il marchese aveva dalla sua parte il popolo e organizzò un
esercito di Oristanesi decisi a conquistare l’indipendenza
della Sardegna. De Alagon e il suo esercito vinsero la
battaglia e la Corona d’Aragona dovette riconoscerlo il
legittimo marchese di Oristano. Il viceré però non si
arrese e quattro anni dopo convinse il re d’Aragona ad
attaccare il marchese.
Il popolo aragonese tornò in guerra e questa volta ebbe la
meglio, sequestrò tutti i beni dell’ormai ex-marchese e lo
fece arrestare.
Leonardo De Alagon morì nel 1494 prigioniero degli
Aragonesi.
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Domenico Alberto Azuni
Domenico Alberto Azuni nacque a Sassari nel 1749 da una
famiglia medio borghese.
Si laureò in leggi
nel 1772 e dopo 2
anni partì a Torino
dove
divenne
pubblico
funzionario
dell’ufficio generale
delle regie finanze.
Inviato a Nizza ebbe modo di dimostrare le proprie
competenze e iniziò a pubblicare il dizionario universale di
giurisprudenza mercantile.
I riconoscimenti non tardarono ad arrivare; Vittorio
Amedeo III gli conferì il titolo e i privilegi di senatore nel
1789, e lo incaricò di redigere il codice della marina
mercantile degli stati Sardi.
Occupata Nizza dai Francesi, lo studioso fu costretto a
vagare per alcune città italiane tra invidie e gelosie per la
sua rapida e strepitosa carriera.
Chiese di rientrare in Sardegna con un impiego ufficiale,
ma gli venne negato.
Nonostante le difficoltà, Azuni continuò a studiare e
pubblicò nel 1796 Il sistema universale dei principi del
diritto marittimo d’Europa,
opera che gli valse la
cittadinanza di Pisa e l’incarico da parte di Napoleone di
scrivere il nuovo codice marittimo e commerciale
Francese. Intorno al 1800 ebbe modo di dedicare alcune
11
opere geografiche e politiche alla Sardegna che sempre
amò.
Con la caduta di Napoleone perse ogni incarico ma grazie
all’intervento di alcune persone vicine a Vittorio Emanuele
I, fu nominato giudice del supremo magistrato di Cagliari,
fin quando nel 1820 entrò in pensione e qualche anno dopo
divenne presidente della biblioteca universitaria di
Cagliari, fino al 1827 quando morì.
12
Gian Maria Angioy
Nato a Bono il 1751 fu giudice della Reale Udienza e
professore di diritto civile nell’ università di Cagliari.
Magistrato di grande prestigio e popolarità che, a partire
dal 1795, rappresentò il punto di riferimento della
borghesia cagliaritana più avanzata. Nel 1793 partecipò
alla resistenza dei sardi contro i francesi quando questi
avevano bombardato Cagliari
e tentato un approdo sull’
isola.
Grazie
a
questa
resistenza Angioy si guadagnò
una grande popolarità dal re
Vittorio
Amedeo
e
dal
governo. Un anno dopo, però,
il popolo cagliaritano si ribellò
con i Savoia perché voleva più
autonomia e Angioy si schierò
con il popolo opponendosi al
regime feudale e accattivandosi anche il favore delle
popolazioni rurali. Mandato come vicario per riportare
ordine nella città di Sassari attraversò tutta l’isola tra le
acclamazioni delle popolazioni. La sua avventura politica fu
comunque breve perché nel 1796 fu sconfitto e costretto
all’esilio in Francia.
13
Ignazio Porcu
Nacque a Ghilarza nel 1784. Ignazio Porcu era sposato ma
non potendo avere figli, adottava i bambini poveri di
Ghilarza. Fondò una congregazione di carità e la nominò
erede del suo importante e cospicuo patrimonio. Questa
congregazione, annualmente, doveva dare parte di questa
somma di denaro ai poveri. Ignazio era un uomo molto
generoso e per questo era molto amato dai cittadini di
Ghilarza. Morì il 26 Marzo del 1862 all’età di 78 anni.
Nel 1905 fu commemorato con una lapide, posizionata nella
parte sinistra della cappella del cimitero. I ghilarzesi lo
ricordano, anche con una via detta:” Notaio Ignazio PorcuCorrias
O ”Via del benefattore”; e con un vico detto : ”Vico della
carità”; luogo dove era solito distribuire cibo ai poveri.
14
Alberto Lamarmora
Alberto Lamarmora nacque a Torino nel 1789, da una
famiglia aristocratica. Fece l’accademia militare di SaintCyr, dove ne uscì con il grado di sottotenente; amava
l’esercito ma la Sardegna conquistò il cuore ben presto.
Nel 1821, sospettato di liberalismo, venne sospeso dal
servizio e trasferito in Sardegna e da lì iniziò il suo
interesse verso l’isola che durò per ben 18 anni.
Rientrò in servizio con la caduta del trono di Carlo
Alberto, fu nominato generale e nel 1849 fu inviato in
Sardegna come commissario straordinario, con un esercito
militare; questa mossa gli costò le antipatie degli
intellettuali dell’isola di quel tempo.
Ma questo non bastò a diminuire il suo interesse
scientifico e politico della Sardegna, che lo portò alla
pubblicazione di due opere divenute famose, La carta
dell’isola e del regno di Sardegna e i 3 volumi del Viaggio in
Sardegna.
Attraverso queste opere, Alberto voleva far conoscere
l’isola a chiunque, ma non mancarono ragioni politiche visto
che i Piemontesi avevono necessità di conoscere la terra
Sarda in quanto faceva parte del loro regno.
Nel 1855 Cagliari gli conferì la cittadinanza Sarda e gli
dedicò un busto di marmo; a lui fu anche intitolata la punta
più alta del Gennargentu. Morì a Torino nel 1863.
15
Arcivescovo Antonio Sotgiu
Antonio Sotgiu nacque a Ghilarza nel 1803. Studiò da uno
zio materno presso la cattedrale di Oristano e poi a
Cagliari dove a 20 anni si laureò in filosofia e diritto.
Dopo aver finito gli studi tornò dai genitori che nel
frattempo si erano trasferiti a Corbello per amministrare
i beni ereditati dalla zia materna e continuare il culto di
“nostra signora della mercede” alla quale era dedicata una
piccola chiesa in campagna di proprietà della famiglia.
Tutta questa devozione influenzò Antonio che stava
decidendo del suo futuro tanto che nel 1826 divenne
sacerdote. Per la preparazione e la dedizione del suo
lavoro nel 1845 divenne preside del seminario di Oristano,
nel 1857 deputato al Parlamento e nel 1871 nominato
Arcivescovo di Oristano con grande gioia del popolo.
Le sue opere si basavano sull’aiuto ai bisognosi, infatti i
poveri della città e dei paesi vicini accorrevano per poter
usufruire della sua bontà.
Anche l’educazione dei giovani gli stava a cuore e cercò di
coinvolgere il più possibile i ragazzi nello studio. Con loro
fu affettuoso e severo, un insegnante e un esempio. Istituì
una casa-scuola nella quale i costi erano ridottissimi per gli
studenti più poveri ; in essa accoglieva i ragazzi più portati
per lo studio e che avessero buona volontà e se qualcuno
non aveva alcuna possibilità provvedeva lui stesso.
L’arcivescovo aveva nel cuore il suo paese natale e nella sua
prima visita pastorale a Ghilarza, constatato che la
parrocchia aveva bisogno di un restauro, dopo averne
parlato col parroco e le autorità del paese, riuscì a far
16
partire i lavori nel 1873 e la parrocchia fu consacrata nel
1877.
Carità e umiltà , così si può descrivere il suo operato; non
parlava mai di sé, non faceva mai pesare l’importanza delle
sue cariche. Per questo uomo che morì per un male fisico
alle gambe nel 1878 ci resta solo il ricordo e una lapide: “
Antonio Sotgiu, nato il 5 dicembre 1803 e morto in
Oristano il 5 aprile 1878 del quale è rimasto nel tempo il
ricordo della sua carità, umiltà e pietà che avevano
caratterizzato la sua vita di uomo e di religioso.”
17
Salvator Angelo De Castro
Salvator Angelo De Castro era un intellettuale, canonico e
politico.
Gli è stata intestata una via per quello che ha fatto per la
Sardegna.
Nacque ad Oristano nel 1817. studiò sia a Oristano che a
Sassari e a Cagliari laureandosi a soli 20 anni in diritto.
Nel mentre che si laureò si sviluppò la sua carriera da
intellettuale avvicinandosi ai grandi scrittori europei suoi
contemporanei.
Nel 1839 divenne sacerdote e fu inserito alla facoltà
giuridiche di Cagliari. Nel 1843 ebbe la docenza di diritto
canonico ed insieme ad altri intellettuali fondò la rivista
scientifica letteraria e politica chiamata la Meteora.
Fu la rivista più importante sarda creata con la
collaborazione di illustri persone come Gioberti, Leopardi,
Byron e Hugo.
Questa rivista andava contro il governo dei Savoia, e non
era da tutti mettersi contro i Savoia. Salvator Angelo De
Castro era per una Sardegna libera e indipendente da ogni
governo.
Finita la carriera di docente canonico entrò in politica
come deputato.
Fu sempre contro le idee del governo ma fu dalla parte
della chiesa.
Nel 1855 cambiò strada e divenne provveditore agli studi
di Oristano e poi preside del liceo di Cagliari e poi
provveditore agli studi di Sassari.
18
Nei periodi in cui non era impegnato in politica si dava alla
ricerca letteraria spinto dal suo patriottismo sardo che lo
portò come altri a credere dell’autenticità”Corte
d’Arborea ” e a non rassegnarsi e a non perdere la
speranza di una Sardegna libera
Salvator Angelo De Castro mori’ ad Oristano nel 1880.
19
Conte Dottore Pietro Nieddu
FONDATORE DELLA SOCIETA’ S.O.M.S
L’avvocato Conte Pietro Nieddu nacque il 26 Giugno 1823 a
Cagliari, battezzato il 27 giugno 1823 nella Parrocchia di
S. Cecilia.
Pietro Nieddu, nobile magistrato,filantropo visse in
Oristano attorno alla metà del
secolo scorso. Egli continuò la tradizione paterna curando,
nell’azienda di S. Margherita, culture sperimentali.
Per questa attività figura nell’elenco dei Benemeriti
dell’agricoltura compilata dalla prefettura di Cagliari nel
1879. Assume la carica di Procuratore del Re presso il
tribunale di Oristano, si trasferì in città facendosi
promotore di numerose iniziative. Particolarmente, prese a
cuore le sorti della classe artigianale locale e degli operai,
in genere sprovvisti di sussidi in occasione di malattia,
mancanza di lavoro, vecchiaia. Nel 1866 fu tra i promotori
della realizzazione di un Asilo Infantile. Nello stesso anno
il Conte Nieddu provvide alla stesura della “soscrizione” o
manifesto del 1866, il programma della Società Operaia di
Mutuo Soccorso e d’istruzione alla quale diedero adesione
79 persone artigiani e operai. Per acclamazione il
fondatore venne proclamato presidente a vita, egli
continuò a interessarsi delle attività del sodalizio anche
quando da Oristano si trasferì a Cagliari.
20
Carlo Sanna
Nacque a Senorbì nel 1859 da una famiglia di contadini.
Frequentò il collegio militare di Firenze e l’accademia di
Modena.
Gli venne affidato il comando della Brigata tmCatanzaro”
che, nel 1916, bloccò l’offensiva austriaca. L’anno dopo gli
fu assegnata la 330 divisione che ebbe il compito di
fermare il nemico dopo la disfatta di Caporetto.
Divenne il simbolo dell’eroismo dei combattenti sardi, gli
vennero date varie onorificenze sia a livello nazionale che
europeo.
Nel dopoguerra gli vennero affidate importanti cariche nel
governo fascista, supremo militare e del tribunale speciale
per la difesa dello Stato.
Nel 1926 celebrò alla camera il conferimento del premio
Nobel a GRAZIA DELEDDA.
Mori a Roma nel 1928.
21
Sebastiano Satta
Sebastiano Satta nacque a Nuoro nel 1867. Studiò e si
laureò in giurisprudenza a Sassari, dove esercitò come
avvocato penalista. Fu un appassionato di poesia sarda e
italiana. Satta era molto devoto alla Barbagia, terra
natale,
e
nutriva
una
particolare simpatia per i
banditi del luogo che, pur di
sfuggire
alla
cattura,
diventavano simili ad animali
randagi.
Tragedie familiari e crisi economiche non avevano reso
facile la vita del poeta tra i massimi della Sardegna.
Colpito da paralisi, visse 6 anni di dolore, morendo nel
1914, a 47 anni a Nuoro. Scrisse alcune poesie : i “Versi
ribelli”, (1893); l’ode ”Primo Maggio” (1910); i “Canti del
Salto e della Tanca”, pubblicati nel 1924.
Le poesie di Satta mettevano in buona luce la Sardegna,
che, dagli estranei, era vista come un “madre-cattiva”.
22
Antioco Zucca
Antioco Zucca nacque a Villaurbana il 21 ottobre del 1870
da una famiglia di ricchi proprietari.
Frequentò Il Ginnasio comunale “De Castro” ad Oristano.
Nel 1890 conseguì il diploma di maturità nel Liceo
“Dettori” di Cagliari. L’anno dopo si iscrisse a Lettere, a
Bologna dove conobbe Giosuè Carducci.
Nel 1894 si trasferì a Roma. Si laureò in Lettere nel 1896
e nello stesso anno ricevette un premio dal Ministero della
Pubblica Istruzione per la sua prima opera chiamata
“L’uomo e l’inferno”.
Insegnò materie letterarie, per tre anni consecutivi, nel
Ginnasio comunale di Santu Lussurgiu. Qualche anno dopo
pubblicò un’altra sua opera chiamata “Il Lamento del
Genio”.
Si laureò in Filosofia, a Roma, con il professor Giacomo
Barzelloti.
Dopo alcuni anni uscì il canto poetico, “Dopo il dolore”, un
testo scritto in polemica con l’idea della “Vendetta divina”
sostenuta in ambienti ecclesiastici dopo il terremoto di
Messina e Reggio Calabria avvenuto nel 1906.
Stampò il suo quarto poema “Il Grande Enigma”. Insegnò a
Roma, presso l’Istituto tecnico “Vincenzo Gioberti”,dove
conobbe personalmente Grazia Deledda, con cui ebbe
vent’anni prima una breve corrispondenza epistolare.
23
All’età di 50 anni ricevette l’invito a fare il rappresentante
italiano della Lega monista, ma rifiutò l’incarico.
Nel 1937 la casa editrice Cedam stampa la sua più grande
opera chiamata “I rapporti tra l’individuo e l’universo”. Per
raggiunti limiti d’età si concluse la sua carriera di
insegnante e decise di fare rientro a Villaurbana, in
Sardegna. Nel 1955 l’accademia di studi superiori
“Phoemix” di Bari decide di premiarlo con la laurea
“honoris causa” in Psicologia. Morì a Villaurbana, a causa di
un infarto, il 6 Maggio del 1960 all’età di 90 anni.
24
Antioco Casula
MONTANARU
Antioco Casula è nato nel 1878. Studiò diversi anni al
ginnasio che si trova a Cagliari e nel collegio di Lanusei, in
seguito lascia gli studi e fa ritorno al proprio paese. In
seguito si arruola nei carabinieri. Antioco Casula scrisse
poesie in lingua sarda e diventò amico di molti intellettuali
come Sebastiano Satta. Nel 1904 pubblica Boghes de
Barbagia usando lo pseudonimo di Montanaru. Nel 1909
abbandona l’arma e si sposa, e va a dirigere l’ufficio
postale de Desulo, in seguito insegna come maestro
elementare. Antioco Casula perde la moglie e il figlio
maggiore tra il 14 e il 16. Si riposa nel 18 e nel 22 esce
Cantigos d’Ennargentu, sua opera. Riesce a rappresentare
l’isola nel Congresso nazionale dei dialetti d’ Italia. Viene
arrestato, e perde gli altri due figli tra il 26 e il 27. Nel
33 esce Sos cantos de sa solitudine. Finita la guerra
partecipa al concorso nazionale di poesia dialettale fatto
da Ungaretti, e fa da giurato. Lo vince nel ‘ 49 con S’olia.
Pubblica nel 50 Sa Lantia, ma nel 53 viene colto da paralisi,
e muore dopo 2 anni. Nel 1978 esce la raccolta Sas ultima
canzones. Cantigos de amargura. E’ considerato il maggior
poeta lirico in lingua Sarda.
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Giuseppe Manno
Nacque ad Alghero il 17 marzo 1876, faceva parte del
patriziato cittadino. Dopo aver seguito gli studi ad Alghero
si iscrisse nel collegio dei nobili di Cagliari e
successivamente nella facoltà di legge dell'università
cagliaritana, laureandosi nel 1804.
Di buona cultura umanistica, venne subito notato dai
magistrati della Reale Udienza. Nel 1811 iniziò la sua
collaborazione con il "Foglio periodico di Sardegna".
L'anno dopo venne nominato sostituto dell'avvocato fiscale
patrimoniale. Nel 1816 fu nominato segretario privato del
futuro Re Carlo Felice. L'anno dopo divenne primo ufficiale
della Segreteria di Stato per gli affari di Sardegna.
Fu eletto consigliere nel Supremo Consiglio di Sardegna,
del quale partecipò attivamente.
Tra il 1825 e il 1827 pubblicò Storia di Sdegna, nelle quale
vengono ricostruiti gli avvenimenti della Sardegna fino al
1789.
L'anno dopo pubblicò il saggio "Sui vizi dei letterati".
All'età di 47 anni si sposò con Tarsilla Calandra, torinese,
da cui ebbe 3 figli maschi.
Negli anni successivi gli vennero affidate cariche di
grande prestigio tra cui quella del Presidente del Senato
di Nizza e di senatore del Regno.
Molto importanti furono gli interventi che fece in Senato
sui problemi sardi.
La sua ultima opera fu "Note sarde e ricordi".
Morì il 25 gennaio 1868 a Torino.
26
Monsignor Giovanni Sotgiu
Giovanni Sotgiu nasce a Norbello il 1° aprile 1883.
Poco dopo lui e la sua famiglia si trasferiscono a Ghilarza,
paese di origine della madre, e qui Giovanni prova dei
sentimenti sinceri verso la religione Cristiana.
Dopo essersi laureato in legge, ed essere stato
sottotenente all’accademia Militare di Napoli, nel 1912, a
soli 29 anni, diviene sacerdote e acquista tutte le virtù
che San Francesco insegnò ai suoi frati. In circa tre anni
riesce ad avere risultati materiali e spirituali nella diocesi
di Hingan-fu, una vasta terra abitata da circa 2 milioni di
abitanti.
Vennero costruite tre Chiese, 17 cappelle, 15 scuole
maschili e 3 femminili, 2 orfanotrofi, 4 farmacie e fu
assicurata l’assistenza per i poveri ed i malati.
Circa 1000 adulti e migliaia di bambini furono convertiti ed
battezzati.
Dopo 3 anni dal suo arrivo in Cina, nel 1928, grazie ai buoni
risultati, Padre Giovanni venne nominato “primo prefetto
apostolico della missione di Hingan-fu”.
Una sera del 1930 egli si recò in una città vicino alla sua
per la benedizione di una nuova chiesa; siccome in quel
periodo giravano molti vandali e saccheggiatori, Padre
Giovanni decise di fermarsi qualche giorno in più nella città
per assicurare protezione e difesa agli abitanti. Qualche
giorno dopo, senza dare ascolto a chi lo avrebbe voluto
ospitare ancora più a lungo, iniziò il suo viaggio di ritorno
assieme ad un pagano ed un cristiano. Giunti vicino alla
città i tre vennero assaliti da un grande gruppo di briganti
che cercava denaro. Senza tener conto del fatto di aver
27
assalito il Monsignore, lo spogliarono, gli diedero 26 colpi
di lancia nella schiena ed infine lo decapitarono.
I cristiani del luogo dopo aver raccolto i suoi resti,
ricucirono la testa al corpo del Padre e la custodirono in un
luogo sicuro e segreto.
I confratelli fecero una degna sepoltura nel colle che si
affacciava nella città dove il Padre aveva dato tutto se
stesso per migliorare le condizioni di vita.
La famiglia ed il Parlamento italiano commemorarono la
morte di questo frate; la notizia della sua morte si diffuse
anche tramite quotidiani importanti come “Il Messaggero”
o “Il Corriere della Sera”.
A Ghilarza la via dove si trova la casa della sua famiglia è
ora chiamata “via Padre Giovanni Sotgiu” in suo onore.
28
Attilio Deffenu
Era un intellettuale meridionaliste, giornalista e
combattente.
Nacque a Nuoro nel 1890; frequentò il ginnasio nella
sua città natale, poi si trasferì a Sassari per
frequentare il liceo.
Nel 1908 si iscrisse in legge a Pisa, qui si avvicinò
all’ambiente anarchico e collaborò con la stampa
socialista sarda e italiana.
Si laureò nel 1912, successivamente tornò a Nuoro;
divenne corrispondente del GIORNALE D’ITALIA,
partecipando attivamente al la vita politica.
Nel 1913 si batté per il liberalismo capitalistico, che
favoriva le industrie del nord e che si opponeva al
meridione e alle isole agro-pastorali.
Nel 1914 fondò la rivista Sardegna, cui collaborarono
numerosi intellettuali, politici, ecc. per questa rivista
sfruttò
tutta
la
sua
esperienza
politica.
Successivamente si trasferì a Milano, dove esercitò
la professione di avvocato e legale dell’Unione
Sindacale. Nel luglio 1914 scoppiò la 1° Guerra
Mondiale e, alla fine dello stesso anno, con De
Ambris, Corridoni, Casetti e Bianchi, fondò i fasci
d’azione interventista rivoluzionaria.
Si arruolò come volontario, ma sospettato come
“sovversivo”, fu mandato al fronte.
Il 16 giugno 1918 morì sul Piave al comando dei fanti
della Brigata Sassari.
29
Marco Josto
Marco Josto nacque a Jerzu il 25/02/1885 e frequentò le
scuole fino al liceo Classico a Cagliari. Nel 1915 all’età di
20 anni fu chiamato al fronte della prima guerra mondiale
col grado di sotto tenente. Dopo che venne congedato
continuò gli studi a Ferrara e poi Bologna dove prese la
laurea in medicina e chirurgia. Dopo di che si specializzò in
alte facoltà presso l’università di Roma, poi rientro a
Jerzu dove fece il medico condotto per oltre 50 anni. I
suoi hobby erano la fotografia cui si dedicò 20, 30 anni e
le automobili oltre al suo lavoro. Era amante delle novità e
si teneva sempre aggiornato sulle novità della scienza e
della industria. Questo risultò uno stimolo durante le crisi
agricole dovute alle incertezze del mercato e alla
primordiale tecnica di commercializzazione del prodotto
vitivinicolo quando si fece promotore della costituzione a
Jerzu della cantina sociale. Alla fine dei suoi anni si dedicò
nuovamente e completamente allo studio frequentando
l’università dove pubblico un dizionario dei toponimi che
chiamò “I comuni della Sardegna” dopo numerose ricerche.
Si spense nel 1995 all’età di 100 anni.
30
Emilio Lussu
Nacque in provincia di Cagliari ad
Armungia nel 1890.
Avvocato , scrittore ma soprattutto
grande icona politica e anche uomo di
grosso spessore e carisma nella cultura
sarda e italiana. Iniziò i suoi studi a
Lanusei e quindi a Roma per poi laurearsi
in giurisprudenza a Cagliari. Partecipò
alla prima guerra mondiale nella Brigata Sassari; scrisse la
sua opera più famosa “ Un anno sull’ Altipiano”(1938).
Fondò il Partito Sardo d’Azione con Pili, Bellieni, Mastino.
Fu deputato negli anni 1921/24 e si schierò contro il
fascismo. In seguito a questa decisione gli fu teso un
agguato dove uccise anche uno dei suoi aggressori. Per
questo fu mandato in esilio a Lipari. Evase nel 1929 a
Parigi dove fondò, con Roselli e Nitti, il movimento “
Giustizia e Libertà” che divenne il centro delle rivolte
antifasciste.
A Parigi incontrò Joyce Salvatori, che sposò e da cui ebbe
anche un figlio. Tornò in Italia nel 1943 e prese parte alla
resistenza del Partito d’Azione.
Fu ministro e deputato per poi arrivare al Partito
Socialista Italiano. Fu tra i fondatori del Partito
Socialista Italiano di Unità Proletaria. Muore il 5 Marzo
del 1975 a Roma.
Le sue maggiori opere sono: “La catena”, “Marcia su Roma
e dintorni”, “Sul Partito d’Azione e gli altri”.
31
Antonio Gramsci
Nacque ad Ales nel 1891 e dopo
l’istruzione primaria a Ghilarza
ed il ginnasio a Santulussurgiu
frequentò il liceo a Cagliari dove
visse con il fratello Giovanni. Si
trasferì
poi
a
Torino
iscrivendosi nel 1911 alla facoltà di lettere. Iniziò l’attività
giornalistica con “il grido del popolo” e “l’avanti” suscitando
dell’interesse negli ambienti intellettuali per la qualità
della scrittura e il suo pensiero. Nel 1917 diventò
dirigente della sezione socialista della città, diede vita al
settimanale l’Ordine Nuovo. Nel 1921 entrò nel comitato
centrale del partito comunista d’Italia e nel 1922 fu
delegato a Mosca nell’esecutivo dell’internazionale. Nella
capitale russa conobbe la violinista Giulia Schucht che poi
diventerà sua moglie e gli darà due figli, Delio e Giuliano.
Nel 1923 fu dirigente politico a
Vienna, e nell’anno seguente dopo la
morte di Matteotti per cause
fasciste venne eletto alla camera
dei deputati e diventò segretario
generale del partito. Usciva a
Milano, su sua indicazione, il
quotidiano l’Unità. Andò nel 1926 a
Lione per il terzo congresso del
Partito comunista d’Italia dove vide approvate le sue tesi
politiche centriste.
32
Dopo lo scioglimento dei partiti d’opposizione in Italia nel
Novembre del 1926 Gramsci fu arrestato e condotto
prima Ustica e poi a San Vittore di Milano, fu condannato
nel 1928 a vent’anni, quattro mesi e cinque giorni di
carcere, venne portato a Turi, e nel febbraio iniziò la
stesura dei quaderni dal carcere. Nel 1930, si ammalò e
ottenne una cella individuale che gli consentì di studiare
con più tranquillità. Nel 1933, sostenuto da un movimento
d’appoggio esterno, ottenne la libertà vigilata e quattro
anni dopo ormai morente riacquistò la piena libertà. Morì il
27 aprile di quell’anno e le sue ceneri furono sepolte in una
piccola tomba del cimitero degli inglesi a Roma. Le lettere
che Gramsci scrisse dal carcere ai familiari sono
considerate uno dei più belli e toccanti epistolari della
letteratura italiana.
33
Antonio Segni
Antonio Segni nacque a Sassari da una nobile e ricca
famiglia di latifondisti , il 2 febbraio del 1891.
Nel 1913 si laureò in giurisprudenza e si iscrisse al partito
socialista sin dalla sua fondazione, e dal 1923 al 1924 ne
fu consigliere comunale.
Dal 1920 insegnò in diverse università italiane, comprese
quelle di Cagliari e Sassari, e in quest’ultima fu Rettore
Magnifico.
Segni, durante la sua vita, fu sposato con Laura Carta
Caprino, dalla quale ebbe quattro figli; ottenne la laurea di
dottore “Honoris Causa” in scienze agrarie dall’Università
di Washington.
Ricevette anche il premio “Carlo Magno” per i meriti che
acquisì nell’azione svolta a favore dell’Unità Europea.
Facendo parte del partito popolare, Antonio Segni, con
l’entrata in Italia del fascismo, dovette abbandonare
l’attività politica, e sino alla sua caduta visse in
riservatezza, ad eccezione di qualche intervento come
oppositore del regime.
Con la fine della dittatura, fu uno dei fondatori e
organizzatori della Democrazia Cristiana, di cui divenne
uno dei più importanti leader nazionali.
Nel 1951 Segni divenne Ministro della pubblica
Istruzione,e venne riconfermatogli anni successivi.
Otto anni dopo, divenne Presidente del Consiglio dei
Ministri e Ministro dell’Interno, spodestando così Fanfani
dalla guida del governo, sua da un anno.
Il 6 maggio venne eletto Presidente della Repubblica.
34
La sua presidenza durò 2 anni e fu caratterizzata dalle
continue opposizioni alle riforme strutturali e di sistema
volute dai socialisti.
Questi problemi emersero durante la crisi del primo
governo Moro, quando i socialisti, spinti dalla paura di
mosse avventate da parte di alcuni apparati dello Stato,
fecero importanti rinunce pur di riuscire a ricostruire il
governo di centro-sinistra di Moro.
Segni mise Moro e Nenni (socialista del Psi) davanti a una
scelta: se non avessero rinviato le riforme strutturali
italiane, vi sarebbe stato un gabinetto tecnico-burocratico
appoggiato dal centro-destra.
Moro e i socialisti optarono per porre fine all’azione
riformatrice del centro-sinistra; così Segni raggiunse
ampiamente il suo intento.
Il 7 agosto 1964, due anni dopo la sua elezione, fu colpito
da un ictus cerebrale, e una volta accertato il suo stato di
impedimento permanente, fu costretto a dare la dimissioni
anticipate.
Ottenne la nomina di senatore a vita, per essere stato
presidente della Repubblica, e vi restò fino al 1° dicembre
1972, data della sua morte.
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Flavio Busonera
Flavio Busonera il “ Medico Buono ” che con il cuore e
l’intelligenza aveva dato prova in Sardegna come in Friuli di
solidarietà e di speranza in un riscatto umano e civile.
Nato a Oristano il 24 luglio 1894, era ragazzino quando
poté assistere alla prima uscita dell’ automobile
piemontese, simbolo dei progressi raggiunti dall’industria
settentrionale e del distacco tra nord e sud dell’Italia.
Figlio di un piccolo fabbricante di gazzose poteva
considerarsi fortunato tancto che potè frequentare il
liceo ”Dettori” a Cagliari dove studiò anche Gramsci.
Fu uno studente già di idee socialiste e partecipò
attivamente alla sconfitta dei liberalmassoni campeggiati
da Carboni-Boi.
Dopo la maturità fu chiamato alle armi per la grande
guerra.
Si congedò poi come tenente dei bombardieri e si iscrisse
in medicina partecipando anche alle battaglie politiche del
dopoguerra. Fù tra i fondatori della sezione comunista.
Subì un processo per manifestazione pubblica di
un’opinione ostile all’istruzione fondamentale dello stato e
venne rimosso da tenente. Visto dai fascisti come tenace
avversario fu costretto a lasciare la Sardegna e si
trasferì con la moglie a Claut (Valcemina) dove si distinse
per la testimonianza di solidarietà che seppe dare a quelle
popolazioni.
L’occasione per manifestare le sue idee politiche la ebbe
quando si trasferì a Cavarzerano. Qui la resistenza al
fascismo aveva avuto i suoi morti sin quando (4-1921) negli
36
scontri erano stati accusati il consigliere Ravanello e il
capolega Benzato.
Venne la guerra e l’8 settembre si mise ad organizzare e
dirigere la raccolta delle armi abbandonate e prese
contatti con i primi nuclei della resistenza padovana. Nel
suo paese si era appena formato il CLN e lui vi rappresentò
il partito socialista
L’attività fu intensissima , tra i compiti c’era quello di
nascondere gli ex prigionieri alleati che erano riusciti a
fuggire, garantendogli i mezzi per attraversare l’Adriatico
e raggiungere le coste jugoslave, dove li attendevano i
sommergibili inglesi. Organizzò inoltre squadre di
partigiani diventando il primo commissario della brigata di
Venezia.
Nel maggio-Giugno 1944 a Cavarzerano ci furono una serie
di lanci di armi e rifornimenti alleati per i partigiani. Fu
Busonera ad interessarsi per il recupero dei materiali e
del nuovo smistamento e fu responsabile anche come
medico.
Fu per questo che cadde in trappola dei repubblicani. Fu
preso da essi, trasportato a Rovigo poi a Padova, dove fu
rinchiuso al Parlotti. I partigiani e il gruppo della
“Garibaldi-Padova” organizzarono un piano per l’evasione
ma i familiari di Busonera si opposero, lui stesso non fu
d’accordo. Gli eventi precipitarono: venne trovato ucciso il
colonnello repubblicano sardo Fronteddu e l’uccisione
venne attribuita agli anti-fascisti.
Furono prelevati dal Parlotti 10 prigionieri: 7 uccisi
fucilati, e per gli altri ,tra cui Busonera, si improvvisò una
forca dove era caduto Fronteddu.
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Anche negli ultimi momenti Busonera si dimostrò
coraggioso. I fascisti costrinsero gli universitari ad
assistere alla sua impiccagione.
La sua scomparsa e l’affetto che per lui aveva la
popolazione, incitò altri coraggiosi a dare il proprio
contributo alla resistenza.
38
Velio Spano
Velio Spano nacque a Teulada nel 1905 da Attilio e
Antonietta Contini. Fina da studente si unì al partito
comunista e diventò uno dei dirigenti della federazione
giovanile. Dopo di che si trasferì a Torino dove si dedicò
alla stampa illegale del partito dopo la promulgazione delle
leggi eccezionali fasciste. Venne arrestato e si trasferì in
Francia, successivamente in Africa perché costretta a
espatriare. In seguito rientrò in Italia clandestinamente e
assunse la direzione clandestina de “L’unità”. Organizzo in
Tunisia un partito antifascista dei lavoratori italiani dove
però
fu condannato a morte dal governo Pètain. Rientrò in Italia
infine dove fu eletto deputato e poi senatore. Si spense
nell’ottobre del 1964.
Le opere più importanti furono:
I comunisti Italiani e le unità contro l’invasore.
Il partito della classe operaia.
Ciò che ho visto nella Cina Popolare.
Il banditismo sardo e i problemi della rinascita.
Contro la legge dei monopoli per la rinascita della
Sardegna.
L’autonomia dei partiti e l’avvenire della Sardegna “Il
lavoratore”.
Ente ragione in Sardegna?
Per l’unità del popolo sardo.
39
Renzo Laconi
Renzo Laconi nacque a S. Antioco nel 1916. Fece i suoi
primi studi a Cagliari e si laureò in lettere.
A 24 anni entrò a far parte del Partito Comunista prima a
Firenze e in seguito a Cagliari.
Fu uno dei tanti che animò le prime lotte operaie e la
ripresa dell’attività legale dei comunisti.
Nell’Assemblea Costituente offrì un valido contributo alla
stesura delle “leggi fondamentali della Repubblica”. Laconi
fu uno dei maggiori esponenti della vita politicointellettuale del dopoguerra.
Fu un uomo con vaste conoscenze in ambito politico,
giuridico-istituzionale e letterario. Uno dei problemi sui
quali si concentrò maggiormente fu il nesso tra autonomia
democratica e rinascita economica e sociale della
Sardegna.
Morì a Catania all’età di 51 anni.
40
Michelangelo Pira
Michelangelo Pira nasce a Bitti nel 1928 e muore a Cagliari
nel 1980.
Oltre che scrittore fu giornalista nonché Capo dell’Ufficio
resoconti del consiglio regionale sardo e docente di
Antropologia culturale nell’università di Cagliari.
Scrisse opere di forte impatto nella cultura isolana quali
La rivolta dell’oggetto,il romanzo in dialetto bittese Sos
sinnos, Sardegna tra due lingue, una
raccolta di conversazioni radiofoniche riunite in volume.
Sua è anche la raccolta di radiogrammi “Paska
Devaddis”,del 1981. Si intuisce il suo interesse particolare
per la lingua sarda.
Angelo Dettori
Il bonorvese Angelo Dettori,meglio noto come “Anzelu”,è
vissuto ttra il 1894 e il 1981.Fu direttore della rivista di
poesia sarda “S’Ischiglia” e autore di un Glossario sardologudorese,del 1978.Una raccolta di sue liriche è Rizolos
cristallinos,del 1977.
41
ALFREDO TORRENTE
Alfredo Torrente nacque a Potenza l’11 febbraio del 1919
da una famiglia molto povera. Si sposò con Alba De Murtas
ed ebbero quattro figli, Massimo, Carla, Serena e Luciano
Torrente.
Era un uomo che nel poco tempo libero che aveva, viveva la
natura andando a caccia e a pesca.
Il 5 ottobre del 1990, gravemente malato morì per un
arresto cardiaco a seguito di un intervento chirurgico.
Fu obbligato a venire in Sardegna all’età di sedici diciassette anni perché il padre per motivi di lavoro era
stato trasferito all’università di Cagliari, dove fece tutte
le scuole compresa l’università. All’età di ventitre anni si
laureò in scienze politiche. Nel 1949 quando fu istituita la
regione autonoma della Sardegna venne candidato nelle
liste dell’allora partito comunista italiano e quando venne
eletto risultò il più giovane consigliere comunale in
Sardegna. Durante le sue cinque legislature si occupò in
modo particolare del
settore dello sviluppo
dell’agricoltura e della
pesca in Sardegna.
(Cabras 1960, occupazioni degli
stagni; Al centro Alfredo Torrente)
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Durante la sua attività politica decise di seguire degli enti
di sinistra quali la Camera del Lavoro, la Lega delle
Coooperative e altre associazioni che erano sempre legate
al pensiero di sinistra.
(Guspini 04-06-1964, Manifestazione cooperativa)
Era un uomo molto stimato perchè nell’1949 a seguito di
una legge che permetteva ai sindaci di affidare terre
incolte alle cooperative di contadini, lui insieme ad altri
politici di quel tempo e con delle associazioni di contadini
fecero pressioni ai sindaci perchè facessero i decreti per
l’ acquisizione di quelle aree incolte e dessero da lavorare
a queste cooperative di contadini
La guerra era finita solo da pochi anni e c’erano ancora
delle classi privilegiate cioè quelle che avevano ancora dei
titoli nobiliari ad esempio i conti e i signori che avevano
ancora una certa importanza ed erano i proprietari delle
terre che però non avevano interesse a coltivarle per cui
preferivano lasciarle incolte piuttosto che dar lavoro a
persone che poi gli andavano contro.
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Le manifestazioni che fecero in quel periodo portarono a
dei climi molto tesi perché c’erano ancora dei prefetti di
idee
fasciste
e
quando
organizzavano
queste
manifestazioni occupavano queste terre dimesse.A
Zeppara nella zona del Guspinese, durante un comizio che
incitava i manifestanti a occupare queste terre, Alfredo
Torrente
venne
arrestato
in
piazza,
e
contemporaneamente questa azione venne fatta verso
tutti i politici di sinistra,
la cosa più brutta è, che
vennero considerati come
delinquenti e vennero
quasi tutti condannati,
tra cui anche Alfredo
Torrente ad una pena
detentiva di otto mesi
senza condizionale.
(IX Congresso Nazionale del Partito Comunista Italiano;
Palazzo dei congressi dell’ EUR Roma, 30 gennaio – 5
febbraio 1960)
Nonostante questa condanna e le minacce che riceveva
non si arrese e continuò a fare quello che aveva iniziato a
fare da tempo, anzi, questo gli servì come uno stimolo in
più.Diventò un grande trascinatore perchè conosceva
molto bene i problemi dell’agricoltura.Quando venne fatta
una legge speciale che si chiama piano di rinascita che dava
dei fondi speciali per la rinascita dell’economia sarda, lui
44
era il maggior oratore perché rimaneva in consiglio a
esporre quelli che potevano essere i problemi
dell’economia, la sua forza era la conoscenza e
l’approfondimento che aveva fatto di questi argomenti e
sapeva come gli agricoltori e i pescatori potevano essere
aiutati. Contemporaneamente alla carriera politica
svolgeva anche l’attività di insegnante ed era dirigente di
queste associazioni. Dell’attività parlamentare prendeva
solo il 30% dell’indennità di consiglio regionale perché il
resto lo dava al partito e alle organizzazioni.Era un uomo
che si batteva in prima persona per tutelare i diritti delle
persone, ad esempio lo stagno di Cabras prima era privato
e lui fu uno tra i maggiori artefici della vittoria dei
pescatori che ottennero lo stagno, un’ altra battaglia
personale riguardava la quarta provincia sarda, quella che
oggi è la provincia di Oristano con proposte di legge,
indicazioni a livello nazionale, però c’erano delle persone
che non ci credevano alla quarta provincia.C’è un aneddoto
che parla di un treno che chiamavano treno di Torrente
che parte da Oristano per Cagliari alle sette del mattino e
arriva verso le otto e un quarto, questo linea che è ancora
presente fu creata perché lui non viaggiava in macchina ma
in treno o in autobus e vedeva che c’erano molte persone
tra cui degli studenti e dei lavoratori che dovevano andare
a Cagliari e entravano a lavorare o a scuola verso le otto
ed erano costretti a prendere il treno che partiva da
Oristano alle quattro e mezzo del mattino e quando
arrivavano a Cagliari dovevano stare buttati li tre ore e
con grande forza di volontà riuscì istituire questa linea.
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Cosimo Orrù
Alla fine del settembre del 1943, Cosimo Orrù, giudice
sanverese, prese parte a un comitato di liberazione
antifascista in Busto Arsizio.
Durante uno sciopero degli operai nel marzo del 1944
sorsero dei cortei che si diressero verso il comune e la
casa del fascio; i manifestanti vogliono assalire anche la
sede del tribunale, ma i magistrati convincono i
manifestanti a far entrare solamente una delegazione.
All’interno del tribunale vi erano due giudici, Vincenzo
Ferulano e, appunto, Cosimo Orrù, anch’essi di idee
antifasciste.
Cosimo Orrù il 20 giugno del 1944 venne arrestato dalle
SS e trasferito nel carcere di San Vittore a Milano e dopo
una lunga serie di interrogatori, deportato in Germania nel
campo di Flossemburg.
Dopo innumerevoli soprusi e atrocità subite da un capobaracca, particolarmente accanito contro i magistrati,
Cosimo Orrù morì nella baracca n° 23 nel dicembre del
1944, nel medesimo campo.
Viene ricordato come medaglia d’oro alla resistenza in
quanto impegnato nella lotta al nazifascismo.
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47
Sulla diffusione del Cristianesimo in Sardegna ci mancano
notizie sufficienti per formulare serie ipotesi fino al II
secolo.
La Sardegna, per la sua posizione al centro delle più
importanti rotte commerciali e di diffusione religiosa,
ebbe conosciuto qualche predicatore anche in precedenza.
Numerosi missionari cristiani, che partivano da Cartagine
per andare in Francia, fecero tappa nel giudicato di Caralis
o in qualche altra città.
Nel III secolo le comunità cristiane sarde costituivano
una realtà clandestina molto attiva, capace di un’estesa
opera di conversione.
La persecuzione cristiana nel 303 colpì brutalmente
l’isola.Tra i martiri sardi ricordiamo Antioco, Lussorio,
Efisio, Saturnino.
Quando poi nel 313 Costantino riconobbe ai cittadini
romani il diritto alla libertà di culto, la chiesa sarda poté
portare alla luce del sole la propria opera.
Con l’invasione dei Vandali, Bizantini e Arabi la Sardegna
subì delle conseguenze anche per quanto riguarda la
religione. Tante chiese, monasteri, abbazie risentono
dell’influenza di queste popolazioni.
La dominazione spagnola tra il XVI e XVIII segnò la storia
dell’isola dal punto di vista religioso.
I cattolicissimi reali spagnoli emanarono ben presto dei
provvedimenti per l’allontanamento di tutti gli ebrei da
Cagliari, Iglesias e Alghero, ritenendo che la loro presenza
rappresentasse un rischio per la purezza della fede
48
cattolica del territorio. Fu pure istituito il Tribunale del
Santo Officio a Cagliari e Sassari, ma l’attività di esso
pian piano si affievolì.
Nell’isola ancora oggi si venerano tanti Santi della
Sardegna e si trovano tanti santuari ad essi dedicati.
Tra essi ricordiamo soprattutto San Sebastiano, San
Pietro, San Giovanni Battista, San Lussorio, Sant’Efisio e
così via.
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Cattedrale di S. Giusta
S.S. Trinità di Saccargia
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San Pietro di Zuri
N.S. di Castro Oschiri
51
La Sardegna e i Giudicati
I quattro giudicati sardi
I Giudicati sardi erano regni indipendenti, formatisi come
conseguenza dell'isolamento cui fu costretta la Sardegna
in seguito all'espansione araba nel Mar Mediterraneo, tra
VIII secolo e IX secolo d.C., ed al contemporaneo
abbandono da parte dei
Bizantini. Questi regni
avevano una struttura
territoriale
e
amministrativa
già
abbastanza definita; tutti
e quattro furono retti da
sovrani chiamati giudici.
Il giudicato di Cagliari si
estendeva sul territorio
corrispondente a quello
delle odierne province
sarde di Cagliari, di
Carbonia-Iglesias
e
d'Ogliastra; aveva come
capitale Santa Igia.
Era il Giudicato che aveva nel suo territorio i Campidani di
Cagliari, terre fertili e produttive, oltre ad altre
ricchezze come le attività minerarie dell'Iglesiente.
52
Nel nord dell'isola si trovava il giudicato di Torres, con
capitale Torres l'attuale Sassari. Si estendeva sul
territorio corrispondente all'odierna provincia di Sassari e
alle parti più settentrionali delle attuali province
d’Oristano e di Nuoro.
Questo regno giudicale, di tradizione vicina a quella
Carolingia nei costumi e negli usi diplomatici, si sgretolò,
quando la sua ultima regina, Adelasia, fu abbandonata dal
legittimo consorte e lasciò il regno nelle mani dei suoi
rapaci vassalli(1259). Il giudicato fu così suddiviso tra le
potenti famiglie dei Doria e dei Malaspina, mentre altri
territori andarono al confinante giudicato d’Arborea.
A nord est dell'isola era situato il piccolo giudicato di
Gallura, per posizione e scarsità di risorse ben presto
controllato da Pisa, che ne determinò l'estinzione
all’incirca in contemporanea col giudicato di Calaris.
Il Giudicato di Gallura si estendeva sul territorio
corrispondente all'odierna provincia d’Olbia-Tempio e sulla
parte settentrionale della provincia di Nuoro. La sua
capitale si trovava a Civita.
Il più duraturo dei quattro fu il giudicato d’Arborea, con
capitale Tharros e poi dal 1076 Oristano.
Si estendeva sul territorio corrispondente all'attuale
provincia di Oristano, a quella del Medio Campidano e a
gran parte della Barbagia.
Prosperò sino al XIV secolo, dovette affrontare le pretese
sulla Sardegna del regno d’Aragona, a cui il papa Bonifacio
VIII aveva concesso una “licenza d’invasione”.
La lunga guerra che divise i due regni si prolungò fino al
1410, quando l'ultimo re d’Arborea cedette quel che
53
rimaneva dell'antico regno alla Corona aragonese per
100.000 fiorini d'oro.
Il Giudicato fu retto nel tempo degli Arborea, il nome con
il quale si facevano chiamare le dinastie dei Lacon-Gunale,
dei Lacon-Serra, dei Bas-Serra, dei Cappai de Baux, e alla
quale apparteneva l'eroina leggendariamente celebrata
Eleonora
d'Arborea,
che
governò come reggente in nome
dei figli dal 1383 al 1402, data
in cui presumibilmente morì di
peste.
La società:
La società all'interno dei villaggi era divisa in tre classi:
quella dei liberi, quella dei colliberti e quella dei servi. La
prima classe comprendeva i Mayolares, i proprietari
terrieri, gli artigiani, i mercanti, che potevano migliorare
la loro posizione ed avanzare verso le classi sociali
superiori, la seconda (colliberti) erano servi liberati che
però mantenevano alcuni obblighi specifici verso i loro
padroni; la terza (i servi) probabilmente rappresentava la
maggior parte della popolazione.
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In Sardegna la condizione era molto diversa da quella
continentale che era basato su rapporti di tipo personale
tra il servo e il signore oppure il servo e la terra. I
proprietari terrieri non avevano il controllo sui servi; i
servi, invece, appartenevano ai loro signori per le loro
giornate di lavoro. Sul piano personale erano liberi e
potevano sposarsi liberamente, avere un proprio cognome.
Il lavoro dei servi consisteva nell'attività agricola e nella
custodia del pascolo, del bestiame. Il lavoro delle donne si
svolgeva invece all'interno della casa.
Economia:
Dopo l'XI secolo, la Sardegna fu interessata da una
crescita demografica; dopo quest’aumento demografico
la popolazione non fu composta solo da pastori, ma anche
da contadini che in seguito all’abbattimento dei boschi, si
spostano dai villaggi originali. In questo modo le
popolazioni delle campagne si sparsero anche grazie
all’appoggio dei singoli giudicati. Questo fenomeno
s’interruppe nel XIII secolo, perché in questo periodo si
svilupparono i centri urbani (Cagliari, Sassari, Oristano);
quindi ci fu un abbandono di piccoli centri rurali. Nel
1348, a causa di una terribile epidemia di peste che
interessò tutta Europa questo fenomeno di espansione si
arrestò.
55
Organizzazione dei villaggi:
Nel corso del 300 si costituì un sistema di organizzazione
del villaggio che rimase quasi
immutato fino all’800. I terreni intorno al villaggio non
erano né recintati e né divisi in lotti perché
appartenevano a tutti e venivano assegnati a ciascun
contadino, di anno in anno, con l’estrazione a sorte. Tutto
il complesso di queste terre era diviso in due parti
(rotazione annuale): il VIDAZZONE era destinato alla
produzione di cereali; il PABERILE era invece destinato
al pascolo del bestiame domestico (cioè buoi o cavalli da
lavoro, asini, capre). L’ allevamento vero e proprio, cioè
quello delle greggi, veniva praticato sul pascolo di collina
o di montagna, lontano dal villaggio. Le sole proprietà
private dei contadini erano costituite da piccoli orti o da
vigne, più vicini al villaggio e recintati. Con
quest’organizzazione comunitaria del territorio e con la
divisione tra i terreni destinati al pascolo e quelli
destinati all’agricoltura si riusciva a difendere le colture
dal bestiame e ad evitare gli scontri tra pastori e
contadini. Questo però faceva rimanere arretrata
l’agricoltura
legata
alla
rotazione
annuale
e
impossibilitata a migliorare perché ogni anno i terreni
erano affidati a coltivatori diversi che non avevano
neanche il tempo di portare delle modifiche migliorative.
56
Sa die de sa Sardigna
Il 28 aprile di ogni anno si festeggia Sa Die De Sa
Sardigna, conosciuta anche come la festa del popolo sardo.
Tale ricorrenza vuole rievocare un fatto storico: i
cosiddetti “Vespri Sardi”, vale a dire l’insurrezione
popolare del 28 aprile 1794 che determinò l’espulsione dei
Piemontesi e del Viceré Balbiano da Cagliari e da tutta
l’isola.
La Sardegna era stata annessa al Piemonte nel 1720 ed
inizialmente tale unione venne accolta bene dal popolo
sardo, ma successivamente il
malcontento popolare crebbe.
Il motivo di questo malcontento
era dovuto anche al fatto che la
Sardegna era stata coinvolta nella
guerra della Francia rivoluzionaria
contro gli stati europei e dunque
contro il Piemonte. Nel 1973 una flotta francese aveva
tentato di impadronirsi dell’isola, sbarcando a Carloforte e
insistendo successivamente anche a Cagliari, ma i sardi
avevano opposto resistenza con ogni mezzo, in difese della
loro terra e dei Piemontesi che dominavano allora la
Sardegna. La resistenza ai Francesi aveva entusiasmato gli
animi, perciò ci si aspettava un riconoscimento ed una
ricompensa dal governo Sabaudo per la fedeltà dimostrata
alla corona. I Sardi chiedevano che fosse loro riservata
una parte degli impieghi civili e militari e una maggiore
autonomia rispetto alle decisioni della
57
classe dirigente locale. Il viceré Balbiano mostrava però un
atteggiamento disinteressato ed assenteista che non
faceva altro che accrescere l’odio popolare nei confronti
del governo piemontese.
Il 29 aprile 1793 i rappresentanti del parlamento locale si
riunirono per presentare delle richieste al re. Tali
richieste vengono dette “le cinque domande”, perché
formulate in cinque punti e prevedevano:
1) Il ripristino della convocazione decennale dei
Parlamenti, interrotta dal 1699;
2) La riconferma degli antichi privilegi, soppressi dai
Savoia;
3) La concessione ai Sardi di tutte le cariche, ad
eccezione della vicereale e di alcuni vescovadi;
4) La creazione di un Consiglio di Stato, a fianco del
viceré, per la gestione degli affari ordinari;
5) La creazione a Torino di un Ministero per gli affari
di Sardegna.
Venne così mandata a Torino una delegazione di sei
membri per illustrare al sovrano le richieste, ma vennero
ricevuti dal re solamente tre mesi dopo il loro arrivo: gli
ambasciatori sardi vennero assecondati con promesse
indefinite e in seguito congedati. Il viceré, infatti, aveva
precedentemente condizionato il governo sostenendo che
le
proposte
riassunte
nelle
“cinque
domande”
contrastavano l’autorità piemontese.
Il governo piemontese rifiutò quindi di accogliere qualsiasi
richiesta in un clima di tale esasperazione la borghesia
cittadina con l’aiuto del resto della popolazione scatenò il
moto insurrezionale.
58
La scintilla che dette però definitivamente fuoco alle
polveri della contestazione nel 1794 fu l’arresto ordinato
dal viceré di due capi del partito patriottico, gli avvocati
cagliaritani: Vicenzo Cabras ed Efisio Pintor. La
popolazione furiosa decise di attaccare la residenza del
viceré Balbiano e di cacciare tutti i Piemontesi dall’isola.
La Reale Udienza, composta di soli giudici sardi, assunse,
secondo il dettato della costituzione di allora, le redini del
governo. Fu creata una milizia popolare agli ordini di
Vincenzo Sulis, si arrestarono i piemontesi, compreso il
viceré, e si tennero in buona custodia in alcuni conventi. Il
7 maggio 1794, tra il tripudio generale, vennero allontanati
da Cagliari circa 500 Piemontesi seguiti poi dai loro
corregionali di tutta la Sardegna.
28 Aprile 1794, cosa accadde quel giorno…
Intorno all’una di pomeriggio di quel
giorno, una compagnia di granatieri
di reggimento svizzero Schmidt,
scende dalla Porta Reale, a Cagliari,
dirigendosi verso il quartiere di
Stampace. I soldati sono in
uniforme di parata e la gente pensa
di
essere
di
fronte
ad
un'esercitazione. Ad un certo
punto una parte dei soldati si
dispone circondando l’abitazione dell’avvocato Cabras.
Viene così ordinato l’arresto, sia di Vincenzo Cabras che
del genero, Efiso Pintor, anche lui avvocato, considerati
59
dalle autorità piemontesi di essere due pericolosi
rivoluzionari.
Insieme all’avvocato Cabras uscì il fratello Bernardo,
mentre Efiso riuscì a scappare. Gli abitanti del quartiere
di Stampace furono i primi ad accorrere sdegnati contro
l’arresto, in quanto profondamente avversi nei confronti
del castello abitato da aristocratici nullafacenti e
piemontesi boriosi. Si aggiungono, poi, i quartieri di Marina
e Villanova.
I rivoltosi dei tre borghi si sbarazzarono così delle Porte
che impedivano l’unificazione del movimento, e poi
puntarono decisi sul castello. Per ordine del viceré e del
generale delle armi si cominciò a sparare cannonate contro
la popolazione.
Anche tra gli abitanti di Castello vi fu chi appoggiò
decisamente la rivolta e con coraggio tentò, senza
riuscirci, di impadronirsi dei cannoni. I rivoltosi, in una
vera battaglia, con morti e feriti, riescono a conquistare il
castello con il Palazzo Viceregio, uccidendo nello scontro
decisivo il comandante delle guardie e costringendo il
viceré e i suoi funzionari a rintanarsi nelle loro stanze per
il terrore di essere massacrati.
Ma non solo il popolo cagliaritano, anche le elites dirigenti
cittadine nutrirono, in quel momento, un’avversione nei
confronti dei piemontesi. E il visconte di Flumini, Don
Francesco Asquer, a capo di un centinaio di persone,
arresta i piemontesi presenti in città.
Si giunse comunque ad un accordo col viceré: i Piemontesi
avrebbero avuto tutti salva la vita e i beni ma tutti
avrebbero abbandonato l’isola al più presto.
60
Tancas serradas a muru
Di questo clima di violenze e di sopraffazioni si fece
interprete un anonimo poeta (forse Melchiorre
Murenu, un povero poeta dialettale cieco, di
Macomer, o forse il sacerdote ozierese Gavino
Achea) che nell’occasione compose questa quartina
rimasta famosa nella tradizione popolare:
Tancas serradas a muru (Tanche chiuse a muro/
Fattas a s’affer’afferra. Fatte
nel
generale
arraffa arraffa/
Si su Chelu fid in terra, Se il cielo fosse stato in
terra/
L’haiant serradu puru!
Avrebbero chiuso pure
lui!)
61
L'editto delle chiudende
La Sardegna ,nonostante avesse dato la corona ai Savoia,
era considerata un dominio, quindi sede di un viceré ed
emarginata e lontana economicamente anni luce dal
territorio
continentale.
Ci furono iniziative per migliorare l'agricoltura, ancora
estensiva e primordiale, con i signori feudali ed il clero che
incameravano il 50% della rendita e possedevano il 90% di
proprietà fondiaria, sulla quale il governo non aveva
nessuna giurisdizione. Fallirono però tutti i tentativi di
riforma, favorendo la piaga del banditismo e del furto del
bestiame (abigeato) che lo stato combatteva riempiendo le
galere ma non risolvendo il problema; si tentò di ripopolare
l'isola, oramai quasi disabitata, con "l'immigrazione
forzata" di Corsi, Liguri, Maltesi, ma anche questo
tentativo non portò a nessun risultato positivo
Nel primo quindicennio del XIX secolo la Sardegna
evidenziava una crisi economica caratterizzata dai pochi
scambi, carestie e dell’agricoltura arretrata; il governo
piemontese decise che era
necessario, con un atto
legislativo, una riforma della proprietà terriera. Infatti
nel 1820 fu applicata la legge chiamata "Editto delle
Chiudende" la quale stabiliva il diritto di recintare i
terreni non soggetti a servitù di pascolo o di passaggio;
quindi i terreni venivano liberati dall’uso collettivo.
62
Si cercava di creare la formazione di una classe di piccoli
e medi proprietari terrieri in grado di migliorare la
produzione e di opporsi ai signori. Una conseguenza
negativa era che i poveri proprietari che non potevano
permettersi di recintare vedevano portarsi via i loro campi
dai prinzipales
i più grossi proprietari terrieri. Si
crearono inoltre conflitti insanabili tra contadini e pastori
che portarono l'isola a una divisione delle classi povere che
si combatterono tra loro, poiché la recinzione dei terreni
limitava sempre più gli spazi a disposizione per i pascoli;
questo portò a numerose sollevazioni popolari soprattutto
nelle zone a prevalente economia derivante dalla
pastorizia.
Intanto, nel 1821, scoppiarono in Piemonte dei moti per
ottenere una nuova costituzione più liberale ed il Re
Vittorio Emanuele I, pur di non concedere quanto richiesto
dal popolo, abdicò in favore del fratello Carlo Felice,
viceré della Sardegna, che lontano da Torino affidò la
reggenza a Carlo Alberto, il quale accettò le richieste dei
rivoltosi, non riconosciute però dal legittimo sovrano Carlo
Felice. Il sovrano chiese aiuto alle potenze europee per
ristabilire l'ordine destituendo Carlo Alberto e
insediandosi a Torino solo il 19 aprile 1821, dopo che gli
alleati sconfissero i liberali piemontesi.
63
Il banditismo sardo
Parlare di banditismo in Sardegna significa ricostruire un
aspetto importante della sua storia passata, ma anche
affrontare un drammatico problema, ancor oggi di
attualità, che pone spesso l'isola al centro dell'attenzione
della stampa e dell'opinione pubblica nazionale. Quello del
banditismo e, più in generale, della criminalità rurale,
infatti, non è un fenomeno nuovo. Già nel Medioevo,
durante il periodo spagnolo e, soprattutto, durante il
dominio sabaudo, le autorità dovettero affrontare questo
problema e tentare con diversi mezzi, anche con la
repressione militare, di stroncare l'attività delittuosa dei
banditi, punirne i delitti, frenare l'azione e limitare gli
aiuti che le comunità rurali offrivano loro. Ma furono
iniziative che non risolsero il problema, poiché alle radici
del banditismo e delle varie forme di criminalità diffuse
nelle campagne stavano motivi di ordine economico, sociale
e culturale che non potevano essere eliminati con
l'intervento militare, con gli arresti, con le condanne
penali. E per questo che le ricorrenti campagne di
repressione, attuale nei secoli sino ai nostri giorni, non
sono riuscite a stroncare definitivamente questo
fenomeno,
che
ha
continuato
a
persistere
sotterraneamente,
esplodendo
talora
in
episodi
particolarmente gravi e dando luogo a un diffuso stato di
insicurezza e di sofferenza civile che condiziona
pesantemente, ancor oggi e soprattutto in alcune zone
dell'isola, l'attività produttiva e l'intera vita comunitaria
64
Si dovrà pensare che nella Sardegna di cent'anni fa
fermentassero diffusi impulsi di ribellione, oscuri
risentimenti, sotterranei desideri di rivalsa: del resto non
ne mancavano i motivi. La figura del bandito veniva
idealizzata, veniva visto come il vendicatore d'ogni torto e
il depositario di tutte, o quasi tutte le virtù , eccettuate,
naturalmente, quelle della mitezza e della clemenza.
I torti che il bandito vendicava si identificavano con quelli
che in quest'isola ciascuno -chiunque, si vuol dire, non
disponesse di ricchezza né di potere- per un verso o per
l'altro era costretto a subire. La vendetta, così, diventava
atto di giustizia, di generale riparazione, di riscatto
collettivo. Ed ecco allora, formarsi l'immagine del bandito
coraggioso e spietato però giusto, per di più saggio e,
quando se ne presentava l'occasione, coraggioso al punto di
gettarsi in un fiume per salvare il carabiniere che
nell'inseguimento vi era caduto. Ne nascevano suggestioni
alle quali non era facile sottrarsi. Lo stesso Antonio
Gramsci ammetteva di aver subito, da ragazzo, il fascino
dei banditi Giovanni Tolu e di Francesco Derosas. La
violenza e la prepotenza ,esercitate così dai singoli, come
dall'autorità non dovevano essere un dato immaginario: la
povertà diffusa, aggravata dalla crisi, esponeva i più ai
soprusi di coloro i quali detenevano la ricchezza e il
potere. I tempi difficili che la Sardegna viveva avevano
ristabilito una condizione sostanzialmente feudale, poiché
avevano reso più pesanti i vincoli della dipendenza dei più
poveri dai più ricchi
65
Secondo una delle idee correnti, il bandito era il povero
che si ribellava all'arbitrio dei ricchi e che così ne
scardinava il sistema di potere. Fu così, in effetti, in più di
un caso. Giovanni Tolu probabilmente il più famoso tra
tutti i banditi sardi- si diede alla macchia dopo aver
ridotto in fin di vita il parroco del suo paese (Florinas) dal
quale, probabilmente non senza motivo, si riteneva
perseguitato e che gli impediva di sposare la ragazza che
teneva in casa come domestica e che in realtà pare fosse
la figlia del pio uomo di chiesa, incline a svaghi non
precisamente mistici.
Lo spietato 'BERRINA' impose all'intera Dorgali l'assoluta
obbedienza ai suoi decreti
Un altro di Orune, divenne bandito per aver reagito ad un
atto ingiusto: uccise infatti un tale che si era
impossessato di un suo capo di bestiame; e fu bandito di
ferocia senza limiti, che dopo aver ucciso un suo nemico,
non esitò a squartarne e decapitarne il cadavere per farne
rotolare la testa ai piedi del padre.
Ma non sempre il bandito era il povero che si ribellava alla
prepotenza dei ricchi. Poteva anche accadere, e in effetti
accadde in più di un caso, che tra latitanti e possidenti si
instaurasse un rapporto di alleanza e di mutuo sostegno
largamente vantaggioso per entrambe le parti: il bandito
diventava, se si può dire così, il braccio armato del
possidente, ne tutelava gli interessi e i beni, ne
scoraggiava i nemici e in cambio ne aveva la protezione che
a chi vive alla macchia è sempre necessaria.
66
E certo che il fenomeno del banditismo non poteva essere
fatto risalire a un modo di amministrare la giustizia ben
lontano dall'essere assolutamente limpido. Ma è
altrettanto sicuro che i vizio dell'apparato giudiziario, che
non erano pochi né tutti lievissimi, non incoraggiavano alla
fiducia; così a darsi alla latitanza poteva essere non solo il
colpevole, ma anche l'innocente che colpito da un'accusa
ingiusta, sapeva di aver ben poche possibilità di
scagionarsi.
67
Il Fascismo In Sardegna
Nel 1915 l’Italia e la Sardegna iniziarono ad entrare a
contatto
con
la
prima
guerra
mondiale,(evento
straordinario, dove l’Italia non era in ottime condizioni)
pur avendo diversi problemi, ma offrirono comunque il loro
meglio come vite umane, mezzi etc.
La Sardegna non essendo molto grande era arruolata quasi
tutta in un unico gruppo molto famoso e conosciuto
chiamato “Brigata Sassari” che durante la guerra fece
diverse imprese. La Sardegna essendo paesaggio rurale
non
poteva
essere
formata
da
soldati
commercianti, imprenditori etc, ma da contadini che erano
numerosi e ancor più numerosi erano i pastori che si
trovavano per lo più nell’entroterra (la Barbagia). La
guerra portava una situazione che andava sempre più
regredendo, questo soprattutto a livello economico.
Il sogno di una Sardegna autonoma si interrompe il 28
ottobre 1922, quando il fascismo prende il potere con il
colpo di stato riconosciuto come “La marcia su Roma”. Sino
a quel momento il fascismo in Sardegna non esisteva. Con
l’ascesa al governo di Mussolini, le squadre fasciste si
moltiplicarono e la loro azione violenta si fece più intensa,
68
con scontri e spedizioni punitive contro avversari
socialisti, popolari e sardisti. Con le leggi “fascistissime”,
volute da Mussolini per abbattere le opposizioni,
scomparvero tutti i partiti e con loro le libertà politiche e
civili. Ci furono bonifiche e la creazione di nuovi centri,
soprattutto Terralba (dopo già nel dopoguerra la società
bonifiche sarde aveva iniziato ad operare su una superficie
di oltre 10.000 ettari), la Nurra dove nacque Fertilia
( dopo il 1930, operò l’Ente di colonizzazione Ferrarese,
impegnando una superficie di oltre 12.000 ettari) e Sanluri
(dove l’opera nazionale combattenti trasformò circa 2350
ettari). Nel 1927 venne creata la provincia di Nuoro, con
l’obbiettivo di dare un centro di direzione politico
amministrativo alle zone interne.
A Terralba fu costruita, Mussolina, oggi Arborea,
nell’Oristanese, attuati durante il fascismo, ma nonostante
ciò il mondo rurale Sardo si trovò nella condizioni iniziali.
La Sardegna si ritrovò ancora con 325 centri abitati su
352 senza fognature, 440.000 abitanti su 1.100.000 circa
senz’acqua corrente in casa, 175 comuni su 334 e 163
frazioni su 189 senza caseggiato scolastico, 145 centri
(fra i quali 77 comuni) senza energia elettrica, la
composizione della popolazione attiva uguale a quella del
1910, il reddito medio tra i più bassi d’Italia. Dopo il
decennio 1922-32, quando era sembrato che il regime
fosse in grado di cogliere esigenze fondamentali dell’isola
e di avviarle a soluzione di politica portata avanti negli anni
33-43 aveva in realtà sacrificato la Sardegna agli
obbiettivi nazionali. Nel settore industriale si registrò
un iniziativa rilevante, legata soprattutto all’industria
estrattiva, la valorizzazione del bacino di Sulcis (dove nel
69
1938 fu fondata Carbonia, una delle città nuove del
Fascismo), si collocarono in un piano di potenziamento delle
risorse nazionali seppure rimasero evidenti i segni di
arretratezza del settore come, la scarsa presenza di
capitale sardo nelle imprese, la parziale lavorazione
minerale in sede regionale con conseguente esportazione
di questo fuori dall’isola; Occorre dire comunque che
l’industria estrattiva ridusse un
aumento
sensibile
dell’occupazione, la formazione di
una classe operaia specializzata.
Carbonia fu inaugurata alla fine
del 1938; per costruirla si impiegò
solo un anno, e fu molto
importante nella produzione di
carbone per il quale Mussolini
annunciò
un
impegno
straordinario. Nel 1938 Carbonia
contò
8.000
abitanti
che
crebbero sino a diventare 40.000
nel 1944. Venne definita la <<città
nuova>>, così si caratterizzò per
una rigida divisione gerarchica
degli spazi, che mentre assegnava a dirigenti e impiegati le
zone vicino alla piazza centrale, distribuì le case dei
minatori in aree sempre più lontane dal centro. Questa
piazza progettata per accogliere 40.000 persone, e
destinata alle “adunate
oceaniche” che sono poi l’unica forma prevista di
partecipazione civile. La massiccia propaganda attuata dal
regime per unificare la nazione sotto il profilo culturale
70
funzionò, in Sardegna, solo in parte: le culture locali non
furono soffocate, così come la lingua sarda, i costumi e gli
usi tradizionali, che il fascismo avrebbe voluto abolire.
L’organizzazione fascista dello stato fu accolta con
indifferenza dal mondo sardo, che espresse un consenso
molto limitato al regime: soltanto la borghesia ed il mondo
urbano espressero nell’isola un adesione ampia. Anche la
Sardegna in ogni modo sperimentò le conseguenze della
politica totalitaria del regime: controllo sulla stampa, sulla
scuola e su ogni manifestazione della vita pubblica. Ogni
opposizione era soffocata con arresti e condanne al
confino. Cagliari ma anche Sassari fecero registrare una
vera e propria impennata demografica: la prima passando
dai 61.400 abitanti del 1921 ai 100.620 del 1936, la
seconda dai 44.150 del 1921 ai 51.700 del 1931. La crisi del
1929 in Sardegna ebbe conseguenze devastanti; Nel
Campidano orientale di Cagliari un lungo ciclo favorevole
della produzione vinicola portò a diffusi investimenti col
conseguente indebitamento di centinaia di viticoltori. Nel
settore minerario la crisi andò ulteriormente aggravandosi
a partire dal 1930, con conseguenze gravi sui livelli di
occupazione di fronte alla generale caduta dei prezzi dei
minerali, la soluzione adottata dalle società fu quella di
licenziare in alcuni posti e licenziare.
71
L’antifascismo in Sardegna
Non è semplice ricostruire l’antifascismo in Sardegna
poiché non ci sono molte testimonianze scritte al di fuori
di verbali della polizia o di deposizioni in tribunale, che
risultano parzialmente schierate dalla parte del fascismo
nonostante la precisione con la quale venivano redatti. A
questo problema si aggiunga anche la carenza, o meglio
l’insufficienza, della documentazione del tempo; infatti
degli archivi di Stato esistenti in Sardegna, solo quello di
Nuoro ha mantenuto tutti, o quasi, i documenti relativi al
periodo fascista.
L’antifascismo sardo pone gli stessi quesiti che offre lo
stesso antifascismo italiano, ovvero:
-Quale fu la reale dimensione dell’antifascismo?
-Quali furono i motivi e i contenuti dell’opposizione al
fascismo?
-Quali furono le zone geografiche e i gruppi sociali con un
tasso più alto di opposizione al regime?
-Nel ventennio di regime totalitario quali furono i momenti
di maggiore opposizione al fascismo?
Ma a questa serie di domande si può aggiungere qualche
quesito riguardante più precisamente la condizione
regionale; infatti, come molte regioni del Mezzogiorno, la
72
Sardegna mostrava alcune forme di “sovversivismo”
istintivo che si rivoltava da sempre contro le dittature.
La reale dimensione del fascismo sardo è difficile da
definire, ma vi fu. Esistette di fatto un diffuso
atteggiamento di indifferenza nei confronti di questi
regimi totalitari. Fu così anche per il fascismo il quale si
appoggiava su un’organizzazione spettacolare, che aveva
bisogno di masse da inquadrare per incidere realmente
sulla volontà del popolo; di conseguenza a questo fatto il
fascismo trovò molte difficoltà ad entrare in un ambiente
così piccolo e diviso come quello della campagna sarda.
Anche nel momento di maggior “consenso” verso il
fascismo esistette un atteggiamento di distacco, se non di
ostilità, soprattutto in gruppi borghesi, i quali avevano già
provato esperienze politiche nei movimenti democratici.
Esistette pure una piccola rete di opposizione organizzata,
sia di tipo spontaneo(seguendo l’onda delle tradizioni locali
specifiche come nella zona mineraria),sia con l’appoggio di
qualche collegamento con l’estero (come per il Partito
Comunista d’Italia e per i gruppi sardisti legati dall’azione
e dal carisma di Emilio Lussu).
I motivi e i contenuti dell’opposizione sono da ritrovare in
principio nella tradizione di antagonismo nei confronti
dello Stato centralizzato e “continentale”, di cui il
fascismo offriva una versione particolarmente rigida e
autoritaria. L’antifascismo in Sardegna viene considerato il
prolungamento di questo antagonismo, scatenato anche dal
malessere che colpì economicamente tutti i ceti di
lavoratori legati alla terra i quali non riuscivano più a
73
sopportare un carico fiscale troppo elevato. Vi è poi la
mancanza di una storia del “consenso” che il fascismo ebbe
nella metà degli Anni Trenta presso il ceto medio delle
città e delle campagne.
Le zone geografiche e i gruppi sociali che espressero un
più alto potenziale di resistenza e di non-conciliazione
verso il fascismo furono sicuramente il Sulcis-Iglesiente e
di conseguenza la classe operaia che, dopo la nascita di
Carbonia, fu rinforzata numericamente; essa conservò una
tradizione sindacale, che il fascismo stesso inizialmente
assecondò in quanto politicamente utile, e una memoria di
comportamenti singoli o collettivi sentiti come espressione
della coscienza di classe. Al di fuori di questa zona, la
quale presenta molte manifestazioni antifasciste, anche la
classe operaia della città (soprattutto di Cagliari) diede
vita ad alcuni gruppi di oppositori irriducibili. Cosi come
accadde in gruppi borghesi delle tre maggiori città, i quali
però furono trattati decisamente meglio rispetto alla
classe operaia, come sembrano evidenziare i documenti
dell’epoca; non vi è stata infatti una forte repressione
violenta come contro la classe operaia e questo dimostra
che vi era una scelta di classe contro la quale scagliarsi:
questa era ovviamente il proletariato operaio e i ceti
subalterni delle campagne. Proprio dal mondo rurale
emergono singole, ma numerose, personalità di oppositori
magari non proprio consapevoli della loro indole
antifascista ma comunque fermi nel rifiuto dell’istituzione
fascista.
74
I momenti di maggiore e densa aggregazione antifascista
furono dall’entrata in vigore della uota Novanta(31
dicembre 1927, parità con la sterlina a 92.46 lire) al
1931/1932, e poi nel quinquennio che inizia dall’intervento
in Africa; nel primo periodo esistette una opposizione
generalizzata e diffusa, collegata praticamente alle
condizioni pietose del mondo rurale e al notevole peso
fiscale al quale il proletariato era sottoposto; nel secondo
periodo invece le manifestazioni legate alla questione
economica svanirono forse anche per le numerose opere di
bonifica attuate intelligentemente dal fascismo, in questo
modo le manifestazioni assunsero più radicalmente un
carattere politico.
Questo antitotalitarismo che aveva da sempre
caratterizzato il modo di pensare dei sardi, negli anni del
fascismo conobbe un suo prolungamento che tende a
radicalizzarsi con l’aumento della presenza fascista
nell’isola. In questo fenomeno Lussu individuava, seppur
attribuendole una consapevolezza che non possedeva, una
vera e propria carica rivoluzionaria in senso antifascista.
Questa carica rivoluzionaria faceva capo soprattutto al
mondo rurale e restava legato a quell’odio contro lo Stato
con cui la propaganda trovò un difficile terreno di
confronto e conversione (seppur bisogna dire che il
fascismo fu molto furbo nell’individuare questi temi e
utilizzarli razionalmente).
Questa coscienza antifascista restava unita dallo spirito
delle popolazioni agro-pastorali nelle quali il fatto di
essere del paese aveva la meglio su qualsiasi altro fatto.
Spesso questa coscienza dava libero sfogo alla maggiore
75
forza organizzativa dei partiti di sinistra tra cui il Partito
Sardo d’Azione.
Tra i più grandi protagonisti di questo antifascismo sardo
possiamo trovare personaggi come Giovanni Agostino
Chironi (da ferroviere a tipografo per il Partito Comunista
d’Italia), Andrea Lentini (un sindacalista tra lotte per le
miniere e repressioni fasciste), Francesco Fancello (un
socialista contadino), Francesco Doranti (un sacerdote che
si oppose al fascismo).
Possiamo concludere che l’antifascismo in Sardegna è
esistito più che altro come forma di coscienza etnica
regionale e come forma di ribellione contro le condizioni al
quale il fascismo sottoponeva la classe proletaria sarda
76
Storia
della
Sardegna
regione
autonoma
L’unificazione dell’Italia del 1861 non attenuò il malessere
dell’isola.
Nel 1865 l’abolizione dei diritti sui terreni divenuti
proprietà privata, provocò un ondata di moti popolari.
Questi suscitarono i richiami dei deputati sardi e
l’istituzione di commissioni parlamentari d’inchiesta che
non portarono alcun effetto.
Il decennio 1870-1880 segnò nell’isola dei progressi, con la
ripresa dell’agricoltura e dell’allevamento, la costituzione
di linee ferroviarie, il potenziamento dei collegamenti
marittimi e la creazione di istituti bancari. Ma gli
avvenimenti internazionali ben presto determinarono il
tracollo dell’olivicoltura, viticoltura e allevamento sardi.
Tra 1887-1891 fallirono anche le banche, portando alla
rovina piccoli produttori agricoli e piccoli risparmiatori.
Analfabetismo, povertà, disoccupazione, emigrazione,
spopolamento delle campagne e banditismo costituivano il
drammatico quadro dell’isola di fine secolo, nel quale
tuttavia, non mancarono di affermarsi punte altissime di
cultura e di impegno autonomistico.
Nel 1897 diveniva Ministro dell’Agricoltura il cagliaritano
Francesco Cocco Ortu, al quale si devono leggi speciali in
campo rurale. Queste leggi ebbero grande influenza
nell’isola, contribuendo
77
all’affermazione
di
un’intraprendente
borghesia
commerciale urbana.
Con la prima guerra mondiale, la società regionale visse la
prima significativa esperienza di integrazione nel contesto
nazionale. La Brigata Sassari, della quale fu figura
carismatica il capitano Emilio Lussu, offri sul fronte
austriaco uno straordinario contributo di valore e vite
umane. Questa esperienza determinò nei reduci
una maturazione umana e civile ed una riscoperta
dell’identità regionale che diede origine nel dopoguerra al
movimento autonomistico e alla fondazione, nell’ aprile
1921, del partito Sardo d’Azione. Il nuovo partito riusciva,
nel maggio dell’anno stesso, ad eleggere 4 deputati,
divenendo la seconda forza politica della Sardegna. Il
governo fascista spense ogni aspirazione autonomistica e,
pur intervenendo in alcuni settori, e modificò le condizioni
generali dell’isola. Furono realizzate alcune imprese di
bonifica, la più significativa Mussolina (Arborea) e
nell’ambito della politica autarchica, ossia della produzione
78
nazionale, ottenuta contro lo sfruttamento di risorse
interne, fu
dato grande impulso allo sfruttamento minerario, in
particolare delle miniere di carbone, con la fondazione
della nuova città di Carbonia (1938).
Con la seconda guerra mondiale, la Sardegna, destinata dal
governo ad essere la base delle operazioni aeree del
Mediterraneo, fu ripetutamente bombardata dalle forze
alleate: in particolare Cagliari, che conobbe gli attacchi più
devastanti nel 1943 e che fù distrutto per il 75%. Dopo l’
armistizio del 8 Settembre, le truppe tedesche si
ritirarono dall’ isola che venne occupata
dalle forze alleate. Riprendeva la vita
politica, con il rientro degli antifascisti.
Il 27 Gennaio 1944, l’ istituzione di un
Alto commissariato per la Sardegna,
Alto commissariato il generale Pietro
Pinna., avviava il percorso verso l’
approvazione dello Statuto Speciale
(legge costituzionale 26 febbraio 1848
n°3) e la nascita della Regione Autonoma Della Sardegna
( 8 Maggio 1949, elezione del primo Consiglio Regionale).
La Regione Autonoma Della Sardegna nacque dunque, come
organo di governo dei sardi l’ 8 Maggio del 1949, quando fù
eletto il primo consiglio regionale, a conclusione di un
percorso che determinò la “specialità” del suo Statuto.
Tale percorso conobbe significativi passaggi, il primo dei
quali fù l’ istituzione, con RDL n°21 del 27 Gennaio 1944 di
un
Alto Commissariato che sovrintendeva alle
amministrazioni statali, civili e
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militari dell’ isola. La carica di un Alto Commissariato fù
attribuito al generale Pietro Pinna.
Il 29 Aprile del 1947, la consulta votò e approvò un
progetto di statuto che venne inviato per l’ esame al
Presidente dell’ Assemblea Costituente. Nel Settembre
dello stesso anno la SottoCommissione per il
coordinamento degli statuti speciali iniziò l’ esame dello
Statuto Sardo, che fu emanato con Legge Costituzionale
n°3 del 26 Febbraio 1948 e pubblicato nella Gazzetta
Ufficiale del 9 Marzo.
Lo Statuto Sardo è stato di recente modificato con le
leggi costituzionali n°2 del 31 Gennaio 2001 e il n°3 del 18
Ottobre 2001. La prima legge consente alle regioni a
statuto speciale di organizzarsi sul modello già previsto
per le regioni a statuto ordinario, con una forte
connotazione presidenziale.
La seconda modifica il titolo V della costituzione e
riguarda sopratutto il decentramento di funzioni della
regione agli enti locali, con la ripartizione delle
competenze tra Stato, regione, sistema delle autonomie
locali. Sullo Statuto speciale sono fondati l’ ordinamento
interno e l’ autonomia della Regione Sarda, costituita dall’
organo legislativo ( consiglio regionale ) e degli organi
esecutivi (Giunta Ragionale, Presidente Della Regione), che
durano in carica 5anni.
La seduta inaugurale del consiglio regionale ebbe luogo il
28 Maggio del 1949. Il 31 Maggio l’avvocato Anselmo Contu
fu eletto suo Presidente. L’Assemblea era composta da 60
consiglieri, successivamente portati ad 80 ed eletti a
suffragio universale .
80
Il Presidente della Regione è a capo dell’Esecutivo e
rappresenta la Regione Sarda. Il primo Presidente della
regione fu l’avvocato Luigi Caspellani, che fu eletto dal
Consiglio Regionale il 25 Giugno 1949 e che fu a capo di
una Giunta composta da 8 assessori. Il numero degli
assessorati è stato successivamente ampliato.
Il popolo Sardo ha eletto, dal 1949 ad oggi, i membri di
tredici consigli regionali, che hanno dato luogo alla
formazione di quarantacinque giunte.
81
82
Questo lavoro è stato realizzato da noi
alunni delle classi 3^a e 4^a Mercurio
nell’anno
scolastico
2006/2007
con
l’obbiettivo di conoscere sempre meglio la
storia dei nostri paesi e della nostra isola.
Per la realizzazione di questo progetto
siamo stati impegnati sia durante le ore
curriculari di Storia sia individualmente e
in ore pomeridiane con l’aiuto della
prof.ssa
Antonella
Franceschi
e
dell’assistente tecnico Pietro Masala.
Abbiamo
utilizzato diversi
strumenti quali:
fotocamera, PC,
Internet e video.
La
stampa
dell’opuscolo
è
stata realizzata
in
orario
pomeridiano da
noi stessi alunni.
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Classe 3’A mercurio
Anedda Valentina
Carzedda Marcello il più bello
Casta Cristiana
Casu Andrea
Crobu Mirko
Di Blasi Roberta
Esposito Luca
Fais Jacopo
Manca Ivan
Orpianesi Stefano
Pinna Luca
Poddesu Giulia
Porcu Stefano
Salaris Irene
Soddu Enrico
Stara Giacomo
Ullasci Francesco
Vidili Chiara
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Classe 4^A Mercurio..
Pili Andrea
Piras Laura
Foddis Maurizio
Zuddas Ilenia
Meloni Francesca
Miscali Francesca
Carta Gianluca
Frau Mattia
Galbraith Robert
Gaudiello Marco
Madeddu Andrea
Garau Davide
Manca Manuel
Petucco Gabriele
Sanna Stefano
Serra Gianluca
Boassa Matteo
Simbula Martina
Boschetto Roberto
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