la Biblioteca di via Senato
Milano
mensile
anno II
n.11 – dicembre 2010
L’avventurosa
vita di Collodi
e del suo
immortale
burattino
Luciano Curreri,
Pietro Pancrazi,
Chiara Nicolini
e Matteo Noja
la Biblioteca di via Senato - Milano
MENSILE
DI
BIBLIOFILIA
–
ANNO
II
–
N.11/19
–
MILANO,
DICEMBRE
2010
Sommario
5 Pinocchio nella Biblioteca dell’Utopia
IL MONDO DI PINOCCHIO
È UNA CITTÀ IDEALE? *
dalla presentazione del volume
13 Pinocchio nella Biblioteca dell’Utopia
ELOGIO DI COLLODI
CON PENNA E FUCILE
di Luciano Curreri *
29 IN SEDICESIMO - Le rubriche
GLI APPUNTAMENTI
CON “DANTE E L’ISLAM”,
I CATALOGHI, IL SALONE
DEL LIBRO USATO, LE ASTE,
L’INTERVISTA D’AUTORE,
LE MOSTRE, LE RECENSIONI
45 Pinocchio nella Biblioteca dell’Utopia
ELOGIO DI PINOCCHIO,
EROE CASALINGO
DI UN TEMPO CHE FU
di Pietro Pancrazi *
55 Libri illustrati in BvS
L’AVVENTUROSO
BURATTINO IN 130 ANNI DI
RILETTURE PER IMMAGINI
di Chiara Nicolini
63 BvS: rarità per veri bibliofili
IN ARTE COLLODI.
VITA E OPERE DEL BABBO
DI PINOCCHIO
di Matteo Noja
72 La pagina dei lettori
BIBLIOFILIA A CHIARE
LETTERE
* tratto da Le Avventure
di Pinocchio, Silvio Berlusconi
Editore, Milano 2010
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Il Pinocchio disegnato da E. Mazzanti
Questo periodico è associato alla
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11/03/2009
Editoriale
ultimo numero del 2010 del nostro
bollettino è interamente dedicato
a Le avventure di Pinocchio di Carlo
Collodi, scelto quest’anno come testo
dell’ormai ventennale Biblioteca dell’Utopia
della Silvio Berlusconi Editore.
“Pinocchio” è il titolo più appropriato
in occasione delle prossime celebrazioni
per il 150° dell’Unità d’Italia, non solo per
lo slancio unitario ripetutamente espresso
dallo stesso Collodi ma anche per il successo
mondiale che ha caratterizzato questa sua opera
rendendola una delle più rappresentative icone
letterarie del nostro Novecento.
Anche senza contare le infinite trasposizioni
L’
a fumetti, cartoni animati, film o serie televisive
che ne hanno costellato la storia, “Pinocchio”
è di gran lunga il libro italiano più tradotto
e “ripreso”, una storia fondante per la sua
moralità e non solo, che va oltre la letteratura
“per bambini” e disvela le proprie metafore
senza perdere quell’atmosfera onirica e fantastica
che ben si addice all’avvento delle Feste.
Arricchiscono i contributi presi direttamente
dal volume, una presentazione delle edizioni
illustrate custodite nei nostri fondi, un Elogio
di Pinocchio di Pietro Pancrazi, un Elogio
di Collodi, di Luciano Curreri, e uno studio
bio-bibliografico di Matteo Noja dedicato
all’autore e inventore del famosissimo burattino.
dicembre 2010 – la Biblioteca di via Senato Milano
5
Pinocchio nella Biblioteca dell’Utopia
IL MONDO DI PINOCCHIO
È UNA CITTÀ IDEALE?
L’alchemica magia di un burattino tutt’altro che per bambini
Dalla presentazione del volume
on poteva mancare Pinocchio. In una collana
monellesca, per taluni aspetti del tutto simile a quella delche cerca, scopre o ripropone testi utopistici, la
la sua creatura letteraria; era lunatico, sovente melancostoria del celebre burattino ha molte ragioni da
nico, comunque bizzarro, apparteneva a quel genere di
spendere. Opera di Carlo Lorenzini, che utilizzò lo pseuuomini che sfogano ora nel risentimento ora nell’ironia le
donimo di “Collodi” per il cognome, Le avventure di Piproprie delusioni. Combatté per l'unità nazionale, partenocchio - questo il titolo originale del libro - nacquero per
cipando alle campagne militari con veemenze e idee mazcaso e non sono il frutto di particolari elaborazioni accaziniane o, come suggerisce qualcuno ancora oggi, per la
demiche, letterarie o estetiche. Nessuno previde il suc“piemontesizzazione” del Belpaese. Ma quando essa fu
cesso, nemmeno l’autore; anzi, secondo una leggenda
raggiunta non si sentiva soddisfatta dei risultati, come del
che periodicamente trova nuovi interpreti, Collodi riuscì
resto non lo sono ancora molti italiani di oggi.
a scriverlo in una notte per onorare dei debiti di gioco.
La sua personalità era sicuramente duplice: nel suo
Anche se questa tesi romantica ha un suo fascino, bisogna
privato, tra sé e sé, detestava la folla e il chiasso (in questo
tener conto del fatto che il romanzo, divenuto immediasimile ad Alessandro Manzoni), ma per campare riuscì a
tamente un classico della letteratura per i ragazzi, fu in un
occuparsi di teatro, persino come censore, e fu un croniprimo momento pubblicato a puntate dal 1881 al 1883
sta degno di attenzione. Dopo il1860 fu anche impiegato
nel “Giornale per i Bambini”, allegato al “Fanfulla” diretpresso la prefettura di Firenze. In un animo siffatto molti
to da Ferdinando Martini.
problemi trovarono requie soltanto in là negli anni,
Di certo, però, Carlo Collodi fu un uomo originale,
quando il signor Lorenzini chetò le sue nevrosi perdeno almeno incapace di rispettare i canoni dello scrittore cadosi nello spazio liberatorio e libertario della fiaba.
ro agli italiani del tempo, ovvero a
Fu in quel tempo che egli potè
quei memorialisti ormai da salotto
spegnere le mille contraddizioni di
che ingigantivano di anno in anno le
Oltre alla tiratura limitata (e non
un’esistenza e di una carriera giornaavventure risorgimentali e usavano
listica dedicata al satirico in un uniin commercio) firmata da Silvio
porre nell’antiporta dei volumi con le
verso fantastico, dove i personaggi si
Berlusconi Editore - composta
poesie di Prati e Aleardi dediche per
potevano inventare, anzi prendevain monotype con carattere “Bembo”
le fandulle, quali “sorda ai sospiri”.
no forma nella fantasia e riuscivano a
e stampata su papier avorio
Collodi no, era un ‘anima ribelle, forrispondere, con le loro coordinate
delle Cartiere di Sicilia - questa nuova
se si potrebbe azzardare definendola
lontane dalla ragione, ai mille “peredizione de “Le Avventure di Pinocchio
ché” della realtà. Per questi e per altri
- Storia di un burattino” uscirà anche
motivi, non è facile stilare un invenin tutte le librerie italiane per i tipi
Serigrafia di Francesco Musante
tario del magma emotivo in cui nacdi Arnoldo Mondadori (Milano, 2010)
que Pinocchio, avvolto per chi lo
firmata dall’artista
con prezzo di copertina 16 euro.
N
dicembre 2010 – la Biblioteca di via Senato Milano
7
A sinistra: Le avventure di Pinocchio, Torino, Fògola, 2000; sopra un’illustrazione di Roberto Innocenti tratta da Pinocchio
abenteuer, Aarau, Frankfurt am Main, Salzburg, Sauerländer, 1988
legge in un’atmosfera magica e dalle mille sfumature, ma
che per l’occhio indagatore concede non pochi spazi anche alla trasgressione. Un mondo comunque che, visto in
prospettiva, sembra regolato da una morale concreta,
persino grigia nella sua modestia: per poter lasciare alle
spalle il limbo dell’infanzia, nel quale ogni individuo assomiglia a un burattino tra i flutti degli eventi, occorre
comportarsi bene.
Pinocchio diventerà un ragazzo in carne e ossa, tuttavia meno vivo del burattino di legno che fu. Detta in soldoni, sembrerebbe un’etica da applicare all’educazione
dell’Italietta di allora, o meglio un carburante per quel
nuovo senso nazionale che doveva trovare un suo posto e
le relative applicazioni nei caratteri, nelle abitudini. Ma è
tutto qui, Pinocchio?
No, le sue avventure portano soprattutto altrove.
Da quando, nell’1883, la storia del burattino divenne un
libro pubblicato a Firenze dalla Libreria Editrice Felice
Paggi (con le illustrazioni di Enrico Mazzanti), il mondo
ebbe a disposizione un classico che sapeva parlare lingue
diverse a seconda dell’epoca e di chi lo avrebbe interrogato. Se ai nostri giorni sono state rimproverate alle Avventure di Pinocchio delle attinenze con la massoneria, già nel
1903 l’opera veniva sdoganata dai testi infantili grazie al
giudizio favorevole di Benedetto Croce.
Nelle intenzioni di Carlo Collodi non vi era, quasi
certamente, quella di creare un racconto dedicato soltanto ai bambini se, nella prima versione, il burattino moriva
impiccato a causa dei suoi molteplici errori: solamente la
ricordata pubblicazione a puntate prolungò la storia anche dopo l'esecuzione cruenta, prendendo le connotazioni che oggi conosciamo, ovvero con Pinocchio che si
trasforma alla fine in un ragazzo in carne e ossa.
Va inoltre ricordato che l’opera ha un retrogusto carico di nostalgie. Benché sia stata scritta verso la fine dell’Ottocento, è ambientata in un passato con i sapori che
qua e là sembrano quelli del buon tempo antico, presumibilmente all’epoca del Granducato di Toscana. Se si do-
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la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2010
Il Pinocchio di Emanuele Luzzati
vesse fare della filologia cronologica, non potremmo nascondere il fatto che i riferimenti ai quattrini, soldi e zecchini d’oro ricordati nelle pagine, ci portano appunto
nello stato preunitario. Durante i giorni del granduca
Leopoldo II (1824-1859) gli zecchini d’oro corrispondevano a 80 crazie o a 400 quattrini, mentre un soldo era pari a 3 quattrini. Nel 1861, invece, con la proclamazione
del Regno d’Italia, Firenze cessò di essere la capitale (anche se lo ridiventerà per qualche anno prima di Roma) e
dal 24 agosto 1862 la Lira italiana sostituisce quell’universo di monete circolanti nei diversi Stati.
Dove si svolsero, poi, queste avventure? Alcune
fonti ambientano le storie di Pinocchio nella zona a Nord
di Firenze, in particolare nelle località di Castello, Peretola, Osmannoro e Sesto Fiorentino. Il punto di partenza
di questa geografia, che ha suscitato inevitabili contestazioni, sarebbe villa Il Bel Riposo (situata in prossimità di
villa La Petraia e villa Corsini). In essa, d’altra parte, Car-
lo Collodi soggiornò in non poche occasioni durante la
seconda metà dell’Ottocento.
Pinocchio è detto dal suo autore “burattino”; con
maggior precisione avrebbe dovuto essere chiamato marionetta, giacché sembra in molte situazioni mosso da fili.
Collodi, che non ignorava questi aspetti, probabilmente
intendeva riprendere Burattino, una delle identità che lo
Zanni delta Commedia dell'arte assume più o meno nel
Seicento. Burattino era quel tale che setacciava la farina e,
per svolgere diligentemente il suo lavoro, si muoveva con
gesti scombinati, o meglio: spezzati. E si può aggiungere
che “Pinocchio” non fu un’invenzione dello scrittore.
Carlo Lorenzini si sarebbe ispirato alla “Fonte di Pinocchio” sita a Colle di Val d’Elsa, dove aveva studiato.
Queste due osservazioni vanno poste in margine al
fatto che l’opera dello scrittore toscano forse fu pensata
piu come un’ allegoria della società moderna che non come un racconto per ragazzi, più come un’opera dove nei
personaggi di fantasia si sarebbero potute fissare le norme
di una nuova etica che non un racconto che assecondava la
dicembre 2010 – la Biblioteca di via Senato Milano
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Un’altra illustrazione di Luzzati: Pinocchio e Geppetto nella pancia del pescecane
morale del momento. C’è, insomma, in Pinocchio uno
sguardo senza infingimenti sui contrasti tra la cosiddetta
rispettabilita e quello che si può definire libero istinto: e
questo è tentato in un periodo nel quale le formalità si
sprecavano, il pudore si ostentava e l’ipocrisia era ospite
fissa nei salotti. Era it tempo della Regina Vittoria e a Londra erano di moda dei drappi da porre alle gambe dei pianoforti per evitare di vederle e di evocarle con la parola.
Scritto in forma innovativa, grazie a una sintassi
che ospita spesso fiorentinismi, realizzato con finzioni
che non sono estranee a talune tradizioni e al folclore,
concepito in un italiano che macina espressioni popolaresche toscane, Pinocchio diventa un libro dal quale si ricavano continuamente opere musicali, teatrali, fumetti,
film, serie televisive, cartoni animati, ma anche osservazioni simboliche e considerazioni letterarie. È, in altri
termini, un’idea che non riesce a finire e lascia sempre
delle parti da scoprire.
Per fare dei semplici esempi, un’analisi di Elemire
Zolla ricordava che quanto Collodi chiamava «campo
benedetto» o «campo dei miracoli», altro non era che un
modello da cercare nel Mutus Liber, il capolavoro dell’alchimia secentesca francese. E anche la formula per far
crescere gli zecchini è esattamente quella per rigenerare
l’oro in alchimia. Due secchi d’acqua di fontana e una presa di sale: l'acqua della fons juventutis e un grano di sale della sapienza. Né dimentichiamo che su tale argomento restano pagine indimenticabili di Goethe in Poesia e verità.
Insomma, l’iconografia alchemica è una guida perfetta
per orientarsi in Pinocchio. Non c'è che l’imbarazzo della scelta. Anche il paese dei barbagianni, per fare un ultimo esempio, è quello che si deve attraversare per recarsi
nell’Eterna Sapienza (così ci informa la prima vignetta
dell’Amphiteatrum eternae sapientiae di Khunrat).
Certo, c’è un Pinocchio grottesco e ce n’è uno che
richiama Ariosto, un altro che diventa pirandelliano e un
altro ancora che sembra tradurre Perrault; a volte sembra
Renzo de I promessi sposi, altre volte si direbbe che recupe-
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la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2010
Il ventre del pescecane nell’illustrazione di Roberto Innocenti
ri il repertorio di Stenterello. Pinocchio è inafferrabile, come certi personaggi di Collodi.
La Fatina dai capelli turchini chi era? Dobbiamo
cercarla nei libri esoterici o è semplicemente presa in prestito dalle fiabe francesi del XVII secolo? Qualcuno arrivò a scrivere che il modello glielo fornì Anna Kuliscioff, la
fatina del socialismo italiano, che fu processata nel1879
con gli internazionalisti a Firenze. Un cronista la ricordò
«con una testa da madonna, con la carnagione bianca, imporporata di salute, con le trecce lunghe, d’un biondo luminoso, per le spalle». E a cosa rimandava quella conturbante presenza? Ecco la sua risposta: «Essa faceva pensare alle donne preziose dei preraffaelliti». Sembra la figura
del libro di Collodi ritratta in anticipo. Ma è altresì vero
che – lo aveva notato Vittorio Frosini, che dedicò nel
1967 sulla rivista “Clio” un saggio a Pinocchio come satira politica - Collodi, come Flaubert, avrebbe potuto dire:
«la Fatina, sono io ».
C’è un’ultima ipotesi da ricordare: Pinocchio è l’ultimo abitante di un paese dove è possibile vivere l’utopia.
Lo si capisce dai suoi desideri, dalle magie che incontra,
dai sogni di luoghi che vivono unicamente nel pensiero.
Forse è anche l’ultimo rappresetante dell’antiutopia, di
quel genere che da I viaggi di Gulliver di Swift alla Favola
delle api di Mandeville smontarono con una satira o con
precise osservazioni filosofiche i sogni di città ideali e luoghi perfetti. Difficile dire se Collodi abbia voluto essere
un abitante di Utopia o di anti-Utopia, e probabilmente
ogni epoca gli muta (e gli cambierà sempre) il certificato
dt residenza; di certo fuggì dalla realtà per meglio capirla,
per criticarla, per vivere.
E questo ci basta, d’altra parte, Giuseppe Prezzolini, che riuscì a scrivere una Storia tascabile della letteratura
italiana, affermò che ci sono due libri indispensabili per
capire gli italiani: Bertoldo di Giulio Cesare Croce e Pinocchio di Carlo Collodi. E, si sa, il Belpaese resta l’unica nazione al mondo dove l’utopia si respira nell’aria e in ogni
campagna elettorale si riesce persino a toccare con mano.
dicembre 2010 – la Biblioteca di via Senato Milano
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Pinocchio nella Biblioteca dell’Utopia / 2
ELOGIO DI COLLODI,
CON PENNA E FUCILE
Carlo Lorenzini detto il Collodi, il Risorgimento, Pinocchio...
LUCIANO CURRERI
erché Carlo Lorenzini detto il Collodi virgola il Risorgimento virgola Pinocchio puntini di sospensione?
So bene che non si guadagna granché a mettersi
dietro la “grancassa” degli anniversari - specie se altisonanti - e che meglio sarebbe festeggiare i “non-compleanni”. Eppure, gli anniversari, anche i più grandi, veri
concentrati di “spazio-tempo”, non vanno snobbati: andrebbero semplicemente ridotti “a misura d’uomo”. In
tal senso, i 150 anni dei Mille e dell’Unità d’Italia, possono anche e subito restituire Lorenzini detto il Collodi alla Storia e non farlo scomparire una volta di più dietro il
suo immortale personaggio.
Detto questo, vorrei che fosse davvero chiaro, fin
dall’inizio, che il mio discorso non indica una soluzione di
continuità dei tre elementi citati, magari attraverso una
semplice addizione. Insomma, non bisogna leggere: Collodi + il Risorgimento = Pinocchio. E non bisogna pensare a quell’identità un poco facile che la tradizione iconografica, più di quella testuale, ci ha cacciato in testa a furia
di copertine con carabinieri reali, l’Arma simbolo dell’Italia unita (anche se il Corpo nasce in seno al primo Ottocento). E dico questo nel più profondo rispetto dell’Arma; rispetto che non mi vieta tuttavia di avere una qualche
riserva sull’uso che di Pinocchio si è fatto e si fa per costruire l’identità italiana1, che, come ogni identità, è una
logica fatta di categorie e non di relazioni e complessità2.
Il mio discorso introduttivo tende piuttosto a problematizzare la triade in questione e lasciarla conseguentemente “aperta”, foriera di relazioni, di luoghi e
P
«Pigliatelo dunque e mettetelo subito in prigione!»,
un’altra illustrazione di Luzzati
non luoghi, di piccoli mondi e ragazzi grandi, di utopie
più o meno rovesciate e contigue3, con teatrini, campi de’
miracoli, città, prigioni, isole industriose, scuole, grotte
(forse zolfare) e paesi di Barbagianni e dei Balocchi.
Per non parlare di quello strambo esercito di pinocchi lanciato nel Novecento delle mille interpretazioni e delle mille “pinocchiate”4, dove il burattino è un’icona della «civiltà del riuso»5, nel bene e, forse soprattutto,
nel male; e forse con Pinocchio in chiave teologica6 e Pinocchio in camicia nera7 a svettare su tutti i “cloni”, ma,
come dire, chi più ne ha - o più ne trova - più ne metta8.
Del resto, sembra proprio che a essere “puristi”,
con Pinocchio ci si perda sempre, anche quando si ha ben
presente che la propaganda, di qualsiasi segno e colore
sia, non rende un buon servizio al burattino, che in tal
senso è il «pezzo di legno» più bruciato dal fuoco dell’ermeneutica e l’implicito “ragazzo-virgulto”9 più sacrificato alle fiamme della Storia; a partire, se vogliamo, dal
noto e deludente finale sancito dal cap. XXXVI - in cui
«Pinocchio cessa d’essere un burattino e diventa un ragazzo» - e dettato dalla quasi coatta continuazione delle
Avventure di Pinocchio, che Collodi avrebbe voluto concludere già con il cap. XV: «Gli assassini inseguono Pinocchio; e dopo averlo raggiunto, lo impiccano a un ramo della Quercia grande».
In effetti, e non così paradossalmente, è in questo
primo destino di morte - segnato in modo circolare da
quel «mondo vegetale [che] ricorre spesso nelle spiegazioni sul mistero della nascita»10 - che il burattino collodiano diventa un vero combustìbile dell’immaginario.
14
la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2010
Tavole monocrome di Venturino Venturi per l’edizione Trec del 1983
In tal senso, il fuoco da cui il primo Pinocchio
(capp. I-XV) - uscito fra il 7 luglio e il 27 ottobre 1881 sul
“Giornale per i Bambini” - «è lambito per tutto il tempo» - dato su cui ha riattirato di recente l’attenzione Tiziano Scarpa11 - non è spia testuale di una sconfitta del
«vegetale umanizzato»; anzi, direi proprio che ne è la sua
consacrazione. E al bravo ragazzo cui approda il secondo
Pinocchio (capp. XVI-XXXVI) - uscito fra il 16 febbraio
1882 e il 25 gennaio 1883 sulla stessa testata - ci si ribellerà, investendo proprio sul «vegetale umanizzato», sul
burattino.
Del resto, la morte del primo Pinocchio è più in linea di quanto non si pensi con la biografia e l’orizzonte
autoriale di Collodi e con il contesto storico che li accoglie e li predispone anche alla letteratura per ragazzi, ovvero alla letteratura tout court.
A questo proposito, in parte, Tiziano Scarpa suggerisce: «Senza schiacciare la fantasia sulla biografia,
non sarà forse ricattatorio ricordare che in quattro mesi,
dal 1838 al 1839, morirono quattro piccoli della famiglia
Lorenzini, tre sorelline e un fratellino di Carlo Collodi,
che allora aveva dodici anni»12.
Ripartiamo quindi da Collodi o, meglio, ricominciamo da Carlo Lorenzini detto il Collodi, anche se pure
con l’autore, come vedremo, si è corso e si corre un rischio, che è proprio quello di schiacciare la fantasia sulla
biografia, anche se in modo meno intimo e più pubblico,
politico.
Tuttavia, penso che valga la pena correrlo, facendo reagire alcuni dati privati e pubblici della vita dell’autore - una serie di dati anche noti ma forti, autoriali,
storici, da cui è necessario partire, come hanno saputo
mostrare più o meno di recente, nel caso di Collodi e
Pinocchio, Daniela Marcheschi e Rossana Dedola13 con una rassegna di ipotesi, di interrogativi, da vagliare
e discutere, insieme, come è sempre giusto fare, al di là
dicembre 2010 – la Biblioteca di via Senato Milano
15
«Arlecchino e Pulcinella riconoscono l’amico Pinocchio» e «Pinocchio cane da guardia» nelle tavole di Venturi
di questa stessa occasione.
Carlo Lorenzini (Firenze 1826-1890) detto il Collodi partecipa concretamente al Risorgimento. Collodi è
pseudonimo usato per la prima volta nel 1856 sul giornale
umoristico “La Lente” e deriva dal paese della famiglia
materna, dove il futuro papà di Pinocchio passa una parte
dell’infanzia e adolescenza. In queste mie pagine lo chiamerò Lorenzini fino al 1855 e Collodi a partire dal 1856;
anche se la fama dello pseudonimo non è certo immediata,
né risponde ancora a un uso continuo e coerente, l’eco dello stesso può avere un valore retroattivo, almeno a partire
dall’anno in cui il Nostro lo usa per firmare un suo lavoro.
Là dove alluderò, insieme, ai due momenti della vita dell’autore, scriverò, anche per brevità, Lorenzini-Collodi.
Dopo aver terminato gli studi in Rettorica e Filosofia degli Scolopi - le Scuole Pie, dal 1617 congregazione
(poi ordine) - di San Giovannino di via de’ Martelli - il Liceo Ginnasio «Galileo» dei nostri giorni - e dopo aver lavorato nella Libreria Piatti, Carlo Lorenzini, a soli 21 an-
ni, è fra i giovani volontari toscani che si arruolano nel Secondo Battaglione Fiorentino (Seconda Compagnia) e
prendono parte alla Prima Guerra d’Indipendenza nel
1848; combatte a Montanara in una delle battaglie più famose della nostra storia recente, dove proprio il sacrificio
dei volontari toscani ferma e trattiene Radetzky, che viene
battuto a Goito dai Piemontesi, che entrano a Peschiera.
Ma come è noto, dopo un periodo di inazione, la sconfitta
piemontese a Custoza capovolge la situazione e Carlo Alberto (1798-1849) si ritira, lasciando Milano e la Lombardia evacuata dai Piemontesi. Questa è, in breve, la prima
fase della guerra, durante la quale, tuttavia, molte realtà
italiane (Parma e Piacenza, Modena e Reggio, il Governo
provvisorio Lombardo...) chiedono l’annessione al Piemonte, agli Stati sardi.
Segue la seconda fase della guerra, nel marzo del
1849, la sconfitta di Novara, l’abdicazione di Carlo Alberto. Vittorio Emanuele II (1820-1878) firma la pace di
Milano il 6 agosto, mentre Venezia cade il 24 agosto: Ve-
dicembre 2010 – la Biblioteca di via Senato Milano
nezia da cui tutto, in un certo senso, era partito, il 17 marzo del 1848, con Niccolò Tomaseo (1802-1874) e Daniele Manin (1804-1857) al quale sarà dedicata una delle
microbiografie risorgimentali collodiane14.
Del resto, Lorenzini, tra il luglio del 1848 e il marzo del 1849 pubblica su “Il Lampione”15 - una rivista di
impronta democratica di cui è tra i fondatori - una nutrita serie di articoli. Insomma, non è solo una testa calda,
un giovane infatuato di proclami patriottici o un «mazziniano sfegatato», come si è anche detto - e si pensa a Ferdinando Martini (1841-1928)16.
Come molti della sua generazione, Collodi si batte
col fucile e con la penna e cerca una via per l’indipendenza d’Italia e per la sua propria.E per gli italiani di quegli
anni, la cosa non è sempre facile. La vita, la carriera hanno sbalzi inquietanti. Facciamo un esempio a ridosso degli avvenimenti citati: il 26 febbraio del 1849 Carlo Lorenzini è nominato Ufficiale di Prima Classe del Governo provvisorio Toscano mentre in aprile, al ritorno del
Granduca, è allontanato da tale incarico, salvo poi essere
reintegrato, mesi dopo, nel ruolo di commesso.
Illusioni, delusioni, affanni, che, come è noto, dureranno parecchio, nutrendo la Seconda guerra d’indipendenza, del 1859, per partecipare alla quale Collodi
dichiara il falso: dichiara cioè di essere ancora studente e
di essere nato nel 1834, arruolandosi volontario nell’esercito sabaudo, nel reggimento Cavalleggeri di Novara,
di stanza a Pinerolo.
Ma dopo l’armistizio di Villafranca, del luglio
1859, che sembra negare, per sempre, ogni attesa unitaria, Collodi rientra a Firenze.
Appuntiamoci questa “logica” del rientro, del ritorno dal fuori, perché ci farà comodo, nel bene e nel male.
All’epoca del rientro, Collodi gioca e beve ma offre
anche, fino al 1860, una collaborazione intensa a “La Nazione”, fondata il 13 luglio 1859 per volontà di Bettino
Ricasoli (1809-1880), a cui, sia detto quasi tra parentesi, è
stato da poco dedicato un premio giornalistico intitolato
il «Barone di Ferro». Per Collodi, Bettino Ricasoli è importante: è il «degno successore di Cavour» nella presidenza del consiglio, nel 1861-186217, oltre che l’”inven-
Illustrazione di Innocenti per l’edizione tedesca
Sauerländer
17
tore” del Chianti, e prima ancora è il capo del Governo
provvisorio Toscano, che già nel 1859 ribadisce, dopo i
frustranti accordi di Villafranca, la volontà della Toscana
di far parte di un’Italia unita ed indipendente sotto la guida del re sabaudo Vittorio Emanuelle II.
Anche e soprattutto di Bettino Ricasoli, come del
citato Daniele Manin, oltre che di Camillo Cavour
(1810-1861) e Luigi Carlo Farini (1812-1866), si ricorderà Collodi, in quella sorta di sintetico ma denso e collettivo omaggio a uomini di Toscana, Piemonte, Romagna, Veneto e d’Italia che sono le sue microbiografie del
Risorgimento.
Bettino Ricasoli vi è descritto a più riprese come un
«uomo singolare, rigido, severo, vero tipo leggendario
medioevale»18; un uomo che, secondo le sue stesse parole, vuole «sommergere la povera Toscanina nell’oceano della
italianità»; un uomo che vuole sventare «il disegno di
Napoleone III che intendeva far della Toscana un nuovo
Regno d’Etruria per regalarlo al Principe Girolamo suo
cugino». E Collodi, a proposito, commenta: «Questa
patriottica opposizione indispettì talmente Napoleone
che si vuole fosse essa la ragione dell’armistizio di Villafranca»19. Infine, Ricasoli è l’uomo che nel 1861 difende a
spada tratta l’operato di Giuseppe Garibaldi (18071882) e rilancia la questione romana20.
Insomma, da quanto appuntato or ora, e da quanto
citato dalla microbiografia collodiana di Ricasoli, capiamo quanto Carlo Lorenzini-Collodi maturi col Risorgimento e quanto ci creda, si batta, si allinei con chi continua a sperare nell’Italia unita a guida sabauda. Detto
questo, il Nostro è un po’ anche vittima, come tanti altri
italiani, delle battute d’arresto del nostro processo risorgimentale, comprese quelle del 1861 e del 1866, parzialmente riassorbite nel 1870. E non è qui fuori luogo accennare all’anticlericalismo del giovane e risorgimentale Lorenzini-Collodi, che in versi di recente riscoperti pubblicati anonimi o sotto pseudonimi su “Il lampione”,
tra il 1848-1849 e il 1860-1861, e riportati all’attenzione
dei lettori da Daniela Marcheschi nel supplemento domenicale del “Sole 24 Ore” dell’11 aprile 2010 - si esprime, per esempio, contro i «Canonici del», dicendo loro:
«Rinnegaste l’Italia per la croce».
Oggi, essere anticlericali, è sostanzialmente più di
moda che altro, soprattutto in Italia. A metà Ottocento e
nei suoi dintorni, la postura era un po’ diversa. Basta ri-
18
la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2010
« E Pinocchio a nuotar più lesto che mai, e via, e via...» dalle tavole sciolte di Roberto Sgrilli
leggere Clelia o il governo dei preti (1870) di Garibaldi per
rendersene conto21.
Ma in quel romanzo del 1870, a un certo punto, il
buon Garibaldi - di cui è venuta l’ora di parlar bene, come ha suggerito, da par suo, Mario Isnenghi, nel 2007, in
un bellissimo volume di cui consiglio la lettura, Garibaldi
fu ferito22 - il buon Garibaldi, dicevo, parla anche del
«dialetto [toscano], cui l’Italia deve la maggior parte del
suo Risorgimento - perché in quel dialetto sta uno dei
più saldi fondamenti dell’unità nazionale italiana»23.
Ora, per Lorenzini-Collodi e per tanti altri scrittori
e patrioti toscani della sua e altre generazioni, precedenti
e, direi forse soprattutto, successive, la toscanità è un’arma a doppio taglio, e più, forse, da un punto di vista geopolitico, geoculturale che geolinguistico e geoletterario.
Per capirci, lasciamo da parte Alessandro Manzoni
(1785-1873), per una volta, e autori ancor più lontani, e
concentriamoci su quanto stiamo cercando di mettere
insieme a proposito di Carlo Lorenzini detto il Collodi,
della Toscana e del Risorgimento.
Ricordiamoci, dunque, in sequenza: (a) del forte
apporto dei giovani studenti e volontari toscani nelle prime due guerre d’indipendenza; (b) del transitare della
capitale del Regno in quel di Firenze fra il 1864 e il 1870;
(c) dell’attrazione di Roma, del compimento di un disegno politico e tutto quel che ne segue, pure in termini di
vita quotidiana; (d) ovvero della forte volontà - anche
collodiana - di sprovincializzarsi, di riconoscere e di parodiare il “piccolo mondo” fiorentino.
Tutti questi fattori lasciano scoperto il fianco alla
disillusione postunitaria e al ripiegamento, al rientro iterato, malinconico, se si vuole, cui si accennava prima e
che un po’ paradossalmente tenta di sfumare in seguito le
- come le chiama bene Madrignani - «inquinanti infiltrazioni legate ai nuovi comportamenti che dalla sfera politica [romana] arrivano al piccolo mondo della città e della famiglia [toscana]»24.
dicembre 2010 – la Biblioteca di via Senato Milano
19
Il grillo parlante, il corvo e la civetta: tre medici a visitare Pinocchio; nella pagina seguente un’altra tavola di Sgrilli
Mi rispiego. La Storia, quella con la Esse maiuscola, fa una gran scorpacciata degli scrittori toscani attivi
nel secondo Ottocento, quasi tutti sussunti in uno spazio
politico, in un concetto più ampio che li livella e che fa
perder loro molte delle complesse e controverse idee e
attitudini artistiche25.
A più riprese, non a caso, si è osservato come lo
«spazio degli avvenimenti politici del tempo» nelle
«biografie degli scrittori toscani della seconda metà del
secolo scorso» sia fin troppo significativo: «tanto spazio
- dice per esempio Antonio Altomonte - che quasi sempre la loro produzione, in tutto o in parte, non è che il
frutto della partecipazione agli avvenimenti risorgimentali, si tratti di scrittori come Giuseppe Bandi o Eugenio
Checchi, che si sono fatti narratori e testimoni delle imprese garibaldine, o come Pietro Coccoluto Ferrigni
(Yorick), Ferdinando Martini, Leopoldo Borboni, che
vanno ricordati come memorialisti di una Toscana a cavallo tra il suo passato granducale e il presente regio; o
come ancora un Narciso Feliciano Pelosini (Giovan
Paolo d’Alfiano), Carlo Lorenzini (Collodi), Adriano
Cecioni, nei quali il filo delle vicende private s’intreccia
spesso con quello della storia del momento, fino a dipenderne, trovandoli quantomeno impegnati in accese polemiche, dalla tale posizione o dalla talaltra»26.
Il già citato Madrignani, critico e compagno avvertito che non ne poteva davvero più di questa lettura “assolutista” di taglio storico-politico, nell’anniversario del
centenario della morte di Collodi, nel 1990, su “Il Ponte”, finisce per trovare nel fiorentino Guido Nobili
(1850-1916) una sorta di alter ego collodiano.
Perché? Perché, per il critico di Sarzana, scomparso, purtroppo, due anni fa, scegliere Guido Nobili, l’uomo ritirato, nullafacente, il ricco, dilettante, nostalgico
autore di provincia, l’originale, è mossa insieme provocatoria ed efficace, per non ridurre del tutto Lorenzini-Collodi allo spazio degli avvenimenti politici del tempo, come capita a molti lettori che ripensano e risollecitano gli
dicembre 2010 – la Biblioteca di via Senato Milano
scrittori toscani della seconda metà del secolo XIX, e proprio a partire dai loro dati biografici, pubblici e privati27.
Paradossalmente, poi, Carlo Collodi, fin dagli inizi
della sua carriera di narratore, soprattutto lungo gli anni
Sessanta e Settanta, poco o niente si confà alla ricostruzione - anche antologica - di un Ottocento patriottico e
risorgimentale. E a naso, direi che neanche Pinocchio
serve proprio bene la patria unita: marina la scuola e finisce in prigione, il militare non lo fa. Mais enfin...
Quando, in tarda epoca fascista, al secondo anno
di guerra, nel 1941, si è voluto ripescare anche Lorenzini-Collodi, perché si aveva bisogno di tutti i patrioti
disponibili, la manipolazione, secondo una vulgata fascista, ritrova le microbiografie collodiane del Risorgimento sopra citate - Bettino Ricasoli Camillo Cavour Luigi Carlo Farini Daniele Manin - e culmina - a ridosso del
cinquantenario della morte di Collodi (caduto nel
1940, a dir il vero, nel primo anno di guerra) - in una
«Avvertenza» de «Gli Editori» che disegna, nell’anno
XIX dell’era fascista, un evidente orizzonte d’attesa.
Leggiamola:
Questi brevi profili, che vedono la luce in occasione delle onoranze fiorentine al Collodi, se non aggiungono
fama all’Autore, ricordano ai giovani che oltre al Collodi di Pinocchio, di Minuzzolo, di Giannettino, c’è
anche un Collodi patriota e combattente che oggi è dovere ricordare. Non cerchi dunque il lettore, in queste
pagine, la fantasia e l’arte dello scrittore, ma il documento che testimonia con quale amore e con quale fede
egli sentiva e viveva le vicende della Patria.28
Ora, «la fantasia e l’arte» che i collaboratori dell’editrice Marzocco invitano a non cercare nei testi collodiani sopra citati costituiscono prospetticamente
parte delle «idee» o delle «attitudini di artista» che
Carlo Alberto Madrignani vuole recuperare cinquant’anni dopo, nel centenario della morte del Collodi,
senza assolutizzarle in un percorso politico. Mentre
l’«amore» e la «fede» per le vicende della «Patria», incongruamente trasposte, sono il «credere obbedire
combattere» di Benito Mussolini (1883-1945), in evidente sintonia, mi pare, col problematico autunno italiano del 1941.
Ma com’è allora che Pinocchio - ben prima e ben
dopo le derive ermeneutiche fasciste relative al Collodi
21
patriota o alle “pinocchiate” che vestono il burattino di
legno anche della camicia nera - diventa un simbolo
dell’Italia unita e dell’identità italiana, che nel bene e
nel male sono anche il frutto del Risorgimento? Come
si accordano i luoghi di questo percorso complesso al
libertario e “anarchico” burattino e alla sua sublime ma
deludente metamorfosi finale in bravo ragazzo?
Proviamo a ragionare, cercando di avvicinarci ai
nostri giorni, magari ponendoci ancora qualche altra domanda. Come si arriva all’idea - già spadoliniana e di recente rilanciata da Ludovico Incisa di Camerana29 - di un
Pinocchio simbolo della «nazione italiana nella sua adolescenza»?
A parte la collocazione del lavoro di Incisa di Camerana, la collana «L’identità italiana» del Mulino, diretta da Ernesto Galli della Loggia, che la inaugura per
l’appunto con un suo volume esplicitamente titolato a
L’identità italiana30, nel 1998 , a parte tale collocazione,
dicevo, mi pare che dietro ci sia ancora la pretesa di forgiare, di scolpire il carattere degli italiani (il suddittomodello del nuovo Regno ecc.), a proposito della quale, a
mio avviso, ben si esprimeva Giulio Bollati, con l’iterata
e azzeccata formula degli «ingegneri di italianità», nel
suo saggio dedicato a L’italiano. Il carattere nazionale come
storia e come invenzione (1983)31.
Dico solo, allora, che senza seguire necessariamente Ludovico Incisa di Camerana, non è poi così difficile constatare come questa pretesa sia assai diffusa
nell’immaginario italiano; vuoi perché l’Italia postunitaria ne avesse, di fatto, un gran bisogno, vuoi perché la
critica mira sempre a costruire dei canoni, dove serrare
sistemi ideologici, letterari e morali, con il tandem Collodi-De Amicis a dare vita a un filone nazional-pedagogico e, se volete, la ‘ruota di scorta’ Salgari. E occhio alle date di nascita dei tre autori: 1826-1846-1862.
Ed è lo stesso filone, per dire, in cui potrebbe trovare posto un Michele Lessona (1823-1894), che col libro Volere è potere, uscito nel 1869, offre un «modello di
formazione nazionale», come ricorda anche Giorgio
Boatti, recentemente, sulle pagine di “Tuttolibri”, il
longevo supplemento culturale de “La Stampa” (il 26
settembre 2009 per la precisione, nella rubrica significativamente dedicata al “150°. Libri d’Italia. Verso il
2011”). Lessona si ispira all’inglese Samuele Smiles,
Self-Help (1859), guida all’autoeducazione morale che
22
la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2010
Il burattino in posa per la foto di classe “scattata” da Innocenti
ebbe grande successo, ed invita gli adolescenti italiani:
«Coraggio ragazzi: diventate grandi»32.
liade di torsoli di cavolo [...] di nespole, di sorbe, di pinocchi, di fragole, di parole che non hanno né babbo, né
mamma.
Oggi, tutto questo, a noi, suona un po’ come un
luogo comune, ma allora? Era così banale l’idea di crescere, di formarsi, di dare voce a inventori, navigatori,
emigranti - et j’en passe - «capaci di sfidare e vincere le avversità delle origini». E di sfidare anche la fame delle origini, se pensiamo a Pinocchio, che porta nel nome «il segno della fame», a partire da quel «pinòlo»33 che è «uno
dei cibi della cucina povera, raccolto e conservato per essere mangiato durante l’inverno» e che sta probabilmente all’origine del suo nome; anche se «pinocchio» sembra essere una di quelle «parole che non hanno né babbo,
né mamma», come dice Collodi in un passo de La colonna
di Mercato (Monologo), testo di Note gaje, raccolta postuma del 1892, a cura dell’amico Giuseppe Rigutini34:
Mentre nelle Avventure di Pinocchio, a proposito del
nome - che nel cap. III è «Nome proprio», ovvero «in un
certo senso la forma linguistica della reminiscenza», con
facoltà relative (essenzializzazione, citazione, esplorazione)35 - leggiamo in seno a un breve monologo geppettiano:
Dappoi che mi piantarono qui, la mia vita è stata un’i-
- Che nome gli metterò? - disse fra sé e sé [Geppetto]. Lo voglio chiamar Pinocchio. Questo nome gli porterà
fortuna. Ho conosciuto una famiglia intera di Pinocchi: Pinocchio il padre, Pinocchia la madre e Pinocchi i
ragazzi, e tutti se la passavano bene. Il più ricco di loro
chiedeva l’elemosina.
Un certo valore antifrastico finisce per giocare con
la «famiglia intera» dei Pinocchi, quasi come nel “nometitolo” dei Malavoglia verghiani, che vengono editi an-
dicembre 2010 – la Biblioteca di via Senato Milano
23
Un paesaggio innevato fa da cornice all’incontro tra il Gatto e la Volpe e Pinocchio nell’edizione Sauerländer
ch’essi nel 1881, vent’anni dopo l’Unità.
Più ci spostiamo in avanti e abbandoniamo gli anni
immediatamente successivi all’Unità, più rischiamo di
stiracchiare in avanti un Risorgimento che pare davvero
“tirare gli ultimi” nel giro di tre lustri e poi consegnarsi,
per un largo “ventennio” (1878-1900), all’Italietta di
Umberto I (1844-1900), che è, se volete, una sorta di microcosmo che ne raccoglie tanti altri.
Insomma, cosa succede quando tutti i “naufraghi”
della Storia, specie i piccini, quelli che vengono dopo il
romanzo di formazione e l’età propriamente risorgimentale, si scoprono alla “spiaggia” del paese, del piccolo mondo e del piccolo stato?
Cosa succede nella prima metà degli anni Ottanta
del nostro Ottocento, prima che il revenant36 de I promessi
sposi (1827; 1840-42) manzoniani rifaccia capolino e si
cristallizzi - “neostoricamente” - in Piccolo mondo antico
(1895) di Antonio Fogazzaro (1842-1911), in quel romanzo che parla degli anni che vanno dal 1849 al 1859, in
Valsolda, sul lago di Lugano?
Perché le varianti del nostro microcosmo romanzesco “targato 1881” ci hanno sempre un po’ sorpreso?
Dove può approdare il nostro small world narrativo
dopo aver declinato il naturalismo col verismo de I malavoglia (1881) di Giovanni Verga (1840-1922), il realismo
col postromanticismo melodrammatico a tinte sociali
del titanico No (1881) di Alfredo Oriani (1852-1909), il
gotico e il fantastico con la décadence di Malombra (1881)
di Antonio Fogazzaro?
Si potrebbe provare a rispondere suggerendo la necessità di un altro modo romanzesco - di un recupero particolare del romance37 - quale è quello messo in atto nelle
collodiane Avventure di Pinocchio, che, ricordiamolo, iniziano a uscire nel 1881 sul ”Giornale per i Bambini”.
Che per riscoprire il mondo si riparta dai bambini,
dalla loro infaticabile e incredibile fame di curiosità o fame tout court, è supposizione ovvia e banale, oltre che
paradossale: il bambino, il ragazzino, più dell’adulto, do-
dicembre 2010 – la Biblioteca di via Senato Milano
Pinocchio, il Gatto e la Volpe dai legni
di Sigfrido Bartolini
vrebbe restare arroccato al piccolo mondo, e magari morirci, sepolto, e senza tante fantasie, come nel verghiano
Rosso Malpelo (1878) - poi raccolto in Vita dei campi (1880
e 1897).
Quale è allora la bizzarra dinamica socio-culturale
che fa di Pinocchio un parente di Rosso Malpelo, destinato a prendere botte e - inizialmente almeno - a morire?
Di più. Come si passa dal fuori (il fuori, anche, delle
guerre, che è anche il fuori casa, fuori scuola del burattino,
ovvero la dimensione libertaria cui Lorenzini-Collodi e
Pinocchio sono costretti progressivamente a rinunciare), come si passa dal fuori, dicevo, agli spazi chiusi, ai piccoli mondi che sono anche quelli della proprietà privata
(campi meno miracolati, vigneti, case ecc.)38? E a tal proposito non è inutile ricordare, in guisa di rapida risposta,
che alcuni lettori di Collodi e Edmondo De Amicis
(1846-1908)39, come Franco Cambi e Simonetta Ulivieri, si siano lanciati, non proprio a caso, in ricerche storico-pedagogiche che rintracciano «il destino dell’infanzia nell’Italia liberale tra sfruttamento e privatizzazione», in un arco d’anni che va dal 1860 al 1914.
Carlo Lorenzini detto il Collodi, che per evidenti
NOTE
1
Penso soprattutto al recente volume di
L. Incisa di Camerana, Pinocchio, il Mulino,
Bologna 2004. Su questo testo si può vedere
l’intervento, a caldo, di M. Di Gesù, La formazione di un italiano? Alcune letture politiche
de Le avventure di Pinocchio, in Id., Dispatrie
lettere. Di Blasi, Leopardi, Collodi: letterature e
identità nazionali, Aracne, Roma 2005, pp.
57-70; si tratta d’un articolo significativo in
chiave di ricezione, anche se talvolta sacrifica
alla polemica un riscontro più corretto ed
esteso di certi dati, specie all’inizio e alla fine
del discorso.
2
Penso a F. Remotti, Contro l’identità, Laterza, Roma-Bari 1996, e soprattutto al più
recente volume dello stesso autore, L’osses-
25
ragioni generazionali ha sotto gli occhi una parte importante di questo arco temporale e/o, potremmo dire, di
questa lunga fase di transizione, dà vita, in racconti e romanzi degli anni Sessanta e Settanta, a un piccolo mondo
narrativo che possiamo chiamare dei «ragazzi grandi»;
cioè di adulti che son tali perché son cresciuti ma che restano ragazzi anche se son grandi e proiettati in un’esistenza travagliata - quale appare anche quella della giovinetta Italia.
Penso a I ragazzi grandi, che sono sottotitolati Bozzetti e studi dal vero e appaiono in appendice al “Fanfulla”
nel 187340; penso a Macchiette, volume che esce nel 1880
ma con testi che risalgono agli anni Sessanta e Settanta41.
Tra l’altro, di quegli anni, è anche un quadro del
fiorentino Adriano Cecioni (1836-1886) che si intitola
significativamente Ragazzi mascherati da grandi - Cecioni, citato prima come scrittore (uno scrittore d’arte, in
sostanza), è noto teorico dei Macchiaioli, con Telemaco
Signorini (1835-1901), anche lui di Firenze.
Ecco, per il fiorentino Collodi, l’esistenza dei «ragazzi grandi» è un po’ una mascherata e non va presa troppo sul serio. Di più, bisogna diffidare “infantilmente” di
quegli imperativi storico-politico-culturali calati dall’alto, tesi a far maturare chiunque, presto e a puntino, come
in una serra, in una scuola, in una prigione o in una zolfara.
Il collodiano modo di “smarcarsi” da questo piccolo
mondo storico e narrativo è offerto, per l’appunto, da Le
avventure di Pinocchio, all’inizio degli anni Ottanta. Il ca-
sione identitaria, Laterza, Roma-Bari 2010;
infine si veda quanto viene anticipato di un
intervento di F. Remotti al Festival pistoiese,
Dialoghi sull’uomo, in “il manifesto”, 29 maggio 2010, pp. 11-12.
3
Di «Utopia rovesciata» e di tracce di contiguità rispetto ad alcuni episodi sopra evocati de Le avventure di Pinocchio parla e suggerisce spunti geniali - qui più modestamente e
diversamente ripresi - G. Manganelli, Pinocchio: un libro parallelo, Einaudi, Torino 1977 e
Adelphi, Milano 2002, p. 108 - ma si legga tutto il cap. XVIII, pp. 102-108, e anche le pp. 109113, 130-134, 156-160, 161-167 - : «Per un
istante il distratto Pinocchio è passato nel
luogo infernale e quotidiano della Utopia rovesciata».
L. Curreri, Play it again, Pinocchio, in C.
Collodi, Le avventure di Pinocchio. Storia di un
burattino, Introduzione di S. Bartezzaghi,
Prefazione di G. Jervis, con un saggio di I. Calvino, Einaudi, Torino 2002 e 2006, pp. 181202.
5
Penso a G. Viale - e a La civiltà del riuso,
Laterza, Roma-Bari 2010 - che sarebbe interessante sollecitare per avere una Sua lettura
di Pinocchio, libro che finora ha scansato,
stando almeno a quanto ha detto recentemente a A. Papuzzi, in “Tuttolibri”, sabato 29
maggio 2010, p. XI.
6
G. Biffi, Contro maestro Ciliegia. Commento teologico a “Le avventure di
Pinocchio”, Jaca Book, Milano 1977 e Mondadori, Milano 1998; ma si veda anche, dello
4
26
la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2010
polavoro, che comincia a uscire a puntate, nel 1881 ed è in
volume nel 1883, presenta la storia di un burattino che osserva Carlo Alberto Madrignani - «con la sua morale di
monello e di picaro, sa prendere di contropiede le incongruenze dei grandi, senza pretendere di cambiarle»42.
Un’altra xilografia di Bartolini per l’edizione della
Fondazione Nazionale “Carlo Collodi” di Pescia
stesso autore, il più recente Pinocchio, Peppone, l’Anticristo, Cantagalli, Siena 2005. In quel
mezzo, si scorra anche A. Gnocchi, M. Palmaro, Ipotesi su Pinocchio, Ancora, Milano 2001.
7
Pinocchio in camicia nera. Quattro “pinocchiate” fasciste, raccolta illustrata a cura
di L. Curreri, Nerosubianco, Cuneo 2008.
8
Mi sia concesso rinviare a due miei lavori di prossima pubblicazione: Sulle tracce di un
Pinocchio “futurista”: la variante Pinocchietto alla Guerra europea, in Azione/Reazione: il
futurismo italiano in Europa 1909-2009, Atti
del Convegno Internazionale di Studi, IIC di
Bruxelles e K. U. Leuven, 19-20 novembre
2009, a cura di B. Van den Bossche, Firenze,
Cesati; L’avventura come antidoto a un’identità di propaganda? Tre “pinocchiate salgariane”, in Les fictions littéraires de l’enfance
Anche in questo iter - che poi è anche il cammino,
se si vuole, della letteratura per l’infanzia intesa come
estremo e “anarchico” portato del romanzo di formazione - si consuma il romanzo “storico-formativo” del primo Ottocento, già comunque “spiritato” dai “fanciulli”
di Ippolito Nievo (1831-1861).
Le ultime derive di tale romanzesco, prima didattiche, poi totalitarie, faranno il resto. Ma il fatto che il romanzo “storico-formativo” perda molto, prospetticamente, del terreno su cui esercitava una sua più o meno
equilibrata funzione pedagogica, non vuol dire che
scompaia del tutto. Si direbbe piuttosto che si trasformi,
sia in una tipologia romanzesca che, in seno a una morale
di monello e di picaro, ne trattiene in parte le coordinate,
perché Pinocchio muta infine da burattino in ragazzo,
sia in una nuova letteratura di viaggio che, pur avendo
una vera e propria ossessione per l’atlante, non ha più la
concreta valenza formativa della letteratura di viaggio
settecentesca risalente all’Encyclopédie.
E qui, ovviamente, potremmo pensare a Emilio
dans la production de la nation italienne moderne et contemporaine, a cura di R. IounesVona e B. Mancini, Metz, Presses Universitaire
de Metz.
9/10
Penso a G. Cocchiara, Il paese di Cuccagna e altri studi di folklore, Edizioni Scientifiche Einaudi, Torino 1956 e con Presentazione
di L. Sciascia e Aggiornamenti bibliografici,
Boringhieri, Torino, 1980, p. 13.
11
T. Scarpa, Introduzione a C. Collodi, Le
avventure di Pinocchio, illustrate da L. Mattotti, Nota alle illustrazioni di E. Varrà, Einaudi,
Torino 2008, pp. V-XXV; in particolare pp.
XVIII-XIX.
12
Ivi, p. XIX.
13
D. Marcheschi, Introduzione e Cronologia, in C. Collodi, Opere, a cura di D. Marcheschi, Mondadori, Milano 1995, pp. XI-LXII e
LXVII-CXXIV (a queste ultime pagine e a quelle
delle Note ai testi, pp. 819-1116, siamo largamente debitori); R. Dedola, Pinocchio e Collodi, Paravia Bruno Mondadori, Milano 2002,
pp. 13-168 in particolare.
14
Penso a C. Collodi, Bettino Ricasoli Camillo Cavour Luigi Carlo Farini Daniele Manin.
Biografie del Risorgimento, pubblicate in occasione delle onoranze fiorentine a Carlo Lorenzini, Marzocco, Firenze 1941, pp. 39-47.
15
Oltre al grande lavoro della Marcheschi,
ancora in corso, cui si farà nuova allusione,
anche pel “Lampione”, fra poco, si veda G. De
Santi, Il giornalismo satirico-politico. Carlo
Collodi e l’esperienza del “Lampione”, in Id.,
L’angelo della storia, Cappelli, Bologna 1988,
pp. 155-202.
16
F. Martini, Confessioni e ricordi, a cura di
dicembre 2010 – la Biblioteca di via Senato Milano
27
Salgari (1862-1911) e ai suoi ottanta e passa romanzi. Ma
questa è un’altra storia43.
Utopia versus identità?
Nell’iter del burattino, anche in quello qui sopra
brevemente abbozzato, c’è qualche sparsa «notizia di
utopia»44? A inseguire l’utopia, per quanto sia tematizzabile in seno alle Avventure di Pinocchio, specie in forme
più o meno rovesciate e contigue (dal teatrino dei burattini al Campo de’ miracoli, dall’isola delle «Api industriose» al paese dei Balocchi), non si corre un rischio
complementare a quello corso da chi ha cercato in Pinocchio un simbolo e/o un contenitore di simboli dell’identità italiana?
Di più. L’utopia non è forse un termine ancora più a
rischio della parola «identità»?
Salutando nel 2005 la riedizione de Il princio speranza (1959) di Ernst Bloch, la cui «opera inaugurale» è Spirito dell’Utopia (1918), e «parafrasando un poco la citazione platonica con cui Heidegger, nel 1927, cominciava
Essere e tempo», Gianni Vattimo suggerisce che «non solo
non sappiamo più che cosa sia l’utopia, ma ci siamo persino scordati di averlo una volta saputo»45.
Infine - e ritornando, come è giusto fare, al nostro
burattino - non è forse vero - o almeno verosimile - che
l’acquisizione finale d’una nuova identità, più o meno
M. Vannini, Presentazione di S. Romagnoli,
Ponte alle Grazie, Firenze 1990, pp. 116-122;
in particolare p. 116.
17
C. Collodi, Bettino Ricasoli Camillo Cavour Luigi Carlo Farini Daniele Manin. Biografie del Risorgimento, cit., p. 18.
18
Ivi, p. 17.
19
Ivi, p. 14.
20
Ivi, pp. 16-19.
21
L. Curreri, Garibaldi 1870: Clelia o il governo dei preti (e dintorni), in Il romanzo del
Risorgimento, a cura di C. Gigante e D. Vanden
Berghe, Atti del Convegno internazionale di
Studi, Bruxelles, 4-6 maggio 2010 (di prossima pubblicazione).
22
M. Isnenghi, Garibaldi fu ferito. Storia e
mito di un rivoluzionario disciplinato, Donzelli, Roma 2007, p. 3; su Clelia e la storia roman-
«Mentre nuota per salvarsi, è ingoiato dal terribile
pesce-cane»
zata da Giuseppe Garibaldi si vedano le pp.
106-130.
23
G. Garibaldi, Il governo del Monaco (Roma nel secolo XIX). Romanzo storico-politico,
Rechiedei, Milano 1870, p. 233.
24
C. A. Madrignani, Collodi, cent’anni dopo: giornalismo e scrittura, in “Il Ponte”, 8-9
(1990), pp. 96-107; si cita da p. 106.
25
A livello di storia della lingua, per esempio, possiamo pensare al fatto che non si può
non riconoscere che lo stile delle Avventure di
Pinocchio, benché diverso da quello di Manzoni, aiuti il «manzonismo» a diffondere la lingua toscana in tutta Italia. Cfr. C. Marazzini, La
lingua italiana. Profilo storico, il Mulino, Bologna 1994 e 2002, p. 408.
26
A. Altomonte, Nota, in G. Nobili, Senza
bussola (1906), Curcio, Milano 1979, pp. 7-10;
citazione da p. 7.
27
C. A. Madrignani, Collodi, cent’anni dopo: giornalismo e scrittura, cit., pp. 104-106
28
C. Collodi, Bettino Ricasoli Camillo Cavour Luigi Carlo Farini Daniele Manin. Biografie del Risorgimento, cit., p. 5.
29
G. Spadolini, Burattino d’Italia: l’unità
secondo Pinocchio (1990), in Id., In diretta col
passato. Temi e figure della storia contemporanea, TeaDue, Milano 1994, pp. 375-381; in
particolare p. 377. Ma cfr., più di recente, L. Incisa di Camerana, Pinocchio, cit., pp. 7-26; in
particolare pp. 8 e 22.
30
E. Galli della Loggia, L’identità italiana,
il Mulino, Bologna 1998.
31
G. Bollati, L’italiano. Il carattere nazionale come storia e come invenzione, Einaudi,
Torino 1983.
28
la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2010
eroica, e l’autoreferenzialità del sovrastante pregiudizio
pedagogico, che di fatto la genera, sembrano dare ragione, seppure in modo deteriore, a chi celebra «identità»
in Pinocchio?
Ma quale identità?
Si tratta, a ben vedere, di un’identità declinata come un’utopia, intesa come un sistema di regole strette e
onnipresenti (educazione, lavoro, castigo accettato dal
colpevole, eliminazione dell’altro46) che alimenta, in un
certo senso, una specie di crisi dell’immaginario47; una
crisi all’interno della quale Pinocchio finisce per distruggere sé stesso, eliminando l’unico e potente anticorpo in grado di liberarlo dalle miserie della severa logica ‘utopico-identitaria’, il burattino.
Chi costruiva le relazioni col mondo, anche di una
certa complessità, era il corpo di legno, il vegetale umanizzato: il bravo ragazzo, termine di confronto assente
della quête, non saprà far altro che separare, respingere e,
infine, annientarsi, in seno al compimento di un self-help;
In Tuttolibri, 26 settembre ’09, p. IX
D. Marcheschi, Note ai testi, in C. Collodi, Opere, cit., p. 931.
34
C. Collodi, Note gaie, raccolte e ordinate
da G. Rigutini, Bemporad, Firenze 1892, ma si
cita dalla Nuova Edizione Popolare, con l’aggiunta di due nuovi bozzetti e di una biografia
aneddotica dell’Autore scritta da I. Cortona,
con 10 incisioni, Bemporad, Firenze 1911, pp.
132-136; citazione da pp. 132-133.
35
R. Barthes, Il grado zero della scrittura,
seguito da Nuovi saggi critici (1953 e 1972),
Einaudi, Torino 1982, p. 121.
36
F. Fido, Il fantasma dei Promessi sposi
nel romanzo italiano dell’Ottocento, in Id., Le
muse perdute e ritrovate. Il divenire dei generi
letterari fra Sette e Ottocento, Vallecchi, Firenze 1989, pp. 179-205.
37
P. Zanotti, Il modo romanzesco, Laterza,
Roma-Bari 1998, pp. 49-53.
38
Mi rifaccio in parte a M. Di Gesù, Dispatrie lettere. Di Blasi, Leopardi, Collodi: letterature e identità nazionali, cit., p. 68, che a sua
volta si rifà a R. Bertacchini, Epifanie e segni
del paesaggio nelle Avventure di Pinocchio, in
AA.VV., «C’era una volta un pezzo di legno»,
Emme, Milano 1981, pp. 113-138.
32
33
ovvero in seno al compimento del celebre motto «chi
s’aiuta Dio l’aiuta», ma ribattezzato secondo le modalità
del romance, «aiutati che la Fata ti aiuta», e in base alla
«logica fiabesca del “detto, fatto”», ovvero in base alla
«bassa resistenza che il mondo offre all’azione» all’interno di quella logica48.
Ma è davvero così? A me sembra che il mondo collodiano e pinocchiesco disponga d’una “medio-alta”
resistenza, già ravvisibile, et pour cause, nel primo Pinocchio (capp. I-XV), ma che diventa, come dire, decisamente e ostinatamente visibile nel secondo (capp.
XVI-XXXVI). Perché? Perché Carlo Collodi non vuole arrendersi alla «logica fiabesca del “detto, fatto”», alla metamorfosi del burattino in ragazzo e vuole piuttosto continuare a mettere in scena un “monello-picaro”
che «sa prendere di contropiede le incongruenze dei
grandi, senza pretendere di cambiarle»49 e proprio per
questo, aggiungerei, senza pretendere di cambiare e
cambiarsi.
F. Cambi, Collodi, De Amicis, Rodari. Tre
immagini d’infanzia, Dedalo, Bari 1985; F.
Cambi, S. Ulivieri, Storia dell’infanzia nell’Italia liberale, La nuova Italia, Scandicci 1988 e
1994.
40
Si veda oggi l’avvertita riproposta di C.
Collodi, I ragazzi grandi, a cura di D. Marcheschi, con una Nota di C. A. Madrignani, Sellerio, Palermo 1989.
41
A proposito di Macchiette, oltre al
grande lavoro citato della Marcheschi e la
precedente ristampa di questo volume collodiano a cura della stessa per Pacini Fazzi, Lucca 1989, mi sia consentito rinviare a L. Curreri,
Introduzione a C. Collodi, I racconti, Salerno,
Roma (di prossima uscita).
42
Si legga il brillante saggio di C. A. Madrignani, Collodi, il piccolo, Nota a C. Collodi,I ragazzi grandi, cit., pp. 115-130; citazione da p.
124.
43
Una storia che ho in parte raccontato
nel saggio - Verso il 2011: un ‘nuovo’ campione romanzesco e tante nanoletture per grandi anniversari - che accompagna la mia riedizione di E. Salgari, Le aquile della steppa
(1905-1906), a cura di L. Curreri, Greco&Greco, Milano 2010, pp. 365-390. Ma (quasi) tut39
to nasce da un mio lavoro di antica data e ormai di prossima pubblicazione, Il viaggio e
l’intreccio: dalla letteratura di viaggio al romanzo di formazione, dal romanzo di formazione alla letteratura di viaggio. Ipotesi, percorsi, mappe fra Settecento e Ottocento (e
proiezioni novecentesche), ripresentato recentemente a un Seminario dell’Université
de Liège, il 17 febbraio 2009, Perché e come
studiare la letteratura italiana dal Seicento
ad oggi. Ipotesi, percorsi, mappe (con interventi di Pietro Benzoni, Fabrizio Foni, Giuseppe Traina).
44
Penso a una straordinaria raccolta di
saggi di M. Cerruti, Notizie di utopia, Liviana,
Padova 1985.
45
“Tuttolibri”, 3 settembre 2005, p. 7.
46
Si scorra almeno, a proposito, la densa
sezione II, L’utopie comme système de régles,
dell’antologia di F. Rouvillois, L’utopie
47
Penso a J.-J. Wunenburger, L’utopie ou
la crise de l’imaginaire, Jean-Pierre Delarge,
Paris, 1979
48
P. Zanotti, Il modo romanzesco, cit., p.
51.
49
C.A. Madrignani, Collodi, il piccolo, cit.,
p. 124
dicembre 2010 – la Biblioteca di via Senato Milano
29
inSEDICESIMO
APPUNTAMENTI CON DANTE E L’ISLAM, CATALOGHI, LIBRO USATO
ASTE, L’INTERVISTA D’AUTORE, MOSTRE, RECENSIONI
NON FERMATEVI A GUARDARE, METTETECI IL NASO!
Visite guidate, conferenze, incontri, reading, laboratori per studenti:
la nuova mostra in BvS è molto più che una semplice esposizione
4 novembre 2010 - 27 marzo 2011
ATTIVITÀ DIDATTICHE
A cura della Fondazione Biblioteca
di via Senato
Durante tutta la durata della
mostra sono organizzate per il pubblico
adulto visite guidate pomeridiane, nella
pausa pranzo o serali.
Per le Scuole di ogni ordine
e grado sono proposte, invece, sia visite
guidate che laboratori didattici.
Per maggiori informazioni e per il
calendario dettagliato degli appuntamenti
consultare il sito internet
www.bibliotecadiviasenato.it, oppure
telefonare al n. 02/76215323-314-318.
SCUOLA PRIMARIA:
VISITA GUIDATA CON CACCIA
AL PARTICOLARE
Destinatari: classi 1a – 2a
Ai bambini viene data una scheda
da compilare durante la visita guidata,
affinché siano aiutati nel riconoscimento
delle opere. La scheda contiene domande
sull’arte e sulla civiltà islamica,
e sui personaggi danteschi.
Durante la visita vengono illustrati
oggetti di provenienza islamica: brocche,
piatti, oggetti in metallo, volumi pregiati,
ecc... L’Islam, civiltà lontana e (spesso)
poco conosciuta, in realtà ha avuto
enormi influenze sulla civiltà occidentale.
Gli Arabi erano navigatori, combattenti,
Fondazione
Biblioteca di via Senato
via Senato 14, Milano
da martedì a domenica
orario continuato 10-18
lunedì chiuso
Ingresso libero
Per informazioni
tel. 02 76215323-314
fax 02 782387
[email protected]
www.bibliotecadiviasenato.it
Biblioteca
di via Senato
F O N DA Z I O N E
Incontri di civiltà
Con il patrocinio di
In collaborazione con
Si ringrazia
Sponsorizzazione tecnica
abili artigiani; a loro si deve l’utilizzo delle
cifre numeriche che poi un commerciante
italiano ha importato in Europa
nel XII secolo.
Partendo dai testi esposti
in mostra, la seconda parte della visita
è un’introduzione semplificata alla Divina
Commedia (struttura del poema,
narrazione del viaggio dantesco,
personaggi principali, ecc...).
Durata: 45’
Costo a persona: 3 euro
VISITA GUIDATA E “IL GIOCO
DELL’OCA CON DANTE”
Destinatari: classi 3a - 4a - 5a
Durante la visita i ragazzi fanno
conoscenza del mondo islamico
attraverso gli oggetti esposti: brocche,
piatti, oggetti in metallo, volumi pregiati,
ecc... L’Islam, civiltà lontana e (spesso)
poco conosciuta, in realtà ha avuto
enormi influenze sulla civiltà occidentale.
Sulla base dei testi esposti in mostra, la
seconda parte della visita è
un’introduzione semplificata alla Divina
Commedia (struttura del poema,
narrazione del viaggio dantesco,
personaggi principali, ecc...).
Al termine della visita attraverso
un insolito gioco dell’oca i ragazzi
entrano in contatto coi personaggi della
Divina Commedia e la struttura del
Poema attraverso gli episodi principali.
Durata: 1 h. e 30’
Costo a persona: 3 euro
SCUOLA SECONDARIA
DI PRIMO GRADO
VISITA GUIDATA
Durante la visita i ragazzi fanno
conoscenza del mondo islamico
attraverso gli oggetti esposti: brocche,
piatti, oggetti in metallo, volumi pregiati,
ecc... Una civiltà lontana e (spesso) poco
conosciuta che in realtà ha avuto enormi
influenze sulla civiltà occidentale. Gli
Arabi erano navigatori, combattenti, abili
artigiani; a loro si deve l’utilizzo delle cifre
30
numeriche che poi un commerciante
italiano ha importato in Europa nel XII
secolo.
Attraverso le illustrazioni della
Divina Commedia esposte in mostra,
vengono esposte l’ideazione del poema
dantesco, la struttura delle cantiche, i
personaggi principali, la simbologia, ecc...
Durata: 45’
Costo a persona: 3 euro
LABORATORIO “CREIAMO LA
NOSTRA DIVINA COMMEDIA”
Ciascun partecipante riceve
un’immagine tratta dai volumi esposti
in mostra e che raffigura un episodio
dell’opera dantesca con versi della terzina
corrispondente. Viene così svolto
un lavoro di gruppo, in cui dapprima
è ricostruita la storia, collocando le
immagini nella giusta sequenza narrativa
e successivamente si colora ogni
immagine con la tecnica del pastello. Al
termine del laboratorio la classe ha creato
la propria Divina Commedia.
Durata visita guidata + laboratorio:
1 h. e 30’
Costo visita guidata + laboratorio:
5 euro a partecipante
LABORATORIO LA DIVINA
COMMEDIA “IN MINIATURE”
Il laboratorio si compone di una
breve parte teorica: una spiegazione della
storia del libro dall’antichità fino ai giorni
nostri (le origini della scrittura, le origini
del libro, le pagine scritte e miniate,
l’invenzione della stampa, ecc...). In
particolar modo si pone l’attenzione su
come venivano prodotti e scritti i libri al
tempo di Dante: i materiali, le miniature.
La parte pratica invece prevede la
realizzazione di una pagina della Divina
Commedia.
A ciascun ragazzo viene dato un foglio
su cui sono riprodotte alcune terzine
dell’opera dantesca. I ragazzi disegnano
il capolettera secondo la loro fantasia
la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2010
e poi colorano la miniatura con i pastelli;
infine riproducono col pennarello la grafia
dei versi del poema. Durante il lavoro
si ricostruisce in gruppo la storia,
collocando le immagini nella giusta
sequenza narrativa. Al termine
del laboratorio la classe ha illustrato
la propria Divina Commedia.
Durata visita guidata + laboratorio:
1 h. e 30’
Costo visita guidata + laboratorio:
5 euro a partecipante
SCUOLA SECONDARIA
DI SECONDO GRADO
VISITA GUIDATA
Partendo dalla Divina Commedia –
che si può considerare un’enciclopedia
del sapere del tempo – si entra in
contatto con luoghi e figure che
testimoniano la contaminazione culturale
tra il mondo occidentale e islamico, e la
volontà di accogliere le reciproche
diversità. Lo stesso impianto del Poema
è influenzato dalla tradizione islamica che
Dante conosceva sicuramente, e mostra
forti analogie con i racconti del viaggio
ultramondano di Maometto narrati nel
Libro della Scala, che una volta tradotto
in Spagna veniva diffuso in Occidente.
Durante la visita guidata vengono
evocati i personaggi contemporanei
al Poeta che incarnano la contaminazione
culturale fra Islam e Occidente. La visita
ha un taglio storico/letterario:
inquadramento della civiltà islamica
e analisi della Divina Commedia.
Durata: 1 h.
Costo a persona: 3 euro
VISITATORI ADULTI
PER I GRUPPI: Visita guidata
alla mostra
Partendo dalla Divina Commedia –
che si può considerare un’enciclopedia
del sapere del tempo – si entra in
contatto con luoghi e figure che
testimoniano la contaminazione culturale
tra il mondo occidentale e islamico e la
volontà di accogliere le reciproche
diversità. Lo stesso impianto del Poema
è influenzato dalla tradizione islamica che
Dante conosceva sicuramente, e mostra
forti analogie con i racconti del viaggio
ultramondano di Maometto narrati nel
Libro della Scala, che una volta tradotto
in Spagna veniva diffuso in Occidente.
Durante la visita guidata vengono
evocati i personaggi contemporanei
al Poeta che incarnano la contaminazione
culturale fra Islam e Occidente. La visita
ha un taglio storico/letterario:
inquadramento della civiltà islamica
e analisi della Divina Commedia.
Durata: 1 h.
Costo a persona: 3 euro
(min. 15 partecipanti)
PER I VISITATORI SINGOLI SONO
PREVISTE DELLE VISITE GUIDATE
LA PRIMA DOMENICA DI OGNI MESE
alle h. 15.00 e h. 17.00
(SU PRENOTAZIONE
tel. 02-76215323-314)
Durata: 50’
Costo: 3 euro
AUDIOGUIDA
Presso la biglietteria della mostra
è disponibile l’audio-guida al costo
di 2 euro, lasciando in deposito
un documento d’identità.
CONFERENZE
“Dante e l’Islam: la mostra”
a cura dei curatori della mostra:
Dott. Matteo Noja –
Dott.ssa Annette Popel Pozzo
LUNEDÌ 22 NOVEMBRE 2010
h. 18.00
Ingresso libero senza prenotazione
fino a esaurimento posti
Come nasce e si sviluppa la mostra:
il progetto, l’allestimento, i materiali
esposti. L’esposizione nasce dal desiderio
dicembre 2010 – la Biblioteca di via Senato Milano
di rendere noti i Fondi più importanti
della Biblioteca di via Senato e dalla
collaborazione con il Comune di Milano
che ha organizzato la mostra a Palazzo
Reale al-Fann. Arte della civiltà islamica.
All’epoca di Dante il pensiero islamico era
diffuso nella cultura occidentale, con
questa esposizione si cerca di renderne
omaggio. L’accostamento del nome del
Poeta alla civiltà islamica è sempre stato
oggetto di incomprensioni, dibattiti e
discussioni. Durante la conferenza
verranno inoltre presentate le pregiate
edizioni illustrate della Divina Commedia
provenienti dal Fondo Antico della
Biblioteca.
“Scacco matto” a cura della Dott.ssa
Monica Colombo - Opera d’Arte
LUNEDÌ 13 DICEMBRE 2010 h. 18.00
Ingresso libero senza prenotazione fino a
esaurimento posti
Il grande storico Henri Pirenne
affermò con una boutade che
per l’occidente l’unico frutto derivante
dalle crociate fu …l’albicocca. Prendendo
sul serio questo paradosso vogliamo
analizzare in questa conferenza l’eredità
culturale e scientifica che il mondo araboislamico ha trasmesso all’occidente
medievale partendo dal patrimonio
lessicale di origine araba o persiana che,
insieme al greco e al latino, è entrato a far
parte della lingua italiana. Dall’alambicco
alla melanzana, dal baldacchino
all’algebra, la storia delle parole, arricchita
dall’osservazione di immagini derivanti
da manoscritti e oggetti d’arte arabi e
occidentali, ci permetterà di approfondire
i punti di incontro di due grandi civiltà.
“I rapporti artistici fra l’Italia
medievale e i Paesi islamici” a cura
della Prof.ssa Francesca Flores D’Arcais
- docente di Storia dell’Arte
Medievale presso l’Università Cattolica
del Sacro Cuore di Milano
LUNEDÌ 17 GENNAIO 2011 h. 18.00
31
Ingresso libero senza prenotazione fino ad
esaurimento posti
L’Italia è terra privilegiata
per i rapporti artistici nel Medioevo
con i Paesi islamici.
La Sicilia fu occupata dagli Arabi
dalla metà del secolo IX e in Sicilia
abbiamo tra i più importanti monumenti
islamici conservati; ma anche monumenti,
costruiti dai Normanni, che sono ispirati
alle architetture arabe. Elementi islamici
si diffusero dalla Sicilia anche lungo
le coste meridionali del Tirreno. Molti
centri italiani avevano continui rapporti
con i Paesi islamici, per motivi
commerciali. Con le merci arrivarono
anche le opere di manifattura islamica,
tra cui le stoffe, molto apprezzate in Italia.
Tra fine Due e inizi Trecento anche
i maggiori artisti italiani furono
influenzati dagli oggetti islamici, colpiti
soprattutto dagli elementi decorativi.
Arnolfo di Cambio, Duccio e soprattutto
Giotto, che dipinge alle spalle delle
Madonne stoffe con motivi islamici. La
grafia islamica si trova anche in alcune
decorazioni di manoscritti miniati, di area
bolognese: sono piccoli bollini che
sembrano essere ispirati alle monete o
piccoli fregi che sembrano copiare lettere
arabe. Questa moda dura tuttavia in Italia
solo fino agli anni 30 del Trecento, viene
in seguito sopraffatta dalle decorazioni
goticheggianti, di ispirazione francese.
di espressione artistica predilette dal
mondo islamico: l’architettura e le arti
decorative, in special modo la miniatura
e la calligrafia. La proiezione di immagini
digitali ci condurrà in un viaggio
attraverso le meraviglie dell’arte medievale
islamica che rapporteremo e metteremo a
confronto con l’estetica occidentale.
“Iddio è bellezza e ama ciò che è
bello” a cura della Dott.ssa Monica
Colombo - Opera d’Arte
LUNEDÌ 7 FEBBRAIO 2011 h. 18.00
Ingresso libero senza prenotazione
fino a esaurimento posti
Queste parole compaiono
in un Hadith del Profeta dell’Islam, ovvero
in un detto attribuito a Maometto, e
questa affermazione ci accompagnerà in
un percorso di introduzione all’arte
islamica che intende proporre alcune
chiavi interpretative delle due forme
Fondazione Biblioteca di via Senato
Tel. 02/76215323-314-318
[email protected]
www.bibliotecadiviasenato.it
INCONTRO
“LA DIVINA AVVENTURA” –
LETTURA SCENICA
PER FAMIGLIE E RAGAZZI
di 6 – 12 anni
SABATO 20 NOVEMBRE h. 15.30
a cura di Enrico Cerni, co-autore
de “La Divina avventura”
Ingresso libero senza prenotazione
fino a esaurimento posti.
La Divina avventura è un libro
illustrato in versi, è la narrazione della
Divina Commedia vista con gli occhi
dei ragazzi. L’autore ci conduce all’interno
dell’avventura, narrando alcuni passi tra i
più celebri e spiegando l’opera anche ai
più piccoli. L’incontro si divide in due
momenti: una chiacchierata col pubblico
in cui si parla dell’opera dantesca e la sua
fortuna fino ad oggi e poi una lettura
animata del testo della Divina avventura.
Durata: 1 h. circa
PER INFORMAZIONI
E PRENOTAZIONI
Tutti i GRUPPI (gruppi scolastici
e pubblico adulto), che intendano
visitare la mostra liberamente
o con una propria guida, hanno
comunque l’obbligo di prenotare
anticipatamente l’ingresso.
La prenotazione e l’ingresso
alla mostra sono gratuiti.
32
IL CATALOGO
DEGLI ANTICHI
Libri da leggere
per comprare libri
di annette popel pozzo
UNA “LETTERA” DI BOTERO E
UNA VARIANTE BODONIANA
Hesketh & Ward
Catalogue 44: Continental Books
Il nuovo catalogo del libraio
antiquario londinese contiene 89 titoli,
in gran parte d’argomento Italica.
Interessante il volume di Giovanni
Botero, Lettera del sign. Gio. Botero
sopra la morte dell'illustrissimo
cardinale di S. Prassede. Esistono
almeno dieci edizioni diverse dell’opera,
tutte stampate nel 1584, ma la
presente, pubblicata a Milano, Bologna,
Ravenna e Macerata per Sebastiano
Martellini non viene censita nelle
biblioteche italiane (£250). Il testo
riguarda le ultime sette settimane della
vita di Carlo Borromeo e la sua morte,
avvenuta il 4 novembre 1584. Il gesuita
Botero (ca. 1544-1617), noto per Della
ragion di stato (1589), fu dal 1581
il segretario del santo milanese.
Da segnalare anche l’edizione
Preces Christianae Barmanorum lingua
atque litteris editae (Roma, Stamperia
della Sacra Congregazione de Propaganda
fide, 1785, legatura coeva in pieno
marocchino, £600), presente in una rara
copia stampata in caratteri rossi. Come
curiosità va ricordato che Giovanni
Battista Bodoni fu dal 1758 compositore
di opere “esotiche” presso la Propaganda
Fide, fondata nel 1622 per evangelizzare
i Popoli e poi specializzatasi proprio
in alfabeti esotici a uso della missione
religiosa. Da mettere in evidenza anche
l’edizione bodoniana Le feste d’Apollo,
la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2010
celebrate sul teatro di corte nell’agosto
del MDCCLXIX. per le auguste seguite
nozze tra il reale infante don Ferdinando
e la r. arciduchessa infanta Maria Amalia.
L’edizione contiene normalmente una
vignetta al titolo e cinque figure a piena
pagina disegnate da Martini e incise
da Baquoy, Helman ecc., 4 vignette e 3
culs-de-lamp. La copia offerta
da Hesketh & Ward è una rara variante,
citata soltanto in due esemplari presso la
Biblioteca Palatina di Parma: non dispone
delle figure, delle vignette e dei culs-delamp, e la vignetta al titolo raffigura una
“lira davanti a sole raggiante tra rami”,
mentre la variante più diffusa reca
la vignetta con un “puttino con fiaccola
e rami tra nuvole” sul frontespizio. Anche
la composizione delle carte si presenta
diversamente.
Interessante inoltre il fatto che
la presente variante non viene censita
dal repertorio standard bodoniano Brooks.
Hesketh & Ward
31 Britannia Road, London SW6 2HJ
[email protected]
CAPOLAVORI DANTESCHI
CON VERNON PROTAGONISTA
Primigenia Studio Bibliografico
Catalogo 43: Prime edizioni, figurati,
opere di pregio
Dante, la Prima Corona della
letteratura italiana, affascina sempre.
Nel catalogo prenatalizio di Andrea Oioli
troviamo un bel gruppo di edizioni
dantesche, iniziando con la seconda
edizione aldina e la prima illustrata della
Divina Commedia del 1515 (numero 26,
€7.500, in legatura amatoriale in
marocchino turchese). Contrariamente
alla princeps aldina non illustrata del
1502 con titolo Le terze rime, Aldo
Manuzio e Andrea Torresano la chiamano
Dante col sito, et forma dell’inferno.
Il titolo fa riferimento all’opera di Antonio
Manetti Dialogo circa al sito, forma,
& misure dello Inferno, stampata per la
prima volta in appendice alla Commedia
dei Giunta del 1506, e contenente sette
xilografie sulla topografia e le misure
dell’Inferno. Le illustrazioni dell’edizione
aldina del 1515 non seguono il ramo
delle Commedie figurative, ma virano
verso il ramo “scientifico” del Manetti.
Tra le offerte dantesche in evidenza
il Commentarium super Dantis ipsius
genitoris comoediam, nunc primum
in lucem editum, stampato a Firenze
da Piatti nel 1845 (numero 28, €1.000),
che contiene il commento alla Commedia
composto dal figlio di Dante, Pietro, mai
pubblicato prima. Si tratta dell’esemplare
dedicato in segno di riconoscenza dal
dantista inglese Lord Vernon (1803-1866)
a papa Gregorio XVI con le armi papali
al centro della legatura. In catalogo, due
altre rarità legate a Dante e soprattutto
all’immenso studio di Lord Vernon. Nel
1858 il nobile inglese pubblicò in soli 100
esemplari Le prime quattro edizioni della
Divina Commedia ristampate a Londra
presso Boone & Whittingham. L’opera,
che contiene un’interessantissima
introduzione di Antonio Panizzi (direttore
della biblioteca del British Museum),
riproduce il testo delle prime quattro
edizioni della Commedia (Foligno,
Mantova, Jesi o Venezia, Napoli), qui
in legatura coeva in offerta a €1.800.
A Lord Vernon si deve anche il sontuoso
L’Inferno disposto in ordine grammaticale
e corredato di brevi dichiarazioni,
pubblicato dal 1858 al 1865 in 3 volumi
in folio (€3.000). Il primo volume
contiene il testo con le note, le edizioni
pubblicate fino al 1850 e un repertorio di
tipografi, librai e traduttori; mentre nel
secondo si trovano vari documenti con la
Vita, uno studio sulla Firenze all’epoca di
Dante e una trattazione araldica.
Splendido soprattutto il terzo volume
contenente 112 tavole a piena pagina.
Primigenia Studio Bibliografico
Via Madonna, 33 28013 Gattico
Tel. 0322 880181
dicembre 2010 – la Biblioteca di via Senato Milano
IL CATALOGO
DEI MODERNI
Libri da leggere
per comprare libri
di matteo noja
RISCOPRIRE D’ANNUNZIO CON
800 SCHEDE SUE O SU DI LUI
Libreria Editrice Goriziana
Catalogo 65
Biblioteca Dannunziana
Una bella collezione di testi di e su
Gabriele d’Annunzio, offerta dalla Libreria
Editrice Goriziana. Ricognizione abbastanza completa dell’opera e della fortuna dannunziana, purtroppo a volte ci lascia con
l’acquolina in bocca non spiegando o non
descrivendo, se non superficialmente, i vari volumi: peccato, perché con il materiale
si poteva quasi costruire un romanzo, di vita, amori e azione, con un protagonista eccezionale, che se fosse nato Oltralpe, sarebbe stato considerato un genio da tutta
l’umanità. Nato in terra d’Abruzzo, conosciamo più le sue debolezze che le sue indubbie grandezze. Quanti nati in Francia o
in Inghilterra o in America, minori di lui, conosciamo quasi a menadito e veneriamo
come maestri? Di lui rimane, pregiudizio
gigantesco, la compromissione con il fascismo, l’uso che ne fece Mussolini per scalare la popolarità e diventare Duce d’Italia.
Non è però la politica di cui volevamo parlare, ma la collezione che propone la celebre libreria di Gorizia, specializzata in storia, anche recente, con particolare riguardo
al problema dei confini, quelli italiani
orientali, drammaticamente segnati da vicende annose e complesse, talvolta accantonate e dimenticate dai più.
La collezione dannunziana si compone di più di 800 schede che parlano di libri, opuscoli e riviste del Vate o dedicati a
lui. Dalla “Cronaca Bizantina” diretta da
d’Annunzio dopo l’estromissione di Angelo
Sommaruga alle prime edizioni delle sue
opere, leggendo questo catalogo si ottiene
una visione precisa dei contorni di questo
uomo che seppe incantare con parole e gesta grandi moltitudini, senza bisogno dell’amplificazione che oggi offrono i media.
Questa collezione, che invitiamo a
consultare, ci permette di ricordare anche
un curioso personaggio legato al Comandante durante l’esperienza di Fiume, ma
non solo, unico autorizzato a dargli del tu,
capo del suo personale corpo di guardia, e
cioè Guido Keller.
Infatti al numero 635 la Libreria offre tutto il pubblicato [1920, 4 numeri;
€5.000] della rivista “Yoga”, periodico del
movimento omonimo, che aveva come
simbolo la svastica, fondato da Keller e dall’amico, futuro scrittore, Giovanni Comisso: era un’«unione di spiriti liberi tendenti
alla perfezione», che attraverso azioni dimostrative, voleva mettere in ridicolo le
«più o meno idiote tavole di valori» che la
gente per bene definisce «morale».
Nato nel 1892 a Milano da una nobile famiglia elvetica (i conti Keller von Kellerer), coraggioso e scapigliato, insofferente
della vita borghese, Guido diventa un asso
dell’aviazione accanto a Francesco Baracca, nella famosa e temutissima 91ª Squadriglia da caccia, ed è degno di tre medaglie
d’argento al valor militare; poi è a capo della guardia personale del Poeta a Fiume,
chiamata per la sua eterodossia “La Disperata”; dopo l’uscita dalla “città olocausta”,
voluta dal Governo italiano, compie un raid
33
aereo su Roma, gettando una rosa bianca
sul Vaticano in onore di San Francesco (il
santo prediletto da d’Annunzio), sette rose
rosse “per la Regina e il Popolo d’Italia” e,
infine, su Montecitorio il proprio pitale
(quello sul quale si faceva volentieri fotografare in pose inequivocabili), al cui manico era legato un mazzo di rape e di carote,
con un nastro rosso e la scritta «Guido Keller, ala azione nello splendore [il suo motto]
dona al Parlamento e al Governo che si reggono da tempo con la menzogna e con la
paura, la tangibilità allegorica del loro valore». Finita l’esperienza dannunziana, si
reca dapprima in Turchia per aprire una
scuola di pilotaggio e una linea aerea; lo
troviamo quindi a Berlino, come addetto
all’aeronautica presso l’ambasciata e, infine, a Bengasi come ufficiale pilota. Non
concependo una vita militare in tempo di
pace, si sposta in Sud America, risalendo
dal Brasile, attraverso Cile, Perù e Venezuela, fino al Mar Caraibico, nella speranza di
riunire con le armi le repubbliche sudamericane per sottrarle all’egemonia degli Stati Uniti.
Tornato in patria nel 1928, si interessa di aeronautica e di futurismo, progettando gesti esemplari, ludici e anticonformisti come tutta la sua vita, anarchico
anticipatore di mode e manie, intellettuale
“senza scuole, se non la sua”. Muore nel
1929 a 37 anni, in un incidente stradale a
Magliano Sabina. Gabriele d’Annunzio
vuole inumare i suoi resti accanto a sé, nella cripta del Vittoriale.
Ne parla, in modo esaustivo, un libro
uscito l’anno scorso [Guido Keller fra D’Annunzio e Marinetti, di Alberto Bertotto;
Sassoscritto Editore, pagg. 192, euro 15]
sapientemente recensito dal direttore del
Vittoriale, Giordano Bruno Guerri, sulle colonne del “Giornale”.
Libreria Editrice Goriziana
Corso Giuseppe Verdi, 67 34170 Gorizia
Tel. 0481 33776 – Fax 0481 538370
www.leg.it - mail: [email protected]
36
la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2010
DAL SALONE DEL LIBRO USATO
Chicche, rarità ed eventi che hanno segnato
l’atteso appuntamento dei “fuori commercio”
di arianna calò
a domenica 5 fino a mercoledì
8 dicembre, si è tenuto
a Milano il tradizionale
appuntamento prenatalizio con la sesta
edizione del “Salone del Libro Usato –
Bancarelle in Fiera”. Organizzata come
di consueto dalla Fondazione
Biblioteca di via Senato
nella sede di
Fieramilanocity,
ancora una volta la
rassegna si è
confermata un
appuntamento
cardine per il
mondo del libro
fuori commercio e il
punto di riferimento
più atteso di bibliofili
e biblioamatori.
Superando le aspettative
e i risultati delle scorse edizioni,
il Salone ha registrato un aumento degli
espositori partecipanti e una risposta
altrettanto positiva da parte
del pubblico, mantenendo inalterata
una formula di successo: dare nuova
vita a libri spesso confinati negli angoli
più nascosti delle librerie
e delle biblioteche, riproponendoli
all’attenzione dei visitatori.
Tra le bancarelle sono spuntati
fumetti introvabili, prime edizioni dei
classici della letteratura, serie complete
di paperback, rarità per collezionisti,
insieme a romanzi di fantascienza,
locandine cinematografiche e stampe
antiche. Per la prima volta, la sesta
edizione ha coinvolto anche gli editori,
D
invitandoli a mettere in mostra i propri
tesori da collezione e libri fuori
commercio: tra gli espositori anche
la casa editrice Scienze e Lettere, che
dal 1919 si occupa delle pubblicazioni
dell’Accademia Nazionale dei Lincei
di Roma.
Curiosando tra le
edizioni originali, i
grandi classici della
letteratura e gli
esemplari di
pregio visti sulle
centinaia
di bancarelle,
la prima edizione
del Gattopardo
di Giuseppe Tomasi di
Lampedusa, censita in
soli 2.000 esemplari, una
preziosa lettera autografa di Pietro
Metastasio, libri illustrati di epoca
liberty. Tante anche le rarità, tra le quali
il Libraio inverosimile di Papini, edito
in soli ventuno esemplari e impreziosito
da due acqueforti del pittore Sandro
Martini, il curioso Brevi note sull’arte e il
modo di riordinare i libri di George Perec,
in 99 copie con le acqueforti del pittore
libanese Assadour.
Come per le precedenti edizioni,
si è confermato un corollario di attività
collaterali: ripetendo la felice esperienza
delle passate edizioni, in anticipo sul
calendario d’apertura, oltre 5.000 volumi
sono stati “liberati” dagli organizzatori
dell’evento in tutta la città. Uno dei più
grandi esempi metropolitani di
bookcrossing, lo scambio di libri raccolti
dai cittadini, letti e quindi lasciati a loro
volta al prossimo lettore. Ma non solo:
all’interno del padiglione, il Museo
della stampa e Stampa d’arte di Lodi
ha condotto i visitatori attraverso
un laboratorio in miniatura, invitandoli
a usare torchi manuali e caratteri mobili
per stampare segnalibri personalizzati,
mentre mastri cartai, rilegatori, artigiani
del libro e restauratori hanno coinvolto
i visitatori in inaspettate e creative
performance.
Un buon sesto compleanno,
per festeggiare la riuscita di una
manifestazione che fa di Milano
un’importante vetrina internazionale
per il libro fuori commercio.
dicembre 2010 – la Biblioteca di via Senato Milano
37
ASTE, FIERE E MOSTRE-MERCATO
Gli ultimi incanti prima delle Feste
per qualche bella sorpresa natalizia
di annette popel pozzo
IL 10 DICEMBRE,
NEW YORK
Asta – Books and Manuscripts
www.sothebys.com
115 lotti che comprendono libri
antichi di pregio (come una strepitosa
copia della Chronica di Hartmann
Schedel, Norimberga, 1493,
completamente colorata da mano coeva
in legatura di scrofa cinquecentesca
con placche figurative, lotto 86, stima
$200.000-300.000), volumi d’argomento
Americana oltre a edizioni botaniche
e di storia naturale.
IL 10 DICEMBRE, LONDRA
Asta – Books and Manuscripts
www.bloomsburyauctions.com
Un’asta sostanziosa con 327 lotti
che comprendono libri antichi
continentali (incunaboli e
cinquecentine) come edizioni moderne e
di pregio.
IL 10 DICEMBRE,
VIENNA
Asta – Autografi
www.dorotheum.com
330 lotti dedicati esclusivamente
a documenti autografi tra scrittori,
scienziati, musicisti e artisti.
L’11 DICEMBRE, FIRENZE
Asta – Gonnelli
www.gonnelli.it
L’asta propone una ricca
collezione di mappe e vedute toscane,
tra cui una Carta generale dell’Italia di
G. Maria Cassini (1793), composta da 15
fogli, e una Veduta della città di Firenze
di Valerio Spada (1650), presa dal
Muricciolo del prato de’ padri di S.
Francesco al Monte.
L’11 DICEMBRE, PARIGI
Asta - Bandes Dessinées
www.coutaubegarie.com
Soprattutto in Francia,
il collezionismo di fumetti ha una solida
tradizione con aste dedicate all’oggetto.
L’illustratore belga Hergé con il mitico
giornalista Tintin accompagnato dal suo
identicamente mitico cane Milou gode
sempre di un interesse nutrito. Semplici
biglietti di auguri firmati dall’artista
si presentano con stime tra €200-500.
Numerosi anche i lotti dedicati al
fumetto Gaston di Franquin.
IL 15 DICEMBRE,
NEW YORK
Asta – Important Judaica
www.sothebys.com
Tra i numerosi oggetti, alcune
legature sette-ottocentesche austriache
e italiane, in argento con le tipiche
placche e iscrizioni in Yiddish
(lotti 17-21). Inoltre, numerosi
documenti manoscritti: contratti di
matrimonio, un resoconto della
comunità ebraica
di Kaifeng in Cina, ed edizioni uscite
dai torchi di Gershom Soncino (significa
“il pellegrino” in lingua ebraica). I
Soncino furono gli unici tipografi ebrei
attivi in Italia a cavallo tra Quattro
e Cinquecento. Sono documentati
occassionali rapporti con Aldo Manuzio
a Venezia. Tutte le edizioni stampate
dai Soncino sono di estrema rarità.
Segnaliamo il titolo Nofet Zufim
(Mantova, Abraham Ben Solomon Conat,
1474-1475, lotto 114, stima $60.00080.000). Da segnalare anche alcune
edizioni dello stampatore olandese
Daniel Bomberg (morto nel 1549), che
fondò a Venezia all’inizio del
Cinquecento una tipografia ebraica e
pubblicò la prima edizione completa dei
Talmud.
IL 15 DICEMBRE, LONDRA
Asta – Modern and Contemporary Prints
www.bloomsburyauctions.com
Tra i 328 lotti segnaliamo
silkscreens stampati a colori di Banksy
(lotti 306-328) e Andy Warhol (lotti
294-305), opere di Jeff Koons e Damien
Hirst.
DAL 17 AL 18 DICEMBRE,
PARIGI
Asta – Docteur Bernard Blanc’s
Collection
www.alde.fr
La casa d’asta parigina offre in
due sedute la raccolta di Bernard Blanc,
che contiene carte geografiche, libri,
documenti storici e vedute legate
alla storia della Savoia. Molti documenti
riguardano chiaramente famiglie italiane
e luoghi del Piemonte.
IL 22 DICEMBRE,
VIENNA
Asta – Libri
www.dorotheum.com
38
la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2010
L’intervista d’autore
GIUSEPPE ZANASI, CHE PINOCCHIO
L’HA RACCONTATO DA PAR SUO
on si è mai sentito veramente
un libraio, né un collezionista,
né un editore. Seppure si sia
trovato a fare nella sua vita tutte
queste cose. L’importante è che
avessero a che fare con la carta, la
stampa, le illustrazioni d’autore.
Giuseppe Zanasi una trentina d’anni fa,
in fuga dalla Olivetti, si mise in testa
di fare l’antiquario di libri, e lo
diventò, aprendo nel 1985 uno studio
bibliografico - oggi famosissimo in
Italia - a Bologna. Entrò in questo
mondo “di carta” in punta di piedi...
Ma con un’idea molto precisa, cioè
occuparsi solo di alcuni settori
particolari: i libri d’artista, liberty
e art-déco; la gastronomia, aiutando
ad esempio il finanziere Orazio
Bagnasco a mettere insieme la sua
straordinaria collezione sulla cultura
del cibo; la letteratura per l’infanzia...
N
di luigi mascheroni
Sempre seguendo la mia curiosità
e i miei interessi. Fino a che, a un certo
punto, ho deciso di farmi io stesso i libri
dai testi che mi piacevano di più..
Il primo libro che si è divertito
a editare?
Un Alice nel Paese delle Meraviglie
illustrato da Giovanni Grasso Fravega,
apparso per la Silvio Berlusconi Editore
nel 1993. Poi arrivarono tutti gli altri,
come l’edizione dei Racconti delle Fate
di Charles Perrault con le tavole
dello stesso Grasso Fravega o come
il particolarissimo Pinocchio illustrato
da Giovanni Grasso, a edizione limitata,
che pubblicai nel 2006 per l’industriale e
bibliofilo di Vicenza, Giancarlo Beltrame...
Un piacere impagabile,
immagino...
Esatto. E devo dire che ormai i libri
mi diverto più a farli, con i miei amici
pittori e illustratori, che a venderli...
In fondo ho scelto di fare l’antiquario
perché era l’unica possibilità di farmi
passare tra le mani libri che
economicamente non avrei mai potuto
permettermi. Poi ho iniziato a giocare
a creare volumi illustrati.
Una felice “impresa” editoriale
cui da lì a poco sarebbe seguita
un’avventura “bibliofila” degna
del famoso burattino...
Esatto. Nel 2008 Marcello Dell’Utri
mi chiese di curare per la XIX Mostra
del Libro Antico di Milano un’esposizione
su Pinocchio, e io esposi la più importante
raccolta esistente per numero di pezzi,
messa insieme negli anni da un libraio
romano.
E cosa c’era in quella mostra?
Di tutto, persino giocattoli, fumetti,
poster che per anni hanno sfruttato
l’immagine del burattino...
Basti pensare che Le avventure
di Pinocchio di Carlo Collodi, da quando
il romanzo fu pubblicato la prima volta nel 1883 a Firenze dalla Libreria Editrice
Felice Paggi - fino a oggi è stato illustrato
da oltre 300 artisti solo in Italia,
e innumerevoli nel mondo...
In quella mostra c’era ovviamente
la prima edizione del 1883 con
le illustrazioni di Enrico Mazzanti,
quella con le tavole di Carlo Chiostri
del 1901, quella con i disegni a colori
di Attilio Mussino nell’edizione del 1911...
e poi il Pinocchio illustrato da Sto, ovvero
Sergio Tofano e Benito Jacovitti...
Non solo gli artisti che hanno
illustrato Pinocchio sono tantissimi,
ma anche i collezionisti, giusto?
Solo in Italia sono oltre 400, noti
e meno noti. Anche famosi. Alberto Sordi
in una vecchia intervista confessò
che era suo cruccio non possedere
la prima edizione a libro.
Pinocchio dopo la Bibbia
è il libro più stampato negli ultimi
cento anni: perché piace a tutti?
Grandi, piccini, intellettuali, lettori
comuni...
Forse perché in quel momento,
alla fine dell’Ottocento, gli unici grandi
libri per l’infanzia italiani erano
Pinocchio e Cuore, e tra i due non c’è
dubbio che i bambini scegliessero
dicembre 2010 – la Biblioteca di via Senato Milano
il burattino di legno birichino, molto
più divertente e “irregolare”.
Pensi che le avventure di Pinocchio,
prima dell’edizione in volume, apparvero
a puntate sul “Giornale per i bambini”,
tra il 1881 e il 1883. E la storia doveva
finire con l’impiccagione di Pinocchio.
Furono le tantissime lettere di protesta
dei bambini a spingere lo scrittore
e l’editore a continuare...
Ma un altro motivo del successo può
essere il fatto che quando apparve,
il romanzo di Collodi scontentò alcuni
vescovi, ai quali già non piaceva
un racconto che aveva come
protagonista un bambino monello
e lazzarone, e tentarono anche una sorta
di censura proibendone la lettura
in molte diocesi considerandolo
un modello negativo dal punto di vista
pedagogico. E si sa che vietare di leggere
un libro significa spingere tutti
a leggerlo... Un po’ come è successo
di recente con le polemiche
su Harry Potter.
Quali sono per Lei i Pinocchi più
belli?
Nell’epoca odierna, diciamo
negli ultimi trent’anni, ne cito tre:
quelli illustrati da Roberto Innocenti,
Lorenzo Mattotti e Giovanni Grasso.
Qualcuno forse aggiungerebbe quello
di Emanuele Luzzati. Per quanto riguarda
invece il passato, ovviamente la prima
edizione coi disegni in bianco e nero
di Enrico Mazzanti, e ancora di più quella
di poco successiva di Carlo Chiostri,
e quella a colori del 1911 di Attilio
Mussino. Poi c’è l’illustrazione
art nouveau disegnata a quattro mani
dai coniugi Luigi e Maria Augusta
Cavalieri nel 1924. E ancora,
popolarissimo tra gli anni Trenta
e Cinquanta, il Pinocchio illustrato
da Fiorenzo Faorzi; quello apparso
nel ‘39 negli Stati Uniti da Walt Disney;
quello di Beppe Porcheddu uscito
per l’editore Paravia nel 1945,
e quello del ‘46 di Jacovitti...
Fino al capolavoro di Roland Topor
per la strenna Olivetti del ‘72.
Libro onirico e particolarissimo.
Lei che ne ha incontrati tanti...
39
Chi è il vero bibliofilo?
Potrei citare l’aneddoto
raccontatomi alcuni anni fa da un amico
antiquario, che con un libro in mano
tagliava la fila di postulanti-banchieri
in attesa fuori dalla porta di Orazio
Bagnasco, molto più interessato
a un antico ricettario piuttosto
che a un affare di milioni: il vero
bibliofilo è quello che quando ha davanti
un libro non vede nient’altro, neppure
una bella donna. Il vero bibliofilo poi è
quello che spesso per cultura e curiosità
innata ne sa di più del libraio, e che sa
condividere il piacere di un volume
prezioso, raccontarlo e mostrarlo.
Mentre il bibliomane accumula e basta:
la sua non è neppure una malattia,
è una degenerazione da manuale
di psichiatria.
L’impegno di Med
6.000 spot gr
iaset per il sociale
atuiti all’anno
6.000
i passaggi tv che Mediaset, in collaborazione con
Publitalia’80, dedica ogni anno a campagne di carattere sociale.
Gli spot sono assegnati gratuitamente ad associazioni ed enti
no profit che necessitano di visibilità per le proprie attività.
250
i soggetti interessati nel 2008 da questa iniziativa.
Inoltre la Direzione Creativa Mediaset produce ogni anno,
utilizzando le proprie risorse, campagne per sensibilizzare
l'opinione pubblica su temi di carattere civile e sociale.
3
società - RTI SpA, Mondadori SpA e Medusa SpA costituite
nella Onlus Mediafriends per svolgere attività di ideazione,
realizzazione e promozione di eventi per la raccolta
fondi da destinare a progetti di interesse collettivo.
42
la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2010
ANDANDO PER MOSTRE
Arte e tessili dialogano grazie al libro, mentre
le “bestie” si fanno storie e le biblioteche...
di matteo tosi
LIBRI-ARTE CONTEMPORANEA,
UN DIALOGO A TUTTA TRAMA
ino al 13 febbraio 2011, la Sala
Gandini del Museo Civico d'Arte
di Modena ospita una ricca
“personale” dell’eclettica artista Sabrina
Mezzaqui. L’esposizione, nata come
evento collaterale del convegno
internazionale “Antiche trame, nuovi
intrecci. Conoscere e comunicare
le collezioni tessili” (26-27 novembre
F
2010, www.convegnotessili.it), dedicato
alla valorizzazione delle raccolte tessili
in ambito museale, in realtà ha
un rapporto altrettanto intenso sia
con la carta - soprattutto con l’oggetto
libro - sia con il tessuto.
Infatti, già a partire dal titolo
SABRINA MEZZAQUI.
“LA REALTÀ
NON È FORTE”
MODENA,
MUSEO CIVICO D’ARTE,
FINO AL 13 FEBBRAIO 2011
info: tel. 059/2033100
www.comune.modena.it/
museoarte
della mostra-installazione (“La relatà
non è forte”, ripreso da una frase
di Hannah Arendt tratta da “Le origini
del totalitarismo” - 1948: «La realtà
non è tenace, non è forte, ha bisogno
della nostra protezione»), risulta evidente
la frequentazione di Sabrina Mezzaqui
con una certa letteratura “alta”,
sensazione che si conclama
definitivamente quando ci si accorge che
la stragrande maggioranza delle sue
opere esposte ha forma di libro.
dispiegano alcuni significativi oggetti,
frutto della produzione artistica più
recente della Mezzaqui, dove la pratica
del ricamo è intimamente permeata
dall'elemento della scrittura: opere come
Sentinella, un libro in pagine di stoffa
ricamate con fiori e appunti autografi
dell'artista; Mettere a dimora, motivi
floreali ricavati dal ritaglio dei soli profili
tracciati su cartoncino che dialogano
con il lemma “pianta-piantare” del
vocabolario; frasi ricamate che ricordano
Se, infatti, è vero che la poetica
dell’artista bolognese si sposa alla
perfezione con i valori e con le pratiche
artigianali del tessile splendidamente
rappresentati dalla raccolta Gandini del
Museo, una delle più importanti collezioni
di tessuti d'Europa - vedasi il suo
continuo ricorso alla gestualità lenta e
delicata del ricamo, del cucito e del
ritaglio - è ancora più evidente come il
suo lavoro sia teso a rielaborare e
materializzare pensieri desunti dalle
tradizioni filosofiche, religiose e letterarie
della nostra cultura più profonda.
Tra rari tessuti, sontuosi velluti,
raffinati damaschi, splendide sete
e merletti, galloni, nastri, frange e ricami
antichi, conservati negli arredi originali, si
effimere architetture; alcuni libri realizzati
interamente a mano con la trascrizione
meticolosa dei testi e dell’impostazione
tipografica dei Quaderni di Simone Weil,
“work in progress” attraverso cui l’artista
ne assimila il senso e il ritmo, divenendo
un condotto tra la parola letta e quella
scritta.
dicembre 2010 – la Biblioteca di via Senato Milano
43
BESTIARI CONTEMPORANEI
E ANTICHE ISPIRAZIONI
LA BIBLIOTECA DELFINI DI MODENA SI APRE
ALLA PIÙ GIOVANE ARTE CONTEMPORANEA
l Museo Mallé di Dronero,
in provincia di Cuneo - polo
espositivo nato nel 1995 per volere
testamentario dello storico d’arte Luigi
Mallé, delle cui collezioni espone una
“permanente”, spaziando dalla pittura
cinquecentesca a quella fiamminga,
da opere del Settecento e dell’Ottocento
all’arte astratta del Novecento, dagli
orologi di bronzo a quelli di alabastro
del secolo scorso, dalle stampe rococò
alle foto d’epoca, dagli arredi tardo
settecenteschi alle porcellane di Meissen
- festeggia i vent’anni della locale
associazione culturale “Marcovaldo”
con una mostra che torna a guardare
alla propria tradizione, quindi legata
rea Progetto”
è la rassegna
che la Galleria Civica di Modena dedica alla creatività emergente del territorio. Novità di quest’anno, gli artisti scelti escono dalla
Galleria per confrontarsi
con progetti ad hoc pen-
I
“A
sati per luoghi significativi del centro storico
cittdino. Prima tappa è la
Biblioteca Delfini, con sede a Palazzo Santa Margherita, e prima artista
selezionata la videomaker
Angelica Porrari, che ha
rivolto la propria attenzione a frammenti di af-
al territorio e in grado di presentare
opere di grafica di alta qualità: “Bestiæ.
Disegni e incisioni di Schialvino & Verna”
(fino al 6 gennaio 2011; info: tel. 800/
329329; www.marcovaldo.it).
Un bestiario, quindi, sì, di quelli
in odore di antichità e Medioevo,
ma declinato anche in tecniche
e sfumature assolutamente
contemporanee (pittura, xilografia,
calcografia, disegno, gouache, collage)
in un percorso dato «dalla letteratura
e dalla musica, da cui sono stati tratti
i riferimenti per i titoli delle opere;
MILANO - UN PRESEPE SECENTESCO E UNA NATIVITÀ “PRATESE”,
OPERA DI FILIPPO LIPPI, PER CELEBRARE LE FESTE AD ARTE
nche al di là del calendario, viste le
mostre di Palazzo
Reale, sembra che questo
A
sia il momento del Sacro,
per Milano. Non poteva
mancare, allora, una nuova iniziativa del Museo
Diocesano che - mentre
continua a esporre la “Natività con san Giorgio e san
Vincenzo Ferrer” di Filippo
Lippi, proveniente dal
Museo Civico di Prato, come perla di stagione del
progetto “un Capolavoro
per Milano”, da inizio mese ospita anche un prezio-
so presepe lombardo di fine Seicento - appartenuto
alla collezione Longari con undici sculture (alte
tra i cinquanta centimetri
e il metro) in legno di
pioppo colorato e dorato
(fino al 30 gennaio 2011;
info: tel. 02/89420019 www.museodiocesano.it).
Interessante l’approccio
pauperistico dello scultore
che sceglie di portare il
“popolo” di fronte a Gesù.
freschi conservati nelle
lunette della sala “ragazzi”, reinterpretandone
azioni, gesti e soggetti
(fino al 6 marzo 2011; info: tel. 059/2032911).
emotivamente ordinate nella
raffigurazione e nelle sensazioni provate,
cercando di capire l’importanza
degli influssi esercitati sull’uomo
dagli animali, e dall’uomo testimoniati
e nobilitati, rendendoli ora filosofi
ora elevandoli a dei», come si legge nella
presentazione scritta dagli stessi autori.
Due piemontesi doc Anni ’40
che, oltre alla musica, hanno guardato
alla loro esperienza “rurale” e alle pagine
imbevute di miti, di Aristotele, Eliano,
Esopo e Plinio, in un perfetto connubio
di cultura “alta” e popolare.
44
la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2010
PAGINE CHE PARLANO DI LIBRI
Il bilancio “economico” della cultura, la storia
del libro a stampa e un duplice diario di viaggi
di matteo noja e matteo tosi
VIAGGIO ALLA FINE DELLA
CULTURA. E RITORNO?
A Schiffrin piace raccontare delle
storie horror, nelle quali narra la fine
della cultura, attraverso dati e cifre a dir
poco raccapriccianti. Dieci anni dopo
Editoria senza editori, estende la sua
analisi sulle concentrazioni finanziarie
dei media dal mondo anglosassone a
tutto il resto del mondo occidentale. In
pochi capitoli, con precisione, dipinge
un ritratto della situazione in cui
versano non solo l’editoria e le librerie,
ma anche i giornali, il cinema, la tv,
senza tralasciare internet.
L’indebitamento di molti grossi
gruppi editoriali, ma non solo,
è preoccupante in quanto il settore
culturale non ha la capacità di generare
profitto in tempi brevi: occorre tempo
e fiducia per ottenere una inversione
di tendenza. L’inserimento di nuove
tecnologie, internet e nuovi media
soffiano sul fuoco, senza risolvere
il problema. «Insomma – dice Guido Rossi
nella postfazione – nel nuovo capitalismo
finanziario la cultura, così come d’altra
parte la quasi totalità dei valori
delle diverse civiltà, è stata postergata
al denaro, che condiziona ogni scelta».
Ma Schiffrin ci dà anche speranze
per il futuro. Indica infatti la ripresa
di quei valori attraverso gli aiuti pubblici,
nazionali o locali che siano, come
è avvenuto per esempio in Francia.
Chissà se qualcuno avrà voglia
di ascoltarlo anche da noi?
André Schiffrin, “Il denaro e le parole”.
(a cura di Valentina Parlato,
postfazione di Guido Rossi), Voland,
Roma 2010; pp.110, €12,00
L’EPOPEA DELLA STAMPA,
PER BAMBINI E NON SOLO
«Che cos'è una rivoluzione? È un
mutamento improvviso e profondo che
cambia per sempre la storia. Può essere
un evento o un'invenzione: comunque
sia, rende possibile ciò che prima era
impensabile. Il fuoco, la ruota, l'elettricità,
gli aerei e i computer hanno trasformato
il modo di vivere e viaggiare degli uomini.
Anche la stampa ha fatto rivoluzione:
stampare libri ha permesso a storie e idee
di diffondersi in tutto il mondo. Questo
libro racconta il cammino dei libri
stampati, dai primi passi fino a oggi,
con lo sguardo rivolto al futuro: perché
la rivoluzione non è ancora finita». Così
recita la quarta di copertina di questo
aureo libretto ricco di illustrazioni,
deicato ai bambini e a quanti amano il
libro.
La storia del libro parte ovviamente
dai primi esperimenti di Gutenberg,
da come egli scelse per economia
di stampare le 42 linee per la sua Bibbia;
si sofferma sui primi tipografi e spiega
come evolvono i mestieri e i luoghi legati
al libro, come le librerie e le biblioteche;
passa attraverso i libri proibiti, la censura,
gli errori e lo sviluppo della lettura così
come la intendiamo oggi, per arrivare
a parlare dei libri d’oggi, di chi si occupa
del libro e cosa fa all’interno di una casa
editrice e giungere infine a parlare del
futuro, degli e-book e delle e-biblioteche.
Bella introduzione per piccoli lettori
che siano affamati di lettura, ma anche
per divertire qualche “giovane adulto”
con storie e concetti che si danno a volte
troppo per scontati e scontati non lo
sono. A far da contrappunto alla storia
del libro alcune storie e filastrocche
scritte da Roberto Piumini e Beatrice
Masini, illustrate da vari artisti.
Beatrice Masini, Roberto Piumini
Adriana Paolini, “Che rivoluzione! Da
Gutenberg all'ebook: la storia dei libri
a stampa”, Edizioni Carthusia, Milano
2010; pp. 76, €15,90
L’ESOTICO IN SALGARI VIENE
DAI RESOCONTI DEL BECCARI
Il nuovo libro di Paolo Ciampi
è un viaggio “alla scoperta del mondo
con Odoardo Beccari ed Emilio Salgari”.
O meglio, un po’ insieme a loro e un po’
sulle loro tracce. Questa seconda “non
guida” dell’editore fiorentino Mauro
Pagliai (che si fa notare per il curioso
formato pentagonale) ri-accomuna tra
loro due figure che apparentemente
hanno davvero poco in comune. Ma la
verità è che il famoso scrittore - che in
realtà non viaggiò mai - si servì per le
suggestioni delle sue storie dei resoconti
del grande naturalista fiorentino, molto
curiosi da leggere anche “di prima mano”.
Paolo Ciampi, “I due viaggiatori”,
Mauro Pagliai Editore, Firenze 2010;
pp. 192, €12,00
dicembre 2010 – la Biblioteca di via Senato Milano
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Pinocchio nella Biblioteca dell’Utopia / 3
Elogio di Pinocchio, eroe
casalingo di un tempo che fu
“Non ridete; ma dietro il Pinocchio io rivedo
la piccola Italia onesta di re Umberto”
PIETRO PANCRAZI
E vedevo Pinocchio, e il mio destino...
G. Gozzano, I colloqui
H
o riletto Pinocchio. Ogni anno, alla cara stagione della
neve e delle castagne, cavo
dallo scaffale dei libri più vecchi, Pinocchio; cerco un posto quieto vicino
alla stufa, e me lo rileggo. Perché?
II perché ogni anno me lo domando, con un mezzo sorriso; e ancora non sono riuscito a trovare una
risposta che mi contenti.
Potrei dire che nelle pagine di
Pinocchio ricerco i segni di un’infanzia lontana; i ricordi vaghi, le incerte
impressioni della prima lettura; per
vedere se mi riuscisse davvero, attraverso Pinocchio, di ritrovare me
stesso bambino.
Potrei dirlo...; ma non sarebbe
vero. Checché gli uomini dicano, e
fingano (magari a se stessi) di credere, è raro che qualcuno rimpianga
davvero - e non solo a parole - l’infanzia lontana. Quel rimpianto significherebbe un ottimismo non so se
eroico o imbecille: vorrebbe dire esser pronti, potendo, a ricominciare...
E allora rileggo ogni anno Pinocchio per un’abitudine letteraria?
per riaccendere ancora e controllare
nella lettura le impressioni nuove, su
quelle vecchie; le illusioni che restano, su quelle cadute; per il bel gusto,
alla fine, di tirare ogni anno le somme
di un bilancio ch’è sempre in perdita?
Forse è anche per questo che
rileggo Pinocchio...
Oppure le pagine del vecchio
libro hanno ogni anno insegnamenti
nuovi; e le avventure di Pinocchio a
chi le sappia guardare con altri occhi,
ogni volta offrono una morale diversa, un significato nuovo; confacenti
ogni volta all’animo, all’aspettativa
di chi torna lì? Quasi che anche il povero Pinocchio fosse a suo modo (come certi santi padri delle letterature)
un vivente paradigma della vita e della saggezza...
Sarà magari per tutte queste ragioni; ma più semplicemente vorrei
dire che ogni anno ricerco Pinocchio, perché ogni anno sento di volergli più bene.
Gli voglio bene, prima di tutto,
per la sua onestà casalinga. «C’ era
una volta... - Un re! - diranno subito i
miei piccoli lcttori - No, ragazzi, avete sbagliato. C’era una volta un pezzo
di legno. Non era un legno di lusso,
ma un semplice pezzo da catasta...».
Pinocchio, fino alla fine, tiene
fede alla sua origine. «Un pezzo di legno da caminetto, come tutti gli altri,
e a buttarlo sul fuoco, c’è da far bollire una pentola di fagioli...»; pensa
Geppetto ritagliandolo con l’ascia e
la pialla. Le sue avventure, anche le
più straordinarie, hanno un senso
domestico e vicino. Pinocchio è un
ragazzo povero; e i suoi casi, le sue
fortune, sono di quelle che anche un
Il Pinocchio disegnato
da E. Mazzanti
dicembre 2010 – la Biblioteca di via Senato Milano
«Entrati nell’osteria, si posero tutti
e tre a tavola» Pinocchio, il Gatto
e la Volpe nella tavola di Luzzati
ragazzo povero, sognando, puo immaginare per sé, nel freddo d’una
notte d’inverno.
«La casa di Geppetto era una
stanzina terrena, che pigliava luce da
un sottoscala. La mobilia non poteva
essere più semplice: una seggiola cattiva, un letto poco buono e un tavolino tutto rovinato. Nella parete di
fondo si vedeva un caminetto col
fuoco acceso; ma il fuoco era dipinto,
e accanto al fuoco c’era dipinta una
pentola che bolliva allegramente e
mandava fuori una nuvola di fumo,
che pareva fumo davvero».
E perché Pinocchio si chiama
Pinocchio? « Lo voglio chiamar Pinocchio (dice Geppetto suo padre).
Questo nome gli porterà fortuna.
Ho conosciuto una famiglia intera di
Pinocchi: Pinocchio il padre, Pinocchia la madre e Pinocchi i ragazzi, e
tutti se la passavano bene. II più ricco
di loro chiedeva l’elemosina».
Maestro Ciliegia, Polendina,
lo stesso Lucignolo (che però già somiglia a un signorino) sono come lui:
buona gente e poveri diavoli. E, in
fondo, son tutti contenti di essere
quel che sono. Restan paghi, tra increduli e rassegnati, a quel po’ di
buono che c’è nel mondo; e non
guardan più in là.
Quando hanno a che fare con la
Giustizia, e sempre per ragioni ingiuste... Geppetto è preso dai carabinieri perché riporta a casa Pinocchio
che gli era scappato, tenendolo per la
collottola (ancora le orecchie non
gliele aveva fatte); e il povero vecchio
non dice una parola sola per difen-
dersi. Un’altra volta è Pinocchio che
va in prigione; e perché? Perché è
stato derubato di quattro monete
d’oro dalla Volpe e dal Gatto, si sa,
più furbi di lui: «Allora il giudice, accennando Pinocchio ai giandarmi,
disse loro: - Quel povero diavolo è
stato derubato di quattro monete
d’oro: pigliatelo, dunque e mettetelo
subito in prigione ».
Più avanti, Pinocchio è
arrestato in riva al mare, incolpato di aver rotto la testa a
un compagno di scuola,
con un Trattato di Aritmetica in carta pecora.
Ma questa volta il burattino prima si scolpa, e
poi, giacché i carabinieri non gli dan retta, se la dà a gambe...;
come Renzo. Dunque
anche Pinocchio sa che
quando si può riparare con un po’ d’iniziativa propria all’ingiustizia degli
altri, magari della legge..., è meglio
non perder tempo. Chi gliel’ha insegnato? È la semplice morale dei poveri diavoli.
E un’altra volta, Pinocchio fa
pensare a Renzo: quando è svegliato,
a mezzanotte, dall’oste, all’osteria
del Gambero Rosso. L’oste (il solito
oste furbo) era d’accordo col Gatto e
la Volpe, i due « compari» che avevano stabilito di derubare Pinocchio:
«- E la cena l’hanno pagata? - Che vi
pare? Quelle lì sono persone troppo
educate, perché facciano un affronto
simile alla signoria vostra».
E neppure le trasformazioni
fantastiche, i viaggi impossibili e i
personaggi irreali - Mangiafoco o il
pescatore verde, il Pesce-cane, il Piccione-aeroplano, o la buona Fata servono ad aprire sul cielo di Pinocchio un’aria di fantasia, d’avventura,
47
oltre il domestico e il comune. Pinocchio non conosce la sorte così
frequente agli eroi dei ragazzi che, da
un incantesimo all’altro, diventano
paggi di corti miracolose, o fantastici
principi onnipotenti, muniti di anelli
e di bacchette fatate...
Pinocchio, no. Quando perde
la sua natura di burattino, diventa un
ciuchino da circo: «il famoso
ciuchino Pi-
nocchio, detto la stella della danza».
Oppure trova un contadino che gli
mette il collare e lo costringe a far da
cane; e quando arrivano le faine, l’onesto Pinocchio abbaia e salva il pollaio. Un’altra volta lo troviamo che
gira il bindolo - ancora una volta come un ciuchino - alla vasca di un ortolano. E anche la Fata, quella buona
Fata dai capelli turchini, che è insieme la sorellina e la buona mamma di
Pinocchio che non ha mamma - non
è davvero una fata delle solite, tutte
lusso e spreco. Se la rivedo come vuole il disegno, le mani ai fianchi, e le
maniche rimboccate; e poi il grembiule con le tasche; e, ai piedi, le sue
brave pianelle; la buona Fata mi sembra allora piuttosto una serva del casentino...
Ci sarebbe anche un altro modo di legger Pinocchio.
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la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2010
Il “Pinocchio ciuchino” e il burattino con i suoi famigerati compagni nelle serigrafie di Musante
Come tutti i libri molto semplici, a volte Pinocchio si presterebbe a
una lettura difficile. Ricordate l’onesto Geppetto indaffarato alla fabbrica del burattino? Quando gli ebbe intagliato gli occhi, «Geppetto, vedendosi guardare da quei due occhi di legno, se n’ebbe quasi per male, e disse
con accento risentito: - Occhiacci di
legno, perche mi guardate?».
Tutti i babbi così! Vien sempre il
momento che non vorrebbero esser
guardati dai figli con gli occhi che loro
stessi gli han fatti. Ma non sciupiamo
la morale semplice di Pinocchio.
Perché Pinocchio, si sa, è una
storia morale. Insegna com’é che da
burattini di legno si può diventare
uomini; attraverso quali esperienze
bisogna passare, quali insegnamenti,
quali avventure. Come tutti i poveri,
Pinocchio è un autodidatta. Ma la
sua morale non è eroica com’è spesso
la morale di coloro che imparan da
sé; non insegna grandi virtù, non addita conquiste impossibili. Pinocchio mostra cuor buono e generoso:
è pronto al sacrificio ogni volta che
può salvare o aiutare qualcuno. E
questo è importante. Per il resto, la
sua è una morale bonaria, affidata
quasi sempre, invece che all’inutile
esperienza degli uomini, alla saggezza mitica delle bestie... Anche in ciò è
una morale classica.
È il Grillo parlante che consiglia a Pinocchio l’amor figliale; il
Granchio lo persuade dell’utilità
della scuola; il Merlo gli insegna a esser furbo (e finisce subito in bocca al
Gatto); la Lumaca che lo fa aspettare
tutta una notte al diaccio, per terra,
col piede infilato nella porta della Fata, per portargli poi un pollastro di
cartone e quattro albicocche di alabastro - non si sa se lo prenda in giro,
o lo persuada alla pazienza. Geppetto gli insegna la frugalità, attraverso
dicembre 2010 – la Biblioteca di via Senato Milano
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Altre due famose scene delle avventure del burattino nei colori di Musante
l’apologo dell’appetito: metti via le
buccie («I casi son tanti»); e quando
le pere l’ha mangiate, Pinocchio s’accorge che riescono bone anche le
buccie... La Fata lo convince presto
che le bugie sono pericolose: cresce il
naso a palmi; e, a dirne molte, non
s’esce più dalla porta... L’anima del
Grillo parlante «pallida e opaca, come un lumino da notte» lo erudisce
sulla ricchezza: «non ti fidare, ragazzo mio, di quelli che promettono di
farti ricco dalla mattina alla sera. Per
il solito o sono matti o imbroglioni!».
Se Dio vuole, son tutti consigli
inutili; ogni volta Pinocchio si ravve-
de e impara... ma soltanto dopo aver
battuta la testa. Non basta neppure la
classica saggezza degli animali parlanti; soltanto la vita insegna a Vivere.
E le parole stesse del libro,
umili e sicure, parole evidenti, da
toccare, come i dadi bianchi di legno
che servono ai bambini per fabbricare per gioco le loro case, i loro campanili...; quello stesso scrivere onesto
e piano concilia il lettore (e non soltanto il lettore bambino) alla morale
modesta e solida di Pinocchio.
Alcuni capitoli potrebbero far
pensare uno scrittore più d’una lezione di estetica. Se rileggete Pinocchio, vi accorgete che ogni volta che il
racconto volta all’inverosimile, le
parole si fan più chiare e precise;
quasi che in esse l’inverosimile dovesse trovare la sua piena evidenza. E
sempre ve la trova. Chi non ricorda
l’irruzione di Pinocchio tra i burattini di Mangiafoco, durante lo spettacolo; con tutto quel baccano e quel
tramestìo di legno vivo? E i casi tristi
e lieti che ne successero; e come poi
tutto andò a finire in gloria: «Alla
notizia della grazia ottenuta, i burattini corsero tutti sul palcoscenico e,
dicembre 2010 – la Biblioteca di via Senato Milano
accesi i lumi e i lampadari come in
serata di gala, cominciarono a saltare e a ballare. Era l’alba, e ballavano
sempre». No: nemmeno Palazzeschi, nemmeno Govoni, nemmeno
Moretti saprebbero muovere per tre
capitoli, e a quel modo, tutto un popolo di burattini.
E il paese d’Acchiappacitrulli
lo ricordate? «Appena entrato in
città, Pinocchio vide tutte le strade
popolate di cani spelacchiati, che
sbadigliavano dall’appetito, di pecore tosate, che tremavano dal
freddo, e di galline rimaste senza
cresta e senza bargigli, che chiedevano l’elemosina d’un chicco di
granturco, di grosse farfalle, che
non potevano più volare, perché
avevano venduto le loro bellissime
ali colorite, di pavoni tutti scodati,
che si vergognavano a farsi vedere,
e di fagiani che zampettavano cheti
cheti, rimpiangendo le loro scintillanti penne d’oro e d’argento, oramai perdute per sempre. In mezzo a
questa folla di accattoni e di poveri
vergognosi, passavano di tanto in
tanto alcune carrozze signorili con
dentro o qualche Volpe, o qualche
Gazza ladra, o qualche uccellaccio
di rapina». Che paesaggio vivo, caro Linati!
Dietro Pinocchio - io vedo i ragazzi di un tempo. Con la loro cartella di tela cerata, o le assicelle, tornavano a casa a un’or di notte (e non più
tardi - anche quelli che non eran più
tanto ragazzi), per fare i compiti.
Sotto il lume comune, uscivano allora dalla cartella i piccoli quaderni
dalla copertina velata e istruttiva, da
tre centesimi; i pochi libri, e infine il
birillo bianco coi pennini da cinque
al soldo. Dopo la cena e due chiacchiere, sparecchiato, dalle seggiole
dei ragazzi tornavan su libri e qua-
51
Sopra: l’interpretazione a colori forti di Mario Schifano per le Edizioni
Theoria; a sinistra un’altra tavola di Luzzati
derni, tra il croce della mamma e il silenzioso giornale del babbo.
Era quello un tempo in cui non
si bastonava nessuno; e «far forca»
voleva dire ancora semplicemente
una bella passeggiata fuori porta;
non era una manifestazione politica.
Di pistole in casa ce n’era una soltanto: quella, quasi misteriosa, che restava serrata in un angolo del cassetto
del babbo. Ma a quel tempo in tutte
le buone case c’era invece un odore di
pulito; non so se di risparmio o di decente povertà. E la sera, quando i
compiti eran finiti e tutti i lumi in casa s’erano spenti, nel marciapiede di
sotto si sentiva passare rassicurante,
sul sonno di tutti, il calmo passo doppio dei carabinieri.
Non ridete; ma dietro Pinocchio io rivedo la piccola Italia onesta
di Re Umberto.
6
dicembre 2010 – la Biblioteca di via Senato Milano
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Libri illustrati in BvS
L’avventuroso burattino in 130
anni di riletture per immagini
Da Chiostri e Sgrilli a Musante e Schifano, passando per Bartolini
CHIARA NICOLINI
Q
uando penso a Pinocchio, la
prima cosa che mi viene in
mente è la marionetta del
meraviglioso adattamento cinematografico firmato da Luigi Comencini nel 1972. Poi il Pinocchio disneyano che danza circondato di orologi a
cucù, il suo Grillo con tuba e frac e la
sua leggiadra Fatina, che ha il volto di
una diva di Hollywood degli anni ’40.
Eppure Pinocchio ha mille volti. Ogni bimbo, a seconda della generazione a cui appartiene, sarà stato
trasportato nel surreale mondo di
Collodi da una delle innumerevoli
interpretazioni visive che ne sono
state date dal 1882 a oggi. Il bellissimo saggio Pinocchio e la sua immagine
(Giunti, 2006) elenca più di 150 artisti che hanno illustrato almeno 200
edizioni italiane del romanzo. Se poi
pensiamo alle traduzioni in lingue
straniere, alle riduzioni a fumetti o
cartoni animati, agli adattamenti
teatrali e cinematografici, a tutto il
materiale che al burattino collodiano
si ispira, il numero dei volti di Pinocchio diventa quasi infinito.
Il testo di Collodi apparve per
la prima volta a puntate sul “Giornale per i bambini”. La prima proprio
sul primo numero di questo periodi-
co rivoluzionario (il primo in Italia a
essere dedicato interamente all’infanzia), giovedì 7 luglio 1881. Ma i
capitoli iniziali del romanzo, allora
intitolato La storia di un burattino,
vennero illustrati solo da generiche
immagini di repertorio. Fu a partire
dal 16 febbraio 1882, con la ripresa
del racconto, interrotto al XV capitolo, quando gli assassini impiccano
Pinocchio alla Quercia grande, che il
testo collodiano - ribattezzato Le avventure di Pinocchio - ebbe la sua primissima interpretazione visiva.
Una serie di vignette in bianco
e nero che solo recentemente sono
state attribuite a Ugo Fleres . Alcune
di esse hanno un aspetto decisamente moderno, quasi futurista, soprattutto quella che ritrae Pinocchio impiccato a una bizzarra struttura, che
più che una quercia sembra un palo
telegrafico (Fig.1, facciata destra).
La Biblioteca di via Senato possiede riproduzioni delle vignette di
Fleres nell’edizione de Le avventure
di Pinocchio pubblicata a Pescia dalla
Fondazione Nazionale Carlo Collo-
2
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54
la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2010
1
di nel 1983. Curata da Ornella Castellani Pollidori, l’opera fu ideata
per il centenario delle Avventure, che
uscirono per la prima volta in volume
nel febbraio del 1883 a cura di Felice
Paggi, editore libraio fiorentino, poco dopo la fine della serie sul “Giornale per i bambini”, il 25 gennaio.
Assieme alle immagini di Fleres, il libro ripropone anche il corredo illustrativo della prima edizione
di Pinocchio: 83 vignette realizzate da
Enrico Mazzanti, qui raccolte in
un’appendice di sedici pagine (Fig.
1, facciata sinistra).
Mazzanti fu il primo artista a
dare un volto a Pinocchio, e fu l’unico a farlo mentre Collodi era in vita
(lo scrittore morì nell’ottobre del
1890). I due avevano tra l’altro già lavorato assieme, uno come traduttore
7
e l’altro come illustratore, all’edizione italiana dei Racconti delle fate di
Perrault, ed erano amici. Le illustrazioni di Mazzanti sono state talora
criticate perché ritenute troppo approssimative: non vi è in esse alcuna
attenzione per i dettagli, nessuna
particolareggiata descrizione ambientale, e i personaggi stessi sono
spesso appena abbozzati, quando
non ridotti a minute silhouette nere.
Eppure hanno una loro inconfondibile identità e restituiscono in modo
brillante la verve e le atmosfere onirico-surreali del romanzo di Collodi.
Il Pinocchio di Mazzanti è un
burattino smilzo e lesto, del quale
l’artista offrì un primo memorabile
ritratto nell’immagine d’apertura
del libro, con le mani sui fianchi, vestito con una casacca fiorita, braghet-
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te corte, un collare da clown e un cappello a cono, e dotato di un naso che
non è ancora l’affusolato naso pinocchiesco al quale siamo abituati, ma il
«nasone spropositato, che pareva
fatto apposta per essere acchiappato
dai carabinieri» di cui parla Collodi.
Dietro a Pinocchio si intravedono alcuni dei prodigiosi personaggi del
romanzo: il Serpente con la coda fumante, il Gatto e la Volpe, un’eterea
Fata appena accennata, il colombo
«più grosso di un tacchino» su cui il
burattino vola fino alla riva del mare,
e il terribile Pesce-cane, «l’Attila dei
pesci e dei pescatori».
Carlo Chiostri fu il secondo artista a illustrare le Avventure di Pinocchio, ma il primo a farlo nel vero senso
del termine. I suoi disegni sono infatti un’accurata controparte visiva del
55
5
8
testo, dove la caratterizzazione psicologica dei personaggi, le scene e gli
ambienti vengono resi con quella attenzione per il dettaglio che è propria del Realismo ottocentesco. Ci
sono i Carabinieri con la banda rossa
sui pantaloni, gente tipica della Toscana rurale e cittadina dell’epoca,
animali e piante descritti in modo
quasi naturalistico, e un Mangiafoco
che è un vero omaccione barbuto,
non un personaggio da fiaba come
quello ritratto da Mazzanti (che infatti si rifà esplicitamente al Barbablù
di Gustave Doré).
Pubblicata a Firenze, da Bemporad, nel 1901, l’edizione illustrata
da Chiostri ripropone il Pinocchio
immaginato da Mazzanti, ma lo mette più a fuoco, lo definisce nella mimica e nelle espressioni.
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dicembre 2010 – la Biblioteca di via Senato Milano
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Chiostri fu anche l’illustratore scelto dal celebre stampatore Alberto
Ta l l o n e ,
quando decise di proporre
un’edizione
propria delle Avventure di
Pinocchio, curata dal saggista
Marino Parenti. Di tale edizione la
BvS possiede varie copie, tra cui la
prima, pubblicata a Parigi nel 1951
(uno di dodici esemplari stampati su
carta Montval Antique), e una ristampa del ’77, impressa su carta Ma-
gnani con l’effigie e il nome di Pinocchio nella
filigrana. Come vignetta per il frontespizio, fu scelta l’intensa illustrazione
in cui Pinocchio si
addentra nel ventre
del Pesce-cane, in
fondo al quale brilla la
lucina di Geppetto (Fig. 2);
per la copertina, il suggestivo ritratto
di Pinocchio che vola in groppa al
“grosso colombo” sopra i tetti di un
paesino toscano, con un’enorme luna piena sullo sfondo (Fig. 3).
10
57
Nella nota introduttiva, Parenti definisce l’edizione talloniana
un’opera «la cui origine e la sua stessa
ragion d’essere muovono da sentimenti di nostalgica romanticheria,
nella quale Tallone e io ci troviamo
fraternamente d’accordo: ricordare
la nostra infanzia per sollecitare gli
altri a ricordare la propria; fare un Pinocchio per i grandi, che furono
bambini quando lo fummo noi».
L’imprecisa collocazione spazio-temporale delle Avventure, unita
al realismo con cui Collodi descrive
sia dettagli concreti (come la parrucca gialla di Geppetto «che somiglia-
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colori (un’inusuale accostamento di
rosso e verde stinti), e, in bianco e nero, un’antiporta, una vignetta al
frontespizio, 39 testatine, 37 iniziali
decorate, 39 finalini e 156 illustrazioni. Questa edizione fu pubblicata
a Pescia dalla Fondazione Nazionale
Carlo Collodi nel 1983, in occasione
del centenario delle Avventure. Ogni
esemplare contiene inoltre una tavola sciolta a due colori, numerata e firmata dall’artista: l’immagine all’antiporta (Fig. 9), uno splendido ritratto del paesino Collodi, con la sua serie di casette abbarbicate al pendio, le
stradine erte, e le torri che svettano
va moltissimo alla polendina di granturco») sia esseri immaginari come il
pescatore verde, che «invece di capelli aveva sulla testa un cespuglio
foltissimo di erba verde; verde era la
pelle de suo corpo, verdi gli occhi,
verde la barba lunghissima, che gli
scendeva fin quaggiù», amplia ulteriormente la gamma dei registri interpretativi. Infatti, tra i numerossissimi illustratori delle Avventure, alcuni, sulla scia di Mazzanti, hanno
16
18
scelto di metterne in rilievo il lato
fantastico, altri hanno invece colto
l’occasione per rievocare attraverso
di esso un “piccolo mondo antico”
fatto di persone vere, oggetti d’uso
quotidiano, ambienti reali.
Uno di questi è senza dubbio
Sigfrido Bartolini: la BvS possiede
una delle 250 copie della voluminosa
edizione che egli illustrò con ben 309
xilografie eseguite in dodici anni di
lavoro, di cui 36 a piena pagina a due
sulla cima della collina, mostra subito il registro adottato da Bartolini.
La sua interpretazione è «una
sorta di grande affresco della Toscana umile e “minore”… Pinocchio e
gli altri […] sembrano quasi un pretesto per raccontare la storia visiva,
umorale e partecipata, di un territorio e di un modo di vivere che non
esiste più». E infatti la maggior parte
delle illustrazioni testuali raffigurano umili oggetti d’uso domestico
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(pentole, seghe, scope, gerle, calamai), la Volpe è una vera volpe (Fig.
10), la bella Bambina una bambina in
carne ed ossa – anche se con una stellina tra i capelli (Fig. 11). Tale scelta,
tuttavia, non pregiudica la dimensione fantastica del romanzo di Collodi,
che emerge in tavole come quella in
cui Pinocchio vola in groppa al colombo (Fig. 12), o quella, straordinaria, che ritrae Pinocchio impiccato
alla Quercia grande (Fig. 13).
Oltre al Pinocchio di Bartolini,
la BvS custodisce altre tre edizioni
delle Avventure illustrate da artisti
contemporanei e destinate più a un
pubblico adulto che ai lettori imberbi per i quali il romanzo era originariamente stato scritto. Ciascuna di
queste edizioni è infatti un in-4to in
tiratura limitata e arricchito da grafiche originali firmate dai tre illustratori, Mario Schifano, Emanuele
Luzzati e Francesco Musante.
Schifano prende il burattino
disegnato da Attilio Mussino nel
1911, lo strappa al suo babbo, alla sua
fatina, a tutto il suo mondo favoloso,
e ne fa il protagonista di una serie di
opere di arte informale dalle pennellate violente e cupe (Fig. 14). Spicca
tra le 24 tavole a colori, pubblicate da
Teoria nel 1992 in un’edizione limitata a 167 copie, quella dedicata al
«bell’albero carico di tanti zecchini
d’oro» (Fig. 15).
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Luzzati ci restituisce invece un
Pinocchio teatrale, ispirato al Pinocchio bazar in cielo e in terra progettato
a Pescia nel 1981 con Tonino Conte
in occasione del centenario della nascita del burattino. Molte delle 17 illustrazioni a colori che ornano la sua
edizione delle Avventure, pubblicata
da Nuages nel 1996 e limitata a 128
copie, sono scene di uno spettacolo
con tanto di palcoscenico e fondali
(Figg. 16 e 17), nelle quali l’abitino a
fiori di Pinocchio si confonde talora
in quell’esplosione multicolore che
sono i disegni di Luzzati. Il burattino, anzi, scompare quasi tra le pieghe
della gonna della Fatina (Fig. 18),
naufrago in un meraviglioso patchwork di carte fiorite.
E se la deliziosa Fatina di Luzzati sembra anche lei, con i begli occhi dipinti e due pomelli rossi sulle
22
guance, un po’ una marionetta, Musante si stacca del tutto dall’iconografia tradizionale e propone una
procace Fatina sui tacchi (Fig. 19),
oltre a un bizzarro Geppetto (Fig.
21) con una tuba altissima e abbigliato, come Mangiafoco (Fig. 20), di
uno sgargiante completo rosso. Tutto in Musante è nuovo, dalla cuffietta
a pois di Pinocchio ai cieli punteggiati di stelle e lune che fanno da sfondo
alle sue tavole (Fig. 22). L’artista ha illustrato tre edizioni delle Avventure,
la prima nel 2001 per l’editore torinese Fògola, adornata da dieci serigrafie
stampate su carta riso Vang a 35 colori
e limitata a LXXV esemplari, dei quali la BvS possiede il numero VI.
Ma il vero tesoro della Biblioteca in quanto a Pinocchio sono i 25
disegni originali di Roberto Sgrilli
(1897-1985). Piccole tavole di bozzetti a matita con aree colorate in
arancione/ocra (Fig. 4), rosa/rosso
mattone (Figg. 5, 6, 7), e azzurro
62
la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2010
20
(Fig. 8), ciascuna con sopra applicato
un lucido sul quale sono delineati i
dettagli in nero di ogni immagine.
Otto di queste illustrazioni sono firmate dall’artista.
La Biblioteca non possiede l’edizione delle Avventure per la quale
questi disegni vennero eseguiti, e
quindi è difficile stabilire quando essi
siano stati effettivamente fatti e dove
siano stati riprodotti. Secondo Baldacci e Rauch, Sgrilli illustrò due
edizioni delle Avventure per la Bietti,
una nel 1942 e una nel 1962 . Quella
del ’42 è descritta sul catalogo collettivo online delle biblioteche italiane
come un libro di 229 pagine «con 28
illustrazioni di Alberto Bianchi e 14
tavole in fotolito a colori di Roberto
Sgrilli». Non può quindi essere l’edizione per la quale Sgrilli realizzò i 25
disegni, visto che questi sono illustrazioni testuali monocrome, e non
tavole fuori testo a colori.
Dell’edizione del 1962 non c’è
traccia su internet. Si trovano invece,
sempre nel catalogo collettivo delle
biblioteche italiane, due edizioni che
hanno «disegni nel testo di Roberto
Sgrilli», la prima di 193 pagine, pubblicata nel 1978 con copertina e sei
tavole fuori testo di Antonio Lupatelli (meglio noto con lo pseudonimo
di Tony Wolf), la seconda sempre di
193 pagine, ma con copertina e sette
tavole fuori testo di Umberto Faini,
19
priva di data di pubblicazione. Entrambi i libri sono il n. 10 della collana “Fantasia” della Bietti. Nessuno
dei due si trova purtroppo in una biblioteca milanese e non ho quindi
potuto verificare personalmente se i
“disegni nel testo” corrispondessero
agli originali della BvS.
Sono invece riuscita a farmi
mandare da uno studio bibliografico,
le immagini dei disegni testuali di
Sgrilli stampati in una copia del
1973, e con 198 (non 193) pagine
dell’edizione illustrata da Antonio
Lupatelli, e questa volta ci siamo: le
illustrazioni sono tutte stampate in
arancione e nero, ma corrispondono
ai disegni custoditi in Biblioteca.
dicembre 2010 – la Biblioteca di via Senato Milano
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Per una bibliografia ragionata del Lorenzini
In arte Collodi. Vita e opere
del babbo di Pinocchio
Slanci unitari e satira in punta di penna, tra articoli e libri vari
MATTEO NOJA
«…Ma il suo libro prediletto
fu sempre il volume della natura
e dei costumi umani, dal quale
trasse la verità dello stile,
e l’unico suo vocabolario fu
quello che suona sulle labbra del
popolo, dal quale derivò la verità
della lingua» [G. Rigutini in
C. Collodi, Divagazioni criticoumoristiche, raccolte e ordinate da
G.R., Firenze, Bemporad, 1892].
C
arlo Lorenzini nasce a Firenze il 24 novembre 1826 in via
Taddea, poco distante dalla
cupola del Brunelleschi. La madre,
Angiolina Orzali, benché diplomata
maestra elementare, lavora come
sarta e cameriera dapprima presso la
famiglia Garzoni Venturi e poi presso i Ginori, altra famiglia nobile del
capoluogo toscano, sempre insieme
al marito Domenico, cuoco.
Carlo è il primogenito di dieci
figli; con lui, della numerosa prole,
sopravviveranno solo Paolo, Ippolito, il più piccolo, e Maria Adelaide.
Carlo affidato alle cura di una zia,
frequenterà le scuole elementari a
Collodi, città natale della madre, in
Valdinievole.
Nonostante dimostri da subito
uno spirito ribelle e insubordinato,
viene avviato dal marchese Ginori –
generosamente interessato alla famiglia e ai figli dei suoi dipendenti – agli
studi ecclesiastici nel Seminario di
Colle val d’Elsa ma, dopo aver dato
molte prove della sua scarsa vocazione, viene mandato a finire le scuole
presso i Padri Scolopi a Firenze.
«E ora indovinate un po’, in
tutta la scuola, chi fosse lo scolaro più
svogliato, più irrequieto e più impertinente? Se non lo sapete ve lo dirò io
in un orecchio: ma fatemi il piacere di
non starlo a ridire ai vostri babbi e alle vostre mamme. Lo scolaro più irrequieto e impertinente ero io». [C.
Collodi, Storie allegre, Firenze, Paggi, 1887]
«Anch’io andavo a scuola; ma
non saprei dirvi se la mia scuola fosse
elementare, o ginnasiale, o liceale,
perché mille anni fa, ossia ai miei
tempi la scuola si chiamava semplicemente scuola, e quando noi altri ragazzi si diceva scuola, s’intendeva
parlare di una stanza piuttosto grande e quasi pulita, nella quale eravamo
costretti a passare sei ore della giornata, e dove qualche volta s’imparava
anche a leggere, a scrivere e a far di
conto» [C. Collodi in M. Parenti,
Trenta anni di microfono, Milano, Ceschina, 1963].
«Gli alunni degli Scolopi o delle Scuole Pie si dividevano a loro volta in due classi: quelli che avevano ingegno e studiavano bene… andavano all’Università, o si davano a qualche professione indipendente o geniale; gli altri poi, che si erano mostrati sbuccioni o un po’ bazzotti di
cervello, purché avessero i certificati
comprovanti questa loro doppia incapacità, acquistavano il diritto a diventare impiegati dello Stato» [Collodi, Occhi e nasi, Firenze, Paggi,
1881].
Nel 1844 abbandona gli studi
liceali e si impiega come commesso
Carlo Lorenzini, in arte Collodi
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la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2010
nella Libreria
Piatti, dove dopo poco tempo ottiene
l’incarico di redigere
il bollettino dei libri nuovi: questo
apprendistato lo
porta di lì a poco a collaborare, anche se in
forma anonima alla
“Rivista di Firenze”.
Nel 1848, a 22 anni, da acceso
mazziniano qual è, si arruola volontario e parte con il fratello Paolo, ancora diciannovenne. Vengono affidati alla colonna mobile in partenza
per il Veneto, con molti altri ragazzi
toscani, soprattutto studenti pisani al
comando del generale Giuseppe
Montanelli; a Montanara, nei pressi
di Mantova, si scontrano con le truppe austriache: il battaglione dei toscani viene sopraffatto e decimato
dagli austriaci.
Ritornato a Firenze, con il fratello Paolo, Collodi fonda per l’editore Tofani un giornale satirico illustrato di stampo democratico che ti-
tola “Il Lampione”, giornale che dura sino all’aprile
1849, per essere poi ripreso
nel 1850, dopo la restaurazione attuata dal Granduca.
Il suo destino sarà legato sempre a quello del
fratello Paolo, che sin da
ragazzo è impiegato
presso la manifattura Ginori e riesce a farvi carriera,
tanto che, dopo essere rimasto
vedovo di Luisa Romei, vedova
a sua volta e ricca proprietaria di un
negozio di moda in via de’ Calzaiuoli, data la sua agiata condizione lo
ospiterà in casa propria: («Il fratello
Paolo, col quale il Collodi conviveva, menava vita da vero signore: tre
cameriere, cuoco, carrozza di fitto,
villa in campagna, quartiere a Livorno, abitazione sontuosa in Firenze.
Non aveva figliuoli e poteva levarsi il
capriccio di buttar via parecchie migliaia di lire per farsi arrivare gli avana da Cuba, le sigarette Tocos dalla
Turchia e il vin di Porto dal Portogallo». Collodi Nipote in Omaggio a
Pinocchio, Lucca, “Rassegna lucchese”, anno 1952, n. 9).
Copertine de Gli amici di casa
e Da Firenze a Livorno (1856);
frontespizio de I misteri di Francia
(1857)
Già condirettore de “L’Arte”,
Collodi nel 1853 viene incaricato
dall’agente teatrale fiorentino Lanari di fondare il giornale “Lo Scaramuccia”, che dirige sino al 1855. In
quegli anni si divide tra il giornalismo e la drammaturgia. Da critico
teatrale e frequentatore di quinte e
palcoscenici, scrive alcune commedie: Il don Pirlone, Anna Buontalenti,
Gli amici di casa, L’onore del marito, I
ragazzi grandi (l’adattamento di questa commedia apparirà a puntate nel
1873, in forma di romanzo d’appendice, sul “Fanfulla”) e La coscienza e
l’impiego.
I suoi lavori vengono messi in
scena al Teatro del Cocomero, storico teatro di Firenze che prende il nome da quello, antico, della via dove
ha sede, via del Cocomero, attuale
via Ricasoli. Avendo ospitato nel
’600 l’Accademia degli Infocati, sulla
lunetta dell’ingresso ne mostra il
simbolo, cioè una bomba; nella se-
dicembre 2010 – la Biblioteca di via Senato Milano
65
Sopra da sinistra: annuncio della
ripresa di Pinocchio; “Preludio” alla
ripresa di Pinocchio; a destra: legatura
originale e frontespizio della prima
annata del “Giornale per i bambini”
conda parte dell’Ottocento prende il
nome di Teatro Niccolini in onore di
Giambattista, celebre tragediografo.
Per certo durante il Carnevale del
1854, le autorità impediscono la rappresentazione di Gli amici di casa da
parte della compagnia di Fanny Sadowski e G. Astolfi (la compagnia si
accontenta poi di rappresentare nello stesso teatro un testo di Leone
Fortis, dal titolo Cuore e arte. Azione
drammatica in sette parti). Questo lavoro è l’unico pubblicato dal Collodi
che afferma di darlo alle stampe solo
per non vederlo «un giorno o l’altro
rabberciato e prodotto sott’altro nome e all’insaputa dell’autore».
La pubblicazione gli offre l’occasione di premettere un breve scritto polemico sulla disastrosa condizione del teatro italiano, povero di
buoni attori e legato a una quarantina
di compagnie che, secondo il nostro
autore, “vagabondeggiano” senza
nessun programma. D’altronde aveva già dichiarato in un suo articolo:
«Chi è quell’analfabeta, in Italia, che
non sappia scrivere una commedia?
Chi è quel galantuomo, fra noi, che
possa chiudere gli occhi nel bacio del
Signore, senza il rimorso di aver
commesso un peccato mortale in
quattro o cinque atti?».
La frequentazione col mondo
teatrale, sempre in movimento, lo
tiene comunque a contatto con le
nuove idee letterarie che in parte arrivano dai movimenti letterari di città come Milano; la presenza di Fortis
e di altri rappresentanti della Scapigliatura a Firenze gli permette di sapere come sta cambiando il panorama culturale. Il desiderio di cacciare
gli stranieri dal suolo italiano, la delusione di non esservi riusciti nel ’48
e di vedere molti degli ideali di allora
calpestati, il volere scrollarsi di dosso
un romanticismo ormai senza inter-
66
preti, sono i sentimenti, condivisi da
molti, sui quali si basa il clima intellettuale intorno a lui.
Abbandonata la direzione dello “Scaramuccia”, collabora a diverse
testate. Scrive freneticamente, per
passione e per naturale inclinazione,
ma anche perché vuol fare soldi dall’attività di scrittore. Anche per far
fronte a quel suo non innocente divertimento che gli causa frequenti
problemi finanziari: la passione per il
gioco delle carte.
Animato da questo desiderio di
ricavare sempre più soldi da quello
che è diventato un serio lavoro, Collodi si mette a scrivere per il tipografo Mariani, che gli può così anticipare una cospicua somma, una “guida
civile e commerciale di Firenze, Pisa
e Livorno” che intitola Un romanzo
in vapore. Da Firenze a Livorno. Guida
storico-umoristica [1856]. Le impressioni e notizie che premette alla guida vera e propria, il termine “romanzo” nel titolo, gli servono solo per
giustificare la presenza del suo nome
sul frontespizio e dare all’opuscolo
un tono letterario più elevato. In
realtà, «…un libretto da leggersi in
treno fra una stazione e l’altra, per
poi farne lo stesso uso che è riserbato
agli orari ferroviari, alle guide in genere e agli opuscoli pubblicitari di
qualche Casa di prodotti alimentari»
(così scrive Collodi Nipote).
La sua attenzione e capacità di
intendere quanto sta avvenendo nel
mondo culturale contemporaneo è
dimostrata dal tentativo di scrivere
un romanzo che abbia come protagonista la città e la sua condizione sociale; nelle grandi città, infatti, a Roma e a Milano i letterati rivoltano i
quartieri, scavano nei bassifondi per
sortirne storie che, per mistero e pena, possano stare al pari di quelle
la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2010
Frontespizio della prima edizione
di Pinocchio
scritte a Parigi o a Londra. La Scapigliatura e un incipiente verismo mostrano agli scrittori italiani come studiare e raccontare gli effetti della
drammatica trasformazione sociale
che sta avvenendo anche in Italia, dopo la prima metà del XIX secolo, immediatamente prima, immediatamente dopo la fatidica Unità.
Nel 1857, anche Collodi scrive
i suoi misteri, i Misteri di Firenze. Scene sociali (solo il primo volume!), che
esce a dispense a partire dall’ottobre,
elogiato per lo stile «vivace, spontaneo e spesso satirico»; ma è lo stesso
autore che commenta, nel romanzo,
come scrivere “misteri” a Firenze sia
di fatto impossibile, poiché tutti sanno vita, morte e miracoli di tutti.
Nella sua scrittura riesce a unire la parodia di chi lo ha precedutto,
come Eugène Sue, a una sincera critica della sua città, che gli pare moralmente e politicamente decaduta.
Nel 1859, legato allo spirito risorgimentale, uomo di forti anche se
non clamorose passioni civili e morali, partecipa alla Seconda guerra di
indipendenza italiana. Dopo l’armistizio di Villafranca, torna a Firenze e
collabora alla neonata “Nazione”,
quotidiano che vede la luce per l’intervento di Bettino Ricasoli. Nello
stesso anno, come commentatore
politico del giornale fiorentino, pubblica un libretto satirico, dal titolo Il
signor Albèri ha ragione!…, su incarico della cerchia di personaggi che appoggiano il barone Ricasoli. Il
pamphlet esce in risposta all’opuscolo, La politica napoleonica e quella del
governo toscano del federalista cattolico Eugenio Albèri, che propugna invece l’istituzione del Regno dell’Italia Centrale, seguendo i disegni strategici di parte francese, contraria alla
nascita di uno stato italiano unitario.
In quegli anni, mentre la Toscana passa da Leopoldo II al Governo provvisorio e poi all’annessione al
Regno d’Italia, Collodi ottiene un
impiego in prefettura come censore
teatrale.
In una Firenze che comincia a
pensare in grande, che studia e vive
da capitale, la vita mondana della
borghesia conosce un notevole sviluppo. I balli settimanali e nelle più
importanti ricorrenze dell’anno si
tengono nelle case dove abitano le famiglie più in vista.
Al Circolo dei Borghesi (come
viene chiamato il Casino di Firenze
che era stato inaugurato da Leopoldo II), si riuniscono i giovani rampolli dell’aristocrazia e della borghesia, i
commercianti arricchiti e gli impiegati amministrativi. Si tengono feste
da ballo e si gioca fino all’alba, oltre
che al Circolo Borghesi, al Casino
dei Risorti – poi Circolo Fiorentino,
in via Cavour, sull’angolo di fronte al
palazzo Medici-Riccardi –, e in un
dicembre 2010 – la Biblioteca di via Senato Milano
locale di Palazzo Davanzati, in via
della Porta Rossa. Ma anche all’Elvetichino e al Castelmur, dove al
babbo di Pinocchio piace far tardi
con le carte in mano, insieme all’avvocato Barsanti, a un certo Boinaghi,
a un tal Mengozzi e a tanti altri; a
Collodi piace soprattutto giocare ai
“quadrigliati” e alla “calabresella”,
varianti del “tressette”: il primo da
giocare in quattro e il secondo in tre
persone.
Carlo Lorenzini, che dal 1859
si firma Collodi dal paese natale della
madre – e anche perché il tempo passato da bambino nella tenuta della famiglia Ginori a Collodi rimane uno
dei più bei ricordi della sua infanzia –,
si impegna quasi esclusivamente nel
giornalismo. Molti scritti di questo
periodo, saranno raccolti postumi in
alcune antologie curate dall’amico
filologo Giuseppe Rigutini.
Unico libro scritto in quegli
anni è La manifattura delle porcellane
di Doccia. Cenni illustrativi raccolti da
C.L. edito dalla tipografia Grazzini e
Giannini nel 1861. Compilato dietro
incarico del fratello Paolo che ora dirige la fabbrica Ginori, viene pubblicato in occasione dell’Esposizione
Italiana che si tiene in quell’anno a
Firenze. Descrivendo le attività della
Manifattura, Collodi trova anche il
modo di lodare la politica di progresso industriale e sociale perseguita dai
marchesi Ginori, che avevano istituito una scuola elementare e una professionale oltre a una cassa di mutuo
soccorso, per i lavoratori della fabbrica e i loro familiari.
È nel 1876 che Collodi, forse
per far fronte all’ennesimo “debituccio” di gioco, accetta dai fratelli Alessandro e Felice Paggi l’incarico di
tradurre dal francese una raccolta di
racconti di fate. L’edizione comprende i contes di Charles Perrault, i
testi di Marie-Catherine d’Aulnoy,
La Belle aux chevaux d’or, L’Oiseau
bleu, La Chatte blanche, La Biche au bois
e le fiabe di Madame Le Prince de
Beaumont, Le Prince Chéri e La Belle
et la bête. All’incontro con i Contes des
Fées, Collodi deve molto, soprattutto
il carattere morale delle fiabe, che lo
influenzò in maniera decisiva per la
concezione degli altri libri per l’infanzia, ma soprattutto Pinocchio. Perrault, infatti, colloca alla fine delle
sue favole delle moralités, insegnamenti morali che elevano dei racconti popolari, tramandati per lo più
oralmente, alla dignità di messaggi
educativi.
Anche la figura della Fata dai
capelli turchini (nella quale molti vedono adombrata la figura della madre di Collodi, come in Pinocchio la
sua propria) è una figura mutuata dai
Contes des Fées che ha la ventura di
“voltàre” in italiano – dove “voltàre”
non significa solamente tradurre, ma
anche adattare all’immaginario del
proprio paese –, così pure la sua incredibile corte di animali ben educati
che guidano carrozze, danno consigli, salvano gli impiccati.
67
Appena un anno dopo, i fratelli
Paggi pubblicano il primo di una serie di libri che Collodi dedica all’infanzia, prima della nascita di quel capolavoro, definito da molti “involontario”, che è Pinocchio. Il fratello
Ippolito scriverà al proposito:
«…[Felice Paggi] capì subito, dalla
buona riuscita del lavoro [I Racconti
delle fate], che il Lorenzini sarebbe
stato l’uomo tagliato apposta per
scrivere libri di lettura da bambini in
modo da non trovar confronto. Fattasi quest’idea, incominciò a tentarlo
esprimendogli l’opinione: – che il
Giannetto del Parravicini, ridotto da
mano maestra, a secondo della esigenza dei tempi, avrebbe recato un
gran profitto, tanto alle scuole quanto a chi lo avesse pubblicato. – Ma
Carlo faceva il sordo!… Finalmente
messo, come suol dirsi, fra l’uscio e il
muro, batti oggi, batti domani, finì
col dirgli: – Quando sarà il momento
lo faremo: ora non posso, non mi seccare: sono troppo martoriato dai
nervi! – E qui veniamo al fatto. In una
bella, anzi in una brutta mattina di
carnevale del 1876, il Collodi, svegliatosi di buonora, ricorda che ha da
pagare in giornata una forte somma,
né sa, lì per lì, dove battere il naso per
trovarla, senza pericolo di romperse-
Annuncio pubblicitario per il volume edito da Paggi
68
Questa, come le altre nel testo,
è una delle illustrazioni del Pinocchio
stampato sul “Giornale per i bambini”
lo. Pensa e ripensa! Finalmente si alza, si veste, e, preso il cappello, esce di
casa e va in cerca di Felice Paggi».
Assieme all’editore milanese
Ulrico Hoepli, Felice e Alessandro
Paggi in quel momento orientano
l’intero settore della lettura infantile
in Italia. La loro “Biblioteca Scolastica” è il luogo dove meglio riuscirà il
programma di attualizzare le letture
infantili, «a secondo della esigenza
dei tempi», e dove riusciranno a
spingere un riluttante e pigro giornalista politico a rendere più vicine ai
ragazzi di allora le avventure di Giannetto, personaggio creato nel 1837
dal pedagogista e direttore scolastico
milanese Luigi Alessandro Parravicini [1800-1880] e protagonista di uno dei più famosi libri per l’infanzia del primo Ottocento.
Collodi,
così
scopre un aspetto pedagogico della letteratura che fino ad allora non aveva esplorato, inserendosi in
quel movimento posteriore al 1871 che
la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2010
perseguiva l’idea di una continua e
completa alfabetizzazione dell’infanzia del nostro paese.
In Giannettino, vero e proprio
libro scolastico, mentre conserva la
struttura mista di narrazione e nozioni del Giannetto originale, Collodi
ne rinnova profondamente lo stile,
sia per l’uso che fa della lingua sia per
l’approccio umoristico alle vicende
del protagonista, un discolo nel quale gli scolari potevano facilmente
identificarsi.
Il successo gli permette di scrivere un’intera serie, edita sempre dai
fratelli Paggi, di cui fa parte anche
Minuzzolo, un piccolo amico di
Giannettino presente nel primo libro. Alcuni titoli della serie incontrano il favore degli insegnanti e, soprattutto, degli scolari, tanto da venire ristampati continuamente e utilizzati nelle scuole, aggiornati, fino a
tutti gli anni ’20 del Novecento, per
rimanere poi, ancora come libro di
lettura, fino a tutti gli anni ’60 del secolo scorso. La serie dei Giannettini
viene chiusa da La lanterna magica di
Giannettino [1890], che prende spunto da un divertimento allora di moda,
precursore del cinematografo, per
permettere di spaziare tra argomenti
scientifici, geografia e storia – particolarmente la storia allora recente
del Risorgimento.
Con il successo di Giannettino è
considerato un rappresentante autorevole della letteratura per bambini. Ferdinando Martini – che
aveva già fondato il “Fanfulla della domenica” nel
1879 – prepara l’uscita
del “Giornale per i bambini” coadiuvato dall’amico Guido Biagi. Ovviamente entrambi non vogliono lasciarsi sfuggire la
collaborazione di Collodi. Biagi soprattutto, conoscendo bene la sua pigrizia ma anche le piccole traversie
economiche che la passione del gioco gli provocano, lo blandisce a lungo cercando di convincerlo.
Le lusinghe però restano disattese per molto tempo. Una “bella”
mattina della primavera del 1881,
così come era avvenuto per Giannettino, dopo una ennesima notte di
sfortuna al gioco (come narra Marino Parenti) il nostro autore si decide
a cedere alle lusinghe degli amici e
invia a Biagi alcune cartelle scritte,
con una breve nota: «Ti mando questa bambinata, fanne quel che ti pare;
ma se la stampi, pagamela bene per
farmi venir la voglia di seguitarla».
Così nasce, quasi per caso, abbiamo detto quasi “involontariamente”, Pinocchio, con il titolo Storia
di un burattino e l’incipit famoso:
«C’era una volta...
— Un re! — diranno subito i
miei piccoli lettori.
— No, ragazzi, avete sbagliato.
C’era una volta un pezzo di legno».
Nel primo numero del 7 luglio
1881 a p. 3 appaiono i primi due capitoli, poi, come riporta Parenti nelle
sue Rarità bibliografiche dell’Ottocento
[Firenze, Sansoni Antiquariato,
1953] nella prima parte le puntate si
succedono così:
• 2, cap. III nel n.2 del 14 luglio
1881, p.17;
• 3, cap. IV-V-VI nel n.5
del 4 agosto 1881, p.65;
• 4, cap. VII nel n.7 del 18 agosto
1881, p. 99;
• 5, cap. VIII-IX-X nel n.10
dell’8 settembre 1881, p.145;
• 6, cap. XI-XII nel n.11
del 15 settembre 1881, p. 173;
dicembre 2010 – la Biblioteca di via Senato Milano
• 7, cap. XIII nel n.16
del 20 ottobre 1881, p.241;
• 8, cap. XIV nel n.17
del 27 ottobre 1881, p.261.
All’ultima puntata però i giovani lettori restano con l’angoscia che
Pinocchio possa essere acciuffato dai
briganti assassini: le ultime frasi sono
minacciose.
«E già si figurava che fossero
bell’e affogati, quando invece, voltandosi a guardare, si accorse che gli
correvano dietro tutti e due, sempre
imbacuccati nei loro sacchi e grondanti acqua come due panieri sfondati».
Tanto che una bambina scrive
al giornale: «…aspetto sempre con
grande ansietà il seguito delle sue avventure [di Pinocchio], quando al
sig. Collodi piacerà di narrarcelo».
Ferdinando Martini, quasi a
ogni numero, cerca di rassicurare i
piccoli lettori scrivendo «Il signor C.
Collodi mi scrive che il suo amico Pinocchio è sempre vivo e che sul suo
conto potrà raccontarvene ancora
delle belline…».
I lettori devono pazientare ancora mesi e con loro qualche lettore
meno piccolo, stando alla foga con
cui un personaggio importante come
Giosuè Carducci sollecita prima a
Ferdinando Martini e poi all’amico
editore Angelo Sommaruga l’invio
dell’abbonamento al giornale (nominalmente per la figlia Titti, ma
chissà che anche lui non gli abbia dato una sbirciatina). [Gli originali delle lettere dirette a Sommaruga sono
presenti nel Fondo Sommaruga della BvS].
Collodi continua le avventure
del suo burattino solo nel numero 7
del 16 febbraio 1882. A questa nuova
parte delle avventure di Pinocchio,
premette un breve preludio che reci-
ta: «Tutti quei bambini piccoli e
grandi (dico così, perché dei bambini
in questo mondo ce ne sono di tutte
le stature) ripeto, dunque tutti quei
bambini piccoli e grandi che volessero per caso leggere le Avventure di Pinocchio, faranno bene a ridare un’occhiata all’ultimo capitolo della Storia
di un burattino: capitolo uscito nel
numero 17 di questo giornale, 27 ottobre 1881. Lettore avvisato, mezzo
salvato».
Sembra che così la narrazione
possa correre d’un fiato sino alla fine.
Ma non è così: alcune pause in marzo, il salto di tutto il mese
d’aprile, poi ancora sei
settimane di pubblicazione giusto fino all’interruzione del numero
22 del 1º giugno 1882.
Parenti scrive: «Ma il
Collodi non ne aveva più
voglia; forse pensava di
smetterla e abbandonare giornale e burattino;
forse la lotta interna fra il
desiderio di metter, finalmente, la testa a partito e il fascino
del giuoco e della vita notturna, lo
estenuava, gli toglieva la possibilità
di affezionarsi a quella sua creatura,
che pur gli aveva dato qualche soddisfazione e che doveva riservargliene
di grandissime.
«Forse era un senso di ribellione a ogni vincolo di scadenza, com’era sempre stato ribelle, da impiegato
di prefettura, agli orari e alle gerarchie. Ma sotto il suo fare burbero e
accigliato egli nascondeva un’anima
dolcissima e particolarmente sensibile agli impulsi delle anime semplici: e furono le parole di un’anima
semplice che decisero, definitivamente, la sorte di Pinocchio.
«Un bel giorno, fra le molte
69
lettere che gli pervenivano, ne giunse
una di un bimbo romano, che pareva
comprendere in sé il desiderio vivissimo di tutti i bimbi d’Italia: “Gentilissimo signor Collodi, – scriveva – il
suo Burattino superiore a tutti i burattini del mondo, perché oltre a divertire istruisce, ci ha messo in uzzolo di sentire la continuazione senza
lunghi intervalli. La prego adunque,
anche a nome del babbo e della mamma e dei miei compagni di scuola, a
scrivere più spesso ed a far sí che il Pinocchio trovi in ogni numero del nostro giornale il posto riservato che si
merita”» [M. Parenti in Omaggio a Pinocchio, op. cit.]. A queste
parole, forse con il rimorso di
aver suscitato tanto interesse
e tante attese insoddisfatte,
Collodi riprende a narrare le
ultime avventure. Dal n. 47 del
23 novembre 1882 sino al numero 4 del 25 gennaio 1883,
conclude la vicenda di Pinocchio facendolo diventare un
bambino vero.
Pochi giorni dopo l’uscita
dell’ultimo numero del giornale, l’editore Paggi raccoglie in un volume
tutte le sparse puntate; le fa illustrare
dall’ingegnere Enrico Mazzanti, che
Collodi conosce sin dal tempo dei
Racconti delle fate: la sua interpretazione, con quella realizzata da Carlo
Chiostri, costituiranno l’immagine a
cui si ispireranno per anni molti altri
illustratori.
Nello stesso 1883, dietro le reiterate insistenze di Martini e di Biagi,
diventa direttore del “Giornale dei
Bambini”.
Negli ultimi anni, Carlo Lorenzini continua a pubblicare alcune
storie legate a Giannettino, mentre
Pinocchio comincia ad aver successo
in tutto il mondo.
70
Carlo Lorenzini, in arte Collodi, muore il 26 ottobre 1890, qualcuno narra, battendo all’uscio di casa.
«Alla sua morte gli eredi trovarono,
oltre tutto il suo corredo personale di
abiti e di biancherie, un orologio d’oro con catena d’oro, un anello con
brillante, un altro a sigillo con le iniziali C.L. incise in una corniola, tutto
il suo studio con due grandi artistiche
vetrine colme di libri, e per di più
ventimila lire in denaro contante.
Per quell’epoca erano qualche cosa».
[Collodi Nipote, in Omaggio a Pinocchio, op. cit.].
Bibliografia di Carlo Collodi
1856 Gli amici di casa. Dramma
in due atti Firenze, G. Riva; 85 p. , 16
cm [poi, dal 1858: Firenze, A. Romei]
1856 Un romanzo in vapore. Da
Firenze a Livorno. Guida storico-umoristica Firenze, tipografia di G. Mariani; XIV, 224 p., 15 cm
1857 I misteri di Firenze. Scene
sociali. Volume primo Firenze, Fioretti; 268 p., 19 cm
1859 Il sig. Albèri ha ragione!...
Dialogo apologetico Firenze, Tipografia Galileiana; 21 p., 16 cm
1861 La manifattura delle porcellane di Doccia. Cenni illustrativi raccolti da C.L. Firenze, tip. Grazzini,
Giannini e C.; 24 p., 24 cm
1876 I racconti delle fate, voltati
in italiano da C. Collodi Firenze, Felice
Paggi; 304, VI p., 18 cm
1877 Giannettino. Libro per i ragazzi Firenze, F. Paggi (Biblioteca
scolastica); 246, VI p., 19 cm Sul
front.: Approvato dal Consiglio scolastico
1878 Minuzzolo. Secondo libro di
lettura (seguito al Giannettino) Firenze, F. Paggi; 278 p.,18 cm
1880 Macchiette Milano, G.
Brigola e C.; 250 p., 18 cm
la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2010
1880 Il viaggio per l’Italia di
Giannettino. Parte prima (L’Italia superiore) Firenze, F. Paggi; 320 p., 19 cm
1881 Occhi e nasi. Ricordi dal vero
Firenze, F. Paggi (Biblioteca ricreativa); 242 p. ; 19 cm.
1881 Storia di un burattino
(Giornale dei bambini di Ferdinando Martini)
1883 La grammatica di Giannettino per le scuole elementari (poi, 1884:
La grammatica di Giannettino adottata
nelle scuole elementari di Firenze) Firenze, F. Paggi; 112 p., 20 cm
1883 Il viaggio per l’Italia di
Giannettino. Parte seconda (l’Italia centrale) Firenze, F. Paggi; 319 p., 19 cm
1883 Le avventure di Pinocchio.
Storia di un burattino illustrata da E.
Mazzanti Firenze, F. Paggi; 236 p.,
18 cm.
1884 Il regalo del Capo d’Anno.
Descrizione degli usi e costumi di alcuni
popoli meno conosciuti, Torino, Paravia; 32 p., 24 cm [edizione illustrata
da E. Mazzanti]
1884 L’abbaco di Giannettino per
le scuole elementari Firenze, F. Paggi;
66, VIII p., 19 cm
1885 Libro di lezioni per la seconda classe elementare, secondo gli ultimi
programmi Firenze, F. Paggi (Biblioteca scolastica); 135 p., 19 cm
1885 Un’antipatia. Poesia e prosa
[con: Memorie d’un cacciatore di L.
Grande] Roma, Perino (Biblioteca
umoristica); 91 p., 18 cm
1886 La geografia di Giannettino
Firenze, F. Paggi; 97, IV p., 20 cm
1886 Il viaggio per l’Italia di
Giannettino. Parte terza (l’Italia meridionale) Firenze, F. Paggi; 300 p., 19
cm
1887 Storie allegre Firenze, F.
Paggi; 197, VII p., 19 cm
1889 Libro di lezioni per la terza
classe elementare, secondo gli ultimi pro-
grammi Firenze, F. Paggi (Biblioteca
scolastica); 192 p., 19 cm
1890 La lanterna magica di
Giannettino. Libro per i giovanetti Firenze, Bemporad; 199 p., 19 cm
Opere in collaborazione:
1862 Le Bagnature. Strenna
[S.l. : s.n.], 1862 (Siena, Tip. nel R.
Istituto dei Sordo-muti) 63 p. : ill.; 22
cm. Contiene di Collodi: Le acque di
Montecatini, e Un cuore e una soffitta.
Romanzo da tasca
1876 Calenzoli, Giuseppe
Dialoghi e commedine. Seconda edizione con aggiunte e una lettera di C.
Collodi, Firenze, G.C. Sansoni; VII,
193 p.; 18 cm
Opere postume:
1892 Divagazioni critico-umoristiche, raccolte e ordinate da Giuseppe
Rigutini Firenze, Bemporad & Figlio
(Biblioteca ricreativa); VIII, 294 p.,
19 cm
1892 Note gaie, raccolte e ordinate da Giuseppe Rigutini Firenze, Bemporad & Figlio (Biblioteca ricreativa); XVI, 295 p., 20 cm
1941 Bettino Ricasoli, Camillo
Cavour, Luigi Carlo Farini, Daniele
Manin : biografie del risorgimento pubblicate in occasione delle onoranze fiorentine a Carlo Lorenzini Firenze, Marzocco; 47 p., 18 cm
1989 I ragazzi grandi. Bozzetti e
studi dal vero, a cura di Daniela Marcheschi; con una nota di Carlo Alberto Madrignani, Palermo, Sellerio
(La Memoria); 130 p., 17 cm
1990 Cronache dall’Ottocento, a
cura di Daniela Marcheschi Pisa,
ETS; 129, 17 cm. Raccolta di articoli
giornalistici, prima mai ristampati,
pubblicati da Carlo Collodi (sotto
vari pseudonimi) nei giornali umoristici del tempo
la Biblioteca di via Senato
la Biblioteca di via Senato
Milano
mensile
Milano
anno II
n.3 – marzo 2010
Pasolini: l’affaire
“Petrolio”,
e una mostra
di scatti e libri
Luigi Mascheroni
e Matteo Tosi
Dopo 30 anni ,
una nuova bio
di Malaparte?
Giordano Bruno Guerri
I furti di
Napoleone
esposti al Louvre
Chiara Bonfatti
Questo “bollettino” mensile è distribuito
gratuitamente presso la sede
della Biblioteca in via Senato 14 a Milano.
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la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2010
La pagina dei lettori
Bibliofilia a chiare lettere
Commenti dei visitatori alla mostra “Dante e l’Islam”
Lo stupore, come l’utopia,
può essere il motore del mondo!
Molto bello è l’insieme dei
colori.
Grazie per quello
che offre l’affascinante mostra
“Dante e l’Islam”.
Carmelo Calò Carducci
e Elena Giorgio
Pasquale Capriotti
La Mostra è molto
interessante ma per saperne
di più consiglio di leggere
“Inferno 28” di Michelangelo
Coviello (ed. La Vita Felice)
Ma poiché Maometto
col suo viaggio in Paradiso e annessi
ha ispirato Dante nel concepire
un analogo viaggio... e Dante
lo ha ripagato ficcandolo all’Inferno
tra i ribelli al Papa e lo ha ritratto
in sconvenienti pose... non sarebbe
stato giusto che tra le tante edizioni
esposte della Commedia,
almeno una venisse aperta
alla lettura di quei versi
(anche se non sono tra i migliori
del Sommo Poeta)?
Giacomo Gaglioffi
Complimenti per il rigore
della vostra mostra e per
l’avvincente allestimento
multimediale con cui avete
raccontato “Dante e l’Islam”,
anche se devo ammettere
che ho fatto fatica a seguire gli
approfondimenti dei vari monitor.
Un po’ per la mia età, certo,
ma forse in parte anche
per l’eccessiva velocità con cui
ogni schermata lasciava posto
alla succecciva
Mariarosa Bonacina
La cosa è molto interessante,
solo respetto a mia vista ce un
errore respetto all’arabo (vasi
girati) e tapeto nel Inferno.
Grazie.
Youssef
Padre Dante, perdona per
come la lingua di oggi ti abbia
Se volete scrivere:
[email protected]
Tutti i numeri sono scaricabili
in formato pdf dal sito
www.bibliotecadiviasenato.it
Una prima occhiata! Ma poi
è necessario tornare e rifletterci!
In ogni caso Mostra stupenda
e stupendamente allestita.
Pablo Rossi
dimenticato! Mostra di bellissimo
allestimento.
Carla Maria
Mostra emozionante dal
respiro multisecolare.
Dante e gli Arabi si rispecchiano e
brillano di luce riflessa.
Maria Giovanna Forlani
Interessante, mi ha fatto
tornare la voglia di studiare Dante!
Giulia
qui.
La IV B è stataLiceo
Scientifico
“Niccolò Machiavelli”
(Pioltello – Milano)
Ottimo allestimento, anche se
mi aspettavo maggiori riferimenti
alle fonti arabe del Purgatorio.
Angelo
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