la Biblioteca di via Senato Milano mensile anno II n.11 – dicembre 2010 L’avventurosa vita di Collodi e del suo immortale burattino Luciano Curreri, Pietro Pancrazi, Chiara Nicolini e Matteo Noja la Biblioteca di via Senato - Milano MENSILE DI BIBLIOFILIA – ANNO II – N.11/19 – MILANO, DICEMBRE 2010 Sommario 5 Pinocchio nella Biblioteca dell’Utopia IL MONDO DI PINOCCHIO È UNA CITTÀ IDEALE? * dalla presentazione del volume 13 Pinocchio nella Biblioteca dell’Utopia ELOGIO DI COLLODI CON PENNA E FUCILE di Luciano Curreri * 29 IN SEDICESIMO - Le rubriche GLI APPUNTAMENTI CON “DANTE E L’ISLAM”, I CATALOGHI, IL SALONE DEL LIBRO USATO, LE ASTE, L’INTERVISTA D’AUTORE, LE MOSTRE, LE RECENSIONI 45 Pinocchio nella Biblioteca dell’Utopia ELOGIO DI PINOCCHIO, EROE CASALINGO DI UN TEMPO CHE FU di Pietro Pancrazi * 55 Libri illustrati in BvS L’AVVENTUROSO BURATTINO IN 130 ANNI DI RILETTURE PER IMMAGINI di Chiara Nicolini 63 BvS: rarità per veri bibliofili IN ARTE COLLODI. VITA E OPERE DEL BABBO DI PINOCCHIO di Matteo Noja 72 La pagina dei lettori BIBLIOFILIA A CHIARE LETTERE * tratto da Le Avventure di Pinocchio, Silvio Berlusconi Editore, Milano 2010 Consiglio di amministrazione della Fondazione Biblioteca di via Senato Marcello Dell’Utri (presidente) Giuliano Adreani, Carlo Carena, Fedele Confalonieri, Maurizio Costa, Carlo De Simone, Ennio Doris, Paolo Andrea Mettel, Fabio Perotti Cei, Fulvio Pravadelli, Carlo Tognoli Segretario Generale Angelo De Tomasi Collegio dei Revisori dei conti Achille Frattini (presidente) Gianfranco Polerani, Francesco Antonio Giampaolo Fondazione Biblioteca di via Senato Elena Bellini segreteria mostre Arianna Calò sala consultazione Sonia Corain segreteria teatro Giacomo Corvaglia sala consultazione Marcello Dell’Utri conservatore Margherita Dell’Utri sala consultazione Claudio Ferri direttore Luciano Ghirelli servizi generali Laura Mariani Conti archivio Malaparte Matteo Noja responsabile dell’archivio e del fondo moderno Donatella Oggioni responsabile teatro e ufficio stampa Annette Popel Pozzo responsabile del fondo antico Beatrice Porchera sala Campanella Gaudio Saracino servizi generali Stampato in Italia © 2010 – Biblioteca di via Senato Edizioni – Tutti i diritti riservati Direttore responsabile Angelo Crespi Ufficio di redazione Matteo Tosi Progetto grafico e impaginazione Elena Buffa Coordinamento pubblicità Margherita Savarese Direzione e redazione Via Senato, 14 – 20121 Milano Tel. 02 76215318 Fax 02 782387 [email protected] www.bibliotecadiviasenato.it Bollettino mensile della Biblioteca di via Senato Milano distribuito gratuitamente Fotolito e stampa Galli Thierry, Milano Referenze fotografiche Saporetti Immagini d’Arte Snc, Milano L’editore si dichiara disponibile a regolare eventuali diritti per immagini o testi di cui non sia stato possibile reperire la fonte Immagine in copertina: Il Pinocchio disegnato da E. Mazzanti Questo periodico è associato alla Unione Stampa Periodica Italiana Reg. Trib. di Milano n. 104 del 11/03/2009 Editoriale ultimo numero del 2010 del nostro bollettino è interamente dedicato a Le avventure di Pinocchio di Carlo Collodi, scelto quest’anno come testo dell’ormai ventennale Biblioteca dell’Utopia della Silvio Berlusconi Editore. “Pinocchio” è il titolo più appropriato in occasione delle prossime celebrazioni per il 150° dell’Unità d’Italia, non solo per lo slancio unitario ripetutamente espresso dallo stesso Collodi ma anche per il successo mondiale che ha caratterizzato questa sua opera rendendola una delle più rappresentative icone letterarie del nostro Novecento. Anche senza contare le infinite trasposizioni L’ a fumetti, cartoni animati, film o serie televisive che ne hanno costellato la storia, “Pinocchio” è di gran lunga il libro italiano più tradotto e “ripreso”, una storia fondante per la sua moralità e non solo, che va oltre la letteratura “per bambini” e disvela le proprie metafore senza perdere quell’atmosfera onirica e fantastica che ben si addice all’avvento delle Feste. Arricchiscono i contributi presi direttamente dal volume, una presentazione delle edizioni illustrate custodite nei nostri fondi, un Elogio di Pinocchio di Pietro Pancrazi, un Elogio di Collodi, di Luciano Curreri, e uno studio bio-bibliografico di Matteo Noja dedicato all’autore e inventore del famosissimo burattino. dicembre 2010 – la Biblioteca di via Senato Milano 5 Pinocchio nella Biblioteca dell’Utopia IL MONDO DI PINOCCHIO È UNA CITTÀ IDEALE? L’alchemica magia di un burattino tutt’altro che per bambini Dalla presentazione del volume on poteva mancare Pinocchio. In una collana monellesca, per taluni aspetti del tutto simile a quella delche cerca, scopre o ripropone testi utopistici, la la sua creatura letteraria; era lunatico, sovente melancostoria del celebre burattino ha molte ragioni da nico, comunque bizzarro, apparteneva a quel genere di spendere. Opera di Carlo Lorenzini, che utilizzò lo pseuuomini che sfogano ora nel risentimento ora nell’ironia le donimo di “Collodi” per il cognome, Le avventure di Piproprie delusioni. Combatté per l'unità nazionale, partenocchio - questo il titolo originale del libro - nacquero per cipando alle campagne militari con veemenze e idee mazcaso e non sono il frutto di particolari elaborazioni accaziniane o, come suggerisce qualcuno ancora oggi, per la demiche, letterarie o estetiche. Nessuno previde il suc“piemontesizzazione” del Belpaese. Ma quando essa fu cesso, nemmeno l’autore; anzi, secondo una leggenda raggiunta non si sentiva soddisfatta dei risultati, come del che periodicamente trova nuovi interpreti, Collodi riuscì resto non lo sono ancora molti italiani di oggi. a scriverlo in una notte per onorare dei debiti di gioco. La sua personalità era sicuramente duplice: nel suo Anche se questa tesi romantica ha un suo fascino, bisogna privato, tra sé e sé, detestava la folla e il chiasso (in questo tener conto del fatto che il romanzo, divenuto immediasimile ad Alessandro Manzoni), ma per campare riuscì a tamente un classico della letteratura per i ragazzi, fu in un occuparsi di teatro, persino come censore, e fu un croniprimo momento pubblicato a puntate dal 1881 al 1883 sta degno di attenzione. Dopo il1860 fu anche impiegato nel “Giornale per i Bambini”, allegato al “Fanfulla” diretpresso la prefettura di Firenze. In un animo siffatto molti to da Ferdinando Martini. problemi trovarono requie soltanto in là negli anni, Di certo, però, Carlo Collodi fu un uomo originale, quando il signor Lorenzini chetò le sue nevrosi perdeno almeno incapace di rispettare i canoni dello scrittore cadosi nello spazio liberatorio e libertario della fiaba. ro agli italiani del tempo, ovvero a Fu in quel tempo che egli potè quei memorialisti ormai da salotto spegnere le mille contraddizioni di che ingigantivano di anno in anno le Oltre alla tiratura limitata (e non un’esistenza e di una carriera giornaavventure risorgimentali e usavano listica dedicata al satirico in un uniin commercio) firmata da Silvio porre nell’antiporta dei volumi con le verso fantastico, dove i personaggi si Berlusconi Editore - composta poesie di Prati e Aleardi dediche per potevano inventare, anzi prendevain monotype con carattere “Bembo” le fandulle, quali “sorda ai sospiri”. no forma nella fantasia e riuscivano a e stampata su papier avorio Collodi no, era un ‘anima ribelle, forrispondere, con le loro coordinate delle Cartiere di Sicilia - questa nuova se si potrebbe azzardare definendola lontane dalla ragione, ai mille “peredizione de “Le Avventure di Pinocchio ché” della realtà. Per questi e per altri - Storia di un burattino” uscirà anche motivi, non è facile stilare un invenin tutte le librerie italiane per i tipi Serigrafia di Francesco Musante tario del magma emotivo in cui nacdi Arnoldo Mondadori (Milano, 2010) que Pinocchio, avvolto per chi lo firmata dall’artista con prezzo di copertina 16 euro. N dicembre 2010 – la Biblioteca di via Senato Milano 7 A sinistra: Le avventure di Pinocchio, Torino, Fògola, 2000; sopra un’illustrazione di Roberto Innocenti tratta da Pinocchio abenteuer, Aarau, Frankfurt am Main, Salzburg, Sauerländer, 1988 legge in un’atmosfera magica e dalle mille sfumature, ma che per l’occhio indagatore concede non pochi spazi anche alla trasgressione. Un mondo comunque che, visto in prospettiva, sembra regolato da una morale concreta, persino grigia nella sua modestia: per poter lasciare alle spalle il limbo dell’infanzia, nel quale ogni individuo assomiglia a un burattino tra i flutti degli eventi, occorre comportarsi bene. Pinocchio diventerà un ragazzo in carne e ossa, tuttavia meno vivo del burattino di legno che fu. Detta in soldoni, sembrerebbe un’etica da applicare all’educazione dell’Italietta di allora, o meglio un carburante per quel nuovo senso nazionale che doveva trovare un suo posto e le relative applicazioni nei caratteri, nelle abitudini. Ma è tutto qui, Pinocchio? No, le sue avventure portano soprattutto altrove. Da quando, nell’1883, la storia del burattino divenne un libro pubblicato a Firenze dalla Libreria Editrice Felice Paggi (con le illustrazioni di Enrico Mazzanti), il mondo ebbe a disposizione un classico che sapeva parlare lingue diverse a seconda dell’epoca e di chi lo avrebbe interrogato. Se ai nostri giorni sono state rimproverate alle Avventure di Pinocchio delle attinenze con la massoneria, già nel 1903 l’opera veniva sdoganata dai testi infantili grazie al giudizio favorevole di Benedetto Croce. Nelle intenzioni di Carlo Collodi non vi era, quasi certamente, quella di creare un racconto dedicato soltanto ai bambini se, nella prima versione, il burattino moriva impiccato a causa dei suoi molteplici errori: solamente la ricordata pubblicazione a puntate prolungò la storia anche dopo l'esecuzione cruenta, prendendo le connotazioni che oggi conosciamo, ovvero con Pinocchio che si trasforma alla fine in un ragazzo in carne e ossa. Va inoltre ricordato che l’opera ha un retrogusto carico di nostalgie. Benché sia stata scritta verso la fine dell’Ottocento, è ambientata in un passato con i sapori che qua e là sembrano quelli del buon tempo antico, presumibilmente all’epoca del Granducato di Toscana. Se si do- 8 la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2010 Il Pinocchio di Emanuele Luzzati vesse fare della filologia cronologica, non potremmo nascondere il fatto che i riferimenti ai quattrini, soldi e zecchini d’oro ricordati nelle pagine, ci portano appunto nello stato preunitario. Durante i giorni del granduca Leopoldo II (1824-1859) gli zecchini d’oro corrispondevano a 80 crazie o a 400 quattrini, mentre un soldo era pari a 3 quattrini. Nel 1861, invece, con la proclamazione del Regno d’Italia, Firenze cessò di essere la capitale (anche se lo ridiventerà per qualche anno prima di Roma) e dal 24 agosto 1862 la Lira italiana sostituisce quell’universo di monete circolanti nei diversi Stati. Dove si svolsero, poi, queste avventure? Alcune fonti ambientano le storie di Pinocchio nella zona a Nord di Firenze, in particolare nelle località di Castello, Peretola, Osmannoro e Sesto Fiorentino. Il punto di partenza di questa geografia, che ha suscitato inevitabili contestazioni, sarebbe villa Il Bel Riposo (situata in prossimità di villa La Petraia e villa Corsini). In essa, d’altra parte, Car- lo Collodi soggiornò in non poche occasioni durante la seconda metà dell’Ottocento. Pinocchio è detto dal suo autore “burattino”; con maggior precisione avrebbe dovuto essere chiamato marionetta, giacché sembra in molte situazioni mosso da fili. Collodi, che non ignorava questi aspetti, probabilmente intendeva riprendere Burattino, una delle identità che lo Zanni delta Commedia dell'arte assume più o meno nel Seicento. Burattino era quel tale che setacciava la farina e, per svolgere diligentemente il suo lavoro, si muoveva con gesti scombinati, o meglio: spezzati. E si può aggiungere che “Pinocchio” non fu un’invenzione dello scrittore. Carlo Lorenzini si sarebbe ispirato alla “Fonte di Pinocchio” sita a Colle di Val d’Elsa, dove aveva studiato. Queste due osservazioni vanno poste in margine al fatto che l’opera dello scrittore toscano forse fu pensata piu come un’ allegoria della società moderna che non come un racconto per ragazzi, più come un’opera dove nei personaggi di fantasia si sarebbero potute fissare le norme di una nuova etica che non un racconto che assecondava la dicembre 2010 – la Biblioteca di via Senato Milano 9 Un’altra illustrazione di Luzzati: Pinocchio e Geppetto nella pancia del pescecane morale del momento. C’è, insomma, in Pinocchio uno sguardo senza infingimenti sui contrasti tra la cosiddetta rispettabilita e quello che si può definire libero istinto: e questo è tentato in un periodo nel quale le formalità si sprecavano, il pudore si ostentava e l’ipocrisia era ospite fissa nei salotti. Era it tempo della Regina Vittoria e a Londra erano di moda dei drappi da porre alle gambe dei pianoforti per evitare di vederle e di evocarle con la parola. Scritto in forma innovativa, grazie a una sintassi che ospita spesso fiorentinismi, realizzato con finzioni che non sono estranee a talune tradizioni e al folclore, concepito in un italiano che macina espressioni popolaresche toscane, Pinocchio diventa un libro dal quale si ricavano continuamente opere musicali, teatrali, fumetti, film, serie televisive, cartoni animati, ma anche osservazioni simboliche e considerazioni letterarie. È, in altri termini, un’idea che non riesce a finire e lascia sempre delle parti da scoprire. Per fare dei semplici esempi, un’analisi di Elemire Zolla ricordava che quanto Collodi chiamava «campo benedetto» o «campo dei miracoli», altro non era che un modello da cercare nel Mutus Liber, il capolavoro dell’alchimia secentesca francese. E anche la formula per far crescere gli zecchini è esattamente quella per rigenerare l’oro in alchimia. Due secchi d’acqua di fontana e una presa di sale: l'acqua della fons juventutis e un grano di sale della sapienza. Né dimentichiamo che su tale argomento restano pagine indimenticabili di Goethe in Poesia e verità. Insomma, l’iconografia alchemica è una guida perfetta per orientarsi in Pinocchio. Non c'è che l’imbarazzo della scelta. Anche il paese dei barbagianni, per fare un ultimo esempio, è quello che si deve attraversare per recarsi nell’Eterna Sapienza (così ci informa la prima vignetta dell’Amphiteatrum eternae sapientiae di Khunrat). Certo, c’è un Pinocchio grottesco e ce n’è uno che richiama Ariosto, un altro che diventa pirandelliano e un altro ancora che sembra tradurre Perrault; a volte sembra Renzo de I promessi sposi, altre volte si direbbe che recupe- 10 la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2010 Il ventre del pescecane nell’illustrazione di Roberto Innocenti ri il repertorio di Stenterello. Pinocchio è inafferrabile, come certi personaggi di Collodi. La Fatina dai capelli turchini chi era? Dobbiamo cercarla nei libri esoterici o è semplicemente presa in prestito dalle fiabe francesi del XVII secolo? Qualcuno arrivò a scrivere che il modello glielo fornì Anna Kuliscioff, la fatina del socialismo italiano, che fu processata nel1879 con gli internazionalisti a Firenze. Un cronista la ricordò «con una testa da madonna, con la carnagione bianca, imporporata di salute, con le trecce lunghe, d’un biondo luminoso, per le spalle». E a cosa rimandava quella conturbante presenza? Ecco la sua risposta: «Essa faceva pensare alle donne preziose dei preraffaelliti». Sembra la figura del libro di Collodi ritratta in anticipo. Ma è altresì vero che – lo aveva notato Vittorio Frosini, che dedicò nel 1967 sulla rivista “Clio” un saggio a Pinocchio come satira politica - Collodi, come Flaubert, avrebbe potuto dire: «la Fatina, sono io ». C’è un’ultima ipotesi da ricordare: Pinocchio è l’ultimo abitante di un paese dove è possibile vivere l’utopia. Lo si capisce dai suoi desideri, dalle magie che incontra, dai sogni di luoghi che vivono unicamente nel pensiero. Forse è anche l’ultimo rappresetante dell’antiutopia, di quel genere che da I viaggi di Gulliver di Swift alla Favola delle api di Mandeville smontarono con una satira o con precise osservazioni filosofiche i sogni di città ideali e luoghi perfetti. Difficile dire se Collodi abbia voluto essere un abitante di Utopia o di anti-Utopia, e probabilmente ogni epoca gli muta (e gli cambierà sempre) il certificato dt residenza; di certo fuggì dalla realtà per meglio capirla, per criticarla, per vivere. E questo ci basta, d’altra parte, Giuseppe Prezzolini, che riuscì a scrivere una Storia tascabile della letteratura italiana, affermò che ci sono due libri indispensabili per capire gli italiani: Bertoldo di Giulio Cesare Croce e Pinocchio di Carlo Collodi. E, si sa, il Belpaese resta l’unica nazione al mondo dove l’utopia si respira nell’aria e in ogni campagna elettorale si riesce persino a toccare con mano. dicembre 2010 – la Biblioteca di via Senato Milano 13 Pinocchio nella Biblioteca dell’Utopia / 2 ELOGIO DI COLLODI, CON PENNA E FUCILE Carlo Lorenzini detto il Collodi, il Risorgimento, Pinocchio... LUCIANO CURRERI erché Carlo Lorenzini detto il Collodi virgola il Risorgimento virgola Pinocchio puntini di sospensione? So bene che non si guadagna granché a mettersi dietro la “grancassa” degli anniversari - specie se altisonanti - e che meglio sarebbe festeggiare i “non-compleanni”. Eppure, gli anniversari, anche i più grandi, veri concentrati di “spazio-tempo”, non vanno snobbati: andrebbero semplicemente ridotti “a misura d’uomo”. In tal senso, i 150 anni dei Mille e dell’Unità d’Italia, possono anche e subito restituire Lorenzini detto il Collodi alla Storia e non farlo scomparire una volta di più dietro il suo immortale personaggio. Detto questo, vorrei che fosse davvero chiaro, fin dall’inizio, che il mio discorso non indica una soluzione di continuità dei tre elementi citati, magari attraverso una semplice addizione. Insomma, non bisogna leggere: Collodi + il Risorgimento = Pinocchio. E non bisogna pensare a quell’identità un poco facile che la tradizione iconografica, più di quella testuale, ci ha cacciato in testa a furia di copertine con carabinieri reali, l’Arma simbolo dell’Italia unita (anche se il Corpo nasce in seno al primo Ottocento). E dico questo nel più profondo rispetto dell’Arma; rispetto che non mi vieta tuttavia di avere una qualche riserva sull’uso che di Pinocchio si è fatto e si fa per costruire l’identità italiana1, che, come ogni identità, è una logica fatta di categorie e non di relazioni e complessità2. Il mio discorso introduttivo tende piuttosto a problematizzare la triade in questione e lasciarla conseguentemente “aperta”, foriera di relazioni, di luoghi e P «Pigliatelo dunque e mettetelo subito in prigione!», un’altra illustrazione di Luzzati non luoghi, di piccoli mondi e ragazzi grandi, di utopie più o meno rovesciate e contigue3, con teatrini, campi de’ miracoli, città, prigioni, isole industriose, scuole, grotte (forse zolfare) e paesi di Barbagianni e dei Balocchi. Per non parlare di quello strambo esercito di pinocchi lanciato nel Novecento delle mille interpretazioni e delle mille “pinocchiate”4, dove il burattino è un’icona della «civiltà del riuso»5, nel bene e, forse soprattutto, nel male; e forse con Pinocchio in chiave teologica6 e Pinocchio in camicia nera7 a svettare su tutti i “cloni”, ma, come dire, chi più ne ha - o più ne trova - più ne metta8. Del resto, sembra proprio che a essere “puristi”, con Pinocchio ci si perda sempre, anche quando si ha ben presente che la propaganda, di qualsiasi segno e colore sia, non rende un buon servizio al burattino, che in tal senso è il «pezzo di legno» più bruciato dal fuoco dell’ermeneutica e l’implicito “ragazzo-virgulto”9 più sacrificato alle fiamme della Storia; a partire, se vogliamo, dal noto e deludente finale sancito dal cap. XXXVI - in cui «Pinocchio cessa d’essere un burattino e diventa un ragazzo» - e dettato dalla quasi coatta continuazione delle Avventure di Pinocchio, che Collodi avrebbe voluto concludere già con il cap. XV: «Gli assassini inseguono Pinocchio; e dopo averlo raggiunto, lo impiccano a un ramo della Quercia grande». In effetti, e non così paradossalmente, è in questo primo destino di morte - segnato in modo circolare da quel «mondo vegetale [che] ricorre spesso nelle spiegazioni sul mistero della nascita»10 - che il burattino collodiano diventa un vero combustìbile dell’immaginario. 14 la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2010 Tavole monocrome di Venturino Venturi per l’edizione Trec del 1983 In tal senso, il fuoco da cui il primo Pinocchio (capp. I-XV) - uscito fra il 7 luglio e il 27 ottobre 1881 sul “Giornale per i Bambini” - «è lambito per tutto il tempo» - dato su cui ha riattirato di recente l’attenzione Tiziano Scarpa11 - non è spia testuale di una sconfitta del «vegetale umanizzato»; anzi, direi proprio che ne è la sua consacrazione. E al bravo ragazzo cui approda il secondo Pinocchio (capp. XVI-XXXVI) - uscito fra il 16 febbraio 1882 e il 25 gennaio 1883 sulla stessa testata - ci si ribellerà, investendo proprio sul «vegetale umanizzato», sul burattino. Del resto, la morte del primo Pinocchio è più in linea di quanto non si pensi con la biografia e l’orizzonte autoriale di Collodi e con il contesto storico che li accoglie e li predispone anche alla letteratura per ragazzi, ovvero alla letteratura tout court. A questo proposito, in parte, Tiziano Scarpa suggerisce: «Senza schiacciare la fantasia sulla biografia, non sarà forse ricattatorio ricordare che in quattro mesi, dal 1838 al 1839, morirono quattro piccoli della famiglia Lorenzini, tre sorelline e un fratellino di Carlo Collodi, che allora aveva dodici anni»12. Ripartiamo quindi da Collodi o, meglio, ricominciamo da Carlo Lorenzini detto il Collodi, anche se pure con l’autore, come vedremo, si è corso e si corre un rischio, che è proprio quello di schiacciare la fantasia sulla biografia, anche se in modo meno intimo e più pubblico, politico. Tuttavia, penso che valga la pena correrlo, facendo reagire alcuni dati privati e pubblici della vita dell’autore - una serie di dati anche noti ma forti, autoriali, storici, da cui è necessario partire, come hanno saputo mostrare più o meno di recente, nel caso di Collodi e Pinocchio, Daniela Marcheschi e Rossana Dedola13 con una rassegna di ipotesi, di interrogativi, da vagliare e discutere, insieme, come è sempre giusto fare, al di là dicembre 2010 – la Biblioteca di via Senato Milano 15 «Arlecchino e Pulcinella riconoscono l’amico Pinocchio» e «Pinocchio cane da guardia» nelle tavole di Venturi di questa stessa occasione. Carlo Lorenzini (Firenze 1826-1890) detto il Collodi partecipa concretamente al Risorgimento. Collodi è pseudonimo usato per la prima volta nel 1856 sul giornale umoristico “La Lente” e deriva dal paese della famiglia materna, dove il futuro papà di Pinocchio passa una parte dell’infanzia e adolescenza. In queste mie pagine lo chiamerò Lorenzini fino al 1855 e Collodi a partire dal 1856; anche se la fama dello pseudonimo non è certo immediata, né risponde ancora a un uso continuo e coerente, l’eco dello stesso può avere un valore retroattivo, almeno a partire dall’anno in cui il Nostro lo usa per firmare un suo lavoro. Là dove alluderò, insieme, ai due momenti della vita dell’autore, scriverò, anche per brevità, Lorenzini-Collodi. Dopo aver terminato gli studi in Rettorica e Filosofia degli Scolopi - le Scuole Pie, dal 1617 congregazione (poi ordine) - di San Giovannino di via de’ Martelli - il Liceo Ginnasio «Galileo» dei nostri giorni - e dopo aver lavorato nella Libreria Piatti, Carlo Lorenzini, a soli 21 an- ni, è fra i giovani volontari toscani che si arruolano nel Secondo Battaglione Fiorentino (Seconda Compagnia) e prendono parte alla Prima Guerra d’Indipendenza nel 1848; combatte a Montanara in una delle battaglie più famose della nostra storia recente, dove proprio il sacrificio dei volontari toscani ferma e trattiene Radetzky, che viene battuto a Goito dai Piemontesi, che entrano a Peschiera. Ma come è noto, dopo un periodo di inazione, la sconfitta piemontese a Custoza capovolge la situazione e Carlo Alberto (1798-1849) si ritira, lasciando Milano e la Lombardia evacuata dai Piemontesi. Questa è, in breve, la prima fase della guerra, durante la quale, tuttavia, molte realtà italiane (Parma e Piacenza, Modena e Reggio, il Governo provvisorio Lombardo...) chiedono l’annessione al Piemonte, agli Stati sardi. Segue la seconda fase della guerra, nel marzo del 1849, la sconfitta di Novara, l’abdicazione di Carlo Alberto. Vittorio Emanuele II (1820-1878) firma la pace di Milano il 6 agosto, mentre Venezia cade il 24 agosto: Ve- dicembre 2010 – la Biblioteca di via Senato Milano nezia da cui tutto, in un certo senso, era partito, il 17 marzo del 1848, con Niccolò Tomaseo (1802-1874) e Daniele Manin (1804-1857) al quale sarà dedicata una delle microbiografie risorgimentali collodiane14. Del resto, Lorenzini, tra il luglio del 1848 e il marzo del 1849 pubblica su “Il Lampione”15 - una rivista di impronta democratica di cui è tra i fondatori - una nutrita serie di articoli. Insomma, non è solo una testa calda, un giovane infatuato di proclami patriottici o un «mazziniano sfegatato», come si è anche detto - e si pensa a Ferdinando Martini (1841-1928)16. Come molti della sua generazione, Collodi si batte col fucile e con la penna e cerca una via per l’indipendenza d’Italia e per la sua propria.E per gli italiani di quegli anni, la cosa non è sempre facile. La vita, la carriera hanno sbalzi inquietanti. Facciamo un esempio a ridosso degli avvenimenti citati: il 26 febbraio del 1849 Carlo Lorenzini è nominato Ufficiale di Prima Classe del Governo provvisorio Toscano mentre in aprile, al ritorno del Granduca, è allontanato da tale incarico, salvo poi essere reintegrato, mesi dopo, nel ruolo di commesso. Illusioni, delusioni, affanni, che, come è noto, dureranno parecchio, nutrendo la Seconda guerra d’indipendenza, del 1859, per partecipare alla quale Collodi dichiara il falso: dichiara cioè di essere ancora studente e di essere nato nel 1834, arruolandosi volontario nell’esercito sabaudo, nel reggimento Cavalleggeri di Novara, di stanza a Pinerolo. Ma dopo l’armistizio di Villafranca, del luglio 1859, che sembra negare, per sempre, ogni attesa unitaria, Collodi rientra a Firenze. Appuntiamoci questa “logica” del rientro, del ritorno dal fuori, perché ci farà comodo, nel bene e nel male. All’epoca del rientro, Collodi gioca e beve ma offre anche, fino al 1860, una collaborazione intensa a “La Nazione”, fondata il 13 luglio 1859 per volontà di Bettino Ricasoli (1809-1880), a cui, sia detto quasi tra parentesi, è stato da poco dedicato un premio giornalistico intitolato il «Barone di Ferro». Per Collodi, Bettino Ricasoli è importante: è il «degno successore di Cavour» nella presidenza del consiglio, nel 1861-186217, oltre che l’”inven- Illustrazione di Innocenti per l’edizione tedesca Sauerländer 17 tore” del Chianti, e prima ancora è il capo del Governo provvisorio Toscano, che già nel 1859 ribadisce, dopo i frustranti accordi di Villafranca, la volontà della Toscana di far parte di un’Italia unita ed indipendente sotto la guida del re sabaudo Vittorio Emanuelle II. Anche e soprattutto di Bettino Ricasoli, come del citato Daniele Manin, oltre che di Camillo Cavour (1810-1861) e Luigi Carlo Farini (1812-1866), si ricorderà Collodi, in quella sorta di sintetico ma denso e collettivo omaggio a uomini di Toscana, Piemonte, Romagna, Veneto e d’Italia che sono le sue microbiografie del Risorgimento. Bettino Ricasoli vi è descritto a più riprese come un «uomo singolare, rigido, severo, vero tipo leggendario medioevale»18; un uomo che, secondo le sue stesse parole, vuole «sommergere la povera Toscanina nell’oceano della italianità»; un uomo che vuole sventare «il disegno di Napoleone III che intendeva far della Toscana un nuovo Regno d’Etruria per regalarlo al Principe Girolamo suo cugino». E Collodi, a proposito, commenta: «Questa patriottica opposizione indispettì talmente Napoleone che si vuole fosse essa la ragione dell’armistizio di Villafranca»19. Infine, Ricasoli è l’uomo che nel 1861 difende a spada tratta l’operato di Giuseppe Garibaldi (18071882) e rilancia la questione romana20. Insomma, da quanto appuntato or ora, e da quanto citato dalla microbiografia collodiana di Ricasoli, capiamo quanto Carlo Lorenzini-Collodi maturi col Risorgimento e quanto ci creda, si batta, si allinei con chi continua a sperare nell’Italia unita a guida sabauda. Detto questo, il Nostro è un po’ anche vittima, come tanti altri italiani, delle battute d’arresto del nostro processo risorgimentale, comprese quelle del 1861 e del 1866, parzialmente riassorbite nel 1870. E non è qui fuori luogo accennare all’anticlericalismo del giovane e risorgimentale Lorenzini-Collodi, che in versi di recente riscoperti pubblicati anonimi o sotto pseudonimi su “Il lampione”, tra il 1848-1849 e il 1860-1861, e riportati all’attenzione dei lettori da Daniela Marcheschi nel supplemento domenicale del “Sole 24 Ore” dell’11 aprile 2010 - si esprime, per esempio, contro i «Canonici del», dicendo loro: «Rinnegaste l’Italia per la croce». Oggi, essere anticlericali, è sostanzialmente più di moda che altro, soprattutto in Italia. A metà Ottocento e nei suoi dintorni, la postura era un po’ diversa. Basta ri- 18 la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2010 « E Pinocchio a nuotar più lesto che mai, e via, e via...» dalle tavole sciolte di Roberto Sgrilli leggere Clelia o il governo dei preti (1870) di Garibaldi per rendersene conto21. Ma in quel romanzo del 1870, a un certo punto, il buon Garibaldi - di cui è venuta l’ora di parlar bene, come ha suggerito, da par suo, Mario Isnenghi, nel 2007, in un bellissimo volume di cui consiglio la lettura, Garibaldi fu ferito22 - il buon Garibaldi, dicevo, parla anche del «dialetto [toscano], cui l’Italia deve la maggior parte del suo Risorgimento - perché in quel dialetto sta uno dei più saldi fondamenti dell’unità nazionale italiana»23. Ora, per Lorenzini-Collodi e per tanti altri scrittori e patrioti toscani della sua e altre generazioni, precedenti e, direi forse soprattutto, successive, la toscanità è un’arma a doppio taglio, e più, forse, da un punto di vista geopolitico, geoculturale che geolinguistico e geoletterario. Per capirci, lasciamo da parte Alessandro Manzoni (1785-1873), per una volta, e autori ancor più lontani, e concentriamoci su quanto stiamo cercando di mettere insieme a proposito di Carlo Lorenzini detto il Collodi, della Toscana e del Risorgimento. Ricordiamoci, dunque, in sequenza: (a) del forte apporto dei giovani studenti e volontari toscani nelle prime due guerre d’indipendenza; (b) del transitare della capitale del Regno in quel di Firenze fra il 1864 e il 1870; (c) dell’attrazione di Roma, del compimento di un disegno politico e tutto quel che ne segue, pure in termini di vita quotidiana; (d) ovvero della forte volontà - anche collodiana - di sprovincializzarsi, di riconoscere e di parodiare il “piccolo mondo” fiorentino. Tutti questi fattori lasciano scoperto il fianco alla disillusione postunitaria e al ripiegamento, al rientro iterato, malinconico, se si vuole, cui si accennava prima e che un po’ paradossalmente tenta di sfumare in seguito le - come le chiama bene Madrignani - «inquinanti infiltrazioni legate ai nuovi comportamenti che dalla sfera politica [romana] arrivano al piccolo mondo della città e della famiglia [toscana]»24. dicembre 2010 – la Biblioteca di via Senato Milano 19 Il grillo parlante, il corvo e la civetta: tre medici a visitare Pinocchio; nella pagina seguente un’altra tavola di Sgrilli Mi rispiego. La Storia, quella con la Esse maiuscola, fa una gran scorpacciata degli scrittori toscani attivi nel secondo Ottocento, quasi tutti sussunti in uno spazio politico, in un concetto più ampio che li livella e che fa perder loro molte delle complesse e controverse idee e attitudini artistiche25. A più riprese, non a caso, si è osservato come lo «spazio degli avvenimenti politici del tempo» nelle «biografie degli scrittori toscani della seconda metà del secolo scorso» sia fin troppo significativo: «tanto spazio - dice per esempio Antonio Altomonte - che quasi sempre la loro produzione, in tutto o in parte, non è che il frutto della partecipazione agli avvenimenti risorgimentali, si tratti di scrittori come Giuseppe Bandi o Eugenio Checchi, che si sono fatti narratori e testimoni delle imprese garibaldine, o come Pietro Coccoluto Ferrigni (Yorick), Ferdinando Martini, Leopoldo Borboni, che vanno ricordati come memorialisti di una Toscana a cavallo tra il suo passato granducale e il presente regio; o come ancora un Narciso Feliciano Pelosini (Giovan Paolo d’Alfiano), Carlo Lorenzini (Collodi), Adriano Cecioni, nei quali il filo delle vicende private s’intreccia spesso con quello della storia del momento, fino a dipenderne, trovandoli quantomeno impegnati in accese polemiche, dalla tale posizione o dalla talaltra»26. Il già citato Madrignani, critico e compagno avvertito che non ne poteva davvero più di questa lettura “assolutista” di taglio storico-politico, nell’anniversario del centenario della morte di Collodi, nel 1990, su “Il Ponte”, finisce per trovare nel fiorentino Guido Nobili (1850-1916) una sorta di alter ego collodiano. Perché? Perché, per il critico di Sarzana, scomparso, purtroppo, due anni fa, scegliere Guido Nobili, l’uomo ritirato, nullafacente, il ricco, dilettante, nostalgico autore di provincia, l’originale, è mossa insieme provocatoria ed efficace, per non ridurre del tutto Lorenzini-Collodi allo spazio degli avvenimenti politici del tempo, come capita a molti lettori che ripensano e risollecitano gli dicembre 2010 – la Biblioteca di via Senato Milano scrittori toscani della seconda metà del secolo XIX, e proprio a partire dai loro dati biografici, pubblici e privati27. Paradossalmente, poi, Carlo Collodi, fin dagli inizi della sua carriera di narratore, soprattutto lungo gli anni Sessanta e Settanta, poco o niente si confà alla ricostruzione - anche antologica - di un Ottocento patriottico e risorgimentale. E a naso, direi che neanche Pinocchio serve proprio bene la patria unita: marina la scuola e finisce in prigione, il militare non lo fa. Mais enfin... Quando, in tarda epoca fascista, al secondo anno di guerra, nel 1941, si è voluto ripescare anche Lorenzini-Collodi, perché si aveva bisogno di tutti i patrioti disponibili, la manipolazione, secondo una vulgata fascista, ritrova le microbiografie collodiane del Risorgimento sopra citate - Bettino Ricasoli Camillo Cavour Luigi Carlo Farini Daniele Manin - e culmina - a ridosso del cinquantenario della morte di Collodi (caduto nel 1940, a dir il vero, nel primo anno di guerra) - in una «Avvertenza» de «Gli Editori» che disegna, nell’anno XIX dell’era fascista, un evidente orizzonte d’attesa. Leggiamola: Questi brevi profili, che vedono la luce in occasione delle onoranze fiorentine al Collodi, se non aggiungono fama all’Autore, ricordano ai giovani che oltre al Collodi di Pinocchio, di Minuzzolo, di Giannettino, c’è anche un Collodi patriota e combattente che oggi è dovere ricordare. Non cerchi dunque il lettore, in queste pagine, la fantasia e l’arte dello scrittore, ma il documento che testimonia con quale amore e con quale fede egli sentiva e viveva le vicende della Patria.28 Ora, «la fantasia e l’arte» che i collaboratori dell’editrice Marzocco invitano a non cercare nei testi collodiani sopra citati costituiscono prospetticamente parte delle «idee» o delle «attitudini di artista» che Carlo Alberto Madrignani vuole recuperare cinquant’anni dopo, nel centenario della morte del Collodi, senza assolutizzarle in un percorso politico. Mentre l’«amore» e la «fede» per le vicende della «Patria», incongruamente trasposte, sono il «credere obbedire combattere» di Benito Mussolini (1883-1945), in evidente sintonia, mi pare, col problematico autunno italiano del 1941. Ma com’è allora che Pinocchio - ben prima e ben dopo le derive ermeneutiche fasciste relative al Collodi 21 patriota o alle “pinocchiate” che vestono il burattino di legno anche della camicia nera - diventa un simbolo dell’Italia unita e dell’identità italiana, che nel bene e nel male sono anche il frutto del Risorgimento? Come si accordano i luoghi di questo percorso complesso al libertario e “anarchico” burattino e alla sua sublime ma deludente metamorfosi finale in bravo ragazzo? Proviamo a ragionare, cercando di avvicinarci ai nostri giorni, magari ponendoci ancora qualche altra domanda. Come si arriva all’idea - già spadoliniana e di recente rilanciata da Ludovico Incisa di Camerana29 - di un Pinocchio simbolo della «nazione italiana nella sua adolescenza»? A parte la collocazione del lavoro di Incisa di Camerana, la collana «L’identità italiana» del Mulino, diretta da Ernesto Galli della Loggia, che la inaugura per l’appunto con un suo volume esplicitamente titolato a L’identità italiana30, nel 1998 , a parte tale collocazione, dicevo, mi pare che dietro ci sia ancora la pretesa di forgiare, di scolpire il carattere degli italiani (il suddittomodello del nuovo Regno ecc.), a proposito della quale, a mio avviso, ben si esprimeva Giulio Bollati, con l’iterata e azzeccata formula degli «ingegneri di italianità», nel suo saggio dedicato a L’italiano. Il carattere nazionale come storia e come invenzione (1983)31. Dico solo, allora, che senza seguire necessariamente Ludovico Incisa di Camerana, non è poi così difficile constatare come questa pretesa sia assai diffusa nell’immaginario italiano; vuoi perché l’Italia postunitaria ne avesse, di fatto, un gran bisogno, vuoi perché la critica mira sempre a costruire dei canoni, dove serrare sistemi ideologici, letterari e morali, con il tandem Collodi-De Amicis a dare vita a un filone nazional-pedagogico e, se volete, la ‘ruota di scorta’ Salgari. E occhio alle date di nascita dei tre autori: 1826-1846-1862. Ed è lo stesso filone, per dire, in cui potrebbe trovare posto un Michele Lessona (1823-1894), che col libro Volere è potere, uscito nel 1869, offre un «modello di formazione nazionale», come ricorda anche Giorgio Boatti, recentemente, sulle pagine di “Tuttolibri”, il longevo supplemento culturale de “La Stampa” (il 26 settembre 2009 per la precisione, nella rubrica significativamente dedicata al “150°. Libri d’Italia. Verso il 2011”). Lessona si ispira all’inglese Samuele Smiles, Self-Help (1859), guida all’autoeducazione morale che 22 la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2010 Il burattino in posa per la foto di classe “scattata” da Innocenti ebbe grande successo, ed invita gli adolescenti italiani: «Coraggio ragazzi: diventate grandi»32. liade di torsoli di cavolo [...] di nespole, di sorbe, di pinocchi, di fragole, di parole che non hanno né babbo, né mamma. Oggi, tutto questo, a noi, suona un po’ come un luogo comune, ma allora? Era così banale l’idea di crescere, di formarsi, di dare voce a inventori, navigatori, emigranti - et j’en passe - «capaci di sfidare e vincere le avversità delle origini». E di sfidare anche la fame delle origini, se pensiamo a Pinocchio, che porta nel nome «il segno della fame», a partire da quel «pinòlo»33 che è «uno dei cibi della cucina povera, raccolto e conservato per essere mangiato durante l’inverno» e che sta probabilmente all’origine del suo nome; anche se «pinocchio» sembra essere una di quelle «parole che non hanno né babbo, né mamma», come dice Collodi in un passo de La colonna di Mercato (Monologo), testo di Note gaje, raccolta postuma del 1892, a cura dell’amico Giuseppe Rigutini34: Mentre nelle Avventure di Pinocchio, a proposito del nome - che nel cap. III è «Nome proprio», ovvero «in un certo senso la forma linguistica della reminiscenza», con facoltà relative (essenzializzazione, citazione, esplorazione)35 - leggiamo in seno a un breve monologo geppettiano: Dappoi che mi piantarono qui, la mia vita è stata un’i- - Che nome gli metterò? - disse fra sé e sé [Geppetto]. Lo voglio chiamar Pinocchio. Questo nome gli porterà fortuna. Ho conosciuto una famiglia intera di Pinocchi: Pinocchio il padre, Pinocchia la madre e Pinocchi i ragazzi, e tutti se la passavano bene. Il più ricco di loro chiedeva l’elemosina. Un certo valore antifrastico finisce per giocare con la «famiglia intera» dei Pinocchi, quasi come nel “nometitolo” dei Malavoglia verghiani, che vengono editi an- dicembre 2010 – la Biblioteca di via Senato Milano 23 Un paesaggio innevato fa da cornice all’incontro tra il Gatto e la Volpe e Pinocchio nell’edizione Sauerländer ch’essi nel 1881, vent’anni dopo l’Unità. Più ci spostiamo in avanti e abbandoniamo gli anni immediatamente successivi all’Unità, più rischiamo di stiracchiare in avanti un Risorgimento che pare davvero “tirare gli ultimi” nel giro di tre lustri e poi consegnarsi, per un largo “ventennio” (1878-1900), all’Italietta di Umberto I (1844-1900), che è, se volete, una sorta di microcosmo che ne raccoglie tanti altri. Insomma, cosa succede quando tutti i “naufraghi” della Storia, specie i piccini, quelli che vengono dopo il romanzo di formazione e l’età propriamente risorgimentale, si scoprono alla “spiaggia” del paese, del piccolo mondo e del piccolo stato? Cosa succede nella prima metà degli anni Ottanta del nostro Ottocento, prima che il revenant36 de I promessi sposi (1827; 1840-42) manzoniani rifaccia capolino e si cristallizzi - “neostoricamente” - in Piccolo mondo antico (1895) di Antonio Fogazzaro (1842-1911), in quel romanzo che parla degli anni che vanno dal 1849 al 1859, in Valsolda, sul lago di Lugano? Perché le varianti del nostro microcosmo romanzesco “targato 1881” ci hanno sempre un po’ sorpreso? Dove può approdare il nostro small world narrativo dopo aver declinato il naturalismo col verismo de I malavoglia (1881) di Giovanni Verga (1840-1922), il realismo col postromanticismo melodrammatico a tinte sociali del titanico No (1881) di Alfredo Oriani (1852-1909), il gotico e il fantastico con la décadence di Malombra (1881) di Antonio Fogazzaro? Si potrebbe provare a rispondere suggerendo la necessità di un altro modo romanzesco - di un recupero particolare del romance37 - quale è quello messo in atto nelle collodiane Avventure di Pinocchio, che, ricordiamolo, iniziano a uscire nel 1881 sul ”Giornale per i Bambini”. Che per riscoprire il mondo si riparta dai bambini, dalla loro infaticabile e incredibile fame di curiosità o fame tout court, è supposizione ovvia e banale, oltre che paradossale: il bambino, il ragazzino, più dell’adulto, do- dicembre 2010 – la Biblioteca di via Senato Milano Pinocchio, il Gatto e la Volpe dai legni di Sigfrido Bartolini vrebbe restare arroccato al piccolo mondo, e magari morirci, sepolto, e senza tante fantasie, come nel verghiano Rosso Malpelo (1878) - poi raccolto in Vita dei campi (1880 e 1897). Quale è allora la bizzarra dinamica socio-culturale che fa di Pinocchio un parente di Rosso Malpelo, destinato a prendere botte e - inizialmente almeno - a morire? Di più. Come si passa dal fuori (il fuori, anche, delle guerre, che è anche il fuori casa, fuori scuola del burattino, ovvero la dimensione libertaria cui Lorenzini-Collodi e Pinocchio sono costretti progressivamente a rinunciare), come si passa dal fuori, dicevo, agli spazi chiusi, ai piccoli mondi che sono anche quelli della proprietà privata (campi meno miracolati, vigneti, case ecc.)38? E a tal proposito non è inutile ricordare, in guisa di rapida risposta, che alcuni lettori di Collodi e Edmondo De Amicis (1846-1908)39, come Franco Cambi e Simonetta Ulivieri, si siano lanciati, non proprio a caso, in ricerche storico-pedagogiche che rintracciano «il destino dell’infanzia nell’Italia liberale tra sfruttamento e privatizzazione», in un arco d’anni che va dal 1860 al 1914. Carlo Lorenzini detto il Collodi, che per evidenti NOTE 1 Penso soprattutto al recente volume di L. Incisa di Camerana, Pinocchio, il Mulino, Bologna 2004. Su questo testo si può vedere l’intervento, a caldo, di M. Di Gesù, La formazione di un italiano? Alcune letture politiche de Le avventure di Pinocchio, in Id., Dispatrie lettere. Di Blasi, Leopardi, Collodi: letterature e identità nazionali, Aracne, Roma 2005, pp. 57-70; si tratta d’un articolo significativo in chiave di ricezione, anche se talvolta sacrifica alla polemica un riscontro più corretto ed esteso di certi dati, specie all’inizio e alla fine del discorso. 2 Penso a F. Remotti, Contro l’identità, Laterza, Roma-Bari 1996, e soprattutto al più recente volume dello stesso autore, L’osses- 25 ragioni generazionali ha sotto gli occhi una parte importante di questo arco temporale e/o, potremmo dire, di questa lunga fase di transizione, dà vita, in racconti e romanzi degli anni Sessanta e Settanta, a un piccolo mondo narrativo che possiamo chiamare dei «ragazzi grandi»; cioè di adulti che son tali perché son cresciuti ma che restano ragazzi anche se son grandi e proiettati in un’esistenza travagliata - quale appare anche quella della giovinetta Italia. Penso a I ragazzi grandi, che sono sottotitolati Bozzetti e studi dal vero e appaiono in appendice al “Fanfulla” nel 187340; penso a Macchiette, volume che esce nel 1880 ma con testi che risalgono agli anni Sessanta e Settanta41. Tra l’altro, di quegli anni, è anche un quadro del fiorentino Adriano Cecioni (1836-1886) che si intitola significativamente Ragazzi mascherati da grandi - Cecioni, citato prima come scrittore (uno scrittore d’arte, in sostanza), è noto teorico dei Macchiaioli, con Telemaco Signorini (1835-1901), anche lui di Firenze. Ecco, per il fiorentino Collodi, l’esistenza dei «ragazzi grandi» è un po’ una mascherata e non va presa troppo sul serio. Di più, bisogna diffidare “infantilmente” di quegli imperativi storico-politico-culturali calati dall’alto, tesi a far maturare chiunque, presto e a puntino, come in una serra, in una scuola, in una prigione o in una zolfara. Il collodiano modo di “smarcarsi” da questo piccolo mondo storico e narrativo è offerto, per l’appunto, da Le avventure di Pinocchio, all’inizio degli anni Ottanta. Il ca- sione identitaria, Laterza, Roma-Bari 2010; infine si veda quanto viene anticipato di un intervento di F. Remotti al Festival pistoiese, Dialoghi sull’uomo, in “il manifesto”, 29 maggio 2010, pp. 11-12. 3 Di «Utopia rovesciata» e di tracce di contiguità rispetto ad alcuni episodi sopra evocati de Le avventure di Pinocchio parla e suggerisce spunti geniali - qui più modestamente e diversamente ripresi - G. Manganelli, Pinocchio: un libro parallelo, Einaudi, Torino 1977 e Adelphi, Milano 2002, p. 108 - ma si legga tutto il cap. XVIII, pp. 102-108, e anche le pp. 109113, 130-134, 156-160, 161-167 - : «Per un istante il distratto Pinocchio è passato nel luogo infernale e quotidiano della Utopia rovesciata». L. Curreri, Play it again, Pinocchio, in C. Collodi, Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino, Introduzione di S. Bartezzaghi, Prefazione di G. Jervis, con un saggio di I. Calvino, Einaudi, Torino 2002 e 2006, pp. 181202. 5 Penso a G. Viale - e a La civiltà del riuso, Laterza, Roma-Bari 2010 - che sarebbe interessante sollecitare per avere una Sua lettura di Pinocchio, libro che finora ha scansato, stando almeno a quanto ha detto recentemente a A. Papuzzi, in “Tuttolibri”, sabato 29 maggio 2010, p. XI. 6 G. Biffi, Contro maestro Ciliegia. Commento teologico a “Le avventure di Pinocchio”, Jaca Book, Milano 1977 e Mondadori, Milano 1998; ma si veda anche, dello 4 26 la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2010 polavoro, che comincia a uscire a puntate, nel 1881 ed è in volume nel 1883, presenta la storia di un burattino che osserva Carlo Alberto Madrignani - «con la sua morale di monello e di picaro, sa prendere di contropiede le incongruenze dei grandi, senza pretendere di cambiarle»42. Un’altra xilografia di Bartolini per l’edizione della Fondazione Nazionale “Carlo Collodi” di Pescia stesso autore, il più recente Pinocchio, Peppone, l’Anticristo, Cantagalli, Siena 2005. In quel mezzo, si scorra anche A. Gnocchi, M. Palmaro, Ipotesi su Pinocchio, Ancora, Milano 2001. 7 Pinocchio in camicia nera. Quattro “pinocchiate” fasciste, raccolta illustrata a cura di L. Curreri, Nerosubianco, Cuneo 2008. 8 Mi sia concesso rinviare a due miei lavori di prossima pubblicazione: Sulle tracce di un Pinocchio “futurista”: la variante Pinocchietto alla Guerra europea, in Azione/Reazione: il futurismo italiano in Europa 1909-2009, Atti del Convegno Internazionale di Studi, IIC di Bruxelles e K. U. Leuven, 19-20 novembre 2009, a cura di B. Van den Bossche, Firenze, Cesati; L’avventura come antidoto a un’identità di propaganda? Tre “pinocchiate salgariane”, in Les fictions littéraires de l’enfance Anche in questo iter - che poi è anche il cammino, se si vuole, della letteratura per l’infanzia intesa come estremo e “anarchico” portato del romanzo di formazione - si consuma il romanzo “storico-formativo” del primo Ottocento, già comunque “spiritato” dai “fanciulli” di Ippolito Nievo (1831-1861). Le ultime derive di tale romanzesco, prima didattiche, poi totalitarie, faranno il resto. Ma il fatto che il romanzo “storico-formativo” perda molto, prospetticamente, del terreno su cui esercitava una sua più o meno equilibrata funzione pedagogica, non vuol dire che scompaia del tutto. Si direbbe piuttosto che si trasformi, sia in una tipologia romanzesca che, in seno a una morale di monello e di picaro, ne trattiene in parte le coordinate, perché Pinocchio muta infine da burattino in ragazzo, sia in una nuova letteratura di viaggio che, pur avendo una vera e propria ossessione per l’atlante, non ha più la concreta valenza formativa della letteratura di viaggio settecentesca risalente all’Encyclopédie. E qui, ovviamente, potremmo pensare a Emilio dans la production de la nation italienne moderne et contemporaine, a cura di R. IounesVona e B. Mancini, Metz, Presses Universitaire de Metz. 9/10 Penso a G. Cocchiara, Il paese di Cuccagna e altri studi di folklore, Edizioni Scientifiche Einaudi, Torino 1956 e con Presentazione di L. Sciascia e Aggiornamenti bibliografici, Boringhieri, Torino, 1980, p. 13. 11 T. Scarpa, Introduzione a C. Collodi, Le avventure di Pinocchio, illustrate da L. Mattotti, Nota alle illustrazioni di E. Varrà, Einaudi, Torino 2008, pp. V-XXV; in particolare pp. XVIII-XIX. 12 Ivi, p. XIX. 13 D. Marcheschi, Introduzione e Cronologia, in C. Collodi, Opere, a cura di D. Marcheschi, Mondadori, Milano 1995, pp. XI-LXII e LXVII-CXXIV (a queste ultime pagine e a quelle delle Note ai testi, pp. 819-1116, siamo largamente debitori); R. Dedola, Pinocchio e Collodi, Paravia Bruno Mondadori, Milano 2002, pp. 13-168 in particolare. 14 Penso a C. Collodi, Bettino Ricasoli Camillo Cavour Luigi Carlo Farini Daniele Manin. Biografie del Risorgimento, pubblicate in occasione delle onoranze fiorentine a Carlo Lorenzini, Marzocco, Firenze 1941, pp. 39-47. 15 Oltre al grande lavoro della Marcheschi, ancora in corso, cui si farà nuova allusione, anche pel “Lampione”, fra poco, si veda G. De Santi, Il giornalismo satirico-politico. Carlo Collodi e l’esperienza del “Lampione”, in Id., L’angelo della storia, Cappelli, Bologna 1988, pp. 155-202. 16 F. Martini, Confessioni e ricordi, a cura di dicembre 2010 – la Biblioteca di via Senato Milano 27 Salgari (1862-1911) e ai suoi ottanta e passa romanzi. Ma questa è un’altra storia43. Utopia versus identità? Nell’iter del burattino, anche in quello qui sopra brevemente abbozzato, c’è qualche sparsa «notizia di utopia»44? A inseguire l’utopia, per quanto sia tematizzabile in seno alle Avventure di Pinocchio, specie in forme più o meno rovesciate e contigue (dal teatrino dei burattini al Campo de’ miracoli, dall’isola delle «Api industriose» al paese dei Balocchi), non si corre un rischio complementare a quello corso da chi ha cercato in Pinocchio un simbolo e/o un contenitore di simboli dell’identità italiana? Di più. L’utopia non è forse un termine ancora più a rischio della parola «identità»? Salutando nel 2005 la riedizione de Il princio speranza (1959) di Ernst Bloch, la cui «opera inaugurale» è Spirito dell’Utopia (1918), e «parafrasando un poco la citazione platonica con cui Heidegger, nel 1927, cominciava Essere e tempo», Gianni Vattimo suggerisce che «non solo non sappiamo più che cosa sia l’utopia, ma ci siamo persino scordati di averlo una volta saputo»45. Infine - e ritornando, come è giusto fare, al nostro burattino - non è forse vero - o almeno verosimile - che l’acquisizione finale d’una nuova identità, più o meno M. Vannini, Presentazione di S. Romagnoli, Ponte alle Grazie, Firenze 1990, pp. 116-122; in particolare p. 116. 17 C. Collodi, Bettino Ricasoli Camillo Cavour Luigi Carlo Farini Daniele Manin. Biografie del Risorgimento, cit., p. 18. 18 Ivi, p. 17. 19 Ivi, p. 14. 20 Ivi, pp. 16-19. 21 L. Curreri, Garibaldi 1870: Clelia o il governo dei preti (e dintorni), in Il romanzo del Risorgimento, a cura di C. Gigante e D. Vanden Berghe, Atti del Convegno internazionale di Studi, Bruxelles, 4-6 maggio 2010 (di prossima pubblicazione). 22 M. Isnenghi, Garibaldi fu ferito. Storia e mito di un rivoluzionario disciplinato, Donzelli, Roma 2007, p. 3; su Clelia e la storia roman- «Mentre nuota per salvarsi, è ingoiato dal terribile pesce-cane» zata da Giuseppe Garibaldi si vedano le pp. 106-130. 23 G. Garibaldi, Il governo del Monaco (Roma nel secolo XIX). Romanzo storico-politico, Rechiedei, Milano 1870, p. 233. 24 C. A. Madrignani, Collodi, cent’anni dopo: giornalismo e scrittura, in “Il Ponte”, 8-9 (1990), pp. 96-107; si cita da p. 106. 25 A livello di storia della lingua, per esempio, possiamo pensare al fatto che non si può non riconoscere che lo stile delle Avventure di Pinocchio, benché diverso da quello di Manzoni, aiuti il «manzonismo» a diffondere la lingua toscana in tutta Italia. Cfr. C. Marazzini, La lingua italiana. Profilo storico, il Mulino, Bologna 1994 e 2002, p. 408. 26 A. Altomonte, Nota, in G. Nobili, Senza bussola (1906), Curcio, Milano 1979, pp. 7-10; citazione da p. 7. 27 C. A. Madrignani, Collodi, cent’anni dopo: giornalismo e scrittura, cit., pp. 104-106 28 C. Collodi, Bettino Ricasoli Camillo Cavour Luigi Carlo Farini Daniele Manin. Biografie del Risorgimento, cit., p. 5. 29 G. Spadolini, Burattino d’Italia: l’unità secondo Pinocchio (1990), in Id., In diretta col passato. Temi e figure della storia contemporanea, TeaDue, Milano 1994, pp. 375-381; in particolare p. 377. Ma cfr., più di recente, L. Incisa di Camerana, Pinocchio, cit., pp. 7-26; in particolare pp. 8 e 22. 30 E. Galli della Loggia, L’identità italiana, il Mulino, Bologna 1998. 31 G. Bollati, L’italiano. Il carattere nazionale come storia e come invenzione, Einaudi, Torino 1983. 28 la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2010 eroica, e l’autoreferenzialità del sovrastante pregiudizio pedagogico, che di fatto la genera, sembrano dare ragione, seppure in modo deteriore, a chi celebra «identità» in Pinocchio? Ma quale identità? Si tratta, a ben vedere, di un’identità declinata come un’utopia, intesa come un sistema di regole strette e onnipresenti (educazione, lavoro, castigo accettato dal colpevole, eliminazione dell’altro46) che alimenta, in un certo senso, una specie di crisi dell’immaginario47; una crisi all’interno della quale Pinocchio finisce per distruggere sé stesso, eliminando l’unico e potente anticorpo in grado di liberarlo dalle miserie della severa logica ‘utopico-identitaria’, il burattino. Chi costruiva le relazioni col mondo, anche di una certa complessità, era il corpo di legno, il vegetale umanizzato: il bravo ragazzo, termine di confronto assente della quête, non saprà far altro che separare, respingere e, infine, annientarsi, in seno al compimento di un self-help; In Tuttolibri, 26 settembre ’09, p. IX D. Marcheschi, Note ai testi, in C. Collodi, Opere, cit., p. 931. 34 C. Collodi, Note gaie, raccolte e ordinate da G. Rigutini, Bemporad, Firenze 1892, ma si cita dalla Nuova Edizione Popolare, con l’aggiunta di due nuovi bozzetti e di una biografia aneddotica dell’Autore scritta da I. Cortona, con 10 incisioni, Bemporad, Firenze 1911, pp. 132-136; citazione da pp. 132-133. 35 R. Barthes, Il grado zero della scrittura, seguito da Nuovi saggi critici (1953 e 1972), Einaudi, Torino 1982, p. 121. 36 F. Fido, Il fantasma dei Promessi sposi nel romanzo italiano dell’Ottocento, in Id., Le muse perdute e ritrovate. Il divenire dei generi letterari fra Sette e Ottocento, Vallecchi, Firenze 1989, pp. 179-205. 37 P. Zanotti, Il modo romanzesco, Laterza, Roma-Bari 1998, pp. 49-53. 38 Mi rifaccio in parte a M. Di Gesù, Dispatrie lettere. Di Blasi, Leopardi, Collodi: letterature e identità nazionali, cit., p. 68, che a sua volta si rifà a R. Bertacchini, Epifanie e segni del paesaggio nelle Avventure di Pinocchio, in AA.VV., «C’era una volta un pezzo di legno», Emme, Milano 1981, pp. 113-138. 32 33 ovvero in seno al compimento del celebre motto «chi s’aiuta Dio l’aiuta», ma ribattezzato secondo le modalità del romance, «aiutati che la Fata ti aiuta», e in base alla «logica fiabesca del “detto, fatto”», ovvero in base alla «bassa resistenza che il mondo offre all’azione» all’interno di quella logica48. Ma è davvero così? A me sembra che il mondo collodiano e pinocchiesco disponga d’una “medio-alta” resistenza, già ravvisibile, et pour cause, nel primo Pinocchio (capp. I-XV), ma che diventa, come dire, decisamente e ostinatamente visibile nel secondo (capp. XVI-XXXVI). Perché? Perché Carlo Collodi non vuole arrendersi alla «logica fiabesca del “detto, fatto”», alla metamorfosi del burattino in ragazzo e vuole piuttosto continuare a mettere in scena un “monello-picaro” che «sa prendere di contropiede le incongruenze dei grandi, senza pretendere di cambiarle»49 e proprio per questo, aggiungerei, senza pretendere di cambiare e cambiarsi. F. Cambi, Collodi, De Amicis, Rodari. Tre immagini d’infanzia, Dedalo, Bari 1985; F. Cambi, S. Ulivieri, Storia dell’infanzia nell’Italia liberale, La nuova Italia, Scandicci 1988 e 1994. 40 Si veda oggi l’avvertita riproposta di C. Collodi, I ragazzi grandi, a cura di D. Marcheschi, con una Nota di C. A. Madrignani, Sellerio, Palermo 1989. 41 A proposito di Macchiette, oltre al grande lavoro citato della Marcheschi e la precedente ristampa di questo volume collodiano a cura della stessa per Pacini Fazzi, Lucca 1989, mi sia consentito rinviare a L. Curreri, Introduzione a C. Collodi, I racconti, Salerno, Roma (di prossima uscita). 42 Si legga il brillante saggio di C. A. Madrignani, Collodi, il piccolo, Nota a C. Collodi,I ragazzi grandi, cit., pp. 115-130; citazione da p. 124. 43 Una storia che ho in parte raccontato nel saggio - Verso il 2011: un ‘nuovo’ campione romanzesco e tante nanoletture per grandi anniversari - che accompagna la mia riedizione di E. Salgari, Le aquile della steppa (1905-1906), a cura di L. Curreri, Greco&Greco, Milano 2010, pp. 365-390. Ma (quasi) tut39 to nasce da un mio lavoro di antica data e ormai di prossima pubblicazione, Il viaggio e l’intreccio: dalla letteratura di viaggio al romanzo di formazione, dal romanzo di formazione alla letteratura di viaggio. Ipotesi, percorsi, mappe fra Settecento e Ottocento (e proiezioni novecentesche), ripresentato recentemente a un Seminario dell’Université de Liège, il 17 febbraio 2009, Perché e come studiare la letteratura italiana dal Seicento ad oggi. Ipotesi, percorsi, mappe (con interventi di Pietro Benzoni, Fabrizio Foni, Giuseppe Traina). 44 Penso a una straordinaria raccolta di saggi di M. Cerruti, Notizie di utopia, Liviana, Padova 1985. 45 “Tuttolibri”, 3 settembre 2005, p. 7. 46 Si scorra almeno, a proposito, la densa sezione II, L’utopie comme système de régles, dell’antologia di F. Rouvillois, L’utopie 47 Penso a J.-J. Wunenburger, L’utopie ou la crise de l’imaginaire, Jean-Pierre Delarge, Paris, 1979 48 P. Zanotti, Il modo romanzesco, cit., p. 51. 49 C.A. Madrignani, Collodi, il piccolo, cit., p. 124 dicembre 2010 – la Biblioteca di via Senato Milano 29 inSEDICESIMO APPUNTAMENTI CON DANTE E L’ISLAM, CATALOGHI, LIBRO USATO ASTE, L’INTERVISTA D’AUTORE, MOSTRE, RECENSIONI NON FERMATEVI A GUARDARE, METTETECI IL NASO! Visite guidate, conferenze, incontri, reading, laboratori per studenti: la nuova mostra in BvS è molto più che una semplice esposizione 4 novembre 2010 - 27 marzo 2011 ATTIVITÀ DIDATTICHE A cura della Fondazione Biblioteca di via Senato Durante tutta la durata della mostra sono organizzate per il pubblico adulto visite guidate pomeridiane, nella pausa pranzo o serali. Per le Scuole di ogni ordine e grado sono proposte, invece, sia visite guidate che laboratori didattici. Per maggiori informazioni e per il calendario dettagliato degli appuntamenti consultare il sito internet www.bibliotecadiviasenato.it, oppure telefonare al n. 02/76215323-314-318. SCUOLA PRIMARIA: VISITA GUIDATA CON CACCIA AL PARTICOLARE Destinatari: classi 1a – 2a Ai bambini viene data una scheda da compilare durante la visita guidata, affinché siano aiutati nel riconoscimento delle opere. La scheda contiene domande sull’arte e sulla civiltà islamica, e sui personaggi danteschi. Durante la visita vengono illustrati oggetti di provenienza islamica: brocche, piatti, oggetti in metallo, volumi pregiati, ecc... L’Islam, civiltà lontana e (spesso) poco conosciuta, in realtà ha avuto enormi influenze sulla civiltà occidentale. Gli Arabi erano navigatori, combattenti, Fondazione Biblioteca di via Senato via Senato 14, Milano da martedì a domenica orario continuato 10-18 lunedì chiuso Ingresso libero Per informazioni tel. 02 76215323-314 fax 02 782387 [email protected] www.bibliotecadiviasenato.it Biblioteca di via Senato F O N DA Z I O N E Incontri di civiltà Con il patrocinio di In collaborazione con Si ringrazia Sponsorizzazione tecnica abili artigiani; a loro si deve l’utilizzo delle cifre numeriche che poi un commerciante italiano ha importato in Europa nel XII secolo. Partendo dai testi esposti in mostra, la seconda parte della visita è un’introduzione semplificata alla Divina Commedia (struttura del poema, narrazione del viaggio dantesco, personaggi principali, ecc...). Durata: 45’ Costo a persona: 3 euro VISITA GUIDATA E “IL GIOCO DELL’OCA CON DANTE” Destinatari: classi 3a - 4a - 5a Durante la visita i ragazzi fanno conoscenza del mondo islamico attraverso gli oggetti esposti: brocche, piatti, oggetti in metallo, volumi pregiati, ecc... L’Islam, civiltà lontana e (spesso) poco conosciuta, in realtà ha avuto enormi influenze sulla civiltà occidentale. Sulla base dei testi esposti in mostra, la seconda parte della visita è un’introduzione semplificata alla Divina Commedia (struttura del poema, narrazione del viaggio dantesco, personaggi principali, ecc...). Al termine della visita attraverso un insolito gioco dell’oca i ragazzi entrano in contatto coi personaggi della Divina Commedia e la struttura del Poema attraverso gli episodi principali. Durata: 1 h. e 30’ Costo a persona: 3 euro SCUOLA SECONDARIA DI PRIMO GRADO VISITA GUIDATA Durante la visita i ragazzi fanno conoscenza del mondo islamico attraverso gli oggetti esposti: brocche, piatti, oggetti in metallo, volumi pregiati, ecc... Una civiltà lontana e (spesso) poco conosciuta che in realtà ha avuto enormi influenze sulla civiltà occidentale. Gli Arabi erano navigatori, combattenti, abili artigiani; a loro si deve l’utilizzo delle cifre 30 numeriche che poi un commerciante italiano ha importato in Europa nel XII secolo. Attraverso le illustrazioni della Divina Commedia esposte in mostra, vengono esposte l’ideazione del poema dantesco, la struttura delle cantiche, i personaggi principali, la simbologia, ecc... Durata: 45’ Costo a persona: 3 euro LABORATORIO “CREIAMO LA NOSTRA DIVINA COMMEDIA” Ciascun partecipante riceve un’immagine tratta dai volumi esposti in mostra e che raffigura un episodio dell’opera dantesca con versi della terzina corrispondente. Viene così svolto un lavoro di gruppo, in cui dapprima è ricostruita la storia, collocando le immagini nella giusta sequenza narrativa e successivamente si colora ogni immagine con la tecnica del pastello. Al termine del laboratorio la classe ha creato la propria Divina Commedia. Durata visita guidata + laboratorio: 1 h. e 30’ Costo visita guidata + laboratorio: 5 euro a partecipante LABORATORIO LA DIVINA COMMEDIA “IN MINIATURE” Il laboratorio si compone di una breve parte teorica: una spiegazione della storia del libro dall’antichità fino ai giorni nostri (le origini della scrittura, le origini del libro, le pagine scritte e miniate, l’invenzione della stampa, ecc...). In particolar modo si pone l’attenzione su come venivano prodotti e scritti i libri al tempo di Dante: i materiali, le miniature. La parte pratica invece prevede la realizzazione di una pagina della Divina Commedia. A ciascun ragazzo viene dato un foglio su cui sono riprodotte alcune terzine dell’opera dantesca. I ragazzi disegnano il capolettera secondo la loro fantasia la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2010 e poi colorano la miniatura con i pastelli; infine riproducono col pennarello la grafia dei versi del poema. Durante il lavoro si ricostruisce in gruppo la storia, collocando le immagini nella giusta sequenza narrativa. Al termine del laboratorio la classe ha illustrato la propria Divina Commedia. Durata visita guidata + laboratorio: 1 h. e 30’ Costo visita guidata + laboratorio: 5 euro a partecipante SCUOLA SECONDARIA DI SECONDO GRADO VISITA GUIDATA Partendo dalla Divina Commedia – che si può considerare un’enciclopedia del sapere del tempo – si entra in contatto con luoghi e figure che testimoniano la contaminazione culturale tra il mondo occidentale e islamico, e la volontà di accogliere le reciproche diversità. Lo stesso impianto del Poema è influenzato dalla tradizione islamica che Dante conosceva sicuramente, e mostra forti analogie con i racconti del viaggio ultramondano di Maometto narrati nel Libro della Scala, che una volta tradotto in Spagna veniva diffuso in Occidente. Durante la visita guidata vengono evocati i personaggi contemporanei al Poeta che incarnano la contaminazione culturale fra Islam e Occidente. La visita ha un taglio storico/letterario: inquadramento della civiltà islamica e analisi della Divina Commedia. Durata: 1 h. Costo a persona: 3 euro VISITATORI ADULTI PER I GRUPPI: Visita guidata alla mostra Partendo dalla Divina Commedia – che si può considerare un’enciclopedia del sapere del tempo – si entra in contatto con luoghi e figure che testimoniano la contaminazione culturale tra il mondo occidentale e islamico e la volontà di accogliere le reciproche diversità. Lo stesso impianto del Poema è influenzato dalla tradizione islamica che Dante conosceva sicuramente, e mostra forti analogie con i racconti del viaggio ultramondano di Maometto narrati nel Libro della Scala, che una volta tradotto in Spagna veniva diffuso in Occidente. Durante la visita guidata vengono evocati i personaggi contemporanei al Poeta che incarnano la contaminazione culturale fra Islam e Occidente. La visita ha un taglio storico/letterario: inquadramento della civiltà islamica e analisi della Divina Commedia. Durata: 1 h. Costo a persona: 3 euro (min. 15 partecipanti) PER I VISITATORI SINGOLI SONO PREVISTE DELLE VISITE GUIDATE LA PRIMA DOMENICA DI OGNI MESE alle h. 15.00 e h. 17.00 (SU PRENOTAZIONE tel. 02-76215323-314) Durata: 50’ Costo: 3 euro AUDIOGUIDA Presso la biglietteria della mostra è disponibile l’audio-guida al costo di 2 euro, lasciando in deposito un documento d’identità. CONFERENZE “Dante e l’Islam: la mostra” a cura dei curatori della mostra: Dott. Matteo Noja – Dott.ssa Annette Popel Pozzo LUNEDÌ 22 NOVEMBRE 2010 h. 18.00 Ingresso libero senza prenotazione fino a esaurimento posti Come nasce e si sviluppa la mostra: il progetto, l’allestimento, i materiali esposti. L’esposizione nasce dal desiderio dicembre 2010 – la Biblioteca di via Senato Milano di rendere noti i Fondi più importanti della Biblioteca di via Senato e dalla collaborazione con il Comune di Milano che ha organizzato la mostra a Palazzo Reale al-Fann. Arte della civiltà islamica. All’epoca di Dante il pensiero islamico era diffuso nella cultura occidentale, con questa esposizione si cerca di renderne omaggio. L’accostamento del nome del Poeta alla civiltà islamica è sempre stato oggetto di incomprensioni, dibattiti e discussioni. Durante la conferenza verranno inoltre presentate le pregiate edizioni illustrate della Divina Commedia provenienti dal Fondo Antico della Biblioteca. “Scacco matto” a cura della Dott.ssa Monica Colombo - Opera d’Arte LUNEDÌ 13 DICEMBRE 2010 h. 18.00 Ingresso libero senza prenotazione fino a esaurimento posti Il grande storico Henri Pirenne affermò con una boutade che per l’occidente l’unico frutto derivante dalle crociate fu …l’albicocca. Prendendo sul serio questo paradosso vogliamo analizzare in questa conferenza l’eredità culturale e scientifica che il mondo araboislamico ha trasmesso all’occidente medievale partendo dal patrimonio lessicale di origine araba o persiana che, insieme al greco e al latino, è entrato a far parte della lingua italiana. Dall’alambicco alla melanzana, dal baldacchino all’algebra, la storia delle parole, arricchita dall’osservazione di immagini derivanti da manoscritti e oggetti d’arte arabi e occidentali, ci permetterà di approfondire i punti di incontro di due grandi civiltà. “I rapporti artistici fra l’Italia medievale e i Paesi islamici” a cura della Prof.ssa Francesca Flores D’Arcais - docente di Storia dell’Arte Medievale presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano LUNEDÌ 17 GENNAIO 2011 h. 18.00 31 Ingresso libero senza prenotazione fino ad esaurimento posti L’Italia è terra privilegiata per i rapporti artistici nel Medioevo con i Paesi islamici. La Sicilia fu occupata dagli Arabi dalla metà del secolo IX e in Sicilia abbiamo tra i più importanti monumenti islamici conservati; ma anche monumenti, costruiti dai Normanni, che sono ispirati alle architetture arabe. Elementi islamici si diffusero dalla Sicilia anche lungo le coste meridionali del Tirreno. Molti centri italiani avevano continui rapporti con i Paesi islamici, per motivi commerciali. Con le merci arrivarono anche le opere di manifattura islamica, tra cui le stoffe, molto apprezzate in Italia. Tra fine Due e inizi Trecento anche i maggiori artisti italiani furono influenzati dagli oggetti islamici, colpiti soprattutto dagli elementi decorativi. Arnolfo di Cambio, Duccio e soprattutto Giotto, che dipinge alle spalle delle Madonne stoffe con motivi islamici. La grafia islamica si trova anche in alcune decorazioni di manoscritti miniati, di area bolognese: sono piccoli bollini che sembrano essere ispirati alle monete o piccoli fregi che sembrano copiare lettere arabe. Questa moda dura tuttavia in Italia solo fino agli anni 30 del Trecento, viene in seguito sopraffatta dalle decorazioni goticheggianti, di ispirazione francese. di espressione artistica predilette dal mondo islamico: l’architettura e le arti decorative, in special modo la miniatura e la calligrafia. La proiezione di immagini digitali ci condurrà in un viaggio attraverso le meraviglie dell’arte medievale islamica che rapporteremo e metteremo a confronto con l’estetica occidentale. “Iddio è bellezza e ama ciò che è bello” a cura della Dott.ssa Monica Colombo - Opera d’Arte LUNEDÌ 7 FEBBRAIO 2011 h. 18.00 Ingresso libero senza prenotazione fino a esaurimento posti Queste parole compaiono in un Hadith del Profeta dell’Islam, ovvero in un detto attribuito a Maometto, e questa affermazione ci accompagnerà in un percorso di introduzione all’arte islamica che intende proporre alcune chiavi interpretative delle due forme Fondazione Biblioteca di via Senato Tel. 02/76215323-314-318 [email protected] www.bibliotecadiviasenato.it INCONTRO “LA DIVINA AVVENTURA” – LETTURA SCENICA PER FAMIGLIE E RAGAZZI di 6 – 12 anni SABATO 20 NOVEMBRE h. 15.30 a cura di Enrico Cerni, co-autore de “La Divina avventura” Ingresso libero senza prenotazione fino a esaurimento posti. La Divina avventura è un libro illustrato in versi, è la narrazione della Divina Commedia vista con gli occhi dei ragazzi. L’autore ci conduce all’interno dell’avventura, narrando alcuni passi tra i più celebri e spiegando l’opera anche ai più piccoli. L’incontro si divide in due momenti: una chiacchierata col pubblico in cui si parla dell’opera dantesca e la sua fortuna fino ad oggi e poi una lettura animata del testo della Divina avventura. Durata: 1 h. circa PER INFORMAZIONI E PRENOTAZIONI Tutti i GRUPPI (gruppi scolastici e pubblico adulto), che intendano visitare la mostra liberamente o con una propria guida, hanno comunque l’obbligo di prenotare anticipatamente l’ingresso. La prenotazione e l’ingresso alla mostra sono gratuiti. 32 IL CATALOGO DEGLI ANTICHI Libri da leggere per comprare libri di annette popel pozzo UNA “LETTERA” DI BOTERO E UNA VARIANTE BODONIANA Hesketh & Ward Catalogue 44: Continental Books Il nuovo catalogo del libraio antiquario londinese contiene 89 titoli, in gran parte d’argomento Italica. Interessante il volume di Giovanni Botero, Lettera del sign. Gio. Botero sopra la morte dell'illustrissimo cardinale di S. Prassede. Esistono almeno dieci edizioni diverse dell’opera, tutte stampate nel 1584, ma la presente, pubblicata a Milano, Bologna, Ravenna e Macerata per Sebastiano Martellini non viene censita nelle biblioteche italiane (£250). Il testo riguarda le ultime sette settimane della vita di Carlo Borromeo e la sua morte, avvenuta il 4 novembre 1584. Il gesuita Botero (ca. 1544-1617), noto per Della ragion di stato (1589), fu dal 1581 il segretario del santo milanese. Da segnalare anche l’edizione Preces Christianae Barmanorum lingua atque litteris editae (Roma, Stamperia della Sacra Congregazione de Propaganda fide, 1785, legatura coeva in pieno marocchino, £600), presente in una rara copia stampata in caratteri rossi. Come curiosità va ricordato che Giovanni Battista Bodoni fu dal 1758 compositore di opere “esotiche” presso la Propaganda Fide, fondata nel 1622 per evangelizzare i Popoli e poi specializzatasi proprio in alfabeti esotici a uso della missione religiosa. Da mettere in evidenza anche l’edizione bodoniana Le feste d’Apollo, la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2010 celebrate sul teatro di corte nell’agosto del MDCCLXIX. per le auguste seguite nozze tra il reale infante don Ferdinando e la r. arciduchessa infanta Maria Amalia. L’edizione contiene normalmente una vignetta al titolo e cinque figure a piena pagina disegnate da Martini e incise da Baquoy, Helman ecc., 4 vignette e 3 culs-de-lamp. La copia offerta da Hesketh & Ward è una rara variante, citata soltanto in due esemplari presso la Biblioteca Palatina di Parma: non dispone delle figure, delle vignette e dei culs-delamp, e la vignetta al titolo raffigura una “lira davanti a sole raggiante tra rami”, mentre la variante più diffusa reca la vignetta con un “puttino con fiaccola e rami tra nuvole” sul frontespizio. Anche la composizione delle carte si presenta diversamente. Interessante inoltre il fatto che la presente variante non viene censita dal repertorio standard bodoniano Brooks. Hesketh & Ward 31 Britannia Road, London SW6 2HJ [email protected] CAPOLAVORI DANTESCHI CON VERNON PROTAGONISTA Primigenia Studio Bibliografico Catalogo 43: Prime edizioni, figurati, opere di pregio Dante, la Prima Corona della letteratura italiana, affascina sempre. Nel catalogo prenatalizio di Andrea Oioli troviamo un bel gruppo di edizioni dantesche, iniziando con la seconda edizione aldina e la prima illustrata della Divina Commedia del 1515 (numero 26, €7.500, in legatura amatoriale in marocchino turchese). Contrariamente alla princeps aldina non illustrata del 1502 con titolo Le terze rime, Aldo Manuzio e Andrea Torresano la chiamano Dante col sito, et forma dell’inferno. Il titolo fa riferimento all’opera di Antonio Manetti Dialogo circa al sito, forma, & misure dello Inferno, stampata per la prima volta in appendice alla Commedia dei Giunta del 1506, e contenente sette xilografie sulla topografia e le misure dell’Inferno. Le illustrazioni dell’edizione aldina del 1515 non seguono il ramo delle Commedie figurative, ma virano verso il ramo “scientifico” del Manetti. Tra le offerte dantesche in evidenza il Commentarium super Dantis ipsius genitoris comoediam, nunc primum in lucem editum, stampato a Firenze da Piatti nel 1845 (numero 28, €1.000), che contiene il commento alla Commedia composto dal figlio di Dante, Pietro, mai pubblicato prima. Si tratta dell’esemplare dedicato in segno di riconoscenza dal dantista inglese Lord Vernon (1803-1866) a papa Gregorio XVI con le armi papali al centro della legatura. In catalogo, due altre rarità legate a Dante e soprattutto all’immenso studio di Lord Vernon. Nel 1858 il nobile inglese pubblicò in soli 100 esemplari Le prime quattro edizioni della Divina Commedia ristampate a Londra presso Boone & Whittingham. L’opera, che contiene un’interessantissima introduzione di Antonio Panizzi (direttore della biblioteca del British Museum), riproduce il testo delle prime quattro edizioni della Commedia (Foligno, Mantova, Jesi o Venezia, Napoli), qui in legatura coeva in offerta a €1.800. A Lord Vernon si deve anche il sontuoso L’Inferno disposto in ordine grammaticale e corredato di brevi dichiarazioni, pubblicato dal 1858 al 1865 in 3 volumi in folio (€3.000). Il primo volume contiene il testo con le note, le edizioni pubblicate fino al 1850 e un repertorio di tipografi, librai e traduttori; mentre nel secondo si trovano vari documenti con la Vita, uno studio sulla Firenze all’epoca di Dante e una trattazione araldica. Splendido soprattutto il terzo volume contenente 112 tavole a piena pagina. Primigenia Studio Bibliografico Via Madonna, 33 28013 Gattico Tel. 0322 880181 dicembre 2010 – la Biblioteca di via Senato Milano IL CATALOGO DEI MODERNI Libri da leggere per comprare libri di matteo noja RISCOPRIRE D’ANNUNZIO CON 800 SCHEDE SUE O SU DI LUI Libreria Editrice Goriziana Catalogo 65 Biblioteca Dannunziana Una bella collezione di testi di e su Gabriele d’Annunzio, offerta dalla Libreria Editrice Goriziana. Ricognizione abbastanza completa dell’opera e della fortuna dannunziana, purtroppo a volte ci lascia con l’acquolina in bocca non spiegando o non descrivendo, se non superficialmente, i vari volumi: peccato, perché con il materiale si poteva quasi costruire un romanzo, di vita, amori e azione, con un protagonista eccezionale, che se fosse nato Oltralpe, sarebbe stato considerato un genio da tutta l’umanità. Nato in terra d’Abruzzo, conosciamo più le sue debolezze che le sue indubbie grandezze. Quanti nati in Francia o in Inghilterra o in America, minori di lui, conosciamo quasi a menadito e veneriamo come maestri? Di lui rimane, pregiudizio gigantesco, la compromissione con il fascismo, l’uso che ne fece Mussolini per scalare la popolarità e diventare Duce d’Italia. Non è però la politica di cui volevamo parlare, ma la collezione che propone la celebre libreria di Gorizia, specializzata in storia, anche recente, con particolare riguardo al problema dei confini, quelli italiani orientali, drammaticamente segnati da vicende annose e complesse, talvolta accantonate e dimenticate dai più. La collezione dannunziana si compone di più di 800 schede che parlano di libri, opuscoli e riviste del Vate o dedicati a lui. Dalla “Cronaca Bizantina” diretta da d’Annunzio dopo l’estromissione di Angelo Sommaruga alle prime edizioni delle sue opere, leggendo questo catalogo si ottiene una visione precisa dei contorni di questo uomo che seppe incantare con parole e gesta grandi moltitudini, senza bisogno dell’amplificazione che oggi offrono i media. Questa collezione, che invitiamo a consultare, ci permette di ricordare anche un curioso personaggio legato al Comandante durante l’esperienza di Fiume, ma non solo, unico autorizzato a dargli del tu, capo del suo personale corpo di guardia, e cioè Guido Keller. Infatti al numero 635 la Libreria offre tutto il pubblicato [1920, 4 numeri; €5.000] della rivista “Yoga”, periodico del movimento omonimo, che aveva come simbolo la svastica, fondato da Keller e dall’amico, futuro scrittore, Giovanni Comisso: era un’«unione di spiriti liberi tendenti alla perfezione», che attraverso azioni dimostrative, voleva mettere in ridicolo le «più o meno idiote tavole di valori» che la gente per bene definisce «morale». Nato nel 1892 a Milano da una nobile famiglia elvetica (i conti Keller von Kellerer), coraggioso e scapigliato, insofferente della vita borghese, Guido diventa un asso dell’aviazione accanto a Francesco Baracca, nella famosa e temutissima 91ª Squadriglia da caccia, ed è degno di tre medaglie d’argento al valor militare; poi è a capo della guardia personale del Poeta a Fiume, chiamata per la sua eterodossia “La Disperata”; dopo l’uscita dalla “città olocausta”, voluta dal Governo italiano, compie un raid 33 aereo su Roma, gettando una rosa bianca sul Vaticano in onore di San Francesco (il santo prediletto da d’Annunzio), sette rose rosse “per la Regina e il Popolo d’Italia” e, infine, su Montecitorio il proprio pitale (quello sul quale si faceva volentieri fotografare in pose inequivocabili), al cui manico era legato un mazzo di rape e di carote, con un nastro rosso e la scritta «Guido Keller, ala azione nello splendore [il suo motto] dona al Parlamento e al Governo che si reggono da tempo con la menzogna e con la paura, la tangibilità allegorica del loro valore». Finita l’esperienza dannunziana, si reca dapprima in Turchia per aprire una scuola di pilotaggio e una linea aerea; lo troviamo quindi a Berlino, come addetto all’aeronautica presso l’ambasciata e, infine, a Bengasi come ufficiale pilota. Non concependo una vita militare in tempo di pace, si sposta in Sud America, risalendo dal Brasile, attraverso Cile, Perù e Venezuela, fino al Mar Caraibico, nella speranza di riunire con le armi le repubbliche sudamericane per sottrarle all’egemonia degli Stati Uniti. Tornato in patria nel 1928, si interessa di aeronautica e di futurismo, progettando gesti esemplari, ludici e anticonformisti come tutta la sua vita, anarchico anticipatore di mode e manie, intellettuale “senza scuole, se non la sua”. Muore nel 1929 a 37 anni, in un incidente stradale a Magliano Sabina. Gabriele d’Annunzio vuole inumare i suoi resti accanto a sé, nella cripta del Vittoriale. Ne parla, in modo esaustivo, un libro uscito l’anno scorso [Guido Keller fra D’Annunzio e Marinetti, di Alberto Bertotto; Sassoscritto Editore, pagg. 192, euro 15] sapientemente recensito dal direttore del Vittoriale, Giordano Bruno Guerri, sulle colonne del “Giornale”. Libreria Editrice Goriziana Corso Giuseppe Verdi, 67 34170 Gorizia Tel. 0481 33776 – Fax 0481 538370 www.leg.it - mail: [email protected] 36 la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2010 DAL SALONE DEL LIBRO USATO Chicche, rarità ed eventi che hanno segnato l’atteso appuntamento dei “fuori commercio” di arianna calò a domenica 5 fino a mercoledì 8 dicembre, si è tenuto a Milano il tradizionale appuntamento prenatalizio con la sesta edizione del “Salone del Libro Usato – Bancarelle in Fiera”. Organizzata come di consueto dalla Fondazione Biblioteca di via Senato nella sede di Fieramilanocity, ancora una volta la rassegna si è confermata un appuntamento cardine per il mondo del libro fuori commercio e il punto di riferimento più atteso di bibliofili e biblioamatori. Superando le aspettative e i risultati delle scorse edizioni, il Salone ha registrato un aumento degli espositori partecipanti e una risposta altrettanto positiva da parte del pubblico, mantenendo inalterata una formula di successo: dare nuova vita a libri spesso confinati negli angoli più nascosti delle librerie e delle biblioteche, riproponendoli all’attenzione dei visitatori. Tra le bancarelle sono spuntati fumetti introvabili, prime edizioni dei classici della letteratura, serie complete di paperback, rarità per collezionisti, insieme a romanzi di fantascienza, locandine cinematografiche e stampe antiche. Per la prima volta, la sesta edizione ha coinvolto anche gli editori, D invitandoli a mettere in mostra i propri tesori da collezione e libri fuori commercio: tra gli espositori anche la casa editrice Scienze e Lettere, che dal 1919 si occupa delle pubblicazioni dell’Accademia Nazionale dei Lincei di Roma. Curiosando tra le edizioni originali, i grandi classici della letteratura e gli esemplari di pregio visti sulle centinaia di bancarelle, la prima edizione del Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, censita in soli 2.000 esemplari, una preziosa lettera autografa di Pietro Metastasio, libri illustrati di epoca liberty. Tante anche le rarità, tra le quali il Libraio inverosimile di Papini, edito in soli ventuno esemplari e impreziosito da due acqueforti del pittore Sandro Martini, il curioso Brevi note sull’arte e il modo di riordinare i libri di George Perec, in 99 copie con le acqueforti del pittore libanese Assadour. Come per le precedenti edizioni, si è confermato un corollario di attività collaterali: ripetendo la felice esperienza delle passate edizioni, in anticipo sul calendario d’apertura, oltre 5.000 volumi sono stati “liberati” dagli organizzatori dell’evento in tutta la città. Uno dei più grandi esempi metropolitani di bookcrossing, lo scambio di libri raccolti dai cittadini, letti e quindi lasciati a loro volta al prossimo lettore. Ma non solo: all’interno del padiglione, il Museo della stampa e Stampa d’arte di Lodi ha condotto i visitatori attraverso un laboratorio in miniatura, invitandoli a usare torchi manuali e caratteri mobili per stampare segnalibri personalizzati, mentre mastri cartai, rilegatori, artigiani del libro e restauratori hanno coinvolto i visitatori in inaspettate e creative performance. Un buon sesto compleanno, per festeggiare la riuscita di una manifestazione che fa di Milano un’importante vetrina internazionale per il libro fuori commercio. dicembre 2010 – la Biblioteca di via Senato Milano 37 ASTE, FIERE E MOSTRE-MERCATO Gli ultimi incanti prima delle Feste per qualche bella sorpresa natalizia di annette popel pozzo IL 10 DICEMBRE, NEW YORK Asta – Books and Manuscripts www.sothebys.com 115 lotti che comprendono libri antichi di pregio (come una strepitosa copia della Chronica di Hartmann Schedel, Norimberga, 1493, completamente colorata da mano coeva in legatura di scrofa cinquecentesca con placche figurative, lotto 86, stima $200.000-300.000), volumi d’argomento Americana oltre a edizioni botaniche e di storia naturale. IL 10 DICEMBRE, LONDRA Asta – Books and Manuscripts www.bloomsburyauctions.com Un’asta sostanziosa con 327 lotti che comprendono libri antichi continentali (incunaboli e cinquecentine) come edizioni moderne e di pregio. IL 10 DICEMBRE, VIENNA Asta – Autografi www.dorotheum.com 330 lotti dedicati esclusivamente a documenti autografi tra scrittori, scienziati, musicisti e artisti. L’11 DICEMBRE, FIRENZE Asta – Gonnelli www.gonnelli.it L’asta propone una ricca collezione di mappe e vedute toscane, tra cui una Carta generale dell’Italia di G. Maria Cassini (1793), composta da 15 fogli, e una Veduta della città di Firenze di Valerio Spada (1650), presa dal Muricciolo del prato de’ padri di S. Francesco al Monte. L’11 DICEMBRE, PARIGI Asta - Bandes Dessinées www.coutaubegarie.com Soprattutto in Francia, il collezionismo di fumetti ha una solida tradizione con aste dedicate all’oggetto. L’illustratore belga Hergé con il mitico giornalista Tintin accompagnato dal suo identicamente mitico cane Milou gode sempre di un interesse nutrito. Semplici biglietti di auguri firmati dall’artista si presentano con stime tra €200-500. Numerosi anche i lotti dedicati al fumetto Gaston di Franquin. IL 15 DICEMBRE, NEW YORK Asta – Important Judaica www.sothebys.com Tra i numerosi oggetti, alcune legature sette-ottocentesche austriache e italiane, in argento con le tipiche placche e iscrizioni in Yiddish (lotti 17-21). Inoltre, numerosi documenti manoscritti: contratti di matrimonio, un resoconto della comunità ebraica di Kaifeng in Cina, ed edizioni uscite dai torchi di Gershom Soncino (significa “il pellegrino” in lingua ebraica). I Soncino furono gli unici tipografi ebrei attivi in Italia a cavallo tra Quattro e Cinquecento. Sono documentati occassionali rapporti con Aldo Manuzio a Venezia. Tutte le edizioni stampate dai Soncino sono di estrema rarità. Segnaliamo il titolo Nofet Zufim (Mantova, Abraham Ben Solomon Conat, 1474-1475, lotto 114, stima $60.00080.000). Da segnalare anche alcune edizioni dello stampatore olandese Daniel Bomberg (morto nel 1549), che fondò a Venezia all’inizio del Cinquecento una tipografia ebraica e pubblicò la prima edizione completa dei Talmud. IL 15 DICEMBRE, LONDRA Asta – Modern and Contemporary Prints www.bloomsburyauctions.com Tra i 328 lotti segnaliamo silkscreens stampati a colori di Banksy (lotti 306-328) e Andy Warhol (lotti 294-305), opere di Jeff Koons e Damien Hirst. DAL 17 AL 18 DICEMBRE, PARIGI Asta – Docteur Bernard Blanc’s Collection www.alde.fr La casa d’asta parigina offre in due sedute la raccolta di Bernard Blanc, che contiene carte geografiche, libri, documenti storici e vedute legate alla storia della Savoia. Molti documenti riguardano chiaramente famiglie italiane e luoghi del Piemonte. IL 22 DICEMBRE, VIENNA Asta – Libri www.dorotheum.com 38 la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2010 L’intervista d’autore GIUSEPPE ZANASI, CHE PINOCCHIO L’HA RACCONTATO DA PAR SUO on si è mai sentito veramente un libraio, né un collezionista, né un editore. Seppure si sia trovato a fare nella sua vita tutte queste cose. L’importante è che avessero a che fare con la carta, la stampa, le illustrazioni d’autore. Giuseppe Zanasi una trentina d’anni fa, in fuga dalla Olivetti, si mise in testa di fare l’antiquario di libri, e lo diventò, aprendo nel 1985 uno studio bibliografico - oggi famosissimo in Italia - a Bologna. Entrò in questo mondo “di carta” in punta di piedi... Ma con un’idea molto precisa, cioè occuparsi solo di alcuni settori particolari: i libri d’artista, liberty e art-déco; la gastronomia, aiutando ad esempio il finanziere Orazio Bagnasco a mettere insieme la sua straordinaria collezione sulla cultura del cibo; la letteratura per l’infanzia... N di luigi mascheroni Sempre seguendo la mia curiosità e i miei interessi. Fino a che, a un certo punto, ho deciso di farmi io stesso i libri dai testi che mi piacevano di più.. Il primo libro che si è divertito a editare? Un Alice nel Paese delle Meraviglie illustrato da Giovanni Grasso Fravega, apparso per la Silvio Berlusconi Editore nel 1993. Poi arrivarono tutti gli altri, come l’edizione dei Racconti delle Fate di Charles Perrault con le tavole dello stesso Grasso Fravega o come il particolarissimo Pinocchio illustrato da Giovanni Grasso, a edizione limitata, che pubblicai nel 2006 per l’industriale e bibliofilo di Vicenza, Giancarlo Beltrame... Un piacere impagabile, immagino... Esatto. E devo dire che ormai i libri mi diverto più a farli, con i miei amici pittori e illustratori, che a venderli... In fondo ho scelto di fare l’antiquario perché era l’unica possibilità di farmi passare tra le mani libri che economicamente non avrei mai potuto permettermi. Poi ho iniziato a giocare a creare volumi illustrati. Una felice “impresa” editoriale cui da lì a poco sarebbe seguita un’avventura “bibliofila” degna del famoso burattino... Esatto. Nel 2008 Marcello Dell’Utri mi chiese di curare per la XIX Mostra del Libro Antico di Milano un’esposizione su Pinocchio, e io esposi la più importante raccolta esistente per numero di pezzi, messa insieme negli anni da un libraio romano. E cosa c’era in quella mostra? Di tutto, persino giocattoli, fumetti, poster che per anni hanno sfruttato l’immagine del burattino... Basti pensare che Le avventure di Pinocchio di Carlo Collodi, da quando il romanzo fu pubblicato la prima volta nel 1883 a Firenze dalla Libreria Editrice Felice Paggi - fino a oggi è stato illustrato da oltre 300 artisti solo in Italia, e innumerevoli nel mondo... In quella mostra c’era ovviamente la prima edizione del 1883 con le illustrazioni di Enrico Mazzanti, quella con le tavole di Carlo Chiostri del 1901, quella con i disegni a colori di Attilio Mussino nell’edizione del 1911... e poi il Pinocchio illustrato da Sto, ovvero Sergio Tofano e Benito Jacovitti... Non solo gli artisti che hanno illustrato Pinocchio sono tantissimi, ma anche i collezionisti, giusto? Solo in Italia sono oltre 400, noti e meno noti. Anche famosi. Alberto Sordi in una vecchia intervista confessò che era suo cruccio non possedere la prima edizione a libro. Pinocchio dopo la Bibbia è il libro più stampato negli ultimi cento anni: perché piace a tutti? Grandi, piccini, intellettuali, lettori comuni... Forse perché in quel momento, alla fine dell’Ottocento, gli unici grandi libri per l’infanzia italiani erano Pinocchio e Cuore, e tra i due non c’è dubbio che i bambini scegliessero dicembre 2010 – la Biblioteca di via Senato Milano il burattino di legno birichino, molto più divertente e “irregolare”. Pensi che le avventure di Pinocchio, prima dell’edizione in volume, apparvero a puntate sul “Giornale per i bambini”, tra il 1881 e il 1883. E la storia doveva finire con l’impiccagione di Pinocchio. Furono le tantissime lettere di protesta dei bambini a spingere lo scrittore e l’editore a continuare... Ma un altro motivo del successo può essere il fatto che quando apparve, il romanzo di Collodi scontentò alcuni vescovi, ai quali già non piaceva un racconto che aveva come protagonista un bambino monello e lazzarone, e tentarono anche una sorta di censura proibendone la lettura in molte diocesi considerandolo un modello negativo dal punto di vista pedagogico. E si sa che vietare di leggere un libro significa spingere tutti a leggerlo... Un po’ come è successo di recente con le polemiche su Harry Potter. Quali sono per Lei i Pinocchi più belli? Nell’epoca odierna, diciamo negli ultimi trent’anni, ne cito tre: quelli illustrati da Roberto Innocenti, Lorenzo Mattotti e Giovanni Grasso. Qualcuno forse aggiungerebbe quello di Emanuele Luzzati. Per quanto riguarda invece il passato, ovviamente la prima edizione coi disegni in bianco e nero di Enrico Mazzanti, e ancora di più quella di poco successiva di Carlo Chiostri, e quella a colori del 1911 di Attilio Mussino. Poi c’è l’illustrazione art nouveau disegnata a quattro mani dai coniugi Luigi e Maria Augusta Cavalieri nel 1924. E ancora, popolarissimo tra gli anni Trenta e Cinquanta, il Pinocchio illustrato da Fiorenzo Faorzi; quello apparso nel ‘39 negli Stati Uniti da Walt Disney; quello di Beppe Porcheddu uscito per l’editore Paravia nel 1945, e quello del ‘46 di Jacovitti... Fino al capolavoro di Roland Topor per la strenna Olivetti del ‘72. Libro onirico e particolarissimo. Lei che ne ha incontrati tanti... 39 Chi è il vero bibliofilo? Potrei citare l’aneddoto raccontatomi alcuni anni fa da un amico antiquario, che con un libro in mano tagliava la fila di postulanti-banchieri in attesa fuori dalla porta di Orazio Bagnasco, molto più interessato a un antico ricettario piuttosto che a un affare di milioni: il vero bibliofilo è quello che quando ha davanti un libro non vede nient’altro, neppure una bella donna. Il vero bibliofilo poi è quello che spesso per cultura e curiosità innata ne sa di più del libraio, e che sa condividere il piacere di un volume prezioso, raccontarlo e mostrarlo. Mentre il bibliomane accumula e basta: la sua non è neppure una malattia, è una degenerazione da manuale di psichiatria. L’impegno di Med 6.000 spot gr iaset per il sociale atuiti all’anno 6.000 i passaggi tv che Mediaset, in collaborazione con Publitalia’80, dedica ogni anno a campagne di carattere sociale. Gli spot sono assegnati gratuitamente ad associazioni ed enti no profit che necessitano di visibilità per le proprie attività. 250 i soggetti interessati nel 2008 da questa iniziativa. Inoltre la Direzione Creativa Mediaset produce ogni anno, utilizzando le proprie risorse, campagne per sensibilizzare l'opinione pubblica su temi di carattere civile e sociale. 3 società - RTI SpA, Mondadori SpA e Medusa SpA costituite nella Onlus Mediafriends per svolgere attività di ideazione, realizzazione e promozione di eventi per la raccolta fondi da destinare a progetti di interesse collettivo. 42 la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2010 ANDANDO PER MOSTRE Arte e tessili dialogano grazie al libro, mentre le “bestie” si fanno storie e le biblioteche... di matteo tosi LIBRI-ARTE CONTEMPORANEA, UN DIALOGO A TUTTA TRAMA ino al 13 febbraio 2011, la Sala Gandini del Museo Civico d'Arte di Modena ospita una ricca “personale” dell’eclettica artista Sabrina Mezzaqui. L’esposizione, nata come evento collaterale del convegno internazionale “Antiche trame, nuovi intrecci. Conoscere e comunicare le collezioni tessili” (26-27 novembre F 2010, www.convegnotessili.it), dedicato alla valorizzazione delle raccolte tessili in ambito museale, in realtà ha un rapporto altrettanto intenso sia con la carta - soprattutto con l’oggetto libro - sia con il tessuto. Infatti, già a partire dal titolo SABRINA MEZZAQUI. “LA REALTÀ NON È FORTE” MODENA, MUSEO CIVICO D’ARTE, FINO AL 13 FEBBRAIO 2011 info: tel. 059/2033100 www.comune.modena.it/ museoarte della mostra-installazione (“La relatà non è forte”, ripreso da una frase di Hannah Arendt tratta da “Le origini del totalitarismo” - 1948: «La realtà non è tenace, non è forte, ha bisogno della nostra protezione»), risulta evidente la frequentazione di Sabrina Mezzaqui con una certa letteratura “alta”, sensazione che si conclama definitivamente quando ci si accorge che la stragrande maggioranza delle sue opere esposte ha forma di libro. dispiegano alcuni significativi oggetti, frutto della produzione artistica più recente della Mezzaqui, dove la pratica del ricamo è intimamente permeata dall'elemento della scrittura: opere come Sentinella, un libro in pagine di stoffa ricamate con fiori e appunti autografi dell'artista; Mettere a dimora, motivi floreali ricavati dal ritaglio dei soli profili tracciati su cartoncino che dialogano con il lemma “pianta-piantare” del vocabolario; frasi ricamate che ricordano Se, infatti, è vero che la poetica dell’artista bolognese si sposa alla perfezione con i valori e con le pratiche artigianali del tessile splendidamente rappresentati dalla raccolta Gandini del Museo, una delle più importanti collezioni di tessuti d'Europa - vedasi il suo continuo ricorso alla gestualità lenta e delicata del ricamo, del cucito e del ritaglio - è ancora più evidente come il suo lavoro sia teso a rielaborare e materializzare pensieri desunti dalle tradizioni filosofiche, religiose e letterarie della nostra cultura più profonda. Tra rari tessuti, sontuosi velluti, raffinati damaschi, splendide sete e merletti, galloni, nastri, frange e ricami antichi, conservati negli arredi originali, si effimere architetture; alcuni libri realizzati interamente a mano con la trascrizione meticolosa dei testi e dell’impostazione tipografica dei Quaderni di Simone Weil, “work in progress” attraverso cui l’artista ne assimila il senso e il ritmo, divenendo un condotto tra la parola letta e quella scritta. dicembre 2010 – la Biblioteca di via Senato Milano 43 BESTIARI CONTEMPORANEI E ANTICHE ISPIRAZIONI LA BIBLIOTECA DELFINI DI MODENA SI APRE ALLA PIÙ GIOVANE ARTE CONTEMPORANEA l Museo Mallé di Dronero, in provincia di Cuneo - polo espositivo nato nel 1995 per volere testamentario dello storico d’arte Luigi Mallé, delle cui collezioni espone una “permanente”, spaziando dalla pittura cinquecentesca a quella fiamminga, da opere del Settecento e dell’Ottocento all’arte astratta del Novecento, dagli orologi di bronzo a quelli di alabastro del secolo scorso, dalle stampe rococò alle foto d’epoca, dagli arredi tardo settecenteschi alle porcellane di Meissen - festeggia i vent’anni della locale associazione culturale “Marcovaldo” con una mostra che torna a guardare alla propria tradizione, quindi legata rea Progetto” è la rassegna che la Galleria Civica di Modena dedica alla creatività emergente del territorio. Novità di quest’anno, gli artisti scelti escono dalla Galleria per confrontarsi con progetti ad hoc pen- I “A sati per luoghi significativi del centro storico cittdino. Prima tappa è la Biblioteca Delfini, con sede a Palazzo Santa Margherita, e prima artista selezionata la videomaker Angelica Porrari, che ha rivolto la propria attenzione a frammenti di af- al territorio e in grado di presentare opere di grafica di alta qualità: “Bestiæ. Disegni e incisioni di Schialvino & Verna” (fino al 6 gennaio 2011; info: tel. 800/ 329329; www.marcovaldo.it). Un bestiario, quindi, sì, di quelli in odore di antichità e Medioevo, ma declinato anche in tecniche e sfumature assolutamente contemporanee (pittura, xilografia, calcografia, disegno, gouache, collage) in un percorso dato «dalla letteratura e dalla musica, da cui sono stati tratti i riferimenti per i titoli delle opere; MILANO - UN PRESEPE SECENTESCO E UNA NATIVITÀ “PRATESE”, OPERA DI FILIPPO LIPPI, PER CELEBRARE LE FESTE AD ARTE nche al di là del calendario, viste le mostre di Palazzo Reale, sembra che questo A sia il momento del Sacro, per Milano. Non poteva mancare, allora, una nuova iniziativa del Museo Diocesano che - mentre continua a esporre la “Natività con san Giorgio e san Vincenzo Ferrer” di Filippo Lippi, proveniente dal Museo Civico di Prato, come perla di stagione del progetto “un Capolavoro per Milano”, da inizio mese ospita anche un prezio- so presepe lombardo di fine Seicento - appartenuto alla collezione Longari con undici sculture (alte tra i cinquanta centimetri e il metro) in legno di pioppo colorato e dorato (fino al 30 gennaio 2011; info: tel. 02/89420019 www.museodiocesano.it). Interessante l’approccio pauperistico dello scultore che sceglie di portare il “popolo” di fronte a Gesù. freschi conservati nelle lunette della sala “ragazzi”, reinterpretandone azioni, gesti e soggetti (fino al 6 marzo 2011; info: tel. 059/2032911). emotivamente ordinate nella raffigurazione e nelle sensazioni provate, cercando di capire l’importanza degli influssi esercitati sull’uomo dagli animali, e dall’uomo testimoniati e nobilitati, rendendoli ora filosofi ora elevandoli a dei», come si legge nella presentazione scritta dagli stessi autori. Due piemontesi doc Anni ’40 che, oltre alla musica, hanno guardato alla loro esperienza “rurale” e alle pagine imbevute di miti, di Aristotele, Eliano, Esopo e Plinio, in un perfetto connubio di cultura “alta” e popolare. 44 la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2010 PAGINE CHE PARLANO DI LIBRI Il bilancio “economico” della cultura, la storia del libro a stampa e un duplice diario di viaggi di matteo noja e matteo tosi VIAGGIO ALLA FINE DELLA CULTURA. E RITORNO? A Schiffrin piace raccontare delle storie horror, nelle quali narra la fine della cultura, attraverso dati e cifre a dir poco raccapriccianti. Dieci anni dopo Editoria senza editori, estende la sua analisi sulle concentrazioni finanziarie dei media dal mondo anglosassone a tutto il resto del mondo occidentale. In pochi capitoli, con precisione, dipinge un ritratto della situazione in cui versano non solo l’editoria e le librerie, ma anche i giornali, il cinema, la tv, senza tralasciare internet. L’indebitamento di molti grossi gruppi editoriali, ma non solo, è preoccupante in quanto il settore culturale non ha la capacità di generare profitto in tempi brevi: occorre tempo e fiducia per ottenere una inversione di tendenza. L’inserimento di nuove tecnologie, internet e nuovi media soffiano sul fuoco, senza risolvere il problema. «Insomma – dice Guido Rossi nella postfazione – nel nuovo capitalismo finanziario la cultura, così come d’altra parte la quasi totalità dei valori delle diverse civiltà, è stata postergata al denaro, che condiziona ogni scelta». Ma Schiffrin ci dà anche speranze per il futuro. Indica infatti la ripresa di quei valori attraverso gli aiuti pubblici, nazionali o locali che siano, come è avvenuto per esempio in Francia. Chissà se qualcuno avrà voglia di ascoltarlo anche da noi? André Schiffrin, “Il denaro e le parole”. (a cura di Valentina Parlato, postfazione di Guido Rossi), Voland, Roma 2010; pp.110, €12,00 L’EPOPEA DELLA STAMPA, PER BAMBINI E NON SOLO «Che cos'è una rivoluzione? È un mutamento improvviso e profondo che cambia per sempre la storia. Può essere un evento o un'invenzione: comunque sia, rende possibile ciò che prima era impensabile. Il fuoco, la ruota, l'elettricità, gli aerei e i computer hanno trasformato il modo di vivere e viaggiare degli uomini. Anche la stampa ha fatto rivoluzione: stampare libri ha permesso a storie e idee di diffondersi in tutto il mondo. Questo libro racconta il cammino dei libri stampati, dai primi passi fino a oggi, con lo sguardo rivolto al futuro: perché la rivoluzione non è ancora finita». Così recita la quarta di copertina di questo aureo libretto ricco di illustrazioni, deicato ai bambini e a quanti amano il libro. La storia del libro parte ovviamente dai primi esperimenti di Gutenberg, da come egli scelse per economia di stampare le 42 linee per la sua Bibbia; si sofferma sui primi tipografi e spiega come evolvono i mestieri e i luoghi legati al libro, come le librerie e le biblioteche; passa attraverso i libri proibiti, la censura, gli errori e lo sviluppo della lettura così come la intendiamo oggi, per arrivare a parlare dei libri d’oggi, di chi si occupa del libro e cosa fa all’interno di una casa editrice e giungere infine a parlare del futuro, degli e-book e delle e-biblioteche. Bella introduzione per piccoli lettori che siano affamati di lettura, ma anche per divertire qualche “giovane adulto” con storie e concetti che si danno a volte troppo per scontati e scontati non lo sono. A far da contrappunto alla storia del libro alcune storie e filastrocche scritte da Roberto Piumini e Beatrice Masini, illustrate da vari artisti. Beatrice Masini, Roberto Piumini Adriana Paolini, “Che rivoluzione! Da Gutenberg all'ebook: la storia dei libri a stampa”, Edizioni Carthusia, Milano 2010; pp. 76, €15,90 L’ESOTICO IN SALGARI VIENE DAI RESOCONTI DEL BECCARI Il nuovo libro di Paolo Ciampi è un viaggio “alla scoperta del mondo con Odoardo Beccari ed Emilio Salgari”. O meglio, un po’ insieme a loro e un po’ sulle loro tracce. Questa seconda “non guida” dell’editore fiorentino Mauro Pagliai (che si fa notare per il curioso formato pentagonale) ri-accomuna tra loro due figure che apparentemente hanno davvero poco in comune. Ma la verità è che il famoso scrittore - che in realtà non viaggiò mai - si servì per le suggestioni delle sue storie dei resoconti del grande naturalista fiorentino, molto curiosi da leggere anche “di prima mano”. Paolo Ciampi, “I due viaggiatori”, Mauro Pagliai Editore, Firenze 2010; pp. 192, €12,00 dicembre 2010 – la Biblioteca di via Senato Milano 45 Pinocchio nella Biblioteca dell’Utopia / 3 Elogio di Pinocchio, eroe casalingo di un tempo che fu “Non ridete; ma dietro il Pinocchio io rivedo la piccola Italia onesta di re Umberto” PIETRO PANCRAZI E vedevo Pinocchio, e il mio destino... G. Gozzano, I colloqui H o riletto Pinocchio. Ogni anno, alla cara stagione della neve e delle castagne, cavo dallo scaffale dei libri più vecchi, Pinocchio; cerco un posto quieto vicino alla stufa, e me lo rileggo. Perché? II perché ogni anno me lo domando, con un mezzo sorriso; e ancora non sono riuscito a trovare una risposta che mi contenti. Potrei dire che nelle pagine di Pinocchio ricerco i segni di un’infanzia lontana; i ricordi vaghi, le incerte impressioni della prima lettura; per vedere se mi riuscisse davvero, attraverso Pinocchio, di ritrovare me stesso bambino. Potrei dirlo...; ma non sarebbe vero. Checché gli uomini dicano, e fingano (magari a se stessi) di credere, è raro che qualcuno rimpianga davvero - e non solo a parole - l’infanzia lontana. Quel rimpianto significherebbe un ottimismo non so se eroico o imbecille: vorrebbe dire esser pronti, potendo, a ricominciare... E allora rileggo ogni anno Pinocchio per un’abitudine letteraria? per riaccendere ancora e controllare nella lettura le impressioni nuove, su quelle vecchie; le illusioni che restano, su quelle cadute; per il bel gusto, alla fine, di tirare ogni anno le somme di un bilancio ch’è sempre in perdita? Forse è anche per questo che rileggo Pinocchio... Oppure le pagine del vecchio libro hanno ogni anno insegnamenti nuovi; e le avventure di Pinocchio a chi le sappia guardare con altri occhi, ogni volta offrono una morale diversa, un significato nuovo; confacenti ogni volta all’animo, all’aspettativa di chi torna lì? Quasi che anche il povero Pinocchio fosse a suo modo (come certi santi padri delle letterature) un vivente paradigma della vita e della saggezza... Sarà magari per tutte queste ragioni; ma più semplicemente vorrei dire che ogni anno ricerco Pinocchio, perché ogni anno sento di volergli più bene. Gli voglio bene, prima di tutto, per la sua onestà casalinga. «C’ era una volta... - Un re! - diranno subito i miei piccoli lcttori - No, ragazzi, avete sbagliato. C’era una volta un pezzo di legno. Non era un legno di lusso, ma un semplice pezzo da catasta...». Pinocchio, fino alla fine, tiene fede alla sua origine. «Un pezzo di legno da caminetto, come tutti gli altri, e a buttarlo sul fuoco, c’è da far bollire una pentola di fagioli...»; pensa Geppetto ritagliandolo con l’ascia e la pialla. Le sue avventure, anche le più straordinarie, hanno un senso domestico e vicino. Pinocchio è un ragazzo povero; e i suoi casi, le sue fortune, sono di quelle che anche un Il Pinocchio disegnato da E. Mazzanti dicembre 2010 – la Biblioteca di via Senato Milano «Entrati nell’osteria, si posero tutti e tre a tavola» Pinocchio, il Gatto e la Volpe nella tavola di Luzzati ragazzo povero, sognando, puo immaginare per sé, nel freddo d’una notte d’inverno. «La casa di Geppetto era una stanzina terrena, che pigliava luce da un sottoscala. La mobilia non poteva essere più semplice: una seggiola cattiva, un letto poco buono e un tavolino tutto rovinato. Nella parete di fondo si vedeva un caminetto col fuoco acceso; ma il fuoco era dipinto, e accanto al fuoco c’era dipinta una pentola che bolliva allegramente e mandava fuori una nuvola di fumo, che pareva fumo davvero». E perché Pinocchio si chiama Pinocchio? « Lo voglio chiamar Pinocchio (dice Geppetto suo padre). Questo nome gli porterà fortuna. Ho conosciuto una famiglia intera di Pinocchi: Pinocchio il padre, Pinocchia la madre e Pinocchi i ragazzi, e tutti se la passavano bene. II più ricco di loro chiedeva l’elemosina». Maestro Ciliegia, Polendina, lo stesso Lucignolo (che però già somiglia a un signorino) sono come lui: buona gente e poveri diavoli. E, in fondo, son tutti contenti di essere quel che sono. Restan paghi, tra increduli e rassegnati, a quel po’ di buono che c’è nel mondo; e non guardan più in là. Quando hanno a che fare con la Giustizia, e sempre per ragioni ingiuste... Geppetto è preso dai carabinieri perché riporta a casa Pinocchio che gli era scappato, tenendolo per la collottola (ancora le orecchie non gliele aveva fatte); e il povero vecchio non dice una parola sola per difen- dersi. Un’altra volta è Pinocchio che va in prigione; e perché? Perché è stato derubato di quattro monete d’oro dalla Volpe e dal Gatto, si sa, più furbi di lui: «Allora il giudice, accennando Pinocchio ai giandarmi, disse loro: - Quel povero diavolo è stato derubato di quattro monete d’oro: pigliatelo, dunque e mettetelo subito in prigione ». Più avanti, Pinocchio è arrestato in riva al mare, incolpato di aver rotto la testa a un compagno di scuola, con un Trattato di Aritmetica in carta pecora. Ma questa volta il burattino prima si scolpa, e poi, giacché i carabinieri non gli dan retta, se la dà a gambe...; come Renzo. Dunque anche Pinocchio sa che quando si può riparare con un po’ d’iniziativa propria all’ingiustizia degli altri, magari della legge..., è meglio non perder tempo. Chi gliel’ha insegnato? È la semplice morale dei poveri diavoli. E un’altra volta, Pinocchio fa pensare a Renzo: quando è svegliato, a mezzanotte, dall’oste, all’osteria del Gambero Rosso. L’oste (il solito oste furbo) era d’accordo col Gatto e la Volpe, i due « compari» che avevano stabilito di derubare Pinocchio: «- E la cena l’hanno pagata? - Che vi pare? Quelle lì sono persone troppo educate, perché facciano un affronto simile alla signoria vostra». E neppure le trasformazioni fantastiche, i viaggi impossibili e i personaggi irreali - Mangiafoco o il pescatore verde, il Pesce-cane, il Piccione-aeroplano, o la buona Fata servono ad aprire sul cielo di Pinocchio un’aria di fantasia, d’avventura, 47 oltre il domestico e il comune. Pinocchio non conosce la sorte così frequente agli eroi dei ragazzi che, da un incantesimo all’altro, diventano paggi di corti miracolose, o fantastici principi onnipotenti, muniti di anelli e di bacchette fatate... Pinocchio, no. Quando perde la sua natura di burattino, diventa un ciuchino da circo: «il famoso ciuchino Pi- nocchio, detto la stella della danza». Oppure trova un contadino che gli mette il collare e lo costringe a far da cane; e quando arrivano le faine, l’onesto Pinocchio abbaia e salva il pollaio. Un’altra volta lo troviamo che gira il bindolo - ancora una volta come un ciuchino - alla vasca di un ortolano. E anche la Fata, quella buona Fata dai capelli turchini, che è insieme la sorellina e la buona mamma di Pinocchio che non ha mamma - non è davvero una fata delle solite, tutte lusso e spreco. Se la rivedo come vuole il disegno, le mani ai fianchi, e le maniche rimboccate; e poi il grembiule con le tasche; e, ai piedi, le sue brave pianelle; la buona Fata mi sembra allora piuttosto una serva del casentino... Ci sarebbe anche un altro modo di legger Pinocchio. 48 la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2010 Il “Pinocchio ciuchino” e il burattino con i suoi famigerati compagni nelle serigrafie di Musante Come tutti i libri molto semplici, a volte Pinocchio si presterebbe a una lettura difficile. Ricordate l’onesto Geppetto indaffarato alla fabbrica del burattino? Quando gli ebbe intagliato gli occhi, «Geppetto, vedendosi guardare da quei due occhi di legno, se n’ebbe quasi per male, e disse con accento risentito: - Occhiacci di legno, perche mi guardate?». Tutti i babbi così! Vien sempre il momento che non vorrebbero esser guardati dai figli con gli occhi che loro stessi gli han fatti. Ma non sciupiamo la morale semplice di Pinocchio. Perché Pinocchio, si sa, è una storia morale. Insegna com’é che da burattini di legno si può diventare uomini; attraverso quali esperienze bisogna passare, quali insegnamenti, quali avventure. Come tutti i poveri, Pinocchio è un autodidatta. Ma la sua morale non è eroica com’è spesso la morale di coloro che imparan da sé; non insegna grandi virtù, non addita conquiste impossibili. Pinocchio mostra cuor buono e generoso: è pronto al sacrificio ogni volta che può salvare o aiutare qualcuno. E questo è importante. Per il resto, la sua è una morale bonaria, affidata quasi sempre, invece che all’inutile esperienza degli uomini, alla saggezza mitica delle bestie... Anche in ciò è una morale classica. È il Grillo parlante che consiglia a Pinocchio l’amor figliale; il Granchio lo persuade dell’utilità della scuola; il Merlo gli insegna a esser furbo (e finisce subito in bocca al Gatto); la Lumaca che lo fa aspettare tutta una notte al diaccio, per terra, col piede infilato nella porta della Fata, per portargli poi un pollastro di cartone e quattro albicocche di alabastro - non si sa se lo prenda in giro, o lo persuada alla pazienza. Geppetto gli insegna la frugalità, attraverso dicembre 2010 – la Biblioteca di via Senato Milano 49 Altre due famose scene delle avventure del burattino nei colori di Musante l’apologo dell’appetito: metti via le buccie («I casi son tanti»); e quando le pere l’ha mangiate, Pinocchio s’accorge che riescono bone anche le buccie... La Fata lo convince presto che le bugie sono pericolose: cresce il naso a palmi; e, a dirne molte, non s’esce più dalla porta... L’anima del Grillo parlante «pallida e opaca, come un lumino da notte» lo erudisce sulla ricchezza: «non ti fidare, ragazzo mio, di quelli che promettono di farti ricco dalla mattina alla sera. Per il solito o sono matti o imbroglioni!». Se Dio vuole, son tutti consigli inutili; ogni volta Pinocchio si ravve- de e impara... ma soltanto dopo aver battuta la testa. Non basta neppure la classica saggezza degli animali parlanti; soltanto la vita insegna a Vivere. E le parole stesse del libro, umili e sicure, parole evidenti, da toccare, come i dadi bianchi di legno che servono ai bambini per fabbricare per gioco le loro case, i loro campanili...; quello stesso scrivere onesto e piano concilia il lettore (e non soltanto il lettore bambino) alla morale modesta e solida di Pinocchio. Alcuni capitoli potrebbero far pensare uno scrittore più d’una lezione di estetica. Se rileggete Pinocchio, vi accorgete che ogni volta che il racconto volta all’inverosimile, le parole si fan più chiare e precise; quasi che in esse l’inverosimile dovesse trovare la sua piena evidenza. E sempre ve la trova. Chi non ricorda l’irruzione di Pinocchio tra i burattini di Mangiafoco, durante lo spettacolo; con tutto quel baccano e quel tramestìo di legno vivo? E i casi tristi e lieti che ne successero; e come poi tutto andò a finire in gloria: «Alla notizia della grazia ottenuta, i burattini corsero tutti sul palcoscenico e, dicembre 2010 – la Biblioteca di via Senato Milano accesi i lumi e i lampadari come in serata di gala, cominciarono a saltare e a ballare. Era l’alba, e ballavano sempre». No: nemmeno Palazzeschi, nemmeno Govoni, nemmeno Moretti saprebbero muovere per tre capitoli, e a quel modo, tutto un popolo di burattini. E il paese d’Acchiappacitrulli lo ricordate? «Appena entrato in città, Pinocchio vide tutte le strade popolate di cani spelacchiati, che sbadigliavano dall’appetito, di pecore tosate, che tremavano dal freddo, e di galline rimaste senza cresta e senza bargigli, che chiedevano l’elemosina d’un chicco di granturco, di grosse farfalle, che non potevano più volare, perché avevano venduto le loro bellissime ali colorite, di pavoni tutti scodati, che si vergognavano a farsi vedere, e di fagiani che zampettavano cheti cheti, rimpiangendo le loro scintillanti penne d’oro e d’argento, oramai perdute per sempre. In mezzo a questa folla di accattoni e di poveri vergognosi, passavano di tanto in tanto alcune carrozze signorili con dentro o qualche Volpe, o qualche Gazza ladra, o qualche uccellaccio di rapina». Che paesaggio vivo, caro Linati! Dietro Pinocchio - io vedo i ragazzi di un tempo. Con la loro cartella di tela cerata, o le assicelle, tornavano a casa a un’or di notte (e non più tardi - anche quelli che non eran più tanto ragazzi), per fare i compiti. Sotto il lume comune, uscivano allora dalla cartella i piccoli quaderni dalla copertina velata e istruttiva, da tre centesimi; i pochi libri, e infine il birillo bianco coi pennini da cinque al soldo. Dopo la cena e due chiacchiere, sparecchiato, dalle seggiole dei ragazzi tornavan su libri e qua- 51 Sopra: l’interpretazione a colori forti di Mario Schifano per le Edizioni Theoria; a sinistra un’altra tavola di Luzzati derni, tra il croce della mamma e il silenzioso giornale del babbo. Era quello un tempo in cui non si bastonava nessuno; e «far forca» voleva dire ancora semplicemente una bella passeggiata fuori porta; non era una manifestazione politica. Di pistole in casa ce n’era una soltanto: quella, quasi misteriosa, che restava serrata in un angolo del cassetto del babbo. Ma a quel tempo in tutte le buone case c’era invece un odore di pulito; non so se di risparmio o di decente povertà. E la sera, quando i compiti eran finiti e tutti i lumi in casa s’erano spenti, nel marciapiede di sotto si sentiva passare rassicurante, sul sonno di tutti, il calmo passo doppio dei carabinieri. Non ridete; ma dietro Pinocchio io rivedo la piccola Italia onesta di Re Umberto. 6 dicembre 2010 – la Biblioteca di via Senato Milano 53 Libri illustrati in BvS L’avventuroso burattino in 130 anni di riletture per immagini Da Chiostri e Sgrilli a Musante e Schifano, passando per Bartolini CHIARA NICOLINI Q uando penso a Pinocchio, la prima cosa che mi viene in mente è la marionetta del meraviglioso adattamento cinematografico firmato da Luigi Comencini nel 1972. Poi il Pinocchio disneyano che danza circondato di orologi a cucù, il suo Grillo con tuba e frac e la sua leggiadra Fatina, che ha il volto di una diva di Hollywood degli anni ’40. Eppure Pinocchio ha mille volti. Ogni bimbo, a seconda della generazione a cui appartiene, sarà stato trasportato nel surreale mondo di Collodi da una delle innumerevoli interpretazioni visive che ne sono state date dal 1882 a oggi. Il bellissimo saggio Pinocchio e la sua immagine (Giunti, 2006) elenca più di 150 artisti che hanno illustrato almeno 200 edizioni italiane del romanzo. Se poi pensiamo alle traduzioni in lingue straniere, alle riduzioni a fumetti o cartoni animati, agli adattamenti teatrali e cinematografici, a tutto il materiale che al burattino collodiano si ispira, il numero dei volti di Pinocchio diventa quasi infinito. Il testo di Collodi apparve per la prima volta a puntate sul “Giornale per i bambini”. La prima proprio sul primo numero di questo periodi- co rivoluzionario (il primo in Italia a essere dedicato interamente all’infanzia), giovedì 7 luglio 1881. Ma i capitoli iniziali del romanzo, allora intitolato La storia di un burattino, vennero illustrati solo da generiche immagini di repertorio. Fu a partire dal 16 febbraio 1882, con la ripresa del racconto, interrotto al XV capitolo, quando gli assassini impiccano Pinocchio alla Quercia grande, che il testo collodiano - ribattezzato Le avventure di Pinocchio - ebbe la sua primissima interpretazione visiva. Una serie di vignette in bianco e nero che solo recentemente sono state attribuite a Ugo Fleres . Alcune di esse hanno un aspetto decisamente moderno, quasi futurista, soprattutto quella che ritrae Pinocchio impiccato a una bizzarra struttura, che più che una quercia sembra un palo telegrafico (Fig.1, facciata destra). La Biblioteca di via Senato possiede riproduzioni delle vignette di Fleres nell’edizione de Le avventure di Pinocchio pubblicata a Pescia dalla Fondazione Nazionale Carlo Collo- 2 3 54 la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2010 1 di nel 1983. Curata da Ornella Castellani Pollidori, l’opera fu ideata per il centenario delle Avventure, che uscirono per la prima volta in volume nel febbraio del 1883 a cura di Felice Paggi, editore libraio fiorentino, poco dopo la fine della serie sul “Giornale per i bambini”, il 25 gennaio. Assieme alle immagini di Fleres, il libro ripropone anche il corredo illustrativo della prima edizione di Pinocchio: 83 vignette realizzate da Enrico Mazzanti, qui raccolte in un’appendice di sedici pagine (Fig. 1, facciata sinistra). Mazzanti fu il primo artista a dare un volto a Pinocchio, e fu l’unico a farlo mentre Collodi era in vita (lo scrittore morì nell’ottobre del 1890). I due avevano tra l’altro già lavorato assieme, uno come traduttore 7 e l’altro come illustratore, all’edizione italiana dei Racconti delle fate di Perrault, ed erano amici. Le illustrazioni di Mazzanti sono state talora criticate perché ritenute troppo approssimative: non vi è in esse alcuna attenzione per i dettagli, nessuna particolareggiata descrizione ambientale, e i personaggi stessi sono spesso appena abbozzati, quando non ridotti a minute silhouette nere. Eppure hanno una loro inconfondibile identità e restituiscono in modo brillante la verve e le atmosfere onirico-surreali del romanzo di Collodi. Il Pinocchio di Mazzanti è un burattino smilzo e lesto, del quale l’artista offrì un primo memorabile ritratto nell’immagine d’apertura del libro, con le mani sui fianchi, vestito con una casacca fiorita, braghet- dicembre 2010 – la Biblioteca di via Senato Milano 4 te corte, un collare da clown e un cappello a cono, e dotato di un naso che non è ancora l’affusolato naso pinocchiesco al quale siamo abituati, ma il «nasone spropositato, che pareva fatto apposta per essere acchiappato dai carabinieri» di cui parla Collodi. Dietro a Pinocchio si intravedono alcuni dei prodigiosi personaggi del romanzo: il Serpente con la coda fumante, il Gatto e la Volpe, un’eterea Fata appena accennata, il colombo «più grosso di un tacchino» su cui il burattino vola fino alla riva del mare, e il terribile Pesce-cane, «l’Attila dei pesci e dei pescatori». Carlo Chiostri fu il secondo artista a illustrare le Avventure di Pinocchio, ma il primo a farlo nel vero senso del termine. I suoi disegni sono infatti un’accurata controparte visiva del 55 5 8 testo, dove la caratterizzazione psicologica dei personaggi, le scene e gli ambienti vengono resi con quella attenzione per il dettaglio che è propria del Realismo ottocentesco. Ci sono i Carabinieri con la banda rossa sui pantaloni, gente tipica della Toscana rurale e cittadina dell’epoca, animali e piante descritti in modo quasi naturalistico, e un Mangiafoco che è un vero omaccione barbuto, non un personaggio da fiaba come quello ritratto da Mazzanti (che infatti si rifà esplicitamente al Barbablù di Gustave Doré). Pubblicata a Firenze, da Bemporad, nel 1901, l’edizione illustrata da Chiostri ripropone il Pinocchio immaginato da Mazzanti, ma lo mette più a fuoco, lo definisce nella mimica e nelle espressioni. 12 dicembre 2010 – la Biblioteca di via Senato Milano 11 9 Chiostri fu anche l’illustratore scelto dal celebre stampatore Alberto Ta l l o n e , quando decise di proporre un’edizione propria delle Avventure di Pinocchio, curata dal saggista Marino Parenti. Di tale edizione la BvS possiede varie copie, tra cui la prima, pubblicata a Parigi nel 1951 (uno di dodici esemplari stampati su carta Montval Antique), e una ristampa del ’77, impressa su carta Ma- gnani con l’effigie e il nome di Pinocchio nella filigrana. Come vignetta per il frontespizio, fu scelta l’intensa illustrazione in cui Pinocchio si addentra nel ventre del Pesce-cane, in fondo al quale brilla la lucina di Geppetto (Fig. 2); per la copertina, il suggestivo ritratto di Pinocchio che vola in groppa al “grosso colombo” sopra i tetti di un paesino toscano, con un’enorme luna piena sullo sfondo (Fig. 3). 10 57 Nella nota introduttiva, Parenti definisce l’edizione talloniana un’opera «la cui origine e la sua stessa ragion d’essere muovono da sentimenti di nostalgica romanticheria, nella quale Tallone e io ci troviamo fraternamente d’accordo: ricordare la nostra infanzia per sollecitare gli altri a ricordare la propria; fare un Pinocchio per i grandi, che furono bambini quando lo fummo noi». L’imprecisa collocazione spazio-temporale delle Avventure, unita al realismo con cui Collodi descrive sia dettagli concreti (come la parrucca gialla di Geppetto «che somiglia- 58 la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2010 colori (un’inusuale accostamento di rosso e verde stinti), e, in bianco e nero, un’antiporta, una vignetta al frontespizio, 39 testatine, 37 iniziali decorate, 39 finalini e 156 illustrazioni. Questa edizione fu pubblicata a Pescia dalla Fondazione Nazionale Carlo Collodi nel 1983, in occasione del centenario delle Avventure. Ogni esemplare contiene inoltre una tavola sciolta a due colori, numerata e firmata dall’artista: l’immagine all’antiporta (Fig. 9), uno splendido ritratto del paesino Collodi, con la sua serie di casette abbarbicate al pendio, le stradine erte, e le torri che svettano va moltissimo alla polendina di granturco») sia esseri immaginari come il pescatore verde, che «invece di capelli aveva sulla testa un cespuglio foltissimo di erba verde; verde era la pelle de suo corpo, verdi gli occhi, verde la barba lunghissima, che gli scendeva fin quaggiù», amplia ulteriormente la gamma dei registri interpretativi. Infatti, tra i numerossissimi illustratori delle Avventure, alcuni, sulla scia di Mazzanti, hanno 16 18 scelto di metterne in rilievo il lato fantastico, altri hanno invece colto l’occasione per rievocare attraverso di esso un “piccolo mondo antico” fatto di persone vere, oggetti d’uso quotidiano, ambienti reali. Uno di questi è senza dubbio Sigfrido Bartolini: la BvS possiede una delle 250 copie della voluminosa edizione che egli illustrò con ben 309 xilografie eseguite in dodici anni di lavoro, di cui 36 a piena pagina a due sulla cima della collina, mostra subito il registro adottato da Bartolini. La sua interpretazione è «una sorta di grande affresco della Toscana umile e “minore”… Pinocchio e gli altri […] sembrano quasi un pretesto per raccontare la storia visiva, umorale e partecipata, di un territorio e di un modo di vivere che non esiste più». E infatti la maggior parte delle illustrazioni testuali raffigurano umili oggetti d’uso domestico dicembre 2010 – la Biblioteca di via Senato Milano 59 14 15 13 (pentole, seghe, scope, gerle, calamai), la Volpe è una vera volpe (Fig. 10), la bella Bambina una bambina in carne ed ossa – anche se con una stellina tra i capelli (Fig. 11). Tale scelta, tuttavia, non pregiudica la dimensione fantastica del romanzo di Collodi, che emerge in tavole come quella in cui Pinocchio vola in groppa al colombo (Fig. 12), o quella, straordinaria, che ritrae Pinocchio impiccato alla Quercia grande (Fig. 13). Oltre al Pinocchio di Bartolini, la BvS custodisce altre tre edizioni delle Avventure illustrate da artisti contemporanei e destinate più a un pubblico adulto che ai lettori imberbi per i quali il romanzo era originariamente stato scritto. Ciascuna di queste edizioni è infatti un in-4to in tiratura limitata e arricchito da grafiche originali firmate dai tre illustratori, Mario Schifano, Emanuele Luzzati e Francesco Musante. Schifano prende il burattino disegnato da Attilio Mussino nel 1911, lo strappa al suo babbo, alla sua fatina, a tutto il suo mondo favoloso, e ne fa il protagonista di una serie di opere di arte informale dalle pennellate violente e cupe (Fig. 14). Spicca tra le 24 tavole a colori, pubblicate da Teoria nel 1992 in un’edizione limitata a 167 copie, quella dedicata al «bell’albero carico di tanti zecchini d’oro» (Fig. 15). 21 dicembre 2010 – la Biblioteca di via Senato Milano 61 17 Luzzati ci restituisce invece un Pinocchio teatrale, ispirato al Pinocchio bazar in cielo e in terra progettato a Pescia nel 1981 con Tonino Conte in occasione del centenario della nascita del burattino. Molte delle 17 illustrazioni a colori che ornano la sua edizione delle Avventure, pubblicata da Nuages nel 1996 e limitata a 128 copie, sono scene di uno spettacolo con tanto di palcoscenico e fondali (Figg. 16 e 17), nelle quali l’abitino a fiori di Pinocchio si confonde talora in quell’esplosione multicolore che sono i disegni di Luzzati. Il burattino, anzi, scompare quasi tra le pieghe della gonna della Fatina (Fig. 18), naufrago in un meraviglioso patchwork di carte fiorite. E se la deliziosa Fatina di Luzzati sembra anche lei, con i begli occhi dipinti e due pomelli rossi sulle 22 guance, un po’ una marionetta, Musante si stacca del tutto dall’iconografia tradizionale e propone una procace Fatina sui tacchi (Fig. 19), oltre a un bizzarro Geppetto (Fig. 21) con una tuba altissima e abbigliato, come Mangiafoco (Fig. 20), di uno sgargiante completo rosso. Tutto in Musante è nuovo, dalla cuffietta a pois di Pinocchio ai cieli punteggiati di stelle e lune che fanno da sfondo alle sue tavole (Fig. 22). L’artista ha illustrato tre edizioni delle Avventure, la prima nel 2001 per l’editore torinese Fògola, adornata da dieci serigrafie stampate su carta riso Vang a 35 colori e limitata a LXXV esemplari, dei quali la BvS possiede il numero VI. Ma il vero tesoro della Biblioteca in quanto a Pinocchio sono i 25 disegni originali di Roberto Sgrilli (1897-1985). Piccole tavole di bozzetti a matita con aree colorate in arancione/ocra (Fig. 4), rosa/rosso mattone (Figg. 5, 6, 7), e azzurro 62 la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2010 20 (Fig. 8), ciascuna con sopra applicato un lucido sul quale sono delineati i dettagli in nero di ogni immagine. Otto di queste illustrazioni sono firmate dall’artista. La Biblioteca non possiede l’edizione delle Avventure per la quale questi disegni vennero eseguiti, e quindi è difficile stabilire quando essi siano stati effettivamente fatti e dove siano stati riprodotti. Secondo Baldacci e Rauch, Sgrilli illustrò due edizioni delle Avventure per la Bietti, una nel 1942 e una nel 1962 . Quella del ’42 è descritta sul catalogo collettivo online delle biblioteche italiane come un libro di 229 pagine «con 28 illustrazioni di Alberto Bianchi e 14 tavole in fotolito a colori di Roberto Sgrilli». Non può quindi essere l’edizione per la quale Sgrilli realizzò i 25 disegni, visto che questi sono illustrazioni testuali monocrome, e non tavole fuori testo a colori. Dell’edizione del 1962 non c’è traccia su internet. Si trovano invece, sempre nel catalogo collettivo delle biblioteche italiane, due edizioni che hanno «disegni nel testo di Roberto Sgrilli», la prima di 193 pagine, pubblicata nel 1978 con copertina e sei tavole fuori testo di Antonio Lupatelli (meglio noto con lo pseudonimo di Tony Wolf), la seconda sempre di 193 pagine, ma con copertina e sette tavole fuori testo di Umberto Faini, 19 priva di data di pubblicazione. Entrambi i libri sono il n. 10 della collana “Fantasia” della Bietti. Nessuno dei due si trova purtroppo in una biblioteca milanese e non ho quindi potuto verificare personalmente se i “disegni nel testo” corrispondessero agli originali della BvS. Sono invece riuscita a farmi mandare da uno studio bibliografico, le immagini dei disegni testuali di Sgrilli stampati in una copia del 1973, e con 198 (non 193) pagine dell’edizione illustrata da Antonio Lupatelli, e questa volta ci siamo: le illustrazioni sono tutte stampate in arancione e nero, ma corrispondono ai disegni custoditi in Biblioteca. dicembre 2010 – la Biblioteca di via Senato Milano 63 Per una bibliografia ragionata del Lorenzini In arte Collodi. Vita e opere del babbo di Pinocchio Slanci unitari e satira in punta di penna, tra articoli e libri vari MATTEO NOJA «…Ma il suo libro prediletto fu sempre il volume della natura e dei costumi umani, dal quale trasse la verità dello stile, e l’unico suo vocabolario fu quello che suona sulle labbra del popolo, dal quale derivò la verità della lingua» [G. Rigutini in C. Collodi, Divagazioni criticoumoristiche, raccolte e ordinate da G.R., Firenze, Bemporad, 1892]. C arlo Lorenzini nasce a Firenze il 24 novembre 1826 in via Taddea, poco distante dalla cupola del Brunelleschi. La madre, Angiolina Orzali, benché diplomata maestra elementare, lavora come sarta e cameriera dapprima presso la famiglia Garzoni Venturi e poi presso i Ginori, altra famiglia nobile del capoluogo toscano, sempre insieme al marito Domenico, cuoco. Carlo è il primogenito di dieci figli; con lui, della numerosa prole, sopravviveranno solo Paolo, Ippolito, il più piccolo, e Maria Adelaide. Carlo affidato alle cura di una zia, frequenterà le scuole elementari a Collodi, città natale della madre, in Valdinievole. Nonostante dimostri da subito uno spirito ribelle e insubordinato, viene avviato dal marchese Ginori – generosamente interessato alla famiglia e ai figli dei suoi dipendenti – agli studi ecclesiastici nel Seminario di Colle val d’Elsa ma, dopo aver dato molte prove della sua scarsa vocazione, viene mandato a finire le scuole presso i Padri Scolopi a Firenze. «E ora indovinate un po’, in tutta la scuola, chi fosse lo scolaro più svogliato, più irrequieto e più impertinente? Se non lo sapete ve lo dirò io in un orecchio: ma fatemi il piacere di non starlo a ridire ai vostri babbi e alle vostre mamme. Lo scolaro più irrequieto e impertinente ero io». [C. Collodi, Storie allegre, Firenze, Paggi, 1887] «Anch’io andavo a scuola; ma non saprei dirvi se la mia scuola fosse elementare, o ginnasiale, o liceale, perché mille anni fa, ossia ai miei tempi la scuola si chiamava semplicemente scuola, e quando noi altri ragazzi si diceva scuola, s’intendeva parlare di una stanza piuttosto grande e quasi pulita, nella quale eravamo costretti a passare sei ore della giornata, e dove qualche volta s’imparava anche a leggere, a scrivere e a far di conto» [C. Collodi in M. Parenti, Trenta anni di microfono, Milano, Ceschina, 1963]. «Gli alunni degli Scolopi o delle Scuole Pie si dividevano a loro volta in due classi: quelli che avevano ingegno e studiavano bene… andavano all’Università, o si davano a qualche professione indipendente o geniale; gli altri poi, che si erano mostrati sbuccioni o un po’ bazzotti di cervello, purché avessero i certificati comprovanti questa loro doppia incapacità, acquistavano il diritto a diventare impiegati dello Stato» [Collodi, Occhi e nasi, Firenze, Paggi, 1881]. Nel 1844 abbandona gli studi liceali e si impiega come commesso Carlo Lorenzini, in arte Collodi 64 la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2010 nella Libreria Piatti, dove dopo poco tempo ottiene l’incarico di redigere il bollettino dei libri nuovi: questo apprendistato lo porta di lì a poco a collaborare, anche se in forma anonima alla “Rivista di Firenze”. Nel 1848, a 22 anni, da acceso mazziniano qual è, si arruola volontario e parte con il fratello Paolo, ancora diciannovenne. Vengono affidati alla colonna mobile in partenza per il Veneto, con molti altri ragazzi toscani, soprattutto studenti pisani al comando del generale Giuseppe Montanelli; a Montanara, nei pressi di Mantova, si scontrano con le truppe austriache: il battaglione dei toscani viene sopraffatto e decimato dagli austriaci. Ritornato a Firenze, con il fratello Paolo, Collodi fonda per l’editore Tofani un giornale satirico illustrato di stampo democratico che ti- tola “Il Lampione”, giornale che dura sino all’aprile 1849, per essere poi ripreso nel 1850, dopo la restaurazione attuata dal Granduca. Il suo destino sarà legato sempre a quello del fratello Paolo, che sin da ragazzo è impiegato presso la manifattura Ginori e riesce a farvi carriera, tanto che, dopo essere rimasto vedovo di Luisa Romei, vedova a sua volta e ricca proprietaria di un negozio di moda in via de’ Calzaiuoli, data la sua agiata condizione lo ospiterà in casa propria: («Il fratello Paolo, col quale il Collodi conviveva, menava vita da vero signore: tre cameriere, cuoco, carrozza di fitto, villa in campagna, quartiere a Livorno, abitazione sontuosa in Firenze. Non aveva figliuoli e poteva levarsi il capriccio di buttar via parecchie migliaia di lire per farsi arrivare gli avana da Cuba, le sigarette Tocos dalla Turchia e il vin di Porto dal Portogallo». Collodi Nipote in Omaggio a Pinocchio, Lucca, “Rassegna lucchese”, anno 1952, n. 9). Copertine de Gli amici di casa e Da Firenze a Livorno (1856); frontespizio de I misteri di Francia (1857) Già condirettore de “L’Arte”, Collodi nel 1853 viene incaricato dall’agente teatrale fiorentino Lanari di fondare il giornale “Lo Scaramuccia”, che dirige sino al 1855. In quegli anni si divide tra il giornalismo e la drammaturgia. Da critico teatrale e frequentatore di quinte e palcoscenici, scrive alcune commedie: Il don Pirlone, Anna Buontalenti, Gli amici di casa, L’onore del marito, I ragazzi grandi (l’adattamento di questa commedia apparirà a puntate nel 1873, in forma di romanzo d’appendice, sul “Fanfulla”) e La coscienza e l’impiego. I suoi lavori vengono messi in scena al Teatro del Cocomero, storico teatro di Firenze che prende il nome da quello, antico, della via dove ha sede, via del Cocomero, attuale via Ricasoli. Avendo ospitato nel ’600 l’Accademia degli Infocati, sulla lunetta dell’ingresso ne mostra il simbolo, cioè una bomba; nella se- dicembre 2010 – la Biblioteca di via Senato Milano 65 Sopra da sinistra: annuncio della ripresa di Pinocchio; “Preludio” alla ripresa di Pinocchio; a destra: legatura originale e frontespizio della prima annata del “Giornale per i bambini” conda parte dell’Ottocento prende il nome di Teatro Niccolini in onore di Giambattista, celebre tragediografo. Per certo durante il Carnevale del 1854, le autorità impediscono la rappresentazione di Gli amici di casa da parte della compagnia di Fanny Sadowski e G. Astolfi (la compagnia si accontenta poi di rappresentare nello stesso teatro un testo di Leone Fortis, dal titolo Cuore e arte. Azione drammatica in sette parti). Questo lavoro è l’unico pubblicato dal Collodi che afferma di darlo alle stampe solo per non vederlo «un giorno o l’altro rabberciato e prodotto sott’altro nome e all’insaputa dell’autore». La pubblicazione gli offre l’occasione di premettere un breve scritto polemico sulla disastrosa condizione del teatro italiano, povero di buoni attori e legato a una quarantina di compagnie che, secondo il nostro autore, “vagabondeggiano” senza nessun programma. D’altronde aveva già dichiarato in un suo articolo: «Chi è quell’analfabeta, in Italia, che non sappia scrivere una commedia? Chi è quel galantuomo, fra noi, che possa chiudere gli occhi nel bacio del Signore, senza il rimorso di aver commesso un peccato mortale in quattro o cinque atti?». La frequentazione col mondo teatrale, sempre in movimento, lo tiene comunque a contatto con le nuove idee letterarie che in parte arrivano dai movimenti letterari di città come Milano; la presenza di Fortis e di altri rappresentanti della Scapigliatura a Firenze gli permette di sapere come sta cambiando il panorama culturale. Il desiderio di cacciare gli stranieri dal suolo italiano, la delusione di non esservi riusciti nel ’48 e di vedere molti degli ideali di allora calpestati, il volere scrollarsi di dosso un romanticismo ormai senza inter- 66 preti, sono i sentimenti, condivisi da molti, sui quali si basa il clima intellettuale intorno a lui. Abbandonata la direzione dello “Scaramuccia”, collabora a diverse testate. Scrive freneticamente, per passione e per naturale inclinazione, ma anche perché vuol fare soldi dall’attività di scrittore. Anche per far fronte a quel suo non innocente divertimento che gli causa frequenti problemi finanziari: la passione per il gioco delle carte. Animato da questo desiderio di ricavare sempre più soldi da quello che è diventato un serio lavoro, Collodi si mette a scrivere per il tipografo Mariani, che gli può così anticipare una cospicua somma, una “guida civile e commerciale di Firenze, Pisa e Livorno” che intitola Un romanzo in vapore. Da Firenze a Livorno. Guida storico-umoristica [1856]. Le impressioni e notizie che premette alla guida vera e propria, il termine “romanzo” nel titolo, gli servono solo per giustificare la presenza del suo nome sul frontespizio e dare all’opuscolo un tono letterario più elevato. In realtà, «…un libretto da leggersi in treno fra una stazione e l’altra, per poi farne lo stesso uso che è riserbato agli orari ferroviari, alle guide in genere e agli opuscoli pubblicitari di qualche Casa di prodotti alimentari» (così scrive Collodi Nipote). La sua attenzione e capacità di intendere quanto sta avvenendo nel mondo culturale contemporaneo è dimostrata dal tentativo di scrivere un romanzo che abbia come protagonista la città e la sua condizione sociale; nelle grandi città, infatti, a Roma e a Milano i letterati rivoltano i quartieri, scavano nei bassifondi per sortirne storie che, per mistero e pena, possano stare al pari di quelle la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2010 Frontespizio della prima edizione di Pinocchio scritte a Parigi o a Londra. La Scapigliatura e un incipiente verismo mostrano agli scrittori italiani come studiare e raccontare gli effetti della drammatica trasformazione sociale che sta avvenendo anche in Italia, dopo la prima metà del XIX secolo, immediatamente prima, immediatamente dopo la fatidica Unità. Nel 1857, anche Collodi scrive i suoi misteri, i Misteri di Firenze. Scene sociali (solo il primo volume!), che esce a dispense a partire dall’ottobre, elogiato per lo stile «vivace, spontaneo e spesso satirico»; ma è lo stesso autore che commenta, nel romanzo, come scrivere “misteri” a Firenze sia di fatto impossibile, poiché tutti sanno vita, morte e miracoli di tutti. Nella sua scrittura riesce a unire la parodia di chi lo ha precedutto, come Eugène Sue, a una sincera critica della sua città, che gli pare moralmente e politicamente decaduta. Nel 1859, legato allo spirito risorgimentale, uomo di forti anche se non clamorose passioni civili e morali, partecipa alla Seconda guerra di indipendenza italiana. Dopo l’armistizio di Villafranca, torna a Firenze e collabora alla neonata “Nazione”, quotidiano che vede la luce per l’intervento di Bettino Ricasoli. Nello stesso anno, come commentatore politico del giornale fiorentino, pubblica un libretto satirico, dal titolo Il signor Albèri ha ragione!…, su incarico della cerchia di personaggi che appoggiano il barone Ricasoli. Il pamphlet esce in risposta all’opuscolo, La politica napoleonica e quella del governo toscano del federalista cattolico Eugenio Albèri, che propugna invece l’istituzione del Regno dell’Italia Centrale, seguendo i disegni strategici di parte francese, contraria alla nascita di uno stato italiano unitario. In quegli anni, mentre la Toscana passa da Leopoldo II al Governo provvisorio e poi all’annessione al Regno d’Italia, Collodi ottiene un impiego in prefettura come censore teatrale. In una Firenze che comincia a pensare in grande, che studia e vive da capitale, la vita mondana della borghesia conosce un notevole sviluppo. I balli settimanali e nelle più importanti ricorrenze dell’anno si tengono nelle case dove abitano le famiglie più in vista. Al Circolo dei Borghesi (come viene chiamato il Casino di Firenze che era stato inaugurato da Leopoldo II), si riuniscono i giovani rampolli dell’aristocrazia e della borghesia, i commercianti arricchiti e gli impiegati amministrativi. Si tengono feste da ballo e si gioca fino all’alba, oltre che al Circolo Borghesi, al Casino dei Risorti – poi Circolo Fiorentino, in via Cavour, sull’angolo di fronte al palazzo Medici-Riccardi –, e in un dicembre 2010 – la Biblioteca di via Senato Milano locale di Palazzo Davanzati, in via della Porta Rossa. Ma anche all’Elvetichino e al Castelmur, dove al babbo di Pinocchio piace far tardi con le carte in mano, insieme all’avvocato Barsanti, a un certo Boinaghi, a un tal Mengozzi e a tanti altri; a Collodi piace soprattutto giocare ai “quadrigliati” e alla “calabresella”, varianti del “tressette”: il primo da giocare in quattro e il secondo in tre persone. Carlo Lorenzini, che dal 1859 si firma Collodi dal paese natale della madre – e anche perché il tempo passato da bambino nella tenuta della famiglia Ginori a Collodi rimane uno dei più bei ricordi della sua infanzia –, si impegna quasi esclusivamente nel giornalismo. Molti scritti di questo periodo, saranno raccolti postumi in alcune antologie curate dall’amico filologo Giuseppe Rigutini. Unico libro scritto in quegli anni è La manifattura delle porcellane di Doccia. Cenni illustrativi raccolti da C.L. edito dalla tipografia Grazzini e Giannini nel 1861. Compilato dietro incarico del fratello Paolo che ora dirige la fabbrica Ginori, viene pubblicato in occasione dell’Esposizione Italiana che si tiene in quell’anno a Firenze. Descrivendo le attività della Manifattura, Collodi trova anche il modo di lodare la politica di progresso industriale e sociale perseguita dai marchesi Ginori, che avevano istituito una scuola elementare e una professionale oltre a una cassa di mutuo soccorso, per i lavoratori della fabbrica e i loro familiari. È nel 1876 che Collodi, forse per far fronte all’ennesimo “debituccio” di gioco, accetta dai fratelli Alessandro e Felice Paggi l’incarico di tradurre dal francese una raccolta di racconti di fate. L’edizione comprende i contes di Charles Perrault, i testi di Marie-Catherine d’Aulnoy, La Belle aux chevaux d’or, L’Oiseau bleu, La Chatte blanche, La Biche au bois e le fiabe di Madame Le Prince de Beaumont, Le Prince Chéri e La Belle et la bête. All’incontro con i Contes des Fées, Collodi deve molto, soprattutto il carattere morale delle fiabe, che lo influenzò in maniera decisiva per la concezione degli altri libri per l’infanzia, ma soprattutto Pinocchio. Perrault, infatti, colloca alla fine delle sue favole delle moralités, insegnamenti morali che elevano dei racconti popolari, tramandati per lo più oralmente, alla dignità di messaggi educativi. Anche la figura della Fata dai capelli turchini (nella quale molti vedono adombrata la figura della madre di Collodi, come in Pinocchio la sua propria) è una figura mutuata dai Contes des Fées che ha la ventura di “voltàre” in italiano – dove “voltàre” non significa solamente tradurre, ma anche adattare all’immaginario del proprio paese –, così pure la sua incredibile corte di animali ben educati che guidano carrozze, danno consigli, salvano gli impiccati. 67 Appena un anno dopo, i fratelli Paggi pubblicano il primo di una serie di libri che Collodi dedica all’infanzia, prima della nascita di quel capolavoro, definito da molti “involontario”, che è Pinocchio. Il fratello Ippolito scriverà al proposito: «…[Felice Paggi] capì subito, dalla buona riuscita del lavoro [I Racconti delle fate], che il Lorenzini sarebbe stato l’uomo tagliato apposta per scrivere libri di lettura da bambini in modo da non trovar confronto. Fattasi quest’idea, incominciò a tentarlo esprimendogli l’opinione: – che il Giannetto del Parravicini, ridotto da mano maestra, a secondo della esigenza dei tempi, avrebbe recato un gran profitto, tanto alle scuole quanto a chi lo avesse pubblicato. – Ma Carlo faceva il sordo!… Finalmente messo, come suol dirsi, fra l’uscio e il muro, batti oggi, batti domani, finì col dirgli: – Quando sarà il momento lo faremo: ora non posso, non mi seccare: sono troppo martoriato dai nervi! – E qui veniamo al fatto. In una bella, anzi in una brutta mattina di carnevale del 1876, il Collodi, svegliatosi di buonora, ricorda che ha da pagare in giornata una forte somma, né sa, lì per lì, dove battere il naso per trovarla, senza pericolo di romperse- Annuncio pubblicitario per il volume edito da Paggi 68 Questa, come le altre nel testo, è una delle illustrazioni del Pinocchio stampato sul “Giornale per i bambini” lo. Pensa e ripensa! Finalmente si alza, si veste, e, preso il cappello, esce di casa e va in cerca di Felice Paggi». Assieme all’editore milanese Ulrico Hoepli, Felice e Alessandro Paggi in quel momento orientano l’intero settore della lettura infantile in Italia. La loro “Biblioteca Scolastica” è il luogo dove meglio riuscirà il programma di attualizzare le letture infantili, «a secondo della esigenza dei tempi», e dove riusciranno a spingere un riluttante e pigro giornalista politico a rendere più vicine ai ragazzi di allora le avventure di Giannetto, personaggio creato nel 1837 dal pedagogista e direttore scolastico milanese Luigi Alessandro Parravicini [1800-1880] e protagonista di uno dei più famosi libri per l’infanzia del primo Ottocento. Collodi, così scopre un aspetto pedagogico della letteratura che fino ad allora non aveva esplorato, inserendosi in quel movimento posteriore al 1871 che la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2010 perseguiva l’idea di una continua e completa alfabetizzazione dell’infanzia del nostro paese. In Giannettino, vero e proprio libro scolastico, mentre conserva la struttura mista di narrazione e nozioni del Giannetto originale, Collodi ne rinnova profondamente lo stile, sia per l’uso che fa della lingua sia per l’approccio umoristico alle vicende del protagonista, un discolo nel quale gli scolari potevano facilmente identificarsi. Il successo gli permette di scrivere un’intera serie, edita sempre dai fratelli Paggi, di cui fa parte anche Minuzzolo, un piccolo amico di Giannettino presente nel primo libro. Alcuni titoli della serie incontrano il favore degli insegnanti e, soprattutto, degli scolari, tanto da venire ristampati continuamente e utilizzati nelle scuole, aggiornati, fino a tutti gli anni ’20 del Novecento, per rimanere poi, ancora come libro di lettura, fino a tutti gli anni ’60 del secolo scorso. La serie dei Giannettini viene chiusa da La lanterna magica di Giannettino [1890], che prende spunto da un divertimento allora di moda, precursore del cinematografo, per permettere di spaziare tra argomenti scientifici, geografia e storia – particolarmente la storia allora recente del Risorgimento. Con il successo di Giannettino è considerato un rappresentante autorevole della letteratura per bambini. Ferdinando Martini – che aveva già fondato il “Fanfulla della domenica” nel 1879 – prepara l’uscita del “Giornale per i bambini” coadiuvato dall’amico Guido Biagi. Ovviamente entrambi non vogliono lasciarsi sfuggire la collaborazione di Collodi. Biagi soprattutto, conoscendo bene la sua pigrizia ma anche le piccole traversie economiche che la passione del gioco gli provocano, lo blandisce a lungo cercando di convincerlo. Le lusinghe però restano disattese per molto tempo. Una “bella” mattina della primavera del 1881, così come era avvenuto per Giannettino, dopo una ennesima notte di sfortuna al gioco (come narra Marino Parenti) il nostro autore si decide a cedere alle lusinghe degli amici e invia a Biagi alcune cartelle scritte, con una breve nota: «Ti mando questa bambinata, fanne quel che ti pare; ma se la stampi, pagamela bene per farmi venir la voglia di seguitarla». Così nasce, quasi per caso, abbiamo detto quasi “involontariamente”, Pinocchio, con il titolo Storia di un burattino e l’incipit famoso: «C’era una volta... — Un re! — diranno subito i miei piccoli lettori. — No, ragazzi, avete sbagliato. C’era una volta un pezzo di legno». Nel primo numero del 7 luglio 1881 a p. 3 appaiono i primi due capitoli, poi, come riporta Parenti nelle sue Rarità bibliografiche dell’Ottocento [Firenze, Sansoni Antiquariato, 1953] nella prima parte le puntate si succedono così: • 2, cap. III nel n.2 del 14 luglio 1881, p.17; • 3, cap. IV-V-VI nel n.5 del 4 agosto 1881, p.65; • 4, cap. VII nel n.7 del 18 agosto 1881, p. 99; • 5, cap. VIII-IX-X nel n.10 dell’8 settembre 1881, p.145; • 6, cap. XI-XII nel n.11 del 15 settembre 1881, p. 173; dicembre 2010 – la Biblioteca di via Senato Milano • 7, cap. XIII nel n.16 del 20 ottobre 1881, p.241; • 8, cap. XIV nel n.17 del 27 ottobre 1881, p.261. All’ultima puntata però i giovani lettori restano con l’angoscia che Pinocchio possa essere acciuffato dai briganti assassini: le ultime frasi sono minacciose. «E già si figurava che fossero bell’e affogati, quando invece, voltandosi a guardare, si accorse che gli correvano dietro tutti e due, sempre imbacuccati nei loro sacchi e grondanti acqua come due panieri sfondati». Tanto che una bambina scrive al giornale: «…aspetto sempre con grande ansietà il seguito delle sue avventure [di Pinocchio], quando al sig. Collodi piacerà di narrarcelo». Ferdinando Martini, quasi a ogni numero, cerca di rassicurare i piccoli lettori scrivendo «Il signor C. Collodi mi scrive che il suo amico Pinocchio è sempre vivo e che sul suo conto potrà raccontarvene ancora delle belline…». I lettori devono pazientare ancora mesi e con loro qualche lettore meno piccolo, stando alla foga con cui un personaggio importante come Giosuè Carducci sollecita prima a Ferdinando Martini e poi all’amico editore Angelo Sommaruga l’invio dell’abbonamento al giornale (nominalmente per la figlia Titti, ma chissà che anche lui non gli abbia dato una sbirciatina). [Gli originali delle lettere dirette a Sommaruga sono presenti nel Fondo Sommaruga della BvS]. Collodi continua le avventure del suo burattino solo nel numero 7 del 16 febbraio 1882. A questa nuova parte delle avventure di Pinocchio, premette un breve preludio che reci- ta: «Tutti quei bambini piccoli e grandi (dico così, perché dei bambini in questo mondo ce ne sono di tutte le stature) ripeto, dunque tutti quei bambini piccoli e grandi che volessero per caso leggere le Avventure di Pinocchio, faranno bene a ridare un’occhiata all’ultimo capitolo della Storia di un burattino: capitolo uscito nel numero 17 di questo giornale, 27 ottobre 1881. Lettore avvisato, mezzo salvato». Sembra che così la narrazione possa correre d’un fiato sino alla fine. Ma non è così: alcune pause in marzo, il salto di tutto il mese d’aprile, poi ancora sei settimane di pubblicazione giusto fino all’interruzione del numero 22 del 1º giugno 1882. Parenti scrive: «Ma il Collodi non ne aveva più voglia; forse pensava di smetterla e abbandonare giornale e burattino; forse la lotta interna fra il desiderio di metter, finalmente, la testa a partito e il fascino del giuoco e della vita notturna, lo estenuava, gli toglieva la possibilità di affezionarsi a quella sua creatura, che pur gli aveva dato qualche soddisfazione e che doveva riservargliene di grandissime. «Forse era un senso di ribellione a ogni vincolo di scadenza, com’era sempre stato ribelle, da impiegato di prefettura, agli orari e alle gerarchie. Ma sotto il suo fare burbero e accigliato egli nascondeva un’anima dolcissima e particolarmente sensibile agli impulsi delle anime semplici: e furono le parole di un’anima semplice che decisero, definitivamente, la sorte di Pinocchio. «Un bel giorno, fra le molte 69 lettere che gli pervenivano, ne giunse una di un bimbo romano, che pareva comprendere in sé il desiderio vivissimo di tutti i bimbi d’Italia: “Gentilissimo signor Collodi, – scriveva – il suo Burattino superiore a tutti i burattini del mondo, perché oltre a divertire istruisce, ci ha messo in uzzolo di sentire la continuazione senza lunghi intervalli. La prego adunque, anche a nome del babbo e della mamma e dei miei compagni di scuola, a scrivere più spesso ed a far sí che il Pinocchio trovi in ogni numero del nostro giornale il posto riservato che si merita”» [M. Parenti in Omaggio a Pinocchio, op. cit.]. A queste parole, forse con il rimorso di aver suscitato tanto interesse e tante attese insoddisfatte, Collodi riprende a narrare le ultime avventure. Dal n. 47 del 23 novembre 1882 sino al numero 4 del 25 gennaio 1883, conclude la vicenda di Pinocchio facendolo diventare un bambino vero. Pochi giorni dopo l’uscita dell’ultimo numero del giornale, l’editore Paggi raccoglie in un volume tutte le sparse puntate; le fa illustrare dall’ingegnere Enrico Mazzanti, che Collodi conosce sin dal tempo dei Racconti delle fate: la sua interpretazione, con quella realizzata da Carlo Chiostri, costituiranno l’immagine a cui si ispireranno per anni molti altri illustratori. Nello stesso 1883, dietro le reiterate insistenze di Martini e di Biagi, diventa direttore del “Giornale dei Bambini”. Negli ultimi anni, Carlo Lorenzini continua a pubblicare alcune storie legate a Giannettino, mentre Pinocchio comincia ad aver successo in tutto il mondo. 70 Carlo Lorenzini, in arte Collodi, muore il 26 ottobre 1890, qualcuno narra, battendo all’uscio di casa. «Alla sua morte gli eredi trovarono, oltre tutto il suo corredo personale di abiti e di biancherie, un orologio d’oro con catena d’oro, un anello con brillante, un altro a sigillo con le iniziali C.L. incise in una corniola, tutto il suo studio con due grandi artistiche vetrine colme di libri, e per di più ventimila lire in denaro contante. Per quell’epoca erano qualche cosa». [Collodi Nipote, in Omaggio a Pinocchio, op. cit.]. Bibliografia di Carlo Collodi 1856 Gli amici di casa. Dramma in due atti Firenze, G. Riva; 85 p. , 16 cm [poi, dal 1858: Firenze, A. Romei] 1856 Un romanzo in vapore. Da Firenze a Livorno. Guida storico-umoristica Firenze, tipografia di G. Mariani; XIV, 224 p., 15 cm 1857 I misteri di Firenze. Scene sociali. Volume primo Firenze, Fioretti; 268 p., 19 cm 1859 Il sig. Albèri ha ragione!... Dialogo apologetico Firenze, Tipografia Galileiana; 21 p., 16 cm 1861 La manifattura delle porcellane di Doccia. Cenni illustrativi raccolti da C.L. Firenze, tip. Grazzini, Giannini e C.; 24 p., 24 cm 1876 I racconti delle fate, voltati in italiano da C. Collodi Firenze, Felice Paggi; 304, VI p., 18 cm 1877 Giannettino. Libro per i ragazzi Firenze, F. Paggi (Biblioteca scolastica); 246, VI p., 19 cm Sul front.: Approvato dal Consiglio scolastico 1878 Minuzzolo. Secondo libro di lettura (seguito al Giannettino) Firenze, F. Paggi; 278 p.,18 cm 1880 Macchiette Milano, G. Brigola e C.; 250 p., 18 cm la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2010 1880 Il viaggio per l’Italia di Giannettino. Parte prima (L’Italia superiore) Firenze, F. Paggi; 320 p., 19 cm 1881 Occhi e nasi. Ricordi dal vero Firenze, F. Paggi (Biblioteca ricreativa); 242 p. ; 19 cm. 1881 Storia di un burattino (Giornale dei bambini di Ferdinando Martini) 1883 La grammatica di Giannettino per le scuole elementari (poi, 1884: La grammatica di Giannettino adottata nelle scuole elementari di Firenze) Firenze, F. Paggi; 112 p., 20 cm 1883 Il viaggio per l’Italia di Giannettino. Parte seconda (l’Italia centrale) Firenze, F. Paggi; 319 p., 19 cm 1883 Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino illustrata da E. Mazzanti Firenze, F. Paggi; 236 p., 18 cm. 1884 Il regalo del Capo d’Anno. Descrizione degli usi e costumi di alcuni popoli meno conosciuti, Torino, Paravia; 32 p., 24 cm [edizione illustrata da E. Mazzanti] 1884 L’abbaco di Giannettino per le scuole elementari Firenze, F. Paggi; 66, VIII p., 19 cm 1885 Libro di lezioni per la seconda classe elementare, secondo gli ultimi programmi Firenze, F. Paggi (Biblioteca scolastica); 135 p., 19 cm 1885 Un’antipatia. Poesia e prosa [con: Memorie d’un cacciatore di L. Grande] Roma, Perino (Biblioteca umoristica); 91 p., 18 cm 1886 La geografia di Giannettino Firenze, F. Paggi; 97, IV p., 20 cm 1886 Il viaggio per l’Italia di Giannettino. Parte terza (l’Italia meridionale) Firenze, F. Paggi; 300 p., 19 cm 1887 Storie allegre Firenze, F. Paggi; 197, VII p., 19 cm 1889 Libro di lezioni per la terza classe elementare, secondo gli ultimi pro- grammi Firenze, F. Paggi (Biblioteca scolastica); 192 p., 19 cm 1890 La lanterna magica di Giannettino. Libro per i giovanetti Firenze, Bemporad; 199 p., 19 cm Opere in collaborazione: 1862 Le Bagnature. Strenna [S.l. : s.n.], 1862 (Siena, Tip. nel R. Istituto dei Sordo-muti) 63 p. : ill.; 22 cm. Contiene di Collodi: Le acque di Montecatini, e Un cuore e una soffitta. Romanzo da tasca 1876 Calenzoli, Giuseppe Dialoghi e commedine. Seconda edizione con aggiunte e una lettera di C. Collodi, Firenze, G.C. Sansoni; VII, 193 p.; 18 cm Opere postume: 1892 Divagazioni critico-umoristiche, raccolte e ordinate da Giuseppe Rigutini Firenze, Bemporad & Figlio (Biblioteca ricreativa); VIII, 294 p., 19 cm 1892 Note gaie, raccolte e ordinate da Giuseppe Rigutini Firenze, Bemporad & Figlio (Biblioteca ricreativa); XVI, 295 p., 20 cm 1941 Bettino Ricasoli, Camillo Cavour, Luigi Carlo Farini, Daniele Manin : biografie del risorgimento pubblicate in occasione delle onoranze fiorentine a Carlo Lorenzini Firenze, Marzocco; 47 p., 18 cm 1989 I ragazzi grandi. Bozzetti e studi dal vero, a cura di Daniela Marcheschi; con una nota di Carlo Alberto Madrignani, Palermo, Sellerio (La Memoria); 130 p., 17 cm 1990 Cronache dall’Ottocento, a cura di Daniela Marcheschi Pisa, ETS; 129, 17 cm. Raccolta di articoli giornalistici, prima mai ristampati, pubblicati da Carlo Collodi (sotto vari pseudonimi) nei giornali umoristici del tempo la Biblioteca di via Senato la Biblioteca di via Senato Milano mensile Milano anno II n.3 – marzo 2010 Pasolini: l’affaire “Petrolio”, e una mostra di scatti e libri Luigi Mascheroni e Matteo Tosi Dopo 30 anni , una nuova bio di Malaparte? Giordano Bruno Guerri I furti di Napoleone esposti al Louvre Chiara Bonfatti Questo “bollettino” mensile è distribuito gratuitamente presso la sede della Biblioteca in via Senato 14 a Milano. Chi volesse riceverlo al proprio domicilio, può farne richiesta rimborsando solamente le spese postali di 20 euro per l’invio dei 10 numeri. Versamento a mezzo bonifico intestato a “Fondazione Biblioteca di via Senato - via Senato 14 - Milano” presso Monte dei Paschi di Siena, agenzia di Segrate IBAN: IT 60 K 01030 20600 000001941807 Nome Cognome indirizzo a cui si intende ricevere la rivista Milano la Biblioteca di via Senato Inviare la scheda di abbonamento unitamente a copia del bonifico effettuato al numero di fax 02.782387. Per l’attivazione dell’abbonamento farà fede la ricezione del fax compilato secondo le modalità descritte telefono mail CF / Partita IVA firma consento che i miei dati personali siano trasmessi ad altre aziende di vostra fiducia per inviarmi vantaggiose offerte commerciali (Legge 675/96) Barri la casella se intende rinunciare a queste opportunità 72 la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2010 La pagina dei lettori Bibliofilia a chiare lettere Commenti dei visitatori alla mostra “Dante e l’Islam” Lo stupore, come l’utopia, può essere il motore del mondo! Molto bello è l’insieme dei colori. Grazie per quello che offre l’affascinante mostra “Dante e l’Islam”. Carmelo Calò Carducci e Elena Giorgio Pasquale Capriotti La Mostra è molto interessante ma per saperne di più consiglio di leggere “Inferno 28” di Michelangelo Coviello (ed. La Vita Felice) Ma poiché Maometto col suo viaggio in Paradiso e annessi ha ispirato Dante nel concepire un analogo viaggio... e Dante lo ha ripagato ficcandolo all’Inferno tra i ribelli al Papa e lo ha ritratto in sconvenienti pose... non sarebbe stato giusto che tra le tante edizioni esposte della Commedia, almeno una venisse aperta alla lettura di quei versi (anche se non sono tra i migliori del Sommo Poeta)? Giacomo Gaglioffi Complimenti per il rigore della vostra mostra e per l’avvincente allestimento multimediale con cui avete raccontato “Dante e l’Islam”, anche se devo ammettere che ho fatto fatica a seguire gli approfondimenti dei vari monitor. Un po’ per la mia età, certo, ma forse in parte anche per l’eccessiva velocità con cui ogni schermata lasciava posto alla succecciva Mariarosa Bonacina La cosa è molto interessante, solo respetto a mia vista ce un errore respetto all’arabo (vasi girati) e tapeto nel Inferno. Grazie. Youssef Padre Dante, perdona per come la lingua di oggi ti abbia Se volete scrivere: [email protected] Tutti i numeri sono scaricabili in formato pdf dal sito www.bibliotecadiviasenato.it Una prima occhiata! Ma poi è necessario tornare e rifletterci! In ogni caso Mostra stupenda e stupendamente allestita. Pablo Rossi dimenticato! Mostra di bellissimo allestimento. Carla Maria Mostra emozionante dal respiro multisecolare. Dante e gli Arabi si rispecchiano e brillano di luce riflessa. Maria Giovanna Forlani Interessante, mi ha fatto tornare la voglia di studiare Dante! Giulia qui. La IV B è stataLiceo Scientifico “Niccolò Machiavelli” (Pioltello – Milano) Ottimo allestimento, anche se mi aspettavo maggiori riferimenti alle fonti arabe del Purgatorio. Angelo PLEASE VISIT WWW.DAMIANI.COM - INFO 800 56 56 56 - UN VALORE GARANTITO NEL TEMPO HANDMADE IN ITALY SINCE 1924 COLLEZIONE PARADISE MILANO: VIA MONTENAPOLEONE • ROMA: VIA CONDOTTI • FIRENZE: VIA DE’ TORNABUONI • VENEZIA: SALIZADA SAN MOISÈ SAN MARCO • NAPOLI: VIA FILANGIERI • PORTO CERVO: PIAZZETTA PORTOCERVO • TORINO: VIA ROMA • VERONA: VIA MAZZINI • BOLOGNA: VIA FARINI • IN TUTTE LE GIOIELLERIE ROCCA E IN SELEZIONATI RIVENDITORI AUTORIZZATI COLLEZIONE PARADISE A PARTIRE DA 2.485 EURO. NELLA FOTO: ANELLO CON DIAMANTI E ZAFFIRI A 4.485 EURO E ANELLO CON DIAMANTI A 5.980 EURO.