Maria e Mario Fornero
Cammin facendo
Maria e Mario Fornero
Cammin facendo
Prima edizione: ottobre 2011
Seconda edizione: maggio 2012
Dedichiamo questo libro alle persone che hanno segnato il nostro
cammino e in particolare a chi ha condiviso con noi l’esperienza di
volontariato.
Il nostro ricordo e il nostro grazie al Canonico don Giuseppe Riva,
fondatore della “Comunità Impegno Servizio Volontariato”
(CISV). Passato a “nuova vita” il 22 luglio 2003.
Alle persone che con noi hanno condiviso il periodo trascorso in
Burundi (Africa):
Gabriella Ambrosi e Elio Perosino, Maria Ardu, Carla
Marchisio, Mira Mondo. Anche Carla ci ha lasciati il 30 marzo
del 2009. “Quelli che sono morti non sono mai partiti” (Birago
Diop.
A chi ha vissuto con noi nella “fraternità di Reaglie” e nella
“fraternità di Albiano”.
Un ringraziamento a tutta la “Comunità CISV” che nei circa 40
anni di appartenenza ci ha accolti e introdotti alla vita di fraternità
e al volontariato internazionale.
Sono tante le persone che meriterebbero di essere nominate, ma il
rischio di dimenticarne qualcuna è molto forte.
La fratellanza nei loro confronti è sempre viva e indimenticabile.
Maria e Mario
Sommario
Sommario
1
Premessa
3
Alla ricerca delle nostre radici
5
Il mondo del lavoro
6
Cenacolo operaio
7
Il Concilio Ecumenico Vaticano II
9
Il Vangelo e la dottrina sociale della Chiesa
10
Per noi è il primo contatto con l’Africa
12
Inizia per noi un nuovo cammino
13
I campi di lavoro
16
Il pensiero ritorna all’Africa
19
Il Burundi: paese dalle mille colline
21
Un’altra sfida ci attende
24
La partenza per il Burundi
25
Da una crisi, vissuta con sofferenza, alla rifondazione della Comunità.
31
Un volontariato internazionale che cambia.
35
Il nostro trasferimento a Locana.
38
Allegati
41
1
2
Premessa
Mettendo in ordine i nostri appunti, ci siamo accorti che sono molti
quelli che riguardano la nostra vita, il nostro cammino.
Avevamo tentato di tenere un diario aggiornato, ma non ci siamo
riusciti. Ha ragione Norberto Bobbio che nel suo libro “De
senectute”, (citando John Ruskin) dice: “E’ una gran seccatura
tenere un diario, ma anche una grande delizia averlo tenuto”.
Ne parlavamo sovente tra di noi se era il caso di utilizzare i nostri
appunti, anche perché alcune persone ci avevano chiesto di
scrivere un libro che raccontasse la nostra vita. Ma non trovavamo
una motivazione valida. Se ci siamo decisi a farlo è perché oggi
vivendo fuori dalla Comunità e ripercorrendo il cammino fatto
sono emerse due motivazioni: rileggere le nostre radici e dire il
nostro grazie alla Comunità CISV (Comunità Impegno Servizio
Volontariato).
Lo scrivere è anche un aiuto a riflettere sul cammino fatto.
“…l’uomo che pensa davvero scrive lettere agli amici”(1)
(1) G. Ceronetti, La nostra libertà di sgrammaticare. La Stampa
3
4
Alla ricerca delle nostre radici
Nel 1945, il 6 agosto, gli americani sganciano nella città di
Hiroshima la prima bomba atomica. In Italia finisce il fascismo,
con la guerra di liberazione i partiti si preparano per le elezioni:
Democrazia cristiana e Partito comunista.
Nel 1948 alcuni giovani della nostra parrocchia, (ed io tra di loro)
partecipano al “Convegno Nazionale per celebrare gli ottanta anni
della Gioventù Italiana dell’Azione cattolica”. A Roma siamo
qualche migliaia e con il canto del Credo si fa “donazione gioiosa
per riportare la Pace di Cristo nei cuori e nelle nazioni”.
Quel convegno viene ricordato come convegno dei “baschi verdi”.
Passeggiando per Roma riceviamo gli “sfottò” di chi non la pensa
come noi; però niente botte, niente cassonetti incendiati, niente
bastoni e vetri in frantumi.
Gli anni di frequentazione dell’oratorio e i sacerdoti incontrati sul
nostro cammino hanno rafforzato la nostra fede. Maria frequenta
l’oratorio femminile e io quello maschile delle Parrocchia di San
Gioacchino di Torino. Nell’oratorio femminile ci sono le suore di
Mortara, molto preparate soprattutto per la formazione delle
giovani; Maria ricorda bene i momenti di ricreazione, con giochi,
canti e balli. Poi i momenti di formazione con gare di catechismo e
premi alla vincitrice. Maria fa anche parte della “cantoria”, il
maestro é don Nicolino Rocchietti che ha formato un coro a tre
voci.
Io frequento l’oratorio dei giovani e Maria quando mi incontra
abbassa la testa, troppo giovane per pensare all’amore, cerca di
5
dare la precedenza alla scuola, frequenta ragioneria al Sommeiller
di Torino.
Poi nel ’54 ci dichiariamo di essere innamorati l’uno dell’altra.
Maria, finiti gli esami si diploma e subito trova lavoro. Io lo stesso
anno parto per il militare.
Al mio ritorno pensiamo seriamente al nostro futuro.
Nel 1957 ci sposiamo e realizziamo il nostro sogno.
Il mondo del lavoro
Io nel 1955 vengo assunto alla FIAT, alla Grandi Motori, nel
reparto fonderia; per me è un salto in una realtà molto dura. Avevo
lasciato un lavoro da scultore in legno presso una bottega
artigiana, ma in quel periodo non vi era più lavoro, cambiavano i
gusti nella scelta dei mobili e molti lavori venivano fatti a
macchina.
Nel 1965 il giornale “Crescita Democratica” pubblica un mio
articolo dal titolo: “Pensieri di un operaio” dove scrivo: ”Di notte
sognavo le colate di ghisa incandescente, la silicosi, gli scioperi.
Sognavo la figura del cappellano, del capo squadra che mi credeva
comunista e del comunista che mi chiamava don Mario”. Termino
l’articolo così: ”Ripenso a tutte queste cose e mi chiedo se ho
seguito i consigli di quel dirigente di Azione Cattolica; in un libro
che mi regalò vi è questa dedica ‘Ricordati sempre la tua
appartenenza alla “terra dei vivi”, la terra della verità e
dell’amore, la terra del Cristo’”. Una cosa è certa, ringrazio il
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Signore che ci ha dato la forza di non cadere nel peccato di
rassegnazione.
Dopo alcuni anni, dalla Grandi Motori vengo trasferito alla
Materferro e poi al Centro Stile.
Cenacolo operaio
Ed è qui che con alcuni operai e con Elio Perosino e Rosario
Cappa, carissimi amici, diamo vita ad un gruppo denominato
“Cenacolo operaio”. Lo scopo é quello di contribuire, nei limiti
del possibile, ad accrescere quella formazione sociale e culturale
indispensabile in una società che sta vivendo forti cambiamenti.
Ogni due mesi un gruppo di una decina di operai si incontrano, a
casa nostra, e si confrontano su un tema stabilito in precedenza.
Nell’ottobre del 1967 diamo il via ad un opuscolo dal titolo:
“Occasioni di dialogo”, un bollettino di poche pagine che
documenta i nostri incontri, i temi trattati e un invito “ai giovani a
vivere con noi lo spirito che anima i nostri incontri, che, senza
accademiche
pretese
culturali,
vogliono
essere
semplici
“Occasioni di dialogo”. Nel primo numero Elio Perosino racconta
del periodo vissuto in Germania dove si era recato a lavorare
come operaio specializzato.
L’amico e collaboratore Rosario Cappa racconta la sua passione
per la musica lirica e nel numero di gennaio 1969 scrive un
articolo sul “dramma della fame nel mondo”. Nello stesso numero
viene riportata una lettera aperta indirizzata a Paolo VI che si
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preparava a partire per la Colombia, firmata da “Monsignor
German Guzman e i cristiani colombiani, sacerdoti e laici.”
Un passaggio della lettera dice: ”Lei, fratello, visiterà un
continente in cui milioni di uomini sono vittime della miseria, della
fame e sono in condizioni infraumane di vita, causate da un
ordinamento sociale inumano e, per questo, non cristiano”.
Vi è pure un articolo di Elio Perosino dal titolo “Mondo operaio e
cultura”, dove scrive:”Il mondo è rimpicciolito: i nostri nuovi
vicini di casa sono gli schiavi dell’America Latina, i disgraziati
vietnamiti e gli affamati dell’India. Ignorare oggi che esiste una
simile umanità, equivale ad accettarne la realtà e la fatale
inevitabilità.
Un giorno il responsabile del giornale “Crescita democratica” mi
avverte che il prof. Allara, rettore dell’Università di Torino mi
vuole incontrare.
Mi reco all’incontro con un po’ di preoccupazione, ma il Rettore
mi incoraggia a continuare l’iniziativa del “Cenacolo operaio”,
non solo, mi propone di fare gli incontri all’Università. Mi ricordo
una sua frase: “Sarebbe la prima volta che l’Università apre le
porte agli operai”. Non solo, ma mi dice che se abbiamo bisogno ci
metterà a disposizione dei professori per i nostri incontri.
Ne parliamo nel gruppo e tutti accettano la proposta del prof.
Allara.
Oltre agli incontri di gruppo si organizzano conferenze e si allarga
l’invito ad altri operai. Voglio qui ringraziare tutte le persone che
con me hanno lavorato nell’organizzazione di tutto questo.
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Il “Cenacolo operaio” ha preso il via nel 1964 e dopo sei anni si
chiude questa iniziativa e per me e Maria e l’amico Elio cresce
l’interesse per l’Africa.
Il Concilio Ecumenico Vaticano II
L’11 ottobre 1962 nella Basilica di S. Pietro, trasformata in Aula
Conciliare, ha inizio il Concilio Ecumenico Vaticano II. E’
Giovanni XXIII che il 25 gennaio 1959 presenta ai Cardinali
l’intenzione di indire un Concilio. I Padri che vi partecipano
durante i quattro periodi sono circa 2.400. La fine del Concilio,
per i cristiani é come una ventata di aria fresca.
Impariamo, ad esempio, che il “Popolo di Dio” è la Chiesa; viene
riformata la liturgia e il latino sostituito con l’italiano. Nel
“Decreto sull’apostolato dei laici”, al Capitolo IV troviamo
scritto: “Salva la dovuta relazione con l’autorità ecclesiastica, i
laici hanno tutto il diritto di creare associazioni e guidarle, e dare
il proprio nome a quelle già esistenti”.
Ed è proprio in questo periodo che nascono nuove associazioni e
comunità.
In un libro di Teofilo Cabestrero, pubblicato nel 1979 dal titolo:
“La fede nel pluralismo della cultura – conversazione con 16
teologi” – Cittadella editrice, troviamo una intervista fatta al
teologo prof. RATZINGER. Nel capitolo “Il futuro della Chiesa sta
nelle comunità”, vi è una sua dichiarazione: “… il compito di
rinnovamento e di purificazione della fede non può essere
realizzato da una centrale ecclesiastica, da una Chiesa che sta, per
9
dir così, sopra di noi, ma si può verificare solo nel servizio comune
dei diversi organi e delle diverse cellule vive della Chiesa.”
Il Concilio termina nel 1965 e nella società si vivono fermenti e
cambiamenti, nel 1968 i giovani la fanno da protagonisti. Sembra
che tutto venga messo in discussione: la cultura, la politica, la
religione. Nascono i “cristiani per il socialismo”
Il Vangelo e la dottrina sociale della Chiesa
Per quanto riguarda il nostro cammino, chiuso il “Cenacolo
operaio” con Elio continuiamo ad incontrarci e prendere in mano
il Vangelo e fare un confronto con il nostro vivere quotidiano.
Impegnati in questi incontri facciamo il punto sul fatto che nel
Vangelo Gesù ci dice che “se soccorrete i poveri, gli affamati, i
forestieri, tutte queste cose le avete fatte a me.” (Mt.25-40). Nel
Vangelo i poveri hanno molto spazio e Gesù si identifica con loro.
Conclusione: se non ci occupiamo del poveri, se non siamo solidali
nei loro confronti non possiamo dirci cristiani.
Nel documento del Concilio dal titolo “Le condizioni dell’uomo nel
mondo contemporaneo” al capitolo V “La promozione della Pace
e la Comunità Internazionale” si legge: “Sono pertanto da lodare
e da incoraggiare quei cristiani, specialmente i giovani, che
spontaneamente si offrono a soccorrere gli altri uomini e le altre
nazioni”.
Nell’Enciclica “Populorum progressio” (1967), Paolo VI lancia un
appello: “Ai nostri figli cattolici appartenenti ai paesi più favoriti,
noi domandiamo l’apporto della loro competenza e della loro
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attiva partecipazione… che si dedichino a vincere le difficoltà delle
Nazioni in via di sviluppo”. Anche la “dottrina sociale della
Chiesa” ci invita a indirizzare il nostro impegno verso i paesi
poveri.
Da parte nostra, durante gli incontri e le riflessioni con Elio,
decidiamo di unire le nostre forze e i nostri risparmi anche se non
sappiamo ancora cosa ne faremo.
Un giorno, in occasione di una nostra visita ad un sacerdote, don
Carlo Vallaro, già nostro Assistente nella parrocchia di San
Gioacchino, chiediamo se conosce qualche missionario disponibile
ad accoglierci per un breve periodo in Africa. Don Carlo ci dà
l’indirizzo di un missionario della Consolata che opera in
Tanzania, padre Franco Cravero, che sarebbe disponibile ad
accoglierci.
Dalla lettera da noi inviata ci conferma la sua disponibilità
informandoci che vi è anche un gruppo di Torino intenzionato a
fargli visita. Prendiamo contatti e invitiamo qualcuno di loro a
venirci a trovare a casa nostra; scopriamo che è un gruppo della
parrocchia di S. Giulia di Torino. Tra loro solo don Sebastiano
confermerà la disponibilità di condividere con noi il viaggio in
Tanzania.
Il gruppo sarà poi formato da: don Sebastiano Galletto, vice
parroco di S. Giulia, Maria Grazia, infermiera, Enzo. cognato di
Maria, Elio e Maria ed io.
Nell’agosto del 1970, approfittando del periodo delle ferie e dei
risparmi messi in comune con Elio partiamo per la Tanzania.
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Per noi è il primo contatto con l’Africa
Padre Franco Cravero ci accoglie nella missione di Ngololo,
diocesi di Iringa, una missione di frontiera, povera, dove il
missionario ci dà la possibilità di conoscere da vicino una
popolazione che vive nella savana, in una realtà molto dura. Enzo,
Elio ed io aiutiamo nei lavori di costruzione di una fornace per
cuocere i mattoni. Maria, oltre alla gestione della cucina e alla
preparazione dei pasti, dedica del tempo alle ragazze che vogliono
imparare a cucire. Per Maria Grazia, l’infermiera, il lavoro non
manca; la notizia della sua presenza ha come conseguenza
l’accorrere di molta gente che chiede di essere curata.
Don Sebastiano affianca don Franco nelle attività della
parrocchia. Alcune volte padre Franco ci porta nei villaggi dove ci
presenta come suoi parenti. L’ambiente in cui la gente vive è quello
tipico della savana e notte e giorno alcuni uomini proteggono il
villaggio dai leoni. Ma è quando rientriamo in Italia che ci
rendiamo conto che qualcosa è cambiato. L’esperienza vissuta in
Tanzania ha lasciato il segno. Quando alla sera Elio viene a
trovarci ci guardiamo in faccia e ci chiediamo: “E adesso, cosa
facciamo?” Gli incontri tra di noi si susseguono uno dopo l’altro,
cerchiamo di capire la strada da seguire. Decidiamo di scrivere a
padre Franco dicendo che vorremmo tornare da lui. Nella lettera
di risposta ci dice di pazientare, se ne parlerà quando, fra un anno,
verrà in vacanza.
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Ma un giorno, don Sebastiano, con il quale abbiamo fatto il
viaggio in Tanzania, ci telefona dicendo che il suo parroco ci invita
a recarci a trovare la comunità da lui fondata e far vedere le
diapositive del viaggio in Tanzania. E’ un sabato, la sede della
comunità si trova in corso Chieri, dove incontriamo, oltre ai
residenti in comunità, molti giovani. E’ il mese di ottobre del 1970,
noi (Elio, Maria ed io) raccontiamo del nostro viaggio, con l’aiuto
delle diapositive, ma in particolare che cosa ha significato per noi.
Terminato l’incontro ci congediamo. Mentre stiamo lasciando la
comunità, don Riva, il fondatore, ci corre dietro e prendendoci
sotto braccio ci chiede: “Volete frequentare la nostra comunità?
Sabato prossimo abbiamo un incontro di “fraternità”, siete
invitati. Ci guardiamo in faccia e qualcuno di noi risponde:
“Perché no?”.
Siamo nell’ottobre del 1970, è una data che cambierà la nostra
vita.
Inizia per noi un nuovo cammino
Ora facciamo parte di una Comunità che condivide solidarietà,
comunione di beni, preghiera, una Comunità che si ispira alle
prime comunità cristiane: “Essi ascoltavano con assiduità
l’insegnamento degli apostoli, vivevano insieme fraternamente,
partecipavano alla Cena del Signore e pregavano insieme. (At 2,
42).
L’8 dicembre 1971, il card. Michele Pellegrino scrive l’enciclica :
“Camminare insieme”, ne citiamo un passaggio: “Lo spirito di
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fraternità deve animare la vita della parrocchia, nei preti e nei
laici. Se è vero che certuni cercano nella chiesa parrocchiale (o
non parrocchiale) soltanto le statue dei santi e delle candele da
accendere in loro onore, bisogna far sì che trovino una vera
comunità di fratelli che faccia loro vedere il volto di quel Cristo
che cercano forse inconsciamente e che vuole incontrarli per
comunicare loro la verità e la salvezza.”
Le attività della Comunità sono rivolte ad alcuni settori:
Quartieri popolari: molte famiglie del sud che si sono trasferite a
Torino in cerca di lavoro per un certo periodo vengono alloggiate
nelle casermette e poi spostate in un quartiere di Mirafiori. Alcune
persone della Comunità vanno a vivere con loro e formano la
“fraternità di via Artom”.
Scuola di preghiera: due giorni al mese sono dedicati alla scuola
di preghiera. Nella cappella ricavata da una vecchia cantina,
riattata dai giovani durante un campo di lavoro, si incontrano
circa un centinaio di persone per pregare con il Vangelo,
partecipano alle veglie di preghiera e vivono insieme l’esperienza
di Dio. Riporto uno scritto apparso su:”Strada e deserto” n° 3
(notiziario della Comunità), è una testimonianza scritta da una
ragazza che ha partecipato a una giornata di preghiera: “Il primo
giorno tutto mi è sembrato molto “fiacco” e “barboso” e già
pensavo di non ritrovare più la mia fede, almeno per il momento,
perché io quando credo, credo veramente e il cristianesimo cerco
di viverlo. Nel secondo giorno mi è piaciuta molto la riflessione e
nel pomeriggio ho avuto la mia crisi depressiva perché mi sentivo
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scoraggiata e durante l’incontro mi sentivo proprio male e ho fatto
uno sforzo terribile per non piangere. Così è durato fino a sera.
La notte dell’adorazione è stata meravigliosa! Il primo momento
mi sono “scocciata” e Gli ho parlato come ad un amico che fosse
sceso e si fosse seduto di fronte a me. Gli ho detto: “Ma cosa ci sto
a fare qui? E’ un anno che continuo nella fede, sicura di un Tuo
aiuto, certa che Tu non mi abbandonerai, anche ora che Ti parlo
così. Vedi, sarebbe ora che Ti facessi sentire, non ce la faccio più a
vivere così: metà e metà. Insomma Cristo aiutami”. Ho chiuso gli
occhi in silenzio senza pensare a nulla e mi sono sentita meglio.
Sentivo qualcuno dentro di me che mi illuminava.
Ho sentito un bisogno fortissimo di essere semplice e ho voluto,
con un gesto, ricominciare la mia vita. Mi sono stesa davanti a Lui
senza neppure pensare a cosa avrebbero pensato le altre. Stesa
davanti al Cristo, l’ho ringraziato e ho pregato, in tanti modi e non
sarei più salita in camera. Mi sembrava che il tempo si fosse
fermato, contava solo Dio, una nuova cristiana e gli altri: sono la
mia vita e devo dedicarmi a loro. Il giorno dopo ero felice, felice
perché semplice e mi sono detta: “Io canto e prego per Lui, perché
sono presente. Cristo, grazie! Cavolo! Non mi sono mai sentita
così, sei meraviglioso!” Ora non vedo l’ora di tornare a casa, da
una parte, per vivere da vera cristiana e, dall’altra vorrei rimanere
sempre qui perché mi trovo bene, benissimo, in questa pace e
specialmente nella pace di questa cappella”.
La scuola di preghiera dà poi vita a gruppi di preghiera che nelle
Parrocchie, nei quartieri, nelle case si radunano attorno alla
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Parola di Dio e poi si buttano in un impegno serio e deciso nella
Chiesa.
Vengono pure organizzate mensilmente giornate di deserto. Il
deserto prepara l’incontro con gli uomini sulla strada, e la strada
fa sentire forte il bisogno di momenti di deserto. Questo spiega
perché nel 1973 la denominazione della Comunità é: Comunità
Impegno Strada e Deserto.
Gruppo Terzo mondo: che si occupa della solidarietà con i Paesi
più poveri, diventato poi: volontariato internazionale.
I campi di lavoro
Nel 1971, d’accordo con la Comunità, durante il periodo delle
ferie partiamo per un “Campo estivo”, organizzato dai Soci
Costruttori; Maria ed io con Valentina e suo fratello Gianpietro
partiamo per la Sicilia ad Alia. Elio per la Sardegna con il
programma di costruzione di pozzi.
Noi ad Alia ci troviamo inseriti in un gruppo formato da 15 giovani
e 5 ragazze. Maria e Valentina si occupano di cucinare per tutti, il
fratello di Valentina ed io siamo nel gruppo che lavora per
asfaltare una strada in un villaggio di braccianti.
In Sicilia, oltre al lavoro faticoso e sotto il sole, ci dobbiamo
confrontare con dei giovani che hanno vissuto il ’68 e molti di loro
sono in crisi di fede, in crisi con la politica e con problemi
personali. Siamo alloggiati in una scuola elementare e alla sera
molti di noi si ritrovano in una camera dove sulla porta qualcuno
ha affisso un cartello con scritto: “Se qualcuno ha dei problemi
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entri in questa stanza”. Rubando un po’ di ore al sonno si discute
di politica, di religione e di quanto ci ha lasciato il ’68.
Tutti i giorni, finito il lavoro, un frate francescano, conosciuto in
treno, viene a celebrare la Messa in una cappella. I canti sono
accompagnati da Maria con la chitarra e la Comunione viene fatta
con l’Ostia e il vino consacrato.
Alla celebrazione partecipano tutti i ragazzi del gruppo, credenti e
non credenti. Per noi é un momento di intensa comunione. Anche
alcuni abitanti del paese partecipano e con stupore vedono come i
giovani vivono questo momento liturgico.
Ma dopo alcuni giorni, alla celebrazione della Messa si presenta il
parroco, si ferma in fondo alla Chiesa e segue lo svolgersi della
liturgia. Proprio quel giorno coloro che lavorano ad asfaltare la
strada, per finire di sistemare l’impasto di cemento preparato,
arrivano a Messa ultimata; la gente sta uscendo e Valentina mi
viene incontro piangendo e mi racconta che a Messa ultimata il
parroco è intervenuto dicendo che la Messa era sospesa perché
non era d’accordo che i canti fossero accompagnati con la chitarra
e che la Comunione venisse data anche con il vino.
Fuori dalla Chiesa nel frattempo tutti discutono su quanto è
avvenuto. Avvicino il parroco e gli chiedo che cosa c’era che non
andava: mi risponde che “tutto non andava”. Gli chiedo di essere
più chiaro e mi dice: “il modo di fare la Comunione, i canti
accompagnati con la chitarra”. Allora gli racconto che c’é stato il
Concilio Vaticano II, gli parlo della nostra Comunità di Torino, del
fatto che da noi é normale, durante la Messa di accompagnare i
17
canti con la chitarra, di ricevere la Comunione con l’Ostia e il
vino.
Preso atto di questa rottura con il parroco, alla sera dopo cena
riuniamo tutto il gruppo per decidere cosa fare.
I giovani non credenti ci dicono di essere solidali con noi e che
occorre reagire. La maggioranza decide di fare dei manifesti da
attaccare ai muri. La rabbia é molta e qualcuno propone di
scrivere sui manifesti parole dure contro il parroco. Riusciamo a
trovare un accordo scrivendo frasi tratte dal Vangelo, ad
esempio:”Prendete e mangiate, questo è il mio corpo, prendete e
bevete questo è il mio sangue” (Mt, 26-26,28). Nella notte una
squadra di giovani va ad attaccare i manifesti nei posti più
frequentati. La sera, durante lo “struscio” la gente ha di che
commentare e noi decidiamo di partecipare
ai commenti
esprimendo il nostro parere.
Ormai la rottura con il parroco é di dominio di tutti; ma le
sorprese non mancano, qualcuno ci consiglia di andare a Cefalù a
parlare con un Monsignore perché ci aiuti a ricucire lo strappo.
Il gruppo incarica Maria e Antonio detto il “mistico” i quali con
una 500 dataci in prestito si recano a Cefalù per raccontare la
nostra versione dei fatti. Al termine dell’incontro il Monsignore
dichiara la sua disponibilità a venire ad Alia per incontrare il
parroco.
Da parte nostra li invitiamo entrambi a cena nei locali della scuola
dove alloggiamo.
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Riusciamo a tenere a bada i più agitati dei ragazzi non credenti
che vorrebbero accogliere i due prelati in modi un po’ troppo
provocatori. La cena segna la riconciliazione tra le parti e non
solo: il parroco ci chiede di incontrare i giovani del posto e
raccontare loro la nostra esperienza; da quel giorno tutto il paese
parla di noi al punto che un parroco di un paese vicino ci chiede di
partecipare alla Messa delle prime Comunioni. Prima dell’inizio
della Messa ci permette di raccontare qualcosa di noi e di quello
che facciamo ad Alia. Maria, naturalmente, con la chitarra
accompagna i canti. Quello che non possiamo dimenticare è vedere
alcuni dei ragazzi e delle ragazze del nostro gruppo piangere per
l’emozione.
Finiti i campi di lavoro sia noi da Alia che Elio dalla Sardegna
riprendiamo a frequentare la Comunità di Torino.
Nei campi di lavoro abbiamo vissuto un’esperienza che ci ha
arricchiti umanamente e ci ha dato la possibilità di vivere con un
gruppo di ragazze e ragazzi desiderosi di comunicare e di trovare
qualcuno capace di ascoltarli.
Il pensiero ritorna all’Africa
Al sabato e alla domenica vi sono gli “incontri di fraternità” e del
“gruppo Terzo Mondo”, ed è proprio in uno di questi incontri che
Maria, io ed Elio riconfermiamo il nostro desiderio di fare un
servizio di volontariato in Africa. Seguono un certo numero di
incontri sul tema del volontariato e in uno di questi altre cinque
persone della Comunità si rendono disponibili a vivere questa
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esperienza. Decidiamo di parlarne con don Riva, fondatore della
Comunità, al suo rientro da un viaggio in Africa. Don Riva ne
parla con il Cardinale Pellegrino il quale ci informa che vi è un
vescovo del Burundi, Monsignor Makarakiza, della diocesi di
Gitega e Presidente della Conferenza Episcopale del Burundi che
cerca volontari.
Si decide di scrivere a Mons. Makarakiza per informarlo che la
Comunità ha a disposizione 7 volontari laici disposti a partire.
La risposta non si fa attendere: i volontari saranno bene accolti
nella sua Diocesi.
Per tutta la Comunità si sta concretizzando l’idea di un progetto di
solidarietà
in
un
paese
in
situazione
di
povertà.
Siamo nell’anno 1972.
Don Riva mi chiede di accompagnarlo in Burundi con lo scopo di
conoscere la realtà che il paese sta vivendo e vedere quale sarà la
missione che ci ospiterà. Si parla del nostro futuro in Africa e si
cercano informazioni sul Burundi, un piccolo paese che molti non
sanno nemmeno che esista.
Dai giornali scopriamo che nel paese è in atto la guerra civile e
molte sono le vittime. Cosa facciamo, partiamo lo stesso? Viene
spedito un telegramma al vescovo chiedendo indicazioni.
Nel frattempo ci auguriamo che ai nostri parenti non arrivi la
notizia di quanto sta avvenendo.
Dopo qualche settimana arriva la risposta: “Venite pure”.
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Nel suo cammino la Comunità ha sempre fatto fronte a delle sfide,
a dei cambiamenti, sia a livello sociale che ecclesiale; il Concilio
Vaticano II e il ’68 hanno suscitato molti dibattiti al suo interno.
Ora si presenta una nuova realtà: un paese sconosciuto, che sta
vivendo una situazione di guerra civile; ci incontriamo, ci
confrontiamo, preghiamo, impariamo a pregare con il Vangelo
(partage de l’Evangile). Si legge una pagina del Vangelo e ognuno
comunica agli altri come ha letto, come ha pregato, come ha
vissuto la Parola di Dio.
Dopo aver superato un periodo che sa di “ubriacatura” si
incomincia a fare sintesi e opera di discernimento.
Nel frattempo i paesi del “Terzo Mondo” vengono alla ribalta a
livello internazionale e mettono sul tavolo planetario i loro
problemi.
Il Burundi: paese dalle mille colline
A luglio del 1972, don Riva ed io facciamo scalo a Bujumbura, la
capitale del Burundi. L’aeroporto è presidiato dai militari e noi
veniamo ospitati al “Grand Séminaire” dove ci informano che i
Vescovi del Burundi è da circa una settimana che sono riuniti a
Gitega in seduta permanente. Telefoniamo a Mons. Makarakiza per
avvertirlo del nostro arrivo il quale ci informa che manderà un
autista e ci porterà a Gitega.
Per poter lasciare la capitale dobbiamo avere un lasciapassare, ci
rechiamo agli uffici della provincia dove un centinaio di persone
sono in attesa di ottenere, anche loro, il documento per uscire
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dalla città. Il giorno dopo arriva l’autista e partiamo per Gitega ,
capoluogo di provincia situata a 100 kilometri da Bujumbura, nella
regione del Kirimiro. La strada è asfaltata, si attraversa la “Cresta
Congo Nilo” ad una altezza di 2000 metri.
Ogni 20-30 chilometri dobbiamo fare i conti con i blocchi stradali,
gestiti da militari armati i quali controllano i passaporti e si
informano sulla nostra destinazione. Mons. Makarakiza ci accoglie
con molta cordialità e ci informa che durante i giorni della nostra
permanenza, un sacerdote ci accompagnerà a visitare due missioni
e così avremo modo di valutare quale delle due riterremo adatta
per il nostro inserimento.
Partendo da Gitega, un sacerdote belga ci porta a visitare la
missione di Nyabiraba e quella di Nyabikere; lungo il percorso
verso Nyabikere il nostro autista si ferma in una località
denominata Pompeke dove vi è un ponte che attraversa il fiume
Ruvubu, (il fiume degli ippopotami). A piedi ci inoltriamo per un
sentiero e dopo qualche decina di metri arriviamo in un pianoro
dove troviamo una “fossa comune” nella quale sono sotterrati
centinaia di cadaveri, mal coperti di terra con le ruspe.
Per noi è un colpo tremendo, ci mettiamo in ginocchio, il tempo
necessario per un Padre Nostro, il nostro accompagnatore ci
consiglia di abbandonare il luogo onde evitare di essere visti.
Arriviamo a Nyabikere nella regione del Kirimiro, un altipiano a
1700 metri di altezza. Ci viene incontro un missionario spagnolo,
della congregazione dei Padri Teatini e con lui vi è, come aiuto, un
prete italiano.
22
Ci fanno visitare la Missione, la Chiesa parrocchiale, il
catecumenato e le scuole elementari (statali): le aule sono vuote.
Tutti gli insegnanti sono stati uccisi, ora si trovano nella fossa
comune che abbiamo visto lungo il tragitto.
Padre Estrany, fondatore della Missione ci mette al corrente delle
attività, la parrocchia ha quattro succursali distanti una decina di
chilometri.
Il missionario ci racconta delle uccisioni avvenute
sulle colline, dove sono rimaste solo donne, gli uomini sono stati
uccisi o sono fuggiti in Tanzania.
Per quanto riguarda il nostro inserimento a Nyabikere lui è
d’accordo, potremo alloggiare in un piccolo convento che lui ha
fatto costruire per delle suore che però non sono mai arrivate.
Don Riva ed io ci consultiamo, entrambi bene impressionati da
quanto abbiamo visto e sentito, pensiamo di scegliere Nyabikere.
Nyabikere è il luogo che ci ospiterà, una località con 40 chilometri
di strada in terra battuta per arrivare a Gitega.
Dopo alcuni giorni di permanenza a Nyabikere, ritorniamo a
Bujumbura , al “Grand Seminaire” e informiamo il vescovo della
nostra decisione.
Nelle ore serali ci confrontiamo sulla guerra civile in atto nel
paese e sulla decisione presa. Nei giorni che rimangono dalla
nostra partenza per l’Italia, incontriamo molti missionari che ci
raccontano di quanto sta avvenendo nel paese e delle tragedie
vissute nelle loro missioni. Molti sono i catechisti uccisi, alcuni
missionari sono scoraggiati.
23
Qualcuno ci dice che forse non è il momento migliore per venire in
Burundi; chi ci dice di rimanere e chi no. “La gente sta soffrendo dice don Riva - e pertanto è questo il momento di renderci
disponibili”.
Prima di partire visitiamo alcune missioni nel nord del paese,
dove sono avvenuti scontri e uccisioni. In una vi é un missionario
italiano al quale don Riva chiede di poter celebrare la Messa, che
poi celebra in cucina. Il Missionario, finita la celebrazione, mi dice
“Il vostro prete è un uomo di fede”: non l’ho più dimenticato.
Un’altra sfida ci attende
Rientriamo in Italia, ansiosi di informare la Comunità sul nostro
viaggio in Burundi, sulla scelta fatta e su quanto sta avvenendo.
La Comunità propone un anno di formazione per i volontari che
poi partiranno e cioè: Maria Ardu, Gabriella Ambrosi e il marito
Elio Perosino, Carla Marchisio, Mira Mondo, Maria e Mario.
Le due coppie, Gabriella ed Elio, Maria e Mario si trasferiscono in
Comunità, mantenendo però ancora il loro impiego lavorativo.
Siamo nel 1972. La vita comune significa: fare la comunione dei
beni, organizzare i turni per la preparazione dei pasti, pregare con
la
Comunità
e
programmare
i
momenti
di
studio
e
approfondimento sul volontariato internazionale.
Il mondo per noi sta diventando piccolo, prendiamo coscienza che
nell’emisfero Sud vivono dei popoli in cerca di libertà, dignità ed
equità nei rapporti commerciali.
24
Nel giornale “La voce del popolo” del 29 luglio 1973, in una
intervista, il fondatore della Comunità, don Giuseppe Riva,
dichiara: “La nostra Comunità è formata da laici, celibi e sposati e
da me. Vogliamo vivere insieme una vita evangelica e fraterna,
nella preghiera e nel servizio agli altri, specie nei quartieri e nel
Terzo Mondo. Abbiamo fatto la scelta dei poveri e a Torino
lavoriamo già con gli abitanti dei quartieri per aiutarli ad uscire
dall’isolamento. Proprio dai contatti con i poveri della nostra città
è nata l’esigenza di andare verso una povertà più grave e più
drammatica.”
Noi, primi volontari che la Comunità manda in un paese del sud
del mondo, dovremo affrontare una situazione molto preoccupante.
Vivremo in un paese che si trova in una situazione drammatica, è
in atto una guerra civile con centinaia di morti. Ma sappiamo che
non saremo soli, lasciamo la Chiesa di Torino e saremo una
“fraternità” di laici inseriti nella Chiesa del Burundi nella diocesi
di Gitega, invitati dal Vescovo Mons. Makarakiza.
Terminato il periodo di formazione in Italia si parte per Parigi per
seguire un corso di lingua, alloggiati presso famiglie. Terminato il
corso di francese, Mira e Carla trascorreranno un periodo in
Belgio ad Anversa per un corso di “Medicina tropicale”
La partenza per il Burundi
Il 21 luglio 1973 alle ore 18, la Cappella della Comunità nella
sede di corso Chieri si è riempita più del consueto: Il Cardinale
Pellegrino è venuto da noi per celebrare la Messa di saluto ai
25
partenti per il Burundi; tutta la Comunità é presente insieme a
parenti e amici. E’ un momento di gioia e di commozione, di addio
e di ringraziamento. La stessa mattina , si sono uniti in matrimonio
Enzo Rili e Valentina Foscarin della nostra Comunità.
Anche questo avvenimento ha contribuito ad aumentare la nostra
serenità. Sul giornale “La Voce del Popolo” (29/7/1973) vi è uno
scritto di Maria: “I gruppi di appoggio spontanei sono costituiti da
parenti, amici, compagni di impiego e di fabbrica che, sensibili ai
problemi del Terzo Mondo, ci aiutano con i loro risparmi e le loro
offerte: degli operai si tassano mensilmente di loro iniziativa per
aiutarci. Sono proprio i poveri che ci aiutano di più; una
pensionata ha voluto darci a tutti i costi diecimila lire; un gruppo
di studenti- lavoratori raccoglie medicinali; dei campeggiatori
incontrati l’anno prima in Valle d’Aosta ci hanno regalato un
gruppo elettrogeno. Andiamo in Burundi sereni, perché sappiamo
di avere una Comunità e molti amici alle spalle: non siamo soli e
questo è molto importante.”
Nel 1973, nel mese di agosto, Maria ed io partiamo per il Burundi,
per preparare l’arrivo degli altri cinque. Dobbiamo risolvere
alcune pratiche burocratiche sia in capitale sia negli uffici della
provincia. A settembre arrivano Maria A., Carla e Mira; Elio e
Gabriella ci raggiungeranno dopo un anno.
In Burundi la situazione è sempre tesa; a Nyabikere i missionari
ora sono tre, due spagnoli (padri teatini) e un italiano (Fidei
Donum).
26
I primi giorni ci dedichiamo alla sistemazione della casa, molte
persone vengono a salutarci e Padre Estrany ci dà qualche lezione
di kirundi, una lingua, per noi, molto difficile.
Dopo 4 mesi, con l’arrivo di Maria A., Mira e Carla lasciamo
Nyabikere e partiamo per Muyange per seguire un corso di
kirundi. Gli allievi del corso sono in maggioranza sacerdoti e
suore. I nostri compagni sono molto curiosi di conoscere come
funziona la nostra vita comunitaria (vedi allegato lettera Maggio
1974).
Terminato il corso di kirundi, torniamo a Nyabikere, fatta
eccezione per Mira e Carla che devono seguire un corso
all’ospedale statale di Bujumbura.
Prima di dare il via al nostro progetto, andiamo a rendere visita ai
volontari italiani che già operano nel paese; questi incontri
risulteranno molto utili e alcuni settori di lavoro verranno corretti
facendo tesoro dell’esperienza che ci hanno trasmesso.
In accordo con i missionari i settori di intervento saranno:
Foyer social: scuola di alfabetizzazione per adulti, educazione
alimentare, artigianato e muratura.
Cooperative: di sartoria, falegnameria e meccanica, cooperativa di
consumo.
Centre de Santé: indirizzato, in particolare alle mamme con figli
denutriti.
Animazione sulle colline: sono, in particolare, Mira, Carla e
Gabriella che vanno sulle colline ad incontrare le mamme e con
loro affrontano il problema dei bambini ammalati di Kwashiorkor.
27
Vulgarisation agricole: allevamento animali da cortile, orticoltura
e settore sorgenti e acquedotti.
Maria si occupa, in collaborazione con delle animatrici locali del
Foyer social, Maria Ardu della cooperativa di sartoria, Gabriella
del Centre de Santé e con Mira e Carla dell’animazione sulle
colline. Elio del settore meccanica e delle sorgenti e acquedotti,
Mario del settore falegnameria, muratura e vulgarisation agricole.
A fianco di ogni volontario sono previste una o due persone locali
nella veste di collaboratori.
Nello stesso tempo, con l’aiuto di padre Estrany diamo il via alla
costruzione della falegnameria e della meccanica e cooperativa di
consumo. In seguito, con al fianco un bravo muratore, si lavorerà a
riparare le scuole nelle succursali e costruirne di nuove.
Nel Foyer Social, su richiesta degli uomini, si darà il via ad una
scuola di muratura (costruzioni in pietra ; questo corso sarà molto
frequentato.
Nello stesso tempo la nostra attenzione è rivolta ai rapporti con la
gente di Nyabikere; molti ci vengono a trovare, qualcuno ci porta
un cestino di fagioli o qualche uovo.
Alla sera, nelle ore libere (dopo le 17.00) andiamo a trovarli dove
abitano, nei bananeti, nelle loro capanne, o nelle case fatte con
mattoni cotti al sole. Cerchiamo di migliorare con la lingua
kirundi, di rispondere ai loro saluti, alle loro domande. Qualcuno
ci chiede: “Chi siete? Non siete preti, non siete suore, chi siete?”
Fanno fatica a capire che cosa significa volontariato, che non
siamo stipendiati.
28
Alla sera ci ritroviamo tra di noi e ci confrontiamo sul nostro
lavoro, sulle difficoltà, sui rapporti con la popolazione e con le
autorità: Sindaco, Governatore di provincia e la burocrazia. Vi è
poi l’aspetto che riguarda la nostra vita comunitaria.
Per noi, un momento importante è il ritrovarci per la preghiera:
seduti su una stuoia, al lume di una lampada a petrolio, davanti al
Tabernacolo affidiamo al Signore le nostre giornate, il nostro
lavoro, preghiamo per le nostre famiglie (lontane 8 mila
chilometri), per la Comunità di Torino, sovente dedichiamo un po’
di tempo ad una “revisione di vita” e alla correzione fraterna.
Si fa il punto sull’avvio del progetto: Mira, Carla e Gabriella su
quanto fanno con le mamme, sia al Centre de Santé sia sulle
colline. Maria Ardu, sul buon andamento della cooperativa di
cucito; Maria ci aggiorna sullo sviluppo del Foyer Social,
frequentato da circa 200 persone, ragazze, donne e uomini. Elio ed
io facciamo il punto sul buon andamento della cooperativa di
meccanica e falegnameria e la cooperativa di consumo. Poi vi è la
gestione della casa, la preparazione dei pasti, fatta a turno. Una
cosa è certa, l’amicizia tra di noi si è trasformata in fratellanza, la
diversità è diventata ricchezza.
La situazione nel paese è sempre tesa, nel 1976 vi è un colpo di
stato; il Colonnello Bagaza (presidente della Repubblica) prende il
posto del Presidente Micombero; anche a livello locale cambiano i
funzionari, sia in Comune sia a livello provinciale. I nuovi
funzionari comunali chiedono di incontrarci. Il Sindaco, il
Segretario del Partito ci invitano ad avviare una collaborazione
29
più stretta, con l’invito a fare sì che in ogni settore: sanità, strade,
educazione, giovani, ci sia un nostro rappresentante.
Nel 1978, il Presidente della Repubblica, colonnello Bagaza
arriva, senza preavviso, a Nyabikere e visita i vari settori di
intervento; in seguito, in un discorso alla radio dichiara
“Nyabikere “Comune pilota per lo sviluppo”.
In occasione dei 10 anni di presenza del Cisv in Burundi il Sindaco
di Nyabikere, Deputato all’Assemblea Nazionale, pronuncia un
discorso, e riferendosi al lavoro dei volontari dice:
“…vi siete dati anima e corpo per inquadrare la nostra
popolazione in materia di salute, miglioramento dell’habitat,
cooperative, strade, costruzione di scuole, foyer social, trasporto
malati, allevamento,
nuove sorgenti, ecc. Malgrado la mentalità
differente, il clima differente dal vostro, così come la lingua … Era
vostra preoccupazione, gli invitati qui presenti possono esserne
testimoni, educare, mostrare ai nostri uomini, ai nostri ragazzi e
ragazze, come costruire il nostro Comune.”
Ma quando questo avviene, Maria ed io siamo già rientrati in
Italia.
Nei nostri ricordi vi è un incontro che non dimenticheremo.
Un giorno, prima della partenza, arriva a Nyabikere il
Governatore della provincia e mi chiede se è vero che vogliamo
rientrare in Italia, alla mia conferma mi dice:”Se voi decidete di
restare vi regalerò un pezzo di terreno e così potrete costruirvi una
casa.” Il Burundi è anche questo!
30
Da una crisi, vissuta con sofferenza, alla rifondazione della
Comunità.
E’ proprio nel 1978 che noi volontari in Burundi riceviamo una
lettera dalla “fraternità di Reaglie” con la quale ci chiedono che
qualcuno di noi rientri in Italia per evitare che la casa di Reaglie
chiuda. E’ un momento molto delicato, se chiude Reaglie (la sede
della Comunità), noi volontari dobbiamo rientrare tutti e
interrompere il lavoro avviato. Cosa è successo? Solo in seguito
sapremo che erano mesi che qualcosa non funzionava più, che
alcune persone della Comunità erano uscite per vivere una nuova
esperienza.
Questo voleva dire che a Torino la Comunità non esisteva più?
Alla sera, al lume di una lampada a petrolio diamo il via ad una
serie di incontri per cercare di capire cosa fare, quali decisioni
prendere.
Il
primo
incontro
è
segnato
da
delusione
e
scoraggiamento, nessun segnale ci era giunto su quanto stava
accadendo in Comunità. Ci chiediamo cosa fare, come
comportarci.
Superato il momento di scoraggiamento ci concentriamo su cosa
fare, cosa rispondere alla richiesta che qualcuno di noi sia
disponibile a rientrare in Italia.
Bisogna continuare il lavoro in Burundi e nello stesso tempo
evitare la chiusura della Comunità. Maria ed io dopo esserci
consultati diamo la disponibilità a rientrare in Italia: ai volontari
che confermano la loro presenza a Nyabikere, chiediamo di
riflettere assieme su quali decisioni prendere a Torino.
31
E’ un momento delicato, chi rimane approva il nostro rientro pur
sapendo che aumenterà il lavoro.
Le indicazioni che emergono sono: al nostro rientro dobbiamo
incontrare le persone della Comunità, sia interne che esterne;
ascoltare le loro impressioni e cercare di capire quali saranno i
passi da fare.
La nostra intenzione, concordata con i volontari, è quella di
attuare una rifondazione della Comunità rivedendo i troppi settori
di impegno e lavorando in modo che si concentrino le forze sul
volontariato internazionale; questa rifondazione va fatta con
persone nuove, le persone che hanno vissuto la crisi hanno troppo
sofferto. Verranno riconfermati alcuni valori su cui era fondata la
vecchia Comunità, come l’ispirazione cristiana, momenti di
preghiera, la vita comune e la comunione di beni. “La comunità
dei credenti viveva unanime e concorde, e quelli che possedevano
qualcosa non la consideravano come propria, ma tutto quello che
avevano lo mettevano insieme. /At.4,32-)
Nel frattempo i contatti con i membri della Comunità continuano.
A loro presentiamo quanto concordato con i volontari rimasti in
Burundi. Tra i primi contattati naturalmente vi è don Giuseppe
Riva, fondatore della Comunità, che a seguito della crisi che l’ha
coinvolta è tornato a fare il parroco. Da lui riceviamo
incoraggiamento e sostegno. Come pure dalle persone che avevano
lasciato la Comunità. I soci “esterni” ci assicurano il loro
appoggio.
32
Per quanto riguarda noi due la prima cosa da fare è trovare un
lavoro. Nell’ambito diocesano e anche tra la maggior parte degli
amici e delle parrocchie che ci aiutavano si pensa che la Comunità
di Reaglie stia chiudendo, A noi viene proposto di lavorare nel
Servizio Diocesano Terzo Mondo; lavoreremo a metà tempo.
Maria si occuperà dei rapporti con i preti “Fidei donum” (i preti
diocesani che operano all’estero, nelle missioni.) Entrambi saremo
coinvolti nell’organizzazione della “Quaresima di fraternità” e
nella
gestione
del
Centro
Documentazione,
un
aiuto
all’accoglienza immigrati.
Lavorando a metà tempo faremo in modo che uno di noi sia
sempre presente nella sede di Reaglie.
Intanto vengono riallacciati i contatti con i sostenitori e gli amici
della Comunità.
La nuova Comunità riprende il suo cammino e incominciano ad
arrivare persone disposte a condividere la vita comune con noi
due.
La “Comunità Impegno Strada e Deserto” (CISD), diventa
“Comunità Impegno Servizio Volontariato” (CISV) e viene
accettata la nostra richiesta di adesione alla “Federazione
Organismi Cristiani Servizio Internazionale Volontario”(FOCSIV)
All’inizio degli anni ’80 siamo riconosciuti, dal Ministero Affari
Esteri,
Dipartimento
Cooperazione
allo
Sviluppo
come
“Organismo Non Governativo” (ONG), idoneo a formare i
volontari, ad elaborare progetti di sviluppo e di educazione alla
33
mondialità. Questo ha voluto dire per la Comunità avere una
segreteria permanente con personale a tempo pieno.
Nel frattempo, la nostra adesione alla FOCSIV ci dà la possibilità
di essere conosciuti a livello nazionale. Nel 1983 vengo assunto
dalla Federazione come Coordinatore dei volontari che operano
nell’Africa francofona. Un compito impegnativo anche per i
frequenti viaggi nei Paesi francofoni per incontrare i volontari e le
autorità locali.
Nel 1984, in occasione di un mio viaggio in Burundi, il Presidente,
Colonnello Jean Battista Bagaza, mi convoca alla Presidenza. E’
un periodo piuttosto delicato, i rapporti tra Stato e Chiesa sono
molto tesi, alcuni missionari vengono espulsi. Informo, di questo
incontro, Monsignor Joachim Ruhuna. il Presidente della
Conferenza Episcopale.
Al giorno stabilito, un automezzo con militari armati mi viene a
prelevare presso i Padri Bianchi dove sono alloggiato e mi porta
alla Presidenza. Il Presidente, dopo le formalità di rito mi riceve
nel suo studio, alla presenza del Ministro dello Sviluppo Rurale.
Dopo le domande sul mio ruolo e sulle ONG italiane, mi parla dei
rapporti
tra
Stato
e
Chiesa
riconoscendo
le
difficoltà,
particolarmente nella Regione di Bururi. L’incontro prosegue con
domande sui volontari che operano in Burundi, come sono
organizzati, chi li finanzia, che rapporti hanno con le istituzioni in
Italia. Il colloquio prosegue con serenità, ma anche con molta
franchezza da ambo le parti.
34
Una frase che non dimenticherò è quando il Presidente mi dice:
”O voi firmate un accordo con il governo del Burundi o io non
risponderò più della sicurezza dei volontari.” In quel periodo i
volontari italiani in Burundi erano un’ottantina e uno dei problemi
di cui si parlava sovente era la loro sicurezza. La mia risposta alla
domanda del Presidente è altrettanto chiara: “La nostra
Federazione Nazionale non ha problemi a firmare un accordo con
il Governo del Burundi, ma ad una condizione: avere la possibilità
di poter continuare liberamente a realizzare progetti, con il
Governo del Burundi ma anche con la Chiesa del Burundi e i
privati.” Il Presidente mi assicura che non vi saranno problemi in
merito. A chiusura dell’incontro incarica il Ministro presente di
scrivere, di comune accordo una Convenzione, con regole
condivise di collaborazione tra il Governo del Burundi e la
FOCSIV. Rimando di una settimana il rientro in Italia per
partecipare alla stesura del documento e firmarlo a nome della
FOCSIV, nel frattempo avverto il presidente professor Rizzi.
Come da impegno preso mi reco all’Arcivescovado di Gitega a
informare il Presidente della Conferenza Episcopale, Monsignor
Ruhuna e al mio rientro in Italia relaziono all’Assemblea della
FOCSIV. (Monsignor Ruhuna verrà poi ucciso in un agguato dei
militari il 9 settembre 1996)
Un volontariato internazionale che cambia.
Sono molti i cambiamenti che avvengono all’interno degli
Organismi di volontariato internazionale. E’ questo un momento
35
delicato, alcuni Organismi decidono di ritirarsi, alcuni dicono che
questi mutamenti segneranno la fine del volontariato. Alcuni “capi
storici” per non ostacolare i cambiamenti decidono di ritirarsi e
lasciare spazio a dei leader istituzionali.
Cambia il rapporto con la Chiesa; un documento della
Commissione Episcopale: “I laici nella missione ad Gentes” e
nella cooperazione tra i popoli dice : “Questi Organismi hanno
caratteristiche ed esigenze che li distinguono e non vanno
contrapposti ad altre espressioni laicali con compiti missionari”.
Nello stesso documento si legge che “Gli Organismi cristiani
saranno disponibili ad accogliere anche coloro che, pur
professandosi non-cristiani o in ricerca, chiedono di poter fare
un’esperienza con loro”. Nel cap. V n° 42 dell’Enciclica
Redentoris Missio si legge: “L’uomo contemporaneo crede più ai
testimoni che ai maestri, più alla vita e ai fatti che alle teorie”.
In questi anni, 1983-1987, all’interno del CISV si dà il via ad una
svolta operativa che vede la nascita di commissioni di lavoro; nel
1983 viene stampato il primo numero della rivista “Volontari per
lo Sviluppo”. La “fraternità di Reaglie è in questi anni molto
numerosa, composta da famiglie e singoli.
Nel 1984 prende il via il progetto di appoggio all’Unione
cooperative della provincia di Gitega.
Dal 1985 si è presenti maggiormente in Italia, con un grande
sforzo nel “settore informazione”. Infatti, da quest’anno, a Torino
numerose associazioni, che si occupano di volontariato e
36
solidarietà propongono alla scuola dell’obbligo un ampio
programma di educazione allo sviluppo.
Nel 1986, viene stipulata tra il CISV e la Caritas diocesana una
Convenzione per accogliere e formare ogni anno tre obiettori di
coscienza che si dedicheranno al settore informazione. Inoltre,
all’interno della campagna ecclesiale “Contro la fame cambia la
vita” si costituisce all’interno del CISV la segreteria dei “Beati i
costruttori di pace”.
In seguito si apriranno nuovi progetti in paesi africani come il
Senegal e il Mali
Nel 1989 Maria ed io decidiamo di lasciare Reaglie e tentare
l’avvio di una nuova “fraternità”. Questo ha significato dimettermi
da Presidente del CISV.
E’ stata una decisione che ha chiuso un’epoca, dando la possibilità
a chi rimaneva, molti erano i giovani, di lasciare spazio per
energie nuove.
Dopo aver vissuto 5 anni di vita nella “fraternità di Nyabikere” e
11 anni nella “Fraternità di Reaglie”, ci prepariamo ad affrontare
un nuovo progetto. Tommaso Moro, nel libro “Utopia” dice che
“…per evitare che possa radicarsi negli abitanti un’affezione
pericolosa verso le mura che li ospitano, devono cambiare
domicilio ogni 10 anni….”A pensarci bene vi era in noi molta
utopia nell’affrontare i cambiamenti.
La sede per la nuova “Fraternità” la troviamo nella diocesi di
Ivrea, ad Albiano; il Vescovo, Monsignor Bettazzi ci mette a
disposizione il “Castello vescovile”. Con noi vi é anche una
37
famiglia di Cantù conosciuta in Burundi e Giacomo che ancora
oggi è presente nell’attuale “Fraternità”. Altre famiglie, anche
con figli, verranno in seguito ad aumentare il numero dei residenti
e inoltre coppie e singoli che hanno fatto con noi un cammino. E’
stata un’esperienza molto interessante, la struttura é l’ideale per
l’accoglienza. I fine settimana sono quasi sempre prenotati da
gruppi provenienti da Torino e anche da fuori regione. Sono
gruppi scouts, gruppi parrocchiali, associazioni.
Sovente si
organizzano giornate di formazione per volontari che si preparano
a partire.
E quando nel 1999 il Vescovo della diocesi di Ivrea Monsignor
Bettazzi lascerà l’incarico in diocesi per raggiunti limiti di età
verrà ad abitare anche Lui al Castello. Abbiamo vissuto con
famiglie e con persone molto valide, e in seguito aumenterà il
numero di famiglie che entreranno nelle fraternità CISV.
Il nostro trasferimento a Locana.
Dopo 25 anni di vita comunitaria, Maria ed io decidiamo di
riprendere la nostra vita a due. E’ stata una decisione molto
meditata e oggi possiamo dire che ha avuto ricadute positive anche
per il CISV. Il nostro ritiro ha dato la possibilità, in particolare ai
giovani, di assumersi delle responsabilità. Nella Comunità, il
cambio generazionale è sempre risultato positivo; sentivamo la
necessità di riposarci, di dedicare più tempo alla vita spirituale, al
silenzio. Qualcuno ha scritto che: “Chi va nel deserto non è
disertore”.
38
Molti qui a Locana si chiedono come mai ci siamo trasferiti in un
Comune dove, come in molti paesi montani, la popolazione va
diminuendo. Forse perché Locana si trova in montagna, forse
perché qui la vita è meno caotica…
Un giorno il Sindaco ci ha chiesto di partecipare ad un “Consiglio
Comunale aperto” e di spiegare il perché abbiamo scelto Locana
come residenza. All’inizio anche noi ci chiedevamo come mai a
tavola eravamo solo in due; in 25 anni di vita comunitaria a tavola
eravamo sempre in tanti; sentivamo molto la mancanza della
Comunità, l’accoglienza, gli impegni, la vita fraterna.
E’ anche vero che per noi, con il passare degli anni diventava
sempre più difficile tenere il passo con i cambiamenti, inoltre vi era
il desiderio di trovare un ambiente che ci aiutasse a vivere una vita
spirituale più intensa. Ed è così che sono impostate le nostre
giornate. Altro aspetto che caratterizza il nostro vivere è
l’accoglienza, molte sono le persone che ci vengono a trovare e
condividono con noi i pasti.
Non è la casa che ci permette di definirci “eremo”, ma sono le
giornate vissute in un certo modo che fanno sì che l’abitazione
diventi “eremo”.
In una riflessione tenuta agli Oblati il 13-4-2008 nel titolo si legge:
“Il cristiano o è contemplativo o non è cristiano”. Noi crediamo
che è anche una vocazione essere contemplativi; arriva il momento
in cui non è più possibile distinguere dove termina la preghiera e
comincia il lavoro. E’ quello che stiamo sperimentando anche noi;
non sono pochi gli impegni che si affiancano ai momenti di
39
preghiera. Maria da alcuni anni fa volontariato nell’ufficio della
parrocchia dopo essere stata, per 5 anni, catechista. Da due anni
anch’io faccio catechismo ai ragazzi delle medie. Poi vi sono
persone che periodicamente vengono da noi a pregare. Preghiera
e accoglienza secondo lo stile e la tradizione delle “fraternità
CISV”.
Oggi, siamo nel 2011, dobbiamo sforzarci di vivere la nostra
anzianità con un aiuto vicendevole e il più serenamente possibile.
Non è facile, come ci ricorda Norberto Bobbio: “I pensieri di una
persona anziana tendono a irrigidirsi. A una certa età si stenta a
cambiare opinione. Si diventa sempre più ostinati nelle proprie
convinzioni, più indifferenti a quelle degli altri…Mi rendo conto io
stesso che devo guardarmene.”
40
Allegati
41
Lettera comunitaria del maggio 1974
42
Lettera comunitaria del maggio 1974
43
Bollettino del “Cenacolo operario”
44
Burundi, anno 1994
Il primo Presidente della Repubblica (hutu) viene ucciso.
Il paese è in piena guerra civile; la comunità ci chiede di
recarci in Burundi per monitorare la situazione dei nostri
volontari.
Dopo qualche esitazione Mario ed io decidiamo di partire.
Lo scritto che segue è parte di appunti presi in
quell’occasione.
Il primo impatto è stato di paura e di notti insonni in
attesa di sentire qualche sparo o addirittura qualche
assalto, Ascoltiamo e raccogliamo tutte le notizie che
possono riguardare la situazione socio-politica. La nostra
prima impressione è quella di una situazione molto tesa. La
gente ha paura, le strade sono deserte, eravamo abituati a
vedere file di persone, con vestiti multicolori percorrere
chilometri e chilometri. Adesso, tranne le città brulicanti
di gente, di commercianti, di bambini, all’interno del paese
le strade sono deserte. I militari sono un po’ dovunque,
soprattutto in città e dove ci sono assembramenti di
persone.
Per radio le notizie sono poche e vengono riportate solo in
caso di uccisioni di militari, se vengono uccisi dei civili
le cifre vengono minimizzate.
Con tutto il sistema di collegamento via radio, di cui i
volontari sono dotati è facile avere notizie da tutti. Le
radio sono intercomunicanti, alle volte viene utilizzato un
codice minimo per parole che è bene non pronunciare, ma si
riesce ad essere informati tempestivamente se ci sono zone
“calde”. Ci dicono che ci sono delle bande armate che
circolano e la presenza, in alcune zone, dei militari viene
giustificata come misura di sicurezza per la popolazione.
A livello locale tutti i sindaci e molti governatori sono
nuovi e non sanno come muoversi. Le scuole dell’interno sono
senza insegnanti, o sono stati uccisi o sono scappati. In
una scuola di 6 classi c’era un solo insegnante. Sono state
reclutate
persone
che
hanno
fatto
le
scuole
medie
obbligandole a coprire i posti vacanti; lo stipendio non lo
ricevono da parecchi mesi.
Alcuni giovani di 25 anni, con titolo di studio, parlando
con noi ci dicevano che il loro desiderio è scappare o
emigrare. A Gitega la presenza dei bianchi si è ridotta da
130 a 10.
Appunti di un viaggio in Burundi
45
Gli spostamenti da una regione all’altra sono un’incognita,
si viaggia tesi, sperando di non incontrare sorprese, vi
sono barriere con i militari e il rischio di imboscate da
parte di bande armate. A Bujumbura, la capitale, si sono
registrati furti e assalti soprattutto nei negozi, ma
sappiamo anche di suore che sono state derubate, Le
cooperative sono chiuse per evitare che siano svuotate di
tutto.
Però dopo il primo momento di disagio, vedi che un po’ per
volta ci si abitua, anche alla guerra. Qualcuno ci diceva
che “questa calma è menzognera, c’è da aspettarsi, da un
momento all’altro qualche attacco.”
La presenza dei volontari, in questo contesto è quanto mai
necessaria, ma si teme sulla loro sicurezza. A tutti i
livelli, dal Ministro dell’educazione ai missionari ai
governatori di provincia, alle domande circa la sicurezza
dei volontari ci rispondevano che i bianchi non corrono
pericoli a condizione che non si mescolino in problemi
politici. Ma ci è stato anche riferito che senza la presenza
dei missionari e dei volontari, la repressione sarebbe stata
più dura, e ci è anche stato detto che i bianchi sono
testimoni scomodi per qualcuno ma indispensabili per ridare
speranza alla gente con la quale lavoriamo.
Nell’interno del paese se non ci sono i missionari o i
volontari è l’abbandono e lo scoraggiamento, Sono loro che
pensano a come riparare le scuole, le piste e con la loro
presenza danno coraggio ai sindaci e ai tecnici locali.
I nostri volontari hanno trovato un equilibrio e un
comportamento ammirevole, ci dicono che non si può vivere
angosciati ogni giorno, si prendono tutte le precauzioni del
caso e si va avanti.
Da parte nostra ci chiediamo se si dovesse, per forza di
cose abbandonare il progetto quali possibilità ci sono?
Contattiamo l’Ambasciata francese (in Burundi non vi è
l’Ambasciata Italiana)
e chiediamo, in caso di necessità,
un loro aiuto. Ci assicurano che se noi indichiamo una
località dove possa atterrare un elicottero loro sarebbero
disponibili per, eventualmente, evacuare i volontari.
Maria
Appunti di un viaggio in Burundi
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Rivista del CISV
47
I “magnifici 7” in partenza con il card. Pellegrino e don Riva
Con gli animatori e i ragazzi di Nyabikere
48
La gioia di stare insieme – Tanzania 1970
Maria riceve in regalo dalle mamme del Foyer due cestini di fagioli da
portare in Italia alle nostre mamme - 1976
49
Lettera di un socio del CISV alla fraternità di Nyabikere.
50
Udienza da Giovanni Paolo II con la FOCSIV
51
Esperienza di 25 anni di vita comunitaria - 28/9/2001
C’è sempre un pensiero forte che fa scattare le scelte
forti. Per me è stata la frase degli Atti degli Apostoli
(2,42-47) che descrive la vita delle prime comunità
cristiane: “… vivevano fraternamente … mettevano tutto in
comune … lodavano Dio … con gioia e semplicità di cuore”.
In 25 anni (dal ’72 al ’98) abbiamo condiviso la nostra vita
con tanti “fratelli e sorelle” e di tutti serbo un ricordo e
un affetto molto forti.
E’ stata una scuola che ha arricchito la nostra vita
personale e di coppia.
Le verifiche comunitarie, cioè gli incontri settimanali per
organizzarci il lavoro, la preghiera comunitaria giornaliera
per ricaricare lo spirito e trarne forza per affrontare le
fatiche; l’accoglienza tra di noi, in famiglia, in
fraternità, tra amici. Sono questi i momenti forti che ci
hanno permesso di camminare e crescere nell’accettazione
reciproca.
E poi la comunione dei beni, materiali e spirituali perché
ognuno ha i suoi talenti da far fruttare e la vita
comunitaria mi pare proprio l’ambito più adatto per mettersi
alla prova.
Ma non basta. La vita comunitaria non può essere fine a se
stessa, ci vuole un impegno comune. Solo un impegno forte,
per una causa altrettanto importante può essere la spinta
per andare avanti giorno dopo giorno.
E allora ecco che nel primo periodo per noi l’impegno è
stato il volontariato in Africa, poi al rientro in Italia
l’impegno è stato la formazione di persone che desideravano
fare esperienza di volontariato, poi a Albiano l’accoglienza
di persone o gruppi per giornate di studio o riflessione.
E allora la fatica giornaliera diventa quella gioia di cui
parla il Vangelo.
Maria
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