Maria e Mario Fornero Cammin facendo Maria e Mario Fornero Cammin facendo Prima edizione: ottobre 2011 Seconda edizione: maggio 2012 Dedichiamo questo libro alle persone che hanno segnato il nostro cammino e in particolare a chi ha condiviso con noi l’esperienza di volontariato. Il nostro ricordo e il nostro grazie al Canonico don Giuseppe Riva, fondatore della “Comunità Impegno Servizio Volontariato” (CISV). Passato a “nuova vita” il 22 luglio 2003. Alle persone che con noi hanno condiviso il periodo trascorso in Burundi (Africa): Gabriella Ambrosi e Elio Perosino, Maria Ardu, Carla Marchisio, Mira Mondo. Anche Carla ci ha lasciati il 30 marzo del 2009. “Quelli che sono morti non sono mai partiti” (Birago Diop. A chi ha vissuto con noi nella “fraternità di Reaglie” e nella “fraternità di Albiano”. Un ringraziamento a tutta la “Comunità CISV” che nei circa 40 anni di appartenenza ci ha accolti e introdotti alla vita di fraternità e al volontariato internazionale. Sono tante le persone che meriterebbero di essere nominate, ma il rischio di dimenticarne qualcuna è molto forte. La fratellanza nei loro confronti è sempre viva e indimenticabile. Maria e Mario Sommario Sommario 1 Premessa 3 Alla ricerca delle nostre radici 5 Il mondo del lavoro 6 Cenacolo operaio 7 Il Concilio Ecumenico Vaticano II 9 Il Vangelo e la dottrina sociale della Chiesa 10 Per noi è il primo contatto con l’Africa 12 Inizia per noi un nuovo cammino 13 I campi di lavoro 16 Il pensiero ritorna all’Africa 19 Il Burundi: paese dalle mille colline 21 Un’altra sfida ci attende 24 La partenza per il Burundi 25 Da una crisi, vissuta con sofferenza, alla rifondazione della Comunità. 31 Un volontariato internazionale che cambia. 35 Il nostro trasferimento a Locana. 38 Allegati 41 1 2 Premessa Mettendo in ordine i nostri appunti, ci siamo accorti che sono molti quelli che riguardano la nostra vita, il nostro cammino. Avevamo tentato di tenere un diario aggiornato, ma non ci siamo riusciti. Ha ragione Norberto Bobbio che nel suo libro “De senectute”, (citando John Ruskin) dice: “E’ una gran seccatura tenere un diario, ma anche una grande delizia averlo tenuto”. Ne parlavamo sovente tra di noi se era il caso di utilizzare i nostri appunti, anche perché alcune persone ci avevano chiesto di scrivere un libro che raccontasse la nostra vita. Ma non trovavamo una motivazione valida. Se ci siamo decisi a farlo è perché oggi vivendo fuori dalla Comunità e ripercorrendo il cammino fatto sono emerse due motivazioni: rileggere le nostre radici e dire il nostro grazie alla Comunità CISV (Comunità Impegno Servizio Volontariato). Lo scrivere è anche un aiuto a riflettere sul cammino fatto. “…l’uomo che pensa davvero scrive lettere agli amici”(1) (1) G. Ceronetti, La nostra libertà di sgrammaticare. La Stampa 3 4 Alla ricerca delle nostre radici Nel 1945, il 6 agosto, gli americani sganciano nella città di Hiroshima la prima bomba atomica. In Italia finisce il fascismo, con la guerra di liberazione i partiti si preparano per le elezioni: Democrazia cristiana e Partito comunista. Nel 1948 alcuni giovani della nostra parrocchia, (ed io tra di loro) partecipano al “Convegno Nazionale per celebrare gli ottanta anni della Gioventù Italiana dell’Azione cattolica”. A Roma siamo qualche migliaia e con il canto del Credo si fa “donazione gioiosa per riportare la Pace di Cristo nei cuori e nelle nazioni”. Quel convegno viene ricordato come convegno dei “baschi verdi”. Passeggiando per Roma riceviamo gli “sfottò” di chi non la pensa come noi; però niente botte, niente cassonetti incendiati, niente bastoni e vetri in frantumi. Gli anni di frequentazione dell’oratorio e i sacerdoti incontrati sul nostro cammino hanno rafforzato la nostra fede. Maria frequenta l’oratorio femminile e io quello maschile delle Parrocchia di San Gioacchino di Torino. Nell’oratorio femminile ci sono le suore di Mortara, molto preparate soprattutto per la formazione delle giovani; Maria ricorda bene i momenti di ricreazione, con giochi, canti e balli. Poi i momenti di formazione con gare di catechismo e premi alla vincitrice. Maria fa anche parte della “cantoria”, il maestro é don Nicolino Rocchietti che ha formato un coro a tre voci. Io frequento l’oratorio dei giovani e Maria quando mi incontra abbassa la testa, troppo giovane per pensare all’amore, cerca di 5 dare la precedenza alla scuola, frequenta ragioneria al Sommeiller di Torino. Poi nel ’54 ci dichiariamo di essere innamorati l’uno dell’altra. Maria, finiti gli esami si diploma e subito trova lavoro. Io lo stesso anno parto per il militare. Al mio ritorno pensiamo seriamente al nostro futuro. Nel 1957 ci sposiamo e realizziamo il nostro sogno. Il mondo del lavoro Io nel 1955 vengo assunto alla FIAT, alla Grandi Motori, nel reparto fonderia; per me è un salto in una realtà molto dura. Avevo lasciato un lavoro da scultore in legno presso una bottega artigiana, ma in quel periodo non vi era più lavoro, cambiavano i gusti nella scelta dei mobili e molti lavori venivano fatti a macchina. Nel 1965 il giornale “Crescita Democratica” pubblica un mio articolo dal titolo: “Pensieri di un operaio” dove scrivo: ”Di notte sognavo le colate di ghisa incandescente, la silicosi, gli scioperi. Sognavo la figura del cappellano, del capo squadra che mi credeva comunista e del comunista che mi chiamava don Mario”. Termino l’articolo così: ”Ripenso a tutte queste cose e mi chiedo se ho seguito i consigli di quel dirigente di Azione Cattolica; in un libro che mi regalò vi è questa dedica ‘Ricordati sempre la tua appartenenza alla “terra dei vivi”, la terra della verità e dell’amore, la terra del Cristo’”. Una cosa è certa, ringrazio il 6 Signore che ci ha dato la forza di non cadere nel peccato di rassegnazione. Dopo alcuni anni, dalla Grandi Motori vengo trasferito alla Materferro e poi al Centro Stile. Cenacolo operaio Ed è qui che con alcuni operai e con Elio Perosino e Rosario Cappa, carissimi amici, diamo vita ad un gruppo denominato “Cenacolo operaio”. Lo scopo é quello di contribuire, nei limiti del possibile, ad accrescere quella formazione sociale e culturale indispensabile in una società che sta vivendo forti cambiamenti. Ogni due mesi un gruppo di una decina di operai si incontrano, a casa nostra, e si confrontano su un tema stabilito in precedenza. Nell’ottobre del 1967 diamo il via ad un opuscolo dal titolo: “Occasioni di dialogo”, un bollettino di poche pagine che documenta i nostri incontri, i temi trattati e un invito “ai giovani a vivere con noi lo spirito che anima i nostri incontri, che, senza accademiche pretese culturali, vogliono essere semplici “Occasioni di dialogo”. Nel primo numero Elio Perosino racconta del periodo vissuto in Germania dove si era recato a lavorare come operaio specializzato. L’amico e collaboratore Rosario Cappa racconta la sua passione per la musica lirica e nel numero di gennaio 1969 scrive un articolo sul “dramma della fame nel mondo”. Nello stesso numero viene riportata una lettera aperta indirizzata a Paolo VI che si 7 preparava a partire per la Colombia, firmata da “Monsignor German Guzman e i cristiani colombiani, sacerdoti e laici.” Un passaggio della lettera dice: ”Lei, fratello, visiterà un continente in cui milioni di uomini sono vittime della miseria, della fame e sono in condizioni infraumane di vita, causate da un ordinamento sociale inumano e, per questo, non cristiano”. Vi è pure un articolo di Elio Perosino dal titolo “Mondo operaio e cultura”, dove scrive:”Il mondo è rimpicciolito: i nostri nuovi vicini di casa sono gli schiavi dell’America Latina, i disgraziati vietnamiti e gli affamati dell’India. Ignorare oggi che esiste una simile umanità, equivale ad accettarne la realtà e la fatale inevitabilità. Un giorno il responsabile del giornale “Crescita democratica” mi avverte che il prof. Allara, rettore dell’Università di Torino mi vuole incontrare. Mi reco all’incontro con un po’ di preoccupazione, ma il Rettore mi incoraggia a continuare l’iniziativa del “Cenacolo operaio”, non solo, mi propone di fare gli incontri all’Università. Mi ricordo una sua frase: “Sarebbe la prima volta che l’Università apre le porte agli operai”. Non solo, ma mi dice che se abbiamo bisogno ci metterà a disposizione dei professori per i nostri incontri. Ne parliamo nel gruppo e tutti accettano la proposta del prof. Allara. Oltre agli incontri di gruppo si organizzano conferenze e si allarga l’invito ad altri operai. Voglio qui ringraziare tutte le persone che con me hanno lavorato nell’organizzazione di tutto questo. 8 Il “Cenacolo operaio” ha preso il via nel 1964 e dopo sei anni si chiude questa iniziativa e per me e Maria e l’amico Elio cresce l’interesse per l’Africa. Il Concilio Ecumenico Vaticano II L’11 ottobre 1962 nella Basilica di S. Pietro, trasformata in Aula Conciliare, ha inizio il Concilio Ecumenico Vaticano II. E’ Giovanni XXIII che il 25 gennaio 1959 presenta ai Cardinali l’intenzione di indire un Concilio. I Padri che vi partecipano durante i quattro periodi sono circa 2.400. La fine del Concilio, per i cristiani é come una ventata di aria fresca. Impariamo, ad esempio, che il “Popolo di Dio” è la Chiesa; viene riformata la liturgia e il latino sostituito con l’italiano. Nel “Decreto sull’apostolato dei laici”, al Capitolo IV troviamo scritto: “Salva la dovuta relazione con l’autorità ecclesiastica, i laici hanno tutto il diritto di creare associazioni e guidarle, e dare il proprio nome a quelle già esistenti”. Ed è proprio in questo periodo che nascono nuove associazioni e comunità. In un libro di Teofilo Cabestrero, pubblicato nel 1979 dal titolo: “La fede nel pluralismo della cultura – conversazione con 16 teologi” – Cittadella editrice, troviamo una intervista fatta al teologo prof. RATZINGER. Nel capitolo “Il futuro della Chiesa sta nelle comunità”, vi è una sua dichiarazione: “… il compito di rinnovamento e di purificazione della fede non può essere realizzato da una centrale ecclesiastica, da una Chiesa che sta, per 9 dir così, sopra di noi, ma si può verificare solo nel servizio comune dei diversi organi e delle diverse cellule vive della Chiesa.” Il Concilio termina nel 1965 e nella società si vivono fermenti e cambiamenti, nel 1968 i giovani la fanno da protagonisti. Sembra che tutto venga messo in discussione: la cultura, la politica, la religione. Nascono i “cristiani per il socialismo” Il Vangelo e la dottrina sociale della Chiesa Per quanto riguarda il nostro cammino, chiuso il “Cenacolo operaio” con Elio continuiamo ad incontrarci e prendere in mano il Vangelo e fare un confronto con il nostro vivere quotidiano. Impegnati in questi incontri facciamo il punto sul fatto che nel Vangelo Gesù ci dice che “se soccorrete i poveri, gli affamati, i forestieri, tutte queste cose le avete fatte a me.” (Mt.25-40). Nel Vangelo i poveri hanno molto spazio e Gesù si identifica con loro. Conclusione: se non ci occupiamo del poveri, se non siamo solidali nei loro confronti non possiamo dirci cristiani. Nel documento del Concilio dal titolo “Le condizioni dell’uomo nel mondo contemporaneo” al capitolo V “La promozione della Pace e la Comunità Internazionale” si legge: “Sono pertanto da lodare e da incoraggiare quei cristiani, specialmente i giovani, che spontaneamente si offrono a soccorrere gli altri uomini e le altre nazioni”. Nell’Enciclica “Populorum progressio” (1967), Paolo VI lancia un appello: “Ai nostri figli cattolici appartenenti ai paesi più favoriti, noi domandiamo l’apporto della loro competenza e della loro 10 attiva partecipazione… che si dedichino a vincere le difficoltà delle Nazioni in via di sviluppo”. Anche la “dottrina sociale della Chiesa” ci invita a indirizzare il nostro impegno verso i paesi poveri. Da parte nostra, durante gli incontri e le riflessioni con Elio, decidiamo di unire le nostre forze e i nostri risparmi anche se non sappiamo ancora cosa ne faremo. Un giorno, in occasione di una nostra visita ad un sacerdote, don Carlo Vallaro, già nostro Assistente nella parrocchia di San Gioacchino, chiediamo se conosce qualche missionario disponibile ad accoglierci per un breve periodo in Africa. Don Carlo ci dà l’indirizzo di un missionario della Consolata che opera in Tanzania, padre Franco Cravero, che sarebbe disponibile ad accoglierci. Dalla lettera da noi inviata ci conferma la sua disponibilità informandoci che vi è anche un gruppo di Torino intenzionato a fargli visita. Prendiamo contatti e invitiamo qualcuno di loro a venirci a trovare a casa nostra; scopriamo che è un gruppo della parrocchia di S. Giulia di Torino. Tra loro solo don Sebastiano confermerà la disponibilità di condividere con noi il viaggio in Tanzania. Il gruppo sarà poi formato da: don Sebastiano Galletto, vice parroco di S. Giulia, Maria Grazia, infermiera, Enzo. cognato di Maria, Elio e Maria ed io. Nell’agosto del 1970, approfittando del periodo delle ferie e dei risparmi messi in comune con Elio partiamo per la Tanzania. 11 Per noi è il primo contatto con l’Africa Padre Franco Cravero ci accoglie nella missione di Ngololo, diocesi di Iringa, una missione di frontiera, povera, dove il missionario ci dà la possibilità di conoscere da vicino una popolazione che vive nella savana, in una realtà molto dura. Enzo, Elio ed io aiutiamo nei lavori di costruzione di una fornace per cuocere i mattoni. Maria, oltre alla gestione della cucina e alla preparazione dei pasti, dedica del tempo alle ragazze che vogliono imparare a cucire. Per Maria Grazia, l’infermiera, il lavoro non manca; la notizia della sua presenza ha come conseguenza l’accorrere di molta gente che chiede di essere curata. Don Sebastiano affianca don Franco nelle attività della parrocchia. Alcune volte padre Franco ci porta nei villaggi dove ci presenta come suoi parenti. L’ambiente in cui la gente vive è quello tipico della savana e notte e giorno alcuni uomini proteggono il villaggio dai leoni. Ma è quando rientriamo in Italia che ci rendiamo conto che qualcosa è cambiato. L’esperienza vissuta in Tanzania ha lasciato il segno. Quando alla sera Elio viene a trovarci ci guardiamo in faccia e ci chiediamo: “E adesso, cosa facciamo?” Gli incontri tra di noi si susseguono uno dopo l’altro, cerchiamo di capire la strada da seguire. Decidiamo di scrivere a padre Franco dicendo che vorremmo tornare da lui. Nella lettera di risposta ci dice di pazientare, se ne parlerà quando, fra un anno, verrà in vacanza. 12 Ma un giorno, don Sebastiano, con il quale abbiamo fatto il viaggio in Tanzania, ci telefona dicendo che il suo parroco ci invita a recarci a trovare la comunità da lui fondata e far vedere le diapositive del viaggio in Tanzania. E’ un sabato, la sede della comunità si trova in corso Chieri, dove incontriamo, oltre ai residenti in comunità, molti giovani. E’ il mese di ottobre del 1970, noi (Elio, Maria ed io) raccontiamo del nostro viaggio, con l’aiuto delle diapositive, ma in particolare che cosa ha significato per noi. Terminato l’incontro ci congediamo. Mentre stiamo lasciando la comunità, don Riva, il fondatore, ci corre dietro e prendendoci sotto braccio ci chiede: “Volete frequentare la nostra comunità? Sabato prossimo abbiamo un incontro di “fraternità”, siete invitati. Ci guardiamo in faccia e qualcuno di noi risponde: “Perché no?”. Siamo nell’ottobre del 1970, è una data che cambierà la nostra vita. Inizia per noi un nuovo cammino Ora facciamo parte di una Comunità che condivide solidarietà, comunione di beni, preghiera, una Comunità che si ispira alle prime comunità cristiane: “Essi ascoltavano con assiduità l’insegnamento degli apostoli, vivevano insieme fraternamente, partecipavano alla Cena del Signore e pregavano insieme. (At 2, 42). L’8 dicembre 1971, il card. Michele Pellegrino scrive l’enciclica : “Camminare insieme”, ne citiamo un passaggio: “Lo spirito di 13 fraternità deve animare la vita della parrocchia, nei preti e nei laici. Se è vero che certuni cercano nella chiesa parrocchiale (o non parrocchiale) soltanto le statue dei santi e delle candele da accendere in loro onore, bisogna far sì che trovino una vera comunità di fratelli che faccia loro vedere il volto di quel Cristo che cercano forse inconsciamente e che vuole incontrarli per comunicare loro la verità e la salvezza.” Le attività della Comunità sono rivolte ad alcuni settori: Quartieri popolari: molte famiglie del sud che si sono trasferite a Torino in cerca di lavoro per un certo periodo vengono alloggiate nelle casermette e poi spostate in un quartiere di Mirafiori. Alcune persone della Comunità vanno a vivere con loro e formano la “fraternità di via Artom”. Scuola di preghiera: due giorni al mese sono dedicati alla scuola di preghiera. Nella cappella ricavata da una vecchia cantina, riattata dai giovani durante un campo di lavoro, si incontrano circa un centinaio di persone per pregare con il Vangelo, partecipano alle veglie di preghiera e vivono insieme l’esperienza di Dio. Riporto uno scritto apparso su:”Strada e deserto” n° 3 (notiziario della Comunità), è una testimonianza scritta da una ragazza che ha partecipato a una giornata di preghiera: “Il primo giorno tutto mi è sembrato molto “fiacco” e “barboso” e già pensavo di non ritrovare più la mia fede, almeno per il momento, perché io quando credo, credo veramente e il cristianesimo cerco di viverlo. Nel secondo giorno mi è piaciuta molto la riflessione e nel pomeriggio ho avuto la mia crisi depressiva perché mi sentivo 14 scoraggiata e durante l’incontro mi sentivo proprio male e ho fatto uno sforzo terribile per non piangere. Così è durato fino a sera. La notte dell’adorazione è stata meravigliosa! Il primo momento mi sono “scocciata” e Gli ho parlato come ad un amico che fosse sceso e si fosse seduto di fronte a me. Gli ho detto: “Ma cosa ci sto a fare qui? E’ un anno che continuo nella fede, sicura di un Tuo aiuto, certa che Tu non mi abbandonerai, anche ora che Ti parlo così. Vedi, sarebbe ora che Ti facessi sentire, non ce la faccio più a vivere così: metà e metà. Insomma Cristo aiutami”. Ho chiuso gli occhi in silenzio senza pensare a nulla e mi sono sentita meglio. Sentivo qualcuno dentro di me che mi illuminava. Ho sentito un bisogno fortissimo di essere semplice e ho voluto, con un gesto, ricominciare la mia vita. Mi sono stesa davanti a Lui senza neppure pensare a cosa avrebbero pensato le altre. Stesa davanti al Cristo, l’ho ringraziato e ho pregato, in tanti modi e non sarei più salita in camera. Mi sembrava che il tempo si fosse fermato, contava solo Dio, una nuova cristiana e gli altri: sono la mia vita e devo dedicarmi a loro. Il giorno dopo ero felice, felice perché semplice e mi sono detta: “Io canto e prego per Lui, perché sono presente. Cristo, grazie! Cavolo! Non mi sono mai sentita così, sei meraviglioso!” Ora non vedo l’ora di tornare a casa, da una parte, per vivere da vera cristiana e, dall’altra vorrei rimanere sempre qui perché mi trovo bene, benissimo, in questa pace e specialmente nella pace di questa cappella”. La scuola di preghiera dà poi vita a gruppi di preghiera che nelle Parrocchie, nei quartieri, nelle case si radunano attorno alla 15 Parola di Dio e poi si buttano in un impegno serio e deciso nella Chiesa. Vengono pure organizzate mensilmente giornate di deserto. Il deserto prepara l’incontro con gli uomini sulla strada, e la strada fa sentire forte il bisogno di momenti di deserto. Questo spiega perché nel 1973 la denominazione della Comunità é: Comunità Impegno Strada e Deserto. Gruppo Terzo mondo: che si occupa della solidarietà con i Paesi più poveri, diventato poi: volontariato internazionale. I campi di lavoro Nel 1971, d’accordo con la Comunità, durante il periodo delle ferie partiamo per un “Campo estivo”, organizzato dai Soci Costruttori; Maria ed io con Valentina e suo fratello Gianpietro partiamo per la Sicilia ad Alia. Elio per la Sardegna con il programma di costruzione di pozzi. Noi ad Alia ci troviamo inseriti in un gruppo formato da 15 giovani e 5 ragazze. Maria e Valentina si occupano di cucinare per tutti, il fratello di Valentina ed io siamo nel gruppo che lavora per asfaltare una strada in un villaggio di braccianti. In Sicilia, oltre al lavoro faticoso e sotto il sole, ci dobbiamo confrontare con dei giovani che hanno vissuto il ’68 e molti di loro sono in crisi di fede, in crisi con la politica e con problemi personali. Siamo alloggiati in una scuola elementare e alla sera molti di noi si ritrovano in una camera dove sulla porta qualcuno ha affisso un cartello con scritto: “Se qualcuno ha dei problemi 16 entri in questa stanza”. Rubando un po’ di ore al sonno si discute di politica, di religione e di quanto ci ha lasciato il ’68. Tutti i giorni, finito il lavoro, un frate francescano, conosciuto in treno, viene a celebrare la Messa in una cappella. I canti sono accompagnati da Maria con la chitarra e la Comunione viene fatta con l’Ostia e il vino consacrato. Alla celebrazione partecipano tutti i ragazzi del gruppo, credenti e non credenti. Per noi é un momento di intensa comunione. Anche alcuni abitanti del paese partecipano e con stupore vedono come i giovani vivono questo momento liturgico. Ma dopo alcuni giorni, alla celebrazione della Messa si presenta il parroco, si ferma in fondo alla Chiesa e segue lo svolgersi della liturgia. Proprio quel giorno coloro che lavorano ad asfaltare la strada, per finire di sistemare l’impasto di cemento preparato, arrivano a Messa ultimata; la gente sta uscendo e Valentina mi viene incontro piangendo e mi racconta che a Messa ultimata il parroco è intervenuto dicendo che la Messa era sospesa perché non era d’accordo che i canti fossero accompagnati con la chitarra e che la Comunione venisse data anche con il vino. Fuori dalla Chiesa nel frattempo tutti discutono su quanto è avvenuto. Avvicino il parroco e gli chiedo che cosa c’era che non andava: mi risponde che “tutto non andava”. Gli chiedo di essere più chiaro e mi dice: “il modo di fare la Comunione, i canti accompagnati con la chitarra”. Allora gli racconto che c’é stato il Concilio Vaticano II, gli parlo della nostra Comunità di Torino, del fatto che da noi é normale, durante la Messa di accompagnare i 17 canti con la chitarra, di ricevere la Comunione con l’Ostia e il vino. Preso atto di questa rottura con il parroco, alla sera dopo cena riuniamo tutto il gruppo per decidere cosa fare. I giovani non credenti ci dicono di essere solidali con noi e che occorre reagire. La maggioranza decide di fare dei manifesti da attaccare ai muri. La rabbia é molta e qualcuno propone di scrivere sui manifesti parole dure contro il parroco. Riusciamo a trovare un accordo scrivendo frasi tratte dal Vangelo, ad esempio:”Prendete e mangiate, questo è il mio corpo, prendete e bevete questo è il mio sangue” (Mt, 26-26,28). Nella notte una squadra di giovani va ad attaccare i manifesti nei posti più frequentati. La sera, durante lo “struscio” la gente ha di che commentare e noi decidiamo di partecipare ai commenti esprimendo il nostro parere. Ormai la rottura con il parroco é di dominio di tutti; ma le sorprese non mancano, qualcuno ci consiglia di andare a Cefalù a parlare con un Monsignore perché ci aiuti a ricucire lo strappo. Il gruppo incarica Maria e Antonio detto il “mistico” i quali con una 500 dataci in prestito si recano a Cefalù per raccontare la nostra versione dei fatti. Al termine dell’incontro il Monsignore dichiara la sua disponibilità a venire ad Alia per incontrare il parroco. Da parte nostra li invitiamo entrambi a cena nei locali della scuola dove alloggiamo. 18 Riusciamo a tenere a bada i più agitati dei ragazzi non credenti che vorrebbero accogliere i due prelati in modi un po’ troppo provocatori. La cena segna la riconciliazione tra le parti e non solo: il parroco ci chiede di incontrare i giovani del posto e raccontare loro la nostra esperienza; da quel giorno tutto il paese parla di noi al punto che un parroco di un paese vicino ci chiede di partecipare alla Messa delle prime Comunioni. Prima dell’inizio della Messa ci permette di raccontare qualcosa di noi e di quello che facciamo ad Alia. Maria, naturalmente, con la chitarra accompagna i canti. Quello che non possiamo dimenticare è vedere alcuni dei ragazzi e delle ragazze del nostro gruppo piangere per l’emozione. Finiti i campi di lavoro sia noi da Alia che Elio dalla Sardegna riprendiamo a frequentare la Comunità di Torino. Nei campi di lavoro abbiamo vissuto un’esperienza che ci ha arricchiti umanamente e ci ha dato la possibilità di vivere con un gruppo di ragazze e ragazzi desiderosi di comunicare e di trovare qualcuno capace di ascoltarli. Il pensiero ritorna all’Africa Al sabato e alla domenica vi sono gli “incontri di fraternità” e del “gruppo Terzo Mondo”, ed è proprio in uno di questi incontri che Maria, io ed Elio riconfermiamo il nostro desiderio di fare un servizio di volontariato in Africa. Seguono un certo numero di incontri sul tema del volontariato e in uno di questi altre cinque persone della Comunità si rendono disponibili a vivere questa 19 esperienza. Decidiamo di parlarne con don Riva, fondatore della Comunità, al suo rientro da un viaggio in Africa. Don Riva ne parla con il Cardinale Pellegrino il quale ci informa che vi è un vescovo del Burundi, Monsignor Makarakiza, della diocesi di Gitega e Presidente della Conferenza Episcopale del Burundi che cerca volontari. Si decide di scrivere a Mons. Makarakiza per informarlo che la Comunità ha a disposizione 7 volontari laici disposti a partire. La risposta non si fa attendere: i volontari saranno bene accolti nella sua Diocesi. Per tutta la Comunità si sta concretizzando l’idea di un progetto di solidarietà in un paese in situazione di povertà. Siamo nell’anno 1972. Don Riva mi chiede di accompagnarlo in Burundi con lo scopo di conoscere la realtà che il paese sta vivendo e vedere quale sarà la missione che ci ospiterà. Si parla del nostro futuro in Africa e si cercano informazioni sul Burundi, un piccolo paese che molti non sanno nemmeno che esista. Dai giornali scopriamo che nel paese è in atto la guerra civile e molte sono le vittime. Cosa facciamo, partiamo lo stesso? Viene spedito un telegramma al vescovo chiedendo indicazioni. Nel frattempo ci auguriamo che ai nostri parenti non arrivi la notizia di quanto sta avvenendo. Dopo qualche settimana arriva la risposta: “Venite pure”. 20 Nel suo cammino la Comunità ha sempre fatto fronte a delle sfide, a dei cambiamenti, sia a livello sociale che ecclesiale; il Concilio Vaticano II e il ’68 hanno suscitato molti dibattiti al suo interno. Ora si presenta una nuova realtà: un paese sconosciuto, che sta vivendo una situazione di guerra civile; ci incontriamo, ci confrontiamo, preghiamo, impariamo a pregare con il Vangelo (partage de l’Evangile). Si legge una pagina del Vangelo e ognuno comunica agli altri come ha letto, come ha pregato, come ha vissuto la Parola di Dio. Dopo aver superato un periodo che sa di “ubriacatura” si incomincia a fare sintesi e opera di discernimento. Nel frattempo i paesi del “Terzo Mondo” vengono alla ribalta a livello internazionale e mettono sul tavolo planetario i loro problemi. Il Burundi: paese dalle mille colline A luglio del 1972, don Riva ed io facciamo scalo a Bujumbura, la capitale del Burundi. L’aeroporto è presidiato dai militari e noi veniamo ospitati al “Grand Séminaire” dove ci informano che i Vescovi del Burundi è da circa una settimana che sono riuniti a Gitega in seduta permanente. Telefoniamo a Mons. Makarakiza per avvertirlo del nostro arrivo il quale ci informa che manderà un autista e ci porterà a Gitega. Per poter lasciare la capitale dobbiamo avere un lasciapassare, ci rechiamo agli uffici della provincia dove un centinaio di persone sono in attesa di ottenere, anche loro, il documento per uscire 21 dalla città. Il giorno dopo arriva l’autista e partiamo per Gitega , capoluogo di provincia situata a 100 kilometri da Bujumbura, nella regione del Kirimiro. La strada è asfaltata, si attraversa la “Cresta Congo Nilo” ad una altezza di 2000 metri. Ogni 20-30 chilometri dobbiamo fare i conti con i blocchi stradali, gestiti da militari armati i quali controllano i passaporti e si informano sulla nostra destinazione. Mons. Makarakiza ci accoglie con molta cordialità e ci informa che durante i giorni della nostra permanenza, un sacerdote ci accompagnerà a visitare due missioni e così avremo modo di valutare quale delle due riterremo adatta per il nostro inserimento. Partendo da Gitega, un sacerdote belga ci porta a visitare la missione di Nyabiraba e quella di Nyabikere; lungo il percorso verso Nyabikere il nostro autista si ferma in una località denominata Pompeke dove vi è un ponte che attraversa il fiume Ruvubu, (il fiume degli ippopotami). A piedi ci inoltriamo per un sentiero e dopo qualche decina di metri arriviamo in un pianoro dove troviamo una “fossa comune” nella quale sono sotterrati centinaia di cadaveri, mal coperti di terra con le ruspe. Per noi è un colpo tremendo, ci mettiamo in ginocchio, il tempo necessario per un Padre Nostro, il nostro accompagnatore ci consiglia di abbandonare il luogo onde evitare di essere visti. Arriviamo a Nyabikere nella regione del Kirimiro, un altipiano a 1700 metri di altezza. Ci viene incontro un missionario spagnolo, della congregazione dei Padri Teatini e con lui vi è, come aiuto, un prete italiano. 22 Ci fanno visitare la Missione, la Chiesa parrocchiale, il catecumenato e le scuole elementari (statali): le aule sono vuote. Tutti gli insegnanti sono stati uccisi, ora si trovano nella fossa comune che abbiamo visto lungo il tragitto. Padre Estrany, fondatore della Missione ci mette al corrente delle attività, la parrocchia ha quattro succursali distanti una decina di chilometri. Il missionario ci racconta delle uccisioni avvenute sulle colline, dove sono rimaste solo donne, gli uomini sono stati uccisi o sono fuggiti in Tanzania. Per quanto riguarda il nostro inserimento a Nyabikere lui è d’accordo, potremo alloggiare in un piccolo convento che lui ha fatto costruire per delle suore che però non sono mai arrivate. Don Riva ed io ci consultiamo, entrambi bene impressionati da quanto abbiamo visto e sentito, pensiamo di scegliere Nyabikere. Nyabikere è il luogo che ci ospiterà, una località con 40 chilometri di strada in terra battuta per arrivare a Gitega. Dopo alcuni giorni di permanenza a Nyabikere, ritorniamo a Bujumbura , al “Grand Seminaire” e informiamo il vescovo della nostra decisione. Nelle ore serali ci confrontiamo sulla guerra civile in atto nel paese e sulla decisione presa. Nei giorni che rimangono dalla nostra partenza per l’Italia, incontriamo molti missionari che ci raccontano di quanto sta avvenendo nel paese e delle tragedie vissute nelle loro missioni. Molti sono i catechisti uccisi, alcuni missionari sono scoraggiati. 23 Qualcuno ci dice che forse non è il momento migliore per venire in Burundi; chi ci dice di rimanere e chi no. “La gente sta soffrendo dice don Riva - e pertanto è questo il momento di renderci disponibili”. Prima di partire visitiamo alcune missioni nel nord del paese, dove sono avvenuti scontri e uccisioni. In una vi é un missionario italiano al quale don Riva chiede di poter celebrare la Messa, che poi celebra in cucina. Il Missionario, finita la celebrazione, mi dice “Il vostro prete è un uomo di fede”: non l’ho più dimenticato. Un’altra sfida ci attende Rientriamo in Italia, ansiosi di informare la Comunità sul nostro viaggio in Burundi, sulla scelta fatta e su quanto sta avvenendo. La Comunità propone un anno di formazione per i volontari che poi partiranno e cioè: Maria Ardu, Gabriella Ambrosi e il marito Elio Perosino, Carla Marchisio, Mira Mondo, Maria e Mario. Le due coppie, Gabriella ed Elio, Maria e Mario si trasferiscono in Comunità, mantenendo però ancora il loro impiego lavorativo. Siamo nel 1972. La vita comune significa: fare la comunione dei beni, organizzare i turni per la preparazione dei pasti, pregare con la Comunità e programmare i momenti di studio e approfondimento sul volontariato internazionale. Il mondo per noi sta diventando piccolo, prendiamo coscienza che nell’emisfero Sud vivono dei popoli in cerca di libertà, dignità ed equità nei rapporti commerciali. 24 Nel giornale “La voce del popolo” del 29 luglio 1973, in una intervista, il fondatore della Comunità, don Giuseppe Riva, dichiara: “La nostra Comunità è formata da laici, celibi e sposati e da me. Vogliamo vivere insieme una vita evangelica e fraterna, nella preghiera e nel servizio agli altri, specie nei quartieri e nel Terzo Mondo. Abbiamo fatto la scelta dei poveri e a Torino lavoriamo già con gli abitanti dei quartieri per aiutarli ad uscire dall’isolamento. Proprio dai contatti con i poveri della nostra città è nata l’esigenza di andare verso una povertà più grave e più drammatica.” Noi, primi volontari che la Comunità manda in un paese del sud del mondo, dovremo affrontare una situazione molto preoccupante. Vivremo in un paese che si trova in una situazione drammatica, è in atto una guerra civile con centinaia di morti. Ma sappiamo che non saremo soli, lasciamo la Chiesa di Torino e saremo una “fraternità” di laici inseriti nella Chiesa del Burundi nella diocesi di Gitega, invitati dal Vescovo Mons. Makarakiza. Terminato il periodo di formazione in Italia si parte per Parigi per seguire un corso di lingua, alloggiati presso famiglie. Terminato il corso di francese, Mira e Carla trascorreranno un periodo in Belgio ad Anversa per un corso di “Medicina tropicale” La partenza per il Burundi Il 21 luglio 1973 alle ore 18, la Cappella della Comunità nella sede di corso Chieri si è riempita più del consueto: Il Cardinale Pellegrino è venuto da noi per celebrare la Messa di saluto ai 25 partenti per il Burundi; tutta la Comunità é presente insieme a parenti e amici. E’ un momento di gioia e di commozione, di addio e di ringraziamento. La stessa mattina , si sono uniti in matrimonio Enzo Rili e Valentina Foscarin della nostra Comunità. Anche questo avvenimento ha contribuito ad aumentare la nostra serenità. Sul giornale “La Voce del Popolo” (29/7/1973) vi è uno scritto di Maria: “I gruppi di appoggio spontanei sono costituiti da parenti, amici, compagni di impiego e di fabbrica che, sensibili ai problemi del Terzo Mondo, ci aiutano con i loro risparmi e le loro offerte: degli operai si tassano mensilmente di loro iniziativa per aiutarci. Sono proprio i poveri che ci aiutano di più; una pensionata ha voluto darci a tutti i costi diecimila lire; un gruppo di studenti- lavoratori raccoglie medicinali; dei campeggiatori incontrati l’anno prima in Valle d’Aosta ci hanno regalato un gruppo elettrogeno. Andiamo in Burundi sereni, perché sappiamo di avere una Comunità e molti amici alle spalle: non siamo soli e questo è molto importante.” Nel 1973, nel mese di agosto, Maria ed io partiamo per il Burundi, per preparare l’arrivo degli altri cinque. Dobbiamo risolvere alcune pratiche burocratiche sia in capitale sia negli uffici della provincia. A settembre arrivano Maria A., Carla e Mira; Elio e Gabriella ci raggiungeranno dopo un anno. In Burundi la situazione è sempre tesa; a Nyabikere i missionari ora sono tre, due spagnoli (padri teatini) e un italiano (Fidei Donum). 26 I primi giorni ci dedichiamo alla sistemazione della casa, molte persone vengono a salutarci e Padre Estrany ci dà qualche lezione di kirundi, una lingua, per noi, molto difficile. Dopo 4 mesi, con l’arrivo di Maria A., Mira e Carla lasciamo Nyabikere e partiamo per Muyange per seguire un corso di kirundi. Gli allievi del corso sono in maggioranza sacerdoti e suore. I nostri compagni sono molto curiosi di conoscere come funziona la nostra vita comunitaria (vedi allegato lettera Maggio 1974). Terminato il corso di kirundi, torniamo a Nyabikere, fatta eccezione per Mira e Carla che devono seguire un corso all’ospedale statale di Bujumbura. Prima di dare il via al nostro progetto, andiamo a rendere visita ai volontari italiani che già operano nel paese; questi incontri risulteranno molto utili e alcuni settori di lavoro verranno corretti facendo tesoro dell’esperienza che ci hanno trasmesso. In accordo con i missionari i settori di intervento saranno: Foyer social: scuola di alfabetizzazione per adulti, educazione alimentare, artigianato e muratura. Cooperative: di sartoria, falegnameria e meccanica, cooperativa di consumo. Centre de Santé: indirizzato, in particolare alle mamme con figli denutriti. Animazione sulle colline: sono, in particolare, Mira, Carla e Gabriella che vanno sulle colline ad incontrare le mamme e con loro affrontano il problema dei bambini ammalati di Kwashiorkor. 27 Vulgarisation agricole: allevamento animali da cortile, orticoltura e settore sorgenti e acquedotti. Maria si occupa, in collaborazione con delle animatrici locali del Foyer social, Maria Ardu della cooperativa di sartoria, Gabriella del Centre de Santé e con Mira e Carla dell’animazione sulle colline. Elio del settore meccanica e delle sorgenti e acquedotti, Mario del settore falegnameria, muratura e vulgarisation agricole. A fianco di ogni volontario sono previste una o due persone locali nella veste di collaboratori. Nello stesso tempo, con l’aiuto di padre Estrany diamo il via alla costruzione della falegnameria e della meccanica e cooperativa di consumo. In seguito, con al fianco un bravo muratore, si lavorerà a riparare le scuole nelle succursali e costruirne di nuove. Nel Foyer Social, su richiesta degli uomini, si darà il via ad una scuola di muratura (costruzioni in pietra ; questo corso sarà molto frequentato. Nello stesso tempo la nostra attenzione è rivolta ai rapporti con la gente di Nyabikere; molti ci vengono a trovare, qualcuno ci porta un cestino di fagioli o qualche uovo. Alla sera, nelle ore libere (dopo le 17.00) andiamo a trovarli dove abitano, nei bananeti, nelle loro capanne, o nelle case fatte con mattoni cotti al sole. Cerchiamo di migliorare con la lingua kirundi, di rispondere ai loro saluti, alle loro domande. Qualcuno ci chiede: “Chi siete? Non siete preti, non siete suore, chi siete?” Fanno fatica a capire che cosa significa volontariato, che non siamo stipendiati. 28 Alla sera ci ritroviamo tra di noi e ci confrontiamo sul nostro lavoro, sulle difficoltà, sui rapporti con la popolazione e con le autorità: Sindaco, Governatore di provincia e la burocrazia. Vi è poi l’aspetto che riguarda la nostra vita comunitaria. Per noi, un momento importante è il ritrovarci per la preghiera: seduti su una stuoia, al lume di una lampada a petrolio, davanti al Tabernacolo affidiamo al Signore le nostre giornate, il nostro lavoro, preghiamo per le nostre famiglie (lontane 8 mila chilometri), per la Comunità di Torino, sovente dedichiamo un po’ di tempo ad una “revisione di vita” e alla correzione fraterna. Si fa il punto sull’avvio del progetto: Mira, Carla e Gabriella su quanto fanno con le mamme, sia al Centre de Santé sia sulle colline. Maria Ardu, sul buon andamento della cooperativa di cucito; Maria ci aggiorna sullo sviluppo del Foyer Social, frequentato da circa 200 persone, ragazze, donne e uomini. Elio ed io facciamo il punto sul buon andamento della cooperativa di meccanica e falegnameria e la cooperativa di consumo. Poi vi è la gestione della casa, la preparazione dei pasti, fatta a turno. Una cosa è certa, l’amicizia tra di noi si è trasformata in fratellanza, la diversità è diventata ricchezza. La situazione nel paese è sempre tesa, nel 1976 vi è un colpo di stato; il Colonnello Bagaza (presidente della Repubblica) prende il posto del Presidente Micombero; anche a livello locale cambiano i funzionari, sia in Comune sia a livello provinciale. I nuovi funzionari comunali chiedono di incontrarci. Il Sindaco, il Segretario del Partito ci invitano ad avviare una collaborazione 29 più stretta, con l’invito a fare sì che in ogni settore: sanità, strade, educazione, giovani, ci sia un nostro rappresentante. Nel 1978, il Presidente della Repubblica, colonnello Bagaza arriva, senza preavviso, a Nyabikere e visita i vari settori di intervento; in seguito, in un discorso alla radio dichiara “Nyabikere “Comune pilota per lo sviluppo”. In occasione dei 10 anni di presenza del Cisv in Burundi il Sindaco di Nyabikere, Deputato all’Assemblea Nazionale, pronuncia un discorso, e riferendosi al lavoro dei volontari dice: “…vi siete dati anima e corpo per inquadrare la nostra popolazione in materia di salute, miglioramento dell’habitat, cooperative, strade, costruzione di scuole, foyer social, trasporto malati, allevamento, nuove sorgenti, ecc. Malgrado la mentalità differente, il clima differente dal vostro, così come la lingua … Era vostra preoccupazione, gli invitati qui presenti possono esserne testimoni, educare, mostrare ai nostri uomini, ai nostri ragazzi e ragazze, come costruire il nostro Comune.” Ma quando questo avviene, Maria ed io siamo già rientrati in Italia. Nei nostri ricordi vi è un incontro che non dimenticheremo. Un giorno, prima della partenza, arriva a Nyabikere il Governatore della provincia e mi chiede se è vero che vogliamo rientrare in Italia, alla mia conferma mi dice:”Se voi decidete di restare vi regalerò un pezzo di terreno e così potrete costruirvi una casa.” Il Burundi è anche questo! 30 Da una crisi, vissuta con sofferenza, alla rifondazione della Comunità. E’ proprio nel 1978 che noi volontari in Burundi riceviamo una lettera dalla “fraternità di Reaglie” con la quale ci chiedono che qualcuno di noi rientri in Italia per evitare che la casa di Reaglie chiuda. E’ un momento molto delicato, se chiude Reaglie (la sede della Comunità), noi volontari dobbiamo rientrare tutti e interrompere il lavoro avviato. Cosa è successo? Solo in seguito sapremo che erano mesi che qualcosa non funzionava più, che alcune persone della Comunità erano uscite per vivere una nuova esperienza. Questo voleva dire che a Torino la Comunità non esisteva più? Alla sera, al lume di una lampada a petrolio diamo il via ad una serie di incontri per cercare di capire cosa fare, quali decisioni prendere. Il primo incontro è segnato da delusione e scoraggiamento, nessun segnale ci era giunto su quanto stava accadendo in Comunità. Ci chiediamo cosa fare, come comportarci. Superato il momento di scoraggiamento ci concentriamo su cosa fare, cosa rispondere alla richiesta che qualcuno di noi sia disponibile a rientrare in Italia. Bisogna continuare il lavoro in Burundi e nello stesso tempo evitare la chiusura della Comunità. Maria ed io dopo esserci consultati diamo la disponibilità a rientrare in Italia: ai volontari che confermano la loro presenza a Nyabikere, chiediamo di riflettere assieme su quali decisioni prendere a Torino. 31 E’ un momento delicato, chi rimane approva il nostro rientro pur sapendo che aumenterà il lavoro. Le indicazioni che emergono sono: al nostro rientro dobbiamo incontrare le persone della Comunità, sia interne che esterne; ascoltare le loro impressioni e cercare di capire quali saranno i passi da fare. La nostra intenzione, concordata con i volontari, è quella di attuare una rifondazione della Comunità rivedendo i troppi settori di impegno e lavorando in modo che si concentrino le forze sul volontariato internazionale; questa rifondazione va fatta con persone nuove, le persone che hanno vissuto la crisi hanno troppo sofferto. Verranno riconfermati alcuni valori su cui era fondata la vecchia Comunità, come l’ispirazione cristiana, momenti di preghiera, la vita comune e la comunione di beni. “La comunità dei credenti viveva unanime e concorde, e quelli che possedevano qualcosa non la consideravano come propria, ma tutto quello che avevano lo mettevano insieme. /At.4,32-) Nel frattempo i contatti con i membri della Comunità continuano. A loro presentiamo quanto concordato con i volontari rimasti in Burundi. Tra i primi contattati naturalmente vi è don Giuseppe Riva, fondatore della Comunità, che a seguito della crisi che l’ha coinvolta è tornato a fare il parroco. Da lui riceviamo incoraggiamento e sostegno. Come pure dalle persone che avevano lasciato la Comunità. I soci “esterni” ci assicurano il loro appoggio. 32 Per quanto riguarda noi due la prima cosa da fare è trovare un lavoro. Nell’ambito diocesano e anche tra la maggior parte degli amici e delle parrocchie che ci aiutavano si pensa che la Comunità di Reaglie stia chiudendo, A noi viene proposto di lavorare nel Servizio Diocesano Terzo Mondo; lavoreremo a metà tempo. Maria si occuperà dei rapporti con i preti “Fidei donum” (i preti diocesani che operano all’estero, nelle missioni.) Entrambi saremo coinvolti nell’organizzazione della “Quaresima di fraternità” e nella gestione del Centro Documentazione, un aiuto all’accoglienza immigrati. Lavorando a metà tempo faremo in modo che uno di noi sia sempre presente nella sede di Reaglie. Intanto vengono riallacciati i contatti con i sostenitori e gli amici della Comunità. La nuova Comunità riprende il suo cammino e incominciano ad arrivare persone disposte a condividere la vita comune con noi due. La “Comunità Impegno Strada e Deserto” (CISD), diventa “Comunità Impegno Servizio Volontariato” (CISV) e viene accettata la nostra richiesta di adesione alla “Federazione Organismi Cristiani Servizio Internazionale Volontario”(FOCSIV) All’inizio degli anni ’80 siamo riconosciuti, dal Ministero Affari Esteri, Dipartimento Cooperazione allo Sviluppo come “Organismo Non Governativo” (ONG), idoneo a formare i volontari, ad elaborare progetti di sviluppo e di educazione alla 33 mondialità. Questo ha voluto dire per la Comunità avere una segreteria permanente con personale a tempo pieno. Nel frattempo, la nostra adesione alla FOCSIV ci dà la possibilità di essere conosciuti a livello nazionale. Nel 1983 vengo assunto dalla Federazione come Coordinatore dei volontari che operano nell’Africa francofona. Un compito impegnativo anche per i frequenti viaggi nei Paesi francofoni per incontrare i volontari e le autorità locali. Nel 1984, in occasione di un mio viaggio in Burundi, il Presidente, Colonnello Jean Battista Bagaza, mi convoca alla Presidenza. E’ un periodo piuttosto delicato, i rapporti tra Stato e Chiesa sono molto tesi, alcuni missionari vengono espulsi. Informo, di questo incontro, Monsignor Joachim Ruhuna. il Presidente della Conferenza Episcopale. Al giorno stabilito, un automezzo con militari armati mi viene a prelevare presso i Padri Bianchi dove sono alloggiato e mi porta alla Presidenza. Il Presidente, dopo le formalità di rito mi riceve nel suo studio, alla presenza del Ministro dello Sviluppo Rurale. Dopo le domande sul mio ruolo e sulle ONG italiane, mi parla dei rapporti tra Stato e Chiesa riconoscendo le difficoltà, particolarmente nella Regione di Bururi. L’incontro prosegue con domande sui volontari che operano in Burundi, come sono organizzati, chi li finanzia, che rapporti hanno con le istituzioni in Italia. Il colloquio prosegue con serenità, ma anche con molta franchezza da ambo le parti. 34 Una frase che non dimenticherò è quando il Presidente mi dice: ”O voi firmate un accordo con il governo del Burundi o io non risponderò più della sicurezza dei volontari.” In quel periodo i volontari italiani in Burundi erano un’ottantina e uno dei problemi di cui si parlava sovente era la loro sicurezza. La mia risposta alla domanda del Presidente è altrettanto chiara: “La nostra Federazione Nazionale non ha problemi a firmare un accordo con il Governo del Burundi, ma ad una condizione: avere la possibilità di poter continuare liberamente a realizzare progetti, con il Governo del Burundi ma anche con la Chiesa del Burundi e i privati.” Il Presidente mi assicura che non vi saranno problemi in merito. A chiusura dell’incontro incarica il Ministro presente di scrivere, di comune accordo una Convenzione, con regole condivise di collaborazione tra il Governo del Burundi e la FOCSIV. Rimando di una settimana il rientro in Italia per partecipare alla stesura del documento e firmarlo a nome della FOCSIV, nel frattempo avverto il presidente professor Rizzi. Come da impegno preso mi reco all’Arcivescovado di Gitega a informare il Presidente della Conferenza Episcopale, Monsignor Ruhuna e al mio rientro in Italia relaziono all’Assemblea della FOCSIV. (Monsignor Ruhuna verrà poi ucciso in un agguato dei militari il 9 settembre 1996) Un volontariato internazionale che cambia. Sono molti i cambiamenti che avvengono all’interno degli Organismi di volontariato internazionale. E’ questo un momento 35 delicato, alcuni Organismi decidono di ritirarsi, alcuni dicono che questi mutamenti segneranno la fine del volontariato. Alcuni “capi storici” per non ostacolare i cambiamenti decidono di ritirarsi e lasciare spazio a dei leader istituzionali. Cambia il rapporto con la Chiesa; un documento della Commissione Episcopale: “I laici nella missione ad Gentes” e nella cooperazione tra i popoli dice : “Questi Organismi hanno caratteristiche ed esigenze che li distinguono e non vanno contrapposti ad altre espressioni laicali con compiti missionari”. Nello stesso documento si legge che “Gli Organismi cristiani saranno disponibili ad accogliere anche coloro che, pur professandosi non-cristiani o in ricerca, chiedono di poter fare un’esperienza con loro”. Nel cap. V n° 42 dell’Enciclica Redentoris Missio si legge: “L’uomo contemporaneo crede più ai testimoni che ai maestri, più alla vita e ai fatti che alle teorie”. In questi anni, 1983-1987, all’interno del CISV si dà il via ad una svolta operativa che vede la nascita di commissioni di lavoro; nel 1983 viene stampato il primo numero della rivista “Volontari per lo Sviluppo”. La “fraternità di Reaglie è in questi anni molto numerosa, composta da famiglie e singoli. Nel 1984 prende il via il progetto di appoggio all’Unione cooperative della provincia di Gitega. Dal 1985 si è presenti maggiormente in Italia, con un grande sforzo nel “settore informazione”. Infatti, da quest’anno, a Torino numerose associazioni, che si occupano di volontariato e 36 solidarietà propongono alla scuola dell’obbligo un ampio programma di educazione allo sviluppo. Nel 1986, viene stipulata tra il CISV e la Caritas diocesana una Convenzione per accogliere e formare ogni anno tre obiettori di coscienza che si dedicheranno al settore informazione. Inoltre, all’interno della campagna ecclesiale “Contro la fame cambia la vita” si costituisce all’interno del CISV la segreteria dei “Beati i costruttori di pace”. In seguito si apriranno nuovi progetti in paesi africani come il Senegal e il Mali Nel 1989 Maria ed io decidiamo di lasciare Reaglie e tentare l’avvio di una nuova “fraternità”. Questo ha significato dimettermi da Presidente del CISV. E’ stata una decisione che ha chiuso un’epoca, dando la possibilità a chi rimaneva, molti erano i giovani, di lasciare spazio per energie nuove. Dopo aver vissuto 5 anni di vita nella “fraternità di Nyabikere” e 11 anni nella “Fraternità di Reaglie”, ci prepariamo ad affrontare un nuovo progetto. Tommaso Moro, nel libro “Utopia” dice che “…per evitare che possa radicarsi negli abitanti un’affezione pericolosa verso le mura che li ospitano, devono cambiare domicilio ogni 10 anni….”A pensarci bene vi era in noi molta utopia nell’affrontare i cambiamenti. La sede per la nuova “Fraternità” la troviamo nella diocesi di Ivrea, ad Albiano; il Vescovo, Monsignor Bettazzi ci mette a disposizione il “Castello vescovile”. Con noi vi é anche una 37 famiglia di Cantù conosciuta in Burundi e Giacomo che ancora oggi è presente nell’attuale “Fraternità”. Altre famiglie, anche con figli, verranno in seguito ad aumentare il numero dei residenti e inoltre coppie e singoli che hanno fatto con noi un cammino. E’ stata un’esperienza molto interessante, la struttura é l’ideale per l’accoglienza. I fine settimana sono quasi sempre prenotati da gruppi provenienti da Torino e anche da fuori regione. Sono gruppi scouts, gruppi parrocchiali, associazioni. Sovente si organizzano giornate di formazione per volontari che si preparano a partire. E quando nel 1999 il Vescovo della diocesi di Ivrea Monsignor Bettazzi lascerà l’incarico in diocesi per raggiunti limiti di età verrà ad abitare anche Lui al Castello. Abbiamo vissuto con famiglie e con persone molto valide, e in seguito aumenterà il numero di famiglie che entreranno nelle fraternità CISV. Il nostro trasferimento a Locana. Dopo 25 anni di vita comunitaria, Maria ed io decidiamo di riprendere la nostra vita a due. E’ stata una decisione molto meditata e oggi possiamo dire che ha avuto ricadute positive anche per il CISV. Il nostro ritiro ha dato la possibilità, in particolare ai giovani, di assumersi delle responsabilità. Nella Comunità, il cambio generazionale è sempre risultato positivo; sentivamo la necessità di riposarci, di dedicare più tempo alla vita spirituale, al silenzio. Qualcuno ha scritto che: “Chi va nel deserto non è disertore”. 38 Molti qui a Locana si chiedono come mai ci siamo trasferiti in un Comune dove, come in molti paesi montani, la popolazione va diminuendo. Forse perché Locana si trova in montagna, forse perché qui la vita è meno caotica… Un giorno il Sindaco ci ha chiesto di partecipare ad un “Consiglio Comunale aperto” e di spiegare il perché abbiamo scelto Locana come residenza. All’inizio anche noi ci chiedevamo come mai a tavola eravamo solo in due; in 25 anni di vita comunitaria a tavola eravamo sempre in tanti; sentivamo molto la mancanza della Comunità, l’accoglienza, gli impegni, la vita fraterna. E’ anche vero che per noi, con il passare degli anni diventava sempre più difficile tenere il passo con i cambiamenti, inoltre vi era il desiderio di trovare un ambiente che ci aiutasse a vivere una vita spirituale più intensa. Ed è così che sono impostate le nostre giornate. Altro aspetto che caratterizza il nostro vivere è l’accoglienza, molte sono le persone che ci vengono a trovare e condividono con noi i pasti. Non è la casa che ci permette di definirci “eremo”, ma sono le giornate vissute in un certo modo che fanno sì che l’abitazione diventi “eremo”. In una riflessione tenuta agli Oblati il 13-4-2008 nel titolo si legge: “Il cristiano o è contemplativo o non è cristiano”. Noi crediamo che è anche una vocazione essere contemplativi; arriva il momento in cui non è più possibile distinguere dove termina la preghiera e comincia il lavoro. E’ quello che stiamo sperimentando anche noi; non sono pochi gli impegni che si affiancano ai momenti di 39 preghiera. Maria da alcuni anni fa volontariato nell’ufficio della parrocchia dopo essere stata, per 5 anni, catechista. Da due anni anch’io faccio catechismo ai ragazzi delle medie. Poi vi sono persone che periodicamente vengono da noi a pregare. Preghiera e accoglienza secondo lo stile e la tradizione delle “fraternità CISV”. Oggi, siamo nel 2011, dobbiamo sforzarci di vivere la nostra anzianità con un aiuto vicendevole e il più serenamente possibile. Non è facile, come ci ricorda Norberto Bobbio: “I pensieri di una persona anziana tendono a irrigidirsi. A una certa età si stenta a cambiare opinione. Si diventa sempre più ostinati nelle proprie convinzioni, più indifferenti a quelle degli altri…Mi rendo conto io stesso che devo guardarmene.” 40 Allegati 41 Lettera comunitaria del maggio 1974 42 Lettera comunitaria del maggio 1974 43 Bollettino del “Cenacolo operario” 44 Burundi, anno 1994 Il primo Presidente della Repubblica (hutu) viene ucciso. Il paese è in piena guerra civile; la comunità ci chiede di recarci in Burundi per monitorare la situazione dei nostri volontari. Dopo qualche esitazione Mario ed io decidiamo di partire. Lo scritto che segue è parte di appunti presi in quell’occasione. Il primo impatto è stato di paura e di notti insonni in attesa di sentire qualche sparo o addirittura qualche assalto, Ascoltiamo e raccogliamo tutte le notizie che possono riguardare la situazione socio-politica. La nostra prima impressione è quella di una situazione molto tesa. La gente ha paura, le strade sono deserte, eravamo abituati a vedere file di persone, con vestiti multicolori percorrere chilometri e chilometri. Adesso, tranne le città brulicanti di gente, di commercianti, di bambini, all’interno del paese le strade sono deserte. I militari sono un po’ dovunque, soprattutto in città e dove ci sono assembramenti di persone. Per radio le notizie sono poche e vengono riportate solo in caso di uccisioni di militari, se vengono uccisi dei civili le cifre vengono minimizzate. Con tutto il sistema di collegamento via radio, di cui i volontari sono dotati è facile avere notizie da tutti. Le radio sono intercomunicanti, alle volte viene utilizzato un codice minimo per parole che è bene non pronunciare, ma si riesce ad essere informati tempestivamente se ci sono zone “calde”. Ci dicono che ci sono delle bande armate che circolano e la presenza, in alcune zone, dei militari viene giustificata come misura di sicurezza per la popolazione. A livello locale tutti i sindaci e molti governatori sono nuovi e non sanno come muoversi. Le scuole dell’interno sono senza insegnanti, o sono stati uccisi o sono scappati. In una scuola di 6 classi c’era un solo insegnante. Sono state reclutate persone che hanno fatto le scuole medie obbligandole a coprire i posti vacanti; lo stipendio non lo ricevono da parecchi mesi. Alcuni giovani di 25 anni, con titolo di studio, parlando con noi ci dicevano che il loro desiderio è scappare o emigrare. A Gitega la presenza dei bianchi si è ridotta da 130 a 10. Appunti di un viaggio in Burundi 45 Gli spostamenti da una regione all’altra sono un’incognita, si viaggia tesi, sperando di non incontrare sorprese, vi sono barriere con i militari e il rischio di imboscate da parte di bande armate. A Bujumbura, la capitale, si sono registrati furti e assalti soprattutto nei negozi, ma sappiamo anche di suore che sono state derubate, Le cooperative sono chiuse per evitare che siano svuotate di tutto. Però dopo il primo momento di disagio, vedi che un po’ per volta ci si abitua, anche alla guerra. Qualcuno ci diceva che “questa calma è menzognera, c’è da aspettarsi, da un momento all’altro qualche attacco.” La presenza dei volontari, in questo contesto è quanto mai necessaria, ma si teme sulla loro sicurezza. A tutti i livelli, dal Ministro dell’educazione ai missionari ai governatori di provincia, alle domande circa la sicurezza dei volontari ci rispondevano che i bianchi non corrono pericoli a condizione che non si mescolino in problemi politici. Ma ci è stato anche riferito che senza la presenza dei missionari e dei volontari, la repressione sarebbe stata più dura, e ci è anche stato detto che i bianchi sono testimoni scomodi per qualcuno ma indispensabili per ridare speranza alla gente con la quale lavoriamo. Nell’interno del paese se non ci sono i missionari o i volontari è l’abbandono e lo scoraggiamento, Sono loro che pensano a come riparare le scuole, le piste e con la loro presenza danno coraggio ai sindaci e ai tecnici locali. I nostri volontari hanno trovato un equilibrio e un comportamento ammirevole, ci dicono che non si può vivere angosciati ogni giorno, si prendono tutte le precauzioni del caso e si va avanti. Da parte nostra ci chiediamo se si dovesse, per forza di cose abbandonare il progetto quali possibilità ci sono? Contattiamo l’Ambasciata francese (in Burundi non vi è l’Ambasciata Italiana) e chiediamo, in caso di necessità, un loro aiuto. Ci assicurano che se noi indichiamo una località dove possa atterrare un elicottero loro sarebbero disponibili per, eventualmente, evacuare i volontari. Maria Appunti di un viaggio in Burundi 46 Rivista del CISV 47 I “magnifici 7” in partenza con il card. Pellegrino e don Riva Con gli animatori e i ragazzi di Nyabikere 48 La gioia di stare insieme – Tanzania 1970 Maria riceve in regalo dalle mamme del Foyer due cestini di fagioli da portare in Italia alle nostre mamme - 1976 49 Lettera di un socio del CISV alla fraternità di Nyabikere. 50 Udienza da Giovanni Paolo II con la FOCSIV 51 Esperienza di 25 anni di vita comunitaria - 28/9/2001 C’è sempre un pensiero forte che fa scattare le scelte forti. Per me è stata la frase degli Atti degli Apostoli (2,42-47) che descrive la vita delle prime comunità cristiane: “… vivevano fraternamente … mettevano tutto in comune … lodavano Dio … con gioia e semplicità di cuore”. In 25 anni (dal ’72 al ’98) abbiamo condiviso la nostra vita con tanti “fratelli e sorelle” e di tutti serbo un ricordo e un affetto molto forti. E’ stata una scuola che ha arricchito la nostra vita personale e di coppia. Le verifiche comunitarie, cioè gli incontri settimanali per organizzarci il lavoro, la preghiera comunitaria giornaliera per ricaricare lo spirito e trarne forza per affrontare le fatiche; l’accoglienza tra di noi, in famiglia, in fraternità, tra amici. Sono questi i momenti forti che ci hanno permesso di camminare e crescere nell’accettazione reciproca. E poi la comunione dei beni, materiali e spirituali perché ognuno ha i suoi talenti da far fruttare e la vita comunitaria mi pare proprio l’ambito più adatto per mettersi alla prova. Ma non basta. La vita comunitaria non può essere fine a se stessa, ci vuole un impegno comune. Solo un impegno forte, per una causa altrettanto importante può essere la spinta per andare avanti giorno dopo giorno. E allora ecco che nel primo periodo per noi l’impegno è stato il volontariato in Africa, poi al rientro in Italia l’impegno è stato la formazione di persone che desideravano fare esperienza di volontariato, poi a Albiano l’accoglienza di persone o gruppi per giornate di studio o riflessione. E allora la fatica giornaliera diventa quella gioia di cui parla il Vangelo. Maria 52