Tra Ecdotica e Performance: Per un Corpus Papyrorum Vergilianarum* Maria Chiara Scappaticcio (Napoli) Abstract: All the thirty-seven documents – school or scribes’ exercises, bilingual texts, quotations in grammatical texts – forming a new Corpus Papyrorum Vergilianarum are here briefly presented and discussed with regard both to their papyrological and their more strictly philological aspects that are linked to the tradition of the Vergilian manuscripts. What needs emphasis here is the performance dimension of most of these texts, as their ‘signs’ and ‘accents’ show (i.e. in PSI I 21). Keywords: Corpus papyrorum Vergilianarum, Vergil, Latin papyri, accents, performance L’O.Claud. I 190 è un coccio di poco più di 5 cm di altezza rinvenuto nell’area del Mons Claudianus, un sito collocabile tra Qreiya ed Abu Zawal e l’alta valle del Ouadi Fatira, in prossimità del Ouadi Umm Hussein1. La T.Vindol. II 452 è una tavoletta lignea opistografa di circa 15 cm di larghezza e meno di 4 di altezza proveniente da Vindolanda, una città della frontiera romana, l’attuale Chesterholm, ai confini con la Scozia2. Due documenti, dunque, su un materiale ‘di fortuna’, materiale frammentario, trovati, parimenti ad altri testi a carattere prevalentemente documentario, all’interno di contesti militari, ma entrambi testimoni del ‘poema’ dell’età augustea: pur nella loro esiguità e sostanziale diversità di ‘spazio’ e ‘materia’ – forse meno di ‘tempo’, dal momento che sono rispettivamente datati agli inizi del II e alla fine del I secolo d.C. –, l’O.Claud. I 190 (= MP3 3016.01) e la T.Vindol. II 452 (= MP3 2939.01) attestano la diffusione del verso che apre il poema epico di Virgilio, il primo verso del primo libro dell’Eneide. Il tipo di scrittura utilizzata, in entrambi i casi una capitale rustica che è come ‘tradita’ dai segni di una ‘corsivizzazione’ in atto, e la sostanziale tensione alla _________ * La relazione, in una forma abbreviata, è stata presentata nel corso del Convegno Internazionale della FIEC (Berlino, 24–29 Agosto 2009). Ringrazio la Fondation Hardt per la possibilità di usufruire di una borsa di ricerca: è durante il soggiorno alla Fondation (18 maggio – 2 giugno 2009) che questa relazione è stata messa a punto. 1 Sul sito, si veda J. Bingen, Introduction, in J. Bingen, A. Bülow-Jacobsen, W.E.H. Cockle. H. Cuvigny, L. Rubinstein, W. Van Rengen, Mons Claudianus. Ostraka Graeca et Latina I, Le Caire 1992, pp. 9ss.; per un’edizione dell’ostrakon si veda, all’interno dello stesso volume, W.E.H. Cockle, Writing and reading exercises (O. 179–190), pp. 175–176. 2 Su questa tavoletta e per ulteriori rinvii bibliografici, si veda la riedizione di M.C. Scappaticcio, Arma verumque canó: l’Eneide di Vindolanda, «RAAN» (in corso di stampa). Unauthenticated Download Date | 4/19/16 3:33 PM M.C. Scappaticcio, Tra Ecdotica e Performance: Per un Corpus Papyrorum Vergilianarum 131 calligraficità, unite all’organizzazione della sezione scritta all’interno del documento, costituiscono due delle spie volte all’individuazione della tipologia di documento dinanzi al quale ci si trova, e cioè due testi legati ad un ambiente strettamente scolastico: trascrizioni, dunque, da parte di ‘allievi’ del verso più noto dell’intera opera virgiliana. Tanto l’O.Claud. I 190 quanto la T.Vindol. II 452 costituiscono due dei documenti che l’ultimo editore dell’intera opera virgiliana, Mario Geymonat, il più attento finora alla tradizione papiracea, ha inserito all’interno dei Fragmenta papyracea vel membranacea, tabulae ceratae et ostraca3 e attraverso i quali è andato ad arricchire il suo apparato critico, non tanto perché questi testi rivestissero un ruolo fondamentale nel definire la tradizione virgiliana, quanto piuttosto perché «maximi autem momenti sunt ad haec studia apud antiquos illustranda et ad formulas rationesque scribendi vel Graecas locutiones explorandas»4: un valore, dunque, non strettamente ecdotico, ma piuttosto legato al Fortleben che Virgilio ebbe, in particolare, all’interno delle aree provinciali dell’Impero, dei testi in cui vanno a rispecchiarsi le peculiarità ortografiche ed anche più strettamente fonetiche di scribi che verisimilmente non avevano per lingua madre il latino ed erano di origine orientale. Ma questo non esclude che i frammentini papiracei o le tavolette lignee possano rivelare delle ‘perle’ a livello microtestuale. Il corpus di documenti papiracei di cui Geymonat si avvale è costituito da ventinove documenti, un numero, in realtà, sensibilmente differente rispetto a quello che può essere attualmente ricostruito in vista della pubblicazione di un nuovo Corpus papyrorum Vergilianarum, un’opera finora non messa a punto, nonostante una serie di brevi ed ormai datati contributi sulla questione5, e che potrebbe avere un suo antecedente non tanto nell’ormai superata pubblicazione del Cavenaile6 quanto piuttosto nel recente volume di Rodolfo Funari sui papiri _________ 3 M. Geymonat, P.Vergili Maronis opera, Roma 20082, pp. XXIV–XXVI. Geymonat (n. 3), p. XIII n. 34; si confronti anche O. Pecere, I meccanismi della tradizione testuale, in G. Cavallo, P. Fedeli, A. Giardina (edd.), Lo spazio letterario di Roma antica III, Roma 1990, pp. 370–371. 5 Si vedano, ad esempio, R. Seider, Beiträge zur Geschichte und Paläographie der antiken Vergilhandschriften, in H. Görgemanns, E.A. Schmidt (a cura di), Studien zum antiken Epos, Meisenheim am Glan 1976, pp. 129–172; A. Petrucci, Virgilio nella cultura scritta romana, in Virgilio e noi, Genova 1981, pp. 51–72; R.P. Buzón, Virgilio en Egipto, in Actas del Simposio Nacional de estudios clasicos (Buenos Aires 1982), Buenos Aires 1986, pp. 107–117; M. Gigante, Virgilio da Pompei all’Egitto, in La fortuna di Virgilio. Atti del convegno internazionale (Napoli, 24–26 ottobre 1983), Napoli 1986, pp. 7–43; A. Petrucci, s.v. Papiri, in Enciclopedia Virgiliana III, Roma 1987, pp. 964–965. 6 R. Cavenaile, Corpus Papyrorum Latinarum, Wiesbaden 1958. Recente è, però, la notizia di un progetto di riedizione del CPL a cura del CEDOPAL, che avrà a disposizione l’intero archivio di Robert Cavenaile; il progetto prende iniziativa da una proposta di B. Rochette e M.H. Marganne. 4 Unauthenticated Download Date | 4/19/16 3:33 PM 132 Archiv für Papyrusforschung 56/1, 2010 sallustiani7. Un’opera, al contempo, che potrebbe essere funzionale ad un’edizione critica virgiliana, se non altro in direzione di un’ulteriore messa a punto della complessità de ‘il Virgilio dei papiri’8. Costruire, però, un corpus di papiri di un auctor del calibro di Virgilio e valutarne criticamente il testo non permette di ‘distaccarsi’ dal testo della tradizione manoscritta: un confronto tra i papiri – quale che sia la loro tipologia – ed il ‘testo’ – o più verisimilmente ‘i testi’ – dei manoscritti è necessario, motivo per il quale l’edizione di ogni frammento deve essere data ‘in parallelo’ con il testo dell’Eneide, ed in particolare, oggi, con quello restituito dall’ultima edizione critica virgiliana di Geymonat, in modo tale da avere immediatamente sotto gli occhi quanto la tradizione ‘frammentaria’ abbia di quella codicistica più tarda e delle scelte degli editori moderni. Tutte le differenze, però, rispetto alla ‘vulgata’ virgiliana meritano di essere registrate all’interno di un apparato critico che includa non semplicemente le letture relative ai frammenti papiracei, ma anche i luoghi in cui questi si distacchino o concordino con le varie lezioni attestate dalla tradizione manoscritta e, soprattutto, quei luoghi in cui la ‘scissione’ tra i codici non permettano all’editore dei testi papiracei virgiliani di intervenire nel colmare una lacuna, senza prescindere, peraltro, dalle diverse congetture che sono state proposte dai principali editori dell’opera del Mantovano. Fortunate sezioni del primo libro dell’Eneide permettono, ad esempio, di istituire un parallelo tra più testimonianze papiracee, da un lato, e la tradizione manoscritta, dall’altro: basti pensare ai versi 418–422, per i quali si hanno tre papiri digrafici bilingui, il BKT IX 39 (= P.Berol. inv. 21138 = MP3 2939.1)9, il P.Ness. II 1 (= MP3 2939)10 ed il P.Ryl. III 478 (= MP3 2940)11, che pure presentano delle leggere diversioni sotto il profilo strettamente ortografico o anche testuale. Se, da un lato, ad Aen. 1. 42012, il P.Ness. II 1 ha quello stesso inminet, che è proposto nell’edizione di Janell13, dall’altro, il BKT IX 39 ed il P.Ryl. III 478 (o meglio la mano correttrice intervenuta su un precedente inminet) hanno l’imminet dell’intera tradizione manoscritta e condiviso dalla maggior parte dei moderni editori virgiliani: una questione di resa ortografica, dunque. Ambiguità grafiche e morfologiche, infatti, vengono fuori da un’analisi dei testi papiracei: la complessità della resa dell’accusativo plurale di terza declina_________ 7 R. Funari (ed.), Corpus dei Papiri Storici Greci e Latini, Parte B 1,2. Caius Sallustius Crispus, Pisa, Roma 2008, sul quale si veda la recensione in «APF» 54. 2 (2008), pp. 251–257. 8 Così nel titolo di una relazione presentata da Giovanni Polara in occasione della virgiliana «Noster Maro. Giornata di studi virgiliani in onore di Mario Geymonat» tenutasi a Venezia il 27 maggio 2009. 9 Su cui si veda l’edizione di H. Maehler, Zweisprachiger Aeneis-Codex, in Actes du XVe Congrès International de Papyrologie II, Bruxelles 1979, pp. 18–41. 10 Su cui si veda l’edizione di L. Casson, E.L. Hettich, Excavations at Nessana II, Princeton 1950, pp. 2–65. 11 Sul quale si veda la riedizione di M. Fressura, Note al Papiro greco Rylands 478 (P.Ryl 478), «SEP» 4 (2007), pp. 77–97. 12 Imminet adversasque aspectat desuper arces. 13 G. Janell, P.Vergili Maronis, Opera, Lipsiae 1920. Unauthenticated Download Date | 4/19/16 3:33 PM M.C. Scappaticcio, Tra Ecdotica e Performance: Per un Corpus Papyrorum Vergilianarum 133 zione con tema in –i è un dato che emerge dalla collazione tra i differenti casi che si presentano nei papiri virgiliani14. In tale direzione, riduttiva è l’operazione di integrazione di lacune che viene tentata da Casson ed Hettich per il testo del virgiliano P.Ness. II 215, i quali alla l. 191, integrano omnis (Aen. 6. 667), ma, alla l. 214 omnes (Aen. 6. 736)16: i due editori, all’interno di una sezione introduttiva al loro studio, hanno puntualizzato che il testo virgiliano dei papiri viene da loro integrato a partire dall’edizione critica curata da Hirtzel17. È un’operazione piuttosto discutibile, indipendentemente dalle scelte editoriali di Hirtzel: voler vedere ‘riempito’ il testo frammentario e lacunoso del papiro significa, in questo caso specifico, prescindere dalle questioni più strettamente testuali legate ai versi virgiliani e, soprattutto, ‘livellare’ verso il basso il testo e la complessità del rotolo – o codice – papiraceo in quanto prodotto scrittorio. Il punto più debole di questa operazione, però, risiede nel ‘modernizzare’ e adeguare a soluzioni recenti delle peculiarità che sarebbero potute essere specifiche di un determinato manoscritto: che un papiro abbia potuto avere l’uscita in –es oppure in –is, delle quali è attestata la compresenza anche all’età di Virgilio, è difficile da stabilirsi, tanto più che giocano un ruolo non secondario l’ambiente e la funzione per cui dovette circolare e l’età in cui venne vergato. Né Casson ed Hettich, per i due papiri virgiliani della collezione Colt attualmente conservati alla Pierpont Morgan Library di New York, sono stati i soli editori che hanno adottato la consuetudine di integrare, normalizzandolo, il testo dei papiri contenenti gli esametri di Virgilio. Per restare ancora nella sfera della resa dell’accusativo plurale di terza declinazione, basti il caso delle forme penates / penatis entrambe attestate nella tradizione manoscritta – per l’una o l’altra delle quali si sono mostrati propensi gli editori moderni – ad Aen. 1. 70418: alla l. 47 del P.Cairo 85.644b (= MP3 2940) i due editori, Rémondon e Koenen19, hanno proposto, pur in tempi diversi, di integrare la lacuna con la lezione [Penates], analogamente a quanto Johannes Kramer ha proposto per la l. 169 del palinsesto ambrosiano L 120 sup. (= MP3 2943)20. Talora, invece, il peso di un’integrazione da parte degli editori dei papiri che va a ‘violare’ la complessità del testo virgiliano si allontana dal campo dell’ortografia per toccare quello più complesso delle varianti significative: alla l. 924 del P.Ness. II 1, Casson ed Hettich hanno integrato, ad Aen. 4. 44621, _________ 14 A riguardo si veda ‘Ambiguità’ grafiche e morfologiche: Virgilio, i papiri e gli accusativi in –es / –is, «Boll. Stud. Lat» 39 (2009), pp. 112–122. 15 Per la cui edizione si vedano Casson, Hettich (n. 10), pp. 66–78. 16 Casson, Hettich (n. 10), 75–76. 17 F.A. Hirtzel (ed.), P.Vergili Maronis opera, Oxonii 1942. 18 Cura penum struere et flammis adolere penatis. 19 R. Rémondon, À propos d’un papyrus de l’Eneide, I 256–261; 270–274; 702–707; 711–719, avec traduction grecque, «JJP» 4 (1950), p. 249; L. Koenen, Neue Lesungen zu einem VergilPapyrus, «ZPE» 11 (1973), p. 222. 20 J. Kramer, Der lateinisch-griechische Vergilpalimpsest aus Mailand, «ZPE» 111 (1996), p. 7. 21 Aetherias, tantum radicem in Tartara tendit. Unauthenticated Download Date | 4/19/16 3:33 PM 134 Archiv für Papyrusforschung 56/1, 2010 raḍ [ice, una lezione che è solo in parte della tradizione manoscritta e a proposito della quale gli editori moderni si sono divisi22. Emerge, così, la scivolosità di questo tipo di integrazioni, sia che si tratti di casi in cui la questione è meramente ortografica sia di casi in cui si vanno a toccare problemi ecdotici ed esegetici, motivo per il quale nella trascrizione dei papiri del Corpus è bene astenersi da ogni intervento volto a colmare lacune in tutti quei casi in cui la tradizione codicologica virgiliana non è lineare. Una resa quasi ‘diplomatica’ del testo, dunque, in cui ci sia pieno rispetto di quello che il papiro ha, senza restituire nulla che gli sia estraneo e operare un’anacronistica banalizzazione. In questa direzione si volge anche la scelta di restituire i papiri con tutta quella serie di segni diacritici, di accentazione e di ‘interpunzione’, generalmente sottovalutati nella resa del testo, che, con la loro asistematicità e con la loro buona dose di ‘personalità’, vanno ad arricchire le prospettive interpretative dell’opera virgiliana e della sua percezione in ambienti prevalentemente scolastici: un riesame autoptico del palinsesto ambrosiano L 120 sup., ad esempio, consente di restituire al testo tutti quegli accenti – e la presenza è tutto fuor che sporadica – dei quali si era già reso conto il primo editore, il Galbiati, il quale, però, ne aveva trascurato la riproduzione nella sua trascrizione23. L’attenzione per questo aspetto, infatti, non è sempre stata viva negli editori dei testi virgiliani – e non – su papiro, e solo in tempi recenti il problema viene fuori dalle nuove edizioni, come quelle sallustiane di Rodolfo Funari o quelle dei testi digrafici virgiliani di Marco Fressura. Ritornando alle differenti scelte ortografiche (inp- / imp-; conl- / coll-; exs- / ex-; ae per e e viceversa) dei papiri virgiliani, vale la pena ricordare qui anche il più complesso caso della l. 25 del P.Cairo 85.644 che, ad Aen. 1. 271, ha moeni[et contro il ben attestato muniet 24, insieme a molti casi in cui determinati grafemi sono lo specchio del parlato e derivazione della dettatura che doveva essere impiegata per la realizzazione del testo (lo scambio tra b, p e v è un esempio), insieme ad aplografie o errori di tipo paleografico dovuti ad una mancata interpretazione dell’archetipo, né mancano luoghi in cui peculiarità ortografiche – e, congiuntamente, ‘fonetiche’ – vanno a rispecchiarsi in quelle ecdotiche, come _________ 22 In una sua recensione a M. Geymonat, P.Vergili Maronis opera, Augustae Taurinorum 1973, R.E.H. Westendorp Boerma, in «Mnemosyne» 30 (1977), p. 92, scrive: «Why should we read radicem in A. 4, 446, when the preceding line has the ablative vertice (in G. 2, 291–292, where nearly the same lines occur, Geymonat correctly votes for radice)?». 23 G. Galbiati, Vergilius latine et graece in palimpsesto codice arabico, «Aevum» 1 (1927), p. 52: «vocis notae, eadem syllabarum apice circumflexarum ratio, idem paene verborum inter se puncto distinguendorum modus». La presenza di questi segni era stata messa in luce anche da Lowe: «numerous accents are seen» (Codices Latini antiquiores III, Oxford 1938, n° 306). Per una riedizione dei frammenti si veda ora Appunti per una riedizione dei frammenti del Palinsesto Virgiliano dell’Ambrosiana, «APF» 55.1 (2009), pp. 96–120. 24 In merito, si veda Virgilio e la ‘filologia dei papiri’: Aen. 1, 681 ed il PColt 1, «MD» 62 (2009), pp. 128–130. Unauthenticated Download Date | 4/19/16 3:33 PM M.C. Scappaticcio, Tra Ecdotica e Performance: Per un Corpus Papyrorum Vergilianarum 135 emerge dalla questione che ruota intorno al noris di Aen. 4. 423, alla l. 893 del P.Ness. II 125. Talora i papiri conservano quelle stesse divergenze che sono vive nella tradizione manoscritta: gli unici due papiri che hanno conservato Aen. 1. 66826, il P.Ness. II 1 ed il palinsesto ambrosiano L 120 sup., hanno rispettivamente in clausola iniquae e superbae, aggettivi relativamente ai quali i codici si dividono, per quanto l’uno sia lectio facilior rispetto all’altro che è accettato dagli editori moderni pressoché all’unanimità27. Talora, invece, potrebbero contenere delle lezioni ‘ricercate’ e determinanti nel quadro della ricostruzione testuale dell’Eneide: una ‘perla’, in questa direzione, potrebbe essere considerato l’[undas] che, a partire dalla parallela traduzione della colonna greca, si può ricostruire alla l. 716 del P.Ness. II 1, in clausola ad Aen. 1. 618, e che si riscontra soltanto all’interno della tradizione manoscritta dei recentiores registrati da Geymonat28. Il valore ecdotico delle lezioni presenti in quello che è ‘il Virgilio’ dei papiri, però, deve necessariamente essere misurato sulla funzione che ogni manoscritto dovette verisimilmente avere: il palinsesto ambrosiano L 120 sup., quanto resta di un originario codice membranaceo bilingue e digrafico, non può essere messo sullo stesso piano del solo testo latino del PSI I 21 (= MP3 2949) o dell’esercizio scrittorio del P.Masada II 721 (= MP3 2948.01). La difficoltà nella valutazione di ogni documento, poi, si unisce alla complessità nel giudizio sul ‘valore’ che i testi legati a contesti didattici dovettero avere: i prodotti di scuola possono essere il risultato di una semplificazione – che non significa necessariamente ‘appiattimento’ – del testo, ma anche il punto di arrivo di una tradizione consolidata nel tempo. Né è da escludere quanto abbiano potuto giocare la componente ‘cronologica’ e quella ‘topografica’ del documento: i testi in esame oscillano fra il I d.C. (dall’immediata diffusione dell’opera virgiliana, dunque) ed il tardo V d.C., dalla Britannia alla Palestina al Fayoum, non senza conseguenze dal punto di vista di un’evoluzione ed una complessità linguistica che – per una tendenza alla ‘personalizzazione’ – potrebbero non aver lasciato immutato il testo di un auctor. Che già agli inizi del I d.C. si trovino versi virgiliani all’interno di esercitazioni scrittorie di scribi professionisti è significativo: quella degli ‘esercizi di calamo’ è una categoria nella quale si trovano ad essere abbracciati quattro documenti del Corpus. Alla fine del I d.C., infatti, risale il peculiare esercizio calligrafico del P.Hamb. II 167 (= MP3 3011)29; analogamente, al I d.C. può essere anche datata _________ 25 La questione è esaminata in dettaglio in: Noris e noras (Aen. IV 423): un sondaggio di ‘filologia dei papiri’, «Vichiana» 10.2 (2008), pp. 170–175. 26 Verg. Aen. 1, 667–668: omnia circum litora iactetur odiis Iunonis acerbae. 27 È verisimile che la lezione iniquae possa essere derivata da Aen. 8. 292 (fatis Iunonis iniquae); «in any case acerbae makes a rather better stilistic complement to odiis», sostiene R.G. Austin, P.Vergili Maronis Aeneidos liber primus, Oxford 1971, p. 203. 28 Ci si occupa diffusamente della questione in Scappaticcio (n. 24), pp. 127–139. 29 In merito si vedano le osservazioni all’interno del recente studio di P. Cugusi, Citazioni virgiliane in iscrizioni e graffiti (e papiri), «BStudLat» 38 (2008), p. 526. Unauthenticated Download Date | 4/19/16 3:33 PM 136 Archiv für Papyrusforschung 56/1, 2010 quella che Gigante ha definito «la gemma del dossier virgiliano in Egitto»30, il P.Haw. I 24 (= MP3 2947)31, un frammento papiraceo che contiene un esercizio calligrafico su due versi virgiliani, di cui l’uno (Aen. 2. 601) ricopiato almeno sette volte e l’altro (Aen. 4. 174) almeno cinque32 con un tipo di ductus che rivela abilità, eleganza, disinvoltura. C’è un elemento che fa da denominatore comune tra questo esercizio scrittorio a partire da versi dell’Eneide e gli altri due che sono modulati a partire da versi di questa stessa opera: i due versi del P.Haw. I 24 sono rispettivamente i versi con cui Venere si rivolge, dopo l’assassinio di Priamo, ad Enea e con cui si descrive l’azione della Fama che fa circolare la notizia dell’amore che Didone comincia a nutrire per Enea; il P.Oxy. L 3554 (= MP3 2951.1)33, della fine del I d.C., contiene, ripetute almeno sei volte, le parole che Drance rivolge a Turno, dicendogli di non voler consumare la propria esistenza per garantirgli una sposa regale (Aen. 11. 371, per intero, e 11. 372, parzialmente); il P.Masada II 72134, da datare prima del 73–74 d.C., ha, ricopiato una sola volta, il famoso verso dell’inizio del quarto libro attraverso il quale Didone apostrofa la sorella Anna (Aen. 4. 9)35. Questi tre documenti hanno tutti al loro centro figure femminili, segno, probabilmente, di una predilezione di tipologia di versi dell’Eneide da parte di abili scribi professionisti per le loro esercitazioni36; né, però, si può escludere che si tratti di un mero caso. La quarta esercitazione calligrafica del Corpus, invece, è costituita da un frammento papiraceo più tardo rispetto agli altri e generalmente datato tra II e III d.C., il P.Tebt. II 686br (= MP3 2938)37, che ha, ricopiati più volte, i primi due versi del quarto libro delle Georgiche. _________ 30 Gigante (n. 5), p. 36. Si veda l’ultima edizione di S. Dow, Latin calligraphy at Hawara: P.Hawara 24, «JRS» 58 (1968), pp. 60–70. 32 All’interno del P.Haw. I 24, però, è attestato anche un altro verso: si tratta dell’unica testimonianza papiracea di un verso oraziano (Ars 78), ricopiato almeno sette volte, per cui si vedano R. Marichal, L’Écriture Latine du Ier au VII e siècle: les source, «Scriptorium» 4 (1950), pp. 120–121 n° 19; Dow 1968, p. 62 e M. Capasso, Pap. Hawara 24, in Orazio. Enciclopedia oraziana III, Roma 1998, pp. 51–52. All’interno della scheda del MP3 2947 si legge, con maggiore cautela: «peute-être Horatius, Ars poetica 78». 33 Si veda l’edizione di W.E.H. Cockle in Aa. Vv., The Oxyrhynchus Papyri L, London 1983, pp. 139–141. 34 Il papiro è stato edito da H.M. Cotton, in H.M. Cotton, J. Geiger, Masada II. The Yigael Yadin Excavations 1963–1965. Final Reports, Jerusalem 1989, pp. 31–35. 35 Diversamente, l’editrice del papiro ha creduto potesse trattarsi non di un’esercitazione scrittoria, bensì di una sorta di ‘epigramma’ indirizzato – con un valore chiaramente erotico – ad una donna chiamata Anna o una trasposizione, attraverso la ‘strumentalizzazione’ del verso virgiliano, di una sofferenza legata al collasso del forte di Masada; in merito si confronti Cotton (n. 34), p. 34 e, più recentemente, Cugusi (n. 29), p. 526. 36 Questa osservazione è stata già avanzata, per il solo P.Haw. I 24 da E.G. Turner, Oxyrhynchus and Rome, «HSPh» 79 (1975), p. 11. 37 Il frammento è stato edito per la prima volta da B.P. Grenfell, A.S. Hunt, The Tebtunis Papyri II, London 1907, pp. 333–334 e, in seguito da R. Marichal, in A. Bruckner, R. Marichal, Chartae Latinae Antiquiores V, Dietikon, Zürich 1975, n° 304. 31 Unauthenticated Download Date | 4/19/16 3:33 PM M.C. Scappaticcio, Tra Ecdotica e Performance: Per un Corpus Papyrorum Vergilianarum 137 Il confine, però, tra le esercitazioni calligrafiche di scribi professionisti ed esercitazioni scrittorie da legare a contesti didattici è estremamente labile, a tal punto che si potrebbe genericamente parlare di ‘esercitazioni scrittorie’ inglobando le due ‘sottocategorie’. Un caso ‘borderline’, ad esempio, potrebbe essere ritenuto quello del P.Oxy. X 1315v (= MP3 3013), frammento papiraceo datato al IV d.C. dalle dimensioni particolarmente esigue, che contiene Aen. 11, 1 (= 4. 129)38: l’Aurora, un personaggio femminile, dunque, è la protagonista dell’esercizio; in più, il verso contiene un buon numero di lettere sulle quali esercitarsi – che pure è un elemento spesso identificativo delle esercitazioni calligrafiche rispetto a quelle più strettamente ‘scolastiche’ –, ma il ductus della sua corsiva romana nuova risulta così impacciato che è verisimile che non ci si trovi dinanzi all’esercitazione di uno scriba esperto ma piuttosto di un discente alle prime armi. Analogamente all’O.Claud. I 190 di cui si è parlato precedentemente, chiaro segno di un tipo di esercizio da legare all’ambiente scolastico e alla dimensione del ‘discente’ sono le cinque tavolette di Vindolanda che si fanno testimoni di versi virgiliani. Rispetto alle pubblicazioni di Bowman e Thomas39 e alle tavolette britanniche incluse tra i testi papiracei sulla cui recensio si è basato Geymonat, che conoscevano soltanto le T.Vindol. II 452 (Aen. 1. 1), T.Vindol. II 118 (= MP3 2951.01; Aen. 9. 473) e T.Vindol. II 121 (= MP3 3026.82), che tengo fuori dal corpus virgiliano, il numero dei documenti dal forte britannico contenenti versi virgiliani esce sensibilmente accresciuto conseguentemente alle operazioni di scavo compiute nel 2002, dalle quali sono venute fuori, tra le altre, tre nuove tavolette virgiliane: T.Vindol. inv. 02-38A b (recto) (= MP3 2951.001; Aen. 7. 373), T.Vindol. inv. 02-38A d (verso) (Aen. 10. 860–861) e T.Vindol. inv. 02-38A d (recto) (= MP3 2935.11; Georg. 1. 125)40. Il nucleo più consistente dei papiri virgiliani, però, è costituito da esemplari digrafici bilingui41, testi, cioè, organizzati in modo tale che gli esametri virgiliani vengano come ‘frazionati’ all’interno di linee differenti di scrittura, sì che ogni linea contenga una parola o, al massimo, gruppi di tre, cui fa fronte la corrispettiva traduzione greca: si tratta di quel tipo di documenti generalmente noti come ‘glossari virgiliani’, che circolarono all’interno della parte orientale dell’Impero, in particolare tra IV e VI d.C., costituendo uno strumento attraverso il quale ren_________ 38 Si vedano, da ultima, le riedizioni di D. Hagedorn, Ein verkannter Vergilvers auf Papyrus, «ZPE» 34 (1979), p. 108 e J. Kramer, Glossaria bilinguia altera (C. Gloss. Biling. II), München, Leipzig 2001, pp. 40–44 n° 2. 39 A.K. Bowman, J.D. Thomas, Vindolanda: the Latin writing-tablets, London 1983; Eid., Vindolanda: the Latin writing-tablets, London 1983. The Vindolanda writing-tablets (Tabulae Vindolandenses II), London 1994 e Eid., The Vindolanda writing-tablets (Tabulae Vindolandenses II), London 20032. 40 Si veda, in merito e per ulteriori rinvii bibliografici, Virgilio, allievi e maestri a Vindolanda: per un’edizione di nuovi documenti dal forte britannico, «ZPE» 169 (2009), pp. 59–70. 41 Osservazioni strettamente paleografiche relative a questo tipo di documenti si riscontrano in P. Radiciotti, Manoscritti digrafici grecolatini e latinogreci nell’antichità, «Pap. Lup» 6 (1997), pp. 107–146 e Id., Manoscritti digrafici grecolatini e latinogreci nella Tarda Antichità, «Pap. Lup.» 7 (1998), pp. 153–185. Unauthenticated Download Date | 4/19/16 3:33 PM 138 Archiv für Papyrusforschung 56/1, 2010 dere maggiormente agevole la lettura dell’opera virgiliana a dei grecofoni che, conseguentemente alle riforme di Diocleziano, avevano la necessità di acquisire una buona familiarità con la lingua latina42. Rientrano in questa ‘categoria’ ben undici documenti. Uno solo è il testo bilingue di un’opera altra rispetto all’Eneide: si tratta del P.Allen s.n. (= MP3 2936)43, frammento palinsesto appartenente ad un codice membranaceo, nella cui scriptio inferior, al di sotto della Sapientia Salomonis in lingua copta, ci sono i versi 234–237 del primo libro delle Georgiche, vergati in una tipologia di onciale che riconduce alla pars Orientis dell’Impero degli inizi del V d.C. Ben dieci, invece, sono i testi digrafici dell’Eneide: il P.Ryl. III 478, il P.Cairo 85.644 ed il P.Mil. I 144 costituiscono un solo codice papiraceo di IV d.C. contenente un’ampia sezione del primo libro (1. 235–243, 247–261, 270–274, 405–414, 418–426, 633–640, 645-654, 702–707, 711–719), analogamente al palinsesto ambrosiano L 120 sup., frammenti palinsesti di un codice membranaceo verisimilmente di origine siriaca e vergato tra IV e V d.C., nella cui scriptio inferior c’è gran parte del primo libro dell’Eneide (1. 588–608, 649–664, 689–704, 729–749); il BKT IX 3945, databile al calare del IV d.C., è parte di un codice papiraceo contenente, però, insieme a molti versi del primo, anche pochi della prima parte del secondo libro (1. 211–215, 217–220, 222–225, 227–232, 234–236, 238–242, 244–248, 250–252, 276–281, 283–285, 289–297, 398–400, 411–413, 419–422, 528, 547–548, 556–558, 617–618, 627–628, 729–731, 747–749, 755–756; 2. 51–53, 60–62, 71–73, 84–86, 107–108, 120–121); sezioni del primo, secondo e del quarto libro da un originario codice papiraceo sono nel palestinese P.Ness. II 146, proveniente dalla Nessana (l’attuale Auja el-Hafir), degli inizi del VI d.C. (1. 256–257, 262–263, 331–332, 336–337, 413–426, 457–459, 462–465, 468–470, 473–476, 598–599, 602–606, 607–610, 613–615, 618–619, 624–625, 627–628, 662–664, 667–669, 673, 678, 2. 24–102, 717–718, 723–724, 764–767, 783, 788–789; 4. 248–362, 364–497); sezioni del solo secondo libro sono state recentemente identificate da Marco Fressura nel P.Vindob. L 62 (= MP3 2944.1; Aen. 2. 130–139, 142–150, 152–160, [160]–?), appartenente ad un codice papiraceo del Fayoum degli inizi del VI d.C.47; analogamente il PSI VII 756 (= MP3 2946)48 della Biblioteca Medicea Lauren_________ 42 Tra i contributi più recenti, si veda B. Rochette, Le latin dans le monde grec. Recherches sur la diffusion de la langue et des lettres latines dans les provinces hellénophones de l’Empire romain, Bruxelles 1997, pp. 165–210. 43 Il frammento è stato pubblicato da E.M. Husselman, A palimpsest fragment from Egypt, in Studi in onore di Aristide Calderini e Roberto Paribeni, Milano 1956 I, pp. 453–459. 44 Per il P.Ryl. III 478 si veda Fressura (n. 11), pp. 77–97, per il P.Cairo 85.644, invece, Koenen 1973, 213–234 e per il P.Mil. I 1 S. Daris, Papiri milanesi (P.Med.) I, Milano 19672, pp. 11–12. 45 Per il quale si veda l’edizione di Maehler (n. 9), pp. 47–53. 46 Si veda Casson, Hettich (n. 10), pp. 2–65. 47 M. Fressura, P.Vindob. L 62 identificato (Verg. Aen. II 130–139, 142–150, 152–160, [160] –? con traduzione greca), «ZPE» 168 (2009), pp. 83–96. 48 Il papiro è stato edito da M. Norsa, in Aa. Vv., Papiri greci e latini VII, Firenze 1925, pp. 34–40. Unauthenticated Download Date | 4/19/16 3:33 PM M.C. Scappaticcio, Tra Ecdotica e Performance: Per un Corpus Papyrorum Vergilianarum 139 ziana contiene sezioni del solo secondo libro (Aen. 2, 443–458, 467–482, 494– 512, 522–537), quanto resta di un codice papiraceo opistografo in un quarto di onciale caratterizzato da una forte angolosità e databile tra il calare del IV e gli inizi del V d.C., il quale, però, mostra la peculiarità di vedere organizzate quattro (e non due, come nella maggior parte dei casi) colonne per pagina. Quattro colonne per pagina si riscontrano anche all’interno di un altro documento virgiliano digrafico, il P.Fouad I 5 (= P.Cair. 72044 = MP3 2948)49, in una rapida ed abile scrittura corsiva, anch’esso databile tra la fine del IV e gli inizi del V d.C. e caratterizzato da dimensioni particolarmente rilevanti a tal punto che si è, talora, dubitato facesse parte di un codice papiraceo50; all’interno di questo frammento si snoda una breve sezione del terzo libro (Aen. 3. 444–468). Attualmente sembra superata l’ipotesi che anche il P.Oxy. L 3553 (= MP3 2943.1)51, piccolo frammento da un codice membranaceo databile al V d.C., contenente solo pochi versi dal primo libro (Aen. 1. 615–628), fosse articolato in quattro colonne e non in due. Secondo il ‘canonico’ schema bipartito della pagina sono organizzati i P.Oxy. VIII 1099 (= MP3 2950)52 ed il P.Vindob. L 24 (= MP3 2951)53: il primo dei due, frammento da un foglio di codice membranaceo particolarmente spesso, è vergato in un’accurata onciale datata al V d.C. e contiene la sezione finale del quarto libro ed i primi versi del quinto (Aen. 4. 661–686, 689–705; 5. 1–6), separati da explicit et incipit in capitale rustica incorniciati all’interno di un motivo ornamentale a zig zag; il secondo, invece, anch’esso un frammentino da un codice di pergamena datato alla fine del V d.C., contiene uno scarso numero di versi dal quinto libro (Aen. 5. 671–674, 683–685). Questi documenti digrafici bilingui, tutti provenienti da province orientali dell’Impero e verisimilmente da legare alla sfera dell’insegnamento scolastico, possono contribuire significativamente alla conoscenza del latino virgiliano, ma un rilievo ancora più particolare è quello assunto dalla traduzione ‘Wort für Wort’ che ne viene data e che non è mai una ‘traduzione poetica’, in versi. Un nucleo altrettanto consistente è costituito dai documenti che contengono sequenze, più o meno lunghe, di versi virgiliani, organizzati all’interno dello specchio di scrittura in modo tale che ogni esametro occupi una linea: quasi tutti verisimilmente legati ad un contesto didattico, i dieci documenti virgiliani che rientrano in questa ‘categoria’ mostrano delle peculiarità che possono essere proprie di finalità ben specifiche. Il frammentino papiraceo del P.Oxy. I 31 (= MP3 _________ 49 Si veda A. Bataille, O. Guéraud, P. Jouget, N. Lewis, H. Marrou, J. Scherer, W.G. Waddell, Les Papyrus Fouad I, Le Caire 1939, pp. 6–12. 50 Per la ricostruzione del foglio originario, si confronti P.Fouad I 5, pp. 6–7; Seider (n. 5), p. 164 n. 153 e Id., Paläographie der lateinischen Papyri II.1, Stuttgart 1978, p. 156. 51 Sul quale si veda ora M. Fressura, Revisione di P.Oxy. 1099 e P.Oxy. 3553, «SEP» 6 (2009), pp. 43–61. 52 Sul quale si veda Fressura (n. 51). 53 Il papiro è stato edito da J. Kramer, Il Glossario virgiliano bilingue di Vienna (P.Vindob. L 24), in M. Capasso, G. Messeri Savorelli, R. Pintaudi (edd.), Miscellanea Papyrologica (Pap. Flor. XIX), Firenze 1990, pp. 331–334. Unauthenticated Download Date | 4/19/16 3:33 PM 140 Archiv für Papyrusforschung 56/1, 2010 2941)54, infatti, che contiene pochi versi dal primo libro dell’Eneide (1. 457–465, 495–507) e datato, con la sua semionciale, tra la fine del IV e gli inizi del V d.C., è certamente un esemplare scolastico che fu tra le mani di qualche discente55 – ipotesi questa alla quale fa ben da sostegno la ricostruzione codicologica avanzata dal Seider56 – mentre il P.Ness. II 2 (= MP3 2945), anch’esso come il digrafico P.Ness. II 1 verisimilmente di origine palestinese e datato tra la fine del V e gli inizi del VI d.C., pur di contesto scolastico, sarebbe potuto non essere necessariamente l’esercitazione di un allievo ma piuttosto il ‘volume’ di un maestro. Il P.Ness. II 2 è il più consistente dei papiri virgiliani contenenti i soli esametri latini, costituito da quindici frammenti editi e tre che ho potuto recentemente identificare, appartenenti ad un originario codice papiraceo e comprendenti duecentosessantuno versi di secondo, terzo, quarto, quinto e sesto (in dose più massiccia) libro dell’Eneide (2. 197–203, 232–238, 296–299, 302–304, 330–333, 337– 338, 676–677, 709–710; 3. 559–564, 591–595, 629–634, 662–666; 4. 385–390, 417–422, 450–457, 482–490, 517–523, 551–559, 647–651, 681–686; 5. 8–11, 43–46, 643–649, 676–681; 6. 424–434, 459–468, 492–503, 517–523, 526–537, 561–573, 596–607, 631– 643, 665–677, 701–711, 735–746, 769–780, 804–814, 838–845, 873–881). Un esemplare funzionale allo studio, invece, doveva essere il codice, caratterizzato da una membrana particolarmente sottile e da una capitale quadrata ‘tradita’ da elementi onciali, di origine sicuramente orientale e datato alla fine del IV d.C., cui apparteneva il frammento del P.Oxy. VIII 1098 (= MP3 2944)57, che reca uno ridotto numero di esametri dal secondo libro dell’Eneide (2. 16–23, 39–46). Analogamente, anche il P.Ant. I 30 (= MP3 2952)58, frammento membranaceo appartenente alla sezione superiore del foglio di un codice di discreto valore dal punto di vista qualitativo, può essere incasellato a buon diritto tra gli esemplari ‘da lettura’ – o meglio, da biblioteca: un elemento di non scarso rilievo è il tipo di scrittura con cui è vergato, una capitale rustica – la scrittura dei ‘grandi’ codici virgiliani, ‘intorpidita’ da una serie di elementi onciali che riconducono il frammento all’area orientale dell’Impero della fine del IV d.C.; il frammento contiene pochi versi dal dodicesimo libro dell’Eneide (12. 762–765, 786–790), elemento questo particolarmente significativo, se si pensa che la maggior parte dei testi su papiro ha come ‘protagonisti’ versi dal primo, secondo e quarto libro. Ad un contesto certamente scolastico si ritorna con il PSI I 2159, frammento _________ 54 Il papiro è stato edito da B.P. Grenfell, A.S. Hunt, The Oxyrhynchus Papyri I, London 1898, pp. 60–61. 55 In questa direzione, da ultimo, anche M.H. Ibrahim, Education of Latin in Roman Egypt in the Light of Papyri, in Roma e l’Egitto nell’antichità Classica, Roma 1992 , p. 221. 56 Seider ipotizza che la pagina originaria fosse ampia 19–20 cm ed alta all’incirca 30 (Seider, n. 50, p. 119). Diversa la ricostruzione che egli stesso aveva precedentemente proposto, in Seider 1976, p. 155 n. 113. Grenfell e Hunt si erano sbilanciati a supporre che l’altezza del codice dovesse essere all’incirca di 26 cm (p. 60). 57 L’edizione di riferimento resta quella di A.S. Hunt, The Oxyrhynchus Papyri VIII, London 1911, pp. 158–159. 58 Per il quale si veda C.H. Roberts (ed.), The Antinoopolis Papyri I, London 1950 I, p. 78. 59 Edito da T. Lodi, in Aa. Vv., Papiri greci e latini I, Firenze 1912, p. 47. Unauthenticated Download Date | 4/19/16 3:33 PM M.C. Scappaticcio, Tra Ecdotica e Performance: Per un Corpus Papyrorum Vergilianarum 141 appartenente ad un codice papiraceo in semionciale databile agli inizi del V d.C., attraverso il quale si sono tramandati alcuni dei versi più noti del quarto libro dell’Eneide (4. 66–68, 99–102). Dati troppo incerti, invece, sono quelli relativi al P.Berol. inv. 21299 (BKT IX.205 = MP3 2951. 02)60, un frammento dalle dimensioni particolarmente ridotte e verisimilmente appartenente ad un codice papiraceo di area egizia databile al IV d.C.: i pochi esametri dal decimo libro dell’Eneide (10. 832–836, 863–867) non permettono di ricostruire il tipo di ‘possessore’ del manoscritto, per quanto ci sia una componente – sulla quale ritornerò a breve – che potrebbe fornire qualche indizio, e cioè la presenza di segni di accentazione. Il caso del P.Oxy. VI 872 (= MP3 3018)61, frammento da un codice membranaceo della fine del V d.C., invece, merita qualche attenzione in più: nonostante la difficoltà della lettura, Körte62 ha identificato le parole ricostruibili a partire dalle lettere del frammento con le sezioni iniziali di alcuni versi appartenenti al sesto libro dell’Eneide, che, però, si susseguirebbero in modo ‘disordinato’, dal momento che, al di là dei versi 698–700, sono individuabili alle ll. 10–11 del frammento i versi 713 e 711, in un ordine invertito rispetto all’originale virgiliano. Pur nell’impossibilità di asserire con certezza che tutte le parole ricostruibili dal papiro appartengano al sesto libro dell’Eneide, che tuttavia alle ll. 7–9 ci siano verisimilmente le sezioni iniziali di Aen. 6. 698–700 non è un caso, motivo per cui accolgo il frammento nel Corpus, pur non essendo in grado di ricostruire, alla luce delle ulteriori identificazioni di possibili versi virgiliani, come dovesse essere strutturato il testo del codice originario che non è escluso potesse essere come un’‘antologia’ di versi dell’Eneide: ancora una volta, dunque, probabilmente, un caso ‘borderline’. Gli unici due papiri testimoni delle Bucoliche contengono esclusivamente il testo latino dell’opera: si tratta del P.Strasb. inv. Lat. 2 (= MP3 2935)63, piccolo frammento membranaceo scritto su un solo lato (un rotolo o un codice?) in capitale rustica (di origine orientale o occidentale?), datato agli inizi del IV d.C. e contenente esametri dalla quinta ecloga (5. 17–34), e del P.Narm. inv. 66.362 (= MP3 2935.1)64, frammento opistografo verisimilmente appartenente ad un rotolo papiraceo databile alla fine del I d.C., in una capitale ricca di elementi della corsiva romana antica, probabilmente non tanto da legare ad un contesto scolastico ma piuttosto possesso di uno dei militari romani insediati a Narmuthis, contenente alcuni versi dell’ottava ecloga (8. 53–62) e riutilizzato per la trascrizione di un elenco di nomi in una corsiva greca databile non prima del II _________ 60 Si veda G. Ioannidou, Catalogue of Greek and Latin Literary Papyri in Berlin (P.Berol. inv. 21101–21299, 21911), Mainz am Rhein 1996, pp. 239–240 n° 205. 61 Si vedano le osservazioni di A. Körte, Unbekannter lateinischer Dichter, «APF» 6 (1920), pp. 267–268. 62 Körte (n. 61), pp. 267–268. 63 Si veda l’edizione di M. Geymonat, Due frammenti virgiliani ritrovati in Egitto, «Helikon» 4 (1964), pp. 345–347. 64 Il frammento è stato edito da C. Gallazzi, P.Narm. inv. 66.362: Vergilius, Eclogae VIII 53– 62, «ZPE» 48 (1982), pp. 75–78. Unauthenticated Download Date | 4/19/16 3:33 PM 142 Archiv für Papyrusforschung 56/1, 2010 d.C. scritto in modo trasversale rispetto alle linee di scrittura (e, dunque, sul verso del rotolo). Anche delle Georgiche si ha un testimone contenente una sequenza dei soli esametri latini: si tratta dei cinque frammenti del P.Ant. I 29 (= MP3 2937)65, fortunato rinvenimento della campagna ad Antinoopolis dell’inverno tra 1913 e 1914 dell’Egypt Exploration Society. Il P.Ant. I 29 è costituito da cinque frammenti del foglio di un codice, datato tra la fine del IV e gli inizi del V d.C.: non un papiro di ambito scolastico, ma una «superb edition»66 per la quale venne utilizzato un papiro di ottima qualità67 – e l’impostazione stessa della pagina non fa che volgere in questa direzione –, in cui c’è la sezione finale del secondo libro (Georg. 2. 527–537, 540–542) divisa dai versi iniziali del terzo (Georg. 3. 1–11, 18–20, 22–27) da un argumentum; di rilievo è anche la presenza di note marginali in lingua greca. Nel Corpus meritano di essere inclusi anche due documenti che contengono, all’interno di sezioni di argomentazioni grammaticali, citazioni di versi virgiliani: tradizione diretta, dunque, di una tradizione indiretta; si tratta del P.Mich. VII 429v (= MP3 2996)68 e del PL III / 504 (= MP3 2917.01)69. Il primo dei due è un frammento da un rotolo papiraceo sul cui recto c’è un testo a carattere documentario con le registrazioni di promozioni all’interno di truppe ausiliarie (163– 172 d.C.), riutilizzato al verso per trascrivere una trattazione di tipo grammaticale sulla formazione dei dittonghi, che doveva costituire un solo documento insieme al P.Lit. Lond. 18470, contenente un’argomentazione relativa alle parti del discorso. Indipendentemente dall’identificazione del possibile autore del trattato71, _________ 65 Si veda Roberts (n. 58), p. 75–77. Roberts (n. 58), p. 75. Erroneamente Gigante (n. 5), p. 29 attribuisce l’uso dell’aggettivo «superbo» al Cavenaile, il quale, invece, altro non aveva fatto se non riprendere quanto era stato puntualizzato dell’editore dei frammenti. 67 CLA Suppl. 1708, p. 13: «Papyrus of unusually fine quality for this period»; analogamente Buzón 1986, p. 109 ha parlato di un «papiro de exceptional calidad». 68 Si veda J.E. Dunlap, in H.A. Sanders, Latin Papyri in the University of Michigan collection, Ann Arbor 1947, pp. 2–8. 69 Del frammento è in corso di stampa una riedizione: Il PL III / 504: Virgilio, la dialysis e un’ignota Ars Grammatica, «Aegyptus» (2008). 70 Nella maggior parte delle campionature di documenti papiracei il P.Mich. VII 429 ed il P.Lit. Lond. 184 vengono schedati insieme, tanto più che il dato più forte per stabilirne l’unitarietà, al di là dell’uso di uno stesso tipo di scrittura e dell’identificazione di una stessa mano, è costituito dal fatto che i due frammenti hanno al recto due differenti sezioni di uno stesso documento militare. Per l’unificazione dei due frammenti si confronti, per primo, Dunlap (n. 68), pp. 330–343. Per il P.Lit. Lond. 184 (Brit. Libr. Inv. 2723), comunque, si vedano MP3 2996 = LDAB 5065 = TM 63851 = CLA 2, 212 + 11, 212 = ChLA 3, 218 = CPL 57 = PlP 5 = PlL = El 39 = MsL 65 = Warmoeskerken 2007, 50; si confrontino anche S. Bassi, Monumenta Italiae Graphica, Cremona 1956 I–II, p. 93 n° 115 (+ Tav. XLI); K. Barwick, Remmius Palaemon und die römische Ars Grammatica, Hildesheim 1967, pp. 144–145 e P. Swiggers, A note on the grammatical papyrus P.Lit. Lond. 184, «Aegyptus» 64 (1984), pp. 31–34. 71 Scrive Dunlap (n. 68), p. 4: «any attempt to determine the author of the work on the basis of information now available is rash». A proposito del P.Lit. Lond. 184, infatti, J.G. Milne, Catalogue of the Literary Papyri in the British Museum, London 1927, p. 154 ha avanzato l’ipotesi di 66 Unauthenticated Download Date | 4/19/16 3:33 PM M.C. Scappaticcio, Tra Ecdotica e Performance: Per un Corpus Papyrorum Vergilianarum 143 è necessario mettere in rilievo che la citazione virgiliana è fatta all’interno di un contesto scolastico e didattico, come emerge dall’uso della seconda persona e da quello della prima persona plurale – dietro la quale si nasconde verisimilmente il maestro. L’unicità del trattato del P.Mich. VII 429 è nel formulare in un modo specifico la possibilità di restituire il dittongo ae come ai attraverso il riferimento, alle ll. 19–2072, ad Aen. 9. 26, una citazione debitamente isolata anche dal punto di vista più strettamente grafico, perché incorniciata all’interno di due linee orizzontali. L’altro testo virgiliano-grammaticale è il PL III / 504, una lacinia membranacea databile alla prima metà del IV d.C. contenente un trattato grammaticale dal sapore carisiano in cui vengono citati i versi 12–13 dell’undicesimo libro dell’Eneide. Gli ultimi due documenti da menzionare, in quanto parte del Corpus virgiliano, sono il PSI II 142 (= MP3 2942), intorno al quale si è sviluppato un fiorente dibattito73, ed il PSI XI 1307v (= MP3 2749)74. Non sono testi che riportino esattamente i versi dell’opera virgiliana, ma piuttosto in un caso una rielaborazione, datata alla fine del V d.C., a partire da Aen. 1. 477–493 – un progymnasma Vergilianum, si direbbe – dal sapore chiaramente didattico, nell’altro, invece, datato al calare del I d.C. e scritto sul verso di un rotolo sul cui recto ci sono gli Acta diurna di una legione romana (prima metà del I d.C.), una exercitatio scribendi ad opera di un discente alle prime armi e dal ductus fortemente incerto, in cui si ripete – per due volte – la sequenza i]uli / ae]neas dardaniae[, che, pur non riscontrandosi identica in nessuno degli esametri virgiliani, evidentemente è da questi che parte. I trentasette documenti del Corpus papyrorum Vergilianarum, dunque, spaziano da Vindolanda a Nessana, da Ossirinco a Narmouthis, da Masada al Mons _________ un’identificazione con Remmio Palemone e sulla sua scia si è mosso anche P. Collart, Palémon et l’Ars Grammatica, «RPh» 12 (1938), pp. 228–238. Si confrontino anche Dunlap 1947, pp. 4–6 e, più recentemente, G. Pennisi, Ad grammaticos, «Helicon» 1 (1961), pp. 503–511 per l’attribuzione del testo al Dubius sermo di Plinio il Vecchio. Una sintesi sulla questione si trova in A. Wouters, The grammatical papyri from Graeco-Roman Egypt. Contributions to the study of the ‘ars grammatica’ in antiquity, Brussel 1979, pp. 103–107. 72 Nelle linee immediatamente precedenti la citazione virgiliana, il papiro è fortemente lacunoso; a partire dalla ricostruzione di un Maro alla l. 18, l’editore, Dunlap, ha ipotizzato che l’analogia con la consuetudine di individuare Virgilio attraverso il suo solo cognomen come fa Marziano Capella potesse guidare alla comune matrice di un luogo di Giulio Romano (p. 8). Per ulteriori puntualizzazioni sull’illustrazione del dittongo nei grammatici si confronti Wouters (n. 71), pp. 100–101. 73 Si vedano, da ultimi, L. Zurli, Il PSI II 142 rivisitato, «GIF» 56 (2004), pp. 189–200, il quale ha ritenuto il frammento un prodotto ‘paraletterario’ ed opera di un «litteratissimus maestro grecoegizio» (p. 195), e P. Paolucci, Il Vergilianus faber di PSI II 142. Un esempio di tecnica versificatoria da Virgilio in età tardo antica, «GIF» 59 (2007), pp. 79–102, la quale significativamente arriva a concludere che «questo esercizio parafrastico si configura come esito estremo della composizione “a brandelli” virgiliani ed ha in nuce tracce dell’altra modalità, che, per intenderci, potremmo definire ‘combinatoria’» (p. 95). 74 L’unica edizione è rimasta quella di M. Norsa (ed.), Papiri greci e latini XIII, Firenze 1949, pp. 103–107. Unauthenticated Download Date | 4/19/16 3:33 PM 144 Archiv für Papyrusforschung 56/1, 2010 Claudianus, lasciando intravedere come la conoscenza dell’opera virgiliana avesse raggiunto una certa capillarità all’interno dell’intero Impero, a partire dal I d.C. e fino al VI d.C.: Virgilio è parimenti il ‘protagonista’ degli esercizi calligrafici degli abili scribi delle province orientali, lo strumento grazie al quale i burocrati della pars Orientis dell’Impero si avvicinavano alla lingua latina attraverso la forma bilingue latino-greca, il punto intorno al quale far ruotare le rielaborazioni delle scuole di retorica, l’auctor privilegiato in esemplari da biblioteca o dagli studiosi orientali che lo ‘personalizzavano’ attraverso l’uso di note marginali nella propria lingua, il terreno preferito di citazioni da trattazioni grammaticali. Questo il quadro che si può attualmente delineare alla luce delle conoscenze nel settore della papirologia latina: ulteriori scoperte o edizioni di testi non ancora pubblicati potrebbero – cosa che non sorprenderebbe in papirologia – sovvertire questo assetto. Ma c’è un dato che è necessario mettere in luce e cui sinora si è fatto, a volte, riferimento: il carattere ‘vissuto’ di questi documenti virgiliani. La maggior parte di loro, infatti, è caratterizzata dalla presenza di segni, per lo più analoghi ai nostri accenti acuti, o trattini orizzontali, apposti in tempi e da persone differenti – allievi, maestri o, non di rado, gli scribi stessi – al fine di rendere più semplice la comprensione del testo latino e, in particolare, la sua lettura, tanto più che si tratta di testi verisimilmente legati a non aventi per lingua madre il latino: in tale direzione, il consueto percorso scolastico che si snoda attraverso la praelectio e la lectio si carica di un ulteriore significato. E constatare che questi segni, ad un primo esame, abbiano alla loro base – e ai nostri occhi – una sostanziale ‘asistematicità’ è il dato che più spinge ad interrogarsi su di loro, a ricercare, in fondo, una plausibile motivazione. Né è escluso che possa esserci. Riporterò qui un solo esempio. Il PSI I 21, cui si è fatto cenno precedentemente, contiene una sequenza di versi dal quarto libro dell’Eneide: una delle motivazioni che, agli inizi del Novecento, spinse la prima editrice del frammento papiraceo, Teresa Lodi, al suo studio era il fatto che si presentasse «notevole per la scrittura e gli accenti» (p. 47). Allo stesso modo, Baldwin, a partire dalla presenza di «accents and symbols of quantity and punctuation»75, ritiene che un documento come il PSI I 21, insieme al P.Oxy. VIII 1099 – ma, alla luce dell’esame attuale, si direbbe non solo –, non possa essere altro se non una forma di esercitazione scolastica: il luogo della pratica dei pueri. Anche Moore, del resto, ha inquadrato il frammento nella categoria degli «schoolbooks»76, opera di un prudente maestro o di un suo allievo e perfetto specchio dell’insegnamento della lingua latina all’interno della realtà scolastica di lingua greca. Quello che Moore mette in evidenza, in merito alle modalità in cui i segni si presentano nel testo, è che non si tratta di ictus metrici, ma piuttosto di accenti prosastici: sulla scia dell’Abbott77, individua nel papiro il segno della dotta consuetudine – frutto _________ 75 B. Baldwin Vergilius Graecus, «AJPh» 97 (1976), p. 367. Moore, Latin exercises from a Greek schoolroom, «CPh» 19 (1924), p. 323. 77 F.F. Abbott, The accent in vulgar and formal Latin, «CPh» 2 (1907), pp. 444–460. 76 C.H. Unauthenticated Download Date | 4/19/16 3:33 PM M.C. Scappaticcio, Tra Ecdotica e Performance: Per un Corpus Papyrorum Vergilianarum 145 del contatto dei latini più colti con l’ambiente greco – di rimarcare, piuttosto che il cosiddetto ictus, un «musical word accent»78, come testimonierebbe la presenza del segno dell’accento acuto in quót (l. 2r) ed in húnc (l. 4r). Questi due monosillabi, infatti, sarebbero accentati secondo una consuetudine attestata a partire da Quintiliano – e poi documentata anche dai vari trattati grammaticali79 – secondo la quale ea vero quae sunt syllabae unius, erunt acuta aut flexa80. Già Lenchantin De Gubernatis aveva osservato come gli accenti del papiro siano utilizzati ‘alla greca’, per segnalare, cioè, la sillaba sulla quale la voce avrebbe dovuto arrestarsi; l’irregolarità nell’uso degli accenti, però, permetterebbe di ricondurre il frammento ad un testo appartenuto a degli scolari che avrebbero avuto il bisogno di contrassegnare solo determinate sillabe la cui lettura e la cui pronuncia sarebbero risultate particolarmente difficili81. Gli stessi segni vengono da Ronconi considerati come degli «accenti acuti (metrici) e segni di quantità»82. Che gli accenti acuti abbiano un valore metrico sarebbe un’osservazione assolutamente errata: non cadono, infatti, sulle sillabe sulle quali – se pure si ipotizzasse l’esistenza di una ‘lettura metrica’83 – sarebbe dovuto esserci l’ictus. Questa tipologia di segno si riscontra piuttosto sulle sillabe toniche, e, in particolare, come è stato osservato già dalla Lodi, sulle parole polisillabe. Del resto, l’esame autoptico del testo consente di rilevare che anche ossa, alla l. 3r, presenta un accento acuto sulla vocale della prima sillaba: la Lodi, la quale pure ha il merito di aver intuito la probabilità che quella o fosse segnata con un accento84, _________ 78 Moore (n. 76), p. 324. Si confronti, invece, F. Mountford, Some Neglected Evidence Bearing on the Ictus Metricus in Latin Verse, «TAPhA» 56 (1925), pp. 150–161. Quella della natura intensiva o melodica dell’accentazione latina è una questione particolarmente dibattuta, su cui non è opportuno soffermarsi in questo contesto. 79 Si legge, infatti, a riguardo in Diomede (GL I 431. 15–19 K), nel de accentibus pseudopriscianeo (GL III 521. 5–8 K), in Donato (L. Holtz, Donat et la tradition de l’enseignement grammatical, Paris 1981, p. 609 ll. 11–13 = GL IV 371. 8–11 K), nel commento che di Donato fece Servio (GL IV 426. 27–31 K), nel de accentibus di Sergio (GL IV 483. 8–10 K) e nelle explanationes a Donato attribuite allo stesso Sergio (IV 524. 21–24 K), in Cledonio (GL V 32. 8– 11 K), in Pompeo (GL V 128. 22–37 K), in Vittorino (GL VI 192. 24; 195. 1–2 K), in Audace (GL VII 329. 22; 330. 1–2; 358. 6–16 K), in Dositeo (GL VII 378. 3–5 K) e all’interno dei Fragmenta Bobiensia (GL VII 539. 20–23 K). L’ordine qui seguito è meramente convenzionale, in quanto segue la disposizione all’interno dei volumi del Corpus del Keil. 80 Quint. Inst. 1. 5. 31. 81 M. Lenchantin De Gubernatis, La pronuncia del Latino a Ossirinco nel secolo V, «RFIC» 43 (1915), pp. 448–453; analogamente, Lowe ipotizzò che questi accenti potessero essere «aids in learning Latin» (CLA 3, 287, p. 4). 82 F. Ronconi, in E. Crisci, P. Degni (a cura di), Papiri Letterari della Biblioteca Medicea Laurenziana (CD), Cassino 2002, n° 67. Dall’affermazione di Ronconi si può intendere che quei segni rappresentassero o gli accenti acuti o gli accenti metrici di cui parlano i grammatici, ovvero che alcuni possono essere accenti acuti, altri segni di tempo forte. 83 In merito, mi limito a rinviare alle diffuse osservazioni in C. Questa, La metrica di Plauto e Terenzio, Urbino 2007. 84 La Lodi scrisse: «Dovrebbe essere óssa perché il copista accenta sempre le parole polisillabe» (p. 47 n. 101). Unauthenticated Download Date | 4/19/16 3:33 PM 146 Archiv für Papyrusforschung 56/1, 2010 non lo ha dato nella sua edizione. Differentemente dall’editio princeps, inoltre, non si può attualmente constatare la presenza di un accento acuto sulla seconda sillaba dell’aeternam della l. 1r: la parte immediatamente superiore alla e è ora in lacuna, per cui in una nuova trascrizione del frammento è bene dare tra parentesi quadre l’accento sulla vocale, dal momento che, per quanto non attualmente visibile, il segno è stato visto quasi un secolo fa dalla prima editrice ed è possibile ipotizzare che il frammento abbia subito ulteriori danneggiamenti nel corso del tempo, e prima che fosse rinchiuso tra due lastre di vetro. Per quanto riguarda, invece, il trattino orizzontale – in bilico tra l’apex85 ed il segno dell’accentus longus86–, è necessario rilevare che esso cade su vocali lunghe e, in particolare, per quanto riguarda le forme ēst (l. 1v) e tōta (l. 2r), ha la funzione di differenziare le parole da omografi che hanno però le stesse vocali di quantità breve (il ruolo dell’apex, dunque87). Su ēst interessanti sono le osservazioni di Moore, il quale ritiene che si tratti di un esempio importante in quanto testimonierebbe, all’altezza del V d.C., la necessità per i pueri di tener presente la differenza di pronuncia tra la terza persona singolare del presente indicativo del verbo edo (ĕst) e quella di sum (ēst)88. A maggior ragione, dire tōtus non equivale a dire tŏtus: dal momento che la forma tŏtus è attestata – e con un valore differente rispetto a quello di tōtus89 –, la necessità di segnare la o e di disambiguare, così, la scrittura, sarebbe potuta derivare dal fatto che i pueri avrebbero potuto creare confusione con l’aggettivo derivato dall’aggettivo indeclinabile tot. In una sezione dell’Ars di Cledonio, infatti, si legge una precisazione in merito a quŏt e tŏt e agli aggettivi quotus e totus: se, infatti, quotus ha mantenuto la prima sillaba breve, e dunque ha l’acutum, totus, invece, la ha allungata e ha assunto il circumflexum90. Leggere di questa precisazione in un opuscolo gram_________ 85 Contro la consolidata tradizione che vede l’apex vergato alla stregua del nostro accento acuto, una serie di elementi guidano piuttosto ad identificare l’apex in un trattino orizzontale posto al di sopra delle vocali, come provo a dimostrare all’interno di una sezione del mio lavoro di Dottorato in corso. 86 Basti il riferimento a quanto si legge in Donato: longus (scil. accentus) linea a sinistra in dexteram partem aequaliter ducta ¯ (Holtz, n. 79, p. 611 l. 1 = GL IV 371. 33–372. 1). 87 Quint. inst. 1. 7. 2–3: ut longis syllabis omnibus adponere apicem ineptissimum est, quia plurimae natura ipsa verbi, quod scribitur, patent, sed interim necessarium, cum eadem littera alium atque alium intellectum, prout correpta uel producta est, facit: ut ‘malus’ arborem significet an hominem non bonum apice distinguitur, ‘palus’ aliud priore syllaba longa, aliud sequenti significat, et cum eadem littera nominativo casu brevis, ablativo longa est, utrum sequamur, plerumque hac nota monendi sumus. 88 Moore (n. 76), p. 323. 89 Sull’aggettivo totus, si confronti E. Woelfflin, Ex toto in totum, «ALL» 4 (1887), pp. 143– 147; V. Broendal, Omnis et totus: analyse et étymologie, in Mélanges Linguistiques offerts à M. Holder Pedersen, Kopenhagen 1937, pp. 260–268; J.B. Hofmann, Die lateinischen Totalitätsausdrücke, in Mélanges de philologie, de literature et d’histoire anciennes offerts à J. Marouzeau, Paris 1948, pp. 283–290; G. Bonfante, Lat. tōtus, «RicLing» 4 (1958), pp. 164–176; S. Zimmer, Zur Etymologie und zu den ältesten Belegen von lat. totus, «Glotta» 63 (1985), pp. 221–225. 90 GL V 50, 31–32; 51, 1–2 K. Unauthenticated Download Date | 4/19/16 3:33 PM M.C. Scappaticcio, Tra Ecdotica e Performance: Per un Corpus Papyrorum Vergilianarum 147 maticale potrebbe far credere che si trattasse di una confusione di quantità generalmente diffusa – e facilmente ‘innescabile’ – fra i pueri. Alla l. 1r, invece, il pactosque è contrassegnato dal trattino orizzontale sulla sillaba che precede l’enclitica, a ricordare che essa deve essere lunga, indipendentemente dal fatto che fosse o meno seguita dall’enclitica91: una segnalazione del genere appare tanto più giustificata se si tiene presente la dimensione scolastica in cui il frammento deve essere inserito, per cui sarebbe stato compito del maestro ricordare al puer determinate regole morfologiche o relative all’accentus. Credere, invece, che il trattino orizzontale sia potuto cadere ‘sulle lunghe’ risulta, in generale, riduttivo: in tal caso, infatti, moltissime altre sillabe si sarebbero dovute segnare. La scelta, al contrario, è ricaduta su casi che avrebbero potuto suscitare perplessità nel lettore – quale che fosse – ed è per questo che si potrebbe ipotizzare che in tal caso il segno abbia avuto il valore di apex. Per quanto riguarda, invece, le altre parole con l’enclitica –que, all’interno del frammento, queste hanno sulla sillaba da accentare il segno dell’acuto, probabilmente perché, in entrambi i casi (totáque l. 3v e traxítque l. 3r), si tratta di vocali brevi. Un dato che merita di non essere trascurato è che a segnare il testo sono state delle mani diverse rispetto a quelle dello scriba. I trattini orizzontali, infatti, sono segnati con un inchiostro bruno, particolarmente scuro, quasi quanto quello che è utilizzato per il corpo del testo; il tratto, poi, è abbastanza spesso. Tra gli acuti, invece, tutti tracciati con un inchiostro molto più chiaro rispetto a quello del trattino orizzontale, è possibile cogliere una tipologia più scura e tracciata con un calamo più spesso (vívit l. 2v; vúlnus l. 2v; pótius l. 1r; pácem l. 1r; hábes l. 2v; quót l. 2r) ed una realizzata con inchiostro più chiaro e calamo più sottile (móllis l. 1v; flámma l. 1v; medúllas l. 1v; péctore l. 2v; totáque l. 3v; ménte l. 2r; Dído l. 3r; traxítque l. 3r; óssa l. 3r; húnc l. 4r). Questo del PSI I 21 è semplicemente un esempio: lo stesso tipo di indagine, infatti, viene applicata, all’interno della sezione introduttiva ad ogni documento del Corpus, a tutti i casi riscontrabili, nel tentativo di vedere in che modo i testi riflettano quanto si legge all’interno de «les textes sur les textes»92, nelle trattazioni grammaticali, testi legati fondamentalmente ad un ambiente scolastico di cui è frutto ‘materiale’ la maggior parte di quei papiri che ci hanno trasmesso il testo virgiliano. L’indagine, poi, potrà dare ulteriori risultati – o addirittura sovvertire quelli ai quali si può approdare allo stato attuale delle ricerche – nel momento in cui si ampliasse all’intera documentazione papiracea latina, letteraria quanto documentaria, verificandone i punti di contatto e gli scarti, un’impresa che richiede, però, tempi lunghi, e verosimilmente un gruppo di studiosi anche numericamente adeguato. Che si tratti dei ‘residui’ del procedimento della lectio, di interventi filologici, di strumenti funzionali a non latinofoni o di segni di interpunzione, _________ 91 Si legge, infatti, ad esempio, nel de accentibus pseudopriscianeo: sunt quidem syllabae tres, in quibus accentus producitur, que ne ue (GL III 521. 1–2 K). 92 F. Desbordes, Idées romaines sur l’écriture, Lille 1990, sul quale si confronti Françoise Desbordes, gli Antichi, il Linguaggio, la Scrittura, «Vichiana» 11.1 (2009), pp. 166–177. Unauthenticated Download Date | 4/19/16 3:33 PM 148 Archiv für Papyrusforschung 56/1, 2010 questi segni potrebbero essere considerati come il punto di incontro tra dimensione scritta e dimensione orale, tra lettura/fruizione del testo e interpretazione/commento: «scoli criptici», per utilizzare un’espressione già usata a proposito dei segni di interpunzione93, funzionali alla comprensione del singolo testo all’interno della sua dimensione ‘aural-orale’. _________ 93 G. Polara, Problemi di ortografia e di interpunzione nei testi latini di età carolina, in (a cura di) A. Maierù, Grafia e interpunzione del latino nel Medioevo. Seminario internazionale, Roma 27–29 settembre 1984, Roma 1987, p. 49. Unauthenticated Download Date | 4/19/16 3:33 PM