Una settimana in Trinacria
M.Nobile
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Una settimana
in Trinacria
di M. Nobile
E’
venuta l’ora anche di conoscere l’Italia, da dove cominciamo?
In totale accordo con la moglie iniziamo dalla regione più lontana: la Sicilia, ed in particolare da
Palermo, che dista da noi 1750 Km, quindi le solite corse alla sede della nostra agenzia viaggi, dove la
paziente Silvia ci consiglia, con affabile competenza, per la buona riuscita del viaggio.
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S
abato 29 aprile 1995. Partenza. Sono mia sorella e mio cognato ad
accompagnarci all’autobus navetta, che da Giardin Grande ci porterà all’aeroporto. « Furtunâs vuâtris »
dice mia sorella salutandoci. Per mio cognato, per il quale è già un’impresa venire in città, la citazione è
un po’ diversa:« O stoi ben dome a cjase mé jo » mi dice con convinzione.
L’autista del pulmann, commentando la temperatura esterna, esclama: « A Palermo e cjatàis l’astât; chi i
pomadoros, invesit di lá indevant e van indaûr ! ».
In perfetto orario alle 11.22 il MD Douglas decolla dall’aeroporto di Ronchi con 170
persone a bordo, Fidelma si mette al finestrino per godersi lo spettacolo dello strappo da terra, per
librarsi nei cieli azzurri.
Tutto ciò deve essere un desiderio incoscio, che la razza umana si porta con sè dalla notte dei tempi, da
quando l’ “Homo abilis” prendendo coscienza della sua esistenza come primate, invidiava gli uccelli
dominatori degli spazi, mentre lui doveva continuare la sua lotta per l’esistenza, ma sempre con i piedi
sulla madre terra.
Parecchie migliaia di anni dovettero passare perchè l’uomo potesse esaudire questo suo ancestrale
desiderio.
Mentre stò pensando a queste cose, a 10 mila metri di quota, “le frute” di turno ci
porta qualcosa da bere e subito dopo siamo già sopra Fiumicino, dove alle 12.20 atterriamo, come al
solito fra il battimani dei passeggeri. Io le batto più forte di tutti le mani, perchè è la prima volta, dopo
tanti voli, che non sento mal d’orecchie all’atterraggio, tutto merito di un ottimo otorino a Tabiano.
Dopo poco più di un’ora di attesa un aereo uguale all’altro ci porta dalla capitale d’Italia alla capitale
della Sicilia. Sulla nostra sinistra si snoda la costa tirrenica da Roma a Napoli, un tempo appannaggio
dei patrizi romani dove costruivano le loro sontuose ville.
Arriviamo a Punta Raisi alle 15.54, il tempo è bello.
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Sul bus-navetta che ci porta in città incontriamo una gentile signora palermitana, disponibilissima, che ci
da il benenuto, facentoci un po’ da cicerone, descrivendo a grandi linee la realtà siciliana. Caso vuole
che il suo paese d’origine sia il medesimo del nostro consuocero. Al terminal, la signora in compagnia di
suo marito ci forniscono i biglietti dell’autobus che ci porterà fino all’Hotel.
Un bell’esempio dell’altruismo della gente del sud. Oggi penso con rammarico che con la premura di
prendere al volo l’autobus di città che partiva, ci siamo dimenticati di farci dare l’indirizzo, per un
presente di ringraziamento, il minimo che potevamo fare.
Sono passate le 16.00 ed il sole è ancora alto sullo zenit, come da noi a
mezzogiorno, una cosa fenomenale, anche la temperatura è notevolmente più alta. Sull’autobus di città
incontriamo un siciliano verace, che ha fatto il militare in Friuli, simpatico, come peraltro la maggior parte
della gente di qui. “Attenti, occhi aperti, qui non siete a Udine” ci dice, ammiccando due elementi poco
raccomandabili sdraiati di traverso sui sedili.
Arriviamo all’Hotel Jolly situato sul lungomare Foro Italico, è un ambiente pulito e
moderno.
Alle 19.00 arriva
Consuelo, la nostra guida
quadrilingue, simpatica e
sempre allegra, originaria
di Monreale.
Ci presenta ai vari
componenti del gruppo
che va pian piano
formandosi: 18 italiani: 1
palermitana, 4 sardi, 4
friulani, 3 lucchesi, 2
ternane, 2 milanesi, 2
torinesi; 5 statunitensi; 4
spagnoli; 2 svizzeri; 2
argentini; 2 brasiliani; 2
canadesi; 2 giapponesi; 1
australiana per un totale di 38 partecipanti. Spiegazioni in 4 lingue.
Alle 19.45 seconda colazione, (perchè sprecare due vocaboli al posto di uno: Cena,
più appropriato.)
Cibo e servizio sono ottimi. I nostri compagni di tavola sono i tre californiani, lui è un pediatra,
assomiglia Hemingway. Lo chiamerò così durante tutto il viaggio e lui sarà tutto contento.
Queste ultime sono gli uniche persone con le quali non riesco a comunicare, mentre con tutti gli altri o
con il francese o con il tedesco o con l’ italiano o addirittura in friulano, riesco a comunicare a
sufficienza. Consuelo ci illustra il programma terminando con la solita raccomandazione alle donne:
assolutamente non andare in giro non accompagnate con le borsette.
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D
omenica 30 aprile 1995, sveglia come al solito: presto. Una bella doccia
fredda rinfresca le idee e rinvigorisce l’organismo. Siamo i primi a fare colazione, troviamo un cameriere
che, dato che i clienti si dilungano ancora sotto le coperte, ha il tempo di chiacchierare. E’ fuori di sè
con gli uomini politici che governavano l’isola “Tutti mafiosi e ladri” afferma. Sarà l’unico siciliano che
avremo sentito gridare in pubblico contro la mafia.
Verso le 7.45 partiamo per Taormina, l’autista si chiama Enzo, tranquillo e sicuro.
Passando davanti a
Palazzo dei
Normanni, sede del
governo regionale, la
guida, molto
argutamente, lo
chiama il palazzo dei
40 ladroni (tanti sono i
consiglieri). La città
sfila davanti a noi con
i suoi bei palazzi e
monumenti carichi di
storia, situati in un
quadro urbanistico
moderno, con le
strade che
Passiamo dai giardini Naxos
s’intersecano tutte in
perfetti angoli retti, in contrasto con la poca
pulizia stradale. Quello che colpisce il turista è la frequenza con cui si vedono poliziotti o militari con
arma alla mano in servizio di guardia continuata davanti a istituti bancari, a grandi magazzini ad abitazioni
di magistrati e dulcis in fundo davanti alle abitazioni dei tangentisti inquisiti e agli arresti domiciliari.
Fuori città la campagna è coperta da coltivazioni di limoni e carciofi, mentre nella
zona di Bagheria abbondano gli ulivi. questo prezioso albero che incontreremo in tutta l’isola, è
originario dell’Asia minore, è una pianta longeva e ci garantisce Consuelo che sono frequenti gli
esemplari che vivono anche due secoli e forse più. Non temono la siccità e oltre a dare quel nettare
culinario che è l’olio d’oliva, il legno dei tronchi si presta benissimo per lavori al tornio, oppure per
pavimentazioni essendo variegato come il marmo, a tinte calde.
Stiamo percorrendo l’autostrada costiera che ci porta a Messina. La natura
rigogliosa ci dimostra che la stagione qui è un mese più avanti che da noi in Friuli.
Passando vicino a Termini Imerese si vedono i grandiosi impianti “FIAT” costruiti
anni fà.
Ci fermiamo a Cefalù, ridente cittadina sulla costa con 12 mila abitanti, dove
visitiamo la cattedrale normanna del 1131, bellissimo il “Cristo Pantocrator” in mosaico bizantino.
L’entroterra è un continuo susseguirsi di zone montagnose come le nostre prealpi.
Nei pressi di Milianni l’autostrada è in via di costruzione con degli arditi viadotti in cemento armato che
.. .
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attraversano le montagne da un versante all’altro, ma tutti i lavori sono fermi, perchè il costruttore ha
pagato la tangente. Leggo su un cartello: “Imp. Costruttrice Rizzani de Egger - Udine. Bravo furbo,
hanno beccato pure te.
Fra Tindari e Castroreale fermata tecnica, che vuol dire caffè con corsa alle toilette.
La magrona moglie dell’Hemingway, ad ogni fermata del pulmann, si scatena in una ginnastica aerobica
per dimagrire ancora, e invita tutti a seguirla, l’unico che risponde al suo richiamo è il solito giapponese
tutto impegnto come un ginnasta di professione.
Riprende a piovere.
Verso le 13.00 arriviamo a Messina, scendiamo di corsa perche diluvia. Entriamo in
un ristorante situato sul mare, proprio di fronte al faro dove entrano i traghetti in arrivo da Reggio
Calabria.
Al nostro tavolo si siede una coppia di californiani, due persone educatissime e
raffinate, lui è ingegnere ed ambedue parlano benissimo il francese.
Arriviamo a Taormina alle 16.40, questa cittadina è una perla di mitica bellezza,
incastonata fra rocce e anfratti, affioranti da un mare limpido e azzurro come solo fra le isole greche è
possibile vedere. A rompere quest’incantesimo ci hanno pensato dei maldestri sciagurati che hanno
buttato dei rifiuti giù per le balze dei tornanti, anche voluminosi, come waters, fornelli e frigoriferi.
Nel osservare questo poco edificante spettacolo l’ingegnere californiano si rivolge prima a me poi alla
guida dicendo: “ Ma perchè la polizia permette questo scempio? “ La nostra risposta non poteva essere
altro che evasiva, mancando la volontà di affrontare un problema serio come quello dell’ecologia.
L’albergo Jolly di Taormina dove dormiremo tre notti, non è moderno, ma pulito e
ordinato ed il servizio perfetto. La finestra della nostra camera da su un grande parco e la mattina ci
sveglia l’allegro cinguettìo degli uccellini.
A cena al nostro tavolo c’è la coppia svizzera di Zurigo, lui capostazione e lei
infermiera, simpatici. Allora avanti con lo “Schwizzerdütsch”. Innamorati dell’Italia, avevano già visitato
Venezia, Firenze e Roma.
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L
unedì 1 maggio 1995, fà bel tempo, la sveglia è come al solito presto. Alle
7.45 partenza per l’Etna. Passiamo da Giardini Naxos, dove nel centro troneggia un monumento al
Fante, in commemorazione delle varie guerre. Povere nazioni come l’Italia dove ogni villaggio ha il suo
monumento con l’elenco delle ignare vittime della criminalità autorizzata e pianificata che si chiama
guerra. Usque tandem generaloni ?
La strada comincia a salire, attraversiamo Zafferana e S. Venerina, le due località che
ebbero notevoli danni dall’eruzione del 1971, si vedono ancora i fiumi di lava nera pietrificata che hanno
lambito le due cittadine. Gli abitanti hanno imparato a convivere sui pendìi fra le colate diventate poi
costoloni di nero basalto, inframmezzate di verde intenso degli agrumeti, al verde sfumato dei faggi e
degli astragali. In queste zone la gente, con il lavoro metodico come quello delle formiche, ha saputo
rendere la zona meravigliosa, nonostante siano costretti a vivere sotto la minaccia continua del più
grande vulcano d’Europa che è tra i più attivi del mondo.
Pindaro lo chiamava “Colonna del Cielo”, per i suoi 3300 metri d’altitudine alla bocca principale.
Ci fermiamo a 2000 metri d’altitudine al ristorante “la Cantoniera” dove ci viene
offerto un liquore forte come l’inferno, ma viene ben apprezzato perchè fuori c’era una nebbia fredda
che più tardi si trasformerà
in neve.
Con la temperatura che
s’avvicina allo zero,
facciamo una corsa alla
ricerca di un pezzo di lava
come soprammobile
ricordo quindi di nuovo di
corsa tutti nel pulmann, con
il riscaldamento al
massimo.
Salutiamo quel desolato
paesaggio lunare.
Pranzo
al nostro Jolly Hotel, tavola
rotonda assieme ai quattro
spagnoli, i due milanesi, le
due ragazze di Terni.
Fuori piove a dirotto. Ci sarebbe in programma la visita al Teatro greco di Taormina, ma bisognerà
attendere fino alle 16.00, quando splende di nuovo il sole.
Dopo una camminata di 10 minuti siamo già davanti allo splendido scenario del teatro. Dire che i greci
nel periodo classico avevano raggiunto uno standard di vita culturale e artistica pari o addirittura
superiore al nostro è superfluo, ma trovarsi dentro il teatro costruito 2350 anni fa è un’altra cosa. Siamo
all’imbrunire, il sole è già da parecchio scomparso all’orizzonte, i turisti, compresa Fidelma, sono già
quasi tutti fuori, eccetto qualche patito « dai cláss vecjos ». In quel momento penso che in questo
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scenario venivano applaudite le tragedie di Eschilo, Sofocle, Euripide. Chiudo gli occhi e mi pare di
sentire il delirio delle donne troiane su cui sovrasta la voce di Ecuba maledicente i greci che uccisero i
loro figli. Le opere tratte da questi antichi fatti ancora oggi sono applauditissime proprio su queste
gradinate millenarie.
Secoli dopo arrivano i romani e che ti fanno ? Costruiscono gli anfiteatri per i
combattimenti all’ultimo sangue fra i gladiatori. I sudditi di Pericle si servivano del teatro per diffondere
cultura, i sudditi di Roma sugli spalti marmorei diffondevano barbarie e morte, due civiltà profondamente
differenti.
Sulla strada del rientro all’Hotel ci accade di assistere a una scena alla Fantozzi. “Lo
so Gloria che il povero Villaggio non ti va giù per via di vaghe
reminiscenze con un certo Bobo, ma senti questa.”
Traffico dell’ora di punta; strada in forte salita; auto sgangherata
in panne, con a bordo una florida donna siciliana vestita elegante
e un ragazzo sui 10 anni al volante, seduti che guardano dal
finestrino aperto. Due uomini sulla trentina, uno davanti attaccato
ad una corda che tira l’auto, l’altro che spinge dietro come un
forsennato. Tutti e due gridano a squarciagola delle parole
incomprensibili. Finalmente arrivano al termine della salita e
pronta una vigilessa, brutta da fare paura, che a incontrarla di
notte « cjapá el pic de cjamese in bocje e tacá a cori », la quale
appioppa loro una contravvenzione per blocco prolungato del
traffico. Per i due poveri diavoli fù come un fulmine a ciel sereno,
mentre i due passeggeri sempre seduti in macchina se la godono
Visitiamo le Latomie con il
da matti. La folla di turisti che assieme a noi assistevano a questa
famoso orecchio di Dionisio
farsa erano indecisi se ridere o piangere.
Intanto si è fatto già buio, troviamo per strada la californiana magrona, si è persa nei
meandri del destino, « pardon, che code no và su che agnele », si è persa nel labirinto di vicoletti.
“Niente paura miss Hemingway, c’è qui mia moglie che ha una bussola in testa, perciò me la porto
sempre dietro”. La cittadina statunitense è tutta felice di avere trovato la via giusta e strada facendo mi
da lezione di inglese, io a lei di italiano. Profitto per il sottoscritto zero.
La sera a tavola ci sono disquisizioni di alta politica fra il sottoscritto e il milanese Sig.
Livio, peraltro una gran brava persona, peccato sia di tendenze esattamente opposte alle mie. Allora
battaglia, senza esclusione i colpi, spettatori ammutoliti sono le due coppie spagnole, non così le nostre
rispettive mogli la signora Natalina o per convinzione o per sottile sadismo (ma escludo il sadismo) si
schiera dalla mia parte. Apriti cielo,come gettare benzina sul fuoco, il marito diventa sempre più
infuriato; a questo punto entra in scena « le Stefanute » stanca di darmi calci e fuori di se esclama ad alta
voce: « O tu le finissis o ho planti dutt e o sciampi » Ricattatrice! Esaurite tutte le munizioni i due
contendenti tornano amici come prima, anzi più di prima.
Breve descrizione dei cavalieri della tavola rotonda, alla nostra sinistra la coppia di
milanesi, lui tecnico in pensione, persona affabile e di compagnia, lei donna dinamica e simpaticissima.
Quindi la coppia spagnola di Valencia, entrambi pediatri, persone calme e riflessive, poi una seconda
coppia spagnola di Barcellona, lui architetto urbanista, una persona colta ed educatissima, con un
bagaglio culturale da fare invidia ad un professore universitario, tutto felice nel sentirmi citare Garcia
.. .
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Lorca, lei una copia della signora milanese estroversa ed amabilissima. Questa formazione al tavolo
durerà felicemente fino all’ultimo pasto consumato in terra siciliana.
Faccio una telefonata ad Occhipinti di Ragusa, collega della ditta Valli dove
lavoravo, purtroppo per ragioni di lavoro non può raggiungermi. Il figlio fa il tecnico di impianti antifurto,
si sono fatti la seconda casa al mare, ciò dimostra che anche qui le persone oneste e di buona volontà
riescono ad emergere. Occhipinti si è quasi commosso a sentire la mia voce dopo tanti anni.
M
artedì 2 maggio 1995, il tempo è bello, alle 7.30 partenza per Siracusa.
Quando arriviamo nei paraggi di Catania, l’autostrada è intagliata in strani avvallamenti di roccia nera.
Sono i fiumi di lava dell’eruzione del 1669 che distrusse paesi interi e parte della città, arrivando fino al
mare, provocando più di 15 mila vittime.
Fermata “tecnica” nella piana di Catania, appena scesi sentiamo nell’aria un dolce
profumo come di miele che si fa sempre più forte, e siccome siamo a pochi metri dai distributori, lo
.. .
Siracusa, andiamo subito a visitare il teatro greco
zurighese mi dice: “Vuoi vedere che in questa zona della Sicilia vendono la benzina profumata...” . Non
so cosa rispondergli, ma quando usciamo dal bar, le nostre narici abituate all’ossido di carbonio dei tubi
di scarico, vengono assalite di nuovo da una vampata di profumo, la brava Consuelo ci svela l’arcano: il
profumo lo emana la zagara, il fiore dell’arancio e del limone, e questa zona è interamente coperta di
questi alberi.
Finalmente siamo a Siracusa, la più greca di tutte le città siciliane, 93 mila abitanti.
Fondata dai greci nel 756 a.C., fu un centro importante della cultura greca fino quando nel 212 a.C.
venne invasa dai romani i quali fecero come Attila in Friuli sei secoli dopo, non guardarono tanto per il
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sottile e così fra le vittime della conquista cadde anche il siracusano più illustre di tutti i tempi:
Archimede, insigne matematico e fisico.
Andiamo subito a visitare il teatro greco, l’unico intagliato direttamente nella roccia della montagna, ed è
il più grande teatro greco esistente, ai suoi tempi poteva contenere sedicimila spettatori, la costruzione fù
un lavoro titanico, è tuttora usato nella stagione estiva per rappresentazioni teatrali. Visitando questo
teatro millenario mi pare di esaudire a un desiderio coltivato fin da bambino, quando ascoltavo mio
padre che ci raccontava di avere visto quest’opera meravigliosa, di passaggio a Siracusa diretto in Libia
nel 1919. Andrea, la guida locale che ci illustra i vari monumenti storico-archeologici, ha fatto il militare
in Friuli e mi garantisce che è la sua seconda patria e appena può fà spesso visita agli amici rimasti lassù.
Al commiato mi saluterà con un « Mandi » perfetto. Visitiamo la Latonie con il famoso orecchio di
Dionisio, che non sono altro che delle cave di pietra dove i prigionieri di guerra e gli schiavi estraevano
la materia prima per le costruzioni.
Il tempio dorico di Atena è inglobato dentro la cattedrale e si vedono ancora
sporgere le maestose colonne e capitelli dorici, dove pregavano i loro dei: greci, cartaginesi, romani,
cristiani, bizantini e attualmente cattolici, chissà se in futuro queste preziose pietre scanalate faranno
ancora in tempo a vedere altre genti con altre credenze.
Sono le 12.45, il Nobile è arrabbiato nero. Sono disposto a saltare il pranzo, purchè
visitare il locale museo archeologico, interessantissimo. Lapidaria e brutale è la notizia: a Siracusa i
musei si aprono alle 9.00 e si chiudono improrogabilmente alle 13.00. Povera Sicilia ha iniziato la
decadenza in quel 212 a.C. quando venne invasa dai romani e continua tutt’ora sotto i nuovi barbari. In
fin dei conti è contenta Fidelma perchè a lei l’idea di saltare il pranzo sarebbe peggio che la ritirata di
Caporetto.
Risaliamo di nuovo verso
Catania di cui visitiamo i punti più salienti, la
fontana dell’elefante, la Cattedrale dove c’è il
mausoleo di Bellini, catanese. Per ricordare il
grande musicista sul suo sarcofago vi è scolpita
in bassorilievo una scena della “Sonnambula”.
Ultima cena a Taormina,
lasciamo con rammarico questa perla del
Mediterraneo. In questi giorni ho cercato
invano un mio amico pittore che ho conosciuto
nel periodo bernese e che mi diceva sempre:
“Vieni a visitare Taormina che è un’incanto” .
Volevo confermargli tutto ciò di persona, e
certamente lui sarebbe stato felicissimo di
sapermi qua nella sua città, ma purtroppo,
alle 9.30 arriviamo a Selinunte
dopo un mucchio di telefonate a vuoto, non
sono riuscito a trovarlo, mi dispiace. Strano come il destino faccia incontrare due persone abitanti agli
antipodi, ma spesso lo stesso destino è spietato a non farle reincontrare più.
Domani lasciamo a malincuore Taormina, ora la camera deve essere a disposizione «
de Stefanute » per la preparazione delle valigie, guai ad intralciarla. « Come el solìt o scugni fà dut jò, lui
no si romp ! ». Invece non è vero, è lei che vuole che sia così. Intanto rintanato in un cantuccio piccolo
piccolo del letto, butto giù questi appunti, cercando di evitare il più piccolo rumore anche con la biro.
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M
ercoledì 3 maggio 1995, alle 7.45 partenza per piantare le tende ad
Agrigento, il cielo è plumbeo. La campagna siciliana in questa stagione è coperta in continuazione da
fiori gialli di tutte le qualità, questo colore predomina sfacciatamente, non ho mai visto una sinfonia della
natura così intrisa di giallo. Come in certi quadri di Van Gogh. Tanto per non cambiare tinta, spuntano
dei pali simili a quelli della luce ma gialli pure loro, con una ventola come un minuscolo mulino a vento,
gialla evidentemente. Ci viene in aiuto Consuelo e ci spiega che è un dispositivo il quale, quando la
...
“La Scogliera “ ...
temperatura s’abbassa troppo e c’è pericolo di brina, scatta automaticamente, diffondendo aria calda
rialzando di qualche grado la temperatura, salvando così la produzione. Organizzatissimi gli agricoltori
siciliani.
Attraversando la piana di Catania appare ai nostri occhi un’altra Sicilia, la campagna
è più ricca, più pittoresca, più ben curata. Dove la pianura coltivata a vite da tavola e aranci lascia il
posto a uno splendido paesaggio collinare coltivato a frumento, specificatamente grano duro, una qualità
pregiata, indispensabile per il piatto tipico italiano: la pastasciutta. Qui viene prodotto un terzo del nostro
fabbisogno, un’altro terzo viene prodotto dalle regioni Puglia e Calabria ed il restante terzo dobbiamo
importarlo dall’estero.
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Nel pulmann, accanto a noi è seduta una coppia della Sardegna, lui è un notaio di
Olbia, noto per una brutta avventura toccata a sua moglie. Nel ‘92, una settimana dopo aver liberato
dal sequestro il bambino arabo Farouk Kassan, l’anonima Sarda rapì questa povera signora che rimase
4 mesi in mano a questi briganti, porta ancora i segni della prigionia nelle caviglie, la tennero legata per
tutto il periodo. Deve essere stata un’esperienza tremenda.
Fino che in Italia non si riuscirà ad estirpare questa vergogna nazionale assieme a mafia, n’drangheta e
camorra, non potremo fregiarci del titolo di nazione civile degna dell’Europa, lo sò che sono parole
come macigni, ma è la realtà.
Intanto, siamo arrivati a Piazza Armerina, siamo nella Sicilia centrale, il nome deriva
dalla piazza d’armi spagnola, costituita dagli Aragonesi per combattere e cacciare gli arabi. Appena
fuori la cittadina c’è la Villa del Casale, famosa per i suoi mosaici decorativi e figurativi che, con gli oltre
3500 metri quadri, costituiscono il più grande complesso musivo di età romana esistente al mondo, con
scene di caccia, danza, circensi e mitologiche.
Le due ore che siamo rimasti in visita sono bastate solo per una corsa dentro e fuori a sale, saloni,
corridoi e vestiboli tutti finemente lavorati, una meraviglia, ho dovuto staccarmi da questi capolavori con
grande dispiacere.
Pranzo da “Battiato”, nei pressi della Villa. Riprendiamo la strada per Agrigento la
quale è piena di curve. Davanti a noi c’è la coppia americana, e il nostro “Hemingway” ha festeggiato i
mosaici romani con abbondanti libagioni di vino locale « Caro mister, ne jé mico bivicje, chel vin cá alá
14-15 grâs come ridi ». Allora succede che nelle frequenti curve il “nostro” pende paurosamente prima
a destra e poi a sinistra, aumentando sempre più i gradi di pendenza, fino a posarsi sulla spalla del
passeggero di fianco o dalla parte opposta, dove la moglie magretta com’è a fatica lo sostiene poverina,
ogni tanto lo strattona per svegliarlo, ma non c`è niente da fare, il nettare siciliano ha la potenza delle
narcosi prolungate, perciò continuerà quella danza pendolare fino all’arrivo.
Passiamo nei pressi di Caltanisetta, il paesaggio è sempre pittoresco, la campagna è
sempre intensamente coltivata, e ben curata.
Verso le 16.00 arriviamo nella Valle dei Templi, il cielo è coperto, mentre scendiamo
dal pulmann si mette a piovere, scalogna nera. Molti rimangono a bordo e fra questi anche la moglie. Di
fronte a un po’ d’acqua non rinuncio al richiamo dei resti millenari, sarebbe come tradire gli artisti
costruttori di questi capolavori, arrivati fino a noi.
Continua a piovere, il nostro gruppetto che segue la guida locale si va sempre più
assottigliando, alla fine del giro siamo rimasti sono i pochi patiti del «mal del clâp ».
Questa zona chiamata “Valle dei Templi” sarebbe la vecchia Agrigento “Akragas”,
costruita su una collina di fronte al mare, un posto incantevole, viceversa la città attuale risiede
nell’entroterra, con circa 42 mila abitanti, oggi purtroppo è una città con un reddito pro-capite
bassissimo, in una zona fra le più depresse. Fondata dai Dori nel 583 a.C., deve essere stata una
splendida “Polis”, ecco la dedica che le fece Pindaro: “Invoco te, città di Perséfone, la più bella fra
quante ospitano uomini, amica del fasto”.
Finalmente ha smesso di piovere. Il Jolly di questa città è il più lussuoso fra i tre che
ci hanno alloggiato. Questa sera, finalmente si mangia pesce spada. Sulla nostra tavola al posto delle
ternane abbiamo il disonore di ospitare la coppia brasiliana, lui è un giudice di Rio de Janeiro, il quale
con spocchia si vanta di vivere da nababbo in Brasile, a lui non manca niente, ha tutte le comodità, la
sua più grande preoccupazione è quale itinerario scegliere l’anno prossimo dato che ha già visitato tutta
l’Europa. Nel sentire tanta millanteria, la tavolata è ammutolita. Pensando d’interpretare il pensiero degli
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altri commensali gli chiedo: “Ma con i “niños de la rua” ammazzati a sangue freddo come la mettiamo ?
Fra poco li sostituirete alle corride?” alla mia domanda provocatoria risponde: “Caro signore ci vuole
una legge che non c’è, voialtri non potete capire la nostra realtà”. Secca la mia replica: “Non si può?,
Non c’è la legge?, Capire la realtà ?. Vergogna, la realtà è che siete voi i principali responsabili, assieme
ai politici e andate in giro come sepolcri imbiancati infischiandovi della miseria morale, materiale e del
degrado del vostro popolo”. Il “brasilero” con la toga, certamente non immacolata, non mi ha più
salutato, ma spero fermamente che le mie parole gli risuonino a lungo nelle orecchie. L’architetto di
Barcellona, che nel ‘36 aveva tutti i parenti antifranchisti, durante la discussione, mi dava degli sguardi
compiacenti, all’uscita mi dice: “Grazie Nobile ai fatto bene, a me è mancato il coraggio di suonargliele”.
Un caso analogo mi successe anni fa a Madrid con un “fazendero” argentino che mi negava nel modo
più assoluto la triste realtà dei “desaparecidos”. “E’ tutta una propaganda dei rossi” andava blaterando.
Dopo mangiato abbiamo visto lo spettacolo dei Templi illuminati in notturna, è un po’
una copia in tono minore di “Luci e suoni” davandi alla Sfinge nello scenario delle piramidi che abbiamo
visto in Egitto. L’autopulmann marcia a passo d’uomo, Consuelo con voce improntata alla sollennità del
momento, ordina all’autista di ridurre le sue luci al minimo e a noi ci prega di mantenere il silenzio
assoluto, con sottofondo di musica classica appropriata, mentre i resti marmorici millenari illuminati si
stagliano nella notte limpida siciliana, facendoci vivere dei momenti di intenso raccoglimento, brava
Consuelita promossa a pieni voti.
E se per caso fra noi ci fosse stato qualche diavoletto che rompendo l’estasi sul momento più bello
avesse gridato: « Ma vá in mone Consuelo, nó sin mico in glesie discugni stà cidìns come gnotui
incocalîs tal scur” Come te la saresti cavata? (Perdonami)
G
iovedi 3 maggio 1995, giornata splendida, armi e bagagli avanti alla
prossima tappa. Attraverso Enaclea Sciacca e Menfi alle 9.30 arriviamo a Selinunte. L’acropoli con le
rovine dei templi è situata come il solito sù un’altura dominante il mare, quei furbi greci si sceglievano
sempre i posti più belli. La guida ci avverte che per arrivarci c’è una salita faticosa, chiamo Fidelma, per
invogliarla “Vieni che lassù ci sono templi bellissimi come il Partenone che abbiamo visto ad Atene” la
risposta è decisa: « No basili, e vin bielzà vedûs tainc Pardenonis c’o soi stufe e nere! » evidentemente,
nonostante i miei sforzi « el mâl dal cláp » non l’à ancora contagiata. La vista di Selinunte è certamente
una delle più suggestive di tutta la Sicilia, i suoi resti archeologici costituiscono uno dei complessi più
notevoli di tutto il Mediterraneo. Questi Templi erano spogli si, ma quasi integri fino al 1823, anno in cui
un violentissimo terremoto li distrusse, solamente del tempio della Concordia ne è rimasto in piedi una
porzione del colonnato esterno. I raggi solari si fanno sentire abbastanza forte, immaginiamoci nel mese
di luglio.
Ad un certo momento mi addentro in mezzo a quelle rovine, capitelli rovesciati, architravi di traverso
che hanno seppellito fregi, triglifi, e metope, che desolazione questi capolavori dell’architettura classica
anno resistito per 2400 anni; in quell’istante: “Erdbeben?!” è la voce di un tedesco, rispondo: “Si, deve
essere stato una cosa tremenda. Appassionato pure lui di archeologia viene da Bonn, ci stringiamo la
mano, dopo i convenevoli guardando il mastodontico capitello dorico rovesciato di 45 gradi, di fronte a
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noi, mi dice:”Ma come facevano ad innalzare simili pesi, a occhio saranno sei o sette tonnellate ?” dopo
un po’ rispondo: “Oltre alle mani sapevano usare soprattutto la testa, non conoscevano il computer”,
“Das ist Wahr” mi risponde facendomi segno con la testa, d’accordo con me. Certamente Selinunte ha
lasciato di se un’immagine grandiosa senza confronti.
Pranziamo li vicino, in un ristorante carino, senza pretese “La Scogliera”. Siccome
siamo a pochi chilometri da Castelvetrano, città natale di Como Giuseppe, un mio amico che le
vicissitudini della guerra mi hanno fatto incontrare. A conflitto terminato è rientrato a casa sua, ma il
destino volle che salvandosi la vita in frangenti ben peggiori, morì nel suo podere, su una mina antiuomo,
residuato bellico. Desidero comunicare con qualche parente, ma nell’elenco telefonico ci sono un’infinità
di cognomi uguali al suo. Mi viene in aiuto anche il titolare del ristorante, persona sensibile, il quale fa
un’infinità di telefonate purtroppo tutte a vuoto. Quasi si dimostra offeso quando faccio il gesto di
cavare il portamonete per pagare le telefonate, poi mi dice, con fare arguto, con quella cadenza
particolare dei siciliani: “ Lei dimostra di essere una persona sensibile, però sfortunata e questo non lo
merita”. Lo ringrazio e penso alle solite beffe del destino: vedi la ricerca del pittore a Taormina.
Dopo pranzato usciamo sul lungomare, l’acqua limpidissima ed il caldo sole invitano
a fare il bagno e la Signora Natalina milanese, innamorata dei due elementi: sole e mare, non ci pensa su
due volte e fa un balzo nelle limpide e azzurre acque del Mediterraneo, il marito più perplesso che
divertito la riprende con la fida telecamera, quante risate poi nel salotto della villa Ruzza a Peschiera
Borromeo.
Proseguiamo per il trapanese e attraversiamo una zona coperta soprattutto di vigneti,
qui si produce uva per vinificare fra cui il famoso marsala, le piante delle viti sono basse e i grappoli
risentono del calore del terreno di cui sono quasi a contatto, stesso metodo del sud della Francia e della
Spagna. La campagna è sempre bene curata.
Verso le 14.30 arriviamo a Segesta. In questa località c’è un solo tempio ed è uno
dei più bei campioni dello stile dorico del 5° secolo a.C.. E’ stato costruito con una tecnica unica
nell’architettura greca, fra la base e il primo elemento delle colonne veniva steso una sottile lastra di
piombo che con l’enorme peso sopra si assestava perfettamente ed è l’unico tempio in Sicilia rimasto
integro nonostante i disastrosi terremoti che durante i millenni scossero l’isola.
Stiamo percorrendo la salita, che ci porta a Erice, 750 m d’altitudine, 22’000
abitanti.
Caratteristica cittadina da dove si gode uno splendido panorama su quella porzione di Mediterraneo
dove si svolge la pesca del tonno. Tutte le stradine interne sono pavimentate con caratteristici disegni a
losanghe con la pietra calcare del posto. Notevoli i resti delle mura cartaginesi. Guardando a nord-est,
si vedono le cave di marmo “Botticino” e “Perlato di Sicilia”. Dalla parte opposta si offre ai nostri occhi
il lungo promontorio della città di Trapani, l’antica “Depanon” e sulla sinistra gli impianti delle saline,
mentre al largo si scorgono chiaramente le isole Egadi dove nel 241 a.C. i romani sconfissero i
cartaginesi, ponendo fine alla prima guerra punica. Non possiamo dimenticare, che Cartagine fece
veramente treare Roma e ci vollero tre lunghe e sanguinose guerre per cancellare dalla carta geografica
del tempo, ma non dalla storia certamente.
Ora stiamo percorrendo la strada del ritorno a Palermo, questa è l’ultima tappa del
nostro interessante e allegro peregrinare in giro per l’isola, perciò è venuto il momento di dimostrare la
nostra gratitudine verso la guida e l’autista, che come ho già detto sono stati perfettamente all’altezza del
compito loro assegnato. La signora Natalina pronta, servendosi del cappello nuovo di Fidelma, fa il
giro, anche in questo caso la milanese dimostra il suo altruismo, ma anche la sua amabile arguzia mentre
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passa da un sedile all’altro. Dopo aver ricevuto la mancia, Consuelo, anche a nome di Enzo, ci fà il
fervorino di ringraziamento, che è un’anticipo del commiato.
Mentre all’interno del pulmann succedono questi edificanti fatti, stiamo passando
davanti all’uscita di Capaci dove il 23 maggio 1992 successero invece altri fatti purtroppo sanguinosi,
dove trovarono la morte Falcone e i tre uomini di scorta per mano della mafia. Stesso commento fatto
qualche pagina fà sui sequestri dell’anonima Sarda. Qui è doverosa una buona notizia riguardante
questo comune dal, purtroppo
famigerato nome, di Capaci,
6000 abitanti, per anni fu
feudo di “Cosa Nostra”, un
gruppo giovanile di gente
pulita e coraggiosa, con
simpatie progressiste è riuscito
a vincere le elezioni comunali.
Traguardi immediati: Lotta alla
Mafia, incentivare nuovi posti
di lavoro, incrementare il
turismo e inoltre creare un
centro culturale di incontro
giovanile e un Cineforum.
Ecco il riscatto del Sud.
Arrivati al
Jolly che avevamo lasciato 5
giorni prima, dopo una
rinfrescatina, la maggior parte
Sulle piazzette i pazienti asinelli impiumettati
del gruppo in attesa della cena
va a fare quattro passi, fra cui anche la coppia milanese e la coppia spagnola. A non più di duecento
metri dall’Hotel, assistono impotenti allo scippo della borsetta di una signora tedesca, ospite del nostro
Hotel, la poverina è rientrata ferita al Jolly assieme alle due coppie, dove li abbiamo incontrati mentre la
polizia faceva il verbale. Non c’è più religione.
Due parole su Palermo, capoluogo dell’isola, abitanti 660’000. Fondata dai fenici
verso il 7° secolo a.C., rimase sempre nell’orbita di Cartagine. Nel 254 passò sotto Roma fino al 476
d.C. quando venne occupata dagli arabi fino al 1072 anno in cui viene annessa alla Spagna, in seguito
alla dinastia borbonica fino al 27 maggio 1860, anno in cui le camicie rosse di Garibaldi unirono la città
all’Italia assieme a tutta la Sicilia.
. ..
...
V
enerdì 5 maggio 1995, bel tempo, contrordine, Enzo è di nuovo il nostro
autista, ma Consuelo si prende un’altro gruppo, la salutiamo di sfuggita nella hall. Attraversiamo quella
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splendida pianura che è la Conca d’Oro, la quale digrada dolcemente verso il mare, fertile e rigogliosa
di colture.
Verso le 8.30 arriviamo a Monreale che si trova su un’altura a circa 7 km da
Palermo.
La cittadina conta circa 25000 abitanti, l’attrazione principale è la Cattedrale normanna, costruita da
Guglielmo II nel 12° secolo. L’interno è una sinfonia di decorazioni pregiate. La parte da leone la fa il
Mosaico con il vecchio e nuovo testamento in stile bizantino, mentre il sottotetto è intagliato e decorato
in modo da creare una fusione perfetta con i mosaici e i marmi che a profusione decorano il tempio.
Visitare la Sicilia senza Monreale, sarebbe una lacuna imperdonabile. Sulle piazzette i pazienti asinelli
impiumettati come una prima donna, sono attaccati al caratteristico carrettino siciliano, ma fanno un po’
pena poverini, con la testa a penzoloni, quanta più dignità vederli lavorare, come « el Neri di gnagne
Suline che nol voleve pozolasi i pîs te aghe par traviarsá le Lavie ». Alla vista di questi asinelli mi prende
un’angoscia, come per i cammelli in Egitto, loro considerati fino dalla notte dei tempi la “nave” del
deserto, ridotti ora a trotterellare e inginocchiarsi pateticamente sotto la turista di turno per la solita foto
poi dimenticata.
Rientriamo a Palermo, dove passiamo a vedere la Cappella Palatina, situata nel
Palazzo dei Normanni, sede anche del governo regionale. Pure l’interno di quella chiesa è rivestito di
preziosi mosaici figurativi del 7° secolo, un po’ meno pregiati di quelli di Monreale, ma egualmente dai
capolavori. Il soffitto in legno laccato, a stalattiti, è un capolavoro dell’arte araba dello stesso periodo.
Per il rientro a pranzo l’autista ci fà passare per il quartiere di “Vucciria” e come in
tutte le grandi città a fianco al quartiere “bene” c’è l’angolo dell’indigenza e del degrado, ma il tempo
lava tutte le magagne. Anche al mio paese c’era il famigerato “Borc des Cisis” diventato ora il quartiere
“in” di tutto il contado.
Pomeriggio libero, la maggior parte del gruppo va per negozi, il sottoscritto è attirato
da ben altre mete, per esempio c’è il museo archeologico ricco di collezioni importanti come la
“Quadriglia di Apollo” e altri reperti di Selinunte, la famosa “Pietra di Palermo”, frammento di diorite
con i nomi dei Faraoni e relativi avvenimenti dal primo re della 1° dinastia, al sesto re della 5° dinastia,
documento capitale circa la storia antica del antico regno.
Fidelma mi segue paziente nelle sale semivuote sbirciando qua e la con malcelata
malavoglia. Dai pochi visitatori si sentono solo lingue straniere, purtroppo nessun italiano. Dopo un paio
d’ore, interminabili « pe Stefanute », troppo brevi per me, usciamo.
Per abbreviare la strada del rientro in albergo, prendiamo un vicolo, ci precede una
coppia di svedesi conosciuti al museo. Arrivati a metà percorso, in un batter d’occhi ci troviamo quasi
circondati da una banda di giovani teppisti sui 14 - 15 anni, con un potente mangiacassette che
diffondeva una musica infernale, la coppia svedese ci rivolge uno sguardo come quando al condannato a
morte rimangono solo pochi secondi e non sa più a che santo votarsi, quando questi malintenzionati
stavano già addocchiando le nostre cineprese e le borsette delle donne, si sente un fischio acutissimo, in
un baleno i picciotti vengono inghiottiti dalle porte ai lati della via e nello stesso istante entra nello stretto
budello un’auto della “Volante”, segno che c’era un “palo” che ha lanciato l’ S.O.S. del nostro
salvataggio ai suoi seguaci.
Per oggi ne ho abbastanza e rientro in albergo, non così mia moglie, non si da per
vinta e per rifarsi delle ore perse in museo, parte a caccia di vetrine e negozi di « pezôs ».
Questa sera al nostro tavolo ci scambiamo gli indirizzi e i convenevoli, la compagnia
di ventura si scioglie; l’architetto di Barcellona mi chiede molto educatamente se potrò fornirgli dei
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depliants turistici, ma anche documentazione artistiche, possibilmente di carattere architettonico sul
Friuli, cosa che farò appena rientrato.
Domani si torna a casa, di conseguenza in camera dopo cena « no je redensie, le
Stefanute » lotta senza quartiere nell’invaligiare vestiti e cianfrusaglie varie. Il sottoscritto ? Scomparso.
S
abato 6 maggio 1995, bel tempo, in mattinata facciamo una corsa in centro
alla ricerca dell’opuscolo divulgativo a colori che si trova solitamente sulle bancarelle su tutte le città del
mondo,ma qui a Palermo le aprono dopo le 10.00, ma noi a quell’ora siamo già in viaggio per
l’aeroporto dove in compagnia delle due signorine di Terni, arriviamo alle 11.30. Pranzo paninaro al
solito buffet. In aspettativa del nostro volo siamo seduti in sala d’aspetto, quando sfilano davanti a noi in
fila indiana i giocatori del Palermo che stanno imbarcandosi sull’aereo che li porterà sul “continente” per
la partita di domani. A fianco a noi è seduto un signore distinto sulla quarantina, è un arbitro di
pallacanestro di Marsala, va ad arbitrare a Chieti, perciò saliva sul nostro aereo. Dopo aver scambiato
con lui i soliti convenevoli, il discorso scivola inevitabilmente sulla situazione politica italiana. Essendo
consigliere comunale della sua città, qualcosa di politica ne capisce, e alla mia domanda di cosa pensa
del Cav. Berlusconi mi dice: “Potrei rispoderle in mille modi, ma il succo rimane questo: è solamente uno
scaltro faccendiere e questo e così chiaro che dovrebbero capirlo anche gli asini”.
Lo stesso modello d’aereo che ci ha portati, ci riporterà indietro. Alle 13.05
lasciamo questa esotica e splendida isola e poco più di un’ora dopo atterriamo a Fiumicino dove
dovremo attendere circa 7 ore il volo che ci porterà in Friuli. Questo lasso di tempo mi darà l’occasione
di riempire le prossime righe. Telefoniamo subito alle famiglie Bianchini, due fratelli comaschi nostri
amici, i quali ci ricordano il felice periodo bernese. Purtroppo non possono raggiungerci, Carmen la loro
primogenita che doveva portarli qui all’aeroporto, improvvisamente è stata impossibilitata per ragioni di
lavoro, allora per questa volta dobbiamo accontentarci solo di sentirci senza vederci. Fa un effetto
strano sentirli parlare, lombardi di nascita, il romanesco alla Fabrizi appreso verso i 40 anni.
“Incredibile” mi diceva tempo fa la loro sorella: “Pensi hanno dimenticato completamente il comasco,
non li riconosco più”.
La sala d’aspetto dell’aeroporto romano è un enorme corridoio dove vanno su e giù
continuamente migliaia e migliaia di individui, ai due lati ci sono le file delle poltrone e su di esse sto
tranquillamente leggendo, quando la poliziotta « Stefanute » a cui nulla sfugge, mi chiama: “Vedi quel
tipo con il pullover grigio è Padre Mazzi che vedo spesso « te casele » pardon televisione, nella rubrica
tale”. Per accontentarla annuisco distrattamente e continuo la mia lettura, dopo avere guardato a vuoto.
Dopo un po’ la mia “dolce metà” rompe di nuovo
« Cjale, cjale » e mi segna un gruppo di sportivi
vestiti con l’uniforme della squadra di appartenenza, « Chel tal miez lu cognós », alzo di nuovo gli occhi,
ma questa volta non faccio finta, perchè a pochi metri ho davanti a me Zoff con la sua Lazio, i quali
sono in attesa del volo che li porterà a Torino, dove domani affronteranno la Juve “acchiappatutto”.
Attendo che un pilota dell’Alitalia riceva per sua figlia il tanto desiderato autografo, poi da friulano a
friulano saluto il nostro ex portierone campione del mondo, il quale mi porge la sua poderosa mano. «
Di dulá sêtu ? », quando gli rivelo il nome del mio paese, fa in friulano “Sei del paese dei biscotti, bei
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ricordi quando da ragazzi si veniva in bici a fare delle grandi scorpacciate, purtroppo i tempi sono
cambiati” gli chiedo un pronostico per domani, mi fà: “Sempre difficile dire il giorno prima, specialmente
contro la Juve, sai la palla è rotonda”, sempre schivo e pacato, chissà probabilmente in cuor suo
coltivava un pensierino di vittoria sulla “Vecchia Signora”, come realmente accadde l’indomani con un
3-0 e a fine campionato finire secondi dietro la stessa. Nel salutarmi mi fa « Mandi paîs, saludimi el Friûl
». Fidelma è tutta contenta per avermi dato la splendida occasione. L’ultimo della squadra a
incamminarsi verso l’aereo è Signori, con la cravatta e la borsa tutte due di traverso, tutto trasandato nel
vestire, non mi ha dato l’impressione di essere un modello in fatto di ordine personale, certamente mi
piace di più allo stadio.
Altri personaggi degni di nota in giro per l’aeroporto in questo sabato pomeriggio,
segnalatomi dalla mia detectiv privata: c’è il giovanottone che con la destra stringe a sè una magrolina
sbaciucchiandola e con la sinistra attaccata a una lunga cinghia trascina sul pavimento una voluminosa
borsa dalla quale ogni tanto perde qualche effetto personale, incurante dei richiami di qualche
viaggiatore che lo avverte. Tutto inutile, la coppia prosegue imperterrita, tutta avvinghiata infischiandosi
del mondo. C’è poi l’ubriaco che la sua compagna cerca di trascinare all’uscita per l’imbarco diretto a
Bruxelles, ma lui farfuglia qualche cosa e sguscia traballando verso il banco del bar, per fortuna la
ragazza del controllo biglietti lo raggiunge e gli sussurra qualche parola nell’orecchio, l’uomo si
trasforma, facendo uno sforzo immane cercando di camminare diritto, sfidando tutte le leggi della fisica
che lo vorrebbero « ingrumât partiare », s’avvicina mogio mogio alla sua compagna e scompare nel
corridoio che lo porterà, quale ultimo passeggero a bordo dell’aeromobile, lasciando tutti contenti.
Io mi chiedo ancora oggi, ma cosa diavolo gli avrà detto nell’orecchio quella hostess.
Finalmente parte anche il nostro aereo, di fianco a noi sull’altro lato dell’aereo c’è una
coppia di sloveni con due gemelli di pochi mesi, venivano da Los Angeles, 18 ore di volo, hanno
cambiato tre aerei, quei poveri piccoli facevano pietà, piangevano in continuazione le hostess facevano
l’impossibile per cercare di alleviare il disagio a quelle povere creature, poi finalmente si sono
addormentati e i genitori pure. Non avendo più nulla da raccontare facciamolo felicemente atterrare
questo benedetto MD Douglas e pure in orario 21.55 ai Ronchi dei Legionari. Perchè legionari ?
Perchè quel matto di Gabriele d’Annunzio il 12 settembre 1919, a meno di 1 anno dal termine della
guerra, si pone alla testa
a
di reparti di fanatici
casa...
nazionalisti e di ex arditi
chiamandoli Legionari
come gli antichi romani,
partendo da Ronchi alla
conquista di Fiume
(Rieka) e le isole del
Kvarnaro con un colpo di
mano, creando così i
primi embrioni del
nascente partito fascista,
non contenti delle
decisioni prese a Versailles dagli alleati che le assegnavano al nascente stato di Jugoslavia. Circa 25 anni
dopo per la stessa mania nazionalistica, Mussolini seguace di d’Annunzio s’imbarcava nella sanguinosa
avventura del “Mare nostrum” finita come tutti sappiamo.
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Il pulmino che ci porta verso piazza 1° maggio (Sardin Grant) fila sull’autostrada
bucando l’oscurità della notte friulana. Rosina e Cotaldo ci accompagnano a casa.
Esaminiamo questa intensa e divertente settimana passata sull’isola del sole. La
posizione geografica, le bellezze naturali, la storia, l’arte, la cultura fanno della Sicilia un’isola ricca di
fascino ed è un peccato che sia afflitta da gravissimi problemi rimasti irrisolti, come la tremenda piaga
della Mafia e la dilagante malavita, generate anche dalla grave disoccupazione, i vari governi succedutesi
sia a Roma che a Palermo non hanno MAI impostato una politica seria e impegnata per il risanamento
morale dell’isola. C’è da augurarsi che i nuovi uomini politici della seconda repubblica riescano dove né
Giolitti né Mussolini né De Gasperi nè tantomeno Craxi non sono mai riusciti.
Credo di fare un atto di cortesia terminando con questo saluto di G. Pascoli: “Salve
o Sicilia ogni cura che qui muove, pulsa una cetra, od empie una zampogna e canta e passa. Io
era giunto dove giunge chi sogna”.
U
n grazie particolare a Gloria e Jean Claude per la splendida veste che hanno dato a queste mie
righe senza pretese. Ed a Stella e Marco per le correzioni.
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