STUDI
L’ENERGIA .2
a cura di Giovanni Vittorio Pallottino
Sul precedente numero della rivista
abbiamo presentato i primi due articoli
dedicati al tema dell’energia nei quali
abbiamo fornito il quadro concettuale
di riferimento evidenziando
i principi che sono alla base
di alcuni processi fisici che
coinvolgono le diverse fonti
energetiche e i loro impieghi: in
particolare abbiamo affrontato
le questioni legate
alle possibili applicazioni
dell’energia solare.
In questa seconda parte
proponiamo un
approfondimento
dedicato all’energia eolica e
nucleare. Chiudono la raccolta di
interventi due articoli dedicati, il primo, al
tema del risparmio energetico, il secondo, ad
alcune riflessioni di carattere prettamente didattico.
Abstract
In the previous issue we presented the first two articles on the subject of energy in which we gave the relevant
conceptual framework, highlighting the underlying principles of some physical processes which involve the various
energy sources and their uses. In particular we tackled the questions linked to potential applications of solar
energy. In this second part we go into greater depth on the subject of nuclear and wind energy. The report ends
with two articles, the first on the issue of energy saving and the second on considerations
of a mainly educational nature.
NUOVA SECONDARIA - N. 6 2009 - ANNO XXVII
31
STUDI
L’ELETTRICITÀ EOLICA
Domenico Coiante
i occupiamo qui brevemente della produzione
trica a corrente alternata in modo da poter essere erogata
d’energia elettrica mediante lo sfruttamento del
verso la rete elettrica.
vento: una fonte rinL’efficienza di trasformazione dal vento all’elettricità
novabile
derivata
è definita come il rapporto tra la potenza elettrica
dall’energia solare primaria. La
istantanea in uscita e la potenza cinetica del vento in
macchina che realizza la traentrata sull’area spazzata dal rotore. Si ha pertanto:
sformazione energetica (Fig. 1)
è chiamata aerogeneratore, o turη = Potenza elettrica/ Potenza cinetica = ηr ηm ηa (1)
bina eolica.
Come mostra la Fig. 2, si
dove ηr è l’efficienza del rotore per la trasformazione
parte dall’energia cinetica del
della potenza cinetica del vento in potenza meccanica
vento e si arriva all’erogaziosull’asse principale; ηm è l’efficienza del moltiplicatone d’energia elettrica su un
re di giri; ηa è l’efficienza dell’alternatore per la tracarico o verso la rete nazionasformazione della potenza meccanica nella potenza
le di distribuzione. L’energia
elettrica finale.
cinetica del vento mette in
Rispetto all’orientamento del rotore le macchine eolirotazione un dispositivo
che si differenziano fra macchine ad asse verticale e
aerodinamico, detto rotore,
macchine ad asse orizzontale.
che può assumere diverse
Nelle macchine in cui l’asse di rotazione è posto verforme.
ticale rispetto al terreno le pale sono ortogonali
Il rotore è solidale a un asse
rispetto alla velocità del vento, indipendentemente
meccanico, detto asse primadalla direzione da cui esso proviene. Appartengono a
rio, la cui rotazione, medianquesta classe vari tipi di aerogeneratori che hanno
te ingranaggi tali da effettuaavuto una certa diffusione negli anni ’80, ma che
re la moltiplicazione del
attualmente sono quasi del tutto abbandonati.
numero dei giri, è trasmessa
Nelle macchine ad asse orizzontale il rotore spazza
ad un asse secondario.
un’area
posta su un piano verticale che un sistema di
Fig. 1. Moderno aerogeneratore
Quest’asse è solidale al rotocontrollo
mantiene ortogonale alla direzione del
danese con rotore a tre pale in una
re di un alternatore, che a
centrale eolica in montagna.
vento. La rotazione è poi trasmessa ad un asse meccasua volta trasforma la potennico orizzontale. Appartengono a questa classe i noti
za meccanica in potenza eletmulini a vento olandesi ed i
recenti aerogeneratori a
Fig. 2. Rappresentazione schematica della produzione dell’elettricità
rotore bipala e tripala, come
eolica attraverso stadi successivi di trasformazione dell’energia del
quello mostrato in Fig. 1. In
vento.
queste macchine il rotore è
costituito da un mozzo, su
cui convergono due o tre
pale a profilo aerodinamico
alare, solidale con l’asse
meccanico primario che trasmette la rotazione al moltiplicatore di giri e quindi al
C
32 NUOVA SECONDARIA - N. 6 2009 - ANNO XXVII
STUDI
rotore di un alternatore. L’asse primario, il moltiplicatore di
giri e il generatore elettrico sono contenuti in un involucro,
detto gondola o navicella, che racchiude anche i sistemi di
controllo dell’inclinazione delle pale e dell’imbardata dell’aerogeneratore. La navicella è montata sulla sommità di un
traliccio o di un palo metallico di altezza adeguata alle
dimensioni della macchina: dai 30 ad oltre 70 m in corrispondenza ai 100 kW o ai (1000÷2000) kW di potenza elettrica di targa.
Il collegamento diretto alla rete elettrica impone il mantenimento della costanza della frequenza su 50 Hz, con la necessità di mantenere costante il numero di giri del rotore. Vi
sono anche aerogeneratori nei quali si permette al rotore di
seguire le variazioni di velocità del vento. Si genera in tal
caso corrente alternata a frequenza variabile, richiedendo un
opportuno convertitore elettronico, che la trasformi a frequenza fissa, in modo da permettere l’allacciamento alla
rete.
Pmax = (16 / 27 ) ⋅ (1 / 2 ) ⋅ ρ ⋅ A ⋅ V 3  .
La potenza cinetica del vento
e il limite di Betz
La potenza cinetica P posseduta da una massa d’aria m che
si muove sotto forma di vena fluida in condizioni di flusso
laminare, cioè senza vortici, ad una velocità V è data dalla
relazione:
P = (1/2) A ρ V3
(2)
dove A è la sezione trasversale della vena fluida e ρ è la densità dell’aria. Se A è espresso in m2, ρ in kg/m3 e V in m/s, P
risulta direttamente in watt. Si noti che la potenza sviluppata dal vento è proporzionale al cubo della velocità dell’aria.
Ciò significa, ad esempio, che un raddoppio della velocità
del vento fa aumentare di otto volte la potenza contenuta
nella vena fluida.
Si definisce coefficiente di potenza di un aerogeneratore, Cp,
il rapporto tra la potenza estratta dalla vena fluida per opera
del rotore e quella totale disponibile nel vento. Ricordando
la (1) e la (2) ed identificando con A l’area spazzata dalle
pale del rotore, si ha pertanto:
CP =
Potenza meccanica estratta
= ηr .
(1 / 2 ) ⋅ A ⋅ ρ ⋅ V3
massimo sfruttamento dell’energia del vento. Nel contempo, però, esso offrirà un grande ostacolo all’attraversamento della vena fluida che, invece di passare attraverso il rotore, comincerà a defluire oltre i bordi dell’area A. È quindi
chiaro che esiste un valore ottimale dell’energia estraibile da
una vena fluida oltre il quale il vento sfugge senza rilasciare
più energia al rotore.
Si può dimostrare che il massimo di potenza estraibile dal
vento corrisponde ad una situazione in cui la velocità dell’aria, misurata nella scia del rotore, è pari a 1/3 della velocità V dell’aria indisturbata. In queste condizioni il rotore
sfrutta la differenza di velocità del flusso d’aria che corrisponde ai 2/3 di V. Si perviene così alla potenza massima
estraibile dalla vena fluida:
(4)
Ne segue che un aerogeneratore, qualunque sia la forma del
rotore, non potrà avere un coefficiente di potenza più alto
del valore Cpmax = 16/27 = 59.3%, detto limite di Betz dal
nome del ricercatore che per primo ne evidenziò l’esistenza.
Pertanto, considerato che per l’aria ρ vale 1,225 kg/m3, la
massima potenza meccanica estraibile per ogni m2 di area
spazzata dalle pale del rotore, chiamata densità di potenza
limite di Betz, è:
Pmax / A = (16 / 27 ) ⋅ (1 / 2 ) ⋅ ρ ⋅ V 3  = 0.363 V 3 .
(5)
Qui è importante notare che il vento effettivamente utile è
quello capace di generare almeno 0.5÷1 kW/m2 e, quindi
con velocità superiore ai 10÷14 m/s, cioè 36÷50 km/h.
La sensibilità ordinaria delle persone rispetto alla velocità
del vento in genere tende a sopravvalutarne il valore e a
considerare buoni anche siti di scarso interesse. Per tale
motivo, un’accurata misurazione delle condizioni anemologiche su base statistica adeguata va considerata indispensabile per la classificazione dei siti.
(3)
Applicando il principio di Bernoulli della conservazione
della portata nei fluidi a flusso laminare, si può dimostrare
che esiste un valore massimo del coefficiente di potenza, che
è minore dell’unità. Questo fatto può essere reso intuitivo
con le seguenti considerazioni. Se il rotore potesse sfruttare
tutta l’energia contenuta nel vento, la velocità dell’aria a
valle del rotore sarebbe nulla. Un rotore costituito da molte
pale fornisce l’immagine che più si avvicina all’idea del
Curva di potenza di un aerogeneratore
La potenza elettrica Pe prodotta da un aerogeneratore si
ottiene moltiplicando la densità di potenza eolica data dalla
(2) per i fattori di efficienza (Cp ηm ηa) considerati precedentemente. Ne consegue che la potenza elettrica Pd prodotta
per ogni m2 dell’area A spazzata dalle pale del rotore, chiamata densità di potenza elettrica, si ottiene dividendo per A
la potenza elettrica Pe:
NUOVA SECONDARIA - N. 6 2009 - ANNO XXVII
33
STUDI
Energia elettrica prodotta
Pd = Pe/A = Cp ηm ηa [(1/2)ρV3].
(6)
A questo punto teniamo presente che nella pratica per le
macchine tripala si ha Cp ≅ 0,43, mentre per un buon moltiplicatore di giri ηm ≅ 0,70 e per l’alternatore ηa ≅ 0,95.
Pertanto l’efficienza complessiva dell’aerogeneratore è:
η ≅ 0,28.
Inserendo i dati nella (6) si ottiene:
Pd = 0,1715 V3
(W/m2).
(7)
Da questa relazione, assieme ad alcune considerazioni circa
i limiti pratici imposti al funzionamento reale degli aerogeneratori, deriva la curva di potenza che caratterizza la macchina. Per tracciare questa curva, si divide l’asse delle velocità in quattro zone contigue:
1. Velocità del vento compresa fra 0 m/s e quella detta di cut
in, che produce una velocità angolare di rotazione delle pale
in grado di pilotare il generatore elettrico vincendo gli attriti. Pd = 0.
2.Velocità del vento compresa fra quella di cut in e quella
corrispondente al raggiungimento della potenza di targa del
generatore, detta velocità normale, Vn. In questa zona la
potenza specifica aumenta con il cubo della velocità.
3. Velocità del vento compresa fra quella normale e quella di
frenamento della macchina, detta di cut out. In tutta questa
zona, il sistema di controllo mantiene costante ed uguale al
valore di targa Pn la potenza elettrica generata. Quando la
velocità del vento raggiunge il valore di cut out, il sistema di
protezione attua il rallentamento del rotore ed il frenamento
di sicurezza in modo da impedire
danni all’aerogeneratore. Pd = Pn.
Fig. 3
4. Velocità del vento superiori alla
velocità di cut out. In questa zona
l’aerogeneratore non produce
alcuna potenza elettrica. Pd = 0.
Fig. 3. Curva della densità di
potenza e limite di Betz per un
aerogeneratore.
Nella pratica si utilizzano modalità diverse per il controllo del rotore, per esempio variando l’angolo
d’incidenza rispetto al vento così
da mantenere costante la potenza
d’uscita dal generatore, oppure
variando l’angolo che il piano del
rotore forma con la direzione del
vento, facendo ruotare la navicella sul piano orizzontale intorno
all’asse della torre.
34 NUOVA SECONDARIA - N. 6 2009 - ANNO XXVII
Dato che l’energia è il prodotto della potenza per il tempo,
la curva di potenza, che è funzione della velocità del vento,
deve essere trasformata in modo da essere espressa rispetto
al tempo. Qui le cose si complicano perché la velocità del
vento è una variabile statistica, i cui valori sono distribuiti
secondo una legge probabilistica. Nel caso più semplice
questa distribuzione può essere approssimata con quella di
Rayleigh, per cui la densità di probabilità R(V) dei valori di
V segue la legge:
R(V) = (π/2) (V/Vm2) exp[–(π/4) (V/ Vm)2]
(8)
dove Vm è la velocità media. Essa ha un massimo
(Rmax = (π/2)1/2 e-1/2 /Vm = 0,760/Vm ) alla velocità
Vo = (2/π)1/2 Vm = 0,798 Vm .
Stante il significato di R(V), la probabilità infinitesima dP di
trovare un valore V della velocità del vento nell’intervallo
compreso fra V e V+dV è data da: dP = R(V) dV. Per la legge
dei grandi numeri, questa probabilità è anche uguale al rapporto tra il numero dt delle ore in cui si è verificato l’evento
V e il tempo totale di osservazione T della misurazione delle
velocità del vento (per T >> dt). Allora potremo scrivere: dP
= dt/T = R(V) dV, da cui si ricava subito:
dt = T R(V) dV.
(9)
La densità della potenza elettrica dell’aerogeneratore è rappresentata dalla curva di potenza Pd(V), quindi la densità
d’energia elementare dE/A erogata nel tempo dt sarà:
dE/A = Pd(V) dt = T Pd(V) R(V) dV.
STUDI
Pertanto l’energia elettrica prodotta durante il tempo T per
l’area A spazzata dal rotore è data da:
E=AT ∫ Pd (V)R(V)dV.
∞
0
(10)
Questa relazione rende subito evidente come la produzione
di energia dipenda dall’incontro ottimale di due fattori, le
caratteristiche tecniche dell’aerogeneratore [Pd(V)] e quelle
anemometriche [R(V)] del sito in cui la macchina viene collocata. Se queste ultime non sono buone, non esiste aerogeneratore, per quanto tecnicamente valido, che possa dare
una grande resa energetica.
Richiamando la definizione delle velocità di cut in e di cut
out, l’integrale (10) si riduce a:
(11)
Si ottiene in tal modo la curva cosiddetta delle durate di ciascuna velocità:
D(V) = T R(V).
(12)
Se T rappresenta il periodo di un anno (8760 ore), D(V) darà
la durata annuale di ciascuna velocità.
Nella Fig. 4 vengono riportati insieme i grafici della durata e
della potenza in funzione della velocità del vento.
Fig. 4. Curva delle durate annuali della velocità del vento e
curva di potenza dell’aerogeneratore.
Fig. 4
dove: Vin è la velocità di cut in; Vn
è la velocità corrispondente al
raggiungimento della potenza
nominale; Vout è la velocità di cut
out; Pn è il valore di targa, o nominale, della potenza elettrica dell’aerogeneratore.
Come mostra la (11), non è sufficiente conoscere la velocità media
del vento per stimare la quantità
d’energia elettrica ricavabile da
un aerogeneratore in un determinato sito, ma occorre conoscere
l’intera distribuzione della velocità del vento. L’accuratezza della
stima di E dipende ovviamente
dall’accuratezza con cui si conosce la curva di potenza e da quella con cui si è determinata la densità di probabilità della velocità
del vento.
Un caso pratico
A titolo di esempio sul modo di procedere, si consideri il caso
della curva di potenza della Fig. 3, applicata ad un ipotetico
aerogeneratore con area A = 2127 m2, corrispondente ad un
diametro del rotore di circa 52 m, altezza del mozzo da terra
pari a 60 m e potenza nominale di 1 MW. Si supponga di collocare tale macchina in un sito avente velocità media del
vento pari a 7 m/s misurata all’altezza del mozzo e distribuzione di Rayleigh. Per comodità visiva, si riporti la distribuzione della probabilità relativa a questi parametri sullo stesso
grafico della curva di potenza dell’aerogeneratore Pe(V),
avendo l’accortezza di moltiplicare tutti i valori di R(V) per T.
È possibile notare subito che le due curve si sovrappongono solo parzialmente. Poiché l’energia è determinata
dal prodotto D(V) Pe(V), ciò porta ad una distribuzione
dell’energia con valori significativi solo in uno stretto
intervallo di velocità del vento centrato intorno ai 12 m/s.
Tale distribuzione è mostrata dal grafico della successiva
Fig. 5.
Si conclude che un aerogeneratore da 1MW collocato in un
sito con velocità media del vento di 7 m/s avrà una produzione teorica di 1886 MWh all’anno. Poiché questa cifra corrisponde all’energia che l’aerogeneratore potrebbe produrre
se funzionasse a piena potenza per 1886 ore, questa stessa
durata viene assunta come indicativa della bontà del sito,
riducendo tutto nel dire che ci si trova in un “sito da 1886 ore
l’anno”, cioè con producibilità annuale di 1886 MWh/MW.
NUOVA SECONDARIA - N. 6 2009 - ANNO XXVII
35
STUDI
Fig. 5
Fig. 5. Energia annuale prodotta rispetto alla velocità del
vento ed energia cumulata in un anno.
Curva di producibilità energetica
e sviluppo dell’eolico in Italia
Il caso sopra esaminato può
essere generalizzato, sempre
con riferimento a una macchina da 1 MW, ripetendo i
calcoli per diversi valori
della velocità media del
vento. I risultati ottenuti per
l’energia annuale prodotta
sono riportati nella curva di
Fig. 6, che rappresenta la
producibilità
energetica
annuale dei siti caratterizzati dalle rispettive velocità
medie del vento.
I siti eolici italiani interessanti per lo sfruttamento
economico si trovano tipicamente raggruppati tra 5,5 e
7,5 m/s. Ad essi corrisponde
una producibilità di circa
Fig. 6
36 NUOVA SECONDARIA - N. 6 2009 - ANNO XXVII
1000÷2500 MWh/MW. I siti tipici del Nord-Europa si trovano collocati tra i 7 m/s e i 9 m/s, con punte anche di 10 m/s,
con producibilità che può raggiungere valori superiori a
3500 MWh/MW.
La situazione italiana, mediata su tutti i siti attualmente
occupati dagli impianti, può
essere riassunta utilizzando i
dati ufficiali del Gestore dei
Servizi Elettrici. Dato che nel
2007 si è avuta una produzione lorda di 4,034 TWh per
una potenza eolica installata
di 2714 MW, risulta che la
producibilità attuale media
del parco eolico italiano è di
1486 MWh/MW. Assumendo
per semplicità che il valore
medio della potenza degli
aerogeneratori sia di 1 MW
(cosa che è molto vicina alla
realtà odierna), possiamo
ricavare dal grafico di Fig. 6
che la velocità media del
vento a 60 m dal suolo, caratteristica dei migliori siti eolici
italiani, vale circa 6,5 m/s.
Questi siti si trovano raggruppati nelle zone montuose,
lungo i crinali appenninici ad altitudine intorno ai 1000 m,
Fig. 6. Producibilità annuale d’energia per un aerogeneratore
da 1 MW collocato in diversi siti caratterizzati dalla velocità
media del vento misurata al mozzo.
STUDI
dove gli aspetti paesaggistici, faunistici e geologici assumono una particolare importanza, tanto da suscitare problemi
d’impatto ambientale.
Attualmente il livello di (1800÷2000) MWh/MW è da consiPer promuovere il suo sviluppo economico sono
state adottate misure
d’incentivazione pubblica
sottoposte alla normativa
detta dei Certificati Verdi,
mediante cui il differenziale negativo dei costi è
colmato con un certo margine di profitto. La situazione conseguente è divenuta
particolarmente
favorevole allo sviluppo
degli impianti eolici in
Italia, come si può vedere
dalla serie storica della
potenza installata mostrata nella Fig. 7.
L’effetto dell’introduzione
dei Certificati Verdi nel
2002 è chiaramente visibiFig. 7. La potenza eolica cumulativa installata in Italia (Fonte dei dati: ENEA, GSE e ANEV).
le nel grafico, dove si nota
che, a partire dal 2003,
Fig. 8
l’andamento della potenza installata è iniziato a
crescere in modo esponenziale, continuando con
tale andamento fino ad
aver raggiunto i 3736 MW
alla fine del 2008. A questa
data la produzione annuale d’energia elettrica è
stata di circa 6 TWh, pari a
circa 1,8% del fabbisogno
elettrico nazionale e corrispondente al risparmio di
circa 1,3 Mtep di petrolio,
cioè a un contributo dello
0,7% al fabbisogno italiano d’energia primaria.
In questo modo l’Italia ha
recuperato
numerose
posizioni nella classifica
Fig. 8. Potenza cumulata installata fino a dicembre del 2008 nei Paesi europei. (Fonte: Eurobserver
eolica europea, collocanFeb. 2009).
dosi al terzo posto (dopo
Germania e Spagna) per quantità di potenza installata, come
derare come il valore minimo della producibilità per ottenedimostra il diagramma della Fig. 8.
re la competitività economica del kWh erogato. Pertanto
Fig. 7
l’eolico italiano, che si trova ad un livello più basso, non è
ancora competitivo con le fonti convenzionali.
Domenico Coiante
ENEA
NUOVA SECONDARIA - N. 6 2009 - ANNO XXVII
37
STUDI
ENERGIA NUCLEARE:
prospettive della fusione e della fissione
Giovanni Vittorio Pallottino, Giulio Valli
S
olo alla metà del secolo scorso l’uomo ha avuto
cognizione di una delle più potenti forme di energia, quella che alimenta l’immensa fucina
dell’Universo: l’energia emessa dal nucleo degli
atomi. Nel cuore del nostro Sole, come di tutte le stelle, a
una temperatura intorno ai 10-15 milioni di gradi, una serie
di reazioni successive converte i nuclei degli atomi più piccoli, quelli dell’idrogeno, fondendoli tra loro, in nuclei più
grandi di elio con il rilascio di una grande quantità di energia, l’energia che sostiene la vita sulla Terra.
Questo processo di generazione di energia è denominato
fusione termonucleare. Nell’ambiente costituito dal cuore
delle stelle, caratterizzato da altissime temperature e forza
gravitazionale, i processi di formazione di nuclei sempre più
pesanti, a spese della fusione di nuclei più leggeri, procede
fabbricando atomi sempre più grandi e pesanti. Alcuni degli
atomi più pesanti, come il torio e l’uranio, sono tuttavia relativamente instabili, cioè tali che, per interazione con una particella nucleare, tipicamente un neutrone, possono andare in
pezzi emettendo altri neutroni e di nuovo grandi quantità di
energia nucleare. Questo processo di generazione di energia,
opposto al precedente, è denominato fissione nucleare.
Mentre l’uomo non è ancora riuscito a controllare la fusione
termonucleare, riuscendo a riprodurla solo in forma incontrollata (la bomba all’idrogeno), è riuscito rapidamente a
padroneggiare la fissione nucleare, utilizzandola in forma diffusa per la generazione di elettricità nelle centrali nucleari.
Ma qual è l’origine dell’energia che si libera nei processi di
fusione e di fissione nucleare? Essa proviene dalla conversione in energia di una piccola parte della massa dei nuclei
atomici che intervengono in questi processi, come previsto
dalla nota relazione di equivalenza fra massa ed energia
introdotta da Albert Einstein:
E = m c2.
(1)
Più precisamente, in una reazione nucleare nella quale la
massa totale subisca complessivamente una diminuzione
∆m, si sviluppa l’energia ∆E = ∆m c2. E in effetti sia la
fusione di nuclei leggeri che la fissione di nuclei pesanti
conduce a una perdita di massa, come suggerisce la Fig. 1.
38 NUOVA SECONDARIA - N. 6 2009 - ANNO XXVII
Fig. 1
Fig. 1. Il grafico in figura rappresenta approssimativamente
come varia la massa per nucleone dei nuclei atomici dei vari
elementi in funzione del numero atomico. La massa per
nucleone non è costante: essa è assai grande per i nuclei più
leggeri, presenta un minimo in corrispondenza del ferro e poi
cresce moderatamente per i nuclei più pesanti. Ciò significa
che la fissione di un nucleo pesante, e ancor più la fusione di
due nuclei leggeri, è accompagnata da liberazione di energia,
corrispondente alla perdita di massa.
La fusione termonucleare
e le sue prospettive
Fra le diverse reazioni nucleari che sono state considerate in
vista del loro impiego per sviluppare energia, quella di maggiore interesse per vari motivi, e quindi maggiormente studiata, è la fusione fra il deuterio (21H) e il trizio (31H), due isòtopi dell’idrogeno1,
2
H + 31H → 42He (3,5 MeV) + 10n (14,1 MeV)
1
(2)
i cui prodotti, come illustrato nella Fig. 2, sono un nucleo di
elio (42He) e un neutrone (10n), entrambi dotati di elevata
energia cinetica.
1. La notazione abX indica il nucleo dell’elemento X avente numero di massa a, cioè
costituito da a nucleoni (protoni e neutroni), e numero atomico b, cioè comprendente
b protoni, pertanto dotato di carica positiva pari a b cariche elementari.
STUDI
Fig. 2. La
fusione
nucleare fra un
nucleo di deuterio e uno di
trizio sviluppa
una notevole
quantità di
energia.
Ma per realizzare la fusione fra dei nuclei atomici occorre
preliminarmente avvicinarli, vincendo la repulsione
elettrostatica che esiste fra loro in quanto dotati di carica
elettrica positiva. A tale scopo occorre fornire ad essi
energia, o equivalentemente portarli ad altissime
temperature. In tali condizioni la materia muta il suo
stato, da gas a plasma, uno stato in cui gli elettroni si
separano dagli atomi, che si trasformano in nudi nuclei.
Per contenere il plasma alle temperature necessarie per
innescare le reazioni di fusione, la ricerca si è concentrata
su due diversi mezzi di contenimento, quello magnetico e
quello inerziale.
Nel primo caso il plasma è tenuto in una “bottiglia” o “toro”
anulare per mezzo di elevati campi magnetici, che tengono
il plasma caldo separato dalle pareti del contenitore. Nel
secondo caso, la stessa massa del combustibile previene,
sotto rapida compressione, l’espansione e fuga del plasma.
In ambedue i casi, il plasma deve essere isolato dai materiali
di superficie per evitare il suo raffreddamento e
l’interazione con le pareti del reattore. Uno dei sistemi più
promettenti per raggiungere questo obiettivo utilizza il
contenimento magnetico toroidale, del quale la forma
chiamata Tokamak è la più diffusa.
Dopo una serie di esperimenti preliminari, svolti nei
decenni passati, tutti i maggiori paesi del mondo stanno
cooperando attualmente alla costruzione di un reattore di
prova della nuova generazione, the International
Thermonuclear Experimental Reactor (ITER), che dovrebbe
entrare in funzione nel 2015 – 2020. Se esso avesse successo,
ma i dubbi e i problemi fisici tecnologici da superare in
proposito sono ancora numerosi, i vantaggi dei reattori a
fusione sarebbero quelli di una praticamente illimitata
disponibilità di combustibile (deuterio disponibile
dall’acqua di mare e trizio prodotto da abbondante litio); di
essere inerentemente sicuri (poiché la dispersione del
plasma bloccherebbe istantaneamente i processi di fusione);
di produrre solo piccole quantità di prodotti di fissione
molto radioattivi.
Gli sviluppi della fissione nucleare
Sorprendentemente rapido, stimolato anche dalle urgenze
poste dalla seconda guerra mondiale, è stato invece lo
sviluppo della scienza della fissione nucleare, che, dalla
scoperta del neutrone fatta da James Chadwick nel 1932, è
rapidamente progredita con la scoperta nel 1939 della
fissione dell’atomo e della grande quantità di energia
liberata da questo processo. Si è poi arrivati alla prima
reazione a catena controllata (1943), alla bomba atomica
(1945) e alla prima produzione di elettricità da energia
nucleare (1951). Quindi, nel breve periodo di vent’anni,
l’energia nucleare si è sviluppata dai primi principi di base
al suo impiego pratico.
Alle prime applicazioni alla produzione di energia elettrica
in Unione Sovietica e negli Stati Uniti, seguirono in rapida
successione quelle di numerosi altri Paesi, fra cui l’Italia, e la
crisi del petrolio negli anni ’70 provocò un’impennata nella
costruzione degli impianti nucleari. In seguito però, il
rallentamento dell’economia mondiale, in combinazione
con i prezzi in calo del combustibile fossile, ridusse
drasticamente la crescita della domanda di energia nucleare,
mentre due incidenti, il primo alla centrale di Three Mile
Island, negli Stati Uniti (1978), e il secondo a Chernobyl, in
Unione Sovietica (1986), sollevarono nell’opinione pubblica
questioni serie circa la sicurezza degli impianti nucleari.
L’effetto complessivo fu un significativo rallentamento
dell’accrescimento dell’energia nucleare negli anni ’90.
Ciononostante, alcuni paesi continuarono a perseguire con
determinazione la costruzione di impianti nucleari.
Complessivamente, oggi sono in funzione 436 reattori
nucleari in 30 paesi, che coprono il 17% del fabbisogno
mondiale di energia elettrica. E altri 44 sono in costruzione.
La fissione nucleare
I nuclei di determinati elementi pesanti, come l’uranio o il
plutonio, quando sono colpiti da un neutrone possono
scindersi in due frammenti, detti prodotti di fissione,
rilasciando nel contempo due o tre neutroni ed energia.
La fissione dei nuclei di uranio-235 non segue un’unica reazione nucleare perché essi possono spezzarsi producendo
un’ampia varietà di frammenti, alcuni dei quali sono radioattivi e quindi decadono liberando energia a loro volta.
Considerando l’uranio 235, queste reazioni, quando si producono due nuclei, si possono rappresentare nella forma
generale
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STUDI
1
n + 23592U → xhA + ykB + z(10n)
0
(3)
dove z è il numero dei neutroni prodotti, mediamente 2,5, e
A e B sono i nuclei di due elementi con caratteristiche tali da
soddisfare la conservazione sia del numero di massa che del
numero atomico.
I prodotti di fissione, collidendo con gli atomi circostanti,
perdono nello spazio di 1 mm la maggior parte della loro
energia cinetica, sviluppando quindi calore che può essere
utilizzato per generare energia elettrica. Mediamente,
l’energia liberata dalle reazioni di fissione (3) è di circa 230
MeV, considerando sia l’energia cinetica dei prodotti, sia
quella sviluppata a breve dai successivi decadimenti dei
prodotti. (Fig. 3)
di elementi a lunga vita, i quali o non esistono o sono in
natura molto rari (es.: nettunio, plutonio, americio). Si tratta
di elementi radioattivi, e alcuni – in particolare il plutonio –
sono fissionabili e quindi possono venire utilizzati come
combustibile nucleare. A causa delle loro lunghe vite medie,
e un’alta tossicità biologica o radiologica, essi costituiscono,
come alcuni prodotti di fissione, un’importante componente
dei rifiuti nucleari, e questa è la ragione per cui questi
materiali devono venire isolati per lunghi periodi di tempo.
I reattori nucleari
Si chiama reattore nucleare l’apparato impiegato per creare
e controllare le reazioni di fissione, producendo quindi il
calore e il vapore che nelle centrali nucleari muove le
turbine e i generatori di energia elettrica. Tutti i tipi di
reattori commerciali oggi in operazione hanno una serie di
componenti in comune: il combustibile, il moderatore, il
refrigerante e le barre di controllo. I principali
Fig. 3
tipi sono i reattori ad acqua in pressione
(PWR) e i reattori ad acqua bollente (BWR).
La maggior parte dei reattori usa come combustibile l’ossido di uranio, arricchito2 intorno al 2-3 % in 235U, sotto forma di pastiglie
cilindriche sinterizzate. Queste vengono caricate in tubi, che costituiscono le barrette di
combustibile, fatti di metalli altamente resistenti alla corrosione, quali acciai inossidabili
o leghe di Zircalloy, a basso assorbimento di
Fig. 3. Rappresentazione del processo di fissione di un nucleo di uranio-235.
neutroni. Il combustibile, insieme con le strutture meccaniche di sostegno, costituisce il
“nocciolo” del reattore.
I neutroni generati dalla fissione possono colpire un atomo
Il moderatore è necessario, come si è detto, per rallentare i
contiguo, che può scindersi a sua volta e rilasciare altri
neutroni veloci creati dalla fissione in modo da renderli più
neutroni, e così via, producendo così una reazione a catena.
efficaci nel produrre ulteriori fissioni. Il moderatore deve
Ma un neutrone, anziché fissionare un atomo, può
essere costituito da un materiale di atomi leggeri, e non
rimbalzare sul suo nucleo o comunque sfuggire senza
assorbitori, così da permettere al neutrone di rallentare con
alcuna interazione. Soltanto se vengono creati neutroni in
urti successivi, senza venire assorbito. Solitamente si usa
numero sufficiente a bilanciare quelli che vengono persi per
l’acqua ordinaria; altri materiali usati sono la grafite e
fuga o cattura, il processo di fissione finisce per autol’acqua pesante (acqua formata con deuterio).
sostenersi. La massa critica è la massa minima di materiale
La funzione del refrigerante è quella di assorbire il calore
fissile, per un dato insieme di condizioni, necessario a
prodotto dalla fissione nucleare, in modo da mantenere la
mantenere la reazione a catena.
temperatura del combustibile entro limiti accettabili, e di
I neutroni più efficienti nel causare la fissione dell’uranio e
trasferirlo al turboalternatore che produce energia elettrica:
del plutonio sono quelli con una bassa energia cinetica
direttamente oppure attraverso uno scambiatore di calore,
(< 0,1 eV), chiamati: “neutroni lenti”. Sicchè occorre
in entrambi i casi producendo il vapore necessario per muorallentare i neutroni più veloci, rilasciati durante la fissione,
vere la turbina. Il refrigerante può anche fungere da modeutilizzando un materiale detto moderatore.
ratore, e l’acqua è frequentemente usata con questa duplice
I neutroni veloci prodotti dalle reazioni di fissione, con
funzione nella maggior parte dei moderni reattori. Altri posenergie cinetiche dell’ordine dei MeV, sebbene poco
sibili refrigeranti sono l’acqua pesante, gas quali l’anidride
efficienti nel produrre la fissione dell’uranio, possono
scindere un più ampio numero di isotopi fissionabili e anche
provocare la trasformazione di atomi in quelli di altri
2. L’uranio naturale è composto essenzialmente da due isotopi nella proporzione U
elementi. Ciò produce la creazione di un importante gruppo
99,29% e U 0,71%.
238
235
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STUDI
carbonica o l’elio, o metalli liquidi quali il sodio, o il piombo
o il bismuto.
Le barre di controllo sono fatte di materiali che assorbono
fortemente i neutroni, per esempio boro, argento, indio, cadmio e afnio. Esse vengono introdotte nel reattore per ridurre il numero dei neutroni e quindi bloccare i processi di fissione quando lo si richieda, o, durante l’operazione, per
regolare il livello della potenza sviluppata nel reattore.
Un altro componente è il riflettore di neutroni che circonda
il nocciolo e serve per riflettere il massimo numero di neutroni possibili, evitando che ne sfuggano. Il nocciolo e il
riflettore sono contenuti in generale in un contenitore di
grosso spessore in acciaio, chiamato il vessel in pressione del
reattore. Schermi antiradiazione sono collocati tra nocciolo e
vessel per ridurre l’alto livello di radiazione prodotto dai
processi di fissione. Numerosi strumenti sono inseriti nel
nocciolo e sostengono i sistemi che permettono di monitorare e controllare il reattore, per esempio le temperature, le
radiazioni e i livello di potenza.
Infine il componente che caratterizza e distingue più di ogni
altro una centrale nucleare rispetto a una termica tradizionale è il contenitore d’impianto, tipicamente un’ampia struttura
in cemento armato rinforzato progettata sia per contenere i
prodotti di un rilascio radioattivo che per proteggere le
strutture che costituiscono il contenitore del circuito primario in pressione da pericoli esterni, quali missili, incendi o
esplosioni (Fig. 4).
veloci per trasmutare determinati isotopi che non sono soggetti a fissione, per esempio 238U e 232Th, in altri che sono
invece fissionabili, che possono andare ad alimentare il combustibile. Questa soluzione, migliorando l’efficienza di utilizzazione del combustibile, consentirebbe di aumentare
notevolmente l’utilizzazione delle risorse disponibili di
combustibile nucleare ed è perciò un elemento cruciale per
la sostenibilità nei tempi molto lunghi dell’energia nucleare.
Reattori di questo tipo sono stati costruiti e sono oggi in funzione, sebbene in un numero limitato di paesi.
Reattore nucleare del tipo ad acqua in pressione (PWR)
Generatore
di vapore
Vapore
Vessel in
pressione
Turbina
Fig. 5. La centrale di
Olkilhuoto in Finlandia
ove è attualmente in
costruzione un nuovo
impianto nucleare con
potenza di 1600 MWe.
Esperienza
di funzionamento e
sicurezza dei reattori
Una grande quantità di informazioni e molte lezioni sono
Barre
state fornite dall’equivalente
Pompa
di controllo
di oltre 10˙000 anni di esperienza dei reattori in tutto il
Nocciolo
mondo.
Queste lezioni sono
del reattore
Alternatore
costantemente diffuse e conPompa
divise attraverso mezzi quali
Struttura
database, rapporti di organizdi contenimento
zazioni internazionali, riviste
tecniche e conferenze. Un
Fig. 4. Schema di un reattore nucleare del tipo ad acqua in pressione (PWR).
risultato significativo è stato
un miglioramento costante
nella sicurezza delle prestazioni degli impianti nucleari.
I reattori sopra descritti sono detti reattori termici, perché in
Alcuni reattori di prima generazione sono ancora in eserciessi la fissione è affidata a neutroni lenti, chiamati anche
zio, quantunque dopo 35 anni e oltre di servizio essi si stia“termici”. I neutroni “veloci” prodotti dalla fissione, con
no avvicinando alla fine della loro vita operativa. Parecchi
energie cinetiche assai più alte, sono utilizzati nei reattori
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protettive, sia in sito che fuori sito, quali i piani di evacuazione per il pubblico, e dovrebbe presentare dei miglioramenti
sugli atteggiamenti correnti nei confronti della sicurezza.
reattori attuali, costruiti negli anni ‘70 e ’80, raggiungeranno
fra qualche anno la fine della loro vita. Tuttavia, gli studi
basati sul loro funzionamento e le esperienze svolte sui
materiali non hanno rivelato alcun serio argomento tecnico
che inibisca un ulteriore prolungamento della vita operativa
per molti di essi, in particolare per i reattori PWR e BWR. E
infatti, per esempio, nel 2003 l’Autorità di Sicurezza
Nucleare negli USA ha accordato a numerosi reattori un permesso di estensione della vita a 60 anni, 20 anni oltre la
durata prevista inizialmente.
Le generali ottime prestazioni di sicurezza degli impianti
nucleari civili sono state guastate da due severi incidenti: nel
1979 alla centrale di Three Mile Island (TMI) negli Stati
Uniti, e nel 1986 alla centrale Lenin di Chernobyl in Ucraina
(allora Unione Sovietica). L’incidente di TMI provocò un
serio danno al nocciolo del reattore, ma il vessel a pressione
e il contenitore generale dell’impianto impedirono che, al di
là di piccole tracce, i gas radioattivi venissero rilasciati nell’ambiente e causassero influenza alcuna sulla popolazione.
L’incidente di Chernobyl, invece, va considerato sotto ogni
punto di vista un disastro. A Chernobyl vi è stata una fusione del combustibile nucleare che, combinata con
un’esplosione e un incendio, e la mancanza di un contenitore completo d’impianto, produsse una grande quantità di
materiali radioattivi solidi e gassosi, che vennero dispersi
ampiamente, con ricadute sull’Europa intera.
Questi due incidenti ci hanno fornito importanti lezioni.
L’incidente di TMI mise in evidenza la necessità di una maggior attenzione ai fattori umani, compresa una migliore qualificazione degli operatori, e di più efficaci procedure di comunicazione con il pubblico. L’incidente di Chernobyl, dovuto a
manovre irresponsabili degli operatori e a debolezze nel progetto di quel particolare reattore, portò al riconoscimento cruciale dell’importanza di una cultura della sicurezza, a livello sia
degli impianti che della formazione di dirigenti e operatori.
Le esigenze di migliorare ulteriormente i livelli di sicurezza
e di tagliare i costi di generazione sono oggi alla base dei progetti di nuovi tipi di reattori. Vari concetti di una nuova generazione di reattori nucleari di potenza sono stati proposti o
sono in corso di studio. Alcune caratteristiche relative alla
sicurezza dei reattori di nuova generazione possono così
essere sintetizzate: considerazione esplicita degli incidenti
severi come parte del progetto; uso di caratteristiche intrinseche di sicurezza per evitare alla radice il rischio dei più
gravi incidenti; miglioramento del funzionamento e della
manutenzione grazie a impiego estensivo di tecnologie digitali; riduzione della complessità dei sistemi, come sorgente
potenziale di errori umani. Tutti questi elementi, se attuati
con successo, potrebbero risultare nella riduzione di misure
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I rifiuti radioattivi
I rifiuti radioattivi, in generale, sono i prodotti di scarto di
vari processi quali la fissione nucleare utilizzata per la produzione elettrica e l’impiego di atomi radioattivi nel settore
alimentare, come traccianti nell’industria, per la sterilizzazione, e nella diagnostica e nella terapia medica. Gli atomi
radioattivi contenuti nei rifiuti nucleari decadono emettendo radiazioni pericolose per l’uomo e devono essere mantenuti isolati per tutto il tempo in cui emettono radiazioni di
entità apprezzabile. Gli atomi più radioattivi sono anche
quelli che decadono più rapidamente e più rapidamente
diventano inoffensivi, trasformandosi in atomi stabili.
I rifiuti nucleari, in funzione del tipo di radiazioni emesse e
della durata della loro pericolosità, sono classificati in:
Rifiuti a bassa attività (provenienti da applicazioni medicali, industrie, ricerca scientifica), che includono materiali contaminati quali carta, stracci, indumenti protettivi, liquidi
vari, ecc.
Rifiuti a media attività (provenienti da centrali nucleari e
impianti del ciclo del combustibile), che includono generalmente materiali di scarto, rottami da smantellamento, rottami metallici, liquidi vari, fanghi, resine esaurite, ecc.
Rifiuti ad alta attività contenenti la maggior parte dei prodotti di fissione e dei transuranici prodotti nel reattore,
costituiti essenzialmente dal combustibile irraggiato.
Tutto il trattamento e lo smaltimento dei rifiuti nucleari
avviene sulla base di rigide e controllate procedure.
I rifiuti a media e bassa attività, che costituiscono circa il 95%
del totale, devono venir conservati schermati per tempi variabili da alcuni decenni ad alcune centinaia di anni. A tal fine
sono posti in magazzini dotati di barriere e schermi artificiali,
spesso interrati a bassa profondità o collocati in miniere esaurite o cavità naturali. Lo smaltimento di questi rifiuti è praticato
in appositi Centri di deposito presenti in tutti i maggiori paesi.
I rifiuti ad alta attività devono invece venir conservati, isolati dalla biosfera, per tempi assai lunghi, variabili dalle decine alle centinaia di migliaia di anni. Per assicurare che in tale
periodo non avvenga alcun significativo rilascio all’ambiente essi vengono isolati con “barriere multiple”: essi sono
dapprima immobilizzati in matrici insolubili quali vetri
borosilicati o rocce sintetiche che vengono sigillate all’interno di contenitori di acciaio inossidabile resistenti alla corrosione; i contenitori sono a loro volta collocati sottoterra in
strutture rocciose stabili, che costituiscono depositi geologici profondi. Una sistemazione, per la quale vi è un generale
consenso scientifico internazionale.
Depositi geologici profondi sono in corso di costruzione
in Svezia e Finlandia, di approvazione negli Stati Uniti e
STUDI
di sperimentazione in molti altri paesi.
In Italia sono giacenti circa 350 t di rifiuti di alta attività, lascito del passato programma nucleare, e circa 60˙000 m3 di rifiuti a bassa-media attività. E ogni anno si producono circa 500
tonnellate di rifiuti da ospedali e imprese, per i quali occorre
dotarsi con una certa urgenza di un deposito finale nazionale, come in altri paesi. Circa il combustibile irraggiato, pur
disponendo l’Italia di siti perfettamente adeguati anche in
vista di un’eventuale ripresa di attività nucleari, va considerato che una serie di considerazioni politiche ed economiche
stanno facendo maturare la soluzione di siti regionali-continentali per l’intero ciclo del combustibile (arricchimento,
trattamento, smaltimento finale) ove anche i nostri rifiuti ad
alta attività possono trovare adeguata sistemazione.
La radioattività e l’uomo
Tutti gli esseri viventi, fin dalla loro comparsa sulla Terra, si
trovano in un ambiente continuamente pervaso di radiazioni emesse sia dal terreno che dall’atmosfera, provenienti
da sostanze radioattive naturali e dai raggi cosmici. Il livello della radioattività naturale varia considerevolmente da
zona a zona, anche nella sola Italia. Ora, come per molte
altre cose naturali, le radiazioni possono essere benefiche o
dannose per la salute. Piccole dosi non presentano assolutamente alcun rischio, l’uomo essendovi da sempre adattato,
mentre dosi elevate sono pericolose.
La scienza medica è stata tra le prime a studiare e utilizzare
le proprietà penetranti della radiazione: l’uso dei raggi X
rivoluzionò prima la diagnostica medica e poi i trattamenti
terapeutici. Ma ben presto si scoprì che insieme ai benefici
comparivano rischi, e che quindi occorreva proteggere le
persone da livelli eccessivi di radiazioni. Da allora, con la crescente comprensione degli effetti delle radiazioni sono state
sviluppate rigorose procedure di protezione radiologica.
Le radiazioni prodotte all’interno di un reattore nucleare
sono dello stesso tipo delle radiazioni naturali, ma molto
più intense, e quindi tutti gli impianti nucleari sono dotati di
schermi che bloccano all’interno queste radiazioni, permettendo alle popolazioni di vivere tranquillamente nelle zone
circostanti. L’esposizione delle persone alle radiazioni
provenienti da centrali nucleari è infatti assolutamente
trascurabile rispetto agli altri contributi, dovuti per circa il
90% al fondo naturale e il 10 % alla diagnostica e ai trattamenti terapeutici.
Persino nel caso del grave incidente già menzionato alla centrale nucleare TMI, che causò qualche piccola fuoriuscita di
materiale radioattivo, peraltro molto al di sotto dei livelli
raccomandati dalle norme internazionali, non si verificò mai
alcuna evidenza, né al momento dell’incidente né successivamente (sono ormai trascorsi 30 anni), di danni prodotti
dalla radioattività.
Giovanni Vittorio Pallottino, Università «La Sapienza» - Roma
Giulio Valli, ENEA
INTRODUZIONE AL RISPARMIO ENERGETICO
Giovanni Vittorio Pallottino
A
lla base del concetto di risparmio energetico vi è il
riconoscimento che l’energia non è fine a se stessa,
ma soltanto un mezzo per ottenere determinati
beni, come costruire una casa o un’automobile, e
servizi, come riscaldare un’abitazione o compiere un viaggio. E che questi beni e servizi richiedono generalmente
quantità di energia diverse a seconda dei procedimenti che
si seguono per ottenerli.
Seguire il criterio del risparmio energetico significa allora
scegliere le soluzioni tecnologiche che conducono a ridurre
la spesa di energia a parità di risultato. Sicché il risparmio
energetico può essere considerato come una sorta di invisi-
bile, ma efficace, fonte energetica alternativa addizionale.
Sappiamo inoltre che sfruttare al meglio l’energia disponibile, contenendone i consumi, contribuisce assai efficacemente
a preservare l’ambiente del nostro pianeta e a ridurre i rischi
di incidenti.
Un esempio immediato di risparmio energetico?
Sostituire le tradizionali lampadine a incandescenza con
altre più efficienti, cioè che consumano meno energia a
parità di illuminazione: oggi quelle fluorescenti, fra breve
quelle a stato solido, cioè i LED (diodi emettitori di luce,
che trasformano direttamente l’energia elettrica in energia
luminosa).
NUOVA SECONDARIA - N. 6 2009 - ANNO XXVII
43
STUDI
Efficienza energetica
Per discutere quantitativamente questa problematica si può
definire una «efficienza» per ciascun diverso processo che
conduce a un dato risultato, come rapporto fra l’energia
minima necessaria per arrivare allo scopo e l’energia effettivamente spesa nel processo considerato.
Consideriamo, per fissare le idee, un impianto di riscaldamento, usato per mantenere l’interno di un’abitazione a una
temperatura gradevole durante il freddo invernale. Qual è
l’«efficienza» dell’impianto? Possiamo calcolarla considerando il rapporto fra l’energia termica fornita all’abitazione
e l’energia chimica del combustibile. In tal caso l’efficienza
risulta attorno all’80%, dato che tipicamente risulta inutilizzato soltanto il 20% circa dell’energia del combustibile (combustione imperfetta, perdite di calore, riscaldamento dei
fumi). Questa grandezza risulterebbe poi assai più bassa
considerando l’impiego di stufe elettriche. In tal caso, infatti, è vero che l’energia elettrica che utilizziamo viene convertita totalmente per effetto Joule in energia termica, la quale
viene poi tutta ceduta all’ambiente, però solo una frazione,
mediamente il 40%, dell’energia del combustibile utilizzato
in una centrale termoelettrica viene convertito in elettricità.
E allora è chiaro che le stufe elettriche vanno usate con parsimonia.
Ma è davvero necessario, per riscaldare un ambiente, «creare calore» bruciando un combustibile o utilizzando
l’elettricità? In realtà ci si può procurare il calore che ci
occorre prelevandolo dall’esterno, più freddo, per «pomparlo» all’interno. Questo processo, per il secondo principio
della termodinamica, non può avvenire spontaneamente,
ma può essere ottenuto usando la macchina termica chiamata pompa di calore. Questo apparecchio funziona come una
macchina frigorifera, utilizzando il lavoro meccanico L, fornito da un motore elettrico, per spostare la quantità di calore Q da una temperatura T1 a un’altra T2, più alta.
Se la pompa di calore funzionasse secondo un ciclo termico
ideale, il rapporto fra il calore spostato Q e il lavoro svolto L,
cioè l’energia spesa nel processo, sarebbe:
Q
T2
=
L T2 − T1
Fig. 1.
Oggi le
a u t o
consumano
circa la
m e t à
del carburante di quelle di trenta anni fa: sono più leggere,
hanno motori più efficienti e si è posta maggiore attenzione a
ridurre la resistenza dell’aria con forme aerodinamiche. Ma
sono in vista ulteriori progressi. Nella fotografia, la Toyota
ES3: un prototipo a 4 posti, che pesa circa 700 kg, grazie a una
struttura in alluminio e resine plastiche, e ha un coefficiente
aerodinamico di 0,23. Il consumo è di appena un litro di gasolio per 47 km; il motore viene spento automaticamente quando
il veicolo si ferma e l’impiego di freni rigenerativi consente di
recuperare l’energia cinetica persa durante le decelerazioni.
E qui possiamo anche notare, aprendo e chiudendo subito il
discorso, che l’obiettivo del riscaldamento può essere affrontato ancor più efficacemente riducendo le perdite di calore
verso l’esterno (Fig. 2).
Ora considerazioni analoghe alle precedenti possono
farsi per qualsiasi processo nel quale si impiega dell’energia: l’illuminazione necessaria a leggere il giornale
(è davvero necessario illuminare tutta la stanza?), la cottura di un alimento, il viaggio da una città a un’altra (si
(1)
cioè alquanto maggiore dell’unità. E questo è certamente un
metodo di riscaldamento assai efficiente. Per esempio,
volendo riscaldare un’abitazione alla temperatura di 22°C
(T2 = 293 K), con il calore prelevato dall’acqua di uno stagno
che si trova a 5°C (T1 = 278 K), il rapporto fra il calore ottenuto a T2 e l’energia spesa, applicando la formula (1), è: Q/E
= 293/(293 – 278) = 15. Ma in realtà l’efficienza delle pompe
44 NUOVA SECONDARIA - N. 6 2009 - ANNO XXVII
di calore è alquanto più bassa, quando si tenga conto del
costo energetico dell’energia elettrica e soprattutto del funzionamento effettivo di queste macchine, che è abbastanza
diverso da quello ideale, quanto più vicine fra loro sono le
due temperature di lavoro. E questa è la ragione per cui questo tipo d’impianto non è molto diffuso in Italia, anche per il
suo maggior costo rispetto all’impiego di un normale bruciatore.
Fig. 2. È ragionevole costruire edifici con grandi pareti vetrate? Si capisce facilmente che questa scelta è assai discutibile:
occorreranno infatti grandi quantità di energia per mantenere gli interni al caldo nel periodo invernale e per raffreddarli
durante quelli estivi. Sarebbe meglio, certamente, ispirarsi
maggiormente all’architettura tradizionale.
STUDI
consuma più energia con il treno o con l’automobile?), …
Particolare importanza, ai fini del consumo complessivo di
energia, presentano i processi produttivi dell’industria, considerando l’energia impiegata per trasformare un minerale
grezzo in un metallo (ferro, rame, alluminio, …) o per fabtro che “fredda”), trova impiego anche negli impianti di cogebricare un qualsiasi manufatto. L’efficienza di questi procesnerazione, nei quali si genera sia energia meccanica che enersi viene usualmente misurata in termini della cosiddetta
gia termica. Qui il
intensità energetica, data dal rapporto fra l’energia spesa per
calore residuo, anziché
realizzare un dato prodotto e il valore del prodotto
La simbiosi industriale
venire
disperso nel(6,28 kJ/euro nel 2005). Qui il criterio del risparmio energel’ambiente, con inevitico ha condotto nel tempo a una serie di miglioramenti tecÈ possibile ottenere un notevole
tabili effetti di inquinanologici, che hanno portato a ridurre il valore dell’intensità
risparmio di materiali, oltre che di
mento termico, viene
energia, seguendo il concetto
energetica complessiva del sistema industriale. È chiaro
impiegato utilmente:
della “simbiosi industriale”, che
d’altra parte che questi progressi non richiedono soltanto
porta a vantaggi sia ambientali
in impianti industriali
nuove tecnologie, ma anche considerevoli investimenti, e
che economici. Un esempio di
che necessitano di
che i risultati si manifestano solo lentamente negli anni.
applicazione pratica di tale
Un contributo importantissiconcetto è in atto da tempo nella
mo a questi progressi è dericittà di Kalundborg, in
Ricordiamo che un motore termico assorbe il calore
Danimarca,
dove cinque diversi
vato dai miglioramenti del
Q2 da una “sorgente calda” alla temperatura T2 e cede
impianti industriali (una centrale a
rendimento dei motori termiil calore Q1 a una “sorgente fredda” alla temperatura
carbone, una raffineria petrolifera
T1, producendo il lavoro L = Q2 –Q1. Il suo rendimento
ci1, usati per trasformare
e fabbriche di prodotti
(L/Q1) non può mai essere maggiore di 1–T1/T2, come
energia termica in energia
farmaceutici,
enzimi e materiali
stabilito da Carnot.
meccanica, come è mostrato
per l’edilizia) si scambiano
energia e materiali, provvedendo
nella Fig. 3. Oggi si arriva
anche a fornire elettricità e calore
infatti a ottenere rendimenti
alle abitazioni della città. Ciò che
energia
termica
oppudi conversione fin quasi al 60% utilizzando nelle centrali
costituisce prodotto di scarto per
re per il riscaldamento
elettriche i cosiddetti sistemi a ciclo combinato, costituiti
un impianto viene infatti utilizzato
di edifici o di interi
dall’accoppiamento di una turbina a gas e di una turbina a
in un altro, attraverso una serie di
quartieri cittadini. E
vapore: la prima è alimentata dai gas prodotti dalla comvantaggiosi scambi reciproci.
allora, a parte le inevibustione di gas naturale, la seconda dal vapore fortemente
tabili dispersioni di
riscaldato dai gas all’uscita della prima.
calore, si può dire che
tutta l’energia del combustibile viene pienamente utilizzata.
L’idea di sfruttare il calore Q1 che un motore termico cede
inevitabilmente alla “sorgente fredda” (generalmente tutt’al-
Il risparmio energetico alla nostra portata
Fig. 3. I progressi nella comprensione dei fenomeni che si
verificano nei motori termici e i perfezionamenti delle tecnologie e dei materiali hanno condotto a migliorare il rendimento di queste macchine nel corso di tre secoli: dallo 0,5% del
motore di Newcomen all’inizio del Settecento al quasi 60%
dei sistemi a ciclo combinato usati oggi nelle centrali termoelettriche. Che cosa significa migliorare il rendimento delle
centrali? Significa, a parità di energia elettrica prodotta,
ridurre il consumo di combustibile con il vantaggio ulteriore
di ridurre l’inquinamento ambientale e le emissioni di CO2.
L’energia utilizzata nelle abitazioni rappresenta un quinto del
fabbisogno energetico nazionale. Secondo gli esperti,
l’impiego dei criteri del risparmio energetico potrebbe condurre a ridurre di circa il 30% la quantità di questa energia. E
in effetti si può fare parecchio in tal senso: sia da subito e
senza spesa apprezzabile, sia in seguito, con qualche spesa, in
occasione del rinnovo di elettrodomestici o prendendo altre
iniziative. Esempi di interventi immediati, alcuni dei quali
ovvi ma non sempre messi in pratica, sono i seguenti.
Riscaldamento: dove è possibile, d’inverno mantenere in casa
una temperatura di non oltre 20°C; evitare di aprire le finestre quando il riscaldamento è in funzione; fare in modo che
il flusso convettivo dell’aria scorra liberamente attorno ai
1. Migliorare il rendimento dei motori termici è un obiettivo di sempre, esplicitamente menzionato già nel titolo del brevetto del motore di James Watt “Metodo nuovamente trovato per la riduzione del consumo di vapore e combustibile nelle macchine
a fuoco”, che risale al 1769.
NUOVA SECONDARIA - N. 6 2009 - ANNO XXVII
45
STUDI
Una serie di suggerimenti per migliorare l’efficienza
energetica in casa e alla guida dell’auto, compilata dai tecnici
dell’ENI si trova al sito: http://www.eni.it/efficienza-energetica/24-consigli-testo.html. Vari opuscoli su questi stessi argo-
termosifoni, liberandoli da mobili o tendaggi; nelle regioni
più fredde, sostituire i vetri delle finestre con doppi vetri.
Illuminazione: spegnere le luci laddove non occorrono (soprattutto d’estate, ricordando che si tratta di generatori di calore);
sostituire le lampade a incandescenza con lampade fluorescenti compatte (che a parità di illuminazione consumano l’80% in
meno); pulire periodicamente i riflettori dei lampadari a luce
diffusa; non eccedere inutilmente nei livelli di illuminazione.
In cucina: non usare il forno per scongelare una rosetta; regolare il gas al minimo necessario per cuocere gli alimenti, evitando di destinare la maggior parte dell’energia al cambiamento di stato dell’acqua; usare pentole e padelle delle
minime dimensioni necessarie allo scopo.
Elettrodomestici: aprire lo sportello del frigorifero con parsimonia e non introdurvi alimenti caldi; tenere spenti gli apparecchi non utilizzati (anche quelli, come i televisori, che si possono lasciare in riposo, ma che anche così consumano energia);
usare la lavastoviglie soltanto a pieno carico e alla minima
temperatura dell’acqua indispensabile per il lavaggio.
Gestione e guida dell’automobile: i suggerimenti si desumono
dalla Tabella 1.
Tabella 1
menti, compilati dai tecnici dell’ENEA, sono disponibili al sito:
http://www.enea.it/.
Gli usi finali dell’energia
L’energia consumata in Italia nell’anno 2005 ammonta complessivamente a 198 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio, pari a 8,3 EJ (1 EJ = 1018 J). A questo fabbisogno contribuiscono in modo predominante i combustibili fossili. La Fig. 4
rappresenta i consumi di energia
per settore d’impiego.
Questi dati, tuttavia, non rendono
conto della struttura interna e della
complessità
del
“sistema energia”
nazionale.
Per
esempio, il petro- Fig. 4. I tre settori che in Italia richiedono
le maggiori quantità di energia, ciascuno
lio (e i suoi deriva- all’incirca 1/3 del totale, sono l’industria,
Cause di maggior consumo di carburante Maggior consumo (dati approssimati)
- pneumatici sgonfi
3-5%
- motore mal regolato
5-10%
i trasporti e il settore civile, nel quale
rientrano il terziario e il residenziale.
ti) viene usato sia come combustibile per il
riscaldamento sia come carburante per gli
- portapacchi vuoto sul tetto
5-10%
- guida aggressiva (cercare continuamente di 20-40%
autoveicoli, ma serve anche a produrre
sorpassare le altre macchine, accelerare inutilenergia elettrica e viene impiegato come
mente in prossimità di un semaforo rosso, …)
materia prima dall’industria delle materie
40-60% guidando alla velocità massima
- guida troppo veloce
plastiche. È chiaro allora che in alcuni di
anziché a circa 2/3 di questa;
questi impieghi il petrolio è insostituibile,
- mantenere a lungo il motore acceso in folle il motore in folle consuma in tre minuti la
nelle soste
benzina necessaria a percorre 1 km.
in altri solo parzialmente sostituibile, in
altri ancora totalmente sostituibile con
Altri interventi, più impegnativi, riguardano la sostituzione
altre fonti di energia.
di eventuali scaldabagni elettrici con apparecchi a gas, la
I consumi di energia, infatti, si diversificano fortemente nei
scelta di elettrodomestici a basso consumo, l’installazione
differenti settori d’impiego, in relazione agli usi finali: illuminei termosifoni di valvole termostatiche o di “contabilizzanazione, riscaldamento, energia meccanica per i trasporti, …
tori del calore”; l’impiego di pompe di calore al posto dei
Sicchè i numeri che esprimono i consumi totali di energia, o
bruciatori usuali.
quelli per settore, rappresentano soltanto delle quantità
Notiamo infine che la raccolta differenziata dei rifiuti può
complessive, senza però rendere conto dei tipi di energia
dare un notevole contributo al risparmio energetico. La
necessari effettivamente per soddisfare gli usi finali. In altre
parte combustibile viene infatti impiegata nelle centrali terparole, non esiste, da parte della società, una domanda
miche chiamate termovalorizzatori (da una tonnellata di rifiugenerica di elettricità, di petrolio o di gas naturale, ma piutti trattata può essere prodotto circa 1 GJ di elettricità). Ma è
tosto una domanda specifica per ciascuno dei diversi usi
molto utile anche il recupero di determinati materiali. Per
finali dell’energia (trasporto, riscaldamento, …), che può
riciclare l’alluminio, ad esempio, occorre appena il 5% delessere soddisfatta, a fronte delle tecnologie disponibili, con
l’energia necessaria per ottenere il metallo dal minerale, che
l’una o l’altra delle varie fonti di energia. Più economicarichiede un processo elettrolitico energeticamente assai
mente e/o più ecologicamente con l’una oppure con l’altra.
dispendioso.
Giovanni Vittorio Pallottino, Università «La Sapienza» - Roma
46 NUOVA SECONDARIA - N. 6 2009 - ANNO XXVII
STUDI
INSEGNARE L’ENERGIA
a partire dal risparmio energetico e dalle fonti rinnovabili
Michela Mayer
I
n tutti i “buoni” libri di testo, sia quelli di scienze per la
scuola media sia quelli di fisica per le scuole superiori,
non può mancare il “box”, la pagina, l’appendice, sui
grandi problemi energetici del nostro tempo, dal risparmio energetico alle fonte rinnovabili, dai cambiamenti climatici alle centrali nucleari. Naturalmente questi box, queste
pagine, sono lì per ricordare che i concetti difficili e un po’
lontani che vengono introdotti nella parte “importante” del
libro – quella che serve per risolvere gli esercizi e per rispondere alle interrogazioni – servono anche a capire come va il
mondo, anche se le contraddizioni non vengono sempre spiegate e non è facile capire perché dovremmo preoccuparci di
non “consumare” troppo qualcosa che “si conserva’, o di non
disperdere calore, visto che sembra possibile recuperarlo…
Insomma l’attualità del problema energetico fornisce la motivazione, la spinta, per invitare gli studenti ad entrare dentro
a concetti astratti e un po’ ostici che non corrispondono né al
linguaggio dei mass media né a quello di senso comune.
Ma è obbligatorio seguire questo percorso, o ci sono percorsi
diversi, didatticamente più validi ed efficaci che vedono le definizioni come punto di arrivo e i problemi, come quello energetico, come punto di partenza? Siamo sicuri che solo avendo
tutte le cosiddette conoscenze di base si possano costruire le
“competenze” necessarie per intervenire in maniera consapevole sui grandi problemi scientifico-tecnologici del nostro tempo?
Come affrontare il lavoro in classe?
In realtà in altri paesi sono molti i curricoli che affrontano le
tematiche scientifiche in maniera diametralmente opposta
alla nostra: si parte dal problema reale, quello su cui vale la
pena discutere perché richiede delle scelte economiche e
sociali, e a partire dal problema si presentano e si approfondiscono via via i concetti necessari. Si rinuncia ad una apparente linearità di disegno didattico ma si acquista in significatività e quindi in efficacia.
Così, ad esempio, il corso «Science for public understanding» (http://www.scpub.org/, testo per studenti di 16-17 anni
che non seguono un indirizzo scientifico, equivalente quindi ad un nostro liceo classico, o artistico, o sociale) affronta
il problema del consumo energetico:
• il punto di partenza sono i combustibili, la dipendenza del
mondo moderno da essi, e i problemi sia etici (per le generazioni future e i paesi in via di sviluppo) sia ambientali che
questa situazione comporta; non c’è nessun capitolo precedente che spieghi la meccanica, o la termodinamica, o altri
capitoli della fisica tradizionale;
• fin dall’inizio si spiega che l’energia che si ottiene da combustibili fossili sia per fare andare “macchine” sia per produrre energia elettrica, non viene distrutta ma dopo l’uso è
“dispersa nell’ambiente” e quindi meno utilizzabile;
• per continuare a trattare il problema, la “definizione di
energia”, e le sue proprietà, vengono presentate all’interno
di un box, insieme al concetto chiave di “efficienza”; nel
testo “portante” si continua invece a parlare di consumi, di
previsioni per il futuro, di possibile riduzione del consumo
di combustibili fossili attraverso il risparmio energetico;
• il capitolo si chiude con un invito ad immaginare il futuro, e accenna a possibili scenari a seconda delle scelte che
verranno fatte in campo energetico a livello mondiale.
Il testo sceglie quindi di trattare un argomento partendo dall’attualità e dai dibattiti in corso, ed offre agli studenti la
possibilità di capire e di intervenire nelle scelte, proponendo, o rammentando le informazioni scientifiche di base, ma
in maniera contestualizzata. Questa è ad esempio la definizione di energia proposta:
« ... la misura del massimo cambiamento possibile che un oggetto (o un
insieme di oggetti) può “produrre”. Un oggetto può aver energia perché si
sta muovendo, o perché è caldo, o perché è stato lanciato verso l’alto, o allungato o compresso. L’energia può essere trasferita da un oggetto ad un altro
attraverso l’azione di una forza, o del calore, o da una radiazione o dall’elettricità. L’energia non è un concetto vago perché la quantità di energia trasferita in ognuno dei processi prima nominati può essere misurata e calcolata. La ragione per la quale l’energia si è rivelata un concetto così importante per il pensiero scientifico è che l’energia si conserva sempre: alla fine di un
processo l’energia che si ha alla fine è la stessa che si aveva all’inizio, ….».
Il nuovo corso Science and Society, http://www.scienceinso
cietyadvanced.org/, rivolto allo stesso tipo di studenti, porta
ancora più avanti la discussione e invita gli studenti a comparare e discutere i vantaggi per l’ambiente e per i consumi relativi alle opzioni del biocombustibile, dell’idrogeno e della
macchina elettrica, rispetto ai trasporti a diesel e benzina.
NUOVA SECONDARIA - N. 6 2009 - ANNO XXVII
47
STUDI
Quadro di riferimento per la valutazione delle competenze scientifiche in PISA 2006.
È facile per un insegnante italiano, i cui criteri di “qualità” per un
testo scientifico sono spesso la
“scientificità” del linguaggio, la
generalità della presentazione, la
presenza di formule e di esercizi a
cui applicarle, … criticare questa
impostazione. Ma se guardiamo
all’efficacia, e quindi alla permanenza nel tempo e alla rilevanza
sociale di quello che insegniamo
occorre riconoscere che in questo
modo si aiutano gli studenti ad
orientarsi in un mondo pieno di
Figura tratta da: OCSE, Valutare le competenze in Scienze, letmacchine e di trasformazioni e si
tura e matematica. Quadro di riferimento di PISA 2006, trad.
INVALSI, Armando Editore, Roma, 2007, p. 33.
offrono loro strumenti interpretativi semplici, quali la rappresentazione dei flussi energetici, ma capaci di mettere in evidenza
di riferimento per discutere l’approccio didattico alle scienze.
la parte di energia che riusciamo effettivamente a utilizzare e
Al centro sono proposte le competenze da valutare, e da
quella che viene dispersa in ogni trasformazione.
costruire attraverso i percorsi di insegnamento, ma queste
Questo approccio, per molti insegnanti ancora sconcertante, è
competenze sono rilevabili – e costruibili – solo all’interno di
in realtà molto più corrispondente agli ultimi programmi della
un contesto, e se il contesto è quello astratto e sterile degli
scuola italiana e alle indicazioni che vengono dalle ricerche
attuali libri scolastici, le competenze saranno più difficili da
internazionali (OCSE-PISA e TIMSS). I nuovi programmi per
costruire e soprattutto da applicare ad altri contesti.
l’obbligo (Il nuovo obbligo di istruzione. Cosa cambia nella scuola?,
Naturalmente per costruire competenze occorrono conodocumento MPI del 22 Agosto 2007) prevedono infatti tra le
scenze, ma “senza esagerare”, infatti un numero sovrabboncompetenze di base l’analisi qualitativa e quantitativa dei
dante e a volte inutilmente complesso di informazioni e di
«fenomeni legati alle trasformazioni di energia a partire dall’espeformule non aumenta ma diminuisce le competenze, invirienza», e sottolineano l’importanza di far acquisire una «visiotando ad una memorizzazione rapida ma di breve durata.
ne critica … in merito alla soluzione di problemi … e in particolare
Questa
sovrabbondanza di informazioni – proposte dai
relativi ai problemi della salvaguardia della biosfera». Nel docunostri
libri
di testo, ma poi ‘considerate programma’, anche
mento, le competenze di base da raggiungere a conclusione
quando spesso non lo sono, da insegnanti, alunni e genitori
dell’obbligo di istruzione, sono:
–
è una delle cause dei cattivi risultati della media degli stu• «Osservare, descrivere ed analizzare fenomeni appartenenti alla
denti
italiani nelle indagini internazionali. Basti pensare che
realtà naturale e artificiale e riconoscere nelle sue varie forme i
siamo
il paese con il minor numero di ore di scienze settimaconcetti di sistema e di complessità.
nali nella scuola media, tra quelli che hanno partecipato alle
• Analizzare qualitativamente e quantitativamente fenomeni legaindagini
TIMSS del 2003 e del 2007, e con la maggiore quanti alle trasformazioni di energia a partire dall’esperienza.
tità
di
contenuti
d’insegnamento.
• Essere consapevole delle potenzialità e dei limiti delle tecnologie
La scuola italiana propone quindi troppe informazioni e non
nel contesto culturale e sociale in cui vengono applicate».
invita a riflettere: né sui modi di procedere della scienza – la
conoscenza sulla scienza – né sulle relazioni strettissime che
Le ricerche internazionali a loro volta propongono un
legano attualmente il progresso scientifico e tecnologico al
approccio che abbia come obiettivo la costruzione di compeprogresso, ma anche ai problemi economici e sociali del
tenze funzionali e contestualizzate, in una visione che ricoPianeta. Non curiamo l’interesse, né la motivazione, né la
nosce la scienza e la tecnologia come uno dei motori della
responsabilità che ogni cittadino deve avere per il proprio
nostra società, la cui comprensione è quindi indispensabile
ambiente locale, nazionale, globale. Ed ecco che quei paesi
per ogni cittadino, anche per coloro che non si occuperanno
professionalmente di scienza.
che propongono un approccio ai problemi che può sembraIl “quadro di riferimento” proposto dal PISA per definire, e
re meno scientifico e rigoroso, nelle ricerche internazionali ci
quindi valutare, le competenze scientifiche, è anche un quadro
superano tranquillamente.
48 NUOVA SECONDARIA - N. 6 2009 - ANNO XXVII
STUDI
La prova PISA sull’energia eolica di cui accludiamo alcune
domande, prova sperimentata sul campo nel 2005 e che non ha
poi fatto parte della rilevazione internazionale del 2006, mostra
però il tipo di competenze che vengono richieste dal PISA e fa
intendere chiaramente perchè molti dei nostri studenti, ma
soprattutto quelli dell’Istruzione Tecnica e Professionale non
sono in grado di rispondere. Non si tratta infatti di sapere defi-
nizioni a memoria o di applicare formule, ma di saper ragionare su testi e su dati e di saperne trarre le conseguenze. E infatti
tra le competenze identificate dal PISA e nelle quali otteniamo
PROVA PISA SULL’ENERGIA EOLICA
L’energia eolica è da molti considerata una fonte di energia in grado di sostituire le centrali termiche a petrolio o a carbone. I dispositivi nella foto sono rotori dotati di
pale che il vento fa ruotare. Queste
rotazioni permettono ai generatori
messi in moto dalle pale di produrre
energia elettrica. Un campo eolico→
Domanda.1
I grafici a fianco riportano la velocità media del vento in
quattro diversi luoghi nel corso di un anno. Quale dei grafici
indica il luogo più adatto all’installazione di un generatore ad
energia eolica?
Domanda.2
Più il vento è forte, più le pale del rotore girano veloci e
maggiore è la quantità di energia elettrica prodotta.
Tuttavia, in situazione reale, non esiste una relazione di
proporzionalità diretta fra la velocità del vento e l’elettricità
prodotta. Qui sotto vengono descritte quattro condizioni di
funzionamento di una centrale eolica in situazione reale:
• le pale cominciano a ruotare quando il vento raggiunge la
velocità V1.
• Per ragioni di sicurezza, la rotazione delle pale non accelera più quando la velocità del vento è superiore a V2.
• La potenza elettrica è al massimo (W) quando il vento raggiunge la velocità V2.
• Le pale smettono di ruotare quando il vento raggiunge la
velocità V3.
Quale fra i seguenti grafici rappresenta meglio la relazione
fra velocità del vento e potenza elettrica nelle condizioni di
funzionamento descritte?
Domanda.3
A parità di velocità del vento, più l’altitudine è elevata, più le
pale ruotano lentamente.
Quale fra le seguenti ragioni spiega meglio perché, a parità
di velocità del vento, le pale dei rotori girano più lentamente nei luoghi con una altitudine maggiore?
A. L’aria è meno densa con l’aumento dell’altitudine.
B. La temperatura si abbassa con l’aumento dell’altitudine.
C. La gravità diminuisce con l’aumento dell’altitudine.
D. Piove più spesso con l’aumento dell’altitudine.
Domanda.4
Descrivi un vantaggio specifico ed uno specifico svantaggio della produzione di energia da parte dei generatori ad energia eolica,
rispetto alla produzione di energia a partire dai combustibili fossili come il carbone e il petrolio.
Un vantaggio........................................................................................
Uno svantaggio................................................................................................................................................
Prova tratta da: OCSE, Valutare le competenze in Scienze, lettura e matematica. Quadro di riferimento di PISA 2006, trad. INVALSI, Armando Editore, Roma 2007.
NUOVA SECONDARIA - N. 6 2009 - ANNO XXVII
49
STUDI
Gli studenti sono in grado di discutere sui temi della “scienza in
divenire” e non devono rimanere solo fruitori passivi.
cattivi risultati spicca la competenza: usare prove
basate su dati scientifici. Siano testi, siano grafici, le
informazioni scientifiche per i nostri studenti (e
quindi per molti dei nostri insegnanti) sono verità
da imparare a memoria e non elementi, anche contraddittori, sui cui ragionare criticamente.
Il progetto Percezione e consapevolezza della Scienza, condotto dall’Istituto di
Ricerche sulla Popolazione e le Politiche Sociali, in collaborazione con il British
Council e altri istituti dello stesso CNR, organizza da anni assieme ad insegnanti di scuole di tipo diverso, un dibattito pubblico tra studenti ed esperti del settore
su diverse tematiche di attualità (come per esempio i cambiamenti climatici). Ai
ragazzi viene richiesto di discutere le loro idee ‘previe’ in proposito, di esaminare
e discutere i materiali informativi forniti, di preparare domande e proposte da presentare durante il dibattito.
La proposta, e le ricerche ad esso collegate, sono illustrate sul sito:
http://www.irpps.cnr.it/com_sci/index.php.
Gli obiettivi sono molteplici, e tra questi c’è quello di promuovere la “cultura scientifica e tecnologica, sollecitando l’interesse dei giovani per la scienza mediante
riflessione critica su temi di attualità della scienza e tecnologia, sulle implicazioni
economiche e sociali e sui valori scientifici ed etici” .
Il progetto è stato inserito, con il titolo Ethics and Polemics, in una raccolta di
Buone Pratiche di Cooperazione tra Formazione e Ricerca, curata dal progetto
europeo Form-it. I materiali relativi a questo e ad altri progetti europei sono scaricabili in inglese dal sito www.form-it.eu, e in italiano in versione ridotta dal sito
http://www.ssis.uniroma3.it/form-it/.
La scienza nelle ricerche internazionali, ma
anche nei nostri ultimi programmi, non è più
una scienza per pochi, non è neutrale, non permette da sola di risolvere problemi che sono
soprattutto economici e sociali, ma è uno strumento che occorre capire e imparare ad utilizzare, nell’interesse di tutti. Siamo entrati infatti in
un secolo che richiederà grossi cambiamenti,
nelle abitudini di vita, di trasporto, di comunicazione. Un secolo che dovrà dare una risposta allo
sviluppo “insostenibile” che ha caratterizzato il secolo passato, che ha portato grandi progressi economici e sociali in
alcune nazioni, ma che sta riducendo a ritmi accelerati le
risorse disponibili per le generazioni che verranno.
Il punto è rendersi conto che non abbiamo ancora le soluzioni,
che si parla di “sviluppo sostenibile” ma che sappiamo soprattutto quello che non è – non è crescita illimitata, non è inquinamento, non è desertificazione, non è monopolio, …– ma non
quello che potrà essere. Le Nazioni Unite hanno indetto un
Decennio per l’Educazione allo Sviluppo Sostenibile – iniziato
nel 2005 terminerà nel 2014 – e invitato a coniugare
l’educazione scientifica e tecnologica con una educazione critica, creativa, aperta al cambiamento, dove i valori della democrazia e dell’ambiente e le culture non vengano sacrificati in
nome del ‘progresso’.
L’Educazione allo Sviluppo Sostenibile, di cui l’educazione
alla comprensione dei problemi energetici fa parte, non è in
contrasto con i risultati PISA: si sente dire sempre più spesso che non c’è tempo per i ‘progetti’, per il lavoro sull’ambiente o nel sociale, che l’Italia va così male che dobbiamo
rimboccarci le maniche e tornare alle ‘nozioni di base’. Non
c’è niente di più sbagliato! Come non si insegna a parlare a
un bambino piccolo vocalizzando le lettere ma parlandogli,
allo stesso modo è parlando dei problemi reali, i problemi
dell’energia e dello sviluppo sostenibile, che si costruiscono
motivazioni, interessi e competenze. Uno dei dati del PISA è
che tra le caratteristiche degli studenti più correlate con
l’ottenimento di buoni risultati nelle prove di scienze ci sono
quelle legate alla «consapevolezza dei problemi ambientali»
(Caponera e Di Chiacchio, INVALSI, 2008). Non correlate
sembrano invece essere le caratteristiche «di preoccupazione verso l’ambiente» – troppo diffuse per essere significative di un maggiore impegno scientifico – e addirittura negativamente correlate le previsioni ‘ottimiste’, di quelli che
50 NUOVA SECONDARIA - N. 6 2009 - ANNO XXVII
confidano nei prossimi 20 anni in una ‘diminuzione dei problemi ambientali’.
Il coinvolgimento e la motivazione degli studenti sono strumenti essenziali per modificare in futuro i cattivi risultati
internazionali, e lavorare su problemi reali e dibattuti,
oggetto ancora di ricerca, è una delle strategie più promettenti (come si argomenta nel riquadro).
In questo momento storico, con Obama che investe nelle
energie verdi e l’Italia fanalino di coda in Europa per
l’utilizzo dell’energia solare, l’esercizio più produttivo che
possiamo far fare ai ragazzi è quello di invitarli ad ‘immaginare un futuro migliore’, più equo e più sostenibile, collaborando con gli enti di ricerca, con le associazioni, con reti e
istituzioni, che sempre più chiamano la scuola ad uscire dall’isolamento e dalla ripetitività, per applicare competenze e
conoscenze ai problemi concreti e reali che i giovani si troveranno tra breve ad affrontare.
Michela Mayer
Gruppo Internazionale Esperti, Ricerca OCSE-PISA
BIBLIOGRAFIA
A. Hunt, R. Millar, (a cura di), AS Science for Public
Understanding, Nuffield Foundation, Heinemann, 2000.
Nuffield Foundation & York University, AS Science in
Society, Heinemann, 2008.
MPI, Il nuovo obbligo di istruzione. Cosa cambia nella scuola?, documento del 22 Agosto 2007, http://www.pubblica.
istruzione.it/normativa/2007/dm139_07.shtml.
OCSE, Valutare le competenze in scienze, lettura e matematica. Quadro di riferimento di PISA 2006, trad. INVALSI,
Armando Editore, Roma 2007, p. 33.
INVALSI, Le competenze in scienze, lettura e matematica
degli studenti quindicenni, Rapporto nazionale Pisa 2006, a
cura di Bruno Losito, Armando Editore, Roma 2008.
M. Mayer, E. Torracca, S. Schacherl (a cura di), Il contributo del progetto europeo Form-it alla ricerca internazionale
sulla didattica delle scienze, SSIS Lazio, Roma 2008.
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Nuova Secondaria, n. 6, 15 febbraio 2010