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Direz. e Redaz.: Plazza di Trevi, 86 00187 ROMA
ANNO XXVII N. 6 GIUGNO 1979
Spedizione in abbonamento postaie Gruppo 111/70
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ORGANO
MENSILE
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D E L L ' AICCE,
ASSOCIAZIONE
dal quartiere alla regione
per una Comunità europea federale
UNITARIA
Appello ai deputati tedeschi nel Parlamento europeo
l1 13 giugno 1979 gli organi direttivi della Sezione tedesca del C C E (Presidenza
e Comitato direttivo) si sono riuniti a Bonn sotto la presidenza del Dr. Storsberg, Presidente della Sezione tedesca, e hanno indirizzato all'unanimità il
seguente appello ai deputati tedeschi nel Parlamento europeo, eletto a suffragio
diretto il 10 giugno 1979.
In considerazione:
- delle prime elezioni dirette per il Parlamento europeo, rivendicate dal C C E
già a partire dal 1954, e della forte affluenza alle urne, in particolare nella
Repubblica federale di Germania;
- dei progressi, nonostante tutto, compiuti negli anni passati in relazione a:
a) libera circolazione;
b) diritto per tutti i cittadini dei paesi membri di cercare e ottenere u n posto
di lavoro in t u t t o il territorio della Comunità;
C) possibilità di viaggiare in t u t t o il territorio della Comunità senza passaporto o visto;
d) abolizione dei dazi doganali nel commercio tra i paesi membri;
- dei problemi con i quali si trovano confrontati gli Stati europei, problemi
che n o n si possono più risolvere soltanto con u n o sforzo a livello nazionale, ma
solo insieme:
a) creazione di posti di lavoro;
b) difesa militare;
C) garanzia del rifornimento energetico;
d) lotta contro l'inflazione;
e) difesa dell'ambiente;
- della necessità di una politica economica comune dei nove paesi membri per
garantire la stabilità del sistema economico europeo;
i membri della Sezione tedesca del Consiglio dei Comuni d'Europa fanno
appello ai deputati tedeschi ora eletti del Parlamento europeo
- perché elaborino ed approvino u n a Carta europea dei diritti dell'uomo;
- preparino una Costituzione (Verfassung) europea, che assicuri e rafforzi
l'autonomia locale nel suo ruolo di colonna portante di u n ordinamento costituzionale democratico;
- si impegnino per l'allargamento delle competenze degli organi della Comunità, con l'obiettivo finale di unire i paesi della Comunità in una Unione politica,
con una moneta e leggi fiscali comuni, che sia in grado di fare una politica
economica europea ;
- lottino per maggiori poteri e competenze di controllo del Parlamento
europeo, specialmente per il potere di iniziativa' legislativa, affinché questo
Parlamento costituisca u n vero contrappeso alla Commissione ed al Consiglio dei
ministri;
- si impegnino per la istituzione di una commissione per la politica locale nel
Parlamento europeo, con la partecipazione consultiva di rappresentanti delle
autonomie locali europee, la quale collabori in ogni legislatura del Parlamento
europeo alla presentazione ed alla discussione di u n rapporto sulla situazione
degli enti locali in Europa;
- inizino l'elaborazione di una legge elettorale per le elezioni del Parlamento
europeo, comune a tutti i nove Stati membri;
- promuovano l'introduzione di u n passaporto unico per tutti i cittadini degli
Stati membri.
DI
COMUNI.
PROVINCE,
REGIONI
Le urne europee
Gli europei sono andati alle urne. Successo o insuccesso?
In attesa che il Consiglio nazionale
dell'AICCE e la presidenza sovranazionale
del CCE diano il loro ponderato giudizio,
noi ci limitiamo a sottolineare che tutti gli
elementi per una successiva coraggiosa e
coerente battaglia sono stati resi disponibili.
Sono stati dibattuti poco o niente i programmi europei delle Unioni comunitarie
dei partiti; è avvenuto quasi ovunque l'uso
strumentale, nazionale della competizione
elettorale; l'elettore è stato più plagiato che
informato; molti uomini dell'apparato e
delle corporazioni sono stati inviati a Strasburgo in luogo di provati combattenti della
Causa: ma non è crollato il bastione francese, dove una maggioranza di cittadini europei ha sconfitto una minoranza di prigionieri del passato (a destra e a sinistra); hanno
Inserto speciale: I sindacati e 1'Europa dopo il Congresso di Monaco.
pienamente votato per l'Europa i paesi restanti della più vecchia Comunità; ha mostrato la crisi di fantasia, dopo la caduta
dell'impero e la pratica dissoluzione del
g a n d e ideale liberale del Commonwealth, il
Regno Unito; ha tenuto l'Irlanda, mentre la
Danimarca ha mostrato una realtà che era
strano non prevedere (si tratta, cioè, di un
paese scandinavo, separato dai paesi fratelli
per questioni economiche e che, senza avere
l'audacia di coinvolgere in grosse strategie
ideali, si pretenderebbe che si sentisse improvvisamente e senza riserve più amico dei
tedeschi e dei francesi che degli svedesi e
dei norvegesi).
Che dire, d'altra parte, di una campagna
che - a parte i quattro soldi della Comunità
- ha avuto contro (o a favore in maniera
estremamente stupida) tutti i mass-media?
Pensate: mentre il 10 maggio, agli Stati
generali dell'Aja, parlavano i massimi calibri
delle formazioni politiche europee a una
folla (che era una folla) di amministratori
regionali e locali europei, televisione e giornali nazionali ignoravano quasi totalmente
I'avvenirnento per informare invece gli elet(continua a pag. 2)
COMUNI D'EUROPA
2
tori a che punto era il giudizio sull'omosessuale inglese, di parte liberale, Thorne e che
(in Italia) le compagnie petrolifere avevano
le scorte intatte e quindi «per riempire il
serbatoio nessuna emergenza in Italia*. In
realtà quello che interessava alle televisioni
e giornali nazionali era che rimanessero intatti i serbatoi elettorali di coloro che li
finanziano e che tutto sommato non si toccassero, con troppo radicalismo europeo, i
comodi sistemi degli interessi costituiti.
Viceversa il Parlamento europeo eletto è
ormai là coi suoi poteri e le sue virtualità. Il
C C E si batterà perché il partito dei novatori, cioè il partito federalista, prevalga nel
Parlamento europeo sul partito dei conservatori nazionalisti, di destra o di sinistra.
All'impero delle multinazionali e degli interessi finanziari apolidi, con contorno di
vassalli e di giornalisti, dovrà rapidamente
subentrare la repubblica degli europei e con
essa, al centro della nuova aggregazione democratica, il Parlamento sovranazionale di
Strasburgo.
Dalle prime elezioni europee al
fronte democratico europeo
che va nettamente al d i là della anacroniRiproduciamo in questo numero d i c,Costira querelle tra europeisti e rzazionalisti.
m u n i d'Europa» il primo capitolo del V a d e . .
I nazionalisti, si sa se n e sono accortz I
m e c u m dell'Amministratore locale e regiocittadini europei, sono gli uomini delle canale per lc, elezioni europee, pubblicato d u verne: per uscire dalle caverne bisogna t u t rante la campagna elettorale europea
tazlia concordare con fermezza ma anche
dall'A I C C E in cooperazione con l'A N C I ,
con chiarezza gli aspett; d i una n u o v a civil.
con I'UPI, corz I ' U N C E M , con la Lega per
tu democratica, che airnti il passaggio dalla
16, a u t o ~ ~ o me~ ci poteri locali e con la
scena internazionale degli equilibri (bipolari
FIAEL.
o multipolari) alla soz~ranazionalità e alla
Alla luce dello sz'olgimento delle elezioni
cogestione da parte di tutto il genere umano
europee, le linee strategiche delineate nel
di una serie d i problemi posti dallo scatena.
capitolo sembra che debbano rimanere inalterate. N e discutera il Consiglio n a z i o ~ ~ a l e m e n t o d i una tecnologia (razionalizzazione
settoriale) a cui non ha fatto riscontro il
dell'AICCE, n e discuteranno gli o r g a ~ so~i
salto d i qualita dei costr~micivili e dell'orgavranazionali del C C E , m a ormai possiamo
nizzazione della città (progresso i,erso la
prevedere che le parole d'ordine con le quali
ragione).
ci siamo lasciati agli Statz generali dell'Aja
**
rimarranno le parole d'ordine della battaglia che proseguiamo, considerando la cenUna cosa sembra certa: se non ci fossero
tralità del Parlamento europeo eletto come il
il buon senso e l'intuizione d i molti uomini
punto d i riferimento permariente d i tutte le
comuni o «impolitici» -- di cui si ha qualche
nostre iniziative.
sintomo, ma che i mass m e d i a , qu'otidiani,
Se alcuni vecchi e provati federalisti si
radio tv, periodici a larga tiratura, si p a r d a sono sentiti defraudati da una campagna
n o bene, nella loro abituale miopia, di scanelettorale europea ben lontana dai loro giudagliare adeguatamente - non pare che i
sti desideri e dalle esigenze d i una corretta
quadri politici diano oggi a vedere, in Italia
democrazia, una campagna che doveva
e nel loro complesso (le lodevoli eccezioni
svolgersi non tra pecore m a tra uomini connon mancano mai), di rendersi conto che le
sapevoli, esxi dovranno pur meditare quanto
prossime elezioni europee sono più imporu n u o m o assai tiepido verso l'integrazione
tanti - di gran lunga più importanti - di
europea, Maurice Duverger, ha scritto su
una tornata di elezioni nazionali. Si consta« L e Monden del 2 0 giugno: - L e elezioni del
ta ciò perfino nella grottesca espressione
10 giugno hanno dato la vittoria agli euro«elezioni politiche [quelle nazionali!] ed eupeisti, cioè ai fautori di una Europa soeraropee»: ma, si sa, per molti, per troppi
nazionaleu.
«quadri> di partito la politica coincide con
Il problema è forse oggi piuttosto u n alla gestione - concreta e immediata - di un
tro; è quello che ci siamo posto nel settempotere, non con la neaziorze - faticosa,
bre 1978 a1 grande convegno d i Magonza:
lenta e , quel che è peggio, incerta - di un
,<L'Europa per che fare?,>. La misura, cioè,
potere. Il Parlamento nazionale è là, buono
della soluzione dei problemi scottanti pare
o cattivo, i partiti devono passare per esso
sempre più alla maggioranza una misura
al fine di contrattare la divisione del potere
sovranazionale; una soluzione sovranazio«politico» esistente e di dare l'unico contrinale richiama sempre più all'eviderzza istitubuto a portata di mano alla gestione - anzioni adeguate, dotate di poteri sufficienti:
che l'opposizione negozia migliaia di leggim a , ciò premesso, la faticosa delineazione d i
ne - della cosa pubblica. C o m e valutare,
u n modello europeo, che attiri le forze v i v e
invece, quell'istituto per esuli, il Parlamento
sovranazionale, che finora non ha brillato
d i questo vecchio continente, si presenta ordi una sua vivida luce, è stato praticamente
m a i come il psoblema dei problemi.
1 n u o v i progressi verso l'unita europea
ignorato dal squarto potere*, non si capisce
bene quali destini possa avere in termini di
dovranno ormai essere norz solo politici, m a
lettura, anche volonterosa, dei Trattati coculturali: la creazione della Federazione eumunitari? N o n solo i semplici lettori, ma
ropea è ormai un'opera,di cultura e d i contributo al n u o v o ordine dell'intero pianeta,
quegli importanti xquadri socialiv, che sono
giugno 1979
gli amministratori locali e regionali, si domanderanno a questo punto che importanza
effettiva - al di là delle svalutazioni preconcette e delle illusioni degli «idealisti, - possano avere le elezioni europee; anzi: le prime elezioni europee; anzi: le prime elezioni
democratiche che, in tutta la storia conosciuta, abbiano tenuto simultaneamente un
gruppo di Stati .indipendenti e sovrani» per
eleggere un Parlamento comune. N o i cercheremo di fornire loro alcuni elementi di
giudizio.
Che poteri ha il Parlamento europeo? ne
potrà avere di maggiori? come? che ruolo
giuoca o p u ò giuocare nel processo di integrazione europea? quale tipo di integrazione - o almeno quale metodo - potrà eventualmente favorire? eletto direttamente conterà davvero di più?
Il Parlamento europeo ha, in base ai
Trattati di Roma (istitutivi della Comunità
economica europea e dell'Euratom) e del
vecchio e ariveduto. Trattato di Parigi (istitutivo della Comunità carbosiderurgica),
certe competenze, che si sono precisate e,
entro certi limiti, accresciute via via per
prassi e per accordi intervenuti fra le altre
parti contraenti (anche attraverso negoziati
fra il Parlamento stesso e il Consiglio dei
Ministri [nazionali] della Comunità e utilizzando la flessibilità dei Trattati). Allo stato
attuale delle cose il Parlamento europeo
partecipa alla elaborazione della legislazione
comunitaria (questa grande sconosciuta; eppure essa incide in modo rilevante sui nostri
ordinamenti: basterebbe pensare alla regolamentazione agricola nei riguardi delle competenze costituzionali» delle Regioni italiane). [,e «leggi» comunitarie (si chiamano,
molto impropriamente, direttive e regolamenti), preparate dalla Commissione e
adottate dal Consiglio dei Ministri, hanno
bisogno del parere del Parlamento europeo.
N o n è un parere cogente, ma indubbiamente il Consiglio ne ha dovuto tenere sempre
più conto, soprattutto perché l'influenza del
Parlamento è cresciuta nei campi, che ora
diremo, ed è dunque giuocoforza stabilire
con esso un più amichevole modus vivendi.
Piuttosto è la crisi della Commissione ese-
SOMMARIO
I,e urne europee . . .
.
. . .
Pag.
1
Appello ai deputati tedeschi nel
Parlamento e u r o p e o . . . . .
1
Dalle prime elezioni europee al
fronte democratico europeo, di
U ~ n b e r t oSerafini . . . . . .
2
Scorie radioattive e territorio: uno
fra i problemi, di Walter Brugner e Alvaro Valdinucci. . .
9
Cronaca delle Istituzioni europee, .
di Pier Virgilio Dastoli. . . . 21
Inserto speciale: I sindacati e
l'Europa, a cura di Luigi
Troiani
COMUNI D'EUROPA
giugno 1979
cutiva che - tout se tient - ha offuscato
indirettamente il ruolo del Parlamento, poiché essa fa sempre più raramente - con
alcune nobili ed esemplari eccezioni - da
«terzo incomodo.. In altri termini: il carattere tecnocratico della Commissione - i cui
membri «sono nominati di comune accordo
dai governi degli Stati membri» - era stato
da tempo denunciato, ma nessuno impediva
a questi «funzionari,,, che prestano un giuramento di lealtà europea, di guadagnarsi
un «merito storico. e di agire come un
collegio - e non come un club rissoso -,
come un collegio indipendente dalle *minacce. nazionali, coraggioso e ispirato più
alle prevalenti o comuni tendenze espresse
dal Parlamento europeo (o dalle sue correnti più «comunitarie»). Viceversa la C o m missione non si è più riavuta dalle umiliazioni ricevute quando il ricatto gollista più
minacciava la Comunità; non ha saputo salvo qualche sporadico colpo di coda riacquistare stabilmente l'iniziativa, che le
spetta per i Trattati; si lascia abbastanza
vergognosamente condizionare dal cosiddett o C O R E P E R , in sostanza dai rappresentanti stabili dei Governi nazionali a Bruxelles. Insomma troppo spesso la Commissione propone al Consiglio dei Ministri solo
quello che sa, a priori, che sarà gradito: e il
suo diritto di iniziativa va a farsi benedire
insieme all'impegno dei suoi membri di
esercitare .le loro funzioni in piena indipendenza nell'interesse generale della COmunitàn e di non sollecitare né accettare
«istruzioni da alcun governo né da alcun
organismo,>.
Torniamo al Parlamento europeo. Esso
ha poi - ecco il punto - rilevanti poteri di
bilancio: dispone del potere di emendament o e gli spetta l'ultima decisione per talune
voci di spesa. Chiude l'insieme del bilancio
e p u ò , per xgravi motivi., respingerlo nella
sua totalità. La ~ r o c e d u r adi bilancio occupa senz'altro una posizione centrale nelle
attività del Parlamento. Ma esso esercita poi
un non meglio recisab bile controllo politico.: dà giudizi (tecnicamente: delibera) su
tutti i problemi importanti della vita comunitaria ed esamina regolarmente la politica
condotta dalla Commissione e dal Consiglio
dei Ministri. I parlamentari hanno la possibilità d i porre questioni orali o scritte; possono obbligare la Commissione esecutiva a
dare le dimissioni, votando una .mozione
d i censura. - tuttavia non hanno alcun diritto nella designazione di una *nuova.
Commissione -. Infine il Parlamento europeo è stato «associato. dai sgoverni nazionali alla acooperazione» fra gli Stati membri
nel campo della politica estera: atto di buona volontà, per dare una coloritura comunitaria - ma in verità si finisce così per riconoscere una virtualità in materia all'organo
parlamentare comune - a una politica estera
«confederale* o intergovernativa (cioè condotta ancora fra Stati indipendenti e sovrani
e pronti - in una malintesa interpretazione
degli «interessi nazionali» - a imboccare
strade divergenti, e pertanto una politica
estera non credibile fuori d'Europa).
Questi i poteri del Parlamento europeo
oggi. D i fronte ad esso il grosso del potere
spetta dunque al C:onsiglio dei ministri diremo poi d i quell'istituto arbitrario e pericoloso che è il Vertice dei Capi d i Stato e
di Governo (pomposamente chiamato C o n siglio europeo) -, molto meno condizionato
di quanto dovrebbe da una Commissione
esecutiva, che - come si è detto - ha rinunciato abbastanza largamente alla sua funzione di iniziativa e i cui membri è assai dub-
3
bio che agiscano sempre <<inpiena indipendenza nell'interesse generale della Comunità),, privi come sono di hinterland europeo,
in lite fra di loro, molto più pronti a farsi
intimidire dal Consiglio dei Ministri che a
stringere alleanze col Parlamento europeo.
N o n merita gran discorso il Consiglio europeo delle corporazioni - chiamato pudicamente Comitato economico e sociale -, il
quale dovrebbe .assistere,>, con funzioni
consultive, il Consiglio e la Commissione,
mentre la Corte di Giustizia (che «assicura
il rispetto del diritto nella interpretazione e
nella applicazione. dei Trattati comuriitari)
non è stata valorizzata quanto potrebbe esserlo, perché nessuno la vuole usare contro
«altri, al fine del rispetto integrale dei doveri comunitari, in base ai motivi impliciti
nel detto volgare (ma efficace) *il più pulito
ha la rogna.: si temono infatti le ritorsioni,
poiché tutti hanno gravi infrazioni d a farsi
perdonare.
Ma alle soglie delle elezioni europee
l'analisi pura e semplice delle competenze
formali non dice tutto: quel che interessa
sapere è di che rappresentatività effettiva
gode ora il Parlamento europeo; su quali
radici politiche o sociali p u ò far leva; che
potenzialità autonome trovi in se stesso;
che strumenti d'emergenza possa eventualmente adoperare per far leva sulla pubblica
opinione; quali procedure gli si presentino
per aumentare i suoi poteri e per contribuire ad adeguare alla realtà in cammino tutti
gli istituti della Comunità. Visto ciò, si p u ò
meglio valutare il significato delle elezioni
europee e il m o d o d i condurle e utilizzarle
per costituire una «centralità» del Parlamento europeo: in pari tempo si p u ò meglio
approfondire i doveri che incombono alle
forze popolari e federaliste - per quanto ci
XIII Stati generali
del Consiglio Clei Comuni d'Europa
Il prossimo numero d i .Comuni d'Europ a ~sarà completamente dedicato agli A t t i
dei X I I I Stati generali del C C E , svoltisi
all'Aja dal 9 al 12 maggio scorso.
,
COMUNI D'EUROPA
4
riguarda più da vicino: al movimento europeo delle autonomie - al fine di aprire
subito d o p o le elezioni una feconda dialettica col Parlamento eletto, appoggiarlo e
spronarlo, legarlo sempre più, direttamente,
alla società europea.
Gli attuali parlamentari europei sono
eletti di secondo g a d o dai parlamenti nazionali ed hanno quindi da questi la loro
legittimazione; da questi mutuano il loro
grado di rappresentatività. D'altra parte essi
dipendono dai partiti nazionali a seconda
della diversa struttura e disciplina di questi
e dei diversi rapporti dei partiti stessi coi
parlamenti nazionali. Certo: far parte
dell'assemblea europea ha una sua logica e
non soltanto per il rozzo motivo che la
funzione crea e fa maturare l'organo. I1
quadro europeo ha - come vedremo meglio
appresso - una sua forza stringente, da cui
dovrebbe scaturire - e non di rado se ne ha
N
l'accenno - una volontà del Parlamento europeo, quale che sia l'origine dei suoi componenti: beninteso, sempre che essi non
appartengano a formazioni anche teoricamente e culturalmente contrarie a ogni progresso verso una visione degli eventi umani
al di là del nazionalismo e della ragion di
Stato ovvero prigioniere di un invalicabile
settarismo. Del resto gli stessi governi nazionali sono da una parte incapaci di far
progredire il processo di integrazione europea o addirittura lo ostacolano: ma poi si
rendono conto dei grandi pericoli e anche
degli svantaggi evidenti della rottura del
quadro europeo; e si sforzano di conservare
in qualche modo la Comunità europea, in
balia di forze ora centrifughe ora centripete.
In ogni caso quei parlamentari nazionali,
che sono stati designati al Parlamento europeo, si sono trovati ad operare qui attraverso gruppi politici e - a parte le riunioni
164 sportelli in Toscana
Uffici di Rappresentanza a:
- Francoforte sul Meno
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,
giugno 1979
plenarie - 12 commissioni d i lavoro. L'appartenenza ai gruppi politici - che sono
trasnazionali e che ebbero la l o n ) origine
già nell'assemblea comune della Comunità
~ a r b o s i d e r u r ~ i c(furono
a
istituzionalizzati il
16 giugno 1953) - non è obbligatoria, ma di
fatto sono assai rari i non iscritti: e i gruppi
politici (socialisti, democratici cristiani, liberali, comunisti, conservatori, democratici
europei d i progresso) o coprono tutto il
territorio comunitario o comunque in prevalenza appartengono a scuole politiche almeno in teoria internazionaliste, anche se
non necessariamente europeiste - le eccezioni sono in qualche modo i conservatori
e, naturalmente, i gollisti -. Attraverso i
gruppi il Parlamento europeo - questo è
stato il vero punto di svolta - procede nei
suoi lavori per tendenze politiche e n o n per
rappresentanze nazionali, anche se è evidente che i gruppi politici spesso n o n riescono
a mediare le differenze dei partiti nazionali
di origine e, quindi, o pervengono a compromessi privi di qualsiasi mordente o sono
costretti a lasciare ai loro componenti libertà di voto.
La composizione delle commissioni «parl a m e n t a r i ~o di lavoro avviene in base a due
criteri, cioè la rappresentanza equa degli
Stati membri e la tendenza politica degli
aspiranti: il criterio politico ha finito per
avere una certa prevalenza. I gruppi politici
hanno una loro autonomia e dispongono
anche di loro fondi finanziari. Gruppi e
commissioni e l'intero Parlamento - ove è
possibile anche la formazione di raggruppamenti ad hoc, in vista di particolari problemi - hanno una serie di rapporti esterni con
la società europea: per i parlamentari eletti
di secondo grado una <<udienzaconoscitiva»
con gli interessati da una particolare questione sociale, economica, istituzionale comunitaria può significare intrecciare un rapporto con una forza portante del Parlament o europeo e dei suoi uomini più avanzati;
ma in definitiva questa forza - una volta
che abbia preso coscienza di sé in senso
europeo - non ha la possibilità di sostenere
quei parlamentari fino in fondo, non li ha
eletti né p u ò generalmente contribuire a
farli rieleggere. I1 meccanismo dei partiti
nazionali rimane dunque intatto, con la sua
logica: questa porta a premiare le considerazioni relative alla aggregazione di una maggioranza nazionale di governo o d'opposizione.
Domani entrerà in campo l'elettore europeo, che darà senza dubbio, formalmente,
una legittimazione più completa - radicale al Parlamento europeo. Ma non è l'aspetto
astratto dell'elezione diretta - anche se ha
risvolti emblematici da non sottovalutare che più vorremmo sottolineare. C i sembra
fondamentale la rottura o quanto meno l'incrinatura del meccanismo dei partiti nazionali e la lenta formazione, con la mediazione dell'elezione diretta, di un hinterland
autonomo dei gruppi politici del Parlament o europeo, di un hinterland comunitario, il
cui consolidamento sarà una responsabilità
di noi tutti - e mi rivolgo qui particolarmente agli amministratori locali e regionali,
al movimento europeo delle autonomie, al
giugno 1979
Consiglio dei Comuni d'Europa che a tutti
gli autonomisti cerca di segnalare obiettivi
comuni e unitari, federalisti -.
La selezione dei candidati alle prime elezioni europee (e - a seconda delle disposizioni elettorali dei diversi paesi - una rilevante influenza, non ovunque la stessa, sui
destinati a riuscire) è dipesa interamente,
questa volta, dai partiti nazionali: la selezione non è sempre stata in funzione delle
«qualità europee. delle persone: ma già i
candidati avranno di fronte a sé nella campagna alcuni programmi o manifesti elettorali trasnazionali. N o n tutti e non della
migliore fattura, ma molti dei candidati li
avranno. Naturalmente questi programmi
sono stati redatti da unioni o aggregazioni
«europee» di partiti omogenei dottrinariamente (socialisti e socialdemocratici, democristiani o popolari, liberalradicali): tuttavia
essi sono spesso frutto di compromessi «a
perdere,, (involutivi) e non «a vincere»
(evolutivi). Cioè: tu abbandoni questa richiesta europea (rispondente a una logica
sovranazionale), che mi d à fastidio ed io
rinuncio a una richiesta che ti è ostica; e
non: se tu, coraggiosamente, concedi questo e quest'altro alle mie tesi europee,
anch'io, con pari coerenza, supererò le mie
riserve «opportunistiche» (nazionalcorporative). Sono, in sostanza, troppo spesso programmi d i bandiera, pieni di buoni propositi, ma alieni dallo scioglimento d i nodi che,
anche fra partiti omogenei, bloccano spesso
la lotta per concrete soluzioni comunitarie.
Diversamente potrà essere quando il Parlamento eletto avrà svolto un suo primo tratto di lavoro e, quindi, avrà messo alla prova - e l'elettore, s'immagina, osserverà e
@udicherà - queste piattaforme trasnazionali, ponendosi (speriamo e vogliamo: ma vedremo poi come estrinsecare questa nostra
volontà «esterna*) su posizioni, se del caso,
più avanzate: in altri termini lo stesso agire
di un Parlamento europeo eletto influirà
successivamente su più incidenti piattaforme
trasnazionali. Ma qui discorrevamo della se-.
lezione dei parlamentari europei: ebbene, in
questa prima tornata di elezioni europee la
selezione avverrà con leggi ancora nazionali,
in parte svantaggiose per l'affermarsi degli
europeisti e, anche, per la prevalenza dei
fattori politici su quelli corporativi. D u e
esempi: la legge italiana e quella inglese.
Quella inglese penalizza il più europeo l'unico interamente e coerentemente europeo
- dei partiti inglesi, il partito liberale, e i
relativi elettori: il sistema del collegio uninominale senza ballottaggio - stando alle elezioni per la Camera dei Comuni del 3 maggio
1979 - dette ai laburisti, con 11 milioni e
mezzo di voti, 268 seggi, ai conservatori, con
10 milioni e mezzo, 339 seggi e ai liberali,
con 5 milioni e 350 voti, 11 seggi. Quella
italiana, coi 5 collegi pluriregionali, non
favorisce né i nomi di grande spicco politico e
culturale nazionale né coloro che, su base
regionale o infraregionale, erano riusciti a
intrattenere direttamente un dialogo di ordine generale, politico, con gli elettori, ma i
rappresentanti - spesso più o meno anonimi di grosse corporazioni, che travalicavano le
frontiere regionali (coltivatori diretti, com-
COMUNI D'EUROPA
mercianti, eccetera): gli interessi settoriali
saranno privilegiati su quelli generali, mentre
l'Europa - l'Europa autentica, l'Europa federale - si costruisce sulla base di questi ultimi e
per reinserire gli emarginati in una società
oggi profondamente corporativa e ingiusta.
O r a , le altre parti contraenti - i governi
nazionali - hanno deciso che la prossima
volta sia il Parlamento europeo eletto a
elaborare una legge elettorale comune. In
realtà gli Stati nazionali hanno stentato a
lungo a tenere fede a quanto avevano accettato attraverso la stipulazione e la ratifica
dei Trattati comunitari: «L'Assemblea [parlamentare europea] elaborerà i progetti intesi a permettere l'elezione a suffragio universale diretto, secondo una procedura uniform e in tutti gli Stati membri. Il Consiglio
[dei ministri], con deliberazione unanime,
stabilirà le disposizioni di cui raccomanderà
l'adozione da parte degli Stati membri conformemente alle loro rispettive norme costituzionali,,. Nell'elaborazione della legge
elettorale comune, nel raggiungere un accordo possibilmente di larga maggioranza e
nell'imporlo, il Parlamento eletto giuocherà
una parte ragguardevole del suo prossimo
destino e del destino democratico dell'intera
Comunità.
A questo punto conviene riprendere la
nostra analisi su come questo primo Parlamento eletto potrà acquisire una autentica
.centralità» nella democratizzazione della
Comunità europea e in tutto il processo di
integrazione comunitaria. Anzitutto i gruppi politici potranno svilupparsi e acquisire
iniziative «rappresentative», perché parallelamente alla loro azione potrà crescere
l'amalgama europea delle unioni trasnazionali dei partiti: insomma perché - pur tra
mille, prevedibili difficoltà - potranno
prendere consistenza i partiti europei.
C h i li spingerà questi partiti europei? la
forza del quadro europeo? l'attesa delle seconde elezioni europee da condurre in base
a una legge elettorale comune? I fattori
saranno diversi e, in qualche modo, convergenti - sempre che certi rigurgiti di nazionalismo «razionalizzato» (e presentato sotto
le vesti di un falso europeismo, cioè di un
europeismo fra «solidali Stati sovrani,,, il
che vuol dire decisi a paralizzarsi a vicenda)
non sconvolgano il quadro comunitario -.
Occorrerà accelerare il processo di organizzazione trasnazionale dei partiti e anche gli
incontri fra amministratori locali europei,
gli scambi fra lavoratori, studenti, operatori
sociali, insegnanti, eccetera, i <qgemellaggi»
tra Comuni dovranno favorire l'integrazione di .base,,: talché i congressi europei dei
partiti - questi congressi acquisteranno importanza sempre maggiore - non siano I'incontro di carovane decise dalle direzioni
nazionali e dal loro «apparato., ma vi partecipino gli iscritti o quanto meno i dirigenti e gli esponenti culturali delle diverse regioni, liberamente, espressi dal basso.
D'altro canto le udienze conoscitive e
tutti i rapporti diretti del Parlamento eletto
con la società europea prenderanno l'aspett o nuovo-sopra rilevato e ci dovremo battere per allargarli e stabilizzarli. I1 Consiglio
dei Comuni d'Europa - che già, in altro
momento della lotta per l'unità europea
(correvano gli anni cinquanta.. .), realizzò
con le sue proposte, la sua pressione e i
suoi uomini la Conferenza europea dei Poteri locali ( C E P L - la sigla attuale è:
C P L R E , cioè Conferenza dei Poteri locali e
regionali europei) presso il Consiglio d'Europa - cerca, a partire almeno dal 1976, d i
istituzionalizzare la rappresentanza unitaria
delle autonomie locali e regionali presso la
Comunità europea. Esso si batte contro la
scarsa disponibilità della tecnocrazia d i Bruxelles, da un lato, e dall'altro contro I'ordito corporativo delle associazioni di Poteri
locali e regionali settoriali, specializzate o
Elezioni e Pariamato
VADEMECUM DELL' AMMINISTRATORE LOCALE E
BEGIONALE P o ~ d i L u c h l u i S o U s
a GLinimnceIllirtlnl
Urnkrto SamRni
Arlo R u p d
Vitmrio Cutallezi
A I c c E , ~ C I , u P I , U ~
Legaper leAutonomie locali
generiche (addirittura mondialiste), che vogliono prendere d'assalto la Comunità non
per costruire una Europa unita, capace insieme d i programmare e di rispettare I'autogoverno locale e regionale, ma per chiedere
mille cose contraddittorie e (chi sa?) forse
anche per sabotare un democratico progresso verso la Federazione. O r a il dialogo
andrà portato avanti prevalentemente col
Parlamento eletto: gli amministratori di Enti locali e regionali territoriali rappresentano
l'interesse generale e assicurano u n legame
dei parlamentari europei con tutta la società
europea, quella degli occupati e quella degli
emarginati. Il movimento europeo delle autonomie dovrà garentire che il processo di
integrazione non imbocchi strade burocratiche e verticiste; che la qualità di vitz abbia
almeno la stessa attenzione che la quantità
dello sviluppo; che le regioni forti e le
regioni deboli rifiutino di farsi eternamente
«mediare» dagli interessi costituiti e privilegiati, i quali si coprono del manto ingannevole dell'einteresse nazionale* - mentre si
tratta dell'interesse di lorsignori -. Una
«Conferenza europea dei Poteri locali e regionali>, a 9 (e presto a 12)? Certo verso
qualcosa del genere bisognerà finalmente
avviarsi, rendendosi conto che questo processo andrà di pari passo col rafforzamento
dei poteri del Parlamento europeo. 11 quale,
COMUNI D'EUROPA
a sua volta, dovrà persuadersi di questo che
i medici e i chimici farmaceutici chiamano
sinergismo: un processo rinforza l'altro,
una medicina esalta la proprietà dell'altra.
Ma un'altra considerazione essenziale
dobbiamo fare sull'avanzata dei caratteri sovranazionali del Parlamento europeo e sulla
sua capacità di farli valere. Abbiamo detto
che i gruppi politici del Parlamento europeo
tendono - e dobbiamo aggiungere: tenderanno ancora - a lasciare ai loro iscritti una
libertà di voto più larga e frequente di quel
che avvenga nei parlamenti nazionali. D i
fatto si svilupperà sempre di più, al d i sopra
dei gruppi politici e delle origini nazionali,
una formazione invisibile o , per lo meno,
informale, che potremmo chiamare *gruppo
federalistan: saranno i parlamentari capaci
d i sciogliere i nodi principali del processo
di integrazione, conferendo al Parlamento
europeo quella «centralità» di cui parlavam o . M a questo «gruppo. non potremo lasciarlo isolato: esso dovrà divenire uno dei
principali punti d i riferimento di tutta la
lotta federalista in Europa. L'Unione europea dei federalisti (UEF), le cui origini risalgono alla Resistenza europea e che in
questo dopoguerra è stata la pattuglia avanzata della lotta per l'unità democratica
dell'Europa, costituirà a fianco del Parla-
AIcC#
ASSOCIAZIONE ITALIANA
PER IL CONSIGLIO
DEI COMUNI D'BUROPA
mento europeo eletto un «comitato di vigil a n z a ~ :per incoraggiare i parlamentari federalisti; per richiamare alla coerenza coloro
che, dichiaratisi europeisti, si saranno lasciati irretire da interessi costituiti e dall'opportunismo nazionalista; per additare alla
pubblica opinione, infine, quei parlamentari
.
. impossibili soeuropei che, battendosi per
luzioni confederali o intergovernative ai
problemi della Comunità, si metteranno
obiettivamente al servizio della xsovranazionalità privata. - che già esiste in barba alle
sovranità nazionali - e delle Superpotenze.
Le organizzazioni europee democratiche,
ispirate ai principi del federalismo - e tra
esse il Consiglio dei Comuni d'Europa, che
~
guida l'autonomismo europeo fuori dalle
secche del separatismo, del pugiadismo e
del vuoto ribellismo verso un quadro sovranazionale contrario al centralismo burocratico -, dovranno senza dubbio appoggiare e
ingrossare le fila del «comitato di vigilanza». Ma non basta. I1 M E C ha costretto - a
livello nazionale - i partiti popolari, i partiti
di massa, i partiti dei lavoratori, le grandi
organizzazioni sindacali e sociali in genere a
guardare in faccia la misura sovranazionale
in cui si debbono collocare oggi le soluzioni
dei fondamentali problemi politici, economici e sociali: ma ha anche seguito la via
irràzionale d i disgiungere l'economico dal
politico, lasciando il sociale a mezz'aria. Le
elezioni europee dirette sono un simbolo e
un punto di riferimento, ma non risolveranno in modo miracolistico le contraddizioni
di una integrazione aberrante, che mette in
comune la cintura doganale della Comunità
e lascia distinte le bilance nazionali dei pagamenti; che pretende di gestire una politica
agricola comune e lascia andare per conto
loro le politiche nazionali industriali e di
rifornimento energetico; che è incapace di
operare seriamente il passaggio dall'unione
doganale all'unione economica, perché non
prevede un autentico governo comune
dell'economia e un adeguato controllo democratico; che lascia l'Europa minorenne in
tutti gli altri campi della politica, incapace
di operare per la pace e per superare una
volta per tutte lo scambio ineguale - cioè
l'essenza economica dell'imperialismo - nel
mondo. Occorre dunque costruire la democrazia europea, e ciò non p u ò essere un
fatto parlamentare, avulso da un ampio
schieramento di forze che, affrontando le
contraddizioni del processo di integrazione,
lo volga a soluzioni razionali. Oltre i partiti
europei, oltre il comitato di vigilanza federalista si tratta in realtà - il compito è
ambizioso: ma il progresso, anzi la stessa
sopravvivenza della democrazia ha bisogno
di g a n d i ambizioni - di costruire il «fronte
democratico europeo». I federalisti dei diversi partiti democratici, la confederazione
europea sindacale, il movimento europeo
delle autonomie, la cultura, la scuola, le
organizzazioni sociali volte a curare I'interesse generale debbono creare questa solida
alleanza. Dal .comitato di vigilanza» al
«fronte democratico europeo,,: dal Parlamento eletto alla stessa base elettorale, alla
stessa condizione di elettore. I1 federalismo,
in realtà, deve informare tutta la democrazia europea, deve castigare le prevaricazioni
corporative e tutti i settorialismi, deve ricomporre l'unità della politica: la sua parola
d'ordine deve essere «dalle razionalizzazioni
contro l'uomo alla riconquista della ragione
umana.. E' qui che nel grande disegno europeo, nel modello di nuova società,,,auropea, si colloca il ruolo delle autonomie territoriali, sino a una piena riacquisizione di
quella democrazia diretta che deve essere,
nella sua pienezza, la premessa irrinunciabile di una democrazia rappresentativa che
n o n sia una truffa. M a stiamo attenti! La
democrazia diretta è la riconquista, da parte
dell'uomo «corporativo,, e alienato, del suo
carattere di persona, in una visione unitaria
giugno 1979
della vita che permetta di equilibrare il lavoro e il tempo libero; che non conduca il
consumismo alla distruzione della città; che
privilegi non solo i consumi sociali ma tutti
i consumi culturali e spirituali rispetto ai
consumi indotti dalle esigenze dello svilupp o selvaggio. In questo quadro non c'è
posto per l'imperialismo, per i1 nazionalismo, per il particolarismo settoriale. Ecco
dunque che il ufronte democratico europeo» dovrà divenire l'altro punto di riferimento - uno, si diceva, sarà il «gruppo
federalista. del Parlamento europeo - della
lotta federalista per trasformare la Comunità in Federazione europea.
Ma ci incombe ancora un compito: cercare di individuare i nodi principali, che si
presenteranno ai parlamentari europei, i nodi che li costringeranno quasi per logica
interna a prendere coscieilza sempre più
viva del loro ruolo d i ostetrici della ragione
incarnata nelle cose; i nodi, comunque, che
saranno la pietra di paragone per verificare
se essi sono europei o uomini delle caverne.
Vediamo. I1 rapporto diretto fra parlamentari ed elettorato (e sue organizzazioni
di base) porterà a una richiesta diretta,
popolare di sapere chi (in realtà) e come
governa la Comunità. In qualche modo lo
stesso Consiglio dei Ministri comunitario
dovrà render conto del suo operare molto
più impegnativamente al Parlamento europeo: ma la Commissione esecutiva, di fatto
prima che di diritto, dovrà sentirsi responsabile verso di esso. D'altra parte il Consiglio dei Ministri dimostrerà ancora una volta di non poter governare: il confederalismo, infatti, può partorire accordi di orientamento o su singoli problemi - sempre
esposti alle peggiori distorsioni e ai voltafaccia - ma non p u ò governare. I1 confederalismo è antidemocratico e inefficiente: è
antidemocratico, nella fattispecie, perché
non d à peso alle autentiche maggioranze
nazionali - che per l'Europa possono risultare dalla somma di una parte dei governativi nazionali e una parte dell'opposizione -; e
non funziona, perché gruppi di interessi
costituiti anche limitati, ma arroganti, riescono spesso a conquistarsi una frazione minima
della maggioranza governativa e minacciano
il governo di crisi, se porta avanti il suo
«massimalismo~~
europeo.
M a la Comunità ha sempre più l'evidente
necessità d i essere governata. I1 Parlamento
europeo eletto sarà portato a chiedere continuamente alla Commissione esecutiva iniziative di governo; minaccerà e probabilmente realizzerà la mozione di censura; non
voterà il bilancio se il Consiglio dei Ministri
non seguirà la Commissione nelle sue proposte e non le lascerà gestire gli affari comunitari. A questo punto si avrebbe la paralisi: ma gli europei possono veramente
permettersi di tenere la Comunità in posizione di stallo? Credo risulti evidente a
tutti, a più d i trent'anni dalla fine del secondo conflitto mondiale, che è l'ora della
scelta: o si fa l'Europa - e sopravvive la
democrazia - o il feudalesimo diventa regime stabile sul nostro continente (forse u n o
dei compiti più urgenti che tocca a ogni
onesto europeista è smascherare il naziona-
giugno 1979
lismo rozzo e gli interessi più arretrati che
si nascondono sotto certi sofisticati progetti
d i «avanzare senza avanzare»).
C'è il problema della moneta europea.
Per esso passa l'ipotesi, in sé erronea, su
cui si regge il Trattato istitutivo della C o munità economica europea: che, cioè, si
possa svolgere, per gradi, un radicale processo di integrazione economica, che ponga
«le fondamenta di una unione sempre più
stretta fra i popoli europei., senza costituire istituzioni politiche comuni, sovranazionali. L'errore (o inganno) ha avuto il suo
merito, ne! senso che si è creata, più o
meno, una unione doganale; che questa,
con vistosi effetti positivi e negativi, ha
influenzato e influenza la vita dei paesi consociati e ha mobilitato le masse intorno
all'obiettivo Europa; che tuttavia è destinata
a sfasciarsi, dando spazio al rinascere di
dannosi protezionismi economici nazionali,
se non evolve ormai rapidamente in unione
economica, sia per ripartire al suo interno
equamente pesi e vantaggi dell'integrazione
sia per poter fare valere costruttivamente
all'esterno le sue esigenze e le sue proposte
d i prima potenza commerciale del mondo e
di area di intensissimi consumi. L'evoluzione dell'unione doganale in unione economica non p u ò prescindere dalla creazione di
una moneta europea reale: ma questa darebbe un colpo di piccone fatale alle sovranità nazionali e renderebbe irrecusabile un
governo politico comune. Si tenta allora (e
Abbonatevi a
«Comuni d'Europa.
« C o m u n i d'Europa* o r m a i al s u o
XXVII a n n o di vita, è senz'altro u n a
delle decane t r a le riviste federaliste
che si s t a m p a n o in Europa.
C o n la sua rilevante penetrazione
capiilare e con i suoi 11 n u m e r i I'ann o , « C o m u n i d'Europa* vuole restar e u n giornale s o p r a t t u t t o stimoiante, d i lotta e d i ripensamento della
problematica federalista. L a sua caratteristica fondamentale consiste
nell'essere il tramite diretto fra t u t t i i
centri decisionali della battaglia com u n i t a r i a ed europeista e le popolazioni d i o g n i regione, i giovani e
coloro che s o n o trascurati dall'oligopolio dell'informazione, i n piena indipendenza.
Proprio per questa sua funzione,
n o n o s t a n t e gli a u m e n t i vertiginosi
dei costi della carta e tipografici, *Com u n i d'Europa* continua a conservare relativamente stabile il s u o prezzo. N a t u r a l m e n t e questa situazione
p o t r à essere m a n t e n u t a solo se gli
abbonati e gli inserzionisti, cui va il
n o s t r o più vivo ringraziamento, cont i n u e r a n n o a sostenerci e se altri
lettori v o r r a n n o p o r t a r e il loro cont r i b u t o sottoscrivendo abbonamenti.
COMUNI D'EUROPA
lo SME non è uscito che in piccola parte
dall'equivoco tentativo) di varare la mezza
moneta europea, la moneta dell'unione doganale: cambi fissi o poco oscillanti infracomunitari e complessi marchingegni per rendere ciò possibile, salvo l'unico realmente
valido ed equo per tutti (che è, appunto,
quell'insieme di strumenti, per cui l'unione
doganale diviene unione economica e i cambi non si pretende che funzionino da cause,
poiché sono - come debbono essere - degli
effetti). Lo SME - su cui non è luogo qui
per approfondire il discorso - prevede un
tondo europeo, ove si #deposita. una parte
delle riserve monetarie nazionali, che solo
in un secondo momento saranno. per così
dire, alienate in favore della Comunità; e
prevede altresì uno scudo europeo (o écu =
european currency utzit), che è una moneta
parallela (da usare solo in determinati rapporti economici infracomunitari), ancora
convenzionale e fittizia, anche se - dal valore calcolato in base a un paniere delle monete europee - vuol contribuire a orientare
il cammino verso la parità dei cambi ancorandolo a una .media. delle situazioni nazionali. Ma una soluzione del genere non è
sufficiente neanche a conservare l'unione
doganale, perché una unione doganale regge
solo fra paesi che riescano ad armonizzare in termini di resa finanziaria - i loro reciproci scambi commerciali con gli scambi d i
ciascuno di essi coi paesi terzi e questa
complessa rete di rapporti col proprio tasso
interno di accumulazione di capitale. L'articolo 3, comma g, del Trattato della C E E
prevede procedure che permettano «di coordinare le politiche economiche degli Stati
membri e di ovviare agli squilibri nelle loro
bilance dei pagamenti»: lo SME, così com'è
e da solo, non permette di raggiungere questo scopo né ha forza per imporre la soluzione del problema. Questa forza potrà acquisirla quando e se si arriverà a una autentica, sia pure parziale, messa in comune
delle riserve monetarie nazionali: ma rimane
il problema non tanto della perequazione di
ricchezza, quanto del meccanismo stabile
per operare questa perequazione (perequazione delle risorse), dando in pari tempo a
ciascun consociato la possibilità di controllare, anzi di contribuire a gestire il sistema
economico che ne viene fuori. E come si
fa? Le contorsioni dei vecchi Stati nazionali
- o di alcuni di essi: ma chi è senza peccat o . . . - dovranno risultare finalmente aberranti al Parlamento europeo eletto, che anche spinto dal «comitato di vigilanza,, e
poi dall'intero «fronte democratico europeo* - dovrà denunciarle, chiaramente e
nettamente. La via senza scampo è l'aumento del bilancio comunitario (il progetto
MacDougall prevede, per cominciare, il
passaggio dallo O,8 al 2/2,5 per cento del
P N L della media dei paesi consociati), maggiori capacità fiscali alla Comunità (non aumentare le tasse, ma trasferirne una parte
congrua a livello comunitario), realizzazione delle «politiche comuni» (non solo quelle esplicitamente previste dai Trattati, ma
tutte quelle necessarie), loro coordinamento
e programmazione agli effetti d i uno svilupp o equilibrato d i tutto il territorio della
Comunità (è la vera politica regionale: e di
questa i Poteri locali e regionali devono
chiedere di essere, istituzionalmente, i cogestori).
Ma come si fa a programmare senza affrontare tutti i fattori dello sviluppo? I sindacati dei lavoratori si sono posti il problema delle 36 ore di lavoro a livello della
Comunità, mentre si profila - con le nuove
leve giovani - una disoccupazione che potrà
superare i 15 milioni di persone: ma gli
Stati consociati fanno in materia ciascuno
una pelitica per conto suo, né il Consiglio
dei Ministri comunitario riesce ad accordarsi su una sua politica (per conto della Comunità). D'altronde - e ritorniamo all'impotenza e alla fragilità di una semplice
ASSOCIAZIONE ITWANA
AICCE a:,:c!:rn:li:
union: doganale -, mentre motivi politici e
democratici richiedono l'allargamento della
Comunità a Grecia, Portogallo, Spagna, come si può pensare a un M E C allargato - e
senz'altro ancora più squilibrato - senza
riforme strutturali gestite in base a obiettivi
comuni d a un potere politico comune? ( Q u i
osserviamo che il Parlamento europeo eletto, rappresentativo dell'interesse generale,
potrebbe utilizzare lo spostamento a sud
del baricentro della Comunità per far sì
che, in luogo di dover arbitrare una politica
«assistenziale>>che diverrebbe il pomo della
discordia fra tutti i sottosviluppati, esso
trovi un appoggio coordinato di costoro a
una politica di riforma europea delle strutture).
Forse è ancora più stringente la problematica dei rapporti esterni della Comunità.
Finora le' cancellerie, i governi nazionali,
potevano fare i loro giuochi al di fuori del
controllo dell'o~inione ~ u b b l i c a europea,
d'accordo con ristretti gruppi d i interesse e
con larga connivenza della stampa, sempre
meno libera, sempre più legata a interessi d i
settore (I'europeismo - si fa per dire - dei
giornali dei diversi paesi andrebbe attentamente analizzato, messo in relazione a chi
paga e a chi condiziona la stampa nel senso
COMUNI D'EUROPA
più lato, ivi compresi gli organismi rappresentativi dei lavoratori agiati e protetti e
non soltanto il capitale privato e di Stato).
O r a il Parlamento europeo eletto potrà imporre alla stampa e a tutti i mass media di
n o n essere ignorato. Ebbene, come gestire
nei tempi difficili la tariffa doganale comune
dei consociati nell'unione doganale? come
condurre una politica energetica comune?
come condurre una politica internazionale
dei prezzi delle materie prime, dei prodotti
finiti, dell'impiantistica, del know how, né
abbandonando il campo alle multinazionali
o alla finanza apolide degli sceicchi né perpetuando lo scambio ineguale? In realtà qui
si delinea - e un Parlamento europeo eletto
direttamente dagli europei e chiamato a parlare in nome dell'Europa n o n potrà fingere
di ignorarlo - il ruolo economico e insieme
politico dell'unità europea. La crisi del bipolarismo è in atto, le due Superpotenze si
trovano di fronte a un mondo che va articolandosi: l'Europa deve garentire il segno
pacifico del passaggio al multipolarismo; di
più: essa deve riprendere una costruzione
della pace in base a un awicinamento dei
regimi bloccato, per così dire, a Yalta. I1
multipolarismo non deve significare il passaggio da un equilibrio (del terrore) a due a
un equilibrio (sempre del terrore) a più
poli, ma deve prospettare il passaggio dalla
coesistenza alla convivenza. in questo senso
l'unione europea di tipo federale dovrebbe
essere già di per sé emblematica: ma non
basta. La Comunità europea non solo è la
prima potenza commerciale del mondo, ma
è - a differenza degli USA e dell'URSS un'area industriale (naturalmente insieme al
Giappone) che vive di regola di valore aggiunto: per essa affrontare i rapporti col
Terzo e Q u a r t o m o n d o è una necessità
oltre che un dovere. C i ò fa sì che la vocazione europea non p u ò essere quella di
restaurare un anacronistico eurocentrismo,
ma senza dubbio p u ò e deve essere quella
di prendere l'iniziativa per un nuovo ordine
internazionale, mentre un indubbio neo-colonialismo è in atto da parte delle Superpotenze. Si tratta dell'ordine di un pianeta
dove ci si è accorti che i beni naturali sono
limitati; dove la bomba demografica è innescata - ed e la più terribile delle bombe:
perché p u ò uccidere gli uomini ma anche le
stesse condizioni umane di vita -; dove
l'interdipendenza n o n più delle nazioni, ma
dei continenti comincia a risultare evidente
n o n solo ai filosofi. Ma come si p u ò prendere una siffatta iniziativa planetaria senza
tendere a un coerente modello europeo di
sviluppo? Ecco che economia e politica,
politica interna e politica internazionale ci
portano a indicare la strategia di una Federazione europea, che è dunque uno strumento che non p u ò aspettare: anche se non
saranno i vincitori, i realisti sono i federalisti
europei, gli altri non hanno soluzioni alternative.
Eppure queste soluzioni alternative si
sussurrano continuamente, e sarà bene che
esse emergano e siano denunciate - prima
che sia troppo tardi - nel Parlamento degli
europei. Una è un'alternativa di disturbo,
ma non perciò incapace d i cacciare l'Europa
in un nuovo Medio Evo: una confederazione europea con una Francia ago della bilancia, prima inter pares. E' un infantile tentativo di razionalizzare il nazionalismo: ma
l'infantilismo sa causare grossi guai. L'altra
è un'alternativa - se possibile - più grave,
perché non è destinata solo al disturbo: il
suo successo destabilizzerebbe minacciosamente il nostro continente e bloccherebbe
I'awio del pianeta a un riawicinamento di
. .
regimi. Essa è stata espressa da quel leader
tedesco, socialdemocratico, che ha detto
duramente - non si sa contro chi - che si
sente prima tedesco che europeo. C h e c'è
dietro? N o n impegnarsi troppo nelll«utopia» europea, negoziare alternativamente
con gli USA e con I'URSS, mirare alla
giugno 1979
riunificazione della Germania: neutralismo,
nazionalismo sociale, potenza. A questo
punto ci domandiamo quanto sia l'acume di
quei nostri concittadini che non vogliono
troppo federalismo europeo, per non subire
- dicono - il tallone tedesco.
In conclusione la stessa forza dei problemi, la gravità dei nodi d a sciogliere, costringeranno un Parlamento europeo eletto
ad acquisire una sua «centralità» e le forze
democratiche a darsi un assetto europeo.
C i ò vuol dire cominciare col chiedere l'applicazione integrale dei Trattati comunitari,
ma trovarsi ben presto di fronte alla necessità di andare al di là dei Trattati. Le cancellerie hanno avuto l'idea geniale d i affidare a tre poveri uomini - i Saggi - di studiare proposte per far avanzare la Comunità:
ma quale più democratico Saggio, quale
studioso più rappresentativo del Parlamento
europeo eletto? I n effetti si mira a una
eventuale procedura di revisione dei Trattati: anni di nuovo rimpallo dai ministri ai
diplomatici «stabili» e da questi ancora ai
ministri, col non recondito convincimento
che a cavar la Comunità dalle impasses sarà
sempre quell'organo anomalo e anticomunitario, che è il Vertice dei Capi di Stato e di
Governo (o Consiglio europeo) - Capi di
Stato e di Governo che sembrano i sovrani
del periodo post-napoleonico, i quali si cercavano, patteggiavano, creavano fra di loro
arbitrarie gerarchie, si tradivano trescando
con Stati terzi -. Ma non è questa la strada
della democrazia europea, non è questa
strada che possono accettare i parlamentari
eletti, gli elettori consapevoli, le forze democratiche che abbiano rispetto di se stesse
e dei propri ideali. A un Parlamento europeo eletto, che abbia dato prova d i saper
affrontare con lucidità i nodi del processo
di integrazione europea e che abbia sospinto la Comunità a una fase pre-federale, si
porrà l'esigenza di proporsi ai cittadini europei come Assemblea costituente.
Umberto Serafini
11rinnovamento del qixadn,
di insediamentoumano e di
vita -una sfida sociale
Maria Vslaiia Agostini
Agnello R a s i
AICCE
ASSOCIAZIONE ITAIJANA
PER IL CONSIGLIO
DEI COMUNI D'EUROPA
AICCH
ASSOCIAZIONE ITALIANA
PER IL CONSIGLIO
DEI COMUNI D'EURUPA
AICCE
ASSOCIAZIONE ITAIJAK~
PER
DEI COMUNI
IL CONSIGLIO
D'EUROPA
COMUNI D'EUROPA
giugno 1979
Opzione nucleare: è qualcosa d i pii/
d i una scelta tecnica ed econornic.a
Scorie radioattive e territorio:
uno fra i problemi
di Walter Brugner e Alvaro Valdinucci
i:eologi
C o m e giù annunciato, - C o m u n i d'Europa. si propone d i affrontare con maggiore
metodo e continuità i problemi ecologici.
Dopo l'articolo d i Gabriele Panizzi su .Sviluppo e ambiente» ( v . <<Comunid'Europa» n .
3 , m a r z o 1979) e «Giudizio d i responsabilità»
(V. « C o m u n i d'Europa., n . 4 , aprile 1979) d i
Aurelio Dozio, pubblichiamo ora questo saggio d i Walter Brugner e Alvaro Valdinucci.
Invitiamo tutti gli amministratori locali e i
lettori ad intervenire con il loro contributo per
u n dibattito costruttivo e aperto a prospettive
n o n conformiste.
La dichiarazione finale della «Conferenza
sulla politica dell'ambiente nella Comunità
europea», tenuta dal Consiglio dei Comuni
d'Europa a Roma, nel novembre 1974, ini. .
zia con una coraggiosa enunciazione che
rispecchia non solo il convincimento dei
delegati ma, senza dubbio, interpreta lo stato d'animo di tutti coloro che si rendono
conto di come la società attuale stia sempre
più velocemente correndo verso il limite di
rottura di quello che è l'equilibrio che consente ancora all'uomo, sia pure all'estrema
soglia, di vivere in armonia con la natura
dalla quale, nonostante la sua sconfinata
presunzione, inesorabilmente dipende.
Ecco I'enunciazione : «Gli obiettivi della
civiltà industriale sono rimessi in discussione. La preoccupazione della protezione
dell'ambiente e l'aspirazione a una migliore
qualità di vita, devono essere ormai considerati come obiettivi fondamentali. Essi
non devono in alcun caso essere sacrificati
alle difficoltà economiche del momento. La
realizzazione di tali obiettivi è pertanto un
compito eminentemente politico». La dichiarazione prosegue con un elenco di misure e di orientamenti, di cui riportiamo
l'ottavo: .In materia di insediamento di
centrali nucleari, le decisioni non possono
essere prese a livello nazionale. Nel quadro
di una politica europea dell'ambiente, le
conseguenze dello sviluppo dell'energia nucleare, come d'altronde di tutte le altre forme di energia, debbono formare oggetto di
studi approfonditi prima che siano prese
con troppa precipitazione delle decisioni,
che si ripercuoteranno irreversibilmente e pesantemente sulle generazioni future. L'informazione scientifica indispensabile potrà
effettuarsi nel quadro di una commissione
scientifica transnazionale. D'altra parte, la
partecipazione degli eletti locali e delle popolazioni è un presupposto indispensabile a
qualsiasi decisione in materia di insediamento e di scelta delle localizzazioni,.
Indubbiamente la decisione di avvalersi
su vasta scala dell'energia nucleare per integrare le altre fonti energetiche rappresenta
una di quelle scelte capaci di imprimere un
radicale cambiamento nella storia delle attività umane ed il riferimento alle irreversibili
e pesanti conseguenze che ne potranno derivare per il futuro, non soltanto per I'umanità stessa, ma per l'intera biosfera, non è
affatto esagerato. Se è vero questo, non può
non risaltare con evidenza il fatto che le
decisioni a favore della scelta nucleare sono
state effettivamente prese «con troppa precipitazione», quando ancora molti aspetti,
sia biologici che tecnologici, sono da considerarsi in fase di studio, e non sempre di
studio avanzato.
Dopo l'esordio dell'energia
nucleare nel
campo degli usi militari, negli anni sessanta
è iniziato lo sviluppo delle centrali elettronucleari, dapprima su vasta scala in America, poi in Giappone ed in Europa, con
l'elaborazione di programmi in origine contenuti e successivamente, a partire dal 1974,
fortemente accelerati, soprattutto in Europa. Gli organi comunitari dell'Europa occidentale hanno svolto, e svolgono tuttora,
un fondamentale compito di unificazione
della ricerca e di elaborazione della normativa che regola l'attività nucleare nei paesi
membri, anche in dipendenza dei precisi
incarichi derivanti dal Trattato Euratom,
ma ci sembra che non abbiano affatto assolto quello che avrebbe dovuto essere, almeno sul piano etico-politico, il loro dovere
essenziale: quello di esercitare un invito alla
riflessione in tema di politica energetica,
cioè di subordinare le.scelte ad una approfondita e reale valutazione di tutti i fattori
che concorrono a formare la complessa
materia.
E' più che facile accorgersi che, allorquando negli anni cinquanta i paesi dell'Europa occidentale - per rime Inghilterra e
Francia - iniziarono la costruzione delle
centrali nucleari, di fatto la scelta era già
compiuta, dopo essere stata maturata all'interno di una ristretta cerchia di potenti
gruppi economici, non solo europei, che
hanno intravisto, più che la soluzione del
~ r o b l e m aenergetico, la nascita di un nuovo
ed esteso mercato: quello delle industrie
legate alla produzione degli impianti nucleari. In realtà gli organi comunitari hanno
recepito - e se ne sono resi interpreti indirizzi e politiche energetiche decise solo
dai vertici nazionali senza la minima partecipazione dei rispettivi popoli, in quanto gli
stessi raggruppamenti politici o sociali (partiti e sindacati) - citiamo la Francia e l'Italia
come esempi - non hanno avuto la capacità
di valutare tempestivamente la portata di
quanto stava accadendo e, per quanto riguarda il mondo scientifico, solo una parte
di esso, quella più disponibile alle lusinghe
del potere, fu chiamata a collaborare. Si
spiegano così gli atteggiamenti del Parlamento europeo, in cui la necessità per la
Comunità di ricorrere alla fissione nucleare
viene definita «ineluttabilex in attesa di assicurare .il passaggio dalle fonti tradizionali
alle energie del futuro,,', e della Commissione delle Comunità europee di cui riportiamo, come esempio, il terrificante quadro
~
tracciato in un opuscolo i l l ~ s t r a t i v o :((Basti
immaginare per un solo istante un mondo
nel quale gli ospedali fossero privi di elettricità, gli alimenti non più conservati al freddo, i trasporti pubblici fermi, gli indumenti
filati e tessuti a mano.. .»:ce n'è abbastanza
per terrorizzare il buon consumista il quale,
del resto, proseguendo la lettura del fascicolo, viene ampiamente e tassativamente
rassicurato sul fatto che gli studi in corso
possono garantire ogni sicurezza sull'uso
dell'energia nucleare. Francamente dispiace
vedere una pubblicazione comunitaria abbassata al livello di meno che mediocre
opuscolo propagandistico.
Ben diverso diviene invece il tono delle
voci comunitarie allorché agli echi dei vertici governativi si sostituisce la libera discussione: i seicento partecipanti ai dibattiti
pubblici sull'energia nucleare indetti a Bruxelles (novembre-dicembre 1977 e gennaio
1978) dalla Commissione europea hanno discusso a fondo i vari problemi e, pur manifestando opinioni discordi sull'opportunità
di imboccare la via nucleare, hanno concordato su tre punti fondamentali: utilizzare
più razionalmente l'energia ora prodotta,
usare a fondo le fonti convenzionali e tendere a sviluppare le risorse rinnovabili.
Abbiamo visto, nella sopracitata risoluzione del Parlamento europeo, il riferimento alle energie del futuro. Infatti in tutti i
paesi, o quasi, si afferma che il ricorso al
nucleare deve servire a coprire il fabbisogno
a media scadenza, in attesa che gli sviluppi
10
tecnologici rendano possibile l'uso di sorgenti energetiche pulite e rinnovabili. Tale
proponimento, per risultare credibile, dovrebbe essere accompagnato da un impegno
concreto di ricerca e di sperimentazione nei
settori specifici, ma purtroppo i fatti dimostrano che sia nei bilanci nazionali sia nei
programmi comunitari, in tali settori vengono profuse molte enunciazioni e promesse ma ben poco in fatto di mezzi concreti.
Inoltre riesce difficile pensare che rimanga
contenuto lo sfruttamento di un campo di
produzione in cui sono impegnati imponenti oligopoli internazionali (Genera1 Electric,
Babcok Wilcox, Candu, ecc.) e dove, solo
per l'Italia, il giro delle commesse pubbliche si awia già verso i ventimila miliardi;
infine c'è da notare che un piano nucleare
contenuto entro limiti moderati non avrebbe senso dal punto di vista economico, in
quanto sarebbe praticamente insufficiente di
fronte al deficit energetico, non sarebbe
sufficientemente trainante per lo sviluppo
del relativo settore industriale e renderebbe
non competitivi i costi di produzione, inversamente proporzionali all'entità della
produzione stessa.
,
Tutto fa credere, dunque, che l'attuale
politica nucleare nasconda intenzioni ben
più vaste e che si ripeta, con conseguenze
deleterie assai più temibili, l'errore che i
soloni dell'economia e dello sviluppo industriale hanno già commesso agli inizi degli
anni sessanta quando, sulla base di errate
previsioni economiche, tecniche e sociali,
individuarono nel petrolio la fonte ideale
dell'energia, trascurando ricerche di risorse
alternative e riducendo, anzi; lo sfruttamento di fonti energetiche in produzione: a
titolo di esempio, in Italia furono inattivate
numerosissime centrali idroelettriche (circa
mille, secondo il parlamentare socialista
Aniasi) perché meno remunerative per i
produttori di elettricità.
Col passare del tempo il dissenso verso la
politica nucleare, già attivo negli USA fin
dai primi anni del dopoguerra, in Europa è
COMUNI D'EUROPA
partito soprattutto da personalità del mondo scientifico e da g u p p i qualificati e si è
esteso conquistando, col progredire di una
più vasta informazione, l'interesse di strati
sempre più larghi delle popolazioni. Sul
problema hanno preso posizione, infine, sia
i gruppi politici che i movimenti sindacali,
con meccanismi e vicissitudini diverse - e
anche con diversa efficacia - nei vari paesi a
seconda delle locali realtà politiche: dove il
confronto è stato più obiettivo, democratico e costruttivo, i risultati hanno assunto
valore concreto. Citiamo come esempi
l'Austria e la Svizzera dove si è giunti a
specifiche consultazioni popolari e dove i
referendum hanno bocciato la scelta nucleare in Austria, mentre in Svizzera il 51%
dei votanti si è espresso favorevolmente,
anche perché una recente legge federale
condiziona pesantemente la realizzazione di
nuove centrali. In Svezia, nel gennaio di
quest'anno, una netta votazione contraria al
Parlamento (310 no su 349 votanti) ha bocciato il programma nucleare costringendo
alle dimissioni il governo.
In Italia l'opposizione è stata condotta
per lungo tempo soltanto dai g u p p i ecolo+ti e da studiosi isolati, mentre i partiti
politici eludevano le loro responsabilità in
materia, lasciando che i governi ponessero
in atto le premesse per il reale awio del
programma nucleare o , peggio ancora, avallando il tutto con posizioni più o meno
apertamente favorevoli. Sul piano ufficiale
le prime voci di dissenso apparvero durante
l'indagine conoscitiva della Commissione
Industria della Camera, ma solo più tardi,
fra. i maggiori partiti, il PSI rivide le sue
posizioni. Lo scarso impegno del mondo
politico non ha certo contribuito a sensibilizzare la pubblica opinione, tanto più che
le due maggiori formazioni, D C e PCI, se
si eccettua, da parte comunista, il dissenso
sui reattori veloci e qualche strumentale e
innocuo sussulto elettorale, rimanevano innaturalmente alleate sulla politica f ilonucleare. In questi ultimi tempi, fortunatamente,
a parte i numerosi libri editi, la stampa,
anche sotto la spinta della vigorosa campa-
giugno 1979
gna internazionale, riporta con sempre
maggiore frequenza articoli che incentrano
la problematica energetica da angolazioni
diverse, e ciò è un bene poiché contribuisce
ad una più vasta informazione, indispensabile affinché la massa dei cittadini sia messa
in grado di valutare con cognizione di causa
l'importanza delle implicazioni conseguenti
alla scelta nucleare, soprattutto se, come è
auspicabile, sarà chiamata ad esprimere un
parere.
Noi vogliamo, con questo scritto, esporre la nostra opinione in merito al problema
della localizzazione degli impianti atomici
in rapporto alla natura fisica del territorio,
argomento che rientra nelle nostre specifiche competenze e che, ci sembra, è accennato in molte sedi ma non sufficientemente
trattato e divulgato nella sua fondamentale
gravità. Riteniamo, però, di far cosa utile
riassumendo sinteticamente, a cornice della
più particolareggiata esposizione del problema suddetto, le posizioni che si sono venute delineando in merito ad altri settori fondamentali (necessità energetiche, convenienza economica, sicurezza presente e futura)
poiché, in realtà, i vari aspetti della materia
sono strettamente interdipendenti.
'
«Considerato il quadro delle disponibilità
e dei costi delle fonti primarie tradizionali
(carbone, petrolio e gas) e tenuto presente
che nel' medio periodo non sarà possibile
recuperare attraverso la politica della conservazione dell'energia e dello sviluppo di
fonti integrative o alternative o interne (geotermia, idrica e solare) tutto il fabbisogno
energetico necessario alle esigenze economiche e sociali e allo scopo di evitare deficit
energetici che sarebbero esiziali alla vita del
paese, si ritiene necessario un ricorso equilibrato e controllato alla energia nucleare,).
«Tale ricorso dovrà fare riferimento ad
una linea strategica che abbia come obiettivi: l'autonomia energetica, un qualificato ed
autonomo sviluppo di una industria elettromeccanica nucleare nazionale e la piena soluzione dei problemi relativi alla sicurezza
ed alla protezione della salute».
E' questo uno stralcio della risoluzione
presentata alla Camera da D C , PCI, PSDI
e PRI sui problemi energetici ed approvata
a larghissima maggioranza nell'ottobre
1977. Con tale documento la Camera, dopo
aver indicato al Governo generici impegni
per la diversificazione geografica delle fonti
primarie di approvvigionamento, per aumentare l'utilizzazione delle fonti alternative al petrolio e per risparmiare ed evitare
gli sprechi di energia, fissa i punti fondamentali della politica energetica i quali, oltre alla concreta decisione di costruire otto
nuove centrali ed alla possibilità di opzione
per altre quattro, comprendono fra l'altro:
lo sviluppo di un'industria nucleare nazionale; un impegno degli enti responsabili del
settore (ENI, ENEL, C N E N ) per "garantire la fornitura di uranio,,, .l'arricchimento
dello stesso» ed il proseguimento «nella ricerca e nello sviluppo per il ritrattamento del
combustibile» (allo scopo di ottenere pluto-
giugno 1979
nio) e per «una corretta e sicura gestione
dei residui radioattivi.; il «potenziamento
dell'attuale ruolo del C N E N come ente per
la sicurezza, la ricerca, lo sviluppo e la
promozione industriale e la riorganizzazione del controllo nei settori della sicurezza,
della protezione dell'uomo e dell'ambiente e
nella valutazione di una esigenza di unitarietà della ricerca energetica e per il controllo e la sicurezza nucleare..
Nasce così, in modo reale, il programma
nucleare italiano che, nelle intenzioni dei
promotori, dovrebbe risolvere il deficit nel
medio termine e, gradualmente, tendere a
sostituire il petrolio sul quale oggi è basato
il 70% della produzione di energia. L'avvio
alla decisione, per quanto riguarda il medio
termine, è stato tratto dai dati forniti dal
P E N (Programma Energetico Nazionale),
approvato nel 1975 dal C I P E e successivamente sostituito da un nuovo documento
alla fine del 1977, col quale alle dodici
centrali previste dalla risoluzione se ne aggiungono altre due di tipo diverso (filiera
Candu, canadese) e si incoraggia l'impegno
nella ricerca sui reattori veloci a plutonio. I1
P E N nell'edizione iniziale prevedeva per il
1985 una domanda massima di energia globale pari a 263 milioni di tep (tonnellate
equivalenti petrolio), circa il doppio di
quanto consumato nel 1975: l'energia nucleare avrebbe dovuto coprire il 13% circa
del f a b b i s o p o energetico globale invece
dello 0,6% fornito dalle centrali esistenti.
11 ricorso all'energia nucleare, affermano i
suoi sostenitori, è l'unico modo per far
fronte al «buco» energetico previsto per la
metà degli anni ottanta; inoltre il continuo
aumento del prezzo del petrolio, il fatto
che nei prossimi decenni i giacimenti si
awieranno all'esaurimento e l'aleatorietà
delle prospettive offerte dalle fonti alternative non consentono dubbi o rinvii circa il
programma di costruzione delle centrali, se
non si vuole andare incontro a gravissime
crisi di produzione industriale capaci di coinvolgere l'esistenza stessa della società così
com'è strutturata. Infine, l'energia nucleare
costa poco: secondo l'Agenzia Internazionale del17Energia, l'installazione di una centrale esige solo settecento dollari per kilowatt, i giacimenti di minerali uraniferi sono
abbandonati e, una volta costruita, una centrale ha basse esigenze economiche per
l'esercizio. In campo comunitario si sottolinea l'esigenza ormai indifferibile di una
strategia comune che dovrebbe concretarsi
con un accordo sui temi essenziali del ritrattamento dei combustibili irraggiati,
dell'awio dei reattori veloci e della gestione
e dello stoccaggio dei residui radioattivi, in
quanto, secondo la Commissione C E E , il
nucleare non ha alternative fra le fonti energetiche disponibili.
Vediamo ora, sempre in campo economico, quali sono le obiezioni mosse dagli avversari dell'opzione nucleare. Innanzi tutto
le stime sul fabbisogno energetico sono impugnabili poiché sono state compiute prevedendo per il prossimo futuro tassi di svilupp o pressoché eguali a quelli dei decenni
scorsi, caratterizzati dal «boom» economico
e dal petrolio a bassi costi, mentre si sareb-
COMUNI D'EUROPA
be dovuto tener presente il fallimento di
quel tipo di economia che impone decisamente una inversione di rotta, cioè la necessità di orientarsi verso il privilegiamento dei
settori industriali ad alto livello occupazionale, a basso consumo energetico ed a bassa
intensità d i capitale. Si deve, in altre parole,
cercare di ridurre la domanda di energia
eliminando i consumi inutili e favorendo
determinati indirizzi industriali, altrimenti,
per dirla con Amory B. Lovins, si rischia di
fare come colui che, mentre defluisce l'acqua calda dalla vasca da bagno per la rottura del tappo, invece di ripararlo installa
scaldabagni sempre più grandi. Poi i costi.
N o n è vero che I'energia nucleare sia economica: la stessa E N E L afferma che in
Italia occorrono 1.900 dollari, e non 700,
per installare un kilowatt ed è errato, anzi
pretestuoso, ignorare i costi a monte ed a
valle della centrale, dai trasporti all'arricchimento dell'uranio, allo stoccaggio dei residui; la vita di una centrale raggiunge al
massimo venticinque anni ed è stato calcolato che per costruirla e per la preparazione
del combustibile viene impiegata una quantità di energia pari a quella prodotta in due
anni dalla centrale stessa; se si vuole che nel
duemila la produzione di energia nucleare
rappresenti il 15% di quella mondiale
(esclusi i paesi comunisti), sul solo piano
degli investimenti si dovrebbero spendere
oltre mille miliardi di dollari, vale a dire la
metà del prodotto nazionale lordo degli
US.A7; il prezzo del combustibile è in continua ascesa (circa il 30% annuo) e le previsioni p e r ~ i lfuturo saranno tanto più pessimistiche quanto più aumenterà il numero
delle centrali nel mondo.
Altre fondamentali obiezioni riguardano
la convenienza, sia sul piano economico che
s u . quello politico, della strada nucleare in
se stessa. Secondo le stime del rapporto
WAES3, il consumo totale di uranio (a parte i paesi dell'est europeo) supererebbe nel
2005 le 3,5 x lo6 tonnellate, mentre le riserve totali del minerale ammontano, secondo
11
le stime attuali, a 4 x lo6 tonnellate: ciò
significa che entro pochi decenni si ripeterebbe un deficit eguale a quello attuale del
petrolio. Inoltre l'Europa occidentale sarebbe strettamente dipendente dai paesi produttori (USA, Canada, Sudafrica) sia sul
piano politico che commerciale e, in particolare degli USA, su quello tecnologico. A
tale proposito è significativo riportare, a
titolo di esempio, quanto contenuto nella
risposta fornita, al Parlamento europeo, ad
una interrogazione dell'on. B l ~ m e n f e l d :i~
contratti di fornitura «. . . assicurano l'approvvigionamento perlomeno alla fine di
questo decennio.. . Occorre notare, tuttavia, che i contratti 1977 con produttori
canadesi sono al momento minacciati
dall'embargo imposto dal governo canadese
a partire dal 1" gennaio 1977».
Sul piano mondiale, poi, aumenterebbe a
dismisura la dipendenza dei paesi in via di
sviluppo verso quelli industrializzati, con
buona pace di tutte le intenzioni che vorrebbero ridurre il divario fra i due gruppi.
U n altro valido argomento è che progettare ora nuove centrali non servirebbe a
contrastare la crisi energetica che si prospetta nel medio termine, poiché le centrali
entrerebbero in funzione solo d o p o almeno
dodici anni dall'inizio della loro costruzione: in particolare, per quanto riguarda il
programma italiano, le centrali previste coprirebbero soltanto il 4 % del fabbisogno
totale, pari al 20% di quello dell'energia
elettrica, pur assorbendo ingentissimi stanziamenti.
La necessità di rivedere sostanzialmente i
criteri di scelta sarebbe avvalorata dal comportamento degli stessi USA che hanno
drasticamente ridimensionato i loro programmi, come è dimostrato dalle previsioni
del1'U.S. Atomic Energy Commission e
de1l'U.S. Energy Research and Development Administration: nel 1967 si prevedevano 160 gw di potenza nucleare per il
1980, mentre nei 1977 tale previsione era
scesa a 60 gw; analogamente, nei 1972 le
COMUNI D'EUROPA
previsioni per il 2000 indicavano 1.500 gw,
che nel 1977 si riducevano a 400. Del resto
anche per i paesi della C E E si è verificato
un analogo fenomeno, dovuto a difficoltà
tecniche, a tempi di costruzione maggiori di
quelli previsti ed alla crescente opposizione
popolare: dai 135 gw previsti nel 1973 per il
1985 si è scesi agli 85 previsti nel 1977,
secondo i dati forniti dalla C F D T (Confédération francaise démocratique du travail).
Ma c'è soprattutto un'accusa fondamentale che gli antinuclearisti muovono ai gruppi economici ed ai politici responsabili
dell'avvio sulla strada elettronucleare: essi
poco si curano di nascondere, dietro la
dichiarata volontà di un programma - limitato nel tempo e nella quantità - di produzione mediante reattori di tipo convenzionale, la decisione, già presa, di puntare
tutto sull'energia atomica mediante la produzione con reattori veloci anche se, come
sono costretti a riconoscere gli stessi fautori, tale realizzazione esige ancora una ulteriore lunga ricerca tecnologica. Tuttavia «i
reattori veloci», si legge nel «libro bianco»
del C N E N , -si pongono come punto d'arrivo obbligato della strategia nucleare tradiz i o n a l e ~in quanto, sempre secondo lo stesso documento, .la fissione nucleare comporta una autonomia energetica crescente in
relazione alla possibilità di sviluppare i reattori veloci. O v e non si raggiunga questo
obiettivo il processo di fissione nucleare
non rappresenterebbe una reale alternativa
al petrolio»7.
C h e tale decisione, del resto, sia maturata
in pectore fin dall'inizio nei gruppi dirigenti
filonucleari italiani è dimostrato dal cospicuo impegno italiano (33%) nel progetto
Superphénix, reattore autofertilizzante (o
veloce) da 1.200 MW in costruzigne in
Francia. E' una prospettiva insensata, dicon o ancora gli antinucleari, poiché i reattori
autofertilizzanti sono tuttora praticamente
in fase sperimentale e di loro si sa soltanto
che sembrano assai meno sicuri, che comportano cicli di lavorazione (ritrattamento
del combustibile irradiato) delicati e pericolosi, che costano molto di più e che ~ r o d u cono, almeno in teoria, più plutonio di
quanto non ne consumano, creando imba-
dvettm responsatxk:Gixpve Fiazzori
dretim m t a t o scientifco: Rof. Lucb S u d
dvezione e redaihe:
Roma- 116,Viale Castro Pretorb-Tdeforo 4646.83
amministrazione e abbonamenti:
GRUPPO GKXIN4LISTICO EDAGRICOLE
Bologna 3.Emik -te
- cc p 8/32028
abbonamentom u o , L 10.000
-
razzanti scorte di questo prodotto, necessario per la costruzione di armi nucleari, oltre
a grandi quantità di scorie ad alta radioattività. in altri termini verrebbero ad essere
ingigantiti tutti i ~ r o b l e m i- molti dei quali
attendono ancora soddisfacenti ipotesi di
soluzione sul piano scientifico e tecnologico
- posti dai reattori convenzionali, con l'aggiunta di altri gravi interrogativi, tra i quali
la gestione delle riserve di plutonio prodotte. L'avviarsi su tale strada sarebbe, quindi,
come partire con un treno ancor prima di
sapere se i binari finiscono sul ciglio di un
burrone o portano in stazione.
E' significativa, a questo proposito, I'opinione espressa dal Club di Roma a conclusione del Simposio «Verso una visione globale dei problemi umani* tenutosi a Tokio
nel 1973:" «.. . è assai dubbio che sia saggio legare il futuro energetico dell'umanità a
una tecnologia che richiede l'impiego di
frossi quantitativi d i plutonio, com'è il caso
della fissione nucleare, con particolare riferimento ai reattori veloci autofertilizzanti.
I1 plutonio.. . è una delle più pericolose
sostanze conosciute, per la sua azione cancerogena. Qualora i reattori autofertilizzanti venissero adottati come principale fonte
di energia per l'umanità, l'ammontare totale
di plutonio disseminato per il pianeta intorn o all'anno 2000 corrisponderebbe più o
meno a un milione di volte il quantitativo
occorrente per sterminare l'intera popolazione umana..
Ancora una volta serve come termine di
paragone la politica energetica statunitense:
il programma degli autofertilizzanti è stato
accantonato, forse definitivamente, e in Europa la stessa Inghilterra pone remore allo
sviluppo di questo tipo di reattori.
Visto e considerato, concludono gli antinuclearisti, che il produrre energia elettrica
con la fissione atomica costa molto di più
di quanto non si voglia far credere, che con
essa si coprirebbe solo una modesta percentuale del fabbisogno, il quale imporrebbe
comunque massicci ricorsi al petrolio, che
sul piano politico I'approvvigionamento di
uranio creerebbe dipendenze ben più vincolanti di quelle dovute al petrolio stesso e
che a breve e media scadenza i1 programma
nucleare non servirebbe proprio a nulla, è
necessario, invece, perseguire altri obiettivi
fondamentali: il risparmio energetico, lo
sfruttamento integrale di fonti convenzionali e alternative (carbone e idroelettricità in
primo luogo, geotermia, ecc.) ed il perfezionamento delle tecnologie relative all'energia solare.
Risparmio energetico: non significa soltanto risparmiare sui consumi di massa, soprattutto elettrici (il consumismo ci ha abituati a dilapidare energia: vedasi, come
esempio simbolico, un ministero nelle ore
pomeridiane, dove per pochi impiegati sono
accese centinaia di lampade, oppure l'esasperato scialo di luce in vetrine o mostre
pubblicitarie), sui trasporti privati e di merci su strada ecc., ma anche, anzi soprattutto, recuperando al massimo possibile il calore che viene disperso nell'ambiente dalle
centrali termoelettriche, che rappresenta i
due terzi dell'energia posseduta dal combu-
giugno 1979
stibile bruciato. E per far questo basta la
buona volontà, come hanno dimostrato
l'amministrazione comunale di Brescia che,
prima in Italia, riscalda già mezza città col
recupero di una sola centrale e quella di
Genova, dove l'aumento di produttività di
una centrale, passato dal 35% a11'85%, consente di soddisfare le esigenze di riscaldamento di quarantamila cittadini. Simili iniziative, del resto, dovrebbero essere già ora
molto più numerose se altri enti responsabili avessero prestato una più volenterosa attenzione al punto I, 1.1, della delibera C I PE sul Programma Energetico Nazionale
del 1977.
I1 risparmio energetico è definito
dall'economista Aurelio Peccei come .un
giacimento virtuale* che, se si sfruttasse,
«già nei prossimi dieci anni, in Italia, si
potrebbe guadagnare un 15% e andare assai
oltre (forse al doppio) prima del fatidico
duemila. Altri calcoli, come quelli della
World Energy Conference, danno addirittura per i paesi sviluppati un risparmio vicino al 50% del consumo totale intorno al
2020»14. Cifre nettamente superiori a quelle
ottenibili con i previsti programmi nucleari.
Le fonti alternative sono il carbone,
l'energia idroelettrica, il calore solare,
l'energia eolica, la forza delle maree e la
fusione nucleare. Mentre per quest'ultima si
p u ò ., parlare per ora solo di progetti di
studio e non è detto ancora se potrà presentare requisiti accettabili, per la forza delle
maree e quella del vento sono in sperimentazione o in costruzione prototipi d i centrali la cui efficienza, a parte situazioni locali,
è da accertare. Le realizzazioni per lo sfruttamento del calore solare, affermano i suoi
sostenitori, sono rimaste indietro solo perché, nonostante le enunciazioni e le premesse, non hanno mai goduto di programmi impegnati e di finanziamenti adeguati:
ancora oggi, per esempio, nell'ambito del
C N R , contro i 50 miliardi del progetto
finalizzato ~Energetica., gli stanziamenti
per quattro o cinque anni per l'energia solare ammontano appena a 6 , 5 miliardi6. I1
Giappone, che al pari dell'Italia ha subito
un forte sviluppo industriale e come l'Italia
è povero di fonti energetiche, punta
sull'energia solare in modo massiccio, gli
USA stanziano per essa fondi non molto
inferiori a quelli destinati al nucleare, prevedendo centrali sperimentali a brevissima
scadenza e centrali di potenza prima del
2000, in Germania è già in atto un investimento di 2000 miliardi di lire per impianti.
L'energia solare è abbondante, è accessibile a tutte le nazioni, p u ò essere sfruttata
sotto differenti forme (termica, chimica,
elettrica) e le tecnologie di conversione si
prestano ad essere realizzate su qualsiasi
scala, ma soprattutto non comporta nessun
rischio e n o n minaccia di alterare in alcun
modo l'equilibrio termico globale anche se
impiegata diffusamente su tutta la superficie
terrestre. I raggi solari possono essere utilizzati per la trasformazione in energia termica, per ottenere acqua a teinperature inferiori ai cento g a d i , quindi sufficienti per
larghi usi di massa come il riscaldamento o la refrigerazione - di ambienri (che in
glugno 1979
COMUNI D'EUROPA
CXVII
d o p o il Congresso d i Monaco
1 sindacati e l'Europa
a cura di Luigi Troiani
I1 segno grafico che ulanciò~la prima
giornata d'azione dei lavoratori s u scala
europea, convocata dalla CES il 5 aprile
1978. Da allora è stato il simbolo delle
più qualificate iniziative della CES, tra
cui il Congresso di Monaco.
Cinque domande al segretario generale della
CES Mathias Hinterscheid
Intervista a ciira di Sigrid Esser
I - I giudizi espressi sul Congresso della
C E S , sottolineano in genere che a Monaco è
avvenuto u n salto d i qualità. Si è detto che
la C E S si è dotata d i una struttura che
potrà in futuro meglio aggregare l'azione
dei vari sindacati in Europa. Piii ruolo dirigente quindi per la C E S negli anni 'SO. E'
giusta questa analisi e nella pratica in cosa
potrà consistere u n ruolo piii «dirigista» della CES?
I1 Congresso di Monaco ha segnato certamente un grande passo in avanti per la
CES che è ora pronta ad assumersi un più
specifico ruolo dirigente. Nell'ambito della
nostra Confederazione esistono già le strutture amministrative ed operative adatte. Si
tratta d i usarle per la realizzazione dei compiti ben definiti (il problema dell'occupazione, l'elaborazione di un programma-quadro
per la formazione professionale, problemi
specifici come quello dei lavoratori nella
siderurgia, ecc.), che il congresso ci ha affidato. O g n i forma di .<ruolo dirigente. va
comunque sempre considerata nell'ambito
della situazione tuttora esistente, che assegna alle organizzazioni nazionali il compito
d i assumere decisioni e deliberare le attività
da svolgere.
2 - N e i prossimi anni la C E S dovrà portare a realizzazione le piattaforme contenute nelle risoluzioni finali approvate. Esse
sono da taluni giudicate generiche. C o m e
pensa si possa superare lo iato, indubbiamente esistente, tra le formulazioni d i largo
respiro delle risoluzioni, e le necessità impellenti dellazione quotidiana contro la disoccupazione e per l'uscita dalla crisi?
Va fatta una distinzione. I1 programma
d'azione varato a Monaco contiene punti in
un certo senso molto vaghi ma al tempo
stesso contiene indicazioni concrete riguard o al programma di medio termine. L'insieme della risoluzione generale e delle risoluzioni specifiche (v. appresso n.d.r.1 forma
un quadro concreto che definisce il lavoro
da svolgere nei prossimi anni. Spetta al
Comitato esecutivo elaborarne in dettaglio
il programma di attuazione. Riguardo ai
mezzi d i lotta da usare non mi sembra che
possano darsi molti limiti; però dobbiamo
tener presente che il Comitato esecutivo ha
il potere di proporre e coordinare le azioni
di lotta, ma la loro realizzazione è demandata completamente alle organizzazioni nazionali. Naturalmente è auspicabile che il
ruolo rappresentativo della CES venga
rafforzato, in modo che possa parlare a
nome di tutte le organizzazioni aderenti e si
possa così procedere ad un coordinamento
globale e più incisivo delle singole azioni
nazionali.
I1 problema centrale da affrontare è
senz'altro quello occupazionale, e lo dobbiamo affrontare attraverso la riduzione
dell'orario d i lavoro. Le esperienze raccolte
fino ad oggi mostrano che la politica econo-
mica non offre strumenti validi per ristabilire una situazione di piena occupazione delle
forze di lavoro. C i sembra inevitabile considerare la redistribuzione del lavoro disponibile, e quindi la riduzione dell'orario di
lavoro, come uno degli strumenti più adeguati a risolvere i1 problema dei quasi sei
milioni d i disoccupati nella Comunità.
Devo aggiungere che questa lotta per la
riduzione dell'orario di lavoro costituisce
per noi una prova. Essa ci offre l'occasione
di vedere se e in quale misura esistono nelle
organizzazioni aderenti alla C E S e nella
C E S stessa, volontà e capacità politiche atte
a portare avanti una lotta che non assumerà
soltanto caratteristiche economicistiche, ma
andrà ad incidere sulla stessa struttura sociopolitica dei nostri paesi.
COMUNI D'EUROPA
3 - L'ispirazione e la pratica europeista
della CES sono fuori discussione. Il risultato
delle elezioni per il Parlamento europeo mostra un'Europa che si sposta verso il centrodestra. Ciò non dovrebbe far piacere alla
CES che aveva lanciato un appello ai lavoratori per una partecipazione di massa al
voto. Cosa può significare per la CES il
risultato elettorale?
Vorrei definire innanzi tutto il ruolo del
concetto ~europeista. della nostra Confederazione. Tutti i sindacati membri della CES
sono certamente favorevoli ad una integrazione dell'Europa, ma non esiste una posizione unitaria di fronte alla questione del
grado, del metodo e degli obiettivi di questa integrazione. Esiste, comunque, una opposizione decisa contro l'attuale modello di
integrazione seguito dalle Comunità europee.
I risultati delle elezioni per il Parlamento
europeo non ci soddisfano assolutamente,
in primo luogo dal punto di vista della
partecipazione al voto, anche se si deve tener conto della differenza tra le percentuali
di votanti nei sei paesi della .vecchia» C o munità e negli altri.' Va riconosciuto che, in
genere, gran parte dei lavoratori si è astenuta dal voto, fatto che ha influenzato l'esito
della consultazione. C i preoccupa naturalmente lo spostamento del voto verso i partiti conservatori e soprattutto l'avanzata
della CSU e dei liberali francesi. Un giudizio positivo deve comunque essere formulato sulla netta sconfitta delle forze contrarie
allo sviluppo dell'integrazione europea.
Vorrei ricordare che già prima delle europee, noi sindacati abbiamo diffidato energicamente dall'usare l'appuntamento
eletto..
rale per distogliere l'attenzione dei lavoratori dai grandi problemi cui si confrontavano.
Dobbiamo awertire di nuovo che bisogna
tornare a concentrare tutte le nostre forze
su queste questioni che richiedono soluzioni immediate.
4 - In particolare tre paesi meritano un
giudizio: la Gran Bretagna per la scarsa
partecipazione dei lavoratori al voto, l'Italia
per la ragione contraria, la Repubblica Federale di Germania per il ruolo &da che
esercita nella Comunità.
La tendenza allo spostamento del voto
elettorale verso destra era stata percepita in
tutti i paesi della Comunità nelle recenti
tornate elettorali nazionali: così in Gran
Bretagna, in Lussemburgo e, anche se in
misura minore, in Italia. Una delle cause di
questo trend va cercata nell'atteggiamento,
in genere piuttosto conservatore, tenuto dai
mass-media. Gli scarsi mass-media di cui
dispone la sinistra si sono mossi con g a n d e
ritardo; avrebbero dovuto incominciare il
lavoro di graduale informazione e propaganda, molto ma molto prima.
Per quanto riguarda il risultato elettorale
nella Repubblica Federale di Germania non
mi sembra sia il caso di derivarne conclusioni valide su scala europea. Come già
detto, dobbiamo proporre un'analisi integrata del voto europeo, cioè del flusso elettorale globale, per poter poi lavorare al
livello europeo con una strategia estesa a
tutti i paesi membri.
5 - Un'ultima domanda per la nostra
rivista. N o n c'è parola nei documenti approvati a Monaco sul ruolo di Comuni, Regionz
e autonomie locali in genere, né sulle-interrelazioni che il sindacato potrebbe stringere
con questi enti territoriali e politici. E' nella
natura d i tali Enti la realizzazione della
upartecipazione» dei cittadini. U n sindacato
che ignorasse tale realtà potrebbe giustamente venire tacciato d i verticismo, centralismo, burocratismo, d i una visione dello
Stato e dei Governi come uniche ucontroparti» con cui trattare: il sindacato ha una
struttura territoriale, locale, non deve porla
in ombra.
I sindacati hanno delle strutture territoriali e proprio questa strutturazione implica
all'interno delle organizzazioni il principio
della visione del lavoro. Le lotte sindacali
giugno 1979
che riguardano una determinata area vengono condotte dagli organismi sindacali locali,
che trovano, tra i loro interlocutori naturali
anche gli enti locali e regionali. Al livello
europeo il principio della divisione del lavoro si accentua ancora di più: una confederazione sindacale europea non può e non
deve occuparsi direttamente di interessi circoscritti di operai di questa o di quella zona
dell'Europa e perciò non può essere compito di questa confederazione transnazionale
entrare in contatto con i singoli enti territoriali. Tuttavia si sta awiando la collaborazione, non formalizzata, tra varie strutture
sindacali territoriali in forma di conferenze
tra grandi città, conferenze su ,problemi
transfrontalieri, ecc. Come Confederazione
europea né vogliamo essere verticisti, né
lavoriamo con principi centralisti o burocratici. Spetta però alle strutture sindacali
regionali sviluppare le proprie attività locali,
non alla CES. Nonostante ciò sarebbe interessante - e certamente auspicabile - un
contatto tra i rappresentanti europei delle
autonomie locali e quelli dei lavoratori, ma
un tale interscambio di idee ed informazioni
si dovrebbe svolgere, oggi come oggi, ad un
livello puramente informale.
I l significato del Congresso di Monaco
Nata da una scommessa sulla possibilità
di far superare ai lavoratori del continente
più bellicoso della storia umana le animosità
della guerra fredda, la Confederazione europea dei sindacati ha innovato l'antico costume sindacale che vedeva nella spartizione
tra CISL internazionale (rappresentante dei
*liberi> sindacati del mondo ~libero*) e
FSM (rappresentante dei sindacati usocialisti») la sua caratteristica più precipua.
Il Congresso di Monaco ha aggiunto qualcosa di zmportante alla sua breve storia: ha
dato alla CES un programma di azione che
dovrebbe finalmente consentirle di uscire
dalle panie protocollari e semidiplomatiche
in cui troppo spesso si sono avviluppate le
sue iniziative, ha dotato il gruppo dirigente
di un presidente giovane e dinamico, W i m
Kok, la cui ambizione manifesta è portare
la CES al ruolo di *controparte. sindacale
per governi e imprenditori dei paesi del
continente, ha mostrato di saper essere dura
nei confronti dei governi come si addice a
un sindacato di lotta.
La C E 5 costituisce un fenomeno innovativ o per molte ragioni. N o n da ultimo corrisponde probabilmente meglio d i ogni altra
associazione transnazionale operante su scala
europea all'esigenza d i superare i ritardi stodel consenso multirici dell'o~~anizzazione
laterale su scala globale nell'Europa occidentale. Nella CE5 operano organizzazioni sindacali di paesi membri e non delle Comunità europee, costituendo un ottimo esempio
del modo di estendere la prassi europeista
sino ai limiti storicaraente possibili per I'èra
contemporunea, s t m t e la marcata li~zea d i
frontiera sull'Oder-Neisse. La pressione che
i sindacati operanti sul territorio comunitario e la CES nel suo insieme stanno conducendo perché migliori relazioni si svilnppino tra CEE e E F T A e perché I'EFTA
ampli il suo spazio di intervento a favore
dei lavoratori, è un primo effetto d i questo
ruolo della CES. Altri potrebbero venirne se
il «peso» della CES si accrescerà nei confronti delle sue controparti.
L'organizzazione sindacale europea deve
respingere due rischi: da una parte le offerte
di uannegarsi» nelle istituzioni accettando di
condurre sempre e comunque la trattativa al
livello d i «partnershipu con le altre forze
sociali, dall'altra le immotivate asprezze di
«sindacato di lotta* che mai potrà divenire
per la sua stessa natura sovranazionale.
I documenti e i commenti che qui vengono riportati danno un quadro, si spera eskuriente, di ciò che ha prodotto il Congresso di
Monaco. L'intentìsta al segretario generale
della CE5 fa il punto sulla situazione sociale
e politica europea, illustra le prospettive
dellazione sindacale davanti alla perd~rrznte crisi, spiega l'assenza di un piano di relazioni del sindacato europeo con le asctoPzomie locali.
Comuni e Regioni sono nate all'ilzseg:za
della partecipazione popolare e del decerztramento verso la perife~in. Il sindacato europeo risponde per sua natfira ad ambedue le
esigenze e lo dichiara nei stroi documenti del
Congresso di Monaco. Necessita un fecor!do
dialogo tra forze dell'autonoi.ak e del Iavoro: l'integrazione europea è obiete-ivo prioritario per ambedue.
COMUNI D'EUROPA
giugno 1979
CXIX
saggio
Le grosse questioni dei sindacati europei
di Giancarlo Meroni
responsabile dell'Ufficio internazionale della CGIL
zionali sui fattori economici e sui flussi
monetari. Questi hanno strategie e mezzi di
azione con cui affrontare su un orizzonte
planetario problemi cruciali come quelli dei
trasferimenti di risorse e di tecnologie, dello
sfruttamento delle materie prime, dell'organizzazione dei mercati e dei fattori di produzione che governi e sindacati stentano
persino ad individuare.
A queste sfide sociali e politiche, oltre
che economiche, era chiamato obbligatoriamente a rispondere anche il terzo congresso
statutario della CES tenutosi a Monaco dal
14 al 18 maggio 1979. L'attenzione inusitata
prestata dalla stampa e dall'opinione pubblica a questo congresso sindacale internazionale ha rispecchiato il clima di attesa e di
tensione che rimbalzava dai diversi paesi.
Proprio in questo periodo, infatti, dopo la
caduta del governo laburista, si formava un
governo conservatore in Inghilterra che
iscriveva nel proprio programma il ridimensionamento del sindacato e le parole d'ordine liberistiche già sperimentate in Francia
ed in Olanda. In Italia lo scontro sui contratti si intrecciava con la crisi di governo e
la messa in discussione da parte del padronato e di molte parti politiche di ogni principio di programmazione e di partecipazione democratica alle scelte economiche. In
Danimarca i sindacati contestavano i piani
di austerità del governo socialdemocratico e
nella stessa Germania la dura battaglia nella
siderurgia e nella metalmeccanica per la riduzione dell'orario, conclusasi con un risultato inferiore allo sforzo prodigato, ed il
dibattito sulla serrata e sulla cogestione indicavano l'inizio di una svolta nelle relazioni industriali ed anche difficoltà politiche
non secondarie. In Belgio ed in Francia non
si era ancora spenta l'eco della tensione,
talvolta violenta, sulla riconversione dell'industria siderurgica, con le migliaia di disoccupati e le polemiche nazionaliste che ne
sono seguite e sulla riduzione dell'orario di
lavoro. E proprio nel bel mezzo del congresso è venuto «lo schiaffo. della decisione
del Consiglio dei ministri comunitari sulla
proposta sindacale di promuovere una politica di riduzione del tempo di lavoro come
strumento per una più ampia strategia di
sviluppo della occupazione. Fatto aggravato
dal rigetto del piano presentato dalla Commissione per la riconversione della industria
siderurgica in materia di orario e di occupazione.
La CES si presentava a questo congresso
con le sue organizzazioni in gran parte mobilitate su obiettivi sindacali non puramente
redistributivi,
ma collegati ad una strategia
La CES, Confederazione europea dei sinda.
più
generale:
quella
del rilancio della occucati, raggruppa 31 confederazioni sindacali
pazione
mediante
misure
specifiche e p'rodi 18 paesi dell'Europa occidentale e conta
grammate
per
far
fronte
alle politiche di
40 milioni di lavoratori sindacalizzati.
riconversione messe in atto da governi e
I sindacati europei si trovano di fronte
a tre grosse questioni pratiche e teoriche:
quella dell'uso <'politico,, del potere conquistato nella società nei confronti delle
istituzioni, dei partiti e dei governi; quella,
connessa alla prima, dell'adattamento dei
classici strumenti e contenuti dell'azione rivendicativa allo stallo del meccanismo di
sviluppo che si traduce in una rincorsa affannosa fra disoccupazione e inflazione,
mettendo in crisi il sistema di distribuzione
e trasferimento del reddito ed il controllo
sul mercato del lavoro; quella, infine, della
internazionalizzazione crescente dell'economia e dei centri di potere decisionale in
materia economica e monetaria sia a livello
di imprese che di istituzioni.
Le forme ed i tempi d.i reazione delle
singole organizzazioni nazionali a queste
sfide oggettive sono diversi e risentono delle condizioni particolari in cui ciascuna di
esse opera. Ma vi è indubbiamente un filo
conduttore che la integrazione e la complementarietà crescente delle economie e il
processo di omogeneizzazione dei sistemi
sociali e istituzionali tendono ad annodare
sempre più strettamente. Se non bastassero
fattori macroscopici come la crisi energetica, espressione non solo del mutamento dei
rapporti di scambio e di quelli politici fra
paesi trasformatori e no, ma anche di penurie reali sul medio e lungo periodo e del
consolidarsi del fatto che la crescita, se non
mutano i rapporti sociali e i sistemi di
priorità economiche, non può che avvenire
a costi crescenti, intervengono, ora, anche
elementi politici. Appare sempre più evidente che la soluzione del rebus si trova nel
modo di orientare e gestire l'economia e
quindi nei rapporti di forza fra le classi
sociali. L'emergere del cosiddetto neoliberismo economico e la proclamazione, fatta
anche nel recente manifesto degli imprenditori europei, del ruolo centrale dell'imprenditore riconducendo potere pubblico e sindacato nell'orbita della cosiddetta efficienza
economica, non è solo uno spauracchio ideologico, ma una realtà politica e governativa
che cerca di affermarsi in paesi come la
Francia, l'Inghilterra, l'Olanda, la Spagna,
il Belgio e persino la Svezia. Di Guido
Carli ve ne sono molti in Europa ed alcuni
hanno, forse, più influenza di lui sulle decisioni concrete che vengono prese giornalmente nei rispettivi paesi. E il potere dei
grandi gruppi multinazionali cresce in proporzione al diminuire dell'efficacia degli
strumenti di controllo nazionali e interna-
'
imprese e alla incapacità della economia di
mercato ad uscire spontaneamente dalla
crisi.
I documenti congressuali non avevano,
quindi, principalmente un valore programmatico, orientativo, già di per se stesso
importante, ma il carattere di vere e proprie
piattaforme di azione sindacale su cui milioni di lavoratori erano mobilitati. Vi era in
tutti la chiara coscienza che non si veniva a
Monaco a dibattere questioni teoriche, ma
il modo con cui concertare una linea di
azione allo scopo di non andare allo scontro in ordine sparso - come era parzialmente avvenuto nelle prime azioni sulla riduzio:
ne dell'orario di lavoro - e di trasferire sul
piano europeo una battaglia che rischiava di
essere perdente se limitata alla dimensione
nazionale. Questa preoccupazione appare in
modo ossessivo negli interventi dei principali leaders sindacali europei, da Vetter a
Lama, da Maire a Murray, per non citarne
che alcuni. E questo era il senso del richiamo di Vetter, presidente uscente della CES
e capo della DGB, alla necessità di trasferire poteri dalle organizzazioni sindacali nazionali a quella sovranazionale. Quando si
hanno obiettivi comuni ed una comune
strategia, la conduzione della lotta non può
essere lasciata esclusivamente alle decisioni
di ciascuna organizzazione. I1 problema è
quello della articolazione, dell'adattamento
alle diverse realtà, ma occorre tenere presente che l'interlocutore ragiona secondo
criteri sovranazionali e che bisogna evitare
il g i ~ c odel rimpallo e della divisione (che
qualche sindacato europeo non è riuscito o
non ha voluto evitare) fra gli Stati e fra
questi e le istituzioni comunitarie. E' questa
una condizione che i lavoratori della siderurgia, della chimica, dei cantieri navali e
tessili cominciano a conoscere bene.
Decisivo è, quindi, risultato il dibattito
su due questioni: 1) la definizione di una
strategia generale articolata su obiettivi sindacali precisi sui quali poter condurre azioni concrete; 2) l'apprestamento degli strumenti e delle strutture capaci di dare alla
CES una effettiva capacità di guidare, insieme ai sindacati membri, la lotta da sviluppare.
Sul primo punto la CES è venuta elaborando una piattaforma ampia, particolareggiata e concreta, sperimentata nell'azione da
ciascuna organizzazione nazionale. I documenti congressuali affrontano tutti i principali temi della strategia sindacale attuale: la
programmazione della piena occupazione,
la democrazia economica, le condizioni di
vita e di lavoro, le multinazionali, la politica agricola e quella industriale, la questione
giovanile e femminile, la cooperazione internazionale. Sarebbe fuori luogo descrivere
tutti i punti salienti di questo disegno. Pre-
CXX
me qui mettere in rilievo le risposte indicate
come idonee ad affrontare la sfida economica, sociale e politica di cui si è fatto cenno
all'inizio di questo articolo.
E' significativo a questo propos~toche la
CES ponga al centro della sua strategia la
pianificazione del pieno impiego. E', infatti,
assodato da alcuni anni che il ripristino
della piena occupazione non p u ò avvenire
semplicemente attraverso il rilancio della
domanda e i meccanismi spontanei del mercato, anche se corretti dall,intervento pubblico di sostegno secondo i precetti keynesiani. v i si oppongono i contrastanti interessi fra i lavoratori, che tendono a mantenere elevati i livelli di reddito e di trasferimento e a esercitare il controllo sulla organizzazione del lavoro e sul mercato della
manodopera, e quelli degli imprenditori,
che tentano di sottrarsi a questi vincoli,
elegantemente chiamati lacci e lacciuli, e a
ripristinare il profitto e il potere decisionale
del capitale come parametri dello sviluppo.
La richiesta della CES rovescia i termini
tradizionali della filosofia' economica, accettata anche da alcuni sindacati nel passato,
che fondano sullo sviluppo del reddito, attraverso la crescita della produttività e della
domanda globale, la soluzione del problema
occupazionale. L'occupazione diviene, invece, la misura e la condizione per la definizione delle politiche specifiche di sviluppo.
Nella risoluzione finale si dice esplicitamente che <<lapiena occupazione (bisogna che)
.
COMUNI D'EUROPA
e iniziative nazionali e settoriali. N o n vi è
da stupirsi se esso ha avuto una particolare
eco nel dibattito. Su di esso lo scontro a
livello nazionale ed europeo è in corso. Ciò
che è importante è che questo punto rivendicativo viene inteso come un elemento della politica di programmazione economica e
che,. quindi, la strategia contrattuale viene
messa al servizio di un disegno più generale. E' questo un segno del mutamento della
natura e della concezione dello strumento
contrattuale e, quindi, del sindacato in ge-
Una tale strategia concreta per lo sviluppo dell'occupazione e per l'orientamento
delle diverse politiche economiche settoriali
e delle rivendicazioni contrattuali esige una
direzione coordinata dell'azione sul piano
eur-opeo. D a qui la novità della proposta di
muoversi verso veri e propri accordi-quadro
generali e settoriali da negoziarsi con gli
imprenditori e con le istituzioni comunitarie.
I1 sindacato europeo individua, dunque, i
suoi interlocutori sociali e politici e tratteggia il quadro di una azione sindacale classica da condursi in modo articolato sui diversi piani nazionale, settoriale, comunitario.
L'importanza di questa scelta potrà rivelarsi in tutte le sue potenzialità, particolarmente nei settori in crisi ed in via di ristrutturazione consentendo di contrapporre una
visione sindacale internazionale a quella dei
governi e del padronato. Già i primi effetti
di questa scelta si sono mostrati nel corso
diventi
primo
politica ecodella riunione del Comitato dell'occupazionomica e (che) si discutano regolarmente
ne (organo [ripartito della CEE) a Bruxelles
con il movimento sindacale piani e proil 22 maggio scorso. In quella occasione la
grammi generali che pongano in opera miCES ha, infatti, abbandonato la riunione
sure selettive e generali e direttive per gli
dopo aver constatato la non volontà politica
investimenti.. E a questo proposito si indidel Consiglio dei ministri comunitari e del
cano come misure specifiche: l'intervento
padronato europeo di dare I'awio a misure
posti di lavoro
cam- di riduzione dell'orario di lavoro. E da
pubblico per
p0
produzione e
creazione di
questa decisione non si potrà non trarre le
servizi collettivi, il controllo dello sviluppo
logiche conseguenze.
le politiche di
U n secondo tema S U cui vi è stato un
occupazione per settori specifici, il rafforzapronunciamento politicamente rilevante da
mento
politiche
e
parte del congresso è quello della democraanche
piano
zia economica. Su questo argomento, è noreddito dei disoccupati.
to, vi sono diverse esperienze in Europa,
In questo quadro di misure generali e
ma ciò che è importante è l'affermazione di
specifiche di ~rogrammazionedella occupaprincipi comuni che mettono in discussione
zione si inserisce la rivendicazione della ri1, classiche concezioni liberistiche dello sviduzione dell'orario di lavoro. Questo tema,
luppo. Si afferma, infatti, nella risoluzione
che ha avuto un particolare rilievo anche
finale, che «la CES opererà affinché i lavoper il fatto che è oggetto di azioni sindacali
e i loro rappresentanti abbiano un
in tutti i paesi europei, non costituisce,
peso decisivo a tutti i livelli della vita ecoquindi, per la CES il solo e determinante
nomica e in n articolare nelle aziende e posobiettivo per creare occupazione.
sano partecipare alla definizione delle scelte
Esso acquisisce una particolare importane al controllo della loro attuazione,,. Certo
za come elemento rivendicativo concreto e
la definizione è ancora vaga, ma indica una
in quanto la sua applicazione con risultati
linea di comportamento che è sostanziata da
efficaci dipende soprattutto dalla possibilità
esperienze avanzate in diversi paesi e, nello
di estenderne gli effetti in modo coordinato
stesso tempo, contrappone I'affermazione
e omogeneo a tutti i paesi comunitari. Aldel ruolo del sindacato e dei lavoratori nelle
trimenti il rischio è quello che sia vanificato
scelte e nelle decisioni a tutti i livelli della
dagli squilibri territoriali e settoriali esistenvita economica ai tentativi del padronato di
'
restaurare il predominio dell'imprenditore e
ti nei diversi paesi.
dei rnanagers.
Si tratta di una questione delicata perché
H o citato questi due temi in quanto sinmette in discussione abitudini contrattuali e
tornatici di un processo di adeguamento del
interessi consolidati (questione dello straorsindacato alla sfida che viene dalla crisi e
dinario) dei singoli sindacati nazionali e imdalle
forze economiche e politiche moderate
pone un coordinan'iento fra azione generale
giugno 1979
e conservatrici europee. Ma il dibattito congressuale è stato ricco di spunti importanti
anche su altre questioni significative come
le condizioni di vita e di lavoro, il problema femminile e giovanile su cui il programma approvato dal congresso compie un lavoro concreto di individuazione di contenuti precisi e realistici sui quali si può costruire un movimento di lotta.
E proprio questo punto, quello cioè
dell'approntamento di strumenti e strutture
capaci di dare alla CES i mezzi per sviluppare azioni concrete di lotta, è quello che
ha caratterizzato il dibattito congressuale.
Nessuno può ignorare le difficoltà di
condurre un'azione sindacale internazionale
con i mezzi classici della lotta sindacale e
gli ostacoli che possono venire da incrostazioni nazionalistiche e da concezioni diverse
del ruolo sociale e dei metodi d'azione del
sindacato. Di queste difficoltà si trovava
traccia nel progetto di risoluzione presentato al congresso che appariva, a questo proposito, ancora troppo timido. ed è stato
proprio il congresso, sotto l'impulso della
maggioranza delle organizzazioni ed in particolare di quelle italiane, a dare una spinta
decisiva verso impegni più stringenti in
questa direzione.
La risoluzione finale, infatti, impegna la
CES a promuovere azioni generali e a coordinare azioni nazionali di lotta sui punti
contenuti nel programma d'azione approvato dal congresso anche con veri e propri
movimenti di sciopero. nello stesso tempo
afferma la necessità di rafforzare i legami
con le organizzazioni di categoria e dà
mandato agli organi dirigenti eletti di definire rapidamente le procedure interne per la
realizzazione più efficace del programma
d'azione.
In questo modo si pongono le condizioni
per un adattamento anche della struttura
interna della CES. Su questo problema il
dibattito precongressuale era. stato vivace e
numerosi emendamenti erano stati presentati allo statuto, soprattutto da parte italiana,
olandese e belga. La maggior parte di essi
erano diretti a rafforzare il ruolo del segretariato e a migliorarne i metodi di lavoro,
altri a ribadire i legami con le organizzazioni d i categoria e ad adeguarne lavoro e
composizione alle esigenze e alla natura della CES. I1 congresso ha deciso, a questo
proposito, di accettare il principio dell'adattamento dello statuto, ma ne ha demandato
la pratica realizzazione ad un gruppo di
lavoro che verrà creato dal nuovo Esecutivo. E' tuttavia evidente che questo gruppo
di lavoro dovrà tener conto degli obiettivi
stabiliti nella risoluzione finale e nel programma di azione.
Questi gli orientamenti principali emersi
dal congresso rispetto alle direttrici strategiche lungo le quali dovrà organizzarsi il
lavoro pratico della CES e dei suoi sindacati. Sarebbe, però, ingenuo ritenere che le
decisioni prese siano facilmente e immediatamente applicabili. H o ricordato il quadro
politico e sociale in cui i diversi sindacati si
trovano ad operare e questo è già di per se
stesso un elemento cogente che ~ u influiò
re, negativamente o osi ti va mente, sul com-
giugno 1919
portamento delle diverse organizzazioni.
Molti sindacati saranno sottoposti a pressioni fortissime da parte dei loro governi e
potranno essere indotti a concentrarsi su
azioni difensive. D'altra parte l'acuirsi della
crisi energetica e la nuova ondata inflazionistica, coniugandosi con i problemi nazionali
di adattamento delle strutture produttive e
dei rapporti commerciali e monetari, possono far risorgere spinte protezionistiche e
nazionalistiche. Qualche caso clamoroso c'è
già stato, in Francia, sulla questione della
siderurgia. Sono, d'altra parte, note le posizioni della C G T e di altre organizzazioni
sindacali e politiche francesi riguardo alla
Comunità europea e al suo allargamento.
Infine, il crescere delle spinte moderate nei
governi europei accentua la crisi della C o munità e anche questo può essere un elemento di divisione potenziale fra gli interessi nazionali e quelli dell'insieme della classe
lavoratrice.
Ritengo, comunque, che gli elementi di
coesione e gli interessi comuni, cementati
dalle decisioni congressuali, tenderanno a
prevalere. Occorrerà, però, un lavoro continuo e paziente da parte di tutti e soprattutto una coerenza di comportamento e una
solidarietà attiva nella conduzione delle
azioni sindacali nazionali. Assai pericolose
sono le manifestazioni di scollamento fra le
organizzazioni nazionali soprattutto quando
fanno leva su discriminazioni politiche, come quelle che sono apparse, dispiace dirlo,
nell'atteggiamento della CISL italiana sulla
questione degli incarichi da ricoprire nell'Esecutivo della CES.
Così come sarebbe da considerarsi inquietante se gli organi esecutivi della CES
dovessero sollevare remore, non strettamente attinenti alla compatibilità con i principi
dello statuto e con i suo! programmi, all'entrata di grandi organizzazioni che hanno
chiesto l'adesione come le Commissioni
operaie spagnole, 171ntersindical portoghese
e la C G T francese.
E', comunque, di buon auspicio che sia
l'ex presidente della CES Vetter, sia il nuovo
presidente, l'olandese Wim Kok, abbiano
ribadito la fine di discriminanti ideologiche
e la volontà di unire i sindacati europei
sulla base degli interessi comuni e della
volontà di aderire ai principi e ai programini concordati. A questi saggi principi occorrerà che si riferiscano anche coloro che
nella CES intendono operare.
I mesi e gli anni che si approssimano
saranno senza dubbio duri e difficili per il
movimento sindacale e per la classe lavoratrice. Essi dovranno fare uno sforzo creativo per adeguare i propri strumenti operativi
e concettuali ai nuovi compiti che li attendono.
E' sicuramente una garanzia non trascurabile che nel congresso della CES siano
stati fatti importanti passi in avanti per rendere più coerenti ed efficaci i comportamenti dei diversi sindacati europei e soprattutto per dare loro la necessaria dimensione
internazionale.
Su questa base si misurerà concretamente
l'internazionalismo e la solidarietà di classe
del movimento sindacale europeo.
COMUNI D'EUROPA
CXXI
Cronaca del Congresso
di Raul Wittenberg
della redazione d i «Rassegna Sindacale*
Gli organizzatori del congresso erano stuIl congresso s i è interrogato soprattutto
piti della quantità d i giornalisti, specie strasulle questioni reali: la crisi, i sei m2lioni e
nieri, che si accalcavano nelle ultime file di
mezzo d i disoccupati, i giovani in cerca di
tavoli, quelli riservati alla stampa, nel grande primo impiego, le donne, la riconversione
salone dell'hotel Sheraton d i Monaco. Era il produttiva, l'approvvigionamento di materie
terzo congresso dei sindacati europei, ma il prime in una economia essenzialmente traprimo ad avere tanta eco nei mass media, e sformatrice (e quindi dell'incombente esaurinon solo per l'imminenza delle elezioni eumento delle fonti tradizionali d'energia), i
ropee. In effetti elementi d i appetibilità per
rapporti col resto del mondo e in particolare
la stampa non mancavano. N o n tutti avecoi paesi in sviluppo. I principi dell'assoluta
vano letto gli undici capitoli del «progetto d i libertà d'impresa, dello sviluppo come conseprogramma d'azione., ma a tutti era chiaro guenza automatica del libero comporsi delle
che v i sarebbero state novità sull'atteggiaconvenienze del mercato, libero dai «lacci e
mento della CES (Confederazione europea
lacciuoli», hanno prodotto sei milioni d i
dei sindacati) verso la crisi, non pik traducidisoccupati, ha ricordato Vetter, sostenendo
bile nei soli defatiganti incontri con le istitula necessità d i una lotta attiva contro le
zioni comunitarie. Si sapeva, inoltre, che
razionalizzazioni non programmate. Viene
Heinz Oskar Vetter, tra i primattori della
avanti, in sede europea, il principio della
socialdemocrazia tedesca e leader del D G B
programmazione, e lo stesso Marianetti (se(Deutsch Gewertschaftbund Bundesvort, il
gretario generale aggiunto della C G I L , ora
potente sindacato della Germania federale),
nell'Esecutivo della CES) sottolineava, in
avrebbe lasciato a Monaco la guida del sinuna dichiarazione alla stampa, l'evoluzione
dacato europeo, di cui era presidente dalla
in questa direzione compiuta dal sindacato
fondazione (1973). Appetitosa anche la queeuropeo. Apprezzamenti erano espressi, nei
stione sull'ammissibilità delle domande penloro interventi, da Benvenuto ( U I L ) e da
denti di alcuni sindacati «comunistiu, come
Carniti (CISL).
la C G T francese e le Commissioni operaie
La novità di rilievo verte sulle forme
spagnole, in una CES nata dal superamento
d'azione della CES. In un documento ufdel progetto di regionalizzazione della CISL ficiale del sindacato europeo per la prima
internazionale. Per gli italiani si poneva in
volta si parla esplicitamente dello sciopero
particolare la questione della futura vice
come strumento per «piegare» le politiche
presidenza a sette, nella quale ci si poteva
economiche dei governi. La CES tende a
attendere la presenza del segretario generale
divenire più organizzazione, con grinta
della C G I L .
maggiore, che, senza sottovalutare il conSulla questione della vicepresidenza, Vet- fronto con le istituzioni, nemmeno trascura
ter dichiara che non esiste alcun veto «an- fazione per sostenere proposte e programmi.
ticomunista* da parte dei sindacati europei.
E' un augurio in questa direzione la nuoSpetta al sindacato italiano, in particolare
va immagine che assume il vertice della
alla CISL, che, con il passaggio d i Macario,
CES. Il nuovo presidente, l'olandese W i m
vicepresidente uscente, alla vita politica naKok, uno dei protagonisti dell'unità sinzionale e quello di Fabrizia Baduel Glorioso dacale nel proprio paese, è un giovanotto
dalla presidenza del Comitato economico e atletico d i quarantuno anni, la cui naturale
sociale della C E E al Parlamento europeo,
cordialità con tutti ispira subito gran simpaafferma di aver visto sminuire la propria
tia e grande dinamicità. A l centro del suo
«rappresentativita» europea.
disegno per l'azione della CES c'è il nodo
Sull'ammissibilità di nuovi sindacati nella
della crisi europea: la disoccupazione che,
CES si decide d i rimandare l'esame delle 18 come Kok indicava nel discorso di chiusura,
domande pendenti all'Esecutivo, che avrebminaccia le stesse istituzioni democratiche
be dovuto esprimersi.entro l'anno secondo i nei vari paesi d'Europa. E' tornato alla
criteri della rappresentatir~itàe della accettamente di chi ascoltava l'incubo della crisi
zione, da parte dei richiedenti, dei principi,
degli anni venti, con le tragedie che ha
dello statuto e del programma della CES. Si prodotto in Europa. Lotteremo «con le unnoti che la C G T francese (al contrario degli ghie e coi denti., ha detto Kok, per evitare
altri) non ha fatto molto per dimostrare tale
che gli effetti della crisi ricadano interamenaccettazione con irose polemiche condotte,
te sui lavoratori europei. Padronato e Coproprio durante il congresso, contro la CES munità sanno con chi dovranno confrontarsi
e in particolare contro Vetter.
nei prossimi anni.
Risoluzione Generale
Monaco d i Baviera, 18 maggio 1979
In questo momento difficile - nel quale
la crisi economica colpisce tutti i lavoratori
- la CES constata che in molti paesi europei
si sviluppa una possente lotta, non solo per
la difesa del~'occupazione e del potere di
acquisto dei lavoratori, ma soprattutto per
imporre ai governi e ai datori di lavoro una
nuova politica economica che garantisca il
diritto al lavoro e respinga ogni attacco alle
conquiste sociali e ai diritti sindacali ottenuti con dure lotte.
Sulla base del Programma di azione adot-
CXXII
tato dal congresso, gli obiettivi prioritari
della CES per i prossimi tre anni saranno:
2. Pianificazione della piena occupazione
Il diritto ad una occupazione sicura liberamente scelta che garantisca lo sviluppo
individuale della personalità e una completa
partecip~zione alla vita sociale e politica è
un diritto umano fondamentale. Per tale
motivo la CES continuerà ad esercitare
pressioni sui governi, sui datori di lavoro e
sulle istituzioni europee, affinché la piena
occupazione diventi i'obiettivo primo della
politica economica e affinché essi discutano
regolarmente con il movimento sindacale
piani e programmi generali che pongano in
opera misure selettive e generali e direttive
per gli investimenti al firie di:
- creare posti di lavoro in tutti i settori
dell'economia, sia pubblica che privata, sia
nel campo della produzione sia in quello
dei servizi collegati ai bisogni collettivi;
- controllare che il livello generale
della domanda sia mantenuto a livelli compatibili con la iotta contro la disoccupazione, allo scopo di realizzare la piena oczupazione ;
-rafforzare le politiche occupazionali
per lo sviluppo di occupazioni specializzate
e il miglioramento delle prospettive di
impi~go;
- fare i11 modo che si sviluppino anche
a livello nazionale ed europeo politiche industriali e regionali;
-assicurare che coloro ai quali la società non procura un lavoro ricevano almeno
igna indennità economica che permetta loro
di mantenersi ad un livello di vita ragionevo!e.
I1 congresso raccomanda che il Comitato
esecutivo crei un comitato permanente per
le questioni economiche al fine di preparare
lo specifico contributo della CES alla pianificazione della piena occupazione.
2. Riduzione dell'orario di lavoro
La CES ricerca un mezzo o un insieme
di mezzi da utilizzare per il raggiungimento
in un prossimo futuro di una riduzione del
10 per cento dell'orario di lavoro, senza
perdita di salario:
- con una riduzione della settimana lavorativa a 35 ore;
- con un prolungamento delle ferie annuali a 6 settimane;
- con la concessione della pensione intera a 60 anni;
- con un prolungamento della scolarizzazione obbligatoria a 16 anni e la estensione dei permessi per la formazione professionale ed altra formazione permanente.
Su problemi specifici, come ad esempio
l'introduzione della 5" squadra per i lavoratori a turno continuato. La CES opererà a
favore della loro soluzione nel corso degli
incontri che avranno luogo nel quadro della
Comunità europea.
3. Difesa , e miglioramento del livello di
vita
I1 movimento sindacale europeo si opporrà agli attacchi contro i salari, gli emolu-
COMUNI D'EUROPA
giugno 1979
menti e le conquiste sociali dei lavoratori e
opererà per il miglioramento del livello di
vita in particolare di coloro che sono meno
pagati, e per la realizzazione di una distribuzione più equa dei redditi e delle ricchezze.
La CES respinge i mezzi impiegati per
combattere l'inflazione, in particolare quello di una generalizzata restrizione dell'evoluzione dei salari.
4. Democratizzazione dell'economia
La CES opererà affinché i lavoratori e i
loro rappresentanti abbiano un peso decisivo a tutti i livelli della vita economica, e
cioè in tutte le aziende e possano partecipare alla definizione degli obiettivi e al controllo della loro realizzazione.
Tutte le imprese nazionali e multinazionali devono essere responsabili nei confronti dei sistemi sociali in cui operano, nonché
davanti ai lavoratori che in esse lavorano.
La CES stabilirà una stretta collaborazione con altre organizzazioni sindacali internazionali democratiche, affinché siano introdotte norme internazionali di comportamento applicabili alle società multinazionali.
La CES riconosce che le strade per raggiungere la democratizzazione della economia possono variare da paese a paese.
La CES sosterrà le proprie organizzazioni nel loro impegno a completare gli sforzi
intrapresi, nei loro rispettivi paesi, per la
democratizzazione dell'economia.
5. Miglioramento
lavoro
delle
condizioni
di
La CES ribadisce il diritto dei lavoratori
ad una occupazione che permetta lo sviluppo della loro personalità individuale e collettiva e che stimoli la creatività.
Essa opererà per:
- l'abolizione di forme di organizzazione del lavoro chc degradano gli uomini e le
donne a livello di semplici esecutori e danneggiano la loro salute fisica e psichica;
- una utilizzazione delle evoluzioni tecnologiche imperniata sul miglioramento delle condizioni di lavoro;
- attuazione di procedure di prevenzione coiitro i rischi industriali.
Infine, la CES ribadisce che la determinazione di condizioni di lavoro e la loro
modifica sono in primo luogo di competenza dei lavoratori e delle lavoratrici e delle
loro organizzazioni sindacali, che devono
poter intervenire in modo efficace su tale
questione.
6 . Riforme delle politiche agricole
La politica agricola dovrebbe essere riesaminata ed adattata sia alle esigenze dei lavoratori, che a quelle dei produttori e a quelle
dei consumatori. In questa ottica, la CES
ripropone la sua urgente richiesta alla C E E
di convocare una conferenza sulla riforma
della politica agricola comune, allo scopo di
formulare una politica dell'alimentazione
comune nell'ambito della CEE.
Sarà necessario tenere conto:
- del diritto dei lavoratori agricoli al
miglioramento delle loro condizioni di lavoro e di reddito e del fatto che essi sono
organizzati a livello europeo;
- del diritto dei lavoratori in generale
ad avere, in qualità di consumatori, prodotti alimentari di buona qualità a prezzi ragionevoli e, in quanto contribuenti, al diritto di non dover sopportare il costo di una
politica di sperperi;
- della necessità di promuovere I'occupazione nelle zone rurali e di realizzare un
migliore equilibrio regionale.
E' quindi necessario integrare le politiche
agricole con le politiche sociale e regionale
allo scopo di modificare le politiche dei
prezzi agricoli e migliorare le politiche delle
strutture agricole. La politica agricola comune della C E E dovrà, più in particolare,
essere riformata e adattata affinché essa porti dei benefici sia ai lavoratori che ai produttori agricoli, ed ai consumatori.
7. Politica energetica globale
La CES richiede la messa a punto di una
politica energetica a breve, medio e lungo
termine.
La CES ritiene indispensabile che la politica energetica si occupi degli aspetti legati
all'approwigionamento ed al costo, nonché
di quelli relativi alla sicurezza e al tenore di
vita. E' inoltre indispensabile che essi siano
coordinati a livello europeo. E' necessario
porre l'accento sugli aspetti economici e
sulle fonti di energia alternative, che dovranno essere ulteriormente sviluppate. Tale
politica d'insieme dovrà essere discussa sotto I'egida delle istituzioni europee fra governi, datori di lavoro e lavoratori.
8. Più efficaci politiche regionali
E' opinione della CES che è ormai arrivato il momento di formulare ed imporre in
Europa politiche più concrete che contribuiscano in modo effettivo al superamento
delle grosse differenze che sussistono fra le
regioni europee.
In particolare la CES in seno alla Comunità europea rivendica:
- un considerevole aumento dei mezzi
finanziari del Fondo europeo di sviluppo
regionale;
- un coordinamento efficace delle attività di tutti gli organismi finanziari della Comunità, incentrato sulle regioni più povere;
- un'estensione di questi aiuti alle regioni che presentano fenomeni di crisi di
natura strutturale;
- una partecipazione più diretta dei lavoratori e dei loro sindacati a tale politica,
ad esempio a livello di Comitato di politica
regionale o a livello di Consiglio di amministrazione della Banca europea degli investimenti.
9. Porre fine alle discriminazioni
La CES perseguirà programmi di azione
che mirino ad assicurare eguali diritti a tutti
i lavoratori e lavoratrici della nostra società.
In particolare essa si opporrà a che venga
rimesso in causa il diritto all'occupazione
femminile ed opererà per la parità di trattamento tra uoniini e donne.
glugno 1979
Essa farà attenzione a che i giovani non
siano condannati all'inattività o ad accettare
occupazioni non qualificate una volta completata la loro formazione scolastica o professionale.
Essa farà in modo che i lavoratori migranti non subiscano per primi gli effetti
della crisi, in particolare con rimpatri massicci ed ottengano diritti e garanzie equivalenti a quelli di cui godono i lavoratori
nazionali. Ciò implica inoltre il diritto di
voto alle elezioni amministrative del paese
di accoglimento dopo 5 anni di residenza.
La CES esigerà inoltre parità di diritti
per gli handicappati.
10. U n a politica che tenga conto degli
interessi dei consumatori
Allo scopo di difendere gli interessi dei
consumatori la CES metterà l'accento sulla
necessità di proteggere il potere di acquisto,
d i introdurre un sistema di controllo dei
prezzi, nuove protezioni giuridiche, qualora
i prodotti si rivelassero pericolosi o non
rispondenti alle norme; e sulla necessità di
migliorare qualitativamente i prodotti, i servizi e il periodo di durata dei prodotti;
sosterrà la proibizione ad usare additivi pericolosi, una migliore informazione, il controllo della pubblicità menzognera e la riforma delle strutture di distribuzione e di
produzione con una pianificazione democratica.
11. Miglioramento della qualità di vita
E' necessario migliorare il tenore di vita
dei lavoratori e delle loro famiglie:
- riducendo l'inquinamento e preservando le risorse rare;
- migliorando
l'habitat,
la salute,
l'istruzione, l'urbanizzazione e l'equilibrio
nello sviluppo delle città e delle regioni, i
servizi di trasporto e le attrezzature collettive;
- sviluppando le possibilità di utilizzo
del tcmpo libero;
- assicurando in modo globale un
orientamento della politica economica e industriale, in armonia con i bisogni sociali
prioritari.
12. N u o v o ordine economico e sociale internazionale
La CES opererà, d'intesa con altre organizzazioni sindacali internazionali democratiche, per la promozione della pace e del
rispetto dei diritti dell'uomo e dei dirini
sindacali ovunque nel mondo. Sarà necessario inoltre sviluppare il contenuto degli accordi di Helsinki, sulia base delle tre direttive ivi definite, in uno spirito di distensione.
La CES si rallegra sinceramente del fatto
che in Grecia, Spagna e Portogallo sia stata
ristabiiita la democrazia poiitica e sostiene
l'adesione di tali paesi alla Comunità. La
CES agirà affinché tale adesione contribuisca al n~igl.i.oramentodelle condizioni sociali
e del sisteina di relazioni industriali in quei
COMUNI D'EUROPA
paesi. La CES esige comunque che i governi dei paesi candidati prevedevano la partecipazione di interlocutori sociali ai negoziati
di adesione, senza la quale i legittimi interessi dei lavoratori di tali paesi non verrebbero presi in considerazione.
La CES opererà, sul piano europeo e
nazionale, per la realizzazione di una politica di cooperazione per uno sviluppo economico e sociale autonomo dei paesi in via di
sviluppo.
La CES, sulla base delle posizioni adottate dal congresso e dal Comitato esecutivo,
farà pressione per la conclusione di una
nuova Convenzione di Lomé, basata su relazioni più egiiali tra la C E E e i paesi A C P
(Africa, Caraibi, Pacifico).
La Convenzione dovrà, più in articolare:
- promuovere il rispetto dei diritti umani e sindacali;
- associare i sindacati della C E E e dei
paesi A C P al funzionamento della Convenzione;
- prevedere un maggiore aiuto per i
paesi ACP;
- promuovere un tipo di liberalizzazione commerciale che benefici i lavoratori, le
popolazioni dei due gruppi d i paesi e non
solo le grosse società o l'élite che detiene il
potere.
13. Estensione dell'influenza sindacale e
mezzi d'azione
Per la realizzazione dei propri obiettivi la
CES:
- organizzerà e coordinerà azioni di
pressione e di lotta, ivi compresi movimenti
di sciopero, con i propri affiliati per piegare
le politiche dei governi e dei datoii di lavor o sia a livello nazionale che europeo;
- ricercherà i mezzi più consoni per
permettere all'insieme dei suoi membri di
partecipare più direttamente ad azioni convergenti su obiettivi comuni, in particolare
e con urgenza per la riduzione dell'orario di
lavoro, ad esempio organizzando nuove
giornate d'azione;
- cercherà di sviluppare e rendere più
efficaci i contatti della CES e agirà presso
gli istituti europei (CEE, AELE, Consiglio
d'Europa), i governi e i datori di lavoro, e
contratterà accordi-quadro che stabiliscano
gli obiettivi da raggiungere;
- continuerà a promuovere la costituzione di comitati sindacali e a lavorare
strettamente con essi, e con le organizzazioni sindacali internazionali e democratiche, se sarà necessario estendere l'azione al
di fuori dell'Europa;
- riconsidererà rapidamente le procedure interne della CES per far sì che il programma d'azione fissato venga perseguito
nella maniera più efficace possibile.
Risoluzioni particolari
Risoluzione sul
Consiglio dei ministri
del 15 maggio 1979
Il Congresso della CES ha preso conoscenza dei risultati insultanti per i lavoratori
e le loro organizzazioni sindacali del Consiglio dei ministri degli Affari sociali, consacrato alla pianificazione dei tempi di lavoro.
Il Congresso aspettava dal Consiglio dei
ministri un atteggiamento positivo che
aprisse la strada a un negoziato serio sulla
riduzione del tempo di lavoro.
I1 Congresso constata che le conclusioni
del Consiglio dei minisui, che invitano la
Coinmissione a proseguire studi e analisi,
sono di fatto le posizioni del padronato
europeo.
I1 Congresso denuncia fermamente quest'attitudine negativa del Consiglio dei minisrri-c incarica il Comitato esecutivo della
CES d'organizzare l'azione dei lavoratori in
Europa per costringere il Consiglio dei ministri a modificare la sua posizione.
Risoluzione per una migliore
cooperazione in Europa (estratti)
La CES ha da sempre affermato che le
politiche nazionali erano insufficienti per regolare i problemi dei lavoratori. In conseguenza ha appoggiato tutte le iniziative per
una migliore cooperazione tra gli Stati. Al
tempo stesso ha iatto di tutto perché le
istituzioni internaziogali si facessero carico
dei problemi reali e non si contentassero
soltanto di un ruolo di presa d'atto. La
situazione attuale conferma che le ~ o s i z i o n i
della CES erano giuste e da tempo finalmente i suoi reiterati appelli per una inigliore cooperazione in Europa incontrano una
eco favorevole da parte del ~ a d r o n a t oe dei
poteri pubblici.
Il Congresso della CES conferma la sua
volontà di vedere svilupparsi rapidamente
una conferenza tripartita suil'occupazionr
per l'insieme dei paesi dell'Europa delL'Ovest e lancia un appello pressante al Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa
affinché ne fissi le date dopo averne accettato il principio. Una tale conferenza è indispensabile per il ristabilimento di una situazione occupazionale migliore, poiché suppone un coordinamento delle politiche ecoe tutti i paesi
nomiche e d e l l ' o c ~ u ~ a z i o ntra
d'Europa. E' necessario che una cooperazione effettiva si sviluppi tra le Comunità europee e l'Associazione europea di libero
scambio (EFTA).
Risoluzione sulle elezioni
al Parlamento europeo
I1 Congresso della CES, riunito a Monaco alla vigilia delle elezioni a suffragio universale del Parlamento europeo, lancia un
appello solenne ai lavoratori dei nove paesi
delle Comunità europee affinché essi partectpino in massa allo scrutinio.
Per la prima volta, i popoli voteranno
nello stesso momento per dei parlamentari
europei.
COMUNI D'EUROPA
CXXIV
La CES ha pubblicato un p r o g r a m m a
rivendicativo i n vista d i queste elezioni che
è stato diffuso nei paesi delle Comunità.
Questo programma propone delle soluzioni
per il miglioramento della condizione operaia in Europa. E' dunque di interesse primordiale per i lavoratori che i rappresentanti dei popoli che siederanno in questo Parlamento si facciano carico e difendano le
rivendicazioni legittime della classe operaia.
Risoluzione sul
Consiglio d'Europa (estratti)
mande delle organizzazioni sindacali rappresentate nel seno del comitato consultivo
dell'EFTA perché le attività e le decisioni di
quest'istituzione rispondano a tutti gli
obiettivi fissati dalla Convenzione di Stoccolma,
chiede al Consiglio dei ministri dell'EFT A di prendere ogni iniziativa che permetta
il ristabilimento della piena occupazione attraverso una politica economica e sociale
coordinata.
Risoluzione sulla
sicurezza sociale (estratti)
Il Congresso della Confederazione europea dei sindacati, riunito a Monaco,
- chiede che i partners sociali possano
ottenere uno statuto speciale che loro permetta di partecipare di pieno diritto ai lavori dei comitati intergovernativi che trattano
di problemi essenziali concernenti i lavoratori,
- propone che rapidissimamente i partners sociali ottengano come minimo, in attesa di un regolamento d'insieme, lo stesso
statuto di cui godono nel comitato governativo di controllo per l'applicazione della
Carta sociale, in tutti i comitati che trattano
problemi essenziali per i lavoratori.
Per quanto concerne la C a r t a sociale, il
Congresso chiede che sia messa in opera
una procedura di revisione degli articoli che
sono superati dall'attualità.
Risoluzione su1l'EFTA (estratti)
I1 Congresso della Confederazione europea dei sindacati, riunito a Monaco dal 14
al 17 maggio 1979,
basandosi sull'articolo 2 della Convenzione di Stoccolma istitutiva dell'Associazione
europea di libero scambio, appoggia le do-
L'accrescimento e la stabilizzazione della
disoccupazione costituiscono un problema
suscettibile di m e t t e r e i n pericolo l'ordine
economico e sociale i n Europa.
Le ripercussioni della crisi economica
sulla sicurezza sociale rischiano egualmente
di rimettere i n questione i livelli a t t u a l i d i
protezione sociale e di mettere seriamente in
pericolo l'equilibrio finanziario del sistema
di sicurezza sociale.
Nel momento in cui la m o b i l i t à dei lavoratori è una necessità e una condizione di
progresso, gli ostacoli a una reale garanzia
sociale si moltiplicano.
E' inammissibile concepire u n sistema d i
sicurezza sociale che sia u n i c a m e n t e il risult a t o d i calcoli d i redditività e u n sistema
d'assistenza. Al contrario, deve rappresentare uno strumento di sicurezza in caso di
bisogno e di solidarietà per coloro che non
esercitano più o non ancora un'attività professionale. Quest'esigenza di solidarietà costituisce l'obiettivo della nostra azione.
I1 bilancio sociale della C E E e gli strumenti esistenti nell'EFTA devono realmente
contribuire a dare alla politica sociale i
mezzi d'analisi e d'azione per migliorare le
condizioni di vita e di salute dei lavoratori.
giugno 1979
In conseguenza il congresso raccomanda al
Comitato esecutivo di creare un C o m i t a t o
p e r la sicurezza sociale.
Risoluzione sulla formazione
professionale (estratti)
I1 Congresso della CES è dell'opinione
che una politica comune di formazione costituisca una base necessaria di partenza per
una comunità accresciuta in tutti i settori,
è convinta che una politica di formazione
più ampia, più aperta e rivolta ai problemi
comuni della nostra epoca sostenga nel loro
lavoro i rappresentanti sindacali di tutti gli
organi di consultazione e di decisione nei
quali rappresentano gli interessi dei lavoratori,
incarica di conseguenza il comitato esecutivo della CES di cominciare ad elaborare,
al più tardi nel 1980, un P r o g r a m m a C E S
d i politica d i f o r m a z i o n e e di sottomettere
delle proposte di strategia sindacale, sulla
base delle quali questo programma potrà
essere portato a termine,
chiama d'urgenza tutte le confederazioni
sindacali affiliate a partecipare attivamente
alla preparazione e alla realizzazione di
questo programma di formazione.
Risoluzione sulla
salubrità del Reno (estratti)
Nel Congresso CES del '76 a Londra,
una dichiarazione comune delle confederazioni sindacali dei paesi rivieraschi del Reno
è stata adottata per coordinare le azioni per
l'eliminazione del17inquinamento nel Reno.
Questo Congresso fa un nuovo appello ai
governi interessati, dà mandato al segretariato CES di coordinare le azioni sindacali
delle confederazioni dei paesi riguardati,
chiede che le Comunità europee agiscano
con tutto i1 loro peso perché questo problema importante trovi infine una soluzione.
Quale Europa?
essere risolta
La maggior parte dei problemi che si pongono al movimento sindacale non p u ò
soltanto sul piano nazionale. La questione oggi n o n è più: bisogna o non bisogna costruire l'Europa?
Ma: quale Europa bisogna costruire? Quale Europa vogliamo?
Un'Europa che non è in grado di risolvere i problemi di 6 milioni di disoccupati? Un'Europa
dominata d a alcuni gruppi multinazionali dove gli interessi
e la redditività immediata
prevalgono sull'interesse generale? Un'Europa che perpetua le ineguaglianze tra gli uomini e
mantiene gli squilibri tra regioni altamente sviluppate e regioni in via di sviluppo?
Per la C E S e i suoi 40 milioni d i affiliati non si p o n e neppure la questione d i accettare una tale
situazione.
L'Europa che noi vogliamo, e che noi vogliamo aiutare a fare, deve rispondere alle aspirazioni e alle
speranze dei lavoratori.
L'Europa sarà come noi la faremo
24 P A R O L E D ' O R D I N E P E R L ' E U R O P A D E L L A V O R O
-- .
Lottare contro la disoccupazione, migliorare i servizi collettivi, rinforzare ed estendere la democrazia,
rilarzciare l'economia, creare nuovi posti d i lavoro, influenzare le decisioni economiche, accrescere
l'aiuto allo sviluppo, creare u n sistema di formazione efficace e permanente, controllare la gestione dei
redditi, pianificare l'espansione economica, procedere a una riduzione della durata del lavoro, lottare
per assicurare la piena occupazione, sottomettere le società, multinazionali al controllo del potere
democratico, migliorare le condizioni sociali, esercitare un'influenza effettiva sull'o~ganizzazionedel
lavoro, elaborare delle norme d i sicurezza, accordare ovunque ai lavoratori migranti gli stessi diritti,
intensificare la lotta contro le diseguaglianze, democratizzare le istituzioni europee a tutti i livelli,
attaccare le discriminazioni basate sul sesso, facilitare l'integrazione dei giovani nella vita attiva,
eliminare ogni discriminazione, elaborare una politica con e per i lavoratori migranti, determinare
una politica di sviluppo regionale.
COMUNI D'EUROPA
giugno 1979
Italia incide per un 30% sui consumi globali) e per ottenere elettricità mediante cellule
fotovoltaiche. Quest'ultimo procedimento,
in uso nei veicoli spaziali, è ancora troppo
costoso ma è suscettibile di perfezionamento, tanto è vero che negli USA si prevede di
ridurre il costo di un watt fotovoltaico da
13 a 2 dollari, pur usando la stessa tecnologia attuale, il che rappresenta un risultato
lusinghiero per i futuri sviluppi. In Italia,
pur senza incentivi governativi, ci si rivolge
sempre più a tale fonte ad opera di ditte
piccole e medie e di qualche industria
(1'Ansaldo ha esportato impianti anche in
America) e, fortunatamente, anche grossi
enti avviano ricerche ed applicazioni sperimentali.
Per l'energia idroelettrica il discorso è
breve: in campo nazionale occorre accantonare i concetti d i convenienza che indussero
negli anni sessanta ad un cospicuo abbandon o dei programmi, mentre in una visione
mondiale occorre tener presente che il 44%
del potenziale idroelettrico è posseduto dai
paesi non industrializzati, che per ora ne
sfruttano solo il 4 7 0 ~ .
Infine i rifiuti, utilizzabili sia in massa
come combustibile, previo opportuno trattamento, sia nella loro parte organica per
ricavare biogas bruciabile.
Basterebbe quindi, affermano gli avversari della scelta nucleare, programmare una
politica di risparmio energetico seria e comprendente tutti i campi, dagli usi privati a
quelli industriali, sfruttare al massimo le
fonti alternative convenzionali - idroelettricità e carbone, applicando in quest'ultimo
caso le tecnologie esistenti per la depurazione dei fumi - e realizzare ovunque possibile
impianti di sfruttamento dell'energia solare
(intervenendo con leggi sull'edilizia, con facilitazioni fiscali sia per i consumatori che
per i produttori di apparecchiature) per ottenere anche nel breve e medio termine
risultati certo migliori del modesto incremento di produzione energetica che potrebbero dare le previste centrali atomiche, le
quali, si ripete, per molti anni non farebbero altro che assorbire enormi capitali per la
costruzione e l'avviamento. N o n si può tacere, poi, che se gli ingenti mezzi economici finora profusi nel programma nucleare
fossero stati indirizzati, anche in parte, verso lo studio delle altre soluzioni, certamente i risultati ottenuti avrebbero oggi permesso più ampi spazi di scelta. Ma ciò non
è avvenuto poiché nessuna di esse è in
q a d o di offrire prospettive di investimenti
redditizi capaci d i competere con quelli,
colossali, offerti alle oligarchie economiche
dall'industria degli impianti nucleari; inoltre
il sole, tanto per restare nell'ambito delle
prospettive più promettenti, batte dappertutto e non può quindi consentire strategie
egemoniche.
Sempre nel quadro di una sintetica espo;
sizione, esaminiamo ora le argomentazioni,
pro e contro, sul fattore più importante:
quello della pericolosità connessa alla produzione d i energia per mezzo della fissione,
sia per l'eventualità-di incidenti, sia per
quanto riguarda il normale funzionamento
delle centrali. I problemi connessi alla ge-
13
Fonti energetiche, caropetrolio, sovranazionalità
« . . . [fra i traguardi evidenti della Comunità europea u n a ~olitica
energetica cornunc. (carbone,
petrolio, gas naturali, energia idroeletcrica, energia nucleare) che, senza preoccupazioni settoriali per corporazioni privilegiate, fornisca alllEuropa in trasformazione l'energia più economi- .
ca, abbondante e sicura; eventuale costituzione di u n a grande compagnia europea per gli
acquisti di petrolio» (dalla relazione politica di Umberto Serafini *Per un federalzsmo dei
giorni feriali* a i VI1 Stati generali di Roma, ottobre 1964).
«La Conferenza sulle materie prime t e n u t a a suo tempo dalle Nazioni Unite, quella di
Stoccolrna sulla politica ecologica, quella di Bucarest sulla popolazione, quella di Roma sulle
risorse alimentari, nonché molteplici incontri e dibattiti sulle risot-sz energetiche, hanno
mostrato chiaramente che da u n a parte ci sono tendenze imperialiste, nazionaliste, feudali,
isolazioniste - t u t i e ingiuste e dannose - nell'affrontare questi problemi, mentre dall'altra si
presenta come razionale e unico foriero di pace stabile il metodo federalista con la s u a relativa
prospettiva federale. I n questo senso, per rimanere nel tema che è stato più scottante
quest'anno, quello del petrolio, la Comunità europea non solo è bene che si faccia promotrice
della Conferenza tra paesi consumatori, paesi produttori (di petrolio) e altri paesi del Terzo
Mondo, produttori di altre materie prime o di nessuna materia prima (paesi della fame o
Quarto Mondo), ma dovrebbe appoggiare u n sistema internazionale, in cui non fosse
privilegio esclusivo di alcuni parsi gestire la politica monetaria e i l credito e, di fatto,
determinare i prezzi internazionali o mettere a disposizione dei consumatori le materie prime
essenziali: in cui, insomma, non fossc tollerato ad alcun paese 0 gruppo di paesi di portare
a v a n t i posizioni di monopolio in n e i i i i n campo. Occorrerebbe dunque dotare di contenuti
(dalla relazione
reali la politica delle Nazioni Unite e stabilire dei poteri reali al loro livello~~
politica di Umberto Serafini d ' U n i o n e europea e la lotta per la Ragione,) agli -YI Stati generali
di Vienna, aprile 1975).
*
stione dei residui radioattivi saranno considerati in seguito, nell'ambito della localizzazione degli impianti.
Nell'ottobre 1975 la Nuclear Regulatory
Commission, l'ente preposto alla sicurezza
delle centrali atomiche negli USA, ha pubblicato un rapporto sulla valutazione dei
rischi d a incidenti negli impianti nucleari
denominato ~ K e a c t o r Safety Study., ma
noto in tutto il mondo come «rapporto
Rasmussen». Questo documento ha costituito il fondamento sul quale si sono basate
tutte le valutazioni in materia fatte negli
altri Stati e costituisce ancora oggi, almeno
14
in linea d i massima, il credo dei nuclearisti.
L'indagine ha preso in esame le conseguenz.e sulla salute per 140.000 possibili eventualità di rilasci radioattivi conseguenti ad
incidenti, tenendo conto di ogni fattore valutabile, da quelli meteorici a quelli legati
alla dinamica di evacuazione delle popolazioni. I risultati mostrano, fra l'altro, che le
probabilità di un incidente capace di provocare 10 o più morti sono circa 1 su
3.000.000 per anno e per impianto, di 100 o
più morti 1 su 10.000.000, di 1.000 o più
vittime 1 su 100.000.000, fino a 1 su un
miliardo per 3.300 vittime, cioè per l'incidente più grave, ossia la fusione del nocciolo del reattore, purché, beninteso, funzionino alla perfezione tutte le misure di
protezione.
In caso di incidente estremamente serio,
riporta il suddetto rapporto, si avrebbero
queste conseguenze: 3.300 morti immediate,
45.000 casi di malattia, 240.000 noduli alla
tiroide e 45.000 decessi per cancro nell'arco
di trenta anni, 30.000 difetti genetici nell'arco di 150 anni; gli effetti immediati sulla
salute (morte) si manifesterebbero entro un
raggio di alcune decine di chilometri, quelli
a lungo termine (cancri, leucemie, danni
genetici) in un raggio di circa 250 k m .
Queste conseguenze potrebbero essere ridotte se la popolazione fosse tempestivamente evacuata per un raggio di almeno 40
km e l'area colpita venisse decontaminata e
non rioccupata per un periodo di alcuni
anni. Fra le altre stime del rapporto Rasmussen merita di essere ricordata quella
che prevede che un reattore da 1.000 M W
può provocare, in seguito ad incidenti, una
media di O,O2 morti ogni anno7.
Quanto sopra dimostra, sostengono i filonucleari, che la potenziale pericolosità
delle centrali atomiche è praticamente nulla,
sia per le minime probabilità di gravi incidenti sia per la media annua, e comunque
di gran lunga inferiore a quella che siamo
abituati ad accettare per tutte le altre attività
industriali ed anche al disotto di quella connessa alle minacce che la natura stessa ci
procura, con terremoti e cicloni. Infatti,
proprio in funzione della pericolosità dei
procedimenti connessi alla fissione atomica,
si è richiesto alla tecnologia un perfetto
superamento di tutte le eventualità di accidentali guasti: si può affermare, ripetono,che, proprio per questo, un reattore atomico è infinitamente più sicuro di qualsiasi
altro impianto industriale.
Per quanto riguarda i danni prodotti dal
normale esercizio delle centrali, sempre secondo i filonucleari, il discorso è molto
semplice. Una centrale scarica rifiuti liquidi
ed aeriformi che contengono, è vero, dosi
d i sostanze radioattive, ma in quantità talmente bassa che la loro radioattività rappresenta soltanto una piccola frazione di quella
esistente nell'ambiente naturale, ossia di
quella a cui siamo abitualmente esposti ad
opera delle rocce, delle acque e dei raggi
cosmici. La Commissione Internazionale di
Protezione Radiologica (che lavora in stretto rapporto con l'organizzazione Mondiale
d i Sanità e con l'Agenzia Internazionale
dell'Energia Atomica) ha indicato un limite
COMUNI D'EUROPA
massimo per le radiazioni a cui può essere
sottoposto un organismo umano, così motivato al paragrafo 29 delle sue raccomandazioni: - . . . l'uomo non può astenersi completamente dall'utilizzare le radiazioni ionizzanti. Quindi il problema consiste nel
limitare la dose di radiazioni in maniera che
il rischio creato sia accettabile per l'individ u o e per la popolazione. Questa dose è
chiamata dose ammissibilen8 e con questa
denominazione è entrata a far parte delle
legislazioni nei paesi della C E E : per la popolazione è di 500 mrem (millesimo di rem,
sono ancora disponibili alcune copie del n. 5
sulle elezioni del Parlamento europeo. Si possono richiedere a: *Comuni d'Europa* - Piazza
di Trevi, 86 - Roma.
unità di misura per la dose biologica efficace) per anno, mentre per i lavoratori del
settore è molto più elevata. Ma l'attuale
tecnologia, si afferma, consente di ridurre
l'entità dei rilasci in modo tale che i valori
reali non sono superiori ad un decimo della
dose massima ammissibile; negli USA si
calcola che una centrale non debba distribuire più d i 1 mrem all'anno! Quindi, tenendo conto che in media le irradiazioni
naturali sono calcolabili per ciascuno di noi
in 150 mrem/anno, la quantità d i esse indotta dalle centrali rappresenta solo una
modesta oscillazione del fondo naturale.
Per contro è noto che le centrali termoelettriche, sia che brucino carbone, sia olio
combustibile, sono responsabili di elevati
tassi di inquinamento.
E' vero, rispondono gli antinuclearisti,
che le centrali termoelettriche inquinano,
ma si tratta di inquinamento chimico che
può essere eliminato con accorgimenti tecnici (è solo una questione di costi), mentre
quello prodotto dalle centrali nucleari è di
ben altra natura e non eliminabile. Poi non
è vero che il discorso sui danni prodotti dal
normale esercizio possa essere ridotto a termini così semplici. Occorre anzitutto premettere che il fondo naturale non è un
qualcosa di innocuo solo per il fatto che è
giugno 1979
naturale, tanto è vero che apposite indagini
hanno ampiamente dimostrato che le popolazioni viventi in zone soggette a maggiori
radiazioni presentano tassi di morbilità specifica più elevati: quindi non può essere
privo di
anzi è certamente dannoso, aumentare costantemente il quantitativo
delle radiazioni già esistenti. Ma la cosa più
grave è che si vuole deliberatamente ignorare che allo stato attuale delle conoscenze
non si sa ancora quasi nulla sull'effetto delle
piccole dosi assunte per lungo tempo, in
quanto non si possiedono, per forza di
cose, dati statistici su estesi periodi.
Quello che è certo è che la radioattività
non è un inquinante unico, ma è formata da
un insieme di inquinanti, i radionuclidi, per
ognuno dei quali i livelli di tolleranza variano ampiamente. Le centrali emettono numerosi radionuclidi artificiali ciascuno dei
quali, una volta assorbito, può dar luogo a
fenomeni di contaminazione e di accumulo
in organi ed in tessuti diversi (tiroide per lo
iodio 131, ossa per lo stronzio 90, gonadi
per l'ittrio 90, ecc.): è proprio questo fenomeno del biaccumulo che rende pericolosa
l'esposizione prolungata. I dati finora a disposizione della scienza, anche se ricavati
solo su periodi di qualche decennio, non
consentono certo facili ottimismi: citiamo a
titolo di esempio sia i risultati ottenuti nel
fiume Columbia, in USA, a valle della centrale di Handford, dove la radioattività del
plancton è pari a duemila volte quella
dell'acqua e dove i pesci hanno concentrato
centotrenta volte il sodio 24, sia l'esperimento condotto dalla U.S. Atomic Energy
Comrnission nel White O a k Lake, dove
nelle carni dei pesci fu misurata una concentrazione di cesio trentacinque volte superiore a quella dell'ambiente, di stronzio
duemila t o l t e e di zinco radioattivo ottomilasettecentoventi volte.
Si aggiunga che l'inquinamento radioattivo può distribuirsi in zone particolari, in
rapporto ai deflussi dei corsi d'acqua, ai
venti ed a organismi portatori, quali ad
esempio le rondini che ne possono portare
settantacinquemila volte in più del livello
ambientale, poiché mangiano insetti che
concentrano ulteriormente nutrendosi di alghe, capaci a loro volta di concentrare oltre
duemila volte rispetto alle acque9.
Infine, non è vero che le centrali rilascian o quantità minime: per esempio la centrale
del Garigliano, secondo quanto ha ricordilto il prof. Mattioli nel corso dell'indagine
conoscitiva condotta dalla Commissione Industria già menzionata,
rilascia
120
mrem/anno. Nella stessa zona molti medici
condotti sono convinti che d o p o l'entrata in
funzione dell'impianto nucleare si è registrato un aumento di cancri e leucemie ed il
C N E N non ha svolto nessun accertamento
in materia7. Indagini statistiche epidemiologiche di questo tipo sono state invece eseguite in USA, dove il prof. Sternglass,
dell7Università di Pittsburg, ritiene di aver
rilevato un tasso di mortalità più elevato
per le popolazioni residenti nelle zone fluviali situate a valle e nelle zone sottovento
rispetto alle centrali atomiche.
Molto significativo in proposito è anche
giugno 1979
il contenuto del rapporto SNuclear power
issue and choices», redatto da specialisti
delle maggiori università statunitensi per
conto della Fondazione Ford e della Mitre
C o r ~ o r a t i o n .In esso si legge: N.. . la più
grande difficoltà è rappresentata dallo stato
incerto delle conoscenze circa gli effetti sulla salute e sull'ambiente di bassi livelli di
inquinamento.. .D, «. . . i materiali radioattivi emessi da una centrale nucleare ,potrebbero .essere assorbiti nei tessuti del corpo o
restare nell'ambiente per dei secoli, costituendo una continua fonte di esposizione
radioattiva*, quindi, <<anchese i tassi sono
piccoli, gli effetti cumulativi potrebbero essere più vasti, sommandosi durante parecchie g e n e r a z i o n i ~ ~ .
La realtà, concludono gli oppositori, è
che è stato accettato, a livello internaziona-
Etna
COMUNI D'EUROPA
chiaramente inattendibile. Essi si basano
soltanto sui dati del rapporto Rasmussen,
facendo finta d i ignorare che tale documento ha ormai perso la sua credibilità per le
autorevoli e oggettive critiche che gli sono
state mosse da molte parti. I n primo luogo
gli si rimprovera di essere stato elaborato
con sistemi di calcolo non attendibili, rifiutati, per esempio, dalla NASA, e per di più
con parametri che riguardano solo il tunzionamento delle centrali, senza tener conto
dei possibili sbagli di progettazione e degli
errori umani del personale che le gestisce.
A causa di questi vizi metodologici le stime
in esso contenute sono, secondo il rapporto
Ford-Mitre, d a considerarsi ben cinquecento volte inferiori alla realtà.
Ma sono soprattutto i fatti, hanno buon
giuoco ad osservare gli oppositori, a parlare
- cratere centrale.
le, d i far correre alle popolazioni un certo
rischio, proporzionato non ad una reale valutazione del danno sanitario, ma calcolato
in base a parametri legati alla convenienza
economica del tipo di produzione. C i ò è
ammesso, del resto, dalla stessa Commissione Internazionale di Protezione Radiologica, la quale *<è cosciente - paragrafo 17 del fatto che non si p u ò ancora tracciare
l'esatto bilancio dei rischi e dei vantaggi,
poiché bisognerebbe avere, per fare questo
bilancio, una valutazione quantitativa degli
eventuali danni biologici e dei probabili
vantaggi che attualmente è impossibile
fareD8.
Nel campo della revisione e della prevenzione degli incidenti la sicurezza ostentata dai sostenitori degli impianti nucleari è
chiaro: per ben due volte nel corso di pochi
anni si è già sfiorata la catastrofe più temibile, quella della fusione del nocciolo. La
prima volta nel 1975 a Browns Ferry, in
Alabama, allorché per colpa di un operatore
che ricercava una corrente d'aria attraverso i
fori d'entrata dei cavi elettrici usando come
spia la fiamma di una candela, si incendiò
l'impianto di alimentazione dei congegni d i
manovra, paralizzando anche il raffreddamento d'emergenza: il disastro fu scongiurato con mezzi improvvisati d o p o un giorn o di fortunose e convulse manovre. La
seconda, recentissima, a Three Miles
lslands, in Pensylvania, dove un guasto non
è stato fronteggiato nel modo dovuto dagli
addetii alla centrale, e la fusione del nocciolo è stata evitata di stretta misura; tuttavia il
prof. Sternglass ha affermato, in una conferenza stampa tenutasi a Washington, che i
gas radioattivi fuoriusciti in quantità abnorme hanno determinato danni d a contaminazione molto maggiori di quelli ufficialmente
ammessi.
Vi sono poi incidenti minori in gran numero, le cui conseguenze, più o meno lievi
che siano, non vengono rese note o sono
minimizzate. Per esempio 1'U.S. Atomic
Energy Commission, in un rapporto del
1974, segnala che si sono verificate ben 861
anomalie nelle centrali americane, con 18
incidenti seri e 12 rilasci d i radioattività7.
Proviamo ad ipotizzare un serio incidente
a Caorso, dicono gli antinuclearisti, e vediamo che cosa accadrebbe. La centrale è
situata a 16 k m da Piacenza, a 19 da Cremona, a 56 da Parma ed a 76 da Milano.
Secondo il rapporto Rasmussen, almeno la
zona dove sorgono le due prime città d o vrebbe essere sgombrata in breve tempo
con i suoi 250.000 abitanti, salvo particolari
condizioni meteoriche che potrebbero portare nubi infette ben più lontano, ma il
piano d'emergenza della centrale prevede
solo incidenti di piccole dimensioni, con
interventi limitati ad un raggio massimo d i
due chilometri, mentre al di fuori d i
quest'area è però prevista la distribuzione di
quattro tipi d i manifestini che esortano alla
calma e forniscono alcune istruzioni: se
uscire d i casa, quali cibi toccare, ecc. Le
strutture sanitarie che dovrebbero far fronte
alle esigenze immediate sono gli ospedali d i
Piacenza, Cremona e Monticelli, che non
possiedono adeguate capacità e attrezzature.
A questo punto, sostengono gli antinuclearisti, non si sa bene se avere più paura delle
centrali o della leggerezza dei cosiddetti responsabili. I1 discorso per Caorso vale ovviamente per le altre centrali: vedi Montalto
di Castro, a 38 k m d a Civitavecchia e da
Orbetello, a 50 da Viterbo, a 114 da Roma.
Fa paura pensare a cosa succederebbe in
una delle nostre regioni se si dovesse improwisare'un piano d i evacuazione per decine o centinaia di migliaia di persone in
poche ore, prendendo a termine di paragone i fatti di Seveso, dove si trattò solo di
alcune centinaia di unità. Eppure occorre
pensarci e chiedere anche conto a chi d i
dovere perché tale eventualità - ovunque
prevista - a Caorso è stata ignorata.
A parte i pericoli di incidenti insiti nel
funzionamento delle centrali, bisogna considerare che le stesse, a parte l'eventualità d i
guerre, possono costituire obiettivi di azioni terroristiche e, pertanto, esigono misure
eccezionali d i protezione, da estendersi anche agli altri impianti dove sono trattati
materiali radioattivi. Se dovessero moltiplicarsi, sarebbe necessario mettere in perenne
stato d'assedio larghe porzioni del territorio, schedare e controllare un'enorme quantità d i gente che direttamente o indirettamente avesse a che fare con le centrali, poi
schedare e controllare gli schedatori ed i
controllori, in una catena che comprometterebbe sostanzialmente la democraticità del
modo di vivere dei cittadini, pur senza garantire una sufficiente sicurezza.
I pericoli di cui si è finora parlato sareb-
COMUNI D'EUROPA
bero comunque ben più g a v i se si dovesse
arrivare all'uso dei reattori veloci, sul tipo
dello sperimentale Superphénix franco-italotedesco, ai quali Carter si è per ora decisamente opposto. Occupandosi di essi, il rapporto Ford-Mitre dice che N.. . comportano
pericoli, potenzialmente gravi, d i proliferazione, di furti, d i diversione, di incidenti e
di rischi sanitari,,.
Essi, infatti, funzionano bruciando plutonio, che si ottiene mediante il ritrattamento
del combustibile irradiato proveniente dai
reattori ad uranio arricchito. Tanto per dare
un'idea, si pensi che una centrale atomica
convenzionale da 1.000 M W consuma ogni
anno circa 30 tonnellate di uranio producendo una eguale quantità d i scorie che
contengono circa 250 chili di plutonio,
estraibili al 99% col ritrattamento. U n reattore veloce, o autofertilizzante, utilizza
questo plutonio riproducendone, come già
detto, più di quanto ne abbia consumato.
E' facile intuire quali enormi quantità di
plutonio sarebbero disponibili se si dovesse
generalizzare l'uso di tali tecniche e come
sarebbe facile, d i conseguenza, la diffusione
delle armi nucleari la cui fabbricazione non
presenta difficoltà anche per nazioni a scars o livello tecnologico. A parte questo, il
plutonio è di per sé altamente pericoloso:
un milionesimo di grammo è sufficiente per
provocare il cancro ai polmoni o alle ossa e
la sua radioattività rimane elevata per ceminaia di migliaia di anni. Gli impianti di
ritrattamento, inoltre, sono costosi e rischiosi: l'incidente più temibile è quello cosiddetto di criticità, conseguente ad una accumulazione anormale di materiale fissile
(plutonio) in un punto del circuito di trattamento. Se fosse raggiunta la massa critica
avverrebbe, per l'accelerazione della reazione a catena, una esplosione con proiezione
di materie radioattive solide e liquide nelle
vicinanze e gassose anche a grandi distanze.
il 1979 è il 27' anno
di rigoros'a e libera battaglia
per gli
Stati Uniti d'Europa
Negli U S A furono costruiti tre impianti, di
cui due non entrarono neanche in funzione
ed uno (quelio di West Valley) fu chiuso
dopo un breve periodo di esercizio perché
risultò troppo pericoloso. Anche il reattore
veloce .Fermi» d i Detroit fu chiuso nel
1966 a causa di un grave incidente.
Ciò dovrebbe far riflettere i fautori nostrani di tale metodo di produzione energetica, almeno per non impegnare altri ingenti
risorse economiche sulla sperimentazione di
una tecnologia che gli stessi USA giudicano
impraticabile. Invece l'Italia, accusano gli
oppositori, spende già molti soldi nel programma Superphénix, oltre ai costi deg!i
impianti piloti di ritrattamento esistenti a
La Trisaia, presso Matera, ed a Saluggia, in
provincia di Vercelli. Questi soldi darebbero migliori frutti se fossero utilizzati nella
sperimentazione delle fonti energetiche alternative pulite.
Veniamo ora al grosso problema delle
scorie radioattive che possono essere solide
o liquide, ad alta o bassa attività. Le più
pericolose sono quelle liquide ad alta attività, costituite essenzialmente da soluzioni
concentrate di prodotti di fissione e di transuranici, fra i quali il plutonio 239 che,
avendo un «tempo di dimezzamento. di
24.000 anni, mantiene una radioattività pericolosa per alcune centinaia di secoli
(1.000.000, secondo un rapporto della Fondazione Ford)I5, periodo durante il quale è
indispensabile che resti isolato dalla biosfera. Gli altri tipi sono rappresentati dai residui dei processi di arricchimento dell'uranio, dai materiali contaminati (filtri, tubi
ecc.) e creano anch'essi, p u r dovendo rimanere isolati solo per alcuni secoli, problemi
di stoccaggio non indifferenti e tutt'altro
che risolti.
Attualmente i prodotti di fissione ad alta
attività, se non vengono sottoposti a trzttamento per l'estrazione del plutonio, sono
immagazzinati, d o p o essere stati concentrati
mediante evaporazione, in recipienti di acciaio inossidabile situati in contenitori cementizi. I1 contenuto di tali recipienti deve
continuamente essere raffreddato per mezzo
di serpentine (dato che i prodotti di fissione
sviluppano per anni enorme calore) ed agitato per evitare che si formino zone di
concentrazione con rischio di «punti caldi,,.
E' questo un rischio drammaticamente reale: negli Urali, nel 1958, per una esplosione dovuta al calore in un deposito di scorie,
sono morte migliaia di persone ed è stata
contaminata una superficie di 1.500 chilometri quadrati. Gli americani hanno dato
invece notizia di ripetute fughe di radioattività in depositi esistenti negli USA.
Secondo l'opinione del C N E N espressa
sul «libro bianco., sarebbe necessario procedere al ritrattamento, dopo di che le scorie altamente radioattive dovrebbero essere
conservate in bunker sotterranei in acciaio e
cemento armato dove, in dieci anni, dovrebbero perdere parte della radioattività,
per poi essere vetrificate e sepolte in formazioni geologiche profonde. In 500 anni le
giugno 1979
scorie perderebbero la radioattività, tranne
quella, lunghissima, dovuta al plutonio
residuo7.
In Italia le scorie finora prodotte sono
conservate presso i rispettivi impianti. A
Saluggia - si tratta di materiali liquidi ad
alta concentrazione di elementi radioattivi le taniche sono sistemate in bunker di acciaio e cemento, mentre per le tre centrali
in funzione (Latina, Garigliano e Trino
Vercellese) i rifiuti - materiali a bassa e
media pericolosità - sono conservati in fusti
metallici o interrati in trincee7, il tutto in
attesa che si delinei la possibilità di risolvere
il problema individuando il luogo adatto
per seppellirli in formazioni geologiche che
però, a detta degli stessi esperti nucleari,
devono trovarsi «in una regione tettonicamente stabile, senza indicazioni di attività
vulcanica nell'ultimo milione di anni,,. Vediamo quali sono le reali possibilità, in Italia, di trovare un posto che risponda a tali
requisiti.
Innanzi tutto è necessario tracciare un
breve e sintetico quadro della costituzione
della penisola e delle vicende geologiche che
hanno caratterizzati i periodi più recenti.
Le Alpi e gli Appennini ne costituiscono le
strutture essenziali ed ambedue traggono la
loro origine dall'ultimo fra i cicli tettonici
che, attraverso miliardi d i anni, hanno interessato la terra, quello noto sotto la denominazione di .orogenesi alpina., il quale ha
modellato estese fasce della crosta terrestre,
dal Mediterraneo all'Himalaya, al Giappone, alle catene pacifiche americane, con vicende iniziate al termine dell'Era Secondaria
(O Mesozoica) e proseguite durante l'Era
Terziaria (o Cenozoica) e quella Quaternaria (o Neozoica) fino ad oggi, per un period o di oltre settanta milioni di anni.
Le nostre catene montuose, Alpi ed Appennini, sono dunque pervenute all'attuale
assetto morfologico attraverso vicissitudini
geologiche protrattesi per un tempo lunghissimo, durante il quale le unità stratigrafico-strutturali che le compongono subiron o forti traslazioni e soprattutto compressioni differenziate che provocarono in esse
sollevamenti, abbassamenti, piegamenti, accavallamenti o sovrascorrimenti ed una miriade di fratture, di ogni dimensione, con
rigetti spesso rilevanti (faglie). A questi imponenti avvenimenti dinamici, non di rado
variamenti interferenti fra loro nel tempo e
nello spazio, a volte parossistici, a volte
interrotti da pause di relativa tranquillità,
alla molteplice varietà dei tipi di rocce coinvolti nei fenomeni diastrofici ed all'azione
dei processi demolitori che, per opera degli
agenti atmosferici e della gravità aggrediscon o i rilievi di neoformazione, si deve la
ricchezza degli aspetti morfologici ed il mutevole scenario del paesaggio italiano.
Il ciclo orogenetico alpino è tuttora in
atto, come testimoniano le tracce dei complicati eventi tettonici succedutisi in tempi
geologicamente recenti e che, sia pure in
misura ridotta, continuano ancora oggi,
nell'era in cui è comparso l'uomo ed in cui
viviamo (Quaternaria) che convenzionalmente si è fatta iniziare un milione di anni
fa; in particolare nel quaternario antico le
giugno 1979
forze orogenetiche mantennero una notevole vivacità manifestandosi soprattutto con
movimenti verticali (sollevamenti o abbassamenti) e le zolle dislocate subirono spostamenti anche molto forti come, tanto per
citare un esempio, nella zona di Enna in
Sicilia dove è riconoscibile un innalzamento
di 1.000 metri.
La persistenza dell'azione tettonica è
confermata, oltre che dagli studi di geologia
strutturale, dal perpetuarsi delle manifestazioni specifiche che l'accompagnano e che
da essa derivano: l'attività sismica e quella
vulcanica. I complessi fenomeni di deformazione crostale producono tuttora tensioni nelle masse rocciose fagliate, piegate e
dislocate, tali da portarle di tanto in tanto
al limite di rottura. Si verificano così i
terremoti di origine tettonica che, fin da
quando si hanno testimonianze storiche,
colpiscono con intensità spesso elevata pressoché tutto il territorio nazionale. L'attività
vulcanica è anch'essa ancora intensa ed è a
sua volta causa diretta di terremoti (detti di
origine vulcanica). Oltre ai vulcani ora in
attività, restano numerosi apparati distribuiti soprattutto sul versante tirrenico dell'Italia centrale e centromeridionale, come pure
in Sardegna, in Sicilia e nelle isole minori,
la maggior parte dei quali nacquero e svolsero potenti cicli di attività nel quaternario;
fra di essi il Vulcano Laziale (i colli Albani)
che iniziò la sua attività oltre duecentomila
anni orsono con una poderosa esplosione in
quella che allora era una pianura e di cui
Tito Livio narra ancora episodi terminali
negli anni 114 e 540 dalla fondazione di
Roma. D i questo vulcano, come di altri,
perdurano tuttora attività residuali, quali
solfatare, sorgenti termali, ecc.
C i troviamo, quindi, in una regione geologicamente giovane, nata da un'orogenesi il
cui ciclo non è affatto compiuto e che,
evolvendosi con alti e bassi di attività, manterrà una situazione di instabilità futura in
tempi valutabili su scala geologica, ossia
certamente almeno per centinaia di millenni, durante i quali le zolle che compongono
la nostra penisola continueranno ad essere
sottoposte a deformazioni e lacerazioni periodicamente ricorrenti ed è più che probabile che riprenda l'attività dei vulcani ora
quiescenti e che se ne creino altri nuovi,
determinando sconvolgimenti locali sia in
superficie che nel sottosuolo. In altre parole, se le popolazioni preistoriche della penisola assistettero terrorizzate a imponenti
parossismi naturali di intensità per noi solo
immaginabile, tali da determinare vistosi
mutamenti nella configurazione morfologica
delle zone colpite, l'uomo ancora vive e
vivrà continuamente soggetto al rischio sismico ed a quello vulcanico. Questa considerazione, è ovvio, vale non solo per l'Italia
ma, limitandoci all'area mediterranea, anche
per l'Europa meridionale, per l'Asia minore
e per parte dell'Africa del Nord.
I1 progresso scientifico consentirà molto
probabilmente in un prossimo futuro di
poter segnalare tempestivamente l'imminenza di sismi e di eruzioni vulcaniche: ciò
servirà solo a ridurre i danni e le vittime,
COMUNI D'EUROPA
ma non a contrastarne, come è ovvio, l'intensità.
E' in un simile quadro che dobbiamo,
dunque, impostare il problema degli impianti nucleari.
Per quanto riguarda le centrali, e con
esse gli altri impianti di pari pericolosità, il
rischio sismico comporta l'eventualità che le
strutture del manufatto non sopportino gli
effetti di scosse di intensità superiore a
quelle calcolate, sia pure con larghezza, dai
progettisti. Diciamo subito che in un territorio come quello italiano è impossibile
prevedere con certezza se una determinata
zona sarà o meno soggetta a terremoti e
quando: la classificazione delle aree sismiche è fatta in base all'intensità dei fenomeni
avvenuti a memoria d'uomo e qualsiasi previsione basata su indagini strutturali locali
ha soltanto un valore relativo in quanto,
con i mezzi oggi disponibili, non possiamo
accertare il reale grado di potenziale attività
posseduto dalle linee di disturbo tettonico
individuabili nella zona. Bisogna pertanto
pensare al peggio per qualsiasi localizzazione e tenerne conto nel costruire il manufatto. C i sono forti dubbi che ciò avvenga, se
è vero che l'edificio della centrale di Caorso
ha subito deformazioni solo per le variazioni del livello freatico della falda impregnante il suolo di fondazione; giova anche ricordare che nella nota fascia tettonica californiana è proibito costruire centrali (una già
esistente è stata smantellata) e che, sempre
negli USA, sono state chiuse recentemente
Gibellina, 1968.
17
ben sei centrali i cui impianti non davano
affidamento in previsione di terremoti.
Ma il vero, irrisolvibile problema è quello delle scorie radioattive. Dopo quanto
abbiamo detto è superfluo ripetere che in
Italia non esiste alcuna area "tettonicamente
stabile», che in fatto di attività vulcanica
siamo ben forniti per il passato, per il presente e per il futuro e che, quindi, esistono
condizioni generali diametralmente opposte
a quelle necessarie per creare depositi definitivi di residui.
Ciò nondimeno non si abbandona l'ipotesi di compiere ricerche per individuare
qualche zona adatta7 ed è più che giustificato il timore che tale argomento venga affrontato prescindendo dalle condizioni generali, con lo stesso superficiale ottimismo,
reale o simulato che sia, con cui è stato
finora trattato quello della sicurezza delle
centrali, almeno a giudicare dal fatto che,
prima del terremoto del 1976, una delle
zone suscettibili di studio era stata indicata
proprio nel FriuliI6.
Del resto, anche a non voler tenere conto
dei fattori tettonici prima esposti che, sia
ben chiaro, sono già di per sé determinanti,
le conoscenze del sottosuolo italiano che si
posseggono, pur se limitate a particolari
settori indagati per ricerche minerarie e petrolifere, per i grandi trafori alpini o per
altri motivi, sono sufficienti a far presumere
come estremamente improbabile il reperimento di formazioni che abbiano conservato tranquille condizioni giaciturali.
COMUNI D'EUROPA
I requisiti perché urla formazione geologica sia realmente idonea ad ospitare un
cimitero di scorie - a parte, ripetiamo, i
pericoli derivanti dalla instabilità regionale riguardano le dimensioni e la natura (con le
conseguenti caratteristiche fisiche) della
formazione stessa. Le prime debbono essere
tali da consentire i1 seppellimento a profondità adeguata rispetto alla superficie e rispetto ai contatti laterali e di fondo con
altri tipi di formazioni non adatte; le seconde debbono garantire la <<tenuta.per evitare
qualsiasi possibilità di dispersione della radioattività: a questo scopo è necessario soprattutto che il complesso roccioso non
ospiti adunamenti idrici e non sia interessato da soluzioni di continuità.
Fra le formazioni che costituiscono il territorio italiano, considerate in un quadro di
larghissima sintesi, andrebbero quindi scartate innanzitutto quelle sedimentarie calcaree che sono sedi di abbandonati corpi acquiferi per la permeabilità «in grande» da
esse posseduta, derivante proprio dalla presenza di numerose soluzioni di continuità
(cavità carsiche, stratificazione, fratturazione), quelle eruttive, ossia emesse dai vulcani, per le esigue dimensioni dei singoli corpi rocciosi diversificati litologicamente e variamente articolati fra loro a formare l'insieme delle formazioni, ed anche quelle metamorfiche (originatesi in profondità per modificazioni di preesistenti rocce dovute a
processi di natura termica, chimica o meccanica), molto abbondanti ma n o n utilizzabili sia per le soluzioni di continuità legate
alla loro stessa genesi (scistosità, manifestazioni filoniane) sia per la grande variabilità
di composizione che le contraddistingue.
Resterebbero così le formazioni sedimentarie argillose e parte di quelle intrusive,
graniti e famiglie affini (rocce magmatiche
consolidatesi in profondità). Le formazioni
argillose sono impermeabili e, per il loro
grado di plasticità, meno soggette a fratturazione; i graniti, giacenti in cospicui ammassi, sono compatti e privi di stratificazione: ambedue, quindi, potrebbero offrire i
requisiti necessari. Tuttavia, per le vicissitudini tettoniche che, come già detto, hanno
tormentato le strutture alpina ed appenninica, anche le masse intrusive sono rimaste
più
meno smembrate e frantumate perdendo, in tali condizioni, molto dell'originaria compattezza e possono contenere, anche a forti profondità, falde acquifere in
pressione; le formazioni argillose meno recenti, .che sono le più potenti come spessori, anch'esse sconvolte e dislocate, talvolta
accavallate, slittate o schiacciate da altre
masse, hanno acquisito complicati e discontinui assetti giaciturali ed hanno subito, in
molti casi, mutamenti microstrutturali che
ne hanno alterato le caratteristiche fisicomeccaniche; quelle più recenti, meno sconvolte nella giacitura, hanno estensioni e
spessori insufficienti.
Le vicende tettoniche dovute all'orogenesi alpina, in conclusione, hanno determinato condizioni di disordine giaciturale e di
frammentarietà nell'assetto delle formazioni
geologiche interessate e, cosa essenziale, determineranno ulteriori ed imprevedibili con-
10
-
seguenze sul modellamento dei rilievi, modificazioni delle linee di costa e la sicura
prosecuzione dell'attività sismica e vulcanica.
Abbiamo così constatato in modo indubitabile che i1 territorio italiano (e con esso,
ovviamente, il fondo dei mari circostanti)
non consente assolutamente lo stoccaggio
definitivo di scorie radioattive e dello stesso
avviso è il prof. Ippolito, il quale, però, si
scrolla di dosso tale preoccupazione affermando che le scorie radioattive ~rappresentano un problema che all'ltalia non interessa.. .. poiché «.. . per ragioni geologiche
non è pensabile fare in Italia un deposito
finale di queste scorie.. . e pertanto siccome
si deve andare a soluzioni su scala mondiale, tali problerhi non ci interessano direttamente6».
Bene. Ci saranno dunque paesi - e c'è da
essere sicuri che saranno quelli del Terzo
Mondo - condannati al ruolo di pattumiere
atomiche per non compromettere le possibilità di sviluppo di quelli di casta superiore. Rigettiamo decisamente una simile ipotesi di sviluppo futuro - da un candidato
del P C I al Parlamento europeo ci si dovrebbe aspettare ben altra impostazione che annulla cinicamente ogni speranza di
miglioramento nella distribuzione del benessere fra i popoli, e poi non riteniamo
che la furbizia di far pagare agli altri i
propri conti sia un atteggiamento edificante
e tanto meno producente nei tempi lunghi,
soprattutto quando lo assume chi, come
l'Italia, non potrà avere nel campo dell'industria atomica che un ruolo di satellite
dipendente. Sul piano pratico, inoltre, non
bisogna dimenticare che ci resterebbero
sempre da conservare i rifiuti a media e
bassa radioattività - il cui trasporto sarebbe
economicamente non conveniente - e, con
essi, le ingombranti e inamovibili scatole
sporche delle centrali disattivate.
Ci sia ora consentito di inquadrare il
significato dell'opzione nucleare per usi pacifici in un contesto più ampio, poiché ci
sembrz troppo limitativo esaminarlo solo
alla luce delle argomentazioni tecnologiche
ed economiche, anche se soprattutto le prime contengono temi essenziali come quello
della sicurezza sanitaria e genetica. Riteniam o infatti che simile opzione coinvolga anche valori essenziali per il futuro dell'umanità su piani diversi da quello fisico.
Abbiamo già detto che da parte antinucleare si teme lo scadimento della gestione
democratica della società per l'inevitabile
complesso di misure cautelative inerenti alla
protezione degli impianti nucleari. Tale timore è tutt'altro che infondato se il numero
degli impianti è destinato a crescere nel
modo previsto dai piani di sviluppo, ma a
nostro a w i s o un contenuto antidemocratico
è già connaturato nella stessa opzione nucleare in quanto essa, per realizzarsi, deve
essere imposta. C i spieghiamo meglio. Se lo
staff dirigente di una nazione stabilisce che
c'è bisogno di trenta centrali e I'opposizione delle popolazioni locali consente solo la
giugno 1979
costruzione, poniamo, di dieci di queste, si
trova nella necessità di imporre in qualche
modo anche le altre venti, altrimenti salta
l'economicità del piano energetico elaborato. Nello stesso modo diviene necessario
tentare di ostacolare ogni voce di contrasto
o di denuncia, mettendo in cattiva luce
l'informazione proveniente da fonti non allineate, e ridurre al minimo i controlli sui
programmi e sulle realizzazioni, oltre a cercare di ridurre al minimo la partecipazione
pubblica.
Una prova di quanto sopra è offerta dalla
nostra legislazione in materia. Secondo la
legge n. 393, le Regioni che sono prescelte
dal C I P E per ospitare le centrali programmate possono decidere sulla scelta dei siti,
segnalandone almeno due, «d'intesa con i
comuni interessati., quindi appare formalmente salvaguardato il diritto della consultazione di base. Ma il tempo concesso è di
cinque mesi, (ridotti a due per le otto centrali già programmate), assolutamente insufficiente per svolgere ricerche, dibattiti e per
raggiungere l'intesa in un argomento del
genere. Successivamente la mano passa
all'ENEL, che svolge indagini ed entro un
anno deve riferire al Ministero per 1'Industria, ed al C N E N , che deve a sua volta
riferire a vari organismi i quali debbono
fornire entro due mesi i loro pareri che, se
non espressi, si intendono favorevoli». I1
C N E N , poi, ha otto mesi per trasmettere al
Ministro per l'Industria il suo parere che,
finalmente, è comunicato alla Regione la
quale, in altri due mesi, deve localizzare
definitivamente la centrale. E' chiaro che
Regioni e Comuni hanno i tempi strozzati
per prendere decisioni gravi, senza peraltro
disporre di organismi tecnici all'altezza di
simili compiti, mentre E N E L e C N E N manovrano praticamente, con tempi e mezzi,
tutta la partita. Se poi le Regioni e i C o m u ni non riescono entro il primo termine a
raggiungere la famosa intesa, le due aree
sono determinate con legge, anche in contrasto con i piani regolatori vigenti. L'ultim o articolo, il n. 23, stabilisce che entro tre
anni il C N E N , d'intesa con le Regioni e
con I'ENEL, rediga una carta nazionale dei
siti suscettibili di insediamento di centrali e
di impianti nucleari, il che suona chiaramente come una definitiva soppressione anche di quel minimo di formali garanzie
consentite dalla procedura descritta. Si vede
bene come la partecipazione delle popolazioni interessate è soltanto illusoria, in barba all'enunciazione della Conferenza di Roma riportata all'inizio del presente articolo.
Ma il colpo decisivo alla credibilità della
correttezza democratica dei signori dell'atom o è giunto alla fine del '78, con l'art. 9
della legge sulla riforma sanitaria, che sottrae all'Istituto Superiore di Sanità la facoltà
di esprimere il suo parere tecnico consultivo
sulla pericolosità delle centrali nucleari: unico competente sarà il Ministro per 1'Industria, mediante il C N E N . Questo organismo, così, ha acquisito l'unica prerogativa
che gli mancava per essere onnipotente. O r mai funge nello stesso tempo da promotore
dello sviluppo nucleare, da controllore in
tutti i settori, da piazzista di centrali, da
giugno 1979
garante della corretta applicazione e della
validità delle norme che lui stesso ha emanato e, finalmente, estromesso l'Istituto anzidetto (reo di non appartenere alla cerchia
dei nucleari e di aver espresso, in qualche
occasione, opinioni non in linea con I'ottimismo ufficiale), anche da arbitro della valutazione dei rischi sanitari che corre la
popolazione. Ecco così realizzata la creazione dello strumento assoluto per gestire la
politica nucleare, aspirazione del resto già
adombrata nella risoluzione votata alla Camera nel '77 sotto l'indicazione del potenziamento del C N E N .
Sarebbe troppo lungo illustrare in questa
sede, a scopo di paragone, le norme legislative che negli altri paesi, dagli USA al Regno Unito, regolano la materia, ma basta
dire che i compiti di promuovere e quelli di
controllare sono sempre attribuiti a enti ben
diversificati ed indipendenti fra loro e, cosa
fondamentale, tutti i rapporti, gli studi e
perfino gli atti istruttori per I'autorizzazione di nuovi impianti sono resi pubblici, il
che, per lo meno, costituisce un più ampio
margine di garanzie pratiche e di informazione.
L'affermazione che nell'opzione nucleare
è connaturata una certa dose di antidemocraticità ci verrà rimproverata da molti ed è
giusto che cerchiamo di spiegare il perché
di tale asserzione.
La problematica energetica mondiale contiene implicazioni che investono in modo
determinante tutti gli aspetti della vita futura del pianeta e impone che in tempi brevi
sia operata una scelta che non ammette
errori, poiché questi errori avrebbero conseguenze gravissime in termini economici,
sociali e di pericoli per la pace, e non
ammette ritardi poiché ogni ritardo rende
sempre più difficile la scelta stessa. Le possibilità che si offrono sono praticamente
solo due: conservare gli attuali sistemi di
sviluppo o impostarne una seria revisione
critica, cambiandoli laddove risulta necessario.
Diamo un'occhiata alla società degli attuali modelli di sviluppo. Secondo dati di
fonte O N U , l'energia consumata nel mondo (esclusi i paesi comunisti) è salita dalle
1.400 x lo6 tep del 1950 (29% da petrolio)
alle 4.000 x lo6 tep del 1976 (49% da petrolio). Questo exploit dei consumi energetici,
fatto soprattutto a spese delle riserve petrolifere, è contemporaneo ad un enorme sperpero di altre materie prime non ricostituibili
(metalli, ecc.), al crearsi di un pauroso tasso
di inquinamento di ogni tipo, fino a quello
dell'alta atmosfera, alla distruzione di preziosi ambienti naturali ed a un forte aumento demografico, paradossalmente coincidente con l'aumento della morbilità e della
mortalità per fame. Se poi consultiamo ancora le statistiche, vediamo che il consumo
energetico USA rappresenta un terzo del
totale, infatti nello stesso periodo il consumo medio pro-capite in USA è salito da 5 a
8,5 tep, in Inghilterra è rimasto costante su
2-3 tep, in Francia è salito da 1 a 3 ; un
indiano però ha consumato solo un sessantesimo rispetto ad un nordamericano, presso a poco quanto un africano.
COMUNI D'EUROPA
Nel contempo le tensioni fra potenze si
sono radicalizzate e si sono estrinsecate
sempre più ferocemente in guerre combattute fra poveri manovrati. Nei paesi industrializzati le masse sono state impegnate in
un forsennato giuoco di produzione-consumo, disumanizzandosi ed acquisendo progressivamente una sempre più vasta gamma
di distorsioni psichiche, nuovo tipo di inquinamento ambientale. D'altro canto le
forme classiche di capitalismo imprenditoriale hanno ceduto il posto a gruppi finanziari apolidi, le multinazionali, in un giuoco
sempre meno controllabile di concentrazione di capitali, di distruzione di risorse e di
emarginazione di masse umane; si è spinta
oltre i limiti logici ogni forma di produzione di beni, senza tuttavia preoccuparsi di
fornire i mezzi di acquisto e di consumo a
due terzi di umanità priva anche di quelli
più necessari; si sono prodotte enormi
quantità di cose inutili, mentre quelle utili
19
sono state fatte in modo da durar poco per
mantenere alta la richiesta. Siamo così giunti ad un tipo di società che sempre meno si
riconosce in quei principi di democrazia che
pur l'avevano tenuta a battesimo, dove ciascuno si illude di rincorrere un benessere
che non esiste più, dove la forbice fra comunità ricche e comunità povere va allargandosi, dove gli ambienti della politica e
della scienza vengono sempre più condizionati ed asserviti dai gruppi di potere, nell'illusione di disporre dei mezzi atti a frenare
il declino di questo abnorme modello economico che già scricchiola paurosamente.
Per continuare, fin quando i guasti insiti
nel sistema lo consentiranno, un simile modello di sviluppo non c'è alternativa all'opzione nucleare intesa nel suo senso più ampio, con lo sviluppo dei reattori autofertilizzanti, poiché anche le risorse di uranio
sarebbero divorate entro trent'anni. Inoltre
essa rappresenta un ulteriore grosso affare:
giugno 1979
COMUNI D'EUROPA
si apre un campo di produzione industriale
possibile realizzare su scala internazionale
(quello degli impianti) ad elevatissimo Iivelun sostanziale risparmio oltre a disporre dei
lo tecnologico ed a bassa concentrazione di capitali necessari per accelerare lo sfruttamano d'opera, ideale sia per realizzare grosmento su larga scala delle fonti alternative,
si guadagni sia per assicurare una nuova
riservando alla fissione nucleare, solo se
possibilità di egemonia alle potenze che diveramente indispensabile, u n ruolo strettasporranno della supremazia tecnologica e mente limitato e momentaneo. In quest'uldel mercato dell'uranio, e non importa se tima ipotesi si tratterebbe, però, d i utilizzaancora non sappiamo quanto alto sarà il
re solo gli impianti esistenti e, al massimo,
conto che l'umanità dovrà pagare in termini una parte di quelli in costruzione (affidandi malattie e di danni genetici, tanto sarandone però il controllo ad un ente internano i nostri discendenti a doverlo saldare.
zionale), dato che, purtroppo, ormai «siaIn altri termini l'opzione nucleare p u ò
m o entrati a occhi chiusi, irresponsabilessere definita l'espressione finale, culmimente>>I4nell'èra nucleare.
nante e più genuina di un sistema sostanE' indubitabile, in altri termini, che solo
zialmente coercitivo, basato sulla rapina dei una società svincolata dalla strategia dell'acbeni naturali, sulla distruzione progressiva e centramento delle ricchezze potrà iniziare
spregiudicata di ogni valore spirituale, sul una politica energetica che punti su obiettivi
condizionamento dell'uomo ridotto a conappropriati, considerando anche le necessità
sumatore e sulla logica del profitto del di sviluppo della grande massa di popolagrande capitale apolide al quale sono asserzioni sottosviluppate finora condannate a
vite in tutti i paesi, ripetiamo, fasce più o
guardare, dal buio, i lontani riverberi delle
meno larghe della burocrazia politica e della nostre stracolme e superilluminate vetrine e
ricerca scientifica. Per giustificarla e difen- magari destinate, in futuro, a ospitare le
derla sono stati mobilitati, ovunque è stato nostre pattumiere radioattive.
possibile, tutti i canali di informazione, na«I1 requisito di base dell'uso mondiale di
scondendo necessariamente dati e fatti, danenergia., afferma in proposito il Q u i n t o
d o per scontati risultati tecnologici difficili Rapporto al Club di Roma", -è formulabile
da raggiungere e mascherando la decisione in m o d o chiaro: l'energia deve servire agli
sullo sviluppo futuro dietro il paravento di esseri umani. C o m e primissima cosa, si deuna inoppugnabile necessità momentanea.
ve fare in m o d o che tutti i popoli, ovunque
Gli oppositori, anche se qualificati nei nel mondo, dispongano di forme di energia
campi della scienza, dell'economia o della sicure e pulite, che essi stessi possano propolitica, sono stati dipinti come pseudo
durre e controllare. L'energia deve essere al
scienziati, ecologi improvvisati, mestatori servizio dell'uomo, e non già gli uomini
politici o nemici della civiltà, ricorrendo
essere gli schiavi, e magari le vittime, delle
anche alla facile didlettica dei luoghi comuni
forme di energia disponibili. Occorre inol(a11 progresso della civiltà è stato sempre tre che la produzione di una forma soddicontrastato
dallo spirito
conservativo
sfacente di energia possa essere protratta in
dell'uomo, che ha visto nel processo tecnoun futuro molto lontano. Anche la migliore
logico e scientifico innovativo qualcosa di
fonte di energia si trasforma in energia
soprannaturale e, direi, di diabolico>>12) inappropriata, se la sua durata è breve; in
quando non si è arrivati anche alle grossolaquesto caso una generazione ne godrebbe i
ne ingiurie (*Le tesi cosiddette ecologiche,
frutti a spese delle generazioni future..
sostenute da filosofi da strapazzo, da politiLa trasformazione del modello di svilupci d a quattro soldi e da tutori della salute
p o presuppone anche una rieducazione, se
altrettanto scoccianti, dovrebbero finalmenci è consentito questo termine, delle masse,
te essere accantonate))"). Abbiamo voluto
ormai molto condizionate dal consumismo.
esemplificare, con quest'ultimo atteggiaBisogna far comprendere che non si tratta
mento in particolare, un tipico prodotto
di ritornare alla candela o all'aratro col
della società che dovremmo difendere, inchiodo, ma soltanto di imparare a valutare
quinata e inquinante.
il costo del superfluo, di cui ora siamo
L'altra possibilità che si offre ai paesi
invitati a fare uso ed abuso; che, ed è
industrializzati è quella di rimettere realquesta la cosa più importante, non abbiamo
mente in discussione gli obiettivi della civilpiù molto margine di sicurezza per evitare
tà industriale, così come indicato dalla più
che la degradazione progressiva dell'amvolte citata Conferenza di Roma, ossia di
biente naturale, a misura del quale siamo
orientarsi gradualmente verso un modello di
fatti, raggiunga limiti che non consentono
possibilità di ritorno. Occorre dunque risviluppo basato s u una severa programmanunciare, finché siamo in tempo, all'orienzione sia dei consumi che della produzione,
indirizzando quest'ultima, si ripete, verso
tamento dello sviluppo senza limiti della
settori a largo impiego di mano d'opera ed
società industrializzata - di cui la scelta
nucleare è l'espressione più schietta - al
a basso consumo energetico, in dipendenza
d i una politica p i d a t a non più dalla logica
q ~ a l e soggiacciono non solo quelle del
delle multinazionali - ammesso che in tal
mondo capitalistico ma anche quelle del
senso si possa raggiungere la necessaria VO- mondo comunista, come dimostra il fatto
lontà politica - ma impostata secondo una
che I'URSS ha imboccato la via nucleare
concertazione internazionale derivante da
con estrema decisione, impiantando le cenun esame delle vere esigenze socio-econotrali addirittura presso le grandi città per
miche delle singole comunità. Solo in quefacilitare il trasporto dell'energia.
sto m o d o il problema energetico, così come
La scelta nucleare, strumento della contiquello delle altre risorse naturali, ~ o t r e b b e nuità di questo sviluppo selvaggio, non è
essere posto in m o d o corretto e sarebbe
quindi, ripetiamo, soltanto un risultato di
valutazioni scientifiche, tecniche ed economiche, ma assume un significato ben preciso che la colloca, in m o d o pratico e simbolico nello stesso tempo, in posizione antitetica rispetto alle esigenze di salvaguardia
dell'ambiente naturale in
e umano in
particolare, anche a prescindere dalla pur
grave e peculiare diretta pericolosità dei
processi di fissione atomica.
In conclusione, non ci sembra esagerato
affermare che l'umanità si trova, forse senza
rendersene pienamente conto, di fronte ad
un bivio fra i più importanti della sua storia. Deve decidere se continuare su una
strada che conduce irrimediabilmente alla
degradazione della biosfera, all'esaurimento
delle risorse naturali ed all'alienazione fisica
e psichica dell'uomo stesso, oppure se correggere la rotta, ripristinando un intelligente rapporto con l'ambiente. La scelta nucleare, insistiamo su questo punto, è parte
integrante di tale decisione e la rende ancora più grave in considerazione del fatto che
può mettere in giuoco l'awenire genetico di
molti esseri viventi.
L'homo sapiens ha sostituito, o r sono
trentamila anni, l'ultimo homo faber, il neanderthalensis: speriamo che sappia compiere la sua scelta come tale e che non debba
invece dare I'awio alla parabola discendente
del genere homo iniziando la sua trasformazione in homo aberrans, nuova specie' che
molti indizi fanno temere che sia già presente fra noi.
Parlamento europeo. Documento 576177 del 14
marzo 1978.
Commissione delle Comunità europee - Informazione. La Comunità europea e la sicurezza nucleare.
Documentazione europea, 197515.
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Workshop on Alternative Energy Strategies. Wilson
C., New York, 1977 (dal VI rapporto al Club di
Roma: T . De Montbrial - Energia, conto alla rovescia ) .
T. De Montbrial. Energia, conto alla rovescia. VI
rapporto al Club di Roma, Mondadori, 1978.
Parlamento europeo. Risposta all'interr~~azione
scritta n. 44/77 del 17 giugno 1977.
Felice Ippolito. Dal primo al secondo piano energetico nazionale. Energia e materie prime, n. 1, maggio-giugno 1978, La nuova Italia Editrice, Firenze.
Gianfranco Ballardin. Morire per I'ENEL. Sugar
Co. Edizioni, 1979.
Difendersi dall'atomo. Rapporto del CFDT, Sindacato francese dell'energia nucleare. Bompiani, 1978.
Gordon R. Taylor. La società suicida. Mondadori, 1971.
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V rapporto al Club di Roma: Ervin Laszlo.
Obiettivi per l'umarzità. Biblioteca EST, Mondadori,
1978.
l 2 Felice Ippolito. La strada del progresso è lastricata di terrori. La Repubblica, Dossier energia, 20 aprile
1978.
l3 Gilberto Bernabei. Esigenze energeticbe e mito
ecologico. N o n perdere tempo per le centrali. Il Settimanale, 30 gennaio 1979.
l 4 O ci diamo da fare o è la fine. Conversazione
con Aurelio Peccei, a cura di Gianpiero Borella. Panorama, Mondadori Ed., n. 673 del 13 marzo 1979.
l 5 Fondazione
Ford. Progetto per una politica
dell'energia. Scienza e tecnica 1975, EST Mondadori.
16
Floriano Villa. Programma nucleare e stabilità
geologica in Italia, in: Nucleare? N o ! Grazie. Gli
Amici della Terra, 1977.
'
giugno 1979
COMUNI D'EUROPA
.21
Cronaca delle Istituzioni europee
Comunità europea,
ampliamento e democrazia
di Pier Virgilio Dastoli
tutta la Comunità, la Comunità stessa rischia di trovarsi di fronte a quello scenario
di frammentazione (istituzionale ed economica) che autorevolmente è stato descritto
di recente fra le ipotesi possibili.
2) l'atteggiamento dei governi nei paesi
candidati.
Maggioranze di destra (Grecia e Portogallo) o di centro (Spagna) si preparano a
gestire tutta la prima fase dei negoziati o
del periodo di transizione, di fronte a forti
opposizioni di sinistra a prevalenza socialista.
In Grecia, il premier Caramanlis ha tentato di fare dell'adesione del suo paese,un
successo personale, aiutato (non disinteressatamente) dall'amico Giscard. Sul piano
economico il suo governo, a parte alcuni
adeguamenti tecnici (introduzione dell'IVA,
armonizzazione di parte della legislazione
commerciale, doganale ecc.) si prepara probabilmente a utilizzare l'adesione per imporre alle classi più deboli sacrifici ulteriori,
con l'obiettivo mistificante di frenare I'inflazione per consentire l'ingresso nello SME,
contenere gli aumenti salariali per limitare il
deficit pubblico e quindi ottemperare alle
indicazioni delle autorità economiche comunitarie.
Sul piano politico-istituzionale all'interno
*Sono qui per esprimere la mia sicurezza
Nove si appresta ad accettare la partecipasulla speranza che ci accomuna: la speranza
zione di tre nuovi Stati (con problemi non
di un'Europa che non sia l'Europa degli
dissimili da quelli del nostro Mezzogiorno,
altri, ma l'Europa dei lavoratori, l'Europa
dell'Irlanda, di alcune regioni della Gran
dei popoli europei. Molti dicono che ]'ELI- Bretagna e della Francia e con altri probleropa di oggi è l'Europa dei monopoli, delle mi più gravi, tipici di un diverso livello di
multinazionali, della Nato, del Patto di
sviluppo) senza aver modificato quelle poliVarsavia; ma insieme ad essa esiste anche tiche con maggiori effetti squilibranti; senza
l'Europa delle nostre battaglie, del nostro
aver ampliato le politiche comuni con maggiori effetti redistributivi; senza aver rafforN O a coloro che accettano di essere oggi i
rappresentanti degli altri o si preparano a zato le proprie strutture istituzionali.
Certo, l'impressione è che all'interno del
diventare domani i rappresentanti dell'Europa degli altri».
Consiglio vi sia stato un tacito accordo fra
Quando Alekos Panagulis pronunciò
l'illusione di alcuni (che i problemi potranqueste parole al VI1 Congresso Nazionale
no essere risolti, come sempre si è tentato e
dell'AICCE (Napoli, gennaio 1976) si era
quasi sempre si è fallito, con i soliti comappena avviata la procedura per l'ingresso
promessi intergovernativi) e la mistificazione
della Grecia nella Comunità europea. 11 28 di altri (che la convergenza delle economie
gennaio di quell'anno la Commissione adotsarà raggiunta solo con adeguate politiche
nazionali di controllo dell'inflazione e
tava infatti il parere favorevole alla domanda di adesione, ma soltanto il 27 luglio dell'aumento del costo del lavoro).
sarebbero iniziati i negoziati, conclusi il 3
Se non si prenderà atto che occorre fare
aprile di quest'anno.
dell'ampliamento un'operazione positiva per
Dunque, cinque anni sono trascorsi da
quel 24 luglio 1974, quando - a seguito del
colpo di stato a Cipro - il regime dei
generali (succeduto al regime dei colonnelli)
dovette cedere il potere ad un governo civile guidato dal conservatore Caramanlis; ed
altri due anni dovranno ancora trascorrere
prima che la Grecia potrà divenire membro
effettivo della Comunità.
Durante questi anni, anche Portogallo e
Spagna hanno riconquistato la democrazia:
il primo con la rivoluzione dei garofani del
1974, la seconda con la morte del dittatore
Franco ed il referendum istituzionale del
1976.
Ed ora è realistico affermare che la firma
del Trattato di adesione della Grecia preluda alla Comunità europea a dodici. Eppure,
anche se la Comunità attuale mostra in
tutto ciò una forte capacità di attrazione politica ed economica - gli avvenimenti recenti indicano l'esistenza di profonde contraddizioni nel processo di integrazione europea, contraddizioni che cerimonie fastose
come quella di Palazzo Zappeion non riescono certo a nascondere.
Limitiamoci a questo punto ad alcune
considerazioni generali di ordine politico:
1) l'atteggiamento dei Nove verso l'ampliamento. Mentre i negoziati con Gran
Bretagna, Irlanda, Danimarca e Norvegia
1 primi due volumi d i una serie d i testi federalisti, redatti a cura del MFE e pubblicati nella
durarono diciotto mesi, le trattative con la
collana dei «tascabili» dell'editore G u i d a , in vendita nelle edicole e nelle librerie. A d essi
Grecia sono durate quasi il doppio (trentafaranno seguito altrz testi d i autori federallsti sulle questioni d i maggiore attualità legate al
quattro mesi) e ben più incerte sono le
processo d i unificazione europea.
previsioni per Portogallo e Spagna (per
U n numero limitato d i copie dei volumi è disponibile, al prezzo ridotto d i L . 2.500 presso il
,<Centro studi sull'itztegrazione europea» (CESI) d i Torino, via Schina 26, al quale vanno
quest'ultima le trattive vere e proprie inizieindirizzate le richieste.
ranno solo a partire dal prossimo autunno).
Sul piano dei contenuti, la Comunità a
il Parlamento
COMUNI D'EUROPA
22
della maggioranza governativa (a parte la
storia personale dello stesso Caramanlis prima della disfatta del regime democratico e
del colpo di stato del 1967) resistono ancora
importanti personalità che hanno mostrato
chiaramente la tendenza a non voler rompere la continuità con il passato regime ed il
cui nome è stato legato più volte ad episodi
oscuri come l'assassinio di Alekos Panagulis. Un'ultima «perla,> (sulla quale è bene
che le forze democratiche facciano sentire
con chiarezza e sufficiente durezza la loro
voce) i. In ventilata nomina di quel Roussos,
notoriamente legato al regime dei colonnelli, ad ambasciatore presso le Comunità europee e quindi rappresentante permanente
in pectore della Grecia.
In Spagna, l'evoluzione politica all'intern o del PSOE potrebbe portare il governo
centrista di Suarez ad accentuare alcune tendenze di politica economica sostanzialmente
deflattive sul piano interno e protezionistiche vci-so l'cstcrno, anche qui facendo pagaù
certe conseguenze
re alle classi ~ i deboli
negative dell'adesione alla Comunità.
In Portogallo la situazione politica è tuttora abbastanza confusa e solo le previdibili
elezioni anticipate del prossimo autunno
potranno portare chiarezza: fino ad allora
sarebbe opportuno che, nella gestione delle
trattative con la Comunità, il governo ancora in carica di Mota Pinto potesse e volesse
coinvolgere il più possibile anche I'opposizione di sinistra nelle decisioni più importanti.
Per tutti e tre i paesi (e quindi per i tre
governi) dovrebbe aver un significato
l'esempio della Norvegia, decimo membro
effettivo per pochi mesi e poi semplice paese associato, d o p o un referendum che colse di sorpresa tutti gli ambienti comunitari.
3) l'atteggiamento della sinistra nei paesi
candidati. Una parte importante della sinistra in Grecia (Partito comunista dell'Estern o KKE, Partito Socialista di Papandreu),
IL COMUNE
in Portogallo (Partito Comunista di Cunhall, oltre ad alcuni movimenti autonomisti
in Spagna hanno assunto nei confronti
dell'adesione dei loro paesi alla Comunità
u n atteggiamento di netto rifiuto, propendendo o per una posizione di non allineamento o per rapporti più stretti con il Terz o Mondo o per un avvicinamento ai paesi
dell'Est europeo.
Queste posizioni ricordano per molti
versi l'atteggiamento della sinistra europea
negli anni '50 di fronte al nascente processo
di integrazione economica ed istituzionale
dell'Europa. I1 risultato fu (ed ora è evidente a tutti) che della gestione di questo processo furono attrici principali le forze moderate e conservatrici; che l'integrazione fu
indirizzata verso obiettivi di accentuato libero-scambismo all'interno e protezionismo
agricolo ed industriale verso l'esterno e che
il superamento degli squilibri fu affidato
agli effetti autonomatici riequilibratori del
mercato.
PARLAMENTO EUROPEO
Le conseguenze di questa filosofia sono
talmente evidenti, che è inutile ricordarle: la
battaglia delle sinistre in Europa oggi (di
tutto il movimento socialista, socialdemocratico e dei partiti detti eurocomunisti, con
l'eccezione del laburismo britannico e del
partito comunista francese) è per una trasformazione dall'interno della Comunità
europea, verso forme più accentuate di reale
solidarietà economica e di rafforzamento
delle strutture democratiche ed istituzionali
in senso sovranazionale.
Oggi molti rapporti di forza sono cambiati ed in particolare i1 movimento dei
lavoratori ha acquistato maggior ruolo politico e maggiore consapevolezza delle proprie responsabilità. Crediamo dunque che
per le sinistre dei paesi candidati sarebbe
errore grave ripercorrere la stessa strada
percorsa dalle altre sinistre in Europa; con
conseguenze dannose non solo per i loro
paesi ma per tutta la Comunità nel suo
insieme.
gli avvenimenti
Nella sessione del 2 aprile, il Consiglio
dei mtnistri ha esaminato lo stato delle relazioni con alc.uni paesi terzi ( C i n a , Turchia e
Jugoslavia), il negoziato per il rinnovo della
Convenzione d i L o m è ed i problemi ancora
irz sospeso per le trattative d i Ginevra relativ e al T o k y o Round.
In una sessione congiunta, ministri deglz
esterz e ministri delle finanze della C o m u n i tà hanno discusso il 3 aprile gli orientamenti
d i bilancio della Comunità europea, sulla
base d i u n documento d i lavoro della C o m missione.
Il n u o v o governo belga ha prestato giuramento il 3 aprile: oltre al primo ministro
Martens, comprende tre vice-primi ministri
(Vanderz Boeynants alla difesa, Claes agli
af-fari economici e Spitaels al bilancio). Il
socialista Simonet è stato confermato alla
guida del Ministero degli Esteri.
I1 3 aprile t. iniziata a Bruxelles l'ultima
sessione ministeriale per l'adesione della
Grecia alla C o m u n i t à , in vzsta della firma
del trattato fissato ad A t e n e per il 28
maggio.
L a Commissione ha trasmesso il 3 aprile
al Consiglio una comunicazione nella quale
propone d i organizzare una concertazione
fra paesi m e m b r i e paesi terzi sulle politiche
migratorie. Nella comunicazione, la C o m missione ricorda che v i sono oggi circa 12.5
milioni d i emigranti nella Comunità e che
l'aumento del numero dei m e m b r i delle famiglie d i questi lavoratori lascia presagire
che presto dovranno essere affrontati i problemi dell'occupazione d i giovani lavoratori
migranti.
Si è aperta il 4 aprile a A i x - l a - Chapelle la
conferer2za sui problemi dellJinquinamento
transfrontaliero, organizzata sotto l'egida
del Consiglio d'Europa.
La Commissione ha trasmesso al Consiglio, il 4 aprile, una proposta di n e g o z ~ a t o
con l'India, per ampliare l'attuale forma d i
cooperazione commerciale agli aspetti industriale, scientifico e tecnologico.
DEMOCRA~O
979
giugno 1979
Sempre il 4 aprile, la Commisszone ha
approvato un memorandiim, rzel quale si
propone l'adesione della C o m u n i t à in quant o tale alla Convenzione europea dei diritti
dell'uomo.
L a Commissione europea ed i paesi del
Mercato comune dell'America Centrale
(Costa Rica, Honduras, Nicaragua, E1 Salvador e Guaternala) hanno deciso, in u n
incontro svoltosi il 4 aprile, d i dare u n
carattere pirì sistematico alle loro relazioni.
Nella prospettiva del1 'adesione della
Grecia alla C o m u n i t à , u n Ufficio delle C a mere d i Commercio e dell'Industria greca t.
stato inaugurato il 5 aprile a Bruxelles.
Il n u o v o governo spagnolo, costituito il 5
aprile, è composto fra gli altri, oltre che dal
primo ministro Suarez, dal ministro degli
esteri Oreja e dal ministro delle relazioni
con la C E E Calzlo Sotelo.
Il Comitato economico e sociale ha adottato il 5 aprile u n parere (con 48 v o t i a
favore, 23 contrari e 13 astensioni), nei q u a le si sostiene la richiesta della Commissione
per u n congelamento dei prezzi agricoli al
livello dell'annata appena conclusa.
Il Consiglio-ambiente, nella sua riunione
del 9 aprile ha discusso quattro documenti
dilavoro: quello della Commissione sui principi di un'azione nel campo della valutazione dellJimpatto sull'ambiente nella C o m u n i t à ; i due della delegazione italiana sulla protezione del suolo e sulla valorizzazion e dello spazio naturale; i n f ~ n equello della
delegazione olandese sulle emissioni d i anidride solforosa.
Il Commissario Giolitti ha effettgato il 9
e 10 aprile una visita negli Stati Uniti,
consacrata a i problemi della politica regionale.
I1 9 e 10 aprile si è svolta a Bruxelles la
quinta riunione del gruppo misto d i lavoro
C E E -Paesi del Sud- Est Asiatico (Indonesia,
Malaysia, Filippine, Singapore e Thailandia), con l'obiettivo d i giungere, entro la
giugno 1979
fine dell'anno, alla apertura dei negoziati
per uri accordo d i cooperazione.
Dopo cinque anrzi dz negoziati, sono stati
firmati a Gincvvra il 12 aprile i testi relativi
all'uccordo sulle tat-~flecommerciali T o k y o
Round.
1 rninistri della Giustzzia sz sono riuniti il
24 aprile a Parigi per discutere l'e~jentuale
adozione d i una c o n ~ ~ e n 7 z o nre1atiz.a
e
allo
«spazio giudiziario europeo,>.
Nella seduta' del 24 aprile il Parlamento
europeo, su proposta del relatore Bangernann (L1b.-RFT) ha approvato il bilanc-io
rettificativo per il 1979, che comprende I 200
milioni a favore d i Italia e lrlanda, legati
alla creazione dello S M E e l'ammontare
definitiz.0 del Fondo regionale (945 milioni
d i unità d i conto ( u . C ) , d i c.ui il 4 0 %
all'ltalia), dopo il compromesso I-aggiurito
fra le d i f e r e n t i istituzionz comunitarie.
Nella stessa seduta del 24 aprile, il Parlamento europeo
su proposta del relatore
Spinelli ( C O M . . [t.) -- ha approzlato l'apertura d i una prima tranche d i 500 mtlioni di
U . C . per pt-~>stiti
destirzati a firia~zziare progetti di irivestirnet~to d i interesse cornuriitarlo.
Su rapporto del I-elatore Spinelli, il Paslamento europeo ha approvato il25 aprile una
relazio)ie sz~lla politica di ristridtturaziorie e
riconvrrsione industriale nella C:omunità
europea.
1)avanti izll'Assemblea generale della
Banca nazioriale svizzera, riunita a Z~*rigoil
26 aprile, il presidente Leutuiler ha dichiarato che il suo paese è fot-temente interessato a
legami più stretti con il sistema monetario
europeo.
La Commissione ha approvato, rzella riuniorzc del 2 maggio, uriu comunicazione sulla ripartizione del tempo d i lavoro, nella
prosprttiva d i uri rnigliorarnento delle condizionz d i vita dei lavoratori.
Il z7icepi-esidente della Commissione, N a tali, ha presentato il 4 maggio i risultati d i
una TI(-ercasui varitaggi delle politiche comunitarzc in rappol-to alle politiche nazionali.
11 5 rnaggio, n seguito delle elezioni nazioriali ( 3 maggio), il leader conserzlatore
inglese, signora Thatcher, ha forrnato il
-
N U O V E ADESIONI DI
ENTI TERRITORIALI LOCALI
ALL'AICCE
C-.omune di:
Bucine ( A R ) .
ah.
.
.
Portico e
San Benedetto ( F O )
.
.
.
8.009
.
.
.
1.211
Amminist7-azione Proz,znciale di':
Terni
.
.
. .
.
.
.
.
Parma
.
.
. .
.
.
.
. .
.,
222.847
395.497
Comunità europee ha pubblicato tutte le
n u o v o governo: agli affari esteri Lord Carproposte della Commissione relative alle porington, che h a g z à esercitato funzioni minilitiche comuni pe7- le strutture agricole.
steriali sotto Churchill; canc.elliere dello
scacchiere Sir Geoffrey H o w e ; ministro
11 Congresso della Confederazione eurodell'agricoltura Peter \Y'ulker. Lord Soamcs, pea dei sindac.ati, corzcluso a Monaco d i
Baviera il 18 maggio, ha eletto n u o v o presigià commissario delle Comunità europee, è
dente - in sostituzione del tedesco Vetter presidente del Consiglio privato e Lord
il presidente delln (:onfederazione olandese
Cancelliere.
dcz siridaca~z, K'im l i o k .
Si è aperta a Marizla, il 7 maggio, la
La Commzssione ha approvato il 23 mag,quinta sessione della Conferenza delle N a zioni Unite per il Comrnertio e lo Sviluppo gio il pa ret-c fae~orevole sulla conclusione dei
riegoziatz pet- l 'adesiotze della Grecia alle
(UNCTAI)).
Cornunitri er41-opec.
Il C'onszglio dei rniritstri ha esaminato 1'8
Sempre 11 23 maggio, la Cornrnissione ha
maggio lo stato tielle trattative per il rinnonominato n u o v o direttore genet-ale della D i v o tiella (:on-,,enzio~~e
d i Lomi., :ri exista
rezione affari economie-i e finaiiziari T o m della fase f;nalc> del n ~ g o z i a t o ,fissata per il
7 4 rnuggio a Bruxe1le.s.
maso Padoa Schioppa, già a c.apo del dipartimento [mercato morietarion della Banca
L'8 maggio i rappresentanti delle indud'Italia.
strie europee hanno consegnato al presidente
del Consigljo delle C o ~ n u n i t àil .manifesto
Il Comitato economico e sociale ha approdelle industrie europee».
vato all'idrianimiti, nella sessione plerzaria
del 23 maggio, u n o studio sulle relazioni
Il Parlamento europeo ha adottato nella
seduta del IO maggio
della Comunità con la Spagna, selatore
S M proposta del
Evai~z.
relutore Pzntat (Lib.-Fr.) - u n rapporto sugli aspetti settoriali dell'allargamento della
La Commissione ha approvato il 23 maggio u n parere sui programmi d i sviluppo
Cornunità a Grecia, Spagna e Portogallo.
regioriaie presentati dagli Stati m e m b r i .
Nella seduta dell'i i maggio, il Parlal negoziati per il rinnovo della C o n v e n vierito europeo ha quindi approelato u n rapzione d i L o m é fra la C E F ed i 57 Stati
porto, presentato da Pisani (Soc.-I+.), a noA C P sono stati aggiornati sine die il 26
m e del gruppo socialista, nel quale si chiede
maggio, dopo due giorni d i dibattito, a caula revisione della poli~ica agt-icola comune.
sa d i profonde d i e ~ e r ~ e n zfra
e la posiziorie
Sotto la p?-esidcnzu del miiiistro fraricese
Poncet, s i sono riuniti nel castello d i A4erdei paesi m e m b r i della Comunità ed i paesi
cues pt-esso <>hovs in I:vancia, il 12 e 13
A C P , i n particolare sull'ammontare del E:o?id o europeo d i se,iluppo.
maggio, i rninistt-i degli esteri della C o m u l i 28 maggio sono stati firmati a d A t e n e
nztà.
In occasione, del suo viaggio in Alsazia il gli atti relativi a!l'adesiorie della Grecia alla
Cornunità.
14 maggio, il l'residente francese Giscard ha
c.onfermato che la Francia si opporrà ad u n o
spostarriento del Parlamento europeo da
C O M U N I D'EUROPA
Strasburgo.
Organo dell'A.1.C.C.E.
l ministri delle firiarzze, riuniti il 14 magA N N O XXVII - N . 6 - G I U G N O 1979
gio, barino a v u t o u n prirno scambio d i 7.eDirettore resp.: UMBERTO SERAFINI
dute sulla c.onelergenza delle economie, sul
coordinamento delle politiche economiche,
Redattore capo: E D M O N D O PAOLINI
rnonetarie L, d i bilancio e sulle ripercussioni
DIREZIONE,REDAZIONEE
della situazione energetica. 11 Consiglio
AMMINISTRAZIONE
6.784.556
finanze ha inoltre deciso d i n o n accogliere la
6.795.712
Piazza di Trevi, 86 - Roma
richiesta del Parlamento europeo per una
Indir. telegrafico: Comuneuropa - Roma
concentraziorze sui benefici d i interesse legati
all'uttuazione dello S M E , a favore d i Italia
e Irlanda.
Abbonamento annuo L. 5.000 - Abbonamento annuo estero L. 6.000 - AbboSi è aperto il 14 maggio a Monaco d i
namento annuo per Enti L. 25.000 - Una
Baviera il Congresso della Confederazione
copia L. 500 (arretrata L. 1.000) - Abboeuropea dei sindacati.
namento sostenitore L. 300.000 - Abbo1 ministri degli affari sociali, riuniti il 1 5
namento benemerito L. 500.000.
maggio, hanrio discusso una serie d i cornuI versamenti debbono essere effettuati
nicazioni della Commissione, fra cui quella
sul
c/c postale n. 35588003 intestato a:
sulla rzpurtizione dell'orario d i lavol-o ed
Istituto
Bancario San Paolo di Torino,
unu proposta d i estensione del regolamento
Sede di Roma - Via della Stamperia,
sulla sicurezza sociale dei lavoratori m i n. 6 4 - Roma (tesoriere dell'AICCE),
granti.
oppure a mezzo assegno circolare - non
L.a Cornrnissione ha approvato, nella riutrasferibile - intestato a eAICCE* ,
riio~zcdel 16 maggio, il progetto prelimtnare
specificando sempre la causale del versad i bilan~.ioper il 1980, con u n aumento
mento.
dr1/'8,9"; degli stanziamenti rispetto al
Aut. Trib. Roma n. 4696 dell'll-6-1955
1979. L'ammontare complessivo delle spese
Associato dii'USP1
proposte dalla Comrnissione è pari a 15 m i Unione Stampa
liardi d i U.C.(circa 17 mila miliardi d i lire).
Periodica Italiana
11 C.'orisiglio energia si è riunito il 17
maggio, in prepat-azione del Consiglio eurolitotipografia rugantino roma - 1979
FED - fotocomposizione
peo d i fine giugno.
Il 17 maggio, la Gazzetta U f i c i a l ~ delle
,
--
d
MARCHE
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GIUNTA REGIONALE ASSESSORATO AL TURISMO - ANCONA
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Anno XXVII Numero 6 - renatoserafini.org