- Direz. e Redaz.: Plazza di Trevi, 86 00187 ROMA ANNO XXVII N. 6 GIUGNO 1979 Spedizione in abbonamento postaie Gruppo 111/70 - ORGANO MENSILE - D E L L ' AICCE, ASSOCIAZIONE dal quartiere alla regione per una Comunità europea federale UNITARIA Appello ai deputati tedeschi nel Parlamento europeo l1 13 giugno 1979 gli organi direttivi della Sezione tedesca del C C E (Presidenza e Comitato direttivo) si sono riuniti a Bonn sotto la presidenza del Dr. Storsberg, Presidente della Sezione tedesca, e hanno indirizzato all'unanimità il seguente appello ai deputati tedeschi nel Parlamento europeo, eletto a suffragio diretto il 10 giugno 1979. In considerazione: - delle prime elezioni dirette per il Parlamento europeo, rivendicate dal C C E già a partire dal 1954, e della forte affluenza alle urne, in particolare nella Repubblica federale di Germania; - dei progressi, nonostante tutto, compiuti negli anni passati in relazione a: a) libera circolazione; b) diritto per tutti i cittadini dei paesi membri di cercare e ottenere u n posto di lavoro in t u t t o il territorio della Comunità; C) possibilità di viaggiare in t u t t o il territorio della Comunità senza passaporto o visto; d) abolizione dei dazi doganali nel commercio tra i paesi membri; - dei problemi con i quali si trovano confrontati gli Stati europei, problemi che n o n si possono più risolvere soltanto con u n o sforzo a livello nazionale, ma solo insieme: a) creazione di posti di lavoro; b) difesa militare; C) garanzia del rifornimento energetico; d) lotta contro l'inflazione; e) difesa dell'ambiente; - della necessità di una politica economica comune dei nove paesi membri per garantire la stabilità del sistema economico europeo; i membri della Sezione tedesca del Consiglio dei Comuni d'Europa fanno appello ai deputati tedeschi ora eletti del Parlamento europeo - perché elaborino ed approvino u n a Carta europea dei diritti dell'uomo; - preparino una Costituzione (Verfassung) europea, che assicuri e rafforzi l'autonomia locale nel suo ruolo di colonna portante di u n ordinamento costituzionale democratico; - si impegnino per l'allargamento delle competenze degli organi della Comunità, con l'obiettivo finale di unire i paesi della Comunità in una Unione politica, con una moneta e leggi fiscali comuni, che sia in grado di fare una politica economica europea ; - lottino per maggiori poteri e competenze di controllo del Parlamento europeo, specialmente per il potere di iniziativa' legislativa, affinché questo Parlamento costituisca u n vero contrappeso alla Commissione ed al Consiglio dei ministri; - si impegnino per la istituzione di una commissione per la politica locale nel Parlamento europeo, con la partecipazione consultiva di rappresentanti delle autonomie locali europee, la quale collabori in ogni legislatura del Parlamento europeo alla presentazione ed alla discussione di u n rapporto sulla situazione degli enti locali in Europa; - inizino l'elaborazione di una legge elettorale per le elezioni del Parlamento europeo, comune a tutti i nove Stati membri; - promuovano l'introduzione di u n passaporto unico per tutti i cittadini degli Stati membri. DI COMUNI. PROVINCE, REGIONI Le urne europee Gli europei sono andati alle urne. Successo o insuccesso? In attesa che il Consiglio nazionale dell'AICCE e la presidenza sovranazionale del CCE diano il loro ponderato giudizio, noi ci limitiamo a sottolineare che tutti gli elementi per una successiva coraggiosa e coerente battaglia sono stati resi disponibili. Sono stati dibattuti poco o niente i programmi europei delle Unioni comunitarie dei partiti; è avvenuto quasi ovunque l'uso strumentale, nazionale della competizione elettorale; l'elettore è stato più plagiato che informato; molti uomini dell'apparato e delle corporazioni sono stati inviati a Strasburgo in luogo di provati combattenti della Causa: ma non è crollato il bastione francese, dove una maggioranza di cittadini europei ha sconfitto una minoranza di prigionieri del passato (a destra e a sinistra); hanno Inserto speciale: I sindacati e 1'Europa dopo il Congresso di Monaco. pienamente votato per l'Europa i paesi restanti della più vecchia Comunità; ha mostrato la crisi di fantasia, dopo la caduta dell'impero e la pratica dissoluzione del g a n d e ideale liberale del Commonwealth, il Regno Unito; ha tenuto l'Irlanda, mentre la Danimarca ha mostrato una realtà che era strano non prevedere (si tratta, cioè, di un paese scandinavo, separato dai paesi fratelli per questioni economiche e che, senza avere l'audacia di coinvolgere in grosse strategie ideali, si pretenderebbe che si sentisse improvvisamente e senza riserve più amico dei tedeschi e dei francesi che degli svedesi e dei norvegesi). Che dire, d'altra parte, di una campagna che - a parte i quattro soldi della Comunità - ha avuto contro (o a favore in maniera estremamente stupida) tutti i mass-media? Pensate: mentre il 10 maggio, agli Stati generali dell'Aja, parlavano i massimi calibri delle formazioni politiche europee a una folla (che era una folla) di amministratori regionali e locali europei, televisione e giornali nazionali ignoravano quasi totalmente I'avvenirnento per informare invece gli elet(continua a pag. 2) COMUNI D'EUROPA 2 tori a che punto era il giudizio sull'omosessuale inglese, di parte liberale, Thorne e che (in Italia) le compagnie petrolifere avevano le scorte intatte e quindi «per riempire il serbatoio nessuna emergenza in Italia*. In realtà quello che interessava alle televisioni e giornali nazionali era che rimanessero intatti i serbatoi elettorali di coloro che li finanziano e che tutto sommato non si toccassero, con troppo radicalismo europeo, i comodi sistemi degli interessi costituiti. Viceversa il Parlamento europeo eletto è ormai là coi suoi poteri e le sue virtualità. Il C C E si batterà perché il partito dei novatori, cioè il partito federalista, prevalga nel Parlamento europeo sul partito dei conservatori nazionalisti, di destra o di sinistra. All'impero delle multinazionali e degli interessi finanziari apolidi, con contorno di vassalli e di giornalisti, dovrà rapidamente subentrare la repubblica degli europei e con essa, al centro della nuova aggregazione democratica, il Parlamento sovranazionale di Strasburgo. Dalle prime elezioni europee al fronte democratico europeo che va nettamente al d i là della anacroniRiproduciamo in questo numero d i c,Costira querelle tra europeisti e rzazionalisti. m u n i d'Europa» il primo capitolo del V a d e . . I nazionalisti, si sa se n e sono accortz I m e c u m dell'Amministratore locale e regiocittadini europei, sono gli uomini delle canale per lc, elezioni europee, pubblicato d u verne: per uscire dalle caverne bisogna t u t rante la campagna elettorale europea tazlia concordare con fermezza ma anche dall'A I C C E in cooperazione con l'A N C I , con chiarezza gli aspett; d i una n u o v a civil. con I'UPI, corz I ' U N C E M , con la Lega per tu democratica, che airnti il passaggio dalla 16, a u t o ~ ~ o me~ ci poteri locali e con la scena internazionale degli equilibri (bipolari FIAEL. o multipolari) alla soz~ranazionalità e alla Alla luce dello sz'olgimento delle elezioni cogestione da parte di tutto il genere umano europee, le linee strategiche delineate nel di una serie d i problemi posti dallo scatena. capitolo sembra che debbano rimanere inalterate. N e discutera il Consiglio n a z i o ~ ~ a l e m e n t o d i una tecnologia (razionalizzazione settoriale) a cui non ha fatto riscontro il dell'AICCE, n e discuteranno gli o r g a ~ so~i salto d i qualita dei costr~micivili e dell'orgavranazionali del C C E , m a ormai possiamo nizzazione della città (progresso i,erso la prevedere che le parole d'ordine con le quali ragione). ci siamo lasciati agli Statz generali dell'Aja ** rimarranno le parole d'ordine della battaglia che proseguiamo, considerando la cenUna cosa sembra certa: se non ci fossero tralità del Parlamento europeo eletto come il il buon senso e l'intuizione d i molti uomini punto d i riferimento permariente d i tutte le comuni o «impolitici» -- di cui si ha qualche nostre iniziative. sintomo, ma che i mass m e d i a , qu'otidiani, Se alcuni vecchi e provati federalisti si radio tv, periodici a larga tiratura, si p a r d a sono sentiti defraudati da una campagna n o bene, nella loro abituale miopia, di scanelettorale europea ben lontana dai loro giudagliare adeguatamente - non pare che i sti desideri e dalle esigenze d i una corretta quadri politici diano oggi a vedere, in Italia democrazia, una campagna che doveva e nel loro complesso (le lodevoli eccezioni svolgersi non tra pecore m a tra uomini connon mancano mai), di rendersi conto che le sapevoli, esxi dovranno pur meditare quanto prossime elezioni europee sono più imporu n u o m o assai tiepido verso l'integrazione tanti - di gran lunga più importanti - di europea, Maurice Duverger, ha scritto su una tornata di elezioni nazionali. Si consta« L e Monden del 2 0 giugno: - L e elezioni del ta ciò perfino nella grottesca espressione 10 giugno hanno dato la vittoria agli euro«elezioni politiche [quelle nazionali!] ed eupeisti, cioè ai fautori di una Europa soeraropee»: ma, si sa, per molti, per troppi nazionaleu. «quadri> di partito la politica coincide con Il problema è forse oggi piuttosto u n alla gestione - concreta e immediata - di un tro; è quello che ci siamo posto nel settempotere, non con la neaziorze - faticosa, bre 1978 a1 grande convegno d i Magonza: lenta e , quel che è peggio, incerta - di un ,<L'Europa per che fare?,>. La misura, cioè, potere. Il Parlamento nazionale è là, buono della soluzione dei problemi scottanti pare o cattivo, i partiti devono passare per esso sempre più alla maggioranza una misura al fine di contrattare la divisione del potere sovranazionale; una soluzione sovranazio«politico» esistente e di dare l'unico contrinale richiama sempre più all'eviderzza istitubuto a portata di mano alla gestione - anzioni adeguate, dotate di poteri sufficienti: che l'opposizione negozia migliaia di leggim a , ciò premesso, la faticosa delineazione d i ne - della cosa pubblica. C o m e valutare, u n modello europeo, che attiri le forze v i v e invece, quell'istituto per esuli, il Parlamento sovranazionale, che finora non ha brillato d i questo vecchio continente, si presenta ordi una sua vivida luce, è stato praticamente m a i come il psoblema dei problemi. 1 n u o v i progressi verso l'unita europea ignorato dal squarto potere*, non si capisce bene quali destini possa avere in termini di dovranno ormai essere norz solo politici, m a lettura, anche volonterosa, dei Trattati coculturali: la creazione della Federazione eumunitari? N o n solo i semplici lettori, ma ropea è ormai un'opera,di cultura e d i contributo al n u o v o ordine dell'intero pianeta, quegli importanti xquadri socialiv, che sono giugno 1979 gli amministratori locali e regionali, si domanderanno a questo punto che importanza effettiva - al di là delle svalutazioni preconcette e delle illusioni degli «idealisti, - possano avere le elezioni europee; anzi: le prime elezioni europee; anzi: le prime elezioni democratiche che, in tutta la storia conosciuta, abbiano tenuto simultaneamente un gruppo di Stati .indipendenti e sovrani» per eleggere un Parlamento comune. N o i cercheremo di fornire loro alcuni elementi di giudizio. Che poteri ha il Parlamento europeo? ne potrà avere di maggiori? come? che ruolo giuoca o p u ò giuocare nel processo di integrazione europea? quale tipo di integrazione - o almeno quale metodo - potrà eventualmente favorire? eletto direttamente conterà davvero di più? Il Parlamento europeo ha, in base ai Trattati di Roma (istitutivi della Comunità economica europea e dell'Euratom) e del vecchio e ariveduto. Trattato di Parigi (istitutivo della Comunità carbosiderurgica), certe competenze, che si sono precisate e, entro certi limiti, accresciute via via per prassi e per accordi intervenuti fra le altre parti contraenti (anche attraverso negoziati fra il Parlamento stesso e il Consiglio dei Ministri [nazionali] della Comunità e utilizzando la flessibilità dei Trattati). Allo stato attuale delle cose il Parlamento europeo partecipa alla elaborazione della legislazione comunitaria (questa grande sconosciuta; eppure essa incide in modo rilevante sui nostri ordinamenti: basterebbe pensare alla regolamentazione agricola nei riguardi delle competenze costituzionali» delle Regioni italiane). [,e «leggi» comunitarie (si chiamano, molto impropriamente, direttive e regolamenti), preparate dalla Commissione e adottate dal Consiglio dei Ministri, hanno bisogno del parere del Parlamento europeo. N o n è un parere cogente, ma indubbiamente il Consiglio ne ha dovuto tenere sempre più conto, soprattutto perché l'influenza del Parlamento è cresciuta nei campi, che ora diremo, ed è dunque giuocoforza stabilire con esso un più amichevole modus vivendi. Piuttosto è la crisi della Commissione ese- SOMMARIO I,e urne europee . . . . . . . Pag. 1 Appello ai deputati tedeschi nel Parlamento e u r o p e o . . . . . 1 Dalle prime elezioni europee al fronte democratico europeo, di U ~ n b e r t oSerafini . . . . . . 2 Scorie radioattive e territorio: uno fra i problemi, di Walter Brugner e Alvaro Valdinucci. . . 9 Cronaca delle Istituzioni europee, . di Pier Virgilio Dastoli. . . . 21 Inserto speciale: I sindacati e l'Europa, a cura di Luigi Troiani COMUNI D'EUROPA giugno 1979 cutiva che - tout se tient - ha offuscato indirettamente il ruolo del Parlamento, poiché essa fa sempre più raramente - con alcune nobili ed esemplari eccezioni - da «terzo incomodo.. In altri termini: il carattere tecnocratico della Commissione - i cui membri «sono nominati di comune accordo dai governi degli Stati membri» - era stato da tempo denunciato, ma nessuno impediva a questi «funzionari,,, che prestano un giuramento di lealtà europea, di guadagnarsi un «merito storico. e di agire come un collegio - e non come un club rissoso -, come un collegio indipendente dalle *minacce. nazionali, coraggioso e ispirato più alle prevalenti o comuni tendenze espresse dal Parlamento europeo (o dalle sue correnti più «comunitarie»). Viceversa la C o m missione non si è più riavuta dalle umiliazioni ricevute quando il ricatto gollista più minacciava la Comunità; non ha saputo salvo qualche sporadico colpo di coda riacquistare stabilmente l'iniziativa, che le spetta per i Trattati; si lascia abbastanza vergognosamente condizionare dal cosiddett o C O R E P E R , in sostanza dai rappresentanti stabili dei Governi nazionali a Bruxelles. Insomma troppo spesso la Commissione propone al Consiglio dei Ministri solo quello che sa, a priori, che sarà gradito: e il suo diritto di iniziativa va a farsi benedire insieme all'impegno dei suoi membri di esercitare .le loro funzioni in piena indipendenza nell'interesse generale della COmunitàn e di non sollecitare né accettare «istruzioni da alcun governo né da alcun organismo,>. Torniamo al Parlamento europeo. Esso ha poi - ecco il punto - rilevanti poteri di bilancio: dispone del potere di emendament o e gli spetta l'ultima decisione per talune voci di spesa. Chiude l'insieme del bilancio e p u ò , per xgravi motivi., respingerlo nella sua totalità. La ~ r o c e d u r adi bilancio occupa senz'altro una posizione centrale nelle attività del Parlamento. Ma esso esercita poi un non meglio recisab bile controllo politico.: dà giudizi (tecnicamente: delibera) su tutti i problemi importanti della vita comunitaria ed esamina regolarmente la politica condotta dalla Commissione e dal Consiglio dei Ministri. I parlamentari hanno la possibilità d i porre questioni orali o scritte; possono obbligare la Commissione esecutiva a dare le dimissioni, votando una .mozione d i censura. - tuttavia non hanno alcun diritto nella designazione di una *nuova. Commissione -. Infine il Parlamento europeo è stato «associato. dai sgoverni nazionali alla acooperazione» fra gli Stati membri nel campo della politica estera: atto di buona volontà, per dare una coloritura comunitaria - ma in verità si finisce così per riconoscere una virtualità in materia all'organo parlamentare comune - a una politica estera «confederale* o intergovernativa (cioè condotta ancora fra Stati indipendenti e sovrani e pronti - in una malintesa interpretazione degli «interessi nazionali» - a imboccare strade divergenti, e pertanto una politica estera non credibile fuori d'Europa). Questi i poteri del Parlamento europeo oggi. D i fronte ad esso il grosso del potere spetta dunque al C:onsiglio dei ministri diremo poi d i quell'istituto arbitrario e pericoloso che è il Vertice dei Capi d i Stato e di Governo (pomposamente chiamato C o n siglio europeo) -, molto meno condizionato di quanto dovrebbe da una Commissione esecutiva, che - come si è detto - ha rinunciato abbastanza largamente alla sua funzione di iniziativa e i cui membri è assai dub- 3 bio che agiscano sempre <<inpiena indipendenza nell'interesse generale della Comunità),, privi come sono di hinterland europeo, in lite fra di loro, molto più pronti a farsi intimidire dal Consiglio dei Ministri che a stringere alleanze col Parlamento europeo. N o n merita gran discorso il Consiglio europeo delle corporazioni - chiamato pudicamente Comitato economico e sociale -, il quale dovrebbe .assistere,>, con funzioni consultive, il Consiglio e la Commissione, mentre la Corte di Giustizia (che «assicura il rispetto del diritto nella interpretazione e nella applicazione. dei Trattati comuriitari) non è stata valorizzata quanto potrebbe esserlo, perché nessuno la vuole usare contro «altri, al fine del rispetto integrale dei doveri comunitari, in base ai motivi impliciti nel detto volgare (ma efficace) *il più pulito ha la rogna.: si temono infatti le ritorsioni, poiché tutti hanno gravi infrazioni d a farsi perdonare. Ma alle soglie delle elezioni europee l'analisi pura e semplice delle competenze formali non dice tutto: quel che interessa sapere è di che rappresentatività effettiva gode ora il Parlamento europeo; su quali radici politiche o sociali p u ò far leva; che potenzialità autonome trovi in se stesso; che strumenti d'emergenza possa eventualmente adoperare per far leva sulla pubblica opinione; quali procedure gli si presentino per aumentare i suoi poteri e per contribuire ad adeguare alla realtà in cammino tutti gli istituti della Comunità. Visto ciò, si p u ò meglio valutare il significato delle elezioni europee e il m o d o d i condurle e utilizzarle per costituire una «centralità» del Parlamento europeo: in pari tempo si p u ò meglio approfondire i doveri che incombono alle forze popolari e federaliste - per quanto ci XIII Stati generali del Consiglio Clei Comuni d'Europa Il prossimo numero d i .Comuni d'Europ a ~sarà completamente dedicato agli A t t i dei X I I I Stati generali del C C E , svoltisi all'Aja dal 9 al 12 maggio scorso. , COMUNI D'EUROPA 4 riguarda più da vicino: al movimento europeo delle autonomie - al fine di aprire subito d o p o le elezioni una feconda dialettica col Parlamento eletto, appoggiarlo e spronarlo, legarlo sempre più, direttamente, alla società europea. Gli attuali parlamentari europei sono eletti di secondo g a d o dai parlamenti nazionali ed hanno quindi da questi la loro legittimazione; da questi mutuano il loro grado di rappresentatività. D'altra parte essi dipendono dai partiti nazionali a seconda della diversa struttura e disciplina di questi e dei diversi rapporti dei partiti stessi coi parlamenti nazionali. Certo: far parte dell'assemblea europea ha una sua logica e non soltanto per il rozzo motivo che la funzione crea e fa maturare l'organo. I1 quadro europeo ha - come vedremo meglio appresso - una sua forza stringente, da cui dovrebbe scaturire - e non di rado se ne ha N l'accenno - una volontà del Parlamento europeo, quale che sia l'origine dei suoi componenti: beninteso, sempre che essi non appartengano a formazioni anche teoricamente e culturalmente contrarie a ogni progresso verso una visione degli eventi umani al di là del nazionalismo e della ragion di Stato ovvero prigioniere di un invalicabile settarismo. Del resto gli stessi governi nazionali sono da una parte incapaci di far progredire il processo di integrazione europea o addirittura lo ostacolano: ma poi si rendono conto dei grandi pericoli e anche degli svantaggi evidenti della rottura del quadro europeo; e si sforzano di conservare in qualche modo la Comunità europea, in balia di forze ora centrifughe ora centripete. In ogni caso quei parlamentari nazionali, che sono stati designati al Parlamento europeo, si sono trovati ad operare qui attraverso gruppi politici e - a parte le riunioni 164 sportelli in Toscana Uffici di Rappresentanza a: - Francoforte sul Meno --vcassa B q diRisparmioy -- - c....A:.....-:-....:..,: ., .,4,.,,.n7n , giugno 1979 plenarie - 12 commissioni d i lavoro. L'appartenenza ai gruppi politici - che sono trasnazionali e che ebbero la l o n ) origine già nell'assemblea comune della Comunità ~ a r b o s i d e r u r ~ i c(furono a istituzionalizzati il 16 giugno 1953) - non è obbligatoria, ma di fatto sono assai rari i non iscritti: e i gruppi politici (socialisti, democratici cristiani, liberali, comunisti, conservatori, democratici europei d i progresso) o coprono tutto il territorio comunitario o comunque in prevalenza appartengono a scuole politiche almeno in teoria internazionaliste, anche se non necessariamente europeiste - le eccezioni sono in qualche modo i conservatori e, naturalmente, i gollisti -. Attraverso i gruppi il Parlamento europeo - questo è stato il vero punto di svolta - procede nei suoi lavori per tendenze politiche e n o n per rappresentanze nazionali, anche se è evidente che i gruppi politici spesso n o n riescono a mediare le differenze dei partiti nazionali di origine e, quindi, o pervengono a compromessi privi di qualsiasi mordente o sono costretti a lasciare ai loro componenti libertà di voto. La composizione delle commissioni «parl a m e n t a r i ~o di lavoro avviene in base a due criteri, cioè la rappresentanza equa degli Stati membri e la tendenza politica degli aspiranti: il criterio politico ha finito per avere una certa prevalenza. I gruppi politici hanno una loro autonomia e dispongono anche di loro fondi finanziari. Gruppi e commissioni e l'intero Parlamento - ove è possibile anche la formazione di raggruppamenti ad hoc, in vista di particolari problemi - hanno una serie di rapporti esterni con la società europea: per i parlamentari eletti di secondo grado una <<udienzaconoscitiva» con gli interessati da una particolare questione sociale, economica, istituzionale comunitaria può significare intrecciare un rapporto con una forza portante del Parlament o europeo e dei suoi uomini più avanzati; ma in definitiva questa forza - una volta che abbia preso coscienza di sé in senso europeo - non ha la possibilità di sostenere quei parlamentari fino in fondo, non li ha eletti né p u ò generalmente contribuire a farli rieleggere. I1 meccanismo dei partiti nazionali rimane dunque intatto, con la sua logica: questa porta a premiare le considerazioni relative alla aggregazione di una maggioranza nazionale di governo o d'opposizione. Domani entrerà in campo l'elettore europeo, che darà senza dubbio, formalmente, una legittimazione più completa - radicale al Parlamento europeo. Ma non è l'aspetto astratto dell'elezione diretta - anche se ha risvolti emblematici da non sottovalutare che più vorremmo sottolineare. C i sembra fondamentale la rottura o quanto meno l'incrinatura del meccanismo dei partiti nazionali e la lenta formazione, con la mediazione dell'elezione diretta, di un hinterland autonomo dei gruppi politici del Parlament o europeo, di un hinterland comunitario, il cui consolidamento sarà una responsabilità di noi tutti - e mi rivolgo qui particolarmente agli amministratori locali e regionali, al movimento europeo delle autonomie, al giugno 1979 Consiglio dei Comuni d'Europa che a tutti gli autonomisti cerca di segnalare obiettivi comuni e unitari, federalisti -. La selezione dei candidati alle prime elezioni europee (e - a seconda delle disposizioni elettorali dei diversi paesi - una rilevante influenza, non ovunque la stessa, sui destinati a riuscire) è dipesa interamente, questa volta, dai partiti nazionali: la selezione non è sempre stata in funzione delle «qualità europee. delle persone: ma già i candidati avranno di fronte a sé nella campagna alcuni programmi o manifesti elettorali trasnazionali. N o n tutti e non della migliore fattura, ma molti dei candidati li avranno. Naturalmente questi programmi sono stati redatti da unioni o aggregazioni «europee» di partiti omogenei dottrinariamente (socialisti e socialdemocratici, democristiani o popolari, liberalradicali): tuttavia essi sono spesso frutto di compromessi «a perdere,, (involutivi) e non «a vincere» (evolutivi). Cioè: tu abbandoni questa richiesta europea (rispondente a una logica sovranazionale), che mi d à fastidio ed io rinuncio a una richiesta che ti è ostica; e non: se tu, coraggiosamente, concedi questo e quest'altro alle mie tesi europee, anch'io, con pari coerenza, supererò le mie riserve «opportunistiche» (nazionalcorporative). Sono, in sostanza, troppo spesso programmi d i bandiera, pieni di buoni propositi, ma alieni dallo scioglimento d i nodi che, anche fra partiti omogenei, bloccano spesso la lotta per concrete soluzioni comunitarie. Diversamente potrà essere quando il Parlamento eletto avrà svolto un suo primo tratto di lavoro e, quindi, avrà messo alla prova - e l'elettore, s'immagina, osserverà e @udicherà - queste piattaforme trasnazionali, ponendosi (speriamo e vogliamo: ma vedremo poi come estrinsecare questa nostra volontà «esterna*) su posizioni, se del caso, più avanzate: in altri termini lo stesso agire di un Parlamento europeo eletto influirà successivamente su più incidenti piattaforme trasnazionali. Ma qui discorrevamo della se-. lezione dei parlamentari europei: ebbene, in questa prima tornata di elezioni europee la selezione avverrà con leggi ancora nazionali, in parte svantaggiose per l'affermarsi degli europeisti e, anche, per la prevalenza dei fattori politici su quelli corporativi. D u e esempi: la legge italiana e quella inglese. Quella inglese penalizza il più europeo l'unico interamente e coerentemente europeo - dei partiti inglesi, il partito liberale, e i relativi elettori: il sistema del collegio uninominale senza ballottaggio - stando alle elezioni per la Camera dei Comuni del 3 maggio 1979 - dette ai laburisti, con 11 milioni e mezzo di voti, 268 seggi, ai conservatori, con 10 milioni e mezzo, 339 seggi e ai liberali, con 5 milioni e 350 voti, 11 seggi. Quella italiana, coi 5 collegi pluriregionali, non favorisce né i nomi di grande spicco politico e culturale nazionale né coloro che, su base regionale o infraregionale, erano riusciti a intrattenere direttamente un dialogo di ordine generale, politico, con gli elettori, ma i rappresentanti - spesso più o meno anonimi di grosse corporazioni, che travalicavano le frontiere regionali (coltivatori diretti, com- COMUNI D'EUROPA mercianti, eccetera): gli interessi settoriali saranno privilegiati su quelli generali, mentre l'Europa - l'Europa autentica, l'Europa federale - si costruisce sulla base di questi ultimi e per reinserire gli emarginati in una società oggi profondamente corporativa e ingiusta. O r a , le altre parti contraenti - i governi nazionali - hanno deciso che la prossima volta sia il Parlamento europeo eletto a elaborare una legge elettorale comune. In realtà gli Stati nazionali hanno stentato a lungo a tenere fede a quanto avevano accettato attraverso la stipulazione e la ratifica dei Trattati comunitari: «L'Assemblea [parlamentare europea] elaborerà i progetti intesi a permettere l'elezione a suffragio universale diretto, secondo una procedura uniform e in tutti gli Stati membri. Il Consiglio [dei ministri], con deliberazione unanime, stabilirà le disposizioni di cui raccomanderà l'adozione da parte degli Stati membri conformemente alle loro rispettive norme costituzionali,,. Nell'elaborazione della legge elettorale comune, nel raggiungere un accordo possibilmente di larga maggioranza e nell'imporlo, il Parlamento eletto giuocherà una parte ragguardevole del suo prossimo destino e del destino democratico dell'intera Comunità. A questo punto conviene riprendere la nostra analisi su come questo primo Parlamento eletto potrà acquisire una autentica .centralità» nella democratizzazione della Comunità europea e in tutto il processo di integrazione comunitaria. Anzitutto i gruppi politici potranno svilupparsi e acquisire iniziative «rappresentative», perché parallelamente alla loro azione potrà crescere l'amalgama europea delle unioni trasnazionali dei partiti: insomma perché - pur tra mille, prevedibili difficoltà - potranno prendere consistenza i partiti europei. C h i li spingerà questi partiti europei? la forza del quadro europeo? l'attesa delle seconde elezioni europee da condurre in base a una legge elettorale comune? I fattori saranno diversi e, in qualche modo, convergenti - sempre che certi rigurgiti di nazionalismo «razionalizzato» (e presentato sotto le vesti di un falso europeismo, cioè di un europeismo fra «solidali Stati sovrani,,, il che vuol dire decisi a paralizzarsi a vicenda) non sconvolgano il quadro comunitario -. Occorrerà accelerare il processo di organizzazione trasnazionale dei partiti e anche gli incontri fra amministratori locali europei, gli scambi fra lavoratori, studenti, operatori sociali, insegnanti, eccetera, i <qgemellaggi» tra Comuni dovranno favorire l'integrazione di .base,,: talché i congressi europei dei partiti - questi congressi acquisteranno importanza sempre maggiore - non siano I'incontro di carovane decise dalle direzioni nazionali e dal loro «apparato., ma vi partecipino gli iscritti o quanto meno i dirigenti e gli esponenti culturali delle diverse regioni, liberamente, espressi dal basso. D'altro canto le udienze conoscitive e tutti i rapporti diretti del Parlamento eletto con la società europea prenderanno l'aspett o nuovo-sopra rilevato e ci dovremo battere per allargarli e stabilizzarli. I1 Consiglio dei Comuni d'Europa - che già, in altro momento della lotta per l'unità europea (correvano gli anni cinquanta.. .), realizzò con le sue proposte, la sua pressione e i suoi uomini la Conferenza europea dei Poteri locali ( C E P L - la sigla attuale è: C P L R E , cioè Conferenza dei Poteri locali e regionali europei) presso il Consiglio d'Europa - cerca, a partire almeno dal 1976, d i istituzionalizzare la rappresentanza unitaria delle autonomie locali e regionali presso la Comunità europea. Esso si batte contro la scarsa disponibilità della tecnocrazia d i Bruxelles, da un lato, e dall'altro contro I'ordito corporativo delle associazioni di Poteri locali e regionali settoriali, specializzate o Elezioni e Pariamato VADEMECUM DELL' AMMINISTRATORE LOCALE E BEGIONALE P o ~ d i L u c h l u i S o U s a GLinimnceIllirtlnl Urnkrto SamRni Arlo R u p d Vitmrio Cutallezi A I c c E , ~ C I , u P I , U ~ Legaper leAutonomie locali generiche (addirittura mondialiste), che vogliono prendere d'assalto la Comunità non per costruire una Europa unita, capace insieme d i programmare e di rispettare I'autogoverno locale e regionale, ma per chiedere mille cose contraddittorie e (chi sa?) forse anche per sabotare un democratico progresso verso la Federazione. O r a il dialogo andrà portato avanti prevalentemente col Parlamento eletto: gli amministratori di Enti locali e regionali territoriali rappresentano l'interesse generale e assicurano u n legame dei parlamentari europei con tutta la società europea, quella degli occupati e quella degli emarginati. Il movimento europeo delle autonomie dovrà garentire che il processo di integrazione non imbocchi strade burocratiche e verticiste; che la qualità di vitz abbia almeno la stessa attenzione che la quantità dello sviluppo; che le regioni forti e le regioni deboli rifiutino di farsi eternamente «mediare» dagli interessi costituiti e privilegiati, i quali si coprono del manto ingannevole dell'einteresse nazionale* - mentre si tratta dell'interesse di lorsignori -. Una «Conferenza europea dei Poteri locali e regionali>, a 9 (e presto a 12)? Certo verso qualcosa del genere bisognerà finalmente avviarsi, rendendosi conto che questo processo andrà di pari passo col rafforzamento dei poteri del Parlamento europeo. 11 quale, COMUNI D'EUROPA a sua volta, dovrà persuadersi di questo che i medici e i chimici farmaceutici chiamano sinergismo: un processo rinforza l'altro, una medicina esalta la proprietà dell'altra. Ma un'altra considerazione essenziale dobbiamo fare sull'avanzata dei caratteri sovranazionali del Parlamento europeo e sulla sua capacità di farli valere. Abbiamo detto che i gruppi politici del Parlamento europeo tendono - e dobbiamo aggiungere: tenderanno ancora - a lasciare ai loro iscritti una libertà di voto più larga e frequente di quel che avvenga nei parlamenti nazionali. D i fatto si svilupperà sempre di più, al d i sopra dei gruppi politici e delle origini nazionali, una formazione invisibile o , per lo meno, informale, che potremmo chiamare *gruppo federalistan: saranno i parlamentari capaci d i sciogliere i nodi principali del processo di integrazione, conferendo al Parlamento europeo quella «centralità» di cui parlavam o . M a questo «gruppo. non potremo lasciarlo isolato: esso dovrà divenire uno dei principali punti d i riferimento di tutta la lotta federalista in Europa. L'Unione europea dei federalisti (UEF), le cui origini risalgono alla Resistenza europea e che in questo dopoguerra è stata la pattuglia avanzata della lotta per l'unità democratica dell'Europa, costituirà a fianco del Parla- AIcC# ASSOCIAZIONE ITALIANA PER IL CONSIGLIO DEI COMUNI D'BUROPA mento europeo eletto un «comitato di vigil a n z a ~ :per incoraggiare i parlamentari federalisti; per richiamare alla coerenza coloro che, dichiaratisi europeisti, si saranno lasciati irretire da interessi costituiti e dall'opportunismo nazionalista; per additare alla pubblica opinione, infine, quei parlamentari . . impossibili soeuropei che, battendosi per luzioni confederali o intergovernative ai problemi della Comunità, si metteranno obiettivamente al servizio della xsovranazionalità privata. - che già esiste in barba alle sovranità nazionali - e delle Superpotenze. Le organizzazioni europee democratiche, ispirate ai principi del federalismo - e tra esse il Consiglio dei Comuni d'Europa, che ~ guida l'autonomismo europeo fuori dalle secche del separatismo, del pugiadismo e del vuoto ribellismo verso un quadro sovranazionale contrario al centralismo burocratico -, dovranno senza dubbio appoggiare e ingrossare le fila del «comitato di vigilanza». Ma non basta. I1 M E C ha costretto - a livello nazionale - i partiti popolari, i partiti di massa, i partiti dei lavoratori, le grandi organizzazioni sindacali e sociali in genere a guardare in faccia la misura sovranazionale in cui si debbono collocare oggi le soluzioni dei fondamentali problemi politici, economici e sociali: ma ha anche seguito la via irràzionale d i disgiungere l'economico dal politico, lasciando il sociale a mezz'aria. Le elezioni europee dirette sono un simbolo e un punto di riferimento, ma non risolveranno in modo miracolistico le contraddizioni di una integrazione aberrante, che mette in comune la cintura doganale della Comunità e lascia distinte le bilance nazionali dei pagamenti; che pretende di gestire una politica agricola comune e lascia andare per conto loro le politiche nazionali industriali e di rifornimento energetico; che è incapace di operare seriamente il passaggio dall'unione doganale all'unione economica, perché non prevede un autentico governo comune dell'economia e un adeguato controllo democratico; che lascia l'Europa minorenne in tutti gli altri campi della politica, incapace di operare per la pace e per superare una volta per tutte lo scambio ineguale - cioè l'essenza economica dell'imperialismo - nel mondo. Occorre dunque costruire la democrazia europea, e ciò non p u ò essere un fatto parlamentare, avulso da un ampio schieramento di forze che, affrontando le contraddizioni del processo di integrazione, lo volga a soluzioni razionali. Oltre i partiti europei, oltre il comitato di vigilanza federalista si tratta in realtà - il compito è ambizioso: ma il progresso, anzi la stessa sopravvivenza della democrazia ha bisogno di g a n d i ambizioni - di costruire il «fronte democratico europeo». I federalisti dei diversi partiti democratici, la confederazione europea sindacale, il movimento europeo delle autonomie, la cultura, la scuola, le organizzazioni sociali volte a curare I'interesse generale debbono creare questa solida alleanza. Dal .comitato di vigilanza» al «fronte democratico europeo,,: dal Parlamento eletto alla stessa base elettorale, alla stessa condizione di elettore. I1 federalismo, in realtà, deve informare tutta la democrazia europea, deve castigare le prevaricazioni corporative e tutti i settorialismi, deve ricomporre l'unità della politica: la sua parola d'ordine deve essere «dalle razionalizzazioni contro l'uomo alla riconquista della ragione umana.. E' qui che nel grande disegno europeo, nel modello di nuova società,,,auropea, si colloca il ruolo delle autonomie territoriali, sino a una piena riacquisizione di quella democrazia diretta che deve essere, nella sua pienezza, la premessa irrinunciabile di una democrazia rappresentativa che n o n sia una truffa. M a stiamo attenti! La democrazia diretta è la riconquista, da parte dell'uomo «corporativo,, e alienato, del suo carattere di persona, in una visione unitaria giugno 1979 della vita che permetta di equilibrare il lavoro e il tempo libero; che non conduca il consumismo alla distruzione della città; che privilegi non solo i consumi sociali ma tutti i consumi culturali e spirituali rispetto ai consumi indotti dalle esigenze dello svilupp o selvaggio. In questo quadro non c'è posto per l'imperialismo, per i1 nazionalismo, per il particolarismo settoriale. Ecco dunque che il ufronte democratico europeo» dovrà divenire l'altro punto di riferimento - uno, si diceva, sarà il «gruppo federalista. del Parlamento europeo - della lotta federalista per trasformare la Comunità in Federazione europea. Ma ci incombe ancora un compito: cercare di individuare i nodi principali, che si presenteranno ai parlamentari europei, i nodi che li costringeranno quasi per logica interna a prendere coscieilza sempre più viva del loro ruolo d i ostetrici della ragione incarnata nelle cose; i nodi, comunque, che saranno la pietra di paragone per verificare se essi sono europei o uomini delle caverne. Vediamo. I1 rapporto diretto fra parlamentari ed elettorato (e sue organizzazioni di base) porterà a una richiesta diretta, popolare di sapere chi (in realtà) e come governa la Comunità. In qualche modo lo stesso Consiglio dei Ministri comunitario dovrà render conto del suo operare molto più impegnativamente al Parlamento europeo: ma la Commissione esecutiva, di fatto prima che di diritto, dovrà sentirsi responsabile verso di esso. D'altra parte il Consiglio dei Ministri dimostrerà ancora una volta di non poter governare: il confederalismo, infatti, può partorire accordi di orientamento o su singoli problemi - sempre esposti alle peggiori distorsioni e ai voltafaccia - ma non p u ò governare. I1 confederalismo è antidemocratico e inefficiente: è antidemocratico, nella fattispecie, perché non d à peso alle autentiche maggioranze nazionali - che per l'Europa possono risultare dalla somma di una parte dei governativi nazionali e una parte dell'opposizione -; e non funziona, perché gruppi di interessi costituiti anche limitati, ma arroganti, riescono spesso a conquistarsi una frazione minima della maggioranza governativa e minacciano il governo di crisi, se porta avanti il suo «massimalismo~~ europeo. M a la Comunità ha sempre più l'evidente necessità d i essere governata. I1 Parlamento europeo eletto sarà portato a chiedere continuamente alla Commissione esecutiva iniziative di governo; minaccerà e probabilmente realizzerà la mozione di censura; non voterà il bilancio se il Consiglio dei Ministri non seguirà la Commissione nelle sue proposte e non le lascerà gestire gli affari comunitari. A questo punto si avrebbe la paralisi: ma gli europei possono veramente permettersi di tenere la Comunità in posizione di stallo? Credo risulti evidente a tutti, a più d i trent'anni dalla fine del secondo conflitto mondiale, che è l'ora della scelta: o si fa l'Europa - e sopravvive la democrazia - o il feudalesimo diventa regime stabile sul nostro continente (forse u n o dei compiti più urgenti che tocca a ogni onesto europeista è smascherare il naziona- giugno 1979 lismo rozzo e gli interessi più arretrati che si nascondono sotto certi sofisticati progetti d i «avanzare senza avanzare»). C'è il problema della moneta europea. Per esso passa l'ipotesi, in sé erronea, su cui si regge il Trattato istitutivo della C o munità economica europea: che, cioè, si possa svolgere, per gradi, un radicale processo di integrazione economica, che ponga «le fondamenta di una unione sempre più stretta fra i popoli europei., senza costituire istituzioni politiche comuni, sovranazionali. L'errore (o inganno) ha avuto il suo merito, ne! senso che si è creata, più o meno, una unione doganale; che questa, con vistosi effetti positivi e negativi, ha influenzato e influenza la vita dei paesi consociati e ha mobilitato le masse intorno all'obiettivo Europa; che tuttavia è destinata a sfasciarsi, dando spazio al rinascere di dannosi protezionismi economici nazionali, se non evolve ormai rapidamente in unione economica, sia per ripartire al suo interno equamente pesi e vantaggi dell'integrazione sia per poter fare valere costruttivamente all'esterno le sue esigenze e le sue proposte d i prima potenza commerciale del mondo e di area di intensissimi consumi. L'evoluzione dell'unione doganale in unione economica non p u ò prescindere dalla creazione di una moneta europea reale: ma questa darebbe un colpo di piccone fatale alle sovranità nazionali e renderebbe irrecusabile un governo politico comune. Si tenta allora (e Abbonatevi a «Comuni d'Europa. « C o m u n i d'Europa* o r m a i al s u o XXVII a n n o di vita, è senz'altro u n a delle decane t r a le riviste federaliste che si s t a m p a n o in Europa. C o n la sua rilevante penetrazione capiilare e con i suoi 11 n u m e r i I'ann o , « C o m u n i d'Europa* vuole restar e u n giornale s o p r a t t u t t o stimoiante, d i lotta e d i ripensamento della problematica federalista. L a sua caratteristica fondamentale consiste nell'essere il tramite diretto fra t u t t i i centri decisionali della battaglia com u n i t a r i a ed europeista e le popolazioni d i o g n i regione, i giovani e coloro che s o n o trascurati dall'oligopolio dell'informazione, i n piena indipendenza. Proprio per questa sua funzione, n o n o s t a n t e gli a u m e n t i vertiginosi dei costi della carta e tipografici, *Com u n i d'Europa* continua a conservare relativamente stabile il s u o prezzo. N a t u r a l m e n t e questa situazione p o t r à essere m a n t e n u t a solo se gli abbonati e gli inserzionisti, cui va il n o s t r o più vivo ringraziamento, cont i n u e r a n n o a sostenerci e se altri lettori v o r r a n n o p o r t a r e il loro cont r i b u t o sottoscrivendo abbonamenti. COMUNI D'EUROPA lo SME non è uscito che in piccola parte dall'equivoco tentativo) di varare la mezza moneta europea, la moneta dell'unione doganale: cambi fissi o poco oscillanti infracomunitari e complessi marchingegni per rendere ciò possibile, salvo l'unico realmente valido ed equo per tutti (che è, appunto, quell'insieme di strumenti, per cui l'unione doganale diviene unione economica e i cambi non si pretende che funzionino da cause, poiché sono - come debbono essere - degli effetti). Lo SME - su cui non è luogo qui per approfondire il discorso - prevede un tondo europeo, ove si #deposita. una parte delle riserve monetarie nazionali, che solo in un secondo momento saranno. per così dire, alienate in favore della Comunità; e prevede altresì uno scudo europeo (o écu = european currency utzit), che è una moneta parallela (da usare solo in determinati rapporti economici infracomunitari), ancora convenzionale e fittizia, anche se - dal valore calcolato in base a un paniere delle monete europee - vuol contribuire a orientare il cammino verso la parità dei cambi ancorandolo a una .media. delle situazioni nazionali. Ma una soluzione del genere non è sufficiente neanche a conservare l'unione doganale, perché una unione doganale regge solo fra paesi che riescano ad armonizzare in termini di resa finanziaria - i loro reciproci scambi commerciali con gli scambi d i ciascuno di essi coi paesi terzi e questa complessa rete di rapporti col proprio tasso interno di accumulazione di capitale. L'articolo 3, comma g, del Trattato della C E E prevede procedure che permettano «di coordinare le politiche economiche degli Stati membri e di ovviare agli squilibri nelle loro bilance dei pagamenti»: lo SME, così com'è e da solo, non permette di raggiungere questo scopo né ha forza per imporre la soluzione del problema. Questa forza potrà acquisirla quando e se si arriverà a una autentica, sia pure parziale, messa in comune delle riserve monetarie nazionali: ma rimane il problema non tanto della perequazione di ricchezza, quanto del meccanismo stabile per operare questa perequazione (perequazione delle risorse), dando in pari tempo a ciascun consociato la possibilità di controllare, anzi di contribuire a gestire il sistema economico che ne viene fuori. E come si fa? Le contorsioni dei vecchi Stati nazionali - o di alcuni di essi: ma chi è senza peccat o . . . - dovranno risultare finalmente aberranti al Parlamento europeo eletto, che anche spinto dal «comitato di vigilanza,, e poi dall'intero «fronte democratico europeo* - dovrà denunciarle, chiaramente e nettamente. La via senza scampo è l'aumento del bilancio comunitario (il progetto MacDougall prevede, per cominciare, il passaggio dallo O,8 al 2/2,5 per cento del P N L della media dei paesi consociati), maggiori capacità fiscali alla Comunità (non aumentare le tasse, ma trasferirne una parte congrua a livello comunitario), realizzazione delle «politiche comuni» (non solo quelle esplicitamente previste dai Trattati, ma tutte quelle necessarie), loro coordinamento e programmazione agli effetti d i uno svilupp o equilibrato d i tutto il territorio della Comunità (è la vera politica regionale: e di questa i Poteri locali e regionali devono chiedere di essere, istituzionalmente, i cogestori). Ma come si fa a programmare senza affrontare tutti i fattori dello sviluppo? I sindacati dei lavoratori si sono posti il problema delle 36 ore di lavoro a livello della Comunità, mentre si profila - con le nuove leve giovani - una disoccupazione che potrà superare i 15 milioni di persone: ma gli Stati consociati fanno in materia ciascuno una pelitica per conto suo, né il Consiglio dei Ministri comunitario riesce ad accordarsi su una sua politica (per conto della Comunità). D'altronde - e ritorniamo all'impotenza e alla fragilità di una semplice ASSOCIAZIONE ITWANA AICCE a:,:c!:rn:li: union: doganale -, mentre motivi politici e democratici richiedono l'allargamento della Comunità a Grecia, Portogallo, Spagna, come si può pensare a un M E C allargato - e senz'altro ancora più squilibrato - senza riforme strutturali gestite in base a obiettivi comuni d a un potere politico comune? ( Q u i osserviamo che il Parlamento europeo eletto, rappresentativo dell'interesse generale, potrebbe utilizzare lo spostamento a sud del baricentro della Comunità per far sì che, in luogo di dover arbitrare una politica «assistenziale>>che diverrebbe il pomo della discordia fra tutti i sottosviluppati, esso trovi un appoggio coordinato di costoro a una politica di riforma europea delle strutture). Forse è ancora più stringente la problematica dei rapporti esterni della Comunità. Finora le' cancellerie, i governi nazionali, potevano fare i loro giuochi al di fuori del controllo dell'o~inione ~ u b b l i c a europea, d'accordo con ristretti gruppi d i interesse e con larga connivenza della stampa, sempre meno libera, sempre più legata a interessi d i settore (I'europeismo - si fa per dire - dei giornali dei diversi paesi andrebbe attentamente analizzato, messo in relazione a chi paga e a chi condiziona la stampa nel senso COMUNI D'EUROPA più lato, ivi compresi gli organismi rappresentativi dei lavoratori agiati e protetti e non soltanto il capitale privato e di Stato). O r a il Parlamento europeo eletto potrà imporre alla stampa e a tutti i mass media di n o n essere ignorato. Ebbene, come gestire nei tempi difficili la tariffa doganale comune dei consociati nell'unione doganale? come condurre una politica energetica comune? come condurre una politica internazionale dei prezzi delle materie prime, dei prodotti finiti, dell'impiantistica, del know how, né abbandonando il campo alle multinazionali o alla finanza apolide degli sceicchi né perpetuando lo scambio ineguale? In realtà qui si delinea - e un Parlamento europeo eletto direttamente dagli europei e chiamato a parlare in nome dell'Europa n o n potrà fingere di ignorarlo - il ruolo economico e insieme politico dell'unità europea. La crisi del bipolarismo è in atto, le due Superpotenze si trovano di fronte a un mondo che va articolandosi: l'Europa deve garentire il segno pacifico del passaggio al multipolarismo; di più: essa deve riprendere una costruzione della pace in base a un awicinamento dei regimi bloccato, per così dire, a Yalta. I1 multipolarismo non deve significare il passaggio da un equilibrio (del terrore) a due a un equilibrio (sempre del terrore) a più poli, ma deve prospettare il passaggio dalla coesistenza alla convivenza. in questo senso l'unione europea di tipo federale dovrebbe essere già di per sé emblematica: ma non basta. La Comunità europea non solo è la prima potenza commerciale del mondo, ma è - a differenza degli USA e dell'URSS un'area industriale (naturalmente insieme al Giappone) che vive di regola di valore aggiunto: per essa affrontare i rapporti col Terzo e Q u a r t o m o n d o è una necessità oltre che un dovere. C i ò fa sì che la vocazione europea non p u ò essere quella di restaurare un anacronistico eurocentrismo, ma senza dubbio p u ò e deve essere quella di prendere l'iniziativa per un nuovo ordine internazionale, mentre un indubbio neo-colonialismo è in atto da parte delle Superpotenze. Si tratta dell'ordine di un pianeta dove ci si è accorti che i beni naturali sono limitati; dove la bomba demografica è innescata - ed e la più terribile delle bombe: perché p u ò uccidere gli uomini ma anche le stesse condizioni umane di vita -; dove l'interdipendenza n o n più delle nazioni, ma dei continenti comincia a risultare evidente n o n solo ai filosofi. Ma come si p u ò prendere una siffatta iniziativa planetaria senza tendere a un coerente modello europeo di sviluppo? Ecco che economia e politica, politica interna e politica internazionale ci portano a indicare la strategia di una Federazione europea, che è dunque uno strumento che non p u ò aspettare: anche se non saranno i vincitori, i realisti sono i federalisti europei, gli altri non hanno soluzioni alternative. Eppure queste soluzioni alternative si sussurrano continuamente, e sarà bene che esse emergano e siano denunciate - prima che sia troppo tardi - nel Parlamento degli europei. Una è un'alternativa di disturbo, ma non perciò incapace d i cacciare l'Europa in un nuovo Medio Evo: una confederazione europea con una Francia ago della bilancia, prima inter pares. E' un infantile tentativo di razionalizzare il nazionalismo: ma l'infantilismo sa causare grossi guai. L'altra è un'alternativa - se possibile - più grave, perché non è destinata solo al disturbo: il suo successo destabilizzerebbe minacciosamente il nostro continente e bloccherebbe I'awio del pianeta a un riawicinamento di . . regimi. Essa è stata espressa da quel leader tedesco, socialdemocratico, che ha detto duramente - non si sa contro chi - che si sente prima tedesco che europeo. C h e c'è dietro? N o n impegnarsi troppo nelll«utopia» europea, negoziare alternativamente con gli USA e con I'URSS, mirare alla giugno 1979 riunificazione della Germania: neutralismo, nazionalismo sociale, potenza. A questo punto ci domandiamo quanto sia l'acume di quei nostri concittadini che non vogliono troppo federalismo europeo, per non subire - dicono - il tallone tedesco. In conclusione la stessa forza dei problemi, la gravità dei nodi d a sciogliere, costringeranno un Parlamento europeo eletto ad acquisire una sua «centralità» e le forze democratiche a darsi un assetto europeo. C i ò vuol dire cominciare col chiedere l'applicazione integrale dei Trattati comunitari, ma trovarsi ben presto di fronte alla necessità di andare al di là dei Trattati. Le cancellerie hanno avuto l'idea geniale d i affidare a tre poveri uomini - i Saggi - di studiare proposte per far avanzare la Comunità: ma quale più democratico Saggio, quale studioso più rappresentativo del Parlamento europeo eletto? I n effetti si mira a una eventuale procedura di revisione dei Trattati: anni di nuovo rimpallo dai ministri ai diplomatici «stabili» e da questi ancora ai ministri, col non recondito convincimento che a cavar la Comunità dalle impasses sarà sempre quell'organo anomalo e anticomunitario, che è il Vertice dei Capi di Stato e di Governo (o Consiglio europeo) - Capi di Stato e di Governo che sembrano i sovrani del periodo post-napoleonico, i quali si cercavano, patteggiavano, creavano fra di loro arbitrarie gerarchie, si tradivano trescando con Stati terzi -. Ma non è questa la strada della democrazia europea, non è questa strada che possono accettare i parlamentari eletti, gli elettori consapevoli, le forze democratiche che abbiano rispetto di se stesse e dei propri ideali. A un Parlamento europeo eletto, che abbia dato prova d i saper affrontare con lucidità i nodi del processo di integrazione europea e che abbia sospinto la Comunità a una fase pre-federale, si porrà l'esigenza di proporsi ai cittadini europei come Assemblea costituente. Umberto Serafini 11rinnovamento del qixadn, di insediamentoumano e di vita -una sfida sociale Maria Vslaiia Agostini Agnello R a s i AICCE ASSOCIAZIONE ITAIJANA PER IL CONSIGLIO DEI COMUNI D'EUROPA AICCH ASSOCIAZIONE ITALIANA PER IL CONSIGLIO DEI COMUNI D'EURUPA AICCE ASSOCIAZIONE ITAIJAK~ PER DEI COMUNI IL CONSIGLIO D'EUROPA COMUNI D'EUROPA giugno 1979 Opzione nucleare: è qualcosa d i pii/ d i una scelta tecnica ed econornic.a Scorie radioattive e territorio: uno fra i problemi di Walter Brugner e Alvaro Valdinucci i:eologi C o m e giù annunciato, - C o m u n i d'Europa. si propone d i affrontare con maggiore metodo e continuità i problemi ecologici. Dopo l'articolo d i Gabriele Panizzi su .Sviluppo e ambiente» ( v . <<Comunid'Europa» n . 3 , m a r z o 1979) e «Giudizio d i responsabilità» (V. « C o m u n i d'Europa., n . 4 , aprile 1979) d i Aurelio Dozio, pubblichiamo ora questo saggio d i Walter Brugner e Alvaro Valdinucci. Invitiamo tutti gli amministratori locali e i lettori ad intervenire con il loro contributo per u n dibattito costruttivo e aperto a prospettive n o n conformiste. La dichiarazione finale della «Conferenza sulla politica dell'ambiente nella Comunità europea», tenuta dal Consiglio dei Comuni d'Europa a Roma, nel novembre 1974, ini. . zia con una coraggiosa enunciazione che rispecchia non solo il convincimento dei delegati ma, senza dubbio, interpreta lo stato d'animo di tutti coloro che si rendono conto di come la società attuale stia sempre più velocemente correndo verso il limite di rottura di quello che è l'equilibrio che consente ancora all'uomo, sia pure all'estrema soglia, di vivere in armonia con la natura dalla quale, nonostante la sua sconfinata presunzione, inesorabilmente dipende. Ecco I'enunciazione : «Gli obiettivi della civiltà industriale sono rimessi in discussione. La preoccupazione della protezione dell'ambiente e l'aspirazione a una migliore qualità di vita, devono essere ormai considerati come obiettivi fondamentali. Essi non devono in alcun caso essere sacrificati alle difficoltà economiche del momento. La realizzazione di tali obiettivi è pertanto un compito eminentemente politico». La dichiarazione prosegue con un elenco di misure e di orientamenti, di cui riportiamo l'ottavo: .In materia di insediamento di centrali nucleari, le decisioni non possono essere prese a livello nazionale. Nel quadro di una politica europea dell'ambiente, le conseguenze dello sviluppo dell'energia nucleare, come d'altronde di tutte le altre forme di energia, debbono formare oggetto di studi approfonditi prima che siano prese con troppa precipitazione delle decisioni, che si ripercuoteranno irreversibilmente e pesantemente sulle generazioni future. L'informazione scientifica indispensabile potrà effettuarsi nel quadro di una commissione scientifica transnazionale. D'altra parte, la partecipazione degli eletti locali e delle popolazioni è un presupposto indispensabile a qualsiasi decisione in materia di insediamento e di scelta delle localizzazioni,. Indubbiamente la decisione di avvalersi su vasta scala dell'energia nucleare per integrare le altre fonti energetiche rappresenta una di quelle scelte capaci di imprimere un radicale cambiamento nella storia delle attività umane ed il riferimento alle irreversibili e pesanti conseguenze che ne potranno derivare per il futuro, non soltanto per I'umanità stessa, ma per l'intera biosfera, non è affatto esagerato. Se è vero questo, non può non risaltare con evidenza il fatto che le decisioni a favore della scelta nucleare sono state effettivamente prese «con troppa precipitazione», quando ancora molti aspetti, sia biologici che tecnologici, sono da considerarsi in fase di studio, e non sempre di studio avanzato. Dopo l'esordio dell'energia nucleare nel campo degli usi militari, negli anni sessanta è iniziato lo sviluppo delle centrali elettronucleari, dapprima su vasta scala in America, poi in Giappone ed in Europa, con l'elaborazione di programmi in origine contenuti e successivamente, a partire dal 1974, fortemente accelerati, soprattutto in Europa. Gli organi comunitari dell'Europa occidentale hanno svolto, e svolgono tuttora, un fondamentale compito di unificazione della ricerca e di elaborazione della normativa che regola l'attività nucleare nei paesi membri, anche in dipendenza dei precisi incarichi derivanti dal Trattato Euratom, ma ci sembra che non abbiano affatto assolto quello che avrebbe dovuto essere, almeno sul piano etico-politico, il loro dovere essenziale: quello di esercitare un invito alla riflessione in tema di politica energetica, cioè di subordinare le.scelte ad una approfondita e reale valutazione di tutti i fattori che concorrono a formare la complessa materia. E' più che facile accorgersi che, allorquando negli anni cinquanta i paesi dell'Europa occidentale - per rime Inghilterra e Francia - iniziarono la costruzione delle centrali nucleari, di fatto la scelta era già compiuta, dopo essere stata maturata all'interno di una ristretta cerchia di potenti gruppi economici, non solo europei, che hanno intravisto, più che la soluzione del ~ r o b l e m aenergetico, la nascita di un nuovo ed esteso mercato: quello delle industrie legate alla produzione degli impianti nucleari. In realtà gli organi comunitari hanno recepito - e se ne sono resi interpreti indirizzi e politiche energetiche decise solo dai vertici nazionali senza la minima partecipazione dei rispettivi popoli, in quanto gli stessi raggruppamenti politici o sociali (partiti e sindacati) - citiamo la Francia e l'Italia come esempi - non hanno avuto la capacità di valutare tempestivamente la portata di quanto stava accadendo e, per quanto riguarda il mondo scientifico, solo una parte di esso, quella più disponibile alle lusinghe del potere, fu chiamata a collaborare. Si spiegano così gli atteggiamenti del Parlamento europeo, in cui la necessità per la Comunità di ricorrere alla fissione nucleare viene definita «ineluttabilex in attesa di assicurare .il passaggio dalle fonti tradizionali alle energie del futuro,,', e della Commissione delle Comunità europee di cui riportiamo, come esempio, il terrificante quadro ~ tracciato in un opuscolo i l l ~ s t r a t i v o :((Basti immaginare per un solo istante un mondo nel quale gli ospedali fossero privi di elettricità, gli alimenti non più conservati al freddo, i trasporti pubblici fermi, gli indumenti filati e tessuti a mano.. .»:ce n'è abbastanza per terrorizzare il buon consumista il quale, del resto, proseguendo la lettura del fascicolo, viene ampiamente e tassativamente rassicurato sul fatto che gli studi in corso possono garantire ogni sicurezza sull'uso dell'energia nucleare. Francamente dispiace vedere una pubblicazione comunitaria abbassata al livello di meno che mediocre opuscolo propagandistico. Ben diverso diviene invece il tono delle voci comunitarie allorché agli echi dei vertici governativi si sostituisce la libera discussione: i seicento partecipanti ai dibattiti pubblici sull'energia nucleare indetti a Bruxelles (novembre-dicembre 1977 e gennaio 1978) dalla Commissione europea hanno discusso a fondo i vari problemi e, pur manifestando opinioni discordi sull'opportunità di imboccare la via nucleare, hanno concordato su tre punti fondamentali: utilizzare più razionalmente l'energia ora prodotta, usare a fondo le fonti convenzionali e tendere a sviluppare le risorse rinnovabili. Abbiamo visto, nella sopracitata risoluzione del Parlamento europeo, il riferimento alle energie del futuro. Infatti in tutti i paesi, o quasi, si afferma che il ricorso al nucleare deve servire a coprire il fabbisogno a media scadenza, in attesa che gli sviluppi 10 tecnologici rendano possibile l'uso di sorgenti energetiche pulite e rinnovabili. Tale proponimento, per risultare credibile, dovrebbe essere accompagnato da un impegno concreto di ricerca e di sperimentazione nei settori specifici, ma purtroppo i fatti dimostrano che sia nei bilanci nazionali sia nei programmi comunitari, in tali settori vengono profuse molte enunciazioni e promesse ma ben poco in fatto di mezzi concreti. Inoltre riesce difficile pensare che rimanga contenuto lo sfruttamento di un campo di produzione in cui sono impegnati imponenti oligopoli internazionali (Genera1 Electric, Babcok Wilcox, Candu, ecc.) e dove, solo per l'Italia, il giro delle commesse pubbliche si awia già verso i ventimila miliardi; infine c'è da notare che un piano nucleare contenuto entro limiti moderati non avrebbe senso dal punto di vista economico, in quanto sarebbe praticamente insufficiente di fronte al deficit energetico, non sarebbe sufficientemente trainante per lo sviluppo del relativo settore industriale e renderebbe non competitivi i costi di produzione, inversamente proporzionali all'entità della produzione stessa. , Tutto fa credere, dunque, che l'attuale politica nucleare nasconda intenzioni ben più vaste e che si ripeta, con conseguenze deleterie assai più temibili, l'errore che i soloni dell'economia e dello sviluppo industriale hanno già commesso agli inizi degli anni sessanta quando, sulla base di errate previsioni economiche, tecniche e sociali, individuarono nel petrolio la fonte ideale dell'energia, trascurando ricerche di risorse alternative e riducendo, anzi; lo sfruttamento di fonti energetiche in produzione: a titolo di esempio, in Italia furono inattivate numerosissime centrali idroelettriche (circa mille, secondo il parlamentare socialista Aniasi) perché meno remunerative per i produttori di elettricità. Col passare del tempo il dissenso verso la politica nucleare, già attivo negli USA fin dai primi anni del dopoguerra, in Europa è COMUNI D'EUROPA partito soprattutto da personalità del mondo scientifico e da g u p p i qualificati e si è esteso conquistando, col progredire di una più vasta informazione, l'interesse di strati sempre più larghi delle popolazioni. Sul problema hanno preso posizione, infine, sia i gruppi politici che i movimenti sindacali, con meccanismi e vicissitudini diverse - e anche con diversa efficacia - nei vari paesi a seconda delle locali realtà politiche: dove il confronto è stato più obiettivo, democratico e costruttivo, i risultati hanno assunto valore concreto. Citiamo come esempi l'Austria e la Svizzera dove si è giunti a specifiche consultazioni popolari e dove i referendum hanno bocciato la scelta nucleare in Austria, mentre in Svizzera il 51% dei votanti si è espresso favorevolmente, anche perché una recente legge federale condiziona pesantemente la realizzazione di nuove centrali. In Svezia, nel gennaio di quest'anno, una netta votazione contraria al Parlamento (310 no su 349 votanti) ha bocciato il programma nucleare costringendo alle dimissioni il governo. In Italia l'opposizione è stata condotta per lungo tempo soltanto dai g u p p i ecolo+ti e da studiosi isolati, mentre i partiti politici eludevano le loro responsabilità in materia, lasciando che i governi ponessero in atto le premesse per il reale awio del programma nucleare o , peggio ancora, avallando il tutto con posizioni più o meno apertamente favorevoli. Sul piano ufficiale le prime voci di dissenso apparvero durante l'indagine conoscitiva della Commissione Industria della Camera, ma solo più tardi, fra. i maggiori partiti, il PSI rivide le sue posizioni. Lo scarso impegno del mondo politico non ha certo contribuito a sensibilizzare la pubblica opinione, tanto più che le due maggiori formazioni, D C e PCI, se si eccettua, da parte comunista, il dissenso sui reattori veloci e qualche strumentale e innocuo sussulto elettorale, rimanevano innaturalmente alleate sulla politica f ilonucleare. In questi ultimi tempi, fortunatamente, a parte i numerosi libri editi, la stampa, anche sotto la spinta della vigorosa campa- giugno 1979 gna internazionale, riporta con sempre maggiore frequenza articoli che incentrano la problematica energetica da angolazioni diverse, e ciò è un bene poiché contribuisce ad una più vasta informazione, indispensabile affinché la massa dei cittadini sia messa in grado di valutare con cognizione di causa l'importanza delle implicazioni conseguenti alla scelta nucleare, soprattutto se, come è auspicabile, sarà chiamata ad esprimere un parere. Noi vogliamo, con questo scritto, esporre la nostra opinione in merito al problema della localizzazione degli impianti atomici in rapporto alla natura fisica del territorio, argomento che rientra nelle nostre specifiche competenze e che, ci sembra, è accennato in molte sedi ma non sufficientemente trattato e divulgato nella sua fondamentale gravità. Riteniamo, però, di far cosa utile riassumendo sinteticamente, a cornice della più particolareggiata esposizione del problema suddetto, le posizioni che si sono venute delineando in merito ad altri settori fondamentali (necessità energetiche, convenienza economica, sicurezza presente e futura) poiché, in realtà, i vari aspetti della materia sono strettamente interdipendenti. ' «Considerato il quadro delle disponibilità e dei costi delle fonti primarie tradizionali (carbone, petrolio e gas) e tenuto presente che nel' medio periodo non sarà possibile recuperare attraverso la politica della conservazione dell'energia e dello sviluppo di fonti integrative o alternative o interne (geotermia, idrica e solare) tutto il fabbisogno energetico necessario alle esigenze economiche e sociali e allo scopo di evitare deficit energetici che sarebbero esiziali alla vita del paese, si ritiene necessario un ricorso equilibrato e controllato alla energia nucleare,). «Tale ricorso dovrà fare riferimento ad una linea strategica che abbia come obiettivi: l'autonomia energetica, un qualificato ed autonomo sviluppo di una industria elettromeccanica nucleare nazionale e la piena soluzione dei problemi relativi alla sicurezza ed alla protezione della salute». E' questo uno stralcio della risoluzione presentata alla Camera da D C , PCI, PSDI e PRI sui problemi energetici ed approvata a larghissima maggioranza nell'ottobre 1977. Con tale documento la Camera, dopo aver indicato al Governo generici impegni per la diversificazione geografica delle fonti primarie di approvvigionamento, per aumentare l'utilizzazione delle fonti alternative al petrolio e per risparmiare ed evitare gli sprechi di energia, fissa i punti fondamentali della politica energetica i quali, oltre alla concreta decisione di costruire otto nuove centrali ed alla possibilità di opzione per altre quattro, comprendono fra l'altro: lo sviluppo di un'industria nucleare nazionale; un impegno degli enti responsabili del settore (ENI, ENEL, C N E N ) per "garantire la fornitura di uranio,,, .l'arricchimento dello stesso» ed il proseguimento «nella ricerca e nello sviluppo per il ritrattamento del combustibile» (allo scopo di ottenere pluto- giugno 1979 nio) e per «una corretta e sicura gestione dei residui radioattivi.; il «potenziamento dell'attuale ruolo del C N E N come ente per la sicurezza, la ricerca, lo sviluppo e la promozione industriale e la riorganizzazione del controllo nei settori della sicurezza, della protezione dell'uomo e dell'ambiente e nella valutazione di una esigenza di unitarietà della ricerca energetica e per il controllo e la sicurezza nucleare.. Nasce così, in modo reale, il programma nucleare italiano che, nelle intenzioni dei promotori, dovrebbe risolvere il deficit nel medio termine e, gradualmente, tendere a sostituire il petrolio sul quale oggi è basato il 70% della produzione di energia. L'avvio alla decisione, per quanto riguarda il medio termine, è stato tratto dai dati forniti dal P E N (Programma Energetico Nazionale), approvato nel 1975 dal C I P E e successivamente sostituito da un nuovo documento alla fine del 1977, col quale alle dodici centrali previste dalla risoluzione se ne aggiungono altre due di tipo diverso (filiera Candu, canadese) e si incoraggia l'impegno nella ricerca sui reattori veloci a plutonio. I1 P E N nell'edizione iniziale prevedeva per il 1985 una domanda massima di energia globale pari a 263 milioni di tep (tonnellate equivalenti petrolio), circa il doppio di quanto consumato nel 1975: l'energia nucleare avrebbe dovuto coprire il 13% circa del f a b b i s o p o energetico globale invece dello 0,6% fornito dalle centrali esistenti. 11 ricorso all'energia nucleare, affermano i suoi sostenitori, è l'unico modo per far fronte al «buco» energetico previsto per la metà degli anni ottanta; inoltre il continuo aumento del prezzo del petrolio, il fatto che nei prossimi decenni i giacimenti si awieranno all'esaurimento e l'aleatorietà delle prospettive offerte dalle fonti alternative non consentono dubbi o rinvii circa il programma di costruzione delle centrali, se non si vuole andare incontro a gravissime crisi di produzione industriale capaci di coinvolgere l'esistenza stessa della società così com'è strutturata. Infine, l'energia nucleare costa poco: secondo l'Agenzia Internazionale del17Energia, l'installazione di una centrale esige solo settecento dollari per kilowatt, i giacimenti di minerali uraniferi sono abbandonati e, una volta costruita, una centrale ha basse esigenze economiche per l'esercizio. In campo comunitario si sottolinea l'esigenza ormai indifferibile di una strategia comune che dovrebbe concretarsi con un accordo sui temi essenziali del ritrattamento dei combustibili irraggiati, dell'awio dei reattori veloci e della gestione e dello stoccaggio dei residui radioattivi, in quanto, secondo la Commissione C E E , il nucleare non ha alternative fra le fonti energetiche disponibili. Vediamo ora, sempre in campo economico, quali sono le obiezioni mosse dagli avversari dell'opzione nucleare. Innanzi tutto le stime sul fabbisogno energetico sono impugnabili poiché sono state compiute prevedendo per il prossimo futuro tassi di svilupp o pressoché eguali a quelli dei decenni scorsi, caratterizzati dal «boom» economico e dal petrolio a bassi costi, mentre si sareb- COMUNI D'EUROPA be dovuto tener presente il fallimento di quel tipo di economia che impone decisamente una inversione di rotta, cioè la necessità di orientarsi verso il privilegiamento dei settori industriali ad alto livello occupazionale, a basso consumo energetico ed a bassa intensità d i capitale. Si deve, in altre parole, cercare di ridurre la domanda di energia eliminando i consumi inutili e favorendo determinati indirizzi industriali, altrimenti, per dirla con Amory B. Lovins, si rischia di fare come colui che, mentre defluisce l'acqua calda dalla vasca da bagno per la rottura del tappo, invece di ripararlo installa scaldabagni sempre più grandi. Poi i costi. N o n è vero che I'energia nucleare sia economica: la stessa E N E L afferma che in Italia occorrono 1.900 dollari, e non 700, per installare un kilowatt ed è errato, anzi pretestuoso, ignorare i costi a monte ed a valle della centrale, dai trasporti all'arricchimento dell'uranio, allo stoccaggio dei residui; la vita di una centrale raggiunge al massimo venticinque anni ed è stato calcolato che per costruirla e per la preparazione del combustibile viene impiegata una quantità di energia pari a quella prodotta in due anni dalla centrale stessa; se si vuole che nel duemila la produzione di energia nucleare rappresenti il 15% di quella mondiale (esclusi i paesi comunisti), sul solo piano degli investimenti si dovrebbero spendere oltre mille miliardi di dollari, vale a dire la metà del prodotto nazionale lordo degli US.A7; il prezzo del combustibile è in continua ascesa (circa il 30% annuo) e le previsioni p e r ~ i lfuturo saranno tanto più pessimistiche quanto più aumenterà il numero delle centrali nel mondo. Altre fondamentali obiezioni riguardano la convenienza, sia sul piano economico che s u . quello politico, della strada nucleare in se stessa. Secondo le stime del rapporto WAES3, il consumo totale di uranio (a parte i paesi dell'est europeo) supererebbe nel 2005 le 3,5 x lo6 tonnellate, mentre le riserve totali del minerale ammontano, secondo 11 le stime attuali, a 4 x lo6 tonnellate: ciò significa che entro pochi decenni si ripeterebbe un deficit eguale a quello attuale del petrolio. Inoltre l'Europa occidentale sarebbe strettamente dipendente dai paesi produttori (USA, Canada, Sudafrica) sia sul piano politico che commerciale e, in particolare degli USA, su quello tecnologico. A tale proposito è significativo riportare, a titolo di esempio, quanto contenuto nella risposta fornita, al Parlamento europeo, ad una interrogazione dell'on. B l ~ m e n f e l d :i~ contratti di fornitura «. . . assicurano l'approvvigionamento perlomeno alla fine di questo decennio.. . Occorre notare, tuttavia, che i contratti 1977 con produttori canadesi sono al momento minacciati dall'embargo imposto dal governo canadese a partire dal 1" gennaio 1977». Sul piano mondiale, poi, aumenterebbe a dismisura la dipendenza dei paesi in via di sviluppo verso quelli industrializzati, con buona pace di tutte le intenzioni che vorrebbero ridurre il divario fra i due gruppi. U n altro valido argomento è che progettare ora nuove centrali non servirebbe a contrastare la crisi energetica che si prospetta nel medio termine, poiché le centrali entrerebbero in funzione solo d o p o almeno dodici anni dall'inizio della loro costruzione: in particolare, per quanto riguarda il programma italiano, le centrali previste coprirebbero soltanto il 4 % del fabbisogno totale, pari al 20% di quello dell'energia elettrica, pur assorbendo ingentissimi stanziamenti. La necessità di rivedere sostanzialmente i criteri di scelta sarebbe avvalorata dal comportamento degli stessi USA che hanno drasticamente ridimensionato i loro programmi, come è dimostrato dalle previsioni del1'U.S. Atomic Energy Commission e de1l'U.S. Energy Research and Development Administration: nel 1967 si prevedevano 160 gw di potenza nucleare per il 1980, mentre nei 1977 tale previsione era scesa a 60 gw; analogamente, nei 1972 le COMUNI D'EUROPA previsioni per il 2000 indicavano 1.500 gw, che nel 1977 si riducevano a 400. Del resto anche per i paesi della C E E si è verificato un analogo fenomeno, dovuto a difficoltà tecniche, a tempi di costruzione maggiori di quelli previsti ed alla crescente opposizione popolare: dai 135 gw previsti nel 1973 per il 1985 si è scesi agli 85 previsti nel 1977, secondo i dati forniti dalla C F D T (Confédération francaise démocratique du travail). Ma c'è soprattutto un'accusa fondamentale che gli antinuclearisti muovono ai gruppi economici ed ai politici responsabili dell'avvio sulla strada elettronucleare: essi poco si curano di nascondere, dietro la dichiarata volontà di un programma - limitato nel tempo e nella quantità - di produzione mediante reattori di tipo convenzionale, la decisione, già presa, di puntare tutto sull'energia atomica mediante la produzione con reattori veloci anche se, come sono costretti a riconoscere gli stessi fautori, tale realizzazione esige ancora una ulteriore lunga ricerca tecnologica. Tuttavia «i reattori veloci», si legge nel «libro bianco» del C N E N , -si pongono come punto d'arrivo obbligato della strategia nucleare tradiz i o n a l e ~in quanto, sempre secondo lo stesso documento, .la fissione nucleare comporta una autonomia energetica crescente in relazione alla possibilità di sviluppare i reattori veloci. O v e non si raggiunga questo obiettivo il processo di fissione nucleare non rappresenterebbe una reale alternativa al petrolio»7. C h e tale decisione, del resto, sia maturata in pectore fin dall'inizio nei gruppi dirigenti filonucleari italiani è dimostrato dal cospicuo impegno italiano (33%) nel progetto Superphénix, reattore autofertilizzante (o veloce) da 1.200 MW in costruzigne in Francia. E' una prospettiva insensata, dicon o ancora gli antinucleari, poiché i reattori autofertilizzanti sono tuttora praticamente in fase sperimentale e di loro si sa soltanto che sembrano assai meno sicuri, che comportano cicli di lavorazione (ritrattamento del combustibile irradiato) delicati e pericolosi, che costano molto di più e che ~ r o d u cono, almeno in teoria, più plutonio di quanto non ne consumano, creando imba- dvettm responsatxk:Gixpve Fiazzori dretim m t a t o scientifco: Rof. Lucb S u d dvezione e redaihe: Roma- 116,Viale Castro Pretorb-Tdeforo 4646.83 amministrazione e abbonamenti: GRUPPO GKXIN4LISTICO EDAGRICOLE Bologna 3.Emik -te - cc p 8/32028 abbonamentom u o , L 10.000 - razzanti scorte di questo prodotto, necessario per la costruzione di armi nucleari, oltre a grandi quantità di scorie ad alta radioattività. in altri termini verrebbero ad essere ingigantiti tutti i ~ r o b l e m i- molti dei quali attendono ancora soddisfacenti ipotesi di soluzione sul piano scientifico e tecnologico - posti dai reattori convenzionali, con l'aggiunta di altri gravi interrogativi, tra i quali la gestione delle riserve di plutonio prodotte. L'avviarsi su tale strada sarebbe, quindi, come partire con un treno ancor prima di sapere se i binari finiscono sul ciglio di un burrone o portano in stazione. E' significativa, a questo proposito, I'opinione espressa dal Club di Roma a conclusione del Simposio «Verso una visione globale dei problemi umani* tenutosi a Tokio nel 1973:" «.. . è assai dubbio che sia saggio legare il futuro energetico dell'umanità a una tecnologia che richiede l'impiego di frossi quantitativi d i plutonio, com'è il caso della fissione nucleare, con particolare riferimento ai reattori veloci autofertilizzanti. I1 plutonio.. . è una delle più pericolose sostanze conosciute, per la sua azione cancerogena. Qualora i reattori autofertilizzanti venissero adottati come principale fonte di energia per l'umanità, l'ammontare totale di plutonio disseminato per il pianeta intorn o all'anno 2000 corrisponderebbe più o meno a un milione di volte il quantitativo occorrente per sterminare l'intera popolazione umana.. Ancora una volta serve come termine di paragone la politica energetica statunitense: il programma degli autofertilizzanti è stato accantonato, forse definitivamente, e in Europa la stessa Inghilterra pone remore allo sviluppo di questo tipo di reattori. Visto e considerato, concludono gli antinuclearisti, che il produrre energia elettrica con la fissione atomica costa molto di più di quanto non si voglia far credere, che con essa si coprirebbe solo una modesta percentuale del fabbisogno, il quale imporrebbe comunque massicci ricorsi al petrolio, che sul piano politico I'approvvigionamento di uranio creerebbe dipendenze ben più vincolanti di quelle dovute al petrolio stesso e che a breve e media scadenza i1 programma nucleare non servirebbe proprio a nulla, è necessario, invece, perseguire altri obiettivi fondamentali: il risparmio energetico, lo sfruttamento integrale di fonti convenzionali e alternative (carbone e idroelettricità in primo luogo, geotermia, ecc.) ed il perfezionamento delle tecnologie relative all'energia solare. Risparmio energetico: non significa soltanto risparmiare sui consumi di massa, soprattutto elettrici (il consumismo ci ha abituati a dilapidare energia: vedasi, come esempio simbolico, un ministero nelle ore pomeridiane, dove per pochi impiegati sono accese centinaia di lampade, oppure l'esasperato scialo di luce in vetrine o mostre pubblicitarie), sui trasporti privati e di merci su strada ecc., ma anche, anzi soprattutto, recuperando al massimo possibile il calore che viene disperso nell'ambiente dalle centrali termoelettriche, che rappresenta i due terzi dell'energia posseduta dal combu- giugno 1979 stibile bruciato. E per far questo basta la buona volontà, come hanno dimostrato l'amministrazione comunale di Brescia che, prima in Italia, riscalda già mezza città col recupero di una sola centrale e quella di Genova, dove l'aumento di produttività di una centrale, passato dal 35% a11'85%, consente di soddisfare le esigenze di riscaldamento di quarantamila cittadini. Simili iniziative, del resto, dovrebbero essere già ora molto più numerose se altri enti responsabili avessero prestato una più volenterosa attenzione al punto I, 1.1, della delibera C I PE sul Programma Energetico Nazionale del 1977. I1 risparmio energetico è definito dall'economista Aurelio Peccei come .un giacimento virtuale* che, se si sfruttasse, «già nei prossimi dieci anni, in Italia, si potrebbe guadagnare un 15% e andare assai oltre (forse al doppio) prima del fatidico duemila. Altri calcoli, come quelli della World Energy Conference, danno addirittura per i paesi sviluppati un risparmio vicino al 50% del consumo totale intorno al 2020»14. Cifre nettamente superiori a quelle ottenibili con i previsti programmi nucleari. Le fonti alternative sono il carbone, l'energia idroelettrica, il calore solare, l'energia eolica, la forza delle maree e la fusione nucleare. Mentre per quest'ultima si p u ò ., parlare per ora solo di progetti di studio e non è detto ancora se potrà presentare requisiti accettabili, per la forza delle maree e quella del vento sono in sperimentazione o in costruzione prototipi d i centrali la cui efficienza, a parte situazioni locali, è da accertare. Le realizzazioni per lo sfruttamento del calore solare, affermano i suoi sostenitori, sono rimaste indietro solo perché, nonostante le enunciazioni e le premesse, non hanno mai goduto di programmi impegnati e di finanziamenti adeguati: ancora oggi, per esempio, nell'ambito del C N R , contro i 50 miliardi del progetto finalizzato ~Energetica., gli stanziamenti per quattro o cinque anni per l'energia solare ammontano appena a 6 , 5 miliardi6. I1 Giappone, che al pari dell'Italia ha subito un forte sviluppo industriale e come l'Italia è povero di fonti energetiche, punta sull'energia solare in modo massiccio, gli USA stanziano per essa fondi non molto inferiori a quelli destinati al nucleare, prevedendo centrali sperimentali a brevissima scadenza e centrali di potenza prima del 2000, in Germania è già in atto un investimento di 2000 miliardi di lire per impianti. L'energia solare è abbondante, è accessibile a tutte le nazioni, p u ò essere sfruttata sotto differenti forme (termica, chimica, elettrica) e le tecnologie di conversione si prestano ad essere realizzate su qualsiasi scala, ma soprattutto non comporta nessun rischio e n o n minaccia di alterare in alcun modo l'equilibrio termico globale anche se impiegata diffusamente su tutta la superficie terrestre. I raggi solari possono essere utilizzati per la trasformazione in energia termica, per ottenere acqua a teinperature inferiori ai cento g a d i , quindi sufficienti per larghi usi di massa come il riscaldamento o la refrigerazione - di ambienri (che in glugno 1979 COMUNI D'EUROPA CXVII d o p o il Congresso d i Monaco 1 sindacati e l'Europa a cura di Luigi Troiani I1 segno grafico che ulanciò~la prima giornata d'azione dei lavoratori s u scala europea, convocata dalla CES il 5 aprile 1978. Da allora è stato il simbolo delle più qualificate iniziative della CES, tra cui il Congresso di Monaco. Cinque domande al segretario generale della CES Mathias Hinterscheid Intervista a ciira di Sigrid Esser I - I giudizi espressi sul Congresso della C E S , sottolineano in genere che a Monaco è avvenuto u n salto d i qualità. Si è detto che la C E S si è dotata d i una struttura che potrà in futuro meglio aggregare l'azione dei vari sindacati in Europa. Piii ruolo dirigente quindi per la C E S negli anni 'SO. E' giusta questa analisi e nella pratica in cosa potrà consistere u n ruolo piii «dirigista» della CES? I1 Congresso di Monaco ha segnato certamente un grande passo in avanti per la CES che è ora pronta ad assumersi un più specifico ruolo dirigente. Nell'ambito della nostra Confederazione esistono già le strutture amministrative ed operative adatte. Si tratta d i usarle per la realizzazione dei compiti ben definiti (il problema dell'occupazione, l'elaborazione di un programma-quadro per la formazione professionale, problemi specifici come quello dei lavoratori nella siderurgia, ecc.), che il congresso ci ha affidato. O g n i forma di .<ruolo dirigente. va comunque sempre considerata nell'ambito della situazione tuttora esistente, che assegna alle organizzazioni nazionali il compito d i assumere decisioni e deliberare le attività da svolgere. 2 - N e i prossimi anni la C E S dovrà portare a realizzazione le piattaforme contenute nelle risoluzioni finali approvate. Esse sono da taluni giudicate generiche. C o m e pensa si possa superare lo iato, indubbiamente esistente, tra le formulazioni d i largo respiro delle risoluzioni, e le necessità impellenti dellazione quotidiana contro la disoccupazione e per l'uscita dalla crisi? Va fatta una distinzione. I1 programma d'azione varato a Monaco contiene punti in un certo senso molto vaghi ma al tempo stesso contiene indicazioni concrete riguard o al programma di medio termine. L'insieme della risoluzione generale e delle risoluzioni specifiche (v. appresso n.d.r.1 forma un quadro concreto che definisce il lavoro da svolgere nei prossimi anni. Spetta al Comitato esecutivo elaborarne in dettaglio il programma di attuazione. Riguardo ai mezzi d i lotta da usare non mi sembra che possano darsi molti limiti; però dobbiamo tener presente che il Comitato esecutivo ha il potere di proporre e coordinare le azioni di lotta, ma la loro realizzazione è demandata completamente alle organizzazioni nazionali. Naturalmente è auspicabile che il ruolo rappresentativo della CES venga rafforzato, in modo che possa parlare a nome di tutte le organizzazioni aderenti e si possa così procedere ad un coordinamento globale e più incisivo delle singole azioni nazionali. I1 problema centrale da affrontare è senz'altro quello occupazionale, e lo dobbiamo affrontare attraverso la riduzione dell'orario d i lavoro. Le esperienze raccolte fino ad oggi mostrano che la politica econo- mica non offre strumenti validi per ristabilire una situazione di piena occupazione delle forze di lavoro. C i sembra inevitabile considerare la redistribuzione del lavoro disponibile, e quindi la riduzione dell'orario di lavoro, come uno degli strumenti più adeguati a risolvere i1 problema dei quasi sei milioni d i disoccupati nella Comunità. Devo aggiungere che questa lotta per la riduzione dell'orario di lavoro costituisce per noi una prova. Essa ci offre l'occasione di vedere se e in quale misura esistono nelle organizzazioni aderenti alla C E S e nella C E S stessa, volontà e capacità politiche atte a portare avanti una lotta che non assumerà soltanto caratteristiche economicistiche, ma andrà ad incidere sulla stessa struttura sociopolitica dei nostri paesi. COMUNI D'EUROPA 3 - L'ispirazione e la pratica europeista della CES sono fuori discussione. Il risultato delle elezioni per il Parlamento europeo mostra un'Europa che si sposta verso il centrodestra. Ciò non dovrebbe far piacere alla CES che aveva lanciato un appello ai lavoratori per una partecipazione di massa al voto. Cosa può significare per la CES il risultato elettorale? Vorrei definire innanzi tutto il ruolo del concetto ~europeista. della nostra Confederazione. Tutti i sindacati membri della CES sono certamente favorevoli ad una integrazione dell'Europa, ma non esiste una posizione unitaria di fronte alla questione del grado, del metodo e degli obiettivi di questa integrazione. Esiste, comunque, una opposizione decisa contro l'attuale modello di integrazione seguito dalle Comunità europee. I risultati delle elezioni per il Parlamento europeo non ci soddisfano assolutamente, in primo luogo dal punto di vista della partecipazione al voto, anche se si deve tener conto della differenza tra le percentuali di votanti nei sei paesi della .vecchia» C o munità e negli altri.' Va riconosciuto che, in genere, gran parte dei lavoratori si è astenuta dal voto, fatto che ha influenzato l'esito della consultazione. C i preoccupa naturalmente lo spostamento del voto verso i partiti conservatori e soprattutto l'avanzata della CSU e dei liberali francesi. Un giudizio positivo deve comunque essere formulato sulla netta sconfitta delle forze contrarie allo sviluppo dell'integrazione europea. Vorrei ricordare che già prima delle europee, noi sindacati abbiamo diffidato energicamente dall'usare l'appuntamento eletto.. rale per distogliere l'attenzione dei lavoratori dai grandi problemi cui si confrontavano. Dobbiamo awertire di nuovo che bisogna tornare a concentrare tutte le nostre forze su queste questioni che richiedono soluzioni immediate. 4 - In particolare tre paesi meritano un giudizio: la Gran Bretagna per la scarsa partecipazione dei lavoratori al voto, l'Italia per la ragione contraria, la Repubblica Federale di Germania per il ruolo &da che esercita nella Comunità. La tendenza allo spostamento del voto elettorale verso destra era stata percepita in tutti i paesi della Comunità nelle recenti tornate elettorali nazionali: così in Gran Bretagna, in Lussemburgo e, anche se in misura minore, in Italia. Una delle cause di questo trend va cercata nell'atteggiamento, in genere piuttosto conservatore, tenuto dai mass-media. Gli scarsi mass-media di cui dispone la sinistra si sono mossi con g a n d e ritardo; avrebbero dovuto incominciare il lavoro di graduale informazione e propaganda, molto ma molto prima. Per quanto riguarda il risultato elettorale nella Repubblica Federale di Germania non mi sembra sia il caso di derivarne conclusioni valide su scala europea. Come già detto, dobbiamo proporre un'analisi integrata del voto europeo, cioè del flusso elettorale globale, per poter poi lavorare al livello europeo con una strategia estesa a tutti i paesi membri. 5 - Un'ultima domanda per la nostra rivista. N o n c'è parola nei documenti approvati a Monaco sul ruolo di Comuni, Regionz e autonomie locali in genere, né sulle-interrelazioni che il sindacato potrebbe stringere con questi enti territoriali e politici. E' nella natura d i tali Enti la realizzazione della upartecipazione» dei cittadini. U n sindacato che ignorasse tale realtà potrebbe giustamente venire tacciato d i verticismo, centralismo, burocratismo, d i una visione dello Stato e dei Governi come uniche ucontroparti» con cui trattare: il sindacato ha una struttura territoriale, locale, non deve porla in ombra. I sindacati hanno delle strutture territoriali e proprio questa strutturazione implica all'interno delle organizzazioni il principio della visione del lavoro. Le lotte sindacali giugno 1979 che riguardano una determinata area vengono condotte dagli organismi sindacali locali, che trovano, tra i loro interlocutori naturali anche gli enti locali e regionali. Al livello europeo il principio della divisione del lavoro si accentua ancora di più: una confederazione sindacale europea non può e non deve occuparsi direttamente di interessi circoscritti di operai di questa o di quella zona dell'Europa e perciò non può essere compito di questa confederazione transnazionale entrare in contatto con i singoli enti territoriali. Tuttavia si sta awiando la collaborazione, non formalizzata, tra varie strutture sindacali territoriali in forma di conferenze tra grandi città, conferenze su ,problemi transfrontalieri, ecc. Come Confederazione europea né vogliamo essere verticisti, né lavoriamo con principi centralisti o burocratici. Spetta però alle strutture sindacali regionali sviluppare le proprie attività locali, non alla CES. Nonostante ciò sarebbe interessante - e certamente auspicabile - un contatto tra i rappresentanti europei delle autonomie locali e quelli dei lavoratori, ma un tale interscambio di idee ed informazioni si dovrebbe svolgere, oggi come oggi, ad un livello puramente informale. I l significato del Congresso di Monaco Nata da una scommessa sulla possibilità di far superare ai lavoratori del continente più bellicoso della storia umana le animosità della guerra fredda, la Confederazione europea dei sindacati ha innovato l'antico costume sindacale che vedeva nella spartizione tra CISL internazionale (rappresentante dei *liberi> sindacati del mondo ~libero*) e FSM (rappresentante dei sindacati usocialisti») la sua caratteristica più precipua. Il Congresso di Monaco ha aggiunto qualcosa di zmportante alla sua breve storia: ha dato alla CES un programma di azione che dovrebbe finalmente consentirle di uscire dalle panie protocollari e semidiplomatiche in cui troppo spesso si sono avviluppate le sue iniziative, ha dotato il gruppo dirigente di un presidente giovane e dinamico, W i m Kok, la cui ambizione manifesta è portare la CES al ruolo di *controparte. sindacale per governi e imprenditori dei paesi del continente, ha mostrato di saper essere dura nei confronti dei governi come si addice a un sindacato di lotta. La C E 5 costituisce un fenomeno innovativ o per molte ragioni. N o n da ultimo corrisponde probabilmente meglio d i ogni altra associazione transnazionale operante su scala europea all'esigenza d i superare i ritardi stodel consenso multirici dell'o~~anizzazione laterale su scala globale nell'Europa occidentale. Nella CE5 operano organizzazioni sindacali di paesi membri e non delle Comunità europee, costituendo un ottimo esempio del modo di estendere la prassi europeista sino ai limiti storicaraente possibili per I'èra contemporunea, s t m t e la marcata li~zea d i frontiera sull'Oder-Neisse. La pressione che i sindacati operanti sul territorio comunitario e la CES nel suo insieme stanno conducendo perché migliori relazioni si svilnppino tra CEE e E F T A e perché I'EFTA ampli il suo spazio di intervento a favore dei lavoratori, è un primo effetto d i questo ruolo della CES. Altri potrebbero venirne se il «peso» della CES si accrescerà nei confronti delle sue controparti. L'organizzazione sindacale europea deve respingere due rischi: da una parte le offerte di uannegarsi» nelle istituzioni accettando di condurre sempre e comunque la trattativa al livello d i «partnershipu con le altre forze sociali, dall'altra le immotivate asprezze di «sindacato di lotta* che mai potrà divenire per la sua stessa natura sovranazionale. I documenti e i commenti che qui vengono riportati danno un quadro, si spera eskuriente, di ciò che ha prodotto il Congresso di Monaco. L'intentìsta al segretario generale della CE5 fa il punto sulla situazione sociale e politica europea, illustra le prospettive dellazione sindacale davanti alla perd~rrznte crisi, spiega l'assenza di un piano di relazioni del sindacato europeo con le asctoPzomie locali. Comuni e Regioni sono nate all'ilzseg:za della partecipazione popolare e del decerztramento verso la perife~in. Il sindacato europeo risponde per sua natfira ad ambedue le esigenze e lo dichiara nei stroi documenti del Congresso di Monaco. Necessita un fecor!do dialogo tra forze dell'autonoi.ak e del Iavoro: l'integrazione europea è obiete-ivo prioritario per ambedue. COMUNI D'EUROPA giugno 1979 CXIX saggio Le grosse questioni dei sindacati europei di Giancarlo Meroni responsabile dell'Ufficio internazionale della CGIL zionali sui fattori economici e sui flussi monetari. Questi hanno strategie e mezzi di azione con cui affrontare su un orizzonte planetario problemi cruciali come quelli dei trasferimenti di risorse e di tecnologie, dello sfruttamento delle materie prime, dell'organizzazione dei mercati e dei fattori di produzione che governi e sindacati stentano persino ad individuare. A queste sfide sociali e politiche, oltre che economiche, era chiamato obbligatoriamente a rispondere anche il terzo congresso statutario della CES tenutosi a Monaco dal 14 al 18 maggio 1979. L'attenzione inusitata prestata dalla stampa e dall'opinione pubblica a questo congresso sindacale internazionale ha rispecchiato il clima di attesa e di tensione che rimbalzava dai diversi paesi. Proprio in questo periodo, infatti, dopo la caduta del governo laburista, si formava un governo conservatore in Inghilterra che iscriveva nel proprio programma il ridimensionamento del sindacato e le parole d'ordine liberistiche già sperimentate in Francia ed in Olanda. In Italia lo scontro sui contratti si intrecciava con la crisi di governo e la messa in discussione da parte del padronato e di molte parti politiche di ogni principio di programmazione e di partecipazione democratica alle scelte economiche. In Danimarca i sindacati contestavano i piani di austerità del governo socialdemocratico e nella stessa Germania la dura battaglia nella siderurgia e nella metalmeccanica per la riduzione dell'orario, conclusasi con un risultato inferiore allo sforzo prodigato, ed il dibattito sulla serrata e sulla cogestione indicavano l'inizio di una svolta nelle relazioni industriali ed anche difficoltà politiche non secondarie. In Belgio ed in Francia non si era ancora spenta l'eco della tensione, talvolta violenta, sulla riconversione dell'industria siderurgica, con le migliaia di disoccupati e le polemiche nazionaliste che ne sono seguite e sulla riduzione dell'orario di lavoro. E proprio nel bel mezzo del congresso è venuto «lo schiaffo. della decisione del Consiglio dei ministri comunitari sulla proposta sindacale di promuovere una politica di riduzione del tempo di lavoro come strumento per una più ampia strategia di sviluppo della occupazione. Fatto aggravato dal rigetto del piano presentato dalla Commissione per la riconversione della industria siderurgica in materia di orario e di occupazione. La CES si presentava a questo congresso con le sue organizzazioni in gran parte mobilitate su obiettivi sindacali non puramente redistributivi, ma collegati ad una strategia La CES, Confederazione europea dei sinda. più generale: quella del rilancio della occucati, raggruppa 31 confederazioni sindacali pazione mediante misure specifiche e p'rodi 18 paesi dell'Europa occidentale e conta grammate per far fronte alle politiche di 40 milioni di lavoratori sindacalizzati. riconversione messe in atto da governi e I sindacati europei si trovano di fronte a tre grosse questioni pratiche e teoriche: quella dell'uso <'politico,, del potere conquistato nella società nei confronti delle istituzioni, dei partiti e dei governi; quella, connessa alla prima, dell'adattamento dei classici strumenti e contenuti dell'azione rivendicativa allo stallo del meccanismo di sviluppo che si traduce in una rincorsa affannosa fra disoccupazione e inflazione, mettendo in crisi il sistema di distribuzione e trasferimento del reddito ed il controllo sul mercato del lavoro; quella, infine, della internazionalizzazione crescente dell'economia e dei centri di potere decisionale in materia economica e monetaria sia a livello di imprese che di istituzioni. Le forme ed i tempi d.i reazione delle singole organizzazioni nazionali a queste sfide oggettive sono diversi e risentono delle condizioni particolari in cui ciascuna di esse opera. Ma vi è indubbiamente un filo conduttore che la integrazione e la complementarietà crescente delle economie e il processo di omogeneizzazione dei sistemi sociali e istituzionali tendono ad annodare sempre più strettamente. Se non bastassero fattori macroscopici come la crisi energetica, espressione non solo del mutamento dei rapporti di scambio e di quelli politici fra paesi trasformatori e no, ma anche di penurie reali sul medio e lungo periodo e del consolidarsi del fatto che la crescita, se non mutano i rapporti sociali e i sistemi di priorità economiche, non può che avvenire a costi crescenti, intervengono, ora, anche elementi politici. Appare sempre più evidente che la soluzione del rebus si trova nel modo di orientare e gestire l'economia e quindi nei rapporti di forza fra le classi sociali. L'emergere del cosiddetto neoliberismo economico e la proclamazione, fatta anche nel recente manifesto degli imprenditori europei, del ruolo centrale dell'imprenditore riconducendo potere pubblico e sindacato nell'orbita della cosiddetta efficienza economica, non è solo uno spauracchio ideologico, ma una realtà politica e governativa che cerca di affermarsi in paesi come la Francia, l'Inghilterra, l'Olanda, la Spagna, il Belgio e persino la Svezia. Di Guido Carli ve ne sono molti in Europa ed alcuni hanno, forse, più influenza di lui sulle decisioni concrete che vengono prese giornalmente nei rispettivi paesi. E il potere dei grandi gruppi multinazionali cresce in proporzione al diminuire dell'efficacia degli strumenti di controllo nazionali e interna- ' imprese e alla incapacità della economia di mercato ad uscire spontaneamente dalla crisi. I documenti congressuali non avevano, quindi, principalmente un valore programmatico, orientativo, già di per se stesso importante, ma il carattere di vere e proprie piattaforme di azione sindacale su cui milioni di lavoratori erano mobilitati. Vi era in tutti la chiara coscienza che non si veniva a Monaco a dibattere questioni teoriche, ma il modo con cui concertare una linea di azione allo scopo di non andare allo scontro in ordine sparso - come era parzialmente avvenuto nelle prime azioni sulla riduzio: ne dell'orario di lavoro - e di trasferire sul piano europeo una battaglia che rischiava di essere perdente se limitata alla dimensione nazionale. Questa preoccupazione appare in modo ossessivo negli interventi dei principali leaders sindacali europei, da Vetter a Lama, da Maire a Murray, per non citarne che alcuni. E questo era il senso del richiamo di Vetter, presidente uscente della CES e capo della DGB, alla necessità di trasferire poteri dalle organizzazioni sindacali nazionali a quella sovranazionale. Quando si hanno obiettivi comuni ed una comune strategia, la conduzione della lotta non può essere lasciata esclusivamente alle decisioni di ciascuna organizzazione. I1 problema è quello della articolazione, dell'adattamento alle diverse realtà, ma occorre tenere presente che l'interlocutore ragiona secondo criteri sovranazionali e che bisogna evitare il g i ~ c odel rimpallo e della divisione (che qualche sindacato europeo non è riuscito o non ha voluto evitare) fra gli Stati e fra questi e le istituzioni comunitarie. E' questa una condizione che i lavoratori della siderurgia, della chimica, dei cantieri navali e tessili cominciano a conoscere bene. Decisivo è, quindi, risultato il dibattito su due questioni: 1) la definizione di una strategia generale articolata su obiettivi sindacali precisi sui quali poter condurre azioni concrete; 2) l'apprestamento degli strumenti e delle strutture capaci di dare alla CES una effettiva capacità di guidare, insieme ai sindacati membri, la lotta da sviluppare. Sul primo punto la CES è venuta elaborando una piattaforma ampia, particolareggiata e concreta, sperimentata nell'azione da ciascuna organizzazione nazionale. I documenti congressuali affrontano tutti i principali temi della strategia sindacale attuale: la programmazione della piena occupazione, la democrazia economica, le condizioni di vita e di lavoro, le multinazionali, la politica agricola e quella industriale, la questione giovanile e femminile, la cooperazione internazionale. Sarebbe fuori luogo descrivere tutti i punti salienti di questo disegno. Pre- CXX me qui mettere in rilievo le risposte indicate come idonee ad affrontare la sfida economica, sociale e politica di cui si è fatto cenno all'inizio di questo articolo. E' significativo a questo propos~toche la CES ponga al centro della sua strategia la pianificazione del pieno impiego. E', infatti, assodato da alcuni anni che il ripristino della piena occupazione non p u ò avvenire semplicemente attraverso il rilancio della domanda e i meccanismi spontanei del mercato, anche se corretti dall,intervento pubblico di sostegno secondo i precetti keynesiani. v i si oppongono i contrastanti interessi fra i lavoratori, che tendono a mantenere elevati i livelli di reddito e di trasferimento e a esercitare il controllo sulla organizzazione del lavoro e sul mercato della manodopera, e quelli degli imprenditori, che tentano di sottrarsi a questi vincoli, elegantemente chiamati lacci e lacciuli, e a ripristinare il profitto e il potere decisionale del capitale come parametri dello sviluppo. La richiesta della CES rovescia i termini tradizionali della filosofia' economica, accettata anche da alcuni sindacati nel passato, che fondano sullo sviluppo del reddito, attraverso la crescita della produttività e della domanda globale, la soluzione del problema occupazionale. L'occupazione diviene, invece, la misura e la condizione per la definizione delle politiche specifiche di sviluppo. Nella risoluzione finale si dice esplicitamente che <<lapiena occupazione (bisogna che) . COMUNI D'EUROPA e iniziative nazionali e settoriali. N o n vi è da stupirsi se esso ha avuto una particolare eco nel dibattito. Su di esso lo scontro a livello nazionale ed europeo è in corso. Ciò che è importante è che questo punto rivendicativo viene inteso come un elemento della politica di programmazione economica e che,. quindi, la strategia contrattuale viene messa al servizio di un disegno più generale. E' questo un segno del mutamento della natura e della concezione dello strumento contrattuale e, quindi, del sindacato in ge- Una tale strategia concreta per lo sviluppo dell'occupazione e per l'orientamento delle diverse politiche economiche settoriali e delle rivendicazioni contrattuali esige una direzione coordinata dell'azione sul piano eur-opeo. D a qui la novità della proposta di muoversi verso veri e propri accordi-quadro generali e settoriali da negoziarsi con gli imprenditori e con le istituzioni comunitarie. I1 sindacato europeo individua, dunque, i suoi interlocutori sociali e politici e tratteggia il quadro di una azione sindacale classica da condursi in modo articolato sui diversi piani nazionale, settoriale, comunitario. L'importanza di questa scelta potrà rivelarsi in tutte le sue potenzialità, particolarmente nei settori in crisi ed in via di ristrutturazione consentendo di contrapporre una visione sindacale internazionale a quella dei governi e del padronato. Già i primi effetti di questa scelta si sono mostrati nel corso diventi primo politica ecodella riunione del Comitato dell'occupazionomica e (che) si discutano regolarmente ne (organo [ripartito della CEE) a Bruxelles con il movimento sindacale piani e proil 22 maggio scorso. In quella occasione la grammi generali che pongano in opera miCES ha, infatti, abbandonato la riunione sure selettive e generali e direttive per gli dopo aver constatato la non volontà politica investimenti.. E a questo proposito si indidel Consiglio dei ministri comunitari e del cano come misure specifiche: l'intervento padronato europeo di dare I'awio a misure posti di lavoro cam- di riduzione dell'orario di lavoro. E da pubblico per p0 produzione e creazione di questa decisione non si potrà non trarre le servizi collettivi, il controllo dello sviluppo logiche conseguenze. le politiche di U n secondo tema S U cui vi è stato un occupazione per settori specifici, il rafforzapronunciamento politicamente rilevante da mento politiche e parte del congresso è quello della democraanche piano zia economica. Su questo argomento, è noreddito dei disoccupati. to, vi sono diverse esperienze in Europa, In questo quadro di misure generali e ma ciò che è importante è l'affermazione di specifiche di ~rogrammazionedella occupaprincipi comuni che mettono in discussione zione si inserisce la rivendicazione della ri1, classiche concezioni liberistiche dello sviduzione dell'orario di lavoro. Questo tema, luppo. Si afferma, infatti, nella risoluzione che ha avuto un particolare rilievo anche finale, che «la CES opererà affinché i lavoper il fatto che è oggetto di azioni sindacali e i loro rappresentanti abbiano un in tutti i paesi europei, non costituisce, peso decisivo a tutti i livelli della vita ecoquindi, per la CES il solo e determinante nomica e in n articolare nelle aziende e posobiettivo per creare occupazione. sano partecipare alla definizione delle scelte Esso acquisisce una particolare importane al controllo della loro attuazione,,. Certo za come elemento rivendicativo concreto e la definizione è ancora vaga, ma indica una in quanto la sua applicazione con risultati linea di comportamento che è sostanziata da efficaci dipende soprattutto dalla possibilità esperienze avanzate in diversi paesi e, nello di estenderne gli effetti in modo coordinato stesso tempo, contrappone I'affermazione e omogeneo a tutti i paesi comunitari. Aldel ruolo del sindacato e dei lavoratori nelle trimenti il rischio è quello che sia vanificato scelte e nelle decisioni a tutti i livelli della dagli squilibri territoriali e settoriali esistenvita economica ai tentativi del padronato di ' restaurare il predominio dell'imprenditore e ti nei diversi paesi. dei rnanagers. Si tratta di una questione delicata perché H o citato questi due temi in quanto sinmette in discussione abitudini contrattuali e tornatici di un processo di adeguamento del interessi consolidati (questione dello straorsindacato alla sfida che viene dalla crisi e dinario) dei singoli sindacati nazionali e imdalle forze economiche e politiche moderate pone un coordinan'iento fra azione generale giugno 1979 e conservatrici europee. Ma il dibattito congressuale è stato ricco di spunti importanti anche su altre questioni significative come le condizioni di vita e di lavoro, il problema femminile e giovanile su cui il programma approvato dal congresso compie un lavoro concreto di individuazione di contenuti precisi e realistici sui quali si può costruire un movimento di lotta. E proprio questo punto, quello cioè dell'approntamento di strumenti e strutture capaci di dare alla CES i mezzi per sviluppare azioni concrete di lotta, è quello che ha caratterizzato il dibattito congressuale. Nessuno può ignorare le difficoltà di condurre un'azione sindacale internazionale con i mezzi classici della lotta sindacale e gli ostacoli che possono venire da incrostazioni nazionalistiche e da concezioni diverse del ruolo sociale e dei metodi d'azione del sindacato. Di queste difficoltà si trovava traccia nel progetto di risoluzione presentato al congresso che appariva, a questo proposito, ancora troppo timido. ed è stato proprio il congresso, sotto l'impulso della maggioranza delle organizzazioni ed in particolare di quelle italiane, a dare una spinta decisiva verso impegni più stringenti in questa direzione. La risoluzione finale, infatti, impegna la CES a promuovere azioni generali e a coordinare azioni nazionali di lotta sui punti contenuti nel programma d'azione approvato dal congresso anche con veri e propri movimenti di sciopero. nello stesso tempo afferma la necessità di rafforzare i legami con le organizzazioni di categoria e dà mandato agli organi dirigenti eletti di definire rapidamente le procedure interne per la realizzazione più efficace del programma d'azione. In questo modo si pongono le condizioni per un adattamento anche della struttura interna della CES. Su questo problema il dibattito precongressuale era. stato vivace e numerosi emendamenti erano stati presentati allo statuto, soprattutto da parte italiana, olandese e belga. La maggior parte di essi erano diretti a rafforzare il ruolo del segretariato e a migliorarne i metodi di lavoro, altri a ribadire i legami con le organizzazioni d i categoria e ad adeguarne lavoro e composizione alle esigenze e alla natura della CES. I1 congresso ha deciso, a questo proposito, di accettare il principio dell'adattamento dello statuto, ma ne ha demandato la pratica realizzazione ad un gruppo di lavoro che verrà creato dal nuovo Esecutivo. E' tuttavia evidente che questo gruppo di lavoro dovrà tener conto degli obiettivi stabiliti nella risoluzione finale e nel programma di azione. Questi gli orientamenti principali emersi dal congresso rispetto alle direttrici strategiche lungo le quali dovrà organizzarsi il lavoro pratico della CES e dei suoi sindacati. Sarebbe, però, ingenuo ritenere che le decisioni prese siano facilmente e immediatamente applicabili. H o ricordato il quadro politico e sociale in cui i diversi sindacati si trovano ad operare e questo è già di per se stesso un elemento cogente che ~ u influiò re, negativamente o osi ti va mente, sul com- giugno 1919 portamento delle diverse organizzazioni. Molti sindacati saranno sottoposti a pressioni fortissime da parte dei loro governi e potranno essere indotti a concentrarsi su azioni difensive. D'altra parte l'acuirsi della crisi energetica e la nuova ondata inflazionistica, coniugandosi con i problemi nazionali di adattamento delle strutture produttive e dei rapporti commerciali e monetari, possono far risorgere spinte protezionistiche e nazionalistiche. Qualche caso clamoroso c'è già stato, in Francia, sulla questione della siderurgia. Sono, d'altra parte, note le posizioni della C G T e di altre organizzazioni sindacali e politiche francesi riguardo alla Comunità europea e al suo allargamento. Infine, il crescere delle spinte moderate nei governi europei accentua la crisi della C o munità e anche questo può essere un elemento di divisione potenziale fra gli interessi nazionali e quelli dell'insieme della classe lavoratrice. Ritengo, comunque, che gli elementi di coesione e gli interessi comuni, cementati dalle decisioni congressuali, tenderanno a prevalere. Occorrerà, però, un lavoro continuo e paziente da parte di tutti e soprattutto una coerenza di comportamento e una solidarietà attiva nella conduzione delle azioni sindacali nazionali. Assai pericolose sono le manifestazioni di scollamento fra le organizzazioni nazionali soprattutto quando fanno leva su discriminazioni politiche, come quelle che sono apparse, dispiace dirlo, nell'atteggiamento della CISL italiana sulla questione degli incarichi da ricoprire nell'Esecutivo della CES. Così come sarebbe da considerarsi inquietante se gli organi esecutivi della CES dovessero sollevare remore, non strettamente attinenti alla compatibilità con i principi dello statuto e con i suo! programmi, all'entrata di grandi organizzazioni che hanno chiesto l'adesione come le Commissioni operaie spagnole, 171ntersindical portoghese e la C G T francese. E', comunque, di buon auspicio che sia l'ex presidente della CES Vetter, sia il nuovo presidente, l'olandese Wim Kok, abbiano ribadito la fine di discriminanti ideologiche e la volontà di unire i sindacati europei sulla base degli interessi comuni e della volontà di aderire ai principi e ai programini concordati. A questi saggi principi occorrerà che si riferiscano anche coloro che nella CES intendono operare. I mesi e gli anni che si approssimano saranno senza dubbio duri e difficili per il movimento sindacale e per la classe lavoratrice. Essi dovranno fare uno sforzo creativo per adeguare i propri strumenti operativi e concettuali ai nuovi compiti che li attendono. E' sicuramente una garanzia non trascurabile che nel congresso della CES siano stati fatti importanti passi in avanti per rendere più coerenti ed efficaci i comportamenti dei diversi sindacati europei e soprattutto per dare loro la necessaria dimensione internazionale. Su questa base si misurerà concretamente l'internazionalismo e la solidarietà di classe del movimento sindacale europeo. COMUNI D'EUROPA CXXI Cronaca del Congresso di Raul Wittenberg della redazione d i «Rassegna Sindacale* Gli organizzatori del congresso erano stuIl congresso s i è interrogato soprattutto piti della quantità d i giornalisti, specie strasulle questioni reali: la crisi, i sei m2lioni e nieri, che si accalcavano nelle ultime file di mezzo d i disoccupati, i giovani in cerca di tavoli, quelli riservati alla stampa, nel grande primo impiego, le donne, la riconversione salone dell'hotel Sheraton d i Monaco. Era il produttiva, l'approvvigionamento di materie terzo congresso dei sindacati europei, ma il prime in una economia essenzialmente traprimo ad avere tanta eco nei mass media, e sformatrice (e quindi dell'incombente esaurinon solo per l'imminenza delle elezioni eumento delle fonti tradizionali d'energia), i ropee. In effetti elementi d i appetibilità per rapporti col resto del mondo e in particolare la stampa non mancavano. N o n tutti avecoi paesi in sviluppo. I principi dell'assoluta vano letto gli undici capitoli del «progetto d i libertà d'impresa, dello sviluppo come conseprogramma d'azione., ma a tutti era chiaro guenza automatica del libero comporsi delle che v i sarebbero state novità sull'atteggiaconvenienze del mercato, libero dai «lacci e mento della CES (Confederazione europea lacciuoli», hanno prodotto sei milioni d i dei sindacati) verso la crisi, non pik traducidisoccupati, ha ricordato Vetter, sostenendo bile nei soli defatiganti incontri con le istitula necessità d i una lotta attiva contro le zioni comunitarie. Si sapeva, inoltre, che razionalizzazioni non programmate. Viene Heinz Oskar Vetter, tra i primattori della avanti, in sede europea, il principio della socialdemocrazia tedesca e leader del D G B programmazione, e lo stesso Marianetti (se(Deutsch Gewertschaftbund Bundesvort, il gretario generale aggiunto della C G I L , ora potente sindacato della Germania federale), nell'Esecutivo della CES) sottolineava, in avrebbe lasciato a Monaco la guida del sinuna dichiarazione alla stampa, l'evoluzione dacato europeo, di cui era presidente dalla in questa direzione compiuta dal sindacato fondazione (1973). Appetitosa anche la queeuropeo. Apprezzamenti erano espressi, nei stione sull'ammissibilità delle domande penloro interventi, da Benvenuto ( U I L ) e da denti di alcuni sindacati «comunistiu, come Carniti (CISL). la C G T francese e le Commissioni operaie La novità di rilievo verte sulle forme spagnole, in una CES nata dal superamento d'azione della CES. In un documento ufdel progetto di regionalizzazione della CISL ficiale del sindacato europeo per la prima internazionale. Per gli italiani si poneva in volta si parla esplicitamente dello sciopero particolare la questione della futura vice come strumento per «piegare» le politiche presidenza a sette, nella quale ci si poteva economiche dei governi. La CES tende a attendere la presenza del segretario generale divenire più organizzazione, con grinta della C G I L . maggiore, che, senza sottovalutare il conSulla questione della vicepresidenza, Vet- fronto con le istituzioni, nemmeno trascura ter dichiara che non esiste alcun veto «an- fazione per sostenere proposte e programmi. ticomunista* da parte dei sindacati europei. E' un augurio in questa direzione la nuoSpetta al sindacato italiano, in particolare va immagine che assume il vertice della alla CISL, che, con il passaggio d i Macario, CES. Il nuovo presidente, l'olandese W i m vicepresidente uscente, alla vita politica naKok, uno dei protagonisti dell'unità sinzionale e quello di Fabrizia Baduel Glorioso dacale nel proprio paese, è un giovanotto dalla presidenza del Comitato economico e atletico d i quarantuno anni, la cui naturale sociale della C E E al Parlamento europeo, cordialità con tutti ispira subito gran simpaafferma di aver visto sminuire la propria tia e grande dinamicità. A l centro del suo «rappresentativita» europea. disegno per l'azione della CES c'è il nodo Sull'ammissibilità di nuovi sindacati nella della crisi europea: la disoccupazione che, CES si decide d i rimandare l'esame delle 18 come Kok indicava nel discorso di chiusura, domande pendenti all'Esecutivo, che avrebminaccia le stesse istituzioni democratiche be dovuto esprimersi.entro l'anno secondo i nei vari paesi d'Europa. E' tornato alla criteri della rappresentatir~itàe della accettamente di chi ascoltava l'incubo della crisi zione, da parte dei richiedenti, dei principi, degli anni venti, con le tragedie che ha dello statuto e del programma della CES. Si prodotto in Europa. Lotteremo «con le unnoti che la C G T francese (al contrario degli ghie e coi denti., ha detto Kok, per evitare altri) non ha fatto molto per dimostrare tale che gli effetti della crisi ricadano interamenaccettazione con irose polemiche condotte, te sui lavoratori europei. Padronato e Coproprio durante il congresso, contro la CES munità sanno con chi dovranno confrontarsi e in particolare contro Vetter. nei prossimi anni. Risoluzione Generale Monaco d i Baviera, 18 maggio 1979 In questo momento difficile - nel quale la crisi economica colpisce tutti i lavoratori - la CES constata che in molti paesi europei si sviluppa una possente lotta, non solo per la difesa del~'occupazione e del potere di acquisto dei lavoratori, ma soprattutto per imporre ai governi e ai datori di lavoro una nuova politica economica che garantisca il diritto al lavoro e respinga ogni attacco alle conquiste sociali e ai diritti sindacali ottenuti con dure lotte. Sulla base del Programma di azione adot- CXXII tato dal congresso, gli obiettivi prioritari della CES per i prossimi tre anni saranno: 2. Pianificazione della piena occupazione Il diritto ad una occupazione sicura liberamente scelta che garantisca lo sviluppo individuale della personalità e una completa partecip~zione alla vita sociale e politica è un diritto umano fondamentale. Per tale motivo la CES continuerà ad esercitare pressioni sui governi, sui datori di lavoro e sulle istituzioni europee, affinché la piena occupazione diventi i'obiettivo primo della politica economica e affinché essi discutano regolarmente con il movimento sindacale piani e programmi generali che pongano in opera misure selettive e generali e direttive per gli investimenti al firie di: - creare posti di lavoro in tutti i settori dell'economia, sia pubblica che privata, sia nel campo della produzione sia in quello dei servizi collegati ai bisogni collettivi; - controllare che il livello generale della domanda sia mantenuto a livelli compatibili con la iotta contro la disoccupazione, allo scopo di realizzare la piena oczupazione ; -rafforzare le politiche occupazionali per lo sviluppo di occupazioni specializzate e il miglioramento delle prospettive di impi~go; - fare i11 modo che si sviluppino anche a livello nazionale ed europeo politiche industriali e regionali; -assicurare che coloro ai quali la società non procura un lavoro ricevano almeno igna indennità economica che permetta loro di mantenersi ad un livello di vita ragionevo!e. I1 congresso raccomanda che il Comitato esecutivo crei un comitato permanente per le questioni economiche al fine di preparare lo specifico contributo della CES alla pianificazione della piena occupazione. 2. Riduzione dell'orario di lavoro La CES ricerca un mezzo o un insieme di mezzi da utilizzare per il raggiungimento in un prossimo futuro di una riduzione del 10 per cento dell'orario di lavoro, senza perdita di salario: - con una riduzione della settimana lavorativa a 35 ore; - con un prolungamento delle ferie annuali a 6 settimane; - con la concessione della pensione intera a 60 anni; - con un prolungamento della scolarizzazione obbligatoria a 16 anni e la estensione dei permessi per la formazione professionale ed altra formazione permanente. Su problemi specifici, come ad esempio l'introduzione della 5" squadra per i lavoratori a turno continuato. La CES opererà a favore della loro soluzione nel corso degli incontri che avranno luogo nel quadro della Comunità europea. 3. Difesa , e miglioramento del livello di vita I1 movimento sindacale europeo si opporrà agli attacchi contro i salari, gli emolu- COMUNI D'EUROPA giugno 1979 menti e le conquiste sociali dei lavoratori e opererà per il miglioramento del livello di vita in particolare di coloro che sono meno pagati, e per la realizzazione di una distribuzione più equa dei redditi e delle ricchezze. La CES respinge i mezzi impiegati per combattere l'inflazione, in particolare quello di una generalizzata restrizione dell'evoluzione dei salari. 4. Democratizzazione dell'economia La CES opererà affinché i lavoratori e i loro rappresentanti abbiano un peso decisivo a tutti i livelli della vita economica, e cioè in tutte le aziende e possano partecipare alla definizione degli obiettivi e al controllo della loro realizzazione. Tutte le imprese nazionali e multinazionali devono essere responsabili nei confronti dei sistemi sociali in cui operano, nonché davanti ai lavoratori che in esse lavorano. La CES stabilirà una stretta collaborazione con altre organizzazioni sindacali internazionali democratiche, affinché siano introdotte norme internazionali di comportamento applicabili alle società multinazionali. La CES riconosce che le strade per raggiungere la democratizzazione della economia possono variare da paese a paese. La CES sosterrà le proprie organizzazioni nel loro impegno a completare gli sforzi intrapresi, nei loro rispettivi paesi, per la democratizzazione dell'economia. 5. Miglioramento lavoro delle condizioni di La CES ribadisce il diritto dei lavoratori ad una occupazione che permetta lo sviluppo della loro personalità individuale e collettiva e che stimoli la creatività. Essa opererà per: - l'abolizione di forme di organizzazione del lavoro chc degradano gli uomini e le donne a livello di semplici esecutori e danneggiano la loro salute fisica e psichica; - una utilizzazione delle evoluzioni tecnologiche imperniata sul miglioramento delle condizioni di lavoro; - attuazione di procedure di prevenzione coiitro i rischi industriali. Infine, la CES ribadisce che la determinazione di condizioni di lavoro e la loro modifica sono in primo luogo di competenza dei lavoratori e delle lavoratrici e delle loro organizzazioni sindacali, che devono poter intervenire in modo efficace su tale questione. 6 . Riforme delle politiche agricole La politica agricola dovrebbe essere riesaminata ed adattata sia alle esigenze dei lavoratori, che a quelle dei produttori e a quelle dei consumatori. In questa ottica, la CES ripropone la sua urgente richiesta alla C E E di convocare una conferenza sulla riforma della politica agricola comune, allo scopo di formulare una politica dell'alimentazione comune nell'ambito della CEE. Sarà necessario tenere conto: - del diritto dei lavoratori agricoli al miglioramento delle loro condizioni di lavoro e di reddito e del fatto che essi sono organizzati a livello europeo; - del diritto dei lavoratori in generale ad avere, in qualità di consumatori, prodotti alimentari di buona qualità a prezzi ragionevoli e, in quanto contribuenti, al diritto di non dover sopportare il costo di una politica di sperperi; - della necessità di promuovere I'occupazione nelle zone rurali e di realizzare un migliore equilibrio regionale. E' quindi necessario integrare le politiche agricole con le politiche sociale e regionale allo scopo di modificare le politiche dei prezzi agricoli e migliorare le politiche delle strutture agricole. La politica agricola comune della C E E dovrà, più in particolare, essere riformata e adattata affinché essa porti dei benefici sia ai lavoratori che ai produttori agricoli, ed ai consumatori. 7. Politica energetica globale La CES richiede la messa a punto di una politica energetica a breve, medio e lungo termine. La CES ritiene indispensabile che la politica energetica si occupi degli aspetti legati all'approwigionamento ed al costo, nonché di quelli relativi alla sicurezza e al tenore di vita. E' inoltre indispensabile che essi siano coordinati a livello europeo. E' necessario porre l'accento sugli aspetti economici e sulle fonti di energia alternative, che dovranno essere ulteriormente sviluppate. Tale politica d'insieme dovrà essere discussa sotto I'egida delle istituzioni europee fra governi, datori di lavoro e lavoratori. 8. Più efficaci politiche regionali E' opinione della CES che è ormai arrivato il momento di formulare ed imporre in Europa politiche più concrete che contribuiscano in modo effettivo al superamento delle grosse differenze che sussistono fra le regioni europee. In particolare la CES in seno alla Comunità europea rivendica: - un considerevole aumento dei mezzi finanziari del Fondo europeo di sviluppo regionale; - un coordinamento efficace delle attività di tutti gli organismi finanziari della Comunità, incentrato sulle regioni più povere; - un'estensione di questi aiuti alle regioni che presentano fenomeni di crisi di natura strutturale; - una partecipazione più diretta dei lavoratori e dei loro sindacati a tale politica, ad esempio a livello di Comitato di politica regionale o a livello di Consiglio di amministrazione della Banca europea degli investimenti. 9. Porre fine alle discriminazioni La CES perseguirà programmi di azione che mirino ad assicurare eguali diritti a tutti i lavoratori e lavoratrici della nostra società. In particolare essa si opporrà a che venga rimesso in causa il diritto all'occupazione femminile ed opererà per la parità di trattamento tra uoniini e donne. glugno 1979 Essa farà attenzione a che i giovani non siano condannati all'inattività o ad accettare occupazioni non qualificate una volta completata la loro formazione scolastica o professionale. Essa farà in modo che i lavoratori migranti non subiscano per primi gli effetti della crisi, in particolare con rimpatri massicci ed ottengano diritti e garanzie equivalenti a quelli di cui godono i lavoratori nazionali. Ciò implica inoltre il diritto di voto alle elezioni amministrative del paese di accoglimento dopo 5 anni di residenza. La CES esigerà inoltre parità di diritti per gli handicappati. 10. U n a politica che tenga conto degli interessi dei consumatori Allo scopo di difendere gli interessi dei consumatori la CES metterà l'accento sulla necessità di proteggere il potere di acquisto, d i introdurre un sistema di controllo dei prezzi, nuove protezioni giuridiche, qualora i prodotti si rivelassero pericolosi o non rispondenti alle norme; e sulla necessità di migliorare qualitativamente i prodotti, i servizi e il periodo di durata dei prodotti; sosterrà la proibizione ad usare additivi pericolosi, una migliore informazione, il controllo della pubblicità menzognera e la riforma delle strutture di distribuzione e di produzione con una pianificazione democratica. 11. Miglioramento della qualità di vita E' necessario migliorare il tenore di vita dei lavoratori e delle loro famiglie: - riducendo l'inquinamento e preservando le risorse rare; - migliorando l'habitat, la salute, l'istruzione, l'urbanizzazione e l'equilibrio nello sviluppo delle città e delle regioni, i servizi di trasporto e le attrezzature collettive; - sviluppando le possibilità di utilizzo del tcmpo libero; - assicurando in modo globale un orientamento della politica economica e industriale, in armonia con i bisogni sociali prioritari. 12. N u o v o ordine economico e sociale internazionale La CES opererà, d'intesa con altre organizzazioni sindacali internazionali democratiche, per la promozione della pace e del rispetto dei diritti dell'uomo e dei dirini sindacali ovunque nel mondo. Sarà necessario inoltre sviluppare il contenuto degli accordi di Helsinki, sulia base delle tre direttive ivi definite, in uno spirito di distensione. La CES si rallegra sinceramente del fatto che in Grecia, Spagna e Portogallo sia stata ristabiiita la democrazia poiitica e sostiene l'adesione di tali paesi alla Comunità. La CES agirà affinché tale adesione contribuisca al n~igl.i.oramentodelle condizioni sociali e del sisteina di relazioni industriali in quei COMUNI D'EUROPA paesi. La CES esige comunque che i governi dei paesi candidati prevedevano la partecipazione di interlocutori sociali ai negoziati di adesione, senza la quale i legittimi interessi dei lavoratori di tali paesi non verrebbero presi in considerazione. La CES opererà, sul piano europeo e nazionale, per la realizzazione di una politica di cooperazione per uno sviluppo economico e sociale autonomo dei paesi in via di sviluppo. La CES, sulla base delle posizioni adottate dal congresso e dal Comitato esecutivo, farà pressione per la conclusione di una nuova Convenzione di Lomé, basata su relazioni più egiiali tra la C E E e i paesi A C P (Africa, Caraibi, Pacifico). La Convenzione dovrà, più in articolare: - promuovere il rispetto dei diritti umani e sindacali; - associare i sindacati della C E E e dei paesi A C P al funzionamento della Convenzione; - prevedere un maggiore aiuto per i paesi ACP; - promuovere un tipo di liberalizzazione commerciale che benefici i lavoratori, le popolazioni dei due gruppi d i paesi e non solo le grosse società o l'élite che detiene il potere. 13. Estensione dell'influenza sindacale e mezzi d'azione Per la realizzazione dei propri obiettivi la CES: - organizzerà e coordinerà azioni di pressione e di lotta, ivi compresi movimenti di sciopero, con i propri affiliati per piegare le politiche dei governi e dei datoii di lavor o sia a livello nazionale che europeo; - ricercherà i mezzi più consoni per permettere all'insieme dei suoi membri di partecipare più direttamente ad azioni convergenti su obiettivi comuni, in particolare e con urgenza per la riduzione dell'orario di lavoro, ad esempio organizzando nuove giornate d'azione; - cercherà di sviluppare e rendere più efficaci i contatti della CES e agirà presso gli istituti europei (CEE, AELE, Consiglio d'Europa), i governi e i datori di lavoro, e contratterà accordi-quadro che stabiliscano gli obiettivi da raggiungere; - continuerà a promuovere la costituzione di comitati sindacali e a lavorare strettamente con essi, e con le organizzazioni sindacali internazionali e democratiche, se sarà necessario estendere l'azione al di fuori dell'Europa; - riconsidererà rapidamente le procedure interne della CES per far sì che il programma d'azione fissato venga perseguito nella maniera più efficace possibile. Risoluzioni particolari Risoluzione sul Consiglio dei ministri del 15 maggio 1979 Il Congresso della CES ha preso conoscenza dei risultati insultanti per i lavoratori e le loro organizzazioni sindacali del Consiglio dei ministri degli Affari sociali, consacrato alla pianificazione dei tempi di lavoro. Il Congresso aspettava dal Consiglio dei ministri un atteggiamento positivo che aprisse la strada a un negoziato serio sulla riduzione del tempo di lavoro. I1 Congresso constata che le conclusioni del Consiglio dei minisui, che invitano la Coinmissione a proseguire studi e analisi, sono di fatto le posizioni del padronato europeo. I1 Congresso denuncia fermamente quest'attitudine negativa del Consiglio dei minisrri-c incarica il Comitato esecutivo della CES d'organizzare l'azione dei lavoratori in Europa per costringere il Consiglio dei ministri a modificare la sua posizione. Risoluzione per una migliore cooperazione in Europa (estratti) La CES ha da sempre affermato che le politiche nazionali erano insufficienti per regolare i problemi dei lavoratori. In conseguenza ha appoggiato tutte le iniziative per una migliore cooperazione tra gli Stati. Al tempo stesso ha iatto di tutto perché le istituzioni internaziogali si facessero carico dei problemi reali e non si contentassero soltanto di un ruolo di presa d'atto. La situazione attuale conferma che le ~ o s i z i o n i della CES erano giuste e da tempo finalmente i suoi reiterati appelli per una inigliore cooperazione in Europa incontrano una eco favorevole da parte del ~ a d r o n a t oe dei poteri pubblici. Il Congresso della CES conferma la sua volontà di vedere svilupparsi rapidamente una conferenza tripartita suil'occupazionr per l'insieme dei paesi dell'Europa delL'Ovest e lancia un appello pressante al Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa affinché ne fissi le date dopo averne accettato il principio. Una tale conferenza è indispensabile per il ristabilimento di una situazione occupazionale migliore, poiché suppone un coordinamento delle politiche ecoe tutti i paesi nomiche e d e l l ' o c ~ u ~ a z i o ntra d'Europa. E' necessario che una cooperazione effettiva si sviluppi tra le Comunità europee e l'Associazione europea di libero scambio (EFTA). Risoluzione sulle elezioni al Parlamento europeo I1 Congresso della CES, riunito a Monaco alla vigilia delle elezioni a suffragio universale del Parlamento europeo, lancia un appello solenne ai lavoratori dei nove paesi delle Comunità europee affinché essi partectpino in massa allo scrutinio. Per la prima volta, i popoli voteranno nello stesso momento per dei parlamentari europei. COMUNI D'EUROPA CXXIV La CES ha pubblicato un p r o g r a m m a rivendicativo i n vista d i queste elezioni che è stato diffuso nei paesi delle Comunità. Questo programma propone delle soluzioni per il miglioramento della condizione operaia in Europa. E' dunque di interesse primordiale per i lavoratori che i rappresentanti dei popoli che siederanno in questo Parlamento si facciano carico e difendano le rivendicazioni legittime della classe operaia. Risoluzione sul Consiglio d'Europa (estratti) mande delle organizzazioni sindacali rappresentate nel seno del comitato consultivo dell'EFTA perché le attività e le decisioni di quest'istituzione rispondano a tutti gli obiettivi fissati dalla Convenzione di Stoccolma, chiede al Consiglio dei ministri dell'EFT A di prendere ogni iniziativa che permetta il ristabilimento della piena occupazione attraverso una politica economica e sociale coordinata. Risoluzione sulla sicurezza sociale (estratti) Il Congresso della Confederazione europea dei sindacati, riunito a Monaco, - chiede che i partners sociali possano ottenere uno statuto speciale che loro permetta di partecipare di pieno diritto ai lavori dei comitati intergovernativi che trattano di problemi essenziali concernenti i lavoratori, - propone che rapidissimamente i partners sociali ottengano come minimo, in attesa di un regolamento d'insieme, lo stesso statuto di cui godono nel comitato governativo di controllo per l'applicazione della Carta sociale, in tutti i comitati che trattano problemi essenziali per i lavoratori. Per quanto concerne la C a r t a sociale, il Congresso chiede che sia messa in opera una procedura di revisione degli articoli che sono superati dall'attualità. Risoluzione su1l'EFTA (estratti) I1 Congresso della Confederazione europea dei sindacati, riunito a Monaco dal 14 al 17 maggio 1979, basandosi sull'articolo 2 della Convenzione di Stoccolma istitutiva dell'Associazione europea di libero scambio, appoggia le do- L'accrescimento e la stabilizzazione della disoccupazione costituiscono un problema suscettibile di m e t t e r e i n pericolo l'ordine economico e sociale i n Europa. Le ripercussioni della crisi economica sulla sicurezza sociale rischiano egualmente di rimettere i n questione i livelli a t t u a l i d i protezione sociale e di mettere seriamente in pericolo l'equilibrio finanziario del sistema di sicurezza sociale. Nel momento in cui la m o b i l i t à dei lavoratori è una necessità e una condizione di progresso, gli ostacoli a una reale garanzia sociale si moltiplicano. E' inammissibile concepire u n sistema d i sicurezza sociale che sia u n i c a m e n t e il risult a t o d i calcoli d i redditività e u n sistema d'assistenza. Al contrario, deve rappresentare uno strumento di sicurezza in caso di bisogno e di solidarietà per coloro che non esercitano più o non ancora un'attività professionale. Quest'esigenza di solidarietà costituisce l'obiettivo della nostra azione. I1 bilancio sociale della C E E e gli strumenti esistenti nell'EFTA devono realmente contribuire a dare alla politica sociale i mezzi d'analisi e d'azione per migliorare le condizioni di vita e di salute dei lavoratori. giugno 1979 In conseguenza il congresso raccomanda al Comitato esecutivo di creare un C o m i t a t o p e r la sicurezza sociale. Risoluzione sulla formazione professionale (estratti) I1 Congresso della CES è dell'opinione che una politica comune di formazione costituisca una base necessaria di partenza per una comunità accresciuta in tutti i settori, è convinta che una politica di formazione più ampia, più aperta e rivolta ai problemi comuni della nostra epoca sostenga nel loro lavoro i rappresentanti sindacali di tutti gli organi di consultazione e di decisione nei quali rappresentano gli interessi dei lavoratori, incarica di conseguenza il comitato esecutivo della CES di cominciare ad elaborare, al più tardi nel 1980, un P r o g r a m m a C E S d i politica d i f o r m a z i o n e e di sottomettere delle proposte di strategia sindacale, sulla base delle quali questo programma potrà essere portato a termine, chiama d'urgenza tutte le confederazioni sindacali affiliate a partecipare attivamente alla preparazione e alla realizzazione di questo programma di formazione. Risoluzione sulla salubrità del Reno (estratti) Nel Congresso CES del '76 a Londra, una dichiarazione comune delle confederazioni sindacali dei paesi rivieraschi del Reno è stata adottata per coordinare le azioni per l'eliminazione del17inquinamento nel Reno. Questo Congresso fa un nuovo appello ai governi interessati, dà mandato al segretariato CES di coordinare le azioni sindacali delle confederazioni dei paesi riguardati, chiede che le Comunità europee agiscano con tutto i1 loro peso perché questo problema importante trovi infine una soluzione. Quale Europa? essere risolta La maggior parte dei problemi che si pongono al movimento sindacale non p u ò soltanto sul piano nazionale. La questione oggi n o n è più: bisogna o non bisogna costruire l'Europa? Ma: quale Europa bisogna costruire? Quale Europa vogliamo? Un'Europa che non è in grado di risolvere i problemi di 6 milioni di disoccupati? Un'Europa dominata d a alcuni gruppi multinazionali dove gli interessi e la redditività immediata prevalgono sull'interesse generale? Un'Europa che perpetua le ineguaglianze tra gli uomini e mantiene gli squilibri tra regioni altamente sviluppate e regioni in via di sviluppo? Per la C E S e i suoi 40 milioni d i affiliati non si p o n e neppure la questione d i accettare una tale situazione. L'Europa che noi vogliamo, e che noi vogliamo aiutare a fare, deve rispondere alle aspirazioni e alle speranze dei lavoratori. L'Europa sarà come noi la faremo 24 P A R O L E D ' O R D I N E P E R L ' E U R O P A D E L L A V O R O -- . Lottare contro la disoccupazione, migliorare i servizi collettivi, rinforzare ed estendere la democrazia, rilarzciare l'economia, creare nuovi posti d i lavoro, influenzare le decisioni economiche, accrescere l'aiuto allo sviluppo, creare u n sistema di formazione efficace e permanente, controllare la gestione dei redditi, pianificare l'espansione economica, procedere a una riduzione della durata del lavoro, lottare per assicurare la piena occupazione, sottomettere le società, multinazionali al controllo del potere democratico, migliorare le condizioni sociali, esercitare un'influenza effettiva sull'o~ganizzazionedel lavoro, elaborare delle norme d i sicurezza, accordare ovunque ai lavoratori migranti gli stessi diritti, intensificare la lotta contro le diseguaglianze, democratizzare le istituzioni europee a tutti i livelli, attaccare le discriminazioni basate sul sesso, facilitare l'integrazione dei giovani nella vita attiva, eliminare ogni discriminazione, elaborare una politica con e per i lavoratori migranti, determinare una politica di sviluppo regionale. COMUNI D'EUROPA giugno 1979 Italia incide per un 30% sui consumi globali) e per ottenere elettricità mediante cellule fotovoltaiche. Quest'ultimo procedimento, in uso nei veicoli spaziali, è ancora troppo costoso ma è suscettibile di perfezionamento, tanto è vero che negli USA si prevede di ridurre il costo di un watt fotovoltaico da 13 a 2 dollari, pur usando la stessa tecnologia attuale, il che rappresenta un risultato lusinghiero per i futuri sviluppi. In Italia, pur senza incentivi governativi, ci si rivolge sempre più a tale fonte ad opera di ditte piccole e medie e di qualche industria (1'Ansaldo ha esportato impianti anche in America) e, fortunatamente, anche grossi enti avviano ricerche ed applicazioni sperimentali. Per l'energia idroelettrica il discorso è breve: in campo nazionale occorre accantonare i concetti d i convenienza che indussero negli anni sessanta ad un cospicuo abbandon o dei programmi, mentre in una visione mondiale occorre tener presente che il 44% del potenziale idroelettrico è posseduto dai paesi non industrializzati, che per ora ne sfruttano solo il 4 7 0 ~ . Infine i rifiuti, utilizzabili sia in massa come combustibile, previo opportuno trattamento, sia nella loro parte organica per ricavare biogas bruciabile. Basterebbe quindi, affermano gli avversari della scelta nucleare, programmare una politica di risparmio energetico seria e comprendente tutti i campi, dagli usi privati a quelli industriali, sfruttare al massimo le fonti alternative convenzionali - idroelettricità e carbone, applicando in quest'ultimo caso le tecnologie esistenti per la depurazione dei fumi - e realizzare ovunque possibile impianti di sfruttamento dell'energia solare (intervenendo con leggi sull'edilizia, con facilitazioni fiscali sia per i consumatori che per i produttori di apparecchiature) per ottenere anche nel breve e medio termine risultati certo migliori del modesto incremento di produzione energetica che potrebbero dare le previste centrali atomiche, le quali, si ripete, per molti anni non farebbero altro che assorbire enormi capitali per la costruzione e l'avviamento. N o n si può tacere, poi, che se gli ingenti mezzi economici finora profusi nel programma nucleare fossero stati indirizzati, anche in parte, verso lo studio delle altre soluzioni, certamente i risultati ottenuti avrebbero oggi permesso più ampi spazi di scelta. Ma ciò non è avvenuto poiché nessuna di esse è in q a d o di offrire prospettive di investimenti redditizi capaci d i competere con quelli, colossali, offerti alle oligarchie economiche dall'industria degli impianti nucleari; inoltre il sole, tanto per restare nell'ambito delle prospettive più promettenti, batte dappertutto e non può quindi consentire strategie egemoniche. Sempre nel quadro di una sintetica espo; sizione, esaminiamo ora le argomentazioni, pro e contro, sul fattore più importante: quello della pericolosità connessa alla produzione d i energia per mezzo della fissione, sia per l'eventualità-di incidenti, sia per quanto riguarda il normale funzionamento delle centrali. I problemi connessi alla ge- 13 Fonti energetiche, caropetrolio, sovranazionalità « . . . [fra i traguardi evidenti della Comunità europea u n a ~olitica energetica cornunc. (carbone, petrolio, gas naturali, energia idroeletcrica, energia nucleare) che, senza preoccupazioni settoriali per corporazioni privilegiate, fornisca alllEuropa in trasformazione l'energia più economi- . ca, abbondante e sicura; eventuale costituzione di u n a grande compagnia europea per gli acquisti di petrolio» (dalla relazione politica di Umberto Serafini *Per un federalzsmo dei giorni feriali* a i VI1 Stati generali di Roma, ottobre 1964). «La Conferenza sulle materie prime t e n u t a a suo tempo dalle Nazioni Unite, quella di Stoccolrna sulla politica ecologica, quella di Bucarest sulla popolazione, quella di Roma sulle risorse alimentari, nonché molteplici incontri e dibattiti sulle risot-sz energetiche, hanno mostrato chiaramente che da u n a parte ci sono tendenze imperialiste, nazionaliste, feudali, isolazioniste - t u t i e ingiuste e dannose - nell'affrontare questi problemi, mentre dall'altra si presenta come razionale e unico foriero di pace stabile il metodo federalista con la s u a relativa prospettiva federale. I n questo senso, per rimanere nel tema che è stato più scottante quest'anno, quello del petrolio, la Comunità europea non solo è bene che si faccia promotrice della Conferenza tra paesi consumatori, paesi produttori (di petrolio) e altri paesi del Terzo Mondo, produttori di altre materie prime o di nessuna materia prima (paesi della fame o Quarto Mondo), ma dovrebbe appoggiare u n sistema internazionale, in cui non fosse privilegio esclusivo di alcuni parsi gestire la politica monetaria e i l credito e, di fatto, determinare i prezzi internazionali o mettere a disposizione dei consumatori le materie prime essenziali: in cui, insomma, non fossc tollerato ad alcun paese 0 gruppo di paesi di portare a v a n t i posizioni di monopolio in n e i i i i n campo. Occorrerebbe dunque dotare di contenuti (dalla relazione reali la politica delle Nazioni Unite e stabilire dei poteri reali al loro livello~~ politica di Umberto Serafini d ' U n i o n e europea e la lotta per la Ragione,) agli -YI Stati generali di Vienna, aprile 1975). * stione dei residui radioattivi saranno considerati in seguito, nell'ambito della localizzazione degli impianti. Nell'ottobre 1975 la Nuclear Regulatory Commission, l'ente preposto alla sicurezza delle centrali atomiche negli USA, ha pubblicato un rapporto sulla valutazione dei rischi d a incidenti negli impianti nucleari denominato ~ K e a c t o r Safety Study., ma noto in tutto il mondo come «rapporto Rasmussen». Questo documento ha costituito il fondamento sul quale si sono basate tutte le valutazioni in materia fatte negli altri Stati e costituisce ancora oggi, almeno 14 in linea d i massima, il credo dei nuclearisti. L'indagine ha preso in esame le conseguenz.e sulla salute per 140.000 possibili eventualità di rilasci radioattivi conseguenti ad incidenti, tenendo conto di ogni fattore valutabile, da quelli meteorici a quelli legati alla dinamica di evacuazione delle popolazioni. I risultati mostrano, fra l'altro, che le probabilità di un incidente capace di provocare 10 o più morti sono circa 1 su 3.000.000 per anno e per impianto, di 100 o più morti 1 su 10.000.000, di 1.000 o più vittime 1 su 100.000.000, fino a 1 su un miliardo per 3.300 vittime, cioè per l'incidente più grave, ossia la fusione del nocciolo del reattore, purché, beninteso, funzionino alla perfezione tutte le misure di protezione. In caso di incidente estremamente serio, riporta il suddetto rapporto, si avrebbero queste conseguenze: 3.300 morti immediate, 45.000 casi di malattia, 240.000 noduli alla tiroide e 45.000 decessi per cancro nell'arco di trenta anni, 30.000 difetti genetici nell'arco di 150 anni; gli effetti immediati sulla salute (morte) si manifesterebbero entro un raggio di alcune decine di chilometri, quelli a lungo termine (cancri, leucemie, danni genetici) in un raggio di circa 250 k m . Queste conseguenze potrebbero essere ridotte se la popolazione fosse tempestivamente evacuata per un raggio di almeno 40 km e l'area colpita venisse decontaminata e non rioccupata per un periodo di alcuni anni. Fra le altre stime del rapporto Rasmussen merita di essere ricordata quella che prevede che un reattore da 1.000 M W può provocare, in seguito ad incidenti, una media di O,O2 morti ogni anno7. Quanto sopra dimostra, sostengono i filonucleari, che la potenziale pericolosità delle centrali atomiche è praticamente nulla, sia per le minime probabilità di gravi incidenti sia per la media annua, e comunque di gran lunga inferiore a quella che siamo abituati ad accettare per tutte le altre attività industriali ed anche al disotto di quella connessa alle minacce che la natura stessa ci procura, con terremoti e cicloni. Infatti, proprio in funzione della pericolosità dei procedimenti connessi alla fissione atomica, si è richiesto alla tecnologia un perfetto superamento di tutte le eventualità di accidentali guasti: si può affermare, ripetono,che, proprio per questo, un reattore atomico è infinitamente più sicuro di qualsiasi altro impianto industriale. Per quanto riguarda i danni prodotti dal normale esercizio delle centrali, sempre secondo i filonucleari, il discorso è molto semplice. Una centrale scarica rifiuti liquidi ed aeriformi che contengono, è vero, dosi d i sostanze radioattive, ma in quantità talmente bassa che la loro radioattività rappresenta soltanto una piccola frazione di quella esistente nell'ambiente naturale, ossia di quella a cui siamo abitualmente esposti ad opera delle rocce, delle acque e dei raggi cosmici. La Commissione Internazionale di Protezione Radiologica (che lavora in stretto rapporto con l'organizzazione Mondiale d i Sanità e con l'Agenzia Internazionale dell'Energia Atomica) ha indicato un limite COMUNI D'EUROPA massimo per le radiazioni a cui può essere sottoposto un organismo umano, così motivato al paragrafo 29 delle sue raccomandazioni: - . . . l'uomo non può astenersi completamente dall'utilizzare le radiazioni ionizzanti. Quindi il problema consiste nel limitare la dose di radiazioni in maniera che il rischio creato sia accettabile per l'individ u o e per la popolazione. Questa dose è chiamata dose ammissibilen8 e con questa denominazione è entrata a far parte delle legislazioni nei paesi della C E E : per la popolazione è di 500 mrem (millesimo di rem, sono ancora disponibili alcune copie del n. 5 sulle elezioni del Parlamento europeo. Si possono richiedere a: *Comuni d'Europa* - Piazza di Trevi, 86 - Roma. unità di misura per la dose biologica efficace) per anno, mentre per i lavoratori del settore è molto più elevata. Ma l'attuale tecnologia, si afferma, consente di ridurre l'entità dei rilasci in modo tale che i valori reali non sono superiori ad un decimo della dose massima ammissibile; negli USA si calcola che una centrale non debba distribuire più d i 1 mrem all'anno! Quindi, tenendo conto che in media le irradiazioni naturali sono calcolabili per ciascuno di noi in 150 mrem/anno, la quantità d i esse indotta dalle centrali rappresenta solo una modesta oscillazione del fondo naturale. Per contro è noto che le centrali termoelettriche, sia che brucino carbone, sia olio combustibile, sono responsabili di elevati tassi di inquinamento. E' vero, rispondono gli antinuclearisti, che le centrali termoelettriche inquinano, ma si tratta di inquinamento chimico che può essere eliminato con accorgimenti tecnici (è solo una questione di costi), mentre quello prodotto dalle centrali nucleari è di ben altra natura e non eliminabile. Poi non è vero che il discorso sui danni prodotti dal normale esercizio possa essere ridotto a termini così semplici. Occorre anzitutto premettere che il fondo naturale non è un qualcosa di innocuo solo per il fatto che è giugno 1979 naturale, tanto è vero che apposite indagini hanno ampiamente dimostrato che le popolazioni viventi in zone soggette a maggiori radiazioni presentano tassi di morbilità specifica più elevati: quindi non può essere privo di anzi è certamente dannoso, aumentare costantemente il quantitativo delle radiazioni già esistenti. Ma la cosa più grave è che si vuole deliberatamente ignorare che allo stato attuale delle conoscenze non si sa ancora quasi nulla sull'effetto delle piccole dosi assunte per lungo tempo, in quanto non si possiedono, per forza di cose, dati statistici su estesi periodi. Quello che è certo è che la radioattività non è un inquinante unico, ma è formata da un insieme di inquinanti, i radionuclidi, per ognuno dei quali i livelli di tolleranza variano ampiamente. Le centrali emettono numerosi radionuclidi artificiali ciascuno dei quali, una volta assorbito, può dar luogo a fenomeni di contaminazione e di accumulo in organi ed in tessuti diversi (tiroide per lo iodio 131, ossa per lo stronzio 90, gonadi per l'ittrio 90, ecc.): è proprio questo fenomeno del biaccumulo che rende pericolosa l'esposizione prolungata. I dati finora a disposizione della scienza, anche se ricavati solo su periodi di qualche decennio, non consentono certo facili ottimismi: citiamo a titolo di esempio sia i risultati ottenuti nel fiume Columbia, in USA, a valle della centrale di Handford, dove la radioattività del plancton è pari a duemila volte quella dell'acqua e dove i pesci hanno concentrato centotrenta volte il sodio 24, sia l'esperimento condotto dalla U.S. Atomic Energy Comrnission nel White O a k Lake, dove nelle carni dei pesci fu misurata una concentrazione di cesio trentacinque volte superiore a quella dell'ambiente, di stronzio duemila t o l t e e di zinco radioattivo ottomilasettecentoventi volte. Si aggiunga che l'inquinamento radioattivo può distribuirsi in zone particolari, in rapporto ai deflussi dei corsi d'acqua, ai venti ed a organismi portatori, quali ad esempio le rondini che ne possono portare settantacinquemila volte in più del livello ambientale, poiché mangiano insetti che concentrano ulteriormente nutrendosi di alghe, capaci a loro volta di concentrare oltre duemila volte rispetto alle acque9. Infine, non è vero che le centrali rilascian o quantità minime: per esempio la centrale del Garigliano, secondo quanto ha ricordilto il prof. Mattioli nel corso dell'indagine conoscitiva condotta dalla Commissione Industria già menzionata, rilascia 120 mrem/anno. Nella stessa zona molti medici condotti sono convinti che d o p o l'entrata in funzione dell'impianto nucleare si è registrato un aumento di cancri e leucemie ed il C N E N non ha svolto nessun accertamento in materia7. Indagini statistiche epidemiologiche di questo tipo sono state invece eseguite in USA, dove il prof. Sternglass, dell7Università di Pittsburg, ritiene di aver rilevato un tasso di mortalità più elevato per le popolazioni residenti nelle zone fluviali situate a valle e nelle zone sottovento rispetto alle centrali atomiche. Molto significativo in proposito è anche giugno 1979 il contenuto del rapporto SNuclear power issue and choices», redatto da specialisti delle maggiori università statunitensi per conto della Fondazione Ford e della Mitre C o r ~ o r a t i o n .In esso si legge: N.. . la più grande difficoltà è rappresentata dallo stato incerto delle conoscenze circa gli effetti sulla salute e sull'ambiente di bassi livelli di inquinamento.. .D, «. . . i materiali radioattivi emessi da una centrale nucleare ,potrebbero .essere assorbiti nei tessuti del corpo o restare nell'ambiente per dei secoli, costituendo una continua fonte di esposizione radioattiva*, quindi, <<anchese i tassi sono piccoli, gli effetti cumulativi potrebbero essere più vasti, sommandosi durante parecchie g e n e r a z i o n i ~ ~ . La realtà, concludono gli oppositori, è che è stato accettato, a livello internaziona- Etna COMUNI D'EUROPA chiaramente inattendibile. Essi si basano soltanto sui dati del rapporto Rasmussen, facendo finta d i ignorare che tale documento ha ormai perso la sua credibilità per le autorevoli e oggettive critiche che gli sono state mosse da molte parti. I n primo luogo gli si rimprovera di essere stato elaborato con sistemi di calcolo non attendibili, rifiutati, per esempio, dalla NASA, e per di più con parametri che riguardano solo il tunzionamento delle centrali, senza tener conto dei possibili sbagli di progettazione e degli errori umani del personale che le gestisce. A causa di questi vizi metodologici le stime in esso contenute sono, secondo il rapporto Ford-Mitre, d a considerarsi ben cinquecento volte inferiori alla realtà. Ma sono soprattutto i fatti, hanno buon giuoco ad osservare gli oppositori, a parlare - cratere centrale. le, d i far correre alle popolazioni un certo rischio, proporzionato non ad una reale valutazione del danno sanitario, ma calcolato in base a parametri legati alla convenienza economica del tipo di produzione. C i ò è ammesso, del resto, dalla stessa Commissione Internazionale di Protezione Radiologica, la quale *<è cosciente - paragrafo 17 del fatto che non si p u ò ancora tracciare l'esatto bilancio dei rischi e dei vantaggi, poiché bisognerebbe avere, per fare questo bilancio, una valutazione quantitativa degli eventuali danni biologici e dei probabili vantaggi che attualmente è impossibile fareD8. Nel campo della revisione e della prevenzione degli incidenti la sicurezza ostentata dai sostenitori degli impianti nucleari è chiaro: per ben due volte nel corso di pochi anni si è già sfiorata la catastrofe più temibile, quella della fusione del nocciolo. La prima volta nel 1975 a Browns Ferry, in Alabama, allorché per colpa di un operatore che ricercava una corrente d'aria attraverso i fori d'entrata dei cavi elettrici usando come spia la fiamma di una candela, si incendiò l'impianto di alimentazione dei congegni d i manovra, paralizzando anche il raffreddamento d'emergenza: il disastro fu scongiurato con mezzi improvvisati d o p o un giorn o di fortunose e convulse manovre. La seconda, recentissima, a Three Miles lslands, in Pensylvania, dove un guasto non è stato fronteggiato nel modo dovuto dagli addetii alla centrale, e la fusione del nocciolo è stata evitata di stretta misura; tuttavia il prof. Sternglass ha affermato, in una conferenza stampa tenutasi a Washington, che i gas radioattivi fuoriusciti in quantità abnorme hanno determinato danni d a contaminazione molto maggiori di quelli ufficialmente ammessi. Vi sono poi incidenti minori in gran numero, le cui conseguenze, più o meno lievi che siano, non vengono rese note o sono minimizzate. Per esempio 1'U.S. Atomic Energy Commission, in un rapporto del 1974, segnala che si sono verificate ben 861 anomalie nelle centrali americane, con 18 incidenti seri e 12 rilasci d i radioattività7. Proviamo ad ipotizzare un serio incidente a Caorso, dicono gli antinuclearisti, e vediamo che cosa accadrebbe. La centrale è situata a 16 k m da Piacenza, a 19 da Cremona, a 56 da Parma ed a 76 da Milano. Secondo il rapporto Rasmussen, almeno la zona dove sorgono le due prime città d o vrebbe essere sgombrata in breve tempo con i suoi 250.000 abitanti, salvo particolari condizioni meteoriche che potrebbero portare nubi infette ben più lontano, ma il piano d'emergenza della centrale prevede solo incidenti di piccole dimensioni, con interventi limitati ad un raggio massimo d i due chilometri, mentre al di fuori d i quest'area è però prevista la distribuzione di quattro tipi d i manifestini che esortano alla calma e forniscono alcune istruzioni: se uscire d i casa, quali cibi toccare, ecc. Le strutture sanitarie che dovrebbero far fronte alle esigenze immediate sono gli ospedali d i Piacenza, Cremona e Monticelli, che non possiedono adeguate capacità e attrezzature. A questo punto, sostengono gli antinuclearisti, non si sa bene se avere più paura delle centrali o della leggerezza dei cosiddetti responsabili. I1 discorso per Caorso vale ovviamente per le altre centrali: vedi Montalto di Castro, a 38 k m d a Civitavecchia e da Orbetello, a 50 da Viterbo, a 114 da Roma. Fa paura pensare a cosa succederebbe in una delle nostre regioni se si dovesse improwisare'un piano d i evacuazione per decine o centinaia di migliaia di persone in poche ore, prendendo a termine di paragone i fatti di Seveso, dove si trattò solo di alcune centinaia di unità. Eppure occorre pensarci e chiedere anche conto a chi d i dovere perché tale eventualità - ovunque prevista - a Caorso è stata ignorata. A parte i pericoli di incidenti insiti nel funzionamento delle centrali, bisogna considerare che le stesse, a parte l'eventualità d i guerre, possono costituire obiettivi di azioni terroristiche e, pertanto, esigono misure eccezionali d i protezione, da estendersi anche agli altri impianti dove sono trattati materiali radioattivi. Se dovessero moltiplicarsi, sarebbe necessario mettere in perenne stato d'assedio larghe porzioni del territorio, schedare e controllare un'enorme quantità d i gente che direttamente o indirettamente avesse a che fare con le centrali, poi schedare e controllare gli schedatori ed i controllori, in una catena che comprometterebbe sostanzialmente la democraticità del modo di vivere dei cittadini, pur senza garantire una sufficiente sicurezza. I pericoli di cui si è finora parlato sareb- COMUNI D'EUROPA bero comunque ben più g a v i se si dovesse arrivare all'uso dei reattori veloci, sul tipo dello sperimentale Superphénix franco-italotedesco, ai quali Carter si è per ora decisamente opposto. Occupandosi di essi, il rapporto Ford-Mitre dice che N.. . comportano pericoli, potenzialmente gravi, d i proliferazione, di furti, d i diversione, di incidenti e di rischi sanitari,,. Essi, infatti, funzionano bruciando plutonio, che si ottiene mediante il ritrattamento del combustibile irradiato proveniente dai reattori ad uranio arricchito. Tanto per dare un'idea, si pensi che una centrale atomica convenzionale da 1.000 M W consuma ogni anno circa 30 tonnellate di uranio producendo una eguale quantità d i scorie che contengono circa 250 chili di plutonio, estraibili al 99% col ritrattamento. U n reattore veloce, o autofertilizzante, utilizza questo plutonio riproducendone, come già detto, più di quanto ne abbia consumato. E' facile intuire quali enormi quantità di plutonio sarebbero disponibili se si dovesse generalizzare l'uso di tali tecniche e come sarebbe facile, d i conseguenza, la diffusione delle armi nucleari la cui fabbricazione non presenta difficoltà anche per nazioni a scars o livello tecnologico. A parte questo, il plutonio è di per sé altamente pericoloso: un milionesimo di grammo è sufficiente per provocare il cancro ai polmoni o alle ossa e la sua radioattività rimane elevata per ceminaia di migliaia di anni. Gli impianti di ritrattamento, inoltre, sono costosi e rischiosi: l'incidente più temibile è quello cosiddetto di criticità, conseguente ad una accumulazione anormale di materiale fissile (plutonio) in un punto del circuito di trattamento. Se fosse raggiunta la massa critica avverrebbe, per l'accelerazione della reazione a catena, una esplosione con proiezione di materie radioattive solide e liquide nelle vicinanze e gassose anche a grandi distanze. il 1979 è il 27' anno di rigoros'a e libera battaglia per gli Stati Uniti d'Europa Negli U S A furono costruiti tre impianti, di cui due non entrarono neanche in funzione ed uno (quelio di West Valley) fu chiuso dopo un breve periodo di esercizio perché risultò troppo pericoloso. Anche il reattore veloce .Fermi» d i Detroit fu chiuso nel 1966 a causa di un grave incidente. Ciò dovrebbe far riflettere i fautori nostrani di tale metodo di produzione energetica, almeno per non impegnare altri ingenti risorse economiche sulla sperimentazione di una tecnologia che gli stessi USA giudicano impraticabile. Invece l'Italia, accusano gli oppositori, spende già molti soldi nel programma Superphénix, oltre ai costi deg!i impianti piloti di ritrattamento esistenti a La Trisaia, presso Matera, ed a Saluggia, in provincia di Vercelli. Questi soldi darebbero migliori frutti se fossero utilizzati nella sperimentazione delle fonti energetiche alternative pulite. Veniamo ora al grosso problema delle scorie radioattive che possono essere solide o liquide, ad alta o bassa attività. Le più pericolose sono quelle liquide ad alta attività, costituite essenzialmente da soluzioni concentrate di prodotti di fissione e di transuranici, fra i quali il plutonio 239 che, avendo un «tempo di dimezzamento. di 24.000 anni, mantiene una radioattività pericolosa per alcune centinaia di secoli (1.000.000, secondo un rapporto della Fondazione Ford)I5, periodo durante il quale è indispensabile che resti isolato dalla biosfera. Gli altri tipi sono rappresentati dai residui dei processi di arricchimento dell'uranio, dai materiali contaminati (filtri, tubi ecc.) e creano anch'essi, p u r dovendo rimanere isolati solo per alcuni secoli, problemi di stoccaggio non indifferenti e tutt'altro che risolti. Attualmente i prodotti di fissione ad alta attività, se non vengono sottoposti a trzttamento per l'estrazione del plutonio, sono immagazzinati, d o p o essere stati concentrati mediante evaporazione, in recipienti di acciaio inossidabile situati in contenitori cementizi. I1 contenuto di tali recipienti deve continuamente essere raffreddato per mezzo di serpentine (dato che i prodotti di fissione sviluppano per anni enorme calore) ed agitato per evitare che si formino zone di concentrazione con rischio di «punti caldi,,. E' questo un rischio drammaticamente reale: negli Urali, nel 1958, per una esplosione dovuta al calore in un deposito di scorie, sono morte migliaia di persone ed è stata contaminata una superficie di 1.500 chilometri quadrati. Gli americani hanno dato invece notizia di ripetute fughe di radioattività in depositi esistenti negli USA. Secondo l'opinione del C N E N espressa sul «libro bianco., sarebbe necessario procedere al ritrattamento, dopo di che le scorie altamente radioattive dovrebbero essere conservate in bunker sotterranei in acciaio e cemento armato dove, in dieci anni, dovrebbero perdere parte della radioattività, per poi essere vetrificate e sepolte in formazioni geologiche profonde. In 500 anni le giugno 1979 scorie perderebbero la radioattività, tranne quella, lunghissima, dovuta al plutonio residuo7. In Italia le scorie finora prodotte sono conservate presso i rispettivi impianti. A Saluggia - si tratta di materiali liquidi ad alta concentrazione di elementi radioattivi le taniche sono sistemate in bunker di acciaio e cemento, mentre per le tre centrali in funzione (Latina, Garigliano e Trino Vercellese) i rifiuti - materiali a bassa e media pericolosità - sono conservati in fusti metallici o interrati in trincee7, il tutto in attesa che si delinei la possibilità di risolvere il problema individuando il luogo adatto per seppellirli in formazioni geologiche che però, a detta degli stessi esperti nucleari, devono trovarsi «in una regione tettonicamente stabile, senza indicazioni di attività vulcanica nell'ultimo milione di anni,,. Vediamo quali sono le reali possibilità, in Italia, di trovare un posto che risponda a tali requisiti. Innanzi tutto è necessario tracciare un breve e sintetico quadro della costituzione della penisola e delle vicende geologiche che hanno caratterizzati i periodi più recenti. Le Alpi e gli Appennini ne costituiscono le strutture essenziali ed ambedue traggono la loro origine dall'ultimo fra i cicli tettonici che, attraverso miliardi d i anni, hanno interessato la terra, quello noto sotto la denominazione di .orogenesi alpina., il quale ha modellato estese fasce della crosta terrestre, dal Mediterraneo all'Himalaya, al Giappone, alle catene pacifiche americane, con vicende iniziate al termine dell'Era Secondaria (O Mesozoica) e proseguite durante l'Era Terziaria (o Cenozoica) e quella Quaternaria (o Neozoica) fino ad oggi, per un period o di oltre settanta milioni di anni. Le nostre catene montuose, Alpi ed Appennini, sono dunque pervenute all'attuale assetto morfologico attraverso vicissitudini geologiche protrattesi per un tempo lunghissimo, durante il quale le unità stratigrafico-strutturali che le compongono subiron o forti traslazioni e soprattutto compressioni differenziate che provocarono in esse sollevamenti, abbassamenti, piegamenti, accavallamenti o sovrascorrimenti ed una miriade di fratture, di ogni dimensione, con rigetti spesso rilevanti (faglie). A questi imponenti avvenimenti dinamici, non di rado variamenti interferenti fra loro nel tempo e nello spazio, a volte parossistici, a volte interrotti da pause di relativa tranquillità, alla molteplice varietà dei tipi di rocce coinvolti nei fenomeni diastrofici ed all'azione dei processi demolitori che, per opera degli agenti atmosferici e della gravità aggrediscon o i rilievi di neoformazione, si deve la ricchezza degli aspetti morfologici ed il mutevole scenario del paesaggio italiano. Il ciclo orogenetico alpino è tuttora in atto, come testimoniano le tracce dei complicati eventi tettonici succedutisi in tempi geologicamente recenti e che, sia pure in misura ridotta, continuano ancora oggi, nell'era in cui è comparso l'uomo ed in cui viviamo (Quaternaria) che convenzionalmente si è fatta iniziare un milione di anni fa; in particolare nel quaternario antico le giugno 1979 forze orogenetiche mantennero una notevole vivacità manifestandosi soprattutto con movimenti verticali (sollevamenti o abbassamenti) e le zolle dislocate subirono spostamenti anche molto forti come, tanto per citare un esempio, nella zona di Enna in Sicilia dove è riconoscibile un innalzamento di 1.000 metri. La persistenza dell'azione tettonica è confermata, oltre che dagli studi di geologia strutturale, dal perpetuarsi delle manifestazioni specifiche che l'accompagnano e che da essa derivano: l'attività sismica e quella vulcanica. I complessi fenomeni di deformazione crostale producono tuttora tensioni nelle masse rocciose fagliate, piegate e dislocate, tali da portarle di tanto in tanto al limite di rottura. Si verificano così i terremoti di origine tettonica che, fin da quando si hanno testimonianze storiche, colpiscono con intensità spesso elevata pressoché tutto il territorio nazionale. L'attività vulcanica è anch'essa ancora intensa ed è a sua volta causa diretta di terremoti (detti di origine vulcanica). Oltre ai vulcani ora in attività, restano numerosi apparati distribuiti soprattutto sul versante tirrenico dell'Italia centrale e centromeridionale, come pure in Sardegna, in Sicilia e nelle isole minori, la maggior parte dei quali nacquero e svolsero potenti cicli di attività nel quaternario; fra di essi il Vulcano Laziale (i colli Albani) che iniziò la sua attività oltre duecentomila anni orsono con una poderosa esplosione in quella che allora era una pianura e di cui Tito Livio narra ancora episodi terminali negli anni 114 e 540 dalla fondazione di Roma. D i questo vulcano, come di altri, perdurano tuttora attività residuali, quali solfatare, sorgenti termali, ecc. C i troviamo, quindi, in una regione geologicamente giovane, nata da un'orogenesi il cui ciclo non è affatto compiuto e che, evolvendosi con alti e bassi di attività, manterrà una situazione di instabilità futura in tempi valutabili su scala geologica, ossia certamente almeno per centinaia di millenni, durante i quali le zolle che compongono la nostra penisola continueranno ad essere sottoposte a deformazioni e lacerazioni periodicamente ricorrenti ed è più che probabile che riprenda l'attività dei vulcani ora quiescenti e che se ne creino altri nuovi, determinando sconvolgimenti locali sia in superficie che nel sottosuolo. In altre parole, se le popolazioni preistoriche della penisola assistettero terrorizzate a imponenti parossismi naturali di intensità per noi solo immaginabile, tali da determinare vistosi mutamenti nella configurazione morfologica delle zone colpite, l'uomo ancora vive e vivrà continuamente soggetto al rischio sismico ed a quello vulcanico. Questa considerazione, è ovvio, vale non solo per l'Italia ma, limitandoci all'area mediterranea, anche per l'Europa meridionale, per l'Asia minore e per parte dell'Africa del Nord. I1 progresso scientifico consentirà molto probabilmente in un prossimo futuro di poter segnalare tempestivamente l'imminenza di sismi e di eruzioni vulcaniche: ciò servirà solo a ridurre i danni e le vittime, COMUNI D'EUROPA ma non a contrastarne, come è ovvio, l'intensità. E' in un simile quadro che dobbiamo, dunque, impostare il problema degli impianti nucleari. Per quanto riguarda le centrali, e con esse gli altri impianti di pari pericolosità, il rischio sismico comporta l'eventualità che le strutture del manufatto non sopportino gli effetti di scosse di intensità superiore a quelle calcolate, sia pure con larghezza, dai progettisti. Diciamo subito che in un territorio come quello italiano è impossibile prevedere con certezza se una determinata zona sarà o meno soggetta a terremoti e quando: la classificazione delle aree sismiche è fatta in base all'intensità dei fenomeni avvenuti a memoria d'uomo e qualsiasi previsione basata su indagini strutturali locali ha soltanto un valore relativo in quanto, con i mezzi oggi disponibili, non possiamo accertare il reale grado di potenziale attività posseduto dalle linee di disturbo tettonico individuabili nella zona. Bisogna pertanto pensare al peggio per qualsiasi localizzazione e tenerne conto nel costruire il manufatto. C i sono forti dubbi che ciò avvenga, se è vero che l'edificio della centrale di Caorso ha subito deformazioni solo per le variazioni del livello freatico della falda impregnante il suolo di fondazione; giova anche ricordare che nella nota fascia tettonica californiana è proibito costruire centrali (una già esistente è stata smantellata) e che, sempre negli USA, sono state chiuse recentemente Gibellina, 1968. 17 ben sei centrali i cui impianti non davano affidamento in previsione di terremoti. Ma il vero, irrisolvibile problema è quello delle scorie radioattive. Dopo quanto abbiamo detto è superfluo ripetere che in Italia non esiste alcuna area "tettonicamente stabile», che in fatto di attività vulcanica siamo ben forniti per il passato, per il presente e per il futuro e che, quindi, esistono condizioni generali diametralmente opposte a quelle necessarie per creare depositi definitivi di residui. Ciò nondimeno non si abbandona l'ipotesi di compiere ricerche per individuare qualche zona adatta7 ed è più che giustificato il timore che tale argomento venga affrontato prescindendo dalle condizioni generali, con lo stesso superficiale ottimismo, reale o simulato che sia, con cui è stato finora trattato quello della sicurezza delle centrali, almeno a giudicare dal fatto che, prima del terremoto del 1976, una delle zone suscettibili di studio era stata indicata proprio nel FriuliI6. Del resto, anche a non voler tenere conto dei fattori tettonici prima esposti che, sia ben chiaro, sono già di per sé determinanti, le conoscenze del sottosuolo italiano che si posseggono, pur se limitate a particolari settori indagati per ricerche minerarie e petrolifere, per i grandi trafori alpini o per altri motivi, sono sufficienti a far presumere come estremamente improbabile il reperimento di formazioni che abbiano conservato tranquille condizioni giaciturali. COMUNI D'EUROPA I requisiti perché urla formazione geologica sia realmente idonea ad ospitare un cimitero di scorie - a parte, ripetiamo, i pericoli derivanti dalla instabilità regionale riguardano le dimensioni e la natura (con le conseguenti caratteristiche fisiche) della formazione stessa. Le prime debbono essere tali da consentire i1 seppellimento a profondità adeguata rispetto alla superficie e rispetto ai contatti laterali e di fondo con altri tipi di formazioni non adatte; le seconde debbono garantire la <<tenuta.per evitare qualsiasi possibilità di dispersione della radioattività: a questo scopo è necessario soprattutto che il complesso roccioso non ospiti adunamenti idrici e non sia interessato da soluzioni di continuità. Fra le formazioni che costituiscono il territorio italiano, considerate in un quadro di larghissima sintesi, andrebbero quindi scartate innanzitutto quelle sedimentarie calcaree che sono sedi di abbandonati corpi acquiferi per la permeabilità «in grande» da esse posseduta, derivante proprio dalla presenza di numerose soluzioni di continuità (cavità carsiche, stratificazione, fratturazione), quelle eruttive, ossia emesse dai vulcani, per le esigue dimensioni dei singoli corpi rocciosi diversificati litologicamente e variamente articolati fra loro a formare l'insieme delle formazioni, ed anche quelle metamorfiche (originatesi in profondità per modificazioni di preesistenti rocce dovute a processi di natura termica, chimica o meccanica), molto abbondanti ma n o n utilizzabili sia per le soluzioni di continuità legate alla loro stessa genesi (scistosità, manifestazioni filoniane) sia per la grande variabilità di composizione che le contraddistingue. Resterebbero così le formazioni sedimentarie argillose e parte di quelle intrusive, graniti e famiglie affini (rocce magmatiche consolidatesi in profondità). Le formazioni argillose sono impermeabili e, per il loro grado di plasticità, meno soggette a fratturazione; i graniti, giacenti in cospicui ammassi, sono compatti e privi di stratificazione: ambedue, quindi, potrebbero offrire i requisiti necessari. Tuttavia, per le vicissitudini tettoniche che, come già detto, hanno tormentato le strutture alpina ed appenninica, anche le masse intrusive sono rimaste più meno smembrate e frantumate perdendo, in tali condizioni, molto dell'originaria compattezza e possono contenere, anche a forti profondità, falde acquifere in pressione; le formazioni argillose meno recenti, .che sono le più potenti come spessori, anch'esse sconvolte e dislocate, talvolta accavallate, slittate o schiacciate da altre masse, hanno acquisito complicati e discontinui assetti giaciturali ed hanno subito, in molti casi, mutamenti microstrutturali che ne hanno alterato le caratteristiche fisicomeccaniche; quelle più recenti, meno sconvolte nella giacitura, hanno estensioni e spessori insufficienti. Le vicende tettoniche dovute all'orogenesi alpina, in conclusione, hanno determinato condizioni di disordine giaciturale e di frammentarietà nell'assetto delle formazioni geologiche interessate e, cosa essenziale, determineranno ulteriori ed imprevedibili con- 10 - seguenze sul modellamento dei rilievi, modificazioni delle linee di costa e la sicura prosecuzione dell'attività sismica e vulcanica. Abbiamo così constatato in modo indubitabile che i1 territorio italiano (e con esso, ovviamente, il fondo dei mari circostanti) non consente assolutamente lo stoccaggio definitivo di scorie radioattive e dello stesso avviso è il prof. Ippolito, il quale, però, si scrolla di dosso tale preoccupazione affermando che le scorie radioattive ~rappresentano un problema che all'ltalia non interessa.. .. poiché «.. . per ragioni geologiche non è pensabile fare in Italia un deposito finale di queste scorie.. . e pertanto siccome si deve andare a soluzioni su scala mondiale, tali problerhi non ci interessano direttamente6». Bene. Ci saranno dunque paesi - e c'è da essere sicuri che saranno quelli del Terzo Mondo - condannati al ruolo di pattumiere atomiche per non compromettere le possibilità di sviluppo di quelli di casta superiore. Rigettiamo decisamente una simile ipotesi di sviluppo futuro - da un candidato del P C I al Parlamento europeo ci si dovrebbe aspettare ben altra impostazione che annulla cinicamente ogni speranza di miglioramento nella distribuzione del benessere fra i popoli, e poi non riteniamo che la furbizia di far pagare agli altri i propri conti sia un atteggiamento edificante e tanto meno producente nei tempi lunghi, soprattutto quando lo assume chi, come l'Italia, non potrà avere nel campo dell'industria atomica che un ruolo di satellite dipendente. Sul piano pratico, inoltre, non bisogna dimenticare che ci resterebbero sempre da conservare i rifiuti a media e bassa radioattività - il cui trasporto sarebbe economicamente non conveniente - e, con essi, le ingombranti e inamovibili scatole sporche delle centrali disattivate. Ci sia ora consentito di inquadrare il significato dell'opzione nucleare per usi pacifici in un contesto più ampio, poiché ci sembrz troppo limitativo esaminarlo solo alla luce delle argomentazioni tecnologiche ed economiche, anche se soprattutto le prime contengono temi essenziali come quello della sicurezza sanitaria e genetica. Riteniam o infatti che simile opzione coinvolga anche valori essenziali per il futuro dell'umanità su piani diversi da quello fisico. Abbiamo già detto che da parte antinucleare si teme lo scadimento della gestione democratica della società per l'inevitabile complesso di misure cautelative inerenti alla protezione degli impianti nucleari. Tale timore è tutt'altro che infondato se il numero degli impianti è destinato a crescere nel modo previsto dai piani di sviluppo, ma a nostro a w i s o un contenuto antidemocratico è già connaturato nella stessa opzione nucleare in quanto essa, per realizzarsi, deve essere imposta. C i spieghiamo meglio. Se lo staff dirigente di una nazione stabilisce che c'è bisogno di trenta centrali e I'opposizione delle popolazioni locali consente solo la giugno 1979 costruzione, poniamo, di dieci di queste, si trova nella necessità di imporre in qualche modo anche le altre venti, altrimenti salta l'economicità del piano energetico elaborato. Nello stesso modo diviene necessario tentare di ostacolare ogni voce di contrasto o di denuncia, mettendo in cattiva luce l'informazione proveniente da fonti non allineate, e ridurre al minimo i controlli sui programmi e sulle realizzazioni, oltre a cercare di ridurre al minimo la partecipazione pubblica. Una prova di quanto sopra è offerta dalla nostra legislazione in materia. Secondo la legge n. 393, le Regioni che sono prescelte dal C I P E per ospitare le centrali programmate possono decidere sulla scelta dei siti, segnalandone almeno due, «d'intesa con i comuni interessati., quindi appare formalmente salvaguardato il diritto della consultazione di base. Ma il tempo concesso è di cinque mesi, (ridotti a due per le otto centrali già programmate), assolutamente insufficiente per svolgere ricerche, dibattiti e per raggiungere l'intesa in un argomento del genere. Successivamente la mano passa all'ENEL, che svolge indagini ed entro un anno deve riferire al Ministero per 1'Industria, ed al C N E N , che deve a sua volta riferire a vari organismi i quali debbono fornire entro due mesi i loro pareri che, se non espressi, si intendono favorevoli». I1 C N E N , poi, ha otto mesi per trasmettere al Ministro per l'Industria il suo parere che, finalmente, è comunicato alla Regione la quale, in altri due mesi, deve localizzare definitivamente la centrale. E' chiaro che Regioni e Comuni hanno i tempi strozzati per prendere decisioni gravi, senza peraltro disporre di organismi tecnici all'altezza di simili compiti, mentre E N E L e C N E N manovrano praticamente, con tempi e mezzi, tutta la partita. Se poi le Regioni e i C o m u ni non riescono entro il primo termine a raggiungere la famosa intesa, le due aree sono determinate con legge, anche in contrasto con i piani regolatori vigenti. L'ultim o articolo, il n. 23, stabilisce che entro tre anni il C N E N , d'intesa con le Regioni e con I'ENEL, rediga una carta nazionale dei siti suscettibili di insediamento di centrali e di impianti nucleari, il che suona chiaramente come una definitiva soppressione anche di quel minimo di formali garanzie consentite dalla procedura descritta. Si vede bene come la partecipazione delle popolazioni interessate è soltanto illusoria, in barba all'enunciazione della Conferenza di Roma riportata all'inizio del presente articolo. Ma il colpo decisivo alla credibilità della correttezza democratica dei signori dell'atom o è giunto alla fine del '78, con l'art. 9 della legge sulla riforma sanitaria, che sottrae all'Istituto Superiore di Sanità la facoltà di esprimere il suo parere tecnico consultivo sulla pericolosità delle centrali nucleari: unico competente sarà il Ministro per 1'Industria, mediante il C N E N . Questo organismo, così, ha acquisito l'unica prerogativa che gli mancava per essere onnipotente. O r mai funge nello stesso tempo da promotore dello sviluppo nucleare, da controllore in tutti i settori, da piazzista di centrali, da giugno 1979 garante della corretta applicazione e della validità delle norme che lui stesso ha emanato e, finalmente, estromesso l'Istituto anzidetto (reo di non appartenere alla cerchia dei nucleari e di aver espresso, in qualche occasione, opinioni non in linea con I'ottimismo ufficiale), anche da arbitro della valutazione dei rischi sanitari che corre la popolazione. Ecco così realizzata la creazione dello strumento assoluto per gestire la politica nucleare, aspirazione del resto già adombrata nella risoluzione votata alla Camera nel '77 sotto l'indicazione del potenziamento del C N E N . Sarebbe troppo lungo illustrare in questa sede, a scopo di paragone, le norme legislative che negli altri paesi, dagli USA al Regno Unito, regolano la materia, ma basta dire che i compiti di promuovere e quelli di controllare sono sempre attribuiti a enti ben diversificati ed indipendenti fra loro e, cosa fondamentale, tutti i rapporti, gli studi e perfino gli atti istruttori per I'autorizzazione di nuovi impianti sono resi pubblici, il che, per lo meno, costituisce un più ampio margine di garanzie pratiche e di informazione. L'affermazione che nell'opzione nucleare è connaturata una certa dose di antidemocraticità ci verrà rimproverata da molti ed è giusto che cerchiamo di spiegare il perché di tale asserzione. La problematica energetica mondiale contiene implicazioni che investono in modo determinante tutti gli aspetti della vita futura del pianeta e impone che in tempi brevi sia operata una scelta che non ammette errori, poiché questi errori avrebbero conseguenze gravissime in termini economici, sociali e di pericoli per la pace, e non ammette ritardi poiché ogni ritardo rende sempre più difficile la scelta stessa. Le possibilità che si offrono sono praticamente solo due: conservare gli attuali sistemi di sviluppo o impostarne una seria revisione critica, cambiandoli laddove risulta necessario. Diamo un'occhiata alla società degli attuali modelli di sviluppo. Secondo dati di fonte O N U , l'energia consumata nel mondo (esclusi i paesi comunisti) è salita dalle 1.400 x lo6 tep del 1950 (29% da petrolio) alle 4.000 x lo6 tep del 1976 (49% da petrolio). Questo exploit dei consumi energetici, fatto soprattutto a spese delle riserve petrolifere, è contemporaneo ad un enorme sperpero di altre materie prime non ricostituibili (metalli, ecc.), al crearsi di un pauroso tasso di inquinamento di ogni tipo, fino a quello dell'alta atmosfera, alla distruzione di preziosi ambienti naturali ed a un forte aumento demografico, paradossalmente coincidente con l'aumento della morbilità e della mortalità per fame. Se poi consultiamo ancora le statistiche, vediamo che il consumo energetico USA rappresenta un terzo del totale, infatti nello stesso periodo il consumo medio pro-capite in USA è salito da 5 a 8,5 tep, in Inghilterra è rimasto costante su 2-3 tep, in Francia è salito da 1 a 3 ; un indiano però ha consumato solo un sessantesimo rispetto ad un nordamericano, presso a poco quanto un africano. COMUNI D'EUROPA Nel contempo le tensioni fra potenze si sono radicalizzate e si sono estrinsecate sempre più ferocemente in guerre combattute fra poveri manovrati. Nei paesi industrializzati le masse sono state impegnate in un forsennato giuoco di produzione-consumo, disumanizzandosi ed acquisendo progressivamente una sempre più vasta gamma di distorsioni psichiche, nuovo tipo di inquinamento ambientale. D'altro canto le forme classiche di capitalismo imprenditoriale hanno ceduto il posto a gruppi finanziari apolidi, le multinazionali, in un giuoco sempre meno controllabile di concentrazione di capitali, di distruzione di risorse e di emarginazione di masse umane; si è spinta oltre i limiti logici ogni forma di produzione di beni, senza tuttavia preoccuparsi di fornire i mezzi di acquisto e di consumo a due terzi di umanità priva anche di quelli più necessari; si sono prodotte enormi quantità di cose inutili, mentre quelle utili 19 sono state fatte in modo da durar poco per mantenere alta la richiesta. Siamo così giunti ad un tipo di società che sempre meno si riconosce in quei principi di democrazia che pur l'avevano tenuta a battesimo, dove ciascuno si illude di rincorrere un benessere che non esiste più, dove la forbice fra comunità ricche e comunità povere va allargandosi, dove gli ambienti della politica e della scienza vengono sempre più condizionati ed asserviti dai gruppi di potere, nell'illusione di disporre dei mezzi atti a frenare il declino di questo abnorme modello economico che già scricchiola paurosamente. Per continuare, fin quando i guasti insiti nel sistema lo consentiranno, un simile modello di sviluppo non c'è alternativa all'opzione nucleare intesa nel suo senso più ampio, con lo sviluppo dei reattori autofertilizzanti, poiché anche le risorse di uranio sarebbero divorate entro trent'anni. Inoltre essa rappresenta un ulteriore grosso affare: giugno 1979 COMUNI D'EUROPA si apre un campo di produzione industriale possibile realizzare su scala internazionale (quello degli impianti) ad elevatissimo Iivelun sostanziale risparmio oltre a disporre dei lo tecnologico ed a bassa concentrazione di capitali necessari per accelerare lo sfruttamano d'opera, ideale sia per realizzare grosmento su larga scala delle fonti alternative, si guadagni sia per assicurare una nuova riservando alla fissione nucleare, solo se possibilità di egemonia alle potenze che diveramente indispensabile, u n ruolo strettasporranno della supremazia tecnologica e mente limitato e momentaneo. In quest'uldel mercato dell'uranio, e non importa se tima ipotesi si tratterebbe, però, d i utilizzaancora non sappiamo quanto alto sarà il re solo gli impianti esistenti e, al massimo, conto che l'umanità dovrà pagare in termini una parte di quelli in costruzione (affidandi malattie e di danni genetici, tanto sarandone però il controllo ad un ente internano i nostri discendenti a doverlo saldare. zionale), dato che, purtroppo, ormai «siaIn altri termini l'opzione nucleare p u ò m o entrati a occhi chiusi, irresponsabilessere definita l'espressione finale, culmimente>>I4nell'èra nucleare. nante e più genuina di un sistema sostanE' indubitabile, in altri termini, che solo zialmente coercitivo, basato sulla rapina dei una società svincolata dalla strategia dell'acbeni naturali, sulla distruzione progressiva e centramento delle ricchezze potrà iniziare spregiudicata di ogni valore spirituale, sul una politica energetica che punti su obiettivi condizionamento dell'uomo ridotto a conappropriati, considerando anche le necessità sumatore e sulla logica del profitto del di sviluppo della grande massa di popolagrande capitale apolide al quale sono asserzioni sottosviluppate finora condannate a vite in tutti i paesi, ripetiamo, fasce più o guardare, dal buio, i lontani riverberi delle meno larghe della burocrazia politica e della nostre stracolme e superilluminate vetrine e ricerca scientifica. Per giustificarla e difen- magari destinate, in futuro, a ospitare le derla sono stati mobilitati, ovunque è stato nostre pattumiere radioattive. possibile, tutti i canali di informazione, na«I1 requisito di base dell'uso mondiale di scondendo necessariamente dati e fatti, danenergia., afferma in proposito il Q u i n t o d o per scontati risultati tecnologici difficili Rapporto al Club di Roma", -è formulabile da raggiungere e mascherando la decisione in m o d o chiaro: l'energia deve servire agli sullo sviluppo futuro dietro il paravento di esseri umani. C o m e primissima cosa, si deuna inoppugnabile necessità momentanea. ve fare in m o d o che tutti i popoli, ovunque Gli oppositori, anche se qualificati nei nel mondo, dispongano di forme di energia campi della scienza, dell'economia o della sicure e pulite, che essi stessi possano propolitica, sono stati dipinti come pseudo durre e controllare. L'energia deve essere al scienziati, ecologi improvvisati, mestatori servizio dell'uomo, e non già gli uomini politici o nemici della civiltà, ricorrendo essere gli schiavi, e magari le vittime, delle anche alla facile didlettica dei luoghi comuni forme di energia disponibili. Occorre inol(a11 progresso della civiltà è stato sempre tre che la produzione di una forma soddicontrastato dallo spirito conservativo sfacente di energia possa essere protratta in dell'uomo, che ha visto nel processo tecnoun futuro molto lontano. Anche la migliore logico e scientifico innovativo qualcosa di fonte di energia si trasforma in energia soprannaturale e, direi, di diabolico>>12) inappropriata, se la sua durata è breve; in quando non si è arrivati anche alle grossolaquesto caso una generazione ne godrebbe i ne ingiurie (*Le tesi cosiddette ecologiche, frutti a spese delle generazioni future.. sostenute da filosofi da strapazzo, da politiLa trasformazione del modello di svilupci d a quattro soldi e da tutori della salute p o presuppone anche una rieducazione, se altrettanto scoccianti, dovrebbero finalmenci è consentito questo termine, delle masse, te essere accantonate))"). Abbiamo voluto ormai molto condizionate dal consumismo. esemplificare, con quest'ultimo atteggiaBisogna far comprendere che non si tratta mento in particolare, un tipico prodotto di ritornare alla candela o all'aratro col della società che dovremmo difendere, inchiodo, ma soltanto di imparare a valutare quinata e inquinante. il costo del superfluo, di cui ora siamo L'altra possibilità che si offre ai paesi invitati a fare uso ed abuso; che, ed è industrializzati è quella di rimettere realquesta la cosa più importante, non abbiamo mente in discussione gli obiettivi della civilpiù molto margine di sicurezza per evitare tà industriale, così come indicato dalla più che la degradazione progressiva dell'amvolte citata Conferenza di Roma, ossia di biente naturale, a misura del quale siamo orientarsi gradualmente verso un modello di fatti, raggiunga limiti che non consentono possibilità di ritorno. Occorre dunque risviluppo basato s u una severa programmanunciare, finché siamo in tempo, all'orienzione sia dei consumi che della produzione, indirizzando quest'ultima, si ripete, verso tamento dello sviluppo senza limiti della settori a largo impiego di mano d'opera ed società industrializzata - di cui la scelta nucleare è l'espressione più schietta - al a basso consumo energetico, in dipendenza d i una politica p i d a t a non più dalla logica q ~ a l e soggiacciono non solo quelle del delle multinazionali - ammesso che in tal mondo capitalistico ma anche quelle del senso si possa raggiungere la necessaria VO- mondo comunista, come dimostra il fatto lontà politica - ma impostata secondo una che I'URSS ha imboccato la via nucleare concertazione internazionale derivante da con estrema decisione, impiantando le cenun esame delle vere esigenze socio-econotrali addirittura presso le grandi città per miche delle singole comunità. Solo in quefacilitare il trasporto dell'energia. sto m o d o il problema energetico, così come La scelta nucleare, strumento della contiquello delle altre risorse naturali, ~ o t r e b b e nuità di questo sviluppo selvaggio, non è essere posto in m o d o corretto e sarebbe quindi, ripetiamo, soltanto un risultato di valutazioni scientifiche, tecniche ed economiche, ma assume un significato ben preciso che la colloca, in m o d o pratico e simbolico nello stesso tempo, in posizione antitetica rispetto alle esigenze di salvaguardia dell'ambiente naturale in e umano in particolare, anche a prescindere dalla pur grave e peculiare diretta pericolosità dei processi di fissione atomica. In conclusione, non ci sembra esagerato affermare che l'umanità si trova, forse senza rendersene pienamente conto, di fronte ad un bivio fra i più importanti della sua storia. Deve decidere se continuare su una strada che conduce irrimediabilmente alla degradazione della biosfera, all'esaurimento delle risorse naturali ed all'alienazione fisica e psichica dell'uomo stesso, oppure se correggere la rotta, ripristinando un intelligente rapporto con l'ambiente. La scelta nucleare, insistiamo su questo punto, è parte integrante di tale decisione e la rende ancora più grave in considerazione del fatto che può mettere in giuoco l'awenire genetico di molti esseri viventi. L'homo sapiens ha sostituito, o r sono trentamila anni, l'ultimo homo faber, il neanderthalensis: speriamo che sappia compiere la sua scelta come tale e che non debba invece dare I'awio alla parabola discendente del genere homo iniziando la sua trasformazione in homo aberrans, nuova specie' che molti indizi fanno temere che sia già presente fra noi. Parlamento europeo. Documento 576177 del 14 marzo 1978. Commissione delle Comunità europee - Informazione. La Comunità europea e la sicurezza nucleare. Documentazione europea, 197515. Energy global prospects 1985.2000. Report of the Workshop on Alternative Energy Strategies. Wilson C., New York, 1977 (dal VI rapporto al Club di Roma: T . De Montbrial - Energia, conto alla rovescia ) . T. De Montbrial. Energia, conto alla rovescia. VI rapporto al Club di Roma, Mondadori, 1978. Parlamento europeo. Risposta all'interr~~azione scritta n. 44/77 del 17 giugno 1977. Felice Ippolito. Dal primo al secondo piano energetico nazionale. Energia e materie prime, n. 1, maggio-giugno 1978, La nuova Italia Editrice, Firenze. Gianfranco Ballardin. Morire per I'ENEL. Sugar Co. Edizioni, 1979. Difendersi dall'atomo. Rapporto del CFDT, Sindacato francese dell'energia nucleare. Bompiani, 1978. Gordon R. Taylor. La società suicida. Mondadori, 1971. 'O Club di Roma. Rapporto da Tokio. Annuario EST, Mondadori, 1974. V rapporto al Club di Roma: Ervin Laszlo. Obiettivi per l'umarzità. Biblioteca EST, Mondadori, 1978. l 2 Felice Ippolito. La strada del progresso è lastricata di terrori. La Repubblica, Dossier energia, 20 aprile 1978. l3 Gilberto Bernabei. Esigenze energeticbe e mito ecologico. N o n perdere tempo per le centrali. Il Settimanale, 30 gennaio 1979. l 4 O ci diamo da fare o è la fine. Conversazione con Aurelio Peccei, a cura di Gianpiero Borella. Panorama, Mondadori Ed., n. 673 del 13 marzo 1979. l 5 Fondazione Ford. Progetto per una politica dell'energia. Scienza e tecnica 1975, EST Mondadori. 16 Floriano Villa. Programma nucleare e stabilità geologica in Italia, in: Nucleare? N o ! Grazie. Gli Amici della Terra, 1977. ' giugno 1979 COMUNI D'EUROPA .21 Cronaca delle Istituzioni europee Comunità europea, ampliamento e democrazia di Pier Virgilio Dastoli tutta la Comunità, la Comunità stessa rischia di trovarsi di fronte a quello scenario di frammentazione (istituzionale ed economica) che autorevolmente è stato descritto di recente fra le ipotesi possibili. 2) l'atteggiamento dei governi nei paesi candidati. Maggioranze di destra (Grecia e Portogallo) o di centro (Spagna) si preparano a gestire tutta la prima fase dei negoziati o del periodo di transizione, di fronte a forti opposizioni di sinistra a prevalenza socialista. In Grecia, il premier Caramanlis ha tentato di fare dell'adesione del suo paese,un successo personale, aiutato (non disinteressatamente) dall'amico Giscard. Sul piano economico il suo governo, a parte alcuni adeguamenti tecnici (introduzione dell'IVA, armonizzazione di parte della legislazione commerciale, doganale ecc.) si prepara probabilmente a utilizzare l'adesione per imporre alle classi più deboli sacrifici ulteriori, con l'obiettivo mistificante di frenare I'inflazione per consentire l'ingresso nello SME, contenere gli aumenti salariali per limitare il deficit pubblico e quindi ottemperare alle indicazioni delle autorità economiche comunitarie. Sul piano politico-istituzionale all'interno *Sono qui per esprimere la mia sicurezza Nove si appresta ad accettare la partecipasulla speranza che ci accomuna: la speranza zione di tre nuovi Stati (con problemi non di un'Europa che non sia l'Europa degli dissimili da quelli del nostro Mezzogiorno, altri, ma l'Europa dei lavoratori, l'Europa dell'Irlanda, di alcune regioni della Gran dei popoli europei. Molti dicono che ]'ELI- Bretagna e della Francia e con altri probleropa di oggi è l'Europa dei monopoli, delle mi più gravi, tipici di un diverso livello di multinazionali, della Nato, del Patto di sviluppo) senza aver modificato quelle poliVarsavia; ma insieme ad essa esiste anche tiche con maggiori effetti squilibranti; senza l'Europa delle nostre battaglie, del nostro aver ampliato le politiche comuni con maggiori effetti redistributivi; senza aver rafforN O a coloro che accettano di essere oggi i rappresentanti degli altri o si preparano a zato le proprie strutture istituzionali. Certo, l'impressione è che all'interno del diventare domani i rappresentanti dell'Europa degli altri». Consiglio vi sia stato un tacito accordo fra Quando Alekos Panagulis pronunciò l'illusione di alcuni (che i problemi potranqueste parole al VI1 Congresso Nazionale no essere risolti, come sempre si è tentato e dell'AICCE (Napoli, gennaio 1976) si era quasi sempre si è fallito, con i soliti comappena avviata la procedura per l'ingresso promessi intergovernativi) e la mistificazione della Grecia nella Comunità europea. 11 28 di altri (che la convergenza delle economie gennaio di quell'anno la Commissione adotsarà raggiunta solo con adeguate politiche nazionali di controllo dell'inflazione e tava infatti il parere favorevole alla domanda di adesione, ma soltanto il 27 luglio dell'aumento del costo del lavoro). sarebbero iniziati i negoziati, conclusi il 3 Se non si prenderà atto che occorre fare aprile di quest'anno. dell'ampliamento un'operazione positiva per Dunque, cinque anni sono trascorsi da quel 24 luglio 1974, quando - a seguito del colpo di stato a Cipro - il regime dei generali (succeduto al regime dei colonnelli) dovette cedere il potere ad un governo civile guidato dal conservatore Caramanlis; ed altri due anni dovranno ancora trascorrere prima che la Grecia potrà divenire membro effettivo della Comunità. Durante questi anni, anche Portogallo e Spagna hanno riconquistato la democrazia: il primo con la rivoluzione dei garofani del 1974, la seconda con la morte del dittatore Franco ed il referendum istituzionale del 1976. Ed ora è realistico affermare che la firma del Trattato di adesione della Grecia preluda alla Comunità europea a dodici. Eppure, anche se la Comunità attuale mostra in tutto ciò una forte capacità di attrazione politica ed economica - gli avvenimenti recenti indicano l'esistenza di profonde contraddizioni nel processo di integrazione europea, contraddizioni che cerimonie fastose come quella di Palazzo Zappeion non riescono certo a nascondere. Limitiamoci a questo punto ad alcune considerazioni generali di ordine politico: 1) l'atteggiamento dei Nove verso l'ampliamento. Mentre i negoziati con Gran Bretagna, Irlanda, Danimarca e Norvegia 1 primi due volumi d i una serie d i testi federalisti, redatti a cura del MFE e pubblicati nella durarono diciotto mesi, le trattative con la collana dei «tascabili» dell'editore G u i d a , in vendita nelle edicole e nelle librerie. A d essi Grecia sono durate quasi il doppio (trentafaranno seguito altrz testi d i autori federallsti sulle questioni d i maggiore attualità legate al quattro mesi) e ben più incerte sono le processo d i unificazione europea. previsioni per Portogallo e Spagna (per U n numero limitato d i copie dei volumi è disponibile, al prezzo ridotto d i L . 2.500 presso il ,<Centro studi sull'itztegrazione europea» (CESI) d i Torino, via Schina 26, al quale vanno quest'ultima le trattive vere e proprie inizieindirizzate le richieste. ranno solo a partire dal prossimo autunno). Sul piano dei contenuti, la Comunità a il Parlamento COMUNI D'EUROPA 22 della maggioranza governativa (a parte la storia personale dello stesso Caramanlis prima della disfatta del regime democratico e del colpo di stato del 1967) resistono ancora importanti personalità che hanno mostrato chiaramente la tendenza a non voler rompere la continuità con il passato regime ed il cui nome è stato legato più volte ad episodi oscuri come l'assassinio di Alekos Panagulis. Un'ultima «perla,> (sulla quale è bene che le forze democratiche facciano sentire con chiarezza e sufficiente durezza la loro voce) i. In ventilata nomina di quel Roussos, notoriamente legato al regime dei colonnelli, ad ambasciatore presso le Comunità europee e quindi rappresentante permanente in pectore della Grecia. In Spagna, l'evoluzione politica all'intern o del PSOE potrebbe portare il governo centrista di Suarez ad accentuare alcune tendenze di politica economica sostanzialmente deflattive sul piano interno e protezionistiche vci-so l'cstcrno, anche qui facendo pagaù certe conseguenze re alle classi ~ i deboli negative dell'adesione alla Comunità. In Portogallo la situazione politica è tuttora abbastanza confusa e solo le previdibili elezioni anticipate del prossimo autunno potranno portare chiarezza: fino ad allora sarebbe opportuno che, nella gestione delle trattative con la Comunità, il governo ancora in carica di Mota Pinto potesse e volesse coinvolgere il più possibile anche I'opposizione di sinistra nelle decisioni più importanti. Per tutti e tre i paesi (e quindi per i tre governi) dovrebbe aver un significato l'esempio della Norvegia, decimo membro effettivo per pochi mesi e poi semplice paese associato, d o p o un referendum che colse di sorpresa tutti gli ambienti comunitari. 3) l'atteggiamento della sinistra nei paesi candidati. Una parte importante della sinistra in Grecia (Partito comunista dell'Estern o KKE, Partito Socialista di Papandreu), IL COMUNE in Portogallo (Partito Comunista di Cunhall, oltre ad alcuni movimenti autonomisti in Spagna hanno assunto nei confronti dell'adesione dei loro paesi alla Comunità u n atteggiamento di netto rifiuto, propendendo o per una posizione di non allineamento o per rapporti più stretti con il Terz o Mondo o per un avvicinamento ai paesi dell'Est europeo. Queste posizioni ricordano per molti versi l'atteggiamento della sinistra europea negli anni '50 di fronte al nascente processo di integrazione economica ed istituzionale dell'Europa. I1 risultato fu (ed ora è evidente a tutti) che della gestione di questo processo furono attrici principali le forze moderate e conservatrici; che l'integrazione fu indirizzata verso obiettivi di accentuato libero-scambismo all'interno e protezionismo agricolo ed industriale verso l'esterno e che il superamento degli squilibri fu affidato agli effetti autonomatici riequilibratori del mercato. PARLAMENTO EUROPEO Le conseguenze di questa filosofia sono talmente evidenti, che è inutile ricordarle: la battaglia delle sinistre in Europa oggi (di tutto il movimento socialista, socialdemocratico e dei partiti detti eurocomunisti, con l'eccezione del laburismo britannico e del partito comunista francese) è per una trasformazione dall'interno della Comunità europea, verso forme più accentuate di reale solidarietà economica e di rafforzamento delle strutture democratiche ed istituzionali in senso sovranazionale. Oggi molti rapporti di forza sono cambiati ed in particolare i1 movimento dei lavoratori ha acquistato maggior ruolo politico e maggiore consapevolezza delle proprie responsabilità. Crediamo dunque che per le sinistre dei paesi candidati sarebbe errore grave ripercorrere la stessa strada percorsa dalle altre sinistre in Europa; con conseguenze dannose non solo per i loro paesi ma per tutta la Comunità nel suo insieme. gli avvenimenti Nella sessione del 2 aprile, il Consiglio dei mtnistri ha esaminato lo stato delle relazioni con alc.uni paesi terzi ( C i n a , Turchia e Jugoslavia), il negoziato per il rinnovo della Convenzione d i L o m è ed i problemi ancora irz sospeso per le trattative d i Ginevra relativ e al T o k y o Round. In una sessione congiunta, ministri deglz esterz e ministri delle finanze della C o m u n i tà hanno discusso il 3 aprile gli orientamenti d i bilancio della Comunità europea, sulla base d i u n documento d i lavoro della C o m missione. Il n u o v o governo belga ha prestato giuramento il 3 aprile: oltre al primo ministro Martens, comprende tre vice-primi ministri (Vanderz Boeynants alla difesa, Claes agli af-fari economici e Spitaels al bilancio). Il socialista Simonet è stato confermato alla guida del Ministero degli Esteri. I1 3 aprile t. iniziata a Bruxelles l'ultima sessione ministeriale per l'adesione della Grecia alla C o m u n i t à , in vzsta della firma del trattato fissato ad A t e n e per il 28 maggio. L a Commissione ha trasmesso il 3 aprile al Consiglio una comunicazione nella quale propone d i organizzare una concertazione fra paesi m e m b r i e paesi terzi sulle politiche migratorie. Nella comunicazione, la C o m missione ricorda che v i sono oggi circa 12.5 milioni d i emigranti nella Comunità e che l'aumento del numero dei m e m b r i delle famiglie d i questi lavoratori lascia presagire che presto dovranno essere affrontati i problemi dell'occupazione d i giovani lavoratori migranti. Si è aperta il 4 aprile a A i x - l a - Chapelle la conferer2za sui problemi dellJinquinamento transfrontaliero, organizzata sotto l'egida del Consiglio d'Europa. La Commissione ha trasmesso al Consiglio, il 4 aprile, una proposta di n e g o z ~ a t o con l'India, per ampliare l'attuale forma d i cooperazione commerciale agli aspetti industriale, scientifico e tecnologico. DEMOCRA~O 979 giugno 1979 Sempre il 4 aprile, la Commisszone ha approvato un memorandiim, rzel quale si propone l'adesione della C o m u n i t à in quant o tale alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo. L a Commissione europea ed i paesi del Mercato comune dell'America Centrale (Costa Rica, Honduras, Nicaragua, E1 Salvador e Guaternala) hanno deciso, in u n incontro svoltosi il 4 aprile, d i dare u n carattere pirì sistematico alle loro relazioni. Nella prospettiva del1 'adesione della Grecia alla C o m u n i t à , u n Ufficio delle C a mere d i Commercio e dell'Industria greca t. stato inaugurato il 5 aprile a Bruxelles. Il n u o v o governo spagnolo, costituito il 5 aprile, è composto fra gli altri, oltre che dal primo ministro Suarez, dal ministro degli esteri Oreja e dal ministro delle relazioni con la C E E Calzlo Sotelo. Il Comitato economico e sociale ha adottato il 5 aprile u n parere (con 48 v o t i a favore, 23 contrari e 13 astensioni), nei q u a le si sostiene la richiesta della Commissione per u n congelamento dei prezzi agricoli al livello dell'annata appena conclusa. Il Consiglio-ambiente, nella sua riunione del 9 aprile ha discusso quattro documenti dilavoro: quello della Commissione sui principi di un'azione nel campo della valutazione dellJimpatto sull'ambiente nella C o m u n i t à ; i due della delegazione italiana sulla protezione del suolo e sulla valorizzazion e dello spazio naturale; i n f ~ n equello della delegazione olandese sulle emissioni d i anidride solforosa. Il Commissario Giolitti ha effettgato il 9 e 10 aprile una visita negli Stati Uniti, consacrata a i problemi della politica regionale. I1 9 e 10 aprile si è svolta a Bruxelles la quinta riunione del gruppo misto d i lavoro C E E -Paesi del Sud- Est Asiatico (Indonesia, Malaysia, Filippine, Singapore e Thailandia), con l'obiettivo d i giungere, entro la giugno 1979 fine dell'anno, alla apertura dei negoziati per uri accordo d i cooperazione. Dopo cinque anrzi dz negoziati, sono stati firmati a Gincvvra il 12 aprile i testi relativi all'uccordo sulle tat-~flecommerciali T o k y o Round. 1 rninistri della Giustzzia sz sono riuniti il 24 aprile a Parigi per discutere l'e~jentuale adozione d i una c o n ~ ~ e n 7 z o nre1atiz.a e allo «spazio giudiziario europeo,>. Nella seduta' del 24 aprile il Parlamento europeo, su proposta del relatore Bangernann (L1b.-RFT) ha approvato il bilanc-io rettificativo per il 1979, che comprende I 200 milioni a favore d i Italia e lrlanda, legati alla creazione dello S M E e l'ammontare definitiz.0 del Fondo regionale (945 milioni d i unità d i conto ( u . C ) , d i c.ui il 4 0 % all'ltalia), dopo il compromesso I-aggiurito fra le d i f e r e n t i istituzionz comunitarie. Nella stessa seduta del 24 aprile, il Parlamento europeo su proposta del relatore Spinelli ( C O M . . [t.) -- ha approzlato l'apertura d i una prima tranche d i 500 mtlioni di U . C . per pt-~>stiti destirzati a firia~zziare progetti di irivestirnet~to d i interesse cornuriitarlo. Su rapporto del I-elatore Spinelli, il Paslamento europeo ha approvato il25 aprile una relazio)ie sz~lla politica di ristridtturaziorie e riconvrrsione industriale nella C:omunità europea. 1)avanti izll'Assemblea generale della Banca nazioriale svizzera, riunita a Z~*rigoil 26 aprile, il presidente Leutuiler ha dichiarato che il suo paese è fot-temente interessato a legami più stretti con il sistema monetario europeo. La Commissione ha approvato, rzella riuniorzc del 2 maggio, uriu comunicazione sulla ripartizione del tempo d i lavoro, nella prosprttiva d i uri rnigliorarnento delle condizionz d i vita dei lavoratori. Il z7icepi-esidente della Commissione, N a tali, ha presentato il 4 maggio i risultati d i una TI(-ercasui varitaggi delle politiche comunitarzc in rappol-to alle politiche nazionali. 11 5 rnaggio, n seguito delle elezioni nazioriali ( 3 maggio), il leader conserzlatore inglese, signora Thatcher, ha forrnato il - N U O V E ADESIONI DI ENTI TERRITORIALI LOCALI ALL'AICCE C-.omune di: Bucine ( A R ) . ah. . . Portico e San Benedetto ( F O ) . . . 8.009 . . . 1.211 Amminist7-azione Proz,znciale di': Terni . . . . . . . . Parma . . . . . . . . . ., 222.847 395.497 Comunità europee ha pubblicato tutte le n u o v o governo: agli affari esteri Lord Carproposte della Commissione relative alle porington, che h a g z à esercitato funzioni minilitiche comuni pe7- le strutture agricole. steriali sotto Churchill; canc.elliere dello scacchiere Sir Geoffrey H o w e ; ministro 11 Congresso della Confederazione eurodell'agricoltura Peter \Y'ulker. Lord Soamcs, pea dei sindac.ati, corzcluso a Monaco d i Baviera il 18 maggio, ha eletto n u o v o presigià commissario delle Comunità europee, è dente - in sostituzione del tedesco Vetter presidente del Consiglio privato e Lord il presidente delln (:onfederazione olandese Cancelliere. dcz siridaca~z, K'im l i o k . Si è aperta a Marizla, il 7 maggio, la La Commzssione ha approvato il 23 mag,quinta sessione della Conferenza delle N a zioni Unite per il Comrnertio e lo Sviluppo gio il pa ret-c fae~orevole sulla conclusione dei riegoziatz pet- l 'adesiotze della Grecia alle (UNCTAI)). Cornunitri er41-opec. Il C'onszglio dei rniritstri ha esaminato 1'8 Sempre 11 23 maggio, la Cornrnissione ha maggio lo stato tielle trattative per il rinnonominato n u o v o direttore genet-ale della D i v o tiella (:on-,,enzio~~e d i Lomi., :ri exista rezione affari economie-i e finaiiziari T o m della fase f;nalc> del n ~ g o z i a t o ,fissata per il 7 4 rnuggio a Bruxe1le.s. maso Padoa Schioppa, già a c.apo del dipartimento [mercato morietarion della Banca L'8 maggio i rappresentanti delle indud'Italia. strie europee hanno consegnato al presidente del Consigljo delle C o ~ n u n i t àil .manifesto Il Comitato economico e sociale ha approdelle industrie europee». vato all'idrianimiti, nella sessione plerzaria del 23 maggio, u n o studio sulle relazioni Il Parlamento europeo ha adottato nella seduta del IO maggio della Comunità con la Spagna, selatore S M proposta del Evai~z. relutore Pzntat (Lib.-Fr.) - u n rapporto sugli aspetti settoriali dell'allargamento della La Commissione ha approvato il 23 maggio u n parere sui programmi d i sviluppo Cornunità a Grecia, Spagna e Portogallo. regioriaie presentati dagli Stati m e m b r i . Nella seduta dell'i i maggio, il Parlal negoziati per il rinnovo della C o n v e n vierito europeo ha quindi approelato u n rapzione d i L o m é fra la C E F ed i 57 Stati porto, presentato da Pisani (Soc.-I+.), a noA C P sono stati aggiornati sine die il 26 m e del gruppo socialista, nel quale si chiede maggio, dopo due giorni d i dibattito, a caula revisione della poli~ica agt-icola comune. sa d i profonde d i e ~ e r ~ e n zfra e la posiziorie Sotto la p?-esidcnzu del miiiistro fraricese Poncet, s i sono riuniti nel castello d i A4erdei paesi m e m b r i della Comunità ed i paesi cues pt-esso <>hovs in I:vancia, il 12 e 13 A C P , i n particolare sull'ammontare del E:o?id o europeo d i se,iluppo. maggio, i rninistt-i degli esteri della C o m u l i 28 maggio sono stati firmati a d A t e n e nztà. In occasione, del suo viaggio in Alsazia il gli atti relativi a!l'adesiorie della Grecia alla Cornunità. 14 maggio, il l'residente francese Giscard ha c.onfermato che la Francia si opporrà ad u n o spostarriento del Parlamento europeo da C O M U N I D'EUROPA Strasburgo. Organo dell'A.1.C.C.E. l ministri delle firiarzze, riuniti il 14 magA N N O XXVII - N . 6 - G I U G N O 1979 gio, barino a v u t o u n prirno scambio d i 7.eDirettore resp.: UMBERTO SERAFINI dute sulla c.onelergenza delle economie, sul coordinamento delle politiche economiche, Redattore capo: E D M O N D O PAOLINI rnonetarie L, d i bilancio e sulle ripercussioni DIREZIONE,REDAZIONEE della situazione energetica. 11 Consiglio AMMINISTRAZIONE 6.784.556 finanze ha inoltre deciso d i n o n accogliere la 6.795.712 Piazza di Trevi, 86 - Roma richiesta del Parlamento europeo per una Indir. telegrafico: Comuneuropa - Roma concentraziorze sui benefici d i interesse legati all'uttuazione dello S M E , a favore d i Italia e Irlanda. Abbonamento annuo L. 5.000 - Abbonamento annuo estero L. 6.000 - AbboSi è aperto il 14 maggio a Monaco d i namento annuo per Enti L. 25.000 - Una Baviera il Congresso della Confederazione copia L. 500 (arretrata L. 1.000) - Abboeuropea dei sindacati. namento sostenitore L. 300.000 - Abbo1 ministri degli affari sociali, riuniti il 1 5 namento benemerito L. 500.000. maggio, hanrio discusso una serie d i cornuI versamenti debbono essere effettuati nicazioni della Commissione, fra cui quella sul c/c postale n. 35588003 intestato a: sulla rzpurtizione dell'orario d i lavol-o ed Istituto Bancario San Paolo di Torino, unu proposta d i estensione del regolamento Sede di Roma - Via della Stamperia, sulla sicurezza sociale dei lavoratori m i n. 6 4 - Roma (tesoriere dell'AICCE), granti. oppure a mezzo assegno circolare - non L.a Cornrnissione ha approvato, nella riutrasferibile - intestato a eAICCE* , riio~zcdel 16 maggio, il progetto prelimtnare specificando sempre la causale del versad i bilan~.ioper il 1980, con u n aumento mento. dr1/'8,9"; degli stanziamenti rispetto al Aut. Trib. Roma n. 4696 dell'll-6-1955 1979. L'ammontare complessivo delle spese Associato dii'USP1 proposte dalla Comrnissione è pari a 15 m i Unione Stampa liardi d i U.C.(circa 17 mila miliardi d i lire). Periodica Italiana 11 C.'orisiglio energia si è riunito il 17 maggio, in prepat-azione del Consiglio eurolitotipografia rugantino roma - 1979 FED - fotocomposizione peo d i fine giugno. Il 17 maggio, la Gazzetta U f i c i a l ~ delle , -- d MARCHE I'bola delle tue vacanze scoprila ogni giorno diversa l'Italia in una regione GIUNTA REGIONALE ASSESSORATO AL TURISMO - ANCONA