triestino Alpinismo Gennaio - Febbraio 2010 Anno 21 - Numero 117 EDITO DALL’ASSOCIAZIONE XXX OTTOBRE - TRIESTE Distribuito gratuitamente ai soci e alle Sezioni del C.A.I. - Prezzo al pubblico € 1,00 • • SEZIONE CLUB ALPINO ITALIANO, FONDATA NEL 1918 “Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in A.P. – D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB TS” EDITORIALE Emilio Comici: l’eredità di un maestro Si dice che l’attuale crisi esistenziale, lo sperdimento etico-estetico e civile che caratterizzano il presente della nostra civiltà, siano da attribuire alla mancanza di valori. L’osservazione è sicuramente vera, ma incompleta. Mancano, soprattutto, quelli che i valori li incarnano e mediano nella cultura e nel costume attraverso un comportamento esemplare. Mancano i maestri, i buoni maestri anzi, che di cattivi ce n’è a iosa. L’alpinismo, affogato nel risucchio del maelstrom generale, non è indenne da questi mali. Forse può risentirne meno, perché chi raggiunge le altezze riesce almeno un po’ a staccarsi dalle grette piccinerie del contingente. E perché nell’alpinismo ci sono ancora dei buoni maestri. Trieste, in questo senso, è stata fortunata: non mancano, nella domestica galleria dei Lari, scalatori che con le loro opere e i loro scritti possono valere da pietra di paragone fisica e da conforto spirituale. La loro eredità morale non è stata dissipata: concluse da poco le celebrazioni per ricordare il secolo e mezzo dalla nascita di Julius Kugy, si avvicina il settantennale dalla caduta di Emilio Comici in Vallunga. Kugy e Comici, figure che possono apparire distanti, e per certi versi antitetiche. Ma l’apparenza inganna. Entrambi scrittori, l’uno con vena facile e feconda, l’altro più faticoso, forse, ma ricco di riflessioni e immagini felici (chi scrive ebbe in “Alpinismo eroico” un vero Bildunsgroman), si collocano pienamente nel solco della tradizione letteraria giuliana, così ben individuata dal Pancrazi, che ne colse il forte afflato morale prima che estetico (lo scrittore triestino – disse – chiede alla Musa prima la verità che la bellezza). In quanto alle concezioni tecniche, è vero che il vecchio dottore sorrideva davanti alla nuova scuola, e alle acrobazie trapezistiche consentite dalle manovre di corda. «Comici ha definitivamente dimostrato che la Nord della Grande di Lavaredo è inscalabile, ma noi, vecchi alpinisti, lo sapevamo già», scrisse con un po’ di ironia. Ma Comici, quando tornò in free solo sulla sua via, nel vedere i tanti chiodi che la martoriavano gli fece eco: «Povera Nord». Il giovane Emilio, certo, non guardava all’“invito” delle montagne, alle tracce dei camosci, ma alla geometrica perfezione della “goccia d’acqua”, qualcosa come l’O di Giotto trasposto in parete; ad accomunarlo al grande pioniere sono però il prevalente amore per le cime, e lo spiccato senso artistico. Kugy lo visse forse più sul versante poetico e sentimentale, Comici – potremmo dire – su quello figurativo. Fu il primo, Comici, almeno nella scuola italiana, a intendere nella scalata una forma di creazione artistica. E forse è questa una delle ragioni per le quali ci si ricorda di lui. Le altre, certo, sono quelle ben note: la morte all’apice del fulgore, la creazione della prima scuola di arrampicata nazionale, in Val Rosandra, e l’attribuzione della prima salita di sesto grado, quella N-O alla Sorella di mezzo del Sorapis, vinta quattro anni dopo la Solleder-Lettenbauer alla Civetta, paurosa pietra miliare dell’“estremamente difficile” (kein brot per gli italiani, dicevano i tedeschi). “Colui che arrampicava come avesse le ali di un angelo”, secondo la bella definizione del presidente DÖAV Franz Rudovsky, si colloca quale snodo naturale tra la stagione esplorativo-romantica, cui appartennero i Lammer e i Kugy, e quella della ricerca estetico-tecnica che arriva ai nostri giorni. Quando Comici è bambino, la “vecchia guardia” dei pionieri è ancora in piena attività (Onkel Julius, ma anche la “squadra volante” di Cozzi); il tragico volo in Vallunga precede appena di qualche anno (considerando la cesura bellica) la gara in artificiale estrema tra italiani, svizzeri e francesi in Lavaredo, e le imprese di Maestri con chiodi ad espansione e compressore. Un’appartenenza anagrafica e quindi formativa (in senso passivo e attivo) alle due scuole, che naturalmente può ingenerare qualche contraddizione. L’amore e il rispetto per la montagna contrapposti alla volontà di sottometterla richiamano il rapporto cacciatore-preda che c’è in Hemingway. Ma in quale uomo animato da forte sentire non esistono antinomie? Comici non seguì i principi etici di Paul Preuss, che, pur nella ricerca delle difficoltà crescenti, ammetteva per la progressione solo appigli naturali. Fu teso, se non a cancellare dal suo dizionario la parola “impossibile”, almeno a spostarne continuamente i termini verso l’alto (Casara ricorda come l’amico Emilio, indicando degli strapiombi giallastri e friabili in val del Piave, avesse preconizzato il VII grado). Ma le sue vie rimangono, anche se oggi si “liberano” per ragioni vuoi di purezza, vuoi di exploit (rischiarono di più gli apritori, però, anche con i passaggi in artificiale). Un solo nome, quella N-O alla Civetta, dove Cassin volò, sulle tracce di Emilio, un vero monumento e uno dei pochissimi itinerari cui manca ancora la solitaria invernale. Rimangono, di Emilio, il suo “senso della montagna”, l’amore infinito e il rispetto vero che nutrì per l’Alpe, non misurabile certo in chiodi. Idee e sentimenti che emergono di frequente dalle sue pagine. Fu un maestro, un gran buon maestro, Comici. E in sintesi la sua lezione potrebbe essere forse il motto dottrinale di Sant’Agostino, trasposto nelle altezze: «Ama, e fa’ ciò che vuoi». Luciano Santin In questo numero PAG. 2 PAG. 3 PAG. 4 PAG. 5 PAG. 6 Programma escursioni 2010 Capodanno Rose d’Inverno Ambiente Italia - Il Carso Inquinamento ipogeo Sul sentiero Matilde - Trekking PAG. 7 L’escursionismo: grande passione... Emilio Comici: celebrazioni del 70° PAG. 8-9 Le fortificazioni del Vallo Alpino PAG. 10 Due manuali medici da non perdere D’ode a destra uno squillo... PAG. 11 PAG. 12-13 PAG. 14 PAG. 15 PAG. 16 Una gita fuori schema Dolina Seghini (Šeginov Dol) Flash - I nuovi titolati Le Ali dell’Angelo Avviso di convocazione Assemblea triestino Alpinismo 2 Programma escursioni 2010 (prima parte) Gennaio (trascorso) 17 LUNGO LA PISTA CICLABILE DELL’ EX FERROVIA DELLA ROSANDRA DA CAMPO MARZIO AD ERPELLE 11 ANNI DOPO Campo Marzio, S. Antonio in Bosco (200 m), Draga S. Elia (341 m), Erpelle (500 m) Capogita: Roberto Vernavà 24 CON LE CIASPE SULLA NEVE DA SAPPADA A FORNI AVOLTRI Cima Sappada (1300 m), Casera Tuglia (1597 m), Malpasso (1618 m), Casera Col Mezzodì Alta (1377 m), Casera Col Mezzodì Bassa (1164 m), Forni Avoltri (888 m) Capogita: Giulio Castagna 31 ITINERARI DELLA MEMORIA: Il Forte Morosine in Val Dogna Dogna-Prerit di sopra (467 m), Mincigos (862 m), Stavoli Morosine (910 m) e ritorno Capogita: Enrico Gruden 28 ITINERARI DELLA MEMORIA: Pradis, la Battaglia di Pradis e le Grotte Strada Arzino-Bivio Pielungo (350 m), Pielungo (450 m), Forno (620 m), Fumatins (592 m), Tuscans (650 m), Orton (738 m), Cuel Orton (797 m), Casere Tramontin (793 m), Fruinz (564 m), Casere Stallon-Strada Arzino (383 m) Capogita: Giancarlo De Alti aprile 5 lunedì DELL’ANGELO: Il Monte Castellaro Capogita: Vito Stefani 11 PRIMAVERA SUL RISNJAK NEL PARCO DEL GORSKJ KOTAR Crni Lug-Ingresso Parco (700 m), Rifugio Dom na Risnjaku (1418 m), Monte Risnjak (1528 m), Rifugio Dom na Risnjaku (1418 m) e ritorno a Crni Lug per altro sentiero (700 m). Capogita: AE Tiziana Ugo 18-22 TREKKING ALL’ISOLA D’ELBA Referente: AE Fulvio Gemellasi FEBBRaio 7 LUNGO LA BASSA VAL RAŽA, DA MAJCNI A SAN DANIELE DEL CARSO Majcni (370 m), Greto del Raža (250 m), Mahniči (237 m), Kobdilj (320 m), Štanjel (311 m), Hruševica (295 m) Capogita: Giancarlo De Alti CICERIA SLOVENA: DA GOLAC A MARKOVŠČINA Golac (644 m) - Zagrad (730 m), Zabnik (1054 m), Glavičarka (1082 m), Mala Vrata (995 m), Skandavščna (600 m), Markovsčna (567 m) Capogita: Franco Manzin CIASPE E CASERE SULLE NEVI DI FORNI DI SOPRA Capogita: AE Tiziana Ugo PASSEGGIATA TRA LE VILLE VICENTINE DEI COLLI BERICI In collaborazione con il Gruppo Padovano “Giovani Montagna” Capogita: Roberto Vernavà 23 IL GRAN MONTE DAL PASSO DI TANAMEA Passo di Tanamea (851 m), Sella Kriz (1540 m), Monte Briniza (1636 m), Monte Testa Grande (1565 m), Sent. 710, Ruderi Casere Cripizza (869 m), Pian dei Ciclamini (795 m) Capogita: AE Maurizio Toscano 13 ACQUE E PRATI DELLA BODENTAL, VALLE DELLE KARAWANKE Parkplatz Unterloibl (600 m), Teufelbrüke (800 m), Sereinig (1060 m), Bodenbauer (1058 m), Märchenwiese (1200 m), Bodenbauer (1058 m) Capogita: Alessandra Bertoni 18 LA GOLA DEL PEKEL PRESSO BOROVNICA NELLA PIANA DI LUBIANA Bistra-Borovnica, gola di Pekel (inferno) (317 m), Pristava, Pokojišče (732 m), monte Trebelnik (807 m), Bistra. Capogita: Patrizia Ferrari VIII EDIZIONE DELLA NOTTURNA AL NANOS Referenti: AE Maurizio Toscano e Zefferino Di Gioia SOPRA IL LAGO DI BOHINJ DA KOČA PRI SAVICA A STARA FUZINA CON IL MONTE PRŠIVEC Rifugio Koča pri Svica (653 m), salita per la Komarca e arrivo al lago Nero (1294 m), Rifugio Planina Visevnik (1625 m), Monte Pršivec (1761 m), Rifugio Koča pri Jezeru (1427 m), Brezno Vogrju (1054 m), Stara Fuzina (546 m) Capogita: AE Tiziana Ugo 25 27 24-25 GRANDE TRAVERSATA DA TRIESTE A LUBIANA: II Tappa; Senosecchia-Predjama Senožeče (560 m), Razdrto (575 m), Veliko Ubeljsko (589 m), Malo Ubeljsko (586 m), Strane (656 m), Šmihel (590 m), Predjama (520 m) Capogita: Sergio Ollivier 14 21 TREKKING NELL’ISOLA DI CIPRO con visita di Nicosia, Famagosta, Larnaka, Paphos. Referente: Laura Collini ITINERARI DELLA MEMORIA: il Pal Piccolo ed il Freikofel Passo di Monte Croce Carnico (1360 m), Pal Piccolo (1866 m), Cima del Freikofel (1757 m) con salita per il versante austriaco e discesa per quello italiano Capogita: Vito Stefani 21 7 19-26 6 SULLA NEVE NEL TARVISIANO: Traversata dalla Valle di Riofreddo alla Val Saisera Valle di Riofreddo (820 m), Sella Prasnig (1491 m), Valle del Rio Zapraha, Prati Oitzinger (900 m), Valbruna (800 m) Capogita: Giorgio Nagliati marzo SULL’ ISOLA DI LUSSINO, PERLA DELLA DALMAZIA Ossero (2 m), Chiesetta di San Nicola sul Monte Ossero (589 m), Neresine (33 m) Capogita: Doretta Potthast gIUGNO 14 SULLA NEVE DI TIMAU: Dalla Pista di Fondo dei Laghetti a Casera Palgrande Timau (820 m), Casera Palgrande di Sotto (1536 m), Casera Palgrande di Sopra (1705 m) e ritorno Capogita: Giulio Castagna 16 S. STEFANO DI CADORE, IL MONTE COL S Stefano di Cadore-località Transacqua (908 m), bivio sopra Prà Grande (1810), Monte Col (2079), Giao Cornon (1558) Val Grande, Sorgenti di Valle (951m), Transacqua (908m). Capogita: Patrizia Ferrari FINE SETTIMANA SULLA NEVE DI FANES Escursione in collaborazione con SAG Capigita: Brunetta Sbisà e AE Maurizio Toscano 28 MAGGIOLATA TRA I NARCISI DEL MONTE JOANAZ Faedis-Canebola (670 m), Bocchetta di S. Antonio (790 m), Monte Joanaz (1167 m), Rifugio ANA M. Joanaz (950 m), Canebola Capogita: Annamaria Stefani 30 6-7 ITINERARI DEL CARSO MONTANO: Roditti ed Artuise Rodik-Roditti (580 m), Artviže-Artuise (811 m), Gradiščica (700 m), Brezovica-Bresovizza (513 m), Slope e ritorno Capogita: Nevia Depase 9 maggio PERCORSI DELL’ISTRIA CENTRALE: una traversata dall’Istria interna fino al mare Tizzano-Tičan (337 m), Visignano-Višnjan (356 m), Grotta Beredine (126 m), Parenzo (2 m) Capigita: Sergio Ollivier e Roberto Vernavà 20 L’ANELLO DEL MONTE JOUF A MANIAGO Maniago (330 m), Forcella della Croce (756 m), Monte Jouf (1212 m), Malga Jouf (1115 m), Maniago Capogita: AE Fabio Sidari 27-4 SOGGIORNO NEL PARCO NAZIONALE DEI MONTI SIBILLINI: ambiente, storia, cultura, gastronomia. Organizzazione: AE Maurizio Toscano 2 In Alpinismo triestino n. 119 pubblicheremo il secondo semestre 2010 a completamento del programma del Gruppo escursionismo. triestino Alpinismo 3 Capodanno delle Rose d’Inverno 18... e ci siamo subito resi conto che il vino..ohi ohi scarseggiava. Fortunatamente poco dopo sono arrivati i nostri ultimi amici, che hanno fatto uscire dagli zaini non solo litri di vino, cibo e dolci... ma anche marsala e grappe fatte in casa. Abbiamo festeggiato, mangiato e bevuto fino alle 23. Uscendo dal rifugio si potevano ammirare tutte le costellazioni, nessuna esclusa. Il cielo ci ha regalato una miriade di stelle, bellissime! E poi... tutti a nanna! Chi prima.... chi dopo.... Mattina colazione tutti assieme e partenza alle 10 per salire alla vetta del Granmonte.Vista spettacolare, cielo azzurro intenso che, unito alla neve immacolata ci ha dato delle emozioni fortissime. Ore 12 circa nuovamente al Rifugio dove abbiamo trovato pronto un pranzo succulento! E, verso le 14, dopo aver rassettato, fatto ordine e raccolto i rifiuti... siamo nuovamente scesi valle. Ogni Capodanno delle Rose è un’esperienza unica! Questa volta aver potuto salutare la fine del nuovo anno nel cuore dei nostri monti a contatto con la natura e in buona compagnia ci ha regalato due giornate di relax e felicità. Ci risentiamo nel 2010!!! ...Si ripete la tradizione! Anche quest’anno nelle giornate del 12 e 13 dicembre 2009 il gruppo delle Rose d’Inverno ha festeggiato il “ proprio” capodanno tra i monti! Ci siamo trovati la mattina di sabato per raggiungere Passo Tanamea. Da qui, attraverso il sentiero CAI 711a in due orette di cammino abbiamo raggiunto il rifugio non gestito ANA Monteaperta sul Granmonte a circa 1600 m di quota. Ma non è stato così facile! Ci son voluti lunghi preparativi da parte dell’organizzatrice che hanno permesso, infine, di essere pronti ad affrontare una due giorni completa di legna e... vino per riscaldarci e tanto cibo per nutrirci!! A passo Tanamea si discuteva a lungo su chi avesse lo zaino più pesante... i quasi 40 kg li aveva uno degli istruttori che, nonostante tutto, manteneva un agile passo da gazzella. Durante la salita ha distribuito un po’ di legna rallentando così i due fortunati ometti, destinati al trasporto eccezionale. Il sentiero, bellissimo e ben segnalato, dopo una salita iniziale gira verso est e attraversa un bosco di faggi dove tra leggeri dislivelli prende quota. La neve che a valle era quasi del tutto assente, poi si presenta soffice ed abbondante. E’ un piacere camminarvi! E sarà ancora più divertente scendere leggeri e senza il carico di legna e cibo! Dopo un paio d’ore, tra soste per fotografare questo magnifico paesaggio, finalmente intravvediamo una solida struttura. Sarà la nostra casa per due giorni!!! Subito le corse delle donne al piano di sopra per ac- caparrarsi il posto migliore nella camerata mentre gli uomini a circa 5 gradi sotto lo zero, si impegnano a riscaldare l’ambiente! Alcuni hanno poi raggiunto la cresta sommitale per ammirare il tramonto tingere il cielo di un colore viola intenso. Abbiamo cominciato a mangiare e bere dalle Erano con noi: Adriana, Alessandro, Chiara, Christof, Daniela, Dario, Edoardo, Filippo, Francesco, Fulvio, Giada, Lucrecia, Mariolina, Matteo, Mauro, Morena, Roberta, Roberto, Serena, Stefano, Vanessa & Bobo Il Gruppo Rose d’Inverno NUOORTVLEAR! A L I R P SCO ANTAGGI SFPILIALE O SUR A V I NELL A TUA /MYSPORTLE CAROTRM AT .COM INNF .SPORT LER WWW Scoprimi! Abbiamo tutto ciò che ti sserve per farlo. Trieste via Giulia 75/3, T 040 569848. www.sportler.com 4 triestino Alpinismo GRUPPO GROTTE / RICONOSCIMENTO DA NATIONAL GEOGRAPHIC Ambiente Italia - Il Carso Per gentile concessione della National Geographic n. 1/25 gennaio 2010, pubblichiamo l’articolo al quale hanno collaborato per l’iconografia gli speleologi della XXX Ottobre DISCARICA IN GROTTA Splendidi siti ipogei nel sottosuolo carsico, tra Italia e Slovenia, sono ormai ridotti ad ammassi di rifiuti di ogni tipo e propria opera di devastazione industriale, autorizzata e coperta dalle istituzioni: è quello che noi chiamiamo “Sistema Trieste”. Anche da noi, comunque, non mancano grotte con automobili e simili». Basta infatti scendere nel Pozzo Mattioli, una cavità non troppo di- stante dal paese di Gropada, per l’appunto in provincia di Trieste, per rendersi conto che anche dalla parte italiana del confine i rifiuti ingombranti non costituivano un problema di smaltimento: profondo quasi 30 metri, il Pozzo Mattioli è divenuto il luogo per disfarsi «La bellezza naturalistica del Carso è stata compromessa. Forse per sempre». Roberto Giurastante, ambientalista dell’associazione triestina Greenaction Transnational, è lapidario mentre scorre l’elenco delle grotte inquinate di questa zona che si sviluppa a sud delle Alpi Giulie, tra Italia e Slovenia. Una lista che Furio Premiani, presidente della Federazione Speleologica Triestina, conosce bene: «Scendo nelle grotte dal 1962 e devo dire che alcune sono dei veri immondezzai. Oggi sono oltre 350 le grotte inquinate, ostruite o distrutte». Il Pozzo dei Colombi, il Pozzo del Cristo e il Pozzo Mattioli sono solo alcuni dei siti ipogei inquinati che formano il lungo elenco della vergogna: nomi e località che molti, in questa zona, conoscono perché divenute pattumiere storiche, in nome di una totale mancanza di sensibilità verso questi “cieli senza stelle” che si diramano nel sottosuolo. Oggi gli speleologi sembrano gli unici ad avere a cuore tali unicità naturali; ed è proprio grazie a due di loro, Roberto Trevi e Claudio De Filippo, del Gruppo Grotte XXX Ottobre sezione C.A.I. di Trieste, se siamo riusciti a compiere un viaggio negli abissi del Carso, alla scoperta di una realtà nascosta e inquietante. di macchine, scooter, sedie, reti per materassi e qualsiasi altro tipo di materiale. In sostanza, una vera e propria discarica. Per vedere un esempio di quello che Roberto Giurastante definisce “Sistema Trieste” è invece sufficiente spostarsi di pochi chilometri: gli effetti di questo collaudato meccanismo sono infatti evidenti nel Pozzo dei Colombi, vicino al paese di Basovizza: «In origine era uno splendido pozzo di 45 metri cui facevano seguito circa 100 metri di caverna concrezionata», dicono gli speleologi. Oggi chi si cala nel pozzo vede, sul fondo, un tetro lago di idrocarburi e nafta: l’apertura verticale è stata spietatamente sfruttata per riversare al suo interno tutto lo sversamento provocato dall’attentato al terminal petroli della vicina Val Rosandra nel 1972, oltre a immense quantità di liquidi provenienti dal lavaggio delle caldaie, fanghi industriali e sostanze chimiche. Alla fine degli anni Novanta venne esegui- Un itinerario transfrontaliero che parte dalla Slovenia, dalla grotta Jeriševa Jama, poco distante dal paesino di Kazlje: i primi rifiuti che si scorgono all’ingresso della cavità sono nulla in confronto a ciò che si cela in fondo alla voragine, a più di 40 metri di profondità. Automobili, motorini e biciclette giacciono accanto a pezzi di Eternit e vecchi contenitori di sostanze chimiche pericolose, in uno scenario surreale: un enorme ammasso di rifiuti di ogni genere e di ogni epoca è stato riversato negli anni e solo una piccola parte della grotta si è salvata dal degrado. Qui, segno di una bellezza passata, resistono splendide concrezioni fra cui una rarissima pisolite, la perla di grotta. «Quello sloveno è un inquinamento più artigianale», sottolinea Giurastante. «In Italia si è attuata una vera Pozzo di idrocarburi e nafta triestino Alpinismo Colata nera dovuta ad idrocarburi ta una parziale bonifica del pozzo, ma quel lago oleoso rimane lì, a testimonianza del disastro ambientale del Carso. «Tutto ciò», sottolinea Giurastante, «è stato possibile grazie all’intreccio tra politica ed economia che, sin dagli anni Sessanta, ha prima individuato le grotte e le doline idonee e poi ne ha autorizzato il riempimento con qualsiasi genere di rifiuto». I risultati di questo perverso sistema sono ora parzialmente nascosta da una rinaturalizzazione forzata, per mano dell’uomo, o spontanea, naturale: «Ci cammini sopra e non ti accorgi che sotto i tuoi piedi ci sono delle vere e proprie bombe ecologiche», dice l’ecologista. Un ulteriore esempio di questa situazione è il Pozzo del Cristo, sulla strada che da Basovizza porta a Gropada: nell’inventario delle grotte inquinate è descritta Pareti e concrezioni annerite da idrocarburi e solventi la storia di questa cavità. Apertasi spontaneamente nel 1941, la grotta aveva una certa importanza per alcune sue particolarità morfologiche e per la vastità degli ambienti, «tra i quali spiccava una galleria, situata a 10 metri dall’ingresso, e adorna di abbondanti ed imponenti concrezioni», spiega Giurastante. Ora lo splendore delle sue pareti è ricoperto da una lunga colata nera che si allunga nefasta, in una scenografia degna dell’Inferno dantesco: il colore tetro delle pareti si accompagna alle letali esalazioni che, in condizioni di bassa pressione atmosferica esterna, si sprigionano senza preavviso dalle zone più profonde ed inaccessibili del pozzo. Nafta, idrocarburi, residui di lavorazioni industriali e provenienti da lavaggi di cisterne: per facilitare il lavoro, venne addirittura costruita un’apposita struttura metallica munita di un bocchettone, attraverso il quale venivano scaricati i liquidi dalle autobotti La grotta inquinata di Trebiciano invece non era dotata di una struttura simile, ma questo non ha impedito di riempirla di idrocarburi: un lago di nafta cosparso di copertoni è il panorama che si presenta a chi scende nella cavità. Raggiungere la grotta inquinata non è affatto difficile: a pochi metri da una moderna pista ciclabile, infatti, qualcuno ha voluto indicare l’ubicazione di questa vergogna con una semplice freccia e una scritta blu: “Grotta inquinata”. In questo caso non c’è bisogno né di attrezzature specifiche né di speleologi: è sufficiente scendere una breve riva e lo spettacolo indecoroso è davanti ai nostri occhi con le bianche pareti dell’antro che si specchiano nell’oleoso lago nerastro. «Trebiciano è il simbolo di questo inquinamento diffuso e organizzato», dice Giurastante. «La dolina vicina alla grotta è stata utilizzata come un’immensa discarica dal 1958 al 1972, cioè fino al suo completo riempimento». Le doline sono delle depressioni chiuse a forma di conca che caratterizzano il paesaggio carsico; a voler esser cinici, sono delle perfette pattumiere naturali, esattamente come le grotte. Una “comodità” che non è sfuggita a chi, nel corso degli anni, ha eletto queste bellezze a discariche, spesso autorizzate dalle amministrazioni, in totale disprezzo di ciò che la natura ha creato secolo dopo secolo. Per fortuna una parte del patrimonio ipogeo carsico si è salvato, ma rimane comunque senza un’adeguata tutela che ne salvaguardi le caratteristiche e la preservi dagli attacchi dell’uomo: «Spesso siamo solo noi speleologi che difendiamo le grotte visto che manca una precisa legislazione in materia», conclude Furio Premiani. Una difesa che si è concretizzata con le campagne di pulizia delle grotte più frequentate del Carso triestino. Fabio Dalmasso 5 Inquinamento ipogeo Si dice che la speleologia mondiale sia nata a Trieste. La prima scuola nazionale di speleologia, infatti, nasce a Trieste negli anni cinquanta grazie a Carlo Finocchiaro, speleologo della Commissione Grotte Eugenio Boegan. Si inizia a parlare di Soccorso in grotta all’inizio degli anni sessanta grazie a Eraldo Saracco di Torino, Sergio Macciò di Iesi e guarda caso Marino Vianello di Trieste del quale recentemente si è commemorata la tragica scomparsa avvenuta il 6 gennaio 1970 sul monte Canin. Nel 1969 si svolge a Trieste il primo convegno di Soccorso Speleologico. Negli anni a seguire nascerà anche la Commissione Medica Nazionale e tra i fondatori c’è un triestino, Umberto Tognolli. Potrei continuare ancora per molto… ma allora viene da chiedersi: “Com’è possibile che proprio in una città come Trieste, con questa storia e un patrimonio naturalistico ipogeo stupendo e infinito, nel corso dei decenni si sia perpetrato uno scempio ambientale?” Quel Carso amato da tutti, speleologi e non, cittadini e istituzioni, oggi accoglie Grotte usate come discariche; solventi, idrocarburi, rifiuti ospedalieri, eternit e altro ancora riversati nel sottosuolo da chissà chi incurante dei risvolti ambientali che queste barbare azioni possono creare. “Chi ha permesso tutto ciò? Chi sapeva ed ha taciuto? E soprattutto perché?”… E’ da questa premessa che comincia il nostro viaggio nel lungo e profondo tunnel della vergogna. Scarico acque nere Il National Geographic, prestigiosa rivista internazionale, vuole vederci chiaro ed è così che ai primi di settembre il Gruppo Grotte XXX Ottobre accetta con piacere di accompagnare i due professionisti Fabio Dalmasso di Torino (giornalista) e il fotografo Fabio Liverani di Cesena in questa inchiesta probabilmente scomoda a molti. Ad inizio gennaio viene pubblicato l’articolo e da allora è tutto un susseguirsi di polemiche, domande, ricerche forsennate degli eventuali colpevoli… Se ne occupa il Piccolo, il nostro quotidiano locale, con un paio di articoli; la Procura della Repubblica apre un’inchiesta; e il sottoscritto, insieme a Claudio De Filippo, viene più volte contattato come persona informata sui fatti. Veramente nessuno sapeva? O abbiamo trascorso decenni schiacciati dal macigno dell’omertà degli interessi privati? Forse negli anni ’60, ’70 e ’80 non avevamo ancora la cultura della tutela dell’ambiente che ci circonda? Dopo questa premessa dovuta mi viene in mente che anche una buona fetta dell’alpinismo è nata o si è sviluppata nella nostra bellissima città e soprattutto nell’amata Val Rosandra. Il progetto della TAV TriesteDivaccia risulta sia approvato, finanziato, soprattutto legale… Qualcuno ha già pensato ai danni ambientali che questo progetto potrebbe creare? Non vorrei che tra qualche anno solo il National Geographic contatti qualche socio dei Bruti della Val Rosandra o delle Rose d’Inverno per farsi accompagnare in una nuova inchiesta… Roberto Trevi 6 triestino Alpinismo GRUPPO ESCURSIONISMO / TREKKING SULL’APPENNINO EMILIANO Sul “Sentiero Matilde” affiorante nello spoglio grigiore degli affilati calanchi (impressionanti quelli disposti attorno a Canossa!), altro il bosco mediterraneo in cui primeggiano querce e castagni e in cui si aprono la via torrenti che incidono solchi di forre ombrose. Più in alto brillano al sole i tetti e i campanili di agglomerati di case e di cascine, spesso vestiti di pietre antiche... Impressioni ed emozioni si sono articolate in un itinerario che vogliamo succintamente ricordare. Il 12 settembre la “XXX Ottobre” è approdata nella quieta collina di Marola di Casina (base logistica delle successive escursioni) dopo aver fatto tappa a Reggio Emilia (la città che ha dato i natali al Tricolore Italiano, qui adottato per la prima volta il 7 gennaio 1797) e a Puianello (in visita alle locali Cantine Sociali). Il giorno dopo è avvenuto il primo contatto col “Sentiero Matilde”, che ha portato la comitiva ai Castelli di Sarzano, di Rossena e di Canossa, ma anche al mulino in pietra di Leguigno e al caseificio di Cortogno. Lunedì 14 la pioggia ha solo in parte modificato i piani dei baldi escursionisti: è stata l’occasione per visitare un’altra città ricca di storia e d’arte – Parma, coi suoi celebri Battistero e Duomo e il non meno celebre Teatro – e il Castello di Torrechiara in quel di Langhirano. Martedì 15 il clou delle emozioni escursionistiche: da Quara (già nota ai romani per le sue fonti termali) giù per le gole del torrente Dolo, col brivido di un ponte sospeso su corde e la sosta su quello (più robusto!) di Cadignano, a schiena d’asino, e la tappa finale della splendida Pieve matildica di S. Maria Assunta di Toano. L’ultimo giorno non è stato semplicemente quello del ritorno, per gli amici triestini: pur sotto la pioggia battente li attendevano due chicche legate in diverso a Matilde, e cioè il monumentale complesso dell’Abbazia di San Benedetto Po o Polirone (non lontano da Mantova), dove la Gran Contessa fu sepolta (attualmente le sue spoglie riposano a San Pietro a Roma), e una sosta libera a Mantova, che ne vide i natali, anche se la città deve la sua fama e il suo splendore alla posteriore dinastia dei Gonzaga. editore: Sezione XXX Ottobre, Club Alpino Italiano 34125 Trieste, via Battisti 22 tel. 040 635500, fax 040 363982 www.caixxxottobre.it e-mail: [email protected] direttore responsabile: Roberto Fonda direttore editoriale: Spiro Dalla Porta-Xydias comitato di redazione: Maddalena Bevilacqua, Mario Bevilacqua, Guido Bottin Umberto Pellarini Cosoli, Giampaolo Covelli, Giancarlo De Alti, Bianca Di Beaco, Massimo Gobessi, Giorgio Godina (Geo), Claudio Mitri Manlio Pellizon, Elio Polli, Adriano Rinaldi, Luciano Santin Vilma Todero, Sergio Viatori servizi fotografici: Guido Bottin, Vinicio Vallon grafica e stampa: Tipografia Opera Villaggio del Fanciullo - Opicina - Trieste Autorizzazione Tribunale di Trieste n. 776 del 22/2/90 Spedizione in abbonamento postale 45% ASSOCIATO ALL’USPI UNIONE STAMPA PERIODICA ITALIANA 6019 “Camminare nella storia si può...”. Così esordiva il foglio programma del trekking sull’Appennino Emiliano, organizzato tra il 12 e il 16 settembre 2009 da Giorgio Tassinari e Rosi Sciancalepore della Sezione “XXX Ottobre” del C.A.I. di Trieste, in collaborazione col C.A.I. di Reggio Emilia. In effetti sono stati cinque giorni d’immersione nel paesaggio naturale e storico che fa da sfondo alla celebre vicenda della Gran Contessa Matilde di Canossa (1046-1115), che molti ricordano soprattutto quale artefice dell’umiliazione, nel gennaio 1077, dell’imperatore (suo cugino) Enrico IV di fronte al papa Gregorio VII, per ottenere la revoca della scomunica e quindi il ripristino della propria autorità. Comunque si sia svolto quel drammatico incontro, Matilde ebbe una personalità fuori del comune che sporge ben oltre quell’episodio, come hanno potuto accertare gli amici che, con l’aiuto delle guide triestine e reggiane, hanno percorso lungo i gioghi dell’Appennino Emiliano-Reggiano una parte del cosiddetto “Sentiero Matilde”, che collega tuttora una fitta rete di castelli e di torri (iniziata dall’avo Tedaldo) disposti attorno alla rocca di Canossa, quale formidabile baluardo capace di respingere le stesse armate imperiali. Donna d’azione le insieme sapiente amministratrice, dalla vita affettiva travagliata (ebbe due matrimoni infelici) e tuttavia ispirata da una fede profonda – si firmava Matilda Dei gratia, si quid est, ovvero “Matilde, per grazia di Dio se è qualcosa” – la Gran Contessa ci è venuta incontro non solo nei resti poderosi di fortezze arroccate in luoghi impervi, ma anche nella pace di abbazie da lei fatte erigere o donate in silenziose oasi di verde, nei testi miniati e negli affreschi che ne serbano un ritratto severo e insieme assorto, attraverso il velo dei secoli. Ma come dimenticare, in questo cammino nella storia, il paesaggio talora aspro e selvaggio, talora ridente, delle giogaie appenniniche che l’hanno vegliata? Un paesaggio che i triestini hanno potuto confrontare con quello loro più famigliare del Carso e dei monti giuliani e sloveni: altra la natura argillosa del terreno, talora Ma queste note di diario – ne siamo sicuri! – non sono sufficienti a restituire l’atmosfera di calorosa cordialità a cui hanno contribuito gli amici del C.A.I. di Reggio Emilia, ponendo un memorabile sigillo nell’accurata organizzazione di Giorgio e di Rosi (che ci hanno fornito una vera enciclopedia di volantini e di opuscoli per ogni tappa del trekking): ci sembra tuttavia d’imprenscindibile importanza formulare alcuni ringraziamenti. Siamo grati anzitutto al presidente della sezione C.A.I. di Reggio Emilia Gianni Ricco Panciroli per l’accoglienza e l’accompagnamento durante la visita al Museo del Tricolore, agli amici Giuseppe Riccò, Mario Soncini, Carla Bondioli e Roberto Ferrari che sono stati assai generosi nel donarci il loro tempo (pur non dimenticando l’ospitalità del grande sportivo Luigi Rossi). Con loro abbiamo percorso tratti del “Sentiero Matilde”, con loro abbiamo gustato i sapori del lambrusco, del parmigiano reggiano e del culatello (ecco il terzo aspetto, assolutamente di rilievo, di questo trekking...). Non ci resta che ricambiare questi amici generosi, invitandoli a Trieste dove il C.A.I. locale li aiuterà a scoprire non solo i paesaggi del Carso (se già non li conoscono), ma anche le sue specialità – dalla minestra di jota alle paste creme, passando per le “lubianske” ed i “capuzi garbi” – innaffiate dall’aspro terrano... Bruno Bianco triestino Alpinismo ESAGERAZIONI? / RISPONDIAMO CON LA SATIRA L’escursionismo: grande passione... ma quale?! È arrivato il 2010 e finalmente riusciremo a debellare quello spirito di solidarietà che ha contraddistinto le precedenti generazioni di alpinisti. Ve li ricordate quegli appassionati che si facevano in quattro per accompagnarvi lungo i sentieri più belli e gratificanti delle nostre montagne, indicandovi nomi di cime, valli e torrenti, insegnandovi il corretto procedere su terreni impervi ed insidiosi? Forse avete anche avuto la fortuna di legarvi in cordata con qualche esperto alpinista di quelli animati più dalla ricerca di un rapporto umano con compagni di avventura piuttosto che dall’attrazione di una via nuova o di una cima inviolata. E ve le ricordate le bevute e le cantate attorno ai tavolati dei rifugi, piatto unico e camerata, acqua calda zero. Ve li ricordate i montanari che vi affittavano le loro stanze e che poi ci tenevano ad accompagnarvi in luoghi che solo loro conoscevano e che non erano certo segnati sulle vecchie carte militari, datate 1915-18? O che vi portavano alla mattina presto ad ammirare il sorgere del sole o gli animali selvatici all’abbeverata. Perché questo richiamo a tempi ormai trascorsi? Perché tutto ciò non è più né proponibile né possibile. Lo sappiamo tutti come funzionano oggi le cose. Settimane organizzate, pacchetti tutto incluso, extra facoltativi, telecabine, rifugi con sdraio e servizi da hotel, menu vari e drink esotici. E soprattutto equipaggiamento ed attrezzature tecnomoda, a volte adatti alle circostanze a volte meno e comunque non sempre utilizzabili con competenza. Ed il CAI? Tutti soci perché “hai lo sconto in rifugio, sei assicurato e non paghi il soccorso alpino”. Tutto qui? Fosse così crollerebbe in un attimo tutta la struttura del sodalizio che non avrebbe più motivo di esistere. L’ambizione del Club alpino è ben più alta e vorrebbe salvaguardare valori e tradizioni anti- che accompagnando alla montagna con competenza e sicurezza coloro che da questa esperienza si attendono un arricchimento di conoscenze ma anche di sentimenti. Siamo capaci di farlo? Alla luce dei fatti dico di si, ma fino a quando? E con quale dispendio di energie e di risorse. In tempi abbastanza remoti molti di noi hanno percorso le Alte vie dolomitiche con deviazioni verso qualche cima o qualche via ferrata. Siamo stati degli imprudenti o dei temerari? O addirittura degli irresponsabili se abbiamo portato con noi l’amico, la compagna, il figlio. Oggi ci vuole l’Accompagnatore super etichettato. Una severa preparazione a monte per potersi fregiare del titolo (AE) che risulterà poi solo parzialmente valido perché se trovi la neve allora bisogna aver aggiunto alla propria qualifica anche quella di esperto per terreno innevato (AEI) mentre per la ferrata bisognerà evitare ogni coinvolgimento in quanto, forse, bisognerà dimostrare di essere anche provetti arrampicatori (AEA?). E poi un frequente aggiornamento per conoscere tutte le diavolerie che le varie ditte specializzate buttano sul mercato a prezzi sempre più fantasiosi e riescono anche a renderle obbligatorie. Tutto ciò mentre i cari e fedeli capi gita continuano con passione e con generosità a portare i soci in luoghi sicuri ed a farsi in quattro per creare un allegro spirito di gruppo e di appartenenza. Lo so che sto suonando note stonate, ma se non metteremo un po’ di flessibilità e di buon senso nelle nostre strutture tecniche accelerando quel processo di uniformità che qualche persona di buona volontà sta cercando di avviare, credo che non faremo un buon servizio ai soci ma solo ad un’elite autoreferenziale. Ciemme emilio comici: celebrazioni del 70° 7 Per commemorare Emilio Comici nel settantesimo anniversario dalla tragica scomparsa, la XXX Ottobre ha deciso di promuovere una serie di iniziative destinate a ricordare la figura del grande alpinista triestino. • Il primo pensiero è rivolto ai giovani di Trieste mediante una serie di incontri programmati presso le scuole medie superiori. L’obiettivo è di catalizzare l’attenzione degli studenti sul vero significato di alpinismo, sull’etica dell’arrampicata attraverso gli insegnamenti trasmessi da Comici con le sue memorabili imprese. Qualche uscita sul campo, con escursioni tra le montagne e le pareti che lo hanno visto indiscusso protagonista, coronerà il ciclo delle conferenze per i più interessati e meritevoli. • Oltre a ciò, la personalità umana e alpinistica del fondatore della moderna arrampicata su roccia in Italia sarà documentata, mediante altre iniziative culturali promosse dal nostro sodalizio, anche durante tutto il corso dell’anno. • La manifestazione finale, ad ottobre, ci vedrà invece tutti raccolti a Selva di Val Gardena, ai piedi della parete Campaccia in Vallunga, luogo del fatale incidente alpinistico. Qui la XXX Ottobre inaugurerà il nuovo monumento in bronzo dedicato a Comici in sostituzione di quello ligneo, posto all’inizio degli anni novanta, oramai deteriorato dagli agenti atmosferici. Per la XXX Ottobre onorare Emilio Comici significa, prima di tutto, rendere omaggio alla propria storia attraverso uno dei più grandi alpinisti italiani e suo socio fondatore. Un alpinista che ci ha insegnato a concepire l’arrampicata non solo come mero exploit fisico ma come profondo godimento interiore arricchito da grande sentimento etico ed estetico. G.G. 8 triestino Alpinismo TRA NATURA E STORIA A INVILLINO Le fortificazioni del Vallo Alpino Il Parco Intercomunale delle Colline Carniche si trova nell’area compresa tra la confluenza del torrente Degano con il fiume Tagliamento e deve il suo nome alla dolcezza dei rilievi presenti che formano una serie di colli esposti al sole e coperti da prati e boschi; il territorio comprende anche una delle più ampie e fertili piane della Carnia ed assume grande importanza in quanto crocevia delle due direttrici che conducono rispettivamente verso l’alta Val Tagliamento (e il Cadore) e verso il canale di Gorto. I centri abitati sono Villa Santina, Invillino, Enemonzo e le sue frazioni: Raveo, Esemon di Sopra e Lauco. Il territorio del Parco offre al visitatore numerose bellezze naturalistiche quali, per esempio, i “Piani” (a Raveo) o il laghetto Pineta (a Villa Santina), assieme a quelle storiche come le tombe celtiche a Lauco od il mosaico a “nodo salomonico” a Invillino, ma è presente pure una rarità celata nella sua viva roccia. Uno “spaccato” di storia che ci fa riandare al periodo intercorso tra i due conflitti mondiali e quello relativo alla cosiddetta “guerra fredda”; si tratta, infatti, delle “fortificazioni del Vallo Alpino” site a Villa Santina e precisamente in località Invillino. Retaggio di un’epoca storica densa di avvenimenti che – proprio nel confine - aveva visto la sua principale fonte di preoccupazione in relazione ad una possibile aggressione al Regno d’Italia prima, ed alla Repubblica italiana poi. Meandri di cemento armato, torrette, bunker, feritoie sono il “naturale” patrimonio di codesta fortificazione che, mimetizzata nell’ambiente circostante, ha segnato per oltre cinquant’anni la zona creando, quasi, un alone di leggenda sul suo reale dispiegarsi nel ventre della terra ma, da alcuni anni ormai, grazie all’Associazione Culturale “X.ma Regio Italica”, è possibile fare un tuffo nella storia e ripercorrere le tappe che condussero alla nascita del “Vallo”. La curiosità ci ha portato, quindi, a sentire l’ingegner Sergio Silvestri, presidente dell’Associazione per capire, innanzitutto, quando è perché e proprio con codesto nome, è nato il sodalizio. Ufficialmente il sodalizio nasce nel mese di marzo 2003, con l’atto di registrazione dello statuto, mentre le prime escursioni ricognitive, lo scambio di informazioni e la volontà di collaborare, risalgono al 1998. L’Associazione nasce per dare la forza dell’ufficialità e della sintesi collaborativa alla passione per la natura, per la storia e per la tecnologia militare che lega i singoli componenti; spinti, in tale iniziativa, anche dal desiderio di restituire il giusto merito e (diciamolo pure) onore al soldato italiano cui spesso la Storia ha riservato un’ignominia molte volte immeritata. L’Associazione si chiama X.ma Regio Italica in quanto si ispira al nome “Venetia et Histria“: la X.ma Regio augustea…… per riportare alla memoria di tutti noi che, ad ogni passo mosso nel Friuli Venezia Giulia, ricalchiamo le grandi orme dei Romani, ma fondamentalmente perché questa regione conserva ancora oggi proprio ciò che l’associazione cerca: le tracce di manufatti militari e toponimi che testimoniano il suo ruolo di baricentro politico, economico e militare quale cerniera e caposaldo della espansione romana verso il Noricum, l’Illiria e la Pannonia svolto dalla X.ma Regio Italica. Partiamo del “Vallo Alpino del Littorio” che rispondeva, però, ad un preciso disegno di difesa molto articolato dei confini del Regno d’Italia ... Il complesso fortificatorio del VALLO ALPINO del LITTORIO, nasce per rendere “ermetici alcuni passi” e sbarrare le direttrici di penetrazione attraverso quella naturale barriera costituita dalle Alpi che già Annibale, con i suoi elefanti, mostrò quanto fosse vulnerabile; in attuazione di tale esigenza prendono corpo gli studi specifici e, nel gennaio 1936, si perviene, da parte dell’Ispettorato dell’Arma del Genio, all’emanazione delle “Direttive Tecniche relative allo studio degli elementi delle sistemazioni difensive”. Il criterio cardine cui si ispirerà la tipologia di questi manufatti militari sarà il seguente: “la protezione che, le opere di fortificazione, devono presentare al tiro avversario dovrà essere ricercata essenzialmente in un razionale sfruttamento del terreno, sia nei riguardi della sua conformazione che della sua costituzione e sarà perfezionata col mascheramento e col disseminamento degli obiettivi. Soltanto nel caso che manchino assolutamente tali possibilità, si dovrà ricorrere ai lavori in calcestruzzo o in cemento armato, evitando di massima l’ado- I disegni e le foto, del servizio giornalistico di Massimo Gobessi, sono dell’ing. Sergio Silvestri. triestino Alpinismo 9 zione di strutture monolitiche di calcestruzzo e l’impiego dei materiali metallici di corazzatura che possono giustificarsi soltanto in terreno pianeggiante, o laddove ciò sia imposto da ben definite esigenze della difesa.” Il Vallo Alpino si estendeva da Ventimiglia a Fiume (con opere fortificate presenti anche a Zara) allo scopo di cingere tutta la frontiera dell’arco alpino ipotizzando, tra gli anni Trenta e Quaranta, scenari di alleanze completamente differenti fra di loro: ecco allora le opere in caverna nell’arco Occidentale delle Alpi nell’ipotesi di attacco da parte della Francia, quelle attestate nell’arco Nord-Orientale a difesa dall’espansionismo tedesco (l’Austria dopo l’Anschluss era divenuta la “Marca orientale” della Germania) ed infine le opere orientali a difesa dei confini con il Regno di Yugoslavia. Il dispiegamento difensivo si articolava in tre zone distribuite secondo la profondità e la loro destinazione: zona di sicurezza: dove si organizza la prima azione di arresto dell’invasore mediante ostacoli artificiali e distruzione delle opere preposte alla comunicazione; posizione di resistenza: caratterizzata da una struttura più solida organizzata con centri di resistenza ed un organico tale da poter anche reagire con azioni di contrattacco; zona di schieramento: la cui collocazione, come logica conseguenza della dottrina difensiva, viene prevista in pianura così da costituire la zona cui compete la funzione della difesa ultima. L’attesa di funzionalità difensiva delle opere fortificate non contemplava il successo di un arresto della penetrazione del nemico ma semplicemente ci si attendeva che esse frenassero la calata delle truppe d’invasione,“accompagnando” il nemico e provocandone la reazione per saggiarne la forza e le tecniche di combattimento dando, al grosso delle truppe nazionali, il tempo di schierarsi a difesa in pianura. Terminato il secondo conflitto mondiale una parte di codesto “Vallo” viene però riattato: il pericolo di una invasione del Patto di Varsavia era così forte? La regione Friuli Venezia Giulia è stata, dall’epoca della Guerra Fredda fino a pochi anni orsono, proprio a ridosso di un delicato confine caratterizzato dal rischio di trasformarsi in teatro di confronto tra le forze della Nato e le forze del Patto di Varsavia. Non esiste lembo di territorio Nazionale per cui sia più appropriata la succitata definizione di zona di frenaggio: fascia “sacrificale” della battaglia difensiva organizzata in silenzio, condotta senza clamore alcuno e nell’orgoglio di coloro che svolsero questo delicato e rischioso servizio, nelle unità di arresto, motivati dalla consapevolezza di svolgere un ruolo a tutela del proprio territorio Nazionale ma anche come sentinelle dell’Europa; sembra proprio che, se non fosse crollato il “muro di Berlino” i rischi di una invasione da parte delle truppe del Patto di Varsavia costituissero un’ipotesi tutt’altro che remota, fatto testimoniato anche da una imponente corsa agli armamenti da parte dell’Unione Sovietica che produceva da sola un quantità di carri armati (arma principe dell’attacco) superiore a quella della produzione di tutto il resto del pianeta! Veniamo, quindi, alla fortificazione presente a Invillino: come è strutturata ... Si tratta di un’opera in caverna di dimensioni medie: lunghezza in linea d’aria circa 180 metri lineari, lunghezza lorda (sommando diramazioni corridoi e camminamenti articolati sui diversi piani) circa 400 m, il dislivello tra il punto di accesso e la posizione più bassa è di circa 30 ml. L’opera attiva (quella che si difende grazie all’impiego delle armi e non già con lo spessore delle protezioni passive: roccia, acciaio e calcestruzzo) è armata con sei casematte predisposte per mitragliatrice Fiat 35 (rimpiazzate in seguito dalle Breda 37); completano il corredo difensivo della fortificazione: un osservatorio e due ingressi attivi che ospitano nelle “caponiere” postazioni multiple di mitragliatrici Breda 30 per la interdizione dell’avvicinamento del nemico ai due ingressi. La struttura si è mantenuta inalterata nel tempo, quale testimone della storia di questo fazzoletto di terra ma soprattutto degli stravolgimenti che hanno segnato il Novecento. È possibile – oggi - visitare la fortificazione sita a Invillino? In virtù di una convenzione stipulata tra l’Associazione culturale ed il Comune di Villa Santina è possibile visitare la fortificazione previo appuntamento telefonico (in qualsiasi momento e stagione dell’anno) contattandomi al seguente numero di telefono: +393349580496, oppure via E-mail: [email protected]; è possibile, anche, visitare il nostro sito Internet all’indirizzo wwwxregio.org; infine si può telefonare all’ufficio turistico di Villa Santina +39043374040. Massimo Gobessi triestino Alpinismo 10 I MANUALI DEL CAI / NUMERO 18 MEDICINA E MONTAGNA Due manuali da non perdere È disponibile la seconda edizione in due volumi del manuale di medicina di montagna completamente rinnovato rispetto al precedente del 1997. Il lavoro è stato realizzato dai componenti della Commissione Medica del CAI: Giangelso Agazzi, Carlo Alessandro Aversa, Sandro Carpineta, Enrico Donegani, Adriano Rinaldi. Inoltre, vi è stata la collaborazione di numerosi altri autori. Scritta in modo semplice, anche se con rigore scientifico, l’opera illustra le principali problematiche di tipo medico, talvolta complesse e ancora controverse, che si possono incontrare nell’ambiente montano. Dopo la prefazione e le avvertenze, nel primo volume vengono trattati l’ambiente montano, le intossicazioni da funghi e da piante velenose, la folgorazione, le punture d’insetti, il morso di vipera, alcuni cenni di meteoropatia e alcuni aspetti delle varie responsabilità legali in montagna. Seguono articoli sull’acclimatazione e sui problemi medici degli anziani, dei bambini, delle donne e dei soggetti psichiatrici in montagna. Il terzo capitolo parla delle principali patologie d’alta quota e della loro prevenzione. I successivi capitoli riguardano le patologie da freddo e da caldo, le patologie dermatologiche e oftalmologiche, la traumatologia, i farmaci per il primo soccorso e la rianimazione cardio-polmonare. Il secondo volume è dedicato alle principali patologie croniche con indicazioni e controindicazioni riguardo all’andare in montagna (cardiopatie, pneumopatie, diabete, anemie, patologie oculari e tiroidee). Un intero capitolo è dedicato alle patologie neurologiche e psichiatriche. Nell’ultimo capitolo sono trattati la fisio- logia dell’esercizio fisico in montagna e l’allenamento, facendo riferimento anche all’uso dei bastoncini e dello zaino, all’alimentazione e all’idratazione, alla preparazione di un trekking, alla potabilizzazione dell’acqua e al rischio infettivologico nei paesi tropicali. Alla fine del secondo volume sono riportati anche i principali siti web che trattano di medicina di montagna. Il risultato di un lavoro durato più di due anni è un trattato di medicina di montagna nuovo, completo e aggiornato, destinato a tutte le persone che amano frequentare le Terre Alte. S’ode a destra uno squillo di tromba... Spiro Dalla Porta Xydias: grinta ma soprattutto Cultura, tanta ed appassionata... e Valori Unica nota di disappunto è la successiva pubblicazione del manuale di arrampicata (i manuali del Club Alpino Italiano n° 20) nel quale oltre 350 pagine (su un totale di 960 in due volumi) sono dedicate esclusivamente ad argomenti di Medicina (anatomia, fisiologia, patologia, terapia, alimentazione, ecc) in una sorta d’inutile doppione con scarsa corrispondenza fra titolo e contenuto. Dispiace che in seno al CAI, certe strutture (UNICAI) non attuino una più attenta, scrupolosa e incisiva attività di controllo sulle iniziative delle varie Commissioni. In conclusione, ci troviamo con due manuali che, sebbene diversi, trattano argomenti di carattere medico. Il secondo nato poteva essere pubblicato in un unico volume riportando note di carattere sanitario attinenti e approfondendo di più gli argomenti per cui era stato concepito. Speriamo che con il programma di riassetto degli OTCO del club qualcosa cambi. 1° vol: 448 pp. - 2° vol: 315 pp. Formato: 13.5 x 21 cm - Prezzo: 40 € (26 € per i soci CAI) Dott. Adriano Rinaldi Da tempo non avevamo più curato questa rubrica, proprio perché troppo avvilenti gli strafalcioni e le incongruenze commesse nel nostro ambiente. Purtroppo l’ultima in ordine di tempo non può essere ignorata vista l’importanza dell’ ente che ne è l’autore. Infatti l’UIAA, risvegliatasi dal suo letargo in merito all’essenza fondamentale dell’attività alpinistica che intende rappresentare a livello mondiale, si è decisa a varare una “Dichiarazione sull’etica dell’alpinismo”. Il documento consta di 12 articoli ed in pratica riecheggia le “Tavole di Courmayeur” di nostra buona memoria. Ci sarebbe anche da osservare che su 12 articoli forse due parlano effettivamente di etica. Ma il bello – o piuttosto il brutto – squillo risuona purtroppo all’inizio: il manifesto infatti dichiara testualmente: ”Gli alpinisti e gli arrampicatori che praticano il loro sport...” Questo dopo avere un paio d’anni prima votato in massa la propria contrarietà a fare svolgere gare di alpinismo in montagna. Per cui l’UIAA ci mette in imbarazzo: non riusciamo a capire se si tratta di pura ignoranza, proprio dell’etica di questa nostra attività per cui l’associazione è stata fondata. O più semplicemente della non conoscenza del senso dei vocaboli usati. È forse troppo pretendere da questo ente di portata mondiale un po’ di coerenza o almeno di rileggere con un po’ di attenzione i proclami che emana? Essedipix Centro Fisioterapico U.I.L.D.M. Via Carducci, 2 Trieste - Tel. 040 360430 - Fax 040 3724455 - [email protected] Orario segreteria: da lunedì a giovedì 8.00-18.00 - venerdì 8.00-14.00 F isioterapia e P reparazione S portiva Trattamenti fisioterapici, rivolti al recupero di traumi e patologie muscolo-scheletrici, quali: - - - - - - - - Valutazione osteo-scheletrica, posturale e muscolare con analisi posturale globale computerizzata Valutazione fisica generale, test resistenza aerobica, resistenza muscolar e e flessibilità Rieducazione motoria individuale segmentale e globale Trattamento ernie discali Massoterapia, massaggio decontratturante e massaggio tecarterapico Terapia strumentale: Ultrasuoni, Laserterapia, Tecar Terapia, Correnti diadinamiche, Elettroterapia antaligica TENS, Ionoforesi, Elettrostimolazione, Idroelettroforesi (antalgica) Impostazione nutrizionale dello sportivo Si esegue inoltre la preparazione sportiva di atleti di diverse discipline verso i quali il personal trainer imposta programmi specifici di allenamento individuali e di gruppo triestino Alpinismo 11 GRUPPO ESCURSIONISMO / LE VALLI DEL TORRE Una gita fuori schema Quando abbiamo compilato il programma gite per l’anno 2009 mi è stato affidata la preparazione di una gita da farsi in novembre – esattamente il 22 – quindi in giornate molto corte prima delle nevicate. Dovevo scegliere una località vicina che, nonostante la bassa altimetria, avesse le caratteristiche di “gita in montagna”. Giocoforza ho scelto le Valli del Torre: vicine e selvagge. Mi sono ricordato dell’esistenza di un “ponte romano” e sono andato a fare un sopralluogo. Non è stato facile trovarlo perché questo ponte collega (o meglio collegava) Flaipano (borgo sperduto fra i rilievi del Quarnan) a Pers (piccolissimo borgo ora disabitato, anch’esso disperso tra le balze dei Musi). Ho presentato la gita con il titolo: “Alle pendici del Monte Quarnan nella Valle del Torrente Vedronza”. L’altimetria diceva: partenza da Vedronza al Torre (m 320), salita al Monte Stella (m 620) e proseguendo per Flaipano (m 580) si discende al Ponte Romano (m 380) per ritornare a Vedronza. Per invogliare i possibili partecipanti ho scritto nel programma “Attraverseremo il Torrente Tasaraparian, arriveremo sulla cima panoramica di Stella, passeremo presso la chiesa (in realtà è solo il campanile) di Santa Maria Maddalena e scenderemo per sentiero al Ponte Romano che attraversa la Vedronza . Poi, invece di usufruire del ponte stesso, scenderemo lungo il corso del torrente ed infine dovremo guadare il Torrente Drignizza e per due volte la stessa Vedronza. A seconda della portata d’acqua si potrà saltare da sasso a sasso o si dovranno mettere gli scarponi in acqua. Ancora mezz’ora di strada e troveremo la corriera con il cambio asciutto”. La mattina del 15 novembre siamo in 40 (più una assenza giustificata per influenza). Abbiamo superato le mie previsioni. La giornata è naturalmente grigia. Dalla cima dello Stella non si vede niente. Il campanile di Santa Maria Maddalena lo saltiamo per nebbia e prendiamo la discesa (fangosa, quindi scivolosa) verso il Ponte Romano. Raggiunto il Ponte, cerco di captare l’attenzione dei gitanti spiegando la presenza del manufatto in un luogo così sperduto, esortandoli a fotografare questo posto veramente singolare (penso che difficilmente ci ritorneranno) e consigliando la sosta per la merenda, che di solito funziona sempre. Non mi danno molta bada: vogliono la discesa lungo il fiume, vogliono i guadi, vogliono l’avventura. E avventura sia!! Subito. Non c’era sentiero e bisognava arrangiarsi a scendere lungo la sponda destra o sinistra a seconda delle possibilità. Dopo alcuni attraversamenti abbiamo trovato un sentiero dritto e infossato parallelo al corso d’acqua. Non era un sentiero ma un canale che portava l’acqua ad un mulino ora semidistrutto. Giunti sulla strada forestale abbiamo trovato due guadi larghi una decina di metri: chi ha saltato e chi ha “camminato sulle acque”. Come un segno del destino la corriera ci aspettava proprio davanti alla locanda, aperta la domenica. Conclusioni di una gita “anomala”: contrariamente alle nostre abitudini abbiamo fatto la gita assieme, tutti in gruppo, senza fughe in avanti. Si spiega con la nebbia e con il fatto che il sentiero non aveva una sua logica od era inesistente. Tutti dovevano stare vicini all’unico che sapeva dove andare. Nei momenti del bisogno – vedi salti e guadi – abbiamo rinserrato le fila ed abbiamo cercato soluzioni valide per tutti e chi poteva dava fattivamente assistenza a chi era titubante. Di solito nelle nostre gite ognuno cerca la sua personale soluzione. Questo stare assieme, questa attenzione per l’intero gruppo (non uno che sia rimasto attardato), mi ha ricordato l’antico, vero, spirito delle gite sociali: conseguire uno scopo comune condividendo le responsabilità e la soddisfazione per la meta raggiunta. Lo spirito ludico è saltare per non bagnarsi, magari rischiando una magra figura. Ogni salto era preceduto e seguito da grida di incoraggiamento. Sembrava quasi un comportamento da liceali e non da persone sensate come si conviene alla nostra età. E come liceali, dopo l’ostacolo, si rinsaldava lo spirito di gruppo. Le foto che accompagnano questo articolo sono eloquenti. Credo sia auspicabile poter ritrovare questo spirito non competitivo ma di supporto. Ora posso ringraziare Giancarlo De Alti sia per le informazioni che per le foto, Massimo Godessi per la foto sul Ponte e Mariolina per la pazienza. Roberto Sestan Affrettiamoci a rinnovare il bollino 2010! Saremo in regola e coperti dalla nuova assicurazione, parteciperemo alle attività della XXX godendo degli sconti nei rifugi (... Casa Alpina a Valbruna) e nei negozi convenzionati, riceveremo la stampa sociale! Inoltre eviteremo lunghe code in Sede. 12 triestino Alpinismo approfondimenti / rubrica dedicata all’ambiente carsico triestino Dolina Seghini (Šeginov Dol) di Prosecco PREMESSE Tre sono, sull’altipiano carsico triestino, le doline che per la loro notevole estensione si distinguono chiaramente da tutte le altre che lo costellano: “Velike Njive” (Lišček) a nord-est di Aurisina (Nabrežina), “Gladovica” a sud-ovest di Fernetti (Fernetiči) e “Seghini” (Šeginov Dol), immediatamente a nord-ovest dello Scalo Ferroviario di Prosecco. S’aggirano mediamente sui 500-600 metri di lunghezza, sui 300-400 m di larghezza e sui 60-70 m di profondità. Al pari di tutte le altre caratteristiche depressioni che sprofondano nella plaga carsica, esse costituiscono dei mondi a sé stanti e la loro visita, nella varie stagioni, rappresenta un allettante e suggestivo viaggio alla scoperta delle numerose e sorprendenti particolarità da loro custodite e, non di rado, assai ben celate. Soltanto attraverso un’indagine attenta e minuziosa, eseguita con l’occhio esperto di un preparato ed appassionato escursionista, queste peculiarità emergono con limpidezza, contribuendo di conseguenza ad arricchire notevolmente la cognizione del singolare territorio carsico che, come si è potuto appurare in numerosissime altre varie occasioni, non finisce mai di stupire. Della dolina “Gladovica” si è già riferito in un’edizione passata di Alpinismo Triestino (Anno 20, Numero 111, Gennaio-Febbraio 2009). In questa, invece, vengono considerati in particolare i vari aspetti naturalistici della “Dolina Seghini”. ASPETTI MORFOLOGICI E VEGETAZIONALI La “Dolina Seghini” (localmente “Šeginov Dol”) è dunque, per la sua notevole ampiezza e profondità, una delle tre maggiori depressioni dell’altipiano carsico triestino. Le dimensioni, ricavate dall’Elemento 110052 “Prosecco” della Carta Tecnica Numerica Re- gionale (1:5000, 1990-1991), sono le seguenti: lunghezza 600 m (asse sud est – nord ovest); larghezza 450 m (asse sud sud ovest - nord nord est); profondità complessiva 67,2 m, dedotta dalla differenza fra la quota del fondo (177,8 m) e quella del margine nordest (245 m, terrapieno linea-ferroviaria Trieste Centrale-Villa Opicina, all’apice del marcato solco che incide il versante nord-orientale). Per un confronto (Elem. 110013 “San Pelagio” della C.T.R.N. 1990-91), si riportano le dimensioni della “Velike Njive” di Aurisina: lunghezza 525 m (asse sud–nord), larghezza 550 m (asse est-ovest), profondità 66,7 m, ricavata dalla quota del fondo (93,3 m) e quella del margine nord-est (160 m, terrapieno linea ferroviaria). L’esteso fondo pianeggiante della “Dolina Seghini”, un tempo amorevolmente coltivato e ricoperto da un notevole strato di terra rossa, ne spinse purtroppo a più riprese, e soprattutto negli Anni ’60-‘70, l’irrazionale ed indiscriminato prelievo d’ingenti quantità. Così, contravvenendo ai divieti e quindi del tutto abusivamente, una successione continua di autocarri e di altri mezzi scendeva allora lungo la sconnessa strada sino al fondo dell’avvallamento per il prelievo dell’ambita terra, sconvolgendolo progressivamente ed in modo irreparabile. Non solo, ma a tale rovinoso atto contribuivano pure, in maniera rilevante, i patiti del motocross. Anch’essi, in spregio alle proibizioni emanate dalle leggi allora vigenti, scendevano a frotte al fondo della quieta e preziosa depressione ove effettuavano impunemente le loro roboanti e rombanti evoluzioni. Mentre ora sembra cessata la processione degli automezzi per l’asporto della terra rossa, continua ancora, in certi periodi, la reiterata attività dei motocrossisti. Il sistema ecologico dell’avvallamento, già provato per gli squilibri arrecati in precedenza, ne risente viepiù. Ci piace almeno immaginare, di tanto in tanto, la fauna soddisfatta nell’assistere in diretta a qualche maldestra evoluzione degli aspiranti campioni: prova ne è la presenza, qua e là, di parti meccaniche o addirittura di mezzi completi, abbandonati al loro destino in quanto resi inservibili, nonché irriconoscibili, dalla massiva copertura fangosa accumulata durante le spericolate corse a tutto gas. Nel tempo, queste dannose attività produssero, sul fondo sconvolto della dolina, numerose fosse e buche che, in periodi di precipitazioni, dettero origine anche ad estese e capaci raccolte d’acqua. Si vennero così progressivamente a formare alcuni stagni, con la loro singolare ed insospettata biodiversità. Il maggiore e più persistente di essi, nell’ambito di una ricerca sugli stagni e sulle raccolte d’acqua della Provincia di Trieste, promossa negli Anni ’70 dal Museo di Storia Naturale, fu catastato con il N. 81. Alla data del rilievo (10 aprile 1983) esso era lungo 10 m, largo 6,3 m e profondo al massimo 0,55 m. La superficie, piuttosto notevole, era di 50,3 mq ed il volume di 12,8 mc. Riferendosi alla Tav. 1:25000 dell’I.G.M. 40A II SO “Poggioreale del Carso”, Ed. 4-1962, le coordinate geografiche della raccolta d’acqua erano le seguenti: Lat. 45°43’05,0”; long.: 13°44’39,5” E Gr. (1°17’31,1” E M.M.), q. 179 m. Lo stagno, in seguito a successivi scavi, scomparve ed al suo posto ne sopravennero altri che, a loro volta, a seconda dei prelievi, mutavano sensibilmente negli aspetti morfologici. Attualmente, al posto della moltitudine di raccolte d’acqua passate, ne esiste una sola, di forma rettangolare alquanto estesa, le cui dimensioni tuttavia variano nel corso delle stagioni soprattutto in dipendenza dei regimi piovosi. Altre singolari raccolte d’acqua nella dolina sono tuttora costituite da capaci incavi lignei che, soprattutto a nord-ovest, alcuni cerri evidenziano alla loro base; esiste pure qualche vasca da bagno ben interrata, come ad esempio alla fine del solco che scende lungo il versante sud-orientale della depressione. Per scendere nella “Dolina Seghini” e visitarla, l’accesso più agevole è rappresentato dalla sconnessa carrareccia che si diparte a destra, a 550 m ad est dalla strada asfaltata e 300 m prima dei vari attraversamenti ferroviari a livello del vicino Scalo Ferroviario della Stazione di Prosecco. Dopo 200 m di discesa in un ambiente aperto, che peraltro già inquadra molto bene la vastità della dolina ed in particolare i versanti settentrionale ed orientale, si piega bruscamente a destra, praticamente a gomito e, immersi ora in un severo bosco d’alto fusto, dopo ulteriori 200 m si perviene al fondo. Proprio alla fine della stradina, sulla sinistra, si erge in tutta la sua maestosità un notevole esemplare di cer- triestino Alpinismo 13 e le sue particolarità naturalistiche ro (Quercus cerris), che spicca soprattutto nella piena stagione invernale. La sua attuale circonferenza, misurata ad 1,30 m dal suolo, è di 3,40 m. Un altro cerro, distante 150 m a nord-nord-ovest, e pure in prossimità del fondo, era presente sino al dicembre del 1996. Si trattava di un autentico monumento arboreo, ostentando una circonferenza di ben 3,68 m. Passato serenamente a miglior vita, in seguito alla sua notevole longevità, fu ben presto accuratamente affettato. Altri notevoli cerri, ma di dimensioni minori rispetto ai due precedenti, si sviluppano tuttora nell’arioso ambiente situato presso il fondo, alla base dei versanti occidentale e settentrionale. Gli aspetti vegetazionali, che la vasta dolina propone, sono molto interessanti, oltre che variegati. Il versante sud-occidentale presenta una boscaglia rada, costituita in prevalenza, nello strato arboreo-arbustivo, da carpino nero, orniello, roverella, corniolo e, più in basso, dal nocciolo. Il substrato, costellato in più punti da aguzze emersioni rocciose, mette in evidenza una copertura a prevalente sesleria argentina (Sesleria autumnalis). Man mano che si scende verso il fondo, subentra la tipica cenosi fresca dolinare, rappresentata dall’Asaro carpineto (Asaro-carpinetum betuli), ben individuabile soprattutto lungo il basso solco sud-orientale. I carpini bianchi sono qui di dimensioni anche ragguardevoli (90-100 cm di circonferenza) e le specie che s’incontrano, soprattutto nella precoce stagione primaverile, sono numerose e pregevoli. Così, alla base di poderosi cerri e roveri, silentemente fioriscono i bucaneve, le primule, gli ellebori, gli anemoni (con quello aquilegino), i crochi, le scille, gli eritroni, le pulmonarie ed il pungitopo. Il fondo, purtroppo sconvolto a più riprese dagli abusivi prelevatori di terra rossa, offre un mosaico di vegetazione: a quella autoctona si aggiunge l’alloctona ed in qualche caso quella ruderale. Così, ad alcuni ginepri, anche di notevole altezza ed eleganza, si contrappongono ampie zone ad ebbio (Sambucus ebulus) che persistono nel tempo nella parte meridionale della dolina, a contatto con gli scavi sui quali la fa sempre più da padrone il senecio sudafricano (Senecio inaequidens). A settentrione, al limitare del bosco ove si stagliano alcuni notevoli cerri e qualche rovere, si può individuare un manipolo di caratteristici pioppi bianchi (Populus alba), anche sottoforma di plantule. Il versante orientale, situato immediatamente sotto lo scalo ferroviario, mette in evidenza tre marcati solchi, lungo i quali l’acqua piovana si fa strada verso il fondo ed alimenta la grande raccolta d’acqua. Nella boscaglia, non molto fitta, si possono facilmente individuare, per il loro colore verde cupo e soprattutto nella spoglia stagione invernale, alcuni notevoli pini isolati. Gli aspetti vegetazionali di maggior interesse sono tuttavia quelli che si possono osservare lungo gli alti versanti orientale e settentrionale. Esposti direttamente alle intense radiazioni luminose, caldi e secchi, essi mettono in evidenza numerose entità termofile. Così, è possibile imbattersi in parecchi esemplari di leccio (Quercus ilex), nel frequente paliuro (Paliurus spinachristi), nel terebinto (Pistacia terebinthus), in un paio di filliree (Phyllirea latifolia) con, al suolo ed in via di discreta diffusione, alcune stazioni dell’aromatica salvia (Salvia officinalis). Accompagnano queste specie il frequente ligustro e l’acero di Montpellier (Acer monspessulanum). Ad una futura ed attenta indagine vegetazionale, non sarà improbabile constatare l’arrivo e l’insediamento in questi siti del ginepro ossicedro (Juniperus oxycedrus), già peraltro ben distribuito nella grande dolina “Globočak” ad ovest di Bristie (Brišče). La “Dolina Seghini” non include grotte di un certo rilievo. Le imboccature di un paio di modeste cavità si possono individuare alcune decine di metri all’interno del pianoro di fondo, quasi alla base dei versanti occidentale e nord-occidentale. Un minimo interes- se è dato dal “Pozzo in località Bobesče” (1422/4363 VG), collegato al vicinissimo Pozzo II (4717/5548 VG). Più distanti, e decisamente esterni alla dolina, sono il pittoresco Pozzo del Quadrivio (1189/4110 VG, ad ovest), la Cavernetta della Baionetta (5973/6043 VG, a nord-nord-ovest), il Pozzo Rosso (Ceverlanka, 349/1069 VG), la vicina 348/1068 VG e la dimenticata Čeljuna (26/5 VG); queste ultime tre distano 650-700 m a nord-ovest dal fondo della conca. ASPETTI STORICI, ANTROPICI ED ULTERIORI particolarità DELLA GRANDE CONCA Il grande avvallamento fu utilizzato dall’uomo in tempi passati a scopo agricolo e pastorale. Mentre il fondo era assiduamente coltivato, sui versanti settentrionale ed orientale veniva praticato in continuità il pascolo. Immagini risalenti agli Anni ’50 testimoniano tale attività, mettendo in evidenza i luoghi praticamente privi di vegetazione arboreo-arbustiva. Quale retaggio di questa attività, è tuttora possibile qui rintracciare al- cune semplici “casite”, ancora in buono stato di conservazione nonché qualche rustico riparo. Una “casita” che, senz’ombra di dubbio, rappresenta uno degli esempi più suggestivi di tutto il Carso, si trova nella fitta boscaglia di una delle numerose grandi doline che costellano la plaga situata ad ovest dell’avvallamento, nei pressi di un esteso equile. In alcuni punti, la vastissima conca sottolinea frequenti emersioni, a volte gagliarde e pittoresche, che possono rientrare nel novero degli autentici relitti calcarei. Il più appariscente ed insolito monolito si trova sull’alto versante nord-occidentale, al contatto fra la landa e la boscaglia, circondato da qualche pronunciata “griža” (estremo disfacimento di campi carreggiati). Esso si staglia nella zona di contatto tra il soleggiato versante a landa dell’esteso avvallamento e la retrostante rada boscaglia carsica, in prossimità della linea ferroviaria (località “Bobesče”). Veramente imponente ed attorniato da altre ragguardevoli emersioni rocciose, fa bella mostra di sé in questo sito, invero assai poco frequentato. Curioso è il fatto che, adiacente sulla sinistra, è stata ricavata una singolare “casita”, tuttora integra ed al caso pronta per l’uso. Una visita alla grande “Dolina Seghini”, anche se come già detto appare in parte deteriorata e manomessa dall’uomo, è comunque un’interessante esperienza. Trascurando il fondo e girovagando nel corso di una giornata qualunque di una qualsiasi stagione lungo i suoi appartati versanti, che peraltro si presentano integri ed immersi in un confortante ed appagante silenzio, è possibile apprezzare una volta di più ciò che l’altipiano carsico, nelle sue innumerevoli e mutevoli sfaccettature, è in grado di offrire con disinteresse e genuinità a chi lo sa comprendere ed amare. Elio Polli 14 Flash triestino Alpinismo NUOVI ACCOMPAGNATORI CAI DI ALPINISMO GIOVANILE ALLA XXX NUOVI ISTRUTTORI SEZIONALI DI SPELEOLOGIA Il 22 novembre scorso, in occasione del congresso biveneto (Veneto/Friuli Venezia Giulia) di Alpinismo Giovanile, tra i 26 nuovi accompagnatori di AG vi sono anche due triestini trentottobrini: Claudio Bucovaz e Irene Batticci. Nel congratularci con la brava Irene ed anche con Claudio, riteniamo simpatico parteciparvi la battuta che è uscita spontaneamente: “complimenti ma riteniamo sia soltanto un riconoscimento formale a quanto avete saputo dimostrare nella prassi, con passione e dedizione che senz’altro i vostri ragazzi hanno già saputo riconoscere”. Qui un’ulteriore nota è opportuna. Mi riferisco all’ironica riflessione che in altra pagina il pastpresident Claudio Mitri ci propone. Riflessione accompagnata anche dalla vignetta del “pataccaro”. Con ciò significando che, oltre alle patacche (burocrazia forse necessaria o quantomeno opportuna di questi tempi) assumono maggiore importanza quei citati valori di cui sono certamente portatori, fra tanti altri, anche i nostri Irene e Claudio. Siamo quindi certi che la vena ironica del testo ed anche satirica della vignetta, sortirà nei nostri lettori l’auspicata riflessione e non certamente una banalizzazione dei citati imprescindibili valori. Red. In data 18 dicembre 2009 durante la riunione dell’Organo Tecnico Regionale per la Speleologia svoltasi a Trieste presso la sede della Società Alpina delle Giulie, sono stati nominati Istruttori sezionali di Speleologia ben 4 soci del Gruppo Grotte XXX Ottobre. Possono così essere iscritti all’albo regionale degli istruttori sezionali Maddalena Bevilacqua, Roberto Germanis (già accompagnatore di alpinismo giovanile), Luciano Bearzot (anch’egli già accompagnatore di alpinismo giovanile) e Sara Persoglia. A questi si aggiungono ovviamente i 2 Istruttori Nazionali insieme ai 4 Istruttori di Speleologia della Scuola Cesare Prez portando a 10 l’organico della scuola. Complimenti a tutti e buon lavoro per il futuro. Roberto Trevi L’ANGOLO DELLA POESIA Abbiamo ricevuto una breve poesia di Bruna Val sul finire dello scorso anno. Non siamo riusciti ad identificare la gentile lettrice che si complimentava per il fatto di dedicare, quando possibile, uno spazio alla poesia. L’autrice stessa, pur confessando le poche pretese, dimostrava un “genuino sapore della passione e dell’amore per la montagna che ho imparato a conoscere e vivere proprio alla XXX Ottobre”. Cara Bruna, sperando che lei riceva regolarmente il nostro periodico, le confermo che “passione ed amore” vanno sempre ricompensate. dir. ASCENDO Salgo, profumo di bosco. Salgo, più lieve è la mente. Salgo, nel mare di pietra affogo d’incanto. Non è uno scherzo, morrò sapendo che niente è più bello. ❋❋❋ Repetita juvant... Qui vale ripetere la nota che troviamo nel flash a sinistra. Mi riferisco all’ironica riflessione che in altra pagina il past-president Claudio Mitri ci propone. Riflessione accompagnata anche dalla vignetta del “pataccaro”. Con ciò significando che, oltre alle patacche (burocrazia forse necessaria o quantomeno opportuna di questi tempi) assumono maggiore importanza quei citati valori di cui sono certamente portatori, fra tanti altri, anche i nostri Maddalena, Roberto, Luciano e Sara. Paradosso della satira? No, ma siamo certi che la vena ironica del testo ed anche satirica della vignetta, sortirà nei nostri lettori l’auspicata riflessione e non certamente una banalizzazione dei citati imprescindibili valori. Anzi va detto che proprio Roberto e Luciano (oltre a Maddalena che da trentottobrina doc, viene proprio da Alpinismo Giovanile della XXX) essendo già accompagnatori di AG, sono la dimostrazione della necessaria “continuità”. Red. È uscito in questi giorni, con le edizioni Nuovi Sentieri di Belluno, il quarantacinquesimo libro di Spiro Della Porta Xydias. Chi scrive l’ha ricevuto, quale gradito omaggio, dalle mani dell’Autore la sera della conferenza su Emilio Comici (di cui alla cronaca della pagina accanto), della quale Spiro è stato splendido oratore. Nel mentre rimando necessariamente al prossimo numero di Alpinismo triestino la recensione, desidero informare i nostri lettori che la XXX provvederà a fornirsi di un congruo numero di copie da acquistare in segreteria. Il titolo, come si vede dalla riproduzione della copertina, recita IL PONTE DEL DIAVOLO - Leggende tra Carniche e Giulie. Le belle illustrazioni della copertina e degli interni sono di Giuliano De Rocco e la presentazione è di Luciano Santin, nostro stimato redattore. Dir. On-line il nostro sito rinnovato Nella linea del rinnovamento non solo pareti ed ambienti nuovi, ma anche il sito della XXX Ottobre è ora disponibile con nuovi grafica e contenuti. Regalami l’appiglio più ardito per lottare con l’anima, regalami il coraggio di toccare il cielo, regalami il sorriso. Salgo, non è uno scherzo, morrò sapendo che niente è più bello. L’ultima fatica letteraria di Spiro Dalla Porta Xydias Visitate il nuovo sito www.caixxxottobre.it e fateci sapere le vostre impressioni Recensioni di Essedipix MARIO MARTINELLI: “DALLA VITA DI UN JOBRERO” Editrice La grafica triestino Alpinismo Di Mario Martinelli ho scritto anche nell passato numero di “Alpinismo Triestino”. In quest’ altra sua opera ritroviamo i concetti espressi, ma non per questo si tratta di ripetizione. Riprendendo un concetto usato in altro caso, si tratta delle diverse facce di un cristallo, simili per forma e lucida trasparenza, ma differenti per posizione una dall’altra. “Jobrero” viene chiamato l’abitante della Vallarsa, e Mario Martinelli, “jobrero” di nascita e di fede, ci parla ancora – verrebbe da dire in senso bello:ancora e sempre – di questa sua splendida, amata vallata. E anche qui, la caratteristica dell’opera consiste nel fatto che tutto il libro si basa su successive descrizioni dell’ambiente e dei suoi abitanti. Libro che, malgrado l’ assenza di quella che Stanislawsky nomina “azione volitiva”, ho letto di getto, trovando anzi in questa figurazione della natura e dei suoi abitanti un senso di serenità che strappa all’ ansia – per non dire angoscia – della vita civile e ti fa risentire il desiderio nostalgico dell’esistenza più semplice e più genuina in seno alla natura. Naturalmente la linearità della pagina, l’adesione al soggetto della frase aiutano il coinvolgimento completo del lettore. Un libro quindi che va consigliato a chi sente il desiderio dell’ambiente ideale della vita montana e del paesaggio alpino. 15 LODOVICO MARCHISIO: ”INSIEME VERSO LA LUCE... AI CONFINI DELL’ UMANO PENSARE” Edizioni Arti Grafiche San Rocco. Quest’ ultima fatica di Lodovico Marchisio, autore fecondo ed entusiasta, più di ogni sua pubblicazione precedente, svela la sensibilità delicata e quasi morbosa dell’autore. In questo momento materialmente e moralmente difficile della sua vita, Lodovico trova lo sfogo di un’apparente amarezza nella vena di genuina bontà che lo caratterizza e lo distingue nel consesso del rapporto uomo-montagna, non sempre capito ed apprezzato nell’ambiente, proprio per la sua quasi fanciullesca fede nel bene, nell’amicizia, nell’ amore per il prossimo, gli animali, la natura. Alcune delle poesie del testo attingono ad un livello lirico assai elevato; altre, più semplicistiche, ma sempre sensibili, toccano il cuore per l’autentica genuinità. Un libro che possiamo definire etico proprio per la purezza degli ideali che esprime. Poesie che permettono di conoscere un uomo, ripeto, tutto sommato semplice. Ma che proprio nella sua semplicità riesce a trovare l’amore e ad esprimerlo con notevole incisività in questa sua – per il momento – ultima, recentissima opera poetica. EMILIO COMICI NEL 70° ANNIVERSARIO DELLA MORTE Le Ali dell’Angelo lo. Non solo impresa in sé, ma anche ricerca della bellezza. Il Campanile del Sassolungo è stata la sua ultima impresa – si avvia a concludere il relatore – mentre scorrono le belle immagini e la proiezione si sofferma sull’ultima, un rosso tramonto dopo quella di un Emilio Comici sulla vetta ma, stranamente, il volto non è gioioso e denuncia bensì tristezza, quasi presagio dell’imminente tragedia. Un tramonto che prelude ad un’alba, quella dell’inizio di un mito che invece non tramonterà mai. Un lungo applauso premia la fatica di Spiro, che Dopo un’intensa ed emozionante rievocazione del tragico, quanto “banale” incidente che costò la vita – nel pieno della maturità di uomo e alpinista, a soli quarant’anni – ad Emilio Comici, Spiro Dalla Porta-Xydias così ha esordito nel suo intervento alla conferenza dello scorso 26 gennaio: “Io non vi intratterrò sul lungo elenco delle imprese alpinistiche del più famoso rocciatore dell’epopea del VI grado, lo faranno senz’altro bene le due sezioni del CAI a Trieste (la SAG e la XXX), io invece vi parlerò dell’interpretazione etica, della bellezza, che permeavano le salite su pareti spesso inviolate o comunque mai osate su vie disegnate dal romantico concetto ‘della goccia che cade dalla vetta’. Questo è l’aspetto che più caratterizza il mito di Comici”. Sala – la Bobi Mazlen nel prestigioso palazzo Gopcevich, sullo storico canale – gremitissima, tantissimi della Trenta, molti erano rimasti in piedi: un centinaio di spettatori attenti e partecipi. Era la prima manifestazione, organizzata dal GISM (Gruppo Italiano Scrittori di Montagna – Accademia di Arte e Cultura alpina, del quale Spiro è presidente e molti triestini, anche della XXX, ne fanno parte) e dal Comitato Julius Kugy (con la presidente Gianna Fumo, che ha introdotto la serata), per il 70° della scomparsa di Emilio Comici. Un primato, giustamente di Trieste (pronta e partecipe la collaborazione dell’assessorato alla cultura del Comune), che crediamo essere a livello nazionale. Non sono mancate le citazioni delle imprese più significative, nel senso indicato dal relatore, come quella sulla parete Nord del rio Freddo, che entusiasmò il grande Kugy ed il giro delle cengie – già “immaginato” dallo stesso che rimase famoso per l’affermazione di zio Julius a Comici: “avete fatto la Via Eterna, che non ha inizio, né fine”. Ed ancora Spiro ricorda l’impresa sulla parete Nord della Grande di Lavaredo: una lavagna, una via senza cercare di seguire la natura (la fessura, il camino, il diedro…), soltanto la ricerca del senso del bel- ringraziamo per la spendida pagina di cultura della montagna che ha saputo mirabilmente donarci avendo sì un grande “soggetto” in Emilio, ma anche avendo saputo cogliere e trasmettere la “poesia” di Comici: ciò che per lui contava era lo stile (bellezza) che doveva essere almeno pari alla bellezza della parete salita. Roberto Fonda (GISM) triestino Alpinismo 16 AVVISO DI CONVOCAZIONE Martedì 23 marzo 2010 Alle ore 19.30 in prima convocazione ed alle ore 20.30 in seconda convocazione, avrà luogo nella sala Beethoven della Società Germanica di Beneficenza – via del Coroneo 15 (secondo piano) a Trieste la Assemblea generale ordinaria dei Soci dell’ASSOCIAZIONE XXX OTTOBRE - TRIESTE, Sezione del Club Alpino Italiano in Trieste, per la trattazione del seguente ordine del giorno 1) 2) 3) 4) 5) 6) 7) 8) 9) Nomina del Presidente, del Segretario dell’Assemblea e di tre scrutatori; Lettura ed approvazione del verbale dell’Assemblea del 27 marzo 2009; Relazione del Presidente uscente sull’attività 2009: approvazione; Lettura del bilancio consuntivo 2009 e preventivo 2010; Relazione del Presidente del Collegio dei Revisori dei Conti; Approvazione bilanci 2009 e 2010; Ratifica canoni associativi anno 2010; Elezione dei Consiglieri, dei Revisori dei conti e dei Delegati per l’anno 2010; Consegna distintivi ai Soci venticinquennali e cinquantennali. Il Presidente Giorgio Godina DELEGA Il sottoscritto ………………………………………………………………………………………… impossibilitato ad intervenire, delega ……………………………………………………………….. a rappresentarlo il 23 marzo 2010 all’Assemblea Generale Ordinaria dell’Associazione XXX Ottobre - Trieste. Firma……………………….. ✄