triestino
Alpinismo
Gennaio - Febbraio 2010
Anno 21 - Numero 117
EDITO DALL’ASSOCIAZIONE XXX OTTOBRE - TRIESTE
Distribuito gratuitamente ai soci e alle Sezioni del C.A.I. - Prezzo al pubblico € 1,00
•
• SEZIONE CLUB ALPINO ITALIANO, FONDATA NEL 1918
“Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in A.P. – D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB TS”
EDITORIALE
Emilio Comici: l’eredità di un maestro
Si dice che l’attuale crisi esistenziale, lo sperdimento
etico-estetico e civile che caratterizzano il presente
della nostra civiltà, siano da attribuire alla mancanza
di valori. L’osservazione è sicuramente vera, ma incompleta. Mancano, soprattutto, quelli che i valori li
incarnano e mediano nella cultura e nel costume attraverso un comportamento esemplare.
Mancano i maestri, i buoni maestri anzi, che di cattivi ce n’è a iosa.
L’alpinismo, affogato nel risucchio del maelstrom generale, non è indenne da questi mali. Forse può risentirne meno, perché chi raggiunge le altezze riesce almeno un po’ a staccarsi dalle grette piccinerie del contingente. E perché nell’alpinismo ci sono
ancora dei buoni maestri. Trieste, in questo senso,
è stata fortunata: non mancano, nella domestica galleria dei Lari, scalatori che con le loro opere e i loro
scritti possono valere da pietra di paragone fisica e
da conforto spirituale.
La loro eredità morale non è stata dissipata: concluse da poco le celebrazioni per ricordare il secolo e
mezzo dalla nascita di Julius Kugy, si avvicina il settantennale dalla caduta di Emilio Comici in Vallunga.
Kugy e Comici, figure che possono apparire distanti,
e per certi versi antitetiche. Ma l’apparenza inganna.
Entrambi scrittori, l’uno con vena facile e feconda,
l’altro più faticoso, forse, ma ricco di riflessioni e immagini felici (chi scrive ebbe in “Alpinismo eroico” un
vero Bildunsgroman), si collocano pienamente nel
solco della tradizione letteraria giuliana, così ben individuata dal Pancrazi, che ne colse il forte afflato
morale prima che estetico (lo scrittore triestino – disse – chiede alla Musa prima la verità che la bellezza).
In quanto alle concezioni tecniche, è vero che il vecchio dottore sorrideva davanti alla nuova scuola, e
alle acrobazie trapezistiche consentite dalle manovre di corda.
«Comici ha definitivamente dimostrato che la Nord
della Grande di Lavaredo è inscalabile, ma noi, vecchi alpinisti, lo sapevamo già», scrisse con un po’ di
ironia. Ma Comici, quando tornò in free solo sulla sua
via, nel vedere i tanti chiodi che la martoriavano gli
fece eco: «Povera Nord».
Il giovane Emilio, certo, non guardava all’“invito” delle montagne, alle tracce dei camosci, ma alla geometrica perfezione della “goccia d’acqua”, qualcosa come l’O di Giotto trasposto in parete; ad accomunarlo
al grande pioniere sono però il prevalente amore per
le cime, e lo spiccato senso artistico.
Kugy lo visse forse più sul versante poetico e sentimentale, Comici – potremmo dire – su quello figurativo.
Fu il primo, Comici, almeno nella scuola italiana, a
intendere nella scalata una forma di creazione artistica. E forse è questa una delle ragioni per le quali ci
si ricorda di lui. Le altre, certo, sono quelle ben note:
la morte all’apice del fulgore, la creazione della prima
scuola di arrampicata nazionale, in Val Rosandra, e
l’attribuzione della prima salita di sesto grado, quella
N-O alla Sorella di mezzo del Sorapis, vinta quattro
anni dopo la Solleder-Lettenbauer alla Civetta, paurosa pietra miliare dell’“estremamente difficile” (kein
brot per gli italiani, dicevano i tedeschi).
“Colui che arrampicava come avesse le ali di un angelo”, secondo la bella definizione del presidente
DÖAV Franz Rudovsky, si colloca quale snodo naturale tra la stagione esplorativo-romantica, cui appartennero i Lammer e i Kugy, e quella della ricerca
estetico-tecnica che arriva ai nostri giorni.
Quando Comici è bambino, la “vecchia guardia” dei
pionieri è ancora in piena attività (Onkel Julius, ma
anche la “squadra volante” di Cozzi); il tragico volo
in Vallunga precede appena di qualche anno (considerando la cesura bellica) la gara in artificiale estrema tra italiani, svizzeri e francesi in Lavaredo, e le
imprese di Maestri con chiodi ad espansione e compressore.
Un’appartenenza anagrafica e quindi formativa (in
senso passivo e attivo) alle due scuole, che naturalmente può ingenerare qualche contraddizione.
L’amore e il rispetto per la montagna contrapposti alla volontà di sottometterla richiamano il rapporto cacciatore-preda che c’è in Hemingway.
Ma in quale uomo animato da forte sentire non esistono antinomie?
Comici non seguì i principi etici di Paul Preuss, che,
pur nella ricerca delle difficoltà crescenti, ammetteva
per la progressione solo appigli naturali. Fu teso, se
non a cancellare dal suo dizionario la parola “impossibile”, almeno a spostarne continuamente i termini
verso l’alto (Casara ricorda come l’amico Emilio, indicando degli strapiombi giallastri e friabili in val del
Piave, avesse preconizzato il VII grado).
Ma le sue vie rimangono, anche se oggi si “liberano”
per ragioni vuoi di purezza, vuoi di exploit (rischiarono di più gli apritori, però, anche con i passaggi
in artificiale). Un solo nome, quella N-O alla Civetta,
dove Cassin volò, sulle tracce di Emilio, un vero monumento e uno dei pochissimi itinerari cui manca ancora la solitaria invernale.
Rimangono, di Emilio, il suo “senso della montagna”,
l’amore infinito e il rispetto vero che nutrì per l’Alpe,
non misurabile certo in chiodi. Idee e sentimenti che
emergono di frequente dalle sue pagine.
Fu un maestro, un gran buon maestro, Comici. E in
sintesi la sua lezione potrebbe essere forse il motto
dottrinale di Sant’Agostino, trasposto nelle altezze:
«Ama, e fa’ ciò che vuoi».
Luciano Santin
In questo numero
PAG. 2
PAG. 3
PAG. 4
PAG. 5
PAG. 6
Programma escursioni 2010
Capodanno Rose d’Inverno
Ambiente Italia - Il Carso
Inquinamento ipogeo
Sul sentiero Matilde - Trekking
PAG. 7
L’escursionismo: grande passione...
Emilio Comici: celebrazioni del 70°
PAG. 8-9
Le fortificazioni del Vallo Alpino
PAG. 10
Due manuali medici da non perdere
D’ode a destra uno squillo...
PAG. 11
PAG. 12-13
PAG. 14
PAG. 15
PAG. 16
Una gita fuori schema
Dolina Seghini (Šeginov Dol)
Flash - I nuovi titolati
Le Ali dell’Angelo
Avviso di convocazione Assemblea
triestino
Alpinismo
2
Programma escursioni 2010 (prima parte)
Gennaio
(trascorso)
17
LUNGO LA PISTA CICLABILE DELL’ EX
FERROVIA DELLA ROSANDRA
DA CAMPO MARZIO AD ERPELLE
11 ANNI DOPO
Campo Marzio, S. Antonio in Bosco (200 m), Draga S.
Elia (341 m), Erpelle (500 m)
Capogita: Roberto Vernavà
24
CON LE CIASPE SULLA NEVE
DA SAPPADA A FORNI AVOLTRI
Cima Sappada (1300 m), Casera Tuglia (1597 m),
Malpasso (1618 m), Casera Col Mezzodì Alta (1377
m), Casera Col Mezzodì Bassa (1164 m), Forni Avoltri (888 m)
Capogita: Giulio Castagna
31
ITINERARI DELLA MEMORIA:
Il Forte Morosine in Val Dogna
Dogna-Prerit di sopra (467 m), Mincigos (862 m), Stavoli Morosine (910 m) e ritorno
Capogita: Enrico Gruden
28
ITINERARI DELLA MEMORIA: Pradis,
la Battaglia di Pradis e le Grotte
Strada Arzino-Bivio Pielungo (350 m), Pielungo (450
m), Forno (620 m), Fumatins (592 m), Tuscans (650
m), Orton (738 m), Cuel Orton (797 m), Casere Tramontin (793 m), Fruinz (564 m), Casere Stallon-Strada Arzino (383 m)
Capogita: Giancarlo De Alti
aprile
5
lunedì DELL’ANGELO:
Il Monte Castellaro
Capogita: Vito Stefani
11
PRIMAVERA SUL RISNJAK NEL PARCO
DEL GORSKJ KOTAR
Crni Lug-Ingresso Parco (700 m), Rifugio Dom na
Risnjaku (1418 m), Monte Risnjak (1528 m), Rifugio
Dom na Risnjaku (1418 m) e ritorno a Crni Lug per altro sentiero (700 m).
Capogita: AE Tiziana Ugo
18-22 TREKKING ALL’ISOLA D’ELBA
Referente: AE Fulvio Gemellasi
FEBBRaio
7
LUNGO LA BASSA VAL RAŽA, DA
MAJCNI A SAN DANIELE DEL CARSO
Majcni (370 m), Greto del Raža (250 m), Mahniči (237
m), Kobdilj (320 m), Štanjel (311 m), Hruševica (295
m)
Capogita: Giancarlo De Alti
CICERIA SLOVENA:
DA GOLAC A MARKOVŠČINA
Golac (644 m) - Zagrad (730 m), Zabnik (1054 m),
Glavičarka (1082 m), Mala Vrata (995 m), Skandavščna
(600 m), Markovsčna (567 m)
Capogita: Franco Manzin
CIASPE E CASERE SULLE NEVI
DI FORNI DI SOPRA
Capogita: AE Tiziana Ugo
PASSEGGIATA TRA LE VILLE
VICENTINE DEI COLLI BERICI
In collaborazione con il Gruppo Padovano “Giovani
Montagna”
Capogita: Roberto Vernavà
23
IL GRAN MONTE DAL PASSO
DI TANAMEA
Passo di Tanamea (851 m), Sella Kriz (1540 m), Monte Briniza (1636 m), Monte Testa Grande (1565 m),
Sent. 710, Ruderi Casere Cripizza (869 m), Pian dei
Ciclamini (795 m)
Capogita: AE Maurizio Toscano
13
ACQUE E PRATI DELLA BODENTAL,
VALLE DELLE KARAWANKE
Parkplatz Unterloibl (600 m), Teufelbrüke (800 m), Sereinig (1060 m), Bodenbauer (1058 m), Märchenwiese
(1200 m), Bodenbauer (1058 m)
Capogita: Alessandra Bertoni
18
LA GOLA DEL PEKEL PRESSO
BOROVNICA NELLA PIANA DI LUBIANA
Bistra-Borovnica, gola di Pekel (inferno) (317 m), Pristava, Pokojišče (732 m), monte Trebelnik (807 m),
Bistra.
Capogita: Patrizia Ferrari
VIII EDIZIONE DELLA NOTTURNA
AL NANOS
Referenti: AE Maurizio Toscano e Zefferino Di Gioia
SOPRA IL LAGO DI BOHINJ
DA KOČA PRI SAVICA A STARA FUZINA
CON IL MONTE PRŠIVEC
Rifugio Koča pri Svica (653 m), salita per la Komarca e arrivo al lago Nero (1294 m), Rifugio Planina Visevnik (1625 m), Monte Pršivec
(1761 m), Rifugio Koča pri Jezeru (1427 m),
Brezno Vogrju (1054 m), Stara Fuzina (546 m)
Capogita: AE Tiziana Ugo
25
27
24-25
GRANDE TRAVERSATA DA TRIESTE
A LUBIANA: II Tappa;
Senosecchia-Predjama
Senožeče (560 m), Razdrto (575 m), Veliko Ubeljsko (589 m), Malo Ubeljsko (586 m), Strane (656 m),
Šmihel (590 m), Predjama (520 m)
Capogita: Sergio Ollivier
14
21
TREKKING NELL’ISOLA DI CIPRO
con visita di Nicosia, Famagosta,
Larnaka, Paphos.
Referente: Laura Collini
ITINERARI DELLA MEMORIA:
il Pal Piccolo ed il Freikofel
Passo di Monte Croce Carnico (1360 m), Pal Piccolo
(1866 m), Cima del Freikofel (1757 m) con salita per il
versante austriaco e discesa per quello italiano
Capogita: Vito Stefani
21
7
19-26
6
SULLA NEVE NEL TARVISIANO:
Traversata dalla Valle di Riofreddo
alla Val Saisera
Valle di Riofreddo (820 m), Sella Prasnig (1491 m),
Valle del Rio Zapraha, Prati Oitzinger (900 m), Valbruna (800 m)
Capogita: Giorgio Nagliati
marzo
SULL’ ISOLA DI LUSSINO,
PERLA DELLA DALMAZIA
Ossero (2 m), Chiesetta di San Nicola sul Monte Ossero (589 m), Neresine (33 m)
Capogita: Doretta Potthast
gIUGNO
14
SULLA NEVE DI TIMAU: Dalla Pista di
Fondo dei Laghetti a Casera Palgrande
Timau (820 m), Casera Palgrande di Sotto (1536 m),
Casera Palgrande di Sopra (1705 m) e ritorno
Capogita: Giulio Castagna
16
S. STEFANO DI CADORE,
IL MONTE COL
S Stefano di Cadore-località Transacqua (908 m), bivio sopra Prà Grande (1810), Monte Col (2079), Giao
Cornon (1558) Val Grande, Sorgenti di Valle (951m),
Transacqua (908m).
Capogita: Patrizia Ferrari
FINE SETTIMANA
SULLA NEVE DI FANES
Escursione in collaborazione con SAG
Capigita: Brunetta Sbisà e AE Maurizio Toscano
28
MAGGIOLATA TRA I NARCISI
DEL MONTE JOANAZ
Faedis-Canebola (670 m), Bocchetta di S. Antonio
(790 m), Monte Joanaz (1167 m), Rifugio ANA M. Joanaz (950 m), Canebola
Capogita: Annamaria Stefani
30
6-7
ITINERARI DEL CARSO MONTANO:
Roditti ed Artuise
Rodik-Roditti (580 m), Artviže-Artuise (811 m),
Gradiščica (700 m), Brezovica-Bresovizza (513 m),
Slope e ritorno
Capogita: Nevia Depase
9
maggio
PERCORSI DELL’ISTRIA CENTRALE:
una traversata
dall’Istria interna fino al mare
Tizzano-Tičan (337 m), Visignano-Višnjan (356 m),
Grotta Beredine (126 m), Parenzo (2 m)
Capigita: Sergio Ollivier e Roberto Vernavà
20
L’ANELLO DEL MONTE JOUF
A MANIAGO
Maniago (330 m), Forcella della Croce (756 m), Monte
Jouf (1212 m), Malga Jouf (1115 m), Maniago
Capogita: AE Fabio Sidari
27-4
SOGGIORNO NEL PARCO NAZIONALE
DEI MONTI SIBILLINI:
ambiente, storia, cultura, gastronomia.
Organizzazione: AE Maurizio Toscano
2
In Alpinismo triestino n. 119 pubblicheremo il secondo
semestre 2010 a completamento del programma del
Gruppo escursionismo.
triestino
Alpinismo
3
Capodanno delle Rose d’Inverno
18... e ci siamo subito resi conto che il vino..ohi ohi
scarseggiava. Fortunatamente poco dopo sono arrivati i nostri ultimi amici, che hanno fatto uscire dagli zaini
non solo litri di vino, cibo e dolci... ma anche marsala
e grappe fatte in casa. Abbiamo festeggiato, mangiato
e bevuto fino alle 23. Uscendo dal rifugio si potevano ammirare tutte le costellazioni, nessuna esclusa.
Il cielo ci ha regalato una miriade di stelle, bellissime!
E poi... tutti a nanna! Chi prima.... chi dopo.... Mattina colazione tutti assieme e partenza alle 10 per salire alla vetta del Granmonte.Vista spettacolare, cielo
azzurro intenso che, unito alla neve immacolata ci
ha dato delle emozioni fortissime. Ore 12 circa nuovamente al Rifugio dove abbiamo trovato pronto un
pranzo succulento! E, verso le 14, dopo aver rassettato, fatto ordine e raccolto i rifiuti... siamo nuovamente
scesi valle.
Ogni Capodanno delle Rose è un’esperienza unica!
Questa volta aver potuto salutare la fine del nuovo
anno nel cuore dei nostri monti a contatto con la natura e in buona compagnia ci ha regalato due giornate di
relax e felicità. Ci risentiamo nel 2010!!!
...Si ripete la tradizione! Anche quest’anno nelle giornate del 12 e 13 dicembre 2009 il gruppo delle Rose
d’Inverno ha festeggiato il “ proprio” capodanno tra i
monti!
Ci siamo trovati la mattina di sabato per raggiungere Passo Tanamea. Da qui, attraverso il sentiero CAI
711a in due orette di cammino abbiamo raggiunto il
rifugio non gestito ANA Monteaperta sul Granmonte a
circa 1600 m di quota.
Ma non è stato così facile! Ci son voluti lunghi preparativi da parte dell’organizzatrice che hanno permesso, infine, di essere pronti ad affrontare una due giorni
completa di legna e... vino per riscaldarci e tanto cibo
per nutrirci!! A passo Tanamea si discuteva a lungo su
chi avesse lo zaino più pesante... i quasi 40 kg li aveva
uno degli istruttori che, nonostante tutto, manteneva
un agile passo da gazzella. Durante la salita ha distribuito un po’ di legna rallentando così i due fortunati
ometti, destinati al trasporto eccezionale.
Il sentiero, bellissimo e ben segnalato, dopo una salita
iniziale gira verso est e attraversa un bosco di faggi
dove tra leggeri dislivelli prende quota. La neve che a
valle era quasi del tutto assente, poi si presenta soffice ed abbondante. E’ un piacere camminarvi! E sarà
ancora più divertente scendere leggeri e senza il carico di legna e cibo!
Dopo un paio d’ore, tra soste per fotografare questo
magnifico paesaggio, finalmente intravvediamo una
solida struttura. Sarà la nostra casa per due giorni!!!
Subito le corse delle donne al piano di sopra per ac-
caparrarsi il posto migliore nella camerata mentre gli
uomini a circa 5 gradi sotto lo zero, si impegnano a
riscaldare l’ambiente!
Alcuni hanno poi raggiunto la cresta sommitale per
ammirare il tramonto tingere il cielo di un colore viola
intenso. Abbiamo cominciato a mangiare e bere dalle
Erano con noi: Adriana, Alessandro, Chiara, Christof,
Daniela, Dario, Edoardo, Filippo, Francesco, Fulvio,
Giada, Lucrecia, Mariolina, Matteo, Mauro, Morena,
Roberta, Roberto, Serena, Stefano, Vanessa & Bobo
Il Gruppo
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triestino
Alpinismo
GRUPPO GROTTE / RICONOSCIMENTO DA NATIONAL GEOGRAPHIC
Ambiente Italia - Il Carso
Per gentile concessione della National Geographic n. 1/25 gennaio 2010, pubblichiamo
l’articolo al quale hanno collaborato per l’iconografia gli speleologi della XXX Ottobre
DISCARICA IN GROTTA
Splendidi siti ipogei nel sottosuolo carsico, tra Italia
e Slovenia, sono ormai ridotti ad ammassi di rifiuti di
ogni tipo
e propria opera di devastazione industriale, autorizzata e coperta dalle istituzioni: è quello che noi chiamiamo “Sistema Trieste”. Anche da noi, comunque, non
mancano grotte con automobili e simili». Basta infatti
scendere nel Pozzo Mattioli, una cavità non troppo di-
stante dal paese di Gropada, per l’appunto in provincia di Trieste, per rendersi conto che anche dalla parte italiana del confine i rifiuti ingombranti non costituivano un problema di smaltimento: profondo quasi 30
metri, il Pozzo Mattioli è divenuto il luogo per disfarsi
«La bellezza naturalistica del Carso è stata compromessa. Forse per sempre». Roberto Giurastante,
ambientalista dell’associazione triestina Greenaction
Transnational, è lapidario mentre scorre l’elenco delle
grotte inquinate di questa zona che si sviluppa a sud
delle Alpi Giulie, tra Italia e Slovenia. Una lista che Furio Premiani, presidente della Federazione Speleologica Triestina, conosce bene: «Scendo nelle grotte dal
1962 e devo dire che alcune sono dei veri immondezzai. Oggi sono oltre 350 le grotte inquinate, ostruite o
distrutte».
Il Pozzo dei Colombi, il Pozzo del Cristo e il Pozzo
Mattioli sono solo alcuni dei siti ipogei inquinati che
formano il lungo elenco della vergogna: nomi e località
che molti, in questa zona, conoscono perché divenute
pattumiere storiche, in nome di una totale mancanza
di sensibilità verso questi “cieli senza stelle” che si diramano nel sottosuolo. Oggi gli speleologi sembrano
gli unici ad avere a cuore tali unicità naturali; ed è proprio grazie a due di loro, Roberto Trevi e Claudio De
Filippo, del Gruppo Grotte XXX Ottobre sezione C.A.I.
di Trieste, se siamo riusciti a compiere un viaggio negli abissi del Carso, alla scoperta di una realtà nascosta e inquietante.
di macchine, scooter, sedie, reti per materassi e qualsiasi altro tipo di materiale. In sostanza, una vera e
propria discarica.
Per vedere un esempio di quello che Roberto Giurastante definisce “Sistema Trieste” è invece sufficiente
spostarsi di pochi chilometri: gli effetti di questo collaudato meccanismo sono infatti evidenti nel Pozzo
dei Colombi, vicino al paese di Basovizza: «In origine
era uno splendido pozzo di 45 metri cui facevano seguito circa 100 metri di caverna concrezionata», dicono gli speleologi. Oggi chi si cala nel pozzo vede, sul
fondo, un tetro lago di idrocarburi e nafta: l’apertura
verticale è stata spietatamente sfruttata per riversare
al suo interno tutto lo sversamento provocato dall’attentato al terminal petroli della vicina Val Rosandra nel
1972, oltre a immense quantità di liquidi provenienti
dal lavaggio delle caldaie, fanghi industriali e sostanze
chimiche. Alla fine degli anni Novanta venne esegui-
Un itinerario transfrontaliero che parte dalla Slovenia,
dalla grotta Jeriševa Jama, poco distante dal paesino di Kazlje: i primi rifiuti che si scorgono all’ingresso
della cavità sono nulla in confronto a ciò che si cela in
fondo alla voragine, a più di 40 metri di profondità. Automobili, motorini e biciclette giacciono accanto a pezzi di Eternit e vecchi contenitori di sostanze chimiche
pericolose, in uno scenario surreale: un enorme ammasso di rifiuti di ogni genere e di ogni epoca è stato
riversato negli anni e solo una piccola parte della grotta si è salvata dal degrado. Qui, segno di una bellezza
passata, resistono splendide concrezioni fra cui una
rarissima pisolite, la perla di grotta.
«Quello sloveno è un inquinamento più artigianale»,
sottolinea Giurastante. «In Italia si è attuata una vera
Pozzo di idrocarburi e nafta
triestino
Alpinismo
Colata nera dovuta ad idrocarburi
ta una parziale bonifica del pozzo, ma quel lago oleoso rimane lì, a testimonianza del disastro ambientale
del Carso.
«Tutto ciò», sottolinea Giurastante, «è stato possibile grazie all’intreccio tra politica ed economia che, sin
dagli anni Sessanta, ha prima individuato le grotte e
le doline idonee e poi ne ha autorizzato il riempimento
con qualsiasi genere di rifiuto». I risultati di questo perverso sistema sono ora parzialmente nascosta da una
rinaturalizzazione forzata, per mano dell’uomo, o spontanea, naturale: «Ci cammini sopra e non ti accorgi che
sotto i tuoi piedi ci sono delle vere e proprie bombe
ecologiche», dice l’ecologista.
Un ulteriore esempio di questa situazione è il Pozzo
del Cristo, sulla strada che da Basovizza porta a Gropada: nell’inventario delle grotte inquinate è descritta
Pareti e concrezioni annerite da idrocarburi e solventi
la storia di questa cavità. Apertasi spontaneamente
nel 1941, la grotta aveva una certa importanza per
alcune sue particolarità morfologiche e per la vastità
degli ambienti, «tra i quali spiccava una galleria, situata a 10 metri dall’ingresso, e adorna di abbondanti
ed imponenti concrezioni», spiega Giurastante. Ora
lo splendore delle sue pareti è ricoperto da una lunga colata nera che si allunga nefasta, in una scenografia degna dell’Inferno dantesco: il colore tetro delle pareti si accompagna alle letali esalazioni che, in
condizioni di bassa pressione atmosferica esterna, si
sprigionano senza preavviso dalle zone più profonde ed inaccessibili del pozzo. Nafta, idrocarburi, residui di lavorazioni industriali e provenienti da lavaggi di cisterne: per facilitare il lavoro, venne addirittura
costruita un’apposita struttura metallica munita di un
bocchettone, attraverso il quale venivano scaricati i liquidi dalle autobotti
La grotta inquinata di Trebiciano invece non era dotata di una struttura simile, ma questo non ha impedito
di riempirla di idrocarburi: un lago di nafta cosparso di
copertoni è il panorama che si presenta a chi scende nella cavità. Raggiungere la grotta inquinata non
è affatto difficile: a pochi metri da una moderna pista
ciclabile, infatti, qualcuno ha voluto indicare l’ubicazione di questa vergogna con una semplice freccia
e una scritta blu: “Grotta inquinata”. In questo caso
non c’è bisogno né di attrezzature specifiche né di
speleologi: è sufficiente scendere una breve riva e lo
spettacolo indecoroso è davanti ai nostri occhi con le
bianche pareti dell’antro che si specchiano nell’oleoso lago nerastro.
«Trebiciano è il simbolo di questo inquinamento diffuso e organizzato», dice Giurastante. «La dolina vicina
alla grotta è stata utilizzata come un’immensa discarica dal 1958 al 1972, cioè fino al suo completo riempimento». Le doline sono delle depressioni chiuse a
forma di conca che caratterizzano il paesaggio carsico; a voler esser cinici, sono delle perfette pattumiere
naturali, esattamente come le grotte. Una “comodità”
che non è sfuggita a chi, nel corso degli anni, ha eletto queste bellezze a discariche, spesso autorizzate
dalle amministrazioni, in totale disprezzo di ciò che la
natura ha creato secolo dopo secolo.
Per fortuna una parte del patrimonio ipogeo carsico si è salvato, ma rimane comunque senza un’adeguata tutela che ne salvaguardi le caratteristiche e la
preservi dagli attacchi dell’uomo: «Spesso siamo solo noi speleologi che difendiamo le grotte visto che
manca una precisa legislazione in materia», conclude
Furio Premiani. Una difesa che si è concretizzata con
le campagne di pulizia delle grotte più frequentate del
Carso triestino.
Fabio Dalmasso
5
Inquinamento ipogeo
Si dice che la speleologia mondiale sia nata a Trieste.
La prima scuola nazionale di speleologia, infatti, nasce a Trieste negli anni cinquanta grazie a Carlo Finocchiaro, speleologo della Commissione Grotte Eugenio Boegan. Si inizia a parlare di Soccorso in grotta
all’inizio degli anni sessanta grazie a Eraldo Saracco
di Torino, Sergio Macciò di Iesi e guarda caso Marino
Vianello di Trieste del quale recentemente si è commemorata la tragica scomparsa avvenuta il 6 gennaio
1970 sul monte Canin.
Nel 1969 si svolge a Trieste il primo convegno di Soccorso Speleologico. Negli anni a seguire nascerà anche la Commissione Medica Nazionale e tra i fondatori
c’è un triestino, Umberto Tognolli.
Potrei continuare ancora per molto… ma allora viene da chiedersi: “Com’è possibile che proprio in una
città come Trieste, con questa storia e un patrimonio
naturalistico ipogeo stupendo e infinito, nel corso dei
decenni si sia perpetrato uno scempio ambientale?”
Quel Carso amato da tutti, speleologi e non, cittadini e
istituzioni, oggi accoglie Grotte usate come discariche;
solventi, idrocarburi, rifiuti ospedalieri, eternit e altro
ancora riversati nel sottosuolo da chissà chi incurante
dei risvolti ambientali che queste barbare azioni possono creare. “Chi ha permesso tutto ciò? Chi sapeva
ed ha taciuto? E soprattutto perché?”… E’ da questa
premessa che comincia il nostro viaggio nel lungo e
profondo tunnel della vergogna.
Scarico acque nere
Il National Geographic, prestigiosa rivista internazionale, vuole vederci chiaro ed è così che ai primi di
settembre il Gruppo Grotte XXX Ottobre accetta con
piacere di accompagnare i due professionisti Fabio
Dalmasso di Torino (giornalista) e il fotografo Fabio
Liverani di Cesena in questa inchiesta probabilmente scomoda a molti. Ad inizio gennaio viene pubblicato l’articolo e da allora è tutto un susseguirsi di polemiche, domande, ricerche forsennate degli eventuali
colpevoli…
Se ne occupa il Piccolo, il nostro quotidiano locale,
con un paio di articoli; la Procura della Repubblica
apre un’inchiesta; e il sottoscritto, insieme a Claudio
De Filippo, viene più volte contattato come persona
informata sui fatti.
Veramente nessuno sapeva? O abbiamo trascorso
decenni schiacciati dal macigno dell’omertà degli interessi privati? Forse negli anni ’60, ’70 e ’80 non avevamo ancora la cultura della tutela dell’ambiente che
ci circonda?
Dopo questa premessa dovuta mi viene in mente
che anche una buona fetta dell’alpinismo è nata o si
è sviluppata nella nostra bellissima città e soprattutto
nell’amata Val Rosandra. Il progetto della TAV TriesteDivaccia risulta sia approvato, finanziato, soprattutto
legale… Qualcuno ha già pensato ai danni ambientali
che questo progetto potrebbe creare? Non vorrei che
tra qualche anno solo il National Geographic contatti qualche socio dei Bruti della Val Rosandra o delle
Rose d’Inverno per farsi accompagnare in una nuova inchiesta…
Roberto Trevi
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triestino
Alpinismo
GRUPPO ESCURSIONISMO / TREKKING SULL’APPENNINO EMILIANO
Sul “Sentiero Matilde”
affiorante nello spoglio grigiore degli affilati calanchi
(impressionanti quelli disposti attorno a Canossa!), altro il bosco mediterraneo in cui primeggiano querce e
castagni e in cui si aprono la via torrenti che incidono
solchi di forre ombrose. Più in alto brillano al sole i tetti
e i campanili di agglomerati di case e di cascine, spesso vestiti di pietre antiche...
Impressioni ed emozioni si sono articolate in un itinerario che vogliamo succintamente ricordare. Il 12 settembre la “XXX Ottobre” è approdata nella quieta collina di Marola di Casina (base logistica delle successive
escursioni) dopo aver fatto tappa a Reggio Emilia (la
città che ha dato i natali al Tricolore Italiano, qui adottato per la prima volta il 7 gennaio 1797) e a Puianello
(in visita alle locali Cantine Sociali). Il giorno dopo è avvenuto il primo contatto col “Sentiero Matilde”, che ha
portato la comitiva ai Castelli di Sarzano, di Rossena e
di Canossa, ma anche al mulino in pietra di Leguigno e
al caseificio di Cortogno. Lunedì 14 la pioggia ha solo
in parte modificato i piani dei baldi escursionisti: è stata l’occasione per visitare un’altra città ricca di storia e
d’arte – Parma, coi suoi celebri Battistero e Duomo e il
non meno celebre Teatro – e il Castello di Torrechiara
in quel di Langhirano. Martedì 15 il clou delle emozioni escursionistiche: da Quara (già nota ai romani per
le sue fonti termali) giù per le gole del torrente Dolo,
col brivido di un ponte sospeso su corde e la sosta su
quello (più robusto!) di Cadignano, a schiena d’asino,
e la tappa finale della splendida Pieve matildica di S.
Maria Assunta di Toano. L’ultimo giorno non è stato
semplicemente quello del ritorno, per gli amici triestini:
pur sotto la pioggia battente li attendevano due chicche legate in diverso a Matilde, e cioè il monumentale
complesso dell’Abbazia di San Benedetto Po o Polirone (non lontano da Mantova), dove la Gran Contessa
fu sepolta (attualmente le sue spoglie riposano a San
Pietro a Roma), e una sosta libera a Mantova, che ne
vide i natali, anche se la città deve la sua fama e il suo
splendore alla posteriore dinastia dei Gonzaga.
editore:
Sezione XXX Ottobre, Club Alpino Italiano
34125 Trieste, via Battisti 22
tel. 040 635500, fax 040 363982
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Roberto Fonda
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Spiro Dalla Porta-Xydias
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Umberto Pellarini Cosoli, Giampaolo Covelli,
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Giorgio Godina (Geo), Claudio Mitri
Manlio Pellizon, Elio Polli, Adriano Rinaldi, Luciano Santin
Vilma Todero, Sergio Viatori
servizi fotografici:
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grafica e stampa:
Tipografia Opera Villaggio del Fanciullo - Opicina - Trieste
Autorizzazione Tribunale di Trieste n. 776 del 22/2/90
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ASSOCIATO ALL’USPI
UNIONE STAMPA
PERIODICA ITALIANA
6019
“Camminare nella storia si può...”. Così esordiva il foglio programma del trekking sull’Appennino Emiliano,
organizzato tra il 12 e il 16 settembre 2009 da Giorgio
Tassinari e Rosi Sciancalepore della Sezione “XXX Ottobre” del C.A.I. di Trieste, in collaborazione col C.A.I.
di Reggio Emilia. In effetti sono stati cinque giorni d’immersione nel paesaggio naturale e storico che fa da
sfondo alla celebre vicenda della Gran Contessa Matilde di Canossa (1046-1115), che molti ricordano soprattutto quale artefice dell’umiliazione, nel gennaio 1077,
dell’imperatore (suo cugino) Enrico IV di fronte al papa
Gregorio VII, per ottenere la revoca della scomunica
e quindi il ripristino della propria autorità. Comunque
si sia svolto quel drammatico incontro, Matilde ebbe
una personalità fuori del comune che sporge ben oltre
quell’episodio, come hanno potuto accertare gli amici
che, con l’aiuto delle guide triestine e reggiane, hanno
percorso lungo i gioghi dell’Appennino Emiliano-Reggiano una parte del cosiddetto “Sentiero Matilde”, che
collega tuttora una fitta rete di castelli e di torri (iniziata
dall’avo Tedaldo) disposti attorno alla rocca di Canossa, quale formidabile baluardo capace di respingere
le stesse armate imperiali. Donna d’azione le insieme
sapiente amministratrice, dalla vita affettiva travagliata
(ebbe due matrimoni infelici) e tuttavia ispirata da una
fede profonda – si firmava Matilda Dei gratia, si quid
est, ovvero “Matilde, per grazia di Dio se è qualcosa” –
la Gran Contessa ci è venuta incontro non solo nei resti poderosi di fortezze arroccate in luoghi impervi, ma
anche nella pace di abbazie da lei fatte erigere o donate in silenziose oasi di verde, nei testi miniati e negli
affreschi che ne serbano un ritratto severo e insieme
assorto, attraverso il velo dei secoli.
Ma come dimenticare, in questo cammino nella storia,
il paesaggio talora aspro e selvaggio, talora ridente,
delle giogaie appenniniche che l’hanno vegliata? Un
paesaggio che i triestini hanno potuto confrontare con
quello loro più famigliare del Carso e dei monti giuliani e sloveni: altra la natura argillosa del terreno, talora
Ma queste note di diario
– ne siamo sicuri! – non
sono sufficienti a restituire l’atmosfera di calorosa
cordialità a cui hanno contribuito gli amici del C.A.I. di
Reggio Emilia, ponendo un
memorabile sigillo nell’accurata organizzazione di
Giorgio e di Rosi (che ci
hanno fornito una vera enciclopedia di volantini e di
opuscoli per ogni tappa del
trekking): ci sembra tuttavia
d’imprenscindibile importanza formulare alcuni ringraziamenti.
Siamo grati anzitutto al
presidente della sezione
C.A.I. di Reggio Emilia
Gianni Ricco Panciroli per
l’accoglienza e l’accompagnamento durante la visita
al Museo del Tricolore, agli
amici Giuseppe Riccò, Mario Soncini, Carla Bondioli
e Roberto Ferrari che sono stati assai generosi nel
donarci il loro tempo (pur
non dimenticando l’ospitalità del grande sportivo Luigi Rossi). Con loro abbiamo
percorso tratti del “Sentiero
Matilde”, con loro abbiamo
gustato i sapori del lambrusco, del parmigiano reggiano e del culatello (ecco
il terzo aspetto, assolutamente di rilievo, di questo
trekking...). Non ci resta che ricambiare questi amici generosi, invitandoli a Trieste dove il C.A.I. locale li aiuterà
a scoprire non solo i paesaggi del Carso (se già non li
conoscono), ma anche le sue specialità – dalla minestra
di jota alle paste creme, passando per le “lubianske” ed
i “capuzi garbi” – innaffiate dall’aspro terrano...
Bruno Bianco
triestino
Alpinismo
ESAGERAZIONI? / RISPONDIAMO CON LA SATIRA
L’escursionismo:
grande passione... ma quale?!
È arrivato il 2010 e finalmente riusciremo a debellare quello spirito di solidarietà che ha contraddistinto le precedenti generazioni di alpinisti. Ve li ricordate quegli appassionati che si facevano in quattro per
accompagnarvi lungo i sentieri più belli e gratificanti
delle nostre montagne, indicandovi nomi di cime, valli e torrenti, insegnandovi il corretto procedere su terreni impervi ed insidiosi? Forse avete anche avuto la
fortuna di legarvi in cordata con qualche esperto alpinista di quelli animati più dalla ricerca di un rapporto umano con compagni di avventura piuttosto che
dall’attrazione di una via nuova o di una cima inviolata. E ve le ricordate le bevute
e le cantate attorno ai tavolati
dei rifugi, piatto
unico e camerata, acqua calda zero.
Ve li ricordate i montanari
che vi affittavano le loro stanze e che poi ci
tenevano
ad
accompagnarvi in luoghi che
solo loro conoscevano e che
non erano certo segnati sulle vecchie carte militari, datate 1915-18? O
che vi portavano alla mattina
presto ad ammirare il sorgere del sole o gli
animali selvatici
all’abbeverata.
Perché questo
richiamo a tempi ormai trascorsi? Perché tutto ciò non è più né proponibile né possibile. Lo sappiamo tutti come funzionano oggi le cose. Settimane organizzate, pacchetti
tutto incluso, extra facoltativi, telecabine, rifugi con
sdraio e servizi da hotel, menu vari e drink esotici. E
soprattutto equipaggiamento ed attrezzature tecnomoda, a volte adatti alle circostanze a volte meno e
comunque non sempre utilizzabili con competenza.
Ed il CAI? Tutti soci perché “hai lo sconto in rifugio,
sei assicurato e non paghi il soccorso alpino”. Tutto qui? Fosse così crollerebbe in un attimo tutta la
struttura del sodalizio che non avrebbe più motivo di
esistere. L’ambizione del Club alpino è ben più alta e vorrebbe salvaguardare valori e tradizioni anti-
che accompagnando alla montagna con competenza
e sicurezza coloro che da questa esperienza si attendono un arricchimento di conoscenze ma anche
di sentimenti.
Siamo capaci di farlo? Alla luce dei fatti dico di si,
ma fino a quando? E con quale dispendio di energie
e di risorse. In tempi abbastanza remoti molti di noi
hanno percorso le Alte vie dolomitiche con deviazioni
verso qualche cima o qualche via ferrata. Siamo stati degli imprudenti o dei temerari? O addirittura degli
irresponsabili se abbiamo portato con noi l’amico, la
compagna, il figlio. Oggi ci vuole l’Accompagnatore
super etichettato. Una severa
preparazione a
monte per potersi fregiare del
titolo (AE) che
risulterà poi solo parzialmente valido perché
se trovi la neve
allora bisogna
aver
aggiunto alla propria
qualifica anche
quella di esperto per terreno
innevato (AEI)
mentre per la
ferrata bisognerà evitare ogni
coinvolgimento
in quanto, forse,
bisognerà dimostrare di essere
anche provetti arrampicatori (AEA?). E poi
un
frequente
aggiornamento
per conoscere
tutte le diavolerie che le varie
ditte specializzate buttano sul mercato a prezzi sempre più fantasiosi e riescono anche a renderle obbligatorie. Tutto ciò mentre i cari e fedeli capi gita continuano con passione e con generosità a portare i soci
in luoghi sicuri ed a farsi in quattro per creare un allegro spirito di gruppo e di appartenenza.
Lo so che sto suonando note stonate, ma se non
metteremo un po’ di flessibilità e di buon senso nelle
nostre strutture tecniche accelerando quel processo
di uniformità che qualche persona di buona volontà
sta cercando di avviare, credo che non faremo un
buon servizio ai soci ma solo ad un’elite autoreferenziale.
Ciemme
emilio comici:
celebrazioni
del 70°
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Per commemorare Emilio
Comici nel settantesimo anniversario dalla tragica scomparsa, la XXX Ottobre ha deciso di promuovere una serie
di iniziative destinate a ricordare la figura del grande alpinista triestino.
• Il primo pensiero è rivolto ai
giovani di Trieste mediante una serie di incontri programmati presso le scuole medie superiori. L’obiettivo
è di catalizzare l’attenzione degli studenti sul vero significato di alpinismo, sull’etica dell’arrampicata attraverso gli insegnamenti trasmessi da Comici con le sue
memorabili imprese. Qualche uscita sul campo, con
escursioni tra le montagne e le pareti che lo hanno visto indiscusso protagonista, coronerà il ciclo delle
conferenze per i più interessati e meritevoli.
• Oltre a ciò, la personalità umana e alpinistica del fondatore della moderna arrampicata su roccia in Italia
sarà documentata, mediante altre iniziative culturali
promosse dal nostro sodalizio, anche durante tutto il
corso dell’anno.
• La manifestazione finale, ad ottobre, ci vedrà invece
tutti raccolti a Selva di Val Gardena, ai piedi della parete Campaccia in Vallunga, luogo del fatale incidente
alpinistico. Qui la XXX Ottobre inaugurerà il nuovo
monumento in bronzo dedicato a Comici in sostituzione di quello ligneo, posto all’inizio degli anni novanta,
oramai deteriorato dagli agenti atmosferici.
Per la XXX Ottobre onorare Emilio Comici significa,
prima di tutto, rendere omaggio alla propria storia attraverso uno dei più grandi alpinisti italiani e suo socio
fondatore. Un alpinista che ci ha insegnato a concepire l’arrampicata non solo come mero exploit fisico ma
come profondo godimento interiore arricchito da grande sentimento etico ed estetico.
G.G.
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triestino
Alpinismo
TRA NATURA E STORIA A INVILLINO
Le fortificazioni del Vallo Alpino
Il Parco Intercomunale delle Colline Carniche si trova
nell’area compresa tra la confluenza del torrente Degano con il fiume Tagliamento e deve il suo nome alla
dolcezza dei rilievi presenti che formano una serie di
colli esposti al sole e coperti da prati e boschi; il territorio comprende anche una delle più ampie e fertili
piane della Carnia ed assume grande importanza in
quanto crocevia delle due direttrici che conducono rispettivamente verso l’alta Val Tagliamento (e il Cadore) e verso il canale di Gorto. I centri abitati sono Villa
Santina, Invillino, Enemonzo e le sue frazioni: Raveo,
Esemon di Sopra e Lauco. Il territorio del Parco offre al visitatore numerose bellezze naturalistiche quali,
per esempio, i “Piani” (a Raveo) o il laghetto Pineta (a
Villa Santina), assieme a quelle storiche come le tombe celtiche a Lauco od il mosaico a “nodo salomonico”
a Invillino, ma è presente pure una rarità celata nella
sua viva roccia. Uno “spaccato” di storia che ci fa riandare al periodo intercorso tra i due conflitti mondiali e
quello relativo alla cosiddetta “guerra fredda”; si tratta,
infatti, delle “fortificazioni del Vallo Alpino” site a Villa
Santina e precisamente in località Invillino. Retaggio
di un’epoca storica densa di avvenimenti che – proprio nel confine - aveva visto la sua principale fonte di
preoccupazione in relazione ad una possibile aggressione al Regno d’Italia prima, ed alla Repubblica italiana poi. Meandri di cemento armato, torrette, bunker,
feritoie sono il “naturale” patrimonio di codesta fortificazione che, mimetizzata nell’ambiente circostante,
ha segnato per oltre cinquant’anni la zona creando,
quasi, un alone di leggenda sul suo reale dispiegarsi
nel ventre della terra ma, da alcuni anni ormai, grazie
all’Associazione Culturale “X.ma Regio Italica”, è possibile fare un tuffo nella storia e ripercorrere le tappe
che condussero alla nascita del “Vallo”.
La curiosità ci ha portato, quindi, a sentire l’ingegner
Sergio Silvestri, presidente dell’Associazione per capire, innanzitutto, quando è perché e proprio con codesto nome, è nato il sodalizio.
Ufficialmente il sodalizio nasce nel mese di marzo
2003, con l’atto di registrazione dello statuto, mentre le prime escursioni ricognitive, lo scambio di informazioni e la volontà di collaborare, risalgono al 1998.
L’Associazione nasce per dare la forza dell’ufficialità e
della sintesi collaborativa alla passione per la natura,
per la storia e per la tecnologia militare che lega i singoli componenti; spinti, in tale iniziativa, anche dal desiderio di restituire il giusto merito e (diciamolo pure)
onore al soldato italiano cui spesso la Storia ha riservato un’ignominia molte volte immeritata.
L’Associazione si chiama X.ma Regio Italica in quanto si ispira al nome “Venetia et Histria“: la X.ma Regio augustea…… per riportare alla memoria di tutti noi
che, ad ogni passo mosso nel Friuli Venezia Giulia, ricalchiamo le grandi orme dei Romani, ma fondamentalmente perché questa regione conserva ancora oggi
proprio ciò che l’associazione cerca: le tracce di manufatti militari e toponimi che testimoniano il suo ruolo
di baricentro politico, economico e militare quale cerniera e caposaldo della espansione romana verso il
Noricum, l’Illiria e la Pannonia svolto dalla X.ma Regio Italica.
Partiamo del “Vallo Alpino del Littorio” che rispondeva, però, ad un preciso disegno di difesa molto
articolato dei confini del Regno d’Italia ...
Il complesso fortificatorio del VALLO ALPINO del LITTORIO, nasce per rendere “ermetici alcuni passi” e
sbarrare le direttrici di penetrazione attraverso quella
naturale barriera costituita dalle Alpi che già Annibale,
con i suoi elefanti, mostrò quanto fosse vulnerabile;
in attuazione di tale esigenza prendono corpo gli studi specifici e, nel gennaio 1936, si perviene, da parte dell’Ispettorato dell’Arma del Genio, all’emanazione
delle “Direttive Tecniche relative allo studio degli elementi delle sistemazioni difensive”. Il criterio cardine
cui si ispirerà la tipologia di questi manufatti militari sarà il seguente: “la protezione che, le opere di fortificazione, devono presentare al tiro avversario dovrà essere ricercata essenzialmente in un razionale sfruttamento del terreno, sia nei riguardi della sua conformazione che della sua costituzione e sarà perfezionata
col mascheramento e col disseminamento degli obiettivi. Soltanto nel caso che manchino assolutamente
tali possibilità, si dovrà ricorrere ai lavori in calcestruzzo o in cemento armato, evitando di massima l’ado-
I disegni e le foto, del servizio giornalistico
di Massimo Gobessi,
sono dell’ing. Sergio Silvestri.
triestino
Alpinismo
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zione di strutture monolitiche di calcestruzzo e l’impiego dei materiali metallici di corazzatura che possono
giustificarsi soltanto in terreno pianeggiante, o laddove ciò sia imposto da ben definite esigenze della difesa.” Il Vallo Alpino si estendeva da Ventimiglia a Fiume (con opere fortificate presenti anche a Zara) allo
scopo di cingere tutta la frontiera dell’arco alpino ipotizzando, tra gli anni Trenta e Quaranta, scenari di alleanze completamente differenti fra di loro: ecco allora le opere in caverna nell’arco Occidentale delle Alpi nell’ipotesi di attacco da parte della Francia, quelle
attestate nell’arco Nord-Orientale a difesa dall’espansionismo tedesco (l’Austria dopo l’Anschluss era divenuta la “Marca orientale” della Germania) ed infine le
opere orientali a difesa dei confini con il Regno di Yugoslavia. Il dispiegamento difensivo si articolava in tre
zone distribuite secondo la profondità e la loro destinazione: zona di sicurezza: dove si organizza la prima azione di arresto dell’invasore mediante ostacoli
artificiali e distruzione delle opere preposte alla comunicazione; posizione di resistenza: caratterizzata da
una struttura più solida organizzata con centri di resistenza ed un organico tale da poter anche reagire
con azioni di contrattacco; zona di schieramento: la
cui collocazione, come logica conseguenza della dottrina difensiva, viene prevista in pianura così da costituire la zona cui compete la funzione della difesa ultima. L’attesa di funzionalità difensiva delle opere fortificate non contemplava il successo di un arresto della penetrazione del nemico ma semplicemente ci si
attendeva che esse frenassero la calata delle truppe
d’invasione,“accompagnando” il nemico e provocandone la reazione per saggiarne la forza e le tecniche
di combattimento dando, al grosso delle truppe nazionali, il tempo di schierarsi a difesa in pianura.
Terminato il secondo conflitto mondiale una parte di codesto “Vallo” viene però riattato: il pericolo di una invasione del Patto di Varsavia era così
forte?
La regione Friuli Venezia Giulia è stata, dall’epoca della Guerra Fredda fino a pochi anni orsono, proprio a
ridosso di un delicato confine caratterizzato dal rischio
di trasformarsi in teatro di confronto tra le forze della
Nato e le forze del Patto di Varsavia. Non esiste lembo di territorio Nazionale per cui sia più appropriata la
succitata definizione di zona di frenaggio: fascia “sacrificale” della battaglia difensiva organizzata in silenzio, condotta senza clamore alcuno e nell’orgoglio di
coloro che svolsero questo delicato e rischioso servizio, nelle unità di arresto, motivati dalla consapevolezza di svolgere un ruolo a tutela del proprio territorio Nazionale ma anche come sentinelle dell’Europa;
sembra proprio che, se non fosse crollato il “muro di
Berlino” i rischi di una invasione da parte delle truppe
del Patto di Varsavia costituissero un’ipotesi tutt’altro
che remota, fatto testimoniato anche da una imponente corsa agli armamenti da parte dell’Unione Sovietica che produceva da sola un quantità di carri armati (arma principe dell’attacco) superiore a quella
della produzione di tutto il resto del pianeta!
Veniamo, quindi, alla fortificazione presente a Invillino: come è strutturata ...
Si tratta di un’opera in caverna di dimensioni medie:
lunghezza in linea d’aria circa 180 metri lineari, lunghezza lorda (sommando diramazioni corridoi e camminamenti articolati sui diversi piani) circa 400 m, il dislivello tra il punto di accesso e la posizione più bassa
è di circa 30 ml.
L’opera attiva (quella che si difende grazie all’impiego
delle armi e non già con lo spessore delle protezioni
passive: roccia, acciaio e calcestruzzo) è armata con
sei casematte predisposte per mitragliatrice Fiat 35
(rimpiazzate in seguito dalle Breda 37); completano il
corredo difensivo della fortificazione: un osservatorio
e due ingressi attivi che ospitano nelle “caponiere” postazioni multiple di mitragliatrici Breda 30 per la interdizione dell’avvicinamento del nemico ai due ingressi.
La struttura si è mantenuta inalterata nel tempo,
quale testimone della storia di questo fazzoletto di
terra ma soprattutto degli stravolgimenti che hanno segnato il Novecento. È possibile – oggi - visitare la fortificazione sita a Invillino?
In virtù di una convenzione stipulata tra l’Associazione
culturale ed il Comune di Villa Santina è possibile visitare la fortificazione previo appuntamento telefonico
(in qualsiasi momento e stagione dell’anno) contattandomi al seguente numero di telefono: +393349580496,
oppure via E-mail: [email protected]; è possibile, anche, visitare il nostro sito Internet all’indirizzo wwwxregio.org;
infine si può telefonare all’ufficio turistico di Villa Santina +39043374040.
Massimo Gobessi
triestino
Alpinismo
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I MANUALI DEL CAI / NUMERO 18 MEDICINA E MONTAGNA
Due manuali da non perdere
È disponibile la seconda edizione in due volumi del
manuale di medicina di montagna completamente rinnovato rispetto al precedente del 1997. Il lavoro è stato
realizzato dai componenti della Commissione Medica
del CAI: Giangelso Agazzi, Carlo Alessandro Aversa,
Sandro Carpineta, Enrico Donegani, Adriano Rinaldi.
Inoltre, vi è stata la collaborazione di numerosi altri
autori. Scritta in modo semplice, anche se con rigore
scientifico, l’opera illustra le principali problematiche di
tipo medico, talvolta complesse e ancora controverse,
che si possono incontrare nell’ambiente montano.
Dopo la prefazione e le avvertenze, nel primo volume vengono trattati l’ambiente montano, le intossicazioni da funghi e da piante velenose, la folgorazione,
le punture d’insetti, il morso di vipera, alcuni cenni di
meteoropatia e alcuni aspetti delle varie responsabilità legali in montagna. Seguono articoli sull’acclimatazione e sui problemi medici degli anziani, dei bambini, delle donne e dei soggetti psichiatrici in montagna.
Il terzo capitolo parla delle principali patologie d’alta
quota e della loro prevenzione. I successivi capitoli riguardano le patologie da freddo e da caldo, le patologie dermatologiche e oftalmologiche, la traumatologia, i farmaci per il primo soccorso e la rianimazione
cardio-polmonare.
Il secondo volume è dedicato alle principali patologie
croniche con indicazioni e controindicazioni riguardo
all’andare in montagna (cardiopatie, pneumopatie,
diabete, anemie, patologie oculari e tiroidee). Un intero capitolo è dedicato alle patologie neurologiche e
psichiatriche. Nell’ultimo capitolo sono trattati la fisio-
logia dell’esercizio fisico in montagna e l’allenamento,
facendo riferimento anche all’uso dei bastoncini e dello zaino, all’alimentazione e all’idratazione, alla preparazione di un trekking, alla potabilizzazione dell’acqua
e al rischio infettivologico nei paesi tropicali.
Alla fine del secondo volume sono riportati anche i
principali siti web che trattano di medicina di montagna. Il risultato di un lavoro durato più di due anni è
un trattato di medicina di montagna nuovo, completo
e aggiornato, destinato a tutte le persone che amano
frequentare le Terre Alte.
S’ode a destra
uno squillo
di tromba...
Spiro Dalla Porta Xydias: grinta ma soprattutto
Cultura, tanta ed appassionata... e Valori
Unica nota di disappunto è la successiva pubblicazione del manuale di arrampicata (i manuali del Club Alpino Italiano n° 20) nel quale oltre 350 pagine (su un
totale di 960 in due volumi) sono dedicate esclusivamente ad argomenti di Medicina (anatomia, fisiologia,
patologia, terapia, alimentazione, ecc) in una sorta
d’inutile doppione con scarsa corrispondenza fra titolo
e contenuto. Dispiace che in seno al CAI, certe strutture (UNICAI) non attuino una più attenta, scrupolosa
e incisiva attività di controllo sulle iniziative delle varie
Commissioni. In conclusione, ci troviamo con due manuali che, sebbene diversi, trattano argomenti di carattere medico. Il secondo nato poteva essere pubblicato
in un unico volume riportando note di carattere sanitario attinenti e approfondendo di più gli argomenti per
cui era stato concepito.
Speriamo che con il programma di riassetto degli
OTCO del club qualcosa cambi.
1° vol: 448 pp. - 2° vol: 315 pp.
Formato: 13.5 x 21 cm - Prezzo: 40 € (26 € per i soci CAI)
Dott. Adriano Rinaldi
Da tempo non avevamo più curato questa rubrica, proprio perché troppo avvilenti gli strafalcioni e le incongruenze commesse nel nostro ambiente. Purtroppo l’ultima in ordine di
tempo non può essere ignorata vista l’importanza dell’ ente che ne è l’autore.
Infatti l’UIAA, risvegliatasi dal suo letargo in
merito all’essenza fondamentale dell’attività
alpinistica che intende rappresentare a livello mondiale, si è decisa a varare una “Dichiarazione sull’etica dell’alpinismo”. Il documento
consta di 12 articoli ed in pratica riecheggia le
“Tavole di Courmayeur” di nostra buona memoria. Ci sarebbe anche da osservare che su
12 articoli forse due parlano effettivamente di
etica. Ma il bello – o piuttosto il brutto – squillo
risuona purtroppo all’inizio: il manifesto infatti dichiara testualmente: ”Gli alpinisti e gli arrampicatori che praticano il loro sport...” Questo dopo avere un paio d’anni prima votato in
massa la propria contrarietà a fare svolgere
gare di alpinismo in montagna. Per cui l’UIAA
ci mette in imbarazzo: non riusciamo a capire
se si tratta di pura ignoranza, proprio dell’etica di questa nostra attività per cui l’associazione è stata fondata. O più semplicemente della
non conoscenza del senso dei vocaboli usati.
È forse troppo pretendere da questo ente di
portata mondiale un po’ di coerenza o almeno
di rileggere con un po’ di attenzione i proclami
che emana?
Essedipix
Centro Fisioterapico U.I.L.D.M.
Via Carducci, 2 Trieste - Tel. 040 360430 - Fax 040 3724455 - [email protected]
Orario segreteria: da lunedì a giovedì 8.00-18.00 - venerdì 8.00-14.00
F isioterapia e P reparazione S portiva
Trattamenti fisioterapici, rivolti al recupero di traumi e patologie muscolo-scheletrici, quali:
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Valutazione osteo-scheletrica, posturale e muscolare con analisi posturale globale computerizzata
Valutazione fisica generale, test resistenza aerobica, resistenza muscolar e e flessibilità
Rieducazione motoria individuale segmentale e globale
Trattamento ernie discali
Massoterapia, massaggio decontratturante e massaggio tecarterapico
Terapia strumentale: Ultrasuoni, Laserterapia, Tecar Terapia, Correnti diadinamiche, Elettroterapia antaligica
TENS, Ionoforesi, Elettrostimolazione, Idroelettroforesi (antalgica)
Impostazione nutrizionale dello sportivo
Si esegue inoltre la preparazione sportiva di atleti di diverse discipline verso i quali il personal trainer imposta
programmi specifici di allenamento individuali e di gruppo
triestino
Alpinismo
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GRUPPO ESCURSIONISMO / LE VALLI DEL TORRE
Una gita fuori schema
Quando abbiamo compilato il programma gite per l’anno 2009 mi è stato affidata la preparazione di una gita da farsi in novembre – esattamente il 22 – quindi in
giornate molto corte prima delle nevicate.
Dovevo scegliere una località vicina che, nonostante
la bassa altimetria, avesse le caratteristiche di “gita in
montagna”. Giocoforza ho scelto le Valli del Torre: vicine e selvagge.
Mi sono ricordato dell’esistenza di un “ponte romano” e sono andato a fare un sopralluogo. Non è stato facile trovarlo perché questo ponte collega (o meglio collegava) Flaipano (borgo sperduto fra i rilievi del
Quarnan) a Pers (piccolissimo borgo ora disabitato,
anch’esso disperso tra le balze dei Musi).
Ho presentato la gita con il titolo: “Alle pendici del
Monte Quarnan nella Valle del Torrente Vedronza”.
L’altimetria diceva: partenza da Vedronza al Torre (m
320), salita al Monte Stella (m 620) e proseguendo
per Flaipano (m 580) si discende al Ponte Romano (m
380) per ritornare a Vedronza. Per invogliare i possibili
partecipanti ho scritto nel programma “Attraverseremo
il Torrente Tasaraparian, arriveremo sulla cima panoramica di Stella, passeremo presso la chiesa (in realtà
è solo il campanile) di Santa Maria Maddalena e scenderemo per sentiero al Ponte Romano che attraversa
la Vedronza . Poi, invece di usufruire del ponte stesso,
scenderemo lungo il corso del torrente ed infine dovremo guadare il Torrente Drignizza e per due volte la
stessa Vedronza. A seconda della portata d’acqua si
potrà saltare da sasso a sasso o si dovranno mettere
gli scarponi in acqua. Ancora mezz’ora di strada e troveremo la corriera con il cambio asciutto”.
La mattina del 15 novembre siamo in 40 (più una assenza giustificata per influenza). Abbiamo superato le
mie previsioni. La giornata è naturalmente grigia. Dalla cima dello Stella non si vede niente. Il campanile di
Santa Maria Maddalena lo saltiamo per nebbia e prendiamo la discesa (fangosa, quindi scivolosa) verso il
Ponte Romano.
Raggiunto il Ponte, cerco di captare l’attenzione dei gitanti spiegando la presenza del manufatto in un luogo
così sperduto, esortandoli a fotografare questo posto
veramente singolare (penso che difficilmente ci ritorneranno) e consigliando la sosta per la merenda, che
di solito funziona sempre.
Non mi danno molta bada: vogliono la discesa lungo il
fiume, vogliono i guadi, vogliono l’avventura. E avventura sia!! Subito.
Non c’era sentiero e bisognava arrangiarsi a scendere
lungo la sponda destra o sinistra a seconda delle possibilità. Dopo alcuni attraversamenti abbiamo trovato
un sentiero dritto e infossato parallelo al corso d’acqua. Non era un sentiero ma un canale che portava
l’acqua ad un mulino ora semidistrutto.
Giunti sulla strada forestale abbiamo trovato due guadi larghi una decina di metri: chi ha saltato e chi ha
“camminato sulle acque”. Come un segno del destino
la corriera ci aspettava proprio davanti alla locanda,
aperta la domenica.
Conclusioni di una gita “anomala”: contrariamente alle
nostre abitudini abbiamo fatto la gita assieme, tutti in
gruppo, senza fughe in avanti. Si spiega con la nebbia
e con il fatto che il sentiero non aveva una sua logica
od era inesistente. Tutti dovevano stare vicini all’unico
che sapeva dove andare.
Nei momenti del bisogno – vedi salti e guadi – abbiamo rinserrato le fila ed abbiamo cercato soluzioni valide per tutti e chi poteva dava fattivamente assistenza
a chi era titubante. Di solito nelle nostre gite ognuno
cerca la sua personale soluzione.
Questo stare assieme, questa attenzione per l’intero
gruppo (non uno che sia rimasto attardato), mi ha ricordato l’antico, vero, spirito delle gite sociali: conseguire uno scopo comune condividendo le responsabilità e la soddisfazione per la meta raggiunta.
Lo spirito ludico è saltare per non bagnarsi, magari
rischiando una magra figura. Ogni salto era preceduto e seguito da grida di incoraggiamento. Sembrava
quasi un comportamento da liceali e non da persone sensate come si conviene alla nostra età. E come liceali, dopo l’ostacolo, si rinsaldava lo spirito di
gruppo.
Le foto che accompagnano questo articolo sono eloquenti. Credo sia auspicabile poter ritrovare questo
spirito non competitivo ma di supporto.
Ora posso ringraziare Giancarlo De Alti sia per le informazioni che per le foto, Massimo Godessi per la
foto sul Ponte e Mariolina per la pazienza.
Roberto Sestan
Affrettiamoci
a rinnovare il bollino
2010!
Saremo in regola e coperti dalla nuova assicurazione, parteciperemo
alle attività della XXX godendo degli sconti nei rifugi (... Casa Alpina
a Valbruna) e nei negozi convenzionati, riceveremo la stampa sociale!
Inoltre eviteremo lunghe code in Sede.
12
triestino
Alpinismo
approfondimenti / rubrica dedicata all’ambiente carsico triestino
Dolina Seghini (Šeginov Dol) di Prosecco
PREMESSE
Tre sono, sull’altipiano carsico triestino, le doline che
per la loro notevole estensione si distinguono chiaramente da tutte le altre che lo costellano: “Velike Njive” (Lišček) a nord-est di Aurisina (Nabrežina), “Gladovica” a sud-ovest di Fernetti (Fernetiči) e “Seghini”
(Šeginov Dol), immediatamente a nord-ovest dello
Scalo Ferroviario di Prosecco. S’aggirano mediamente sui 500-600 metri di lunghezza, sui 300-400 m di
larghezza e sui 60-70 m di profondità. Al pari di tutte le altre caratteristiche depressioni che sprofondano
nella plaga carsica, esse costituiscono dei mondi a sé
stanti e la loro visita, nella varie stagioni, rappresenta
un allettante e suggestivo viaggio alla scoperta delle
numerose e sorprendenti particolarità da loro custodite e, non di rado, assai ben celate. Soltanto attraverso
un’indagine attenta e minuziosa, eseguita con l’occhio
esperto di un preparato ed appassionato escursionista, queste peculiarità emergono con limpidezza, contribuendo di conseguenza ad arricchire notevolmente
la cognizione del singolare territorio carsico che, come
si è potuto appurare in numerosissime altre varie occasioni, non finisce mai di stupire.
Della dolina “Gladovica” si è già riferito in un’edizione
passata di Alpinismo Triestino (Anno 20, Numero 111,
Gennaio-Febbraio 2009). In questa, invece, vengono
considerati in particolare i vari aspetti naturalistici della “Dolina Seghini”.
ASPETTI MORFOLOGICI E VEGETAZIONALI
La “Dolina Seghini” (localmente “Šeginov Dol”) è
dunque, per la sua notevole ampiezza e profondità,
una delle tre maggiori depressioni dell’altipiano carsico triestino. Le dimensioni, ricavate dall’Elemento
110052 “Prosecco” della Carta Tecnica Numerica Re-
gionale (1:5000, 1990-1991), sono le seguenti: lunghezza 600 m (asse sud est – nord ovest); larghezza
450 m (asse sud sud ovest - nord nord est); profondità complessiva 67,2 m, dedotta dalla differenza fra la
quota del fondo (177,8 m) e quella del margine nordest (245 m, terrapieno linea-ferroviaria Trieste Centrale-Villa Opicina, all’apice del marcato solco che incide
il versante nord-orientale).
Per un confronto (Elem. 110013 “San Pelagio” della C.T.R.N. 1990-91), si riportano le dimensioni della “Velike Njive” di Aurisina: lunghezza 525 m (asse
sud–nord), larghezza 550 m (asse est-ovest), profondità 66,7 m, ricavata dalla quota del fondo (93,3 m) e
quella del margine nord-est (160 m, terrapieno linea
ferroviaria).
L’esteso fondo pianeggiante della “Dolina Seghini”, un
tempo amorevolmente coltivato e ricoperto da un notevole strato di terra rossa,
ne spinse purtroppo a più
riprese, e soprattutto negli Anni ’60-‘70, l’irrazionale ed indiscriminato prelievo d’ingenti quantità. Così,
contravvenendo ai divieti
e quindi del tutto abusivamente, una successione
continua di autocarri e di
altri mezzi scendeva allora lungo la sconnessa strada sino al fondo dell’avvallamento per il prelievo
dell’ambita terra, sconvolgendolo progressivamente ed in modo irreparabile.
Non solo, ma a tale rovinoso atto contribuivano pure,
in maniera rilevante, i patiti del motocross. Anch’essi,
in spregio alle proibizioni
emanate dalle leggi allora
vigenti, scendevano a frotte al fondo della quieta e
preziosa depressione ove
effettuavano impunemente
le loro roboanti e rombanti evoluzioni. Mentre ora
sembra cessata la processione degli automezzi per
l’asporto della terra rossa,
continua ancora, in certi
periodi, la reiterata attività
dei motocrossisti. Il sistema ecologico dell’avvallamento, già provato per gli
squilibri arrecati in precedenza, ne risente viepiù. Ci
piace almeno immaginare,
di tanto in tanto, la fauna soddisfatta nell’assistere in
diretta a qualche maldestra evoluzione degli aspiranti campioni: prova ne è la presenza, qua e là, di parti
meccaniche o addirittura di mezzi completi, abbandonati al loro destino in quanto resi inservibili, nonché
irriconoscibili, dalla massiva copertura fangosa accumulata durante le spericolate corse a tutto gas.
Nel tempo, queste dannose attività produssero, sul
fondo sconvolto della dolina, numerose fosse e buche
che, in periodi di precipitazioni, dettero origine anche
ad estese e capaci raccolte d’acqua. Si vennero così
progressivamente a formare alcuni stagni, con la loro
singolare ed insospettata biodiversità.
Il maggiore e più persistente di essi, nell’ambito di una
ricerca sugli stagni e sulle raccolte d’acqua della Provincia di Trieste, promossa negli Anni ’70 dal Museo
di Storia Naturale, fu catastato con il N. 81. Alla data
del rilievo (10 aprile 1983) esso era lungo 10 m, largo 6,3 m e profondo al massimo 0,55 m. La superficie, piuttosto notevole, era di 50,3 mq ed il volume
di 12,8 mc. Riferendosi alla Tav. 1:25000 dell’I.G.M.
40A II SO “Poggioreale del Carso”, Ed. 4-1962, le coordinate geografiche della raccolta d’acqua erano le
seguenti: Lat. 45°43’05,0”; long.: 13°44’39,5” E Gr.
(1°17’31,1” E M.M.), q. 179 m. Lo stagno, in seguito a
successivi scavi, scomparve ed al suo posto ne sopravennero altri che, a loro volta, a seconda dei prelievi,
mutavano sensibilmente negli aspetti morfologici. Attualmente, al posto della moltitudine di raccolte d’acqua passate, ne esiste una sola, di forma rettangolare alquanto estesa, le cui dimensioni tuttavia variano
nel corso delle stagioni soprattutto in dipendenza dei
regimi piovosi.
Altre singolari raccolte d’acqua nella dolina sono tuttora costituite da capaci incavi lignei che, soprattutto
a nord-ovest, alcuni cerri evidenziano alla loro base;
esiste pure qualche vasca da bagno ben interrata, come ad esempio alla fine del solco che scende lungo il
versante sud-orientale della depressione.
Per scendere nella “Dolina Seghini” e visitarla, l’accesso più agevole è rappresentato dalla sconnessa
carrareccia che si diparte a destra, a 550 m ad est
dalla strada asfaltata e 300 m prima dei vari attraversamenti ferroviari a livello del vicino Scalo Ferroviario
della Stazione di Prosecco. Dopo 200 m di discesa in
un ambiente aperto, che peraltro già inquadra molto
bene la vastità della dolina ed in particolare i versanti settentrionale ed orientale, si piega bruscamente a
destra, praticamente a gomito e, immersi ora in un severo bosco d’alto fusto, dopo ulteriori 200 m si perviene al fondo.
Proprio alla fine della stradina, sulla sinistra, si erge in
tutta la sua maestosità un notevole esemplare di cer-
triestino
Alpinismo
13
e le sue particolarità naturalistiche
ro (Quercus cerris), che spicca soprattutto nella piena
stagione invernale. La sua attuale circonferenza, misurata ad 1,30 m dal suolo, è di 3,40 m. Un altro cerro,
distante 150 m a nord-nord-ovest, e pure in prossimità del fondo, era presente sino al dicembre del 1996.
Si trattava di un autentico monumento arboreo, ostentando una circonferenza di ben 3,68 m. Passato serenamente a miglior vita, in seguito alla sua notevole
longevità, fu ben presto accuratamente affettato. Altri
notevoli cerri, ma di dimensioni minori rispetto ai due
precedenti, si sviluppano tuttora nell’arioso ambiente
situato presso il fondo, alla base dei versanti occidentale e settentrionale.
Gli aspetti vegetazionali, che la vasta dolina propone,
sono molto interessanti, oltre che variegati. Il versante sud-occidentale presenta una boscaglia rada, costituita in prevalenza, nello strato arboreo-arbustivo, da
carpino nero, orniello, roverella, corniolo e, più in basso, dal nocciolo. Il substrato, costellato in più punti da
aguzze emersioni rocciose, mette in evidenza una copertura a prevalente sesleria argentina (Sesleria autumnalis). Man mano che si scende verso il fondo, subentra la tipica cenosi fresca dolinare, rappresentata
dall’Asaro carpineto (Asaro-carpinetum betuli), ben individuabile soprattutto lungo il basso solco sud-orientale. I carpini bianchi sono qui di dimensioni anche
ragguardevoli (90-100 cm di circonferenza) e le specie che s’incontrano, soprattutto nella precoce stagione primaverile, sono numerose e pregevoli. Così, alla
base di poderosi cerri e roveri, silentemente fioriscono i bucaneve, le primule, gli ellebori, gli anemoni (con
quello aquilegino), i crochi, le scille, gli eritroni, le pulmonarie ed il pungitopo.
Il fondo, purtroppo sconvolto a più riprese dagli abusivi prelevatori di terra rossa, offre un mosaico di vegetazione: a quella autoctona si aggiunge l’alloctona
ed in qualche caso quella ruderale. Così, ad alcuni ginepri, anche di notevole altezza ed eleganza, si contrappongono ampie zone ad ebbio (Sambucus ebulus)
che persistono nel tempo nella parte meridionale della
dolina, a contatto con gli scavi sui quali la fa sempre
più da padrone il senecio sudafricano (Senecio inaequidens).
A settentrione, al limitare del bosco ove si stagliano alcuni notevoli cerri e qualche rovere, si può individuare
un manipolo di caratteristici pioppi bianchi (Populus alba), anche sottoforma di plantule. Il versante orientale,
situato immediatamente sotto lo scalo ferroviario, mette in evidenza tre marcati solchi, lungo i quali l’acqua
piovana si fa strada verso il fondo ed alimenta la grande raccolta d’acqua. Nella boscaglia, non molto fitta, si
possono facilmente individuare, per il loro colore verde cupo e soprattutto nella spoglia stagione invernale,
alcuni notevoli pini isolati.
Gli aspetti vegetazionali di maggior interesse sono tuttavia quelli che si possono osservare lungo gli alti versanti orientale e settentrionale. Esposti direttamente
alle intense radiazioni luminose, caldi e secchi, essi
mettono in evidenza numerose entità termofile. Così,
è possibile imbattersi in parecchi esemplari di leccio
(Quercus ilex), nel frequente paliuro (Paliurus spinachristi), nel terebinto (Pistacia terebinthus), in un paio
di filliree (Phyllirea latifolia) con, al suolo ed in via di
discreta diffusione, alcune stazioni dell’aromatica salvia (Salvia officinalis). Accompagnano queste specie il
frequente ligustro e l’acero di Montpellier (Acer monspessulanum).
Ad una futura ed attenta indagine vegetazionale, non
sarà improbabile constatare l’arrivo e l’insediamento
in questi siti del ginepro ossicedro (Juniperus oxycedrus), già peraltro ben distribuito nella grande dolina
“Globočak” ad ovest di Bristie (Brišče).
La “Dolina Seghini” non include grotte di un certo rilievo. Le imboccature di un paio di modeste cavità si
possono individuare alcune decine di metri all’interno del pianoro di fondo, quasi alla base dei versanti occidentale e nord-occidentale. Un minimo interes-
se è dato dal “Pozzo in località Bobesče” (1422/4363
VG), collegato al vicinissimo Pozzo II (4717/5548
VG). Più distanti, e decisamente esterni alla dolina,
sono il pittoresco Pozzo del Quadrivio (1189/4110 VG,
ad ovest), la Cavernetta della Baionetta (5973/6043
VG, a nord-nord-ovest), il Pozzo Rosso (Ceverlanka,
349/1069 VG), la vicina 348/1068 VG e la dimenticata
Čeljuna (26/5 VG); queste ultime tre distano 650-700
m a nord-ovest dal fondo della conca.
ASPETTI STORICI, ANTROPICI ED ULTERIORI
particolarità DELLA GRANDE CONCA
Il grande avvallamento fu utilizzato dall’uomo in tempi
passati a scopo agricolo e pastorale. Mentre il fondo
era assiduamente coltivato, sui versanti settentrionale ed orientale veniva praticato in continuità il pascolo.
Immagini risalenti agli Anni ’50 testimoniano tale attività, mettendo in evidenza i luoghi praticamente privi di vegetazione arboreo-arbustiva. Quale retaggio di
questa attività, è tuttora possibile qui rintracciare al-
cune semplici “casite”, ancora in buono stato di conservazione nonché qualche rustico riparo. Una “casita” che, senz’ombra di dubbio, rappresenta uno degli
esempi più suggestivi di tutto il Carso, si trova nella fitta boscaglia di una delle numerose grandi doline che
costellano la plaga situata ad ovest dell’avvallamento,
nei pressi di un esteso equile.
In alcuni punti, la vastissima conca sottolinea frequenti
emersioni, a volte gagliarde e pittoresche, che possono rientrare nel novero degli autentici relitti calcarei. Il
più appariscente ed insolito monolito si trova sull’alto
versante nord-occidentale, al contatto fra la landa e la
boscaglia, circondato da qualche pronunciata “griža”
(estremo disfacimento di campi carreggiati). Esso si
staglia nella zona di contatto tra il soleggiato versante
a landa dell’esteso avvallamento e la retrostante rada boscaglia carsica, in prossimità della linea ferroviaria (località “Bobesče”). Veramente imponente ed
attorniato da altre ragguardevoli emersioni rocciose,
fa bella mostra di sé in questo sito, invero assai poco
frequentato. Curioso è il fatto che, adiacente sulla sinistra, è stata ricavata una singolare “casita”, tuttora
integra ed al caso pronta per l’uso.
Una visita alla grande “Dolina Seghini”, anche se come già detto appare in parte deteriorata e manomessa dall’uomo, è comunque un’interessante esperienza. Trascurando il fondo e girovagando nel corso di
una giornata qualunque di una qualsiasi stagione lungo i suoi appartati versanti, che peraltro si presentano
integri ed immersi in un confortante ed appagante silenzio, è possibile apprezzare una volta di più ciò che
l’altipiano carsico, nelle sue innumerevoli e mutevoli
sfaccettature, è in grado di offrire con disinteresse e
genuinità a chi lo sa comprendere ed amare.
Elio Polli
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Flash
triestino
Alpinismo
NUOVI
ACCOMPAGNATORI
CAI DI ALPINISMO
GIOVANILE ALLA XXX
NUOVI
ISTRUTTORI
SEZIONALI
DI SPELEOLOGIA
Il 22 novembre scorso, in occasione del congresso biveneto (Veneto/Friuli Venezia Giulia) di Alpinismo Giovanile, tra i 26 nuovi accompagnatori
di AG vi sono anche due triestini trentottobrini:
Claudio Bucovaz e Irene Batticci.
Nel congratularci con la brava Irene ed anche con
Claudio, riteniamo simpatico parteciparvi la battuta che è uscita spontaneamente: “complimenti ma riteniamo sia soltanto un riconoscimento
formale a quanto avete saputo dimostrare nella
prassi, con passione e dedizione che senz’altro i
vostri ragazzi hanno già saputo riconoscere”.
Qui un’ulteriore nota è opportuna. Mi riferisco
all’ironica riflessione che in altra pagina il pastpresident Claudio Mitri ci propone. Riflessione
accompagnata anche dalla vignetta del “pataccaro”. Con ciò significando che, oltre alle patacche (burocrazia forse necessaria o quantomeno
opportuna di questi tempi) assumono maggiore
importanza quei citati valori di cui sono certamente portatori, fra tanti altri, anche i nostri Irene
e Claudio.
Siamo quindi certi che la vena ironica del testo ed anche satirica della vignetta, sortirà nei
nostri lettori l’auspicata riflessione e non certamente una banalizzazione dei citati imprescindibili valori.
Red.
In data 18 dicembre 2009 durante la riunione
dell’Organo Tecnico Regionale per la Speleologia svoltasi a Trieste presso la sede della Società Alpina delle Giulie, sono stati nominati Istruttori sezionali di Speleologia ben 4 soci del Gruppo
Grotte XXX Ottobre. Possono così essere iscritti
all’albo regionale degli istruttori sezionali Maddalena Bevilacqua, Roberto Germanis (già accompagnatore di alpinismo giovanile), Luciano Bearzot (anch’egli già accompagnatore di alpinismo
giovanile) e Sara Persoglia. A questi si aggiungono ovviamente i 2 Istruttori Nazionali insieme
ai 4 Istruttori di Speleologia della Scuola Cesare
Prez portando a 10 l’organico della scuola. Complimenti a tutti e buon lavoro per il futuro.
Roberto Trevi
L’ANGOLO
DELLA POESIA
Abbiamo ricevuto una breve poesia di Bruna Val
sul finire dello scorso anno. Non siamo riusciti ad
identificare la gentile lettrice che si complimentava per il fatto di dedicare, quando possibile, uno
spazio alla poesia. L’autrice stessa, pur confessando le poche pretese, dimostrava un “genuino
sapore della passione e dell’amore per la montagna che ho imparato a conoscere e vivere proprio
alla XXX Ottobre”.
Cara Bruna, sperando che lei riceva regolarmente il nostro periodico, le confermo che “passione
ed amore” vanno sempre ricompensate.
dir.
ASCENDO
Salgo,
profumo di bosco.
Salgo,
più lieve è la mente.
Salgo,
nel mare di pietra affogo d’incanto.
Non è uno scherzo,
morrò sapendo che niente è più bello.
❋❋❋
Repetita juvant...
Qui vale ripetere la nota che troviamo nel flash a
sinistra. Mi riferisco all’ironica riflessione che in
altra pagina il past-president Claudio Mitri ci propone. Riflessione accompagnata anche dalla vignetta del “pataccaro”. Con ciò significando che,
oltre alle patacche (burocrazia forse necessaria
o quantomeno opportuna di questi tempi) assumono maggiore importanza quei citati valori di
cui sono certamente portatori, fra tanti altri, anche i nostri Maddalena, Roberto, Luciano e Sara.
Paradosso della satira? No, ma siamo certi che
la vena ironica del testo ed anche satirica della
vignetta, sortirà nei nostri lettori l’auspicata riflessione e non certamente una banalizzazione
dei citati imprescindibili valori.
Anzi va detto che proprio Roberto e Luciano (oltre a Maddalena che da trentottobrina doc, viene proprio da Alpinismo Giovanile della XXX)
essendo già accompagnatori di AG, sono la dimostrazione della necessaria “continuità”.
Red.
È uscito in questi giorni, con le edizioni Nuovi
Sentieri di Belluno, il quarantacinquesimo libro di
Spiro Della Porta Xydias. Chi scrive l’ha ricevuto, quale gradito omaggio, dalle mani dell’Autore
la sera della conferenza su Emilio Comici (di cui
alla cronaca della pagina accanto), della quale
Spiro è stato splendido oratore.
Nel mentre rimando necessariamente al prossimo numero di Alpinismo triestino la recensione, desidero informare i nostri lettori che la XXX
provvederà a fornirsi di un congruo numero di copie da acquistare in segreteria.
Il titolo, come si vede dalla riproduzione della copertina, recita IL PONTE DEL DIAVOLO - Leggende tra Carniche e Giulie. Le belle illustrazioni
della copertina e degli interni sono di Giuliano De
Rocco e la presentazione è di Luciano Santin,
nostro stimato redattore.
Dir.
On-line il nostro sito rinnovato
Nella linea
del rinnovamento
non solo pareti
ed ambienti nuovi,
ma anche il sito
della XXX Ottobre
è ora disponibile
con nuovi grafica
e contenuti.
Regalami l’appiglio più ardito
per lottare con l’anima,
regalami il coraggio di toccare il cielo,
regalami il sorriso.
Salgo,
non è uno scherzo,
morrò sapendo che niente è più bello.
L’ultima fatica letteraria
di Spiro Dalla Porta Xydias
Visitate il nuovo sito
www.caixxxottobre.it
e fateci sapere
le vostre impressioni
Recensioni di Essedipix
MARIO MARTINELLI:
“DALLA VITA DI UN JOBRERO”
Editrice La grafica
triestino
Alpinismo
Di Mario Martinelli ho scritto anche nell passato numero di “Alpinismo Triestino”. In quest’ altra sua opera ritroviamo i concetti espressi, ma
non per questo si tratta di ripetizione. Riprendendo un concetto usato in altro caso, si tratta delle
diverse facce di un cristallo, simili per forma e lucida trasparenza, ma differenti per posizione una
dall’altra.
“Jobrero” viene chiamato l’abitante della Vallarsa, e Mario Martinelli, “jobrero” di nascita e di fede, ci parla ancora – verrebbe da dire in senso
bello:ancora e sempre – di questa sua splendida, amata vallata. E anche qui, la caratteristica
dell’opera consiste nel fatto che tutto il libro si basa su successive descrizioni dell’ambiente e dei
suoi abitanti. Libro che, malgrado l’ assenza di
quella che Stanislawsky nomina “azione volitiva”,
ho letto di getto, trovando anzi in questa figurazione della natura e dei suoi abitanti un senso di
serenità che strappa all’ ansia – per non dire angoscia – della vita civile e ti fa risentire il desiderio nostalgico dell’esistenza più semplice e più
genuina in seno alla natura.
Naturalmente la linearità della pagina, l’adesione
al soggetto della frase aiutano il coinvolgimento
completo del lettore.
Un libro quindi che va consigliato a chi sente il
desiderio dell’ambiente ideale della vita montana
e del paesaggio alpino.
15
LODOVICO MARCHISIO:
”INSIEME VERSO LA LUCE...
AI CONFINI DELL’ UMANO PENSARE”
Edizioni Arti Grafiche San Rocco.
Quest’ ultima fatica di Lodovico Marchisio, autore fecondo ed entusiasta, più di ogni sua pubblicazione precedente, svela la sensibilità delicata
e quasi morbosa dell’autore. In questo momento
materialmente e moralmente difficile della sua vita, Lodovico trova lo sfogo di un’apparente amarezza nella vena di genuina bontà che lo caratterizza e lo distingue nel consesso del rapporto
uomo-montagna, non sempre capito ed apprezzato nell’ambiente, proprio per la sua quasi fanciullesca fede nel bene, nell’amicizia, nell’ amore
per il prossimo, gli animali, la natura.
Alcune delle poesie del testo attingono ad un livello lirico assai elevato; altre, più semplicistiche,
ma sempre sensibili, toccano il cuore per l’autentica genuinità.
Un libro che possiamo definire etico proprio per
la purezza degli ideali che esprime.
Poesie che permettono di conoscere un uomo,
ripeto, tutto sommato semplice. Ma che proprio
nella sua semplicità riesce a trovare l’amore e ad
esprimerlo con notevole incisività in questa sua
– per il momento – ultima, recentissima opera
poetica.
EMILIO COMICI NEL 70° ANNIVERSARIO DELLA MORTE
Le Ali dell’Angelo
lo. Non solo impresa in sé, ma anche ricerca della bellezza.
Il Campanile del Sassolungo è stata la sua ultima
impresa – si avvia a concludere il relatore – mentre
scorrono le belle immagini e la proiezione si sofferma sull’ultima, un rosso tramonto dopo quella di un
Emilio Comici sulla vetta ma, stranamente, il volto non è gioioso e denuncia bensì tristezza, quasi
presagio dell’imminente tragedia. Un tramonto che
prelude ad un’alba, quella dell’inizio di un mito che
invece non tramonterà mai.
Un lungo applauso premia la fatica di Spiro, che
Dopo un’intensa ed emozionante rievocazione del
tragico, quanto “banale” incidente che costò la vita
– nel pieno della maturità di uomo e alpinista, a soli
quarant’anni – ad Emilio Comici, Spiro Dalla Porta-Xydias così ha esordito nel suo intervento alla
conferenza dello scorso 26 gennaio: “Io non vi intratterrò sul lungo elenco delle imprese alpinistiche
del più famoso rocciatore dell’epopea del VI grado,
lo faranno senz’altro bene le due sezioni del CAI
a Trieste (la SAG e la XXX), io invece vi parlerò
dell’interpretazione etica, della bellezza, che permeavano le salite su pareti spesso inviolate o comunque mai osate su vie disegnate dal romantico
concetto ‘della goccia che cade dalla vetta’. Questo
è l’aspetto che più caratterizza il mito di Comici”.
Sala – la Bobi Mazlen nel prestigioso palazzo
Gopcevich, sullo storico canale – gremitissima,
tantissimi della Trenta, molti erano rimasti in piedi: un centinaio di spettatori attenti e partecipi. Era
la prima manifestazione, organizzata dal GISM
(Gruppo Italiano Scrittori di Montagna – Accademia di Arte e Cultura alpina, del quale Spiro è presidente e molti triestini, anche della XXX, ne fanno
parte) e dal Comitato Julius Kugy (con la presidente Gianna Fumo, che ha introdotto la serata), per il
70° della scomparsa di Emilio Comici. Un primato,
giustamente di Trieste (pronta e partecipe la collaborazione dell’assessorato alla cultura del Comune), che crediamo essere a livello nazionale.
Non sono mancate le citazioni delle imprese più
significative, nel senso indicato dal relatore, come
quella sulla parete Nord del rio Freddo, che entusiasmò il grande Kugy ed il giro delle cengie – già
“immaginato” dallo stesso che rimase famoso per
l’affermazione di zio Julius a Comici: “avete fatto
la Via Eterna, che non ha inizio, né fine”. Ed ancora Spiro ricorda l’impresa sulla parete Nord della
Grande di Lavaredo: una lavagna, una via senza
cercare di seguire la natura (la fessura, il camino,
il diedro…), soltanto la ricerca del senso del bel-
ringraziamo per la spendida pagina di cultura della montagna che ha saputo mirabilmente donarci
avendo sì un grande “soggetto” in Emilio, ma anche avendo saputo cogliere e trasmettere la “poesia” di Comici: ciò che per lui contava era lo stile
(bellezza) che doveva essere almeno pari alla bellezza della parete salita.
Roberto Fonda (GISM)
triestino
Alpinismo
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AVVISO DI CONVOCAZIONE
Martedì 23 marzo 2010
Alle ore 19.30 in prima convocazione ed alle ore 20.30 in seconda convocazione, avrà luogo nella sala Beethoven della
Società Germanica di Beneficenza – via del Coroneo 15 (secondo piano) a Trieste la
Assemblea generale ordinaria
dei Soci dell’ASSOCIAZIONE XXX OTTOBRE - TRIESTE, Sezione del Club Alpino Italiano in Trieste, per la
trattazione del seguente
ordine del giorno
1)
2)
3)
4)
5)
6)
7)
8)
9)
Nomina del Presidente, del Segretario dell’Assemblea e di tre scrutatori;
Lettura ed approvazione del verbale dell’Assemblea del 27 marzo 2009;
Relazione del Presidente uscente sull’attività 2009: approvazione;
Lettura del bilancio consuntivo 2009 e preventivo 2010;
Relazione del Presidente del Collegio dei Revisori dei Conti;
Approvazione bilanci 2009 e 2010;
Ratifica canoni associativi anno 2010;
Elezione dei Consiglieri, dei Revisori dei conti e dei Delegati per l’anno 2010;
Consegna distintivi ai Soci venticinquennali e cinquantennali.
Il Presidente
Giorgio Godina
DELEGA
Il sottoscritto …………………………………………………………………………………………
impossibilitato ad intervenire, delega ………………………………………………………………..
a rappresentarlo il 23 marzo 2010 all’Assemblea Generale Ordinaria dell’Associazione XXX Ottobre - Trieste.
Firma………………………..
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triestino - CAI XXX Ottobre