4 Una figlia di tutti noi 6 Femminicidio: fenomeno mondiale di Angela De Giacomo e Luigia Rosito Autorizz. Tribunale di Rossano Reg. Periodici N. 02/03 - 25 marzo 2003 Sede: Via Machiavelli (Centro Eccellenza) Tel. 0983.031492 - CORIGLIANO CAL. (Cs) www.mondiversi.it - [email protected] Direttore Responsabile: CARMINE CALABRESE Direttore Editoriale: LUISA SANGREGORIO Redazione: RAFFAELLA AMATO, ENZO CUMINO, ANGELA DE GIACOMO, CRISTIAN FIORENTINO, DEBORAH FURLANO, ANTONIO GIOIELLO EMILIA PISANI, GIOVANNI PISTOIA, LUCA POLICASTRI, ADALGISa Reda, Mario Reda, FRANCESCO SOMMARIO Grafica: GIOVANNI ORLANDO Stampa: TECNOSTAMPA L.go Deledda - Tel. 0983.885307 Corigliano Scalo Copertina a cura di Luca Policastri a cura di Angela De Giacomo 18 Elezioni a Corigliano 20 La libertà di non votare 22 Anffas: dieci anni di storia Frattini in un saggio 24 Alberto di Pasquale Tuscano di Cosimo Esposito di Gianni Gallina Fabiana, 8 Ciao sei nei cuori di tutti noi! appello 9 Fabiana: della Chiesa calabra 10 Assassino è chi uccide 26 Corigliano-Schiavonea Calcio in Eccellenza di Enzo Cumino di Franco Liguori Centro di Women’s Studies “Milly Villa” Unical, Cosenza di Cristian Fiorentino di Sandrino Fullone di Giuseppe Gaccione violenza sulle donne Trofeo Nazionale 11 La è una sconfitta per tutti 27 parrucchieri del Sud Italia dal passato 12 Nel ricordo di Fabiana 28 SiCronache apre il sipario: le recite scolastiche di fine anno Calabresi: 14 Donne nello sport da sempre emancipate Orizzonti poetici 30 aperta di ringraziamento 16 Lettera dei familiari di Fabiana l’ora Legale 33 Fabiana e il minore nel processo penale 17 In ricordo di Enzo Viteritti di Cinzia D’Amico di Anna Policastri di Cristian Fiorentino a cura di Angela De Giacomo di Enzo Cumino di Raffaella Amato ph Alfonso Di Vincenzo 4 Una figlia di tutti noi di Angela De Giacomo e Luigia Rosito Fabiana, un delitto orrendo. Una tragedia che disorienta, che sconvolge, che va oltre. Sono stati giorni tristi quelli di fine maggio. Un ragazzo uccide barbaramente una ragazza, la sua fidanzata. Incredulità, rabbia, sdegno, sconvolgimento e l’incapacità di trovare una spiegazione a tanta efferatezza. “Una figlia di tutti noi”. Con queste parole, Mario Luzzi papà di Fabiana, ricorda la sua bambina. Si perché quel tragico 25 Maggio, quando in tarda serata si diffondeva la notizia del ritrovamento e del brutale assassinio della giovane, ci siamo sentiti tutti madri, padri, sorelle, fratelli di Fabiana. Un evento violento che ha scosso e toccato da vicino la nostra comunità, la nostra regione, la nostra Terra. Un fatto che ha sconvolto le menti e le coscienze di tutti, indistintamente, che ha unito, creato vicinanza, che ha stretto in un unico grande abbraccio la famiglia Luzzi. Come se Corigliano volesse proteggere e proteggersi, come se tutte le barriere naturali di distanziamento di un popolo crollassero davanti al rumore assordante e nello stesso tempo silente del dolore, uniti nella solidarietà per la perdita di quella figlia che “voleva vivere, che voleva ballare”, che voleva continuare il cammino dell’età. In Italia si parla di 1 donna uccisa ogni due giorni. Un fenomeno mondiale a cui è stato dato il nome di femminicidio. Termine che a molti non piace, ma che richiama direttamente l’essenza di queste morti: uccise perché donne. Assassinate perché appartenenti al genere femminile. Ridicolo chi ha scritto e pubblicato articoli che collocavano il delitto di Fabiana in un quadro di sottocultura specifica del Sud. Becera propaganda, esibizionismo indegno. La sociologa americana Diana Russell ritiene che ciò che accomuna tutte le donne uccise per femminicidio è di essersi prese la libertà di decidere cosa fare delle proprie vite, di essersi sottratte al potere e al controllo del proprio padre, partner, compagno, amante ….Per la loro autodeterminazione, sono state punite con la morte. Marcela Lagarde, antropologa messicana, considerata la teorica del femminicidio, sostiene che “la cultura in mille modi rafforza la concezione per cui la violenza maschile sulle donne è un qualcosa di naturale, attraverso una proiezione permanente di immagini, dossier, spiegazioni che legittimano la violenza, siamo davanti a una violenza illegale ma legittima”. Il femminicidio secondo Marcela Lagarde è un problema strutturale, che va aldilà degli omicidi delle donne, riguarda tutte le forme di discriminazione e violenza di genere che sono in grado di annullare la donna nella sua identità e libertà non soltanto fisicamente, ma anche nella loro dimensione psicologica, nella socialità, nella partecipazione alla vita pubblica. Sembrano affermazioni di altri tempi. Come se i grandi mutamenti storici degli ultimi cento anni non avessero ridisegnato lo status femminile conferendogli piena dignità civile, alla pari di quello maschile. Come se le lotte delle donne per il diritto al voto, all’istruzione, per l’estensione di orizzonti culturali, per la parità di diritti, di opportunità e di indipendenza economica, non avessero prodotto cambiamenti culturali significativi. Come se la crescente presenza delle donne in ruoli di primo piano nella vista sociale, economica, culturale e politica non fosse una definitiva conquista di parità e di piena dignità. Ma tanto non è così che la Convenzione di Istambul, recentemente ratificata dal nostro Parlamento, nel Preambolo dice “… che il raggiungimento dell’uguaglianza di genere de jure e de facto è un elemento chiave per prevenire la violenza contro le donne”. Una affermazione appunto che individua nel rapporto di parità non raggiunto la causa della violenza contro le donne. Ma nonostante ti aiuti con queste spiegazioni a cercare un perché, per quanto ti sembra di riuscire a capire, arrivi ad un punto oltre il quale non riesci ad andare. Hai la sensazione che ci sia una diversità, una differenza, una specificità nella storia che vivi tu e queste teorie, che la nostra storia non centri nulla con le teorie. Eppure non puoi fare a meno di osservare che le caratteristiche, le modalità, gli stereotipi culturali sono identici. Un ra- gazzo che non sopporta che una ragazza si neghi, che si possa rifiutare, che si “arroga” il diritto di decidere di sé, che “pretende” di volere essere libera di decidere da sè. E ti sembra assurdo ma vero che un ragazzo del 2000 non comprenda e non rispetti un principio così elementare: che un ragazzo ed una ragazza godono della stessa libertà; che un uomo ed una donna sono uguali, che hanno gli stessi diritti. Forse Fabiana è morta per questo, per affermare che lei poteva scegliere e autodeterminarsi, come un maschio. Ma ti accorgi che nemmeno questo ti basta. Ci sono fatti che non riescono ad entrare nella nostra testa, ci ruotano attorno, rimuginiamo nella mente, ripetiamo ossessivamente. Ti manca quella continuità necessaria a dare senso alla nostra esistenza. C’è qualcosa che spezza l’ordine ed i significati che attribuiamo alla vita. Se vuoi raccontare la cronaca, il luogo, ricostruire i particolari dell’accaduto; se vuoi lanciarti a giudicare, ad inveire, ad imprecare, a condannare; ti viene. Ma se provi a fermarti. Se riesci a vedere quella lotta. Se provi a smettere a giudicare, ad inveire, ad imprecare, a condannare. Se provi a sentire in quel momento in quei momenti quel cuore, quei cuori che battono; quelle emozioni, quella paura; quella freddezza; ad immaginare il pensiero, i pensieri, le parole. Se provi ad udire quella disperazione e quelle implorazioni respinte, cadute nel nulla. Senti di trovarti sull’orlo di un buco nero. Che ti risucchia nelle profondità dell’animo umano, del suo essere, delle sue perversioni: natura e contronatura. Prova a metterti lì, a partecipare, a guardare, senza giudicare. E senti che il respiro ti manca. Hai la sensazione di scivolare. Senti di scendere nell’abisso. Meglio rimanere sopra, tirarsi indietro. Ma se per un solo attimo sei stato lì, se per un po’ hai tremato, ti accorgi di trovarti di fronte un limite. Ti accorgi che tutte le spiegazioni non sono sufficiente a colmare lo smarrimento che ti avvolge, a fare luce nell’ignoto che ti si para davanti. Le coscienze dei cittadini coriglianesi sono e resteranno profondamente turbate da tutto ciò che è successo. La popolazione tutta, ha risposto con gesti di solidarietà, di partecipazione, di vicinanza, non nascondendo sentimenti, oltre che di incredulità, anche di ribellione.Allora perché questa morte non lasci tutto come prima. Affinché aggiunga e non tolga qualcosa alla nostra comunità, è necessario riflettere seriamente sul perchè di tanta violenza soprattutto nei riguardi delle donne. Bisogna aprirsi a nuove e più vaste analisi, individuare nuovi percorsi educativi, ponendosi come obiettivo la realizzazione di nuove prospettive culturali, nuovi percorsi formativi non di violenza, di odio, di rabbia, di indifferenza, ma di sostegno alla dignità di ogni cittadino e in special modo alla vita e alla dignità delle donne. I gesti di tante persone, le manifestazioni di partecipazione al dolore sono stati fondamentali. Hanno fatto sentire tutti più vicino, in un diffuso vissuto di comunione. Ma c’è qualcosa a cui una comunità è chiamata, oltre la commozione, la solidarietà, la vicinanza, la condivisione. Ogni giorno nella nostra Città ci sono donne che subiscono violenza. Che subiscono maltrattamenti, abusi. Che rimangono sole. Che facilmente vengono dimenticate. Per ognuna di loro c’è qualcosa che possiamo fare. Prima. Femminicidio: fenomeno mondiale a cura di Angela De Giacomo Il femminicidio è un fenomeno mondiale. Secondo una stima della Small Arms Survey, sessantaseimila donne e bambine vengono uccise ogni anno nel mondo, una cifra enorme che rappresenta circa un quinto di tutti gli omicidi (396mila). Si tratta di un numero approssimativo perché l’informazione in molti Paesi è carente, nel mondo, poi, ci sono interpretazioni diverse della definizione del termine femminicidio e a volte mancano le risorse per avere statistiche attendibili. A livello istituzionale, in molti paesi, non vengono raccolti i dati in modo sistematico sull’incidenza e sulle caratteristiche di questo tipo di reati. Spesso si fa riferimento alle informazioni trasmesse dall’ONU (Organizzazione delle Nazioni Unite) e dall’ OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità). Secondo tali informazioni, a guidare la classifica degli omicidi femminili sono i paesi dove il tasso di criminalità è tra i più alti come il Sud Africa, il Sud America, i Caraibi e l’America centrale. In questi Paesi le donne vengono attaccate nei luoghi pubblici da bande criminali o da gang in un clima che sembra loro garantire l’impunità. Tra i singoli Paesi al primo posto c’è El Salvador con 12 feminicidi ogni centomila donne, seguito da Jamaica, Guatemala, Sud Africa, e dalla Federazione Russa. Al contrario in Francia e in Portogallo, dove il tasso dei femminicidi è più basso, è proprio una persona conosciuta, con cui si è avuta una relazione a commettere violenza nell’80% dei casi. Secondo le Nazioni Unite, infatti, la metà delle donne uccise in Europa tra il 2008 e il 2010 è morta per mano di qualcuno che la “amava”. È ormai ampiamente noto che, secondo i dati diffusi dall’OMS, l’omicidio da parte di persone conosciute costituisce la prima causa di morte delle donne tra i Grafico 1 16 ed i 44 anni a livello mondiale. È stato calcolato che, globalmente, ogni 4 anni un numero di donne pari alle vittime dell’Olocausto viene ucciso per motivi di “genere”. Laurel Weldon (professoressa di Scienze Politiche presso l’Università dell’Indiana e vicepresidente del GIGR – GLOBAL INSTITUTE FOR GENDER RESEARCH) sostiene che “in Europa gli assalti sessuali, lo stalking e la violenza nelle relazioni intime rappresentano un rischio più alto del cancro: il 45% delle donne europee nel corso della vita subirà una qualche forma di violenza fisica o sessuale. Le stesse cifre valgono per il Nord America, l’Australia e la Nuova Zelanda”. In molti Paesi del Vecchio Continente, invece, resiste il tabù culturale che tende a considerare la violenza domestica una questione privata con la conseguenza di non denunciare i fatti. E in Italia? Partiamo col dire che in Italia non esiste un osservatorio nazionale sul femminicidio come in altri paesi ad Grafico 2 esempio Spagna e Francia, ma i dati vengono raccolti da associazioni e gruppi di donne basandosi esclusivamente sulle notizie riportate dai mass-media. Tale metodologia fa supporre una forte sottostima dei reati ti tale genere, in quanto solo una parte degli omicidi sono riportati dalla stampa. Secondo i dati raccolti dalla “Casa delle donne di Bologna” dal 2005 al 2012 i casi di femminicidio sono stati 778 (vedi grafico 1). Nella maggior parte dei casi il movente era scatenato da un conflittualità di base nel rapporto di coppia, (vedi grafico 2). Il carnefice viene sempre identificato in percentuale maggiore nel marito, convivente, fidanzato o nell’ex, (vedi grafico 3). Se localizziamo il fenomeno per Regione, secondo i dati Istat, la percentuale di donne che ha subito violenza fisica o sessuale da un partner attuale o precedente, è maggiore nelle zone del nord e centro Italia (Emilia, Toscana, Friuli, Liguria, Valle d’Aosta), ma minore nelle regioni del sud e nelle isole, (vedi grafico 4). Nel giugno del 2012, nel corso della 20° sessione Grafico 3 del Consiglio dei Diritti Umani presso la sede delle Nazioni Unite a Ginevra, con riferimento al ““Rapporto tematico annuale sugli omicidi basati sul genere”, all’Italia è stato “rimproverato” il fatto che le donne sono troppo spesso rappresentate come oggetti sessuali e che permangono stereotipi che hanno un impatto schiacciante sul ruolo della donna e sulle responsabilità che essa ha nella società e nella fami- glia, complici le dichiarazioni dei politici, che alimentano assai spesso il profondo dislivello tra i due sessi. Come si evince dai dati statistici relativi ai casi di “femminicidio” registrati nel nostro Paese, nell’80% dei casi gli autori sono uomini con cui le vittime avevano intrattenuto o intrattenevano ancora una relazione sentimentale, mentre il 70% dei femmincidi avvengono in un contesto in cui servizi o forze dell’ordine sono già stati preavvertiti del rischio. In alcuni casi sono responsabili i figli, questi ultimi più spesso per motivi di carattere economico o per problemi mentali. In una pressoché irrilevante percentuale di casi l’autore è persona sconosciuta (vedi grafico 3). Grafico 4 Ciao Fabiana, sei nei cuori di tutti noi! Lettera del dirigente dell’Istituto Tecnico Commerciale “L. Palma” ai suoi studenti 8 Mie care ragazze, miei cari ragazzi, il dolore per la nostra Fabiana è profondo. Ieri, oggi non sono giorni come gli altri, domani e i giorni seguenti saranno giorni diversi da quelli che potevano essere se quanto accaduto non fosse accaduto. Il nostro animo è sconvolto e possiamo solo immaginare il dolore immenso di tutti i suoi cari, dei suoi genitori, delle sue sorelle e di Marika, anche lei qui a scuola con noi. Notizie di tragedie incomprensibili, di atrocità inaccettabili ne sentiamo continuamente al telegiornale, ma mai pensiamo che possa accadere a noi, a una di noi. E’ successo! So bene che siete tutti attoniti, increduli e infuriati, sia che Fabiana fosse una vostra amica, sia che non lo fosse, perché comunque ci apparteneva, perché frequentava il nostro Istituto, perché viveva a Corigliano, perché era una bella, dolce e vivace ragazzina di neanche 16 anni con le fragilità, i desideri, le inquietudini e i sogni di una sedicenne...e, credevamo, con una vita davanti a sé. La sua vita invece é stata spezzata in modo atroce, ignobile. Fabiana è andata via senza poterci salutare, senza che ci fosse permesso di baciarla. Ci é stata rubata, lasciando in tutti noi un vuoto incolmabile, che possiamo però provare a riempire dei suoi ricordi, di tutti quei ricordi che quanti di voi l’hanno conosciuta vorranno regalare a tutti gli altri, non esitate a parlare di lei, a scrivere di lei, pensando a lei diventate dei fiumi in piena, date sfogo al vostro dolore raccontando tutti i bei momenti vissuti insieme e, se ce ne sono stati, anche quelli meno belli, anche i più brutti, raccontate ciò che provate in questo momento, la vostra rabbia, la vostra indignazione. Ma soprattutto, non cercate di placare questo dolore, portatelo con voi affinché vi renda forti, Fabiana: appello della Chiesa calabra Lettera al Corriere della Sera del Vescovo Santo Marcianò della Diocesi Rossano-Cariati in riferimento alla lettera inviata da Francesca Chaouqui. affinché possa servirvi a non permettere a NESSUNO di calpestarvi, di offendervi, di mancarvi di rispetto in alcun modo! Allontanate senza indugio chiunque vi faccia violenza con le parole, anche solo con il tono della voce, con i gesti... con le mani. Voi siete troppo preziose/i per permettere ad altri di mortificarvi, anche solo di sfiorarvi. Non esitate a chiedere aiuto. E’ incredibile, ma è sotto i nostri occhi, la morte può nascondersi dietro un dichiarato, ma inesistente amore, perché l’amore che limita, l’amore che impone, l’amore che picchia, che fa male, che costringe e che grida, ...l’amore che nega la vita non è amore, l’amicizia che nega la dignità e non rispetta l’essere umano non è amicizia, scappate al primo segnale e non abbiate paura, il vero amore, così come l’amicizia autentica, lo incontrerete e lo riconoscerete perché è fatto di dolcezza e di carezze, di sguardi sinceri e di sorrisi, di fiducia, di parole belle e di libertà. Oggi vorrei che la nostra scuola possa sembrare, senza Fabiana, deserta. Siate uniti e silenziosi oggi, domani e i prossimi giorni. Vi voglio bene. «A Corigliano si è consumata una tragedia. Una tragedia simile a tante altre che stanno affollando le pagine dei nostri giornali. Una tragedia particolarmente crudele per il modo in cui è avvenuta. Una tragedia che non ha giustificazione e che, ancora una volta, ha per vittima una donna. A dire il vero, ha come vittima una ragazzina, una bambina quasi; e anche come carnefice ha un ragazzino. Assieme allo sgomento, al dolore infinito che sta invadendo il cuore di tutti, e a maggior ragione invade il cuore di un vescovo, è doveroso fermarsi per una riflessione. Anch’io l’ho fatto e lo sto facendo, chiedendomi se in qualche modo la terribile morte di Fabiana non avrebbe potuto essere evitata; chiedendomi cosa fare perché tante altre morti simili possano essere evitate. Tra le tante domande e risposte, tra le tante riflessioni una, in verità, non ha mai sfiorato i miei pensieri: credere che la spiegazione di quanto è accaduto sia da ricercarsi nelle pieghe nascoste della cultura e dell’educazione di quella Calabria che, a dire il vero, appare ingiustamente bersagliata da alcune opinioni espresse in questi giorni, in particolare dalla lettera inviata al Corriere dalla calabrese Francesca Chaouqui. Non conosco questa persona, né so quanto ella ha nel cuore e quale sia la sua esperienza, che in ogni caso rispetto. Ma non riconosco nelle sue parole quella che a me pare la verità profonda di questa terra e della sua gente. Corigliano non è un paese arroccato sui monti e quasi fantasma, ma una cittadina ricca di storia e di arte, con notevoli potenzialità turistiche e imprenditoriali, piena di negozi, bar, edifici dignitosissimi: è tra i comuni più ricchi della Calabria e di tutta Italia; più volte, da vescovo, ho avuto modo di sottolinearlo, anche nel desiderio di spingere i cuori ad aprirsi alla condivisione e alla solidarietà. I ragazzi delle nostre famiglie, delle nostre scuole, delle nostre chiese, sono come tutti gli altri: capaci di gioire della loro età, di interrogarsi sul senso dell’esistenza, a volte di sbagliare in alcune scelte, di vivere relazioni sincere e mature; sono cuori generosi, pronti ad aprirsi all’accoglienza, al volontariato, agli altri, magari anche spalancando le porte agli stranieri i quali, sempre più, affollano le nostre coste; sono intelligenze luminose di uomini e donne che sanno sognare in grande. Sì, è vero: più che in altre parti d’Italia, sono pochi quelli che restano, bisogna spesso emigrare per affermarsi, per trovare lavoro, non di rado per studiare. Ed è questa la piaga grande del Sud. Ma se i nostri giovani conquistano un ruolo fuori dal loro ambiente non è perché cambiano laddove arrivano ma perché portano lì ciò che sono e quanto hanno ricevuto qui, in questa terra che è la loro terra! La tragedia di Fabiana e Davide non nasce, dunque, dall’arretratezza di un luogo del Sud Italia che prevarica la donna ma, assieme alle tragedie di tante donne e non solo di tante donne, nasce forse dalla povertà, dall’aridità di un tempo, il nostro, che rifiuta di riconoscere quei valori assoluti che, soli, possono ergersi a difesa della dignità di ogni creatura, dalla più piccola alla più fragile, e della dignità e del significato delle relazioni umane. Non c’è più tempo da perdere! La salvezza di questo tempo sta in una decisa e profetica inversione della rotta educativa, perché essa sia disegnata da una cultura rispettosa e fiera di promuovere e difendere incondizionatamente il valore della vita umana, di riscoprire il significato profondo di una sessualità vissuta con pienezza di significato, di educare all’amore non come un puro emotivismo sul quale germoglia ogni egoismo ma come scelta di spendersi e donarsi per l’altro. La Chiesa, anche la Chiesa di questa fetta di terra calabra, chiama a raccolta tutti: la famiglia, la scuola, le istituzioni, perché la battaglia educativa può essere vinta solo da tutti insieme. E chiama a raccolta tutta la nostra gente perché la tragedia di Fabiana non si esaurisca in parole di protesta, di ribellione, magari di vendetta, ma si trasformi in esperienza di prossimità verso chi soffre, di recupero e perdono verso chi ha sbagliato, portando alla luce quel senso di accoglienza e di carità che è un tratto— questo sì — caratteristico e splendido del cuore della nostra gente». Assassino è chi uccide Ovunque: attenzione agli stereotipi che diventano pregiudizi ph Alfonso Di Vincenzo di Sandrino Fullone Centro di Women’s Studies “Milly Villa” Università della Calabria, Cosenza 10 L’omicidio di Fabiana Luzzi ci interroga e ci fa riflettere. Crediamo che in questi casi sia necessario rispettare il dolore di una famiglia e di una comunità. Come Centro di Women’s Studies “Milly Villa” non possiamo tuttavia tacere rispetto alla costruzione e alla (ri) produzione del discorso pubblico a cui stiamo assistendo in queste ore. Non possiamo dare spazio alla costruzione del discorso mediatico che possa anche solo minimamente legittimare una posizione o rafforzare stereotipi e pregiudizi. C’è sempre un pericolo nascosto quando si esprime un giudizio o un’opinione che diventa pubblica: il pericolo del non approfondimento, della rinuncia a conoscere. Il pericolo è quello dell’inerzia o della frettolosità che fa irrigidire la definizione della realtà, investita emozionalmente da chi la esprime, in puro pregiudizio. L’omicidio di una donna è tale ovunque accada: non è il luogo a stabilire naturali predisposizioni. Non è biologia, né cultura naturalizzata. E’ violenza, e la violenza non conosce appartenenze territoriali o regionali. Assassini lo si diventa quando si uccide. E’ per questo che come Centro sottolineiamo il pericolo nascosto all’interno di ogni stereotipo che diventa pregiudizio: il pericolo di un razzismo che nasconde la realtà e che non permette di leggerla nelle sue tante dimensioni. Riteniamo indispensabile ripensare alle categorie attraverso le quali leggiamo la violenza di genere, attraverso cui proviamo a comprendere i cambiamenti nelle relazioni, nelle dinamiche di potere, di riconoscimento, di costruzione di una idea di relazione affettiva come possesso e dominio. Essere situate in una terra come la Calabria significa anche decostruire un immaginario legato alle donne del sud, agli uomini del sud, alle dinamiche tra i generi. A Sud, ma non solo. Significa decostruire concetti come quelli di emancipazione, per approfondire le diverse forse di dominio da cui liberarsi, ed uscire dalla logica che ci rende libere o oppresse nelle rispettive scelte di partire o restare. Significa decostruire quella visione ricorrente (a cui sembra che due ‘importanti’ giornali nazionali siano ormai affezionati) che tende a svalutare e razzizzare i sud – e la Calabria in particolare – confinan- doli in una costruzione discorsiva che li vuole immobili, depauperati, senza storia, stretti dalla morsa del patriarcato. Significa, per lo stesso motivo, anche sfuggire ai discorsi che si arroccano intorno a una ‘presunta’ identità ferita, a una ‘calabresità’ offesa e da difendere: anche in questo caso il rischio è quello di ‘naturalizzare’ la Calabria, annullare le criticità, i chiaroscuri, la forza di un paradigma eterosessista declinato al maschile. Come Centro di Women’s Studies dell’Università della Calabria speriamo che da questa orrenda vicenda si possa avviare una riflessione seria a partire dal linguaggio utilizzato dai media: parlare non di amore, di gelosia, di passione, ma di violenza, rabbia, calcolo e orrore. Speriamo che da qui si possa rimettere al centro la vita delle donne, la dignità delle persone, a partire dall’individuazione di nuove prospettive di analisi, dalla proposta di percorsi formativi ed educativi, dal sostegno ai centri Antiviolenza, rafforzando ciò che esiste e resiste, spesso a fatica. Rinnoviamo la nostra vicinanza alla famiglia di Fabiana, e a tutte le vittime di femminicidio. I ricorrenti fatti di femminicidi, di stupri e di altre forme di violenza di genere non possono più essere vissuti come avvenimenti episodici, frutto di una irrazionalità soggettiva senza nesso tra causa ed effetti. Le cause di tali “crimini” affondano le radici nel tempo, sono una manifestazione dei rapporti di forze storicamente diseguali tra i sessi. Se resta lodevole l’impeto della esecrazione e la partecipazione collettiva al dolore che colpisce le famiglie, c’è da dire che manca un progetto culturale e sociale di lunga leva che scavi in sedimentazioni strutturali basate sull’idea dell’inferiorità della donna o su modelli stereotipati dei ruoli delle donne e degli uomini. Nell’attuale momento storico ormai il fenomeno è uscito definitivamente dall’oscurità e dal sommerso, oggi può essere indagato nelle sue dinamiche e nei meccanismi che lo sottendono avendo ormai superato una concezione che lo facesse ascendere alla devianza e alla psicopatologia. La soluzione, se così posso dire, non è più quella delle politiche socio-sanitarie o criminali, c’è un mutamento di prospettive sul quale si deve lavorare; la violenza contro le donne, infatti, non è una tra le tante violenze possibili: si tratta di violenza di genere, di violenza sessista compiuta da un genere contro un altro genere, di uomini contro donne. Un approccio strategico e diffuso richiede un riposizionamento terminologico nuovo rispetto a quello usato sino ad oggi (abuso coniugale, maltrattamenti in fami- glia, abuso sessuale sui minori). Fu per lunghissimo tempo nascosto il carattere di genere della violenza. Il punto strategico-culturale (ammesso che ciò sia voluto) deve andare nella direzione di costruire una radicata e forte presa di coscienza della esigenza di ridefinire lo statuto della relazione tra sessi facendo vivere le differenze non come un disvalore ma come una risorsa. I processi di cambiamento devono andare verso una cultura di genere per superare quella “maschio-centrica” che persiste nella società attuale. Questa è la sfida ed è una sfida difficile anche perché riguarda tutti; non basta più non sentirsi colpevoli o condannare la violenza quando la commettono altri. Da uomo affermo che la violenza è un problema “nostro, di noi uomini”. Le leggi servono sino ad un certo punto. Se nel nostro piccolo mondo (ma non è così) vogliamo anche noi dare un segnale di responsabilità, il tema bisogna affrontarlo partendo dalla propria condizione di uomini e costruire luoghi di opportunità, di confronto, di iniziativa e relazioni di genere, ovvero “costruire” su basi nuove una creativa alleanza tra sessi e una diversa civiltà di rapporti, senza indulgere al vittimismo, alle semplificazioni dicotomiche (uomini colpevoli in blocco, donne deboli e vittime), convinto che la violenza sulle donne è innanzitutto uno violenza dei diritti umani che coinvolge tutti gli strati e gli ambiti della società, da quello familiare a quello del lavoro. Ho accettato l’invito a scrivere un pezzo su un tema che ha visto Corigliano teatro del barbaro femminicidio di Fabiana (sul quale pregiudizi ingiustificabili sulla cultura ed il modo di vivere del Sud ne hanno proposto una lettura parziale ed infelice), non per riecheggiare l’avvenimento in sé, ma per lanciare un messaggio ed una proposta: Fabiana continuerà ad essere tra gli umani nel fare concreto di tutti i giorni, se si attiva una mobilitazione sociale in un Comunità dove operano sensibilità culturali, valori, stili, relazioni che aspirano a riscattarsi e a costruire un nuovo rapporto tra passato e futuro. ph Alfonso Di Vincenzo La violenza sulle donne è una sconfitta per tutti 11 ph Alfonso Di Vincenzo Nel ricordo di Fabiana di Cinzia D’Amico* 12 Molti di noi dell’ITC “L.Palma”, ieri silenziosamente ci siamo incamminati per raggiungere il Palazzetto dello Sport e attendere lì l’arrivo di Fabiana per poterle rivolgere il nostro ultimo saluto. I ragazzi avevano organizzato tutto con grande amore e cura, in momenti come questi di immenso dolore riescono quasi a sorprenderci, tirano fuori il meglio di sè, la loro incredibile sensibilità li mette in moto, mai come oggi ho percepito il loro senso di appartenenza alla comunità, alla scuola, il senso pieno dell’amicizia come valore vissuto con profondità. Hanno dimostrato con la loro compostezza, con la loro intraprendenza e con l’autenticità dei loro sentimenti, insieme agli studenti di tutti gli altri Istituti scolastici, di essere il cuore pulsante della nostra bella e vivace cittadina. I nostri ragazzi sono incredibilmente fantastici, ci lamentiamo spesso perché vorremmo che studiassero con maggiore impegno e responsabilità, ma li amiamo sempre e incondizionatamente per la loro genuinità e semplicità, per il loro esserci sempre e insieme al momento giusto. Certo come educatori è dura rendersi conto che non sempre si riesce a comprendere il loro stato d’animo e le loro inquietudini, eppure la nostra disponibilità e capacità di ascolto è grande, anzi è davvero ciò che esigiamo da noi stessi nel nostro agire quotidiano, ma con Fabiana tutto questo non è bastato. Nei giorni scorsi vari rappresentanti di testate giornalistiche e delle televisioni locali e nazionali hanno sollecitato interviste e richiesto dichiarazioni, il nostro dolore ci ha fatto scegliere la strada del silenzio e del raccoglimento, il nostro unico pensiero è stato quello di dare sostegno ai nostri studenti, aiutarli a gestire il confuso e burrascoso alternarsi di sentimenti contrastanti che inevitabilmente in circostanze come queste affollano gli animi ed è ciò che continueremo a fare da qui in poi, perché di certo ci attendono giorni difficili, aspettiamo il ritorno dei ragazzi della 1^A e di Marika, la sorellina di Fabiana, sappiamo bene che per tutti loro questa scuola non sarà più la stessa. Il nostro Istituto dialoga spesso con la stampa e i media (il Sole 24ore e il Corriere della Sera vengono letti da anni quotidianamente in classe dai nostri studenti) e il nostro rispetto per il loro lavoro e per il diritto di informazione e di cronaca è altissimo, pur non condividendone sempre lo stile e i contenuti, di certo prima di pubblicare una lettera esasperata e con troppe falsità come quella di Francesca Chaouqui forse si sarebbe dovuto pensare che non era giusto provocare l’indignazione di una popolazione già sofferente, non fosse altro che per il fatto che l’arrivo di una figlia femmina è sempre e incondizionatamente accolto con immensa gioia e come un dono prezioso di Dio, e che proprio una figlia femmina se ne stava tristemente andando. E potete immaginare anche l’amarezza di tutti noi quando la lettera ha trovato ampio spazio ad Uno Mattina, eppure Franco Di Mare, ospite del nostro Istituto per l’annuale “Incontro con l’autore” edizione 2011, ha conosciuto la città di Corigliano e la sua gente da cui è stato accolto con grande entusiasmo, come non difenderci, come non esprimere alcun sentimento di vicinanza a noi, né una parola di conforto? Anzi come ha potuto definire la lettera “straordinaria” senza dubitare neanche di fronte alla replica convinta e appassionata di Arcangelo Badolati? È stato più forte di me, nonostante la stima, l’affetto e il bellissimo ricordo che ho di lui, non ho resistito e gli ho scritto per esprimergli la mia grande delusione e per dirgli che “l’unica verità è che Fabiana era una ragazzina di neanche 16 anni che è stata brutalmente uccisa e che sognava forse di vivere altrove o forse no, forse sperava di realizzare il suo sogno: quello di diventare una brava ballerina, forse semplicemente sognava di crescere, magari senza aver mai pensato di allontanarsi dalla sua città e dai suoi affetti, non lo sapremo mai.” Nella lettera che ho rivolto ai miei studenti subito dopo il terribile fatto, pubblicata sul sito web della scuola, ho detto loro: “Fabiana ci é stata rubata, lasciando in tutti noi un vuoto incolmabile, che possiamo però provare a riempire dei suoi ricordi, di tutti quei ricordi che quanti di voi l’hanno conosciuta vorranno regalare a tutti gli altri, non esitate a parlare di lei, a scrivere di lei, pensando a lei diventate dei fiumi in piena, date sfogo al vostro dolore raccontando tutti i bei momenti vissuti insieme e, se ce ne sono stati, anche quelli meno belli, anche i più brutti, raccontate ciò che provate in questo momento, la vostra rabbia, la vostra indignazione.” Ecco, in futuro, se i ragazzi lo vorranno, potranno esserci momenti di riflessione e di racconto da parte loro che non esiteremo a valorizzare anche pubblicamente, e saremo grati alla stampa e a quanti vorranno aiutarci a far ciò, ma chiediamo in questo momento di comprendere e rispettare la nostra scelta, quella della riservatezza e del silenzio. Grazie a tutti per la comprensione e in particolare a quanti, tanti, ci hanno voluto attestare la loro vicinanza e il loro affetto, è vero che in questi momenti le parole danno grande conforto. *Dirigente ITC “L. Palma” Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica Istanbul, 11 maggio 2011 (Pubblichiamo gli articoli 12, 13 e 14 – relativi alla Prevenzione) Articolo 12 – Obblighi generali 1. Le Parti adottano le misure necessarie per promuovere i cambiamenti nei comportamenti socio-culturali delle donne e degli uomini, al fine di eliminare pregiudizi, costumi, tradizioni e qualsiasi altra pratica basata sull’idea dell’inferiorità della donna o su modelli stereotipati dei ruoli delle donne e degli uomini. 2. Le Parti adottano le misure legislative e di altro tipo necessarie per impedire ogni forma di violenza rientrante nel campo di applicazione della presente Convenzione commessa da qualsiasi persona fisica o giuridica. 3. Tutte le misure adottate ai sensi del presente capitolo devono prendere in considerazione e soddisfare i bisogni specifici delle persone in circostanze di particolare vulnerabilità, e concentrarsi sui diritti umani di tutte le vittime. 4. Le Parti adottano le misure necessarie per incoraggiare tutti i membri della società, e in particolar modo gli uomini e i ragazzi, a contribuire attivamente alla prevenzione di ogni forma di violenza che rientra nel campo di applicazione della presente Convenzione. 5. Le Parti vigilano affinché la cultura, gli usi e i costumi, la religione, la tradizione o il cosiddetto “onore” non possano essere in alcun modo utilizzati per giustificare nessuno degli atti di violenza che rientrano nel campo di applicazione della presente Convenzione. 6 Le Parti adottano le misure necessarie per promuovere programmi e attività destinati ad aumentare il livello di autonomia e di emancipazione delle donne. Articolo 13 – Sensibilizzazione 1 Le Parti promuovono o mettono in atto, regolarmente e a ogni livello, delle campagne o dei programmi di sensibilizzazione, ivi compreso in cooperazione con le istituzioni nazionali per i diritti umani e gli organismi competenti in materia di uguaglianza, la società civile e le ONG, tra cui in particolare le organizzazioni femminili, se necessario, per aumentare la consapevolezza e la comprensione da parte del vasto pubblico delle varie manifestazioni di tutte le forme di violenza oggetto della presente Convenzione e delle loro conseguenze sui bambini, nonché della necessità di prevenirle. 2 Le Parti garantiscono un’ampia diffusione presso il vasto pubblico delle informazioni riguardanti le misure disponibili per prevenire gli atti di violenza che rientrano nel campo di applicazione della presente Convenzione. Articolo 14 – Educazione 1 Le Parti intraprendono, se del caso, le azioni necessarie per includere nei programmi scolastici di ogni ordine e grado dei materiali didattici su temi quali la parità tra i sessi, i ruoli di genere non stereotipati, il reciproco rispetto, la soluzione non violenta dei conflitti nei rapporti interpersonali, la violenza contro le donne basata sul genere e il diritto all’integrità personale, appropriati al livello cognitivo degli allievi. 2 Le Parti intraprendono le azioni necessarie per promuovere i principi enunciati al precedente paragrafo 1 nelle strutture di istruzione non formale, nonché nei centri sportivi, culturali e di svago e nei mass media. 13 Noi”. E per dover di cronaca nella serie A di calcio a 5 il prossimo anno saranno cinque le rappresentanti calabresi rosa nella massima serie nazionale mentre in C vi sarà anche lo Sporting Club Corigliano. Ma se si vuole passare dagli sport a squadre a quelli individuali, sempre nel 2012, una piccola ragazza terribile di un piccolo centro montano, come la storica Longobucco, conquista una medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Londra. E anche se a un certo punto della sua carriera si trasferisce al centro di arti marziali di Ostia, bisogna ricordare che la Forciniti quasi tutti i giorni fa la spola da Longobucco a Cosenza per gli allenamenti dettati sempre da quella passione che non regala tanti quattrini come Donne Calabresi: nello sport da sempre emancipate La replica a coloro che diffamano: sportive calabresi vincenti in gare e “sacrifici” di Cristian Fiorentino 14 Le assurdità rovesciate addosso al mondo femminile calabrese, dopo il tragico assassinio della giovane coriglianese Fabiana Luzzi, trovano la legittima replica nello sport. L’emancipazione femminile in Calabria passa per tutte le associazioni: lavorative, solidali, sinergiche e anche nelle attività sportive. Di fulgidi esempi di donne sportive, in discipline a squadre o individuali, la Calabria ne è piena. Volendo rispondere a qualche “nobile” donna o uomo giornalista o opinionista di turno, forse pieno di odio psicologico per la propria terra, è molto semplice. Facile scrivere giudizi ingiusti da altre zone d’Italia o del mondo, solo perché ci si spaccia per nativi calabresi credendo di conoscere ogni singola realtà. Ed è giusto rispondere con i fatti a questi sapienti “signori” che dalle loro penne hanno lasciato partire pennellate di offese nei confronti di donne, bambine e ragazze che investono in sacrifici vivendo in Calabria. Declinando gli esempi bisogna innanzitutto far penetrare un concetto: le donne calabresi sportive, come tutte le altre ‘femmine’ calabre, dal Pollino allo stretto investono in sacrifici. Basta osservare gli allenamenti che, al pari dei maschietti, eseguono nel mondo natatorio (nuoto, tuffi e pallanuoto) la mattina alle 7:00, prima di recarsi a scuola, e quindi al pomeriggio e sera. A questo bisogna aggiungere, se qualcuno non lo sapesse, che queste ra- gazze non sono retribuite ma lo fanno per una grande passione innata. Però, grazie ai loro sacrifici, le soddisfazioni arrivano nelle juniores della pallanuoto, due scudetti under vinti, nel nuoto e nei tuffi come la Bilotta. Dall’acqua al calcio dove nel 2002 l’Olimpica Corigliano conquista, come prima squadra calabrese, la serie A-2. Questo movimento calcistico in rosa si è esteso nel tempo toccando paesi piccoli e grandi: da San Sosti a Reggio Calabria. E proprio la Pro Reggina, nelle serie A di calcio a 5, lo scorso anno si fregia dello scudetto e del titolo di campionesse d’Italia. E nel torneo di serie C donne 2013 di futsal, dove partecipano per lo jonio cosentino anche le squadre del Cantinella, Traforo Rossano e Mirto, proprio le raggazze della Woman Catanzaro prima della finale play- off, espongono uno striscione “Fabiana Vive Con nel mondo faraonico del calcio di serie A. Altra campionessa la lametina Lucchino, schermitrice, vittoriosa di una medaglia d’oro ai mondiali dell’Avana del 2003. Potremmo andare avanti per interi numeri di Mondiversi ma è doveroso lasciare spazio a tutti gli argomenti. Non si possono lasciare spazi, invece, alle assurdità scritte da coloro che troppo facilmente e senza conoscere le singole realtà calabresi, denigrano il mondo femminile calabrese. L’emancipazione delle nonne, mamme, figlie e nipoti di questa terra passa per uno mondo sportivo frequentato e praticato a tutti i livelli anche da quello dei diversamente abili che detiene un movimento fatto di tante donne. E’ il caso della reggina Giusy Versace, protagonista nell’atletica leggera. Ma il pianeta calabro sportivo tutto rosa detiene pallavoliste, cestiste, tenniste, cicliste, appassionate di arti marziali, danza, per non parlare di sci e perfino nel rugby per un esercito di donne fiere di essere calabresi emancipate nella vita e nello sport e che sognano di portare la loro terra agli onori della cronaca per successi prestigiosi. Donne calabresi è spesso sinonimo di crescita e patriottismo così come molte delle loro mamme hanno insegnato loro: con quel rispetto e quell’educazione che è tipico di chi sa investire in sacrifici per raggiungere degli obbiettivi nella vita. Cari signori che vi siete scomodati nel diffondere assurdità sul mondo femminile calabrese vi invito a prendere atto di queste realtà: vere e effettive. Magari potrete riscrivere nuove pagine senza approfittare di fatti luttuosi, più numerosi al nord che al sud Italia, per descrivere semplicemente donne calabresi altamente emancipate e competitive su tutti i fronti compreso quello ampio dello sport. 15 nto e m a i z a r g n i ir d a t r e p a a r Lette a n a i b a F i d i ngrar a i l i m ere un sentito ri im a pr f es i o e am ri d de re, ci sono stati di Fabiana desi lo ta, noi familiari indescrivibile do er e ap do a on er of tt le pr de affetto di ta Con ques esto momento drini, per il gran qu ol B in e, ra ch au L ro a lo le er co tunità lo Sport e ziamento a tutti sidente della Cam or re pp P O il i e ar ar P zi le ra r mo ring Ministro pe vicini. Desideria stri confronti, il no i ne a at tr os à dim Cosene l’alta sensibilit lla Provincia di de , e nt em de Id si fa re se P il Jo ili, ella Stasi, nte ProvinPolitiche giovan Calabria Anton aro, il Comanda ne zz io ni eg an R C a e ll el de fa e ziodi Cosenza Raf tario alla Prote il Vice-President o re tt eg fe re os tt P il So il o, ri e, io Olive esco Ferac za Gerardo Mar olonnello Franc C za en os C di inieri ciale dei Carab egione ne Civile alla R Giovanni Calabria, missioDima, la Com a del ne Straordinari igliaComune di Cor ott.ssa no Calabro (D dott. Rosalba Scialla, tt.ssa Saverio Buda, do ), tutEufemia Tarsia ’Ordite le Forze dell oni di ne, le Associazi Medici Volontariato, dell’Oe Paramedici igliano spedale di Cor ndenti Calabro, i dipe iane di delle Poste Ital alabro, iani. Corigliano C tti i cittadini ital tu e ro ab al C o ro origlian i delle Corigliano Calab tutti i ragazz cittadinanza di C di la ri a tt ie tu in , ab ro ar ab C i al ano C serma de ricerca Scuole di Corigli capitano della ca dimostrata nella e al on va zi to di en de am la zi e ra l’impegno Uno speciale ring suoi uomini, per i i tt tu di e bo lla a, Presidente de Pietro Paolo Rub ll ia Sc ba al os R . oe abiana Dott.ssa di nostra figlia F comiabile impegn lo dobbiamo alla en to o en su il am r zi pe ra , ng ro are ri o Calab ilità e Un altro particol une di Coriglian a genuina sensib om su C la l r de pe a o ri tt na tu di at raor nebre e sopr scenza. Commissione St re la funzione fu to di viva ricono za en iz im an nt rg se ’o ll ro ne retti st contributo dato ro che si sono st caso. A lei, il no lo ro co st i tt no tu al a ta e ta in manifes da gratitud ni. grande umanità imenti di profon nt se re ta vuti in questi gior es if ce ri an i, m m o am am figlia, gr ri le de Infine desi e ha pianto una ch fonate, lettere, te le ra te te i, in gg e sa on es zi m ro na n cinanza di una con tutto il nost intorno a noi, co vi do sa an uo er tt sp fe af i, tt l’ ento a tu o sentito re la Abbiamo davver di Dio possa da cio di ringraziam ac no br eg R ab e il rt lo fo so n te. U o futuro oglio, persa tragicamen e in un vicinissim il timore “di cord ch a li nz ta se a en rr m te à lt ta faco ra su ques sciuto incuore e le nostre re umano deside dera essere cono se si es de e ni ch og e o, rs ch ; a ve zz (Apocalisse 21:3 reatore dell’Uni pace e la sicure i” C il ch oc lo so ri st e ch no i ti crima da re”. Cer ciugherà ogni la né grido né dolo as “ i, no di no ciascu tto Con sentito affe dividualmente da tta la famiglia. tu e Giovanni 17:3). ro ra er F ia ar Mario Luzzi, Ros 16 13 ro, 31 maggio 20 Corigliano Calab In ricordo di Enzo Viteritti di Enzo Cumino Caro Enzo, poche ore fa ho appreso la terribile notizia: la morte ti ha strappato alla famiglia, agli amici, alle persone care, alla comunità di Corigliano, a quanti, ovunque, in Calabria e in altre parti d’Italia, hanno avuto modo di conoscerti e di apprezzarti per le tue qualità umane e professionali. La commozione mi prende e mi assale, mentre, col pensiero, vado indietro nel tempo e ripercorro i momenti esaltanti vissuti insieme, nel dare volto e forma a quella creatura - il periodico Il Serratore – per la quale tu hai speso le tue energie migliori. Non sei stato soltanto l’ideatore e il fondatore, nel 1988, del più importante ed amato giornale coriglianese, ma ne sei stato il padre, ancor più l’anima. Da Direttore della rivista, hai voluto regalare ai tuoi concittadini uno strumento di facile consultazione, accattivante nella forma e sostanziato da articoli scritti da penne che si misuravano sempre, ed in ogni occasione, con la scientificità e con le fonti storiche. Il Serratore, negli anni, ha allargato i suoi orizzonti ed è stato una pietra miliare nella cultura locale e dell’intera Sibaritide. La sede del giornale, caro Enzo, scelta nel cuore del Centro storico per un tuo intuito profondo ed illuminato, è stata per venti anni un cuore propulsore di iniziative culturali: presentazioni di libri, mostre di quadri o di sculture, incontri politici e culturali, iniziative per il centro storico ed, in particolare, per il castello. Per il castello di Corigliano ti sei battuto come un leone, perché fosse restaurato e restituito nel suo splendore alla comunità coriglianese. Hai scritto pagine cospicue e rigorose che hanno dato la possibilità ad ogni lettore di seguire passo per passo l’iter burocratico e lo stato di avanzamento dei lavori del maniero. Allo stesso modo, ti sei battuto per il recupero del teatro “Valente” e per il ritorno della Tavola quattrocentesca dell’Odigitria, da anni custodita nel Museo diocesano di Rossano, nella sua sede naturale, cioè la chiesa di S. Pietro. In venti anni, dal 1988 al 2007, tu caro Enzo, sei stato un punto di riferimento sicuro per quanti avevano, ed hanno, a cuore i beni culturali di Corigliano. Hai vinto tante battaglie, grazie alla tua tenacia, alla tua professionalità, alle tue doti umane. Ma non sempre i cuori e le menti degli altri, soprattutto i politici, hanno saputo e voluto sposare il tuo intuito e le tue capacità di guardare in avanti. Lo smantellamento del “Garopoli”, da te immaginato come naturale polo culturale della Città, ti ha segnato non poco. Ma sei andato avanti. Con nuovo slancio hai voluto riprendere la pubblicazione de “Il Serratore”, agli inizi del 2012. L’hai portata avanti questa tua creatura, fino al n. 95, uscito a Gennaio/Febbraio 2012. Poi… qualcosa ti ha fermato! Per quanti ti hanno conosciuto resterà il tuo ricordo: il ricordo di un uomo che ha sempre amato il suo paese, ne ha interpretato ansie ed attese, ne ha colto problemi, ha suggerito soluzioni. Ritengo, caro Enzo, che da oggi tutta la comunità di Corigliano sia più povera, perché priva di uno dei suoi figli migliori. D’altra parte, la tua eredità culturale ed umana sarà un bene che le generazioni future sicuramente sapranno apprezzare e coltivare. Gli amici e la Redazione di Mondiversi, rivista che hai sempre apprezzato e a cui hai collaborato con la solita intelligenza costruttiva, ti ricordano con grande affetto e con stima sincera. Io che ho condiviso con te tutta l’avventura de Il Serratore, con animo commosso, sento di avere perduto un amico vero, col quale ho sperato, fino ad oggi e di cuore, di poter portare ancora avanti tante iniziative culturali a favore della nostra comunità . 17 ELEZIONI A CORIGLIANO Con le elezioni del 26 e 27 maggio Corigliano è tornata alla normalità amministrativa dopo l’onta immeritata dello scioglimento del Consiglio Comunale per condizionamento mafioso. L’intero contesto elettorale però ha mostrato molti aspetti negativi che rischiano, a risultato ottenuto, di condizionare negativamente la stessa amministrazione legittimamente eletta. Ci sono stati 12 candidati alla carica di sindaco e solo allo scadere dei termini temporali di legge è mancato il 13°. Questa pletora di candidati ha appalesato la scarsa capacità dei partiti e dei movimenti di fare coalizione e di costruire quindi alleanze politiche solide e credibili, con realistiche basi di partenza per il governo reale della città; l’eccessiva frantumazione, che non ha trovato un minimo di visione comune nemmeno in occasione del ballottaggio, ha mostrato una classe politica non consapevole dello stato di disastro in cui si trova Corigliano; sarebbe stata necessaria una maggiore capacità di convergenza sui gravi problemi della città. Alla luce dei risultati, il dato certo è da rinvenirsi nella scarsissima affluenza alle urne, solo il 41% al ballottaggio, l’elezione del sindaco con il 61% dei votanti ( di fatto ha votato per lui il 25% degli aventi diritto). Un discorso a parte meritano i due raggruppamenti che sono andati al ballottaggio. La coalizione di centrosinistra “Corigliano Bene Comune”, partita con volontà di allargarsi e di aggregare forze vive della società, ha mostrato sempre più, in particolare all’interno del PD, una divisione quasi livorosa tra vari aspiranti candidati animati di fatto più da mire personali che non dall’interesse del Bene Comune; in questo contesto la candidatura “fuori concorso” di Giovanni Torchiaro ha recuperato un minimo di unità politica e di conseguente consenso popolare, insufficienti però a creare un clima di entusiasmo e di larga partecipazione popolare. A elezioni concluse, si fotografa lo stato del partito, il quale, urge a Corigliano di una salutare rifondazione riconoscendo lode ai giovani che non hanno demeritato in campagna elettorale. Il raggruppamento di destra, attorno a Giuseppe Geraci, vincitore al ballottaggio, è partito con un camuffamento della classe politica del PDL sotto mentite spoglie di liste civiche con l’avallo di Dima e di Scopelliti che, sin dall’inizio, ritenevano non produttivo politicamente presentarsi a volto scoperto dopo il vergognoso scioglimento del consiglio per loro colpa; solo gli strilli del PDL nazionale hanno imposto una raffazzonata lista PDL preparata alla meno peggio in 24 ore per evitare la vergogna del nascondimento. Geraci ha accolto nelle sue 5 liste un po’ di tutto a de- stra, in particolare molti grandi portatori di voti che hanno inteso fare un investimento da far fruttare congruamente a risultato ottenuto. Con queste premesse politiche e con la disastrosa situazione in cui versa il comune di Corigliano il sindaco Geraci deve avere, se vuole bene a Corigliano, comportamenti obbligati. Mi permetto di segnalarne alcuni, che avrebbe dovuto avere qualsiasi sindaco eletto: tenere lontano dall’amministrazione quanti hanno contribuito allo sfascio di quella passata, recuperando la credibilità offuscata con l’operazione di camuffamento in campagna elettorale; rendere trasparente tutto a cominciare dallo stato patrimoniale di amministratori, consiglieri e impiegati, con possibilità di controllarne su internet l’evoluzione temporale; tagliare le unghie alla speculazione edilizia, bloccare l’edificazione con nuovo consumo di suolo; bloccare l’abusivismo edilizio in maniera drastica e ridefinire il pregresso secondo i canoni della legge; riequilibrare le tasse comunali recuperandone l’enorme evasione; recuperare professionalità e spirito di servizio negli uffici comunali; comunicare e spiegare alla gente il modo di procedere dell’amministrazione; coinvolgere nelle decisioni, nel rispetto dei ruoli di ognuno, l’opposizione e la popolazione. Ogni scostamento da questi punti potrà essere foriero di brutte avventure politiche per i coriglianesi e anche per chi li amministra. ph Giorlando di Cosimo Esposito DATI ELEZIONI 19 generare la totale diffidenza dei cittadini e la crisi della democrazia rappresentativa. Il disamore verso la politica, comprensibile e riscontrabile in molti ambiti del vivere contemporaneo, può avere origine da un fraintendimento di fondo, favorito a sua volta dalla cultura dominante che tende a mantenere separati e contrapposti due elementi: i cittadini da una parte e i politici dall’altra. Come se esistesse un baratro incolmabile tra l’identità del cittadino, che non fa mai politica, e quella del politico, che la fa sempre come mestiere. Tale baratro, anziché alimentare come reazione la partecipazione popolare alla vita politica, ha sortito l’effetto contrario: ha generato demoralizzazione, indifferenza e, peggio, cinismo. La preoccupante mancanza di coscienza e consapevolezza civica. L’emergere di una psicologia della rinuncia ha indotto i cittadini a credere che il potere di voce che il diritto di voto dà è poco o per nulla efficace. Le barriere che ostruiscono l’intraprendenza sociale esistono anche nella sfera politica. Dove chi sta “dentro” o è “in politica” è percepito come depositario di un potere che molti, troppi, tra coloro che stanno “fuori”, sentono di non riuscire ad influenzare. Eviden- davvero che non votando le cose migliorino automaticamente? Se così fosse saremmo solo degli autolesionisti. Forse dovremmo entrare nell’ordine di idee che la libertà è sinonimo di responsabilità; ecco il motivo per cui la maggior parte dei cittadini ne ha paura. Se la democrazia partecipativa è in crisi non è perché i suoi nemici hanno usato il tradimento, ma perché i suoi amici hanno dato le dimissioni. Pertanto, nella totale apatia, ci siamo presi la libertà di non votare; anziché scegliere tra i due candidati, abbiamo preferito sottrarci a questa scelta. Ma questa non è libertà; questa è paura di assumersi la responsabilità di decidere. Fino a quando non verrà intrapreso un percorso di consapevolezza collettiva non saremo mai in grado di percepire il peso effettivo degli strumenti che abbiamo a disposizione per scegliere ciò che vogliamo. Non siamo ancora coscienti del valore di ciò che siamo, di ciò che vorremmo e di ciò che ci circonda. Siamo consapevoli che il diritto di voto, seppur sminuito da stupri normativi ed anticostituzionali, rappresenta uno dei pochi strumenti democratici che ci è rimasto? Mark Twain sosteneva che se il voto servisse a qualcosa non ce lo lascerebbero esercitare. In parte è vero, ma anche se il diritto di voto non è più così incidente occorre comunque praticarlo a livello terapeutico. Non bisogna mai smettere di allenarsi a praticare i pochi diritti che ci sono rimasti. Dobbiamo essere assetati di diritti. Non possiamo abituarci a non esercitarli. Non possiamo restare indifferenti alla loro progressiva perdita. Potremmo gradualmente abituarci alla loro mancanza, assuefatti da un apparente benessere. Non possiamo concederci il lusso di perdere la sensibilità civica conquistata durante i secoli, vivendo in un eterno presente. temente i cittadini ordinari avvertono una lontananza tale da chi sta dentro la politica da sapere che la loro voce non arriva e, se arriva, non ha effetto. Si tratta di una preoccupante erosione del potere della cittadinanza. In preda ad un totale senso di impotenza e rassegnazione, i cittadini, dunque, hanno preferito consegnare la loro libertà nelle mani di un candidato non scelto per disfarsi delle loro preoccupazioni e responsabilità; hanno preferito delegare per essere sollevati dalla fatica del discernimento e della decisione. Ma che vantaggio possiamo trarne? Pensiamo Finiremmo gradualmente ed inconsapevolmente per diventare forme di vita fine a se stesse, dove gli altri deciderebbero per noi, relegandoci a semplici numeri, spersonalizzandoci in un processo di regressione evolutiva, trasformandoci in semplici codici a barre. Paradossalmente, cosa succederebbe se nessuno si recasse a votare? Probabilmente le lobbies di potere, peraltro già ampiamente presenti nei gangli più delicati della Pubblica Amministrazione, avrebbero il controllo totale delle nostre vite!!!! E’ davvero questo ciò che desideriamo? LA LIBERTA’ DI NON VOTARE di Gianni Gallina 20 Si può chiaramente affermare che il vero vincitore delle ultime elezioni è stato l’astensionismo. Ma tale fenomeno non giustifica la sconfitta di un centrosinistra dilaniato da personalismi antagonistici, né delegittima la vittoria di Geraci al quale va, comunque, il mio augurio per una difficile avventura amministrativa. Probabilmente, anche se l’affluenza fosse stata superiore, il responso delle urne sarebbe stato uguale; Geraci sarebbe comunque diventato sindaco. Ma non è questo il punto. La mia riflessione vuole soffermarsi su un altro aspetto: che valore possiamo attribuire all’elezione, peraltro legittima sul piano formale, di un sindaco eletto con questa percentuale di astensione? Come si può considerare sostanzialmente democratica una votazione ignorata dal 60% degli elettori? Cosa deve pensare chi crede che democrazia sia sinonimo di partecipazione, pluralismo e consenso? Le risposte sarebbero molteplici, ma tutte con un minimo comun denominatore: la debolezza di tutti i partiti. Tale debolezza non ha fatto altro che 21 ANFFAS: DIECI ANNI DI STORIA di Enzo Cumino* È sempre un evento un Decennale. E, come tale, suscita emozioni e impone riflessioni. Emozioni che scaturiscono dal ripercorrere mentalmente e, soprattutto, col cuore un cammino irto, sì, di difficoltà, ma, nel contempo, ricco di tante gratificazioni. Riflessioni che si impongono, in quanto si fa un bilancio di ciò che si è realizzato e, alla luce di ciò, si tracciano nuovi percorsi verso orizzonti più vasti. L’Anffas (Associazione Nazionale Famiglie di persone con disabilità intellettiva e relazionale) di Corigliano nasce il 22 febbraio 2003, in una casa privata. L’esigenza di dare ai propri figli con disabilità un futuro migliore, alla luce delle normative vigenti, spinge un gruppo di venti famiglie a costituirsi in Associazione. Si sceglie di aderire all’Anffas Nazionale, in quanto le problematiche intellettive e relazionali dei ragazzi sono eterogenee. Quel giorno rappresenta una data storica per l’Associazione. Da lì si parte con trepidazione, ma anche con grande fervore. La prima pietra è stata posta, ma per costruire una struttura efficiente e al passo con i tempi bisogna lavorare tanto e in sinergia. Pochi giorni dopo, il parroco della frazione Villaggio Frassa, don Natale Caruso, concede in comodato, su autorizzazione della Curia arcivescovile, una parte della canonica, come sede della nuova Associazione. In tale sede, formata da 5 locali e 22 circondata da spazio verde, inizia un percorso di crescita che coinvolge sia i ragazzi, sia i genitori. I ragazzi vengono coinvolti in iniziative che mirano a migliorare la socializzazione, il linguaggio verbale, la gestualità, la manualità, a correggere la postura, a superare difficoltà motorie, insomma a migliorare la qualità della vita soprattutto attraverso la ricerca dell’autonomia dei soggetti interessati. I primi “progetti” portati avanti dall’Associazione riguardano la Musicoterapia, la Psicomotricità, l’Ippoterapia (che dal 2003 si svolge ancora oggi presso il maneggio “Rugna” di Schiavonea), lo Sport, la Cucina, la Manualità. Tutti questi “progetti di vita”, per lo più individualizzati, hanno visto e vedono coinvolti, oltre ai ragazzi, tanti volontari, le famiglie e, soprattutto, esperti esterni che da anni si prodigano con competenza e amore, nello spirito di “servizio”, per “aiutare” i ragazzi a raggiungere forme sempre più elevate di autonomia e di autostima. Nel corso degli anni, inoltre, l’Associazione si è battuta per “aiutare” i genitori: dall’accettazione alla formazione, un percorso che viene espletato attraverso il SAI (Servizio Accoglienza ed Informazioni), un servizio che rappresenta il cuore dell’impegno associativo. Periodicamente, infatti, specialisti del settore (Neurologo, Psicologo, Assistente Sociale) prestano la loro opera, gratuitamente, in favore delle famiglie Anffas, dando ad ognuno informazioni e suggerimenti, per la soluzione di problemi a breve o a lungo termine. Quando se ne avverte l’esigenza, gli stessi operatori vengono invitati dall’Associazione a tenere “corsi” di interesse generale. Nel mese di Novembre 2009, grazie alla Commissaria Prefettizia del Comune di Corigliano Calabro, Dottoressa Paola Galeone, all’Anffas viene affidato un bene confiscato sito in via degli Iris n. 15, nella Frazione di Schiavonea. Questa è ad oggi la sede dell’Associazione, adeguata con fondi propri. Nella nuova sede, pur mantenendo in vita le attività da sempre portate avanti, l’Associazione crea un “Centro Socio-Educativo” che ospita oggi 23 tra ragazzi ed adulti con disabilità intellettiva e relazionale, i quali vengono impegnati in attività afferenti l’area cognitiva, affettivo-relazionale, dell’autonomia personale. Da due anni l’Associazione sta investendo in un progetto di casa-appartamento con un gruppo di ragazzi che dalle ore 10,00 alle 18,00 vivono per tre giorni a settimana in associazione preparandosi il pranzo, facendo la spesa, ordinando gli ambienti, gestendosi i propri tempi sotto l’occhio vigile della musico-terapista Sonia Falcone. I ragazzi (e le famiglie) usufruiscono di un pulmino, generosamente donato dalla famiglia Sanseverini in memoria di Andrea. La cura di tale servizio è affidata alla benemerita Associazione Nazionale Carabinieri in pensione, sezione di Corigliano. L’Associazione, che è una Onlus (Organismo non Lucrativo di Utilità Sociale), “si batte” nelle sedi istituzionali (Comune, Provincia, Regione) da sempre, per tutelare i diritti delle famiglie e delle persone con disabilità, per favorire l’integrazione scolastica, per assicurare l’assistenza sociale e socio-sanitaria, insomma affinché non sia mai negato il diritto inalienabile della dignità umana. A questo proposito , Anffas Corigliano, con l’Associazione nazionale, ha supportato una famiglia di Cassano che, per vedersi riconosciuto il diritto ad una progettazione individuale per il proprio familiare disabile, secondo quanto stabilisce la Legge 328 del 2000 (legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali), recepita dalle regione Calabria con la legge 23 del 2003, è stata costretta ad adire le vie legali. Grazie all’opera dei legali di Anffas Onlus Nazionale e di Anffas Corigliano, si è giunti alla sentenza del TAR Calabria n. 440 del 12 Aprile 2013 che ha sancito in via definitiva la legittimità e l’importanza della predisposizione di progetti individuali. Di recente, poi, su iniziativa di Anffas Calabria, coordinata da Marinella Alesina che dal 2003 è anche alla guida dell’Associazione, si è stipulato un importante protocollo d’intesa con la provincia di Cosenza per la ratifica della Convenzione ONU sulla disabilità, già legge italiana dal 2009. Tanti in questi anni sono stati i convegni e i seminari organizzati dall’Associazione sui temi della disabilità: dall’amministrazione di sostegno, alla legge 328/00, all’integrazione scolastica. Importanti anche le iniziative di sensibilizzazione: Anffas in Piazza, Festa della Mamma, Concorso letterario con le scuole del territorio. Un’Associazione, dunque, molto attiva e viva che può essere seguita quotidianamente attraverso la pagina Facebook di Anffas Corigliano, attraverso il sito, anffascorigliano.it, a cui si può scrivere, [email protected], o telefonare al n. 0983.854879, fax 0983.547191. *Responsabile Comunicazioni Anffas Onlus Corigliano 23 Il critico-poeta Alberto Frattini in un saggio dello studioso calabrese Pasquale Tuscano L’ampio saggio fa da introduzione al voluminoso carteggio del celebre critico fiorentino con i maggiori esponenti della poesia e della cultura letteraria italiana tra gli anni ’50 e ’80 del Novecento. di Franco Liguori Per i tipi di Pioda Edizioni di Roma, è uscito recentemente (febbraio 2013) un bel volume di Pasquale Tuscano, noto studioso calabrese di Bova (RC), già ordinario di Letteratura italiana presso la Facoltà di Lettere dell’Università di Perugia, autore di un gran numero di apprezzati studi e saggi su autori e problemi di tutti i periodi della nostra storia letteraria, da Dante a Pirandello, ma anche profondo conoscitore della letteratura calabrese, della quale egli è oggi il maggiore studioso, con al suo attivo numerosi contributi pregevoli , che vanno da Tommaso Campanella a Corrado Alvaro, da Gianvincenzo Gravina a Vincenzo Padula. Quest’ultima fatica di Tuscano, presentata con successo a Roma, nella scorsa primavera, subito dopo la sua uscita, è un 24 documentato e ricco saggio introduttivo alla pubblicazione della vasta corrispondenza epistolare intrattenuta con i maggiori protagonisti della nostra attività poetica e letteraria tra gli anni ’50 e ’80, da Alberto Frattini (19222007), critico letterario, poeta, narratore, giornalista, che svolse anche una lunga attività d’insegnamento in varie Università, tra cui Assisi, Macerata, Viterbo, e Roma. Gli interessi di Frattini, che Tuscano conobbe molto da vicino, per esserne stato amico e stretto collaboratore tra gli anni ’60 e ’70, erano rivolti a Dante, a Foscolo, a Manzoni, ma principalmente a Leopardi e ai giovani poeti italiani della prima metà del Novecento. Il volume, intitolato “Alberto Frattini. Le voci di dentro dell’attività letteraria italiana tra gli anni ’50 e 80 del Novecento”, fornisce, nella prima parte, una lucida e Il prof. Pasquale Tuscano riceve dal sindaco di Assisi, la cittadinanza onoraria della Città (aprile 2013) minuziosa ricostruzione storicoculturale della cosiddetta “Scuola romana”, un gruppo di studiosi, operatori culturali ed intellettuali di formazione cattolica, che operarono- come scrive Anna Pasquazi nella premessa- “ per una cultura affrancata da ogni tentazione strettamente ideologica, consapevole del ruolo universale della poesia”. Tuscano si sofferma sull’apporto prezioso dato da questa “scuola” al rinnovamento della nostra letteratura e della nostra cultura più in generale, nei decenni successivi alla fine della guerra, documentato dal sorgere di riviste come “Rassegna di cultura e vita scolastica” (1947) o “Cultura e scuola” (1967), che miravano anche all’aggiornamento della classe docente, ma anche di cenacoli letterari, come i “Quaderni del Canzoniere” di Elio Filippo Accrocca (1951) o “Poeti Nuovi” dello stesso Frattini (1960). Grande importanza ,in quegli anni, ebbe anche l’ Enciclopedia Italiana Treccani, diretta dal calabrese Umberto Bosco, che divenne “la vera fucina” della nuova cultura umanistica, ma anche di quella filosofica e scientifica. Giorgio Petrocchi, Ignazio Baldelli, Silvio Pasquazi, Mario Petrucciani, sono soltanto alcuni dei nomi che degnamente incarnano una sorta di “nuovo umanesimo”, nell’ambito del quale anche Alberto Frattini svolge un ruolo importante, come studioso, come interprete di poesia e poeta egli stesso. Frattini, che collabora a “L’Occhiale” di Bruno Romani e al bimestrale “Il Fuoco”, del quale dirige la rubrica “Arte e Letteratura”, è interessato principalmente alla “giovane poesia” e ad essa dedica gran parte del suo lavoro di critico e di operatore culturale, organizzando i primi convegni sulla nuova poesia italiana del dopoguerra, nel 1954 il primo e nel ’56 il secondo, fondando la rivista “Poesia Nuova” (1955-60) e, successivamente, il Premio di Poesia e Critica “Città di Tagliacozzo”. Di Alberto Frattini, Tuscano ricostruisce puntualmente la biografia ed illustra gli interessi culturali e la metodologia critica, evidenziando la sua “vocazione alla poesia” e la sua “attitudine all’interpretazione” e ricordando, naturalmente, il periodo di stretta collaborazione avuto con lui tra il 1965 e il 1973, allorquando i due studiosi, il calabrese e il fiorentino, si ritrovarono a lavorare gomito a gomito, ad Assisi ( la città di San Francesco, dove ancora oggi Tuscano vive e della quale è recentemente diventato, per i suoi meriti culturali, cittadino onorario), al progetto della fortunata antologia “Poeti italiani del XX secolo”, edita da “La Scuola” di Brescia nel 1974. “Frattini padroneggiava con estrema sicurezza, la giovane poesia italiana”, scrive Tuscano, e “il suo amore per la giovane poesia non conobbe soste”. Frattini fu un critico-poeta, come furono Francesco Flora e Attilio Momigliano, perché la poesia fu sempre familiare al suo animo di critico, ed è per questo che egli riesce ad essere quasi sempre lettore fine e puntuale di poesia. Per Tuscano, Frattini ha della poesia una “concezione appassionata, irrequieta, problematica, fuori di ogni schema, di ogni teoria”. Dopo aver esaminato con chiarezza e lucidità critica i principali scritti critici del Frattini, da “Poeti e critici italiani dell’Otto e del Novecento” (1966) a Poesia nuova in Italia tra ermetismo e neoavanguardia (1968) e “Dai Crepuscolari ai Novissimi” (1969), Tuscano conclude affermando che Alberto Frattini seppe imporsi all’attenzione degli studiosi come “vigile testimone-attore e indagatore acuto e stimolante della nostra civiltà letteraria del primo cinquantennio del Novecento”. Quanto al suo metodo critico, l’indagine di Frattini, “pur sgombra da ogni schematismo di scuola o di indirizzo”, per Tuscano, “s’inquadra nella più valida critica storico-estetica, resa originale da un gusto squisitamente personale”. Passando ad illustrare il Frattini “lettore ed interprete del Leopardi”, Tuscano rileva che lo studioso toscano ebbe per il grande poeta di Recanati un vero e proprio culto. Dopo avergli dedicato le sue due tesi di laurea (in lettere e in filosofia) ed averne scritto frequentemente su varie riviste letterarie, gli dedicò due monografie, la prima delle quali uscì presso l’editore Cappelli di Bologna, nel 1969, e la seconda, nel 1986, con le “Edizioni Studium” Alberto Frattini in un ritratto giovanile di Roma. I due saggi monografici del Frattini sono analizzati puntualmente da Tuscano, che vi riscontra una grande capacità di scavo della lirica leopardiana, che ne fanno uno degli interpreti più attenti e acuti del grande recanatese. Frattini – egli scrive – “segue il poeta passo passo nella sua formazione culturale, scandagliando quanto abbiano inciso certe presenze nell’animo suo sensibilissimo”, da Helvetius a Voltaire, da D’Alambert a Condorcet, fino all’incontro più fecondo e stimolante che fu quello con Rousseau. La ricca introduzione al carteggio, non manca di soffermarsi su altri due aspetti della poliedrica personalità di Alberto Frattini: il poeta e il narratore . La produzione lirica si sviluppa in un arco temporale che da dal 1950 (anno di pubblicazione di “Giorni e sogni”) al 1994 (anno di pubblicazione di “Arcana spirale”), ed in ben tredici raccolte, nelle quali Tuscano rileva la presenza di un mondo poetico caratterizzato dal “permanente contrasto dialettico tra il reale e l’ideale, tra la più sconcertante problematica esistenziale di ordine metafisico e la scienza esatta dell’uomo; tra gli affetti più cari (il padre, la madre, la moglie, il figlio, la città nativa, i ricordi e i paesaggi toscani e laziali ) e una forte tensione a scorporarli dalla terrestrità per sublimarli nel mito”. Il critico calabrese trova, inoltre, nei versi di Frattini, “un’attenta vigilanza del gusto”, “un tessuto linguistico sempre limpido”, e un “retroterra culturale fecondo di intense letture”, non solo dei classici, ma anche delle più recenti e persuasive voci della poesia italiana ed europea del suo tempo. Parlando del “Frattini narratore”, Tuscano registra nelle sue prose la stessa tensione morale che lievita nella sua parola poetica. “Scoperta di paesi” sono una raccolta di prose di memoria, che Tuscano definisce “prose liriche, incantate e nitide”. Si tratta di esperienze ed impressioni di viaggio relative al periodo 19441966, pubblicate come servizi giornalistici, in cui “vecchio e nuovo, storia e cronaca quotidiana, si attraversano e si amalgamano, nella pagina schietta e cordiale”, pagine che si rivelano spesso di straordinaria attualità ed in cui assumono particolare rilievo i ritratti di ambienti e di personaggi. L’ampia e particolareggiata introduzione si chiude con una panoramica sulla fitta corrispondenza intrattenuta da Frattini coi protagonisti della poesia italiana del Novecento, da Quasimodo a Barile, Solmi, Falqui, Saba, Comi, Sbarbaro, Sinisgalli, Betocchi, Caproni, Valeri, Zanzotto, Bigongiari ed altri ancora, che testimonia i rapporti di amicizia, di stima e di corrispondenza culturale intercorsi fra il critico-poeta fiorentino e i maggiori esponenti della lirica italiana del XX secolo, della quale egli fu sicuramente uno dei più attenti ed acuti interpreti. La seconda parte del libro, divisa in due sezioni, pubblica la trascrizione delle preziose lettere sopracitate, conservate nell’archivio della famiglia Frattini, corredate da brevi note esplicative e di commento. Un lavoro veramente pregevole e di grande spessore culturale questo volume curato da Pasquale Tuscano, che fa scoprire un “protagonista silenzioso” della cultura letteraria e della poesia del Novecento, meritevole di non essere dimenticato: Alberto Frattini. Un saggio lucido e documentato, che dimostra ancora una volta come Tuscano sia uno studioso rigoroso, onesto e leale, fedele a quelli che il prof. Giovanni Sapia, suo amico e profondo estimatore, chiama i “canoni morali” della critica, “la filologia della verità”. 25 Corigliano-Schiavonea Calcio in Eccellenza Pollice alto anche per gli altri Club Sportivi cittadini di Cristian Fiorentino 26 Conclusi i tornei sportivi cittadini tra salti di categorie e ottimi riscontri stagionali. Nel calcio a 11, in Promozione, girone A, il Corigliano-Schiavonea taglia il nastro della scalata all’Eccellenza calabrese, alla penultima giornata, e proprio nel derby casalingo contro l’Audace Rossanese. Un grosso plauso ai ragazzi di mister Pacino e alla società dei co - presidenti Elia e Brunito che davanti ad un ottima cornice di pubblico sono ritornati, dopo sette anni, nel massimo campionato dilettantistico regionale, tesi alla conquista degli ultimi punti necessari per il salto di categoria. Successo da ripartire tra Granata e compagni e i validi dirigenti come Zonzo, Apicella, al magazziniere Curia, e da estendere anche alla formazione juniores coriglianese di mister Vangieri giunta sino alla finale regionale di categoria, persa a Isola Capo Rizzuto contro il Roccella. Festa biancazzurra che è esplosa subito dopo la gara consacrante per le vie della città con un immenso ricordo per l’amico e compianto tifoso Paolo Pagnotta tributato tra canti e bandiere. Intanto, la società è già al lavoro con un nuovo prospetto programmatico studiato nel dettaglio e che vedrebbe la collaborazione di tante anime e la sinergia con la nuova amministrazione comunale del sindaco Geraci per far fronte al restyliung dell’area di contrada “Brillia” e dello stadio. Sul fronte calcio a 5 di serie B, invece, il Fabrizio approda ai play- off ma esce anzitempo confermando l’ottimo campionato tra i cadetti nel primo anno da matricola: difficile e soddisfacente per gli uomini di mister Madeo e società bianconera. Non si esclude una domanda di ripescaggio alla serie A-2 dove sono approdati, invece, i cugini bizantini dell’Odissea Rossano. Per la Volley Corigliano, invece, terminato il torneo regolare di A-2 Maschile in sesta piazza, dopo un buon viatico nei play- off non c’è stato granché da fare nelle semifinali. Anche qui pollice alto e programmazione già avviata con il primo passo già effettuato dell’iscrizione al torneo di A-2. Tornando al calcio a 5 di C-2, gir. A, buona stagione anche per lo Sporting Club uscito solo alle semifinali play-off. Salvezza, invece, per il Cantinella mentre il prossimo anno l’altra compagine di questo torneo di calcio a 5 sarà l’MM Club Sport che si è imposta nel girone A di serie D. Club di San Nico che si è fatta notare anche nella categoria giovanile Allievi di calcio a 5 approdando anche alle fasi interregionali. Bene anche lo Sporting Club che nel torneo giovanile di futsal è approdato alla fasi regionali. Nei tornei dilettantistici inferiori, invece, in seconda categoria niente play- off per il Villaggio Frassa di mister Tocci, abile nel condurre un 32° Trofeo Nazionale parrucchieri del Sud Italia torneo da prima fascia. In seconda categoria il prossimo anno ci sarà anche il Marina di Schiavonea del tecnico Apicella che ha stravinto il proprio raggruppamento vincendo anche la super coppa provinciale. Nel calcio a 5 femminile di serie C, invece, bene il Cantinella in rosa che il prossimo anno avrà le cugine dello Sporting Club che negli ultimi anni ha avviato un progetto con l’istituto scolastico “Erodoto” e la Figc – Lnd regionale. Sempre in ascesa anche i settori giovanili della Forza Ragazzi Schiavonea e dello Sporting Club Corigliano con i biancoverdi di patron Fino che anche quest’anno hanno vinto il titolo regionale Pulcini approdando alla festa di Coverciano. Un plauso circolare va inoltrato anche a tutti gli sportivi coriglianesi che con passione e determinazione anche in altre specialità, non solo a squadre, ma anche individuali si fanno largo nel proprio territorio e altrove. Le tinte dei colori coriglianesi sono forti e brillano grazie a club e entourage che vanno incoraggiati e sostenuti per nuovi trionfi che propongono in primis il nome del paese e in seguito nomi e cognomi di tesserati e squadre. Concetto culturale che deve penetrare in istituzioni, imprenditori e professionisti per far rete insieme ambendo al tanto agognato riscatto di un territorio, troppo bistrattato, ma che nello sport ha avuto sempre grandi compiacimenti. Trionfano i giovani acconciatori della fascia jonica cosentina dell’Anam di Cariati di Giuseppe Gaccione Conoscenza, capacità e competenze, queste le mosse vincenti dei ragazzi e delle ragazze che spinti da una passione comune hanno tenuto alta la bandiera calabrese, rappresentando la nostra zona in uno degli appuntamenti più importanti per parrucchieri e acconciatori. L’evento svoltosi a Caserta nelle scorse settimane ha fatto registrare per i nostri un ampio successo: nove in tutto i partecipanti per l’Anam (Associazione Nazionale Acconciatori Misti) di Cariati, di cui tre senior che in tre diverse prove hanno conseguito un secondo posto e due sesti posti. Grande scalata, invece, da parte dei giovanissimi nella categoria “full fashion look femminile”, dove si sono aggiudicati i primi quattro posti. Un bottino ingente che ha permesso alla stessa associazione di ottenere un ulteriore riconoscimento ossia quello del maggior numero di premi vinti nell’edizione 2013 del trofeo. Il presidente dell’associazione cariatese Antonio Russo complimentandosi con i propri allievi, ha voluto sottolineare, come tutto ciò sia solo “un punto di partenza” e non di arrivo e che tanto ancora c’è da fare per innalzare sempre più lo standard formativo. In un momento storico in cui dilaga la disoccupazione giovanile, soprattutto fra gli under 24, questi giovani ragazzi hanno trovato la strada per uno sbocco professionale che fa presagire un futuro imprenditoriale in grado di dare una boccata d’aria fresca in questo Sud così martoriato. L’ottenimento di un successo di tale portata, infonde inoltre nei giovani protagonisti la consapevolezza che imparare un mestiere, mettere insieme un bagaglio di competenze è fondamentale per poter lavorare. E il misurarsi, confrontarsi con gli altri, gareggiare è uno stimolo in più per far meglio e raggiungere risultati maggiori. Di sicuro al giorno d’oggi, in un era di favoritismi e clientelismi, preparazione e competenze non saranno una garanzia, ma sono senza dubbio una carta vincente. 27 “Cronache dal passato” Si apre il sipario: le recite scolastiche di fine anno di Anna Policastri Nella tarda età anche la partecipazione ai momenti di vita dei più piccini costituisce l’occasione per rievocare ricordi, fare confronti coi tempi passati, rendendosi, così, conto che tanto si può e si deve fare ancora per gli altri. La chiusura delle scuole coincide con la messa in scena delle recite scolastiche in cui maestre e piccini si affaccendano per consegnare agli spettatori, uno spettacolo dai temi più svariati. Per noi familiari dei deliziosi bimbi, affacciati e protesi alla vita, assistere alle semplici ma intense esibizioni di un’ora è come calarci in una nostra ormai lontana dimensione, ma provvidenzialmente rinnovata dai nostri piccoli eredi per rivivere e sperare con loro. Per me reduce da una più che quarantennale esperienza scolastica, l’esibizione del mio nipotino cui ho assistito, ha fatto riaffiorare ricordi di maestra che conosce l’iter che porta alla vita sociale e responsabile delle nuove generazioni. La recita scolastica di fine anno, rappresentava e rappresenta ancora un momento di formazione per i piccoli protagonisti, un evento emozionante per i familiari e un impegno per gli organizzatori. Ai miei tempi, in prossimità della fine dell’anno scolastico, dalla scuola elementare San Francesco (uno dei soli tre plessi scolastici esistenti all’epoca a Corigliano) dove insegnavo, mi armavo di buona 28 volontà recandomi a Roma presso la libreria Rizzoli. Qui acquistavo degli opuscoli di piccole scenette e sketch comici, spulciavo per ore tra gli scaffali in cerca di spunti per la preparazione delle esibizioni. Dopo un attenta scelta, individuato il tema oggetto della recita, giravo per le classi in cerca dei piccoli attori e cantanti che avrebbero calcato la scena, chiedendo alle colleghe di ragazzi predisposti per la recitazione o la mimica per poi fare le prove nei corridoi, senza tralasciare il coinvolgimento della totalità degli alunni. I vestiti di scena venivano realizzati in cartapesta, e la base musicale affidata all’unica collega in grado di suonare il piano. Per la scenografia sfogliavo riviste e mi rivolgevo a quelle maestre più aperte alla novità (tutto sembrava strano per le insegnanti di paese, io non demordevo, a volte, prendevo i bambini per mano e li portavo a vedere qualcosa che non avevano mai visto: un treno). Il sipario scorrevole era fatto con vecchie coperte, che fatica trovarne due che si assomigliassero! Teatro di scena era il cinema Valente (all’epoca chiamato “cinema comunale”, per distinguerlo dal “cinema moderno” situato presso Palazzo Bianchi): c’era la platea e il loggione, ma dietro il palco ai piedi dei vecchi camerini in legno, erano situate delle botole polverose dove ci posizionavamo per i suggerimenti ai bambini. Non c’erano microfoni, solo degli intermezzi musicali, ma le piccole vocine era- no facilmente udibili per i pochi spettatori, al tempo capaci di apprezzare con semplicità quelle piccole esibizioni, lontani da quel fanatismo che investe i genitori di oggi. La realtà coriglianese di un tempo, però non era ancora pronta per quelle gioie ed emozioni frutto degli insegnamenti scolastici, presi come si era dai tanti problemi familiari ed economici, accresciuti dai tempi difficili, dall’emigrazione e dalla miseria. Non pensavo che a distanza di anni potessero ancora esistere certe condizioni fino a quando non ho assistito alla recita del mio nipotino presso la Scuola Materna “Vincenzo Scarcella” nel centro storico di Corigliano Calabro. Prima del 1960 a Corigliano non esisteva la scuola materna. Le tre sorelle Scarcella di Corigliano, Suor Geltrude, Suor Vincenza e Suor Amabile, già Suore Piccole Operaie dei Sacri Cuori da molti anni, proprietarie di una casa in Corigliano (la casa paterna), essendo anziane si ritirarono nella Casa di Riposo dell’Istituto in Acri (cs) e fecero donazione della loro abitazione all’istituto per un’opera in memoria del papà, signor Vincenzo Scarcella. Vi si cominciò subito un Asilo infantile. In seguito migliorata e resa efficiente vi si istituì la Scuola Materna con tre sezioni e la primina. Attualmente la casa continua ad accogliere i piccoli della Scuola dell’Infanzia, sotto la guida delle “Suore Piccole Operaie dei Sacri Cuori”. Partecipare alla recita del piccolo asilo infantile mi ha fatto capire che la condizione di molte famiglie del centro storico non è affatto cambiata rispetto a quel passato che io ricordo. Qui il tempo sembra essersi fermato: c’è una fascia di bimbi che vivono in disagiati ambienti familiari. Alcuni di essi crescono in casupole abbandonate dei centri storici, da genitori che tante volte non sono in grado di dare ai figli quella corretta educazione che servirebbe per aprirsi alla vita, aggravata da quella mancanza di accudimento, di calore umano, che in altri tempi anche nelle famiglie più umili e povere si davano. Tutto ciò frutto anche dell’inesperienza di genitori giovani e impreparati al loro ruolo, oltre che sovrastati da una condizione economica precaria. C’è un lavoro quotidiano, però, che viene fatto in questo piccolo asilo del centro storico, un lavoro ad opera di tre reverende suore, Linda, Evenzia e Luciana. Operano in silenzio, meste e laboriose, con quel poco che la solidarietà della comunità mette loro a disposizione, sostenute dallo spirito del Beato Francesco Greco e dal solo amore per il prossimo. Assicurano a questi bambini meno fortunati di altri, un educazione, un piatto caldo, un affetto disinteressato, con poche, pochissime risorse. Con le stesse esigue risorse sono riuscite a mettere su una recita dal titolo “La città pulita”, per educare anche al rispetto dell’ambiente, al riciclo e alla differenziata come azioni attraverso cui limitare l’inquinamento e ridurre il buco nell’ozono. Insegnamenti generali ed abitudini civili non altrimenti trasmissibili a questi bambini. Non avrete vissuto inutilmente se avrete offerto agli altri una parola di conforto nei momenti difficili. 29 ciò che cerco. Abbiamo accartocciato il mondo, non voglio sentirti come lo scricchiolio di una foglia al mio cammino. Il futuro mi spaventa, si. Lo vedo arrivare come un’onda altissima. Saprò cavalcarlo? O annegherò? Tienimi per mano. Non farmi cadere. PARADISO D’ORIENTE Alzo gli occhi, ci sei. Fragile bolla di sapone, camaleontica luce del sole, che su di te riflette angolosa Portami Nel tuo piccolo spazio inquieto. Flamenco che arde su fianchi, ondeggianti davanti al sole che esplode. Amami in un paradiso d’oriente. 30 I nostri orizzonti poetici si tingono di rosa: sognatrice, romantica, introspettiva, passionale, con questi aggettivi potremmo definire la poesia della giovane autrice Manuela Morrone. Nata a Corigliano Calabro nel 1990, dopo la maturità scientifica consegue la laurea in Lingue e Colture Straniere all’Universita degli Studi di Perugia. Sin da piccola subisce il fascino della scrittura, a soli undici anni vince con la poesia “L’aquilone” un concorso rivolto agli studenti delle scuole elementari. Nel 2007 è una delle studentesse il cui componimento “Montagna madre…o matrigna?” viene pubblicato nell’antologia “Tra Cielo e Terra” (Ferrari editore). Con il passare del tempo il suo talento si consolida e grazie all’esperienza dell’Erasmus durante gli anni universitari inizia a scrivere poesie anche in lingua inglese. Tornata in Italia diviene membro dell’Accademia Nazionale della Civetta, partecipa al concorso organizzato dalla Rivista Orizzonti e lo vince con la poesia “Vento”. È una delle “Otto Poetesse per Otto Poesie”, un’antologia poetica (Bertoni Editore), sotto il marchio WOMEN@WORK , gruppo letterario i cui membri presentano i tratti decisi di una “intensità altamente creativa”. La poesia “Paradiso D’Oriente” viene pubblicata in “Sotto l’albero delle mele vol.2” (Aletti Editore), uomini e donne riflettono sulle loro relazioni, non solo sentimentali, e ci invitano a riconsiderare l’orizzonte maschile e quello femminile, spesso dai più ritenuti diametralmente opposti, ma, in realtà, molto più “sfumati e morbidi” . La poesia di questa giovane è un viaggio onirico verso i sentimenti più celati, tra passioni, speranze, sogni a tratti sfiorati dalla sensualità, dagli elementi naturali e dalla voglia della ricerca e della scoperta costante. TIENIMI PER MANO Voglio amarti ancora, la magia si è spenta. Tu ne sei convinto. Dici che è realtà. Ma non è la normalità che cerco È la quotidiana ricerca di te che desidero. Forse non ti amo, pensi. Hai ragione? Forse. È il tuo amore per me che amo. È vita oltre lo specchio STANOTTE Stanotte, le tue mani di cartone toccavano un corpo senz’anima. Non avevo bisogno della realtà, è nel sogno che volevo incontrarti. La realtà è così vera, così palese, è per me menzogna. Non volevo il tuo corpo, le tue mani. Ti cerco oltre te stesso, oltre me stessa. Oltre il rumore dei tuoi passi nel corridoio, che mi separa sempre più da te. INGHILTERRA Sogni appesi sugli alberi che guardano austeri dalla mia finestra. Universo sotto il mio occhio attento pronto a riempirsi di luce nuova. Cappuccino e dolcezza, mescolati alla voglia di caffè disegnata sul collo. Voglia di vita. Valigia vuota ogni giorno, quotidianamente riempita di volti, sorrisi, nuvole. Accompagnata dalla leggera brezza del mattino, dal sole lontano al tramonto. Nomi nuovi ogni giorno, referenti di sogni ancora da realizzare. Passi ancora da disegnare. Tutti col naso all’insù vaganti immobili tra desideri e speranze. Sembrava potessero toccare il cielo. Come me. 31 ph Pino Marasco l’oraLegale povera Fabiana, dopo che se ne sono davvero sentite di tutti i colori! Preferisco invece trattare di argomenti più concreti e rispondere così alle perplessità e i dubbi che molti si sono posti su cosa preveda la legge quando a commettere delitti come quello di cui Fabiana è stata vittima sia un minore di età. Sono due i principi generali che regolano la legge processuale minorile: 1) la non interruzione dei processi educativi (l’intervento di giustizia deve evitare di produrre fratture nel processo di socializzazione); 2) l’attitudine responsabilizzante delle misure (il minore deve essere posto di fronte alle conseguenze delle sue azioni e assumersene la responsabilità). L’obiettivo socializzativo e la finalità responsabilizzante delle misure riconducono ad altri due principi ad essi preliminari. Inanzitutto, alla posizione del minorenne nell’iter processuale: una posizione attiva, da protagonista, perché le azioni che si svolgono lo riguardano direttamente e sono connesse a sue scelte d’azione, delle quali si chiede conto in termini di responsabilità. Ancora, altro principio preliminare è rappresentato dalla necessità di un’attenta conoscenza della personalità: occorre cioè tutelare l’individuo in fase di sviluppo, identificare le misure più idonee, in maniera cioè che gli possa, di fatto, utilizzare gli interventi rivolti a lui sia per riconsiderare i propri comportamenti passati che per costruire nuovi orientamenti per il futuro. Alla luce di quanto esposto, sono chiaramente identificabili altri principi: -della minima offensività (il processo non deve rappresentare un’ulteriore condizione di rischio); -della destigmatizzazione (si deve evitare, per quanto possibile, di lasciare tracce anche formali del comportamento deviante adolescenziale); -della deistituzionalizzazione (alla detenzione, sia prima del giudizio, come misura cautelare, che successivamente, come pena, si deve ricorrere solo come extrema ratio, per evitare gli effetti di stigma e di radicamento degli atteggiamenti delinquenziali). Allo scopo di mantenere la continuità dei processi educativi ai minori viene inoltre riconosciuto il diritto all’assistenza affettiva e psicologica e tutti gli interventi vengono svolti dalla giustizia in collaborazione con i servizi attivi sul territorio. Tali principi si sono tradotti in specifici istituti processuali. La custodia cautelare è stata integrata con misure non detentive alle quali ricorrere in via prioritaria: prescrizioni, permanenza in casa, collocamento in comunità. La scelta tra le misure tiene conto del tipo di reato, ma, soprattutto, della persona del minore, delle risorse esterne che è possibile attivare, delle caratteristiche di occasionalità o, al contrario, reiterazione del comportamento deviante. E’ possibile il passaggio da una misura all’altra, nel senso sia di maggiore che di minore restrittività, in funzione del comportamento del minorenne e della Fabiana e il minore nel processo penale Centrale la necessità di recuperare sempre e comunque il giovane deviante di Raffaella Amato Aperto tutti i giorni da lunedi a domenica Tel. 0983.851511 Prima di tutto una precisazione: non voglio unirmi al coro di chi ha cercato di guadagnare un quarto d’ora di pubblicità sfruttando questa infame vicenda e la tragedia incommensurabile della sua povera vittima. Nelle scorse settimane ognuno ha detto la propria su questo terribile avvenimento arrivando a fare delle deduzioni a dir poco affrettate e dettate dall’ignoranza e dal pregiudizio nel tentativo di dare una possibile spiegazione al Male. Naturalmente, come tutti, ho anch’io una mia idea sui perché e i per come di questo atroce delitto, e si tratta, beninteso, dell’idea di una persona ben titolata a parlarne, data la mia specializzazione triennale in Criminologia Clinica, conseguita dopo la laurea in giurisprudenza e la abilitazione alla professione di avvocato, e considerata la mia esperienza sul campo, maturata come giudice criminologo presso il Tribunale di Sorveglianza di Catanzaro e come esperto di osservazione scientifica della personalità in ambito penitenziario in varie carceri italiane. Ma non esprimerò questa idea precisa che mi sono fatta sul caso per rispetto alla 33 sua capacità di rispettare gli obblighi imposti. Al momento del fermo e dell’arresto è necessario valutare l’opportunità di condurre a casa o in una comunità il minore piuttosto che in un contesto della giustizia. In quest’ultimo caso è stato comunque previsto un impatto meno forte della carcerazione, introducendo strutture idonee di tipo non carcerario: i centri di prima accoglienza. Per evitare, invece, il ricorso al giudizio, sono stati introdotti due istituti: la sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto e la sospensione del processo e messa alla prova. Al primo si può ricorrere quando il reato è particolarmente lieve, il comportamento occasionale e si valuta che l’ulteriore corso del procedimento possa essere di pregiudizio alle esigenze educative. E’ una forma di depenalizzazione senza intervento. Il secondo prevede, invece, che, qualunque sia la gravità del reato, possa essere sospeso il corso del procedimento. Il minore viene affidato ai servizi della giustizia che, in collaborazione con quelli degli enti locali, effettuano attività di osservazione, sostegno e trattamento. La specifica finalità è di valutare la personalità all’esito della prova: si parte infatti dal presupposto che nel corso del periodo di sospensione la personalità possa evolversi in forme che rendono inopportuno il giudizio. La sospensione del processo si svolge attraverso la costruzione, la realizzazione e la verifica di un progetto, formulato dai servizi insieme al minore e approvato dal giudice, all’interno del quale l’imputato assume una serie di impegni comportamentali. All’esito della prova, se valutata positivamente, viene estinto il reato. Come si vede tale istituto rappresenta un mezzo per costruire responsabilità attraverso un fare responsabile. Perché ciò possa avvenire, il minore deve essere coinvolto sin dalle prime battute: dal momento in cui si ipotizza la misura, nella fase di progettazione, nel corso del progetto, nel suo monitoraggio, nella fase di verifica. Inoltre è necessario che il progetto non contempli semplicemente attività utili al minore (scuola, corsi professionali, lavoro) ma preveda impegni più direttamente tesi a ricomporre il conflitto attivato dal reato. Non si tratta soltanto di attività di riparazione diretta alla vittima o alla conciliazione con quest’ultima ma anche di attività di riparazione simbolica come forme di volontariato, lavori socialmente utili: attività che sollecitino nel minore una considerazione responsabile delle conseguenze delle azioni commesse per sè, per la vittima e per la società e che, contemporaneamente, promuovano in lui un orientamento sociale positivo. Centrale è il monitoraggio dell’adulto che, negli interventi delle giustizia minorile, rappresenta una sorta di accompagnatore di percorsi, un referente, un consulente che fornisce il supporto necessario. Naturalmente il progetto di intervento deve essere calibrato su un’attenta conoscenza della persona del minorenne, delle sue condizioni attuali, delle potenzialità rilevate, ma anche delle condizioni e risorse dei servizi e del singolo operatore coinvolto; occorre partire dalle competenze attualmente in possesso del minore, dagli stili di comportamento presenti per innescare i cambiamenti attesi: in altre parole occorre riconoscere il minore per quello che è e può fare. Il progetto poi deve essere dotato di concretezza e flessibilità; la prima caratteristica consente a tutti i protagonisti di verificarne l’andamento; la seconda si rende necessaria in funzione sia delle difficoltà che è possibile incontrare nel percorso, sia dei cambiamenti che possono rendere superflui, quando non nocivi, alcuni passaggi originariamente previsti. Il progetto deve inoltre prevedere chiaramente i tempi di attuazione, ogni microbiettivo, gli strumenti e gli indicatori per la verifica dei risultati. Gli obiettivi generali devono essere inoltre frazionati per consentire la logica dei piccoli passi, che produce nel minore la sensazione che anche i percorsi più difficili siano percorribili.