Trimestrale internazionale di attualità, storia e cultura esoterica
Anno XVII - Marzo 2005 - numero 1
E
ASSOCIAZIONE EDIMAI
Edizioni Massoniche d’Italia
Officinae
Trimestrale internazionale di attualità,
storia e cultura esoterica
Anno XVII - n°1
Marzo 2005
Direttore Editoriale
Sovrano Gran Commendatore Gran Maestro
della G.L.D.I. degli A.L.A.M.
Piazza del Gesù, Palazzo Vitelleschi
LUIGI DANESIN
Direttore
ANNA GIACOMINI
Direttore Responsabile
FRANCO VANNINI
Comitato di Redazione
FABRIZIO DEL RE
STEFANO GAROSI
PAOLO MAURENSIG
ALDO ALESSANDRO MOLA
CLAUDIO NOBBIO
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progetto e realizzazione grafica
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non si restituisce.
La copertina è stata ideata da Anna Giacomini,
fotografata e realizzata da Paolo Del Freo,
capilettera di Leonardo Scarfò
finito di stampare nel mese di marzo 2005 presso:
The pool srl
via Col di Lana, 12 20136 Milano
Sommario
2
Massoneria
non è una parolaccia
20
Franco Vannini
1805-2005:
200 anni di vita del R.S.A.A.
Arnaldo Francia
3
Un ponte
26
4
Orgoglio e commozione
28
Anna Giacomini
Luigi Danesin
V Conferenza del Mediterraneo
I liberi pensatori
del bacino mediterraneo
50
Il culto delle punte
54
Gli eccessi delle monache ribelli
58
Da Apuleio a Mercalli
62
Peste, scrofola e associate
66
in biblioteca
72
Fregi di Loggia
Manlio Maradei
Luigi Danesin
Maria Concetta Nicolai
Luigi Danesin
8
Dentro l’urna molle e segreta
Luigi Pruneti
30
Riscoperta della civiltà
mediterranea
Silvia Braschi
Sergio Ciannella
12
Il 4 dicembre,
quasi una cronaca
35
I simboli della tradizione
mediterranea
Paolo Maggi
Anna Giacomini
14
S.G.C.G.M. Luigi Danesin
40
Come si votava
nella Grecia classica
Fabrizio Del Re
16
L.S.G.C.G.M.A.V. Luigi Pruneti
18
G.M. Aggiunti
46
In nome di Dio ti abbiamo eletto
Anna Giacomini
Il nefasto 13 ottobre
Correva il ’93
La Foresta Incantata del “Fratello” Calvino
La Toscana dei Misteri
1
Dicono di noi
Franco V annini
Massoneria
non è una parolaccia
i è svolta a gennaio di
quest’anno nell’Aula
Magna dell’Università di Firenze la
presentazione del libro: Massoneria, la storia, gli uomini, le idee,
edito da Mondadori per la collana Oscar
storia. Un evento al quale hanno partecipato oltre duecento invitati, ospiti del Magnifico Rettore Augusto Marinelli. Erano
presenti anche i due curatori e autori dell’opera, entrambi professori dell’Ateneo
fiorentino: Zeffiro Ciuffoletti e Sergio Moravia. Al tavolo della presidenza l’ex-rettore
Paolo Blasi, il S.G.C.G.M. Luigi Danesin
assieme al suo Luogotenente e coautore
del libro Luigi Pruneti oltre all’amministratore della società l’Unità, adesso in liquidazione, Marco Fredda. Perché la presenza
di un esponente del quotidiano romano?
Semplicemente perché la pubblicazione di
questa opera, che ha raggiunto una tiratura
considerevole ed è andata rapidamente
esaurita nelle librerie, è stata possibile grazie
al contributo economico della testata giornalistica, adesso diretta da Furio Colombo.
La vicenda infatti nasce dai fatti accaduti
nel 1993 quando l’Unità pubblicò un libretto dal titolo: La Toscana delle Logge e alcuni
articoli che riguardavano la Massoneria.
Alcuni fratelli (oltre centocinquanta) si
sentirono diffamati da quanto contenuto
in questa pubblicazione e tramite l’avvocato
Felice Vaccaro di Firenze presentarono
subito un esposto alla Magistratura chiedendo anche un forte indennizzo economico. La causa andò avanti per diversi anni
poi - è storia recente - a prevalere è stato il
buon senso. L’iniziativa ha avuto grande
risalto come testimoniano i numerosi arti-
2
coli e i molti servizi televisivi. “A prima
vista, quella in programma martedì prossimo alle 17.30 nell’Aula Magna del Rettorato
è solo una delle molte presentazioni di libri
che si svolgono quotidianamente. Magari
con una punta di interesse particolare per
il tema trattato e per l'autorevolezza degli
autori. In realtà a questi motivi di interesse
se ne aggiunge un terzo, a dir poco curioso:
il libro è stato pubblicato a spese de l’Unità,
il giornale fondato da Antonio Gramsci,
una volta organo del Pci e oggi vicino - a
volte nemmeno troppo - ai Ds, benché
l’editore sia Mondadori. Come spiega nella
prefazione l’ex rettore Paolo Blasi, la pubblicazione ha messo fine al contendere fra
il quotidiano e la Gran Loggia d’Italia degli
Antichi Liberi Accettati Muratori Obbedienza di piazza del Gesù, palazzo Vitelleschi. (Giorno, Resto del Carlino e La Nazione
del 16 gennaio). “In poco più di due mesi
– ancora La Nazione in data 19 gennaio –
ha già venduto ventimila copie. Un vero e
proprio best-seller, e tale è stato il successo
che è già in cantiere la ristampa. Stiamo
parlando del volume edito da Mondadori,
La Massoneria. La storia, gli uomini, le idee,
curato da S.Moravia e Z.Ciuffoletti, con
importanti contributi. Si va da Luigi Pruneti,
autore del saggio conclusivo, che vuole
delineare una geografia della Massoneria
in Europa (una curiosità: il paese con la
più alta percentuale di aderenti in rapporto
alla popolazione è l’Islanda), a Gerardo
Tocchini, Fulvio Conti, Anna Maria Isastia,
Augusto Marinelli. Il risultato è un volume
divulgativo, ma scritto in modo scientifico”.
Significativo quando ha detto Moravia:
“Sul tema c’era da fare chiarezza. Pensare
che un giorno un mio alunno, tra i migliori
del mio corso, mi chiese se la Massoneria
fosse una parolaccia. Ebbene gli risposi,
semmai è un signum che allude ad un prezioso patrimonio culturale. Continua a
seguire le mie lezioni e lo scoprirai”. Nel
corso della serata è stata intervistato il S.G.
C. G. M. Luigi Danesin su un tema scottante: le dichiarazioni rilasciate da alcuni
esponenti Ds che non vogliono fra i propri
candidati alle prossime elezioni gli iscritti
alla Massoneria. “È un discorso di casa loro
– si legge sul Giornale della Toscana del 18
gennaio – facciano un po’ quel che vogliono: si prenderanno tutta la responsabilità
di come agiscono di fronte a tutto il paese.
Nella mia qualità di Gran Maestro ho l’obbligo e il dovere di difendere l’Obbedienza
da quelle aggregazioni politiche che combattono l’esistenza stessa della massoneria”.
Danesin ha quindi proseguito: “Questo
discorso delle primarie in Toscana riguarda
uno schieramento politico che è avverso
alla massoneria e che nei nostri confronti
ha già dovuto soccombere”. Riguardo al
futuro, il S.G.C.G.M. ha aggiunto di essere
ottimista e che la libertà, nella sua più ampia
accezione, avrà la meglio”. Ha inoltre escluso l’ipotesi che la Gran Loggia presenti un
ricorso contro la decisione dei Ds toscani.
Dopo che le agenzie avevano battuto le
dichiarazioni di Luigi Danesin, è arrivata
puntuale la nota dell’attuale direttore dell’Unità Furio Colombo che ha sottolineato
giustamente che ‘quella’ non era la ‘sua’
Unità. Vero, anzi verissimo. Un solo piccolo
particolare: il direttore di ‘quella’ Unità,
altro non era che l’attuale sindaco di Roma
Walter Veltroni. Numerosi anche gli articoli
su altri quotidiani come Repubblica e Corriere di Firenze.
Anna Giacomini
Le Elezioni
Un ponte
uesto numero di
Officinae riunisce un
ampio resoconto
degli eventi che
hanno segnato la vita
dell’Obbedienza negli ultimi mesi del 2004
contestualmente ad un primo specimen di
quanto verrà affrontato nel corso del 2005.
Si tratta dunque di un fascicolo tecnico,
di un ponte tra il passato triennio ed il
nuovo, dove informazioni e tendenze sono
proposte all’esame ed alla riflessione. Nell’ottobre a Tarragona, in Spagna, si è tenuta
la V Conferenza dell’Unione Massonica
del Mediterraneo, di cui il Gran Maestro
Luigi Danesin è coordinatore. Possiamo
senza dubbio considerare quest’evento
come una conferma del prestigio di cui la
Gran Loggia D’Italia degli A.L.A.M. piazza
del Gesù, Palazzo Vitelleschi, gode nell’ambito di quelle nazioni, che videro la nascita
e lo sviluppo delle più antiche civiltà. Alfabeto, filosofia, scienze ed arti vi trovarono
la matrice e l’energia propulsiva. La presenza in Catalogna di un notevole numero
di massoni italiani ha fornito una prova
di grande consapevolezza della vitalità di
quei lasciti. Ma ha dimostrato anche la
coesione dell’istituzione ed il consenso
verso l’iniziativa che segnò gli ultimi anni
del gran magistero di Franco Franchi. Le
relazioni, lette nel corso del convegno,
sono riportate integralmente per consentire
a chi non ha partecipato ai lavori la conoscenza delle tematiche e delle idee sulle
quali si basa l’esistenza dell’Unione. La
parte preponderante di Officinae è stata
destinata alla grande Tornata Elettorale
dello scorso dicembre. Vicina al Solstizio
d’inverno questa solenne cerimonia, che
si ripete ogni tre anni, è consacrata alle
votazioni per il rinnovo delle cariche. Luigi
Pruneti ci parla dei suoi significati spirituali
ed esoterici. Come editoriale pubblichiamo
il saluto commosso che il Gran Maestro,
rieletto per la seconda volta, ha indirizzato
agli astanti, al termine delle operazioni di
voto. L’argomento è stato completato con
brevi presentazioni degli eletti. Delineare
il profilo di coloro che guideranno la Gran
Loggia D’Italia nei prossimi tre anni poteva
diventare un’operazione a rischio di sospetti. Pertanto il direttore ha preferito
narrare del Gran Maestro e del Vicario
qualche aneddoto meno ufficiale ma forse
abbastanza significativo per la conoscenza
di aspetti più intimi e personali. Nel mese
di giugno tracceremo quindi i profili dei
due Gran Dignitari già eletti in dicembre,
cui si aggiungeranno quelli dei Grandi
Ufficiali. In queste pagine si inizia anche
a parlare del bicentenario della fondazione
del Supremo Consiglio d’Italia, espressione
fondamentale del Rito Scozzese Antico ed
Accettato. Oggi la Gran Loggia D’Italia,
che nacque proprio da questa matrice per
opera di Saverio Fera, celebra la continuità
e la solidità dello scozzesismo, vissuto come
scelta spirituale effettuata nell’ ormai lontano 1908 dai fratelli che non accettavano
la pesante contaminazione, allora in atto,
tra massoneria e politica. Come è abitudine
di Officinae, anche questa volta, abbiamo
ricercato nei documenti dell’antichità le
origini dell’istituto delle elezioni e di molte
usanze ad esso connesse. Fabrizio Del Re
ha rovistato nella bibliografia classica riesumando curiose notizie circa le modalità
elettorali presso i greci. Stessa operazione
è stata effettuata nei confronti degli usi
templari. Manlio Maradei ha contribuito
al nostro vagare e divagare tra le somme
cariche dell’Obbedienza, vertici gerarchici,
con un significativo pezzo sugli obelischi.
Ma la storia ci chiedeva altri spazi nel
curioso racconto di monache in sospetto
di connivenza con massoni libertini del
settecento, per la penna di Maria Concetta
Nicolai. Paolo Maggi ha completato questa
immersione nelle più remote credenze
con la sua interessante indagine sugli antichi morbi. Forse quando si parla di elezioni si pensa istintivamente a profondi
cambiamenti e a radicali sconvolgimenti,
ma anche se niente di tutto questo può
accadere in un mondo dove i fatti hanno
dimostrato continuità, concordia e coesione di fondo, l’immagine del terremoto
sembrerebbe trovare, in questo numero,
una sua allusiva collocazione simbolica.
In realtà ciò che ha spinto Silvia Braschi a
parlarcene, come si può ben pensare, non
è stata la provata compattezza della nostra
istituzione, ma la tragicità dell’esperienza
cui l’umanità è stata di recente sottoposta
nel sud est asiatico. Anche sulla calamità
naturale, appuntamento epocale per gli
esseri umani, è importante che l’iniziato
fermi il suo pensiero. Dopo le recensioni
cui in questo numero è stato dato un maggiore spazio, riprende la rubrica “Fregi di
Loggia”.
il direttore
3
4
RGOGLIO: orgoglio
per essere FraMassone con quasi 40
anni di iniziazione alla
Gran Loggia d’Italia degli Antichi Liberi
Accettati Muratori Obbedienza di Piazza
del Gesù, Palazzo Vitelleschi
ORGOGLIO: per trovarmi decano per
l’anzianità di appartenenza al Supremo
Consiglio.
ORGOGLIO: per appartenere a questa
Grande Sovrana Regolare Obbedienza che
privilegia, in assoluto, la difesa dell’istituto
iniziatico; la difesa della sacralità del Tempio.
ORGOGLIO: per essere membro di questa
Obbedienza che non concede spazio a
movimenti profani ed alla tentazione, forte,
di trasgredire le corrette norme della millenaria tradizione iniziatica.
E poi, e poi
COMMOZIONE: grande, forte, per il riscontro avuto sulla compattezza della Comunione.
COMMOZIONE: grande, forte, per la
consapevolezza che ben si è operato, per
la garanzia della continuità assicurata.
COMMOZIONE: grande, forte, fortissima,
perché anche in questo momento Vi sento
tutti vicini, vicinissimi, stretti in quel vincolo
che ci unisce e che fa grande la nostra
Obbedienza. Siamo qui a festeggiare un
evento importante per la vita della nostra
Obbedienza, un evento che sancisce la
natura al tempo stesso verticistica e democratica della nostra Istituzione: le elezioni
del Sovrano Gran Commendatore Gran
Maestro e della Gran Maestranza tutta. E’
in questa occasione che la Gran Loggia
d’Italia ha modo di far sentire la voce di
tutte le proprie istanze, dai membri effettivi
del Supremo Consiglio ai presidenti delle
Camere del Rito… e giù fino ai Maestri
Venerabili di ogni singola Rispettabile Log-
gia ... e tali istanze oggi si sono pronunciate
in modo che - inutile nasconderlo - mi
rende felice e gonfio di legittimo orgoglio.
L’esito delle votazioni ci ha, infatti, riconsegnato un’Istituzione, forte, compatta che
ha dimostrato con i fatti di saper affrontare
e risolvere in modo brillante i pur non
indifferenti problemi che - i mai totalmente
dismessi metalli - avevano cercato di creare
al nostro interno. Sono stati anni difficili,
difficilissimi! Insinuazioni, chiacchiere,
lettere, raccomandate, dissidi, voci malevole, di pochi, anzi pochissimi, fratelli..!
Tutto è stato assorbito dalla nostra grande
obbedienza il cui grande cuore splendida-
mente pulsante ha saputo superare ogni
ostacolo ed ogni avversità. Tutto è stato
riassorbito all’interno di una decisione
corale che conferma un dato di fondo
quanto mai importante: il lavoro svolto,
certo lacunoso, certo perfettibile, certo non
esaustivo ma sicuramente denso di passione, di impegno, di coraggio... il lavoro fatto,
dicevo, ha pagato. Sì, ha pagato! Ha pagato
nel senso che i Fratelli e le Sorelle si sono
riconosciuti nella linea che abbiamo cercato
di dare all’Obbedienza, fedeli a principi
che poi saranno gli stessi che ci guideranno
nel prossimo ancor più impegnativo triennio e che, comunque, già da oggi ci con-
5
sentono di guardare al futuro
con rinnovata fiducia. Occorre
però la compattezza! In questa
sede mi appare del tutto inopportuno scendere nei particolari
sul programma che vorremmo
svolgere! Questa sarà materia
che approfondiremo nei prossimi mesi e nelle sedi opportune.
Eppure qualcosa voglio dirla
anche questa sera, per concludere nel migliore dei modi
questa stupenda giornata. Indubbiamente i punti focali da
cui la nostra Obbedienza non
può distaccarsi li conoscete bene
tutti: la continuità nella tradizione, il più assoluto rispetto
della ritualità e della sacralità,
una precisa collocazione della
Libera Muratoria nel solco di
quella cultura del Mediterraneo
che tanto ha dato ai nostri popoli. Ecco, Fratelli e Sorelle,
questo è un punto su cui mi
sento di dovermi soffermare in
quanto coglie un aspetto determinante di quella che sarà la
“politica” obbedienziale nel
prossimo futuro. Forti del nostro convincimento e della nostra fede nell’Istituzione, siamo
riusciti ad organizzare e lanciare
questa Unione Massonica del
Mediterraneo che sta dando
veramente splendidi frutti.
Come ho avuto modo di informarvi, dopo le tre preparatorie di Reggio Calabria, Palermo, Napoli e successivamente
la quarta a Beirut, l’ultima
conferenza – la quinta – svoltasi
in Spagna, all’Oriente di Tar-
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ragona, è stata un’esperienza
esaltante che ci conferma nella
giustezza delle nostre posizioni.
Vale a dire una Libera Muratoria che trae la sua linfa vitale
dalla grande e millenaria cultura
del Mare Nostrum e che proprio
per questo non abbisogna di
alcuna patente di legittimità o
di regolarità che le provenga da
chicchessia. Una Libera Muratoria aperta verso l’esterno,
che non sopporta anacronistici
steccati tra le due metà del cielo
(Uomo/Donna) e che intende
misurarsi con i grandi problemi
che affliggono la nostra società,
abbandonando quella sorta di
dorato isolamento in cui ci si
era chiusi anche perché costretti
da eventi non proprio esaltanti.
E, a questo riguardo, i fatti ci
stanno dando finalmente ragione: alcune pronunce giurisprudenziali hanno fatto piazza
pulita di certa “caccia alle
streghe” che troppo spesso ci ha
visto nei panni di vittime designate e che speriamo non abbiano mai più a ripetersi. Certo,
tutto questo è molto più facile
a dirsi che non a farsi… ma
l’esperienza di questi ultimi tre
anni dimostra che se ci sono
l’impegno, la dedizione, la
passione, la fede, i risultati
vengono. Ma badate bene,
l’impegno deve essere corale, di
tutti: dall’apprendista appena
iniziato fino al Vostro Sovrano
Gran Commendatore Gran
Maestro. Da parte mia Vi assicuro che ci sarò sempre e co-
munque, pronto ad ascoltare ciascuno di
voi, sollecito nell’ambito delle mie possibilità, a raccogliere le vostre indicazioni, i
vostri suggerimenti nel superiore interesse
della Gran Loggia d’Italia, di questa Obbedienza sovrana che ora è forte anche di
grandi numeri. Stiamo ben attenti: non
siamo abbagliati dal
numero dei fratelli
che sono oramai
parecchie migliaia;
non siamo abbagliati
dai 140 Orienti, vale
a dire 140 località in
cui si estrinseca la
nostra attività massonica; non siamo
abbagliati dal nostro
pur consistente patrimonio immobiliare. Ma non possiamo neppure
essere ciechi dinnanzi a queste semplici cifre che indicano a che punto
siamo giunti e come
costituiamo una
realtà di assoluto
rispetto nel panorama della Massoneria internazionale.
Non a caso possiamo contare su solidi
rapporti di amicizia
con Obbedienze
particolarmente significative: cito il Grande Oriente di Francia, il Gran Collegio
dei Riti di Francia… ma potrei citarvene
decine e decine. Carissimi Fratelli, Carissime Sorelle, qui mi fermo perché non
vorrei tediarvi oltre ma permettetemi
ancora qualche minuto per ringraziare
quanti mi sono stati di particolare aiuto
in questi tre anni e che spero continueranno a sostenermi nel prossimo futuro.
Mi ripeto: non è la sede opportuna e lo
rimanderei alla prossima assemblea che
si svolgerà a marzo prossimo ma, fin
d’ora, mi rende felice poter riconoscere,
già in questa sede, la grandissima collaborazione prestata da tutti Voi.
In primis
il Luogotenente Sovrano Gran Commendatore Gran Maestro Aggiunto Vicario,
Ven.mo e Pot.mo Fr. Luigi PRUNETI,
il Gran Segretario Generale Elett.mo e
Pot.mo Fr. Enrico SANTORO,
il Direttore di Officinae Elett.ma e Pot.ma
Sr. Anna GIACOMINI,
il Coordinatore dei siti Internet Ill.mo
Fr. Massimo BADOLATO,
il Responsabile dei Servizi Informatici
Ill.mo Fr. Luigi GREGORI
…e consentitemi il
mio Segretario
Particolare, Elett.mo
e Pot.mo Fr. Gerlando GATTO
…e con riferimento
a queste ultimissime
giornate i Fratelli e
le Sorelle tutti che
hanno fatto parte
della Commissione
Verifica Poteri,
Commissione Elettorale e quelli che
hanno assicurato un
eccellente Servizio
d’ordine. Un ringraziamento particolare va poi al corpo
impiegatizio della
Sede Nazionale, che
nella sua totalità mi
ha così ben supportato nel corso di
questi ultimi tre anni.
Con questa elencazione dovrei continuare a lungo ma
preferisco fermarmi
qui e dirvi ancora che vi tengo tutti stretti
nel mio cuore in un grande, unico, caldissimo e fortissimo ringraziamento.
P.4: Allegoria, maestro di Flora (Francia, metà del
XVI sec.), Pinacoteca civica, Ravenna; p.5 e p.6: Il
S.G.C.G.M. Luigi Danesin; p.7: Pianeta, sec. XIX,
Palazzo Roffia, Firenze (p.5/6/7: foto Paolo Del Freo).
7
8
ell’oscurità dei giorni
solstiziali, quando le
ombre si allungano a
dismisura e gli alberi,
come mani scheletrite, sembrano impetrare al cielo un po’ di luce, il Sole muore
e rinasce, rinnovandosi in un cosmico
rito iniziatico. L’astro antico, ormai privo
di forze, si spegne e con la sua ultima
scintilla, come un capro sacrificale. E’
interessante considerare come in Grecia
l’amnion fosse il vaso ove veniva raccolto
il sangue delle vittime (R. Castiglione,
Corpus Massonicum, Roma 1984, p. 280),
feconda l’amnios (E. Servadio, L’acqua,
in Hiram, n. 7, Settembre 1992, p. 58)
cosmico per dar vita al nuovo luminare,
eversore di tenebre, dispensatore di saggezza, messia di rinnovata speranza. Culture diverse, in periodi fra di loro lontani,
colsero questo messaggio primordiale,
raffigurato nel cielo e videro nel giorno
dello sposalizio fra la notte più lunga e il
giorno più breve il momento della nascita
dell’eroe eponimo o del dio benevolo e
soterico. Horus, Mitra, Dionisio, Hermes,
Zeus, Lugh, Artù … mille nomi per indi-
ai calici aperti si esala
l’odore di fragole rosse.
Splende un lume là nella sala.
Nasce l’erba sopra le fosse.
…
E’ l’alba: si chiudono i petali
un poco gualciti; si cova,
dentro l’urna molle e segreta,
non so che felicità nuova”.
G. Pascoli, Il gelsomino notturno
da Canti di Castelvecchio
care che, con la teofania della luce, lo
strappo temporale di Samhain, il giorno
senza nome, era ricomposto e la porta
sull’abisso richiusa (R. Fattore, Feste pagane, Forlì 1999, p. 102). Era questo il
Dies natalis solis invicti, del parto virginale,
della luce crescente, l’atteso momento
della rigenerazione quando, all’alba di un
nuovo giorno, sarebbe sorto il “Sole di
giustizia”, profetizzato da Malachia (Ma-
9
lachia 3, 20). Nel fuoco purificatore bruciava l’agrifoglio per dar forza e vigore
all’abete che sfidava col suo verde l’algido
lucore dell’inverno, protendendosi verso
l’alto con quei rami che evocavano algiz,
la runa della vita (A. D’orazio, Solstizio
d’inverno. Rito e simbolo, Roma 1997, p.
42). Alcuni chiamarono questo arcano
segno “la mano di Dio”, altri la trasformarono nel monogramma del Salvatore,
ovunque segnò la via di chi volle cimentarsi nel “Viaggio”.
Riprendiamo il cammino
Anche noi ogni tre anni, quando il vecchio
sole muore per dar vita al nuovo, dopo
una pausa di riflessione, riprendiamo il
cammino lungo la strada della Tradizione
che porta all’edificazione del Tempio interiore. Per un attimo ci siamo fermati,
abbiamo considerato la strada percorsa e
quindi, abbiamo stabilito quale direzione
prendere. Al pari di chi seguiva l’astro
morente per raggiungere la tomba dell’Apostolo e raccogliere sulle sponde dell’oceano la conchiglia pellegrinale, abbia-
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mo fatto sosta ad una nostra Puente la
Reina, tappa breve, ma necessaria e a
lungo attesa.
Ora il momento elettorale è terminato,
nel tripode desideri, aspettative, posizioni
diverse si sono unite in un’unica fiamma
di amore e di fratellanza, rinnovellando
il desiderio di avvicinarsi ancor di più a
quell’Oriente lontano ove Helios ha dimora, per conoscere la Profondità del
Principio e la Profondità della Fine, la Profondità del bene e la Profondità del male
(Sefer Yetzirà, Libro della formazione, Roma
2000, p. 21).
Il difficile procedere
Non sappiamo cosa ci riserverà il futuro,
quali ostacoli incontreremo. Di fronte a
noi, si stagliano all’orizzonte alte montagne, valichi incerti e difficili, selve sconfinate, fiumi impetuosi, paludi vaste ed
inquietanti, dove dimorano le nebbie ed
orientarsi è una difficile impresa. Sappiamo che stanchezza, delusione, impazienza
sono pronte a metterci alla prova. E’ noto
a ciascuno di noi che numerose saranno
le insidie che ci attendono. In ostelli accoglienti, in locande provvide di delizie,
sirene dalla voce melodiosa ci inviteranno
a fermarci, a mettere radice, promettendo
chi sa quali meraviglie. Quando poi il
cammino ci parrà infinito, la direzione
incerta, la scelta difficile, nell’accidia del
meriggio, appariranno tremuli miraggi.
Effimere visioni di frutteti e giardini metteranno alla prova la nostra volontà. Cori
giovanili e voci suadenti cercheranno di
distoglierci, di farci dimenticare quella
“pietra angolare”, posta “mentre cantavano insieme le stelle del mattino” (Giobbe
1: 38, 6-7).
Sotto la guida della Tradizione
Siamo comunque consci che, nonostante
le tante e ripetute prove, il viaggio proseguirà sicuro se avremo la costanza di affidarci sempre alla guida della Tradizione.
E’ fondamentale però non scambiare questo filo sottile, difficile da scorgere con un
cordame assai più evidente. Cadere nella
trappola del tradizionalismo, confondere
la forma con la sostanza, è facile e chi non
scorge il trabocchetto precipita in una
dimensione opposta. Il regno delle ombre,
generato dall’incomprensione dei valori
tradizionali è un carcere, chiuso da un
dogmatismo che l’ignoranza generò per
avversare proprio la Tradizione. Qui ogni
adattamento ai tempi è percepito come
“una sorta di sacrilegio” (R. Guenon,
L’ortodossia massonica … cit, pp. 167 –
169), ogni desiderio di comprendere, un
attentato apocalittico ad un indefinito
passato che nessuno conosce, ogni testimonianza del proprio pensiero, se si discosta dal conformismo imperante, una
bestemmia. La Tradizione è un’altra cosa.
Si trasmette in modo dinamico, adattandosi ai tempi, secondo una mitopoiesi
che, pur conservando gelosamente il messaggio originario, i valori primordiali e gli
archètipi fondanti, assume i linguaggi del
momento, disponendosi sicura nell’alveo
del presente (Dizionario di antropologia
a. c. di U. Fabietti e F. Remotti, Bologna
1997, pp. 761 –763; B. Malinowski Il significato del significato. Studio dell’influsso
del linguaggio sul pensiero e della scienza
del simbolismo, Milano 1966, pp. 334 –
383. Cfr. G. Balandier, Le società comunicanti, Bari 1973; G. Balandier, Società e
dissenso, Bari 1977).
La Tradizione e il presente
La Tradizione, scrive Guenon, non è per
niente estranea all’evoluzione e al
progresso” (R. Guenon, L’ortodossia massonica … cit, pp. 167 – 169) e la Massoneria, che ne è un’espressione, la deve vivere
in maniera assolutamente corretta. Mentovati tradizionalismi di maniera che pubblicizzano, con alte grida sulla pubblica
piazza, una loro presunta purezza d’origine, spesso nascondono un’assoluta assenza
iniziatica. Alcuni poi, dietro una barocca
facciata di gesso e di cartone, coltivano
un associazionismo indefinito, condito
da una consunta retorica che rivendica
glorie spesso fasulle. Ognuno è comunque
libero di impiegare il proprio tempo come
meglio crede, l’importante è non confondersi con coloro che hanno scelto, più o
meno consapevolmente, altre strade, divergenti da quella che noi desideriamo
percorrere. Essere massoni significa, riattualizzare l’iniziazione, vivendo da protagonisti il presente, con la forza e la sicurezza che il passato ci offre (H. Corbin,
Che cosa significa tradizione – attualità
della filosofia tradizionale in Coscienza
religiosa, n° 3, 1969, pp. 226 – 227).
“Operare per il bene e il progresso dell’umanità”, costringe a calarsi di continuo
nel concreto della realtà, a misurarsi con
i problemi che un’umanità, alla ricerca di
se stessa, lamenta in ogni momento. D’altra parte il seme è tale perché un giorno
germoglierà, spunterà dalla terra, desideroso di Sole, crescerà, si farà albero, fruttificherà e a tutti offrirà i propri doni. Se,
al contrario, rimarrà per sempre nell’oscurità, soddisfatto della propria inespressa
potenzialità, senza desiderare la luce del
giorno, è destinato ad essere un relitto
solitario di cui prima o poi si smarrirà
pure la memoria.
Generosità del saggio
Parimenti colui che si dice saggio, beandosi
del proprio conoscere, senza offrire agli
altri la minima parte di se stesso, non è
altro che un illuso che ha confuso la povertà con la ricchezza, la sapienza con
l’ignoranza. La strada è lunga, impegnativa
e difficile, va affrontata con consapevolezza, umiltà, raziocinio ma va affrontata.
L’astro, rinato nei giorni più bui dell’anno,
indica con il suo fulgore che non bisogna
avere timore di testimoniare ciò che siamo
e verso quale meta conduce il nostro cammino. La massoneria, quella vera è cristallina come l’acqua di sorgente, penetrante
come l’aria, pura come il fuoco. Non
conosce accomodamenti, falsità, meschinerie, arroganza. Non si maschera dietro
il vuoto concettuale, nel qualunquismo
ideologico che alla prosopopea della parola
fa seguire il niente. Fratellanza, uguaglianza, tolleranza, amore non sono flatus ma
fini da raggiungere ed imporre, ogni giorno, in concreto, all’interno e al di fuori
del Tempio, lavorando su se stessi con
costanza ed ardore. Solo così il Sole bambino, lascerà il grembo oscuro della madre
Terra e, raggiunto il padre Cielo indicherà
agli uomini che hanno occhi e cuore, la
via della speranza.
P.8: The Course of Empire, Desolation (part.), T.Cole,
1836, New York; p.9: Ritratto d'uomo che sospende
la lettura, Francesco Mazzola detto ‘il Parmigianino’
(1503-1540), York Museums Trust; p.10: Impresa
di Giuseppe..., 1524, Lorenzo Lotto, Bergamo. p.11:
Impresa della sommersione di Faraone, ibid.
11
ella stagione in cui il
Sole indebolisce il calore dei suoi obliqui
raggi consentendo all’atmosfera di riempirsi di brume e agli
animi di lasciarsi pervadere da malinconiche
suggestioni, ogni tre anni la Gran Loggia
d’Italia degli Antichi Liberi Accettati Muratori, Obbedienza di Piazza del Gesù, Palazzo
Vitelleschi, si riunisce in Grande Assemblea
per celebrare una Tornata Elettorale che ha
lo scopo di eleggere il Gran Maestro, la
Gran Maestranza e i Dignitari della Gran
Loggia. Tutto sembra accadere proprio
quando il momento vicino al solstizio d’inverno permea ogni avvenimento di un
singolare intimismo e le giornate corte, il
freddo, le frequenti piogge che intridono
l’aria favoriscono la riflessione e il raccoglimento. La casa è privilegiata rispetto al
rigore dell’esterno ed ognuno tende a cercare, più in sé che fuori nel mondo, le forze
che gli permetteranno di riavvicinarsi lentamente al trionfo della luce nel solstizio
d’estate.
Momento di riflessione, momento di scelte.
Non a caso questa scansione stagionale,
12
caratterizzata dalle nebbie notturne e dal
lungo buio misurato da deboli albe e precoci
tramonti, è quella in cui debbono essere
prese le grandi decisioni, fondamentali per
la vita dell’Obbedienza. Ogni massone con
diritto al voto, e che quindi partecipa alla
Grande Assemblea, vive un senso di profonda e seria sacralità, quella che la responsabilità di scegliere la guida per i successivi
tre anni, comporta.
Il 4 dicembre
Nella sede romana allo Zenit, il giorno 4
dicembre 2004 una folla di massoni provenienti da tutte le parti d’Italia ha esercitato
il proprio diritto di voto durante quella
cerimonia rituale in terzo grado, che ha
portato innanzi tutto all’elezione del Sovrano Gran Commendatore Gran Maestro
nella persona di Luigi Danesin e del suo
Luogotenente Vicario, Luigi Pruneti. Due
scelte fondamentali che hanno prodotto la
meritata riconferma di quanto tre anni
prima la stessa Assemblea aveva espresso.
Il Sovrano Gran Commendatore Gran
Maestro ed il suo Luogotenente Sovrano
Gran Commendatore Gran Maestro Aggiunto Vicario rappresentano, in una comunione iniziatica, il vertice da cui deve
promanare ogni idea guida. Alla luce del
recente vissuto, riteniamo esatto affermare
che l’idea guida della passata gestione potesse
riassumersi nella formula programmatica:
“Ricerchiamo la nostra vera Tradizione”.
Nella Tradizione, dove ogni massone attento
scopre il serbatoio di informazioni e di idee
sulle quali impostare la sua personale evoluzione interiore, l’attuale leadership ha dato
ampia dimostrazione di aver cercato una
fonte di idee, di pensiero e di iniziative. Per
aver seguito il tracciato di illustri predecessori, come Saverio Fera e Giovanni Ghinazzi,
che con la loro opera vollero allontanare
l’istituzione massonica dalle devianze della
profanizzazione, Luigi Danesin e Luigi Pruneti hanno ricevuto dal corpo elettorale il
giusto riconoscimento di tanto lavoro eseguito. Con esso è stata consegnata loro la
speranza che il prossimo triennio corrisponda ad un altro intenso periodo di crescita.
I Gran Maestri Aggiunti eletti: Arnaldo
Francia, Bruno Poggi (riconfermato) e
Giorgio Santoro li accompagneranno autorevolmente nel loro compito.
Riscoprire e riattualizzare
“E’ necessario che la Tradizione sia non
solo riscoperta ma addirittura riattualizzata
giacché (...) è continuità nel mutamento e
non ha niente da spartire con il tradizionalismo, mera conformità intenzionale a valori
definiti tradizionali” (L.Pruneti, Le Maître
e la Route, in Officinae n° 4, dicembre 2004).
Il massone di ogni grado, su questo tema
non può ingannarsi. La riscoperta della
Tradizione deve essere il compito primario
di chi quei principi deve
applicare alla vita dell’Obbedienza, indicando dall’alto
gli obiettivi a tutti gli aderenti
alla comunione. Se i momenti della percorrenza sono
singolari, perché espressione
della personalità e dell’individualità di ognuno, gli
obiettivi ed i metodi devono
essere corali. Questa è la
fratellanza. Un percorrere
insieme, nella condivisione
delle mete, strade che possono essere anche soggettive.
Ma gli obiettivi sono indicati
dai vertici e devono coincidere con la Tradizione.
Un’istituzione massonica
diviene così una fucina di
umanesimo. Eleggere il Gran
Maestro ed il Suo Vicario,
dunque, nella comunione
iniziatica significa demandare a chi è preposto istituzionalmente a
farlo, il difficile compito di individuare le
mete e di mettere a punto i dispositivi
d’azione per raggiungerle. Il singolo massone
dovrà poi trovare in sé, nell’unicità della
sua mente e delle sue predilezioni culturali,
le tematiche da approfondire su questi
tracciati. Ma mai la sua iniziativa personale
potrà, per un malinteso senso di democrazia,
sostituirsi alla riattualizzazione del portato
tradizionale, compito precipuo del Gran
Maestro e dei suoi più stretti collaboratori:
il Vicario e la Gran Maestranza.
Fondamentali momenti di scelta
Ecco perché una forte atmosfera di partecipazione e di emozione, caratterizza questi
fondamentali momenti di scelta. E il conseguente giubilo che i rituali segnalano come
approdo del rito è la catarsi dalla quale ci si
sente avvolgere quando i presupposti siano
fatti salvi e prenda le redini dell’Obbedienza
chi dà collaudata garanzia di guida. Nel
fuoco sono state bruciate le schede di voto
per sottolineare la liberazione dalle inevitabili
tensioni elettorali, così come solevano gli
antichi muratori delle gilde che mai consegnavano alla posterità calcoli, scritti, progetti,
ma solo il frutto eloquente del loro lavoro.
Ogni momento della Tornata elettorale,
coscientemente o meno, è stato vissuto
dall’Assemblea in questa escalation di purificazione e di progettazione. Il complesso
e lungo lavoro preparatorio eseguito dalla
Segreteria e dalle Commissioni per la verifica
dei poteri, l’impegno della Commissione
elettorale nel tempio, le vere e proprie operazioni di voto hanno dato vita ad un continuum di serena operatività. L’accresciuto
numero dei votanti, dato
dalle nuove logge e dalle
camere fondate nello scorso
triennio, non è stato di
ostacolo allo svolgimento
della giornata che ha avuto
un andamento ordinato. I
lavori si sono conclusi con
l’elezione dei due Gran Dignitari della Gran Loggia
(Art. 22 degli Statuti della
Gran Loggia D’Italia) nelle
persone dei fratelli: I Sorvegliante, Marco Galeazzi (riconfermato) e II Sorvegliante, Laura Madonia.
Anche gli episodi successivi
alla Tornata: la conferenza
stampa all’hotel Minerva,
seguita dalla festosa e ricca
agape, hanno mostrato un
vero affratellamento dei
partecipanti. Ribadito,
questo, il giorno successivo
dalla Catena d’Unione ordinata dal Sovrano
a conclusione della Tornata Straordinaria
del Supremo Consiglio, cui hanno partecipato tutti i Membri Effettivi presenti. Le
nebbie del solstizio d’inverno sono state
così disperse dal forte eggregore, che rende
uniti e coesi i fratelli della Gran Loggia
D’Italia.
P.12: Ingresso della sede Nazionale della GLDI, Roma;
p.13: Interno del Tempio Nazionale della GLDI, Roma
(p.12 e 13: foto Paolo Del Freo).
13
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on il suo accento veneziano ispira subito
un senso di nobile
cordialità. Si dice che
i veneziani siano
“gran signori” e il
caso di Luigi Danesin ne è la prova evidente. Dopo tre anni di intensa collaborazione dovendone dare una descrizione
possibilmente sintetica non posso fare a
meno di dire “gran signore”.
Durante il primo triennio di Gran Magistero il suo amore per il decoro si è espresso
in molti modi.
Per prima cosa avendo intuito le potenzialità architettoniche della sede di Palazzo
Vitelleschi, ha profuso ogni cura nel rendere il luogo degno dell’Istituzione che
era chiamato a guidare.
Oggi abbiamo un maestoso scalone, un
ingresso marmoreo, sale luminose ed
ampie, una biblioteca articolata su due
piani, uffici e spazi rituali, che portano la
sua impronta e perfettamente consoni
all’importanza della Gran Loggia D’Italia.
Nel Tempio maggiore ha voluto lasciare
un personale regalo: quattro vedute a tutta
parete di soggetti che richiamassero simbolicamente i punti cardinali. Gran signore, inizia il suo primo mandato pensando
alla solidarietà e con gesto eloquente porge
al Gran Tesoriere il suo personale segno.
Tutti i fratelli presenti alla Grande Assemblea intuiscono che Danesin viene tra noi
per dare e non per ricevere.
Così la Massoneria di Piazza del Gesù,
Palazzo Vitelleschi ha visto incontri, conferenze stampa, convegni; della sua ricostruita immagine si sono occupati i media,
è presente in internet con ben due siti e
non vi è regione italiana nella quale non
esista una sua sede.
Curriculum
onsulente del lavoro con numerosi
studi professionali a Venezia, Mestre
e Padova, Luigi Danesin dal 1952
esercita la sua professione. Lo scorrere degli
anni lo ha visto ricoprire cariche di grande
responsabilità e prestigio nel tessuto economico del Triveneto, in molte associazioni
di categoria, come l’Associazione Nazionale Consulenti del Lavoro, o in istituzioni
pubbliche come l’Azienda Autonoma di
Soggiorno e Turismo di Venezia, il cui
Consiglio di Amministrazione ha presieduto. E’ stato inoltre co-fondatore della
Banca Popolare di Venezia. La sua multiforme attività ed i molti interessi che
costellano la sua vita profana non gli
hanno creato ostacolo per un’attività
massonica intensa e di partecipazione,
caratterizzata da numerosi incarichi e
contributi fattivi alla vita dell’Obbedienza.
Dalla vita delle logge all’organizzazione
degli orienti nel Triveneto, ai congressi e
alle celebrazioni internazionali, la sua
operatività è sempre stata dinamica e
indefessa. Allo scadere dei venticinque
anni di militanza massonica, la GLDI lo
ha insignito della medaglia d’argento che
segna il suo primo quarto di secolo al
servizio dell’ideale libero-muratorio, da
quel 1968 che lo vide bussare alla porta
del Tempio. Oggi è Sovrano Gran Commendatore Gran Maestro in carica per
un secondo mandato (2004-2007), che
segue la sua prima elezione avvenuta nel
dicembre del 2001. A tale somma dignità
unisce la carica di Coordinatore dell’Unione delle Potenze Massoniche del Mediterraneo.
Il Gran Maestro viaggia dovunque, instancabile ed attivo.
In questi anni ci ha insegnato che la commozione di fronte alla bandiera è
un’espressione di valori recuperati in un
mondo minimalista che non deve contaminare la nostra comunione di eletti.
Si sono visti molti fratelli cantare nel tempio l’inno nazionale, trascinati dal genuino
slancio con cui il loro Sovrano baciava il
lembo del tricolore.
Ma abbiamo anche assistito a moti di più
intima e familiare generosità, come quando al Vicario, che ammirava la sua cravatta, gliene fece subito dono.
Un Gran Maestro che cura personalmente
ogni dettaglio ed ogni rapporto con i
fratelli che lo circondano, non dimenticando quelli delle province più remote,
dà prova di considerare i suoi collaboratori
sempre con estremo rispetto e con sincera
affabilità. Nelle Tornate a cui partecipa
non manca mai uscendo di soffermarsi,
per osservare attentamente i visi dei presenti, quasi a volerli ricordare tutti, uno
per uno.
Mi accorgo di sorridere mentre scrivo
queste righe. Ma a chi sorrido? Alla tastiera
del mio computer? O forse alla fiducia ed
all’affetto che un Gran Maestro ha saputo
sollecitare in chi aveva qualche tristezza
da dimenticare e qualche sogno remoto
che sembrava ormai trasformarsi in illusione? Il Sovrano Gran Commendatore
Gran Maestro ci ha dato momenti di
commozione, di fiducia e di orgoglio. A
lui auguriamo di proseguire su questa via
con la forza del suo contagioso entusiasmo.
Anna Giacomini
P.14: Il S.G.C.G.M. Luigi Danesin (foto Paolo Del Freo)
15
16
arlare della poliedrica personalità di
Luigi Pruneti non è cosa semplice
anche per chi lo segue personalmente
da diverso tempo. Per non incorrere nel
sospetto di volerne intessere una sorta di
adulatoria agiografia, una santificazione in
vita, completamente fuori luogo per un
libero pensatore quale intende
essere chi scrive, si potrebbe
ricorrere ad un’aneddotica
personale o forse a qualche ricordo ufficiale già un pò impallidito, ma che sommato alle
più attuali considerazioni formi
un’immagine reale. Per cominciare, volendo dare una
definizione concisa che dica
qualcosa di lui, si potrebbe usare
il termine “maestro”. Cominciai ad apprezzarne questo
aspetto quando da timida apprendista durante una Tornata
seminariale tenuta in prima
persona dal fratello Luigi, allora
Ispettore Provinciale dell’Oriente di Firenze, mi trovai
nell’imbarazzante situazione di
dover dare alcuni ragguagli a
lavori aperti e su domanda. Io
sapevo che l’apprendista non
aveva diritto a parlare, il mio
Maestro Venerabile mi aveva
raccomandato il silenzio insieme con tutti i comportamenti relativi al grado. Eppure
in quel momento era necessario
prendere la parola. Il fratello
Luigi risolse la mia incertezza
rivolgendomi un sonoro e
scandito “Parla!” in cui io lessi
tutte le spiegazioni del caso: le possibili
deroghe alle regole, il potere del Maestro
Venerabile, la logica che deve sottendere
ogni scelta massonica ed altro. E’ un episodio
apparentemente insignificante, ma credo
che quello sia stato il momento in cui, nel
segreto, lo elessi mio maestro. A volte un
maestro non sa di esserlo, o per lo meno
non sa quanto e come le proprie parole
possano incidere su un pensiero in formazione. Ed io non credo che il fratello Luigi
si possa ricordare della goffa apprendista
rattrappita su quella scomoda panca, timida
ed imbarazzata. Ma la goffa apprendista
ricorda tutto perfettamente e quella prima
semplice lezione di dignità e di valori, la
vive ancora con emozione. Da allora il
maestro mi insegnò molte altre cose con la
stessa naturalezza. Gli chiesi una volta dove
avrei potuto trovare un palindromo del
SATOR in Toscana, perché avevo intenzione di fare una ricerca sulla misteriosa formula. La risposta fu immediata: “A Campiglia Marittima sull’esterno della pieve di
San Giovanni”. Ci ho scritto sopra il mio
primo libro. Scommetto però che il fratello
Luigi non lo ricorda. Così di seguito: consigli
sulla ritualità, suggerimenti bibliografici, il
senso riposto nelle norme statutarie, ogni
volta che gli esponevo i miei interrogativi
ottenevo ed ottengo preziose ed ampie
risposte. Avere un maestro è cosa rassicurante. Il pensiero, da solo, liberamente
spazia, vola sulla spuma di onde tempestose
e trascinanti, si acquieta su lagune incantate,
ma quando può tornare dal maestro riacquista forza e la capacità di altri voli e di
altri sogni.
Anna Giacomini
P.16: Il L.S.G.C.G.M.A.V. Luigi Pruneti; p.17: Luigi Pruneti
ed Anna Giacomini (foto Paolo Del Freo)
Curriculum
ocente, letterato, storico e geografo
Luigi Pruneti è fiorentino di nascita
e di residenza. Dalla sua città ha
assorbito il più profondo amore
per la cultura, la curiosità per ogni
disciplina umanistica, il gusto per
la ricerca e l’orgoglio delle radici.
In qualità di massonologo ha all’attivo un notevole numero di
pubblicazioni tra le quali:
- Le finalità della libera Muratoria
rispetto all’ordinamento religioso,
Firenze 1982
- Storia della GLDI degli ALAM
obbedienza di piazza del Gesù,
Palazzo Vitelleschi. Della costituzione del Supremo Consiglio
d’Italia del Rito Scozzese Antico ed
Accettato e della sua Gran Loggia
dal 1908 al ‘90, Roma 1991
- Oh setta scellerata ed empia, Firenze
1992
- La tradizione massonica scozzese
in Italia, Roma 1994
- Verso la mixité: Storia dell’integrazione femminile nella Massoneria, Roma 1994
-Antimassoneria ieri ed oggi,
Roma 1995
- La Sinagoga di Satana. Storia dell’antimassoneria 1725-2002, Bari 2002
- Lo Scozzesismo e la nascita del
Grande Oriente d’Italia, in Libertà
e modernizzazione, Massoni in
Italia in età napoleonica, a cura
di A.A.Mola, Roma 1996
- La Maremma nell’età di Carduccci, in G.Carducci: l’uomo il
poeta, il massone, Roma 2001.
Come giornalista pubblicista,
iscritto all’Albo professionale della
Toscana, ha collaborato e collabora con
i periodici di storia, archeologia, geografia:
Argomenti storici, L’Universo, Il Pensiero
politico, Cronache medievali, Archeomisteri,
Hera ed Officinae di cui è già stato direttore
editoriale e che cura con particolare impegno per quanto riguarda gli studi tradizionali e la massonologia. Di recente
ha dato alle stampe La Toscana dei misteri,
un volume in cui ha raccolto miti e leggende legate ai luoghi più suggestivi della
sua terra. Entrato in massoneria nel 1974,
all’età di 26 anni, ha percorso tutti i gradi
e le dignità raggiungendo quella di Luogotenente Sovrano Gran Commendatore
Gran Maestro Aggiunto Vicario nel 2002.
Per il prossimo trienno è stato confermato
nell’alta carica.
17
Gran Maestri Aggiunti
Bruno Poggi
Arnaldo Francia
Giorgio Santoro
ato a Forlì nel 1957, si laurea a Bologna
in Medicina e Chirurgia consegue
quindi la specializzazione in Ortopedia-Traumatologia e successivamente
quella in Medicina Legale. Cura con particolare interesse la storia della disciplina
medica producendo numerosi saggi sul
tema. Viene iniziato all’Oriente di Bologna
nell’anno 1967, raggiungendo il 33° grado
del RSAA nel 1989. In questo lasso di tempo
è molto attivo, e fonda l’Oriente di Forlì. E’
stato insignito di varie importanti cariche
sia nell’Ordine che nel Rito Scozzese Antico
Accettato. Ha scritto più volte per Officinae
ed è autore di molte pregevoli pubblicazioni
fra cui: I valori della Tradizione, ricerca storica
ed esoterica, Roma 1994. Una mano felicemente versata nel disegno gli ha permesso
di illustrare i due volumi Alla Ricerca del
Sacro, I Gradi del Rito Scozzese Antico Accettato, Roma 2002, un testo nato con l’intento
di non perdere, nell’ambito liberomuratorio, i valori più profondi della Tradizione, che rischiano di perdersi nell’amalgama multiculturale. Presto sarà dato alle
stampe anche Simbologia Alchemica, Araldica e Muratoria in due volumi. E’stato
eletto all’alta carica di Gran Maestro Aggiunto per la seconda volta consecutiva.
nizia il suo iter massonico presso la
R.L.Ausonia all’Oriente di Torino nel
1966 e quindi procede nel lungo percorso durante il quale assume le cariche
di Gran Consigliere dell’Ordine nel 1978
e di membro della Giunta Esecutiva dal
1986. Nel 1971 fonda la R.L.Convalles all’O.
di Pinerolo e nel 1973 il Capitolo Rosa+Croce Augusta Taurinorum. L’anno
1991 lo vede insignito della medaglia d’argento per i venticinque anni di appartenenza all’Istituzione. Negli anni ’70 il suo
impegno si rivolge all’editoria, fonda così
la Rassegna Massonica e la rivista Delta che
raccoglie tuttora numerose voci autorevoli
della cultura. Molto attivo anche nel Rito
dal 1995 è Membro Effettivo del Supremo
Consiglio.
E’ autore di alcune interessanti e documentate monografie:
- 1908/1978, 70 anni di vita massonica di
Piazza del Gesù, 1978
- Divagazioni sulla massoneria, 1992
- Italia Oggi: Delirio antimassonico ,1994
- Giovanni Ghinazzi e l’ecumenismo massonico, 1999
- Parliamo un po’ di Rito, 2000
Attualmente è il coordinatore per il bicentenario del RSAA.
l più giovane dei Gran Maestri Aggiunti
(44 anni) è calabrese e di formazione
fiorentina, per quanto concerne gli
studi accademici.
Avvocato amministrativista, accompagna
l’esercizio della sua professione nella città
di Cosenza, con quella di hotellier essendo
proprietario di due alberghi (cinque stelle)
posti in edifici storici sulla Costa Tirrenica
Cosentina, dove sono estremamente curati la buona tavola e il buon bere. Nel
tempo libero alterna studi di esoterismo
all’ascolto della musica barocca e alla
ricerca di argenti europei d’epoca e libri
antichi.
Attraverso apposite associazioni è impegnato a recuperare ed a valorizzare il
Centro Storico di Cosenza nonché il patrimonio culturale di cui le dimore storiche private calabresi sono testimoninanza.
Iniziato nel 1991 alla R.L .Zenit all’Oriente
di Cosenza, dal 1995 al 1998 ne è stato il
Maestro Venerabile. Viene elevato al 33°
grado del RSAA nel 2000 e nell’anno
successivo è nominato Membro Effettivo
del Supremo Consiglio. Dal 1997 è Delegato Magistrale per la Calabria, e dal 2001
Sovrano Grande Ispettore Generale Regionale.
18
19
20
a diffusione della
Massoneria nei vari
Paesi del mondo è
stata differentemente
condizionata dalle
situazioni locali di
tipo politico, religioso, sociale, economico nonché dalle stesse tradizioni storiche e culturali in atto nei singoli Stati.
Italia
In Italia, fatta eccezione per alcuni movimenti di pensiero che si possono anche
considerare precursori degli ideali massonici, si dovette attendere l’arrivo delle
armate napoleoniche sul finire del XVIII
secolo, per assistere alla nascita delle
prime logge in diverse città della penisola. Esse agirono per anni, ciascuna in un
proprio alveo territoriale con scarse possibilità di scambi culturali, di confronti
rituali e di collaborazioni finalizzate, in
quanto operative in un Paese da secoli
diviso politicamente in tanti Stati troppo
spesso separati oltre che dai confini anche da diverse culture, dalla diffidenza
se non dal sospetto reciproco.
Altrove
Negli altri Paesi, specie in quelli in cui
già esisteva una tradizione unitaria, la
diffusione della Massoneria fu assai più
rapida e, a distanza di non molti anni
dalla nascita delle prime logge, con l’istituzione dei così detti “alti gradi” cominciarono a svilupparsi anche istituzioni
rituali. Esse erano da considerarsi emanazioni delle stesse logge che si prefiggevano lo scopo fondamentale di approfondire le tante tematiche affrontate nei
primi tre gradi dell’Ordine. Non va sottaciuto che accanto a queste motivazioni
di tipo culturale e con finalità essenzialmente esoteriche, in alcuni casi ne coesistevano di tipo politico o sociale ed
anche alcune di più fragile valenza, connaturate peraltro alle stesse debolezze e
ambizioni dell’uomo. La diffusione di
questi riti nelle varie Obbedienze ormai
presenti in tanti Paesi, poteva costituire
testimonianza della libertà di pensiero
che è peculiare in Massoneria e giustificare differenze procedurali nelle celebrazioni rituali ma anche comportare il
rischio di una certa dispersione e frammentazione a livello operativo, nonché
di una radicalizzazione di posizioni ideologiche che, pur riconoscendo la matrice univoca, avrebbero potuto determinare, a distanza, differenze anche
notevoli e persino contraddizioni operative.
Il Rito Scozzese Antico Accettato
Si dovette attendere l’inizio del XIX
secolo perché si sviluppasse
un'emanazione rituale che, intimamente
convinta dell’importanza dell’approfondimento iniziatico che era nello spirito
di ciascun rito, intese per altro opporsi
efficacemente ai rischi ed ai pericoli di
una eccessiva dispersione. Si trattava del
Rito Scozzese Antico e Accettato ispirato
all’ortodossia e all’universalità massonica
e finalizzato a sorreggere l’Ordine, pur
nel rispetto della sua sovranità, laddove
e qualora “non fosse stato ancora possibile raggiungere lo splendore” auspicato
dai suoi fondatori e obiettivo di tutti i
massoni illuminati. Tale rito ebbe la sua
ufficializzazione nel 1801 nella città di
Charleston negli Stati Uniti. Alessandro
de Grasse–Tilly e Germain Hacquet,
muniti delle credenziali americane, lo
istituirono in Francia nel 1804 e lo stesso
Grasse-Tilly fondò l’anno successivo,
per l’appunto nel 1805, il primo Supremo Consiglio del 33° ed ultimo grado,
a Milano, diffondendo il rito degli
A.L.A.M. anche in Italia.
Sua diffusione
Per quanto tale rito abbia trovato fin
d’allora facile diffusione in tanti Paesi
d’Europa, soprattutto per i suoi ideali
di ecumenismo massonico e risulti oggi
il più diffuso nel mondo, tuttavia incontrò particolari difficoltà nel nostro Paese
non potendo del tutto sottrarsi al destino
di quelle logge che costituitesi in Italia
21
al seguito delle armate francesi erano
state praticamente disperse dopo la caduta di Napoleone e l’avvento della restaurazione assolutista. Va detto peraltro
che fu proprio per merito di isolate emanazioni rituali e in particolare di quelle
scozzesi, che la Massoneria, sia pure in
modo improprio, poté sopravvivere anche nel periodo dell’assolutismo per iniziare una certa ricomposizione.
Fu infatti nel periodo
del Risorgimento, ma
soprattutto dopo
l’unificazione del Regno che si assistette ad
un generale risveglio e
alla proliferazione di
nuove logge anche se
l’operatività, almeno
su di un piano nazionale, risultò ancora
per qualche decennio
condizionata dall’esistenza di alcuni
Grandi Orienti che
operavano pressoché
indipendenti tra loro
nella tradizione di
quell’autonomia
funzionale che consideravano patrimonio
inalienabile.
Processo di unificazione dell’Ordine
Anche quando, sul finire del 1800, meglio recependosi lo spirito dell’unificazione e attenuandosi il radicalismo anticlericale, si potè addivenire ad una
unificazione al vertice massonico, almeno per quanto concerneva l’Ordine, assai
più difficile risultò la via per raggiungere
una corale intesa in merito all’unificazione dei Riti. Anche se alcune emanazioni rituali erano ormai scomparse ed
altre erano in via di estinzione, mentre
il Rito scozzese si era notevolmente diffuso, in alcune aree del nostro Paese
risultava ancora operativo il Rito Simbolico Italiano.
Alcuni tentativi di unificazione conseguirono unicamente risultati parziali
anche perché inficiati dalla persistenza
di personalismi e diffidenze e talora da
rivalità ed ambizioni di uomini e gruppi
eterogenei per estrazione, non di rado
anche di diversa impostazione politicoideologica. A questa matrice ci si deve
22
riferire per valutare le peculiari caratteristiche della Massoneria italiana ed anche gli atteggiamenti dei suoi personaggi
in quell’ultimo quarto del secolo diciannovesimo e per comprendere le motivazioni della profonda divisione determinatasi all’inizio del secolo. Tra le tante
cause di questo evento si deve conside-
rare anche il fallimento di una completa
fusione tra il Rito degli A.L.A.M. ed il
Rito Simbolico Italiano, indirizzato quest’ultimo verso un sempre maggior coinvolgimento della Libera Muratoria in
una vera e propria partecipazione politica.
1907-1908
Fu nel corso del 1907 che la maggioranza
del Supremo Consiglio della Massoneria
Italiana, a questa tendenza contrappose
l’esigenza di una reimpostazione esoterica ed operativa nello spirito di quella
concezione ideale propria del Rito Scozzese Antico e Accettato già istituito in
Italia, come detto, fin dal 1805. La vera
scissione si determinò nel 1908 quando
un emendamento alla Legge sull’Istruzione, proposta da un deputato massone,
atto a “garantire il carattere laico della
scuola italiana”, venne respinto anche
con il voto sfavorevole di molti deputati
massoni, timorosi che, in un momento
politico così delicato per il giovane Paese,
la radicalizzazione di un anticlericalismo
esasperato potesse provocare atteggiamenti controproducenti all’ancora incompiuto processo di unificazione. Fu
così che la Massoneria italiana si divise
in due tronconi ben distinti: l’uno diventò Piazza del Gesù, ora Palazzo Vitelleschi, dal nome della sede, guidato
da Saverio Fera maggioritario nel Supremo
Consiglio, l’altro divenne Palazzo Giustiniani. E’ doveroso, al
giorno d’oggi, a quasi
cent’anni di distanza,
lasciare unicamente
agli storici interessati
all’argomento – così
come già avvenuto finora – il compito di
continuare e approfondire le ricerche
d’archivio.
La reazione
della stampa
Numerosi furono a
quei tempi gli articoli
dei quotidiani nazionali che commentarono l’avvenimento e
già ampiamente riportati su testi e riviste.
Tra di essi acquisisce
caratteristiche quasi
profetiche il seguente brano, tratto da
“La Stampa” del 20 luglio 1908:
“…Intorno al Supremo Consiglio dei
33, di cui è Sovrano Gran Commendatore il Fera, possono stringersi parecchie
logge che, oggi come oggi, saranno, relativamente al numero complessivo delle
logge italiane, poche ma che in un non
lontano avvenire potranno essere molte.
L’importante è che si formi un nucleo
di logge ferme nell’intendimento di
mantenere fede ai riti e statuti dell’Ordine Massonico, di mantenere intatta la
disciplina nella gerarchia e di tenere la
Massoneria al di sopra e al di fuori dei
partiti politici. Questo nucleo sarà oggi
piccolo ma sarà grande domani…..”.
All’ignoto giornalista va la gratitudine,
per questo voto augurale, dell’Obbedienza di Piazza del Gesù – Palazzo Vitelleschi.
Vita autonoma delle due Istituzioni
Dall’epoca della scissione le due Famiglie
Massoniche hanno vissuto ciascuna au-
tonomamente operando
entrambe non senza
grandi difficoltà, cercando
collegamenti e riconoscimenti presso le Consorelle Obbedienze straniere, non di rado
disputando tra loro,
specie nel periodo precedente e anche nel corso
della prima guerra mondiale, in merito alla legalità, alla legittimità, alla
primogenitura. Per
quanto concerne Piazza
del Gesù, a titolo unicamente storico e sulla testimonianza di atti, va
peraltro ricordato che già
nel 1912, i Supremi
Consigli di Washington,
legali rappresentanti di
Comunioni Massoniche
universalmente riconosciute regolari, riconobbero essere “il suo Supremo Consiglio il
legittimo organo rituale
della Massoneria
Italiana”, federato già allora con ben 50 Comunioni Massoniche di Rito
Scozzese. Analogo riconoscimento avvenne nel
1922 al Convento Massonico di Losanna.
Il sonno fascista
Sciolte d’autorità entrambe le Obbedienze
dalla dittatura fascista nel
1925 esse si risvegliarono,
dapprima clandestinamente, quando ancora la
seconda guerra mondiale
divideva l’Italia, per ricostituirsi organicamente
alla fine del conflitto.
Questa ricostruzione avvenne attraverso una serie
di comprensibili difficoltà
in un Paese semidistrutto
dopo i lunghi anni di
guerre e di occupazione,
dapprima attraverso
l’opera isolata di singoli
uomini, poi di gruppi con
caratteristiche di auto-
nomia e ispirati al bagaglio ideologico e culturale
della matrice d’origine di
ciascuna delle due grandi
famiglie.
Il risveglio
Malgrado queste difficoltà
già nel 1947 l’Obbedienza
di Piazza del Gesù venne
ufficialmente accolta al
Supremo Consiglio di
Washington quale erede
della Comunione esistente
nel 1925 “sempre viva e
regolare”. Nell’anno
successivo (1948) la
conferenza dei Sovrani
Gran Commendatori
riuniti all’Avana stabilì che
la Comunione del Rito
Scozzese dovesse essere
ricostituita per legittima
discendenza dal Supremo
Consiglio per il Rito e
dalla Gran Loggia per
l’Ordine. Vari gruppi si
erano venuti formando
man mano che il Paese
veniva liberato, quando
nel 1950 l’Obbedienza di
Piazza del Gesù poté
riacquistare la sede originaria, divenne la Gran
Loggia degli Antichi Liberi
Accettati Muratori, in
perfetta sintonia con
quello schema degli
A.L.A.M. istituito, come
detto, a Milano duecento
anni or sono. Nel 1956
veniva firmato il protocollo tra Ordine e Rito.
Dagli anni ’60 in avanti il
succedersi di Gran Maestri Sovrani Gran Commendatori di notevoli
capacità organizzative
consentì all’Obbedienza
di Piazza del Gesù un
continuo grandioso progresso, con il raggiungimento attuale di traguardi
prestigiosi, riconosciuti
incondizionatamente in
Italia e all’estero.
L’Obbedienza oggi
Oggi con l’aggiunta della
23
denominazione di Palazzo Vitelleschi,
in relazione all’acquisizione e alla ristrutturazione di una meravigliosa dimora,
sita in una delle zone più storiche di
Roma, inaugurata due anni or sono e
anche per salvaguardare definitivamente
tale denominazione da velleitarie contaminazioni, l’Obbedienza si è organizzata
con una capillare distribuzione nazionale, tanto da contare sulla presenza di
Orienti in ogni Regione d’Italia.
L’Obbedienza della Gran Loggia d’Italia
ha sempre teso a perfezionare le sue
caratteristiche liberali e a defilarsi dalle
più rigide impostazioni dogmatiche, per
meglio comprendere le istanze di un
mondo in perenne evoluzione, in uno
spirito di profonda fedeltà ai principii
etici della Libera Muratoria e in accordo
con le premesse ideologiche del Rito
Scozzese Antico e Accettato.
Bicentenario del RSAA in Italia
E’ in questo spirito che la Gran Loggia
di Piazza del Gesù – Palazzo Vitelleschi
celebrerà quest’anno il bicentenario in
Italia della costituzione del Rito Scozzese
Antico ed Accettato. La solenne celebrazione si svolgerà a Roma dove, nella sede
nazionale, si terrà una Tornata rituale
alla quale parteciperanno delegazioni
provenienti da tutto il mondo.
Ad una conferenza stampa prevista nella
stessa Sede, saranno invitate autorità e
giornalisti per illustrare loro significato,
finalità, attualità della libera muratoria
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e le specifiche caratteristiche dello scozzesismo. Nel corso di un convegno aperto al pubblico, illustri oratori italiani e
stranieri tratteranno temi di largo interesse, con precisi riferimenti ai rapporti
della Massoneria in genere e della Gran
Loggia d’Italia in particolare, con la chiesa, la cultura, la società, le istituzioni.
Infine, in un volume celebrativo verranno raccolti testi e documenti della storiografia muratoria e verrà presentata
una rassegna iconografica delle sedi artisticamente più rappresentative della
Gran Loggia d’Italia.
Lo scorso anno una celebrazione di tal
genere è avvenuta in Francia; invitata
d’onore è stata la rappresentanza di Piazza del Gesù–Palazzo Vitelleschi. Nel
corso di quest’anno altre Obbedienze,
tra le cui emanazioni rituali esiste anche
il rito scozzese, ne onoreranno il duecentesimo compleanno.
Ma per la Gran Loggia d’Italia la celebrazione di questo bicentenario sarà
anche la festa dell’intera Obbedienza.
Ciò non certo per un suo presunto privilegio, ma in relazione ai particolari e
peculiari rapporti esistenti in questa
Obbedienza tra Ordine e Rito, per la
loro inscindibilità operativa. Sarà l’occasione per esaltare una emanazione rituale
che per la sua sempre maggior diffusione
tra le tante Obbedienze nel mondo intero, potrebbe, in un non lontano futuro,
promuovere prima e realizzare poi tra
di esse una catena d’unione non solo
ideale, fra tutti i liberi muratori fedeli
agli stessi principii e ispirati agli stessi
ideali. Tutto ciò costituirebbe grande
testimonianza dell’universalità della libera muratoria e le consentirebbe di
meglio salvaguardare, conservare, diffondere quei principii di libertà, fraternità, tolleranza che sono alla base stessa
del fine filantropico della Massoneria e
costituiscono diritti inalienabili di ogni
essere umano.
_________________
Bibliografia
· AA.VV., Deux siecles de Rite Ecossais Ancien
Accepté en France, Francia, 2004.
· Ciuffoletti Z., Moravia S., La Massoneria (la
storia, gli uomini, le idee), Milano.
· Esposito R., La Massoneria e l’Italia dal 1800 ai
giorni nostri, Roma, 1969.
· Farina S., Rituali e lavori del R.S.A.A., Carmagnola, 1984.
· Francia A., 1908/1978 – Settant’anni di vita
massonica di Piazza del Gesù, Torino, 1979.
· Mola A.A., Storia della Massoneria Italiana
dall’Unità alla Repubblica, Torino, 1976.
· Moramarco M., Piazza del Gesù (1944-1968),
Parma, 1992.
· Polo Friz L., Lo Sviluppo del Rito S.A.A. in Italia
dalle origini al 1867, Roma, 2000.
· Pruneti L., La tradizione scozzese in Italia, Roma,
1994.
P.4: I quattro filosofi, P.P.Rubens (1577-1640),
Firenze, Galleria Palatina; p.21: Ritratto di Francesco
Fera, olio su tela, inizio XX sec., collez. privata;
p.22: Eugenio Beauharnais, schizzo, XVIII/XIX sec.
coll. priv; p.23: La madre e la sorella di E. Beauharnais, acquerello, fine XIX sec; p.24: Il giuramento,
J.L. David, 1791, schizzo e olio su tela, Musée
National du Château, Versailles; p.25: Philosophe,
J.L. David, 1795, olio su tela, Louvre, Paris.
25
V Conferenza del Mediterraneo
23 - 24 Ottobre 2004 e.v.
Or. di Tarragona (Spagna)
o
Obbedienze aderenti
all’Unione delle Potenze Massoniche
del Mediterraneo
o
Gran Loggia d’Italia degli A.L.A.M.
Obbedienza di Piazza del Gesù, Palazzo Vitelleschi (Italia)
Grand Orient de France (Francia)
Serenissime Grand Orient de Grece (Grecia)
Ordre Maçonnique International Delfi (Grecia)
Gr. Loge Liberale de Turquie (Turchia)
Gran Loggia Centrale del Libano (Libano)
Gran Loggia dei Cedri (Libano)
Gran Loggia Massonica Femminile d’Italia (Italia)
Gr. Logia Simbolica Espanola (Spagna)
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Per una storia dell’Unione
Luigi Danesin
oma, fine del 1999
Nell’attesa della nascita
di un nuovo Millennio
Franco Franchi, Gran
Maestro della Gran
Loggia d’Italia, lancia
un messaggio di speranza alle Giurisdizioni
Massoniche dei Paesi del bacino del Mediterraneo: mettere insieme i Liberi Muratori
che portano i segni della tradizione e i segni
di una stessa civiltà nell’intento di trarre una
forza utile al progresso dell’ideale Massonico.
Reggio Calabria, febbraio 2000
Le Obbedienze che hanno aderito all’appello
si riuniscono per la prima volta per dibattere
il tema: “Il Mediterraneo come centro di cultura
e di tradizione iniziatica!” E’ il primo passo
necessario all’avvicinamento, ovvero la verifica della comunanza delle radici. La prova
viene superata brillantemente grazie alla
entusiastica fraterna partecipazione degli
aderenti e alla profondità ed originalità dei
contributi.
Palermo, novembre 2000
Ritrovata una matrice latomista comune,
i fra-massoni del Mediterraneo con la II
Conferenza propongono un raffronto con
l’altro filone iniziatico occidentale: la Tradizione Nord-Atlantica, e questo per cogliere differenze, particolarità, tratti comuni
e comprendere meglio le loro radici. La
Sicilia, centro del Mediterraneo, ospita con
entusiasmo il II Convegno Internazionale
su: “Tradizione iniziatica mediterranea verso
tradizione iniziatica nord-atlantica” dal
quale emergono concordanze ma anche
specificità dei saperi coltivati dai nostri
Padri.
Napoli, novembre 2001
E’ ormai tempo di realizzazioni, la III Conferenza non propone alcun tema specifico
e pur raccogliendo elevati contributi e acute
riflessioni, punta decisamente sulla costituzione della Catena dell’Unione Massonica
del Mediterraneo che viene consacrata in
un protocollo, ormai di valore storico, con
il quale le Potenze Massoniche firmatarie si
impegnano a coltivare tre obiettivi: 1) Salvaguardare e sviluppare la cultura e la storia
iniziatica del Mediterraneo. 2) Diffondere
la Massoneria d’ispirazione mediterranea.
3) Studiare i problemi di ciascun Paese
membro.
Beirut, ottobre 2003
Approfondite le radici comuni ai Massoni
del Mediterraneo, consacrata l’Unione tra
di loro, occorre dare delle regole al nuovo
Sodalizio e passare dalla dimensione teorica
a quella pratica. Nella IV Conferenza vengono così fissate poche norme essenziali all’insegna della massima libertà ed apertura.
Viene designato Coordinatore Permanente
la Gran Loggia d’Italia, definito il logo che
descrive un mar Mediterraneo fra squadra
e compasso, fissata la denominazione in
lingua italiana “Unione Massonica del
Mediterraneo”, scelto il francese come lingua
ufficiale. Il tutto nel massimo rispetto della
Sovranità di ogni Obbedienza Membro.
Anche il tema della Conferenza conferma
l’esigenza pratica che sottende i Lavori. Si
discute: “Il Mediterraneo come punto d’incontro fra oriente e occidente: il contributo
della libera muratoria”. Nell’occasione si
giunge alla conclusione che non ci sarà futuro
per l’umanità se non si riuscirà a ritrovare
l’Unione tra due realtà che, figlie di una stessa
madre, sono state divise da pure contingenze
storiche. Siamo così arrivati all’attuale !
Tarragona, ottobre 2004
La V Conferenza, qui a Tarragona, ha indicato gli strumenti per favorire l’unione dei
popoli, vincendo incomprensione e violenza:
la cultura che porta conoscenza ed il sapere
che sviluppa etica. Sull’esempio delle menti
più illuminate della civiltà mediterranea,
imparino i moderni a dominare gli istinti
con la ragione e con il sentimento, recuperino
quel patrimonio segreto che chiamiamo
Scienza Sacra e che altro non è se non la più
elevata espressione della conoscenza umana.
Nella mia Dignità di Gran Maestro della
Gran Loggia d’Italia devo registrare, con
grande soddisfazione, la presenza di tanti
connazionali affiliati alla nostra Rispettabile
Obbedienza. Essi sono qui per testimoniare
con fermezza il calore umano e fraterno
tutto mediterraneo e la solidarietà che il
Fratello porta al Fratello per dirvi che credono
fermamente nel valore dell’Unione, sommo
bene che tutti dobbiamo coltivare, per affermare con forza che siamo figli di una Tradizione ancora viva che risale ben oltre la tanto
celebrata nascita della Massoneria moderna,
per formare una solida Catena a difesa del
valore sacro di libertà che oggi viene gravemente minacciato dalla furia omicida e non
di meno del cinismo del potere economico.
Siamo qui per dirci che l’Unione Massonica
del Mediterraneo è una cosa buona e giusta,
ma anche per promettere che intensificheremo i nostri sforzi per combattere l’ignoranza, promuovere la cultura della tolleranza,
costruire l’etica della solidarietà.
27
28
o il graditissimo
onore di intervenire
non solo in rappresentanza della Gran
Loggia d’Italia degli
Antichi Liberi Accettati Muratori-Palazzo Vitelleschi, ma
a nome di questa stessa Unione Massonica
del Mediterraneo che ha voluto concedere
proprio alla nostra Giurisdizione il privilegio di svolgere il prestigioso incarico e
ruolo di Coordinatore Generale Permanente.
E questo a riconoscimento di primogenitura di questo atteso Sodalizio Internazionale che unisce tutti e doppiamente non
solo come Massoni, ma come eredi di
una stessa Civiltà.
Dall’Italia è partita infatti ed ha preso
forma l’idea grande e forte di riunire i
Liberi Muratori sparsi sulle sponde del
Mediterraneo per dialogare, comunicare,
costruire un valore comune sulle granitiche fondamenta di 8.000 anni e più di
civiltà; anni che hanno contribuito in
maniera determinante al progresso dell’Umanità.
Questa quinta sessione degli incontri Massonici del Mediterraneo ha confermato
appieno la validità di quella proposta e la
grande attualità delle motivazioni che
l’hanno ispirata.
Il suo successo è principalmente:
- merito degli organizzatori sapientemente
guidati dalla Ven.ma e Pot.ma Sor. Ascension, che ringrazio di cuore a nome mio
personale e di tutti i convenuti;
- merito dei brillanti Relatori:
Dott. Santiago Castella
Dott. Pedro Alvarez De Lazaro
Avv. Sergio Ciannella
Dott. Javier Otaola
Dott.ssa Anna Giacomini
Dott. Joan Francesc Pont
- merito anche di tutti Sorelle e Fratelli
qui convenuti. Ma è anche testimonianza
di un immutato desiderio d’incontrarsi,
di conoscersi e di riconoscersi nelle medesime aspirazioni ed anche speranze di
trovare un umano conforto nella preoccupante oscurità delle nubi che avvolgono
l’inizio di questo millennio.
Questa Unione – libera Associazione di
Liberi pensatori - ha rifiutato strutture e
burocrazie a vantaggio di un più aperto
e informale sistema di aggregazione.
Niente Gerarchie, né Presidenti.
Nel massimo rispetto della Sovranità di
ogni Rispettabile Obbedienza aderente, il
coordinamento vuole avere un senso;
deve occuparsi di verificare continuamente la tenuta del Sodalizio e la stessa permanenza delle ragioni che ne hanno determinato la nascita.
Si tratta in altre parole di fare il punto,
volgendosi a guardare il percorso compiuto per capire quanto di buono e di
utile si è fatto finora, osservando il contesto
in cui ci si muove per confrontarsi principalmente con le due componenti del
nostro ambiente: quella massonica e quella
profana, scrutando l’orizzonte per individuare la meta e studiare la rotta più conveniente.
Ma anche consultarci per capire quanto
di differente registriamo fra le divergenze
esistenti nello stesso istituto Iniziatico
Universale: lo schema dogmatico e lo
schema Liberale, appunto del Mediterraneo.
Ma andiamo con ordine! Siamo al quinto
incontro programmato; è, pertanto anche
tempo di consuntivi. Cominciamo a scrivere la nostra storia!
Cominciamo a registrare quanto fatto e
programmare il futuro più immediato.
P.27: Tramonto sul mare, Paolo Del Freo, 1990, coll. priv.
p.28: panchina del Parco Güell, 1990/1914, A.Gaudì,
Barcellona; p.29: Teatro romano, Tarragona.
29
30
iusto un anno fa i
rappresentanti dell’Unione Massonica
del Mediterraneo
erano riuniti a Beirut
per discutere sul Mediterraneo visto come punto d’incontro fra
Oriente ed Occidente e per valutare quale
contributo possa fornire la Libera Muratoria
all’avvicinamento delle due Civiltà. Come
sempre, i Lavori si svolgevano in quel clima
fraterno che rasserena gli spiriti, offrivano
quegli elevati contributi che gratificano
l’anima e arricchiscono la mente, si conclu-
calice amaro va bevuto fino in fondo prima
che si possa intravedere una rinascita nel
segno della pace, dell’amore, del benessere.
Altri più pessimisti ci prospettano un futuro
apocalittico, senza speranza. Ad esempio
scriveva Kafka che l’evoluzione umana è
solo una crescita della potenza di morte.
Quelli che, come i Liberi Muratori, si sentono parte integrante ed attiva dell’Umanità,
non si lasciano prendere dallo sconforto e
tuttavia si domandano, oggi più che mai,
quale sia il loro ruolo nella società e cosa
possano fare per contribuire alla nascita di
un Mondo migliore. In altri termini, quale
Sarebbe invero riduttivo limitare il concetto
di tolleranza al semplice sopportare, al non
reagire a qualcosa che produce fastidio.
Nelle relazioni umane la tolleranza deve
essere un comportamento attivo che si
esprime anche e soprattutto nel superamento dell’indifferenza verso gli altri, in uno
sforzo di comprensione di uno stato diverso
dal nostro, di una idea opposta alle nostre
convinzioni che va a molestare le nostre
pigrizie mentali. A parole quasi tutti si
dichiarano tolleranti, intolleranti sono sempre gli altri, ma a ben pensarci sono pochi
coloro che riescono a vincere realmente
devano nella speranza di un futuro migliore.
Quell’augurio purtroppo non è stato efficace. In un anno sono accaduti fatti sconvolgenti che mente umana non poteva
concepire nemmeno dopo la tragica esperienza dell’11 settembre 2002, quando venivano abbattute due torri simbolo di New
York e della Civiltà Occidentale e con esse
venivano stroncate le vite di migliaia esseri
umani inconsapevoli ed innocenti. L’ombra
del terrore ha oscurato il Pianeta Terra
falciando con furore cieco vite umane, senza
distinzione e rispetto per nessuno, nemmeno per bambini, veri martiri di questo inizio
di Millennio. Tutto questo non nasce a
caso, è conseguenza di gravi squilibri mondiali, ma è inaccettabile, la ragione lo rifiuta.
Cosa sta accadendo? Questo è l’interrogativo
che angoscia tutti quelli che finora hanno
creduto nella capacità di perfezionamento
della specie umana e nel progresso delle
generazioni future. I Maestri indiani ci
diranno che si sta compiendo il Kaly Yuga,
l’Era più oscura per l’Umanità, e che questo
efficacia può avere oggi – contro la logica
spietata della violenza e della sopraffazione
– la metodologia massonica del perfezionamento morale? Quale ascolto l’elogio della
virtù? Quale efficacia il messaggio di solidarietà umana? Oggi è veramente difficile
parlare di un’etica della tolleranza, ma le
idee tradotte in parole sono messaggeri alati
che cercano consenso nell’intimo delle
coscienze e, quando lo trovano, si trasformano in piccole luci che né ignoranza né
violenza sono capaci di spegnere. E’ quindi
nella speranza di accendere qualcosa che
mi accingo ad esporre qualche idea sul
difficile tema che si propone di legare, in
un processo virtuoso, cultura e morale e
Tradizione Mediterranea. La mia riflessione
parte dal presupposto che l’unica medicina
contro la grave malattia che attualmente
affligge il Mondo sia la tolleranza. Principio
questo particolarmente caro ai Massoni che
ne fanno una bandiera, uno stile di vita,
dandovi un significato però alquanto diverso
da quello che viene comunemente dato.
odi, antipatie, pregiudizi e che sono disposti
ad uscire dalla propria sfera intima, privatissima, protetta e autogratificata, per offrirsi
alla invadenza di presenze estranee. Eppure
bisogna compiere questo sforzo di avvicinamento agli altri perché questa è l’unica
via che porta – come in un percorso a tappe
progressive – al rispetto, alla conoscenza,
alla comprensione, alla condivisione, alla
solidarietà. All’origine di ogni divisione, di
ogni conflitto vi è intolleranza intesa come
rifiuto di coltivare le ragioni che uniscono
e di imporre invece ad altri la propria verità.
L’essere posseduti da una idea, da una fede
che da la convinzione assoluta della verità
annienta ogni possibilità di comprensione
e scava solchi profondi. Ora, sostenere la
necessità di un’etica della tolleranza, cioè di
uno stile di vita – oserei dire massonico –
basato cioè sullo sforzo di considerare con
animo sgombro da pregiudizi tutto ciò che
è diverso da noi, estraneo, ostile e di predisporsi favorevolmente all’apprezzamento
e alla revisione delle proprie certezze, non
31
significa fare della morale a buon mercato,
bensì proporre l’unico rimedio alla incomunicabilità, male principale dei nostri
tempi. Occorre considerare al riguardo che
all’origine della crisi attuale vi è il ridimensionamento di due cardini fondamentali
della civiltà occidentale: il mito dell’onnipotenza della ragione e il mito del progresso
garantito. Nella realtà c’è sempre una incognita, la vera razionalità lo ha scoperto ed
ha così preso coscienza dei suoi limiti ed
inefficienze. E quando l’uomo moderno si
è accorto che questi limiti erano presenti
in ogni campo – scientifico, morale, religioso
– è crollata la sua superbia ed ha finalmente
realizzato di essere parte di una comunità
planetaria, cittadino di un Mondo che deve
vivere “globalmente” e condividere con i
compagni di viaggio terreno, dovunque si
trovino, perché nessuna riserva esclusiva
gli è concessa, nessuna possibilità di isolarsi
dal resto, da ciò che è fuori di lui.Allora se
questa è la condizione ineludibile dell’uomo
moderno il suo futuro non lascia dubbi,
deve essere caratterizzato dallo sviluppo di
una coscienza morale fondata sul riconoscimento della interconnessione tra individuo, specie umana e società, che reclama
solidarietà e che mira alla realizzazione di
una comunità planetaria. Si dirà che non
32
è facile battere con la sola morale la barbarie
dell’era moderna, fatta di fanatismo che
procura morte e di razionalità che ignora
l’essere umano. Ma l’etica della tolleranza
non è velleità perchè non pretende di imporsi come modello di comportamento,
non è inutilità perché non propone di rassegnarsi alla violenza fisica e morale. E’
semplicemente un metodo operativo che
sfrutta la più potente leva del progresso
umano: la cultura, processo di apprendimento che forma, trasforma e realizza l’essere umano nella conoscenza e nell’affezione
a ciò che ha conosciuto. Se vera cultura è
assorbimento di cognizioni intellettuali ed
esperienze rielaborate e convertite in elementi costitutivi della personalità, prendere
coscienza di sé e del Mondo significa produrre l’antidoto più efficace a qualsiasi
forma di egoismo, fanatismo, violenza.
Anche sul concetto di cultura bisogna prendere le distanze da una opinione comune
che vorrebbe ridurla ad accumulo di nozioni. La cultura utile alla tolleranza è quella
che Madame de Staël definiva “ciò che resta
dopo aver tutto dimenticato” o quella che
secondo il filosofo Benedetto Croce è
“accordo di mente e d’animo, circolo vivo
di pensiero e di volontà, religione intesa
come unità dello spirito umano e sanità e
vigoria di tutte le sue forze”, o ancora quella
definita da G.B.Vico “una maniera di
vivere”. Verum ipsum factum, vero è ciò
che si fa. Non è facile oggi trovare questa
specie di cultura. I saperi moderni offrono
conoscenze per lo più settoriali che non
aiutano l’individuo a ritrovare nello spirito
di tolleranza se stesso e l’altro di sé. Un
apprendimento di questo tipo produce
tecnicismo, abilità, ma non contribuisce
alla felicità dell’uomo inscindibile da quella
degli altri, anzi ne accresce l’orgoglio e la
superbia che favorisce l’isolamento.La fede
nella tecnologia, mito della modernità,
allontana dalla promozione umana. L’Umanità ha smarrito la “retta via”, ovvero la
strada che porta alla vera Conoscenza, unica
forma adatta a lenire le ferite della società
moderna. Ciò si è potuto verificare a causa
della perdita di riferimenti generali nei quali
ricondurre tutti i saperi umanistici e scientifici. La perdita della visione globale delle
cose ha scavato un solco profondo tra le
diversità, sempre più lontane ed irraggiungibili e ciò vale per le etnie, le civiltà, le
religioni e persino per gli individui con
formazioni ed esperienze diverse o semplicemente diversi per sesso, età, aspetto fisico.
Di qui il bisogno di dedicarsi ad un’opera
colossale di ricucitura. Bisogna trovare a
tutti i costi un filo d’Arianna che ci guidi
nel labirinto planetario e coscienziale prodotto dall’opera umana negli ultimi secoli.
Bisogna cercare una linfa che alimenti e
aiuti un nuovo corso, volgere lo sguardo al
passato senza rinunziare al presente, riscoprire valori unificanti che hanno sostenuto
e premiato le antiche Civiltà favorendo
mirabili realizzazioni umane. Per noi, gente
mediterranea, sia la Civiltà del Mediterraneo
maestra di vita e fonte di saggezza. Un
immenso patrimonio sapienziale è ancora
lì, fuoco sacro sotto le ceneri dell’antica
Grecia e dell’antica Roma, Mondo classico
riscoperto nel XV Secolo dai Maestri del
Rinascimento italiano, ad indicarci virtù e
valori eterni che sembrano dissolversi oggi
alla luce artificiale della Modernità.
Questa non è nostalgia di un passato che
non ritorna, ma consapevole ricerca delle
origini, della matrice dell’umana esistenza
che ci possa spiegare perché l’uomo va
rispettato come cosa sacra, perché il viaggio
terreno che egli compie va interpretato
come una missione. Ogni essere umano
porta in sé alcuni caratteri comuni alla
cultura alla quale si è formato e ogni cultura
è un capitolo specifico di credenze, idee,
valori, miti, che legano una comunità ai
suoi antenati, alle sue tradizioni, ai suoi
morti. Tante specificità nei costumi dei
popoli del Mediterraneo formano un panorama estremamente variegato, ma una
trama comune li affratella come figli di una
Grande Madre simbolicamente visibile in
un Mare particolare come circoscritto tra
due braccia, quasi a difendere e custodire
qualcosa di prezioso. Ed in realtà un tesoro
nascosto esiste, anche se pochi riescono a
scoprirlo e ad attingervi: è la conoscenza
antica, nota come Scienza Sacra, percezione
di realtà metafisiche che hanno ottenuto
gli spiriti più illuminati delle Civiltà sviluppatesi intorno al Bacino del Mediterraneo.
Profeti, iniziati, sacerdoti, maghi, filosofi,
artisti, scienziati, pensatori che hanno fruito
della conoscenza degli Archetipi, valori
eterni ed immutabili che regolano la natura
delle cose materiali ed immateriali, si sono
trasmessi per via iniziatica saperi che sarebbe
stato impossibile divulgare e li hanno consegnati alla posterità nascosti in miti, religioni, culti, leggende, simboli. Un mondo
non apparente e non storicizzato, una religione madre di tutte le religioni, un sacro
che incute timore, ma anche desiderio di
conoscenza e di elevazione. Questo è il filo
che lega tutte le Civiltà del Mediterraneo,
antiche e moderne, ad una Tradizione unica
e che ci fa sentire eredi di un patrimonio
sapienziale sempre disponibile, capace di
risvegliare nel buio che oggi ci pervade
bagliori di virtù umane micidiali per il seme
della discordia e della distruzione. Esiste un
mito tratto dalla memoria collettiva della
poesia e della cultura classica, vera allegoria
del sapere umano. E’ il mito di Arcadia,
luogo leggendario nel cuore della Grecia,
popolato da pastori dall’animo semplice e
nobile, sereni, benevoli, religiosi, dediti alla
poesia ed immersi in un’aura di Amore che
li avvolge, li protegge, li ispira. In questa
terra felice scorre il maggior fiume del Peloponneso, chiamato Alfeo, che giunto alla
sua foce si inabissa e continua a scorrere
sotto il mare senza mescolarsi all’acqua
salata, fin quando non raggiunge la Sicilia
e nei pressi di Siracusa si unisce alle acque
della fonte Aretusa. Al di là delle ricche
significazioni simboliche che se ne possono
trarre, il mito racconta in maniera abbastanza esplicita che una società ideale improntata al sacro, il massimo cui può aspirare la natura umana, è sopravvissuta al
centro di una civiltà che ha assorbito le
conoscenze più antiche dal Nord Africa e
dal Medio Oriente, ed ora le consegna per
una via segreta, sotterranea, che viaggia
significativamente da Est ad Ovest perché
si perpetui l’antica Tradizione. La trasmissione è avvenuta realmente quando la civiltà
greca, erede diretta delle civiltà indo-iraniche
e dell’Antico Egitto ha ceduto il passo a
quella romana consegnando il valore più
prezioso delle sue conquiste, la religione
intesa come esperienza del Sacro. Nella
Grecia antica infatti non esisteva una nozione di religione e nemmeno la parola
religione; ciò per il semplice motivo che
non era concepita una non-religione, il
sacro era immanente in tutte le manifestazioni del vivere umano. Il genio romano
ha fatto buon uso di questo dono, grazie al
quale è riuscito a mettere insieme tutte le
civiltà del Mediterraneo. Fin quando ha
retto la tolleranza in materia di culti e l’accettazione di qualsiasi divinità venerata dai
popoli aggregati sotto le insegna imperiali
è stata così conservata una visione unitaria
del Cosmo e un accordo tra la Natura e
l’uomo. Ma si avvicinava un momento di
rottura epocale che tra il IV ed il V Secolo
d.C. avrebbe segnato il tramonto del Mondo
antico. Si trattava del conflitto finale tra
Paganesimo e un Cristianesimo nuovo,
alquanto diverso da quello predicato da
Gesù di Nazareth, rielaborato sul piano
teologico e adattato alle esigenze da una
33
società che viveva tra la crisi della decadenza
e la paura delle incursioni barbare. Un
confronto-scontro tra la civiltà classica
d’impronta mediterranea – se per mediterraneo s’intende il risultato della unificazione
culturale operata da Roma – ed un Cristianesimo rivisto dai suoi epigoni e reso potente
dalla novità ed attualità del suo messaggio.
Senza voler dare giudizi di valore, ma solo
per cogliere importanti aspetti che difficilmente si trovano nelle fonti storiche, occorre
dire che quell’epoca segna un passaggio
dalla unità alla dualità, nel senso che si
infrange un equilibrio fondato sui saperi
antichi: il centro del Mondo e della civiltà
si divide in Oriente ed Occidente, lo spirito
viene separato dalla materia, la religione
dalla politica, il sacro dal profano. Nel dualismo che annulla la tolleranza ed uccide la
pace dei popoli nasce una opposizione tra
fede e cultura, sconosciuta nell’antichità,
che contrappone il dogma al libero pensiero
e getta il seme di uno dei mali peggiori che
abbia colpito l’Umanità, la guerra di religione.
La contraddizione che tutt’oggi soffre l’Occidente per aver rotto con il passato, è un
crescita smisurata del progresso scientificotecnologico e quindi del benessere materiale
34
che non è andato di pari passo con il progresso morale e spirituale dell’individuo. Il
sacro si è così allontanato dal sociale e ne è
divenuto nemico o, tutt’al più, si è ripresentato come superstizione o come impossibile
compromesso tra il dominio dello spirito
e quello della materia. Riscoprire perciò la
religione antica non significa scegliere una
ideologia o una Chiesa, ma semplicemente
fondare, secondo la felice espressione di
Edgar Morin, un monoteismo della ragione
ed un politeismo della immaginazione. In
questa luce, i comportamenti etici, in primo
luogo la tolleranza, non sono altro che
disposizioni necessarie a rimuovere dei
vincoli. La condizione umana di partenza,
oggi, è un disordine centrifugo, conseguenza
della dualità e della divisione. La fatica di
Ercole alla quale sono chiamati gli uomini
di buona volontà è quella di ricostruire un
ordine gerarchico di valori che conduca
come una scala agli stati superiori dell’essere.
E’ pura utopia infatti pensare ad una conoscenza basata sulle cose terrene. Per uscire
dal tunnel e della ignoranza e della paura
occorre partire dalle causa prime del disagio
e tendere ai fini ultimi dei destini umani,
dove ci si imbatte inevitabilmente nei nostri
simili, nella Famiglia umana. La parola-
chiave per aprire le porta di un futuro a
dimensione umana è tolleranza. Solo quando sarà raggiunta una coscienza collettiva
della necessità di attivare questa virtù si
potrà sperare di raggiungere la nuova tappa
dell’Umanità che vedrà una mobilitazione
contro ingiustizia, violenza, sopraffazione.
La tolleranza sarà allora la premessa per
realizzare l’ideale di condivisione in un
Mondo nuovo come quello favoleggiato
da Giordano Bruno nella XXX Clavis Magna, dove concordanza è carità e concordia,
perfetta quando l’anima si relaziona ugualmente con uomini e dei, amici e nemici.
Perché ad imitazione del G.A.D.U. che fa
sorgere il sole sui buoni e sui malvagi, piovere
sui giusti e sugli ingiusti, gli uomini dovranno rifuggire la condizione barbara di chi
ama amici e prossimi e odia estranei e
nemici. Non ci resta che la speranza, ma
sperare col cuore e non solo con la mente
non è vana esercitazione teorica, è dare alle
proprie idee una forma che esiste e permane
come messaggero del nuovo che verrà.
P.30: Cattedrale, Tarragona, XIII sec. p. 31: Carta nautica
del mediterraneo, XVII sec. Firenze; P.32: Cattedrale,
Tarragona, (part.); p.33: Medaglione, Parco Güell,
1990/1914, A.Gaudì, Barcellona; p.34: Mediterraneo,
Paolo Del Freo, 1989, coll. priv.
I simboli della tradizione
mediterranea
come fondamento di una coscienza collettiva
l “metalinguaggio”
dei simboli
Le molte culture che
nel corso dei secoli si
affacciarono sul bacino del Mediterraneo
dettero vita a lingue autonome, ma non è
difficile osservare come in esse circoli, quale
vena sotterranea, la propensione ad utilizzare anche i simboli, in qualità di complementi espressivi. Potremmo definire questo
tipo di comunicazione come un
“metalinguaggio” che appartiene alla storia
dell’uomo primitivo, prima ancora che gli
alfabeti e la scrittura entrassero a far parte
delle acquisizioni umane. Pertanto nello
studio di tale prezioso serbatoio si può
riscoprire il più remoto prodotto delle
nostre antiche civiltà. Alcuni di questi simboli primordiali persero, nello scorrere del
tempo, il loro significato più autentico, ma
molti di essi si trasmisero di generazione
in generazione.
Quali sono le cause di questa naturale selezione per la quale alcuni di essi si perpetuarono nella storia ed altri furono dimenticati?
Alcune ipotesi di risposta
Certi gruppi etnici estrassero i propri alfabeti
dall’ancestrale patrimonio grafico, altri
mantennero al segno il suo valore di rappresentazione di un’idea, rappresentazione
sintetica e leggibile indipendentemente
dall’alfabetizzazione individuale. In molti
casi, con il passare a forme più evolute di
Anna Giacomini
vita, le mutate condizioni resero insufficiente quel patrimonio, che venne ripetuto per
rispetto degli antenati ma piegato a nuovi
significati religiosi, ad esempio a quelli
cristiani.
Tutto ciò non avvenne sempre in modo
incontrollato, poiché alcuni studiosi dell’età
di mezzo lo teorizzarono. Si basavano sull’afferazione di Paolo Videmus nunc per
speculum et in enigmate contenuta nella II
Lettera ai Corinzi, che tanta importanza
ebbe nella cultura medievale e con Guillaume Durand de Mende accettarono la
tesi che “molte delle verità che noi non
vediamo sono nascoste nell’ombra” (Guillaume Durand de Mende, Il Razionale, a
cura di R.Compagnari, Roma 1999, p.10
35
e segg.) intendendo così che le verità spesso
sono celate nel mistero di un segno. Indipendentemente dalla cultura di ciascuno
il simbolo può comunicare valori basilari
conoscibili a dispetto delle differenze di
parlata che caratterizzano le varie etnie. Tra
i popoli antichi il mito rappresentava l’ambito nel quale il simbolo acquisiva valenze
originali, oggi la cultura globale è il circuito
nel quale il simbolo stesso sembra offrire
garanzia per la conservazione del patrimonio tradizionale. Ma quali sono i segni
grafici sui quali possiamo incentrare una
siffatta ricerca filologica? Dove possiamo
rilevare questi glifi per avere la certezza di
significati profondi e di autenticità storica?
La storia
Qui è opportuno effettuare una digressione.
La maggior parte delle espressioni figurative
36
dell’antichità veniva affidata all’edificio
sacro ed era configurata per la trasmissione
del sacro. Negli antichi santuari precristiani,
laddove le fortunate scoperte archeologiche
hanno potuto avere il sopravvento sulle
devastazioni operate dai secoli, si può constatare che i pellegrini che vi affluivano,
spesso lasciavano espressioni grafiche della
loro presenza, incidendo sulle pareti degli
ambienti sacri, nomi, invocazioni o semplici
segni. Questi ritrovamenti, che certificano
delle origini di una consuetudine destinata
a perpetuarsi nel tempo, non sono rari e
possono suggerire un uso abituale. Con lo
scorrere dei secoli, in tempi successivi,
cattedrali, cappelle, chiese di campagna o
monumentali abbazie divennero per una
folla di uomini, oggi polvere nella polvere,
i luoghi dove incidere il segno di un pas-
saggio, di una devozione o di un credo,
così come i loro predecessori avevano fatto.
Nella volontà di marcare con un’impronta
perenne il loro transito, i viaggiatori alla
ricerca di Dio, sulle rotte di Santiago de
Compostela, verso la tomba dell’Apostolo
Pietro o del sepolcro di Cristo in Oltremare,
scolpivano un’incisione sulle pietre, materia
forte ed incorruttibile. Appare degno di
nota osservare che, nel Medioevo, la scelta
del soggetto di un graffito non cadeva su
nomi o su date, come in tempi più recenti,
ma su segni elementari o lettere alfabetiche.
Qualcuno potrà dire: “certo è logico, nel
Medioevo pochi sapevano scrivere”. Ma,
se questo è vero, come si spiegano certi
simboli perfetti, incisi con mano ferma e
con gusto di sintesi? Forse sarebbe più
giusto pensare che si trattasse della scelta
di un linguaggio astratto, al di fuori di quello
parlato, per pensieri profondi e conoscenze
teologiche, con aspirazione di universalità.
Un metalinguaggio dello spirito.
Raimondo Lullo, dottore illuminato
Che questo desiderio di formulare concetti
superiori attraverso segni sovralinguistici,
destinati a trasmettere pensiero puro, fosse
un’esigenza dell’uomo alla ricerca della
liberazione spirituale, lo dimostra la vita e
l’opera di un grande catalano. Fu un mistico, ma anche un filosofo di formazione
internazionale, cavaliere e pensatore, poeta
e dottore, nonché, se vogliamo dar credito
alla leggenda, alchimista. Parlo di Raimondo
Lullo, gloria di queste terre (Maiorca, 1232
ca-1316). Nel De vita coetanea egli stesso ci
parla della natura del suo sapere derivato
da una visione nella quale gli erano state
rivelate quelle verità e quelle forme di pensiero alle quali restò sempre fedele. Non
mi voglio addentrare in questioni filosofiche, ma desidero ricordare come in una
sua opera, Ars compendiosa inveniendi veritatem, assai probabilmente frutto di quella
primaria rivelazione, Lullo prospetta un
sistema geometrico combinatorio per esprimere la verità profonda, ed altrimenti inesprimibile, dei concetti teologici: dunque,
in sostanza, l’uso di simboli geometrici per
descrivere il divino. La sua attenzione verso
la trasmissione del sapere e la conoscenza
di idiomi diversi lo portò ad auspicare la
diffusione di scuole dove insegnare lingue
e cultura orientali, con lo scopo di favorire
l’azione missionaria formando una classe
di studiosi capaci di confutare l’imperante
averroismo. Si conferma così l’interesse del
“dottore illuminato” per un sistema di
espressione sovralinguistico che travalicasse
le barriere dei linguaggi. Nella figura di
Raimondo Lullo ritroviamo uno dei maggiori eruditi europei, un personaggio di
emblematico riferimento per quel periodo
che con efficace sintesi fu definito “autunno
del Medioevo” (cfr. J.Huizinga, L’autunno
del Medioevo).
Universalità del simbolo
La cultura medievale era permeata della
credenza che il simbolo potesse esprimere
meglio delle parole, concetti di superiore
verità. Ma di certo, questo tipo di comunicazione, come abbiamo visto, offriva il
vantaggio di superare le chiusure dei singoli
linguaggi, oltre che, nella perfetta astrazione
delle figure geometriche, poter narrare di
Dio, del cammino verso l’Altissimo e delle
sue conseguenze psicologiche e sociali.
Quando, pervasi dal desiderio di purgare
la propria anima e di ottenere l’indulgenza
dai peccati, uomini e donne di ogni condizione si univano in gruppi animati da un
unico pensiero, essi intraprendevano il
viaggio purificatorio. Vestiti di una corta
mantella, la pellegrina, armati di fede e di
bordone si incamminavano verso le mete
della cristianità, pronti a viaggiare per lunghi
mesi esponendosi ad ogni pericolo, freddo,
fame, malattie, briganti ed animali feroci.
Questi costituivano i rischi calcolati, simboli
delle cadute più abiette nelle quali l’anima
poteva incorrere cercando Dio. Ma dal
momento in cui l’individuo decideva di
abbandonare le comodità domestiche, mutava il rapporto con il proprio egoismo. Da
uno stato di preoccupazione volta esclusivamente al proprio benessere, quei penitenti
si trasformavano in creature ansiose di
conoscere l’Inconoscibile, di raggiungerlo
e di fondersi in Lui. In altre parole cercando
il sacro si trasformavano in uomini universali, quasi in appartenenti ad un vero e
proprio Ordine. Il pellegrinaggio rivelava
la sua essenza di esperienza iniziatica, così
ognuno di essi, nelle varie tappe, lasciava
un simbolo della sua ricerca.
Il segno dell’uomo universale
Oggi quei segni sono ancora leggibili sulle
pareti degli edifici di culto medievali, nei
luoghi dove i viandanti, pregavano, compivano i riti di una religiosità arcaica, si
ricoveravano per la notte ed attendevano
che la luce dell’alba si riversasse sulle sacre
icone. Uno dei glifi più frequenti, rilevati
sui conci di pietra di quelle antiche costruzioni, è una croce impostata al vertice di
un triangolo o sulla sommità di un segmento curvilineo (cfr. R.Guénon, Il simbolismo
della Croce). Il simbolo della croce, di antichissima origine precristiana, rappresenta
il corpo umano, stilizzato fino alla cristal-
lizzazione in un incrocio di due segmenti.
Molti sono gli autori che sostengono questa
tesi: da Onorio d’Autun (O.d’Autun, Specchio del Mondo, XII sec.) fino al già citato
Guillaume Durand de Mende (G.Durand
de Mende, op.cit, p31).
Il significato del triangolo è quello di vertice,
ossia di luogo sommo. In buona sostanza
raffigura il massimo delle altezze spirituali
raggiungibili nell’iter umano, corrisponde
alla montagna Qaf dell’Islam, cui non si
accede né per mare né per terra (R. Guénon,
Il Re del Mondo, Milano 1994) o al Betilo
biblico, “casa di Dio” (Gen. 28,17), “porta
dei cieli” (Ap.4,1) luogo privilegiato, o
come lo definisce, nel Commento al Cantico
dei Cantici, Gregorio di Nissa (IV sec.) “la
montagna della conoscenza mistica”. L’insieme della croce con il triangolo mostrerebbe dunque l’uomo che, spogliato della
materia, ridotto alla sua vera eterna essenza,
raggiunge la vetta più alta dei diversi stati
dell’essere (cfr. R.Guénon, Gli stati molteplici
dell’essere). Bernardo di Chiaravalle XII
37
sec. si chiedeva: “Chi salirà la montagna
del Signore?”, lasciando intendere che la
salita non era per tutti. L’inizio era l’ego, la
fine, lo sbocco nell’universale.
Il simbolo oggi
L’uomo contemporaneo sta vivendo il
fenomeno della globalizzazione ed alcuni
affrontano l’esperienza pervasi da “timore
e tremore” intuendo in essa un grave pericolo. In effetti sorge a buon diritto il sospetto
che, a causa di questo fenomeno trasversale,
si possano azzerare le peculiarità culturali
delle diverse etnìe per raggiungere una sorta
di confuso sincretismo nel quale si rischia
di perdere ogni antica identificazione storico-culturale. Senza voler fare della sociologia si comprende che l’allarme non è
remoto. Atteggiamenti, mode, proposte,
hamburgers ideologici sono in agguato e di
certo si presentano vincitori nell’attacco
alle categorie meno protette da filtri razionali. L’umanità si avvia verso un’omologazione assai minacciosa. Il millenario concetto dell’universalità proposto dalla via
iniziatica potrebbe invece contrapporsi al
taglio orizzontale della globalizzazione con
un programma di evoluzione verticale, che
salverebbe le identità dei singoli e delle
etnìe. Posto che l’antico simbolo dell’uomo
38
universale ci indichi che la méta sia il vertice
di quella montagna, tanto bene indagata
da M. Madeleine Davy (cfr. M.M.Davy, La
montagna e il suo simbolismo), dunque di
un difficile percorso in salita ed individuale
- sottolineando individuale - ci accorgiamo
quanto la massoneria offra il giusto antidoto
con una via alternativa per un nuovo umanesimo.
L’arrampicata verso la vetta, dove si troverà
la condizione universale, può sostenersi
usando i simboli della Tradizione come
appigli e come indicazioni di percorso.
Seguendo il concetto di universalità
Assumendo il concetto di universalità come
garanzia per la salvezza delle nostre culture,
ne discende che quanto lo differenzia dal
concetto di globalizzazione è la singolarità
dell’esperienza consumata nell’interiorità
degli individui. Si pone perciò come il
contrario della globalizzazione, che si presenta invece come un assalto, proveniente
dall’esterno, di usi e forme di pensiero
estranee e che vanno più o meno direttamente a sostituire le strutture culturali
antiche ed autoctone, quelle originali.
In cima alla montagna
Abbiamo dunque visto che, secondo schemi iconografici delle più varie provenienze,
gli antichi, quando descrivevano la presa
di coscienza della propria maturazione si
raffiguravano al colmo di una vetta. Superato l’iter sempre più esclusivo mostravano
al mondo ed ai posteri di aver raggiunto
un punto, l’omphalos, il luogo di congiunzione tra cielo e terra, la soglia sublime, che
non è concesso varcare se rivestiti dalla
materia. Lo sguardo lanciato da quel punto
verso remoti orizzonti, non era più quello
di un uomo tremante per le difficoltà che
la sua natura gli contrapponeva, ma di colui
che aveva sconfitto la paura della morte ed
era ormai assurto agli stati più alti dell’essere.
Sophia era la sua compagna ricongiunta,
l’illuminazione il suo modo di conoscere,
la giustizia il suo agire. Quel piccolo graffito,
che mani ignote incisero a migliaia di esemplari sui paramenti murari degli edifici sacri
dei paesi mediterranei, legati tra loro da
quel ricamo di linee complesse ed annodate,
che sono i millenari percorsi dei pellegrini
verso i luoghi santi delle religioni monoteiste, è il simbolo di una unità di ricerca, che,
nei tempi in cui la “religione era la poesia”
(F.Pessoa, Scritti esoterici), costituiva lo
scopo primario della vita di molti. Attualmente ci si presenta come un’indicazione
della Tradizione sulla quale costruire i nostri
singoli sistemi di pensiero per salvaguardare
le nostre minacciate identità.
Il ruolo della Massoneria
La massoneria, ponendosi oggi come la via
laica e tradizionale per raggiungere la condizione di iniziato, ossia lo stato dell’essere
universale, offre a coloro che vi approdano
un mezzo tutto occidentale, sorprendentemente attuale nonostante la sua antichità
e correttivo dell’appiattimento prodotto
dalla trionfante globalizzazione. Porge una
sorta di “cartina al tornasole” per individuare e successivamente rifiutare gli hamburgers ideologici che la civiltà contemporanea propina quotidianamente a getto
continuo. Nei simboli, che sono rimasti
per molti enigmatici e muti interlocutori,
uomini e donne liberi e di buoni costumi
possono trovare i segnali, diremmo i documenti che attestano antichissimi percorsi
spirituali, modelli di una ricerca millenaria
effettuata dall’uomo per scoprire il suo
posto nell’universo e dunque per divenire
egli stesso homo universalis.
[Ci permettiamo di rimandare per ulteriori
approfondimenti a: A.Giacomini, Il libro
dei segni sulle pietre, Carmagnola 2001].
P.35: SATOR; p.36: Viandante seduto, I sec. d.C., Uffizi,
Firenze; p.37 sin.: Filetto, incisione su pietra; p.37 dx.:
SATOR, graffito su intonaco, Pompei; p.38: Chinon,
graffiti su pietra; p.39: Tarsia marmorea del pavimento
del duomo di Siena, XII sec. (part.) [per le illustrazioni
alle pagg. 35, 37, 38 e 39 si rimanda alle pubblicazioni
della dott.ssa A.Giacomini].
39
46
lla nostra fantasia si
affacciano immagini
pittoresche quando
cerchiamo di immaginare in quale modo
si svolgessero le elezioni del Gran Maestro nell’Ordine Templare. Come da una nebulosa dissolvenza
si vanno configurando i bianchi mantelli
fluttuanti, le croci rosse della divisa, poste
sugli omeri di uomini robusti, dalle lunghe
barbe e dai capelli cortissimi, mentre la luce
calda e vibrante delle molte candele illumina
la volta di una sala, sorretta da nervature di
pietra. Si formano immagini sempre più
Splendidamente armato, per il proprio
spostamento aveva quattro cavalli, un purosangue turcomanno oggetto di attente
cure, ed era assistito da un sergente e da un
valletto di nobile lignaggio. Aveva la facoltà
di consacrare cavaliere chiunque secondo
il suo giudizio ne fosse meritevole per il
servizio prestato ed era servito da un maniscalco personale, due fanti, un cuoco ed un
turcopolo. Le funzioni religiose gli venivano
garantite da un cappellano ed un chierico.
Per i rapporti con il mondo islamico, aveva
tra i suoi più stretti collaboratori un segretario saraceno, una sorta di interprete o
portavoce ante litteram. Ogni spostamento
chiare: quel consesso di uomini si muove,
qualcuno parla più forte, gli altri ascoltano,
si dividono in gruppi, c’è chi esce e chi resta,
si intuisce una regia complessa di forte
suggestione, quasi una liturgia. Ed in verità
la sequenza delle operazioni elettorali era
una liturgia. Tutto avveniva in “nome di
Dio” e mentre i vari gruppi eseguivano i
compiti statuiti di loro competenza, l’assemblea dei fratelli astanti pregava intensamente perché l’illuminazione dello Spirito
Santo guidasse tutto il rito.
Il Gran Maestro
Il Gran Maestro dell’Ordine Templare era
una sorta di monarca con diritti feudali.
del Gran Maestro metteva in moto un
contingente di cavalieri tra i più valorosi
dell’Ordine, che costituivano il suo corteggio
e la sua scorta. Ma nonostante tanto apparato i suoi poteri in materia finanziaria
erano limitati. Era pure limitata la sua facoltà
di nomina dei commendatori per i diversi
regni (l’Ordine, si ricorda, era internazionale) che doveva avvenire con il consenso
del Capitolo. Ma, qualora il nominato si
fosse reso indegno della carica, il Gran
Maestro poteva rimuoverlo senza interferenze. Altre due prerogative facevano del
Gran Maestro un personaggio unico nell’universo cavalleresco medievale ed erano
Come fu eletto
l’ultimo GranMaestro
templare Jacques
de Molay
iamo nell’anno 1292. Il gran Maestro
dell’Ordine templare Thibaud
Gaudin muore il 16 aprile. Già il 20
aprile in un documento Jacques de Molay
si firma “per grazia di Dio umile maestro
della Povera Cavalleria del Tempio”. Tra
il 16 ed il 20 aprile corrono solo 4 giorni.
Vista la complicazione della procedura
elettorale e le distanze allora difficilmente
percorribili in tanto poco tempo, stupisce
che così in breve si fosse diffusa la notizia
del decesso e quindi fosse stato possibile
svolgere tutto il complesso di operazioni
relativo all’elezione del nuovo Gran Maestro. Ma tant’è. A Cipro dunque convenne nel Capitolo generale tutto il corpo
elettorale del Tempio. Dopo le operazioni
di voto, che si suppone si siano svolte
secondo i modi descritti, la maggioranza
aveva espresso la sua preferenza per la
carismatica figura di Hugues de Payraud.
Questi era un alto dignitario sostenuto
dai cavalieri di Alvernia e Limousin ed
assai probabilmente gli veniva riconosciuta un’altissima autorità morale. Sappiamo che come visitatore di Francia aveva
sotto di sé circa tremila commanderies,
alla carica corrispondeva quindi un notevole potere. La decisione dei tredici non
era però gradita a De Molay che con un
gesto tempestivo si autoimpose il mantello
eleggendosi da solo con un atto rituale
che non poteva più essere revocato. Come
siano andate veramente le cose non è dato
saperlo. Fatto sta che Payraud rimase
probabilmente la massima autorità morale per i cavalieri templari, mentre il
gesto di De Molay fu tollerato, ma forse
non completamente accettato da molta
parte dei confratelli. Verrebbe facile notare
come l’irregolarità dell’elezione abbia
avuto in seguito, dalla storia, un corrispettivo di dolore e di morte.
[Per approfondire ci permettiamo di segnalare: A.Giacomini, Chinon l’estremo
messaggio templare, Bari 2004].
47
il possesso del sigillo dell’Ordine e quello
di un cospicuo tesoro personale, che egli
gestiva in prima persona, senza dover
rendere conto al Capitolo.
La Regola
La Regola (I Templari, la Regola e gli Statuti
dell’Ordine, a cura di J.V.Molle, Genova
1995) da cui si evincono queste informazioni elenca molti altri privilegi e qualità
della carica, formulando una casistica minuziosa delle circostanze nelle quali era
possibile derogare dalla precettistica generale. Tutto ciò ci permette di comprendere
meglio lo spirito di quelle leggi e di concludere che tutto l’insieme degli Statuti, divisi
in molti articoli, ci descrive una particolarissima istituzione. Se le molte preghiere
prescritte e il forte senso morale che pervade
il testo è caratteristico di una comunità
48
monastica, la maggior parte dei paragrafi
si presenta come l’impalcatura giuridica
della ferrea disciplina di un Ordine cavalleresco internazionale in cui obbedienza e
sobrietà costituivano i valori primari.
Il siniscalco e il maresciallo
Il Gran Maestro nelle sue responsabilità
non era solo, ma aveva due coadiutori.
Accanto a lui, per farne le veci e sostituirlo
in certe circostanze, vi era il siniscalco, ossia
quel cavaliere che godeva del privilegio di
portare lo stendardo bicolore, il Baussant.
Proprio per questo in guerra era circondato
da una scorta numerosa. L’altro era il
maresciallo cui spettava di dare ordini e
schierare i fratelli in battaglia, egli era il
coordinatore dei commendatori comandanti dei singoli squadroni. I Commendatori, poi, erano molti ed ogni provincia ne
aveva uno.
La carica di Gran Maestro era a vita
La condizione di allerta dovuta al perenne
stato di guerra in cui i templari si trovarono
durante il loro periodo di stanza in Outremer, rendeva precaria ogni postazione,
qualunque disposizione poteva essere revocata e contraddetta improvvisamente.
L’obbedienza veloce agli ordini, che non
potevano essere discussi, era una condizione necessaria per la funzionalità dell’istituzione. Ma proprio questa condizione di
guerra continua rendeva pericolosa la vita
dei cavalieri-monaci e del loro capo, che
partecipava personalmente alle battaglie.
Molti Gran Maestri infatti perirono durante disperate quanto audaci operazioni
militari. Doveva dunque essere messo a
punto un sistema che garantisse alla comunità una continuità di governo. Così,
alla morte del Gran Maestro, il maresciallo
prendeva immediatamente il suo posto
fino alla nomina di un Gran Commendatore che ricoprisse provvisoriamente la
somma carica.
Tutto si svolge a Gerusalemme
Poi scattava il dispositivo elettorale. Il teatro
della sacra rappresentazione è Gerusalemme, la sede dell’Ordine, dove giungono
da tutte le province i Commendatori con
i loro cavalieri più valorosi. Tutti i fratelli
convenuti eleggono un Gran Commendatore con funzioni di Gran Maestro, ed a
lui viene affidato il sigillo. Da questo momento inizia una singolare danza rituale.
Il Gran Commendatore forma un comitato
composto dal maresciallo, da tre commendatori e da pochi fratelli in fama di saggezza
con lo scopo di decidere il giorno dell’elezione. Ripartono tutti per le loro sedi dove
indicono un periodo di preghiera e prescrivono il digiuno per tre venerdì consecutivi. Nella data decisa si riunisce a Gerusalemme il corpo elettorale, formato da
tutti i commendatori con delegazioni di
cavalieri valorosi provenienti da tutti i
baliati.
Prima giornata
Giunto il primo giorno del periodo elettorale il Gran Commendatore, dopo le preghiere del mattino, riunisce alcuni fratelli
maggiorenti, quindi si scelgono tre o più
cavalieri ed a loro viene ordinato di uscire
dalla sala capitolare. Tra questi si procede
alla votazione del Commendatore dell’elezione (alias presidente della commissione)
nella persona di un templare noto per
rettitudine, conoscenza delle regole, amore
di Dio e della giustizia, benaccetto da tutti.
A lui viene affiancato un altro cavaliere
come compagno. Seguirà una notte di
preghiera e di veglia, che precederà le operazioni elettorali e che sarà trascorsa nella
cappella in consultazioni, in pie implorazioni rivolte allo Spirito Santo, in sacre
funzioni, fino a che non spunti il sole.
Seconda giornata
Al suono della campana i monaci-cavalieri
si riuniscono nella sala del Capitolo dove
si dà luogo ad un altro momento di preghiera collettiva: tutti i bianchi mantelli
inginocchiati sulla pietra del pavimento
recitano il pater noster. Da questo momento
il commendatore dell’elezione ed il suo
compagno sono pronti per scegliere quei
fratelli assennati e devoti a Domineddio,
che dovranno aiutarli nel loro ufficio. Il
gruppo dei prescelti esce dalla sala. La
danza prosegue all’esterno, si presuppone
nella cappella. I due, il Commendatore e
il suo cavaliere, eleggeranno altri due fratelli
e così saranno quattro, e i quattro fratelli
ne scelgono altri due ciascuno, così diventano otto e così via fino al numero di
dodici. I 12 eleggeranno il cappellano che,
come Cristo, sarà il tredicesimo. In tutto
dovranno essere otto cavalieri, quattro
sergenti e il sacerdote, tutti di nazionalità
diverse. Essi rientrano nella sala del capitolo.
Il Gran Commendatore comanda una
preghiera in prosternazione rivolta al Signore e a tutti i santi. Quindi, tra i bianchi
mantelli accovacciati sull’impiantito, i
tredici si rialzano e dinnanzi all’intero
capitolo vengono ammoniti dal Gran
Commendatore con le parole: “Vi scongiuriamo – in nome di Dio e della Vergine
Maria e di San Pietro e di tutti i santi e le
sante di Dio e per conto di questo capitolo,
in virtù dell’obbedienza, a rischio di perdere
la grazia di Dio e di doverne dar conto nel
giorno del Giudizio, se non fate il vostro
dovere in questa elezione – di eleggere
colui che vi sembrerà più degno e utile e
rappresentativo per tutti i fratelli e per la
casa e per la Terrasanta, e che goda della
miglior reputazione.”
Nel ritiro segreto, l’elezione
Ora i tredici sono pronti per il momento
cruciale, escono dalla sala e si ritirano in
luogo appartato dove nel nome della Trinità, discuteranno tra loro. Il Maestro del
Tempio deve essere scelto tra tutti i fratelli
cavalieri nella più assoluta concordia, mentre il capitolo intero tenuto completamente
all’oscuro di quanto sta accadendo fra i
tredici, delle proposte e delle obiezioni,
prega perché tutto avvenga per il bene
dell’Ordine. Decisa la nuova Guida gli
elettori ritorneranno nella sala capitolare
dove il Gran Commendatore porrà alcune
domande di rito sul lavoro svolto ed a lui
stesso verrà formulata varie volte la richiesta
di assoluta fedeltà se prescelto.
La consacrazione
Solo ora il commendatore dell’elezione si
rivolge all’eletto, lo chiama per nome e gli
comunica: “Fratello, in nome del Padre,
del Figlio e dello Spirito Santo, ti abbiamo
eletto e ti eleggiamo Maestro”. Cantando
il Te Deum Laudamus, tutti i convenuti lo
sollevano in trionfo e, sulle braccia, lo
portano nella cappella dove lo presentano
a Dio. Davanti all’altare colui che è divenuto
primus inter pares si inginocchia, si consacra
e con un canto liturgico responsoriale
termina la giornata.
Il silenzio
La parte degli Statuti dedicata all’elezione
del Gran Maestro si conclude con la raccomandazione del silenzio, quel silenzio
che era, allora come oggi, garanzia di maturo senso di responsabilità e di dignità.
Art. 223
Tutte le cose dette dai fratelli elettori devono
rimanere segrete e nascoste come il capitolo;
poiché ne potrebbe sorgere grande scandalo
e grande odio, se a chiunque fosse consentito
di ripetere le parole dette ed esposte.
P.46: L’Elezione, china ed acquerello su carta, L.Scarfò,
2005, coll. priv.; p.47: Elsa di spada rinascimentale, XV
sec. Museo Castello Sforzesco, Milano; p.48: Elsa di
spada medievale, XIV sec. Museé Patrignon, Brest; p.49:
Scettro, Museé Patrignon, Brest.
49
54
Teramo quell’alba del
29 dicembre 1777
doveva essere algida
come è sempre l’inverno ai piedi del
Gran Sasso, così che
il risveglio di Luigi
Maria Pirelli, vescovo della Città avrà richiesto, come al solito, tutti i conforti del
caso: dal braciere fumante posto nella sacra
alcova al caffé e ‘cioccolatta’ calda premurosamente poggiati accanto al letto. Eppure, nonostante tutto la giornata si annunciò
di quelle peggiori. In città, dal popolo basso
alle case palaziate dei maggiorenti, ormai
non si parlava d’altro: tre ore prima
che facesse giorno, sei monache,
con una loro serva non professa,
se ne erano scappate dal
convento di clausura di San
Matteo e “recando innanzi
la Croce” si erano rifugiate nella vicina chiesa
di Sant’Anna dove,
intanto, stavano anch’esse rifocillandosi
intorno ad un braciere con caffè e
‘cioccolatta’, prontamente forniti da
Donna Cassandra
Mazzocchi, napoletana, imparentata
colla famiglia Delfico,
Don Melchiorre
Delfico, il signor
Alessio Tullj ed altri
signori.
Si istruisce l’indagine
Monsignor Pirelli corse
subito prima al Convento
di San Matteo per sentire
come erano andati i fatti, che
poi era almeno in apparenza
una bega di donne o se si vuole di
monache in lite tra loro, poi alla
Chiesa di Sant’Anna per riportare alla
ragione le fuggitive che però si mostrarono
irremovibili nelle loro posizioni. Irritato
più che mai, e in specie con suor Maria
Raffaele Cornacchia e suor Maria Emanuele Thaulero, “le più audaci e temerarie
e capaci di ogni strepitosa escandescenza
nei criminosi disturbi ed eccessi” e per di
più parenti strette dei capi di quella “setta
di miscredenti” che imperversava a Teramo, Pirelli era convinto anzi arciconvinto
-del resto la persecuzione ai settari era da
tempo un suo pallino fisso - che proprio
a questi si dovessero far risalire le ragioni
di un simile gesto. Da mesi, se non da anni
infatti, non potendole legittimamente proibire mal tollerava certe frequenti visite alla
grata con le suddette monache di Melchiorre, Gianfilippo e Giamberardino Delfico, di Alessio Tullj, di Giambattista Mezzucelli, di Vincenzo Comi, di Francesco
Pradowski ed altri, “i quali da soli o all’interno della Società patriottica non trascuravano occasione per farsi sostenitori di
riforme in materia economica, politica,
culturale ed ecclesiastica”.
L’iniqua setta
In una parola essi erano i capi di quella
“scellerata ed iniqua setta che teneva scuole
di eresia e proposizioni contrarie alle verità
della Santa Fede e Religione cattolica, nonché di bestemmie ereticali con aver disseminato senza velo e ritegno alcuno gli
errori più pestiferi che mai dalli iniqui
eresiarchi furono divulgati, con aver anche
avuto lo spirito infernale di negare l’esistenza di Dio, negar li sacramenti, e specialmente quello dell’Eucaristia, l’immortalità dell’Anima, il Purgatorio ed insomma
tutto il sacro e venerando, con le maldicenze le più diaboliche, che facevano orrore, contro la venuta del Figlio di Dio ad
umanarsi e contro la sua Santa Resurrezione, asserendosi che Maria Santissima
era una puttana chiamata Sira, che era
stata ingravidata da un reo di delitti chiamato Nabur e che il nato Bambino Gesù
Cristo Signor Nostro era un muletto
ed un assassino, per qual motivo
era stato crocifisso e che il
glorioso S. Giuseppe era
un ruffiano e cose simili.” Di questo e di
che altro avrebbero
potuto parlare,
tanto assiduamente, quei signori con le loro
parenti monache a San Matteo e soprattutto quell’
immorale e
seduttore di
Melchiorre
Delfico che nel
1774 aveva fatto dare alle
stampe un’
operetta dal titolo Saggio filosofico sul matrimonio, che era
statasubito proibita
dalla sacra Congregazione dell’Indice
“come piena di errori,
opera veramente degna di
tanto autore, sebbene il suo
nome non vi comparisse, perché,
disprezzando egli il sesto precetto del
Decalogo, per le sensualità nelle quali era
immerso, peggior parto dalla sua penna
non poteva uscire.”?
La ribellione
E le monache dovevano ben stare ad ascoltarli e far buon apprendimento di tanti e
tali sovversivi precetti, se Suor Maria Raffaele Cornacchia, ad esempio, quando il
Vescovo le aveva vietato di farsi insegnare
a suonare il cembalo da una persona estra-
55
nea al convento, che ogni giorno si presentava sulla porta della clausura, lo aveva
accusato presso il re, il quale, con somma
prudenza, non aveva che potuto confermare il divieto del prelato. Secondo il
Pirelli, questo “esito infelice” del suo ricorso
a Napoli, aveva indotto la stessa ad “armarsi
a fuggire” e l’aveva spinta ad unirsi alla zia
suor Maria Emanuele Thaulero, la quale
era anche zia carnale di Giambernardino
Thaulero, nel “sentimento di uscire dalla
clausura”. La relazione inviata al Papa e
alla Regia Udienza non si
limitava ad esporre i fatti e
ad ipotizzare umori e stati
d’animo delle monache, ma
conteneva anche un preciso
atto di accusa contro coloro
che, ad avviso dell’autore,
avevano spinto le fuggitive
a ridursi al gesto estremo di
rompere la clausura. Costoro
erano Melchiorre Delfico e
Giambernardino Delfico,
nonché i fratelli Don Alessio
e Don Francesco Saverio
Tullj, Don Giambernardino
Thaulero, Don Andrea Sardella, in una parola tutti quei
“signori che prestarono man
forte alle dette religiose”.
La reclusione
Avviate le indagini scattarono subito gli arresti. Per
intanto furono carcerati il
fattore delle monache e il
garzone, che "avevano aperto
senza opporre resistenza alcuna la porta del monastero”, mentre Donna Cassandra fuggiva “di notte colle torce al vento,
riparando in Atri, dov’era Don Giambernardino Delfico, suo genero, marito della
defunta sua figlia Catarina e governatore
di quello Stato Allodiale” seguita a ruota
da Don Melchiorre che si nascose in Sant’Agostino della Zecca a Napoli,
“rimanendovi per lungo tempo latitante,
senza che si riuscisse mai a trovarlo”. Non
persero tempo nemmeno gli altri, poiché
per tutti con un “real dispaccio” il re aveva
ordinato la massima severità “affinché
fossero carcerati al Castello dell’Aquila,
giacché non sono sicure quelle di codesta
udienza, né quelle di Civitella o di Pescara”,
impartendo, parimente, ordini al Castellano di Civitella del Tronto, per mezzo
della Real Segreteria di Guerra, che si man-
56
dassero a disposizione di quel Tribunale
“dieci soldati militari, giacché i laici contro
dei quali si deve inquirire sono potenti e
facoltosi”. Né alla reclusione sfuggirono
le monache ribelli che furono “trasportate
con la forza e ben custodite” in altri conventi. A Suor Maria Raffaele toccò quello
di Campli e a suor Maria Emanuele quello
di Civitella del Tronto.
Accertamenti prudenti
Il re, infine si raccomandò che si accertasse
nelle “debite forme” se dell’accaduto fos-
sero state realmente complici la badessa e
la vicaria, e che si punissero “secondo le
leggi e con prudenza” quegli ecclesiastici
in qualche modo responsabili. L’azione
giudiziaria contro gli imputati andò per
le lunghe fino a quando il 17 giugno 1780
il governo napoletano, in occasione della
“fausta circostanza” rappresentata dalla
nascita di un figlio del re, decise di por
termine, una volta per tutte, al caso, ordinando anche che le monache fossero ricondotte nel convento di San Matteo, cosa
che le due sdegnosamente rifiutarono,
arrivando a dichiarare anzi di non preoccuparsi di dannarsi e di “andare nel fuoco
morendo anche se questo fosse stato
eterno” e continuando altresì, come dice
il cronista, a prediligere i colloqui alla grata,
ancor più segreti e misteriosi, con quei
loro parenti “settari e miscredenti” e a
coltivare con loro idee e sentimenti “iniqui
e perniciosi”.
Le riforme
La città del resto, forse per reazione all’aver
avuto per secoli un vescovo-principe, autorizzato ad amministrare la giustizia civile
e religiosa, privilegio simbolicamente rappresentato dalla “messa armata” ovvero
celebrata con la spada e il pastorale branditi
dinnanzi all’altare, nella seconda metà del
secolo diciottesimo fu il
centro abruzzese nel quale
le idee riformatrici ebbero
maggiore diffusione. Attorno ai fratelli Delfico
(Melchiorre, Giambernardino e Gianfilippo) i
quali, sin dal loro ritorno
in città dalla capitale, si
erano impegnati nella
diffusione delle idee genovesiane, operava un
consistente gruppo di
intellettuali liberali. Le
vicende napoletane dell’inizio degli anni Novanta
(formazione di club giacobini sotto l’aspetto di
logge massoniche, con
programmi repubblicani;
scoperta della congiura;
processo agli accusati,
condanna a morte ed
esecuzione dei suoi capi)
generarono una stagione
politica di sospetti generalizzati, nella quale un
ruolo tutt’altro che trascurabile giocarono le delazioni e le accuse.
Al riguardo scriveva Melchiorre Delfico
“Io non mi andiedi cercando libri per
dispormi a scrivere; guardai il matrimonio
come uno stato di felicità e di virtù, ed
avendo veduto in effetto che vi erano delle
congiunzioni felici, ne cercai le ragioni,
che trovai nella costituzione stessa della
specie umana. Non mi spaventai né del
gran quadro di corruzione che mi si poteva
opporre, né della tanto vantata teoria che
in amore non vi sia altro di buono che il
Fisico. Credetti mostrar la perversità di
tale idea che ci mette a livello con i bruti
e dimostrai che, se il piacere ha la sua base
nelle sensazioni fisiche, la Felicità ch’è
propria dell’uomo consiste nel sublimarsi
le sensazioni al punto da produrre i senti-
menti morali, che possono avere quella
durata che può fare la felicità e far nascere
i rapporti della virtù. Che l’amore nello
stato coniugale diviene un sentimento
virtuoso e così può far nascere i corrispondenti affetti di famiglia e dare origine a
tutte le morali affezioni che sostengono e
quasi formano lo Stato sociale. Mi parve
quindi di definire il Matrimonio in questi
termini: l’espressione legittima dell’amore.
Non solo vi sostenni la causa del costume
contro gli errori della galanteria, ma feci
vedere quali erano i mezzi atti a far nascere
la virtù e a conservarla fra le pene e nelle
perpetue abitudini coniugali. Risposi alla
grande opposizione di fatti, del gran nu-
mero dei matrimoni felici, facendo vedere
che la comune o frequente infelicità nasceva dagli ingiusti pregiudizi dell’orgoglio,
delle cattive leggi e della peggiore educazione. Ed infine sostenni, credo con buone
ragioni, la necessaria perpetuità del matrimonio contro i falsi argomenti dei libertini
e dei promotori del divorzio. Così, lungi
dall’offendere la morale, io ne fui il predicatore anche a rischio del ridicolo che mi
avrebbero dato i viziosi e i malvagi”. Belle
parole, senza dubbio, ma intese e forse
comprese da pochi, mentre l’orgogliosa
fermezza di suor Maria Raffaele e suor
Maria Emanuele che, solo dopo molti
preghi e blandizie, si risolsero a ritornare
in convento, colpì molto la fantasia della
gente di Teramo sempre più convinta che
persino le monache di San Matteo coltivassero le nuove idee libertarie e anticlericali del circolo Delfico e che, in una parola,
il parlatorio del Convento fosse né più né
meno che una Loggia massonica.
(La storia è tratta dai documenti della Regia
Udienza, conservati presso l’Archivio di Stato
di Teramo).
P.54: Ritratto di monaca, fine XIX sec., coll. priv.; p.55:
L'estasi di Santa Caterina da Siena, P.G.Batoni,
XIX sec., Pinacoteca, Lucca; p.56: La Castità fra la
Lussuria e la Vanità, affresco, XIII sec., castello di Masnago,
Varese; p.57: Ritratto di monaca (part.), fine XIX sec.,
coll. priv.
57
Il nefasto 13 ottobre:
“La Massoneria, la Storia, gli Uomini, le
Idee”, un libro destinato a fare giustizia.
’è una data che, nella storia delle istituzioni
“scomode”, scavalca i secoli e si impone alla
memoria come un sarcastico refrain: il 13 ottobre.
1307, 13 ottobre, prima mattina.
I Templari avvolti nei loro bianchi mantelli
stanno assistendo alle prime funzioni di una
giornata che sembra essere una delle tante nella vita delle commanderies
di Francia. Ma le cose prendono un indirizzo diverso. All’improvviso,
quella mattina, in tutto il regno di Filippo il Bello, manipoli di armati
irrompono nelle sedi dell’Ordine, come sincronizzati da un’occulta
regia e mettono agli arresti tutti i monaci-cavalieri che vi si trovano.
Dignitari e serventi, preti e soldati, tutti seguono la medesima sorte
e da quel momento inizia una tragica vicenda di processi, di torture
e di roghi. Quella che la storia ancora dibatte ed ormai, compresi i
‘perché’, indica come esecrabile pogrom.
1993, 13 ottobre, prima mattina.
66
I toscani che passano dall’edicola si trovano davanti agli occhi un
quotidiano con un policromo allegato, che attira subito la curiosità
anche di coloro che non comprano quel giornale abitualmente. La
testata è l’Unità e l’allegato consiste in un opuscolo intitolato La
Toscana delle Logge. In esso, nome per nome, è pubblicato un lungo
elenco di presunti massoni completamente all’oscuro di quanto sta
accadendo alle loro persone. Anche in questo caso personaggi eccellenti
ed oscuri professionisti, intellettuali ed uomini d’economia, vivi o
morti sono accomunati nell’accusa di appartenere alla massoneria,
già da tempo “accostata in modo ambiguo...ad episodi di intrallazzi
a fatti di mafia delittuosi e di associazioni segrete” (atto di citazione
del 10-12-1993). Comincia un nuovo pogrom. Le conseguenze di tale
iniziativa editoriale furono pesanti per molti che, vera o falsa che fosse
la loro appartenenza, si trovarono vittime di un presto diffuso clima
di caccia alle streghe, in molti casi alimentato dalla calunnia e da
un’oscura passione per la maldicenza, usata come arma di distruzione
e contrabbandata per esercizio del diritto d’informazione. Seguì una
vicenda giudiziaria promossa da alcuni (numerosi) massoni della
Gran Loggia D’Italia coinvolti, che firmarono la citazione in giudizio
dell’Unità S.p.A. La macchina della giustizia si mosse e seguì il suo
iter, finché nel 1996 le due parti raggiunsero un atto di transazione
condiviso. Patrocinati dall’avvocato Felice Vaccaro i massoni toscani
citanti accettarono che l’Unità facesse comporre ed editare a sue spese
“un’opera illustrativa dell’istituzione massonica, di carattere scientifico
e divulgativo in numero di copie tale da soddisfare il fine transattivo,
tenuto conto della diffusione dell’opuscolo contestato...” (Dall’atto
di transazione. Sta in Paolo Blasi, Introduzione al libro in oggetto).
Nelle librerie oggi si trova esposta una nuova opera dal titolo La
Massoneria - la storia, gli uomini, le idee, stampata nella collana degli
Oscar Mondadori, in cui attraverso otto contributi di illustri storici
si ripercorre la storia dell’istituzione e del pensiero di cui è portatrice.
Officinae, in ogni suo prossimo numero, vaglierà ciascuno di questi
saggi ed offrirà così una lettura autenticamente massonica di quanto
gli estensori hanno demandato al volume. Per concessione di Luigi
Pruneti iniziamo con la pubblicazione integrale della sua Premessa..
Correva il ’93
da: La Massoneria la storia, gli uomini, le idee,
Milano 2004, pp.XIII-XV, Luigi Pruneti
embrava una fine estate come molte
altre, il cielo terso, il sole vigoroso e le
spiagge ancora affollate, nei fine settimana, parevano voler procrastinare il rito
delle vacanze che per i più era ormai un
ricordo. Noi massoni, però, stavamo vivendo
uno dei periodi più grigi della nostra storia
recente.
La bufera era nell’aria da molto. I primi venti
si erano levati quando la procura di Palmi
aveva aperto un’inchiesta “di inusuale
ampiezza”. Ai sequestri e alle perquisizioni
era seguita una campagna stampa,
tambureggiante e pittoresca. Alla
Massoneria veniva attribuita ogni
sorta di nefandezza: dal traffico di
rifiuti tossici al commercio di armi,
dai collegamenti con la mafia alla
vendita di uranio. Soloni ufficiali e
improvvisati censori stigmatizzavano
la “setta” e la sua vocazione affaristica,
sentenziando sull’inquietante segreto
latomistico. In taluni casi lo scoop
serviva, poi, per “ungere” di massone
qualche uomo politico inviso.
IL turbine vero e proprio, comunque
si alzò quando il quotidiano “l’Unità”
iniziò a pubblicare, comunione per
comunione, loggia per loggia, il nome
e le generalità di tutti i massoni fiorentini. Nessuno fu risparmiato,
anche i morti furono risvegliati dal
loro sonno eterno per comparire sulle
colonne del giornale. Le liste erano
accompagnate da articoli che mettevano in risalto la pericolosità della
“setta”.
Altri organi di stampa non vollero
essere da meno de “l’Unità” e ne
seguirono l’esempio, mentre altri
ancora dichiararono la loro insoddisfazione perché non apparivano nomi di
personaggi eccellenti ma solo quelli di comuni
cittadini.
Vissi quei giorni incredulo e frastornato,
come se all’improvviso fossi precipitato in
un incubo. Purtroppo era tutto vero e alla
pubblicazione degli elenchi seguì puntuale e
strisciante, un’ordinaria discriminazione:
Ogni giorno mi pervenivano notizie in tal
senso. La nostra sede regionale era divenuta
un caposaldo ove giungevano continui bollettini di guerra: in una città erano stati affissi
cartelloni infamanti, in un’altra lugubri dazebao ponevano alla gogna alcuni iscritti; vi
era chi rischiava il posto di lavoro, chi era
oggetto di apprezzamenti poco simpatici,
mentre i volontari della Misericordia erano
espulsi, perchè conclamati massoni.
Cercammo di replicare con comunicati, manifesti, conferenze, ma la nostra voce era un
gemito nell’imperversare del tifone. Provammo anche a pubblicare, a pagamento, una
mezza pagina su un quotidiano, ma la nostra
inserzione fu rifiutata. Iniziarono allora le
battaglie legali, seguite da nuove polemiche
da parte di chi, invocando la facoltà d’informare, negava il diritto alla riservatezza di
centinaia e centinaia di cittadini. Finalmente,
dopo l’agone, si giunse a un accordo i cui
termini sono spiegati nell’introduzione alla
presente opera. Questa soluzione fu accolta
con reciproca soddisfazione giacché ricon-
duceva il contenzioso sul piano del dialogo.
Le “guerre” lasciano dietro di loro solo lutti
e rovine; il colloquio, lo spiegarsi, la reciproca
conoscenza, anche se non elimina le divergenze, consente un confronto dialettico dal
quale tutti traggono beneficio.
Certo, la pubblicazione di un testo sulla
Massoneria non cancella il danno che l’Istituzione e i suoi iscritti ebbero in quel periodo
ma, sicuramente, servirà a farla meglio conoscere, e già questo è un risultato non indifferente. Se, infatti, nel ’93, vi furono manovre
strumentali, la generalizzata “caccia alle
streghe” trovò un fertile terreno nella disinformazione e nei miti negativi che da sempre
aleggiano sulla Libera Muratoria: Far cono-
scere significa vincere il pregiudizio, sfatare
i luoghi comuni che da tempo si sono sedimentati nella mentalità collettiva e, probabilmente, questa raccolta di saggio, nata da un
atto di buona volontà, sarà un contributo
non indifferente al ripristino di una verità
storica che molti ignorano. Da allora sono
passati diversi anni e tante cose sono cambiate:
la stessa giurisprudenza, con la legge sulla
privacy, garantisce ormai un diritto sacrosanto. La celebre inchiesta della procura di Palmi,
che tanto infiammò gli animi si è conclusa
con un decreto di archiviazione nel quale si
legge: “Da uno sguardo d’insieme al ponderoso materiale acquisito...si può trarre la
certezza che è stata compiuta...una massiccia
e generalizzata attività di perquisizione
e di sequestro e che le iniziali dichiarazioni del notaio Petro Marapodi...certamente non consentivano,
quanto meno a livello nazionale. Da
questi racconti a contenuto generalissimo, ma conformi all’immaginario
collettivo, il p.m. di Palmi ha tratto
lo spunto per acquisire una massa
enorme di dati...che poi è stata informatizzata e che costituisce una vera
e propria banca dati sulla cui utilizzazione è fondato avanzare dubbi di
legittimità...In questo procedimento,
infatti, l’art.330 del C.P.P. è stato interpretato come potere del P.M. e
della polizia giudiziaria, di acquisire
notizie e non, come si dovrebbe,
notizie di reato.”
Ciò che da allora non è mutata è,
sicuramente, la Comunione massonica della Gran Loggia D’Italia, Obbedienza di Piazza del Gesù, Palazzo
Vitelleschi che oggi, come ieri, è
un’associazione specchiata di uomini
e donne che desiderano, attraverso
una particolare metodologia, migliorarsi e così facendo offrire un
contributo più adeguato alla società.
Per far questo, l’associazione ogni anno organizza numerosi convegni aperti a tutti,
pubblica periodici e libri, interviene e parla
con chiunque desideri un colloquio. Le sue
sedi, sparse in tutta la Penisola, sono accessibili
a chi abbia, senza reconditi fini, il desiderio
di visitarle. Il celebre “segreto massonico”,
che ha dato la stura a mille illazioni, altro non
è che il simbolo della lenta, difficile maturazione che ciascun Libero Muratore cerca di
realizzare in sé stesso. L’unico aspetto, per
taluni versi misterioso, rimane, dunque, solo
l’acredine che alcuni conservano nei confronti
della Massoneria e che, periodicamente, nel
nostro Paese, porta a pogrom che mal si
spiegano in uno Stato di diritto.
67
La Foresta Incantata
del “Fratello” Calvino
a cura di Paola Forneris e Loretta Marchi, De Ferrari & Devega, Genova,
2004, pp. 150
l 12 gennaio 1979 Italo Calvino e suo fratello Floriano - docente
all’Università di Genova - donarono al Comune di San Remo
le carte del padre, Mario (Sanremo, 1875 -1951), e della madre,
Eva Mameli (Sassari,1886 -Sanremo 1878); trattati, monografie,
opuscoli, riviste di botanica, floricoltura, giardinaggio” col vincolo
che la città “tenesse viva la memoria dei due illustri scienziati”.
Da quell’ humus un quarto di secolo è sbocciato un primo fiore,
fortemente voluto da Esther Singer Calvino: Il giardino segreto dei
Calvino, coordinato da Paola Forneris e Loretta Marchi con l’egida
del Comune di San
Remo (ed. De Ferrari
& Devega, Genova).
Il padre del celebre
scrittore - vi si legge
- “nacque in una
villetta seminascosta
tra olivi e Pheonix
canariensis, abbellita
da uno dei pochi
giardini di allora con
oleandri, pelargoni e
ortensie, affiancata
dall’immancabile
vigna e dall’agrumeto”. Lo stesso Italo
ne scrisse nelle memorabili pagine La
strada di San Giovanni. Lì era anche
l’albero di falso pepe
che gli suggerì l’invenzione del Barone
rampante, quel Cosimo Piovasco di
Rondò che nel saggio
su Tomaso Borea
d’Olmo, barone dell’Impero Luca Fucini ha identificato con l’antico maire di San
Remo in età napoleonica: abilissimo nel destreggiarsi fra le alterne
fortune di San Remo tra crollo dell’antico regime e modernizzazione
napoleonica, massone pronto a ospitare papa Pio VII nel suo
palazzo. Dal padre, GioBernardo, massone e mazziniano, soprannominato l’Italianissimo, Mario assorbì la passione per la floricoltura.
Direttore della Cattedra ambulante di agricoltura, fondatore della
rivista L’agricoltura ligure, Mario intuì che il Ponente poteva
divenire il giardino incantato del Mediterraneo. Cerniera di transiti,
la città di San Remo sarebbe divenuta l’oasi di chi era in cerca
dell’equilibrio fra pace interiore e paesaggio: un vero paradiso
terrestre, ideato e giorno per giorno migliorato dalla scienza.
Sposata Eva Mameli, a sua volta ricercatrice di valore, dopo aver
dato vita e molteplici istituzioni per lo sviluppo scientifico ed
economico il 31 dicembre 1908 Mario salpò per il Messico, chiamato
dal governo di quel Paese a imprimere una svolta nell’agricoltura.
68
Vide la rivoluzione di Pancho Villa contro Porfirio Diaz. Nello
Yucatan si offrì volontario per difendere la popolazione. Nel 1917,
quando tutto stava crollando, partì per Cuba, ove assunse la
direzione della Stazione agronomica sperimentale di Santiago de
Las Vegas. E fu lì che il 15 ottobre 1923 nacque Italo. Due anni
dopo i Calvino tornarono a San Remo. Mario assunse la direzione
della Stazione sperimentale di floricoltura istituita col lascito del
deputato socialista e massone Orazio Raimondo, nipote di Giuseppe
Biancheri, onnipotente parlamentare di Ventimiglia. Lavorò sodo.
Sognò di fare del Ponente Ligure il bosco alcinesco, denso di
esotismo e di esoterismo, di cui scrisse il figlio nel Barone rampante.
Libereso Guglielmi narra che nel giardino di Villa Meridiana mise
a coltura “alberi maestosi che producevano (annualmente) più di
quattromila frutti simili a piccole pere, del peso alcuni di 300/400
grammi”: gli avocado. Per una svolta vera la scienza non bastava.
Occorrevano risorse culturali finanziarie. Nessuno gliene mise a
disposizione. Un
amico al quale già dal
Messico Mario
mandò semi di Persea
drymifolia più resistenti al freddo fece
della California il
maggior produttore
mondiale di avocado.
Nella Riviera di Ponente invece tutto è
andato perduto.
Come scrive Luca
Fucini, i Calvino GioBernardo e suo
fratello GioBatta, suo
figlio Mario – furono
animati dai principi
all’epoca coltivati
nelle logge massoniche: autoeducazione
per far progredire le
grandi masse, con
insegnamento e
senso del dovere.
Contemplando i
simboli iniziatici incisi sulla porta e dipinti sulla volta della
villa sanremasca anche Italo apprese a essere “uomo libero”, come
nel 1957 scrisse nella sofferta ma ferma lettera di congedo dal
partito comunista italiano.
Con le sue opere continuò l’opera paterna: “So che più spesso
parlerò al vento. Ma anche le piante affidano al vento i loro semi,
supremo scopo della loro vita. Non tutti i semi saranno dispersi,
basta che uno solo trovi un ambiente propizio per assicurare e
moltiplicare la specie”. Se l’Italia avesse creduto di più in quel
messaggio oggi sarebbe meno affannata. Conterebbe su un’agricoltura di avanguardia e su un turismo di alta qualità, su scienza
ed educazione. Ma non è mai tardi per riprendere “la strada di
San Giovanni”.
Aldo A.Mola
P.69: Santiago de las Vegas, Cuba, 1925: si raccolgono i frutti dell’Avocado (anonimo).
69
La Toscana dei Misteri
Luigi Pruneti, Edizione “Le Lettere”
’ignoto è tutto, il noto è nulla”.
G. Costa
“Il soprannaturale non fa più parte dell’anima umana: è
evaporato come svapora un profumo quando una bottiglia resta
senza tappo (…) Tra vent’anni la paura del non-reale non esisterà
più”. Così scriveva Maupassant nel 1883, mostrando le sue dubbie
doti profetiche, smentite non solo dai fiumi d’inchiostro che si sono
continuati a versare, dopo la sua dipartita, sul tema del fantastico e
dell’insolito, ma anche dall’inarrestabile interesse per tali argomenti,
riscontrabile persino nell’epoca attuale, in cui persiste - nonostante
il radicato scientismo razionalista - l’insopprimibile richiamo del
mistero.
In realtà, l’autore di Bel Ami conosceva perfettamente i consigli
dell’inquilino nero che alberga
nell’Io più intimo, del dispensatore
occulto di “quel terrore confuso del
soprannaturale che suggestiona
l’uomo da quando esiste il mondo”
(Guy de Maupassant, Le Fantastique, su Le Gaulois, 7 ottobre 1883),
del dàimon, saggio e terribile, che
ci sprona a ricercare una sottile
traccia di senso lungo il percorso
esistenziale, “comme à travers un
nébuleux dont le sense nous éschappe
sans cesse” (Come attraverso una
nebulosa di cui ci sfugge in continuazione il significato, Maupassant,
La Peur). Il confronto con l’ignoto,
infatti, esprime un’esigenza squisitamente umana, che si conserva
immutata nel tempo attraverso le
fiabe e le leggende tramandate dalle
più antiche tradizioni, in cui la realtà
rivela i suoi diversi livelli, popolandosi di figure inquietanti, che
assumono, di volta in volta, le fattezze di streghe, orchi, licantropi e
vampiri.
E’ proprio questo mondo ‘parallelo’, ‘sotterraneo’, capace di aprire uno spiraglio sulle immense aree
sconosciute nelle mappe della nostra conoscenza, ad ispirare La
Toscana dei misteri, ultima fatica letteraria di Luigi Pruneti, in cui
si propone un insolito itinerario nelle località tosche, tra borghi,
fortezze, castelli e antichi campi di battaglia visitati da spettri, alla
scoperta dei volti inconsueti di una delle regioni italiane più ricche
di storia, arte e tradizione.
Del resto, la Toscana sembra aver ereditato il suo lato misterioso
dagli Etruschi, maestri ineguagliabili in materia di vaticini e sortilegi,
già noti presso i popoli antichi per la loro ars colendi religiones (Livio
V, 1). Del nomen etruscum sopravvivono alcuni detti e frasi magiche:
è il caso delle antiche divinità trasformate in spiriti o folletti delle
campagne. Così si scopre che i contadini, per accattivarsi l’aiuto di
queste entità, usavano interpellare, sino ad alcuni decenni fa, i folletti
Tinia e Faflon (Fufluns) con parole miste di cristianesimo e pagane-
70
simo. Nelle campagne di San Casciano, per impedire le angherie di
un trickster infuriato, si ricorreva ad un’erba chiamata Tigna, un
nome forse connesso a quello del dio Tinia, la massima divinità del
pantheon etrusco. Per primeggiare nella caccia o nella musica, inoltre,
si onorava Aplu, uno spiritello che portava il medesimo nome
dell’Apollo dei Tyrsenoi; mentre gli innamorati rivolgevano una
sorta di preghiera/incantesimo a Turanna, la probabile erede di
Turan, divinità etrusca affine alla greca Aphrodite. Altrettanto
rilevante, infine, è l’uso toscano – forse non ancora scomparso - di
indicare col nome lara i cani da caccia, presumibilmente in ricordo
di Laran, il dio etrusco equivalente al Marte romano, che annoverava
i lupi tra gli animali eletti al suo servizio. Secondo un’altra interpretazione, invece, l’uso di questo termine si sarebbe formato sull’antica
relazione tra i Lari e i cani di casa, riportata da Ovidio nei Fasti.
Esiste, insomma, un’altra Toscana, lontana dagli itinerari convenzionali, di cui il libro di Pruneti rappresenta una valida guida, un
vademecum dalla prosa limpida ed
incisiva, capace di mostrarci il lato
inedito di luoghi e fatti che pensavamo acquisiti. Sfogliando le sue
pagine s’incontrano non solo personaggi realmente vissuti che sfumano nella leggenda, come briganti
e pirati, ma anche figure bizzarre
e mostruose, dalle origini remote,
come l’Omo selvatico della Lunigiana e della Garfagnana: una creatura selvaggia e saggia come un
Sileno, che vive in caverne o in
impenetrabili boschi, chiamata
ommo sarvadzo in Valle d’Aosta,
omo salvadego in Valtellina, om
salvei nel Biellese, molto affine all’inglese Jack in the green, denominato Verde Giorgio dagli Sloveni.
La sua presenza in terra toscana è
rintracciabile nelle opere di numerosi scrittori locali, che probabilmente s’ispirarono ad una tradizione viva; non a caso, tra i
personaggi popolari di Firenze è
menzionato Magorte, l’Uomo selvatico. In Lunigiana le tracce di
queste creature si confondono
spesso con quelle dei giganti, richiamando alla mente un importante centro della vicina Garfagnana,
Barga, dove il patrono cittadino è il gigante san Cristoforo.
Un altro personaggio che attira la nostra attenzione è Linchetto,
definito dall’autore “il più celebre folletto della regione”, spesso
confuso con Buffardello, che, a differenza del primo, non sembra
derivare dai fauni dell’antichità classica, bensì dalla mitologia dei
popoli germanici. I vampiri e i licantropi, al contrario, non sono
popolari in Toscana, mentre le streghe, che in qualche modo li
sostituiscono, abbondano in ogni favola e leggenda. La loro origine
è forse da ricercarsi nella strix dei Romani - di cui parla Ovidio -, un
uccello simile al gufo, così chiamato per il suo stridere sinistro nelle
tenebre, con artigli da rapace e becco robusto, con cui lacera le tenere
carni dei lattanti per succhiarne il sangue: caratteristica che avvicina
questi esseri mostruosi ai più recenti vampiri (in russo vampir, dalla
radice pi, ‘bere’). Secondo Plinio, le striges erano donne trasformate
in rapaci a causa della loro malvagità. Di queste figure magiche parla
anche Orazio, il quale nelle Satire (I, 8) descrive le terribili Canidia
e Sagana, in una scena che ha sicuramente ispirato Shakespeare nel
suo Macbeth. Sembra certo, tuttavia, che la genesi delle streghe
medievali rientri in quel processo di demonizzazione degli antichi
dei pagani che coinvolse anche il bonario Pan (dal greco paon, ‘colui
che pascola’), le cui sembianze finirono col diventare quelle del
diavolo, soprattutto dopo un decreto del 1233 contro i sabba,
promulgato da
papa Gregorio IX.
La lettura prosegue
poi con la descrizione di castelli e
luoghi segnati dall’apparizione di
fantasmi, ossia
dalla presenza degli
oscuri abitatori del
piano astrale. Si
tratta delle anime
inquiete dei defunti, costrette a
restare nel sito in
cui tragicamente
trovarono la morte,
le quali, secondo
Porfirio, “trascorrono il loro tempo
ingannando i
mortali, creando
illusioni e prodigi”.
L’origine di tali
credenze è molto
antica: secondo i
Romani, le anime
dei defunti che non
raggiungevano la
divinizzazione si
trasformavano in
entità malevole,
chiamate Larvae o
Lemures, ritenute
responsabili di
perseguitare i vivi
fino a spingerli
fuori di senno.
Queste figure negative, contrapposte ai benefici Lari,
includevano soprattutto le anime
dei morti insepolti,
o di coloro il cui
spirito non si era distaccato dal corpo con l’ultimo respiro, come
nel caso degli impiccati. Ad esse erano dedicati i Lemuria: tre giorni
di cerimonie propiziatorie per placare gli spiriti vaganti. La psicologia
del profondo, dal canto suo, ha interpretato queste apparizioni come
un ritorno del rimosso, ravvisando nello spettro una delle manifestazioni dell’Ombra, del volto nascosto dell’anima, del gemello
invisibile capace di emergere dalla buia caverna dell’inconscio,
portando con sé i nostri sentimenti e desideri proibiti.Di grande
interesse, specialmente per gli studiosi della Tradizione, è il capitolo
“Luoghi e simboli misteriosi”, in cui si esaminano con notevole
nitore gli emblemi iniziatici sparsi per tutta la Toscana: dal ‘sator’
di Campiglia Marittima alla ‘triplice cinta’ di Rocco San Silvestro;
dai labirinti della cattedrale di Lucca e di Pontremoli alla ‘spada nella
roccia’ sul Monte Siepi. L’impressione che se ne ricava è quella di
un libro serio, avvincente e ben strutturato, da cui emerge l’invito
a considerare la
realtà da angolazioni particolari.
Sin dalle prime
pagine, infatti, il
lettore è posto di
fronte al fascino
dell’ignoto, inteso
come principio
d’ogni cammino,
come matrice
profonda della
‘Cerca’, dell’avventura spirituale
che suscita l’amore
di sapienza, il germogliare del pensiero e della scrittura. “Tutto ciò che
è sconosciuto, è
sublime”, diceva
giustamente Tacito, alludendo sia
all’estrema varietà
e complessità del
mondo dentro e
fuori di noi, sia all’importanza della
curiosità, della
meraviglia e della
ricerca.
L’autore, consapevole di ciò,
sembra guidarci
per mano attraverso luoghi colmi
di mistero e prodigi, sussurrando al
nostro orecchio
interiore le parole
di Walter Scott:
“Forse comprenderete perché a
volte preferisco il
crepuscolo dell’illusione alla ferma luce della ragione”.Così, terminato il libro, si
scopre, assieme a Georges Duby, che “l’immaginario ha altrettanta
realtà del materiale. La traccia di un sogno non è meno reale di
quella di un passo o del solco di un aratro nella terra”.
Fabrizio Del Re
Copia di antefissa con effigie attribuita a Fufluns, terracotta, coll. privata (foto P. Del Freo)
71
Fregi di Loggia
R∴L∴Polaris, O∴di Reggio Calabria
La stella Polaris segna il Polo Nord celeste e rappresenta quindi, nella storia
dell’uomo, il punto di riferimento mediante il quale i popoli dell’emisfero
boreale si orientavano. L’estremo settentrione della leggendaria Thule era
la terra mitica, culla ancestrale del genere umano. Ma va ricordato anche
che l’idea di Polo coincide con quella di centro, luogo dove le energie si
coagulano e dove il rapporto tra forze celesti e forze ctonie si verifica. Nel
suo ruotare la Terra è fissa solo ai Poli. E’ quindi, il Polo Nord, uno dei due
punti di maggior forza del pianeta ed il suo portato simbolico-iniziatico è
straordinariamente importante. Sostanzia il luogo del centro intorno al
quale si articola verso ogni comunione iniziatica. E la stella Polaris, ben
evidenziata nel gioiello di Loggia, ne è la proiezione celeste.
R∴L∴Athanor, O∴di Rovigo
La forma ovoidale del gioiello si riferisce all’icona dell’Uovo primordiale,
simbolo antichissimo che allude alla nascita del mondo. In esso si comprende
anche il concetto di punto di arrivo del ciclo vitale dell’universo, il ricongiungersi del maschile con il femminile simboleggiato dalle due parti che
compongono l’uovo stesso: albume e tuorlo, come lo yin e lo yang cinesi.
In questo caso, il collegamento dell’immagine-uovo con il titolo distintivo
della Loggia suggerisce che le diversità dei singoli possono attuare un’armonica
comunicazione in una sorta di contenitore alchemico (guscio), nel quale
ogni tendenza ed ogni conoscenza si compongono nel principio generatore
di vitale armonia. Nell’uovo-athanor si può raggiungere la profonda
metamorfosi del ‘particolare’, che, unendosi agli altri ‘particolari’, produce
la mutazione nell’universale.
R∴L∴Giuseppe Mazzini, O∴di Parma
Costituito da una medaglia fusa nel bronzo, il gioiello di Loggia mostra un
simbolo assai caro alla Libera Muratoria: due mani che si stringono in gesto
di fratellanza e di accordo. Nell’atto sono palesi le reminiscenze dalla rituale
dextrarum iunctio con la quale i latini sancivano il contratto matrimoniale
ma anche la promessa di fedeltà e di amore. Ripreso successivamente in
ambito cristiano, il gesto ancor oggi segnala la solennità del patto cui il
giuramento conferisce l’inviolabilità del sacro.
Giuramento che si formula sulla squadra e sul compasso intrecciati che
occupano lo sfondo dell’iconografia arricchita nel verso da una doppia sfera.
Intorno alla coppia si dipana il motto mazziniano “pensiero e azione”, ad
indicare come la finalità del lavoro massonico sia da riconoscere in ciò che
il libero muratore sa portare fuori dalla porta del Tempio, dopo il lavoro
latomistico per migliorare l’umanità di cui è figlio e fratello.
Logge già pubblicate
R∴L∴Cartesio O∴di Firenze
n. 1349
R∴L∴Nino Bixio O∴di Trieste
n. 1442
R∴L∴Scaligera O∴di Verona
n. 1216
R∴L∴Minerva O∴di Torino
n. 1116
R∴L∴ Sile O∴di Treviso
n. 1228
R∴L∴ Luigi Spadini O∴di Macerata n. 1413
R∴L∴ Enrico Fermi O∴di Milano n. 1363
R∴L∴ Kipling O∴di Firenze
n. 1498
R∴L∴ Iter Virtutis O∴ di Pisa
n. 1250
R∴L∴ Venetia O∴di Venezia
n. 1187
R∴L∴ La Fenice O∴ di Forlì
n. 1392
R∴L∴ Goldoni O∴ di Londra
n. 1493
R∴L∴ Horus O∴ di R.Calabria
n. 1500
R∴L∴ Pisacane O∴ di Udine
n. 1167
R∴L∴ Mozart O∴di Roma
n. 1122
R∴L∴ Prometeo O∴di Lecce
n. 1507
R∴L∴ Salomone O∴di Catanzaro n. 1455
R∴L∴ Teodorico O∴di Bologna
n. 1501
R∴L∴ Fargnoli O∴di Viterbo
n. 1203
R∴L∴ Minerva O∴di Cosenza
n. 1482
R∴L∴ Federico II O∴di Jesi
n. 1164
R∴L∴ Giovanni Pascoli O∴di Forlì n. 1148
R∴L∴ Triplice Alleanza O∴di Roma n. 1495
R∴L∴ Garibaldi O∴di Castiglione n. 1184
R∴L∴ Astrolabio O∴di Grosseto n. 1462
R∴L∴ Augusta O∴di Torino
n. 1181
R∴L∴ Voltaire O∴di Torino
n. 1485
R∴L∴ Zenith O∴di Cosenza
n. 1323
R∴L∴ Audere Semper O∴di Firenze n. 1136
R∴L∴ Justitiam O∴di Lucca
n. 1154
R∴L∴ Horus O∴di Pinerolo
n. 1284
R∴L∴ Jakin e Boaz O∴di Milano n. 1330
R∴L∴ Petrarca O∴di Abano Terme n. 1511
R∴L∴ Eleuteria O∴di Pietra Ligure n. 1383
R∴L∴ Risorgimento O∴di Milano n. 1227
R∴L∴ Fidelitas O∴di Firenze
n. 1296
72 Athanor O∴di Cosenza
R∴L∴
n. 1353
n. 1472
R∴L∴ Ermete O∴di Bologna
n. 1329
R∴L∴ Monviso O∴di Torino
n. 1334
R∴L∴ Cosmo O∴di Albinia
n. 1526
R∴L∴ Trilussa O∴di Bordighera
R∴L∴ Logos O∴di Milano
n. 1450
R∴L∴ Valli di Susa O∴di Susa
n. 1486
R∴L∴ Cattaneo O∴di Firenze
n. 1375
R∴L∴ Mozart O∴di Genova
n. 1477
R∴L∴ Carlo Faiani O∴di Ancona
n. 1529
R∴L∴ Aetruria Nova O∴di Versilia
n. 1506
R∴L∴ Giordano Bruno O∴di Firenze n. 1209
R∴L∴ Magistri Comacini O∴di Como n. 1452
R∴L∴ Libertà e Progresso O∴di Livorno n. 1308
R∴L∴ Uroborus O∴di Milano
n. 1473
R∴L∴ Ugo Bassi O∴di Bologna
n. 567
R∴L∴ Ravenna O∴di Ravenna
n. 1518
R∴L∴ Hiram O∴di Sanremo
n. 1195
R∴L∴ Cavour O∴di Vercelli
n. 1239
R∴L∴ Concordia O∴di Asti
n. 1447
R∴L∴ Per Aspera ad Astra O∴di Lucca n. 1124
R∴L∴ Dei Trecento O∴di Treviso
n. 1364
R∴L∴ La Fenice O∴di Livorno
n. 1411
R∴L∴ Aristotele II O∴di Bologna
n. 1316
R∴L∴ La Prealpina O∴di Torino
n. 1292
R∴L∴ Erasmo O∴di Torino
n. 1274
R∴L∴ Hiram O∴di Bologna
n. 612
R∴L∴ Garibaldi O∴di Toronto
n. 1457
R∴L∴ Sagittario O∴di Prato
n. 903
R∴L∴ Giustizia e Libertà O∴di Roma n. 1179
R∴L∴ Le Melagrane O∴di Padova
n. 1417
R∴L∴ Luigi Alberotanza O∴di Bari
n. 1431
R∴L∴ Antares O∴di Firenze
n. 1430
R∴L∴ Cidnea O∴di Brescia
n. 1318
R∴L∴ Fratelli Cairoli O∴di Pavia
n. 1286
R∴L∴ Nazario Sauro O∴di Piombino n. 582
R∴L∴ Antropos O∴di Forlì
n. 1479
R∴L∴ Internazionale O∴di Sanremo n. 1108
R∴L∴ Giordano Bruno O∴di Catanzaro
R∴L∴ Federico II O∴di Firenze
R∴L∴ Pietro Micca O∴di Torino
R∴L∴ Athanor O∴di Brescia
R∴L∴ Chevaliers d’Orient O∴di Beirut
R∴L∴ Giosuè Carducci O∴di Follonica
R∴L∴ Orione O∴di Torino
R∴L∴ Atlantide O∴di Pinerolo
R∴L∴ Falesia O∴di Piombino
R∴L∴ Alma Mater O∴di Arezzo
R∴L∴ Cavour O∴di Arezzo
R∴L∴ G.Biancheri O∴di Ventimiglia
R∴L∴ Sibelius O∴di Vercelli
R∴L∴ C.Rosenkreutz O∴di Siena
R∴L∴ Virgilio O∴di Mantova
R∴L∴ Mozart O∴di Torino
R∴L∴ Ausonia O∴di Siena
R∴L∴ Vincenzo Sessa O∴di Lecce
R∴L∴ Manfredi O∴di Taranto
R∴L∴ Cavour O∴di Prato
R∴L∴ Liguria O∴di Ospedaletti
R∴L∴ S.Friscia O∴di Sciacca
R∴L∴ Atanor O∴di Pinerolo
R∴L∴ Ulisse O∴di Forlì
R∴L∴ 14 juillet O∴di Savona
R∴L∴ Pitagora O∴di Cosenza
R∴L∴ Alef O∴di Viareggio
R∴L∴ Ibis O∴di Torino
R∴L∴ Melagrana O∴di Torino
R∴L∴ Aurora O∴di Genova
R∴L∴ Silentium... O∴di Val Bormida
R∴L∴ Polaris O∴di Reggio Calabria
R∴L∴ Athanor O∴di Rovigo
R∴L∴ Giuseppe Mazzini O∴di Parma
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numero 1 - Gran Loggia d`Italia