Trimestrale internazionale di attualità, storia e cultura esoterica Anno XVII - Marzo 2005 - numero 1 E ASSOCIAZIONE EDIMAI Edizioni Massoniche d’Italia Officinae Trimestrale internazionale di attualità, storia e cultura esoterica Anno XVII - n°1 Marzo 2005 Direttore Editoriale Sovrano Gran Commendatore Gran Maestro della G.L.D.I. degli A.L.A.M. Piazza del Gesù, Palazzo Vitelleschi LUIGI DANESIN Direttore ANNA GIACOMINI Direttore Responsabile FRANCO VANNINI Comitato di Redazione FABRIZIO DEL RE STEFANO GAROSI PAOLO MAURENSIG ALDO ALESSANDRO MOLA CLAUDIO NOBBIO VALTER PRETELLI progetto e realizzazione grafica PAOLO DEL FREO Direzione, Redazione, Amministrazione: via S.Nicola de’Cesarini, 3 - 00186 Roma tel. 06.688.058.31 - 06.689.3249 fax 06.687.9840 www.granloggia.it e-mail: [email protected] Reg. Tribunale di Roma n° 155 del 24/3/1989 Autorizzazione postale 50% Il materiale inviato anche se richiesto non si restituisce. La copertina è stata ideata da Anna Giacomini, fotografata e realizzata da Paolo Del Freo, capilettera di Leonardo Scarfò finito di stampare nel mese di marzo 2005 presso: The pool srl via Col di Lana, 12 20136 Milano Sommario 2 Massoneria non è una parolaccia 20 Franco Vannini 1805-2005: 200 anni di vita del R.S.A.A. Arnaldo Francia 3 Un ponte 26 4 Orgoglio e commozione 28 Anna Giacomini Luigi Danesin V Conferenza del Mediterraneo I liberi pensatori del bacino mediterraneo 50 Il culto delle punte 54 Gli eccessi delle monache ribelli 58 Da Apuleio a Mercalli 62 Peste, scrofola e associate 66 in biblioteca 72 Fregi di Loggia Manlio Maradei Luigi Danesin Maria Concetta Nicolai Luigi Danesin 8 Dentro l’urna molle e segreta Luigi Pruneti 30 Riscoperta della civiltà mediterranea Silvia Braschi Sergio Ciannella 12 Il 4 dicembre, quasi una cronaca 35 I simboli della tradizione mediterranea Paolo Maggi Anna Giacomini 14 S.G.C.G.M. Luigi Danesin 40 Come si votava nella Grecia classica Fabrizio Del Re 16 L.S.G.C.G.M.A.V. Luigi Pruneti 18 G.M. Aggiunti 46 In nome di Dio ti abbiamo eletto Anna Giacomini Il nefasto 13 ottobre Correva il ’93 La Foresta Incantata del “Fratello” Calvino La Toscana dei Misteri 1 Dicono di noi Franco V annini Massoneria non è una parolaccia i è svolta a gennaio di quest’anno nell’Aula Magna dell’Università di Firenze la presentazione del libro: Massoneria, la storia, gli uomini, le idee, edito da Mondadori per la collana Oscar storia. Un evento al quale hanno partecipato oltre duecento invitati, ospiti del Magnifico Rettore Augusto Marinelli. Erano presenti anche i due curatori e autori dell’opera, entrambi professori dell’Ateneo fiorentino: Zeffiro Ciuffoletti e Sergio Moravia. Al tavolo della presidenza l’ex-rettore Paolo Blasi, il S.G.C.G.M. Luigi Danesin assieme al suo Luogotenente e coautore del libro Luigi Pruneti oltre all’amministratore della società l’Unità, adesso in liquidazione, Marco Fredda. Perché la presenza di un esponente del quotidiano romano? Semplicemente perché la pubblicazione di questa opera, che ha raggiunto una tiratura considerevole ed è andata rapidamente esaurita nelle librerie, è stata possibile grazie al contributo economico della testata giornalistica, adesso diretta da Furio Colombo. La vicenda infatti nasce dai fatti accaduti nel 1993 quando l’Unità pubblicò un libretto dal titolo: La Toscana delle Logge e alcuni articoli che riguardavano la Massoneria. Alcuni fratelli (oltre centocinquanta) si sentirono diffamati da quanto contenuto in questa pubblicazione e tramite l’avvocato Felice Vaccaro di Firenze presentarono subito un esposto alla Magistratura chiedendo anche un forte indennizzo economico. La causa andò avanti per diversi anni poi - è storia recente - a prevalere è stato il buon senso. L’iniziativa ha avuto grande risalto come testimoniano i numerosi arti- 2 coli e i molti servizi televisivi. “A prima vista, quella in programma martedì prossimo alle 17.30 nell’Aula Magna del Rettorato è solo una delle molte presentazioni di libri che si svolgono quotidianamente. Magari con una punta di interesse particolare per il tema trattato e per l'autorevolezza degli autori. In realtà a questi motivi di interesse se ne aggiunge un terzo, a dir poco curioso: il libro è stato pubblicato a spese de l’Unità, il giornale fondato da Antonio Gramsci, una volta organo del Pci e oggi vicino - a volte nemmeno troppo - ai Ds, benché l’editore sia Mondadori. Come spiega nella prefazione l’ex rettore Paolo Blasi, la pubblicazione ha messo fine al contendere fra il quotidiano e la Gran Loggia d’Italia degli Antichi Liberi Accettati Muratori Obbedienza di piazza del Gesù, palazzo Vitelleschi. (Giorno, Resto del Carlino e La Nazione del 16 gennaio). “In poco più di due mesi – ancora La Nazione in data 19 gennaio – ha già venduto ventimila copie. Un vero e proprio best-seller, e tale è stato il successo che è già in cantiere la ristampa. Stiamo parlando del volume edito da Mondadori, La Massoneria. La storia, gli uomini, le idee, curato da S.Moravia e Z.Ciuffoletti, con importanti contributi. Si va da Luigi Pruneti, autore del saggio conclusivo, che vuole delineare una geografia della Massoneria in Europa (una curiosità: il paese con la più alta percentuale di aderenti in rapporto alla popolazione è l’Islanda), a Gerardo Tocchini, Fulvio Conti, Anna Maria Isastia, Augusto Marinelli. Il risultato è un volume divulgativo, ma scritto in modo scientifico”. Significativo quando ha detto Moravia: “Sul tema c’era da fare chiarezza. Pensare che un giorno un mio alunno, tra i migliori del mio corso, mi chiese se la Massoneria fosse una parolaccia. Ebbene gli risposi, semmai è un signum che allude ad un prezioso patrimonio culturale. Continua a seguire le mie lezioni e lo scoprirai”. Nel corso della serata è stata intervistato il S.G. C. G. M. Luigi Danesin su un tema scottante: le dichiarazioni rilasciate da alcuni esponenti Ds che non vogliono fra i propri candidati alle prossime elezioni gli iscritti alla Massoneria. “È un discorso di casa loro – si legge sul Giornale della Toscana del 18 gennaio – facciano un po’ quel che vogliono: si prenderanno tutta la responsabilità di come agiscono di fronte a tutto il paese. Nella mia qualità di Gran Maestro ho l’obbligo e il dovere di difendere l’Obbedienza da quelle aggregazioni politiche che combattono l’esistenza stessa della massoneria”. Danesin ha quindi proseguito: “Questo discorso delle primarie in Toscana riguarda uno schieramento politico che è avverso alla massoneria e che nei nostri confronti ha già dovuto soccombere”. Riguardo al futuro, il S.G.C.G.M. ha aggiunto di essere ottimista e che la libertà, nella sua più ampia accezione, avrà la meglio”. Ha inoltre escluso l’ipotesi che la Gran Loggia presenti un ricorso contro la decisione dei Ds toscani. Dopo che le agenzie avevano battuto le dichiarazioni di Luigi Danesin, è arrivata puntuale la nota dell’attuale direttore dell’Unità Furio Colombo che ha sottolineato giustamente che ‘quella’ non era la ‘sua’ Unità. Vero, anzi verissimo. Un solo piccolo particolare: il direttore di ‘quella’ Unità, altro non era che l’attuale sindaco di Roma Walter Veltroni. Numerosi anche gli articoli su altri quotidiani come Repubblica e Corriere di Firenze. Anna Giacomini Le Elezioni Un ponte uesto numero di Officinae riunisce un ampio resoconto degli eventi che hanno segnato la vita dell’Obbedienza negli ultimi mesi del 2004 contestualmente ad un primo specimen di quanto verrà affrontato nel corso del 2005. Si tratta dunque di un fascicolo tecnico, di un ponte tra il passato triennio ed il nuovo, dove informazioni e tendenze sono proposte all’esame ed alla riflessione. Nell’ottobre a Tarragona, in Spagna, si è tenuta la V Conferenza dell’Unione Massonica del Mediterraneo, di cui il Gran Maestro Luigi Danesin è coordinatore. Possiamo senza dubbio considerare quest’evento come una conferma del prestigio di cui la Gran Loggia D’Italia degli A.L.A.M. piazza del Gesù, Palazzo Vitelleschi, gode nell’ambito di quelle nazioni, che videro la nascita e lo sviluppo delle più antiche civiltà. Alfabeto, filosofia, scienze ed arti vi trovarono la matrice e l’energia propulsiva. La presenza in Catalogna di un notevole numero di massoni italiani ha fornito una prova di grande consapevolezza della vitalità di quei lasciti. Ma ha dimostrato anche la coesione dell’istituzione ed il consenso verso l’iniziativa che segnò gli ultimi anni del gran magistero di Franco Franchi. Le relazioni, lette nel corso del convegno, sono riportate integralmente per consentire a chi non ha partecipato ai lavori la conoscenza delle tematiche e delle idee sulle quali si basa l’esistenza dell’Unione. La parte preponderante di Officinae è stata destinata alla grande Tornata Elettorale dello scorso dicembre. Vicina al Solstizio d’inverno questa solenne cerimonia, che si ripete ogni tre anni, è consacrata alle votazioni per il rinnovo delle cariche. Luigi Pruneti ci parla dei suoi significati spirituali ed esoterici. Come editoriale pubblichiamo il saluto commosso che il Gran Maestro, rieletto per la seconda volta, ha indirizzato agli astanti, al termine delle operazioni di voto. L’argomento è stato completato con brevi presentazioni degli eletti. Delineare il profilo di coloro che guideranno la Gran Loggia D’Italia nei prossimi tre anni poteva diventare un’operazione a rischio di sospetti. Pertanto il direttore ha preferito narrare del Gran Maestro e del Vicario qualche aneddoto meno ufficiale ma forse abbastanza significativo per la conoscenza di aspetti più intimi e personali. Nel mese di giugno tracceremo quindi i profili dei due Gran Dignitari già eletti in dicembre, cui si aggiungeranno quelli dei Grandi Ufficiali. In queste pagine si inizia anche a parlare del bicentenario della fondazione del Supremo Consiglio d’Italia, espressione fondamentale del Rito Scozzese Antico ed Accettato. Oggi la Gran Loggia D’Italia, che nacque proprio da questa matrice per opera di Saverio Fera, celebra la continuità e la solidità dello scozzesismo, vissuto come scelta spirituale effettuata nell’ ormai lontano 1908 dai fratelli che non accettavano la pesante contaminazione, allora in atto, tra massoneria e politica. Come è abitudine di Officinae, anche questa volta, abbiamo ricercato nei documenti dell’antichità le origini dell’istituto delle elezioni e di molte usanze ad esso connesse. Fabrizio Del Re ha rovistato nella bibliografia classica riesumando curiose notizie circa le modalità elettorali presso i greci. Stessa operazione è stata effettuata nei confronti degli usi templari. Manlio Maradei ha contribuito al nostro vagare e divagare tra le somme cariche dell’Obbedienza, vertici gerarchici, con un significativo pezzo sugli obelischi. Ma la storia ci chiedeva altri spazi nel curioso racconto di monache in sospetto di connivenza con massoni libertini del settecento, per la penna di Maria Concetta Nicolai. Paolo Maggi ha completato questa immersione nelle più remote credenze con la sua interessante indagine sugli antichi morbi. Forse quando si parla di elezioni si pensa istintivamente a profondi cambiamenti e a radicali sconvolgimenti, ma anche se niente di tutto questo può accadere in un mondo dove i fatti hanno dimostrato continuità, concordia e coesione di fondo, l’immagine del terremoto sembrerebbe trovare, in questo numero, una sua allusiva collocazione simbolica. In realtà ciò che ha spinto Silvia Braschi a parlarcene, come si può ben pensare, non è stata la provata compattezza della nostra istituzione, ma la tragicità dell’esperienza cui l’umanità è stata di recente sottoposta nel sud est asiatico. Anche sulla calamità naturale, appuntamento epocale per gli esseri umani, è importante che l’iniziato fermi il suo pensiero. Dopo le recensioni cui in questo numero è stato dato un maggiore spazio, riprende la rubrica “Fregi di Loggia”. il direttore 3 4 RGOGLIO: orgoglio per essere FraMassone con quasi 40 anni di iniziazione alla Gran Loggia d’Italia degli Antichi Liberi Accettati Muratori Obbedienza di Piazza del Gesù, Palazzo Vitelleschi ORGOGLIO: per trovarmi decano per l’anzianità di appartenenza al Supremo Consiglio. ORGOGLIO: per appartenere a questa Grande Sovrana Regolare Obbedienza che privilegia, in assoluto, la difesa dell’istituto iniziatico; la difesa della sacralità del Tempio. ORGOGLIO: per essere membro di questa Obbedienza che non concede spazio a movimenti profani ed alla tentazione, forte, di trasgredire le corrette norme della millenaria tradizione iniziatica. E poi, e poi COMMOZIONE: grande, forte, per il riscontro avuto sulla compattezza della Comunione. COMMOZIONE: grande, forte, per la consapevolezza che ben si è operato, per la garanzia della continuità assicurata. COMMOZIONE: grande, forte, fortissima, perché anche in questo momento Vi sento tutti vicini, vicinissimi, stretti in quel vincolo che ci unisce e che fa grande la nostra Obbedienza. Siamo qui a festeggiare un evento importante per la vita della nostra Obbedienza, un evento che sancisce la natura al tempo stesso verticistica e democratica della nostra Istituzione: le elezioni del Sovrano Gran Commendatore Gran Maestro e della Gran Maestranza tutta. E’ in questa occasione che la Gran Loggia d’Italia ha modo di far sentire la voce di tutte le proprie istanze, dai membri effettivi del Supremo Consiglio ai presidenti delle Camere del Rito… e giù fino ai Maestri Venerabili di ogni singola Rispettabile Log- gia ... e tali istanze oggi si sono pronunciate in modo che - inutile nasconderlo - mi rende felice e gonfio di legittimo orgoglio. L’esito delle votazioni ci ha, infatti, riconsegnato un’Istituzione, forte, compatta che ha dimostrato con i fatti di saper affrontare e risolvere in modo brillante i pur non indifferenti problemi che - i mai totalmente dismessi metalli - avevano cercato di creare al nostro interno. Sono stati anni difficili, difficilissimi! Insinuazioni, chiacchiere, lettere, raccomandate, dissidi, voci malevole, di pochi, anzi pochissimi, fratelli..! Tutto è stato assorbito dalla nostra grande obbedienza il cui grande cuore splendida- mente pulsante ha saputo superare ogni ostacolo ed ogni avversità. Tutto è stato riassorbito all’interno di una decisione corale che conferma un dato di fondo quanto mai importante: il lavoro svolto, certo lacunoso, certo perfettibile, certo non esaustivo ma sicuramente denso di passione, di impegno, di coraggio... il lavoro fatto, dicevo, ha pagato. Sì, ha pagato! Ha pagato nel senso che i Fratelli e le Sorelle si sono riconosciuti nella linea che abbiamo cercato di dare all’Obbedienza, fedeli a principi che poi saranno gli stessi che ci guideranno nel prossimo ancor più impegnativo triennio e che, comunque, già da oggi ci con- 5 sentono di guardare al futuro con rinnovata fiducia. Occorre però la compattezza! In questa sede mi appare del tutto inopportuno scendere nei particolari sul programma che vorremmo svolgere! Questa sarà materia che approfondiremo nei prossimi mesi e nelle sedi opportune. Eppure qualcosa voglio dirla anche questa sera, per concludere nel migliore dei modi questa stupenda giornata. Indubbiamente i punti focali da cui la nostra Obbedienza non può distaccarsi li conoscete bene tutti: la continuità nella tradizione, il più assoluto rispetto della ritualità e della sacralità, una precisa collocazione della Libera Muratoria nel solco di quella cultura del Mediterraneo che tanto ha dato ai nostri popoli. Ecco, Fratelli e Sorelle, questo è un punto su cui mi sento di dovermi soffermare in quanto coglie un aspetto determinante di quella che sarà la “politica” obbedienziale nel prossimo futuro. Forti del nostro convincimento e della nostra fede nell’Istituzione, siamo riusciti ad organizzare e lanciare questa Unione Massonica del Mediterraneo che sta dando veramente splendidi frutti. Come ho avuto modo di informarvi, dopo le tre preparatorie di Reggio Calabria, Palermo, Napoli e successivamente la quarta a Beirut, l’ultima conferenza – la quinta – svoltasi in Spagna, all’Oriente di Tar- 6 ragona, è stata un’esperienza esaltante che ci conferma nella giustezza delle nostre posizioni. Vale a dire una Libera Muratoria che trae la sua linfa vitale dalla grande e millenaria cultura del Mare Nostrum e che proprio per questo non abbisogna di alcuna patente di legittimità o di regolarità che le provenga da chicchessia. Una Libera Muratoria aperta verso l’esterno, che non sopporta anacronistici steccati tra le due metà del cielo (Uomo/Donna) e che intende misurarsi con i grandi problemi che affliggono la nostra società, abbandonando quella sorta di dorato isolamento in cui ci si era chiusi anche perché costretti da eventi non proprio esaltanti. E, a questo riguardo, i fatti ci stanno dando finalmente ragione: alcune pronunce giurisprudenziali hanno fatto piazza pulita di certa “caccia alle streghe” che troppo spesso ci ha visto nei panni di vittime designate e che speriamo non abbiano mai più a ripetersi. Certo, tutto questo è molto più facile a dirsi che non a farsi… ma l’esperienza di questi ultimi tre anni dimostra che se ci sono l’impegno, la dedizione, la passione, la fede, i risultati vengono. Ma badate bene, l’impegno deve essere corale, di tutti: dall’apprendista appena iniziato fino al Vostro Sovrano Gran Commendatore Gran Maestro. Da parte mia Vi assicuro che ci sarò sempre e co- munque, pronto ad ascoltare ciascuno di voi, sollecito nell’ambito delle mie possibilità, a raccogliere le vostre indicazioni, i vostri suggerimenti nel superiore interesse della Gran Loggia d’Italia, di questa Obbedienza sovrana che ora è forte anche di grandi numeri. Stiamo ben attenti: non siamo abbagliati dal numero dei fratelli che sono oramai parecchie migliaia; non siamo abbagliati dai 140 Orienti, vale a dire 140 località in cui si estrinseca la nostra attività massonica; non siamo abbagliati dal nostro pur consistente patrimonio immobiliare. Ma non possiamo neppure essere ciechi dinnanzi a queste semplici cifre che indicano a che punto siamo giunti e come costituiamo una realtà di assoluto rispetto nel panorama della Massoneria internazionale. Non a caso possiamo contare su solidi rapporti di amicizia con Obbedienze particolarmente significative: cito il Grande Oriente di Francia, il Gran Collegio dei Riti di Francia… ma potrei citarvene decine e decine. Carissimi Fratelli, Carissime Sorelle, qui mi fermo perché non vorrei tediarvi oltre ma permettetemi ancora qualche minuto per ringraziare quanti mi sono stati di particolare aiuto in questi tre anni e che spero continueranno a sostenermi nel prossimo futuro. Mi ripeto: non è la sede opportuna e lo rimanderei alla prossima assemblea che si svolgerà a marzo prossimo ma, fin d’ora, mi rende felice poter riconoscere, già in questa sede, la grandissima collaborazione prestata da tutti Voi. In primis il Luogotenente Sovrano Gran Commendatore Gran Maestro Aggiunto Vicario, Ven.mo e Pot.mo Fr. Luigi PRUNETI, il Gran Segretario Generale Elett.mo e Pot.mo Fr. Enrico SANTORO, il Direttore di Officinae Elett.ma e Pot.ma Sr. Anna GIACOMINI, il Coordinatore dei siti Internet Ill.mo Fr. Massimo BADOLATO, il Responsabile dei Servizi Informatici Ill.mo Fr. Luigi GREGORI …e consentitemi il mio Segretario Particolare, Elett.mo e Pot.mo Fr. Gerlando GATTO …e con riferimento a queste ultimissime giornate i Fratelli e le Sorelle tutti che hanno fatto parte della Commissione Verifica Poteri, Commissione Elettorale e quelli che hanno assicurato un eccellente Servizio d’ordine. Un ringraziamento particolare va poi al corpo impiegatizio della Sede Nazionale, che nella sua totalità mi ha così ben supportato nel corso di questi ultimi tre anni. Con questa elencazione dovrei continuare a lungo ma preferisco fermarmi qui e dirvi ancora che vi tengo tutti stretti nel mio cuore in un grande, unico, caldissimo e fortissimo ringraziamento. P.4: Allegoria, maestro di Flora (Francia, metà del XVI sec.), Pinacoteca civica, Ravenna; p.5 e p.6: Il S.G.C.G.M. Luigi Danesin; p.7: Pianeta, sec. XIX, Palazzo Roffia, Firenze (p.5/6/7: foto Paolo Del Freo). 7 8 ell’oscurità dei giorni solstiziali, quando le ombre si allungano a dismisura e gli alberi, come mani scheletrite, sembrano impetrare al cielo un po’ di luce, il Sole muore e rinasce, rinnovandosi in un cosmico rito iniziatico. L’astro antico, ormai privo di forze, si spegne e con la sua ultima scintilla, come un capro sacrificale. E’ interessante considerare come in Grecia l’amnion fosse il vaso ove veniva raccolto il sangue delle vittime (R. Castiglione, Corpus Massonicum, Roma 1984, p. 280), feconda l’amnios (E. Servadio, L’acqua, in Hiram, n. 7, Settembre 1992, p. 58) cosmico per dar vita al nuovo luminare, eversore di tenebre, dispensatore di saggezza, messia di rinnovata speranza. Culture diverse, in periodi fra di loro lontani, colsero questo messaggio primordiale, raffigurato nel cielo e videro nel giorno dello sposalizio fra la notte più lunga e il giorno più breve il momento della nascita dell’eroe eponimo o del dio benevolo e soterico. Horus, Mitra, Dionisio, Hermes, Zeus, Lugh, Artù … mille nomi per indi- ai calici aperti si esala l’odore di fragole rosse. Splende un lume là nella sala. Nasce l’erba sopra le fosse. … E’ l’alba: si chiudono i petali un poco gualciti; si cova, dentro l’urna molle e segreta, non so che felicità nuova”. G. Pascoli, Il gelsomino notturno da Canti di Castelvecchio care che, con la teofania della luce, lo strappo temporale di Samhain, il giorno senza nome, era ricomposto e la porta sull’abisso richiusa (R. Fattore, Feste pagane, Forlì 1999, p. 102). Era questo il Dies natalis solis invicti, del parto virginale, della luce crescente, l’atteso momento della rigenerazione quando, all’alba di un nuovo giorno, sarebbe sorto il “Sole di giustizia”, profetizzato da Malachia (Ma- 9 lachia 3, 20). Nel fuoco purificatore bruciava l’agrifoglio per dar forza e vigore all’abete che sfidava col suo verde l’algido lucore dell’inverno, protendendosi verso l’alto con quei rami che evocavano algiz, la runa della vita (A. D’orazio, Solstizio d’inverno. Rito e simbolo, Roma 1997, p. 42). Alcuni chiamarono questo arcano segno “la mano di Dio”, altri la trasformarono nel monogramma del Salvatore, ovunque segnò la via di chi volle cimentarsi nel “Viaggio”. Riprendiamo il cammino Anche noi ogni tre anni, quando il vecchio sole muore per dar vita al nuovo, dopo una pausa di riflessione, riprendiamo il cammino lungo la strada della Tradizione che porta all’edificazione del Tempio interiore. Per un attimo ci siamo fermati, abbiamo considerato la strada percorsa e quindi, abbiamo stabilito quale direzione prendere. Al pari di chi seguiva l’astro morente per raggiungere la tomba dell’Apostolo e raccogliere sulle sponde dell’oceano la conchiglia pellegrinale, abbia- 10 mo fatto sosta ad una nostra Puente la Reina, tappa breve, ma necessaria e a lungo attesa. Ora il momento elettorale è terminato, nel tripode desideri, aspettative, posizioni diverse si sono unite in un’unica fiamma di amore e di fratellanza, rinnovellando il desiderio di avvicinarsi ancor di più a quell’Oriente lontano ove Helios ha dimora, per conoscere la Profondità del Principio e la Profondità della Fine, la Profondità del bene e la Profondità del male (Sefer Yetzirà, Libro della formazione, Roma 2000, p. 21). Il difficile procedere Non sappiamo cosa ci riserverà il futuro, quali ostacoli incontreremo. Di fronte a noi, si stagliano all’orizzonte alte montagne, valichi incerti e difficili, selve sconfinate, fiumi impetuosi, paludi vaste ed inquietanti, dove dimorano le nebbie ed orientarsi è una difficile impresa. Sappiamo che stanchezza, delusione, impazienza sono pronte a metterci alla prova. E’ noto a ciascuno di noi che numerose saranno le insidie che ci attendono. In ostelli accoglienti, in locande provvide di delizie, sirene dalla voce melodiosa ci inviteranno a fermarci, a mettere radice, promettendo chi sa quali meraviglie. Quando poi il cammino ci parrà infinito, la direzione incerta, la scelta difficile, nell’accidia del meriggio, appariranno tremuli miraggi. Effimere visioni di frutteti e giardini metteranno alla prova la nostra volontà. Cori giovanili e voci suadenti cercheranno di distoglierci, di farci dimenticare quella “pietra angolare”, posta “mentre cantavano insieme le stelle del mattino” (Giobbe 1: 38, 6-7). Sotto la guida della Tradizione Siamo comunque consci che, nonostante le tante e ripetute prove, il viaggio proseguirà sicuro se avremo la costanza di affidarci sempre alla guida della Tradizione. E’ fondamentale però non scambiare questo filo sottile, difficile da scorgere con un cordame assai più evidente. Cadere nella trappola del tradizionalismo, confondere la forma con la sostanza, è facile e chi non scorge il trabocchetto precipita in una dimensione opposta. Il regno delle ombre, generato dall’incomprensione dei valori tradizionali è un carcere, chiuso da un dogmatismo che l’ignoranza generò per avversare proprio la Tradizione. Qui ogni adattamento ai tempi è percepito come “una sorta di sacrilegio” (R. Guenon, L’ortodossia massonica … cit, pp. 167 – 169), ogni desiderio di comprendere, un attentato apocalittico ad un indefinito passato che nessuno conosce, ogni testimonianza del proprio pensiero, se si discosta dal conformismo imperante, una bestemmia. La Tradizione è un’altra cosa. Si trasmette in modo dinamico, adattandosi ai tempi, secondo una mitopoiesi che, pur conservando gelosamente il messaggio originario, i valori primordiali e gli archètipi fondanti, assume i linguaggi del momento, disponendosi sicura nell’alveo del presente (Dizionario di antropologia a. c. di U. Fabietti e F. Remotti, Bologna 1997, pp. 761 –763; B. Malinowski Il significato del significato. Studio dell’influsso del linguaggio sul pensiero e della scienza del simbolismo, Milano 1966, pp. 334 – 383. Cfr. G. Balandier, Le società comunicanti, Bari 1973; G. Balandier, Società e dissenso, Bari 1977). La Tradizione e il presente La Tradizione, scrive Guenon, non è per niente estranea all’evoluzione e al progresso” (R. Guenon, L’ortodossia massonica … cit, pp. 167 – 169) e la Massoneria, che ne è un’espressione, la deve vivere in maniera assolutamente corretta. Mentovati tradizionalismi di maniera che pubblicizzano, con alte grida sulla pubblica piazza, una loro presunta purezza d’origine, spesso nascondono un’assoluta assenza iniziatica. Alcuni poi, dietro una barocca facciata di gesso e di cartone, coltivano un associazionismo indefinito, condito da una consunta retorica che rivendica glorie spesso fasulle. Ognuno è comunque libero di impiegare il proprio tempo come meglio crede, l’importante è non confondersi con coloro che hanno scelto, più o meno consapevolmente, altre strade, divergenti da quella che noi desideriamo percorrere. Essere massoni significa, riattualizzare l’iniziazione, vivendo da protagonisti il presente, con la forza e la sicurezza che il passato ci offre (H. Corbin, Che cosa significa tradizione – attualità della filosofia tradizionale in Coscienza religiosa, n° 3, 1969, pp. 226 – 227). “Operare per il bene e il progresso dell’umanità”, costringe a calarsi di continuo nel concreto della realtà, a misurarsi con i problemi che un’umanità, alla ricerca di se stessa, lamenta in ogni momento. D’altra parte il seme è tale perché un giorno germoglierà, spunterà dalla terra, desideroso di Sole, crescerà, si farà albero, fruttificherà e a tutti offrirà i propri doni. Se, al contrario, rimarrà per sempre nell’oscurità, soddisfatto della propria inespressa potenzialità, senza desiderare la luce del giorno, è destinato ad essere un relitto solitario di cui prima o poi si smarrirà pure la memoria. Generosità del saggio Parimenti colui che si dice saggio, beandosi del proprio conoscere, senza offrire agli altri la minima parte di se stesso, non è altro che un illuso che ha confuso la povertà con la ricchezza, la sapienza con l’ignoranza. La strada è lunga, impegnativa e difficile, va affrontata con consapevolezza, umiltà, raziocinio ma va affrontata. L’astro, rinato nei giorni più bui dell’anno, indica con il suo fulgore che non bisogna avere timore di testimoniare ciò che siamo e verso quale meta conduce il nostro cammino. La massoneria, quella vera è cristallina come l’acqua di sorgente, penetrante come l’aria, pura come il fuoco. Non conosce accomodamenti, falsità, meschinerie, arroganza. Non si maschera dietro il vuoto concettuale, nel qualunquismo ideologico che alla prosopopea della parola fa seguire il niente. Fratellanza, uguaglianza, tolleranza, amore non sono flatus ma fini da raggiungere ed imporre, ogni giorno, in concreto, all’interno e al di fuori del Tempio, lavorando su se stessi con costanza ed ardore. Solo così il Sole bambino, lascerà il grembo oscuro della madre Terra e, raggiunto il padre Cielo indicherà agli uomini che hanno occhi e cuore, la via della speranza. P.8: The Course of Empire, Desolation (part.), T.Cole, 1836, New York; p.9: Ritratto d'uomo che sospende la lettura, Francesco Mazzola detto ‘il Parmigianino’ (1503-1540), York Museums Trust; p.10: Impresa di Giuseppe..., 1524, Lorenzo Lotto, Bergamo. p.11: Impresa della sommersione di Faraone, ibid. 11 ella stagione in cui il Sole indebolisce il calore dei suoi obliqui raggi consentendo all’atmosfera di riempirsi di brume e agli animi di lasciarsi pervadere da malinconiche suggestioni, ogni tre anni la Gran Loggia d’Italia degli Antichi Liberi Accettati Muratori, Obbedienza di Piazza del Gesù, Palazzo Vitelleschi, si riunisce in Grande Assemblea per celebrare una Tornata Elettorale che ha lo scopo di eleggere il Gran Maestro, la Gran Maestranza e i Dignitari della Gran Loggia. Tutto sembra accadere proprio quando il momento vicino al solstizio d’inverno permea ogni avvenimento di un singolare intimismo e le giornate corte, il freddo, le frequenti piogge che intridono l’aria favoriscono la riflessione e il raccoglimento. La casa è privilegiata rispetto al rigore dell’esterno ed ognuno tende a cercare, più in sé che fuori nel mondo, le forze che gli permetteranno di riavvicinarsi lentamente al trionfo della luce nel solstizio d’estate. Momento di riflessione, momento di scelte. Non a caso questa scansione stagionale, 12 caratterizzata dalle nebbie notturne e dal lungo buio misurato da deboli albe e precoci tramonti, è quella in cui debbono essere prese le grandi decisioni, fondamentali per la vita dell’Obbedienza. Ogni massone con diritto al voto, e che quindi partecipa alla Grande Assemblea, vive un senso di profonda e seria sacralità, quella che la responsabilità di scegliere la guida per i successivi tre anni, comporta. Il 4 dicembre Nella sede romana allo Zenit, il giorno 4 dicembre 2004 una folla di massoni provenienti da tutte le parti d’Italia ha esercitato il proprio diritto di voto durante quella cerimonia rituale in terzo grado, che ha portato innanzi tutto all’elezione del Sovrano Gran Commendatore Gran Maestro nella persona di Luigi Danesin e del suo Luogotenente Vicario, Luigi Pruneti. Due scelte fondamentali che hanno prodotto la meritata riconferma di quanto tre anni prima la stessa Assemblea aveva espresso. Il Sovrano Gran Commendatore Gran Maestro ed il suo Luogotenente Sovrano Gran Commendatore Gran Maestro Aggiunto Vicario rappresentano, in una comunione iniziatica, il vertice da cui deve promanare ogni idea guida. Alla luce del recente vissuto, riteniamo esatto affermare che l’idea guida della passata gestione potesse riassumersi nella formula programmatica: “Ricerchiamo la nostra vera Tradizione”. Nella Tradizione, dove ogni massone attento scopre il serbatoio di informazioni e di idee sulle quali impostare la sua personale evoluzione interiore, l’attuale leadership ha dato ampia dimostrazione di aver cercato una fonte di idee, di pensiero e di iniziative. Per aver seguito il tracciato di illustri predecessori, come Saverio Fera e Giovanni Ghinazzi, che con la loro opera vollero allontanare l’istituzione massonica dalle devianze della profanizzazione, Luigi Danesin e Luigi Pruneti hanno ricevuto dal corpo elettorale il giusto riconoscimento di tanto lavoro eseguito. Con esso è stata consegnata loro la speranza che il prossimo triennio corrisponda ad un altro intenso periodo di crescita. I Gran Maestri Aggiunti eletti: Arnaldo Francia, Bruno Poggi (riconfermato) e Giorgio Santoro li accompagneranno autorevolmente nel loro compito. Riscoprire e riattualizzare “E’ necessario che la Tradizione sia non solo riscoperta ma addirittura riattualizzata giacché (...) è continuità nel mutamento e non ha niente da spartire con il tradizionalismo, mera conformità intenzionale a valori definiti tradizionali” (L.Pruneti, Le Maître e la Route, in Officinae n° 4, dicembre 2004). Il massone di ogni grado, su questo tema non può ingannarsi. La riscoperta della Tradizione deve essere il compito primario di chi quei principi deve applicare alla vita dell’Obbedienza, indicando dall’alto gli obiettivi a tutti gli aderenti alla comunione. Se i momenti della percorrenza sono singolari, perché espressione della personalità e dell’individualità di ognuno, gli obiettivi ed i metodi devono essere corali. Questa è la fratellanza. Un percorrere insieme, nella condivisione delle mete, strade che possono essere anche soggettive. Ma gli obiettivi sono indicati dai vertici e devono coincidere con la Tradizione. Un’istituzione massonica diviene così una fucina di umanesimo. Eleggere il Gran Maestro ed il Suo Vicario, dunque, nella comunione iniziatica significa demandare a chi è preposto istituzionalmente a farlo, il difficile compito di individuare le mete e di mettere a punto i dispositivi d’azione per raggiungerle. Il singolo massone dovrà poi trovare in sé, nell’unicità della sua mente e delle sue predilezioni culturali, le tematiche da approfondire su questi tracciati. Ma mai la sua iniziativa personale potrà, per un malinteso senso di democrazia, sostituirsi alla riattualizzazione del portato tradizionale, compito precipuo del Gran Maestro e dei suoi più stretti collaboratori: il Vicario e la Gran Maestranza. Fondamentali momenti di scelta Ecco perché una forte atmosfera di partecipazione e di emozione, caratterizza questi fondamentali momenti di scelta. E il conseguente giubilo che i rituali segnalano come approdo del rito è la catarsi dalla quale ci si sente avvolgere quando i presupposti siano fatti salvi e prenda le redini dell’Obbedienza chi dà collaudata garanzia di guida. Nel fuoco sono state bruciate le schede di voto per sottolineare la liberazione dalle inevitabili tensioni elettorali, così come solevano gli antichi muratori delle gilde che mai consegnavano alla posterità calcoli, scritti, progetti, ma solo il frutto eloquente del loro lavoro. Ogni momento della Tornata elettorale, coscientemente o meno, è stato vissuto dall’Assemblea in questa escalation di purificazione e di progettazione. Il complesso e lungo lavoro preparatorio eseguito dalla Segreteria e dalle Commissioni per la verifica dei poteri, l’impegno della Commissione elettorale nel tempio, le vere e proprie operazioni di voto hanno dato vita ad un continuum di serena operatività. L’accresciuto numero dei votanti, dato dalle nuove logge e dalle camere fondate nello scorso triennio, non è stato di ostacolo allo svolgimento della giornata che ha avuto un andamento ordinato. I lavori si sono conclusi con l’elezione dei due Gran Dignitari della Gran Loggia (Art. 22 degli Statuti della Gran Loggia D’Italia) nelle persone dei fratelli: I Sorvegliante, Marco Galeazzi (riconfermato) e II Sorvegliante, Laura Madonia. Anche gli episodi successivi alla Tornata: la conferenza stampa all’hotel Minerva, seguita dalla festosa e ricca agape, hanno mostrato un vero affratellamento dei partecipanti. Ribadito, questo, il giorno successivo dalla Catena d’Unione ordinata dal Sovrano a conclusione della Tornata Straordinaria del Supremo Consiglio, cui hanno partecipato tutti i Membri Effettivi presenti. Le nebbie del solstizio d’inverno sono state così disperse dal forte eggregore, che rende uniti e coesi i fratelli della Gran Loggia D’Italia. P.12: Ingresso della sede Nazionale della GLDI, Roma; p.13: Interno del Tempio Nazionale della GLDI, Roma (p.12 e 13: foto Paolo Del Freo). 13 14 on il suo accento veneziano ispira subito un senso di nobile cordialità. Si dice che i veneziani siano “gran signori” e il caso di Luigi Danesin ne è la prova evidente. Dopo tre anni di intensa collaborazione dovendone dare una descrizione possibilmente sintetica non posso fare a meno di dire “gran signore”. Durante il primo triennio di Gran Magistero il suo amore per il decoro si è espresso in molti modi. Per prima cosa avendo intuito le potenzialità architettoniche della sede di Palazzo Vitelleschi, ha profuso ogni cura nel rendere il luogo degno dell’Istituzione che era chiamato a guidare. Oggi abbiamo un maestoso scalone, un ingresso marmoreo, sale luminose ed ampie, una biblioteca articolata su due piani, uffici e spazi rituali, che portano la sua impronta e perfettamente consoni all’importanza della Gran Loggia D’Italia. Nel Tempio maggiore ha voluto lasciare un personale regalo: quattro vedute a tutta parete di soggetti che richiamassero simbolicamente i punti cardinali. Gran signore, inizia il suo primo mandato pensando alla solidarietà e con gesto eloquente porge al Gran Tesoriere il suo personale segno. Tutti i fratelli presenti alla Grande Assemblea intuiscono che Danesin viene tra noi per dare e non per ricevere. Così la Massoneria di Piazza del Gesù, Palazzo Vitelleschi ha visto incontri, conferenze stampa, convegni; della sua ricostruita immagine si sono occupati i media, è presente in internet con ben due siti e non vi è regione italiana nella quale non esista una sua sede. Curriculum onsulente del lavoro con numerosi studi professionali a Venezia, Mestre e Padova, Luigi Danesin dal 1952 esercita la sua professione. Lo scorrere degli anni lo ha visto ricoprire cariche di grande responsabilità e prestigio nel tessuto economico del Triveneto, in molte associazioni di categoria, come l’Associazione Nazionale Consulenti del Lavoro, o in istituzioni pubbliche come l’Azienda Autonoma di Soggiorno e Turismo di Venezia, il cui Consiglio di Amministrazione ha presieduto. E’ stato inoltre co-fondatore della Banca Popolare di Venezia. La sua multiforme attività ed i molti interessi che costellano la sua vita profana non gli hanno creato ostacolo per un’attività massonica intensa e di partecipazione, caratterizzata da numerosi incarichi e contributi fattivi alla vita dell’Obbedienza. Dalla vita delle logge all’organizzazione degli orienti nel Triveneto, ai congressi e alle celebrazioni internazionali, la sua operatività è sempre stata dinamica e indefessa. Allo scadere dei venticinque anni di militanza massonica, la GLDI lo ha insignito della medaglia d’argento che segna il suo primo quarto di secolo al servizio dell’ideale libero-muratorio, da quel 1968 che lo vide bussare alla porta del Tempio. Oggi è Sovrano Gran Commendatore Gran Maestro in carica per un secondo mandato (2004-2007), che segue la sua prima elezione avvenuta nel dicembre del 2001. A tale somma dignità unisce la carica di Coordinatore dell’Unione delle Potenze Massoniche del Mediterraneo. Il Gran Maestro viaggia dovunque, instancabile ed attivo. In questi anni ci ha insegnato che la commozione di fronte alla bandiera è un’espressione di valori recuperati in un mondo minimalista che non deve contaminare la nostra comunione di eletti. Si sono visti molti fratelli cantare nel tempio l’inno nazionale, trascinati dal genuino slancio con cui il loro Sovrano baciava il lembo del tricolore. Ma abbiamo anche assistito a moti di più intima e familiare generosità, come quando al Vicario, che ammirava la sua cravatta, gliene fece subito dono. Un Gran Maestro che cura personalmente ogni dettaglio ed ogni rapporto con i fratelli che lo circondano, non dimenticando quelli delle province più remote, dà prova di considerare i suoi collaboratori sempre con estremo rispetto e con sincera affabilità. Nelle Tornate a cui partecipa non manca mai uscendo di soffermarsi, per osservare attentamente i visi dei presenti, quasi a volerli ricordare tutti, uno per uno. Mi accorgo di sorridere mentre scrivo queste righe. Ma a chi sorrido? Alla tastiera del mio computer? O forse alla fiducia ed all’affetto che un Gran Maestro ha saputo sollecitare in chi aveva qualche tristezza da dimenticare e qualche sogno remoto che sembrava ormai trasformarsi in illusione? Il Sovrano Gran Commendatore Gran Maestro ci ha dato momenti di commozione, di fiducia e di orgoglio. A lui auguriamo di proseguire su questa via con la forza del suo contagioso entusiasmo. Anna Giacomini P.14: Il S.G.C.G.M. Luigi Danesin (foto Paolo Del Freo) 15 16 arlare della poliedrica personalità di Luigi Pruneti non è cosa semplice anche per chi lo segue personalmente da diverso tempo. Per non incorrere nel sospetto di volerne intessere una sorta di adulatoria agiografia, una santificazione in vita, completamente fuori luogo per un libero pensatore quale intende essere chi scrive, si potrebbe ricorrere ad un’aneddotica personale o forse a qualche ricordo ufficiale già un pò impallidito, ma che sommato alle più attuali considerazioni formi un’immagine reale. Per cominciare, volendo dare una definizione concisa che dica qualcosa di lui, si potrebbe usare il termine “maestro”. Cominciai ad apprezzarne questo aspetto quando da timida apprendista durante una Tornata seminariale tenuta in prima persona dal fratello Luigi, allora Ispettore Provinciale dell’Oriente di Firenze, mi trovai nell’imbarazzante situazione di dover dare alcuni ragguagli a lavori aperti e su domanda. Io sapevo che l’apprendista non aveva diritto a parlare, il mio Maestro Venerabile mi aveva raccomandato il silenzio insieme con tutti i comportamenti relativi al grado. Eppure in quel momento era necessario prendere la parola. Il fratello Luigi risolse la mia incertezza rivolgendomi un sonoro e scandito “Parla!” in cui io lessi tutte le spiegazioni del caso: le possibili deroghe alle regole, il potere del Maestro Venerabile, la logica che deve sottendere ogni scelta massonica ed altro. E’ un episodio apparentemente insignificante, ma credo che quello sia stato il momento in cui, nel segreto, lo elessi mio maestro. A volte un maestro non sa di esserlo, o per lo meno non sa quanto e come le proprie parole possano incidere su un pensiero in formazione. Ed io non credo che il fratello Luigi si possa ricordare della goffa apprendista rattrappita su quella scomoda panca, timida ed imbarazzata. Ma la goffa apprendista ricorda tutto perfettamente e quella prima semplice lezione di dignità e di valori, la vive ancora con emozione. Da allora il maestro mi insegnò molte altre cose con la stessa naturalezza. Gli chiesi una volta dove avrei potuto trovare un palindromo del SATOR in Toscana, perché avevo intenzione di fare una ricerca sulla misteriosa formula. La risposta fu immediata: “A Campiglia Marittima sull’esterno della pieve di San Giovanni”. Ci ho scritto sopra il mio primo libro. Scommetto però che il fratello Luigi non lo ricorda. Così di seguito: consigli sulla ritualità, suggerimenti bibliografici, il senso riposto nelle norme statutarie, ogni volta che gli esponevo i miei interrogativi ottenevo ed ottengo preziose ed ampie risposte. Avere un maestro è cosa rassicurante. Il pensiero, da solo, liberamente spazia, vola sulla spuma di onde tempestose e trascinanti, si acquieta su lagune incantate, ma quando può tornare dal maestro riacquista forza e la capacità di altri voli e di altri sogni. Anna Giacomini P.16: Il L.S.G.C.G.M.A.V. Luigi Pruneti; p.17: Luigi Pruneti ed Anna Giacomini (foto Paolo Del Freo) Curriculum ocente, letterato, storico e geografo Luigi Pruneti è fiorentino di nascita e di residenza. Dalla sua città ha assorbito il più profondo amore per la cultura, la curiosità per ogni disciplina umanistica, il gusto per la ricerca e l’orgoglio delle radici. In qualità di massonologo ha all’attivo un notevole numero di pubblicazioni tra le quali: - Le finalità della libera Muratoria rispetto all’ordinamento religioso, Firenze 1982 - Storia della GLDI degli ALAM obbedienza di piazza del Gesù, Palazzo Vitelleschi. Della costituzione del Supremo Consiglio d’Italia del Rito Scozzese Antico ed Accettato e della sua Gran Loggia dal 1908 al ‘90, Roma 1991 - Oh setta scellerata ed empia, Firenze 1992 - La tradizione massonica scozzese in Italia, Roma 1994 - Verso la mixité: Storia dell’integrazione femminile nella Massoneria, Roma 1994 -Antimassoneria ieri ed oggi, Roma 1995 - La Sinagoga di Satana. Storia dell’antimassoneria 1725-2002, Bari 2002 - Lo Scozzesismo e la nascita del Grande Oriente d’Italia, in Libertà e modernizzazione, Massoni in Italia in età napoleonica, a cura di A.A.Mola, Roma 1996 - La Maremma nell’età di Carduccci, in G.Carducci: l’uomo il poeta, il massone, Roma 2001. Come giornalista pubblicista, iscritto all’Albo professionale della Toscana, ha collaborato e collabora con i periodici di storia, archeologia, geografia: Argomenti storici, L’Universo, Il Pensiero politico, Cronache medievali, Archeomisteri, Hera ed Officinae di cui è già stato direttore editoriale e che cura con particolare impegno per quanto riguarda gli studi tradizionali e la massonologia. Di recente ha dato alle stampe La Toscana dei misteri, un volume in cui ha raccolto miti e leggende legate ai luoghi più suggestivi della sua terra. Entrato in massoneria nel 1974, all’età di 26 anni, ha percorso tutti i gradi e le dignità raggiungendo quella di Luogotenente Sovrano Gran Commendatore Gran Maestro Aggiunto Vicario nel 2002. Per il prossimo trienno è stato confermato nell’alta carica. 17 Gran Maestri Aggiunti Bruno Poggi Arnaldo Francia Giorgio Santoro ato a Forlì nel 1957, si laurea a Bologna in Medicina e Chirurgia consegue quindi la specializzazione in Ortopedia-Traumatologia e successivamente quella in Medicina Legale. Cura con particolare interesse la storia della disciplina medica producendo numerosi saggi sul tema. Viene iniziato all’Oriente di Bologna nell’anno 1967, raggiungendo il 33° grado del RSAA nel 1989. In questo lasso di tempo è molto attivo, e fonda l’Oriente di Forlì. E’ stato insignito di varie importanti cariche sia nell’Ordine che nel Rito Scozzese Antico Accettato. Ha scritto più volte per Officinae ed è autore di molte pregevoli pubblicazioni fra cui: I valori della Tradizione, ricerca storica ed esoterica, Roma 1994. Una mano felicemente versata nel disegno gli ha permesso di illustrare i due volumi Alla Ricerca del Sacro, I Gradi del Rito Scozzese Antico Accettato, Roma 2002, un testo nato con l’intento di non perdere, nell’ambito liberomuratorio, i valori più profondi della Tradizione, che rischiano di perdersi nell’amalgama multiculturale. Presto sarà dato alle stampe anche Simbologia Alchemica, Araldica e Muratoria in due volumi. E’stato eletto all’alta carica di Gran Maestro Aggiunto per la seconda volta consecutiva. nizia il suo iter massonico presso la R.L.Ausonia all’Oriente di Torino nel 1966 e quindi procede nel lungo percorso durante il quale assume le cariche di Gran Consigliere dell’Ordine nel 1978 e di membro della Giunta Esecutiva dal 1986. Nel 1971 fonda la R.L.Convalles all’O. di Pinerolo e nel 1973 il Capitolo Rosa+Croce Augusta Taurinorum. L’anno 1991 lo vede insignito della medaglia d’argento per i venticinque anni di appartenenza all’Istituzione. Negli anni ’70 il suo impegno si rivolge all’editoria, fonda così la Rassegna Massonica e la rivista Delta che raccoglie tuttora numerose voci autorevoli della cultura. Molto attivo anche nel Rito dal 1995 è Membro Effettivo del Supremo Consiglio. E’ autore di alcune interessanti e documentate monografie: - 1908/1978, 70 anni di vita massonica di Piazza del Gesù, 1978 - Divagazioni sulla massoneria, 1992 - Italia Oggi: Delirio antimassonico ,1994 - Giovanni Ghinazzi e l’ecumenismo massonico, 1999 - Parliamo un po’ di Rito, 2000 Attualmente è il coordinatore per il bicentenario del RSAA. l più giovane dei Gran Maestri Aggiunti (44 anni) è calabrese e di formazione fiorentina, per quanto concerne gli studi accademici. Avvocato amministrativista, accompagna l’esercizio della sua professione nella città di Cosenza, con quella di hotellier essendo proprietario di due alberghi (cinque stelle) posti in edifici storici sulla Costa Tirrenica Cosentina, dove sono estremamente curati la buona tavola e il buon bere. Nel tempo libero alterna studi di esoterismo all’ascolto della musica barocca e alla ricerca di argenti europei d’epoca e libri antichi. Attraverso apposite associazioni è impegnato a recuperare ed a valorizzare il Centro Storico di Cosenza nonché il patrimonio culturale di cui le dimore storiche private calabresi sono testimoninanza. Iniziato nel 1991 alla R.L .Zenit all’Oriente di Cosenza, dal 1995 al 1998 ne è stato il Maestro Venerabile. Viene elevato al 33° grado del RSAA nel 2000 e nell’anno successivo è nominato Membro Effettivo del Supremo Consiglio. Dal 1997 è Delegato Magistrale per la Calabria, e dal 2001 Sovrano Grande Ispettore Generale Regionale. 18 19 20 a diffusione della Massoneria nei vari Paesi del mondo è stata differentemente condizionata dalle situazioni locali di tipo politico, religioso, sociale, economico nonché dalle stesse tradizioni storiche e culturali in atto nei singoli Stati. Italia In Italia, fatta eccezione per alcuni movimenti di pensiero che si possono anche considerare precursori degli ideali massonici, si dovette attendere l’arrivo delle armate napoleoniche sul finire del XVIII secolo, per assistere alla nascita delle prime logge in diverse città della penisola. Esse agirono per anni, ciascuna in un proprio alveo territoriale con scarse possibilità di scambi culturali, di confronti rituali e di collaborazioni finalizzate, in quanto operative in un Paese da secoli diviso politicamente in tanti Stati troppo spesso separati oltre che dai confini anche da diverse culture, dalla diffidenza se non dal sospetto reciproco. Altrove Negli altri Paesi, specie in quelli in cui già esisteva una tradizione unitaria, la diffusione della Massoneria fu assai più rapida e, a distanza di non molti anni dalla nascita delle prime logge, con l’istituzione dei così detti “alti gradi” cominciarono a svilupparsi anche istituzioni rituali. Esse erano da considerarsi emanazioni delle stesse logge che si prefiggevano lo scopo fondamentale di approfondire le tante tematiche affrontate nei primi tre gradi dell’Ordine. Non va sottaciuto che accanto a queste motivazioni di tipo culturale e con finalità essenzialmente esoteriche, in alcuni casi ne coesistevano di tipo politico o sociale ed anche alcune di più fragile valenza, connaturate peraltro alle stesse debolezze e ambizioni dell’uomo. La diffusione di questi riti nelle varie Obbedienze ormai presenti in tanti Paesi, poteva costituire testimonianza della libertà di pensiero che è peculiare in Massoneria e giustificare differenze procedurali nelle celebrazioni rituali ma anche comportare il rischio di una certa dispersione e frammentazione a livello operativo, nonché di una radicalizzazione di posizioni ideologiche che, pur riconoscendo la matrice univoca, avrebbero potuto determinare, a distanza, differenze anche notevoli e persino contraddizioni operative. Il Rito Scozzese Antico Accettato Si dovette attendere l’inizio del XIX secolo perché si sviluppasse un'emanazione rituale che, intimamente convinta dell’importanza dell’approfondimento iniziatico che era nello spirito di ciascun rito, intese per altro opporsi efficacemente ai rischi ed ai pericoli di una eccessiva dispersione. Si trattava del Rito Scozzese Antico e Accettato ispirato all’ortodossia e all’universalità massonica e finalizzato a sorreggere l’Ordine, pur nel rispetto della sua sovranità, laddove e qualora “non fosse stato ancora possibile raggiungere lo splendore” auspicato dai suoi fondatori e obiettivo di tutti i massoni illuminati. Tale rito ebbe la sua ufficializzazione nel 1801 nella città di Charleston negli Stati Uniti. Alessandro de Grasse–Tilly e Germain Hacquet, muniti delle credenziali americane, lo istituirono in Francia nel 1804 e lo stesso Grasse-Tilly fondò l’anno successivo, per l’appunto nel 1805, il primo Supremo Consiglio del 33° ed ultimo grado, a Milano, diffondendo il rito degli A.L.A.M. anche in Italia. Sua diffusione Per quanto tale rito abbia trovato fin d’allora facile diffusione in tanti Paesi d’Europa, soprattutto per i suoi ideali di ecumenismo massonico e risulti oggi il più diffuso nel mondo, tuttavia incontrò particolari difficoltà nel nostro Paese non potendo del tutto sottrarsi al destino di quelle logge che costituitesi in Italia 21 al seguito delle armate francesi erano state praticamente disperse dopo la caduta di Napoleone e l’avvento della restaurazione assolutista. Va detto peraltro che fu proprio per merito di isolate emanazioni rituali e in particolare di quelle scozzesi, che la Massoneria, sia pure in modo improprio, poté sopravvivere anche nel periodo dell’assolutismo per iniziare una certa ricomposizione. Fu infatti nel periodo del Risorgimento, ma soprattutto dopo l’unificazione del Regno che si assistette ad un generale risveglio e alla proliferazione di nuove logge anche se l’operatività, almeno su di un piano nazionale, risultò ancora per qualche decennio condizionata dall’esistenza di alcuni Grandi Orienti che operavano pressoché indipendenti tra loro nella tradizione di quell’autonomia funzionale che consideravano patrimonio inalienabile. Processo di unificazione dell’Ordine Anche quando, sul finire del 1800, meglio recependosi lo spirito dell’unificazione e attenuandosi il radicalismo anticlericale, si potè addivenire ad una unificazione al vertice massonico, almeno per quanto concerneva l’Ordine, assai più difficile risultò la via per raggiungere una corale intesa in merito all’unificazione dei Riti. Anche se alcune emanazioni rituali erano ormai scomparse ed altre erano in via di estinzione, mentre il Rito scozzese si era notevolmente diffuso, in alcune aree del nostro Paese risultava ancora operativo il Rito Simbolico Italiano. Alcuni tentativi di unificazione conseguirono unicamente risultati parziali anche perché inficiati dalla persistenza di personalismi e diffidenze e talora da rivalità ed ambizioni di uomini e gruppi eterogenei per estrazione, non di rado anche di diversa impostazione politicoideologica. A questa matrice ci si deve 22 riferire per valutare le peculiari caratteristiche della Massoneria italiana ed anche gli atteggiamenti dei suoi personaggi in quell’ultimo quarto del secolo diciannovesimo e per comprendere le motivazioni della profonda divisione determinatasi all’inizio del secolo. Tra le tante cause di questo evento si deve conside- rare anche il fallimento di una completa fusione tra il Rito degli A.L.A.M. ed il Rito Simbolico Italiano, indirizzato quest’ultimo verso un sempre maggior coinvolgimento della Libera Muratoria in una vera e propria partecipazione politica. 1907-1908 Fu nel corso del 1907 che la maggioranza del Supremo Consiglio della Massoneria Italiana, a questa tendenza contrappose l’esigenza di una reimpostazione esoterica ed operativa nello spirito di quella concezione ideale propria del Rito Scozzese Antico e Accettato già istituito in Italia, come detto, fin dal 1805. La vera scissione si determinò nel 1908 quando un emendamento alla Legge sull’Istruzione, proposta da un deputato massone, atto a “garantire il carattere laico della scuola italiana”, venne respinto anche con il voto sfavorevole di molti deputati massoni, timorosi che, in un momento politico così delicato per il giovane Paese, la radicalizzazione di un anticlericalismo esasperato potesse provocare atteggiamenti controproducenti all’ancora incompiuto processo di unificazione. Fu così che la Massoneria italiana si divise in due tronconi ben distinti: l’uno diventò Piazza del Gesù, ora Palazzo Vitelleschi, dal nome della sede, guidato da Saverio Fera maggioritario nel Supremo Consiglio, l’altro divenne Palazzo Giustiniani. E’ doveroso, al giorno d’oggi, a quasi cent’anni di distanza, lasciare unicamente agli storici interessati all’argomento – così come già avvenuto finora – il compito di continuare e approfondire le ricerche d’archivio. La reazione della stampa Numerosi furono a quei tempi gli articoli dei quotidiani nazionali che commentarono l’avvenimento e già ampiamente riportati su testi e riviste. Tra di essi acquisisce caratteristiche quasi profetiche il seguente brano, tratto da “La Stampa” del 20 luglio 1908: “…Intorno al Supremo Consiglio dei 33, di cui è Sovrano Gran Commendatore il Fera, possono stringersi parecchie logge che, oggi come oggi, saranno, relativamente al numero complessivo delle logge italiane, poche ma che in un non lontano avvenire potranno essere molte. L’importante è che si formi un nucleo di logge ferme nell’intendimento di mantenere fede ai riti e statuti dell’Ordine Massonico, di mantenere intatta la disciplina nella gerarchia e di tenere la Massoneria al di sopra e al di fuori dei partiti politici. Questo nucleo sarà oggi piccolo ma sarà grande domani…..”. All’ignoto giornalista va la gratitudine, per questo voto augurale, dell’Obbedienza di Piazza del Gesù – Palazzo Vitelleschi. Vita autonoma delle due Istituzioni Dall’epoca della scissione le due Famiglie Massoniche hanno vissuto ciascuna au- tonomamente operando entrambe non senza grandi difficoltà, cercando collegamenti e riconoscimenti presso le Consorelle Obbedienze straniere, non di rado disputando tra loro, specie nel periodo precedente e anche nel corso della prima guerra mondiale, in merito alla legalità, alla legittimità, alla primogenitura. Per quanto concerne Piazza del Gesù, a titolo unicamente storico e sulla testimonianza di atti, va peraltro ricordato che già nel 1912, i Supremi Consigli di Washington, legali rappresentanti di Comunioni Massoniche universalmente riconosciute regolari, riconobbero essere “il suo Supremo Consiglio il legittimo organo rituale della Massoneria Italiana”, federato già allora con ben 50 Comunioni Massoniche di Rito Scozzese. Analogo riconoscimento avvenne nel 1922 al Convento Massonico di Losanna. Il sonno fascista Sciolte d’autorità entrambe le Obbedienze dalla dittatura fascista nel 1925 esse si risvegliarono, dapprima clandestinamente, quando ancora la seconda guerra mondiale divideva l’Italia, per ricostituirsi organicamente alla fine del conflitto. Questa ricostruzione avvenne attraverso una serie di comprensibili difficoltà in un Paese semidistrutto dopo i lunghi anni di guerre e di occupazione, dapprima attraverso l’opera isolata di singoli uomini, poi di gruppi con caratteristiche di auto- nomia e ispirati al bagaglio ideologico e culturale della matrice d’origine di ciascuna delle due grandi famiglie. Il risveglio Malgrado queste difficoltà già nel 1947 l’Obbedienza di Piazza del Gesù venne ufficialmente accolta al Supremo Consiglio di Washington quale erede della Comunione esistente nel 1925 “sempre viva e regolare”. Nell’anno successivo (1948) la conferenza dei Sovrani Gran Commendatori riuniti all’Avana stabilì che la Comunione del Rito Scozzese dovesse essere ricostituita per legittima discendenza dal Supremo Consiglio per il Rito e dalla Gran Loggia per l’Ordine. Vari gruppi si erano venuti formando man mano che il Paese veniva liberato, quando nel 1950 l’Obbedienza di Piazza del Gesù poté riacquistare la sede originaria, divenne la Gran Loggia degli Antichi Liberi Accettati Muratori, in perfetta sintonia con quello schema degli A.L.A.M. istituito, come detto, a Milano duecento anni or sono. Nel 1956 veniva firmato il protocollo tra Ordine e Rito. Dagli anni ’60 in avanti il succedersi di Gran Maestri Sovrani Gran Commendatori di notevoli capacità organizzative consentì all’Obbedienza di Piazza del Gesù un continuo grandioso progresso, con il raggiungimento attuale di traguardi prestigiosi, riconosciuti incondizionatamente in Italia e all’estero. L’Obbedienza oggi Oggi con l’aggiunta della 23 denominazione di Palazzo Vitelleschi, in relazione all’acquisizione e alla ristrutturazione di una meravigliosa dimora, sita in una delle zone più storiche di Roma, inaugurata due anni or sono e anche per salvaguardare definitivamente tale denominazione da velleitarie contaminazioni, l’Obbedienza si è organizzata con una capillare distribuzione nazionale, tanto da contare sulla presenza di Orienti in ogni Regione d’Italia. L’Obbedienza della Gran Loggia d’Italia ha sempre teso a perfezionare le sue caratteristiche liberali e a defilarsi dalle più rigide impostazioni dogmatiche, per meglio comprendere le istanze di un mondo in perenne evoluzione, in uno spirito di profonda fedeltà ai principii etici della Libera Muratoria e in accordo con le premesse ideologiche del Rito Scozzese Antico e Accettato. Bicentenario del RSAA in Italia E’ in questo spirito che la Gran Loggia di Piazza del Gesù – Palazzo Vitelleschi celebrerà quest’anno il bicentenario in Italia della costituzione del Rito Scozzese Antico ed Accettato. La solenne celebrazione si svolgerà a Roma dove, nella sede nazionale, si terrà una Tornata rituale alla quale parteciperanno delegazioni provenienti da tutto il mondo. Ad una conferenza stampa prevista nella stessa Sede, saranno invitate autorità e giornalisti per illustrare loro significato, finalità, attualità della libera muratoria 24 e le specifiche caratteristiche dello scozzesismo. Nel corso di un convegno aperto al pubblico, illustri oratori italiani e stranieri tratteranno temi di largo interesse, con precisi riferimenti ai rapporti della Massoneria in genere e della Gran Loggia d’Italia in particolare, con la chiesa, la cultura, la società, le istituzioni. Infine, in un volume celebrativo verranno raccolti testi e documenti della storiografia muratoria e verrà presentata una rassegna iconografica delle sedi artisticamente più rappresentative della Gran Loggia d’Italia. Lo scorso anno una celebrazione di tal genere è avvenuta in Francia; invitata d’onore è stata la rappresentanza di Piazza del Gesù–Palazzo Vitelleschi. Nel corso di quest’anno altre Obbedienze, tra le cui emanazioni rituali esiste anche il rito scozzese, ne onoreranno il duecentesimo compleanno. Ma per la Gran Loggia d’Italia la celebrazione di questo bicentenario sarà anche la festa dell’intera Obbedienza. Ciò non certo per un suo presunto privilegio, ma in relazione ai particolari e peculiari rapporti esistenti in questa Obbedienza tra Ordine e Rito, per la loro inscindibilità operativa. Sarà l’occasione per esaltare una emanazione rituale che per la sua sempre maggior diffusione tra le tante Obbedienze nel mondo intero, potrebbe, in un non lontano futuro, promuovere prima e realizzare poi tra di esse una catena d’unione non solo ideale, fra tutti i liberi muratori fedeli agli stessi principii e ispirati agli stessi ideali. Tutto ciò costituirebbe grande testimonianza dell’universalità della libera muratoria e le consentirebbe di meglio salvaguardare, conservare, diffondere quei principii di libertà, fraternità, tolleranza che sono alla base stessa del fine filantropico della Massoneria e costituiscono diritti inalienabili di ogni essere umano. _________________ Bibliografia · AA.VV., Deux siecles de Rite Ecossais Ancien Accepté en France, Francia, 2004. · Ciuffoletti Z., Moravia S., La Massoneria (la storia, gli uomini, le idee), Milano. · Esposito R., La Massoneria e l’Italia dal 1800 ai giorni nostri, Roma, 1969. · Farina S., Rituali e lavori del R.S.A.A., Carmagnola, 1984. · Francia A., 1908/1978 – Settant’anni di vita massonica di Piazza del Gesù, Torino, 1979. · Mola A.A., Storia della Massoneria Italiana dall’Unità alla Repubblica, Torino, 1976. · Moramarco M., Piazza del Gesù (1944-1968), Parma, 1992. · Polo Friz L., Lo Sviluppo del Rito S.A.A. in Italia dalle origini al 1867, Roma, 2000. · Pruneti L., La tradizione scozzese in Italia, Roma, 1994. P.4: I quattro filosofi, P.P.Rubens (1577-1640), Firenze, Galleria Palatina; p.21: Ritratto di Francesco Fera, olio su tela, inizio XX sec., collez. privata; p.22: Eugenio Beauharnais, schizzo, XVIII/XIX sec. coll. priv; p.23: La madre e la sorella di E. Beauharnais, acquerello, fine XIX sec; p.24: Il giuramento, J.L. David, 1791, schizzo e olio su tela, Musée National du Château, Versailles; p.25: Philosophe, J.L. David, 1795, olio su tela, Louvre, Paris. 25 V Conferenza del Mediterraneo 23 - 24 Ottobre 2004 e.v. Or. di Tarragona (Spagna) o Obbedienze aderenti all’Unione delle Potenze Massoniche del Mediterraneo o Gran Loggia d’Italia degli A.L.A.M. Obbedienza di Piazza del Gesù, Palazzo Vitelleschi (Italia) Grand Orient de France (Francia) Serenissime Grand Orient de Grece (Grecia) Ordre Maçonnique International Delfi (Grecia) Gr. Loge Liberale de Turquie (Turchia) Gran Loggia Centrale del Libano (Libano) Gran Loggia dei Cedri (Libano) Gran Loggia Massonica Femminile d’Italia (Italia) Gr. Logia Simbolica Espanola (Spagna) 26 Per una storia dell’Unione Luigi Danesin oma, fine del 1999 Nell’attesa della nascita di un nuovo Millennio Franco Franchi, Gran Maestro della Gran Loggia d’Italia, lancia un messaggio di speranza alle Giurisdizioni Massoniche dei Paesi del bacino del Mediterraneo: mettere insieme i Liberi Muratori che portano i segni della tradizione e i segni di una stessa civiltà nell’intento di trarre una forza utile al progresso dell’ideale Massonico. Reggio Calabria, febbraio 2000 Le Obbedienze che hanno aderito all’appello si riuniscono per la prima volta per dibattere il tema: “Il Mediterraneo come centro di cultura e di tradizione iniziatica!” E’ il primo passo necessario all’avvicinamento, ovvero la verifica della comunanza delle radici. La prova viene superata brillantemente grazie alla entusiastica fraterna partecipazione degli aderenti e alla profondità ed originalità dei contributi. Palermo, novembre 2000 Ritrovata una matrice latomista comune, i fra-massoni del Mediterraneo con la II Conferenza propongono un raffronto con l’altro filone iniziatico occidentale: la Tradizione Nord-Atlantica, e questo per cogliere differenze, particolarità, tratti comuni e comprendere meglio le loro radici. La Sicilia, centro del Mediterraneo, ospita con entusiasmo il II Convegno Internazionale su: “Tradizione iniziatica mediterranea verso tradizione iniziatica nord-atlantica” dal quale emergono concordanze ma anche specificità dei saperi coltivati dai nostri Padri. Napoli, novembre 2001 E’ ormai tempo di realizzazioni, la III Conferenza non propone alcun tema specifico e pur raccogliendo elevati contributi e acute riflessioni, punta decisamente sulla costituzione della Catena dell’Unione Massonica del Mediterraneo che viene consacrata in un protocollo, ormai di valore storico, con il quale le Potenze Massoniche firmatarie si impegnano a coltivare tre obiettivi: 1) Salvaguardare e sviluppare la cultura e la storia iniziatica del Mediterraneo. 2) Diffondere la Massoneria d’ispirazione mediterranea. 3) Studiare i problemi di ciascun Paese membro. Beirut, ottobre 2003 Approfondite le radici comuni ai Massoni del Mediterraneo, consacrata l’Unione tra di loro, occorre dare delle regole al nuovo Sodalizio e passare dalla dimensione teorica a quella pratica. Nella IV Conferenza vengono così fissate poche norme essenziali all’insegna della massima libertà ed apertura. Viene designato Coordinatore Permanente la Gran Loggia d’Italia, definito il logo che descrive un mar Mediterraneo fra squadra e compasso, fissata la denominazione in lingua italiana “Unione Massonica del Mediterraneo”, scelto il francese come lingua ufficiale. Il tutto nel massimo rispetto della Sovranità di ogni Obbedienza Membro. Anche il tema della Conferenza conferma l’esigenza pratica che sottende i Lavori. Si discute: “Il Mediterraneo come punto d’incontro fra oriente e occidente: il contributo della libera muratoria”. Nell’occasione si giunge alla conclusione che non ci sarà futuro per l’umanità se non si riuscirà a ritrovare l’Unione tra due realtà che, figlie di una stessa madre, sono state divise da pure contingenze storiche. Siamo così arrivati all’attuale ! Tarragona, ottobre 2004 La V Conferenza, qui a Tarragona, ha indicato gli strumenti per favorire l’unione dei popoli, vincendo incomprensione e violenza: la cultura che porta conoscenza ed il sapere che sviluppa etica. Sull’esempio delle menti più illuminate della civiltà mediterranea, imparino i moderni a dominare gli istinti con la ragione e con il sentimento, recuperino quel patrimonio segreto che chiamiamo Scienza Sacra e che altro non è se non la più elevata espressione della conoscenza umana. Nella mia Dignità di Gran Maestro della Gran Loggia d’Italia devo registrare, con grande soddisfazione, la presenza di tanti connazionali affiliati alla nostra Rispettabile Obbedienza. Essi sono qui per testimoniare con fermezza il calore umano e fraterno tutto mediterraneo e la solidarietà che il Fratello porta al Fratello per dirvi che credono fermamente nel valore dell’Unione, sommo bene che tutti dobbiamo coltivare, per affermare con forza che siamo figli di una Tradizione ancora viva che risale ben oltre la tanto celebrata nascita della Massoneria moderna, per formare una solida Catena a difesa del valore sacro di libertà che oggi viene gravemente minacciato dalla furia omicida e non di meno del cinismo del potere economico. Siamo qui per dirci che l’Unione Massonica del Mediterraneo è una cosa buona e giusta, ma anche per promettere che intensificheremo i nostri sforzi per combattere l’ignoranza, promuovere la cultura della tolleranza, costruire l’etica della solidarietà. 27 28 o il graditissimo onore di intervenire non solo in rappresentanza della Gran Loggia d’Italia degli Antichi Liberi Accettati Muratori-Palazzo Vitelleschi, ma a nome di questa stessa Unione Massonica del Mediterraneo che ha voluto concedere proprio alla nostra Giurisdizione il privilegio di svolgere il prestigioso incarico e ruolo di Coordinatore Generale Permanente. E questo a riconoscimento di primogenitura di questo atteso Sodalizio Internazionale che unisce tutti e doppiamente non solo come Massoni, ma come eredi di una stessa Civiltà. Dall’Italia è partita infatti ed ha preso forma l’idea grande e forte di riunire i Liberi Muratori sparsi sulle sponde del Mediterraneo per dialogare, comunicare, costruire un valore comune sulle granitiche fondamenta di 8.000 anni e più di civiltà; anni che hanno contribuito in maniera determinante al progresso dell’Umanità. Questa quinta sessione degli incontri Massonici del Mediterraneo ha confermato appieno la validità di quella proposta e la grande attualità delle motivazioni che l’hanno ispirata. Il suo successo è principalmente: - merito degli organizzatori sapientemente guidati dalla Ven.ma e Pot.ma Sor. Ascension, che ringrazio di cuore a nome mio personale e di tutti i convenuti; - merito dei brillanti Relatori: Dott. Santiago Castella Dott. Pedro Alvarez De Lazaro Avv. Sergio Ciannella Dott. Javier Otaola Dott.ssa Anna Giacomini Dott. Joan Francesc Pont - merito anche di tutti Sorelle e Fratelli qui convenuti. Ma è anche testimonianza di un immutato desiderio d’incontrarsi, di conoscersi e di riconoscersi nelle medesime aspirazioni ed anche speranze di trovare un umano conforto nella preoccupante oscurità delle nubi che avvolgono l’inizio di questo millennio. Questa Unione – libera Associazione di Liberi pensatori - ha rifiutato strutture e burocrazie a vantaggio di un più aperto e informale sistema di aggregazione. Niente Gerarchie, né Presidenti. Nel massimo rispetto della Sovranità di ogni Rispettabile Obbedienza aderente, il coordinamento vuole avere un senso; deve occuparsi di verificare continuamente la tenuta del Sodalizio e la stessa permanenza delle ragioni che ne hanno determinato la nascita. Si tratta in altre parole di fare il punto, volgendosi a guardare il percorso compiuto per capire quanto di buono e di utile si è fatto finora, osservando il contesto in cui ci si muove per confrontarsi principalmente con le due componenti del nostro ambiente: quella massonica e quella profana, scrutando l’orizzonte per individuare la meta e studiare la rotta più conveniente. Ma anche consultarci per capire quanto di differente registriamo fra le divergenze esistenti nello stesso istituto Iniziatico Universale: lo schema dogmatico e lo schema Liberale, appunto del Mediterraneo. Ma andiamo con ordine! Siamo al quinto incontro programmato; è, pertanto anche tempo di consuntivi. Cominciamo a scrivere la nostra storia! Cominciamo a registrare quanto fatto e programmare il futuro più immediato. P.27: Tramonto sul mare, Paolo Del Freo, 1990, coll. priv. p.28: panchina del Parco Güell, 1990/1914, A.Gaudì, Barcellona; p.29: Teatro romano, Tarragona. 29 30 iusto un anno fa i rappresentanti dell’Unione Massonica del Mediterraneo erano riuniti a Beirut per discutere sul Mediterraneo visto come punto d’incontro fra Oriente ed Occidente e per valutare quale contributo possa fornire la Libera Muratoria all’avvicinamento delle due Civiltà. Come sempre, i Lavori si svolgevano in quel clima fraterno che rasserena gli spiriti, offrivano quegli elevati contributi che gratificano l’anima e arricchiscono la mente, si conclu- calice amaro va bevuto fino in fondo prima che si possa intravedere una rinascita nel segno della pace, dell’amore, del benessere. Altri più pessimisti ci prospettano un futuro apocalittico, senza speranza. Ad esempio scriveva Kafka che l’evoluzione umana è solo una crescita della potenza di morte. Quelli che, come i Liberi Muratori, si sentono parte integrante ed attiva dell’Umanità, non si lasciano prendere dallo sconforto e tuttavia si domandano, oggi più che mai, quale sia il loro ruolo nella società e cosa possano fare per contribuire alla nascita di un Mondo migliore. In altri termini, quale Sarebbe invero riduttivo limitare il concetto di tolleranza al semplice sopportare, al non reagire a qualcosa che produce fastidio. Nelle relazioni umane la tolleranza deve essere un comportamento attivo che si esprime anche e soprattutto nel superamento dell’indifferenza verso gli altri, in uno sforzo di comprensione di uno stato diverso dal nostro, di una idea opposta alle nostre convinzioni che va a molestare le nostre pigrizie mentali. A parole quasi tutti si dichiarano tolleranti, intolleranti sono sempre gli altri, ma a ben pensarci sono pochi coloro che riescono a vincere realmente devano nella speranza di un futuro migliore. Quell’augurio purtroppo non è stato efficace. In un anno sono accaduti fatti sconvolgenti che mente umana non poteva concepire nemmeno dopo la tragica esperienza dell’11 settembre 2002, quando venivano abbattute due torri simbolo di New York e della Civiltà Occidentale e con esse venivano stroncate le vite di migliaia esseri umani inconsapevoli ed innocenti. L’ombra del terrore ha oscurato il Pianeta Terra falciando con furore cieco vite umane, senza distinzione e rispetto per nessuno, nemmeno per bambini, veri martiri di questo inizio di Millennio. Tutto questo non nasce a caso, è conseguenza di gravi squilibri mondiali, ma è inaccettabile, la ragione lo rifiuta. Cosa sta accadendo? Questo è l’interrogativo che angoscia tutti quelli che finora hanno creduto nella capacità di perfezionamento della specie umana e nel progresso delle generazioni future. I Maestri indiani ci diranno che si sta compiendo il Kaly Yuga, l’Era più oscura per l’Umanità, e che questo efficacia può avere oggi – contro la logica spietata della violenza e della sopraffazione – la metodologia massonica del perfezionamento morale? Quale ascolto l’elogio della virtù? Quale efficacia il messaggio di solidarietà umana? Oggi è veramente difficile parlare di un’etica della tolleranza, ma le idee tradotte in parole sono messaggeri alati che cercano consenso nell’intimo delle coscienze e, quando lo trovano, si trasformano in piccole luci che né ignoranza né violenza sono capaci di spegnere. E’ quindi nella speranza di accendere qualcosa che mi accingo ad esporre qualche idea sul difficile tema che si propone di legare, in un processo virtuoso, cultura e morale e Tradizione Mediterranea. La mia riflessione parte dal presupposto che l’unica medicina contro la grave malattia che attualmente affligge il Mondo sia la tolleranza. Principio questo particolarmente caro ai Massoni che ne fanno una bandiera, uno stile di vita, dandovi un significato però alquanto diverso da quello che viene comunemente dato. odi, antipatie, pregiudizi e che sono disposti ad uscire dalla propria sfera intima, privatissima, protetta e autogratificata, per offrirsi alla invadenza di presenze estranee. Eppure bisogna compiere questo sforzo di avvicinamento agli altri perché questa è l’unica via che porta – come in un percorso a tappe progressive – al rispetto, alla conoscenza, alla comprensione, alla condivisione, alla solidarietà. All’origine di ogni divisione, di ogni conflitto vi è intolleranza intesa come rifiuto di coltivare le ragioni che uniscono e di imporre invece ad altri la propria verità. L’essere posseduti da una idea, da una fede che da la convinzione assoluta della verità annienta ogni possibilità di comprensione e scava solchi profondi. Ora, sostenere la necessità di un’etica della tolleranza, cioè di uno stile di vita – oserei dire massonico – basato cioè sullo sforzo di considerare con animo sgombro da pregiudizi tutto ciò che è diverso da noi, estraneo, ostile e di predisporsi favorevolmente all’apprezzamento e alla revisione delle proprie certezze, non 31 significa fare della morale a buon mercato, bensì proporre l’unico rimedio alla incomunicabilità, male principale dei nostri tempi. Occorre considerare al riguardo che all’origine della crisi attuale vi è il ridimensionamento di due cardini fondamentali della civiltà occidentale: il mito dell’onnipotenza della ragione e il mito del progresso garantito. Nella realtà c’è sempre una incognita, la vera razionalità lo ha scoperto ed ha così preso coscienza dei suoi limiti ed inefficienze. E quando l’uomo moderno si è accorto che questi limiti erano presenti in ogni campo – scientifico, morale, religioso – è crollata la sua superbia ed ha finalmente realizzato di essere parte di una comunità planetaria, cittadino di un Mondo che deve vivere “globalmente” e condividere con i compagni di viaggio terreno, dovunque si trovino, perché nessuna riserva esclusiva gli è concessa, nessuna possibilità di isolarsi dal resto, da ciò che è fuori di lui.Allora se questa è la condizione ineludibile dell’uomo moderno il suo futuro non lascia dubbi, deve essere caratterizzato dallo sviluppo di una coscienza morale fondata sul riconoscimento della interconnessione tra individuo, specie umana e società, che reclama solidarietà e che mira alla realizzazione di una comunità planetaria. Si dirà che non 32 è facile battere con la sola morale la barbarie dell’era moderna, fatta di fanatismo che procura morte e di razionalità che ignora l’essere umano. Ma l’etica della tolleranza non è velleità perchè non pretende di imporsi come modello di comportamento, non è inutilità perché non propone di rassegnarsi alla violenza fisica e morale. E’ semplicemente un metodo operativo che sfrutta la più potente leva del progresso umano: la cultura, processo di apprendimento che forma, trasforma e realizza l’essere umano nella conoscenza e nell’affezione a ciò che ha conosciuto. Se vera cultura è assorbimento di cognizioni intellettuali ed esperienze rielaborate e convertite in elementi costitutivi della personalità, prendere coscienza di sé e del Mondo significa produrre l’antidoto più efficace a qualsiasi forma di egoismo, fanatismo, violenza. Anche sul concetto di cultura bisogna prendere le distanze da una opinione comune che vorrebbe ridurla ad accumulo di nozioni. La cultura utile alla tolleranza è quella che Madame de Staël definiva “ciò che resta dopo aver tutto dimenticato” o quella che secondo il filosofo Benedetto Croce è “accordo di mente e d’animo, circolo vivo di pensiero e di volontà, religione intesa come unità dello spirito umano e sanità e vigoria di tutte le sue forze”, o ancora quella definita da G.B.Vico “una maniera di vivere”. Verum ipsum factum, vero è ciò che si fa. Non è facile oggi trovare questa specie di cultura. I saperi moderni offrono conoscenze per lo più settoriali che non aiutano l’individuo a ritrovare nello spirito di tolleranza se stesso e l’altro di sé. Un apprendimento di questo tipo produce tecnicismo, abilità, ma non contribuisce alla felicità dell’uomo inscindibile da quella degli altri, anzi ne accresce l’orgoglio e la superbia che favorisce l’isolamento.La fede nella tecnologia, mito della modernità, allontana dalla promozione umana. L’Umanità ha smarrito la “retta via”, ovvero la strada che porta alla vera Conoscenza, unica forma adatta a lenire le ferite della società moderna. Ciò si è potuto verificare a causa della perdita di riferimenti generali nei quali ricondurre tutti i saperi umanistici e scientifici. La perdita della visione globale delle cose ha scavato un solco profondo tra le diversità, sempre più lontane ed irraggiungibili e ciò vale per le etnie, le civiltà, le religioni e persino per gli individui con formazioni ed esperienze diverse o semplicemente diversi per sesso, età, aspetto fisico. Di qui il bisogno di dedicarsi ad un’opera colossale di ricucitura. Bisogna trovare a tutti i costi un filo d’Arianna che ci guidi nel labirinto planetario e coscienziale prodotto dall’opera umana negli ultimi secoli. Bisogna cercare una linfa che alimenti e aiuti un nuovo corso, volgere lo sguardo al passato senza rinunziare al presente, riscoprire valori unificanti che hanno sostenuto e premiato le antiche Civiltà favorendo mirabili realizzazioni umane. Per noi, gente mediterranea, sia la Civiltà del Mediterraneo maestra di vita e fonte di saggezza. Un immenso patrimonio sapienziale è ancora lì, fuoco sacro sotto le ceneri dell’antica Grecia e dell’antica Roma, Mondo classico riscoperto nel XV Secolo dai Maestri del Rinascimento italiano, ad indicarci virtù e valori eterni che sembrano dissolversi oggi alla luce artificiale della Modernità. Questa non è nostalgia di un passato che non ritorna, ma consapevole ricerca delle origini, della matrice dell’umana esistenza che ci possa spiegare perché l’uomo va rispettato come cosa sacra, perché il viaggio terreno che egli compie va interpretato come una missione. Ogni essere umano porta in sé alcuni caratteri comuni alla cultura alla quale si è formato e ogni cultura è un capitolo specifico di credenze, idee, valori, miti, che legano una comunità ai suoi antenati, alle sue tradizioni, ai suoi morti. Tante specificità nei costumi dei popoli del Mediterraneo formano un panorama estremamente variegato, ma una trama comune li affratella come figli di una Grande Madre simbolicamente visibile in un Mare particolare come circoscritto tra due braccia, quasi a difendere e custodire qualcosa di prezioso. Ed in realtà un tesoro nascosto esiste, anche se pochi riescono a scoprirlo e ad attingervi: è la conoscenza antica, nota come Scienza Sacra, percezione di realtà metafisiche che hanno ottenuto gli spiriti più illuminati delle Civiltà sviluppatesi intorno al Bacino del Mediterraneo. Profeti, iniziati, sacerdoti, maghi, filosofi, artisti, scienziati, pensatori che hanno fruito della conoscenza degli Archetipi, valori eterni ed immutabili che regolano la natura delle cose materiali ed immateriali, si sono trasmessi per via iniziatica saperi che sarebbe stato impossibile divulgare e li hanno consegnati alla posterità nascosti in miti, religioni, culti, leggende, simboli. Un mondo non apparente e non storicizzato, una religione madre di tutte le religioni, un sacro che incute timore, ma anche desiderio di conoscenza e di elevazione. Questo è il filo che lega tutte le Civiltà del Mediterraneo, antiche e moderne, ad una Tradizione unica e che ci fa sentire eredi di un patrimonio sapienziale sempre disponibile, capace di risvegliare nel buio che oggi ci pervade bagliori di virtù umane micidiali per il seme della discordia e della distruzione. Esiste un mito tratto dalla memoria collettiva della poesia e della cultura classica, vera allegoria del sapere umano. E’ il mito di Arcadia, luogo leggendario nel cuore della Grecia, popolato da pastori dall’animo semplice e nobile, sereni, benevoli, religiosi, dediti alla poesia ed immersi in un’aura di Amore che li avvolge, li protegge, li ispira. In questa terra felice scorre il maggior fiume del Peloponneso, chiamato Alfeo, che giunto alla sua foce si inabissa e continua a scorrere sotto il mare senza mescolarsi all’acqua salata, fin quando non raggiunge la Sicilia e nei pressi di Siracusa si unisce alle acque della fonte Aretusa. Al di là delle ricche significazioni simboliche che se ne possono trarre, il mito racconta in maniera abbastanza esplicita che una società ideale improntata al sacro, il massimo cui può aspirare la natura umana, è sopravvissuta al centro di una civiltà che ha assorbito le conoscenze più antiche dal Nord Africa e dal Medio Oriente, ed ora le consegna per una via segreta, sotterranea, che viaggia significativamente da Est ad Ovest perché si perpetui l’antica Tradizione. La trasmissione è avvenuta realmente quando la civiltà greca, erede diretta delle civiltà indo-iraniche e dell’Antico Egitto ha ceduto il passo a quella romana consegnando il valore più prezioso delle sue conquiste, la religione intesa come esperienza del Sacro. Nella Grecia antica infatti non esisteva una nozione di religione e nemmeno la parola religione; ciò per il semplice motivo che non era concepita una non-religione, il sacro era immanente in tutte le manifestazioni del vivere umano. Il genio romano ha fatto buon uso di questo dono, grazie al quale è riuscito a mettere insieme tutte le civiltà del Mediterraneo. Fin quando ha retto la tolleranza in materia di culti e l’accettazione di qualsiasi divinità venerata dai popoli aggregati sotto le insegna imperiali è stata così conservata una visione unitaria del Cosmo e un accordo tra la Natura e l’uomo. Ma si avvicinava un momento di rottura epocale che tra il IV ed il V Secolo d.C. avrebbe segnato il tramonto del Mondo antico. Si trattava del conflitto finale tra Paganesimo e un Cristianesimo nuovo, alquanto diverso da quello predicato da Gesù di Nazareth, rielaborato sul piano teologico e adattato alle esigenze da una 33 società che viveva tra la crisi della decadenza e la paura delle incursioni barbare. Un confronto-scontro tra la civiltà classica d’impronta mediterranea – se per mediterraneo s’intende il risultato della unificazione culturale operata da Roma – ed un Cristianesimo rivisto dai suoi epigoni e reso potente dalla novità ed attualità del suo messaggio. Senza voler dare giudizi di valore, ma solo per cogliere importanti aspetti che difficilmente si trovano nelle fonti storiche, occorre dire che quell’epoca segna un passaggio dalla unità alla dualità, nel senso che si infrange un equilibrio fondato sui saperi antichi: il centro del Mondo e della civiltà si divide in Oriente ed Occidente, lo spirito viene separato dalla materia, la religione dalla politica, il sacro dal profano. Nel dualismo che annulla la tolleranza ed uccide la pace dei popoli nasce una opposizione tra fede e cultura, sconosciuta nell’antichità, che contrappone il dogma al libero pensiero e getta il seme di uno dei mali peggiori che abbia colpito l’Umanità, la guerra di religione. La contraddizione che tutt’oggi soffre l’Occidente per aver rotto con il passato, è un crescita smisurata del progresso scientificotecnologico e quindi del benessere materiale 34 che non è andato di pari passo con il progresso morale e spirituale dell’individuo. Il sacro si è così allontanato dal sociale e ne è divenuto nemico o, tutt’al più, si è ripresentato come superstizione o come impossibile compromesso tra il dominio dello spirito e quello della materia. Riscoprire perciò la religione antica non significa scegliere una ideologia o una Chiesa, ma semplicemente fondare, secondo la felice espressione di Edgar Morin, un monoteismo della ragione ed un politeismo della immaginazione. In questa luce, i comportamenti etici, in primo luogo la tolleranza, non sono altro che disposizioni necessarie a rimuovere dei vincoli. La condizione umana di partenza, oggi, è un disordine centrifugo, conseguenza della dualità e della divisione. La fatica di Ercole alla quale sono chiamati gli uomini di buona volontà è quella di ricostruire un ordine gerarchico di valori che conduca come una scala agli stati superiori dell’essere. E’ pura utopia infatti pensare ad una conoscenza basata sulle cose terrene. Per uscire dal tunnel e della ignoranza e della paura occorre partire dalle causa prime del disagio e tendere ai fini ultimi dei destini umani, dove ci si imbatte inevitabilmente nei nostri simili, nella Famiglia umana. La parola- chiave per aprire le porta di un futuro a dimensione umana è tolleranza. Solo quando sarà raggiunta una coscienza collettiva della necessità di attivare questa virtù si potrà sperare di raggiungere la nuova tappa dell’Umanità che vedrà una mobilitazione contro ingiustizia, violenza, sopraffazione. La tolleranza sarà allora la premessa per realizzare l’ideale di condivisione in un Mondo nuovo come quello favoleggiato da Giordano Bruno nella XXX Clavis Magna, dove concordanza è carità e concordia, perfetta quando l’anima si relaziona ugualmente con uomini e dei, amici e nemici. Perché ad imitazione del G.A.D.U. che fa sorgere il sole sui buoni e sui malvagi, piovere sui giusti e sugli ingiusti, gli uomini dovranno rifuggire la condizione barbara di chi ama amici e prossimi e odia estranei e nemici. Non ci resta che la speranza, ma sperare col cuore e non solo con la mente non è vana esercitazione teorica, è dare alle proprie idee una forma che esiste e permane come messaggero del nuovo che verrà. P.30: Cattedrale, Tarragona, XIII sec. p. 31: Carta nautica del mediterraneo, XVII sec. Firenze; P.32: Cattedrale, Tarragona, (part.); p.33: Medaglione, Parco Güell, 1990/1914, A.Gaudì, Barcellona; p.34: Mediterraneo, Paolo Del Freo, 1989, coll. priv. I simboli della tradizione mediterranea come fondamento di una coscienza collettiva l “metalinguaggio” dei simboli Le molte culture che nel corso dei secoli si affacciarono sul bacino del Mediterraneo dettero vita a lingue autonome, ma non è difficile osservare come in esse circoli, quale vena sotterranea, la propensione ad utilizzare anche i simboli, in qualità di complementi espressivi. Potremmo definire questo tipo di comunicazione come un “metalinguaggio” che appartiene alla storia dell’uomo primitivo, prima ancora che gli alfabeti e la scrittura entrassero a far parte delle acquisizioni umane. Pertanto nello studio di tale prezioso serbatoio si può riscoprire il più remoto prodotto delle nostre antiche civiltà. Alcuni di questi simboli primordiali persero, nello scorrere del tempo, il loro significato più autentico, ma molti di essi si trasmisero di generazione in generazione. Quali sono le cause di questa naturale selezione per la quale alcuni di essi si perpetuarono nella storia ed altri furono dimenticati? Alcune ipotesi di risposta Certi gruppi etnici estrassero i propri alfabeti dall’ancestrale patrimonio grafico, altri mantennero al segno il suo valore di rappresentazione di un’idea, rappresentazione sintetica e leggibile indipendentemente dall’alfabetizzazione individuale. In molti casi, con il passare a forme più evolute di Anna Giacomini vita, le mutate condizioni resero insufficiente quel patrimonio, che venne ripetuto per rispetto degli antenati ma piegato a nuovi significati religiosi, ad esempio a quelli cristiani. Tutto ciò non avvenne sempre in modo incontrollato, poiché alcuni studiosi dell’età di mezzo lo teorizzarono. Si basavano sull’afferazione di Paolo Videmus nunc per speculum et in enigmate contenuta nella II Lettera ai Corinzi, che tanta importanza ebbe nella cultura medievale e con Guillaume Durand de Mende accettarono la tesi che “molte delle verità che noi non vediamo sono nascoste nell’ombra” (Guillaume Durand de Mende, Il Razionale, a cura di R.Compagnari, Roma 1999, p.10 35 e segg.) intendendo così che le verità spesso sono celate nel mistero di un segno. Indipendentemente dalla cultura di ciascuno il simbolo può comunicare valori basilari conoscibili a dispetto delle differenze di parlata che caratterizzano le varie etnie. Tra i popoli antichi il mito rappresentava l’ambito nel quale il simbolo acquisiva valenze originali, oggi la cultura globale è il circuito nel quale il simbolo stesso sembra offrire garanzia per la conservazione del patrimonio tradizionale. Ma quali sono i segni grafici sui quali possiamo incentrare una siffatta ricerca filologica? Dove possiamo rilevare questi glifi per avere la certezza di significati profondi e di autenticità storica? La storia Qui è opportuno effettuare una digressione. La maggior parte delle espressioni figurative 36 dell’antichità veniva affidata all’edificio sacro ed era configurata per la trasmissione del sacro. Negli antichi santuari precristiani, laddove le fortunate scoperte archeologiche hanno potuto avere il sopravvento sulle devastazioni operate dai secoli, si può constatare che i pellegrini che vi affluivano, spesso lasciavano espressioni grafiche della loro presenza, incidendo sulle pareti degli ambienti sacri, nomi, invocazioni o semplici segni. Questi ritrovamenti, che certificano delle origini di una consuetudine destinata a perpetuarsi nel tempo, non sono rari e possono suggerire un uso abituale. Con lo scorrere dei secoli, in tempi successivi, cattedrali, cappelle, chiese di campagna o monumentali abbazie divennero per una folla di uomini, oggi polvere nella polvere, i luoghi dove incidere il segno di un pas- saggio, di una devozione o di un credo, così come i loro predecessori avevano fatto. Nella volontà di marcare con un’impronta perenne il loro transito, i viaggiatori alla ricerca di Dio, sulle rotte di Santiago de Compostela, verso la tomba dell’Apostolo Pietro o del sepolcro di Cristo in Oltremare, scolpivano un’incisione sulle pietre, materia forte ed incorruttibile. Appare degno di nota osservare che, nel Medioevo, la scelta del soggetto di un graffito non cadeva su nomi o su date, come in tempi più recenti, ma su segni elementari o lettere alfabetiche. Qualcuno potrà dire: “certo è logico, nel Medioevo pochi sapevano scrivere”. Ma, se questo è vero, come si spiegano certi simboli perfetti, incisi con mano ferma e con gusto di sintesi? Forse sarebbe più giusto pensare che si trattasse della scelta di un linguaggio astratto, al di fuori di quello parlato, per pensieri profondi e conoscenze teologiche, con aspirazione di universalità. Un metalinguaggio dello spirito. Raimondo Lullo, dottore illuminato Che questo desiderio di formulare concetti superiori attraverso segni sovralinguistici, destinati a trasmettere pensiero puro, fosse un’esigenza dell’uomo alla ricerca della liberazione spirituale, lo dimostra la vita e l’opera di un grande catalano. Fu un mistico, ma anche un filosofo di formazione internazionale, cavaliere e pensatore, poeta e dottore, nonché, se vogliamo dar credito alla leggenda, alchimista. Parlo di Raimondo Lullo, gloria di queste terre (Maiorca, 1232 ca-1316). Nel De vita coetanea egli stesso ci parla della natura del suo sapere derivato da una visione nella quale gli erano state rivelate quelle verità e quelle forme di pensiero alle quali restò sempre fedele. Non mi voglio addentrare in questioni filosofiche, ma desidero ricordare come in una sua opera, Ars compendiosa inveniendi veritatem, assai probabilmente frutto di quella primaria rivelazione, Lullo prospetta un sistema geometrico combinatorio per esprimere la verità profonda, ed altrimenti inesprimibile, dei concetti teologici: dunque, in sostanza, l’uso di simboli geometrici per descrivere il divino. La sua attenzione verso la trasmissione del sapere e la conoscenza di idiomi diversi lo portò ad auspicare la diffusione di scuole dove insegnare lingue e cultura orientali, con lo scopo di favorire l’azione missionaria formando una classe di studiosi capaci di confutare l’imperante averroismo. Si conferma così l’interesse del “dottore illuminato” per un sistema di espressione sovralinguistico che travalicasse le barriere dei linguaggi. Nella figura di Raimondo Lullo ritroviamo uno dei maggiori eruditi europei, un personaggio di emblematico riferimento per quel periodo che con efficace sintesi fu definito “autunno del Medioevo” (cfr. J.Huizinga, L’autunno del Medioevo). Universalità del simbolo La cultura medievale era permeata della credenza che il simbolo potesse esprimere meglio delle parole, concetti di superiore verità. Ma di certo, questo tipo di comunicazione, come abbiamo visto, offriva il vantaggio di superare le chiusure dei singoli linguaggi, oltre che, nella perfetta astrazione delle figure geometriche, poter narrare di Dio, del cammino verso l’Altissimo e delle sue conseguenze psicologiche e sociali. Quando, pervasi dal desiderio di purgare la propria anima e di ottenere l’indulgenza dai peccati, uomini e donne di ogni condizione si univano in gruppi animati da un unico pensiero, essi intraprendevano il viaggio purificatorio. Vestiti di una corta mantella, la pellegrina, armati di fede e di bordone si incamminavano verso le mete della cristianità, pronti a viaggiare per lunghi mesi esponendosi ad ogni pericolo, freddo, fame, malattie, briganti ed animali feroci. Questi costituivano i rischi calcolati, simboli delle cadute più abiette nelle quali l’anima poteva incorrere cercando Dio. Ma dal momento in cui l’individuo decideva di abbandonare le comodità domestiche, mutava il rapporto con il proprio egoismo. Da uno stato di preoccupazione volta esclusivamente al proprio benessere, quei penitenti si trasformavano in creature ansiose di conoscere l’Inconoscibile, di raggiungerlo e di fondersi in Lui. In altre parole cercando il sacro si trasformavano in uomini universali, quasi in appartenenti ad un vero e proprio Ordine. Il pellegrinaggio rivelava la sua essenza di esperienza iniziatica, così ognuno di essi, nelle varie tappe, lasciava un simbolo della sua ricerca. Il segno dell’uomo universale Oggi quei segni sono ancora leggibili sulle pareti degli edifici di culto medievali, nei luoghi dove i viandanti, pregavano, compivano i riti di una religiosità arcaica, si ricoveravano per la notte ed attendevano che la luce dell’alba si riversasse sulle sacre icone. Uno dei glifi più frequenti, rilevati sui conci di pietra di quelle antiche costruzioni, è una croce impostata al vertice di un triangolo o sulla sommità di un segmento curvilineo (cfr. R.Guénon, Il simbolismo della Croce). Il simbolo della croce, di antichissima origine precristiana, rappresenta il corpo umano, stilizzato fino alla cristal- lizzazione in un incrocio di due segmenti. Molti sono gli autori che sostengono questa tesi: da Onorio d’Autun (O.d’Autun, Specchio del Mondo, XII sec.) fino al già citato Guillaume Durand de Mende (G.Durand de Mende, op.cit, p31). Il significato del triangolo è quello di vertice, ossia di luogo sommo. In buona sostanza raffigura il massimo delle altezze spirituali raggiungibili nell’iter umano, corrisponde alla montagna Qaf dell’Islam, cui non si accede né per mare né per terra (R. Guénon, Il Re del Mondo, Milano 1994) o al Betilo biblico, “casa di Dio” (Gen. 28,17), “porta dei cieli” (Ap.4,1) luogo privilegiato, o come lo definisce, nel Commento al Cantico dei Cantici, Gregorio di Nissa (IV sec.) “la montagna della conoscenza mistica”. L’insieme della croce con il triangolo mostrerebbe dunque l’uomo che, spogliato della materia, ridotto alla sua vera eterna essenza, raggiunge la vetta più alta dei diversi stati dell’essere (cfr. R.Guénon, Gli stati molteplici dell’essere). Bernardo di Chiaravalle XII 37 sec. si chiedeva: “Chi salirà la montagna del Signore?”, lasciando intendere che la salita non era per tutti. L’inizio era l’ego, la fine, lo sbocco nell’universale. Il simbolo oggi L’uomo contemporaneo sta vivendo il fenomeno della globalizzazione ed alcuni affrontano l’esperienza pervasi da “timore e tremore” intuendo in essa un grave pericolo. In effetti sorge a buon diritto il sospetto che, a causa di questo fenomeno trasversale, si possano azzerare le peculiarità culturali delle diverse etnìe per raggiungere una sorta di confuso sincretismo nel quale si rischia di perdere ogni antica identificazione storico-culturale. Senza voler fare della sociologia si comprende che l’allarme non è remoto. Atteggiamenti, mode, proposte, hamburgers ideologici sono in agguato e di certo si presentano vincitori nell’attacco alle categorie meno protette da filtri razionali. L’umanità si avvia verso un’omologazione assai minacciosa. Il millenario concetto dell’universalità proposto dalla via iniziatica potrebbe invece contrapporsi al taglio orizzontale della globalizzazione con un programma di evoluzione verticale, che salverebbe le identità dei singoli e delle etnìe. Posto che l’antico simbolo dell’uomo 38 universale ci indichi che la méta sia il vertice di quella montagna, tanto bene indagata da M. Madeleine Davy (cfr. M.M.Davy, La montagna e il suo simbolismo), dunque di un difficile percorso in salita ed individuale - sottolineando individuale - ci accorgiamo quanto la massoneria offra il giusto antidoto con una via alternativa per un nuovo umanesimo. L’arrampicata verso la vetta, dove si troverà la condizione universale, può sostenersi usando i simboli della Tradizione come appigli e come indicazioni di percorso. Seguendo il concetto di universalità Assumendo il concetto di universalità come garanzia per la salvezza delle nostre culture, ne discende che quanto lo differenzia dal concetto di globalizzazione è la singolarità dell’esperienza consumata nell’interiorità degli individui. Si pone perciò come il contrario della globalizzazione, che si presenta invece come un assalto, proveniente dall’esterno, di usi e forme di pensiero estranee e che vanno più o meno direttamente a sostituire le strutture culturali antiche ed autoctone, quelle originali. In cima alla montagna Abbiamo dunque visto che, secondo schemi iconografici delle più varie provenienze, gli antichi, quando descrivevano la presa di coscienza della propria maturazione si raffiguravano al colmo di una vetta. Superato l’iter sempre più esclusivo mostravano al mondo ed ai posteri di aver raggiunto un punto, l’omphalos, il luogo di congiunzione tra cielo e terra, la soglia sublime, che non è concesso varcare se rivestiti dalla materia. Lo sguardo lanciato da quel punto verso remoti orizzonti, non era più quello di un uomo tremante per le difficoltà che la sua natura gli contrapponeva, ma di colui che aveva sconfitto la paura della morte ed era ormai assurto agli stati più alti dell’essere. Sophia era la sua compagna ricongiunta, l’illuminazione il suo modo di conoscere, la giustizia il suo agire. Quel piccolo graffito, che mani ignote incisero a migliaia di esemplari sui paramenti murari degli edifici sacri dei paesi mediterranei, legati tra loro da quel ricamo di linee complesse ed annodate, che sono i millenari percorsi dei pellegrini verso i luoghi santi delle religioni monoteiste, è il simbolo di una unità di ricerca, che, nei tempi in cui la “religione era la poesia” (F.Pessoa, Scritti esoterici), costituiva lo scopo primario della vita di molti. Attualmente ci si presenta come un’indicazione della Tradizione sulla quale costruire i nostri singoli sistemi di pensiero per salvaguardare le nostre minacciate identità. Il ruolo della Massoneria La massoneria, ponendosi oggi come la via laica e tradizionale per raggiungere la condizione di iniziato, ossia lo stato dell’essere universale, offre a coloro che vi approdano un mezzo tutto occidentale, sorprendentemente attuale nonostante la sua antichità e correttivo dell’appiattimento prodotto dalla trionfante globalizzazione. Porge una sorta di “cartina al tornasole” per individuare e successivamente rifiutare gli hamburgers ideologici che la civiltà contemporanea propina quotidianamente a getto continuo. Nei simboli, che sono rimasti per molti enigmatici e muti interlocutori, uomini e donne liberi e di buoni costumi possono trovare i segnali, diremmo i documenti che attestano antichissimi percorsi spirituali, modelli di una ricerca millenaria effettuata dall’uomo per scoprire il suo posto nell’universo e dunque per divenire egli stesso homo universalis. [Ci permettiamo di rimandare per ulteriori approfondimenti a: A.Giacomini, Il libro dei segni sulle pietre, Carmagnola 2001]. P.35: SATOR; p.36: Viandante seduto, I sec. d.C., Uffizi, Firenze; p.37 sin.: Filetto, incisione su pietra; p.37 dx.: SATOR, graffito su intonaco, Pompei; p.38: Chinon, graffiti su pietra; p.39: Tarsia marmorea del pavimento del duomo di Siena, XII sec. (part.) [per le illustrazioni alle pagg. 35, 37, 38 e 39 si rimanda alle pubblicazioni della dott.ssa A.Giacomini]. 39 46 lla nostra fantasia si affacciano immagini pittoresche quando cerchiamo di immaginare in quale modo si svolgessero le elezioni del Gran Maestro nell’Ordine Templare. Come da una nebulosa dissolvenza si vanno configurando i bianchi mantelli fluttuanti, le croci rosse della divisa, poste sugli omeri di uomini robusti, dalle lunghe barbe e dai capelli cortissimi, mentre la luce calda e vibrante delle molte candele illumina la volta di una sala, sorretta da nervature di pietra. Si formano immagini sempre più Splendidamente armato, per il proprio spostamento aveva quattro cavalli, un purosangue turcomanno oggetto di attente cure, ed era assistito da un sergente e da un valletto di nobile lignaggio. Aveva la facoltà di consacrare cavaliere chiunque secondo il suo giudizio ne fosse meritevole per il servizio prestato ed era servito da un maniscalco personale, due fanti, un cuoco ed un turcopolo. Le funzioni religiose gli venivano garantite da un cappellano ed un chierico. Per i rapporti con il mondo islamico, aveva tra i suoi più stretti collaboratori un segretario saraceno, una sorta di interprete o portavoce ante litteram. Ogni spostamento chiare: quel consesso di uomini si muove, qualcuno parla più forte, gli altri ascoltano, si dividono in gruppi, c’è chi esce e chi resta, si intuisce una regia complessa di forte suggestione, quasi una liturgia. Ed in verità la sequenza delle operazioni elettorali era una liturgia. Tutto avveniva in “nome di Dio” e mentre i vari gruppi eseguivano i compiti statuiti di loro competenza, l’assemblea dei fratelli astanti pregava intensamente perché l’illuminazione dello Spirito Santo guidasse tutto il rito. Il Gran Maestro Il Gran Maestro dell’Ordine Templare era una sorta di monarca con diritti feudali. del Gran Maestro metteva in moto un contingente di cavalieri tra i più valorosi dell’Ordine, che costituivano il suo corteggio e la sua scorta. Ma nonostante tanto apparato i suoi poteri in materia finanziaria erano limitati. Era pure limitata la sua facoltà di nomina dei commendatori per i diversi regni (l’Ordine, si ricorda, era internazionale) che doveva avvenire con il consenso del Capitolo. Ma, qualora il nominato si fosse reso indegno della carica, il Gran Maestro poteva rimuoverlo senza interferenze. Altre due prerogative facevano del Gran Maestro un personaggio unico nell’universo cavalleresco medievale ed erano Come fu eletto l’ultimo GranMaestro templare Jacques de Molay iamo nell’anno 1292. Il gran Maestro dell’Ordine templare Thibaud Gaudin muore il 16 aprile. Già il 20 aprile in un documento Jacques de Molay si firma “per grazia di Dio umile maestro della Povera Cavalleria del Tempio”. Tra il 16 ed il 20 aprile corrono solo 4 giorni. Vista la complicazione della procedura elettorale e le distanze allora difficilmente percorribili in tanto poco tempo, stupisce che così in breve si fosse diffusa la notizia del decesso e quindi fosse stato possibile svolgere tutto il complesso di operazioni relativo all’elezione del nuovo Gran Maestro. Ma tant’è. A Cipro dunque convenne nel Capitolo generale tutto il corpo elettorale del Tempio. Dopo le operazioni di voto, che si suppone si siano svolte secondo i modi descritti, la maggioranza aveva espresso la sua preferenza per la carismatica figura di Hugues de Payraud. Questi era un alto dignitario sostenuto dai cavalieri di Alvernia e Limousin ed assai probabilmente gli veniva riconosciuta un’altissima autorità morale. Sappiamo che come visitatore di Francia aveva sotto di sé circa tremila commanderies, alla carica corrispondeva quindi un notevole potere. La decisione dei tredici non era però gradita a De Molay che con un gesto tempestivo si autoimpose il mantello eleggendosi da solo con un atto rituale che non poteva più essere revocato. Come siano andate veramente le cose non è dato saperlo. Fatto sta che Payraud rimase probabilmente la massima autorità morale per i cavalieri templari, mentre il gesto di De Molay fu tollerato, ma forse non completamente accettato da molta parte dei confratelli. Verrebbe facile notare come l’irregolarità dell’elezione abbia avuto in seguito, dalla storia, un corrispettivo di dolore e di morte. [Per approfondire ci permettiamo di segnalare: A.Giacomini, Chinon l’estremo messaggio templare, Bari 2004]. 47 il possesso del sigillo dell’Ordine e quello di un cospicuo tesoro personale, che egli gestiva in prima persona, senza dover rendere conto al Capitolo. La Regola La Regola (I Templari, la Regola e gli Statuti dell’Ordine, a cura di J.V.Molle, Genova 1995) da cui si evincono queste informazioni elenca molti altri privilegi e qualità della carica, formulando una casistica minuziosa delle circostanze nelle quali era possibile derogare dalla precettistica generale. Tutto ciò ci permette di comprendere meglio lo spirito di quelle leggi e di concludere che tutto l’insieme degli Statuti, divisi in molti articoli, ci descrive una particolarissima istituzione. Se le molte preghiere prescritte e il forte senso morale che pervade il testo è caratteristico di una comunità 48 monastica, la maggior parte dei paragrafi si presenta come l’impalcatura giuridica della ferrea disciplina di un Ordine cavalleresco internazionale in cui obbedienza e sobrietà costituivano i valori primari. Il siniscalco e il maresciallo Il Gran Maestro nelle sue responsabilità non era solo, ma aveva due coadiutori. Accanto a lui, per farne le veci e sostituirlo in certe circostanze, vi era il siniscalco, ossia quel cavaliere che godeva del privilegio di portare lo stendardo bicolore, il Baussant. Proprio per questo in guerra era circondato da una scorta numerosa. L’altro era il maresciallo cui spettava di dare ordini e schierare i fratelli in battaglia, egli era il coordinatore dei commendatori comandanti dei singoli squadroni. I Commendatori, poi, erano molti ed ogni provincia ne aveva uno. La carica di Gran Maestro era a vita La condizione di allerta dovuta al perenne stato di guerra in cui i templari si trovarono durante il loro periodo di stanza in Outremer, rendeva precaria ogni postazione, qualunque disposizione poteva essere revocata e contraddetta improvvisamente. L’obbedienza veloce agli ordini, che non potevano essere discussi, era una condizione necessaria per la funzionalità dell’istituzione. Ma proprio questa condizione di guerra continua rendeva pericolosa la vita dei cavalieri-monaci e del loro capo, che partecipava personalmente alle battaglie. Molti Gran Maestri infatti perirono durante disperate quanto audaci operazioni militari. Doveva dunque essere messo a punto un sistema che garantisse alla comunità una continuità di governo. Così, alla morte del Gran Maestro, il maresciallo prendeva immediatamente il suo posto fino alla nomina di un Gran Commendatore che ricoprisse provvisoriamente la somma carica. Tutto si svolge a Gerusalemme Poi scattava il dispositivo elettorale. Il teatro della sacra rappresentazione è Gerusalemme, la sede dell’Ordine, dove giungono da tutte le province i Commendatori con i loro cavalieri più valorosi. Tutti i fratelli convenuti eleggono un Gran Commendatore con funzioni di Gran Maestro, ed a lui viene affidato il sigillo. Da questo momento inizia una singolare danza rituale. Il Gran Commendatore forma un comitato composto dal maresciallo, da tre commendatori e da pochi fratelli in fama di saggezza con lo scopo di decidere il giorno dell’elezione. Ripartono tutti per le loro sedi dove indicono un periodo di preghiera e prescrivono il digiuno per tre venerdì consecutivi. Nella data decisa si riunisce a Gerusalemme il corpo elettorale, formato da tutti i commendatori con delegazioni di cavalieri valorosi provenienti da tutti i baliati. Prima giornata Giunto il primo giorno del periodo elettorale il Gran Commendatore, dopo le preghiere del mattino, riunisce alcuni fratelli maggiorenti, quindi si scelgono tre o più cavalieri ed a loro viene ordinato di uscire dalla sala capitolare. Tra questi si procede alla votazione del Commendatore dell’elezione (alias presidente della commissione) nella persona di un templare noto per rettitudine, conoscenza delle regole, amore di Dio e della giustizia, benaccetto da tutti. A lui viene affiancato un altro cavaliere come compagno. Seguirà una notte di preghiera e di veglia, che precederà le operazioni elettorali e che sarà trascorsa nella cappella in consultazioni, in pie implorazioni rivolte allo Spirito Santo, in sacre funzioni, fino a che non spunti il sole. Seconda giornata Al suono della campana i monaci-cavalieri si riuniscono nella sala del Capitolo dove si dà luogo ad un altro momento di preghiera collettiva: tutti i bianchi mantelli inginocchiati sulla pietra del pavimento recitano il pater noster. Da questo momento il commendatore dell’elezione ed il suo compagno sono pronti per scegliere quei fratelli assennati e devoti a Domineddio, che dovranno aiutarli nel loro ufficio. Il gruppo dei prescelti esce dalla sala. La danza prosegue all’esterno, si presuppone nella cappella. I due, il Commendatore e il suo cavaliere, eleggeranno altri due fratelli e così saranno quattro, e i quattro fratelli ne scelgono altri due ciascuno, così diventano otto e così via fino al numero di dodici. I 12 eleggeranno il cappellano che, come Cristo, sarà il tredicesimo. In tutto dovranno essere otto cavalieri, quattro sergenti e il sacerdote, tutti di nazionalità diverse. Essi rientrano nella sala del capitolo. Il Gran Commendatore comanda una preghiera in prosternazione rivolta al Signore e a tutti i santi. Quindi, tra i bianchi mantelli accovacciati sull’impiantito, i tredici si rialzano e dinnanzi all’intero capitolo vengono ammoniti dal Gran Commendatore con le parole: “Vi scongiuriamo – in nome di Dio e della Vergine Maria e di San Pietro e di tutti i santi e le sante di Dio e per conto di questo capitolo, in virtù dell’obbedienza, a rischio di perdere la grazia di Dio e di doverne dar conto nel giorno del Giudizio, se non fate il vostro dovere in questa elezione – di eleggere colui che vi sembrerà più degno e utile e rappresentativo per tutti i fratelli e per la casa e per la Terrasanta, e che goda della miglior reputazione.” Nel ritiro segreto, l’elezione Ora i tredici sono pronti per il momento cruciale, escono dalla sala e si ritirano in luogo appartato dove nel nome della Trinità, discuteranno tra loro. Il Maestro del Tempio deve essere scelto tra tutti i fratelli cavalieri nella più assoluta concordia, mentre il capitolo intero tenuto completamente all’oscuro di quanto sta accadendo fra i tredici, delle proposte e delle obiezioni, prega perché tutto avvenga per il bene dell’Ordine. Decisa la nuova Guida gli elettori ritorneranno nella sala capitolare dove il Gran Commendatore porrà alcune domande di rito sul lavoro svolto ed a lui stesso verrà formulata varie volte la richiesta di assoluta fedeltà se prescelto. La consacrazione Solo ora il commendatore dell’elezione si rivolge all’eletto, lo chiama per nome e gli comunica: “Fratello, in nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, ti abbiamo eletto e ti eleggiamo Maestro”. Cantando il Te Deum Laudamus, tutti i convenuti lo sollevano in trionfo e, sulle braccia, lo portano nella cappella dove lo presentano a Dio. Davanti all’altare colui che è divenuto primus inter pares si inginocchia, si consacra e con un canto liturgico responsoriale termina la giornata. Il silenzio La parte degli Statuti dedicata all’elezione del Gran Maestro si conclude con la raccomandazione del silenzio, quel silenzio che era, allora come oggi, garanzia di maturo senso di responsabilità e di dignità. Art. 223 Tutte le cose dette dai fratelli elettori devono rimanere segrete e nascoste come il capitolo; poiché ne potrebbe sorgere grande scandalo e grande odio, se a chiunque fosse consentito di ripetere le parole dette ed esposte. P.46: L’Elezione, china ed acquerello su carta, L.Scarfò, 2005, coll. priv.; p.47: Elsa di spada rinascimentale, XV sec. Museo Castello Sforzesco, Milano; p.48: Elsa di spada medievale, XIV sec. Museé Patrignon, Brest; p.49: Scettro, Museé Patrignon, Brest. 49 54 Teramo quell’alba del 29 dicembre 1777 doveva essere algida come è sempre l’inverno ai piedi del Gran Sasso, così che il risveglio di Luigi Maria Pirelli, vescovo della Città avrà richiesto, come al solito, tutti i conforti del caso: dal braciere fumante posto nella sacra alcova al caffé e ‘cioccolatta’ calda premurosamente poggiati accanto al letto. Eppure, nonostante tutto la giornata si annunciò di quelle peggiori. In città, dal popolo basso alle case palaziate dei maggiorenti, ormai non si parlava d’altro: tre ore prima che facesse giorno, sei monache, con una loro serva non professa, se ne erano scappate dal convento di clausura di San Matteo e “recando innanzi la Croce” si erano rifugiate nella vicina chiesa di Sant’Anna dove, intanto, stavano anch’esse rifocillandosi intorno ad un braciere con caffè e ‘cioccolatta’, prontamente forniti da Donna Cassandra Mazzocchi, napoletana, imparentata colla famiglia Delfico, Don Melchiorre Delfico, il signor Alessio Tullj ed altri signori. Si istruisce l’indagine Monsignor Pirelli corse subito prima al Convento di San Matteo per sentire come erano andati i fatti, che poi era almeno in apparenza una bega di donne o se si vuole di monache in lite tra loro, poi alla Chiesa di Sant’Anna per riportare alla ragione le fuggitive che però si mostrarono irremovibili nelle loro posizioni. Irritato più che mai, e in specie con suor Maria Raffaele Cornacchia e suor Maria Emanuele Thaulero, “le più audaci e temerarie e capaci di ogni strepitosa escandescenza nei criminosi disturbi ed eccessi” e per di più parenti strette dei capi di quella “setta di miscredenti” che imperversava a Teramo, Pirelli era convinto anzi arciconvinto -del resto la persecuzione ai settari era da tempo un suo pallino fisso - che proprio a questi si dovessero far risalire le ragioni di un simile gesto. Da mesi, se non da anni infatti, non potendole legittimamente proibire mal tollerava certe frequenti visite alla grata con le suddette monache di Melchiorre, Gianfilippo e Giamberardino Delfico, di Alessio Tullj, di Giambattista Mezzucelli, di Vincenzo Comi, di Francesco Pradowski ed altri, “i quali da soli o all’interno della Società patriottica non trascuravano occasione per farsi sostenitori di riforme in materia economica, politica, culturale ed ecclesiastica”. L’iniqua setta In una parola essi erano i capi di quella “scellerata ed iniqua setta che teneva scuole di eresia e proposizioni contrarie alle verità della Santa Fede e Religione cattolica, nonché di bestemmie ereticali con aver disseminato senza velo e ritegno alcuno gli errori più pestiferi che mai dalli iniqui eresiarchi furono divulgati, con aver anche avuto lo spirito infernale di negare l’esistenza di Dio, negar li sacramenti, e specialmente quello dell’Eucaristia, l’immortalità dell’Anima, il Purgatorio ed insomma tutto il sacro e venerando, con le maldicenze le più diaboliche, che facevano orrore, contro la venuta del Figlio di Dio ad umanarsi e contro la sua Santa Resurrezione, asserendosi che Maria Santissima era una puttana chiamata Sira, che era stata ingravidata da un reo di delitti chiamato Nabur e che il nato Bambino Gesù Cristo Signor Nostro era un muletto ed un assassino, per qual motivo era stato crocifisso e che il glorioso S. Giuseppe era un ruffiano e cose simili.” Di questo e di che altro avrebbero potuto parlare, tanto assiduamente, quei signori con le loro parenti monache a San Matteo e soprattutto quell’ immorale e seduttore di Melchiorre Delfico che nel 1774 aveva fatto dare alle stampe un’ operetta dal titolo Saggio filosofico sul matrimonio, che era statasubito proibita dalla sacra Congregazione dell’Indice “come piena di errori, opera veramente degna di tanto autore, sebbene il suo nome non vi comparisse, perché, disprezzando egli il sesto precetto del Decalogo, per le sensualità nelle quali era immerso, peggior parto dalla sua penna non poteva uscire.”? La ribellione E le monache dovevano ben stare ad ascoltarli e far buon apprendimento di tanti e tali sovversivi precetti, se Suor Maria Raffaele Cornacchia, ad esempio, quando il Vescovo le aveva vietato di farsi insegnare a suonare il cembalo da una persona estra- 55 nea al convento, che ogni giorno si presentava sulla porta della clausura, lo aveva accusato presso il re, il quale, con somma prudenza, non aveva che potuto confermare il divieto del prelato. Secondo il Pirelli, questo “esito infelice” del suo ricorso a Napoli, aveva indotto la stessa ad “armarsi a fuggire” e l’aveva spinta ad unirsi alla zia suor Maria Emanuele Thaulero, la quale era anche zia carnale di Giambernardino Thaulero, nel “sentimento di uscire dalla clausura”. La relazione inviata al Papa e alla Regia Udienza non si limitava ad esporre i fatti e ad ipotizzare umori e stati d’animo delle monache, ma conteneva anche un preciso atto di accusa contro coloro che, ad avviso dell’autore, avevano spinto le fuggitive a ridursi al gesto estremo di rompere la clausura. Costoro erano Melchiorre Delfico e Giambernardino Delfico, nonché i fratelli Don Alessio e Don Francesco Saverio Tullj, Don Giambernardino Thaulero, Don Andrea Sardella, in una parola tutti quei “signori che prestarono man forte alle dette religiose”. La reclusione Avviate le indagini scattarono subito gli arresti. Per intanto furono carcerati il fattore delle monache e il garzone, che "avevano aperto senza opporre resistenza alcuna la porta del monastero”, mentre Donna Cassandra fuggiva “di notte colle torce al vento, riparando in Atri, dov’era Don Giambernardino Delfico, suo genero, marito della defunta sua figlia Catarina e governatore di quello Stato Allodiale” seguita a ruota da Don Melchiorre che si nascose in Sant’Agostino della Zecca a Napoli, “rimanendovi per lungo tempo latitante, senza che si riuscisse mai a trovarlo”. Non persero tempo nemmeno gli altri, poiché per tutti con un “real dispaccio” il re aveva ordinato la massima severità “affinché fossero carcerati al Castello dell’Aquila, giacché non sono sicure quelle di codesta udienza, né quelle di Civitella o di Pescara”, impartendo, parimente, ordini al Castellano di Civitella del Tronto, per mezzo della Real Segreteria di Guerra, che si man- 56 dassero a disposizione di quel Tribunale “dieci soldati militari, giacché i laici contro dei quali si deve inquirire sono potenti e facoltosi”. Né alla reclusione sfuggirono le monache ribelli che furono “trasportate con la forza e ben custodite” in altri conventi. A Suor Maria Raffaele toccò quello di Campli e a suor Maria Emanuele quello di Civitella del Tronto. Accertamenti prudenti Il re, infine si raccomandò che si accertasse nelle “debite forme” se dell’accaduto fos- sero state realmente complici la badessa e la vicaria, e che si punissero “secondo le leggi e con prudenza” quegli ecclesiastici in qualche modo responsabili. L’azione giudiziaria contro gli imputati andò per le lunghe fino a quando il 17 giugno 1780 il governo napoletano, in occasione della “fausta circostanza” rappresentata dalla nascita di un figlio del re, decise di por termine, una volta per tutte, al caso, ordinando anche che le monache fossero ricondotte nel convento di San Matteo, cosa che le due sdegnosamente rifiutarono, arrivando a dichiarare anzi di non preoccuparsi di dannarsi e di “andare nel fuoco morendo anche se questo fosse stato eterno” e continuando altresì, come dice il cronista, a prediligere i colloqui alla grata, ancor più segreti e misteriosi, con quei loro parenti “settari e miscredenti” e a coltivare con loro idee e sentimenti “iniqui e perniciosi”. Le riforme La città del resto, forse per reazione all’aver avuto per secoli un vescovo-principe, autorizzato ad amministrare la giustizia civile e religiosa, privilegio simbolicamente rappresentato dalla “messa armata” ovvero celebrata con la spada e il pastorale branditi dinnanzi all’altare, nella seconda metà del secolo diciottesimo fu il centro abruzzese nel quale le idee riformatrici ebbero maggiore diffusione. Attorno ai fratelli Delfico (Melchiorre, Giambernardino e Gianfilippo) i quali, sin dal loro ritorno in città dalla capitale, si erano impegnati nella diffusione delle idee genovesiane, operava un consistente gruppo di intellettuali liberali. Le vicende napoletane dell’inizio degli anni Novanta (formazione di club giacobini sotto l’aspetto di logge massoniche, con programmi repubblicani; scoperta della congiura; processo agli accusati, condanna a morte ed esecuzione dei suoi capi) generarono una stagione politica di sospetti generalizzati, nella quale un ruolo tutt’altro che trascurabile giocarono le delazioni e le accuse. Al riguardo scriveva Melchiorre Delfico “Io non mi andiedi cercando libri per dispormi a scrivere; guardai il matrimonio come uno stato di felicità e di virtù, ed avendo veduto in effetto che vi erano delle congiunzioni felici, ne cercai le ragioni, che trovai nella costituzione stessa della specie umana. Non mi spaventai né del gran quadro di corruzione che mi si poteva opporre, né della tanto vantata teoria che in amore non vi sia altro di buono che il Fisico. Credetti mostrar la perversità di tale idea che ci mette a livello con i bruti e dimostrai che, se il piacere ha la sua base nelle sensazioni fisiche, la Felicità ch’è propria dell’uomo consiste nel sublimarsi le sensazioni al punto da produrre i senti- menti morali, che possono avere quella durata che può fare la felicità e far nascere i rapporti della virtù. Che l’amore nello stato coniugale diviene un sentimento virtuoso e così può far nascere i corrispondenti affetti di famiglia e dare origine a tutte le morali affezioni che sostengono e quasi formano lo Stato sociale. Mi parve quindi di definire il Matrimonio in questi termini: l’espressione legittima dell’amore. Non solo vi sostenni la causa del costume contro gli errori della galanteria, ma feci vedere quali erano i mezzi atti a far nascere la virtù e a conservarla fra le pene e nelle perpetue abitudini coniugali. Risposi alla grande opposizione di fatti, del gran nu- mero dei matrimoni felici, facendo vedere che la comune o frequente infelicità nasceva dagli ingiusti pregiudizi dell’orgoglio, delle cattive leggi e della peggiore educazione. Ed infine sostenni, credo con buone ragioni, la necessaria perpetuità del matrimonio contro i falsi argomenti dei libertini e dei promotori del divorzio. Così, lungi dall’offendere la morale, io ne fui il predicatore anche a rischio del ridicolo che mi avrebbero dato i viziosi e i malvagi”. Belle parole, senza dubbio, ma intese e forse comprese da pochi, mentre l’orgogliosa fermezza di suor Maria Raffaele e suor Maria Emanuele che, solo dopo molti preghi e blandizie, si risolsero a ritornare in convento, colpì molto la fantasia della gente di Teramo sempre più convinta che persino le monache di San Matteo coltivassero le nuove idee libertarie e anticlericali del circolo Delfico e che, in una parola, il parlatorio del Convento fosse né più né meno che una Loggia massonica. (La storia è tratta dai documenti della Regia Udienza, conservati presso l’Archivio di Stato di Teramo). P.54: Ritratto di monaca, fine XIX sec., coll. priv.; p.55: L'estasi di Santa Caterina da Siena, P.G.Batoni, XIX sec., Pinacoteca, Lucca; p.56: La Castità fra la Lussuria e la Vanità, affresco, XIII sec., castello di Masnago, Varese; p.57: Ritratto di monaca (part.), fine XIX sec., coll. priv. 57 Il nefasto 13 ottobre: “La Massoneria, la Storia, gli Uomini, le Idee”, un libro destinato a fare giustizia. ’è una data che, nella storia delle istituzioni “scomode”, scavalca i secoli e si impone alla memoria come un sarcastico refrain: il 13 ottobre. 1307, 13 ottobre, prima mattina. I Templari avvolti nei loro bianchi mantelli stanno assistendo alle prime funzioni di una giornata che sembra essere una delle tante nella vita delle commanderies di Francia. Ma le cose prendono un indirizzo diverso. All’improvviso, quella mattina, in tutto il regno di Filippo il Bello, manipoli di armati irrompono nelle sedi dell’Ordine, come sincronizzati da un’occulta regia e mettono agli arresti tutti i monaci-cavalieri che vi si trovano. Dignitari e serventi, preti e soldati, tutti seguono la medesima sorte e da quel momento inizia una tragica vicenda di processi, di torture e di roghi. Quella che la storia ancora dibatte ed ormai, compresi i ‘perché’, indica come esecrabile pogrom. 1993, 13 ottobre, prima mattina. 66 I toscani che passano dall’edicola si trovano davanti agli occhi un quotidiano con un policromo allegato, che attira subito la curiosità anche di coloro che non comprano quel giornale abitualmente. La testata è l’Unità e l’allegato consiste in un opuscolo intitolato La Toscana delle Logge. In esso, nome per nome, è pubblicato un lungo elenco di presunti massoni completamente all’oscuro di quanto sta accadendo alle loro persone. Anche in questo caso personaggi eccellenti ed oscuri professionisti, intellettuali ed uomini d’economia, vivi o morti sono accomunati nell’accusa di appartenere alla massoneria, già da tempo “accostata in modo ambiguo...ad episodi di intrallazzi a fatti di mafia delittuosi e di associazioni segrete” (atto di citazione del 10-12-1993). Comincia un nuovo pogrom. Le conseguenze di tale iniziativa editoriale furono pesanti per molti che, vera o falsa che fosse la loro appartenenza, si trovarono vittime di un presto diffuso clima di caccia alle streghe, in molti casi alimentato dalla calunnia e da un’oscura passione per la maldicenza, usata come arma di distruzione e contrabbandata per esercizio del diritto d’informazione. Seguì una vicenda giudiziaria promossa da alcuni (numerosi) massoni della Gran Loggia D’Italia coinvolti, che firmarono la citazione in giudizio dell’Unità S.p.A. La macchina della giustizia si mosse e seguì il suo iter, finché nel 1996 le due parti raggiunsero un atto di transazione condiviso. Patrocinati dall’avvocato Felice Vaccaro i massoni toscani citanti accettarono che l’Unità facesse comporre ed editare a sue spese “un’opera illustrativa dell’istituzione massonica, di carattere scientifico e divulgativo in numero di copie tale da soddisfare il fine transattivo, tenuto conto della diffusione dell’opuscolo contestato...” (Dall’atto di transazione. Sta in Paolo Blasi, Introduzione al libro in oggetto). Nelle librerie oggi si trova esposta una nuova opera dal titolo La Massoneria - la storia, gli uomini, le idee, stampata nella collana degli Oscar Mondadori, in cui attraverso otto contributi di illustri storici si ripercorre la storia dell’istituzione e del pensiero di cui è portatrice. Officinae, in ogni suo prossimo numero, vaglierà ciascuno di questi saggi ed offrirà così una lettura autenticamente massonica di quanto gli estensori hanno demandato al volume. Per concessione di Luigi Pruneti iniziamo con la pubblicazione integrale della sua Premessa.. Correva il ’93 da: La Massoneria la storia, gli uomini, le idee, Milano 2004, pp.XIII-XV, Luigi Pruneti embrava una fine estate come molte altre, il cielo terso, il sole vigoroso e le spiagge ancora affollate, nei fine settimana, parevano voler procrastinare il rito delle vacanze che per i più era ormai un ricordo. Noi massoni, però, stavamo vivendo uno dei periodi più grigi della nostra storia recente. La bufera era nell’aria da molto. I primi venti si erano levati quando la procura di Palmi aveva aperto un’inchiesta “di inusuale ampiezza”. Ai sequestri e alle perquisizioni era seguita una campagna stampa, tambureggiante e pittoresca. Alla Massoneria veniva attribuita ogni sorta di nefandezza: dal traffico di rifiuti tossici al commercio di armi, dai collegamenti con la mafia alla vendita di uranio. Soloni ufficiali e improvvisati censori stigmatizzavano la “setta” e la sua vocazione affaristica, sentenziando sull’inquietante segreto latomistico. In taluni casi lo scoop serviva, poi, per “ungere” di massone qualche uomo politico inviso. IL turbine vero e proprio, comunque si alzò quando il quotidiano “l’Unità” iniziò a pubblicare, comunione per comunione, loggia per loggia, il nome e le generalità di tutti i massoni fiorentini. Nessuno fu risparmiato, anche i morti furono risvegliati dal loro sonno eterno per comparire sulle colonne del giornale. Le liste erano accompagnate da articoli che mettevano in risalto la pericolosità della “setta”. Altri organi di stampa non vollero essere da meno de “l’Unità” e ne seguirono l’esempio, mentre altri ancora dichiararono la loro insoddisfazione perché non apparivano nomi di personaggi eccellenti ma solo quelli di comuni cittadini. Vissi quei giorni incredulo e frastornato, come se all’improvviso fossi precipitato in un incubo. Purtroppo era tutto vero e alla pubblicazione degli elenchi seguì puntuale e strisciante, un’ordinaria discriminazione: Ogni giorno mi pervenivano notizie in tal senso. La nostra sede regionale era divenuta un caposaldo ove giungevano continui bollettini di guerra: in una città erano stati affissi cartelloni infamanti, in un’altra lugubri dazebao ponevano alla gogna alcuni iscritti; vi era chi rischiava il posto di lavoro, chi era oggetto di apprezzamenti poco simpatici, mentre i volontari della Misericordia erano espulsi, perchè conclamati massoni. Cercammo di replicare con comunicati, manifesti, conferenze, ma la nostra voce era un gemito nell’imperversare del tifone. Provammo anche a pubblicare, a pagamento, una mezza pagina su un quotidiano, ma la nostra inserzione fu rifiutata. Iniziarono allora le battaglie legali, seguite da nuove polemiche da parte di chi, invocando la facoltà d’informare, negava il diritto alla riservatezza di centinaia e centinaia di cittadini. Finalmente, dopo l’agone, si giunse a un accordo i cui termini sono spiegati nell’introduzione alla presente opera. Questa soluzione fu accolta con reciproca soddisfazione giacché ricon- duceva il contenzioso sul piano del dialogo. Le “guerre” lasciano dietro di loro solo lutti e rovine; il colloquio, lo spiegarsi, la reciproca conoscenza, anche se non elimina le divergenze, consente un confronto dialettico dal quale tutti traggono beneficio. Certo, la pubblicazione di un testo sulla Massoneria non cancella il danno che l’Istituzione e i suoi iscritti ebbero in quel periodo ma, sicuramente, servirà a farla meglio conoscere, e già questo è un risultato non indifferente. Se, infatti, nel ’93, vi furono manovre strumentali, la generalizzata “caccia alle streghe” trovò un fertile terreno nella disinformazione e nei miti negativi che da sempre aleggiano sulla Libera Muratoria: Far cono- scere significa vincere il pregiudizio, sfatare i luoghi comuni che da tempo si sono sedimentati nella mentalità collettiva e, probabilmente, questa raccolta di saggio, nata da un atto di buona volontà, sarà un contributo non indifferente al ripristino di una verità storica che molti ignorano. Da allora sono passati diversi anni e tante cose sono cambiate: la stessa giurisprudenza, con la legge sulla privacy, garantisce ormai un diritto sacrosanto. La celebre inchiesta della procura di Palmi, che tanto infiammò gli animi si è conclusa con un decreto di archiviazione nel quale si legge: “Da uno sguardo d’insieme al ponderoso materiale acquisito...si può trarre la certezza che è stata compiuta...una massiccia e generalizzata attività di perquisizione e di sequestro e che le iniziali dichiarazioni del notaio Petro Marapodi...certamente non consentivano, quanto meno a livello nazionale. Da questi racconti a contenuto generalissimo, ma conformi all’immaginario collettivo, il p.m. di Palmi ha tratto lo spunto per acquisire una massa enorme di dati...che poi è stata informatizzata e che costituisce una vera e propria banca dati sulla cui utilizzazione è fondato avanzare dubbi di legittimità...In questo procedimento, infatti, l’art.330 del C.P.P. è stato interpretato come potere del P.M. e della polizia giudiziaria, di acquisire notizie e non, come si dovrebbe, notizie di reato.” Ciò che da allora non è mutata è, sicuramente, la Comunione massonica della Gran Loggia D’Italia, Obbedienza di Piazza del Gesù, Palazzo Vitelleschi che oggi, come ieri, è un’associazione specchiata di uomini e donne che desiderano, attraverso una particolare metodologia, migliorarsi e così facendo offrire un contributo più adeguato alla società. Per far questo, l’associazione ogni anno organizza numerosi convegni aperti a tutti, pubblica periodici e libri, interviene e parla con chiunque desideri un colloquio. Le sue sedi, sparse in tutta la Penisola, sono accessibili a chi abbia, senza reconditi fini, il desiderio di visitarle. Il celebre “segreto massonico”, che ha dato la stura a mille illazioni, altro non è che il simbolo della lenta, difficile maturazione che ciascun Libero Muratore cerca di realizzare in sé stesso. L’unico aspetto, per taluni versi misterioso, rimane, dunque, solo l’acredine che alcuni conservano nei confronti della Massoneria e che, periodicamente, nel nostro Paese, porta a pogrom che mal si spiegano in uno Stato di diritto. 67 La Foresta Incantata del “Fratello” Calvino a cura di Paola Forneris e Loretta Marchi, De Ferrari & Devega, Genova, 2004, pp. 150 l 12 gennaio 1979 Italo Calvino e suo fratello Floriano - docente all’Università di Genova - donarono al Comune di San Remo le carte del padre, Mario (Sanremo, 1875 -1951), e della madre, Eva Mameli (Sassari,1886 -Sanremo 1878); trattati, monografie, opuscoli, riviste di botanica, floricoltura, giardinaggio” col vincolo che la città “tenesse viva la memoria dei due illustri scienziati”. Da quell’ humus un quarto di secolo è sbocciato un primo fiore, fortemente voluto da Esther Singer Calvino: Il giardino segreto dei Calvino, coordinato da Paola Forneris e Loretta Marchi con l’egida del Comune di San Remo (ed. De Ferrari & Devega, Genova). Il padre del celebre scrittore - vi si legge - “nacque in una villetta seminascosta tra olivi e Pheonix canariensis, abbellita da uno dei pochi giardini di allora con oleandri, pelargoni e ortensie, affiancata dall’immancabile vigna e dall’agrumeto”. Lo stesso Italo ne scrisse nelle memorabili pagine La strada di San Giovanni. Lì era anche l’albero di falso pepe che gli suggerì l’invenzione del Barone rampante, quel Cosimo Piovasco di Rondò che nel saggio su Tomaso Borea d’Olmo, barone dell’Impero Luca Fucini ha identificato con l’antico maire di San Remo in età napoleonica: abilissimo nel destreggiarsi fra le alterne fortune di San Remo tra crollo dell’antico regime e modernizzazione napoleonica, massone pronto a ospitare papa Pio VII nel suo palazzo. Dal padre, GioBernardo, massone e mazziniano, soprannominato l’Italianissimo, Mario assorbì la passione per la floricoltura. Direttore della Cattedra ambulante di agricoltura, fondatore della rivista L’agricoltura ligure, Mario intuì che il Ponente poteva divenire il giardino incantato del Mediterraneo. Cerniera di transiti, la città di San Remo sarebbe divenuta l’oasi di chi era in cerca dell’equilibrio fra pace interiore e paesaggio: un vero paradiso terrestre, ideato e giorno per giorno migliorato dalla scienza. Sposata Eva Mameli, a sua volta ricercatrice di valore, dopo aver dato vita e molteplici istituzioni per lo sviluppo scientifico ed economico il 31 dicembre 1908 Mario salpò per il Messico, chiamato dal governo di quel Paese a imprimere una svolta nell’agricoltura. 68 Vide la rivoluzione di Pancho Villa contro Porfirio Diaz. Nello Yucatan si offrì volontario per difendere la popolazione. Nel 1917, quando tutto stava crollando, partì per Cuba, ove assunse la direzione della Stazione agronomica sperimentale di Santiago de Las Vegas. E fu lì che il 15 ottobre 1923 nacque Italo. Due anni dopo i Calvino tornarono a San Remo. Mario assunse la direzione della Stazione sperimentale di floricoltura istituita col lascito del deputato socialista e massone Orazio Raimondo, nipote di Giuseppe Biancheri, onnipotente parlamentare di Ventimiglia. Lavorò sodo. Sognò di fare del Ponente Ligure il bosco alcinesco, denso di esotismo e di esoterismo, di cui scrisse il figlio nel Barone rampante. Libereso Guglielmi narra che nel giardino di Villa Meridiana mise a coltura “alberi maestosi che producevano (annualmente) più di quattromila frutti simili a piccole pere, del peso alcuni di 300/400 grammi”: gli avocado. Per una svolta vera la scienza non bastava. Occorrevano risorse culturali finanziarie. Nessuno gliene mise a disposizione. Un amico al quale già dal Messico Mario mandò semi di Persea drymifolia più resistenti al freddo fece della California il maggior produttore mondiale di avocado. Nella Riviera di Ponente invece tutto è andato perduto. Come scrive Luca Fucini, i Calvino GioBernardo e suo fratello GioBatta, suo figlio Mario – furono animati dai principi all’epoca coltivati nelle logge massoniche: autoeducazione per far progredire le grandi masse, con insegnamento e senso del dovere. Contemplando i simboli iniziatici incisi sulla porta e dipinti sulla volta della villa sanremasca anche Italo apprese a essere “uomo libero”, come nel 1957 scrisse nella sofferta ma ferma lettera di congedo dal partito comunista italiano. Con le sue opere continuò l’opera paterna: “So che più spesso parlerò al vento. Ma anche le piante affidano al vento i loro semi, supremo scopo della loro vita. Non tutti i semi saranno dispersi, basta che uno solo trovi un ambiente propizio per assicurare e moltiplicare la specie”. Se l’Italia avesse creduto di più in quel messaggio oggi sarebbe meno affannata. Conterebbe su un’agricoltura di avanguardia e su un turismo di alta qualità, su scienza ed educazione. Ma non è mai tardi per riprendere “la strada di San Giovanni”. Aldo A.Mola P.69: Santiago de las Vegas, Cuba, 1925: si raccolgono i frutti dell’Avocado (anonimo). 69 La Toscana dei Misteri Luigi Pruneti, Edizione “Le Lettere” ’ignoto è tutto, il noto è nulla”. G. Costa “Il soprannaturale non fa più parte dell’anima umana: è evaporato come svapora un profumo quando una bottiglia resta senza tappo (…) Tra vent’anni la paura del non-reale non esisterà più”. Così scriveva Maupassant nel 1883, mostrando le sue dubbie doti profetiche, smentite non solo dai fiumi d’inchiostro che si sono continuati a versare, dopo la sua dipartita, sul tema del fantastico e dell’insolito, ma anche dall’inarrestabile interesse per tali argomenti, riscontrabile persino nell’epoca attuale, in cui persiste - nonostante il radicato scientismo razionalista - l’insopprimibile richiamo del mistero. In realtà, l’autore di Bel Ami conosceva perfettamente i consigli dell’inquilino nero che alberga nell’Io più intimo, del dispensatore occulto di “quel terrore confuso del soprannaturale che suggestiona l’uomo da quando esiste il mondo” (Guy de Maupassant, Le Fantastique, su Le Gaulois, 7 ottobre 1883), del dàimon, saggio e terribile, che ci sprona a ricercare una sottile traccia di senso lungo il percorso esistenziale, “comme à travers un nébuleux dont le sense nous éschappe sans cesse” (Come attraverso una nebulosa di cui ci sfugge in continuazione il significato, Maupassant, La Peur). Il confronto con l’ignoto, infatti, esprime un’esigenza squisitamente umana, che si conserva immutata nel tempo attraverso le fiabe e le leggende tramandate dalle più antiche tradizioni, in cui la realtà rivela i suoi diversi livelli, popolandosi di figure inquietanti, che assumono, di volta in volta, le fattezze di streghe, orchi, licantropi e vampiri. E’ proprio questo mondo ‘parallelo’, ‘sotterraneo’, capace di aprire uno spiraglio sulle immense aree sconosciute nelle mappe della nostra conoscenza, ad ispirare La Toscana dei misteri, ultima fatica letteraria di Luigi Pruneti, in cui si propone un insolito itinerario nelle località tosche, tra borghi, fortezze, castelli e antichi campi di battaglia visitati da spettri, alla scoperta dei volti inconsueti di una delle regioni italiane più ricche di storia, arte e tradizione. Del resto, la Toscana sembra aver ereditato il suo lato misterioso dagli Etruschi, maestri ineguagliabili in materia di vaticini e sortilegi, già noti presso i popoli antichi per la loro ars colendi religiones (Livio V, 1). Del nomen etruscum sopravvivono alcuni detti e frasi magiche: è il caso delle antiche divinità trasformate in spiriti o folletti delle campagne. Così si scopre che i contadini, per accattivarsi l’aiuto di queste entità, usavano interpellare, sino ad alcuni decenni fa, i folletti Tinia e Faflon (Fufluns) con parole miste di cristianesimo e pagane- 70 simo. Nelle campagne di San Casciano, per impedire le angherie di un trickster infuriato, si ricorreva ad un’erba chiamata Tigna, un nome forse connesso a quello del dio Tinia, la massima divinità del pantheon etrusco. Per primeggiare nella caccia o nella musica, inoltre, si onorava Aplu, uno spiritello che portava il medesimo nome dell’Apollo dei Tyrsenoi; mentre gli innamorati rivolgevano una sorta di preghiera/incantesimo a Turanna, la probabile erede di Turan, divinità etrusca affine alla greca Aphrodite. Altrettanto rilevante, infine, è l’uso toscano – forse non ancora scomparso - di indicare col nome lara i cani da caccia, presumibilmente in ricordo di Laran, il dio etrusco equivalente al Marte romano, che annoverava i lupi tra gli animali eletti al suo servizio. Secondo un’altra interpretazione, invece, l’uso di questo termine si sarebbe formato sull’antica relazione tra i Lari e i cani di casa, riportata da Ovidio nei Fasti. Esiste, insomma, un’altra Toscana, lontana dagli itinerari convenzionali, di cui il libro di Pruneti rappresenta una valida guida, un vademecum dalla prosa limpida ed incisiva, capace di mostrarci il lato inedito di luoghi e fatti che pensavamo acquisiti. Sfogliando le sue pagine s’incontrano non solo personaggi realmente vissuti che sfumano nella leggenda, come briganti e pirati, ma anche figure bizzarre e mostruose, dalle origini remote, come l’Omo selvatico della Lunigiana e della Garfagnana: una creatura selvaggia e saggia come un Sileno, che vive in caverne o in impenetrabili boschi, chiamata ommo sarvadzo in Valle d’Aosta, omo salvadego in Valtellina, om salvei nel Biellese, molto affine all’inglese Jack in the green, denominato Verde Giorgio dagli Sloveni. La sua presenza in terra toscana è rintracciabile nelle opere di numerosi scrittori locali, che probabilmente s’ispirarono ad una tradizione viva; non a caso, tra i personaggi popolari di Firenze è menzionato Magorte, l’Uomo selvatico. In Lunigiana le tracce di queste creature si confondono spesso con quelle dei giganti, richiamando alla mente un importante centro della vicina Garfagnana, Barga, dove il patrono cittadino è il gigante san Cristoforo. Un altro personaggio che attira la nostra attenzione è Linchetto, definito dall’autore “il più celebre folletto della regione”, spesso confuso con Buffardello, che, a differenza del primo, non sembra derivare dai fauni dell’antichità classica, bensì dalla mitologia dei popoli germanici. I vampiri e i licantropi, al contrario, non sono popolari in Toscana, mentre le streghe, che in qualche modo li sostituiscono, abbondano in ogni favola e leggenda. La loro origine è forse da ricercarsi nella strix dei Romani - di cui parla Ovidio -, un uccello simile al gufo, così chiamato per il suo stridere sinistro nelle tenebre, con artigli da rapace e becco robusto, con cui lacera le tenere carni dei lattanti per succhiarne il sangue: caratteristica che avvicina questi esseri mostruosi ai più recenti vampiri (in russo vampir, dalla radice pi, ‘bere’). Secondo Plinio, le striges erano donne trasformate in rapaci a causa della loro malvagità. Di queste figure magiche parla anche Orazio, il quale nelle Satire (I, 8) descrive le terribili Canidia e Sagana, in una scena che ha sicuramente ispirato Shakespeare nel suo Macbeth. Sembra certo, tuttavia, che la genesi delle streghe medievali rientri in quel processo di demonizzazione degli antichi dei pagani che coinvolse anche il bonario Pan (dal greco paon, ‘colui che pascola’), le cui sembianze finirono col diventare quelle del diavolo, soprattutto dopo un decreto del 1233 contro i sabba, promulgato da papa Gregorio IX. La lettura prosegue poi con la descrizione di castelli e luoghi segnati dall’apparizione di fantasmi, ossia dalla presenza degli oscuri abitatori del piano astrale. Si tratta delle anime inquiete dei defunti, costrette a restare nel sito in cui tragicamente trovarono la morte, le quali, secondo Porfirio, “trascorrono il loro tempo ingannando i mortali, creando illusioni e prodigi”. L’origine di tali credenze è molto antica: secondo i Romani, le anime dei defunti che non raggiungevano la divinizzazione si trasformavano in entità malevole, chiamate Larvae o Lemures, ritenute responsabili di perseguitare i vivi fino a spingerli fuori di senno. Queste figure negative, contrapposte ai benefici Lari, includevano soprattutto le anime dei morti insepolti, o di coloro il cui spirito non si era distaccato dal corpo con l’ultimo respiro, come nel caso degli impiccati. Ad esse erano dedicati i Lemuria: tre giorni di cerimonie propiziatorie per placare gli spiriti vaganti. La psicologia del profondo, dal canto suo, ha interpretato queste apparizioni come un ritorno del rimosso, ravvisando nello spettro una delle manifestazioni dell’Ombra, del volto nascosto dell’anima, del gemello invisibile capace di emergere dalla buia caverna dell’inconscio, portando con sé i nostri sentimenti e desideri proibiti.Di grande interesse, specialmente per gli studiosi della Tradizione, è il capitolo “Luoghi e simboli misteriosi”, in cui si esaminano con notevole nitore gli emblemi iniziatici sparsi per tutta la Toscana: dal ‘sator’ di Campiglia Marittima alla ‘triplice cinta’ di Rocco San Silvestro; dai labirinti della cattedrale di Lucca e di Pontremoli alla ‘spada nella roccia’ sul Monte Siepi. L’impressione che se ne ricava è quella di un libro serio, avvincente e ben strutturato, da cui emerge l’invito a considerare la realtà da angolazioni particolari. Sin dalle prime pagine, infatti, il lettore è posto di fronte al fascino dell’ignoto, inteso come principio d’ogni cammino, come matrice profonda della ‘Cerca’, dell’avventura spirituale che suscita l’amore di sapienza, il germogliare del pensiero e della scrittura. “Tutto ciò che è sconosciuto, è sublime”, diceva giustamente Tacito, alludendo sia all’estrema varietà e complessità del mondo dentro e fuori di noi, sia all’importanza della curiosità, della meraviglia e della ricerca. L’autore, consapevole di ciò, sembra guidarci per mano attraverso luoghi colmi di mistero e prodigi, sussurrando al nostro orecchio interiore le parole di Walter Scott: “Forse comprenderete perché a volte preferisco il crepuscolo dell’illusione alla ferma luce della ragione”.Così, terminato il libro, si scopre, assieme a Georges Duby, che “l’immaginario ha altrettanta realtà del materiale. La traccia di un sogno non è meno reale di quella di un passo o del solco di un aratro nella terra”. Fabrizio Del Re Copia di antefissa con effigie attribuita a Fufluns, terracotta, coll. privata (foto P. Del Freo) 71 Fregi di Loggia R∴L∴Polaris, O∴di Reggio Calabria La stella Polaris segna il Polo Nord celeste e rappresenta quindi, nella storia dell’uomo, il punto di riferimento mediante il quale i popoli dell’emisfero boreale si orientavano. L’estremo settentrione della leggendaria Thule era la terra mitica, culla ancestrale del genere umano. Ma va ricordato anche che l’idea di Polo coincide con quella di centro, luogo dove le energie si coagulano e dove il rapporto tra forze celesti e forze ctonie si verifica. Nel suo ruotare la Terra è fissa solo ai Poli. E’ quindi, il Polo Nord, uno dei due punti di maggior forza del pianeta ed il suo portato simbolico-iniziatico è straordinariamente importante. Sostanzia il luogo del centro intorno al quale si articola verso ogni comunione iniziatica. E la stella Polaris, ben evidenziata nel gioiello di Loggia, ne è la proiezione celeste. R∴L∴Athanor, O∴di Rovigo La forma ovoidale del gioiello si riferisce all’icona dell’Uovo primordiale, simbolo antichissimo che allude alla nascita del mondo. In esso si comprende anche il concetto di punto di arrivo del ciclo vitale dell’universo, il ricongiungersi del maschile con il femminile simboleggiato dalle due parti che compongono l’uovo stesso: albume e tuorlo, come lo yin e lo yang cinesi. In questo caso, il collegamento dell’immagine-uovo con il titolo distintivo della Loggia suggerisce che le diversità dei singoli possono attuare un’armonica comunicazione in una sorta di contenitore alchemico (guscio), nel quale ogni tendenza ed ogni conoscenza si compongono nel principio generatore di vitale armonia. Nell’uovo-athanor si può raggiungere la profonda metamorfosi del ‘particolare’, che, unendosi agli altri ‘particolari’, produce la mutazione nell’universale. R∴L∴Giuseppe Mazzini, O∴di Parma Costituito da una medaglia fusa nel bronzo, il gioiello di Loggia mostra un simbolo assai caro alla Libera Muratoria: due mani che si stringono in gesto di fratellanza e di accordo. Nell’atto sono palesi le reminiscenze dalla rituale dextrarum iunctio con la quale i latini sancivano il contratto matrimoniale ma anche la promessa di fedeltà e di amore. Ripreso successivamente in ambito cristiano, il gesto ancor oggi segnala la solennità del patto cui il giuramento conferisce l’inviolabilità del sacro. Giuramento che si formula sulla squadra e sul compasso intrecciati che occupano lo sfondo dell’iconografia arricchita nel verso da una doppia sfera. Intorno alla coppia si dipana il motto mazziniano “pensiero e azione”, ad indicare come la finalità del lavoro massonico sia da riconoscere in ciò che il libero muratore sa portare fuori dalla porta del Tempio, dopo il lavoro latomistico per migliorare l’umanità di cui è figlio e fratello. Logge già pubblicate R∴L∴Cartesio O∴di Firenze n. 1349 R∴L∴Nino Bixio O∴di Trieste n. 1442 R∴L∴Scaligera O∴di Verona n. 1216 R∴L∴Minerva O∴di Torino n. 1116 R∴L∴ Sile O∴di Treviso n. 1228 R∴L∴ Luigi Spadini O∴di Macerata n. 1413 R∴L∴ Enrico Fermi O∴di Milano n. 1363 R∴L∴ Kipling O∴di Firenze n. 1498 R∴L∴ Iter Virtutis O∴ di Pisa n. 1250 R∴L∴ Venetia O∴di Venezia n. 1187 R∴L∴ La Fenice O∴ di Forlì n. 1392 R∴L∴ Goldoni O∴ di Londra n. 1493 R∴L∴ Horus O∴ di R.Calabria n. 1500 R∴L∴ Pisacane O∴ di Udine n. 1167 R∴L∴ Mozart O∴di Roma n. 1122 R∴L∴ Prometeo O∴di Lecce n. 1507 R∴L∴ Salomone O∴di Catanzaro n. 1455 R∴L∴ Teodorico O∴di Bologna n. 1501 R∴L∴ Fargnoli O∴di Viterbo n. 1203 R∴L∴ Minerva O∴di Cosenza n. 1482 R∴L∴ Federico II O∴di Jesi n. 1164 R∴L∴ Giovanni Pascoli O∴di Forlì n. 1148 R∴L∴ Triplice Alleanza O∴di Roma n. 1495 R∴L∴ Garibaldi O∴di Castiglione n. 1184 R∴L∴ Astrolabio O∴di Grosseto n. 1462 R∴L∴ Augusta O∴di Torino n. 1181 R∴L∴ Voltaire O∴di Torino n. 1485 R∴L∴ Zenith O∴di Cosenza n. 1323 R∴L∴ Audere Semper O∴di Firenze n. 1136 R∴L∴ Justitiam O∴di Lucca n. 1154 R∴L∴ Horus O∴di Pinerolo n. 1284 R∴L∴ Jakin e Boaz O∴di Milano n. 1330 R∴L∴ Petrarca O∴di Abano Terme n. 1511 R∴L∴ Eleuteria O∴di Pietra Ligure n. 1383 R∴L∴ Risorgimento O∴di Milano n. 1227 R∴L∴ Fidelitas O∴di Firenze n. 1296 72 Athanor O∴di Cosenza R∴L∴ n. 1353 n. 1472 R∴L∴ Ermete O∴di Bologna n. 1329 R∴L∴ Monviso O∴di Torino n. 1334 R∴L∴ Cosmo O∴di Albinia n. 1526 R∴L∴ Trilussa O∴di Bordighera R∴L∴ Logos O∴di Milano n. 1450 R∴L∴ Valli di Susa O∴di Susa n. 1486 R∴L∴ Cattaneo O∴di Firenze n. 1375 R∴L∴ Mozart O∴di Genova n. 1477 R∴L∴ Carlo Faiani O∴di Ancona n. 1529 R∴L∴ Aetruria Nova O∴di Versilia n. 1506 R∴L∴ Giordano Bruno O∴di Firenze n. 1209 R∴L∴ Magistri Comacini O∴di Como n. 1452 R∴L∴ Libertà e Progresso O∴di Livorno n. 1308 R∴L∴ Uroborus O∴di Milano n. 1473 R∴L∴ Ugo Bassi O∴di Bologna n. 567 R∴L∴ Ravenna O∴di Ravenna n. 1518 R∴L∴ Hiram O∴di Sanremo n. 1195 R∴L∴ Cavour O∴di Vercelli n. 1239 R∴L∴ Concordia O∴di Asti n. 1447 R∴L∴ Per Aspera ad Astra O∴di Lucca n. 1124 R∴L∴ Dei Trecento O∴di Treviso n. 1364 R∴L∴ La Fenice O∴di Livorno n. 1411 R∴L∴ Aristotele II O∴di Bologna n. 1316 R∴L∴ La Prealpina O∴di Torino n. 1292 R∴L∴ Erasmo O∴di Torino n. 1274 R∴L∴ Hiram O∴di Bologna n. 612 R∴L∴ Garibaldi O∴di Toronto n. 1457 R∴L∴ Sagittario O∴di Prato n. 903 R∴L∴ Giustizia e Libertà O∴di Roma n. 1179 R∴L∴ Le Melagrane O∴di Padova n. 1417 R∴L∴ Luigi Alberotanza O∴di Bari n. 1431 R∴L∴ Antares O∴di Firenze n. 1430 R∴L∴ Cidnea O∴di Brescia n. 1318 R∴L∴ Fratelli Cairoli O∴di Pavia n. 1286 R∴L∴ Nazario Sauro O∴di Piombino n. 582 R∴L∴ Antropos O∴di Forlì n. 1479 R∴L∴ Internazionale O∴di Sanremo n. 1108 R∴L∴ Giordano Bruno O∴di Catanzaro R∴L∴ Federico II O∴di Firenze R∴L∴ Pietro Micca O∴di Torino R∴L∴ Athanor O∴di Brescia R∴L∴ Chevaliers d’Orient O∴di Beirut R∴L∴ Giosuè Carducci O∴di Follonica R∴L∴ Orione O∴di Torino R∴L∴ Atlantide O∴di Pinerolo R∴L∴ Falesia O∴di Piombino R∴L∴ Alma Mater O∴di Arezzo R∴L∴ Cavour O∴di Arezzo R∴L∴ G.Biancheri O∴di Ventimiglia R∴L∴ Sibelius O∴di Vercelli R∴L∴ C.Rosenkreutz O∴di Siena R∴L∴ Virgilio O∴di Mantova R∴L∴ Mozart O∴di Torino R∴L∴ Ausonia O∴di Siena R∴L∴ Vincenzo Sessa O∴di Lecce R∴L∴ Manfredi O∴di Taranto R∴L∴ Cavour O∴di Prato R∴L∴ Liguria O∴di Ospedaletti R∴L∴ S.Friscia O∴di Sciacca R∴L∴ Atanor O∴di Pinerolo R∴L∴ Ulisse O∴di Forlì R∴L∴ 14 juillet O∴di Savona R∴L∴ Pitagora O∴di Cosenza R∴L∴ Alef O∴di Viareggio R∴L∴ Ibis O∴di Torino R∴L∴ Melagrana O∴di Torino R∴L∴ Aurora O∴di Genova R∴L∴ Silentium... O∴di Val Bormida R∴L∴ Polaris O∴di Reggio Calabria R∴L∴ Athanor O∴di Rovigo R∴L∴ Giuseppe Mazzini O∴di Parma n. n. n. n. D. n. n. n. n. n. n. n. n. n. n. n. n. n. n. n. n. n. n. n. n. n. n. n. n. n. n. n. n. n. 1530 1458 1574 1222 6886 1120 1534 1268 1384 1516 1593 1178 1336 1516 1382 1285 1540 1405 1456 1383 2683 1545 1582 1567 1600 1551 1550 1602 1521 1570 1620 1390 1622 1271 E