I ragni 1 Francesco Di Martino, il Gridas Sulle tracce di Felice Pignataro Marotta&Cafiero editori Questo libro è rilasciato con licenza Creative Commons “Attribuzione Non Commerciale - Non opere derivate 2.0”, consultabile in rete all’indirizzo http://creativecommons.org. Pertanto questo libro è libero e può essere riprodotto e distribuito con ogni mezzo fisico, meccanico o elettronico, a condizione che la riproduzione del testo avvenga integralmente e senza modifiche, ad uso privato e a fini non commerciali. Attribuzione - Non Commerciale - Non opere derivate 2.0 Tu sei libero: • di riprodurre, distribuire, comunicare al pubblico, esporre in pubblico, rappresentare, eseguire o recitare l’opera. Alle seguenti condizioni: Attribuzione. Devi riconoscere il contributo dell’autore originario. Non commerciale. Non puoi usare quest’opera per scopi commerciali. Non opere derivate. Non puoi alterare, trasformare o sviluppare quest’opera. • In occasione di ogni atto di riutilizzazione o distribuzione, devi chiarire agli altri i termini della licenza di quest’opera. • Se ottieni il permesso dal titolare del diritto d’autore, è possibile rinunciare ad ognuna di queste condizioni. ©Marotta & Cafiero editori Via Andrea Pazienza, 25 80144 Napoli www.marottaecafiero.it ISBN 978-88-88234-82-3 Prodotto dal basso grazie a: Produzioni dal basso www.produzionidalbasso.com NOMADICA www.nomadica.eu Tutte le foto sono di Francesco Di Martino. La foto di copertina del DVD “Felice!” e a pag. 80 è di Enzo Longo. L’immagine a pag. 88 è un montaggio realizzato da Gianluca Pinelli. Tutti i murales fotografati sono stati realizzati da Felice Pignataro a Scampia. Quelli della sezione associazioni e della sezione musicisti sono nel centro sociale dove ha sede il GRIDAS. Le foto a pagg. 6 (in alto), 10, 11, 49, 50, 56 e 58 ritraggono dei graffiti in largo Dino Battaglia a Scampia non realizzati da Felice. Progetto grafico e copertina di Luca Pignataro Ringraziamo Amalia Carrieri e Emanuele Vernillo che hanno realizzato il DVD allegato. «Dint’ ‘a munnezza ce stanno ‘e vvitamine.» Una donna di Forcella, un quartiere di Napoli. 4 UN’ALTRA Questa è proprio SCAMPÌA una bella storia, di quelle che ti riscaldano il cuore e ti riempiono gliMartina occhi di colori. di Pignataro È la storia dell’incontro di due persone lontane nel tempo e nello spazio, che si sono riconosciute perché l’uno ha saputo parlare e l’altro ha saputo ascoltare. È la storia dell’incontro fra Felice e Francesco. Felice era uno che aveva scelto di parlare coi suoi colori attraverso i muri delle strade ff ed era su quei muri che raccontava le sue storie, denunciava le sopraffazioni, incitava a svegliarsi, a prendere coscienza e a cercare insieme le soluzioni e la nascita di un mondo in cui non ci fossero più oppressi e oppressori. Le utopie di Felice occhieggiano ancora dai muri delle nostre strade. Forse ora sono un po’ più sbiadite, ma la voce è ancora potente per chi la sa ascoltare. E Francesco ha sentito il richiamo, ha letto la speranza nel segno lasciato da una mano padrona delle forme e dei colori e ha voluto raccontare le sue emozioni e ridare vita a quei girotondi di bambini, a quelle improbabili bande di lavoratori e diseredati chiamati a raccolta per dare voce e senso comune alle loro proteste. E qui comincia la seconda parte di questa storia non meno bella ed emozionante. È successo che appena Francesco e Martina hanno cominciato ad accarezzare il progetto di raccogliere in un libro emozioni ed immagini e ne hanno fatto partecipi gli amici di sempre, intorno ad esso, alla sua ombra o alla sua luce, si è raccolta quella moltitudine che continua a camminare sulle tracce di Felice e ognuno ha voluto aggiungere il suo colore a quel fantastico disegno che si arricchisce ogni giorno di una pennellata, nella lenta ma tenace costruzione dell’Uomo Nuovo. E questo libro ne è il risultato. Mirella 5 6 UN’ALTRA SCAMPÌA di Martina Pignataro A metà novembre 2009 il GRIDAS ha ospitato Francesco Di Martino, giovane fotografo siciliano autore del documentario “U stisso sangu - Storie più a sud di Tunisi”: uno splendido lavoro sugli sbarchi di immigrati sulle coste sud orientali della Sicilia che mette a confronto le opinioni di tutti quelli che dagli sbarchi, nel bene o nel male, sono coinvolti in prima persona, partendo però da un approccio “egualitario” delle varie persone intervistate, persone che hanno lo stesso sangue, da dovunque provengano e comunque la pensino. Il GRIDAS promuove a Scampìa, dal settembre 2003, un cineforum settimanale gratuito nell’intento di aggregare le persone e di promuovere una crescita culturale attorno alla visione collettiva di films che siano significativi e generalmente poco diffusi. Il film di Francesco ci ha interessati subito e la sua disponibilità a venirlo a presentare al cineforum ci ha resi particolarmente felici, così, tra il giro di proiezioni che hanno portato il film e il suo autore in giro per l’Italia, è stata inserita anche la “tappa Scampìa”. Francesco non era mai stato a Napoli, eppure, il giorno successivo alla proiezione, anziché farsi portare al centro di Napoli, mi ha chiesto di fare un giro per Scampìa, il quartiere in cui operiamo, poiché, da persona intelligente qual è, si aspettava che fosse tutt’altro da quanto viene descritto dai mass media. Nel nostro giro, rigorosamente a piedi, ha avuto modo di incontrare persone, scoprire luoghi e realtà associative che riempiono di vita un quartiere che, dall’esterno, sembrerebbe solo una fabbrica di morte. Il nostro giro lo ha entusiasmato e, nei giorni successivi, mi ha scritto cose e impressioni molto belle che ho da subito voluto condividere con gli altri abitanti di Scampìa perché quella che di solito ci torna è un’immagine quasi mai bella del nostro quartiere. Francesco mi ha scritto: «Scampìa mi ha lasciato davvero dei ricordi bellissimi e tutto quello che ho visto con i miei occhi sarà motivo per poter dire che c’è un’ altra Scampìa fatta di persone bellissime, che riescono a valorizzare un quartiere come Scampìa, cercando di tirare fuori la parte migliore!!!». E ancora: «In questi giorni sto rivedendo un po’ di amici, a cui sto raccontando tutte le belle cose che Scampìa e la sua gente mi ha lasciato. Le tracce che ha lasciato Felice, le bellissime persone che mi hanno fatto 7 davvero sentire a casa, e un quartiere che nasconde una ricchezza rara nel contesto in cui si trova, che è fatta di gente che crede davvero che un altro mondo è possibile.... mettendo a tacere tutte quelle operazioni mediatiche che si sono messe in atto negli ultimi anni. Su Scampìa e Napoli.». Per chi di noi lo ha incontrato, rivedere attraverso il suo obiettivo il riflesso delle immagini che quotidianamente ci circondano è stata una riscoperta della vitalità e della coerenza che tuttora persistono a Scampìa, malgrado i tentativi mediatici di ignorarle e negarle. Un’ulteriore conferma che gli incontri siano sempre un arricchimento reciproco così come recarsi di persona nei luoghi e guardare con i propri occhi sia il mezzo più efficace per superare le storture della mala-informazione diffusa. 8 SULLE TRACCE DI FELICE PIGNATARO di Francesco Di Martino Su un muro, in largo Dino Battaglia, importante disegnatore del passato, si affaccia un vistoso graffito che ritrae due grossi palazzi: una parte a colori, l’altra in bianco e nero. Accanto, si vede una bambina con una grande margherita...mi è stato detto che venne realizzato in memoria di un uomo che utilizzava continuamente nei suoi murales girotondi fatti da bambini di tutte le etnie e grossi fiori capaci di farti perdere l’orientamento camminandoci vicino... Sono a Scampia, è il 14 Novembre 2009: davanti a me c’è un vecchio campo di calcio, al momento chiuso perché utilizzato come deposito sotterraneo di rifiuti di ogni tipo, l’appalto era gestito da una azienda che faceva capo ai Casalesi. Qualcuno direbbe, tutto normale tra le vie di Scampia. Ma la mia attenzione cade di nuovo sui tanti graffiti che colorano quest’estesa parete. Chi è l’uomo che a Scampia ha disegnato tanti girotondi di bambini? Quell’uomo si chiamava Felice Pignataro, uno che a Scampia ha lasciato davvero tantissime tracce. Ma chi era Felice? Lo scopro girando Scampia insieme a Martina, figlia di Felice, e al suo piccolo Michele. Suo padre ha dipinto murales, circondato da ragazzi e bambini, allo scopo di dare un volto alle battaglie ed alle iniziative portate avanti con caparbietà. Molte di queste opere iniziano a deteriorarsi perché corrose dalle intemperie o, addirittura, cancellate a causa della loro provocatorietà: allora, grazie alla mia compagna di viaggio, dotata di un efficiente occhio elettronico, cerco di catturare alcune di queste tracce lasciate da Felice. L’idea è semplice, ma al contempo assai difficile da realizzare: riportare un simile materiale sulla nuda carta, e fare in modo, così, che i ricordi di Felice non vadano persi, potendo raggiungere gli occhi di chi a Scampia non metterà mai piede. C’era chi già lavorava affinché questo si verificasse, ma ho comunque sentito il dovere, unito al piacere, di onorare Felice diffondendo la sua arte, i suoi pensieri, le sue 9 10 lotte, perché lui era una voce vera, dotata di molte speranze per una periferia davvero stanca della camorra. La stessa terra che vive con questa pesante etichetta addosso, sfruttata dai media solo in alcuni momenti del tutto infausti, e poi puntualmente ignorata allo sbocciare di reazioni in grado di scuotere le fondamenta marce. Tutti i murales di Felice sono stati realizzati in assenza di compensi economici, ad eccezione di esigui rimborsi spese, immediatamente reinvestiti nella realizzazione di altre iniziative. Sarà lo stesso per questo libro: acquisti ed incassi saranno gestiti da due associazioni di Scampia, allo scopo di autofinanziare le tantissime attività svolte in questa periferia di bambini e girotondi. 11 I MURALES 14 LA CULTURA DELLA PACE 12 aprile - 11 maggio 1999 I Murales all’ITIS “Galileo Ferraris” di Scampìa - Napoli di Felice Pignataro - GRIDAS, maggio 1999 La vicenda dei murales è cominciata con un incontro di conoscenza e progettazione il 12 aprile, con proiezione di diapositive di altri murales del Gridas, allo scopo di chiarire di che cosa si trattasse. Non c’è stata una grande partecipazione di studenti, ma, in compenso, c’erano alcune madri del quartiere, il che incoraggiava nel proposito di integrazione fra scuola e territorio. Si voleva far prendere coscienza ai presenti delle potenzialità della pittura murale e progettare insieme che cosa rappresentare sui muri, i pannelli in muratura fra le vetrate, nel secondo atrio della scuola. Traendo spunto dalla situazione contingente dell’assurda guerra di sterminio in Iugoslavia si è deciso di allargare il discorso alla alternativa fra guerra-inciviltà (i disastri della guerra, come diceva Goya) e l’utopia della pace e, nei pannelli centrali, il meccanismo di trasformazione degli impulsi alla violenza in capacità di cooperazione e costruzione della fratellanza. Si è individuata l’immagine di una tavola rotonda di discussione e progettazione dell’uomo nuovo, attorno a cui siedono i rappresentanti dei popoli del mondo. Il giorno dopo si è messo mano alla pittura. Il numero degli alunni si è ulteriormente assottigliato, in compenso è cresciuto quello degli esterni-madri e figli. Steso un fissativo acrilico sui pannelli murari si è proceduto con la pittura lavabile stesa a pennello. L’uso di pittura e pennelli pare che sia stato alla base dello scarso interesse dei ragazzi perché oggi la tendenza dominante è la realizzazione dei cosiddetti “graffiti” realizzati con le bombolette di pittura a spray. Il discorso svolto sulle pareti a sinistra entrando nell’atrio è una sorta di storia della guerra: l’evoluzione della violenza da quella individuale a quella di massa, dalle armi ar- 15 16 tigianali primitive a quelle ipertecnologiche attuali. Dalla pietra a punta ai missili “intelligenti”, dal corpo a corpo alla guerra a distanza, impersonale, mistificante, menzognera nelle immagini disinfettate della tv che nascondono la realtà di immani massacri. Trovano così posto sul muro le immagini dei protagonisti di questa progressione: dall’antico uomo intento a sfaccettare una selce per renderla tagliente, all’altro che usa la fionda, e poi l’arco e le frecce e poi il fucile, fino ai soldati dei nostri giorni armati di mitra, una figura intermedia fra soldati e robot e l’immagine finale di un improbabile robot pronto a schiacciare il bottone di una macchina mortale che sembra una comune radiolina. Il paesaggio allude alle rovine di un campo di battaglia, sparso di ossa e rottami, da quelle animali a quelle umane, e all’orizzonte si va in progressione da un villaggio preistorico di palafitte ai castelli fortificati alle case distrutte dalle nuove armi impersonali, rovine di case “civili”. È questo un pannello ad angolo di circa sette metri per due di altezza. Il pannello successivo illustra il meccanismo della guerra: un signore in frac e cilindro blu e pantaloni a strisce bianche e rosse (allusione allo zio Sam, ma anche in genere ai paesi capitalisti) vende armi sofisticate ad una folla di pezzenti, invece del pane. È il meccanismo della corsa agli armamenti perseguita da parechi paesi che invece che al benessere sociale destinano una parte considerevole dei loro bilanci all’acquisto di armi, affamando il popolo. Alle spalle del venditore grattacieli, sullo sfondo degli acquirenti il panorama di una bidonville. Nel pannello successivo è illustrato un parallelo fra un cavaliere medievale e un carro armato, macchine da guerra di secoli distanti, ma accomunate dallo stesso sperpero di denaro. È per questo che il corpo del guerriero è composto di banconote invece che rivestito di un’armatura: la rendita del cavaliere antico era in buona parte spesa per procurarsi le attrezzature per la guerra, come avviene per i panzer moderni. Sul pannello successivo l’immagine di uno scheletro che brandisce una falce su un cavallo altrettanto scheletrito cavalca sopra le rovine di una città in fiamme, mentre nel cielo grigio aleggia una nuvola viola. Riassunto dei disastri della guerra. Nella scena successiva i denari aleggiano fra l’immagine di un caccia bombardiere e quella di un carro armato. I costi della guerra. Nei pannelli d’angolo in fondo a sinistra un grande televisore su cui si intravedono tracce luminose su uno sfondo verdastro (le immagni diffuse dalla CNN durante la 17 guerra del Golfo, che continua tuttora anche se ormai senza neanche più quelle immagini) cerca di nascondere la realtà del massacro rappresentato al di fuori dello schermo da montagne di teschi, rovine, incendi, morte e distruzione. Il guerriero massacratore contemporaneo non guarda più da vicino il volto della sua vittima e non ha percezione delle distruzioni operate, a parte le fuggevoli, asettiche immagini sugli strumenti di bordo, riprese da migliaia di metri di altezza. I tre pannelli centrali sulla parete di fondo illustrano una tavola rotonda attorno a cui siedono i popoli del mondo con pari dignità per appianare i contrasti attraverso il dialogo e per progettare la costruzione di un uomo nuovo. Sono rappresentati certo non tutti i popoli, ma almeno i rappresentanti di realtà emblematiche, note attraverso i media, o notevoli per il perdurare della loro esclusione dal consorzio umano: donne, del mondo arabo e del continente nero, doppiamente oppresse e sfruttate, tibetani, curdi, palestinesi, indios, pellerossa, lavoratori, gente comune, senza potere. Sui fogli sparsi sul tavolo si intravedono scritte e progetti. Sul pannello centrale, fra le due metà della tavola rotonda, c’è l’immagine simbolica della fabbricazione di un uomo nuovo, un gigante multicolore, circondato dalle impalcature su cui si affaccendano operai. Ha il sole al posto della testa, allusione al rispetto della natura, alle energie naturali rinnovabili, alla gioia di vivere: è un sole fiammeggiante e sorridente. Uno sportello che si apre nel petto fa intravedere le rotelle dell’ingranaggio della vita: una reca il simbolo della pace. Nella mano sollevata c’è una città colorata, una città di pace, come sottolinea l’arcobaleno che la sovrasta. Sui pannelli d’angolo a destra compaiono dei grandi fiori, simbolo di un rispetto della natura senza limiti, una necessità urgente dei nostri tempi, come sottolineano i principi dell’agenda 21, gli accordi per la salvaguardia del mondo da sottrarre ad uno sfruttamento distruttivo e dissennato. Altre immagini si susseguono negli altri pannelli. Una barca rappezzata su cui navigano su un mare pulito diversi popoli ha sulla vela un arcobaleno. L’arcobaleno è un antico simbolo di pace: compare nella Bibbia alla fine del diluvio universale come simbolo e testimonianza della rappacificazione del creato. Nel pannello successivo un uomo ara la terra e una donna accudisce il figlioletto, sullo sfondo di un villaggio: il diritto di vivere in pace. Nei due pannelli successivi c’è un girotondo di ragazzi su prati verdi, sullo sfondo di case colorate. Ballano calpestando gli strumenti di morte: missili, bombe, pistole, rot- 18 tami di aerei e carri armati e mine antiuomo, quelle che continuano ad uccidere anche quando la guerra è finita. Sugli ultimi due pannelli ad angolo si è rappresentato un grande, rotondo volto di donna dai capelli celesti, sulle cui onde si perde il girotondo dei ragazzi, ma altri due ragazzi lo stanno dipingendo impugnando dei grossi pennelli. È la volontà di costruirla, la pace, senza di che resterebbe un’utopia. Nella sala della tavola rotonda, su uno dei fogli appesi al muro c’è il simbolo del Gridas, la nostra “firma”; anche questo è un accenno all’alternativa necessaria di scelta fra il sonno della ragione e la gioia di vivere. Infine, sulla parete a un lato dell’ingresso, occupata da una scritta sciocca si è dipinto il mondo attraversato dai legami delle telecomunicazioni, internet, i computer, le antenne, e dei ragazzi che fruiscono di questa possibilità di connessioni mondiali. Un riassunto delle potenzialità delle tecnologie informatiche. Qualcuno è già intervenuto con stupide aggiunte a penna o col gesso di particolari non necessari sulle figure dipinte, e le impronte delle scarpe sul muro, all’altezza dei ginocchi, lasciate dai ragazzi che bivaccano ai lati del bar sono in parte ricomparse, ma confidiamo che nella maggior parte i murales saranno rispattati e che il loro messaggio si stampi nella coscienza di tutti quelli che lo vedranno, non solo perché adesso ci sono dei muri più colorati, ma perché vale la pena decidere verso dove sta andando questo nostro mondo disastrato e dare una mano a correggerne la rotta. 20 22 IL TRENO DEI DIRITTI VA TROPPO LENTO 20 - 23 novembre 1999 I murales alla scuola media “Carlo Levi” di Scampìa. di Felice Pignataro - GRIDAS, novembre 1999 Il 20 novembre, in occasione del decennale della dichiarazione ONU dei diritti dei bambini, per iniziativa di Amnesty International c’è stata una manifestazione alla scuola media “Carlo Levi”. Fra mostre, banchetti di prodotti artigianali, discussioni e teatro, si è dato vita ad un mural sui diritti dei bambini, realizzato dal Gridas insieme con i ragazzi della Prima I, completato poi il lunedì e martedì successivi. L’intento era quello di rendere più vicino e meno scontato ed episodico il discorso sui diritti dell’infanzia, legandolo anche alla situazione concreta dei ragazzi del quartiere. In un incontro con i ragazzi della classe si è progettato che cosa disegnare sul muro, un pannello intero della recinzione del cortile della scuola, circa 15 metri di lunghezza per due metri e mezzo di altezza. Così è nato il mural: un treno di vagoni ballonzolanti-caracollanti sulle disgrazie del presente: sotto le ruote alcuni casi più significativi delle oppressioni-situazioni di sfruttamento, di oggettiva negazione dei diritti dei bambini. Dal bordo dei vagoni emergono i volti di bambini di varie parti del mondo, in particolare di quelli che non hanno riconosciuto il loro diritto al rispetto e alla dignità e spesso nemmeno alla semplice sopravvivenza, a sottolineare la proposizione di fratellanza fra tutti i popoli: pellerossa, indigeni dell’Amazzonia, del Sudamerica, neri, curdi, palestinesi, donne del mondo islamico, dell’India, ma anche dei paesi “normali” del nostro mondo... Sotto i vagoni i casi più emblematici di esclusione e di sfruttamento: i bambini-soldato di tanti paesi in guerra, ma anche la pioggia di “pappagalli verdi”, le mine anti-uomo ma soprattutto antibambini che, progettate come giocattoli, continuano ad uccidere e mutilare soprattutto i piccoli, anche quando le “guerre ufficiali” sono terminate (milioni, diffuse in varie parti del mondo, Cambogia, Kurdistan, Africa, ecc. ecc. molte di 23 fabbricazione italiana) e i bambini costretti ad annodare tappeti in India e Pakistan e le loro sorelle, le bambine operaie-cucitrici e le bambine vittime di sfruttamento sessuale, ma insieme con loro i lavoratori bambini delle nostre parti, i ragazzi dei bar, i gommisti.... Una catena lega queste vittime a simboleggiare la schiavitù al denaro, la privazione della libertà, la negazione di una possibile liberazione. Perciò, fra le ragazzine in bikini volano banconote: è il denaro il motore dello sfruttamento. Segue un ragazzo scheletrito che chiede aiuto, sullo sfondo di una discarica dove altri bambini vagano alla ricerca di un possibile utilizzo di cibo, ancorché avariato, e di oggetti riciclabili (Korogocho, alla periferia di Nairobi, ma sono tante le Korogocho nel mondo...). Conclude la serie di disastri l’immagine di un accampamento rom incendiato, riferimento al vergognoso episodio verificatosi a Scampìa nel giugno scorso, a futura memoria, ché la lotta contro il razzismo ha senso solo se comincia da noi, dalla concreta vicinanza di “diversi” visti come nemici e non come una diversa fetta di umanità con cui è possibile vivere pacificamente... Sulle fiancate dei vagoni sono rappresentate-simbolizzate le possibilità di fraternizzazione, gli strumenti del conoscere e del fare: occhi, mani, piedi, orecchi, bocca, lettere di alfabeti diversi, giocattoli artigianali, una bambola di pezza, i giocattoli in filo di ferro dei bambini africani insieme con lo skateboard, il diritto alla casa: case diverse, casa stereotipata, a un piano, col tetto rosso, ma con la porta spalancata, a significare accoglienza e ospitalità, invece che esclusione, la tenda mongola, di pelli, il teepee dei nordamericani, a indicare che diversi sono i modi di abitare e di vivere sul territorio. Sulla fiancata di un vagone c’è un bambino con le ali e due ali di riserva: allusione alla fantasia, per rivestire di colori le realtà troppo brutte. Il treno caracollante sulle disgrazie è trainato da una lumaca, a significare che troppo lento è il cammino del riconoscimento dei diritti dei piccoli e quindi di tutti gli uomini, ma va verso un arcobaleno, simbolo storico di fratellanza fra gli uomini e fra gli uomini e la natura. Confidiamo che questa rappresentazione sul muro del contrasto fra diritti da acquisire e realtà che li nega prolunghi nel tempo la riflessione dei ragazzi che frequentano la scuola sulla necessità di lottare, a partire dai piccoli, per l’affermazione del diritto di ogni uomo al rispetto della sua cultura, del suo modo di vivere, anche se diverso dal “nostro”, per una convivenza più ricca dei vari frammenti dell’essere uomini. Il discorso potrà essere continuato sugli altri pezzi di muro attorno al cortile, solo che ci sia la volontà di far diventare la scuola una efficace fucina di coscienza e di elaborazione del rispetto e della dignità di ogni essere umano. 24 L’AUTODAFÈ DI GIORDANO BRUNO 13 - 19 aprile 2000. Murale su Giordano Bruno al X Circolo a Scampìa (Napoli). di Felice Pignataro Si è rappresentato l’autadafè di Giordano Bruno, (ndr: morte sul rogo avvenuta a Roma, nel 1600, di cui ricorreva il quattrocentenario), e la sopravvivenza e il sopravvento delle idee e delle geniali intuizioni di Giordano Bruno sul contingente arrostimento del suo corpo. Al centro è rappresentato il rogo, con Giordano Bruno legato a un palo in cima a una catasta di legna e fascine e libri, a indicare che la sua uccisione era il tentativo inane di distruggere le sue idee. La bocca serrata nella mordacchia, per ridurlo al silenzio. Attorno la folla, che sempre accorre, anonima, a godere delle sofferenze altrui, nell’incosciente aspirazione ad esorcizzare il supplizio di un innocente attribuendogli il valore della difesa dell’ordine costituito, della cui bontà l’ha convinta il potere. In mezzo alla folla il papa, simbolo massimo del potere dell’epoca, al sommo di un palco con vari gradini, e poi cardinali, ecclesiastici, a destra le guardie svizzere, lanzichenecchi rappresentanti l’ottusa dedizione dei bruti a difendere la violenza del potere costituito, che si oppone alla libertà di pensiero, ch’essi peraltro sono incapaci di concepire. A sinistra i dotti, professori e pedanti servi colpevoli del potere, con cui il Nolano ebbe a scontrarsi, a Ginevra come a Parigi, a Oxford come a Wurtenburg, immagine della spocchiosa presunzione dei “professori”. Ma dai libri, alla base della pira del rogo escono fogli che volano ingrandendosi: sono l’immagine delle idee e delle intuizioni del Nolano, sopravvissute al suo supplizio e arrivate fino a noi, che ancora oggi le ammiriamo, a dimostrare come la testimonianza di un uomo libero è più forte della tracotanza del potere. Sui fogli sono rappresentati i disegni fatti personalmente con incisioni in legno da Giordano Bruno per illustrare le sue opere. Per conoscerli, partendo dalla illustrazione in sovraccoperta del libro sul Nolano di Michele Ciliberto, uscito nel 1990, che ci ha fatto scoprire che il nostro aveva prodotto anche disegni, si sono cercate le illustrazioni 27 delle sue opere, alla biblioteca nazionale e alla biblioteca universitaria di Napoli, non perché queste fossero il meglio della sua opera, ma perché, volendo fare un murale in suo onore, ci pareva bello illustrarlo con i suoi disegni. Così si sono rappresentati sui fogli volanti alcuni grafismi autografi dal manoscritto del testo sulla medicina di Raimondo Lullo, i tre soli della triade, la verità, la bontà e l’unità, che tutti insieme sono necessari a realizzare la luce, un discorso onesto […] Altre immagini sono tratte da un’altra opera, del 1591, e alludono ai diversi e multiformi interessi di Giordano Bruno, uomo curioso, attento, intelligente e impegnato a restituire all’uomo comune il piacere e la dignità del pensiero, contro gli specialismi dei pedanti e i dogmi delle autorità costituite. Così ci sono allusioni a costruzioni geometriche curiose: fra le altre opere scrisse anche delle lezioni di geometria, ma sopratutto ha intuito come il produrre immagini sia un attento osservare ed amare, per restituire agli umani cittadinanza nelle invenzioni del sogno. Le immagini sono tratte dal “De imaginibus ecc.” del 1591 e ancora dal “De Monade, ecc.”: composizioni di sigilli, composizioni logiche di lettere per formare parole, la chiave delle deformazioni, ma anche allusioni a un approccio alla magia, l’equivoco del Mocenigo, che poi lo tradì, deluso nelle sue aspettative di rivelazioni di segreti magici: non capì che il Nolano non possedeva altra magia che il gusto della libertà. A questo alludono l’immagine della mano, con le sue linee, e quelle della fortuna e sfortuna di Veiovis. […] L’uomo fu imbavagliato, il suo corpo bruciato, e il potere sembrò avere il sopravvento. Perciò sul rogo, acceso in mezzo a una fuga di tetti di case che vogliono rappresentare l’antico aspetto della piazza di Campo dei fiori, a Roma, vola un corvo-cardinale, con un becco da rapace, invece della bocca, e un mostro (ndr allusione all’ignoranza e ai mostri generati dal sonno della ragione). Ma si badi bene che non si tratta di un discorso anticristiano, chè, fortunatamente i cardinali hanno poco a che vedere col falegname Gesù, anch’egli impegnato a restituire ad ogni uomo la sua dignità e la libertà e perciò ammazzato dai potenti, e “cardinali” del suo tempo... Ma l’urgenza di un pensiero libero e libertario, l’apertura di prospettive su mondi nuovi esplorati dal pensiero, erano più forti della morte e le idee di Giordano Bruno hanno aperto la strada al pensiero moderno. [Se si parla in una scuola di lui] è per continuarne l’opera e per insegnare ai nostri ragazzi a non aver paura di pensare, ma anzi incoraggiarli all’avventura della scoperta di mondi nuovi, dove sia più bello vivere. Mondi infiniti, in cui “l’essere vivente ascende ai sensi attraverso l’animo, ai composti attraverso i sensi, agli elementi attraverso i composti, e attraverso questi ai demoni, attraverso i demoni agli astri, attraverso questi ultimi agli dei incorporei, o di sostanza e corporeità eterea, attraverso questi all’anima del mondo, o spirito dell’universo, e infine, attraverso questo alla contemplazione dell’unico, semplicissimo, massimo, ottimo, incorporeo, assoluto e sufficiente a se stesso”. (De Magia). 28 Una prospettiva di indirizzo ai nostri ragazzi perché riconquistino con il coraggio delle idee e l’amore per i più umili la libertà di pensiero, contro ogni tentativo di costrizione, limitazione e repressione, affinché, ricordando questa immagine dell’autodafé, sappiano riconoscere nella vita ogni simile cedimento del potere, alla tentazione di sopprimere e distruggere ogni opposizione e dissenso: il diritto alla libertà è il fondamento della democrazia e della civiltà. Adattamento dal testo di Felice Pignataro illustrativo dell’analogo murale realizzato alla scuola “Giordano Bruno” di Nola (NA) nel maggio 1991. 29 LE ASSOCIAZIONI CHI SONO FELICE PIGNATARO E IL GRIDAS A cura del GRIDAS Felice Pignataro è nato a Roma il 6 febbraio del 1940, “perché sua madre si trovava lì” come soleva dire. Cresciuto a Mola di Bari (BA), si è trasferito a Napoli nel 1958 per studiare all’Università, alla facoltà di Architettura prima, poi di Teologia. A Napoli ha alloggiato al Collegio Newman, della F.U.C.I., di cui è stato direttore per diversi anni, fino al 1972. Nel frattempo, dal 1967 ha portato avanti, insieme alla sua compagna Mirella, una controscuola per i bambini delle baracche, prima al Campo A.R.A.R. di Poggioreale, poi all’I.S.E.S. di Secondigliano. Sposatosi con Mirella nel 1972, si è stabilito definitivamente a Scampìa (periferia nord di Napoli) da dove ha continuato a mettere le sue enormi capacità artistiche al servizio degli “ultimi”. Nel 1981, con Mirella, Franco e altre persone, ha fondato l’associazione culturale senza scopi di lucro GRIDAS (gruppo risveglio dal sonno, con riferimento alla frase di una delle incisioni della “quinta del sordo” di Francisco Goya: “el sueño de la razon produce monstros”), allo scopo di mettere le proprie capacità artistiche e culturali al servizio del prossimo per stimolare un risveglio delle coscienze e una partecipazione attiva al miglioramento della società. L’opera del GRIDAS si è caratterizzata, negli anni, soprattutto con i murales realizzati da Felice Pignataro con gli altri membri del gruppo e con le scuole o i soggetti attivi che si sono rivolti all’associazione per avere un supporto “visibile” alle proprie battaglie sul territorio del napoletano e non solo. Visibilità data, oltre che dai murales che perduravano anche dopo la giornata di mobilitazione, dai variopinti e espressivi striscioni, dall’ “animazione” con i tamburi, dalle dimostrazioni con il “Televisore a mano” con rulli dipinti appositamente per le differenti lotte, dagli autoadesivi linoleografati autoprodotti su carta fluorescente. Interventi spesso richiesti all’ultimo momento tanto che Felice creò la definizione del “Pronto soccorso culturale”. Agli oltre 200 murales disseminati per l’Italia, si sono aggiunti, dal 1994, anche alcuni mosaici realizzati con mattonelle spaccate alla maniera di Antoni Gaudì. Opere “col- 33 lettive”, anche queste, che hanno portato a un coinvolgimento diretto delle persone nella raccolta dei “cocci” da impiegare per la realizzazione del disegno, com’è avvenuto anche a Marxloh-Duisburg, in Germania. Dal 1983, il GRIDAS promuove il carnevale di quartiere a Scampìa su temi di attualità e laboratori per il recupero della manualità. Il carnevale di quartiere, giunto alla 28a edizione, cammina ormai con le proprie gambe giacché la maggior parte delle associazioni e realtà presenti a Scampia vi partecipano attivamente con propri laboratori e propri percorsi creativi svolti autonomamente sebbene sotto il coordinamento del GRIDAS. Il corteo che si svolge la mattina della domenica di carnevale in cui confluiscono maschere e strutture realizzate nei vari “laboratori” ha il significato politico di riappropriazione degli spazi urbani e di presa di coscienza e denuncia, attraverso le maschere, delle storture della società. Dal settembre 2003, il GRIDAS promuove un cineforum gratuito alternativo presso la propria sede proponendo film normalmente “evitati” o relegati in tarda notte dalla TV o dalle sale cinematografiche. Con lo slogan “La TV isola, il cinema unisce: vieni al cinema!” ci si incontra periodicamente per confrontarsi e ragionare insieme su varie problematiche attorno la visione collettiva di film che abbiano qualcosa da dire e comunicare. Felice è morto a Napoli, il 16 marzo 2004 per un tumore polmonare, lasciando il suo “testimone” a tutti quelli che l’hanno conosciuto e sono stati “contagiati” dalla sua creatività messa al servizio del riscatto sociale. Con la scomparsa di Felice il GRIDAS ha perso, tra l’altro, la grande potenzialità della capacità che aveva lui di rappresentare in immagini iconografiche, chiare e facilmente comprensibili da tutti, le voci della protesta, le battaglie e le ingiustizie del mondo; ma prosegue, comunque, il cammino intrapreso con Felice per un risveglio delle coscienze e della creatività. Felice è stato un punto di riferimento importante per gruppi e associazioni in lotta che lo hanno trovato sempre disponibile a supportare le proprie battaglie con la sua poliedrica arte creativa. Ancora oggi il GRIDAS rappresenta una pietra miliare su un percorso di vita coerente per chi percorre, e sono in tanti, le strade e le battaglie indicate da Felice. A Felice e alla sua poliedrica creatività è stato dedicato il sito www.felicepignataro.org, affinché la sua arte e le sue opere possano essere da stimolo ancora per tutti quelli che ne vogliano seguire le tracce e gli insegnamenti. Sotto l’ala protettiva di Felice e del GRIDAS, nei locali del centro sociale in cui l’associazione ha stabilito da subito la propria sede, sono nate, si sono incontrate, si sono 34 sviluppate diverse realtà, associazioni, persone che tuttora lavorano attivamente a Napoli e, in particolare, a Scampìa. Francesco, nel suo giro per il quartiere, ha avuto modo di incontrarne o contattarne alcune e a esse è stato chiesto di raccontarsi e di raccontarci qualcosa delle tracce lasciate da Felice a Scampia. Quelli che seguono, dunque, lungi dal voler rappresentare la miriade di realtà associative e non che arricchiscono il territorio di Scampìa, sono le descrizioni, i racconti, le testimonianze della strada percorsa con Felice e ancora seguita da non poche realtà. Ma Felice ha lasciato tracce anche nella musica. Il “rumore” del suo rullante ne caratterizzava la presenza alle manifestazioni e ai vari momenti di protesta di piazza a Napoli e non solo per scuotere le coscienze assopite e farsi sentire; ma anche l’inno dei muralisti, inventato nel 1996, di ritorno dal murale fatto a Genova con l’Accademia Ligustica di Belle Arti, esperienza che lo ha fortemente arricchito artisticamente e socialmente. Sarà per questo che diversi musicisti napoletani hanno dedicato un pezzo della propria arte a Felice con cui si sono trovati a percorrere un tratto del proprio cammino. Abbiamo voluto raccogliere in questo libro-tributo anche questa loro bellissima testimonianza. Infine, diversi registi, giornalisti, filmaker hanno incontrato, filmato, intervistato, Felice. Abbiamo ritenuto interessante abbinare a questo libro un dvd video a completare quel mosaico di specchi che ci restituisce l’immagine di quel che è stato ed è ancora Felice per chi lo ha conosciuto, attraverso le impressioni percepite da chi ha avuto il privilegio di incontrarlo in qualche forma sul suo cammino. Le foto dei murales che illustrano queste pagine sono state scattate nel centro sociale del rione Monte Rosa, struttura occupata in cui ha sede il GRIDAS divenuto nel 1993, per volontà e opera soprattutto di Felice, la Casa delle Culture “Nuvola Rossa”, per dare spazio e voce a quanti avessero qualcosa da dire e da proporre per gli altri anziché per sé stessi. GRIDAS – Gruppo risveglio dal sonno Casa delle Culture “Nuvola Rossa” Via Monte Rosa 90/b, Ina Casa, Scampia, Napoli. web: www.felicepignataro.org/gridas e.mail: [email protected] tel. 081-7012721 35 CIRCOLO DI LEGAMBIENTE “LA GRU” E’ un’Associazione di volontariato, fondata nel novembre 1995, che opera prevalentemente sul territorio di Scampia, con l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica sui temi dell’ambiente. Il nome del Circolo ha un doppio significato: da un lato ricorda l’uccello sinonimo di libertà, dall’altro esprime il desiderio di (ri)costruire un ambiente più vivibile, avulso dalla cementificazione selvaggia il cui simbolo è dato dalle imponenti gru metalliche presenti in grosso numero nel quartiere Scampia. La Gru, nella sua duplice accezione, vuole anche rappresentare il tentativo di coniugare in modo significativo ed armonico la conservazione della natura e i temi dell’occupazione, tematiche particolarmente sentite nel nostro quartiere. Dal 1995 il Circolo lavora sul quartiere, organizzando e partecipando a numerosissime manifestazioni, iniziative e progetti di livello regionale e nazionale. Ma l’aspetto forse più qualificante è rappresentato dall’intenso e originale lavoro, fatto di ricerca, di animazione, di denuncia, di salvaguardia di ambienti, di creazione di giardini, in un quartiere di periferia, sicuramente degradato e complesso, ma con grandi potenzialità che bisogna fare emergere. E, in questa difficile ed esaltante operazione, il Circolo si muove all’interno di una rete di collaborazione molto efficiente che sta facendo, in parte, la storia di Scampia. Il Circolo, infatti, collabora con: il GRIDAS, Fuoricentroscampia, “Fuga di notizie”, la Scuola di Pace, il Centro Hurtado, la Comunità del Cassano, Chi rom e…chi no, il Centro Territoriale Mammut, l’Arci Scampia, l’Ass.Andromeda, l’Agesci NA14, la Coop.L’uomo e il legno, l’Auser, Senza barriere, l’Ass. Arcoiris. La sede legale è c/o Aldo Bifulco - V.le della Resistenza lotto N, P.co “Lara” - Na e-mail: [email protected] Presidente: Antonio Riccio - [email protected] Segretario: Ciro Calabrese - [email protected] 37 FELICE: UN CAPITOLO DI STORIA DI SCAMPÌA di Aldo Bifulco, Circolo Legambiente “La Gru” Nel 2006 il circolo ha “festeggiato” i primi dieci anni di attività con la pubblicazione di un libro: “L’Angolo della Gru: dieci anni di storia di un Circolo di periferia”. Nel testo sono continui i riferimenti e gli aneddoti legati a Felice e al GRIDAS: sono le numerosissime tracce del rapporto del Circolo con Felice. Il Circolo nasce e vive all’insegna della precarietà, perché il luogo della sua attività è la strada, ma per gli incontri di elaborazione, di organizzazione, la sede del GRIDAS diventa anche la sua sede. Anche per questo Felice è stato uno di noi, con il suo sguardo vigile e critico......non c’è attività della Gru che non lo veda presente, con generosità e creatività...anche quando non lo convince (ed aveva ragione lui!) per quella abbondante fiducia accordata alle Istituzioni locali come nella vicenda del coordinamento “PIAZZIAMOCI!” Questa vicinanza (anche per motivi operativi) ha fatto sì che alcuni membri del Circolo gli fossero vicini nel momento più critico della sua esperienza, pochi anni prima di finire. Anche il nome del Circolo, nella sua duplice accezione, lo si deve alla sua fertile fantasia. E il logo conseguente che ancora oggi accompagna tutte le iniziative del Circolo lo si deve alla sua magica matita. Proprio dal libro del Circolo “La Gru” è tratto questo pensiero che descrive bene il rapporto tra Felice ed il Circolo “la Gru” (Circolo Legambiente “La Gru” di Scampia, “L’Angolo della Gru: dieci anni di storia di un Circolo di periferia”, 2007, pag.133): «Felice Pignataro, senza titoli, senza cariche, senza attribuzioni istituzionali, ha rappresentato la persona più autorevole, più carismatica del quartiere Scampia. E non solo per la sua arte, per la sua creatività, ma soprattutto per il suo esempio, il suo spirito indomito a difesa dei soprusi, dei diritti dei più deboli e dell’ambiente. Il Circolo è nato, praticamente, all’ombra di Felice, anche logisticamente parlando (infatti si riunisce nella sede del Gridas), sotto il suo sguardo vigile ed attento, ma anche con qualche sua imbeccata, talvolta impetuosa, ma per lo più premurosa. Felice ora non c’è più, ma la sua testimonianza , le sue opere, le sue “....immagini, restano ancorché sbiadite, a interpellare le coscienze, più o meno sonnolente, in attesa 39 del gran giorno del risveglio. Il giorno in cui i sogni collettivi, i sogni dei poveri cominceranno a diventare realtà”*». [* Felice Pignataro, “Pasquale Passaguai e altri racconti della Scuola 128, Edizioni Qualevita, 2000]. Sempre dal libro del Circolo “La Gru” è tratto questo articolo scritto all’indomani della scomparsa di Felice (Circolo Legambiente “La Gru” di Scampia “L’Angolo della Gru: dieci anni di storia di un Circolo di periferia”, 2007, pagg. 140-141): Felice: un capitolo di storia di Scampia “L’uomo non è dotato di una saggezza maggiore di quella degli altri esseri, per molti numeri egli è superato da molti e anche da quelli che sono irrilevanti per la loro esigua corporeità: ma l’uomo è incorso in una sorte migliore avendo avuto il dono della mano.” (Giordano Bruno). Il richiamo di Felice, non solo nei murales, a questo inestimabile dono avuto dall’uomo era ricorrente: rappresentava il simbolo della sua caparbia azione didattica ed il segno del suo progetto pedagogico, non sempre compreso, talvolta tollerato. E la mano, la sua mano “color alabastro”, è stato il punto di convergenza degli sguardi silenziosi e commossi di tanti che sono accorsi da ogni parte della città per riscaldare quella fredda stanza del Monaldi. Sembrava pronta ad afferrare il pennello per lanciare un altro messaggio di denuncia e di indignazione, ma anche di pace, compassione e tenerezza. Anche alla fine ci ha saputo dare una lezione di semplicità e sobrietà: “se n’è andato col suo gilet dalle mille tasche, con la pipa, il righello, le penne e....le buste di plastica ben piegate, sempre pronte per ogni evenienza”. E poi con i piedi scalzi, perché amava saggiare il calore diretto della madre terra (forse come il suo amico Nuvola Rossa). E con poche margherite di campo (quelle dei suoi disegni); le stesse che pare abbiano accompagnata la nuvola delle sue ceneri che si è distesa nell’orizzonte aperto di S.Vito dei Normanni. Felice “era uno di noi” ci dicevamo nella Comunità di base, direi che era “prima di noi”. L’abbiamo incontrato per la prima volta nel campo Arar di Poggioreale perché la sua baracca confinava con quella delle Piccole sorelle (con l’indomabile p.sorella Maura, operaia della Cirio) dove talvolta ci recavamo per pregare in un contesto di esclusione. Mentre noi balbettavamo i temi rivoluzionari di cui è intriso il Vangelo, lui già li incarnava nella dura concretezza della storia. Una condivisione praticata, non proclamata. Una condivisione vissuta sempre con radicalità e gratuità assoluta. Abbiamo ritrovato Felice a Scampia ed è diventato compagno e fratello di tante iniziative. La “Gru”, anche il nome dato al Circolo di Legambiente è frutto di una sua intuizione, mentre parecchi di noi, stretti intorno al tavolo del Gridas, spremevamo, invano, le meningi per trovare un’idea originale. 40 Franco, storico compagno del Gridas, quel giorno, mentre mi stringeva per tentare di controllare ed attenuare la morsa del dolore esclamava: “Correva, correva troppo Felice”. Il cavallo alato galoppante che compariva in alcuni murales: non si riusciva a seguirlo nella sua fertile progettualità, nella sua energica operosità, nelle sua estrema coerenza. Anche noi, come Nino Lisi, abbiamo avvertito, tante volte, “un muto rimprovero”, subito mitigato dalla dolcezza del suo sorriso e dalla generosità con cui si immergeva in ogni situazione. Tutti in ritardo nei suoi confronti, anche e soprattutto le Istituzioni. Gli farei un torto se non ricordassi la solitudine dell’ultimo periodo. La sofferenza per alcuni progetti franati, le numerose beffe subite, l’assenza di ascolto del suo grido profetico. Succede spesso così! Non riesco, comunque, a sopportare chi parla di Scampia come di un quartiere senza storia. Per quanto tormentata e contraddittoria c’è sempre una storia. Le pagine più belle e significative le ha scritte proprio lui. Felice rappresenta il capitolo più importante della storia di Scampia, perché ha dato una connotazione originale a questo territorio, lo ha fatto conoscere per una dimensione diversa dalla rappresentazione abituale che si è diffusa in strati di popolazione sempre più vasti. La sua arte sarebbe stata una “grande risorsa” per il quartiere; è mancata la consapevolezza istituzionale e popolare. Sono rimasto fortemente sorpreso - quel giorno - nel vedere le lacrime copiose e sincere di tanti giovani. Il mio pessimismo si è addolcito e mi sono ricordato di un pensiero letto su una rivista: “Se non ci sono stati i frutti è valsa la bellezza dei fiori. Se non ci sono stati i fiori è valsa l’ombra delle foglie. Se non ci sono state le foglie è valsa l’intenzione del seme”. Per la verità nel mese di marzo Felice avrebbe dovuto realizzare un mosaico, commissionato dal Comune di Napoli (era ora!), sulle mura del campo di calcio costruito a Scampia....e poi ad aprile nascerà il nipotino, ma Felice, ancora una volta ha corso troppo, ha anticipato gli eventi ed è volato via con la sua “anima leggera”. Alla marcia della Pace del 20 marzo, uno spezzone del movimento, quello della città di Napoli, rumoroso e motivato, era dietro lo striscione “Il rullante di Felice continua a scandire i ritmi delle lotte per la libertà”. In questo periodo il Gridas è frequentato da tante persone che vogliono perseguire con tenacia, a partire dalla organizzazione della memoria di Felice, gli obiettivi di animazione culturale e sociale che lo caratterizzavano. E poi mi piace ricordare il foglietto che un ragazzo dell’”Oasi giocosa” ha fatto trovare sul cancello del Gridas “Felice, ora che stai lassù, non far piovere alla prossima sfilata del Carnevale”. Mi sembrano forti segnali di speranza, una volontà di continuare. Ancora una volta aveva ragione lui quando chiudeva un libro con la frase di Ernesto Cardenal: “L’artista è stato sempre completamente integrato nella società: ma non 42 nella società del suo tempo, in quella del futuro. L’artista, il poeta, il dotto e il santo sono membri della società del futuro, di quella società che già esiste sul pianeta come un seme, un seme forse disperso in piccoli gruppi e nei singoli, qua e là; indipendentemente dalle ripartizioni della geografia politica.” 43 CHI ROM E…CHI NO Il gruppo chi rom e…chi no nasce nel 2002 dall’incontro di persone con differenti esperienze, accomunate dalla necessità di realizzare insieme un percorso che ha le sue fondamenta nella relazione significativa, nell’auto-organizzazione, nell’ascolto reale delle proposte e dei bisogni delle persone, nella conoscenza tra le culture, nella progettazione comune. L’idea di un impegno comune è maturata dall’annuale partecipazione al carnevale di quartiere del Gridas, che da circa vent’anni anima le strade di Scampia restituendo alla città colori e vitalità. Il nome chi rom e..chi no, eredità di Felice Pignataro Gridas, ha due significati: allude all’incontro tra rom e napoletani, e al torpore istituzionale e alla passività indotta dagli interventi di tipo assistenziale che generano dipendenza più che promuovere cambiamento (ndr. romm’ in napoletano significa “dormire”). Il gruppo lavora intorno all’idea della città come luogo di condivisione e crescita collettiva. Da anni di osservazione partecipata sul quartiere, dalla costruzione di relazioni significative nascono esperienze importanti come: la realizzazione di uno spazio pubblico autogestito nel campo rom; la valorizzazione e il rafforzamento della rete sociale; percorsi di cittadinanza attiva e promozione dei diritti umani; il progetto “Viaggio nella memoria per…”; i percorsi laboratoriali nelle scuole; il carnevale; le vacanze estive…. Alla base delle pratiche, la riflessione sulla città come luogo di condivisione da esplorare, sulla periferia come spazio in cui stabilire relazioni significative e attivare processi pedagogici e culturali partecipati con bambini, adolescenti, adulti rom e italiani. Realizza inchieste audio-visive e laboratori ludico-espressivi di partecipazione attiva alla vita politica e sociale. 45 E’ promotore del Comitato Cittadino Spazi Pubblici, insieme ad altre realtà territoriali. Dal 2005 è impegnato nel progetto Arrevuoto, promosso dal Mercadante, Teatro Stabile di Napoli. La sede è una baracca in un campo rom non autorizzato di Scampia, spazio laboratoriale multifunzionale e autogestito, in cui si favorisce il confronto tra i vari attori sociali del quartiere e della città. Produzioni audio-visive: * Alisa: Video documentario commissionato dalla Regione Campania, Ass. Politiche Sociali e Pari Opportunità, che racconta la storia di una donna rom e dei suoi figli, del suo percorso di integrazione nella comunità italiana. Anno 2008 * A metà: Video installazione per la mostra “Napoli senza titolo” promossa dal Pan Palazzo Arti Napoli, uno sguardo fisso su Viale della Resistenza, tra i campi rom e i rioni di Scampia. Anno 2009 * Il quarto piano: Cortometraggio realizzato con i bambini all’interno di una casa immaginaria nella vela gialla di Scampia. Anno 2010 Chi rom e...chi no Associazione di promozione sociale Onlus C.F. 95081280638 Sede legale: via Epomeo 348/a - 80126 Napoli Tel.: 339.4050924 - 348.8842827 web: www.chiromechino.blogspot.com e.mail: [email protected] 46 QUARTO PIANO di Emma Ferulano, Chi rom e…chi no Abbiamo iniziato a frequentare per la prima volta la vela gialla e i suoi abitanti durante le riprese del film “Gomorra”. La vela colpiva per le scenografie del tutto naturali in cui sono ambientate molte scene: case fatiscenti o distrutte, corridoi sporchi e angusti di collegamento tra l’una e l’altra, spazi esterni in cui, a causa della totale mancanza di manutenzione, tutte le tubature idrauliche perdono continuamente una gran quantità di acqua, creando nel suo vasto cortile interno delle vere e proprie cascate, che la rendono umida e malsana, spazzatura accumulata che giace nei fossati che la circondano, ascensori non funzionanti da anni, scale rotte, senso di degrado complessivo. Durante le riprese del film la vela si è trasformata per circa un mese in un grande set cinematografico che ha coinvolto in vario modo tutti i suoi abitanti. Il nostro ruolo di tutor e accompagnatori dei giovanissimi attori ha fatto sì che agli occhi dell’intera troupe diventassimo le balie di tutti i bambini della vela, che nonostante il film proseguivano la loro normale vita quotidiana. Nel pomeriggio tutti i piccoli abitanti tornavano a casa da scuola, e naturalmente si riversavano fuori i lunghi corridoi esterni per giocare e fare casino, come tutti i giorni sono abituati a fare. Al momento di girare alcune scene questo casino costituiva un problema e un’interferenza continua nelle riprese. Allora ci organizzavamo per far giocare i bambini senza farli infilare tra una ripresa e l’altra e contenendo le urla: partite di pallone nel campetto adiacente per i più grandi, laboratori di pittura e murales un po’ improvvisati, ma a cui i più piccoli si appassionavano molto. Di questi laboratori è rimasta traccia visibile e significativa in una frase di un bambino che ha scritto su un muretto in un corridoio esterno: “Io abito dentro a un film”. Altri momenti belli e intensi si svolgevano durante le pause, all’esterno della vela, in cui ci radunavamo attorno al chioschetto, tutti quanti, piccoli, grandi, attori, comparse, gente di passaggio, a cantare, ridere, ballare, parlare, litigare, mediare nelle litigate. Bello è stato in generale il coinvolgimento spontaneo di tutti gli abitanti del quartiere, che curiosi s’informavano e poi osservavano rispettosi quanto accadeva. 47 Tutto questo ci ha permesso di creare una buona relazione con i bambini e con le famiglie, relazione che è proseguita molto oltre le riprese e il successo mondiale di “Gomorra”. Da allora anche loro sono entrati a far parte del carnevale e delle colonie estive, dei laboratori al campo rom e delle parate del Comitato Spazio Pubblico cittadino. E proprio la prima azione del Comitato nel giugno 2007, in occasione delle giornate di “Oplà facciamoci spazio” si è conclusa con un corteo musicale che ha sfilato per il quartiere e per la prima volta all’interno della vela gialla, che progressivamente si andava svuotando dei suoi abitanti. A distanza di circa tre anni dalle riprese, la vela gialla è in stato di quasi abbandono e di pieno degrado. Molte famiglie si sono trasferite nelle nuove case di edilizia popolare, altre ne hanno occupato alcune all’interno della stessa vela, molte case sono state distrutte. Quel movimento di bambini non è più così vivace, ne rimangono pochissimi che quando fa caldo si aggirano in pannolini e senza scarpe per i corridoi di congiunzione tra una casa e l’altra, arrampicandosi sulle scale e sulle ringhiere ad altezze vertiginose. Torniamo spesso lì, portando i bimbi dai campi o dagli altri rioni per fare mega partite nel campetto di terra, o per coinvolgere i piccoli pochi abitanti rimasti nei vari laboratori esterni. 48 Un giorno dalla Germania è arrivato a Scampia Paul, un giovane writer, che ci ha seguito in colonia sul Vesuvio. Non parlava quasi una parola di italiano, ma aveva una grazia e una dolcezza tali mentre si incamminava con il pallone in mano che tutti i bambini, senza troppe storie lo seguivano un po’ incantati. Al ritorno dalla colonia, Paul era diventato l’amico immaginario di molti di loro, immaginario perché le madri credevano che delirassero quando parlavano di questo ragazzo tedesco che non si era mai visto. A un certo punto invece Paul compare nella vela gialla. Con alcuni ragazzi, decidono di occupare e ripulire un appartamento al quarto piano abbandonato e distrutto, e con il nostro aiuto di invitare i bambini del campo rom e dei rioni a progettare l’arredamento della nuova casa e a dipingerlo. Piano piano sono apparsi l’ingresso, la camera da letto, il soggiorno, il salotto, la cucina, specchi, armadi, cassetti, libri, bottiglie, frigorifero, doccia, lavandini, finestre, vasi di fiori, tende colorate, poltrone, uccellini, panni stesi, piatti, televisione, stereo, appendiabiti. Di giorno in giorno chiunque visitasse la casa aggiungeva un disegno in più, un oggetto o un colore, e in questa casa immaginaria e realissima i bambini hanno iniziato a utilizzare gli spazi e a muoversi tra le pareti e gli oggetti dipinti in un infinito gioco dei mimi. I protagonisti di questa nuova impresa sono soprattutto bambini che all’epoca delle riprese del film erano neonati o poco più. Vincenzo, 5 anni, abitante della vela, è un vero padrone di casa che molto seriamente ti conduce al suo interno alla scoperta di tutto quello che contiene e quando accende lo stereo dipinto sulla balconata, sembra incredibile, si diffonde una musica bellissima. 49 CENTRO TERRITORIALE A SCAMPIA - MAMMUT Le tracce di Felice nel nostro lavoro sono presenti in ogni azione e in ogni pensiero, l’esperienze condivise con il Gridas hanno risvegliato la nostra ragione e colorato i nostri sogni… quando all’inizio abbiamo cominciato nel 1997 con i bambini e gli adulti del Campo Rom di Via Zuccarini, a Scampia, in poco tempo il Gridas è diventato punto di riferimento stabile, luogo illuminante, dove condividere riflessioni su educazione, politica e società, luogo di crescita e formazione, dove imparare e non smettere mai di credere che le utopie spingono lontano. Luogo che ci da la forza e il coraggio di continuare non solo per l’esempio ma per quel felice sentimento di comunità che sentiamo ogni volta che stiamo insieme. Il Centro Territoriale Mammut è un progetto nazionale di ricerca-azione nato per sperimentare insieme a bambini, adulti e ragazzi nuove pratiche pedagogiche e sociali, e ridisegnare in questo modo l’uso e il significato corrente di “scuola” e “spazio pubblico urbano”. Animato da un gruppo di operatori di diversa formazione e provenienza geografica, il progetto nasce dall’esperienza dell’Associazione di Promozione Sociale “Compare”, impegnata dal 1997 in un lavoro pedagogico, sociale e politico nella città di Napoli a partire dai campi rom della periferia nord. Il progetto triennale Centro Territoriale Mammut è iniziato nel maggio del 2007 ed è portato avanti con la cooperazione di una rete di gruppi, associazioni, scuole, enti napoletani e di altre città d’Italia (Bologna, Firenze, Pistoia, Roma e Venezia). Esso è rivolto tanto alle scuole e alle associazioni già esistenti, quanto ai bambini e agli adolescenti del territorio e si basa sul lavoro cooperativo in ambito socio-educativo, dove l’intreccio tra urbanistica, didattica ed educazione è al centro della riflessione. Esito e non presupposto della ricerca è l’animazione, attraverso modi nuovi di fare sociale e pedagogico, di un centro territoriale cittadino con sede a Scampia, nella Piazza oggi intitolata a Giovanni Paolo II, aperto ai bisogni, alle domande e alle possibilità dei gruppi e dei singoli che condividono obiettivi e ideali del progetto. 51 Il CT Mammut è attualmente finanziato dalla Regione Campania – Assessorato alle Politiche Sociali – e dalla Fondazione Banco di Napoli per l’Assistenza all’Infanzia, questa rappresenta un’altra area di ricerca, nel tentativo di lavorare con le istituzioni senza perdere la propria etica e i propri ideali. Il Mammut trae origine dalla condivisione di analisi e spinte etiche e metodologiche con operatori, gruppi e istituzioni di altre regioni italiane, nel tentativo di avvicinare pratiche e teorie pedagogiche e di uscire dalle logica del “lamento” fine a sé stesso. Il lavoro pedagogico che porta avanti è un modo di fare inchiesta sociale dove “fare scuola” e “fare città” non sono più momenti separati, ma al contrario l’uno condizione indispensabile per l’altro. Finalità del Mammut è insomma la costruzione di una metodologia di analisi e intervento sociale e pedagogico in sintonia con i tempi, in continuità con le esperienze della scuola attiva e riflessiva (quella che da Dewey e Freinet arrivando al Movimento di Cooperazione Educativa, vantando anche nella nostra città antenati importanti come la scuola Madonna Assunta di Bagnoli o l’ARN). In tal modo il territorio di Scampia si fa luogo di mescolanza, nuovo “centro” sdoganato dalla retorica della “periferia simbolo” (dei cattivi camorristi o dei buoni volontari), punto di riferimento per l’analisi, e il lavoro, sociale e pedagogico. Associazione di Promozione Sociale Compare Piazza Giovanni Paolo II n. 3/6 - 80145 Napoli Tel. mobile 338.5021673 / 329.6237361; web: www.mammutnapoli.org e-mail: [email protected] 52 SFOGO di Gianluca Cacace, Centro Territoriale Mammut D’estate con quel sole che sembra ustionare la pelle si fatica non poco nel trovare un posto ombrato. D’inverno invece il cielo, quasi sempre cupo, ricorda i paesi del nord Europa. E’ poca la luce ed il calore dei raggi solari che si nascondono dietro un avido cielo annuvolato, l’ atmosfera è malinconica, come per simboleggiare un enorme spreco. La sensazione prevalente è di dispersione, ci si sente piccoli, immersi tra stradoni e palazzoni. E’ la periferia, quella a nord di Napoli. Qui è come se la creatività delle persone non trovasse sbocco, una collocazione adeguata, rinchiudendosi bruscamente all’interno dell’individuo. Sono pochi quelli che riescono ad esternare effettivamente la propria creatività, il proprio pensiero mediante espressione artistica. Uno di questi era sicuramente Felice Pignataro, che con i suoi murales è riuscito a dare colore alle mura grigie di Scampia, accompagnando a questi un messaggio da far captare in maniera diretta all’osservatore. Essi solitamente erano sviluppati in modo tale da comunicare un concetto, una speranza che spesso e volentieri risultava utopica. Chi ha avuto la fortuna di conoscerlo lo descrive come una persona che viveva in un mondo alquanto personale e singolare, che non dava importanza ai pregiudizi e all’estetica. Forse per questo risultava strano all’occhio altrui, tanto da accaparrarsi l’appellativo di “pazzoide”. Nel quartiere tutti lo ricordano, chi in un modo chi nell’altro. Dalla persona colta al semplice verduraio, che se non altro, ricorda affettuosamente la sua figura positiva all’interno del quartiere. Quello di dipingere e di esprimere le proprie idee attraverso l’arte dei murales rappresentava per Felice un altro punto di vista, un’altra angolazione da cui guardare il mondo. Oggi questo ruolo di dipingere i muri urbani è intrapreso dai writer, che negli ultimi anni sono aumentati a dismisura, ma non li si può mettere sullo stesso piano di Felice, in quanto forse la sua attività non ha quasi nulla a che fare con questa disciplina che ha ben altre origini e radici. Dunque l’eredità di Felice non è stata al momento ancora raccolta da nessuno per quanto riguarda i murales, bensì sebbene in altre forme, è portata avanti, oltre che dalla 53 sua famiglia servendosi anche del centro sociale “Gridas”, da altre strutture venutesi a creare da qualche anno a questa parte come il centro territoriale “Mammut”, che rappresenta un’ oasi nel deserto di Scampia, svolgendo attività sociali rivolte ai giovani, facendo in modo che questi trovino un punto di riferimento in questo difficile territorio, dove sembra che tutto sia mosso dalla delinquenza e dall’illegalità. Le parole a riguardo si sprecano, le istituzioni sono assenti, come i punti d’aggregazione che sono solo uno dei problemi enormi che affliggono e segnano Scampia. Questo quartiere è frutto di un insolito assemblo di cittadini, nel non poi cosi lontano 1964, in conformità alla legge numero 167 ed un piano di zona per l’edilizia economica popolare, secondo il quale abitanti di varie zone della città erano chiamati a risiedere in questo territorio ad estremo nord di Napoli, che non si sa per quale ragione precisa, prese il nome di Scampia. A questo spostamento cittadino prese parte anche Felice, tra l’altro di origi- 54 ne pugliese, che si stabilizzò in questo luogo, essendo ovviamente inconsapevole che con questo suo particolare lavoro sul territorio, che consisteva anche nel coinvolgere in prima persona i bambini, ad esempio per la costruzione di maschere e carri per la sfilata del suo tanto amato Carnevale, di anno in anno sarebbe riuscito a divenire un simbolo per tutto il quartiere. A Felice piaceva la gente e cercava di rianimare in loro la speranza ormai svanita usando i colori e le figure, mezzo di comunicazione più efficace di quanto si possa pensare. La sua presenza nel quartiere è ricordata appunto dai suoi disegni in molteplici luoghi, su mura che sembrano sbiadirsi di anno in anno, ma che non lasceranno mai la mente di chi l’ ha amato ed apprezzato. Oggi le sue ceneri appartengono al mondo, come un tempo lui voleva che fosse per ogni suo murales, prezioso patrimonio della collettività. 55 VO.DI.SCA Vo.di.Sca è l’acronimo dell’associazione di promozione culturale Voci di Scampia. Nata ufficialmente il 6 gennaio del 2007, ma già sul territorio dal giugno del 2006, è un’associazione laica e apartitica, composta principalmente da giovani dai 15 ai 25 anni. Fondata da Maddalena Stornaiuolo e Rosario Esposito La Rossa, ha sede a Scampia e nasce con l’intento di ridare onore e dignità alla vittima innocente di camorra, Antonio Landieri. Disabile ammazzato il 6 novembre del 2004 in un agguato ai ‘’Sette Palazzi’’ di Scampia. Antonio, conosciuto da tutti come Tonino per diversi mesi è stato definito dai media uno spacciatore di livello internazionale. L’associazione si è battuta e si batte per far venir fuori la verità dimenticata da tv e giornali. In memoria di Antonio Landieri è stato creato l’omonimo premio di poesia, uno dei pochi premi letterari sul territorio a nord di Napoli, è stato piantato un albero nei pressi del centro territoriale Mammut e da qualche anno in collaborazione con la scuola calcio Arci Scampia si svolge il Memorial Antonio Landieri, torneo di calcio per bambini. Sempre in memoria del giovane, Rosario Esposito La Rossa, cugino della vittima, ha scritto il libro “Al di là della neve, storie di Scampia” vincitore del Premio Siani 2008. Nel 2009 Vo.di.Sca ha inaugurato a Scampia la “Fabbrica dei Pizzini della legalità” in collaborazione con l’editore trapanese Coppola, una piccola impresa artigianale che produce mini-libri contro tutte le mafie. Vo.di.Sca sin dalla sua nascita ha aderito al network di “Libera, associazioni, nomi e numeri contro le mafie” diventando Presidio di Libera Scampia nel 2008. L’associazione è anche uno dei nodi locali della rete internazionale di boicottaggio alla Coca Cola Company. Nel 2010 è nata Vodisca Teatro, la compagnia teatrale dell’associazione, curata da Maddalena Stornaiuolo, che ha prodotto per la rassegna Teatri della legalità, gli spettacoli Croci Rosa e Al di là della neve. Tutte le attività dell’associazione sono autoprodotte, autofinanziate e autogestite. Simbolo di Vo.di.Sca. è il Gabbiano un uccello capace di adattarsi alla spazzatura e nello stesso tempo volare in alto verso l’orizzonte. 57 Anche il termine Voci nell’acronimo non è un caso. Per i ragazzi di Vo.di.Sca la voce è qualcosa che rompe il silenzio dell’omertà, la voce è simbolo di resistenza ed esistenza. Tante voci fanno un coro e un coro in questo mondo che ci vuole gli uni contro gli altri è un atto rivoluzionario. Vo.di.Sca Associazione di Promozione Culturale sede legale e operativa: via Andrea Pazienza, 25 80144 Napoli c.f. 95083380634 web: vodiscateatro.jimdo.com email: [email protected] 58 FELICE PIGNATARO – UN UOMO LIBERO di Rosario Esposito La Rossa, Vo.di.Sca. (I “pizzini” della legalità, Coppola Editore). «Lei è all’orizzonte» dice Fernando Birri. «Mi avvicino di due passi, lei si allontana di due passi. Cammino per dieci passi e l’orizzonte si sposta dieci passi più in là. Per quanto io cammini non la raggiungerò mai. A cosa serve l’utopia? Serve proprio a questo: a camminare.» Da “Las palabras andantes”, di Eduardo Galeano, Finestra sull’Utopia Felice Pignataro è un uomo libero. È stata la prima persona nella mia vita che ha distrutto una di quelle tante barriere ideologiche che abbiamo davanti agli occhi senza saperlo. Lo conobbi quando avevo otto anni. All’epoca la mia maestra era una donna ben vestita, con gli occhiali, rigida. Felice arrivò e facendo tre passi cambiò il mondo. Non si sedette dietro la cattedra, passò avanti tra noi. Cosa sono quei tre passi? Nulla se ci pensi, eppure fu la dimostrazione pratica che un cerchio è più forte di una piramide. Poi saltò sulla cattedra, ci invitava a farlo e noi bambini rinchiusi nei banchi ci liberammo. Chi era questo signore? Come mai la quattrocchi gli permetteva di fare tutto questo e noi venivamo rimproverati perché sporcavamo i quaderni d’inchiostro? Canticchiando ci portò fuori, ci disse che il cortile era la nuova classe. Una classe sotto il sole. Era gennaio e il sole a gennaio è come la granita ad agosto. Quel giorno per la prima volta sono stato orgoglioso di portare il grembiulino. Perché tornai a casa sporco come mai avevo fatto. Pittura, colla e altro. Temevo per mia madre, per quello che avrebbe detto, ma quando mi vide sorridendo non potè far altro che sorridere anche lei. Ma cosa hai studiato oggi a scuola? Non lo so come si chiama, ma ora so fare tante cose. Felice venne altri giorni e a febbraio portammo in villa comunale a Scampia le maschere che avevamo costruito nelle ultime aule della scuola, quelle abbandonate e sempre chiuse. Io l’avevo ribattezzate le aule di Felice. A Carnevale scendemmo in piazza, tutti i bambini, ed era bello vedere quello che avevamo costruito. Il Carnevale non era la fotografia col vestito di Zorro o Sailor Moon, era un’altra cosa. Alcune mamme quando lo vedevano inventavano certe storie su di lui, su quell’uomo che veniva a scuola vestito come gli pareva, senza mode. 59 Poi il tempo è passato, mi sono fatto grande, e forse oggi avrei saputo rispondere a quella domanda di mia mamma. Quel giorno ho imparato ad usare le mani. Non per scrivere, non per fare Minnie e Topolino, ma per creare. E mi sentivo bene, perché non eseguivo ordini, non era un compito, era la liberazione dei pensieri di un bambino. L’uomo non è dotato di una saggezza maggiore di quella degli altri esseri, per molti numeri egli è superato da molti e anche da quelli che sono irrilevanti per la loro esigua corporeità: ma l’uomo è incorso in una sorte migliore avendo avuto il dono della mano.” (Giordano Bruno). Felice Pignataro è nato a Roma il 6 febbraio 1940, ma visse a Mola di Bari e solo nel ’58 arrivò a Napoli. S’iscrisse ad architettura, poi seguì gli studi teologici, ma quello che mi piace ricordare di Felice è che ad un certo punto incontrò Mirella, la compagna della sua vita. Una mosca bianca, come lui l’ha definita. Insieme a Mirella al campo Arar di Poggioreale iniziò nella baracca 128 il doposcuola con i figli dei baraccati. All’inizio a fare questo “volontariato” settimanale erano in tanti, poi molti se ne andarono e il settimanale diventò giornaliero per Mirella e Felice. Nel ’68 nella baracca 128 iniziò la Controscuola. La parola dice tutto. L’anno dopo seguendo i baraccati Mirella e Felice si trasferirono a Secondigliano, periferia Nord di Napoli. Lì, in quella terra fertile chiamata Scampia, il comune ci costruì la 167. Palazzoni enormi, senza servizi, una città dormitorio. Felice invece alloggiò in una vecchia masseria dove ebbe tre figli, Luca, Giovanna e Martina. Alcuni anni dopo nacque il Gridas, quella che oggi è una fetta della storia di Scampia. Gridas, ovvero Gruppo Risveglio dal Sonno, in riferimento ad una frase di Goya, il sonno della ragione genera mostri. Io vivo in via Andrea Pazienza, il grande Paz, il fumettista. Fino a poco tempo fa, come gran parte delle persone del mio isolato non sapevo nemmeno chi fosse. Però tutti sapevamo dove si trovavano i murales di quello strano, del pazzo, di quello che sporca i muri, i murales di Felice. Quando parlo di murales, non intendo la pisciatina di cane, la tag, il marchiare il muro con proprio nome. Il murales è qualcosa di lontano, che viene dal sud america, dalle resistenze cilene, dalle proteste degli universitari messicani che sui muri dipingevano i loro pensieri. Felice non è mai stato il mammasantissima che arrivava e con i pennelli faceva l’opera d’arte. I murales erano fatti insieme ai bambini, erano un’opera collettiva, dove magari un bambino metteva una sola pennellata, ma si sentiva partecipe di quel murales lungo decine di metri. Davanti ai murales di Felice, non ti viene semplicemente da dire: bello! No, ti viene da pensare, perché raccontano sempre qualcosa, perché c’è sempre un messaggio, perché le figure si confondo con te che cammini sul marciapiedi. Ce ne sono più di 200 sparsi per l’Italia e nel mondo, così tanti da rendere Felice Pignataro il più prolifico muralista del secolo. Oggi molti sono stati cancellati, distrutti dalle ristrutturazioni delle scuole, dal mondo che cambia, ma altri sono ancora lì che si sbiadiscono col tempo, che vivono insieme al muro. Il murales non è l’arte rinchiusa nei musei, non si paga per guardare, è per tutti. 60 Dopo tanti anni ho rivissuto il carnevale di strada, quello che da più di vent’anni il Gridas organizza. Il Carnevale, il momento in cui gli uomini diventano altri uomini e hanno la possibilità di dire la propria, di dire quello che non gli sta bene, criticare il padrone, il potere. Questo è il carnevale del Gridas una critica sociale ricca di maschere inventate, costruite, ricca di rumori di strada, di musica e parole della gente che abita quelle strade dove il corteo di carnevale si muove. Il carnevale non è la maledettissima festa consumistica che va mischiandosi con halloween, il carnevale che ho vissuto è quello contro le guerre, contro la privatizzazione dell’acqua, contro tutti i disastri che succedevano durante l’anno. Felice è stato anche tanto altro, scultore, inventore del gioco la papera rivoluzionaria, forse ho rivisto Felice a Barcellona, nascosto in qualche opera di Gaudì. L’ho rivisto nei mosaici sui muri di Parco Guell, in quelle opere semplici ma che semplicemente raccontano. Molti hanno parlato di Felice, ‘E Zezi & Daniele Sepe, che l’hanno definito un capatosta, la band musicale di Scampia A67 che gli ha dedicato una canzone, altri documentari, certi articoli, ma quello che davvero mi impressiona di Felice è che nonostante altri ci raccontino di lui, in un modo o nell’altro, in un murales o in un carnevale, lui ha ancora qualcosa da dirci. Quando entrai per la prima volta al Gridas, centro culturale “Nuvola Rossa”, faceva un caldo tremendo, asfissiante, vedendo l’immensità di colori sparsi sui muri, la prima cosa che mi venne da dire fu “Uà la mia casa è proprio bianca”. Oggi Felice non c’è più, è morto il 16 marzo del 2004 per un tumore al polmone. Bush continua a guerreggiare e quando col motorino passo per il quadrivio di Secondigliano e il mio sguardo si sofferma per un attimo su quel murales sbiadito “Andarono Caravelle e tornarono Portaerei” mi viene da sorridere, perché in questo mondo c’è qualcuno che nella vita ha vissuto intensamente, con creatività, per qualcosa, per qualcuno, senza chiedere niente in cambio. 62 Inno dei Muralisti Quando il sole splende in cielo tutto il mondo è colorato, quando invece è nuvoloso, la tristezza viene giù... Ma c’è un grigio più pesante che si annida nel cervello: per combatter proprio quello, a noi piace colorar. Rit. Bianco, rosso, giallo e nero, nero, rosso, giallo e blu: i colori sono questi, tutti gli altri li fai tu! Chi non ha casa e lavoro si è saziato di tristezza, ma in un mondo colorato la coscienza crescerà. Per far nascer la coscienza coloriamo il nostro mondo: un ambiente più giocondo il riscatto aiuterà... Rit. Bianco, rosso, giallo e nero, nero, rosso, giallo e blu: i colori sono questi, tutti gli altri falli tu! Napoli, 11 giugno 1996. www.felicepignataro.org 63 I MUSICISTI FELICE di Daniele Sepe Si sentiva il suo rullante e sapevi che erano arrivati Felice e la famiglia. Erano i tempi della guerra per il Kosovo e i bombardamenti su Belgrado e ci sembravano tempi brutti. Non sapevamo che ce ne aspettavano di peggiori. Felice e famiglia li avevo conosciuti al Gridas, per uno dei carnevali che loro organizzavano a Scampia. Mi regalò un pacco degli adesivi che aveva fatto e che vorrei avere conservato invece di averli attaccati tutti alle fermate del pullman o in metropolitana. I suoi murales rallegravano le zone più squallide di Napoli, tutti quei quartieri dove la gente non c’ha il tempo di vedere se è una bella giornata e ci torna la sera dopo avere lavorato. Senza una statua o un palazzo del Vanvitelli. Mi ricordo che una volta ci fu una polemica sul quotidiano della città perchè avevo detto che invece di spendere milioni per artisti che venivano in città per riproporre cose fatte altrove e intascarsi l’anima dei soldi bisognava sostenere Felice e il suo lavoro. Il direttore artistico del museo d’arte contemporanea di Napoli rispose che ero un cafone e non capivo un cazzo di arte. Sarà. Siamo in parecchi i cafoni qua. James, ‘E Zezi, Gragnaniello...tutta gente che per censo e estrazione culturale non si adatta bene ai salotti culturali della nostra splendida e solare città. E Felice faceva parte del nostro club da pasta e fagioli. Felice era prima un uomo, poi un compagno e infine un artista. E non è poco. Ma al di là della militanza i suoi murales mi piacevano del piacere di guardarli. Aveva uno stile chiaro, solare, infantile e didascalico che somiglia al mio ideale di fare musica, insomma mi ci riconoscevo. In un mondo dove “chiaro” e “infantile” non sono aggettivi che vanno per la maggiore, un mondo dove bisogna fare sottili distinguo e nascondersi dietro l’essere adulti e per questo autorizzati a costruirsi buone scuse per continuare a sfruttare la vita degli altri Felice era un bel bambino resistente. web: www.danielesepe.com 67 FELI’ di Massimo Mollo Mi chiedete poco e mi chiedete tanto, Felice non è mai andato via da me e Marzia, è sempre qua, nelle nostre azioni e nei nostri ragionamenti. Dal momento della sua scomparsa, quando appena 5 minuti dopo averlo saputo, scrissi quelle parole, quasi a lottare contro un evento implacabile per tutti. A me sono servite, sono una riserva di speranza quando le cose vanno male ed un iniezione di fiducia che Felice mi dà costantemente, altrimenti mi mancherebbe troppo. Mancherebbe quel rullante sempre “fuori tempo”, già proprio fuori dal tempo non solo ritmico, ma da quello che ci si voleva imporre, il suo “tempo” quello del suo rullante, era il suo segnale identificativo “io sono qua, svegliatevi, non vado nella stessa direzione, non mi confondo e mi annullo, sono qua per farvi rincorrere i sogni e le utopie, per darvi allegria nei cortei, per materializzare i sogni e per sognare la realtà che inseguiamo”...come mi manca tuttavia la sua amicizia, la sua lezione del lavoro a Scampia, nei quartieri tosti, che noi abbiamo tentato di seguire. Felice ci riempi’ la nostra prima sede di Artisti Associati a Chiaiano (che purtoppo non c’è più) e miracolosamente quelle due stanzette diventarono un giardino meraviglioso. Felice dipinse l’enorme telone da cantastorie della “Nuvella” una canzone del cantastorie Eugenio cu ‘e llente di Giugliano che ora abbiamo ripreso con i Zezi e questo telone forse lo riporteremo sul palco, Felice si incazzava con gli operatori di Piscinola che facevano disegnare cose “stupide ai bambini” invece di farli sognare e poi ci sono sensazioni, pensieri, speranze e delusioni che solo quelli della mia generazione possono capire... Felice era me, la mia storia, quella dell’epoca del sogno, dell’utopia e della speranza. Un piccolo episodio prima di chiudere che è quello che mi fa ricordare meglio il suo volto. Anni fa durante una festa al Gridas in sostegno dei rom del quartiere, accompagnai con la chitarra una piccola ragazzina “zingara” (mi piace chiamarli così, perché mi sento anch’io così) molto vispa e ribelle, lei cantò accompagnata dalla mia chitarra. Successo di pubblico e di critica, come si dice, e soprattutto il sorriso e la felicità di Felice per quella piccola cosa che era successa, qualche giorno dopo mi mandò un disegno che mi raffigura. Nella nostra sede i murales non ci sono più………ovvero……..come la “scritta invincibile” di Lenin sotto la nuova mano di pittura quei murales ci sono sempre…………………. 69 Nella nostra cooperativa Cantolibre ho riempito un muro con le foto di quelli che io considero i più grandi artisti di cultura “popolare” (nel senso della tradizione, ma anche dell’interesse per il popolo) e tra Fabrizio De Andrè e Anna Magnani c’è la foto di Felice che è comunque un grande artista della comunicazione visiva e del dipingere, rivoluzionario nei contenuti e nelle tecniche e quest’aspetto va tenuto alto nella sua considerazione, la sua altissima “arte” era al “servizio” delle persone, come citava la grande artista cubana Haidèe Santamaria: “ci sono artisti che amano l’arte e artisti che amano il popolo”. Ciao Felì. La poesia “Felice” è contenuta nel libro di Massimo Mollo “Come un vecchio cantastorie Poesie e Canzoni di un percorso all’incrocio dei Rua Port’Alba”, NonSoloParole EDIZIONI, 2005. web: www.cantolibre.it 70 Felice Il tuo gilè non è quello di un poliziotto non è quello di un mafioso non è quello di un “onorevole” è di cuoio Le tue grida non sono di paura non sono di dolore non sono di disprezzo sono GRIDAS d’amore Le tue scarpe non sono di via Scarlatti non sono di una spia non sono militari non sono di un cantante alla moda sono Francescane Le tue arrabiature il tuo alcool le tue sigarette la tua malattia la tua Puglia la tua Secondigliano il tuo rullante sempre fuori tempo la tua barba mai fatta veramente i tuoi colori i tuoi bambini la tua compagna i tuoi mondi le tue novelle... simme tutte quante nuie sono il tuo irrefrenabile, sconfinato diritto d’amore per la terra. Felice, compagno... mai questa parola ha dipinto meglio un uomo Le tue mani non sono immacolate non sono prive di durezza non sono quelle di un banchiere non sono quelle di un criminale sono sporche di sacrifici e vernice Il tuo fazzoletto non è di Armani non è una cravatta regimental non è una cravatta rossa asciuga il tuo sudore e la tua voce di lavoratore La tua arte non è nei musei non è nelle gallerie alla moda non è nei salotti non è nelle “programmazioni culturali” delle istituzioni la tua arte popolare colora i muri neri della nostra vita e cerca il tuo Dio 71 ‘O PAZZARIELLO di Libera Velo ...stavo pensando che il cannibalismo potrebbe avere i suoi pregi: tutte le donne e gli uomini che contano nella tua vita potresti morderli un po’ ed ingoiarne un pezzetto, che so mentre si chiacchiera di letteratura o mentre ci si incazza insieme su quanto è troppo dritto lo munno. Di sicuro ogni volta che ho provato l’incanto di vedere all’opera l’amico Felice, in qualsiasi cosa lui facesse, dalla scolatura di uno spaghetto, all’impastare i sui mitologici amaretti, dal declamare una rima dell’insigne poeta da lui adorato Gennaro Esposito, alla fattura di magnificenti e uniche linoleumgrafie, mosaici, magliette, incisioni, murales e soprattutto mentre inchioda i suoi favolosi zoccoli autocostruiti, gli avrei sempre con godurioso piacere addentato le mani! Aahh come sono belle le mani di Felice e come se le rovina con triolina, vernici, taglierini, colla e arnesi ma come dice Giordano Bruno, spessissimo da lui citato: “l’uomo non è dotato di una saggezza maggiore di quella degli altri esseri....l’uomo è incorso in una sorte migliore avendo avuto il dono della mano”....e così lui le sue mani le “sfrutta” all’ennesima potenza dando a noi osservatori l’impressione di poter esser in grado di seguirlo e di riuscire a passare dallo studium alla pratica sincera dell’Autoproduzione; tutto ciò attraverso le sue dita, per emulazione ma anche per una magica fiducia in una parte della Specie che solo un grande Maestro di Strada è in grado “zitto-zitto” di infondere nel prossimo.Visto che mi trovo a rovistare nella scatola dei ricordi, (anche se fin qui ho parlato al presente per ovvie motivazioni affettive...) non posso fare a meno di raccontare l’immensa fortuna che ho ad aver conosciuto anche il fulgido pianeta che ha reso ancora più “espandibile” (tipo Barbapapà!) il talento di Felice, sto parlando della sua compagna di vita, Mirella, grandezza della Natura! Io chi sono? Io sono cresciuta in una famiglia aperta, artigiana, laica e comunista e di fatto l’impegno alla condivisione ha sempre fatto parte del mio dna e del mio mondo. Quando nel 2007 ho avuto la possibilità di registrare il mio primo disco (“Riffa”) non potevo non inserire, nel concetto generale del lavoro, una ballata scritta il giorno in cui ho visto Felice per l’ultima volta... il titolo è “Ballata Felix” per un giochetto linguistico tra il nome “Felice” e “Campania Felix”; le sue mani sono le protagoniste e l’esperienza collettiva dell’uso del colore, che 73 dalle mani di Felix passa nelle nostre e poi sui muri, rende eterno il lavoro del muralista. Nessuna vana gloria da vernissage, né vendita al dettaglio per lucro in vita, neanche l’ombra di “Arte” della fiction né ambizione di eco ai posteri...ma cura, urgenza comunicativa e bisogno impellente di graffiare la verità della storia comune sui muri rendendoli brillanti, vivi e visibili come i colori...così ogni colore dell’arcobaleno è ciò che vedi ma può anche essere l’opposto, perchè amici come Felice Pignataro ci aiutano ad infilare cuore e fegato nelle cose e tirarne fuori il nascosto, abbandonando ogni pregiudizio magari incazzandoci quando è giusto! Il filo di seta che unisce me a Felice, l’ho espresso citando Edoardo Galeano che proprio lui mi ha fatto scoprire nel 1996, quando andava in giro per Napoli regalando a chi gli piaceva una copia del libro dell’autore uruguaiano “Las palabras andantes“... una copia con dedica era destinata a me e mi lusingò! Galeano scrive: “...nessuno sarà considerato eroe o tonto perché fa quel che crede giusto invece di fare ciò che più gli conviene” (dal libro “A testa in giù”). Nell’arrangiamento ho cercato di dare l’effetto sorpresa perchè non avevo affatto voglia di comporre un brano linearmente celebrativo per un uomo che aveva il gran dono di evitare l’ovvietà della vita. Il Pazzariello Felice con il rullante è sempre stato motivo di vanto alle manifestazioni nazionali... solo noi napoletani ce l’abbiamo perchè un giorno su una vespa Felice decise di venire da Mola di Bari a Napoli e qui infilò, nella terra, le sue radici fino a farle diventare, insieme a Mirella, un arbusto di fratellanza con strani e succulenti frutti ripieni d’utopia...se leggesse, lui ora mi direbbe: “hmmm e di che sà l’Utopia? Deve avere un buon sapore!?”... e io gli risponderei: “è un mix di sapori a metà strada tra i tuoi amaretti e le crepes di Mirella!” La canzone “Ballata Felix” è contenuta nel disco di Libera Velo, “Riffa”, Octopus records, 2007. web: www.liberavelo.it 74 “BALLATA FELIX” la scia che lascia la luce è più chiara di quanto sappiamo la scia che lascia la luce è più chiara di quanto sappiamo i petali ridenti delle margherite restano sui muri per l’eternità i petali ridenti delle margherite restano sui muri di cemento Brillando il colore, dalle tue mani passa nelle nostre e poi sui muri: il rosso non è solo sangue, il giallo ricorda i nostri sogni, col verde riempiamo la bocca ai prepotenti, con l’arancio chiudiamo la porta... chè fa freddo! Il bianco non è solo ghiaccio, il viola risveglia tutti i tuoi sensi, col blu danzeremo nella notte illuminata e con l’indaco andiamo veloci... contro tempo! e tu nè eroe nè tonto... tu sei giusto, tu sei giusto! la scia che lascia la luce è più chiara di quanto sappiamo la scia che lascia la luce è più chiara di quanto sappiamo i petali ridenti delle margherite restano sui muri per l’eternità i petali ridenti delle margherite restano sui muri di cemento ... a Felice e Mirella ... 75 UN MONDO FELICE di Daniele Sanzone (‘A67) «Felì’ t’ho dedicato ‘na canzone». «A chi a me? E perché?». Eravamo in piazza del Plebiscito durante uno dei tanti cortei per il lavoro. Come sempre Felice era lì a manifestare la sua indignazione con tamburello e fischietto, quando gli confidai che gli avevo dedicato una canzone, allora lui mi sorrise e sorpreso come un bambino mi chiese: perché? Quel perché lo si trova facilmente in tutti i ricordi di chi ha avuto la fortuna di conoscerlo. Ero abituato a vedere la sua sagoma spigolosa in giro per il quartiere. Lo avevo visto pitturare i muri grigi del rione e sfrecciare per le strade su di una strana vespa dipinta da lui. Quando domandavo in giro chi fosse, tutti mi rispondevano che era un pazzo e che stava sempre nel Gridas, il centro sociale del quartiere. La pazzia di cui parlava la gente non era altro che la naturale risposta alla loro indifferenza, all’assurdità di un quartiere in cui ogni giorno diventa normale ciò che non lo è mai stato. Quel posto, il Gridas, quasi mi chiamava, ero incuriosito da quel mondo misterioso ed emarginato dal quartiere. Ma la mia timidezza mi impediva di entrare. Era la metà degli anni novanta e la musica e il vento del tanto decantato rinascimento napoletano arrivava anche alle orecchie distratte dei ragazzini della periferia nord di Napoli. Potevo avere 16 anni e fu allora che nacque in me l’interesse per la musica e la politica. Il coraggio di oltrepassare il cancello del centro sociale mi venne quando ebbi l’idea di occupare una vecchia fabbrica di guanti abbandonata, in via limitone di Arzano. Speravo che quel pazzo, che aveva creato un centro sociale nel buco nero del mondo, fosse disposto ad aiutarmi. Entrai senza far rumore, la sua figura mi affascinava e allo stesso tempo mi intimoriva. Stava lavorando ad una maschera del carnevale di quartiere quando trovai la forza di presentarmi: «Ciao Felice, mi chiamo Daniele, abito qui di fronte e volevo chiederti una mano per creare un centro sociale ad Arzano. ». Si voltò e mi fece una risata in faccia. Da quel momento divenne un punto di riferimento costante nella mia vita. 77 L’arte di Felice si pone inevitabilmente l’obiettivo di cambiare il mondo. L’utopia sui muri è appunto l’utopia di un mondo migliore, il modello al quale ispirarsi per costruire quello reale. E nel mondo reale la periferia si caratterizza non solo per la sua posizione rispetto al centro, ma anche per un inferiore valore delle cose e delle persone rispetto a quest’ultimo. Il suo modo di concepire l’arte al servizio del riscatto sociale è ciò che forse più ha condizionato il mio modo di vedere e fare musica. Felice mi ha insegnato cosa significano le parole coerenza, libertà e lo ha fatto col suo esserci sempre e comunque, con la sua arte, con la spontaneità dei suoi gesti e la grandezza di una vita spesa a dar voce a chi voce non ha, ridando in questo modo nuovo valore a questo quartiere. Proprio come ci ha insegnato l’esperienza del movimento Unidad Popular di Salvador Allende in Cile che usava i murales per far crescere la coscienza sociale dei cittadini analfabeti. Per Felice l’arte appartiene al popolo ed è una forma di conoscenza e di socializzazione, una comunicazione “altra” fatta di immagini e colori che può e deve avere il compito di far riflettere chi l’ammira. Con Felice non è scomparso solo un autentico artista, ma la voce vera e mai rassegnata di Scampia, la voce del riscatto e della dignità di una periferia che è stanca della camorra e delle tante promesse di un governo che la ricorda solo in campagna elettorale. Non mi stancherò mai di ringraziarlo per avermi dimostrato col suo esserci che un altro mondo non solo è possibile, ma che lottare per esso non è un dovere ma l’unico modo che abbiamo per continuare a (r)esistere. La canzone “Felice” è contenuta nel disco degli ‘A67, SUBURB, Edel (Polosud), 2008. Nel disco il brano, cantato con Francesco Di Bella (24 Grana), è preceduto dall’Inno dei muralisti cantato da Felice e estratto dal documentario “Felice!” di Matteo Antonelli e Rosaria Désirée Klain. web: www.a67.it 78 “Felice” P’ ‘a gente era ‘o pazzo ‘o mbriacone chillo ca purtava ‘o carnevale dinto ‘o rione chillo ca purtava nu poco ‘e vita mmiezo a chesta gente ca s’è scurdata ‘e ridere regalanno culuri all’uocchie ‘e chi cammina pe’ ‘sti strade senza fine, senza fine AMMESCO ANIMA E CULURI PE’ PITTA’ ‘A CUSCIENZA ‘E ‘STU MUNNO Ma era sulo dinto a chelli quatte mura Sulo cu ‘e maschere e c’‘a pittura Sulo a s’incazzà annanze all’indifferenza ‘e chi vo’ cagna’ e tene paura do ffa’ ‘e chi s’ammocca ancora ‘e strunzate ‘e chi ci guverna ‘e chi se sta zitto pe’ vivere quieto ‘e chi guarda annanze e nun si gira arete ‘e ‘chi romme e chi no’ e ancora nun se sceta E allora ‘o vide ‘e alluccà, ‘o vide alluccà Ca ‘n atu munno ce sta e furzanno ‘a mascatura de suonne ‘O può pure tuccà scanzanne ‘e fuosse ‘e chi nun vo’ ‘uardà Pe’ ghì arete ‘o vico d’‘a verità addò l’anema piglia curaggio E accumencia a respirà perdenne ‘a voce appriesso A chi nun vo’ sentì e fa finta ‘e nun capì, e fa finta ‘e nun capì AMMESCO ANIMA E CULURI PE’ PITTA’ ‘A CUSCIENZA ‘E ‘STU MUNNO Pe’ leva’ ‘o niro ‘a chesti mura Pe’ cagna’ chistu munno Ammesco anima e culuri Pe’ da’ sciato a tutti ‘e suonne Pe’ leva’ ‘o niro ‘a chesti mura Pe’ cagna’ chistu munno Ammesco anima e culuri Pe’ da’ sciato a tutti ‘e suonne 79 FELICE! …MA C’È SPERANZA! di Rosaria Désirée Klain Quando ero piccola pensavo di essere nata “in mezzo ai mostri”. Mia nonna era insegnante di Lettere Antiche e traduceva sia il latino che il greco, senza l’uso del vocabolario. Così a vista. Mio nonno, avvocato, leggeva un libro in poche ore e si ricordava quasi tutta la Divina Commedia a memoria e con la più grande di tutte, anche altre innumerevoli opere. Così io, in loro compagnia e di tutti i loro amici intellettuali, evitavo argomenti culturali. E se scrivevo qualcosa, non la facevo leggere a nessuno. Troppa paura di essere giudicata “dai mostri”. Però amavo assistere alle ripetizioni di nonna Rosaria, che essendo stata costretta ad interrompere la professione scolastica per la folle gelosia di suo marito (nonno Peppe), teneva a casa lezioni gratuite, rivolte a tutti gli studenti di Secondigliano. L’insegnamento lo aveva nel sangue e non poteva viverne senza. Si sarebbe depressa. Soprattutto mi piaceva sentirla declamare poesie. Le rime mi graziavano dal mondo e ancora hanno su di me questo salutare potere. Dopo tanti anni, pur vivendo con la scrittura e quindi la stesura di articoli, comunicati, progetti artistici etc. etc. (nella vita, per mantenermi, faccio la giornalista) quel timore reverenziale rispetto “ai mostri” mi aveva impedito di pubblicare manoscritti che avessero, per loro stessa definizione e non merito, la presunzione di entrare nel mondo dei libri. Ossia quegli oggetti di culto ai quali io non avrei mai potuto aspirare. Aggiungerei un “ancora non posso”. E non è falsa modestia. Poi ho incontrato un uomo libero… Aver conosciuto Felice Pignataro ha cambiato il senso della mia vita: diventava forma quella parte straordinaria di arte, bellezza, verità, che fin a quel momento, avevo solo potuto immaginare studiando le biografie dei grandi rivoluzionari della storia contemporanea. Le belle parole e i buoni propositi, Felice non li ha relegati in una vaga ed astratta “filosofia del non-luogo”. Quest’uomo meraviglioso, magro, alto, con una faccia bella, tagliente, divertita, folle, li ha metabolizzati, sviscerati, partoriti. E questi si sono manifestati alla gente comune sotto forma di colori, maschere, fantocci, fumetti, murales, cortei carnevaleschi. Sbobinare le sue parole, quando organizzammo il montaggio del primo documentario, “Le Sfide della 83 Periferia” (che è poi diventato il film “Felice!”, diretto da me e da Matteo Antonelli), fu come assistere alla stesura di un libro. Non avevo, non ho, mai sentito nessuno parlare in quel modo. Persino le pause avevano la perfezione di un’avvincente storia scritta. Purtroppo dopo qualche mese Felice finì. Ma la sua arte sopravvive a tutto… Organizzai in poco tempo, attraverso un finanziamento pubblico, la pubblicazione di libricini grazie ai quali potesse essere ricordata, in piccola parte, la sua straordinaria opera. Subito proposi di affidare il compito a qualche scrittore vero. Da anni promuovo, pur non essendo anziana, il talento giovane altrui con i miei Festival. Forse per continuare a non misurarmi con il mio. Figuriamoci esordire con la stesura di un pur piccolo elaborato, ma che raccontasse la vita di un genio. Troppa responsabilità, per una ragazzetta che continua a ritenersi un’eterna ignorante e mai all’altezza delle proprie azioni. Le “Tracce di Felice” hanno contribuito anche a questo: riuscire a farmi uscire allo scoperto. Non so quante volte ho pianto davanti al foglio vuoto, non mi sentivo e non mi sento neppure lontanamente adeguata alla poesia che continua a far vivere questo incredibile artista. Eppure sono riuscita a scrivere “Ma c’è speranza…”! Un opuscolo, che racconta la vista straordinaria di Felice, corredato da una magnifica grafica costruita in mesi di lavoro dal figlio Luca Pignataro, dove sono ritratti alcuni dei suoi murales più significativi, tra i 250 sparsi per l’Italia e l’Europa. Colori, incontri, discorsi, vita; ma il suo tracciato per me è fatto di metrica, di rime operose, reali. La poesia ha spesso un ruolo effimero nella realtà. Felice è riuscito a trasformare questa forma di scrittura in fatti concreti. “Ci sono le figure più grandi – scriveva Pignataro - a voce alta, e quelle più piccole, sussurrate; aggregazioni inconsuete di elementi diversi, alterazioni di dimensioni. Alcune forme non sono forse immediatamente comprese e ci si chiede che cosa significhino, ma anche questo è importante: incuriosire, turbare, seminare inquietudine, dal momento che una prospettiva certa e accattivante per tutti non c’è, c’è però il rischio di essere tutti uniformati nel modello dominante, e ufficiale, imposto dai media, l’homo teleutens, l’uomo che pensa TV. Ecco allora l’uomo col televisore al posto della testa, che condensa in una figura la denuncia e la critica. Forse un po’ pretenziosamente abbiamo intitolato il libro sui nostri murales L’utopia sui muri. Certo, non si può cambiare il mondo con un pennello, né mai nessuno ha fatto una rivoluzione perché “convinto” da un quadro. Ma la rappresentazione su un muro, costantemente visibile, di una prospettiva diversa da quella che abbiamo sotto gli occhi o che non abbiamo affatto, se turba, provoca, smuove, è già qualcosa: un aiuto, un invito a chi è scontento, come noi, a unirsi per lottare invece di isolarsi per recriminare e lamentarsi. Nella speranza che un giorno si riesca ad unirsi invece di litigare e tutti insieme a cambiare le cose”. Non so se “le cose” siano cambiate, ma il Gridas, fondato da Felice, continua la sua traccia con grinta, bellezza, determinazione. Questo breve scritto è dedicato a Luca, Martina, Giovanna (i figli di Felice Pignataro) e alla sua compagna di vita, la mia amica Mirella La Magna, che continua a spronarmi nei momenti più bui… Grazie! 84 FELICE! a cura del GRIDAS Nel settembre 2003, la giornalista napoletana Rosaria Désirée Klain, ha registrato un’intervista a Felice Pignataro durante la preparazione del documentario “Le sfide delle periferie” presentato alla I Edizione del Festival cinematografico “Periferie del mondo - Periferia Immaginaria”. La lunga registrazione è stata poi ripresa nel 2006 per realizzare il documentario “Felice!” per la regia di Matteo Antonelli e Rosaria Désirée Klain. Il film, prodotto dall’Associazione “Periferie del mondo - Periferia Immaginaria” e da Digitalchroma srl, con il contributo della Provincia di Napoli - Assessorato Beni Culturali e Paesaggistici, ruota intorno a quella intervista. Felice! Regia: Matteo Antonelli e Rosaria Désirée Klain Musiche: Ciccio Merolla Produzione: Associazione ‘Periferie del Mondo - Periferia Immaginaria’, Digitalchroma srl. Documentario biografico. Italia, 2006. 55’. Felice racconta, con ironia e determinazione, della nascita del quartiere Scampìa, periferia nord di Napoli, della “Scuola 128”, prima ai baraccati del Campo A.R.A.R. poi al rione Ises, della nascita del GRIDAS, dell’impegno costante per il risveglio delle coscienze attraverso i murales, il carnevale di quartiere, le varie “trovate” per comunicare un diverso modo di esistere, non omologato. Le sue parole si integrano con foto e video d’archivio forniti dal GRIDAS e con riprese video realizzate sia in giro per Scampìa sia durante il carnevale di quartiere del 2006. La colonna sonora del film è stata appositamente realizzata dal percussionista Ciccio Merolla. 85 Il documentario “Felice!” è stato presentato in anteprima nazionale a Napoli, il 26 giugno 2006, al Cinema “Filangieri” di fronte a una numerosa platea. In quella occasione è stato stampato, con il contributo della Provincia di Napoli, il libretto “…ma c’è speranza” di Rosaria Désirée Klain, dedicato a Felice e al racconto di quell’incontro-intervista. Da allora il film continua a girare in lungo e in largo, non solo in Italia, con chi ne condivide il messaggio e si fa promotore della sua divulgazione. Mossa dalla convinzione che le idee debbano viaggiare, Amalia Carrieri (conosciuta grazie al passaggio da Scampìa del Progetto di cinema itinerante KINODROM) ha realizzato i sottotitoli in spagnolo del documentario “Felice!”. In questa impresa, Amalia, è stata aiutata da Ane Garay Zarraga. Sulla loro scia, Julien Fiorentino ha tradotto il film in francese e Gordon M. Poole ha tradotto il film in inglese. Ringraziamo tutti per il loro lavoro. Quella che trovate in abbinamento al libro è la versione del film sottotitolata. Il DVD, realizzato da Emanuele Vernillo, contiene anche un extra: Appunti per un carnevale Regia/fotografia/montaggio: Emanuele Vernillo Cortometraggio. Italia, 2003, 20’. Il breve documentario racconta la preparazione del carnevale del 2003: alle immagini dei laboratori, in cui si discute del tema scelto per la festa oppure si lavora in rigoroso silenzio, si alternano i momenti del corteo in giro per il quartiere. Per approfondire e per segnalare una proiezione del film: www.felicepignataro.org/felice - [email protected] 87 IL GRIDAS NON SI TOCCA! di Martina Pignataro (GRIDAS) Mentre ultimavamo questo libro e ci organizzavamo perché vedesse la luce, una “bufera” ha investito il GRIDAS e tutti noi: il 21 giugno 2010 l’IACP (Istituto Autonomo Case Popolari) proprietario dell’immobile in cui ha sede il GRIDAS, ci ha notificato una diffida a continuare a occupare abusivamente l’immobile e un invito allo sgombero volontario entro 15 giorni, pena la minaccia di “sgombero coatto”. C’è da dire che le stanze utilizzate dal GRIDAS, sono sì occupate abusivamente, ma quando vi stabilimmo la nostra sede, il centro sociale era un immobile semi-abbandonato. In trent’anni di attività il GRIDAS, e in particolare Felice Pignataro, ha più volte e a proprie spese, ristrutturato e rese “accessibili” intere aree della struttura. Inoltre, negli anni, abbiamo più volte mandato lettere e richiesto incontri ai “proprietari” chiedendo esplicitamente di “regolarizzare la nostra posizione”, ma non abbiamo mai ricevuto risposta. A questo va aggiunto che l’associazione non può essere privata di quei locali dove ci sono i murales di Felice che difendiamo con i denti e il nostro amore, dove c’è il nostro lavoro di una vita e un pezzo grande del nostro cuore. A questo punto è accaduta una cosa straordinaria che ci sembra appropriato segnalare proprio in questo libro che ripercorre e ricerca le “tracce” segnate da Felice e dal GRIDAS. Appena ricevuta l’ingiunzione di sgombero abbiamo pensato che la questione non riguardasse solo il GRIDAS. Abbiamo lanciato, quindi, un appello: un’e.mail che spiegava la questione nuda e cruda e un invito a un’assemblea pubblica per decidere insieme sul da farsi. La parte terminale dell’appello recitava: «Poiché il GRIDAS non è e non ha mai badato agli interessi di pochi, ci sentiamo “cosa pubblica”. Facciamo appello quindi a tutti perché accorrano e si mobilitino come meglio possano e come sappiano affinché il GRIDAS resti nel centro sociale di via Monte Rosa 90/b, nell’Ina Casa del rione Scampia (Napoli). Giovedì 24 giugno 2010 – ore 18:30 - convochiamo un’Assemblea Pubblica presso la 89 sede del GRIDAS per confrontarci sul da farsi con tutti quelli che in questi anni sono passati dal GRIDAS o in qualche modo sono entrati in contatto con noi. Vi aspettiamo numerosi!» L’appello è immediatamente rimbalzato in rete raggiungendo ogni parte d’Italia. Sono iniziate ad arrivare adesioni, messaggi di sostegno e incitazioni a non mollare in quantità enorme, tant’è che abbiamo subito creato prima una pagina di Facebook dedicata alla situazione, poi un vero e proprio sito con la possibilità di aderire on-line. In pochissime ore sono arrivate centinaia di adesioni, centinaia di realtà, associazioni, gruppi territoriali impegnati a lavorare nel sociale e per il prossimo nei propri luoghi di riferimento. Ci hanno raggiunto persone che avevano incontrato Felice e il GRIDAS nei primi anni della sua attività, insieme a realtà contattate di recente con il carnevale di quartiere, con il cineforum settimanale, con la rete di realtà di Scampia e non solo con cui costantemente intessiamo rapporti e relazioni. Hanno aderito musicisti, scrittori, cineasti di fama internazionale, al fianco di semplici cittadini. Emblematico il commento della signora Idarella Andolfo Matrullo, famiglia numerosa, Napoli: “Prima del GRIDAS i miei figli hanno frequentato la scuola “128” al campo arar, oggi per le mie nipotine il carnevale e’ quello di Scampia”. Trent’anni di storia non si possono “sgomberare”, su questo sono tutti concordi e spontaneamente la mobilitazione cresce, irrefrenabile e bellissima. L’assemblea del 24 è molto partecipata. Già in assemblea arriva il primo cenno dalle “Istituzioni”: ci viene comunicato un appuntamento per il martedì successivo, il 29 giugno. Il Comune di Napoli si propone da intermediario tra GRIDAS e IACP. All’incontro del 29 giugno effettivamente l’Assessore al Patrimonio conferma l’interesse del Comune a prendere in mano la situazione e acquisire in qualche modo la struttura dall’IACP, nel frattempo chiede all’IACP di sospendere ogni richiesta di sgombero. Durante l’incontro un folto gruppo sonoro e festoso, in perfetto “stile GRIDAS”, presidia il piazzale davanti il Comune in attesa di risposte: sono i rappresentanti di associazioni, gruppi, singoli cittadini mobilitatisi in pochi giorni e in apprensione per le sorti di un gruppo, un luogo, un pezzo di storia di cui si sentono parte attiva. La notizia dell’accordo tra Comune e IACP viene accolta con un applauso, ma si concorda subito che l’attenzione deve restare alta, finché la vicenda si concluda definitivamente e positivamente per il GRIDAS e per tutti gli spazi autogestiti che promuovono cultura e partecipazione tra i cittadini. La sede del GRIDAS per il momento è al sicuro, ma non bisognerà abbassare la guardia. Anche questo libro, come i vari progetti già in corso, mirano a sostenere il GRIDAS in un lungo periodo: una parte degli introiti di questo libro contribuirà a autofinanziare le varie attività tutt’ora in corso e in programma, le azioni di ristrutturazione ordinaria e straordinaria che il GRIDAS, in passato come in questo periodo, nonostante la minaccia 90 di sgombero, attua a proprie spese per mantenere in piedi e vive le stanze che “occupa abusivamente”. In più a dicembre 2010 il GRIDAS dovrà difendersi in un processo, partito da sopralluoghi effettuati dai Vigili Urbani nel 2005, dall’imputazione di “invasione di edificio pubblico”: un’accusa che si è incrociata con la diffida e che ci auguriamo di superare con l’attenzione e il sostegno di tutti: abbiamo rifiutato il patteggiamento perché non ci riteniamo abusivi, per citare le parole di Felice in una della varie lettere all’IACP rimaste senza risposta, chiediamo: “L’abolizione della considerazione di essere abusivi nella convinzione che abusivo non è chi restituisce all’uso dei cittadini una struttura abbandonata da anni e ritenuta pericolosa per l’incolumità degli stessi, ma piuttosto il potere che per anni espropria i cittadini, per incuria, delle strutture che potrebbero migliorarne la vita” (Felice Pignataro, lettera del 16 marzo 1994 al Comune di Napoli e all’IACP). Sito internet per l’appello del GRIDAS: www.felicepignataro.org/il-gridas-non-si-tocca/ 91 Francesco Di Martino Fotografo freelance, nasce a Noto (SR), un piccolo paese della Sicilia sud-est, nel 1982. Nel 2000 comincia l’attività di fotogiornalista, collaborando con il quotidiano “La Sicilia”, e periodicamente con “Il Giornale di Sicilia” e “La Gazzetta del Sud”. Le collaborazioni come freelance si allargano negli anni a testate nazionali: sue foto sono state pubblicate dalla rivista “Cucina e Vini” (Alexandra Editrice s.r.l. Roma), “Il Manifesto”, “Il Corriere della Sera”, “Ansa Sicilia” e il quotidiano “Carta” (col quale collabora attualmente in maniera periodica). Dal 2004 lavora inoltre come fotografo per il portale di eventi “Siciliantagonista.org”. Nel 2007 è ideatore e artista (fotografia) del progetto “Impressioni Siciliane (scomposte)”, una mostra di foto, video e poesie sulla Sicilia sudorientale; per mezzo della vendita del catalogo (libro+dvd) della mostra, ha realizzato un tour espositivo a carattere regionale - per un totale di 12 tappe - nel corso del 2007, e un tour a carattere nazionale e internazionale che nel 2008 ha visto la mostra esposta nelle città di Roma, Bologna, Milano, Helsinki e Monaco di Baviera. Nel luglio 2006 ha lavorato come fotografo di scena del film-inchiesta “13 variazioni su un tema barocco. Ballata ai petrolieri del val di Noto” realizzato dalla Malastrada.film. E’ proprio dopo questa esperienza che si avvicina al mondo del video, collaborando con diversi registi locali e videomaker per la produzione di video clip e film documentari. Nel febbraio 2008 intraprende la realizzazione di un suo lavoro personale, il film documentario “U Stisso Sangu – storie più a sud di Tunisi”, in qualità di autore, operatore e regista, concepito per essere prodotto e distribuito dal basso. INDICE Prefazione di Mirella La Magna, compagna di vita di Felice Un’altra Scampia di Martina Pignataro Sulle tracce di Felice Pignataro di Francesco Di Martino 5 7 9 I MURALES La cultura della pace di Felice Pignataro Il treno dei diritti va troppo lento di Felice Pignataro Autodafè di Giordano Bruno di Felice Pignataro 15 23 27 LE ASSOCIAZIONI Chi sono Felice Pignataro e il GRIDAS GRIDAS 33 Circolo di Legambiente “La Gru” 37 93 Felice: un capitolo di storia di Scampia di Aldo Bifulco del Circolo “La Gru” 39 Chi rom e…chi no 45 Quarto Piano di Emma Ferulano di “Chi rom e…chi no” 47 Centro Territoriale a Scampia - Mammut 51 Sfogo di Gianluca Cacace del Centro Territoriale Mammut 53 Vo.Di.Sca 57 Felice Pignataro - un uomo libero di Rosario Esposito La Rossa di VoDiSca 59 I MUSICISTI Felice di Daniele Sepe Feli’ di Massimo Mollo ‘o Pazzariello di Libera Velo Un mondo Felice di Daniele Sanzone 67 69 73 77 94 FELICE! ...ma c’è speranza! di Rosaria Désirée Klain 83 Felice! 85 Il GRIDAS non si tocca! di Martina Pignataro 95 89 Finito di stampare nel mese di settembre 2010 da Arti Grafiche Zaccaria