SITI – anno quarto numero uno – periodico trimestrale – gen/mar 2008 – Poste Italiane S.P.A. – Spedizione in abbonamento postale – D L. 353/2003 (conv. In L. 27/02/2004 n° 46) Art. 1, comma 1, DCB Ferrara Superare la frammentazione dell’offerta turistico-culturale ~ Una “museizzazione” dolorosamente necessaria ~ Cultura e impresa, una scommessa in cui credere ~ Il ruolo strategico dell’immaginario collettivo ~ Un paesaggio da conoscere e da difendere ~ Intervista allo scrittore iracheno Younis Tawfik ~ Il paesaggio letterario ~ Il Piano di gestione come Piano dei Piani ~ I ponti dell’Unesco ~ Gli alberghi diffusi ~ Edimburgo, perfetto connubio di passato e presente SITI • GENNAIO/MARZO 2008 • ANNO QUARTO • NUMERO UNO SITI • anno quarto • numero uno gennaio/mar zo 2008 • anno quar to • numero uno TRIMESTRALE DI ATTUALITÀ E POLITICA CULTURALE Associazione Città e Siti Italiani Patrimonio Mondiale UNESCO Siti Trimestrale di attualità e politica culturale dell’Associazione città italiane patrimonio mondiale Unesco gennaio/marzo 2008 • anno quarto • numero uno (undici) Sede: Piazza del Municipio, 2 44100 Ferrara tel. 0532 419452 fax 0532 419263 [email protected] - [email protected] www.sitiunesco.it Direttore responsabile Sergio Gessi Coordinatore editoriale Fausto Natali Hanno collaborato a questo numero: Patrizia Asproni, Maurizio Cecconi, Ascanio Celestini, Giuseppe Alessandro Ciambrone, Adriano Cioci, Giancarlo Dall’Ara, Paola Donatella Di Vita, Vittorio Emiliani, Claudio Fedozzi, Domenico Luciani, Laura Mapelli, Raffaele Milani, Giacomo Natali, Roberto Pomo, Lucilla Previati, Luca Rossato, Younis Tawfik Autorizzazione del Tribunale di Ferrara n. 2 del 16/02/05 Progetto grafico e impaginazione Antonello Stegani Impianti e stampa Tipolitografia Italia Via Maiocchi Plattis, 36 – Ferrara Si ringraziano Comuni, Province e Regioni per l’invio dei testi e del materiale fotografico. Crediti fotografici: Elsa Mezzano, Ente Provinciale del Turismo di Caserta, Associazione Culturale Nema, Mario Donadoni, Giacomo Natali, Andrea Bonfatti, Maurizio Caselli, Alessandro Zangara, Raffaele Milani, Associazione Nazionale Alberghi Diffusi, Luca Rossato, Parco del Delta del Po, Comune di Piazza Armerina, Comune di Barumini, Comune di Porto Venere, Comune di Ferrara, Comune di Verona L’editore è a disposizione degli aventi diritto per quanto riguarda eventuali illustrazioni non individuate. In copertina: Verona AUTORI E INTERLOCUTORI Patrizia Asproni – Direttore beni culturali del Gruppo Giunti. Presidente di Confcultura, Associazione Nazionale delle Imprese private per la gestione, la valorizzazione e la promozione dei beni culturali. Segretario Generale dell’Associazione Amici degli Uffizi, organizzazione no-profit che cura il fund-raising, le attività di restauro e le donazioni per il Museo. E’ membro della Commissione Cultura e del Comitato Tecnico “Organizzazione e marketing associativo” di Confindustria. Maurizio Cecconi – Amministratore Delegato di “Villaggio Globale International”, società che ha curato più di 100 grandi mostre e oltre 60 progetti di valorizzazione dei beni culturali in Italia e nel mondo. Già consigliere comunale e assessore a Venezia. Protagonista del rilancio del Carnevale di Venezia insieme a Maurizio Scaparro negli anni ‘80. Ha scritto articoli ed interventi per numerosi quotidiani e riviste. Docente in master e corsi di specializzazione per le Università di Genova, Padova, Girona (Spagna), Torino, Bologna e per la Cattolica. Consigliere di Amministrazione della Fondazione ArtMedia di Bruxelles. Ascanio Celestini – Attore e drammaturgo. Uno dei più rappresentativi esponenti della seconda generazione del “teatro di narrazione”. I suoi spettacoli, frutto di un lungo lavoro di ricerca, sono incentrati sulle sue grandi capacità affabulatorie. Ha scritto ed interpretato molti lavori teatrali (Cicoria, Baccalà, Fabbrica, Il racconto dell’acqua, Vita Morte e Miracoli, La fine del Mondo, Radio clandestina, Cecafumo, La pecora nera, Scemo di guerra), ricevendo altrettanti riconoscimenti (UBU, Bagutta, Fiesole under 40, Satira Politica, Fescennino d’oro, Vittorio Gassman e Hystrio). Ha partecipato a numerose trasmissioni televisive (Parla con me, La storia siamo noi). Giuseppe Alessandro Ciambrone – Architetto. Vincitore nel 1998 del concorso nazionale “Qualità del patrimonio edilizio postale”. Unico premiato in Italia dalla “Fulbright Thomas Foglietta 2003-04 - California University” per un progetto di sviluppo economico del mezzogiorno. Vincitore quest’anno di uno dei cinque master UNESCO in “Management del Patrimonio dell’Umanità” - University College Dublin. Presidente Club UNESCO Castel Volturno (CE) e dell’Associazione Albergatori Litorale Domitio. Giancarlo Dall’Ara – Presidente dell’Associazione Nazionale degli Alberghi Diffusi. Autore di numerose pubblicazioni sulla materia turistica. Si occupa di turismo dagli anni ’70. È stato responsabile organizzativo della Cooptur Emilia Romagna, direttore di Unitur, e poi docente di Marketing del Turismo all’Università di Perugia. Ha elaborato Piani di sviluppo per Enti turistici pubblici e privati in quasi tutte le Regioni d’Italia. Ha coordinato per molti anni l’immagine del Trentino turistico, ha elaborato gli ultimi Piani di marketing della Regione Sardegna, ha lavorato per conto della Regione Valle d’Aosta e della Regione Emilia Romagna. Vittorio Emiliani – Giornalista, inviato del “Giorno” e del “Messaggero” che ha diretto per sette anni. E’ stato deputato e poi consigliere della Rai. Ha pubblicato una quindicina di libri fra i quali “Se crollano le torri” (Rizzoli) dedicato ai beni culturali. Ha curato per il Touring alcuni Libri Bianchi su Musei, Beni ecclesiastici, Beni archeologici e Paesaggio. Per Raidue ha realizzato nel 1989 una inchiesta in sette puntate sui beni culturali. Per alcuni anni ha curato “Bellitalia” (Raitre). Presiede il Comitato per la Bellezza. Domenico Luciani – Architetto, urbanista, paesaggista. Dirige fin dalla sua origine (1987) la Fondazione Benetton Studi Ricerche. Coordina il Premio Internazionale Carlo Scarpa per il Giardino fin dall’inizio (1990). Ha curato, tra gli altri volumi, “Luoghi, forma e vita di giardini e di paesaggi”, Premio Hanbury 2001. Ha pubblicato saggi e articoli in varie riviste italiane e straniere. Ha fondato il “Centro Internazionale per la Civiltà dell’Acqua”. È membro di vari comitati scientifici internazionali che seguono la trasformazione dei paesaggi europei. Lavora da alcuni anni sul tema della “nebulosa insediativa” veneta. Partecipa a Treviso al lavoro di costruzione di una “Università del paesaggio”. Raffaele Milani – Docente di Estetica presso il Dipartimento di Filosofia e il Dipartimento di Studi Linguistici e Orientali dell’Università di Bologna. Direttore del Master post lauream in “Scienze e Progettazione del Paesaggio e dell’Ambiente” e della Scuola Estiva Italian Design. Art, Society and Industry. Membro del Comitato Scientifico del progetto di ricerca: “Il paesaggio culturale tra storia, arte, cultura” di Villa Vigoni. Membro della Comitato Scientifico istituito presso il Ministero Francese dell’Ambiente sul tema: “De la connaissance des paysages à l’action paysagère”. Membro di ITKNET, International Traditional Network Knowledge (Unesco, Ministero Italiano dell’Ambiente e Regione Toscana). E’ autore e curatore di volumi sull’estetica del paesaggio. Giacomo Natali – Laureato in Scienze della Comunicazione. Ha conseguito un Master in Geopolitica e frequentato corsi di formazione nei campi della trasformazione dei conflitti, della comunicazione e delle risorse umane. È stato responsabile di progetti di cooperazione internazionale in Italia e all’estero e docente in alcuni corsi per progetti di cooperazione. Si occupa di geopolitica, politica estera e cultura internazionale per giornali e riviste quali Limes e Oltreillimes. Ha pubblicato i libri “Diplomazia dal basso” ed “Aeschylus Street”. È presidente dell’Associazione di promozione sociale e cooperazione internazionale Tangram. Lucilla Previati – Laureata in Architettura a Venezia. Si occupa sia di progettazione che di urbanistica come libero professionista, dal 1997 è direttore del Parco Delta del Po Emilia – Romagna, ruolo che tutt’ora ricopre. Ha insegnato “Gestione di un Parco e relativa normativa” integrativo di “Conservazione della natura e sue Risorse” all’Università di Ferrara. Dal 1998 è presidente dell’Associazione “City Management”, associazione italiana per lo sviluppo del management nella amministrazione locale. Luca Rossato – Architetto, ha svolto ricerche in pianificazione e gestione territoriale alla Pontifìcia Universidade Catòlica do Paranà a Curitiba, in Brasile, dove ha lavorato all’Institudo de Pesquisa e Planejamento Urbano. Master in Urban and Regional Planning in Developing Countries presso lo IUAV di Venezia, ha collaborato per alcuni mesi con la sede UNESCO di Kathmandu in Nepal e con la ONG PAHAR in territorio indiano e nepalese svolgendo indagini sul patrimonio architettonico locale. Attualmente collabora come urban designer con lo studio Pollard Thomas Edwards architects di Londra nel campo del social housing e della riqualificazione urbana. Younis Tawfik – Scrittore iracheno. Vive in Italia dal 1979, dove ha proseguito e completato i suoi studi laureandosi in Lettere e Filosofia presso l’Università di Torino. Collabora con riviste e quotidiani, tra cui “La Stampa”, “Il Messaggero” e “Il Giornale”. Insegna Lingua Araba all’Università di Genova. E’ presidente del Centro Culturale italo-arabo “Dar al Hikma”. E’ autore di molte opere di narrativa e saggistica. Ricordiamo i romanzi La straniera (1999), vincitore di prestigiosi premi letterari, La città di Iram (2002) e Il profugo (2006), oltre al saggio L’Iraq di Saddam (2003), tutti editi da Bompiani. SITI • SOMMARIO 5 Editoriale Superare la frammentazione dell’offerta turistico-culturale Non è più il tempo dell’estemporaneità e dell’improvvisazione di Gaetano Sateriale 7 Primo piano Una “museizzazione” dolorosamente necessaria All’interno degli edifici ecclesiastici i due terzi del patrimonio artistico nazionale di Vittorio Emiliani 12 L’opinione Cultura e impresa, una scommessa in cui credere Per una nuova politica di valorizzazione del patrimonio culturale italiano di Patrizia Asproni 18 L’analisi Il ruolo strategico dell’immaginario collettivo L’economia dei beni culturali fra memoria, ricordo e racconto di Maurizio Cecconi 23 L’intervento Un paesaggio da conoscere e da difendere A Treviso un ciclo di seminari per il governo e il disegno dei luoghi di Domenico Luciani 28 L’intervista Quel sogno chiamato libertà Incontro con lo scrittore iracheno Younis Tawfik di Adriano Cioci 32 Riflessioni Sguardi dal Vittoriale Il paesaggio letterario come paesaggio reale di Raffaele Milani 37 In evidenza Il Piano di gestione come Piano dei piani Gli elementi essenziali del principale strumento di conservazione, tutela e valorizzazione dei siti Unesco di Claudio Fedozzi 42 Val Camonica Un cantore per l’arte rupestre L’incontro tra Battista Maffessoli e l’artista romano Ascanio Celestini di Stefano Malosso 46 Parco del Delta del Po Dal Delta sfociano nuove idee Un progetto di valorizzazione che punta sul senso di “bene collettivo” di Lucilla Previati 50 Dossier Unesco Tra acqua e cielo per unire terre e uomini I ponti patrimonio dell’umanità di Giacomo Natali 54 La proposta Reggia, ma non solo Un progetto di sviluppo sostenibile per i siti campani di Giuseppe Alessandro Ciambrone 58 Progetti Un paese per albergo Un diverso approccio allo sviluppo turistico di Giancarlo Dall’Ara 62 Reportage Edimburgo: medioevale, ottocentesca, moderna capitale europea Passato e presente, tradizione e innovazione all’ombra del castello scozzese più famoso del mondo di Luca Rossato 66 Piazza Armerina Un cuore antico al centro della Sicilia “Un barocco sobrio e severo che riesce a far parlare le pietre” di Paola Donatella Di Vita 71 Porto Venere Alta formazione in jeans per la gestione dei territori Un master in “Turismo e ambiente” sull’isola di Palmaria di Roberto Pomo 74 Crespi d’Adda Al villaggio Crespi il tempo si è fermato Il difficoltoso avvio dei progetti di valorizzazione di Laura Mapelli 78 Brevi Notizie dall’Italia e dal mondo EDITORIALE NON È PIÙ IL TEMPO DELL’ESTEMPORANEITÀ E DELL’IMPROVVISAZIONE SUPERARE LA FRAMMENTAZIONE DELL’OFFERTA TURISTICO-CULTURALE di GAETANO SATERIALE Presidente Associazione Città e Siti Italiani Patrimonio Mondiale Unesco Pisa a quantità e qualità del patrimonio storico, artistico e naturale che il nostro Paese è in grado di offrire non teme confronti, ma il settore turistico sembra non tenerne conto e continua a mostrare preoccupanti segnali di crisi. Nonostante la grande abbondanza di “materia prima”, anche i più recenti dati sui flussi turistici confermano il trend negativo che da qualche anno ci vede sistematicamente arretrare nelle classifiche internazionali. La nostra storica “rendita di posizione”, preziosa eredità di un illustre passato, è infatti minacciata sempre più da vicino dalla rapida ascesa dei Paesi della “nuova economia”. Qualche esempio può essere utile per avere un quadro realistico delle situazione: la Cina, unanimemente considerata la destinazione con maggiori potenzialità di crescita, in dieci anni ha più che raddoppiato gli arrivi, gli Emirati Arabi li hanno triplicati e la Croazia addirittura quintuplicati. Sembra proprio che la globalizzazione dei mercati stia mettendo a dura prova l’italica “arte di arrangiarsi”. La tanto decantata capacità di inventare geniali stratagemmi per superare i momenti di difficoltà, provvidenziale in passato, ora mostra la corda ed evidenzia sempre più i limiti di un sistema turistico che non ha saputo rinnovarsi e di un Paese che tarda a comprenderne il potenziale di immagine e di sviluppo. La nostra millenaria vocazione all’accoglienza da sola non basta a vincere una sfida così impegnativa. Non è più il tempo dell’estemporaneità e dell’improvvisazione. Il turismo è destinato ad assumere un ruolo sempre più rilevante nell’economia mondiale - entro il 2020 è previsto il raddoppio dei viaggiatori - e il nostro Paese deve riuscire ad adottare rapidamente le giuste contromisure per riconquistare il terreno perduto. C’è chi possiede immensi giacimenti petroliferi, chi una mano d’opera pressoché inesauribile, chi una struttura tecnologica d’avanguardia, l’Italia ha un patrimonio culturale unico al mondo e da questo deve partire per rilanciare l’intero Sistema Paese. Una risorsa preziosa, irripetibile, non clonabile né delocalizzabile, che solo un’adeguata politica culturale, fondata sulla tutela, la conoscenza e la promozione, può trasformare in opportunità di crescita e di sviluppo. unesco • associazione città e siti italiani patrimonio mondiale anno quarto • numero uno • gen/mar 2008 www.sitiunesco.it P R I M O P I A N O ALL’INTERNO DEGLI EDIFICI ECCLESIASTICI CUSTODITI I DUE TERZI DEL PATRIMONIO ARTISTICO NAZIONALE UNA “MUSEIZZAZIONE” DOLOROSAMENTE NECESSARIA di VITTORIO EMILIANI Urbino Occorre rivedere l’approccio con il quale in questi anni si sono affrontate le politiche di settore, supportando lo sforzo delle amministrazioni locali con adeguate strategie ed investimenti di carattere nazionale. Il territorio e la sua filiera delle qualità, pubbliche e private, rappresentano uno straordinario atout sul quale sarebbe colpevole non investire risorse ed energie. Il marchio Unesco è molto importante, uno straordinario piedistallo che permette alle nostre eccellenze storico-artistiche di porsi all’attenzione del mondo intero, ma da solo non basta. I quarantuno siti italiani che possono appuntarsi il prestigioso logo con il frontone stilizzato del Partenone ben rappresentano la varietà e la ricchezza del nostro patrimonio culturale, ma se non vengono adeguatamente sostenuti da proposte coerenti e concrete rischiano di veder vanificato ogni tentativo di assumere quel ruolo trainante che da più parti viene evocato. La seconda “Giornata di studi delle città e dei siti Unesco italiani”, in programma in aprile a Ferrara, costituirà un’occasione importante per rilanciare con forza la scommessa in cui abbiamo creduto dieci anni fa: superare la frammentazione dell’offerta turistico-culturale e favorire l’aggregazione di risorse, capacità e competenze per dare “anima e corpo” alle grandi potenzialità del nostro Paese. “Fare sistema”, mettendo in rete persone e istituzioni, città ed eventi, dando sistematicità ed organicità agli interventi, non può più essere un semplice auspicio, ma una condizione imprescindibile per l’avvio di un solido processo di sviluppo. Napoli il 23 ottobre scorso il presidente della Repubblica, Giorgio Napoletano, ha inaugurato il nuovo Museo Diocesano col quale si è riaperta dopo molti anni la chiesa di Santa Maria Donnaregina Nuova, posta alla sommità di una teatralissima scala settecentesca: vi si possono ammirare grandi tele di Luca Giordano, di Vincenzo Solimena, di Massimo Stanzione e di altri maestri, nonché sculture, marmi intarsiati e arredi sacri. Voluto dal cardinale Crescenzio Sepe, il Museo Diocesano aggiunge un altro tassello di pregio al già ricco mosaico dei musei partenopei. I musei ecclesiastici erano in Italia circa 600 una dozzina di anni fa, dei quali una quarantina nella sola Toscana. Oggi se ne contano un centinaio di più. Come mai questo sviluppo rapido e diffuso? Intanto perché la crisi delle vocazioni sacerdotali e la difficoltà di reperire personale di guardiania e di assistenza (i vecchi sagrestani sono sempre più rari) hanno indotto le curie vescovili a chiudere numerose chiese, nelle campagne (anche in pianura, per esempio in Romagna) e nelle stesse città. Sbarrate e senza sorveglianza specifica, senza impianti di allarme, che pure non sono molto costosi e che soltanto in alcune provincie vengono pianificati fra Firenze, Santa Croce Chiesa ed Enti locali (un bell’esempio lo fornisce la Provincia di Modena), le chiese sono da anni il bersaglio preferito dei “predoni dell’arte”, attrezzati e instancabili. Negli anni Novanta circa un terzo di tutti i furti d’arte perpetrati nel nostro paese riguardavano il patrimonio ecclesiastico, fra chiese, sagrestie, conventi, abbazie, ecc. Una enormità. Tanto più che negli edifici di culto – nonostante le leggi op- P anno quarto • numero uno • gen/mar 2008 www.sitiunesco.it R I M O pressive dell’Ottocento – si stima che vi siano tutt’oggi i due terzi del patrimonio artistico nazionale. Nel Sud anche di più. Colpa, quella spoliazione, anche dei pochi e tardivi censimenti da parte delle Soprintendenze e dei troppo lenti inventarii da parte delle Diocesi (negli ultimi anni decisamente progrediti, anche se a macchie di leopardo). Al punto che, quando i carabinieri dell’attrezzato Nucleo di Tutela del patrimonio artistico recuperavano refurtiva di origine chiesastica di tipo generico (statue lignee, ex voto, candelabri, confessionali, cassapanche, ecc.) non sapevano poi a chi restituirli. Per anni e anni abbiamo, di fatto, spianato la strada ad autentiche razzie. Come quella che colpì nottetempo una chiesa lucana spogliata dell’intero Presepe in pietra, quindi pesantissimo da trasportare, di Stefano da Putignano. O, peggio ancora, quando la notte di ferragosto del 1990, ignorato da tutti, un Tir venne caricato con ogni sorta di arredo – da una cinquantina di sculture agli armadi – della chiesa palermitana del Cassaro. Dove invece localmente, per esempio ad opera delle Provincie Autonome di Trento e Bolzano, si sono realizzati puntigliosi censimenti, i furti (“O le vendite mascherate da furto”, notò un giorno, causticamente, Francesco Valcanover per anni soprintendente a Venezia) sono drasticamente calati. Anche dell’80 per cento. Anni fa, a Napoli, il soprintendente Mario De Cunzo fece alzare una cancellata attorno ad una chiesa medioevale del centro perché anche lì, nottetempo, i ladri avevano fatto razzia di statuette e di altri elementi ornamentali preziosi. Rivenduti poi ad antiquari assai poco scrupolosi. Di qui la sempre crescente “museizzazione”, resasi dolorosamente necessaria, per le parti ornamentali esterne più pregevoli anche per l’aumento degli agenti inquinanti e P I A N O quindi dei rischi di corrosione e di totale disfacimento. Del resto, o si riduce drasticamente il traffico veicolare privato (e nelle grandi città come Roma l’impresa appare ardua), oppure non resta che mettere all’esterno delle copie e “ricoverare” gli originali in musei che sono un po’ mostra e un po’ ospedale delle antiche pietre. L’universo dei Musei religiosi è ormai tanto vasto quanto diverso al suo interno. Vi sono, ad esempio, i Musei delle Opere del Duomo, o comunque delle maggiori Basiliche. Ad esempio il grande, tradizionale Museo dell’Opera del Duomo di Firenze (da non trascurare, lo dico subito, quello di Prato) che può offrire, nientemeno, una Pietà di Michelangelo e due cori marmorei luminosi di scuola robbiesca, insieme ad altri pezzi di valore assoluto. Sempre nella città del giglio, il Museo di Santa Croce, la chiesa che ospita il Pantheon dei grandi Italiani, da Machiavelli a Galilei, da Foscolo a Rossini. Salendo verso la collina fiorentina si incontra il Santuario della Madonna dell’Impruneta, immagine venerata e portata in processione durante le più terribili epidemie, con un museo singolare di argenti devozionali (alcuni firmati da Lorenzo Ghiberti) donati dalla famiglia de’ Medici. Ma, a proposito di ori e argenti, da non perdere il Museo della Cattedrale di Lucca, di abbagliante bellezza. Mentre nell’area padana spicca il Museo del Duomo di Ferrara (formidabile cattedrale romanico-gotica) riallestito negli spazi di San Romano, lì vicino, col drammatico San Giorgio e il drago di Cosmè Tura, la serie dei marmi romanici del Maestro dei mesi, i codici miniati da maestri della scuola ferrarese, fra i primi in Italia, come Guglielmo Giraldi, un caposcuola. Poi c’è il folto gruppo dei Musei Diocesani, e qui, al Nord, grandeggia quello di Milano che sotto il magistero del cardinal Martini è stato allesti- Montepulciano 10 P R I M O to nel convento di Sant’Eustorgio, con pezzi preziosi fra le 400 opere esposte, dall’alto Medio Evo fino al secolo d’oro della pittura lombarda, fra Cinquecento e Seicento. Ma anche Bergamo può vantare un Museo Diocesano di prima grandezza. E così Parma città ricchissima di passato anche religioso, tappa fondamentale nel tragitto verso Roma dei pellegrini provenienti da Canterbury e dalla Francia. Di nuovo in Toscana, a Cortona, per un Museo Diocesano non grande e però selezionatissimo dove ci viene incontro la celebre Annunciazione di Beato Angelico, una crocifissione di Pietro Lorenzetti e uno dei tre pittori “di casa”, il drammatico Luca Signorelli (gli altri due sono il manierista Pietro da Cortona e il futurista Gino Severini) presente in forze con quadri e tavole. Nel Sud, mentre a Bari il Museo Diocesano è disperso in più sedi e in fase di riprogettazione, a Palermo lo stesso presenta un ampio panorama di opere pittoriche, scultoree e musive che vanno dal secolo XII all’Ottocento e che documentano le P I 11 unesco • associazione città e siti italiani patrimonio mondiale anno quarto • numero uno • gen/mar 2008 www.sitiunesco.it A N O influenze culturali susseguitesi in città. In Umbria, a Città di Castello, città poco battuta dalle masse turistiche, va segnalato il delizioso Museo Capitolare che è stato allogato nelle stesse case dove abitavano i canonici del Capitolo del Duomo (dove c’è un affascinante Rosso Fiorentino), museo che ha inglobato pure la stradina acciottolata che passava davanti a quegli edifici e che contiene soprattutto arredi e strumenti chiesastici antichi e finissimi. Per esempio, alcuni pastorali argentei di scuola senese, che sono autentiche sculture. Ma v’è un bel museo religioso pure ad Urbania, l’antica Casteldurante della ceramica rinascimentale, uno dei tre centri principali con Urbino e Pesaro del Ducato dei Montefeltro e poi dei Della Rovere. Numerosi e sovente sontuosi sono poi i musei di grandi conventi e abbazie, vanto di Ordini religiosi importanti come Monte Oliveto Maggiore nel Senese, con affreschi mirabili. Da non trascurare alcuni Musei dedicati, nelle città o addirittura nelle P R I M O dimore natali, a pontefici significativi: ad esempio la raccolta di ritratti, stampe, fotografie e oggetti quotidiani che ripercorre il più lungo pontificato della storia, quello di Pio IX, Giovanni Maria Mastai-Ferretti di Senigallia, o l’altra di Clemente IX, al secolo Giulio Rospigliosi di Pistoia, papa per un solo biennio fra 1667 e 1669, la cui casa, praticamente intatta, ospita un patrimonio decisamente interessante. Fra i nuovi Musei ecclesiastici ve ne sono di molto moderni, ariosi e attrezzati, senza più barriere architettoniche di sorta. Alcuni invece sono ricavati in spazi piuttosto angusti. Altri ancora all’interno delle chiese stesse – stavolta munite di impianti d’allarme adeguati – e sistemati peraltro in maniera marcatamente differente. Molto bene, per esempio, a Bardone, sulla via Francigena, nell’Appennino sopra Parma, oppure a Grottammare nelle Marche. In altre situazioni assai meno. Vi sono poi città nelle quali si è realizzata una col- P I A N O laborazione fra Chiesa e Comuni al fine di gestire le raccolte ecclesiastiche all’interno degli stessi Musei Civici. In altri casi è stato il Comune, proprietario dell’edificio di culto, a farsi carico anche del Museo religioso (San Lorenzo a Borgo Sansepolcro) oppure lo Stato medesimo (San Francesco in Arezzo). Infine, sulla collina toscana, che sino a ieri si spopolava, si sono creati, nella collaborazione fra Parrocchie e Soprintendenza, dei Musei Vicariali dove sono stati raccolte pale d’altare, tele, sculture, arredi sacri provenienti da chiese ormai chiuse di paesi semi-deserti. Col patto però di restituirgliele se e quando (come in qualche caso sta avvenendo) quei borghi si ripopolassero. Infine, un caso curioso, quello della parrocchiale di Montemerano (Grosseto) sopra Capalbio, dove nel museino c’è la cosiddetta Madonna della Gattaiola, una tavola nella quale uno dei due angoli in basso è stato tenuto aperto per far passare, appunto, gatte e gatti. Montemerano 12 L anno quarto • numero uno • gen/mar 2008 www.sitiunesco.it ’ O P I N I O N E PER UNA NUOVA POLITICA DI VALORIZZAZIONE DEL PATRIMONIO CULTURALE ITALIANO CULTURA E IMPRESA, UNA SCOMMESSA IN CUI CREDERE di PATRIZIA ASPRONI Presidente di Confcultura l nostro territorio e il nostro patrimonio culturale formano un binomio inscindibile e rappresentano un valore aggiunto l’uno per l’altro. Valorizzare il territorio partendo dalla valorizzazione dei beni culturali significa rendere il territorio più attrattivo anche per investimenti produttivi non legati alla cultura. L’Italia dispone di una risorsa unica al mondo, il patrimonio culturale, la cui domanda di fruizione è elevata e crescente, caratterizzato da risorse materiali (architetture, parchi archeologici, collezioni, archivi) superiori rispetto agli altri paesi. In Italia ci sono 4.200 musei sparsi su tutto il territorio, oltre a quello che Paolucci definì “museo diffuso”. Un’enorme ricchezza con poche risorse per valorizzarla. Sostituire l’espressione “beni culturali” con “patrimonio culturale” indica una consapevolezza, non solo semantica, della mutata attenzione verso la cultura, considerata ormai parte integrante del bilancio di uno Stato. Economisti come Modigliani e Kostoris sono stati fra i primi a considerare il patrimonio culturale come “posta attiva del bilan- cio dello Stato e potenziale fonte di copertura del debito pubblico”. Il patrimonio culturale è un bene non riproducibile, non rinnovabile, che si deteriora e consuma e che deve essere anzitutto studiato e goduto. La sua conservazione costituisce pertanto un imperativo etico e politico fondamentale ed ineludibile. Siamo consapevoli che per l’Italia un utilizzo inadeguato del patrimonio culturale può comportare grandi rischi. Un “consumo” non guidato può infatti generare il degrado della risorsa stessa. E’ dunque imprescindibile che la politica di valorizzazione del patrimonio culturale risponda a queste due esigenze: da un lato, alla logica di conservazione per le generazioni future; dall’altro, affronti la rilevanza dei beni per il territorio e la sua identità culturale e diventi portatrice di conoscenza e di benessere sociale ed economico per la comunità locale. C’è chi pone la “questione morale del bene culturale” e si scaglia contro ogni forma di commercializzazione nell’ambito dei beni e delle attività culturali, accusa “i mercanti nel tempio”. Dobbiamo ricordare che la divulgazione è necessaria alla cono- Siena 14 L Assisi scenza, e l’unico limite accettabile è di tipo qualitativo. Tutti vogliamo qualificare la fruizione dei beni culturali, ma nessuno, a meno che non si sostenga una concezione elitaria della cultura, può sostenere che la limitazione dell’accesso rappresenti un valore per la nostra società. Noi desideriamo far “fruire” il nostro patrimonio e gestirlo come vero e proprio bene collettivo. Preservare le risorse non significa non usarle, ma usarle bene. I beni culturali attirano il turismo, il turismo fa prosperare il commercio, l’artigianato, l’enogastronomia. Tutto ciò produce occupazione e quindi ricchezza che di nuovo crea e investe nella cultura. L’Italia è ancora considerata meta privilegiata del turismo internazionale, ma versa in questo momento in quello che l’economista Marcus Olson ha definito “sclerosi istituzionale”, una sorta di indurimento delle arterie organizzative e culturali. Abbiamo perso competitività in un mercato in cui per molti anni abbiamo avuto una leadership incontrastata. Nella crisi generale l’unico dato positivo nel nostro Paese lo ha fornito il segmento del turismo culturale. Le presenze nelle città d’arte sono cresciute del 94% negli ultimi quindici anni, con un peso sul totale delle presenze turistiche di circa il 24%. Ciò significa che un turista su quattro è attratto dalle bellezze storico artistiche e dall’offerta di eventi culturali delle nostre città. Il flusso di turisti indirizzato verso monumenti, musei, mostre ed eventi culturali è cresciuto negli anni ad un tasso superiore alla media fino a rappresentare circa il 30% della domanda turistica e originare il 36% del fatturato totale, pari a 31 miliardi di euro nel 2004 con un incidenza pari al 2% sul PIL. Con una gestione illuminata del patrimonio culturale viene a crearsi sia la crescita educativa dei cittadini sia un indotto economico sul territorio generato dai visitatori, contribuendo allo sviluppo del benessere della collettività. Dunque, le politiche di valorizzazione devono essere affidabili e sostenibili sia dal punto di vista tecnico-scientifico che economico. Secondo dati Istat, lo Stato, che detiene i musei e i siti archeologici più importanti dal punto di vista del valore culturale e dell’attrattività dei visitatori, destina meno di 0,5 miliardi annui, cioè lo 0,03 del PIL, ad investimenti per attività culturali. E’ un dato che evidentemente ci crea delle preoccupazioni riguardo alle possibilità di sviluppo del settore. Le politiche di valorizzazione dei beni culturali e ambientali vanno quindi attuate con il modello più efficace ed efficiente possibile, che per esperienza è mutuato dal diritto privato e dall’organizzazione aziendale. Sempre nel rispetto delle esigenze di tutela, la gestione del patrimonio deve tendere a maggiori livelli di autofinanziamento ottimizzando le fonti di reddito ma soprattutto controllando i costi di esercizio per alleggerire il carico per il settore pubblico. Il coinvolgimento degli operatori privati nella valorizzazione dei beni culturali è perciò necessario. Bisogna “esternalizzare” tutte le attività non “strategiche” per far fronte alla scarsi- 15 unesco • associazione città e siti italiani patrimonio mondiale anno quarto • numero uno • gen/mar 2008 www.sitiunesco.it ’ O P I tà di risorse. Quando si persegue ogni opportunità di economia è chiaro che l’esternalizzazione deve avvenire quanto più possibile nella logica del mercato, confrontandosi con la concorrenza ed eliminando intermediazioni che rallentano i processi e allontanano l’efficienza. La Legge Ronchey, che ha introdotto i servizi di accoglienza nei musei italiani bandendo delle gare per la gestione degli stessi e aprendo alle imprese private, definì i servizi “aggiuntivi”, cioè di contorno, non indispensabili. Tutto questo mentre altrove la Réunion des musées nationaux aveva i servizi nei musei da 150 anni e i musei americani venivano concepiti insieme ai servizi al pubblico. I risultati furono all’inizio sorprendenti: dopo il primo mese di gestione da parte dei privati del sito di Pompei gli introiti ebbero un aumento dell’80%, a Firenze, agli Uffizi, del 45%. Il difficile rapportarsi alle strutture statali non è però stato premiante per le aziende. A fronte di inve- N I O N E stimenti consistenti le pastoie burocratiche hanno impedito la crescita e l’innovazione di un mercato del settore. A parole quindi sono tutti d’accordo: i beni culturali sono una risorsa economica per il Paese e per il territorio nel quale si trovano. Ma quando si tratta di passare dalle parole ai fatti iniziano i “distinguo”, chi fa che cosa e come farlo. I 400 musei statali, i maggiori per flusso di visitatori, hanno avuto 34,5 milioni di visitatori per un introito complessivo di poco più di 104 milioni di euro! Anche se in questo dato non rientrano, perché difficile da rilevare, le entrate date dall’indotto di settore, che rappresenta certamente un valore aggiunto di dimensioni notevoli, non ultime le attività legate al turismo culturale. Le attività di commercial trading del British Museum nel 2005/6 hanno generato ricavi per oltre 21 milioni di euro, quelle di Tate nel 2005 hanno superato i 30, la voce merchandising Vicenza 17 unesco • associazione città e siti italiani patrimonio mondiale L ’ O P I del Metropolitan nel 2004/5 ha raggiunto i 62, le auxiliary activities del Moma nel 2005/6 ne hanno raccolti più di 36, il merchandising del British 16, i punti vendita del Louvre quest’anno hanno fatturato 21 milioni di euro. Le attività di marketing organizzate che possano creare valore aggiunto e introito economico sono di fatto impedite da inutili difficoltà legislative e burocratiche, mentre altrove i musei fanno cassa con iniziative collaterali. Il Louvre, affittando per una sola notte e il giorno di chiusura il Museo alla troupe del film “Il codice da Vinci” ha incassato 1 milione di euro, e cedendo il marchio ad Abu Dhabi per 30 anni altri 400 milioni. Il museo di San Pietroburgo dopo il franchising ad Amsterdam e a Las Vegas ne ha avviato uno a Ferrara. Mentre gli altri musei si trasformano in “multinazionali della cultura”, i nostri musei si riempiono di polvere e non riescono a trovare le risorse per essere resi visibili e valorizzati. Ad eccezione dei Musei Vaticani, che non a caso non si trovano in L N I O N E territorio italiano. Che fare dunque? Innanzitutto promuovere un nuovo sistema regolatorio, con leggi che tutelino il patrimonio ma ne consentano una gestione liberalizzata e moderna; adottare norme fiscali che consentano e incoraggino donazioni e interventi di singoli e aziende; favorire una proficua collaborazione fra pubblico e privato, una partnership reale e non una sudditanza a metà fra il mecenatismo e l’erogatore di servizi. E naturalmente rendere i nostri musei luoghi gradevoli nei quali recarsi con piacere, con servizi efficienti; rivitalizzarli con la creazione di eventi, mostre che entrino a far parte dei circuiti; creare una forte alleanza fra beni culturali e operatori turistici per avere i visitatori lungo tutto l’arco dell’anno; promuovere circuiti nei quali i musei attrattori possano trainare quelli meno conosciuti; calendarizzare gli eventi per evitare inutili sovrapposizioni. Tutte modalità di buone pratiche, ma soprattutto di buon senso. a missione che ispira l’azione dell’Associazione, costituitasi nel 2001 per impulso dei principali operatori nell’ambito delle attività museali sviluppate nel nostro Paese a seguito della Legge Ronchey, è la convinzione che i beni culturali siano fattori di sviluppo e di progresso per l’intera società e che si debbano promuovere in maniera sostenibile per una sempre maggiore e migliore fruizione con l’incentivazione di forme ottimali di gestione dei servizi culturali e turistici. Confcultura, si pone al centro del dibattito culturale in atto per l’affermazione del sostanziale valore aggiunto che il privato può dare alla valorizzazione del nostro patrimonio storico e artistico con l’obiettivo di raggiungere forme più mature di collaborazione fra le istituzioni pubbliche e il settore privato specializzato. A questo fine Confcultura rappresenta le esigenze e le proposte delle “imprese della cultura” nei confronti delle principali istituzioni politiche ed amministrative, incluse le Soprintendenze, le Direzioni Regionali, il Ministero per i Beni e le Attività culturali, il Parlamento,il Governo e le forze sociali che operano nello stesso ambito dell’Associazione. Ulteriori informazioni sul sito web www.confcultura.it . Castel del Monte 18 anno quarto • numero uno • gen/mar 2008 www.sitiunesco.it L ’ A N A L I S I L’ECONOMIA DEI BENI CULTURALI FRA MEMORIA, RICORDO E RACCONTO IL RUOLO STRATEGICO DELL’IMMAGINARIO COLLETTIVO di MAURIZIO CECCONI Amministratore Delegato di Villaggio Globale International l Giornale dell’Arte, nel suo numero di dicembre, segnala come sia sempre più evidente nel nostro paese il valore economico della cultura. L’indicatore di riferimento non è, come spesso accade, il significato che sta assumendo il turismo legato alla cultura, quanto piuttosto, il peso dell’argomento “beni culturali” nelle università italiane. Master, corsi di specializzazione, insegnamenti diversi, seminari e convegni lo testimoniano sia al sud che al nord nella penisola. Vi è una ben strana discrasia. Se appare evidente come l’Italia sia, nei beni culturali, contemporaneamente il luogo della quantità e della diffusione geografica, dall’altra appare ancora frammentaria, discontinua e fragile la “politica” che accompagna il valore ed il significato dei beni culturali. Eppure sembrerebbe tutto chiaro. Di fronte a prospettive economiche generali del nostro Paese, che pur avendo superato le fasi recessive, sembrano ancora e per molti versi deboli, parrebbe quasi lapalissiano dare un senso determinante a beni esistenti, realmente unici e già consolidati nell’immaginario collettivo. Ciò invece, accade poco ed in maniera disomogenea, affidato spesso alla buona volontà o all’iniziativa individuale. Credo sia un problema complesso, presente non solo per limiti di operatività, quanto piuttosto per carenza strategica. Partiamo da un dato. I beni culturali non vivono mai in solitudine, sono sinergicamente legati - nei fatti o nell’immaginario - ad altri beni, quali quelli paesaggistici, ambientali, del d.o.c alimentare o del made in Italy. I legami sono evidenti. Espliciti nel rapporto con il paesaggio e l’ambiente, realizzabili facilmente nel legame con il d.o.c. alimentare e artigianale ed infine già presenti nell’immaginario per quanto riguarda il made in Italy e quindi il legame antico/moderno, per quanto concerne lo stile e la creatività. La diffusione straordinaria, ritrovabile, salvo eccezioni solo in Italia, premia ogni paese ed ogni contrada, contribuendo in questo modo alla conferma della complessività dell’immaginario. Se siamo stati e siamo lo straordinario sito della conservazione e della tutela e abbiamo mantenuto il valore del passato, dobbiamo oggi farci una ragione più complessa del suo essere nel futuro. Quando parliamo dell’Italia all’estero - in qualsiasi nazione - ed andiamo al nocciolo delle ragioni della stima o del significato che l’Italia assume, o meglio ancora, dell’attrazione che esercita, ci troviamo di fronte, come spiegazione generale, al senso del valore della memoria. L’interlocutore cioè, pur descrivendo si- Venezia 20 anno quarto • numero uno • gen/mar 2008 www.sitiunesco.it L ’ A N gnificativamente ciò che gli piace, alla fine descrive il nostro Paese come uno straordinario ed aperto museo dell’antico e del moderno. E si badi bene che in ciò rientrano pienamente, sia i monumenti che il design, sia lo stile che il made in Italy. Anche nei momenti più difficili che l’Italia ha vissuto, si è sempre sottolineata la grande capacità di creatività e trasformazione, quel senso di genialità che non proviene se non dall’essere, oggi o ieri, produttori di opere d’arte e conservatori di beni. Se d’altronde è vero che nei paesi a capitalismo avanzato, sempre di più la competizione economica sarà sul significato vero e recondito e quindi sui “valori” del prodotto è evidente che l’immaginario gioca un ruolo strategico. Appare interessante ricordare come molte crea- A L 21 unesco • associazione città e siti italiani patrimonio mondiale I S I zioni manifatturiere, siano delocalizzate e non più prodotte nel nostro paese, ma mantengano, proprio per quanto detto fino ad ora, un immaginario straordinariamente forte perchè italiano. Se parte di questo valore è dovuto alle aziende stesse, parte ancora più grande si rifà a quei significati storici, mantenuti nell’oggi, che tentavo di indicare. I beni culturali, hanno quindi valore sia dentro di sé che fuori di sé, sono intimamente significativi e straordinariamente concedenti ad altro la loro stima. Ecco perché l’economia dei beni culturali è complessa. Vive dentro di sé amministrando un bene e generando gestione, manutenzione, restauro, didattica, editorialità, nuove tecnologie e quant’altro necessario al suo fruire. Vive in sinergia con un territorio, dimensionando turismi diversi e generando legami L ’ A N profondi per la propria attrazione, con i prodotti d.o.c dell’agricoltura e dell’artigianato, nonché la gastronomia, arricchendo paesaggi e definendo ambienti, che si offrono al turismo sempre più significativo nel nostro prodotto interno lordo. Già qui inizia l’immaginario, perché il “viaggio” è sempre più motivo di impressioni e sensazioni e quindi il ricordo è straordinario veicolo, non tanto e non solo, dell’oggetto principale della visita, quanto dell’insieme delle cose che si sentono, si vedono, si toccano, si assaggiano. Ed allora, si ricordano, si raccontano e comincia quella fantastica avventura che è l’immaginario di un sito e dei suoi prodotti. Ma questa economia genera parti collaterali importanti e nuove legate al concetto della memoria, della riproducibilità e dell’interpretazione moderna. A L I S I Catalogazione virtuale, multimediale, internet, audio e radio guide, palmari, e telefonini di nuova concezione, spiegano, decodificano, leggono da vicino e da lontano la ragione dell’immaginario: il bene. E nella loro virtualità non lo sostituiscono, lo anticipano, lo leggono, lo preparano. Tutto quanto abbiamo detto, proprio sull’immaginario collettivo, costituisce l’altra straordinaria economia, impalpabile apparentemente ma di straordinario valore pratico e di incredibile solidità e continuità di funzione. E il bene culturale, con tutto ciò che gli è legato, a differenza dei prodotti dell’impresa, appare diverso come prospettiva ed opportunità. Denso di valori da trasmettere, legato al prodotto che rappresenta, necessario per la sua umanità, non indistinto nel suo essere sempre unico. Roma 22 L ’ A N A L I S I 23 unesco • associazione città e siti italiani patrimonio mondiale anno quarto • numero uno • gen/mar 2008 www.sitiunesco.it L ’ I N T E R V E N T O A TREVISO UN CICLO DI SEMINARI PER IL GOVERNO E IL DISEGNO DEI LUOGHI Ferrara La nascita di Ermitage Italia a Ferrara ne è significativo paradigma, perché riconosce nelle proprie ragioni le relazioni, lo studio, la riflessione e la ricerca riconoscendo la città estense per quello che è in questo campo: beni, università, esposizioni, ambiente. E la scelta russa accade mentre si sciolgono altre sedi volute precedentemente solo per far conoscere il grande museo di San Pietroburgo. Ciò conferma l’investimento sull’Italia realizzato proprio per i valori che rappresenta. L’economia della cultura ha un’altra caratteristica significativa. Essa è necessariamente il luogo indissolubile delle relazioni fra pubblico e privato. Mai infatti, il pubblico potrà abdicare all’essere fondamentale proprietario, manutentore e conservatore del patrimonio, garantendone in questo modo quell’immaginario tutt’altro che privato che gli compete e d’altra parte il privato, oltre che intervenire nei processi di valorizzazione, ha dentro di sé, inscioglibile il senso del valore che, per le sue produzioni, l’immaginario dei beni produce. Nessuna delle due parti può alienare compiti e prospettive. Ecco perché a volte appare discrasica una situazione in cui troppo poco viene fatto rispetto alla realtà e alle prospettive. Ecco perché non può esservi una cifra totalmente residuale nel bilancio dello stato, destinato a questo mondo di beni, pur apparendo significativa la determinazione del nuovo ministero, definito “ai beni culturali, al turismo e al made in Italy”. E ancora ecco perché alle imprese si chiede per il futuro la fine del solo vecchio e importante mecenatismo, residuale ormai rispetto alle nuove funzioni che lo stesso privato può assumere. Dall’altra parte assume significato il dibattito sulle fondazioni bancarie perché esse appaiono troppo spesso una presenza limitata al nord e a parte del centro del nostro Paese e quasi completamente assente al sud. C’è bisogno in questo settore di più Stato e di più impresa proprio per uno sviluppo che appare non solo di prospettiva, ma fortemente necessario oggi nell’economia dell’Italia. Un’economia che a differenza di altre non segue fin dall’inizio una vocazione nordista, ma nazionale, che si dimensiona territorialmente e non per cattedrali nel deserto, in cui l’ambiente è necessariamente un valore, al di là dell’etica e delle volontà umane. Un’economia infine, che necessita investimenti continuativi ma non apicali. Se però, il dibattito, come dicevamo all’inizio, rimane delegato solo all’università o al mondo degli intellettuali, si è fuori dal seminato. Mai argomento come questo è stato più generalista, più pregnante per tutti. Si diceva, parlando del “viaggio”, che esso ogni volta che consente la vista di una meraviglia, suscita straordinarie impressioni e che il ritorno a vedere richiama sempre nuove idee e lascia di nuovo stupefatti. Sono gli occhi che cambiano e che ogni volta vedono qualcosa di nuovo e di diverso. È ora che accada anche a noi. UN PAESAGGIO DA CONOSCERE E DA DIFENDERE di DOMENICO LUCIANI Direttore della Fondazione Benetton Studi e Ricerche ’inizio del XXI secolo segna una svolta nella condizione di chi lavora per conoscere, per salvaguardare e per valorizzare i patrimoni di natura e di memoria che si sono accumulati nei paesaggi nel corso del tempo. Nell’arco di questi ultimi pochi anni, alla defatigante querelle sulla definizione del concetto di paesaggio si è affiancato un lavoro di indagine e di sperimentazione sul catalogo dei paesaggi concreti, che pretendono interventi altrettanto concreti di disegno e governo. É una svolta sancita dalla “Convenzione europea del paesaggio”, un documento asciutto che assume il connotato spaziale e antropologico dei paesaggi, lo disloca sul terreno dell’etica e della politica e lo fa entrare nel campo delle responsa- bilità individuali e collettive. L’obiettivo è quello di rendere valutabile e commensurabile la relazione tra forma/vita del paesaggio e condizione umana in esso, tra qualità del luogo e benessere della persona (della comunità), tra degrado del luogo e malessere della persona (della comunità). Questa svolta è stata determinata da molti fattori diversi, all’interno di quel processo storico di particolare complessità che possiamo immaginare come crisi del moderno. Nell’arco della seconda metà del XX secolo, sono stati proprio i fondamenti del moderno a divenire portatori di tensioni. Lo possiamo osservare, per restare in Europa, nel cambiamento di segno assunto dai modi, dai tempi, dai parametri quantitativi del prelievo e del consumo, dagli stessi strumenti di uso della natura. Non vi è un momento di rottura. 24 L Manarola Vi è una processuale deformazione che, in pochi decenni nel secondo dopoguerra, arriva a una soglia di rottura. Ci si accorge via via che l’uso dei patrimoni naturali è divenuto abuso. L’acqua è l’esempio più vistoso e per molti versi drammatico. Ma altri indizi e spie si manifestano: forme pervasive e bulimiche di consumo di territorio; crescite deregolate dell’insediamento; perdite di alterità reciproca tra città e campagna, con conseguente formazione di nebulose “non città/non campagna”; modificazioni intensive e banalizzanti dell’agricoltura, con conseguenti impoverimenti ambientali e biotopici, con smagliature irreversibili delle fragili reti e delle piccole misure dei sedimenti di memoria stratificata. Lo possiamo osservare nella trasformazione dei comportamenti collettivi e individuali, trasformazione impressionante per profondità e per diffusione, in particolare nelle attitudini individualistiche e ingovernabili dell’insediamento e della mobilità. É infatti soltanto in questi ultimi anni che abbiamo potuto osservare il formarsi di una percezione della soglia di malessere e di degrado in ambiti sociali che travalicano le comunità scientifiche e gli “addetti ai la- vori”. Il recente conflitto di idee e di interessi emerso nell’alta pianura veneta intorno al proliferare deregolato dell’attività di cava, costituisce, a questo proposito, un caso di notevole interesse. Se ne era avuto già qualche indizio con la vicenda di villa Emo Capodilista e l’iniziativa popolare per salvare uno dei paesaggi italiani mirabili; ma si poteva supporre che fosse un caso speciale, nel quale interferiva di certo l’aura palladiana e (forse) anche la preoccupazione della vergogna planetaria che quella ferita avrebbe costituito. Nel caso di questo conflitto si è trattato invece di paesaggi ordinari, di toponimi noti solo a chi vive o lavora nel posto o nei dintorni. É apparso dunque evidente che il senso del limite, e perfino l’idea di reato, che sono emersi dalle prese di posizione civica, non nascono dalla lesione prodotta alla maestà dell’arte, alla bellezza del posto, alla notorietà del monumento, ma dal degrado subito dalla qualità della vita delle comunità e delle persone, dall’impoverimento dei patrimoni culturali e naturali che nel tempo si erano, in quei paesaggi normali, in quei luoghi ordinari, accumulati. Si tratta perciò di qualcosa che riguarda tutti i luoghi del nostro territorio, e che inizia ad agire sull’intelligenza e sull’emozione di tutti i cittadini, non solo degli ecologisti, dei soprintendenti, degli studiosi e dei comitati locali. Qui sta il risultato più importante di tutta la battaglia di idee di questi ultimi decenni: si è finalmente allargata e radicata l’idea di un rapporto stretto, inscindibile, fondativo, tra la qualità della vita delle persone (e delle comunità) e la condizione dei luoghi nei quali esse lavorano, apprendono, circolano, coltivano relazioni sociali e culturali, si stringono insieme per segnare i passaggi cruciali. Il caso delle cave si presenta perciò come una interrogazione sulle ragioni per cui sia necessario continuare a devastare la trama minuta dell’acqua e delle testimonianze di natura e di memoria sulle quali si fonda la forma/vita di tutti i microcosmi di 25 unesco • associazione città e siti italiani patrimonio mondiale anno quarto • numero uno • gen/mar 2008 www.sitiunesco.it ’ I N T E lunga durata, ordinari o straordinari, di cui il territorio è composto. La “conoscibilità” e la “responsabilità” costituiscono le condizioni per l’attività di disegno e governo dei paesaggi. Esse presuppongono la identificazione dei caratteri costitutivi dei luoghi, la conterminazione dei loro ambiti, il programma pluriennale di modificazione, la pratica stagionale di rinnovo, le cure quotidiane. Esse richiedono norme tese a regolare la convivenza nello stesso spazio di patrimoni naturali, sedimenti culturali e presenze umane (con implacabile corredo di esigenze e di tensioni funzionali). L’attività di disegno e governo si configura dunque come sistema coerente di atti da compiere nel tempo, come definizione dei modi e degli strumenti per compierli. Il lavoro nel paesaggio R V E N T O non è perciò né cosmesi oggettistica, né performance, né land-art, né installazione artistica nel paesaggio. Il disegno e governo del paesaggio formano la guida delle modificazioni, le quali hanno nel tempo esiti non tutti prevedibili, poiché il rapporto tra immaginazione e concretizzazione che possiamo utilizzare nel lavoro paesaggistico non dispone delle iconografie millimetriche e della cronometria che invece sono date nel rapporto tra progetto, cantiere e realizzazione nell’architettura. Possiamo dunque immaginare la definizione della figura del responsabile del disegno e governo di paesaggi, chiamiamolo paesaggista, come un’auctoritas riconoscibile, in grado di decidere azioni e modificazioni facendo interagire molti specialismi diversi. Il profilo di una figura professionale siffatta è Montalcino 26 L ’ I N T E ancora privo di statuto scientifico e di curriculum formativo. Una sorta di direttore d’orchestra, che non ha il compito di suonare i vari strumenti, ma di conoscerne le potenzialità e metterne in valore le caratteristiche, sapendo trarre da ognuno di essi un contributo coerente alla propria idea generale del testo da eseguire e alla propria prassi esecutiva. In tutti e due questi (e in altri) campi il bersaglio è dato dall’incrocio tra conservazione e innovazione, equilibrio perennemente mobile e inevitabilmente soggettivo. In tutti e due questi casi i connotati cruciali della formazione divengono lo spessore culturale e la vastità dell’esperienza. Il paesaggista dovrebbe conoscere (e sapere chi conosce) la storia delle idee e delle volontà dei committenti o delle comunità pertinenti, le fasi di costruzione della forma/vita del luogo. Perciò dovrebbe avere dimestichezza con gli archivi delle fonti (scritte, disegnate, orali) e attitudine a valutare Firenze R V E 27 unesco • associazione città e siti italiani patrimonio mondiale anno quarto • numero uno • gen/mar 2008 www.sitiunesco.it N T O il peso che hanno avuto le varie forze nel corso del tempo e che hanno le varie esigenze in campo nella definizione dei programmi futuri. Non si insisterà mai abbastanza, per la qualità e per la vita stessa dei paesaggi, sull’importanza della presenza umana e delle cure ininterrotte e amorevoli; sul mantenimento come pratica quotidiana; sulla attenzione esecutiva ai dettagli che derivano dalla visione generale e dalle opzioni gestionali, scientifiche e tecnico/artistiche programmate negli anni e distribuite con ordine nell’agenda delle stagioni, dei giorni e perfino delle ore. Di contro, sarebbe bene abolire l’espressione “restauro del paesaggio”, da ogni punto di vista priva di senso. Si tratta di invertire la spirale perversa degrado/restauro e garantire prima di tutto la custodia responsabile, la tempestività e la continuità dei piccoli interventi. La transizione decisiva dall’idea di tutela del pae- L ’ I N T E saggio intesa come vincolo all’idea di salvaguardia e valorizzazione della “identità” e della “autenticità” (altra parola-chiave che chiede riflessione) dei paesaggi come guida attiva delle modificazioni è una transizione difficile. La difficoltà sta nell’assumere la modificazione come linguaggio e, lungi dal cercare (disperatamente e inutilmente) di arrestarla, nell’accettare il compito di indirizzarla verso nuove forme e nuove vite future, che a loro volta conservino i caratteri fondativi. La Convenzione europea definisce questo diritto per tutti i luoghi, non solo in quelli dotati di speciale intensità formale o densità monumentale o fascinazione percettiva. E forse, in questa fase storica di critica della modernità, si rivolge ancor più ai paesaggi ordinari, feriti, degradati. Nei luoghi che prendono forma da un pensiero e da un gesto inventivo unitario si pone al centro, R V E N T O accanto al talento dell’inventore, la sapienza e la continuità di una guida che riesca a far vivere nel tempo quella stessa invenzione, a ritrovarla, a rinnovarla, facendola rimanere se stessa, in tensione tra innovazione e conservazione. Questa tensione è, a sua volta (in tutti i luoghi), risultato di una lotta senza sosta, tra le forze che spingono alla rovina e le forze che spingono all’elevazione. Sono gli stessi caratteri della natura e degli artifici che tendono, contemporaneamente, da una parte a perdere forma e dall’altra a ritrovarla, da una parte a degradare la vita e dall’altra a rinnovarla. Così, la tensione tra innovazione e conservazione può presentare esiti diversi (dallo strappo al degrado fino alla nuova qualità, e perfino alla bellezza inedita), a seconda del posto e del momento. Ma è certo che in ogni momento e in ogni posto, qualcuno, una comunità, una persona, un’istituzione, porta di quel diverso esito la responsabilità. 28 L unesco • associazione città e siti italiani patrimonio mondiale anno quarto • numero uno • gen/mar 2008 www.sitiunesco.it ’ I N T E R V I S T 29 A “L’Unesco in Iraq ha profuso energie notevoli per la conservazione del patrimonio culturale, ma oggi la priorità è la tutela e il rispetto dei diritti umani” INCONTRO CON LO SCRITTORE IRACHENO YOUNIS TAWFIK QUEL SOGNO CHIAMATO LIBERTÀ di ADRIANO CIOCI Hatra l 1979 è una data particolare per la storia dell’Iraq – l’inizio del conflitto con l’Iran - ma è anche la data del suo arrivo in Italia. Pura coincidenza o netta determinazione per dare una svolta alla sua vita? Netta determinazione! Ero un giovane poeta e un ribelle contro certi costumi sociali, regole e imposizioni. Così presi una decisione lucida e consapevole. Volevo continuare i miei studi ma sapevo, seguendo e analizzando gli eventi, di non riuscire a vivere a lungo sotto un regime che stava portando il paese verso l’abisso: la rivoluzione islamica di Khomeini, la mobilità che coinvolse l’Iraq come scudo contro l’ondata che rischiava di travolgere tutto e la salita al potere di Saddam Hussein che fu battezzata con l’eliminazione degli avversari interni. Tutto ciò aveva costituito un valido motivo per lasciare il mio paese. C’era un elemento in più : l’amore per Dante e per la letteratura italiana. Avevo conosciuto l’Italia attraverso la lettu- ra di testi letterari classici e moderni tradotti in arabo, ma la Divina Commedia è stata l’opera che più di ogni altra mi ha affascinato. Nutrivo un forte desiderio di conoscere Dante più approfonditamente e di poter leggere le sue opere in lingua originale. Pensavo che attraverso studi comparati avrei potuto risalire ai contatti che allora coinvolsero le nostre culture e al ruolo del Mediterraneo come ponte di incontro e di dialogo tra le civiltà. Multiculturalismo e multietnicità sono valori non sempre applicati dall’umanità: quale processo occorre innescare nell’individuo per far sì che vengano ampiamente riconosciuti? L’uomo per natura tende ad esplorare ogni angolo della conoscenza, ma spesso non trova i mezzi per farlo. La multiculturalità esiste già, anche perché nessuna cultura, nell’epoca della globalizzazione, è immune dal contagio e nessuna cultura è pura. Manca una convinta preparazione della società messa in atto attraverso i canali dell’informazione e dell’istruzione. Occorre lavorare contro la strumentalizzazione fornendo i mezzi per trasformare la collettività in un laboratorio culturale, ricco di iniziative e occasioni per abbattere il muro dell’indifferenza. Il suo romanzo “La straniera” – che Ben Jelloun ha definito “crudele come un crimine, scritto con poesia e fantasia” – è stato il suo ingresso nel firmamento letterario italiano. A cosa deve il successo? Nel 1999, quando è uscito il libro, oltre al momento favorevole avevano giocato anche numerosi fattori per il successo di un’opera scritta totalmente in lingua italiana da uno scrittore straniero residente in Italia. Allora non possedevo la cittadinanza italiana e questo era un fattore fondamentale per il successo. Per quanto riguarda il caso letterario, invece, il romanzo in prosa quasi poetica, intarsiato da versi che facevano da collante tra le vicende e il percorso della storia, era alquanto insolito per il lettore italiano che l’accolse bene. La scrittura a specchio per narrare due storie, lo stesso racconto commovente che denunciava e che esaltava casi che allora erano poco trattati, l’essere straniero-estraneo, la solitudine, la nostalgia, la memoria, la situazione di degrado di alcune zone non solo di Torino ma di altre città e così via: sono stati questi gli ingredienti di un successo inaspettato. Il romanzo “Il profugo” ripercorre le tappe della storia della sua famiglia. Nel narrare vi è stato più dolore o più liberazione? Più liberazione. Ero riuYounis Tawfik scito a raccontare al pubblico italiano storie sconosciute di un paese dimenticato, dolori di guerre e di morti, di sofferenze e di speranze. Volevo rendere partecipe con me il lettore e coinvolgerlo per farlo toccare 30 L ’ I N T E Baghdad con i sentimenti e le emozioni la vera sofferenza del mio popolo e di rendere la causa dell’Iraq non solo una semplice notizia ma un racconto coinvolgente e alla portata di tutti. Nel saggio “L’Iraq di Saddam” (2003) lei esprime rabbia e speranza insieme. Dopo la caduta del Rais nel paese vi è più rabbia e disperazione o il lume della speranza sta diventando vera e propria alba? Nel libro avevo previsto come sarebbe diventato l’Iraq dopo la caduta di Saddam e che cosa sarebbe successo dopo l’intervento. Purtroppo oggi in Iraq non c’è nessun filo di speranza e la gente vive nella disperazione assoluta. Ci vorrà molto prima di arrivare ad una normalizzazione e prima che i raggi dell’Alba sorgano all’orizzonte. La letteratura irakena del dopo Saddam ha R V I 31 unesco • associazione città e siti italiani patrimonio mondiale anno quarto • numero uno • gen/mar 2008 www.sitiunesco.it S T A già un suo proprio filone o è espressione anch’essa di una confusione in atto? Avevamo già una letteratura con una sua particolarità che potrebbe essere resa conoscibile. Spero che l’Unesco, che già ha fatto molto per il mio paese, si interessi anche della letteratura della diaspora irachena, degli scrittori rifugiati e degli esiliati politici dal 1979 fino ad oggi. Già ai tempi di Saddam erano nate case editrici irachene in Francia e in Germania e numerosi scrittori denunciavano il regime con opere di grande valore letterario. Questo continua ancora oggi, mentre in Iraq gli scrittori vivono nel terrore e nella fame, vendendo le loro opere sui marciapiedi. All’estero continua il filone della denuncia, della lotta contro la violenza e dell’amore per un paese in agonia. L’Unesco ha riconosciuto i siti di Assour, Hatra e Samarra, patrimonio mondiale dell’umanità. Quali sono le problematiche relative alla loro conservazione? Soprattutto la sicurezza. Non è granché consentito ai restauratori occidentali lavorare in un clima apocalittico come quello iracheno. Ci sarebbe molto da fare, oltre alle opere di restauro e di conservazione bisognerebbe mettere sotto tutela altri monumenti che hanno subito danni a causa degli attentati o dell’abbandono. L’imponente patrimonio storico e architettonico dell’Iraq meriterebbe una maggiore considerazione. In che direzione dovranno indirizzarsi gli sforzi del nuovo governo per una giusta valorizzazione? Il governo iracheno non può ancora far fronte con successo contro le milizie religiose, al Qaida, la cosiddetta “resistenza”, e nemmeno contro il degrado perché non possiede mezzi e L ’ I N T E risorse adeguati. Gli sforzi rischiano di diventare inutili quando non esistono le condizioni per lavorare, per visitare e per valorizzare il proprio territorio. Lo stesso cittadino ha bisogno di essere tutelato. Se le forze in campo non riusciranno a ripristinare la sicurezza e la pace in un paese che sta per precipitare nel tunnel della guerra civile, nessun governo potrà mai tutelare i monumenti. L’Unesco in Iraq ha profuso energie notevoli ed ha lavorato egregiamente per la conservazione dei monumenti e dei reperti archeologici, ma purtroppo in Iraq oggi la priorità è quella della conservazione e del rispetto dei diritti umani. Qual è, secondo lei, il punto di forza dell’Unesco in Italia? E’ quello di aver capito che lavorando in si- R V I S T A nergia, coinvolgendo istituzioni, privati, cultori dell’arte e persino semplici cittadini, si può riuscire anche nell’impossibile. Aver dato alla popolazione la percezione e la responsabilità che il passato e l’ambiente ci appartengono quasi quanto la vita e la storia stessa, è un percorso vincente. Ma vi è dell’altro: il ruolo positivo delle istituzioni che hanno capito la necessità di una legge sugli stessi siti Unisco e la presenza dell’Associazione “Città e Siti Italiani Patrimonio Mondiale Unesco” che so essere attivissima. Tutto questo pone l’Italia in posizione emergente rispetto al panorama mondiale, una posizione che ha guadagnato negli anni e che è il frutto di una storia, di una tradizione, di una cultura e di un’architettura che sono e che rimarranno invidiabili nel tempo. Samarra 32 R unesco • associazione città e siti italiani patrimonio mondiale anno quarto • numero uno • gen/mar 2008 www.sitiunesco.it I F L E S S I O N I IL PAESAGGIO LETTERARIO COME PAESAGGIO REALE SPUNTI DA GABRIELE D’ANNUNZIO SGUARDI DAL VITTORIALE di RAFFAELE MILANI a natura appare, ai nostri occhi, come un vero e proprio spettacolo che richiede viva o assorta partecipazione: le nuvole, i lampi, gli squarci di cielo, le tempeste sul mare, i deserti, ecc., sono scene degne di uno Shakespeare che pure in parte le ha rappresentate. Traspare dalle sue manifestazioni un linguaggio inafferrabile, sospeso, fatto di tracce, di cenni che ci rimanda a sintonie Panoramica sul Lago di Garda segrete. E vi sono modi assolutamente diversi per trattarne. Lo sappiamo dagli innumerevoli esempi letterari e pittorici, da Friedrich a Corot da Leopardi a Proust. Lo sguardo ha, nella letteratura, infiniti risvolti evocativi che forniscono altri paesaggi. Anche la città è paesaggio. Da essa possiamo uscire nella natura (lo hanno fatto Socrate e Fedro), in uno scambio tra la città e la campagna, ma possiamo anche entrare nella città, per vivere dentro la contemplazione delle strutture architettoniche. Ogni architettura è paesaggistica e favorisce un rapporto educativo, tra ambiente e spirito. Essa si modifica al nostro passaggio, alla mobilità del nostro sguardo, come alla luce e alle stagioni. La vista e il nostro corpo praticano una contemplazione tra l’interno e l’esterno, tra ciò che è al di fuori e lontano e ciò che è al di dentro e più piccolo e che si snoda davanti ai nostri occhi. C’è una correlazione strettissima tra l’esperienza estetica del paesaggio naturale e del paesaggio urbano. Come l’uomo abita la terra, così abita la città. Aggregati urbani piccoli o grandi possono essere la realizzazione di utopie rinascimentali o moderne, ma la città o la metropoli, con le sue piazze, i quartieri, gli edifici, i monumenti, può essere disorientante e creare un fenomeno di impressioni molto diverse. H. de Balzac (Ferragus), per esempio, descrive Parigi come il più delizioso dei mostri. Tuttavia, che sia la Londra di H. Fielding, la Roma di G. D’Annunzio, la Parigi di Baudelaire, la Torino di F. Nietzsche, la Praga di F. Kafka, la Venezia di J. Ruskin. Ciò che importa è l’incontro con il luogo sognato, immaginato e che viene sostituito a quello reale. A due diverse descrizioni letterarie dello stesso luogo corrispondono due luoghi evocativamente diversi nella rappresentazione che viene offerta. In questo panorama di elaborazioni mentali, non possiamo non pensare a Gabriele d’Annunzio, così sensibile all’antico come al moderno (“custode della tradizione, promotore della modernità”), se vogliamo trovare un caso di paesaggio letterario realizzato. Potremmo anche ricordare il “look out”che Victor Hugo fece costruire in cima alla Hauteville House, a Guernesey, una specie di gabbia di vetro per contemplare il mare. Ma D’Annunzio si presta come esempio eclatante e totate. Basta leggere Le Laudi del cielo, del mare, della terra, degli eroi, i vari taccuini, gli scritti giornalistici, e tanti spunti 33 34 R I F L E Nave Puglia dalle sue opere per rendersi conto della sua venerazione per la natura e il paesaggio. Fino ad arrivare a una vera e propria composizione del paesaggio sotto la guida del sapere poetico. Ciò accade al Vittoriale. Avremmo potuto prendere dei paesaggi a confronto, nella rappresentazione che ne avevano dato Petrarca o Manzoni, Dante o Pirandello e nella loro attuale realtà. Tuttavia, la scelta di D’Annunzio nasce dal fatto che, nel luogo ricreato a Gardone, il Poeta inventa un’architettura della visione che sposa realtà e artificio, memoria e illusione. Giardino e paesaggio s’incontrano in un’avventura dello sguardo. Normalmente il senso dell’avventura non dipende in generale da un prima e da un dopo, è S S I 35 unesco • associazione città e siti italiani patrimonio mondiale anno quarto • numero uno • gen/mar 2008 www.sitiunesco.it O N I incoerente, irregolare, non privilegia un sistema di osservazione. Ma qui, al Vittoriale, esiste invece un fatto curioso e nuovissimo: un’avventura meditata, ordinata come in un testo letterario, secondo un processo di similitudini, promosso da culti simbolisti e futuristi. Ha una componente che possiamo considerare onirica, perché legata alla fantasia. Eppure è anche documento della storia in una specie di follia spaziale. Basta farsi prendere dallo scorrere del tempo della visione, in una posizione fissa, quasi da un qualunque punto di vista, nel giardino e nel parco, per rendersi conto che si entra in una fase diversa del vedere, si entra nel principio della contemplazione. Ma come l’ha voluta e studiata il Poeta, non come potremmo noi decidere che sia. Ogni cosa sta al posto di un’altra. Siamo condotti in un giardino-paesaggio letterario dove appunto è la metafora a governare. In generale, vediamo sempre frammenti, reliquie di realtà, di esperienze, segni e memorie che ci vengono ricomposte in un tutto apparentemente vacillante. Vince il nostro sguardo errabondo. Pezzi sparsi di storia e di gesta, come rovine di un’anima invasata. Notiamo una sequenza di similitudini. Muoviamo dal fatto che, in questo luogo, la metafora è il genio dell’Imaginifico. Essa (metafora) è generalmente intesa come una parola usata al posto di un’altra per rendere un referente con un significato diverso. Si tratta di un trasferimento semantico che si basa su una parentela di somiglianza. In sostanza qui si sostituisce a un’immagine un’ altra immagine, a un paesaggio un altro paesaggio. Così come immaginava architetture1, immaginava i luoghi sull’architettura. Sguardi dal Vittoriale: 1) La nave Puglia, geniale allestimento dentro il parco, degno di un grande regista, invita a vedere R I F L E non un lago, davanti a sé, ma il mare Adriatico. Anzi guida questo genere di visione. 2) In un punto del parco, sembra di essere a San Giusto, a Trieste, guardando verso il grande golfo. Quel particolare punto favorisce il ricordo e fa nascere alla vista il luogo lontano. 3) Nei giardini privati, per la loro struttura compositiva a terrazze, sembra di essere a Ravello che conserva una delle più belle viste del Mediterraneo: un belvedere d’eccezione. 4) I sassi del carso, segni disseminati in un limitato spazio verde, gli permettevano di passare tra quei ricordi come un gigante in una geografia miniaturizzata. Teatro della distanza e della prossimità che esalta il protagonista. 5) La cascata, con la divisione dei due rivi, potrebbe essere stata pensata secondo modelli giapponesi, shintoisti e buddisti (forse influenzata da rappresentazioni giapponesi nella Prioria). Importanti appaiono i percorsi d’avvicinamento per vedere la cascata come in un’inquadratura che diventa sempre più esplicita. S S I O N I 6) Il teatro evoca l’atmosfera della Magna Grecia o della Grecia antica e dei suoi teatri, fuoco di sguardi sul panorama circostante; forse cita quello di Taormina in particolare. Tutto ciò rientra nel disegno di un citazionismo e di una frenesia antiquaria ovunque profusi, intriso di memorie guerresche come d’aure mitiche. In questo regno della metafora, il paesaggio reale, ciò che sta davanti a noi, si fa da parte, cede il posto a un altro paesaggio, il paesaggio evocato, immaginato. Le forme del paesaggio reale diventano attori di un spettacolo diverso, secondo un apparato di similitudini. Il paesaggio letterario, immaginato dal Poeta, diventa un paesaggio assolutamente reale. Il paesaggio reale si trasforma in un paesaggio immaginario. Il Vittoriale muta l’aspetto, cambia: da “ascetario” si fa isola silenziosa e profumata, abitata dai fantasmi del mito; un’isola del Mediterraneo, un’Itaca ideale e misteriosa, ma viva, ammantata dallo spirito greco, da quello spirito che è comunque risultato comunque di un principio di Il Mausoleo 36 R I F L E S S I 37 unesco • associazione città e siti italiani patrimonio mondiale anno quarto • numero uno • gen/mar 2008 www.sitiunesco.it O N I I N E V I D E N Z A GLI ELEMENTI ESSENZIALI DEL PRINCIPALE STRUMENTO DI CONSERVAZIONE, TUTELA E VALORIZZAZIONE DEI SITI UNESCO contrasto, come precisa il Poeta nei suoi viaggi. In una crociera del 1985 annota: “Lo spirito greco è fatto della reazione continua dell’uomo contro la personalità delle cose. Le cose, avendo una personalità così precisa e così forte, s’imponevano all’uomo come un sopruso. L’uomo reagiva. Di qui le magnifiche personalità dei Greci - reazione contro le cose, per l’istinto di predominio. Eccitante il paesaggio. Gli alberi stessi della pianura, tra Patros e Pirgo, così distanti gli uni dagli altri, non sono personae? V’è un gran pino davanti al Museo (di Corinto). Ha una forma e una voce proprie2. “Anche nel Vittoriale contempliamo un scontro di personalità: l’uomo, il Poeta, le cose e vi sentiamo aleggiare lo “spirito greco”. Siamo anzi permeati dallo spirito greco. In un diverso passo dei Taccuini, ebbe a dichiarare D’Annunzio: “Tutto qui è dunque una forma della mia mente, un aspetto della mia anima, una prova del mio fervore…”. Una consonanza di temi che ritornano sul paesaggio come categoria mentale che offre spazio all’immaginazione. Come visitatori, ci si sente spinti a veleggiare nel Mediterraneo per via di uno strano “trasognamento”3 con un desiderio di mare, di selva, di pietra, e di giacere, come lui, nella voluttà d’essere “diversi e inconoscibili, persi in una solitudine piena di apparizioni e di prodigi”. Lo spirito greco, tensione armonica, ritorna in uno stato di misurata ebbrezza. Il Vittoriale è l’armatura di trasognate essenze. Guardando verso il lago come fosse un angolo di Grecia, sembra di vedere quello spazio di mare che divide Itaca da Cefalonia. Entriamo in L’anfiteatro un luogo mitico che si sovrappone a quello oggettivo del lago. Trasognamento. Quante volte, afferma il Poeta, “la mia vita non è se non trasognamento! Sognare è una cosa, trasognare è un’altra. La realtà mi si scopre a un tratto e mi si approssima con una sorta di violenza imperiosa… A un tratto ella (la realtà) si dissolve, si difforma, si trasforma, assume l’aspetto del mio più segreto fantasma…”4. Il Vittoriale, in un teorico abbraccio tra visione d’interni e visioni d’esterni, è il risultato di questo delirio ineffabile che ricrea i paesaggi. D’Annunzio si pone oltre una linea, oltre un confine tra due mondi: “Ne sorge un sentimento di lontananza e solitudine che mi circonda e mi fa simile a un’isola senza radice”5. Note 1 Si veda il bel libro di Carlo Cresti, Gabriele D’Annunzio, “architetto immaginifico”, Angelo Pontecorboli, Firenze, 2005 2 G. D’Annunzio, Altri taccuini, a cura di Enrica Bianchetti, Mondadori, Milano I ed. 1976, p. 6. 3 Dell’attenzione, Zurigo, 5 settembre 1899, in Il venturiero senza ventura, 1924, p.1107 4 G. D’Annunzio, Dell’attenzione, cit. p. 1104 5 ibidem, p. 1105 IL PIANO DI GESTIONE COME PIANO DEI PIANI di CLAUDIO FEDOZZI Coordinatore tecnico-scientifico dell’Associazione Città e Siti Italiani Patrimonio Mondiale Unesco el suo saggio “fiducia e paura nella città” il sociologo Zygmunt Bauman sottolinea come effetti negativi della globalizzazione, ad esempio, il fatto che, pur essendo l’inquinamento dell’aria o dell’acqua un fenomeno globale, sono le singole comunità locali a doverne sostenere le conseguenze, potendo contare solo sulle proprie risorse; oppure il fatto che, agli effetti disastrosi del terrorismo globale siano i vigili del fuoco e le polizie locali che devono far fronte. In qualche modo credo sia possibile leggere anche la situazione di cui ci troviamo a trattare in un’ottica di rapporto tra globale e locale, anche se, per fortuna, in questo caso l’accezione di globale è tutta in positivo. Se è infatti l’UNESCO, Organizzazione mondiale, ad inserire alcune parti del mondo nella Lista del Patrimonio dell’umanità, sono poi le singole comunità locali a dover garantire una buona gestione di questi beni, impegnandosi a salvaguardarne gli elementi di eccellenza che ne hanno determinato l’inserimento nella Lista, pur potendo disporre di risorse sempre più limitate e, spesso, insufficienti a garantire anche il normale svolgimento delle attività istituzionali (“L’inscription sur cette liste consacre la valeur universelle exceptionnelle d’un bien culturel ou naturel afin qu’il soit protégé au bénéfice de l’humanité”). Nel caso della Val d’Orcia, per fare un La costiera amalfitana 38 I N E V I D E 39 unesco • associazione città e siti italiani patrimonio mondiale anno quarto • numero uno • gen/mar 2008 www.sitiunesco.it N Z A bia qualcosa da gestire (ad esempio un’azienda) deve fare un piano (sostanzialmente un insieme di obiettivi da raggiungere ed un sistema di azioni per raggiungerli in un arco temporale determinato) ed attivare una forma di controllo di gestione (una serie di indicatori e di unità di misura che servono a verificare il grado di ragL’Orto Botanico di Padova giungimento degli obiettivi a cadenza periodica in rapesempio, in cui determinante risulta la salvaguarporto al tempo previsto). Ho semplificato molto dia del paesaggio - un paesaggio antropizzato, la questione, al limite della banalizzazione, ma in fortemente caratterizzato dalla presenza della questa occasione intendo richiamarne gli elementi essenziali, giusto per ricordare come, appunto, coltura del grano e, comunque, prevalentemente esista ormai una certa standardizzazione di questo agricolo - gli indirizzi della Comunità europea in tipo di strumenti. Nella fattispecie, però, la cosa questo settore produttivo potrebbero determinare risulta nella realtà molto meno semplice di quanto una sensibile modifica dei prodotti e dei sistemi appaia sulla carta. Diversi sono infatti i fattori che di coltivazione e, quindi, incidere pesantemente la complicano. sull’integrità del paesaggio tutelato, senza che la comunità locale possa fare alcunché per evitarlo. Innanzitutto i soggetti. Ecco dunque il nocciolo del problema: fin dove Chi deve fare il piano di gestione? la buona volontà, la convinzione, la passione che i In qualche caso la risposta può essere relatiSindaci che qui sono intervenuti hanno dimostrato di avere, potranno da sole garantire una buona vamente facile; per il centro storico di Firenze, ad gestione del Sito riconosciuto dall’UNESCO, nel esempio, lo potrà fare il Comune di Firenze. Ma per senso che si diceva sopra? la costiera amalfitana, ad esempio, chi lo farà? e per l’orto botanico di Padova? Il piano di gestione Ho usato non a caso questi due esempi estremi: Per dare risposta ad una simile domanda che, • esistono Siti, come la costiera amalfitana, in realtà, riguarda tutti i Siti italiani, può aiutarci lo appunto, che comprendono decine di Comuni, strumento del Piano di gestione di cui ogni Sito diverse Province, spesso diverse Regioni, Enti si deve dotare. La soluzione appare abbastanza Parco, Comunità montane, Soprintendenze, convenzionale e, quindi, semplice. Chiunque abecc.; in questi casi è fondamentale che qualcu- I N E V I no assuma il ruolo di promotore dell’iniziativa, di elemento trainante per tutti gli altri soggetti coinvolti, con l’obiettivo di pervenire a forme di accordo in cui tutti si sentano rappresentati e, collegialmente, individuino le forme organizzative e procedurali attraverso cui pervenire alla elaborazione del Piano di gestione ed alla sua attuazione. • l’orto botanico rappresenta invece quei Siti, cosiddetti “puntuali”, per i quali, se da un lato è molto facile individuare il “promotore” (in quanto hanno solitamente un gestore), dall’altro diventa invece assai più difficile decidere quali siano i soggetti istituzionali da coinvolgere. E qui è il caso di mettere in campo un secondo fattore, l’ambito territoriale interessato dal piano. D E N Z A Qual è il perimetro dell’area che intendiamo gestire unitariamente? Ovvero, per riferirsi ai casi precedenti, è immaginabile che l’orto botanico (di proprietà dell’Università) possa fare un proprio piano di gestione senza coinvolgere l’Amministrazione della città al centro della quale si trova? E, ancora, è possibile immaginare una gestione dell’orto botanico che non tenga conto delle modalità di arrivo dei visitatori, dei punti in cui mangeranno, dei punti in cui eventualmente si fermeranno a dormire, ecc…? Questo per dire come l’ambito di riferimento del piano, non sempre possa coincidere con il perimetro del Sito iscritto nella lista; anzi, come vedremo, questo è possibile in rarissimi casi. Il Piano di gestione, se Piano deve essere, deve, per quanto possibile, tener conto di tutti i fattori che possono positivamente o negativa- Matera 40 I N E V I mente incidere sull’uso di un bene tutelato e deve, per contro, cercare di valutare come l’uso del bene stesso si ripercuota sul territorio circostante. Potremmo in qualche modo dire che l’ambito di riferimento del Piano è un primo, fondamentale elemento di “progetto” del sistema di gestione che si intende adottare. L’individuazione dell’ambito richiede infatti una scelta politico-gestionale circa la parte di territorio su cui far ricadere l’impatto economico-organizzativo del sistema di gestione; sia in termini di impegno di risorse, sia in termini di ricadute positive (chi spende, chi fa che cosa, chi ci guadagna). Su quali strumenti inciderà il Piano di gestione? In questo terzo fattore, strettamente correlato ai precedenti, sta la risposta ad una parte del quesito. Se infatti il piano di gestione si dovesse tradurre nella elaborazione, approvazione ed applicazione di un nuovo Piano, che, in quanto tale, D E 41 unesco • associazione città e siti italiani patrimonio mondiale anno quarto • numero uno • gen/mar 2008 www.sitiunesco.it N Z A si sommi a quelli già esistenti sovrapponendosi ed intrecciandosi con questi, oltre a costituire un appesantimento in termini di impiego di risorse (finanziarie, umane, di tempo, ecc.) molti dei soggetti istituzionali coinvolti tenderebbero a considerarlo un adempimento dovuto e rischierebbe di avere effetti molto limitati. Una possibilità concreta che possa invece avere effetti positivi, senza gravare eccessivamente sugli impegni dei vari soggetti, risiede nel far sì che il Piano di gestione definisca le ricadute sui vari strumenti di gestione già in uso da parte dei soggetti stessi: piani urbanistici, piani del commercio e dei pubblici esercizi, piani del turismo, piani della mobilità e della sosta, programmazione degli eventi e delle manifestazioni, programmazione delle opere pubbliche ecc. Solo assumendo questa trasversalità (di contenuti e di competenze) ed utilizzando strumenti usuali e consolidati, i soggetti interessati possono riuscire a gestire correttamente il Sito, anche a parità di risorse. Il Piano di gestione assume pertanto valore di piano strategico, finalizzato a coordinare e rendere sinergica la programmazione tipica e consolidata dei vari soggetti istituzionali coinvolti; in questo senso lo si potrebbe definire “IL PIANO DEI PIANI”; non in un’accezione di strumento sovraordinato ad altri ma, più semplicemente e più modestamente, di Piano che suggerisce indirizzi agli strumenti, previsti da leggi e norme vigenti, che i Comuni, le Province, i Parchi e le altre Istituzioni presenti sul territorio normalmente utilizzano per Tivoli I N E V I D E N Z A la gestione degli ambiti di rispettiva competenza. In sostanza, mentre nulla possono gli attori locali nei confronti, ad esempio, delle decisioni della Comunità Europea, molto possono ottenere semplicemente “orientando” la loro gestione quotidiana secondo l’ottica indotta dal riconoscimento dell’UNESCO che, nell’attribuire valore universale ad un Sito, conferisce in capo a quella che potremmo definire la “comunità affidataria” di quel Sito la responsabilità di conservarne, tutelarne e valorizzarne le peculiarità. Per quanto riguarda, invece, il contenuto dei Piani, ovvero la reale possibilità che essi possano garantire una corretta gestione dei Siti, occorre mettere in rilievo l’importanza di alcuni elementi: • la consapevolezza. E’ di fondamentale importanza il fatto che ogni soggetto coinvolto sia pienamente consapevole di agire all’interno di un contesto particolare, solo il raggiungimento di un elevato livello di consapevolezza da parte degli amministratori locali, ma anche dei tecnici, degli imprenditori, dei soggetti economici e sociali, dei formatori e di chiunque abbia interessi in quel luogo, a partire dagli abitanti, può dare maggiori garanzie, non solo di corretta impostazione dei Piani, ma anche di più facile attuazione degli stessi. • la formazione. Questo elemento, strettamente correlato al primo, in quanto è uno degli strumenti attraverso cui costruire la consapevolezza, assume però un significato particolarmente rilevante se considerato per la sua capacità di poter trasmettere il cosiddetto “saper fare”. Nei Siti culturali, come nei paesaggi fortemente caratterizzati dall’intervento dell’uomo, ciò che può garantire un buon livello di conservazione e Noto di tutela è, ancor più di un buon piano, la capacità di mantenere in vita, ma anche di mantenere viva, cioè in grado di adattarsi al contesto e di aggiornarsi, la sapienza degli operatori locali. I terrazzamenti coltivati a limoni della costiera amalfitana, ad esempio, nascono non già da un atteggiamento conservativo nei confronti del paesaggio, ma dalla combinazione tra la necessità di sfruttare al massimo i pochi ed impervi terreni disponibili e la capacità degli operatori locali di riuscire nell’intento producendo un risultato in splendida armonia col sito. Potremmo dire quindi, in questo caso come in molti altri casi, che il valore più alto non sta probabilmente nel risultato estetico-paesaggistico, ma nell’intelligenza, nella sapienza, nell’operosità degli operatori locali. 42 43 unesco • associazione città e siti italiani patrimonio mondiale anno quarto • numero uno • gen/mar 2008 www.sitiunesco.it V A L C A M O N I C A L’INCONTRO TRA BATTISTA MAFFESSOLI E L’ARTISTA ROMANO ASCANIO CELESTINI “Quando la sera portavo i calchi delle incisioni ai grandi del paese, loro mi dicevano che non valevano nulla” UN CANTORE PER L’ARTE RUPESTRE DELLA VALLE CAMONICA di STEFANO MALOSSO aramente capita di assistere all’incontro di due personalità acute, che sembrano completarsi l’una con l’altra andando a colmarsi con le proprie sensibilità. Quando questo capita, si crea un’atmosfera magica, evocativa, come sospesa nel tempo. E’ proprio questa la sensazione che si prova quando scorrono davanti agli occhi le immagini del dvd “Viva la Democrazia di Battista!” appena pubblicato grazie alla volontà degli Enti locali che partecipano al Gruppo Istituzionale di Coordinamento per la gestione del sito UNESCO “Arte rupestre della Valle Camonica”. Il video, della durata di circa venti minuti, documenta l’incontro tra l’artista romano Ascanio Celestini e Battista Maffessoli, un vero e proprio pioniere nella scoperta delle incisioni rupestri camune, e della loro promozione nel mondo. Ascanio Celestini Il lavoro di Maffessoli, iniziato casualmente quando ancora giovanissimo gli capita di scivolare su una pietra con degli strani segni incisi sulla superficie, si è sviluppato per decenni supportato solo dalla sua grande passione: in quegli anni non esistevano infatti pubblicazioni che riguardassero l’arte rupestre nella zona e anche gli archeologi non avevano ancora percorso i sentieri di Capo di Ponte, di Ceto, Cimbergo, Paspardo, Darfo Boario Terme e degli altri numerosi comuni della Valle Camonica, in provincia di Brescia, che oggi conservano le rocce incise. La tenacia e lo speciale rapporto di Maffessoli con il suo territorio lo spingono alla ricerca indefessa di nuovi segni, di nuove rocce, interloquendo con archeologici e ricercatori di tutto il mondo, diventando il loro referente sul territorio. Il sito di Naquane, nel comune di Capo di Ponte, diventa così un punto di riferimento essenziale per chiunque voglia ammirare le meraviglie dell’arte rupestre. Nel 1955 viene ufficialmente istituito il Parco Nazionale delle Incisioni Rupestri: è il primo Parco Archeologico italiano, che racchiude al suo interno oltre 100 rocce, principalmente incise tra il Neolitico (VI-IV millennio a.C.) e l’Età del Ferro (I millennio a.C.), ma anche riprese in età storica, romana, moderna e contemporanea. La sua importanza è tale che nel 1979 l’arte rupestre della Valle Camonica viene insignita dall’UNESCO del titolo di Patrimonio dell’Umanità: gli scienziati e gli esperti del settore che accorrono al sito sono guidati da Maffessoli stesso, con le conoscenze e le sue brillanti intuizioni che gli faranno guadagnare la stima di tutti gli studiosi dell’arte ru- Battista Maffessoli pestre. E’ lui a scavare i primi sentieri, a svelare con le sue grosse mani lo strato di muschio che ricopre le incisioni, a fare i calchi che andranno a formare un vasto archivio iconografico a disposizione del pubblico curioso, a proporre la sua interpretazione alle dinamiche dei disegni: ed è proprio nell’interpretazione che Battista Maffessoli si rivela una guida illuminante, tracciando un filo immaginario che collega le incisioni rupestri ed il loro mistero alla tradizione fiabesca della Valle Camonica e della sua natura, come solo uno sciamano potrebbe fare. “I Camuni, 4000 anni fa, sapevano che la terra è rotonda. Sapevano che c’era lo spazio” Il Parco è disseminato di incisioni la cui immagine ha fatto il giro del mondo. A pochi metri dall’ingresso troviamo 44 V A L C A la Roccia 50: è una grande superficie incisa con rappresentazioni di guerrieri, edifici, impronte di piedi e iscrizioni in caratteri etruschi. Scendendo lungo il sentiero incontriamo la Roccia 73: reca una dettagliata raffigurazione di edificio, con le travi del tetto e, sul colmo, due elementi che sembrano teste di uccelli o di cavalli, poste a protezione dell’abitazione. Più a valle si trova invece la Roccia 70 con la celebre raffigurazione del dio Cernunnos, divinità del mondo celtico transalpino. Percorrendo il sentiero all’inverso, ci imbattiamo nella Roccia 44, nella quale spiccano due piccole asce-alabarde incise con la tecnica filiforme. Qualche metro più in là si trova la roccia più famosa dell’intero Parco: la Roccia 1, o la “Cappella Sistina dei Camuni” come l’ha definita genialmente Maffessoli. Essa offre un’estesa varietà di incisioni (quasi un migliaio), tra le quali si possono osservare i telai a struttura verticale, le raffigurazioni di palette, le svariate scene di caccia al cervo, le raffigurazioni di cavalieri e il cosiddetto “labirinto”, vero e proprio mistero per chi tenta da decenni di decifrare i segni M O 45 unesco • associazione città e siti italiani patrimonio mondiale anno quarto • numero uno • gen/mar 2008 www.sitiunesco.it N I C A dell’arte rupestre camuna. Non è rara la scoperta di nuove rocce e di nuove incisioni che emergono sotto i terricci e fra i sentieri del Parco, in continua mutazione ed evoluzione. In questo senso, il sito di Naquane ha ancora molto da rivelare agli studiosi ed appassionati che continuano a sondarlo per far emergere nuove ricchezze artistiche: è una continua sorgente di scoperte. “Il territorio è talmente vasto che io non sono mai stato disoccupato” Un grande ringraziamento va quindi al lavoro di Battista Maffessoli, che ci ha lasciati domenica 3 settembre 2006. Gli Enti locali della Valle Camonica ne hanno voluto ricordare la figura con un video, a fianco di Ascanio Celestini. Ma non solo: il laboratorio di Battista Maffessoli è stato acquisito dal Comune di Capo di Ponte e diverrà sede dell’Agenzia di promozione del territorio. Un modo per dare continuità alla missione del “pioniere” dell’arte rupestre: divulgare il valore del territorio, seminare tra i giovani l’amore per una storia millenaria, il fascino di un racconto per immagini della grande avventura umana. Note 1 Il Comune di Capo di Ponte ha recentemente pubblicato un bell’opuscolo dal titolo “Battista, cercatore di graffiti”. V A L C A M O N I C A IL FUNERALE DEI VIVI di Ascanio Celestini U na volta eravamo saggi e il funerale ce lo facevamo da vivi. Ci andavamo con lo stomaco pieno di maccheroni. Ci coprivamo la testa e camminavamo sulla strada del camposanto. Scalzi per sentire le pietre, per intendere il peso dei nostri peccati. Ci accompagnavano i compagni e le comari in silenzio e piangevamo davvero perché la morte è una cosa seria pure quando si fa per scherzo. Una volta credevamo a tutto perché ci sembrava che era tutto segreto. La natura non era un patrimonio da salvare come uno che si sta affogando e bisogna raggiungerlo col salvagente prima che si beva troppa acqua. La natura era un marasma e noi ci stavamo dentro come il passeggero di una nave nel mare in tempesta che spera nelle capacità di un comandante che manco conosce. Lo prega come si prega un santo. Magari poi è un pilota automatico, una macchina che fa tutto da sola. Magari manco è una tempesta, ma il mal di mare che ha trasformato le piccole onde in una grande agonia. Una volta credevamo a tutto perché ci sembrava che era tutto segreto. Adesso abbiamo dovuto perdere la fede per non rischiare di affogare davvero nel mare grosso. Adesso al funerale ci andiamo solo da morti. Ma io il funerale di un vivo l’ho visto davvero. Emilio mi ha portato in Val Camonica da Battista Maffessoli che mezzo secolo fa ha riscoperto le incisioni rupestri degli antichi Camuni. Ha inciampato in un cervo, cioè in un graffito che lo raffigura. Al paese dicevano che quei “pitoti” li aveva fatti un capraio, ma poi in valle sono arrivati gli studiosi e Battista ha continuato a scoprire le rocce. Toglieva la terra e il muschio, faceva i calchi di gesso e accompagnava i dottori di mezzo mondo tra i guerrieri e le danze grattate nella roccia. Al tramonto, prima di tornare dalla sua donna vera che lo aspettava a casa, si metteva vicino all’incisione di una piccola donna antica. Le braccia chiuse in un cerchio e le gambe a specchio. Si guardavano la valle insieme pure se erano un uomo e una pietra divisi da migliaia di anni. Battista dice che una volta all’alba ha sentito un violino, è arrivata un’astronave con tutti gli scienziati che erano passati nella valle e nel frattempo erano morti. Gli hanno detto “ce ne andiamo dai Camuni. Ci sveleranno il mistero delle incisioni”. Io che non sono pratico né di astronauti, né di archeologia gli ho chiesto se era una storia che si era inventato lui, un sogno o una cosa vera. Lui non ha risposto perché era saggio e credeva ai segreti. Poi siamo andati a mangiare e io non conoscevo quasi nessuno. C’era Emilio che avevo sentito al telefono un paio di volte, c’era Battista col quale avevo passeggiato per le rocce, che mi aveva mostrato un omino corridore con i capelli dritti e lo chiamava “il bersagliere”, che mi aveva illustrato la roccia grande, la sua cappella Sistina. Abbiamo mangiato e eravamo molto contenti. Ora è passato un anno e sono tornato in Val Camonica. Emilio mi dice che quel giorno di maggio è stata l’ultima volta che Battista è salito sulle rocce. È morto dopo qualche settimana, a settembre. E io non l’avevo capito che quello era il suo funerale da vivo. 46 P A R C O D 47 unesco • associazione città e siti italiani patrimonio mondiale anno quarto • numero uno • gen/mar 2008 www.sitiunesco.it E L D E L T A D E L P O UN PROGETTO DI VALORIZZAZIONE CHE PUNTA SUL SENSO DI “BENE COLLETTIVO” DAL DELTA SFOCIANO NUOVE IDEE di LUCILLA PREVIATI Direttrice del Parco del Delta del Po Torre Abate l tema dell’acqua può aiutare ad elaborare e sperimentare nuovi comportamenti ed esprimere nuovi valori; ha implicazioni economiche, politiche, sociali di vasta portata e, nello stesso tempo, attorno all’acqua si aprono sfide ricche di tensioni ad alto contenuto progettuale. In quest’ottica guardiamo all’immediato futuro come passaggio ad una più vasta scala applicativa, da mettersi in pratica nel più breve tempo possibile. L’adozione di “aree campione”, in cui il concetto di eco-sostenibilità dello sviluppo deve marciare di pari passo con l’uso delle risorse limitate, costituisce un modello che inte- ressa tutti i settori coinvolti (urbanistica, sviluppo industriale, agricolo, di servizi, ecc.) in grado di autogenerare risorse e sviluppare politiche di gestione territoriale integrate e di cui l’utilizzo delle acque costituisce parte determinante ma non esclusiva. Ogni intervento proposto quindi dovrà essere proporzionata espressione di equilibrio, e dovrà rifuggire dal concetto, così frequentemente utilizzato in passato, della contrapposizione netta, impossibile nel Delta, della diversità naturale e delle attività antropiche; ogni azione dovrà inserirsi inevitabilmente nel contesto di un neo-ecosistema. Ecco perciò che, nel lavoro del Parco a fianco della ricostruzione e ripristino degli ecosiste- mi con principi scientifici, dovrebbero trovare spazio tutte le attività collegate al nuovo concetto di sviluppo e di conseguenza dovrebbero essere favorite le imprese in grado di fornire servizi tecnici, turistici e culturali, per la piena fruizione del territorio. E’ questo lo spirito che ha improntato la Gestione Integrata delle Zone Costiere (G.I.Z.C.) nella nostra regione e pertanto l’avvio di questi sistemi di conservazione della natura deve preludere ad una gestione integrata degli spazi naturali, in grado di fornire elementi di benessere anche per l’uomo. Si è consci che tale modo di rivisitare la realtà comporta una ampia differenziazione nel modo di concepire la pressione antropica ed il controllo del territorio fino ad oggi sviluppato, all’interno di schemi che sono stati diffusi secondo visioni settoriali. L’impianto complessivo delle proposte progettuali relative al “sistema di fruizione” del Parco, sempre inserito in un quadro di tutela ambientale “non negoziabile”, può portare un contributo al dibattito sulla nuova Legge n. 2/07 della nostra Regione che istituisce con l’art. 13/bis, i “sistemi turistici locali” ovvero, dando esplicita attuazione all’art. 5 della Legge nazionale n. 135/01 che li definisce come “contesti turistici omogenei o integrati, comprendenti ambiti territoriali appartenenti anche a regioni diverse, caratterizzati 48 P A R C O dall’offerta integrata di beni culturali, ambientali e di attrazioni turistiche [...]”, ne declina ulteriormente i connotati locali verso appunto una “[...] offerta integrata di località, beni culturali e ambientali, compresi i prodotti tipici dell’agricoltura e dell’artigianato locale, e dalla presenza diffusa di imprese turistiche singole o associate”. In una “città della costa”, da Venezia ad Ancona, fra le più accoglienti del mondo, il Delta del Po ha certamente un ruolo strategico da giocare e i rapporti che il Parco continua a consolidare con l’insieme delle aree protette padane e dell’altra sponda dell’Adriatico, favorisce il formarsi di una particolare e nuova destinazione turistica europea. Le proposte progettuali che il Parco avanza mirano anche a valorizzare i patrimoni degli Enti locali D E L soci del Parco e dello Stato: valorizzare non vuol dire “guadagnarci sopra”, ma progettare un sistema di azioni che ne esaltino il ruolo di un “bene collettivo”, la natura di valore materiale e immateriale del bene. A tale riguardo si dovrebbe aprire una riflessione, che ogni realtà locale specificherà con i propri connotati, attorno ai modi di intraprendere azioni di realizzazione di valorizzazioni patrimoniali. Un esempio concreto dell’avvio di questo metodo di lavoro è il progetto “Realizzazione e valorizzazione dei centri visita della Stazione Volano-MesolaGoro - 1° lotto Torre della Finanza e Torre Abà”. La “messa in valore” inizia portando a sistema la straordinaria realtà al confine con il Veneto, la Stazione “Volano-Mesola-Goro” (prima area del Parco con il Piano approvato, con Deliberazione LA CARTA D’IDENTITÀ DEL PARCO DEL DELTA DEL PO I l Parco è stato istituito nel 1988 con apposita legge regionale. Il Consorzio del Parco è il “regista” del Parco. Dal 1996 il Parco ha a disposizione uno strumento: il “Consorzio per la gestione del Parco regionale Delta del Po”. E’ stato costituito dalle due Province (Ferrara e Ravenna) e dai nove Comuni che hanno aree o sono collocati all’interno del Parco (Comacchio, Argenta, Ostellato, Goro, Mesola, Codigoro, Ravenna, Alfonsine, Cervia) e dispone di uno statuto specifico che ne regola le attività istituzionali. La funzione del “Consorzio”, attraverso i suoi organi, è proprio quella di coordinare e di essere elemento di coesione per la promozione del territorio. Un Comitato Tecnico scientifico e una Consulta del Parco forniscono elementi preziosi per il “lavoro” degli organismi dirigenti, ovvero, l’Assemblea (formata dai presidenti delle due province e dai sindaci dei Comuni) e il Consiglio di Amministrazione. Per ulteriori informazioni è possibile consultare il sito web www.parcodeltapo.it . Boscoforte 49 unesco • associazione città e siti italiani patrimonio mondiale anno quarto • numero uno • gen/mar 2008 www.sitiunesco.it D E L T A D di G.R. n° 1626 del 31/07/2001). Questa Stazione individua come strutture destinate a funzioni di appoggio alla fruizione e allo sviluppo del Parco, le strutture edilizie del sistema territoriale estense, veri e propri elementi del territorio, in quanto punti strategici, e ancora riconoscibili di quel sistema (come da dichiarazione UNESCO - 2 dicembre 1999), da valorizzare in relazione alle aree circostanti del delta ferrarese. Queste strutture sono da considerarsi ai sensi dell’Art 28, comma 1 delle Norme Tecniche di Attuazione “a tutti gli effetti parti integranti del Parco, il quale potrà porre condizioni al loro utilizzo[...]”. Il progetto interessa l’insieme dei beni della Stazione, ovvero il Castello della Mesola (Centro visite della Stazione già attivo), i Punti Informazione di E L P O Torre Abate e Torre Palù (in corso di specializzazione) ed il Centro di Documentazione - Osservatorio Birdwatching e punto informazioni per la fruizione delle vie d’acqua del Parco di Torre della Finanza, oltre a collegare i beni “storici” al Delta “attivo” di Goro, alle potenzialità di sviluppare il birdwatching in barca nella Sacca. Nel 2008 si prevede l’apertura di Torre della Finanza e di Torre Abà; in particolare gli interventi in corso sull’ immobile di proprietà demaniale di Torre della Finanza sono a cura del Parco, che sta operando con fondi Obiettivo 2, tramite una convenzione che regola i rapporti tra Parco, Agenzia del Demanio - Filiale di Bologna, Comune di Codigoro e Soprintendenza Regionale per i Beni e le Attività Culturali dell’Emilia-Romagna. 50 unesco • associazione città e siti italiani patrimonio mondiale anno quarto • numero uno • gen/mar 2008 www.sitiunesco.it D O S S I E R U N E S C O D O S S I E R 51 U N E S C O I PONTI PATRIMONIO DELL’UMANITÀ TRA ACQUA E CIELO PER UNIRE TERRE E UOMINI di GIACOMO NATALI l nuovo ponte Unesco racconta la storia di un uomo e di un’idea. Nato non si sa se da genitori greci o armeni, serbi o albanesi, cresciuto cristiano, poi educato alla fede islamica e all’arte e alla tecnica della corte del Sultano di Istanbul, l’architetto Mimar Koca Sinan può essere considerato il simbolo stesso dello straordinario crogiuolo multiculturale che fu l’Impero Ottomano nel suo periodo di maggiore splendore. Quelle stesse caratteristiche che resero immortali le opere da lui progettate in oltre cinquant’anni di servizio presso i più grandi Sultani e che gli valgono ancora oggi il paragone con quel Michelangelo, suo contemporaneo e, a dire il vero, meno presente collega nelle liste dell’Unesco. E ora, nel corso dell’ultima sessione del Comitato del Patrimonio Mondiale UNESCO, un’altra delle sue straordinarie costruzioni è stata inserita nella prestigiosa lista e non è probabilmente un caso che si tratti proprio di un ponte. Il Mehmed Pasha Sokolovic di Visegrad, in Bosnia, è stata una delle sue costruzioni più tarde, dopo infiniti edifici religiosi e civili, e costituisce una sintesi della sua arte, ma simbolicamente anche dell’unione di culture e terre che egli stesso incarnava. Ed è in fondo questo il destino di ogni ponte, di rappresentare al tempo stesso la competenza tecnica di una civiltà, l’unione di bellezza ed utilità, lo sforzo comune per un risultato, in definitiva un connubio tra i più alti tra arte e tecnica, tra uomo e natura. Sarebbe però forse più corretto dire che questo è ciò a cui ogni ponte aspira: quante volte invece la sua costruzione ha significato divisione, sfruttamento, distruzione di un ambiente, fino a rappresentare talvolta persino un rischio o una calamità: basti pensare alle infinite diatribe per il passaggio sullo Stretto di Messina o al recente caso della città di Dresda, che rischia seriamente di perdere il riconoscimento UNESCO, se insisterà nella costruzione del discusso ponte nella valle dell’Elba, che potrebbe rovinarne per sempre l’ecosistema e la bellezza. Ma in un modo o nell’altro le discussioni, lo stupore, così come le polemiche, davanti ad un ponte sono le stesse da migliaia di anni, e pare di vedere negli occhi dei veneziani lo stesso interesse per il Ponte di Calatrava che dovevano avere i loro antenati nell’assistere alla costruzione del Ponte di Rialto. I ponti riconosciuti dall’Unesco L’UNESCO riconosce dunque da tempo l’importanza di quei ponti nei quali la bellezza e la funzionalità si sono fusi, venendo a creare un luogo Lo Stari Most di Mostar ed un oggetto di fondamentale valore. Sono infatti molti i ponti presenti in città ed aree già inserite nell’elenco dei luoghi patrimonio dell’umanità (è ad esempio il caso dei ponti siti nel centro storico di Roma o del “ponte giapponese” di Hoi An, in Vietnam) ma vi sono addirittura sei ponti che sono riconosciuti essi stessi come meritevoli di essere patrimonio dell’umanità: in Francia il magnifico ponte romano du Gard e il pont de Avignon del Palazzo della “cattività” dei Papi, in Spagna il ponte trasportatore di Vizcaya dalla strana cabina sospesa, nel Regno Unito l’eponimo ponte della Ironbridge Gorge, capolavoro dell’architettura della rivoluzione industriale, infine in Bosnia Erzegovina, oltre al già citato ponte di Mehmed Pasha Sokolovic, anche il più famoso “Stari Most” (Ponte Vecchio) di Mostar, distrutto nel corso della guerra del 1993 e del quale è stata terminata la ricostruzione nel 2004, restituendo a quella martoriata terra il più tangibile segno della volontà di superare le divisioni e ripristinare la comunicazione e i collegamenti tra le comunità dei due lati del fiume Neretva. I criteri di eleggibilità In varie occasioni le commissioni Unesco hanno analizzato quali caratteristiche debba possedere un ponte per ottenere l’ambito riconoscimento, ma è in particolare il documento “Context for World Heritage Bridges” realizzato congiuntamente da ICOMOS e TICCIH nel 1997 a 52 anno quarto • numero uno • gen/mar 2008 www.sitiunesco.it unesco • associazione città e siti italiani patrimonio mondiale D O S S I E R U N E S C O D O S S I E R costituire un importante punto di riferimento in questo campo. Le caratteristiche fondamentali elencate sono: il fatto di rappresentare un capolavoro del genio creativo umano; di avere esercitato grande influenza nello sviluppo delle tecnologie, delle costruzioni, delle comunicazioni; di rappresentare un esempio particolarmente fulgido di una determinata tipologia, sia dal punto di vista tecnico che stilistico e cronologico. Come altri siti, inoltre, deve essere caratteristico ed autentico dal punto di vista del design, dei materiali, della abilità costruttiva, del contesto. Verranno dunque considerati i più ovvi fattori quali età, rarità, integrità, prestigio del costruttore, oltre a fattori più tecnici quali superstruttura, substruttura, evoluzione delle tecniche di costruzione e così via. Significativamente non sono considerati ostacoli al riconoscimento il fatto che un ponte possa essere stato spostato dalla propria sede originaria (come nel caso di alcuni pionieristici ponti ferroviari statunitensi) oppure il fatto di essere stato ricostruito in seguito a distruzione dell’originale (a patto che la ricostruzione garantisca e documenti l’assoluta fedeltà all’originale, come nel già citato caso del ponte di Mostar o nel caso del ponte Kintaikyo in Giappone) fattore che come vedremo è di particolare importanza anche per la candidatura del ponte italiano di Bassano del Grappa. Infine il ponte dovrà naturalmente avere ricevuto una forma di protezione legale e un sistema di garanzia della sua conservazione. che l’Italia non possiede alcun ponte inserito singolarmente). I ponti italiani in questo senso più rappresentativi, già candidati ufficialmente nella Tentative list o che avrebbero certamente le caratteristiche per poterlo essere, sono dunque il ponte romano di Saint-Martin, vicino ad Aosta, risalente al 25 A.C. quando serviva al transito oltre la Dora Baltea in direzione delle Gallie; il ponte di legno di Bassano del Grappa, portato a termine nel 1569 su disegno di Palladio, distrutto nel corso del secondo conflitto mondiale e ricostruito nel 1948 (il che tuttavia, come visto, non costituisce affatto un ostacolo, ma semmai una conferma del valore, anche simbolico ed emotivo, di tale costruzione) ed infine il moderno ponte del Risorgimento di Roma, costruito nel 1911 in cemento armato per riunire i luoghi della Esposizione Internazionale d’Arte. I tanti ponti del Medioevo e del Rinascimento sono invece molto spesso già presenti nella lista UNESCO come parte integrante delle città che li ospitano (è il caso di Ponte Vecchio e Ponte Santa Trinità a Firenze, del Ponte di Rialto a Venezia e di molti altri). Un caso particolarmente significativo, infine, è costituito dal misterioso ponte-diga di Valeggio sul Mincio. Costruito in grande velocità nel 1393, per volontà di Gian Galeazzo Visconti, pare per prosciugare la nemica Mantova o al contrario per allagarla o forse con altre più miti funzioni mai del tutto appurate, è Il ponte Kintaikyo Ponti Unesco per l’Italia? Può dunque essere interessante, in base a queste premesse, provare a ragionare su quali ponti italiani potrebbero rispettare tali criteri (ricordiamo 53 U N E S C O Il ponte Mehmed Pasha Sokolovic di Visegrad stato recentemente segnalato dal World Monuments Watch come uno dei cento monumenti mondiali a rischio. Questa affascinante costruzione giace infatti parzialmente distrutta, o forse mai completata, denuncia l’organo della fondazione privata World Monuments Fund, in una grave situazione di instabilità strutturale. Quando una traccia così importante della nostra storia viene lasciata andare in rovina o quando questa viene distrutta deliberatamente come accadde nel tragico caso di Mostar, vittima del conflitto di un paese in disfacimento, che voleva anche simbolicamente sostenere l’irreparabile cesura tra mondi e culture che fino ad allora avevano convissuto dando vita anche a momenti di sublime grandezza, ciò che perdiamo è molto di più di semplici pietre o tronchi o travi d’acciaio. E’ l’essenza stessa della ricerca di una armonia, di un senso, di un percorso che solo insieme potremo affrontare anche in futuro. E’ la memoria e la testimonianza della sfida di un mondo possibile, che fortunatamente si ostina a restare tra noi. 54 L A P R O P O 55 unesco • associazione città e siti italiani patrimonio mondiale anno quarto • numero uno • gen/mar 2008 www.sitiunesco.it S T A UN PROGETTO DI SVILUPPO SOSTENIBILE PER I SITI CAMPANI REGGIA, MA NON SOLO di GIUSEPPE ALESSANDRO CIAMBRONE L A P R O l Patrimonio dell’Umanità nella Regione Campania ed in particolare nella Provincia di Caserta è in pericolo a causa della grave crisi emergenziale nel settore dei rifiuti, delle vere e proprie guerriglie urbane fra organizzazioni malavitose, del basso profilo dell’educazione scolastica nel campo della tutela culturale ed ambientale e dell’altissimo livello di disoccupazione. L’immagine della regione è fortemente compromessa ed il turismo, che dovrebbe essere la maggiore fonte di introito economico, ne risente negativamente. Il progetto sottoposto all’attenzione dell’Unesco propone di realizzare un network fra i cinque siti campani, utilizzando la rete di trasporti esistente, in modo da rappresentare la regione nel mondo attraverso la propria cultura. L’inestimabile patrimonio architettonico e naturalistico della Campania è costituito: 1. dal Complesso monumentale di Caserta. L’unicità del complesso, creato da Carlo III di Borbone nel 1750 circa, consiste nella connessione fra il Palazzo, il giardino Reale, il paesaggio circostante e la città di San Leucio realizzata per rispecchiare l’idealistico principio della meritocrazia nella lavorazione e produzione serica; 2. dal Centro storico di Napoli. La colonia greca del 470 a.C. conserva nel suo tessuto urbano e nelle sue architetture il segno culturale delle diverse dominazioni europee e mediterranee succedutesi nei secoli; 3. dal Sito Archeologico di Pompei. Le rovine, sopravvissute all’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C., testimoniano una vivida rappresentazione di un particolare stile di vita della società romana che non ha uguali altrove; P O S T A 4. dalla Costiera Amalfitana. Gli eccezionali esempi di insediamenti architettonici mediterranei si inseriscono straordinariamente negli incredibili scenari naturalistici; 5. dal Parco del Cilento e la Certosa di Padula. Oltre ad ospitare il drammatico gruppo di santuari, fra cui la Certosa, il Parco ha avuto un ruolo chiave per gli scambi commerciali, culturali e politici tra le colonie greche e le popolazioni indigene etrusche e lucane. Oltre alla presenza dei Siti Unesco, il turismo potrebbe essere anche agevolato dai prezzi contenuti, se comparati con quelli di altre Regioni come la Toscana, il Veneto ed il Lazio. Inoltre numerosi turisti sono invogliati a visitare la Campania per le famosissime isole di Capri ed Ischia che annovero ogni anno fra i propri ospiti star del jet set internazionale e che in passato venivano visitate soprattutto da americani,tedeschi, giapponesi e svedesi che vedevano in questa terra la propria meta preferita di soggiorno. A questo straordinario patrimonio si contrappongono le recenti problematiche descritte all’inizio, che devono essere affrontate attraverso: politiche di risanamento ambientale (bonifiche di discariche e siti di stoccaggio di eco-balle, raccolta differenziata…); potenziamento specializzato delle forze dell’ordine per la particolare emergenza criminale; training nel settore delle attività turistiche e di educazione ambientale per studenti e disoccupati. I turisti che arrivano a Napoli non ricevono un’adeguata accoglienza per l’insufficienza di servizi, come gli information points, e di personale specializzato capace di comunicare con visitatori di diverse nazionalità. 56 L unesco • associazione città e siti italiani patrimonio mondiale anno quarto • numero uno • gen/mar 2008 www.sitiunesco.it A P R O P O S T A con quelli del Veneto, sebbene sui territori di entrambe le regioni insistano cinque Siti Unesco, si deduce che il flusso turistico campano è di quattro volte inferiore rispetto a quello veneto. Nella provincia di Caserta le problematiche sono accentuate dalla presenza di turisti che Il Belvedere di San Leucio non soggiornano in città, ma visitano la Reggia solo per La città è anche priva di un Piano di poche ore prima di ripartire. Ciò comporta gestione commerciale: nella stagione estil’aumento del traffico veicolare, dell’inquiva, dove si registra un aumento dei flussi namento atmosferico e dei rifiuti urbani. turistici, molte attività, fra cui i negozi di La proposta progettuale suggerisce la realizzazione di un “distretto culturale caserabbigliamento, sono chiuse ed i visitatori tano” che riunisca fisicamente, utilizzando non sono invogliati a trattenersi per molti i trasporti esistenti, ed idealmente, secongiorni. Le strade sporche con cumuli di rifiuti, il percepibile senso di insicurezza che do il progetto originario, il sito Unesco si registra soprattutto nell’area del porto e costituito dalla Reggia, dall’Acquedotto nei pressi della stazione ferroviaria centradel Vanvitelli e dal complesso di San Leule sono segnali di un settore, quello turicio. I turisti infatti considerano Patrimonio stico, che fatica a decollare. Dal confronto dell’Umanità solo la Reggia e non visitano gli altri due capolavori architettonici. Il dei dati turistici annuali della Campania UNA VOCAZIONE DA COLTIVARE G 57 iuseppe Ciambrone è l’unico italiano fra i cinque vincitori dei Master in “Management del Patrimonio dell’Umanità” finanziati dall’UNESCO, dall’Associazione Vocation Patrimoine e dalle multinazionali assicurative AXA e Mazars. La premiazione si è tenuta lo scorso 5 novembre nel quartier generale dell’UNESCO a Parigi alla presenza del vice Direttore Generale dell’UNESCO madame Francoise Rivière e del Ministro della Cultura e delle Comunicazioni francese madame Christine Albanel. Gli altri vincitori sono stati Kinley Gyeltshen (Butan), Damon Vahabi Moghaddam (Iran), Rusudan Mirzikashvili (Georgia), Gonzalo Banda-Cruz (Ecuador). Il bando di gara richiedeva una proposta per il recupero di un sito UNESCO, possibilmente annoverato nella Lista dei Siti mondiali in pericolo, favorendo esplicitamente i candidati dei paesi in via di sviluppo. L’acquedotto del Vanvitelli “distretto culturale” deve essere realizzato come un’area vibrante e dinamica con attività ricreative e turistiche (ristoranti, caffetterie, bookstores…). La realizzazione del network regionale e provinciale deve includere un’attiva partecipazione dei cittadini, delle associazioni di settore e degli imprenditori nelle scelte di pianificazione pubblica a diversi livelli territoriali. I cittadini devono essere informati e devono offrire il proprio contributo attraverso idee e progetti, anche auto-sovvenzionati, che si integrino nella proposta di recupero dei siti Unesco. Deve inoltre essere incoraggiata una partnership pubblicoprivata per la valorizzazione del patrimonio culturale ed ambientale, sia per disporre di maggiori investimenti sia per sensibilizzare la società civile ai temi della conservazione e tutela. La politica di recupero sociale ed ambientale, la maggiore specializzazione nell’ospitalità e nella professionalità turisti- ca e ricettiva, opportunamente pubblicizzati, comporterebbero un aumento di visitatori maggiormente distribuito sul territorio campano e casertano, con percorsi culturali legati ai siti Unesco ed alle attività di svago. Un management plan regionale che funga da coordinamento dei management plans dei cinque siti Unesco e che, come un cabina di regia, consenta di monitorare le problematiche inerenti l’incremento turistico e lo stato di conservazione dei Siti. Lo sviluppo sostenibile è inteso come crescita economica e sociale del territorio e come tutela del patrimonio ambientale e culturale dei siti Unesco campani, per la nostra e per le generazioni future. Note 1 dati reperibili dai siti istituzionali delle regioni Campania e Veneto 58 P anno quarto • numero uno • gen/mar 2008 www.sitiunesco.it R O G E T T I UN DIVERSO APPROCCIO ALLO SVILUPPO TURISTICO UN PAESE PER ALBERGO di GIANCARLO DALL’ARA Presidente dell’Associazione Nazionale Alberghi Diffusi l panorama italiano dell’ospitalità diffusa sta lentamente cambiando. Alle formule ormai tradizionali quali i B&B, le Country house, le aziende agrituristiche, si stanno affiancando nuove forme di ospitalità, alcune delle quali nate spontaneamente (dimore storiche, case albergo, reti ospitali…), altre frut to di strategie lega- te ai temi della compatibilità ambientale, della valorizzazione, della cultura locale e frut to di riflessioni sui modelli di sviluppo turistico-territoriale. Così a fianco di tante formule di ospitalità “impor tate”, si cominciano a trovare proposte che coniugano un approccio al turismo made in Italy, il sapore locale e la cultura ospitale dei luoghi. Una delle formule che mostra di avere grandi potenzialità, e che riesce ad attirare l’at tenzione e l’interesse della domanda, degli operatori e dei media, non solo italiani, è l’albergo diffuso. Se l’agriturismo è bello, ma isolato, e il Bed & Breakfast rappresenta spesso ciò che si cerca ma al prezzo di dover stare a casa di altri e con altri, l’albergo diffuso propone una via diversa. Quella di una proposta “innovativa”, carat terizzata dalla diffusione orizzontale Semproniano Sant’Angelo Muxaro 60 P R O G delle unità ospitali, con la possibilità di usufruire di servizi alberghieri (ristorazione, piccola colazione, accoglienza, pulizie, spazi comuni, assistenza...) per tut ti gli ospiti che alloggiano nei vari stabili, il tut to con una organizzazione e gestione unitaria di tali servizi. L’albergo diffuso non è dunque una sommatoria di case, ma una vera e propria strut tura ricet tiva alberghiera originale, carat terizzata dal fat to che tut ti i servizi alberghieri vengono garantiti agli ospiti anche se alloggiano in camere sparse in un centro storico abitato, e vicine fra loro. Gli edifici dell’albergo diffuso sono di norma case di pregio, o almeno abita- E 61 unesco • associazione città e siti italiani patrimonio mondiale anno quarto • numero uno • gen/mar 2008 www.sitiunesco.it T T I zioni tipiche, di sapore locale appunto, in un contesto di interesse storico e culturale, ristrut turate e ammobiliate in modo tale da coniugare i comfor t dei servizi con l’autenticità della proposta. Non solo: il centro storico, o il borgo nel quale sorge l’Albergo Diffuso, si carat terizza per un numero di abitanti tale da garantire agli ospiti la possibilità di avviare relazioni, di avere rappor ti interpersonali con i residenti e gli altri ospiti. L’idea di base è che, più che clienti di un albergo, si è per qualche giorno par te di un vero e proprio vicinato, qualcosa che ha a che vedere con la vita di una comunità “temporanea”. Da questo punto P R O G E T T I IL MANIFESTO DELL’ALBERGO DIFFUSO A lbergo Diffuso: un modello originale di ospitalità e di gestione dei servizi alberghieri. L’albergo diffuso è un albergo orizzontale, un progetto di ospitalità integrato nel territorio, nella sua cultura e nella sua comunità. L’Albergo Diffuso è una proposta ospitale italiana, concepita negli anni ’80 in Friuli e messa a punto come modello di ospitalità originale negli anni ’90 in Sardegna e in altre regioni del nostro paese. L’albergo diffuso è un “luogo” ospitale, e si differenzia dai “non-luoghi” per il suo essere fortemente radicato nel territorio e nella sua cultura, che diventano componenti di base dei servizi ospitali offerti. La sua formula gestionale, si caratterizza per una marcata coerenza con i temi dell’autenticità, dell’esperienza, della relazionalità e dello sviluppo locale. Tra l’Albergo Diffuso e le altre forme di ospitalità diffusa vi è la stessa differenza che esiste tra un albergo e un residence, tra un albergo e un B&B, tra un albergo e un affittacamere. Caratteristiche di un Albergo Diffuso sono: • la gestione unitaria; • l’offerta di servizi alberghieri e ambienti comuni a tutti gli ospiti alloggiati nei diversi edifici che lo compongono; • un ambiente “autentico” fatto di case di pregio, ammobiliate e ristrutturate non “per turisti”, ma pensando a residenti, seppure temporanei; • una distanza tra gli immobili che non è tale da impedire alla gestione di offrire a tutti gli ospiti, non solo i servizi alberghieri, ma anche l’esperienza stessa della formula ospitale; • la presenza di una comunità viva; • una gestione professionale non standard, non simile a quella che caratterizza gran parte degli alberghi che fanno parte di catene alberghiere, né tantomeno simile a quella rigida dei grandi alberghi in stile “Ritz”, ma coerente con la proposta di autenticità dell’esperienza, e con le radici nel territorio; • uno stile riconoscibile, una identità leggibile in tutte le componenti della struttura ricettiva, che non configura come una semplice sommatoria di case ristrutturate e messe in rete. Per saperne di più www.alberghidiffusi.it Bosa di vista l’albergo diffuso è una strut tura che si carat terizza per avere due hall, una dentro e l’altra appena fuori dell’albergo. E per questo il paese o il borgo che lo vuole ospitare, anche se di piccole dimensioni, si deve presentare come una realtà viva, animata, e dotata di tut ti i servizi di base propri di qualsiasi “comunità viva” (passeggiata, negozi, farmacia, chiesa, edicola, bar, pro loco…), condizioni, a ben vedere, che non mancano nel nostro Paese! 62 R unesco • associazione città e siti italiani patrimonio mondiale anno quarto • numero uno • gen/mar 2008 www.sitiunesco.it E P O R T A G 63 E PASSATO E PRESENTE, TRADIZIONE E INNOVAZIONE ALL’OMBRA DEL CASTELLO SCOZZESE PIÙ FAMOSO DEL MONDO EDIMBURGO: MEDIOEVALE, OTTOCENTESCA, MODERNA CAPITALE EUROPEA di LUCA ROSSATO dimburgo è una città eclettica, sorprendente e affascinante che fino all’ultimo sguardo riserva nuove emozioni anche al visitatore più distratto. La sua caratteristica principale è la varietà di spazi urbani che offre, frutto della sua storia, un mix di passato e presente, di tradizione e di innovazione. Il nucleo medioevale della città, si è costituito attorno all’imponente castello edificato sulla sommità di un cono vulcanico; Castle Rock, è una collina i cui primi abitanti (le testimonianze più antiche risalgono all’850 a.C.) furono probabilmente attratti proprio dalla presenza di questa altura difensiva naturale. Nel corso dei secoli, malgrado la città venga saccheggiata sette volte dagli inglesi, Edimburgo all’ombra della sua fortezza cresce costantemente. Nell’XI secolo si registrano i primi mercati mentre le sue mura furono costruite attorno al 1450 delimitando la zona della città vecchia. Le descrizioni di meravigliati cronisti dell’epoca che ebbero occasione di addentrarsi nel centro medioevale della città ci raccontano di come al suo interno venne raggiunta una incredibile densità abitativa con palazzi anche di dodici piani, tra i più alti conosciuti di quel periodo. Dal Royal Mile, strada principale del centro lunga appunto circa un miglio, fuoriescono i tanti Il Castello La città vecchia “closes” vicoli stretti e ripidi che scendono verso la base della collina attraverso interminabili scalinate e sfocianti in piazzette e piccoli spazi aperti tra gli antichi edifici. Questo asse viario, in realtà somma di quattro diverse strade, collega l’antico castello di Edimburgo (uno dei monumenti più visitati del Regno Unito) con il moderno edificio del nuovo parlamento scozzese, un salto tra passato e futuro di questo paese ricco di storia e tradizioni millenarie. La fama di città moderna si lega però ad Edimburgo solo a partire dal XII secolo, quando per un centinaio di anni si susseguono diversi piani urbanistici di sviluppo della città. E’ in questo periodo che alla città vecchia inizia a contrapporsi la città nuova dal gusto neoclassico, costituita da larghi viali sapientemente pavimentati, parchi pubblici e piazze di forme sempre differenti. Nel corso degli anni una maglia di strade ortogonali si sviluppa ai piedi del castello parallelamente alla Princes Street, vero spartiacque tra l’ordine e l’armonia neoclassici ed il tortuoso disegno del vecchio centro storico; un sobrio ed elegante sviluppo urbanistico che raddoppia la dimensione della città e in pochi decenni porta la “New Town” di Edimburgo ad imporsi presto all’attenzione internazionale diventando un mirabile prototipo di ampliamento urbano da seguire o a cui fare riferimento per simili interventi di taglio neoclassico dell’epoca. Passeggiando per questa nuova parte di città si apprezza la sequenza di spazi aperti progettati, curatissimi giardini sui quali si affacciano palazzi dagli angoli smussati, forme arrotondate che abbracciano altre squadrate, bellissime finestre che fuoriescono dalle nobili facciate per catturare più luce naturale possibile, elemento che da queste parti purtroppo spesso scarseggia tutto l’anno. Proprio per questo mirabile dualismo tra innovazione e tradizione nel 1995, su in- 64 anno quarto • numero uno • gen/mar 2008 www.sitiunesco.it R E P O R dicazione dell’ICOMOS (International Council on Monuments and Sites), la città di Edimburgo viene nominata dall’UNESCO patrimonio dell’umanità come raro esempio di crescita medioevale e per la sua mirabile pianificazione urbana ottocentesca. E’ sufficiente una breve ascesa alle verdi alture attorno alla città per rendersi conto di come le due tessiture urbane convivano in perfetta armonia e per godere della suggestiva vista della Firth of Forth (gioco di parole che indica l’estuario, appunto “Firth”, del fiume Forth) la baia situata a pochi chilometri dal centro cittadino. Ma Edimburgo non è solo densa di storia e circondata da meravigliosi panorami, la città ha anche saputo rinnovare la propria immagine di giovane capitale europea con opere di architettura contemporanea finite sulle T A G E riviste più importanti del settore. L’incredibile edificio del nuovo parlamento scozzese degli architetti Miralles-Tagliabue ed il riuscitissimo ampliamento del museo di Scozia dello studio Benson-Forsyth sono solo le punte di diamante dell’architettura contemporanea ad Edimburgo; a questi progetti, che hanno sancito l’inizio di una nuova rinascita per la città, sono infatti seguiti altri di minore importanza ma non di minor qualità, un nuovo look per una città che negli anni ha saputo giocare con i suoi diversi volti, da quello medioevale del centro storico a quello composto e sobrio dei viali ottocenteschi alle forme innovative dei moderni edifici, senza tuttavia mai perdere quel fascino che ne fa tutt’oggi e probabilmente sempre di più in futuro una ambita meta turistica. IL NUOVO PARLAMENTO DI SCOZIA D al 1997, dopo che il secondo referendum sull’istituzione del parlamento scozzese si concluse con una maggioranza di voti a favore, centinaia di milioni di euro sono stati investiti per dare un volto contemporaneo alla capitale Edimburgo. Nel luglio del 1998 il concorso per il nuovo edificio del parlamento scozzese vede la vittoria dello studio Enric Miralles - Benedetta Tagliabue, di Barcellona, il quale descrisse la Scozia come “una terra, non una serie di città ed il suo parlamento dovrebbe essere capace di riflettere la terra che rappresenta”. Purtroppo dopo solo cinque mesi dall’inizio dei lavori Enric Miralles, uno degli architetti più talentuosi del momento scompare prematuramente lasciando un’aurea di sventura sulla costruzione che non svanirà fino al suo completamento. Nel corso degli anni infatti, insieme all’edificio crescono scandali, ipotesi di boicottaggio, scelte sbagliate da parte del governo che fanno lievitare i costi iniziali fino all’incredibile cifra di seicento milioni di euro (degli ottanta previsti inizialmente). L’edificio, inaugurato nel 2004, è subito divenuto un simbolo della città anche se poco amato dagli stessi Scozzesi nonostante i maggiori premi di architettura lo abbiano acclamato come capolavoro mondiale. La sua complessità lo rende un edificio di difficile comprensione, un insieme di forme che compongono un fiore che sboccia dal terreno nascendo dalla scura roccia vulcanica e i cui petali ricordano le chiglie delle barche capovolte dei pescatori scozzesi quando non utilizzate. La sensibilità compositiva di Miralles emerge proprio attraverso la riproposizione delle chiglie come elemento fondante del progetto; l’architetto amava definirle come delicate presenze sui terreni scozzesi, sagome fluttuanti nel paesaggio che caratterizzarono l’edificio del nuovo parlamento celebrando la nascita della nuova Scozia. Il nuovo Parlamento scozzese 66 anno quarto • numero uno • gen/mar 2008 www.sitiunesco.it P I A Z Z A A R M E R I N A UN CUORE ANTICO AL CENTRO DELLA SICILIA di PAOLA DONATELLA DI VITA Assessore al Patrimonio Monumentale e alle Aree Archeologiche di Piazza Armerina ella parte più interna della Sicilia vi è una cittadina, Piazza Armerina, che vanta secoli di storia e che permette al viaggiatore di respirare, percorrendo le strade della città antica, lo spirito di un tempo ormai lontano. Imponenti architetture civili e religiose fanno da quinta alle stradine di impianto medioevale lasciando intuire il susseguirsi delle dominazioni, degli stili e delle culture. Ma nonostante un cuore antico così ricco, Piazza Armerina è soprattutto nota per la presenza, nel suo territorio, a circa cinque chilometri dalla città, della Villa Romana del Casale. Tremila e cinque- unesco • associazione città e siti italiani patrimonio mondiale P I A Z Z A 67 A R M E R I N A “Un barocco sobrio e severo che riesce a far parlare le pietre” cento metri quadri di pavimento mosaicato, vero e proprio tappeto di pietra, strutture architettoniche degne di una residenza aristocratica e risalenti al III-IV sec. d.C. hanno infatti reso la Villa Romana uno dei monumenti più noti al mondo. Più di quaranta ambienti tra atrio, peristilio, terme e servizi, giardini, triclinio, basilica, appartamenti privati con sale absidate, permettono durante la visita, anche se solo per poco tempo, di cogliere la dimensione del lusso che doveva regnare sovrano in una villa romana. Gli ignoti artisti del tardo impero vi hanno raffigurato scene di vita quotidiana, episodi della mitologia, scene di caccia, in una cornice figurativa caratterizzata da un comune denominatore: la supremazia dell’astuzia e dell’intelligenza dell’uomo rispetto le forze, allora poco conosciute, della natura e dell’elemento divino. Alcune di queste scene sono note in tutto il mondo, come quella della dieci ragazze in bikini o del cubicolo della cosiddetta scena erotica, od ancora del corridoio della grande caccia, dove un ritmo possente ed incalzante ci fa rivivere tutte le fasi della “caccia alle fiere”, preludio agli spettacoli nel Circo Massimo. Il complesso architettonico e musivo fu interamente portato alla luce, nell’estensione attuale, dopo le campagne di scavo di Orsi, Pace e Bernabò Brea, da Gino Vinicio Gentili negli anni ’50 e successivamente “musealizzato” dall’architetto Franco Minissi, che optò per la conservazione dei mosaici in situ realizzando una struttura di fruizione su passerelle metalliche e una struttura di copertura e protezione trasparente, ancorata su ricostruiti brani di muratura. Da circa un anno questo gioiello dell’Unesco, riconosciuto tale sin dal 1997, secondo i criteri I (rappresenta un capolavoro del genio creativo dell’uomo), II (ha esercitato un’influenza considerevole in un dato periodo o in un’area culturale determinata, sullo sviluppo dell’architettura, delle arti monumentali, della pianificazione urbana o della creazione di paesaggi) e III (costituisce testimonianza unica o quantomeno eccezionale di una civiltà o di una tradizione culturale scomparsa), è interessato da un nuovo imponente intervento di restauro, riqualificazione e musealizzazione del sito che dovrebbe por fine ad anni di disattenzione ed incuria. La Villa Romana, negli ultimi anni è stata purtroppo protagonista di atti vandalici, delle rotte dell’archeomafia, è stata in prima pagina sulla stampa di tutto il mondo per l’allarmante stato di degrado in cui si trovavano i famosi mosaici che ogni anno catturano l’attenzione di quasi mezzo milione di visitatori. Nel 2003 la Regione Sicilia, cui compete la proprietà del monumento, decise di investire nel recupero della Villa individuando un finanziamento specifico, a valere su fondi POR, di circa 18 milioni di euro per la sostituzione della copertura e per il restauro dei pavimenti 68 anno quarto • numero uno • gen/mar 2008 www.sitiunesco.it P I A Z Z A A R M E R I N A in mosaico ed in opus sectile e degli affreschi, affidandone la progettazione al Centro Regionale per la Progettazione ed il Restauro diretto dall’architetto Guido Meli. Parallelamente si muoveva la Provincia Regionale di Enna che, nell’ambito della progettualità del PIT 11, destinava circa sei milioni di euro per la realizzazione dei servizi esterni alla Villa (parcheggi, area commerciale etc.). Nel 2004 inoltre la Regione Sicilia istituiva, con propria legge, l’Alto Commissariato della Villa Romana, individuando in Vittorio Sgarbi il garante dell’iter progettuale ed amministrativo degli interventi in programma, impegnandolo anche nel delicato compito di predisporre le linee guida per la realizzazione degli interventi. Oggi entrambi i progetti sono stati appaltati e sono in corso di realizzazione e dovrebbero, entro la fine del 2008, restituire alla Villa un’immagine degna della sua fama. I due cantieri che alla fine costituiranno un unicum sul territorio, sono andati ad incidere su un tessuto archeologico che ha presentato una realtà in un certo senso inaspettata: la presenza di un insediamento medioevale di vaste proporzioni, al cui scavo sta lavorando ormai da quattro anni la missione archeologica de La Sapienza, diretta dal prof. Patrizio Pensabene, che dovrà necessariamente integrarsi con le testimonianze di epoca romana. A cantieri conclusi il Panoramica restauro però non potrà dirsi finito. L’intervento di recupero in corso è molto delicato e se per alcuni ambienti sarà definitivo non lo sarà per altri per i quali dovrà essere programmata un’accurata e costante opera di protezione e di manutenzione. Le nuove scoperte archeologiche inoltre aprono spazi nuovi all’interpretazione del ruolo della Villa nel territorio e nel tempo. Dopo l’abbandono della Villa a partire dal VI sec. d.C. e sino all’epoca medioevale, nel sito denominato Casale (da qui il nome della Villa), fu mantenuto un piccolo insediamento che lentamente scomparve, anche a causa di una poderosa alluvione che distrusse gran parte delle strutture esistenti. Quasi contemporaneamente alla scomparsa di questo insediamento le fonti storiche cominciarono a riportare notizie sull’attuale cittadina di Piazza (Armerina fu aggiunto nel 1862). In poco tempo la cittadina, edificata su impianto normanno, si ingrandì ed assunse un ruolo di prestigio nella storia di Sicilia. Sede dei più importanti ordini religiosi, di diocesi, di università, di senato nel XVIII unesco • associazione città e siti italiani patrimonio mondiale P I A Z Z A 69 A R M E R I N A secolo, ha pian piano purtroppo perso il suo prestigio risentendo in ciò della crisi delle aree interne e del sempre maggiore peso che hanno assunto nei secoli le città costiere. Oggi Piazza Armerina è una cittadina di circa ventunomila abitanti, all’interno della quale traspare il prestigio e la ricchezza di un tempo ormai passato e che vede nella Villa Romana del Casale un possibile volano per uno sviluppo sostenibile del territorio sia dal punto di vista turistico che culturale. L’acropoli della città, a più di settecento metri di altezza, è dominata dall’imponente mole della Cattedrale e dal palazzo Trigona, la famiglia nobile più rappresentativa della città che ha interpretato nel tempo vero e proprio ruolo di mecenate per Piazza Armerina. La Cattedrale fu costruita per esplicita volontà testamentaria del barone Marco Trigona tra il XVII ed il XVIII secolo. Il palazzo Trigona fu ceduto nel 1959 alla Regione per farne un museo ed attualmente sono in corso i lavori di restauro propedeutici all’allestimento museale. Vi troveranno posto i numerosi reperti archeologici provenienti da diverse zone del territorio oltre che quelli provenienti dalla Villa: reperti mai esposti prima d’ora fatte eccezione per le mostre archeologiche che il Comune ha cominciato ad allestire solo nel 2006. Sempre su piazza Cattedrale insiste il Museo Diocesano, che ospita al momento delle mostre temporanee. Nel percorrere le strade del centro storico sembra quasi di sentire ancora il suo- La Villa Romana del Casale 70 71 unesco • associazione città e siti italiani patrimonio mondiale anno quarto • numero uno • gen/mar 2008 www.sitiunesco.it P O R T O V E N E R E UN MASTER IN “TURISMO E AMBIENTE” SULL’ISOLA DI PALMARIA ALTA FORMAZIONE IN JEANS PER LA GESTIONE DEI TERRITORI di ROBERTO POMO Direttore del Dipartimento Amministrativo del Comune di Porto Venere Il centro storico no degli zoccoli dei cavalli delle truppe che in tempi antichi hanno segnato le varie fasi delle vita della città: prima fra tutte quella normanna ricordata oggi nel celebre Palio dei Normanni, che ogni anno, dal 12 al 14 agosto, fa tornare indietro la città di quasi mille anni. Le strade del centro storico ci sorprendono con un susseguirsi di scoperte “architettoniche”: il convento di San Francesco, il castello Aragonese, il collegio dei Gesuiti, il convento dei Benedettini, la chiesa di Sant’Anna che fronteggia quella di Sant’Ignazio di Loyola, il palazzo del Senato, la chiesa di San Giovanni completamente affrescata dal Borremans e dalla sua scuola, il convento di San Domenico, le chiese ed i conventi “fuori le mura”. Molte di queste “scoperte” sono purtroppo chiuse al pubblico ed in attesa di intervento, ma qualcosa nel centro storico si sta muovendo: vi sono in corso cantieri di restauro sia di iniziativa pubblica che privata, molti cittadini stanno ritornando a vivere in centro storico, i B&B aumentano a ritmo vertiginoso e comincia a notarsi la presenza in città dei “viaggiatori” che, a differenza dei “turisti” visitano la città per scelta e per portar via l’anima e il ricordo dei luoghi, non solo con immagini da cartolina. Nel caso di Piazza Armerina, in particolare, portano via un eccezionale album di immagini di un barocco sobrio e severo che lascia poco spazio alla ricerca del dettaglio, a volte fantastico, fantasioso o grottesco, proprio di questo stile, ma che riesce ancora a far parlare le pietre. a formazione di una classe di giovani esperti nella gestione dei territori e dei loro beni ambientali e culturali può essere considerato obiettivo prioritario per tutti coloro che operano nel settore della tutela e della valorizzazione del siti UNESCO. Il Comune di Porto Venere e l’Università di Pisa continuano ad operare in tal senso con la seconda edizione del Master di primo livello in “Turismo e ambiente”, con sede a Porto Venere. L’iniziativa si conferma come un’esperienza uni- ca nel panorama internazionale: non solamente per il suo profilo di Scuola di alta formazione, garantito dalle competenze dell’Università di Pisa e dalla collaborazione con docenti di importanti università europee, ma soprattutto perché ha sede in un luogo unico dal punto di vista paesaggistico e turistico quale l’Isola Palmaria, al centro del sito iscritto nella lista dei Beni Patrimonio Mondiale dell’Umanità e del Parco Naturale Regionale. Il Master si prefigge di formare persone capaci di gestire politiche ambientali e culturali in luoghi ad alta vocazione turistica, in luoghi cioè in cui la promozione turistica è rivolta ad un target elevato di per- Tino e Palmaria 72 P O R T O Il Centro di Educazione Ambientale sone consapevoli che il valore aggiunto di un’offerta turistica consiste nella salvaguardia e nella promozione delle risorse ambientali e storico – culturali. La buona riuscita della prima edizione del master è testimoniata anche dal livello degli enti e delle istituzioni presso cui gli allievi hanno effettuato il periodo di stage; per citarne solamente alcune si possono ricordare: dipartimento del turismo della Porto Venere V E N 73 unesco • associazione città e siti italiani patrimonio mondiale anno quarto • numero uno • gen/mar 2008 www.sitiunesco.it E R E Presidenza del Consiglio dei Ministri, Parco Nazionale delle Cinque Terre, Ente del Turismo di Lugano, Secolo XIX di Genova, Camera di Commercio della Spezia, Autorità Portuale della Spezia, Comune di Porto Venere, Comune di Capri. Ulteriormente un ottimo risultato è rappresentato dal fatto che, a pochi mesi dalla conclusione del periodo di stage, numerosi allievi, circa l’ottanta per cento dei partecipanti, hanno ottenuto un contratto di collaborazione dalle rispettive amministrazioni. Nella seconda edizione le materie di insegnamento saranno sempre più legate alla peculiarità del luogo in cui si svolge il corso, anche con l’inserimento di numerose lezioni sul patrimonio mondiale dell’umanità UNESCO. In particolare questo tema sarà affrontato sotto due aspetti diversi: da un lato si cercherà di mettere in rilievo le difficoltà che si riscontrano nella gestione e nella tutela di un ter- P O R T O ritorio Patrimonio Mondiale dell’Umanità; dall’altra si illustreranno i piani di gestione dei siti UNESCO, evidenziando come gli stessi possano diventare “modelli” per la gestione di territori di grande valore ambientale e culturale, a prescindere dal loro inserimento nella World Heritage List. La struttura del corso, organizzata in moduli, seguirà tre grandi linee: “La comunicazione al servizio dell’ambiente. Introduzione ai linguaggi multimediali”, “Programmi di gestione dell’ambiente”, “La promozione turistica delle risorse ambientali e culturali”. L’obiettivo è che l’articolazione del Master possa consentire una preparazione adeguata, sia da un punto di vista teorico, sia attraverso laboratori, esercitazioni e periodi di stage, ad affrontare la gestione di comprensori di grande valore storico culturale ed ambientale. Un ultimo cenno meritano anche gli aspetti più V E N E R E All’interno del Centro prettamente organizzativi. In particolare il Comune di Porto Venere mette a disposizione degli allievi, gratuitamente, l’ospitalità per tutta la durata delle lezioni in un proprio Centro di Educazione Ambientale posto al centro del Sito e del Parco Naturale Regionale: un’eccellente occasione per una “full immersion” a stretto contatto con le tematiche e le problematiche di un Sito UNESCO. 74 unesco • associazione città e siti italiani patrimonio mondiale anno quarto • numero uno • gen/mar 2008 www.sitiunesco.it C R E S P I D ’ A D D A C R E S P I 75 D ’ A D D A IL DIFFICOLTOSO AVVIO DEI PROGETTI DI VALORIZZAZIONE AL VILLAGGIO CRESPI IL TEMPO SI È FERMATO di LAURA MAPELLI respi d’Adda, nel 1995, è stato riconosciuto dal Comitato del Patrimonio Mondiale dell’Umanità dell’Unesco quale esempio eccezionale dei “villaggi operai” sorti fra l’Ottocento e il Novecento in Europa e Nord America, espressione della filosofia di industriali illuminati nei confronti delle loro maestranze. Fino agli anni Settanta dell’800 in questa zona del Medio Corso dell’Adda non vi erano altro che boschi e culture, finché Cristoforo Benigno Crespi, figlio di un “tengitt” (tintore) di Busto Arsizio, decise di impiantare qui il proprio stabilimento tessile. Oltre 125 anni fa, nel luglio del 1878, gli operai cominciarono infatti a produrre filati e poi tessuti pregiati nei capannoni della nuova fabbrica. Crespi era in tutto e per tutto una piccola città moderna, un centro residenziale strutturato sul modello delle città giardino ottocentesche e dotato di servizi estremamente innovativi tra cui spiccavano l’illuminazione elettrica e la capillare rete idrica, oltre che di servizi per la comunità quali la Chiesa, le scuole, il dopolavoro, i bagni pubblici, i lavatoi, l’ospedale, il cimitero. Il villaggio operaio, portato a termine alla fine degli anni venti, dava alloggio a più di mille lavoratori, divisi in operai, impiegati e dirigenti, che alloggiavano in case diversificate in base al loro status sociale di appartenenza. Crespi d’Adda può essere quindi definita come una splendida e affascinante realizzazione in cui si intrecciano le esigenze di profitto, quelle filantropiche e le ambizioni di una famiglia di industriali “illuminati”. L’Associazione Culturale NEMA, senza fini di lucro, opera sul territorio dal 1991 per la valorizzazione storica e culturale del villaggio. Già dal suo nome infatti è possibile comprenderne le caratteristiche: di origini greche, il nome è un chiaro riferimento non solo alla realtà produttiva e alla lavorazione industriale del filo di cotone, ma anche al profondo legame di collaborazione e amicizia che da sempre contraddistingue e lega i suoi membri, tutte persone residenti del luogo, laureati o laureandi e appassionati di archeologia industriale, che da anni sono mossi da un sincero e profondo amore per Crespi. A più di dieci anni dall’ingresso di Crespi d’Adda all’interno della Lista del Patrimonio Mondiale dell’Umanità, la situazione della piccola frazione non è cambiata di molto: le grandi opere, e nemmeno quelle piccole, non sono state intraprese. Diversi episodi mostrano tutto il peso di una mancata programmazione a lungo termine e di un progetto di salvaguardia, di conservazione e promozione turistico-culturale del luogo, dato che dal 1995 è in costante aumento il numero delle persone che scelgono Crespi come meta delle visite culturali, toccando punte di diverse decine di migliaia di visitatori annui. La pluralità degli interessi e delle realtà presenti si sono spesso scontrate l’una con l’altra portando ad uno stallo dei necessari interventi per la gestione di un luogo tanto importante e ricco di storia. Tra queste realtà le due principali sono da un lato i turisti, con l’annesso aspetto della promozione culturale, dall’altro i crespesi, piccola comunità radicata nel villaggio con le proprie legittime richieste quotidiane. L’intento è quello di sensibilizzare enti e cittadini alla visione del villaggio come una risorsa per lo sviluppo, più che come uno scottante problema che è meglio non affrontare. La particolare posizione di Crespi d’Adda, lun- go il Medio Corso dell’Adda, ricco di importanti e pregiate testimonianze legate all’Archeologia Industriale, avrebbe dovuto favorire l’incontro e la collaborazione degli enti che agiscono sul territorio per la realizzazione di una rete di promozione culturale. In realtà appare chiaramente la mancanza di un coordinamento globale e il persistere di piccole realtà ancora abbastanza chiuse. 76 anno quarto • numero uno • gen/mar 2008 www.sitiunesco.it C R E S P I Il problema forse più evidente è quello non solo del riuso della fabbrica, ma anche quello della frammentazione della proprietà. Attualmente la maggior parte delle strutture esistenti a Crespi d’Adda sono di proprietà privata: da un lato la fabbrica e i terreni annessi (attualmente in vendita) insieme con la Villa Padronale (il cui destino potrebbe essere non strettamente legato a quello della fabbrica), dall’altro lato le villette operaie e dirigenziali ancora abitate e quindi con esigenze quotidiane totalmente diverse. La prassi ormai consolidata da tempo in numerosi Comuni italiani è quella della “progettazione partecipata con i cittadini”, con D ’ A D D A l’intento di permettere ad ogni cittadino di riappropriarsi della città, rendendolo partecipe delle scelte dei nuovi assetti funzionali dell’area urbana in cui vive. E’ proprio questa la grande sfida che Crespi d’Adda è chiamata ad affrontare, poiché un progetto sbagliato potrebbe rapidamente portare allo sconvolgimento del villaggio. Diversamente da altri casi in cui le attività didattiche sono diretta conseguenza di un piano di promozione culturale e turistica, a Crespi d’Adda la presa di coscienza del turismo come risorsa, insieme con l’attività turistica già esistente, può rappresentare un primo passo verso la riappropriazione della consapevolezza del territorio, ASSOCIAZIONE CULTURALE NEMA L’ unesco • associazione città e siti italiani patrimonio mondiale Associazione Culturale Nema è un’associazione senza fini di lucro, iscritta al Registro Provinciale dell’Associazionismo, che opera nel mercato della promozione turistica, culturale e ambientale dal 1991. Nata in seno all’Amministrazione Comunale di Capriate San Gervasio, è cresciuta negli anni operando sempre più attivamente nel garantire un’accoglienza ai sempre più numerosi gruppi in visita. Composta da giovani laureati, laureandi e studenti universitari appassionati di storia, arte, natura e valorizzazione delle proprie origini culturali, è diventata nel tempo uno dei punti di riferimento più autorevoli per tutte le attività culturali legate al villaggio operaio e al territorio di Crespi d’Adda. Da sempre impegnata nella creazione di un servizio competente, accogliente e professionale, ha, tra l’altro, contribuito in modo sostanziale al progetto coordinato dal “Centro Sociale Fratelli Marx” conclusosi positivamente nel 1995 con l’inserimento del piccolo paese operaio nella World Heritage List dell’UNESCO. Dal 2000 ha predisposto interventi didattici e culturali, mirati a facilitare la comprensione dei fenomeni urbanistici, sociali, culturali e legislativi legati all’industrializzazione, che vengono proposti a scuole, enti, biblioteche e associazioni culturali. Nel 2003 è stata inaugurata una nuova sezione, nominata Selanis, che ha avviato ulteriori progetti nell’ambito dell’educazione ambientale, della zooantropologia, della storia, dell’archeologia e dei laboratori teatrali. Per ulteriori informazioni: www.associazionenema.it fase fondamentale per una scelta politica forte in grado di portare ad una coesione e ad un piano di sviluppo prima culturale e poi turistico del nostro villaggio industriale. In questa logica, che lega il turismo dell’Archeologia Industriale e la salvaguardia e conservazione del sito stesso, l’Associazione Culturale NEMA da anni è impegnata nell’ampliamento delle relazioni con gli enti del territorio. In particolar modo, negli ultimi anni, l’Associazione si è adoperata anche al fine di creare forti legami con le realtà nazionali ed internazionali inserite nell’ambito dell’Archeologia Industriale, partecipando a convegni e simposi (basti pensare alla partecipazione all’International TICCIH Congress 2006, tenutosi presso i carissimi amici ternani dell’ICSIM, Istituto per la Cultura e la Storia d’Impresa, di cui Crespi d’Adda ha rappresentato un’importante tappa durante il Post Congress Tour), ma anche organizzando eventi dedicati nello specifico a Crespi d’Adda. Tra questi, il più importante è stato il Convegno organizzato in occasione del Decennale dell’inserimento di Crespi d’Adda nella World Heritage List dell’Unesco, per focalizzare l’attenzione degli esperti sulle problematiche presentate sopra. Quindi, accanto alla nostra attività quotidiana di visite guidate, è su questi obiettivi che stiamo investendo, convinti che la necessità di Crespi d’Adda sia quella di uscire dal suo isolamento e così dalla sua staticità. Crediamo sia giusto, anzi doveroso, confrontarsi continuamente con le altre realtà, prendendone spunti e critiche, creando collaborazioni che portino ad un circolo virtuoso utile al settore dell’Archeologia Industriale e anche al turismo ad essa legato. 77 78 B R E V I * Notizie dall’Italia e dal mondo AD ASSISI IL CORSO “INSEGNARE I DIRITTI UMANI” A ncora una volta Assisi diventa punto d’incontro per l’approfondimento e le conoscenze per la tutela dei diritti umani. Lo ha fatto con un corso intitolato “Insegnare i diritti umani”, riservato ai docenti di ogni ordine e grado provenienti da tutto il territorio nazionale. L’iniziativa, organizzata dall’Ufficio per il Sostegno alle Nazioni Unite – Unesco di Assisi e la SIOI (Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale), si è svolta nella sede comunale dal 12 al 16 novembre. “Questo programma – ha dichiarato Maria Aristei Belardoni, assessore delegato all’Onu – è soltanto una fase del percorso tracciato dall’Ufficio per il Sostegno alle Nazioni Unite di Assisi. E’ imminente, infatti, l’inizio di un progetto che ha per tema la conoscenza delle attività del presidio stesso, finalizzato ad una forte capillarizzazione sul territorio, con fruizione da parte di scuole ed associazioni. Lo scopo è quello di creare un ideale e pratico filo conduttore tra valenze locali ed internazionali”. NOVE NUOVI RAPPRESENTANTI NEL COMITATO DEL PATRIMONIO MONDIALE A unesco • associazione città e siti italiani patrimonio mondiale anno quarto • numero uno • gen/mar 2008 www.sitiunesco.it ustralia, Bahrein, Barbados, Brasile, Cina, Egitto, Giordania, Nigeria e Svezia sono i nuovi Stati che per i prossimi quattro anni faranno parte dell’importante organismo Unesco. L’elezione è avvenuta nella sede centrale di Parigi durante i lavori dell’Assemblea generale dei 184 Stati aderenti. Il Comitato del patrimonio mondiale, composto anche da Canada, Cuba, Israele, Kenya, Madagascar, Mauritius, Marocco, Perù, Repubblica di Corea, Spagna, Tunisia e Stati Uniti, si riunisce ogni anno per deliberare le iscrizioni e le cancellazioni dalla World Heritage List (attualmente 851 siti su 141 Stati membri) e per verificare lo stato di conservazione dei siti iscritti e decidere le eventuali azioni a sostegno della loro salvaguardia. RESTITUIRE LE OPERE D’ARTE TRAFUGATE ILLEGALMENTE: UN DOVERE MORALE L a Princeton University Art Museum e il Ministero per i Beni e le attività culturali hanno raggiunto un accordo per la restituzione di otto opere d’arte conservate nella collezione del Museo. Il Mibac in cambio si è impegnato a concedere in prestito al museo americano altri manufatti di prestigio e di interesse storico-artistico equivalente a quello dei beni trasferiti. Nella lotta contro gli scavi e il commercio illegale di beni archeologici si inserisce anche la trattativa con Gerome Eisenberg, titolare della galleria Athena di New York, per la riconsegna di otto oggetti, fra i quali tre piccoli bronzi etruschi (sottratti negli anni Settanta dal Museo Etrusco di Chiusi, dal Museo della necropoli di Spina a Ferrara e dal deposito della soprintendenza di Ercolano), tre vasi dipinti del quinto secolo a.C. e una statua romana del primo secolo. Il Mibac ha, inoltre, annunciato la restituzione alla Repubblica Islamica dell’Iran di quarantuno preziosi reperti archeologici di provenienza iraniana e rinvenuti in provincia di Milano. Notizie dall’Italia e dal mondo * L’UNESCO MINACCIA DI CANCELLARE DRESDA DALLA “LISTA” S e il discusso ponte nella valle dell’Elba a Dresda, in Germania, verrà costruito, così come decretato dal tribunale amministrativo di Bautzen, in Sassonia, l’Unesco cancellerà la città tedesca dal Patrimonio Mondiale dell’Umanità, ad appena tre anni dall’inserimento. La minaccia era nell’aria da tempo, ma le autorità tedesche non hanno inteso modificare il contestato progetto che mette a rischio una rara specie di pipistrello che popola l’area nella quale sarà costruito il ponte. La decisione definitiva verrà presa nel luglio 2008, ma l’Unesco ha già dichiarato che Dresda “probabilmente” perderà il riconoscimento. Drastico provvedimento che, fino ad ora, aveva colpito solo il “santuario degli orici” in Oman. Il progetto del ponte è stato approvato nel 2005 da un referendum popolare, in quanto ritenuto dai cittadini un mezzo indispensabile per risolvere i problemi di circolazione stradale. AL VIA IL PROGETTO ARCHEOMAP È stato presentato a Palermo nel dicembre scorso “Archaeomap - Archaeological Management Policies”, il progetto, finalizzato alla creazione di una rete tra siti archeologici, costieri e subacquei del Mediterraneo per migliorare la fruizione del patrimonio culturale dell’area mediterranea, è finanziato dall’Unione europea. L’iniziativa punta a favorire lo sviluppo di specifiche politiche scientifiche e tecnologiche e di strumenti al servizio della protezione delle zone costiere, in particolare dei siti archeologici. Undici le località costiere interessate al progetto: le isole Egadi nel Canale di Sici- 79 B R E V I lia, Sinis in Sardegna, Cartagine in Tunisia, Tipasa in Algeria, Pharos ad Alessandria d’Egitto, Tiro in Libano, Salonicco in Grecia, Empuries in Catalogna, Malta, Gibilterra, Rada di V illefr anche -surMer in Costa Azzurra. Archeomap sarà coordinata e vedrà come capofila la Soprintendenza del Mare della Regione Sicilia. LO SCHEDARIO DEI PRIGIONIERI DI GUERRA NELLA MEMORIA UNESCO L ’Unesco ha iscritto nel Registro della “Memoria del Mondo” lo schedario dell’Agenzia internazionale dei prigionieri di guerra del periodo 1914-1923, esposto al museo della Croce Rossa e Mezzaluna Rossa di Ginevra. L’archivio, creato agli inizi della prima guerra mondiale, comprende sei milioni di schede manoscritte con i dati dei prigionieri di guerra di quattordici Paesi, in maggioranza soldati francesi e tedeschi ma anche balcanici. Entro il 2014 tutto il materiale documentale sarà reso disponibile su Internet. L’Unesco ha inteso attribuire l’importante riconoscimento allo schedario della Croce Rossa in quanto ritenuto “testimonianza unica della sofferenza umana durante la Prima Guerra e opera pionieristica nella protezione dei civili”. 80 unesco • associazione città e siti italiani patrimonio mondiale anno quarto • numero uno • gen/mar 2008 www.sitiunesco.it B R E V I * Notizie dall’Italia e dal mondo GEMELLAGGIO TRA ASSISI E SANTIAGO DE COMPOSTELA I consigli comunali di Santiago de Compostela ed Assisi hanno entrambi approvato, in modo unanime, l’atto di gemellaggio tra le due città. In queste settimane è avvenuto lo scambio formale dei documenti. Per Santiago de Compostela Assisi è la prima città italiana con la quale stringe un gemellaggio, seppure in questi anni numerose siano state le proposte avanzate in tal senso. Sono molte le assonanze spirituali e culturali tra i due centri, a partire dal viaggio che San Francesco effettuò in Galizia, e a Santiago in particolare, considerata la meta privilegiata dei pellegrini che, almeno una volta nella vita, affrontavano l’esperienza di un percorso ricco di fede e suggestione. Il sindaco di Assisi, Claudio Ricci e quello di Santiago, Xosè Sànchez Bugallo, ufficializzeranno il gemellaggio nel corso del 2008, con date ancora da definire, ma probabilmente la cerimonia nella città Serafica si terrà a maggio o ad ottobre, mentre nella cittadina spagnola si potrebbe scegliere la festa dell’apostolo Giacomo, il 24 e 25 luglio. DIECI ANNI DI GUGGENHEIM A BILBAO I l Guggenheim Museum di Bilbao, l’avveniristico museo firmato Frank Gehry, compie dieci anni e li festeggia offrendo al suo decimilionesimo visitatore un viaggio a New York per due persone. Quota cinque milioni doppiata nel 2002, dieci milioni cinque anni dopo: numeri impressionanti per un museo che alla sua nascita aveva messo a soqquadro il mondo dell’arte trasformando una grigia cittadina dei Paesi Baschi in una delle capitali mondiali dell’arte contemporanea. Il progetto all’inizio fu molto criticato per il suo elevato costo e per il carattere quasi sperimentale di molte delle innovazioni costruttive, ma l’inaspettato successo a livello mondiale, che ha portato enormi benefici alla città, ha messo a tacere ogni giudizio negativo. Nel 2000 il Guggenheim di Bilbao ha ricevuto il premio “Museo europeo dell’anno”, riconoscimento mai ottenuto da nessun museo italiano. UN BOSCO DI 500 SALICI NEL DELTA DEL PO A 500 salici, in un’area all’interno del Parco del Delta del Po, il compito di compensare le emissioni di CO2 emesse da SANA, il Salone Internazionale del Naturale che si svolge ogni anno alla Fiera di Bologna. L’accordo fra AzzeroCO2 (la società creata da Legambiente, Kyoto Club e l’Istituto di Ricerche Ambiente Italia) e SANA prevede infatti di inserire fra le strategie per cercare di ridurre la “febbre del pianeta” anche una efficace opera di riforestazione. SANA 2007 ha “consumato” circa 350.000 Kg di anidride carbonica fra elettricità, riscaldamento, materiale cartaceo informativo e trasporti. La piantumazione dei 500 salici (alberi giovani con una forte crescita che garantiscono un buon assorbimento di anidride carbonica) compenserà il danno ecologico prodotto dalla manifestazione e contrasterà in modo specifico e concreto il cambiamento climatico. Notizie dall’Italia e dal mondo * IRAQ, CONTINUA IL SACCHEGGIO DEI BENI CULTURALI Q ais Hussein Rashid, direttore degli scavi presso il ministero della Cultura iracheno parlando nella sede parigina dell’Unesco, ha sollevato il problema dell’insufficienza vigilanza dei siti archeologici iracheni. L’esigua disponibilità di personale, solo 1400 uomini per proteggere i 12.000 siti, non riesce a frenare il saccheggio e alimenta un fiorente mercato clandestino (soprattutto via Internet). L’Interpol e il Consiglio Internazionale dei musei, per cercare di limitare i danni, hanno compilato una lista rossa dei reperti saccheggiati in Iraq a partire dal 2003 e propongono una moratoria sulla loro commercializzazione. 2008 ANNO INTERNAZIONALE DELLE LINGUE L ’Assemblea Generale della ONU, a sostegno della diversità linguistica come dirit to di ogni individuo e parte della sua eredità culturale, ha proclamato il 2008 Anno Internazionale delle Lingue. La nona Giornata Internazionale della Lingua Madre ricorrerà il 21 febbraio 2008. La proposta avanzata 81 B R E V I dalla delegazione francese è stata approvata all’unanimità. Il compito di coordinare le at tività commemorative è stato affidato all’UNESCO. La risoluzione segnala l’impor tanza di at tribuire alle sei lingue ufficiali delle Nazioni Unite (spagnolo, arabo, russo, cinese, francese e inglese) lo stesso livello di impor tanza e rivendica il dirit to di ogni cultura di usare la propria lingua autoctona per preservare la propria identità. UNA NUOVA COLLANA DI ROMANZI PER RAGAZZI DEDICATA ALL’UNESCO È da poco uscita, edita da PassePar tout Edizioni, una collana di libri per ragazzi incentrata sul Patrimonio culturale dell’Umanità. La serie, intitolata “Il mondo di Mauro & Lisi” e scrit ta da Dilet ta Nicastro, ruota at torno alle avventure di due simpatici fratelli che vengono coinvolti in alcune missioni per cercare di salvare alcuni siti Unesco in pericolo . Le avventure”, racconta l’autrice, “sono diver tenti, allegre e spumeggianti, ma sono al tempo stesso un modo per raccontare quel patrimonio culturale e naturale che appar tiene a tut ti noi e che l’Unesco tutela giorno e not te per tramandare alle generazioni future”. L’obiet tivo della serie editoriale è quello di educare i giovani alle meraviglie del mondo che li circonda tramite storie diver tenti, ricche di misteri, fur ti, pedinamenti e mappe segrete. 82 anno quarto • numero uno • gen/mar 2008 www.sitiunesco.it L’ASSOCIAZIONE CITTÀ E SITI ITALIANI PATRIMONIO MONDIALE UNESCO F ondata nel 1997 dai Comuni di Alberobello, Andria, Capriate S. Gervasio, Ferrara, Matera, Ravenna e Vicenza, ha saputo diventare, in meno di un decennio, un importante punto di riferimento per tutte le località italiane sui cui territori sono presenti beni culturali e naturali inseriti nella World Heritage List. Il sodalizio, del quale fanno parte 49 soci fra Comuni, Province, Regioni, Comunità Montane e Parchi in rappresentanza di 38 dei 41 siti italiani, svolge una intensa attività di sostegno alle politiche di tutela e di promozione dei territori insigniti del prestigioso riconoscimento internazionale. La rete delle città Unesco, in un’ottica di superamento della frammentazione dell’offerta culturale, si pone come parte attiva di un processo dinamico che crede nel valore strategico di alleanze integrate e funzionali e che persegue con tenacia gli obiettivi di salvaguardia e di valorizzazione del patrimonio culturale e paesaggistico italiano. Il presidente dell’Associazione è Gaetano Sateriale - sindaco di Ferrara. Il comitato direttivo è composto dai rappresentanti dei comuni di Assisi, Andria, Firenze, Portovenere, Modena Tivoli, Urbino, Verona e Vicenza. La presidenza e la segreteria hanno sede presso il Comune di Ferrara Piazza Municipale n. 2 - tel. 0532-419917 - fax 0532418331 - e-mail: associazione.unesco@comune. fe.it. Sito internet: www.sitiunesco.it. L’elenco completo dei soci: Comune di Alberobello, Comune di Amalfi, Comune di Andria, Comune di Aquileia, Comune di Assisi, Comune di Barumini, Comune di Capriate San Gervasio, Comune di Caserta, Comune di Cerveteri, Comune di Ercolano, Comune di Ferrara, Comune di Firenze, Comune di Lipari, Comune di Matera, Comune di Modena, Comune di Montalcino, Comune di Napoli, Comune di Noto Comune di Padova, Comune di Palazzolo Acreide, Comune di Piazza Armerina, Comune di Pienza, Comune di Pisa, Comune di Porto Venere, Comune di Ravenna, Comune di Riomaggiore, Comune di Roma, Comune di San Gimignano, Comune di Siena, Comune di Siracusa, Comune di Sortino, Comune di Tarquinia, Comune di Tivoli, Comune di Torino, Comune di Torre Annunziata, Comune di Urbino, Comune di Venezia, Comune di Verona, Comune di Vicenza, Comunità Montana di Valle Camonica, Parco del Delta del Po, Ente Parco archeologico e paesaggistico della Valle dei Templi, Provincia di Ferrara, Provincia di Pesaro e Urbino, Provincia di Salerno e Regione Veneto.