I3IBLJOTECf\ DELLA GUERRA PRD!i\ SERIE - Nt 1:-.1. 2 OFFREDO BELLONCI La guerra _riso · e -- tu ti i problemi azionali FOl\0 \710N ... IS"lTI l ro vRA~1SCI R0.\1A BIBLIOTECA F . F.F Op. TIPOGRAFIA 137 000104093 EDITRICE NAZJ()NAl.F: Via Flam inia, N. 127 FO:-.ID \.llO:-JF l~ì In ro C.RA\l'i( I BIBLIOTrCA F.F.F Op. 13 FOt, · _ 000104093 l'ONDAZIOU ISTITVTO GRAlfsCI FRANCO FE ~. ONLus BIBLIOTECA Dal/' impresa di Libia al conflitto europeo. I I J> Voglio dimostrare, in queste pagine di necessità nude di cifre e di documenti, che l'Italia, con la partecipazione alla gue rra europea, risolve tutti i suoi ardui problemi interni ed esterni ; i quali erano diventati complessi e difficili negli anni dal novecento al novecentoundici, quando la vita itali rna aveva perduto il senso della vita mondiale, e s'era reclusa dentro i confini della patria. Il mutamento, ad ogni modo, non è di oggi. L'impresa di Libia giunse improvvisa nell'anniversario della proclamazione del Re gno, a ricondurre l'Italia su le vie del mare, e a rimetterla nel corso della storia contemporanea che si fa sui mari e sui continenti d'Asia, d'Affrica e d'America. Qualcuno di noi comprese, allora, che la miserabile politica dei gruppi e delle categorie era finita per sempre, che lo Stato doveva oramai esser l'organo supremo della nazione, e disciplinarli, i cittadini, alla comune impresa della grandezza nazionale, e non esser più lo strumento di soddisfazione degli interessi particolari rappresentati alla Camera da una « maggioranza » anonima e irresponsabile. Chiuso, quel tristo periodo, per sempre, bisognò riordinare l'esercito e la flotta, e disciplinare le energie nazionali alla guerra; e non indaghiamo ora, qui, se a codesto provvidero bene o male, e se ebbero o non ebbero il coraggio di porre e risolvere compiutamente il problema della nostra preparazione militare. f: certo che una qualche esperienza bellica fu fatta; che uno scheletro d'esercito da quella impresa s'espresse, il quale abbiamo miracolosamente rimpolpato ed ani· 5- -4mato in pochi mesi; che, sovra tutto, si formò all'Italia una legione di giovani rotti alle fatiche del campo e ai pericoli della mitraglia; e che, insomma. i nostri governanti, e gli industriali e gli operai indirizzarono la mente a propositi meno angusti dei soliti, anzi vastissimi, ad attuare i quali era necessario un forte esercito e una fortissima flotta. E vivo in me il ricordo del mirabile discorso pronunciato in quei mesi ad un Congresso socialista dall 'on. An~ giolo Cabrini, volto a mostrare lo strettissimo nesso che v'ha tra l'emigrazione e l'esercito, tra la prosperità dei lavoratori italiani costretti a cercare nei mercati stranieri il lavoro che non trovano in patria, e i formidabili cannoni che facciano la nostra patria rispettata e temuta nel mondo, accolta da eguale nei mercati internazionali. e non spregiata, e non derubata del suo più alto patrimonio, il lavoro dei suoi figli. E anche vedemmo, allora, ritornare a vivere della nostra vita quotidiana gli emigranti, che davvero nel decennio precedente si eran quasi staccati dall'Italia. avevano mostrato di non sentir pifl saldi quei vincoli che l'Italia stessa, abbandonar.doli indifesi al proprio destino, aveva allentati. Anzi, l'impresa di Libia raccolse grandi ed unanimi consensi meglio nelle colcnie dell'America settentrionale e meridionale, che qui in patria, dove molti mostraronQ di condannare inutile la conquista libica. Un elemento nuovo sentimmo nella politica italiana: l'orgoglio nazionale, che questf emigranti, rialzatisi fieri su le proprie miserie, gridarono ai popoli del vecchio e del nuovo continente. nei luo.ghi alti e negli umili, nelle discussioni scienti:tche e nelle dispute da osteria. appena l'Italia la cc grande proletaria n di Giovanni Pascoli fe' cenno di muoversi, e si mosse davvero. cercando con ingenuo spirito, nella propria storia romana e del rinascimento, giustificazione ideale della impresa marinara e della conquista affricana. L'emigrazione e la guerra. Da quell'anno, prnno della nostra resurrezione, ad oggi, è rigore meraviglioso d1 svolgunento, che si nrnstra in ogni cosa italiana : non ci si contese più i privilegi e i denari pubblici, provincie contro provincie, categorie contro categorie; ma si volle, di tante volontà disc.ordì e contrastanti fare una sola volontà, che fosse l'Italia, e produrre una piit grnnde ricchezza. Vedemmo, niente meno, che la formazione d1 una eletta industriale ed operaia desiderosa di espandersi in mercati stranieri, e di dar saldo organismo al nostro mercato ddla produzione del lavoro e dei capitali. Ci fu, anche tra noi, la febbre di ricerca di nuovi sbocchi alle nostre merci, di nuove terre ptr i nostri emigrant: . quel senso della vita europea e mondiùlc ch1; (! il più certo segno della grandezza futura di un popolo. E tutti · pmblemi della esistenza nazionale apparvero in diversa forma, e s'avviarono a risoluzione. In primo luogo, quello del Mezzogiorno. L'antico regno delle due Sicilie, che prnno aveva fiorito al sole di Roma una civiltà nuova italiana, con i Normanni e con gli Svevi, era entrato nel Reguo d'Italia dopo lunghi secoli di mal governo, senza una. viva e profonda originalità regionale. Le sue poche energie mortificate da un balordo acccntramen to e da una parassitaria burocrazia non avevan trovato possibilità nuove di svolgimento; ed era, esso, il Mezzogiorno, rimasto povero e torpido nella angustia della propria vita sociale ed economica. Tutti gli studi fatti per medicare questa gran piaga della nostra patria avevano avuto un esito assai misero. Da prima, la cagione del male fu cercata nel pessimo stato della igiene, specie delle classi popolari : poi, nella mancanza delle strade, dei boschi, e di una borghesia agr cola: e poi anche, nella scarsità delle scuole e nella cattiva distribuzione della ricchezza nazionale. E sì, certo. bisognavano strade, boschi, scuole e riforme doganali o tributarie; ma sovra tutto era necessaria una maggior potenza politica del! 'Italia nel mondo per difendere al Mezzogiorno la più grande ricchezza che avesse mentre maturava la -6- sua tarda çconon11a, dico l'emigraziore. lo penso, oggi, con animo commo:sso, alle piccole ltalie » che han vis'-uto per decenni, di là dall'Oceano, nelle due Americhe, una trista vita di duro lavoro, tra popoli nen;ici; a questi nostri emigranti, che per isforzi di operosità che facessero, rimanevano una gente smarrita, sfruttata, ingiuriata, costretta a raccogliersi in gruppi per la difesa e l'offesa, I! a nascondere, per crescere in prosperità se non in potenza, l'italianità propria. Quanto lungo calvario han fatto, i napoletani, i calabresi, i pugliesi, i basilischi, i siciliani nelle terre d'America, in questi anni di smemoratezza nostra . Ora, il calvario è finito: non sono più gli uomini di Custoza, di Lissa e di Adua - eroi, del resto, meravigliosi di queste battaglie perdute sono cittadini di una nazione, individui di un popolo che ha varcate le frontiere, e ha manifestata una propria volontà e una propria forza ali 'Europa e al mondo. Chi guardi alla guerra di ogg: con occhi capaci di abbracciar larghi orizzonti, subito vedrà che i motivi profondi di una tanto spaventevole mescolanza di popoli sono religiosi ed economici, e non solo nazionali. Ci si batte per il trionfo di un principio umano più alto; e si sta in campo per asserire i diritti delle genti ricche di energie umane e povere di denaro, contro le genti ricche di denaro e povere di uomini . I possessori della ricchezza del mondo, gelosi e desiderosi di godersela in pace, non solo con tutte le diverse pratiche avevan ristretta la natalità, ma anche, con leggi limitatrici di ogni specie, avevan conteso ai lavoratori delle nazioni giovani l'ingresso e il libero esercizio nel proprio territorio. E le fiumane di emigranti si abbattevano a queste leggi come ad argini enormi, che bisognava toglier via perchè le acque ritornassero eguali, perchè insomma la ricchezza si distribuisse più equamente. La guerra ha rotto questi argini. E una nazione, come l'Italia, ricchissima di uomini - e di uomini, badate, sofferenti alle fatiche, economi e frugali - ora può espandersi vittoriosamente, ora può, il lavoro dei suoi figli, tutelarlo, organarlo e volgerlo a profitto proprio. A parlar chiaro, non c'è più emigranti da oggi : c'è espansione; e quei napoletani, quei siciliani, quei pugliesi, quei calabresi, quei basilischi che (l _,_ flegll Stati Uniti, nell'Argentina e crescere il peculio e a conquistarsi un 'orda senza patria e senza nome, ~ saranno, avanguardia del nostro Italia. nel Brasile hanno faticato a una dignità sociale, apparendo si mostrano a noi quali furono esercitÙ-f esercito della nostra L'avvenire del Mezzogiorno. Ma codesto aumento di potenza che lo Stato avrà dalla guerra non gioverà solo ai nostri emigranti : anche al Mezzogiorno in tutta la sua vita economica. $tato forte - credo necessario ripetere con altre parole un 'altra volta - è quello che adempie al fine di organare le energie di un popolo e di farle meglio produttive : che dunque sommette a codesto officio l'altro di distributore della ricchezza. Ebbene, questa distribuzione, prima della guerra, negli Stati europei corrotti dal parlamentarismo si faceva secondo l'arbitrio delle classi dirigenti, o le transazioni delle diverse èategorie in lotta tra loro per il governo, o principi astratti di umanità; tre cose, che significano sperpero a danno della economia nazionale e delle classi più povere e meno politicamente ordinate. E il danno s'è visto anche da noi, in Italia, nel tempo della prosperità industriale e commerciale, cioè a dire dal 1898 al 1912 : che i rappresentanti di certe categorie borghesi e proletarie e di certi interessi provinciali e regionali si erano costituiti in una vera e propria aristocrazia di governo che soddisfaceva a volta a volta gli interessi e le cupidigie di ciascun gruppo, di ciascuna categoria e di ciascuna provincia, instituendo i lavori pubblici come prezzo di pace tra le classi, favorendo le associazioni cooperative di lavoratori - emiliane e romagnole con danno dell 'intero proletariato, e distribuendo esenzioni dal fisco, forniture privilegiate, premi e sussidi. Di tutte queste provvidenze legislative e politiche pagavano il costo, in massima parte, i meridionali, che avevano un assa i povero mercato della produzione e del lavoro, e una molto modesta forza politica, e non po- FONDAZIONE ISTITUTO GRAMS'': I ONLUS BIBLfOTECAj - s_tevano contrastare validamente agli instituti politici ed economici del settentrione a favor dei quali eran consumate tutte le energie dello Stato. « Cne monta che il paese sempre più sudi e produca - scriveva un illustre uomo basthseo, il senatore Giustino Fortunato - se lo Stato sempre più assorbe troppa p.irte d1 ricehezza per volgerla a fini non utili a.l'universale?». Ed enumerava questi fim: u lavori pubbiici o eccessivi o costosi as::iai più che non valgano, bonifiche idrauliche incapaci da sè sole a fugare la malaria, speculazioni b;-.ncarie ed ed1ltzk o favorite o promos' e ual Governo, sovvenzioni e incoraggiamenti alle organizzazioni imprt;sane operaie, aumento e 111iglioramento a tutta la coorte degli 1mp1egati ». Al Mezzogiorno ..:rano larg1ti i posti della burocrazia, e non certo i più alti, di qu.... :la burocrazia, i1 costo del1a quale, in ultima anaiisi, si abbatte\ a in gran parte sul Mezzogiorno stesso; e le briciole della mei:sa dello Stato mecenate, « tali, per esempio, le nuove leggi di nuDve opere pubbliche, progettate senz 'ordi ne e senza consideraziore, richieste assai meno dal bisogno che dalla ingordigia della piccola borghesia improduttiva ,,, In questa corsa ai privil...gi megiio correva chi meglio aveva forza politica ed economica; e crebbero dunque le disparità tra Mezzogiorno e Settentrione, e dunque s'acuirono i dissidi tra l'aristocrazia operaia e l'orda famelica dei poveri e dei disoccupati preda degli agitatori sindacalisti ed anarchici. S'aggiunga che le provincie meridionali hanno, piuttosto che operai, classi di contadini, le quali - dice assai bene il Franchetti - non figuravano nella clientela dello Stato italiano; e che i pubblici impieghi dati ai meridionali facevano più grave il danno di questi contadini, rafforzando la piccola borghesia ingorda e municipalista, e rinsaldando le sciagurate tirannie elettorali e politiche. Bisognava garantire al Mezzogiorno « il pieno esercizio della scarsa, faticosa, · lenta sua capacità economica », nè questo si poteva fare in altro modo, che riconducendo lo Stato a: suo alto officio di organatore della vita italiana. di suscitatore e difensore di tutte le energie nazionali. La guerra ha appunto fatto dello Stato l'instituto supremo della nazione. - 9 ·- L'organismo induatriale e operaio. La guerra, insomma, vuole l'organismo economico, finan:t.iario e ammmistrativo megtio adatto a far la nazione più forte, p1u potente, più ricca: non dunque uno Stato paterno, anzi, disciplinatore, difeso da un saldo esercito, capace di soddisfare esigenze collettive di classi numerose quelle « proletarie ,, sveito così da raggiungere e congiungere rapidamente e sicuramente tutte le sezioni della vita nazionale. Il problema che essa c1 sforza a risolvere è proprio il gravissimo dell 'Italia contemporanea, 11 problema dell'ordine e della disciplina. Bisogna ottenere dail'instituto pubblico il massimo rendimento con il minimo costo. Già vede mmo i danni della cattiva organizzazione al tempo della guerra di Libia, quando le lentezze e le dubitanze politiche e militari, e la mancanza di capitale circolante, fecero l'impresa più lunga, più costosa, più pesa alla nostra vita italiana. E chiaro, che non si potrebbe oggi partecipare al conflitto europeo con lo spirito d 'allora, e con quei modi, subordinando la condotta del! 'esercito alle necessità parlamentari, e affrettandosi a regalar riforme legislative e provvidenze economiche alle classi che mostrassero di non approvare la impresa. Esercito è tutta la nazione : lo Stato deve, codeste energie nazionali, distribuirle nel! 'ordine migliore, e farle più che si possa produttive. Ma la guerra non si fa solo sui campi di battaglia, con le armi. Occorre che i popoli provvedano del continuo a rifornire i combattenti, a distribuire il lavoro in modo da non intermettere la produzione nazionale - le industrie e i commerci - a mantenere insomma in ogni s ua parte integro il grande meccanismo dello Stato. Quel popolo avrà la vittoria, che avrà saputo organarsi meglio: che nel tempo della pace sarà riuscito a ordinarsi per la guerra, e nel tempo della guerra per la pace : che il giorno della battaglia avrà saputo trovare in sè tutto quel che bisogna a combattere, e il giorno della pace avrà potuto riprendere l'opera dei traffici. Il nostro più arduo problema era appunto questo: l'or~ana- - IO - me nto del mercato della produzione , de l mercato dei capitali e del me rcato de l lavoro. li me rcato della produzione dovette sofferire i danni dei servizi pubb lici tardi nel sorgere e lenti nel funzionare , e della continua mutevolezza delle leggi dovuta a ragioni di opportunità parlamentare, e non cre bbe rigoglioso con ins tituti capaci di affrontare e in breve tempo liquidare le crisi. Si dibattè anzi, in un certo senso, in una perpetua crisi. Badate che negli anni dal '98 al 907, che furnno di risoluto progresso economico, s 'espresse dalla nazione italiana una eletta dii produttori singolarissima per ingegno ed energia: sventuratamente, non chiese allo Stato di coordinare la propria opera e di indirizzarla alla conquista dei mercati internazionali e coloniali, ma solo di aiutarla nella sua vita quotidiana, di interve nire a ralle ntare e ra ffr enare le fasi di discesa delle cris i e qualche volta di assumersi il gravame della liquidazione. Oramai, è saputo an che dai sordi e dai ciechi, che le grandi imprese - esempio massimo i trusts - ris pondono assai meglio che le piccole ai postulati dell 'edonismo: da noi, invece, sorse una moltitudine di imprese e di socie tà, in lotta tra loro, e tutte legate con gli instituti bancari e s tatali, che vissero di ogni specie di protezione e, venuto il tempo della crisi, il 1907, quando le imprese deboli e fittizie avrebbero dovuto scomparire, trovarono il modo di fars; salvare appunto dallo Stato. La concorre nza neJ me rcato inte rno ci impe dì la concorrenza ne l mercato internazionale; e il frazionam e nto de lle imprese tolse alla nos tra industria la possibilità di fare que i perfe zionamenti tecnici, che solo le grandi imprese possono compiere . Le manchevol ezze de l me rcato industriale dovevano rifle ttersi s u que llo del lavo ro; pe rchè non si formano maestranze dove non sie no salde e durevoli aziende . I s oli lavoratori che abbian potuto associarsi e organarsi formidabilmente, sono s tati quelli delle coope rat ive di Romagna, impresarie de i lavori pubblici : gli altri, no ; e la s tessa abb ondanza di scioperi mostra la ins tabi lità de lle condizioni indus triali ed operaie . II ve ro è, che la nos tra legislazione sociale è in gran parte scritta e non attuata, non tale ad ogni modo da rinvigorire ed eleva.re i - n -I lavoratori e farli capaci di seguire i mutamenti del mercato 11azìonale ed int~ rnazi onale . Ma le nostre deficienze meglio si manifes tava no ne l! 'ordinamento bancario: noi non avevamo - notava il professor B ach i - « una banca italiana del tipo di quelle straniere che esercitavano anche tra noi il mercato dei capitali; e sovrattutto ci mancava quella divers ità di instituti bancari, che · Germ an ia, in Francia e in Inghilterra ha dato i suoi buoni frutti ». Ed e ravamo d .: nq ue schiavi degli instituti stranieri, che avevano accresciuto i propri mezzi e i propr i depositi e che eran diventati i dom inato ri della nostra ind ustria. Il problema delle frontiere e quello delle colonie. C odesto dif~tto di ordine, la guerra, che è maestra di ordine e di disciplina, toglierà via. Ma ben altro occorre alla nostra prosper ità . La caratteristica del regime indust r iale moderno è la espansio ne , la conq uista dei mercati no n ancora organati ind ustr ialme nte : an zi, il conf litto europeo rappresenta la necessità dei popoli d 'Eu ropa , di spartirsi in diverso modo le zone coloniali e d'i nflu enza. S'esporta n merci e capi tal i ; e codesta esportazione di cap itali pro voca un accum ulamento di redditi, e consente una maggi or quan tità di opere. La Germania dal 1881 al 1912 ha potuto, per vir tù di una tale politit:a, richiamare ed impiegare in patria duece ntoventimila emigranti. C'è dunque antitesi tra espansione ed emigrazione. Ebbene, I 'l talia è incredibilmente ricca di uomini e povera di materie pr ime: il nostro suolo, se eccettuiamo la meravigliosa valle del Po, è misero: paludoso in parte della Toscana e del Lazio, roccioso e brullo in Puglia, franoso in Basilicata; e non ha mi niere, se non di zolfo, in S icilia. Ci manca sovra tutto il carbone, che è indispensab ile alla ind ustria, e che potrà in gran parte essere sos tituito da lla energia idro-elettrica, quando l'avremo sviluppata. È un ve ro mi r acolo che con tante di fficoltà abbiamo - I~ - potuto portare dal 1885 al 1892 la cifra del commercio totale da tre a sette miliardi, e crescere industrie tessili, metallurgiche e chimiche. Che occorre dunque all'Italia? Tre cose: colonie di popolamento, colonie di sfruttamento e zone di influenza politica per il commercio (specie per il commercio della mano d'opera). Popolo di trentasei milioni di abitanti, che, con i 5ei delle Americh~, fanno quarantadue, con un territorio di appena 286,000 chilometri quadrati, abbiamo un dominio coloniale di appena 2,000,000 di chilometri quadrati con una soarsissima popolazione. Proviamoci un poco, su la scorta del Ricchieri, a paragonarlo a quello della Francia, che pure vien terza tra le nazioni colonizzatrici. La Francia ha 40,000,000 di abitanti sopra un territorio di 536,000 chilometri quadrati; eppure ha un dominio coloniale di 11,0ÒO,OOO di chilometri quadrati con una popolazione di 55,000,000. Alla nostra più alta densità di popolazione non corrisponde un più vasto impero; e s'intende che siam costretti a mandare per il mondo 600,000 emigranti l'anno (nel 1913 furono addirittura 870,000) dei quali appena 250,000 nel bacino mediterraneo : gli altri in America, dove spesso si perdono. La guerra - dico la guerra vittoriosa - anche questo problema risolve. La prima cosa, ci assicura una potenza politica. Popolo giovine, sano, forte, l'Italia nei primi mesi della sua guerra ha meravigliato il mondo, e ha mostrata una, non saputa da nessuno, nemmeno da noi, energia d'acciaio. S 'ha da fare i conti con il nostro esercito, da oggi in poi, per mutare il mondo; ed è tale, questo esercito, da assicurarci che nulla sarà mutato se noi non vorremo, e se non profitterà alla nostra nazione. I fini prossimi che ci proponiamo sono dunque il dominio dell'Adriatico, e la espansione in Asia minore; e quel dominio è la necessaria premessa di questa espansione. Dobbiamo conquistare la sicurezza delle nostre frontiere, se non vogliamo esaurirci nella loro difesa, se vogliamo, le forze che saremmo costretti a tener ferme nella difesa dei confini, adoperarle ad assicurar nuovi sbocchi e nuovi territori alla nostra attività. Allora solo, potremo fare una grande politica marinara, - 13 - quando avremo garantita l'integrità territoriale d'Italia. Ebbenb, e non sembri strana l'affermazione, anche I'« altra sponda » è una frontiera per noi. Il possesso della Dalmazia è indispensabile al1'Italia come la libertà di Calais all'Inghilterra: chè, se no, la nostra flotta dovrebbe rimaner ferma in Adriatico, a difendere la oosta orientale, con manifesto danno del nostro sviluppo navale. E del resto, se guardate bene, l'Adriatico diventa mare sol nello sbocoo in Mediterraneo: qua su, è i.I gran lago della gente italiana. Per buona sorte, l'acquisto di Trieste molti altri problemi connessi con questo, risolve d'improvviso per noi. « Trieste italiana - scrive il Bachi - sarà, forse, fattore primario per rianimare la vita economica nazionale secondo direttive nuove, anche perchè la fortuna sua non è connessa solo con la magnifica posizione geografica, ma pure con le particolarissime qualità degli uomini che vi son dediti agli affari. L'unione di Trieste alla madre patria aggiunge all'economia nazionale un grosso emporio che raccoglie molto traffico dal Levante, e un mercato che ha per talune merci importanza europea; reca una cospicua aggiunta alla scarsa flotta mercantile italiana, e aggrega all'Italia alcuni organismi finanziari poderosi ll. Nè basta : la nostra impresa contro il turco ci promette una vasta colonia in Asia Minore, non certo limitata a Adalia, ricca di miniere, e prodigiosamente fruttifera; e il nostro rinnovato pr"stigio bellico e politico ci consente di ottenere dall'America migliori condizioni di lavoro per i nostri emigranti. mentre l'accordo con la Francia queste migliori condizioni assicura agli italiani di Tunisia. I dissidi interni e lo .... spirito 11ozio11ale. Tutti i grandi inter,essi collettivi soddisfa la guerra nostra; e le crisi, tutte, son vinte. C'è classi, instituti, idee, che sino a ieri eran state, in parte, fuor della compagine nazionale, nemici df questa compagine nel oome di future solidarietà umane; i quali 14 - han dovuto mescolarsi nella nazione, e difenderla, e asserirla. Intendo, i socialisti e i cattolici. Conchiusasi la guerra, queste masse che han combattuto per la patria e han composto il grosso del1'esercito. vorranno essere ancora tra le forze vive d'Italia. Noi vediamo. oggi, un cattolicismo e un socialismo nazionali, che nessuno sforzo di retorica potrà ricondurre nella via cattiva delt 'internazionalismo. E bastata la guerra tra i popoli, perchè questi ostinati assertori della pace si sentissero prima di tutto e sovra tutto cittadini, e comprendessero che l'umanità, troppo vasta, non si P"' amarla che in qualcuno, come diceva Alfredo Oriani. E s'ha da incominciare ad esser socialisti e cattolici dentro i confini della nazione. nel! 'ambito della più forte e spontanea solidarietà umana. quella nazionale. Ebbene. codeste classi e codesti instituti han conquistato oramai il diritto di partecipar la vita d'Italia, di concorrere a riorganarla, l'Italia. più saldamente e più modernamente: sono energie. che muteranno il nostro ordine interno. E così la nazione italiana. composti i suoi dissidi. e medicati i suoi mali. si tempra nella guerra. e s'avvia con fermo animo all'avvenire. Come sempre accade, questo rinvigorimento spirituale ci ha fatto risentir vivH 'a tradizione nostra. ed ha riscosso nella nostra mente le idee romane e itqliane. Abbiamo riconquistato il nostro genio, che per tre volte diede alla storia una forma più alta di civiltà : romana. nel tempo antico: cristiana. nel medioevo: umanistica, nel rinascimento; e che, son certo. saprà sigillare di sè il mondo una quarta volta. La {Biblioteca della Guerra ----<>-Questa Biblioteca s'iniziò e proseguirà sotto gli auspicii di autorevoli giornalisti romani, che ne hanno affidata la cura a Luigi Lodi. La prima serie sarà formata di fascicoli che, come il presente, saranno posti in vendita a 5 ceni. Sono già in preparazione e potranno essere diffusi in breve tempo altri fascicoli consimili, scritti da: Mario Alberti - ~ Francesco Coppola Febea Giuseppe Meoni -- Emanuele Rocco. Prezzo dell'opuscolo : Cent. 5 r