Emidio Federici Beata Paola Elisabetta Cerioli vedova Busecchi Tassis, fondatrice degli Istituti della Sacra Famiglia di Bergamo 1950 Congregazione della Sacra Famiglia a cura del Seminario Sacra Famiglia Bergamo 2001 Paola Elisabetta Cerioli OPERA OMNIA Regole. Lettere. Biografie 1 2 | Emidio Federici Beata Paola Elisabetta Cerioli, fondatrice degli Istituti della Sacra Famiglia di Bergamo pagine 1-304| Isola del Liri 1950 - Editrice Pisani Emidio Federici Beata Paola Elisabetta Cerioli, vedova Busecchi-Tassis pagine 305-373| Isola del Liri 1950 - Editrice Pisani © 2002 | Congregazione Sacra Famiglia via dell’Incoronata 1, Martinengo Bergamo Biografie 2 opera omnia Presentazione di S. E. Mons. Adriano Bernareggi, Vescovo di Bergamo È con sentimento di legittima compiacenza che presento il volume del sacerdote romano Don Emidio Federici, ove si narra la storia di Suor Paola Elisabetta Cerioli, che ebbe a fondare nella mia Diocesi gli Istituti della S. Famiglia. La Diocesi di Bergamo è stata ricca nell'800 di anime sante, che illustrarono la Chiesa tutta con le loro opere; e fra queste anime una delle maggiori è stata certo la Cerioli, la cui beatificazione già sorride al nostro spirito. Appunto anche per i processi, che l'hanno preceduta, il suo nome non è sconosciuto; esso non è però conosciuto come meriterebbe: per cui è da rallegrarsi veramente per questa nuova amplia biografia del Federici, che varrà, lo speriamo, ad allargare la cerchia degli ammiratori e dei devoti della grande Fondatrice di Comonte. Come è detto delle stelle, che differiscono fra loro per il diverso splendore, così è da dire dei Santi. I veri Santi non possono essere stati tutti colati in un medesimo stampo; ma in ognuno di essi vi è una propria chiara personalità, attinta, oltre che dalle qualità di natura, elevate e trasformate dalla grazia, dalle stesse vicende della vita, che non possono non lasciare un'impronta in una natura ricca. Ed è precisamente e solo tenendo davanti questi elementi: natura, vicende della vita e della grazia, che è possibile tracciare il genuino ritratto della Cerioli: che non è affatto un ritratto comune, ma singolare, con tratti fisionomici spirituali tali, che la contraddistinguono subito da ogni altra figura di anime sante. Io non dubiterei di dire infatti dapprima, essere stata la vocazione propria della Cerioli, come donna, una vocazione alla Biografie 3 opera omnia maternità. Veramente in ogni donna è un istinto materno, che non necessariamente conduce però al matrimonio, potendo realizzarsi in una maternità spirituale, che della maternità contiene l'aspetto più nobile. Ma la mancanza di una chiara resistenza di Costanza alla proposta di matrimonio avanzata dai genitori (la testimonianza della nipote Giuseppina è esplicita in proposito, e d'altra parte, se in Costanza vi fosse già stata fin d'allora una vocazione spiegata per la vita religiosa, non solo la resistenza non sarebbe mancata, ma le sarebbe stata imposta da un dovere di coscienza) e più ancora la profondità del suo amore per i figli che il Signore le ebbe a dare, specialmente per il Carlino, la stessa nuova vocazione di fondatrice di una congregazione religiosa, da lei considerata come un “nuova famiglia” da surrogare alla prima, e gli orfani come “altri figli” da allevare al posto del suo, tutto sta ad indicare quanto aderente fosse alla sua natura la funzione materna. Ma furono le vicende della vita, che spezzando la continuità della trama, diedero alla sua storia un'altra direttiva e la posero a capo della nuova famiglia spirituale, alla quale essa portò tutta quella profondità di sentimento e tutta quella esperienza materna, che, specialmente nel dolore degli ultimi anni di vita del marito e del figlio Carlino, aveva appreso. Fu una svolta netta con l'apparire di una nuova vocazione. Ma forse meglio che di nuova vocazione potremmo parlare di una trasposizione in un piano superiore e puramente spirituale della sua nativa vocazione materna. Fu quella anche l'ora della invasione della grazia nella sua anima. Dio l'aveva sempre assistita con la sua grazia, e come era sempre stata buona giovanetta, così fu buona sposa e buona madre nel senso cristiano più stretto. Ma per la grazia più abbondante che le fu concessa nel nuovo orientamento della sua vita, in essa si ebbe a rivelare la perfetta religiosa, che spazzò dal suo cuore ogni sentimento puramente umano, per tutto comprendere ed operare soprannaturalmente. Ma anche in questo periodo della sua vita la sua spiccata personalità si manifesta, e non solo nella intonazione materna, che dà alla sua carità verso le orfane, ma anche negli indirizzi pedagogici che seppe dare al duplice Istituto, delle Suore e dei Frati della S. Famiglia. Cresciuta in una casa di proprietari terrieri, ed andata sposa ad un proprietario terriero, essa non volle uscire da quello che era stato il suo genere di vita sino ad allora, e continuò a dirigere la sua proprietà, indirizzando anche le Suore, le Orfane e gli Orfani alla vita della terra. Essa era convinta della sanità morale e dell'efficacia Biografie 4 opera omnia educatrice della vita agricola, così impostò e inquadrò tutto quanto l'ordinamento dei suoi istituti appunto entro quella vita. E chi legge gli appunti scritti da lei stessa, si stupisce per la modernità dei suoi indirizzi nella istruzione agricola e sui metodi dell'agricoltura. Tutto questo meriterebbe di essere più conosciuto, molto contribuirebbe a glorificare questa religiosa, che tanta saggezza seppe mostrare nell'uso delle cose umane per le opere dello spirito. Per queste considerazioni a me pare di non sbagliare, se dico che la vita della Cerioli non è una delle solite vite devote, perché essa è tutto un dramma, ricco dei più forti contrasti. Né sono solo le persone religiose che vi hanno da imparare, ma tutti, per la molteplicità e varietà delle esperienze attraverso le quali la Cerioli è passata. Non è pertanto, perché così si è soliti conchiudere le presentazioni di biografie di questa natura, che anch'io auguro a questo volume di essere molto letto, ma proprio per la persuasione che ho dell'utilità di conoscere un'anima grande come quella della Cerioli. +Adriano Bernareggi, Vescovo Bergamo, dicembre 1949 Biografie 5 opera omnia PROTESTA DELL’AUTORE Nel compilare la presente biografia l'autore dichiara di sottomettersi ai Decreti di Urbano VIII ed alle disposizioni della S. Madre Chiesa, della quale si professa figlio obbedientissimo. NIHIL OBSTAT Romae, die 2 Iannuarii 1950. S. NATUCCI, Fidei Promotor Gen IMPRIMATUR Sorae, 4 Iannuarii 1950. MIHCAËL FONTEVECCHIA Ep. Soran. , Aquinat. et Pontiscurvi A San Giuseppe Angelo e Custode di questa benedetta e benefica vita Biografie 6 opera omnia INTRODUZIONE La solenne santità e sanità della vita primitiva nella natura immediata appendice operante della creazione - getta abbaglianti splendori sull'umile fatica delle genti dei campi. Il Cristianesimo proprio per questo nei suoi venti secoli di storia ha accentuato cure e predilezioni per chi si dedica alla coltura della terra. Basta rileggere Leone XIII. pontefice poeta e sociologo sommo, nella sua enciclica Rerum Novarum: “... è la natura che ha da provvedere all'uomo il rifornimento cotidiano dei suoi cotidiani bisogni... E tutto questo lo troviamo solo nella inesauribile feracità della terra... . poiché non v'ha veruno al mondo che non viva di ciò che la terra produce”. Ma la Chiesa Cattolica ha fatto di più e meglio di quel che non cantò il pio Virgilio, che pure ha immortalato negl'idillii delle sue Ecloghe e Georgiche le dolci terre italiche “dulcia arvia” (Ecloga l. 3) e disse “beati” gli agricoltori ove conoscano le bellezze della vita che vivono e le ricchezze che possiedono: “O fortunatos nimium, sua si bona norint, agricolas” (Georg. II. 458-459). La Chiesa ha esaltato sino agli onori degli altari e gli umili figli della gleba e gli apostoli dell'agricoltura che congiunsero al lavoro della mano le attività dello spirito, mostrando all'evidenza gli splendori dell'operante santità creatrice nelle umili mansioni rurali. La Chiesa canonizza quelli che delle cattedre sperimentali fanno palestra d'apostolato di una spiritualità incalcolabilmente benefica. Ed eccone un esemplare. Una nobile dama bergamasca del secolo scorso. Figlia della ricchezza e degli agi, ispirata istitutrice e maestra che basò “ad litteram” la propria pedagogia su quella “agricoltura Dei” dettata da S. Paolo, per cui si coltivano le anime a somiglianza dei campi, per la gioia terrena ed eterna delle creature chiamate a tanto umile ed utile lavoro. Biografie 7 opera omnia Costanza Cerioli dei conti Corniani, coniugata Buzecchi Tassis, indi sposa di Cristo sotto il venerabile nome di “Suor Paola Elisabetta” Fondatrice e Madre del duplice Istituto della Sacra Famiglia. Non ci colpisce troppo la singolarità delle sue istituzioni, quanto ci commuove la peregrina bellezza spirituale di questa dama; sì da procurarci quel gaudio, rinnovato tutte le volte che si trova dinanzi ad un'opera nuova e bella, più bella perché nuova, e di cui s'hanno da dire molte edificanti cose. Gustiamo col lettore uno scorcio istantaneo della sua fisionomia. Socialmente, è un'aristocratica di sangue, cultura e sensi. Ed è pure un'autentica democratica per intima forma di spirito, per modestia d'abitudini, per sommesse esigenze di vita, per dolcezza di tratto e di parole fragranti calde di semplicità e d'amore. È la vera democratica del Vangelo, perché profondamente umile. Sotto il soffio dello Spirito, che “spira ove vuole”, diviene polvere in umiltà, ed in semplicità patriarcale si effonde e confonde con la stessa gleba amata di passione e culto, a gloria del Creatore a salute delle creature più poverelle. Sopra i campi e la vita campestre cerca le anime: ossia quella classe spregiata e pur privilegiata di creature dimenticate dalla boria del mondo, ma non guaste dai suoi artifici, non turbate dalle sue seduzioni, difese nella purezza dalla stessa ignoranza del male, legate alla terra che è ad esse vita e premio. Di queste creature Lei predilige quelle che la morte ha mutilate - gli orfani - per insegnar loro con arte ispirata come si ama e si ricama la terra: tendendo l'anima a ricercarvi il vestigio divino da essa promanante come da un immenso libro ognora aperto sotto gli occhi di tutti, nei cui solchi intrisi del loro sudore possono leggere in saggezza e vita quanto Iddio vi nascose sul principio dei giorni. Lei lancia il lavoro rurale al vertice d'un'orazione; la terra infatti si lavora curvi, quasi in ginocchio, in atto di adorante contemplazione. Mai si è tanto vicini a Dio come sul campo delle prime operazioni divine, ricco di arcane energie, fecondo di sicure promesse. Lei ammonisce e predica con l'esempio che discendere alle radici della vita è risalire il vertice d'ogni vita, e là dove non giunge il Biografie 8 opera omnia corrosivo delle cupidigie umane ivi è la più pura contemplazione del creato e del Creatore. Non c'indugiamo troppo a rivelare il virile coraggio, autentica benemerenza sociale, di questa donna che dopo aver resistito all'andazzo del tempo, spregiatore della campagna e amante dell'urbanesimo folle, ha affermato il vero amore alla terra ed ha gettato - non invano - il grido: “Torniamo ai campi!” Piamente, in amore cosciente e intelligente, quello originale, quando Iddio dispiegò agli occhi estasiati dell'Uomo il campo delle sue attività, l'uomo s'accostò trepidamente alla terra come a casta sposa che di sua verginale integrità avrebbe ripagato “l'opera di lui” con feconde ricchezze di vita, di serenità, di letizia. Tornare ai campi non fossilizzando con essi; ma accettando in anticipo tutti gli apporti che un progresso sano e razionale può dare all'arte e all'artigianato; a questi segnatamente che dev'essere sollevato con graduale miglioria ad un livello di giusto perfezionamento: diritto d'ogni creatura di Dio, sete insopprimibile d'ogni essere ragionevole. Per l'agiografia la Cerioli è più interessante ancora. Non è facile o perlomeno inconsueto incontrare un'anima come questa che metta se stessa, gioie, sostanze, vita, agli ordini di Dio per eseguire in cieca obbedienza i disegni reconditi, i cui sviluppi saranno manifesti dopo anni di prove, consumando ogni sacrificio, al di là della morte. Nel breve giro di cinquant'anni attraverso variazioni di stati e situazioni arcanamente penose, umanamente assurde, ella passò con moti che si direbbero salti più che passaggi, sostenuti non con facilità ma in semplicità, sempre lieta e sommessa a Dio che infine la condusse a cogliere successivamente tutte le palme: di vergine, di sposa, di madre, di claustrale, di fondatrice, di apostolo; le palme della fede, dell'obbedienza, della pazienza, della rassegnazione, della carità sublimate agli apici dell'eroismo. Oggi - soltanto oggi - che s'è chiuso l'ultimo capitolo della sua storia terrena è dato comprendere l'arcano disegno di Chi volle in così opposti stati di servizio, per il miglior bene di lei, in salute di molti, a comune edificazione della Chiesa. Un'anima singolarmente bella; e pure un grande cuore. Si direbbe che Iddio glielo abbia modellato con mano forte e delicata sulla forma di altri grandi cuori del genere suo. In esso fece ardere le fiamme più belle, più pure, quelle che sembrerebbero discordanti; sono invece le più armoniose in ardore e Biografie 9 opera omnia splendore, perché avvolte dall'unica fiamma che non ne esclude verun altra quando si aderga in alto: l'amore di Dio! Si comprende bene come un tal cuore colmo di Dio, mai diviso mai isterilito mai raffreddato, ma nutrito di generosi impeti fin dall'infanzia, ebbe travolgenti moti ovunque si piegò. E quando la mano divina lo divelse dalla famiglia terrena per avviarlo sul vasto campo delle anime e della società, allora l'amore proruppe come un fiume copioso fecondo di opere geniali di bontà e di bene. E c'è un'altra bellezza in questo cuore, pur essa ammirabile: la non facile prova sostenuta con onore delle sue ricchezze materiali. 1 “La prova della felicità - scrive mons. Bougaud - è la più difficile a superarsi, perché l'uomo creato per la felicità sembra che sulla terra non sappia sostenerlo con onore, dal momento che vi s'immeschinisce spesso si accieca e non raramente si corrompe e si perde”. Tra tutte le felicità terrene la ricchezza costituisce il grave pericolo nel quale l'uomo anziché signore diviene schiavo dell'oro, e si degrada riducendosi alla più umiliante miseria spirituale e materiale. La Nostra fu assoluta padrona delle ingenti sue ricchezze, seppe dominarle da signora spregiandole e piegandole agli insospettati scopi per cui il Cielo gliele moltiplicò. Una la sua preoccupazione: restituire a Dio nel modo più accetto le pingui sostanze di cui si trovò erede ed arbitra. Conosciuto l'alto volere le profuse tutte riducendosi in povertà pel miglior bene degli orfani delle campagne. A ragione quindi dicevamo che il soffermarsi a considerare quest'anima fa gustare un intimo gaudio, giacché essa presenta uno stato di servizio singolarmente ricco e vario e di tale densità interiore da permettere e promettere un vasto bene, non pure nei chiostri ma in ogni settore della società e della vita umana. La Cerioli innanzi tutto è una claustrale; eppure non è un modello da presentarsi alle sole religiose. Non giunse a questo stato di privilegio come il classico giglio fiorito in cristiano giardino, cresciuto al tepore di una serra, spiccato per gli altari ove muore esaltando gli olezzi castissimi dopo altri stati segnati ciascuno da bellezze nuove da nobili insegnamenti. Fu prima una giovinezza eroicamente soggetta all'autorità paterna vicaria di quella di Dio; si espropriò di volontà immolando la 1 Panegirico di S. Francesca de Chantal Biografie 10 opera omnia fiorente giovinezza, a cui furono negate le legittime gioie d'ogni creatura di venti anni. Fu poi un'eroica sposa, aggiogata diciannovenne appena ad un connubio umanamente assurdo per distanza di anni, peso di malanni e di temperamento nel coniuge imposto ed accettato. Un autentico giogo! Il mondo stolto e indulgente avrebbe giustificato evasioni colpevoli o legali secessioni; per lei invece fu sorgente d'eroica pazienza motivo d'inalterata dolcezza, di carità inesausta offerta per amore a quella Volontà amorosa di Sé beatrice, sempre, anche quando dispone la prova e il pianto per quelli che ama. Fu un'eroica madre consapevole della responsabilità e della gioia pel possesso di tre figli, dei quali l'unico superstite le ridà la copia fedele di se stessa, della pietà, del candore, della soave intelligente dolcezza propria. Quest'unico raggio di sole in un'esistenza povera di gioie le viene strappato sedicenne appena sul trepido fiorire di tante speranze. Eppure ella non si ribella; ma accetta rassegnata il supremo volere. Mentre Iddio col labbro del figlio morente le rende ragione di tanto dolore: le preannunzia il suo domani nuovo, sognato ma imprevisto, divinamente bello e grande proprio perché premio di tante eroiche accettazioni. La donna che la morte fece deserta d'ogni prole riebbe una posterità novella ed immortale. Dall'anima le nasceranno Figli e Figlie in somiglianza di spirito, e nel cuore adotterà gli orfani della campagna che Iddio metterà sul suo cammino. Fu dunque nuovamente Madre. La sua seconda integrità ritessuta di sì eroico merito, impalmata ufficialmente da Cristo, si feconda di una progenie portante in commovente evidenza le rassomiglianze materne: semplicità, povertà, umiltà, laboriosità, - i pilastri del suo Istituto - congiunte ad uno spirito sano, vigoroso, terso come l'aria respirata nei campi. Il suo Istituto ha uno scopo rigidamente osservato: far conoscere, amare, servire Iddio dagli orfani di campagna sotto gli sguardi della santissima Famiglia Nazarena, senza escludere altre opere e i migliori perfezionamenti che l'apporto di tempi nuovi daranno ad una missione, la quale, diretta al tutto e al massimo dei suoi protetti, deve accettare ogni mezzo che Iddio mette a sua portata. Il motto d'ordine e d'ampiezza del suo programma è questo: “regolarsi secondo i tempi!” Per le sue religiose è maestra nella più ortodossa pedagogia spirituale; per i suoi beneficati guida morale, domestica, sociale Biografie 11 opera omnia confortata da esperienze aggiornate nell'arte agraria da profonda pratica della psicologia rurale. Così, dietro la guida di esperti e venerandi direttori, ella fu insieme fondatrice e religiosa delle Suore della S. Famiglia. E notiamo come la sua prima idea fosse per un Istituto maschile. Varie ed opposte contingenze imposero la precedenza per l'Istituto femminile; mentre l'altro, primo in intenzione, non vedrà la luce che sugli ultimi giorni di sua vita. Non per questo le due famiglie potrebbero contendere per un vano titolo di priorità o precedenza: entrambe occupano e preoccupano lo stesso spirito che le concepì e le tradusse in atto a seconda che al Provvidenza gliene aprì la vita. La contesa, se mai, ricorderebbe troppo quella degli apostoli intorno a Gesù, per i primi posti in Cielo. I Figli e le Figlie della Cerioli da lei ammaestrati in saggezza di virtù sanno che uno è il posto da ambire, e proprio nel cuore della Madre: il primo in linea d'amore e l'ultimo in linea d'umiltà; ed anche questo, secondo la valutazione del Vangelo, sempre primo. Così la contesa si trasforma in bella emulazione. Infine degno di tanto splendore di opere è l'eroico sigillo apposto dalla santità personale della Cerioli. Ecco il primo campo d'osservazione per un agiografo. Il resto: attività, parole, gesta, la storia esterna, infine, non sono che aspetti diversi di uno stesso spirito che manifesta il proprio intimo rigoglio, oggetto delle compiacenze divine innanzi tutto. Nella vita personale della Cerioli c'è tutto e tanto da comporre una perfetta figura di Santa, degna d'essere annoverata tra quelle nobilissime, fiori dell'umanità, gioielli di Cristo, gloria della Chiesa che elevate al fastigio degli altari divengono esemplari di comune ammirazione ed imitazione. Il presente lavoro non intende altro: sviluppare in ordine cronologico con perfetta aderenza alle fonti storiche la vita della Beata Cerioli, insistendo principalmente sulle sue dovizie interiori che sono le sorgenti luminose e feconde della sua vita operosa. La quale se pure di una tonalità sempre modesta e normale è interiormente fastosa di pregi e massiccia di solide virtù. Tanto vero che la Chiesa ha trovato in lei la rara fortezza della biblica donna, scolpita dalle classiche note dello Spirito Santo, “per premiarla col frutto stesso del suo lavoro, ed esaltarla con la voce 2 delle sue opere dinanzi a tutti” Sac. Emidio Federici 2 Prov. 31 10. 17 Biografie 12 opera omnia CAPITOLO I Primi attori e fattori della presente storia La prima commendatizia di Suor Paola Elisabetta Cerioli è la sua famiglia. Questo, non per dire che la Provvidenza in via d'eccezione non colga a volte buoni frutti anche da alberi meno buoni, e viceversa; ma per rendere subito omaggio alla parola di Gesù, verificatasi in pieno anche qui: da buon ceppo ottimi rami, copiosi e saporosi frutti. Tanto più buoni se all'intimo pregio della linfa aggiunga il lustro esteriore di titoli e blasoni - segni di benemerenze sociali - a cui poi, per migliore splendore, la bontà e la virtù daranno il complemento insuperabile. I coniugi Don Francesco Domenico Cerioli e la contessa Francesca Corniani “i miei rispettabili signori genitori” - li chiamerà sempre così con deferenza la santa figlia - sono appunto due autentici signori lombardi di un secolo indietro. Sol per rispettare l'uso gettiamo appena l'occhio sull'albero genealogico paterno e troviamo che i Cerioli, oriundi del Piemonte, si trasferirono a Soncino verso l'anno 1436. La considerazione ivi goduta è provata dal parentado contratto con la potente famiglia Pallavicino. Difatti si sa che “addì 31 maggio 1475 il duca di Milano insigniva di onorevole diploma con privilegi Cristoforo Cerioli, il cui figlio Gian Francesco sotto gli auspici sovrani sposava Veronica Barbò, unendo 3 così due cospicue famiglie della nostra terra” . Da allora i Cerioli ebbero stabile domicilio a Soncino, ove intrecciarono nomi e rami con le migliori casate del luogo: i conti Covi, Cropello, Azzarelli, Corniani. 3 Storia documentata di Soncino, del conte Francesco Galantino. Vol. I Pag. 190. Biografie 13 opera omnia Dopo la guerra di successione (1740-1748), confermato il possesso della Lombardia alla regina Maria Teresa, figlia di Carlo VI imperatore d'Austria, la regione cessò dal decadere ed ebbe migliorati la legislazione, il sistema tributario, i commerci, l'agricoltura, gli studi. Contro l'abuso dei titoli nobiliari veniva istituito, con reale rescritto del 7 gennaio 1778 da S. M. Imperiale la Regina Maria Teresa, l'imperiale regio tribunale araldico. Tra l'altro si stabiliva che conservassero il titolo nobiliare, con privilegio di usare il “don”, quei nobili, la cui nobiltà fosse antica di almeno quattro secoli, cioè anteriore al 1378; come riuscì a provare don Francesco Domenico Cerioli, padre della nostra Costanza, il quale, per decreto in data 3 ottobre 1780 dell'I. R. Tribunale Araldico, ebbe riconosciuta e 4 confermata la propria nobiltà, con privilegio di usare il “don” . Qui ci fermiamo in ossequio al consiglio dell'Apostolo che esorta a non “perdersi dietro le genealogie inutili e vane, che si 5 presentan meglio a misere controversie che ad edificazione di Dio” . Però dobbiam dire che pel nome dei Cerioli c'è vero motivo di edificarsi, perché erano nobili di buona lega - prettamente lombarda . Ottimi sotto ogni riguardo, eccellenti per un pregio di famiglia ereditato e trasmesso con gelosa cura, ossia una fede cristiana viva ed operante, cosciente e manifesta nel pensiero nelle azioni, nella munifica beneficenza, nelle relazioni sociali. I Cerioli, insomma, era gente integra diritta egregia: uomini e donne di virtù distinta intelligente caratterizzata da quella bontà generosa cordiale dinamica tutta propria se non esclusiva dei figli di questa bella plaga d'Italia. Nella chiesa di S. Bernardino - ora parrocchia - in Villa Campagna, dove erano le loro possessioni al tempo della nostra Costanza, i Cerioli vantavano il titolo di giuspatronato, ed il loro stemma “in muro interiori desuper januam reperitur”; ed ivi trovasi un altare dedicato a S. Antonio, pure di antico patronato dei Cerioli, per il quale “ut constat ex libris conventus, dotem dedit dominus Vincentius Cerioli”. I ricordi della famiglia Cerioli nella pieve di Soncino sono rappresentati da una lapide collocata sul muro di sostegno della cupola, a sinistra di chi guarda l'altare maggiore. Ivi è ricordata la 6 munificenza di un fratello della nostra Costanza, Massimiliano , con 4 5 6 Questo decreto, confermato da Napoleone l e dai governi successivi, si conserva nell'archivio di famiglia da don Giovanni Battista (don Giannino) Cerioli di Soncino, pronipote di Costanza. Timot. I 4 - Tito 3. 9. Morto nel 1849. Biografie 14 opera omnia queste parole: “Massimiliano Cerioli - di Francesco - alla studiosa gioventù Soncinese - legò morendo, benefici e sovvenzioni - e al rifacimento del tempio - troppo angusto - e per antichità rovinato largamente provvide - nobilissimo esempio ai posteri - di ben usate ricchezze - la fabbriceria pose unanime questa lapide - affinché di tanta munificenza non paresse immemore - tutto il paese. MDCCCLXXXVII”. Di tanta munificenza ne sarà poi ben lieta ed emula la santa sorella la quale, nel 1851, benché tutta presa dalle opere dei suoi due cari istituti, cederà alla parrocchia di S. Giacomo un salone attiguo alla sala del cappellano, per ingrandirne l'abitazione 7. Ciò detto, reputiamo più necessario indugiarci nella presentazione dei genitori della nostra eroina. Più che presentarli vorremmo farli conoscere comprenderli, almeno quanto è necessario, per la ragione che essi son qui per la loro parte, non tanto i primi attori quali onorandi genitori di Costanza Cerioli, quanto i fattori della grandezza spirituale della loro ultima figlia. E ci spieghiamo. Occorre comprenderli più che conoscerli, pel fatto che in molte pagine di questo libro essi potrebbero decadere dalla stima del lettore, mentre in realtà essi non sono che gli strumenti qualificati intelligenti e docili assunti dalla Provvidenza, per formare con un metodo poco usato un tipo caratteristico di santità. Che infatti i genitori di Costanza Cerioli fossero autentici ed ottimi signori, esemplarmente cristiani, lo dice la fama che godevano in Soncino. Più che tutto però lo attesta irrefutabilmente un fatto, non insolito del resto per quel tempo: benedetti d'ogni benedizione divina “della rugiada del cielo e della feracità della terra” essi eran ricchi della fecondità più meritoria, sedici figli, tredici maschi e tre femmine 8 , di cui Costanza è il grazioso e prezioso fermaglio apposto dalla compiacenza divina ad una corona di sì eccezionale decoro. 7 8 Dall'archivio parrocchiale di Villa Campagna. Proc. Ord. Summ. 8, paragr. 24. Diamo per ordine di nascita, i nomi dei fratelli e sorelle di Costanza: 1° Cecilia - Caterina. 2° Bartolomeo. 3° Anna – Maria Cecilia. 4° Massimiliano - Francesco. 5° Anna – Maria - Serafina. 6° Maria Stefana. 7° Bartolomeo - Francesco. 8° Giov. Battista - Francesco. 9° Giov. Battista - Francesco. 10° Luig i- Francesco. 11° Caterina - Maria. 12° Carlo - Francesco. 13° Clotilde - Maria. 14° Francesco - Vincenzo. 15° Cecilia - Elisabetta. Alla nascita di Costanza vivevano: Massimiliano - Francesco; Bartolomeo Francesco; Giov. Battista - Francesco; Luigi - Francesco; Caterina - Maria; Cecilia Elisabetta. Alla morte si Suor Paola Elisabetta sopravvissero: Giov. Battista - Francesco e Cecilia - Elisabetta. (dall'albero genealogico della Nobile Famiglia Cerioli). Biografie 15 opera omnia E il nostro insistere nell'elogiarli è indispensabile perché vogliamo preventivamente dar ragione di fatti e cose altrimenti inesplicabili; soprattutto per mettere in giusta luce la loro mentalità, i metodi di pedagogia usati con i figli, particolarmente con l'ultima, che più d'ogni altro c'interessa. Senza di ciò la loro condotta potrebbe sembrare irragionevole poco saggia meno affettuosa, e rievocherebbe penosamente quel tipo di principe - padre nel romanzo dell'immortale Manzoni, che sacrificando la figlia ad una vocazione non sua, lascia di sé una detestabile nota. E ciò non fu assolutamente; né deve dirsi di loro. La verità è che i nobili Cerioli eran gente di quello stampo antico di cui sembra smarrito l'esemplare; cioè cristiani integrali consapevoli dei loro diritti, ma più dei gravi doveri verso la numerosa famiglia composta di figli e figlie servitù operaie di filanda e dipendenti agricoli. Amatissimi della prole - la loro fecondità ne è prova - eran del pari severi e gelosi della loro educazione, preoccupati e non senza ragione almeno per il numero del loro decorso avvenire. Vigilatissimi del vasto patrimonio rappresentato da varie forme di beni - che di quell'avvenire costituiscono la garanzia - vi attendevano a coltivarlo con impegno. A tali concreti e seri fattori si aggiunga il nativo temperamento sodo e scabro di buoni lombardi d'un secolo indietro, e si comprenderà la risolutezza e la disciplina del loro metodo educativo. In essi il sentimento non soverchiava mai il dovere. i figliuoli dovevan crescere robusti di carattere come nel fisico, disabituati alle delicatezze d'ogni genere e nome. Gli ordini andavano eseguiti prontamente, le paterne decisioni accettate senza commenti, come date da senno e da amore. Di ciò non è punto a dubitare, ché lo stesso criterio e lo stesso tono dirigeva le azioni dei figli e dei genitori; tanto era rigido in questi il senso del dovere, proprio perché derivato da un principio di coscienza profondamente sentito. Ad esempio, la mamma - come poi ci dirà la stessa Costanza - era attentissima alla direzione della casa piena di tanta vita. Faceva procedere ogni cosa nell'ordine e nella disciplina, con distribuzione di tempi e d'orari, divisione di doveri e mansioni, per la servitù come per i figli. Questi non li cresceva tra carezze e sorrisi, ma con saggio e provvido amore, cercando di combatterne le prime resistenze, quelle specialmente che sono capricci infantili e schermo ad incipienti passioni. Ai facili disturbi dei giovani pretesto a tante esenzioni soleva rispondere: “Che stomaco, Biografie 16 opera omnia che cuore, che sfinimenti!... i giovani non debbono neppur sapere in che consistano tutti questi mali!” I domestici dovevano obbedire soltanto ai suoi ordini; né potevano intervenire a prestar aiuto nelle mansioni assegnate alle figlie. Ciascuno al suo posto e al suo compito ben definito e preciso, da assolversi in piena coscienza e responsabilità. Di fronte a tale modo di concepire per sé e per gli altri il dovere, era ben naturale che nascesse nei figli un senso di grande rispetto e soggezione - come dirà con parole e fatti la nostra Costanza -; però tale soggezione che potrebbe sconfinare nel timore, era in essi addolcita da un senso di rispettoso amore; sapevano bene da quale alta sorgente di bontà discendevano quei comandi quelle severe riprensioni. Insomma, era per essi la stessa autorità di Dio che attraverso il volere paterno, si manifestava per guidarli sulla via del bene, e del loro migliore bene. Spontaneamente quindi si sottoponevano con cuore fidente e rispettoso. Queste giustificazioni non sono nostre, né arbitrarie. È la stessa Costanza che esalterà col suo dolce e suadente linguaggio la preziosità dell'educazione ricevuta in famiglia. Nonché querelarsi del rigore della mamma gliene sarà sempre grata, ed apprezzando la efficacia di quei metodi, cercherà di riprodurli - filtrati attraverso il calore di una soavissima carità - con le sue stesse figlie spirituali e con le care orfanelle. Soprattutto gli esempi materni non saranno mai dimenticati; né giustificherà commossa la purezza e l'altezza delle intenzioni educative, quasi che la saggezza materna leggesse in Dio le norme della propria pedagogia: doveva esser quella e non altra, proprio perché Iddio voleva così preparare ad un avvenire singolare la sua ultima creatura. La figliuola non poté mai dubitare di ciò specialmente quando si soffermava a considerare l'edificante pietà della mamma. È ben vero che può esistere una mentalità che compone disinvolta bizzarre forme devote - cruccio e croce al prossimo - con una vita che vorrebbe dirsi cristiana; ma questo non era affatto il caso della signora sua madre. In lei la pietà e la pratica di vita domestica erano in tanto evidente armonia da non lasciar verun dubbio della discrezione regolatrice delle proprie relazioni col prossimo. Una sposa una madre su cui grava la responsabilità di tanti doveri non avrebbe neppure il tempo da consacrare a sterili formalismi di devozione; ella invece nel sovrano ordine di tutte le cose, sapeva scandire i tempi del lavoro e della preghiera, le ore di Biografie 17 opera omnia raccoglimento in casa e le visite obbligate alla chiesa. Ogni giorno la pieve di Soncino o la Chiesa di S. Giacomo vedeva l'edificante spettacolo della pia contessa coronato di figli e domestiche, raccolta al suo posto riservato, immersa nei santi colloqui con Dio, a chiedergli lume grazia consiglio per dirigere se stessa e quelle care anime a lei affidate. Lo spirito e la pratica della vita cristiana facevano sempre bella mostra nel suo contegno nelle parole in tutta la sua vita. Ultimo argomento - per noi il più probativo - è il grande spirito di carità che sfolgora nella contessa Cerioli come sua personale prerogativa; tanto che in Soncino e nei dintorni è conosciuta per un sol nome: “la madre dei poveri”. Come supporre la coesistenza di una carità generosa e garbata verso gli estranei e la durezza arcigna e inflessibile con i congiunti? Si sa invece che la carità della contessa Cerioli era fatta di pane di vesti di soccorsi materiali, conditi sempre di tali sorrisi da sembrare che il beneficio riuscisse di maggior conforto a lei che ai beneficati. La carità per i Cerioli è un dovere, un amore di famiglia. Siffatta persuasione deve entrare per tempo a formare la mente e la vita dei figliuoli sino a far loro ritenere il principio che delle copiose sostanze elargite dal Cielo essi non sono gli assoluti padroni, ma i fiduciari i dirigenti amministratori del buon Dio; di guisa che, provveduto il giusto e il necessario alle esigenze al grado della loro vita, essi dovevano nel nome e per amore di Dio distribuire il sopravanzo ai poveri. Di conseguenza: accompagnata dall'una o dall'altra delle figlie oppure da una domestica sulla porta del proprio palazzo e nei più poveri tuguri della borgata o della campagna, la signora contessa appariva come angelo di conforto e di provvidenza; con quanta delizia del Cielo e quale edificazione dei figli è più facile pensarlo che esprimerlo. Non a caso Iddio ha preparato a Costanza questo ambiente di severo culto al dovere e di calda espansione benefica proprio perché le due note tematiche della sua vita che sta per aprirsi dovranno essere il divino volere attuato con eroica obbedienza, e la più intelligente e soave carità effusa su una singolare classe di persone. I Cerioli infine ai giorni della presente storia sono tra le famiglie più rispettabili e rispettate in Soncino, non solo per tutte le ragioni addotte, ma per le vaste relazioni di dipendenza che molti contavano con essi. I loro vasti possedimenti erano popolati da coloni laboriosi e devoti, guidati da fedelissimi fattori. Questi - secondo gli usi cremonesi - si consideravano come persone della famiglia a cui erano Biografie 18 opera omnia attaccatissimi. Dal fattore dipendevano gl'innumerevoli salariati fissi e avventizi che coltivavano le proprietà dei Cerioli. Soltanto a dar un'idea della vastità dell'azienda ricordiamo i nomi dei vari dipendenti da essa. Così i mandriani che si dicevano vaccaro o allevatore a seconda dell'impiego intorno ai bovini. Il cavallante per l'uso e governo dei cavalli; il bifolco per il governo e lavoro dei buoi; il casaro che attendeva al caseificio ed alla custodia dei formaggi; l'irrigatore per l'irrigazione dei terreni. Di più contigua alla casa dei signori c'era una filanda ove si filavano i bozzoli, mentre i bachi si davano a tutti secondo le possibilità della mano d'opera delle famiglie dipendenti. Poi secondo le esigenze delle stagioni, veniva lo stuolo degli operai avventizi. Ai quali s'hanno da aggiungere tutti gli altri mestieri annessi e indispensabili per una perfetta organizzazione agricola, come il fabbro il falegname il calzolaio e il maniscalco i muratori, tutta gente che abitava nelle fattorie dei signori, pei quali erano abitualmente occupati, senza escludere prestazioni ad altre richieste esterne, perché i signori volevano che avessero sempre lavoro per guadagnarsi il sostentamento alla vita. Come il lettore vede, più che una vasta organizzazione qui si ha l'idea di una vera famiglia patriarcale composta di subalterni che si tengono paghi ed onorati di servire in tanto cordiale dipendenza dei signori che son padri più che padroni. Né staremo qui ad elencare e tanto meno a dar conto al lettore delle ricchezze e dei poderi posseduti in Soncino e fuori nel contado dai Cerioli. Basti il dire che appena usciti dalla cittadina, specialmente a Villa Campagna, quasi a perdita d'occhio si potevan subito ammirare nelle vaste pianure circostanti le loro possessioni. È veramente un bel patrimonio, intelligente e coscienziosamente posto al frutto, sempre aumentato in esuberante proporzione dei numerosi eredi e delle copiose beneficenze. In mezzo a siffatta ricca massa di beni c'è pure la porzione di eredità della sedicesima figlia che batte alle porte della vita. Adorabile scherzo della Provvidenza! Quest'ultima porzione congiunta ad altre vistosissime sostanze - per ora ignote ed incomputabili - a traverso arcani sviluppi disposti dal Cielo, che s'inseriranno vitalmente con la presente biografia, dopo appena quarant'anni, diverrà il patrimonio di oscuri orfanelli. Quando Costanza nascerà alla vita intanto il primo dispiegato ai suoi occhi innocenti è proprio quello che porta più vivi i riflessi del Cielo: le belle distese di campi costituenti la sua pingue eredità. Biografie 19 opera omnia Tutte le volte che Gesù ha voluto parlarci del Cielo ha chiesto figure, similitudini e parabole al tralcio, alla vite, al grano, ai fiori, agli alberi, agli uccelli. Costanza Cerioli, in spirito di fede e d'amore, intuirà presto che il suo retaggio nel tempo s'ha da confondere con quello del Cielo: la stessa gleba che dà vino, frumento ed olio al suo babbo, darà anime ed anime al festino del Padre Celeste, per il sacro travaglio del futuro apostolato di lei! Biografie 20 opera omnia CAPITOLO II Dall'alba il giorno Dopo la famiglia la terra ove fiorì. Sulla ridente distesa della pianura bergamasca, Martinengo, Romano, Soncino, con altri paesi si allineano in bella esposizione di edifici, antichi moderni recenti, decorati di tutte le tonalità di verde che li circonda, orlati dai chiari riflessi d'abbondanti acque. Si chiaman borgate; eppure che manca di storia di bellezze di vita per dirle miniature di piccole ma interessanti città? Noi ci arrestiamo a Soncino. Benché situato sulla pianura di Bergamo - da cui dista 44 chilometri - esso appartiene “ab antiquo” alla diocesi di Cremona, come della stessa città dipende amministrativamente. Un bel fiume: l'Oglio; un antico castello sforzesco; due torri campanarie, mozzata l'una, a pinnacolo l'altra; una solenne cupola ottagonale sono i primi rilievi che pur di lontano dicono l'importanza storica religiosa civile artistica di questo bel borgo. I Goti i Longobardi i Comuni le Signorie i Visconti i Veneziani i feudatari i dominatori stranieri, sino agli ultimi eroi della unità italiana, la edificarono la distrussero la riedificarono l'occuparono la difesero per contendersi il possesso di questa borgata, lungo il rispettabile corso di sedici secoli. Noi non ne rifacciamo la storia. Vogliamo solo cogliere gli spunti interessanti al nostro lavoro: le note sacre le glorie religiose. Il solo numero delle chiese in Soncino, esuberante in ragione delle anime, è già molto eloquente. E son bei templi ricchi di storia e di arte. La solenne professione del mistero Biografie 21 opera omnia della SS. ma Trinità, in protesta contro gli eretici ariani, ha il suo 9 memoriale consacrato in un altare della Pieve . Di Santi poi Soncino ne ha dati ed ospitati, e dei più illustri. Per citare soltanto gli eminenti ricordiamo Margherita Stroppeni, detta beata Luchina da Soncino (1430-1495); la beata Stefana Quinzani, terziaria domenicana (1457-1530), sono le due fontane conterranee di Costanza Cerioli che l'hanno preceduta sulla via dell'eroica virtù. Il papa S. Pio V - al secolo fra Michelangelo Ghisleri, - prediligeva Soncino e per tre anni fu priore e parroco della chiesa di S. Giacomo 10 (1547-1550) . Il santo arcivescovo di Milano Carlo Borromeo ha onorato Soncino di sua presenza e l'ha commosso delle sue smaglianti virtù in 11 una visita indimenticata . Una gloria recentissima che portò nella lontana Sassari il candore di una vita santa e l'ardore di uno zelo benefico è il sacerdote Giovanni Manzella dei Signori della Missione, morto in concetto di santo il 23 ottobre 1937. Glorie antiche intrecciate alle più recenti e novissime, attestano bene il profondo senso della fede e della pratica cristiana d'un popolo a cui Iddio non cessa di regalare anime di elezione; e dànno buon motivo all'agiografo di affermare che la terra ove immerge le radici l'albero dei Cerioli è buona forte ferace anche nel senso più alto e soprannaturale. Da questo campo superbo di fiori e frutti germogliò in bellezza di vita e di opere colei del cui nome s'adorna la fronte di questo libro. Ecco intanto l'attestato del suo ingresso alla vita terrena e celeste: “La nobile Costanza Onorata Cerioli, figlia dei legittimi coniugi nobile Francesco e Francesca Corniani è nata in questa 9 10 11 La chiesa primitiva di Soncino era dedicata alla SS. ma Trinità: mistero effigiato sul palazzo del comune in una pittura raffigurante la Triade augustissima che incorona la beata Vergine Maria. Nella chiesa della pieve, il secondo altare a destra di chi entra è dedicato alla SS. ma Trinità. Nel pilastro di fronte si legge questa epigrafe: Reiecta ariana haeres. - Et fide orthodoxa amplexa - Deo Trino et Uni Soncinensis populus - priman hanc aram erexit - anno MDLXX. Dell'antica cappella si conserva tuttora l'affresco (m. 1, 20 x 1, 10) staccato dal muro e messo in quadro, situato nella navata di fronte. Rappresenta - secondo l'antica figurazione, ora abolita - tre figure identiche di persone dell'aspetto ed età di Gesù Cristo. L'affresco l'iscrizione l'altare testimoniano la devozione del popolo Soncinese alla SS. ma trinità, devozione sorta come reazione e protesta contro l'eresia ariana. Don Pietro De-Micheli, “La beata Stefana Quinzani” Memorie e documenti pp. 810. Giovanni Rossi, “I gloriosi fasti di Soncino”. Biografie 22 opera omnia parrocchia di S. Maria Assunta in Soncino, addì ventotto gennaio 1816, e nello stesso giorno battezzata” 12 Per la sedicesima volta s'è rinnovata così la gioia meritoria e meritata dei pii signori Cerioli che in collaborazione col Cielo hanno aperto le porte della vita all'ultima creatura, la prima gemma della loro corona, il più bel decoro del loro illustre nome. Però questa gioia minaccia di tramutarsi in pianto. Sembra che la neonata voglia tornarsene là donde è venuta. Perciò le viene subito amministrata l'acqua battesimale. Il documento citato, nella sua laconicità, lo dice chiaro. Un attimo di dolorosa sospensione sopra la sua culla. Sarà la vita o la morte? La fede e le cure degli amorosi parenti strapparono alla spietata falce il fragile fiore, che lentamente faticosamente rialzò la bianca corolla e proseguì il cammino nell'esilio. Chi la trattenne quaggiù? Pensiamo le suppliche degli angeli custodi d'innumerevoli innocenti che han da legare la loro vita di lei. Otto giorni dopo - il 2 febbraio, Purificazione della Santa Vergine - sulla neonata furono supplite preci e cerimonie, complemento del santo battesimo 13. Dopo di ciò: cure e preghiere, silenzio e lacune di dati e di date. Nessuna meraviglia. Ove non intervenga il Cielo con eccezionali, la prima infanzia di tutti gli uomini - anche santi e geni è per tutti uguale senza rilievi, costantemente. Nessuno di quanti circondano questa culla sospetterebbe l'alto destino della neonata. Anzi dai segni esteriori i pronostici non si direbbero felici. La bambina è gracile debole, presenta una leggera deviazione scheletrica, ha un impercettibile vizio cardiaco che crescendo con gli anni la farà soffrire e le darà morte prematura. I suoi dubitano persino se resterà a lungo quaggiù. Comunque la bambina vegliata curata con intelligente amore, accenna a non morire, e - come tutti i bambini - passa nel più greve silenzio il comune periodo della primissima infanzia: si nutre dorme vegeta e cresce. 12 13 Prop. Ap. Doc. N. VII - Foglio 472 tergo in fine. Dal Registro dei Nati della Parrocchia di S. Maria Assunta in Soncino, alla pagina 224, n. 8 si legge: “Anno del Signore 1816, giorno 2 febbraio. Io Francesco Chiodelli, arciprete, Vicario-foraneo di questa plebana arcipresbiterale nell'insigne paese di Soncino, supplii le preci sacre e le cerimonie ecclesiastiche sopra l'infante nata il 28 gennaio p. p. dai nobili Signori Francesco Cerioli e Francesca Corniani, sposi di questa parrocchia, cui imposi il nome di Costanza Onorata, la quale già battezzai in casa appena nata, per pericolo imminente di morte. Fu padrino il Signor Conte Giorgio Corniani... ”. Biografie 23 opera omnia Ma quando arriverà il giorno in cui i piccoli occhi s'accenderanno dei bagliori dell'anima sarà una festa: i primi sorrisi d'amore i primi segni d'intelligenza in lei saranno semplicemente un incanto; e bisognerà amarla seguirla dietro i suoi piccoli passi, attratti dalle sue grazie interessarsi di tutto che la riguardi. E qui ci correggiamo subito dicendo che nella prima infanzia di Costanza Cerioli, a differenza degli altri bambini, una nota di rilievo c'è, ed è proprio qui in uno scompenso arcano - eppure tanto evidente - scompenso che ingrandirà coi giorni e dominerà tutta la sua esistenza: lo squilibrio cioè tra il fisico debole delicato e sofferente, ed uno spirito che si annunzia vivo aperto intelligente amabilissimo. E ci sarà pur sempre il contrasto tra l'aura d'umana felicità sotto ogni rapporto piena che quasi dorata atmosfera circonda la sua culla, e il misterioso fascio di spine gettato dalla mano di Dio, e subito, dentro la sua culla stessa. Perché? Noi non troviamo una ragione se non in un alto e per ora arcano disegno, che prepara di lontano quest'anima alla sua bella grande predestinazione, proprio perché porta il regale segno di Cristo, gloria e retaggio dei santi: la Croce. E non sarà questa la prima dissonanza o l'unica nota di dolore nella presente vita; ne incontreremo altre ben più gravi. Per ora ci limitiamo a preannunciare quella che dà tono e modulazione a tutti i giorni del non lungo esilio di Costanza Cerioli. Ascoltiamo intanto i testimoni dell'infanzia di lei i quali rilevano con noi contrasto e lo mettono in evidenza. “Dalla natura ebbe un corpo debole, delicato ed un poco curvo; ma le doti dell'anima compensarono ad usura questi difetti fisici. Non appena spuntarono in lei i primi albori della ragione, manifestò prontamente un carattere generoso, intraprendente, schietto e gioviale, sensibile assai, benché alquanto timido, e non tardarono a mostrarsi i germi d'incipienti virtù, un'apertura di cuore visibile dal volto, un indole duttile, maneggevole, un'amorosa soggezione ai maggiori, una dolcezza di tratto con tutti, un'inclinazione spiccata alla devozione, al raccoglimento” 14. Da questi tratti forniti dal primo biografo, abbiamo scorci eloquenti ed esaurienti a riempire le lacune che generalmente si notano nell'infanzia di ogni uomo. E più, abbiamo fondati motivi a trarre auspici per l'avvenire di questa creatura. Come si vede c'è buon materiale perché la grazia e la collaborazione umana producano una 14 Sac. Paolo Merati. Biogr. Cap. I - 9. 10. Biografie 24 opera omnia vera santa. Col progredire degli anni le belle qualità di Costanza si preannunzieranno sempre meglio e s'imporranno all'ammirazione, all'amore dei familiari15. Però la nota distinta e dominante è “un'indole dolcissima, tanto che tutti l'avevano così cara da darle l'appellativo di angelo” 16. Di solito i bambini sviluppando manifestano subito le tendenze meno buone - eredità della povera natura umana originariamente malata - i capricci le bizze le piccole rivolte imposte con strepiti e lacrime, sicuri sintomi delle future passioni che non corrette degenerano in vizi. Caso eccezionale qui - per comune attestazione di chi la vide troviamo il fenomeno opposto: la piccola Costanza manifesta tendenza alle cose migliori; tendenza che gli anni e la coscienza discrezionale del bene e del male perfezioneranno moderando e correggendo quel che in lei doveva pur esserci di meno buono. E poi sopraggiunta la guida esteriore di una sana educazione e di edificanti esempi, associati agli ausili della grazia fomentata della vita devota, dato l'impulso da un santo anelito verso il migliore e l'ottimo, tutte queste prime disposizioni si tramuteranno in solide virtù. Per il momento sono tutte in fiore; presto baciate dal calore del Cielo si apriranno in dolcissimi frutti. Come si vede il lavoro santificante della grazia ha cominciato sin dall'alba della vita le sue sante operazioni di abbellimento in quest'anima per disporla alle varie opposte difficili situazioni future. Difficili, soprattutto. A questo lavoro Iddio chiama subito a collaboratrice la mamma di Costanza. Ottima e saggia quale noi la conosciamo, ella, inconsapevolmente, è la mano ferma ed energica - diremmo quasi severa e dura - con cui il Signore vuol lavorare lo spirito eletto di Costanza Cerioli. Sul momento non si dà la ragione di questo singolare trattamento; però la troveremo in appresso; intanto conviene dire che anche tale nota di rigore e di precoce allenamento al patire è infallibile segno della bella predestinazione di questa creatura. La sua futura vocazione d'amore e di dolore è tutta qui in embrione: le sofferenze fisiche visibili nella precarietà della sua salute, il contegno della mamma, le varie prove della vita che metteranno in crogiuolo le più belle virtù, quali l'obbedienza la 15 16 Proc. Ap. Suppl. Summ. N. III, paragr. 40. Proc. Ap. Suppl. Summ. N. III, paragr. 49 e 57. Biografie 25 opera omnia pazienza la carità l'umiltà, dicono già e diranno meglio che la nostra non è una mera congettura, ma una realtà controllata e confermata dagli eventi. Per ora Costanza è un angelo di spirito e di aspetto, dal sorriso velato di profonda e consapevole serenità, indice non tanto di pena, quanto della cosciente percezione di un bel destino a cui Iddio chiamerà anche lei, come chiamò e chiama sempre gli amici suoi più cari e prediletti. Senza ciò, come la futura Madre degli orfanelli rurali potrà affinare il proprio amore per tali creature, se ella stessa non porta nel corpo i segni del dolore? Come potrà apprezzare la gioia di un sorriso regalato ai piccoli, se ella sin dall'infanzia non avesse centellinata la pena di averlo invocato e ricevuto dosato di rigida severità? Come prodigherà generosa agli altri le proprie sostanze materiali, se ella fosse cresciuta mangiando tra gli agi pane insipido di gioie e vuoto d'ogni dolcezza? Non ci sembra intanto d'interesse il rilevare la diligente preoccupazione della contessa Cerioli nel provvedere subito alla cristiana educazione dell’ultima figlia. Volle da se stessa istillare nel piccolo cuore i germi della pietà il gusto della preghiera l'amore al sacrificio alla mortificazione, l'inclinazione al compatimento verso i poverelli. Fuori di ciò, per conchiudere il presente capitolo, ripetiamo che per la prima infanzia di Costanza Cerioli non ci sono altri fatti o testimonianze di rilievo per quanto noi le abbiamo cercate. Però c'è tutto per dire che ella porta già nella carne e nel cuore i segni della sua predestinazione. Nella carne, il male fisico che le darà dolore. Il male dello spirito - anch'esso un morbo al dir di S. Francesco di Sales - le risiede proprio nel cuore, ed è l'amore: amore di Dio e del prossimo che le sarà vita, e darà vita ad opere belle di virtù e di bene. Biografie 26 opera omnia CAPITOLO III Il primo tirocinio alla vita La piccola cresce. È giunta a quell'età ove il fanciullo coi suoi semplici ma logici raziocini comincia a divenir responsabile dei propri atti. Nel fanciullo occorre distinguere ciò che è istintivo da ciò che è riflesso. Il primo prorompe dalla natura, in tutti ugualmente ferita e proclive al male; la riflessione invece, sorretta da un principio superiore e disciplinata da tempestiva e razionale educazione, viene lentamente formando il fanciullo, incide in lui netto il carattere e gli dà la sua coscienza. D'istintivo nella nostra Costanza c'è poco. Il suo stato fisico mortifica e modifica le tendenze meno buone per renderla spontaneamente duttile come cera al dovere al bene alla virtù. La sua “dolcissima indole” nella comune deposizione dei testimoni può avere questa naturale spiegazione 17. Inoltre, le inclinazioni sue particolari manifestate nella fanciullezza si rivelano insolite, se non rare. Non cerca i balocchi, non ama i sollazzi rumorosi, sembra persino sfuggire la compagnia dei fratellini. “Vedevasi invece la bambina raccogliersi da sola in qualche angolo del palazzo paterno tutta intenta a sfogliare libri di pietà, a rimirare devote immagini. E quando era condotta in chiesa o invitata alla preghiera nonché mostrar ritrosia (come spesso accade nei fanciulli) si vedeva tutta giuliva in volto, tanto che destava stupore; né era di minor meraviglia la sua contentezza nel fermarsi 17 Proc. Ap. Suppl. N. III, paragr. 57. Biografie 27 opera omnia lungamente nella casa di Dio ed il fervore col quale trascorreva quel tempo... 18. Ed ancora: “Era notevole per la sua devozione e per l'amore al ritiro ed alla chiesa; quando la cameriera ve la conduceva, anche se lasciata a lungo sola, se ne stava composta ed a mani giunte, gli occhi fissi al tabernacolo ed alla Madonna. Richiamata dalla cameriera si moveva subito” 19. Un altro teste aggiunge: “Sin dalla tenera età dimostrava inclinazione alle opere di pietà, e tante volte fu trovata inginocchiata innanzi a qualche immagine sacra” 20. Sì belle disposizioni non possono attribuirsi se non alle mozioni interne dello spirito Santo il quale sostituisce nel cuore della fanciulla all'amore degli svaghi spensierati il trasporto e l'attrazione verso cose che sono le più serie e le più alte, al disopra di tutte le cose serie umane. Che una bambina anziché intrattenersi con i compagni d'età e di trastulli preferisca starsene sola a recitar preghiere; anziché sollazzarsi con balocchi e bambole le piaccia rimirare a lungo immagini sacre, ciò indica una speciale inclinazione a tali cose, in cui il soffermarsi riesce difficile anche agli adulti; ciò dice che la consuetudine con Dio la interessa più di ogni altra cosa; anzi, sembra che Egli già parli al suo piccolo cuore e le sacre immagini par che dicano alla sua intelligenza assai più che non tutte le impressioni che possano lasciarvi le altre cose; e di ciò ella è contenta si quieta e si mostra felice. Tutto questo è sorprendente. Gli atti riflessi che sono sempre legati all'azione o reazione dell'anima per uniformarsi alla legge superiore per piegarsi alla disciplina educatrice di chi la guida tengono la piccola Costanza sempre vigilante su se stessa, per operare giusto adempiere il dovere ornarsi di virtù. Ella sa tanto bene - perché l'esempio vivo dei suoi glielo insegna più d'ogni parola - che al di sopra del babbo e della mamma, da lei amati e rispettati, c'è un altro Padre a cui deve la prima obbedienza; sopra le sanzioni di premio o di castigo - che possono anche eludersi c'è la compiacenza o la riprovazione di Colui che sa leggere persino nel nostro cuore. Con siffatti principi Costanza non può operare 18 19 20 P. Merati - Biog. Cap. I 10. Proc. Ap. Suppl. Summ. N. III, paragr. 12. Proc. Ap. Suppl. Summ. N. III, paragr. 50. Biografie 28 opera omnia diversamente da quello che tutti vedono. “Nessuno mai osservò in lei una minima disobbedienza; obbediva persino alla cameriera” 21. Poi sopravviene l'opera educativa immediata della mamma. Della perfetta ortodossia dei suoi insegnamenti circa il dovere la virtù la pietà non c'è da dubitare: i suoi esempi che valgono più degli insegnamenti ne sono garanzia. Quello che piuttosto in lei sorprende è la psicologia nel metodo, lo stile adoperato per insegnare. Lo ripetiamo: il suo è uno stile senza dolcezze, anzi severo spesso duro, e - questo va sottolineato - usato particolarmente e quasi esclusivamente con la piccola Costanza. La ragione di tale singolarità di trattamento non si saprebbe dare. Eppure Costanza è l'ultima figlia; per tutti ella dovrebbe essere la beniamina; è possibile che non lo sia proprio per i genitori? Alcuni vorrebbero attribuire un tal genere di pedagogia al carattere piuttosto timido della fanciulla che si voleva scuotere; altri alla sua stessa gracile complessione 22. Ciò non è ammissibile per l'onore e la stima che abbiamo dei genitori. Se mai, avrebbe dovuto piegarli a particolare tenerezza verso la piccola innocente e sofferente creatura. Comunque sia, per Costanza c'è una disciplina di maggior rigore: si abitui al patire e al rinunziare alla propria volontà! I testi che deposero nel Processo Apostolico dicono chiaramente: “È da notare che Costanza veniva trattata più severamente dalla madre, a differenza degli altri figli” 23. “La mia signora madre - confessa la stessa Costanza - mi faceva molta soggezione, per questo io non osavo accusare i frequenti dolori che la mia debole costituzione soffriva, perciò alle volte soffrivo molto senza che altri se ne accorgessero”24. “Essa poi mi diceva - è la Madre Corti che riferisce - che soffriva molto il freddo, specialmente ai piedi, tanto che le si formavano delle piaghe profonde; ma essa non lo manifestava per timidezza e per spirito di mortificazione, essendo stata educata sin da fanciulletta ed abituata dalla madre a trascurare i piccoli mali. E sua madre si mostrava più buona con le altre sorelle e con lei più rigorosa” 25. 21 22 23 24 25 Proc. Ap. Suppl. Summ. N. III, paragr. 12. 40. 41. Proc. Ap. Suppl. Summ. N. III, paragr. 28. Proc. Ap. Suppl. Summ. N. III, paragr. 3. 12. P. Merati - Biografia Cap. I, p. 12. Proc. Ap. Suppl. Summ. N. III, paragr. 71 - 72. Biografie 29 opera omnia Difatti “non le dava mai veruna contentezza, ma l'aveva assuefatta a tutto” 26. E Costanza dolcissima docilissima in ogni cosa, non si adontava mai, obbediva sempre, anche quando il comando le costava assai. Ad esempio: aveva grande timore di andare da sola per la casa nelle ore notturne; la prendeva un tremito generale, con tal violento battito di cuore, che a stento poteva salire le scale; ma quando per qualsiasi motivo ciò le fosse stato imposto, vinceva la naturale ritrosia e andava senza far lamento, senza proferire una parola. Per quanto si sentisse affaticata, o le venissero meno le forze per la sua delicata complessione, non trasgredì mai l'ordine materno che vietava di servirsi della domestica nel disbrigo delle faccende a lei assegnate. Così ella doveva attendere alla pulizia della propria stanza, rassettare il letto, infine provvedere a se stessa per quanto riguardava la sua persona 27. Di tutto questo nessuna querela, mai. Il suo volto composto sempre a sorridente serenità, il tratto affabile e grazioso con tutti, nascondeva gli sforzi interiori che doveva pur fare per eseguire sopra le proprie forze gli ordini materni. E non possiamo dire quanto il suo virtuoso contegno, risultato da tanto interno rinnegamento la rendessero amabile e cara oltre ogni dire, a tutti: ai fratelli alle sorelle alle operaie della filanda agli stessi domestici che le erano affezionatissimi, per vedersi da lei sempre risparmiati, rispettati al punto che se doveva rivolgersi ad essi per qualche necessità lo faceva con un tono così umile e modesto che sembrava richiederli di un favore 28. Quando sarà avanti nella vita la nostra Costanza, divenuta a sua volta Madre e responsabile di numerosa famiglia spirituale da condurre non pure sulla via del dovere ma su quella più ardua della perfezione, ricorderà con sommo rispetto ed alte lodi i metodi pedagogici della sua genitrice per riconoscerli ottimi ed efficaci. Alle sue orfanelle poi, con le quali sarà una tenerissima madre, per vincere le loro ritrosie ripeterà sorridente e dolce: “Qui ci vorrebbe la mia signora madre che all'udire i giovani parlar di dolori tagliava corto dicendo: - Che stomaco, che cuore, che svenimenti! Le giovani non debbono neppur conoscere in che consistano tutti questi mali”. Con ciò non vogliamo affermare che i metodi educativi della contessa Cerioli fossero da approvarsi incondizionatamente; né ci 26 27 28 Proc. Ord. Summ. N. III, paragr. 2. Proc. Ap. Suppl. Summ. N. III, paragr. 29. P. Merati. Biogr. Cap. I, pag. 13. Biografie 30 opera omnia sentiremmo di sottoscrivere le sue drastiche ricette per guarire tutti i mali, anche quelli reali, nei suoi giovani figli. Tanto più che storicamente risulta che Costanza s'era ben avveduta del diverso trattamento usato e riservato soltanto a lei. Se la sua eroica virtù le ha fatto dissimulare sotto i più dolci sorrisi e in assoluto silenzio questa dolorosa constatazione, noi l'ammiriamo. Maggiormente però è d'ammirarsi quando, uscendo dal suo riserbo ella ne dà la ragione: escludendo ogni motivo di mal animo o di parzialità; attribuisce il contegno materno ad una sola inappellabile causa: “era disposizione della Divina Provvidenza” 29. Queste preziose parole abbiamo voluto cogliere dallo stesso labbro della santa fanciulla onde i lettori si persuadano che quanto di penoso e duro andiamo narrando in queste pagine non è imputabile agli onorandi genitori della bambina: essi eseguono a puntino un ordine sapientemente amorosamente ispirato. Tutto è disposizione di Dio! Non potrebbe darsi ragione più persuasiva e consolante di questa; qualunque altra sarebbe un pietoso ripiego che non giustificherebbe la madre, e non deporrebbe in favore della figlia. E infatti supposta la indiscussa e saggia bontà della contessa, esclusa assolutamente l'indole bisbetica o difficile - spesso causa involontaria del soffrire altrui - riconosciuto che il carattere e le virtù della figlia dovevano se mai provocare un contegno opposto da parte della madre, non resta che ammettere una ragione la quale trascenda dai confini umani, e risalga ad una disposizione divina arcana, incomprensibile a noi in questo momento, ma che sfolgorerà poi nella sua piena luce di bontà e di amore. Tutto ciò conferma preventivamente il pronostico già dato e cioè che Costanza sarà una santa ed una grande santa, perché il comportamento divino con lei sin dai suoi più teneri anni è quello che usa coi santi: il modo energico risoluto e forte. Non è insolito, anzi è stile divino, suscitare intorno ai suoi amici più buoni e fedeli incomprensioni persecuzioni lotte caratteristiche, provenienti da persone di cui non si potrebbe mai dubitare, e dalle quali non potrebbe mai venire tanto incomprensibili opposizioni; da quel genere di persone cioè, che S. Teresa chiama “le persone dabbene”. Qui però noi ci troviamo di fronte a un caso del tutto nuovo. La “persona dabbene” che si oppone alla nostra fanciulla non è un estraneo, neppure un amico ma il più prossimo il più caro dei congiunti: la madre. Qui non solo non si danno motivi estrinseci di 29 Proc. Ap. Summ. N. IV, paragr. 7. Biografie 31 opera omnia resistenze di difetti o contese; ma è l'opposto che si verifica: Costanza è una figliuola innocente buona dolcissima degna sopra gli altri fratelli di riguardi perché malata e di predilezione perché più buona. Necessariamente dobbiamo inferire che la rigida condotta materna a suo riguardo non può essere che una permissione di Dio per tutti gl'inscrutabili scopi che Egli prevede, e da cui seguiranno insospettate bellezze e grandezze. Non diciamo che Iddio voglia già cominciare così il lavoro di cesello in quest'anima tanto tenera di anni che dev'essere ancora formata alla vita quotidiana e trasformata dalla perfezione più alta nel chiostro; ciò sarebbe prematuro. Ma che Iddio la inizi così presto al tirocinio più arduo e duro della vita che l'attende, con sacrifici prove e sofferenze ardue e dure, sì, ciò è più logico, più spontaneo ed ammirabile. Senza dir nulla dei meriti che la pia fanciulla va intanto accumulando per guadagnarsi con le divine compiacenze la effusione di maggiori e migliori grazie. Questo lo riteniamo per certo, indiscutibilmente consolante. E se per caso si fosse domandato alla contessa Cerioli la ragione di questa sua singolare condotta verso la più buona e la più cara delle sue figlie, ella - ne siamo sicuri - persuasa di tutte le buone ragioni sopra esposte, avrebbe risposto coscienziosamente, come era suo stile, nel modo più semplice e sincero che ella doveva fare così; sentiva che quella e non diversa doveva essere la educazione da impartirsi alla sua Costanza. Che la sua pedagogia potesse essere suscettibile di mitigazione e addolcita l'avrebbe pure concesso; ma che ella compisse così il suo dovere era per lei indubitabile. E continuerà nel suo metodo ispirato sino alla fine. Così da un elegante e comune caso di erronea ma certa coscienza risulta la giustificazione per le “persone dabbene” che fanno soffrire i santi; e l'amorosa Provvidenza del Cielo ne trae l'incruento martirio di anime generose destinate ai più alti vertici della gloria. Costanza Cerioli ha asceso il primo gradino della scala, della vita, segnandola dei suoi sacrifici delle sue rinunzie delle sue dedizioni; ma in cima ad essa troverà il premio proporzionato ai suoi meriti, degno della munificenza di Chi l'ha invitata a salirla e degna di lei che ilare e docile l'ha salita. Biografie 32 opera omnia CAPITOLO IV Gli ausili celesti A corroborare le eccellenti disposizioni e i virtuosi allenamenti dell'innocente creatura non mancano che gli ausili celesti, profferti dalla divina bontà per mezzo dei sacramenti. Conforto indispensabile a tutti; tanto più alle creature di vivo intelletto e di aperto cuore che possono soppesarne il valore e l'efficacia, e quindi più acuto e incontenibile ne sentono il bisogno. Costanza può catalogarsi in quel genere di anime precoci cui l'esperienza nel patire dona la sensibilità percettiva dello spirito la generosità e l'ampiezza del cuore. Queste sue qualità come la fanno vuotare di quanto possiede di meglio, così esigono che si riempia dell'ottimo, che si nutra del divino, sia per esser più forte al combattimento, come per affinare sempre più la propria perfezione, e per consolarsi ancora. Perché la creatura anche la più generosa e robusta non resiste ad un esercizio eroico che è fuori del normale, senza il conforto divino che la sorregga col contatto vivo e vitale della grazia. Tale contatto lo stabiliscono i sacramenti di Gesù tempestivamente amministrati sin dagli albori della vita, a rendere l'uomo tetragono al male, forte nella lotta e sorridente nel dolore. Ottenne appena, previe le istruzioni impartite dalla mamma, Costanza si presenta la prima volta al sacramento della Penitenza. Nella vita di ogni cristiano, e più dei santi, si sottolinea in genere una data: la prima Comunione. Tenuto nella doverosa considerazione questo memorando avvenimento - quando arriverà il suo giorno - per la nostra Costanza si deve dire in più che la sua prima abluzione nel lavacro misericordioso della Penitenza, incise non solo una data indimenticabile nella sua vita, ma segnò l'inizio di un periodo nuovo Biografie 33 opera omnia di ascesa spirituale, tanto che ella ne ha avuto sempre presente le emozioni e le ha ricordate a sé ed agli altri, onde fosse tenuto nel giusto pregio l'efficacia e la necessità di questo grande mezzo di salute. Per la prima confessione di Costanza la contessa madre impedita dalle cure domestiche affidò la piccina ad una donna assidua della casa, affinché l'accompagnasse alla chiesa per l'importante atto. L'anonima accompagnatrice ha detto che Costanza si accostò a questo Sacramento “così compresa dell'azione che andava a compiere, e con tali sentimenti, che ella pensò essere stata la fanciullina guidata in modo particolare dallo Spirito di Dio”30. Altri disse: “Costanza si accostò al sacramento della Penitenza . ed ha pianto per il dolore dei suoi peccati”31 Un terzo testimonio riferisce: “All'età di otto anni fu ammessa per la prima volta al sacramento della Penitenza, cui si accostò con tali sentimenti di umiltà e di dolore da meravigliare gli stessi familiari, i quali non sapevano rendersi conto come mai una bambina così docile 32 obbediente e modesta potesse sentirsi gravata di colpa” . I testimoni non presero abbaglio sul fatto delle lacrime; forse non ne compresero l'alta misteriosa fonte. Costanza ha sentito così vivo dolore che pianse. Non è a pensare ad un temperamento scrupoloso. D'intelligenza aperta qual era, e sodamente istruita nelle verità religiose, non poteva avere ansie o dubbi di sorta. Le sue lacrime erompono da altra sorgente; sin d'allora concepì questo sacramento quale esso è nella sua istituzione e nei suoi effetti: un fiume misericordioso a cui ci si deve accostare con amore e con gioia, più che tremando. Con amore verso il divino Autore che lo trasse dal proprio seno ad irrorare e purificare le anime dei suoi figli; con amore verso noi stessi perché lavati da quest'onda santissima, costituita dal Sangue Prezioso di Gesù, noi peccatori ci rinnoviamo e ci abbelliamo tanto da attrarre le divine compiacenze sopra la nostra miseria. I santi, poi, innocenti e puri quali sono -, e la nostra Costanza per la sua età e virtù non poteva rimproverarsi veruna colpa grave - se piangono nell'accostarsi a questo Sacramento, lo fanno con vero motivo: in proporzione cioè di quanto essi conoscono delle bellezze e perfezioni divine, al cui riflesso una colpa veniale è enorme deformità; in proporzione della copia delle grazie ricevute, per le 30 31 32 P. Merati. Biografia Cap. I, paragr. 10. Proc. Ap. Suppl. Summ. N. III, paragr. 12. Proc. Ap. Suppl. Summ. N. III, paragr. 27. Biografie 34 opera omnia quali essi dovrebbero ardere di pura carità, invece hanno osato offendere - sia pure venialmente - una bontà infinita. Per questo ha pianto Costanza Cerioli a otto anni sui gradini del confessionale, proprio come vi cadde in deliquio di dolore il suo quasi coetaneo l'angelico Luigi Gonzaga. Ma ha pianto anche di contento - come ella dirà -. Bisogna ben crederlo: questa fanciulletta è già molto innanzi nella comprensione dell'amor di Dio. La compunzione e il dolore nel suo spirito non prevalsero mai sulla confidenza e la gioia, perché sapeva bene a qual Cuore ella si accostava: la stessa sorgente della clemenza e della pietà. I suoi sentimenti di quel giorno furono i sentimenti di tutta la vita, ed ogni volta che si accosterà a questo Sacramento, dirà a chi l'accompagna: “Quando vado al confessionale mi sento tanta confidenza nella grande bontà di Dio; m'immagino di essere sul monte Calvario vicino a Maria Addolorata, e qui, prostrata ai piedi della santa Croce, che ancor gronda sangue del mio Salvatore, confesso i miei peccati; e quando parla il confessore mi immagino che Dio stesso dalla Croce mi parli; nel mentre poi mi assolve, oh! allora dico: Ecco il Sangue preziosissimo che si versa sull'anima mia, e perciò ne provo tanto contento, che mi sembra di volare, e sento che ho più lena per 33 cominciare a far bene” . Dalla data della prima confessione prese l'abitudine di confessarsi ogni settimana; e quando arriverà quel turno, le si vedrà in volto un'insolita letizia, e si udirà ripetere costantemente: “Oggi è giorno di confessione, dobbiamo gioire perché oggi è buono il Signore! che grazia è mai stata l'istituzione di questo Sacramento, ove 34 ci si riconcilia con Dio e si purifica l'anima” . Insegnerà poi alle sue religiose ad apparecchiarvi degnamente le orfanelle, “senza scrupoli e senza vani timori” ma a far conoscere sempre meglio la bontà misericordiosa del Signore. Il suo zelo la porterà sino a stendere un piccolo opuscolo dal titolo: “Modo di apparecchiare le ragazze alla confessione” un trattatello piano e pratico che rivela tutta la profonda e viva penetrazione che ella ebbe 35 della divina Bontà in questo Sacramento! . Verosimilmente, a poca distanza dalla prima confessione, vennero la Cresima e la prima Comunione. Le date ci mancano; però le supponiamo vicine; benché l'uso del tempo fosse di eccessivo 33 34 35 Proc. Ap. Suppl. Summ. Vita paragr. 281. 282. Proc. Ap. Suppl. Summ. Vita paragr. 308. 380. Proc. Ap. Summ. Vita paragr. 300. Biografie 35 opera omnia rigore a riguardo della comunione. Intorno ai dieci anni Costanza Cerioli - è certo - ha ospitato la prima volta Gesù nel suo cuore. In quel giorno toccò il cielo per la gioia. Con quale anelito si preparò alla prima festa dell'anima! Una diligente preparazione catechistica, un austero raccoglimento, un industrioso abbellirsi di atti virtuosi generosi, di sacrifici insomma per rendere più ricca e lieta la dimora all'Ospite desideratissimo. E come esultò alla venuta del suo Signore! Ecco una testimonianza: “Quando alla prima Comunione so che vi si preparò ed accostò con pietà straordinaria. Fu ammirata al suo ritorno dall'altare con le mani incrociate sul petto tutta compresa di quel che vi stringeva... pareva un angelo!... e tutto il giorno se ne stette ritirata e raccolta... le mamme stesse in quell'occasione 36 additavano la contessina ad esempio ai loro figliuoli” . Alla buona confidente M. Luigia Corti, più tardi assai ricorderà 37 la celeste consolazione di quel giorno, e la definirà “straordinaria” . Alle consolazioni interiori e straordinarie si proporzioneranno infatti gli effetti esterni, pur così commoventi e a tutti visibili. La pietà la virtù ne ebbero tale impulso da salire ad un grado veramente alto. A proposito della prima e delle seguenti comunioni c'è un dettaglio degno di nota, indice luminoso della comprensione spirituale della figliuola. Parecchi testimoni riferiscono che in quel giorno di ritorno dalla chiesa, - altri dicono tutti i giorni che faceva la comunione - la contessa madre a completare la gioia gustata all'altare, aveva preparato una buona colazione in cui - fuori del consueto - era servito del caffè e cioccolato. Costanza nel suo candido vestimento di neo comunicata, giunta dinanzi a questo secondo banchetto, sempre attrazione dei piccoli per le ghiottonerie che presenta, chiede con bel garbo alla signora madre di esserne dispensata, preferendo offrire subito a Gesù quel piccolo sacrificio, e ritirarsi nella propria camera a protrarre le delizie del suo colloquio con Lui. Così delicato squisito pensiero non fu soltanto l'offerta della prima Comunione, ma il dono consueto di tutti i giorni in cui le verrà concesso di accostarsi al banchetto eucaristico. Saranno pochi quei giorni - secondo l'uso del tempo -; ma ella li contrassegnerà tutti di questa particolare attenzione: quasi che il gusto del Pane Celeste attutisse in lei il desiderio del pane d'ogni giorno; saltava assolutamente la colazione e 36 37 Proc. Ap. Summ. Vita paragr. 30 e 31. Proc. Ap. Suppl. Summ. N. III, p. 70. Biografie 36 opera omnia si ritirava da sola a sola col divino Ospite38. Il suo ritiro si protraeva tanto, sino al possibile concessole dalle abituali occupazioni volute dalla mamma; le altre non necessarie o di puro svago eran contratte o soppresse completamente per concedersi tutta a Gesù. Difatti Costanza negli altri giorni si recava volentieri alla filanda del babbo, contigua al palazzo, per parlare di cose edificanti alle giovani operaie; e queste avevano imparato a distinguere i giorni di comunione per la contessina, perché in quel giorno non la 39 vedevano in mezzo a loro . Da tutto ciò viene spontaneo il pensare che la Vittima eucaristica le abbia additato tra le vie belle della perfezione quella regale e sicura del sacrificio. La sua sosta - sia pure ebdomadaria - al sacro banchetto è per lei condizione di vita; e protrarne le ineffabili dolcezze nel ritiro e nella mortificazione è portare il paradiso in mezzo alle quotidiane occupazioni, tra le piccole ma acute spine delle pene che già soffre nell'anima nel cuore, pur trascurando quelle non trascurabili della malferma salute. Sentiva e presentiva la pia fanciulla che tutti i suoi giorni avvenire si sarebbero modellati su questi, e che il suo cammino nella vita sarebbe stato ancora lungo arduo doloroso; ma anche bello, desiderabile, perché fecondo di bene di meriti soprattutto di gioia e di gloria per l'adorato Signore dell'anima sua. Di più si deve aggiungere che è un segno certo di predestinazione e grande fattore di sanità la vita eucaristica, vale a dire, la fame di Dio umiliato e annientato dall'amore sotto i bianchi veli del Sacramento, quindi la comprensione e la conformazione della vita umana a quella umile silente obbediente paziente del divino Prigioniero dell'altare. Oh! come tutto ciò rapisce il piccolo e generoso cuore di Costanza! Ella già sente che quella vita e quelle virtù si attagliano alle sue aspirazioni di oggi, che saranno pure quelle di domani, quando Iddio paternamente buono la condurrà, ed ella docile lo seguirà dovunque Egli voglia, attraverso tutte le vie più penose più indesiderate, purché in lei si compia il divino volere ed ella colga il merito di tante distinte virtù. Sul momento la fanciulla ha bisogno di crescere; deve irrobustire ancora, e prepararsi forte e resistente agli ardui doveri futuri. 38 39 Proc. Ap. Suppl. N. III, paragr. 12. Proc. Ap. Suppl. N. III, paragr. 59. 70. Biografie 37 opera omnia E difatti la sua forza di resistenza per accettare le decisioni paterne - espressione fedelissima dei voleri di Dio -, la sua sufficienza a sostenere doveri nuovi e precisi, assurdi per la sua indole, inconciliabili con i suoi ideali, la ripeterà sempre dall'Eucarestia: le sue armi si forbiranno alla fiamma divina di questa fornace, le sue virtù si nutriranno di questo unico Pane alimento dei forti dei grandi. Per completare la storia di Costanza in questo momento della sua adolescenza dobbiamo aggiungere soltanto che i suoi genitori, come per tutto il resto, si preoccupano tempestivamente della educazione intellettuale di lei. Secondo che portano i tempi e gli usi delle nobili famiglie, ella riceve in casa le prime lezioni di grammatica, aritmetica e qualche nozione di storia, prevalentemente sacra. Applicata allo studio metodico ella conferma gli ottimi pronostici formulati per lei sin dai primi anni. Ha un ingegno forte memoria vivida e pronta facile penetrazione delle cose, ed a completamento di tutto un gusto finissimo per quelle che son più alte e più belle, quali la poesia e le arti di facile intuizione ai cuori innocenti e puri. La vita di consuetudine con la campagna - patrimonio e dimora preferita dei Cerioli - hanno perfezionato estremamente il suo gusto di esteta, soprattutto il suo anelito di santa. “I divini silenzi dei verdi piani” inondati di messi d'oro o meravigliose viti coltivate a spalliera commuovono profondamente il suo spirito e la impennano verso il cielo per risalire alla contemplazione della bellezza creatrice della bontà benefica della ricchezza inesausta di Colui che col perenne ritorno delle stagioni torna ad inondare la terra dei suoi doni in gaudio delle sue creature. E che dire poi delle divine effusioni sulle anime, di quelle in caduche ricchezze non consuntibili con l'uso, né corruttibili col tempo, che eternamente rimangono per la vita e per la gioia eterna? Tutto questo, dunque, e dell'altro ancora più grandioso e prezioso, che a noi sfugge, fanno presagire gli ottimi successi di Costanza negli studi appena iniziati. Fu presto deciso che la fanciulla al varco dei due lustri sarebbe stata affidata per una migliore educazione al monastero delle Visitandine di Alzano, ottimo sotto ogni rispetto per garantire il più felice successo. Anche in questo i coniugi eseguiranno inconsapevolmente, ma certamente, un altro mandato del Cielo. La terra calda e custodita della Visitazione costituisce negli adorabili disegni divini, non soltanto un ritiro dalla vita del mondo prima di rimandarla ad esso nello stato coniugale, ma il noviziato Biografie 38 opera omnia precoce e anticipato allo stato finale quello cioè religioso a cui la santa creatura dovrà arrestarsi come posta ultima della sua vita, ove ricapitolando le esperienze e le virtù accumulate negli stati antecedenti ridarà a Dio tutta la gloria aspettata, nella santità personale, nel più prezioso apostolato di perfezione religiosa e di benefica carità per tante anime. Intanto il maestro che il Cielo le assegna questo noviziato è il più illustre e sicuro per dottrina pedagogica, il più pratico ed amabile per dolcezza di spirito, il più armonioso e desiderabile allo spirito di Costanza: S. Francesco di Sales nella sua scuola di Alzano Maggiore. Biografie 39 opera omnia Biografie 40 opera omnia CAPITOLO V Il piccolo Angelo della carità Prima di lasciare la casa paterna di Soncino ed accompagnare il piccolo fiore d'innocenza e di bontà alla serra della Visitazione, va segnalata un'altra eccellente disposizione di lei; disposizione che, infine, darà il tono a tutta la sua vita: questa segnalazione sarà come l'ultimo complemento a finire la mirabile adolescenza di questa creatura. Tutte le doti di mente e di spirito la sua pietà la sua bella mortificazione accumulavano - senza dirlo - grande riserve di virtù, accendevano ogni giorno più l'amore nel cuore della fanciulla. L'amore come la bontà è di sua natura diffusivo, e quando rigurgita nel cuore deve traboccare spandersi in due modi opposti ma sincroni, salendo verso Dio discendendo verso il prossimo. Il primo sbocco naturale immediato di questo amore discendente per la piccola Costanza fu nel campo domestico prima, poi subito su i prediletti del suo cuore i poveri i sofferenti i più cari amici di Dio. Ottimo elemento pedagogico è il senso e la pratica della carità cristiana. Lo dicono i buoni frutti che da essa colgono non più i beneficati quanto il benefattore. Tempestivamente discretamente insegnata essa educa i giovani ad uscir di se stessi, dal cerchio chiuso dell'egoismo, per andare verso i propri fratelli i più prossimi o lontani. Il senso dell'esercizio della genuina carità di Cristo, ben distinta dalla boriosa e interessata beneficenza dei farisei, va intesa ed attuata nella sua portata essenziale come Gesù la insegnò e la praticò. La vera carità - sinonimo d'amore - deve radicarsi e procedere da un profondo senso d'umiltà, che infine è concreta solidarietà fraterna con Biografie 41 opera omnia tutto il prossimo senza eccezioni o preferenze. Per cui il ricco sapendo quanto v'ha di suo nella privilegiata condizione non si fa da più dell'indigente; il sano che constata l'effimera incertezza della propria salute, non deprime l'infermo; il dotto che sa di saper nulla in confronto dello scibile, non umilia l'indotto; il grande che vede su quale fragile impalcatura d'apparenze si regge il proprio credito, non schiaccia il suddito. Il cuore sinceramente caritatevole è un cuore fraterno che si pone, non al livello, ma al disotto del proprio fratello, non è da demerito; ma tutto proviene dalla liberale e misericordiosa disposizione divina che dal contrasto e dalle dissonanze sociali trae armonie sublimi di virtù e di meriti, e dallo scompenso delle disuguaglianze umane trae quell'amore universale che è riflesso dell'amore eterno e beatifico che ci livellerà tutti in cielo. E dove si potessero contare meriti o demeriti in chi gode e in chi soffre, sempre la carità cristiana impone quel senso di generosità che non è altezzoso compatimento ma vera affettuosa comprensione della comune origine, del comune soffrire, del comune destino riservato a tutti. La carità, infine, deve attingere e modellarsi dal Cuore divino abisso d'ogni virtù e ricchezza, eppure mite ed umile come è centro della misericordia infinita per tutti i mali e tutti i peccatori. Ci si perdoni il prolegomeno intorno alla genuina carità; ma lo abbiamo creduto necessario per fare ammirare nel cuore di Costanza i moti e i gesti di una sua virtù che sviluppando con gli anni si estenderà sulla sua esistenza si da divenire regina di tutte le altre, e dominatrice assoluta - senza rivali - di tutta la sua vita. Ed in lei bambina è già tanto alta da farla rassomigliare ad un angelo. Da eccellenti maestri ha appreso e penetrato subito la teoria della carità per tradurla in atto con tanta disinvoltura ed altrettanta perfezione. Non si esagera affermando che Costanza ha assimilato le sue intuizioni di carità col latte materno, e che queste crebbero col crescere dei suoi anni, rafforzate ognor più dalle mozioni interiori dello Spirito che è per essenza amore. Dicevamo in principio del nostro lavoro che la carità era alta e nobile tradizione di casa Cerioli ed il più bell'ornamento della contessa madre. Doverosamente quindi, per debito di stretta giustizia dobbiamo riconoscere che l'ultima sua figlia destinata da Dio ad illustrare con commenti nuovi la carità, come è frutto è pure il più bel premio della materna educazione. Biografie 42 opera omnia Se la contessa Cerioli nella borgata di Soncino e dintorni è chiamata “la madre dei poveri”; la piccola, inseparabile in ogni opera di bene, deve dirsi - per ora in ragione dell'età - la sorella dei poveri, in avvenire la diremo con la voce di tutti “l'angelo dei poveri”. Qui pertanto noi intendiamo dare i cenni della sua carità, la nota fondamentale che innalzandosi e diffondendosi diverrà una solenne sinfonia di bontà generosa prodiga illimitata. Ritorniamo subito col pensiero alla prima carità esercitata dalla piccola Costanza nella cerchia domestica, con la servitù con i fratelli verso i genitori. Il suo contegno di bontà ilare espansiva affettuosa con i fratelli e sorelle, tutti a lei maggiori di età, la rendono deliziosamente cara. Né si può dire che anche tra essi a volte non cadessero intermezzi di liti e contese, effetto di bizze e capricci; ma si conchiudeva sempre con un finale obbligato: grandi abbracci e riconciliazioni. E questo ad opera della più piccina, la quale mentre contro l'uso comune, proprio perché l'ultima, poteva reclamare il diritto di vincitrice, era lei che cedeva per prima e proponeva l'armistizio preparando così le vie della pace. Tenero preludio infantile a fatti più severi e più gravi. Un giorno le diranno: “Non sa, signora, che lei ha dei nemici che le fanno guerra?” Ed ella, abituata da bambina alla strategia dell'amore, risponderà: “Ditemi chi sono, che vado subito a far con loro la 40 pace” . Con i domestici e le operaie della filanda paterna è un modello di garbatezza. Il suo tratto non affabile ma umile dimesso in tono di preghiera, domanda non comanda a quelle creature, buone o difettose che siano, ma pur sempre in Dio sorelle. Anch'esse hanno diritto al suo amore, ai suoi riguardi, tanto più doverosi quanto meno di lei sono privilegiate. Ella, senza suo merito, è nata in una nobile casa colma di agi e privilegi, quelle invece, senza alcun demerito, debbono chiedere ad un lavoro di soggezione e di fatica il sostentamento e la vita. Divina bontà e misericordia del Cielo! Non poteva esser disposto diversamente, o semplicemente tutto capovolto? Ecco le disposizioni di Costanza e la traduzione in atto di esse: risparmiare i domestici nelle loro fatiche; alleviarli dei loro pesi, o se del caso, aiutarli a sostenerli; consolarli con parole di fede di gentilezza di bontà, figlie sempre di umile sentire, e non di convenzionale urbanità; regalarli delle piccole cose di cui può disporre, per dire tutto il suo amore tutta la sua riconoscenza verso di 40 Proc. Ap. Suppl. Summ. N. XIII, paragr. 40. Biografie 43 opera omnia essi. E quanto l'amassero di ritorno i domestici e le operaie è cosa già nota che non vogliamo ripetere. Infine le sue relazioni con i genitori sono relazioni di rispettoso e confidente amore. Sembrerebbe fuori luogo mettere qui tra figlia e genitori la parola carità. Si dice “l'amore discende, non risale mai”. Eppure in grazia delle singolari disposizioni del Cielo e per la virtù distinta di questa creatura, qui è proprio il caso di dire che la carità di Costanza Cerioli, nobilmente e generosamente risale sino ai suoi genitori. Sappiamo abbastanza del trattamento - umanamente incomprensibile - della contessa verso l'ultima figlia. Oltreché incomprensibile singolare, perché riservato soltanto per questa. La virtuosa fanciulla che è di vivido ingegno e di criterio ben equilibrato, s'è avveduta di tutto ed ha proferito il giusto giudizio. Un giudizio maturato dalla carità. Non prende per questo le pose della vittima immalinconita per invocar pietà; né è imbronciata o irriverente coi genitori, non gelosa o stizzosa con i fratelli; ma serena umile rassegnata; ella ragiona giustifica; non compatisce perché non può essere da tanto una fanciulla; ma spiega il fatto a se stessa, soltanto a se stessa, perché mai con nessuno allora parlò. Per quietare le naturali rivolte dell'amor proprio offeso dell'affetto filiale ferito si persuade che tutto è permesso da Dio per la espiazione dei suoi peccati; tutto è per esercitarla nel rinnegamento di se stessa; per darle occasione di meriti; infine è suo dovere accettare sommessa la volontà di Dio 41 perché è proprio Lui che vuole così . Questo eroico spirito di carità esercitato nel chiuso della famiglia, quando uscirà fuori della casa prenderà gli aspetti più belli e più interessanti, quali può presentarli sempre la beneficenza; ma qui intanto sono singolarmente commoventi perché esibiti da una fanciulla che tocca appena i dieci anni. Sulla porta del palazzo ai tuguri dei poveri presso i coloni infermi dipendenti dal babbo, Costanza risplende per bontà di gesti dolcezza di parole. Dopo la chiesa le visite più care e gioconde al suo cuore sono le visite di carità. La signora contessa ha notato con materna compiacenza questo accentuato trasporto della figlia, e l'ha assecondato sempre, anzi lo premia associandola alle sante peregrinazioni che da una casa all'altra va facendo quasi quotidianamente per portare conforti spirituali e materiali ai poveri ai 41 Proc. Ap. Suppl. Summ. N. III, paragr. 7. Biografie 44 opera omnia sofferenti. Il senso dell'emulazione va sempre più acuendosi nello spirito di Costanza, ed ella ripete i gesti le parole della mamma aggiungendovi di suo sorrisi e parole di angelo. Questo, per ora, è tutto l'apporto che può dare alla sua carità; per il resto ella dipende dalla mamma; cioè i soccorsi materiali non li può provvedere o determinar lei; comunque c'è nel suo animo la santa impazienza della prodigalità, vorrebbe dar tutto secondo i bisogni e le richieste, ma deve trattenersi limitarsi a ciò che le è consentito. Se sulle piccole cose sui ninnoli le leccornie regalatele spesso ella ha il pieno dominio, pure queste può dirsi che non siano sue perché presto passano nelle mani dei poverelli. Quando alla porta del palazzo si accostano i mendicanti a domandare un soccorso, Costanza è la prima ad accorrere ad accoglierli, e vola ad interessare i suoi o i servi del caso pietoso e li prega che esaudiscano generosi e solleciti la richiesta del meschino. Se poi ella stessa può porgere con le sue mani il dono magari frutto di una mortificazione allora la felicità tocca il vertice. Dicono i testimoni che Costanza era assai restia a domandare per sé; per i poverelli invece pregava insisteva importunava ad ottenere qualche cosa. La gioia di veder felice un tapino vale la pena di una ripulsa, e meglio, il piccolo dolore di sentirsi dire “seccante!” Ne avrà il suo premio bellissimo. Iddio, che ama d'esser pregato e importunato, accoglierà esaudirà gli slanci generosi di questa piccola “seccante” per amore dei poveri; un giorno metterà a disposizione del suo prodigo cuore vaste sostanze e pingui eredità, ove le sue mani benedette affonderanno per distribuire largamente pane e pace ad innumerevoli creature. Sul momento ella deve continuare il tirocinio di semplice apprendista della carità, e muovere sollecita i passi verso le ulteriori tappe della vita tutte segnate e stabilite dalla Provvidenza per lei. La prima - come dicemmo - sarà il collegio della Visitazione in Alzano Maggiore. Biografie 45 opera omnia Biografie 46 opera omnia CAPITOLO VI Nella serra di S. Francesco di Sales La prima influenza spirituale incisa nell'anima di Costanza Cerioli - che poi si rivelerà in toni singolari di Temperamento e virtù fu certo quella di S. Francesco di Sales attraverso l'educazione nel 42 collegio di Alzano Maggiore . La pedagogia della Visitazione allora era assai nota in Lombardia e giustamente apprezzata. I collegi di Salò, Arona, Milano, Brescia, Alzano aprivano le porte al fiore dell'aristocrazia lombarda, e con gl'istituti delle Orsoline rappresentavano i migliori centri di educazione per la gioventù femminile. Il collegio di Alzano - che c'interessa - vantava ai giorni di Costanza, quasi un secolo di vita ed una bella storia. Esso nacque inserendosi leggiadramente alla storia dell'Ordine serafico, proprio come un felice innesto della dolcezza salesiana ai rigori dell'osservanza francescana, avvenuto nel 1737 con uno dei tre rami delle famiglie serafiche ivi esistenti. “Ab antiquo” tre case e tre famiglie dell'Ordine fiorirono in Alzano. Il convento dei Padri detto di S. Maria della Pace, sorto nel 1520. Il monastero delle Terziarie, detto dell'Immacolata Concezione, con la chiesa omonima fondato nel 1650. Infine contiguo a questo il monastero detto Conservatorio, o Collegio delle Vergini velate, con la chiesa dei SS. Angeli e Carlo, fondato verso il 1536: era sotto la giurisdizione del vescovo di Bergamo e vi si osservava la Regola del Terz'Ordine serafico. 42 Oggi: Alzano Lombardo. Biografie 47 opera omnia Nell'anno 1737, per le condizioni interne del monastero il vescovo Antonio Redetti propose a quest'ultima comunità di abbracciare definitivamente la piena osservanza del prim'Ordine. Nel timore di non potersi adattare ai rigori francescani le religiose preferiscono la migliore proposta di sottomettersi ad una Regola più mite. Fu segnalata quella di S. Francesco di Sales. La scelta piacque al vescovo che avanzò subito richiesta alla Visitazione di Arona sul Lago Maggiore d'inviare alcune Madri per allenare ed assorbire nella loro santa vita la comunità francescana dei SS. Angeli e Carlo di Alzano. Furono designate a questo le Madri Teresa Rosalia Fenaroli, Cristina Visconti d'Aragona, e Suor Angela Francesca Silvia. Nella solennità dell'Annunciazione del 1737 con grande giubilo e pompa come portava il fasto del settecento - vennero ad instaurarvi l'osservanza della Regola salesiana. Le altre due famiglie francescane in seguito furono soppresse dalla rivoluzione francese nel 1810; mentre il monastero salesiano, in grazia appunto dell'educazione che vi aprì, continuò a fiorire sopravvive ai nostri giorni. “Il monastero dei SS. Angeli e Carlo - prendiamo le note da un antico documento - si trova sulla via che tuttora si dice “via delle Salesiane”, dalla quale si accede ad esso per un lungo e spazioso viale. È situato nella parte alta di Alzano verso le colline vicino alla seriola. Il devoto tempio dei SS. Angeli e Carlo chiudendosi in mezzo, per quanto è larga la facciata della chiesa, stende due muri a guisa di braccia protese in avanti, l'uno che dalla destra cinge il gran giardino del monastero, l'altro che dalla sinistra si unisce col muro del monastero francescano dell'Immacolata Concezione; e l'uno e l'altro vanno per diretta via a terminare sulla pubblica strada. Scorre placidamente a piè del sinistro muro un ruscello (il Rino) che passando per mezzo il monastero e sortendo per sotterraneo canale presso la porta laterale, e poi sotto la pubblica strada, nuovamente si 43 nasconde” . Due note di rilievo dobbiam fare all'ingresso di Costanza, in questo collegio. La prima: la simultanea dimora in un vicino collegio visitandino - quello di Brescia - di un'altra anima predestinata, conterranea e coetanea della Nostra, la nobile Maria De Rosa, futura fondatrice delle Ancelle della Carità, ascesa alla gloria degli altari. La 43 Notizie desunte dal “Numero Unico” celebrativo del II Centenario della Fondazione del Monastero della Visitazione di Alzano Lombardo (1737. 1937). Biografie 48 opera omnia seconda nota - più interessante - è che lo stesso collegio di Brescia non era che una recentissima fondazione fatta nel 1818 da due illustri religiose del collegio di Alzano, le sorelle germane Francesca Margherita e Antonia - Felice Bisleri. È logico pensare: se le due fondatrici figlie della Visitazione d'Alzano - e bisogna crederle scelte tra le migliori - hanno saputo in Brescia educare alla santità un'anima eletta quale era la Madre De Rosa; che dovremo dire delle maestre di Costanza rimaste nell'alveare a proseguire la tradizione pedagogica dell'Istituto? Per dare al lettore un'idea completa e al possibile rapida di questa pedagogia, riportiamo un bel passaggio, espressivo ed esatto, dato dal biografo della stessa beata Maria Crocefissa De Rosa, intorno 44 alla vita del collegio di Brescia che è l'esemplare per tutti gli altri . L'ordine della Visitazione fondato sugl'inizi del 1600 da S. Francesco di Sales e da Santa Giovanna Francesca de Chantal aveva una missione tutta propria, ma non quella di educare la gioventù; però circostanze ed esigenze di tempi imposero anche questo programma. I due santi Fondatori dicono e scrivono: “Iddio non ha scelto il nostro Istituto per l'educazione delle zitelle, ma per la perfezione delle donne e delle donzelle”. Non formazione dunque ma perfezione. Tuttavia il santo Fondatore non fu rigido ed assoluto nell'escludere le fanciulle dai suoi monasteri; permise che alcune vi venissero educate ma ne limitò il numero, volle che fossero di distinte famiglie e che avessero tendenza alla vita religiosa; poi l'età e la riuscita avrebbero determinato la vocazione. Le educande ammesse portavano una veste nera lunga attagliata alla vita, accollata con maniche alquanto ampie con un collettino bianco un piccolo candido velo e i capelli sciolti, tenuti fermi dietro il capo da un nastro. Queste monachine in erba facevan ricreazione con le suore, salmeggiavano con esse, osservavano i silenzi regolari, tenevano gli occhi bassi in coro e in refettorio... venivano chiamate: le suore del piccolo abito. Verso i diciotto anni, se la vocazione era stata definita e lo Sposo divino le chiamava, entravano in noviziato; diversamente tornavano in famiglia. Le monachine aprirono la strada alle educande. Nei monasteri salesiani in Lombardia del primo ottocento il numero delle educande era limitato. Il lavoro di educazione quindi si poteva dire strettamente personale fine paziente. Della “signorina educanda” come era chiamata, si voleva fare una dama perfetta di 44 Sac. Dott. Luigi Fossati. “La Beata M. Crocifissa de Rosa” Cap. V, pag. 56. Biografie 49 opera omnia famiglia e di società. A questo serviva magnificamente lo spirito il magistero di S. Francesco di Sales, il quale non ha scritto di proposito intorno all'educazione ma ha manifestato il suo pensiero all'aureo libretto universalmente noto sotto il titolo “La Filotea” ossia “L'introduzione alla vita devota” che vale moltissimi trattati di pedagogia. “È mia intenzione - dice il santo Dottore - di ammaestrare quelli che vivono nelle città negli affari nella corte e che per la loro 45 condizione sono costretti a fare una vita comune” . “La devozione deve essere praticata in modo diverso dai gentiluomini dagli artigiani dai servitori dai principi dalle vedove dalle zitelle e dalle maritate; né solo ciò ma conviene adattarne la 46 pratica alle forze agli affari e ai doveri di ciascuno in particolare” . La “Filotea” divenne così per circa tre secoli il codice di vita spirituale di chi vive nel mondo, e la base di tutto il sistema educativo in uso alla Visitazione. Nulla di straordinario di eccentrico di cupo in questo metodo; tutto è condotto con soavità con finezza con gusto: si bada all'ornamento dell'anima e anche al decoro del corpo; si escludono le forti austerità ma si cerca una profonda serietà spirituale; non si rinnega il mondo ma lo si riconduce alla sua funzione di mezzo; si loda l'amicizia spirituale ma si mette in guardia dagli amori profani; combatte la dissipazione e la leggerezza ma dà il bando all'inquietudine ed alla tristezza. L'educanda entra in monastero a dieci o dodici anni e ne esce a diciotto, i parenti conoscenti visitano la loro cara alle inferriate dei parlatori. Da quelle grate grosse come quelle di una prigione si affacciano giovinette sorridenti gioiose con la serenità negli occhi. Al di là di quelle in penombra si estendono vaghi giardini orti e frutteti odoranti, racchiusi da porticati e verande sulle quali si aprono le linde stanzette delle monache e delle buone fanciulle. E dappertutto sole e silenzio; il sole folgorato dal cielo; il silenzio protetto dalle alte mura che circondano il sacro castello di Dio. Il raccoglimento è interrotto dalle campane della piccola torre dalle voci argentine delle educande in ricreazione, e dalla salmodia lenta della monache. La ragazza non esce mai di là nemmeno per una breve gita. Però dopo la metà dell'ottocento si aprì la porta del monastero, e madre e figlia, rispettando la linea di demarcazione claustrale, si salutavano e si baciavano. Ma da quella porta aperta 45 46 S. Francesco di Sales “Filotea” ossia “L'introduzione alla vita devota” proemio. Ibid. Cap. II. Biografie 50 opera omnia seguendo gl'istinti di libertà dell'epoca le educande entravano ed uscivano. La Visitazione non conobbe più ore di quiete; le fanciulle avevano perduto la serenità erano agitate bramose di libertà di passeggi di moto. Le fantasticherie della società ottocentesca le tenevano avvinte; quelle mura pensavano, quell'ambiente soffocava. Le leggi e le tradizioni visitandine non potevano accordarsi coi nuovi metodi e i nuovi tempi, così fu che gl'inizi del novecento il santo Pontefice Pio X fece cessare tutti gli educandati della Visitazione, e nelle case di S. Francesco di Sales tornò con la pura vita claustrale, la 47 gioia lo spirito la pratica dei santi Fondatori . Tale l'ambiente ove nel candore della sua innocenza posa il piede Costanza Cerioli, l'anno 1826. Uscita dalla casa paterna tutta calda di fede e profumata di edificante vita cristiana per entrare in una serra accesa di fervore di ordine di sapere di sana operosità, è facile prevedere quale influsso ne abbia risentito l'indole e tutta intera la sua vita spirituale. Si può affermare che ella è in ogni senso matura per la Visitazione: di anni di aspirazioni di affetti. Ed anche in ciò si deve riconoscere una necessaria e delicata disposizione del Cielo. A questa creatura che presenta un'indole tanto dolce e mite uno spirito che sembra nato e fatto per la virtù una sete ardente di raccoglimento e di preghiera non manca che l'ultimo complemento, la direzione e il magistero di chi tutto ratifichi e dia nuovo impulso per ascensioni più alte. A ciò le viene assegnata la guida del più mite e soave Maestro di anime: l'amabile vescovo che insegna con suadenti e garbate parole l'arte di rendere fine quasi aristocratica la virtù; che addita i mezzi sicuri pratici di spiritualizzare tutto e tutto valorizzare per la vita eterna; che infiamma ad amare Iddio con amore forte generoso e puro, ma anche ad amarlo nel modo a ciascuno consentito, quello più umano ed accessibile alle nostre deboli forze. Ed infatti ad osservare bene lo spirito di Costanza di oggi e di domani, anche senza affondar troppo l'indagine, è facile ritrovare in essa rilevate le tracce di questa tempestiva influenza salesiana, che, accoppiata alla profonda saggezza alla sovrana discrezione apprese da un'altra grande anima, farà sempre ammirare in lei un tipo di santità portante i riflessi luminosi di varie bellezze, conferitale da tutti gli stati ove è passata, e dalle varie influenze dei modelli ricopiati. 47 Sac. Dott. Luigi Fossati. “La Beata M. Crocifissa De Rosa, Cap. V, pag. 59-63. Biografie 51 opera omnia La dimora della fanciulla in questo chiuso giardino di virtù e sapere si protrae per circa otto anni: tutta l'età più bella e decisiva per la vita ed anche il periodo più critico della efflorescenza o passaggio dalla fanciulla alla giovinetta, quando si pronunziano nettamente indole ed aspirazioni, si demarcano preferenze e decisioni, da cui si può trarre con certezza l'oroscopo pel futuro e divinare la via prescelta nella vita. Per la nostra Costanza poco o nulla ci fu da variare nel carattere e nelle aspirazioni. Le sue preferenze ferme e decise si manifestavano sempre con un'evidenza che impressiona, e le custodisce trepidante in cuore - forse presaga di quanto l'attende - come un segreto che non osa rivelare per timore che le venga rapito. Comunque ella è fermamente decisa ad accettare ciecamente quanto Iddio disporrà di lei pronta a sacrificare ideali e preferenze alla provvida ed amorosa volontà di Lui. La Visitazione è sì a lei scuola di formazione, ma puramente intellettuale; per lo spirito ella non ha che perfezionarsi poiché già formata; per la virtù già allenata; per la pietà e la mortificazione è una veterana. Di guisa che in monastero ella spiega - senza volerlo - agli occhi delle maestre ed alunne tutta la ricchezza e generosità di uno spirito che agisce e reagisce per rendersi più perfetto, e dare con l'edificante contegno un migliore incitamento al bene a tutte le compagne. La scuola di S. Francesco di Sales porterà infine l'ultimo complemento ad un carattere già dolce, quella garbata e sorridente finezza che lo rende ancora più amabile. Ed ora facciamo seguire alle nostre impressioni la viva testimonianza di chi da vicino constatò quanto noi abbiamo annunciato. Dai Processi Apostolici stralciamo le seguenti deposizioni: la nipote di Costanza, Giuseppina Scotti, dichiara “di aver sentito dire dalle monache di Alzano che la zia era ritenuta la migliore di tutte le 48 alunne per la sua bontà affabilità e diligenza nello studio” . Altra testimonianza: “in quel monastero ella si è diportata assai bene, mostrandosi assai diligente e studiosissima tanto che aveva fatto studi e progressi non soltanto nelle materie obbligatorie ma 49 anche nella musica nella pittura nel ricamo” . 48 49 Proc. Ap. Suppl. Summ. N. III, p. 43. Proc. Ap. Suppl. Summ. N. III, p. 36. Biografie 52 opera omnia Una compagna di collegio, la signora Paolina Varese da Rosate, dice: “Ricordo di aver passato alcuni anni insieme alla Costanza nel monastero di Alzano Maggiore, dove essa fu sempre buona diligente 50 studiosa di buon carattere ed esemplare” . “Ella si distingueva sempre nella pietà e nell'obbedienza; con le compagne fu sempre 51. edificante e fece molto progresso nello studio” Ancora: “Con le compagne si mostrò sempre mite benigna umile. La sua indole era 52 allegra ma poco portata ai giochi e divertimenti” . “In collegio - dice un altro teste - si diportò assai bene; era ammirata per la sua mortificazione tanto che le sue compagne si vergognavano nel vedere 53 tanta generosità” . In fatto di mortificazione si ripete in collegio quello che già abbiamo segnalato nella sua fanciullezza. Ed ecco un episodio: “Costanza era il modello delle educande; anzitutto per l'obbedienza per la puntualità nell'osservare i regolamenti assiduità allo studio, ma più di tutto era mirabile per lo spirito di mortificazione e per l'amore al patire. Si racconta con ammirazione ed edificazione e per esempio come un inverno molto rigido, mentre fra le convittrici passava uno o l'altro scaldiglio, ella non lo chiese neppure una volta; conseguenza fu che le si gonfiarono terribilmente i piedi (evidentemente soffriva di geloni) con piaghe dolorosissime e nessuno mai l'avrebbe saputo se la suora istitutrice non l'avesse obbligata a mostrarsi al medico. Il medico a sua volta si meravigliò assai che una bambina avesse potuto 54 sopportare a lungo tanto acerbi dolori” . “Quando i suoi genitori venivano a visitarla le portavano sempre dolci frutta ed altro; essa ne faceva parte a tutte le compagne perché voleva che le cose sue fossero 55 di tutti” . I progressi nello studio procedevano al passo col suo fervore interno. Studiare è dovere voluto da Dio e dai genitori; studiare è lavorare, e il lavorare a scopo sì alto è una preghiera. Studiare è arricchire la mente di cognizioni è accostarsi più da vicino a Dio per conoscerlo ed amarlo. Queste potenti leve di diligenza congiunte ad un ingegno vivo ad una felice memoria ad una pronta penetrazione delle cose, spiegano come Costanza in breve completasse la propria istruzione. 50 51 52 53 54 55 Proc. Ap. Suppl. Summ. N. III, p. 77. Proc. Ap. Suppl. Summ. N. III, p. 9. Proc. Ap. Suppl. Summ. N. III, p. 44. Proc. Ap. Suppl. Summ. N. III, p. 23. Proc. Ap. Suppl. Summ. N. III, p. 32. 33. Proc. Ap. Suppl. Summ. N. III, p. 53. Biografie 53 opera omnia Oltre a ciò sappiamo che aveva ottime disposizioni per altre materie allor non strettamente scolastiche, come lingua francese che possedeva assai bene e le arti belle che finiscono elegantemente la formazione di una nobile giovinetta: la musica la pittura il ricamo. Amorosa previdenza divina! tante cognizioni le riusciranno preziosissime per la sua più remota vocazione. Cosicché i conti Cerioli posti dinanzi a sì felice risultato decisero 56 di ritirarla dal collegio per ricondurla in casa . Costanza aveva compito i sedici anni. A tale annunzio ogni altra fanciulla avrebbe trasalito di compiacimento pel riportato successo per la soddisfazione dei parenti, pel ritorno in famiglia; Costanza, no. Una segreta potente forza l'attraeva alle riposanti occupazioni della preghiera e della virtù che la tenevano tanto bene stretta a Dio. “Quando ero giovine - ella confessa poi - avrei voluto condurre vita ritirata lontana dal mondo. Invidiavo la sorte degli anacoreti nel deserto che non avevano pensiero né di mondo né ricchezze e s'intrattenevano soli con Dio, Oh, la invidiabile vita! Leggendo poi le vite dei santi mi accendevo tutta del desiderio d'imitarli e gioivo della loro fortezza e generosità di cuore. Vedevo talvolta delle capannucce isolate qua e là sui monti, e mi sorgeva in cuore viva la brama ed cercare colà che il Signore, sostentandomi di poco pane ed acqua, consolando lo spirito di sante letture, per vivere lungi dal fasto fuori del tumulto delle noie e dissipazione del secolo”. La verginità meritoria offerta a Dio in odoroso olocausto era il suo sogno. Ogni volta che vedeva qualche compagna passare dal collegio al noviziato: “Ecco - esclamava rapita - l'oggetto delle compiacenze di Dio! Mi erano oggetto di ammirazione e di santa invidia le anime pure vestite ancora della bella stola dell'innocenza battesimale. Oh, le belle anime che non hanno mai contratto malizia del mondo! sono esse gli angeli in terra e le compiacenze di Dio. Oh, 57 le care anime! Quanto avrei desiderato seguirle! . Tali accenti di desiderio e di trepidante ansia uscirono dal suo labbro verso la fine della vita dopo i salti scabrosi dati sulla via del mondo; ma prima che parole essi furon desiderio passione sogno dei suoi sedici anni a pochi se non a veruno confidato. Sentiva che la voce di Dio la chiamava su altra strada, lunga faticosa ardua in capo alla 56 57 Proc. Ap. Suppl. Summ. N. III, pp. 19. 20. P. Merati - Biografia, Cap. I, pag. 15. 16. Biografie 54 opera omnia quale avrebbe trovato, premio della sua obbedienza, la realizzazione dei suoi casti e santi ideali. E qui sorge spontanea una domanda: Perché mai Costanza con siffatte disposizioni prima di lasciare la Visitazione non ha chiesto ai genitori di restarvi, per entrare in noviziato, come facevano molte delle educande sue compagne; o comunque per ritirarsi in altro convento ove si sentisse chiamata? L'età il momento l'occasione migliore di questa non si sarebbe più presentata! La risposta - a nostro parere – sta in una necessaria distinzione che dobbiamo tener presente: altra cosa sono le virtù religiose, ed altra la vita nel chiostro. Costanza ha le prime; e sul momento non ha la vocazione al secondo. Alla voce dei suoi - eco di quella del Cielo - che la richiamavano in casa Costanza chiuse gelosamente in cuore i suoi dolci sogni, chinò il capo ed ilare e dolce come sempre, obbedì. Era l'anno 1832. Ci permetta il lettore di concludere questo capitolo con le stesse parole delle buone Madri della Visitazione di Alzano, che furono le sue pie istitutrici, angeli e testimoni ammirati dei santi esempi della fanciulla nella casa di Dio. Si direbbero queste parole - scritte dopo molti anni da che Costanza aveva lasciato il monastero e persino l'esilio per il Cielo - l'attestato il diploma di lode rilasciato ad autentico e indiscusso merito: “Una delle allieve che lasciò nel nostro monastero una particolare memoria fu la nobile contessa Costanza Cerioli. Era ancor giovinetta quando la contessa sua madre chiese per lei un posto nel nostro educandato. Noi lo accordammo ben volentieri e presto avemmo motivo di ringraziare il Signore per il prezioso tesoro che ci era stato affidato. Fin da piccina Costanza sembrava un angioletto: tutto in lei spirava devozione raccoglimento dolcezza riserbatezza e soda virtù. Questa era la comune testimonianza che ne fecero le sue compagne, delle quali formò sempre l'esempio e l'ammirazione e che tutte l'amavano vivissimamente. Anche le maestre la trovavano sempre un modello d'ubbidienza e d'applicazione a tutti i suoi doveri, il che la rendeva a tutti carissima a altresì preziosa per l'influenza che la sua condotta esemplare aveva su quella delle altre educande. Costanzina era pure favorita dal Signore di un carattere allegro e tutto proprio per farsi amare, di un cuore eccellente e sempre pronto a far piacere e di una tale uniformità di umore che si diceva: - Costanzina è proprio sempre la stessa. Con grandissimo dispiacere quindi si videro terminare gli anni della sua educazione e fummo costrette a restituire alla contessa sua madre il prezioso tesoro che ci aveva affidato. Ne furono Biografie 55 opera omnia afflittissime tutte le nostre educande, e ricordarono sempre con ammirazione tanti esempi di virtù che rifulsero nella loro compagna. Quanto a noi non la dimenticheremo mai, e speriamo che Costanza 58 dal Cielo ricordi presso Dio anche la nostra Comunità” . 58 P. Merati - Biografia, Cap. I, pag. 15. 16. Biografie 56 opera omnia CAPITOLO VII Preparazione della vittima al sacrificio L'innocente colomba ha lasciato il chiuso dell'arca e rimette il piede nel mondo ricca di cognizioni meriti e virtù. Ed anche d'esperienza. Sedici anni! Una giovinetta di tale linguaggio ornata di tante doti ricca d'incomputabile dote può ben sorridere alla vita. Costanza non sorride! Soppesando al giusto valore l'effimera cosa che è la vita, trova che questa non l'attrae e non merita quindi i suoi sorrisi. La scuola della Visitazione l'ha istruita arricchita di saggezza d'esperienza: quella dei santi. La Visitazione fu il noviziato di Costanza Cerioli alla vita nuova immediata che l'attende, ed anche all'altra, sebbene remotamente preparata, che realizzerà più alti ideali di perfezione. E qui dobbiamo segnalare un dettaglio di questa vita, non facilmente riscontrabile in altre biografie del genere. Noi già sappiamo - e Costanza in questo momento non lo sa che ella è destinata al matrimonio; e sappiamo del pari che il suo stato finale sarà la vita religiosa, cui per inequivocabili segni dimostra di tendere. Difatti, per arcano sviluppo di cose d'avvenimenti, dopo poco più di un anno di vedovanza ella verrà a trovarsi in pieno religiosa, e fondatrice di religiose, in un chiostro con abito e voti religiosi. Come, dunque, sul momento appagherà i suoi ideali di vita più perfetta cui tende con tanto anelito interiore? E più, se di consueto non si arriva alla professione dei sacri voti senza un tirocinio o noviziato, sapientemente richiesto dalla Chiesa, come Costanza potrà poi passare di balzo dalla vita del mondo alla Biografie 57 opera omnia emissione dei voti, senza questo noviziato a tutti necessario, a lei per le sue singolari condizioni indispensabile? Ci sembra di poter affermare che ella cominci ora ad attuare senza indugio il suo vivo desiderio di perfezione, vivendo nello spirito la vita religiosa tra le pareti domestiche, come la vittima pronta ad immolarsi alla divina Volontà che la vuole prima di passaggio nello stato coniugale, per disporla alla sua finale vocazione. È questo dunque il suo noviziato pratico, come del resto gli anni trascorsi alla Visitazione potrebbero dirsi il noviziato canonico. In tale pratico tirocinio, dalle altezze della sua fede ella saprà ciò che Iddio vuole da lei, ciò deve essere e fare per piacergli. Immolarsi! Annientare, triturare sino alla polvere la propria volontà, accettando in letizia e senza discorso ciò che contrasta con i suoi ideali, non solo; ma ciò che agli occhi stessi degli uomini apparirà assurdo. Ella ha bisogno di rivestirsi di virtù, di tutte le virtù che rendono fulgente ed eroica un'anima agli occhi divini: possedere le ricchezze e non amarle; passare in mezzo al mondo e disprezzarlo; assaporare le gioie della vita - anche legittime - senza neppure fermarsi a considerarle. Il suo chiostro è l'anima sua. La sua clausura: gli alti raccoglimenti della preghiera. La sua Regola: la volontà di Dio. Sua occupazione; la carità. La sua prova: il contrasto tra gl'ideali suoi e quelli dei genitori. Il suo cilizio: l'ordine imposto a cui deve sorridere. Il suo Maestro sarà Gesù, riposo premio diletto e unico prediletto dell'anima sua, a cui s'è offerta sin dal primo battito del suo illibato cuore. Tutto ciò non spaventa la giovane; considerando ogni cosa in Dio, in cui vede all'evidenza che quanto è disposto da Lui si volge sempre al nostro miglior bene immediato e remoto, prevede che tutto si concluderà ad insospettati successi, e con la sua abituale letizia accetta tutto. Costanza sorride alla corona di spine profferta, perché ha la certezza che quelle spine fioriranno in rose per la vita eterna. Quelle rose saranno la sua vera felicità e non soltanto la sua. Eccola, dunque, in questi tre anni che precedono la sua precaria sistemazione umana. Presaga forse degli intendimenti dei rispettabili genitori, calma fidente si dedica innanzi tutto ai doveri cristiani e domestici: perché non si dà il meglio senza il bene, né la perfezione senza presupporre il dovere scrupolosamente assolto. Le occupazioni che riempiono le giornate in questo periodo preparatorio son quelle d'una giovane pia intelligente colta espansiva nel bene, allenata alla laboriosità, nemica di vane e futili ciarle, refrattaria a sogni e chimere Biografie 58 opera omnia d'inafferrabili ideali; pratica concreta saggia ella lavora. Sua nota caratteristica è sempre l'appartarsi con riserbo senza selvatichezza: tacere poiché il silenzio la nutre, la bea: pregare perché la preghiera la irrobustisce la istruisce la consola. Affabile garbata semplice con i vecchi cari domestici con le brave operaie della filanda paterna; rispettosissima obbedientissima ai genitori, dai cui cenni pende come bimbetta di pochi anni. In ossequio al volere della mamma, assolte le cure personali, siede al telaio pel ricamo in cui è peritissima. Per secondare i desideri del babbo, che intende istruirla e sollevarla, legge buoni libri di letteratura francese da lui provvisti; e per aggiungere l'utile al dilettevole, nelle ore di riposo, li traduce con estrema facilità nel forbito ed elegante italiano del suo tempo; evitando, scartando quelli profani o di puro sentimentalismo - certo sfuggiti al controllo paterno - per dedicarsi di preferenza alla traduzione di quelle edificanti. Così in questa occupazione ella ha potuto ribadire una vecchia santa amicizia, penetrandola più intimamente nelle già ammirate profondità dello spirito luminoso e grande: S. Teresa di Gesù. Dopo S. Francesco di Sales, la Maestra del Carmelo. Non si può dire che Costanza non la conoscesse già, proprio per i ricorsi e le citazioni che ne sentì alla Visitazione; ma il desiderio di gustarla nell'anima la induce a trascrivere, traducendola dal francese, la biografia di questa Santa. Il bel manoscritto ancora conservato attesta la padronanza che la giovane aveva delle sue lingue, ma soprattutto afferma il suo irrefrenabile desiderio di rifarsi ai migliori modelli cristiani. Da tale scelta e predilezione si notano i gusti, le tendenze spirituali di lei. Il santo vescovo di Ginevra e la Serafina del Carmelo sono due nomi che bastano a dire la sodezza e le ampiezze interiori di Costanza Cerioli. I migliori pensieri le sentenze più belle spigolate dai Maestri preferiti, quasi ape industriosa, le succhiava per assimilarle. E le annotava in un libricino di appunti. La lettura quotidiana preferita, però, era la S. Scrittura. Il suo confessore Don Pietro Piccinelli, che poi la guiderà nello spirito per 59 diciotto anni , ci ha detto che s'immergeva in essa con una sete ed una comprensione assolutamente superiori alle sue possibilità intellettuali; il che fa pensare - oltre a una superna illustrazione 60 all'antica data di questa sua preferenza . 59 60 Proc. Ap. Suppl. Summ. N. IV, paragr. 258. Proc. Ap. Supl. Summ. N. III, paragr. 10. Biografie 59 opera omnia Tali i suoi libri preferiti. Scartava con cura quelli che non fossero agiografici o comunque spirituali. Più tardi sentirà rincrescimento dell'innocente diversivo concesso a se stessa in questo tempo, l'aver gettato gli occhi su libri profani o di sola letteratura, il “che - diceva - le aveva reso meno gustosa la lettura dei libri di pietà e delle vite dei santi”. Ad una sua nipote che vedrà inclinata a tali letture ricordando il proprio esempio raccomanderà di smettere l'uso, e d'applicarsi a letture di maggior profitto spirituale che se ne sarebbe 61 trovata contenta . La sua vita è d'assoluto ritiro tranne per discendere in chiesa. Le 62 rare volte che deve uscire di casa, è sempre in carrozza chiusa . Le visite in società rarissime, quelle indispensabili, imposte per convenienza dal volere dei genitori. Ma vi presenzia come assente a quanto si dice; resta senza parola sembra che nulla la interessi meglio - che non intenda nulla delle futili conversazioni da salotto. Al contrario, però se la si vuol udir parlare e graziosamente sciolta, bisogna osservarla quando s'imbatte in un poverello. Allora s'interessa dei guai e della tribolazioni del meschino, e come sa rispondere consolare con parole buone! Si accompagna addirittura con esso dirigendosi verso il palazzo ad ottenere qualche buon 63 soccorso . Tutto che è suo, nel senso che possa disporre liberamente, senza dirlo è destinato ai poveri. Lo seppe bene un vecchio cocchiere pensionato di casa Cerioli. Finito in ospedale per malattia cronica, non faceva che esaltare al cappellano le grandi virtù della contessina Costanza. Oh, che angelo di umiltà e carità! Raccontava il buon vecchio le tante volte che l'aveva accompagnata in carrozza. Quando lungo le strade di campagna s'imbattevano nei poveri contadini carichi di legna Costanza diceva al cocchiere: “Io sento rossore d'andare in carrozza; sono ricca, per tutto il giorno non feci nulla di faticoso e vado in carrozza; e questi poveretti che non si diedero un 64 minuto di quiete, vanno a piedi col carico sulle spalle” . I poveri - come sempre - son tutta la sua passione e preoccupazione. Mai la si vede così felice come quando dietro incarico della mamma si reca alla porta di casa per qualche benefica distribuzione, oppure quando la mamma stessa riprendendo 61 62 63 64 P. Merati - Biografia. Cap. I, p. 20. Proc. Ap. Suppl. Summ. N. III, paragr. 45. 46. Proc. Ap. Suppl. Summ. N. III, paragr. 16. Proc. Ap. Suppl. Summ. N. III, paragr. 45. 46. 47. Biografie 60 opera omnia un'antica abitudine la invia seco per i giri di carità. Si racconta anzi che una volta trovandosi in carrozza in compagnia di altre persone non si sa se con la mamma - avendo scorto sulla strada un povero vecchio cadente, voleva ad ogni costo cedere il proprio posto a quell'infelice; naturalmente non le fu concesso, con molto suo 65 dolore . In questo periodo di tempo la sua carità materiale è di molto sopravanzata dall'altra carità quella spirituale, fatta a chi ha fame di luce e di verità divine. Logicamente: la sua età la sua più formata istruzione le permettono, l'autorizzano anzi, a sovrabbondare in queste elargizioni non meno necessarie ed efficaci del pane. Nell'accostare quindi le operaie della filanda paterna è sempre più 66 ricca di tali soccorsi . Le ragazze abituate ormai a vedersi dappresso la contessina l'attendono sempre con gioia, e l'ascoltano con tanta venerazione come si ascolta un angelo. La stessa carità - elevata a tono più alto e delicato - usava con i fratelli e le sorelle provocandoli amabilmente alla pietà alla devozione alla frequenza dei Sacramenti. Ella poteva ben mostrare coi fatti i frutti dolcissimi che si ritraggono da essi; la sua bontà e soavità non eran forse effetto naturale di quella manna divina che sa in sé ogni sapore di cui ella si cibava tutte le volte che le era concesso? Il suo spirito di mortificazione la generosità nel tollerare gl'incomodi della malferma salute erano del pari attinti alla stessa fonte che le comunicava “la santa voluttà del patire” e patire segretamente per avere sempre qualche cosa da offrire al buon Dio, come fanno i santi. Il genere preferito di mortificazione è quella interna, materiata di tanti piccoli atti di rinnegamento della volontà dell'amor proprio. Sensibile intelligente qual era ad uno sgarbo ad una riprensione poteva notarsi l'accendersi del volto, ma non una volta ella ha risposto per ribellarsi o giustificarsi: subito si ricomponeva al suo 67 sorriso abituale ed un bel fiore era colto ed offerto a Dio . Queste - secondo le testimonianze - le manifestazioni della sua bell'anima nel presente momento cruciale e decisivo della vita. Che se noi ci provassimo a leggere più a fondo nel suo spirito, per vedere a quale termine preciso tendesse questo intenso rigoglio di fervore e di opere, vi troveremmo viva e spiccata l'inclinazione alle virtù caratteristiche d'una religiosa - e ciò esclude assolutamente lo stato 65 66 67 Proc. Ap. Suppl. Summ. N. III, paragr. 45. 46. 47. Proc. Ap. Suppl. Summ. N. III, paragr. 66. P. Merati - Biografia Cap. II, pag. 20. Biografie 61 opera omnia matrimoniale -; però, non oseremmo dire, almeno sul momento, se ella intenda vivere queste virtù in un chiostro oppure nel secolo, emettendo il voto privato di verginità, restando in famiglia. Le due cose ben distinte non sarebbero contrastanti, tanto meno inattuabili. Di fatto non ha chiesto di restare alla Visitazione, o di entrare altrove. Si deve quindi ritenere che sul momento non è chiamata al chiostro. “Quod differtur, non aufertur”. La dilazione che non annulla la vocazione è voluta da Dio, e sarà sorgente di gravi sacrifici, ma pure d'incomparabili meriti. Questa osservazione ci sembra indispensabile a comprendere gli eventi che seguono. Eccoci al momento critico e delicato di questa vita. Ci occorre un ben alto senso di fede e il più sereno giudizio per penetrare le arcane vie del Signore, ed accettarle benedirle come le più sante le più sagge e in tutti i sensi le migliori per noi. Dobbiamo ora assistere con penosa sorpresa ad una inaspettata e brusca deviazione di tutte le idealità di questa creatura verso una direzione che noi penseremmo, e che mai Costanza sognò. Per divina disposizione manifestata a mezzo dei genitori ella dovrà accettare lo stato matrimoniale, non solo, ma un partito che le apparenze e le convenienze sociali direbbero inconcepibile. Non potremmo - senza recar offesa a Dio - neppur lontanamente pensare che Egli abbia cercato e formato con tanta cura un'anima sì bella sì ricca di spiritualità, per abbandonarla poi al capriccio di un destino doloroso, a cui ella non aspira e al quale non è preparata. Iddio ha sempre le sue alta mire. Ciò che ora accade non solo non guasta i suoi piani ma è il necessario presupposto alle future realizzazioni. La vita d'ogni creatura sulla terra è fatta di tanti momenti che a modo di anelli si annodano consecutivamente e formano la intera catena dell'esistenza. Ciascuno di questi anelli rappresenta la successione delle mutevoli ed anche opposte situazioni umane. Di tale catena Iddio vede ciascuno e tutti gli anelli, sino a quello finale. Noi - invece - vediamo solo quello che s'inserisce nel fugace momento del presente, e ci formalizziamo. Se potessimo vedere, come Iddio lo vede, anche l'ultimo anello, non ci scandalizzeremmo della situazione difficile aspra assurda di oggi. Aspettiamo con pazienza e fiducia, come attende la mirabile protagonista, e quando giungeremo alle ultime pagine di questo libro adoreremo la santa e saggia Provvidenza che tutto ha disposto: avvenimenti uomini e cose al suo altissimo scopo: glorificare una creatura e far beneficare le anime dei suoi esempi e del suo apostolato. Biografie 62 opera omnia Né potremmo, senza essere illogici, imputare ad alcuno - nel caso i conti Cerioli - l'asprezza dolorosa di queste situazioni, perché anch'essi infine non sono che docili e inconsapevoli strumenti nelle mani di Dio assunti proprio per creare un capolavoro. Mai uno strumento può esser condannato o ripudiato per la sua durezza quando questa è imputabile solo all'impulso dell'artista che la adopera. Tanto si verifica nel nostro caso. I rispettabili coniugi Cerioli sono strumenti adoperati da Dio per preparare l'avvenire di santità e di gloria della loro figliuola. Noi ci siamo indugiati di proposito a dare di essi la psicologia proprio perché il lettore giudichi al suo giusto valore la portata della grave decisione di questo momento. In collaborazione e dipendenza da Dio - unico autore e insuperato artista - essi umili collaboratori hanno creato un capolavoro di estetica spirituale risultato dal perfetto incontro di due volontà: la volontà divina e la volontà della loro creatura; da quest'incontro s'è sprigionata un'armonia di Cielo: quest'armonia è la santità di Costanza Cerioli! Biografie 63 opera omnia Biografie 64 opera omnia CAPITOLO VIII “Meglio l'obbedienza che le vittime” 68 Un giorno - verso i diciannove anni di Costanza - i signori Cerioli chiamano la figliuola e da soli a sola le annunziano che essendosi presentato un buon partito di matrimonio, nella rispettabile persona del signor Gaetano Buzecchi vedevo Tassis, di circa sessant'anni, essi usando del diritto di scelta dato dall'autorità paterna e dalla consuetudine, avevan giudicato conveniente aderire alla richiesta, e ciò nell'intento di formare la felicità di lei e nel desiderio di veder sistemate tutte le figlie prima di morire. Nessuno - noi meno che tutti - potrebbe dubitare della retta intenzione dei rispettabili coniugi in sì grave decisione. Sinceramente amanti dei loro figlioli, da genitori coscienti essi tengono giustamente tra le prime preoccupazioni quella di sistemarli. Ora è giunto il momento di pensare all'ultima. Ma è lecito chiederci: hanno essi ponderato se la loro creatura sia chiamata allo stato matrimoniale? Hanno considerato bene se il partito scelto le convenga? Due quesiti a cui non sembrerebbe facile trovare una risposta. Pure, affinché oltre la preordinazione divina sian date tutte le possibili ragioni che giustifichino la loro soggettiva coscienza, deve dirsi: umanamente ebbero anch'essi ragioni per legittimare la incredibile decisione. Non si può affermare che abbiano abusato del diritto paterno destinando al matrimonio la figlia, perché risulta certo che, se per temperamento e abitudini era evidente nella loro Costanza la tendenza alla vita, non allo stato religioso, ella invero non ha mai manifestato ad essi né ad altri in modo deciso la propria inclinazione 68 “Meliore est enim obedientia, quam victimae” I. Reg. 15, 22. Biografie 65 opera omnia per il chiostro. Quante figliuole, infatti, angeli di bontà specchi di virtù e di pietà distintissima, rimangono nel secolo per vivervi in perfetto spirito religioso la vita verginale, e poi per serie ragioni dietro consiglio dei direttori, o per ingiunzione di parenti, entrano nello stato matrimoniale e vi riescono spose e madri esemplari! Ora, se i figli dei Cerioli tutti cristianamente educati e non indegni fratelli di Costanza, tutti hanno scelto il matrimonio, come senza un'esplicita dichiarazione, potevano essi supporre che proprio l'ultima volesse fare eccezione determinandosi per lo stato religioso? Di conseguenza secondo tale persuasione hanno inteso compiere un preciso dovere sistemando in tal senso anche l'ultima figlia. Più difficile sembrerebbe trovare una giustificazione al singolare partito scelto. Presso le nobili famiglie era “ab immemorabili” suo passato in prescrizione, che la scelta del partito per le figlie - supposta la determinazione al matrimonio - fosse diritto riservato al padre e alla madre. Né oseremmo dire - osservate le ragionevoli eccezioni - che un tal diritto sia illogico, tanto meno un'usurpazione. Esso infatti è ritenuto da Costanza come piena giustificazione dei suoi genitori. L'enormità - dicevamo - consiste piuttosto nell'uomo prescelto. Un vedovo, di età avanzatissima rispetto a quella della figlia. Essi avranno ben posto mente a questo non indifferente dettaglio; pure, soppesati vantaggi e svantaggi inclinarono a riconoscere la preponderanza dei primi. Si deve tener per certo, intanto, che il prescelto era un perfetto gentiluomo, ottimo cristiano al tutto degno del sentire e del vivere della loro figliuola: ricco possidente stimatissimo nella religione, vedovo di una Tassis, casata antica ed illustre ben nota in Lombardia come in altre ragioni dell'Italia settentrionale. Né si può trascurare il fatto che i Cerioli erano anch'essi ricchi possidenti, e loro giusta preoccupazione era di sposare il patrimonio domestico ad altri patrimoni, se non superiori almeno pari che l'aumentassero, non lo depauperassero. Per questo lato il Buzecchi eccedeva ogni esigenza. Oltre esser ricco dell'asse proprio, aveva ereditato tutta la vistosissima sostanza della defunta coniuge Teresa Tassis; eredità giunta integralmente nelle sue mani indivisa per mancanza di prole o d'altri legittimi eredi. Si deve pur notar che il signor Buzecchi fu lui per primo ad avanzare la proposta di matrimonio. Ora, se per ragione dell'età si fosse escluso il partito, dove ne avrebbero essi trovato un altro che con la giovinezza avesse trovato tutti i requisiti morali e patrimoniali del Biografie 66 opera omnia Buzecchi? Il campo delle ricerche era troppo ristretto, non volendo uscire dalla cerchia delle più vicine relazioni; certo è che la possibilità di scelta era limitata, e forse più che scegliere c'era da scartare. Sacrificando quelle che, a loro giudizio, potevan dirsi ragioni di sentimento o di riguardo agli usi sociali, puntando sul solido conclusero quindi in favore del pretendente e gli concessero la figlia. Nonostante queste ragioni, però, il mondo superficiale e morbosamente pietoso non perdonò allora e non perdonerebbe oggi a questi nobili signori l'aver sacrificato la figliuola a preponderanti motivi d'interesse. E se il seguito degli eventi - prevedibili del resto sembran dar ragione al duro verdetto, si deve sempre concludere che essi hanno agito in coscienza certa, volendo provvedere solo alla felicità della figlia. Tanto vero che in armonia col loro è il volere dell'altro Padre ben più alto e saggio, cui non fanno velo le ragioni contingenti del tempo, e questo Padre buono e amoroso proprio Lui dispone così per la felicità imperitura della cara creatura. Rese in tal modo le possibili ragioni, che a nostro modo di vedere rendono meno penoso il grave fatto, riprendiamo il filo della storia. La mite fanciulla a tale annunzio rimane annientata. Il suo spirito trasalisce all'urlo violento d'una decisione, non solo penosa perché contraria al suo sentire, ma perché capisce di non poterla neppure discutere. Sollevati gli occhi in tono supplicante verso i genitori senz'ombra di risentimento o diniego, chiede grazia d'aver 69 tempo a riflettere pregare consigliarsi e si ritira nella sua stanzetta . Chiusa dietro di sé la porta, cade in ginocchio, e in un profluvio di lacrime pensa e prega: “Il matrimonio! Mio Dio! Io non so che cosa esso sia: Se è gioia non la desidero; se è sacrificio, meglio è più meritevole lo troverò nella vita di preghiera e di carità. Ed io che vagheggiavo lo stato verginale lo star sola con Dio che amo sopra ogni altra cosa! L'accettare mi raccapriccia; il disobbedire mi spaventa, poiché mai ho disobbedito ai miei onorabilissimi genitori. Signore, illuminatemi!...”. E con la preghiera il consiglio. Consultò il confessore. Non sappiamo precisamente chi fosse il degno ministro di Dio (crediamo Don Pietro Piccinelli), come non ne conosciamo il consiglio; lo supponiamo peraltro dalla risposta di Costanza ai genitori. 69 Proc. Ap. Suppl. Summ. N. IV, paragr. 15. 26. Biografie 67 opera omnia Questo sacerdote s'è trovato dinanzi ad un delicato caso di coscienza. Una fanciulla con spiccati segni di vocazione allo stato verginale senza determinazione per la vita religiosa propriamente detta; ed i genitori fermi ad imporle lo stato matrimoniale senza osteggiare positivamente le sue più alte aspirazioni, che essi del resto non suppongono perché mai manifestate. Quale sarà il consiglio del saggio direttore? Non è raro il caso d'incontrare anime che presentino tutte le qualità desiderate per una vita di maggior perfezione, che può essere il chiostro, o fuori di esso lo stato verginale; ed insieme manchino d'un ultimo elemento, a volte secondario, per cui la loro vocazione è ritardata, spesso annullata, precisamente perché la difficoltà è insormontabile. Orbene, poiché il Cielo non manifesta per altre vie il suo volere e i suoi veti, il confessore deve concludere: Iddio non chiama, almeno pel momento; o senz'altro: non chiama su questa strada. Nel caso specifico e singolare il confessore deve aver consigliato Costanza di manifestare ai genitori le sue più alte aspirazioni di perfezione. Che se essi non le avessero accettate, allora soltanto si poteva dire anche a lei: Iddio non vi chiama, almeno per il momento; quindi consigliarla ad obbedire, poiché a Dio “piace più l'obbedienza che gli olocausti”. Peraltro non risulta che tale dichiarazione sia stata fatta da Costanza; il pensiero dell'obbedienza pura e semplice, senza altri discorsi le arrise come un atto di maggior perfezione. Difatti possediamo un'esplicita e preziosa deposizione della nepote Giuseppina Cerioli, che dice proprio così: “Per la cognizione che avevo del carattere aperto e franco della Costanza da una parte, e dall'altra dei modi paterni e amorosi dei genitori suoi, mi pare che non si possa supporre in lei un timore tale che le impedisse di manifestare la sua contrarietà al matrimonio, se l'avesse avuta. Penso piuttosto che abbia accettato la proposta ciecamente, senza entusiasmo e senza contrarietà, per ispirito di obbedienza al consiglio 70 dei genitori verso i quali nutriva grande amore e riverenza” . E così fu veramente; e ne conosceremo poi la ragione. Si deve quindi conchiudere che sul momento Iddio la vuole sopra un'altra strada opposta a quella da lei sognata; ma verrà giorno in cui, moltiplicati virtù meriti ed esperienze, tutte le sue evidentissime doti per la vita religiosa brilleranno sur un candelabro 70 Proc. Ap. Suppl. Summ. N. IV, paragr. 180, 181, 182. Biografie 68 opera omnia a perfezione di lei e di molti, a salute d'un numero incomputabile di anime. Questo è stile divino puro e semplice. Il pensiero che a Dio piace sopra ogni altra cosa l'obbedienza tranquillizza la giovane; alzando al cielo lo sguardo rassegnato, ella s'incontra nello sguardo di Dio che le sorride: in quel sorriso ritrova tutta la sua pace interiore. Resa forte della superna fortezza, illuminata dallo Spirito divino, con virtù generosa cede i propri diritti e sottomessa alla volontà dei suoi, in cui vede il volere supremo, piega il capo ed accetta la proposta. Infine però ascoltiamo lei che è il miglior giudice di tutto. Alla buona confidente M. Corti, dirà più tardi la vera ragione di questo suo atto di sottomissione ed accettazione. Richiesta come mai ella così piena di desiderio di vita più perfetta siasi indotta a sposarsi risponderà: “Era tanto grande il rispetto e la venerazione che nutrivo verso i genitori che non avrei osato fare la minima opposizione alle loro disposizioni a mio riguardo”. Ed aggiungeva che essi erano ben degni di questa filiale fiducia per gli esempi di virtù e di religiosissima vita che davano continuamente; e di più perché ella sentiva che, accondiscendendo alla volontà dei suoi si sarebbero compiuti in 71 lei i disegni di Dio . Ed ancora alla medesima M. Corti confiderà: “Io non sapevo neppure che cosa significasse matrimonio; ed essendo uscita di collegio i miei genitori fecero il contratto del mio matrimonio senza di me - essendo questo costume dei nobili. - Io poi non avrei osato oppormi al volere dei miei genitori perché tenevo la loro volontà per volontà di Dio. Immaginati se una ragazza come me, di così poca esperienza ed età, avrei potuto ardire di oppormi alle deliberazioni di sì autorevoli e sagge persone quali erano i miei genitori: quindi senza nemmeno permettermi delle riflessioni su ciò che mi attendeva mi abbandonai alle loro braccia come in quelle di Dio; e vedi come sia stato veramente volere di Dio dagli avvenimenti che ora succedono. Se avessi sposato un giovane del bel mondo, e in mezzo alle grandezze, che 72 ne sarebbe di me?” . Sagge e sante parole! La fanciulla obbedendo non ha errato, ma ha riportato il più splendido successo in ogni senso, secondo il dettato dello Spirito 73 Santo, poiché solo gli obbedienti cantano vittoria . Il seguito di questa vita ne è irrefutabile prova. 71 72 73 P. Merati. Biogr. Cap. I, pag. 22. Proc. Ap. Summ. pag. 279, paragr. 5. Prov. 21. 28. Biografie 69 opera omnia Accettato così il sacrificio, la pia giovane per innata mitezza e abitudine di virtù rimase calma sorridente disinvolta e continuò la sua vita devota operosa benefica. Frattanto si dispone ad eseguire in tutto ed in ogni conseguenza, con ilare cuore, sino ai dettagli, la volontà di Dio e dei genitori. Viene presentata al futuro sposo. Conversando trattando con lui non si mostra imbronciata o selvatica: nella sua verginale modestia è affabile, disinvolta, garbata con lui. L'eroismo della sua generosità giunge al punto di farle sentire affetto, vero autentico affetto, e glielo esprime con sincere parole di bontà. Tanto ella ama ciò che Iddio ha scelto per lei! Nonostante l'opposta inclinazione, nonostante la distanza degli anni, nonostante le doti negative del promesso sposo, ella sente di amarlo ordinatamente sinceramente come Iddio vuole si amino quelli che Egli destina a portar di consenso il giogo della vita. Ne abbiamo la prova in una graziosa lettera, conservataci, diretta da Costanza al signor Buzecchi nel breve tempo del fidanzamento. Leggerla è edificarci, è confermare quanto abbiamo detto: “Soncino, 2 aprile 1835. Carissimo Gaetano, Nel ritornare questa mane dalla Chiesa, ove fui ad ascoltare il nostro bravo predicatore, mi fu di grata sorpresa il vostro servo, apportatore di un vostro a me caro foglio. Quanto mi siano grate le vostre nuove non ve lo posso esprimere, non essendo la mia penna abbastanza eloquente: ma credetemi che ne sareste persuaso se poteste leggere nel mio cuore i favorevoli sentimenti che ho concepito per voi; e di questi ne potete esser certo, essendo voi il primo che abbia intenerito il mio cuore. Starò attendendo con desiderio la gita da voi promessami, e sarei ben felice se il pensiero dell'amaro abbandono dei miei amati genitori, e quella prima impressione che produce in me il cambiamento di stato, non venisse ad inquietarmi. Vi prego a salutarmi la Signora vostra sorella e mia cara futura cognata, e sono a pregarvi a farle aggredire una piccola coserella che vi spedisco per il vostro servo, e spero che presentata da voi sarà più gradita. La vostra lettera fu recapitata a chi di dovere. Addio, ricevete i saluti di tutti la mia famiglia, in particolare dei miei genitori, nell'atto che passo a dirmi. Tutta vostra aff. ma 74 Costanza Cerioli” . S. Francesco di Sales, il caro Maestro, approverebbe pienamente il garbo la semplicità affettuosa di questa lettera: con quanta ragione 74 Proc. Ap. Animadversiones pag. 27. Biografie 70 opera omnia ripeterebbe la sua classica sentenza: “l'amore di Dio si compone armoniosamente con tutto, anche con ciò che si direbbe più lontano e discordante da esso”. Questa lettera fu scritta un mese appena avanti le nozze; Costanza infatti annunzia la sua inquietudine per la separazione dai suoi cari e pel cambiamento di stato. Il giorno 30 aprile 1835, nella parrocchiale dell'Assunta in Soncino - ove Costanza era stata battezzata - si celebrò il rito delle 75 nozze . Veruna pompa niente apparato di invitati e livree; ma in voluta modestia giustificata dalla vedovanza dello sposo. Tutto predisposto dal Cielo. Che volle dire alla sua prediletta che le nozze terrene non saranno per lei una festa ma un passaggio un tirocinio ad altre nozze a cose più alte. Così trascorse la festa nuziale di Costanza Cerioli. Alla notizia dell'avvenimento i così detti amici, benevoli o maligni, di cui il mondo è pieno, levarono un coro di commenti. Noi li omettiamo; s'immaginano. Son vuoti e vecchi quanto vecchia e stolta è la malignità del mondo. Quel giorno però fu festa in Cielo. Gli angeli santi applaudirono benedicendo ai due le colonne d'un vero focolare cristiano che - secondo le previsioni degli uomini doveva risultare un inferno; invece... fu un paradiso per le virtù della eroica sposa secondo i piani divini!. . E il dramma si risolverà in poema. 75 “Consta dai registri di questo archivio parrocchiale che Cerioli nob. Costanza, figlia legittima dei legittimi coniugi Francesco e Francesca Corniani, ha sposato in questa parrocchia, addì 30 aprile il signor Buzecchi Gaetano di Carlo, vedovo di Teresa Tassis. - Proc. Ord. Doc. VIII. pag. 324. Biografie 71 opera omnia Biografie 72 opera omnia CAPITOLO IX Pianto e sorrisi del focolare Da Soncino la famiglia nuova si trasferisce a Comonte, proprietà e residenza abituale dello sposo. Chi uscendo da Bergamo prende la via che muove alla volta delle valli Cavallina e Caleppia, oltrepassata di poco la grossa borgata di Seriate, s'incontra in una piccola catena di collinette le quali via via che s'innalzano presentano i loro dossi vestiti dalla parte di mezzogiorno di vaghissime vigne e frutteti, e nel fianco meno assolato irti di folte boscaglie. Queste si chiamano le colline di Comonte. Al principio di queste collinette sorge in luogo assai ameno la chiesetta che appartiene al villaggio, chiamato appunto di Comonte, il quale villaggio si stende ai suoi piedi formato di poche case di coloni insieme raggruppate, e di molte altre sparse per la fertile campagna. Sopra tutte spicca un palazzo di stile grave che ha l'aspetto di un monastero più che di villa. La sua architettura è armonia con la natura del luogo lontano dai frastuoni, silenzioso e tutto fatto per la quiete e pel riposo. Questa la dimora di secoli dei conti Tassis, che vanterebbero 76 nientemeno, nel proprio albero genealogico Torquato Tasso . L'ultima erede, contessa Teresa Tassis, era andata sposa al signor Gaetano Buzecchi, ottimo suo amministratore, recandogli in dote un ingente patrimonio tra cui i vasti possedimenti di Comonte. 76 La proprietà si trova distante un miglio da Seriate, e sei da Bergamo. Oggi nell'antica casa non rimangono che poche vestigia della famiglia: qualche stemma dei Tassis (cornetto e tasso) sul camino della grande sala; pochi ritratti di grandi dignitari ecclesiastici della famiglia, tra cui il vescovo Luigi Tassis: questi quadri sono superstiti di una magnifica collezione dei principali personaggi della illustre famiglia, che andò sventuratamente distrutta. Biografie 73 opera omnia Morta senza prole od eredi la contessa Tassis, il marito venne a trovarsi signore di così vasta fortuna. Sconsolato si ritirò nel suo 77 palazzo menandovi vita solitaria quasi misantropica . La noia di viver solo e desolato, lo spettro dell'imminente vecchiaia con l'inseparabile sequela di tristezze e malanni lo fecero uscir di solitudine per ricercare una donna che, recandogli ancora qualche gioia legittima e pura, gli fosse compagna nella ricca e desolata solitudine, nonché sostegno della sua declinante vita. In verità non poteva desiderare nulla di meglio dell'ultima figlia dei conti Cerioli. L'aveva vista conosciuta appena; quanto gli dissero della sua bontà delle sue doti di mente di cuore della sua profonda pietà gli bastò ad avanzare una timida ma seria proposta di matrimonio. La dirittura morale del gentiluomo è evidente come è degna di elogio. Ha chiesto la mano di Costanza non attratto dai suoi beni dotali - egli è straricco -; non invaghito della sua bellezza - essa è così povera cosa che, pur giovane d'anni, porta i segni pietosi d'una imperfezione fisica per nulla corretta dagli artifici -: ma solo vinto dalla splendente virtù e convinto del gran bene che tutti dicono della santa e saggia fanciulla. L'ineccepibile integrità morale e civile l'ampiezza del patrimonio furono quindi i motivi dominanti per cui i genitori di Costanza, trascurando l'avanzata età, più che sicuri dell'assenso della figlia obbedientissima ed amatissima accettarono di buon grado la proposta. Il matrimonio fu conchiuso, e dopo breve periodo di fidanzamento celebrato il 30 aprile 1835, come vedemmo. Quel giorno la solitudine del palazzo di Comonte sembrò destarsi da un lungo sopore. Rivestito a gala, animato di servi e familiari in sontuose livree accoglieva festante il suo signore accompagnato dalla giovane sposa. Un raggio di sole un sorriso di cielo primaverile rianimò l'austera magione; la nuova signora veniva ad accendervi un focolare cristiano che la mano potente di Dio dopo breve giro di anni tramuterà in autentico chiostro, ove troveranno ricetto due famiglie novelle: una a Dio sacra che la profumerà di preghiere, l'altra fatta di nidiate d'innocenti creature che l'inonderanno di trilli armoniosi; tutte figlie della giovane benefica signora fattasi madre dei bimbi senza madre. E Comonte dopo appena vent'anni diverrà domicilio della carità, culla e forma d'altre case sorte a sua somiglianza per diffondere l'amore della novella sposa di oggi. 77 La contessa Teresa Tassis morì il 30 giugno 1828. Biografie 74 opera omnia Che questo poetico e profetico spunto abbia in realtà fatto fremere le vecchie mura del castello di Comonte non lo sappiamo; confessiamo però che fa fremere noi di gioia e ci aiuta a tener alto il cuore fisso lo sguardo a questa benedetta meta; ci fa proseguire di buon animo a leggere le pagine venienti, colme di pianto e dei sorrisi dell'angelica sposa nella nuova magione dorata del suo soffrire. Se il matrimonio è a tutti un serto di rose che per un giorno solo olezzano per presto inaridire, alla nostra Costanza esso fu subito un fascio di dure e crude spine. La mano di Dio le sottrasse tutto, persino il legittimo a tutti concesso, per sostituirle le amare ma corroboranti gioie serbate ai cuori di cui Egli è più geloso. In verità, presaga di così alte ed arcane cose ella venne a Comonte ad accendervi l'ara del più generoso sacrificio. Innanzi tutto è indispensabile completare il ritratto morale dello sposo. Il signor Buzecchi all'epoca delle seconde nozze contava sessant'anni. Uomo d'antico stampo cristiano di convinzione e pratica, ottimo cavaliere padrone giusto liberale benefico occupava il tempo curando i suoi beni e coltivando la musica “di cui si reputava 78 buon intenditore; mentre questa era soltanto una sua pretesa” . Secondo alcuni egli era “di carattere buono e dolce” secondo 79 altri invece “bisbetico strano incontentabile” . Il giusto mezzo crediamo consistesse in ciò: finché ebbe sanità, e cioè per i primi tempi appena del secondo matrimonio, egli fu dolce e buono; ma avanzando negli anni sopraggiunta la paralisi aggravata dalla morte dei figli, specialmente dell'ultimo in cui sperava l'erede, la sua natura a sfondo bilioso si rivelò con tutti i fenomeni più sgraditi. Il nostro giudizio viene confermato da quello virtuoso e benigno della stessa Costanza: “Mio marito - ella dice - era un uomo educato sì di cuore; ma per la sua poca salute riusciva d'umore inquieto; era poi attaccatissimo alle sue abitudini; ed avanzato come era in età s'imponeva in modo da non permettere di aprirgli il cuore, né manifestargli il più piccolo desiderio. Egli stesso avvedendosi del mio contegno mi chiamava spesso “sua figlia”. Difatti io non facevo altro che obbedire ciecamente anche nelle cose contrarie al mio gusto riconoscendo nel suo il divino volere; perciò avevo sempre motivo di 80 rinnegare me stessa” . 78 79 80 Proc. Ap. Suppl. Summ. N. IV, paragr. 43. Proc. Ap. Suppl. Summ. N. IV, paragr. 245. 153. 38. 39. 40. P. Merati - Biografia Cap. II, pag. 25. Biografie 75 opera omnia Ecco l'uomo destinato da Dio a Costanza Cerioli. A quest'uomo giurò fedeltà ed amore di sposa cristiana. E lo amò sinceramente come datole dal Cielo per la propria salvezza e santificazione. Lo amò con amore sottomesso di figlia e di serva devota; lo amò per tutte le sue buone qualità - che pur possedeva - chiudendo gli occhi su i difetti le stravaganze, attribuite a malferma salute; infine lo amò per amor di Dio. La teoria e l'applicazione della carità - a lei ben note riprendono qui a vivere in tutta l'attività e l'estensione del dettato e della pratica. I primi giorni di dimora in Comonte non potevano non essere lieti e quieti. Il signor Buzecchi non cessa di compiacersi con se stesso del prezioso acquisto con la sua buona Costanza. Così pia raccolta ed altrettanto vigile devota nell'accudirlo, così diligente industriosa nel non contristarlo nell'obbedirlo sempre con un pacato e sorridente volto che è delizia il guardarla. Ha anch'essa però le sue predilezioni: raccogliersi nel suo quartierino al piano superiore della casa, a lavorare e pregare: preparare indumenti per i poveri bambini dei suoi coloni e parlare con Dio delle misere e caduche cose di quaggiù nella aspettazione di quelle imperiture del Cielo. Le sue uscite non sono che per la chiesa o per opere di carità. E dire che aveva a disposizione nel palazzo un devoto oratorio ove ogni festa si celebrava il S. Sacrificio. Ciò nonpertanto, ascoltata qui la S. Messa voleva scendere nella casa di Dio tra i suoi fratelli a pregare in comune con essi, a edificar tutti con un contegno di fervida pietà nell'assistere alla Messa parrocchiale e udirvi la santa parola di Dio. A Comonte si è scelto 81 subito un confessore che la guidi e la sorregga nella sua ardua via . Questo genere di vita - bisogna riconoscerlo - era perfettamente approvato da suo marito; la lodava se ne compiaceva tanto che quando ricercava per la casa la irripetibile sposa la vezzeggiava 82 chiamandola con l'epiteto “monachella mia!” . Ne era contento anche perché egli stesso per temperamento ed abitudini odiava il frastuono e il trambusto. La sua bella casa, infatti, la teneva gelosamente serrata specialmente alla modernità del suo tempo, tanto che in essa tutto era rimasto di buon mezzo secolo. Non coltivava relazioni; riceveva poche visite appena le indispensabili richieste dalla parentela o dalla convenienza. 81 82 Don Giuseppe Milesi. Proc. Ap. Suppl. Summ. N. II, pagr. 145. Proc. Ap. Suppl. Summ. N. IV, paragr. 103. Biografie 76 opera omnia Unica privilegiata la musica: la sua passione. Per essa violava clausura ed abitudini, spalancava le porte della custodita casa ad amici e conoscenti per deliziarli con interminabili audizioni di “pezzi” strappati al vecchio cembalo di famiglia. Quale genere di martirio per chi ascolta, s'immagina non si dice. Gli ospiti almeno possono con garbo declinar l'invito o l'abbreviar le visite; ma lei, Costanza deve ogni volta piazzarsi al fianco del marito e prendere più che gli altri attenta ai suoi virtuosismi musicali. Guai a divagarsi scambiar parole o distrarsi in altro. Le abitudini del signor Buzecchi erano viete e pesanti. Bisognava accomodarsi ad esse soffocando dissimulando fastidi e noie. I suoi discorsi gravi bisognava ascoltarli con attenzione e interesse; i suoi abiti il modo di acconciarsi all'antica come antiche e passate di moda le stoffe che voleva per sé ed imponeva alla sua signora. E questa, serena e lieta era contenta di tutto, si adattava a tutto senza proteste o lamenti. Di tempo in tempo, pensando di dar sollievo alla sposa, il signor Buzecchi organizzava una gita a Bergamo. Dava ordine al cocchiere di approntare la vecchia carrozza monumentale e sghemba di casa Tassis, tirata da una pariglia di cavalli bardati come per un torneo, o una parata da giostra. Ed egli vi saliva, come su un trono, ostentando compiaciuto al proprio fianco la mite casta giovinezza 83 della sposa . Meno spesso - ma non di rado - la conduceva nei principali ritrovi o caffè della città; a volte al tetro ai balli ad altri convegni mondani ove, tenendola a braccetto, si gloriava nel presentarla a 84 tutti . Pensiamo la confusione, la sofferenza della buona figliuola, tanto modesta e delicata di animo, fatto segno agli strali di mille occhi, oggetto di altrettanti giudizi da cui non esulano il sarcasmo le beffa lanciati da quanti accorrono a malignare sulle stravaganze del povero vecchio malato, e la passiva acquiescenza della giovane sposa. Nonpertanto il signor Buzecchi continuava imperterrito il cammino trionfale, con la povera moglie al fianco, tutta assorta in Dio ad offrire il sacrificio di tanta umiliazione. Al ritorno in casa per nulla turbata dell'accaduto, si mostrava lieta e disinvolta pronta a ripetere le dolorose esibizioni tutte le volte che fosse piaciuto al suo signor marito. Quello però che le riusciva intollerabile, perché la faceva soffrire terribilmente nello spirito timoroso dell'offesa di Dio, erano le 83 84 Proc. Ap. Suppl. Summ. N. IV, paragr. 38. 39. 40. Ibid. Biografie 77 opera omnia cosiddette visite di convenienza le riunioni di società le conversazioni 85 da salotto . Queste non poteva sopportarle “perché ivi - ella dice non si parlava di altro che di cose mondane, ed io sentivo per esse una vera antipatia. Per me era un vero martirio l'assistervi e non so 86 quale sacrificio avrei scelto piuttosto che recarmi a tali ritrovi” . Educata nel decoro e nella riservatezza, usa a trattare con persone di tutta probità, inclinata alla quiete e al ritiro, doveva lottare fortemente solo a presenziare le riunioni della società brillante. Allegra e gioviale per natura, ma in pari tempo di squisita delicatezza di conoscenza e purezza di cuore, a cui il più piccolo motto libero dava pena e tormento, soffriva indicibilmente nel trovarsi a contatto con quel genere di persone a cui il rango l'educazione l'autorità avrebbe dovuto suggerire discorsi alti e pari al loro decoro; invece non sapevano pascersi che di futilità maldicenza pettegolezzo; persone infine artificiosamente complimentose e garbate la cui lingua ferisce e uccide con una finezza pari alla leggerezza. Quindi i pericoli a cui era esposta per la sua giovane età la facevano tremare. Invitata alla danza, neppure una volta la si poté indurre ad accettare; sempre adducendo a perentorio motivo il non conoscere quel genere di divertimento. Trepidante e industriosa adocchiava un angolo remoto della sala, vi rimaneva sola in dignitoso silenzio e riservato contegno, in attesa che la festa finisse, ed il marito venisse a rilevarla. Tornata in casa non una parola delle sue sofferenze non una recriminazione. E che cosa avrebbe potuto dire se sapeva che proprio da lui partiva l'ingiunzione? L'età e l'esperienza avrebbero dovuto dissuaderlo dal mettere la giovane sposa in sì dolorosi e pericolosi frangenti; ma se egli non lo rifletteva, lei non avrebbe mai osato richiamarlo a tale riflessione; quindi, non le restava che obbedire, fidando nella protezione del Cielo. Tuttavia questa singolare situazione la inquietava ed affliggeva non poco; se avesse potuto confidare la cosa a persona di età e di autorità, come ad esempio la mamma, lo avrebbe fatto subito; ma i suoi erano lontani da Comonte; non li vedeva che raramente, e doveva regolarsi da sola, coi sensi della sua discrezione, e coi lumi che le concedeva il Signore. Alle sue religiose dirà poi: “Mi fanno veramente compassione quelle povere signore che si maritano lontano dalla casa paterna e non hanno persone conoscenti e per lo più hanno molta soggezione 85 86 Proc. Ap. Suppl. Summ. N. IV, Paragr. 18. Proc. Ap. Suppl. Summ. N. IV, paragr. 18. Biografie 78 opera omnia nella famiglia in cui sono accasate. Oh, quanto è duro ai giovani il non aver persona a cui confidare i propri affanni... Mio marito mi amava molto, ma essendo io di così poca età non ardivo esporgli il benché minimo desiderio quindi soffocavo in cuore tutto che potesse 87 arrecargli il più lieve dispiacere” . Eppure a chiunque la visitasse in Comonte ella dichiarava che nessuna sposa poteva meglio di lei 88 adempiere i doveri coniugali . Nell'ubbidienza umile ed operosa santificata dalla preghiera, aromatizzata di mortificazione, trascorrono i primi tempi della vita coniugale in assoluta pace e serenità. Questo - con poche varianti - sarà il tono di ben diciannove anni, rafforzato dalla gioia e dal peso della maternità, aggravato dalla penosa lunga malattia del signor Buzecchi, che metterà a prove ognor più difficili la resistenza spirituale e fisica della generosa consorte. Poche gioie - come si vede - e molti sacrifici. Guardata con occhi umani la vita di Costanza Cerioli è penosa assai degna di compianto. Ma chi potrebbe dire quel che in compenso ella gusta nell'anima? Il mondo non può esser giudice di tali cose perché le ignora. Tanto vero che per esso questa donna comunque la guardi, sia nello stato coniugale come in quello di religiosa è sempre un'infelice. Alcuni glielo dicevano persino. Ma a chi la reputa tale, risponde lei stessa: “Poverette esse! mi credono più infelice di loro... Oh, come s'ingannano, esse non sanno 89 dove stia la vera felicità!” . Lo sapeva ben lei dove trovarla. Qualcuno di Comonte - pochi assai a dir vero - penetrando il mistero di quel sorridere tra siffatto vivere, quando la vedevano passare in carrozza, sussurravano sommessi: “Presto, venite a vedere 90 passa la carrozza della santa” . Contrasto armonioso ed elegante! Come la santità sa adattarsi in un cocchio, così nella sofferenza può stare la perfetta letizia! 87 88 89 90 Proc. Ord. Vita, Cap. III, paragr. 137. Proc. Ap. Suppl. Summ. N. IV, paragr. 28. Proc. Ord. Doc. Vita, Cap. II, paragr. 136. Proc. Ap. Suppl. Summ. N. IV, paragr. 93. Biografie 79 opera omnia Biografie 80 opera omnia CAPITOLO X E le poche rose!... Trascorre il primo anno di matrimonio e sulla fronte verginale di Costanza si posa il serto della maternità. La trasfusione della fecondità divina dà alla creatura razionale tale comprensione della dignità e responsabilità proprie, da giustificar bene quelli che si dicono i prodigi del matrimonio. Una giovinetta pavida debole allorché porta il peso della maternità d'incanto diviene forte e intrepida saggia ed eroica. Che dire poi se una creatura giunga al matrimonio corredata di virtù eccezionali, abituata a guardar tutto, dolori e gioie, dalle altezze della fede ad amar tutto con le ampiezze del cuore divino? La reversibilità dell'amore creatore e redentore immenso nel cuore umano si diffonde e crea i classici gesti di sacrifici di rinunzie consueti per una madre comune, eroici sempre in una madre santa. Il provvido amore di Dio mescola così nel cuore di Costanza, con tante amarezze, questa pura gioia. Tra le spine della sua corona ha inserito tre fiori: di essi uno solo - il primo che le sorrise - si aprirà sino alla primavera della vita; gli altri due appassiranno appena in boccio. Il primogenito - Carlino - lasciato per sedici anni a fianco della madre, in tutto degno di lei, le sarà angelo di conforto; dopo aver con lei sofferto, ed annunziatale vicina la suprema vocazione, se ne volerà al Cielo. Nacque il 20 ottobre 1837. Il secondo, Raffaele, nato il 9 novembre 1838 morrà dopo appena nove mesi di vita il 6 agosto 1839. Biografie 81 opera omnia Il terzo ed ultimo - senza nome - nacque e morì lo stesso giorno 91 22 novembre 1842 . Carlino il superstite - che ricorda nel nome l'avo paterno - porta una nota di gioiosa vita nell'austero palazzo che la misantropia del padrone e la raccolta solitudine della signora rendono quasi un chiostro. Dicevamo che questo figlio unico sopravvissuto ai tre elargiti, nel consiglio divino era dato proprio per la madre. Non sarà l'erede né il continuatore del nobile casato; ma l'innocente associato alle spirituali elevazioni ed alle pene materne; infine “la vittima sacrificata per tanti infelici”, come lo dirà Costanza. La sua morte prematura, infatti, e la sua pingue eredità daranno a lei motivo e mezzo di realizzare insieme il sogno della vocazione religiosa e l'opera benefica a cui è destinata. A sua volta la madre è angelo al figlio, maestra e guida nei brevi giorni della sua vita. Gelosissima d'un tale tesoro, proprietà e dono divino, non lo affida a veruno nella prima infanzia. Lei sola deve accostarlo ed incontrarsi con la sua anima innocente per deporvi i primi sensi della fede, i primi germi della virtù; col suo cuore per accendervi un grande amore per Iddio e una devozione tenerissima alla Santa Vergine; con la usa intelligenza per aprirla alle prime nozioni del sapere cristiano ed umano. Memore della educazione ricevuta ella non permise mai all'affetto - ed era ben grande - di far velo ai suoi occhi a coprire le incipienti passioni nel suo piccolo, e debellare con la forza della persuasione con la dolcezza dell'amore. E vi riuscì a meraviglia. Un pio sacerdote che frequentava la casa ha notato in quel fanciullo evidenti i segni di un'anima candida e bella; tutto merito della pia istitutrice; anzi ne è la copia tenera ed autentica. A sei anni appena egli sapeva servire all'altare. Liturgicamente istruito si univa al sacerdote nell'oratorio domestico vi si moveva come un piccolo angelo, modesto e compreso del suo alto ufficio coadiuvava il sacro ministro nel sacrosanto mistero. Nel mirarlo così devoto e grave la madre estasiata lo sognava già consacrato a Dio, e nel segreto del cuore glielo offriva con le suppliche più calde perché ratificasse il suo voto. 91 Archivio Parrocchiale del SS. mo Redentore in Seriate. Dai registri dei Nati nell'anno 1837 al N. 75; nell'anno 1838 al N. 82; nell'anno 1842 al N. 76. Per quest'ultimo si legge l'annotazione: “Non ha nome perché morto appena nato”. Biografie 82 opera omnia Carlino aveva pure appreso da lei l'amore la pietà per i poverelli. Lassù nella sua stanza solitaria dove ella trascorreva lunghe ore a disfare le sue preziose vesti per rifarne piccoli indumenti destinati ai bambini, Carlino imparava ad una scuola silente ma eloquente la gran fonte di meriti che è quella di dare sottraendo a se stessi; e per questo guidato dalla mamma faceva anche lui del proprio 92 le sue piccole oblazioni, frutto di generose rinunzie e mortificazioni . Carlino oltre la sveglia intelligenza, che ricopia così al vivo la mamma, sembra avere qualche disposizione alla musica; e questo è dal babbo. Una nuova sorgente di pene e sacrifici! Col crescere del figlio il signor Gaetano invecchiava, ed invecchiando si accentuavano i malanni che riflessi sul suo temperamento lo rendevano irritabile e strano. Facilmente montava in ira e - incredibile! - era preso da eccessi di gelosia contro il piccolo 93 perché lo credeva oggetto delle migliori cure di Costanza . Non 94 vedeva di buon occhio che ella si intrattenesse da sola col bambino . Non si può dire con ciò che egli non lo amasse; ma è facile intuire quanto quest'amore fosse sopraffatto dalle stranezze. Esigeva da lui contegno e maniere superiori alla sua età. Gli stessi sollazzi le tenerezze infantili lo indisponevano. Così pretendeva immobilità e silenzio per lungo tempo; e se mai il piccolo commetteva un innocente malestro si adirava, se ne offendeva sino ad attribuirlo a malanimo a premeditazione alle cose più assurde per un bambino. Ad esempio: lui sedeva al cembalo per eseguire qualche brano musicale, il figlio doveva restargli vicino immobile silenzioso - come già la madre - ad assistere alle interminabili esecuzioni ed applaudirle 95 al momento voluto . Accadeva che il ragazzo si stancasse, e non di rado si addormentava; a volte poi al sentire qualche nota troppo acuta o fuori posto rideva. Allora era tempesta! Il signor Gaetano interrompeva l'esecuzione si allontanava tutto adirato pronunziando 96 parole contro il figliuolo Rare volte Costanza si recava a Soncino a far visita ai vecchi genitori. Con materna compiacenza preparava il piccolo per condurlo a deliziare delle sue innocenti grazie gli amati avi; ma quando era sul 92 93 94 95 96 Proc. Ap. Suppl. Summ. N. IV, paragr. 59. Proc. Ap. Suppl. Summ. N. IV, paragr. 85. Proc. Ap. Suppl. Summ. N. IV, paragr. 49. Proc. Ap. Suppl. Summ. N. IV, paragr. 93. Proc. Ap. Suppl. Summ. N. IV, paragr. 31. Biografie 83 opera omnia punto di partire, il marito comandava: “Va' da sola, Carlino resterà 97 con me” . “Questo mi straziava il cuore - confiderà poi Costanza alla M. Corti -. Proibirmi di condur meco l'unico mio figlio era come togliermi l'anima. Quel viaggio era un martirio. il mio sollievo era allora rivolgermi a Maria Addolorata e con lei sfogare il mio dolore; da sì buona madre avevo sempre conforto. Carlino poi era più virtuoso di me. Comprendeva che io soffrivo nell'abbandonarlo mal dissimulando anch'egli il suo dolore mi diceva: - sta’ quieta, mamma, che io sarò buono vedrai che non mi accadrà nulla di male. Che vuoi? papà mi vuole in casa con lui; è segno che mi ama, ed io sono contento. - Io poi baciandolo in fronte e mettendolo fra le braccia di Gesù e Maria rassegnata a non lamentarmi mai qualunque sacrificio chiedesse da me il Signore, salutato il marito me ne partivo”. E conchiude con queste sante parole: “Era Dio che a poco a poco veniva staccando il mio cuore da colui che doveva essere la vittima sacrificata per tanti infelici”. Parlando di cose sì dolorose ella era tanto commossa 98 che inteneriva alle lacrime chi l'ascoltava . Di questo sacrificio imposto dalle senili stravaganze d'un infermo madre e figlio in generosa gara offrivano a Dio il fiore, dissimulando l'uno all'altra il proprio penare, giustificando e compatendo chi ne era la cagione. Carlino che si avvedeva degli eccessi di gelosia del babbo, 99 confortava la mamma adducendo a cagione il grande affetto di lui ; la madre, posta in imbarazzo tra il padre e il figlio, nascondeva ad 100 entrambi qualsiasi risentimento . Suo primo timore è che non scemi in Carlino l'affetto e la riverenza filiale ed è perciò tutta sollecita ad inculcargli parlando del premio da Dio riserbato ai figli amorevoli, scusando le parole e i gesti paterni attribuendoli all'amore che nutre 101 per lui . Non si saprebbe in verità chi più ammirare in siffatta gara: la madre o il figlio: pieni di compatimento entrambi e preoccupati solo di giustificare il contegno d'una persona cara, cagione di sofferenza e di merito. Il povero malato per fermo è meritevole di questo compatimento; le sue condizioni fisiche, ognora decadenti, sono il 97 98 99 100 101 Proc. Ap. Suppl. Summ. N. IV, paragr. 2. Proc. Ord. Doc. Vita, pag. 139. Proc. Ap. Suppl. Summ. N. IV, paragr. 21. Proc. Ap. Suppl. Summ. N. IV, paragr. 5. P. Merati. Biogr. Cap. II, pag. 33. Biografie 84 opera omnia principale fattore per cui le sue stranezze, riflesso di un temperamento non felice, si aggravano ogni giorno. Tanti motivi, che rendono ognor più difficile la situazione domestica, impongono a Costanza un'eroica decisione: rinunziare al figlio, collocandolo in collegio. Anche il saggio disegno di provvedere alla formazione intellettuale di lui ne è buona ragione, rafforzata dal pensiero che allontanata la causa della irritazione e della gelosia il povero infermo avrebbe trovato maggiore serenità. Ed inoltre il generoso proposito di dedicarsi esclusivamente al proprio marito, le fecero ricercare questo mezzo. L'affetto materno riluttava all'energico rimedio: come distaccarsi dall'unico conforto concessole da Dio? Ma di fronte all'urgente dovere di salvare la pace domestica e provvedere alla salute dello sposo abbracciò anche questa nuova croce. Un altro sacrificio dunque per lei e pel figlio. Quanti pregi, quante squisite finezze in questo gesto! Costanza adusata alle rinunzie lo troverà tollerabile anzi benefico, benché profondamente sentito, perché la disporrà ad un distacco più fiero e crudele: l'immatura morte del suo Carlino. Proprio in quei giorni per felice coincidenza si presentava il destro al sacrificio. In Bergamo Mons. Alessandro Valsecchi canonico della cattedrale realizzava un'idea da tempo vagheggiata: quella di aprire un collegio per provvedere alla cristiana educazione dei 102 giovanetti della regione . Il nome del promotore e fondatore, la protezione e vigilanza del vescovo diocesano sul nuovo centro di educazione garantivano assolutamente Costanza e non la fecero dubitare un istante sulla scelta. Senza por tempo in mezzo si porta a Bergamo, tratta la cosa con Mons. Valsecchi e tutto è stabilito per il prossimo ingresso del ragazzo. Sarà così il primo alunno del nuovo collegio che si chiamerà di “S. Alessandro” o più comunemente “il collegio Valsecchi”. Il 102 Monsignor Alessandro Valsecchi nacque in Bergamo il 9 novembre 1809. Sacredote nel 1832. Vice parroco di Borgo Canale: Economo spirituale a Locatello, indi Vice parroco a Bienno. Nel 1846, rettore del Collegio S. Alessandro, ove rimase sino al 1873. Nel 1858 Canonico della Cattedrale; Esaminatore pro-sinodale e in ultimo pro Vicario Generale. Nel 1867 Mons. Speranza lo chiese alla S. Sede come coadiutore, e lo ebbe infatti col titolo di vescovo titolare di Tiberaide. Nel 1870 partecipò con Mons. Speranza al Concilio Vaticano, ove si fece ammirare per i suoi illuminati suggerimenti circa il Decreto sulla Infallibilità pontificia. Morì il 6 maggio 1879, precedendo di un mese nella tomba il suo grande vescovo ed amico, Mons. Speranza. Biografie 85 opera omnia fondatore vide subito nella primizia un segno e un presagio del felice avvenire dell'istituzione. E difatti Carlino Buzecchi - che egli chiamerà “il figlio primogenito” - riuscirà il primo e vero esemplare di pietà e diligenza prodotto dal collegio, ed a cui potranno sempre rifarsi i condiscepoli per imitarlo. Non era infatti figlio e frutto della pedagogia di una santa? Carlino parte pel collegio all'età di otto anni: un frugolo intelligente e buono vivace e riflessivo, e si distacca dalla madre addolorata, consapevole anche lui di andare a far contento Iddio che ha disposto tutto così. Mons. Valsecchi posto dinanzi al ragazzo fa subito una constatazione felicissima per un rettore in procinto di aprire un collegio: quel figliuolo si presenta così compito nell'educazione di carattere nella vita di pietà nell'esercizio delle virtù - specialmente della mortificazione - che, per renderlo completo, a lui resta soltanto istradarlo nello studio delle lettere e delle scienze umane; per tutto il resto è merito degli insegnamenti materni se può proporlo subito in esempio ai suoi compagni. Chiara dimostrazione dell'efficacia della preventiva educazione domestica. Il pio rettore ne rimane talmente colpito e commosso da scrivere a donna Costanza in questi termini: “Le savie ammonizioni e le incessanti preghiere con le quali ella, assiste suo figlio giovano al medesimo assai più che le mie parole e le mie cure. Non che accusi suo figlio, anzi accuso me stesso, vedendomi troppo inferiore al delicato ufficio che mi sono addossato. Vostra Signoria dunque faccia 103 di assistere il rettore, ed avrà fatto un gran bene ad ambedue” . Tale elogio, onorifico per la madre e pel figlio, era dettato da un uomo di Dio che sarà poi direttore spirituale e consigliere della nostra Costanza. Dalla citata lettura si rileva che l'educazione del collegio era completata in casa nei giorni di vacanza - che a quei tempi eran pochi - ed anche questo costituirà un altro tempo di prova per la madre e per il figlio, come vedremo. Costanza poteva controllare con vera competenza il profitto del figliuolo nelle lettere e nelle scienze: soprattutto lo scandagliava in quello spirituale, - ciò che faceva ancora meglio - esaminandolo sulla sua cultura religiosa; e se ne compiaceva in Dio per la perfetta rispondenza ai suoi intimi desideri. 103 P. Merati - Vita Cap. II, pag. 34. Biografie 86 opera omnia Quel figlio era tutta la consolazione della tribolata sua vita: ogni giorno constatava meglio che era veramente suo figlio; e il cuore di madre e gl'impeti di santa le facevano sognare le più sublimi tra le cose desiderabili per una genitrice. A volte poi, nei loro affettuosi intrattenimenti mescolano tanto bene la scienza e la fede, materie scolastiche e soggetti spirituali. Nella copia di bellezze e di ricchezze naturali possedute nei fondi paterni la madre, accesa di celeste ardore, svolge sotto gli sguardi del giovinetto le pagine vive smaglianti della natura. Tutto le dà motivo a parlare; un nulla le è di estro ad impennare un volo verso il Cielo. I fiori gli alberi carichi di frutti i prati verdeggianti le belle colline di Comonte ricche di vegetazione un tramonto una notte stellata, rapiscono il cuore di lei in alto trae suo figlio, quasi piccolo uccello implume da allenare al volo, per fissare la bellezza increata che dappertutto diffonde le proprie vestigia, onde l'uomo, creatura di predilezione, lo ami e lo adori. Molti anni dopo queste notturne contemplazioni, - che rievocano tanto bene le elastiche veglie in Ostia di un'altra madre, e di un più grande figlio - Costanza narrerà alla M. Corti: “Nelle belle serate di autunno invitavo il mio Carlino ad ammirare la grandezza l'onnipotenza di Dio nelle bellezze della natura. Poi lo facevo riflettere alle gioie del Cielo e gli dicevo: - Se tanto è bello questo cielo veduto di quaggiù, che sarà del paradiso?... Oh, mio Carlo, verrà giorno che colà ci troveremo e godremo il nostro Dio e Padre amorosissimo!... - E Carlino nel cui cuore ritrovavano perfetta 104 risonanza quelle parole s'inteneriva sino ad pianto” . Ma i giorni delle vacanze, dicevamo, erano pure il tempo della prova per la madre e pel figlio. Il babbo che nonostante la lontananza di Carlino non dimetteva il suo difficile carattere, anzi col tempo e con gli acciacchi sembrava inasprirsi, nonché allietarsi della presenza di lui ne era disturbato, annoiato. Non poteva vederlo muoversi giocare - cosa irresistibile pei ragazzi - non gli permetteva che si unisse a verun compagno per sollevarsi, né che accettasse o scambiasse visite. Le vacanze pel povero figlio rappresentavano una vera segregazione, senza sollievi senza passeggi senza compagni, peggio assai della vita di collegio. Questa compressione imposta con tanta violenza ad un giovanetto sull'età dello sviluppo - a giudizio dei medici - fu la prima causa predispositiva al male che lo rapì alla vita. 104 Proc. Ap. Suppl. Summ. N. IV, paragr. 6. 83. Biografie 87 opera omnia La madre per tutto soffriva intensamente; eppure taceva: “Non ti so dire - così ricorderà alla buona Madre Corti - quanto io soffrivo in vederlo... sì buono... sì docile che per quanto stava in lui non chiedeva mai nulla... tutto solo in casa senza dargli il più piccolo 105 divertimento. Egli però non se ne lamentava” . Quante volte accadeva che, ottenuto in somma grazia il permesso di condurre Carlino fuori per una passeggiata in carrozza, tutta giuliva e premurosa impartiva gli ordini opportuni e ne avvertiva il figlio. Ma allorché il servo veniva ad annunziare che tutto era pronto, e si disponevano ad uscire, il babbo mutato pensiero, comandava che restassero in casa. “Come tu vuoi!” era la risposta sommessa e rassegnata della virtuosa donna; e rientrando cercava di persuadere il figlio che il contrordine era dato dal babbo pel timore che non gli incogliesse loro qualche male. Carlino in pieno accordo con la mamma accettava la ragione ed offrendo a Dio il sacrificio se ne restava anch'egli tranquillo. La povera donna, infatti, avrebbe creduto di offendere la propria coscienza, facendo anche una minima osservazione sull'operato dello sposo. Avrebbe preferito morire sotto il peso dei sacrifici e delle privazioni anziché procurargli un disturbo. “Noi fummo testimoni - dice il cappellano di Comonte - della vita angelica e mortificata di questa donna e sfidiamo chiunque a dire se mai abbia notato sul suo volto nel tratto un segno d'impazienza o un sintomo di malcontento per la propria condizione. E sebbene la sua salute, già malferma, cominciasse ad esser minata proprio per le prove ed i sacrifici a cui di continuo era sottoposta, mai fu possibile in lei il preferire una qualunque cosa che sapesse contraria ai comandi o 106 ai gusti del marito” . Ogni giorno ad ogni ora alla sua corona si aggiungono nuove spine di nuovi sacrifici... e Costanza avanza rassegnata e serena incontro al giorno fatale e finale che vedrà d'un colpo annientate le sue gioie dissipati i suoi sogni materni. Ma sarà pure il giorno in cui la visione dell'avvenire desiderato arriderà ai suoi occhi in premio e riposo a tanta virtù e a tanto soffrire. 105 106 Proc. Ap. Suppl. Summ. Vita, pag. 13. P. Merati - Biografia - Cap. II, p. 36. Biografie 88 opera omnia CAPITOLO XI Sposa e Madre generosa Nell'anno 1849 il signor Gaetano al varco del suo settantacinquesimo anno d'età è colpito da una paralisi progressiva. La sposa conta appena trentatre anni; il figlio undicenne è tuttora in collegio. La malattia dopo il primo attacco allarmante presentò una lieve ripresa di forze: quanto bastava a dire che non era la morte, ma in effetti era il protrarsi d'un'agonia durata per cinque anni! Dapprima immobilizzato nel letto poi sur una poltrona, le sue sofferenze gli guadagnarono molti meriti; ma ne moltiplicarono altrettanti alla generosa sposa che continuò ad essere, in grado veramente eroico, il suo angelo buono. Per amor di carità non ripetiamo al lettore gli effetti del funesto rincrudir di un tal male sopra un temperamento già veramente scosso. Che se noi per ragioni di obiettività storica dobbiamo segnalare gesti e fatti ancora dolorosi, non lo facciamo per deprimere la memoria dell'ottimo signore -, del resto anche a noi caro perché tanto amato dalla nostra ammirabile eroina -, ma è solo per mostrare a quali vertici di virtù è sospinta la giovane sposa. Il quadro della genuina carità scolpito dall'Apostolo si rianima qui autentico perfetto. Non un dettaglio non una linea mancano per poter dire: ecco il vero amore, attinto dalla fonte divina, diffuso nelle parole negli atti nel comportamento di una donna “longanime 107 benigna paziente... che tutto sopporta per amore di Dio!” . Sfogliando i Processi Ordinari e Apostolici, troviamo in proposito tale copia di testimonianze così unanime attestazione di 107 Cor. 13. 4. Biografie 89 opera omnia lode, da restarne commossi e quasi smarriti al pensiero di non poter darle tutte, pel rammarico di dover tralasciarne molte e il timore di tacerne le più interessanti. Se l'obbedienza a Dio e agli uomini è stata sin qui - come vedemmo - la caratteristica di questa vita, si deve riconoscere come in essa domini sovrana la carità. Non per nulla la carità si dice regina, complemento e sintesi di tutte le altre, tanto che il pregio e l'intensità d'ogni virtù va sempre misurata al grado d'ardore di carità. Costanza Cerioli ha il cuore colmo d'amore di Dio, e come potrà non amare le sue creature, quelle specialmente a lei più affini prossime congiunte? Anche se umiliate sotto il peso di difetti debolezze colpe le amerà ancora; anzi proprio con esse per donare con più impeto la commiserazione e il conforto. E questa è soltanto una parte della diagnosi della sublime infermità che sta nel cuore di Costanza Cerioli; l'altra, la migliore, perché attinge il vertice soprannaturale, Iddio non s'è ancora svelata nella pienezza del suo fulgore. Lo stesso povero paziente confessava a Mons. Valsecchi, ormai di famiglia per esser l'angelo di Carlino, che egli era trattato dalla moglie con grande amore; e non faceva che ripeterne le lodi chiamandola il suo angelo consolatore. “Questa donna fu sempre la mia consolazione. Ella mi ha prestato del continuo un'assistenza ed 108 una compagnia ammirabile. Ella mi fu figlia infermiera serviente” . Per riassumere in una tutte le testimonianze, possiamo dire con la deposizione di molti: “Siamo stati testimoni oculari della pazienza bontà e speciali prove d'amore con cui ella assistette il marito nella 109 sua grave e lunga malattia” . E dire che ella è sola a bere l'amaro calice dei suoi dolori, rincruditi dalla malattia e dalla morte del suo Carlino, venuta a cadere nell'ultimo periodo dell'infermità del padre. Ciò nonostante, desolata nell'anima non poco sofferente nel fisico, per cinque anni ella non cede a nessuno l'ufficio d'infermiera presso il marito, e per un anno intero tra il letto del figlio e la poltrona del padre. Per quest'ultimo specialmente il pietoso ufficio doveva riuscirle estremamente difficile. Eppure mai se ne uscì in parole di lamento, mai si mostrò stanca ed annoiata; ma attenta pronta vigile ad assisterlo e consolarlo, sempre. Eh, sì, che doveva fare uno studio 108 109 Proc. Ap. Suppl. Summ. N. IV, paragr. 57. 18, 35. Proc. Ap. Suppl. N. IV, paragr. 245. Biografie 90 opera omnia particolare a distinguer tempi e momenti in cui il malato preferiva le parole al silenzio o il silenzio alle parole, la compagnia alla solitudine, la tranquillità alle cure. Un giorno forse più stanca del solito ella non ha posto niente a tale studio psicologico, ed avendogli posto un bicchiere colmo d'acqua che egli non gradiva, fu bersaglio e del bicchiere e di una refrigerante abluzione. In quel momento entra la cameriera, vede la signora madida d'acqua. “Già, - pronta ella a scusare il marito - vedi la mia sbadataggine! avevo in mano il bicchiere, ed egli alzando il 110 braccio, me lo ha versato addosso” . E di queste gentilezze se ne potrebbe infiorare il capitolo. Noi ammiriamo piuttosto la pazienza la generosità di lei che sostiene in questo lungo e penoso esercizio “solo col pensiero di Dio e nel conforto chiesto e ricevuto dalla vergine Addolorata, a cui solo 111 confidava il suo dolore” . Il suo lavoro di paziente carità verso il marito prosegue. Gli sta sempre vicino; lo sorregge nelle brevissime deambulazioni che, aiutato da un bastone, può fare per la stanza, a volte pel corridoio, raramente in giardino. Un solo cenno di lui da cui possa conoscere un desiderio, basta per farla correre ad eseguirlo, sollecita di compiacerlo anche nelle minime cose. Nonché infastidirsi delle continue cure, spesso gravi e sgradevoli, che l'estrema debolezza del malato richiede, ella le moltiplica più del bisogno e non si lascia sostituire da altri. Se lo vede in vena di conversazione s'intrattiene a lungo a discorrere di argomenti a lui cari; ma se le sembra che preferisca la quiete, osservato che nulla gli manchi, silenziosa in punta di piede si ritira nelle sue stanze. Nei momenti non rari in cui l'infermo oppresso o stanco dal male s'impazientisce, ella gli è dattorno a calmarlo con tutta dolcezza, a compatirlo col più affettuoso interesse ad esortarlo con soavissime parole di fede e rassegnazione. Le persone di servizio sono ammirate di lei che soffre e tace, che dissimula con pietoso affetto l'acerbo dolore della malattia e della morte del figlio, onde il marito non se ne avveda. Ad una voce, i domestici la proclameranno una santa. Lo stesso infermo a volte s'intenerisce dinanzi alla instancabile bontà di Costanza si preoccupa di dovere abbandonarla, e con voce riconoscente la chiama “figlia”. “Povera figlia! - le dice - come farai 110 111 Proc. Ap. Suppl. Summ. N. IV, paragr. 20. Proc. Ap. Vita, paragr. 9. Biografie 91 opera omnia quando io sarò morto? chi amministrerà la tanta roba che hai; chi terrà conto di tutto; dove impiegherai tante sostanze?” Ed ella: “Non 112 pensiamo a questo; Iddio ci penserà” . Così per cinque lunghi anni! Come già dicemmo, circa la metà del lungo periodo di malattia del signor Buzecchi, e precisamente nel giugno del 1853, al compiersi del settimo anno della dimora di Carlino in collegio, il rettore scrisse a Costanza per dirle che il figliolo si trovava in uno stato di salute assai precario; per cui, non potendo trattenerlo in collegio, reputava necessario restituirlo alla famiglia, dove l'aria e le cure materne gli avrebbero giovato. S'era annunziata la tisi. Il medico curante nel farne la diagnosi non dubitava di assegnare la causa alle limitazioni d'aria e di moto, imposto al ragazzo in famiglia. Il cordoglio e la costernazione della madre per la sorte del figlio furono inenarrabili. Tutti i sogni concepiti e carezzati su quel caro oggetto dell'amor suo sarebbero caduti!... Già da tempo trepidando pel decadimento fisico di lui ella va passando notti insonni nel timore che il figlio lontano stia poco bene. E più soffre per non poter apprestargli quei sollievi e svaghi che la sua età tanto 113 imperiosamente reclama; ma le prescrizioni paterne lo vietano . All'annunzio del rettore volò a Bergamo e con la certa speranza di ristorare in breve le forze del giovinetto lo ricondusse a casa. Quivi inizia subito il suo duplicato lavoro d'infermiera tra lo sposo ed il figlio. Più tardi dirà alla M. Corti il suo stato d'animo in quei giorni angosciosi: “Quando egli era malato - parla di Carlino non so dirti le notti in cui mi coricai; né so come sia scampata da una malattia, essendo io stessa gracile e debole di complessione. Stavo del continuo vicino al suo letto, e mettevo in opera tutto per risanarlo. Però più che nei mezzi umani e medicine confidavo in Dio e facevo sempre nuovi voti e nuove suppliche al Signore, profondevo largamente elemosine, facevo celebrare Messe, e tali e tante furono le promesse con le quali mi ero obbligata con Dio, che, se non fosse stata volontà di Dio togliermelo per dare asilo agli abbandonati, era impossibile che non mi esaudisse. Non so chi, in simili circostanze, abbia avuto più fede di me. Bisogna proprio dire che la preghiera non torna mai a vuoto, ma sempre ha il suo effetto; perché se non si 112 113 Proc. Ap. Summ. - Vita, pag. 139. Proc. Ord. - Vita. pag. 139. Biografie 92 opera omnia ottiene quel che si desidera, si ricevono però altri favori anche 114 maggiori” . Fra i voti che ella emise in tale dolorosa contingenza, ci fu anche quello di chiudersi in un sacro ritiro, appena Carlo fosse cresciuto all'età maggiorenne. Sul principio sembrò che il Cielo si piegasse benigno alle ardenti suppliche e generose promesse della povera madre: Carlino annunziava una ripresa di forze che la lusingò tanto. Ma fu cosa d'un momento; dopo un mese il giovinetto ricadde per non riaversi più. E la delusione la ripiombò nel dolore più grave. Da questo momento quale vita per la povera madre! Passare e ripassare dal letto di Carlino a quello del marito; che ai propri malanni aggiunge ora la pena del figlio malato. Il timore di perdere l'unico erede del nome e delle sostanze di famiglia, lo deprimeva al punto da portarlo fuori di sé e farlo delirare in un penoso ritorno alle esplosioni di gelosia, quasi che la mamma avesse maggiore cura del figlio che di lui. La povera Costanza, senza un minuto di riposo è inchiodata ai due letti dei cari infermi, oppure è prostrata ai piedi dell'altare domestico a scongiurare Iddio onde allontani da lei quell'amaro calice che, purtroppo, avrebbe dovuto tra breve assaporare. Un giorno, meditando i dolori della Santa vergine nel momento in cui perdeva il suo Figlio divino, provò anch'essa tale 115 presentimento e tale stretta al cuore che cadde quasi svenuta . Ma la sua fede la sua speranza il suo amore eroico sostennero il fragile ed affranto corpo, per continuare da sola - risparmiando i domestici - ad assistere i suoi cari. Nelle notti che trascorreva in veglia al letto di Carlino conversava con lui di cose sante, e ragionando insieme si esortavano vicendevolmente alla pazienza alla rassegnazione. Colloqui sublimi! degni del labbro dei Santi!... L'una martire di carità che sogna i riposi del Paradiso ancor lontano; l'altro un giglio di candore anelante la compagnia degli angeli i quali lo invitano a salire in Cielo per cantare l'inno immortale dietro l'Angelo senza macchia. È una gara d'amorose speranze di altissime aspirazioni tra due anime assolutamente degne una dell'altra. I fiori di questi celesti colloqui raccolti in una lettera che la mamma indirizzerà a Mons. Valsecchi, ci proponiamo di presentarli 114 115 Proc. Ord. - Vita, pag. 140. P. Merati - Vita - Cap. II, pag. 40. Biografie 93 opera omnia presto all'ammirazione del lettore onde ne aspiri l'olezzo di Paradiso di cui son pieni. Verso gli ultimi giorni quando tutte le speranze sono ormai perdute, l'eroica madre ha un grido d'angosciato smarrimento: “Che cosa farò sola senza di te? E delle tue sostanze che ne farò?” Il figlio le risponde: “Il signore ti darà altri figli da mantenere” “Da quel punto sino alla di lui morte - dice Costanza - io rimasi come impietrita. È impossibile descrivere quale mi trovai allora. Iddio solo sa. Sia sempre benedetta la bontà sua che tutto dispone pel bene dei suoi figli!” Il 16 gennaio 1854 Iddio discese nel giardino di Comonte a cogliere l'unico giglio cresciuto in tanto profumo di virtù e venustà di bellezza per trapiantarlo nell'aiuola celeste. Carlino aveva toccato il sedicesimo anno di vita. Un vincolo è spezzato: il più forte perché il più tenero, nutrito da sedici anni di purissimo amore. Ora resta l'altro, l'ultimo, che al tramontar di quest'anno cadrà. La quercia annosa colpita dal fulmine della paralisi va cedendo lentamente; investita dall'ultimo colpo - la morte del giovane virgulto - si abbatterà per sempre! Dalla morte di Carlino a quello del babbo corrono undici mesi. La forza di resistenza della sposa è incredibilmente prodigiosa; si direbbe che una virtù arcana la sostenga per lasciarla sopravvivere a nuove fatiche a nuovi dolori. Ella concentra infatti tutte le sue forze nell'assistenza materiale e spirituale del marito ormai “in limine vitae”. Le cure pel corpo risultano inefficaci e vane, ed allora si dedica all'anima del morente. Non le è meno cara quest'anima: se in ragione di anni ha maggior carico di responsabilità, è pure più ricca di meriti: ed è poi sempre per lei lo sposo datole da Dio, che l'ha aiutata ad arricchire di preziosissime gemme la propria corona. Quest'anima, quindi, purificata da tanti dolori invigorita dalla grazia dei Sacramenti ella stessa vuole consegnarla con le sue mani nelle mani di Dio. “Durante quest'ultimo periodo di vita e di malattia - dice un testimonio - gli fece un'assistenza continua senza mostrarsi mai stanca, né disgustata; dimostrando anzi un affetto ed una delicatezza tali che il marito riconobbe in presenza dei parenti che la sua sposa lo 116 ha assistito con la maggiore carità” . 116 Proc. Ap. Suppl. Summ. N. IV, paragr. 75. Biografie 94 opera omnia “Ed ebbe cura della sua anima e del suo corpo. Per l'anima lo volle assistito e corroborato da tutti i conforti della nostra santa 117 religione” . La memoria del figlio perduto di recente e lo spettacolo del marito agonizzante stringono il cuore di Costanza; emettendo un sospiro e levando al Cielo gli occhi disfatti dal pianto, ella ripete il suo inno di vittoria: “Fiat voluntas tua!” E gli angeli le rispondono: “Amen!” Il 25 dicembre 1854 il signor Gaetano Buzecchi sereno e fidente nella misericordia eterna spirava tra le braccia della santa sposa che gli additava il Paradiso. Il pio biografo di Costanza chiude così questo doloroso capitolo della sua vita: “il piccolo Gesù, intenerito della miseria di tanti suoi piccoli fratelli, come Lui nel suo natale reietti ed abbandonati dal mondo superbo, spezzava l'ultima catena che teneva avvinto alla terra il cuore di Costanza”. Affrancata dalle cure di sposa e di madre può dare libero sfogo alla sua inesauribile carità e riversarla tutta sulla più grande e misera 118 famiglia di Gesù!... i suoi orfanelli! . 117 118 Proc. Ap. Suppl. Summ. N. IV, paragr. 3. 25. 245. P. Merati - Vita, Cap. III, pag. 61. Biografie 95 opera omnia Biografie 96 opera omnia CAPITOLO XII Hai spezzati i miei lacci, o Signore!119 A pochi mesi di distanza uscivano dall'austero palazzo di Comonte, accompagnati da solenne pompa funebre, due lacrimanti feretri. Li segue in lutto profondo, ma rassegnato, una vedova una madre giovane di trentotto anni. E poi numeroso popolo. Primeggia l'aristocrazia del regno di Dio; i poverelli beneficati largamente dai defunti in vita e più largamente dopo morte, i copiosi lasciti, infatti, furono dalla piissima erede superstite affrettatamente distribuiti per sollecitare suffragi espiatori alle anime dilettissime. La vedova ha versato persino le sostanze di cui è usufruttuaria in vita ed ha rinunziato ai vantaggi 120 suoi personali. . Il figlio sedicenne lo sposo ottantenne: le due catene strette da Dio sulla terra sono spezzate! In questo momento ella si sofferma ad ascoltare la voce divina perché le indichi la strada da battere, o meglio, i mezzi più efficaci da scegliere in quest'ultimo scorcio di vita - un decennio appena - per raggiungere con la maggiore possibile perfezione i suoi compianti dilettissimi in Cielo. A dir vero, la strada è già scelta e da un pezzo; non resta che conoscere in qual senso dovrà orientarvisi. Le arcane parole del figlio morente le hanno detto molto ma non tutto, perché possa procedere con sicurezza. Questo momento spirituale è per lei il più grave e il più decisivo della sua vita. 119 120 Salmo 115. Proc. Ap. Suppl. Summ. N. XII, paragr. 35. Biografie 97 opera omnia Pervenuta ad una sommità di anni d'esperienza e di meriti, ella può abbracciare di uno sguardo il passato e benedire Iddio che l'ha condotta misericordiosamente su tanto difficile strada; e può anche inoltrare i trepidi desideri nell'avvenire sperando di veder realizzato il sogno dell'anima sua. Ciò che ella fu lo sa; quello che sarà domani di lei, benché intimamente presentito, rimane impreciso nei dettagli; quindi non lo conosce. È giunta l'ora di soffermarci anche noi a leggere nella sua anima - per quanto ci sarà concesso - e cogliervi i sentimenti di quest'ora decisiva. Tale introspezione ci è resa possibile da lei stessa. Da questo momento, stretta nella morsa di tanto dolore trepidante pel suo domani ha bisogno d'aprirsi, e senza volerlo lascia leggere tutto che è nel suo spirito. Perché si deve avvertire il lettore che la preponderante parte delle sue parole sin qui riferite sono confidenze postume fatte alla fida compagna M. Luigia Corti negli ultimi anni di vita; mentre le parole di oggi sono i sentimenti dell'ora. Il movente occasionale e provvidenziale che la spinge a scrivere - e quindi ad aprirsi - è un pio desiderio di Mons. Valsecchi, già amato rettore di Carlino e suo venerato direttore spirituale, di stendere alcuni cenni biografici sull'angelica vita del figlio, ad utilità ed edificazione dei discepoli di lui. Egli, quindi, si rivolge a Costanza per avere notizie e dettagli. Questa biografia non fu mai scritta. La Provvidenza però ne accese la semplice idea a ben altro scopo più utile e prezioso: quello di far parlare la virtuosissima madre la quale, vitalmente congiunta alla vita di lui, deve per necessità dire di sé e disvelare tutto il bello che nasconde nell'anima. Se tale apertura le fosse stata posta, anche in virtù di obbedienza, la sua umiltà avrebbe resistito, e seppure obbedendo l'avesse fatto, la spontaneità e l'interezza ne avrebbero sofferto non poco. Da queste lettere - poiché è in forma di corrispondenza che comunicano Costanza e Mons. Valsecchi - l'anima di lei appare nel suo bel candore di umile semplicità e di ardente fervore di virtù. Nel presente capitolo, quindi, cediamo la parola alla stessa Costanza, certi di aderire più che mai alla verità storica ed alla essenziale vita interiore di lei; meglio che se lo facessimo con le nostre parole. Il lettore così avrà anche modo di approfondire tutta la saggezza e la spiritualità con cui educò suo figlio. Senza dire che le risposte di Mons. Valsecchi divengono automaticamente biografia di Costanza - e la più autorevole - proprio Biografie 98 opera omnia perché è lo stesso suo direttore, uomo saggio quanto mai, che senza saperlo o volerlo delinea per noi i pregi e le virtù di questa cara anima. Di conseguenza il presente capitolo non viene e spezzare il filo storico del libro, ma lo prosegue in una maniera singolare ed efficace, quale nessuno potrebbe fare in questo momento in cui Costanza, prendendo un nuovo indirizzo spirituale nella vita, si rende quasi irreperibile all'osservazione dello storico. Facciamo pure notare che questo epistolario, risale al tempo intercorso tra la morte del figlio e dello sposo, cioè in pieno anno 1854. Esso dà il perfetto stato psicologico di Costanza orientata subito verso la nuova vita, non appena il Signore spezzerà l'ultimo laccio che la tiene inceppata nel mondo. La prima lettera di Costanza - che è risposta alla richiesta di Mons. Valsecchi- è in data 4 febbraio 1854, pochi giorni dopo la morte del figlio, e dice: “I giorni passano ma il mio dolore per la perdita del mio caro Carlo si fa ognora più vivo: ho perduto tutto in quell'anima pura ed immacolata! La mia vita era troppo legata colla sua per potermelo scordare sì facilmente. Mi aiuti colle sue orazioni, Signor Rettore, acciocché approfittandomi di sì grande disgrazia, possa esser fatta degna quando Dio mi chiamerà a sé da questa terra d'esilio, d'essergli compagna in Cielo, come lo sono sempre stata sulla terra. Ella desidera che io la informi di qualche particolare che le faccia conoscere quella bell'anima nel tempo della sua malattia; come so fare, ben volentieri gliene traccio qui una piccola descrizione. La sua rassegnazione fu ammirabile. In tutto il tempo di questa sì lunga malattia che fu di sette mesi, mai si udì da quella bocca nessun atto d'impazienza, quantunque la natura stessa della malattia gli cagionasse grande tristezza. Io non lo vidi mai ridere in tutto questo tempo, nemmeno quando le aure autunnali sembravano gli avessero restituita la salute; credo che soffrisse sempre, quantunque me lo nascondesse per tema d'accrescermi la pena, che ben vedeva in me grandissima; benché mi sforzassi di vincermi, le lacrime molte volte mi tradivano. Gli ultimi giorni quando non poteva più nascondere i suoi dolori mi diceva con volto che ispirava compassione: Se sapessi, mamma, quanto soffro! Pazienza... E pazienza pure diceva tutte le volte che bisognava voltarlo, sollevarlo, ecc. Un giorno gli dissi: Senti, Carlo se Iddio prevedendo forse che restituendoti la salute non ti avessi a salvare, e che invece per premiarti dei tuoi ottimi diportamenti, ti volesse prendere ora in Paradiso, vi andresti? Mi rispose subito: Altro mamma, sarebbe una Biografie 99 opera omnia grazia grande! Gli dissi una volta: Io ho molta fede nella Beata Vergine della Cintura che ti abbia a restituire la salute. Egli rispose: Come ha da fare la Madonna a farmi grazia? Non le dico più i tredici Pater!... Era vero; siccome s'era aggravato credetti bene di non farglieli recitare, per timore che ne patisse, mentre prima li dicevamo sempre in compagnia. Un altro giorno gli dicevo con un po' di passione: Ho fatto tante devozioni, tante, Carlo, ma finora non guarisci!... È segno che non lo meritiamo, mi rispose con rassegnazione. La sua obbedienza era edificante; quando una sera (dieci giorni avanti che questa bell'anima andasse in Paradiso) siccome incominciava a star male, mi si fece capire che non bisognava perder tempo per fargli fare le sue devozioni, e perciò conveniva disporlo. Io dopo aver lungamente lottato tra le angosce dell'incertezza, cioè tra l'amore di madre che ripugnava a quest'ufficio, e il dovere di cristiana che mi stimolava a farlo, finalmente gli dissi: Carlo, mi sembra che tu stia più male del solito, ed ho timore che ti cresca il male; ho avuto tanta premura pel tuo corpo, e non ne avrò per l'anima tua? Dovresti confessarti. Mi rispose con indescrivibile dolcezza: Mamma, mi sembra di non esser in tale stato, però, se lo credi, lo farò. E lo fece subito infatti. Quando capivo che soffriva molto gli dicevo: Abbi pazienza che Iddio ti premierà subito col Paradiso. Oh, non dirlo, mamma, spero bene di andarvi in Paradiso, ma così subito no; ne ho infatti anch'io di peccati e non so come andrà. Ci penso, vedi!... Offri a Dio la tua giovinezza - gli dicevo - la tua malattia, i tuoi dolori, la prospettiva brillante che si parava avanti ai tuoi occhi... Allora taceva, faceva forse nel cuore il sacrificio, e Dio lo avrà accettato. Gli ultimi suoi giorni credo fossero pieni di mortificazione. Prendeva senza esitare le medicine in bibite per le quali aveva ripugnanza grandissima, ed infatti, rigettandole quasi sempre il medico gliele sospese. Accettava con pazienza e silenzio altri rimedi che si credeva bene applicargli, e che gli ultimi giorni si sospesero del tutto per non tormentarlo. La sua fede era grandissima. Il giorno di Natale dopo che ebbi udite le tre Messe, gli dissi: Carlo, ho udito le tre Messe, una per te e l'altra per quella povera gioventù che oggi non andrà in chiesa! Ho conosciuto anch'io, rispose, un giovane che il giorno di Natale non udì la Messa. Fanno compassione questi poveri giovani! Ti assicuro che quando ci si trova in loro compagnia, e che escono in qualche discorso contro la religione si arrossisce per loro. Altre volte mi diceva: Quel giovane è buono, ma ha la disgrazia che i Biografie 100 opera omnia suoi parenti lo curano poco, e, poveretto, corre pericolo di perdersi per le cattive compagnie. Il suo pensare era superiore alla sua età. Io lo consideravo come mio consigliere e come tale lo consultavo in tutte le mie cose, essendo tutti suggeriti dalla prudenza. Aborriva la menzogna, era leale e sincero. La sua fisionomia stessa esprimeva la sua bontà. Sino dai primi tempi che era in collegio, gli trovai una volta nei suoi abiti una novena a Maria Vergine, coi nove giorni tutti distinti con qualche mortificazione ed ossequio particolare. Sono passati degli anni, ma io li conservo ancora. Li ho tenuti fra le mie carte più care, e facevo conto di restituirglieli un giorno, acciocché si ricordasse del fervore della sua prima giovinezza. Quante volte non piansi di gioia!... Mio Dio, perché togliermelo?. Perché darmi tante consolazioni per rendermi ancor più amara questa perdita?... Ah, Signor Rettore, dirò anch'io col mio Carlo pazienza! Dio m'ha dato una gran croce, ma lo pregherò sempre che mi faccia la grazia di approfittarne, per ottenere un giorno il premio promesso a quelli che piangono. Sin da quando era piccolo il mio Carlo distingueva il sabato coll'astinenza dalle frutta ad onore della Beatissima Vergine, e così ha sempre continuato. Quando alle volte non si ricordava che era sabato, ed a tavola metteva la mano sopra le frutta, io gli dicevo pian piano a ciò nessuno mi udisse: Carlo, è sabato!... Hai ragione, mamma, e le lasciava sul piatto, quantunque ne fosse ghiotto. Povero Carlo! Prega per me, gli dicevo nei suoi ultimi momenti, ch'io pure pregherò sempre, sempre per te! Oh, mi rispondeva, non ne dubito, mamma. Lo sapeva bene il mio Carlo quanto io l'amavo! Signor Rettore, ecco come io ho saputo fare una succinta narrazione di quanto Lei mi chiedeva: Non toccava ad una madre fare l'elogio del suo figliuolo; ho procurato d'essere sincera. Ella lo ha conosciuto ed educato per tanti anni, vedrà se questo era il suo carattere. Dio mi perdoni se ho trovato della compiacenza; forse mi ha voluto punire, perché andavo troppo superba di questo suo dono, ed amavo forse la creatura più del Creatore! Sia fatta la sua volontà, ma mi perdoni qualche sfogo di lacrime”. Dopo questa prima lettera, a distanza di pochi giorni, ne distese una seconda per dare altri particolari sulle belle virtù del figliuolo, assai espressiva per potervi leggere anche l'anima della madre. Eccone i brani salienti: “Reverendissimo Signor Rettore, Come le proposi aggiungo ancora qualche particolare riguardante quella bell'anima del mio buono e caro Carlo; ma, Signor Rettore, io col far Biografie 101 opera omnia questo né voglio, né intendo farlo credere un santo. No, no! Egli pure aveva i suoi difetti, ma nella sua età giovanile questi bei sentimenti facevano obliare molte imperfezioni; d'altronde questo può servire d'esempio ai suoi compagni se leggeranno queste carte, per comprendere quanto giovi fornirsi di sani e religiosi principi, perché di tutte le ricchezze, questi soli ci sono utili quando Dio ci chiama a sé. Carlo trattava con molto riguardo le persone di servizio; schivava più che poteva d'incomodarle, quello che poteva fare da sé lo faceva volentieri, e quando era costretto a servirsi della loro opera, particolarmente nella sua lunga malattia, le comandava con molto buon garbo, aggiungendo sempre: Fatemi piacere a far questo, di maniera che i suoi dipendenti generalmente lo amavano, quantunque fosse di poche parole. Aveva scolpito nel suo cuore il principio che il nascere grandi e ricchi è sorte e non virtù, perciò considerava i servi come suoi fratelli meno felici. Così pure considerava i poveri e non mai si rifiutava quando gli suggerivo di levare qualche cosa dal suo borsellino per farne loro parte. Della sua esattezza nelle pratiche di religione ne parlai nell'altra mia lettera, ma aggiungo ancora che sin da fanciullo aveva la stessa premura. Mi ricordo che dimenticandomi alle volte di fargli recitare le orazioni alla fine della giornata, dopo che era a letto, andandogli attorno per prestargli quelle mille cure ed attenzioni che solo una madre conosce, e ricordandomi di ciò gli dicevo: Carlo, questa sera ci siamo dimenticati di recitare le orazioni, ed egli subito mi rispondeva: Ebbene, adesso mi alzerò e le dirò, e si metteva in ginocchio per recitarle. Ma io, lo confesso con rincrescimento, per tema che ad alzarsi s'incomodasse e potesse nuocergli alla salute, soggiungevo: No, no, Carlo, sta tranquillo, puoi dirle anche a letto, non abbiamo fatto apposta a tralasciarle!... E non mi avvedevo che così facendo posponevo Dio alla creatura, e cercavo con questi pretesti di coprire il mio amore troppo cieco; avevo più premura pel suo corpo che per la sua anima immortale! Ora lo conosco, ma Carlo intercederà per me presso il Signore. Oh, me lo promise prima di morire... Mi ricordo che in principio della sua malattia, quando alla sera, come si costuma fare in tutte le famiglie cristiane, si recitava il Rosario, per qualche accidente recitandolo nella sala ove allora ci trovavamo, Carlo si voleva sempre mettere ginocchioni in terra, ed io a pregarlo e sollecitarlo a stare seduto, per timore ciò pregiudicasse al suo male già da tempo in corso; ma bisognava che Carlo stesse assai male per secondarmi; e Biografie 102 opera omnia quando alle volte mi dava ascolto, allora era segno che stava più male del solito, ed infatti dopo, quasi sempre, prendeva il lume e si ritirava. Una sera, una mia cameriera mi fece conoscere che io facevo male a non lasciare la libertà a Carlo di seguire l'impulso della sua devozione, dicendomi che Dio non avrebbe permesso che ciò gli pregiudicasse la salute. Allora mi venne scrupolo e come per riparare al male fatto mi feci promettere da Carlo che quando sarebbe guarito, avrebbe sempre detto il Rosario in ginocchio, anche quando, padrone di sé, si sarebbe trovato fra i suoi compagni. Povero Carlo, me lo promise così volentieri! In collegio aveva appreso massime sode di religione; domandandogli io una volta se era meglio fare una elemosina ai poveri, ovvero far celebrare una Messa, mi rispose, guardandomi e quasi meravigliandosi della mia ignoranza: Una messa!... ma questa non ha prezzo!... Carlo, come generalmente tutte le anime da Dio dotate di sentimento, amava e gustava le bellezze della natura, e dove trovarne una più bella e più sorprendente e che più risvegli la nostra immaginazione, d'un bel cielo sereno in una sera d'autunno? Appunto in queste dilette sere, Carlo mi invitava ad andar passeggiando pel nostro giardino. La vista spaziava pel firmamento e contemplando quel numero sì grande e variato di stelle, quel quadro immenso della natura, io esclamavo: Non è vero, Carlo, che i cieli narrano la gloria di Dio? Quella grandezza, quella maestà sembrava m'innalzasse al di sopra della mia piccolezza. Altre volte, ignara di quanto sì presto mi sarebbe toccato, gli dicevo: Quando, Carlo, saremo là ancor noi a calcar le stelle? In una di queste beate sere egli mi spiegava le mansioni degli angeli, i cori, il loro numero; e queste erano lezioni del Signor Rettore. Atre volte egli declamava dei versi del Manzoni e del Tasso; io non l'avevo studiati, ma pure li gustavo dal momento che piacevano tanto a lui. Avrei voluto avere la perizia d'uno scienziato per classificare e dare il nome dei pianeti e delle stelle, ad intrattenere il mio caro figlio. Oh, io non invidiavo veruna madre, avrei voluto che tutte fossero partecipi della mia felicità! Ma Iddio che non lascia nessuna gioia quaggiù esente da amarezza, intorbidava queste mie estasi col pensiero che Carlo non poteva essere pienamente felice, che gli mancasse qualche cosa, di cui egli non parlava mai. Ma quale cosa Biografie 103 opera omnia può essere celata agli occhi di una madre? Carlo aveva sortito da natura un temperamento docile, rassegnato, forse anche troppo timido, era coperto come d'un velo di malinconia. Era giunto a quella età in cui il giovane ha bisogno di moto, di allegria, di un amico a cui confidi ed apra il proprio animo, ed egli non l'aveva. Se fu ricco di beni di fortuna, di questo era tanto povero... Il sistema famigliare, l'isolamento in cui viveva suo padre infermo impedivano a lui di godere e a me di appagare queste sue giuste brame, che avrei voluto assecondare a costo d'ogni sacrificio. E se a volte gli esternavo il mio rincrescimento, e studiavo la maniera di alleggerire le sue privazioni, mi diceva: “Ti prego, mamma, non disturbare mia padre; del resto sono contento lo stesso”. Mai, mai da quella bocca uscì un lamento. Nelle nostre passeggiate, quasi a compensarlo, procuravo d'intrattenerlo sulla sua futura felice sistemazione che io gli dipingevo con i colori più vivi e lusinghieri, su quella specialmente che sapevo riuscirgli più cara perché da lui di più vagheggiata. Forse con questo, senza volerlo, gli ho resa più amara la morte quando lo rapì... E Dio se lo tolse!... e “l'avviò pei floridi sentir della speranza ai campi eterni, al premio - che i desideri avanza!”. Tale la prima corrispondenza a carattere storico - e tanto umana -. Ne segue un'altra spirituale, profondamente spirituale, tra Mons. Valsecchi e la povera madre desolata, avvolta nel suo lugubre manto di dolore, ma pure calma e rassegnata al volere di Dio. Il quale, frattanto, sospinge gli avvenimenti verso l'attuazione dei suoi piani, ormai vicini ad essere manifestati. A ciò stringe ancor più salda la relazione di Costanza con Mons. Valsecchi, nel quale vuole darle la prima guida sicura per tale momento di decisioni. Il pio canonico che ha condiviso con la madre un sincero amore pel defunto figliuolo, non le vieta in refrigerio d'intrattenersi sul ricordo di lui; anzi glielo riscalda, l'incoraggia a parlarne: sono troppo legati a lui la virtù e il merito di lei, non solo, ma da ciò la urge verso più alte mete di perfezione e di santità. Acquistando ognor più confidenza e venerazione per l'uomo di Dio, Costanza si affida tutta a lui, scegliendolo a guida spirituale e consigliere nella sistemazione delle molte sue pendenze patrimoniali. E gli apre tutta la sua anima. Mons. Valsecchi, sentendo in Dio quanto importante sia l'incarico affidatogli, e persuaso di dover dirigere un'anima di predilezione, avviata sur una strada singolare verso grandi destini, comincia subito a consolarla, e con le più sagge sante esortazioni a sospingerla sempre più innanzi nella via su cui è già tanto inoltrata, e Biografie 104 opera omnia incoraggiarla a compiere quegli ispirati desideri che ella sente tanto vivi, di spendersi tutta, persona e sostanze, a sollievo dei poveri. Ella infatti, non appena morto il suo Carlino, prevedendo ogni possibile caso pel futuro, stese subito il proprio testamento olografo, e in data 28 febbraio 1854 lo spedì al Valsecchi perché lo approvasse. Con ciò lasciava, oltre varie case e capitali, un fondo la cui rendita annua di lire diecimila dovesse servire per la fondazione di un orfanotrofio maschile da intitolarsi al suo indimenticabile figlio. Nello stesso testamento ella disponeva anche di alcune sostanze del marito - ancora in vita - “perché - ella dice - nel caso che morissi prima di lui, vorrei farglielo accettare”. “Vorrei anche - aggiunge che il mio testamento avesse l'approvazione di mons. vescovo, disposta anche a cambiarlo ed a seguire in tutto il suo consiglio. Preghi monsignor Vescovo che mi benedica, poiché sono anch'io sua pecorella, traviata sì, ma piena di buoni desideri di riparare ad una vita fredda e indifferente nel servizio di Dio, ora che il Signore mi ha castigata colla maggiore delle disgrazie!” “Signora! - le risponde l'ispirato sacerdote - stia unita al Sacro Cuore di Gesù, ed imparerà meglio che dalle creature come consolare e santificare il suo dolore e la sua solitudine”. È l'avviso da parte di Dio a tenersi pronta a nuovi ordini. Biografie 105 opera omnia Biografie 106 opera omnia CAPITOLO XIII “La vera vedova orante e supplicante”121 Dal Natale 1854, quando il signor Buzecchi anch'egli è tornato a Dio, la povera madre e vedova è rimasta sola, figura e commento dell'autentica vedova cristiana: “fiduciosa in Dio, orante e supplicante giorno e notte”. Per nulla preoccupata delle vistose eredità di cui è padrona e signora, si concede ad esse appena per riflettere al loro migliore impiego e sbarazzarsene sollecita e riprendere tutta la sua libertà e volare alla realizzazione del sogno che l'appassionò sin dalla prima giovinezza. È questa la sola e vera preoccupazione del momento. Ne son la prova le lettere di consiglio che dalla morte del suo Carlino le riscontra Mons. Valsecchi per illuminarla e dirigerla. Il tono di queste lettere dà il grado di calore dello spirito di lei. Il più zelante e fervido direttore mai oserebbe scrivere e indirizzare tali lettere ad una giovane vedova ricchissima, intorno a cui già si nota il ronzio di nuovi pretendenti alla sua mano, se non avesse la certezza che nel cuore di questa donna arde già da tempo e a un grado altissimo la fiamma dell'amore divino; se non sapesse che lo spirito di lei adusato a pietà distinta a robuste virtù all'arduo travaglio del rinnegamento interiore, è già molto innanzi sul cammino della perfezione non solo cristiana ma religiosa, quantunque del chiostro ella non abbia mai varcato le soglie dopo la sua dimora giovanile alla Visitazione. E se Costanza accetta siffatta discrezione e di tale tono sì da seguirla ed attuarla con passione e docilità, è segno che questa è la sua strada. 121 Timot. 1. 5. Biografie 107 opera omnia Leggiamo ora la edificante corrispondenza di Mons. Valsecchi, che riscontra analoghe lettere di Costanza, a noi non pervenute. In data 16 maggio 1854 scrive così: “Godo assaissimo dei sentimenti che la animano nella tribolazione che Iddio le ha data. Faccia in modo che tutto proceda nella quiete, nell'umiltà di Dio, come una figlia segue sua madre. E questa sia la regola. Io non capisco certe anime che si propongono di raggiungere una certa loro idea; ed anche la santità, piuttosto che Iddio stesso. Credo che una gran parte delle inquietudini e malinconie per certe anime provenga proprio da questo. Lei non ha bisogno di tale consiglio; ma ho voluto dirlo per tenerla lontana da uno scoglio in cui le donne urtano facilmente. Ami Iddio sinceramente con tutte le forze, sia pronta per lui ad ogni sacrificio, tenga libero il cuore da ogni affetto, e il resto verrà da sé”. Ed ancora il 2 luglio 1854 le scrive: “Il buon desiderio che Iddio le mantiene di amarlo e servirlo è la maggior ricompensa che possa darle per quanto ha fatto e sofferto per Lui, e ne lo ringrazi ben di cuore. Procuri di mandarlo ad effetto man mano che le si presentano occasioni di esercitare o la rassegnazione, o la carità sia nelle piccole che nelle grandi cose, ma seguendo naturalmente l'ordine della Provvidenza senza volere prevenire il tempo o la grazia di Dio. Bisogna esser padrona di sé, sempre, ricordando che Iddio è quegli che da il volere ed insieme il fare, e che dal canto nostro dobbiamo guardarci dall'opporre resistenza alla sua grazia. Mi consolo molto con lei, perché vedo che il Signore si serve di lei per il bene e la salute di molte anime. Procuri di tenersi sempre in grande indifferenza dinanzi a Dio per quello che vuole da lei. Preghi, cerchi e scelga a preferenza quello che più serve alla di lei umiltà ed abnegazione: - Vanitas vanitatum et omnia vanitas”. Il 5 ottobre 1854, dopo alcune notizie di carattere generico, conchiude: “Non ho altro a dirle se non le solite raccomandazioni: eccitarla ad uniformarsi il più perfettamente possibile alla volontà di Dio, ripetendo spesso quelle parole del serafico S. Francesco: - Deus meus et omnia - Dio mio! e mio tutto! Che luce, che ricchezza, che gaudio, che pace in queste parole! Se le faccia sue, ma di cuore, con lo schivare ogni cosa che sa di singolare, col praticare l'annegazione in ogni occasione, col purificare sempre più la propria intenzione, col rivolgersi a Dio in ogni cosa, coll'attendere assiduamente a qualche lavoro... o faccende domestiche, come faceva la Santa Vergine, come farebbe una povera donnicciola timorata di Dio. Con tali parole sono venuto a disturbarla nella sua solitudine, perché ricordandole non sia Biografie 108 opera omnia più sola. - Deus meus et omnia! - Mancheranno tutti gli uomini e tutte le cose, Dio solo resta!”. Ed infine il 22 dicembre 1854, le scrive ancora: “Sento con piacere che è stata a far visita alla RR. Madri del S. Cuore, e che ha ricevuto una lettera della Rev. Madre Generale. Mi piace che coltivi questa relazione, perché sono religiose di spirito assai buono e sodo, e lei potrà ricavarne vantaggio per l'anima sua. Tratti con libertà e semplicità, specialmente in cose spirituali, ma sempre che sia per bisogno o vantaggio dell'anima sua, esercitando anche in questo un po’ di annegazione. Non badi a tutti i sentimenti o moti interni; purifichi, raddrizzi spesso la sua intenzione e quando è risoluta a non voler altro che Dio e ad agire solo per lui, disprezzi tutto il resto, ed anche certe imperfezioni e colpe in cui potrebbe incorrere. L'effetto che qualche volta produce la memoria del suo Carlino, cioè riconoscenza verso Dio ed una soddisfazione d'esser certa di fare la sua volontà, è un effetto buono dello Spirito Santo, e ne ringrazi il Signore, rinnovando la protesta di voler fare in tutto e sempre la sua santissima volontà. Circa il modo di orazione, invece di ascoltar poco e parlar molto, vorrei che ascoltasse molto e parlasse poco, secondando in ciò l'esempio di S. Francesco di Sales; perché in queste cose non è presunzione ma umiltà e prudenza l'imparare dagli altri, specialmente dai Santi, quello che dobbiamo fare. Che se non le restasse tempo per tutte le sue orazioni vocali, potrà ridurle col parere del suo confessore; e questo è conforme all'insegnamento di S. Francesco di Sales ed alla pratica dei Santi. Ma tutte queste cose debbono restare interne, segrete, tra lei Iddio e il suo confessore, sicché non può temere la singolarità, ed in ogni modo bisogna fare così, perché in queste cose si deve seguire l'unico Maestro che è lo Spirito Santo che a noi si manifesta per gl'interni impulsi e per mezzo dell'obbedienza. Nel resto tenga ferma la regola di fare esteriormente tutto come fanno le altre donne del suo stato e della sua condizione”. Abbiamo voluto di proposito rileggere vari punti di questa corrispondenza perché prima di ammirare la edificante condotta esteriore di Costanza nella vita pratica di vedova cristiana, si possa ancora leggere nel suo spirito e vederne le bellezze i grandi progressi di perfezione che ella ha fatti. Tali lettere, ripetiamo, di alto valore probativo spirituale e storico, ci aiutano non solo a dire quanto dovremmo narrare, ma ci permettono di approfondire l'indagine nello spirito della Cerioli; e ciò Biografie 109 opera omnia è di capitale importanza per chi si prefigge non la nuda narrazione di fatti edificanti ma di analizzare al possibile la solidità e consistenza interiore da cui tali fatti promanano. Attraverso queste lettere è evidente il deciso desiderio di raggiungere i vertici della santità. Il saggio direttore la stima da tanto e perciò la premunisce segnalandole uno scoglio ove urtano molte anime specialmente del genere della sua allieva. Tali anime si figgono nella mente il proposito di raggiungere un certo grado di santità come un'idea fissa, e ciò se da una parte è necessario, giacché per tali mete occorre una perseveranza e una tenacia che confinano con l'ostinazione; dall'altra occorre badare ai mezzi alle vie non per tutti uguali, ma a ciascuno più confacenti secondo la volontà di Dio, che bisogna cercare innanzi tutto. La santità come ha uno solo principio, così ha un unico termine finale: Iddio e il suo amore; e siccome tutto questo presuppone il sacrificio pieno di noi, il rinnegamento della volontà ed il cuore assolutamente sgombro di cose e di affetti terreni, è logico che chi vuol esser santo non deve cercar che questo, e non formalizzarsi in distinzioni preferenze o scelte: perché qui troverebbe lo scoglio in cui si arena ogni desiderio di perfezione. “Ma lei - dice Mons. Valsecchi a Costanza - non ha bisogno di questo consiglio” indizio certo che ella cammina bene sulla strada. Proprio per questo Iddio a premiarla delle sue generosità passate e presenti la fa ricca del buon desiderio di amarlo e servirlo, desiderio che si concreta senza affanno agitazione o impazienza: man mano che si presenti l'occasione ella si esercita nella carità nel rinnegamento di sé con calma e ordine, dominandosi perfettamente perché sa che lo stesso Iddio, il quale dà buoni desideri, concede anche di realizzarli, a condizione che non si opponga resistenza all'opera della grazia che di concerto con l'anima lavora a questo scopo. Le occupazioni di carità di Costanza quella spirituale costituita dagli esempi edificanti, e quella materiale delle sue larghe beneficenze sono veramente consolanti; però anche la santa trepidazione di dare può sopraffare il sublime stato d'indifferenza spirituale per cui nulla è scelto o preferito se non quello che meglio serve ad umiliarla e a farle rinnegare la volontà; tutto il resto dinanzi a Dio e pel profitto dell'anima non è che vanità! Ella cerca soltanto Iddio che è il tutto del suo nulla, uniformandosi sempre più alla sua adorabile volontà che sin qui è stata l'unica direttrice della sua vita il solo senso del suo pensare ed agire. Biografie 110 opera omnia È Iddio che la invita e le insegna a perdersi completamente in Lui, con un lavoro finissimo di distacchi di purificazioni di rinunzie, persino dai suoi desideri ed intenzioni. Mentre ella esteriormente vive la normalissima vita di una cristiana di una vedova di una signora del mondo, senza mai e in nulla singolarizzarsi, attendendo a tutti i doveri occupandosi in tutti i lavori con semplicità umiltà diligenza, ad imitazione della Santa Vergine, proprio come farebbe l'ultima donna la più povera, ma timorata di Dio. Infine Mons. Valsecchi ci fa un'importante, ma non insospettata rivelazione: Costanza è ricca del “dono di orazione”. Quantunque non se ne sia fatta parola sin qui, lo supponevamo. La sua intensa devozione sin dalla giovinezza alla Santa Maestra del Carmelo, guida specializzata per le anime oranti, ce ne ha detto abbastanza, e ci dice pure che questo dono in lei è d'antica data. Le abituali altezze di fede e di amore ove Costanza ha sempre spaziato costituiscono la sua atmosfera vitale. I suoi giudizi su cose e avvenimenti che la riguardano dati in Dio; quel suo quietarsi pronto e cieco al comando dei genitori al consiglio dei direttori sono i segni evidenti della sua orazione in cui vede e giudica tutto in Dio. Il dono dell'orazione, infatti, spiega molte cose nella presente biografia altrimenti inspiegabili incomprensibili e a volte quasi illogiche. Le situazioni difficili in cui s'è trovata Costanza la sua passività nel subirle la sua obbedienza senza reazioni o proteste, ma sempre cieca e silenziosa, tutto ha un'altra e ben alta giustificazione, oltre quella da lei data all'ingiustificato contegno materno al suo riguardo, all'obbedienza che le fece preferire lo stato coniugale a quello verginale, e la ridusse ad accettare con gioia sino ad amarlo l'inaccettabile partito scelto per lei. Tutto questo non significa passività d'indole, ma prontezza di giudizio nel soppesare le ragioni presenti e contingenti sulla bilancia dell'eterno, per cui il volere divino è preferibile sempre come il più saggio e salutare per lei. La sua obbedienza che noi diciamo “cieca” è tale sol perché così appare, mentre è luminosissima lucidissima razionale, perché ella “ha visto” in Dio che dal sacrificio di sé verrà grande gloria a Dio stesso, e un incalcolabile bene a molti. E questo vedere e sentire ispirato, incominciò per lei sin dalla prima età, con la necessaria osservazione che la luce in lei cresceva col crescere degli anni, e quel che da fanciulla non vedeva - ma percepiva dalle mozioni dello Spirito divino - fatta adulta, lo ha visto e contemplato nel chiarissimo specchio della sua orazione. Biografie 111 opera omnia Ad un occhio esperto non può essere invero sfuggito sin dalle prime battute di questa vita come Iddio ha cominciato ad attrarre a sé e ad appartarla per i suoi colloqui di confidenza l'anima candida di Costanza. I gusti preferiti sin dall'infanzia i fervori delle sue prime confessioni e comunioni l'amore alla solitudine la generosità dei sacrifici l'assolutezza dell'obbedienza non possono avere altro presupposto che il gusto dell'orare del colloquio divino con tutti i suoi ricchi ed abbondanti riflessi sulla vita di ogni giorno. Come poteva Iddio negare un tal premio alla generosità di quest'anima? Il più squisito tratto d'amore che Egli possa avere per un'anima è questo: ammetterla al convito regale e delizioso della sua conversazione, ove il cibo e la bevanda è Lui gustato dall'intelletto nelle sue bellezze nelle sue perfezioni nella sua bontà. È Iddio stesso che si concede alla creatura, onde viva con Sé e di Sé, e pregusti la futura visione beatifica in una gioia che si differenzia da quella eterna solo per l'assenza del “lume di gloria” e per la presenza del corpo che intercetta la pienezza del gaudio. L'anima la quale per divino istinto sente che il proprio destino nell'eternità sarà appunto quello di vedere svelatamente Iddio, col dono dell'adorazione anticipa senza dilazioni questa sublime attività, che le sarà premio e riposo nell'interminabile vita del Cielo. Nel periodo dei grandi dolori - la morte dei cari - Costanza è richiamata dal suo saggio maestro al dettato dei maestri di spirito e dei santi che insegnano come l'orazione allora riesce proficua e pratica quando l'anima più che parlare ascolta. Chi parla è Dio. L'anima non deve far altro che assecondare gl'interni movimenti della grazia e del cuore. Si comprende come le recenti dolorose emozioni stimolino Costanza a versare nel seno divino la piena della sua desolazione e della preoccupazione per l'avvenire. E il direttore la richiama al dovere: ascoltare. Che se per attendere a questa santa ascolta dovesse sacrificare le altre orazioni vocali non si preoccupi: col parere del suo confessore può ridurle, concedendo il maggior tempo a quella. Il comportamento nell'orazione, del resto, è un segreto riservato tra Dio e l'anima a cui il direttore di spirito potrebbe dare appena le direttive generali, perché l'unico Maestro e autore è lo Spirito divino il quale si concede alle sue creature in modo tanto ineffabile che sfugge ad ogni disciplina. Nonostante però la certezza che Iddio è presente e parla l'anima dev'essere sempre umile docile ai mandati del confessore le cui direttive, in armonia con quelle divine, non possono errare. Che se a volte appaiono divergenze tra quelle apprese nell'orazione e Biografie 112 opera omnia quelle umane del confessore, il senso finissimo dell'anima veramente santa farà preferire il consiglio del direttore a quello proprio rischiarato nell'orazione, perché - al dire della Maestra di spirito S. Teresa di Gesù - le proprie illustrazioni sono soggettive e passibili d'inganno, mentre la viva voce del direttore è l'espressione sicura ed infallibile del volere divino. A tanta altezza di contemplazione è pervenuta la nostra Costanza in ancor giovane età, all'uscir dallo stato coniugale, colma di moltiplicate ricchezze, al dimettere i suoi doveri di sposa e di madre, nell'atto di congedarsi dal mondo per entrare in quello stato a cui Iddio l'ha di lontano e per misteriose vie predisposta e preparata. Che se volessimo ancora sapere precisamente quale stadio della sua orazione ella si trovi in questo momento, dalle parole del direttore risulterebbe che ella è sulla via dei proficienti, cioè nel secondo stadio. Se Mons. Valsecchi la mette in guardia dai sentimenti o moti interiori che, insieme alle intenzioni vanno raddrizzati e purificati, è segno che deve esercitarsi nel lavoro di reazione e purificazione. Comunque, quelli che le sono daccanto possono constatare come ogni volta che esce dalla sua interminabile orazione, ella riporta il volto incendiato, quasi lo avesse tenuto per lunghissimo tempo sulla bocca di una fornace. Eppure, s'è affacciata appena sulla voragine che è per essenza luce fiamme di beatificante Amore! Nell'esilio desolato intanto la santa orazione è la sua scuola il suo cibo il suo conforto. “Nel mio isolamento - ella dice - non pensavo che a domandare a Dio lume e conforto. Come avrei potuto io reggere, immersa come ero in una totale desolazione, se non mi avessero sostenuto Gesù e 122 Maria?” . 122 P. Merati - Biografia cap. IV, pag. 62. Biografie 113 opera omnia Biografie 114 opera omnia CAPITOLO XIV “Intenta ad ogni opera buona”123 La traduzione pratica di quanto s'è detto avanti la troviamo subito nelle occupazioni giornaliere di Costanza. Docile alle prescrizioni del pio direttore, pel quale è di capitale importanza la vita d'orazione congiunta alle opere ed alle opere di bene, ecco come l'alunna d'eccezione le mette in pratica. La mattina rientrata dalla Messa, impartiti gli ordini di direzione domestica, regolate le faccende quotidiane, si apparta nella stanza dove è spirato il suo Carlino, ed ivi chiuse le imposte nella più perfetta oscurità se ne rimane tutta sola raccolta in Dio, per ben due ore. Che cosa avviene in quel tempo? Lo immaginiamo. È l'ora del suo più dolce piangere nell'effusione dei propri dolori nella ricezione dei divini conforti. È l'ora d'ascoltare il dettato di Dio e di parlare delle proprie indigenze. È l'ora di vedere la verità la realtà il bene; e d'imparare a viverle eroicamente. È il tempo della santa conversazione col Cielo. Lo dice bene il suo volto e il suo comportamento quando esce da quella stanza. La sua faccia è di fiamma, adusta come se l'avesse fermata a lungo dinanzi ad una vampa ardente. Il suo esteriore, sempre atteggiato ad una aggraziata gentilezza, è più grave composto quasi astratto e assorbito da profondi pensieri. Tutto il resto: la casa i familiari gl'interessi passano in seconda linea, dietro il negozio importantissimo che al di dentro la prende la occupa tutta senza preoccuparla, l'assorbe ma senza pena senza agitazioni; anzi, proprio in grazia di esso, ella è buona dolce garbata più di quanto in ogni altro tempo è già buona dolce e garbata. Di tanto in tanto quasi 123 Timot. 1. 5. Biografie 115 opera omnia rigurgitando il dolce peso che le riempie lo spirito si sente uscire in soliloqui che sono gemiti giaculatorie sospiri: “Mio Dio, sia fatta la vostra volontà!” Il celeste colloquio si protrae fuori dell'orazione; è l'immediata applicazione di quanto ha contemplato di quel che ha detto a Dio, e più, di ciò che Iddio ha detto a lei. Evidentemente il cuore le sanguina tuttora per le recenti ferite; e il suo dolore è l'oggetto obbligato di tutti i discorsi con Dio. Eppure non lo fa per querelarsi d'un dolore pienamente accettato ed offerto, né per chiedere conforti; ma solo per provvedere alle conseguenze venute dietro di esso, che la pongono in una situazione nuova: dinanzi ad un bivio che domanda una decisione e una scelta. Intanto, perché resti saldo quel che irremovibilmente è deciso ella ha rigettato con netto rifiuto la proposta di matrimonio che il nobile dottor Ercole Piccinelli le ha fatto giungere pel tramite di persone amiche. E per fermare con un sigillo sacro ed inviolabile la propria risoluzione, ha emesso subito, lo stesso giorno della morte 124 dello sposo, consenziente il confessore, il voto di perpetua castità . Si udivano spesso uscire dal suo labbro frasi come queste: “Iddio dispone tutto per il meglio”. - “Se fosse sua volontà io partirei subito da questa casa, e me ne andrei senza provare il minimo dispiacere” - “Lascerei ben volentieri casa robe sostanze e mi ritirerei in qualche tugurio per non aver nulla a che fare con gli uomini e pensare soltanto a Dio”. Riaffiorano qui prepotenti e vivi gli antichi desideri di vita solitaria; il suo cuore, provato dal dolore vuotato dal lutto non può essere riempito che da Dio: “Oh, il Signore mi faccia questa grazia di separarmi presto dal mondo! Quale felicità non aver più pensiero 125 alcuno per la vita del corpo!” Può dirsi che ella si esercita già perfettamente nella vita a cui anela. Oltre le ore di meditazione mattutina il resto della giornata la trascorre sempre unita a Dio. tranne il breve tempo concesso al sostentamento del corpo e ad un lieve sollievo dopo il pasto in cui s'intrattiene con le sue donne in discorsi utili ed edificanti, tutto il restante lo dà al lavoro ed alle orazioni. Vicino al palazzo sopra una piccola altura sorge una chiesa - restaurata a sue spese - e all'annottare Costanza vi si reca a pregare arrestandosi a una devota immagine della Vergine Addolorata. Ivi si affissa estatica dinanzi a Maria e resta immobile senza muover labbro per più di un'ora. È 124 125 Proc. Ap. Suppl. Summ. N. XV, paragr. 12. P. Merati - Biografia - Cap. IV, pag. 63. Biografie 116 opera omnia questa l'orazione vespertina trascorsa in compagnia della benedetta Madre che con i suoi dolori addolcisce tanto bene quelli dei figli suoi. Le cameriere hanno attestato che pur nell'alto silenzio della notte la signora si alzava dal letto ed aiutata dalle fonde tenebre 126 proseguiva ad orare . L'ordine e la regolarità che regnano nel suo palazzo riproducono quelli tanto armoniosi già ammirati nella casa paterna di Soncino, ove tutto procedeva in un tono di massima uniformità, sotto la saggia vigilanza materna. Anzi, qui e pel ristretto numero di persone e le modeste abitudini di Costanza, sembra di vivere in una casa religiosa. Ciascuno ha il proprio orario con i tempi distinti pel lavoro la preghiera il sollievo il riposo. Tutto procede con la precisione di un orologio: l'economia le relazioni con l'esterno specialmente con i coloni, di guisa che chiunque metta piede in quella casa rimane colpito di tanto buon ordine così gradito agli occhi come una perfetta armonia ricreerebbe l'udito. Durante il giorno Costanza parla poco; costretta a farlo è solo per cose necessarie utili ed istruttive. Dopo le orazioni della sera, dice ai familiari: “Ritiriamoci e riposiamo” volendo dire ciò che si doveva andare a riposo in silenzio: abitudine questa che prelude alla consuetudine che instaurerà nel suo Istituto e che sarà gelosamente custodita. Non si direbbe qui in questi dettagli che ella assaggi la vita che intende abbracciare? E se tanto bene ella dirige la propria casa quanto meglio modererà domani una casa religiosa? Nei giorni di festa santificati dall'assistenza alla Messa sia nel proprio oratorio, come nella parrocchiale di Seriate, si dedica 127 specialmente alle opere di bene. Una giornata piena di carità . Tutti i tuguri dei dintorni ove è un infermo visitati. Le sue gramaglie contrastano fortemente col sorriso con cui si sofferma vicino ad ogni letto. Parla dolcemente con voce sommessa e pacata interroga sul decorso della malattia, su i bisogni e provvede a ciascuno distintamente secondo le necessità. Infine corona tutto con una calda esortazione alla pazienza alla rassegnazione: un inno alla bontà di Dio che tutto dispone pel nostro bene che a tutti i nostri dolori promette il Paradiso, ove non saranno lutti né pianto né povertà, ma gaudio ineffabile senza fine. Molti di quei tapini con gli occhi estasiati di quella bella visione, e gli orecchi accarezzati da quella musica 126 127 P. Merati - Biografia - Cap. IV, pag. 63. Proc. Ap. Suppl. Summ. N. X, paragr. 31. 32. 35. Biografie 117 opera omnia celestiale, desiderano di morire subito per provare la pienezza di quella gioia che gustano stando vicino a lei. Né le visite si riempiono di sole parole. Con le stesse sue mani parla va rassettando il letto dell'infermo allontana le mosche, e negli afosi calori d'estate move l'aria d'intorno con un ventaglio per dar refrigerio. Indi ne cura la persona nettandola, lavandola, pettinandola, o se del caso, medicandola ella stessa. Poi si siede, ove non trovi una sedia, sulla stessa pietra del focolare a dimostrare la condiscendenza la fraterna amorosa familiarità che lega ad essa. Infine lascia alla famiglia abbondanti soccorsi cibi vini biancheria ed ogni altro ben di Dio. Quando le sembra di aver provveduto a tutto per l'anima e pel corpo, se ne parte benedicendo e benedetta, e rientra nel suo palazzo di Comonte con quella gioia che infonde il bene dato 128 più che ricevuto . E c'è dell'altro bene, e ancor più prezioso ed eroico. Riservava i migliori conforti alle ferite di cuori sanguinanti come il suo per lutti gravi e recenti. Povere vedove malate recanti i loro piccoli pallidi emaciati dalle privazioni: questi le stringevano fortemente il cuore emozionandolo al ricordo del suo perduto figlio. Caritatevolissima di parole sovrabbonda in soccorsi materiali come bisogno di sgravio di un debito contratto per la somiglianza del dolore sofferto per la disuguaglianza delle condizioni vissute. Una povera donna con un orribile cancro al petto veniva a lei ogni settimana ed ella la medicava con una morbidezza di tocchi un'amorevolezza di maniere che la povera sofferente non ne sentiva 129 quasi verun dolore . Lo stesso faceva ad una lavandaia affetta da 130 vene varicose ulcerate ad una gamba . La domestica che assisteva appena a queste medicazioni provava orrore al veder la signora assolvere disinvolta tali ributtanti uffici e se tentava di aiutarla sentiva rispondersi: “Sta' buona, io sono abituata a questo genere di lavori”. Ricordava le lunghe penose assistenze vicino ai suoi cari, e continuava vittoriosa nell'eroico esercizio di carità. Veramente eroico! perché la delicatezza del suo organismo risentiva degli sforzi impostigli dallo spettacolo di piaghe ributtanti ed al lezzo che ne emanava. Così un vecchio servitore di casa Buzecchi con due povere gambe piagate e verminose esalava da esse un sì rivoltante fetore che ella era costretta a sospendere di tratto 128 129 130 Proc. Ap. Suppl. Summ. N. X, paragr. 126. 127. Proc. Ap. Suppl. Summ. N. X, paragr. 61. 62. Proc. Ap. Suppl. Summ. N. X, paragr. 16. Biografie 118 opera omnia in tratto il lavoro uscir dalla stanza a respirar aria pura, e tornare a 131 proseguire l'eroica medicazione . Con quanta confidente fiducia si accostavano a lei questi tapini lo dicono gli sfoghi versati nel suo cuore buono e pietoso: storie di lunghi tristi sconsolati dolori, che trovavano sempre l'opportuno rimedio nelle esortazioni e nei conforti che ella dispensava. Però, anche tra i poverelli c'erano i prediletti e con ragione: i fanciulli specialmente orfani. Non uno che venisse a battere alla sua porta doveva partire senza che ella lo avesse veduto. Questo era ordine impartito. Buona e affettuosa come una mamma senza badare alle condizioni dei loro vestiti se li prendeva vicino li accarezzava l'interrogava e voleva sapere dei genitori - se ancora l'avessero - oppure della famiglia. Ordinava che fossero spogliati dei loro cenci e ben lavati e nettati d'ogni sudiciume li rivestiva a nuovo degli indumenti che lei e le sue ancelle avevano confezionati. Poi dopo averli bene rifocillati e provvisti d'altro cibo li rimandava felici alle loro case. Nel congedarli si attardava a rimirarli con uno sguardo di tenero amore, di appassionato desiderio: “Abbiamo ridato la vita a queste povere creature... Non sembran più loro!... Oh, se li potessimo tenere con noi ora che son puliti!... Poverini, non hanno nessuno che si prenda cura di loro... sono orfani! Eppure son figli dello stesso nostro Padre... e sono nostri fratelli”. Alcuni di questi fanciulli, infatti, li collocava in qualche ospizio... ma ce ne eran ancora altri da collocare!... Questo desiderio questa accorata aspirazione vanno incidendo nel suo spirito un proposito vago confuso come una pia pietosa idea; ma potremmo già dire che è Iddio a mettergliela in cuore per farla presto maturare in una bella realtà. Ad allettare le domestiche a coadiuvarla in queste varie opere di bene, a volte eroiche per ripugnanza che ingenerano, le sprona e le consola con queste parole di compiacimento: “Guardate la bella e grande carità che voi fate!... Iddio certamente ve ne serberà il premio”. Aveva infine una cura calda e piena di zelo per le figliuole più grandicelle che sapeva povere e perciò più esposte a seri pericoli spirituali. Dolcemente le ammoniva le richiamava a serie considerazioni, interessandosi sempre di loro con materna preoccupazione allietandosi e premiandole se le sapeva sagge e fedeli. 131 Proc. Ap. Suppl. Summ. N. X, paragr. 61. 62. Biografie 119 opera omnia Anche questa classe di figliole e un tal genere di bisogni sembrava che la intenerissero particolarmente, tanto che pensò subito a qualche cosa di concreto sia per gli orfanelli come per le orfanelle o ragazze esposte ai pericoli. Per questo Costanza, temendo che la morte la sopraggiungesse inaspettata volle disporre dei suoi beni con un nuovo testamento. Sin dal febbraio 1854, - come vedemmo - pochi giorni dopo la morte del suo Carlino, ancora vivente il marito, ella stese un testamento che indirizzò a Mons. Valsecchi perché lo sottoponesse all'approvazione del vescovo Mons. Speranza. In esso tra le altre cose testò l'annua rendita di lire diecimila per la fondazione d'un orfanotrofio da intitolarsi al nome del figlio. Ora dispone, novamente in via non definitiva, che i beni di Comonte in caso di sua morte vadano ad una congregazione religiosa di missionari, e quelli dotali di Soncino per un istituto di fanciulle orfane e traviate da affidarsi alla direzione delle Figlie del Sacro Cuore. Tutto questo, dicevamo, provvisoriamente, perché essendo ancora indecisa circa la propria determinazione pensava che il Signore volesse disporre di lei in modo che le sue sostanze potessero servire ad altri fini a Lui solo noti. Provveduto quindi saggiamente a qualsiasi imprevedibile caso ella si dà con tutto l'ardore a ricercare il preciso volere di Dio su lei. Quale sarà questo divino volere? Ecco un altro delicato e penoso momento della vita di Costanza. Il suo stato di dubbio e di ansia la tiene in grave sofferenza. Che fare? Ella sente ravvivarsi nello spirito gl'irrefrenabili slanci della sua gioventù verso una vita di alta perfezione. Ma dove attuarla? In un chiostro oppure nella propria casa, vivendo di orazione e di carità, così come attualmente conduce la sua vita? Pure ella sente tanto vivo il desiderio di uscire dal mondo e di obbligarsi con Dio, se non in una forma più intima, almeno più ufficiale ed esterna. Sopra tutti questi interrogativi ella vede delinearsi l'idea di un'opera che realizzi le parole profetiche del figlio morente: “Iddio ti darà tanti figli a cui provvedere”. Mons. Valsecchi, anche lui, intravedendo qualche singolare disegno del Cielo su quest'anima, ancora non si pronunzia. Frattanto la esorta alla preghiera più assidua ad un'orazione più intensa in cui Iddio le parlerà. Costanza obbedisce dolcissima. Contemporaneamente il pio direttore, nel pensiero che il germe di vocazione religiosa notato nella sua alunna possa meglio aprirsi e sviluppare al contatto di anime religiose, la mette in relazione con le Biografie 120 opera omnia ottime suore Figlie del Sacro Cuore residenti in Bergamo alta, nella casa detta del Gromo. Non si decide nulla. Finalmente Mons. Valsecchi, nella sua bella umiltà, reputandosi inetto a guidare quest'anima verso la via su cui Iddio la chiama, ha il pensiero di rimettere Costanza nelle mani del nuovo vescovo di Bergamo, al quale ella dovrà aprire tutta l'anima sua, e questi le indicherà sicuramente la sua strada. Il consiglio suggerito da tanta umiltà scende da Dio. Mons. Pier Luigi Speranza, il vescovo dal petto di bronzo, 132 l'anima d'asceta e il cuore di madre, è prescelto . L'angelo di Bergamo sarà pure l'angelo di Costanza e le additerà la strada e la condurrà alla sua meta!... 132 Mons. Pier Luigi Speranza. vescovo di Bergamo per venticinque anni, nacque nel 1801 in Piario nella Valle Seriana. Fatto sacerdote andò coadiutore nel paese nativo; catechista e padre spirituale nel Collegio di Clusone; direttore spirituale del piccolo Seminario di Bergamo; professore di teologia morale; canonico penitenziere della cattedrale; infine Vescovo di Bergamo. (1854) Per non togliere o aggiungere nulla ai meriti di questo venerando ed illustre Pastore, prendiamo il suo elogio da un'epigrafe latina - sintetica ed espressiva dal volume che a lui s'intitola “Memorie e Documenti” (Brescia - 1915). “Pier Luigi Speranza - vescovo di Bergamo - uomo superiore ad ogni elogio - per la fortezza contro tutti i nemici aperti od occulti della cattolica verità - per lo zelo delle anime - per l'amore al SS. Cuore di Gesù e della Vergine Madre - Pastore ottimo della chiesa bergamasca - dopo il Beato Gregorio Barbarigo”. Morì nel 1879. Biografie 121 opera omnia Biografie 122 opera omnia CAPITOLO XV Tre eredità: patrimonio dei poveri orfanelli A voler tirare le naturali conseguenze dalla serie di fatti sin qui narrati che tennero per lunghi anni in crogiuolo di pene e in serrato allenamento di virtù una creatura tanto generosa, s'ha da concludere innanzi tutto che Iddio ama teneramente quest'anima; e su di essa poggiano grandi disegni; e infine i poveri i piccoli gli orfani prima che ad ogni altro stanno a cuore a Lui. A questo punto della nostra storia ci troviamo come d'incanto dinanzi ad un fatto nuovo insospettato; che è pure logica conseguenza di tutti gli avvenimenti narrati; è questo: tre vistosi patrimoni rimasti senza naturali eredi vengono convogliati e devoluti a tutto beneficio dei prediletti di Dio. I patrimoni precisamente sono: i beni di Costanza; i possedimenti del consorte defunto; le vaste sostanze dei Tassis inseparabili e indivise da quelle del marito e confluite tutte nelle mani di Costanza per la morte dell'unico erede: Carlino. Cosicché ella ne diviene unica ed assoluta proprietaria. Questa massa di beni - allora ingentissima - formerà il patrimonio dei poveri orfanelli. Non è il primo caso del genere. Spesso il Cielo interviene ad assicurare il pane la veste e l'avvenire dei suoi poverelli attribuendo ad essi talune sostanze che a volte, - non date spontaneamente e quindi meritoriamente, - per un colpo della Provvidenza si ritrovano vacanti di legittimi eredi, e Iddio unico Signore d'ogni cosa creata ne dispone liberamente e liberalmente a favore della carità cristiana. Se si potesse attribuire a Lui un'arte che è troppo umana - e quindi non esente da difetti - qui si direbbe bene: adorabile diplomazia della Provvidenza! Biografie 123 opera omnia Da questo momento s'inizia l'ultimo periodo storico di donna Costanza Cerioli vedova Buzecchi, il più breve ma il più bello, perché vi sfolgora in luce meridiana la splendida finalità del piano divino. Il trionfo delle ragioni di Dio è ormai pieno. Si consideri infatti quanto bene fu condensato in così breve scorcio di vita. La santificazione d'un’anima attraverso passaggi tanto penosi e difficili; la imminente creazione di due Istituti religiosi che saranno fucine di virtù operosa e di virtuoso lavoro; il vero pieno bene, diretto all'anima e al tempo di molte creature, assicurato non per una ma per tante generazioni quante piacerà a Dio far vivere l'opera della Madre Cerioli; infine l'edificazione di chi conoscerà le benedette opere e la sua geniale autrice. Nessuno certo può formalizzarsi per quanto di penoso d'incomprensibile di assurdo fu narrato nella presente biografia, perché tutto doveva sboccare a questo grande finale di bene e di gloria. Ecco come si pervenne a tanto mirabile conclusione. Riprendendo la narrazione storica ricordiamo come Mons. Valsecchi indirizzasse Costanza al nuovo vescovo di Bergamo Mons. Pier Luigi Speranza per essere da lui consigliata e guidata. Non diciamo neppure quanto la docile figlia sentisse tal mutamento di direzione per l'illimitata e meritata fiducia che aveva riposto in colui che fu l'angelo del suo indimenticato Carlino. Ne aveva ben ricevuti - e ne riceveva tuttora - di conforti e consigli, specialmente in ordine alla propria vita interiore; ma era proprio lui il direttore che la indirizzava al novello vescovo uomo esperto nella direzione di anime specialmente religiose. Questo stesso consiglio quindi doveva ritenersi ispirato e da sommarsi agli altri innumerevoli benefici che Iddio s'era degnato impartirle per mezzo del pio canonico. D'altra parte il Valsecchi l'assicura che egli non l'avrebbe mai abbandonata ogni volta che il suo aiuto le fosse necessario. Come di fatto avvenne. Concludendo: Costanza fece ancora prevalere il suo spirito di obbedienza, si sottomise docile al consiglio e s'indirizzò presentata da Mons. Valsecchi al vescovo di Bergamo, scrivendogli una lettera. Mons. Speranza è salito di recente sulla cattedra del Beato Gregorio Barbarigo, dopo aver occupato quella di Penitenziere della chiesa bergamasca; la fama quindi di uomo intrepido, illuminato dotto e soprattutto ripieno dello spirito di Dio nel guidare e reggere anime, è ben meritata. Costanza aprì subito con tutto il candore dell'anima i propri sentimenti i suoi ideali di perfezione i dubbi le ansie che la Biografie 124 opera omnia tenevano sospesa il grave negozio della propria sistemazione e dell'impiego delle copiose sostanze. Insieme si protestò disposta e pronta a seguire ciecamente i consigli e le direttive che a lui sarebbero sembrate nel Signore più opportune. La semplice umile apertura di animo colpì subito il vescovo. Non è facile trovare tanto sincera e docile indifferenza in una donna, per condizione e possibilità capace di affermare e far valere le proprie preferenze. Qui è lo spirito di Dio - pensò il vescovo - e pronto, senza ricercare o dosar parole, d'impeto - come si direbbe - d'ispirazione certissima, stende la risposta. Questa lettera, a non saper chi è l'uomo che scrive, sorprende; ed anche sapendolo, non si giustificherebbe mai, ove non si ricorra ad una suprema ispirazione. Egli infatti conosce appena Costanza forse soltanto per il casato ben noto nella vallata del Serio; ma infine non la conosce: Ella è una donna giovane vedova e per di più ricca; come può un vescovo indirizzarle una lettera nel contenuto e nello stile paterna sì, ma decisa autoritaria, quasi drastica nello sfiorare il punto cruciale che preme a Costanza ed insistere sur una cosa sola “la sistemazione della roba”? Ciò supporrebbe una relazione d'antica data molto confidenziale. E notiamo che questa prima lettera e la seguente sono le due uniche della lunga corrispondenza in cui il pastore tratta Costanza come una figlia una sorella, e senza ambagi e convezionalismi le parla familiarmente col tu. Tutto questo ci persuade che il buon Padre vuole cattivarsi sin dalle prime battute la fiducia piena di un'anima che egli ha da condurre e governare sino alla di lei morte. Ecco la lettera: 4 febbraio 1855. “Pregiatissima Signora, finché tu 133 stai qui nella mia diocesi sei mia diocesana : e debbo dirti la verità che può giovarti. Guarda che tu sei impedita e imbrogliata da tanti non voglio dire più fili di stoffa - ma fili di ragnatela. Sbrigati; vieni fuori. Sei come il giovane del Vangelo che voleva seguire il Signore, ma aveva tante cose del mondo che lo impedivano. Tu dici d'esser disposta, di non voler altro che fare la volontà di Dio, d'esser pronta, e ti parrà di non cercare che il miglior bene da fare; tu invece, credimi, che sei legata ed impedita; ma mi sembri vuota e morta, né distaccata col tuo spirito da tutto, come dovresti essere. Anzi è poco dire che non mi sembri; non sei. Tante cure, tanti pensieri, tanta importanza che dai a tante cose che non sono che bagattelle infine... Mi fai compassione davvero!... Distaccati, muori, pensa all'anima tua; il 133 Ricordiamo che il paese di origine di Costanza (Soncino) appartiene alla diocesi di Cremona. Biografie 125 opera omnia mondo è nulla; ed è nulla per te lo stesso bene che puoi disporre a questo mondo. Che giova il far del bene per gli altri? Prima per noi, in casa nostra. Dio ha diritto che lo serviamo bene noi, prima di tutto. Se ci fosse S. Ignazio ti metterebbe negli esercizi, ma ci vorrebbero lunghi, finché tu non l’intenda bene. Io propongo di metterti nell'anticamera della morte, e poi star lì, anzi tenerti fra un uscio e l'altro, lì per entrar dentro. Oh, procura di morire a tutto, distaccarti da tutto e da te stessa, e vivi al mondo un po' meno, e col tuo animo un po' più di là con Dio, coi Santi e colla Vergine, all'eternità. Gesù in cuore, eternità nella mente, mondo sotto i piedi, e soprattutto amore, amore a Dio (S. Caterina da Genova). Come ti diceva, è vero che non si può andarci se non chiama Iddio; ma a considerare questa verità dobbiamo andare avanti noi. Tu sei impedita, tu sei legata, tu non puoi essere di Dio finché non muori a te stessa. Per riguardo ai lasciti tutto è fatto subito, e tutto va bene. Non è che non ti sia obbligato del bene che fai, e che hai intenzione di disporre in questa mia diocesi. Ti sono obbligatissimo, e farò che siano adempiute appuntino tutte le tue prescrizioni; e se vorrai mutarle o levarle di qui, sempre sarai padrona. Ma quel che ora mi preme si è di acquistare bene te e l'anima tua. Fa bene, e poi sii in pace o qui o al tuo paese, e fa quello che Iddio t'ispira; e il consiglio nostro facciamo sempre presto a dartelo, e a buon mercato, senza necessitarti, né sforzati menomamente; poiché quando sarai buona, il Signore suggerirà a te o di conservare o di mutare come che sia nelle tue disposizioni; e quel che ti suggerirà lo farai, che non v'è difficoltà nel disporre delle nostre cose; la difficoltà è nel disporre bene di noi. Addio. Ti benedico. Aff. mo servo in Cristo Pier Luigi, vescovo”. La seconda lettera - a pochi giorni di distanza - ribadisce meglio i concetti della prima. 24 febbraio 1855 - “Carissima e stimatissima in Cristo, Chi non sa che la beneficenza non sarà buona anche a Seriate? Ma adesso tu non hai bisogno di pensare alla roba; ma a te stessa. Quando sarai in regola tu, allora metteremo a suo posto anche la roba. Guardati dagli uomini che ti cercano per aver la roba tua. Procurati Dio; che importa mai tutto questo mondo? Nella tua mente ha una grande importanza; eppure non è niente per te come per tutti. Se io fossi nel caso tuo non ci penserei neanche alla roba. Penserei a procurarmi un amministratore, ma un galantuomo di quei che sono rarissimi oggi, e a lui darei incombenza di far tutti i conti, e mettere Biografie 126 opera omnia tutta la roba in buon ordine; e poi vorrei che della roba se ne tenesse dacconto, poiché è grazia di Dio e si ha da farne buon uso, e non ha d'andar a male niente. Dopo penserei al mio Dio, alla mia eternità, alle massime della fede, e mi purgherei e distaccherei da tutto meglio che potessi; e poi dopo vedrei che cosa s'ha da fare di più bello e buono colla mia roba. Ti benedico. Vieni quando vuoi. Pietro Luigi, vescovo”. Si direbbe che questi accenti risoluti squassanti e un po' forti non siano esattamente per Costanza che noi conosciamo tanto distaccata e prodiga della “sua roba” e la sappiamo in ansia proprio per quel che il vescovo insiste a cercare. Ma il buon maestro, che sa a chi parla mira assai in alto e coglie nel segno. Tali parole, infatti, scesero sull'anima umilissima di Costanza senza abbatterla tanto meno offenderla. Valsero ad aumentare la sua confidenza e venerazione in chi le parlava in nome di Dio, con chiarezza ed energia. Il suo spirito ne sentì sollievo, perché infine i suoi ideali i suoi voti collimano perfettamente con quelli del nuovo direttore, e rinvigorita a più generoso entusiasmo, torna a ribadire il proposito di compiere a qualunque costo la santissima volontà di Dio. Nonpertanto, ella non cessa di gemere ai piedi di Dio che non l'abbandoni in tale momento, e non permetta che ella abbia illudersi nella scelta di cosa tanto importante: “Signore, disfatemi e poi tornate a farmi, onde io non viva che per voi... Mio Dio, cambiatemi trasformatemi tiratemi dietro di voi... Signore, che volete che io faccia? Deh, fatemi conoscere la vostra volontà!” Questi sentimenti si volgono e rivolgono nello spirito di lei, a volte le salgono sino al labbro, intramezzandone le occupazioni abituali specialmente quando ella sa d'esser sola e non udita da alcuno. Il suo contegno esteriore rivela però la persona preoccupata, sebbene non turbata, da un pensiero che senza inquietarla è sempre dominante. Per tutto il resto ella sembra assente. Naturalmente le sue ordinarie occupazioni risentono alquanto della sospensione della precedenza che questo pensiero ha su tutto. I familiari la seguono la osservano non veduti si mettono in ascolto per cogliere il senso dei suoi soliloqui; e non sapendo nulla di ciò che interiormente passa nello spirito di lei, pensano che gli effetti dei recenti lutti nonché affievolire col tempo, rincrudiscono sempre più. “Povera signora! - pensano e dicono tra loro - non è più in sé... il dolore ha leso la sua ragione!” Questo sospetto è rafforzato da fatti palesi e indiscutibili. È del continuo astratta fissa in qualche pensiero; Biografie 127 opera omnia nel fare le elemosine è prodigalmente larga non solo con i poveri, ma con le chiese e i conventi. I furbi i disonesti abusano della sua bontà ed essa non reagisce; invadono le sue possessioni le devastano depredandole... dicono di averle avute in dono dalla padrona; ed essa tace. Gran parte dei suoi numerosi e preziosi gioielli, regali del defunto sposo, passano ad ornare il venerando simulacro della Vergine detta del Miracolo, nel santuario di Desenzano. Similmente varie suppellettili d'alto valore e di pregio artistico che decorano la vetusta casa Tassis, partono qua e là per le chiese dei dintorni. Gli stessi abiti di Costanza attraverso un rigoroso inventario son ridotti a due della più comune lana nera e in così povero stato che di tempo in tempo hanno bisogno di toppe e rammendi. Il resto il più il meglio tutto ai poveri. Ed ancora, sin dai primi tempi del suo matrimonio, Costanza aveva, perché voluta dal marito, una cameriera che le curava l'acconciatura dei capelli. Ora questo servizio non tollera più; non si mira più allo specchio e se a volte permette d'essere pettinata, con garbo risoluto si volge alle cameriera e le dice: “Lascia fare a me; vedi come si fa: così”. E con un sol colpo di pettine manda indietro alla rinfusa tutti i capelli; poi togliendosi da quella occupazione. 134 “Andiamo, andiamo, - dice che c'è ben altro a fare che pettinarsi” . “Decisamente! - pensano molti - la povera signora non è più in sé, per ridursi in così pietoso stato”. “Tenetela un po’ più di conto la vostra signora - dice ai domestici un sacerdote, vecchia conoscenza di casa - mi sembra che la mandiate un po’ troppo all'apostolica”. Costanza ha risaputo di questi appunti, e dice amabilmente ai familiari: “Sono pulita e raggiustata; che si vuole di più? Nostro Signore, Padrone del mondo, non possedeva che una sola tunica, ed io indegna serva ne ho due. E poi dicono che è poco. Infine le vesti non si possono indossare più d'una alla volta; per me l'averne di più è un vero impaccio”. La risposta della signora ha rassicurato i servi e disilluso chiunque abbia pensato male di lei: queste parole sono non solo da saggia ma da santa; perché ella aggiunge persino: “Volesse il Cielo che fossi veramente pazza al giudizio degli uomini, per piacere a 135 Dio” . 134 135 Porc. Ap. Summ. Vita, pag? 739-740, paragr. 25. Proc. Ap. Suppl. Summ. pag. 577, paragr. 577. 578. Biografie 128 opera omnia Un giorno il curato di Comonte - Don Giuseppe Agnesis - che qualche cosa ha intuito dell'intimo travaglio della signora Costanza se ne esce bel bello in queste parole: “Sentite, signora, se io fossi nelle vostre condizioni mi procurerei alcune povere bambine da allevare e custodire: così questa occupazione vi solleverebbe lo spirito”. È la voce di Dio!. . In quello stesso giorno due bimbette di Seriate di recente orfane dei genitori furono condotte al palazzo e presentate a Costanza. Non le lasciò più partire. Innalzando gli occhi al Cielo ella ringrazia il buon Dio che finalmente ha parlato. La nobile Costanza Cerioli ha trovato gli eredi dei suoi tre patrimoni! Biografie 129 opera omnia Biografie 130 opera omnia CAPITOLO XVI Come si costituisce la seconda famiglia di Costanza Le due orfanelle ammesse alla vita familiare nel palazzo comitale di Comonte suscitarono poco meno che tumulto. La servitù ne è scandalizzata inorridita. È intollerabile che in una casa di tanta nobiltà e decoro si debbano ospitare due creature cenciose e pezzenti come queste; muovono a schifo solo al lezzo che tramandano! Si mormorava. La signora non si turbò; tanto meno si rimosse dal suo divisamento. Col cuore sempre stretto dall'angustia e dal dolore, al vedersi dattorno radianti felicità quelle due innocenti creature ella prova sussulti di tale commozione da non potersi dire. Le parole del figlio morente si stanno dunque avverando. Che sian queste povere bimbette le primogenite dei “molti figli che la Provvidenza le darà in luogo del suo Carlino?” Chi sa? Le proteste e le ripugnanze dei familiari vengono sopraffatte dall'entusiasmo e dal vigore nuovo che ella esperimenta a proseguire animosa aumentando il numero e perfezionando il bene di quelle povere derelitte. Di così bella novità - a cui presto segue una scuola rurale per le contadinelle di Comonte - si preoccupò subito di darne notizia al suo venerato vescovo e direttore, dal quale ella dipende docilissima. Monsignor Speranza, come già le aveva suggerito “di andar man mano facendo quel bene che vedeva presentarsi” non poteva non approvare la cosa, e le risponde subito: “Quello che voi fate non è male, ma bene; e a far questo voi avete sempre la mia licenza. Così voi occupate fruttuosamente il tempo, ed il Signore che apprezza tanto il bene che facciamo, terrà conto anche di questo che infine si servirà ad ottenere da lui maggiori lumi”. Biografie 131 opera omnia Il tono della lettera, ben diverso da quello da noi sottolineato nelle due antecedenti, lascia traspirare l'approvazione e il compiacimento del buon vescovo, che vede così delinearsi da un'opera di carità una possibile vocazione ad un Istituto di programma attivo in pro della gioventù. E ciò era anche una delle più coltivate cure del suo ministero episcopale. Le ultime parole della lettera “questo vi servirà infine ad ottenere da Dio maggiori lumi” dicono chiaro dove egli avrebbe voluto mirare. E bisogna riconoscere che tale era anche il pensiero di Costanza; ella ha infatti già provveduto e disposto che “ove il Signore avesse voluto che passasse altrove il resto dei suoi giorni, avrebbe collocato le due orfanelle o nel 136 Conventino di Bergamo o dalle Suore di Carità a Caleppio” . Con queste idee di massima condivise ed accettate da entrambi il vescovo consiglia Costanza di portarsi per qualche giorno a Bergamo alta, e raccogliersi nella casa delle Figlie del S. Cuore del Gromo: ivi nel ritiro e nell'orazione potrà conoscere se quell'Istituto sia adatto per Lei. Costanza obbedì. Dopo qualche giorno di dimora nella santa casa il vescovo va di persona a farle visita. Scambiarono tra loro un dialogo che in qualche passo rievoca uno dei tanti tenuto da S. Francesco di Sales con la santa vedova de Chantal. - Come vi trovate, qui? le chiede il vescovo. - Bene, Monsignore, fin troppo bene - risponde Costanza. - Dunque, vi sentite di rimanervi? - Come crede Vostra Eccellenza. - No, - soggiunse il vescovo - voglio sapere come vi sentite internamente. - Nel mio interno - risponde con franca sincerità Costanza - non mi sento per nulla inclinata a questo genere di vita; anzi se prima avevo qualche inclinazione ora si è sopita del tutto; mi sento invece spinta a vita più bassa, ed a convivere con persone di più umile condizione. - Allora - le disse il vescovo - tornate subito a casa, ed attendete a far del bene; frattanto pregate il Signore che manifesti la sua santissima volontà, che noi l'eseguiremo. Va bene? - Benissimo, Monsignore! E Costanza partì rientrando a Comonte. Qualche cosa di simile aveva già tentato presso le Suore Canossiane; ove recatasi per un giorno di ritiro, fu invitata a leggere le costituzioni di quella Società e a considerarne lo spirito, ottimo del 136 Proc. Ap. Summ. Vita, pag. 741. Biografie 132 opera omnia resto sotto ogni riflesso. In così delicato e per lei sollecitante invito Costanza fece ricorso a Dio nella santa orazione, ed Egli le fece intendere che l'opera a cui voleva era diversa da quella delle Canossiane. Quindi non iniziò neppure trattative in proposito. Rientrata in Comonte dopo il ritiro del Gromo si diede tutta al lavoro intorno alle orfanelle e all'organizzazione della scuola rurale; soprattutto si diede alla preghiera più intensa, secondo i consigli del vescovo. A proposito della scuola rurale, Costanza aveva urgente bisogno di aiuto, perché se ella si fosse dedicata alle orfane non avrebbe potuto attendere alla scuola. D'altra parte dai suoi familiari non poteva sperare aiuto, non essendo questi molto disposti ad opere di carità. Delle tre domestiche che aveva, l'unica che sembrava più inclinata a coadiuvarla non era di salute, tanto che dovette rimandarla a chi gliela aveva data. Di conseguenza venne a trovarsi ben fornita di licenze e benedizioni sì, ma sprovvista di braccia per il lavoro. A ciò le venne in soccorso il Cielo, presentandole subito un ottimo soggetto che sarà poi la figlia prima assoluta in ordine di tempo e per qualità. Iddio benignamente la legherà alla vita e all'opera di Costanza quale sua prima compagna, prima confidente, prima erede dello spirito, e dopo la morte, prima moderatrice dell'Istituto, che dirigerà per ben quarant'anni sino a vederlo approvato, diffuso, consolidato nello spirito caratteristico dato dalla 137 stessa Madre Fondatrice. È la venerata Madre Luigia Corti . Noi le dobbiamo tanto per la copia e preziosità di notizie forniteci che garantiscono tutta la verità storica del presente lavoro. Il maturarsi della vocazione in questa giovane le circostanze e il momento in cui s'è profferta a Costanza, hanno tutti i contrassegni di una disposizione celeste. Lo dice la stessa Madre Corti come avvenne 137 La M. Luigia Corti, nacque in Bergamo, parrocchia di Borgo Palazzo, l'11 marzo 1829, da modesti ma onesti genitori. Frequentò le prime scuole delle Suore Canossiane con vero profitto, sì da far credere che avesse ricevuto più alta e compita istruzione. Fanciulletta perdette la mamma e rimase in tutela della nonna paterna. Morta anche questa, il padre passò a seconde nozze, e Luigia dovette soffrire non poco a cagione della matrigna. Ebbe per confessore e zelante sacerdote Giovan Battista Tiraboschi, che la guidò saggiamente verso la sua vocazione religiosa. Il primo anello di congiunzione tra la Corti e la Cerioli fu un'amica della Corti, cameriera presso Donna Costanza. Visse sempre a fianco della Fondatrice, come preziosa consigliera e prediletta figlia, la assistette negli ultimi momenti della sua vita e le succedette nell'ufficio di Superiora Generale, e dopo aver retto per circa quarant'anni l'Istituto, morì santamente il 20 aprile 1903. Biografie 133 opera omnia il suo primo incontro con la signora Costanza. “La conobbi la prima volta in occasione in cui ella si recò dalle Suore Canossiane in Borgo Palazzo - Bergamo - a cercare una giovane che la potesse aiutare nella custodia di due orfanelle, che aveva già raccolte nella sua casa in Comonte, e di altre che in seguito sperava di poter ricoverare. Io che desiderava ardentemente di farmi religiosa nelle Canossiane, ma essendo povera non potevo essere accettata, accolsi con gioia la proposta fattami, ed avuto il consenso del mio confessore Don 138 Battista Tiraboschi partii per Comonte” . È da notare che il confessore sembrava opporsi all'ingresso di Luigia in un qualsiasi Istituto, non perché non la trovasse matura di vocazione alla vita religiosa, ma per le sue condizioni familiari. Poco più che ventenne, ella doveva svolgere la sua prima carità in casa verso il babbo infermo, la matrigna con vari figli. Per questo il Tiraboschi non voleva neppure sentir parlare di convento. Ma quando si trattò di andare con la signora Costanza in Comonte non solo non fu contrario, ma la esortò a partire incontanente. “Ma, rispose la giovane, e il babbo infermo... e i fratellini?” - “La volontà di Dio è che tu vada subito”. Sorpresa ed agitata di questa strana risposta nel dubbio che il confessore le avesse dato un consiglio precipitato, attese qualche giorno avanti di partire per Comonte. E quando si presentò a lui per congedarsi, al primo vederla il ministro di Dio le disse: “Come, sei ancora qui?... Parti subito dove Iddio ti chiama, che la tua famiglia avrà maggior beneficio dalla tua assenza che dalla tua presenza. Tu devi secondare i disegni divini che ti vogliono là. Se per tua colpa perderai quel posto, te ne pentirai!” Parole profetiche! Luigia Corti obbedì al comando del suo direttore e nel maggio 1855 entrava come prima collaboratrice di Costanza Cerioli nell'opera non ancor nata. Qui vogliamo far gustare al lettore una pagina della stessa Corti; nel suo stile semplice e quasi vernacolo ci dà le impressioni sul primo incontro con Costanza a Comonte: “Al primo entrare in questa casa - ella dice - mi sentii tutta commovere di consolazione in vedere questa sì grande Signora così dimessa che ispirava raccoglimento ed insieme rispetto. Ho detto subito in cuor mio: Oh, questa dev'essere un'anima santa! E sentivo in me tanta venerazione congiunta con tanta confidenza quasi fosse già mia madre e superiora, e non come a signora: e subito mi sono sentita gran desiderio di mettermi sotto la sua direzione, come feci dipoi col voto di obbedienza fatto verso la 138 Proc. Ord. Summ. Pars. 1 pag. 1 N. 1. paragr. 1. Biografie 134 opera omnia medesima, col consiglio del mio confessore. Così sono stata la prima a sperimentare il suo grande zelo e premura, nonché la saggezza e discernimento nelle cose dello spirito, e la sua maschia virtù, che non stava alla corteccia ma voleva virtù sode e senza affettazione; voleva che si fosse pronte all'obbedienza e che questa si preferisse a tutto; ci voleva amanti del sacrificio e dell'annegazione e che tutto si sacrificasse pel servizio dei poveri: tempo, comodità, stima, piaceri e persino la vita, non risparmiando se stessa più delle atre a sacrificarsi tutta per la carità - come io posso attestare - che allora, al mio primo entrare nella casa, ella faceva sia con due orfane, sia con la scuola che 139 cominciava a fare per le ragazze dei dintorni” . Sul bel principio però la situazione di Luigia Corti non era molto lieta: l'agitava una grave perplessità. Il parlare della Signora Costanza le suonava oscuro indeciso: sarebbe ella rimasta nel suo palazzo a educare le orfanelle, oppure si sarebbe ritirata in monastero a far vita di solitudine e contemplazione? La sentiva parlare con tanto trasporto di desideri di perfezione di vita solitaria con Dio... Ed allora? che sarebbe stato delle povere orfanelle, e ciò che più premeva alla Corti, che sarebbe stata di lei, della sua vocazione religiosa? Rimaner sola, in balìa di se stesa, senza verun appoggio! La poverina in tanto dubbio avanzò persino una timida domanda alla signora: “E che farete di queste orfanelle, se voi vi ritirate in monastero?” E Costanza con grande calma le espone il suo piano qualora Iddio la chiamasse a vita di solitudine. Non c'è nulla da fare! - riflette la Corti - bisogna pensare ai casi propri. Sentiva però tanto affetto e venerazione per la signora Costanza che non sapeva decidersi ad abbandonarla. Pure, con grande dolore un giorno le si presenta e le dichiara con tutta franchezza i suoi timori e che perciò prima di rimaner sola abbandonata pensava di tornarsene presso i suoi a Bergamo. Anche Costanza amava quella figliuola; la trovava tanto adatta per i suoi disegni; tuttavia, per tenersi in uno stato di perfetta indifferenza, e per non forzare in verun modo gli eventi, procurandosi anche con quel mezzo umano qualche cosa che favorisse l'opera, con altrettanta franchezza e risolutezza, le risponde: “Sta bene; va pure: Iddio non ha bisogno di te! Se vuoi, ti pagherò il lavoro che hai prestato presso di me”. A tale risposta la Corti si confermò nella decisione presa. L'indomani mattina, silenziosamente lasciò il palazzo di Comonte. 139 Proc. Ap. Summ. - Vita, Cap. V, pag. 745, paragr. 31. 32. Biografie 135 opera omnia Però la figliuola non si sentiva sicura del passo che faceva. Prima di tornare a Bergamo volle dare un capatina a Costa di Mezzate per veder il proprio direttore e riferirgli tutto. Questi l'ascoltò in silenzio; indi, con fare ispirato, le disse: “In nome di Gesù Cristo, ti comando di non abbandonare Donna Costanza: questa è la tua vocazione. Tu la seguirai ovunque ella vada; se andrà in monastero tu entrerai in monastero, se resterà dov'è lì resterai tu: quello che ella farà lo farai tu pure. E bada di non trasgredire quest'ordine. Se in questo confessionale ci fosse al mio posto Gesù in persona ti direbbe la stessa cosa”. Alla forza di queste parole la giovane si sentì rinvenire. Con cuore sereno e tutta in giubilo rifece a ritroso la strada. Torna a Comonte, si presenta a Costanza, e con la più bella semplicità le dice: “Signora, non vado più a casa; rimango con voi per sempre, perché sento che questa è la volontà di Dio”. Costanza non ne esultò meno in cuor suo - il Signore dunque lavora in favore dell'opera delle orfanelle! - e benché non lasciasse vedere alcun segno di questa intima gioia, pure la Corti se ne avvide. E questa si mise ai suoi ordini, per eseguire con alacrità le prime 140 incombenze . A Luigia Corti fu così affidata la cura delle orfanelle. Costanza più libera poté dedicarsi alla scuola ove, senza dirlo, affluirono subito gran numero di ragazze d'ogni età attratte dal gran nome della signora che presero tutte a chiamare “la maestrina” diminutivo e vezzeggiativo di maestra giovane, materna quanto può esserlo chi della madre ha tutte le intuizioni d'amore e di dolore, elevate ad un senso eroico di virtù. L'opera di Dio s'incammina, ma non ancora in modo da lasciar veder chiaro e deciso il suo orientamento: orfanotrofio o scuola? Oppure l'uno e l'altra? Quel che è certo visibile è il grande spirito di fede e carità di Costanza, e il più assoluto oblio di sé delle sue cose del suo passato di tutto insomma, per dedicarsi con energia e possibilità al bene. Questo basta a dar gioia al suo cuore, a inondarla di pace, di quell'intima soddisfazione che è premio a chiunque lavori sapendo di attuare la volontà divina. I nuovi impegni, naturalmente, la tengono occupata e sempre in moto con la vigilanza sulle orfanelle e la direzione della scuola. L'andamento della casa e della propria persona all'ultimo posto, 140 Da alcune note biografiche della R. M. Corti. (Archivio della Casa Madre delle Suore della S. Famiglia). Biografie 136 opera omnia ridotti al minimo necessario. Suo primo pensiero le bambine e le ragazze. Ci sta proprio con l'affetto e il trasporto di una mamma; con infinita pazienza insegna le migliori cose di Dio e della casa: leggere e scrivere aritmetica mentale lavori semplici e comuni, un po' di cucito, quanto riesca prezioso per una povera famiglia di campagna. Quelle creature incoraggiate sollecitate dalla bontà e pazienza della “maestrina” le si affollano intorno opprimendola d'ogni parte interrogandola, a volte offendendola con la loro rozzezza; ma lei squisitamente delicata non le allontana non si schernisce non sente schifo... disinvolta, sorridente risponde istruisce dirozza quelle creature per farne delle coscienti anime cristiane. Un sì bel quadro, edificante ed interessante insieme, non può comporlo che l'infinita carità di Cristo livellatrice della ricchezza e della povertà, della sapienza e dell'ignoranza, in un vincolo di fraternità che ha origine e termine nell'unico Padre dei Cieli! S'è accennato che in grazia di questo nuovo lavoro Costanza ha dimenticato se stessa e la casa. L'ordine l'assetto il nitore del palazzo altre volte curati e ricercati, con sommo stupore dei domestici, son divenute cose secondarie. Ella ha chiesto al Signore che la spogli delle soverchie sollecitudini per tante inezie. I pasti ridotti alla massima frugalità: la sera non si cenava che con i resti del pranzo riscaldati alla meglio. Né si usavano particolari attenzioni agli ospiti che capitavano: tutti dovevano partecipare alla modestia e frugalità, che poste sopra un rigoroso piano di economia per il superfluo dovevano provvedere il necessario a tante creature del buon Dio. Una cognata di Costanza in visita a Comonte la rimprovera: “così voi imponete a tutti il vostro voto di povertà”. E Costanza sorride pensando al numero di orfanelle che in grazia di questo voto potrà essere aumentato. Altri ospiti stupefatti si soffermano a considerarla tutta presa assorbita dalle nuove occupazioni così in contrasto con la sua condizione e in quell'ambiente; rivolti alla compagna (Luigia Corti) le chiedono: “Che ne dite della signora? Non vi sembra che i dolori sofferti le abbiano fatto perdere il senno?” E la Corti: “Ma!... io penso che il Signore la faccia una gran santa... perché parla ed opera da santa!” E gli altri punto persuasi di quest'ascetica esclamano: “È impazzita!” Costanza lo risà e molto abilmente ci ragiona sopra: “Vedete come è fatto il mondo ed il suo spirito: quando si opera da pazzi si è reputati persone di senno; e quando si fa bene si è stolti. Noi ringraziamo Iddio che ce lo fa intendere. Poveretti! sono essi i Biografie 137 opera omnia pazzi, perché si rendono schiavi del mondo! Purtroppo lo fui anch'io!” E la cosa non finisce qui. Gli ospiti persone di rango e di vaste relazioni divulgano la loro impressione, sì da farla arrivare sino a Bergamo. Varcò persino l'episcopio. Mons. Speranza, spirito pratico e occhio clinico, intuisce e se ne compiace. La prima volta che può vedere Costanza le dice: “Sapete che si dice di voi qui a Bergamo? che siete una mattochella!” - “Fosse vero, Monsignore, che io divenissi 141 pazza, ma della follia della Croce!” . Frattanto per i dintorni di Comonte s'è diffusa la voce delle opere iniziate dalla giovane vedova Buzecchi; il suo palazzo è un andirivieni di parroci sacerdoti che accorrono a raccomandare i casi più pietosi da tenersi in considerazione. Il cuore di Costanza si dilata nel desiderio di abbracciare e raccogliere tutte quelle miserie... sennonché un forte dubbio, e penosissimo, l'angustia ancora: Sarà proprio volontà di Dio quest'opera? E se ella si fosse temerariamente slanciata in un'impresa che le sue deboli forze non potranno continuare? D'altra parte il desiderio di vita raccolta e di preghiera l'attrae irresistibilmente con la violenza dei primi giorni in cui le si accese in cuore. E trema al pensiero che l'apostolato della carità non le intralci la via verso una maggiore perfezione: o che il desiderio di questa non paralizzi l'opera benefica per tanti segni accetta al Cielo. Nella distretta di sì angosciosi dubbi il suo rifugio è in Dio. Prostrata in orazione dinanzi alla Divina Maestà, supplica e protesta che ella non intende non cerca che la sua volontà: disposta a tutto, troncare o continuare, smettere per ricominciare sempre tutto, solo che questo sia il divino beneplacito. Nel fervore dell'orazione, rischiarata da Dio, tutti i suoi dubbi cadono sfolgorati, bruciati dal fuoco del divino amore che si compiace di lei e del suo operato. Ed allora è la calma la più beatificante. “Desidero di accrescere il numero delle ricoverate - ella dice ogni volta che ne accolgo una nuova mi par proprio volontà di Dio che io la riceva; ma d'altra parte mi agita il pensiero di avermene a pentire. Ed allora che ne farò di queste poverine, che pur tanto amo?... “Proseguite, continuate” le ha detto ripetutamente il vescovo. L'autorità e la responsabilità di persona così qualificata ne sarebbero compromesse... ed ella continua. Aumenta il numero delle orfanelle 141 Proc. Ap. Summ. - Vita, pag. 577, paragr. 577. 578. Biografie 138 opera omnia preferendo nel vasto campo di miserie quelle che le sembrano più urgentemente bisognose: le orfane dei contadini. L'ammissione di ogni nuova orfanella per lei assurge all'importanza di un rito al tono d'una consuetudine da guardarsi ed osservarsi in avvenire, sempre. La visita preliminare è all'oratorio domestico; la prima presentazione a Dio: che la benedica e l'accolga sotto le ali della sua protezione onde riesca un'anima predestinata al bene alla vita eterna. Poi un po’ di toletta. Anche questa caratteristica e interessante, sempre riservata a lei, la signora. Si sa che quelle povere creature vengono da famiglie poverissime, alcune mendicanti, altre uscite da case dove non c'è babbo, non c'è mamma. Le loro condizioni igieniche, quindi, nel vestito nel corpo soprattutto nelle belle testoline ricciute arruffate ed invase da indesiderabili ospiti, facilmente immaginabili. Perciò: una calda abluzione generale accurata rivista e riassetto al capo, e poi biancheria abiti nuovi di bucato splendidi di semplice eleganza producono subito la trasformazione miracolosa, Costanza ripete sempre da capo: “Ecco un'altra figlia della Provvidenza divina!” Poi la conduce dalla maestra e gliela consegna con rituali parole: “Questo è un tesoro tanto prezioso che vale più di tutto l'oro del mondo. Fa di volerle assai bene!” Indi comincia il lavoro di dirozzamento di formazione d'istruzione di educazione sviluppate e perfezionate via via che il tempo e l'esperienza insegnano di più e meglio. E la casa si riempie di persone e di voci. A volte, nel sentirsi attorniata da tanto innocente frastuono, dice: Chi sa come godranno i defunti signori di questo palazzo al vederlo trasformato in opera di tanto bene... E dire che il mio povero marito aveva tanto timore che vi entrassero gli estranei; ma se fosse ora vedrebbe quanto è meglio far del bene che il tenere conversazioni e divertimenti...” Aumentando le orfanelle si dovette aumentare il numero delle collaboratrici. Sul principio la stessa maestra dopo le estenuanti fatiche della scuola doveva scendere in cucina a preparare il pranzo per sé e per le orfane, perché sembra che i domestici di Costanza persistevano nel rifiutarsi a quest'ufficio per le ospiti della Padrona. Ma il Signore stesso buono e provvido trova altre braccia e meglio altri cuori generosi e pronti ad ogni sacrificio per sì alto ideale. Eccone i nomi degni di particolare menzione: essi costituiscono le prime colonne del bell'edificio di cui Costanza è la pietra angolare. Biografie 139 opera omnia Dopo Luigia Corti prima assoluta vengono: Rosa Masoni di Almenno - S. Bartolomeo; Adelaide Carsana di Seriate; Maria Passera di Arcene. A distanza di qualche mese un altro buon acquisto fu fatto in un'ottima giovane di Seriate, Leonilde Valsecchi. Ciascuna di queste collaboratrici, tutte figlie e consorelle della nostra Costanza, meriterebbero un breve medaglione storico per fissarle nelle note individuali nelle caratteristiche virtù e nel personale apporto dato alla realizzazione dell'Istituto, perché, come accennammo, è da sottolinearsi il fatto - che torna a loro merito e ad elogio della Fondatrice - esse, tutte, costituirono realmente le colonne di sostegno della nuova famiglia, in cui perseverarono “usque ad mortem”. Entrate ancor prima che l'Istituto nascesse ne amarono ed assimilarono prontamente lo spirito, venerando come Madre la santa Fondatrice. Eccezione rara se non unica qui in tanta singolarità di scopo non si verificano le immancabili selezioni, per cui i pavidi i pusillanimi i delusi recedono dalle opere di Dio, le quali hanno tutte le stesse note, di preludio: umiltà semplicità limitazione di mezzi sovrabbondanza di lavoro che qui è autentica fatica. Ed anche questo è merito e vanto della Madre Cerioli. Ingrossato modestamente di numero; notevolmente di qualità, il primo nucleo per una famiglia religiosa, Costanza si accinge a consolidare e sistemare la propria opera. Sembra che su i primi tempi della fondazione fosse ospite a Comonte una giovane nepote di Costanza, figlia di suo fratello Giovanni Battista, Giuseppina Cerioli poi maritata Scotti la quale come depone nel Processo Ordinario - fu l'unico testimonio estraneo 142 all'opera, che ne abbia conosciuto l'edificante e mirabile nascita . La servitù è stata tutta dimessa dopo aver avuto, secondo giustizia, una 143 buona liquidazione . Mentre fuori del palazzo sostano in ansiosa e curiosa aspettativa molti, che trepidano d'indagare indovinare prevedere l'esito finale di tutto. Laici sacerdoti vanno vengono interrogano. - Ma, e queste giovani e tante orfanelle e le scuole?... Si direbbe un'opera che s'avvia, e la signora dice: niente!... 142 143 Proc. Ord. Summ. pars. 1, pag. 4 paragr. 10. Proc. Ap. Suppl. Summ. N. XII. pag. 278 paragr. 31. Biografie 140 opera omnia - Veramente - confessa lei con sincera persuasione - io non so proprio nulla, come non valgo nulla!... - Ciò non è possibile: tanti cambiamenti tante novità dicono pure qualche cosa! E lei: - Ma, lo saprà S. Giuseppe; io non so nulla!. Era la pura verità. Costanza ha messo in buone mani se stessa e l'opera sua. Dal tetto in giù è affidata alle mani esperte del vescovo Speranza e del canonico Valsecchi; dal tetto in su ha trovato un prodigioso avvocato: S. Giuseppe. Lei da parte sua prega ed eseguisce a puntino gli ordini che riceve. Siamo alla fine del 1856. Biografie 141 opera omnia Biografie 142 opera omnia CAPITOLO XVII Suor Paola Elisabetta “Mio Dio! - geme Costanza - e se io dovessi morire? Queste care creature tornerebbero a mendicare e le contadinelle dei dintorni non avrebbero più scuola!... “Angustiata del continuo da questo timore, trascorre tutto il gennaio e il febbraio del 1857. Una mattina - sugli inizi del marzo - Costanza si chiude nella propria stanza e vi s'intrattiene da sola per parecchie ore. Quando ne uscì il suo volto - al solito - ardeva come una fiamma: indice sicuro che veniva dall'orazione. Che cosa era accaduto? La buona Luigia Corti non osa interrogarla. La signora però la previene dichiarando: “Sono stata ritirata più del solito perché ho disteso per iscritto le mie idee da presentarsi al canonico Valsecchi. Oh, quanto è buono il Signore!” Infatti aveva gettato in un quaderno della mole d'un libretto in succinto ma chiare le idee fondamentali dell'Istituto cui, sollecitata da Dio, intendeva alfine dar vita. “Ah, quel libretto! - diceva poi il Valsecchi - non lo si apprezzerebbe più che due soldi, eppure fu scritto sotto dettatura 144 dello Spirito Santo!” . No si può assolutamente sintetizzare il contenuto di questo libretto senza sciuparlo; d'altra parte esso costituisce la “magna carta” dell'Istituto della S. Famiglia che sta per nascere, è quindi indispensabile che ne riportiamo almeno i tratti salienti affinché si veda a qual punto di travaglio interiore sia giunta Costanza per 144 Questo prezioso autografo rimasto sempre nelle mani di Mons. Valsecchi, fu da lui smarrito tra le sue carte. Parecchi anni dopo la sua morte rinvenuto dagli eredi, nel fare lo spoglio, fu consegnato alle Suore della S. Famiglia. Biografie 143 opera omnia rigurgitare d'improvviso idee così alte e pratiche luminose e semplici. E constatare una volta di più il grado di spiritualità a cui è pervenuta questa vedova cristiana, che solo da Dio poteva derivare tanto mirabili cose. Lo scritto ha il tono d'un proclama e d'un programma che bandisce un'idea nuova ardita per farla amare ed abbracciare da chi può comprenderla e viverla. Ecco le sue parole: “Il Signore nei decreti della sua ammirabile e divina Provvidenza ha riunito questa piccola società di donne destinandole, come una volta i nostri primi Padri i patriarchi e persino gl'illustri antenati di Gesù Cristo, a coltivare a lavorare la terra nella mira di far conoscere e prosperare di nuovo l'amore e il gusto a quest'arte sì bella sì nobile sì dilettevole, ed ora per nostra disgrazia avvilita e disprezzata a motivo dei costumi e delle massime del mondo corrotte e false. Per questo fine Iddio consegnò pure ed affidò alla nostra piccola società l'educazione e l'avvenire delle povere “figlie di S. Giuseppe” onde queste allevate ed istruite in un'arte sì ricca e feconda di tanti vantaggi quale è quella di coltivare i campi, educate nella semplicità e nell'innocenza con massime e sentimenti conformi alla loro professione, possano poi secondo i disegni di Dio spargersi un giorno nel mondo quale semente caduta del Cielo e restituire con l'amore alla fatica ed il gusto alla vita campestre l'innocenza dei costumi la semplicità nelle maniere la buona fede delle parole l'abbondanza e la pace nelle famiglie e così arrivare a quell'unica felicità campestre da tutti sì decantata, ma che gli uomini sono sì lungi dal possedere, la quale ci conduca poi e ci guidi facilmente a quell'altra perenne e interminabile su nel Cielo. Le suore della S. Famiglia - chè di questo bel titolo vanno fregiate le componenti la novella Società - le presenti e tutte quelle che Iddio nei suoi alti disegni avrà destinate e chiamerà con vocazione speciale a parte di questa sì alta missione, di qualunque stato e condizione esse siano, ricche o povere nobili o plebee, formeranno una sola classe ed ordine di sorelle strette le une alle altre coi vincoli della pace e della carità. Quanto dolce e quanto cara non dovrà essere ai loro cuori questa unità che le lega più strettamente coi legami della fratellanza e d'un amore scambievole... Aventi un sol cuore ed un'anima sola, tenendosi onorate della grande missione alla quale sono state chiamate ed elette da Dio, le Biografie 144 opera omnia suore della Sacra Famiglia dovranno indistintamente andare alla 145 campagna . La campagna offre a tutte di che impiegarsi secondo le forze la capacità e i talenti di ciascheduna. La mano d'opera l'istruzione la sorveglianza la custodia ecc. ecco altrettanti impieghi e ministeri differenti, che tolgono il pretesto a quelle giovani che per la loro nascita ed educazione, credono che non sia per loro la novella istituzione. La vita d'una cristiana, ma molto più di una religiosa, deve esser una vita d'abnegazione e di sacrificio: l'Uomo - Dio ce ne diede l'esempio: ecco il nostro modello. Quando Dio ci chiama per una missione dà pure i talenti la forza la capacità di sostenerla ed adempierla. Guai a chi si ritirasse indietro sotto vani pretesti. Guai a chi per superbia sdegnasse uffici e lavori bassi e vili e la compagnia di sorelle spregevoli ai suoi occhi, ma grandi a quelli di Dio! Quale spettacolo edificante non davano una volta agli occhi del mondo i discepoli d'un S. Benedetto, quando spogliati dei loro ricchi patrimoni dei loro gradi delle loro dignità di loro assise e cariche con l'arma e la divisa dell'umiltà, dissodavano terreni coltivavano la terra e portavano al mondo che li disprezzava i beni che nessuno certamente può negare. Le suore dunque della S. Famiglia animate da sì nobili esempi non ricuseranno fatiche e cure onde cooperare per quanto sta in loro ai disegni di Dio. A questo scopo si terrà nell'Istituto una scuola d'agraria ad istruzione delle suore, perché possano poi istruire le orfane a loro affidate e altre giovani e fanciulle che desiderassero pure approfittarsi delle loro cognizioni. Dovendo le suore della S. Famiglia condurre una vita d'occupazione e di fatica non avranno né coro né digiuni più di quelli comandati dalla Chiesa. Mezz'ora di meditazione e la S. Messa la mattina, la visita al mezzogiorno, la meditazione e il Rosario la sera; ecco le nostre pratiche quotidiane di religione. Abnegazione continua della volontà, e lavoro continuo ecco le nostre penitenze. Vi sarà discreta tavola, discreto riposo, abito uniforme e adatto ai nostri ministeri e tutte porteranno il semplice e modesto titolo di suore, eccettuate le sorelle di quattro voti che saranno chiamate madri e per tutte e con tutte poi si avrà la stessa premura, gli stessi riguardi e la stessa cura per la loro 145 Da questa disposizione si allontanò poi la Fondatrice, reputando più utile l'affidare ad una sola Suora - che tratto tratto viene cambiata - la cura immediata dei lavori campestri. Biografie 145 opera omnia salute e conservazione sì spirituale che temporale. Quelle sorelle nelle quali la superiora oltre le qualità necessarie per esser buone ed edificanti religiose scoprirà talenti e abilità speciali per riuscire pure nel maneggio degli affari alla direzione dei registri e al governo dell'Istituto e della intera società, aggiungeranno ai tre voti soliti di povertà castità obbedienza un altro voto particolare cioè di cercare sempre in tutte le loro operazioni la maggior gloria di Dio ed il bene e 146 vantaggio dell'Istituto medesimo . Ma siccome in questa Società le religiose sono considerate tutte uguali, così per la scelta delle sorelle di quattro voti non si avrà riguardo a chi nel mondo fu ricca o povera a chi sortì natali illustri o vili, la sola virtù i soli meriti reali la sola capacità dovranno servire di base all'elezione ed attirarsi quindi la stima l'amore il rispetto la dipendenza delle consorelle quando anche l'eletta fosse una contadina. Le sole sorelle di quattro voti potranno occupare il posto di superiora sacrestana direttrice economa assistente consigliera e maestra delle novizie: e solo in caso di necessità le sorelle di tre voti dopo che li avranno pronunziati perpetui potranno farne le veci per qualche tempo”. A questo mirabile proclama, ecco la risposta di Mons. Valsecchi: “Pregiatissima Signora, sia lode al Signore! L'idea del nuovo Istituto che Ella mi ha dato a leggere mi è sembrata veramente una cosa la più perfetta e la più semplice ed insieme la più provvida, perché ha di mira una classe della società molto trascurata e quasi esclusa da tutti gli altri Istituti. Non esito a dire che la sua idea sia una ispirazione preziosissima di Dio, che vuol fare una bella grazia a quella povera gente che tante volte non riceve dalla ingiustizia e dalla durezza degli uomini la mercede dovuta ai suoi stenti ed alle sue fatiche. Ella poi ha un gran motivo di consolarsi e benedire il Signore che l'abbia scelta ad istrumento per compiere i suoi disegni. Vede bene quanto le cresca il motivo ed il dovere di amar Dio con tutto il cuore e fargli sacrificio di tutta se stessa che è quello che Iddio vuole da lei più che le sue sostanze”. Mons. Valsecchi prosegue consigliando Costanza a rimettere lo scritto al vescovo Speranza che potrà apportarvi le modificazioni che crederà opportune ed approvarlo. E nella seguente lettera datata dal 18 aprile 1857, conferma i suoi sentimenti di approvazione e compiacimento per l'Istituto nascente della S. Famiglia. Alcuni 146 Questo quarto voto in seguito all'aggiornamento delle Costituzioni fu soppresso. Biografie 146 opera omnia passaggi di questa lettera sono molto preziosi per noi: “Io non ho mai dubitato - egli scrive - che Dio togliendole il suo Carlino - “onde la malizia del secolo non lo avesse a pervertire” - l'avrebbe poi fatta madre in una guisa tutta spirituale ed angelica di altri molti figliuoli e molte figliuole che ella avrebbe preso a raccogliere a custodire ad educare pel Paradiso. Oh la grazia grande che le ha fatto il Signore! Oh lo scambio prezioso che è avvenuto tra lei e Dio! Impari dunque ad essere sempre più generosa nei suoi sacrifici e ad abbandonarsi tutta in Dio nostro Padre. Continui con lena l'opera buona a cui è stata chiamata, ma faccia tutte le cose con grande semplicità e longanimità, seguendo e non prevenendo l'impulso di Dio, non fidandosi di se stessa e regolandosi in tutto secondo il consiglio e l'obbedienza: così riuscirà tutto e sempre a bene. Si ricordi di me presso il Signore perché mi aiuti e mi sostenga e Lo cerchi e Lo ami unicamente. Ciò desidero e prego per Lei stessa, e me le professo con tutta stima e rispetto. Umiliss. devotiss. obbligatiss. servo, sacerdote Alessandro Valsecchi”. Incoraggiata da così autorevoli e reiterate approvazioni, a cui si aggiunsero piene quelle di Mons. Speranza che dettò persino l'orario da osservarsi nella incipiente comunità, Costanza procede alacre e fervida ad attuare il disegno tanto chiaramente visto in Dio. Il tono di vita suo e delle compagne fu subito dimesso povero mortificato. Non le mancavano certo le possibilità di provvedere a sé e ad esse il necessario. Questa potrebbe dirsi l'unica nota singolare per l'Istituto della S. Famiglia; non ebbe infatti le origini tradizionalmente povere e stentate di tutti gli Istituti religiosi; però ci sembra che in esso quel che non era povero di fatto lo era di virtù e di distacco, perché tutto fu rigorosamente ridotto dal desco alla veste dagli utensili al letto secondo il più stretto spirito religioso. Il bel tono di dimessa modestia passato sopra tanti ricordi di un fasto mai amato e presto ripudiato, edificò un pio visitatore di Comonte, il quale nella grande sala di ricevimento vide la luce di uno specchio - racchiuso in sfarzosa cornice - coperta di povera carta, con dinanzi un grande Crocefisso... e il vecchio piano a coda - il cembalo del Signor Buzecchi - negletto e muto in un angolo; avanzi di un passato ormai tramontato per dar 147 luogo al semplice e lindo spirito di povertà conventuale vigente . Lei, personalmente, designata dal vescovo Superiora e Madre della nuova famiglia, abbandonato il suo appartamento si ridusse 147 Lettera del Prevosto Teadini. “Nel 50° di fondazione dell'Istituto della S. Famiglia” pag. 45. Biografie 147 opera omnia dentro una semplice e nuda stanzetta, mobiliata dell'indispensabile per dirsi abitata: un letto uno scrittoio due sedie un Crocefisso. Verun riguardo per la sua salute, che tanti ne avrebbe richiesti specialmente nei mesi invernali. Nella vita in comune dominano le armonie del silenzio degli orari della regolarità dell'uniformità dell'ordine della pulizia. Il grado di fervore spirituale altissimo in tutte; si scaldano e si ritemprano infatti agli ardori della loro prima sorella e guida. Che manca dunque perché si compia quello a cui da tanti anni anela Costanza? Consumare il proprio sacrificio con i voti religiosi. Monsignor vescovo è ben lieto di contentarla anche in questo; ed a lei sola concede tale grazia. Tenuto presente che sin dal Natale 1854 vicino alla salma ancor tiepida del suo sposo terreno, ella ha proferito il voto di perpetua castità, or non resta che aggiungere gli altri due voti religiosi. Nel gelido mattino dell'8 febbraio 1857 domenica in Settuagesima - Costanza è a Bergamo e nella cappella dell'episcopio nelle mani di Mons. Speranza pronunzia la formula 148 completa dei voti . In questa occasione si recide i capelli e copre il capo di un semplice e grezzo velo nero. Dipoi lasciando il nome di battesimo - che troppo le ricorda le tappe segnate sulla via del mondo - nome pur tanto caro e proprio, perché suo, la caratterizza infatti nella perseverante tenacia di ascesa verso l'eroismo, ne sostituì altri due eletti e scelti dall'amore dalla devozione a due grandi sorelle in Cristo a lei pari di condizioni ricchezze e generosità. E ripresentandosi alle sue compagne di Comonte dichiara tutta lieta: “d'ora innanzi non mi direte più Signora Costanza, ma sorella Paola 149 Elisabetta . I nomi benedetti della sua nuova storia e della sua incaduca gloria. E da questo momento noi pure la diremo: Suor Paola Elisabetta. 148 149 A questi voti aggiunse nello stesso giorno il quarto voto: di operar sempre e tutto per la maggior gloria di Dio. Il nome Paola fu scelto ad onore della illustre vedova romana (347-404) di tal nome, discendente dagli Scipioni e da Paolo Emilio. Vedova a ventidue anni, con cinque figli, per consiglio di S. Marcello si consacrò a Dio. Conobbe in Roma S. Gerolamo lo scelse per suo direttore, e fece grandi progressi nella virtù e nella cognizione delle Sante Scritture. Dopo la morte della figlia Blesilla, raggiunse in Palestina il suo santo dire6tore, accompagnata dalla figlia Eustochio. Per venti anni essa governò una comunità di sante donne in Betlem, dando a tutte esempio di ogni virtù. S. Gerolamo ne scrisse la vita. Morì il 26 gennaio del 404. (Dictionnaire d'Hagiographie. Dom. Boudot, O. S. B. pag. 514) Il secondo nome Elisabetta fu scelto in onore della santa vedova e regina d'Ungheria (1207-1231) la cui virtù caratteristica fu la carità. Alla morte dello sposo, rimase nel mondo con l'abito di terziaria francescana, e morì il 19 novembre 1231 (Ibidem. pag. 220). Biografie 148 opera omnia C'è da notare che l'appellativo di suora lo ritenne sino alla morte. Non consentì mai veruna distinzione fra le sorelle dalle quali non volle mai esser chiamata Madre. Ci volle l'autorità di Mons. Speranza, invocata dalle sue Figlie, per lasciarsi dire “Superiora”. Solo alle orfanelle permise di chiamarla “Madre” a differenza delle suore maestre. Pel vestito non sembra maturo il tempo di adottarne uno speciale. Ad eccezione del velo nero portato costantemente, così lei come le sue compagne continuano ad usare i loro vestiti abituali; il suo si distingue solo pel colore nero mai dimesso dalla morte dei suoi cari. Nella Pasqua veniente Suor Paola Elisabetta chiese ed ottenne per sé e per le sue dilette compagne la grazia degli esercizi chiusi in casa, regolati secondo lo spirito di S. Ignazio per dodici giorni. Le consolazioni ed il frutto di questo santo ritiro furono visibilissimi in lei specialmente. E lo notò bene Luigia Corti che comincia già ad esserle socia di direzione e confidente di elezione. Sembra che la Corti passasse durante gli esercizi molte ore della giornata nella stanza della Madre la quale vedutasi osservata volle restar sola con Dio solo. Non la si vedeva perciò che a tavola dove appariva così assorta e trasformata che le sue buone collaboratrici notavano come ella fosse unita a Dio. Ebbe varie e protratte conferenze col predicatore e ne riportò lumi conforti incoraggiamenti nuovi. Chiese licenza di compiere qualche atto mortificante del suo amor proprio dinanzi alle sue compagne. Quanto ne rimasero intenerite al vedersela ai piedi e baciarli umilissimamente ed accusarsi delle proprie colpe! Alla fine piangevano tutte: lei di dolore dei propri peccati, le Figlie di edificazione e venerazione per tanta virtù. Questi esercizi furono indimenticabili. Costituirono davvero il previo cenacolo alla discesa dello Spirito di Dio che venne a trasformare quelle semplici ed umili creature in generosi apostoli della nuova vita di perfezione e di carità. Gli effetti pratici ed immediati furono tra gli altri nuovi e radicali spogliamenti del superfluo rimasto nel palazzo di Comonte. Oro diamanti mobilia vesti preziose tutto fu venduto per l'acquisto di altri letti e masserizie da arredare il nuovo ingrandito orfanotrofio. “Oh come sono bene impiegati questi denari! - dice Suor Paola -. Con i gioielli abbiamo procurato asilo a queste creature senza tetto e senza pane”. Biografie 149 opera omnia Già si disse che pel costume da adottare - e le figliuole lo desideravano tanto - ella ancora esitava. Tale ritardo e ponderazione procedevano dal proposito di non far nulla di singolare e di stabilire il suo Istituto in semplicità ed umiltà. Comunque pensava bene anche a questo; intanto esercitava le sue compagne nello spirito di rinnegamento. Non è raro che l'amor proprio la vanità più sottili si annidino pure tra le pieghe d'un mortificato abito monacale. Suor Paola Elisabetta lo sa; non vuol far perdere il merito della santa indifferenza alle sue predilette. Persino nel conversare con esse non parla mai con decisa chiarezza d'un vero e proprio istituto religioso. Sul labbro e sulla penna ricorrono sempre vocaboli assai vaghi e generici, come: società compagnia, opera; ma istituto religioso mai o raramente. E quelle anelanti con tutta sincerità dell'animo ad una vita strettamente tutta religiosa insistono ad interrogarla. Ella risponde maternamente e saggiamente: “Che non sia la vanità che vi stimoli a ciò; prima di prendere l'abito rivestiamoci dello spirito e delle virtù che caratterizzano la vita religiosa”. I primi colpi di ascia così a dirozzare quelle semplici anime a farne copie vive delle santissime persone che Paola Elisabetta ha contemplato estasiata nella poverissima casa nazarena. Sulla pietra angolare ed esemplare di questo adorabile focolare ella ha gettato senza rumore ed esteriorità le fondamenta della propria famiglia. Biografie 150 opera omnia CAPITOLO XVIII “Agricoltura Dei” Lavorare le collaboratrici innanzi tutto. Costituiscono esse il campo sperimentale su cui Suor Paola Elisabetta ha da spargere i primi sudori, perché rendano a Dio secondo la tecnica più perfetta tutta la gloria che gli è dovuta con la personale santificazione, e poi gli guadagnino anime. Che è quanto dire farne delle autentiche religiose. In perfetta armonia con lo stile evangelico ove si colgono di preferenza analogie rurali - Iddio vi è assimilato infatti ad un “agricoltore” - ella fa dell'agricoltura autentica, celeste anch'essa perfetta e razionale, per dissodamento per semina per potatura per raccolto. Il suo è un lavoro basato soprattutto sull'esperienza propria fatta con la pratica di tanti tirocini, esperienza che suppone ortodossia spirituale profondità di cognizione psicologia equilibrio di giudizio discrezione e prudenza somma onde il lavoro non sia vano o in danno; ma stabile duraturo fecondo. Insomma è la vera agricoltura di Dio. Da questo angolo d'osservazione ci si rivela un altro pregio, insospettabile e raro in una persona del suo sesso età condizione e stato. Una donna - appena quarantenne - del mondo degli agi e delle ricchezze, uscita ora dallo stato coniugale che la prese tutta nei doveri di sposa e di madre, come può atteggiarsi a maestra di anime sull'arduo cammino della perfezione, ad insegnare l'ultima struttura della vita religiosa i suoi essenziali costitutivi la bellezza dei voti la gioia del sacrificio le dolcezze della preghiera e dell'orazione? Biografie 151 opera omnia Per chiunque altra sarebbe presunzione e temerità; per lei no. Perché ella tanto giovane e sì lontana pel suo stato da tutto ciò possiede una tale ricchezza di vita interiore tale sodezza di virtù da esserle necessario il rigurgito, quasi a sgravio di un peso ricevuto non tutto per sé, ma per gli altri. Il fatto sia pur raro non è unico nella storia dell'agiografia. Ricorderemo Brigida, la santa principessa di Svevia, vedova anch'essa, del pari fondatrice e istitutrice di anime contemplative. Sono questi eleganti ricorsi storici echi lontani di secoli che la mano divina raccorda a rievocare le armonie mirabili della sua grazia. Del resto troppe giustificazioni sarebbero superflue per chi ha letto sin qui questo libro; noi le diamo per segnalare un pregio che senz'altre considerazioni non avrebbe il rilievo che merita. Nessuno può formalizzarsi al veder adesso suor Paola Elisabetta salire la cattedra di maestra spirituale se ricordi appena che ella fu: anima di preghiera di meditazione elevata alla potenza d'orazione; solo se ricordi quanto sin dai lontani anni ella coltivò le virtù religiose la vita solitaria a cui tese con l'anelito dell'anima sempre, in tutti gli stati ove passò. L'inscrutabile disegno di Dio la nutrì di ritardi e di attese, di digressioni e tappe, proprio per condurla a quest'ultima posta, dopo un tirocinio d'esperienze e meriti che le hanno arricchito l'anima e l'intelligenza, onde con sicurezza ed autorità di esempi potesse insegnare le teorie e la pratica che formano i perfetti seguaci di Gesù Cristo. Ed ecco Suor Elisabetta in procinto di dedicarsi alla santa agricoltura nella formazione delle anime alla vita e all'apostolato dell'Istituto della Sacra Famiglia, sua geniale creazione per la finalità i mezzi e l'impronta conferitagli. Qui preferiamo far parlare la sua prima allieva - la prima anima dissodata e formata - la buona Madre Corti la quale nel suo italiano molto semplice e quasi dialettale ha scritto più di quello che si potrebbe desiderare per dire la ricchissima perizia pedagogica di Suor Paola Elisabetta in materia spirituale. E ripetiamo ancora una volta il senso di pena che proviamo nel dover riferire una parte - la minima - delle sante cose che quasi pioggia di preziosissime gemme le uscirono dal labbro; e speriamo che il discernimento non ci abbia tradito facendoci tralasciare le più belle. Dice la Madre Corti: “Noi eravamo decise e risolute di rimanere unite con lei e di lasciarci da lei guidare e formare secondo il disegno che ella, per ispirazione divina, aveva in mente. Ella si regolava con la Biografie 152 opera omnia direzione del vescovo di Bergamo e di Mons. Canonico Valsecchi, e noi ci regolavamo con la nostra signora che così la chiamavamo da prima, e che subito dato principio all’Istituto la chiamavano Superiora; dipoi ella stessa fece conoscere che più volentieri amava le orfanelle la chiamassero lor Madre. Noi poi continuammo a così chiamarla, così che anche di noi era veramente nostra affettuosissima Madre. Ma ella non acconsentì mai a sottoscriversi madre nostra ma compagna, e come tale si diportava, quantunque fosse e la fondatrice e la padrona di tutto, e che fosse così distinta per nascita per talento e ricchezze, da non paragonarsi affatto con noi; eppure benché fosse superiora domandava sempre parere anche a noi prima di fare qualche cosa un po’ notevole e trovandola giusta e conforme allo spirito ne era contentissima perché - diceva - così prendete a conoscere lo spirito dell'Istituto. “Cercava sempre di guidarci per la via dell'abnegazione di noi medesime, e perciò ci teneva d'occhio ma lo faceva con tanta maestria che non ci si accorgeva neanche ad assuefarci così. “Quando le dicevamo che ripugnava a fare la tal cosa o tralasciar la tal altra, ci diceva: Sprezzate queste cose; non ci badate, tirate diritte a fare il vostro dovere; che importa se sentite o non sentite, tirate innanzi, non è niente... L'istesso quando ci si mostrava non contente della confessione, che per esempio non si era soddisfatte o quiete, diceva: Perché volete soddisfare il vostro amor proprio? Se non cercaste questo sareste contente; confessatevi con semplicità e ferma volontà di non peccare, e ciò basta; non andate a confessarvi per consolarvi o contentarvi, ma per purgare l'anima vostra; umiliatevi; e non pretendete che il confessore vi compatisca vi soddisfi vi consoli; forse lo avete meritato; andate avanti con semplicità e non perdete il tempo al confessionale e non fatelo perdere al confessore: Oh, io penso che si facciano molte confessioni per lo meno inutili, per voler confessarsi, o a dir meglio, soddisfarsi. Care sorelle, non cerchiamo queste contentezze di amor proprio, ma la grazia del Sacramento che sempre il Signore dà a chi non cerca altra cosa!” Non sembra qui di udire S. Teresa che alle sue monache tanto insistentemente diceva: “In tutto cercate il Dio delle consolazioni e non le consolazioni di Dio?” “Anche riguardo alla S. Comunione non voleva smanie, ma che ci accostassimo con fede all'augustissimo Sacramento. Ella stessa non si distingueva nella preferenza ad essa; si contentava delle tre o quattro volte la settimana come lo consentivano i tempi, e il vescovo Biografie 153 opera omnia permetteva. Diceva che la S. Comunione era mezzo e non fine per giungere alla perfezione; e che chi si comunicava tanto spesso e non s'emendava mai di tanti difetti, rendeva poco onore alla pietà”. “Non soffriva che si facesse conto di ciò che il mondo poteva dire. Ella stessa non faceva verun caso di quanto si diceva di lei; anzi ne rideva e si compiaceva al sentirsi disapprovata, purché il suo operato fosse voluto da Dio ed approvato dai superiori. “A volte, specialmente sui principi dell'Istituto, le dicevamo che la gente sparlava di lei. Ella ne rideva rispondendo: Forse è minor male che sparlino di me e di voi, anziché facciano dei peccati mormorando di questo o di quello... Guardate di operar per Iddio, con purità d'intenzione, e se nonostante il mondo parlasse, lasciate che parli, e voi ridetevi di esso come esso si ride di voi. L'onor nostro dev'esser di essere derisi per Cristo, quando la decisione non sia provocata dalla nostra leggerezza o cattiva condotta. Ma quando s'è operato bene, conforme alla nostra vocazione, se il mondo parla disprezza e disapprova non bisogna badarci”. “Essa sprezzava tanto il mondo e se stessa che alle volte trovandosi in mezzo alle ragazze, si metteva a correre in modo da farsi ridere dietro le giovinette e le persone che la vedevano; e lo faceva proprio per esser derisa, perché non era suo carattere trastullarsi; e così esigeva da noi”. Ed accoppiava all'amore della propria abiezione e disprezzo, l'amore alla povertà. “Quando ancora portavamo abiti secolari ce li faceva portare rattoppati a diversi colori... E vedendo la nostra vergogna ci diceva esser questo segno di essere schiave di noi medesime e del mondo; e ci faceva vedere a nudo il nostro amor proprio, e così si persuadeva della nostra debolezza. e miseria... “Mentre aveva cura di formar noi nello spirito, e nel disegno che il Signore le andava suggerendo, ella ci precedeva con l'esempio, e quindi non occorrevano molte istruzioni per imparare ciò che dovevamo fare; e difatti sui principi pochissimo ci correggeva ed istruiva. Veramente secondo il consiglio evangelico ella prima faceva e poi insegnava. E faceva ciò per la sua grande umiltà che la faceva credere più bisognosa di noi, e si giudicava persino incapace di dare un consiglio... e ciò avrebbe fatto se non glielo avessero imposto i superiori per dirigerci e governare quelle povere anime che Iddio le diede per prime compagne. E noi le eravamo state date proprio per umiliarla non essendo all'altezza della sua distinta e nobile persona, ma tutte di povera condizione, e di educazione assai diversa dalla sua, eppure ci trattava con grande amorevolezza e cordialità, come Biografie 154 opera omnia fossimo sue pari... Si adattava talmente alla nostra condizione che ci donava tutta la sua confidenza, quasi fosse stata ella stessa di bassa condizione; anzi pareva godesse a convivere con poverette come noi; dissimulava l'omissione di certe convenienze dovute al suo grado, non già per mancanza di rispetto, - che questo era grande - ma per mancanza di educazione. Ella si metteva sempre e in ogni cosa all'ultimo posto, e noi più semplici che intelligenti, stavamo dove ci metteva. Non badiamo a queste cose - ci diceva - che importa che non siate molto civili, quel che conta è che sappiate fare il vostro dovere; e si va in paradiso anche senza civiltà. Però esigeva grande assennatezza nel parlare, nei modi e nel tratto, che ci si avesse veramente a diportare con gravità, sì da imporre rispetto a chicchessia... - Non adulate mai, ma dite con semplicità ciò che sentite... Ve ne sono anche fin troppi nel mondo di quelli che lodano senza merito, o per interesse, o per guadagnarsi le grazie altrui... La nostra caratteristica di noi tutte chiamate alla educazione dei poverelli, dev'essere la bassa stima di noi stesse. - E voleva molta semplicità ed umiltà; ecco il senso delle sue parole: - Andiamo là alla buona. Umiliamoci; facciamoci piccole con i piccoli, semplici coi semplici, povere con i poveri, per avere da Dio il premio promesso ai poveri di spirito”. Però vicino a questi santi insegnamenti proclamava alto che per il suo Istituto ci vogliono anche soggetti di buoni talenti e di vaste capacità per lo sviluppo dell'opera. “S'inganna chi pensa che noi abbisogniamo solo di buone contadine; le suore non sono fatte per coltivare la terra, ma per guidare le orfanelle ed istruirle e insegnar loro a lavorare con perfezione e maggior cura il terreno, sì da riuscire brave contadine e riformatrici di quest'arte”. Così ella non amava i soggetti che avessero malinconie mistiche e fantasticherie di devozioni. “Per carità - diceva - non riempiamo la casa di stucchi; saranno sante queste, ne convengo, ma non buone per allevare figlie come le nostre che nel loro stato devono essere sempre a lavoro da mattina a sera”. Preferiva le suore che si mostrassero più indefesse e laboriose, benché esternamente sembrassero di minore spirito: “Queste mi piacciono assai, oh, ce ne fossero molte!” Delle altre diceva: “Sì, anche di queste ce ne vuole qualcuna per attirare, se fossero proprio buone, le benedizioni di Dio sopra di noi, ma ne basta una per casa!”. “La vita attiva e laboriosa sia sempre la vostra, se camminerete con questo spirito e su questa via, avanzerete sicure e senza accorgervene perverrete alla meta. Non guardate quel che si fa da Biografie 155 opera omnia altri, se digiunano, se contemplano, ecc. Il Signore vuole ciò da loro; da voi non lo vuole, ed invece di penitenze v'impone di lavorar molto, di assuefare attive e operose le figlie, di adoperarvi con tutte le vostre forze ed abilità ad istruirle. Oh quante occasioni di esercitarvi nelle più belle virtù nel disimpegnare questi uffici: virtù nascoste a tutti, persino alle vostre sorelle, ma ben note a Dio!... Osservate la Santa Famiglia essa vi serva di stimolo e d'istruzione”. Umiltà semplicità laboriosità generosità: ecco i pilastri del suo insegnamento. “Era attentissima - continua la Madre Corti - nello studiare le inclinazioni sì buone che ree di ognuna, e con grande maestria svelleva dal cuore ogni barbicina di amor proprio. Non accondiscendeva mai a cosa che potesse contentar l'amor proprio o la vanità. Studiava anche l'indole, le capacità e le disposizioni di ciascuna, e in proporzione di queste esigeva da ciascuna il possibile. Non è bene, diceva condurre tutte e voler tutte per una stessa strada e con i medesimi mezzi, ma bisogna adattare alle forze, alle disposizioni di ciascheduna nelle vie dello spirito. - Né esigeva da tutte la stessa perfezione. - Non angustiarti... da te il Signore non esige gran che, si contenta anche di una mediocre virtù. “Con quelle che vedeva forti e robuste le andava lavorando, ed esigeva molto, e diceva: - Quella figlia mi piace assai, farà del gran bene, perché non si perde in inezie, ma è di soda virtù, di queste facciamone sponda, queste martelliamole pure che diventeranno buone pel nostro disegno. “Quelle invece che vedeva fiacche e titubanti, le accarezzava, le andava dolcemente formando, ma diceva: - Da queste aspettatevi poco... - E ad esse: - Animo su, fatevi un po’ di cuore; cuori grandi ci vogliono, cuori generosi per servire un Dio sì grande. Non vi perdete in bagattelle... Non sentite vergogna; vincetevi una volta. Piuttosto non servite il Signore, anziché servirlo così male!... Vi rincresce, neh, a lasciare la vostra quiete; ma che volete noi siamo create per fare ciò che vuole il Signore, non quello che vogliamo noi. - E poi ridendo diceva: - Non siamo piccole; vedete dove vi perdete; mi fate proprio ridere!... - ”. “Una delle ragioni per cui dilazionò la concessione di un abito uniforme alle sue collaboratrici fu anche quella di mettere alla prova il loro spirito di mortificazione e di rinnegamento. Le aveva viste ansiose fuori modo per quest'abito le fece attendere e dichiarò: - È Biografie 156 opera omnia tutta vanità quella che vi stimola; volete vestire l'abito religioso ed ancora non sapete che significhi essere religiose... -”. “Dipoi fu fissato il giorno della vestizione, gli abiti erano già pronti, e ciascuna aveva il proprio ben piegato sul lettuccio... La sera antecedente quel giorno Suor Paola Elisabetta impose ancora una dilazione, dichiarando che ciascuna doveva riprendere l'indomani il vecchio abito”. “Questo lo fece - assicura la M. Corti - perché noi desideravamo tanto quest'abito e questa cuffia; ed ella, avveduta qual era, trovando in questo desiderio un po’ di vanità ce ne volle correggere”. “Diceva infine che per far del bene agli altri bisogna prima morire a noi stessi, cioè essere senza inclinazioni proprie, ed aver solo di mira il beneplacito di Dio il suo onore la sua gloria”. Ed in verità, il lavoro che la Fondatrice affidò alle sue Figlie è veramente il più umile il più semplice e perciò più spregiato nella estimazione umana. Ma ella che ispirata da Dio prevedeva il meritorio e copioso frutto che ne sarebbe derivato alle religiose prima, pel continuo flagellamento dell'amor proprio, ed alle orfanelle poi, lo volle lo sostenne lo difese sempre così come lo aveva attuato con tutte le note di semplicità ed umiltà, senza però rifiutare - come vedremo - quei migliori perfezionamenti che il progredire dei tempi avrebbe apportato in favore delle sue protette; volendo però sempre fermo nella primitiva istituzione lo spirito caratteristico delle sue Figlie. Con tale stile ella ha lavorato in profonda e radicata consistenza interiore le suore della S. Famiglia. Oltre a questo molto ancora si potrebbe dire, e si dirà, della sublime agricoltura spirituale fatta dalla Madre Cerioli intorno alle sue prime collaboratrici. Si vede già come le ha plasmate di vero spirito, il più ortodosso e genuino spirito religioso. Per conservare intatta questa vigoria schietta e sana ella si appresta a stendere le Regole dell'Istituto ove si ritrovano tutta la sua anima la sua mente il suo cuore, colmi di luce di saggezza di equilibrio di carità materna. Il Direttorio delle suore della S. Famiglia che ci proponiamo di commentare ed illustrare non solo è la conferma di quanto abbiamo detto sin qui, ma è autentico documento delle ampiezze di uno spirito che sa spaziare nei cieli dell'orazione e discendere ai dettagli delle minime cose; della bontà di un cuore che, per essere un cuore materno, non ha potuto dimettere il suo abito di amore tenero ed Biografie 157 opera omnia umano, ma tutto soprannaturale, verso coloro che Iddio le affidò in peso e gioia, per condurle alla vera gioia della vita eterna. Si ritiene da molti che le anime contemplative riescano imperfette nella ardua vita comune. Al contrario, l'esperienza dei migliori santi persuade di questo: che nessuno può essere più genialmente pratico e cultore intelligente di dettagli quanto colui che basa la propria scienza sulla verità e il bene studiati teoricamente in Dio e vissuti praticamente nella virtù: proprio perché visti nelle infinite bellezze di Colui, che è autore e sovrano delle grandi come delle piccole cose della collettività come degl'individui dell'insieme come dei dettagli; e vissuti nella virtù che infine non è altro che il bene e il vero concretizzati nel buono, anzi nell'ottimo. E la nostra cara Maestra ne è un'altra prova splendente. Biografie 158 opera omnia CAPITOLO XIX Le Suore della Sacra Famiglia 8 dicembre 1857 - solennità dell'Immacolata Concezione di Maria - data ufficiale di nascita delle Suore della S. Famiglia. La vigilia di questo memorabile giorno il venerando Padre e vescovo della diocesi Mons. Pietro Luigi Speranza si portò di persona a Comonte a benedire gli abiti che nel dì seguente avrebbero indossato le figlie spirituali di Suor Paola Elisabetta e in quest'occasione conferì ad esse il nome ufficiale di Suore della S. Famiglia. Nel giorno sacro a Maria il palazzo comitale dei Buzecchi Tassis in Comonte subì anch'esso la bella trasformazione in perfetto convento e orfanotrofio agricolo in grazia del vasto territorio coltivabile che lo circonda. La gioia che inondò le care figliuole, specialmente lo spirito della loro Madre, è cosa che han potuto sapere soltanto gli angeli santi custodi delle innocenti creature per le quali nasceva la nuova famiglia. L'autrice di tanto bene si effonde negli inni di umiltà e di riconoscenza al cospetto dell'Altissimo, paga solo di sentire che la volontà di Dio è stata perfettamente eseguita. L'abito ufficiale delle Suore della S. Famiglia - che è tuttora in uso con lievissimi ritocchi - è molto semplice, e ricopia alquanto nella foggia gli abiti adottati nello stesso tempo da altre congregazioni religiose bergamasche. La tonaca ad ampie maniche con pellegrina di color marrone, stretta ai fianchi da un cordone nero finita da un grembiule nero. Un grosso rosario e una piccola croce di legno pendente dal collo ne sono l'ornamento. Il capo coperto da un caratteristico cuffiotto nero che è un solenne schiaffo alla vanità. Dopo meno di un anno, l'8 luglio 1858, l'uniforme subì qualche variazione nel colore; il cordone si trasformò in una fascia, e al Biografie 159 opera omnia cuffiotto fu sovrapposto un velo di lana nero il quale anziché scendere sulle spalle, si può restringere intorno al collo, a modo di cappuccio per tenerlo saldo contro il vento. Questo è l'abito oggi in uso. Perché Suor Paola Elisabetta volle denominare la sua istituzione dalla Sacra Famiglia? Viene logico e spontaneo stabilire analogie tra la sua piccola accolta di anime e la santa Famiglia Nazarena. Qualunque altro nome o protezione avesse ricercato non ne avrebbe trovata una più aderente propria e naturale. Nelle sue meditazioni la pia fondatrice vide che accostando la propria opera alla casa nazarena, anzi, trasportandola e collocandola addirittura dentro quelle sacre mura, la sua famiglia si sarebbe trovata perfettamente a posto; non solo, ma le avrebbe assicurato successo quello che ogni santo fondatore si propone di raggiungere: santificarsi e salvare anime. E pure in ciò la Cerioli fu genialmente pratica. Umiltà povertà semplicità amore obbedienza lavoro silenzio preghiera pace, sono gli splendori irradianti dalla casa nazarena. Quante volte la pia Istitutrice ha invitato - ed invita tuttora - le sue Figlie ad una visita spirituale a quella santa Casa, e quasi conducendole per mano come una devota guida le precede per illustrarne ad esse tali splendori: “Eccoci, siamo a Nazaret! - è lei che parla nel suo Direttorio - Entriamo pian piano in quest'umile dimora per non disturbarvi i suoi abitatori. Chi sono essi? I più angusti personaggi del Cielo. Inoltriamoci... Che silenzio che pace qui si respira!... Dove sono?... Eccoli: Maria sta seduta. Essa lavora; lavora per la Santa Famiglia. Sorelle, stupite ed ammirate: la Madre di un Dio!... la vedete? Essa prepara ed allestisce il cibo lava le stoviglie spazza e tiene netta la casa. Quale maestà in tanta umiltà!... Quale pulizia in tanta povertà!... Quale ordine in tanta miseria!... Perché? perché Maria è raccolta non parla opera con tranquillità e con amore pel suo Dio. Bassi uffici quanto siete grandi quanto invidiabili, santificati e prima di noi esercitati dalla grande Regina del Cielo! Smania di prodursi desideri d'alti impieghi d'indipendenza quanto divenite ignobili a questo confronto! E potremo noi bramarvi? Vedete Giuseppe come guarda la casta sua Sposa Maria!... Il sudore bagna l'augusta sua fronte, la fatica lo aggrava, nullameno egli lavora sempre. È felice e ringrazia in cuor suo il Signore di poter coi suoi stenti e con le sue fatiche sostentare quei cari pegni, delizia degli angeli, sua gioia, suo amore, sua consolazione. Fortunato Giuseppe! Quanto bene corrispondeste a sì alta missione! E noi come Biografie 160 opera omnia corrispondiamo alla chiamata del Signore?... Miriamo ai suoi piedi Gesù... oh il buon Gesù fatto piccolo per nostro amore! Egli si trastulla coi pezzetti di legno che cadono dalle mani del suo Padre putativo; li va raccogliendo, li unisce; per far che? delle croci! Quali pensieri passano per la mente di Gesù? Pensa alla sua Passione... Miratelo! Egli ci ha vedute e ce ne offre perché vuole che lo seguitiamo... Egli ne dà pure in copia alla sua santa Madre, che le riceve con allegrezza e con amore. Le ricuseremo noi, dunque, dopo che le accettò Maria santissima e dopo che abbiamo scelto di essere sorelle e di seguirlo da vicino? Ma vedete come Maria e Gesù obbediscono a Giuseppe! Essi non guardano alla loro dignità ed alla loro superiorità su di Lui: Giuseppe è stato loro dato da Dio e questo basta. Egli è obbedito, onorato, servito. Quale esempio!... intendete, 150 meditate e ricopiate!” . Ecco rese sovrabbondantemente dalla stessa Fondatrice le ragioni del nome prescelto. Che se si volesse, non diciamo approfondire le analogie interiori, ma soltanto avvicinare le rassomiglianze di mansioni, potrebbe ancora dirsi che la caratteristica dell'opera della Cerioli è il lavoro. Autentico lavoro umile rude monotono, che meglio si dice fatica e la più grave perché è quella che incallisce le mani strappa il sudore e sfibra le forze: ecco il retaggio - non delle religiose - ma delle orfanelle e poi degli orfanelli ricoverati nelle sue case. Ora nella Famiglia di Nazaret una delle tre santissime Persone sostiene se non la stessa certo una fatica analoga: lo Sposo della Vergine, il Padre putativo di Gesù: S. Giuseppe. In lui ha fissato gli sguardi ammirati il cuore appassionato d'amore Suor Paola Elisabetta e lo ha officiato ad essere Padre di tutte le sue creature presenti e future. Gli orfanelli infatti per lei, siano fanciulli o fanciulle, hanno una sola denominazione “i Figli e le Figlie di S. Giuseppe”. E S. Giuseppe è e sarà del suo Istituto: Padre Modello Custode Procuratore Avvocato Economo Provveditore Amministratore Medico Dispensiere... e tutto il desiderabile. È ormai un secolo che nelle case della S. Famiglia il Prescelto dalla Fondatrice s'è dimostrato ineguagliabile in tanta copia e varietà di mansioni amorosamente assolte anche con prodigi. Così nacque ed apparve la nuova Famiglia in Comonte. Una bella novità invero! Molti applaudirono benedicendo; pochi - gl'immancabili - mormorarono criticando. Non si poteva 150 Direttorio dell'Istituto delle Suore della S. Famiglia di Bergamo. Cap. XI. pag. 76. Biografie 161 opera omnia serbare la benefica istituzione nel suo carattere privato e laicale? La direzione affidata a scelte e sagge donne secolari avrebbe conferito più e meglio ad un'opera volta al bene dei figli di contadini. Oppure, se si voleva affidar la casa a delle suore perché andarne a creare delle nuove quando già ne esistono tante? Tutte ragioni ponderate e vagliate al cospetto di Dio. Né persone secolari si sarebbero sobbarcate a tanto sacrificio; né degl'Istituti esistenti neppure uno avrebbe trovato confacente alle proprie finalità lo scopo nuovo e singolare di questa opera. “Chi mai risponde Suor Paola Elisabetta - si sentirebbe di abbracciare una vita sì laboriosa, sacrificando se stessa con tanto disinteresse per vivere notte e dì sempre accanto a miserabili contadinuccie, levarsi con loro assai per tempo, andar con loro in campagna; poi istruirle coltivarle aiutarle vegliarle come una madre amorosissima senza speranza che per vocazione speciale si lasceranno guidare dallo Spirito che le chiama a questa vita?” Le speciose difficoltà svanirono presto e le suore della S. Famiglia benedette da Dio svilupparono in qualità e quantità di soggetti in affluenza di ricoverate. Allo spirare d'un anno, precisamente il 23 gennaio 1859, le prime sei compagne della Fondatrice, con piena approvazione del vescovo emisero anch'esse formalmente i voti temporanei di povertà castità obbedienza, che la loro Madre aveva emessi due anni innanzi nelle mani di Mons. Speranza. Così sono costituite nel loro perfetto carattere di religiose, le suore della S. Famiglia. Prima di vederle diffondersi per il bergamasco, prima di saperle ufficialmente approvate dal loro vescovo, ci sembra indispensabile conoscere le singolari finalità propostesi dalla Fondatrice nel suscitare un così caratteristico Istituto. Come risulta chiarissimo dalla vita e degli scritti di lei non ebbe ella altro scopo che di raccogliere e nutrire povere orfanelle - ed in seguito anche orfanelli - di campagna che si trovassero in povertà privazioni e miserie esposti perciò a mille pericoli morali e spirituali sì da ridursi all'accattonaggio o ad un ingrato e duro lavoro che li sfrutta senza dar loro il pane sufficiente alla vita. La madre Cerioli sale più in alto, allarga cuore e programma. Vuole sì, come primo scopo l'integrale educazione cristiana dei suoi beneficati, ma in pari tempo intende far loro conoscere i beni e le gioie della vita rurale sì da fargliela amare, ed attaccarli alla lor umile condizione, onde “rifioriscano l'amore all'agricoltura e il gusto della vita rurale l'innocenza dei costumi la semplicità di vita la schiettezza delle parole Biografie 162 opera omnia la pace e la prosperità nelle famiglie”. Suo nobile scopo - come tante volte ha detto e scritto - è di rialzare al suo grado di nobiltà questa prima ed alta attività che Iddio stesso diede all’uomo al principio dei giorni; mentre oggi viene depressa e disprezzata dalla superbia e dal fasto dei ricchi, e dalla colpevole ignavia dei poveri abbandonata. E ciò per abbattere quella muraglia di divisione che separa il povero dal ricco, eretti dai falsi principi di una educazione insana e deleteria. Per far amare quest'arte e riabilitarla agli occhi del mondo essa la rende oggetto di studi particolari, istruendo tecnicamente i suoi orfanelli sicché la conoscano, non solo meccanicamente ma scientificamente, con l'aiuto cioè di ogni mezzo che sostituisce razionalmente le forze e riduce e perfeziona il lavoro umano. Due scopi, quindi, altissimi spirituale e sociale insieme, a cui ella consacra le sue migliori forze le sostanze tutta la vita e le energie e disponibilità della nuova famiglia or ora uscita dal suo grande cuore più che dalle sue mani. A questa famiglia consegna un mandato ed un programma, a condizione di vita da tenere immobili ed immutati, come il mandato della fermezza e solidità spirituale dei suoi membri, l'assoluta esclusività di dedizione all'apostolato dei campi, congiunto alla mobilità di un programma che può adattarsi ai prevedibili progressi dei tempi in ciò che essi potranno apportare di perfezionamento di mezzi e di opere onde meglio sia conseguito lo scopo essenziale dell'apostolato cristiano. L'Istituto della S. Famiglia ha per tavola di fondazione il principio: che i suoi beneficati non debbono essere mai distolti dalla loro nativa condizione per farne degl'infingardi e degli spostati, ibrido miscuglio d'ignoranza rurale e di pretensione urbanistica; ma far sì che nella loro educazione tutto sia conforme ed armonico con la loro vita. I metodi pedagogici siano semplici piani dolci appropriati alle abitudini e alla mentalità della gente contadina. Ella stessa, la Fondatrice, scendendo dalle sublimità della sua vita spirituale e dalle altezze del suo rango di vera signora si livella alle sue religiose per insegnare ad esse quel che alla loro volta dovranno insegnare agli orfanelli. “Insegnate - ella dice le mille volte - tutto ciò che può giovare alla loro condizione. Non vi lasciate prendere dallo zelo e dalla mania d'insegnar galanterie per ostentare abilità e sapere. Guai! Voi le rovinereste. Entrate col pensiero in una casa di modesti contadini. Di che cosa possono essi aver bisogno? D'una scrittrice d'una ricamatrice d'una sarta? No, mai. Ma di una brava massaia che sappia rapidamente riordinare la casa pulirla Biografie 163 opera omnia custodirla e fare avanzare tempo per le faccende di campagna. Insegnate, dunque, tutto questo e le vostre orfanelle faranno buona riuscita”. Nessun artificio nessuna posa niente sottigliezze né teorie che diano arie di dottoresse; ciò che sarebbe uno sconcio per una casa colonica. Ma contegno modesto semplice disinvolto non rozzo o ineducato; quella delicata timidezza e quella rispettosa riservatezza che sono custodi del pudore tanto naturale alle buone famiglie dei nostri villaggi. Non disdegna ella stessa, la nobile signora, dopo esser discesa ad insegnare alle maestre, di accumunarsi addirittura alle allieve adattandosi ai loro modi semplici al loro parlare dialettale alle dizioni strettamente campagnole alle loro abitudini onde imparino dal vivo esempio come debbano comportarsi in tutto per riuscir più modeste brave linde riservate amabili; ed in tale pratico insegnamento ella riesce così perfettamente da disgradarne una contadina di nascita. Gli stessi cibi il modo di confezionarli i mezzi per cuocerli gli orari della casa e il suo andamento debbono essere i più semplici alla buona al modo campagnolo. “Non istate tanto ad insistere con certe finezze; - ella dice - che volete che sappia o possa fare di rifiniture una donna contadina sempre pressata dai lavori campestri?” A base di tutta la loro pedagogia le suore della S. Famiglia, ricordando di essere innanzi tutto religiose, metteranno il solido fondamento della pietà. La pietà autentica quella soda e profonda utile a tutto indispensabile a chi - privo di umani appoggi - ricorre al Cielo per versare nel seno della pietà divina le proprie miserie e indigenze e ne aspetta confidente il conforto. Catechismo e Storia Sacra libri fondamentali del loro magistero. Il primo che è scienza di Dio e dell'anima; l'altra che è il commento e pratica applicazione della scienza di Dio. “Oh potessi mettervi nel cuore l'amore a questi libri tanto belli! - diceva la saggia Madre Dove trovare istruzioni più utili e storie più eloquenti e dilettevoli? Senza bisogno d'altri soccorsi ivi troverete esempi di fedeltà d'animo nelle avversità di pazienza nelle tribolazioni di moderatezza nelle prosperità di fedeltà nei cimenti di temperanza nelle grandezze di magnanimità coi nemici di costanza nelle prove di amore al lavoro e alla fatica. A questa scuola le nostre orfanelle attingeranno quella purezza ed innocenza di costumi quella semplicità di parole e di tratto che poi, spero, diffonderanno nel mondo specialmente nel loro ambiente e condizione”. Biografie 164 opera omnia “La vita di Gesù poi, gli Evangelisti gli esempi e le vite dei Santi le apparizioni e le origini dei santuari, oltre ad attirare il loro interesse lasceranno in esse profonda impressione, poiché essendo nella maggior parte, per non dire tutte, all'entrare nell'Istituto in una perfetta ignoranza sono più disposte a ricevere quell'impressione che voi volete dar loro. Guardate, dunque, quanto impegno ed alacrità dovete avere! Si tratta niente meno di dare alle vostre figlie direi quasi (se non incorro in uno sproposito) una seconda creazione, più eccellente della prima. Guardate quanto è grande la vostra missione!” Si deve ben convenire con la santa educatrice su queste limpide verità. Le suore della S. Famiglia, per il loro spirito essenziale e lo scopo che si prefiggono rappresentano appunto una di quelle provvidenze che Iddio suscita misericordiosamente per il bene di una particolare categoria di persone, ma che infine si rifonde a vantaggio comune. Tanto più efficace in quanto esso non risana anime già guaste; ma prevenendo il male mette in cuore a chi, secondo la parola di Dio, realmente bagna la terra col sudore della fronte, sentimenti di pace e di serenità nell'umile accettazione del divino volere, e principi sani che li rendono avveduti contro le fallaci seduzioni forti contro le sollecitazioni dei sovvertitori dell'ordine sociale. Di ciò darà ampia lode il vescovo di Bergamo quando emanerà il decreto di approvazione per la sua diocesi del nuovo Istituto; come ampiamente lo elogeranno altri vescovi che nell'accettare nelle loro diocesi le Figlie e i Figli della M. Cerioli renderanno infinite grazie a Dio per l'opportuno ed efficace rimedio che ai mali del nostro tempo essi, per la loro parte, arrecano col loro santo apostolato. La santa ed umile Fondatrice non s'è mai esaltata in pensieri di compiacenza per vedersi autrice di un'opera così altamente religiosa e sociale; e ben lungi dall'attribuire a se stessa il minimo merito, di tutto ne attribuisce sollecita l'onore a Dio e al suo onnipotente Padre S. Giuseppe. “Noi siamo la prima semente che S. Giuseppe ha gettato in questo giardino da lui stesso creato; se la semente nascerà e porterà i frutti che Esso desidera, la raccoglierà e la spargerà poi in altri giardini e in altre terre per tutto il mondo alla maggior gloria di Dio e a benedizione dell'uomo!” Un giorno, verso il tramonto di così bella vita, la Madre Corti preoccupata delle precarie condizioni di salute della sua benedetta Madre la pregava di risparmiarsi e conservarsi: “Sta’ quieta - le risponde sorridendo - io non sono che un inciampo ai voleri di Dio. Biografie 165 opera omnia Vedrai che l'Opera dopo la mia morte si stabilirà e progredirà meglio; perché gli altri faranno meglio di me!” Sublime umiltà dei grandi! Ritornello costantemente fiorito sul labbro di tutti i Santi! Biografie 166 opera omnia CAPITOLO XX La sua legislazione Progetti e idee insegnamenti e direttive spesso svaniscono e muoiono con lo scomparire di chi li diede. Occorre fissarli vivificarli con la forza di canoni e leggi per renderli perenni e perché vincolino i viventi e i posteri. Suor Paola Elisabetta Cerioli sola ideatrice di una duplice famiglia religiosa ha sostenuto - come ogni fondatore - il formidabile compito di fissare le linee direttrici ai suoi figli eredi naturali e continuatori dell'Opera sua. Le “Regole” di un Ordine o Istituto religioso costituiscono il banco di prova dei fondatori, l'esame che dà rigorosamente la misura della saggezza e il grado di ardore del loro spirito. Impresa formidabile quindi che ogni fondatore paventa, e non l'affronta se non dopo aver sparse lacrime e innalzate preghiere ai piedi dell'increata Sapienza onde irradii la mente e guidi la mano nel dettare il codice che dovrà essere santificazione e salute a molti. Tale prova Suor Paola l'ha superata con vero onore. Le sue Regole originali che chiamò modestamente “Direttorio” le stese tutte di suo pugno; ebbero soltanto i ritocchi dai suoi superiori e Padri spirituali, e presentate all'approvazione di Roma meritarono alti elogi dalle stesse autorità che le vagliarono e le giudicarono degne del sigillo apostolico. Del resto, se pur non avessimo conosciuto altre gesta di lei e le tante sue ispirate parole, dette o scritte, basterebbe solo il Direttorio delle suore della S. Famiglia e i suoi appunti circa una Regola da darsi ai Fratelli della Sacra Famiglia, per proferire senza iperboli e sforzo di vocaboli il giudizio più alto per una fondatrice: saggezza di spirito e vastità di cuore equilibrio e misura di precetti cura Biografie 167 opera omnia minuziosa di dettagli, e, dominante su tutto, una celeste unzione fluente ovunque a soavizzare la fredda rigidità dei precetti. Fu questa, del resto, la prima constatazione di fatto che noi stessi facemmo nell'iniziare la conoscenza con Suor Paola Elisabetta. Il primo libro che aprimmo, tra i vari fornitici, fu il Direttorio dell'Istituto della S. Famiglia, e ci avvedemmo subito della Consistenza dello spirito di lei. Il suo stile non ha il tono di chi legifera; ma è il parlare dolce e parenetico di una buona madre che esorta i figliuoli a stare ai suoi consigli più che ai suoi precetti, ed accettarli come parole di vita come direttive infallibili della via da seguire per raggiungere la meta, parole prese in prestito dall'amore e dalla bontà divina che solo desidera la perfezione e la beatitudine delle sue creature. Dopo quanto s'è spigolato sin qui dagli scritti della Madre Cerioli il presente capitolo sembrerebbe pleonastico. Non si conosce abbastanza, forse, dalle direttive di formazione date alle prime collaboratrici? A nostro avviso si lascerebbe una notevole lacuna, o almeno si darebbe incompleta la sua figura se tacessimo di questo suo attributo, per lei veramente singolare, di legislatrice. Non è nostro intendimento tediare il lettore con la enumerazione dei suoi precetti; vogliamo soltanto sottolineare alcuni punti luminosi e far gustare - come noi la gustammo - la celestiale musica che quasi armonioso ricamo di contrappunto accompagna le sue sagge prescrizioni. Prima di noi - e con quale autorità! - il suo buon vescovo che la conobbe nell'anima disse che “la Madre assistita e coadiuvata dalla grazia dello Spirito Santo, ammaestrata dal suo stesso dolore ed amore, dovette far tesoro nell'arte difficilissima dell'educare di quella sapienza tutta celeste che poi trasfuse nelle Regole e nelle pratiche dei suoi Istituti che potrebbero esser lette e studiate con grande profitto dai padri e dalle madri di famiglia delle classi più distinte della 151 società” . La buona Madre, infatti, negl'intervalli di tempo che le risultavan liberi dalla sua perfetta vita di religiosa si occupava nello scrivere cose utili per le sue “monache”, specialmente esortazioni avvertimenti consigli lettere di direzioni e di governo, sia per le religiose che per il suo buon Fra Giovanni Capponi, come si vedrà. 151 Decreto di approvazione dell'Istituto maschile della S. Famiglia. Biografie 168 opera omnia Noi pertanto restringiamo lo sguardo su quegli scritti che riguardano la direzione disciplinare dell'Istituto, cioè il “Direttorio” che ci sembra riepiloghi quanto di meglio può trovarsi negli altri. Questo Direttorio lo redasse intorno agli anni 1860-1862. Fu Monsignor Valsecchi che le ingiunse di stendere formalmente le regole per il suo Istituto. Ella, come sempre, obbedì non senza essersi schermita di non aver capacità a tanto. La sua bella umiltà in perfetta sintonia con la semplicità cantano in questa lettera del 27 novembre 1861: “Molto Reverendo Signor Canonico, io sono imbrogliata nel doverle dare l'indice - come lei si esprime nella sua riverita lettera - delle materie che debbo trattare. Mi sarebbe stato più comodo e caro che ella invece mi avesse detto: Scriva prima questo, poi questo, e poi questo... Invece così... cosa ha da dirle?” (E poi di seguito ella stessa dà tutta la particolareggiata e logica divisione e nomenclatura dei titoli del suo Direttorio) e continua; “Ecco che cosa io metterei insieme. Ella, dunque, mi dia la divisione e il titolo (che lei stessa ha già dati) e vada in fila che io eseguirò esattamente i suoi ordini. Mi scriva diffusamente, mi dia le sue idee, i suoi pensieri, ecc... e non così, secco secco... (mi scusi!) Ma ella sa che io sono poco pratica d’amministrazione e scrivo alla meglio come mi viene in mente, e spesso con poca riflessione e senza ordine. Intanto mi perdoni... i disturbi che le reco... e le recherò ancora; non è vero? Di lei umilissima obbedientissima serva. Suor Paola Elisabetta. L'umile creatura sente la propria incapacità, protesta la propria ignoranza e inesperienza... amministrativa, e paventa d'esser lasciata sola a condurre a capo una sì grave impresa; trema di dover fare da sé ed invoca l'aiuto di chi può sorreggerla. Quest'ultimo interrogativo poi: “mi perdoni i disturbi che le recherò, non è vero?” sfolgora il suo stato d'animo. Intanto però non s'avvede che ella va facendo, ed ha fatto, il meglio quasi tutto di quanto deve fare. Il suo Direttorio porta la nota caratteristica di una vera direzione spirituale per le sue Figlie – direzione che ha forza di legge - ma che rimane sempre nella sua forma di esortazione materna. Chi legge questo libro si sente tratto verso Dio da una irresistibile dolcezza, perché in esso non si parla che della divina bontà; si fanno conoscere i suoi benefici con tanta unzione e forza persuasiva che, abbracciando quella Regola, non si può fare a meno di sentirsi spinto ad amare Iddio con un amore filiale che esclude il Biografie 169 opera omnia timore, ed è cagione di una pietà disinvolta, senza rilassatezza, ma animata da una gioconda espansione forte seria costante. Le virtù più ardue appariscono nella loro semplice amabilità quali furono praticate dalla Santa Famiglia Nazarena, e sollecitano ad abbracciarle perché imposte da un volontario motivo di amore. Il tutto poi è vigorosamente corroborato e dolcemente condito dalle più belle sentenze dei Sacri Libri, quasi a dire, , che quei precetti sono tutti di Dio. La corda dell'amore è toccata di preferenza, e magistralmente, dalla Madre Cerioli nelle sue Regole. Persuadere è infatti il miglior modo per fare accettare leggi così singolari, quali sono in genere quelle di un Istituto religioso, a cui l'anima spontaneamente si assoggetta per raggiungere con mezzi non ordinari il proprio fine di perfezione e di salvezza. E la persuasione, più che dall'intelletto viene dal cuore. Le Regole di ogni Istituto religioso sono il codice dell'amore umano reso in riconoscenza all'amore divino. E i Santi dicono che il giudizio finale delle anime religiose non verterà sul Decalogo e sui Precetti... ma sul codice dell'amore. Ciò che è chiesto dall'amore non l'impongono il timore la forza lo spettro di sanzioni di castighi, o i premi; ma solo l'amore. L'imperativo categorico del Vangelo è l'amore. Ed è pure perfetto atto di carità quello che promana dalla riconoscenza. S. Agostino ha creato il classico aforisma: “Ama e fa' quel che vuoi!” L'amore non può fare che cose degne di sé. Però, poiché l'amore risiede nel cuore, ed il cuore umano dopo la ferita del peccato originale è infermo e sottoposto a indefiniti disordini, è necessario disciplinarlo condurlo sopra un binario che ne sostenga le intemperanze, ne corregga i difetti; tale binario è la legge di Dio per tutti, le regole particolari per i più generosi. Esaminando il Direttorio della Madre Cerioli si trova che tutto quanto riguarda la parte disciplinare (che meglio svilupperanno le Costituzioni) sembra dettato con la preoccupazione di ricercare le vie del cuore per penetrarvi e, più che imporre un giogo, deporvi una dolcissima catena che non assoggetti ma leghi sino alla morte sino all'eroismo, anche quando questo fosse sinonimo di morte; finché giunga l'ora in cui spezzati tutti i vincoli l'amore umano sboccherà nell'oceano dell'eternità beata. Esordendo ella dice: “Non v'impegnate in faccende ed impieghi, anche se vi sembrassero di gloria di Dio, che sono estranei alla vostra prima istituzione... Questo vorrei bene scolpire nella mente e nel cuore di tutti che saranno destinati a reggere questa Biografie 170 opera omnia società, perché nessun Istituto è esposto a discostarsi dalla sua prima istituzione, quanto il nostro che è tutto basato sull'umiltà. State all'erta, dunque, e guardatevi dai capitali nemici che insensibilmente con le loro insinuazioni potrebbero corrodere le fondamenta e far crollare l'edificio. Che importa che il nostro Istituto arricchisca di mezzi, di credito di soggetti con questo pericolo e danno? Che importa a noi il non esser considerate; ed esser povere e non curate 152 quando facciamo la volontà di Dio?” . Però riguardo ai membri del suo Istituto dice saviamente: “Quantunque il nostro Istituto si dedichi espressamente alla classe contadina, e perciò sempre a contatto con questa, con essa avendo quasi comuni le occupazioni; pure sarebbe desiderabile che noi avessimo soggetti di condizione superiore... servirebbero a conservarci quella proprietà di modi dolci ed affidabili che tanto abbelliscono la vita perfetta, che poi in bel modo debbono innestarsi alla rozzezza e rusticità della vita contadina. Però non brigate per 153 avere tali soggetti... Iddio a tempo e a luogo ve li manderà... . “I voti, sorelle carissime, abbiateli in gran pregio. Non li considerate come un peso ma come dolci legami che vi stringono allo Sposo vostro e vi tengono a Lui indissolubilmente unite”. E seguono commenti praticissimi: intorno ai voti alla vita regolare ai mezzi spirituali alle relazioni con l'esterno. Una parola alle superiore. “Superiore mie carissime, voi con la vostra croce personale dovete portare quelle di tutte le religiose a voi affidate, e condurle sulla via della perfezione con l'esempio più che con le parole con le opere più che coi consigli con la pazienza più che l'autorità, voi armatevi di forza di generosità di fermezza se non volete rimanere sotto il peso aggravate ed oppresse. Fate conoscere che se sapete governare gli altri, sapete meglio governare voi stesse. Occupate il vostro posto con quella amabile e semplice dignità di cui Gesù ce ne diede esempio nella sua vita mortale. Siate severe sino allo scrupolo per l'esatta osservanza alle leggi, base essenzialissima d'ogni 154 regolare disciplina” . Ed alle religiose suddite: “Abbiate nella vostra superiora dipendenza confidenza affetto, quale può avere una figlia verso la più tenera delle madri; e in pari tempo abbiate il rispetto che si addice ad una rappresentante di Dio. Abbiate stima di lei; obbeditela e siate 152 153 154 Dirett. Parte I. Cap. I, pag. 13. 14. Dirett. Parte I. Cap. II, pag. 18. Dirett. Parte I. Cap. V, pag. 36. 37. Biografie 171 opera omnia a lei unitissime di mente e di cuore. Per mantenere questa stretta unione fa d'uopo amarla ed amarla di cuore... essa porta tutto il peso e la responsabilità di voi dinanzi a Dio ed agli uomini; e vi par poco, sorelle carissime? Siatele affezionate e riconoscenti; non l'amareggiate con le ostinazioni capricci e cattiva condotta. Raccomandatela ogni giorno al Signore perché la illumini e la investa di quello spirito e zelo che animava la Sacra Famiglia... Chiudete gli occhi sulle imperfezioni e difetti: molti credono che quando una persona viene innalzata ad un posto, specie se religiosa, debba andare esente da ogni difetto; ma, mio Dio! il posto cambia forse la nostra natura corrotta? Nessuno nemmeno i santi, io credo, la sola Vergine Maria lo fu perché destinata ad essere Madre di Dio. Non abbiate dunque sì strane idee; compatitela ed amatela la vostra superiora, persuadetevi che le stesse sue imperfezioni si svolgeranno a vostro profitto e vantaggio se guarderete in lei l'immagine di Dio e il suo braccio per condurvi sui 155 sentieri a cui Egli vi ha chiamate” . Una cura particolare e delicatissima per il noviziato che “rappresenta il vivaio ove si coltivano preziose piante, seminate dalla mano di Dio e date a noi a custodire per farle crescere e trapiantarle nelle altre case, onde coi loro frutti portino abbondanza di beni. Quale impegno se ne deve avere, e quale conto da rendere a quel Padre che se è buono e misericordioso è pur giusto e terribile con suoi servi che non hanno saputo coltivare il suo campo per farlo fruttare per la vita eterna! Nel noviziato tutto sia ordine e disciplina; si abbia compatimento per i primi tempi della prova. Studiate i soggetti selezionate ed allontanate quelle che trovano male ed hanno scrupolo di tutto... così pure le smorfiosette che si turbano e s'inquietano perché nell'orazione non hanno il fervore che desiderano né quelle virtù che leggono nelle vite dei santi... Abituatele schiette e sincere, scevre da ogni raggiro e doppiezza. “Esercitatele a tutta prova nella mortificazione, specialmente delle passioni nell'annegazione della volontà, contrariando i loro gusti desideri inclinazioni sino nelle cose lecite e lodevoli; nell'abbiezione e bassa stima di loro stesse impiegando le più schifiltose e quelle che si credono qualche cosa di più delle altre negli uffici più bassi, vili, faticosi della casa... e ciò sino a tanto che le vedrete morte affatto al loro amor proprio alla loro superbia e ad ogni 156 sorta di riguardi e rispetti umani” . 155 156 Dirett. Parte I. cap. V, pag. 36 37. 38. Dirett. Parte I. Cap. IX, pag. 45. 46. 47. Biografie 172 opera omnia Finalmente a tutte le religiose dispiega le virtù e le caratteristiche proprie dell'Istituto. Innanzi tutto la carità fraterna, contrassegno che deve distinguere le suore della S. Famiglia. Spirito di carità che inclini a giudicare se stessi piuttosto che gli altri; che gode della lode e preminenza altrui senza provarne invidia di sorta, o se la prova la soffoca e la vince con atti contrari; quella carità che non è mormoratrice e sussurona, ma benevola paziente generosa. O beata la casa ove regna lo spirito di carità, in essa dimorerà il Signore e la 157 renderà ferma ed incrollabile agli assalti dei demoni e dei nemici” . Il dovere del buon esempio. Le suore della S. Famiglia perché dedicate ad opere singolari, potranno essere oggetto di critiche rimarchi e disapprovazione: esse sono in dovere di farsi stimare con la condotta irreprensibile e santa, appunto perché esposte agli sguardi altrui. “Siete anime a Dio consacrate: non disonorate questo Iddio augusto, questa santa dignità. A chi molto diede, Iddio molto esigerà... Signore! distruggete annientate disperdete questa novella istituzione se mai una religiosa dovesse violare le sue Costituzioni e disonorare l'Istituto! Ve ne prego per le vostre santissime Piaghe e per 158 i dolori di Maria SS. ma. Così sia” . “I modelli della nostra condotta. Il titolo stesso che abbiamo assunto entrando a far parte di questa famiglia ci fornisce i mezzi per ottenere gli scopi che ci siamo prefissi. Lo studio particolare delle Tre Sante Persone componenti l'augusta e divina Famiglia, di cui ci chiamiamo Sorelle, deve essere l'oggetto incessante della nostra meditazione e imitazione ritrovando in essi i modelli perfetti e completi di ogni virtù. Non leviamo mai gli occhi la mente il cuore dalla loro presenza. In tutti gl'incontri si prosperi che avversi la loro vita la loro condizione comune e povera le loro occupazioni e fatiche ci forniranno abbondante materia d'esempio e d'istruzione. Seguiamoli, e dimoriamo spesso con essi ora nella grotta di Betlem, per le montagne della Giudea per le vie dell'Egitto e di Gerusalemme, nella santa casa di Nazaret per incoraggiarci alle prove all'annegazione, al sacrificio... Viviamo la loro vita animiamoci dei 159 loro sentimenti e allora saremo le vere Sorelle della S. Famiglia” . 157 158 159 Dirett. Parte I. Cap. X, pag. 66. Dirett. Parte I. Cap. X, pag. 69. Dirett. Parte I. Cap. X, pag. 71. Biografie 173 opera omnia In ultimo “questa piccola Società vivrà tutta pel Cielo, l'oggetto delle nostre speranze dei nostri desideri. Quantunque siamo nel mondo e tra persone del mondo, tra noi ed esse ci sia un muro di divisione sì alto che mai vi abbiano a penetrare i loro sentimenti e massime. Questo muro dobbiamo innalzarlo noi con la grazia del Signore, morendo interamente a tutto ciò che sa di mondo ai suoi gusti inclinazioni piaceri occupandoci solo a perfezionarci e renderci degne del Cielo che sarà il nostro premio immortale il riposo delle 160 nostre fatiche la gloria per tutti i secoli dei secoli” . Queste ed altre preziose cose, che ci proponiamo dettagliare, costituiscono la parte esortativa e direttiva della legislazione della Madre Cerioli a cui fan seguito tutti gli ordinamenti e prescrizioni concernenti l'intera disciplina del suo Istituto. Questa Regola - che ella modestamente chiamò sin dall'origine “Direttorio” è la forma e la base delle Costituzioni lodate ed approvate prima dal vescovo di 161 Bergamo e infine definitivamente dalla S. Sede . Che se nel corso di quasi un secolo il Direttorio ha subito modifiche aggiunte emendamenti sia per intonarlo alla prassi degli altri Istituti come per aggiornarlo alla nuova codificazione del Diritto Canonico, tutto fu accidentale e secondario; lo spirito e l'essenza del contenuto, nonché lo stesso stile ispirato e tutto materno della pia legislatrice rimasero immutati, sì da poter affermare che la odierna legislazione delle suore della S. Famiglia è tale quale uscì dall'anima e dalla penna della Fondatrice. E per rendere intera la idea programmatica di lei e le ampiezze delle sue vedute dobbiamo ripetere che la Madre Cerioli nella sua legislazione per la parte che riguarda le attività dell'Istituto lasciò aperta una porta ad accogliere i complementi e gli ampliamenti che, in conformità allo spirito essenziale, potranno rendere più proficuo e fecondo l'apostolato delle sue Figlie. Tenuto conto del tempo in cui fu redatto questo Direttorio, si deve riconoscere l'intuizione presaga di lei; prevedendo e prevenendo i bisogni delle anime che in tempi nuovi avrebbero reclamato nuovi ausili, appose alle sue leggi la sigla prudenziale e 160 161 Dirett. Parte I. Cap. X, pag. 72. La prima approvazione di queste Regole la diede Mons. Speranza, vescovo di Bergamo, nel suo Decreto del 27 giugno 1862. - Pio IX con una sua lettera del 15 luglio 1868, lodando l'Istituto, implicitamente lodava la sua legislazione. - Leone XIII con Decreto della S. Congregazione dei Vescovi e Regolari, del 22 settembre 1896, approvava e lodava definitivamente l'Istituto. E finalmente un ultimo Decreto approvava le Costituzioni della S. Famiglia, aggiornate col nuovo Diritto Canonico. Biografie 174 opera omnia saggia “salvi i migliori emendamenti” ed aggiunse alle sue Figlie di camminare sempre con i tempi e di adeguarsi alle loro necessità. Può dirsi anzi che iniziò ella stessa il nuovo sviluppo. Di fatto, all'Opera - madre che si dedica alla educazione degli orfani rurali, ella aggiunse le scuole esterne come le abbiamo viste a Comonte, e come le vedremo perfezionate in altre case. Ella stessa “la maestrina” diede norme direttive e didattiche sia per le maestre come per le 162 scolare . Aggiunse inoltre l'opera degli Oratori festivi, che chiamò: “ricreazioni festive”, ausilio efficacissimo al lavoro dei parroci, onde non si disperda il frutto spirituale raccolto nelle pie pratiche domenicali dalla gioventù e per distoglierla dai pericoli ed occasioni di male. L'occupazione dominante di queste ricreazioni festive deve essere il sano e lieto sollievo delle giovani. “E giocate voi pure con loro, se fa bisogno - esorta nel suo Direttorio - perché lo dice Gesù Cristo: - Fatevi piccoli coi piccoli! - purché ciò non vi impedisca la sorveglianza che dev'essere grandissima e sia compatibile con la 163 compostezza e gravità religiosa che esige il vostro carattere” . Ultima, l'opera degli esercizi spirituali, sia per l'esterne come collettivamente per signore, ed infine per persone isolate. Prezioso campo d'azione e di bene che si apre ad un notevole numero di anime, varie di condizione e d'età per ritemprarle nel raccoglimento e nei colloqui con Dio ai doveri della vita cristiana e sociale. Così la madre Cerioli previde ed attuò l'“Azione Cattolica” dei nostri giorni, come le fu possibile. Non scopi di lucro o mire umane debbono guastare queste opere essenzialmente spirituali e dirette immediatamente alla gloria divina e alla salute delle anime. “Il premio bisogna attenderlo da Dio, che come dal nulla seppe suscitare l'Istituto così saprà mantenerlo e conservarlo: “Cercate dapprima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte le altre cose vi 164 saranno date in soprappiù” . Con queste parole di Gesù, sigillate da una devota preghiera a Maria Immacolata per il buon esito degli esercizi spirituali, la Madre Cerioli chiude il suo Direttorio. 162 163 164 Dirett. Parte IV. Cap. I, pag. 201. Dirett. Parte IV. Cap. II. pag. 209 e segg. Dirett. Parte IV. Cap. III, pag. 214. 225. Biografie 175 opera omnia L'ultima intonazione è pure tutta la sua definizione: un mezzo 165 nuovo e ispirato per dilatare il regno di Dio sulla terra . 165 Facciamo notare che in questo capitolo non si è fatta menzione delle Regole dei Fratelli della S. Famiglia, dei quali parleremo dettagliatamente in seguito. Biografie 176 opera omnia CAPITOLO XXI Il campo fiorisce benedetto da Dio “Siamo qui in diciotto religiose e sarebbe bene avere un altro nido, giacché si potrebbe fare un po’ di bene anche altrove. Pregate dunque il Signore che ci adoperi per la sua gloria”. Effusione di materna confidenza questa fatta da Suor Paola Elisabetta in un certo colloquio che sta tra la conversazione e la conferenza spirituale, in un giorno imprecisato del 1860. La febbre dell'espansione la prende, come si vede. Il bene, se, come questo è vero bene, non può essere contenuto; deve diffondersi. Difatti ad un anno, poco più, dalla nascita l'unica casa di casa di Comonte conta diciotto suore - un bel terzo d'aumento - e trentratré orfanelle. Si dirà: non è gran cosa. È vero; ma qui è già un miracolo posta la singolarità dell'opera e l'ambiente ove è nata. Moltiplicare le orfanelle oltre il desiderabile nulla di più facile; ma orfani di rurali, no: la condizione limita il numero. Di più anche ad allargare il criterio nell'ammetterle la discrezione frenerebbe lo zelo; evidentemente: non si possono moltiplicare le orfane se non si raddoppiano almeno le suore per educarle. L'ambiente poi - la bergamasca - un po’ ristretto è tale un campo ricco di istituzioni e ferace di vocazione, che gl'Istituti più giovani devono logicamente mettersi in linea dietro gli altri e provare la magra degli esordi. Tanto più deve subirla questo che è ultimo tra gli Istituti similari e per di più da molti frainteso e conosciuto come un'accolta di devote massaie rurali. Non poteva quindi allettare troppo ad abbracciarlo. Biografie 177 opera omnia Peraltro poiché nel moto sta la vita, e perché v'ha pure chi dà impulsi e incrementi cui non resiste veruna ragione umana, le suore della S. Famiglia prendono a muoversi. Suor Paola Elisabetta nel timore giustificato che la morte venga in anticipo a vibrarle la falciata si preoccupa seriamente e in concreto dell'espansione; e volge il primo pensiero verso Soncino suo paese natale. Logicamente. Vi esistono i possedimenti paterni, e v'è pure il vasto patrimonio da lei ereditato alla morte dei suoi venerati 166 genitori . Congiungendo quindi l'amore della propria terra al desiderio d'esercitare la carità in pro d'una popolazione prevalentemente rurale e priva di un Istituto rispondente ai suoi bisogni, ella reputa giusto che dei suoi beni, già votati al sollievo dei poveri, ne godano per primi i suoi conterranei. Ripetiamo subito però che Soncino appartiene alla diocesi di Cremona, esce quindi dalla giurisdizione dei veneratissimi direttori Mons. Speranza e Mons. Valsecchi; difficoltà questa che non muterà per nulla i suoi benefici piani. Piuttosto sembra insormontabile l'altra difficoltà che in Soncino almeno per il momento non si trova uno stabile adatto o riducibile allo scopo desiderato. Sin dal 1858 ci sarebbe stato in progetto l'acquisto d'una casa adibita a collegio; la cosa si protraeva senza la prospettiva di una vicina soluzione e non se ne fece nulla. “Io non so - scriveva Suor Paola Elisabetta a Mons. Valsecchi - l'idea di questo nuovo acquisto mette in me una gioia, un contento... sarà puramente naturale, ma io non capisco!” Sentiva infine che la cosa si sarebbe felicemente conclusa, quantunque fallissero le trattative per quello stabile a motivo del prezzo. Nel frattempo i consigli maturavano in meglio. Le difficoltà per Soncino portarono sul momento l'idea altrove; non molto distante però. Appena a tre chilometri da esso a Villa Campagna dove esiste il grosso delle sue possessioni. Pensò quindi di aprirvi subito non già un convento ma una residenza provvisoria, tanto per farvi un po’ di bene. A Villa Campagna presso un cascinale colonico di casa Cerioli, v'era una piccola casa rustica, capace d'un certo numero di persone. Riparata e adattata avrebbe potuto servire allo scopo. Suor Paola 166 Il signor Francesco Cerioli, babbo di Suor Paola Elisabetta, è morto di recente, il 12 gennaio 1849, all'età di 82 anni; e la madre Contessa Cerioli è piamente deceduta in Soncino il 31 luglio 1847, in età di anni 72. Ivi fu sepolta nella tomba di famiglia il 2 agosto. I suoi funerali furono solenni per l'intervento di tutti i sacerdoti della grossa borgata e con la partecipazione di tutte le Confraternite. Biografie 178 opera omnia Elisabetta ordinò subito i lavori di restauro. Frattanto aveva in animo di condurvi presto per una passeggiata ricreativa tutte le sue figliuole, religiose e orfanelle, per mostrare ad esse la bella novità. La gita sarebbe stata subito dopo la raccolta dei bozzoli, che cade sempre verso la fine del mese di giugno. Ottenute le debite licenze dai Reverendissimi Superiori, fu organizzata la carovana che si componeva, tra suore orfanelle il canonico Valsecchi il cappellano della casa Don Antonio Tassis ed il parroco di Comonte Don Bartolomeo Tommasi della rispettabile cifra di cinquantatré persone. Furono ordinati i necessari mezzi di trasporto. La partenza di buon mattino per poter giungere a Villa Campagna ad ora congrua ed ascoltarvi la S. Messa celebrata da Mons. Valsecchi. S'immagini la gioia della lieta e rumorosa brigata composta in gran parte di bambine! Ma il nemico del bene - così ritenne Suor Paola Elisabetta - volle subito mostrare il suo malcontento per l'innocente sollievo da cui doveva nascere un'opera santa; suscitò un primo incidente che per grazia di S. Giuseppe non fu doloroso. Lungo il viaggio verso Villa Campagna la vettura dei sacerdoti che precedeva a distanza tutte le altre ad un certo punto ribaltò, e gettò violentemente sulla strada il sacro carico. Molto spavento una solenne impolverata e nulla più. Il canonico ne rideva e amabilmente avanzava il dubbio se, dopo quella buona ingestione di polvere, poteva dire d'esser digiuno e celebrare la S. Messa. Unico danno: la perdita di tempo per riordinarsi e nettarsi alla meglio rimettersi in carrozza e giungere un po’ in ritardo alla meta. Ciò nonostante la Messa fu celebrata con miglior fervore di riconoscenza, e tutte le suore e orfanelle ricevettero dalle mani del pio canonico la santa Comunione. Poi si passò nella casa e con un'allegria da non dirsi fu consumata la modesta refezione. Mentre suore e bambine si sparpagliavano per la vicina campagna a prendersi il divertimento concesso per quel giorno, il canonico e la Fondatrice ebbero il tempo di esaminar tutto e decidere il necessario per approntar la casa e renderla subito abitabile. Così sul principio del 1862, portati a termine i lavori indispensabili, sembrò giunto il momento di occuparla con limitato personale, per tentare una seconda fondazione. Monsignor vescovo aderì volentieri al buon desiderio; ben inteso che si trattasse di stabilire una famiglia privata senza l'ufficialità di una formale casa religiosa, perché a questo sarebbe stata indispensabile l'autorizzazione di Mons. Novasconi, vescovo di Cremona, ordinario del luogo. Come si fece in seguito. Biografie 179 opera omnia Disposte e prevedute sul momento tutte le cose necessarie presi gli accordi del caso, si fissò la data del 25 aprile per andare a prender dimora a Villa Campagna. Tre suore e quattro orfanelle come primo gruppo d'avviamento sarebbero partite di buon mattino, Mons. Valsecchi e la Madre li seguirebbe più tardi. Ma per una seconda volta, e si direbbe per analogo incidente, si vide chiaro che questo viaggio e il suo scopo dispiacevano al nemico del bene. Il cavallo di casa che doveva portare la carrozza del canonico e della Madre, non ne volle sapere di lasciarsi attaccare alla vettura. Pieno di bizze e furie non ci fu verso di ammansirlo. Infine si dovette mandare a Bergamo per un altro cavallo e così si poté partire per Villa Campagna; ma per arrivarvi soltanto la sera. Una giornata di ansie e agitazioni per quelle poverette arrivate al mattino. Non sapevano che fare e soprattutto che pensare della sorte delle due venerate persone invano attese. Ma come Iddio volle a sera furon tolte da ogni pena e ricongiuntisi alfine ebbero a ringraziare Iddio di tutto cuore per una seconda volta. Il canonico volle subito visitare la casa: non la trovò perfettamente al posto, e per di più ancora umida a cagione dei recenti lavori di muratura e pavimentazione. Ne restò malcontento e dichiarò senza ambagi che non poteva permettere alle nuove venute di stabilirvisi subito. Aveva ragione: la casa era inabitabile. Le imposte e le porte non riparate quindi mal connesse presentavano un vero pericolo per chi doveva alloggiarvi. La Madre Fondatrice, infatti, nei pochi giorni che vi si trattenne non poté mai prender riposo la notte a cagione dei topi che per porte e finestre andavano e venivano liberamente a tormentare chi era venuto a snidarli dalla loro comoda dimora. Figurarsi che dormendo ella li sentiva passeggiare lungo il corpo quasi fossero nel loro nido. La cosa non era certo deliziosa. Eppure diceva celiando al canonico: “Quanto mi piace lo star qui; mi sembra d'essere nella casa di Nazaret: vedo persino le stelle dalle finestre”! Con tutto ciò il Valsecchi non rimase persuaso tanto meno tranquillo. Recatosi subito a Bergamo riferì tutto al vescovo, prospettando i suoi timori per la salute delle suore e delle orfanelle. Il vescovo in data 17 maggio 1862 dice per lettera alla Madre: “Ho scritto ieri al vescovo di Cremona dimandadogli scusa perché mi sono dimenticato di scrivergli più presto a suo tempo, e dicendogli di compatire anche le suore della S. Famiglia perché ora non hanno inteso di mettere una casa religiosa nella diocesi cremonese senza licenza e senza consenso del vescovo; ma solo di andare come private Biografie 180 opera omnia in una casa loro propria per vedere e preparare di poter fare poi, se piacerà a Dio e ai superiori del luogo. Ho sentito dal Rev. mo canonico Valsecchi lo stato della casa e delle cose costì. Io ho somma paura della calce nuova, assai più che non l'abbiano gli altri, compreso anche il canonico, che m'ha fatto tanta paura anche lui nelle fabbriche del suo collegio. Se voi siete buona a far miracoli potete andare anche nel fuoco che non brucerete. Ma i santi che eran buoni proprio di far miracoli non credevano facilmente di poterli fare; e poi non rischiavano per gli altri, né volevano mai tentare Iddio. Voi - badate bene a quel che vi dico - voi non v'inquietate per quello che avete fatto; raccomandatevi a Dio a S. Giuseppe alla Beata Vergine Santissima, e non ci pensate altro, state quietissima nell'anima vostra. Ma da qui in avanti usate e subito tutta la cautela possibile e impossibile. Non vi fidate se di fatto sinora voi le ragazze o le suore non avete sentito né patito niente. Fate come se aveste patito assai. Ricordatevi che se per grazia o miracolo non aveste da patire io non vi approvo, perché dovete fare in modo che nessuno vi possa rimproverare massime in queste cose... Anzi, notate bene, in ciò voglio che dicano: guarda che donna prudente che è quella superiora ad onta che non l'abbiamo mai giudicata così! E ne dican così tutti. Fate bene, e fate far bene il resto che abbiamo del mese di Maria. Fate pregare sempre pel meglio in tutti i grandi bisogni presenti che riguardano tutti; e quando abbiamo pregato dormiamo quieti nella cura e nella provvidenza di Dio. Vi benedico di tutto cuore con tutte le vostre. Aff. mo, obbl. mo Pietro Luigi - vescovo. Non ci volle altro per l'obbedientissima suddita a farle accettare l'ordine ed abbandonar tutto. Era già in procinto di ripartirsene, col 167 suo seguito di suore e ragazze, quando un suo nipote le fece riflettere, e la indusse a recarsi di persona dal vescovo a prendere ordini più precisi. Andò infatti. E Mons. Speranza, che non aveva inteso affatto di darle un ordine così perentorio, rimase assai edificato dello spirito d'obbedienza di lei, e le dichiarò esser suo desiderio che la casa di Villa Campagna si rendesse più abitabile, e che infine egli era ben contento della fondazione. Rassicurata in tal modo della previa volontà dei superiori, se ne tornò a Comonte, ove sbrigò sollecita alcuni affari per correre a Villa Campagna a ritrovare la sua piccola famiglia rimasta in sospeso tra il sostare e il partire. Infine però ella fu contenta delle loro condizioni. 167 Il signor Pietro Scotti, marito della di lei nipote Giuseppina. Biografie 181 opera omnia In questo tempo accadde un fatto di cronaca nera. I ladri nottetempo avevan fatto alla nuova dimora delle suore e dal tiretto d'un tavolo posto in una saletta a pian terreno asportarono trecento lire in monete di argento che la Madre vi aveva poste quale scorta per la comunità. Al mattino seguente avvedutasi del furto non se ne sgomentò troppo, accettando dell'Alto anche questo dissesto, e volle che tutte ascoltassero la S. Messa per il miglior bene di quei poveretti che avevan commesso così grave colpa. Ordinò poi alle suore di tacere ogni cosa. Però la nepote Giuseppina col marito la provvidero subito di quanto potesse occorrerle in danaro e vettovaglie. Stabilitasi appena la piccola famiglia a Villa Campagna, Suor Paola Elisabetta così ne scrive a Mons. Valsecchi: “Molto Rev. Signor canonico, della nostra casa e piccola comunità le posso dire ben poca cosa, giacché da poco siamo qui; nondimeno mi prometto felici speranze. Le mie monache sono contente ed animate di zelo; ieri la nostra scuola, nonostante le molteplici faccende della campagna e dei bozzoli, era discretamente numerosa: 22 alunne. Qui le fanciulle sono più vive e sviluppate, e direi anche di maggiore capacità di apprendere. Le nostre orfane ci stanno assai volentieri, e quando avremo la casa sgombra da muratori troveranno da occuparsi secondo la loro arte, nella nostra piccola ortaglia che andremo a poco a poco ingrandendo con altra cinta più ampia, come faremo della casa; ma a poco a poco, seguendo la volontà di Dio e i desideri di S. Giuseppe che fa sempre da padre e da fondatore. Intanto questa piccola casa risuona delle lodi di Dio cui cantano la sera le nostre figlie, confondendo le loro voci a quelle degli usignoli e degli altri uccelli dei quali è popolata questa terra. Io provo una pace e quiete interna per la fondazione di questa casa che mi fa sperare che sia proprio stata la volontà di Dio. Ho grande fiducia nella Divina Provvidenza in quello che ci potesse succedere; tranne che per le malattie, per le quali ho sempre avuto ripugnanza e timore... ma il Signore ci penserà”. In questo trascorrere di tempo e di cose la idea prima di una fondazione a Soncino prende maggior consistenza. Poco fuori del borgo esisteva un vecchio ma ampio e comodo convento carmelitano, con una vasta chiesa detta “S. Maria delle Grazie” o più brevemente “Santa Maria” ricca di pregevoli opere d'arte. Da circa un secolo sembra che i Carmelitani lo avessero abbandonato perché nell'anno 1775 “col pieno consenso approvazione e concorso della curia vescovile di Cremona, tutta la Biografie 182 opera omnia proprietà fu alienata e passò in mano di privati che tuttora la 168 detengono e dai quali non sarebbe difficile averne la cessione . La nepote Giuseppina Cerioli in Scotti più d'una volta ha prospettato alla zia l'idea di acquistare Santa Maria; ma indarno. Motivi: l'ex convento era occupato da varie famiglie che ella non avrebbe voluto mettere sul lastrico; poi lo stabile era gravato di un censo annuo, ed ella era assai nemica di tali pesi; infine perché immaginava alta la somma che si sarebbe chiesta per l'acquisto. Quindi alla nepote e a quanti cercavano d'indurla a ciò rispondeva che era una fantasia irrealizzabile a cui non pensava neppure. Ma un giorno del 1862 - nella festa del Patrocinio di S. Giuseppe - le accadde un bel fatto. Si trovava a Villa Campagna. Di ritorno dalla parrocchiale ove era stata per la Messa, disse ad una suora: “Stamane non ho sentito Messa!” - “Ma come, Madre, se veniamo dalla chiesa dove abbiamo assistito al santo Sacrificio!” - “Guarda che m'è accaduto: nel momento in cui mettevo piede in chiesa mi sentii come scuotermi tutta, ed una voce nel mio interno chiaramente mi ha detto: - Acquista il convento di S. Maria in Soncino... - Questo fatto mi ha talmente impressionata che non potuto più raccogliermi, e fui sempre piena di tale pensiero per tutta la Messa. Ecco perché dico di non aver sentito la Messa”. Mandò subito e chiamare l'arciprete di Soncino, il quale accorse meravigliato del repentino mutamento d'opinione. Questi, unitamente al signor Pietro Scotti, si presentò al proprietario del convento e trattarono subito dell'acquisto. Si convenne sulla cosa dietro anticipo di una discreta somma. Nello stesso anno 1862 tutti gl'inquilini del convento furono pacificamente allontanati dallo stabile, ed eseguiti i lavori necessari per l'adattamento fu presto messo in condizione d'accogliere le nuove ospiti. Ciò avvenne felicemente nell'aprile del 1863. Lo stesso vescovo di Cremona, Mons. Novasconi, volle andare di persona a benedire ed inaugurare la nuova opera ben lieto che anche nella sua diocesi entrasse la venerata Madre col suo benedetto Istituto. Mons. Novasconi la conosceva da tempo e la stimava profondamente; se c'era in lui un rammarico questo glielo dava la santa gelosia di possedere una bell'anima qual era la Madre Cerioli, originaria della sua diocesi ma dimorante fuori di essa. In questa occasione e in tutte le altre che si presenteranno, dimostrerà con i fatti 168 Proc. Ord. Resp. ad Animadv. pag. 43. n. 54. Biografie 183 opera omnia di essere, non solo un sincero ammiratore, ma un vero padre e un potente protettore delle due case di Soncino e Villa Campagna. Di fatti, si premurò di provvederle entrambe di un cappellano per l'assistenza spirituale. E quando voleva concedersi un po' di riposo e sollevare lo spirito dalle fatiche pastorali le case della Cerioli erano la sua Betania, dove andava a trovare anime umili e buone vere amiche di Dio che lo edificavano tanto. Senza dire del particolare interesse che prendeva nel mirare le orfanelle ai campi o ai telai, lavorare e cantare inni al Signore. Come si poteva non ammirare e stimare la benedetta ideatrice e animatrice di tanto prezioso bene? Lo sviluppo, lento sì ma solido, della casa di Soncino fu consolantissimo. Oltre le orfanelle rifiorirono sul sistema di Comonte le scuole esterne e tutte le opere sussidiarie a vantaggio della gioventù femminile, specialmente le ricreazioni domenicali e gli esercizi spirituali per le giovani e le madri cristiane. C'è piuttosto da meravigliarsi che un'opera indiscutibilmente buona e proficua come questa sembri avanzare sempre con vento in poppa senza incontrare scogli e tempeste. Però anche delle prove non le mancarono. Presto cominciarono a soffiare venti contrari - e da varie direzioni - che se non scatenarono proprio tempeste furon tuttavia cagione ed occasione di far brillare le ricche riserve di virtù dalla Madre Fondatrice. Il primo vento contrario venne proprio di là donde non doveva venire. La mentalità settaria del tempo la sospettosa incomprensione delle civili autorità che dà corpo alle ombre vide subito in fondo a tutto questo bene, così limpido e semplice, non so quale scopo politico quali trame faziose, tanto più perché favorito e caldeggiato dal vescovo: di qui un grave pericolo per la patria. Tanto per intorbidar le acque e trovar pretesti si prese ad indagare sui metodi didattici di Suor Paola Elisabetta che non erano in armonia con i metodi e i programmi del governo. Indi inchieste visite controlli rapporti da non finire. Suor Paola ne scrive al canonico Valsecchi e amabilmente gli dice: “Pensi che cosa capiscano di politica e di governo quattro povere contadine!” Ma tant'è. La tempesta soffia e bisogna uscirne a salvezza. L'ispettore provinciale del circondario, il delegato mandamentale sono in moto, preoccupati; visite al convento esortazioni indirette a Suor Paola perché si stacchi e si ribelli al vescovo; inviti lusinghieri e sollecitanti a mettersi sotto la protezione del governo liberale... tutte cose che ella neppure capisce. E poi inquisizioni sui sacerdoti che frequentano la casa: quante volte il prevosto si reca al convento durante gli esercizi; chi è il confessore il Biografie 184 opera omnia predicatore il padre spirituale. Di questo stato di tensione ne approfittano i malvagi per aggiungere villanie ed inscenare clamorose manifestazioni di disturbo sotto le finestre del convento. E qui bisogna rileggere una pagina caratteristica della buona Madre Corti: “Una volta a Soncino le capitò all'improvviso una comitiva di signori inviati del governo per visitare e vedere ciò che vi si faceva; per sapere chi le aveva dato autorità di metter su casa di esercizi tener orfane monache ecc. Volevano entrare subito dappertutto dichiarandosi autorizzati a controllare quanto avevano udito dire. Ella, benché colta così d'improvviso, rispose subito: - Questo poi no; sto in casa mia; lor signori si compiacciano di accomodarsi qui, e saranno soddisfatti di quanto cercano. - E con tutta pace venne in cerca di me per avvisarmi del loro arrivo; poi ritornò da essi e con bel garbo chiese ciò desiderassero sapere”. L'interrogatorio fu quanto mai interessante: il metodo di tenere esercizi; quanti missionari li predicassero; lo scopo dell'Istituto; che faceva tutta quella gente là dentro; la lista delle vivande per i tre pasti giornalieri; che cosa s'insegnava, ecc. “La Madre - prosegue la Corti - rispose con pacatezza e sincerità senza soddisfare la curiosità loro. Rispose che le orfane le mantenevano del proprio, e credeva far cosa buona a dare un po' di cibo a chi non ne ha o non è in grado di guadagnarselo; che le teneva fino a che le accomodava, senza obbligarsi a tenerle per sempre, e faceva ad esse lavorare le sue terre. Quanto all'educazione le istruiva un pochettino nel leggere nello scrivere e qualche conterello; un po' di dottrina cristiana ed anche questo per fare una carità alle poverelle. In quanto al cibo ora do la zuppa o frutta e pane alla mattina; polenta e una pietanza a pranzo; e minestra e pane la sera; a merenda ancora pane. Credo che di tutto questo le signorie vostre non trovino di che lamentarsi. In quanto alle scuole esterne queste non sono proprio scuole: si tratta di fanciulle d'ogni età che vengono qui a trovarci e a farsi insegnare a far le cose più importanti di famiglia. Quei signori intanto scrivevano e le chiesero da chi avesse ordine di far ciò. Rispose che per far ciò non aveva bisogno d'ordini perché non intende obbligarsi a continuare. E quei signori ammutolirono della franchezza e ragionevolezza della Madre, e lodarono l'opera e dissero che meritava di esser conosciuta onde fosse appoggiata e stimata. E se ne andarono senza pretendere altro. Ritornarono ancora l'Ispettore provinciale di Cremona e l'Ispettore delle Scuole per fare gli esami. Ella li condusse ma non volle che Biografie 185 opera omnia facessero interrogazioni eccetto sulla Dottrina Cristiana e un po' di 169 leggere... Da allora non la disturbarono più per questo oggetto” . Nell'anno 1862 il Signore alternava a tanto lavoro e preoccupazioni una grande gioia. Mons. Speranza, convinto di non poter più tardare a concedere alla Madre Fondatrice ed alle sue Figlie un pubblico attestato della sua paterna compiacenza, emanò un decreto con cui approvava le suore della S. Famiglia, elogiandole con bellissime parole. Questo documento, uscito da tanto spirito e da tanta pena, meriterebbe di essere qui riportato per esteso, ma stante la sua prolissità, rimandiamo il lettore alle ultime pagine del libro, ove potrà gustare con stile caratteristico dell'uomo, gli accenti di un grande Pastore benedicente al prezioso ausilio che l'Istituto della Sacra Famiglia presta alla diffusione del regno di Dio nelle anime. Ed è pure questo il primo sigillo di autenticità dato alla vita e all'opera di Suor Paola Elisabetta Cerioli. 169 Proc. Ap. Summ. Vita, pag. 882-883-884. Biografie 186 opera omnia CAPITOLO XXII Le “Figlie di S. Giuseppe” Nella casa di Suor Paola le piccole orfanelle non si designano che con un nome: “Figlie di S. Giuseppe”. Come presto nasceranno i “Figli di S. Giuseppe”. È intuitivo il significato della denominazione. Nella santa Famiglia nazarena il Padre eccellenza autorità ed ufficio è S. Giuseppe; altrettanto in questa piccola famiglia di anime, che vuol essere per amore imitativo una copia umana di quella nazarena, tanta dignità e responsabilità permangono nella stessa augusta Persona. Così vide e pensò per decidere di questo appellativo Suor Paola Elisabetta. Non resta dunque che ammirare la finezza dell'intenzione la genialità della scelta, congiunte agli alti sensi di concreta e pratica saggezza delle sue conclusioni. Vediamo subito le esigenze di Suor Paola per ammettere una creatura tra le sue Figlie di S. Giuseppe. Che sia povera e orfana, ossia priva di padre o di madre, abbandonata o trascurata, di condizione contadina. Per l'età, chiede un minimo di requisiti fisici, né troppo tenera né molto cresciuta; la vuole di discreto talento onde sia suscettibile di formazione. Questi requisiti son fissi; si eccettuano i casi gravi, o di pietosa urgenza, quando sarebbe grande carità accogliere una creatura. Me se su tali requisiti ella s'ingannasse o fosse ingannata - a meno che non sorga un serio pericolo o scandalo - la bambina rimane accettata. L'ha ricevuta; basta. Non querimonie o recriminazioni con chicchessia, tanto meno cercare di sbarazzarsene e passarla ad altro Istituto. “Tenetela in pace; - dice la saggia Madre - Iddio ve l'ha mandata, vogliatele bene e molto a preferenza delle altre. Non dobbiamo amare Biografie 187 opera omnia le croci? Queste ve l'ha data il Signore. Tenetela, dunque, cara carissima. Gesù Maria Giuseppe ve ne saranno grati”. Il cerimoniale per l'ingresso di un'orfanella è noto. La presentazione a Dio e a S. Giuseppe in cappella; la toletta del corpo e del vestito; infine la consegna alle suore che devono educarla: “Tenetela da conto come un tesoro! Se amate l'Istituto dovete amare queste povere creature che formano il fine e l'oggetto della vostra vita d'apostolato. Amatele a preferenza di quelle che sono di miglior condizione sociale; perché più indigenti sono più care al Signore che ve le consegna, onde in esse risplendano la sua bontà e la sua misericordia. “Vegliatele giorno e notte, ovunque in casa in chiesa al lavoro: siate i loro angeli custodi. Esaminatevi ogni sera sul punto di questa vigilanza. Iddio vi preservi dall'indolenza che aprirebbe le porte all'insubordinazione e al disordine. Non guardate ai sacrifici: quando son fatti pel Signore divengono leggeri e sono senza prezzo”. “Non fidatevi della bontà dell'innocenza e qualità naturali delle nostre Figlie: sono vasi fragili a rompersi; sono piante novelle facili a piegarsi; sono tesori di Dio a noi affidati da custodire da conservare da far crescere e fiorire”. “Siate i loro veri angeli. Vedete come si regola il nostro angelo custode: Ci segue senza annoiarci; ascolta i nostri discorsi vede le nostre operazioni ma senza che noi lo sappiamo; ci avvisa ma con dolcezza ci rimprovera, se occorre, ma con quella quiete tranquillità e maniera che fa conoscere l'errore senza irritare”. “Primo dovere e base d'ogni educazione sia d'aprire la mente e il cuore di queste creature a conoscere amare servire Iddio che è loro Padre ma con una religione soda e sincera senza pregiudizi. Che il loro esempio sia edificante sciolto il loro tratto irreprensibile la condotta”. “Altra cosa Iddio richiede da voi, altra da un'orfanella”. “La vostra idea non dev'essere di fare di esse delle monache; ma delle brave care virtuose ottime madri di famiglia; perciò occorrono virtù semplici ma consistenti: che aborriscano il peccato e siano pronte a morire anziché offendere Iddio. Sulle loro fronti innocenti spiri la modestia e il candore; siano franche senza sfacciataggine; tengano gli occhi modesti ma senza affettazione; amino con passione le pratiche di pietà, siano esatte nel compirle, ed anche pronte a tralasciarle “Guai a quella casa ove entra una donna saccente! La concordia l'armonia se ne partono da essa”. Biografie 188 opera omnia “Affezionatele soavemente a Dio, rappresentandolo buono santo misericordioso liberale; non stringete il cuore non impoverite l'intelletto predicandolo ad ogni ora terribile severo pronto a punire e castigare per ogni piccola colpa”. “Chi opera per amore opera generosamente e tali devono essere le Figlie di S. Giuseppe. Esse devono amare il loro stato e i grandi benefici dell'agricoltura la felicità della loro condizione con cui è più facile salvarsi che non altrimenti. L'esempio vivo di Gesù deve incoraggiarle: Egli ricchissimo nacque povero, visse povero, trattò con predilezione i poveri, ad essi promise il regno dei Cieli. Predilesse i fanciulli come quelli che rappresentano l'innocenza e la semplicità della vita primitiva; preferì il soggiorno nella campagna a quello della città; dava la sua celeste dottrina o sedendo sul monte o passeggiando pei campi, nelle valli; prendendo le immagini più belle delle sue divine parabole dai gigli del campo dal grano di senapa dagli alberi infruttuosi dal frumento dalla zizzania dalla vigna dai vignaioli dal gregge dai pastori dalle pecore e dagli uccelli dell'aria, per farci ammirare la Provvidenza di Colui che assomigliato ad un celeste agricoltore fa nascere da poco e minuto seme il nutrimento per tutte le sue creature”. “Ed imitando il divino Modello prendendo argomento da tutti gli oggetti di natura che cadono abitualmente sotto i loro occhi, parlate della fecondità della terra, che per volere di Dio produce incessantemente tanta varietà di fiori i più vaghi e squisitezza di frutti d'ogni sapore il più soave; del seme consegnato ai solchi che morendo sotterra prima di risorgere e germogliare porta l'immagine della vita della morte della risurrezione dell'uomo; parlate dello sviluppo delle piante, soggiorno gradito degli uccelli dell'aria utile e caro agli animali e agli uomini stessi che vi trovano l'ombra refrigerante contro i raggi cocenti del sole frescura riposo ed aria più respirabile e pura. Ricordate loro che Abramo e gli antichi patriarchi all'ombra delle piante ospitavano ed ascoltavano gli angeli pellegrinanti sotto umane forme”. “Ma poiché l'anima di queste care creature sempre gaia e sorridente nell'innocenza della prima età gode soprattutto dello spettacolo e del profumo dei fiori di cui s'abbella la campagna, e li vanno cercando sotto le siepi e lungo i sentieri, vorrei che ne coltivaste nel domestico recinto per dare alle Figlie un sollievo utile e dilettevole, insegnando loro nome specie proprietà dei fiori usi e coltura di ciascuno di essi. E nei giorni di religiose solennità quegli stessi fiori, coltivati e colti dalle vostre Figlie, adornino i nostri altari. Biografie 189 opera omnia Insomma discorrete come vi detta la fede e l'amore; parlate delle fonti delle acque degli uccelli che nidificano delle api che hanno regina e statuti per il loro prezioso laboratorio di miele e cera, degli animali che servono alla campagna traendo l'aratro o il carro, e quelli che adornano i cocchi nelle città, e quelli che forniscono carni pel nutrimento, pelli e lane pel vestimento”. “E poi salendo al cielo contemplando gli astri scintillanti nell'immensità degli spazi dite che Dio solo può numerare la moltitudine delle stelle; che Lui lanciò da principio i pianeti, e che la luna segue fedelmente la terra perché Dio ha voluto così. E le fasi lunari e gli eclissi del sole e della luna le gocce di rugiada le piogge i venti i fulmini i tuoni le tempeste le stagioni la notte il giorno, quante idee quanti pensieri per ammirare e magnificare la sapienza la potenza la bontà di Dio! Oh, Figlie mie carissime, non terminerei più quando entro in questo vasto campo della creazione! Il mio cuore si 170 dilata e si commuove!” . Poi scende a parlare dettagliatamente del modo di educare e d'istruire una Figlia di S. Giuseppe. Insiste ancora nel precetto di allevarle nelle massime e nei costumi della loro condizione. “Semplicità: semplicità nel leggere nello scrivere nell'aritmetica, quanto è indispensabile a dar sufficienti cognizioni necessarie alla loro vita, senza darsi l'arie d'importanza ad insegnar loro gli studi. Insegnate ad esser nette e ordinate negli abiti nella persona nella casa che abitano, ammonendole che la mancanza di pulizia è cagione di molte malattie”. “Pensate infine che queste care figliuole nella maggior parte inclinano al matrimonio: non le contraddite nella loro vocazione; riusciranno eccellenti madri di famiglia e col loro esempio porteranno grandi vantaggi nel loro ambiente. Questo sia il fine che dovete avere nell'educarle”. “La superiora come madre le guidi le consigli le aiuti acciocché trovino un conveniente partito della loro condizione. Così esse porteranno con la loro condotta una riforma nella classe degli agricoltori ed è ciò che ci proponiamo di conseguire col nostro santo Istituto”. Ella poi personalmente alle sue care Figlie di S. Giuseppe che vanno spose ha preparato un dono di nozze che compendia tutto l'amore del suo cuore materno e la saggezza del suo spirito di apostolo, un libriccino di trentuno foglietti appena candidi come i 170 Direttorio, Parte III. Cap. II, pag. 152 e seguenti. Biografie 190 opera omnia petali di un giglio sui quali ella ha vergato le parole che dà in ricordo 171 alla sua cara Figlia nel giorno del matrimonio . Veramente due parole: una per la sposa, l'altra per la madre, dettate da una sposa e da una madre, nel senso più umano e più spirituale di questi due vocaboli. E chi meglio di lei potrebbe parlare con fede ed amore con saggezza ed esperienza con verità e praticità dei gravi doveri del matrimonio delle sue pure gioie e dei suoi inenarrabili sacrifici? Quel libriccino che oggi, dopo quasi un secolo, si ritrova ancora stampato ha tutta la freschezza e il profumo di un fiore, il fiore di nozze regalato da una madre santa a tutte le sue Figlie spirituali. Indi la buona Madre continua a parlare alle religiose: “Se poi taluna di queste Figlie volesse rimanere in casa come religiosa, o per qualche altro lavoro utile all'Istituto, se ha le doti necessarie preferitela a tutte le altre. Questa preferenza le è dovuta come Figlia di S. Giuseppe, e come membro della nostra famiglia e perché educata secondo il nostro spirito”. “A quelle poi che non scegliessero né la prima né la seconda strada, ma desiderassero tornare alle loro case o allogarsi come domestiche in qualche famiglia, voi interessatevi a collocarle bene con l'aiuto dei parroci, tenendo presenti i gravi pericoli a cui vanno incontro se non sono affidate a buone famiglie. Non abbiate premura di sbarazzarvi di esse affidandole alla prima che capita; ma attendete finché il Signore provveda. Preferisco che l'Istituto impoverisca e si privi fin del necessario per mantenerle anziché metterle nel pericolo di perdersi”. “Dalla buona o cattiva riuscita di esse dipende l'onore di tutte le Figlie di S. Giuseppe e quello della casa”. Ed anche a queste che lasciano l'Istituto per entrare al servizio di una casa privata Suor Paola Elisabetta dà un ricordo particolare proprio la vigilia della loro partenza. Come una buona e saggia madre chiama in disparte la sua cara figlia, la benedice e poi le consegna uno scritto contenente i suoi ricordi, - diciannove ricordi che condensano tutta la sua ansia perché non perda il frutto della santa educazione e infine si salvi e sia in eterno felice. “Dio ti 172 benedica, figlia mia, e la sua benedizione ti accompagni sempre!” . 171 172 Due parole della Nob. Donna Costanza Cerioli ved. Buzecchi - Tassis Fondatrice dell'Istituto della S. Famiglia, ad una allieva il giorno del suo matrimonio – Bergamo - Natali Tipografo Vescovile 1866. Memoria della nobil Donna Costanza Cerioli ved. Buzecchi - Tassis, Fondatrice dell'Istituto della S. Famiglia, ad una allieva la vigilia di sua partenza per entrare al servizio di una casa privata. Bergamo - Natali Tipografo Vescovile, 1866. Biografie 191 opera omnia Finalmente per le sue care “Figlie di S. Giuseppe” c'è l'emulazione del premio. Grande segreto didattico suggerito dalla Sapienza celeste per indurre l'uomo - fanciullo o adulto che sia - a compiere con miglior lena il proprio dovere. Suor Paola Elisabetta per le sue Figlie ha Stabilito - con forza di legge - che una volta l'anno il 15 di ottobre solennità della sua cara Santa Teresa, e data propizia per la chiusura dei lavori agricoli si svolga con tutta pompa una festa spirituale ed esterna per premiare le sue brave figliuole che si sono distinte lungo l'anno in attività e diligenza nei lavori di casa e di campagna. La festa si apre al mattino intorno all'altare di Dio per innalzare a lui l'inno del ringraziamento per i suoi benefici; e le Figlie rivestite dell'abito delle solennità si accosteranno alla santa Mensa. Poi nel miglior e più ampio ambiente della casa pavesato a festa si radunerà tutta la famiglia ad ascoltare dal labbro della superiora un breve discorso su i benefici concessi da Dio all'Istituto; su i vantaggi che l'agricoltura apporta alla società, fomentando la moralità la salute il commercio, su i frutti più o meno abbondanti dell'anno. Di seguito procederà all'assegnazione dei premi alle “Figlie” che si sono distinte nello studio del catechismo e delle cose religiose, nello studio pratico dell'agricoltura e nel profitto in lettura scrittura e aritmetica. Infine poi viene proclamata l'assegnazione dell'unica medaglia detta “di agricoltura” che si conferisce all'alunna prima assoluta in questa importante materia. La proclamazione del nome premiato sarà seguito da ovazioni da cantici e dall'inno a S. Giuseppe mentre la superiora appenderà al collo della figliuola la medaglia di distinzione. Di questa medaglia ella dovrà fregiarsene ogni volta che indossa l'uniforme di festa. Non solo. La figliuola premiata di medaglia d'agricoltura eserciterà durante tutto l'anno “l'ufficio di Abele” così detto perché ad essa spetta raccogliere le primizie d'ogni frutto che rende la campagna e in apposito cesto presentarle ai piedi dell'altare, in segno di sudditanza di ringraziamento di amore al sommo Iddio Padrone e Largitore d'ogni dono. Quanti sensi spirituali quanto sapore patriarcale e più quale saggezza di pedagogia in questo ufficio in questo gesto in questo 173 dono elevato alla solennità d'un rito dalla Madre Cerioli! . 173 Direttorio - Parte III, Cap. IV, pag. 164. 165. Biografie 192 opera omnia La festa dei premi - come s'è detto - chiude le attività agricole dell'anno. Viene l'autunno arriva l'inverno con le giornate brevissime, con le interminabili serate fredde monotone tristi. Quale sarà l'occupazione di chi non conosce altra attività che quella svolta in aperta campagna? La buona Madre e Maestra ha previsto anche ciò. Nel timore che l'ozio non intorpidisca gli spiriti e uccida il bene con tanta cura raccolto ha provveduto tutto un programma, dal metodo facile a sapore ricreativo e spirituale, che si svolgerà nelle lunghe serate invernali. Ed è suo intendimento che siffatto programma esse lo ripetano e lo svolgano poi nelle loro future case, quando nelle tiepide stalle o nelle cucine scaldate e illuminate dal ceppo odoroso e crepitante e si radunano varie famiglie a passare lietamente e cristianamente le veglie del tempo d'inverno. A tale scopo Suor Paola Elisabetta dà e suggerisce una serie di schemi a soggetto spirituale ascetico morale agiografico storico che la persona più adatta della comitiva svolge ed illustra per tirarne infine sode conclusioni pratiche. Un po' di preghiera in comune chiude la 174 sana e santa veglia invernale . Per ultimo vogliamo sentire Suor Paola Elisabetta parlare cuore a cuore alle care orfanelle. I suoi sono gli eterni accenti d'un cuore materno che dice costantemente le identiche parole senza ripetersi mai, perché sono le parole della saggezza e dell'amore, uscite da un'anima incendiata di Dio che vuole appigliare il suo fuoco a quanti può accostare. Ella, infatti, brama eccitare nei piccoli cuori delle Figlie una grande riconoscenza al Signore per averle scelte fra tante abbandonate alla miseria alla fame e raccolte nella sua casa sotto il bel nome e il patrocinio di S. Giuseppe. “Quindi voi più grandette siate di stimolo e d'esempio alle altre a ben fare... Amatevi... non vi offendete l'una l'altra... siete tutte sorelle in S. Giuseppe... Via la rabbia!... via la collera!... Prezioso tesoro la pace! Ringraziate Iddio che vi ha fatto nascere povere contadine e abbiate caro carissimo che così siete allevate ed istruite. Non invidiate, no, le ricche signore!... Se sapeste sotto quegli abiti splendidi che vi fanno tanta invidia, quanti dispiaceri quante preoccupazioni quanti disgusti!... E in mezzo agli ozi e a quel far nulla quanto tedio quanta noia!... Quante di quelle signore cambierebbero la loro condizione e i loro agi, che l'espongono a tanta agitazione e pericoli spirituali e corporali, con il vostro tranquillo ed umile stato. . E poi Gesù che dice nel Vangelo: - Guai a voi, ricchi, che avete quaggiù la vostra allegrezza... È più facile che un 174 Direttorio Parte III? Cap. V, pag. 166. Biografie 193 opera omnia cammello passi per la cruna d'un ago di quello che un ricco si salvi!... - Parole spaventose! Vi bastino queste per allontanare da voi ogni sentimento d'invidia. Pensate poi a Gesù che nacque e visse povero come voi... “Alzatevi per tempo di mattina - secondo le stagioni -. Oh il piacere che si prova a respirare l'aria pura della mattina! Oh, l'ebbrezza dell'aurora! come il nostro cuore si porta più naturalmente a Dio... a Lui che è il Creatore di questo vasto mondo... aprite il vostro cuore all'amore alla gratitudine. Consacratevi a Lui alla sua gloria al suo servizio: vi siano di stimolo a ciò persino gli uccelli che cantano nel loro linguaggio le lodi di Dio... Se altri pensieri in quel momento vengono a distrarvi scacciateli: sarebbe un furto che fate al Creatore. Dite le vostre orazioni fate le vostre pulizie assistete alla S. Messa... e poi andate sollecite e silenziose al vostro lavoro, recitando innanzi la bella giaculatoria: - O S. Giuseppe, accompagnate le vostre Figlie! Poi lavorate di buona lena senza schiamazzi senza ridere senza cantare... Non dite: qui nessuno ci vede... no, carissime, è il demonio che vi tenta perché c'è sempre e dovunque Iddio che vi vede e vi giudicherà, premiando il bene condannando il male compiuto. Ripetete spesso durante il lavoro la giaculatoria: - S. Giuseppe! assistete le vostre Figlie! - Come rientrando in casa dal lavoro direte: S. Giuseppe, accogliete le vostre Figlie!...” “Mi diceva una mia cara amica - è sempre lei che parla alle orfanelle e si direbbe che questa amica sia tutt'uno con lei - che quando vede la campagna e i contadini occupati a lavorare pei campi, le corre il pensiero al tempo dei nostri primi Padri... le pare di vedere Adamo il primo che incominciò a dissodare la terra; Abele occupato col suo gregge; Abramo, Giacobbe... Ruth che con Noemi raccoglieva le spighe abbandonate dai mietitori, e tanti altri le richiamano al pensiero la vita errante dei Patriarchi, il dormire sotto le tende e a cielo scoperto, come essi costumavano. Questi pensieri innalzano la mente ed allargano il cuore verso Dio; fanno amare stimare quasi invidiare la condizione dei contadini. Quel non aver dimora fissa e stabile ci ricorda che siamo viandanti e pellegrini in questo mondo e ci aiuta a distaccare ognor più il cuore dalle cose della terra”. “Una Figlia di S. Giuseppe deve aver familiari questi pensieri e nelle ore di ricreazione nelle domeniche leggere spesso la Storia Sacra e il Vecchio Testamento, e vedrà, che gli uomini sino a che si occuparono di agricoltura vissero più lungamente e conservarono la loro innocenza i loro semplici costumi; i disordini non entrarono nel Biografie 194 opera omnia mondo se non quando l'uomo incominciò ad abbandonare l'occupazione per la quale Iddio l'aveva creato...” “Coraggio, Figlie mie, il Signore vi insegna per nostro mezzo la via più semplice per poter essere al possibile felici anche in questo mondo...” “Credetemi, fa più timore la parola sacrificio che non la cosa stessa, abituatevi ora che siete giovani che poi vi costerà meno”. Santissime parole di una madre santa! Non illudono non tradiscono, ma insegnano l’unico mezzo a viver bene e buone, serene e felici: amare il lavoro, non paventare il sacrificio: gli unici titoli cui è serbato il riposo e la gioia del Cielo. Biografie 195 opera omnia Biografie 196 opera omnia CAPITOLO XXIII I Fratelli della Sacra Famiglia L'anno 1862 è anch'esso un anno di lavoro e di benedizioni. Nasce l'altra opera, concepita in cuore nel lontano 1854 sul letto di morte del figlio: l'istituto maschile per l'educazione degli orfani rurali. In omaggio alla verità è da ridire che la sua prima idea fu per un orfanotrofio maschile. Benché la Provvidenza le abbia aperto subito la strada più naturale e confacente al suo sesso ad una istituzione femminile, tuttavia ella ha portato sempre in cuore, come un'amorosa gestazione, la prima idea. Si direbbe che il ritardo fosse ordinato a meglio elaborare l'opera concepita. Però, sino a questo momento circostanze e situazioni psicologiche varie non si presentarono favorevoli. Persino la buona confidente - Suor Luigia Corti - non se ne mostra gran che entusiasta. La Madre però non tace e non sta in pace. Ne parla sempre al suo buon canonico. Ogni volta che il vescovo viene a trovarla non manca di dirgli: “Che ne dice, monsignore, riuscirò prima di morire a veder piantato un ricovero anche per gli orfanelli abbandonati della campagna?” E monsignor Speranza: “Sì, sì, state tranquilla che presto lo faremo. Voi intanto pregate”. Ed ella prega e supplica per raccomandare ciò che le sta sull'anima. Il Signore matura lentamente sicuramente l'opera desiderata. Ecco qualche fatto che non si direbbe puramente casuale. Mentre Suor Paola Elisabetta prega, il vescovo pensa e agisce. Un giorno le dice di mettersi in relazione col sacerdote Pavoni Prevosto di S, Andrea in Bergamo. Questi ha ideato un'opera affine a quella di lei: raccogliere orfanelli e provvedere alla loro educazione con scuole serali officine, ecc. Suor Paola si reca a trovarlo conferisce con lui; ma Biografie 197 opera omnia rivela subito una differenza sostanziale di programma. Il Pavoni accoglierebbe orfani d'ogni condizione; lei no, si limita ad una sola classe di orfani: quelli rurali. Tornando dalla visita al Pavoni avviata verso l'episcopio per riferire al vescovo l'esito dell'incontro, va facendo un soliloquio: “No no questo non può essere l'ospizio di poveri contadini!... Ah, questa classe di orfani quanto è dimenticata!... come sono trattati duramente questi poveri orfanelli!… Il Signore ha tolto a me il mio povero Carlino per sostituirmi questi!” Ancora. Un giorno Suor Luigia Corti rivede a Comonte una ex Figlia di S. Giuseppe allogata in una famiglia rurale ove è andata sposa. “Bene: come metti in pratica gl'insegnamenti che ti abbiamo dato?” Chiede Suor Luigia. E quella: “Ci vuol altro! in casa mi dicono che sono matta e che essi non hanno bisogno che io insegni loro come debbono vivere” - “Ha ragione la Madre!... - pensa Suor Luigia - se 175 non si lavora anche attorno agli orfanelli non si otterrà mai nulla!... . Di lì a qualche giorno la Madre invita la Corti a recarsi a Romano per provvedere alla sostituzione del suo capo fattore di Villa Campagna gravemente infermo. Incontratasi al luogo di convegno Suor Luigia prospetta l'idea di cercare qualche orfanello da occupare a Villa Campagna senza ricorrere ad un nuovo fattore. La Madre che sa della contrarietà della Corti all'idea degli orfanelli rimane sorpresa per tale cambiamento di pensiero e gliene chiede la ragione. Suor Luigia le narra il fatto della ex orfanella. “Ed allora - continua questa - ho visto chiaro quanto voi avete detto tante volte, cioè: la riforma della classe contadina è più necessaria agli uomini che alle donne, perché è l'uomo che deve stare a capo della famiglia”. Lieta di questo mutamento la Madre esclama: “È proprio vero che lasciando fare a Dio Egli dispone tutto sapientissimamente”. Tuttavia ora che, oltre il desiderio i mezzi le opportune circostanze, ha anche il consenso della sua consigliera le manca il meglio: il soggetto preparato e scelto da Dio all'impresa. Ella infine è una povera donna fuori del consorzio degli uomini, che ha troncato ogni relazione e conoscenza col mondo; dove troverà ciò che le è indispensabile? Non c'è altro rifugio che in Dio. Pregarlo e scongiurarlo perché, se quest'opera è di suo beneplacito, susciti l'anima più che l'uomo il 175 Proc. Ap. Suppl. Summ. pag. 126. 127. Biografie 198 opera omnia quale accetti i suoi propositi e li traduca in atto secondo il beneplacito divino. Anche in questo Iddio non si discosta dal suo stile consueto: per suscitare dal nulla una nuova ed originale istituzione sceglie lo strumento più umile, lo vivifica del suo spirito e se ne vedrà la riuscita: più e meglio di qualsiasi altro qualificato per studi talenti e autorità esso avrà successo. Cosicché l'istituzione maschile di Suor Paola Cerioli ha un bel vanto: è nata umilissimamente dalla terra, come è destinata alla cristiana cultura della terra. E per dir subito tutto delle linee fondamentali di quest'opera aggiungiamo che la Fondatrice, sorpresa prematuramente dalla morte, non le diede una legislazione formale, ma tracciò degli schemi o memorie quali linee direttrici per un'eventuale legislazione da sviluppare in seguito. Le sue idee limpide e concrete sono: costituire, con le necessarie varianti, una famiglia religiosa maschile che si dedichi all'educazione degli orfanelli rurali, come le Suore della S. Famiglia attendono alle orfanelle. Logicamente come non intese né volle con le suore creare delle devote massaie rurali ma autentiche religiose, così per i Fratelli, - anzi con più alto intendimento - volle creare dei religiosi, sacerdoti e laici, che periti nella scienza agraria, impartissero agli orfanelli di campagna un'educazione cristiana congiunta alla tecnica agraria. È chiaro che un tale programma, fondato sopra un concetto pedagogico spirituale, non può essere attuato che da sacerdoti e laici congiuntamente, i quali, divise le mansioni di direzione e di lavoro, possano armoniosamente ottenere il duplice scopo desiderato. Tale presupposto fondamentale - in perfetta armonia con lo spirito e la prassi della Chiesa - è così indispensabile quanto logico. Non si può infatti ammettere che la Madre Cerioli, tanto premurosa della elevazione spirituale e morale della classe rurale, abbia affidato un compito sì alto e delicato a dei semplici laici e per di più contadini. Che se la realizzazione del sacerdozio nell'Istituto si verificherà più tardi, ciò non toglie nulla al presupposto anzi lo rafforza, perché se in principio per necessità di cose si dovette fare a meno dei sacerdoti, in progresso di tempo l'esperienza impose come indispensabile condizione di vita la direzione e la guida sacerdotale. A conferma di tutto c'è un fatto che rivela chiaramente il pensiero della saggia Fondatrice. Le si presentò un giorno un certo giovane di Casnigo, già avanti nel corso ginnasiale, domandando di essere ammesso nell'Istituto per proseguire gli studi. “No no - rispose Biografie 199 opera omnia ella subito - qui si lavora si suda non si studia: questa è una casa di poveri orfanelli che devono apprendere a lavorare in campagna la terra, quindi si devono accompagnare in campagna e, ove, occorra, lavorare con essi la terra. Tornate a casa che farete meglio, e così potrete continuarvi la vostra carriera”. Suor Luigia Corti, rimase assai sorpresa di questo licenziamento e di tali parole che sembrano contrastare con gli scopi che la Madre si era prefissa. “Non spetta a chi entra - ella si giustificò - scegliere il proprio avvenire. Non tocca a loro. Bisogna parlar chiaro con tutti, e che tutti sian disposti a questa vita di fatiche e di stenti. In seguito poi i superiori sceglieranno quelli che saranno sacerdoti; ma essi non devono domandarlo, anzi neppure saperlo”. Come si vede, le esigenze della Madre anche per un aspirante all'Istituto, danno la misura della sua pedagogia spirituale. Messi così a punto questi principi basilari, procediamo oltre con la narrazione storica, fissa sempre nell'anno di benedizione 1862. Mentre la buona Madre moltiplica fervidamente orazioni e preghiere presso il trono di Dio ad ottenere il soggetto per dar le mosse all'impresa, le viene indirizzata a Comonte da un sacerdote bergamasco una pia dama, la contessa Adelaide Dedei, oriunda di Valvoglio, ma residente a Leffe, dove ha raccolto in eredità un piccolo podere. Era desiderio della contessa devolvere questa proprietà in favore delle orfanelle campagnole; veniva quindi a proporre di accettare l'incarico molto affine allo spirito dell'Istituto della Sacra Famiglia. Per mera coincidenza in quel giorno la Madre non era a Comonte, ma trattenuta da affari in Soncino. La pia contessa frattanto, fu invitata a visitar la casa, perché si rendesse conto delle attività dell'Istituto. Però in questa visita non era sola. L'accompagnava un ottimo uomo. Dall'aspetto si sarebbe detto un fattore, un tal Giovanni Capponi. In Leffe, suo paese nativo, egli era noto e stimato quale infermiere ed economo del civico ospedale. In poche parole: il Capponi - non giovane, né vecchio - è uno di quegli apostoli in calzoni che riescono un dono del Cielo ovunque vivano. Non di grande levatura intellettuale ma di sano equilibrio pratico, soprattutto pio irreprensibile zelante e caritatevole in modo da non potersi dire; tanto che era da tutti amato e benedetto, come 176 per tutti egli era una vera benedizione . 176 CAPPONI GIOVANNI, fu Luigi ed Angela Zenoni, nato a Leffe il 5 dicembre 1830. Entrato come fratello all'apertura dell'Istituto il 4 novembre 1863. Egli fu Superiore. Fu vestito d'uniforme religiosa il 19 marzo 1865. Col 16 settembre 1866 fece i primi Voti Semplici avanti di Monsignor Vescovo Pietro Luigi Speranza di Biografie 200 opera omnia Il Capponi è a fianco della contessa nel suo giro di ispezione alla casa di Comonte. Una meraviglia! per l'una e per l'altro. Tutto bene organizzato; uno splendore di ordine di nitore di silenzio, da mettere in cuore il desiderio di non partire più. Ne restarono edificati entusiasti; ma per quel giorno, data l’assenza della Madre Superiora, non conclusero nulla del loro progetto, e partirono divisando di chiedere per iscritto un appuntamento ed ottennero l'incontro desiderato. Prima però che giungesse alla Madre la lettera della contessa Dedei, gliene arrivò un'altra, quella della suora (forse suor Luigia Corti) che aveva accolto i due visitatori a Comonte. La ragguagliava della novità della visita, e s'indugiava particolarmente a descrivere le proprie impressioni, non troppo sulla signora contessa, quanto sul suo compagno. L'aspetto il contegno le parole del Capponi avevano colpito la suora, non meno di quanto egli era rimasto edificato della casa di Comonte. A dir breve: la suora segnalava alla Madre il Capponi - se non prendeva abbaglio - come un possibile commendabile soggetto da scegliersi per la nota impresa. Suor Paola Elisabetta che attendeva con certezza ed urgenza la risposta del Cielo alle sue pressanti preghiere, comprese tutto. Si scambiarono lettere con la Dedei; si fissò l'appuntamento a Comonte: la Madre v'inviterà il suo buon angelo il canonico Valsecchi, la contessa vi condurrà il Capponi. E si ebbe il felice incontro a quattro. L'affare della Dedei fu presto concluso: figurarsi che questa, oltre ad offrire il suo podere, profferiva anche se stessa all'Istituto e dedicarsi al bene delle orfanelle. E ciò avverrà felicemente. Sul momento però alla Madre preme ben altro. Il suo interesse converge tutto su Giovanni Capponi. La suora di Comonte che le scrisse in proposito non ha sbagliato. L'impressione che ne riportano sia la Madre che il canonico è ottima. Entrambi commossi nel vivo del cuore, s'incontrano nell'identico Bergamo il di della Beata Vergine Addolorata e Li rinnovò tutti gli anni seguenti. Col 3 dicembre 1868 giorno di S. Francesco Saverio, fece i voti Perpetui e li fece pubblicamente nella Chiesa di S. Francesco d'Assisi in Martinengo nel Convento soppresso dei Frati minori Osservanti. Nell'occasione dell'apertura della Casa che venne affidata ai Fratelli e Figli di S. Giuseppe li fece alla Presenza di Monsignor Vescovo Speranza di Bergamo, alla presenza del Clero e Popolo di Martinengo e dei Fratelli e figli di S. Giuseppe e gli furono consegnate le regole e le chiavi del Monastero. Ne aggiunge anche il quarto Voto di dedicarsi tutto per i figli di S. Giuseppe di allevarli nel santo timor di Dio e di non scostarsi dalle regole dell'Istituto di allevarli all'arte agraria; fu eletto Superiore di tutte le Case di S. Giuseppe. Morto il 23 Maggio 1880. Dal registro di Archivio dell'Istituto S. Famiglia in Martinengo Biografie 201 opera omnia pensiero: ecco il soggetto mandato dal Cielo per il vagheggiato istituto maschile. Anzi - ad esser precisi - la Madre appena lo vide senza parlargli o udirlo parlare sentì una voce spontanea salire dall'anima: “Eccolo è lui quello che tu cerchi” E i presentimenti dei santi non falliscono mai. Poi si venne a parlare. Fu esposta l'idea di fondare un'opera maschile gemella all'Istituto femminile. La Dedei ne è contenta e offre all'uopo il suo podere di Leffe; ma si preferirebbe Soncino perché Leffe non ha terreno sufficiente per lo sviluppo di un'azienda agricola. Indi la Madre rivolge direttamente la parola al Capponi per chiedergli se si sentisse disposto ad accettare l'incarico di iniziare così bell'opera a Soncino. La risposta: esitante quasi imbrogliata, ma di un timbro d'umiltà nettissimo, conferma ancor meglio la persuasione della Madre. Infine: egli non sapeva che rispondere, con gli occhi bassi con mezze parole quasi sgomento, riuscì a dire che non si riteneva da tanto perché lui non disponeva di altro che di buona volontà; nulla più. Si contentava del poco bene che poteva fare ai giovani del suo paese... ma quanto ora gli si chiede è sopra le sue possibilità... e quindi, crede in coscienza di non poter accettare. È la risposta di tutte le anime umili - i veri saggi - diffidenti sempre di sé; le cui deficienze Iddio si dà premura di colmare anche con i miracoli. “Sta bene - conchiude la Madre esultante per aver trovato la rima ai propri sentimenti - sta bene. Non vogliamo che accettiate qui su due piedi il nostro consiglio... sono certa però che vi atterrete alle decisioni del nostro vescovo. “Il Capponi non si rifiutò alla proposta: senza avvedersene, però, egli ha già accettato quanto il vescovo deciderà. Mons. Speranza si trovava a Gavarno per un po’ di riposo. Si stabilì il giorno in cui di nuovo si sarebbero trovati tutti colà per presentarsi a lui. Nel congedarsi si scambiarono molte raccomandazioni di pregare intensamente a conoscere la volontà del Cielo. Nei brevi giorni intercorsi tra questo primo incontro e il convegno di Garvano Suor Paola non perde neppure un minuto di tempo. Per ordine di Mons. Valsecchi si lega al suo tavolo ed elabora uno schema di regolamento, o avviamento, da darsi all'Istituto maschile; e lo intesta: “Memorie riguardanti l'Istituto dei Figli di S. Giuseppe, se Dio nella sua grande misericordia permetterà che sia fondato”. Sono infatti schemi di leggi che debbono regolare i membri dell'Istituto. La ispirata Madre ormai adusata a tal genere di lavoro Biografie 202 opera omnia nulla ha dimenticato; vi contempla persino i dettagli. Ecco l'indice dei titoli: 1° Personale per l'avviamento. 2° Avanzamento, 3° Corpo dell'Istituto. 4° Regole fondamentali dei Padri. 5° Dei Fratelli laici o coadiutori. 6° Governo della Casa. 7° Degli orfani o “Figli di S. Giuseppe”. 8° Lavoro ed impiego dei “Figli di S. Giuseppe”. 9° Impieghi degli orfani quando saranno impediti di lavorare in campagna. 10° Sorveglianza dei medesimi. 11° Vitto ed abito degli orfani, ecc. Questo “pro memoria”, si chiude così: “La divina Provvidenza, che ha fatto nascere la Società delle suore della Sacra Famiglia per le figlie della campagna e a vantaggio della classe contadina, andava ispirando da qualche tempo una fondazione di sacerdoti e laici, uniti in religiosa famiglia, che avessero il medesimo scopo e spirito delle suore, dedicandosi esclusivamente a vantaggio delle genti di campagna, e specialmente all'educazione dei figli dei poveri contadini, con tanto maggior vantaggio in quanto che, per essere uomini ed alcuni anche sacerdoti, potrebbero in più dare Missioni nei villaggi, ascoltare le confessioni, istruire e dirigere oratori ed altre opere di carità... si aspettava pertanto che questa stessa Provvidenza che da imprevedute circostanze aveva fatto nascere le suore della S. Famiglia, facesse conoscere le sue vie meravigliose prestando il concorso ad una fondazione che per sua natura e per i tempi sembrava impossibile. Ma il Signore a cui nulla è difficile e scherza con i calcoli degli uomini segretamente preparava la strada”. Questo “pro memoria” fu presentato al vescovo nell'udienza di Gavarno a cui intervennero i quattro sopra annunziati, e Don Vladimiro Carminati, rettore del seminario. Il vescovo, che già conosce ideale e idee di Suor Paola Elisabetta approva tutto, dà però il consiglio di prudenza, appunto per non compromettere l'impresa, che sul principio quasi ad esperimento non si prescrivesse nessun Regolamento: questo verrà in seguito suggerito e confermato dalla pratica e dall'esperienza. Nessuna imposizione quindi, ma una vita laboriosa e cui potrà aggiungersi per chi lo richieda una vita più perfetta. Poi il vescovo si rivolge a Giovanni Capponi. Anche questo colloquio fra il dotto e santo Pastore ed il modesto e semplice laico riesce interessante ed edificante: un vero duello tra lo zelo e l'umiltà di due anime che su diverse vie tendono alla stessa meta: servire amare glorificare l'unico Padrone. - Per quanto bene facciate nel vostro paese - diceva il vescovo io vi assicuro che quello che intraprenderete sarà di maggior gloria di Biografie 203 opera omnia Dio. - E così di seguito ribatte tutte le difficoltà i dubbi le esitazioni del brav'uomo. - Ma - soggiunge ingenuamente il Capponi - se quello che io vorrei intraprendere non riuscisse a causa della mia incapacità... resterei senza posto al mio paese, e senza appoggio di veruna sorta... Il vescovo sorridendo lo rassicura che Iddio vi aiuterà; non dubitate che resterete sempre in questo Istituto, al servizio di Dio e del prossimo... Il rappresentante di Dio ne è certo. E profetizza. Fondato su tanto schietta umiltà l'avvenire di quell'anima gli è chiaro e lucido come una visione. Siffatti materiali grezzi ma sinceri Iddio li utilizza sempre per gettare le fondamenta di opere che sfideranno il tempo. Dopo l’incontro di Gavarno ciascuno partì per varie direzioni a sollecitare i preparativi per la fondazione. Il Capponi al paese per disimpegnarsi dai suoi obblighi, a dare aiuto alla contessa Dedei a ordinare la casa che accoglierà le orfanelle di Suor Paola Elisabetta; questa ed il canonico Valsecchi all'azione per veder di reclutare qualche altro soggetto da aggiungere al primo. Si presenta un sacerdote che esibisce il proprio ministero per la nuova opera; conduce seco un orfanello tredicenne ed un giovane di ventisei anni suo parrocchiano buon calzolaio. Un terzo giovane bergamasco, trentenne di civile condizione avanza la domanda di essere ammesso nel nuovo Istituto. Il Cielo sembra soccorrere insperatamente: si può dunque dare il via all'opera. Da ultimo, sempre allo scopo, corsero pratiche con un altro ottimo sacerdote bergamasco, Don Luigi Palazzolo, fondatore anch’egli di un’opera analoga che s’intitola dal suo nome. Si pensò di fondere le due famiglie in una, di cui il Palazzolo - restando a Bergamo - sarà Superiore e Direttore Generale, e il Capponi maestro di agraria e direttore locale. La cosa è pienamente combinata. La Madre è radiosa di gioia. “Spero - ella dice al Valsecchi - che anche Don Luigi (Palazzolo) sia persuaso d'entrare in quest'opera... egli ne sarebbe il perno... Che S. Giuseppe volga tutto secondo il beneplacito di Dio!...”. Si fissò la data del 3 novembre 1863 per riunirsi tutti a Comonte. Il dì seguente, festa di S. Carlo - onomastico dell'innocente che diede motivo e mezzi all'opera - nella cappella della casa, Mons. Valsecchi celebrò il S. Sacrificio e distribuì l'eucaristico Pane ai laici. E parlò. Disse della bellezza, della preziosità dell'opera che nasceva, la grande gloria che ne proverrà a Dio, e i benefici che ne coglieranno i singoli: conchiuse con l'augurio: “Crescete e moltiplicate e riempite la Biografie 204 opera omnia terra”. Infine li benedì con la reliquia di S. Carlo Borromeo e li accomiatò dichiarando che dovevan partire alla volta di Soncino, loro prima dimora. La Madre non è presente all'atto ufficiale di nascita. Ella ha preceduti tutti a Soncino “per evitare la profonda commozione che le avrebbe cagionato la tenera cerimonia” - dice lei - ma in verità per far sacrificio a Dio della sua incontenibile gioia nel vedere ormai realizzata l'opera del suo cuore. Immaginiamo con quale materna effusione ella accolse nel convento di S. Maria i nuovi Padri e Fratelli della S. Famiglia e il primo “Figlio di S. Giuseppe”. Li rifocillò di cibo e col riposo, indi li condusse ella stessa al luogo preparato: Villa Campagna. L'insediò nella casa, distribuì gli uffici: Fratel Capponi la dirigerà; l'altro pratico d'agricoltura è preposto ai lavori di campagna; il terzo di civile condizione curerà l'economia della casa ed istruirà gli orfanelli. Consegnò ad essi quanto fosse necessario di mezzi per cominciare e proseguire nel santo lavoro; infine, con le più calde parole, con le migliori benedizioni del cuore si accomiatò per rientrare in Soncino. Nel suo “pro Memoria” ha annotato a modo di conclusione: “Tre soli Fratelli secolari ed un figliuolo (orfanello) presieduti da un sacerdote, saranno il seme del nuovo Istituto... Tutte le opere di Dio incominciano dal poco e vanno mano mano crescendo come il grano di senape del Vangelo. Così la grazia del Signore cresca e moltiplichi questo piccolo seme!... A tali sussulti di gaudio, però, fan presto doloroso contrapposto i dubbi le ansie la tentazione che la prendono di nuovo e le torturano lo spirito. È spaventata al pensiero dell'estrema povertà verso cui s'incammina: l'impianto dell'opera maschile le ha assorbito l'ultima proprietà del suo patrimonio. Non sarà questa vigilia del fallimento?... E poi: vivere trattare confondersi con gente siffatta tutti poveri rozzi ignoranti incapaci di innalzarsi alle sue idealità, di comprendere l'altezza delle sue intenzioni... Avranno dunque ragione i parenti gli amici che l'hanno abbandonata a se stessa reputandola un'esaltata, una visionaria?... No. D'un sol colpo di fede di sconfinata fiducia in Chi la ispirò e l'ha sorretta sin qui, ella dissipa, come il vento le nubi, la tentazione e prosegue animosa il santo lavoro... “in gloriam et in laudem Dei! Biografie 205 opera omnia ” Biografie 206 opera omnia CAPITOLO XXIV Pedagogia agraria Don Luigi Palazzolo ha menato seco da Bergamo due ragazzi: uno di dieci l'altro di quindici anni. È però sua intenzione che essi per nulla orfani - non attendano ai lavori campagna; ma studino per avviarsi al sacerdozio, mostrando inclinazione a tale stato. Si delinea presto la differenza di finalità. La Madre Cerioli è e vuol rimanere fondatrice d'un orfanotrofio per fanciulli rurali, il Palazzolo - buon servo di Dio anch'egli - fondatore di un'opera generica di educazione per la gioventù. Di conseguenza, venuti l'una e l'altro ad una leale precisa intesa, convennero che i loro programmi divergano in un punto essenziale. Con perfetta pace quindi ed in caritatevole amistà, come si conviene a buoni servitori d'uno stesso Padrone, si separarono. E il Palazzolo se ne tornò a Bergamo conducendo seco i suoi due ragazzi. Le secessioni, sempre deprimenti, sono a volte addirittura contagiose. Tredici giorni dopo tutti gli altri si ritirano, eccettuato un certo Armati, unico collaboratore di Fratel Capponi. Perché tutti avevano frainteso anch'essi il pensiero della Fondatrice. Anziché attendere ai lavori campestri e sorvegliare gli operai che si assumevano a giornata se ne stavano ritirati nelle loro stanzette, intenti ad altre buone occupazioni, non certo proficue al miglior andamento della piccola famiglia. Tali fatti dolorosi verificatisi sul bel principio dell'opera dovevano certamente affliggere la buona Madre e tenerla in angustia, sia per la sorte del caro Istituto appena nato, sia per la pena che avrebbero arrecato ai superiori i quali, pel precipitare delle cose non Biografie 207 opera omnia erano stati tempestivamente avvertiti dell'accaduto. “Che penseranno di questa separazione? - chiedeva la Madre alla sua fida Suor Luigia io non so che dire - aggiungeva, ma preferisco veder annientato tutto anziché male avviata l'opera”. E scrive al canonico in data 13 novembre 1863: “Da Don Luigi (Palazzolo) avrà inteso l'incaglio succeduto nell'avviamento della nuova casa; il motivo ne è stato l'arrivo di un nuovo fratello e d'un ragazzo condotto da lui, entrambi contrari allo scopo della nostra istituzione. È vero che io stimolata da Don Luigi acconsentii che prendesse un altro soggetto ed anche qualche orfano, ma però contro voglia, poiché lei sa quanto io sia contraria ad accrescere per ora il numero della nuova famiglia, volendo prima vederne la riuscita, come mi disse anche Mons. vescovo. Credevo però che il nuovo soggetto fosse ortolano e bravo agricoltore, per questo mi lasciai convincere; invece solo a vederlo conobbi che era tutt'altro; così il giovinetto è figlio unico ed ha viventi entrambi i genitori; è piccino, per qualche anno conviene quindi mantenerlo senza cavarne frutto a danno di tanti poveri orfani che qui in paese sono in pericolo e muoiono di fame. Non so dire quanto ciò mi rammaricasse, vedendo sin da principio che indeboliva la base del nostro edificio, senza dire il danno che recano alla casa i primi venuti i quali, toltone il Giovanni, non si sono impegnati nell'arte agraria come era loro dovere. Per questo motivo ho creduto bene chiamarli e rimproverare ad essi la loro negligenza e spiegar i loro doveri e il fine pel quale furono qui condotti. Che impressione può fare al paese un'accolta di uomini così inoperosi? E quale soddisfazione ne avrebbe lo stesso signor canonico che essendosi tanto interessato, non avrebbe speranza d'ottenere lo scopo prefisso? Il Rev. Don Luigi non si trova qui, non può quindi vedere le cose nel loro vero aspetto, né calcolare la spesa che importa l'aumento di soggetti non abili allo scopo ideato, tanto più poi sugl'inizi. Il Rev. Don Luigi è un santo sacerdote e pensa da santo, ma io credo che altro voglia il Signore da lui ed altro da me, perché seguendo la sua idea sento che mi distacco e vado contro a quanto il Signore m'ispira di fare; e sarei disposta ad abbandonare tutto che proseguire in tal maniera. “Ecco, Rev. Signor canonico, il resoconto di tutto, e prego Lei in cui ho tutta fiducia perché, conoscendomi da tanto tempo, voglia sostenermi coi suoi consigli, e liberarmi dai lacci che m'impediscono il proseguimento dell'opera intrapresa secondo le mie idee. Lei solo è chiamato da Dio e da S. Giuseppe ad aiutarmi a proseguire in questo, e non stia a raffreddarmisi per l'accaduto”. Biografie 208 opera omnia “Il solo Giovanni e l'Armati che furono si può dire i primi prodigiosamente chiamati, sosterranno - non ne dubito - l'edificio, e lei con lo spirito che Iddio le infonde ne sarà l'anima, come fu con noi... Perdoni tanti disturbi e raccomandandomi alle sue orazioni, specialmente in questo momento, mi segno. Di Lei Rev. canonico Umilissima serva - Suor Paola Elisabetta Cerioli”. Una seconda lettera più o meno d'ugual contenuto partì per il vescovo. Le due risposte non tardarono a giungere. Quella del canonico quale la prevedeva. Questi, già informato della cosa, - e a viva voce, dal Palazzolo, per il naturale fenomeno d'esser prevenuto, diede ragione a chi primo depose. Si allarmò si rammaricò e scrisse a Suor Paola mostrandosi non poco dispiacente dell'accaduto, e non risparmiandole un rimprovero per non aver essa proceduto con la calma e la prudenza necessaria. Suor Paola è profondamente addolorata d'essere stata cagione involontaria di tale rammarico al buon canonico; però, ferma nel suo divisamento, è certa che passato il lieve turbamento, egli tornerà a lei padre e sostegno come sempre meglio che pel passato. Ciò che accadrà infatti e presto. Per buon compenso, dietro la lettera del Valsecchi giunge la risposta del vescovo, di ben altro tono, segno evidente che Suor Paola Elisabetta non è sola a sostenere il suo punto di vista, ma ha con sé e per sé l'autorità la saggezza del suo Pastore. Bergamo 5 dicembre 1863. Carissima in Gesù Cristo S. N. , Ringraziate Iddio che sul bel principio ha cominciato a dimostrarvi che vuol pensare lui a provveder bene per la nuova istituzione che voi avete incominciato. L'aver fatto subito sorgere tanto che servisse a purificare la scelta dei soggetti è grazia che dimostra la Sua divina Volontà; ed è benedizione e favore distinto; tanto più se anche quelli che si sono ritirati tosto hanno ben capito e fatto il loro passo con armonia; e tanto più se quelli che restano sono di lena e si sostengono bene nello spirito. Questi pertanto facciano alla meglio che san fare, e si ricordino che il loro è un buon esperimento, il quale giova in tutte le maniere; e strada facendo vedranno meglio quello che Iddio vuole per loro e per voi altre. E voi altre dovete consacrarvi bene al Signore e al suo servizio con tonalità d'offerta e di sacrificio, senza riserva alcuna per voi stesse abbandonarvi interamente alla cura ed amor suo. E non avete a temere, perché Dio non manca e non abbandona mai nessuno. Adesso offritevi per mezzo della Beatissima Vergine Immacolata, che avrà così piacere di darvi al suo Figliuolo. Voi Biografie 209 opera omnia particolarmente tirate avanti con la testa nel sacco. Saluto tutti e vi benedico per quanto posso. Aff. mo Pier Luigi Speranza - vescovo. La seconda lettera di Mons. Speranza, del 17 dicembre, che ne suppone altra esplicativa di Suor Paola Elisabetta, è ancora più chiara e meglio sedativa. “Carissima in G. C. Nostro Signore. Stia Quieta. Quando ha fatto quello che credeva bene e di puro suo dovere dinanzi a Dio per massima stia sempre quieta. Nel particolare di quello che mi ha scritto, mi pare che abbia ordinato bene; e credo che gioverà specialmente sul principio; perché non bisogna che s'illudano, né che credano di esser chiamati agli ozi della contemplazione; ma a lavorare, a sacrificarsi pel dovere e stentare e tribolare. Non si santifica l'anima a mettersi a guardare il Signore quanto è bello; ma a spogliarsi e morire con la divina grazia a tutto e a se medesimi, a praticare la virtù e con fatica d'anima e di corpo e con sudore e stento. Allora la creatura nostra vecchia si strugge e si forma la nuova secondo il cuore del Signore, cui sia gloria ed onore per sempre. Preghi e faccia pregare e confidi che non mancherà l'assistenza di Dio. Aff. mo Pier Luigi Speranza - vescovo”. A leggere tali parole Suor Paola Elisabetta respira e continua animosa per la sua strada risoluta più che mai col suo programma. Mons. Valsecchi, saputo il pensiero del vescovo, cominciò a comprender meglio la Fondatrice e l'immobilità delle sue idee, e tutto si concluse col fatto che lui stesso dietro incarico del vescovo e designazione di Suor Paola si accollò l'ufficio di superiore dell'Istituto maschile, ufficio che riterrà per ben quindici anni sino alla morte che fu nel 1879. Frattanto il Cielo in segno di compiacimento provvedeva con sollecitudine a riempire i vuoti lasciati dai seceduti. Nuovi e buoni soggetti si presentarono e perseverarono sotto la guida ottima di Fratel Capponi, il quale unico aveva compreso subito e a pieno lo spirito dell'opera e si studiava con fedeltà a realizzarlo. Tutta la fiducia della Madre era riposta in lui; e ne era ben degno per la scrupolosa diligenza con cui ne seguiva direttive e ordini dipendendo assolutamente da lei e dal canonico superiore per la parte spirituale morale e tecnica. È facile immaginare come la Fondatrice si sentisse incoraggiata a continuare, nonostante la incertezza e le prove degl'inizi; e vedendosi così benedetta da Dio a sua volta benediceva incessantemente la divina bontà per aver realizzato i suoi voti secondo lo spirito e le direttive ispirate da Lui. Biografie 210 opera omnia In questo momento di respiro e di quiete ella può ben dedicarsi allo sviluppo delle due famiglie, curandone come sempre l'incremento spirituale materiale e tecnico. Il lettore avrà rilevato come la Madre Cerioli, subito dopo i suoi altissimi fini soprannaturali, non abbia altro pensiero che più la preoccupi quanto la vita l'arte agraria, che in lei prende forma di passione rettamente fomentata quale mezzo all'ultimo fine. E si consacrava ad esso con entusiasmo concedendole al possibile - dal tetto in giù - preferenze e preoccupazioni, provvidenze e scritti. L'agraria d'un buon secolo indietro non può essere neppure avvicinata a quella odierna. Assurta all'onore di scienza, costituisce oggi una delle branche di specializzazione dell'economia sociale; ed ha tale importanza da contare a proprio titolo: scuole, istituti internazionali, stazioni sperimentali, università, cattedre e persino 177 nell'amministrazione degli Stati un dicastero suo proprio . Allora era ben altro. Di fatto se intorno alla Cerioli si suscitarono meraviglie e diffidenze per la nuova istituzione, ciò si dovette in gran parte alla mentalità del tempo che riteneva l'arte agricola come un'arte secondaria, e l'agricoltore quasi una sottospecie umana, la cui abilità sta tutta nel voltare e rivoltare le zolle senza nulla capire delle arcane forze della terra che razionalmente coltivata infallibilmente rende migliorati e moltiplicati beni. Il contadino poi era schivato quando non era disprezzato. Certo le mani callose i gesti pesanti i modi ordinari l'ingenua timidezza delle genti campagnole non attraggono; ma un occhio cristiano che le guardi, come li guardava la Madre Cerioli, squarciando i cenci e superando il lezzo della miseria, sa vedere quanto bene quanto merito - e spesso quanta intelligenza - si nascondono in quelle povere creature verso cui la società ha tanti debiti e che è pur tanto restia a riconoscere e saldare. La nostra Madre oltre essere un'anima di forti elevazioni spirituali, conosceva l'ingiusto e dannoso fenomeno sociale; nel suo nobile animo lo deplorò, non con sterili querele, ma con operosa e fattiva reazione. Con accorata tristezza vedeva lo stato di abbandono e quasi di disprezzo, in cui era lasciata la classe rurale e la stessa agricoltura. La terra, sfruttata, esausta da una millenaria lavorazione senza che mai le si renda ciò che le si strappa, riesce appena a 177 In alcuni seminari d'Italia oggi s'impartiscono lezioni di agraria, per impreziosire l'erudizione dei giovani sacerdoti destinati alle parrocchie, onde possano consigliare e guidare i loro parrocchiani. Biografie 211 opera omnia produrre il necessario per sfamare le povere famiglie degli agricoltori, che sognando migliori fortune disertano in massa le campagne e la patria per emigrare all'estero o rifugiarsi nelle città, ove, anziché trovare fortuna, incontrano la miseria la fame più nera e finiscono col perdere ogni bene la vigoria del corpo la salute morale e spirituale. Un secolo fa la Madre Cerioli fece scrisse insegnò quello che nessuno avrebbe osato, perché nessuno avrebbe il coraggio di tessere idilliaci elogi della vita campestre come ella li scrisse portando ad un grado di aristocrazia spirituale che si consacra alla vita di lieta e serena operosità nei campi. Ella pur vivendo tra gli agi dal suo nobile castello, come nella silente pace del convento, ha gettato sguardi presaghi nel futuro ed ha percorso i tempi con i suoi salutari precetti per una più intensa e razionale cultura della terra. Sfogliando la sua corrispondenza i suoi libri di direzione, specialmente il direttorio, sempre le sue parole son pervase da un senso quasi di culto per la campagna: prima ed immensa fonte di ricchezze concessa dalla munificenza divina all'uomo. E di questo culto ella ne ha fatto scuola insegnamento autentica pedagogia agraria. Sembrerebbe superfluo - e non lo è - ripetere qui l'insistenza di lei nell'inculcare suggerire imporre alle sue religiose le più perfette norme di agraria allora conosciute, per la migliore riuscita ed un più ricco rendimento del lavoro per le orfanelle. Tanto modesta e schiva di clamori e di esibizioni, - ci dice Suor Luigia Corti - eppure “desiderava assai di avere qualche religiosa di mente vasta e che avesse inclinazione all'agricoltura. Diceva che queste riescono di grande utilità all'Istituto, essendo che da esse ne potrebbe cavare gran frutto dalle terre, da tutte le case nostre coltivate. Se vedeva qualche religiosa aver poca inclinazione per l'arte agraria la chiamava spesso, la correggeva e cercava in tutti i modi di 178 fargliela amare . Parlava tanto volentieri di agricoltura e quando trovava persone che fossero perite in quest'arte ed avessero cognizioni e talenti, o fatto studi intorno a ciò procurava d'istruirsi bene e poi lo notava nel suo quaderno di appunti. Quando cominciava ad internarsi nelle bellezze della natura s'infervorava 179 tutta che sembrava avesse sempre studiato tali cose” . 178 179 Proc. Ap. Vita. pag. 394, p. 5. Proc. Ap. Summ. Vita, pag. 798, paragr. 178. Biografie 212 opera omnia Nel suo “Direttorio” ella dedica due capitoli, il IV intorno alla suora direttrice generale d'agraria, e il XI per la direttrice locale della stessa specialità, a cui assegna il primo posto dopo la superiora. “La direttrice generale deve possedere un amore speciale per l'agricoltura, dev'esser di talento e intraprendente, di mente sveglia ed attiva, di carattere franco e superiore ad ogni umano rispetto, peritissima dell'arte agraria in modo che sappia far eseguire a tempo e luogo i lavori dei campi, come si pratica dai più esperti agricoltori. Ad essa dovranno ricorrere - quando è necessario - per istruzione e consiglio, le superiore e direttrici d'agraria locale, per le cose che si riferiscono a questa materia. Nella casa ove risiede è suo compito istruire le Figlie di S. Giuseppe nei lavori pratici di campagna, dare cognizioni di teoria, perché conoscano le qualità delle terre, l'influenza dei climi e degli elementi sulla vegetazione, i vantaggi generali e particolari che apporta l'agricoltura alla ricchezza, al commercio, al bene morale e fisico degli uomini. È pure suo dovere tener registrate tutte le cose che riguardano l'agricoltura, le qualità e quantità delle terre coltivate tanto nella casa ove risiede quanto nelle filiali. Tenga nota dei prodotti e delle spese per le migliorie e gli attrezzi necessari al buon andamento e progresso dei lavori. Farà osservare esattamente le regole per il tempo del lavoro dei 180 campi, per la custodia degli animali da lavoro e da allevamento” . Affini all'agricoltura sono gli uffici di orticultrice, floricultrice e di governatrice di animali. La flora, la fauna, la botanica, la zoologia, - specialmente l'apicoltura ed il prezioso ma delicato lavoro intorno ai bachi da seta riempiono intere pagine del suo “Direttorio” per impartire suggerimenti consigli e norme quali oggi si leggono nei migliori trattati scientifici o manuali pratici di tali specialità. E pensare che tali cose escono dalla stessa mente che spazia nei cieli dell'orazione che discorre magistralmente di perfezione e virtù che è tutta invasa di Dio. Senza sforzo senza difficoltà discende dalle sue contemplazioni e lascia il buon Dio per confondersi tra le sue care orfanelle, e togliendo in mano un fiore un frutto un qualsiasi prodotto od elemento agricolo, mentre lo analizza e lo esamina ne tesse la più semplice e razionale dissertazione, ne fa il più pratico e proficuo studio perché con discreta abilità ella vuol insegnare alle sue creature la perfezione e la precisione del loro lavoro che deve essere non solo 180 Dirett. Parte II. Cap. V, pag. 88 e Cap. XI, pag. 128. Biografie 213 opera omnia di zappa e vanga, ma pure arte e studio precedenti dall'intelligenza e dal cuore. Mille e mille volte scendeva a trovar le sue care Figlie sparse per i campi al lavoro, e portava loro merenda; sedutasi anch'essa all'ombra d'un albero distribuiva il cibo, poi cominciava calma e serena a narrare la storia edificante degli antichi patriarchi cui inseriva bellamente una lezione di agraria. Dopo ciò le rimandava al lavoro tutte liete per aver appreso da lei ad amare di più la loro 181 condizione . La sua competenza agraria ammirabile e invidiabile la ripete è vero dalla prima educazione familiare, per avita tradizione doviziosa cultrice di campi, ma soprattutto dal suo appassionato amore per la terra “che è - come ella commenta - la prima madre la più fedele amica l'unica nutrice dell'uomo. La terra, sorgente della prima ricchezza nostra, e che, oltre ad alimentarci ci ingagliardisce ci conserva; essa sarà l'ultima buona ospite che accoglierà nel suo seno l'opera delle mani di Dio, plasmata dell'argilla dell'Eden, vivificata dal germe dell'immortalità per ridonarla nell'ultimo giorno alla 182 incorruttibile resurrezione eterna!” . La saggia Istitutrice nel suo grande amore per le Figlie e per la loro condizione divinando e prevedendo il progresso dei tempi - che non lasceranno cadere gli allarmi e i moniti dati con tante opere - ha concesso ai suoi eredi somma libertà e pieno consenso di abbracciare tutti i perfezionamenti tecnici chimici meccanici, che apriranno orizzonti nuovi all'agricoltura e la porteranno ai fastigi di una scienza. Progressi e migliorie che se fossero stati da lei conosciuti, sarebbero stati con immenso entusiasmo abbracciati a rendere più ricco e proficuo il suo santissimo apostolato. Ma quanto non vide nell'esilio oggi lo contempla - e può compiacersene - dall'altissima sede della beatitudine. I Figli e le Figlie, fedeli al suo comandamento, hanno portato oltre i desideri la perfezione di un'arte che glorifica Iddio e letifica il cuore dell'uomo. Dal Cielo ella vede i beni feraci copiosi che si colgono dal suo apostolato e dal suo magistero. Uscendo dalla cara terra bergamasca e volgendo i passi verso varie regioni d'Italia a piantarvi i loro eleganti giardini, pervenuti sino a Roma, la Città sacra e santa, i Fratelli della S. Famiglia hanno ricevuto in consegna una porzione di terra che è privilegiata 181 182 Proc. Ap. Summ. Vita, pag. 394 - par. 6. Direttorio. Parte III. Cap. III, pag. 152. Biografie 214 opera omnia proprietà del Vicario di Cristo. Essi hanno l'onore di coltivarla, irrigarla col loro sudore e cogliervi i frutti di letizia: quei frutti veramente benedetti che hanno il privilegio di adornare la mensa di chi tiene sulla terra le veci del divino Pastore del celeste Agricoltore di anime. Il sussulto di compiacenza della grande Madre dev'essere inenarrabile. La sua splendente umiltà le farà dire: “Non nobis, Domine!. . non a me la gloria, perché io ho soltanto piantato... Voi, o Signore, Voi 183 avete benedetto tutto!” Ma può ripetere altresì in piena ragione mostrando con giusta compiacenza le sue creature: “Ecco i miei figli odorosi quasi campo fiorito, cui Iddio ha sorriso con le benedizioni del cielo e la feracità della terra nell'abbondanza del frumento e del 184 vino” 183 184 Salmo 113. Gen. 27-22. 31. Biografie 215 opera omnia Biografie 216 opera omnia CAPITOLO XXV Orando ed arando nel campo di Dio Se si considera le densità del lavoro prodotto da Suor Paola Elisabetta solo in un decennio (1856 - 1865), tutto il tempo concessole per fondare stabilire propagare i due Istituti della S. Famiglia; tenuto conto dei suoi non lunghi ma ripetuti viaggi; racchiusi sempre nel bergamasco, della copiosa corrispondenza, degli scritti spirituali e pedagogici, si trova che tutto questo lavoro è prodigioso per quantità eccellente per qualità. Restringere e dettagliare tale attività, senza l'aiuto di diari o memorie che almeno cronologicamente le coordinino, è cosa difficile se non impossibile. Comunque, rifacendoci sempre alle preziose note della Madre Corti, ci studieremo di cogliere la nostra protagonista nei momenti più luminosi della sua raccolta spiritualità della sua operosità mirabile, che in quest'ultimo scorcio di vita danno luci più vive e calde d'intimo raccoglimento, d'inestimabili dovizie interiori. Non va dimenticato che se ella attende con un impegno che non si uguaglia alle migliori provvidenze per il bene altrui non trascura se stessa. E meglio non lascia in disparte il divino Ospite che con tanta compiacenza ha fissato la propria dimora nell'anima sua, dì e notte vigilante a tener fornita la lampada dell'olio di carità, tutta ardente nella trepida attesa della mezzanotte quando verrà lo Sposo a chiamarla. Il suo programma di vita immutato è quanto mai semplice: senza complicazioni d'intricate cose che leghino ad interessi affari amicizie dissipanti ove non si coordinino al supremo fine: pregare e lavorare. Biografie 217 opera omnia E poiché conosce l'arte di pregare, ed ha un lavoro ben definito e circoscritto il suo programma di vita si riduce a due azioni essenziali: orare ed arare nel campo assegnatole da Dio. La sua orazione ognora perfetta ed intensa, la tiene abitualmente congiunta a Dio, solo cibo e respiro dell'anima sua intenta ad abbellirsi di virtù. Il suo arare nel mistico campo è affondare nel profondo degli spiriti i principi basilari della perfezione religiosa; gettar sempre nuove sementi di bene e benessere che fruttificheranno nelle stagioni venienti, quando tornata al celeste Padrone, altri verranno a mietere nell’esultazione le messi seminate nel travaglio dello spirito. Primo canone di personale direzione è perfezionarsi; lavoro per i santi mai esauribile. Allo scopo s'è provvista da tempo d'un buon mezzo per tener presente del continuo il dovere di disciplinarsi correggersi dei propri difetti. Ha dato esplicito incarico alla fedele Suor Luigia di avvertirla sempre d'ogni manchevolezza senza riguardi o rispetti alla dignità e autorità di Madre Fondatrice. “In questi ultimi anni - dice con tanto candore la buona correttrice d'ufficio - mi trovavo in un bell'imbarazzo. Ella era tanto delicata di coscienza, tanto attenta e premurosa di avanzarsi nella perfezione, che notava le cose più minute; io non sapevo più che maniera adoperare per liberarmi dal dovere d'avvisarla dei suoi difetti. E siccome non arrivavo a conoscerli per essere impercettibili, cercavo di starmene lontana da lei più che potevo. Quando mi diceva che era caduta in questo o quel difetto, e perciò era più addolorata, io non sapevo che rispondere, perché quei difetti mi sembravano piuttosto virtù; e dopo d'essermi in qualche modo sbrigata, io restavo più inquieta e confusa di lei, e mi dicevo: - Poveretta me! se questo è difetto, quali saranno le virtù? “La sua vita - prosegue Suor Luigia - era sempre una continua annegazione di se stessa, un distacco pieno anche dalle più piccole cose. Io l'ho tutte in mente ed impresse nell'anima le sue grandi virtù, e la stimo una delle anime più sante che ha poche pari; e non sono sola io a dir così, ma così mi dissero persone delle più dotte e sante che ebbero la sorte di avvicinarla. Ma le virtù di quest'anima erano nascoste e del tutto semplici, cioè della semplicità di Gesù Cristo, non luminose all'esterno non singolari e peregrine, non scomposte, non affrettate con esterna violenza, ma tutte assai naturali, senza strepito, senza pompa, senza dar segno né con parole, né con volto mesto della menoma violenza, come se ella tutto operasse seguendo la stessa Biografie 218 opera omnia natura; e perciò che io nello stendere queste memorie mi trovo sempre in imbarazzo, temendo che per essere io incapace a discernere una virtù così fine e di darle il pregio che merita, ne soffra la stima 185 dovuta a colei che la praticò” Come si vede, Suor Paola Elisabetta, da buona e intelligente alunna di S. Francesco di Sales, aveva come lui la predilezione per le virtù semplici. “Io amo le virtù reputate umili e piccole - dice il santo Dottore che nate ai piedi della Croce non hanno di che attrarre l'occhio della gente. Tali sono l'umiltà la dolcezza, il sopportare i difetti del prossimo l'amorevolezza e accondiscendenza al volere altrui la semplicità la modestia. Queste virtù sono le più odorose ed asperse del sangue di Cristo mortificano e santificano il cuore nostro più che i cilizi le discipline e le altre mortificazioni esteriori che fan sembrare santi chi le pratica. Siate sempre piccola, e rimpicciolitevi ogni dì più agli occhi vostri. Oh Dio! che bella grandezza è mai questa piccolezza!” Ornamento e profumo particolare - diremmo personale di tutte le virtù di Suor Paola Elisabetta è precisamente la più disinvolta semplicità, fiore vaghissimo che sboccia spontaneamente in un'anima davvero amante di Dio: la semplicità che al dir del P. Segneri è quella purità di pensieri parole ed opere ed è candore di anima che va diritta alla verità al dovere a Dio. In lei la semplicità trasparisce nel tratto gentile ma senza cerimonie; nella sobrietà del parlare che in poche parole condensa molti sensi; quando con una speciale sortita non condisce i suoi discorsi. Ha dintorno a sé qualche religiosa che arieggia a cultrice di grande perfezione, ed ella tra il faceto e il serio, la richiama così: “Ah già: voi o santa o nulla! A voi piace il più perfetto. Guai! Voi siete chiamata per salire all'apice della perfezione; ma badate di non intontirvi, perché cadendo da così grande altezza vi rompereste il capo!... Noi al contrario ci accontentiamo di andar piano piano zoppicando così alla buona!”. In tal guisa condite di amabilità e saggezza le fioriscono sul labbro mille sentenze che la rendono a tutti molto cara e ricercata. Ed ecco come trascorrono le sue giornate: “Da mattina a sera sempre occupata. Cominciava la sua giornata con adempiere i doveri verso Dio. Si levava alla sveglia di comunità. Vestendosi aveva grande modestia e appena vestita s'inginocchiava ad offrire tutta se stessa in sacrificio a Dio; e vi stava per circa mezzo quarto d'ora immobile e come assorta in Dio. Indi componeva la sua stanza ed il 185 Proc. Ap. Summ. Vita, pag. 903. 904... paragr. 470. Biografie 219 opera omnia suo letticciuolo che era in tutto simile a quella che da tutte noi si costuma... Fatto ciò che spettava alla pulizia, al suono della campanella si recava in chiesa con grande sveltezza, con volto raccolto e indicante il desiderio di andare al suo Bene. Indi cominciava l'orazione di comunità che dura colla S. Messa un'ora e mezza. Dopo sortiva con le altre per la colazione che era per lei un fastidio non avendo mai appetito. Contava i bocconi che compongono un panetto, e in ricreazione diceami ridendo: - Quando faccio colazione conto i bocconi che d'ordinario sono venti. Ti dico che è proprio un fastidio finirli tutti; ma mi sforzo perché non voglio fare la singolare. Guai! noi donne per scimmiottare siam fatte apposta. Dipoi ella ritornava in chiesa a terminare le sue orazioni particolari, fintantoché si dava il segno di riunirci tutte per ricevere gli ordini. Così, accomodata ciascuna di noi al suo posto, ella restava sola e subito si metteva a disimpegnare i suoi doveri: rispondere alle lettere, accomodare gli affari di casa... ascoltare le monache, e se le avanzava qualche ritaglio di tempo lo impiegava nello scrivere (ciò che ora abbiamo tanto caro di leggere) cioè il compendio quale sia lo spirito nostro e come dobbiamo acquistarlo. Indi veniva con noi alla visita che si fa in chiesa avanti il pranzo, e poi dopo aver pranzato interveniva alla ricreazione, ed ella formava tutta la gioia della comunità. Dipoi ancora la visita indi si ritirava nella sua stanza ove restava per tre quarti d'ora seduta al tavolo, leggendo o manoscritti o vite dei santi, oppure a volte la trovavo che lavorava come in atto di riflessione. L'estate, in questa ora, soltanto quando si sentiva indisposta si lasciava cadere per un quarticello sul suo letticciuolo, ma vestita con l'abito così pesante, che si può immaginare come prendesse riposo, essendo così caldo e tanto che non voleva mai che le si chiudessero le finestre, e così tra il caldo e le mosche che aveva in stanza, quello non si poteva dir riposo, ma fastidio. Per quanto noi la pregassimo di spogliarsi e riposare non ci si poteva mai indurre. Si capiva che si prendeva questo breve respiro, non per riposare, ma per trattenersi con Dio, e come per riepilogare le forze pel restante del giorno. Ed anche in questo riposo era raro che non venisse disturbata da qualcuno; e quindi, appena in stanza, era chiamata per andare or qua or là, ed ella senza affatto scomporsi, lasciava tutto per servire altrui. All'ora della lettura, che si suona subito dopo questi tre quarti di sosta, era pronta, e sempre la prima. Dopo la lettura si fermava un poco a lavorare o a conferire con noi di cose riguardanti il buon andamento della vita spirituale, sempre tirando motivo della lettura fatta. Indi tutta sola se ne andava in chiesa per un'ora circa davanti al Biografie 220 opera omnia SS. mo Sacramento. Faceva la Via Crucis, che non tralasciava mai, e recitava le sue orazioni vocali; il rimanente lo passava lì come astratta a guardare il tabernacolo, e senza accorgersene disgiungeva le mani e le teneva aperte come in atto di ammirazione al riflesso del gran Mistero. Tutto il volto le si infocava e sembrava che si satollasse della divina bontà. Poi sortiva di chiesa tutta raccolta e festosa insieme, e andava a fare una visita a tutte le officine e ai posti di lavoro; e a chi insegnava, e chi consigliava, chi ammoniva; insomma ella arrivava dappertutto. “All'ora della meditazione della sera vi interveniva anche lei, sempre. Solo quando ne era impedita la tralasciava, contenta però più di fare la volontà santa di Dio che tutte le meditazioni. Interveniva pure al S Rosario la sera, e non potendo recitare in comune, non andava a riposo senza averlo prima recitato. Dopo cena interveniva alla ricreazione di comunità. Tante volte si scorgeva che non poteva più reggere in piedi, ed io la consigliavo a ritirarsi un po' prima: - No, no - diceva - non conviene, farà presto a passare questo tempo - ed era lei che intratteneva tutte le altre allegre. Dopo l'esercizio in comune se ne andava a letto, a meno che non avesse ancora da sbrigare la corrispondenza, cosa che spesso le succedeva; e spesso dopo che tutte le suore erano andate a riposare ella perlustrava tutta la casa, per vedere se tutto fosse a posto. Prima di coricarsi stava circa un quarto d'ora pregando; infine con grande modestia si metteva a letto. Io che alle volte dormivo nella stessa stanza notavo che stentava a prender sonno, e intanto continuava a pregare con grande ardore. Svegliandosi di notte, ciò che era di frequente, di nuovo pregava, e chiedendole io al mattino, perché dormisse così poco, mi rispondeva: - Faccio il primo sonno e poi mi sveglio, e se non procuro di scacciare ogni pensiero, non posso più prender sonno. – Alle volte mi diceva: Se svegliandomi mi si affaccia il pensiero dei giudizi di Dio, temo di addormentarmi per svegliarmi nell'eternità. - Questo timore si vedeva che era per lei come un preavviso del genere di morte che le era destinata. Di fatti fu così. Però non la prevedeva così vicina, giacché ella non pensava di morire così presto. E forse il Signore le risparmiò questa precoce rivelazione onde il timore stesso non l'avesse fatta morire prima del tempo. E diceva la benedetta Madre di non comprendere come si possa coricarsi la sera con l'anima gravata, non dico già di colpe mortali, ma soltanto con lievi colpe di astii, collere, puntigli... Suggeriva sempre alle Figlie di non andare a riposo senza aver fatto la pace con gli altri... - perché se andiamo al tribunale Biografie 221 opera omnia di Dio, come ci perdonerà le offese che abbiamo fatto a lui, se siamo 186 così duri con i nostri offensori?” . Ella per suo conto stava in pace con tutti, e quando sapeva che qualcuno avesse qualche astio o risentimento, anche ingiustificato, verso di lei, cercava presto di rappacificarlo. A questo proposito c'è da dire che ella ebbe non poco a lottare e soffrire tanto all'interno della casa quanto all'esterno, con persone che misero a prova la sua virtù ed affiorarono assai i suoi meriti. Nel convento di Comonte mantenne come cappellano un certo D. 187 Antonio Tassis , vecchio e santo prete, che dai tempi del suo defunto marito conveniva nella loro casa, e che ella, per deferenza al nome, aveva trattenuto con le stesse mansioni allorché la casa si trasformò in convento. Il buon prete che invecchiando faceva sentire ognor più il peso dei suoi anni, era un uomo all'antica con idee molto arretrate e devozioni tutte sue proprie. Quando si ritrovò col proprio ufficio tramutato da cappellano aulico in cappellano di comunità, non sapeva adattarsi al nuovo genere di vita, opposto alle sue abitudini patriarcali, non solo; ma non poteva persuadersi che la decisione presa dalla signora Padrona - che pur tanto stimava ed amava - fosse il meglio per lei e per tutte quelle persone che si era tirate dentro casa. Bisognerebbe ascoltare qui dalla penna della Madre Corti la serie tragica ed amena delle proteste recriminazioni scontri e a volte anche affronti che il sant'uomo indirizzava alla piissima dama e superiora degnissima. L'ammoniva in pubblica predica dinanzi a tutti; criticava il suo operato le sue beneficenze i suoi metodi le sue prescrizioni; faceva mancare alla comunità la Messa, perché le sue abitudini non si accomodavano con gli orari di quella. “E poi - borbottava - si può far del bene senza tanta rivoluzione... avvezzare queste contadinelle come tante signorine!” E vedeva sempre la ricca signora ridotta sur un fienile per aver consumato casa e sostanze in pro di tanta gente... E conchiudeva con due immutabili ed accorate sillabe: “Non va! non va!”. Il contegno di Suor Paola Elisabetta con questo venerando servo di Dio fu edificante e virtuoso in modo eroico. Oltre sopportare le stranezze del povero vecchio, doveva tener quiete le Figlie che protestavano e avrebbero voluto liberare la casa di quel fastidioso peso... Ella invece con tutta pazienza non s'indusse mai a questo, lo 186 187 Proc. Ap. Summ. Vita. 828. 829. 830. 831. pp. 256-267. Secondo altri sarebbe Don Agnesis, prete oriundo di Spagna, e curato di Comonte (Proc. Ap. Summ. pag. 280. paragr. 197). Biografie 222 opera omnia sopportò oltre ogni limite: ora con un sorriso ora con una facezia, spesso con una bella massima di virtù lo fece tollerare anche dalle sue religiose ed infine ottenne la vittoria di vedere il vecchio prete 188 guadagnato tutto alla sua causa . All'esterno però le tribolazioni erano più preoccupanti: persone dotte e qualificate che avevan sempre da ridire sull'opera di lei nonostante i suoi visibili vantaggi. Se non c'era nulla da appuntare sul suo onore avevan tutto da dire della sua discrezione e prudenza. Altri si premuravano di offrirle generosi e disinteressati consigli suggerimenti per lei e per le suore, per le orfane. “Ella - ci dice la Madre Corti - che era veramente umile e ben fondata nella virtù, non altercava non si faceva stizzosa anzi stimava codesti avvertimenti come buoni in generale, ma non atti per lei e pel suo scopo, quindi con bei modi si scusava; di poi faceva né più né meno di prima, perché ci diceva: - Noi ascoltiamo tutti, ma facciamo soltanto ciò che dice Mons. vescovo e il molto reverendo canonico e tutto andrà bene... Il Signore ha dato i suoi lumi a questi sul come deve esser fondato il nostro Istituto; lasciamo dire tutti, e poi un giorno tutti vedranno il buon esito dell'opera sotto la guida di codesti santi 189 uomini e ne daranno gloria a Dio” . Un altro sacerdote venne un giorno a farle acerbi rimproveri perché ella non intendeva trattenere nell'Istituto una sua penitente da lui giudicata adatta a monacarsi: mentre la Madre opinava il contrario. E giù un diluvio di arroganti ed irriverenti rimproveri. Infine le chiese: “Ebbene non è ancora convinta del suo torto?” E la Madre serena tranquilla risponde di esser ben convinta di meritare tutti quei rimproveri; ma di una sola cosa non esser convinta quella di dover ritenere la sua raccomandata. La Madre Corti presente al colloquio, dopo si lamentò con la Madre perché non avesse reagito a quel diluvio di rimproveri. Ella amabilmente: “Sei proprio una pettegola se dai peso a tali inezie. Il buon sacerdote è lodevole pel suo zelo e fa tutto a buon fine, ma non 190 conosce i nostri regolamenti. Se tu lo biasimi sei più cattiva!” . “Su questo - conclude la Madre Corti - era rigida a ferma come un marmo”. 188 189 190 Proc. Ap. Summ. Vita, pag. 851... 857. paragr. 327... 342. Il venerando sacerdote morì nella casa di Comonte l'anno 1862, devotamente assistito da Suor Paola Elisabetta e dalle sue religiose. Così con lui venne ad estinguersi il ramo della famiglia Tassis. Proc. Ap. Suppl. Summ. pag. 213. Proc. Ap. Suppl. Summ. pag. 213. Biografie 223 opera omnia In mezzo a tante edificanti cose cadono altri fatti che interessano la nostra storia, e che qui li riprendiamo sin dall'anno 1862. Mentre Suor Paola Elisabetta è tutta intenta al consolidamento del suo Istituto e si preoccupa della prima fondazione del ramo maschile, la contessa Dedei non ha deposto l'idea di voler condurre la Fondatrice a Leffe suo paese nativo, per vedere se dalla sua casa si potesse ricavare un bel convento di suore con relativo orfanotrofio. Munita della debita licenza la Madre aderì all'invito, e nell'autunno del 1862 partì alla volta di Leffe. Vi si recò in abito secolare per non dare sull'occhio a quelli del paese, accompagnata da Mons. Valsecchi e da una novizia. Appena giunta si portò alla casa offerta che si trovava proprio nel cuore del paese, quindi sprovvista d'un po’ di terreno indispensabile allo scopo essenziale; per tal motivo non si poté concretare nulla. Però la Dedei presentò subito un'altra sua proprietà, situata fuori dell'abitato meno comoda forse ma più atta allo scopo, e per di più affiancata da una graziosa chiesetta, fornita di tutti gli arredi sacri necessari. Ottima cosa per la Madre: prima della casa per le Figlie, una modesta ma decorosa dimora per il suo Signore. Soltanto per tale motivo ella si sentiva portata ad accettare senza altre esigenze. Si fecero subito i passi per l'acquisto di tutta la proprietà e in tre giorni appena, con la mediazione di ottime persone del luogo, si conchiuse il contratto. Tutto passò in dominio delle suore della S. Famiglia. Peraltro dovettero trascorrere dei mesi prima che si effettuasse la consegna della casa. La signora Dedei ansiosa d'essere ammessa tra le Figlie di Suor Paola Elisabetta e aiutata dal buon Giovanni Capponi, - che ancora si trovava colà - diede assetto a tutte le proprie cose ed interessi in Leffe, e lasciati i suoi ordini partì sollecita ove Iddio la chiamava. Il 18 novembre 1862, seguita da due orfanelle e dalla domestica entrò nel noviziato di Comonte. Le pratiche per la cessione dello stabile di Leffe non terminarono che nell'estate del 1863. La Madre con due religiose ed alcune orfanelle vi si portò nella festa dell'arcangelo S. Michele per dar mano ai lavori di adattamento della casa e della chiesa. I paesani entusiasti della nuova opera di cui essi avrebbero goduto diedero aiuto disinteressato per sollecitarne i lavori. La preoccupazione di provvedere una stabile assistenza spirituale alla nuova casa fu superata dalla generosità del vescovo e dai buoni uffici di Mons. Valsecchi. Biografie 224 opera omnia Finalmente come a Dio piacque sugl'inizi del 1863 e proprio nel dì dell'Epifania tutti ricevettero dal Bambino Gesù la lieta strenna: le suore della S. Famiglia una bella e linda casa; i terrazzani di Leffe una scuola e un asilo per le loro figliuole. Fu celebrata con grande gioia la prima Messa di comunità fu intronizzato stabilmente l'augustissimo Sacramento e si svolsero le prime funzioni di Regola nella bella chiesina. Il lunedì dopo la domenica dell'Epifania si aprì la scuola, con quanta soddisfazione di tutti è più facile immaginarlo che descriverlo. La Madre costituì regolarmente la superiora della casa e se ne ripartì lieta e tranquilla per Comonte. Le lezioni procedevano in modo normale secondo i metodi didattici molto semplici ma pratici che la Madre aveva esperimentati efficaci per le sue scuole di Comonte e di Soncino. Tali metodi, si capisce, non erano perfettamente aggiornati con i programmi governativi del tempo, i quali, oltre il grave ingombro burocratico di leggi circolari norme didattiche materie supplementari non contenevano gran che di solido e proficuo per l'istruzione elementare delle genti campagnole. La Madre invece d'idee e d'azione sempre concreta, voleva dare e far dirigere a quelle umili menti l'indispensabile ai loro bisogni domestici; perché sapeva che il superfluo congestiona ed imbarazza annullando l'assimilazione del necessario. L'abbiamo udita esporre il suo programma didattico ai signori del governo che le si presentarono a Comonte. Or dunque accadde che dopo qualche mese d'avviamento della scuola gratuita di Leffe si presenta anche qui un ispettore governativo, con l'incarico d'ispezionare e riferire. Trovò le cose quali erano secondo i criteri sopracitati e stese una relazione molto sfavorevole. La superiora della casa ne rende subito edotta la Madre; questa senza por tempo in mezzo, ne riferì immediatamente ai suoi venerandi e autorevoli superiori. Il vescovo specialmente la tranquillizzò, assicurandola che tutto si sarebbe composto nel miglior modo. Dietro suggerimento del medesimo la Madre si portò a Leffe per verificare la cosa e scrisse al regio ispettore una compitissima lettera ove confessa candidamente d'aver agito senza animo di voler trasgredire le prescrizioni scolastiche, e che era tutta disposta a mettere in armonia con le leggi vigenti i suoi metodi didattici. La lettera fece così buona impressione sull'animo dell'ispettore che Biografie 225 opera omnia questi persuaso della pratica saggezza della santa donna, non solo non diede corso alla sua relazione ma l'autorizzò a continuare la 191 scuola col suo metodo . Non basta; il bravo signore divenne suo protettore ed amico al punto d'aiutarla a parare i colpi che da ignote direzioni eran sferrati contro di lei: tanto che un giorno in grande confidenza le disse: “Non sa, signora, che lei ha dei nemici che le fanno guerra?” Ed ella, con tutto candore e semplicità in impeto di cuore generoso pronta risponde: “Mi dica chi sono che vado subito a far la pace con loro”. Il funzionario ammirando e sorridendo le dice: “Purtroppo non sono 192 tutti come lei!” . Sul cadere del 1865 lo stesso incognito funzionario tornava alle scuole della S. Famiglia per il suo giro d'ispezione; desideroso di rivedere la buona Madre Fondatrice, chiese subito di lei. Proprio in quei giorni ella era partita pel Cielo!... A quell'annunzio il signore ammutolì; non volle vedere le scuole, neppure sedersi; ma preso il cappello ripartì subito e non tornò più! Le anime dall'intuito fine che sanno scoprire la bontà autentica e la vera grandezza, possono trovarsi dappertutto: anche sotto il rigido taglio di un burocrate governativo. Quel funzionario conobbe la Madre Cerioli e la comprese; la stimava l'amava la ricercava come si ricercano gli esseri purtroppo rari, buoni e a tutti benefici. La morte di lei rattristò come rattrista la scomparsa di chi è indispensabile quaggiù per portare un po’ di amore e di luce tra tanta foschia di egoismi e di odi!... Con il consolidamento delle scuole un altro bel solco profondo è tracciato nel campo divino, e pel giro di molte generazioni vi cadrà una semente scelta e feconda di altro incomputabile bene. Quel primo solco l'ha tracciato la mano benedetta di lei. Non possiamo chiudere il presente capitolo intorno alle belle attività della buona Madre, senza aver dato almeno un saggio delle sue materne cure e preoccupazioni per gli orfanelli, i Figli di S. Giuseppe, da lei amati con pari se non più viva intensità delle orfanelle. Il suo parlare con essi - quasi sempre attraverso la lettera - è materno e franco insieme, come si conviene dire agli uomini di domani; preoccupata non solo del loro miglior bene spirituale ma 191 192 Proc. Ap. Summ. pag. 480 paragr. 8. Proc. Ap. Suppl. Summ. N. IV, paragr. 265. Biografie 226 opera omnia persino della loro civile educazione. Bisogna quindi ascoltarla nel suo linguaggio affettuoso ma efficace e chiaro: “Quando siete in compagnia fate poco strepito e non fatevi vedere come tanti ragazzi senza freno, che gridano schiamazzano come se fossero di nessuno, ma mostrate che quantunque contadini avete una certa dignità e modestia. Amate la vostra condizione... Da poveri contadini vi sarà più facile salvarvi, ma sempre che siate umili sottomessi e obbedienti”. Sensibilissima alla buona riuscita - ed a volte non buona - dei suoi ragazzi era inesorabile nell'allontanare chi fosse cagione di mal esempio. Una volta ne licenziò due; ai rimasti scrive: “La condotta poco lodevole dei due vostri compagni testé partiti temo che vi abbia attaccato la loro poca voglia di far bene, e la negligenza nei vostri doveri e nel lavoro: perché i discorsi e i cattivi esempi d'un compagno hanno più forza su voi dei buoni esempi e dei suggerimenti di chi vi guida. Ora la circostanza che vennero pure i parenti di qualcuno di voi per levarvi di costì può crescere la vostra superbia e baldanza, specialmente nei più grandi; perciò vi scrivo queste due righe. Quantunque mi siate cari e vi voglia bene, nondimeno vorrei vedere la casa vuota piuttosto che ripiena di figli disobbedienti, che non si possono correggere e castigare senza che rispondano “me ne vado a casa!” Ricordatevi che anche nelle vostre case trovereste chi vi corregge e vi castiga, perché siete figliuoli e bisogna allevarvi; e pretendete poi che costì si abbiano a chiudere gli occhi su i vostri difetti e lasciarvi fare ogni cosa a modo vostro?” Ad un certo Giacomino che aveva espresso il desiderio di andarsene, dice: “Vuoi andartene?... Dove?... E pretenderai che il Signore ti benedica? Che faranno gli altri se tu farai così?” Ad un altro, Pietro, sulla stessa lettera si esprime così: “Tu, Pietro, che hai trovato qui una famiglia che tanto t'ama, risvegliati della tua indolenza: se non prenderai amore al lavoro ed alla virtù non sarai mai felice. È vero che qui lavorate, e per questo avete baldanza, credendo di guadagnarvi il vivere; ma voi non sapete che il nutrimento è il minor beneficio che ricevete qui: invece è l'amore al lavoro che si procura d'inculcarvi, onde siate lontani dai vizi, in cui l'ozio potrebbe precipitarvi; e le istruzioni che sentite, e i buoni esempi che ricevete e che vi formano alla virtù all'amor di Dio alla riconoscenza, non sono questi grandissimi benefici? Mi duole nell'anima di dover scrivere così ma lo faccio pel vostro bene, per farvi operare meglio, onde poi non abbiate a pentirvi della vostra Biografie 227 opera omnia condotta: perché in quanto all'Istituto esso si formerà, lo spero con la grazia di Dio, anche se voi ve ne andiate tutti a casa; ma voi dovrete rendere conto a Dio e a S. Giuseppe della grazia ricevuta e disprezzata. I Fratelli vi amano, per questo desiderano allevarvi bene e lo debbono fare a qualunque costo. A tale scopo essi hanno lasciato la famiglia la libertà e son venuti qui e lavorano per voi e faticano per voi non per se stessi; ma stanno qui senza altra mercede fuorché quella che sperano dal Signore per crescervi buoni timorati di Dio e per potere coi loro risparmi e fatiche accogliere un maggior numero di orfanelli”. Ecco il linguaggio della verità e della sincerità a povere creature di cui non cerca che il miglior bene il vero bene. E lo parla con gioia sicura d'esser compresa e corrisposta con altrettanta sincerità. Una sua sentenza d'oro in proposito è questa: “Io non finirò mai di ringraziare il Signore che mi ha messo a contatto coi poveri e coi semplici: essi mi parleranno sempre con verità!”. Biografie 228 opera omnia CAPITOLO XXVI Preparazione al commiato S'inizia l'anno 1865: ultimo di questa vita preziosa. Per cinquant'anni Suor Paola Elisabetta ha portato in lieta rassegnazione il cumulo di mali che come fascio di spine Iddio le nascose nella culla. Il suo organismo in evidente dissonanza con lo spirito sano e gagliardo fu sempre una povera cosa che le diede martirio e merito. La lieve deformazione scheletrica notata sin dalla nascita scomparve sotto il saio monacale; ma la tara artritica con l'ineluttabile scompenso cardiaco rimasero a farla dolorare sempre; e presto ella dovrà soccombere all'improvviso arresto del cuore. Certo la rassegnata accettazione di tutto che viene dalla mano buona di Dio l'ha sostenuta; ed ella più eroica ha sommerso ogni dolore nel mare d'occupazioni e preoccupazioni che d'ogni parte la prendono per dare un po' di gloria al suo divino Padrone e molta gioia a quelli che ama. Come già ci avvertì la fedele suor Luigia Corti ella presentiva che proprio un colpo improvviso l'avrebbe spezzata; ma il Signore non le fece prevedere che sarebbe stato così presto. Quando le comunicarono la notizia della fulminea morte del fratello Giovanni Battista - avvenuta nel 1858 - disse: “Sempre così di noi, si muore tutti improvvisamente; ma bisogna adorare i divini giudizi” E si alzò per andare in chiesa a pregare. Tuttavia rassegnata a vivere soffrendo, purché vivendo possa lavorare, il suo lavoro continua ordinato calmo, ma intenso e serrato per sé e per tutti, per la propria anima e pel migliore avvenire delle due famiglie a cui cede con vera prodigalità le restanti forze. Nessuno intorno a lei avrebbe sospettato che ella non vedrebbe la fine di quest'anno 1865; però ad osservarla attentamente si Biografie 229 opera omnia notavano in lei le trepidanti impazienze di chi sollecita un lavoro nel timore di non aver tempo a finirlo: “Una volta - narra la Corti - un sacerdote di sua confidenza le disse che ella era troppo precipitosa nelle opere che intraprendeva; doveva darsi un po’ di tregua, che col tempo avrebbe compiuti i suoi disegni. Ed ella rispose ridendo: - E se il tempo non ci fosse?... Chi ha tempo non aspetti tempo!... - In confidenza poi alle suore diceva: - Quel prete va troppo per le lunghe... il Signore all'ora sua viene; non bisogna aspettare troppo tardi! Soprattutto in lei si notano le sante smanie dell'anima vicina al Cielo. Il cielo quello che vedono gli occhi e il Cielo dei cieli, quello che cerca l'anima, è sempre la sua passione. “Quando guardava il cielo - è Luigia Corti che parla - non si può descrivere con che gioia ne parlava; si faceva tutta ardore; ci diceva del corso delle stelle, della bellezza del firmamento; confessava che solo a mirare il cielo ella si sentiva un gran giubilo, nel vedere tanta vastità e bellezza, nel pensare che lassù è la nostra patria; là c'è Iddio nella sua grandezza e magnificenza e tutte le persone a noi care” Il suo desiderio di vedere il cielo fisico rasentava quasi la mania. “Non voleva che di giorno le si chiudessero le gelosie delle finestre, perché con ciò le si toglieva di vedere il cielo. “A voi - diceva ridendo - piace il buio, a me piace il chiaro: ognuno ha i suoi gusti, e questo giacché il Signore me lo dà lo voglio tenere”. E quando i suoi dolori la costringevano al letto, anche di lì ricercava il cielo. “Il suo sguardo al mattino, appena levata, è il cielo, vi lanciava i suoi primi sospiri nell'aprire la finestra della sua stanza; tutte le volte che alzava la testa dalle occupazioni, specialmente scrivendo, si fermava alquanto, e poi con gli occhi fissi in cielo proferiva qualche giaculatoria. E questo si può dire lo facesse ad ogni quarto d'ora. In ricreazione i suoi occhi ogni poco si rivolgevano lassù, donde sembrava non potesse staccarli; ma faceva ciò con tanta naturalezza che a chi non l’avesse osservata, sembrava che fosse intenta alla ricreazione. Quando le si chiedeva quale canzonetta preferisse che fosse cantata, rispondeva con giubilo: - Cantate, cantate quella del Paradiso... che termina con le parole - e in mercede amor si dà - in ricompensa di poche fatiche, per un Dio sì buono, sì grande, sì santo… cantate del Paradiso, là è il nostro tutto, e senza avvedersene, 193 mani ed occhi erano volti in su” 193 Proc. Ap. Suppl. Vita, pag. 168, paragr. 180... 182. Biografie 230 opera omnia Le vecchie suore malate o giubilate vuole che si raccolgano in una casa chiamata della “Speranza” e si apprestino loro tutte le cure possibili; ella intanto le incoraggia perché siano preparate alla corona e sopportino in pace e rassegnazione i dolori le infermità. Il combattimento è per finire; gli Angeli la Vergine S. Giuseppe le guardano e le attendono. “Ah, sorelle, quanto sarà dolce quanto giocondo il riposo dopo una giornata di dolori e di fatiche!”. Ed ella è così vicina all'eterno riposo! Si preoccupava tanto nelle malattie delle Figlie quanto non si dava pensiero della propria salute. L'affetto di Madre e l'interesse di Fondatrice le facevano chiedere con istanza a Dio di tener lontano le infermità e la morte dalle sue case. Nell'anno 1864 proprio la prediletta suor Luigia Corti, venne colpita da sì grave male da tenerla sospesa tra la vita e la morte; i medici la diedero per spedita. Angosciata da tanto pericolo la buona Madre scongiura il Signore che “se una vuol togliere all'Istituto, prenda lei stessa, ma lasci in vita la sua cara Figlia più di lei è 194 necessaria” . La preghiera fu esaudita. Nel gennaio 1865 suor Luigia è fuori pericolo, entra in convalescenza e la Madre tutta lieta ne dà la notizia il 13 gennaio alla superiora di Leffe suor Nazarena Ferrari: “Suor Luigia continua ad andar migliorando. La convalescenza sarà lunga; non importa, basta che guarisca e bene e possa lavorare ancora nella vigna del Signore”. E lavorerà infatti per quarant'anni a bene dell'Istituto. Tutto l'ardore tutto l'amore di Suor Paola Elisabetta è in questo: che la vigna del Signore abbia buoni operai, e rendano il miglior frutto spirituale e materiale. Il grado esatto di tale ardore ce lo danno le sue lettere indirizzate alle suore di Soncino, di Villa Campagna, di Leffe, ed all'unico Figlio il buon Giovanni Capponi, che in silenziosa fatica sta dissodando il terreno per una prossima semina copiosa e consolante. Sul momento egli, fiancheggiato da tre coadiutori, tra cui l'Armani, rappresenta tutte le speranze per un avvenire migliore e solido. Egli è rimasto solo a guida di quindici orfanelli perché “la secessione del sacerdote Palazzolo - come dice Don Angelo Orisio, futuro Superiore generale dell'Istituto - benché giustificatissima, pure non lasciò di suscitare in Bergamo una grave impressione a danno 194 Proc. Ap. Suppl. Summ. N. XVIII. paragr. 15 e 16. Biografie 231 opera omnia dell'incipiente Istituto circondandolo di diffidenza. Ne conseguì che verun sacerdote si presentò più a prenderne la direzione sino alla morte della Fondatrice. L'autorità diocesana vi destinò sacerdoti secolari che facessero da cappellani e da assistenti direttori, ma questi si succedevano con molta frequenza e rapidità, sia perché non legati da voti, sia per le speciali difficoltà che trovavano nell'Istituto stesso. Queste difficoltà sorgevano non per colpa di concezione o fondazione, perché la Madre Fondatrice stabilì ben chiaro che l'Istituto maschile i Padri governassero ed amministrassero; ma per 195 una errata interpretazione ed applicazione del suo ideale” . Cosicché in questo momento dell'Istituto maschile all'esterno trasparisce poco o nulla perché i “buoni Fratelli agli occhi della gente non passano che come fattori di quella tenuta, e gli orfanelli, come 196 semplici familiari, mantenuti colà in aiuto dei fattori” . Comunque ogni difficoltà è destinata a cadere; la Fondatrice presaga del futuro, lavora instancabile intorno a Fratel Capponi, che rappresenta l'unico ma prezioso anello di collegamento tra questo periodo difficile e i tempi migliori che verranno. Se alla sua morte tanto vicina i Fratelli della S. Famiglia sono appena stabiliti senza regole definite con un'unica casa verun soggetto qualificato per la direzione di tutto, sì da sembrare orfani appena nati, perché orbati della loro Madre sorpresa dalla morte, essi hanno il meglio l'essenziale: le sue direttive date con tanta premura sin nei più minuti dettagli al Capponi: soprattutto possiedono il suo esempio di umiltà di semplicità di carità la prima Regola d'oro che senza essere scritta sulla carta ha inciso profondamente negli spiriti le linee direttrici per l'avvenire. Gli ultimi due anni della vita di Suor Paola Elisabetta, e specialmente il 1865, sono pieni di una folta corrispondenza, attraverso la quale passano le idee chiare e ferme di lei preoccupata solo di gettare i fondamenti nella pietra massiccia dello spirito religioso cementato dalle virtù madri senza di che è vano sperare consistenza e perpetuità di opere. Non si legge senza ammirarla questa corrispondenza ove lo zelo e la discrezione di una santa la pazienza e le sollecitudini di una madre, ansiosa e trepidante di tutto il bene spirituale e materiale dei suoi figli sino ai dettagli quasi insignificanti, cantano in un tono altissimo e commovente. Per questo stralciamo i migliori passaggi 195 196 Proc. Ap. Summ. pag. 275. paragr. 187. 188. Meraci. Biograf. Capo XI. pag. 205. Biografie 232 opera omnia dalla corrispondenza con Fratel Capponi, che infine rappresenta la principale attività degli ultimi mesi della sua vita. Sugl'inizi del 1865 scrive: “Carissimo Giovanni, Speriamo che l'anno venturo sarete in maggior numero a ringraziare il Signore dei suoi benefici. Procurate di formar bene il Cesare allo spirito di questo Istituto, dovendo voi due essere il fondamento del novello edificio. Guardate però di non fare più di quello che potete, per non ammalarvi e pregiudicare così all'opera. Fate con pace e un poco per volta e arriverete al porto con più sicurezza. Coraggio, mio buon Giovanni, in principio bisogna proprio tribolare, ma il Signore vi vede, vi aiuterà e coronerà i vostri sforzi e la vostra perseveranza, non ne dubito affatto, di un felice successo e allora quale consolazione per 197 voi! Leggete le vite dei santi e vedrete che tutte le opere di Dio hanno avuto il loro difficile. Il Signore fa così: vuol provare il nostro coraggio, vuol vedere fin dove arriva il nostro amore per lui. Intanto preghiamolo che ci benedica e ci faccia la grazia di corrispondere ai suoi disegni e a tante grazie che ci ha fatte ed è pronto tuttora a farci. Scrivetemi sempre quando avete occasione, e ditemi come fa il Cesare, e se acquista, poiché mi sta assai a cuore. Vostra aff. ma sorella in G. C. Suor Paola Elisabetta Cerioli. Di lì a pochi giorni - in febbraio - invia un nuovo soggetto e lo presenta: “Caro Giovanni, ecco il fratello Luigi che spero nel Signore metterà radici e sarà stabilmente tra i nostri... Così vi cresce la famiglia e ne godo di tutto cuore; ma vi crescono nello stesso tempo i doveri; però il Signore non vi mancherà, non ne dubito, coi sui lumi e con le sue grazie se voi gliele chiedete con perseveranza, e dal canto vostro nulla trascurerete onde l'ordine e l'economia si mantengano in tutto e per tutto e sempre con maggiore prosperità e crescita della vostra famiglia. Vi mando il libro del mese di Marzo acciò onoriate S. Giuseppe. Fatelo tutti i giorni come quello di maggio e unitevi con 197 Di fatto: 1868, tre anni dopo la di lei morte, si fonderà in Martinengo la prima casa, acquistata con i capitali lasciati dalla Fondatrice, e diverrà la Casa-Madre dell'Istituto maschile (Proc. Ap. Summ. Pag. 187-188). Ed è tuttora fiorente centro di grande bene spirituale per l'opera dei ritiri od esercizi spirituali per i giovani ed uomini di Azione Cattolica. In questa stessa casa, per lo zelo del P. Angelo Orisio, Superiore Generale, fu stabilito il primo studentato dei giovani aspiranti alla vita sacerdotale nell'Istituto. Iniziati nella casa stessa gli studi ginnasiali, per quelli superiori si ottenne dal Vescovo Luigi M. Marelli di frequentare le scuole del seminario diocesano. Contemporaneamente fu stabilito in Bergamo un piccolo domicilio per i giovani, offerto dall'ospitalità del pio Rettore del Santuario di N. S. del S. Cuore, Don Giovanni Fadini. Finchè lo zelo instancabile di Don Orisio non riuscì ad acquistare in proprio una piccola casa, modesta ma ornata di orticello e corte, donde uscirono ed escono al sacerdozio i Figli della Madre Cerioli. Biografie 233 opera omnia tutte noi, che S. Giuseppe si merita bene questa piccola offerta dopo tante grazie che ci ha fatto e ci fa continuamente. Il Signore ci benedica e ci tenga nella sua santa custodia”. E ancora nel settembre, alla notizia di altre defezioni di Fratelli, scrive: “Lasciate che i Fratelli vadano pure ché il Signore non ha bisogno di alcuno. Coraggio, dunque, avanti senza paura. Queste sono prove che il Signore permette per i suoi giusti fini che dobbiamo riverire ed amare. La partenza di Giammaria ci porta poco danno... qui ci vogliono uomini risoluti di fermezza e di cuore e che non abbiano paura dell'aria... Voi state allegro che è segno che l'Istituto che vogliamo fondare ha da far un gran bene, giacché il Signore e S. Giuseppe mondano sì bene la nostra casa dei soggetti non adatti; ma già voi non avete bisogno che io v'infonda coraggio. Il Signore ve lo ha già infuso quando vi chiamò per quest'opera. Vorrei che anche il Cherubino, lungi dal lasciarsi abbattere da questi piccoli intoppi - che io così li chiamo - prendesse invece maggior fermezza e stabilità e ringraziasse di cuore il Signore che a lui ha fatto grazia così grande qual è quella di chiamarlo e farlo perseverare in questa vocazione. Riguardo al lavoro dei campi prenderemo degli uomini a giornata più volentieri che tener in casa dei Fratelli che non fanno altro che numero; così sia anche degli orfanelli. Vedrete quest'inverno quanti ce ne saranno raccomandati. S. Giuseppe vi conservi e vi benedica. Vostra Aff. ma Madre”. Un mese prima della morte invia al Capponi altri due compagni in aiuto e gli dice: “Questi mi sembrano meglio adatti dei primi, essi sapranno poco, quantunque pieni di buona volontà, del come si deve vivere in comunità... quindi bisognerà istruirli. Tocca a voi, che il Signore chiamò per primo e per sua grazia speciale ora ha messo per prima pietra in questo edificio, a voler comunicare ad essi quei lumi e avvisi che la vostra pratica vi fa vedere necessari... Sappiate cattivarvi i loro animi e la loro confidenza, cercando di conoscere il loro carattere, per saper meglio e con prudenza adattarvi quei consigli che per essi e per l'Istituto nascente credete più giovevoli. Fate loro comprendere gl'impegni e i vantaggi che avranno dall'appartenere a questa santa Opera. Dite che essi devono esser forti, onde né il vento delle contraddizioni, né gl'inganni del demonio, né la malizia degli uomini, li abbatta, né li disanimi, né li ritirino dall'impresa. Parlate del buon esempio che devono dare... fate loro capire che il servizio di Dio non consiste nelle lunghe orazioni e meditazioni, ma nell'affaticarsi a lavorare per amore di Dio e a utilità della casa. Dite che abbiano pazienza, se non vedono e non trovano quelle regole e Biografie 234 opera omnia quell'idea di convento che essi avrebbero desiderato. Questo è un nuovo edificio della S. Chiesa che bisogna innalzare dalle fondamenta: Dio è l'architetto, voi ne siete i materiali e bisogna aspettar tempo pel compimento dell'edificio, e intanto lavorare, sudarci intorno con perseveranza. Tutti gl'Istituti sono passati per questa strada. Caro Giovanni, vi ho detto anche troppo, e credo inutile aggiungere altro. Voi avete capito la mansione che Iddio vi ha affidata, sappiate compierla. Il Signore benedica voi e i vostri due compagni di quella benedizione che diede ad Abramo, onde possiate vedere la riuscita dei vostri figliuoli. Intanto salutandovi ed augurandovi ogni bene, mi segno vostra aff. ma Madre”. Finalmente avanti le feste natalizie compie il dovere materno di prevenirle con l'invio dei suoi buoni e santi voti, che sono gli ultimi regalati nell'esilio al suo fedele collaboratore: “21 dicembre 1865. Buone feste, caro Giovanni, a voi, ai vostri compagni, ai vostri figli. Che il Signore nella sua bontà voglia darvi una stilla di quell'amore che lo fece scendere dal Cielo in terra e assumere il velo della nostra misera umanità, onde impegnar voi pure a consacrarvi, senza alcuna riserva, alla sua gloria e a vantaggio del prossimo in una vita di fatica e di annegazione come dev'esser quella a cui siete stato chiamato dalla Divina Provvidenza. Questa è, però, una grazia grande che il Signore abbia voluto servirsi della vostra pochezza e miseria, e dovete esser riconoscente a Lui di questa preferenza, poiché quanto farete per Lui sarà abbondantemente ricompensato dalla sua infinita bontà e misericordia, ben diversamente da quello che si fa nel mondo, ove si sacrifica spesso vita, sanità, onore per miseri guadagni e poche soddisfazioni che alla morte scompariranno, lasciando nel disinganno di queste cose periture ed in un inutile pentimento di non essersi invece occupati meglio in vantaggio dell'anima nostra. Non vi sembri dunque gravoso se il Signore per farvi meritare di più e provare la vostra generosità, vi manda qualche croce ed umiliazioni; che sono mai queste al confronto di quelle dell'uomo - Dio? Tutto il mondo è pieno di travagli e di croci. Sopportiamo quelle che il Signore ci manda; non badiamo ai nostri gusti e inclinazioni che ci tradirebbero; ma solo a ciò che può servire ad impiantare questo nuovo Istituto, dando buon esempio ai figliuoli, ai vostri compagni e a tutti quelli che la Provvidenza destinerà alla vostra casa ed alle altre, se Dio vorrà... Il Signore mandi il suo spirito anche su i vostri fratelli onde vi aiutino con tutte le loro forze. Il Santo Bambino fecondi buone risoluzioni, faccia buoni i vostri figli, obbedienti, docili, pazienti, come Egli ce ne diede l'esempio nella Biografie 235 opera omnia sua vita umile, laboriosa e nascosta. Ricordatevi di me in queste S. Feste. Vi saluto insieme ai Fratelli e Figli e consideratemi quale mi segno Vostra Aff. ma madre”. A questa seguono altre due lettere datate dal 22 dicembre due giorni appena prima della morte; ed in esse si dilunga dettagliatamente a dare norme, suggerimenti, orari per tutto, in particolare per le veglie delle lunghe serate invernali. “Potete fare la ricreazione dove vi pare, attorno al fuoco... ma non in cucina. Lo stesso fanno le nostre monache. La sola notte di Natale, in memoria di Gesù Bambino, esse, vanno al fuoco con le orfanelle a scaldarsi coi ginepri, cantando qualche canzone in proposito”. Sono le ultime due lettere scritte da Suor Paola Elisabetta - anzi - l'ultima, perché scritte di seguito sullo stesso foglio, aggiungendovi pure una letterina per gli orfanelli, che leggeremo. Raccolte in una formano il testamento spirituale della saggia Madre ai Figli, specialmente all'Istituto maschile, che ultimo nato è pur tanto prediletto dal suo cuore, proprio per le difficoltà che incontra ad uno sviluppo immediato e felice; ma ne prevede e ne annunzia in Dio il futuro consolidamento. Gli stenti le incomprensioni le defezioni risparmiate alle sue suore, sembrano tutte riservate agli esordi dell'Istituto maschile; ma ella non se ne abbatte, teme solo per la resistenza dell'unico che sul momento sorregge tutto; e si dà affannosa premura per incoraggiarlo consigliarlo consolarlo nella visione del premio: che sarà il successo finale e la corona eterna. Noi qui ci dichiariamo incapaci a dire quanto ella abbia sentito il dolore di tale prova regalatale da Dio sul declino della vita per distaccarla tutta e nettamente da tutto. Ogni giorno più va morendo a se stessa. È già morta anzi - e da tempo - al mondo che mai ha amato; alle proprie cose a cui rinunziò prodigandole pel bene altrui; a se stessa con la flagellazione incessante del proprio volere... Che più le resta da offrire sull'altare del sacrificio? Sembrerebbe che ad una madre ad una fondatrice, serva fedelissima dei cenni divini, possa esser consentito desiderare il sopravvivere alla gioia di vedere una grande e bella famiglia spirituale che prospera che si moltiplica che si espande. Quale sogno o affetto più legittimo più puro e più purificato di questo? Eppure Iddio cesellatore impareggiabile di spirituali bellezze può domandare - e lo domanda - anche tale sacrificio. Biografie 236 opera omnia A Suor Paola Elisabetta di fatto lo ha chiesto. Le lettere da noi riassunte dicono tutto di questo interiore travaglio di questo materno trepidare di questo dolorosissimo olocausto: costituiscono, infatti, tutta la squisita meritoria pena delle vigilia di sua morte. Il Padre dell'anima sua il buon vescovo Speranza le ha detto e scritto tante volte: “Tirate avanti senza la vostra testa, senza il vostro cuore, e senza verun vostro sentimento, solo con l'orecchio teso a quest'unica parola: Per guadagnare voi dovete perdere; a misura che perderete e morrete, andrete avanti nella virtù, nello spirito, nella santificazione, e profitterete in realtà e verità”. Alla vigilia di sua morte corporale ella può ben dire di essere a tal punto: morta a tutto! Or non resta che sia spezzato l'ultimo filo che la lega quaggiù; si squarci il fragile velo che intercetta la pienezza della visione e Iddio giusto rimuneratore le renda tutto nell'eterna realtà della vera vita! Biografie 237 opera omnia Biografie 238 opera omnia CAPITOLO XXVII “Media autem nocte... Sponsus venit!...”198 È giusto che il lettore conosca almeno l'aspetto esteriore del fragile involucro che ospitò un'anima di tanto squisita fattura qual é quella della Madre Cerioli. Purtroppo a ciò non possediamo documenti storici: l'umiltà del soggetto e i pochi mezzi riproduttivi dell'epoca non ci favoriscono. Tuttavia da quanto è dato leggere in un ritratto eseguito sulla sua salma e da alcune relazioni di chi la vide risultano elementi sufficienti per raffigurarci quello che esteriormente ella era. Di statura e complessione media, leggermente inferiore al normale; l'impercettibile deviazione scheletrica, corretta dall'abito religioso, è appena rilevata dalla brevità del collo che spicca subito dal busto. Il viso regolare gli occhi color celeste il naso armonioso la bocca graziosa: una somma di linee che annunziano la nobiltà del sangue da cui discende, e tutto l'insieme bene incorniciato nella cuffia monacale rivela subito la maestà d'una signora di nascita e di virtù la dolcezza pensosa d'una autentica mamma. Nei suoi cinquant'anni ella ha un aspetto invecchiato più che la sua età non dica: preoccupazioni e malanni l'abbatterono precocemente nel fisico. Però porta sempre diffuso in volto un dolce sorriso; ha i gesti garbati e semplici il parlare breve quasi autorevole, caratterizzato dalla risolutezza e decisione tutta bergamasca, controllate però incessantemente da una rigida vigilanza; il muoversi è pacato grave come ritenuto da un intimo affanno procuratole dal 198 Matt. 25. Biografie 239 opera omnia cuore in disordine, che le dà l'asma se compie un movimento o una fatica fuori dell'ordinario. Queste le note somatiche della Madre Cerioli, a cui aggiungiamo quanto dice la Madre Corti. “Prima di descrivere la sua morte voglio notare come era la sua costituzione fisica. Ella era di natura gracilissima, di complessione assai delicata; fin dalla nascita ebbe un difetto alla schiena; era affetta da mal di cuore; e ci diceva che ella ricordava di aver sempre sofferto dolori pel corpo specialmente nei cambiamenti di tempo. Al cuore poi soffriva immensamente, ma dissimulava il suo male quanto più poteva. Ma noi alle volte ci accorgevamo di una certa ansia che la prendeva e la faceva agire contro il solito più affrettatamente. In questi momenti soleva dire: - Non fate mai superiore quelle che patiscono mali interni; perché io provo che non possono esser sempre calme, ciò che è tanto necessario per una superiora - Con tutto ciò non si curava. Qualche volta si chiamava il medico affinché le prescrivesse qualche rimedio: questi le trovava sempre il polso flebile, e diceva: il suo polso è proprio straordinario. Le ordinava qualche medicamento; ma ella poco o niente ne prendeva; dicendo che le medicine per lo più sviluppano il male, e quando si può tirare innanzi è meglio farne senza. Cosicché le pillole le duravano dei mesi... Ne prendeva una ogni tanto e diceva ridendo: - Via... prendiamone ancora! Questa malattia di cuore le cagionò la morte all'insaputa dei medici perché mentre tutte le volte che le si acutizzava il male il primo sintomo era l'enfiagione della gambe, l'ultima volta invece, questo segno non lo diede. Soltanto da qualche tempo sentiva una certa inquietudine e agitazione in tutto il fisico, ed inappetenza ad ogni sorta di cibo. Però un giorno mi disse: - Ho bisogno di muovermi; devo portarmi a Soncino in S. Maria; questa gita credo mi gioverà. Difatti vi andò e vi si fermò alcuni giorni. Quella superiora e tutte le suore notarono che in quei giorni attese a rivedere con più cura tutto l'andamento sia spirituale che materiale della comunità. Visitò ogni officina sì delle suore come delle orfanelle, e volle veder tutto. Impartì degli ordini precisi tanto che le suore rimasero attonite della sua sollecitudine ed esattezza, e la superiora le disse celiando amabilmente: - Questa volta la fa da vera Superiora Generale. - Infine dopo che ebbe tutto visitato e ordinato se ne tornò a Comonte. Io le andai incontro ansiosa di vedere se si fosse ristabilita dal suo malessere, e fui consolata vedendola di più bel colore. - Sì, mi Biografie 240 opera omnia rispose, sto proprio bene. Suor Rosa (la superiora di Soncino) con le sue attenzioni, ed il viaggio, mi hanno ridato la vita. Ma dopo qualche giorno mi avvidi che la riprese la sua solita agitazione, e più, che era gravata da un'insolita sonnolenza. Da tutto l'insieme vedevo che non era più nel suo carattere svelto e vivace. Però era tranquilla. Io non l'avevo veduta mai sonnecchiare così; tutt'altro. Non dormiva neppure nelle ore prescritte per tutti, e neppure d'estate quasi mai dormiva, ma leggeva, meditava, scriveva, come dissi già. Notai, dunque, che ogni poco la prendeva il sonno, ella che se ne accorgeva, rimproverava se stessa dicendo: Oh che dormigliona sono mai diventata!... E si scuoteva da sé il sonno; ma per quanta violenza si facesse non le era possibile toglierselo di dosso. In quanto poi all'agitazione questa andava scemando, tanto che in fine era quietissima, e noi potemmo farle prendere quel che credemmo meglio di cibo, di medicine, così pure di farle usare qualche comodo più necessario, attenzioni che pel passato, anche in caso di malattia, non volle assolutamente permettere”. Questo miglioramento fu notato verso gli ultimi giorni della novena di Natale, tanto che tra il 20 e il 22 dicembre ella ebbe la lena di stendere di suo pugno due lunghissime lettere a Fratel Capponi (da noi già riportate) e la Madre Corti la supplicò dolcemente di differire ad altro giorno quel lavoro, ma ella rispose: “Lasciami finire, che poi sarò tranquilla”. Ed a queste due lettere volle unirne una terza per i suoi cari orfanelli, in cui dice: “Cari Figli, la voce dell'Angelo che in quella risplendente notte rallegrò i pastori di Betlemme, faccia esultare di gioia i vostri cuori, poiché a voi pure egli è mandato; e la preferenza che vi dà il nato Re, vi faccia amare la vostra condizione, più e al di sopra di quella degli altri. Il Bambino a voi fa più che non a quei pastori, perché i poveri di Betlemme erano umili, santi, semplici; ma voi avreste potuto dire così se foste stati nel vostro paese? Conoscereste così il bene ed il male onde fuggir l'uno ed abbracciar l'altro? Quanti motivi dunque di ringraziare questo amabile Bambino. Ma un cuore ben fatto e generoso passa più oltre per mostrare a Dio la sua riconoscenza. Così, non dubito, farete voi tutti. Cercate tanto di farlo, poiché il suo amore per voi è immenso, e pregate Maria e Giuseppe che intercedano per voi. Ancora poco tempo e questo divino Fanciullo sarà fatto conoscere ai gentili, che siamo noi. Verserà pure gocciole di sangue nella sua circoncisione, onde anche noi dietro il suo esempio circoncidiamo noi stessi e le nostre passioni. Biografie 241 opera omnia “Specialmente voi, figliuoli grandi, che dovete cooperare all'opera, per quanto potete, oltre l'attendere alla vostra salute, dovete vegliare coll'esempio e la condotta sopra quella dei vostri fratelli minori, essendo voi tutti figli di S. Giuseppe, e dovete promuovere così la sua gloria. Risparmiate il tempo ed ubbidite a tutti i fratelli, perché tutti hanno un cuore di padre per voi. Amateli, pregate per essi, essendo la riconoscenza il più bell'ornamento di un cuore bennato. Vi ringrazio infine delle premure che avete per me: e la più bella paga che potete darmi, sarà sempre quella di mostrarvi buoni ed obbedienti. Vostra affezionatissima Madre: Suor Paola Elisabetta Cerioli. Così l'ultimo scritto vergato - dopo tanta copia di scritti - il supremo pensiero d'amore è per i suoi orfanelli che furono anche il primo oggetto della sua ardente carità. Quando ebbe deposta la penna, vergato il testamento del suo cuore, era stanca. La Madre Corti le faceva ancora dolci violenze perché si riposasse. Finalmente soddisfatta disse: “Ecco, ora me ne vado a letto!”. E il suo male la riprese in forma più violenta e travolgente. “Cominciò a sentirsi le arterie che le battevano fortemente, e diceva di provare come una grande gonfiezza dalla vita insino a tutta la testa: le gambe non eran gonfie; nessun segno traspariva del vecchio suo male. Non poteva né star seduta né a letto, e quindi un po’ si siedeva, e un po’ si alzava a passeggiare. La notte sognava o straparlava in sogno: cosa che pel passato non udii mai. Mandai a chiamare il medico il quale esaminandola e ricordando che l'aveva sempre curata pel passato, le ordinò delle sanguisughe; che noi applicammo. Ma come poi ci accorgemmo - era tutta acqua che aveva pel corpo. Quindi, dopo l'applicazione delle sanguisughe il male cresceva. Chiamammo di nuovo il medico. Esaminatala bene le ordinò delle cartine per far passare l'acqua. Ma in tutta la giornata (del 23 dicembre) che fu l'ultima della sua vita, non ci fu verun miglioramento. Sul mezzogiorno si levò da sedere, dicendo che voleva provare a fare una passeggiata in giardino. Io l'accompagnai: mi disse che si sentiva meglio, ma non poteva reggersi in piedi. L'accompagnammo di nuovo in camera: un po’ passeggiava, un po’ si siedeva, finché sulla sera mi disse che voleva provare a coricarsi in letto, che si sentiva molto stanca di tutto il giorno. Biografie 242 opera omnia 199 “Prima però volle recitare il Rosario con le orfanelle . Era tranquillissima, benché si conoscesse che soffriva assai. E mi disse: Quest'oggi non ho adempiuto alle mie pratiche di pietà; però, non so perché, le altre volte quando non posso recitarle resto un po’ in fastidio, ora invece non ne sento verun increscimento - Io le risposi che non doveva proprio crucciarsi per questo, giacché - come dice S. Francesco - in questo stato se non si fa orazione si fa penitenza. “E poi mi disse ancora: - Le altre volte quando sono malata non ne posso più dal timore della morte e dal pensiero di dovermi presentare al tribunale di Dio; ora invece non mi passa neppure per la mente, e neppure penso di esser malata. “Io che di ciò era certa - come lo era lei - che il Signore non ce l'avrebbe tolta, e che si trattava di un solito disturbo, le risposi: - Lo credo bene anch'io che lei non pensi neppure a questo!... - Con tutto ciò io avevo in cuore un gran timore, e andavo pregando segretamente Iddio che non ce la facesse ammalare. “Verso sera disse di volersi confessare giacché aveva intenzione 200 di prendere di nuovo il giubileo che era in corso . L'aveva già acquistato nei giorni che fu a Soncino, ma non ne era contenta; temeva di non averlo ricevuto bene, quindi rinnovò l'intenzione di fare le pratiche prescritte a ciò. E siccome voleva fare il digiuno quel giorno stesso, io, vedendola in tale stato, glielo feci rompere ad ogni costo. Così volle pure sapere dal confessore quale commutazione le dava in luogo del digiuno, perché - domani mattina - disse voglio fare la comunione per lucrare l'indulgenza del giubileo. Perciò mi preme confessarmi oggi. Ora va tu a confessarti; - mi disse - perché anch'io volevo confessarmi. Andai, dunque in cappella, mi confessai, dipoi condussi di sopra il rev. cappellano della casa, Don Giovanni Callegari, come ella mi aveva dato ordine, e si confessò che si era appena coricata. “Ne fu tanto contenta, come il suo solito ogni volta che si confessava, che le pareva nell'atto dell'assoluzione di vedere il Sangue santissimo di Gesù scendere sull'anima sua e mondarla d'ogni macchia. - Oh, come è buono il Signore! - esclamò - Quante belle grazie ci fa. Vedi, abbiamo fatto la confessione annuale dal reverendo canonico (Valsecchi) e ne siamo rimaste sì contente; ed ora 199 200 Proc. Ap. Summ. pag. 602, paragr. 6. Nell'anno 1865 Pio IX concesse l'acquisto del giubileo fuori della città di Roma, da acquistarsi con le norme e condizioni stabilite. Il vescovo di Bergamo, Mons. Speranza, lo promulgò con una pastorale del febbraio 1865 (Memorie e Documenti. Cap. XII. pag. 259). Biografie 243 opera omnia ci siamo di nuovo riconciliate, e domani faremo la S. Comunione, e riceverò l'Indulgenza Plenaria... Intanto andiamo disponendoci bene... Poi la solennità del santo Natale... Che bellezza!... Dimani ci leveremo un po’ prima della sveglia comune, e se mi sentissi debole per aspettare, farò la S. Comunione prima della Messa. “In quella stessa sera si diede la benedizione col SS. mo Sacramento (per la novena del Natale) e mentre si faceva la funzione, io ero vicino al suo letto, accompagnandola con lo spirito. E siccome la sua stanza era divisa dal coro da una tavolata, si sentiva tutto benissimo. Allorché s'intonò il - Tantum ergo - mi disse di andare in coro a prendere la benedizione del Venerabile. E così feci. Frattanto mentre io pregavo in cuor mio per la cara malata, volgendo gli occhi all'altare, all'improvviso vidi la prima candela, la maggiore delle altre estinguersi. In quel mentre sentii nel cuore un presentimento che quello fosse un segnale che la benedetta Madre sarebbe morta. Sentii subito come una fitta di dolore al cuore, ma scacciai quel triste pensiero, e con piena fiducia andavo dicendo a me stessa: - No, no il Signore non permetterà questa disgrazia... No, mio Dio!... non lo fate!... “Dopo ciò corsi subito al letto di lei e la trovai che stampava dei caldi baci sul Crocifisso che teneva al collo. La ripresi dolcemente: Ma che fa? perché si affanna tanto? - Ed ella: - Bacio il mio Crocifisso!... - Ma sì, lo baci, ma non si affanni troppo, che questo le può pregiudicare... - E che debbo fare? Bisogna che mi sforzi per scacciare tante immaginazioni che il nemico mi presenta... Che ne dici? Non si pecca no, quando si scaccia via!... - E proruppe in questa esclamazione: - Oh Gesù! Gesù! eccomi tutta vostra! - E si fece tranquilla. Poi tutta giuliva mi disse: - Ora dammi un po’ da mangiare; ne sento bisogno... - Le feci portar subito una minestrina con un po’ di carne diluita, e le apprestai due cucchiai di vino. Mangiò tutto saporitamente, ma un po’ in fretta, contro il suo costume. - Ora mi sento meglio - mi disse -. E si coricò di nuovo e stette quieta per alquanto tempo. Frattanto io le parlavo di varie cose interessanti l'Istituto, le lessi qualche lettera appena arrivata, ed essa diede a tutte la risposta di evasione, e mi disse come dovevo rispondere e diede tutti i suoi ordini. E tornammo subito ai nostri discorsi pel domani, della S. Comunione da fare ecc... . Le dissi che l'indomani avrei mandato un suo fazzoletto a Bergamo per farlo benedire da Mons. vescovo, il suo direttore che aveva per lei tanta devozione. Ella allora, un po’ sorpresa mi disse: - Biografie 244 opera omnia Come, e perché, sto male?... - No, no, - le dissi - ma lo faccio perché lei ha tanta fiducia nel sant'uomo e sono sicura che anche questo piccolo malore passerà. - Ed ella: - Dunque, la mia è una malattia grave?... Mai più, no, - le dissi assicurandola. Ed allora fece il suo atto di rassegnazione: - Sia fatta la volontà di Dio!... - E levando gli occhi in alto sembrò chiedere aiuto, perché temeva assai di comparire al tremendo giudizio di Dio... - Domani, domani... - disse - voglio scrivere, o dettare, una lettera a Mons. vescovo, e gli dirò tutto, tutto...“Tornò il medico a visitarla, per la seconda volta in quel giorno. Visto che la medicina non aveva avuto effetto, ci prescrisse di continuarla rigorosamente. Ma non disse nulla della gravità del suo stato. “Alle dieci di sera restammo sole con lei io e suor Francesca Luiselli. Le facemmo quanto potesse occorrerle o gradire, ed ella ci ringraziò delle nostre premure. Mi avvidi però che era agitata, e mi disse: - Se sapeste, faccio di tutto per quietarmi, ma non ci riesco. Questo, vedi, è un male che io non lo auguro neppure alle bestie... - E pareva volesse piangere. Si quietò, alquanto; poi volle alzarsi dal letto da sé. Tornò a coricarsi; noi l'aiutammo alla meglio, e pareva volesse prender sonno; si accomodò da sé, e mi disse: - Ora andate a coricarvi anche voi, così mi lascerete riposare; non mi girate più intorno; quietiamoci tutte tre!... La compagna si adagiò sul divano che era nella stanza; io mi distesi sul letto che da tre notti tenevo accanto al suo. Ella prese sonno, e noi pure. Dopo circa un'ora, tirai pian pianino la tenda che divideva il suo dal mio letto... vidi che stava quieta, composta, come l'avevo lasciata, e non m'azzardai di muovermi, sembrandomi che dormisse tranquillamente... Ma! un triste pensiero mi balenò alla mente... un forte tremito interiore mi agitò tutta... Un presentimento di disgrazia!... Balzai dal letto; presi il lume che stava acceso in un angolo della stanza... lo accostai a lei, guardandola fissa... non respirava!... Tutta tremante, non potendo persuadermi che fosse morta, alzai pian piano la coltre, e presale la mano che era ancor calda, la sollevai e ricadde pesantemente... Era forse appena spirata, mentre dormiva, nella medesima positura in cui si addormentò. Aveva gli occhi ancora chiusi, e la faccia non sembrava incadaverita. Svegliai la compagna e Biografie 245 opera omnia le feci cenno della funesta disgrazia (saranno state circa le due dopo 201 mezzanotte)” . Nella notte del 24 - depone un'orfanella - mentre ancora le tenebre erano profonde, si sentì un grande grido per la casa di Comonte. “La Madre è stata trovata morta nel letto, con le braccia 202 incrociate sul petto, come voleva che noi avessimo a riposare” . “Media nocte, clamor factus est... ecce Sponsus venit!” All'improvviso di notte mentre ella è assopita venne lo Sposo a prenderla: dal sonno del tempo al riposo del Cielo! Non poteva esserle serbata morte più bella più dolce più preziosa! Anche in ciò Iddio le fu benigno misericordioso. Siamo ben lontani dall'affliggerci o deplorare tal genere di morte, non per tutti desiderabile, certo, neppure ai buoni che desiderano un transito cosciente, sereno e di edificazione. Per i santi 203 poi la morte è un lucro . Morire! Come, dove, quando, è un dettaglio indifferente. Desiderano morire, e muoiono, come Iddio vuole. S. Luigi Gonzaga si dichiara disposto anche nel momento in cui si ricrea. Non sarebbe questa una vana preoccupazione quando essi sempre son pronti a morire; e più, se al punto della morte sono già morti a tutto? Non rimane che un velo da squarciare un filo da spezzare: che il velo si squarci d'un colpo o cada lentamente, che il filo si spezzi o si sciolga ciò è nulla. L'attimo fulmineo e l'agonia lenta è sempre l'inizio dell'eterna felicità. È vero che la morte dei santi è uno spettacolo sì edificante da assumere tono e maestà d'una liturgia: la pazienza la calma i sorrisi le ultime parole sono documenti irrefrenabili della loro santità, sono corroboranti salutari ai vicini ai lontani; ma tutto questo è per noi più che per essi. Anche senza tutto ciò essi restano qual che sono quel che furono lungo la vita e il loro trapasso è sempre prezioso al cospetto di Dio. Nondimeno s'ha da dire che pure Suor Paola Elisabetta ebbe la sua penosa agonia - autentica suprema lotta - le sue edificanti disposizioni i prossimi preparativi al passo estremo. L'ultimo Rosario recitato con le sue orfanelle; quei baci ardenti al Crocefisso mentre s'innalza l'Ostia benedicente; la suprema adesione al volere divino; le delicate attenzioni per le figliuole; il suo triplice grido: Gesù! Gesù! 201 202 203 Proc. Ap. pagine 905-912, paragr. 471 485. Proc. Ap. Summ. pag. 602. paragr. 6. Filipp. I. 21. Biografie 246 opera omnia Gesù!; il suo iterato giubileo, l'ultima confessione... . Le mancarono le sacre Unzioni, il Santo Viatico... Ma ella presentendo ha detto: “Dimani faremo la santa Comunione... e poi la festa del Natale!... che bellezza!... “Per lei l'ultima fu una Comunione di desiderio che si saldò con la prima, senza veli senza mistero, unificata alla visione eterna, con l'immersione nel pelago dell'amore beatificato. La festa del suo natale in Cielo s'è congiunta alla festa del Natale di Gesù sulla terra! Che poteva chiedere di più? Il suo transito fu un addormentarsi placido nel sonno della vita per un felicissimo risveglio nell'eternità: nella notte tra il sabato e la domenica del 23 al 24 dicembre dell'anno del Signore 1865! Maria e Giuseppe pellegrinanti a Betlem in cerca d'un ricovero pel Dono di Dio all'umanità, vennero anche per Suor Paola Elisabetta a portare il loro dono: l’invito ad entrare nella loro casa del Cielo e stabilirvi con essi l'immortale beatificante dimora!. Biografie 247 opera omnia .. Biografie 248 opera omnia CAPITOLO XXVIII Le sue sante dottrine La M. Corti prosegue la sua narrazione: “Indi, con due altre, la vestimmo. Non posso esprimere il dolore provato in quel fatale momento: basti il dire che eravamo tutte come di pietra; non si poteva parlare, né piangere. Io dettai quattro lettere senza sapere che mi facessi. All'ora della sveglia comune mi appressai al suo letto, scoprii la faccia quasi per accertarmi della sua morte. Guardandola, mi sentii come cadere una pietra sul cuore e scoppiai in un dirottissimo pianto. Allora mi sentii più sollevata nel grande dolore... Poi si mandò a suonare l'agonia, ed in un subito corse per tutto la desolante notizia. Tutta la gente della contrada, ed anche di Seriate, erano in costernazione: tutti piangevano la loro benefattrice, la madre dei poveri; tutti deploravano la sua perdita non solo per l'Istituto, ma per tutti i poveri, in ogni maniera da lei beneficati. Non potemmo lasciarla nella stanza ove era morta, ma si dovette trasportarla nell'appartamento della foresteria, per lasciar 204 libero sfogo al dolore di tutti ed appagare la loro devozione” . Noi lasciamo che le desolate Figlie compiano il supremo pietoso ufficio intorno alla salma della Madre, per seguire più dappresso gl'itinerari della sua anima dal punto miliare della morte. L'immortalità nel tempo è la prova solare della grandezza dei Santi. Essi sopravvivono perché impersonano la indefettibile vita del cristianesimo: lavorare combattere trionfare! Dopo la morte il trionfo: Tutto di essi intorno ad essi può mutare e scomparire: dalle ceneri alle loro istituzioni; ma sopravvive lo spirito, centro irradiatore d'ogni 204 Proc. Ap. Vita pag. 913, paragr. 487. Biografie 249 opera omnia attività, vivente immortale non solo di sua natura incorruttibile, ma per quella mirabile vita, appannaggio della verità e della virtù, indefettibilmente promanante dal sole d'ogni perfezione: Cristo Gesù. Di Suor Paola Elisabetta Cerioli. oltre la fisica presenza delle sue ceneri, - per benigna bontà divina, tutto oggi sopravvive. Se per impossibile ipotesi tutto di lei dovesse perire, opere istituzioni scritti, una cosa resterebbe irraggiungibile dagli uomini indistruttibile dal tempo: la sua celeste dottrina, quei canoni di cristiana e religiosa perfezione da lei vissuti e formanti la nota tematica della sua vita, diremmo - la tecnica della sua santità commentata e insegnata con singolare eloquio d'esempi e parole. Di questo ci occupiamo sulle ultime pagine del nostro lavoro; ed affrontiamo il tema non senza esitazione. La santa creatura ammirata nella multiforme attività, pianta nella morte fulminea e silente - degna conclusione della sua vita - ha sepolti per innata inclinazione ed arte di virtù tutti i suoi pregi in una impenetrabile fortezza saldamente guardata da propugnacoli di modestia di semplicità d'umiltà. È questo un insormontabile ostacolo ad ogni penetrazione. Però, la breccia non è impossibile, dato che ella ha parlato ed ha scritto. Le sue parole prima d'esser tramandate alla storia s'incisero profondamente nello spirito di chi le fu daccanto. Queste benedette indiscrezioni porgono tanta materia da poter ricostruire i canoni di una dottrina spirituale consolantissima: quella che dev'esser consegnata a tutte le anime, anche le più lontane ed estranee a lei, onde tutti si nutrano e sappiano quanto è ricca di dolcezza e di vario sapore la dottrina di Gesù vissuta così umanamente e pur tanto eroicamente da Paola Elisabetta Cerioli. Dopo quanto s'è detto e letto, il presente capitolo sembrerà superfluo. Ma torniamo a ripetere - come già lo confessammo - che lungo questo lavoro sempre ci preoccupò un pensiero: la ricca copia dei consigli e precetti di lei. Ogni volta che il ricorso storico ne porgeva il destro ci studiammo di citare quanto reputammo il meglio, il fiore delle sue sante parole; ma ci avvediamo, a lavoro conchiuso, che ancora molto moltissimo rimane da ammirare. Per non defraudare le esigenze delle anime e a compiere intero il dovere di agiografo ci proponiamo di esaurire - al possibile - sulla fine del lavoro il caro soggetto: tornando sempre a dichiarare che pur questo di Suor Paola Elisabetta restano ancora a leggersi ed ammirare altre recondite bellezze. Biografie 250 opera omnia Noi non ci chiediamo neppure dove ella abbia fatto la sua erudizione spirituale. Riteniamo per certo che fu anima di vita interiore sempre, nonostante il diversivo umano del suo matrimonio. Il capitolo dello stato coniugale cade come intermezzo, o una battuta d'aspetto, gettata ad arte dalla mano divina in una vita squisitamente interiore. A due evidentissimi scopi. Il primo: affinarla nell'esercizio delle virtù ed arricchirla di preziose esperienze; il secondo: farla signora di vistose sostanze che dovranno servire all'impianto ed alimento di opere benefiche. E pur con questo diversivo ella rimane uno spirito eletto nutrito d'orazione sagginato dalle tribolazioni rischiarato da supremi lumi. Dietro la guida dei suoi Santi preferiti maestri - eccellenti nella Chiesa - formò il suo stile di vita il suo patrimonio interiore la sua dottrina personale. Attraverso un intelletto luminoso un criterio equilibrato un cuore caldo di generosità, ella filtrò le verità eterne, gli esempi di Gesù e dei suoi migliori amici i commenti dei più accreditati maestri di spirito, ed elaborò la tecnica della sua personale santità ortodossa pratica ed anche geniale. Non che presenti toni peregrini di novità o singolarità d'indirizzi; la sua specialità consiste nel rivivere le dottrine del Vangelo in una freschezza d'attualità pratica quasi le cogliesse per la prima volta dalle labbra di Gesù. È un'ondata di primavera rapita alla letizia dei suoi campi e versata a piene mani nel suo patrimonio spirituale, per gustarlo e lasciarlo gustare proprio come una balsamica immersione nella gioia di un campo fiorito. È così che l'immutabile dottrina si riveste sempre di nuove peregrine forme secondo la varietà dei santi e la diversità degli stati ove essi passano, restando una e in tutti uguale, intatta come la luce del sole, adattabile alle forme d'ogni oggetto che investe e riscalda. La Madre Cerioli assimilato il miele della dottrina del Vangelo lo elaborò e lo restituì nelle sue singolari e consolanti dottrine. Rileggendo, dunque, gli scritti di lei, disciplinari ascetici epistolari, ricordando tutte le sue esperienze e parole proferite in mille occasioni, e raccolte dalla sua fedele collaboratrice Madre Corti, si rimane colpiti da una nota su tutte dominante come il motivo di una sinfonia, come una singolare tonalità di colore in un quadro; una nota che del resto esprime e traduce fedelmente l'anima della scrittrice: una bontà dolce e longanime una docilità intelligente e consapevole, una semplicità trasparente, ed un amore senza limiti. “Io l'ho tutta in mente - ripete commossa la Madre Corti - ed impressa nell'anima la sua grande virtù; e la stimo una delle anime Biografie 251 opera omnia più sante che ha poche pari; e non sono sola a stimarla così, ma così mi dissero persone dotte e sante che ebbero la sorte di avvicinarla. Ma le virtù di quest'anima erano nascoste e del tutto semplici, cioè della semplicità di Gesù Cristo, non luminose all'esterno non singolari e peregrine ma tutte misericordiosamente naturali, senza strepito senza pompa senza dar segno di mestizia o di violenza, come se tutto operasse seguendo la stessa natura... e perciò che io stendendo queste memorie sono in imbarazzo pel timore che non sapendo io discernere una virtù così fina non le dia il pregio che merita, e sia meno stimata 205 colei che la praticò” . In quell'anima non ebbe mai adito il timore servile ma solo e sempre l'amore filiale. Se sul declinare della vita ella paventa il giudizio divino ciò proviene del suo stato fisico, che le fa giustamente paventare una morte fulminea, ed è solo l'umiltà che le fa temere di esser colta impreparata. Ma fuori di ciò il suo cuore è sempre aperto ad una sconfinata confidenza nell'amore del suo Dio di cui è certa di cui non può dubitare. E non la fanno dubitare neppure le sue colpe perché ella ha troppe prove dell'infinita bontà di Lui. I suoi sentimenti le sue idee - che si direbbero originali - circa il sacramento della Penitenza son tutte sue. Ella annunzia il giorno delle confessioni come un giorno di letizia: “oggi si spazza!” e va a confessarsi con gioia col sorriso dipinto sul volto. Perché? La sua fede è così compresa della virtù di questo Sacramento delle finalità per cui esso fu istituito che non può concepirlo diverso da quello che è. “Quando mi confesso sento il sangue preziosissimo di Gesù che si versa sull'anima mia, e ne provo tanto contento che mi sembra di volare e sento che ho più lena per cominciare a far bene”. Segno che ella discerne esattamente in Dio ciò che è giustizia e ciò che è misericordia; e che questa sopravanza sempre ogni altra perfezione divina. Per la scelta del confessore somma indifferenza: dotto o meno, rigido o soave, tutti le sono uguali, perché identico l'effetto e in tutti vede Iddio non l'uomo. Sua giaculatoria abituale: “Dio è tanto buono, che avrà 206 misericordia anche per me!” . Raccomandazioni urgentissime inserite come legge nel suo Direttorio per la retta formazione delle orfanelle sono queste. “Preparare le ragazze alla confessione istruendole, senza metter loro delle paure, come: se farai così il Signore ti castigherà andrai 205 206 Proc. Ap. Summ. Vita. pag. 903-4. paragr. 470. Proc. Ap. Suppl. Summ. p. 123. N. VIII. paragr. 66. 67. Biografie 252 opera omnia all'inferno, e simili. Neanche: a far così è peccato mortale o veniale, tranne, s'intende, alcuni casi in cui deve proprio dichiararlo per necessità. Si faccia conoscere la bontà e la misericordia di Dio, principalmente quando si accostano alla confessione”. Per questo ha scritto un breve apparecchio semplice, piano e dolce ad uso delle sue orfanelle: in esso si vede come in uno specchio quanto ella fosse 207 penetrata della divina Bontà . Ed insiste ancora: “Affezionate queste creature soavemente a Dio, rappresentatelo buono santo misericordioso liberale; non stringete il cuore non impoverite l'intelletto predicandolo ad ogni ora terribile severo pronto a punire e castigare per ogni piccola colpa. Chi opera per amore opera generosamente. Non abbiate paura del Signore amatelo e servitelo per amore, non gli fate questo torto di dubitare del suo perdono. Egli resta più offeso della nostra diffidenza che delle altre mancanze commesse... Egli ci creò; sa bene di quale fragile natura noi siamo quindi non gli giungono nuove le nostre mancanze. Umiliamoci; ma speriamo anche contro ogni speranza, cioè anche quando sappiamo di meritare il castigo... Il Signore non guarda ai nostri meriti, ma a quelli del suo Figliuolo. Poveri noi se non guardasse a questi! Siamo, dunque, pieni di speranza nella sua bontà infinita, facendo dal canto nostro tutti gli sforzi per far bene. Il salvarci preme più a Lui che a noi, poiché gli costiamo così caro prezzo... Quando si va in chiesa fossimo anche colme di miserie e di mancanze, si dovrebbe andarvi giubilanti e piene di fervore sapendo di aver a che fare con un Padre sì buono. Che cosa v'è che Egli non voglia o non possa perdonare? Egli rimedia a tutto; sa compatire la nostra miseria; è meglio che il soldato si presenti ferito al suo principe, che sano per non aver combattuto per lui... Andate là davanti a quel tabernacolo là v'è l'Onnipotente: se avete fede tutto otterrete. Se abbisognassero miracoli Iddio li farà perché a Lui nulla è difficile ed impossibile... Oh, come è buono il Signore! sempre perdona... io non posso dubitare no della sua grande bontà!... “Lasciamo la cura di noi stesse tutta a Dio che è nostro buon Padre. Oh, il buon Padre che abbiamo! E un gran Padre! E non volete che essendo Egli la stessa Bontà, non volete, dico, che mentre noi pensiamo a servirlo nei suoi poveri, egli non abbia cura dell'anima nostra? No, no, non fategli questo torto che è maggiore di qualunque altra offesa!”. E mentre diceva queste parole, piangeva. 207 Proc. Ap. Summ. Vita, paragr. 300. Biografie 253 opera omnia Le lacrime sulle parole, stille di fuoco sulla verità creduta predicata praticata. E le sue lacrime cadono come carboni accesi a far divampare più veemente l'incendio dell'amore. E prosegue: “Né a voi, né ad altri gioverà il veder sempre in Dio il giudice severo ed inesorabile. Come confidare? Come animarci ed animare gli altri a sperare in Lui, vedendo in noi tante miserie?” Tanto ardore divino, di cui nulla può concepirsi più alto più soave più santo, divampa infatti nel cuore di lei. La bontà divina, oceano infinito di eccellenza di perfezione di bellezze cumulo di misericordia, questo amore che le umane ed angeliche intelligenze non giungeranno mai a penetrare a scandagliare per i secoli dei secoli, fa vibrare di tenerezza il cuore della santa creatura. Il suo commuoversi il suo piangere il suo trasalire al pensiero di Dio al riflesso del Cielo sono gl'indici appena della fiamma di ritorno dal suo cuore a Dio, frutto della celeste comprensione che ha di lui. La cognizione della bellezza e della bontà divina non la rende audace o temeraria, ma le rischiara la mente a comprender meglio se stessa e a reputarsi ingratissima a tanto amore; piena di miserie in confronto di tanta bellezza. “Signore! io sono immersa in un caos di miseria, e non so dove rivolgermi se non a Voi, la mia speranza è nella vostra Passione e nei vostri meriti... Io ho paura di me, e temo me stessa più che il demonio” E non monta mai in superbia. “Come lo potrei? - ella dice - Se io faccio qualche cosa è Dio che mi trascina a farlo come per forza... e se risulta qualche cosa di bene, provo in me un sentimento di riconoscenza verso la bontà di Dio, autore di ogni cosa, e un sentimento di commozione nel vedermi adoperata dalla sua mano onnipotente quale strumento della sua santissima volontà... E come potrei inorgoglirmi? Come potrei chiedere consolazioni se merito castigo più che premio? È già troppa grazia che io non sia castigata per gl'impedimenti che pongo ai disegni di Dio”. Però, ella ha in cuore una ineffabile pace e la gusta e ne gode, e meravigliata della bontà divina ne sente riconoscenza ed esclama: “Vedete bontà del nostro buon Dio! - ed anche qui pronunziando queste parole piange - Noi facciamo tanto male, ed Egli invece di castigarci ci manda queste prosperità impariamo anche noi ad esser così col nostro prossimo, a rendere loro bene per male”. Con ugual cuore però ella accoglie così i benefici e la pace come le prove le contraddizioni le lotte. “Bene, benissimo, così va bene; imparerò... mi umilierò... mi sta benissimo: questo ci voleva. Son proprio contenta che così abbiate permesso, o Signore, mi dispiace Biografie 254 opera omnia solo il fatto perché offesa vostra; ma voi sapete trarre dal male il bene, e certo dai nostri spropositi ritrarrete la vostra gloria”. Questo per quanto si riferisce direttamente all'anima sua. Che se si passa a considerare il grave negozio che tanto la preoccupa delle sue fondazioni, la confidenza e fiducia in Dio sono ancora più commoventi ed eloquenti. “Oh, quanto è buono il Signore! Speriamo in Lui!” Parole d'ogni giorno... Sugli inizi della sua opera, quando sembrava che tutto volesse intorbidarsi perire ella né spinge avanti le cose, né torna indietro; sta salda e sicura: “Non è opera mia: chi l'ha avviata, la condurrà ad effetto”. Quando sente di mancare di qualche appoggio umano che potrebbe giovarle: “Non tocca a me il procurarmelo; spetta a Lui: dunque, ci pensi”. Alla sua confidente - che ama tanto e ricambia di sincera riconoscenza proprio perché è la sua correttrice - dichiara: “Se io vedessi venirmi meno tutti gli appoggi ed aiuti umani non mi muoverei affatto. Se l'opera è di Dio di che possiamo temere? Come vorrà Egli abbandonarla? E come possono mancare soggetti ed aiuti ad un Signore così forte e potente?” Di fronte ad una minaccia o ad un pericolo: “Vedrete sono cose che riescono a nulla. Tutto passa; tutto passerà; rumori del diavolo, che giungerà fino dove Iddio gli permette... Lasciamo fare al Signore, Egli ha in mano tutto e tutto accomoderà bene... Non è l'uomo che deve far progredire la nostra opera e benedirla, ma Dio... Quando tutto il mondo ci fosse contrario, se noi saremo fedeli, l'opera di Dio si stabilirà e perfezionerà. Non ci appoggiamo a nessuno, ma teniamoci tutti come strumenti di cui Iddio vuol servirsi, ed allora Egli ci benedirà... Abbandoniamoci alla Provvidenza e lasciamo che operi essa. Ricordatevi dei nostri primi principi di fondazione. Chi creò l'Istituto? Il Signore. Chi lo sostenne? la sua Provvidenza?. Chi mandò questo o quei soggetti senza che noi li conoscessimo, o brigassimo per averli? Ancora la sua Provvidenza e bontà. No, mie carissime, che il Cielo vi guardi, nei vostri bisogni ricorrete a Dio solo, interponendo l'intercessione di Maria e del nostro Padre S. Giuseppe!” Il suo caro Istituto maschile quanto le costò di pene fatiche e prove! Eppure fiduciosa in Dio anche per questo non si turbò mai. “Io stavo aspettando - ella dice - che il Signore facesse tutto Lui e non dubitavo nemmeno che prima di morire non avesse da compiere i miei desideri”. Biografie 255 opera omnia Per quest'opera - si sa - più che per l'altra ebbe disapprovazioni incomprensioni defezioni; alle difficoltà che le si muovono, risponde: “La prudenza del mondo deve esser regolata come vuole il mondo; non così quando un'opera è di Dio bisogna lasciarla andare come Egli la guida” Ma le si diceva: “Voi finirete i vostri giorni in miseria ricoverando tanti poveri!” - “Piacesse a Dio! - rispondeva - che mi riducessi povera ed avessi a morire in un fienile!... Se sapessi che quanto faccio è opera mia la troncherei subito, ma essendo opera di Dio non ho alcun timore!” Queste, e molte altre ancora, sentenze riflessioni esortazioni risposte dette o dettate alle sue religiose, onde camminassero al cospetto di Dio sulla via del Cielo, potrebbero ancora allinearsi qui in bella esposizione di consolanti dottrine; ma noi ci arrestiamo per conchiudere. Ecco il dono spirituale che noi diciamo patrimonio personale della Madre Cerioli. E possiamo logicamente dedurne: se questa dottrina fu efficace a consolare e sospingere lei verso le alte vette conquistate, e se tuttora vi conduce quelle anime che da vicino seguono le sue orme, perché la stessa dottrina non potrà servire anche ad altri che impareranno a conoscere o ad amare la buona Maestra? Forse si dirà: ma ciò è già noto; lo si ritrova sopra tutti i manuali di ascetica dei maestri di spirito antichi e recenti. Che cosa dunque di nuovo viene a dirci la Madre Cerioli? Una cosa sola: ella ci conferma con l'esempio e l'esperienza propria l'efficacia della dottrina cristiana nel salvare e santificare le anime. E se la Madre Cerioli per questa via e con tal mezzo ha raggiunto i vertici della santità perché non lo potranno anche gli altri? Ci sembra però che a questo si possa aggiungere dell'altro. Gl'insegnamenti della Madre Cerioli hanno la loro caratteristica, una nota inconfondibile di singolarità, ed è questa: ella ha formato il suo patrimonio spirituale elaborando insieme la soavità di S. Francesco di Sales col fuoco di S. Teresa ed ha prodotto una dottrina di consolazione luminosa e persuasiva pratica e profonda, ridata a secoli di distanza dai suoi Maestri al secolo XIX. Da pulpiti e cattedre, non molto lontani dalla Cerioli, si predicavano ed insegnavano le inesorabili e tetre dottrine di Giansenio; “ed anche fra il clero della diocesi di Bergamo, sebbene in ragione d'assai minore che altrove, fervevano le contese teologiche, che sostenute con mala fede dai giansenisti, venivano continuate e Biografie 256 opera omnia 208 favorite in buona fede da alcuni dabbene, illusi o malaccorti” . Queste sono parole del canonico Valsecchi, illuminato direttore della Cerioli. Tali dottrine senza cuore, strappano le anime tiepide e trepide dalle braccia della misericordia, per gettarle terrorizzate nella disperazione dell'inesorabile giustizia di Dio. Quante anime perdute per lo spavento e il tradimento di falsi apostoli e predicatori d'una virtù che non è più tale proprio perché non è umana, ma assurda inconciliabile con le possibilità di creature inferme e vulnerate dalla colpa originale, irraggiungibile dalle sole umane forze, precarie e debilitate allora, ed oggi aggravate da nuovi fattori che sembrano rendere impossibile l'impresa! Suor Paola Cerioli ispirata reazionaria a così assurde dottrine persuade del giusto concetto della misericordia e giustizia divina, e riapre i cuori alla fiducia. Sotto tale riguardo ella ha assolto una particolare missione nel suo ambiente per i suoi e i nostri tempi. Che se oggi non ci affligge la peste giansenistica molti tuttavia son freddati o abbattuti dal falso concetto del dovere da compiere della virtù da esercitare del migliore perfezionamento a cui tutti si deve tendere. La Madre Cerioli, con le dottrine armonizzate alle azioni, sfata ogni pregiudizio e persuade che ad esser buoni della bontà cristiana, ad esser migliori secondo i consigli del Vangelo, ad esser perfetti secondo il Discorso della Montagna, non occorre ascendere in atmosfere superiori e spaziare nell'alone dello straordinario. Basta rimanere dove Iddio ci ha posti; ovunque: nel mondo o separati da esso, ma restarci bene: nella nostra posizione più naturale ed umana, coi piedi sulla terra e il capo eretto verso il cielo; vivere ed operare a norma della divina legge in adempimento dei nostri obblighi personali; assolvere con coscienza e merito i doveri della vita, che è per tutti concreta dura realtà fatta di poche attrattive e molti dolori, di delusioni scontri incidenti che addolorano sfibrano anche i più gagliardi; vivere immobili nella mobilità del tempo e del temperamento, sotto le infinite oscillazioni della vita attaccati a Dio, la mente tesa alla verità in attesa dell'eternità, quando tutto sarà passato e resterà solo Colui che ci ha amati e ci ama per renderci felici unendoci a Lui nell'amplesso di quell'amore che fu movente della creazione e sarà consumazione d'ogni beatitudine. 208 Sac. Lorenzo Dentella “I Vescovi di Bergamo” Notizie storiche. Cap. XXXIV, pagg. 488-489. Biografie 257 opera omnia Suor Paola Elisabetta Cerioli! Una ricchezza povera di felicità; una giovinezza senza primavera; un cuore cribrato dalle prove più ardue e contrastanti; una vita spezzata innanzi sera dalla morte, ma sfolgorata da una luce tempestata da ardori che insegnano amore fiducia nella sapiente misericordia di Chi la trasse dal nulla per affidarle nel giro di cinquant'anni una grande missione di virtù e di bene, che valicherà i secoli, per un premio una felicità senza tramonto. Suor Paola Elisabetta Cerioli mangiò lo stesso nostro pane amaro e forte, però condito di quelle dottrine di salute e di consolazione che la corroborarono e la crebbero sino alla vigoria ed alla statura dei giganti dello spirito. Perciò ella sopravvive nella immortalità di Dio. Biografie 258 opera omnia CAPITOLO XXIX Espropriazioni umane e decorazioni celesti Tra il Cielo e la Madre Cerioli ci fu uno scambio di doni. Contro eroiche spoliazioni umane Iddio rispose con decorazioni celesti. Per decorazioni s'intendono qui i doni preternaturali, assolutamente gratuiti, che la divina benignità a volte regala ai suoi servi fedeli in attestato di compiacimento in premio alla generosità. L'assenza di questi doni però non significa difetto di merito, perché non sono indispensabili; e come nulla aggiungono al valore del decorato così nulla gli tolgono ove manchino. Tanto vero che al giudizio della Chiesa tali doni non costituiscono un criterio apodittico di santità. Se ci sono essa li controlla e li riconosce nella loro obiettiva realtà storica; se mancano verun danno. Criterio unico insostituibile di santità è la virtù eroicamente esercitata in vita, e i segni manifestati dopo la morte con fatti miracolosi da parte di Dio ad autenticare il giudizio della Chiesa. Suor Paola Elisabetta, per benigna predilezione del Cielo, fu decorata in vita da alcuni segni straordinari che per amore d'integrità storica dobbiamo riferire. Prima di parlare delle decorazioni occorrerebbe segnalare le benemerenze; non perché tra le due cose corra un nesso necessario d'interdipendenza; ripetiamo: i meriti sussistono anche senza le decorazioni; ma supposte queste è facile giustificare quelli. Suor Paola Cerioli può dirsi l'anima delle grandi espropriazioni. Generosissima, si spogliò di tutto. Non solo delle cose sue - ed eran tante e tanto preziose -; ma di sé: ciò che – secondo S. Gregorio – è ben più arduo duro e meritorio. Invero ricchissima qual era si ridusse in povertà per le sue opere. Ecco una lettera a suor Adelaide Carsana, Biografie 259 opera omnia superiora di Villa Campagna. “Cosa vuoi, quest'anno non arriviamo a metterci in giornata con l'entrata e con l'uscita. Ma ci vuol pazienza! Credevo di pagare tutti i nostri debiti coi danari delle galette (bozzoli), invece il mercante non pagherà che all'ultimo del mese; così non ho potuto pagare nessuno, ed accumuliamo debiti sopra debiti” Dispregiò cordialmente le sue ricchezze e non le curò se non ai fini del bene che le consentivano d'operare. Il superfluo in preziosi lo vendette per dare il primo ricetto alle care orfanelle. Le sue compagne erano sbalordite dinanzi all'indifferenza e al disprezzo in cui aveva questi tesori; e gliene mostravano un certo rincrescimento per vederla privarsi di tanti oggetti che da secoli avevano formato il lustro della nobilissima sua famiglia. E lei: “No no, non stanno bene queste ricchezze nella casa dei poveri. Vendiamole e compreremo cose più adatte alla nostra condizione... ; “. Un vecchio medico di casa Tassis va a visitarla; entrando nella sua stanzuccia resta sorpreso ed esclama: “È questa la stanza da letto di Donna Costanza? Come mai una signora tanto ricca si è ridotta in simile stato?” Eppure per lei anche il poco il modesto le cose più dozzinali eran di troppo. Poi le cessioni di ogni soddisfazione fisica che equivalgono alle penitenze corporali. Anche queste non necessarie alla perfetta santità, e perché subordinate alle condizioni fisiche del soggetto, e perché rientrando nell'economia della grazia possono o meno ispirare la generosità di un'anima. Nonostante che Suor Paola avesse un organismo malaticcio e debole sin dove le fu consentito dalle forze e dal direttore, fu fiera ed implacabile flagellatrice del proprio corpo. Dopo la sua morte furono ritrovati parecchi strumenti di penitenza, cilizi catenelle di ferro fruste ed altri oggetti gelosamente nascosti; ciò dice che li usava; altrimenti non si spiegherebbe la cura nel celarli. Per le piccole mortificazioni corporali - in ciò aveva libertà di agire - era di un'industria geniale. Per sostenere il caldo il freddo la molestia delle mosche si sarebbe detto che avesse un fisico robustissimo. Ricordiamo come da fanciulla giovanetta sosteneva il cocente dolore dei geloni ulcerati senza lamentarsene senza chiedere un sollievo. Crescendo imparò a tener in verun conto riguardi e delicatezze. D'estate nel fervore del caldo prendeva un po’ di riposo gettandosi sul letto con tutti i suoi pesanti indumenti. Non voleva che si aprissero finestre e porte per stabilire un po’ di refrigerio; non usciva di sera all'aperto a godersi un po’ di fresco dopo una giornata Biografie 260 opera omnia canicolare. “Chiudiamo le orecchie per non sentire quel che fa la stagione”. Era il suo motto di amabile mortificazione. Spossata ed affannata pel suo cuore in disordine scendeva e saliva scale senza posa; non si metteva mai in letto per riposare fuori delle ore prescritte. Medicine poche. “Niente, niente, - ripeteva - il niente fa più bene d'ogni medicina. Se la infastidiva il mal di stomaco scendeva in giardino coglieva alcune foglie amare le masticava alquanto e poi: “Basta così!” La morte la colse in piedi. L'ultima sera di sua vita lavorò sino all'imbrunire e si occupò delle cose dell'opera sua. Questo era quanto le concedevano la sua salute e il suo direttore, e lo abbracciò con una foga che non aveva moderazione. “Insomma - nota la Madre Corti - io vedendola sprezzare tanto ogni gusto e qualunque cosa potesse accontentarla dicevo: o che avesse una natura diversa dagli altri, o che dovesse essere un'anima molto santa”. Dove poi le era piena libertà - nel campo interiore - tutto fu espropriato ed immolato sull'altare del sacrificio: la volontà gli affetti il sentimento l'amor proprio; di tutto fece gettito con una risolutezza e generosità virile. Logicamente: perché se l'altra mortificazione quella corporale - è buona cosa, questa è indispensabile; tanto che potrebbe stare da sola, mentre quella senza questa, è cosa vana ed a volte astuzia di raffinato orgoglio. In fatto di mortificazione interiore si diceva dalle sue Figlie che sarebbe stato preferibile che avesse praticato digiuni flagelli cilizi anziché vederla infierire con tanto raffinata e sottile violenza contro se stessa pur nelle cose più innocenti e insignificanti. Ma ella ricorda assai bene il dettato del suo caro Maestro S. Francesco di Sales: “Poco importa al demonio che voi laceriate il vostro corpo quando seguitate a fare a senno vostro; non è punto l'austerità che egli teme ma l'ubbidienza. Non v'ha austerità che valga il sacrificio della vostra volontà sempre sottomessa e continuamente obbediente”. Suor Paola Elisabetta non può concedersi la libertà di ridurre in soggezione il proprio corpo con i flagelli i cilizi e le catene; ma può flagellarsi nella volontà. E lo fece spietatamente nobilmente. Ricordiamo l'arduo voto concessole da Mons. Speranza di cercare continuamente la gloria di Dio col sacrificio di tutta se stessa; e lo adempì scrupolosamente sino all'eroismo. Ricordiamo l'ufficio di correttrice imposto alla buona sua compagna Luigia Corti, per cui questa doveva spiare analizzare e segnalare anche un gesto una Biografie 261 opera omnia parola, un cenno fuori luogo, e richiamarla al proposito fatto. Mentre ella era riconoscentissima verso la sua correttrice, sì da dire: - Io amo assai Suor Luigia per la carità che mi usa di avvisarmi dei miei difetti -; questa al contrario era sempre nell'imbarazzo per non aver nulla da rimproverarle: e la sua censura era certamente benigna e soave. Un giorno Suor Paola Elisabetta mentre parla con un sacerdote teme che un po’ di vanità venata di compiacenza entri in quel discorso; si arresta e dichiara al suo interlocutore come ella con quel discorso avesse avuto intenzione di farsi credere illuminata nelle vie del Signore. Meraviglia ed edificazione somma del sacerdote! Ella interdice alla sua mente ogni pensiero che ad altro non serva che a perdita di tempo o a divagamento nell'orazione per render l'anima distratta. Quindi notizie novità curiosità non ne chiede mai; non vuole saperne. Dalla sua obbedienza dopo quanto s'è detto, in questa biografia, che potrebbe dirsi con sottotitolo appropriatissimo: “le vittorie dell'obbedienza” non si saprebbe che aggiungere. Dalla sua prima eroica sommissione al comando dei genitori che la vollero nello stato matrimoniale - e in qual partito! - tutta la sua vita non è che una serie di cessioni espropriazioni rinunzie alla propria volontà per obbedire a Dio ed ai suoi rappresentanti. Se si volessero enumerare le persone di autorità e qualità che le furono attorno per dissuaderla contrariarla con suggerimenti lumi consigli opposti al suo ideale di perfezione e di carità se ne riempirebbero delle colonne; ma ella sempre saggia e garbata, ascoltò pazientemente tutti, poi obbedì ad un solo, al suo direttore che le dava precisa la volontà di Dio. Prima di dare principio alla sua opera pregò invocò Iddio nell'orazione perché la illuminasse; indi spogliatasi completamente della propria volontà e di quanto sapesse di umano, si mise in uno stato di santa indifferenza per cui: fare o non fare, far questo o quello, far questo o il suo opposto, per lei era una stessa cosa. Ricordiamo a proposito come si distaccasse senza commuoversi dalla prima sua collaboratrice, la buona Suor Luigia Corti, che l'abbandonava, nel timore che l'opera desiderata non si realizzasse proprio per lo stato d'indifferenza della Fondatrice. Suor Paola Elisabetta non sbagliò mai. I suoi superiori o direttori pur tenendola sotto la guida dell'obbedienza, e sapendola discreta ed illuminata in tutto le lasciavano libertà di movimenti e di decisioni; ma ella si atteneva scrupolosamente all'obbedienza come Biografie 262 opera omnia un bambino che per non cadere si aggrappa tenacemente alla propria madre. Il buon vescovo Speranza le scrive tanto amabilmente: “In casa sua faccia da vescovo e non dica niente né al medico né al confessore né a preti né a romiti né a nessuno. Che piacere avrà anche lei a poter fare a modo suo. Fa tanto, ed ha fatto per tanto tempo a modo degli altri! Adesso faccia un po' a modo suo nel cercare il bene del suo Istituto, che il Signore è contento così” Ed ancora in un'altra lettera: “Che donna è mai Lei! Stia quieta. Vada a Soncino e fondi la sua casa, e preghi il Signore che la fondi lui a sua gloria e a vantaggio delle anime... Iddio è sempre il Padre e noi i suoi servi e tutte della Sacra Famiglia le sue serve, e più delle altre la superiora, che come ha cominciato così prosegue, senza testa senza interesse e con la sola mira di far del bene” Ed infine: “Lei faccia bene, faccia tirar diritto le sue compagne e figlie, non tenga conto di sé, né se va avanti né se va indietro: butti tutto nel sacco, e guarderemo dentro poi”. Parole di verità! Ed era il vero procedere di Suor Paola, obbedire ciecamente, senza sapere senza volere. La flagellazione del suo sentimento - ad esempio - nell'affetto verso i nepoti non è meno eroica. Li amava di un amore tutto spirituale; s'interessava delle loro cose, ma più della loro anima. Trepidava per i pericoli a cui li vedeva esposti, temeva che la prosperità e le ricchezze non li rendessero dissennati... giungeva persino a chiedere per essi al Signore qualche dolore salutare che li tenesse in saggezza. Pregava e faceva pregare per i suoi diletti nepoti. Se venivano a visitarla non si effondeva in espansioni di affetto; però si notava che gradiva i riguardi che le suore usavano per essi. Ciò che la virtù non le permetteva di fare, approvava che altri lo facessero per amor suo. Per tutti i suoi parenti ed amici aveva una massima tanta comune ma saggia: “Ricordarli per raccomandarli a Dio. Ciò che può il Signore per la loro felicità noi non sapremmo né potremmo farlo con tutte le manifestazioni del nostro sentimento”. Poi la flagellazione dell'amore proprio che vuole essere accarezzato dalle lodi e dalla stima altrui!... Le lodi le fuggiva e le aborriva. Sorrideva invece alle ingiurie ai rimproveri alle censure alle diffamazioni. E il Cielo non gliene risparmiò; dal giorno in cui divorziando dal mondo, si diede a Dio ed all'opera prediletta, gliene caddero sul capo fitte e scroscianti come una gragnola. Il minimo che le fu detto: che era pazza. E poi: una stolta che s'era lasciata montar la testa dai preti; una scialacquatrice di tanti patrimoni... e - giudizio Biografie 263 opera omnia opposto - si giunse ad accusarla di sfruttare le povere orfanelle del cui lavoro senza mercede o retribuzione, ella arricchiva... E lei non si turbava sorrideva sempre a tutti giustificava tutti dicendo: “Che volete fare? È questione di carattere ma in fondo hanno tutti un cuore buonissimo”. Finalmente l'ultima espropriazione - complemento di una bella serie di mortificazioni corporali e spirituali - è il distacco persino dalle cose che si direbbero indispensabile cibo e respiro d'un'anima, ossia la disponibilità e il gusto dei conforti spirituali: il tenersi paga di quanto le è concesso dalla benignità divina e dalle leggi della Chiesa in fatto di orazione di pratiche di pietà di Sacramenti. Languire nell'aridità o ardere di fervore poter soddisfare le particolari esigenze devote o dovere ometterle ricevere Gesù sacramento o soltanto spiritualmente, tutto le è uguale e buono. Per due mesi - al principio dell'Istituto - fu trattenuta in letto dai suoi soliti mali; mai un lamento per non poter recarsi in chiesa. Nei giorni di comunione sfolgorava di gioia ma nei giorni di digiuno sacramentale non era mesta. Le chiedevano se non le rincrescesse tutto questo. Ed ella “M'ha da rincrescere il far la volontà di Dio?... Che avranno fatto nei deserti gli anacoreti che mai uscivano dalle loro grotte per confessarsi comunicarsi udir Messa? Eppure divennero sì gran santi! Facevano la volontà di Dio. Quando l'obbedienza lo vuole bisogna ad ogni costo usare dei mezzi concessi, e quando la volontà di Dio ce lo impedisce ed ordina altrimenti bisogna restar quietissime”. E il buon Dio non lasciò senza premio tanta generosità. Passiamo a vedere con quanta liberalità il Cielo ricambiò la fedele serva fregiandola a sua volta di luci e decorazioni che dicono all'evidenza quanto fosse il compiacimento divino per tante generose espropriazioni. Non ripetiamo nulla del dono di orazione che fu radice e base di tutto il suo apostolato; nulla del volto costantemente di fiamma tutte le volte che parla con Dio; e dell'atteggiamento estatico dinanzi al santo tabernacolo; del dono delle lacrime che la sopraffà se parla del Cielo o delle magnificenze divine diffuse nella natura o della misericordia di Dio che sovrabbonda su tutte le altre perfezioni. Le sue Figlie lo hanno visto ed ammirato e non lo dimenticarono mai. Oltre a ciò la bontà del Signore le conferì il dono della scrutazione dei cuori la previsione delle cose future ed occulte. Alle sue preghiere si moltiplicano arcanamente grano e carni assolutamente insufficienti a saziare la numerosa comunità; al tocco Biografie 264 opera omnia delle sue mani benedette un'orfanella gravemente malata ad un braccio risanò. Ed ecco in dettaglio alcuni fatti che togliamo genuinamente dai Processi Apostolici. Un orfanello Figlio di S. Giuseppe a nome Isidoro Paris andava un giorno da Villa Campagna a Soncino per recarsi ad ascoltare la Messa ed era insieme ad un suo compagno il quale strada facendo, lo invitava a fuggire con lui dell'Istituto. Egli, naturalmente, non acconsentì. Tornato a casa la Madre Paola che si trovava a Soncino lo fece subito chiamare. Lo accolse amorevolmente, come usava sempre con i suoi cari orfanelli, e poi di discorso in discorso gli parlò nientemeno della tentazione da lui superata. Lo ammonì, e lo consigliò di conseguenza. Quadro di stupore! Il ragazzo pensò! o la Madre è una santa oppure una fattucchiera; perché nessuno fuori che il suo tentatore conosceva la cosa, e non poteva supporre che proprio lui avesse potuto parlare, tanto più che non aveva veduto la Madre 209 prima di lui Una certa Teresa Baroni, terrazzana di Comonte, un giorno stava ascoltando la Messa nella cappella del convento e durante tutto il tempo del S. Sacrificio aveva parlato abbastanza con una compagna vicina. All'uscita la Madre la ferma la rimprovera del suo contegno poco rispettoso, e poi le chiede l'oggetto del suo gran discorrere; la giovane arrossì. Avevano perlato, nientemeno, di fidanzati e di matrimonio. “Bada, però - le disse la Madre - quello che tu dici non lo sposerai; invece prenderai un altro. E lo nominò. La Baroni, infatti da tempo parlava con un tale che in seguito l'abbandonò, per sposare un 210 altro che avanti non conosceva neppure . Suor Giovanna Grazioli narra: la mia mamma si presentò alla Madre Paola Cerioli a Soncino con una bambina di un anno e mezzo in braccio: quella bambina ero io stessa. Interrogata la mamma se quella bambina fosse sua ed avuta risposta affermativa la Fondatrice soggiunse: “Tu non hai voluto venire al nostro Istituto; ebbene sappi che ci verrà questa bambina”. La mamma non mi disse mai nulla di questa sortita della madre Cerioli; ma io sin da piccina ebbi sempre inclinazione per lo stato religioso, tanto che a diciotto anni una signorina di Soncino mi aveva ottenuto l'ammissione nelle Canossiane. Lo seppe la Madre Corti la quale si lamentò dolcemente con me perché avendo io frequentato il suo oratorio festivo, volessi abbracciare un altro Istituto. Io che non avevo nessuna preferenza per 209 210 Proc. Ap. Summ. pag. 585, paragr. I. Proc. Ap. Summ. pag. 587, paragr. 7. Biografie 265 opera omnia l'uno o per l'altro ne parlai alla mamma la quale mi narrò quanto le aveva predetto la Madre Fondatrice. E la Grazioli fu delle suore della S. Famiglia. Questa continua a deporre: Si vedeva pure che la Madre Fondatrice aveva il dono della scrutazione dei cuori, perché, a quanto mi venne riferito, quando vedeva qualche suora o orfanella un po' melanconica le si avvicinava e le diceva: “Vedi tu ti trovi così, perché hai fatto questo e questo... la tale o tal altra mancanza”. E indovinava perfettamente. Quanto alle estasi so che quando la Madre Fondatrice si trovava dinanzi alla statua di Maria Addolorata, e più ancora dinanzi a Gesù Sacramentato e dopo la S. Comunione appariva tutta raggiante in volto e come fuori di sé... cosicché non si risentiva neppure a tirarle le vesti... Di questi doni di cui parve arricchita fino all'ultimo di sua vita non ne faceva mai parola; anzi non voleva che altri se ne accorgesse, tanto che ne avrebbe avuto dispiacere perché abborriva da qualsiasi 211 parola di lode . Ancora una suora dell'Istituto della S. Famiglia dichiara: “Sono convinta che la Madre Fondatrice fosse arricchita da Dio di doni superni straordinari. A questo riguardo, ricordo che trovandosi ella a Leffe, in una certa sala della casa insieme con altre religiose d'improvviso disse: - Usciamo di qua perché vuol cadere la volta. Non si vedeva verun segno di pericolo ma il fatto è che appena queste uscite la volta rovinò. Così pure Suor Maria Passera, da Arcene, mi soleva raccontare che da giovinetta accompagnò a Comonte una giovane perché fosse accettata come religiosa. Presentatesi alla Madre Fondatrice e fatta la domanda ella dopo averle squadrate da capo a piedi, disse a quella che si presentava come aspirante: “Tu non sei fatta per questo Istituto; ritorna a casa dove farai molto bene nello stato che ti prepara il Signore; invece devi fermarti tu” disse rivolta alla compagna. Rimasero colpite di meraviglia a questa sortita; e la prima ritornò a casa dove si sposò e fece molto bene; l'altra persuasa che la Madre leggesse fino in fondo al cuore si trattenne subito, e fu una delle prime sei compagne della fondazione dell'Istituto carissima alla Madre Fondatrice. La stessa Suor Maria Passera soleva ripetere che la Madre aveva il dono della penetrazione dei cuori. Queste doti straordinarie le possedette specialmente dopo la fondazione dell'Istituto, e non c'era 211 Proc. Ap. Summ. pag. 594-596, paragr. 22. 25 Biografie 266 opera omnia pericolo che ne parlasse, tanto meno se ne gloriasse, che anzi era tutta 212 desiderosa di tenersi nascosta” Un giorno - depone la testa Domenica Piantoni - la Madre Fondatrice stava in conversazione con una signora la nobil donna Gouth, venuta a farle visita. Ad un tratto entrò una suora che conduceva un'orfanella molto malata ad una mano - non so precisare che malattia fosse. - Chiedeva alla Madre se dovesse condurla dal medico. Allora ella osservò attentamente la mano della fanciulla, vi passò sopra dolcemente la sua, e disse alla suora: “Va pure, che non è niente!” Difatti uscita per le scale, la mano era perfettamente guarita, 213 e scomparsi persino i segni del male . Una volta a Villa Campagna, di notte, la Madre si svegliò all'improvviso - narra Maddalena Belli - e ci disse: “I ladri! i ladri!” Io mi levai e la suora con me. Ma discese le scale, ritornammo di sopra intimorite, dicendo: “È un gatto!” Alla mattina trovammo che i ladri erano realmente penetrati in casa ed avevano asportato cibarie utensili ed una valigia contenente danaro che la Madre aveva posato nel caminetto. Verificata la cosa, calma come se nulla fosse stato, ci 214 disse: “Andiamo a sentire la Messa per il ladro” . Il mugnaio di Comonte venne al convento per ritirare il grano da macinare. Le suore incaricate non ne trovarono nel solaio che poca quantità: uno staio appena. Allora siccome in casa si mancava totalmente di farina si recarono dalla madre per sapere il da farsi. Bussarono alla porta; non rispondeva. Allora entrarono e la trovarono in orazione. L'avvertirono della mancanza del grano: Ed ella rispose: Consegnate al mugnaio quanto ce n'è, e S. Giuseppe provvederà!” Il mugnaio infatti ritirò la quantità di grano che era solito prelevare; e con ciò ne rimase ancora una quantità come quella di prima. Il fatto recò tale sorpresa in tutte che ne piangevano di 215 commozione . In altra occasione la suora cuciniera fece notare alla Madre che non c'era carne a sufficienza per quarantaquattro persone. Ma quella le rispose: “Sta tranquilla che basterà”. Così fu; la cuoca cominciò a tagliare le porzioni e la carne non diminuiva, e fu sufficiente finché 216 non ebbe tagliato il numero di porzioni per tutta la comunità . 212 213 214 215 216 Proc. Ap. Summ. pag. 596, paragr. 26. 27. Proc. Ap. Summ. Pag. 591, paragr. 15. Proc. Ap. Summ. pag. 586, paragr. 3. Proc. Ap. Summ. pag. 587, paragr. 5. Proc. Ap. Summ. pag. 591, paragr. 14. Biografie 267 opera omnia E per ultimo ascoltiamo la confidente e prediletta Figlia, Suor Luigia Corti, la quale ci dice: “Io non so se la Fondatrice abbia avuto i doni straordinari di visioni, estasi, ecc. ; ma mi pare di poter affermare che ella fosse in modo particolare illuminata da Dio. Ricordo per esempio che un giorno, quando si trattava di gettare le basi dell'Istituto e di dettarne le Regole si mostrò molto preoccupata ed afflitta per mancanza - diceva - di sufficiente illustrazione. Si ritirò nella propria cameretta e vi rimase a lungo in preghiera e meditazione; chiamata dalle Sorelle perché venisse finalmente a riposarsi e a prendere il cibo necessario fu trovata tutta accesa in volto, straordinariamente mutata e contentissima, perché diceva: - Finalmente sono giunta a capire cosa vuole da me il Signore. - Tracciò subito l'abbozzo delle Regole che spedì a Mons. Valsecchi, il quale lettele, disse: - Veramente gliele deve aver dettate lo Spirito Santo! “Riguardo a comunicazioni intime con Dio, non l'ho mai sentita parlarne; ma io stessa la trovai alcune volte in chiesa in atteggiamento di gran fervore, ed altre volte l'ho sentita a parlare con enfasi ed entusiasmo delle grazie avute da Dio, e dei favori speciali di Maria 217 Santissima e di S. Giuseppe” 217 Proc. Ap. (Summ. - ex Proc. Ord. ) pag. 598, paragr. 31-35. Biografie 268 opera omnia CAPITOLO XXX I suoi scritti È qui dinanzi a me il grosso volume manoscritto contenente l'epistolario della Madre Cerioli, parte preponderante dei suoi scritti. Benedetta e buona Madre! Che avrebbe pensato se avesse solo previsto, mentre scriveva in tanta fretta queste sue lettere, col corriere trepidante a fianco e il cavallo scalpitante alla porta, pronti a portar lontano l'anima e il cuore suo alle Figlie e Figli dilettissimi, che avrebbe pensato se avesse previsto il vaglio rigoroso a cui sarebbero passati i suoi scritti, tirati giù con semplicità - come le sboccavano dal cuore - senza fronzoli letterari senza lavoro di elucubrazione, anche un po' disadorni, - specialmente le lettere - ma ricchi di tanta luce e calore? Se avesse saputo che un giorno sarebbero stati giudicati dalla suprema autorità di Roma, ed avrebbero riportato questo verdetto: 218 “Essi non sono scritti di una donna, ma d'un angelo!” Ed ora queste lettere son qui dinanzi a me - come tutti gli altri scritti - non per essere vagliati o giudicati, e neppure riletti, ma per cavarne tutto il soave sostanzioso sapore che li condisce, e ridarlo a gustare a chi s'interessa di lei. Gli scritti, si dice - specie la corrispondenza - rivelano l'uomo. È il mezzo più sicuro per coglierne di sorpresa la psicologia il temperamento l'anima. L'anima, tanto facile a sfuggire; credendosi non osservata s'affaccia nelle lettere nuda e spontanea com'è senza veli o pose artifici o riserve: dice tutto quanto vuol dire, quel che altrimenti non direbbe, proprio perché si sente inosservata. È l'ultima introspezione che facciamo sia per rendere completo il nostro lavoro, sia per procurare al lettore ancora una gioia: quella di 218 Voto del Teologo-Censore della Congreg. dei Riti. - Proc. Ord. pag. 259. Biografie 269 opera omnia ammirare un'anima che pur rivelandosi sempre di una lineare semplicità e modestia, è pur degna d'essere annoverata tra coloro la cui vita è come il passaggio di una bella meteora; la loro luce più s'attarda quaggiù e più cresce il godimento di chi la contempla. Fuori dubbio gli scritti della Madre Cerioli non possono raffrontarsi agli scritti o all'epistolario di S. Teresa o della nostra S. Caterina. Gli oggetti e gli scopi per cui scrisse sono assai diversi e d'indole particolare - quasi domestica -; ma non per questo vuoti di pregi e d'interesse anche per chi vive fuori della sua famiglia. Come se si volesse avvicinare, per un raffronto, un fiore di campo a un fior di giardino, e meglio un'umile violetta ad un superba rosa. Chi oserebbe dire che la viola non è degna di ammirazione sol perché non è una rosa? “Stella differt a stella!” il chiarore dell'una non è quello dell'altra; eppure son tutte lucide e belle perché partecipanti dei fulgori dello stesso sole. Più concretamente; anche gli scritti della Madre Cerioli possono esser letti con interesse e frutto, non per apprendere cose nuove, ma per vedere il Cielo riflesso nella nostra vita; non per imparare a scrivere bensì a vivere, ad accenderci degli alti ideali dei santi, a rivestirci della purezza delle loro intenzioni, ad amare con tanta umanità ed eroismo chi dev'essere amato. Mons. Speranza, nel decretare l'approvazione e la lode per l'Istituto della S. Famiglia, dice fra l'altro: “La Madre Cerioli, assistita e coadiuvata dalla grazia dello Spirito Santo, ammaestrata dal suo stesso dolore ed amore, dovette far tesoro nell'arte difficilissima dell'educare, di quella sapienza tutta celeste che poi trasfuse nelle Regole e nelle pratiche dei suoi Istituti, ed in altri scritti che ella compose per le genti di campagna, ma che potrebbero esser letti con grande profitto da padri e dalle madri di 219 famiglia delle classi più distinte della società” . Ed il suo primo biografo Paolo Merati scrive: “Si scorge nei suoi libri uno spirito grande di soave pietà, ma non leggero o superficiale, sibbene che spinge e muove mirabilmente ad una virtù soda e profonda che consiste nel costante sacrificio di tutte le passioni; ma il tutto nascosto sotto i veli dell'umanità, della semplicità, della naturalezza. Leggendo questi scritti ti senti tratto mirabilmente verso Dio, ma con una dolcezza grande; in essi continuamente parla della bontà del Signore; si fanno continuamente conoscere e penetrare i suoi benefici, ma con tanta unzione, che chi li legge non può a meno di sentirsi mosso ad amare Dio con amore da figliuolo a Padre, e con 219 Proc. Ap. Docum. N. III, pag. 919. Biografie 270 opera omnia un amore tale che esclude ogni soverchio timore, ogni diffidenza; ed è causa di una pietà disinvolta nelle sue operazioni, ma non rilassata, gioconda nelle sue espansioni, ma forte, soda, costante. Le virtù più ardue te le vedi presentare innanzi nella loro amabilità, semplicità, quali furono praticate dalla Sacra Famiglia; circondate dai motivi più forti a praticarle, perché motivi che vengono dall'amore. “In quei libri è scritta la maniera da tenersi nelle scuole, nelle ricreazioni festive, negli esercizi spirituali, con regole informate del medesimo spirito e a grande prudenza; e così sagge che, per esempio, parlando degli esercizi, chi scrive udì da parecchi sacerdoti dire: non esservi altro luogo in cui si diano i santi esercizi a giovani, tanto raccolti e disposti così bene, come nelle case dell'Istituto della S. Famiglia. “In questi libri appariscono gli alti fini della benedetta Fondatrice, i suoi timori che l'Istituto non declinasse dalla via tracciata, le sue preghiere a Dio che volesse distruggerlo, piuttosto che permettere questo; la sua umiltà che tutto attribuisce a S: Giuseppe; la sua devozione a Maria Santissima; la sua semplicità e prudenza, insomma dopo averli letti bisogna confermare il giudizio 220 di Mons. Speranza, cioè che sono scritti pieni di celeste sapienza” . Questi giudizi di chi ebbe immediata o mediata consuetudine con gli scritti della Madre Cerioli; a cui si può aggiungere ancora dell'altro. Sembra che il Signore voglia sovrapporre al molto che concede a talune anime d'eccezione un ultimo complemento, il dono della penna, proprio perché non periscano le loro sante esperienze e il loro magistero sia perenne. La madre Cerioli - come S. Teresa che sapeva ugualmente servirsi del fuso e della penna - ha le mani d'oro. Conduce con pari abilità sulla tela i fili di refe o di seta, come ricama alti e fini pensieri sulla candida superficie della carta. Anzi sull'ultimo di sua vita sospese il primo per darsi solo al secondo lavoro. “Era brava in tutto - dice Suor Luigia Corti - e pel suo raro talento e per l'educazione finita; ma dopo che incominciò l'Istituto non si dedicò ad altro che al bene delle sue Figlie. Quando io entrai in casa, come secolare, vidi i bei ricami ed altri lavori finissimi che faceva per la chiesa; ma poi non si occupò più di tali cose, ma faceva 220 Merati - Biografia. Cap. XII. pag. 255. 256. Biografie 271 opera omnia tesoro delle briciole di tempo per potere scrivere i bei libri che sono 221 tanto istruttivi per noi” . Scrisse per istruire. Non è dunque la donna - cui conviene sempre tacere ed agire - che presa da grafomania arieggia a maestra od ispirata, affligge il prossimo con scritti indigesti duri spesso bizzarri; ma è la Madre buona che aiuta a coordinar sulla carta direttive e consigli semplici efficaci, che altrimenti andrebbero dimenticati e perduti, per il bene dei suoi figli. Ed ella intende rettamente il vero bene delle Figlie, il migliore profitto spirituale e la santificazione di ciascuna. Di qui il suo “Direttorio” che può dirsi il risultato d'innumerevoli lavori isolati i quali raccolti ed organizzati logicamente hanno prodotto il testo delle Regole del suo Istituto. Se si ricerca l'origine di questo prezioso libro esso si assegna ad una collana di scritti ascetici e disciplinari usciti dal suo spirito man mano 222 che il Signore la moveva e la illuminava a scrivere . Dopo le religiose parte viva dell'anima sua il primo pensiero è per le care orfanelle e gli orfanelli in grazia dei quali ella sostiene tante fatiche. A queste creature in cui ella vede il mezzo per migliorare nella società le condizioni spirituali e sociali dell'agricoltore, ha consacrato molte giornate e non pochi dei suoi scritti. Per corroborarle di sani principi cristiani ed ascetici ha composto per esse: “un catechismo e delle lezioni di Storia Sacra per le orfanelle”; il “Modo di apparecchiare le ragazze alla confessione”; “Piccole meditazioni e riflessioni per le Figlie di S. Giuseppe”. Ed infine una bella metodologia per la loro razionale istruzione nei lavori rurali. Ma il dono del cuore dell'incomparabile Madre alle creature del suo amore sono due perle d'inestimabile pregio - che ebbero l'onore 221 222 Proc. Ap. Summ. Vita. pag. 385, paragr. 291. Ecco i vari titoli dei suoi lavori complementari, da cui si formò il Direttorio delle Suore della S. Famiglia: 1) “l'anno di prova” - 2) Idea generale del fine e scopo che questa Congregazione o famiglia si propone - 3) Idee riguardo alle mie Figlie - 4) Prime Regole dell'Istituto delle Suore della S. Famiglia - 5) “Impianto” - 6) “Una parola alle Superiore” - 7) Vari fascicoli intorno al silenzio, la cura delle inferme, i suffragi per le defunte - 8) Un fascicolo su i voti - 9) “Della carità fraterna” - 10) Ricordi e Regole alle Suore della S. Famiglia - 11) “Le serate invernali delle Figlie di S. Giuseppe” - 12) Istruzioni alle Maestre - 13) Dell'amore al lavoro - 14) Della Direttrice d'agraria - 15) Premi annuali - 16) Scartafaccio dei Figli di S. Giuseppe 17) Ricreazioni festive - 18) Scuole esterne - 19) Esercizi spirituali per le esterne 20) Esercizi per le signore - 21) Memorie riguardanti la mia nuova Famiglia - 22) Una visita a Betlem e a Nazaret - 23) Fascicolo di Meditazioni ed esercizi di pietà. (Dagli Scritti presentati alla S. C. dei Riti - Proc. Ord. Summ. ex Officio pag. 2-13). Biografie 272 opera omnia della stampa - i due libriccini già menzionati, ma che ora bisogna sfogliare ed esaminare. Il primo: “Due parole ad una alunna nel giorno del suo matrimonio” - il secondo: “Memorie ad una allieva la vigilia di sua 223 partenza per entrare al servizio d'una casa privata” . Nel momento di congedarla, - poiché fuori del monastero non v'ha altra direzione che il matrimonio o il servizio – la Madre chiama la sua creatura, più che col cuore le parla accostando l'anima all'anima, e le consegna una lettera, che è insieme pro memoria e credenziale per ogni luogo e tempo ove passerà la sua “Figlia”. Ricordando le cure e le premure che la crebbero all'ombra della Sacra Famiglia, dovrà regolarsi e sarà saggia per sé e per tutti quelli che Iddio legherà alla sua vita. Alle spose novelle due parole. Prima parola: “Figlia carissima, passando al matrimonio non credere di passare allo stato d'indipendenza e di felicità, poiché t'inganneresti grandemente. Per quanto sia buono tuo marito, ed ottima la famiglia, ricordati che incomincia per te uno stato d'annegazione e sacrificio che puoi rendere dolce e meritorio ascoltando ed osservando questi pochi consigli dettati dall'amore e dall'esperienza”. E vengono i consigli: “in casa di tuo marito considerati l'ultima della famiglia. Ama tuo marito; abbi in lui confidenza e rispettalo come tuo superiore... Non andare girovagando per le strade e per le case, sta ritirata in casa tua e godrai pace... Non fare amicizie, né familiarità con chicchessia estraneo alla famiglia. Guardati come dal demonio da chi viene a suggerirti rapporti e maldicenze contro tuo marito: in quelle parole c'è il veleno e l'invidia... Ama il lavoro, e quello più utile e necessario alla tua famiglia. “Adempi i tuoi doveri di cristiana verso il Signore con esattezza” qui seguono norme e consigli particolareggiati e pratiche su questo grave punto della vita matrimoniale. Seconda parola: “Altri doveri gravi ed importanti Iddio ha legato al matrimonio: quelli che riguardano i figli e la loro educazione. Dalla riuscita dei figli dipende la loro felicità presente e futura, non solo, ma quella della stessa famiglia, e della più grande famiglia, la società. Il tuo figlio sia innanzi tutto cristiano di battesimo e di vita, mediante la tua educazione che dev'esser fatta di esempi più che di parole. Cresci il figlio sano nell'anima e nel corpo; istruiscilo 223 Bergamo, Natali Tipografo vescovile 1866. Biografie 273 opera omnia nella religione, nell'amore di Dio, nella devozione alla Madonna, ai Santi, nel rispetto alla chiesa, ai superiori, alle autorità. “Vigila il tuo figlio, non trascurarlo, seguilo, guardalo dai lupi rapaci che ne uccidono l'anima. Ama il tuo figlio; compatiscilo nelle sue giovanili mancanze; fa che ami il lavoro e la vita campestre, che è per lui la più bella, la più tranquilla, la più scevra di pericoli. “Formagli un cuore caritatevole, pietoso, che osservi la giustizia, che sia buono, obbediente, rispettoso con tutti, e così il tuo figlio diverrà caro a Dio come Abramo, sarà di consolazione a te come Isacco, d'esempio ai fratelli della campagna come Tobia, e parteciperà con essi alle benedizioni di Dio, che per i meriti di S. Giuseppe, concesse alla classe dei poveri contadini”. Viene poi la “Memoria” alla Figlia che entra al servizio in una casa privata: “Dio ti benedica, figlia mia, e la sua benedizione ti accompagni nella nuova dimora che ti ha preparata. Forestiera tra i forestieri, troverai persone nuove, usi, uffici diversi da quelli prima assolti; gl'inizi ti saranno duri, ma tutto passa, figlia mia, presto ti accomoderai tu pure. Quel che importa è che tu pratichi quello che con tanta fatica ti venne insegnato. “Ti consegno questa lettera: in essa troverai la strada che hai da battere, i tuoi doveri nuovi e come devi compierli. “Questo dono lo reputo il più utile che ti possa fare in questo momento. Leggi spesso questa lettera e metti in pratica i miei suggerimenti. “Ricordati che dai primi passi che darai nel mondo sarai giudicata, e questo giudizio durerà per tutta la vita. Riconosci nei tuoi padroni l'autorità di Dio; sii ad essi obbediente, fedele e sottomessa in tutto, almeno che non ti chiedessero cose contrarie alla santa legge di Dio e alla tua coscienza. “Dio volesse che tu trovassi nella casa ove entri una seconda Famiglia di S. Giuseppe; ma ciò sarà difficile. Ma tu impara a conoscere tutti: sii saggia, e temi chiunque ti si avvicina con parole lusinghiere ed insinuanti, in cui si cela il veleno del serpente. Sii mortificata nella gola, riservata nel tuo contegno; non ti lusinghi la vanità e l'amor proprio. Ricordati che tutto passa, la vita è incerta, e se ti danni nessuno ti salverà. “Non fare amicizie particolari; evita l'ozio, non far distinzione fra lavoro e lavoro, metti mano a tutti che per te tutti devono essere uguali. Ricordati che sei nata povera, povera fosti allevata, e povere furono sempre le tue occupazioni. Procura di non meritarti i rimproveri dei tuoi padroni. Non essere sciocca e superba dopo di Biografie 274 opera omnia avere sbagliato, cercando di scusarti e mostrandoti offesa della correzione. Non inquietarti; solleva a Dio il pensiero, il cuore nella preghiera ed offri a Lui te stessa e le azioni della tua giornata. “Sii pia, devota, frequenta la chiesa e i Sacramenti. Ama la Madonna; fuggi il peccato e compi tutti i tuoi doveri di religione. Custodisci in cuore il ricordo della tua educazione, delle cure e delle grazie che ricevesti in questa casa. Leggi spesso questa lettera e metti in pratica i miei consigli. “. Questo per sommi capi è il patrimonio ascetico - educativo lasciato dalla Madre Cerioli alle Figlie per la loro salvezza e santificazione. Or non resta che gettar gli occhi sulla sua non meno preziosa e copiosa corrispondenza. Merita uno sguardo più attento perché proprio in essa è l'anima della donna e della santa. Moltissime lettere della Madre Cerioli trattano d'affari negozi comuni usuali lo stile allora corrente adattato al destinatario. Così ella si serve di un periodare quasi vernacolo d'intercalari e modi di dire rurali con i suoi dipendenti con le suore e con tutte le persone di confidenza; per innalzare invece il tono e lo stile quando parla di cose di spirito e con persone di autorità e di riguardo. Con tutti, però, parla in grande semplicità sia che tratti di cose spirituali sia di lavori raccolti di necessità comuni. È tanta la sua semplicità e disinvoltura che a leggerla vien fatto di chiedersi: “Sono dunque queste le lettere di una santa? Ma così parlan tutti: così parliamo anche noi!” Preziosa consolante constatazione! Si tocca con mano, meglio che non si dica, quel che sono i santi. Uomini, donne comuni in tutto simili a tutti; perfettamente identici a noi con le nostre pene preoccupazioni tentazioni e miserie sottoposti come noi alle oscillazioni del temperamento alle variabilità del tempo... Eppure sono i santi! E se tra noi e loro v'ha una differenza ce la poniamo noi stessi; ed è una differenza sostanziale. Leggiamo e attentamente i santi nello specchio della loro anima e noi non troveremo una lettera una riga una frase una parola sola che non sia conforme alle leggi di Dio alle leggi dell'amore alle pure leggi della umana convivenza. E se ciò a prima vista non si nota segno è che il senso del giusto in noi è tanto connaturato insieme al senso del conveniente e del virtuoso che tutto ci sembra normale quando tutto è ad esso conforme. Esattamente come nel nostro organismo - per dare un esempio molto pratico - noi non avvertiamo la presenza dei vari organi se non Biografie 275 opera omnia quando essi sono malati. Nello stato normale non li notiamo. Eppure ci sono vivono lavorano; e quale lavoro sostengono per il nostro benessere! Così nei santi l'aspetto l'attività esteriore è semplicemente disinvolta normale, tanto che non ci avvediamo neppure che essi vivono in mezzo a noi con noi come noi nel lavoro nella reazione nel sacrificio, solo è che dinanzi a Dio essi son grandi perché contro tutto restano tenacemente immobili ostinati nel volere quel che vogliono: il meglio la virtù l'ideale di perfezione da raggiungere ad ogni costo. Tanto è per concludere che anche la Madre Cerioli nella manifestazione che ci fa dell'anima propria, attraverso la sua corrispondenza rimane sempre al nostro livello per semplicità e normalità; ma eccelle e ci sopravanza per la fede e l'amore la costanza che l'avvivano e la bruciano senza requie. Gustiamo un saggio delle sue lettere d'affari: “Cara Suor Rosa, non avrei avuto tempo di scriverti, ma ti faccio queste due righe per dirti che se il Signore mi farà grazia, verrò costì per il raccolto, cioè, o per la fine di questa settimana, o subito dopo le sante feste. Ma bisogna che venerdì mi mandiate ancora il Giovanni col carretto a condurci del ravizzone, poiché qui abbiamo nulla da imboscare, ed i bigatti (bachi) sono tanti e belli. Quelle due once sono quasi andati al bosco. Ma ci vuole una pazienza di Giobbe a doverli mettere tutti su i 224 boghetti nondimeno ringrazio il Signore che sono andati bene. “Mi è poi assai rincresciuto che non mi avete mandato la roba delle due ragazze milanesi: stavano qui ad aspettarla, perché una di queste doveva partire... e voi non mi avete mandato nulla. La colpa è di Suor Marta... la quale lo sapeva, ed ha proprio essa l'ufficio del guardaroba. Pazienza! Anche l'esattezza al proprio dovere è una cara virtù, e bisogna raccomandarla sempre. Basta: metto qui la nota della roba lasciata dall'una e dall'altra di queste due giovani, onde tu me la possa mandare. Salutami tanto il Giovanni... Sta sana. Il Signore ti 225 assista. Tua aff. ma compagna Suor Paola Elisabetta Cerioli” . La fondatrice Superiora e Madre si sottoscrive: “tua affezionatissima compagna”. Basterebbe quell'ultimo dettaglio a far capire che siffatta lettera non è poi tanto comune, quando sopra il felice esito dei “bigatti” e il piccolo incidente della “roba dimenticata” splende come un sole la prima dei santi: umiltà! 224 225 Fascetti di ramoscelli sottili, flessibili di ginestra, ravizzone ecc. Raccolta delle lettere. Manoscritto – lettera N. 373. Biografie 276 opera omnia Ma la Madre Cerioli ha scritto anche lettere, moltissime, che trattano ex professo di altri ed alti negozi: gli affari dell'anima dell'eternità di Dio. E quando non ne parla esplicitamente Iddio il Cielo la perfezione sottintesi o accennati appena le inondano e vi scorrono come una corrente calda di energia di moto di vita sì da mostrare all'evidenza che l'ideale di quest'anima è sempre uno ed immobile. Basta ricordare al lettore la corrispondenza – già riportata - col suo primo Figlio spirituale, Fratel Giovanni Capponi, a vedere per l'ennesima volta su quali granitiche basi poggia la sua virtù quali siano le sue idee dominanti le passioni del suo grande cuore in cui sovrabbonda l'amore di Dio e del prossimo. Per lei amare il prossimo significa amarne l'anima e volerla grande generosa agile nella virtù nella dedizione; volerla contenta serena della letizia e della pace che solo può dare Iddio conosciuto amato servito con ilare cuore; infine, vederla incamminata verso la sicura meta d'ogni felicità: il Paradiso. Chiudiamo questo capitolo riportando un'ultima lettera, per contenuto e stile degna d'una santa. È indirizzata ad una delle sue prime e più care Figlie, suor Maria Passera, e le dice testualmente: “Cara suor Maria, il Signore tenga lontano da te il turbamento, l'angoscia e quanto può inquietarti alla vista dei tuoi difetti e mancamenti; basta che questi ti facciano umile; pel resto tieni il cuore sempre aperto alla fiducia ed alla confidenza. Procura di morire a te stessa, specialmente nelle cose piccole e quanto riguarda il tuo ufficio, immaginandoti che il Signore ti chieda questo, e che aspetta dalla tua fedeltà nel compierle, per versare in te l'abbondanza delle sue grazie. Tutta la vita di una religiosa non dev'essere altro che il cercare di morire a se stessa, alle proprie inclinazioni, gusti e desideri, per esser meglio riempita dello spirito del Signore, che mai si comunica alle anime piene di sé, ma le vuole morte, per innalzare in esse l'edificio spirituale. Preghiamo la Santa Vergine che ci aiuti in questa morte spirituale, onde trovar la pace, la quiete, la consolazione. In questi combattimenti spirituali ti raccomando di far andare avanti a tutto la confidenza nella tua superiora, essendo questo un dovere ed una Regola del nostro Istituto; deve aver quindi la preferenza sopra ogni altra vittoria. Te la raccomando, dunque, caldamente, come ti raccomando d'avermi presente nelle tue orazioni, acciò quella perfezione che Biografie 277 opera omnia suggerisco agli altri, possa prima procurarla in me, come ho l'obbligo e il dovere. Addio, il Signore ti aiuti e ti custodisca. Tua aff. ma compagna e 226 Madre. Suor Paola Elisabetta Cerioli . 226 Proc. Ap. Summ. Doc. N. VI, pag. 939. Biografie 278 opera omnia CAPITOLO XXXI “E sarai benedetta in eterno”227 Dal giorno del suo transito nella famiglia spirituale di Suor Paola Elisabetta un appellativo corre sul labbro di tutti per menzionarla, ricordarla: è un appellativo di riconoscente venerazione con cui i Figli rendono omaggio incessante di indistruttibile amore alla loro grande Fondatrice: la chiaman tutti sempre la “benedetta Madre!” È il primo aggettivo aggiuntosi subito al suo nome di dignità e d'onore “la Madre”; e crediamo resterà immobile anche dopo che la Chiesa l'avrà fregiata dei titoli ufficiali; esso è l'aggettivo naturale spontaneo sgorgato dall'anima di chi per prima la conobbe e l'amò. E sarà “benedetta, in eterno”. Dopo le lunghe ma pur necessarie digressioni sulla bella sopravvivenza della Cerioli nell'anima della Chiesa è doveroso ritornare alla sua famiglia di predilezione, quella a cui Iddio volle consacrati con le ricchezze materiali tutti i suoi tesori spirituali. Perché ben altre ricchezze, preziose eredità ha lasciato la Madre alla sua Famiglia, e a tutti; chiunque la conosca deve amarla, e aderire subito a lei con un vincolo quasi familiare d'intima e stretta connessione con tutto ciò che è suo. Le due sue Famiglie hanno pianto - e con questo quanto dolore! - la immatura morte di Colei che era il “tutto” per esse. Via via che il tempo le allontana da quel mesto Natale 1865, che rapì la benedetta Madre, esse sentono ognor più viva la riconoscenza a Dio per aver loro elargito in lei un bel titolo d'onore sulla terra di protezione e d'aiuto in Cielo. 227 Iudith 11 c. Biografie 279 opera omnia Non s'è mai udito che i lineamenti materni, quali che siano, non si riflettano comunque nei figli. Le leggi della rassomiglianza rigorosamente rispettate dalla natura - per una bella armonia di mimetismo spirituale si riproducono ancor meglio nel mondo superiore delle anime. Il decoro della Madre è innanzi tutto decoro dei figli. Oggi sulle due famiglie, così come le vediamo noi, si proiettano con i fulgori delle bellezze materne le luci discrete di quella semplicità e modestia di cui ella volle contraddistinguerle. Si direbbe che queste due note le mettano alquanto in penombra e agli occhi di molti le faccia apparire quello che eran reputate vivente la Madre: un'accolta di pie massaie rurali ed umili fattori dedicati all'assistenza della gente di campagna. Nulla di più contrastante con la verità. Il pungolo segreto e vivissimo che stimolò quest'anima eletta a dissodare le zolle della terra, al di là dello stesso fine sociale, fu un movente idealmente soprannaturale e praticamente spirituale. Procurare il cibo per l'anima prima di provvedere al corpo che facilmente può sfamarsi nella varietà dei prodotti della terra. Oltre tutto, meditando la “mistica Cena” ella vede una Mensa ed un Pane fragrante della sovrabbondanza della carità divina. Ed allora? Perché sarà umiliante coltivare il grano e triturarlo nella mola per fabbricarne l'Ostia? Perché sarà avvilente curare la vite e spremere nei mastelli i grappoli che danno il Vino; scegliere e sciogliere nei frantoi l'ulivo per la sacra lampada; moltiplicare alveari per le cere dei sacri riti; cogliere le liturgiche biancherie dai campi inondati di lino e i fiori dal cintato giardino per avvolgere in un onda di profumi la dimora del Signore? Tutto ciò, concepito ed attuato in un crescendo di fede d'amore di praticità incalcolabile, se può far sorridere il mondo che misura ogni cosa al metro delle apparenze e del rumore, deve commovere chi sa leggere e comprendere il Vangelo. Come non era vero ai giorni della Cerioli che i suoi Figli fossero dei pii rurali, meno lo è oggi che l'opera sua - restando fermo lo scopo d'origine - ha sincronizzato il proprio lavoro alle esigenze dei tempi. Difatti, le scuole gli oratori festivi le case di esercizi inseriti da lei nel suo programma sono parte vitale e integrante della vita dei due istituti, e dicono come e quanto ella non intendesse creare devoti contadini ma perfetti claustrali che, dedicandosi al ceto rurale rimangono essenzialmente religiose e sacerdoti. Biografie 280 opera omnia Questa del resto fu la genesi di molti dei più illustri Ordini ed Istituti che oggi s'impongono alla universale ammirazione per i loro nobili programmi di lavoro. S. Vincenzo de Paoli inaugurò il suo apostolato di carità fra i poveri contadini, poi lo allargò alle proporzioni che tutti conoscono. Pensiamo: se egli avesse incontrato ai suoi giorni la Madre Cerioli le avrebbe chiesto con entusiasmo collaborazione e suggerimenti per lavorar meglio in un campo allora inarato e bisognoso di cultura. S. Alfonso M. de Liguori originariamente creò i suoi missionari per evangelizzare i poveri della campagna e preparare la rigenerazione cristiana della società cominciando proprio dalla terra. Non si comprende come si possa reputar volgare il lavoro dei Figli della Cerioli, quando i più antichi Ordini monastici iniziarono le loro sorprendenti attività dal lavoro manuale - specialmente della terra - portato alla sublimità di una contemplazione che deve riempire tutta la giornata del monaco. L'“ora et labora” di S. Benedetto è un motto di programma e di vita che da quattordici secoli impone il lavoro manuale ed intellettuale, da armonizzarsi bellamente alla contemplazione: congiuntamente allo scriver volumi interpretar palinsesti e miniar pergamene, insegna a ricamare la terra, primo libro che detta la celeste agricoltura del Vangelo. Il cuore in alto e le mani all'aratro il penitente della Trappa saluta ogni giorno Iddio al sorgere e al tramontar del sole in mezzo al campo dei suoi lavori. Brunone tra le folte selve di Borgogna, come Romualdo nei boschi della Sila, condussero prima i loro figli a contemplare la magnificenza dell'Altissimo e poi col risanamento di plaghe insalubri a continuare l'opera redentrice di Gesù Cristo in mezzo ai poveri figli della terra. Del resto se una suora di Carità che cura i malati i reietti i rifiuti della famiglia umana è un apostolo idealmente ammirato; perché non lo deve essere una suora o un fratello della Sacra Famiglia nella loro generosa dedizione ad un lavoro che li lega alla sorte delle creature più umili e semplici, e li assoggetta ad una vita che non dà immediate soddisfazioni e ricompense clamorose? Noi pensiamo: se Iddio nella sua adorabile economia a questo lavoro reputato volgare ha riservato una donna di così alta mente e di così gran cuore; se per esso ha ispirato tutta una serie di leggi previdenze consigli ed una letteratura ascetica, morale, tecnica; se per esso ha devoluto i patrimoni di tre nobili casate, congiunte in un sol Biografie 281 opera omnia patrimonio, per creare e diffondere due famiglie religiose, è segno evidentissimo che l'opera della Madre Cerioli è grande agli occhi divini e di vitale importanza per la società umana. E se nonostante queste alte convincenti ragioni, si insistesse a svalutare e deprimere il santo e prezioso lavoro di queste creature, esse potrebbero ancora rispondere mostrando i frutti del loro apostolato; additando in gloria e compiacenza gli scritti della loro “benedetta Madre” che ha lasciato a tutti tesori di saggezza e di esperienza, da cui la benignità del Cielo trae immenso bene per le anime e per il mondo. Anche questo, dunque, è un altro buon titolo alla riconoscenza dei Figli verso la loro benedetta Madre. Ma pur senza questo ella ha già tanto diritto al loro amore per il molto che lasciò ad essi d'esempi di provvidenze di previdenze di preziose sostanze di cui li rese possessori per la loro santificazione per la felicità di quelli che, legati al loro apostolato, percepiscono i frutti di tanto patrimonio. Benedetta oggi ed in eterno, perché ha operato virilmente e Iddio la sostenne in vita e le assegnò in retaggio la benedizione di tutti che la conosceranno specialmente degli eredi delle sue inestimabili ricchezze. Tra gli altri tesori posseduti e goduti in vita dalla Madre Cerioli occorre segnalarne uno che caratterizzò la sua spiritualità di un'impronta singolarissima, e diede ad ogni sua attività incrementi e successi semplicemente portentosi. Vogliamo dire il suo amore a S. Giuseppe. Se volessimo aggiungere altri aggettivi alla parola “amore” non sapremmo quali scegliere per rendere il grado d'intensità e determinare i limiti di estensione a cui ella ha spinto questo amore. Qualunque aggettivo sarebbe inadatto insufficiente inespressivo a dire come e quanto il cuore della Madre Cerioli si appassionò nell'amore di questo Santo. Proclamata dal Vangelo, vecchia di secoli, accettata e fomentata dalla Chiesa la grandezza e la devozione all'illibatissimo Sposo di Maria e Padre legale del Figlio di Dio la Cerioli la raccolse verosimilmente dalle devozioni correnti del suo tempo. Forse gliela impresse più profondamente nel cuore la Maestra preferita, S. Teresa, che ha pagine di ardente e travolgente eloquenza quando scrive sulla grandezza e potenza di Lui. Comunque riteniamo - e questo è ancora conferma dell'alta spiritualità della Madre Cerioli - che ella lo abbia scelto venerato amato soprattutto per finissimo intuito interiore per quella genialità Biografie 282 opera omnia che è propria d'ogni anima nella scelta dei modelli e patroni preferiti. La Cerioli amò S. Giuseppe, fuori d'ogni ragione d'interesse, ma per aderenza di spirito. La vita le occupazioni gli esempi di Lui la prendono la commuovono la rapiscono proprio perché attagliate conformate ai suoi ideali alle sue possibilità di perfezione. Lo deve amare; ed amandolo lo deve imitare. L'amore e l'imitazione non si distinguono. La perfetta identità tra l'amante e l'amato, ove non si trova, l'amore stesso la crea. S. Giuseppe è una nobiltà regale decaduta, una ricchezza sottomessa al lavoro fatto legge di vita, le sue occupazioni semplici modeste le sue virtù abbaglianti come il sole: operosità e preghiera, silenzio ed unione con Dio, adesione assoluta alle disposizioni del Cielo, paziente sommissione alla sofferenza di qualsiasi genere o nome. Tale ragione per cui le anime squisitamente spirituali allenate all'esercizio della più alta vita contemplativa ricercano ed amano S. Giuseppe. Tutta la perfezione umanamente possibile e accessibile è caratterizzata in questo modello. La Madre Cerioli, nella sua umile ambizione, vuol essere una povera copia una miniatura modesta ma fedele di lui. Perciò lo ama: come una figlia ama il proprio padre; come il povero ama il benefattore; come l'amante ricerca l'amato che le riempie il cuore di dolcezza e di compiacenza. E poi si studia di riprodurlo. Non facciamo raffronti di genealogie; ma si deve riconoscere che è anch'ella una nobiltà abbassata dalla carità una ricchezza impoverita dalla compassione per gl'indigenti. Questo lontano riflesso di luce lo inorgogliva assai più se avesse potuto inorgoglirsi salendo dal nulla alla nobiltà. Ma prima di tutto la rapirono la modestia la semplicità l'umiltà il silenzio: quattro sorelle germane armonizzate mirabilmente in S. Giuseppe. Esse sono anche la passione del suo cuore; ed esse l'hanno inclinata con tanto trasporto verso i poverelli della gleba, perché almeno idealmente esse sono le note caratteristiche degli umili di campagna. La vita di unione con Dio attuata nella raccolta meditazione o nella fervida attività contemplativa è un'altra passione del suo spirito che trova tanta emulazione nell'esempio di S. Giuseppe, la cui laboriosa giornata si riempie della incessante visione delle perfezioni del Verbo di Dio fatto uomo a lui obbediente, e delle bellezze uniche Biografie 283 opera omnia della sua santissima Madre che lo chiama con nome di riverenza e d'amore: suo Sposo. Pregare orare è pure occupazione d'ogni ora della Madre Cerioli, perché sempre e dovunque nel segreto del cuore o nella contemplazione della natura ella ritrova il diletto dell'anima che la chiama alle divine compiacenze, la rapisce con ineffabili tenerezze. Lavorare è pregare; e la sua preghiera assume toni così fervidi ed intensi di tanto dolce violenza che ella è subito rapita dall'oggetto del suo amore. S. Giuseppe le è guida maestro di orazione, come le è precettore il lavoro modello di silenzio forma esemplare di assoluta sommissione al divino volere. Tutto questo ella lo sente e lo vive, e vuole che ne vivano anche le sue Figlie. Le sue spirituali peregrinazioni alla santa Casa Nazarena, ove sembra avere libero accesso, perché gode della dolce intimità dei tre santissimi abitatori, sono da lei ripetute e riprodotte in compagnia delle Figlie dilettissime che presenta alla S. Famiglia, e ripresenta ad esse ciascuna delle tre auguste persone. “Ecco Gesù!... Mirate Maria!... Vedete S. Giuseppe!... S. Giuseppe... oh, come guarda la casta sua sposa!... Il sudore gli bagna la fronte... la fatica lo aggrava, nullameno egli lavora sempre!... È felice e ringrazia in cuor suo il Signore di potere coi suoi stenti e colle sue fatiche nutrire quei cari pegni, delizia degli angeli, sua gioia, suo amore, sua consolazione... Fortunato Giuseppe! quanto bene corrispondeste a sì alta 228 missione” . Messe in solido siffatte disposizioni di spirito e di cuore, di devozione e d'amore, il culto esteriore ne consegue necessario e spontaneo come l'effetto dalla causa il frutto dal fiore. Dopo quanto fu letto ed ammirato nella vita della Madre Cerioli crederemmo di tediare il lettore dando ancora prove della sua devozione a S. Giuseppe. Che cosa non ha fatto scritto o detto la benedetta Madre per esaltare ringraziare amare S. Giuseppe? Tutti i titoli d'onore e di responsabilità li conferì a lui; tutti gli uffici le incombenze le preoccupazioni domestiche le passò a lui. S. Giuseppe: il padre dell'anima sua il Fondatore della sua Congregazione. Lui medico avvocato economo patrono rifugio angelo tutore dei suoi orfanelli che per lei non hanno e non possono avere che una denominazione: i “Figli di S. Giuseppe”. 228 Direttorio - Parte I. Cap. XI, pag. 76. Biografie 284 opera omnia Si può dire che non scrivesse una lettera senza parlare di lui protestargli la sua fiducia il suo amore riconoscente, e proclamare la santità la protezione l'onnipotenza. Negli altri scritti poi dichiara lealmente che tutta l'opera della sua fondazione va riferita al merito di S. Giuseppe. Nei momenti più difficili e incerti ella corse ai piedi di lui ad esporre la sua necessità urgente improrogabile e se ne rialzò sorridente piena di fede e di fiducia; indi, con la sua naturale disinvoltura andò a portare la sua collaborazione - pur essa indispensabile - e poi attese... Se la cosa non riusciva a dovere non si sgomentava. “Lasciandola lì; ora ci pensi S. Giuseppe! Noi abbiamo fatto la nostra parte egli farà la sua: non dubitiamo!” Se poi la cosa tardava a realizzarsi: “Noi abbiamo troppa fretta e la fretta è un difetto. S. Giuseppe è molto pacato sembra persino lento nelle cose sue ma le fa assai bene e arriva sempre in tempo: abbiamo pazienza!” Difatti col tempo tutto riusciva a meraviglia oltre i desideri e le speranze. “Avete visto S. Giuseppe come fece bene? Non solo la cosa è riuscita ottimamente, ma fu preceduta e seguita dalle più propizie circostanze. Andiamo dunque a ringraziarlo”. La sua corrispondenza è ancora più eloquente. Al buon canonico Valsecchi scriveva: “I miei progetti a Villa Campagna vanno male, però non mi disanimo, persuasa che si effettueranno e presto e come meglio vorranno il Signore e S. Giuseppe”. E poi diceva: “Vede come fa bene S. Giuseppe? Egli non ha fretta come me, ma a lungo tempo sa contentarmi ed esaudirmi. Poveretta me, se avesse secondato il mio carattere “fretta! e subito!” avremmo fatto delle belle cose non è vero?” Ed in un'altra lettera al medesimo: “Mi pare che S. Giuseppe concorra con la sua protezione volgendo tante provvidenze impreviste e impossibili a vantaggio della nostra opera. Basta: faccia lei, signor canonico, io non c'entro che per ammirare la bontà di Dio ed abbandonarmi con più fiducia al suo beneplacito”. E ancora: “Quest'anno S. Giuseppe mi esercita con mortalità e malattie fra le mie Figlie, io provo molta inquietudine, ma adoro le disposizioni del Signore, sapendo per certissimo che nulla accade se non per nostro bene e vantaggio; e in questi sinistri S. Giuseppe avrà sotto delle mire che noi possiamo sapere ma che saranno utili per noi o per l'Istituto, perché a lui - come a Fondatore - deve premere più che a me l'onore, la prosperità e l'avanzamento dell'Istituto stesso”. Finalmente: “Avrei molte cose da domandarle in proposito ma mi riserbo a S. Giuseppe. Questo Santo si tolse ancora una nostra Biografie 285 opera omnia Figlia quest'inverno, e la nostra comunità va crescendo in Paradiso più di quello che vorrei; ma esso è vero Padre e fa quello che vuole e quando penso dove le colloca certo non posso fare a meno d'invidiare la loro sorte, quantunque mi rincresca specialmente se sono brave”. In proposito il Merati, primo biografo della Cerioli, conchiude: “Potrei citare qui molti fatti accaduti e vivente la benedetta Madre e dopo la sua morte, ottenuti da quella confidenza che ella seppe così bene ispirare nelle suore e nelle Figlie verso il loro potentissimo Patrono e Padre. Orfane guarite suore liberate da pericoli spirituali e corporali incendi spenti vettovaglie moltiplicate danari salvati improvvise mutazioni di animi esasperati e determinati a nuocere ladri arrestati aggressioni al convento sventate e visite d'importuni allontanate. Veramente Suor Paola Elisabetta Cerioli può ripetere con la sua Maestra S. Teresa: “Non ho mai domandato nulla a Dio, a nome di questo gran Santo, senza averlo poi ottenuto”. Dopo tutto ciò non sapremmo quale più preziosa eredità di beni di onore di protezione possa lasciare una Madre alla propria posterità. Giustifichiamo, quindi, pienamente la riconoscenza dei suoi Figli verso chi tutto fece tutto diede tutto disse onde la loro felicità fosse piena in terra e in Cielo. Dall'intimo del cuore essi ripetono ogni giorno la commovente preghiera del Salmista: “Guardaci dal Cielo, e veglia e custodisci 229 questa mistica vigna che la tua mano piantò, o Madre!... . “E sarai benedetta in eterno!” 229 Psalm. 79. 15. Biografie 286 opera omnia CAPITOLO XXXII Conclusione storica Restringiamo per ultimo tutta la storia postuma della benedetta Madre Paola Elisabetta Cerioli, dalla sua morte ai nostri giorni. La salma, esposta nella foresteria del convento di Comonte, vi rimase due giorni per dare libero sfogo alla pietà e all'amore di tutte le genti dei dintorni che accorsero a pregare, più che a suffragare, vicino a colei che tutti ritenevano grande signora di animo e di beneficenza ma più di santa vita. Il vescovo Speranza e il canonico Valsecchi, i suoi angeli visibili, erano tra questi. I funerali ordinati dal superiore e Padre veneratissimo il canonico Valsecchi che li volle “non quali li avrebbe richiesti la condizione la nobiltà della Madre, ma come si convenivano e sarebbero stati graditi da Suor Paola Elisabetta fatta povera per amore dei poveri, e che in vita aveva rinunciato ad ogni fasto e pompa”. L'accompagnarono quindi al sepolcro le sue Figlie lacrimanti le sue amatissime orfanelle e una moltitudine di popolo tra cui i suoi più cari amici i poverelli e gli agricoltori, venuti da ogni parte dei paesi limitrofi. Da ultimo, unico ricordo di ciò che ella aveva abbandonato e meno curato: i rappresentanti dell'aristocrazia bergamasca legata da vincoli di sangue e d'amicizia alle casate Cerioli - Buzecchi. Al momento in cui la bara lasciava l'avito palazzo testimonio di tanto soffrire e di tanto operare, un'esplosione di pianto e di singhiozzi - sino allora a stento repressi - traboccò da molti cuori spezzati dal dolore per la perdita del loro angelo. Biografie 287 opera omnia A quel grido un brivido di commozione pervase la folla e le lacrime di tutti si associarono al pianto delle Figlie. Il mesto e modesto corteo sostò alla parrocchiale di Seriate, ivi un bel numero di sacerdoti cantò solennemente l'Ufficio e la Messa dei Defunti. Prima dell'assoluzione al tumulto, Don Pietro Piccinelli - che fu per vent'anni confessore di Suor Paola Elisabetta - lesse l'elogio funebre e lo svolse sul concetto ispiratogli da un testo delle Lamentazioni di Geremia molto espressivo e bene appropriato alla defunta: “ - Le lacrime mi hanno consumata la vita nel piangere la 230 rovina delle figlie della mia città. - . Io non so in qual modo dar esordio al pietoso ufficio che mi sono assunto dinanzi a voi. Alla presenza di questo feretro, la mestizia che leggo sui vostri volti, e più che tutto questa corona di poveri derelitti, or divenuti orfani per una seconda volta, e che vedete struggersi in lacrime daccanto a questo sarcofago, m'inventerebbero a piangere piuttosto che a parlare. Ve lo confesso schiettamente in tale momento mi sarebbe stato più facile ed opportuno il tacere. Ma l'invito di persone amiche, e il pio desiderio delle desolate consorelle della benefica defunta, mi fecero tale e tanta violenza che non mi fu possibile il resistere... Le mie parole saranno se non altro l'ultimo tributo di ammirazione e di riconoscenza che porgeremo alla nostra insigne benefattrice in questo giorno dei suoi funerali e del nostro vivo e profondo lutto. Le parole che ho preso ad imprestito dal profeta Geremia, esprimono eloquentemente il pianto del Veggente dinanzi alla rovina spirituale delle predilette figlie di Sion, ed offrono immagine stupenda del cuore amoroso e veramente materno di questa grande donna, allorquando nel terzo periodo di una virtuosa vita, commossa e preoccupata essa pure sino alle lacrime, sui pericoli e i bisogni di tante povere ragazze orbate troppo presto dei loro genitori, pensava efficacemente ai mezzi per difenderle dai pericoli e soccorrerle nei loro bisogni”. E qui l'oratore fa una commossa rievocazione dell'alta opera di carità cristiana e sociale svolta dalla Madre Cerioli. Nella sua perorazione esclama: “Ah, sì, noi le dobbiamo un'immensa un'eterna gratitudine! Oh, quanto ci confortava il pensiero che mentre la morte moltiplicava gli orfanelli, vicino c'erano due braccia veramente materne che si allargavano ad abbracciare quelle povere creature seminate sulla via dalla falce crudele!... 230 “Oculus meus depredatus est anima meam in cunctis filiabus urbis meae” (Thren. 3. 51). Biografie 288 opera omnia “Quale sventura ci ha colpiti! Quelle braccia che si dilatavano tanto per accogliere i poveri orfanelli sono oggi irrigidite dal gelo della morte! Questa implacabile nemica dell'uomo dopo aver seminato su questa terra tante infelici creature ora fu tanto spietata da involare a questi miseri la loro seconda madre. “Noi, dunque, l'abbiamo propriamente perduta questa insigne nostra benefattrice? E perduta per sempre? No, non è del tutto perduta per noi; essa vive nelle sue fondazioni vive nella nostra memoria vive nelle sue buone suore eredi del suo spirito, e finalmente vive su in Cielo immortale da dove più efficacemente protegge le sue opere!... “Il suo spirito immortale sì vive ancora nel Paradiso ove regna con i santi. Io per me fin d'ora la proclamo una santa, questa illustre e benefica nostra concittadina. Sì, io ne ho studiata la sua vita giovanile e la trovai pura e virtuosa come una colomba; ne studiai la sua vita coniugale e la trovai un vero tipo delle più elette virtù, un vero modello delle spose delle madri cristiane, un'eroina di fortezza nelle privazioni e nelle avversità; ne studiai l'ultima fase della sua vita e la trovai la più bella copia di quel Divino Pastore che volle pur esso chiamarsi il Padre degli orfani. E la sua virtuosa carriera si chiuse poi ancor più santamente!”. Termina l'elogio con queste parole: “E finché non venga destinato altro riposo a lei più degno la mia famiglia andrà superba intanto di accoglierla nell'umile sua cella mortuaria; ed io potrò fin d'ora proclamare il suo frale benedetto come la benedizione 231 fondamentale ed anticipata anche dell'ultimo nostro riposo” . Chiusosi il mesto rito tra la commozione generale la salma fu trasportata al cimitero comunale di Seriate, di recente istituzione, ove la buona Madre non s'era mai curata di provvedersi una tomba distinta come la possedevano i Tassis nel vecchio cimitero, desiderosa di andare a riposarsi nel campo comune tra i suoi cari poverelli. Ma ciò non le fu consentito, perché l'ottima famiglia Piccinelli - come ha detto il qualificato rappresentante - che aveva un vero culto di venerazione per la benedetta Madre la volle ospitare nel proprio sepolcreto novissimo “nel quale nessuno ancora era stato sepolto”. Ivi scesero nella pace del Signore i sacri resti di lei, per sostarvi appena venti anni. Il 28 novembre 1885, dietro reiterate insistenze e lunghissime pratiche delle religiose della S. Famiglia, guidate dall'ottima, Madre Luigia Corti superiora generale dell'Istituto, si ottenne finalmente la 231 Proc. Ap. Summ. N. XXX, pag. 640, paragr. 94. Biografie 289 opera omnia desiderata autorizzazione di riportare nel suo caro convento di Comonte le spoglie benedette. Questo trasporto fu un nuovo trionfo, occasione di pianto e di dolore ai buoni villici di Seriate che vedevano involarsi la loro “Santa”; e fu contrassegnato da un prodigio. Il Fratello Isidoro Paris nel portare a spalla il sacro peso fu liberato da un cronico e doloroso male alla spalla che gl'impediva di muovere il braccio. “Nell'atto - dice egli - di caricarmi la bara sulla spalla malata invocai la benedetta Madre con fiducia che mi avrebbe guarito. E guarii di fatto perché arrivato a Comonte e terminato il corteo mi accorsi di non sentire più alcun dolore e di poter muovere 232 liberamente il braccio” . Riportata in Comonte la salma fu riportata nella stessa modesta stanzuccia ove ella visse e morì in tanto ardore di attività e carità. Ivi racchiusa in un'urna di legno con lastra di vetro, donata dai suoi parenti, fu deposta in un lato della stanza, che si separò dal restante della medesima elevando una cortina di mattoni. Una tavoletta scritta a mano dalla nepote Giuseppina Scotti, reca la seguente iscrizione: Suor Paola Elisabetta Cerioli, vedova Buzecchi - Tassis, morta il 24 dicembre 1865. Dietro quella modesta cortina ella è rimasta - come sempre - a disposizione di tutti: Figlie orfanelli devoti, ad accogliere voti e preghiere da presentare a Dio impreziositi della sua buona e sollecita intercessione. Sino all'anno 1919, quando a complemento del Processo Ordinario per l'introduzione di causa di beatificazione, si procedette alla ricognizione della salma. In questa circostanza fu rimossa e trasportata in un loculo appositamente disposto nella chiesa in una parete che è muro di divisione con la sacristia; sicché dai due lati prospicienti la chiesa e la sacristia fu ripetuta la stessa iscrizione, indicante semplicemente: Soror Paula Elisabeth Cerioli - Fundatrix 233 28 Jan. 1816 - 24 Decembris 1865 - . Ed anche in questo luogo di deposito continuarono le visite d'innumerevoli ammiratori della Madre Cerioli, tra cui vanno in 232 233 Proc. Ap. Summ. N. XX. pag. 635, paragr. 79. L'iscrizione in seguito fu sostituita da altra che suona così: Serva di Dio Suor Paola Elisabetta al secolo nobile Costanza Cerioli vedova Busecchi Tassis nata a Soncino il 16 gennaio 1816 Fondatrice dell'Istituto della S. Famiglia morta in Comonte il 24 dicembre 1865. Biografie 290 opera omnia prima linea ricordati eminentissimi cardinali vescovi prelati sacerdoti e poi fedeli d'ogni condizione, che memori delle virtù esercitate in vita, e testimoni delle belle sue opere tuttora viventi attestarono ed attestano - nel modo consentito dalle leggi della Chiesa - la loro venerazione e fiducia verso la benedetta Fondatrice degl'Istituti della S. Famiglia. La sua fama di santità andò sempre diffondendosi e accreditandosi via via che il Signore, benignamente rispondendo alle preghiere presentate per l'intercessione di lei, cominciò ad elargire grazie e favori. Le numerose tabelle votive, espressione di gratitudine dei beneficati, che tappezzano la stanza ove è il suo corpo ne sono aperta testimonianza. Nei due Processi Ordinario e Apostolico sono registrate numerose guarigioni - alcune delle quali presentano i caratteri del miracolo - operate da Dio per intercessione della Madre Cerioli. Più di cinquanta testimoni hanno deposto in questi vari Processi; dalle loro dichiarazioni risulta evidente e commovente la fiducia di chiunque ha invocato la “benedetta Madre” e ne ha riportato sollievo ed esaudimento. Proponendoci di dare in seguito la dettagliata narrazione dei due fatti miracolosi, proposti al giudizio della Chiesa per la beatificazione della Madre Cerioli, ci preme conchiudere dando un breve resoconto delle varie tappe fatte dai Processi Ordinario e Apostolico, al fine desideratissimo della di lei glorificazione. Di fronte alla fama di santità che circonda in vita e dopo morte i fedeli servi del Signore, la Chiesa non resta indifferente; ma con materna e saggia sollecitudine, dispone che si addivenga a tutte le necessarie inquisizioni affinché - a norma dei sacri Canoni - si stabiliscano la solidità e la continuità di questa fama. Di conseguenza raccolti tutti gli scritti attribuiti ad un Servo di Dio; riconosciuti legalmente i suoi resti mortali, si dà inizio al Processo detto “Ordinario” che si celebra nella diocesi ove il Servo di Dio morì. In questo Processo si escutono i testi immediati e mediati che lo abbiano cioè conosciuto di persona, o per mezzo di contemporanei, con le deposizioni circa la vita, virtù, miracoli e fama di santità del medesimo. Per la Nostra tale Processo fu iniziato nella diocesi di Bergamo dal vescovo Mons. Gaetano Camillo Guindani e proseguito dai suoi successori Mons. Giacomo Radini Tedeschi e Luigi Maria Marelli. Detto Processo fu presentato a Roma insieme agli scritti della Madre Cerioli per le necessarie giuridiche disquisizioni. Biografie 291 opera omnia Nell'anno 1919 il 14 marzo il Sommo Pontefice Benedetto XV si degnava firmare il Decreto di Commissione per l'Introduzione di Causa. In seguito furono rilasciate le Lettere Remissoriali per l'inizio del Processo Apostolico intorno alle virtù da celebrarsi ugualmente in Bergamo. Nelle tre rituali Congregazioni furono discusse queste virtù, e il 2 luglio 1939 il Sommo Pontefice Pio XII, appena asceso al soglio di Pietro, emanava il primo Decreto sull'eroismo delle virtù: quello della Venerabile Madre Cerioli. Immediatamente dopo si addivenne all'esame e discussione dei due fatti miracolosi operati da Dio, ad intercessione della Venerabile: condizione indispensabile per procedere alla sua beatificazione. Questi due miracoli, infatti costituiscono per la Chiesa il criterio estrinseco e certo con cui Iddio approva e ratifica il riconoscimento da lei fatto dell'eroica vita dei Suoi Servi. Tra le molte grazie attribuite all'intercessione della Venerabile Madre, due specialmente presentano tutti i segni del prodigio, e ne diamo qui, ad edificazione dei lettori il sunto storico. Pel primo trattasi della istantanea e perfetta guarigione della giovane Assunta Barbieri da Gallignano, presso Soncino, patria della Serva di Dio, diocesi di Cremona, sanata da tubercolosi polmonare evolutiva bilaterale. Nata nel 1912 da genitori tarati, ella stessa era la più malandata dei suoi fratelli. A 17 anni cominciò a soffrire dolori alle spalle, a cui si aggiunse tosse ed infine emottisi. Visitata dal medico, le riscontrò una bronco alveolite prevalente a destra. In seguito uno specialista di malattie tubercolari precisò che l'infiltrazione era biapicale. Nell'anno 1930 in cui si manifestò in tutta la gravità il suo male; le furono praticate tutte le cure e sottoposta a tutti gli esami, per cui non v'era dubbio e della gravità del male e della fatale conclusione che avrebbe avuto. Le ripetute emottisi, l'alimentazione quasi nulla ridussero la paziente all'estremo, cui si aggiunsero altri fenomeni gravissimi di cefalea violenta, con alte grida anche notturne; grande irrequietezza sì da rompere quattro termometri e richiedere la legatura della malata al letto. Verso il mese di maggio l'arciprete del paese suggerì alla famiglia dell'inferma di ricorrere alla Serva di Dio Elisabetta Cerioli. Biografie 292 opera omnia L'inferma ascoltò il consiglio dell'arciprete e si mise a pregare la Cerioli con grande fiducia, tenendo sopra di sé un'immagine di lei. Quest'immagine spesso la portava anche alla bocca. Simultaneamente pregavano allo stesso scopo le Figlie della stessa Serva di Dio le Suore di Gallignano con le loro orfanelle, e primo fra tutti pregava l'arciprete che spesso benediceva con tale intenzione la povera inferma. Queste preghiere furono continuate sino all'8 di luglio, festa di S. Elisabetta, onomastico della Serva di Dio invocata. Intanto le condizioni dell'inferma peggiorarono al punto che se ne attendeva da un momento all'altro la morte. Le furono amministrati tutti i Sacramenti. La notte dal 7 all'8 luglio era generale l'aspettazione della morte. L'inferma aveva il rantolo dell'agonia; non gridava più; non si agitava... vi fu persino un momento in cui la si credette morta. Ad un certo momento fu vista come sorridere e fare gesti di saluto con la mano, e a dire ora “saluto” ora “sì” quasi conversasse con una persona che lei sola vedeva. Il mattino seguente verso le 9. 30 si mise a sedere sul letto e chiese i suoi abiti per vestirsi, perché la Madre Cerioli le aveva detto di alzarsi di andare entro un'ora dall'arciprete a prendere la benedizione, e sarebbe guarita. Nessuno voleva crederla; ma ella insistette, indicando il luogo ove erano le sue vesti; ed allora gli furono date, fu slegata ed ella si vestì molto alla svelta. Discese in cucina... e poi si recò dall'arciprete, e dietro di lei molta gente. Il sacerdote la benedisse, la trattenne dieci minuti nel suo studio e poi se ne tornò a casa. Tornata a casa, molte persone vennero a vederla ed a sentire la miracolosa sua guarigione, avvenuta nel giorno onomastico della M. Cerioli. Dopo tanto trambusto di commozione, l'Assunta cominciò a mangiare i cibi più comuni preparati pel pranzo della famiglia e bevve alcuni bicchieri di vino. Dopo desinare fu accompagnata di nuovo al letto, e riposatasi alquanto nel pomeriggio volle ancora mangiare. E da allora ella ha goduto e gode tuttora la più normale e florida salute. L'altro miracolo avvenne in persona della casalinga Lupini di Treviolo, diocesi di Bergamo, maritata Leidi, da artrosinovite tubercolare. Nata nel 1888, maritata con due figli, ha sempre goduto buona salute; all'età di 32 anni camminando sulla neve cadde e provò un dolore all'osso sacro, dove si formò un forellino da cui usciva scarsa materia. Fu operata, e tutto sembrò scomparso. Dopo un anno prese a gonfiarsi il ginocchio sinistro. Il gonfiore andò aumentando e in qualche mese il ginocchio sinistro diventò grosso il doppio del destro. Biografie 293 opera omnia Aveva stato febbrile e non poteva riposare. Fu visitata da vari medici e fu diagnosticato il suo male per “artronsivite tubercolare”. Le fu ingessato il ginocchio. Ma il ginocchio andava sempre peggiorando, tanto che un medico le disse che bisognava amputare la gamba. Entrò in clinica; ma con poco vantaggio. Fu sottoposta ai raggi, ed il medico le ripetette che la malattia era grave, che il ginocchio era pieno di pus e bisognava far presto a tagliare la gamba. Nell'anno 1920 visto che umanamente non c'era verun rimedio, la poveretta si rivolse al Cielo, e consigliata da una sua amica cominciò una novena di preghiere alla Serva di Dio Elisabetta Cerioli, di cui ebbe un'immagine che applicò sul ginocchio malato. Alla fine della novena si sentì alquanto sollevata. Nonpertanto chiese al marito che la portasse a Comonte sulla tomba della Serva di Dio, per pregarla di concederle la grazia e promettendo un'offerta in suo onore. Il marito con un figlio, Ernesto, ed il cognato, fratello dell'inferma, la trasportarono con un biroccio a Comonte. Durante il viaggio la povera inferma dovette tenere la gamba appoggiata ad un cuscino, soffrendo indicibili dolori ad ogni sobbalzo del veicolo. Giunta a Comonte la misero a sedere su di una sedia di fronte alla tomba della Serva di Dio. Qui la poverina pregò fervidamente, recitò il S. Rosario, invocando pietosamente la Serva di Dio. Si sentì sollevata. Il dolore al ginocchio era diminuito e provò a sollevare la gamba malata ed a fare qualche movimento del ginocchio, ciò che sino allora non aveva potuto fare. Prima di partire lasciò la sua modesta offerta promessa. Fu rimessa sul biroccio. Durante il ritorno non soffrì affatto. Le scosse del veicolo non le davano quasi più dolore. Tornata a casa cominciò a camminare appoggiata ad una gruccia e dopo otto giorni lasciò anche questa, appoggiandosi solamente ad un bastone: Poteva scendere e salire le scale senza difficoltà; il ginocchio andava sgonfiandosi; e dopo altri otto giorni lasciò anche il bastone: il ginocchio era completamente sgonfio, non le dava più verun fastidio. Da allora in poi non ha sofferto più, lavora in campagna, attende alle sue occupazioni domestiche senza alcuna difficoltà al ginocchio. Anche il medico curante visitandola ebbe a dire che ella era guarita per opera soprannaturale. ______________ Biografie 294 opera omnia Raccolte le testimonianze di questi due fatti miracolosi nei Processi Apostolici, e presentati al giudizio della Chiesa, essi furono discussi nelle tre grandi Congregazioni, e dietro il parere favorevole dei clinici e dei giudici, il Sommo Pontefice emanò il Decreto di approvazione di detti miracoli il 27 novembre 1949. E dopo, la Congregazione e relativo Decreto detto del “Tuto”, la Venerabile Madre Cerioli fu decorata del titolo e degli onori degli altari. Nella fastosa bellezza della Basilica Vaticana, nella solennità di S. Giuseppe - delicata e significativa disposizione del Cielo - nell'anno giubilare 1950, le due famiglie della Madre Cerioli, e quanti la venerano e l'amano, hanno potuto invocarla la prima volta col glorioso titolo: O Beata Madre Paola Elisabetta, prega per noi! Onde siam fatti degni delle promesse di Cristo!” Se la povera parola umana può valere a render più smagliante l'eloquenza di fatti tanto evidenti e commoventi, noi vorremmo solo sottolineare, a mo’ di conclusione, due fatti luminosissimi in questa mirabile vita. Primo: l'amoroso e saggio consiglio di Dio nel condurre, un'anima a traverso tante tragiche vicende, sino a questo vertice di bene e di gloria; ed il merito dell'eroica docilità di lei nel lasciarsi condurre, senza vedere, anzi vedendo e sentendo l’opposto di quanto desiderava: eppure obbedì, sapendo a Chi credeva, a Chi obbediva, certa che dal suo sacrificio Iddio avrebbe ricavato un bene immenso imperituro per lei e per molti. Di fatto la sua eroica obbedienza non la tradì; ma la portò a questo vertice di gloria, quale ella nella sua profonda umiltà non avrebbe mai pensato. L'altra considerazione: la vita della Beata Madre Cerioli, con altro titolo anch'esso assai proprio, potrebbe dirsi: “La potenza del patrocinio di S. Giuseppe”. Orbene chi ci ha letto, chi ha ammirato la sconfinata fiducia e devozione di questa santa creatura verso il suo Grande e Santissimo Padre, qui può toccare con mano come e quanto la protezione di Lui per la devotissima Figlia siasi affermata sino oltre la tomba, sino alla conclusione della storia terrena di lei, concludendola così col dono più bello ed insperato, quello di averla voluta alla gloria degli altari nel giorno della propria Festa. Così associata al Padre suo, oltre che nella gloria in Cielo, anche alla gloria nella Famiglia di Gesù sulla terra, ella può ridire a tutti con Biografie 295 opera omnia l'eloquenza dei fatti, quanto sia dolce, preziosa, efficace la devozione a questo ineguagliabile Santo. Biografie 296 opera omnia APPENDICE Decreto del Vescovo di Bergamo che approva l'Istituto delle suore della S. Famiglia nella diocesi di Bergamo Pietro Luigi Speranza per la grazia di Dio e della S. Sede Apostolica Vescovo di Bergamo In questi tempi in cui l'empietà non inonda solo le piazze e le contrade della città, ma, abbattuto ogni argine per via, trascorre minacciosa a disturbare i lontani e pacifici villaggi, facendo ogni sforzo per insozzare la purezza di quei costumi, per scavare e scrollare la saldezza di quella fede, e Dio giustamente sdegnato abbandona poi le nostre terre alle maligne influenze, che ne guastano i semi, ne corrompono i frutti e sperdono le fatiche del povero contadino, l'entrate del ricco signore, le speranze di intere popolazioni, Chiesa Santa qual maestra pietosa non cessa dal gemere sui mali e sui pericoli dei suoi figli, mentre scongiura i traviati a ritirarsi dalla via della perdizione, stimola i forti ed i misericordiosi ad opporre, coll'aiuto di Dio, qualche rimedio di molto danno, sia dell'anima sia del corpo dei loro fratelli. Certamente non sono poche fra di noi queste anime generose, che diversamente, secondo lo spirito di lor vocazione e secondo le particolari circostanze delle loro condizioni ed età, sono accorse in questi tempi a presentare importanti e segnalati servigi alla mistica casa d'Israele; ma fra queste è nostro debito annoverare con distinzione la Nobile Signora Costanza Cerioli vedova Buzecchi Tassis dimorante in Comonte, frazione della parrocchia di Seriate, diocesi di Bergamo. Questa, poiché la morte le ebbe rapito l'unico suo figlio nel fiore degli anni, e poscia il marito, con savio consiglio e con forte animo prese la risoluzione di dedicare sé e le proprie sostanze a Biografie 297 opera omnia Dio, nel servizio del prossimo, accogliendo nel proprio palazzo alcune povere fanciulle del contado, orfane ed abbandonate, cui si fece madre in ogni buona disciplina. Considerando poscia che molte assai di queste fanciulle traggono bene spesso una vita miserabilissima, perché tra l'universale concorrenza dei poveri agli stabilimenti della pubblica beneficenza, massime dopo l'attuale depauperamento dei pii patrimoni, restano in balìa a se stesse, senza sorveglianza, e senza mezzi di sussistenza; o ricoverate vi ricevono una educazione troppo aliena dalle abitudini e dalle esigenze della vita campestre, cosicché essendo ancor giovinette, da quegli asili sono costrette ad abbandonare la sicurezza e la quiete dei loro monti e delle loro campagne per gettarsi improvvise al tumulto ed ai pericoli della città e delle grosse borgate; si ispirò a più generosi pensieri ed ai disegni più vasti della cristiana pietà. Pensò che sarebbe riuscito sommamente provvido un Istituto, il quale, riunite in luoghi opportuni e nel maggior numero possibile quelle povere fanciulle, le istruisse nei doveri e nelle pratiche della SS. nostra Religione, le addestrasse ai lavori della campagna, le informasse praticamente nei principi dell'arte agraria, le rendesse esperte in tutte le domestiche bisogna della vita contadina, mantenendole semplici nei costumi, e nella faticosa operosità della loro povera condizione, sicché fatte adulte, potessero, o collocarsi in onesto matrimonio e diventar buone madri di famiglia, o prestare utilmente l'opera loro in qualche casa di campagna meno esposta ai pericoli della seduzione. Un divisamento così savio non poteva non incontrare la pubblica approvazione: tuttavia la signora Cerioli nella sua filiale devozione alla S. Madre Chiesa, e in ossequio alla nostra pastorale autorità, nulla volle intraprendere senza il nostro consenso, nulla operare senza il nostro consiglio. Noi dal canto nostro non solo non abbiamo esitato ad approvare il magnanimo concetto, ma per quanto era in noi abbiamo sempre favorito e promosso la fondazione di un Istituto che per nostro avviso è nuovo nello scopo e nei mezzi che si propone, provvido ai bisogni di una classe la più numerosa e più derelitta della società, opportuno massime quando sarà esteso all'altro sesso, a crescere lo studio ed il perfezionamento dell'agricoltura, atto a nobilitare questa importantissima delle arti imposta agli uomini dal Creatore, utile a risvegliare la purità della fede e del costume tra la gente di campagna, che in questi tempi si tenta di corrompere e pervertire in ogni modo per farne uno strumento cieco alle più violente passioni. Biografie 298 opera omnia L'opera incominciata con generosità, continuò con fervore e con confidenza in Dio illimitata, cosicché la benemerita fondatrice riuscì in pochi anni non solo ad organizzare, ma a perfezionare e stabilire nel miglior modo il nuovo Istituto. Adattò allo scopo il suo magnifico caseggiato in Comonte, l'ampliò notevolmente, erigendo dalle fondamenta con molto suo dispendio nuove fabbriche. Accettò dalla diocesi e fuori un numero considerevole di fanciulle orfane e derelitte. Queste cresciute ormai presso a cinquanta a da lei solo provvedute interamente di vitto e di vestito, secondo la loro condizione di povere contadine, va addestrando nei lavori della terra ed in tutte quelle occupazioni domestiche, e in quei mestieri che a donne di famiglia si addicono nelle campagne; ben fondate nella dottrina cristiana, informate delle parabole del Vangelo, ammaestrate sugli esempi della vita di Gesù Cristo, della Beata Vergine e dei Santi, e specialmente degli antichi patriarchi, e tra questi le vuole a preferenza devote al castissimo Sposo di Maria, al quale ha dedicato tutta se stessa e il suo Istituto, e le chiama dal nome di questo Santo: Figlie di S. Giuseppe. Man mano che l'esperienza, l'età e lo sviluppo fisico e intellettuale ne mostra alcuna matura per la scelta dello stato, e utile ai servigi della famiglia e della campagna, seguendo il genio e la vocazione di quella, o la dà in matrimonio a qualche buon contadino che ne abbia fatto ricerca, o l'affida a qualche parente dabbene, che non riuscì d'averne la cura, o le alloga in qualche buona famiglia che ne desideri gli umili servigi. Per agevolare poi questo collocamento, mentre somministra alle giovani che sortono dall'Istituto, un sufficiente corredo, non ha prefisso alla sortita alcuna età volendo che in questo si prenda norma non dagli anni della vita, non dal periodo dell'educazione, ma dalla maturità del giudizio, dall'idoneità allo stato, dall'opportunità dei partiti. Quindi se l'infermità od altro giusto motivo non permettono loro di trovare un onesto e sicuro collocamento, come figlie di famiglia, che restano nella casa del loro padre, le trattiene nell'Istituto amando meglio aver cura di loro che accettarne di nuove. Alcune giovani, mature di senno e di età, provate dall'esperienza, umili, prudenti, discrete, cui la signora Cerioli si associò nella custodia e nell'educazione delle povere figlie di S. Giuseppe, e diede il nome di suore della S. Famiglia, sono destinate a mantenere lo spirito della fondazione ed a conservarlo e a propagarlo dopo di lei. Vivono in comune sotto la dipendenza della loro superiora, in spirito di abnegazione, di povertà e di pace: vestono Biografie 299 opera omnia abito uniforme e modesto, osservano un regolamento di vita molto sodo e appropriato al fine di loro vocazione, assistono in tutto alle loro allieve colla sorveglianza, coll'istruzione, colla direzione, prendono parte con loro alle faccende della casa, ai lavori della campagna, a tutte le occupazioni della giornata, ingenerando così stima ed amore a quella vita povera, semplice e laboriosa. Ora la nobilissima signora Costanza Cerioli avrebbe chiesto da noi con fervide istanze, che volessimo anche con speciale decreto confermare il giudizio che fin da principio abbiamo fatto, e a lei più volte manifestato a voce, intorno a quello che riguarda il suo nuovo Istituto, e ciò per suo conforto e per consolazione delle sue consorelle e delle sue orfane, ed anche per avere in mano un documento da presentare, ove sia d'uopo, a quelli che hanno interesse a sapere da lei il giudizio dell'Ordinario. Noi riconosciuta la ragionevolezza della domanda, considerando quali e quanti beni spirituali e temporali quell'Istituzione abbia arrecati a quest'opera, e quanti maggiori sia per arrecarne per l'avvenire nella nostra diocesi ed anche ovunque sarà per dilatarsi colla benedizione di Dio, avendo piena cognizione delle sue regole e delle sue pratiche, nonché delle persone e dello spirito buono da cui sono animate, di buon grado assecondiamo le fatteci istanze, dichiarando che il nuovo Istituto di Carità eretto in questa diocesi nel luogo di Comonte, parrocchia di Seriate, dalla prelodata nob. Costanza Cerioli ved. Buzecchi - Tassis, col titolo di suore della S. Famiglia e allo scopo precipuo di raccogliere dalla campagna le figlie orfane abbandonate dei poveri contadini per allevarle secondo la condizione di lor nascita alla vita campestre sotto la protezione di S. Giuseppe è un'opera che noi abbiamo sempre favorita, promossa e commendata: e che ora nei limiti della nostra autorità, cioè sotto il semplice rapporto di Istituto di Beneficenza, e di pia associazione, riputiamo degna di una più esplicita e formale approvazione come appunto intendiamo di approvare e approviamo col presente Decreto nel modo il più ampio ed assoluto. Tributiamo la meritata lode alla pietà, al consiglio ed alla generosità della benemerita Fondatrice; e di cuore rendiamo grazie al Signore Iddio e a lei stessa per il bene spirituale e corporale procurato a tante povere zitelle, e a tante miserabili famiglie della nostra diocesi. Da ultimo, poiché è sua intenzione e desiderio che l'associazione delle suore della S. Famiglia da lei destinato a sostenere ed a perpetuare le sue opere di carità a pro della gente di campagna, sia eretta in Istituto religioso. Noi in questa parte mentre Biografie 300 opera omnia riconosciamo la nostra incompetenza, le dichiariamo che saremo lieti di poter presentare il nostro appoggio e il nostro favore a quella supplica che ella crederà di umiliare alla S. Sede cui è riservato in proposito ogni esame ed ogni giudizio, ed a cui sempre ci è grato di professare pubblicamente coi fatti e colle parole la più piena, la più perfetta, la più spontanea nostra dipendenza e sommissione. Bergamo, dal palazzo vescovile, 27 giugno 1862. + Pietro Luigi, vescovo Lettera di S. S. papa Pio IX Diletto Figlio salute ed Apostolica Benedizione Godiamo, diletto Figlio, che la nostra Religione santissima ogni giorno più splendidamente si dimostri Figlia del Cielo, e renda immagine più chiara di Colui, che tutto riempie delle sue misericordie e miserazioni. Perocché ogni giorno veggiamo nascere nuove istituzioni, le quali accomodate ad ogni ceto d'uomini, accomodate al sesso, alla età, alla condizione, ai bisogni loro, e li raccolgono ancora bambini lattanti, e fatti più grandi li affidano a vicenda l'una dalle proprie mani, come suol dirsi, nelle mani dell'altra, e di continuo l'assistono nei casi vari della vita, prestando loro insino alla morte, quei diversi uffici di carità cristiana, che lo stato e le circostanze diverse di ciascheduna ricercano. E perciò con grandissima consolazione ed allegrezza dell'animo apprendemmo, come la nobile Donna Costanza Cerioli, vedova Buzecchi Tassis, mentre era in vita, aveva rivolti tutti i pensieri agli abbandonati orfanelli della villa, ed ordinato al loro soccorso le proprie sostanze, come aveva già posto mano a raccogliere femmine e maschi allevandoli nella coltivazione dei campi, sì che avessero poi a poter provvedere a se medesimi, e rendere opera utile alla società, e quello che più altamente rileva, fatti lontani dal pericolo della corruzione e santamente educati, raggiungere il supremo fine dell'uomo. Per la qual cosa non ci meravigliamo, se ampie lodi l'egregio Vescovo di Bergamo tributò a quell'elettissima donna; se Dio sorrise all'opera intrapresa e le diede largo incremento, molto più che la cosa, come conveniva, s'è fatta con l'approvazione ed il favore dell'ecclesiastica autorità, e secondo il sesso diverso degli orfanelli, fu commessa alla sollecitudine d'uomini e di vergini pie e religiose. D'altra parte ci congratuliamo con te, che dal tuo Vescovo fosti riputato degno di Biografie 301 opera omnia essere preposto a nutrire e crescere questo nuovo parto della carità cristiana, né punto dubitiamo, che tu abbi ad adempiere quest'uffizio per modo, che, come a Noi sembra d'avere a sperare, la pia Fondatrice abbia ottenuto la degna mercede della liberalità e della sua buona opera; così secondandone le intenzioni e i voti abbi tu pure ad interesse per te medesimo una splendida ed immarcescibile corona. Lieta e prospera auguriamo ogni cosa alle cure tue, e dei Fratelli e delle sorelle che han nome della Sacra Famiglia, non che al perenne incremento di questa preclara istituzione a cui confidiamo che S. Giuseppe non vorrà mancare del suo validissimo patrocinio. Egli, al quale, siccome a padre amatissimo, fanciulli e fanciulle fin dal principio furono raccomandati. Intanto, auspice del divino favore e pegno della paterna nostra benevolenza, Noi impartiamo amorosissimamente a te, ai Confratelli ed alle Suore della Santa Famiglia, ai figli ed alle figlie di S. Giuseppe, e a tutto cotesto Istituto, l'Apostolica Benedizione. Dato in Roma presso S. Pietro il giorno 15 luglio dell'anno 1868, XXIII del nostro Pontificato. Pio papa IX Al diletto Figlio Alessandro Valsecchi, Canonico della Chiesa Cattedrale di Bergamo, e Rettore del Pio Istituto della Sacra Famiglia. - Bergamo. Decreto di S. S. papa Leone XIII Fra le religiose Società femminili che nel popolo cristiano rendonsi altamente benemerite della civile educazione delle fanciulle, e che son degne di una speciale e pubblica testimonianza di lode, vuolsi senza dubbio annoverare la Congregazione delle Suore della Sacra Famiglia. Questa pia Società, fondata nella diocesi di Bergamo circa l'anno 1855 per studiose cure della nobil Donna Costanza Cerioli ved. Tassis, dopo pochi anni crebbe siffattamente di numero, da possedere al giorno d'oggi sette case, distribuite nelle varie diocesi d'Italia. E in queste case religiose s'accolgono più di sessanta Suore, le quali, oltre al fine primario che è la santificazione di se stesse, hanno un fine o scopo secondario riguardante la santificazione de’ prossimi, il qual fine, studiansi di raggiungere col dare religiosa educazione a povere fanciulle figlie d'agricoltori e coll'addestrarle ai lavori campestri, specialmente quelle che sono orfane, alle quali inoltre danno ospitalità nelle case dell'Istituto, e al tutto gratuitamente le Biografie 302 opera omnia sostentano. Le Suore, che vivono in comune sotto la dipendenza della Superiora Generale e portano l'abito della loro regola, finito il noviziato di due anni, emettono i tre consueti voti d'obbedienza, di povertà e di castità, dapprima temporaneamente, poscia in perpetuo. La vita delle sopraddette Suore, il loro zelo e l'opera fruttuosa vengono con amplissime lodi commendate dagli Ordinari di quei luoghi ove tali case si ritrovano, come apparisce dalle loro lettere presentate dalla Superiora Generale alla Santa Sede, insieme alle costituzioni che servono al governo dell'Istituto, affine d'ottenere all'Istituto stesso ed alle sue costituzioni l'approvazione apostolica. Di che fattasi relazione alla Santità di N. S. Papa Leone XIII, nell'udienza avuta dall'E. mo Prefetto di questa Sacra Congregazione il giorno 21 settembre 1896, Sua Santità, ponderate tutte queste cose, e avute in considerazione specialmente le ricordate lettere commendatizie degli Ordinari, degnossi di sommamente lodare e commendare lo scopo o fine della Società delle Suore dette della Sacra Famiglia, come col tenore del presente Decreto, lo scopo o fine della medesima Società è sommamente lodato e commendato, salva la giurisdizione degli Ordinari, secondo le norme dei Sacri Canoni e delle costituzioni Apostoliche; differita però a tempo più opportuno l'approvazione così dell'Istituto, come delle Costituzioni, intorno alle quali ordinò che si facessero conoscere alcune osservazioni, all'uopo che le Costituzioni stesse in sulla scorta di tali osservazioni si abbiano ad emendare, e così emendate, per un tempo convenevole sieno sottoposte ad esperimento. Dato in Roma, dalla Segreteria della prelodata Sacra Congregazione de’ Vescovi e Regolari, il dì 22 settembre 1896. Firmato: Card. Verga, prefetto. A. Trombetta, pro Segretario Biografie 303 opera omnia FONTI BIBLIOGRAFICHE 1- Processo Informativo 2 - Processo Apostolico super Virtutibus 3 - Sylloges virtutum 4 - Scritti della M. Paola Elisabetta Cerioli. 5 - Memorie della M. Luigia Corti, Superiora Generale e prima compagna della M. Cerioli 6 - Bibliografia della M. Paola Elisabetta Cerioli, del Sac. Paolo Merati - Bergamo 1899 (vivente: Prelato Domestico di S. S. e Arcidiacono della Cattedrale di Bergamo) 7 - Varie notizie fornite dagli Istituti della S. Famiglia. Biografie 304 opera omnia Emidio Federici La beata Paola Elisabetta Cerioli Fondatrice degli Istituti Sacra Famiglia di Bergamo “Pater meus agricola est” (Joan XV) Congregazione della Sacra Famiglia a cura del Seminario Sacra Famiglia Bergamo 2001 Biografie 305 opera omnia La vita che qui si compendia è un dramma scioltosi lungo più che un secolo in un poema di carità, e oggi in apoteosi di gloria. Autore ne è Dio. Protagonista: Paola Elisabetta Cerioli, vedova Buzzecchi - Tassis. Tu che leggi queste pagine meditale con amore e vedi quanto è buono il Signore! Come tutto che egli dispone di noi sia il meglio, l’ottimo per la vita e per l’eternità. Ed ammira un’anima che penetra di tanta saggezza seguì ed eseguì ciecamente, eroicamente, sempre, il Divino Volere. Ed ha raggiunto tutte le mete!... Oggi tocca la suprema: premio e posta divina al suo eroico vivere. Il Vicario di Dio la proclama “Beata” nella Chiesa militante. Roma, 1° Gennaio dell’anno giubilare 1950. Biografie 306 opera omnia CAPITOLO I Segnata da Dio L’albero buono Gesù ha detto: “Da un albero buono nascono sempre frutti buoni”. Queste parole applicate ai degnissimi genitori della nostra benedetta Madre, trovano piena conferma. I coniugi Francesco nobile Cerioli e Contessa Francesca Corniani se eran distinti di sangue e di censo, erano più nobili di fede e di virtù cristiane. Signori di larga fama, probi, giusti, benefici, padri, più che padroni dei numerosi coloni ed operai che affollavano i loro poderi e filande, prodigamente munifici verso i poverelli. Già la loro meritoria ed invidiabile fecondità dice come essi intendevano l’onore e l’onere del loro coniugio veramente cristiano. Sedici fiori s’ingemmarono sulla loro veneranda corona. La nostra benedetta Madre è proprio l’ultimo dolcissimo frutto di benedizione che Iddio ha colto da questo albero sano e fecondo. E non solo Egli ha scelto i due venerandi coniugi a collaboratori nel dar vita a questo fiore di elezione; ma pure li fece entrare attivamente a preparare e spianare la via ai suoi arcani disegni che dovevano conchiudersi col più impensato e mirabile successo. E cioè con l’esempio, l’educazione, i precetti, i consigli avvieranno la figliuola su quella strada che non essi, ma Iddio stesso ha scelto per il miglior bene di lei e la maggior edificazione per tutti. Segnata da Dio Addì 28 gennaio 1816 è nata la sedicesima figlia dei nobili Signori Cerioli. Biografie 307 opera omnia Appena nata minacciò di morire: tanto che subito le fu amministrata l’acqua battesimale perché sembrava volesse tornarsene al Cielo. Ma non morì. Sei giorni dopo - nella purificazione di Maria furono supplite tutte le altre cerimonie liturgiche, e le vennero imposti i nomi di Costanza Onorata. E continuò il suo viaggio doloroso nell’esilio. Naturalmente risentirà tutta la vita di questo primo minaccioso male, originato da congenito scompenso cardiaco, con una lieve deformazione scheletrica, che lascerà per sempre gracile, debole, continuamente sofferente. È una creatura segnata sin dal suo nascere: fragile nel corpo infermiccio, ma con doni eccezionali nello spirito nella mente nel cuore. Benedetta la mano che così la segnò, equilibrando gli scompensi fisici con ricchezze interiori mirabili, che renderanno più sfavillante lo spirito e più armonioso il cuore! La vita d’ogni creatura d’eccezione nella virtù non si dovrebbe chiamare con altro nome che una “Via Crucis” con tappe e stazioni, se non in tutti identiche di nome e di numero, per tutti contrassegnate col segno glorioso e doloroso della Croce. Questa creatura segna la sua prima stazione di dolore nel primo giorno della vita. In seguito ella avrà la coscienza e la forza di sorridere a tutte le croci, quasi arcanamente prevenuta da Dio che questo sarà il suo destino di gloria. Dentro quel corpicciuolo deformato e infermiccio è nascosta un’anima luminosa, un’intelligenza vivida che svilupperanno una volontà ferma, un cuore armonioso e prodigo nel dare con regale bontà l’amore. Belle disposizioni queste alle operazioni santificatrici che faranno germogliare virtù varie a seconda degli stadi in cui ella passerà. I materiali da costruzione L’indole naturale di Costanza è quel che si può desiderare di meglio a così alto destino: duttile e mite, incline alla pietà e all’obbedienza, ipersensibile al soffrire altrui. La vigilante e vigorosa educazione materna e gl’influssi della grazia elaboreranno lentamente un carattere dolce e remissivo, ma pure volitivo e fermo. Crescendo al tepore degli edificanti esempi domestici, ella Biografie 308 opera omnia rivela preferenze storiche per una bambina. Non ama balocchi, sfugge il rumore, ricerca gli angoli più quieti per trascorrervi lunghe ore a sfogliare libri che ancora non sa leggere - tanto meno comprendere - attratta dalla bellezza casta e raccolta dei volti santi, dagli episodi della loro vita che le parlano vivamente del Cielo, di Dio, della virtù. A lei sembrano come specchi di luce imitabile, riproducibile, e la invaghiscono tanto da desiderarne una più stretta conoscenza; perciò domanda a chi può darglielo - specialmente alla mamma - il commento della loro eroica storia. Altra bella disposizione in Costanza: l’amore ai poverelli, agli umili, ai sofferenti, ricercati come gli amici più desiderabili e cari, per beneficarli come può. La mamma, donna di larga beneficenza, l’associa volentieri ai suoi giri di carità, e si compiace di far giungere ai poverelli il suo aiuto facendolo passare per le mani innocenti di Costanza, il cui amore impreziosisce il dono come di una consacrazione di bontà e di purezza. Siffatte belle disposizioni - non riscontrate negli altri figliuoli attraggono l’interesse della mamma. Certamente ispirata dal Cielo, questa si dedica con una cura particolare e singolare ad educare al bene, alla virtù, alla beneficenza l’ultima nata. Non potrebbe infatti darsi altra ragione per ispiegare come una signora così pia e virtuosa, amorosa e giusta, abbia assunto un tono deciso di austera rigidità proprio nei confronti dell’ultima figliuola “la beniamina”; quella che meno provocava e meritava tale stile, e per di più malaticcia. Sta di fatto che la mamma preparava la sua creatura alla vita, educandola ad una scuola forte e corroborante, senza tenerezze e finezze, ma solo sacrifici, rinnegamento, obbedienza. Perché proprio questa sarà la strada su cui chiamerà Costanza l’amoroso Padre e Signore che sta nel Cielo. Piena corrispondenza agli arcani disegni divini Costanza infatti accetta docile e sommessa le lezioni materne quali disposizioni del Cielo, come deve fare una figliuola cristiana, cui incombe sempre il dovere di obbedire a Dio e ai suoi immediati rappresentanti sulla terra: i genitori. Più tardi, avanzando negli anni e nella vita, la saggia fanciulla riconoscerà nella preziosa energica educazione materna un recondito disegno del buon Dio a suo Biografie 309 opera omnia riguardo. Così la vita di Costanza, adolescente, fanciulla, trascorre nel più sereno ambiente di pietà, di raccolta operosità, nell’adempimento di tutti i suoi piccoli doveri personali e domestici, quali glieli ha assegnati la mamma. Ma su tutto domina una bella nota di pietà seria, intelligente, discreta; la pietà tanto utile ad ogni cosa nella vita ed in qualsiasi stato di essa. Ne consegue che Costanza è delicata di coscienza; pronta a rendere a Dio l’ossequio del cuore, dei pensieri, delle azioni; desiderosa in maniera irrefrenabile di raccogliersi e pensare a Dio e alle cose del Cielo; generosa nell’offrirsi agli altri per il disimpegno dei doveri e di esibire i propri servigi, le proprie cose, e di queste le migliori: i sorrisi, gli incoraggiamenti, il conforto. Ecco tutta la vita di Costanza fanciulla. Altre, nel suo ambiente, con le sue risorse personali, con gli agi e le ricchezze della sua casa, sarebbero facilmente discese nella via della vanità; ella al contrario, per un senso d’innata nobiltà di spirito, ma più per divino impulso, sceglie la via della carità, la strada regia dove si allineano tutte le altre virtù che ben si dicono figlie della carità. Si direbbe che Costanza, pur tenera d’anni e matura di senno, già presenta che la sua felicità non sarà nel possedere le ricche sostanze dei suoi genitori, ma nel farsene dispensatrice a sollievo dei poveri, aggiungendovi del suo tutta la bella luce che già le riempie la mente e tutto il sacro fuoco che le arde nel cuore. La prima confessione e la prima comunione Tutto ciò che già esiste di bello e di buono nell’anima di Costanza è la parte umana disposta, preparata dalla sana educazione famigliare, a cui ancora non s’è aggiunto lo straordinario apporto della grazia che si comunica attualmente attraverso quei Sacramenti istituiti dalla divina misericordia a sorreggere la debolezza, ad incitare la generosità umana, a lanciare le crearure sulla via regia della virtù che ascende fino ai vertici della perfezione. Fra tutti i Sacramenti, la Penitenza e l’Eucarestia costituiscono il farmaco, il pane, in salute e robustezza delle anime. Le disposizioni di Costanza a questi due Sacramenti furono singolari; e ne ebbe di ritorno un beneficio singolarissimo, tale da restarle in contrassegno per tutta la vita. Una pia donna a noi sconosciuta, frequentatrice di casa Cerioli, l’accompagnò la prima Biografie 310 opera omnia volta al sacro tribunale della Penitenza. Questa donna ha detto che Costanza non era affatto preoccupata, tanto meno turbata, nel presentarsi al ministro di Dio. Ma piena di confidente amore nella bontà di Colui che l’accoglie per lavarle l’anima e renderla bianca quasi neve, ella è colma di gioia. Sentimenti iniziali questi che si trasformeranno in abituale forma di spirito, per cui ella sperimenterà sempre la stessa confidente gioia e si studierà di trasfonderla in tutti che potrà accostare, affinché giustino le dolcezze purificatrici del sangue prezioso di Gesù. In analogia alla confessione venne il primo incontro con Gesù nell’Eucarestia, che fu per lei la più inebriante immersione nella carità di Gesù; tanto che ne restò così paga e sazia da nauseare il cibo materiale che la mamma, con delicato pensiero, le ha apprestato a solennizzare quel giorno memorando. Per la prima e per le seguenti Comunioni Costanza salterà la colazione in omaggio dell’Ospite divino: ma più per il bisogno di non annullare con la grevezza del cibo materiale la soavità del Pane Celeste. L’Eucaristia diviene per Costanza il suo vero pane quotidiano soprasostanziale, e lo cercherà e lo mangerà con quella avida fame con cui si mangia il benessere, la vita, come si mangia il cibo che è insostituibile e insurrogabile per chi ha intuito la sorte di poter assidersi nell’esilio a questo banchetto di delizie. L’intima gioia dell’anima paga sopra ogni altro desiderabile diletto del possesso reale di Dio, le ha svelato la sua vocazione futura, la quale sarà al possibile, la ripetizione della vita eucaristica di Gesù: obbedienza silente e sofferente, pazienza umile, carità operosa. Pur tra gli agi e le ricchezze offertile dalla sua condizione, ella non troverà altra felicità di quella di immolarsi al volere di Dio, comunque le si manifesti, dovunque la conduca, in qualsiasi stato della vita, purché ad imitazione del suo Diletto ella possa offrirsi quanto è, e quanto ha, alla santissima e sempre paterna volontà del suo Dio. E si vide subito la pratica attuazione di così bel proposito. In famiglia è un modello silenzioso e modesto, ma non poco eloquente, di perfetta obbedienza ai genitori, di assoluta dedizione ai suoi doveri, di perfetta carità con i fratelli, tra i quali è il mezzo di concordia e di pace nelle piccole liti; angelo di bontà, di gentilezza con la servitù e le operaie della filanda paterna; infine, buona e intelligente soccorritrice di tutti i poverelli che sostano alla porta del suo palazzo a ricercare più che il pane e la veste, il sorriso buono di un angelo. Biografie 311 opera omnia Tutti, di conseguenza, sono vivamente colpiti e ammirati della singolare bontà dell’ultima nata di casa Cerioli. Biografie 312 opera omnia CAPITOLO II Giovinezza angelica Nel giardino di S. Francesco di Sales I saggi parenti preoccupati di educare e formare convenientemente secondo il suo grado, la figliuola, affidano Costanza appena decenne, alle buone Madri della Visitazione del Collegio di Alzano Maggiore. Un ambiente quanto mai adatto alla piccola anima, per il metodo pedagogico, tutto profumato dalla soave gentilezza e dalla profonda sodezza dello spirito salesiano, che aggiungerà subito un amabile e marcato complemento di meritoria dolcezza alla nativa bontà della figliuola. Un nuovo dovere quindi viene ad impegnarla: lo studio. E lo assolverà con tutta la diligenza e il trasporto immaginabili. Supposto il suo proponimento di obbedir sempre, ella intravede anche nel proprio perfezionamento intellettuale la precisa volontà di Dio che la prepara con ciò alle sue future insospettabili mansioni. E dire dello studio è dire il meno. Soprattutto ella vuole approfittare della consuetudine con quelle sante Spose di Gesù per apprendere praticamente la vita di pietà: come si profuma, cioè, di preghiera ogni azione, e come da ogni azione si può ricavare il pregio e l’aroma della preghiera. I progressi quindi di Costanza nello spirito e nello studio procedono di consenso, l’uno rafforzando l’altro, l’uno rendendo l’altro più cosciente e più meritorio. Progredisce molto nello studio della letteratura, nella pratica delle lingue, il francese particolarmente. Nelle altre arti: disegno, ricamo, musica, complementi preziosi per una giovinetta del suo rango, riesce a meraviglia. Biografie 313 opera omnia Ma quel che maggiormente l’interessa e l’appassiona è la più bella, la più sublime delle arti, quella che forma a sodezza, a riflessione il carattere, che arricchisce di cognizioni e porta sempre più a Dio, nell’intento di parlargli, di stabilire con Lui l’intima relazione della più stretta unione, e di piacergli nell’operosità del dovere, del bene, di ciò che è anzi il fiore di ogni bene: la virtù. Naturalmente risultava un amabile modello di diligenza senza pose, di bontà senza indiscrete esibizioni, senza ostentata musoneria: ma semplice, disinvolta s’innalzava irresistibilmente sopra tutte le compagne per dire e provare tacitamente come la virtù sia il tono, l’aspetto abituale di piacere a Dio innanzi tutto, e poi guadagnare l’ammirazione, l’amore del prossimo, che è quanto dire eccitarlo all’imitazione. Di guisa che Costanza in collegio - senza volerlo - spiega agli occhi delle compagne e maestre tutta la ricchezza, la generosità di uno spirito che agisce e reagisce per rendersi perfetto, e dare con edificante contegno il migliore incitamento al bene. La scuola di S. Francesco di Sales aggiunse al suo carattere già dolce quella garbata e sorridente finezza che la renderà più amabile a tutti. La dimora di Costanza alla Visitazione si protrae per otto anni: in questa età, la più bella e decisiva per l’orientamento nella vita, è tanto trasparente l’aspirazione del suo cuore verso una vita di raccoglimento operoso, la sua preferenza per lo stato verginale. Comunque ella non si pronuncia; ma serbando in cuore il suo alto ideale, si abbandona nelle braccia di Dio, decisa a seguirne i comandi, ovunque la chiami. Quando i suoi genitori divisarono di riportarla in famiglia, Costanza non ha opposto veruna difficoltà; non ha espresso un desiderio. Benché il suo spirito invidiasse l’angelica operosità delle sante abitatrici del chiostro, rientrò docile e lieta nel seno della sua numerosa e rumorosa famiglia. Edificante tirocinio alla vita futura Ricca di cognizioni, di virtù, di meriti, verso il suo sedicesimo anno Costanza rimette il piede nel mondo. Il mondo avrebbe dovuto sorridere a lei, giovinetta di tale lignaggio, ornata di tante doti, garantita di mezzi dotali straordinari; Biografie 314 opera omnia invece esso non ha veruna attrazione per lei, preoccupata di piacere a Dio e di seguirne i comandi. I brevi anni intercorsi fra l’uscita di collegio e il matrimonio di Costanza costituiscono il tempo del suo vero tirocinio ai futuri stati: a quello inaspettato che immediatamente l’attende, e a quello sognato che più remotamente le è serbato. In questo pratico tirocinio, dall’altezza della sua illuminata fede, e nel fervore della sua preghiera, ella saprà ciò che Dio vuole da lei, e quanto ella deve fare per piacergli sempre di più. È così che ella, pur non sapendolo, attua senza indugi i propri desideri di perfezione, vivendo fra le pareti domestiche la sua vita religiosa, dal momento che ella è già pronta ad immolarsi alla divina volontà. E questo sarà il suo vero noviziato alla vita coniugale che immediatamente l’attende, e poi alla vita claustrale che le è preparata. Qui il suo chiostro è il suo spirito, ove si racchiude nell’alto raccoglimento della preghiera. La sua regola è la volontà di Dio. Sua occupazione, la carità. La sua prova sta nel contrasto fra gl’ideali suoi e quelli dei genitori. Il suo maestro è Gesù stesso, l’unico Diletto e prediletto dell’anima sua Cui s’è offerta fin dal primo battito del suo bel cuore. Così passano i tre anni che precedono la sua sistemazione precaria nel mondo. Occupata nei doveri di pietà e domestici, allenata alla laboriosità, nemica di vane ciarle e futili conversazioni, refrattaria a sogni e chimere d’inafferrabili idealità, garbata con tutti, espansiva nel bene, è sempre riserbata senza selvatichezza. Ama appartarsi, tacere, perché la solitudine, il silenzio, la nutrono, la beano. E prega spesso perché la preghiera la irrobustisce, l’istruisce, la consola. Per obbedire alla mamma compie diligentissima tutte le mansioni domestiche assegnatele; per assecondare il babbo non trascura i libri: legge trascrive traduce dalla migliore letteratura francese nel forbito italiano del suo tempo. Così ha buona occasione di approfondire un’altra preziosa conoscenza spirituale: S. Teresa di Gesù, la Maestra di spirito, da cui impara non poco per coltivare l’anima propria e condurla sulla strada dell’orazione ai più alti gradi dell’unione con Dio. La sua vita di laborioso raccoglimento è interrotta dalle visite alle chiese ed ai poveri; e queste sempre in carrozza chiusa. In società apparisce raramente, solo per compiacere obbedire ai genitori; ed anche queste rare apparizioni son come di persona assente assolutamente estranea a quanto si dice. VI resta senza parole, sembra che nulla la interessi, o meglio, nulla intenda delle futili Biografie 315 opera omnia conversazioni dei salotti. Però se la si vuol udir parlare e graziosamente disinvolta, bisogna vederla incontrarsi con un povero, un infermo, un derelitto. Allora parla interessandosi a tutti i minuti particolari dei guai del prossimo; e risponde e suggerisce e consola con un garbo un’efficacia che è un incanto. Si accompagna addirittura con essi, dirigendosi verso il proprio palazzo ad ottenere qualche buon aiuto. Quanto era suo, di cui poteva disporre, passava presto nelle mani e nelle tasche dei suoi prediletti, o trasformato in uno dei soccorsi che sono tanto provvidi e accetti, quando arrivano sul momento della più disperata indigenza. Ne si contentava della pura carità materiale con gli estranei; non era meno generosa e benefica del distribuire intorno a sé, in famiglia, nella filanda materna le ricchezze veramente fastose d’uno spirito saggio illuminato colmo di compatimento e d’amore. Basti il dire che i familiari i domestici le operaie l’accostavano sempre con gioia e l’ascoltavano con la venerazione con cui si ascolta un angelo. La stessa carità elevata in tono più alto usava con i fratelli, con le sorelle provocandoli amabilmente alla pietà, alla virtù, alla mortificazione razionale e tanto necessaria al perfetto vivere cristiano. Le sue mortificazioni erano splendenti agli occhi di tutti: tollerare con pazienza e con sorrisi gl’incomodi della malferma salute, il rigore del freddo era per lei gesto abituale: ma il genere preferito di mortificarsi era quello interiore. Tanti piccoli stati di rinnegamento della volontà, dell’amor proprio; non risentirsi ad uno sgarbo, non scusarsi ad una riprensione, non ribellarsi mai anche ad un’immediata condanna, erano i fiori colti ed offerti a Dio da cuore sensibilissimo, da una intelligenza, da una intelligenza viva e luminosa. Preparazione della vittima al sacrificio Dinanzi a così eloquenti fatti sarebbe ovvio il pensare che Costanza si orienti verso la vita religiosa. Però, tenendo presente la distinzione tra vita religiosa nel chiostro e quella non meno solida e meritoria vissuta in famiglia, s’ha da ritenere per certo che la figliuola non ha mai manifestato in quale direzione volesse determinarsi. Di fatto ella non ha chiesto - come avrebbe potuto - di rimanere alla Visitazione, come mai si è espressa di voler entrare in altro istituto religioso. Questo ha da tenersi presente per dare una giustificazione Biografie 316 opera omnia all’operato dei genitori che le imporranno lo stato matrimoniale. Comunque noi dobbiamo riconoscere e benedire questa disposizione che infine è imposta dal cielo agli inscrutabili fini che si conosceranno al concludersi di questa edificante vita. Ad un certo punto della giovinezza di Costanza - e precisamente verso il suo diciottesimo anno - si verifica nella sua vita una brusca e inaspettata deviazione di tutte le sue idealità spirituali verso una direzione che nessuno penserebbe, e che mai la figliuola sognò. Di tutto ciò sono strumenti materiali i suoi rispettabili genitori, i quali, indubbiamente mossi da Dio, hanno convogliato la vita della loro figlia sopra una strada che non sembrerebbe la sua; ma che invece ne sarà la preparazione e l’esordio, onde la santa creatura possa meglio assolvere quella che dovrà essere la sua vocazione. Una proposta assurda Ed ecco i fatti. Un giorno i genitori chiamano la figliuola e, da soli a soli, le annunziano che, essendosi presentato un ottimo partito di matrimonio, nella persona del rispettabile signor Gaetano Buzecchi, sessantenne, vedovo della contessa Teresa Tassis, essi usando del diritto di scelta conferito loro dall’autorità e dalla consuetudine, hanno giudicato conveniente aderire alla richiesta, nel desiderio di veder sistemate tutte le figlie prima di morire. Il partito da essi scelto é un uomo ricchissimo, afflitto più che dagli anni da incipienti acciacchi fisici, che fanno prevedere quale sarà la sua vecchiaia. Per bontà e integrità morale é persona indiscutibilmente superiore. E qui vien fatto di domandare: hanno i signori Cerioli pensato se la loro figliuola sia chiamata allo stato matrimoniale? Hanno ben considerato se il partito scelto sia quello che convenga a lei per la sua età. Due quesiti a cui non sarebbe facile dare una risposta se non si pensasse subito ad una arcana e precisa disposizione del Cielo. Si direbbe che il Signore abbia calato un velo dinanzi agli occhi di questi rispettabilissimi signori cristiani onde non vedano l’assurdità del partito umano a cui sacrificano la loro creatura. Senza conoscere, neppure intravvedere, i fini più alti e reconditi per cui quel matrimonio era scritto in cielo, essi usano tutta la loro autorità onde fosse ratificato in terra. Di fatto - come poi dirà il seguito della storia - Costanza ricaverà da esso, oltre i meriti personali, una preziosa esperienza e i mezzi per la grande opera finale cui è destinata. Biografie 317 opera omnia Questo matrimonio è un anello appena della lunga catena di avvenimenti che, completandosi, svilupperanno un magnifico piano divino, dinanzi al quale tutti hanno da ammirare ed adorare, perché eccellente, benefico per l’angelica fanciulla, che sul momento sembra una vittima, mentre sarà l’eroica protagonista che ne uscirà sfavillante d’incorruttibile gloria. Senza dir nulla del moltiplicato bene che ne proverrà a molti. “Fiat voluntas dei” La santa figliuola a tale annuncio rimane annientata. Il suo spirito trasalisce d’innanzi ad una decisione che è contraria al suo ideale e alla quale non vuole ribellarsi. Chiede, supplicando, che le sia concesso tempo a riflettere e pregare, e si ritira nella sua stanza. Chiusa dietro di sé la porta cade in ginocchio e in un profluvio di lacrime effonde la propria anima dinanzi a Colui che legge nel suo spirito come un libro e vede e pesa le sue aspirazioni, ciò che ama, e ciò che non vorrebbe... Il matrimonio! Senza far questione della persona prescelta, ella non sa che cosa sia: se è una gioia, non la desidera; se è sacrificio, meglio e più meritorio potrebbe trovarlo in una vita di carità, di nascondimento, di preghiera... Però, se tale è l’amorosa e paterna volontà di Dio, in cui vede così chiaramente coincidere la decisa volontà dei carissimi genitori, ella è pronta a sacrificare tutto: giovinezza, ideali, aspirazioni, purché il suo santissimo Volere si compia! Consulta - senza dubbio – il proprio direttore di spirito. Anche questi dinanzi alla fermezza della volontà paterna, considerate le disposizioni negative della figliuola alla vita claustrale, quasi ispirato anch’egli da una mozione interna, la consigliò di far presenti ai genitori i propri alti ideali di perfezione; però, ove essi avessero insistito nella decisione, non c’era altro da fare che riconoscere nel loro volere un preciso ordine del cielo, ed eseguirlo. “A Dio è più gradita l’ubbidienza sopra ogni altra offerta!”. Dominata da tale pensiero, sicura di compiere un arcano disegno dell’alto, Costanza preferisce al parola eroica e meritoria obbedienza da cui dipende - frutto di momentaneo sacrificio – la sua felicità eterna; la salute e la gioia di molti, una gloria che il tempo non offuscherà e i secoli trasmetteranno, benedetta ed ammirata ai secoli: “Fiat voluntas Dei!...”. Biografie 318 opera omnia CAPITOLO III Nozze eroiche Sereni e virtuosi preparativi Accettato il sacrificio, una serena e sorridente calma si diffonde nella vita di Costanza, sempre devota, operosa, benefica. È il primo immediato premio al suo obbedire. Qui è buono svelare il segreto divino onde anche il lettore veda - come la santa fanciulla la intravide - tutta la trascendente bellezza di queste nozze, umanamente assurde, eppure volute da Dio. Il matrimonio di Costanza Cerioli con Gaetano Buzecchi ha tutte le parvenze di umano interesse, a cui sembra crudelmente sacrificata una così santa creatura. Si potrebbe concedere pure che anche da parte di Dio fu un matrimonio d’interesse. Ma di quali interessi! E quanto distanti, anzi opposti a quelli che noi intendiamo, e che in genere tutti cercano quaggiù. Splendenti ed edificanti tutti gli interessi di Dio. Eccoli. Innanzi tutto abbellire sino ad un grado supremamente eroico un’anima, rivestendola di virtù, di inestimabili meriti, corredandola di esperienze preziosissime. Poi mettere un angelo a fianco d’una povera vita umana in declino tra malanni ed affanni, a mostrare quanto alto e confortevole riesca l’amore umano quando si ammanta dei riflessi incandescenti della carità divina. Poi ancora da queste nozze prelevare tre anni - tanti saranno i fiori che germoglieranno - per farne certamente tre celesti comprensori del suo corteggio immortale. Infine - e questo si direbbe incredibile - Iddio ha mirato proprio alle ingenti ricchezze del signor Buzecchi. Senza questo matrimonio esse sarebbero andate disperse, forse dissipate. Invece, confluite tutte nelle purissime mani della legittima sposa, erede unica di tre vistosi patrimoni, li trasformerà in pane, vesti, luce, Biografie 319 opera omnia calore di bene per tante incomputabili creature innocenti. Non solo; ma di queste sostanze formerà la garanzia di vita per due nuove famiglie, eredi e depositarie di tanti tesori materiali e spirituali, onde si perpetui la feconda bellezza di così sante disposizioni. Di fronte a siffatto impensato bilancio di solido e duraturo bene - che noi anticipiamo per confortare il lettore e disporlo a leggere le pagine che seguiranno - chi oserebbe condannare la disposizione del Cielo. Che se momentaneamente rimane sacrificata una giovane ed innocente creatura, si deve pur dire che la brevità del sacrificio sarà sorpassata dalla perennità del successo, della gioia del premio che scaturiranno moltiplicati e sublimati da tale sacrificio. Del resto questo è lo stile, il procedimento di quella Provvidenza che si deve sempre adorare, anche quando sembra severa e inesorabile, secondo i nostri poveri e corti criteri, mentre in definitiva è sempre saggia, amorosa, benefica per tutti e a tutti i fini. Quanto noi, dopo i fatti accaduti, tanto poveramente andiamo dicendo, Costanza lo intravide, e gioiosamente accettò il sacrificio, sobbarcandosi con ilare cuore a gustarne tutta la precaria e meritoria amarezza. Proprio con ilare cuore si dispose ad eseguire sin nei dettagli la volontà dei suoi genitori che vide unificata con quella di Dio. Viene presentata al futuro sposo. Conversando, trattando con lui non si mostra affatto imbronciata o selvatica; neppure impacciata. Nella sua verginale modestia è con lui affabile, disinvolta, garbata. L’eroismo della sua virtù le fa sentire vero affetto, e glielo esprime con sincere parole di bontà. Tanto ella ama quanto Iddio ha scelto per lei! Nonostante l’opposta inclinazione, nonostante la distanza degli anni, nonostante i difetti personali del prescelto, ella sente di amarlo ordinatamente, santamente, come Iddio esige che si amino quelli che Egli ha destinato a portare di consenso il pesante giogo della vita. La prova documentata di questo amore sincero è data da una graziosa letterina che Costanza scrisse al suo futuro sposo qualche mese prima delle nozze. Il 30 aprile 1835 nella parrocchiale dell’Assunta in Soncino, senza pompa d’apparato e rumore d’inviti, fu celebrato il sacro rito. Alla notizia di siffatto matrimonio tutti commentarono, molti sorrisero di pietà in attesa di inevitabili tragiche risoluzioni. Invece... nulla! Quel giorno fu vera festa in Cielo: Iddio aveva benedetto e santificato le due colonne di un nuovo focolare cristiano che, secondo le previsioni umane, doveva risultare un inferno; invece fu un paradiso per le eroiche gesta di una santa sposa. Biografie 320 opera omnia Pianto e sorriso del focolare Un magnifico palazzo, serio e ferrigno, elevato sopra una delle colline di Comonte, contornato da fertili campagne che si direbbero, più che villa una sterminata tenuta a densa coltivazione: ecco il nuovo domicilio della giovane sposa, venuta subito ad abitare col marito la sontuosa proprietà, che a lui è abituale dimora da quando la ereditò dalla defunta consorte, contessa Teresa Tassis. Il signor Gaetano Buzecchi conta sessantanni, lo dicemmo. Uomo di stampo antico, cristiano di convinzione e di vita, ottimo cavaliere, padrone giusto, liberale, benefico. Riempie il suo tempo curando l’amministrazione delle sue vaste sostanze, e... coltivando la musica. Ha un carattere buono e socievole quando é in buona salute; ma bisbetico, strano, incontentabile quando é malato. E l’avanzar degli anni, il colpo della morte della prima moglie, hanno precipitato le sue condizioni fisiche in uno stato abitualmente malato. Costanza lo impalma in questo momento di declino fisico. Però s’ha da dire che la gioia di aver legata la propria esistenza a Costanza ha disteso subito un tono di serenità e di benessere sulla sua vita sempre appartata di misantropo. I primi tempi di matrimonio furon quindi felici. La distanza degli anni sembrava mettere tra essi relazione di padre e figlia; ma il senso di reciproco rispettoso affetto attenuava questa distanza, soprattutto la disinvolta ed ilare garbatezza con cui Costanza obbediva ed eseguiva ordini, desideri, gusti rendeva oltremodo contento il vecchio signore. Ella infatti non lo contrariò mai, mai resistette ai suoi comandi, mai si ribellò alle sue evidenti stranezze: specialmente quando, preso da non so quali manie, conduceva la giovane sposa sul vecchio cocchio di casa Tassis a passeggiare per le vie principali di Bergamo, per ostentare agli occhi di tutti il suo prezioso acquisto. Costanza non si rifiutò neppure a ciò che al suo spirito riusciva intollerabile: far visite di convenienza, partecipare a riunioni di società, a conversazioni di salotti. Non era la sua atmosfera. Educata nella riservatezza, usa a trattare persone di tutta probità, amante del silenzio; entrava in quegli ambienti come in una fornace. Ma sapeva pure comportarvisi bene. Richiesta del suo parere rispondeva garbatamente, oppure amabilmente evadeva dal rispondere. Invitata alla danza, si scusava con la propria ignoranza di tal genere di divertimento. Silenziosa, dignitosa, si isolava in riservato contegno, Biografie 321 opera omnia attendendo che la riunione terminasse ed il suo marito venisse a rilevarla. Rientrata in casa, neppure una parola delle proprie sofferenze, nessuna recriminazione. Si ritirava nel suo appartamento ad attendere alla preghiera, al lavoro per i suoi cari poveri, sempre pronta agli ordini del suo signore. Ed anche in casa non le mancavano afflizioni. Il marito, come dicemmo, si dilettava di musica, anzi si riteneva un competente in materia, non solo, ma si credeva un esperto suonatore di cembalo. Per amore alla musica derogava alle sue abitudini, rompeva la sua austera clausura, e faceva larghi inviti ad amici e conoscenti per deliziarli con interminabili audizioni di pezzi musicali, strappati al vecchio cembalo di casa Tassis. Gli amici declinavano l’invito o abbreviavano le visite, ma Costanza doveva prender posto a fianco di lui e pendere attenta dai suoi virtuosismi musicali. Guai a divagarsi, scambiar parole e comunque distrarsi! Era lo stesso che scatenare crisi di nervi, tempeste di rimproveri, proteste d’inconcepibili eccessi. Perché - a sua giustificazione occorre dirlo – il signor Gaetano, se per tutto il resto é ottimo ed affettuoso marito, fisicamente però è un povero logoro relitto umano su cui gli anni, i dispiaceri, ed un sistema nervoso già scosso dai primi cenni di una paralisi progressiva, incidono segni così evidenti di uomo malato, da trasformarlo in altro e renderlo irriconoscibile per le stranezze, le violenze, gli eccessi a cui trascende, riversandoli tutti sulla santa sua compagna. E questa, che ben presto s’è avveduta del pietoso ufficio affidatole da Dio, assistere e sollevare un povero infermo, ha accettato con serena pazienza il grave compito, che mette a dura esistenza spirituale e fisica. Cosicché, mentre in sua vece altri avrebbe avuto solo per questo il giusto motivo di ribellarsi alla propria sorte, e cercare, se non colpevoli evasioni ai propri tremendi impegni, almeno il conforto di un diversivo e del compatimento umano, Costanza invece tacque sempre tutto a tutti, dichiarando di esser felice, esaltando ad ogni occasione le eccellenti qualità de suo pur degno sposo. Rassegnata e confidente in Dio solo, offrì tutto a Lui, aspettando solo da Lui il conforto, il sollievo. Ma se l’eroica sua virtù le chiude la bocca, pure essa non riesce sempre a nascondere le manifestazioni delle gravi stranezze del signor Gaetano. Perciò alcuni l’ammirano, altri, molti, la compatiscono come una sposa infelice. Biografie 322 opera omnia “Poverette! - ella dice - come si ingannano! Esse non sanno dove stia la vera felicità!”. Ben lo sapeva lei; e l’aveva trovata nella calma, nella sommissione al volere divino, nel riposo della preghiera, nella gioia consapevole di render sollievo ad una vita tribolata, nei sussulti interiori che sa dare il vero amore umano quando discende dalla più accesa carità divina. E un’altra, non ultima gioia, fu la sua maternità, eroica e dolorosa anch’essa. Biografie 323 opera omnia Biografie 324 opera omnia CAPITOLO IV Maternità dolorosa Tre fiori sulla corona di spine Tre fiori la mano divina inserì nella corona di spine che cinge la santa sposa. Di essi, uno solo - il primo che le sorrise - si aprì sino alla primavera della vita; gli altri due appassirono appena in boccio. Carlo, nato il 20 ottobre 1837. Raffaele, il 9 novembre 1839. L’ultimo senza nome - nacque e morì in un sol giorno, il 22 novembre 1842. La provvida mano di Dio mescola così nel cuore di Costanza, fra tante amarezze, questa grande gioia, la quale pur essa le diviene presto sorgente di nuove pene e di nuovi meriti. Di questi tre figli soltanto il primo le fu lasciato a fianco, perché gli altri due morirono presto: con quanto dolore della madre non è facile dirlo. Il superstite, Carlino, nel consiglio di Dio era dato e lasciato, per sedici anni appena, a conforto e cordoglio della madre. Egli non sarà l’erede, né il continuatore del nobile casato dei Buzecchi; ma l’innocente compagno associato alle spirituali elevazioni e alle domestiche pene materne. Sarà infine “la vittima sacrificata per tanti infelici” - come dirà Costanza - perché la sua morte prematura, coincisa quasi con quella del padre, lascerà a lei, con l’idea, il mezzo di realizzare il sogno della sua vocazione religiosa e l’opera benefica di cui sarà l’animatrice. Biografie 325 opera omnia Educazione di amore e di dolore Carlino è la copia fedele della mamma per la dolcezza del carattere, per l’inclinazione alla pietà, nell’elevato senso di carità e di fede. A ciò si aggiunga la seria e sana educazione ricevuta nel raccolto, solitario ambiente, ove egli non incontra, non tratta altre persone che i suoi genitori, i quali profondono tutte le cure intorno a quest’unica speranza del loro avvenire. Specialmente l’educazione materna lo piega e lo cresce ad una sodezza e serietà di vita, veramente edificanti. Dal babbo non ebbe, e non poté avere, che la sua porzione di prove, di dolori, cagionati sempre dall’aggravarsi dell’età e dei mali. Difatti, col crescere del figlio il padre invecchiava, ed invecchiando, si accentuavano i malanni, riflessi necessariamente sul suo temperamento, ognor più irritabile e strano. Montava in ira tanto facilmente, e - incredibile! - era preso da eccessi di gelosia contro l’innocente figliuolo, in cui vedeva un rivale che gli contendeva le migliori cure della sposa. Anche dal piccolo Carlino pretendeva il grave sacrificio di ascoltare immobile e attento le interminabili audizioni musicali; e siccome il figliuolo manifestava qualche inclinazione per la musica, esigeva che per ore intere pendesse dalle sue lezioni. Il fanciullo dava segni di stanchezza, e il babbo se ne adirava, attribuendolo a malanimo, a premeditazione, alle più assurde cose. Questo genere di costrizione fisica, imposta ad una creatura nell’età in cui il moto e l’allegria son necessari quanto l’aria e il pane, doveva lasciare profonde tracce nel suo tenero organismo, e sarà anche questa non ultima cagione della sua fine prematura. Il figliuolo, però, generoso, virtuoso come la mamma, tollerava queste ed altre stranezze del babbo, dando ad esse le più umane, le più larghe giustificazioni. Doloroso ed eroico distacco Dinanzi a questo doloroso stato di cose, per salvare il figlio ed insieme provvedere alla sua ulteriore istruzione, la madre prende l’eroica decisione di privarsi della tanto necessaria compagnia dell’innocente e intelligente creatura, per affidarla al collegio di Biografie 326 opera omnia educazione “S. Alessandro” aperto di recente in Bergamo dal canonico Valsecchi. L’ottimo ed illustre sacerdote accoglie di gran cuore Carlino Buzecchi come prima pietra fondamentale del suo Collegio. Questa dolorosa contingenza nella vita di Costanza le procurerà la preziosa ed autorevole guida del piissimo ministro di Dio, che come vedremo - sarà l’angelo per la sua nuova vocazione e missione. Dalla squisita bontà del figliolo. il pio canonico intuì subito la consistenza spirituale della madre: con la sua domestica educazione, aveva gettato profonde nell’anima del suo Carlino le radici di una cosciente ed angelica virtù. Carlo Buzecchi, infatti, è additato a modello di tutti i suoi compagni. I periodi di vacanza completavano in casa l’educazione del figliuolo; ma provavano pure sempre più energicamente la sodezza della sua virtù, perché il povero babbo, colpito dalla paralisi progressiva, è divenuto ancor più difficile, esigente, strano. Non gli permette di uscire di casa, gli proibisce di accostar verun compagno, di concedersi nessuno svago... Le vacanze, per il povero ragazzo, anziché un tempo di riposo o di sollievo, divenivano il periodo delle più dure prove. La povera madre, che vive per l’amore di quest’unico angelo, è costretta con molta pena e con grande interesse, ad abbreviare i tempi delle vacanze e a riconsegnare al collegio il suo tesoro. Ciò è fatto con tanta rassegnazione, con tanto caritatevole riguardo per il marito, da sembrare che ella voglia premurosamente allontanare dalla casa il motivo dei suoi turbamenti e dei suoi eccessi. Ma tale genere di vita non può durare a lungo, e non può essere sostenuto da chi è più fragile e tenero nella resistenza. Quando Carlino è verso il quindicesimo anno di età, Mons, Valsecchi annunzia alla povera madre, che il ragazzo è in tale stato di prostrazione fisica che, a prescrizione dei medici, deve interrompere gli studi, rientrare in famiglia ove il riposo e le cure avrebbero potuto garantire la ripresa e la guarigione. Il caro figliuolo era stato colpito dalla tisi! Eroica infermiera dello sposo e del figlio La povera madre, che è già l’infermiera insonne del marito prostrato dalla paralisi, accoglie anche il tenero figlio; e moltiplicando Biografie 327 opera omnia le cure e le veglie, diviene l’angelo consolatore anche di lui. Eroica, generosa, ella resiste allo strazio, alla fatica di assistere, inferma ella stessa, due cari e gravi infermi: lo sposo ed il figlio; una quercia annosa colpita dal fulmine, un tenero fiore appena dischiuso alle tiepide carezze della primavera, minato da un indomabile ed implacabile morbo. Ancora una volta, e sempre “fiat voluntas dei” Ecco la giaculatoria e lo sfogo che concede al suo dolore l’eroica donna! Dire le cure, le veglie, le preghiere, le ansie, le depressioni e le riprese di speranze nel contendere alla morte quello che alla morte poteva essere conteso, è cosa impossibile. La fede, la speranza, l’amore di Dio sono tutto il suo sostegno. E solo perché sopra tutti ella ama Dio, ha la forza di resistere, la virtù di sostenere i celestiali colloqui, tutti improntati alle speranze eterne, che il caro figlio tiene a confortare e straziare insieme la povera madre. Ed a lei che si preoccupa della desolata solitudine in cui sarà lasciata dopo la di lui morte, l’angelico giovinetto, ispirato da Dio, predice il suo immediato domani: “Non temere, mamma, il Signore ti darà altri figli da mantenere, che ti faranno dimenticare il dolore di avermi perduto!... . “. Il 16 gennaio 1854 Iddio discese nel giardino di Costanza a cogliersi l’unico giglio, cresciuto in tanto profumo di virtù e in venustà di bellezza, per trapiantarlo nell’aiuola celeste. Carlino aveva appena toccato il sedicesimo anno di vita. Il 20 dicembre dello stesso anno, il signor Gaetano Buzecchi, sereno e fidente nella misericordia eterna, spirava tra le braccia della sua santa sposa che gli additava il Paradiso. Costanza Cerioli è rimasta sola! Solo con Dio, e sola per Iddio! Le restano poco più di dieci anni a vivere. Ma da questo momento la sua vita devia diritta e rapida sulla sua vera strada: quella per cui Iddio l’ha creata, a cui l’ha preparata così di lontano, attraverso il crogiuolo di tante prove, di tante virtù, di tanti meriti. La strada che inonderà di tutte le sue ricchezze spirituali e materiali: come un fiume pieno che, dopo aver raccolto d’ogni parte sul suo cammino tanta copia di acque, corre maestoso, placido, regalmente benefico, verso l’immensità del mare!... Biografie 328 opera omnia CAPITOLO V Vocazione feconda Sola! Tutta la famiglia di Costanza Cerioli è trasmigrata in Cielo; in quale direzione si orienterà ella sulla terra? È ancora giovane: tocca appena i trentotto anni; le sue ingenti sostanze e più le sue eminenti doti di saggia e santa donna hanno attratto intorno a lei il miglior interesse di qualche serio partito. Non sarebbe giusto lasciar godere le legittime gioie della vita a chi, sino ad oggi, non ne ha assaporato che la feccia, condensata in una coppa d’oro? Ma gli ideali di Costanza sono ben lontani da siffatte illusioni Oggi, soltanto oggi, ella legge chiaro nei santi disegni di Dio, e si rende ragione di tante arcane e penose digressioni nella sua esistenza, sin dalla nascita tutta protesa verso ideali altissimi di perfezione. Oggi, finalmente, la vita di lei sbocca sul piano di Dio, sulla strada regia della sua vera vocazione, ove anche a noi sarà dato vedere e toccare con mano la saggezza provvida di chi volle accumulate tante virtù, tante preziose esperienze, tante ingenti ricchezze ad un unico santissimo scopo, benefico e salutare per molti. Chiusa nel suo rassegnato dolore, dopo aver compiuto ogni cristiano ufficio di pietà con i due cari estinti, Costanza si raccoglie in se stessa, ad ascoltare la voce divina che le indichi seguire, o meglio i mezzi da scegliere in quest’ultimo scorcio d’esistenza, per raggiungere con la maggior possibile perfezione i suoi dilettissimi compianti in Cielo Biografie 329 opera omnia Orante e supplicante: intenta alle opere di bene Nello spirito di Costanza risuonano intanto, dominando tutte le altre voci di dolore e di preghiera, le arcane parole del suo Carlino: “Mamma, non preoccuparti; dopo la mia morte Iddio ti darà tanti figli a cui provvedere, da dimenticare il dolore di avermi perduto!”. Quale sarà mai questa nuova figliolanza che Iddio vuole assegnarle? Stante i suoi propositi, non le è difficile individuare la via da cui le proverrà. Nel frattempo, ad aver conforto e guida, apre una folta corrispondenza epistolare con il pio direttore del suo figliuolo, il canonico Alessandro Valsecchi, divenuto vicario generale del nuovo vescovo di Bergamo, Mons. Speranza. Da questa corrispondenza, che ha tono d’una filiale apertura d’animo, specialmente per quel che riguarda gli ultimi giorni della edificante vita del suo Carlino, Mons. Valsecchi ha tutto l’agio di penetrare in profondità nello spirito di Costanza e scoprirvi attonito ed edificato, un’anima non solo ricca di virtù, ma inoltrata già sulla via della perfezione, privilegiata di doni mistici, come quello dell’orazione, e sulla quale la Provvidenza ha singolari disegni da realizzare. Il pio e prudente sacerdote, a tale insospettata rivelazione prende con interesse a dirigere Costanza con quella cauta saggezza con cui vanno guidate le anime che battono vie d’eccezione. Si tratta d’una donna giovane, ricca, già sposa e madre ed ora vedova, signora d’una ingente sostanza; occorre dunque esaminarla, provarla accuratamente per non fallire nel giudizio e nelle direttive. La corrispondenza spirituale tra Costanza e il Valsecchi mette perfettamente in luce tutte le dovizie, le bellezze dell’anima della santa creatura che, abbagliata dallo sfolgorare di tanti avvenimenti si ritrova di colpo padrona di sé e del suo avvenire, come nei primi giorni della sua giovinezza, quando accostatasi trepidante alla realizzazione delle sue idealità, si vide posta dalla mano divina su altra strada. Ora che questa strada è tutta percorsa, e si ritrova come al principio sulla soglia della sua vera vocazione, e per di più libera, ha un solo pensiero, una sola preoccupazione: conoscere dove Iddio la vuole: un chiostro chiuso, come piacerebbe alle sue mistiche inclinazioni, oppure all’apostolato di carità in un chiostro aperto ove più facilmente vedrebbe avverate le profetiche parole del figlio morente? Biografie 330 opera omnia Tutto questo dopo un breve periodo di ondeggiamento le sarà chiaramente detto dall’ispirato direttore, a cui si aggiungerà l’autorevole consiglio del vescovo Mons. Speranza, a cui Costanza docilmente obbedirà. L’illustrazione dall’alto Nel frattempo - un lungo periodo di sospensione e di prove ella si esercita, nell’orazione, ad ottener refrigerio ai suoi cari morti e lume a lei che ancora ha a conoscere la direzione della sua nuova vita. Ed è intenta ad ogni opera di bene. I poverelli sono i suoi nuovi cari congiunti, più particolarmente la inteneriscono ed interessano i poveri fanciulli tra questi soprattutto gli orfanelli. I piccoli le ricordano tanto teneramente la sua innocente creatura volata al Cielo; e ad essi serba le preferenze del suo spirito su di essi volle riservare tutte le ricchezze che Dio l’ha resa arcanamente ed inaspettatamente arbitra. Tre ricchi patrimoni infatti sono nelle sue mani: i propri beni, l’eredità del Buzzecchi, e le sostanze della contessa Tassis devolute a lei attraverso l’eredità dello stesso Buzzecchi. In armonia con questi sentimenti e per lo stato di supplice attesa, ella riduce, elimina, sopprime quanto nella sua vita domestica ha dovuto tollerare per obbedire ai desideri del suo sposo. Sulla casa nobile e sontuosa si distende come un velo di gramaglia per attutire quanto può ricordare lo sfarzo passato. Il personale di servizio si assottiglia allo stretto necessario; il di più, con tanta carità e perfetta giustizia, è congedato. La sua persona che mai ha conosciuto il lusso, ora si riveste di poveri ed usuali abiti, di pesante lana, preferibilmente bruna. La sua mensa è mortificatissima. Le sue occupazioni quotidiane: lunghe preghiere, chiusa nel domestico oratorio donde ne esce col volto arcanamente incendiato, per fare visite di carità. “Povera signora! - mormorano i parenti, gli amici, la servitù – la morte dei suoi cari ha alterato il suo sistema nervoso!”. Ma nessuno sa, fuori del canonico Valsecchi e del vescovo Speranza, che la cara anima matura propositi e piani eccezionali. Trascura tutto perché è preoccupata di sapere come praticamente deve determinarsi. E questo lo aspetta dal Signore. Il buon vescovo Speranza ormai interessato anche lui alla sorte di questa sua pecorella, consiglia Costanza di portarsi a Bergamo e Biografie 331 opera omnia raccogliersi in ritiro spirituale presso le Figlie del S. Cuore, nella segreta speranza che ella si determini per questo istituto fiorente e commendabile per il santo apostolato che svolge in pro dei fanciulli. Niente di tutto questo. L’identico tentativo saggiato con le Canossiane ebbe già lo stesso esito. Costanza sente interiormente d’esser chiamata “ad un apostolato più basso, e a convivere con persone di più umile condizione”. Torna quindi al suo palazzo di Comonte per attendere nella preghiera e nelle opere di bene il cenno divino. Frattanto ella pensa di realizzare questo bene aprendo una modesta scuola rurale per i bimbi del contado, nel desiderio di cominciare ad accostare queste innocenti creature e gettare in esse, con i semi della prima istruzione, la luce e il calore delle verità celesti. La sua casa prende l’aspetto di una casa di tutti, ove si affollano grandi e piccoli per approfittare del gran mezzo di bene che la signora dà tanto generosamente: l’istruzione. Un giorno il pievano di Comonte accosta Costanza ancora incerta del proprio domani; il buon prete, che qualche cosa ha già intuito di ciò, se ne esce candidamente con queste parole. “Sentite, signora, se io fossi nelle vostre condizioni, mi procurerei alcune povere bambine da educare e custodire; così quest’opera vi solleverebbe lo spirito”. È il momento di Dio. Proprio quel giorno furon presentate a Costanza due bimbette orbate di recente dei genitori, con la calda raccomandazione di proteggerle. Costanza non le lasciò più partire. Iddio ha parlato: ella ha trovato gli eredi dei suoi tre patrimoni, e più, delle grandi ricchezze del suo spirito. La prima collaboratrice A proposito della scuola rurale, Costanza ha urgente bisogno di collaboratrici. Dalle sue domestiche non può aspettare aiuto: son poche e mal disposte. Esse giudicano le decisioni della signora come frutto di una povera mente malata. Ma pure in questo la soccorre il Cielo. Le si presenta una pia giovinetta bergamasca poco più che ventenne, indirizzatale dal proprio confessore. Luigia Corti, sprovvista di diplomi di studio, ma ricca a dovizia di buon senso, di generosità di cuore e soprattutto di una grande bellezza di anima. Questa cara figliuola obbediente al Biografie 332 opera omnia confessore arrivò a Comonte quando Costanza non aveva ancora preso la finale decisione, e parlava con sospensione di quel che deciderebbe e farebbe. La Corti, che sentì subito una grande attrattiva per la pia Signora, rimase alquanto sconcertata, e temendo di non poter provvedere stabilmente alla propria vocazione, si presenta a Costanza e le dichiara francamente che, stando ancora le cose sull’incerto, ella pensava di ritornarsene ai suoi. Costanza, che pure aveva pesato i pregi della figliuola e la riteneva adatta ai suoi intenti, per tenersi distaccata e indifferente nella scelta dei mezzi da usare, la lasciò partire. La Corti allora desolata, delusa se ne partì; ma prima di rientrare a casa, volle passare dal proprio confessore e ragguagliarlo di tutto. Questi l’ascoltò, poi ispirato le disse: “Va, ritorna subito a Comonte, in nome di Dio, che ti ha destinato a quell’opera. Tu seguirai le sorti della signora Costanza comunque ella si determini”. La figliuola obbediente tornò sui propri passi e presentandosi di nuovo a Costanza, con la stessa franchezza ed ingenuità le dice semplicemente: “Signora, resterò sempre con voi!”. E restò. Per divenire la prima figlia, la prima consigliera, la prima collaboratrice di una fedeltà, di un amore, di una venerazione umili e sinceri. E ne raccoglierà con l’ultimo anelito, l’eredità di virtù, di saggezza per guidare e sviluppare ancor più sulla strada di Dio l’opera santa e benefica di Costanza Cerioli, divenuta Suor Paola Elisabetta, fondatrice e madre dell’Istituto della Sacra Famiglia per i poveri orfanelli rurali. Biografie 333 opera omnia Biografie 334 opera omnia CAPITOLO VI Direttive ispirate Nascono le Suore della Sacra Famiglia A Comonte e dintorni, si è diffusa la voce delle belle opere iniziate dalla pia vedova Buzecchi. Il suo palazzo è un andirivieni di parroci, sacerdoti e persone che corrono a raccomandare molti casi di orfanelli da tenersi in considerazione. Il cuore di Costanza si commuove e si dilata nel desiderio di abbracciare tutte quelle miserie. Ella pertanto consulta ancora Iddio nella orazione per sentirsi confermata nel proposito iniziato. E la voce di Dio, concorde con quella del vescovo, le risponde: proseguire. Ed ella prosegue. Accoglie altre bambine, di preferenza orfanelle di rurali. Con queste deve aumentare il numero delle collaboratrici, le quali cominciano a presentarsi. Dopo Luigia Corti, prima assoluta, vengono altre quattro. Sono le colonne di sostegno dell’istituto femminile della Sacra Famiglia, a cui merito va ascritto il fatto di avere abbracciato l’istituto ancor prima di nascere e di aver perseverato in esso fino all morte. Ne compresero subito lo spirito, lo assimilarono e lo vissero in piena dipendenza e armonia da quella che fu la loro madre e maestra. La “Magna Carta” della sua istituzione Sugli inizi del 1857, quando la cosa è ancora informe e la casa non perfettamente organizzata a convento, Costanza si raccoglie a lungo in orazione nella sua stanza. Al solito, ne esce col volto di Biografie 335 opera omnia fiamma, recando seco uno scritto, ove, sotto l’ispirazione del Cielo, ha disteso il programma e i punti costituzionali della sua nuova famiglia. Questa “magna carta” poi, approvata da Mons. Valsecchi, è da lui definita “dettata dallo Spirito Santo”. È un programma singolare che ha posto mente ad un problema, da pochi considerato, da nessuno risolto, altamente cristiano e provvidamente sociale. A tutte le orfanelle rurali che la Provvidenza le affiderà, ella vuol dare una profonda e perfetta istituzione cristiana, ed insieme istillare un grande amore alla terra: “coltivarla e ricamarla, onde rinasca e prosperi il gusto e l’amore ad una arte tanto nobile e bella quanto provvida e necessaria, che le massime e i costumi del mondo hanno avvilita e tengono in dispregio. Quelle creature allevate nell’innocenza e nella semplicità, imbevute di massime e sentimenti conformi alla loro occupazione, dovranno essere il buon seme caduto dal Cielo e restituire con l’amore alla fatica e il gusto alla vita campestre, l’innocenza dei costumi, la semplicità delle maniere, la buona fede delle parole, l’abbondanza e la pace nelle famiglie e così possedere quell’unica felicità campestre da tutti decantata, ma che pochi possiedono, che infine ci guidi e ci conduca alla felicità interminabile del Cielo”. Le Suore della S. Famiglia - ecco il nome della nuova istituzione - chiamate da particolare vocazione si dedicheranno a questa alta e singolare missione, di qualunque stato o rango esse siano, e formeranno una sola famiglia di sorelle strette coi sacri vincoli della pace e della carità. Ecco l’idea madre del suo Istituto. A dir subito il vero, prima intenzione di Costanza fu istituire una famiglia religiosa in pro degli orfanelli; ciò sarebbe stato più in armonia col suo desiderio di ricordare la memoria di Carlino da lei tanto amato, e dal cui patrimonio attinge i mezzi; ma forza di circostanze e disposizioni della provvidenza l’hanno indotta a cominciare con le orfanelle. La prima idea però sarà soltanto differita, perché - come vedremo - Costanza metterà mano a dar vita anche ad un’istituzione maschile. Prima consacrazione e novità di nome e di vita Questo programma ebbe subito l’approvazione di Mons. Valsecchi e del vescovo Speranza. L’otto Febbraio 1857 nella cappella privata di Mons. Vescovo di Bergamo, Costanza da sola pronunzia la formula dei voti religiosi. In questa occasione si recide i capelli e Biografie 336 opera omnia copre il capo con un semplice, spesso velo nero. Poi, lasciando il nome di battesimo, assunse due cari nomi scelti dall’amore e dalla devozione a due grandi sorelle in Cristo, a lei pari di condizione, di ricchezze, di generosità benefica: Paola - Elisabetta. “D’ora innanzi non mi direte più signora Costanza ma Suor Paola Elisabetta” dichiara tutta lieta, ripresentandosi alle sue collaboratrici di Comonte. Per esse, sul momento, non c’è nulla di mutato, specialmente pel vestito; tranne il velo nero portato da tutte costantemente. Tanto lei che le sue Figlie proseguono ad usare i loro vestiti abituali, accomunati solo nel colore bruno. Non si dice però quanto quelle buone creature anelassero anch’esse ad una totale consacrazione come la loro madre, e quanto desiderassero rivestire una vera livrea religiosa. Suor Paola Elisabetta, già ricca di una saggia esperienza spirituale, così risponde: “Che non sia la vanità che vi stimoli a ciò: prima di prender l’abito, rivestiamoci dello spirito e delle virtù che caratterizzano la vita religiosa”. Il Signore già parla per la bocca della saggia maestra; la vita di tirocinio - o il sacro noviziato - è in piena attività. Un bel tono di dimessa modestia passa pure sopra tanti ricordi di fastosa ricchezza nella casa di Comonte, trasformata in sacro domicilio delle novelle spose del Signore. Quel fasto che mai fu amato, anzi ripudiato, scompare del tutto. Nella grande sala di ricevimento il grande specchio, racchiuso in sfarzosa cornice dorata, spegne le sue luci sotto una cortina di umile carta, che sarà sfondo di candore ad un grande Crocifisso. Da un canto, negletto e muto, il vecchio cembalo a coda del signor Buzecchi, ha perduto la sua voce, per lasciar vibrare sull’onda armoniosa della preghiera i cuori delle orfanelle e delle loro nuove mamme. Oro, diamanti, mobilia, vesti preziose, tutto parte per diverse vie e torna tramutato in vesti, letti, mobilia, da riempire il nuovo albergo delle orfanelle. “Oh, come sono bene spesi questi denari! “tripudia Suor Paola Elisabetta. Sublime trasformazione dell’oro e dei monili, nei più preziosi gioielli d’innocenti anime che ora han pane e letto, ed una cristiana educazione. I primi toni pedagogici Son colpi di ascia che cadono sulle cose, e presto cadranno sulle anime semplici di quelle care creature - maestre ed allieve - a Biografie 337 opera omnia dirozzarle, a tornirle, a farne delle buone e sincere copie delle santissime Persone della casa nazarena: perché così Suor Paola Elisabetta vuol trasformare, ricopiando quella, la ricca proprietà di Comonte, casa e cose, cuori e spiriti. Come Iddio l’ha ispirata. Per la Pasqua 1857 è pronto un bagno salutare ad altissimo calore spirituale in un corso di esercizi, secondo il metodo di S. Ignazio, lungo dodici giorni. Questi esercizi costituiscono per la Madre e per le Figlie il vero cenacolo, previo alla discesa dello Spirito venuto a riformare ed informare quelle buone creature alla loro santa missione di perfezione, di carità, che avrà il suo inizio ufficiale con la vestizione religiosa di tutte nella veniente solennità dell’Immacolata Concezione. L’abito delle suore della S. Famiglia semplice e pratico. Una tonaca ad ampie maniche, color marrone, stretta ai fianchi da una fascia. Una piccola croce in legno pendente dal collo, ed un rosario alla cintola, ne sono i monili. Una cuffia nera coperta da un velo, il quale, anziché scendere sulle spalle, si può restringere intorno al collo, a guisa d’un cappuccio, onde rimanga sempre aderente al capo, pur nei lavori da sostenersi in piena aria della campagna. Nome e blasone: la Sacra Famiglia. Suor Paola Elisabetta è dei pochi cui la divina Famiglia, nascosta nell’ombra nazarena, appare nello splendore di tutta la sua vera luce. Là dentro tutto è povero, semplice, normale, eppure, è là solo che le virtù toccano i vertici del Cielo, perché è il Cielo stesso che vi si è abbreviato, racchiuso, nascosto, e suor Paola ha il cuore, lo spirito pieno di questo arcano, proprio come trova tutto l’oro del sole nelle esili spighe di grano, nei ricchi grappoli penduli dalla scheletrica vite. Gesù! Maria! Giuseppe! Il Verbo di Dio, fatto fanciullo obbediente, operoso, che cresce in età, in sapienza, in grazia per le delizie di Dio e degli uomini. Maria! umile nel portento della sua verginità feconda; benefica nella gioia della sua dignità materna; povera nella maestà di regina d’una umanità che ha da redimersi; rassegnata al sacrificio da cui germoglierà la gioia. Giuseppe! l’uomo di stirpe regia oscurato nel buio dell’officina, semplice e prudente, mite e forte, verginalmente casto, virilmente paziente sotto la fatica, la stanchezza, l’indigenza, perché sa che del suo sudore s’intride e fermenta il pane che fa grande il Figlio di Dio, e Biografie 338 opera omnia sostiene la vita della sua incomparabile Madre, e col suo lavoro, col suo dolore si allieteranno il Cielo e la terra. Umanizzare tali esempi e virtù, praticizzarli sino alla perfetta riproduzione nella vita d’ogni ora, di tutti i giorni, della vita intera: ecco il magistero prezioso che Suor Paola Elisabetta distenderà nel Codice che guida le sue Figlie sulla via della perfezione e dell’apostolato, e le sue care orfanelle sulla via del Cielo. Biografie 339 opera omnia Biografie 340 opera omnia CAPITOLO VII Magistero prezioso Agricultura Dei ! Figlia di ricchi terrieri, sposa di un ricco possessore di terre, trovatasi d’improvviso signora e padrona di vaste proprietà terriere, Suor Paola Elisabetta non può non amare la terra e quanto la riguarda. L’amò perché conobbe, penetrandola con intuizione d’amore e fede cristiana, quest’alma tellus, madre feconda e fedele, generosa nutrice, pietoso grembo di ogni essere creato, dall’uomo all’atomo, che in esse trovano la vita, la fecondità, il riposo. Tutta l’opera di Paola Elisabetta Cerioli - che ora si inizia - è un autentico lavoro, umano, cristiano, spirituale, sociale, ed ha tale sapore d’idillio rurale, d’intelligente perizia agricola, che a conoscerlo è una rivelazione, a considerarlo un incanto. Nell’appressarsi alle anime ella ricopia Iddio, imita il divino Maestro che tutta l’opera sua redentrice e santificatrice, adombrata in sublimi parabole, ridusse e condusse come una celeste agricoltura. A perfetta somiglianza del Divino agricoltore ella fa con le anime una autentica, ma celeste, razionale agricoltura: per dissodamento, semina, potatura, raccolta di messi. Si potrebbe chiedere: dove e come ella attinse la scienza o fece l’esperienza di cose spirituali? Le fonti della sua scienza spirituale È una donna, appena quarantenne, uscita or ora dal mondo, Biografie 341 opera omnia figlia degl’agi e della ricchezza, assorbita dai doveri coniugali e materni, come può atteggiarsi a istitutrice di anime? Che sa ella mai della perfezione, della vita religiosa, della sua struttura, dei suoi essenziali costitutivi: la bellezza, cioè, dei voti, le gioie del sacrificio, le dolcezze della preghiera e dell’orazione? Per ogni altra sarebbe presunzione, per lei no. Pur tanto giovane, ella possiede una ricchezza di vita interiore, una tale sodezza di virtù, da essere necessario il rigurgito, quasi a sgravio del peso ricevuto non tutto per sé, ma per farne partecipi gli altri. Come già si è visto, fu inscrutabile disegno di Dio nutrirla di dilazioni e di attese, di digressioni e di tappe, proprio per portarla qui, a lavorare su questo campo, a fare questa celeste agricoltura che forma i perfetti seguaci di Gesù Cristo. Le sue collaboratrici innanzitutto: sono esse il campo preliminare su cui ella ha da spargere i primi sudori, onde rendano a Dio la gloria che gli è dovuta con la personale santificazione, e poi gli guadagnino le anime. E le sue figlie “erano ben decise a rimanere ben unite a lei, a lasciarsi condurre e formare secondo il disegno che ella, per ispirazione divina, aveva in mente”. Così la Madre Corti. “Ella si regolava con la direzione del vescovo di Bergamo e di Mons. canonico Valsecchi, e noi ci regolavamo con la nostra signora “cosi’ la chiamavamo in principio dell’istituto “ma poi continuavamo a chiamarla come le orfanella “Madre” che era veramente nostra affettuosissima madre, benché ella fondatrice e padrona di tutto, e tanto distinta per nascita, per talento e ricchezze, da non paragonarsi affatto a noi, si sottoscriveva e si chiamava sorella, compagna nostra”. I canoni della perfezione Le guidava per la via del rinnegamento di se stessa: dominarsi senza mai ascoltare le proteste dell’inferma natura. Non cercare in nulla la propria soddisfazione: neppure nelle cose spirituali; ma cercare solo Iddio, non le consolazioni di Dio. Disprezzare ciò che il mondo pensa o dice di loro: basta l’approvazione di Dio e dei suoi rappresentanti: i superiori. “Guardate di operare per Iddio, con la purezza d’intenzioni, e lasciate che il mondo parli: voi ridetevi di esso, come esso ride di voi”. E precedeva tutte con l’esempio: gran risparmio, quindi, di Biografie 342 opera omnia parole; bastava guardarla per imparare ciò che doveva esser fatto, e come si doveva fare. Ella era umilissima. Dice la M. Corti: “Noi le eravamo state date proprio per umiliarla, non essendo all’altezza della sua condizione... Eppure era così amorosa e cordiale da sembrare una nostra pari. Si adattava a noi, quasi fosse ella stessa di bassa condizione... dissimulava le omissioni di certe convenienze dovute al suo grado. Ella si metteva sempre all’ultimo posto, e noi più semplici che intelligenti, stavamo dove ci metteva”. “Quel che importa, diceva, è far bene il dovere... si va in paradiso anche senza civiltà”. “Eppure voleva che fossimo assennate nel parlare, garbate nelle parole e nel tratto, sì da imporre rispetto... ma tutto condito di molta semplicità... Andiamo là alla buona. Umiliamoci, facciamoci piccoli con i piccoli, semplici con i semplici, poveri con i poveri... per avere da Dio il premio promesso!. . “. Però, vicino a questi precetti di semplicità, dichiarava che le occorrevano soggetti di buoni talenti e di vaste capacità per lo sviluppo dell’opera”Non mi occorrono soltanto delle buone contadine; le Suore non sono per coltivare la terra, ma per istruire ed educare con perfezione le orfanelle”. Domanda a Dio suore laboriose, attive, instancabili nel lavoro: “Gli altri istituti religiosi faranno lunghe orazioni, contemplazioni, digiuni, penitenze... qui si lavora e si lavora molto”. “E chi può dire che anche il lavoro non sia una preghiera, una penitenza?... Soprattutto il lavoro della terra è un’alta contemplazione. Guardiamo alla Sacra Famiglia. Quanto c’è da apprendere e da consolarsi!”. Generosità, umiltà, semplicità, laboriosità: ecco i pilastri del suo insegnamento, le virtù madri della sua perfezione, le caratteristiche della sua famiglia che, ispirata da Dio, ella ha raccolto a due alti intendimenti: l’uno spirituale, l’altro sociale. E per questi scopi ella consacra tutte le sue restanti forze, tutte le sue ingenti sostanze, ogni risorsa fisica e morale, affinché Iddio sia amato, servito, glorificato. Il direttorio per il presente e per l’avvenire Ogni saggia pedagogia cade se non è fissata e vivificata con forza di legge che vincoli i viventi e i posteri. Suor Paola Elisabetta ha tratto dal forziere del suo spirito, dovizioso di saggezza e prudenza, illustrato dalla superna Biografie 343 opera omnia ispirazione, il capolavoro delle sue Regole che umilmente chiamò “Direttorio”. Scaturito dalla sua mente, stilato dalla sua penna, riveduto e ritoccato appena dal suo pio direttore, approvato dalla chiesa. È bello leggere la sua lettera al canonico Valsecchi, col quale si schermisce per non saper portare a capo così arduo lavoro; ed infine, con bella umiltà, in sintonia con la più candida semplicità, presenta a lui quel che penserebbe di fare e prescrivere per il bene dell’istituto, che, in sostanza e nel dettaglio è appunto il suo Direttorio bello e perfetto. Senza il tono di legislatrice, ma col parlare dolce, suadente di una mamma buona, esorta i figliuoli ad attenersi al suo consiglio più che ai suoi comandi, e ad accettarlo come parole di vita, prese in prestito dall’amore e dalla bontà di Dio che null’altro desidera fuori dalla perfezione e della beatitudine delle sue creature. Dentro il suo Direttorio - che noi qui non possiamo analizzare c’è tutta lei: il suo alto giudizio, la saggezza dello spirito, la larghezza del cuore, l’equilibrio e la misura dei precetti, le cure dei dettagli... e il tutto, dominato da una celeste unzione che fluisce in ogni riga per soavizzare la fredda rigidità dei precetti. Il suggello di approvazione e di autenticità a tutto lo appone il buon vescovo Speranza, che la conobbe nell’animo, con queste autorevoli parole: “La Madre, assistita e coadiuvata dallo Spirito Santo, ammaestrata dal suo stesso dolore ed amore, dovette far tesoro, nell’arte difficilissima dell’educare, di quella sapienza tutta celeste che poi trasfuse nelle Regole e nelle pratiche dei suoi istituti(qui si allude anche all’istituto maschile da lei felicemente realizzato), Regole, che potrebbero esser lette e studiate con grande profitto dai padri e dalle madri di famiglia delle classi più distinte della società”. Per dare infine intera la geniale idea programmatica della madre Paola Elisabetta bisogna anche aggiungere che ella, veramente ispirata dal Cielo, ha lasciato nella sua legislazione, specialmente riguardo alle attività del suo istituto, una porta aperta ad accogliere i migliori complementi ed ampliamenti che, sempre in conformità allo spirito essenziale, possano rendere più proficuo e fecondo l’apostolato delle sue Figlie. Tenuto conto dei tempi in cui scrisse il suo Direttorio - un secolo fa - si ha da riconoscere la sua presaga intuizione. Prevedendo e prevenendo i bisogni delle anime nei tempi nuovi che verranno, ella appone in calce alle sue leggi la sigla prudenziale e saggia “Salvi Biografie 344 opera omnia migliori emendamenti” e comandò alle sue Figlie di camminare al passo con i tempi, di adeguarsi alle loro necessità affinché sempre, in tutto e da tutti “onorificetur Deus!...”. Biografie 345 opera omnia Biografie 346 opera omnia CAPITOLO VIII Carità intelligente Quasi odor agri pleni Dentro e fuori di sé, nell’anima e nell’Istituto tutto è in piena fioritura, come un campo benedetto da Dio con la rugiada del cielo e con la feracità della terra. Lavorata intensamente in profondità, la sua benedetta famiglia ha da espandersi. Per l’espansione necessità insopprimibile d’ogni opera bella e buona - s’ha da riflettere alla natura caratteristica dell’istituto che ha particolari esigenze, prima fra tutte la disponibilità di terre su cui formare l’educazione pratica delle orfanelle rurali. La prima espansione, quindi, non potrà essere che lenta e naturalmente si estende a quei luoghi ove Suor Paola Elisabetta ha delle proprietà patrimoniali o ereditate Però il pieno sviluppo della sua istituzione, che ella non vide durante la sua vita, si realizzerà felicemente dopo che sarà tornata a Dio. Le prime fondazioni fuori di Comonte, si dirigono subito verso Soncino, sua terra natale, e a Villacampagna, ove esiste il grosso delle sue possessioni dotali. Tanto avvenne nel 1862, tre anni appena avanti la sua morte. A Villacampagna realizzò anche il sogno del suo cuore materno, primo nell’intenzione ed ultimo nell’esecuzione: l’istituto maschile della S. Famiglia per la cristiana educazione degli orfanelli rurali. Anche qui per tale opera, importante e benefica non meno della prima, che avrà col tempo sviluppi assai consolanti, ella si appiglia a mezzi quanto mai semplici, a materiale grezzo, ma quanto ricco di pregi interiori lo dicono i buoni risultati che ne ricavò. Biografie 347 opera omnia I fratelli della S. Famiglia Escluso garbatamente il piano di associarsi ad un pio sacerdote che lavorava attorno ad un’opera affine alla sua, ma non perfettamente coincidente con l’ultima differenza, cioè a vantaggio degli orfani di campagna, Suor Paola Elisabetta insiste con la preghiera presso il Signore onde le faccia incontrare l’anima a lei necessaria per iniziare questo secondo lavoro. E la Provvidenza le presenta un soggetto che, a vederlo, si sarebbe detto un fattore, certo Giovanni Capponi, di Leffe, ove è molto amato, stimato per essere infermiere ed economo del civico ospedale. In breve il Capponi - non giovane, né vecchio - è uno di quegli apostoli in calzoni, che riescono una benedizione dovunque passino. Non di grande levatura intellettuale, ma di un sano equilibrio pratico, soprattutto pio, irreprensibile, zelante e caritatevole in modo da non potersi dire; tanto che da tutti era ricercato, benedetto. Con questo umile, ma non disprezzabile elemento, la Provvidenza intende gettare la prima pietra della nuova istituzione progettata da Suor Paola Elisabetta, la quale, conoscendo e condividendo perfettamente i metodi divini, accoglie con vero entusiasmo il Capponi, con la umiltà del quale deve non poco contendere per fargli accettare l’oneroso ed onorifico incarico. Con tutte le approvazioni e le benedizioni del vescovo Speranza e del canonico Valsecchi, il 4 novembre 1863 - onomastico del suo Carlino - con una devota cerimonia religiosa si diede principio alla nuova opera in Villa Campagna con tre soli soggetti presieduti da un sacerdote che fungeva da cappellano ed un orfanello, ai quali consegna il necessario in mezzi per cominciare, con tutti gli auguri e le benedizioni del suo cuore materno. In un suo “pro Memoria” ella ha scritto queste parole: “Tutte le opere di Dio incominciano dal poco e vanno man mano crescendo, come il grano di senapa del Vangelo. Così la grazia del Signore cresca e moltiplichi questo piccolo seme!”. Parole di verità, presaghe del più consolante successo!. Biografie 348 opera omnia Come è organizzato l’istituto dei fratelli della S. Famiglia Anche per la sua famiglia maschile Suor Paola Elisabetta ha disteso nella carta, se non una legislazione formale, degli schemi e memorie direttrici, per una eventuale Regola futura da sviluppare dalla saggezza e dalla esperienza dei sacerdoti che dovranno essere a capo della nuova Opera. Intanto le norme fondamentali sono: costituire, con le varianti necessarie, una famiglia religiosa maschile che si dedichi alla cristiana educazione degli orfanelli rurali, come le suore della S. famiglia attendono alle orfanelle. Logicamente: come ella non intese con le suore creare delle devote massaie rurali, ma autentiche religiose, cosi’ per i fratelli, anzi con più alto intendimento, vuole creare dei veri religiosi, sacerdoti e laici, che, periti nella scienza agraria, impartiscano agli orfanelli di campagna la più soda educazione cristiana congiunta alla tecnica agraria. È chiaro che questo suo concetto spirituale e pedagogico non può essere attuato che da sacerdoti e da laici, i quali, divise le mansioni di direzione e lavoro, possano armoniosamente ottenere il duplice scopo da lei perseguito. E da gli uni e agli altri da le norme dettagliate per la disciplina, il governo della sua nuova famiglia. Anche questo regolamento è sottoposto all’esame e all’approvazione del vescovo Speranza, il quale, per avviare l’opera alla migliore realizzazione di bene, suggerisce che sul momento, non si imponga ai fratelli nessuna regola; questa verrà in seguito, ricavandola dalla pratica e dall’esperienza. Ma quando, maturati tempi e cose, si reclamerà una Regola scritta, si dovrà ricorrere a quella già tracciata dalla Benedetta Madre, cui spetta il merito e il vanto di aver preceduto i tempi, con la sua saggezza ispirata dal Cielo. La sua intelligente pedagogia Ed ora riunendo in un fascio solo i precetti da lei dettati per tutti i suoi cari orfanelli, cui regala l’onorifico nome di Figli e Figlie di S. Giuseppe, tentiamo di dare, in brevissimi cenni, tutta la saggezza spirituale e l’alto fine sociale, condensati nelle sue direttive per la più perfetta formazione cristiana e agraria dei suoi prediletti. Innanzi tutto lo spirito; poi il resto. È intuitivo: Suor Paola Biografie 349 opera omnia Elisabetta è una fedele serva di Dio; in forza della sua consacrazione è sposa di Cristo; ella cerca, quindi, prima di ogni altra cosa l’anima il vero bene duraturo ed eterno dei suoi figli che, per amore di Dio, ha adottati. Queste innocenti creature, tanto più degne di amore quanto più sono infelici, ella le chiama “tesori”. Le consegna alle sue religiose con queste parole: “Tenetele da conto come un tesoro! Se amate l’istituto, dovete amare queste creature, fine ed oggetto della vostra vita di apostolato. Amatele più di quelle che sono di migliore condizione sociale, perché, più indigenti, sono più care a Dio!... Vegliatele giorno e notte, in casa, in chiesa, al lavoro: siate i loro angeli custodi... Sono vasi fragili, facili a rompersi; sono piante novelle facili a piegarsi; sono tesori di Dio affidati a noi... “La vostra idea non dev’essere di formare di queste creature delle monache; ma delle brave, care, virtuose ottime madri di famiglia. Perciò occorrono ad esse virtù semplici, ma consistenti; che aborriscano il peccato e siano pronte a morire anziché offendere Iddio. Sulle loro fronti innocenti spiri modestia e candore; siano franche senza sfacciataggine... e siano soprattutto semplici. Guai a quella casa ove entra una donna saccente. La pace, la concordia, l’economia se ne vanno da essa! Innamoratele soavemente di Dio, rappresentatelo buono, santo, misericordioso, liberale; non stringete il cuore, non impoverite l’intelletto, predicando Iddio ad ogni ora terribile severo pronto a punire e castigare per ogni colpa. “Esse devono amare il loro stato e i grandi benefici dell’agricoltura; la felicità della loro condizione con cui è più facile salvarsi. “Mostrate l’esempio di Gesù: Egli ricchissimo nacque e visse povero, trattò di preferenza i poveri, ad essi promise il regno dei Cieli. “Predilesse i fanciulli, espressione d’innocenza e semplicità primitiva. Preferì il soggiorno della campagna alla città; dava la sua celeste dottrina sedendo sul monte o passeggiando pei campi, nelle valli; prendendo le immagini più belle delle sue divine parabole dai gigli, dal grano, dagli alberi fruttiferi, dal frumento, dalla zizzania, dalla vigna, dai vignaioli, dal gregge, dai pastori, dalle pecore, dagli uccelli dell’aria, per farci ammirare la Provvidenza di Colui che, assomigliato ad un celeste agricoltore fa nascere da poco e minuto seme il nutrimento per tutte le sue creature. “Seguendo l’esempio di Gesù, prendete motivo da tutti gli oggetti che cadono abitualmente sotto gli occhi di queste creature per Biografie 350 opera omnia parlare. Dite della fecondità della terra che per volere di Dio produce incessantemente tanta varietà di fiori, squisitezza di frutti d’ogni sapore il più soave. Dite del seme consegnato ai solchi che morendo sotterra prima di risorgere e germogliare, porta l’immagine della vita, della morte, della risurrezione dell’uomo. Dite dello sviluppo delle piante, soggiorno gradito agli uccelli dell’aria, utili e care agli uomini stessi che vi trovano l’ombra refrigerante, frescura, riposo, ed aria più respirabile e pura... Ricordate loro gli antichi patriarchi che, all’ombra delle piante, ospitavano ed ascoltavano gli angeli pellegrinanti sotto forma umana. “E poiché l’anima di queste creature sempre gaia e sorridente nell’innocenza della prima età, gode soprattutto dello spettacolo e del profumo dei fiori, di cui si abbella la campagna, e li vanno cercando sotto le siepi, lungo i sentieri, coltivate i fiori per dare a queste creature un sollievo utile e dilettevole, insegnando loro, nome, specie, proprietà dei fiori, usi e colture di ciascuno di essi. E di questi fiori, coltivati e colti dalle vostre figlie, adornatene nei giorni solenni i nostri altari... “Parlate degli uccelli che nidificano, delle api che hanno regina e statuti per il loro prezioso laboratorio di miele e cera. Parlate degli animali che servono alla campagna, traendo l’aratro e il carro, di quelli che forniscono carni pel nutrimento, pelli e lane pel vestimento”. Poi scende ai più pratici particolari. “Queste figliuole son destinate nella maggior parte al matrimonio, non le contraddite nella loro vocazione: saranno eccellenti madri di famiglia e col loro esempio porteranno grandi vantaggi nel loro ambiente. “Semplicità, semplicità in tutto: nel leggere, nello scrivere, nel far conti, nel vestirsi, nel preparare i cibi; insegnando soprattutto l’ordine, la nettezza negli abiti poveri e semplici, ma odorosi di lindezza, ammonendole che la mancanza di ciò è cagione di molte malattie... Questo sia il fine che dovete avere nell’educarle”. Poi voleva che le migliori figliuole, le più brave, le più diligenti nella condotta, nel lavoro, nello studio del catechismo, avessero un premio. Ad eccitare la loro migliore emulazione, il giorno 15 Ottobre festa della sua cara santa Teresa e inizio dei riposi della campagna voleva la festa dei premi, con la distribuzione di medaglie e di cose da esse desiderate. Alla prima assoluta nel premio di agricoltura darà in più l’UFFICIO DI ABELE; cioè l’incarico di raccogliere durante Biografie 351 opera omnia l’anno le primizie dei frutti della campagna, e in apposito cesto presentarle all’altare in segno di sudditanza, di amore di grazie al Sommo Iddio, Padrone e Largitore d’ogni dono. Con la festa dei premi ecco l’autunno, ed arriva l’inverno, tempo di sosta del lavoro; l’inerzia e il freddo non devono far perdere i buoni frutti raccolti durante l’anno; e allora ella suggerisce, detta i mezzi di sapore educativo e spirituale, onde trascorrere proficuamente le lunghe serate invernali, nelle loro future case, nelle stalle calde e illuminate dal ceppo odoroso e crepitante. Infine, quando le sue care orfanelle si congedano da lei e lasciano l’istituto, per andare spose nella loro casa, o allocarsi in servizio presso cristiani padroni, ella, la Madre, le segue, accompagnandole con una lettera da serbarsi in memoriale di amore, in cui il suo cuore materno e il suo spirito di apostolo, ha vergato i ricordi ad una cara figlia che va al matrimonio o che entra al servizio di una casa privata. A tutte dice: “Coraggio, Figlie mie, il Signore v’insegna per nostro mezzo la via più semplice per poter essere al possibile felici anche in questo mondo. Credetemi: fa più timore la parola sacrificio, che il sacrificio stesso... abituatevi ora che siete giovani, e vedrete che poi il sacrificio vi costerà meno!”. Pedagogia agraria La Madre Paola Elisabetta è un’anima di forti elevazioni spirituali; ma pure una grande innamorata della terra. Ai suoi giorni, il tono della nuova istituzione suscitò meraviglia, diffidenza, critiche: allora si apprezzava l’agricoltura come un’arte secondaria, e l’agricoltore quasi una sottospecie umana, tanto era basso il livello della sua istruzione e formazione. Il povero contadino era schivato, se non disprezzato. Certo, le mani callose, i modi rudi, le vesti maleodoranti non allettano; ma l’occhio cristiano di Paola Elisabetta Cerioli, squarciando quei cenci e superando il lezzo della miseria, fissò l’anima di quelle povere creature, veramente benemerite dell’umana società, che ha pur tanti debiti verso di esse, e altrettanto è restia a saldarli. L’ingiusto fenomeno sociale ferì il nobile cuore di questa donna; ella lo deplorò non con sterili parole, ma con operosa e fattiva reazione. Un secolo indietro ella fece, scrisse, insegnò quanto nessuno Biografie 352 opera omnia avrebbe pensato od osato, perché nessuno sentiva il coraggio di tessere idilliaci elogi cristiani della vita campestre, come ella scrisse, portando ad un distinto grado di aristocrazia spirituale le umili creature che si consacrano a questa vita di lieta, serena operosità. Tutti i suoi scritti sono pervasi da un sacro senso, quasi di culto per la campagna, prima ed inesauribile fonte di ricchezza, concessa dal munifici Iddio all’uomo. E di questo culto ne ha fata scuola, insegnamento, la più pratica pedagogia agraria. Il suo Direttorio alle religiose consacra due interi capitoli per dare regole, precetti, suggerimenti alle suore direttrici di agraria – la direttrice generale e le direttrici locali - che hanno compiti precisi, dettagliati sino alle minime cose, onde la scienza agraria, la più perfetta che si conoscesse ai suoi giorni, applicata alla pratica quotidiana, desse i migliori risultati, non soltanto immediati, ma i più remoti, da raccogliersi sui futuri campi di lavoro dalle care creature accolte nelle sue case. Gli uffici di orticultrice, floricultrice, agricultrice, la flora, la fauna, la botanica, la zoologia, riempiono altre pagine del suo Direttorio, sì da farlo sembrare - a chi vi ponga mente - un manuale teorico - pratico di ciascuna di tale specialità. E colei che scrisse tali cose, e dettò tali precetti è la stessa che parla con Dio e spazia nei cieli dell’orazione e discorre magistralmente di virtù, di perfezione... Proprio così Gesù, il Verbo di Dio, conversa con gli apostoli e le turbe, perché Egli stesso dice: “il regno dei Cieli è simile a un campo e il Padre mio ne è l’agricoltore!...”. Biografie 353 opera omnia Biografie 354 opera omnia CAPITOLO IX Eroismo d’ogni virtù Scende già la notte Dall’ultima fondazione dei “Fratelli della Sacra Famiglia” alla morte della Madre Paola Elisabetta corrono appena due anni, trascorsi tutti orando ed arando nel campo benedetto da Dio. Dirigere, consigliare, riprendere, scrivere, viaggiare: il tutto sfolgorato da un gettito luminoso, caldo di virtù, che annunziano un’anima piena, matura già per il premio eterno: questa è la sintesi dell’ultimo scorcio di vita della Beata Madre. Ed è pur bello coglierla nei momenti della sua raccolta spiritualità, della sua mirabile attività, che ora danno luci più vive di fervore, d’intimo raccoglimento, di inestimabili dovizie interiori. Che se ella è tutta dedita a cercare il bene altrui, non può dirsi che trascuri il divino Ospite che, con tanta compiacenza, ha fissato la propria dimora nell’anima sua; dì e notte è in veglia a tener fornita di carità la lampada, si che arda nella trepidante attesa della mezzanotte, quando lo sposo verrà. La mezzanotte è vicina. Il suo genere di vita è sempre, come tutto, semplice e ordinato: pregare e lavorare. Dalla sua preghiera l’ispirazione e la forza pel suo lavoro; dal suo lavoro la necessità impellente di ricorrere a Dio per la lena e il soccorso necessari. Bene, dunque, le si attaglia la duplice azione: orare ed arare nel campo di Dio. La grande signora dalle grandi espropriazioni Poiché le virtù nei santi presentano sempre caratteristiche Biografie 355 opera omnia identiche, proprio perché derivate dallo stesso divino Modello, nella Madre Paola Elisabetta è bello ammirare queste virtù librate costantemente all’altezza del suo rango sociale, cioè nel tono di autentica signora, dal cuore munifico e buono. La sua prodiga espoliazione di tutto in favore dei poveri orfanelli rurali è preceduta da un’altra espropriazione ben più alta e preziosa: ha dato a Dio quanto possiede di meglio in se stessa per la di lui gloria. E qui è il punto arduo e duro – secondo S. Gregorio – “dare di sé, più che le proprie cose”. Stare ai cenni di Dio, non solo obbedendolo in rapporto alla sua legge, ma dargli ancor più quanto reclama l’amore, secondo i consigli del Vangelo, per piacergli con la perfezione possibile ad una creatura. Al conchiudersi di questa nobile ed edificante vita, quel che commuove maggiormente è proprio questa generosità di spirito – pagata in contanti rinnegamenti personali – al cui confronto impallidiscono le ingenti donazioni patrimoniali in favore dei poveri. E questa – a nostro modesto sentire – è la sua autentica grandezza, smagliante di tutte la luci celesti, riflesse sur una corona ormai piena, portata in tanto decoro e dignità. Perché s’ha da ricordare che su questa corona ci sono le varie gemme raccolte nei vari stati in cui passò con eroico merito. Tanti stati, altrettante gemme: di vergine, di sposa, di madre, di vedova, di religiosa, di fondatrice. La gemma centrale: l’obbedienza Sotto quella fronte che pure alberga un intelletto vivido, aperto a quanto è alto e bello, si direbbe che non esista una volontà che possa dirsi sua; o se c’è, è venduta, ceduta ad altri, di guisa che non esprime una decisione, una inclinazione, una preferenza, se non subordinata ad altro volere, cui ha unificato, agglutinato il proprio. E a lei non resta che dare l’incessante, ilare assenso a quanto le viene chiesto, imposto, consigliato dai vicari di Dio, che per lei furono successivamente, i genitori, lo sposo, il vescovo, il suo direttore. Spogliatasi di quanto ha sapore umano, Suor Paola Elisabetta vive sempre in uno stato di eroica indifferenza, per cui: fare o non fare, questo o quello, o il loro opposto, per lei è la stessa cosa. Agire, obbedire, sentire così, e non in cose contingenti o abituali, ma in gravi decisioni che determinano l’orientamento nella vita, in deviazioni repentine e inaspettate, sconosciute e non Biografie 356 opera omnia desiderate, anzi opposte alle proprie aspirazioni, tutto questo la mette a tale altezza di perfezione che l’obbedienza di Suor Paola Elisabetta deve dirsi, prima d’ogni altra cosa, la virtù sua singolare, caratteristica. Eroica espropriazione del cuore Segue logicamente la cessione della volontà. E noi non la comprenderemmo questa seconda espropriazione, se non fosse rischiarata da una luce soprannaturale, abbagliante. Poco sarebbe il rinunziare alla naturale effusione di un giovane cuore che, nella primavera della vita, si affida l’onda dell’amore come correttivo e farmaco a sostenere le durezze e le amarezze della vita stessa. Ma qui l’eroico consiste nel dare il proprio cuore, con la ricchezza dei suoi affetti più puri e generosi, a chi piace ad altri, e piace per ben altre ragioni, diverse da quelle sognate; a chi non presenta veruna attrattiva esteriore, nessuna identità o affinità interiore per far battere in sintonia un altro cuore. È l’assurdo, l’inconcepibile umano, eppure ridotto ad un atto volontario di virtù, investito dall’infinito amore di Dio, catechizzato dalla sublime teoria che dice di amare non solo ciò che sensibilmente attrae e piace, ma pur quello che ripugna e non piace. Questo sublime assurdo, quando saranno sciolte dileguate le effimere, vane parvenze sensibili, sotto i raggi ardenti della carità cristiana si risolverà in un prodigio di amore da cui profluiscono torrenti di bene, di consolazioni, di gioie. Anche e soprattutto le gioie perché altrettanto è dolce e beatificante l’essenza di una sacrificio spirituale sostenuto per amore di Dio, quanto fugace ed amara è l’esaltazione dei sensi pur quando è legittima e ordinata. Ma ella ignara di sì sottile raziocinare, intuì subito il più perfetto, e con gesto audace si espropria anche del cuore, lo spoglia di ogni preferenza o ripugnanza personale, e lo presenta a Dio onde Egli a suo talento ed arbitrio lo possieda e ne disponga. Come a Lui piace: lo dilati nella gloria o lo restringa nel dolore; lo riempia degli amori che gli piacerà imporre, o ne strappi quelli che, essendo dalla carne e dal sangue, sono i più sensibili e sentiti, purché Egli sia sopra tutti invincibilimente amato. Iddio è il vero centro, l’unico prediletto, il solo sposo del suo bel cuore dal primo incerto palpito che la portò alla vita, sino al supremo colpo che l’arrestò prematuramente a mezzo cammino della sua Biografie 357 opera omnia giornata; Iddio, del cui amore visse e compendiò tutti gli amori umani, - e furono vari e di ogni nome - disponendoli in armoniosa dipendenza e gradazione sotto di lui. Chi può dire come e quando si delizi Iddio di tanta generosità, di sì saggia subordinazione? I prodigi creati da questo bel cuore - noi li abbiamo visti e tuttora li teniamo sotto gli occhi - sono un pallido segno delle divine compiacenze. Distacco da se stessa Con questo alludiamo, primo alla fiera flagellazione che inflisse all’amor proprio avido sempre di carezze, di lodi, della stima altrui. La lode non la fuggiva, ma la aborriva. Sorridere alle ingiurie ai rimproveri, alle censure, alle diffamazioni, era sua delizia. E il Cielo non gliene risparmiò. Dal giorno in cui, divorziando dal mondo, si diede tutta a Dio ed alla cura delle povere orfanelle gliene caddero sul capo fitte e scroscianti come la gragnola. Il minimo che fu detto di lei “è impazzita”. Poi “una stolta” che si è lasciata montar la testa dal Vescovo di Bergamo e dal canonico Valsecchi... una sciacquallatrice di ingenti patrimoni... -e giudizio opposto!- si giunse ad accusarla di sfruttare le orfane, del cui lavoro, senza mercede o retribuzione, ella arricchiva. Ella sorride di quel sorriso che non è disprezzo o compatimento; ma intima e perfetta letizia per cui si gode di veder capovolti apprezzamenti e giudizi - unità di misura di tutti i giudizi del mondo - e prendere la propria parte di contumelie inflitte ai buoni, ai santi, al Santo dei santi, condannato per le sue parole di vita e per le sue opere di salute... Suor Paola Elisabetta compativa e giustificava: “Che volete farci? È questione di carattere; ma in fondo hanno tutti un cuore buonissimo!...”. E dalle sue cose E poi il distacco dalle sue cose. Qui non si dice delle cose materiali che ella non apprezza se non ai fini del bene che le permettono di fare, ma dalle sue esigenze spirituali persino, da quelle che si direbbero indispensabili come respiro, cibo di un’anima, ossia la disponibilità e il gusto dei conforti spirituali: il tenersi paga di quanto è concesso dalla benignità divina e dalle leggi della Chiesa in Biografie 358 opera omnia fatto di orazione, di pratiche di pietà, di Sacramenti. Languire nell’aridità o ardere di fervore, poter soddisfarle personali esigenze di devozione o di dover ometterle, ricevere Gesù Sacramento realmente o soltanto spiritualmente, tutto è uguale e buono per lei. Sugl’inizi dell’Istituto è costretta dai suoi mali abituali a stare aletto per due mesi: non un lamento per potersi recare in chiesa. Nei giorni di Comunione sfolgorava di gioia; ma nei giorni di digiuno sacramentale non era mesta e diceva: “Perché mi ha da rincrescere di far la volontà di Dio? Che avranno fatto nel deserto gli anacoreti che mai uscivano dalle loro grotte per confessarsi, comunicarsi, udir la Messa? Eppure divennero così gran santi! Facevano la volontà di Dio. Quando l’obbedienza lo vuole, bisogna ad ogni costo usare dei mezzi concessi, e quando la volontà di Dio ce lo impedisce, e ordina altrimenti, bisogna restar quietissime”. La madre Corti, primo teste e attore qualificato nella vita della M. Paola Elisabetta, ci dice: “La sua vita era sempre una continua rinnegazione di se stessa, un distacco pieno anche dalle più piccole cose. Io l’ho tutte in mente ed impresse nell’anima le sue grandi virtù e la stimo una delle anime più sante che ha poche pari... Le virtù di quest’anima erano nascoste e del tutto semplici, cioè della semplicità di Gesù Cristo, non luminose all’esterno, non singolari e peregrine, non scomposte, non agitate, ma tutte assai naturali, senza strepito, senza pompa, senza dar segno né con parole, né con volto mesto della menoma violenza, come se ella tutto operasse seguendo la stessa natura; ed è per questo che io, nello stendere queste memorie, mi trovo sempre in imbarazzo, temendo che per essere io incapace a discernere una virtù così fine e di darle il pregio che merita, ne soffra la stima dovuta a colei che la praticò...”. Usurpiamo queste parole e le facciamo nostre per giustificare la nostra imperizia nel prospettare le luminose bellezze della virtù di lei. Dalle sue virtù abbiamo toccato soltanto quelle che, a nostro parere, la caratterizzano; che se volessimo diffusamente parlare di tutte le altre fondamentali e comuni, costitutivo indispensabile di ogni perfetta religiosa, il nostro lavoro non si esaurirebbe tanto presto. Biografie 359 opera omnia E i doni di Dio Però non possiamo esimerci dall’accennare almeno alla regale liberalità divina nel premiare la generosità di tante cessioni ed espropriazioni fatte dalla sua fedele sposa. E le ricambiò i doni fregiandola di luci e decorazioni, segno infallibile della divina compiacenza. Ella ha il dono dell’orazione e delle lacrime per cui è sopraffatta di tenerezza ogni volta che contempla il cielo o parla della bontà di Dio. Ha il dono della scrutazione dei cuori, e della previsione circa le cose future ed occulte. Alle sue sante preghiere si moltiplicano pane e carne per saziare le sue care figlie; al tocco delle sue benedette mani una orfanella gravemente inferma subitamente risana. Così a questa donna generosa, che di sé e delle sue cose si è spogliata per immolarle sull’altare del sacrificio, con una risolutezza e generosità virile, Iddio ha dato in cambio doni e luci che la decorano sin dalla terra dei segni che sono appena ombre della gioia e della luce del Cielo. Biografie 360 opera omnia CAPITOLO IX Il ritorno al celeste padrone Il suo fragile corpo Fu ben povera cosa. Nacque malata. I segni originali, rimasti per tutta la vita, le furono sorgente di sofferenza e di meriti anch’essi. La lieve deviazione della colonna vertebrale, indice d’un fatto artritico congenito, riversò tutto il soffrire sul povero cuore. Finché fu giovane dissimulò ogni male; ma pervenuta al vertice della vita, dopo tante prove, dopo tante responsabilità e così intenso lavora, il fragile corpo non resse più. E si spezzò. A ù cinquant’anni! Tante promesse, così belle opere in fiore, reclamavano che quella vita si fosse protratta sino alla più tarda longevità. Fu invece consiglio di Dio - anche questo adorato e accettato dal presago suo spirito - che la buona operaia della sua gloria compendiasse con una morte fulminea, la giornata laboriosa. Ed ella, nel suo stile, sempre eroicamente obbediente, si dispose a partire sollecita per presentarsi al Divino Signore nella letizia di un copioso raccolto. Preparazione al commiato La Madre Corti dice che la M. Paola Elisabetta presentiva una morte repentina, che il suo cuore si sarebbe spezzato d’improvviso. Ma il Signore non le fece prevedere quando, tanto meno che sarebbe stato così presto. Rassegnata a vivere soffrendo, purché vivendo possa lavorare, il suo lavoro prosegue ordinato, calmo, ma intenso e serrato, come di Biografie 361 opera omnia persona che abbia preoccupazione di non portare a capo la sua impresa. “Chi ha tempo non aspetti tempo!... E se poi il tempo non ci fosse?…”. Dice e predice. Difatti le fu abbreviato. Ella riempie l’ultimo concessole a consolidare lo spirito, a rafforzare l’organizzazione della sua duplice famiglia. Con più accorato interesse si dedica all’opera maschile che è appena nata, e ha tanto bisogno della vigilanza e delle cure materne. La sua corrispondenza col buon Giovanni Capponi, che a Villacampagna con fatica e silenzio sta dissodando il terreno per una prossima semina copiosa, fruttuosa, è il lavoro principale di questo tempo. Non potendo recarvisi di persona, per le condizioni di salute e per le sue occupazioni, ella scrive. Ma in quelle lettere, che noi abbiamo letto ed ammirato, ci sono le direttive più sagge, i richiami più energici, le effusioni di un cuore materno, le previdenze e le provvidenze più pratiche, che costituiscono un memoriale ed un monito, da rileggersi, da viversi sempre, oggi alla distanza di un secolo, come ieri, ed anche domani ed oltre negli anni, perché sono il testamento di amore e di sapienza di una santa. E l’ultimo colpo infertole dal suo male, la sorprese appunto con la penna tra le mani mentre riversava i suoi voti, i suoi auguri materni nella lettera natalizia ai suoi cari orfanelli. Si vedeva che era stanca, affannata, scriveva sopra le forze. La Madre Corti le fa una dolce violenza perché si riposi… Quando ha apposto la firma alla chiusura d’obbligo: “la vostra affezionatissima Madre: Suor Paola Elisabetta Cerioli” allora, deponendo la penna, dice: “Ecco, ho finito… ora me ne vado a letto!”. E non si riebbe più. L’epilogo Il suo male la riprese violento e travolgente. Le arterie le battevano fortemente. Si sentiva enfiore dalla vita sino al capo. La notte sognava e straparlava in sogno. Fu chiamato il medico curante, il quale fece delle prescrizioni, da cui ella non cavò gran giovamento. Tutto il giorno 23 dicembre – ultimo della sua vita – lo passò agitata e conturbata dal suo male. Volle levarsi, provò a fare una passeggiata in giardino… ma non poteva reggersi in piedi. Fu riaccompagnata nella sua stanza. Prima d coricarsi, volle recitare il Rosario con le orfanelle. Era tranquillissima, benché si vedesse che Biografie 362 opera omnia soffriva assai. Verso sera disse di voler confessarsi con intenzione di lucrare di nuovo le indulgenze del giubileo che, in quell’anno 1865, era stato concesso da Pio IX, fuori di Roma. L’aveva già acquistato qualche giorno avanti; ma non ne era contenta, temeva di non averlo ricevuto bene. Rinnovò quindi l’intenzione di fare tutte le pratiche prescritte alo scopo. E si confessò dal cappellano di casa. Ne fu tanto contenta. “Oh, come è buono il Signore! – esclamò – Quante belle grazie ci fa… abbiamo fatto la confessione… e domani farò la S. Comunione e riceverò l’Indulgenza Plenaria… Intanto andiamo disponendoci bene… Poi la solennità del Santo Natale!… che bellezza!… Domani ci leveremo un po’ prima della sveglia comune… e se mi sentissi debole per aspettare, farò la S. Comunione in principio della Messa”. Frattanto, nella cappella domestica s’impartiva la benedizione eucaristica… Ella, rimasta sola, prese il suo crocefisso che le pendeva dal collo, e vi stampò su tanti caldi baci. Madre Corti la rimproverò dolcemente perché si affannava… Ed ella: “Bacio il mio Crocifisso!…Gesù, Gesù, Gesù! eccomi tutta vostra!”. E si fece tranquilla. Poi, tutta giuliva, disse: “Ora, datemi da mangiare”. Le fu portato un po’ di cibo che consumò saporitamente, ma in fretta, contro il suo costume… “Ora mi sento meglio!…”. E si accomodò nel suo letto… parlò ancora con la sua fida Madre Corti, di varie cose, specialmente della Comunione che avrebbe fatto l’indomani… Tornò il medico a visitarla. Non segnalò nulla d’imminente e di grave. Verso le dieci di sera, fu accudita di quanto potesse occorrerle. Si vedeva che era agitata, e disse: “Se sapete quanto faccio per quietarmi, ma non ci riesco. Questo è un brutto male che non auguro a nessuno!”. E sembrava volesse piangere. Si quietò alquanto; pareva volesse prender sonno. Si accomodò modestamente nella positura consueta, e congedò le assistenti: “Ora lasciatemi riposare… e riposate anche voi!…”. Tirata la tenda del suo letto, le due suore si coricarono poco discoste da lei. Prese sonno; ed anche le sue figlie. Biografie 363 opera omnia Media autem nocte… ecce Sponsus! Dopo circa un’ora, la Madre Corti alzò cautamente la tenda, e vide che l’inferma stava quieta, composta, come l’aveva lasciata. Sembrava dormire. Non osava disturbarla nel suo riposo… Ma un lugubre pensiero l’assalì: il presentimento d’una disgrazia. Balzò dal letto, prese il lume che stava in un angolo della stanza, lo accostò al volto di lei per accertarsi… Non respirava! Tutta tremante le trasse la mano di sotto le coltri, era ancora calda; la sollevò e ricadde pesantemente. Nel silenzio di quella notte – 24 dicembre 1865 – un grido risuonò per la casa di Comonte. “La Madre è morta!”. “Mediam nocte clamor factus est… Ecce Sponsus venit!…”. D’improvviso è venuto lo Sposo; senza schianti, senza pianto, dal sonno del tempo l’ha destata in Cielo. A cinquant’anni appena!… Nel suo Natale! Maria e Giuseppe pellegrinanti in Betlemme, in cerca d’un ricovero per il dono di Dio alla povera umanità, sono venuti a portare il loro dono a Suor Paola Elisabetta: l’invito a salire nella casa del Cielo, per stabilirvi con essi l’eterna dimora. Biografie 364 opera omnia CONCLUSIONE I suoi funerali Poveri, modesti, quali poteva desiderare chi si è fatta povera d’amore per i poverelli, ed ha rinunziato a fasto e pompe, sempre, anche dopo morta. Quando la bara lasciò l’austero palazzo di Comonte - testimone di tanto lavorare e di tanto soffrire un’esplosione di pianti, singhiozzi e grida, ruppe il silenzio di quell’ora solenne: è l’unica marcia funebre che arpeggia il fervido orare - supplicante più che suffragante - di tanti cuori sinceramente devoti alla loro buona e benedetta madre. Ne fece l’elogio funebre dinanzi alla benedetta salma, il sacerdote Pietro Piccinelli - per vent’anni confessore di lei prendendo l’ispirazione del suo dire dalle parole molto espressive del Profeta Geremia: “Oculus meus depredatus est animam meam in cunctis filiabus urbis meae”. “Le lacrime mi hanno consumata la vita nel piangere la rovina della mia città”. Io non so - esordisce commosso il pio sacerdote - in qual modo dare inizio al pietoso ufficio che mi sono assunto dinanzi a voi. Alla presenza di questo feretro, la mestizia che leggo sui vostri volti, e più di tutto questa corona di poveri derelitti, or fatti orfani una seconda volta, e che vedete struggersi in lacrime daccanto a questo sarcofago, m’inviterebbero a piangere piuttosto che a parlare. Ve lo confesso schiettamente in tal momento mi parrebbe più facile ed opportuno il tacere. Ma l’invito di persone amiche, e il pio desiderio delle desolate consorelle della benefica signora mi fecero tale e tanta violenza che non mi fu possibile il resistere. Le mie parole saranno se non altro l’ultimo tributo di ammirazione e di riconoscenza che porgeremo alla nostra insigne benefattrice in questo giorno dei suoi funerali e del nostro vivo e profondo lutto. Le parole che ho preso ad imprestito dal profeta Geremia, esprimono eloquentemente il pianto del Veggente dinanzi Biografie 365 opera omnia alla rovina spirituale delle predilette figlie di Sion, ed offrono immagine stupenda del cuore amoroso e veramente materno di questa grande donna, allorquando nel terzo periodo di sua virtuosa vita, commossa e preoccupata essa pure sino alle lacrime, sui pericoli e i bisogni di tante povere ragazze orbate troppo presto dei loro genitori, pensava efficacemente ai mezzi per difenderle dai pericoli e soccorrerle nei loro bisogni...”. E qui l’oratore fa una commossa rievocazione dell’alta opera di carità cristiana e sociale svolta dalla Madre Cerioli. Nella sua perorazione esclama: “Ah, sì, noi le dobbiamo una immensa eterna gratitudine! Oh, quanto ci confortava il pensiero che mentre la morte moltiplicava gli orfanelli, vicino c’eran due braccia veramente materne che si allargavano ad abbracciare quelle povere creature seminate sulla via dalla falce crudele!...”. “Quale sventura ci ha colpiti!”. Quelle braccia che si dilatavano tanto per accogliere i poveri orfanelli sono oggi irrigidite dal gelo della morte! Questa implacabile nemica dell’uomo dopo aver seminato su questa terra tante infelici creature ora fu tanto spietata da involare a questi miseri la loro seconda madre. “Noi, dunque, l’abbiamo propriamente perduta questa insigne nostra benefattrice? E perduta per sempre? No, non è del tutto perduta per noi; essa vive nelle sue fondazioni vive nella nostra memoria vive nelle sue buone suore eredi del suo spirito, e finalmente vive su in Cielo immortale, da dove più efficacemente protegge le sue opere!... “Il suo spirito immortale sì vive ancora nel Paradiso ove regna con i santi. Io per me fin d’ora la proclamo una santa, questa illustre benefica nostra concittadina. Sì, io ne ho studiata la sua vita giovanile e la trovai pura e virtuosa come una colomba; ne studiai la sua vita coniugale e la trovai un vero tipo delle più elette virtù, un vero modello delle spose delle madri cristiane, un’eroina di fortezza nelle privazioni e nelle avversità; ne studiai l’ultima fase della sua vita e la trovai la più bella copia di quel Divino Pastore che volle pur esso chiamarsi il Padre degli orfani. E la sua virtuosa carriera si chiuse poi ancor più santamente!...”. E non ebbe una tomba propria. Non s’era mai preoccupata, ricchissima com’era, di apprestarsela: avrebbe amato scendere povera ed oscura tra gli aristocratici del Vangelo; ma una tomba amica la volle ospite benedetta e gradita ad occupare il primo posto nell’avello novissimo. Biografie 366 opera omnia Finché dopo dieci anni circa, la spoglia sacra ritornò al suo palazzo per essere inumata nella stanzuccia che l’ospitò vivente trasformata in cappella - dove ella ha atteso sino ad oggi l’ora della gloria terrena. Lasciamo alla pietà delle Figlie il tesoro incomparabile della sua spoglia mortale. Noi ne ricerchiamo l’anima per seguirla nell’itinerario glorioso che s’inizia dalla sua morte. E concludiamo con qualche riflessione d’ordine assai pratico e attuale. Ecco: questo è il punto, l’ora giusta per ammirare tutto il piano di Dio intorno a questa creatura. Riunendo e collegando le tappe dolorose, arcane, umanamente inconcepibili, imposte a questa singolarissima vita, possiamo ben dire, senza tema di smentita: questa Donna, che la insipiente pietà degli uomini catalogherebbe tra gl’infortunati, i perseguitati dal cieco destino, deve dirsi invece privilegiata e grande per l’altezza del suo spirito, per la pronta comprensione onde accettò il disposto di Dio; per l’eroico comportamento, cosciente e virtuoso sempre, con cui pensò, parlò, operò. Non sappiamo quale altro epilogo avrebbe avuto questa vita, se la protagonista, opponendosi stoltamente ai piani di Dio, avesse battuto la via dei più, protestando, ribellandosi, reclamando la propria porzione di gioie anche quaggiù: se si fosse resa indegna della divina considerazione, del prezioso cambio offertole, di trasmutare le brevi prove della vita con l’indefettibile gloria che s’inspera in Cielo ed ha edificanti risonanze sulla terra. Forse oggi resterebbe la pallida memoria d’una infelice signora Costanza, vissuta e morta nel cruccio delle sue infermità e dei suoi duri doveri, nella ribellione a Dio, sarebbe rientrata, scomparsa nell’oceano immenso dei mediocri - per dire il meno - che sono i più. Invece: pel trionfo dei piani di Dio, oggi ancora vive e sopravviverà Suor Paola Elisabetta. È la donna forte e saggia - come la delinea lo Spirito Santo - che, abbigliata di vigore e bellezza, andò ridente incontro al suo avvenire. Che aprì a saggezza le sue labbra, e sulla bocca le fiorirono i dettami della virtù. Che comprese quale inganno sia la grazia umana e quale soffio la bellezza. Considerò il suo podere e lo custodì; col frutto del suo lavoro piantò una vigna. Allargò il pugno all’infelice, e stese la sua mano al poverello. Ed oggi, Figli e Figlie, benedicenti, l’acclamano beata e le dicono: molte donne hanno fatto prodezze, ma tu le hai sorpassate tutte”. Questo noi vediamo, ammirati ed edificati testimoni. Le sue Biografie 367 opera omnia famiglie, due volte duplicate, sacerdoti e religiose, orfanelli ed orfanelle, hanno ereditato più che le sue sostanze, lo spirito, il cuore, il magistero, le direttive per una mirabile, moltiplicata messe di bene spirituale, per una non meno mirabile messe di benessere sociale. Questa è la vera sopravvivenza, il premio di tanto soffrire, di tante rinunzie, di tante fatiche. È la sorte, la gloria dei santi. La regale munificenza di Dio non sarà mai soverchiata dalle nostre generose offerte, dalle nostre dolorose rinunzie. Ma, a maggiori sacrifici è serbato il maggiore e il migliore premio. E nessuno può dire che il pianto il sudore di questa generosa Donna non sia stato regalmente pagato del Celeste Padrone. E noi qui parliamo della pura mercede che si contiene nei confini del tempo; che se volessimo dire della gloria, della beatitudine che le ha già dato in Cielo, noi discorreremmo invano, perché nulla sappiamo e nulla intravediamo delle luminose delizie che formano il pane, il respiro delle anime contemplatrici della divina Bellezza. Tutto questo, intanto, praticamente persuade di qualche cosa che deve tornare a bene di tutti. La Madre Cerioli con la sua vita, armoniosa fusione di dottrina e di azione cristiana, insegna come si può essere buoni e migliori secondo i consigli del Vangelo, restando nel posto ove Dio ci ha messi: ovunque, nel mondo o nel chiostro; ma restarci bene, nella nostra posizione più umana e naturale, coi piedi sulla terra e il capo eretto verso il Cielo; vivere ed operare a norma della divina legge, in adempimento dei nostri obblighi personali; assolvere con coscienza e merito i doveri della vita, che è per tutti concreta e dura realtà, fatta di poche attrattive e molti dolori, di delusioni, di scontri, di incidenti che addolorano, che sfibrano anche i più gagliardi. Vivere immobili, nella mobilità del temperamento e del tempo, sotto l’infinite oscillazioni umane, attaccati a Dio, la mente tesa alla Verità, in attesa dell’eternità quando tutto sarà passato, e resterà soltanto Colui che ci ama e ci renderà felici unendoci a Lui nell’amplesso di quell’amore che fu movente della creazione, consumazione di ogni beatitudine. Paola Elisabetta Cerioli! Una ricchezza senza felicità; una giovinezza senza primavera; una vita sopraffatta dalle prove e dal lavoro, raggiunta innanzi sera dalla morte; ma sfolgorata di luce, da un ardore che insegnano fiducia nell’infinita misericordia di Chi la trasse dal nulla per affidarle, nel breve giro di cinquant’anni, tante missioni di virtù, di bene, e prepararle in premio la gioia senza tramonto del Paradiso. Biografie 368 opera omnia Paola Elisabetta visse, mangiando lo stesso nostro pane, impastato di pianto e di sudore; ma condito dalle sante dottrine di consolazione insegnate da Gesù; questo la crebbe, la corroborò alla vigoria, alla statura dei giganti e dei santi. Per questo sopravvive nell’immortalità. La sua gloria postuma Alla fama delle singolari virtù esercitate in vita, si aggiunse presto al fama della sua potente mediazione presso il trono di Dio in favore di chi la invoca. Il Signore, rispondendo benignamente alle preghiere presentate in nome di lei, cominciò ad elargire grazie e favori. Le numerose tabelle votive, espressione di gratitudine dei beneficati, che tappezzano la stanza ove riposa la sua spoglia, ne sono incontestabile prova. Di fronte alla fama di santità, e delle grazie ricevute ad intercessione di Suor Paola Elisabetta, la Chiesa dispose che si addivenisse a tutte le necessarie inquisizioni, volute dai Sacri Canoni, onde stabilire la solidità e continuità di tale fama. Di conseguenza: raccolti ed esaminati tutti gli scritti a lei attribuiti; riconosciuti legalmente i suoi resti mortali, si diede inizio in Bergamo al Processo Ordinario per l’introduzione di causa di beatificazione. Nell’anno 1919, il 14 marzo il Sommo Pontefice Benedetto XV si degnava di firmare il Decreto di Commissione per l’introduzione di causa. Dopodiché si iniziò nella diocesi di Bergamo il Processo Apostolico sull’eroismo delle virtù. Trasmesso in Roma, fu sottoposto alle tre rituali Congregazioni per la discussione delle virtù. Il 2 Luglio 1939 il Sommo Pontefice Pio XII emanava il decreto sull’eroismo delle virtù della Madre Cerioli. Il sigillo divino apposto all’autenticità di tanto eroismo è costituito dai due miracoli oprati da Dio ad intercessione della Madre Cerioli; questi miracoli, approvati dalla Chiesa, avvennero il primo in persona della giovane Assunta Barbieri, istantaneamente e perfettamente guarita da tubercolosi polmonare e voluttiva bilaterale. Il secondo in persona di Elisa Lupini maritata Leidi, guarita da artrosinovite tubercolare, al ginocchio sinistro. Entrambe le miracolate, riconoscentissime alla loro celeste benefattrice, godono tuttora perfetta salute, ed hanno partecipato Biografie 369 opera omnia lietissime alla glorificazione di Lei. In questo anno giubilare 1950, nella solennità di S. Giuseppe, l’Angelo il Padre il Custode di questa Grande Anima e di tutte le anime che Iddio le diede in eredità di amore, Paola Elisabetta Cerioli é ascesa alla gloria dei Beati per risplendere sugli altari coll’eloquenza delle sue virtù e delle sue opere; la prima e l’ultima testimonianza di amore resa a Dio da questa nobile ed alta creatura. È così che il dramma umano di tanta mirabile vita oggi si trasforma in un poema di gloria e d’imperiture dovizie, da farci concludere che veramente la bontà e la sapienza di Dio sorpassano infinitamente il nostro antivedere, il nostro soffrire, il nostro obbedire. Così Iddio premia - oltre ciò che a noi non è dato sapere della gloria celeste - chi lo ama, chi lo obbedisce, chi lo serve come la Beata Paola Elisabetta Cerioli. Biografie 370 opera omnia Inno degli Istituti della Sacra Famiglia alla loro Beata Madre Paola Elisabetta Cerioli Alla gloria dei beati Sali, o Madre benedetta Mentre ognun tuoi doni aspetta genuflesso al santo altar. Salve, o Madre Benedetta, la tua duplice famiglia come pio amor consiglia scioglie il cantico filial. Canto unanime e giocondo di Fratelli e Sorelle canto d’orfani e orfanelle nella gloria del lavor. La beata Madre nostra ha il decoro e la corona della biblica matrona nel blason di santità. La sua lampa a notte brilla il suo braccio ingagliardito regge l’anfora al convito ove gli umili adunò. Lana e lino all’orditoio apportò l’industre mano e raccolse l’uve e il grano dai vigneti e i campi in fior. Come l’ombra evanescenti son la grazia e la bellezza ma la donna di saggezza teme Iddio e lode avrà. Biografie 371 opera omnia La Famiglia Nazarena sia l’aiuola dei tuoi figli si che crescan rose e gigli olezzanti di virtù. Pioggia e sol propizia impetra alla nostra agricultura sì che fertile natura messi esprima e frutti ognor. Il tuo spirito immortale per noi preghi Iddio sovrano: dacci il pane quotidiano e ci libera dal mal. Nel trionfo e l’esultanza per la nostra Grande madre ci conforti la speranza di vederla un dì lassù!... P. GIOVANNI GERMENA, BARNABITA Biografie 372 opera omnia INDICE Beata Paola Elisabetta Cerioli vedova Busecchi Tassis, fondatrice ____________________ 1 degli Istituti della Sacra Famiglia___________ 1 di Bergamo ___________________________________________ 1 Presentazione ____________________________________________ 3 Protesta dell’autore________________________________________ 6 Introduzione _____________________________________________ 7 Capitolo I_____________________________________________ 13 Primi attori e fattori della presente storia __________________ 13 Capitolo II ____________________________________________ 21 Dall'alba il giorno ______________________________________ 21 Capitolo III ___________________________________________ 27 Il primo tirocinio alla vita _______________________________ 27 Capitolo IV ___________________________________________ 33 Gli ausili celesti ________________________________________ 33 Capitolo V ____________________________________________ 41 Il piccolo Angelo della carità _____________________________ 41 Capitolo VI ___________________________________________ 47 Nella serra di S. Francesco di Sales________________________ 47 Capitolo VII___________________________________________ 57 Preparazione della vittima al sacrificio ____________________ 57 Capitolo VIII __________________________________________ 65 “Meglio l'obbedienza che le vittime” _____________________ 65 Biografie 373 opera omnia Capitolo IX ___________________________________________ 73 Pianto e sorrisi del focolare ______________________________ 73 Capitolo X ____________________________________________ 81 E le poche rose!... _______________________________________ 81 Capitolo XI ___________________________________________ 89 Sposa e Madre generosa_________________________________ 89 Capitolo XII___________________________________________ 97 Hai spezzati i miei lacci, o Signore! _______________________ 97 Capitolo XIII _________________________________________ 107 “La vera vedova orante e supplicante” ___________________ 107 Capitolo XIV _________________________________________ 115 “Intenta ad ogni opera buona” __________________________ 115 Capitolo XV__________________________________________ 123 Tre eredità: patrimonio dei poveri orfanelli _______________ 123 Capitolo XVI _________________________________________ 131 Come si costituisce la seconda famiglia di Costanza ________ 131 Capitolo XVII ________________________________________ 143 Suor Paola Elisabetta __________________________________ 143 Capitolo XVIII________________________________________ 151 “Agricoltura Dei” _____________________________________ 151 Capitolo XIX _________________________________________ 159 Le Suore della Sacra Famiglia ___________________________ 159 Capitolo XX__________________________________________ 167 La sua legislazione ____________________________________ 167 Capitolo XXI _________________________________________ 177 Il campo fiorisce benedetto da Dio _______________________ 177 Capitolo XXII ________________________________________ 187 Le “Figlie di S. Giuseppe” ______________________________ 187 Capitolo XXIII________________________________________ 197 I Fratelli della Sacra Famiglia ___________________________ 197 Capitolo XXIV________________________________________ 207 Pedagogia agraria _____________________________________ 207 Capitolo XXV ________________________________________ 217 Orando ed arando nel campo di Dio _____________________ 217 Capitolo XXVI________________________________________ 229 Preparazione al commiato ______________________________ 229 Capitolo XXVII _______________________________________ 239 “Media autem nocte... Sponsus venit!...”__________________ 239 Capitolo XXVIII ______________________________________ 249 Le sue sante dottrine___________________________________ 249 Capitolo XXIX________________________________________ 259 Biografie 374 opera omnia Espropriazioni umane e decorazioni celesti _______________ 259 Capitolo XXX ________________________________________ 269 I suoi scritti___________________________________________ 269 Capitolo XXXI________________________________________ 279 “E sarai benedetta in eterno”____________________________ 279 Capitolo XXXII _________________________________________ 287 Conclusione storica ____________________________________ 287 Appendice _____________________________________________ 297 Decreto del Vescovo di Bergamo che approva l'Istituto delle suore della S. Famiglia nella diocesi di Bergamo _________ 297 Lettera di S. S. papa Pio IX ____________________________ 301 Decreto di S. S. papa Leone XIII _______________________ 302 Fonti bibliografiche______________________________________ 304 La beata Paola Elisabetta Cerioli Fondatrice degli Istituti Sacra Famiglia di Bergamo_____________________________________________ 305 Capitolo I____________________________________________ Segnata da Dio________________________________________ L’albero buono ______________________________________ Segnata da Dio ______________________________________ I materiali da costruzione _____________________________ Piena corrispondenza agli arcani disegni divini __________ La prima confessione e la prima comunione _____________ Capitolo II ___________________________________________ Giovinezza angelica ___________________________________ Nel giardino di S. Francesco di Sales ___________________ Edificante tirocinio alla vita futura _____________________ Preparazione della vittima al sacrificio _________________ Una proposta assurda ________________________________ “Fiat voluntas dei”___________________________________ Capitolo III __________________________________________ Nozze eroiche ________________________________________ Sereni e virtuosi preparativi___________________________ Pianto e sorriso del focolare ___________________________ Capitolo IV __________________________________________ Maternità dolorosa ____________________________________ Tre fiori sulla corona di spine _________________________ Educazione di amore e di dolore_______________________ Doloroso ed eroico distacco ___________________________ Eroica infermiera dello sposo e del figlio________________ Biografie 375 opera omnia 307 307 307 307 308 309 310 313 313 313 314 316 317 318 319 319 319 321 325 325 325 326 326 327 Ancora una volta, e sempre “fiat voluntas dei” __________ Capitolo V ___________________________________________ Vocazione feconda ____________________________________ Sola! _______________________________________________ Orante e supplicante: intenta alle opere di bene__________ L’illustrazione dall’alto _______________________________ La prima collaboratrice _______________________________ Capitolo VI __________________________________________ Direttive ispirate ______________________________________ Nascono le Suore della Sacra Famiglia__________________ La “Magna Carta” della sua istituzione _________________ Prima consacrazione e novità di nome e di vita __________ I primi toni pedagogici _______________________________ Capitolo VII__________________________________________ Magistero prezioso ____________________________________ Agricultura Dei ! ____________________________________ Le fonti della sua scienza spirituale ____________________ I canoni della perfezione______________________________ Il direttorio per il presente e per l’avvenire ______________ Capitolo VIII _________________________________________ Carità intelligente _____________________________________ Quasi odor agri pleni ________________________________ I fratelli della S. Famiglia _____________________________ Come è organizzato l’istituto dei fratelli della S. Famiglia _ La sua intelligente pedagogia _________________________ Pedagogia agraria ___________________________________ Capitolo IX __________________________________________ Eroismo d’ogni virtù___________________________________ Scende già la notte ___________________________________ La grande signora dalle grandi espropriazioni ___________ La gemma centrale: l’obbedienza ______________________ Eroica espropriazione del cuore _______________________ Distacco da se stessa _________________________________ E dalle sue cose _____________________________________ E i doni di Dio ______________________________________ Capitolo IX __________________________________________ Il ritorno al celeste padrone _____________________________ Il suo fragile corpo___________________________________ Preparazione al commiato ____________________________ L’epilogo ___________________________________________ Media autem nocte… ecce Sponsus!____________________ Biografie 376 opera omnia 328 329 329 329 330 331 332 335 335 335 335 336 337 341 341 341 341 342 343 347 347 347 348 349 349 352 355 355 355 355 356 357 358 358 360 361 361 361 361 362 364 Conclusione ____________________________________________ I suoi funerali _______________________________________ La sua gloria postuma________________________________ Inno degli Istituti della Sacra Famiglia alla loro Beata Madre Paola Elisabetta Cerioli_________________________________ Indice _________________________________________________ Biografie 377 opera omnia 365 365 369 371 373