Emidio Federici
Beata Paola Elisabetta Cerioli vedova
Busecchi Tassis, fondatrice
degli Istituti della Sacra Famiglia
di Bergamo
1950
Congregazione della Sacra Famiglia
a cura del Seminario Sacra Famiglia
Bergamo 2001
Paola Elisabetta Cerioli
OPERA OMNIA
Regole. Lettere. Biografie
1 2 | Emidio Federici
Beata Paola Elisabetta Cerioli,
fondatrice degli Istituti della Sacra Famiglia di Bergamo
pagine 1-304| Isola del Liri 1950 - Editrice Pisani
Emidio Federici
Beata Paola Elisabetta Cerioli,
vedova Busecchi-Tassis
pagine 305-373| Isola del Liri 1950 - Editrice Pisani
© 2002 | Congregazione Sacra Famiglia
via dell’Incoronata 1, Martinengo
Bergamo
Biografie
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opera omnia
Presentazione
di S. E. Mons. Adriano Bernareggi,
Vescovo di Bergamo
È con sentimento di legittima compiacenza che presento il
volume del sacerdote romano Don Emidio Federici, ove si narra la
storia di Suor Paola Elisabetta Cerioli, che ebbe a fondare nella mia
Diocesi gli Istituti della S. Famiglia.
La Diocesi di Bergamo è stata ricca nell'800 di anime sante, che
illustrarono la Chiesa tutta con le loro opere; e fra queste anime una
delle maggiori è stata certo la Cerioli, la cui beatificazione già sorride
al nostro spirito. Appunto anche per i processi, che l'hanno
preceduta, il suo nome non è sconosciuto; esso non è però conosciuto
come meriterebbe: per cui è da rallegrarsi veramente per questa
nuova amplia biografia del Federici, che varrà, lo speriamo, ad
allargare la cerchia degli ammiratori e dei devoti della grande
Fondatrice di Comonte.
Come è detto delle stelle, che differiscono fra loro per il diverso
splendore, così è da dire dei Santi. I veri Santi non possono essere
stati tutti colati in un medesimo stampo; ma in ognuno di essi vi è
una propria chiara personalità, attinta, oltre che dalle qualità di
natura, elevate e trasformate dalla grazia, dalle stesse vicende della
vita, che non possono non lasciare un'impronta in una natura ricca.
Ed è precisamente e solo tenendo davanti questi elementi: natura,
vicende della vita e della grazia, che è possibile tracciare il genuino
ritratto della Cerioli: che non è affatto un ritratto comune, ma
singolare, con tratti fisionomici spirituali tali, che la
contraddistinguono subito da ogni altra figura di anime sante.
Io non dubiterei di dire infatti dapprima, essere stata la
vocazione propria della Cerioli, come donna, una vocazione alla
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opera omnia
maternità. Veramente in ogni donna è un istinto materno, che non
necessariamente conduce però al matrimonio, potendo realizzarsi in
una maternità spirituale, che della maternità contiene l'aspetto più
nobile. Ma la mancanza di una chiara resistenza di Costanza alla
proposta di matrimonio avanzata dai genitori (la testimonianza della
nipote Giuseppina è esplicita in proposito, e d'altra parte, se in
Costanza vi fosse già stata fin d'allora una vocazione spiegata per la
vita religiosa, non solo la resistenza non sarebbe mancata, ma le
sarebbe stata imposta da un dovere di coscienza) e più ancora la
profondità del suo amore per i figli che il Signore le ebbe a dare,
specialmente per il Carlino, la stessa nuova vocazione di fondatrice di
una congregazione religiosa, da lei considerata come un “nuova
famiglia” da surrogare alla prima, e gli orfani come “altri figli” da
allevare al posto del suo, tutto sta ad indicare quanto aderente fosse
alla sua natura la funzione materna.
Ma furono le vicende della vita, che spezzando la continuità
della trama, diedero alla sua storia un'altra direttiva e la posero a
capo della nuova famiglia spirituale, alla quale essa portò tutta quella
profondità di sentimento e tutta quella esperienza materna, che,
specialmente nel dolore degli ultimi anni di vita del marito e del
figlio Carlino, aveva appreso. Fu una svolta netta con l'apparire di
una nuova vocazione. Ma forse meglio che di nuova vocazione
potremmo parlare di una trasposizione in un piano superiore e
puramente spirituale della sua nativa vocazione materna.
Fu quella anche l'ora della invasione della grazia nella sua
anima. Dio l'aveva sempre assistita con la sua grazia, e come era
sempre stata buona giovanetta, così fu buona sposa e buona madre
nel senso cristiano più stretto. Ma per la grazia più abbondante che le
fu concessa nel nuovo orientamento della sua vita, in essa si ebbe a
rivelare la perfetta religiosa, che spazzò dal suo cuore ogni
sentimento puramente umano, per tutto comprendere ed operare
soprannaturalmente.
Ma anche in questo periodo della sua vita la sua spiccata
personalità si manifesta, e non solo nella intonazione materna, che dà
alla sua carità verso le orfane, ma anche negli indirizzi pedagogici che
seppe dare al duplice Istituto, delle Suore e dei Frati della S. Famiglia.
Cresciuta in una casa di proprietari terrieri, ed andata sposa ad un
proprietario terriero, essa non volle uscire da quello che era stato il
suo genere di vita sino ad allora, e continuò a dirigere la sua
proprietà, indirizzando anche le Suore, le Orfane e gli Orfani alla vita
della terra. Essa era convinta della sanità morale e dell'efficacia
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opera omnia
educatrice della vita agricola, così impostò e inquadrò tutto quanto
l'ordinamento dei suoi istituti appunto entro quella vita. E chi legge
gli appunti scritti da lei stessa, si stupisce per la modernità dei suoi
indirizzi nella istruzione agricola e sui metodi dell'agricoltura.
Tutto questo meriterebbe di essere più conosciuto, molto
contribuirebbe a glorificare questa religiosa, che tanta saggezza seppe
mostrare nell'uso delle cose umane per le opere dello spirito.
Per queste considerazioni a me pare di non sbagliare, se dico
che la vita della Cerioli non è una delle solite vite devote, perché essa
è tutto un dramma, ricco dei più forti contrasti. Né sono solo le
persone religiose che vi hanno da imparare, ma tutti, per la
molteplicità e varietà delle esperienze attraverso le quali la Cerioli è
passata.
Non è pertanto, perché così si è soliti conchiudere le
presentazioni di biografie di questa natura, che anch'io auguro a
questo volume di essere molto letto, ma proprio per la persuasione
che ho dell'utilità di conoscere un'anima grande come quella della
Cerioli.
+Adriano Bernareggi, Vescovo
Bergamo, dicembre 1949
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opera omnia
PROTESTA DELL’AUTORE
Nel compilare la presente biografia l'autore dichiara di sottomettersi ai
Decreti di Urbano VIII ed alle disposizioni della S. Madre Chiesa, della quale
si professa figlio obbedientissimo.
NIHIL OBSTAT
Romae, die 2 Iannuarii 1950.
S. NATUCCI, Fidei Promotor Gen
IMPRIMATUR
Sorae, 4 Iannuarii 1950.
MIHCAËL FONTEVECCHIA
Ep. Soran. , Aquinat. et Pontiscurvi
A San Giuseppe
Angelo e Custode
di questa benedetta e benefica vita
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INTRODUZIONE
La solenne santità e sanità della vita primitiva nella natura immediata appendice operante della creazione - getta abbaglianti
splendori sull'umile fatica delle genti dei campi.
Il Cristianesimo proprio per questo nei suoi venti secoli di
storia ha accentuato cure e predilezioni per chi si dedica alla coltura
della terra.
Basta rileggere Leone XIII. pontefice poeta e sociologo sommo,
nella sua enciclica Rerum Novarum: “... è la natura che ha da
provvedere all'uomo il rifornimento cotidiano dei suoi cotidiani
bisogni... E tutto questo lo troviamo solo nella inesauribile feracità
della terra... . poiché non v'ha veruno al mondo che non viva di ciò
che la terra produce”.
Ma la Chiesa Cattolica ha fatto di più e meglio di quel che non
cantò il pio Virgilio, che pure ha immortalato negl'idillii delle sue
Ecloghe e Georgiche le dolci terre italiche “dulcia arvia” (Ecloga l. 3) e
disse “beati” gli agricoltori ove conoscano le bellezze della vita che
vivono e le ricchezze che possiedono: “O fortunatos nimium, sua si
bona norint, agricolas” (Georg. II. 458-459). La Chiesa ha esaltato sino
agli onori degli altari e gli umili figli della gleba e gli apostoli
dell'agricoltura che congiunsero al lavoro della mano le attività dello
spirito, mostrando all'evidenza gli splendori dell'operante santità
creatrice nelle umili mansioni rurali.
La Chiesa canonizza quelli che delle cattedre sperimentali
fanno palestra d'apostolato di una spiritualità incalcolabilmente
benefica.
Ed eccone un esemplare.
Una nobile dama bergamasca del secolo scorso. Figlia della
ricchezza e degli agi, ispirata istitutrice e maestra che basò “ad
litteram” la propria pedagogia su quella “agricoltura Dei” dettata da
S. Paolo, per cui si coltivano le anime a somiglianza dei campi, per la
gioia terrena ed eterna delle creature chiamate a tanto umile ed utile
lavoro.
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opera omnia
Costanza Cerioli dei conti Corniani, coniugata Buzecchi Tassis, indi sposa di Cristo sotto il venerabile nome di “Suor Paola
Elisabetta” Fondatrice e Madre del duplice Istituto della Sacra
Famiglia.
Non ci colpisce troppo la singolarità delle sue istituzioni,
quanto ci commuove la peregrina bellezza spirituale di questa dama;
sì da procurarci quel gaudio, rinnovato tutte le volte che si trova
dinanzi ad un'opera nuova e bella, più bella perché nuova, e di cui
s'hanno da dire molte edificanti cose.
Gustiamo col lettore uno scorcio istantaneo della sua
fisionomia.
Socialmente, è un'aristocratica di sangue, cultura e sensi. Ed è
pure un'autentica democratica per intima forma di spirito, per
modestia d'abitudini, per sommesse esigenze di vita, per dolcezza di
tratto e di parole fragranti calde di semplicità e d'amore.
È la vera democratica del Vangelo, perché profondamente
umile.
Sotto il soffio dello Spirito, che “spira ove vuole”, diviene
polvere in umiltà, ed in semplicità patriarcale si effonde e confonde
con la stessa gleba amata di passione e culto, a gloria del Creatore a
salute delle creature più poverelle.
Sopra i campi e la vita campestre cerca le anime: ossia quella
classe spregiata e pur privilegiata di creature dimenticate dalla boria
del mondo, ma non guaste dai suoi artifici, non turbate dalle sue
seduzioni, difese nella purezza dalla stessa ignoranza del male, legate
alla terra che è ad esse vita e premio.
Di queste creature Lei predilige quelle che la morte ha mutilate
- gli orfani - per insegnar loro con arte ispirata come si ama e si
ricama la terra: tendendo l'anima a ricercarvi il vestigio divino da
essa promanante come da un immenso libro ognora aperto sotto gli
occhi di tutti, nei cui solchi intrisi del loro sudore possono leggere in
saggezza e vita quanto Iddio vi nascose sul principio dei giorni.
Lei lancia il lavoro rurale al vertice d'un'orazione; la terra infatti
si lavora curvi, quasi in ginocchio, in atto di adorante
contemplazione.
Mai si è tanto vicini a Dio come sul campo delle prime
operazioni divine, ricco di arcane energie, fecondo di sicure
promesse.
Lei ammonisce e predica con l'esempio che discendere alle
radici della vita è risalire il vertice d'ogni vita, e là dove non giunge il
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corrosivo delle cupidigie umane ivi è la più pura contemplazione del
creato e del Creatore.
Non c'indugiamo troppo a rivelare il virile coraggio, autentica
benemerenza sociale, di questa donna che dopo aver resistito
all'andazzo del tempo, spregiatore della campagna e amante
dell'urbanesimo folle, ha affermato il vero amore alla terra ed ha
gettato - non invano - il grido: “Torniamo ai campi!” Piamente, in
amore cosciente e intelligente, quello originale, quando Iddio
dispiegò agli occhi estasiati dell'Uomo il campo delle sue attività,
l'uomo s'accostò trepidamente alla terra come a casta sposa che di sua
verginale integrità avrebbe ripagato “l'opera di lui” con feconde
ricchezze di vita, di serenità, di letizia.
Tornare ai campi non fossilizzando con essi; ma accettando in
anticipo tutti gli apporti che un progresso sano e razionale può dare
all'arte e all'artigianato; a questi segnatamente che dev'essere
sollevato con graduale miglioria ad un livello di giusto
perfezionamento: diritto d'ogni creatura di Dio, sete insopprimibile
d'ogni essere ragionevole.
Per l'agiografia la Cerioli è più interessante ancora.
Non è facile o perlomeno inconsueto incontrare un'anima come
questa che metta se stessa, gioie, sostanze, vita, agli ordini di Dio per
eseguire in cieca obbedienza i disegni reconditi, i cui sviluppi saranno
manifesti dopo anni di prove, consumando ogni sacrificio, al di là
della morte.
Nel breve giro di cinquant'anni attraverso variazioni di stati e
situazioni arcanamente penose, umanamente assurde, ella passò con
moti che si direbbero salti più che passaggi, sostenuti non con facilità
ma in semplicità, sempre lieta e sommessa a Dio che infine la
condusse a cogliere successivamente tutte le palme: di vergine, di
sposa, di madre, di claustrale, di fondatrice, di apostolo; le palme
della fede, dell'obbedienza, della pazienza, della rassegnazione, della
carità sublimate agli apici dell'eroismo.
Oggi - soltanto oggi - che s'è chiuso l'ultimo capitolo della sua
storia terrena è dato comprendere l'arcano disegno di Chi volle in
così opposti stati di servizio, per il miglior bene di lei, in salute di
molti, a comune edificazione della Chiesa.
Un'anima singolarmente bella; e pure un grande cuore.
Si direbbe che Iddio glielo abbia modellato con mano forte e
delicata sulla forma di altri grandi cuori del genere suo.
In esso fece ardere le fiamme più belle, più pure, quelle che
sembrerebbero discordanti; sono invece le più armoniose in ardore e
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splendore, perché avvolte dall'unica fiamma che non ne esclude
verun altra quando si aderga in alto: l'amore di Dio!
Si comprende bene come un tal cuore colmo di Dio, mai diviso
mai isterilito mai raffreddato, ma nutrito di generosi impeti fin
dall'infanzia, ebbe travolgenti moti ovunque si piegò. E quando la
mano divina lo divelse dalla famiglia terrena per avviarlo sul vasto
campo delle anime e della società, allora l'amore proruppe come un
fiume copioso fecondo di opere geniali di bontà e di bene.
E c'è un'altra bellezza in questo cuore, pur essa ammirabile: la
non facile prova sostenuta con onore delle sue ricchezze materiali.
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“La prova della felicità - scrive mons. Bougaud - è la più difficile a
superarsi, perché l'uomo creato per la felicità sembra che sulla terra
non sappia sostenerlo con onore, dal momento che vi s'immeschinisce
spesso si accieca e non raramente si corrompe e si perde”.
Tra tutte le felicità terrene la ricchezza costituisce il grave
pericolo nel quale l'uomo anziché signore diviene schiavo dell'oro, e
si degrada riducendosi alla più umiliante miseria spirituale e
materiale.
La Nostra fu assoluta padrona delle ingenti sue ricchezze,
seppe dominarle da signora spregiandole e piegandole agli
insospettati scopi per cui il Cielo gliele moltiplicò. Una la sua
preoccupazione: restituire a Dio nel modo più accetto le pingui
sostanze di cui si trovò erede ed arbitra. Conosciuto l'alto volere le
profuse tutte riducendosi in povertà pel miglior bene degli orfani
delle campagne.
A ragione quindi dicevamo che il soffermarsi a considerare
quest'anima fa gustare un intimo gaudio, giacché essa presenta uno
stato di servizio singolarmente ricco e vario e di tale densità interiore
da permettere e promettere un vasto bene, non pure nei chiostri ma
in ogni settore della società e della vita umana.
La Cerioli innanzi tutto è una claustrale; eppure non è un
modello da presentarsi alle sole religiose. Non giunse a questo stato
di privilegio come il classico giglio fiorito in cristiano giardino,
cresciuto al tepore di una serra, spiccato per gli altari ove muore
esaltando gli olezzi castissimi dopo altri stati segnati ciascuno da
bellezze nuove da nobili insegnamenti.
Fu prima una giovinezza eroicamente soggetta all'autorità
paterna vicaria di quella di Dio; si espropriò di volontà immolando la
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Panegirico di S. Francesca de Chantal
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fiorente giovinezza, a cui furono negate le legittime gioie d'ogni
creatura di venti anni.
Fu poi un'eroica sposa, aggiogata diciannovenne appena ad un
connubio umanamente assurdo per distanza di anni, peso di malanni
e di temperamento nel coniuge imposto ed accettato. Un autentico
giogo! Il mondo stolto e indulgente avrebbe giustificato evasioni
colpevoli o legali secessioni; per lei invece fu sorgente d'eroica
pazienza motivo d'inalterata dolcezza, di carità inesausta offerta per
amore a quella Volontà amorosa di Sé beatrice, sempre, anche
quando dispone la prova e il pianto per quelli che ama.
Fu un'eroica madre consapevole della responsabilità e della
gioia pel possesso di tre figli, dei quali l'unico superstite le ridà la
copia fedele di se stessa, della pietà, del candore, della soave
intelligente dolcezza propria. Quest'unico raggio di sole in
un'esistenza povera di gioie le viene strappato sedicenne appena sul
trepido fiorire di tante speranze. Eppure ella non si ribella; ma accetta
rassegnata il supremo volere. Mentre Iddio col labbro del figlio
morente le rende ragione di tanto dolore: le preannunzia il suo
domani nuovo, sognato ma imprevisto, divinamente bello e grande
proprio perché premio di tante eroiche accettazioni.
La donna che la morte fece deserta d'ogni prole riebbe una
posterità novella ed immortale.
Dall'anima le nasceranno Figli e Figlie in somiglianza di spirito,
e nel cuore adotterà gli orfani della campagna che Iddio metterà sul
suo cammino.
Fu dunque nuovamente Madre.
La sua seconda integrità ritessuta di sì eroico merito, impalmata
ufficialmente da Cristo, si feconda di una progenie portante in
commovente evidenza le rassomiglianze materne: semplicità,
povertà, umiltà, laboriosità, - i pilastri del suo Istituto - congiunte ad
uno spirito sano, vigoroso, terso come l'aria respirata nei campi. Il suo
Istituto ha uno scopo rigidamente osservato: far conoscere, amare,
servire Iddio dagli orfani di campagna sotto gli sguardi della
santissima Famiglia Nazarena, senza escludere altre opere e i migliori
perfezionamenti che l'apporto di tempi nuovi daranno ad una
missione, la quale, diretta al tutto e al massimo dei suoi protetti, deve
accettare ogni mezzo che Iddio mette a sua portata. Il motto d'ordine
e d'ampiezza del suo programma è questo: “regolarsi secondo i
tempi!”
Per le sue religiose è maestra nella più ortodossa pedagogia
spirituale; per i suoi beneficati guida morale, domestica, sociale
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opera omnia
confortata da esperienze aggiornate nell'arte agraria da profonda
pratica della psicologia rurale.
Così, dietro la guida di esperti e venerandi direttori, ella fu
insieme fondatrice e religiosa delle Suore della S. Famiglia.
E notiamo come la sua prima idea fosse per un Istituto
maschile. Varie ed opposte contingenze imposero la precedenza per
l'Istituto femminile; mentre l'altro, primo in intenzione, non vedrà la
luce che sugli ultimi giorni di sua vita.
Non per questo le due famiglie potrebbero contendere per un
vano titolo di priorità o precedenza: entrambe occupano e
preoccupano lo stesso spirito che le concepì e le tradusse in atto a
seconda che al Provvidenza gliene aprì la vita. La contesa, se mai,
ricorderebbe troppo quella degli apostoli intorno a Gesù, per i primi
posti in Cielo. I Figli e le Figlie della Cerioli da lei ammaestrati in
saggezza di virtù sanno che uno è il posto da ambire, e proprio nel
cuore della Madre: il primo in linea d'amore e l'ultimo in linea
d'umiltà; ed anche questo, secondo la valutazione del Vangelo,
sempre primo. Così la contesa si trasforma in bella emulazione.
Infine degno di tanto splendore di opere è l'eroico sigillo
apposto dalla santità personale della Cerioli.
Ecco il primo campo d'osservazione per un agiografo.
Il resto: attività, parole, gesta, la storia esterna, infine, non sono
che aspetti diversi di uno stesso spirito che manifesta il proprio
intimo rigoglio, oggetto delle compiacenze divine innanzi tutto.
Nella vita personale della Cerioli c'è tutto e tanto da comporre
una perfetta figura di Santa, degna d'essere annoverata tra quelle
nobilissime, fiori dell'umanità, gioielli di Cristo, gloria della Chiesa
che elevate al fastigio degli altari divengono esemplari di comune
ammirazione ed imitazione.
Il presente lavoro non intende altro: sviluppare in ordine
cronologico con perfetta aderenza alle fonti storiche la vita della
Beata Cerioli, insistendo principalmente sulle sue dovizie interiori
che sono le sorgenti luminose e feconde della sua vita operosa. La
quale se pure di una tonalità sempre modesta e normale è
interiormente fastosa di pregi e massiccia di solide virtù.
Tanto vero che la Chiesa ha trovato in lei la rara fortezza della
biblica donna, scolpita dalle classiche note dello Spirito Santo, “per
premiarla col frutto stesso del suo lavoro, ed esaltarla con la voce
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delle sue opere dinanzi a tutti” Sac. Emidio Federici
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Prov. 31 10. 17
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opera omnia
CAPITOLO
I
Primi attori e fattori della presente storia
La prima commendatizia di Suor Paola Elisabetta Cerioli è la
sua famiglia.
Questo, non per dire che la Provvidenza in via d'eccezione non
colga a volte buoni frutti anche da alberi meno buoni, e viceversa; ma
per rendere subito omaggio alla parola di Gesù, verificatasi in pieno
anche qui: da buon ceppo ottimi rami, copiosi e saporosi frutti. Tanto
più buoni se all'intimo pregio della linfa aggiunga il lustro esteriore
di titoli e blasoni - segni di benemerenze sociali - a cui poi, per
migliore splendore, la bontà e la virtù daranno il complemento
insuperabile.
I coniugi Don Francesco Domenico Cerioli e la contessa
Francesca Corniani “i miei rispettabili signori genitori” - li chiamerà
sempre così con deferenza la santa figlia - sono appunto due autentici
signori lombardi di un secolo indietro.
Sol per rispettare l'uso gettiamo appena l'occhio sull'albero
genealogico paterno e troviamo che i Cerioli, oriundi del Piemonte, si
trasferirono a Soncino verso l'anno 1436. La considerazione ivi goduta
è provata dal parentado contratto con la potente famiglia Pallavicino.
Difatti si sa che “addì 31 maggio 1475 il duca di Milano insigniva di
onorevole diploma con privilegi Cristoforo Cerioli, il cui figlio Gian
Francesco sotto gli auspici sovrani sposava Veronica Barbò, unendo
3
così due cospicue famiglie della nostra terra” .
Da allora i Cerioli ebbero stabile domicilio a Soncino, ove
intrecciarono nomi e rami con le migliori casate del luogo: i conti
Covi, Cropello, Azzarelli, Corniani.
3
Storia documentata di Soncino, del conte Francesco Galantino. Vol. I Pag. 190.
Biografie
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opera omnia
Dopo la guerra di successione (1740-1748), confermato il
possesso della Lombardia alla regina Maria Teresa, figlia di Carlo VI
imperatore d'Austria, la regione cessò dal decadere ed ebbe migliorati
la legislazione, il sistema tributario, i commerci, l'agricoltura, gli
studi.
Contro l'abuso dei titoli nobiliari veniva istituito, con reale
rescritto del 7 gennaio 1778 da S. M. Imperiale la Regina Maria
Teresa, l'imperiale regio tribunale araldico. Tra l'altro si stabiliva che
conservassero il titolo nobiliare, con privilegio di usare il “don”, quei
nobili, la cui nobiltà fosse antica di almeno quattro secoli, cioè
anteriore al 1378; come riuscì a provare don Francesco Domenico
Cerioli, padre della nostra Costanza, il quale, per decreto in data 3
ottobre 1780 dell'I. R. Tribunale Araldico, ebbe riconosciuta e
4
confermata la propria nobiltà, con privilegio di usare il “don” .
Qui ci fermiamo in ossequio al consiglio dell'Apostolo che
esorta a non “perdersi dietro le genealogie inutili e vane, che si
5
presentan meglio a misere controversie che ad edificazione di Dio” .
Però dobbiam dire che pel nome dei Cerioli c'è vero motivo di
edificarsi, perché erano nobili di buona lega - prettamente lombarda . Ottimi sotto ogni riguardo, eccellenti per un pregio di famiglia
ereditato e trasmesso con gelosa cura, ossia una fede cristiana viva ed
operante, cosciente e manifesta nel pensiero nelle azioni, nella
munifica beneficenza, nelle relazioni sociali. I Cerioli, insomma, era
gente integra diritta egregia: uomini e donne di virtù distinta
intelligente caratterizzata da quella bontà generosa cordiale dinamica
tutta propria se non esclusiva dei figli di questa bella plaga d'Italia.
Nella chiesa di S. Bernardino - ora parrocchia - in Villa
Campagna, dove erano le loro possessioni al tempo della nostra
Costanza, i Cerioli vantavano il titolo di giuspatronato, ed il loro
stemma “in muro interiori desuper januam reperitur”; ed ivi trovasi un
altare dedicato a S. Antonio, pure di antico patronato dei Cerioli, per
il quale “ut constat ex libris conventus, dotem dedit dominus Vincentius
Cerioli”. I ricordi della famiglia Cerioli nella pieve di Soncino sono
rappresentati da una lapide collocata sul muro di sostegno della
cupola, a sinistra di chi guarda l'altare maggiore. Ivi è ricordata la
6
munificenza di un fratello della nostra Costanza, Massimiliano , con
4
5
6
Questo decreto, confermato da Napoleone l e dai governi successivi, si conserva
nell'archivio di famiglia da don Giovanni Battista (don Giannino) Cerioli di
Soncino, pronipote di Costanza.
Timot. I 4 - Tito 3. 9.
Morto nel 1849.
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opera omnia
queste parole: “Massimiliano Cerioli - di Francesco - alla studiosa
gioventù Soncinese - legò morendo, benefici e sovvenzioni - e al
rifacimento del tempio - troppo angusto - e per antichità rovinato largamente provvide - nobilissimo esempio ai posteri - di ben usate
ricchezze - la fabbriceria pose unanime questa lapide - affinché di
tanta munificenza non paresse immemore - tutto il paese.
MDCCCLXXXVII”.
Di tanta munificenza ne sarà poi ben lieta ed emula la santa
sorella la quale, nel 1851, benché tutta presa dalle opere dei suoi due
cari istituti, cederà alla parrocchia di S. Giacomo un salone attiguo
alla sala del cappellano, per ingrandirne l'abitazione 7.
Ciò detto, reputiamo più necessario indugiarci nella
presentazione dei genitori della nostra eroina. Più che presentarli
vorremmo farli conoscere comprenderli, almeno quanto è necessario,
per la ragione che essi son qui per la loro parte, non tanto i primi
attori quali onorandi genitori di Costanza Cerioli, quanto i fattori
della grandezza spirituale della loro ultima figlia.
E ci spieghiamo. Occorre comprenderli più che conoscerli, pel
fatto che in molte pagine di questo libro essi potrebbero decadere
dalla stima del lettore, mentre in realtà essi non sono che gli
strumenti qualificati intelligenti e docili assunti dalla Provvidenza,
per formare con un metodo poco usato un tipo caratteristico di
santità.
Che infatti i genitori di Costanza Cerioli fossero autentici ed
ottimi signori, esemplarmente cristiani, lo dice la fama che godevano
in Soncino. Più che tutto però lo attesta irrefutabilmente un fatto, non
insolito del resto per quel tempo: benedetti d'ogni benedizione divina
“della rugiada del cielo e della feracità della terra” essi eran ricchi
della fecondità più meritoria, sedici figli, tredici maschi e tre femmine
8
, di cui Costanza è il grazioso e prezioso fermaglio apposto dalla
compiacenza divina ad una corona di sì eccezionale decoro.
7
8
Dall'archivio parrocchiale di Villa Campagna.
Proc. Ord. Summ. 8, paragr. 24. Diamo per ordine di nascita, i nomi dei fratelli e
sorelle di Costanza: 1° Cecilia - Caterina. 2° Bartolomeo. 3° Anna – Maria Cecilia. 4° Massimiliano - Francesco. 5° Anna – Maria - Serafina. 6° Maria Stefana. 7° Bartolomeo - Francesco. 8° Giov. Battista - Francesco. 9° Giov. Battista
- Francesco. 10° Luig i- Francesco. 11° Caterina - Maria. 12° Carlo - Francesco. 13°
Clotilde - Maria. 14° Francesco - Vincenzo. 15° Cecilia - Elisabetta.
Alla nascita di Costanza vivevano: Massimiliano - Francesco; Bartolomeo Francesco; Giov. Battista - Francesco; Luigi - Francesco; Caterina - Maria; Cecilia
Elisabetta.
Alla morte si Suor Paola Elisabetta sopravvissero: Giov. Battista - Francesco e
Cecilia - Elisabetta. (dall'albero genealogico della Nobile Famiglia Cerioli).
Biografie
15
opera omnia
E il nostro insistere nell'elogiarli è indispensabile perché
vogliamo preventivamente dar ragione di fatti e cose altrimenti
inesplicabili; soprattutto per mettere in giusta luce la loro mentalità, i
metodi di pedagogia usati con i figli, particolarmente con l'ultima,
che più d'ogni altro c'interessa. Senza di ciò la loro condotta potrebbe
sembrare irragionevole poco saggia meno affettuosa, e rievocherebbe
penosamente quel tipo di principe - padre nel romanzo
dell'immortale Manzoni, che sacrificando la figlia ad una vocazione
non sua, lascia di sé una detestabile nota.
E ciò non fu assolutamente; né deve dirsi di loro.
La verità è che i nobili Cerioli eran gente di quello stampo
antico di cui sembra smarrito l'esemplare; cioè cristiani integrali
consapevoli dei loro diritti, ma più dei gravi doveri verso la
numerosa famiglia composta di figli e figlie servitù operaie di filanda
e dipendenti agricoli.
Amatissimi della prole - la loro fecondità ne è prova - eran del
pari severi e gelosi della loro educazione, preoccupati e non senza
ragione almeno per il numero del loro decorso avvenire. Vigilatissimi
del vasto patrimonio rappresentato da varie forme di beni - che di
quell'avvenire costituiscono la garanzia - vi attendevano a coltivarlo
con impegno. A tali concreti e seri fattori si aggiunga il nativo
temperamento sodo e scabro di buoni lombardi d'un secolo indietro,
e si comprenderà la risolutezza e la disciplina del loro metodo
educativo.
In essi il sentimento non soverchiava mai il dovere. i figliuoli
dovevan crescere robusti di carattere come nel fisico, disabituati alle
delicatezze d'ogni genere e nome. Gli ordini andavano eseguiti
prontamente, le paterne decisioni accettate senza commenti, come
date da senno e da amore.
Di ciò non è punto a dubitare, ché lo stesso criterio e lo stesso
tono dirigeva le azioni dei figli e dei genitori; tanto era rigido in
questi il senso del dovere, proprio perché derivato da un principio di
coscienza profondamente sentito. Ad esempio, la mamma - come poi
ci dirà la stessa Costanza - era attentissima alla direzione della casa
piena di tanta vita. Faceva procedere ogni cosa nell'ordine e nella
disciplina, con distribuzione di tempi e d'orari, divisione di doveri e
mansioni, per la servitù come per i figli. Questi non li cresceva tra
carezze e sorrisi, ma con saggio e provvido amore, cercando di
combatterne le prime resistenze, quelle specialmente che sono
capricci infantili e schermo ad incipienti passioni. Ai facili disturbi dei
giovani pretesto a tante esenzioni soleva rispondere: “Che stomaco,
Biografie
16
opera omnia
che cuore, che sfinimenti!... i giovani non debbono neppur sapere in
che consistano tutti questi mali!”
I domestici dovevano obbedire soltanto ai suoi ordini; né
potevano intervenire a prestar aiuto nelle mansioni assegnate alle
figlie. Ciascuno al suo posto e al suo compito ben definito e preciso,
da assolversi in piena coscienza e responsabilità.
Di fronte a tale modo di concepire per sé e per gli altri il dovere,
era ben naturale che nascesse nei figli un senso di grande rispetto e
soggezione - come dirà con parole e fatti la nostra Costanza -; però
tale soggezione che potrebbe sconfinare nel timore, era in essi
addolcita da un senso di rispettoso amore; sapevano bene da quale
alta sorgente di bontà discendevano quei comandi quelle severe
riprensioni. Insomma, era per essi la stessa autorità di Dio che
attraverso il volere paterno, si manifestava per guidarli sulla via del
bene, e del loro migliore bene. Spontaneamente quindi si
sottoponevano con cuore fidente e rispettoso.
Queste giustificazioni non sono nostre, né arbitrarie. È la stessa
Costanza che esalterà col suo dolce e suadente linguaggio la
preziosità dell'educazione ricevuta in famiglia. Nonché querelarsi del
rigore della mamma gliene sarà sempre grata, ed apprezzando la
efficacia di quei metodi, cercherà di riprodurli - filtrati attraverso il
calore di una soavissima carità - con le sue stesse figlie spirituali e con
le care orfanelle.
Soprattutto gli esempi materni non saranno mai dimenticati; né
giustificherà commossa la purezza e l'altezza delle intenzioni
educative, quasi che la saggezza materna leggesse in Dio le norme
della propria pedagogia: doveva esser quella e non altra, proprio
perché Iddio voleva così preparare ad un avvenire singolare la sua
ultima creatura.
La figliuola non poté mai dubitare di ciò specialmente quando
si soffermava a considerare l'edificante pietà della mamma. È ben
vero che può esistere una mentalità che compone disinvolta bizzarre
forme devote - cruccio e croce al prossimo - con una vita che vorrebbe
dirsi cristiana; ma questo non era affatto il caso della signora sua
madre. In lei la pietà e la pratica di vita domestica erano in tanto
evidente armonia da non lasciar verun dubbio della discrezione
regolatrice delle proprie relazioni col prossimo.
Una sposa una madre su cui grava la responsabilità di tanti
doveri non avrebbe neppure il tempo da consacrare a sterili
formalismi di devozione; ella invece nel sovrano ordine di tutte le
cose, sapeva scandire i tempi del lavoro e della preghiera, le ore di
Biografie
17
opera omnia
raccoglimento in casa e le visite obbligate alla chiesa. Ogni giorno la
pieve di Soncino o la Chiesa di S. Giacomo vedeva l'edificante
spettacolo della pia contessa coronato di figli e domestiche, raccolta al
suo posto riservato, immersa nei santi colloqui con Dio, a chiedergli
lume grazia consiglio per dirigere se stessa e quelle care anime a lei
affidate. Lo spirito e la pratica della vita cristiana facevano sempre
bella mostra nel suo contegno nelle parole in tutta la sua vita.
Ultimo argomento - per noi il più probativo - è il grande spirito
di carità che sfolgora nella contessa Cerioli come sua personale
prerogativa; tanto che in Soncino e nei dintorni è conosciuta per un
sol nome: “la madre dei poveri”. Come supporre la coesistenza di
una carità generosa e garbata verso gli estranei e la durezza arcigna e
inflessibile con i congiunti? Si sa invece che la carità della contessa
Cerioli era fatta di pane di vesti di soccorsi materiali, conditi sempre
di tali sorrisi da sembrare che il beneficio riuscisse di maggior
conforto a lei che ai beneficati. La carità per i Cerioli è un dovere, un
amore di famiglia.
Siffatta persuasione deve entrare per tempo a formare la mente
e la vita dei figliuoli sino a far loro ritenere il principio che delle
copiose sostanze elargite dal Cielo essi non sono gli assoluti padroni,
ma i fiduciari i dirigenti amministratori del buon Dio; di guisa che,
provveduto il giusto e il necessario alle esigenze al grado della loro
vita, essi dovevano nel nome e per amore di Dio distribuire il
sopravanzo ai poveri. Di conseguenza: accompagnata dall'una o
dall'altra delle figlie oppure da una domestica sulla porta del proprio
palazzo e nei più poveri tuguri della borgata o della campagna, la
signora contessa appariva come angelo di conforto e di provvidenza;
con quanta delizia del Cielo e quale edificazione dei figli è più facile
pensarlo che esprimerlo.
Non a caso Iddio ha preparato a Costanza questo ambiente di
severo culto al dovere e di calda espansione benefica proprio perché
le due note tematiche della sua vita che sta per aprirsi dovranno
essere il divino volere attuato con eroica obbedienza, e la più
intelligente e soave carità effusa su una singolare classe di persone.
I Cerioli infine ai giorni della presente storia sono tra le famiglie
più rispettabili e rispettate in Soncino, non solo per tutte le ragioni
addotte, ma per le vaste relazioni di dipendenza che molti contavano
con essi.
I loro vasti possedimenti erano popolati da coloni laboriosi e
devoti, guidati da fedelissimi fattori. Questi - secondo gli usi
cremonesi - si consideravano come persone della famiglia a cui erano
Biografie
18
opera omnia
attaccatissimi. Dal fattore dipendevano gl'innumerevoli salariati fissi
e avventizi che coltivavano le proprietà dei Cerioli.
Soltanto a dar un'idea della vastità dell'azienda ricordiamo i
nomi dei vari dipendenti da essa. Così i mandriani che si dicevano
vaccaro o allevatore a seconda dell'impiego intorno ai bovini. Il
cavallante per l'uso e governo dei cavalli; il bifolco per il governo e
lavoro dei buoi; il casaro che attendeva al caseificio ed alla custodia
dei formaggi; l'irrigatore per l'irrigazione dei terreni. Di più contigua
alla casa dei signori c'era una filanda ove si filavano i bozzoli, mentre
i bachi si davano a tutti secondo le possibilità della mano d'opera
delle famiglie dipendenti.
Poi secondo le esigenze delle stagioni, veniva lo stuolo degli
operai avventizi. Ai quali s'hanno da aggiungere tutti gli altri mestieri
annessi e indispensabili per una perfetta organizzazione agricola,
come il fabbro il falegname il calzolaio e il maniscalco i muratori, tutta
gente che abitava nelle fattorie dei signori, pei quali erano
abitualmente occupati, senza escludere prestazioni ad altre richieste
esterne, perché i signori volevano che avessero sempre lavoro per
guadagnarsi il sostentamento alla vita.
Come il lettore vede, più che una vasta organizzazione qui si ha
l'idea di una vera famiglia patriarcale composta di subalterni che si
tengono paghi ed onorati di servire in tanto cordiale dipendenza dei
signori che son padri più che padroni.
Né staremo qui ad elencare e tanto meno a dar conto al lettore
delle ricchezze e dei poderi posseduti in Soncino e fuori nel contado
dai Cerioli. Basti il dire che appena usciti dalla cittadina, specialmente
a Villa Campagna, quasi a perdita d'occhio si potevan subito
ammirare nelle vaste pianure circostanti le loro possessioni.
È
veramente
un
bel
patrimonio,
intelligente
e
coscienziosamente posto al frutto, sempre aumentato in esuberante
proporzione dei numerosi eredi e delle copiose beneficenze.
In mezzo a siffatta ricca massa di beni c'è pure la porzione di
eredità della sedicesima figlia che batte alle porte della vita.
Adorabile scherzo della Provvidenza! Quest'ultima porzione
congiunta ad altre vistosissime sostanze - per ora ignote ed
incomputabili - a traverso arcani sviluppi disposti dal Cielo, che
s'inseriranno vitalmente con la presente biografia, dopo appena
quarant'anni, diverrà il patrimonio di oscuri orfanelli.
Quando Costanza nascerà alla vita intanto il primo dispiegato
ai suoi occhi innocenti è proprio quello che porta più vivi i riflessi del
Cielo: le belle distese di campi costituenti la sua pingue eredità.
Biografie
19
opera omnia
Tutte le volte che Gesù ha voluto parlarci del Cielo ha chiesto
figure, similitudini e parabole al tralcio, alla vite, al grano, ai fiori, agli
alberi, agli uccelli.
Costanza Cerioli, in spirito di fede e d'amore, intuirà presto che
il suo retaggio nel tempo s'ha da confondere con quello del Cielo: la
stessa gleba che dà vino, frumento ed olio al suo babbo, darà anime
ed anime al festino del Padre Celeste, per il sacro travaglio del futuro
apostolato di lei!
Biografie
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opera omnia
CAPITOLO
II
Dall'alba il giorno
Dopo la famiglia la terra ove fiorì.
Sulla ridente distesa della pianura bergamasca, Martinengo,
Romano, Soncino, con altri paesi si allineano in bella esposizione di
edifici, antichi moderni recenti, decorati di tutte le tonalità di verde
che li circonda, orlati dai chiari riflessi d'abbondanti acque.
Si chiaman borgate; eppure che manca di storia di bellezze di
vita per dirle miniature di piccole ma interessanti città?
Noi ci arrestiamo a Soncino. Benché situato sulla pianura di
Bergamo - da cui dista 44 chilometri - esso appartiene “ab antiquo”
alla diocesi di Cremona, come della stessa città dipende
amministrativamente.
Un bel fiume: l'Oglio; un antico castello sforzesco; due torri
campanarie, mozzata l'una, a pinnacolo l'altra; una solenne cupola
ottagonale sono i primi rilievi che pur di lontano dicono l'importanza
storica religiosa civile artistica di questo bel borgo.
I Goti i Longobardi i Comuni le Signorie i Visconti i Veneziani i
feudatari i dominatori stranieri, sino agli ultimi eroi della unità
italiana, la edificarono la distrussero la riedificarono l'occuparono la
difesero per contendersi il possesso di questa borgata, lungo il
rispettabile corso di sedici secoli. Noi non ne rifacciamo la storia.
Vogliamo solo cogliere gli spunti interessanti al nostro lavoro: le note
sacre le glorie religiose. Il solo numero delle chiese in Soncino,
esuberante in ragione delle anime, è già molto eloquente. E son bei
templi ricchi di storia e di arte. La solenne professione del mistero
Biografie
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opera omnia
della SS. ma Trinità, in protesta contro gli eretici ariani, ha il suo
9
memoriale consacrato in un altare della Pieve .
Di Santi poi Soncino ne ha dati ed ospitati, e dei più illustri. Per
citare soltanto gli eminenti ricordiamo Margherita Stroppeni, detta
beata Luchina da Soncino (1430-1495); la beata Stefana Quinzani,
terziaria domenicana (1457-1530), sono le due fontane conterranee di
Costanza Cerioli che l'hanno preceduta sulla via dell'eroica virtù. Il
papa S. Pio V - al secolo fra Michelangelo Ghisleri, - prediligeva
Soncino e per tre anni fu priore e parroco della chiesa di S. Giacomo
10
(1547-1550) .
Il santo arcivescovo di Milano Carlo Borromeo ha onorato
Soncino di sua presenza e l'ha commosso delle sue smaglianti virtù in
11
una visita indimenticata .
Una gloria recentissima che portò nella lontana Sassari il
candore di una vita santa e l'ardore di uno zelo benefico è il sacerdote
Giovanni Manzella dei Signori della Missione, morto in concetto di
santo il 23 ottobre 1937.
Glorie antiche intrecciate alle più recenti e novissime, attestano
bene il profondo senso della fede e della pratica cristiana d'un popolo
a cui Iddio non cessa di regalare anime di elezione; e dànno buon
motivo all'agiografo di affermare che la terra ove immerge le radici
l'albero dei Cerioli è buona forte ferace anche nel senso più alto e
soprannaturale.
Da questo campo superbo di fiori e frutti germogliò in bellezza
di vita e di opere colei del cui nome s'adorna la fronte di questo libro.
Ecco intanto l'attestato del suo ingresso alla vita terrena e
celeste: “La nobile Costanza Onorata Cerioli, figlia dei legittimi
coniugi nobile Francesco e Francesca Corniani è nata in questa
9
10
11
La chiesa primitiva di Soncino era dedicata alla SS. ma Trinità: mistero effigiato
sul palazzo del comune in una pittura raffigurante la Triade augustissima che
incorona la beata Vergine Maria. Nella chiesa della pieve, il secondo altare a
destra di chi entra è dedicato alla SS. ma Trinità. Nel pilastro di fronte si legge
questa epigrafe: Reiecta ariana haeres. - Et fide orthodoxa amplexa - Deo Trino et Uni Soncinensis populus - priman hanc aram erexit - anno MDLXX. Dell'antica cappella si
conserva tuttora l'affresco (m. 1, 20 x 1, 10) staccato dal muro e messo in quadro,
situato nella navata di fronte. Rappresenta - secondo l'antica figurazione, ora
abolita - tre figure identiche di persone dell'aspetto ed età di Gesù Cristo.
L'affresco l'iscrizione l'altare testimoniano la devozione del popolo Soncinese alla
SS. ma trinità, devozione sorta come reazione e protesta contro l'eresia ariana.
Don Pietro De-Micheli, “La beata Stefana Quinzani” Memorie e documenti pp. 810.
Giovanni Rossi, “I gloriosi fasti di Soncino”.
Biografie
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opera omnia
parrocchia di S. Maria Assunta in Soncino, addì ventotto gennaio
1816, e nello stesso giorno battezzata” 12
Per la sedicesima volta s'è rinnovata così la gioia meritoria e
meritata dei pii signori Cerioli che in collaborazione col Cielo hanno
aperto le porte della vita all'ultima creatura, la prima gemma della
loro corona, il più bel decoro del loro illustre nome.
Però questa gioia minaccia di tramutarsi in pianto. Sembra che
la neonata voglia tornarsene là donde è venuta. Perciò le viene subito
amministrata l'acqua battesimale. Il documento citato, nella sua
laconicità, lo dice chiaro.
Un attimo di dolorosa sospensione sopra la sua culla. Sarà la
vita o la morte? La fede e le cure degli amorosi parenti strapparono
alla spietata falce il fragile fiore, che lentamente faticosamente rialzò
la bianca corolla e proseguì il cammino nell'esilio.
Chi la trattenne quaggiù? Pensiamo le suppliche degli angeli
custodi d'innumerevoli innocenti che han da legare la loro vita di lei.
Otto giorni dopo - il 2 febbraio, Purificazione della Santa
Vergine - sulla neonata furono supplite preci e cerimonie,
complemento del santo battesimo 13.
Dopo di ciò: cure e preghiere, silenzio e lacune di dati e di date.
Nessuna meraviglia. Ove non intervenga il Cielo con
eccezionali, la prima infanzia di tutti gli uomini - anche santi e geni è per tutti uguale senza rilievi, costantemente.
Nessuno di quanti circondano questa culla sospetterebbe l'alto
destino della neonata. Anzi dai segni esteriori i pronostici non si
direbbero felici. La bambina è gracile debole, presenta una leggera
deviazione scheletrica, ha un impercettibile vizio cardiaco che
crescendo con gli anni la farà soffrire e le darà morte prematura. I
suoi dubitano persino se resterà a lungo quaggiù.
Comunque la bambina vegliata curata con intelligente amore,
accenna a non morire, e - come tutti i bambini - passa nel più greve
silenzio il comune periodo della primissima infanzia: si nutre dorme
vegeta e cresce.
12
13
Prop. Ap. Doc. N. VII - Foglio 472 tergo in fine.
Dal Registro dei Nati della Parrocchia di S. Maria Assunta in Soncino, alla pagina
224, n. 8 si legge: “Anno del Signore 1816, giorno 2 febbraio. Io Francesco
Chiodelli, arciprete, Vicario-foraneo di questa plebana arcipresbiterale
nell'insigne paese di Soncino, supplii le preci sacre e le cerimonie ecclesiastiche
sopra l'infante nata il 28 gennaio p. p. dai nobili Signori Francesco Cerioli e
Francesca Corniani, sposi di questa parrocchia, cui imposi il nome di Costanza
Onorata, la quale già battezzai in casa appena nata, per pericolo imminente di
morte. Fu padrino il Signor Conte Giorgio Corniani... ”.
Biografie
23
opera omnia
Ma quando arriverà il giorno in cui i piccoli occhi
s'accenderanno dei bagliori dell'anima sarà una festa: i primi sorrisi
d'amore i primi segni d'intelligenza in lei saranno semplicemente un
incanto; e bisognerà amarla seguirla dietro i suoi piccoli passi, attratti
dalle sue grazie interessarsi di tutto che la riguardi.
E qui ci correggiamo subito dicendo che nella prima infanzia di
Costanza Cerioli, a differenza degli altri bambini, una nota di rilievo
c'è, ed è proprio qui in uno scompenso arcano - eppure tanto evidente
- scompenso che ingrandirà coi giorni e dominerà tutta la sua
esistenza: lo squilibrio cioè tra il fisico debole delicato e sofferente, ed
uno spirito che si annunzia vivo aperto intelligente amabilissimo.
E ci sarà pur sempre il contrasto tra l'aura d'umana felicità sotto
ogni rapporto piena che quasi dorata atmosfera circonda la sua culla,
e il misterioso fascio di spine gettato dalla mano di Dio, e subito,
dentro la sua culla stessa.
Perché? Noi non troviamo una ragione se non in un alto e per
ora arcano disegno, che prepara di lontano quest'anima alla sua bella
grande predestinazione, proprio perché porta il regale segno di
Cristo, gloria e retaggio dei santi: la Croce.
E non sarà questa la prima dissonanza o l'unica nota di dolore
nella presente vita; ne incontreremo altre ben più gravi. Per ora ci
limitiamo a preannunciare quella che dà tono e modulazione a tutti i
giorni del non lungo esilio di Costanza Cerioli.
Ascoltiamo intanto i testimoni dell'infanzia di lei i quali
rilevano con noi contrasto e lo mettono in evidenza.
“Dalla natura ebbe un corpo debole, delicato ed un poco curvo;
ma le doti dell'anima compensarono ad usura questi difetti fisici. Non
appena spuntarono in lei i primi albori della ragione, manifestò
prontamente un carattere generoso, intraprendente, schietto e
gioviale, sensibile assai, benché alquanto timido, e non tardarono a
mostrarsi i germi d'incipienti virtù, un'apertura di cuore visibile dal
volto, un indole duttile, maneggevole, un'amorosa soggezione ai
maggiori, una dolcezza di tratto con tutti, un'inclinazione spiccata
alla devozione, al raccoglimento” 14.
Da questi tratti forniti dal primo biografo, abbiamo scorci
eloquenti ed esaurienti a riempire le lacune che generalmente si
notano nell'infanzia di ogni uomo. E più, abbiamo fondati motivi a
trarre auspici per l'avvenire di questa creatura. Come si vede c'è buon
materiale perché la grazia e la collaborazione umana producano una
14
Sac. Paolo Merati. Biogr. Cap. I - 9. 10.
Biografie
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opera omnia
vera santa. Col progredire degli anni le belle qualità di Costanza si
preannunzieranno sempre meglio e s'imporranno all'ammirazione,
all'amore dei familiari15. Però la nota distinta e dominante è
“un'indole dolcissima, tanto che tutti l'avevano così cara da darle
l'appellativo di angelo” 16.
Di solito i bambini sviluppando manifestano subito le tendenze
meno buone - eredità della povera natura umana originariamente
malata - i capricci le bizze le piccole rivolte imposte con strepiti e
lacrime, sicuri sintomi delle future passioni che non corrette
degenerano in vizi.
Caso eccezionale qui - per comune attestazione di chi la vide troviamo il fenomeno opposto: la piccola Costanza manifesta
tendenza alle cose migliori; tendenza che gli anni e la coscienza
discrezionale del bene e del male perfezioneranno moderando e
correggendo quel che in lei doveva pur esserci di meno buono. E poi
sopraggiunta la guida esteriore di una sana educazione e di edificanti
esempi, associati agli ausili della grazia fomentata della vita devota,
dato l'impulso da un santo anelito verso il migliore e l'ottimo, tutte
queste prime disposizioni si tramuteranno in solide virtù. Per il
momento sono tutte in fiore; presto baciate dal calore del Cielo si
apriranno in dolcissimi frutti.
Come si vede il lavoro santificante della grazia ha cominciato
sin dall'alba della vita le sue sante operazioni di abbellimento in
quest'anima per disporla alle varie opposte difficili situazioni future.
Difficili, soprattutto.
A questo lavoro Iddio chiama subito a collaboratrice la mamma
di Costanza. Ottima e saggia quale noi la conosciamo, ella,
inconsapevolmente, è la mano ferma ed energica - diremmo quasi
severa e dura - con cui il Signore vuol lavorare lo spirito eletto di
Costanza Cerioli. Sul momento non si dà la ragione di questo
singolare trattamento; però la troveremo in appresso; intanto
conviene dire che anche tale nota di rigore e di precoce allenamento
al patire è infallibile segno della bella predestinazione di questa
creatura.
La sua futura vocazione d'amore e di dolore è tutta qui in
embrione: le sofferenze fisiche visibili nella precarietà della sua
salute, il contegno della mamma, le varie prove della vita che
metteranno in crogiuolo le più belle virtù, quali l'obbedienza la
15
16
Proc. Ap. Suppl. Summ. N. III, paragr. 40.
Proc. Ap. Suppl. Summ. N. III, paragr. 49 e 57.
Biografie
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opera omnia
pazienza la carità l'umiltà, dicono già e diranno meglio che la nostra
non è una mera congettura, ma una realtà controllata e confermata
dagli eventi.
Per ora Costanza è un angelo di spirito e di aspetto, dal sorriso
velato di profonda e consapevole serenità, indice non tanto di pena,
quanto della cosciente percezione di un bel destino a cui Iddio
chiamerà anche lei, come chiamò e chiama sempre gli amici suoi più
cari e prediletti.
Senza ciò, come la futura Madre degli orfanelli rurali potrà
affinare il proprio amore per tali creature, se ella stessa non porta nel
corpo i segni del dolore?
Come potrà apprezzare la gioia di un sorriso regalato ai piccoli,
se ella sin dall'infanzia non avesse centellinata la pena di averlo
invocato e ricevuto dosato di rigida severità?
Come prodigherà generosa agli altri le proprie sostanze
materiali, se ella fosse cresciuta mangiando tra gli agi pane insipido
di gioie e vuoto d'ogni dolcezza?
Non ci sembra intanto d'interesse il rilevare la diligente
preoccupazione della contessa Cerioli nel provvedere subito alla
cristiana educazione dell’ultima figlia. Volle da se stessa istillare nel
piccolo cuore i germi della pietà il gusto della preghiera l'amore al
sacrificio alla mortificazione, l'inclinazione al compatimento verso i
poverelli.
Fuori di ciò, per conchiudere il presente capitolo, ripetiamo che
per la prima infanzia di Costanza Cerioli non ci sono altri fatti o
testimonianze di rilievo per quanto noi le abbiamo cercate.
Però c'è tutto per dire che ella porta già nella carne e nel cuore i
segni della sua predestinazione.
Nella carne, il male fisico che le darà dolore. Il male dello
spirito - anch'esso un morbo al dir di S. Francesco di Sales - le risiede
proprio nel cuore, ed è l'amore: amore di Dio e del prossimo che le
sarà vita, e darà vita ad opere belle di virtù e di bene.
Biografie
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opera omnia
CAPITOLO
III
Il primo tirocinio alla vita
La piccola cresce. È giunta a quell'età ove il fanciullo coi suoi
semplici ma logici raziocini comincia a divenir responsabile dei
propri atti.
Nel fanciullo occorre distinguere ciò che è istintivo da ciò che è
riflesso. Il primo prorompe dalla natura, in tutti ugualmente ferita e
proclive al male; la riflessione invece, sorretta da un principio
superiore e disciplinata da tempestiva e razionale educazione, viene
lentamente formando il fanciullo, incide in lui netto il carattere e gli
dà la sua coscienza.
D'istintivo nella nostra Costanza c'è poco. Il suo stato fisico
mortifica e modifica le tendenze meno buone per renderla
spontaneamente duttile come cera al dovere al bene alla virtù. La sua
“dolcissima indole” nella comune deposizione dei testimoni può
avere questa naturale spiegazione 17.
Inoltre, le inclinazioni sue particolari manifestate nella
fanciullezza si rivelano insolite, se non rare. Non cerca i balocchi, non
ama i sollazzi rumorosi, sembra persino sfuggire la compagnia dei
fratellini. “Vedevasi invece la bambina raccogliersi da sola in qualche
angolo del palazzo paterno tutta intenta a sfogliare libri di pietà, a
rimirare devote immagini. E quando era condotta in chiesa o invitata
alla preghiera nonché mostrar ritrosia (come spesso accade nei
fanciulli) si vedeva tutta giuliva in volto, tanto che destava stupore;
né era di minor meraviglia la sua contentezza nel fermarsi
17
Proc. Ap. Suppl. N. III, paragr. 57.
Biografie
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opera omnia
lungamente nella casa di Dio ed il fervore col quale trascorreva quel
tempo... 18.
Ed ancora: “Era notevole per la sua devozione e per l'amore al
ritiro ed alla chiesa; quando la cameriera ve la conduceva, anche se
lasciata a lungo sola, se ne stava composta ed a mani giunte, gli occhi
fissi al tabernacolo ed alla Madonna. Richiamata dalla cameriera si
moveva subito” 19.
Un altro teste aggiunge: “Sin dalla tenera età dimostrava
inclinazione alle opere di pietà, e tante volte fu trovata inginocchiata
innanzi a qualche immagine sacra” 20.
Sì belle disposizioni non possono attribuirsi se non alle mozioni
interne dello spirito Santo il quale sostituisce nel cuore della fanciulla
all'amore degli svaghi spensierati il trasporto e l'attrazione verso cose
che sono le più serie e le più alte, al disopra di tutte le cose serie
umane. Che una bambina anziché intrattenersi con i compagni d'età e
di trastulli preferisca starsene sola a recitar preghiere; anziché
sollazzarsi con balocchi e bambole le piaccia rimirare a lungo
immagini sacre, ciò indica una speciale inclinazione a tali cose, in cui
il soffermarsi riesce difficile anche agli adulti; ciò dice che la
consuetudine con Dio la interessa più di ogni altra cosa; anzi, sembra
che Egli già parli al suo piccolo cuore e le sacre immagini par che
dicano alla sua intelligenza assai più che non tutte le impressioni che
possano lasciarvi le altre cose; e di ciò ella è contenta si quieta e si
mostra felice. Tutto questo è sorprendente.
Gli atti riflessi che sono sempre legati all'azione o reazione
dell'anima per uniformarsi alla legge superiore per piegarsi alla
disciplina educatrice di chi la guida tengono la piccola Costanza
sempre vigilante su se stessa, per operare giusto adempiere il dovere
ornarsi di virtù.
Ella sa tanto bene - perché l'esempio vivo dei suoi glielo insegna
più d'ogni parola - che al di sopra del babbo e della mamma, da lei
amati e rispettati, c'è un altro Padre a cui deve la prima obbedienza;
sopra le sanzioni di premio o di castigo - che possono anche eludersi c'è la compiacenza o la riprovazione di Colui che sa leggere persino
nel nostro cuore. Con siffatti principi Costanza non può operare
18
19
20
P. Merati - Biog. Cap. I 10.
Proc. Ap. Suppl. Summ. N. III, paragr. 12.
Proc. Ap. Suppl. Summ. N. III, paragr. 50.
Biografie
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opera omnia
diversamente da quello che tutti vedono. “Nessuno mai osservò in lei
una minima disobbedienza; obbediva persino alla cameriera” 21.
Poi sopravviene l'opera educativa immediata della mamma.
Della perfetta ortodossia dei suoi insegnamenti circa il dovere la virtù
la pietà non c'è da dubitare: i suoi esempi che valgono più degli
insegnamenti ne sono garanzia. Quello che piuttosto in lei sorprende
è la psicologia nel metodo, lo stile adoperato per insegnare. Lo
ripetiamo: il suo è uno stile senza dolcezze, anzi severo spesso duro, e
- questo va sottolineato - usato particolarmente e quasi
esclusivamente con la piccola Costanza. La ragione di tale singolarità
di trattamento non si saprebbe dare. Eppure Costanza è l'ultima
figlia; per tutti ella dovrebbe essere la beniamina; è possibile che non
lo sia proprio per i genitori?
Alcuni vorrebbero attribuire un tal genere di pedagogia al
carattere piuttosto timido della fanciulla che si voleva scuotere; altri
alla sua stessa gracile complessione 22. Ciò non è ammissibile per
l'onore e la stima che abbiamo dei genitori. Se mai, avrebbe dovuto
piegarli a particolare tenerezza verso la piccola innocente e sofferente
creatura.
Comunque sia, per Costanza c'è una disciplina di maggior
rigore: si abitui al patire e al rinunziare alla propria volontà!
I testi che deposero nel Processo Apostolico dicono
chiaramente: “È da notare che Costanza veniva trattata più
severamente dalla madre, a differenza degli altri figli” 23.
“La mia signora madre - confessa la stessa Costanza - mi faceva
molta soggezione, per questo io non osavo accusare i frequenti dolori
che la mia debole costituzione soffriva, perciò alle volte soffrivo
molto senza che altri se ne accorgessero”24. “Essa poi mi diceva - è la
Madre Corti che riferisce - che soffriva molto il freddo, specialmente
ai piedi, tanto che le si formavano delle piaghe profonde; ma essa non
lo manifestava per timidezza e per spirito di mortificazione, essendo
stata educata sin da fanciulletta ed abituata dalla madre a trascurare i
piccoli mali. E sua madre si mostrava più buona con le altre sorelle e
con lei più rigorosa” 25.
21
22
23
24
25
Proc. Ap. Suppl. Summ. N. III, paragr. 12. 40. 41.
Proc. Ap. Suppl. Summ. N. III, paragr. 28.
Proc. Ap. Suppl. Summ. N. III, paragr. 3. 12.
P. Merati - Biografia Cap. I, p. 12.
Proc. Ap. Suppl. Summ. N. III, paragr. 71 - 72.
Biografie
29
opera omnia
Difatti “non le dava mai veruna contentezza, ma l'aveva
assuefatta a tutto” 26.
E Costanza dolcissima docilissima in ogni cosa, non si adontava
mai, obbediva sempre, anche quando il comando le costava assai. Ad
esempio: aveva grande timore di andare da sola per la casa nelle ore
notturne; la prendeva un tremito generale, con tal violento battito di
cuore, che a stento poteva salire le scale; ma quando per qualsiasi
motivo ciò le fosse stato imposto, vinceva la naturale ritrosia e
andava senza far lamento, senza proferire una parola.
Per quanto si sentisse affaticata, o le venissero meno le forze per
la sua delicata complessione, non trasgredì mai l'ordine materno che
vietava di servirsi della domestica nel disbrigo delle faccende a lei
assegnate. Così ella doveva attendere alla pulizia della propria
stanza, rassettare il letto, infine provvedere a se stessa per quanto
riguardava la sua persona 27. Di tutto questo nessuna querela, mai. Il
suo volto composto sempre a sorridente serenità, il tratto affabile e
grazioso con tutti, nascondeva gli sforzi interiori che doveva pur fare
per eseguire sopra le proprie forze gli ordini materni. E non possiamo
dire quanto il suo virtuoso contegno, risultato da tanto interno
rinnegamento la rendessero amabile e cara oltre ogni dire, a tutti: ai
fratelli alle sorelle alle operaie della filanda agli stessi domestici che le
erano affezionatissimi, per vedersi da lei sempre risparmiati,
rispettati al punto che se doveva rivolgersi ad essi per qualche
necessità lo faceva con un tono così umile e modesto che sembrava
richiederli di un favore 28.
Quando sarà avanti nella vita la nostra Costanza, divenuta a
sua volta Madre e responsabile di numerosa famiglia spirituale da
condurre non pure sulla via del dovere ma su quella più ardua della
perfezione, ricorderà con sommo rispetto ed alte lodi i metodi
pedagogici della sua genitrice per riconoscerli ottimi ed efficaci. Alle
sue orfanelle poi, con le quali sarà una tenerissima madre, per vincere
le loro ritrosie ripeterà sorridente e dolce: “Qui ci vorrebbe la mia
signora madre che all'udire i giovani parlar di dolori tagliava corto
dicendo: - Che stomaco, che cuore, che svenimenti! Le giovani non
debbono neppur conoscere in che consistano tutti questi mali”.
Con ciò non vogliamo affermare che i metodi educativi della
contessa Cerioli fossero da approvarsi incondizionatamente; né ci
26
27
28
Proc. Ord. Summ. N. III, paragr. 2.
Proc. Ap. Suppl. Summ. N. III, paragr. 29.
P. Merati. Biogr. Cap. I, pag. 13.
Biografie
30
opera omnia
sentiremmo di sottoscrivere le sue drastiche ricette per guarire tutti i
mali, anche quelli reali, nei suoi giovani figli. Tanto più che
storicamente risulta che Costanza s'era ben avveduta del diverso
trattamento usato e riservato soltanto a lei. Se la sua eroica virtù le ha
fatto dissimulare sotto i più dolci sorrisi e in assoluto silenzio questa
dolorosa constatazione, noi l'ammiriamo. Maggiormente però è
d'ammirarsi quando, uscendo dal suo riserbo ella ne dà la ragione:
escludendo ogni motivo di mal animo o di parzialità; attribuisce il
contegno materno ad una sola inappellabile causa: “era disposizione
della Divina Provvidenza” 29. Queste preziose parole abbiamo voluto
cogliere dallo stesso labbro della santa fanciulla onde i lettori si
persuadano che quanto di penoso e duro andiamo narrando in queste
pagine non è imputabile agli onorandi genitori della bambina: essi
eseguono a puntino un ordine sapientemente amorosamente ispirato.
Tutto è disposizione di Dio! Non potrebbe darsi ragione più
persuasiva e consolante di questa; qualunque altra sarebbe un pietoso
ripiego che non giustificherebbe la madre, e non deporrebbe in favore
della figlia.
E infatti supposta la indiscussa e saggia bontà della contessa,
esclusa assolutamente l'indole bisbetica o difficile - spesso causa
involontaria del soffrire altrui - riconosciuto che il carattere e le virtù
della figlia dovevano se mai provocare un contegno opposto da parte
della madre, non resta che ammettere una ragione la quale trascenda
dai confini umani, e risalga ad una disposizione divina arcana,
incomprensibile a noi in questo momento, ma che sfolgorerà poi nella
sua piena luce di bontà e di amore.
Tutto ciò conferma preventivamente il pronostico già dato e
cioè che Costanza sarà una santa ed una grande santa, perché il
comportamento divino con lei sin dai suoi più teneri anni è quello che
usa coi santi: il modo energico risoluto e forte.
Non è insolito, anzi è stile divino, suscitare intorno ai suoi amici
più buoni e fedeli incomprensioni persecuzioni lotte caratteristiche,
provenienti da persone di cui non si potrebbe mai dubitare, e dalle
quali non potrebbe mai venire tanto incomprensibili opposizioni; da
quel genere di persone cioè, che S. Teresa chiama “le persone
dabbene”. Qui però noi ci troviamo di fronte a un caso del tutto
nuovo. La “persona dabbene” che si oppone alla nostra fanciulla non
è un estraneo, neppure un amico ma il più prossimo il più caro dei
congiunti: la madre. Qui non solo non si danno motivi estrinseci di
29
Proc. Ap. Summ. N. IV, paragr. 7.
Biografie
31
opera omnia
resistenze di difetti o contese; ma è l'opposto che si verifica: Costanza
è una figliuola innocente buona dolcissima degna sopra gli altri
fratelli di riguardi perché malata e di predilezione perché più buona.
Necessariamente dobbiamo inferire che la rigida condotta materna a
suo riguardo non può essere che una permissione di Dio per tutti
gl'inscrutabili scopi che Egli prevede, e da cui seguiranno insospettate
bellezze e grandezze.
Non diciamo che Iddio voglia già cominciare così il lavoro di
cesello in quest'anima tanto tenera di anni che dev'essere ancora
formata alla vita quotidiana e trasformata dalla perfezione più alta
nel chiostro; ciò sarebbe prematuro. Ma che Iddio la inizi così presto
al tirocinio più arduo e duro della vita che l'attende, con sacrifici
prove e sofferenze ardue e dure, sì, ciò è più logico, più spontaneo ed
ammirabile. Senza dir nulla dei meriti che la pia fanciulla va intanto
accumulando per guadagnarsi con le divine compiacenze la effusione
di maggiori e migliori grazie. Questo lo riteniamo per certo,
indiscutibilmente consolante.
E se per caso si fosse domandato alla contessa Cerioli la ragione
di questa sua singolare condotta verso la più buona e la più cara delle
sue figlie, ella - ne siamo sicuri - persuasa di tutte le buone ragioni
sopra esposte, avrebbe risposto coscienziosamente, come era suo stile,
nel modo più semplice e sincero che ella doveva fare così; sentiva che
quella e non diversa doveva essere la educazione da impartirsi alla
sua Costanza. Che la sua pedagogia potesse essere suscettibile di
mitigazione e addolcita l'avrebbe pure concesso; ma che ella compisse
così il suo dovere era per lei indubitabile. E continuerà nel suo
metodo ispirato sino alla fine. Così da un elegante e comune caso di
erronea ma certa coscienza risulta la giustificazione per le “persone
dabbene” che fanno soffrire i santi; e l'amorosa Provvidenza del Cielo
ne trae l'incruento martirio di anime generose destinate ai più alti
vertici della gloria.
Costanza Cerioli ha asceso il primo gradino della scala, della
vita, segnandola dei suoi sacrifici delle sue rinunzie delle sue
dedizioni; ma in cima ad essa troverà il premio proporzionato ai suoi
meriti, degno della munificenza di Chi l'ha invitata a salirla e degna
di lei che ilare e docile l'ha salita.
Biografie
32
opera omnia
CAPITOLO
IV
Gli ausili celesti
A corroborare le eccellenti disposizioni e i virtuosi allenamenti
dell'innocente creatura non mancano che gli ausili celesti, profferti
dalla divina bontà per mezzo dei sacramenti. Conforto indispensabile
a tutti; tanto più alle creature di vivo intelletto e di aperto cuore che
possono soppesarne il valore e l'efficacia, e quindi più acuto e
incontenibile ne sentono il bisogno.
Costanza può catalogarsi in quel genere di anime precoci cui
l'esperienza nel patire dona la sensibilità percettiva dello spirito la
generosità e l'ampiezza del cuore. Queste sue qualità come la fanno
vuotare di quanto possiede di meglio, così esigono che si riempia
dell'ottimo, che si nutra del divino, sia per esser più forte al
combattimento, come per affinare sempre più la propria perfezione, e
per consolarsi ancora. Perché la creatura anche la più generosa e
robusta non resiste ad un esercizio eroico che è fuori del normale,
senza il conforto divino che la sorregga col contatto vivo e vitale della
grazia.
Tale contatto lo stabiliscono i sacramenti di Gesù
tempestivamente amministrati sin dagli albori della vita, a rendere
l'uomo tetragono al male, forte nella lotta e sorridente nel dolore.
Ottenne appena, previe le istruzioni impartite dalla mamma,
Costanza si presenta la prima volta al sacramento della Penitenza.
Nella vita di ogni cristiano, e più dei santi, si sottolinea in genere una
data: la prima Comunione. Tenuto nella doverosa considerazione
questo memorando avvenimento - quando arriverà il suo giorno - per
la nostra Costanza si deve dire in più che la sua prima abluzione nel
lavacro misericordioso della Penitenza, incise non solo una data
indimenticabile nella sua vita, ma segnò l'inizio di un periodo nuovo
Biografie
33
opera omnia
di ascesa spirituale, tanto che ella ne ha avuto sempre presente le
emozioni e le ha ricordate a sé ed agli altri, onde fosse tenuto nel
giusto pregio l'efficacia e la necessità di questo grande mezzo di
salute.
Per la prima confessione di Costanza la contessa madre
impedita dalle cure domestiche affidò la piccina ad una donna
assidua della casa, affinché l'accompagnasse alla chiesa per
l'importante atto. L'anonima accompagnatrice ha detto che Costanza
si accostò a questo Sacramento “così compresa dell'azione che andava
a compiere, e con tali sentimenti, che ella pensò essere stata la
fanciullina guidata in modo particolare dallo Spirito di Dio”30.
Altri disse: “Costanza si accostò al sacramento della Penitenza
.
ed ha pianto per il dolore dei suoi peccati”31 Un terzo testimonio
riferisce: “All'età di otto anni fu ammessa per la prima volta al
sacramento della Penitenza, cui si accostò con tali sentimenti di
umiltà e di dolore da meravigliare gli stessi familiari, i quali non
sapevano rendersi conto come mai una bambina così docile
32
obbediente e modesta potesse sentirsi gravata di colpa” .
I testimoni non presero abbaglio sul fatto delle lacrime; forse
non ne compresero l'alta misteriosa fonte. Costanza ha sentito così
vivo dolore che pianse. Non è a pensare ad un temperamento
scrupoloso. D'intelligenza aperta qual era, e sodamente istruita nelle
verità religiose, non poteva avere ansie o dubbi di sorta. Le sue
lacrime erompono da altra sorgente; sin d'allora concepì questo
sacramento quale esso è nella sua istituzione e nei suoi effetti: un
fiume misericordioso a cui ci si deve accostare con amore e con gioia,
più che tremando. Con amore verso il divino Autore che lo trasse dal
proprio seno ad irrorare e purificare le anime dei suoi figli; con amore
verso noi stessi perché lavati da quest'onda santissima, costituita dal
Sangue Prezioso di Gesù, noi peccatori ci rinnoviamo e ci abbelliamo
tanto da attrarre le divine compiacenze sopra la nostra miseria. I
santi, poi, innocenti e puri quali sono -, e la nostra Costanza per la sua
età e virtù non poteva rimproverarsi veruna colpa grave - se
piangono nell'accostarsi a questo Sacramento, lo fanno con vero
motivo: in proporzione cioè di quanto essi conoscono delle bellezze e
perfezioni divine, al cui riflesso una colpa veniale è enorme
deformità; in proporzione della copia delle grazie ricevute, per le
30
31
32
P. Merati. Biografia Cap. I, paragr. 10.
Proc. Ap. Suppl. Summ. N. III, paragr. 12.
Proc. Ap. Suppl. Summ. N. III, paragr. 27.
Biografie
34
opera omnia
quali essi dovrebbero ardere di pura carità, invece hanno osato
offendere - sia pure venialmente - una bontà infinita.
Per questo ha pianto Costanza Cerioli a otto anni sui gradini del
confessionale, proprio come vi cadde in deliquio di dolore il suo
quasi coetaneo l'angelico Luigi Gonzaga. Ma ha pianto anche di
contento - come ella dirà -. Bisogna ben crederlo: questa fanciulletta è
già molto innanzi nella comprensione dell'amor di Dio.
La compunzione e il dolore nel suo spirito non prevalsero mai
sulla confidenza e la gioia, perché sapeva bene a qual Cuore ella si
accostava: la stessa sorgente della clemenza e della pietà. I suoi
sentimenti di quel giorno furono i sentimenti di tutta la vita, ed ogni
volta che si accosterà a questo Sacramento, dirà a chi l'accompagna:
“Quando vado al confessionale mi sento tanta confidenza nella
grande bontà di Dio; m'immagino di essere sul monte Calvario vicino
a Maria Addolorata, e qui, prostrata ai piedi della santa Croce, che
ancor gronda sangue del mio Salvatore, confesso i miei peccati; e
quando parla il confessore mi immagino che Dio stesso dalla Croce
mi parli; nel mentre poi mi assolve, oh! allora dico: Ecco il Sangue
preziosissimo che si versa sull'anima mia, e perciò ne provo tanto
contento, che mi sembra di volare, e sento che ho più lena per
33
cominciare a far bene” .
Dalla data della prima confessione prese l'abitudine di
confessarsi ogni settimana; e quando arriverà quel turno, le si vedrà
in volto un'insolita letizia, e si udirà ripetere costantemente: “Oggi è
giorno di confessione, dobbiamo gioire perché oggi è buono il
Signore! che grazia è mai stata l'istituzione di questo Sacramento, ove
34
ci si riconcilia con Dio e si purifica l'anima” .
Insegnerà poi alle sue religiose ad apparecchiarvi degnamente
le orfanelle, “senza scrupoli e senza vani timori” ma a far conoscere
sempre meglio la bontà misericordiosa del Signore. Il suo zelo la
porterà sino a stendere un piccolo opuscolo dal titolo: “Modo di
apparecchiare le ragazze alla confessione” un trattatello piano e
pratico che rivela tutta la profonda e viva penetrazione che ella ebbe
35
della divina Bontà in questo Sacramento! .
Verosimilmente, a poca distanza dalla prima confessione,
vennero la Cresima e la prima Comunione. Le date ci mancano; però
le supponiamo vicine; benché l'uso del tempo fosse di eccessivo
33
34
35
Proc. Ap. Suppl. Summ. Vita paragr. 281. 282.
Proc. Ap. Suppl. Summ. Vita paragr. 308. 380.
Proc. Ap. Summ. Vita paragr. 300.
Biografie
35
opera omnia
rigore a riguardo della comunione. Intorno ai dieci anni Costanza
Cerioli - è certo - ha ospitato la prima volta Gesù nel suo cuore. In
quel giorno toccò il cielo per la gioia. Con quale anelito si preparò alla
prima festa dell'anima! Una diligente preparazione catechistica, un
austero raccoglimento, un industrioso abbellirsi di atti virtuosi
generosi, di sacrifici insomma per rendere più ricca e lieta la dimora
all'Ospite desideratissimo. E come esultò alla venuta del suo Signore!
Ecco una testimonianza: “Quando alla prima Comunione so che vi si
preparò ed accostò con pietà straordinaria. Fu ammirata al suo
ritorno dall'altare con le mani incrociate sul petto tutta compresa di
quel che vi stringeva... pareva un angelo!... e tutto il giorno se ne
stette ritirata e raccolta... le mamme stesse in quell'occasione
36
additavano la contessina ad esempio ai loro figliuoli” .
Alla buona confidente M. Luigia Corti, più tardi assai ricorderà
37
la celeste consolazione di quel giorno, e la definirà “straordinaria” .
Alle consolazioni interiori e straordinarie si proporzioneranno
infatti gli effetti esterni, pur così commoventi e a tutti visibili.
La pietà la virtù ne ebbero tale impulso da salire ad un grado
veramente alto. A proposito della prima e delle seguenti comunioni
c'è un dettaglio degno di nota, indice luminoso della comprensione
spirituale della figliuola.
Parecchi testimoni riferiscono che in quel giorno di ritorno dalla
chiesa, - altri dicono tutti i giorni che faceva la comunione - la
contessa madre a completare la gioia gustata all'altare, aveva
preparato una buona colazione in cui - fuori del consueto - era servito
del caffè e cioccolato. Costanza nel suo candido vestimento di neo comunicata, giunta dinanzi a questo secondo banchetto, sempre
attrazione dei piccoli per le ghiottonerie che presenta, chiede con bel
garbo alla signora madre di esserne dispensata, preferendo offrire
subito a Gesù quel piccolo sacrificio, e ritirarsi nella propria camera a
protrarre le delizie del suo colloquio con Lui. Così delicato squisito
pensiero non fu soltanto l'offerta della prima Comunione, ma il dono
consueto di tutti i giorni in cui le verrà concesso di accostarsi al
banchetto eucaristico. Saranno pochi quei giorni - secondo l'uso del
tempo -; ma ella li contrassegnerà tutti di questa particolare
attenzione: quasi che il gusto del Pane Celeste attutisse in lei il
desiderio del pane d'ogni giorno; saltava assolutamente la colazione e
36
37
Proc. Ap. Summ. Vita paragr. 30 e 31.
Proc. Ap. Suppl. Summ. N. III, p. 70.
Biografie
36
opera omnia
si ritirava da sola a sola col divino Ospite38. Il suo ritiro si protraeva
tanto, sino al possibile concessole dalle abituali occupazioni volute
dalla mamma; le altre non necessarie o di puro svago eran contratte o
soppresse completamente per concedersi tutta a Gesù.
Difatti Costanza negli altri giorni si recava volentieri alla
filanda del babbo, contigua al palazzo, per parlare di cose edificanti
alle giovani operaie; e queste avevano imparato a distinguere i giorni
di comunione per la contessina, perché in quel giorno non la
39
vedevano in mezzo a loro .
Da tutto ciò viene spontaneo il pensare che la Vittima
eucaristica le abbia additato tra le vie belle della perfezione quella
regale e sicura del sacrificio. La sua sosta - sia pure ebdomadaria - al
sacro banchetto è per lei condizione di vita; e protrarne le ineffabili
dolcezze nel ritiro e nella mortificazione è portare il paradiso in
mezzo alle quotidiane occupazioni, tra le piccole ma acute spine delle
pene che già soffre nell'anima nel cuore, pur trascurando quelle non
trascurabili della malferma salute.
Sentiva e presentiva la pia fanciulla che tutti i suoi giorni
avvenire si sarebbero modellati su questi, e che il suo cammino nella
vita sarebbe stato ancora lungo arduo doloroso; ma anche bello,
desiderabile, perché fecondo di bene di meriti soprattutto di gioia e di
gloria per l'adorato Signore dell'anima sua.
Di più si deve aggiungere che è un segno certo di
predestinazione e grande fattore di sanità la vita eucaristica, vale a
dire, la fame di Dio umiliato e annientato dall'amore sotto i bianchi
veli del Sacramento, quindi la comprensione e la conformazione della
vita umana a quella umile silente obbediente paziente del divino
Prigioniero dell'altare.
Oh! come tutto ciò rapisce il piccolo e generoso cuore di
Costanza! Ella già sente che quella vita e quelle virtù si attagliano alle
sue aspirazioni di oggi, che saranno pure quelle di domani, quando
Iddio paternamente buono la condurrà, ed ella docile lo seguirà
dovunque Egli voglia, attraverso tutte le vie più penose più
indesiderate, purché in lei si compia il divino volere ed ella colga il
merito di tante distinte virtù.
Sul momento la fanciulla ha bisogno di crescere; deve
irrobustire ancora, e prepararsi forte e resistente agli ardui doveri
futuri.
38
39
Proc. Ap. Suppl. N. III, paragr. 12.
Proc. Ap. Suppl. N. III, paragr. 59. 70.
Biografie
37
opera omnia
E difatti la sua forza di resistenza per accettare le decisioni
paterne - espressione fedelissima dei voleri di Dio -, la sua sufficienza
a sostenere doveri nuovi e precisi, assurdi per la sua indole,
inconciliabili con i suoi ideali, la ripeterà sempre dall'Eucarestia: le
sue armi si forbiranno alla fiamma divina di questa fornace, le sue
virtù si nutriranno di questo unico Pane alimento dei forti dei grandi.
Per completare la storia di Costanza in questo momento della
sua adolescenza dobbiamo aggiungere soltanto che i suoi genitori,
come per tutto il resto, si preoccupano tempestivamente della
educazione intellettuale di lei. Secondo che portano i tempi e gli usi
delle nobili famiglie, ella riceve in casa le prime lezioni di
grammatica, aritmetica e qualche nozione di storia, prevalentemente
sacra. Applicata allo studio metodico ella conferma gli ottimi
pronostici formulati per lei sin dai primi anni.
Ha un ingegno forte memoria vivida e pronta facile
penetrazione delle cose, ed a completamento di tutto un gusto
finissimo per quelle che son più alte e più belle, quali la poesia e le
arti di facile intuizione ai cuori innocenti e puri.
La vita di consuetudine con la campagna - patrimonio e dimora
preferita dei Cerioli - hanno perfezionato estremamente il suo gusto
di esteta, soprattutto il suo anelito di santa. “I divini silenzi dei verdi
piani” inondati di messi d'oro o meravigliose viti coltivate a spalliera
commuovono profondamente il suo spirito e la impennano verso il
cielo per risalire alla contemplazione della bellezza creatrice della
bontà benefica della ricchezza inesausta di Colui che col perenne
ritorno delle stagioni torna ad inondare la terra dei suoi doni in
gaudio delle sue creature. E che dire poi delle divine effusioni sulle
anime, di quelle in caduche ricchezze non consuntibili con l'uso, né
corruttibili col tempo, che eternamente rimangono per la vita e per la
gioia eterna? Tutto questo, dunque, e dell'altro ancora più grandioso
e prezioso, che a noi sfugge, fanno presagire gli ottimi successi di
Costanza negli studi appena iniziati.
Fu presto deciso che la fanciulla al varco dei due lustri sarebbe
stata affidata per una migliore educazione al monastero delle
Visitandine di Alzano, ottimo sotto ogni rispetto per garantire il più
felice successo.
Anche in questo i coniugi eseguiranno inconsapevolmente, ma
certamente, un altro mandato del Cielo.
La terra calda e custodita della Visitazione costituisce negli
adorabili disegni divini, non soltanto un ritiro dalla vita del mondo
prima di rimandarla ad esso nello stato coniugale, ma il noviziato
Biografie
38
opera omnia
precoce e anticipato allo stato finale quello cioè religioso a cui la santa
creatura dovrà arrestarsi come posta ultima della sua vita, ove
ricapitolando le esperienze e le virtù accumulate negli stati
antecedenti ridarà a Dio tutta la gloria aspettata, nella santità
personale, nel più prezioso apostolato di perfezione religiosa e di
benefica carità per tante anime.
Intanto il maestro che il Cielo le assegna questo noviziato è il
più illustre e sicuro per dottrina pedagogica, il più pratico ed amabile
per dolcezza di spirito, il più armonioso e desiderabile allo spirito di
Costanza: S. Francesco di Sales nella sua scuola di Alzano Maggiore.
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opera omnia
Biografie
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opera omnia
CAPITOLO
V
Il piccolo Angelo della carità
Prima di lasciare la casa paterna di Soncino ed accompagnare il
piccolo fiore d'innocenza e di bontà alla serra della Visitazione, va
segnalata un'altra eccellente disposizione di lei; disposizione che,
infine, darà il tono a tutta la sua vita: questa segnalazione sarà come
l'ultimo complemento a finire la mirabile adolescenza di questa
creatura.
Tutte le doti di mente e di spirito la sua pietà la sua bella
mortificazione accumulavano - senza dirlo - grande riserve di virtù,
accendevano ogni giorno più l'amore nel cuore della fanciulla.
L'amore come la bontà è di sua natura diffusivo, e quando rigurgita
nel cuore deve traboccare spandersi in due modi opposti ma sincroni,
salendo verso Dio discendendo verso il prossimo.
Il primo sbocco naturale immediato di questo amore
discendente per la piccola Costanza fu nel campo domestico prima,
poi subito su i prediletti del suo cuore i poveri i sofferenti i più cari
amici di Dio.
Ottimo elemento pedagogico è il senso e la pratica della carità
cristiana. Lo dicono i buoni frutti che da essa colgono non più i
beneficati quanto il benefattore. Tempestivamente discretamente
insegnata essa educa i giovani ad uscir di se stessi, dal cerchio chiuso
dell'egoismo, per andare verso i propri fratelli i più prossimi o
lontani.
Il senso dell'esercizio della genuina carità di Cristo, ben distinta
dalla boriosa e interessata beneficenza dei farisei, va intesa ed attuata
nella sua portata essenziale come Gesù la insegnò e la praticò. La vera
carità - sinonimo d'amore - deve radicarsi e procedere da un
profondo senso d'umiltà, che infine è concreta solidarietà fraterna con
Biografie
41
opera omnia
tutto il prossimo senza eccezioni o preferenze. Per cui il ricco sapendo
quanto v'ha di suo nella privilegiata condizione non si fa da più
dell'indigente; il sano che constata l'effimera incertezza della propria
salute, non deprime l'infermo; il dotto che sa di saper nulla in
confronto dello scibile, non umilia l'indotto; il grande che vede su
quale fragile impalcatura d'apparenze si regge il proprio credito, non
schiaccia il suddito. Il cuore sinceramente caritatevole è un cuore
fraterno che si pone, non al livello, ma al disotto del proprio fratello,
non è da demerito; ma tutto proviene dalla liberale e misericordiosa
disposizione divina che dal contrasto e dalle dissonanze sociali trae
armonie sublimi di virtù e di meriti, e dallo scompenso delle
disuguaglianze umane trae quell'amore universale che è riflesso
dell'amore eterno e beatifico che ci livellerà tutti in cielo.
E dove si potessero contare meriti o demeriti in chi gode e in chi
soffre, sempre la carità cristiana impone quel senso di generosità che
non è altezzoso compatimento ma vera affettuosa comprensione della
comune origine, del comune soffrire, del comune destino riservato a
tutti.
La carità, infine, deve attingere e modellarsi dal Cuore divino
abisso d'ogni virtù e ricchezza, eppure mite ed umile come è centro
della misericordia infinita per tutti i mali e tutti i peccatori.
Ci si perdoni il prolegomeno intorno alla genuina carità; ma lo
abbiamo creduto necessario per fare ammirare nel cuore di Costanza i
moti e i gesti di una sua virtù che sviluppando con gli anni si
estenderà sulla sua esistenza si da divenire regina di tutte le altre, e
dominatrice assoluta - senza rivali - di tutta la sua vita.
Ed in lei bambina è già tanto alta da farla rassomigliare ad un
angelo.
Da eccellenti maestri ha appreso e penetrato subito la teoria
della carità per tradurla in atto con tanta disinvoltura ed altrettanta
perfezione. Non si esagera affermando che Costanza ha assimilato le
sue intuizioni di carità col latte materno, e che queste crebbero col
crescere dei suoi anni, rafforzate ognor più dalle mozioni interiori
dello Spirito che è per essenza amore.
Dicevamo in principio del nostro lavoro che la carità era alta e
nobile tradizione di casa Cerioli ed il più bell'ornamento della
contessa madre.
Doverosamente quindi, per debito di stretta giustizia dobbiamo
riconoscere che l'ultima sua figlia destinata da Dio ad illustrare con
commenti nuovi la carità, come è frutto è pure il più bel premio della
materna educazione.
Biografie
42
opera omnia
Se la contessa Cerioli nella borgata di Soncino e dintorni è
chiamata “la madre dei poveri”; la piccola, inseparabile in ogni opera
di bene, deve dirsi - per ora in ragione dell'età - la sorella dei poveri,
in avvenire la diremo con la voce di tutti “l'angelo dei poveri”.
Qui pertanto noi intendiamo dare i cenni della sua carità, la
nota fondamentale che innalzandosi e diffondendosi diverrà una
solenne sinfonia di bontà generosa prodiga illimitata.
Ritorniamo subito col pensiero alla prima carità esercitata dalla
piccola Costanza nella cerchia domestica, con la servitù con i fratelli
verso i genitori.
Il suo contegno di bontà ilare espansiva affettuosa con i fratelli
e sorelle, tutti a lei maggiori di età, la rendono deliziosamente cara.
Né si può dire che anche tra essi a volte non cadessero intermezzi di
liti e contese, effetto di bizze e capricci; ma si conchiudeva sempre
con un finale obbligato: grandi abbracci e riconciliazioni. E questo ad
opera della più piccina, la quale mentre contro l'uso comune, proprio
perché l'ultima, poteva reclamare il diritto di vincitrice, era lei che
cedeva per prima e proponeva l'armistizio preparando così le vie
della pace. Tenero preludio infantile a fatti più severi e più gravi. Un
giorno le diranno: “Non sa, signora, che lei ha dei nemici che le fanno
guerra?” Ed ella, abituata da bambina alla strategia dell'amore,
risponderà: “Ditemi chi sono, che vado subito a far con loro la
40
pace” .
Con i domestici e le operaie della filanda paterna è un modello
di garbatezza. Il suo tratto non affabile ma umile dimesso in tono di
preghiera, domanda non comanda a quelle creature, buone o
difettose che siano, ma pur sempre in Dio sorelle. Anch'esse hanno
diritto al suo amore, ai suoi riguardi, tanto più doverosi quanto meno
di lei sono privilegiate. Ella, senza suo merito, è nata in una nobile
casa colma di agi e privilegi, quelle invece, senza alcun demerito,
debbono chiedere ad un lavoro di soggezione e di fatica il
sostentamento e la vita. Divina bontà e misericordia del Cielo! Non
poteva esser disposto diversamente, o semplicemente tutto
capovolto? Ecco le disposizioni di Costanza e la traduzione in atto di
esse: risparmiare i domestici nelle loro fatiche; alleviarli dei loro pesi,
o se del caso, aiutarli a sostenerli; consolarli con parole di fede di
gentilezza di bontà, figlie sempre di umile sentire, e non di
convenzionale urbanità; regalarli delle piccole cose di cui può
disporre, per dire tutto il suo amore tutta la sua riconoscenza verso di
40
Proc. Ap. Suppl. Summ. N. XIII, paragr. 40.
Biografie
43
opera omnia
essi. E quanto l'amassero di ritorno i domestici e le operaie è cosa già
nota che non vogliamo ripetere.
Infine le sue relazioni con i genitori sono relazioni di rispettoso
e confidente amore. Sembrerebbe fuori luogo mettere qui tra figlia e
genitori la parola carità. Si dice “l'amore discende, non risale mai”.
Eppure in grazia delle singolari disposizioni del Cielo e per la virtù
distinta di questa creatura, qui è proprio il caso di dire che la carità di
Costanza Cerioli, nobilmente e generosamente risale sino ai suoi
genitori.
Sappiamo abbastanza del trattamento - umanamente
incomprensibile - della contessa verso l'ultima figlia. Oltreché
incomprensibile singolare, perché riservato soltanto per questa. La
virtuosa fanciulla che è di vivido ingegno e di criterio ben equilibrato,
s'è avveduta di tutto ed ha proferito il giusto giudizio. Un giudizio
maturato dalla carità. Non prende per questo le pose della vittima
immalinconita per invocar pietà; né è imbronciata o irriverente coi
genitori, non gelosa o stizzosa con i fratelli; ma serena umile
rassegnata; ella ragiona giustifica; non compatisce perché non può
essere da tanto una fanciulla; ma spiega il fatto a se stessa, soltanto a
se stessa, perché mai con nessuno allora parlò. Per quietare le naturali
rivolte dell'amor proprio offeso dell'affetto filiale ferito si persuade
che tutto è permesso da Dio per la espiazione dei suoi peccati; tutto è
per esercitarla nel rinnegamento di se stessa; per darle occasione di
meriti; infine è suo dovere accettare sommessa la volontà di Dio
41
perché è proprio Lui che vuole così .
Questo eroico spirito di carità esercitato nel chiuso della
famiglia, quando uscirà fuori della casa prenderà gli aspetti più belli e
più interessanti, quali può presentarli sempre la beneficenza; ma qui
intanto sono singolarmente commoventi perché esibiti da una
fanciulla che tocca appena i dieci anni.
Sulla porta del palazzo ai tuguri dei poveri presso i coloni
infermi dipendenti dal babbo, Costanza risplende per bontà di gesti
dolcezza di parole.
Dopo la chiesa le visite più care e gioconde al suo cuore sono le
visite di carità. La signora contessa ha notato con materna
compiacenza questo accentuato trasporto della figlia, e l'ha
assecondato sempre, anzi lo premia associandola alle sante
peregrinazioni che da una casa all'altra va facendo quasi
quotidianamente per portare conforti spirituali e materiali ai poveri ai
41
Proc. Ap. Suppl. Summ. N. III, paragr. 7.
Biografie
44
opera omnia
sofferenti. Il senso dell'emulazione va sempre più acuendosi nello
spirito di Costanza, ed ella ripete i gesti le parole della mamma
aggiungendovi di suo sorrisi e parole di angelo.
Questo, per ora, è tutto l'apporto che può dare alla sua carità;
per il resto ella dipende dalla mamma; cioè i soccorsi materiali non li
può provvedere o determinar lei; comunque c'è nel suo animo la
santa impazienza della prodigalità, vorrebbe dar tutto secondo i
bisogni e le richieste, ma deve trattenersi limitarsi a ciò che le è
consentito. Se sulle piccole cose sui ninnoli le leccornie regalatele
spesso ella ha il pieno dominio, pure queste può dirsi che non siano
sue perché presto passano nelle mani dei poverelli. Quando alla porta
del palazzo si accostano i mendicanti a domandare un soccorso,
Costanza è la prima ad accorrere ad accoglierli, e vola ad interessare i
suoi o i servi del caso pietoso e li prega che esaudiscano generosi e
solleciti la richiesta del meschino.
Se poi ella stessa può porgere con le sue mani il dono magari
frutto di una mortificazione allora la felicità tocca il vertice.
Dicono i testimoni che Costanza era assai restia a domandare
per sé; per i poverelli invece pregava insisteva importunava ad
ottenere qualche cosa. La gioia di veder felice un tapino vale la pena
di una ripulsa, e meglio, il piccolo dolore di sentirsi dire “seccante!”
Ne avrà il suo premio bellissimo.
Iddio, che ama d'esser pregato e importunato, accoglierà
esaudirà gli slanci generosi di questa piccola “seccante” per amore
dei poveri; un giorno metterà a disposizione del suo prodigo cuore
vaste sostanze e pingui eredità, ove le sue mani benedette
affonderanno per distribuire largamente pane e pace ad innumerevoli
creature.
Sul momento ella deve continuare il tirocinio di semplice
apprendista della carità, e muovere sollecita i passi verso le ulteriori
tappe della vita tutte segnate e stabilite dalla Provvidenza per lei.
La prima - come dicemmo - sarà il collegio della Visitazione in
Alzano Maggiore.
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opera omnia
Biografie
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opera omnia
CAPITOLO
VI
Nella serra di S. Francesco di Sales
La prima influenza spirituale incisa nell'anima di Costanza
Cerioli - che poi si rivelerà in toni singolari di Temperamento e virtù fu certo quella di S. Francesco di Sales attraverso l'educazione nel
42
collegio di Alzano Maggiore .
La pedagogia della Visitazione allora era assai nota in
Lombardia e giustamente apprezzata. I collegi di Salò, Arona,
Milano, Brescia, Alzano aprivano le porte al fiore dell'aristocrazia
lombarda, e con gl'istituti delle Orsoline rappresentavano i migliori
centri di educazione per la gioventù femminile.
Il collegio di Alzano - che c'interessa - vantava ai giorni di
Costanza, quasi un secolo di vita ed una bella storia. Esso nacque
inserendosi leggiadramente alla storia dell'Ordine serafico, proprio
come un felice innesto della dolcezza salesiana ai rigori
dell'osservanza francescana, avvenuto nel 1737 con uno dei tre rami
delle famiglie serafiche ivi esistenti.
“Ab antiquo” tre case e tre famiglie dell'Ordine fiorirono in
Alzano. Il convento dei Padri detto di S. Maria della Pace, sorto nel
1520.
Il monastero delle Terziarie, detto dell'Immacolata Concezione,
con la chiesa omonima fondato nel 1650. Infine contiguo a questo il
monastero detto Conservatorio, o Collegio delle Vergini velate, con la
chiesa dei SS. Angeli e Carlo, fondato verso il 1536: era sotto la
giurisdizione del vescovo di Bergamo e vi si osservava la Regola del
Terz'Ordine serafico.
42
Oggi: Alzano Lombardo.
Biografie
47
opera omnia
Nell'anno 1737, per le condizioni interne del monastero il
vescovo Antonio Redetti propose a quest'ultima comunità di
abbracciare definitivamente la piena osservanza del prim'Ordine. Nel
timore di non potersi adattare ai rigori francescani le religiose
preferiscono la migliore proposta di sottomettersi ad una Regola più
mite. Fu segnalata quella di S. Francesco di Sales. La scelta piacque al
vescovo che avanzò subito richiesta alla Visitazione di Arona sul
Lago Maggiore d'inviare alcune Madri per allenare ed assorbire nella
loro santa vita la comunità francescana dei SS. Angeli e Carlo di
Alzano.
Furono designate a questo le Madri Teresa Rosalia Fenaroli,
Cristina Visconti d'Aragona, e Suor Angela Francesca Silvia. Nella
solennità dell'Annunciazione del 1737 con grande giubilo e pompa come portava il fasto del settecento - vennero ad instaurarvi
l'osservanza della Regola salesiana.
Le altre due famiglie francescane in seguito furono soppresse
dalla rivoluzione francese nel 1810; mentre il monastero salesiano, in
grazia appunto dell'educazione che vi aprì, continuò a fiorire
sopravvive ai nostri giorni.
“Il monastero dei SS. Angeli e Carlo - prendiamo le note da un
antico documento - si trova sulla via che tuttora si dice “via delle
Salesiane”, dalla quale si accede ad esso per un lungo e spazioso
viale. È situato nella parte alta di Alzano verso le colline vicino alla
seriola. Il devoto tempio dei SS. Angeli e Carlo chiudendosi in mezzo,
per quanto è larga la facciata della chiesa, stende due muri a guisa di
braccia protese in avanti, l'uno che dalla destra cinge il gran giardino
del monastero, l'altro che dalla sinistra si unisce col muro del
monastero francescano dell'Immacolata Concezione; e l'uno e l'altro
vanno per diretta via a terminare sulla pubblica strada. Scorre
placidamente a piè del sinistro muro un ruscello (il Rino) che
passando per mezzo il monastero e sortendo per sotterraneo canale
presso la porta laterale, e poi sotto la pubblica strada, nuovamente si
43
nasconde” .
Due note di rilievo dobbiam fare all'ingresso di Costanza, in
questo collegio. La prima: la simultanea dimora in un vicino collegio
visitandino - quello di Brescia - di un'altra anima predestinata,
conterranea e coetanea della Nostra, la nobile Maria De Rosa, futura
fondatrice delle Ancelle della Carità, ascesa alla gloria degli altari. La
43
Notizie desunte dal “Numero Unico” celebrativo del II Centenario della
Fondazione del Monastero della Visitazione di Alzano Lombardo (1737. 1937).
Biografie
48
opera omnia
seconda nota - più interessante - è che lo stesso collegio di Brescia non
era che una recentissima fondazione fatta nel 1818 da due illustri
religiose del collegio di Alzano, le sorelle germane Francesca Margherita e Antonia - Felice Bisleri. È logico pensare: se le due
fondatrici figlie della Visitazione d'Alzano - e bisogna crederle scelte
tra le migliori - hanno saputo in Brescia educare alla santità un'anima
eletta quale era la Madre De Rosa; che dovremo dire delle maestre di
Costanza rimaste nell'alveare a proseguire la tradizione pedagogica
dell'Istituto?
Per dare al lettore un'idea completa e al possibile rapida di
questa pedagogia, riportiamo un bel passaggio, espressivo ed esatto,
dato dal biografo della stessa beata Maria Crocefissa De Rosa, intorno
44
alla vita del collegio di Brescia che è l'esemplare per tutti gli altri .
L'ordine della Visitazione fondato sugl'inizi del 1600 da S.
Francesco di Sales e da Santa Giovanna Francesca de Chantal aveva
una missione tutta propria, ma non quella di educare la gioventù;
però circostanze ed esigenze di tempi imposero anche questo
programma. I due santi Fondatori dicono e scrivono: “Iddio non ha
scelto il nostro Istituto per l'educazione delle zitelle, ma per la
perfezione delle donne e delle donzelle”. Non formazione dunque ma
perfezione. Tuttavia il santo Fondatore non fu rigido ed assoluto
nell'escludere le fanciulle dai suoi monasteri; permise che alcune vi
venissero educate ma ne limitò il numero, volle che fossero di distinte
famiglie e che avessero tendenza alla vita religiosa; poi l'età e la
riuscita avrebbero determinato la vocazione. Le educande ammesse
portavano una veste nera lunga attagliata alla vita, accollata con
maniche alquanto ampie con un collettino bianco un piccolo candido
velo e i capelli sciolti, tenuti fermi dietro il capo da un nastro.
Queste monachine in erba facevan ricreazione con le suore,
salmeggiavano con esse, osservavano i silenzi regolari, tenevano gli
occhi bassi in coro e in refettorio... venivano chiamate: le suore del
piccolo abito. Verso i diciotto anni, se la vocazione era stata definita e
lo Sposo divino le chiamava, entravano in noviziato; diversamente
tornavano in famiglia.
Le monachine aprirono la strada alle educande.
Nei monasteri salesiani in Lombardia del primo ottocento il
numero delle educande era limitato. Il lavoro di educazione quindi si
poteva dire strettamente personale fine paziente. Della “signorina
educanda” come era chiamata, si voleva fare una dama perfetta di
44
Sac. Dott. Luigi Fossati. “La Beata M. Crocifissa de Rosa” Cap. V, pag. 56.
Biografie
49
opera omnia
famiglia e di società. A questo serviva magnificamente lo spirito il
magistero di S. Francesco di Sales, il quale non ha scritto di proposito
intorno all'educazione ma ha manifestato il suo pensiero all'aureo
libretto universalmente noto sotto il titolo “La Filotea” ossia
“L'introduzione alla vita devota” che vale moltissimi trattati di
pedagogia. “È mia intenzione - dice il santo Dottore - di ammaestrare
quelli che vivono nelle città negli affari nella corte e che per la loro
45
condizione sono costretti a fare una vita comune” .
“La devozione deve essere praticata in modo diverso dai
gentiluomini dagli artigiani dai servitori dai principi dalle vedove
dalle zitelle e dalle maritate; né solo ciò ma conviene adattarne la
46
pratica alle forze agli affari e ai doveri di ciascuno in particolare” .
La “Filotea” divenne così per circa tre secoli il codice di vita
spirituale di chi vive nel mondo, e la base di tutto il sistema educativo
in uso alla Visitazione. Nulla di straordinario di eccentrico di cupo in
questo metodo; tutto è condotto con soavità con finezza con gusto: si
bada all'ornamento dell'anima e anche al decoro del corpo; si
escludono le forti austerità ma si cerca una profonda serietà
spirituale; non si rinnega il mondo ma lo si riconduce alla sua
funzione di mezzo; si loda l'amicizia spirituale ma si mette in guardia
dagli amori profani; combatte la dissipazione e la leggerezza ma dà il
bando all'inquietudine ed alla tristezza.
L'educanda entra in monastero a dieci o dodici anni e ne esce a
diciotto, i parenti conoscenti visitano la loro cara alle inferriate dei
parlatori. Da quelle grate grosse come quelle di una prigione si
affacciano giovinette sorridenti gioiose con la serenità negli occhi.
Al di là di quelle in penombra si estendono vaghi giardini orti e
frutteti odoranti, racchiusi da porticati e verande sulle quali si aprono
le linde stanzette delle monache e delle buone fanciulle. E
dappertutto sole e silenzio; il sole folgorato dal cielo; il silenzio
protetto dalle alte mura che circondano il sacro castello di Dio.
Il raccoglimento è interrotto dalle campane della piccola torre
dalle voci argentine delle educande in ricreazione, e dalla salmodia
lenta della monache. La ragazza non esce mai di là nemmeno per una
breve gita. Però dopo la metà dell'ottocento si aprì la porta del
monastero, e madre e figlia, rispettando la linea di demarcazione
claustrale, si salutavano e si baciavano. Ma da quella porta aperta
45
46
S. Francesco di Sales “Filotea” ossia “L'introduzione alla vita devota” proemio.
Ibid. Cap. II.
Biografie
50
opera omnia
seguendo gl'istinti di libertà dell'epoca le educande entravano ed
uscivano.
La Visitazione non conobbe più ore di quiete; le fanciulle
avevano perduto la serenità erano agitate bramose di libertà di
passeggi di moto. Le fantasticherie della società ottocentesca le
tenevano avvinte; quelle mura pensavano, quell'ambiente soffocava.
Le leggi e le tradizioni visitandine non potevano accordarsi coi nuovi
metodi e i nuovi tempi, così fu che gl'inizi del novecento il santo
Pontefice Pio X fece cessare tutti gli educandati della Visitazione, e
nelle case di S. Francesco di Sales tornò con la pura vita claustrale, la
47
gioia lo spirito la pratica dei santi Fondatori .
Tale l'ambiente ove nel candore della sua innocenza posa il
piede Costanza Cerioli, l'anno 1826.
Uscita dalla casa paterna tutta calda di fede e profumata di
edificante vita cristiana per entrare in una serra accesa di fervore di
ordine di sapere di sana operosità, è facile prevedere quale influsso
ne abbia risentito l'indole e tutta intera la sua vita spirituale.
Si può affermare che ella è in ogni senso matura per la
Visitazione: di anni di aspirazioni di affetti. Ed anche in ciò si deve
riconoscere una necessaria e delicata disposizione del Cielo. A questa
creatura che presenta un'indole tanto dolce e mite uno spirito che
sembra nato e fatto per la virtù una sete ardente di raccoglimento e di
preghiera non manca che l'ultimo complemento, la direzione e il
magistero di chi tutto ratifichi e dia nuovo impulso per ascensioni più
alte. A ciò le viene assegnata la guida del più mite e soave Maestro di
anime: l'amabile vescovo che insegna con suadenti e garbate parole
l'arte di rendere fine quasi aristocratica la virtù; che addita i mezzi
sicuri pratici di spiritualizzare tutto e tutto valorizzare per la vita
eterna; che infiamma ad amare Iddio con amore forte generoso e
puro, ma anche ad amarlo nel modo a ciascuno consentito, quello più
umano ed accessibile alle nostre deboli forze.
Ed infatti ad osservare bene lo spirito di Costanza di oggi e di
domani, anche senza affondar troppo l'indagine, è facile ritrovare in
essa rilevate le tracce di questa tempestiva influenza salesiana, che,
accoppiata alla profonda saggezza alla sovrana discrezione apprese
da un'altra grande anima, farà sempre ammirare in lei un tipo di
santità portante i riflessi luminosi di varie bellezze, conferitale da
tutti gli stati ove è passata, e dalle varie influenze dei modelli
ricopiati.
47
Sac. Dott. Luigi Fossati. “La Beata M. Crocifissa De Rosa, Cap. V, pag. 59-63.
Biografie
51
opera omnia
La dimora della fanciulla in questo chiuso giardino di virtù e
sapere si protrae per circa otto anni: tutta l'età più bella e decisiva per
la vita ed anche il periodo più critico della efflorescenza o passaggio
dalla fanciulla alla giovinetta, quando si pronunziano nettamente
indole ed aspirazioni, si demarcano preferenze e decisioni, da cui si
può trarre con certezza l'oroscopo pel futuro e divinare la via
prescelta nella vita.
Per la nostra Costanza poco o nulla ci fu da variare nel carattere
e nelle aspirazioni. Le sue preferenze ferme e decise si manifestavano
sempre con un'evidenza che impressiona, e le custodisce trepidante
in cuore - forse presaga di quanto l'attende - come un segreto che non
osa rivelare per timore che le venga rapito. Comunque ella è
fermamente decisa ad accettare ciecamente quanto Iddio disporrà di
lei pronta a sacrificare ideali e preferenze alla provvida ed amorosa
volontà di Lui.
La Visitazione è sì a lei scuola di formazione, ma puramente
intellettuale; per lo spirito ella non ha che perfezionarsi poiché già
formata; per la virtù già allenata; per la pietà e la mortificazione è una
veterana. Di guisa che in monastero ella spiega - senza volerlo - agli
occhi delle maestre ed alunne tutta la ricchezza e generosità di uno
spirito che agisce e reagisce per rendersi più perfetto, e dare con
l'edificante contegno un migliore incitamento al bene a tutte le
compagne.
La scuola di S. Francesco di Sales porterà infine l'ultimo
complemento ad un carattere già dolce, quella garbata e sorridente
finezza che lo rende ancora più amabile.
Ed ora facciamo seguire alle nostre impressioni la viva
testimonianza di chi da vicino constatò quanto noi abbiamo
annunciato.
Dai Processi Apostolici stralciamo le seguenti deposizioni: la
nipote di Costanza, Giuseppina Scotti, dichiara “di aver sentito dire
dalle monache di Alzano che la zia era ritenuta la migliore di tutte le
48
alunne per la sua bontà affabilità e diligenza nello studio” .
Altra testimonianza: “in quel monastero ella si è diportata assai
bene, mostrandosi assai diligente e studiosissima tanto che aveva
fatto studi e progressi non soltanto nelle materie obbligatorie ma
49
anche nella musica nella pittura nel ricamo” .
48
49
Proc. Ap. Suppl. Summ. N. III, p. 43.
Proc. Ap. Suppl. Summ. N. III, p. 36.
Biografie
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opera omnia
Una compagna di collegio, la signora Paolina Varese da Rosate,
dice: “Ricordo di aver passato alcuni anni insieme alla Costanza nel
monastero di Alzano Maggiore, dove essa fu sempre buona diligente
50
studiosa di buon carattere ed esemplare” . “Ella si distingueva
sempre nella pietà e nell'obbedienza; con le compagne fu sempre
51.
edificante e fece molto progresso nello studio” Ancora: “Con le
compagne si mostrò sempre mite benigna umile. La sua indole era
52
allegra ma poco portata ai giochi e divertimenti” . “In collegio - dice
un altro teste - si diportò assai bene; era ammirata per la sua
mortificazione tanto che le sue compagne si vergognavano nel vedere
53
tanta generosità” .
In fatto di mortificazione si ripete in collegio quello che già
abbiamo segnalato nella sua fanciullezza. Ed ecco un episodio:
“Costanza era il modello delle educande; anzitutto per l'obbedienza
per la puntualità nell'osservare i regolamenti assiduità allo studio, ma
più di tutto era mirabile per lo spirito di mortificazione e per l'amore
al patire. Si racconta con ammirazione ed edificazione e per esempio
come un inverno molto rigido, mentre fra le convittrici passava uno o
l'altro scaldiglio, ella non lo chiese neppure una volta; conseguenza fu
che le si gonfiarono terribilmente i piedi (evidentemente soffriva di
geloni) con piaghe dolorosissime e nessuno mai l'avrebbe saputo se la
suora istitutrice non l'avesse obbligata a mostrarsi al medico. Il
medico a sua volta si meravigliò assai che una bambina avesse potuto
54
sopportare a lungo tanto acerbi dolori” . “Quando i suoi genitori
venivano a visitarla le portavano sempre dolci frutta ed altro; essa ne
faceva parte a tutte le compagne perché voleva che le cose sue fossero
55
di tutti” .
I progressi nello studio procedevano al passo col suo fervore
interno. Studiare è dovere voluto da Dio e dai genitori; studiare è
lavorare, e il lavorare a scopo sì alto è una preghiera. Studiare è
arricchire la mente di cognizioni è accostarsi più da vicino a Dio per
conoscerlo ed amarlo. Queste potenti leve di diligenza congiunte ad
un ingegno vivo ad una felice memoria ad una pronta penetrazione
delle cose, spiegano come Costanza in breve completasse la propria
istruzione.
50
51
52
53
54
55
Proc. Ap. Suppl. Summ. N. III, p. 77.
Proc. Ap. Suppl. Summ. N. III, p. 9.
Proc. Ap. Suppl. Summ. N. III, p. 44.
Proc. Ap. Suppl. Summ. N. III, p. 23.
Proc. Ap. Suppl. Summ. N. III, p. 32. 33.
Proc. Ap. Suppl. Summ. N. III, p. 53.
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opera omnia
Oltre a ciò sappiamo che aveva ottime disposizioni per altre
materie allor non strettamente scolastiche, come lingua francese che
possedeva assai bene e le arti belle che finiscono elegantemente la
formazione di una nobile giovinetta: la musica la pittura il ricamo.
Amorosa previdenza divina! tante cognizioni le riusciranno
preziosissime per la sua più remota vocazione.
Cosicché i conti Cerioli posti dinanzi a sì felice risultato decisero
56
di ritirarla dal collegio per ricondurla in casa .
Costanza aveva compito i sedici anni.
A tale annunzio ogni altra fanciulla avrebbe trasalito di
compiacimento pel riportato successo per la soddisfazione dei
parenti, pel ritorno in famiglia; Costanza, no. Una segreta potente
forza l'attraeva alle riposanti occupazioni della preghiera e della virtù
che la tenevano tanto bene stretta a Dio.
“Quando ero giovine - ella confessa poi - avrei voluto condurre
vita ritirata lontana dal mondo. Invidiavo la sorte degli anacoreti nel
deserto che non avevano pensiero né di mondo né ricchezze e
s'intrattenevano soli con Dio, Oh, la invidiabile vita! Leggendo poi le
vite dei santi mi accendevo tutta del desiderio d'imitarli e gioivo della
loro fortezza e generosità di cuore. Vedevo talvolta delle capannucce
isolate qua e là sui monti, e mi sorgeva in cuore viva la brama ed
cercare colà che il Signore, sostentandomi di poco pane ed acqua,
consolando lo spirito di sante letture, per vivere lungi dal fasto fuori
del tumulto delle noie e dissipazione del secolo”.
La verginità meritoria offerta a Dio in odoroso olocausto era il
suo sogno. Ogni volta che vedeva qualche compagna passare dal
collegio al noviziato: “Ecco - esclamava rapita - l'oggetto delle
compiacenze di Dio! Mi erano oggetto di ammirazione e di santa
invidia le anime pure vestite ancora della bella stola dell'innocenza
battesimale. Oh, le belle anime che non hanno mai contratto malizia
del mondo! sono esse gli angeli in terra e le compiacenze di Dio. Oh,
57
le care anime! Quanto avrei desiderato seguirle! .
Tali accenti di desiderio e di trepidante ansia uscirono dal suo
labbro verso la fine della vita dopo i salti scabrosi dati sulla via del
mondo; ma prima che parole essi furon desiderio passione sogno dei
suoi sedici anni a pochi se non a veruno confidato. Sentiva che la voce
di Dio la chiamava su altra strada, lunga faticosa ardua in capo alla
56
57
Proc. Ap. Suppl. Summ. N. III, pp. 19. 20.
P. Merati - Biografia, Cap. I, pag. 15. 16.
Biografie
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opera omnia
quale avrebbe trovato, premio della sua obbedienza, la realizzazione
dei suoi casti e santi ideali.
E qui sorge spontanea una domanda: Perché mai Costanza con
siffatte disposizioni prima di lasciare la Visitazione non ha chiesto ai
genitori di restarvi, per entrare in noviziato, come facevano molte
delle educande sue compagne; o comunque per ritirarsi in altro
convento ove si sentisse chiamata? L'età il momento l'occasione
migliore di questa non si sarebbe più presentata!
La risposta - a nostro parere – sta in una necessaria distinzione
che dobbiamo tener presente: altra cosa sono le virtù religiose, ed
altra la vita nel chiostro. Costanza ha le prime; e sul momento non ha
la vocazione al secondo.
Alla voce dei suoi - eco di quella del Cielo - che la richiamavano
in casa Costanza chiuse gelosamente in cuore i suoi dolci sogni, chinò
il capo ed ilare e dolce come sempre, obbedì. Era l'anno 1832.
Ci permetta il lettore di concludere questo capitolo con le stesse
parole delle buone Madri della Visitazione di Alzano, che furono le
sue pie istitutrici, angeli e testimoni ammirati dei santi esempi della
fanciulla nella casa di Dio. Si direbbero queste parole - scritte dopo
molti anni da che Costanza aveva lasciato il monastero e persino
l'esilio per il Cielo - l'attestato il diploma di lode rilasciato ad
autentico e indiscusso merito: “Una delle allieve che lasciò nel nostro
monastero una particolare memoria fu la nobile contessa Costanza
Cerioli. Era ancor giovinetta quando la contessa sua madre chiese per
lei un posto nel nostro educandato. Noi lo accordammo ben
volentieri e presto avemmo motivo di ringraziare il Signore per il
prezioso tesoro che ci era stato affidato. Fin da piccina Costanza
sembrava un angioletto: tutto in lei spirava devozione raccoglimento
dolcezza riserbatezza e soda virtù. Questa era la comune
testimonianza che ne fecero le sue compagne, delle quali formò
sempre l'esempio e l'ammirazione e che tutte l'amavano
vivissimamente. Anche le maestre la trovavano sempre un modello
d'ubbidienza e d'applicazione a tutti i suoi doveri, il che la rendeva a
tutti carissima a altresì preziosa per l'influenza che la sua condotta
esemplare aveva su quella delle altre educande. Costanzina era pure
favorita dal Signore di un carattere allegro e tutto proprio per farsi
amare, di un cuore eccellente e sempre pronto a far piacere e di una
tale uniformità di umore che si diceva: - Costanzina è proprio sempre
la stessa. Con grandissimo dispiacere quindi si videro terminare gli
anni della sua educazione e fummo costrette a restituire alla contessa
sua madre il prezioso tesoro che ci aveva affidato. Ne furono
Biografie
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opera omnia
afflittissime tutte le nostre educande, e ricordarono sempre con
ammirazione tanti esempi di virtù che rifulsero nella loro compagna.
Quanto a noi non la dimenticheremo mai, e speriamo che Costanza
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dal Cielo ricordi presso Dio anche la nostra Comunità” .
58
P. Merati - Biografia, Cap. I, pag. 15. 16.
Biografie
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opera omnia
CAPITOLO
VII
Preparazione della vittima al sacrificio
L'innocente colomba ha lasciato il chiuso dell'arca e rimette il
piede nel mondo ricca di cognizioni meriti e virtù. Ed anche
d'esperienza.
Sedici anni! Una giovinetta di tale linguaggio ornata di tante
doti ricca d'incomputabile dote può ben sorridere alla vita. Costanza
non sorride! Soppesando al giusto valore l'effimera cosa che è la vita,
trova che questa non l'attrae e non merita quindi i suoi sorrisi.
La scuola della Visitazione l'ha istruita arricchita di saggezza
d'esperienza: quella dei santi. La Visitazione fu il noviziato di
Costanza Cerioli alla vita nuova immediata che l'attende, ed anche
all'altra, sebbene remotamente preparata, che realizzerà più alti ideali
di perfezione.
E qui dobbiamo segnalare un dettaglio di questa vita, non
facilmente riscontrabile in altre biografie del genere.
Noi già sappiamo - e Costanza in questo momento non lo sa che ella è destinata al matrimonio; e sappiamo del pari che il suo stato
finale sarà la vita religiosa, cui per inequivocabili segni dimostra di
tendere. Difatti, per arcano sviluppo di cose d'avvenimenti, dopo
poco più di un anno di vedovanza ella verrà a trovarsi in pieno
religiosa, e fondatrice di religiose, in un chiostro con abito e voti
religiosi.
Come, dunque, sul momento appagherà i suoi ideali di vita più
perfetta cui tende con tanto anelito interiore?
E più, se di consueto non si arriva alla professione dei sacri voti
senza un tirocinio o noviziato, sapientemente richiesto dalla Chiesa,
come Costanza potrà poi passare di balzo dalla vita del mondo alla
Biografie
57
opera omnia
emissione dei voti, senza questo noviziato a tutti necessario, a lei per
le sue singolari condizioni indispensabile?
Ci sembra di poter affermare che ella cominci ora ad attuare
senza indugio il suo vivo desiderio di perfezione, vivendo nello
spirito la vita religiosa tra le pareti domestiche, come la vittima
pronta ad immolarsi alla divina Volontà che la vuole prima di
passaggio nello stato coniugale, per disporla alla sua finale vocazione.
È questo dunque il suo noviziato pratico, come del resto gli anni
trascorsi alla Visitazione potrebbero dirsi il noviziato canonico.
In tale pratico tirocinio, dalle altezze della sua fede ella saprà
ciò che Iddio vuole da lei, ciò deve essere e fare per piacergli.
Immolarsi! Annientare, triturare sino alla polvere la propria volontà,
accettando in letizia e senza discorso ciò che contrasta con i suoi
ideali, non solo; ma ciò che agli occhi stessi degli uomini apparirà
assurdo. Ella ha bisogno di rivestirsi di virtù, di tutte le virtù che
rendono fulgente ed eroica un'anima agli occhi divini: possedere le
ricchezze e non amarle; passare in mezzo al mondo e disprezzarlo;
assaporare le gioie della vita - anche legittime - senza neppure
fermarsi a considerarle. Il suo chiostro è l'anima sua. La sua clausura:
gli alti raccoglimenti della preghiera. La sua Regola: la volontà di Dio.
Sua occupazione; la carità. La sua prova: il contrasto tra gl'ideali suoi
e quelli dei genitori. Il suo cilizio: l'ordine imposto a cui deve
sorridere. Il suo Maestro sarà Gesù, riposo premio diletto e unico
prediletto dell'anima sua, a cui s'è offerta sin dal primo battito del suo
illibato cuore.
Tutto ciò non spaventa la giovane; considerando ogni cosa in
Dio, in cui vede all'evidenza che quanto è disposto da Lui si volge
sempre al nostro miglior bene immediato e remoto, prevede che tutto
si concluderà ad insospettati successi, e con la sua abituale letizia
accetta tutto.
Costanza sorride alla corona di spine profferta, perché ha la
certezza che quelle spine fioriranno in rose per la vita eterna. Quelle
rose saranno la sua vera felicità e non soltanto la sua.
Eccola, dunque, in questi tre anni che precedono la sua precaria
sistemazione umana. Presaga forse degli intendimenti dei rispettabili
genitori, calma fidente si dedica innanzi tutto ai doveri cristiani e
domestici: perché non si dà il meglio senza il bene, né la perfezione
senza presupporre il dovere scrupolosamente assolto. Le occupazioni
che riempiono le giornate in questo periodo preparatorio son quelle
d'una giovane pia intelligente colta espansiva nel bene, allenata alla
laboriosità, nemica di vane e futili ciarle, refrattaria a sogni e chimere
Biografie
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opera omnia
d'inafferrabili ideali; pratica concreta saggia ella lavora. Sua nota
caratteristica è sempre l'appartarsi con riserbo senza selvatichezza:
tacere poiché il silenzio la nutre, la bea: pregare perché la preghiera la
irrobustisce la istruisce la consola.
Affabile garbata semplice con i vecchi cari domestici con le
brave operaie della filanda paterna; rispettosissima obbedientissima
ai genitori, dai cui cenni pende come bimbetta di pochi anni. In
ossequio al volere della mamma, assolte le cure personali, siede al
telaio pel ricamo in cui è peritissima. Per secondare i desideri del
babbo, che intende istruirla e sollevarla, legge buoni libri di
letteratura francese da lui provvisti; e per aggiungere l'utile al
dilettevole, nelle ore di riposo, li traduce con estrema facilità nel
forbito ed elegante italiano del suo tempo; evitando, scartando quelli
profani o di puro sentimentalismo - certo sfuggiti al controllo paterno
- per dedicarsi di preferenza alla traduzione di quelle edificanti. Così
in questa occupazione ella ha potuto ribadire una vecchia santa
amicizia, penetrandola più intimamente nelle già ammirate
profondità dello spirito luminoso e grande: S. Teresa di Gesù. Dopo S.
Francesco di Sales, la Maestra del Carmelo. Non si può dire che
Costanza non la conoscesse già, proprio per i ricorsi e le citazioni che
ne sentì alla Visitazione; ma il desiderio di gustarla nell'anima la
induce a trascrivere, traducendola dal francese, la biografia di questa
Santa. Il bel manoscritto ancora conservato attesta la padronanza che
la giovane aveva delle sue lingue, ma soprattutto afferma il suo
irrefrenabile desiderio di rifarsi ai migliori modelli cristiani. Da tale
scelta e predilezione si notano i gusti, le tendenze spirituali di lei. Il
santo vescovo di Ginevra e la Serafina del Carmelo sono due nomi
che bastano a dire la sodezza e le ampiezze interiori di Costanza
Cerioli. I migliori pensieri le sentenze più belle spigolate dai Maestri
preferiti, quasi ape industriosa, le succhiava per assimilarle. E le
annotava in un libricino di appunti.
La lettura quotidiana preferita, però, era la S. Scrittura. Il suo
confessore Don Pietro Piccinelli, che poi la guiderà nello spirito per
59
diciotto anni , ci ha detto che s'immergeva in essa con una sete ed
una comprensione assolutamente superiori alle sue possibilità
intellettuali; il che fa pensare - oltre a una superna illustrazione 60
all'antica data di questa sua preferenza .
59
60
Proc. Ap. Suppl. Summ. N. IV, paragr. 258.
Proc. Ap. Supl. Summ. N. III, paragr. 10.
Biografie
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opera omnia
Tali i suoi libri preferiti. Scartava con cura quelli che non
fossero agiografici o comunque spirituali. Più tardi sentirà
rincrescimento dell'innocente diversivo concesso a se stessa in questo
tempo, l'aver gettato gli occhi su libri profani o di sola letteratura, il
“che - diceva - le aveva reso meno gustosa la lettura dei libri di pietà e
delle vite dei santi”. Ad una sua nipote che vedrà inclinata a tali
letture ricordando il proprio esempio raccomanderà di smettere l'uso,
e d'applicarsi a letture di maggior profitto spirituale che se ne sarebbe
61
trovata contenta .
La sua vita è d'assoluto ritiro tranne per discendere in chiesa. Le
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rare volte che deve uscire di casa, è sempre in carrozza chiusa .
Le visite in società rarissime, quelle indispensabili, imposte per
convenienza dal volere dei genitori. Ma vi presenzia come assente a
quanto si dice; resta senza parola sembra che nulla la interessi meglio - che non intenda nulla delle futili conversazioni da salotto.
Al contrario, però se la si vuol udir parlare e graziosamente
sciolta, bisogna osservarla quando s'imbatte in un poverello. Allora
s'interessa dei guai e della tribolazioni del meschino, e come sa
rispondere consolare con parole buone! Si accompagna addirittura
con esso dirigendosi verso il palazzo ad ottenere qualche buon
63
soccorso .
Tutto che è suo, nel senso che possa disporre liberamente, senza
dirlo è destinato ai poveri. Lo seppe bene un vecchio cocchiere
pensionato di casa Cerioli. Finito in ospedale per malattia cronica,
non faceva che esaltare al cappellano le grandi virtù della contessina
Costanza. Oh, che angelo di umiltà e carità! Raccontava il buon
vecchio le tante volte che l'aveva accompagnata in carrozza. Quando
lungo le strade di campagna s'imbattevano nei poveri contadini
carichi di legna Costanza diceva al cocchiere: “Io sento rossore
d'andare in carrozza; sono ricca, per tutto il giorno non feci nulla di
faticoso e vado in carrozza; e questi poveretti che non si diedero un
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minuto di quiete, vanno a piedi col carico sulle spalle” .
I poveri - come sempre - son tutta la sua passione e
preoccupazione. Mai la si vede così felice come quando dietro
incarico della mamma si reca alla porta di casa per qualche benefica
distribuzione, oppure quando la mamma stessa riprendendo
61
62
63
64
P. Merati - Biografia. Cap. I, p. 20.
Proc. Ap. Suppl. Summ. N. III, paragr. 45. 46.
Proc. Ap. Suppl. Summ. N. III, paragr. 16.
Proc. Ap. Suppl. Summ. N. III, paragr. 45. 46. 47.
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opera omnia
un'antica abitudine la invia seco per i giri di carità. Si racconta anzi
che una volta trovandosi in carrozza in compagnia di altre persone non si sa se con la mamma - avendo scorto sulla strada un povero
vecchio cadente, voleva ad ogni costo cedere il proprio posto a
quell'infelice; naturalmente non le fu concesso, con molto suo
65
dolore .
In questo periodo di tempo la sua carità materiale è di molto
sopravanzata dall'altra carità quella spirituale, fatta a chi ha fame di
luce e di verità divine. Logicamente: la sua età la sua più formata
istruzione le permettono, l'autorizzano anzi, a sovrabbondare in
queste elargizioni non meno necessarie ed efficaci del pane.
Nell'accostare quindi le operaie della filanda paterna è sempre più
66
ricca di tali soccorsi . Le ragazze abituate ormai a vedersi dappresso
la contessina l'attendono sempre con gioia, e l'ascoltano con tanta
venerazione come si ascolta un angelo.
La stessa carità - elevata a tono più alto e delicato - usava con i
fratelli e le sorelle provocandoli amabilmente alla pietà alla
devozione alla frequenza dei Sacramenti. Ella poteva ben mostrare
coi fatti i frutti dolcissimi che si ritraggono da essi; la sua bontà e
soavità non eran forse effetto naturale di quella manna divina che sa
in sé ogni sapore di cui ella si cibava tutte le volte che le era concesso?
Il suo spirito di mortificazione la generosità nel tollerare gl'incomodi
della malferma salute erano del pari attinti alla stessa fonte che le
comunicava “la santa voluttà del patire” e patire segretamente per
avere sempre qualche cosa da offrire al buon Dio, come fanno i santi.
Il genere preferito di mortificazione è quella interna, materiata di
tanti piccoli atti di rinnegamento della volontà dell'amor proprio.
Sensibile intelligente qual era ad uno sgarbo ad una riprensione
poteva notarsi l'accendersi del volto, ma non una volta ella ha
risposto per ribellarsi o giustificarsi: subito si ricomponeva al suo
67
sorriso abituale ed un bel fiore era colto ed offerto a Dio .
Queste - secondo le testimonianze - le manifestazioni della sua
bell'anima nel presente momento cruciale e decisivo della vita. Che se
noi ci provassimo a leggere più a fondo nel suo spirito, per vedere a
quale termine preciso tendesse questo intenso rigoglio di fervore e di
opere, vi troveremmo viva e spiccata l'inclinazione alle virtù
caratteristiche d'una religiosa - e ciò esclude assolutamente lo stato
65
66
67
Proc. Ap. Suppl. Summ. N. III, paragr. 45. 46. 47.
Proc. Ap. Suppl. Summ. N. III, paragr. 66.
P. Merati - Biografia Cap. II, pag. 20.
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matrimoniale -; però, non oseremmo dire, almeno sul momento, se
ella intenda vivere queste virtù in un chiostro oppure nel secolo,
emettendo il voto privato di verginità, restando in famiglia. Le due
cose ben distinte non sarebbero contrastanti, tanto meno inattuabili.
Di fatto non ha chiesto di restare alla Visitazione, o di entrare altrove.
Si deve quindi ritenere che sul momento non è chiamata al
chiostro. “Quod differtur, non aufertur”. La dilazione che non
annulla la vocazione è voluta da Dio, e sarà sorgente di gravi sacrifici,
ma pure d'incomparabili meriti. Questa osservazione ci sembra
indispensabile a comprendere gli eventi che seguono.
Eccoci al momento critico e delicato di questa vita. Ci occorre
un ben alto senso di fede e il più sereno giudizio per penetrare le
arcane vie del Signore, ed accettarle benedirle come le più sante le più
sagge e in tutti i sensi le migliori per noi. Dobbiamo ora assistere con
penosa sorpresa ad una inaspettata e brusca deviazione di tutte le
idealità di questa creatura verso una direzione che noi penseremmo, e
che mai Costanza sognò.
Per divina disposizione manifestata a mezzo dei genitori ella
dovrà accettare lo stato matrimoniale, non solo, ma un partito che le
apparenze e le convenienze sociali direbbero inconcepibile.
Non potremmo - senza recar offesa a Dio - neppur
lontanamente pensare che Egli abbia cercato e formato con tanta cura
un'anima sì bella sì ricca di spiritualità, per abbandonarla poi al
capriccio di un destino doloroso, a cui ella non aspira e al quale non è
preparata. Iddio ha sempre le sue alta mire. Ciò che ora accade non
solo non guasta i suoi piani ma è il necessario presupposto alle future
realizzazioni.
La vita d'ogni creatura sulla terra è fatta di tanti momenti che a
modo di anelli si annodano consecutivamente e formano la intera
catena dell'esistenza. Ciascuno di questi anelli rappresenta la
successione delle mutevoli ed anche opposte situazioni umane. Di
tale catena Iddio vede ciascuno e tutti gli anelli, sino a quello finale.
Noi - invece - vediamo solo quello che s'inserisce nel fugace momento
del presente, e ci formalizziamo. Se potessimo vedere, come Iddio lo
vede, anche l'ultimo anello, non ci scandalizzeremmo della situazione
difficile aspra assurda di oggi. Aspettiamo con pazienza e fiducia,
come attende la mirabile protagonista, e quando giungeremo alle
ultime pagine di questo libro adoreremo la santa e saggia
Provvidenza che tutto ha disposto: avvenimenti uomini e cose al suo
altissimo scopo: glorificare una creatura e far beneficare le anime dei
suoi esempi e del suo apostolato.
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opera omnia
Né potremmo, senza essere illogici, imputare ad alcuno - nel
caso i conti Cerioli - l'asprezza dolorosa di queste situazioni, perché
anch'essi infine non sono che docili e inconsapevoli strumenti nelle
mani di Dio assunti proprio per creare un capolavoro. Mai uno
strumento può esser condannato o ripudiato per la sua durezza
quando questa è imputabile solo all'impulso dell'artista che la
adopera.
Tanto si verifica nel nostro caso.
I rispettabili coniugi Cerioli sono strumenti adoperati da Dio
per preparare l'avvenire di santità e di gloria della loro figliuola. Noi
ci siamo indugiati di proposito a dare di essi la psicologia proprio
perché il lettore giudichi al suo giusto valore la portata della grave
decisione di questo momento.
In collaborazione e dipendenza da Dio - unico autore e
insuperato artista - essi umili collaboratori hanno creato un
capolavoro di estetica spirituale risultato dal perfetto incontro di due
volontà: la volontà divina e la volontà della loro creatura; da
quest'incontro s'è sprigionata un'armonia di Cielo: quest'armonia è la
santità di Costanza Cerioli!
Biografie
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opera omnia
Biografie
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CAPITOLO
VIII
“Meglio l'obbedienza che le vittime” 68
Un giorno - verso i diciannove anni di Costanza - i signori
Cerioli chiamano la figliuola e da soli a sola le annunziano che
essendosi presentato un buon partito di matrimonio, nella rispettabile
persona del signor Gaetano Buzecchi vedevo Tassis, di circa
sessant'anni, essi usando del diritto di scelta dato dall'autorità
paterna e dalla consuetudine, avevan giudicato conveniente aderire
alla richiesta, e ciò nell'intento di formare la felicità di lei e nel
desiderio di veder sistemate tutte le figlie prima di morire.
Nessuno - noi meno che tutti - potrebbe dubitare della retta
intenzione dei rispettabili coniugi in sì grave decisione. Sinceramente
amanti dei loro figlioli, da genitori coscienti essi tengono giustamente
tra le prime preoccupazioni quella di sistemarli. Ora è giunto il
momento di pensare all'ultima.
Ma è lecito chiederci: hanno essi ponderato se la loro creatura
sia chiamata allo stato matrimoniale? Hanno considerato bene se il
partito scelto le convenga? Due quesiti a cui non sembrerebbe facile
trovare una risposta. Pure, affinché oltre la preordinazione divina
sian date tutte le possibili ragioni che giustifichino la loro soggettiva
coscienza, deve dirsi: umanamente ebbero anch'essi ragioni per
legittimare la incredibile decisione.
Non si può affermare che abbiano abusato del diritto paterno
destinando al matrimonio la figlia, perché risulta certo che, se per
temperamento e abitudini era evidente nella loro Costanza la
tendenza alla vita, non allo stato religioso, ella invero non ha mai
manifestato ad essi né ad altri in modo deciso la propria inclinazione
68
“Meliore est enim obedientia, quam victimae” I. Reg. 15, 22.
Biografie
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opera omnia
per il chiostro. Quante figliuole, infatti, angeli di bontà specchi di
virtù e di pietà distintissima, rimangono nel secolo per vivervi in
perfetto spirito religioso la vita verginale, e poi per serie ragioni
dietro consiglio dei direttori, o per ingiunzione di parenti, entrano
nello stato matrimoniale e vi riescono spose e madri esemplari!
Ora, se i figli dei Cerioli tutti cristianamente educati e non
indegni fratelli di Costanza, tutti hanno scelto il matrimonio, come
senza un'esplicita dichiarazione, potevano essi supporre che proprio
l'ultima volesse fare eccezione determinandosi per lo stato religioso?
Di conseguenza secondo tale persuasione hanno inteso compiere un
preciso dovere sistemando in tal senso anche l'ultima figlia.
Più difficile sembrerebbe trovare una giustificazione al
singolare partito scelto.
Presso le nobili famiglie era “ab immemorabili” suo passato in
prescrizione, che la scelta del partito per le figlie - supposta la
determinazione al matrimonio - fosse diritto riservato al padre e alla
madre. Né oseremmo dire - osservate le ragionevoli eccezioni - che
un tal diritto sia illogico, tanto meno un'usurpazione. Esso infatti è
ritenuto da Costanza come piena giustificazione dei suoi genitori.
L'enormità - dicevamo - consiste piuttosto nell'uomo prescelto.
Un vedovo, di età avanzatissima rispetto a quella della figlia. Essi
avranno ben posto mente a questo non indifferente dettaglio; pure,
soppesati vantaggi e svantaggi inclinarono a riconoscere la
preponderanza dei primi.
Si deve tener per certo, intanto, che il prescelto era un perfetto
gentiluomo, ottimo cristiano al tutto degno del sentire e del vivere
della loro figliuola: ricco possidente stimatissimo nella religione,
vedovo di una Tassis, casata antica ed illustre ben nota in Lombardia
come in altre ragioni dell'Italia settentrionale.
Né si può trascurare il fatto che i Cerioli erano anch'essi ricchi
possidenti, e loro giusta preoccupazione era di sposare il patrimonio
domestico ad altri patrimoni, se non superiori almeno pari che
l'aumentassero, non lo depauperassero.
Per questo lato il Buzecchi eccedeva ogni esigenza. Oltre esser
ricco dell'asse proprio, aveva ereditato tutta la vistosissima sostanza
della defunta coniuge Teresa Tassis; eredità giunta integralmente
nelle sue mani indivisa per mancanza di prole o d'altri legittimi eredi.
Si deve pur notar che il signor Buzecchi fu lui per primo ad avanzare
la proposta di matrimonio. Ora, se per ragione dell'età si fosse escluso
il partito, dove ne avrebbero essi trovato un altro che con la
giovinezza avesse trovato tutti i requisiti morali e patrimoniali del
Biografie
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opera omnia
Buzecchi? Il campo delle ricerche era troppo ristretto, non volendo
uscire dalla cerchia delle più vicine relazioni; certo è che la possibilità
di scelta era limitata, e forse più che scegliere c'era da scartare.
Sacrificando quelle che, a loro giudizio, potevan dirsi ragioni di
sentimento o di riguardo agli usi sociali, puntando sul solido
conclusero quindi in favore del pretendente e gli concessero la figlia.
Nonostante queste ragioni, però, il mondo superficiale e
morbosamente pietoso non perdonò allora e non perdonerebbe oggi a
questi nobili signori l'aver sacrificato la figliuola a preponderanti
motivi d'interesse. E se il seguito degli eventi - prevedibili del resto sembran dar ragione al duro verdetto, si deve sempre concludere che
essi hanno agito in coscienza certa, volendo provvedere solo alla
felicità della figlia. Tanto vero che in armonia col loro è il volere
dell'altro Padre ben più alto e saggio, cui non fanno velo le ragioni
contingenti del tempo, e questo Padre buono e amoroso proprio Lui
dispone così per la felicità imperitura della cara creatura.
Rese in tal modo le possibili ragioni, che a nostro modo di
vedere rendono meno penoso il grave fatto, riprendiamo il filo della
storia.
La mite fanciulla a tale annunzio rimane annientata. Il suo
spirito trasalisce all'urlo violento d'una decisione, non solo penosa
perché contraria al suo sentire, ma perché capisce di non poterla
neppure discutere. Sollevati gli occhi in tono supplicante verso i
genitori senz'ombra di risentimento o diniego, chiede grazia d'aver
69
tempo a riflettere pregare consigliarsi e si ritira nella sua stanzetta .
Chiusa dietro di sé la porta, cade in ginocchio, e in un profluvio di
lacrime pensa e prega: “Il matrimonio! Mio Dio! Io non so che cosa
esso sia: Se è gioia non la desidero; se è sacrificio, meglio è più
meritevole lo troverò nella vita di preghiera e di carità. Ed io che
vagheggiavo lo stato verginale lo star sola con Dio che amo sopra
ogni altra cosa! L'accettare mi raccapriccia; il disobbedire mi
spaventa, poiché mai ho disobbedito ai miei onorabilissimi genitori.
Signore, illuminatemi!...”.
E con la preghiera il consiglio.
Consultò il confessore. Non sappiamo precisamente chi fosse il
degno ministro di Dio (crediamo Don Pietro Piccinelli), come non ne
conosciamo il consiglio; lo supponiamo peraltro dalla risposta di
Costanza ai genitori.
69
Proc. Ap. Suppl. Summ. N. IV, paragr. 15. 26.
Biografie
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opera omnia
Questo sacerdote s'è trovato dinanzi ad un delicato caso di
coscienza. Una fanciulla con spiccati segni di vocazione allo stato
verginale senza determinazione per la vita religiosa propriamente
detta; ed i genitori fermi ad imporle lo stato matrimoniale senza
osteggiare positivamente le sue più alte aspirazioni, che essi del resto
non suppongono perché mai manifestate. Quale sarà il consiglio del
saggio direttore?
Non è raro il caso d'incontrare anime che presentino tutte le
qualità desiderate per una vita di maggior perfezione, che può essere
il chiostro, o fuori di esso lo stato verginale; ed insieme manchino
d'un ultimo elemento, a volte secondario, per cui la loro vocazione è
ritardata, spesso annullata, precisamente perché la difficoltà è
insormontabile. Orbene, poiché il Cielo non manifesta per altre vie il
suo volere e i suoi veti, il confessore deve concludere: Iddio non
chiama, almeno pel momento; o senz'altro: non chiama su questa
strada.
Nel caso specifico e singolare il confessore deve aver consigliato
Costanza di manifestare ai genitori le sue più alte aspirazioni di
perfezione. Che se essi non le avessero accettate, allora soltanto si
poteva dire anche a lei: Iddio non vi chiama, almeno per il momento;
quindi consigliarla ad obbedire, poiché a Dio “piace più l'obbedienza
che gli olocausti”.
Peraltro non risulta che tale dichiarazione sia stata fatta da
Costanza; il pensiero dell'obbedienza pura e semplice, senza altri
discorsi le arrise come un atto di maggior perfezione. Difatti
possediamo un'esplicita e preziosa deposizione della nepote
Giuseppina Cerioli, che dice proprio così: “Per la cognizione che
avevo del carattere aperto e franco della Costanza da una parte, e
dall'altra dei modi paterni e amorosi dei genitori suoi, mi pare che
non si possa supporre in lei un timore tale che le impedisse di
manifestare la sua contrarietà al matrimonio, se l'avesse avuta. Penso
piuttosto che abbia accettato la proposta ciecamente, senza
entusiasmo e senza contrarietà, per ispirito di obbedienza al consiglio
70
dei genitori verso i quali nutriva grande amore e riverenza” . E così
fu veramente; e ne conosceremo poi la ragione.
Si deve quindi conchiudere che sul momento Iddio la vuole
sopra un'altra strada opposta a quella da lei sognata; ma verrà giorno
in cui, moltiplicati virtù meriti ed esperienze, tutte le sue
evidentissime doti per la vita religiosa brilleranno sur un candelabro
70
Proc. Ap. Suppl. Summ. N. IV, paragr. 180, 181, 182.
Biografie
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opera omnia
a perfezione di lei e di molti, a salute d'un numero incomputabile di
anime. Questo è stile divino puro e semplice.
Il pensiero che a Dio piace sopra ogni altra cosa l'obbedienza
tranquillizza la giovane; alzando al cielo lo sguardo rassegnato, ella
s'incontra nello sguardo di Dio che le sorride: in quel sorriso ritrova
tutta la sua pace interiore. Resa forte della superna fortezza,
illuminata dallo Spirito divino, con virtù generosa cede i propri diritti
e sottomessa alla volontà dei suoi, in cui vede il volere supremo,
piega il capo ed accetta la proposta.
Infine però ascoltiamo lei che è il miglior giudice di tutto. Alla
buona confidente M. Corti, dirà più tardi la vera ragione di questo
suo atto di sottomissione ed accettazione. Richiesta come mai ella così
piena di desiderio di vita più perfetta siasi indotta a sposarsi
risponderà: “Era tanto grande il rispetto e la venerazione che nutrivo
verso i genitori che non avrei osato fare la minima opposizione alle
loro disposizioni a mio riguardo”. Ed aggiungeva che essi erano ben
degni di questa filiale fiducia per gli esempi di virtù e di
religiosissima vita che davano continuamente; e di più perché ella
sentiva che, accondiscendendo alla volontà dei suoi si sarebbero compiuti in
71
lei i disegni di Dio .
Ed ancora alla medesima M. Corti confiderà: “Io non sapevo
neppure che cosa significasse matrimonio; ed essendo uscita di
collegio i miei genitori fecero il contratto del mio matrimonio senza di
me - essendo questo costume dei nobili. - Io poi non avrei osato
oppormi al volere dei miei genitori perché tenevo la loro volontà per
volontà di Dio. Immaginati se una ragazza come me, di così poca
esperienza ed età, avrei potuto ardire di oppormi alle deliberazioni di
sì autorevoli e sagge persone quali erano i miei genitori: quindi senza
nemmeno permettermi delle riflessioni su ciò che mi attendeva mi
abbandonai alle loro braccia come in quelle di Dio; e vedi come sia
stato veramente volere di Dio dagli avvenimenti che ora succedono.
Se avessi sposato un giovane del bel mondo, e in mezzo alle grandezze, che
72
ne sarebbe di me?” . Sagge e sante parole!
La fanciulla obbedendo non ha errato, ma ha riportato il più
splendido successo in ogni senso, secondo il dettato dello Spirito
73
Santo, poiché solo gli obbedienti cantano vittoria .
Il seguito di questa vita ne è irrefutabile prova.
71
72
73
P. Merati. Biogr. Cap. I, pag. 22.
Proc. Ap. Summ. pag. 279, paragr. 5.
Prov. 21. 28.
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opera omnia
Accettato così il sacrificio, la pia giovane per innata mitezza e
abitudine di virtù rimase calma sorridente disinvolta e continuò la
sua vita devota operosa benefica.
Frattanto si dispone ad eseguire in tutto ed in ogni
conseguenza, con ilare cuore, sino ai dettagli, la volontà di Dio e dei
genitori. Viene presentata al futuro sposo. Conversando trattando con
lui non si mostra imbronciata o selvatica: nella sua verginale
modestia è affabile, disinvolta, garbata con lui. L'eroismo della sua
generosità giunge al punto di farle sentire affetto, vero autentico
affetto, e glielo esprime con sincere parole di bontà. Tanto ella ama
ciò che Iddio ha scelto per lei! Nonostante l'opposta inclinazione,
nonostante la distanza degli anni, nonostante le doti negative del
promesso sposo, ella sente di amarlo ordinatamente sinceramente
come Iddio vuole si amino quelli che Egli destina a portar di consenso
il giogo della vita. Ne abbiamo la prova in una graziosa lettera,
conservataci, diretta da Costanza al signor Buzecchi nel breve tempo
del fidanzamento. Leggerla è edificarci, è confermare quanto abbiamo
detto:
“Soncino, 2 aprile 1835. Carissimo Gaetano, Nel ritornare
questa mane dalla Chiesa, ove fui ad ascoltare il nostro bravo
predicatore, mi fu di grata sorpresa il vostro servo, apportatore di un
vostro a me caro foglio. Quanto mi siano grate le vostre nuove non ve
lo posso esprimere, non essendo la mia penna abbastanza eloquente:
ma credetemi che ne sareste persuaso se poteste leggere nel mio
cuore i favorevoli sentimenti che ho concepito per voi; e di questi ne
potete esser certo, essendo voi il primo che abbia intenerito il mio
cuore. Starò attendendo con desiderio la gita da voi promessami, e
sarei ben felice se il pensiero dell'amaro abbandono dei miei amati
genitori, e quella prima impressione che produce in me il
cambiamento di stato, non venisse ad inquietarmi. Vi prego a
salutarmi la Signora vostra sorella e mia cara futura cognata, e sono a
pregarvi a farle aggredire una piccola coserella che vi spedisco per il
vostro servo, e spero che presentata da voi sarà più gradita. La vostra
lettera fu recapitata a chi di dovere.
Addio, ricevete i saluti di tutti la mia famiglia, in particolare dei
miei genitori, nell'atto che passo a dirmi. Tutta vostra aff. ma
74
Costanza Cerioli” .
S. Francesco di Sales, il caro Maestro, approverebbe pienamente
il garbo la semplicità affettuosa di questa lettera: con quanta ragione
74
Proc. Ap. Animadversiones pag. 27.
Biografie
70
opera omnia
ripeterebbe la sua classica sentenza: “l'amore di Dio si compone
armoniosamente con tutto, anche con ciò che si direbbe più lontano e
discordante da esso”. Questa lettera fu scritta un mese appena avanti
le nozze; Costanza infatti annunzia la sua inquietudine per la
separazione dai suoi cari e pel cambiamento di stato.
Il giorno 30 aprile 1835, nella parrocchiale dell'Assunta in
Soncino - ove Costanza era stata battezzata - si celebrò il rito delle
75
nozze .
Veruna pompa niente apparato di invitati e livree; ma in voluta
modestia giustificata dalla vedovanza dello sposo.
Tutto predisposto dal Cielo. Che volle dire alla sua prediletta
che le nozze terrene non saranno per lei una festa ma un passaggio
un tirocinio ad altre nozze a cose più alte.
Così trascorse la festa nuziale di Costanza Cerioli.
Alla notizia dell'avvenimento i così detti amici, benevoli o
maligni, di cui il mondo è pieno, levarono un coro di commenti. Noi
li omettiamo; s'immaginano. Son vuoti e vecchi quanto vecchia e
stolta è la malignità del mondo.
Quel giorno però fu festa in Cielo.
Gli angeli santi applaudirono benedicendo ai due le colonne
d'un vero focolare cristiano che - secondo le previsioni degli uomini doveva risultare un inferno; invece... fu un paradiso per le virtù della
eroica sposa secondo i piani divini!. .
E il dramma si risolverà in poema.
75
“Consta dai registri di questo archivio parrocchiale che Cerioli nob. Costanza,
figlia legittima dei legittimi coniugi Francesco e Francesca Corniani, ha sposato in
questa parrocchia, addì 30 aprile il signor Buzecchi Gaetano di Carlo, vedovo di
Teresa Tassis. - Proc. Ord. Doc. VIII. pag. 324.
Biografie
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opera omnia
Biografie
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opera omnia
CAPITOLO
IX
Pianto e sorrisi del focolare
Da Soncino la famiglia nuova si trasferisce a Comonte,
proprietà e residenza abituale dello sposo.
Chi uscendo da Bergamo prende la via che muove alla volta
delle valli Cavallina e Caleppia, oltrepassata di poco la grossa borgata
di Seriate, s'incontra in una piccola catena di collinette le quali via via
che s'innalzano presentano i loro dossi vestiti dalla parte di
mezzogiorno di vaghissime vigne e frutteti, e nel fianco meno
assolato irti di folte boscaglie. Queste si chiamano le colline di
Comonte. Al principio di queste collinette sorge in luogo assai ameno
la chiesetta che appartiene al villaggio, chiamato appunto di
Comonte, il quale villaggio si stende ai suoi piedi formato di poche
case di coloni insieme raggruppate, e di molte altre sparse per la
fertile campagna. Sopra tutte spicca un palazzo di stile grave che ha
l'aspetto di un monastero più che di villa. La sua architettura è
armonia con la natura del luogo lontano dai frastuoni, silenzioso e
tutto fatto per la quiete e pel riposo.
Questa la dimora di secoli dei conti Tassis, che vanterebbero
76
nientemeno, nel proprio albero genealogico Torquato Tasso .
L'ultima erede, contessa Teresa Tassis, era andata sposa al
signor Gaetano Buzecchi, ottimo suo amministratore, recandogli in
dote un ingente patrimonio tra cui i vasti possedimenti di Comonte.
76
La proprietà si trova distante un miglio da Seriate, e sei da Bergamo. Oggi
nell'antica casa non rimangono che poche vestigia della famiglia: qualche stemma
dei Tassis (cornetto e tasso) sul camino della grande sala; pochi ritratti di grandi
dignitari ecclesiastici della famiglia, tra cui il vescovo Luigi Tassis: questi quadri
sono superstiti di una magnifica collezione dei principali personaggi della illustre
famiglia, che andò sventuratamente distrutta.
Biografie
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opera omnia
Morta senza prole od eredi la contessa Tassis, il marito venne a
trovarsi signore di così vasta fortuna. Sconsolato si ritirò nel suo
77
palazzo menandovi vita solitaria quasi misantropica . La noia di
viver solo e desolato, lo spettro dell'imminente vecchiaia con
l'inseparabile sequela di tristezze e malanni lo fecero uscir di
solitudine per ricercare una donna che, recandogli ancora qualche
gioia legittima e pura, gli fosse compagna nella ricca e desolata
solitudine, nonché sostegno della sua declinante vita. In verità non
poteva desiderare nulla di meglio dell'ultima figlia dei conti Cerioli.
L'aveva vista conosciuta appena; quanto gli dissero della sua bontà
delle sue doti di mente di cuore della sua profonda pietà gli bastò ad
avanzare una timida ma seria proposta di matrimonio.
La dirittura morale del gentiluomo è evidente come è degna di
elogio. Ha chiesto la mano di Costanza non attratto dai suoi beni
dotali - egli è straricco -; non invaghito della sua bellezza - essa è così
povera cosa che, pur giovane d'anni, porta i segni pietosi d'una
imperfezione fisica per nulla corretta dagli artifici -: ma solo vinto
dalla splendente virtù e convinto del gran bene che tutti dicono della
santa e saggia fanciulla.
L'ineccepibile integrità morale e civile l'ampiezza del
patrimonio furono quindi i motivi dominanti per cui i genitori di
Costanza, trascurando l'avanzata età, più che sicuri dell'assenso della
figlia obbedientissima ed amatissima accettarono di buon grado la
proposta. Il matrimonio fu conchiuso, e dopo breve periodo di
fidanzamento celebrato il 30 aprile 1835, come vedemmo.
Quel giorno la solitudine del palazzo di Comonte sembrò
destarsi da un lungo sopore. Rivestito a gala, animato di servi e
familiari in sontuose livree accoglieva festante il suo signore
accompagnato dalla giovane sposa.
Un raggio di sole un sorriso di cielo primaverile rianimò
l'austera magione; la nuova signora veniva ad accendervi un focolare
cristiano che la mano potente di Dio dopo breve giro di anni
tramuterà in autentico chiostro, ove troveranno ricetto due famiglie
novelle: una a Dio sacra che la profumerà di preghiere, l'altra fatta di
nidiate d'innocenti creature che l'inonderanno di trilli armoniosi; tutte
figlie della giovane benefica signora fattasi madre dei bimbi senza
madre. E Comonte dopo appena vent'anni diverrà domicilio della
carità, culla e forma d'altre case sorte a sua somiglianza per
diffondere l'amore della novella sposa di oggi.
77
La contessa Teresa Tassis morì il 30 giugno 1828.
Biografie
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opera omnia
Che questo poetico e profetico spunto abbia in realtà fatto
fremere le vecchie mura del castello di Comonte non lo sappiamo;
confessiamo però che fa fremere noi di gioia e ci aiuta a tener alto il
cuore fisso lo sguardo a questa benedetta meta; ci fa proseguire di
buon animo a leggere le pagine venienti, colme di pianto e dei sorrisi
dell'angelica sposa nella nuova magione dorata del suo soffrire.
Se il matrimonio è a tutti un serto di rose che per un giorno solo
olezzano per presto inaridire, alla nostra Costanza esso fu subito un
fascio di dure e crude spine. La mano di Dio le sottrasse tutto, persino
il legittimo a tutti concesso, per sostituirle le amare ma corroboranti
gioie serbate ai cuori di cui Egli è più geloso.
In verità, presaga di così alte ed arcane cose ella venne a
Comonte ad accendervi l'ara del più generoso sacrificio.
Innanzi tutto è indispensabile completare il ritratto morale dello
sposo.
Il signor Buzecchi all'epoca delle seconde nozze contava
sessant'anni. Uomo d'antico stampo cristiano di convinzione e
pratica, ottimo cavaliere padrone giusto liberale benefico occupava il
tempo curando i suoi beni e coltivando la musica “di cui si reputava
78
buon intenditore; mentre questa era soltanto una sua pretesa” .
Secondo alcuni egli era “di carattere buono e dolce” secondo
79
altri invece “bisbetico strano incontentabile” .
Il giusto mezzo crediamo consistesse in ciò: finché ebbe sanità, e
cioè per i primi tempi appena del secondo matrimonio, egli fu dolce e
buono; ma avanzando negli anni sopraggiunta la paralisi aggravata
dalla morte dei figli, specialmente dell'ultimo in cui sperava l'erede,
la sua natura a sfondo bilioso si rivelò con tutti i fenomeni più
sgraditi. Il nostro giudizio viene confermato da quello virtuoso e
benigno della stessa Costanza: “Mio marito - ella dice - era un uomo
educato sì di cuore; ma per la sua poca salute riusciva d'umore
inquieto; era poi attaccatissimo alle sue abitudini; ed avanzato come
era in età s'imponeva in modo da non permettere di aprirgli il cuore,
né manifestargli il più piccolo desiderio. Egli stesso avvedendosi del
mio contegno mi chiamava spesso “sua figlia”. Difatti io non facevo
altro che obbedire ciecamente anche nelle cose contrarie al mio gusto
riconoscendo nel suo il divino volere; perciò avevo sempre motivo di
80
rinnegare me stessa” .
78
79
80
Proc. Ap. Suppl. Summ. N. IV, paragr. 43.
Proc. Ap. Suppl. Summ. N. IV, paragr. 245. 153. 38. 39. 40.
P. Merati - Biografia Cap. II, pag. 25.
Biografie
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opera omnia
Ecco l'uomo destinato da Dio a Costanza Cerioli. A quest'uomo
giurò fedeltà ed amore di sposa cristiana. E lo amò sinceramente
come datole dal Cielo per la propria salvezza e santificazione. Lo amò
con amore sottomesso di figlia e di serva devota; lo amò per tutte le
sue buone qualità - che pur possedeva - chiudendo gli occhi su i
difetti le stravaganze, attribuite a malferma salute; infine lo amò per
amor di Dio.
La teoria e l'applicazione della carità - a lei ben note riprendono qui a vivere in tutta l'attività e l'estensione del dettato e
della pratica.
I primi giorni di dimora in Comonte non potevano non essere
lieti e quieti.
Il signor Buzecchi non cessa di compiacersi con se stesso del
prezioso acquisto con la sua buona Costanza. Così pia raccolta ed
altrettanto vigile devota nell'accudirlo, così diligente industriosa nel
non contristarlo nell'obbedirlo sempre con un pacato e sorridente
volto che è delizia il guardarla. Ha anch'essa però le sue predilezioni:
raccogliersi nel suo quartierino al piano superiore della casa, a
lavorare e pregare: preparare indumenti per i poveri bambini dei suoi
coloni e parlare con Dio delle misere e caduche cose di quaggiù nella
aspettazione di quelle imperiture del Cielo. Le sue uscite non sono
che per la chiesa o per opere di carità. E dire che aveva a disposizione
nel palazzo un devoto oratorio ove ogni festa si celebrava il S.
Sacrificio. Ciò nonpertanto, ascoltata qui la S. Messa voleva scendere
nella casa di Dio tra i suoi fratelli a pregare in comune con essi, a
edificar tutti con un contegno di fervida pietà nell'assistere alla Messa
parrocchiale e udirvi la santa parola di Dio. A Comonte si è scelto
81
subito un confessore che la guidi e la sorregga nella sua ardua via .
Questo genere di vita - bisogna riconoscerlo - era perfettamente
approvato da suo marito; la lodava se ne compiaceva tanto che
quando ricercava per la casa la irripetibile sposa la vezzeggiava
82
chiamandola con l'epiteto “monachella mia!” . Ne era contento anche
perché egli stesso per temperamento ed abitudini odiava il frastuono
e il trambusto. La sua bella casa, infatti, la teneva gelosamente serrata
specialmente alla modernità del suo tempo, tanto che in essa tutto era
rimasto di buon mezzo secolo. Non coltivava relazioni; riceveva
poche visite appena le indispensabili richieste dalla parentela o dalla
convenienza.
81
82
Don Giuseppe Milesi. Proc. Ap. Suppl. Summ. N. II, pagr. 145.
Proc. Ap. Suppl. Summ. N. IV, paragr. 103.
Biografie
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opera omnia
Unica privilegiata la musica: la sua passione. Per essa violava
clausura ed abitudini, spalancava le porte della custodita casa ad
amici e conoscenti per deliziarli con interminabili audizioni di
“pezzi” strappati al vecchio cembalo di famiglia. Quale genere di
martirio per chi ascolta, s'immagina non si dice. Gli ospiti almeno
possono con garbo declinar l'invito o l'abbreviar le visite; ma lei,
Costanza deve ogni volta piazzarsi al fianco del marito e prendere
più che gli altri attenta ai suoi virtuosismi musicali. Guai a divagarsi
scambiar parole o distrarsi in altro. Le abitudini del signor Buzecchi
erano viete e pesanti. Bisognava accomodarsi ad esse soffocando
dissimulando fastidi e noie. I suoi discorsi gravi bisognava ascoltarli
con attenzione e interesse; i suoi abiti il modo di acconciarsi all'antica
come antiche e passate di moda le stoffe che voleva per sé ed
imponeva alla sua signora. E questa, serena e lieta era contenta di
tutto, si adattava a tutto senza proteste o lamenti.
Di tempo in tempo, pensando di dar sollievo alla sposa, il
signor Buzecchi organizzava una gita a Bergamo. Dava ordine al
cocchiere di approntare la vecchia carrozza monumentale e sghemba
di casa Tassis, tirata da una pariglia di cavalli bardati come per un
torneo, o una parata da giostra. Ed egli vi saliva, come su un trono,
ostentando compiaciuto al proprio fianco la mite casta giovinezza
83
della sposa .
Meno spesso - ma non di rado - la conduceva nei principali
ritrovi o caffè della città; a volte al tetro ai balli ad altri convegni
mondani ove, tenendola a braccetto, si gloriava nel presentarla a
84
tutti . Pensiamo la confusione, la sofferenza della buona figliuola,
tanto modesta e delicata di animo, fatto segno agli strali di mille
occhi, oggetto di altrettanti giudizi da cui non esulano il sarcasmo le
beffa lanciati da quanti accorrono a malignare sulle stravaganze del
povero vecchio malato, e la passiva acquiescenza della giovane sposa.
Nonpertanto il signor Buzecchi continuava imperterrito il
cammino trionfale, con la povera moglie al fianco, tutta assorta in Dio
ad offrire il sacrificio di tanta umiliazione. Al ritorno in casa per nulla
turbata dell'accaduto, si mostrava lieta e disinvolta pronta a ripetere
le dolorose esibizioni tutte le volte che fosse piaciuto al suo signor
marito.
Quello però che le riusciva intollerabile, perché la faceva
soffrire terribilmente nello spirito timoroso dell'offesa di Dio, erano le
83
84
Proc. Ap. Suppl. Summ. N. IV, paragr. 38. 39. 40.
Ibid.
Biografie
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opera omnia
cosiddette visite di convenienza le riunioni di società le conversazioni
85
da salotto . Queste non poteva sopportarle “perché ivi - ella dice non si parlava di altro che di cose mondane, ed io sentivo per esse
una vera antipatia. Per me era un vero martirio l'assistervi e non so
86
quale sacrificio avrei scelto piuttosto che recarmi a tali ritrovi” .
Educata nel decoro e nella riservatezza, usa a trattare con
persone di tutta probità, inclinata alla quiete e al ritiro, doveva lottare
fortemente solo a presenziare le riunioni della società brillante.
Allegra e gioviale per natura, ma in pari tempo di squisita delicatezza
di conoscenza e purezza di cuore, a cui il più piccolo motto libero
dava pena e tormento, soffriva indicibilmente nel trovarsi a contatto
con quel genere di persone a cui il rango l'educazione l'autorità
avrebbe dovuto suggerire discorsi alti e pari al loro decoro; invece
non sapevano pascersi che di futilità maldicenza pettegolezzo;
persone infine artificiosamente complimentose e garbate la cui lingua
ferisce e uccide con una finezza pari alla leggerezza. Quindi i pericoli
a cui era esposta per la sua giovane età la facevano tremare. Invitata
alla danza, neppure una volta la si poté indurre ad accettare; sempre
adducendo a perentorio motivo il non conoscere quel genere di
divertimento. Trepidante e industriosa adocchiava un angolo remoto
della sala, vi rimaneva sola in dignitoso silenzio e riservato contegno,
in attesa che la festa finisse, ed il marito venisse a rilevarla.
Tornata in casa non una parola delle sue sofferenze non una
recriminazione. E che cosa avrebbe potuto dire se sapeva che proprio
da lui partiva l'ingiunzione? L'età e l'esperienza avrebbero dovuto
dissuaderlo dal mettere la giovane sposa in sì dolorosi e pericolosi
frangenti; ma se egli non lo rifletteva, lei non avrebbe mai osato
richiamarlo a tale riflessione; quindi, non le restava che obbedire,
fidando nella protezione del Cielo.
Tuttavia questa singolare situazione la inquietava ed affliggeva
non poco; se avesse potuto confidare la cosa a persona di età e di
autorità, come ad esempio la mamma, lo avrebbe fatto subito; ma i
suoi erano lontani da Comonte; non li vedeva che raramente, e
doveva regolarsi da sola, coi sensi della sua discrezione, e coi lumi
che le concedeva il Signore.
Alle sue religiose dirà poi: “Mi fanno veramente compassione
quelle povere signore che si maritano lontano dalla casa paterna e
non hanno persone conoscenti e per lo più hanno molta soggezione
85
86
Proc. Ap. Suppl. Summ. N. IV, Paragr. 18.
Proc. Ap. Suppl. Summ. N. IV, paragr. 18.
Biografie
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opera omnia
nella famiglia in cui sono accasate. Oh, quanto è duro ai giovani il
non aver persona a cui confidare i propri affanni... Mio marito mi
amava molto, ma essendo io di così poca età non ardivo esporgli il
benché minimo desiderio quindi soffocavo in cuore tutto che potesse
87
arrecargli il più lieve dispiacere” . Eppure a chiunque la visitasse in
Comonte ella dichiarava che nessuna sposa poteva meglio di lei
88
adempiere i doveri coniugali .
Nell'ubbidienza umile ed operosa santificata dalla preghiera,
aromatizzata di mortificazione, trascorrono i primi tempi della vita
coniugale in assoluta pace e serenità.
Questo - con poche varianti - sarà il tono di ben diciannove
anni, rafforzato dalla gioia e dal peso della maternità, aggravato dalla
penosa lunga malattia del signor Buzecchi, che metterà a prove ognor
più difficili la resistenza spirituale e fisica della generosa consorte.
Poche gioie - come si vede - e molti sacrifici. Guardata con occhi
umani la vita di Costanza Cerioli è penosa assai degna di compianto.
Ma chi potrebbe dire quel che in compenso ella gusta nell'anima?
Il mondo non può esser giudice di tali cose perché le ignora.
Tanto vero che per esso questa donna comunque la guardi, sia nello
stato coniugale come in quello di religiosa è sempre un'infelice.
Alcuni glielo dicevano persino.
Ma a chi la reputa tale, risponde lei stessa: “Poverette esse! mi
credono più infelice di loro... Oh, come s'ingannano, esse non sanno
89
dove stia la vera felicità!” . Lo sapeva ben lei dove trovarla.
Qualcuno di Comonte - pochi assai a dir vero - penetrando il
mistero di quel sorridere tra siffatto vivere, quando la vedevano
passare in carrozza, sussurravano sommessi: “Presto, venite a vedere
90
passa la carrozza della santa” .
Contrasto armonioso ed elegante! Come la santità sa adattarsi
in un cocchio, così nella sofferenza può stare la perfetta letizia!
87
88
89
90
Proc. Ord. Vita, Cap. III, paragr. 137.
Proc. Ap. Suppl. Summ. N. IV, paragr. 28.
Proc. Ord. Doc. Vita, Cap. II, paragr. 136.
Proc. Ap. Suppl. Summ. N. IV, paragr. 93.
Biografie
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opera omnia
Biografie
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opera omnia
CAPITOLO
X
E le poche rose!...
Trascorre il primo anno di matrimonio e sulla fronte verginale
di Costanza si posa il serto della maternità.
La trasfusione della fecondità divina dà alla creatura razionale
tale comprensione della dignità e responsabilità proprie, da
giustificar bene quelli che si dicono i prodigi del matrimonio. Una
giovinetta pavida debole allorché porta il peso della maternità
d'incanto diviene forte e intrepida saggia ed eroica. Che dire poi se
una creatura giunga al matrimonio corredata di virtù eccezionali,
abituata a guardar tutto, dolori e gioie, dalle altezze della fede ad
amar tutto con le ampiezze del cuore divino? La reversibilità
dell'amore creatore e redentore immenso nel cuore umano si diffonde
e crea i classici gesti di sacrifici di rinunzie consueti per una madre
comune, eroici sempre in una madre santa.
Il provvido amore di Dio mescola così nel cuore di Costanza,
con tante amarezze, questa pura gioia. Tra le spine della sua corona
ha inserito tre fiori: di essi uno solo - il primo che le sorrise - si aprirà
sino alla primavera della vita; gli altri due appassiranno appena in
boccio.
Il primogenito - Carlino - lasciato per sedici anni a fianco della
madre, in tutto degno di lei, le sarà angelo di conforto; dopo aver con
lei sofferto, ed annunziatale vicina la suprema vocazione, se ne volerà
al Cielo. Nacque il 20 ottobre 1837.
Il secondo, Raffaele, nato il 9 novembre 1838 morrà dopo
appena nove mesi di vita il 6 agosto 1839.
Biografie
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opera omnia
Il terzo ed ultimo - senza nome - nacque e morì lo stesso giorno
91
22 novembre 1842 .
Carlino il superstite - che ricorda nel nome l'avo paterno - porta
una nota di gioiosa vita nell'austero palazzo che la misantropia del
padrone e la raccolta solitudine della signora rendono quasi un
chiostro.
Dicevamo che questo figlio unico sopravvissuto ai tre elargiti,
nel consiglio divino era dato proprio per la madre. Non sarà l'erede
né il continuatore del nobile casato; ma l'innocente associato alle
spirituali elevazioni ed alle pene materne; infine “la vittima
sacrificata per tanti infelici”, come lo dirà Costanza. La sua morte
prematura, infatti, e la sua pingue eredità daranno a lei motivo e
mezzo di realizzare insieme il sogno della vocazione religiosa e
l'opera benefica a cui è destinata.
A sua volta la madre è angelo al figlio, maestra e guida nei
brevi giorni della sua vita.
Gelosissima d'un tale tesoro, proprietà e dono divino, non lo
affida a veruno nella prima infanzia. Lei sola deve accostarlo ed
incontrarsi con la sua anima innocente per deporvi i primi sensi della
fede, i primi germi della virtù; col suo cuore per accendervi un
grande amore per Iddio e una devozione tenerissima alla Santa
Vergine; con la usa intelligenza per aprirla alle prime nozioni del
sapere cristiano ed umano.
Memore della educazione ricevuta ella non permise mai
all'affetto - ed era ben grande - di far velo ai suoi occhi a coprire le
incipienti passioni nel suo piccolo, e debellare con la forza della
persuasione con la dolcezza dell'amore. E vi riuscì a meraviglia.
Un pio sacerdote che frequentava la casa ha notato in quel
fanciullo evidenti i segni di un'anima candida e bella; tutto merito
della pia istitutrice; anzi ne è la copia tenera ed autentica.
A sei anni appena egli sapeva servire all'altare. Liturgicamente
istruito si univa al sacerdote nell'oratorio domestico vi si moveva
come un piccolo angelo, modesto e compreso del suo alto ufficio
coadiuvava il sacro ministro nel sacrosanto mistero.
Nel mirarlo così devoto e grave la madre estasiata lo sognava
già consacrato a Dio, e nel segreto del cuore glielo offriva con le
suppliche più calde perché ratificasse il suo voto.
91
Archivio Parrocchiale del SS. mo Redentore in Seriate. Dai registri dei Nati
nell'anno 1837 al N. 75; nell'anno 1838 al N. 82; nell'anno 1842 al N. 76. Per
quest'ultimo si legge l'annotazione: “Non ha nome perché morto appena nato”.
Biografie
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opera omnia
Carlino aveva pure appreso da lei l'amore la pietà per i
poverelli. Lassù nella sua stanza solitaria dove ella trascorreva lunghe
ore a disfare le sue preziose vesti per rifarne piccoli indumenti
destinati ai bambini, Carlino imparava ad una scuola silente ma
eloquente la gran fonte di meriti che è quella di dare sottraendo a se
stessi; e per questo guidato dalla mamma faceva anche lui del proprio
92
le sue piccole oblazioni, frutto di generose rinunzie e mortificazioni .
Carlino oltre la sveglia intelligenza, che ricopia così al vivo la
mamma, sembra avere qualche disposizione alla musica; e questo è
dal babbo. Una nuova sorgente di pene e sacrifici!
Col crescere del figlio il signor Gaetano invecchiava, ed
invecchiando si accentuavano i malanni che riflessi sul suo
temperamento lo rendevano irritabile e strano. Facilmente montava
in ira e - incredibile! - era preso da eccessi di gelosia contro il piccolo
93
perché lo credeva oggetto delle migliori cure di Costanza . Non
94
vedeva di buon occhio che ella si intrattenesse da sola col bambino .
Non si può dire con ciò che egli non lo amasse; ma è facile intuire
quanto quest'amore fosse sopraffatto dalle stranezze.
Esigeva da lui contegno e maniere superiori alla sua età. Gli
stessi sollazzi le tenerezze infantili lo indisponevano. Così pretendeva
immobilità e silenzio per lungo tempo; e se mai il piccolo commetteva
un innocente malestro si adirava, se ne offendeva sino ad attribuirlo a
malanimo a premeditazione alle cose più assurde per un bambino.
Ad esempio: lui sedeva al cembalo per eseguire qualche brano
musicale, il figlio doveva restargli vicino immobile silenzioso - come
già la madre - ad assistere alle interminabili esecuzioni ed applaudirle
95
al momento voluto . Accadeva che il ragazzo si stancasse, e non di
rado si addormentava; a volte poi al sentire qualche nota troppo
acuta o fuori posto rideva. Allora era tempesta! Il signor Gaetano
interrompeva l'esecuzione si allontanava tutto adirato pronunziando
96
parole contro il figliuolo
Rare volte Costanza si recava a Soncino a far visita ai vecchi
genitori. Con materna compiacenza preparava il piccolo per condurlo
a deliziare delle sue innocenti grazie gli amati avi; ma quando era sul
92
93
94
95
96
Proc. Ap. Suppl. Summ. N. IV, paragr. 59.
Proc. Ap. Suppl. Summ. N. IV, paragr. 85.
Proc. Ap. Suppl. Summ. N. IV, paragr. 49.
Proc. Ap. Suppl. Summ. N. IV, paragr. 93.
Proc. Ap. Suppl. Summ. N. IV, paragr. 31.
Biografie
83
opera omnia
punto di partire, il marito comandava: “Va' da sola, Carlino resterà
97
con me” .
“Questo mi straziava il cuore - confiderà poi Costanza alla M.
Corti -. Proibirmi di condur meco l'unico mio figlio era come
togliermi l'anima. Quel viaggio era un martirio. il mio sollievo era
allora rivolgermi a Maria Addolorata e con lei sfogare il mio dolore;
da sì buona madre avevo sempre conforto. Carlino poi era più
virtuoso di me. Comprendeva che io soffrivo nell'abbandonarlo mal
dissimulando anch'egli il suo dolore mi diceva: - sta’ quieta, mamma,
che io sarò buono vedrai che non mi accadrà nulla di male. Che vuoi?
papà mi vuole in casa con lui; è segno che mi ama, ed io sono
contento. - Io poi baciandolo in fronte e mettendolo fra le braccia di
Gesù e Maria rassegnata a non lamentarmi mai qualunque sacrificio
chiedesse da me il Signore, salutato il marito me ne partivo”. E
conchiude con queste sante parole: “Era Dio che a poco a poco veniva
staccando il mio cuore da colui che doveva essere la vittima sacrificata
per tanti infelici”. Parlando di cose sì dolorose ella era tanto commossa
98
che inteneriva alle lacrime chi l'ascoltava .
Di questo sacrificio imposto dalle senili stravaganze d'un
infermo madre e figlio in generosa gara offrivano a Dio il fiore,
dissimulando l'uno all'altra il proprio penare, giustificando e
compatendo chi ne era la cagione.
Carlino che si avvedeva degli eccessi di gelosia del babbo,
99
confortava la mamma adducendo a cagione il grande affetto di lui ;
la madre, posta in imbarazzo tra il padre e il figlio, nascondeva ad
100
entrambi qualsiasi risentimento . Suo primo timore è che non scemi
in Carlino l'affetto e la riverenza filiale ed è perciò tutta sollecita ad
inculcargli parlando del premio da Dio riserbato ai figli amorevoli,
scusando le parole e i gesti paterni attribuendoli all'amore che nutre
101
per lui .
Non si saprebbe in verità chi più ammirare in siffatta gara: la
madre o il figlio: pieni di compatimento entrambi e preoccupati solo
di giustificare il contegno d'una persona cara, cagione di sofferenza e
di merito. Il povero malato per fermo è meritevole di questo
compatimento; le sue condizioni fisiche, ognora decadenti, sono il
97
98
99
100
101
Proc. Ap. Suppl. Summ. N. IV, paragr. 2.
Proc. Ord. Doc. Vita, pag. 139.
Proc. Ap. Suppl. Summ. N. IV, paragr. 21.
Proc. Ap. Suppl. Summ. N. IV, paragr. 5.
P. Merati. Biogr. Cap. II, pag. 33.
Biografie
84
opera omnia
principale fattore per cui le sue stranezze, riflesso di un
temperamento non felice, si aggravano ogni giorno.
Tanti motivi, che rendono ognor più difficile la situazione
domestica, impongono a Costanza un'eroica decisione: rinunziare al
figlio, collocandolo in collegio.
Anche il saggio disegno di provvedere alla formazione
intellettuale di lui ne è buona ragione, rafforzata dal pensiero che
allontanata la causa della irritazione e della gelosia il povero infermo
avrebbe trovato maggiore serenità. Ed inoltre il generoso proposito di
dedicarsi esclusivamente al proprio marito, le fecero ricercare questo
mezzo. L'affetto materno riluttava all'energico rimedio: come
distaccarsi dall'unico conforto concessole da Dio? Ma di fronte
all'urgente dovere di salvare la pace domestica e provvedere alla
salute dello sposo abbracciò anche questa nuova croce. Un altro
sacrificio dunque per lei e pel figlio.
Quanti pregi, quante squisite finezze in questo gesto! Costanza
adusata alle rinunzie lo troverà tollerabile anzi benefico, benché
profondamente sentito, perché la disporrà ad un distacco più fiero e
crudele: l'immatura morte del suo Carlino.
Proprio in quei giorni per felice coincidenza si presentava il
destro al sacrificio. In Bergamo Mons. Alessandro Valsecchi canonico
della cattedrale realizzava un'idea da tempo vagheggiata: quella di
aprire un collegio per provvedere alla cristiana educazione dei
102
giovanetti della regione .
Il nome del promotore e fondatore, la protezione e vigilanza del
vescovo diocesano sul nuovo centro di educazione garantivano
assolutamente Costanza e non la fecero dubitare un istante sulla
scelta. Senza por tempo in mezzo si porta a Bergamo, tratta la cosa
con Mons. Valsecchi e tutto è stabilito per il prossimo ingresso del
ragazzo. Sarà così il primo alunno del nuovo collegio che si chiamerà
di “S. Alessandro” o più comunemente “il collegio Valsecchi”. Il
102
Monsignor Alessandro Valsecchi nacque in Bergamo il 9 novembre 1809.
Sacredote nel 1832. Vice parroco di Borgo Canale: Economo spirituale a Locatello,
indi Vice parroco a Bienno.
Nel 1846, rettore del Collegio S. Alessandro, ove rimase sino al 1873.
Nel 1858 Canonico della Cattedrale; Esaminatore pro-sinodale e in ultimo pro
Vicario Generale.
Nel 1867 Mons. Speranza lo chiese alla S. Sede come coadiutore, e lo ebbe infatti
col titolo di vescovo titolare di Tiberaide.
Nel 1870 partecipò con Mons. Speranza al Concilio Vaticano, ove si fece ammirare
per i suoi illuminati suggerimenti circa il Decreto sulla Infallibilità pontificia.
Morì il 6 maggio 1879, precedendo di un mese nella tomba il suo grande vescovo
ed amico, Mons. Speranza.
Biografie
85
opera omnia
fondatore vide subito nella primizia un segno e un presagio del felice
avvenire dell'istituzione. E difatti Carlino Buzecchi - che egli
chiamerà “il figlio primogenito” - riuscirà il primo e vero esemplare
di pietà e diligenza prodotto dal collegio, ed a cui potranno sempre
rifarsi i condiscepoli per imitarlo.
Non era infatti figlio e frutto della pedagogia di una santa?
Carlino parte pel collegio all'età di otto anni: un frugolo
intelligente e buono vivace e riflessivo, e si distacca dalla madre
addolorata, consapevole anche lui di andare a far contento Iddio che
ha disposto tutto così.
Mons. Valsecchi posto dinanzi al ragazzo fa subito una
constatazione felicissima per un rettore in procinto di aprire un
collegio: quel figliuolo si presenta così compito nell'educazione di
carattere nella vita di pietà nell'esercizio delle virtù - specialmente
della mortificazione - che, per renderlo completo, a lui resta soltanto
istradarlo nello studio delle lettere e delle scienze umane; per tutto il
resto è merito degli insegnamenti materni se può proporlo subito in
esempio ai suoi compagni. Chiara dimostrazione dell'efficacia della
preventiva educazione domestica.
Il pio rettore ne rimane talmente colpito e commosso da
scrivere a donna Costanza in questi termini: “Le savie ammonizioni e
le incessanti preghiere con le quali ella, assiste suo figlio giovano al
medesimo assai più che le mie parole e le mie cure. Non che accusi
suo figlio, anzi accuso me stesso, vedendomi troppo inferiore al
delicato ufficio che mi sono addossato. Vostra Signoria dunque faccia
103
di assistere il rettore, ed avrà fatto un gran bene ad ambedue” . Tale
elogio, onorifico per la madre e pel figlio, era dettato da un uomo di
Dio che sarà poi direttore spirituale e consigliere della nostra
Costanza.
Dalla citata lettura si rileva che l'educazione del collegio era
completata in casa nei giorni di vacanza - che a quei tempi eran pochi
- ed anche questo costituirà un altro tempo di prova per la madre e
per il figlio, come vedremo.
Costanza poteva controllare con vera competenza il profitto del
figliuolo nelle lettere e nelle scienze: soprattutto lo scandagliava in
quello spirituale, - ciò che faceva ancora meglio - esaminandolo sulla
sua cultura religiosa; e se ne compiaceva in Dio per la perfetta
rispondenza ai suoi intimi desideri.
103
P. Merati - Vita Cap. II, pag. 34.
Biografie
86
opera omnia
Quel figlio era tutta la consolazione della tribolata sua vita: ogni
giorno constatava meglio che era veramente suo figlio; e il cuore di
madre e gl'impeti di santa le facevano sognare le più sublimi tra le
cose desiderabili per una genitrice.
A volte poi, nei loro affettuosi intrattenimenti mescolano tanto
bene la scienza e la fede, materie scolastiche e soggetti spirituali.
Nella copia di bellezze e di ricchezze naturali possedute nei
fondi paterni la madre, accesa di celeste ardore, svolge sotto gli
sguardi del giovinetto le pagine vive smaglianti della natura. Tutto le
dà motivo a parlare; un nulla le è di estro ad impennare un volo verso
il Cielo. I fiori gli alberi carichi di frutti i prati verdeggianti le belle
colline di Comonte ricche di vegetazione un tramonto una notte
stellata, rapiscono il cuore di lei in alto trae suo figlio, quasi piccolo
uccello implume da allenare al volo, per fissare la bellezza increata
che dappertutto diffonde le proprie vestigia, onde l'uomo, creatura di
predilezione, lo ami e lo adori.
Molti anni dopo queste notturne contemplazioni, - che
rievocano tanto bene le elastiche veglie in Ostia di un'altra madre, e
di un più grande figlio - Costanza narrerà alla M. Corti: “Nelle belle
serate di autunno invitavo il mio Carlino ad ammirare la grandezza
l'onnipotenza di Dio nelle bellezze della natura. Poi lo facevo
riflettere alle gioie del Cielo e gli dicevo: - Se tanto è bello questo cielo
veduto di quaggiù, che sarà del paradiso?... Oh, mio Carlo, verrà
giorno che colà ci troveremo e godremo il nostro Dio e Padre
amorosissimo!... - E Carlino nel cui cuore ritrovavano perfetta
104
risonanza quelle parole s'inteneriva sino ad pianto” .
Ma i giorni delle vacanze, dicevamo, erano pure il tempo della
prova per la madre e pel figlio. Il babbo che nonostante la lontananza
di Carlino non dimetteva il suo difficile carattere, anzi col tempo e
con gli acciacchi sembrava inasprirsi, nonché allietarsi della presenza
di lui ne era disturbato, annoiato. Non poteva vederlo muoversi
giocare - cosa irresistibile pei ragazzi - non gli permetteva che si
unisse a verun compagno per sollevarsi, né che accettasse o
scambiasse visite. Le vacanze pel povero figlio rappresentavano una
vera segregazione, senza sollievi senza passeggi senza compagni,
peggio assai della vita di collegio. Questa compressione imposta con
tanta violenza ad un giovanetto sull'età dello sviluppo - a giudizio dei
medici - fu la prima causa predispositiva al male che lo rapì alla vita.
104
Proc. Ap. Suppl. Summ. N. IV, paragr. 6. 83.
Biografie
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opera omnia
La madre per tutto soffriva intensamente; eppure taceva: “Non
ti so dire - così ricorderà alla buona Madre Corti - quanto io soffrivo
in vederlo... sì buono... sì docile che per quanto stava in lui non
chiedeva mai nulla... tutto solo in casa senza dargli il più piccolo
105
divertimento. Egli però non se ne lamentava” .
Quante volte accadeva che, ottenuto in somma grazia il
permesso di condurre Carlino fuori per una passeggiata in carrozza,
tutta giuliva e premurosa impartiva gli ordini opportuni e ne
avvertiva il figlio. Ma allorché il servo veniva ad annunziare che tutto
era pronto, e si disponevano ad uscire, il babbo mutato pensiero,
comandava che restassero in casa. “Come tu vuoi!” era la risposta
sommessa e rassegnata della virtuosa donna; e rientrando cercava di
persuadere il figlio che il contrordine era dato dal babbo pel timore
che non gli incogliesse loro qualche male. Carlino in pieno accordo
con la mamma accettava la ragione ed offrendo a Dio il sacrificio se
ne restava anch'egli tranquillo.
La povera donna, infatti, avrebbe creduto di offendere la
propria coscienza, facendo anche una minima osservazione
sull'operato dello sposo. Avrebbe preferito morire sotto il peso dei
sacrifici e delle privazioni anziché procurargli un disturbo.
“Noi fummo testimoni - dice il cappellano di Comonte - della
vita angelica e mortificata di questa donna e sfidiamo chiunque a dire
se mai abbia notato sul suo volto nel tratto un segno d'impazienza o
un sintomo di malcontento per la propria condizione. E sebbene la
sua salute, già malferma, cominciasse ad esser minata proprio per le
prove ed i sacrifici a cui di continuo era sottoposta, mai fu possibile in
lei il preferire una qualunque cosa che sapesse contraria ai comandi o
106
ai gusti del marito” .
Ogni giorno ad ogni ora alla sua corona si aggiungono nuove
spine di nuovi sacrifici... e Costanza avanza rassegnata e serena
incontro al giorno fatale e finale che vedrà d'un colpo annientate le
sue gioie dissipati i suoi sogni materni.
Ma sarà pure il giorno in cui la visione dell'avvenire desiderato
arriderà ai suoi occhi in premio e riposo a tanta virtù e a tanto
soffrire.
105
106
Proc. Ap. Suppl. Summ. Vita, pag. 13.
P. Merati - Biografia - Cap. II, p. 36.
Biografie
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opera omnia
CAPITOLO
XI
Sposa e Madre generosa
Nell'anno 1849 il signor Gaetano al varco del suo
settantacinquesimo anno d'età è colpito da una paralisi progressiva.
La sposa conta appena trentatre anni; il figlio undicenne è tuttora in
collegio.
La malattia dopo il primo attacco allarmante presentò una lieve
ripresa di forze: quanto bastava a dire che non era la morte, ma in
effetti era il protrarsi d'un'agonia durata per cinque anni!
Dapprima immobilizzato nel letto poi sur una poltrona, le sue
sofferenze gli guadagnarono molti meriti; ma ne moltiplicarono
altrettanti alla generosa sposa che continuò ad essere, in grado
veramente eroico, il suo angelo buono.
Per amor di carità non ripetiamo al lettore gli effetti del funesto
rincrudir di un tal male sopra un temperamento già veramente
scosso. Che se noi per ragioni di obiettività storica dobbiamo
segnalare gesti e fatti ancora dolorosi, non lo facciamo per deprimere
la memoria dell'ottimo signore -, del resto anche a noi caro perché
tanto amato dalla nostra ammirabile eroina -, ma è solo per mostrare
a quali vertici di virtù è sospinta la giovane sposa.
Il quadro della genuina carità scolpito dall'Apostolo si rianima
qui autentico perfetto. Non un dettaglio non una linea mancano per
poter dire: ecco il vero amore, attinto dalla fonte divina, diffuso nelle
parole negli atti nel comportamento di una donna “longanime
107
benigna paziente... che tutto sopporta per amore di Dio!” .
Sfogliando i Processi Ordinari e Apostolici, troviamo in
proposito tale copia di testimonianze così unanime attestazione di
107
Cor. 13. 4.
Biografie
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opera omnia
lode, da restarne commossi e quasi smarriti al pensiero di non poter
darle tutte, pel rammarico di dover tralasciarne molte e il timore di
tacerne le più interessanti.
Se l'obbedienza a Dio e agli uomini è stata sin qui - come
vedemmo - la caratteristica di questa vita, si deve riconoscere come in
essa domini sovrana la carità. Non per nulla la carità si dice regina,
complemento e sintesi di tutte le altre, tanto che il pregio e l'intensità
d'ogni virtù va sempre misurata al grado d'ardore di carità.
Costanza Cerioli ha il cuore colmo d'amore di Dio, e come potrà
non amare le sue creature, quelle specialmente a lei più affini
prossime congiunte? Anche se umiliate sotto il peso di difetti
debolezze colpe le amerà ancora; anzi proprio con esse per donare
con più impeto la commiserazione e il conforto.
E questa è soltanto una parte della diagnosi della sublime
infermità che sta nel cuore di Costanza Cerioli; l'altra, la migliore,
perché attinge il vertice soprannaturale, Iddio non s'è ancora svelata
nella pienezza del suo fulgore.
Lo stesso povero paziente confessava a Mons. Valsecchi, ormai
di famiglia per esser l'angelo di Carlino, che egli era trattato dalla
moglie con grande amore; e non faceva che ripeterne le lodi
chiamandola il suo angelo consolatore. “Questa donna fu sempre la
mia consolazione. Ella mi ha prestato del continuo un'assistenza ed
108
una compagnia ammirabile. Ella mi fu figlia infermiera serviente” .
Per riassumere in una tutte le testimonianze, possiamo dire con
la deposizione di molti: “Siamo stati testimoni oculari della pazienza
bontà e speciali prove d'amore con cui ella assistette il marito nella
109
sua grave e lunga malattia” .
E dire che ella è sola a bere l'amaro calice dei suoi dolori,
rincruditi dalla malattia e dalla morte del suo Carlino, venuta a
cadere nell'ultimo periodo dell'infermità del padre.
Ciò nonostante, desolata nell'anima non poco sofferente nel
fisico, per cinque anni ella non cede a nessuno l'ufficio d'infermiera
presso il marito, e per un anno intero tra il letto del figlio e la poltrona
del padre.
Per quest'ultimo specialmente il pietoso ufficio doveva riuscirle
estremamente difficile. Eppure mai se ne uscì in parole di lamento,
mai si mostrò stanca ed annoiata; ma attenta pronta vigile ad
assisterlo e consolarlo, sempre. Eh, sì, che doveva fare uno studio
108
109
Proc. Ap. Suppl. Summ. N. IV, paragr. 57. 18, 35.
Proc. Ap. Suppl. N. IV, paragr. 245.
Biografie
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opera omnia
particolare a distinguer tempi e momenti in cui il malato preferiva le
parole al silenzio o il silenzio alle parole, la compagnia alla solitudine,
la tranquillità alle cure.
Un giorno forse più stanca del solito ella non ha posto niente a
tale studio psicologico, ed avendogli posto un bicchiere colmo
d'acqua che egli non gradiva, fu bersaglio e del bicchiere e di una
refrigerante abluzione. In quel momento entra la cameriera, vede la
signora madida d'acqua. “Già, - pronta ella a scusare il marito - vedi
la mia sbadataggine! avevo in mano il bicchiere, ed egli alzando il
110
braccio, me lo ha versato addosso” . E di queste gentilezze se ne
potrebbe infiorare il capitolo.
Noi ammiriamo piuttosto la pazienza la generosità di lei che
sostiene in questo lungo e penoso esercizio “solo col pensiero di Dio e
nel conforto chiesto e ricevuto dalla vergine Addolorata, a cui solo
111
confidava il suo dolore” .
Il suo lavoro di paziente carità verso il marito prosegue. Gli sta
sempre vicino; lo sorregge nelle brevissime deambulazioni che,
aiutato da un bastone, può fare per la stanza, a volte pel corridoio,
raramente in giardino. Un solo cenno di lui da cui possa conoscere un
desiderio, basta per farla correre ad eseguirlo, sollecita di compiacerlo
anche nelle minime cose. Nonché infastidirsi delle continue cure,
spesso gravi e sgradevoli, che l'estrema debolezza del malato
richiede, ella le moltiplica più del bisogno e non si lascia sostituire da
altri. Se lo vede in vena di conversazione s'intrattiene a lungo a
discorrere di argomenti a lui cari; ma se le sembra che preferisca la
quiete, osservato che nulla gli manchi, silenziosa in punta di piede si
ritira nelle sue stanze.
Nei momenti non rari in cui l'infermo oppresso o stanco dal
male s'impazientisce, ella gli è dattorno a calmarlo con tutta dolcezza,
a compatirlo col più affettuoso interesse ad esortarlo con soavissime
parole di fede e rassegnazione.
Le persone di servizio sono ammirate di lei che soffre e tace, che
dissimula con pietoso affetto l'acerbo dolore della malattia e della
morte del figlio, onde il marito non se ne avveda. Ad una voce, i
domestici la proclameranno una santa.
Lo stesso infermo a volte s'intenerisce dinanzi alla instancabile
bontà di Costanza si preoccupa di dovere abbandonarla, e con voce
riconoscente la chiama “figlia”. “Povera figlia! - le dice - come farai
110
111
Proc. Ap. Suppl. Summ. N. IV, paragr. 20.
Proc. Ap. Vita, paragr. 9.
Biografie
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opera omnia
quando io sarò morto? chi amministrerà la tanta roba che hai; chi
terrà conto di tutto; dove impiegherai tante sostanze?” Ed ella: “Non
112
pensiamo a questo; Iddio ci penserà” .
Così per cinque lunghi anni!
Come già dicemmo, circa la metà del lungo periodo di malattia
del signor Buzecchi, e precisamente nel giugno del 1853, al compiersi
del settimo anno della dimora di Carlino in collegio, il rettore scrisse
a Costanza per dirle che il figliolo si trovava in uno stato di salute
assai precario; per cui, non potendo trattenerlo in collegio, reputava
necessario restituirlo alla famiglia, dove l'aria e le cure materne gli
avrebbero giovato. S'era annunziata la tisi. Il medico curante nel farne
la diagnosi non dubitava di assegnare la causa alle limitazioni d'aria e
di moto, imposto al ragazzo in famiglia.
Il cordoglio e la costernazione della madre per la sorte del figlio
furono inenarrabili. Tutti i sogni concepiti e carezzati su quel caro
oggetto dell'amor suo sarebbero caduti!... Già da tempo trepidando
pel decadimento fisico di lui ella va passando notti insonni nel timore
che il figlio lontano stia poco bene. E più soffre per non poter
apprestargli quei sollievi e svaghi che la sua età tanto
113
imperiosamente reclama; ma le prescrizioni paterne lo vietano .
All'annunzio del rettore volò a Bergamo e con la certa speranza
di ristorare in breve le forze del giovinetto lo ricondusse a casa.
Quivi inizia subito il suo duplicato lavoro d'infermiera tra lo
sposo ed il figlio. Più tardi dirà alla M. Corti il suo stato d'animo in
quei giorni angosciosi: “Quando egli era malato - parla di Carlino non so dirti le notti in cui mi coricai; né so come sia scampata da una
malattia, essendo io stessa gracile e debole di complessione. Stavo del
continuo vicino al suo letto, e mettevo in opera tutto per risanarlo.
Però più che nei mezzi umani e medicine confidavo in Dio e facevo
sempre nuovi voti e nuove suppliche al Signore, profondevo
largamente elemosine, facevo celebrare Messe, e tali e tante furono le
promesse con le quali mi ero obbligata con Dio, che, se non fosse stata
volontà di Dio togliermelo per dare asilo agli abbandonati, era
impossibile che non mi esaudisse. Non so chi, in simili circostanze,
abbia avuto più fede di me. Bisogna proprio dire che la preghiera non
torna mai a vuoto, ma sempre ha il suo effetto; perché se non si
112
113
Proc. Ap. Summ. - Vita, pag. 139.
Proc. Ord. - Vita. pag. 139.
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opera omnia
ottiene quel che si desidera, si ricevono però altri favori anche
114
maggiori” .
Fra i voti che ella emise in tale dolorosa contingenza, ci fu anche
quello di chiudersi in un sacro ritiro, appena Carlo fosse cresciuto
all'età maggiorenne. Sul principio sembrò che il Cielo si piegasse
benigno alle ardenti suppliche e generose promesse della povera
madre: Carlino annunziava una ripresa di forze che la lusingò tanto.
Ma fu cosa d'un momento; dopo un mese il giovinetto ricadde per
non riaversi più. E la delusione la ripiombò nel dolore più grave.
Da questo momento quale vita per la povera madre! Passare e
ripassare dal letto di Carlino a quello del marito; che ai propri
malanni aggiunge ora la pena del figlio malato. Il timore di perdere
l'unico erede del nome e delle sostanze di famiglia, lo deprimeva al
punto da portarlo fuori di sé e farlo delirare in un penoso ritorno alle
esplosioni di gelosia, quasi che la mamma avesse maggiore cura del
figlio che di lui.
La povera Costanza, senza un minuto di riposo è inchiodata ai
due letti dei cari infermi, oppure è prostrata ai piedi dell'altare
domestico a scongiurare Iddio onde allontani da lei quell'amaro calice
che, purtroppo, avrebbe dovuto tra breve assaporare.
Un giorno, meditando i dolori della Santa vergine nel momento
in cui perdeva il suo Figlio divino, provò anch'essa tale
115
presentimento e tale stretta al cuore che cadde quasi svenuta .
Ma la sua fede la sua speranza il suo amore eroico sostennero il
fragile ed affranto corpo, per continuare da sola - risparmiando i
domestici - ad assistere i suoi cari. Nelle notti che trascorreva in
veglia al letto di Carlino conversava con lui di cose sante, e
ragionando insieme si esortavano vicendevolmente alla pazienza alla
rassegnazione. Colloqui sublimi! degni del labbro dei Santi!... L'una
martire di carità che sogna i riposi del Paradiso ancor lontano; l'altro
un giglio di candore anelante la compagnia degli angeli i quali lo
invitano a salire in Cielo per cantare l'inno immortale dietro l'Angelo
senza macchia.
È una gara d'amorose speranze di altissime aspirazioni tra due
anime assolutamente degne una dell'altra.
I fiori di questi celesti colloqui raccolti in una lettera che la
mamma indirizzerà a Mons. Valsecchi, ci proponiamo di presentarli
114
115
Proc. Ord. - Vita, pag. 140.
P. Merati - Vita - Cap. II, pag. 40.
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opera omnia
presto all'ammirazione del lettore onde ne aspiri l'olezzo di Paradiso
di cui son pieni.
Verso gli ultimi giorni quando tutte le speranze sono ormai
perdute, l'eroica madre ha un grido d'angosciato smarrimento: “Che
cosa farò sola senza di te? E delle tue sostanze che ne farò?” Il figlio le
risponde: “Il signore ti darà altri figli da mantenere”
“Da quel punto sino alla di lui morte - dice Costanza - io rimasi
come impietrita. È impossibile descrivere quale mi trovai allora. Iddio
solo sa. Sia sempre benedetta la bontà sua che tutto dispone pel bene
dei suoi figli!”
Il 16 gennaio 1854 Iddio discese nel giardino di Comonte a
cogliere l'unico giglio cresciuto in tanto profumo di virtù e venustà di
bellezza per trapiantarlo nell'aiuola celeste. Carlino aveva toccato il
sedicesimo anno di vita.
Un vincolo è spezzato: il più forte perché il più tenero, nutrito
da sedici anni di purissimo amore.
Ora resta l'altro, l'ultimo, che al tramontar di quest'anno cadrà.
La quercia annosa colpita dal fulmine della paralisi va cedendo
lentamente; investita dall'ultimo colpo - la morte del giovane virgulto
- si abbatterà per sempre!
Dalla morte di Carlino a quello del babbo corrono undici mesi.
La forza di resistenza della sposa è incredibilmente prodigiosa;
si direbbe che una virtù arcana la sostenga per lasciarla sopravvivere
a nuove fatiche a nuovi dolori. Ella concentra infatti tutte le sue forze
nell'assistenza materiale e spirituale del marito ormai “in limine
vitae”.
Le cure pel corpo risultano inefficaci e vane, ed allora si dedica
all'anima del morente.
Non le è meno cara quest'anima: se in ragione di anni ha
maggior carico di responsabilità, è pure più ricca di meriti: ed è poi
sempre per lei lo sposo datole da Dio, che l'ha aiutata ad arricchire di
preziosissime gemme la propria corona. Quest'anima, quindi,
purificata da tanti dolori invigorita dalla grazia dei Sacramenti ella
stessa vuole consegnarla con le sue mani nelle mani di Dio.
“Durante quest'ultimo periodo di vita e di malattia - dice un
testimonio - gli fece un'assistenza continua senza mostrarsi mai
stanca, né disgustata; dimostrando anzi un affetto ed una delicatezza
tali che il marito riconobbe in presenza dei parenti che la sua sposa lo
116
ha assistito con la maggiore carità” .
116
Proc. Ap. Suppl. Summ. N. IV, paragr. 75.
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“Ed ebbe cura della sua anima e del suo corpo. Per l'anima lo
volle assistito e corroborato da tutti i conforti della nostra santa
117
religione” .
La memoria del figlio perduto di recente e lo spettacolo del
marito agonizzante stringono il cuore di Costanza; emettendo un
sospiro e levando al Cielo gli occhi disfatti dal pianto, ella ripete il
suo inno di vittoria: “Fiat voluntas tua!” E gli angeli le rispondono:
“Amen!”
Il 25 dicembre 1854 il signor Gaetano Buzecchi sereno e fidente
nella misericordia eterna spirava tra le braccia della santa sposa che
gli additava il Paradiso.
Il pio biografo di Costanza chiude così questo doloroso capitolo
della sua vita: “il piccolo Gesù, intenerito della miseria di tanti suoi
piccoli fratelli, come Lui nel suo natale reietti ed abbandonati dal
mondo superbo, spezzava l'ultima catena che teneva avvinto alla
terra il cuore di Costanza”.
Affrancata dalle cure di sposa e di madre può dare libero sfogo
alla sua inesauribile carità e riversarla tutta sulla più grande e misera
118
famiglia di Gesù!... i suoi orfanelli! .
117
118
Proc. Ap. Suppl. Summ. N. IV, paragr. 3. 25. 245.
P. Merati - Vita, Cap. III, pag. 61.
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CAPITOLO
XII
Hai spezzati i miei lacci, o Signore!119
A pochi mesi di distanza uscivano dall'austero palazzo di
Comonte, accompagnati da solenne pompa funebre, due lacrimanti
feretri. Li segue in lutto profondo, ma rassegnato, una vedova una
madre giovane di trentotto anni.
E poi numeroso popolo. Primeggia l'aristocrazia del regno di
Dio; i poverelli beneficati largamente dai defunti in vita e più
largamente dopo morte, i copiosi lasciti, infatti, furono dalla piissima
erede superstite affrettatamente distribuiti per sollecitare suffragi
espiatori alle anime dilettissime. La vedova ha versato persino le
sostanze di cui è usufruttuaria in vita ed ha rinunziato ai vantaggi
120
suoi personali. .
Il figlio sedicenne lo sposo ottantenne: le due catene strette da
Dio sulla terra sono spezzate!
In questo momento ella si sofferma ad ascoltare la voce divina
perché le indichi la strada da battere, o meglio, i mezzi più efficaci da
scegliere in quest'ultimo scorcio di vita - un decennio appena - per
raggiungere con la maggiore possibile perfezione i suoi compianti
dilettissimi in Cielo.
A dir vero, la strada è già scelta e da un pezzo; non resta che
conoscere in qual senso dovrà orientarvisi. Le arcane parole del figlio
morente le hanno detto molto ma non tutto, perché possa procedere
con sicurezza.
Questo momento spirituale è per lei il più grave e il più
decisivo della sua vita.
119
120
Salmo 115.
Proc. Ap. Suppl. Summ. N. XII, paragr. 35.
Biografie
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opera omnia
Pervenuta ad una sommità di anni d'esperienza e di meriti, ella
può abbracciare di uno sguardo il passato e benedire Iddio che l'ha
condotta misericordiosamente su tanto difficile strada; e può anche
inoltrare i trepidi desideri nell'avvenire sperando di veder realizzato
il sogno dell'anima sua.
Ciò che ella fu lo sa; quello che sarà domani di lei, benché
intimamente presentito, rimane impreciso nei dettagli; quindi non lo
conosce.
È giunta l'ora di soffermarci anche noi a leggere nella sua anima
- per quanto ci sarà concesso - e cogliervi i sentimenti di quest'ora
decisiva.
Tale introspezione ci è resa possibile da lei stessa. Da questo
momento, stretta nella morsa di tanto dolore trepidante pel suo
domani ha bisogno d'aprirsi, e senza volerlo lascia leggere tutto che è
nel suo spirito. Perché si deve avvertire il lettore che la preponderante
parte delle sue parole sin qui riferite sono confidenze postume fatte
alla fida compagna M. Luigia Corti negli ultimi anni di vita; mentre le
parole di oggi sono i sentimenti dell'ora.
Il movente occasionale e provvidenziale che la spinge a scrivere
- e quindi ad aprirsi - è un pio desiderio di Mons. Valsecchi, già
amato rettore di Carlino e suo venerato direttore spirituale, di
stendere alcuni cenni biografici sull'angelica vita del figlio, ad utilità
ed edificazione dei discepoli di lui. Egli, quindi, si rivolge a Costanza
per avere notizie e dettagli. Questa biografia non fu mai scritta. La
Provvidenza però ne accese la semplice idea a ben altro scopo più
utile e prezioso: quello di far parlare la virtuosissima madre la quale,
vitalmente congiunta alla vita di lui, deve per necessità dire di sé e
disvelare tutto il bello che nasconde nell'anima. Se tale apertura le
fosse stata posta, anche in virtù di obbedienza, la sua umiltà avrebbe
resistito, e seppure obbedendo l'avesse fatto, la spontaneità e
l'interezza ne avrebbero sofferto non poco.
Da queste lettere - poiché è in forma di corrispondenza che
comunicano Costanza e Mons. Valsecchi - l'anima di lei appare nel
suo bel candore di umile semplicità e di ardente fervore di virtù.
Nel presente capitolo, quindi, cediamo la parola alla stessa
Costanza, certi di aderire più che mai alla verità storica ed alla
essenziale vita interiore di lei; meglio che se lo facessimo con le nostre
parole. Il lettore così avrà anche modo di approfondire tutta la
saggezza e la spiritualità con cui educò suo figlio.
Senza dire che le risposte di Mons. Valsecchi divengono
automaticamente biografia di Costanza - e la più autorevole - proprio
Biografie
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opera omnia
perché è lo stesso suo direttore, uomo saggio quanto mai, che senza
saperlo o volerlo delinea per noi i pregi e le virtù di questa cara
anima.
Di conseguenza il presente capitolo non viene e spezzare il filo
storico del libro, ma lo prosegue in una maniera singolare ed efficace,
quale nessuno potrebbe fare in questo momento in cui Costanza,
prendendo un nuovo indirizzo spirituale nella vita, si rende quasi
irreperibile all'osservazione dello storico.
Facciamo pure notare che questo epistolario, risale al tempo
intercorso tra la morte del figlio e dello sposo, cioè in pieno anno
1854. Esso dà il perfetto stato psicologico di Costanza orientata subito
verso la nuova vita, non appena il Signore spezzerà l'ultimo laccio
che la tiene inceppata nel mondo.
La prima lettera di Costanza - che è risposta alla richiesta di
Mons. Valsecchi- è in data 4 febbraio 1854, pochi giorni dopo la morte
del figlio, e dice: “I giorni passano ma il mio dolore per la perdita del
mio caro Carlo si fa ognora più vivo: ho perduto tutto in quell'anima
pura ed immacolata! La mia vita era troppo legata colla sua per
potermelo scordare sì facilmente. Mi aiuti colle sue orazioni, Signor
Rettore, acciocché approfittandomi di sì grande disgrazia, possa esser
fatta degna quando Dio mi chiamerà a sé da questa terra d'esilio,
d'essergli compagna in Cielo, come lo sono sempre stata sulla terra.
Ella desidera che io la informi di qualche particolare che le
faccia conoscere quella bell'anima nel tempo della sua malattia; come
so fare, ben volentieri gliene traccio qui una piccola descrizione.
La sua rassegnazione fu ammirabile. In tutto il tempo di questa
sì lunga malattia che fu di sette mesi, mai si udì da quella bocca
nessun atto d'impazienza, quantunque la natura stessa della malattia
gli cagionasse grande tristezza. Io non lo vidi mai ridere in tutto
questo tempo, nemmeno quando le aure autunnali sembravano gli
avessero restituita la salute; credo che soffrisse sempre, quantunque
me lo nascondesse per tema d'accrescermi la pena, che ben vedeva in
me grandissima; benché mi sforzassi di vincermi, le lacrime molte
volte mi tradivano. Gli ultimi giorni quando non poteva più
nascondere i suoi dolori mi diceva con volto che ispirava
compassione: Se sapessi, mamma, quanto soffro! Pazienza... E
pazienza pure diceva tutte le volte che bisognava voltarlo, sollevarlo,
ecc. Un giorno gli dissi: Senti, Carlo se Iddio prevedendo forse che
restituendoti la salute non ti avessi a salvare, e che invece per
premiarti dei tuoi ottimi diportamenti, ti volesse prendere ora in
Paradiso, vi andresti? Mi rispose subito: Altro mamma, sarebbe una
Biografie
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opera omnia
grazia grande! Gli dissi una volta: Io ho molta fede nella Beata
Vergine della Cintura che ti abbia a restituire la salute. Egli rispose:
Come ha da fare la Madonna a farmi grazia? Non le dico più i tredici
Pater!... Era vero; siccome s'era aggravato credetti bene di non
farglieli recitare, per timore che ne patisse, mentre prima li dicevamo
sempre in compagnia. Un altro giorno gli dicevo con un po' di
passione: Ho fatto tante devozioni, tante, Carlo, ma finora non
guarisci!... È segno che non lo meritiamo, mi rispose con
rassegnazione.
La sua obbedienza era edificante; quando una sera (dieci giorni
avanti che questa bell'anima andasse in Paradiso) siccome
incominciava a star male, mi si fece capire che non bisognava perder
tempo per fargli fare le sue devozioni, e perciò conveniva disporlo. Io
dopo aver lungamente lottato tra le angosce dell'incertezza, cioè tra
l'amore di madre che ripugnava a quest'ufficio, e il dovere di cristiana
che mi stimolava a farlo, finalmente gli dissi: Carlo, mi sembra che tu
stia più male del solito, ed ho timore che ti cresca il male; ho avuto
tanta premura pel tuo corpo, e non ne avrò per l'anima tua? Dovresti
confessarti. Mi rispose con indescrivibile dolcezza: Mamma, mi
sembra di non esser in tale stato, però, se lo credi, lo farò. E lo fece
subito infatti.
Quando capivo che soffriva molto gli dicevo: Abbi pazienza che
Iddio ti premierà subito col Paradiso. Oh, non dirlo, mamma, spero
bene di andarvi in Paradiso, ma così subito no; ne ho infatti anch'io di
peccati e non so come andrà. Ci penso, vedi!... Offri a Dio la tua
giovinezza - gli dicevo - la tua malattia, i tuoi dolori, la prospettiva
brillante che si parava avanti ai tuoi occhi... Allora taceva, faceva
forse nel cuore il sacrificio, e Dio lo avrà accettato.
Gli ultimi suoi giorni credo fossero pieni di mortificazione.
Prendeva senza esitare le medicine in bibite per le quali aveva
ripugnanza grandissima, ed infatti, rigettandole quasi sempre il
medico gliele sospese. Accettava con pazienza e silenzio altri rimedi
che si credeva bene applicargli, e che gli ultimi giorni si sospesero del
tutto per non tormentarlo. La sua fede era grandissima. Il giorno di
Natale dopo che ebbi udite le tre Messe, gli dissi: Carlo, ho udito le
tre Messe, una per te e l'altra per quella povera gioventù che oggi non
andrà in chiesa! Ho conosciuto anch'io, rispose, un giovane che il
giorno di Natale non udì la Messa. Fanno compassione questi poveri
giovani! Ti assicuro che quando ci si trova in loro compagnia, e che
escono in qualche discorso contro la religione si arrossisce per loro.
Altre volte mi diceva: Quel giovane è buono, ma ha la disgrazia che i
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suoi parenti lo curano poco, e, poveretto, corre pericolo di perdersi
per le cattive compagnie. Il suo pensare era superiore alla sua età. Io
lo consideravo come mio consigliere e come tale lo consultavo in tutte
le mie cose, essendo tutti suggeriti dalla prudenza. Aborriva la
menzogna, era leale e sincero. La sua fisionomia stessa esprimeva la
sua bontà.
Sino dai primi tempi che era in collegio, gli trovai una volta nei
suoi abiti una novena a Maria Vergine, coi nove giorni tutti distinti
con qualche mortificazione ed ossequio particolare. Sono passati degli
anni, ma io li conservo ancora. Li ho tenuti fra le mie carte più care, e
facevo conto di restituirglieli un giorno, acciocché si ricordasse del
fervore della sua prima giovinezza.
Quante volte non piansi di gioia!... Mio Dio, perché
togliermelo?. Perché darmi tante consolazioni per rendermi ancor più
amara questa perdita?... Ah, Signor Rettore, dirò anch'io col mio
Carlo pazienza! Dio m'ha dato una gran croce, ma lo pregherò
sempre che mi faccia la grazia di approfittarne, per ottenere un
giorno il premio promesso a quelli che piangono.
Sin da quando era piccolo il mio Carlo distingueva il sabato
coll'astinenza dalle frutta ad onore della Beatissima Vergine, e così ha
sempre continuato. Quando alle volte non si ricordava che era sabato,
ed a tavola metteva la mano sopra le frutta, io gli dicevo pian piano a
ciò nessuno mi udisse: Carlo, è sabato!... Hai ragione, mamma, e le
lasciava sul piatto, quantunque ne fosse ghiotto.
Povero Carlo! Prega per me, gli dicevo nei suoi ultimi momenti,
ch'io pure pregherò sempre, sempre per te! Oh, mi rispondeva, non
ne dubito, mamma. Lo sapeva bene il mio Carlo quanto io l'amavo!
Signor Rettore, ecco come io ho saputo fare una succinta narrazione
di quanto Lei mi chiedeva: Non toccava ad una madre fare l'elogio
del suo figliuolo; ho procurato d'essere sincera. Ella lo ha conosciuto
ed educato per tanti anni, vedrà se questo era il suo carattere.
Dio mi perdoni se ho trovato della compiacenza; forse mi ha
voluto punire, perché andavo troppo superba di questo suo dono, ed
amavo forse la creatura più del Creatore! Sia fatta la sua volontà, ma
mi perdoni qualche sfogo di lacrime”.
Dopo questa prima lettera, a distanza di pochi giorni, ne distese
una seconda per dare altri particolari sulle belle virtù del figliuolo,
assai espressiva per potervi leggere anche l'anima della madre.
Eccone i brani salienti: “Reverendissimo Signor Rettore, Come
le proposi aggiungo ancora qualche particolare riguardante quella
bell'anima del mio buono e caro Carlo; ma, Signor Rettore, io col far
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opera omnia
questo né voglio, né intendo farlo credere un santo. No, no! Egli pure
aveva i suoi difetti, ma nella sua età giovanile questi bei sentimenti
facevano obliare molte imperfezioni; d'altronde questo può servire
d'esempio ai suoi compagni se leggeranno queste carte, per
comprendere quanto giovi fornirsi di sani e religiosi principi, perché
di tutte le ricchezze, questi soli ci sono utili quando Dio ci chiama a
sé.
Carlo trattava con molto riguardo le persone di servizio;
schivava più che poteva d'incomodarle, quello che poteva fare da sé
lo faceva volentieri, e quando era costretto a servirsi della loro opera,
particolarmente nella sua lunga malattia, le comandava con molto
buon garbo, aggiungendo sempre: Fatemi piacere a far questo, di
maniera che i suoi dipendenti generalmente lo amavano, quantunque
fosse di poche parole. Aveva scolpito nel suo cuore il principio che il
nascere grandi e ricchi è sorte e non virtù, perciò considerava i servi
come suoi fratelli meno felici. Così pure considerava i poveri e non
mai si rifiutava quando gli suggerivo di levare qualche cosa dal suo
borsellino per farne loro parte.
Della sua esattezza nelle pratiche di religione ne parlai nell'altra
mia lettera, ma aggiungo ancora che sin da fanciullo aveva la stessa
premura. Mi ricordo che dimenticandomi alle volte di fargli recitare
le orazioni alla fine della giornata, dopo che era a letto, andandogli
attorno per prestargli quelle mille cure ed attenzioni che solo una
madre conosce, e ricordandomi di ciò gli dicevo: Carlo, questa sera ci
siamo dimenticati di recitare le orazioni, ed egli subito mi rispondeva:
Ebbene, adesso mi alzerò e le dirò, e si metteva in ginocchio per
recitarle. Ma io, lo confesso con rincrescimento, per tema che ad
alzarsi s'incomodasse e potesse nuocergli alla salute, soggiungevo:
No, no, Carlo, sta tranquillo, puoi dirle anche a letto, non abbiamo
fatto apposta a tralasciarle!... E non mi avvedevo che così facendo
posponevo Dio alla creatura, e cercavo con questi pretesti di coprire il
mio amore troppo cieco; avevo più premura pel suo corpo che per la
sua anima immortale!
Ora lo conosco, ma Carlo intercederà per me presso il Signore.
Oh, me lo promise prima di morire... Mi ricordo che in principio della
sua malattia, quando alla sera, come si costuma fare in tutte le
famiglie cristiane, si recitava il Rosario, per qualche accidente
recitandolo nella sala ove allora ci trovavamo, Carlo si voleva sempre
mettere ginocchioni in terra, ed io a pregarlo e sollecitarlo a stare
seduto, per timore ciò pregiudicasse al suo male già da tempo in
corso; ma bisognava che Carlo stesse assai male per secondarmi; e
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102
opera omnia
quando alle volte mi dava ascolto, allora era segno che stava più male
del solito, ed infatti dopo, quasi sempre, prendeva il lume e si
ritirava.
Una sera, una mia cameriera mi fece conoscere che io facevo
male a non lasciare la libertà a Carlo di seguire l'impulso della sua
devozione, dicendomi che Dio non avrebbe permesso che ciò gli
pregiudicasse la salute. Allora mi venne scrupolo e come per riparare
al male fatto mi feci promettere da Carlo che quando sarebbe guarito,
avrebbe sempre detto il Rosario in ginocchio, anche quando, padrone
di sé, si sarebbe trovato fra i suoi compagni. Povero Carlo, me lo
promise così volentieri! In collegio aveva appreso massime sode di
religione; domandandogli io una volta se era meglio fare una
elemosina ai poveri, ovvero far celebrare una Messa, mi rispose,
guardandomi e quasi meravigliandosi della mia ignoranza: Una
messa!... ma questa non ha prezzo!...
Carlo, come generalmente tutte le anime da Dio dotate di
sentimento, amava e gustava le bellezze della natura, e dove trovarne
una più bella e più sorprendente e che più risvegli la nostra
immaginazione, d'un bel cielo sereno in una sera d'autunno?
Appunto in queste dilette sere, Carlo mi invitava ad andar
passeggiando pel nostro giardino. La vista spaziava pel firmamento e
contemplando quel numero sì grande e variato di stelle, quel quadro
immenso della natura, io esclamavo: Non è vero, Carlo, che i cieli
narrano la gloria di Dio?
Quella grandezza, quella maestà sembrava m'innalzasse al di
sopra della mia piccolezza.
Altre volte, ignara di quanto sì presto mi sarebbe toccato, gli
dicevo: Quando, Carlo, saremo là ancor noi a calcar le stelle? In una
di queste beate sere egli mi spiegava le mansioni degli angeli, i cori, il
loro numero; e queste erano lezioni del Signor Rettore.
Atre volte egli declamava dei versi del Manzoni e del Tasso; io
non l'avevo studiati, ma pure li gustavo dal momento che piacevano
tanto a lui.
Avrei voluto avere la perizia d'uno scienziato per classificare e
dare il nome dei pianeti e delle stelle, ad intrattenere il mio caro
figlio.
Oh, io non invidiavo veruna madre, avrei voluto che tutte
fossero partecipi della mia felicità! Ma Iddio che non lascia nessuna
gioia quaggiù esente da amarezza, intorbidava queste mie estasi col
pensiero che Carlo non poteva essere pienamente felice, che gli
mancasse qualche cosa, di cui egli non parlava mai. Ma quale cosa
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può essere celata agli occhi di una madre? Carlo aveva sortito da
natura un temperamento docile, rassegnato, forse anche troppo
timido, era coperto come d'un velo di malinconia. Era giunto a quella
età in cui il giovane ha bisogno di moto, di allegria, di un amico a cui
confidi ed apra il proprio animo, ed egli non l'aveva. Se fu ricco di
beni di fortuna, di questo era tanto povero... Il sistema famigliare,
l'isolamento in cui viveva suo padre infermo impedivano a lui di
godere e a me di appagare queste sue giuste brame, che avrei voluto
assecondare a costo d'ogni sacrificio. E se a volte gli esternavo il mio
rincrescimento, e studiavo la maniera di alleggerire le sue privazioni,
mi diceva: “Ti prego, mamma, non disturbare mia padre; del resto
sono contento lo stesso”. Mai, mai da quella bocca uscì un lamento.
Nelle nostre passeggiate, quasi a compensarlo, procuravo
d'intrattenerlo sulla sua futura felice sistemazione che io gli
dipingevo con i colori più vivi e lusinghieri, su quella specialmente
che sapevo riuscirgli più cara perché da lui di più vagheggiata. Forse
con questo, senza volerlo, gli ho resa più amara la morte quando lo
rapì... E Dio se lo tolse!... e “l'avviò pei floridi sentir della speranza ai campi eterni, al premio - che i desideri avanza!”.
Tale la prima corrispondenza a carattere storico - e tanto umana
-. Ne segue un'altra spirituale, profondamente spirituale, tra Mons.
Valsecchi e la povera madre desolata, avvolta nel suo lugubre manto
di dolore, ma pure calma e rassegnata al volere di Dio. Il quale,
frattanto, sospinge gli avvenimenti verso l'attuazione dei suoi piani,
ormai vicini ad essere manifestati. A ciò stringe ancor più salda la
relazione di Costanza con Mons. Valsecchi, nel quale vuole darle la
prima guida sicura per tale momento di decisioni.
Il pio canonico che ha condiviso con la madre un sincero amore
pel defunto figliuolo, non le vieta in refrigerio d'intrattenersi sul
ricordo di lui; anzi glielo riscalda, l'incoraggia a parlarne: sono troppo
legati a lui la virtù e il merito di lei, non solo, ma da ciò la urge verso
più alte mete di perfezione e di santità.
Acquistando ognor più confidenza e venerazione per l'uomo di
Dio, Costanza si affida tutta a lui, scegliendolo a guida spirituale e
consigliere nella sistemazione delle molte sue pendenze patrimoniali.
E gli apre tutta la sua anima.
Mons. Valsecchi, sentendo in Dio quanto importante sia
l'incarico affidatogli, e persuaso di dover dirigere un'anima di
predilezione, avviata sur una strada singolare verso grandi destini,
comincia subito a consolarla, e con le più sagge sante esortazioni a
sospingerla sempre più innanzi nella via su cui è già tanto inoltrata, e
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incoraggiarla a compiere quegli ispirati desideri che ella sente tanto
vivi, di spendersi tutta, persona e sostanze, a sollievo dei poveri.
Ella infatti, non appena morto il suo Carlino, prevedendo ogni
possibile caso pel futuro, stese subito il proprio testamento olografo, e
in data 28 febbraio 1854 lo spedì al Valsecchi perché lo approvasse.
Con ciò lasciava, oltre varie case e capitali, un fondo la cui
rendita annua di lire diecimila dovesse servire per la fondazione di
un orfanotrofio maschile da intitolarsi al suo indimenticabile figlio.
Nello stesso testamento ella disponeva anche di alcune sostanze del
marito - ancora in vita - “perché - ella dice - nel caso che morissi
prima di lui, vorrei farglielo accettare”. “Vorrei anche - aggiunge che il mio testamento avesse l'approvazione di mons. vescovo,
disposta anche a cambiarlo ed a seguire in tutto il suo consiglio.
Preghi monsignor Vescovo che mi benedica, poiché sono anch'io sua
pecorella, traviata sì, ma piena di buoni desideri di riparare ad una
vita fredda e indifferente nel servizio di Dio, ora che il Signore mi ha
castigata colla maggiore delle disgrazie!”
“Signora! - le risponde l'ispirato sacerdote - stia unita al Sacro
Cuore di Gesù, ed imparerà meglio che dalle creature come consolare
e santificare il suo dolore e la sua solitudine”.
È l'avviso da parte di Dio a tenersi pronta a nuovi ordini.
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CAPITOLO
XIII
“La vera vedova orante e supplicante”121
Dal Natale 1854, quando il signor Buzecchi anch'egli è tornato a
Dio, la povera madre e vedova è rimasta sola, figura e commento
dell'autentica vedova cristiana: “fiduciosa in Dio, orante e
supplicante giorno e notte”.
Per nulla preoccupata delle vistose eredità di cui è padrona e
signora, si concede ad esse appena per riflettere al loro migliore
impiego e sbarazzarsene sollecita e riprendere tutta la sua libertà e
volare alla realizzazione del sogno che l'appassionò sin dalla prima
giovinezza.
È questa la sola e vera preoccupazione del momento. Ne son la
prova le lettere di consiglio che dalla morte del suo Carlino le
riscontra Mons. Valsecchi per illuminarla e dirigerla. Il tono di queste
lettere dà il grado di calore dello spirito di lei. Il più zelante e fervido
direttore mai oserebbe scrivere e indirizzare tali lettere ad una
giovane vedova ricchissima, intorno a cui già si nota il ronzio di
nuovi pretendenti alla sua mano, se non avesse la certezza che nel
cuore di questa donna arde già da tempo e a un grado altissimo la
fiamma dell'amore divino; se non sapesse che lo spirito di lei adusato
a pietà distinta a robuste virtù all'arduo travaglio del rinnegamento
interiore, è già molto innanzi sul cammino della perfezione non solo
cristiana ma religiosa, quantunque del chiostro ella non abbia mai
varcato le soglie dopo la sua dimora giovanile alla Visitazione.
E se Costanza accetta siffatta discrezione e di tale tono sì da
seguirla ed attuarla con passione e docilità, è segno che questa è la
sua strada.
121
Timot. 1. 5.
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Leggiamo ora la edificante corrispondenza di Mons. Valsecchi,
che riscontra analoghe lettere di Costanza, a noi non pervenute. In
data 16 maggio 1854 scrive così: “Godo assaissimo dei sentimenti che
la animano nella tribolazione che Iddio le ha data. Faccia in modo che
tutto proceda nella quiete, nell'umiltà di Dio, come una figlia segue
sua madre. E questa sia la regola. Io non capisco certe anime che si
propongono di raggiungere una certa loro idea; ed anche la santità,
piuttosto che Iddio stesso. Credo che una gran parte delle
inquietudini e malinconie per certe anime provenga proprio da
questo. Lei non ha bisogno di tale consiglio; ma ho voluto dirlo per
tenerla lontana da uno scoglio in cui le donne urtano facilmente. Ami
Iddio sinceramente con tutte le forze, sia pronta per lui ad ogni
sacrificio, tenga libero il cuore da ogni affetto, e il resto verrà da sé”.
Ed ancora il 2 luglio 1854 le scrive: “Il buon desiderio che Iddio
le mantiene di amarlo e servirlo è la maggior ricompensa che possa
darle per quanto ha fatto e sofferto per Lui, e ne lo ringrazi ben di
cuore. Procuri di mandarlo ad effetto man mano che le si presentano
occasioni di esercitare o la rassegnazione, o la carità sia nelle piccole
che nelle grandi cose, ma seguendo naturalmente l'ordine della
Provvidenza senza volere prevenire il tempo o la grazia di Dio.
Bisogna esser padrona di sé, sempre, ricordando che Iddio è quegli
che da il volere ed insieme il fare, e che dal canto nostro dobbiamo
guardarci dall'opporre resistenza alla sua grazia.
Mi consolo molto con lei, perché vedo che il Signore si serve di
lei per il bene e la salute di molte anime. Procuri di tenersi sempre in
grande indifferenza dinanzi a Dio per quello che vuole da lei. Preghi,
cerchi e scelga a preferenza quello che più serve alla di lei umiltà ed
abnegazione: - Vanitas vanitatum et omnia vanitas”.
Il 5 ottobre 1854, dopo alcune notizie di carattere generico,
conchiude: “Non ho altro a dirle se non le solite raccomandazioni:
eccitarla ad uniformarsi il più perfettamente possibile alla volontà di
Dio, ripetendo spesso quelle parole del serafico S. Francesco: - Deus
meus et omnia - Dio mio! e mio tutto! Che luce, che ricchezza, che
gaudio, che pace in queste parole! Se le faccia sue, ma di cuore, con lo
schivare ogni cosa che sa di singolare, col praticare l'annegazione in
ogni occasione, col purificare sempre più la propria intenzione, col
rivolgersi a Dio in ogni cosa, coll'attendere assiduamente a qualche
lavoro... o faccende domestiche, come faceva la Santa Vergine, come
farebbe una povera donnicciola timorata di Dio. Con tali parole sono
venuto a disturbarla nella sua solitudine, perché ricordandole non sia
Biografie
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più sola. - Deus meus et omnia! - Mancheranno tutti gli uomini e tutte
le cose, Dio solo resta!”.
Ed infine il 22 dicembre 1854, le scrive ancora: “Sento con
piacere che è stata a far visita alla RR. Madri del S. Cuore, e che ha
ricevuto una lettera della Rev. Madre Generale. Mi piace che coltivi
questa relazione, perché sono religiose di spirito assai buono e sodo, e
lei potrà ricavarne vantaggio per l'anima sua.
Tratti con libertà e semplicità, specialmente in cose spirituali,
ma sempre che sia per bisogno o vantaggio dell'anima sua,
esercitando anche in questo un po’ di annegazione. Non badi a tutti i
sentimenti o moti interni; purifichi, raddrizzi spesso la sua intenzione
e quando è risoluta a non voler altro che Dio e ad agire solo per lui,
disprezzi tutto il resto, ed anche certe imperfezioni e colpe in cui
potrebbe incorrere.
L'effetto che qualche volta produce la memoria del suo Carlino,
cioè riconoscenza verso Dio ed una soddisfazione d'esser certa di fare
la sua volontà, è un effetto buono dello Spirito Santo, e ne ringrazi il
Signore, rinnovando la protesta di voler fare in tutto e sempre la sua
santissima volontà.
Circa il modo di orazione, invece di ascoltar poco e parlar
molto, vorrei che ascoltasse molto e parlasse poco, secondando in ciò
l'esempio di S. Francesco di Sales; perché in queste cose non è
presunzione ma umiltà e prudenza l'imparare dagli altri,
specialmente dai Santi, quello che dobbiamo fare. Che se non le
restasse tempo per tutte le sue orazioni vocali, potrà ridurle col
parere del suo confessore; e questo è conforme all'insegnamento di S.
Francesco di Sales ed alla pratica dei Santi. Ma tutte queste cose
debbono restare interne, segrete, tra lei Iddio e il suo confessore,
sicché non può temere la singolarità, ed in ogni modo bisogna fare
così, perché in queste cose si deve seguire l'unico Maestro che è lo
Spirito Santo che a noi si manifesta per gl'interni impulsi e per mezzo
dell'obbedienza. Nel resto tenga ferma la regola di fare esteriormente
tutto come fanno le altre donne del suo stato e della sua condizione”.
Abbiamo voluto di proposito rileggere vari punti di questa
corrispondenza perché prima di ammirare la edificante condotta
esteriore di Costanza nella vita pratica di vedova cristiana, si possa
ancora leggere nel suo spirito e vederne le bellezze i grandi progressi
di perfezione che ella ha fatti.
Tali lettere, ripetiamo, di alto valore probativo spirituale e
storico, ci aiutano non solo a dire quanto dovremmo narrare, ma ci
permettono di approfondire l'indagine nello spirito della Cerioli; e ciò
Biografie
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è di capitale importanza per chi si prefigge non la nuda narrazione di
fatti edificanti ma di analizzare al possibile la solidità e consistenza
interiore da cui tali fatti promanano.
Attraverso queste lettere è evidente il deciso desiderio di
raggiungere i vertici della santità. Il saggio direttore la stima da tanto
e perciò la premunisce segnalandole uno scoglio ove urtano molte
anime specialmente del genere della sua allieva. Tali anime si figgono
nella mente il proposito di raggiungere un certo grado di santità
come un'idea fissa, e ciò se da una parte è necessario, giacché per tali
mete occorre una perseveranza e una tenacia che confinano con
l'ostinazione; dall'altra occorre badare ai mezzi alle vie non per tutti
uguali, ma a ciascuno più confacenti secondo la volontà di Dio, che
bisogna cercare innanzi tutto.
La santità come ha uno solo principio, così ha un unico termine
finale: Iddio e il suo amore; e siccome tutto questo presuppone il
sacrificio pieno di noi, il rinnegamento della volontà ed il cuore
assolutamente sgombro di cose e di affetti terreni, è logico che chi
vuol esser santo non deve cercar che questo, e non formalizzarsi in
distinzioni preferenze o scelte: perché qui troverebbe lo scoglio in cui
si arena ogni desiderio di perfezione.
“Ma lei - dice Mons. Valsecchi a Costanza - non ha bisogno di
questo consiglio” indizio certo che ella cammina bene sulla strada.
Proprio per questo Iddio a premiarla delle sue generosità passate e
presenti la fa ricca del buon desiderio di amarlo e servirlo, desiderio
che si concreta senza affanno agitazione o impazienza: man mano che
si presenti l'occasione ella si esercita nella carità nel rinnegamento di
sé con calma e ordine, dominandosi perfettamente perché sa che lo
stesso Iddio, il quale dà buoni desideri, concede anche di realizzarli, a
condizione che non si opponga resistenza all'opera della grazia che di
concerto con l'anima lavora a questo scopo.
Le occupazioni di carità di Costanza quella spirituale costituita
dagli esempi edificanti, e quella materiale delle sue larghe
beneficenze sono veramente consolanti; però anche la santa
trepidazione di dare può sopraffare il sublime stato d'indifferenza
spirituale per cui nulla è scelto o preferito se non quello che meglio
serve ad umiliarla e a farle rinnegare la volontà; tutto il resto dinanzi
a Dio e pel profitto dell'anima non è che vanità!
Ella cerca soltanto Iddio che è il tutto del suo nulla,
uniformandosi sempre più alla sua adorabile volontà che sin qui è
stata l'unica direttrice della sua vita il solo senso del suo pensare ed
agire.
Biografie
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opera omnia
È Iddio che la invita e le insegna a perdersi completamente in
Lui, con un lavoro finissimo di distacchi di purificazioni di rinunzie,
persino dai suoi desideri ed intenzioni. Mentre ella esteriormente
vive la normalissima vita di una cristiana di una vedova di una
signora del mondo, senza mai e in nulla singolarizzarsi, attendendo a
tutti i doveri occupandosi in tutti i lavori con semplicità umiltà
diligenza, ad imitazione della Santa Vergine, proprio come farebbe
l'ultima donna la più povera, ma timorata di Dio.
Infine Mons. Valsecchi ci fa un'importante, ma non insospettata
rivelazione: Costanza è ricca del “dono di orazione”.
Quantunque non se ne sia fatta parola sin qui, lo supponevamo.
La sua intensa devozione sin dalla giovinezza alla Santa Maestra del
Carmelo, guida specializzata per le anime oranti, ce ne ha detto
abbastanza, e ci dice pure che questo dono in lei è d'antica data.
Le abituali altezze di fede e di amore ove Costanza ha sempre
spaziato costituiscono la sua atmosfera vitale. I suoi giudizi su cose e
avvenimenti che la riguardano dati in Dio; quel suo quietarsi pronto e
cieco al comando dei genitori al consiglio dei direttori sono i segni
evidenti della sua orazione in cui vede e giudica tutto in Dio.
Il dono dell'orazione, infatti, spiega molte cose nella presente
biografia altrimenti inspiegabili incomprensibili e a volte quasi
illogiche. Le situazioni difficili in cui s'è trovata Costanza la sua
passività nel subirle la sua obbedienza senza reazioni o proteste, ma
sempre cieca e silenziosa, tutto ha un'altra e ben alta giustificazione,
oltre quella da lei data all'ingiustificato contegno materno al suo
riguardo, all'obbedienza che le fece preferire lo stato coniugale a
quello verginale, e la ridusse ad accettare con gioia sino ad amarlo
l'inaccettabile partito scelto per lei. Tutto questo non significa
passività d'indole, ma prontezza di giudizio nel soppesare le ragioni
presenti e contingenti sulla bilancia dell'eterno, per cui il volere
divino è preferibile sempre come il più saggio e salutare per lei.
La sua obbedienza che noi diciamo “cieca” è tale sol perché così
appare, mentre è luminosissima lucidissima razionale, perché ella “ha
visto” in Dio che dal sacrificio di sé verrà grande gloria a Dio stesso, e
un incalcolabile bene a molti.
E questo vedere e sentire ispirato, incominciò per lei sin dalla
prima età, con la necessaria osservazione che la luce in lei cresceva col
crescere degli anni, e quel che da fanciulla non vedeva - ma percepiva
dalle mozioni dello Spirito divino - fatta adulta, lo ha visto e
contemplato nel chiarissimo specchio della sua orazione.
Biografie
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opera omnia
Ad un occhio esperto non può essere invero sfuggito sin dalle
prime battute di questa vita come Iddio ha cominciato ad attrarre a sé
e ad appartarla per i suoi colloqui di confidenza l'anima candida di
Costanza. I gusti preferiti sin dall'infanzia i fervori delle sue prime
confessioni e comunioni l'amore alla solitudine la generosità dei
sacrifici l'assolutezza dell'obbedienza non possono avere altro
presupposto che il gusto dell'orare del colloquio divino con tutti i
suoi ricchi ed abbondanti riflessi sulla vita di ogni giorno. Come
poteva Iddio negare un tal premio alla generosità di quest'anima? Il
più squisito tratto d'amore che Egli possa avere per un'anima è
questo: ammetterla al convito regale e delizioso della sua
conversazione, ove il cibo e la bevanda è Lui gustato dall'intelletto
nelle sue bellezze nelle sue perfezioni nella sua bontà. È Iddio stesso
che si concede alla creatura, onde viva con Sé e di Sé, e pregusti la
futura visione beatifica in una gioia che si differenzia da quella eterna
solo per l'assenza del “lume di gloria” e per la presenza del corpo che
intercetta la pienezza del gaudio. L'anima la quale per divino istinto
sente che il proprio destino nell'eternità sarà appunto quello di
vedere svelatamente Iddio, col dono dell'adorazione anticipa senza
dilazioni questa sublime attività, che le sarà premio e riposo
nell'interminabile vita del Cielo.
Nel periodo dei grandi dolori - la morte dei cari - Costanza è
richiamata dal suo saggio maestro al dettato dei maestri di spirito e
dei santi che insegnano come l'orazione allora riesce proficua e
pratica quando l'anima più che parlare ascolta. Chi parla è Dio.
L'anima non deve far altro che assecondare gl'interni movimenti della
grazia e del cuore.
Si comprende come le recenti dolorose emozioni stimolino
Costanza a versare nel seno divino la piena della sua desolazione e
della preoccupazione per l'avvenire. E il direttore la richiama al
dovere: ascoltare. Che se per attendere a questa santa ascolta dovesse
sacrificare le altre orazioni vocali non si preoccupi: col parere del suo
confessore può ridurle, concedendo il maggior tempo a quella. Il
comportamento nell'orazione, del resto, è un segreto riservato tra Dio
e l'anima a cui il direttore di spirito potrebbe dare appena le direttive
generali, perché l'unico Maestro e autore è lo Spirito divino il quale si
concede alle sue creature in modo tanto ineffabile che sfugge ad ogni
disciplina. Nonostante però la certezza che Iddio è presente e parla
l'anima dev'essere sempre umile docile ai mandati del confessore le
cui direttive, in armonia con quelle divine, non possono errare. Che
se a volte appaiono divergenze tra quelle apprese nell'orazione e
Biografie
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opera omnia
quelle umane del confessore, il senso finissimo dell'anima veramente
santa farà preferire il consiglio del direttore a quello proprio
rischiarato nell'orazione, perché - al dire della Maestra di spirito S.
Teresa di Gesù - le proprie illustrazioni sono soggettive e passibili
d'inganno, mentre la viva voce del direttore è l'espressione sicura ed
infallibile del volere divino.
A tanta altezza di contemplazione è pervenuta la nostra
Costanza in ancor giovane età, all'uscir dallo stato coniugale, colma di
moltiplicate ricchezze, al dimettere i suoi doveri di sposa e di madre,
nell'atto di congedarsi dal mondo per entrare in quello stato a cui
Iddio l'ha di lontano e per misteriose vie predisposta e preparata.
Che se volessimo ancora sapere precisamente quale stadio della
sua orazione ella si trovi in questo momento, dalle parole del
direttore risulterebbe che ella è sulla via dei proficienti, cioè nel
secondo stadio.
Se Mons. Valsecchi la mette in guardia dai sentimenti o moti
interiori che, insieme alle intenzioni vanno raddrizzati e purificati, è
segno che deve esercitarsi nel lavoro di reazione e purificazione.
Comunque, quelli che le sono daccanto possono constatare
come ogni volta che esce dalla sua interminabile orazione, ella riporta
il volto incendiato, quasi lo avesse tenuto per lunghissimo tempo
sulla bocca di una fornace.
Eppure, s'è affacciata appena sulla voragine che è per essenza
luce fiamme di beatificante Amore!
Nell'esilio desolato intanto la santa orazione è la sua scuola il
suo cibo il suo conforto.
“Nel mio isolamento - ella dice - non pensavo che a domandare
a Dio lume e conforto. Come avrei potuto io reggere, immersa come
ero in una totale desolazione, se non mi avessero sostenuto Gesù e
122
Maria?” .
122
P. Merati - Biografia cap. IV, pag. 62.
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opera omnia
CAPITOLO
XIV
“Intenta ad ogni opera buona”123
La traduzione pratica di quanto s'è detto avanti la troviamo
subito nelle occupazioni giornaliere di Costanza.
Docile alle prescrizioni del pio direttore, pel quale è di capitale
importanza la vita d'orazione congiunta alle opere ed alle opere di
bene, ecco come l'alunna d'eccezione le mette in pratica.
La mattina rientrata dalla Messa, impartiti gli ordini di
direzione domestica, regolate le faccende quotidiane, si apparta nella
stanza dove è spirato il suo Carlino, ed ivi chiuse le imposte nella più
perfetta oscurità se ne rimane tutta sola raccolta in Dio, per ben due
ore. Che cosa avviene in quel tempo? Lo immaginiamo. È l'ora del
suo più dolce piangere nell'effusione dei propri dolori nella ricezione
dei divini conforti. È l'ora d'ascoltare il dettato di Dio e di parlare
delle proprie indigenze. È l'ora di vedere la verità la realtà il bene; e
d'imparare a viverle eroicamente.
È il tempo della santa conversazione col Cielo. Lo dice bene il
suo volto e il suo comportamento quando esce da quella stanza. La
sua faccia è di fiamma, adusta come se l'avesse fermata a lungo
dinanzi ad una vampa ardente. Il suo esteriore, sempre atteggiato ad
una aggraziata gentilezza, è più grave composto quasi astratto e
assorbito da profondi pensieri. Tutto il resto: la casa i familiari
gl'interessi passano in seconda linea, dietro il negozio
importantissimo che al di dentro la prende la occupa tutta senza
preoccuparla, l'assorbe ma senza pena senza agitazioni; anzi, proprio
in grazia di esso, ella è buona dolce garbata più di quanto in ogni
altro tempo è già buona dolce e garbata. Di tanto in tanto quasi
123
Timot. 1. 5.
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115
opera omnia
rigurgitando il dolce peso che le riempie lo spirito si sente uscire in
soliloqui che sono gemiti giaculatorie sospiri: “Mio Dio, sia fatta la
vostra volontà!” Il celeste colloquio si protrae fuori dell'orazione; è
l'immediata applicazione di quanto ha contemplato di quel che ha
detto a Dio, e più, di ciò che Iddio ha detto a lei.
Evidentemente il cuore le sanguina tuttora per le recenti ferite;
e il suo dolore è l'oggetto obbligato di tutti i discorsi con Dio. Eppure
non lo fa per querelarsi d'un dolore pienamente accettato ed offerto,
né per chiedere conforti; ma solo per provvedere alle conseguenze
venute dietro di esso, che la pongono in una situazione nuova:
dinanzi ad un bivio che domanda una decisione e una scelta.
Intanto, perché resti saldo quel che irremovibilmente è deciso
ella ha rigettato con netto rifiuto la proposta di matrimonio che il
nobile dottor Ercole Piccinelli le ha fatto giungere pel tramite di
persone amiche. E per fermare con un sigillo sacro ed inviolabile la
propria risoluzione, ha emesso subito, lo stesso giorno della morte
124
dello sposo, consenziente il confessore, il voto di perpetua castità .
Si udivano spesso uscire dal suo labbro frasi come queste:
“Iddio dispone tutto per il meglio”. - “Se fosse sua volontà io partirei
subito da questa casa, e me ne andrei senza provare il minimo
dispiacere” - “Lascerei ben volentieri casa robe sostanze e mi ritirerei
in qualche tugurio per non aver nulla a che fare con gli uomini e
pensare soltanto a Dio”.
Riaffiorano qui prepotenti e vivi gli antichi desideri di vita
solitaria; il suo cuore, provato dal dolore vuotato dal lutto non può
essere riempito che da Dio: “Oh, il Signore mi faccia questa grazia di
separarmi presto dal mondo! Quale felicità non aver più pensiero
125
alcuno per la vita del corpo!”
Può dirsi che ella si esercita già perfettamente nella vita a cui
anela. Oltre le ore di meditazione mattutina il resto della giornata la
trascorre sempre unita a Dio. tranne il breve tempo concesso al
sostentamento del corpo e ad un lieve sollievo dopo il pasto in cui
s'intrattiene con le sue donne in discorsi utili ed edificanti, tutto il
restante lo dà al lavoro ed alle orazioni. Vicino al palazzo sopra una
piccola altura sorge una chiesa - restaurata a sue spese - e
all'annottare Costanza vi si reca a pregare arrestandosi a una devota
immagine della Vergine Addolorata. Ivi si affissa estatica dinanzi a
Maria e resta immobile senza muover labbro per più di un'ora. È
124
125
Proc. Ap. Suppl. Summ. N. XV, paragr. 12.
P. Merati - Biografia - Cap. IV, pag. 63.
Biografie
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opera omnia
questa l'orazione vespertina trascorsa in compagnia della benedetta
Madre che con i suoi dolori addolcisce tanto bene quelli dei figli suoi.
Le cameriere hanno attestato che pur nell'alto silenzio della
notte la signora si alzava dal letto ed aiutata dalle fonde tenebre
126
proseguiva ad orare .
L'ordine e la regolarità che regnano nel suo palazzo
riproducono quelli tanto armoniosi già ammirati nella casa paterna di
Soncino, ove tutto procedeva in un tono di massima uniformità, sotto
la saggia vigilanza materna. Anzi, qui e pel ristretto numero di
persone e le modeste abitudini di Costanza, sembra di vivere in una
casa religiosa.
Ciascuno ha il proprio orario con i tempi distinti pel lavoro la
preghiera il sollievo il riposo. Tutto procede con la precisione di un
orologio: l'economia le relazioni con l'esterno specialmente con i
coloni, di guisa che chiunque metta piede in quella casa rimane
colpito di tanto buon ordine così gradito agli occhi come una perfetta
armonia ricreerebbe l'udito.
Durante il giorno Costanza parla poco; costretta a farlo è solo
per cose necessarie utili ed istruttive. Dopo le orazioni della sera, dice
ai familiari: “Ritiriamoci e riposiamo” volendo dire ciò che si doveva
andare a riposo in silenzio: abitudine questa che prelude alla
consuetudine che instaurerà nel suo Istituto e che sarà gelosamente
custodita. Non si direbbe qui in questi dettagli che ella assaggi la vita
che intende abbracciare? E se tanto bene ella dirige la propria casa
quanto meglio modererà domani una casa religiosa?
Nei giorni di festa santificati dall'assistenza alla Messa sia nel
proprio oratorio, come nella parrocchiale di Seriate, si dedica
127
specialmente alle opere di bene. Una giornata piena di carità . Tutti i
tuguri dei dintorni ove è un infermo visitati. Le sue gramaglie
contrastano fortemente col sorriso con cui si sofferma vicino ad ogni
letto. Parla dolcemente con voce sommessa e pacata interroga sul
decorso della malattia, su i bisogni e provvede a ciascuno
distintamente secondo le necessità. Infine corona tutto con una calda
esortazione alla pazienza alla rassegnazione: un inno alla bontà di
Dio che tutto dispone pel nostro bene che a tutti i nostri dolori
promette il Paradiso, ove non saranno lutti né pianto né povertà, ma
gaudio ineffabile senza fine. Molti di quei tapini con gli occhi estasiati
di quella bella visione, e gli orecchi accarezzati da quella musica
126
127
P. Merati - Biografia - Cap. IV, pag. 63.
Proc. Ap. Suppl. Summ. N. X, paragr. 31. 32. 35.
Biografie
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opera omnia
celestiale, desiderano di morire subito per provare la pienezza di
quella gioia che gustano stando vicino a lei.
Né le visite si riempiono di sole parole. Con le stesse sue mani
parla va rassettando il letto dell'infermo allontana le mosche, e negli
afosi calori d'estate move l'aria d'intorno con un ventaglio per dar
refrigerio. Indi ne cura la persona nettandola, lavandola,
pettinandola, o se del caso, medicandola ella stessa. Poi si siede, ove
non trovi una sedia, sulla stessa pietra del focolare a dimostrare la
condiscendenza la fraterna amorosa familiarità che lega ad essa.
Infine lascia alla famiglia abbondanti soccorsi cibi vini biancheria ed
ogni altro ben di Dio. Quando le sembra di aver provveduto a tutto
per l'anima e pel corpo, se ne parte benedicendo e benedetta, e rientra
nel suo palazzo di Comonte con quella gioia che infonde il bene dato
128
più che ricevuto .
E c'è dell'altro bene, e ancor più prezioso ed eroico. Riservava i
migliori conforti alle ferite di cuori sanguinanti come il suo per lutti
gravi e recenti. Povere vedove malate recanti i loro piccoli pallidi
emaciati dalle privazioni: questi le stringevano fortemente il cuore
emozionandolo al ricordo del suo perduto figlio.
Caritatevolissima di parole sovrabbonda in soccorsi materiali
come bisogno di sgravio di un debito contratto per la somiglianza del
dolore sofferto per la disuguaglianza delle condizioni vissute.
Una povera donna con un orribile cancro al petto veniva a lei
ogni settimana ed ella la medicava con una morbidezza di tocchi
un'amorevolezza di maniere che la povera sofferente non ne sentiva
129
quasi verun dolore . Lo stesso faceva ad una lavandaia affetta da
130
vene varicose ulcerate ad una gamba .
La domestica che assisteva appena a queste medicazioni
provava orrore al veder la signora assolvere disinvolta tali ributtanti
uffici e se tentava di aiutarla sentiva rispondersi: “Sta' buona, io sono
abituata a questo genere di lavori”. Ricordava le lunghe penose
assistenze vicino ai suoi cari, e continuava vittoriosa nell'eroico
esercizio di carità. Veramente eroico! perché la delicatezza del suo
organismo risentiva degli sforzi impostigli dallo spettacolo di piaghe
ributtanti ed al lezzo che ne emanava. Così un vecchio servitore di
casa Buzecchi con due povere gambe piagate e verminose esalava da
esse un sì rivoltante fetore che ella era costretta a sospendere di tratto
128
129
130
Proc. Ap. Suppl. Summ. N. X, paragr. 126. 127.
Proc. Ap. Suppl. Summ. N. X, paragr. 61. 62.
Proc. Ap. Suppl. Summ. N. X, paragr. 16.
Biografie
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in tratto il lavoro uscir dalla stanza a respirar aria pura, e tornare a
131
proseguire l'eroica medicazione .
Con quanta confidente fiducia si accostavano a lei questi tapini
lo dicono gli sfoghi versati nel suo cuore buono e pietoso: storie di
lunghi tristi sconsolati dolori, che trovavano sempre l'opportuno
rimedio nelle esortazioni e nei conforti che ella dispensava.
Però, anche tra i poverelli c'erano i prediletti e con ragione: i
fanciulli specialmente orfani. Non uno che venisse a battere alla sua
porta doveva partire senza che ella lo avesse veduto.
Questo era ordine impartito. Buona e affettuosa come una
mamma senza badare alle condizioni dei loro vestiti se li prendeva
vicino li accarezzava l'interrogava e voleva sapere dei genitori - se
ancora l'avessero - oppure della famiglia. Ordinava che fossero
spogliati dei loro cenci e ben lavati e nettati d'ogni sudiciume li
rivestiva a nuovo degli indumenti che lei e le sue ancelle avevano
confezionati. Poi dopo averli bene rifocillati e provvisti d'altro cibo li
rimandava felici alle loro case. Nel congedarli si attardava a rimirarli
con uno sguardo di tenero amore, di appassionato desiderio:
“Abbiamo ridato la vita a queste povere creature... Non sembran più
loro!... Oh, se li potessimo tenere con noi ora che son puliti!...
Poverini, non hanno nessuno che si prenda cura di loro... sono orfani!
Eppure son figli dello stesso nostro Padre... e sono nostri fratelli”.
Alcuni di questi fanciulli, infatti, li collocava in qualche ospizio... ma
ce ne eran ancora altri da collocare!...
Questo desiderio questa accorata aspirazione vanno incidendo
nel suo spirito un proposito vago confuso come una pia pietosa idea;
ma potremmo già dire che è Iddio a mettergliela in cuore per farla
presto maturare in una bella realtà.
Ad allettare le domestiche a coadiuvarla in queste varie opere
di bene, a volte eroiche per ripugnanza che ingenerano, le sprona e le
consola con queste parole di compiacimento: “Guardate la bella e
grande carità che voi fate!... Iddio certamente ve ne serberà il
premio”.
Aveva infine una cura calda e piena di zelo per le figliuole più
grandicelle che sapeva povere e perciò più esposte a seri pericoli
spirituali. Dolcemente le ammoniva le richiamava a serie
considerazioni, interessandosi sempre di loro con materna
preoccupazione allietandosi e premiandole se le sapeva sagge e
fedeli.
131
Proc. Ap. Suppl. Summ. N. X, paragr. 61. 62.
Biografie
119
opera omnia
Anche questa classe di figliole e un tal genere di bisogni
sembrava che la intenerissero particolarmente, tanto che pensò subito
a qualche cosa di concreto sia per gli orfanelli come per le orfanelle o
ragazze esposte ai pericoli. Per questo Costanza, temendo che la
morte la sopraggiungesse inaspettata volle disporre dei suoi beni con
un nuovo testamento.
Sin dal febbraio 1854, - come vedemmo - pochi giorni dopo la
morte del suo Carlino, ancora vivente il marito, ella stese un
testamento che indirizzò a Mons. Valsecchi perché lo sottoponesse
all'approvazione del vescovo Mons. Speranza. In esso tra le altre cose
testò l'annua rendita di lire diecimila per la fondazione d'un
orfanotrofio da intitolarsi al nome del figlio. Ora dispone, novamente
in via non definitiva, che i beni di Comonte in caso di sua morte
vadano ad una congregazione religiosa di missionari, e quelli dotali
di Soncino per un istituto di fanciulle orfane e traviate da affidarsi
alla direzione delle Figlie del Sacro Cuore.
Tutto questo, dicevamo, provvisoriamente, perché essendo
ancora indecisa circa la propria determinazione pensava che il
Signore volesse disporre di lei in modo che le sue sostanze potessero
servire ad altri fini a Lui solo noti.
Provveduto quindi saggiamente a qualsiasi imprevedibile caso
ella si dà con tutto l'ardore a ricercare il preciso volere di Dio su lei.
Quale sarà questo divino volere?
Ecco un altro delicato e penoso momento della vita di Costanza.
Il suo stato di dubbio e di ansia la tiene in grave sofferenza. Che fare?
Ella sente ravvivarsi nello spirito gl'irrefrenabili slanci della sua
gioventù verso una vita di alta perfezione. Ma dove attuarla? In un
chiostro oppure nella propria casa, vivendo di orazione e di carità,
così come attualmente conduce la sua vita? Pure ella sente tanto vivo
il desiderio di uscire dal mondo e di obbligarsi con Dio, se non in una
forma più intima, almeno più ufficiale ed esterna.
Sopra tutti questi interrogativi ella vede delinearsi l'idea di
un'opera che realizzi le parole profetiche del figlio morente: “Iddio ti
darà tanti figli a cui provvedere”.
Mons. Valsecchi, anche lui, intravedendo qualche singolare
disegno del Cielo su quest'anima, ancora non si pronunzia. Frattanto
la esorta alla preghiera più assidua ad un'orazione più intensa in cui
Iddio
le
parlerà.
Costanza
obbedisce
dolcissima.
Contemporaneamente il pio direttore, nel pensiero che il germe di
vocazione religiosa notato nella sua alunna possa meglio aprirsi e
sviluppare al contatto di anime religiose, la mette in relazione con le
Biografie
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opera omnia
ottime suore Figlie del Sacro Cuore residenti in Bergamo alta, nella
casa detta del Gromo. Non si decide nulla. Finalmente Mons.
Valsecchi, nella sua bella umiltà, reputandosi inetto a guidare
quest'anima verso la via su cui Iddio la chiama, ha il pensiero di
rimettere Costanza nelle mani del nuovo vescovo di Bergamo, al
quale ella dovrà aprire tutta l'anima sua, e questi le indicherà
sicuramente la sua strada.
Il consiglio suggerito da tanta umiltà scende da Dio.
Mons. Pier Luigi Speranza, il vescovo dal petto di bronzo,
132
l'anima d'asceta e il cuore di madre, è prescelto .
L'angelo di Bergamo sarà pure l'angelo di Costanza e le
additerà la strada e la condurrà alla sua meta!...
132
Mons. Pier Luigi Speranza. vescovo di Bergamo per venticinque anni, nacque nel
1801 in Piario nella Valle Seriana. Fatto sacerdote andò coadiutore nel paese
nativo; catechista e padre spirituale nel Collegio di Clusone; direttore spirituale
del piccolo Seminario di Bergamo; professore di teologia morale; canonico
penitenziere della cattedrale; infine Vescovo di Bergamo. (1854)
Per non togliere o aggiungere nulla ai meriti di questo venerando ed illustre
Pastore, prendiamo il suo elogio da un'epigrafe latina - sintetica ed espressiva dal volume che a lui s'intitola “Memorie e Documenti” (Brescia - 1915). “Pier
Luigi Speranza - vescovo di Bergamo - uomo superiore ad ogni elogio - per la
fortezza contro tutti i nemici aperti od occulti della cattolica verità - per lo zelo
delle anime - per l'amore al SS. Cuore di Gesù e della Vergine Madre - Pastore
ottimo della chiesa bergamasca - dopo il Beato Gregorio Barbarigo”. Morì nel
1879.
Biografie
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opera omnia
Biografie
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opera omnia
CAPITOLO
XV
Tre eredità: patrimonio dei poveri orfanelli
A voler tirare le naturali conseguenze dalla serie di fatti sin qui
narrati che tennero per lunghi anni in crogiuolo di pene e in serrato
allenamento di virtù una creatura tanto generosa, s'ha da concludere
innanzi tutto che Iddio ama teneramente quest'anima; e su di essa
poggiano grandi disegni; e infine i poveri i piccoli gli orfani prima
che ad ogni altro stanno a cuore a Lui.
A questo punto della nostra storia ci troviamo come d'incanto
dinanzi ad un fatto nuovo insospettato; che è pure logica
conseguenza di tutti gli avvenimenti narrati; è questo: tre vistosi
patrimoni rimasti senza naturali eredi vengono convogliati e devoluti
a tutto beneficio dei prediletti di Dio.
I patrimoni precisamente sono: i beni di Costanza; i
possedimenti del consorte defunto; le vaste sostanze dei Tassis
inseparabili e indivise da quelle del marito e confluite tutte nelle mani
di Costanza per la morte dell'unico erede: Carlino. Cosicché ella ne
diviene unica ed assoluta proprietaria.
Questa massa di beni - allora ingentissima - formerà il
patrimonio dei poveri orfanelli.
Non è il primo caso del genere. Spesso il Cielo interviene ad
assicurare il pane la veste e l'avvenire dei suoi poverelli attribuendo
ad essi talune sostanze che a volte, - non date spontaneamente e
quindi meritoriamente, - per un colpo della Provvidenza si ritrovano
vacanti di legittimi eredi, e Iddio unico Signore d'ogni cosa creata ne
dispone liberamente e liberalmente a favore della carità cristiana.
Se si potesse attribuire a Lui un'arte che è troppo umana - e
quindi non esente da difetti - qui si direbbe bene: adorabile
diplomazia della Provvidenza!
Biografie
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opera omnia
Da questo momento s'inizia l'ultimo periodo storico di donna
Costanza Cerioli vedova Buzecchi, il più breve ma il più bello, perché
vi sfolgora in luce meridiana la splendida finalità del piano divino.
Il trionfo delle ragioni di Dio è ormai pieno.
Si consideri infatti quanto bene fu condensato in così breve
scorcio di vita. La santificazione d'un’anima attraverso passaggi tanto
penosi e difficili; la imminente creazione di due Istituti religiosi che
saranno fucine di virtù operosa e di virtuoso lavoro; il vero pieno
bene, diretto all'anima e al tempo di molte creature, assicurato non
per una ma per tante generazioni quante piacerà a Dio far vivere
l'opera della Madre Cerioli; infine l'edificazione di chi conoscerà le
benedette opere e la sua geniale autrice.
Nessuno certo può formalizzarsi per quanto di penoso
d'incomprensibile di assurdo fu narrato nella presente biografia,
perché tutto doveva sboccare a questo grande finale di bene e di
gloria.
Ecco come si pervenne a tanto mirabile conclusione.
Riprendendo la narrazione storica ricordiamo come Mons. Valsecchi
indirizzasse Costanza al nuovo vescovo di Bergamo Mons. Pier Luigi
Speranza per essere da lui consigliata e guidata.
Non diciamo neppure quanto la docile figlia sentisse tal
mutamento di direzione per l'illimitata e meritata fiducia che aveva
riposto in colui che fu l'angelo del suo indimenticato Carlino. Ne
aveva ben ricevuti - e ne riceveva tuttora - di conforti e consigli,
specialmente in ordine alla propria vita interiore; ma era proprio lui il
direttore che la indirizzava al novello vescovo uomo esperto nella
direzione di anime specialmente religiose. Questo stesso consiglio
quindi doveva ritenersi ispirato e da sommarsi agli altri innumerevoli
benefici che Iddio s'era degnato impartirle per mezzo del pio
canonico. D'altra parte il Valsecchi l'assicura che egli non l'avrebbe
mai abbandonata ogni volta che il suo aiuto le fosse necessario. Come
di fatto avvenne.
Concludendo: Costanza fece ancora prevalere il suo spirito di
obbedienza, si sottomise docile al consiglio e s'indirizzò presentata da
Mons. Valsecchi al vescovo di Bergamo, scrivendogli una lettera.
Mons. Speranza è salito di recente sulla cattedra del Beato Gregorio
Barbarigo, dopo aver occupato quella di Penitenziere della chiesa
bergamasca; la fama quindi di uomo intrepido, illuminato dotto e
soprattutto ripieno dello spirito di Dio nel guidare e reggere anime, è
ben meritata. Costanza aprì subito con tutto il candore dell'anima i
propri sentimenti i suoi ideali di perfezione i dubbi le ansie che la
Biografie
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opera omnia
tenevano sospesa il grave negozio della propria sistemazione e
dell'impiego delle copiose sostanze. Insieme si protestò disposta e
pronta a seguire ciecamente i consigli e le direttive che a lui sarebbero
sembrate nel Signore più opportune.
La semplice umile apertura di animo colpì subito il vescovo.
Non è facile trovare tanto sincera e docile indifferenza in una donna,
per condizione e possibilità capace di affermare e far valere le proprie
preferenze. Qui è lo spirito di Dio - pensò il vescovo - e pronto, senza
ricercare o dosar parole, d'impeto - come si direbbe - d'ispirazione
certissima, stende la risposta. Questa lettera, a non saper chi è l'uomo
che scrive, sorprende; ed anche sapendolo, non si giustificherebbe
mai, ove non si ricorra ad una suprema ispirazione. Egli infatti
conosce appena Costanza forse soltanto per il casato ben noto nella
vallata del Serio; ma infine non la conosce: Ella è una donna giovane
vedova e per di più ricca; come può un vescovo indirizzarle una
lettera nel contenuto e nello stile paterna sì, ma decisa autoritaria,
quasi drastica nello sfiorare il punto cruciale che preme a Costanza ed
insistere sur una cosa sola “la sistemazione della roba”? Ciò
supporrebbe una relazione d'antica data molto confidenziale. E
notiamo che questa prima lettera e la seguente sono le due uniche
della lunga corrispondenza in cui il pastore tratta Costanza come una
figlia una sorella, e senza ambagi e convezionalismi le parla
familiarmente col tu. Tutto questo ci persuade che il buon Padre
vuole cattivarsi sin dalle prime battute la fiducia piena di un'anima
che egli ha da condurre e governare sino alla di lei morte.
Ecco la lettera: 4 febbraio 1855. “Pregiatissima Signora, finché tu
133
stai qui nella mia diocesi sei mia diocesana : e debbo dirti la verità
che può giovarti. Guarda che tu sei impedita e imbrogliata da tanti non voglio dire più fili di stoffa - ma fili di ragnatela. Sbrigati; vieni
fuori. Sei come il giovane del Vangelo che voleva seguire il Signore,
ma aveva tante cose del mondo che lo impedivano. Tu dici d'esser
disposta, di non voler altro che fare la volontà di Dio, d'esser pronta,
e ti parrà di non cercare che il miglior bene da fare; tu invece, credimi,
che sei legata ed impedita; ma mi sembri vuota e morta, né distaccata
col tuo spirito da tutto, come dovresti essere. Anzi è poco dire che
non mi sembri; non sei. Tante cure, tanti pensieri, tanta importanza
che dai a tante cose che non sono che bagattelle infine... Mi fai
compassione davvero!... Distaccati, muori, pensa all'anima tua; il
133
Ricordiamo che il paese di origine di Costanza (Soncino) appartiene alla diocesi
di Cremona.
Biografie
125
opera omnia
mondo è nulla; ed è nulla per te lo stesso bene che puoi disporre a
questo mondo. Che giova il far del bene per gli altri? Prima per noi, in
casa nostra. Dio ha diritto che lo serviamo bene noi, prima di tutto. Se
ci fosse S. Ignazio ti metterebbe negli esercizi, ma ci vorrebbero
lunghi, finché tu non l’intenda bene. Io propongo di metterti
nell'anticamera della morte, e poi star lì, anzi tenerti fra un uscio e
l'altro, lì per entrar dentro. Oh, procura di morire a tutto, distaccarti
da tutto e da te stessa, e vivi al mondo un po' meno, e col tuo animo
un po' più di là con Dio, coi Santi e colla Vergine, all'eternità. Gesù in
cuore, eternità nella mente, mondo sotto i piedi, e soprattutto amore,
amore a Dio (S. Caterina da Genova).
Come ti diceva, è vero che non si può andarci se non chiama
Iddio; ma a considerare questa verità dobbiamo andare avanti noi. Tu
sei impedita, tu sei legata, tu non puoi essere di Dio finché non muori
a te stessa.
Per riguardo ai lasciti tutto è fatto subito, e tutto va bene. Non è
che non ti sia obbligato del bene che fai, e che hai intenzione di
disporre in questa mia diocesi. Ti sono obbligatissimo, e farò che
siano adempiute appuntino tutte le tue prescrizioni; e se vorrai
mutarle o levarle di qui, sempre sarai padrona. Ma quel che ora mi
preme si è di acquistare bene te e l'anima tua.
Fa bene, e poi sii in pace o qui o al tuo paese, e fa quello che
Iddio t'ispira; e il consiglio nostro facciamo sempre presto a dartelo, e
a buon mercato, senza necessitarti, né sforzati menomamente; poiché
quando sarai buona, il Signore suggerirà a te o di conservare o di
mutare come che sia nelle tue disposizioni; e quel che ti suggerirà lo
farai, che non v'è difficoltà nel disporre delle nostre cose; la difficoltà
è nel disporre bene di noi.
Addio. Ti benedico. Aff. mo servo in Cristo Pier Luigi,
vescovo”.
La seconda lettera - a pochi giorni di distanza - ribadisce meglio
i concetti della prima. 24 febbraio 1855 - “Carissima e stimatissima in
Cristo, Chi non sa che la beneficenza non sarà buona anche a Seriate?
Ma adesso tu non hai bisogno di pensare alla roba; ma a te stessa.
Quando sarai in regola tu, allora metteremo a suo posto anche la
roba. Guardati dagli uomini che ti cercano per aver la roba tua.
Procurati Dio; che importa mai tutto questo mondo? Nella tua mente
ha una grande importanza; eppure non è niente per te come per tutti.
Se io fossi nel caso tuo non ci penserei neanche alla roba. Penserei a
procurarmi un amministratore, ma un galantuomo di quei che sono
rarissimi oggi, e a lui darei incombenza di far tutti i conti, e mettere
Biografie
126
opera omnia
tutta la roba in buon ordine; e poi vorrei che della roba se ne tenesse
dacconto, poiché è grazia di Dio e si ha da farne buon uso, e non ha
d'andar a male niente. Dopo penserei al mio Dio, alla mia eternità,
alle massime della fede, e mi purgherei e distaccherei da tutto meglio
che potessi; e poi dopo vedrei che cosa s'ha da fare di più bello e
buono colla mia roba.
Ti benedico. Vieni quando vuoi. Pietro Luigi, vescovo”.
Si direbbe che questi accenti risoluti squassanti e un po' forti
non siano esattamente per Costanza che noi conosciamo tanto
distaccata e prodiga della “sua roba” e la sappiamo in ansia proprio
per quel che il vescovo insiste a cercare. Ma il buon maestro, che sa a
chi parla mira assai in alto e coglie nel segno.
Tali parole, infatti, scesero sull'anima umilissima di Costanza
senza abbatterla tanto meno offenderla. Valsero ad aumentare la sua
confidenza e venerazione in chi le parlava in nome di Dio, con
chiarezza ed energia. Il suo spirito ne sentì sollievo, perché infine i
suoi ideali i suoi voti collimano perfettamente con quelli del nuovo
direttore, e rinvigorita a più generoso entusiasmo, torna a ribadire il
proposito di compiere a qualunque costo la santissima volontà di Dio.
Nonpertanto, ella non cessa di gemere ai piedi di Dio che non
l'abbandoni in tale momento, e non permetta che ella abbia illudersi
nella scelta di cosa tanto importante: “Signore, disfatemi e poi tornate
a farmi, onde io non viva che per voi... Mio Dio, cambiatemi
trasformatemi tiratemi dietro di voi... Signore, che volete che io
faccia? Deh, fatemi conoscere la vostra volontà!”
Questi sentimenti si volgono e rivolgono nello spirito di lei, a
volte le salgono sino al labbro, intramezzandone le occupazioni
abituali specialmente quando ella sa d'esser sola e non udita da
alcuno.
Il suo contegno esteriore rivela però la persona preoccupata,
sebbene non turbata, da un pensiero che senza inquietarla è sempre
dominante. Per tutto il resto ella sembra assente. Naturalmente le sue
ordinarie occupazioni risentono alquanto della sospensione della
precedenza che questo pensiero ha su tutto.
I familiari la seguono la osservano non veduti si mettono in
ascolto per cogliere il senso dei suoi soliloqui; e non sapendo nulla di
ciò che interiormente passa nello spirito di lei, pensano che gli effetti
dei recenti lutti nonché affievolire col tempo, rincrudiscono sempre
più. “Povera signora! - pensano e dicono tra loro - non è più in sé... il
dolore ha leso la sua ragione!” Questo sospetto è rafforzato da fatti
palesi e indiscutibili. È del continuo astratta fissa in qualche pensiero;
Biografie
127
opera omnia
nel fare le elemosine è prodigalmente larga non solo con i poveri, ma
con le chiese e i conventi. I furbi i disonesti abusano della sua bontà
ed essa non reagisce; invadono le sue possessioni le devastano
depredandole... dicono di averle avute in dono dalla padrona; ed essa
tace. Gran parte dei suoi numerosi e preziosi gioielli, regali del
defunto sposo, passano ad ornare il venerando simulacro della
Vergine detta del Miracolo, nel santuario di Desenzano. Similmente
varie suppellettili d'alto valore e di pregio artistico che decorano la
vetusta casa Tassis, partono qua e là per le chiese dei dintorni. Gli
stessi abiti di Costanza attraverso un rigoroso inventario son ridotti a
due della più comune lana nera e in così povero stato che di tempo in
tempo hanno bisogno di toppe e rammendi. Il resto il più il meglio
tutto ai poveri.
Ed ancora, sin dai primi tempi del suo matrimonio, Costanza
aveva, perché voluta dal marito, una cameriera che le curava
l'acconciatura dei capelli. Ora questo servizio non tollera più; non si
mira più allo specchio e se a volte permette d'essere pettinata, con
garbo risoluto si volge alle cameriera e le dice: “Lascia fare a me; vedi
come si fa: così”. E con un sol colpo di pettine manda indietro alla
rinfusa tutti i capelli; poi togliendosi da quella occupazione.
134
“Andiamo, andiamo, - dice che c'è ben altro a fare che pettinarsi” .
“Decisamente! - pensano molti - la povera signora non è più in
sé, per ridursi in così pietoso stato”.
“Tenetela un po’ più di conto la vostra signora - dice ai
domestici un sacerdote, vecchia conoscenza di casa - mi sembra che la
mandiate un po’ troppo all'apostolica”.
Costanza ha risaputo di questi appunti, e dice amabilmente ai
familiari: “Sono pulita e raggiustata; che si vuole di più? Nostro
Signore, Padrone del mondo, non possedeva che una sola tunica, ed
io indegna serva ne ho due. E poi dicono che è poco. Infine le vesti
non si possono indossare più d'una alla volta; per me l'averne di più è
un vero impaccio”.
La risposta della signora ha rassicurato i servi e disilluso
chiunque abbia pensato male di lei: queste parole sono non solo da
saggia ma da santa; perché ella aggiunge persino: “Volesse il Cielo
che fossi veramente pazza al giudizio degli uomini, per piacere a
135
Dio” .
134
135
Porc. Ap. Summ. Vita, pag? 739-740, paragr. 25.
Proc. Ap. Suppl. Summ. pag. 577, paragr. 577. 578.
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128
opera omnia
Un giorno il curato di Comonte - Don Giuseppe Agnesis - che
qualche cosa ha intuito dell'intimo travaglio della signora Costanza se
ne esce bel bello in queste parole: “Sentite, signora, se io fossi nelle
vostre condizioni mi procurerei alcune povere bambine da allevare e
custodire: così questa occupazione vi solleverebbe lo spirito”.
È la voce di Dio!. .
In quello stesso giorno due bimbette di Seriate di recente orfane
dei genitori furono condotte al palazzo e presentate a Costanza.
Non le lasciò più partire.
Innalzando gli occhi al Cielo ella ringrazia il buon Dio che
finalmente ha parlato.
La nobile Costanza Cerioli ha trovato gli eredi dei suoi tre
patrimoni!
Biografie
129
opera omnia
Biografie
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opera omnia
CAPITOLO
XVI
Come si costituisce la seconda famiglia di
Costanza
Le due orfanelle ammesse alla vita familiare nel palazzo
comitale di Comonte suscitarono poco meno che tumulto. La servitù
ne è scandalizzata inorridita. È intollerabile che in una casa di tanta
nobiltà e decoro si debbano ospitare due creature cenciose e pezzenti
come queste; muovono a schifo solo al lezzo che tramandano! Si
mormorava.
La signora non si turbò; tanto meno si rimosse dal suo
divisamento. Col cuore sempre stretto dall'angustia e dal dolore, al
vedersi dattorno radianti felicità quelle due innocenti creature ella
prova sussulti di tale commozione da non potersi dire. Le parole del
figlio morente si stanno dunque avverando. Che sian queste povere
bimbette le primogenite dei “molti figli che la Provvidenza le darà in
luogo del suo Carlino?” Chi sa? Le proteste e le ripugnanze dei
familiari vengono sopraffatte dall'entusiasmo e dal vigore nuovo che
ella esperimenta a proseguire animosa aumentando il numero e
perfezionando il bene di quelle povere derelitte.
Di così bella novità - a cui presto segue una scuola rurale per le
contadinelle di Comonte - si preoccupò subito di darne notizia al suo
venerato vescovo e direttore, dal quale ella dipende docilissima.
Monsignor Speranza, come già le aveva suggerito “di andar man
mano facendo quel bene che vedeva presentarsi” non poteva non
approvare la cosa, e le risponde subito: “Quello che voi fate non è
male, ma bene; e a far questo voi avete sempre la mia licenza. Così
voi occupate fruttuosamente il tempo, ed il Signore che apprezza
tanto il bene che facciamo, terrà conto anche di questo che infine si
servirà ad ottenere da lui maggiori lumi”.
Biografie
131
opera omnia
Il tono della lettera, ben diverso da quello da noi sottolineato
nelle due antecedenti, lascia traspirare l'approvazione e il
compiacimento del buon vescovo, che vede così delinearsi da
un'opera di carità una possibile vocazione ad un Istituto di
programma attivo in pro della gioventù. E ciò era anche una delle più
coltivate cure del suo ministero episcopale. Le ultime parole della
lettera “questo vi servirà infine ad ottenere da Dio maggiori lumi”
dicono chiaro dove egli avrebbe voluto mirare. E bisogna riconoscere
che tale era anche il pensiero di Costanza; ella ha infatti già
provveduto e disposto che “ove il Signore avesse voluto che passasse
altrove il resto dei suoi giorni, avrebbe collocato le due orfanelle o nel
136
Conventino di Bergamo o dalle Suore di Carità a Caleppio” .
Con queste idee di massima condivise ed accettate da entrambi
il vescovo consiglia Costanza di portarsi per qualche giorno a
Bergamo alta, e raccogliersi nella casa delle Figlie del S. Cuore del
Gromo: ivi nel ritiro e nell'orazione potrà conoscere se quell'Istituto
sia adatto per Lei. Costanza obbedì. Dopo qualche giorno di dimora
nella santa casa il vescovo va di persona a farle visita. Scambiarono
tra loro un dialogo che in qualche passo rievoca uno dei tanti tenuto
da S. Francesco di Sales con la santa vedova de Chantal.
- Come vi trovate, qui? le chiede il vescovo.
- Bene, Monsignore, fin troppo bene - risponde Costanza.
- Dunque, vi sentite di rimanervi?
- Come crede Vostra Eccellenza.
- No, - soggiunse il vescovo - voglio sapere come vi sentite
internamente.
- Nel mio interno - risponde con franca sincerità Costanza - non
mi sento per nulla inclinata a questo genere di vita; anzi se prima
avevo qualche inclinazione ora si è sopita del tutto; mi sento invece
spinta a vita più bassa, ed a convivere con persone di più umile
condizione.
- Allora - le disse il vescovo - tornate subito a casa, ed attendete
a far del bene; frattanto pregate il Signore che manifesti la sua
santissima volontà, che noi l'eseguiremo. Va bene?
- Benissimo, Monsignore!
E Costanza partì rientrando a Comonte.
Qualche cosa di simile aveva già tentato presso le Suore
Canossiane; ove recatasi per un giorno di ritiro, fu invitata a leggere
le costituzioni di quella Società e a considerarne lo spirito, ottimo del
136
Proc. Ap. Summ. Vita, pag. 741.
Biografie
132
opera omnia
resto sotto ogni riflesso. In così delicato e per lei sollecitante invito
Costanza fece ricorso a Dio nella santa orazione, ed Egli le fece
intendere che l'opera a cui voleva era diversa da quella delle
Canossiane. Quindi non iniziò neppure trattative in proposito.
Rientrata in Comonte dopo il ritiro del Gromo si diede tutta al lavoro
intorno alle orfanelle e all'organizzazione della scuola rurale;
soprattutto si diede alla preghiera più intensa, secondo i consigli del
vescovo.
A proposito della scuola rurale, Costanza aveva urgente
bisogno di aiuto, perché se ella si fosse dedicata alle orfane non
avrebbe potuto attendere alla scuola. D'altra parte dai suoi familiari
non poteva sperare aiuto, non essendo questi molto disposti ad opere
di carità. Delle tre domestiche che aveva, l'unica che sembrava più
inclinata a coadiuvarla non era di salute, tanto che dovette
rimandarla a chi gliela aveva data. Di conseguenza venne a trovarsi
ben fornita di licenze e benedizioni sì, ma sprovvista di braccia per il
lavoro.
A ciò le venne in soccorso il Cielo, presentandole subito un
ottimo soggetto che sarà poi la figlia prima assoluta in ordine di
tempo e per qualità. Iddio benignamente la legherà alla vita e
all'opera di Costanza quale sua prima compagna, prima confidente,
prima erede dello spirito, e dopo la morte, prima moderatrice
dell'Istituto, che dirigerà per ben quarant'anni sino a vederlo
approvato, diffuso, consolidato nello spirito caratteristico dato dalla
137
stessa Madre Fondatrice. È la venerata Madre Luigia Corti . Noi le
dobbiamo tanto per la copia e preziosità di notizie forniteci che
garantiscono tutta la verità storica del presente lavoro.
Il maturarsi della vocazione in questa giovane le circostanze e il
momento in cui s'è profferta a Costanza, hanno tutti i contrassegni di
una disposizione celeste. Lo dice la stessa Madre Corti come avvenne
137
La M. Luigia Corti, nacque in Bergamo, parrocchia di Borgo Palazzo, l'11 marzo
1829, da modesti ma onesti genitori. Frequentò le prime scuole delle Suore
Canossiane con vero profitto, sì da far credere che avesse ricevuto più alta e
compita istruzione. Fanciulletta perdette la mamma e rimase in tutela della nonna
paterna. Morta anche questa, il padre passò a seconde nozze, e Luigia dovette
soffrire non poco a cagione della matrigna.
Ebbe per confessore e zelante sacerdote Giovan Battista Tiraboschi, che la guidò
saggiamente verso la sua vocazione religiosa.
Il primo anello di congiunzione tra la Corti e la Cerioli fu un'amica della Corti,
cameriera presso Donna Costanza.
Visse sempre a fianco della Fondatrice, come preziosa consigliera e prediletta
figlia, la assistette negli ultimi momenti della sua vita e le succedette nell'ufficio
di Superiora Generale, e dopo aver retto per circa quarant'anni l'Istituto, morì
santamente il 20 aprile 1903.
Biografie
133
opera omnia
il suo primo incontro con la signora Costanza. “La conobbi la prima
volta in occasione in cui ella si recò dalle Suore Canossiane in Borgo
Palazzo - Bergamo - a cercare una giovane che la potesse aiutare nella
custodia di due orfanelle, che aveva già raccolte nella sua casa in
Comonte, e di altre che in seguito sperava di poter ricoverare. Io che
desiderava ardentemente di farmi religiosa nelle Canossiane, ma
essendo povera non potevo essere accettata, accolsi con gioia la
proposta fattami, ed avuto il consenso del mio confessore Don
138
Battista Tiraboschi partii per Comonte” . È da notare che il
confessore sembrava opporsi all'ingresso di Luigia in un qualsiasi
Istituto, non perché non la trovasse matura di vocazione alla vita
religiosa, ma per le sue condizioni familiari. Poco più che ventenne,
ella doveva svolgere la sua prima carità in casa verso il babbo
infermo, la matrigna con vari figli. Per questo il Tiraboschi non
voleva neppure sentir parlare di convento. Ma quando si trattò di
andare con la signora Costanza in Comonte non solo non fu
contrario, ma la esortò a partire incontanente. “Ma, rispose la
giovane, e il babbo infermo... e i fratellini?” - “La volontà di Dio è che
tu vada subito”. Sorpresa ed agitata di questa strana risposta nel
dubbio che il confessore le avesse dato un consiglio precipitato, attese
qualche giorno avanti di partire per Comonte. E quando si presentò a
lui per congedarsi, al primo vederla il ministro di Dio le disse:
“Come, sei ancora qui?... Parti subito dove Iddio ti chiama, che la tua
famiglia avrà maggior beneficio dalla tua assenza che dalla tua
presenza. Tu devi secondare i disegni divini che ti vogliono là. Se per
tua colpa perderai quel posto, te ne pentirai!” Parole profetiche!
Luigia Corti obbedì al comando del suo direttore e nel maggio 1855
entrava come prima collaboratrice di Costanza Cerioli nell'opera non
ancor nata.
Qui vogliamo far gustare al lettore una pagina della stessa
Corti; nel suo stile semplice e quasi vernacolo ci dà le impressioni sul
primo incontro con Costanza a Comonte: “Al primo entrare in questa
casa - ella dice - mi sentii tutta commovere di consolazione in vedere
questa sì grande Signora così dimessa che ispirava raccoglimento ed
insieme rispetto. Ho detto subito in cuor mio: Oh, questa dev'essere
un'anima santa! E sentivo in me tanta venerazione congiunta con
tanta confidenza quasi fosse già mia madre e superiora, e non come a
signora: e subito mi sono sentita gran desiderio di mettermi sotto la
sua direzione, come feci dipoi col voto di obbedienza fatto verso la
138
Proc. Ord. Summ. Pars. 1 pag. 1 N. 1. paragr. 1.
Biografie
134
opera omnia
medesima, col consiglio del mio confessore. Così sono stata la prima a
sperimentare il suo grande zelo e premura, nonché la saggezza e
discernimento nelle cose dello spirito, e la sua maschia virtù, che non
stava alla corteccia ma voleva virtù sode e senza affettazione; voleva
che si fosse pronte all'obbedienza e che questa si preferisse a tutto; ci
voleva amanti del sacrificio e dell'annegazione e che tutto si
sacrificasse pel servizio dei poveri: tempo, comodità, stima, piaceri e
persino la vita, non risparmiando se stessa più delle atre a sacrificarsi
tutta per la carità - come io posso attestare - che allora, al mio primo
entrare nella casa, ella faceva sia con due orfane, sia con la scuola che
139
cominciava a fare per le ragazze dei dintorni” .
Sul bel principio però la situazione di Luigia Corti non era
molto lieta: l'agitava una grave perplessità. Il parlare della Signora
Costanza le suonava oscuro indeciso: sarebbe ella rimasta nel suo
palazzo a educare le orfanelle, oppure si sarebbe ritirata in monastero
a far vita di solitudine e contemplazione?
La sentiva parlare con tanto trasporto di desideri di perfezione
di vita solitaria con Dio... Ed allora? che sarebbe stato delle povere
orfanelle, e ciò che più premeva alla Corti, che sarebbe stata di lei,
della sua vocazione religiosa? Rimaner sola, in balìa di se stesa, senza
verun appoggio! La poverina in tanto dubbio avanzò persino una
timida domanda alla signora: “E che farete di queste orfanelle, se voi
vi ritirate in monastero?” E Costanza con grande calma le espone il
suo piano qualora Iddio la chiamasse a vita di solitudine.
Non c'è nulla da fare! - riflette la Corti - bisogna pensare ai casi
propri. Sentiva però tanto affetto e venerazione per la signora
Costanza che non sapeva decidersi ad abbandonarla. Pure, con
grande dolore un giorno le si presenta e le dichiara con tutta
franchezza i suoi timori e che perciò prima di rimaner sola
abbandonata pensava di tornarsene presso i suoi a Bergamo.
Anche Costanza amava quella figliuola; la trovava tanto adatta
per i suoi disegni; tuttavia, per tenersi in uno stato di perfetta
indifferenza, e per non forzare in verun modo gli eventi,
procurandosi anche con quel mezzo umano qualche cosa che
favorisse l'opera, con altrettanta franchezza e risolutezza, le risponde:
“Sta bene; va pure: Iddio non ha bisogno di te! Se vuoi, ti
pagherò il lavoro che hai prestato presso di me”. A tale risposta la
Corti si confermò nella decisione presa. L'indomani mattina,
silenziosamente lasciò il palazzo di Comonte.
139
Proc. Ap. Summ. - Vita, Cap. V, pag. 745, paragr. 31. 32.
Biografie
135
opera omnia
Però la figliuola non si sentiva sicura del passo che faceva.
Prima di tornare a Bergamo volle dare un capatina a Costa di
Mezzate per veder il proprio direttore e riferirgli tutto. Questi
l'ascoltò in silenzio; indi, con fare ispirato, le disse: “In nome di Gesù
Cristo, ti comando di non abbandonare Donna Costanza: questa è la
tua vocazione. Tu la seguirai ovunque ella vada; se andrà in
monastero tu entrerai in monastero, se resterà dov'è lì resterai tu:
quello che ella farà lo farai tu pure. E bada di non trasgredire
quest'ordine. Se in questo confessionale ci fosse al mio posto Gesù in
persona ti direbbe la stessa cosa”.
Alla forza di queste parole la giovane si sentì rinvenire. Con
cuore sereno e tutta in giubilo rifece a ritroso la strada. Torna a
Comonte, si presenta a Costanza, e con la più bella semplicità le dice:
“Signora, non vado più a casa; rimango con voi per sempre, perché
sento che questa è la volontà di Dio”.
Costanza non ne esultò meno in cuor suo - il Signore dunque
lavora in favore dell'opera delle orfanelle! - e benché non lasciasse
vedere alcun segno di questa intima gioia, pure la Corti se ne avvide.
E questa si mise ai suoi ordini, per eseguire con alacrità le prime
140
incombenze .
A Luigia Corti fu così affidata la cura delle orfanelle. Costanza
più libera poté dedicarsi alla scuola ove, senza dirlo, affluirono subito
gran numero di ragazze d'ogni età attratte dal gran nome della
signora che presero tutte a chiamare “la maestrina” diminutivo e
vezzeggiativo di maestra giovane, materna quanto può esserlo chi
della madre ha tutte le intuizioni d'amore e di dolore, elevate ad un
senso eroico di virtù.
L'opera di Dio s'incammina, ma non ancora in modo da lasciar
veder chiaro e deciso il suo orientamento: orfanotrofio o scuola?
Oppure l'uno e l'altra? Quel che è certo visibile è il grande spirito di
fede e carità di Costanza, e il più assoluto oblio di sé delle sue cose
del suo passato di tutto insomma, per dedicarsi con energia e
possibilità al bene. Questo basta a dar gioia al suo cuore, a inondarla
di pace, di quell'intima soddisfazione che è premio a chiunque lavori
sapendo di attuare la volontà divina.
I nuovi impegni, naturalmente, la tengono occupata e sempre in
moto con la vigilanza sulle orfanelle e la direzione della scuola.
L'andamento della casa e della propria persona all'ultimo posto,
140
Da alcune note biografiche della R. M. Corti. (Archivio della Casa Madre delle
Suore della S. Famiglia).
Biografie
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opera omnia
ridotti al minimo necessario. Suo primo pensiero le bambine e le
ragazze. Ci sta proprio con l'affetto e il trasporto di una mamma; con
infinita pazienza insegna le migliori cose di Dio e della casa: leggere e
scrivere aritmetica mentale lavori semplici e comuni, un po' di cucito,
quanto riesca prezioso per una povera famiglia di campagna. Quelle
creature incoraggiate sollecitate dalla bontà e pazienza della
“maestrina” le si affollano intorno opprimendola d'ogni parte
interrogandola, a volte offendendola con la loro rozzezza; ma lei
squisitamente delicata non le allontana non si schernisce non sente
schifo... disinvolta, sorridente risponde istruisce dirozza quelle
creature per farne delle coscienti anime cristiane. Un sì bel quadro,
edificante ed interessante insieme, non può comporlo che l'infinita
carità di Cristo livellatrice della ricchezza e della povertà, della
sapienza e dell'ignoranza, in un vincolo di fraternità che ha origine e
termine nell'unico Padre dei Cieli!
S'è accennato che in grazia di questo nuovo lavoro Costanza ha
dimenticato se stessa e la casa. L'ordine l'assetto il nitore del palazzo
altre volte curati e ricercati, con sommo stupore dei domestici, son
divenute cose secondarie. Ella ha chiesto al Signore che la spogli delle
soverchie sollecitudini per tante inezie. I pasti ridotti alla massima
frugalità: la sera non si cenava che con i resti del pranzo riscaldati alla
meglio. Né si usavano particolari attenzioni agli ospiti che
capitavano: tutti dovevano partecipare alla modestia e frugalità, che
poste sopra un rigoroso piano di economia per il superfluo dovevano
provvedere il necessario a tante creature del buon Dio. Una cognata
di Costanza in visita a Comonte la rimprovera: “così voi imponete a
tutti il vostro voto di povertà”. E Costanza sorride pensando al
numero di orfanelle che in grazia di questo voto potrà essere
aumentato.
Altri ospiti stupefatti si soffermano a considerarla tutta presa
assorbita dalle nuove occupazioni così in contrasto con la sua
condizione e in quell'ambiente; rivolti alla compagna (Luigia Corti) le
chiedono: “Che ne dite della signora? Non vi sembra che i dolori
sofferti le abbiano fatto perdere il senno?” E la Corti: “Ma!... io penso
che il Signore la faccia una gran santa... perché parla ed opera da
santa!” E gli altri punto persuasi di quest'ascetica esclamano: “È
impazzita!” Costanza lo risà e molto abilmente ci ragiona sopra:
“Vedete come è fatto il mondo ed il suo spirito: quando si opera da
pazzi si è reputati persone di senno; e quando si fa bene si è stolti.
Noi ringraziamo Iddio che ce lo fa intendere. Poveretti! sono essi i
Biografie
137
opera omnia
pazzi, perché si rendono schiavi del mondo! Purtroppo lo fui
anch'io!”
E la cosa non finisce qui. Gli ospiti persone di rango e di vaste
relazioni divulgano la loro impressione, sì da farla arrivare sino a
Bergamo. Varcò persino l'episcopio. Mons. Speranza, spirito pratico e
occhio clinico, intuisce e se ne compiace. La prima volta che può
vedere Costanza le dice: “Sapete che si dice di voi qui a Bergamo? che
siete una mattochella!” - “Fosse vero, Monsignore, che io divenissi
141
pazza, ma della follia della Croce!” .
Frattanto per i dintorni di Comonte s'è diffusa la voce delle
opere iniziate dalla giovane vedova Buzecchi; il suo palazzo è un
andirivieni di parroci sacerdoti che accorrono a raccomandare i casi
più pietosi da tenersi in considerazione. Il cuore di Costanza si dilata
nel desiderio di abbracciare e raccogliere tutte quelle miserie...
sennonché un forte dubbio, e penosissimo, l'angustia ancora: Sarà
proprio volontà di Dio quest'opera? E se ella si fosse temerariamente
slanciata in un'impresa che le sue deboli forze non potranno
continuare? D'altra parte il desiderio di vita raccolta e di preghiera
l'attrae irresistibilmente con la violenza dei primi giorni in cui le si
accese in cuore. E trema al pensiero che l'apostolato della carità non le
intralci la via verso una maggiore perfezione: o che il desiderio di
questa non paralizzi l'opera benefica per tanti segni accetta al Cielo.
Nella distretta di sì angosciosi dubbi il suo rifugio è in Dio.
Prostrata in orazione dinanzi alla Divina Maestà, supplica e protesta
che ella non intende non cerca che la sua volontà: disposta a tutto,
troncare o continuare, smettere per ricominciare sempre tutto, solo
che questo sia il divino beneplacito.
Nel fervore dell'orazione, rischiarata da Dio, tutti i suoi dubbi
cadono sfolgorati, bruciati dal fuoco del divino amore che si
compiace di lei e del suo operato. Ed allora è la calma la più
beatificante.
“Desidero di accrescere il numero delle ricoverate - ella dice ogni volta che ne accolgo una nuova mi par proprio volontà di Dio
che io la riceva; ma d'altra parte mi agita il pensiero di avermene a
pentire. Ed allora che ne farò di queste poverine, che pur tanto
amo?... “Proseguite, continuate” le ha detto ripetutamente il vescovo.
L'autorità e la responsabilità di persona così qualificata ne sarebbero
compromesse... ed ella continua. Aumenta il numero delle orfanelle
141
Proc. Ap. Summ. - Vita, pag. 577, paragr. 577. 578.
Biografie
138
opera omnia
preferendo nel vasto campo di miserie quelle che le sembrano più
urgentemente bisognose: le orfane dei contadini.
L'ammissione di ogni nuova orfanella per lei assurge
all'importanza di un rito al tono d'una consuetudine da guardarsi ed
osservarsi in avvenire, sempre. La visita preliminare è all'oratorio
domestico; la prima presentazione a Dio: che la benedica e l'accolga
sotto le ali della sua protezione onde riesca un'anima predestinata al
bene alla vita eterna.
Poi un po’ di toletta. Anche questa caratteristica e interessante,
sempre riservata a lei, la signora. Si sa che quelle povere creature
vengono da famiglie poverissime, alcune mendicanti, altre uscite da
case dove non c'è babbo, non c'è mamma. Le loro condizioni
igieniche, quindi, nel vestito nel corpo soprattutto nelle belle testoline
ricciute arruffate ed invase da indesiderabili ospiti, facilmente
immaginabili. Perciò: una calda abluzione generale accurata rivista e
riassetto al capo, e poi biancheria abiti nuovi di bucato splendidi di
semplice eleganza producono subito la trasformazione miracolosa,
Costanza ripete sempre da capo: “Ecco un'altra figlia della
Provvidenza divina!” Poi la conduce dalla maestra e gliela consegna
con rituali parole: “Questo è un tesoro tanto prezioso che vale più di
tutto l'oro del mondo. Fa di volerle assai bene!” Indi comincia il
lavoro di dirozzamento di formazione d'istruzione di educazione
sviluppate e perfezionate via via che il tempo e l'esperienza
insegnano di più e meglio. E la casa si riempie di persone e di voci. A
volte, nel sentirsi attorniata da tanto innocente frastuono, dice: Chi sa
come godranno i defunti signori di questo palazzo al vederlo
trasformato in opera di tanto bene... E dire che il mio povero marito
aveva tanto timore che vi entrassero gli estranei; ma se fosse ora
vedrebbe quanto è meglio far del bene che il tenere conversazioni e
divertimenti...”
Aumentando le orfanelle si dovette aumentare il numero delle
collaboratrici. Sul principio la stessa maestra dopo le estenuanti
fatiche della scuola doveva scendere in cucina a preparare il pranzo
per sé e per le orfane, perché sembra che i domestici di Costanza
persistevano nel rifiutarsi a quest'ufficio per le ospiti della Padrona.
Ma il Signore stesso buono e provvido trova altre braccia e
meglio altri cuori generosi e pronti ad ogni sacrificio per sì alto ideale.
Eccone i nomi degni di particolare menzione: essi costituiscono
le prime colonne del bell'edificio di cui Costanza è la pietra angolare.
Biografie
139
opera omnia
Dopo Luigia Corti prima assoluta vengono: Rosa Masoni di
Almenno - S. Bartolomeo; Adelaide Carsana di Seriate; Maria Passera
di Arcene.
A distanza di qualche mese un altro buon acquisto fu fatto in
un'ottima giovane di Seriate, Leonilde Valsecchi.
Ciascuna di queste collaboratrici, tutte figlie e consorelle della
nostra Costanza, meriterebbero un breve medaglione storico per
fissarle nelle note individuali nelle caratteristiche virtù e nel
personale apporto dato alla realizzazione dell'Istituto, perché, come
accennammo, è da sottolinearsi il fatto - che torna a loro merito e ad
elogio della Fondatrice - esse, tutte, costituirono realmente le colonne
di sostegno della nuova famiglia, in cui perseverarono “usque ad
mortem”. Entrate ancor prima che l'Istituto nascesse ne amarono ed
assimilarono prontamente lo spirito, venerando come Madre la santa
Fondatrice.
Eccezione rara se non unica qui in tanta singolarità di scopo
non si verificano le immancabili selezioni, per cui i pavidi i
pusillanimi i delusi recedono dalle opere di Dio, le quali hanno tutte
le stesse note, di preludio: umiltà semplicità limitazione di mezzi
sovrabbondanza di lavoro che qui è autentica fatica.
Ed anche questo è merito e vanto della Madre Cerioli.
Ingrossato modestamente di numero; notevolmente di qualità,
il primo nucleo per una famiglia religiosa, Costanza si accinge a
consolidare e sistemare la propria opera.
Sembra che su i primi tempi della fondazione fosse ospite a
Comonte una giovane nepote di Costanza, figlia di suo fratello
Giovanni Battista, Giuseppina Cerioli poi maritata Scotti la quale come depone nel Processo Ordinario - fu l'unico testimonio estraneo
142
all'opera, che ne abbia conosciuto l'edificante e mirabile nascita . La
servitù è stata tutta dimessa dopo aver avuto, secondo giustizia, una
143
buona liquidazione .
Mentre fuori del palazzo sostano in ansiosa e curiosa
aspettativa molti, che trepidano d'indagare indovinare prevedere
l'esito finale di tutto.
Laici sacerdoti vanno vengono interrogano.
- Ma, e queste giovani e tante orfanelle e le scuole?... Si direbbe
un'opera che s'avvia, e la signora dice: niente!...
142
143
Proc. Ord. Summ. pars. 1, pag. 4 paragr. 10.
Proc. Ap. Suppl. Summ. N. XII. pag. 278 paragr. 31.
Biografie
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opera omnia
- Veramente - confessa lei con sincera persuasione - io non so
proprio nulla, come non valgo nulla!... - Ciò non è possibile: tanti
cambiamenti tante novità dicono pure qualche cosa!
E lei: - Ma, lo saprà S. Giuseppe; io non so nulla!.
Era la pura verità.
Costanza ha messo in buone mani se stessa e l'opera sua. Dal
tetto in giù è affidata alle mani esperte del vescovo Speranza e del
canonico Valsecchi; dal tetto in su ha trovato un prodigioso avvocato:
S. Giuseppe.
Lei da parte sua prega ed eseguisce a puntino gli ordini che
riceve.
Siamo alla fine del 1856.
Biografie
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opera omnia
Biografie
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opera omnia
CAPITOLO
XVII
Suor Paola Elisabetta
“Mio Dio! - geme Costanza - e se io dovessi morire? Queste care
creature tornerebbero a mendicare e le contadinelle dei dintorni non
avrebbero più scuola!... “Angustiata del continuo da questo timore,
trascorre tutto il gennaio e il febbraio del 1857.
Una mattina - sugli inizi del marzo - Costanza si chiude nella
propria stanza e vi s'intrattiene da sola per parecchie ore. Quando ne
uscì il suo volto - al solito - ardeva come una fiamma: indice sicuro
che veniva dall'orazione.
Che cosa era accaduto? La buona Luigia Corti non osa
interrogarla. La signora però la previene dichiarando: “Sono stata
ritirata più del solito perché ho disteso per iscritto le mie idee da
presentarsi al canonico Valsecchi. Oh, quanto è buono il Signore!”
Infatti aveva gettato in un quaderno della mole d'un libretto in
succinto ma chiare le idee fondamentali dell'Istituto cui, sollecitata da
Dio, intendeva alfine dar vita.
“Ah, quel libretto! - diceva poi il Valsecchi - non lo si
apprezzerebbe più che due soldi, eppure fu scritto sotto dettatura
144
dello Spirito Santo!” .
No si può assolutamente sintetizzare il contenuto di questo
libretto senza sciuparlo; d'altra parte esso costituisce la “magna carta”
dell'Istituto della S. Famiglia che sta per nascere, è quindi
indispensabile che ne riportiamo almeno i tratti salienti affinché si
veda a qual punto di travaglio interiore sia giunta Costanza per
144
Questo prezioso autografo rimasto sempre nelle mani di Mons. Valsecchi, fu da
lui smarrito tra le sue carte. Parecchi anni dopo la sua morte rinvenuto dagli
eredi, nel fare lo spoglio, fu consegnato alle Suore della S. Famiglia.
Biografie
143
opera omnia
rigurgitare d'improvviso idee così alte e pratiche luminose e semplici.
E constatare una volta di più il grado di spiritualità a cui è pervenuta
questa vedova cristiana, che solo da Dio poteva derivare tanto
mirabili cose. Lo scritto ha il tono d'un proclama e d'un programma
che bandisce un'idea nuova ardita per farla amare ed abbracciare da
chi può comprenderla e viverla.
Ecco le sue parole: “Il Signore nei decreti della sua ammirabile e
divina Provvidenza ha riunito questa piccola società di donne
destinandole, come una volta i nostri primi Padri i patriarchi e
persino gl'illustri antenati di Gesù Cristo, a coltivare a lavorare la
terra nella mira di far conoscere e prosperare di nuovo l'amore e il
gusto a quest'arte sì bella sì nobile sì dilettevole, ed ora per nostra
disgrazia avvilita e disprezzata a motivo dei costumi e delle massime
del mondo corrotte e false. Per questo fine Iddio consegnò pure ed
affidò alla nostra piccola società l'educazione e l'avvenire delle
povere “figlie di S. Giuseppe” onde queste allevate ed istruite in
un'arte sì ricca e feconda di tanti vantaggi quale è quella di coltivare i
campi, educate nella semplicità e nell'innocenza con massime e
sentimenti conformi alla loro professione, possano poi secondo i
disegni di Dio spargersi un giorno nel mondo quale semente caduta
del Cielo e restituire con l'amore alla fatica ed il gusto alla vita
campestre l'innocenza dei costumi la semplicità nelle maniere la
buona fede delle parole l'abbondanza e la pace nelle famiglie e così
arrivare a quell'unica felicità campestre da tutti sì decantata, ma che
gli uomini sono sì lungi dal possedere, la quale ci conduca poi e ci
guidi facilmente a quell'altra perenne e interminabile su nel Cielo.
Le suore della S. Famiglia - chè di questo bel titolo vanno
fregiate le componenti la novella Società - le presenti e tutte quelle
che Iddio nei suoi alti disegni avrà destinate e chiamerà con
vocazione speciale a parte di questa sì alta missione, di qualunque
stato e condizione esse siano, ricche o povere nobili o plebee,
formeranno una sola classe ed ordine di sorelle strette le une alle altre
coi vincoli della pace e della carità. Quanto dolce e quanto cara non
dovrà essere ai loro cuori questa unità che le lega più strettamente coi
legami della fratellanza e d'un amore scambievole...
Aventi un sol cuore ed un'anima sola, tenendosi onorate della
grande missione alla quale sono state chiamate ed elette da Dio, le
Biografie
144
opera omnia
suore della Sacra Famiglia dovranno indistintamente andare alla
145
campagna .
La campagna offre a tutte di che impiegarsi secondo le forze la
capacità e i talenti di ciascheduna. La mano d'opera l'istruzione la
sorveglianza la custodia ecc. ecco altrettanti impieghi e ministeri
differenti, che tolgono il pretesto a quelle giovani che per la loro
nascita ed educazione, credono che non sia per loro la novella
istituzione. La vita d'una cristiana, ma molto più di una religiosa,
deve esser una vita d'abnegazione e di sacrificio: l'Uomo - Dio ce ne
diede l'esempio: ecco il nostro modello.
Quando Dio ci chiama per una missione dà pure i talenti la
forza la capacità di sostenerla ed adempierla. Guai a chi si ritirasse
indietro sotto vani pretesti. Guai a chi per superbia sdegnasse uffici e
lavori bassi e vili e la compagnia di sorelle spregevoli ai suoi occhi,
ma grandi a quelli di Dio! Quale spettacolo edificante non davano
una volta agli occhi del mondo i discepoli d'un S. Benedetto, quando
spogliati dei loro ricchi patrimoni dei loro gradi delle loro dignità di
loro assise e cariche con l'arma e la divisa dell'umiltà, dissodavano
terreni coltivavano la terra e portavano al mondo che li disprezzava i
beni che nessuno certamente può negare.
Le suore dunque della S. Famiglia animate da sì nobili esempi
non ricuseranno fatiche e cure onde cooperare per quanto sta in loro
ai disegni di Dio. A questo scopo si terrà nell'Istituto una scuola
d'agraria ad istruzione delle suore, perché possano poi istruire le
orfane a loro affidate e altre giovani e fanciulle che desiderassero
pure approfittarsi delle loro cognizioni.
Dovendo le suore della S. Famiglia condurre una vita
d'occupazione e di fatica non avranno né coro né digiuni più di quelli
comandati dalla Chiesa.
Mezz'ora di meditazione e la S. Messa la mattina, la visita al
mezzogiorno, la meditazione e il Rosario la sera; ecco le nostre
pratiche quotidiane di religione. Abnegazione continua della volontà,
e lavoro continuo ecco le nostre penitenze. Vi sarà discreta tavola,
discreto riposo, abito uniforme e adatto ai nostri ministeri e tutte
porteranno il semplice e modesto titolo di suore, eccettuate le sorelle
di quattro voti che saranno chiamate madri e per tutte e con tutte poi
si avrà la stessa premura, gli stessi riguardi e la stessa cura per la loro
145
Da questa disposizione si allontanò poi la Fondatrice, reputando più utile
l'affidare ad una sola Suora - che tratto tratto viene cambiata - la cura immediata
dei lavori campestri.
Biografie
145
opera omnia
salute e conservazione sì spirituale che temporale. Quelle sorelle nelle
quali la superiora oltre le qualità necessarie per esser buone ed
edificanti religiose scoprirà talenti e abilità speciali per riuscire pure
nel maneggio degli affari alla direzione dei registri e al governo
dell'Istituto e della intera società, aggiungeranno ai tre voti soliti di
povertà castità obbedienza un altro voto particolare cioè di cercare
sempre in tutte le loro operazioni la maggior gloria di Dio ed il bene e
146
vantaggio dell'Istituto medesimo . Ma siccome in questa Società le
religiose sono considerate tutte uguali, così per la scelta delle sorelle
di quattro voti non si avrà riguardo a chi nel mondo fu ricca o povera
a chi sortì natali illustri o vili, la sola virtù i soli meriti reali la sola
capacità dovranno servire di base all'elezione ed attirarsi quindi la
stima l'amore il rispetto la dipendenza delle consorelle quando anche
l'eletta fosse una contadina.
Le sole sorelle di quattro voti potranno occupare il posto di
superiora sacrestana direttrice economa assistente consigliera e
maestra delle novizie: e solo in caso di necessità le sorelle di tre voti
dopo che li avranno pronunziati perpetui potranno farne le veci per
qualche tempo”.
A questo mirabile proclama, ecco la risposta di Mons. Valsecchi:
“Pregiatissima Signora, sia lode al Signore! L'idea del nuovo Istituto
che Ella mi ha dato a leggere mi è sembrata veramente una cosa la
più perfetta e la più semplice ed insieme la più provvida, perché ha
di mira una classe della società molto trascurata e quasi esclusa da
tutti gli altri Istituti.
Non esito a dire che la sua idea sia una ispirazione
preziosissima di Dio, che vuol fare una bella grazia a quella povera
gente che tante volte non riceve dalla ingiustizia e dalla durezza degli
uomini la mercede dovuta ai suoi stenti ed alle sue fatiche. Ella poi ha
un gran motivo di consolarsi e benedire il Signore che l'abbia scelta
ad istrumento per compiere i suoi disegni. Vede bene quanto le cresca
il motivo ed il dovere di amar Dio con tutto il cuore e fargli sacrificio
di tutta se stessa che è quello che Iddio vuole da lei più che le sue
sostanze”.
Mons. Valsecchi prosegue consigliando Costanza a rimettere lo
scritto al vescovo Speranza che potrà apportarvi le modificazioni che
crederà opportune ed approvarlo. E nella seguente lettera datata dal
18 aprile 1857, conferma i suoi sentimenti di approvazione e
compiacimento per l'Istituto nascente della S. Famiglia. Alcuni
146
Questo quarto voto in seguito all'aggiornamento delle Costituzioni fu soppresso.
Biografie
146
opera omnia
passaggi di questa lettera sono molto preziosi per noi: “Io non ho mai
dubitato - egli scrive - che Dio togliendole il suo Carlino - “onde la
malizia del secolo non lo avesse a pervertire” - l'avrebbe poi fatta
madre in una guisa tutta spirituale ed angelica di altri molti figliuoli e
molte figliuole che ella avrebbe preso a raccogliere a custodire ad
educare pel Paradiso. Oh la grazia grande che le ha fatto il Signore!
Oh lo scambio prezioso che è avvenuto tra lei e Dio! Impari dunque
ad essere sempre più generosa nei suoi sacrifici e ad abbandonarsi
tutta in Dio nostro Padre. Continui con lena l'opera buona a cui è
stata chiamata, ma faccia tutte le cose con grande semplicità e
longanimità, seguendo e non prevenendo l'impulso di Dio, non
fidandosi di se stessa e regolandosi in tutto secondo il consiglio e
l'obbedienza: così riuscirà tutto e sempre a bene. Si ricordi di me
presso il Signore perché mi aiuti e mi sostenga e Lo cerchi e Lo ami
unicamente. Ciò desidero e prego per Lei stessa, e me le professo con
tutta stima e rispetto. Umiliss. devotiss. obbligatiss. servo, sacerdote
Alessandro Valsecchi”.
Incoraggiata da così autorevoli e reiterate approvazioni, a cui si
aggiunsero piene quelle di Mons. Speranza che dettò persino l'orario
da osservarsi nella incipiente comunità, Costanza procede alacre e
fervida ad attuare il disegno tanto chiaramente visto in Dio. Il tono di
vita suo e delle compagne fu subito dimesso povero mortificato. Non
le mancavano certo le possibilità di provvedere a sé e ad esse il
necessario. Questa potrebbe dirsi l'unica nota singolare per l'Istituto
della S. Famiglia; non ebbe infatti le origini tradizionalmente povere e
stentate di tutti gli Istituti religiosi; però ci sembra che in esso quel
che non era povero di fatto lo era di virtù e di distacco, perché tutto
fu rigorosamente ridotto dal desco alla veste dagli utensili al letto
secondo il più stretto spirito religioso. Il bel tono di dimessa modestia
passato sopra tanti ricordi di un fasto mai amato e presto ripudiato,
edificò un pio visitatore di Comonte, il quale nella grande sala di
ricevimento vide la luce di uno specchio - racchiuso in sfarzosa
cornice - coperta di povera carta, con dinanzi un grande Crocefisso...
e il vecchio piano a coda - il cembalo del Signor Buzecchi - negletto e
muto in un angolo; avanzi di un passato ormai tramontato per dar
147
luogo al semplice e lindo spirito di povertà conventuale vigente .
Lei, personalmente, designata dal vescovo Superiora e Madre
della nuova famiglia, abbandonato il suo appartamento si ridusse
147
Lettera del Prevosto Teadini. “Nel 50° di fondazione dell'Istituto della S.
Famiglia” pag. 45.
Biografie
147
opera omnia
dentro una semplice e nuda stanzetta, mobiliata dell'indispensabile
per dirsi abitata: un letto uno scrittoio due sedie un Crocefisso. Verun
riguardo per la sua salute, che tanti ne avrebbe richiesti specialmente
nei mesi invernali.
Nella vita in comune dominano le armonie del silenzio degli
orari della regolarità dell'uniformità dell'ordine della pulizia. Il grado
di fervore spirituale altissimo in tutte; si scaldano e si ritemprano
infatti agli ardori della loro prima sorella e guida.
Che manca dunque perché si compia quello a cui da tanti anni
anela Costanza? Consumare il proprio sacrificio con i voti religiosi.
Monsignor vescovo è ben lieto di contentarla anche in questo;
ed a lei sola concede tale grazia. Tenuto presente che sin dal Natale
1854 vicino alla salma ancor tiepida del suo sposo terreno, ella ha
proferito il voto di perpetua castità, or non resta che aggiungere gli
altri due voti religiosi. Nel gelido mattino dell'8 febbraio 1857 domenica in Settuagesima - Costanza è a Bergamo e nella cappella
dell'episcopio nelle mani di Mons. Speranza pronunzia la formula
148
completa dei voti . In questa occasione si recide i capelli e copre il
capo di un semplice e grezzo velo nero. Dipoi lasciando il nome di
battesimo - che troppo le ricorda le tappe segnate sulla via del mondo
- nome pur tanto caro e proprio, perché suo, la caratterizza infatti
nella perseverante tenacia di ascesa verso l'eroismo, ne sostituì altri
due eletti e scelti dall'amore dalla devozione a due grandi sorelle in
Cristo a lei pari di condizioni ricchezze e generosità. E
ripresentandosi alle sue compagne di Comonte dichiara tutta lieta:
“d'ora innanzi non mi direte più Signora Costanza, ma sorella Paola
149
Elisabetta . I nomi benedetti della sua nuova storia e della sua
incaduca gloria.
E da questo momento noi pure la diremo: Suor Paola Elisabetta.
148
149
A questi voti aggiunse nello stesso giorno il quarto voto: di operar sempre e tutto
per la maggior gloria di Dio.
Il nome Paola fu scelto ad onore della illustre vedova romana (347-404) di tal
nome, discendente dagli Scipioni e da Paolo Emilio. Vedova a ventidue anni, con
cinque figli, per consiglio di S. Marcello si consacrò a Dio. Conobbe in Roma S.
Gerolamo lo scelse per suo direttore, e fece grandi progressi nella virtù e nella
cognizione delle Sante Scritture. Dopo la morte della figlia Blesilla, raggiunse in
Palestina il suo santo dire6tore, accompagnata dalla figlia Eustochio. Per venti
anni essa governò una comunità di sante donne in Betlem, dando a tutte esempio
di ogni virtù. S. Gerolamo ne scrisse la vita. Morì il 26 gennaio del 404.
(Dictionnaire d'Hagiographie. Dom. Boudot, O. S. B. pag. 514)
Il secondo nome Elisabetta fu scelto in onore della santa vedova e regina
d'Ungheria (1207-1231) la cui virtù caratteristica fu la carità. Alla morte dello
sposo, rimase nel mondo con l'abito di terziaria francescana, e morì il 19
novembre 1231 (Ibidem. pag. 220).
Biografie
148
opera omnia
C'è da notare che l'appellativo di suora lo ritenne sino alla
morte. Non consentì mai veruna distinzione fra le sorelle dalle quali
non volle mai esser chiamata Madre. Ci volle l'autorità di Mons.
Speranza, invocata dalle sue Figlie, per lasciarsi dire “Superiora”.
Solo alle orfanelle permise di chiamarla “Madre” a differenza delle
suore maestre.
Pel vestito non sembra maturo il tempo di adottarne uno
speciale. Ad eccezione del velo nero portato costantemente, così lei
come le sue compagne continuano ad usare i loro vestiti abituali; il
suo si distingue solo pel colore nero mai dimesso dalla morte dei suoi
cari.
Nella Pasqua veniente Suor Paola Elisabetta chiese ed ottenne
per sé e per le sue dilette compagne la grazia degli esercizi chiusi in
casa, regolati secondo lo spirito di S. Ignazio per dodici giorni.
Le consolazioni ed il frutto di questo santo ritiro furono
visibilissimi in lei specialmente. E lo notò bene Luigia Corti che
comincia già ad esserle socia di direzione e confidente di elezione.
Sembra che la Corti passasse durante gli esercizi molte ore della
giornata nella stanza della Madre la quale vedutasi osservata volle
restar sola con Dio solo. Non la si vedeva perciò che a tavola dove
appariva così assorta e trasformata che le sue buone collaboratrici
notavano come ella fosse unita a Dio.
Ebbe varie e protratte conferenze col predicatore e ne riportò
lumi conforti incoraggiamenti nuovi. Chiese licenza di compiere
qualche atto mortificante del suo amor proprio dinanzi alle sue
compagne. Quanto ne rimasero intenerite al vedersela ai piedi e
baciarli umilissimamente ed accusarsi delle proprie colpe! Alla fine
piangevano tutte: lei di dolore dei propri peccati, le Figlie di
edificazione e venerazione per tanta virtù.
Questi esercizi furono indimenticabili. Costituirono davvero il
previo cenacolo alla discesa dello Spirito di Dio che venne a
trasformare quelle semplici ed umili creature in generosi apostoli
della nuova vita di perfezione e di carità.
Gli effetti pratici ed immediati furono tra gli altri nuovi e
radicali spogliamenti del superfluo rimasto nel palazzo di Comonte.
Oro diamanti mobilia vesti preziose tutto fu venduto per l'acquisto di
altri letti e masserizie da arredare il nuovo ingrandito orfanotrofio.
“Oh come sono bene impiegati questi denari! - dice Suor Paola -. Con
i gioielli abbiamo procurato asilo a queste creature senza tetto e senza
pane”.
Biografie
149
opera omnia
Già si disse che pel costume da adottare - e le figliuole lo
desideravano tanto - ella ancora esitava. Tale ritardo e ponderazione
procedevano dal proposito di non far nulla di singolare e di stabilire
il suo Istituto in semplicità ed umiltà.
Comunque pensava bene anche a questo; intanto esercitava le
sue compagne nello spirito di rinnegamento. Non è raro che l'amor
proprio la vanità più sottili si annidino pure tra le pieghe d'un
mortificato abito monacale. Suor Paola Elisabetta lo sa; non vuol far
perdere il merito della santa indifferenza alle sue predilette.
Persino nel conversare con esse non parla mai con decisa
chiarezza d'un vero e proprio istituto religioso. Sul labbro e sulla
penna ricorrono sempre vocaboli assai vaghi e generici, come: società
compagnia, opera; ma istituto religioso mai o raramente. E quelle
anelanti con tutta sincerità dell'animo ad una vita strettamente tutta
religiosa insistono ad interrogarla.
Ella risponde maternamente e saggiamente: “Che non sia la
vanità che vi stimoli a ciò; prima di prendere l'abito rivestiamoci dello
spirito e delle virtù che caratterizzano la vita religiosa”.
I primi colpi di ascia così a dirozzare quelle semplici anime a
farne copie vive delle santissime persone che Paola Elisabetta ha
contemplato estasiata nella poverissima casa nazarena. Sulla pietra
angolare ed esemplare di questo adorabile focolare ella ha gettato
senza rumore ed esteriorità le fondamenta della propria famiglia.
Biografie
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opera omnia
CAPITOLO
XVIII
“Agricoltura Dei”
Lavorare le collaboratrici innanzi tutto.
Costituiscono esse il campo sperimentale su cui Suor Paola
Elisabetta ha da spargere i primi sudori, perché rendano a Dio
secondo la tecnica più perfetta tutta la gloria che gli è dovuta con la
personale santificazione, e poi gli guadagnino anime. Che è quanto
dire farne delle autentiche religiose.
In perfetta armonia con lo stile evangelico ove si colgono di
preferenza analogie rurali - Iddio vi è assimilato infatti ad un
“agricoltore” - ella fa dell'agricoltura autentica, celeste anch'essa
perfetta e razionale, per dissodamento per semina per potatura per
raccolto.
Il suo è un lavoro basato soprattutto sull'esperienza propria
fatta con la pratica di tanti tirocini, esperienza che suppone
ortodossia spirituale profondità di cognizione psicologia equilibrio di
giudizio discrezione e prudenza somma onde il lavoro non sia vano o
in danno; ma stabile duraturo fecondo. Insomma è la vera agricoltura
di Dio.
Da questo angolo d'osservazione ci si rivela un altro pregio,
insospettabile e raro in una persona del suo sesso età condizione e
stato.
Una donna - appena quarantenne - del mondo degli agi e delle
ricchezze, uscita ora dallo stato coniugale che la prese tutta nei doveri
di sposa e di madre, come può atteggiarsi a maestra di anime
sull'arduo cammino della perfezione, ad insegnare l'ultima struttura
della vita religiosa i suoi essenziali costitutivi la bellezza dei voti la
gioia del sacrificio le dolcezze della preghiera e dell'orazione?
Biografie
151
opera omnia
Per chiunque altra sarebbe presunzione e temerità; per lei no.
Perché ella tanto giovane e sì lontana pel suo stato da tutto ciò
possiede una tale ricchezza di vita interiore tale sodezza di virtù da
esserle necessario il rigurgito, quasi a sgravio di un peso ricevuto non
tutto per sé, ma per gli altri.
Il fatto sia pur raro non è unico nella storia dell'agiografia.
Ricorderemo Brigida, la santa principessa di Svevia, vedova
anch'essa, del pari fondatrice e istitutrice di anime contemplative.
Sono questi eleganti ricorsi storici echi lontani di secoli che la
mano divina raccorda a rievocare le armonie mirabili della sua grazia.
Del resto troppe giustificazioni sarebbero superflue per chi ha
letto sin qui questo libro; noi le diamo per segnalare un pregio che
senz'altre considerazioni non avrebbe il rilievo che merita.
Nessuno può formalizzarsi al veder adesso suor Paola
Elisabetta salire la cattedra di maestra spirituale se ricordi appena che
ella fu: anima di preghiera di meditazione elevata alla potenza
d'orazione; solo se ricordi quanto sin dai lontani anni ella coltivò le
virtù religiose la vita solitaria a cui tese con l'anelito dell'anima
sempre, in tutti gli stati ove passò.
L'inscrutabile disegno di Dio la nutrì di ritardi e di attese, di
digressioni e tappe, proprio per condurla a quest'ultima posta, dopo
un tirocinio d'esperienze e meriti che le hanno arricchito l'anima e
l'intelligenza, onde con sicurezza ed autorità di esempi potesse
insegnare le teorie e la pratica che formano i perfetti seguaci di Gesù
Cristo.
Ed ecco Suor Elisabetta in procinto di dedicarsi alla santa
agricoltura nella formazione delle anime alla vita e all'apostolato
dell'Istituto della Sacra Famiglia, sua geniale creazione per la finalità i
mezzi e l'impronta conferitagli.
Qui preferiamo far parlare la sua prima allieva - la prima anima
dissodata e formata - la buona Madre Corti la quale nel suo italiano
molto semplice e quasi dialettale ha scritto più di quello che si
potrebbe desiderare per dire la ricchissima perizia pedagogica di
Suor Paola Elisabetta in materia spirituale. E ripetiamo ancora una
volta il senso di pena che proviamo nel dover riferire una parte - la
minima - delle sante cose che quasi pioggia di preziosissime gemme
le uscirono dal labbro; e speriamo che il discernimento non ci abbia
tradito facendoci tralasciare le più belle.
Dice la Madre Corti: “Noi eravamo decise e risolute di rimanere
unite con lei e di lasciarci da lei guidare e formare secondo il disegno
che ella, per ispirazione divina, aveva in mente. Ella si regolava con la
Biografie
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opera omnia
direzione del vescovo di Bergamo e di Mons. Canonico Valsecchi, e
noi ci regolavamo con la nostra signora che così la chiamavamo da
prima, e che subito dato principio all’Istituto la chiamavano
Superiora; dipoi ella stessa fece conoscere che più volentieri amava le
orfanelle la chiamassero lor Madre. Noi poi continuammo a così
chiamarla, così che anche di noi era veramente nostra affettuosissima
Madre. Ma ella non acconsentì mai a sottoscriversi madre nostra ma
compagna, e come tale si diportava, quantunque fosse e la fondatrice
e la padrona di tutto, e che fosse così distinta per nascita per talento e
ricchezze, da non paragonarsi affatto con noi; eppure benché fosse
superiora domandava sempre parere anche a noi prima di fare
qualche cosa un po’ notevole e trovandola giusta e conforme allo
spirito ne era contentissima perché - diceva - così prendete a
conoscere lo spirito dell'Istituto.
“Cercava sempre di guidarci per la via dell'abnegazione di noi
medesime, e perciò ci teneva d'occhio ma lo faceva con tanta maestria
che non ci si accorgeva neanche ad assuefarci così.
“Quando le dicevamo che ripugnava a fare la tal cosa o
tralasciar la tal altra, ci diceva: Sprezzate queste cose; non ci badate,
tirate diritte a fare il vostro dovere; che importa se sentite o non
sentite, tirate innanzi, non è niente... L'istesso quando ci si mostrava
non contente della confessione, che per esempio non si era soddisfatte
o quiete, diceva: Perché volete soddisfare il vostro amor proprio? Se
non cercaste questo sareste contente; confessatevi con semplicità e
ferma volontà di non peccare, e ciò basta; non andate a confessarvi
per consolarvi o contentarvi, ma per purgare l'anima vostra;
umiliatevi; e non pretendete che il confessore vi compatisca vi
soddisfi vi consoli; forse lo avete meritato; andate avanti con
semplicità e non perdete il tempo al confessionale e non fatelo
perdere al confessore: Oh, io penso che si facciano molte confessioni
per lo meno inutili, per voler confessarsi, o a dir meglio, soddisfarsi.
Care sorelle, non cerchiamo queste contentezze di amor proprio, ma
la grazia del Sacramento che sempre il Signore dà a chi non cerca
altra cosa!”
Non sembra qui di udire S. Teresa che alle sue monache tanto
insistentemente diceva: “In tutto cercate il Dio delle consolazioni e
non le consolazioni di Dio?”
“Anche riguardo alla S. Comunione non voleva smanie, ma che
ci accostassimo con fede all'augustissimo Sacramento. Ella stessa non
si distingueva nella preferenza ad essa; si contentava delle tre o
quattro volte la settimana come lo consentivano i tempi, e il vescovo
Biografie
153
opera omnia
permetteva. Diceva che la S. Comunione era mezzo e non fine per
giungere alla perfezione; e che chi si comunicava tanto spesso e non
s'emendava mai di tanti difetti, rendeva poco onore alla pietà”.
“Non soffriva che si facesse conto di ciò che il mondo poteva
dire. Ella stessa non faceva verun caso di quanto si diceva di lei; anzi
ne rideva e si compiaceva al sentirsi disapprovata, purché il suo
operato fosse voluto da Dio ed approvato dai superiori.
“A volte, specialmente sui principi dell'Istituto, le dicevamo che
la gente sparlava di lei. Ella ne rideva rispondendo: Forse è minor
male che sparlino di me e di voi, anziché facciano dei peccati
mormorando di questo o di quello... Guardate di operar per Iddio,
con purità d'intenzione, e se nonostante il mondo parlasse, lasciate
che parli, e voi ridetevi di esso come esso si ride di voi. L'onor nostro
dev'esser di essere derisi per Cristo, quando la decisione non sia
provocata dalla nostra leggerezza o cattiva condotta. Ma quando s'è
operato bene, conforme alla nostra vocazione, se il mondo parla
disprezza e disapprova non bisogna badarci”.
“Essa sprezzava tanto il mondo e se stessa che alle volte
trovandosi in mezzo alle ragazze, si metteva a correre in modo da
farsi ridere dietro le giovinette e le persone che la vedevano; e lo
faceva proprio per esser derisa, perché non era suo carattere
trastullarsi; e così esigeva da noi”.
Ed accoppiava all'amore della propria abiezione e disprezzo,
l'amore alla povertà. “Quando ancora portavamo abiti secolari ce li
faceva portare rattoppati a diversi colori... E vedendo la nostra
vergogna ci diceva esser questo segno di essere schiave di noi
medesime e del mondo; e ci faceva vedere a nudo il nostro amor
proprio, e così si persuadeva della nostra debolezza. e miseria...
“Mentre aveva cura di formar noi nello spirito, e nel disegno
che il Signore le andava suggerendo, ella ci precedeva con l'esempio,
e quindi non occorrevano molte istruzioni per imparare ciò che
dovevamo fare; e difatti sui principi pochissimo ci correggeva ed
istruiva. Veramente secondo il consiglio evangelico ella prima faceva
e poi insegnava. E faceva ciò per la sua grande umiltà che la faceva
credere più bisognosa di noi, e si giudicava persino incapace di dare
un consiglio... e ciò avrebbe fatto se non glielo avessero imposto i
superiori per dirigerci e governare quelle povere anime che Iddio le
diede per prime compagne. E noi le eravamo state date proprio per
umiliarla non essendo all'altezza della sua distinta e nobile persona,
ma tutte di povera condizione, e di educazione assai diversa dalla
sua, eppure ci trattava con grande amorevolezza e cordialità, come
Biografie
154
opera omnia
fossimo sue pari... Si adattava talmente alla nostra condizione che ci
donava tutta la sua confidenza, quasi fosse stata ella stessa di bassa
condizione; anzi pareva godesse a convivere con poverette come noi;
dissimulava l'omissione di certe convenienze dovute al suo grado,
non già per mancanza di rispetto, - che questo era grande - ma per
mancanza di educazione. Ella si metteva sempre e in ogni cosa
all'ultimo posto, e noi più semplici che intelligenti, stavamo dove ci
metteva. Non badiamo a queste cose - ci diceva - che importa che non
siate molto civili, quel che conta è che sappiate fare il vostro dovere; e
si va in paradiso anche senza civiltà. Però esigeva grande
assennatezza nel parlare, nei modi e nel tratto, che ci si avesse
veramente a diportare con gravità, sì da imporre rispetto a
chicchessia... - Non adulate mai, ma dite con semplicità ciò che
sentite... Ve ne sono anche fin troppi nel mondo di quelli che lodano
senza merito, o per interesse, o per guadagnarsi le grazie altrui... La
nostra caratteristica di noi tutte chiamate alla educazione dei
poverelli, dev'essere la bassa stima di noi stesse. - E voleva molta
semplicità ed umiltà; ecco il senso delle sue parole: - Andiamo là alla
buona. Umiliamoci; facciamoci piccole con i piccoli, semplici coi
semplici, povere con i poveri, per avere da Dio il premio promesso ai
poveri di spirito”.
Però vicino a questi santi insegnamenti proclamava alto che per
il suo Istituto ci vogliono anche soggetti di buoni talenti e di vaste
capacità per lo sviluppo dell'opera. “S'inganna chi pensa che noi
abbisogniamo solo di buone contadine; le suore non sono fatte per
coltivare la terra, ma per guidare le orfanelle ed istruirle e insegnar
loro a lavorare con perfezione e maggior cura il terreno, sì da riuscire
brave contadine e riformatrici di quest'arte”.
Così ella non amava i soggetti che avessero malinconie mistiche
e fantasticherie di devozioni. “Per carità - diceva - non riempiamo la
casa di stucchi; saranno sante queste, ne convengo, ma non buone per
allevare figlie come le nostre che nel loro stato devono essere sempre
a lavoro da mattina a sera”.
Preferiva le suore che si mostrassero più indefesse e laboriose,
benché esternamente sembrassero di minore spirito: “Queste mi
piacciono assai, oh, ce ne fossero molte!” Delle altre diceva: “Sì, anche
di queste ce ne vuole qualcuna per attirare, se fossero proprio buone,
le benedizioni di Dio sopra di noi, ma ne basta una per casa!”.
“La vita attiva e laboriosa sia sempre la vostra, se camminerete
con questo spirito e su questa via, avanzerete sicure e senza
accorgervene perverrete alla meta. Non guardate quel che si fa da
Biografie
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opera omnia
altri, se digiunano, se contemplano, ecc. Il Signore vuole ciò da loro;
da voi non lo vuole, ed invece di penitenze v'impone di lavorar
molto, di assuefare attive e operose le figlie, di adoperarvi con tutte le
vostre forze ed abilità ad istruirle. Oh quante occasioni di esercitarvi
nelle più belle virtù nel disimpegnare questi uffici: virtù nascoste a
tutti, persino alle vostre sorelle, ma ben note a Dio!... Osservate la
Santa Famiglia essa vi serva di stimolo e d'istruzione”.
Umiltà semplicità laboriosità generosità: ecco i pilastri del suo
insegnamento.
“Era attentissima - continua la Madre Corti - nello studiare le
inclinazioni sì buone che ree di ognuna, e con grande maestria
svelleva dal cuore ogni barbicina di amor proprio. Non
accondiscendeva mai a cosa che potesse contentar l'amor proprio o la
vanità. Studiava anche l'indole, le capacità e le disposizioni di
ciascuna, e in proporzione di queste esigeva da ciascuna il possibile. Non è bene, diceva condurre tutte e voler tutte per una stessa strada e
con i medesimi mezzi, ma bisogna adattare alle forze, alle
disposizioni di ciascheduna nelle vie dello spirito. - Né esigeva da
tutte la stessa perfezione.
- Non angustiarti... da te il Signore non esige gran che, si
contenta anche di una mediocre virtù. “Con quelle che vedeva forti e robuste le andava lavorando, ed
esigeva molto, e diceva: - Quella figlia mi piace assai, farà del gran
bene, perché non si perde in inezie, ma è di soda virtù, di queste
facciamone sponda, queste martelliamole pure che diventeranno
buone pel nostro disegno. “Quelle invece che vedeva fiacche e titubanti, le accarezzava, le
andava dolcemente formando, ma diceva: - Da queste aspettatevi
poco... - E ad esse: - Animo su, fatevi un po’ di cuore; cuori grandi ci
vogliono, cuori generosi per servire un Dio sì grande. Non vi perdete
in bagattelle... Non sentite vergogna; vincetevi una volta. Piuttosto
non servite il Signore, anziché servirlo così male!... Vi rincresce, neh, a
lasciare la vostra quiete; ma che volete noi siamo create per fare ciò
che vuole il Signore, non quello che vogliamo noi. - E poi ridendo
diceva: - Non siamo piccole; vedete dove vi perdete; mi fate proprio
ridere!... - ”.
“Una delle ragioni per cui dilazionò la concessione di un abito
uniforme alle sue collaboratrici fu anche quella di mettere alla prova
il loro spirito di mortificazione e di rinnegamento. Le aveva viste
ansiose fuori modo per quest'abito le fece attendere e dichiarò: - È
Biografie
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opera omnia
tutta vanità quella che vi stimola; volete vestire l'abito religioso ed
ancora non sapete che significhi essere religiose... -”.
“Dipoi fu fissato il giorno della vestizione, gli abiti erano già
pronti, e ciascuna aveva il proprio ben piegato sul lettuccio... La sera
antecedente quel giorno Suor Paola Elisabetta impose ancora una
dilazione, dichiarando che ciascuna doveva riprendere l'indomani il
vecchio abito”.
“Questo lo fece - assicura la M. Corti - perché noi desideravamo
tanto quest'abito e questa cuffia; ed ella, avveduta qual era, trovando
in questo desiderio un po’ di vanità ce ne volle correggere”.
“Diceva infine che per far del bene agli altri bisogna prima
morire a noi stessi, cioè essere senza inclinazioni proprie, ed aver solo
di mira il beneplacito di Dio il suo onore la sua gloria”.
Ed in verità, il lavoro che la Fondatrice affidò alle sue Figlie è
veramente il più umile il più semplice e perciò più spregiato nella
estimazione umana. Ma ella che ispirata da Dio prevedeva il
meritorio e copioso frutto che ne sarebbe derivato alle religiose
prima, pel continuo flagellamento dell'amor proprio, ed alle orfanelle
poi, lo volle lo sostenne lo difese sempre così come lo aveva attuato
con tutte le note di semplicità ed umiltà, senza però rifiutare - come
vedremo - quei migliori perfezionamenti che il progredire dei tempi
avrebbe apportato in favore delle sue protette; volendo però sempre
fermo nella primitiva istituzione lo spirito caratteristico delle sue
Figlie.
Con tale stile ella ha lavorato in profonda e radicata consistenza
interiore le suore della S. Famiglia.
Oltre a questo molto ancora si potrebbe dire, e si dirà, della
sublime agricoltura spirituale fatta dalla Madre Cerioli intorno alle
sue prime collaboratrici.
Si vede già come le ha plasmate di vero spirito, il più ortodosso
e genuino spirito religioso. Per conservare intatta questa vigoria
schietta e sana ella si appresta a stendere le Regole dell'Istituto ove si
ritrovano tutta la sua anima la sua mente il suo cuore, colmi di luce di
saggezza di equilibrio di carità materna.
Il Direttorio delle suore della S. Famiglia che ci proponiamo di
commentare ed illustrare non solo è la conferma di quanto abbiamo
detto sin qui, ma è autentico documento delle ampiezze di uno spirito
che sa spaziare nei cieli dell'orazione e discendere ai dettagli delle
minime cose; della bontà di un cuore che, per essere un cuore
materno, non ha potuto dimettere il suo abito di amore tenero ed
Biografie
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opera omnia
umano, ma tutto soprannaturale, verso coloro che Iddio le affidò in
peso e gioia, per condurle alla vera gioia della vita eterna.
Si ritiene da molti che le anime contemplative riescano
imperfette nella ardua vita comune.
Al contrario, l'esperienza dei migliori santi persuade di questo:
che nessuno può essere più genialmente pratico e cultore intelligente
di dettagli quanto colui che basa la propria scienza sulla verità e il
bene studiati teoricamente in Dio e vissuti praticamente nella virtù:
proprio perché visti nelle infinite bellezze di Colui, che è autore e
sovrano delle grandi come delle piccole cose della collettività come
degl'individui dell'insieme come dei dettagli; e vissuti nella virtù che
infine non è altro che il bene e il vero concretizzati nel buono, anzi
nell'ottimo.
E la nostra cara Maestra ne è un'altra prova splendente.
Biografie
158
opera omnia
CAPITOLO
XIX
Le Suore della Sacra Famiglia
8 dicembre 1857 - solennità dell'Immacolata Concezione di
Maria - data ufficiale di nascita delle Suore della S. Famiglia.
La vigilia di questo memorabile giorno il venerando Padre e
vescovo della diocesi Mons. Pietro Luigi Speranza si portò di persona
a Comonte a benedire gli abiti che nel dì seguente avrebbero
indossato le figlie spirituali di Suor Paola Elisabetta e in
quest'occasione conferì ad esse il nome ufficiale di Suore della S.
Famiglia.
Nel giorno sacro a Maria il palazzo comitale dei Buzecchi Tassis
in Comonte subì anch'esso la bella trasformazione in perfetto
convento e orfanotrofio agricolo in grazia del vasto territorio
coltivabile che lo circonda. La gioia che inondò le care figliuole,
specialmente lo spirito della loro Madre, è cosa che han potuto sapere
soltanto gli angeli santi custodi delle innocenti creature per le quali
nasceva la nuova famiglia. L'autrice di tanto bene si effonde negli inni
di umiltà e di riconoscenza al cospetto dell'Altissimo, paga solo di
sentire che la volontà di Dio è stata perfettamente eseguita.
L'abito ufficiale delle Suore della S. Famiglia - che è tuttora in
uso con lievissimi ritocchi - è molto semplice, e ricopia alquanto nella
foggia gli abiti adottati nello stesso tempo da altre congregazioni
religiose bergamasche. La tonaca ad ampie maniche con pellegrina di
color marrone, stretta ai fianchi da un cordone nero finita da un
grembiule nero. Un grosso rosario e una piccola croce di legno
pendente dal collo ne sono l'ornamento. Il capo coperto da un
caratteristico cuffiotto nero che è un solenne schiaffo alla vanità.
Dopo meno di un anno, l'8 luglio 1858, l'uniforme subì qualche
variazione nel colore; il cordone si trasformò in una fascia, e al
Biografie
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opera omnia
cuffiotto fu sovrapposto un velo di lana nero il quale anziché
scendere sulle spalle, si può restringere intorno al collo, a modo di
cappuccio per tenerlo saldo contro il vento. Questo è l'abito oggi in
uso.
Perché Suor Paola Elisabetta volle denominare la sua istituzione
dalla Sacra Famiglia? Viene logico e spontaneo stabilire analogie tra
la sua piccola accolta di anime e la santa Famiglia Nazarena.
Qualunque altro nome o protezione avesse ricercato non ne avrebbe
trovata una più aderente propria e naturale.
Nelle sue meditazioni la pia fondatrice vide che accostando la
propria opera alla casa nazarena, anzi, trasportandola e collocandola
addirittura dentro quelle sacre mura, la sua famiglia si sarebbe
trovata perfettamente a posto; non solo, ma le avrebbe assicurato
successo quello che ogni santo fondatore si propone di raggiungere:
santificarsi e salvare anime.
E pure in ciò la Cerioli fu genialmente pratica.
Umiltà povertà semplicità amore obbedienza lavoro silenzio
preghiera pace, sono gli splendori irradianti dalla casa nazarena.
Quante volte la pia Istitutrice ha invitato - ed invita tuttora - le sue
Figlie ad una visita spirituale a quella santa Casa, e quasi
conducendole per mano come una devota guida le precede per
illustrarne ad esse tali splendori: “Eccoci, siamo a Nazaret! - è lei che
parla nel suo Direttorio - Entriamo pian piano in quest'umile dimora
per non disturbarvi i suoi abitatori. Chi sono essi? I più angusti
personaggi del Cielo. Inoltriamoci... Che silenzio che pace qui si
respira!... Dove sono?... Eccoli: Maria sta seduta. Essa lavora; lavora
per la Santa Famiglia. Sorelle, stupite ed ammirate: la Madre di un
Dio!... la vedete? Essa prepara ed allestisce il cibo lava le stoviglie
spazza e tiene netta la casa. Quale maestà in tanta umiltà!... Quale
pulizia in tanta povertà!... Quale ordine in tanta miseria!... Perché?
perché Maria è raccolta non parla opera con tranquillità e con amore
pel suo Dio. Bassi uffici quanto siete grandi quanto invidiabili,
santificati e prima di noi esercitati dalla grande Regina del Cielo!
Smania di prodursi desideri d'alti impieghi d'indipendenza quanto
divenite ignobili a questo confronto! E potremo noi bramarvi?
Vedete Giuseppe come guarda la casta sua Sposa Maria!... Il
sudore bagna l'augusta sua fronte, la fatica lo aggrava, nullameno egli
lavora sempre. È felice e ringrazia in cuor suo il Signore di poter coi
suoi stenti e con le sue fatiche sostentare quei cari pegni, delizia degli
angeli, sua gioia, suo amore, sua consolazione. Fortunato Giuseppe!
Quanto bene corrispondeste a sì alta missione! E noi come
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opera omnia
corrispondiamo alla chiamata del Signore?... Miriamo ai suoi piedi
Gesù... oh il buon Gesù fatto piccolo per nostro amore! Egli si
trastulla coi pezzetti di legno che cadono dalle mani del suo Padre
putativo; li va raccogliendo, li unisce; per far che? delle croci! Quali
pensieri passano per la mente di Gesù? Pensa alla sua Passione...
Miratelo! Egli ci ha vedute e ce ne offre perché vuole che lo
seguitiamo... Egli ne dà pure in copia alla sua santa Madre, che le
riceve con allegrezza e con amore. Le ricuseremo noi, dunque, dopo
che le accettò Maria santissima e dopo che abbiamo scelto di essere
sorelle e di seguirlo da vicino? Ma vedete come Maria e Gesù
obbediscono a Giuseppe! Essi non guardano alla loro dignità ed alla
loro superiorità su di Lui: Giuseppe è stato loro dato da Dio e questo
basta. Egli è obbedito, onorato, servito. Quale esempio!... intendete,
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meditate e ricopiate!” .
Ecco rese sovrabbondantemente dalla stessa Fondatrice le
ragioni del nome prescelto.
Che se si volesse, non diciamo approfondire le analogie
interiori, ma soltanto avvicinare le rassomiglianze di mansioni,
potrebbe ancora dirsi che la caratteristica dell'opera della Cerioli è il
lavoro. Autentico lavoro umile rude monotono, che meglio si dice
fatica e la più grave perché è quella che incallisce le mani strappa il
sudore e sfibra le forze: ecco il retaggio - non delle religiose - ma delle
orfanelle e poi degli orfanelli ricoverati nelle sue case. Ora nella
Famiglia di Nazaret una delle tre santissime Persone sostiene se non
la stessa certo una fatica analoga: lo Sposo della Vergine, il Padre
putativo di Gesù: S. Giuseppe. In lui ha fissato gli sguardi ammirati il
cuore appassionato d'amore Suor Paola Elisabetta e lo ha officiato ad
essere Padre di tutte le sue creature presenti e future. Gli orfanelli
infatti per lei, siano fanciulli o fanciulle, hanno una sola
denominazione “i Figli e le Figlie di S. Giuseppe”.
E S. Giuseppe è e sarà del suo Istituto: Padre Modello Custode
Procuratore Avvocato Economo Provveditore Amministratore
Medico Dispensiere... e tutto il desiderabile.
È ormai un secolo che nelle case della S. Famiglia il Prescelto
dalla Fondatrice s'è dimostrato ineguagliabile in tanta copia e varietà
di mansioni amorosamente assolte anche con prodigi.
Così nacque ed apparve la nuova Famiglia in Comonte.
Una bella novità invero! Molti applaudirono benedicendo;
pochi - gl'immancabili - mormorarono criticando. Non si poteva
150
Direttorio dell'Istituto delle Suore della S. Famiglia di Bergamo. Cap. XI. pag. 76.
Biografie
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opera omnia
serbare la benefica istituzione nel suo carattere privato e laicale? La
direzione affidata a scelte e sagge donne secolari avrebbe conferito
più e meglio ad un'opera volta al bene dei figli di contadini. Oppure,
se si voleva affidar la casa a delle suore perché andarne a creare delle
nuove quando già ne esistono tante?
Tutte ragioni ponderate e vagliate al cospetto di Dio.
Né persone secolari si sarebbero sobbarcate a tanto sacrificio; né
degl'Istituti esistenti neppure uno avrebbe trovato confacente alle
proprie finalità lo scopo nuovo e singolare di questa opera. “Chi mai risponde Suor Paola Elisabetta - si sentirebbe di abbracciare una vita
sì laboriosa, sacrificando se stessa con tanto disinteresse per vivere
notte e dì sempre accanto a miserabili contadinuccie, levarsi con loro
assai per tempo, andar con loro in campagna; poi istruirle coltivarle
aiutarle vegliarle come una madre amorosissima senza speranza che
per vocazione speciale si lasceranno guidare dallo Spirito che le
chiama a questa vita?”
Le speciose difficoltà svanirono presto e le suore della S.
Famiglia benedette da Dio svilupparono in qualità e quantità di
soggetti in affluenza di ricoverate. Allo spirare d'un anno,
precisamente il 23 gennaio 1859, le prime sei compagne della
Fondatrice, con piena approvazione del vescovo emisero anch'esse
formalmente i voti temporanei di povertà castità obbedienza, che la
loro Madre aveva emessi due anni innanzi nelle mani di Mons.
Speranza.
Così sono costituite nel loro perfetto carattere di religiose, le
suore della S. Famiglia. Prima di vederle diffondersi per il
bergamasco, prima di saperle ufficialmente approvate dal loro
vescovo, ci sembra indispensabile conoscere le singolari finalità
propostesi dalla Fondatrice nel suscitare un così caratteristico Istituto.
Come risulta chiarissimo dalla vita e degli scritti di lei non ebbe
ella altro scopo che di raccogliere e nutrire povere orfanelle - ed in
seguito anche orfanelli - di campagna che si trovassero in povertà
privazioni e miserie esposti perciò a mille pericoli morali e spirituali
sì da ridursi all'accattonaggio o ad un ingrato e duro lavoro che li
sfrutta senza dar loro il pane sufficiente alla vita. La madre Cerioli
sale più in alto, allarga cuore e programma. Vuole sì, come primo
scopo l'integrale educazione cristiana dei suoi beneficati, ma in pari
tempo intende far loro conoscere i beni e le gioie della vita rurale sì
da fargliela amare, ed attaccarli alla lor umile condizione, onde
“rifioriscano l'amore all'agricoltura e il gusto della vita rurale
l'innocenza dei costumi la semplicità di vita la schiettezza delle parole
Biografie
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opera omnia
la pace e la prosperità nelle famiglie”. Suo nobile scopo - come tante
volte ha detto e scritto - è di rialzare al suo grado di nobiltà questa
prima ed alta attività che Iddio stesso diede all’uomo al principio dei
giorni; mentre oggi viene depressa e disprezzata dalla superbia e dal
fasto dei ricchi, e dalla colpevole ignavia dei poveri abbandonata. E
ciò per abbattere quella muraglia di divisione che separa il povero dal
ricco, eretti dai falsi principi di una educazione insana e deleteria. Per
far amare quest'arte e riabilitarla agli occhi del mondo essa la rende
oggetto di studi particolari, istruendo tecnicamente i suoi orfanelli
sicché la conoscano, non solo meccanicamente ma scientificamente,
con l'aiuto cioè di ogni mezzo che sostituisce razionalmente le forze e
riduce e perfeziona il lavoro umano.
Due scopi, quindi, altissimi spirituale e sociale insieme, a cui
ella consacra le sue migliori forze le sostanze tutta la vita e le energie
e disponibilità della nuova famiglia or ora uscita dal suo grande
cuore più che dalle sue mani.
A questa famiglia consegna un mandato ed un programma, a
condizione di vita da tenere immobili ed immutati, come il mandato
della fermezza e solidità spirituale dei suoi membri, l'assoluta
esclusività di dedizione all'apostolato dei campi, congiunto alla
mobilità di un programma che può adattarsi ai prevedibili progressi
dei tempi in ciò che essi potranno apportare di perfezionamento di
mezzi e di opere onde meglio sia conseguito lo scopo essenziale
dell'apostolato cristiano.
L'Istituto della S. Famiglia ha per tavola di fondazione il
principio: che i suoi beneficati non debbono essere mai distolti dalla
loro nativa condizione per farne degl'infingardi e degli spostati,
ibrido miscuglio d'ignoranza rurale e di pretensione urbanistica; ma
far sì che nella loro educazione tutto sia conforme ed armonico con la
loro vita. I metodi pedagogici siano semplici piani dolci appropriati
alle abitudini e alla mentalità della gente contadina.
Ella stessa, la Fondatrice, scendendo dalle sublimità della sua
vita spirituale e dalle altezze del suo rango di vera signora si livella
alle sue religiose per insegnare ad esse quel che alla loro volta
dovranno insegnare agli orfanelli. “Insegnate - ella dice le mille volte
- tutto ciò che può giovare alla loro condizione. Non vi lasciate
prendere dallo zelo e dalla mania d'insegnar galanterie per ostentare
abilità e sapere. Guai! Voi le rovinereste. Entrate col pensiero in una
casa di modesti contadini. Di che cosa possono essi aver bisogno?
D'una scrittrice d'una ricamatrice d'una sarta? No, mai. Ma di una
brava massaia che sappia rapidamente riordinare la casa pulirla
Biografie
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opera omnia
custodirla e fare avanzare tempo per le faccende di campagna.
Insegnate, dunque, tutto questo e le vostre orfanelle faranno buona
riuscita”.
Nessun artificio nessuna posa niente sottigliezze né teorie che
diano arie di dottoresse; ciò che sarebbe uno sconcio per una casa
colonica. Ma contegno modesto semplice disinvolto non rozzo o
ineducato; quella delicata timidezza e quella rispettosa riservatezza
che sono custodi del pudore tanto naturale alle buone famiglie dei
nostri villaggi. Non disdegna ella stessa, la nobile signora, dopo esser
discesa ad insegnare alle maestre, di accumunarsi addirittura alle
allieve adattandosi ai loro modi semplici al loro parlare dialettale alle
dizioni strettamente campagnole alle loro abitudini onde imparino
dal vivo esempio come debbano comportarsi in tutto per riuscir più
modeste brave linde riservate amabili; ed in tale pratico
insegnamento ella riesce così perfettamente da disgradarne una
contadina di nascita.
Gli stessi cibi il modo di confezionarli i mezzi per cuocerli gli
orari della casa e il suo andamento debbono essere i più semplici alla
buona al modo campagnolo.
“Non istate tanto ad insistere con certe finezze; - ella dice - che
volete che sappia o possa fare di rifiniture una donna contadina
sempre pressata dai lavori campestri?”
A base di tutta la loro pedagogia le suore della S. Famiglia,
ricordando di essere innanzi tutto religiose, metteranno il solido
fondamento della pietà. La pietà autentica quella soda e profonda
utile a tutto indispensabile a chi - privo di umani appoggi - ricorre al
Cielo per versare nel seno della pietà divina le proprie miserie e
indigenze e ne aspetta confidente il conforto.
Catechismo e Storia Sacra libri fondamentali del loro magistero.
Il primo che è scienza di Dio e dell'anima; l'altra che è il commento e
pratica applicazione della scienza di Dio. “Oh potessi mettervi nel
cuore l'amore a questi libri tanto belli! - diceva la saggia Madre Dove trovare istruzioni più utili e storie più eloquenti e dilettevoli?
Senza bisogno d'altri soccorsi ivi troverete esempi di fedeltà d'animo
nelle avversità di pazienza nelle tribolazioni di moderatezza nelle
prosperità di fedeltà nei cimenti di temperanza nelle grandezze di
magnanimità coi nemici di costanza nelle prove di amore al lavoro e
alla fatica. A questa scuola le nostre orfanelle attingeranno quella
purezza ed innocenza di costumi quella semplicità di parole e di
tratto che poi, spero, diffonderanno nel mondo specialmente nel loro
ambiente e condizione”.
Biografie
164
opera omnia
“La vita di Gesù poi, gli Evangelisti gli esempi e le vite dei Santi
le apparizioni e le origini dei santuari, oltre ad attirare il loro interesse
lasceranno in esse profonda impressione, poiché essendo nella
maggior parte, per non dire tutte, all'entrare nell'Istituto in una
perfetta ignoranza sono più disposte a ricevere quell'impressione che
voi volete dar loro. Guardate, dunque, quanto impegno ed alacrità
dovete avere! Si tratta niente meno di dare alle vostre figlie direi
quasi (se non incorro in uno sproposito) una seconda creazione, più
eccellente della prima. Guardate quanto è grande la vostra missione!”
Si deve ben convenire con la santa educatrice su queste limpide
verità. Le suore della S. Famiglia, per il loro spirito essenziale e lo
scopo che si prefiggono rappresentano appunto una di quelle
provvidenze che Iddio suscita misericordiosamente per il bene di una
particolare categoria di persone, ma che infine si rifonde a vantaggio
comune.
Tanto più efficace in quanto esso non risana anime già guaste;
ma prevenendo il male mette in cuore a chi, secondo la parola di Dio,
realmente bagna la terra col sudore della fronte, sentimenti di pace e
di serenità nell'umile accettazione del divino volere, e principi sani
che li rendono avveduti contro le fallaci seduzioni forti contro le
sollecitazioni dei sovvertitori dell'ordine sociale.
Di ciò darà ampia lode il vescovo di Bergamo quando emanerà
il decreto di approvazione per la sua diocesi del nuovo Istituto; come
ampiamente lo elogeranno altri vescovi che nell'accettare nelle loro
diocesi le Figlie e i Figli della M. Cerioli renderanno infinite grazie a
Dio per l'opportuno ed efficace rimedio che ai mali del nostro tempo
essi, per la loro parte, arrecano col loro santo apostolato.
La santa ed umile Fondatrice non s'è mai esaltata in pensieri di
compiacenza per vedersi autrice di un'opera così altamente religiosa e
sociale; e ben lungi dall'attribuire a se stessa il minimo merito, di
tutto ne attribuisce sollecita l'onore a Dio e al suo onnipotente Padre
S. Giuseppe.
“Noi siamo la prima semente che S. Giuseppe ha gettato in
questo giardino da lui stesso creato; se la semente nascerà e porterà i
frutti che Esso desidera, la raccoglierà e la spargerà poi in altri
giardini e in altre terre per tutto il mondo alla maggior gloria di Dio e
a benedizione dell'uomo!”
Un giorno, verso il tramonto di così bella vita, la Madre Corti
preoccupata delle precarie condizioni di salute della sua benedetta
Madre la pregava di risparmiarsi e conservarsi: “Sta’ quieta - le
risponde sorridendo - io non sono che un inciampo ai voleri di Dio.
Biografie
165
opera omnia
Vedrai che l'Opera dopo la mia morte si stabilirà e progredirà meglio;
perché gli altri faranno meglio di me!”
Sublime umiltà dei grandi! Ritornello costantemente fiorito sul
labbro di tutti i Santi!
Biografie
166
opera omnia
CAPITOLO
XX
La sua legislazione
Progetti e idee insegnamenti e direttive spesso svaniscono e
muoiono con lo scomparire di chi li diede. Occorre fissarli vivificarli
con la forza di canoni e leggi per renderli perenni e perché vincolino i
viventi e i posteri.
Suor Paola Elisabetta Cerioli sola ideatrice di una duplice
famiglia religiosa ha sostenuto - come ogni fondatore - il formidabile
compito di fissare le linee direttrici ai suoi figli eredi naturali e
continuatori dell'Opera sua.
Le “Regole” di un Ordine o Istituto religioso costituiscono il
banco di prova dei fondatori, l'esame che dà rigorosamente la misura
della saggezza e il grado di ardore del loro spirito.
Impresa formidabile quindi che ogni fondatore paventa, e non
l'affronta se non dopo aver sparse lacrime e innalzate preghiere ai
piedi dell'increata Sapienza onde irradii la mente e guidi la mano nel
dettare il codice che dovrà essere santificazione e salute a molti. Tale
prova Suor Paola l'ha superata con vero onore.
Le sue Regole originali che chiamò modestamente “Direttorio”
le stese tutte di suo pugno; ebbero soltanto i ritocchi dai suoi
superiori e Padri spirituali, e presentate all'approvazione di Roma
meritarono alti elogi dalle stesse autorità che le vagliarono e le
giudicarono degne del sigillo apostolico.
Del resto, se pur non avessimo conosciuto altre gesta di lei e le
tante sue ispirate parole, dette o scritte, basterebbe solo il Direttorio
delle suore della S. Famiglia e i suoi appunti circa una Regola da
darsi ai Fratelli della Sacra Famiglia, per proferire senza iperboli e
sforzo di vocaboli il giudizio più alto per una fondatrice: saggezza di
spirito e vastità di cuore equilibrio e misura di precetti cura
Biografie
167
opera omnia
minuziosa di dettagli, e, dominante su tutto, una celeste unzione
fluente ovunque a soavizzare la fredda rigidità dei precetti.
Fu questa, del resto, la prima constatazione di fatto che noi
stessi facemmo nell'iniziare la conoscenza con Suor Paola Elisabetta.
Il primo libro che aprimmo, tra i vari fornitici, fu il Direttorio
dell'Istituto della S. Famiglia, e ci avvedemmo subito della
Consistenza dello spirito di lei.
Il suo stile non ha il tono di chi legifera; ma è il parlare dolce e
parenetico di una buona madre che esorta i figliuoli a stare ai suoi
consigli più che ai suoi precetti, ed accettarli come parole di vita come
direttive infallibili della via da seguire per raggiungere la meta,
parole prese in prestito dall'amore e dalla bontà divina che solo
desidera la perfezione e la beatitudine delle sue creature.
Dopo quanto s'è spigolato sin qui dagli scritti della Madre
Cerioli il presente capitolo sembrerebbe pleonastico.
Non si conosce abbastanza, forse, dalle direttive di formazione
date alle prime collaboratrici? A nostro avviso si lascerebbe una
notevole lacuna, o almeno si darebbe incompleta la sua figura se
tacessimo di questo suo attributo, per lei veramente singolare, di
legislatrice. Non è nostro intendimento tediare il lettore con la
enumerazione dei suoi precetti; vogliamo soltanto sottolineare alcuni
punti luminosi e far gustare - come noi la gustammo - la celestiale
musica che quasi armonioso ricamo di contrappunto accompagna le
sue sagge prescrizioni.
Prima di noi - e con quale autorità! - il suo buon vescovo che la
conobbe nell'anima disse che “la Madre assistita e coadiuvata dalla
grazia dello Spirito Santo, ammaestrata dal suo stesso dolore ed
amore, dovette far tesoro nell'arte difficilissima dell'educare di quella
sapienza tutta celeste che poi trasfuse nelle Regole e nelle pratiche dei
suoi Istituti che potrebbero esser lette e studiate con grande profitto
dai padri e dalle madri di famiglia delle classi più distinte della
151
società” .
La buona Madre, infatti, negl'intervalli di tempo che le
risultavan liberi dalla sua perfetta vita di religiosa si occupava nello
scrivere cose utili per le sue “monache”, specialmente esortazioni
avvertimenti consigli lettere di direzioni e di governo, sia per le
religiose che per il suo buon Fra Giovanni Capponi, come si vedrà.
151
Decreto di approvazione dell'Istituto maschile della S. Famiglia.
Biografie
168
opera omnia
Noi pertanto restringiamo lo sguardo su quegli scritti che
riguardano la direzione disciplinare dell'Istituto, cioè il “Direttorio”
che ci sembra riepiloghi quanto di meglio può trovarsi negli altri.
Questo Direttorio lo redasse intorno agli anni 1860-1862. Fu
Monsignor Valsecchi che le ingiunse di stendere formalmente le
regole per il suo Istituto. Ella, come sempre, obbedì non senza essersi
schermita di non aver capacità a tanto.
La sua bella umiltà in perfetta sintonia con la semplicità
cantano in questa lettera del 27 novembre 1861: “Molto Reverendo
Signor Canonico, io sono imbrogliata nel doverle dare l'indice - come
lei si esprime nella sua riverita lettera - delle materie che debbo
trattare. Mi sarebbe stato più comodo e caro che ella invece mi avesse
detto: Scriva prima questo, poi questo, e poi questo... Invece così...
cosa ha da dirle?” (E poi di seguito ella stessa dà tutta la
particolareggiata e logica divisione e nomenclatura dei titoli del suo
Direttorio) e continua; “Ecco che cosa io metterei insieme. Ella,
dunque, mi dia la divisione e il titolo (che lei stessa ha già dati) e vada
in fila che io eseguirò esattamente i suoi ordini. Mi scriva
diffusamente, mi dia le sue idee, i suoi pensieri, ecc... e non così, secco
secco... (mi scusi!) Ma ella sa che io sono poco pratica
d’amministrazione e scrivo alla meglio come mi viene in mente, e
spesso con poca riflessione e senza ordine. Intanto mi perdoni... i
disturbi che le reco... e le recherò ancora; non è vero? Di lei
umilissima obbedientissima serva. Suor Paola Elisabetta.
L'umile creatura sente la propria incapacità, protesta la propria
ignoranza e inesperienza... amministrativa, e paventa d'esser lasciata
sola a condurre a capo una sì grave impresa; trema di dover fare da sé
ed invoca l'aiuto di chi può sorreggerla. Quest'ultimo interrogativo
poi: “mi perdoni i disturbi che le recherò, non è vero?” sfolgora il suo
stato d'animo.
Intanto però non s'avvede che ella va facendo, ed ha fatto, il
meglio quasi tutto di quanto deve fare.
Il suo Direttorio porta la nota caratteristica di una vera
direzione spirituale per le sue Figlie – direzione che ha forza di legge
- ma che rimane sempre nella sua forma di esortazione materna.
Chi legge questo libro si sente tratto verso Dio da una
irresistibile dolcezza, perché in esso non si parla che della divina
bontà; si fanno conoscere i suoi benefici con tanta unzione e forza
persuasiva che, abbracciando quella Regola, non si può fare a meno
di sentirsi spinto ad amare Iddio con un amore filiale che esclude il
Biografie
169
opera omnia
timore, ed è cagione di una pietà disinvolta, senza rilassatezza, ma
animata da una gioconda espansione forte seria costante.
Le virtù più ardue appariscono nella loro semplice amabilità
quali furono praticate dalla Santa Famiglia Nazarena, e sollecitano ad
abbracciarle perché imposte da un volontario motivo di amore. Il
tutto poi è vigorosamente corroborato e dolcemente condito dalle più
belle sentenze dei Sacri Libri, quasi a dire, , che quei precetti sono
tutti di Dio.
La corda dell'amore è toccata di preferenza, e magistralmente,
dalla Madre Cerioli nelle sue Regole.
Persuadere è infatti il miglior modo per fare accettare leggi così
singolari, quali sono in genere quelle di un Istituto religioso, a cui
l'anima spontaneamente si assoggetta per raggiungere con mezzi non
ordinari il proprio fine di perfezione e di salvezza. E la persuasione,
più che dall'intelletto viene dal cuore. Le Regole di ogni Istituto
religioso sono il codice dell'amore umano reso in riconoscenza
all'amore divino. E i Santi dicono che il giudizio finale delle anime
religiose non verterà sul Decalogo e sui Precetti... ma sul codice
dell'amore. Ciò che è chiesto dall'amore non l'impongono il timore la
forza lo spettro di sanzioni di castighi, o i premi; ma solo l'amore.
L'imperativo categorico del Vangelo è l'amore. Ed è pure perfetto atto
di carità quello che promana dalla riconoscenza.
S. Agostino ha creato il classico aforisma: “Ama e fa' quel che
vuoi!” L'amore non può fare che cose degne di sé.
Però, poiché l'amore risiede nel cuore, ed il cuore umano dopo
la ferita del peccato originale è infermo e sottoposto a indefiniti
disordini, è necessario disciplinarlo condurlo sopra un binario che ne
sostenga le intemperanze, ne corregga i difetti; tale binario è la legge
di Dio per tutti, le regole particolari per i più generosi.
Esaminando il Direttorio della Madre Cerioli si trova che tutto
quanto riguarda la parte disciplinare (che meglio svilupperanno le
Costituzioni) sembra dettato con la preoccupazione di ricercare le vie
del cuore per penetrarvi e, più che imporre un giogo, deporvi una
dolcissima catena che non assoggetti ma leghi sino alla morte sino
all'eroismo, anche quando questo fosse sinonimo di morte; finché
giunga l'ora in cui spezzati tutti i vincoli l'amore umano sboccherà
nell'oceano dell'eternità beata.
Esordendo ella dice: “Non v'impegnate in faccende ed
impieghi, anche se vi sembrassero di gloria di Dio, che sono estranei
alla vostra prima istituzione... Questo vorrei bene scolpire nella
mente e nel cuore di tutti che saranno destinati a reggere questa
Biografie
170
opera omnia
società, perché nessun Istituto è esposto a discostarsi dalla sua prima
istituzione, quanto il nostro che è tutto basato sull'umiltà. State
all'erta, dunque, e guardatevi dai capitali nemici che insensibilmente
con le loro insinuazioni potrebbero corrodere le fondamenta e far
crollare l'edificio. Che importa che il nostro Istituto arricchisca di
mezzi, di credito di soggetti con questo pericolo e danno? Che
importa a noi il non esser considerate; ed esser povere e non curate
152
quando facciamo la volontà di Dio?” .
Però riguardo ai membri del suo Istituto dice saviamente:
“Quantunque il nostro Istituto si dedichi espressamente alla classe
contadina, e perciò sempre a contatto con questa, con essa avendo
quasi comuni le occupazioni; pure sarebbe desiderabile che noi
avessimo soggetti di condizione superiore... servirebbero a
conservarci quella proprietà di modi dolci ed affidabili che tanto
abbelliscono la vita perfetta, che poi in bel modo debbono innestarsi
alla rozzezza e rusticità della vita contadina. Però non brigate per
153
avere tali soggetti... Iddio a tempo e a luogo ve li manderà... .
“I voti, sorelle carissime, abbiateli in gran pregio. Non li
considerate come un peso ma come dolci legami che vi stringono allo
Sposo vostro e vi tengono a Lui indissolubilmente unite”. E seguono
commenti praticissimi: intorno ai voti alla vita regolare ai mezzi
spirituali alle relazioni con l'esterno.
Una parola alle superiore. “Superiore mie carissime, voi con la
vostra croce personale dovete portare quelle di tutte le religiose a voi
affidate, e condurle sulla via della perfezione con l'esempio più che
con le parole con le opere più che coi consigli con la pazienza più che
l'autorità, voi armatevi di forza di generosità di fermezza se non
volete rimanere sotto il peso aggravate ed oppresse. Fate conoscere
che se sapete governare gli altri, sapete meglio governare voi stesse.
Occupate il vostro posto con quella amabile e semplice dignità di cui
Gesù ce ne diede esempio nella sua vita mortale. Siate severe sino allo
scrupolo per l'esatta osservanza alle leggi, base essenzialissima d'ogni
154
regolare disciplina” .
Ed alle religiose suddite: “Abbiate nella vostra superiora
dipendenza confidenza affetto, quale può avere una figlia verso la
più tenera delle madri; e in pari tempo abbiate il rispetto che si addice
ad una rappresentante di Dio. Abbiate stima di lei; obbeditela e siate
152
153
154
Dirett. Parte I. Cap. I, pag. 13. 14.
Dirett. Parte I. Cap. II, pag. 18.
Dirett. Parte I. Cap. V, pag. 36. 37.
Biografie
171
opera omnia
a lei unitissime di mente e di cuore. Per mantenere questa stretta
unione fa d'uopo amarla ed amarla di cuore... essa porta tutto il peso
e la responsabilità di voi dinanzi a Dio ed agli uomini; e vi par poco,
sorelle carissime? Siatele affezionate e riconoscenti; non l'amareggiate
con le ostinazioni capricci e cattiva condotta. Raccomandatela ogni
giorno al Signore perché la illumini e la investa di quello spirito e zelo
che animava la Sacra Famiglia... Chiudete gli occhi sulle imperfezioni
e difetti: molti credono che quando una persona viene innalzata ad
un posto, specie se religiosa, debba andare esente da ogni difetto; ma,
mio Dio! il posto cambia forse la nostra natura corrotta? Nessuno
nemmeno i santi, io credo, la sola Vergine Maria lo fu perché
destinata ad essere Madre di Dio. Non abbiate dunque sì strane idee;
compatitela ed amatela la vostra superiora, persuadetevi che le stesse
sue imperfezioni si svolgeranno a vostro profitto e vantaggio se
guarderete in lei l'immagine di Dio e il suo braccio per condurvi sui
155
sentieri a cui Egli vi ha chiamate” .
Una cura particolare e delicatissima per il noviziato che
“rappresenta il vivaio ove si coltivano preziose piante, seminate dalla
mano di Dio e date a noi a custodire per farle crescere e trapiantarle
nelle altre case, onde coi loro frutti portino abbondanza di beni.
Quale impegno se ne deve avere, e quale conto da rendere a quel
Padre che se è buono e misericordioso è pur giusto e terribile con suoi
servi che non hanno saputo coltivare il suo campo per farlo fruttare
per la vita eterna! Nel noviziato tutto sia ordine e disciplina; si abbia
compatimento per i primi tempi della prova. Studiate i soggetti
selezionate ed allontanate quelle che trovano male ed hanno scrupolo
di tutto... così pure le smorfiosette che si turbano e s'inquietano
perché nell'orazione non hanno il fervore che desiderano né quelle
virtù che leggono nelle vite dei santi... Abituatele schiette e sincere,
scevre da ogni raggiro e doppiezza.
“Esercitatele a tutta prova nella mortificazione, specialmente
delle passioni nell'annegazione della volontà, contrariando i loro
gusti desideri inclinazioni sino nelle cose lecite e lodevoli;
nell'abbiezione e bassa stima di loro stesse impiegando le più
schifiltose e quelle che si credono qualche cosa di più delle altre negli
uffici più bassi, vili, faticosi della casa... e ciò sino a tanto che le
vedrete morte affatto al loro amor proprio alla loro superbia e ad ogni
156
sorta di riguardi e rispetti umani” .
155
156
Dirett. Parte I. cap. V, pag. 36 37. 38.
Dirett. Parte I. Cap. IX, pag. 45. 46. 47.
Biografie
172
opera omnia
Finalmente a tutte le religiose dispiega le virtù e le
caratteristiche proprie dell'Istituto.
Innanzi tutto la carità fraterna, contrassegno che deve
distinguere le suore della S. Famiglia. Spirito di carità che inclini a
giudicare se stessi piuttosto che gli altri; che gode della lode e
preminenza altrui senza provarne invidia di sorta, o se la prova la
soffoca e la vince con atti contrari; quella carità che non è
mormoratrice e sussurona, ma benevola paziente generosa. O beata la
casa ove regna lo spirito di carità, in essa dimorerà il Signore e la
157
renderà ferma ed incrollabile agli assalti dei demoni e dei nemici” .
Il dovere del buon esempio. Le suore della S. Famiglia perché
dedicate ad opere singolari, potranno essere oggetto di critiche
rimarchi e disapprovazione: esse sono in dovere di farsi stimare con
la condotta irreprensibile e santa, appunto perché esposte agli
sguardi altrui.
“Siete anime a Dio consacrate: non disonorate questo Iddio
augusto, questa santa dignità. A chi molto diede, Iddio molto
esigerà... Signore! distruggete annientate disperdete questa novella
istituzione se mai una religiosa dovesse violare le sue Costituzioni e
disonorare l'Istituto! Ve ne prego per le vostre santissime Piaghe e per
158
i dolori di Maria SS. ma. Così sia” .
“I modelli della nostra condotta. Il titolo stesso che abbiamo
assunto entrando a far parte di questa famiglia ci fornisce i mezzi per
ottenere gli scopi che ci siamo prefissi. Lo studio particolare delle Tre
Sante Persone componenti l'augusta e divina Famiglia, di cui ci
chiamiamo Sorelle, deve essere l'oggetto incessante della nostra
meditazione e imitazione ritrovando in essi i modelli perfetti e
completi di ogni virtù. Non leviamo mai gli occhi la mente il cuore
dalla loro presenza. In tutti gl'incontri si prosperi che avversi la loro
vita la loro condizione comune e povera le loro occupazioni e fatiche
ci forniranno abbondante materia d'esempio e d'istruzione.
Seguiamoli, e dimoriamo spesso con essi ora nella grotta di Betlem,
per le montagne della Giudea per le vie dell'Egitto e di Gerusalemme,
nella santa casa di Nazaret per incoraggiarci alle prove
all'annegazione, al sacrificio... Viviamo la loro vita animiamoci dei
159
loro sentimenti e allora saremo le vere Sorelle della S. Famiglia” .
157
158
159
Dirett. Parte I. Cap. X, pag. 66.
Dirett. Parte I. Cap. X, pag. 69.
Dirett. Parte I. Cap. X, pag. 71.
Biografie
173
opera omnia
In ultimo “questa piccola Società vivrà tutta pel Cielo, l'oggetto
delle nostre speranze dei nostri desideri. Quantunque siamo nel
mondo e tra persone del mondo, tra noi ed esse ci sia un muro di
divisione sì alto che mai vi abbiano a penetrare i loro sentimenti e
massime. Questo muro dobbiamo innalzarlo noi con la grazia del
Signore, morendo interamente a tutto ciò che sa di mondo ai suoi
gusti inclinazioni piaceri occupandoci solo a perfezionarci e renderci
degne del Cielo che sarà il nostro premio immortale il riposo delle
160
nostre fatiche la gloria per tutti i secoli dei secoli” .
Queste ed altre preziose cose, che ci proponiamo dettagliare,
costituiscono la parte esortativa e direttiva della legislazione della
Madre Cerioli a cui fan seguito tutti gli ordinamenti e prescrizioni
concernenti l'intera disciplina del suo Istituto. Questa Regola - che
ella modestamente chiamò sin dall'origine “Direttorio” è la forma e la
base delle Costituzioni lodate ed approvate prima dal vescovo di
161
Bergamo e infine definitivamente dalla S. Sede .
Che se nel corso di quasi un secolo il Direttorio ha subito
modifiche aggiunte emendamenti sia per intonarlo alla prassi degli
altri Istituti come per aggiornarlo alla nuova codificazione del Diritto
Canonico, tutto fu accidentale e secondario; lo spirito e l'essenza del
contenuto, nonché lo stesso stile ispirato e tutto materno della pia
legislatrice rimasero immutati, sì da poter affermare che la odierna
legislazione delle suore della S. Famiglia è tale quale uscì dall'anima e
dalla penna della Fondatrice.
E per rendere intera la idea programmatica di lei e le ampiezze
delle sue vedute dobbiamo ripetere che la Madre Cerioli nella sua
legislazione per la parte che riguarda le attività dell'Istituto lasciò
aperta una porta ad accogliere i complementi e gli ampliamenti che,
in conformità allo spirito essenziale, potranno rendere più proficuo e
fecondo l'apostolato delle sue Figlie.
Tenuto conto del tempo in cui fu redatto questo Direttorio, si
deve riconoscere l'intuizione presaga di lei; prevedendo e
prevenendo i bisogni delle anime che in tempi nuovi avrebbero
reclamato nuovi ausili, appose alle sue leggi la sigla prudenziale e
160
161
Dirett. Parte I. Cap. X, pag. 72.
La prima approvazione di queste Regole la diede Mons. Speranza, vescovo di
Bergamo, nel suo Decreto del 27 giugno 1862. - Pio IX con una sua lettera del 15
luglio 1868, lodando l'Istituto, implicitamente lodava la sua legislazione. - Leone
XIII con Decreto della S. Congregazione dei Vescovi e Regolari, del 22 settembre
1896, approvava e lodava definitivamente l'Istituto. E finalmente un ultimo
Decreto approvava le Costituzioni della S. Famiglia, aggiornate col nuovo Diritto
Canonico.
Biografie
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opera omnia
saggia “salvi i migliori emendamenti” ed aggiunse alle sue Figlie di
camminare sempre con i tempi e di adeguarsi alle loro necessità.
Può dirsi anzi che iniziò ella stessa il nuovo sviluppo. Di fatto,
all'Opera - madre che si dedica alla educazione degli orfani rurali,
ella aggiunse le scuole esterne come le abbiamo viste a Comonte, e
come le vedremo perfezionate in altre case. Ella stessa “la maestrina”
diede norme direttive e didattiche sia per le maestre come per le
162
scolare .
Aggiunse inoltre l'opera degli Oratori festivi, che chiamò:
“ricreazioni festive”, ausilio efficacissimo al lavoro dei parroci, onde
non si disperda il frutto spirituale raccolto nelle pie pratiche
domenicali dalla gioventù e per distoglierla dai pericoli ed occasioni
di male.
L'occupazione dominante di queste ricreazioni festive deve
essere il sano e lieto sollievo delle giovani. “E giocate voi pure con
loro, se fa bisogno - esorta nel suo Direttorio - perché lo dice Gesù
Cristo: - Fatevi piccoli coi piccoli! - purché ciò non vi impedisca la
sorveglianza che dev'essere grandissima e sia compatibile con la
163
compostezza e gravità religiosa che esige il vostro carattere” .
Ultima, l'opera degli esercizi spirituali, sia per l'esterne come
collettivamente per signore, ed infine per persone isolate.
Prezioso campo d'azione e di bene che si apre ad un notevole
numero di anime, varie di condizione e d'età per ritemprarle nel
raccoglimento e nei colloqui con Dio ai doveri della vita cristiana e
sociale. Così la madre Cerioli previde ed attuò l'“Azione Cattolica”
dei nostri giorni, come le fu possibile.
Non scopi di lucro o mire umane debbono guastare queste
opere essenzialmente spirituali e dirette immediatamente alla gloria
divina e alla salute delle anime.
“Il premio bisogna attenderlo da Dio, che come dal nulla seppe
suscitare l'Istituto così saprà mantenerlo e conservarlo: “Cercate
dapprima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte le altre cose vi
164
saranno date in soprappiù” .
Con queste parole di Gesù, sigillate da una devota preghiera a
Maria Immacolata per il buon esito degli esercizi spirituali, la Madre
Cerioli chiude il suo Direttorio.
162
163
164
Dirett. Parte IV. Cap. I, pag. 201.
Dirett. Parte IV. Cap. II. pag. 209 e segg.
Dirett. Parte IV. Cap. III, pag. 214. 225.
Biografie
175
opera omnia
L'ultima intonazione è pure tutta la sua definizione: un mezzo
165
nuovo e ispirato per dilatare il regno di Dio sulla terra .
165
Facciamo notare che in questo capitolo non si è fatta menzione delle Regole dei
Fratelli della S. Famiglia, dei quali parleremo dettagliatamente in seguito.
Biografie
176
opera omnia
CAPITOLO
XXI
Il campo fiorisce benedetto da Dio
“Siamo qui in diciotto religiose e sarebbe bene avere un altro
nido, giacché si potrebbe fare un po’ di bene anche altrove. Pregate
dunque il Signore che ci adoperi per la sua gloria”. Effusione di
materna confidenza questa fatta da Suor Paola Elisabetta in un certo
colloquio che sta tra la conversazione e la conferenza spirituale, in un
giorno imprecisato del 1860.
La febbre dell'espansione la prende, come si vede. Il bene, se,
come questo è vero bene, non può essere contenuto; deve diffondersi.
Difatti ad un anno, poco più, dalla nascita l'unica casa di casa di
Comonte conta diciotto suore - un bel terzo d'aumento - e trentratré
orfanelle. Si dirà: non è gran cosa. È vero; ma qui è già un miracolo
posta la singolarità dell'opera e l'ambiente ove è nata.
Moltiplicare le orfanelle oltre il desiderabile nulla di più facile;
ma orfani di rurali, no: la condizione limita il numero.
Di più anche ad allargare il criterio nell'ammetterle la
discrezione frenerebbe lo zelo; evidentemente: non si possono
moltiplicare le orfane se non si raddoppiano almeno le suore per
educarle.
L'ambiente poi - la bergamasca - un po’ ristretto è tale un
campo ricco di istituzioni e ferace di vocazione, che gl'Istituti più
giovani devono logicamente mettersi in linea dietro gli altri e provare
la magra degli esordi. Tanto più deve subirla questo che è ultimo tra
gli Istituti similari e per di più da molti frainteso e conosciuto come
un'accolta di devote massaie rurali. Non poteva quindi allettare
troppo ad abbracciarlo.
Biografie
177
opera omnia
Peraltro poiché nel moto sta la vita, e perché v'ha pure chi dà
impulsi e incrementi cui non resiste veruna ragione umana, le suore
della S. Famiglia prendono a muoversi.
Suor Paola Elisabetta nel timore giustificato che la morte venga
in anticipo a vibrarle la falciata si preoccupa seriamente e in concreto
dell'espansione; e volge il primo pensiero verso Soncino suo paese
natale. Logicamente. Vi esistono i possedimenti paterni, e v'è pure il
vasto patrimonio da lei ereditato alla morte dei suoi venerati
166
genitori . Congiungendo quindi l'amore della propria terra al
desiderio d'esercitare la carità in pro d'una popolazione
prevalentemente rurale e priva di un Istituto rispondente ai suoi
bisogni, ella reputa giusto che dei suoi beni, già votati al sollievo dei
poveri, ne godano per primi i suoi conterranei.
Ripetiamo subito però che Soncino appartiene alla diocesi di
Cremona, esce quindi dalla giurisdizione dei veneratissimi direttori
Mons. Speranza e Mons. Valsecchi; difficoltà questa che non muterà
per nulla i suoi benefici piani. Piuttosto sembra insormontabile l'altra
difficoltà che in Soncino almeno per il momento non si trova uno
stabile adatto o riducibile allo scopo desiderato.
Sin dal 1858 ci sarebbe stato in progetto l'acquisto d'una casa
adibita a collegio; la cosa si protraeva senza la prospettiva di una
vicina soluzione e non se ne fece nulla. “Io non so - scriveva Suor
Paola Elisabetta a Mons. Valsecchi - l'idea di questo nuovo acquisto
mette in me una gioia, un contento... sarà puramente naturale, ma io
non capisco!” Sentiva infine che la cosa si sarebbe felicemente
conclusa, quantunque fallissero le trattative per quello stabile a
motivo del prezzo.
Nel frattempo i consigli maturavano in meglio. Le difficoltà per
Soncino portarono sul momento l'idea altrove; non molto distante
però. Appena a tre chilometri da esso a Villa Campagna dove esiste il
grosso delle sue possessioni. Pensò quindi di aprirvi subito non già
un convento ma una residenza provvisoria, tanto per farvi un po’ di
bene.
A Villa Campagna presso un cascinale colonico di casa Cerioli,
v'era una piccola casa rustica, capace d'un certo numero di persone.
Riparata e adattata avrebbe potuto servire allo scopo. Suor Paola
166
Il signor Francesco Cerioli, babbo di Suor Paola Elisabetta, è morto di recente, il
12 gennaio 1849, all'età di 82 anni; e la madre Contessa Cerioli è piamente
deceduta in Soncino il 31 luglio 1847, in età di anni 72. Ivi fu sepolta nella tomba
di famiglia il 2 agosto. I suoi funerali furono solenni per l'intervento di tutti i
sacerdoti della grossa borgata e con la partecipazione di tutte le Confraternite.
Biografie
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opera omnia
Elisabetta ordinò subito i lavori di restauro. Frattanto aveva in animo
di condurvi presto per una passeggiata ricreativa tutte le sue
figliuole, religiose e orfanelle, per mostrare ad esse la bella novità. La
gita sarebbe stata subito dopo la raccolta dei bozzoli, che cade sempre
verso la fine del mese di giugno. Ottenute le debite licenze dai
Reverendissimi Superiori, fu organizzata la carovana che si
componeva, tra suore orfanelle il canonico Valsecchi il cappellano
della casa Don Antonio Tassis ed il parroco di Comonte Don
Bartolomeo Tommasi della rispettabile cifra di cinquantatré persone.
Furono ordinati i necessari mezzi di trasporto. La partenza di buon
mattino per poter giungere a Villa Campagna ad ora congrua ed
ascoltarvi la S. Messa celebrata da Mons. Valsecchi. S'immagini la
gioia della lieta e rumorosa brigata composta in gran parte di
bambine!
Ma il nemico del bene - così ritenne Suor Paola Elisabetta - volle
subito mostrare il suo malcontento per l'innocente sollievo da cui
doveva nascere un'opera santa; suscitò un primo incidente che per
grazia di S. Giuseppe non fu doloroso. Lungo il viaggio verso Villa
Campagna la vettura dei sacerdoti che precedeva a distanza tutte le
altre ad un certo punto ribaltò, e gettò violentemente sulla strada il
sacro carico. Molto spavento una solenne impolverata e nulla più. Il
canonico ne rideva e amabilmente avanzava il dubbio se, dopo quella
buona ingestione di polvere, poteva dire d'esser digiuno e celebrare
la S. Messa. Unico danno: la perdita di tempo per riordinarsi e
nettarsi alla meglio rimettersi in carrozza e giungere un po’ in ritardo
alla meta. Ciò nonostante la Messa fu celebrata con miglior fervore di
riconoscenza, e tutte le suore e orfanelle ricevettero dalle mani del pio
canonico la santa Comunione. Poi si passò nella casa e con un'allegria
da non dirsi fu consumata la modesta refezione. Mentre suore e
bambine si sparpagliavano per la vicina campagna a prendersi il
divertimento concesso per quel giorno, il canonico e la Fondatrice
ebbero il tempo di esaminar tutto e decidere il necessario per
approntar la casa e renderla subito abitabile. Così sul principio del
1862, portati a termine i lavori indispensabili, sembrò giunto il
momento di occuparla con limitato personale, per tentare una
seconda fondazione. Monsignor vescovo aderì volentieri al buon
desiderio; ben inteso che si trattasse di stabilire una famiglia privata
senza l'ufficialità di una formale casa religiosa, perché a questo
sarebbe stata indispensabile l'autorizzazione di Mons. Novasconi,
vescovo di Cremona, ordinario del luogo. Come si fece in seguito.
Biografie
179
opera omnia
Disposte e prevedute sul momento tutte le cose necessarie presi
gli accordi del caso, si fissò la data del 25 aprile per andare a prender
dimora a Villa Campagna. Tre suore e quattro orfanelle come primo
gruppo d'avviamento sarebbero partite di buon mattino, Mons.
Valsecchi e la Madre li seguirebbe più tardi. Ma per una seconda
volta, e si direbbe per analogo incidente, si vide chiaro che questo
viaggio e il suo scopo dispiacevano al nemico del bene. Il cavallo di
casa che doveva portare la carrozza del canonico e della Madre, non
ne volle sapere di lasciarsi attaccare alla vettura. Pieno di bizze e furie
non ci fu verso di ammansirlo. Infine si dovette mandare a Bergamo
per un altro cavallo e così si poté partire per Villa Campagna; ma per
arrivarvi soltanto la sera. Una giornata di ansie e agitazioni per quelle
poverette arrivate al mattino. Non sapevano che fare e soprattutto che
pensare della sorte delle due venerate persone invano attese. Ma
come Iddio volle a sera furon tolte da ogni pena e ricongiuntisi alfine
ebbero a ringraziare Iddio di tutto cuore per una seconda volta.
Il canonico volle subito visitare la casa: non la trovò
perfettamente al posto, e per di più ancora umida a cagione dei
recenti lavori di muratura e pavimentazione. Ne restò malcontento e
dichiarò senza ambagi che non poteva permettere alle nuove venute
di stabilirvisi subito. Aveva ragione: la casa era inabitabile. Le
imposte e le porte non riparate quindi mal connesse presentavano un
vero pericolo per chi doveva alloggiarvi.
La Madre Fondatrice, infatti, nei pochi giorni che vi si trattenne
non poté mai prender riposo la notte a cagione dei topi che per porte
e finestre andavano e venivano liberamente a tormentare chi era
venuto a snidarli dalla loro comoda dimora. Figurarsi che dormendo
ella li sentiva passeggiare lungo il corpo quasi fossero nel loro nido.
La cosa non era certo deliziosa. Eppure diceva celiando al canonico:
“Quanto mi piace lo star qui; mi sembra d'essere nella casa di
Nazaret: vedo persino le stelle dalle finestre”!
Con tutto ciò il Valsecchi non rimase persuaso tanto meno
tranquillo. Recatosi subito a Bergamo riferì tutto al vescovo,
prospettando i suoi timori per la salute delle suore e delle orfanelle.
Il vescovo in data 17 maggio 1862 dice per lettera alla Madre:
“Ho scritto ieri al vescovo di Cremona dimandadogli scusa perché mi
sono dimenticato di scrivergli più presto a suo tempo, e dicendogli di
compatire anche le suore della S. Famiglia perché ora non hanno
inteso di mettere una casa religiosa nella diocesi cremonese senza
licenza e senza consenso del vescovo; ma solo di andare come private
Biografie
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opera omnia
in una casa loro propria per vedere e preparare di poter fare poi, se
piacerà a Dio e ai superiori del luogo.
Ho sentito dal Rev. mo canonico Valsecchi lo stato della casa e
delle cose costì. Io ho somma paura della calce nuova, assai più che
non l'abbiano gli altri, compreso anche il canonico, che m'ha fatto
tanta paura anche lui nelle fabbriche del suo collegio. Se voi siete
buona a far miracoli potete andare anche nel fuoco che non brucerete.
Ma i santi che eran buoni proprio di far miracoli non credevano
facilmente di poterli fare; e poi non rischiavano per gli altri, né
volevano mai tentare Iddio. Voi - badate bene a quel che vi dico - voi
non v'inquietate per quello che avete fatto; raccomandatevi a Dio a S.
Giuseppe alla Beata Vergine Santissima, e non ci pensate altro, state
quietissima nell'anima vostra. Ma da qui in avanti usate e subito tutta
la cautela possibile e impossibile. Non vi fidate se di fatto sinora voi
le ragazze o le suore non avete sentito né patito niente. Fate come se
aveste patito assai. Ricordatevi che se per grazia o miracolo non
aveste da patire io non vi approvo, perché dovete fare in modo che
nessuno vi possa rimproverare massime in queste cose... Anzi, notate
bene, in ciò voglio che dicano: guarda che donna prudente che è
quella superiora ad onta che non l'abbiamo mai giudicata così! E ne
dican così tutti.
Fate bene, e fate far bene il resto che abbiamo del mese di
Maria. Fate pregare sempre pel meglio in tutti i grandi bisogni
presenti che riguardano tutti; e quando abbiamo pregato dormiamo
quieti nella cura e nella provvidenza di Dio. Vi benedico di tutto
cuore con tutte le vostre. Aff. mo, obbl. mo Pietro Luigi - vescovo.
Non ci volle altro per l'obbedientissima suddita a farle accettare
l'ordine ed abbandonar tutto. Era già in procinto di ripartirsene, col
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suo seguito di suore e ragazze, quando un suo nipote le fece
riflettere, e la indusse a recarsi di persona dal vescovo a prendere
ordini più precisi. Andò infatti. E Mons. Speranza, che non aveva
inteso affatto di darle un ordine così perentorio, rimase assai edificato
dello spirito d'obbedienza di lei, e le dichiarò esser suo desiderio che
la casa di Villa Campagna si rendesse più abitabile, e che infine egli
era ben contento della fondazione.
Rassicurata in tal modo della previa volontà dei superiori, se ne
tornò a Comonte, ove sbrigò sollecita alcuni affari per correre a Villa
Campagna a ritrovare la sua piccola famiglia rimasta in sospeso tra il
sostare e il partire. Infine però ella fu contenta delle loro condizioni.
167
Il signor Pietro Scotti, marito della di lei nipote Giuseppina.
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opera omnia
In questo tempo accadde un fatto di cronaca nera. I ladri
nottetempo avevan fatto alla nuova dimora delle suore e dal tiretto
d'un tavolo posto in una saletta a pian terreno asportarono trecento
lire in monete di argento che la Madre vi aveva poste quale scorta per
la comunità. Al mattino seguente avvedutasi del furto non se ne
sgomentò troppo, accettando dell'Alto anche questo dissesto, e volle
che tutte ascoltassero la S. Messa per il miglior bene di quei poveretti
che avevan commesso così grave colpa. Ordinò poi alle suore di
tacere ogni cosa. Però la nepote Giuseppina col marito la provvidero
subito di quanto potesse occorrerle in danaro e vettovaglie.
Stabilitasi appena la piccola famiglia a Villa Campagna, Suor
Paola Elisabetta così ne scrive a Mons. Valsecchi: “Molto Rev. Signor
canonico, della nostra casa e piccola comunità le posso dire ben poca
cosa, giacché da poco siamo qui; nondimeno mi prometto felici
speranze. Le mie monache sono contente ed animate di zelo; ieri la
nostra scuola, nonostante le molteplici faccende della campagna e dei
bozzoli, era discretamente numerosa: 22 alunne. Qui le fanciulle sono
più vive e sviluppate, e direi anche di maggiore capacità di
apprendere. Le nostre orfane ci stanno assai volentieri, e quando
avremo la casa sgombra da muratori troveranno da occuparsi
secondo la loro arte, nella nostra piccola ortaglia che andremo a poco
a poco ingrandendo con altra cinta più ampia, come faremo della
casa; ma a poco a poco, seguendo la volontà di Dio e i desideri di S.
Giuseppe che fa sempre da padre e da fondatore.
Intanto questa piccola casa risuona delle lodi di Dio cui cantano
la sera le nostre figlie, confondendo le loro voci a quelle degli usignoli
e degli altri uccelli dei quali è popolata questa terra. Io provo una
pace e quiete interna per la fondazione di questa casa che mi fa
sperare che sia proprio stata la volontà di Dio. Ho grande fiducia
nella Divina Provvidenza in quello che ci potesse succedere; tranne
che per le malattie, per le quali ho sempre avuto ripugnanza e
timore... ma il Signore ci penserà”.
In questo trascorrere di tempo e di cose la idea prima di una
fondazione a Soncino prende maggior consistenza.
Poco fuori del borgo esisteva un vecchio ma ampio e comodo
convento carmelitano, con una vasta chiesa detta “S. Maria delle
Grazie” o più brevemente “Santa Maria” ricca di pregevoli opere
d'arte. Da circa un secolo sembra che i Carmelitani lo avessero
abbandonato perché nell'anno 1775 “col pieno consenso
approvazione e concorso della curia vescovile di Cremona, tutta la
Biografie
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opera omnia
proprietà fu alienata e passò in mano di privati che tuttora la
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detengono e dai quali non sarebbe difficile averne la cessione .
La nepote Giuseppina Cerioli in Scotti più d'una volta ha
prospettato alla zia l'idea di acquistare Santa Maria; ma indarno.
Motivi: l'ex convento era occupato da varie famiglie che ella non
avrebbe voluto mettere sul lastrico; poi lo stabile era gravato di un
censo annuo, ed ella era assai nemica di tali pesi; infine perché
immaginava alta la somma che si sarebbe chiesta per l'acquisto.
Quindi alla nepote e a quanti cercavano d'indurla a ciò rispondeva
che era una fantasia irrealizzabile a cui non pensava neppure.
Ma un giorno del 1862 - nella festa del Patrocinio di S. Giuseppe
- le accadde un bel fatto. Si trovava a Villa Campagna. Di ritorno
dalla parrocchiale ove era stata per la Messa, disse ad una suora:
“Stamane non ho sentito Messa!” - “Ma come, Madre, se veniamo
dalla chiesa dove abbiamo assistito al santo Sacrificio!” - “Guarda che
m'è accaduto: nel momento in cui mettevo piede in chiesa mi sentii
come scuotermi tutta, ed una voce nel mio interno chiaramente mi ha
detto: - Acquista il convento di S. Maria in Soncino... - Questo fatto mi
ha talmente impressionata che non potuto più raccogliermi, e fui
sempre piena di tale pensiero per tutta la Messa. Ecco perché dico di
non aver sentito la Messa”.
Mandò subito e chiamare l'arciprete di Soncino, il quale accorse
meravigliato del repentino mutamento d'opinione. Questi,
unitamente al signor Pietro Scotti, si presentò al proprietario del
convento e trattarono subito dell'acquisto. Si convenne sulla cosa
dietro anticipo di una discreta somma.
Nello stesso anno 1862 tutti gl'inquilini del convento furono
pacificamente allontanati dallo stabile, ed eseguiti i lavori necessari
per l'adattamento fu presto messo in condizione d'accogliere le nuove
ospiti.
Ciò avvenne felicemente nell'aprile del 1863. Lo stesso vescovo
di Cremona, Mons. Novasconi, volle andare di persona a benedire ed
inaugurare la nuova opera ben lieto che anche nella sua diocesi
entrasse la venerata Madre col suo benedetto Istituto.
Mons. Novasconi la conosceva da tempo e la stimava
profondamente; se c'era in lui un rammarico questo glielo dava la
santa gelosia di possedere una bell'anima qual era la Madre Cerioli,
originaria della sua diocesi ma dimorante fuori di essa. In questa
occasione e in tutte le altre che si presenteranno, dimostrerà con i fatti
168
Proc. Ord. Resp. ad Animadv. pag. 43. n. 54.
Biografie
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di essere, non solo un sincero ammiratore, ma un vero padre e un
potente protettore delle due case di Soncino e Villa Campagna. Di
fatti, si premurò di provvederle entrambe di un cappellano per
l'assistenza spirituale. E quando voleva concedersi un po' di riposo e
sollevare lo spirito dalle fatiche pastorali le case della Cerioli erano la
sua Betania, dove andava a trovare anime umili e buone vere amiche
di Dio che lo edificavano tanto. Senza dire del particolare interesse
che prendeva nel mirare le orfanelle ai campi o ai telai, lavorare e
cantare inni al Signore. Come si poteva non ammirare e stimare la
benedetta ideatrice e animatrice di tanto prezioso bene?
Lo sviluppo, lento sì ma solido, della casa di Soncino fu
consolantissimo. Oltre le orfanelle rifiorirono sul sistema di Comonte
le scuole esterne e tutte le opere sussidiarie a vantaggio della
gioventù femminile, specialmente le ricreazioni domenicali e gli
esercizi spirituali per le giovani e le madri cristiane.
C'è piuttosto da meravigliarsi che un'opera indiscutibilmente
buona e proficua come questa sembri avanzare sempre con vento in
poppa senza incontrare scogli e tempeste. Però anche delle prove non
le mancarono. Presto cominciarono a soffiare venti contrari - e da
varie direzioni - che se non scatenarono proprio tempeste furon
tuttavia cagione ed occasione di far brillare le ricche riserve di virtù
dalla Madre Fondatrice.
Il primo vento contrario venne proprio di là donde non doveva
venire. La mentalità settaria del tempo la sospettosa incomprensione
delle civili autorità che dà corpo alle ombre vide subito in fondo a
tutto questo bene, così limpido e semplice, non so quale scopo
politico quali trame faziose, tanto più perché favorito e caldeggiato
dal vescovo: di qui un grave pericolo per la patria. Tanto per
intorbidar le acque e trovar pretesti si prese ad indagare sui metodi
didattici di Suor Paola Elisabetta che non erano in armonia con i
metodi e i programmi del governo. Indi inchieste visite controlli
rapporti da non finire. Suor Paola ne scrive al canonico Valsecchi e
amabilmente gli dice: “Pensi che cosa capiscano di politica e di
governo quattro povere contadine!” Ma tant'è. La tempesta soffia e
bisogna uscirne a salvezza. L'ispettore provinciale del circondario, il
delegato mandamentale sono in moto, preoccupati; visite al convento
esortazioni indirette a Suor Paola perché si stacchi e si ribelli al
vescovo; inviti lusinghieri e sollecitanti a mettersi sotto la protezione
del governo liberale... tutte cose che ella neppure capisce. E poi
inquisizioni sui sacerdoti che frequentano la casa: quante volte il
prevosto si reca al convento durante gli esercizi; chi è il confessore il
Biografie
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opera omnia
predicatore il padre spirituale. Di questo stato di tensione ne
approfittano i malvagi per aggiungere villanie ed inscenare
clamorose manifestazioni di disturbo sotto le finestre del convento. E
qui bisogna rileggere una pagina caratteristica della buona Madre
Corti: “Una volta a Soncino le capitò all'improvviso una comitiva di
signori inviati del governo per visitare e vedere ciò che vi si faceva;
per sapere chi le aveva dato autorità di metter su casa di esercizi tener
orfane monache ecc. Volevano entrare subito dappertutto
dichiarandosi autorizzati a controllare quanto avevano udito dire.
Ella, benché colta così d'improvviso, rispose subito: - Questo poi no;
sto in casa mia; lor signori si compiacciano di accomodarsi qui, e
saranno soddisfatti di quanto cercano. - E con tutta pace venne in
cerca di me per avvisarmi del loro arrivo; poi ritornò da essi e con bel
garbo chiese ciò desiderassero sapere”. L'interrogatorio fu quanto
mai interessante: il metodo di tenere esercizi; quanti missionari li
predicassero; lo scopo dell'Istituto; che faceva tutta quella gente là
dentro; la lista delle vivande per i tre pasti giornalieri; che cosa
s'insegnava, ecc. “La Madre - prosegue la Corti - rispose con
pacatezza e sincerità senza soddisfare la curiosità loro. Rispose che le
orfane le mantenevano del proprio, e credeva far cosa buona a dare
un po' di cibo a chi non ne ha o non è in grado di guadagnarselo; che
le teneva fino a che le accomodava, senza obbligarsi a tenerle per
sempre, e faceva ad esse lavorare le sue terre. Quanto all'educazione
le istruiva un pochettino nel leggere nello scrivere e qualche
conterello; un po' di dottrina cristiana ed anche questo per fare una
carità alle poverelle. In quanto al cibo ora do la zuppa o frutta e pane
alla mattina; polenta e una pietanza a pranzo; e minestra e pane la
sera; a merenda ancora pane. Credo che di tutto questo le signorie
vostre non trovino di che lamentarsi. In quanto alle scuole esterne
queste non sono proprio scuole: si tratta di fanciulle d'ogni età che
vengono qui a trovarci e a farsi insegnare a far le cose più importanti
di famiglia. Quei signori intanto scrivevano e le chiesero da chi avesse
ordine di far ciò. Rispose che per far ciò non aveva bisogno d'ordini
perché non intende obbligarsi a continuare. E quei signori
ammutolirono della franchezza e ragionevolezza della Madre, e
lodarono l'opera e dissero che meritava di esser conosciuta onde fosse
appoggiata e stimata. E se ne andarono senza pretendere altro.
Ritornarono ancora l'Ispettore provinciale di Cremona e l'Ispettore
delle Scuole per fare gli esami. Ella li condusse ma non volle che
Biografie
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opera omnia
facessero interrogazioni eccetto sulla Dottrina Cristiana e un po' di
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leggere... Da allora non la disturbarono più per questo oggetto” .
Nell'anno 1862 il Signore alternava a tanto lavoro e
preoccupazioni una grande gioia.
Mons. Speranza, convinto di non poter più tardare a concedere
alla Madre Fondatrice ed alle sue Figlie un pubblico attestato della
sua paterna compiacenza, emanò un decreto con cui approvava le
suore della S. Famiglia, elogiandole con bellissime parole.
Questo documento, uscito da tanto spirito e da tanta pena,
meriterebbe di essere qui riportato per esteso, ma stante la sua
prolissità, rimandiamo il lettore alle ultime pagine del libro, ove potrà
gustare con stile caratteristico dell'uomo, gli accenti di un grande
Pastore benedicente al prezioso ausilio che l'Istituto della Sacra
Famiglia presta alla diffusione del regno di Dio nelle anime. Ed è
pure questo il primo sigillo di autenticità dato alla vita e all'opera di
Suor Paola Elisabetta Cerioli.
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Proc. Ap. Summ. Vita, pag. 882-883-884.
Biografie
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opera omnia
CAPITOLO
XXII
Le “Figlie di S. Giuseppe”
Nella casa di Suor Paola le piccole orfanelle non si designano
che con un nome: “Figlie di S. Giuseppe”. Come presto nasceranno i
“Figli di S. Giuseppe”.
È intuitivo il significato della denominazione.
Nella santa Famiglia nazarena il Padre eccellenza autorità ed
ufficio è S. Giuseppe; altrettanto in questa piccola famiglia di anime,
che vuol essere per amore imitativo una copia umana di quella
nazarena, tanta dignità e responsabilità permangono nella stessa
augusta Persona.
Così vide e pensò per decidere di questo appellativo Suor Paola
Elisabetta. Non resta dunque che ammirare la finezza dell'intenzione
la genialità della scelta, congiunte agli alti sensi di concreta e pratica
saggezza delle sue conclusioni.
Vediamo subito le esigenze di Suor Paola per ammettere una
creatura tra le sue Figlie di S. Giuseppe.
Che sia povera e orfana, ossia priva di padre o di madre,
abbandonata o trascurata, di condizione contadina. Per l'età, chiede
un minimo di requisiti fisici, né troppo tenera né molto cresciuta; la
vuole di discreto talento onde sia suscettibile di formazione. Questi
requisiti son fissi; si eccettuano i casi gravi, o di pietosa urgenza,
quando sarebbe grande carità accogliere una creatura. Me se su tali
requisiti ella s'ingannasse o fosse ingannata - a meno che non sorga
un serio pericolo o scandalo - la bambina rimane accettata. L'ha
ricevuta; basta. Non querimonie o recriminazioni con chicchessia,
tanto meno cercare di sbarazzarsene e passarla ad altro Istituto.
“Tenetela in pace; - dice la saggia Madre - Iddio ve l'ha mandata,
vogliatele bene e molto a preferenza delle altre. Non dobbiamo amare
Biografie
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opera omnia
le croci? Queste ve l'ha data il Signore. Tenetela, dunque, cara
carissima. Gesù Maria Giuseppe ve ne saranno grati”.
Il cerimoniale per l'ingresso di un'orfanella è noto. La
presentazione a Dio e a S. Giuseppe in cappella; la toletta del corpo e
del vestito; infine la consegna alle suore che devono educarla:
“Tenetela da conto come un tesoro! Se amate l'Istituto dovete amare
queste povere creature che formano il fine e l'oggetto della vostra vita
d'apostolato. Amatele a preferenza di quelle che sono di miglior
condizione sociale; perché più indigenti sono più care al Signore che
ve le consegna, onde in esse risplendano la sua bontà e la sua
misericordia.
“Vegliatele giorno e notte, ovunque in casa in chiesa al lavoro:
siate i loro angeli custodi. Esaminatevi ogni sera sul punto di questa
vigilanza. Iddio vi preservi dall'indolenza che aprirebbe le porte
all'insubordinazione e al disordine. Non guardate ai sacrifici: quando
son fatti pel Signore divengono leggeri e sono senza prezzo”.
“Non fidatevi della bontà dell'innocenza e qualità naturali delle
nostre Figlie: sono vasi fragili a rompersi; sono piante novelle facili a
piegarsi; sono tesori di Dio a noi affidati da custodire da conservare
da far crescere e fiorire”.
“Siate i loro veri angeli. Vedete come si regola il nostro angelo
custode: Ci segue senza annoiarci; ascolta i nostri discorsi vede le
nostre operazioni ma senza che noi lo sappiamo; ci avvisa ma con
dolcezza ci rimprovera, se occorre, ma con quella quiete tranquillità e
maniera che fa conoscere l'errore senza irritare”.
“Primo dovere e base d'ogni educazione sia d'aprire la mente e
il cuore di queste creature a conoscere amare servire Iddio che è loro
Padre ma con una religione soda e sincera senza pregiudizi. Che il
loro esempio sia edificante sciolto il loro tratto irreprensibile la
condotta”.
“Altra cosa Iddio richiede da voi, altra da un'orfanella”.
“La vostra idea non dev'essere di fare di esse delle monache;
ma delle brave care virtuose ottime madri di famiglia; perciò
occorrono virtù semplici ma consistenti: che aborriscano il peccato e
siano pronte a morire anziché offendere Iddio. Sulle loro fronti
innocenti spiri la modestia e il candore; siano franche senza
sfacciataggine; tengano gli occhi modesti ma senza affettazione;
amino con passione le pratiche di pietà, siano esatte nel compirle, ed
anche pronte a tralasciarle “Guai a quella casa ove entra una donna
saccente! La concordia l'armonia se ne partono da essa”.
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opera omnia
“Affezionatele soavemente a Dio, rappresentandolo buono
santo misericordioso liberale; non stringete il cuore non impoverite
l'intelletto predicandolo ad ogni ora terribile severo pronto a punire e
castigare per ogni piccola colpa”.
“Chi opera per amore opera generosamente e tali devono essere
le Figlie di S. Giuseppe. Esse devono amare il loro stato e i grandi
benefici dell'agricoltura la felicità della loro condizione con cui è più
facile salvarsi che non altrimenti. L'esempio vivo di Gesù deve
incoraggiarle: Egli ricchissimo nacque povero, visse povero, trattò
con predilezione i poveri, ad essi promise il regno dei Cieli.
Predilesse i fanciulli come quelli che rappresentano l'innocenza e la
semplicità della vita primitiva; preferì il soggiorno nella campagna a
quello della città; dava la sua celeste dottrina o sedendo sul monte o
passeggiando pei campi, nelle valli; prendendo le immagini più belle
delle sue divine parabole dai gigli del campo dal grano di senapa
dagli alberi infruttuosi dal frumento dalla zizzania dalla vigna dai
vignaioli dal gregge dai pastori dalle pecore e dagli uccelli dell'aria,
per farci ammirare la Provvidenza di Colui che assomigliato ad un
celeste agricoltore fa nascere da poco e minuto seme il nutrimento per
tutte le sue creature”.
“Ed imitando il divino Modello prendendo argomento da tutti
gli oggetti di natura che cadono abitualmente sotto i loro occhi,
parlate della fecondità della terra, che per volere di Dio produce
incessantemente tanta varietà di fiori i più vaghi e squisitezza di frutti
d'ogni sapore il più soave; del seme consegnato ai solchi che morendo
sotterra prima di risorgere e germogliare porta l'immagine della vita
della morte della risurrezione dell'uomo; parlate dello sviluppo delle
piante, soggiorno gradito degli uccelli dell'aria utile e caro agli
animali e agli uomini stessi che vi trovano l'ombra refrigerante contro
i raggi cocenti del sole frescura riposo ed aria più respirabile e pura.
Ricordate loro che Abramo e gli antichi patriarchi all'ombra delle
piante ospitavano ed ascoltavano gli angeli pellegrinanti sotto umane
forme”.
“Ma poiché l'anima di queste care creature sempre gaia e
sorridente nell'innocenza della prima età gode soprattutto dello
spettacolo e del profumo dei fiori di cui s'abbella la campagna, e li
vanno cercando sotto le siepi e lungo i sentieri, vorrei che ne
coltivaste nel domestico recinto per dare alle Figlie un sollievo utile e
dilettevole, insegnando loro nome specie proprietà dei fiori usi e
coltura di ciascuno di essi. E nei giorni di religiose solennità quegli
stessi fiori, coltivati e colti dalle vostre Figlie, adornino i nostri altari.
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Insomma discorrete come vi detta la fede e l'amore; parlate delle fonti
delle acque degli uccelli che nidificano delle api che hanno regina e
statuti per il loro prezioso laboratorio di miele e cera, degli animali
che servono alla campagna traendo l'aratro o il carro, e quelli che
adornano i cocchi nelle città, e quelli che forniscono carni pel
nutrimento, pelli e lane pel vestimento”.
“E poi salendo al cielo contemplando gli astri scintillanti
nell'immensità degli spazi dite che Dio solo può numerare la
moltitudine delle stelle; che Lui lanciò da principio i pianeti, e che la
luna segue fedelmente la terra perché Dio ha voluto così. E le fasi
lunari e gli eclissi del sole e della luna le gocce di rugiada le piogge i
venti i fulmini i tuoni le tempeste le stagioni la notte il giorno, quante
idee quanti pensieri per ammirare e magnificare la sapienza la
potenza la bontà di Dio! Oh, Figlie mie carissime, non terminerei più
quando entro in questo vasto campo della creazione! Il mio cuore si
170
dilata e si commuove!” .
Poi scende a parlare dettagliatamente del modo di educare e
d'istruire una Figlia di S. Giuseppe. Insiste ancora nel precetto di
allevarle nelle massime e nei costumi della loro condizione.
“Semplicità: semplicità nel leggere nello scrivere nell'aritmetica,
quanto è indispensabile a dar sufficienti cognizioni necessarie alla
loro vita, senza darsi l'arie d'importanza ad insegnar loro gli studi.
Insegnate ad esser nette e ordinate negli abiti nella persona nella casa
che abitano, ammonendole che la mancanza di pulizia è cagione di
molte malattie”.
“Pensate infine che queste care figliuole nella maggior parte
inclinano al matrimonio: non le contraddite nella loro vocazione;
riusciranno eccellenti madri di famiglia e col loro esempio porteranno
grandi vantaggi nel loro ambiente. Questo sia il fine che dovete avere
nell'educarle”.
“La superiora come madre le guidi le consigli le aiuti acciocché
trovino un conveniente partito della loro condizione. Così esse
porteranno con la loro condotta una riforma nella classe degli
agricoltori ed è ciò che ci proponiamo di conseguire col nostro santo
Istituto”.
Ella poi personalmente alle sue care Figlie di S. Giuseppe che
vanno spose ha preparato un dono di nozze che compendia tutto
l'amore del suo cuore materno e la saggezza del suo spirito di
apostolo, un libriccino di trentuno foglietti appena candidi come i
170
Direttorio, Parte III. Cap. II, pag. 152 e seguenti.
Biografie
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opera omnia
petali di un giglio sui quali ella ha vergato le parole che dà in ricordo
171
alla sua cara Figlia nel giorno del matrimonio . Veramente due
parole: una per la sposa, l'altra per la madre, dettate da una sposa e
da una madre, nel senso più umano e più spirituale di questi due
vocaboli. E chi meglio di lei potrebbe parlare con fede ed amore con
saggezza ed esperienza con verità e praticità dei gravi doveri del
matrimonio delle sue pure gioie e dei suoi inenarrabili sacrifici? Quel
libriccino che oggi, dopo quasi un secolo, si ritrova ancora stampato
ha tutta la freschezza e il profumo di un fiore, il fiore di nozze
regalato da una madre santa a tutte le sue Figlie spirituali.
Indi la buona Madre continua a parlare alle religiose: “Se poi
taluna di queste Figlie volesse rimanere in casa come religiosa, o per
qualche altro lavoro utile all'Istituto, se ha le doti necessarie
preferitela a tutte le altre. Questa preferenza le è dovuta come Figlia
di S. Giuseppe, e come membro della nostra famiglia e perché
educata secondo il nostro spirito”.
“A quelle poi che non scegliessero né la prima né la seconda
strada, ma desiderassero tornare alle loro case o allogarsi come
domestiche in qualche famiglia, voi interessatevi a collocarle bene con
l'aiuto dei parroci, tenendo presenti i gravi pericoli a cui vanno
incontro se non sono affidate a buone famiglie. Non abbiate premura
di sbarazzarvi di esse affidandole alla prima che capita; ma attendete
finché il Signore provveda. Preferisco che l'Istituto impoverisca e si
privi fin del necessario per mantenerle anziché metterle nel pericolo
di perdersi”.
“Dalla buona o cattiva riuscita di esse dipende l'onore di tutte le
Figlie di S. Giuseppe e quello della casa”.
Ed anche a queste che lasciano l'Istituto per entrare al servizio
di una casa privata Suor Paola Elisabetta dà un ricordo particolare
proprio la vigilia della loro partenza. Come una buona e saggia
madre chiama in disparte la sua cara figlia, la benedice e poi le
consegna uno scritto contenente i suoi ricordi, - diciannove ricordi che condensano tutta la sua ansia perché non perda il frutto della
santa educazione e infine si salvi e sia in eterno felice. “Dio ti
172
benedica, figlia mia, e la sua benedizione ti accompagni sempre!” .
171
172
Due parole della Nob. Donna Costanza Cerioli ved. Buzecchi - Tassis Fondatrice
dell'Istituto della S. Famiglia, ad una allieva il giorno del suo matrimonio –
Bergamo - Natali Tipografo Vescovile 1866.
Memoria della nobil Donna Costanza Cerioli ved. Buzecchi - Tassis, Fondatrice
dell'Istituto della S. Famiglia, ad una allieva la vigilia di sua partenza per entrare
al servizio di una casa privata. Bergamo - Natali Tipografo Vescovile, 1866.
Biografie
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opera omnia
Finalmente per le sue care “Figlie di S. Giuseppe” c'è
l'emulazione del premio. Grande segreto didattico suggerito dalla
Sapienza celeste per indurre l'uomo - fanciullo o adulto che sia - a
compiere con miglior lena il proprio dovere.
Suor Paola Elisabetta per le sue Figlie ha Stabilito - con forza di
legge - che una volta l'anno il 15 di ottobre solennità della sua cara
Santa Teresa, e data propizia per la chiusura dei lavori agricoli si
svolga con tutta pompa una festa spirituale ed esterna per premiare le
sue brave figliuole che si sono distinte lungo l'anno in attività e
diligenza nei lavori di casa e di campagna.
La festa si apre al mattino intorno all'altare di Dio per innalzare
a lui l'inno del ringraziamento per i suoi benefici; e le Figlie rivestite
dell'abito delle solennità si accosteranno alla santa Mensa.
Poi nel miglior e più ampio ambiente della casa pavesato a festa
si radunerà tutta la famiglia ad ascoltare dal labbro della superiora un
breve discorso su i benefici concessi da Dio all'Istituto; su i vantaggi
che l'agricoltura apporta alla società, fomentando la moralità la salute
il commercio, su i frutti più o meno abbondanti dell'anno.
Di seguito procederà all'assegnazione dei premi alle “Figlie”
che si sono distinte nello studio del catechismo e delle cose religiose,
nello studio pratico dell'agricoltura e nel profitto in lettura scrittura e
aritmetica.
Infine poi viene proclamata l'assegnazione dell'unica medaglia
detta “di agricoltura” che si conferisce all'alunna prima assoluta in
questa importante materia. La proclamazione del nome premiato sarà
seguito da ovazioni da cantici e dall'inno a S. Giuseppe mentre la
superiora appenderà al collo della figliuola la medaglia di
distinzione. Di questa medaglia ella dovrà fregiarsene ogni volta che
indossa l'uniforme di festa.
Non solo. La figliuola premiata di medaglia d'agricoltura
eserciterà durante tutto l'anno “l'ufficio di Abele” così detto perché ad
essa spetta raccogliere le primizie d'ogni frutto che rende la
campagna e in apposito cesto presentarle ai piedi dell'altare, in segno
di sudditanza di ringraziamento di amore al sommo Iddio Padrone e
Largitore d'ogni dono.
Quanti sensi spirituali quanto sapore patriarcale e più quale
saggezza di pedagogia in questo ufficio in questo gesto in questo
173
dono elevato alla solennità d'un rito dalla Madre Cerioli! .
173
Direttorio - Parte III, Cap. IV, pag. 164. 165.
Biografie
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opera omnia
La festa dei premi - come s'è detto - chiude le attività agricole
dell'anno. Viene l'autunno arriva l'inverno con le giornate brevissime,
con le interminabili serate fredde monotone tristi. Quale sarà
l'occupazione di chi non conosce altra attività che quella svolta in
aperta campagna? La buona Madre e Maestra ha previsto anche ciò.
Nel timore che l'ozio non intorpidisca gli spiriti e uccida il bene con
tanta cura raccolto ha provveduto tutto un programma, dal metodo
facile a sapore ricreativo e spirituale, che si svolgerà nelle lunghe
serate invernali. Ed è suo intendimento che siffatto programma esse
lo ripetano e lo svolgano poi nelle loro future case, quando nelle
tiepide stalle o nelle cucine scaldate e illuminate dal ceppo odoroso e
crepitante e si radunano varie famiglie a passare lietamente e
cristianamente le veglie del tempo d'inverno.
A tale scopo Suor Paola Elisabetta dà e suggerisce una serie di
schemi a soggetto spirituale ascetico morale agiografico storico che la
persona più adatta della comitiva svolge ed illustra per tirarne infine
sode conclusioni pratiche. Un po' di preghiera in comune chiude la
174
sana e santa veglia invernale .
Per ultimo vogliamo sentire Suor Paola Elisabetta parlare cuore
a cuore alle care orfanelle. I suoi sono gli eterni accenti d'un cuore
materno che dice costantemente le identiche parole senza ripetersi
mai, perché sono le parole della saggezza e dell'amore, uscite da
un'anima incendiata di Dio che vuole appigliare il suo fuoco a quanti
può accostare. Ella, infatti, brama eccitare nei piccoli cuori delle Figlie
una grande riconoscenza al Signore per averle scelte fra tante
abbandonate alla miseria alla fame e raccolte nella sua casa sotto il bel
nome e il patrocinio di S. Giuseppe. “Quindi voi più grandette siate
di stimolo e d'esempio alle altre a ben fare... Amatevi... non vi
offendete l'una l'altra... siete tutte sorelle in S. Giuseppe... Via la
rabbia!... via la collera!... Prezioso tesoro la pace! Ringraziate Iddio
che vi ha fatto nascere povere contadine e abbiate caro carissimo che
così siete allevate ed istruite. Non invidiate, no, le ricche signore!... Se
sapeste sotto quegli abiti splendidi che vi fanno tanta invidia, quanti
dispiaceri quante preoccupazioni quanti disgusti!... E in mezzo agli
ozi e a quel far nulla quanto tedio quanta noia!... Quante di quelle
signore cambierebbero la loro condizione e i loro agi, che l'espongono
a tanta agitazione e pericoli spirituali e corporali, con il vostro
tranquillo ed umile stato. . E poi Gesù che dice nel Vangelo: - Guai a
voi, ricchi, che avete quaggiù la vostra allegrezza... È più facile che un
174
Direttorio Parte III? Cap. V, pag. 166.
Biografie
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opera omnia
cammello passi per la cruna d'un ago di quello che un ricco si salvi!...
- Parole spaventose! Vi bastino queste per allontanare da voi ogni
sentimento d'invidia. Pensate poi a Gesù che nacque e visse povero
come voi...
“Alzatevi per tempo di mattina - secondo le stagioni -. Oh il
piacere che si prova a respirare l'aria pura della mattina! Oh,
l'ebbrezza dell'aurora! come il nostro cuore si porta più naturalmente
a Dio... a Lui che è il Creatore di questo vasto mondo... aprite il vostro
cuore all'amore alla gratitudine. Consacratevi a Lui alla sua gloria al
suo servizio: vi siano di stimolo a ciò persino gli uccelli che cantano
nel loro linguaggio le lodi di Dio... Se altri pensieri in quel momento
vengono a distrarvi scacciateli: sarebbe un furto che fate al Creatore.
Dite le vostre orazioni fate le vostre pulizie assistete alla S. Messa... e
poi andate sollecite e silenziose al vostro lavoro, recitando innanzi la
bella giaculatoria: - O S. Giuseppe, accompagnate le vostre Figlie! Poi lavorate di buona lena senza schiamazzi senza ridere senza
cantare... Non dite: qui nessuno ci vede... no, carissime, è il demonio
che vi tenta perché c'è sempre e dovunque Iddio che vi vede e vi
giudicherà, premiando il bene condannando il male compiuto.
Ripetete spesso durante il lavoro la giaculatoria: - S. Giuseppe!
assistete le vostre Figlie! - Come rientrando in casa dal lavoro direte: S. Giuseppe, accogliete le vostre Figlie!...”
“Mi diceva una mia cara amica - è sempre lei che parla alle
orfanelle e si direbbe che questa amica sia tutt'uno con lei - che
quando vede la campagna e i contadini occupati a lavorare pei campi,
le corre il pensiero al tempo dei nostri primi Padri... le pare di vedere
Adamo il primo che incominciò a dissodare la terra; Abele occupato
col suo gregge; Abramo, Giacobbe... Ruth che con Noemi raccoglieva
le spighe abbandonate dai mietitori, e tanti altri le richiamano al
pensiero la vita errante dei Patriarchi, il dormire sotto le tende e a
cielo scoperto, come essi costumavano. Questi pensieri innalzano la
mente ed allargano il cuore verso Dio; fanno amare stimare quasi
invidiare la condizione dei contadini. Quel non aver dimora fissa e
stabile ci ricorda che siamo viandanti e pellegrini in questo mondo e
ci aiuta a distaccare ognor più il cuore dalle cose della terra”.
“Una Figlia di S. Giuseppe deve aver familiari questi pensieri e
nelle ore di ricreazione nelle domeniche leggere spesso la Storia Sacra
e il Vecchio Testamento, e vedrà, che gli uomini sino a che si
occuparono di agricoltura vissero più lungamente e conservarono la
loro innocenza i loro semplici costumi; i disordini non entrarono nel
Biografie
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opera omnia
mondo se non quando l'uomo incominciò ad abbandonare
l'occupazione per la quale Iddio l'aveva creato...”
“Coraggio, Figlie mie, il Signore vi insegna per nostro mezzo la
via più semplice per poter essere al possibile felici anche in questo
mondo...”
“Credetemi, fa più timore la parola sacrificio che non la cosa
stessa, abituatevi ora che siete giovani che poi vi costerà meno”.
Santissime parole di una madre santa! Non illudono non
tradiscono, ma insegnano l’unico mezzo a viver bene e buone, serene
e felici: amare il lavoro, non paventare il sacrificio: gli unici titoli cui è
serbato il riposo e la gioia del Cielo.
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CAPITOLO
XXIII
I Fratelli della Sacra Famiglia
L'anno 1862 è anch'esso un anno di lavoro e di benedizioni.
Nasce l'altra opera, concepita in cuore nel lontano 1854 sul letto di
morte del figlio: l'istituto maschile per l'educazione degli orfani
rurali.
In omaggio alla verità è da ridire che la sua prima idea fu per
un orfanotrofio maschile. Benché la Provvidenza le abbia aperto
subito la strada più naturale e confacente al suo sesso ad una
istituzione femminile, tuttavia ella ha portato sempre in cuore, come
un'amorosa gestazione, la prima idea. Si direbbe che il ritardo fosse
ordinato a meglio elaborare l'opera concepita. Però, sino a questo
momento circostanze e situazioni psicologiche varie non si
presentarono favorevoli. Persino la buona confidente - Suor Luigia
Corti - non se ne mostra gran che entusiasta. La Madre però non tace
e non sta in pace. Ne parla sempre al suo buon canonico. Ogni volta
che il vescovo viene a trovarla non manca di dirgli: “Che ne dice,
monsignore, riuscirò prima di morire a veder piantato un ricovero
anche per gli orfanelli abbandonati della campagna?” E monsignor
Speranza: “Sì, sì, state tranquilla che presto lo faremo. Voi intanto
pregate”. Ed ella prega e supplica per raccomandare ciò che le sta
sull'anima. Il Signore matura lentamente sicuramente l'opera
desiderata.
Ecco qualche fatto che non si direbbe puramente casuale.
Mentre Suor Paola Elisabetta prega, il vescovo pensa e agisce. Un
giorno le dice di mettersi in relazione col sacerdote Pavoni Prevosto
di S, Andrea in Bergamo. Questi ha ideato un'opera affine a quella di
lei: raccogliere orfanelli e provvedere alla loro educazione con scuole
serali officine, ecc. Suor Paola si reca a trovarlo conferisce con lui; ma
Biografie
197
opera omnia
rivela subito una differenza sostanziale di programma. Il Pavoni
accoglierebbe orfani d'ogni condizione; lei no, si limita ad una sola
classe di orfani: quelli rurali. Tornando dalla visita al Pavoni avviata
verso l'episcopio per riferire al vescovo l'esito dell'incontro, va
facendo un soliloquio: “No no questo non può essere l'ospizio di
poveri contadini!... Ah, questa classe di orfani quanto è dimenticata!...
come sono trattati duramente questi poveri orfanelli!… Il Signore ha
tolto a me il mio povero Carlino per sostituirmi questi!”
Ancora. Un giorno Suor Luigia Corti rivede a Comonte una ex
Figlia di S. Giuseppe allogata in una famiglia rurale ove è andata
sposa. “Bene: come metti in pratica gl'insegnamenti che ti abbiamo
dato?” Chiede Suor Luigia. E quella: “Ci vuol altro! in casa mi dicono
che sono matta e che essi non hanno bisogno che io insegni loro come
debbono vivere” - “Ha ragione la Madre!... - pensa Suor Luigia - se
175
non si lavora anche attorno agli orfanelli non si otterrà mai nulla!... .
Di lì a qualche giorno la Madre invita la Corti a recarsi a
Romano per provvedere alla sostituzione del suo capo fattore di Villa
Campagna gravemente infermo.
Incontratasi al luogo di convegno Suor Luigia prospetta l'idea
di cercare qualche orfanello da occupare a Villa Campagna senza
ricorrere ad un nuovo fattore.
La Madre che sa della contrarietà della Corti all'idea degli
orfanelli rimane sorpresa per tale cambiamento di pensiero e gliene
chiede la ragione. Suor Luigia le narra il fatto della ex orfanella.
“Ed allora - continua questa - ho visto chiaro quanto voi avete
detto tante volte, cioè: la riforma della classe contadina è più
necessaria agli uomini che alle donne, perché è l'uomo che deve stare
a capo della famiglia”.
Lieta di questo mutamento la Madre esclama: “È proprio vero
che lasciando fare a Dio Egli dispone tutto sapientissimamente”.
Tuttavia ora che, oltre il desiderio i mezzi le opportune
circostanze, ha anche il consenso della sua consigliera le manca il
meglio: il soggetto preparato e scelto da Dio all'impresa. Ella infine è
una povera donna fuori del consorzio degli uomini, che ha troncato
ogni relazione e conoscenza col mondo; dove troverà ciò che le è
indispensabile?
Non c'è altro rifugio che in Dio. Pregarlo e scongiurarlo perché,
se quest'opera è di suo beneplacito, susciti l'anima più che l'uomo il
175
Proc. Ap. Suppl. Summ. pag. 126. 127.
Biografie
198
opera omnia
quale accetti i suoi propositi e li traduca in atto secondo il beneplacito
divino.
Anche in questo Iddio non si discosta dal suo stile consueto: per
suscitare dal nulla una nuova ed originale istituzione sceglie lo
strumento più umile, lo vivifica del suo spirito e se ne vedrà la
riuscita: più e meglio di qualsiasi altro qualificato per studi talenti e
autorità esso avrà successo.
Cosicché l'istituzione maschile di Suor Paola Cerioli ha un bel
vanto: è nata umilissimamente dalla terra, come è destinata alla
cristiana cultura della terra.
E per dir subito tutto delle linee fondamentali di quest'opera
aggiungiamo che la Fondatrice, sorpresa prematuramente dalla
morte, non le diede una legislazione formale, ma tracciò degli schemi
o memorie quali linee direttrici per un'eventuale legislazione da
sviluppare in seguito.
Le sue idee limpide e concrete sono: costituire, con le necessarie
varianti, una famiglia religiosa maschile che si dedichi all'educazione
degli orfanelli rurali, come le Suore della S. Famiglia attendono alle
orfanelle. Logicamente come non intese né volle con le suore creare
delle devote massaie rurali ma autentiche religiose, così per i Fratelli,
- anzi con più alto intendimento - volle creare dei religiosi, sacerdoti e
laici, che periti nella scienza agraria, impartissero agli orfanelli di
campagna un'educazione cristiana congiunta alla tecnica agraria.
È chiaro che un tale programma, fondato sopra un concetto
pedagogico spirituale, non può essere attuato che da sacerdoti e laici
congiuntamente, i quali, divise le mansioni di direzione e di lavoro,
possano armoniosamente ottenere il duplice scopo desiderato.
Tale presupposto fondamentale - in perfetta armonia con lo
spirito e la prassi della Chiesa - è così indispensabile quanto logico.
Non si può infatti ammettere che la Madre Cerioli, tanto premurosa
della elevazione spirituale e morale della classe rurale, abbia affidato
un compito sì alto e delicato a dei semplici laici e per di più contadini.
Che se la realizzazione del sacerdozio nell'Istituto si verificherà più
tardi, ciò non toglie nulla al presupposto anzi lo rafforza, perché se in
principio per necessità di cose si dovette fare a meno dei sacerdoti, in
progresso di tempo l'esperienza impose come indispensabile
condizione di vita la direzione e la guida sacerdotale.
A conferma di tutto c'è un fatto che rivela chiaramente il
pensiero della saggia Fondatrice. Le si presentò un giorno un certo
giovane di Casnigo, già avanti nel corso ginnasiale, domandando di
essere ammesso nell'Istituto per proseguire gli studi. “No no - rispose
Biografie
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opera omnia
ella subito - qui si lavora si suda non si studia: questa è una casa di
poveri orfanelli che devono apprendere a lavorare in campagna la
terra, quindi si devono accompagnare in campagna e, ove, occorra,
lavorare con essi la terra. Tornate a casa che farete meglio, e così
potrete continuarvi la vostra carriera”.
Suor Luigia Corti, rimase assai sorpresa di questo
licenziamento e di tali parole che sembrano contrastare con gli scopi
che la Madre si era prefissa. “Non spetta a chi entra - ella si giustificò
- scegliere il proprio avvenire. Non tocca a loro. Bisogna parlar chiaro
con tutti, e che tutti sian disposti a questa vita di fatiche e di stenti. In
seguito poi i superiori sceglieranno quelli che saranno sacerdoti; ma essi non
devono domandarlo, anzi neppure saperlo”.
Come si vede, le esigenze della Madre anche per un aspirante
all'Istituto, danno la misura della sua pedagogia spirituale.
Messi così a punto questi principi basilari, procediamo oltre con
la narrazione storica, fissa sempre nell'anno di benedizione 1862.
Mentre la buona Madre moltiplica fervidamente orazioni e
preghiere presso il trono di Dio ad ottenere il soggetto per dar le
mosse all'impresa, le viene indirizzata a Comonte da un sacerdote
bergamasco una pia dama, la contessa Adelaide Dedei, oriunda di
Valvoglio, ma residente a Leffe, dove ha raccolto in eredità un piccolo
podere. Era desiderio della contessa devolvere questa proprietà in
favore delle orfanelle campagnole; veniva quindi a proporre di
accettare l'incarico molto affine allo spirito dell'Istituto della Sacra
Famiglia. Per mera coincidenza in quel giorno la Madre non era a
Comonte, ma trattenuta da affari in Soncino.
La pia contessa frattanto, fu invitata a visitar la casa, perché si
rendesse conto delle attività dell'Istituto. Però in questa visita non era
sola. L'accompagnava un ottimo uomo. Dall'aspetto si sarebbe detto
un fattore, un tal Giovanni Capponi. In Leffe, suo paese nativo, egli
era noto e stimato quale infermiere ed economo del civico ospedale.
In poche parole: il Capponi - non giovane, né vecchio - è uno di
quegli apostoli in calzoni che riescono un dono del Cielo ovunque
vivano. Non di grande levatura intellettuale ma di sano equilibrio
pratico, soprattutto pio irreprensibile zelante e caritatevole in modo
da non potersi dire; tanto che era da tutti amato e benedetto, come
176
per tutti egli era una vera benedizione .
176
CAPPONI GIOVANNI, fu Luigi ed Angela Zenoni, nato a Leffe il 5 dicembre
1830. Entrato come fratello all'apertura dell'Istituto il 4 novembre 1863. Egli fu
Superiore. Fu vestito d'uniforme religiosa il 19 marzo 1865. Col 16 settembre 1866
fece i primi Voti Semplici avanti di Monsignor Vescovo Pietro Luigi Speranza di
Biografie
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opera omnia
Il Capponi è a fianco della contessa nel suo giro di ispezione
alla casa di Comonte. Una meraviglia! per l'una e per l'altro. Tutto
bene organizzato; uno splendore di ordine di nitore di silenzio, da
mettere in cuore il desiderio di non partire più. Ne restarono edificati
entusiasti; ma per quel giorno, data l’assenza della Madre Superiora,
non conclusero nulla del loro progetto, e partirono divisando di
chiedere per iscritto un appuntamento ed ottennero l'incontro
desiderato.
Prima però che giungesse alla Madre la lettera della contessa
Dedei, gliene arrivò un'altra, quella della suora (forse suor Luigia
Corti) che aveva accolto i due visitatori a Comonte. La ragguagliava
della novità della visita, e s'indugiava particolarmente a descrivere le
proprie impressioni, non troppo sulla signora contessa, quanto sul
suo compagno. L'aspetto il contegno le parole del Capponi avevano
colpito la suora, non meno di quanto egli era rimasto edificato della
casa di Comonte. A dir breve: la suora segnalava alla Madre il
Capponi - se non prendeva abbaglio - come un possibile
commendabile soggetto da scegliersi per la nota impresa.
Suor Paola Elisabetta che attendeva con certezza ed urgenza la
risposta del Cielo alle sue pressanti preghiere, comprese tutto. Si
scambiarono lettere con la Dedei; si fissò l'appuntamento a Comonte:
la Madre v'inviterà il suo buon angelo il canonico Valsecchi, la
contessa vi condurrà il Capponi.
E si ebbe il felice incontro a quattro. L'affare della Dedei fu
presto concluso: figurarsi che questa, oltre ad offrire il suo podere,
profferiva anche se stessa all'Istituto e dedicarsi al bene delle
orfanelle. E ciò avverrà felicemente. Sul momento però alla Madre
preme ben altro. Il suo interesse converge tutto su Giovanni Capponi.
La suora di Comonte che le scrisse in proposito non ha sbagliato.
L'impressione che ne riportano sia la Madre che il canonico è ottima.
Entrambi commossi nel vivo del cuore, s'incontrano nell'identico
Bergamo il di della Beata Vergine Addolorata e Li rinnovò tutti gli anni seguenti.
Col 3 dicembre 1868 giorno di S. Francesco Saverio, fece i voti Perpetui e li fece
pubblicamente nella Chiesa di S. Francesco d'Assisi in Martinengo nel Convento
soppresso dei Frati minori Osservanti. Nell'occasione dell'apertura della Casa che
venne affidata ai Fratelli e Figli di S. Giuseppe li fece alla Presenza di Monsignor
Vescovo Speranza di Bergamo, alla presenza del Clero e Popolo di Martinengo e
dei Fratelli e figli di S. Giuseppe e gli furono consegnate le regole e le chiavi del
Monastero.
Ne aggiunge anche il quarto Voto di dedicarsi tutto per i figli di S. Giuseppe di
allevarli nel santo timor di Dio e di non scostarsi dalle regole dell'Istituto di
allevarli all'arte agraria; fu eletto Superiore di tutte le Case di S. Giuseppe.
Morto il 23 Maggio 1880.
Dal registro di Archivio dell'Istituto S. Famiglia in Martinengo
Biografie
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opera omnia
pensiero: ecco il soggetto mandato dal Cielo per il vagheggiato
istituto maschile. Anzi - ad esser precisi - la Madre appena lo vide
senza parlargli o udirlo parlare sentì una voce spontanea salire
dall'anima: “Eccolo è lui quello che tu cerchi” E i presentimenti dei
santi non falliscono mai.
Poi si venne a parlare. Fu esposta l'idea di fondare un'opera
maschile gemella all'Istituto femminile. La Dedei ne è contenta e offre
all'uopo il suo podere di Leffe; ma si preferirebbe Soncino perché
Leffe non ha terreno sufficiente per lo sviluppo di un'azienda
agricola. Indi la Madre rivolge direttamente la parola al Capponi per
chiedergli se si sentisse disposto ad accettare l'incarico di iniziare così
bell'opera a Soncino. La risposta: esitante quasi imbrogliata, ma di un
timbro d'umiltà nettissimo, conferma ancor meglio la persuasione
della Madre. Infine: egli non sapeva che rispondere, con gli occhi
bassi con mezze parole quasi sgomento, riuscì a dire che non si
riteneva da tanto perché lui non disponeva di altro che di buona
volontà; nulla più. Si contentava del poco bene che poteva fare ai
giovani del suo paese... ma quanto ora gli si chiede è sopra le sue
possibilità... e quindi, crede in coscienza di non poter accettare.
È la risposta di tutte le anime umili - i veri saggi - diffidenti
sempre di sé; le cui deficienze Iddio si dà premura di colmare anche
con i miracoli.
“Sta bene - conchiude la Madre esultante per aver trovato la
rima ai propri sentimenti - sta bene. Non vogliamo che accettiate qui
su due piedi il nostro consiglio... sono certa però che vi atterrete alle
decisioni del nostro vescovo. “Il Capponi non si rifiutò alla proposta:
senza avvedersene, però, egli ha già accettato quanto il vescovo
deciderà. Mons. Speranza si trovava a Gavarno per un po’ di riposo.
Si stabilì il giorno in cui di nuovo si sarebbero trovati tutti colà per
presentarsi a lui.
Nel congedarsi si scambiarono molte raccomandazioni di
pregare intensamente a conoscere la volontà del Cielo.
Nei brevi giorni intercorsi tra questo primo incontro e il
convegno di Garvano Suor Paola non perde neppure un minuto di
tempo. Per ordine di Mons. Valsecchi si lega al suo tavolo ed elabora
uno schema di regolamento, o avviamento, da darsi all'Istituto
maschile; e lo intesta: “Memorie riguardanti l'Istituto dei Figli di S.
Giuseppe, se Dio nella sua grande misericordia permetterà che sia
fondato”.
Sono infatti schemi di leggi che debbono regolare i membri
dell'Istituto. La ispirata Madre ormai adusata a tal genere di lavoro
Biografie
202
opera omnia
nulla ha dimenticato; vi contempla persino i dettagli. Ecco l'indice dei
titoli: 1° Personale per l'avviamento. 2° Avanzamento, 3° Corpo
dell'Istituto. 4° Regole fondamentali dei Padri. 5° Dei Fratelli laici o
coadiutori. 6° Governo della Casa. 7° Degli orfani o “Figli di S.
Giuseppe”. 8° Lavoro ed impiego dei “Figli di S. Giuseppe”. 9°
Impieghi degli orfani quando saranno impediti di lavorare in
campagna. 10° Sorveglianza dei medesimi. 11° Vitto ed abito degli
orfani, ecc.
Questo “pro memoria”, si chiude così: “La divina Provvidenza,
che ha fatto nascere la Società delle suore della Sacra Famiglia per le
figlie della campagna e a vantaggio della classe contadina, andava
ispirando da qualche tempo una fondazione di sacerdoti e laici, uniti in
religiosa famiglia, che avessero il medesimo scopo e spirito delle
suore, dedicandosi esclusivamente a vantaggio delle genti di
campagna, e specialmente all'educazione dei figli dei poveri
contadini, con tanto maggior vantaggio in quanto che, per essere
uomini ed alcuni anche sacerdoti, potrebbero in più dare Missioni nei
villaggi, ascoltare le confessioni, istruire e dirigere oratori ed altre
opere di carità... si aspettava pertanto che questa stessa Provvidenza
che da imprevedute circostanze aveva fatto nascere le suore della S.
Famiglia, facesse conoscere le sue vie meravigliose prestando il
concorso ad una fondazione che per sua natura e per i tempi
sembrava impossibile. Ma il Signore a cui nulla è difficile e scherza
con i calcoli degli uomini segretamente preparava la strada”.
Questo “pro memoria” fu presentato al vescovo nell'udienza di
Gavarno a cui intervennero i quattro sopra annunziati, e Don
Vladimiro Carminati, rettore del seminario.
Il vescovo, che già conosce ideale e idee di Suor Paola Elisabetta
approva tutto, dà però il consiglio di prudenza, appunto per non
compromettere l'impresa, che sul principio quasi ad esperimento non
si prescrivesse nessun Regolamento: questo verrà in seguito suggerito
e confermato dalla pratica e dall'esperienza. Nessuna imposizione
quindi, ma una vita laboriosa e cui potrà aggiungersi per chi lo
richieda una vita più perfetta.
Poi il vescovo si rivolge a Giovanni Capponi. Anche questo
colloquio fra il dotto e santo Pastore ed il modesto e semplice laico
riesce interessante ed edificante: un vero duello tra lo zelo e l'umiltà
di due anime che su diverse vie tendono alla stessa meta: servire
amare glorificare l'unico Padrone.
- Per quanto bene facciate nel vostro paese - diceva il vescovo io vi assicuro che quello che intraprenderete sarà di maggior gloria di
Biografie
203
opera omnia
Dio. - E così di seguito ribatte tutte le difficoltà i dubbi le esitazioni
del brav'uomo.
- Ma - soggiunge ingenuamente il Capponi - se quello che io
vorrei intraprendere non riuscisse a causa della mia incapacità...
resterei senza posto al mio paese, e senza appoggio di veruna sorta...
Il vescovo sorridendo lo rassicura che Iddio vi aiuterà; non
dubitate che resterete sempre in questo Istituto, al servizio di Dio e
del prossimo...
Il rappresentante di Dio ne è certo. E profetizza. Fondato su
tanto schietta umiltà l'avvenire di quell'anima gli è chiaro e lucido
come una visione. Siffatti materiali grezzi ma sinceri Iddio li utilizza
sempre per gettare le fondamenta di opere che sfideranno il tempo.
Dopo l’incontro di Gavarno ciascuno partì per varie direzioni a
sollecitare i preparativi per la fondazione.
Il Capponi al paese per disimpegnarsi dai suoi obblighi, a dare
aiuto alla contessa Dedei a ordinare la casa che accoglierà le orfanelle
di Suor Paola Elisabetta; questa ed il canonico Valsecchi all'azione per
veder di reclutare qualche altro soggetto da aggiungere al primo.
Si presenta un sacerdote che esibisce il proprio ministero per la
nuova opera; conduce seco un orfanello tredicenne ed un giovane di
ventisei anni suo parrocchiano buon calzolaio. Un terzo giovane
bergamasco, trentenne di civile condizione avanza la domanda di
essere ammesso nel nuovo Istituto. Il Cielo sembra soccorrere
insperatamente: si può dunque dare il via all'opera.
Da ultimo, sempre allo scopo, corsero pratiche con un altro
ottimo sacerdote bergamasco, Don Luigi Palazzolo, fondatore
anch’egli di un’opera analoga che s’intitola dal suo nome. Si pensò di
fondere le due famiglie in una, di cui il Palazzolo - restando a
Bergamo - sarà Superiore e Direttore Generale, e il Capponi maestro
di agraria e direttore locale.
La cosa è pienamente combinata. La Madre è radiosa di gioia.
“Spero - ella dice al Valsecchi - che anche Don Luigi (Palazzolo) sia
persuaso d'entrare in quest'opera... egli ne sarebbe il perno... Che S.
Giuseppe volga tutto secondo il beneplacito di Dio!...”.
Si fissò la data del 3 novembre 1863 per riunirsi tutti a
Comonte. Il dì seguente, festa di S. Carlo - onomastico dell'innocente
che diede motivo e mezzi all'opera - nella cappella della casa, Mons.
Valsecchi celebrò il S. Sacrificio e distribuì l'eucaristico Pane ai laici. E
parlò. Disse della bellezza, della preziosità dell'opera che nasceva, la
grande gloria che ne proverrà a Dio, e i benefici che ne coglieranno i
singoli: conchiuse con l'augurio: “Crescete e moltiplicate e riempite la
Biografie
204
opera omnia
terra”. Infine li benedì con la reliquia di S. Carlo Borromeo e li
accomiatò dichiarando che dovevan partire alla volta di Soncino, loro
prima dimora.
La Madre non è presente all'atto ufficiale di nascita. Ella ha
preceduti tutti a Soncino “per evitare la profonda commozione che le
avrebbe cagionato la tenera cerimonia” - dice lei - ma in verità per far
sacrificio a Dio della sua incontenibile gioia nel vedere ormai
realizzata l'opera del suo cuore.
Immaginiamo con quale materna effusione ella accolse nel
convento di S. Maria i nuovi Padri e Fratelli della S. Famiglia e il
primo “Figlio di S. Giuseppe”. Li rifocillò di cibo e col riposo, indi li
condusse ella stessa al luogo preparato: Villa Campagna.
L'insediò nella casa, distribuì gli uffici: Fratel Capponi la
dirigerà; l'altro pratico d'agricoltura è preposto ai lavori di campagna;
il terzo di civile condizione curerà l'economia della casa ed istruirà gli
orfanelli.
Consegnò ad essi quanto fosse necessario di mezzi per
cominciare e proseguire nel santo lavoro; infine, con le più calde
parole, con le migliori benedizioni del cuore si accomiatò per
rientrare in Soncino.
Nel suo “pro Memoria” ha annotato a modo di conclusione:
“Tre soli Fratelli secolari ed un figliuolo (orfanello) presieduti da un
sacerdote, saranno il seme del nuovo Istituto... Tutte le opere di Dio
incominciano dal poco e vanno mano mano crescendo come il grano
di senape del Vangelo. Così la grazia del Signore cresca e moltiplichi
questo piccolo seme!...
A tali sussulti di gaudio, però, fan presto doloroso contrapposto
i dubbi le ansie la tentazione che la prendono di nuovo e le torturano
lo spirito. È spaventata al pensiero dell'estrema povertà verso cui
s'incammina: l'impianto dell'opera maschile le ha assorbito l'ultima
proprietà del suo patrimonio. Non sarà questa vigilia del
fallimento?...
E poi: vivere trattare confondersi con gente siffatta tutti poveri
rozzi ignoranti incapaci di innalzarsi alle sue idealità, di comprendere
l'altezza delle sue intenzioni... Avranno dunque ragione i parenti gli
amici che l'hanno abbandonata a se stessa reputandola un'esaltata,
una visionaria?...
No. D'un sol colpo di fede di sconfinata fiducia in Chi la ispirò e
l'ha sorretta sin qui, ella dissipa, come il vento le nubi, la tentazione e
prosegue animosa il santo lavoro... “in gloriam et in laudem Dei!
Biografie
205
opera omnia
”
Biografie
206
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CAPITOLO
XXIV
Pedagogia agraria
Don Luigi Palazzolo ha menato seco da Bergamo due ragazzi:
uno di dieci l'altro di quindici anni. È però sua intenzione che essi per nulla orfani - non attendano ai lavori campagna; ma studino per
avviarsi al sacerdozio, mostrando inclinazione a tale stato. Si delinea
presto la differenza di finalità. La Madre Cerioli è e vuol rimanere
fondatrice d'un orfanotrofio per fanciulli rurali, il Palazzolo - buon
servo di Dio anch'egli - fondatore di un'opera generica di educazione
per la gioventù.
Di conseguenza, venuti l'una e l'altro ad una leale precisa
intesa, convennero che i loro programmi divergano in un punto
essenziale.
Con perfetta pace quindi ed in caritatevole amistà, come si
conviene a buoni servitori d'uno stesso Padrone, si separarono. E il
Palazzolo se ne tornò a Bergamo conducendo seco i suoi due ragazzi.
Le secessioni, sempre deprimenti, sono a volte addirittura
contagiose.
Tredici giorni dopo tutti gli altri si ritirano, eccettuato un certo
Armati, unico collaboratore di Fratel Capponi. Perché tutti avevano
frainteso anch'essi il pensiero della Fondatrice. Anziché attendere ai
lavori campestri e sorvegliare gli operai che si assumevano a giornata
se ne stavano ritirati nelle loro stanzette, intenti ad altre buone
occupazioni, non certo proficue al miglior andamento della piccola
famiglia.
Tali fatti dolorosi verificatisi sul bel principio dell'opera
dovevano certamente affliggere la buona Madre e tenerla in angustia,
sia per la sorte del caro Istituto appena nato, sia per la pena che
avrebbero arrecato ai superiori i quali, pel precipitare delle cose non
Biografie 207 opera omnia
erano stati tempestivamente avvertiti dell'accaduto. “Che penseranno
di questa separazione? - chiedeva la Madre alla sua fida Suor Luigia io non so che dire - aggiungeva, ma preferisco veder annientato tutto
anziché male avviata l'opera”. E scrive al canonico in data 13
novembre 1863: “Da Don Luigi (Palazzolo) avrà inteso l'incaglio
succeduto nell'avviamento della nuova casa; il motivo ne è stato
l'arrivo di un nuovo fratello e d'un ragazzo condotto da lui, entrambi
contrari allo scopo della nostra istituzione. È vero che io stimolata da
Don Luigi acconsentii che prendesse un altro soggetto ed anche
qualche orfano, ma però contro voglia, poiché lei sa quanto io sia
contraria ad accrescere per ora il numero della nuova famiglia,
volendo prima vederne la riuscita, come mi disse anche Mons.
vescovo. Credevo però che il nuovo soggetto fosse ortolano e bravo
agricoltore, per questo mi lasciai convincere; invece solo a vederlo
conobbi che era tutt'altro; così il giovinetto è figlio unico ed ha viventi
entrambi i genitori; è piccino, per qualche anno conviene quindi
mantenerlo senza cavarne frutto a danno di tanti poveri orfani che
qui in paese sono in pericolo e muoiono di fame. Non so dire quanto
ciò mi rammaricasse, vedendo sin da principio che indeboliva la base
del nostro edificio, senza dire il danno che recano alla casa i primi
venuti i quali, toltone il Giovanni, non si sono impegnati nell'arte
agraria come era loro dovere. Per questo motivo ho creduto bene
chiamarli e rimproverare ad essi la loro negligenza e spiegar i loro
doveri e il fine pel quale furono qui condotti. Che impressione può
fare al paese un'accolta di uomini così inoperosi? E quale
soddisfazione ne avrebbe lo stesso signor canonico che essendosi
tanto interessato, non avrebbe speranza d'ottenere lo scopo prefisso?
Il Rev. Don Luigi non si trova qui, non può quindi vedere le cose nel
loro vero aspetto, né calcolare la spesa che importa l'aumento di
soggetti non abili allo scopo ideato, tanto più poi sugl'inizi. Il Rev.
Don Luigi è un santo sacerdote e pensa da santo, ma io credo che
altro voglia il Signore da lui ed altro da me, perché seguendo la sua
idea sento che mi distacco e vado contro a quanto il Signore m'ispira
di fare; e sarei disposta ad abbandonare tutto che proseguire in tal
maniera.
“Ecco, Rev. Signor canonico, il resoconto di tutto, e prego Lei in
cui ho tutta fiducia perché, conoscendomi da tanto tempo, voglia
sostenermi coi suoi consigli, e liberarmi dai lacci che m'impediscono
il proseguimento dell'opera intrapresa secondo le mie idee. Lei solo è
chiamato da Dio e da S. Giuseppe ad aiutarmi a proseguire in questo,
e non stia a raffreddarmisi per l'accaduto”.
Biografie
208
opera omnia
“Il solo Giovanni e l'Armati che furono si può dire i primi
prodigiosamente chiamati, sosterranno - non ne dubito - l'edificio, e
lei con lo spirito che Iddio le infonde ne sarà l'anima, come fu con
noi... Perdoni tanti disturbi e raccomandandomi alle sue orazioni,
specialmente in questo momento, mi segno. Di Lei Rev. canonico Umilissima serva - Suor Paola Elisabetta Cerioli”.
Una seconda lettera più o meno d'ugual contenuto partì per il
vescovo.
Le due risposte non tardarono a giungere. Quella del canonico
quale la prevedeva. Questi, già informato della cosa, - e a viva voce, dal Palazzolo, per il naturale fenomeno d'esser prevenuto, diede
ragione a chi primo depose. Si allarmò si rammaricò e scrisse a Suor
Paola mostrandosi non poco dispiacente dell'accaduto, e non
risparmiandole un rimprovero per non aver essa proceduto con la
calma e la prudenza necessaria.
Suor Paola è profondamente addolorata d'essere stata cagione
involontaria di tale rammarico al buon canonico; però, ferma nel suo
divisamento, è certa che passato il lieve turbamento, egli tornerà a lei
padre e sostegno come sempre meglio che pel passato. Ciò che
accadrà infatti e presto.
Per buon compenso, dietro la lettera del Valsecchi giunge la
risposta del vescovo, di ben altro tono, segno evidente che Suor Paola
Elisabetta non è sola a sostenere il suo punto di vista, ma ha con sé e
per sé l'autorità la saggezza del suo Pastore.
Bergamo 5 dicembre 1863. Carissima in Gesù Cristo S. N. ,
Ringraziate Iddio che sul bel principio ha cominciato a dimostrarvi
che vuol pensare lui a provveder bene per la nuova istituzione che
voi avete incominciato. L'aver fatto subito sorgere tanto che servisse a
purificare la scelta dei soggetti è grazia che dimostra la Sua divina
Volontà; ed è benedizione e favore distinto; tanto più se anche quelli
che si sono ritirati tosto hanno ben capito e fatto il loro passo con
armonia; e tanto più se quelli che restano sono di lena e si sostengono
bene nello spirito. Questi pertanto facciano alla meglio che san fare, e
si ricordino che il loro è un buon esperimento, il quale giova in tutte
le maniere; e strada facendo vedranno meglio quello che Iddio vuole
per loro e per voi altre. E voi altre dovete consacrarvi bene al Signore
e al suo servizio con tonalità d'offerta e di sacrificio, senza riserva
alcuna per voi stesse abbandonarvi interamente alla cura ed amor
suo. E non avete a temere, perché Dio non manca e non abbandona
mai nessuno. Adesso offritevi per mezzo della Beatissima Vergine
Immacolata, che avrà così piacere di darvi al suo Figliuolo. Voi
Biografie
209
opera omnia
particolarmente tirate avanti con la testa nel sacco. Saluto tutti e vi
benedico per quanto posso. Aff. mo Pier Luigi Speranza - vescovo.
La seconda lettera di Mons. Speranza, del 17 dicembre, che ne
suppone altra esplicativa di Suor Paola Elisabetta, è ancora più chiara
e meglio sedativa. “Carissima in G. C. Nostro Signore. Stia Quieta.
Quando ha fatto quello che credeva bene e di puro suo dovere
dinanzi a Dio per massima stia sempre quieta. Nel particolare di
quello che mi ha scritto, mi pare che abbia ordinato bene; e credo che
gioverà specialmente sul principio; perché non bisogna che
s'illudano, né che credano di esser chiamati agli ozi della
contemplazione; ma a lavorare, a sacrificarsi pel dovere e stentare e
tribolare. Non si santifica l'anima a mettersi a guardare il Signore
quanto è bello; ma a spogliarsi e morire con la divina grazia a tutto e
a se medesimi, a praticare la virtù e con fatica d'anima e di corpo e
con sudore e stento. Allora la creatura nostra vecchia si strugge e si
forma la nuova secondo il cuore del Signore, cui sia gloria ed onore
per sempre. Preghi e faccia pregare e confidi che non mancherà
l'assistenza di Dio. Aff. mo Pier Luigi Speranza - vescovo”.
A leggere tali parole Suor Paola Elisabetta respira e continua
animosa per la sua strada risoluta più che mai col suo programma.
Mons. Valsecchi, saputo il pensiero del vescovo, cominciò a
comprender meglio la Fondatrice e l'immobilità delle sue idee, e tutto
si concluse col fatto che lui stesso dietro incarico del vescovo e
designazione di Suor Paola si accollò l'ufficio di superiore dell'Istituto
maschile, ufficio che riterrà per ben quindici anni sino alla morte che
fu nel 1879.
Frattanto il Cielo in segno di compiacimento provvedeva con
sollecitudine a riempire i vuoti lasciati dai seceduti. Nuovi e buoni
soggetti si presentarono e perseverarono sotto la guida ottima di
Fratel Capponi, il quale unico aveva compreso subito e a pieno lo
spirito dell'opera e si studiava con fedeltà a realizzarlo. Tutta la
fiducia della Madre era riposta in lui; e ne era ben degno per la
scrupolosa diligenza con cui ne seguiva direttive e ordini dipendendo
assolutamente da lei e dal canonico superiore per la parte spirituale
morale e tecnica.
È facile immaginare come la Fondatrice si sentisse incoraggiata
a continuare, nonostante la incertezza e le prove degl'inizi; e
vedendosi così benedetta da Dio a sua volta benediceva
incessantemente la divina bontà per aver realizzato i suoi voti
secondo lo spirito e le direttive ispirate da Lui.
Biografie
210
opera omnia
In questo momento di respiro e di quiete ella può ben dedicarsi
allo sviluppo delle due famiglie, curandone come sempre
l'incremento spirituale materiale e tecnico.
Il lettore avrà rilevato come la Madre Cerioli, subito dopo i suoi
altissimi fini soprannaturali, non abbia altro pensiero che più la
preoccupi quanto la vita l'arte agraria, che in lei prende forma di
passione rettamente fomentata quale mezzo all'ultimo fine.
E si consacrava ad esso con entusiasmo concedendole al
possibile - dal tetto in giù - preferenze e preoccupazioni, provvidenze
e scritti.
L'agraria d'un buon secolo indietro non può essere neppure
avvicinata a quella odierna. Assurta all'onore di scienza, costituisce
oggi una delle branche di specializzazione dell'economia sociale; ed
ha tale importanza da contare a proprio titolo: scuole, istituti
internazionali, stazioni sperimentali, università, cattedre e persino
177
nell'amministrazione degli Stati un dicastero suo proprio .
Allora era ben altro. Di fatto se intorno alla Cerioli si
suscitarono meraviglie e diffidenze per la nuova istituzione, ciò si
dovette in gran parte alla mentalità del tempo che riteneva l'arte
agricola come un'arte secondaria, e l'agricoltore quasi una sottospecie
umana, la cui abilità sta tutta nel voltare e rivoltare le zolle senza
nulla capire delle arcane forze della terra che razionalmente coltivata
infallibilmente rende migliorati e moltiplicati beni. Il contadino poi
era schivato quando non era disprezzato. Certo le mani callose i gesti
pesanti i modi ordinari l'ingenua timidezza delle genti campagnole
non attraggono; ma un occhio cristiano che le guardi, come li
guardava la Madre Cerioli, squarciando i cenci e superando il lezzo
della miseria, sa vedere quanto bene quanto merito - e spesso quanta
intelligenza - si nascondono in quelle povere creature verso cui la
società ha tanti debiti e che è pur tanto restia a riconoscere e saldare.
La nostra Madre oltre essere un'anima di forti elevazioni
spirituali, conosceva l'ingiusto e dannoso fenomeno sociale; nel suo
nobile animo lo deplorò, non con sterili querele, ma con operosa e
fattiva reazione. Con accorata tristezza vedeva lo stato di abbandono
e quasi di disprezzo, in cui era lasciata la classe rurale e la stessa
agricoltura. La terra, sfruttata, esausta da una millenaria lavorazione
senza che mai le si renda ciò che le si strappa, riesce appena a
177
In alcuni seminari d'Italia oggi s'impartiscono lezioni di agraria, per impreziosire
l'erudizione dei giovani sacerdoti destinati alle parrocchie, onde possano
consigliare e guidare i loro parrocchiani.
Biografie
211
opera omnia
produrre il necessario per sfamare le povere famiglie degli
agricoltori, che sognando migliori fortune disertano in massa le
campagne e la patria per emigrare all'estero o rifugiarsi nelle città,
ove, anziché trovare fortuna, incontrano la miseria la fame più nera e
finiscono col perdere ogni bene la vigoria del corpo la salute morale e
spirituale.
Un secolo fa la Madre Cerioli fece scrisse insegnò quello che
nessuno avrebbe osato, perché nessuno avrebbe il coraggio di tessere
idilliaci elogi della vita campestre come ella li scrisse portando ad un
grado di aristocrazia spirituale che si consacra alla vita di lieta e
serena operosità nei campi.
Ella pur vivendo tra gli agi dal suo nobile castello, come nella
silente pace del convento, ha gettato sguardi presaghi nel futuro ed
ha percorso i tempi con i suoi salutari precetti per una più intensa e
razionale cultura della terra.
Sfogliando la sua corrispondenza i suoi libri di direzione,
specialmente il direttorio, sempre le sue parole son pervase da un
senso quasi di culto per la campagna: prima ed immensa fonte di
ricchezze concessa dalla munificenza divina all'uomo. E di questo
culto ella ne ha fatto scuola insegnamento autentica pedagogia
agraria.
Sembrerebbe superfluo - e non lo è - ripetere qui l'insistenza di
lei nell'inculcare suggerire imporre alle sue religiose le più perfette
norme di agraria allora conosciute, per la migliore riuscita ed un più
ricco rendimento del lavoro per le orfanelle.
Tanto modesta e schiva di clamori e di esibizioni, - ci dice Suor
Luigia Corti - eppure “desiderava assai di avere qualche religiosa di
mente vasta e che avesse inclinazione all'agricoltura. Diceva che
queste riescono di grande utilità all'Istituto, essendo che da esse ne
potrebbe cavare gran frutto dalle terre, da tutte le case nostre
coltivate. Se vedeva qualche religiosa aver poca inclinazione per l'arte
agraria la chiamava spesso, la correggeva e cercava in tutti i modi di
178
fargliela amare . Parlava tanto volentieri di agricoltura e quando
trovava persone che fossero perite in quest'arte ed avessero
cognizioni e talenti, o fatto studi intorno a ciò procurava d'istruirsi
bene e poi lo notava nel suo quaderno di appunti. Quando
cominciava ad internarsi nelle bellezze della natura s'infervorava
179
tutta che sembrava avesse sempre studiato tali cose” .
178
179
Proc. Ap. Vita. pag. 394, p. 5.
Proc. Ap. Summ. Vita, pag. 798, paragr. 178.
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212
opera omnia
Nel suo “Direttorio” ella dedica due capitoli, il IV intorno alla
suora direttrice generale d'agraria, e il XI per la direttrice locale della
stessa specialità, a cui assegna il primo posto dopo la superiora. “La
direttrice generale deve possedere un amore speciale per
l'agricoltura, dev'esser di talento e intraprendente, di mente sveglia
ed attiva, di carattere franco e superiore ad ogni umano rispetto,
peritissima dell'arte agraria in modo che sappia far eseguire a tempo
e luogo i lavori dei campi, come si pratica dai più esperti agricoltori.
Ad essa dovranno ricorrere - quando è necessario - per istruzione e
consiglio, le superiore e direttrici d'agraria locale, per le cose che si
riferiscono a questa materia. Nella casa ove risiede è suo compito
istruire le Figlie di S. Giuseppe nei lavori pratici di campagna, dare
cognizioni di teoria, perché conoscano le qualità delle terre,
l'influenza dei climi e degli elementi sulla vegetazione, i vantaggi
generali e particolari che apporta l'agricoltura alla ricchezza, al
commercio, al bene morale e fisico degli uomini. È pure suo dovere
tener registrate tutte le cose che riguardano l'agricoltura, le qualità e
quantità delle terre coltivate tanto nella casa ove risiede quanto nelle
filiali. Tenga nota dei prodotti e delle spese per le migliorie e gli
attrezzi necessari al buon andamento e progresso dei lavori.
Farà osservare esattamente le regole per il tempo del lavoro dei
180
campi, per la custodia degli animali da lavoro e da allevamento” .
Affini all'agricoltura sono gli uffici di orticultrice, floricultrice e
di governatrice di animali.
La flora, la fauna, la botanica, la zoologia, - specialmente
l'apicoltura ed il prezioso ma delicato lavoro intorno ai bachi da seta riempiono intere pagine del suo “Direttorio” per impartire
suggerimenti consigli e norme quali oggi si leggono nei migliori
trattati scientifici o manuali pratici di tali specialità.
E pensare che tali cose escono dalla stessa mente che spazia nei
cieli dell'orazione che discorre magistralmente di perfezione e virtù
che è tutta invasa di Dio.
Senza sforzo senza difficoltà discende dalle sue contemplazioni
e lascia il buon Dio per confondersi tra le sue care orfanelle, e
togliendo in mano un fiore un frutto un qualsiasi prodotto od
elemento agricolo, mentre lo analizza e lo esamina ne tesse la più
semplice e razionale dissertazione, ne fa il più pratico e proficuo
studio perché con discreta abilità ella vuol insegnare alle sue creature
la perfezione e la precisione del loro lavoro che deve essere non solo
180
Dirett. Parte II. Cap. V, pag. 88 e Cap. XI, pag. 128.
Biografie
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opera omnia
di zappa e vanga, ma pure arte e studio precedenti dall'intelligenza e
dal cuore. Mille e mille volte scendeva a trovar le sue care Figlie
sparse per i campi al lavoro, e portava loro merenda; sedutasi
anch'essa all'ombra d'un albero distribuiva il cibo, poi cominciava
calma e serena a narrare la storia edificante degli antichi patriarchi
cui inseriva bellamente una lezione di agraria. Dopo ciò le rimandava
al lavoro tutte liete per aver appreso da lei ad amare di più la loro
181
condizione .
La sua competenza agraria ammirabile e invidiabile la ripete è
vero dalla prima educazione familiare, per avita tradizione doviziosa
cultrice di campi, ma soprattutto dal suo appassionato amore per la
terra “che è - come ella commenta - la prima madre la più fedele
amica l'unica nutrice dell'uomo. La terra, sorgente della prima
ricchezza nostra, e che, oltre ad alimentarci ci ingagliardisce ci
conserva; essa sarà l'ultima buona ospite che accoglierà nel suo seno
l'opera delle mani di Dio, plasmata dell'argilla dell'Eden, vivificata
dal germe dell'immortalità per ridonarla nell'ultimo giorno alla
182
incorruttibile resurrezione eterna!” .
La saggia Istitutrice nel suo grande amore per le Figlie e per la
loro condizione divinando e prevedendo il progresso dei tempi - che
non lasceranno cadere gli allarmi e i moniti dati con tante opere - ha
concesso ai suoi eredi somma libertà e pieno consenso di abbracciare
tutti i perfezionamenti tecnici chimici meccanici, che apriranno
orizzonti nuovi all'agricoltura e la porteranno ai fastigi di una
scienza.
Progressi e migliorie che se fossero stati da lei conosciuti,
sarebbero stati con immenso entusiasmo abbracciati a rendere più
ricco e proficuo il suo santissimo apostolato.
Ma quanto non vide nell'esilio oggi lo contempla - e può
compiacersene - dall'altissima sede della beatitudine. I Figli e le
Figlie, fedeli al suo comandamento, hanno portato oltre i desideri la
perfezione di un'arte che glorifica Iddio e letifica il cuore dell'uomo.
Dal Cielo ella vede i beni feraci copiosi che si colgono dal suo
apostolato e dal suo magistero.
Uscendo dalla cara terra bergamasca e volgendo i passi verso
varie regioni d'Italia a piantarvi i loro eleganti giardini, pervenuti
sino a Roma, la Città sacra e santa, i Fratelli della S. Famiglia hanno
ricevuto in consegna una porzione di terra che è privilegiata
181
182
Proc. Ap. Summ. Vita, pag. 394 - par. 6.
Direttorio. Parte III. Cap. III, pag. 152.
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proprietà del Vicario di Cristo. Essi hanno l'onore di coltivarla,
irrigarla col loro sudore e cogliervi i frutti di letizia: quei frutti
veramente benedetti che hanno il privilegio di adornare la mensa di
chi tiene sulla terra le veci del divino Pastore del celeste Agricoltore
di anime.
Il sussulto di compiacenza della grande Madre dev'essere
inenarrabile.
La sua splendente umiltà le farà dire: “Non nobis, Domine!. . non
a me la gloria, perché io ho soltanto piantato... Voi, o Signore, Voi
183
avete benedetto tutto!” Ma può ripetere altresì in piena ragione
mostrando con giusta compiacenza le sue creature: “Ecco i miei figli
odorosi quasi campo fiorito, cui Iddio ha sorriso con le benedizioni
del cielo e la feracità della terra nell'abbondanza del frumento e del
184
vino”
183
184
Salmo 113.
Gen. 27-22. 31.
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CAPITOLO
XXV
Orando ed arando nel campo di Dio
Se si considera le densità del lavoro prodotto da Suor Paola
Elisabetta solo in un decennio (1856 - 1865), tutto il tempo concessole
per fondare stabilire propagare i due Istituti della S. Famiglia; tenuto
conto dei suoi non lunghi ma ripetuti viaggi; racchiusi sempre nel
bergamasco, della copiosa corrispondenza, degli scritti spirituali e
pedagogici, si trova che tutto questo lavoro è prodigioso per quantità
eccellente per qualità.
Restringere e dettagliare tale attività, senza l'aiuto di diari o
memorie che almeno cronologicamente le coordinino, è cosa difficile
se non impossibile.
Comunque, rifacendoci sempre alle preziose note della Madre
Corti, ci studieremo di cogliere la nostra protagonista nei momenti
più luminosi della sua raccolta spiritualità della sua operosità
mirabile, che in quest'ultimo scorcio di vita danno luci più vive e
calde d'intimo raccoglimento, d'inestimabili dovizie interiori.
Non va dimenticato che se ella attende con un impegno che non
si uguaglia alle migliori provvidenze per il bene altrui non trascura se
stessa. E meglio non lascia in disparte il divino Ospite che con tanta
compiacenza ha fissato la propria dimora nell'anima sua, dì e notte
vigilante a tener fornita la lampada dell'olio di carità, tutta ardente
nella trepida attesa della mezzanotte quando verrà lo Sposo a
chiamarla.
Il suo programma di vita immutato è quanto mai semplice:
senza complicazioni d'intricate cose che leghino ad interessi affari
amicizie dissipanti ove non si coordinino al supremo fine: pregare e
lavorare.
Biografie
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opera omnia
E poiché conosce l'arte di pregare, ed ha un lavoro ben definito
e circoscritto il suo programma di vita si riduce a due azioni
essenziali: orare ed arare nel campo assegnatole da Dio.
La sua orazione ognora perfetta ed intensa, la tiene
abitualmente congiunta a Dio, solo cibo e respiro dell'anima sua
intenta ad abbellirsi di virtù. Il suo arare nel mistico campo è
affondare nel profondo degli spiriti i principi basilari della perfezione
religiosa; gettar sempre nuove sementi di bene e benessere che
fruttificheranno nelle stagioni venienti, quando tornata al celeste
Padrone, altri verranno a mietere nell’esultazione le messi seminate
nel travaglio dello spirito.
Primo canone di personale direzione è perfezionarsi; lavoro per
i santi mai esauribile.
Allo scopo s'è provvista da tempo d'un buon mezzo per tener
presente del continuo il dovere di disciplinarsi correggersi dei propri
difetti. Ha dato esplicito incarico alla fedele Suor Luigia di avvertirla
sempre d'ogni manchevolezza senza riguardi o rispetti alla dignità e
autorità di Madre Fondatrice.
“In questi ultimi anni - dice con tanto candore la buona
correttrice d'ufficio - mi trovavo in un bell'imbarazzo. Ella era tanto
delicata di coscienza, tanto attenta e premurosa di avanzarsi nella
perfezione, che notava le cose più minute; io non sapevo più che
maniera adoperare per liberarmi dal dovere d'avvisarla dei suoi
difetti. E siccome non arrivavo a conoscerli per essere impercettibili,
cercavo di starmene lontana da lei più che potevo. Quando mi diceva
che era caduta in questo o quel difetto, e perciò era più addolorata, io
non sapevo che rispondere, perché quei difetti mi sembravano
piuttosto virtù; e dopo d'essermi in qualche modo sbrigata, io restavo
più inquieta e confusa di lei, e mi dicevo: - Poveretta me! se questo è
difetto, quali saranno le virtù?
“La sua vita - prosegue Suor Luigia - era sempre una continua
annegazione di se stessa, un distacco pieno anche dalle più piccole
cose. Io l'ho tutte in mente ed impresse nell'anima le sue grandi virtù,
e la stimo una delle anime più sante che ha poche pari; e non sono
sola io a dir così, ma così mi dissero persone delle più dotte e sante
che ebbero la sorte di avvicinarla. Ma le virtù di quest'anima erano
nascoste e del tutto semplici, cioè della semplicità di Gesù Cristo, non
luminose all'esterno non singolari e peregrine, non scomposte, non
affrettate con esterna violenza, ma tutte assai naturali, senza strepito,
senza pompa, senza dar segno né con parole, né con volto mesto della
menoma violenza, come se ella tutto operasse seguendo la stessa
Biografie
218
opera omnia
natura; e perciò che io nello stendere queste memorie mi trovo
sempre in imbarazzo, temendo che per essere io incapace a discernere
una virtù così fine e di darle il pregio che merita, ne soffra la stima
185
dovuta a colei che la praticò” Come si vede, Suor Paola Elisabetta,
da buona e intelligente alunna di S. Francesco di Sales, aveva come
lui la predilezione per le virtù semplici.
“Io amo le virtù reputate umili e piccole - dice il santo Dottore che nate ai piedi della Croce non hanno di che attrarre l'occhio della
gente. Tali sono l'umiltà la dolcezza, il sopportare i difetti del
prossimo l'amorevolezza e accondiscendenza al volere altrui la
semplicità la modestia. Queste virtù sono le più odorose ed asperse
del sangue di Cristo mortificano e santificano il cuore nostro più che i
cilizi le discipline e le altre mortificazioni esteriori che fan sembrare
santi chi le pratica. Siate sempre piccola, e rimpicciolitevi ogni dì più
agli occhi vostri. Oh Dio! che bella grandezza è mai questa
piccolezza!” Ornamento e profumo particolare - diremmo personale di tutte le virtù di Suor Paola Elisabetta è precisamente la più
disinvolta semplicità, fiore vaghissimo che sboccia spontaneamente
in un'anima davvero amante di Dio: la semplicità che al dir del P.
Segneri è quella purità di pensieri parole ed opere ed è candore di
anima che va diritta alla verità al dovere a Dio.
In lei la semplicità trasparisce nel tratto gentile ma senza
cerimonie; nella sobrietà del parlare che in poche parole condensa
molti sensi; quando con una speciale sortita non condisce i suoi
discorsi. Ha dintorno a sé qualche religiosa che arieggia a cultrice di
grande perfezione, ed ella tra il faceto e il serio, la richiama così: “Ah
già: voi o santa o nulla! A voi piace il più perfetto. Guai! Voi siete
chiamata per salire all'apice della perfezione; ma badate di non
intontirvi, perché cadendo da così grande altezza vi rompereste il
capo!... Noi al contrario ci accontentiamo di andar piano piano
zoppicando così alla buona!”.
In tal guisa condite di amabilità e saggezza le fioriscono sul
labbro mille sentenze che la rendono a tutti molto cara e ricercata.
Ed ecco come trascorrono le sue giornate: “Da mattina a sera
sempre occupata. Cominciava la sua giornata con adempiere i doveri
verso Dio. Si levava alla sveglia di comunità. Vestendosi aveva
grande modestia e appena vestita s'inginocchiava ad offrire tutta se
stessa in sacrificio a Dio; e vi stava per circa mezzo quarto d'ora
immobile e come assorta in Dio. Indi componeva la sua stanza ed il
185
Proc. Ap. Summ. Vita, pag. 903. 904... paragr. 470.
Biografie
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opera omnia
suo letticciuolo che era in tutto simile a quella che da tutte noi si
costuma... Fatto ciò che spettava alla pulizia, al suono della
campanella si recava in chiesa con grande sveltezza, con volto
raccolto e indicante il desiderio di andare al suo Bene. Indi
cominciava l'orazione di comunità che dura colla S. Messa un'ora e
mezza. Dopo sortiva con le altre per la colazione che era per lei un
fastidio non avendo mai appetito. Contava i bocconi che compongono
un panetto, e in ricreazione diceami ridendo: - Quando faccio
colazione conto i bocconi che d'ordinario sono venti. Ti dico che è
proprio un fastidio finirli tutti; ma mi sforzo perché non voglio fare la
singolare. Guai! noi donne per scimmiottare siam fatte apposta. Dipoi
ella ritornava in chiesa a terminare le sue orazioni particolari,
fintantoché si dava il segno di riunirci tutte per ricevere gli ordini.
Così, accomodata ciascuna di noi al suo posto, ella restava sola e
subito si metteva a disimpegnare i suoi doveri: rispondere alle lettere,
accomodare gli affari di casa... ascoltare le monache, e se le avanzava
qualche ritaglio di tempo lo impiegava nello scrivere (ciò che ora
abbiamo tanto caro di leggere) cioè il compendio quale sia lo spirito
nostro e come dobbiamo acquistarlo. Indi veniva con noi alla visita
che si fa in chiesa avanti il pranzo, e poi dopo aver pranzato
interveniva alla ricreazione, ed ella formava tutta la gioia della
comunità. Dipoi ancora la visita indi si ritirava nella sua stanza ove
restava per tre quarti d'ora seduta al tavolo, leggendo o manoscritti o
vite dei santi, oppure a volte la trovavo che lavorava come in atto di
riflessione. L'estate, in questa ora, soltanto quando si sentiva
indisposta si lasciava cadere per un quarticello sul suo letticciuolo,
ma vestita con l'abito così pesante, che si può immaginare come
prendesse riposo, essendo così caldo e tanto che non voleva mai che
le si chiudessero le finestre, e così tra il caldo e le mosche che aveva in
stanza, quello non si poteva dir riposo, ma fastidio. Per quanto noi la
pregassimo di spogliarsi e riposare non ci si poteva mai indurre. Si
capiva che si prendeva questo breve respiro, non per riposare, ma per
trattenersi con Dio, e come per riepilogare le forze pel restante del
giorno. Ed anche in questo riposo era raro che non venisse disturbata
da qualcuno; e quindi, appena in stanza, era chiamata per andare or
qua or là, ed ella senza affatto scomporsi, lasciava tutto per servire
altrui. All'ora della lettura, che si suona subito dopo questi tre quarti
di sosta, era pronta, e sempre la prima. Dopo la lettura si fermava un
poco a lavorare o a conferire con noi di cose riguardanti il buon
andamento della vita spirituale, sempre tirando motivo della lettura
fatta. Indi tutta sola se ne andava in chiesa per un'ora circa davanti al
Biografie
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opera omnia
SS. mo Sacramento. Faceva la Via Crucis, che non tralasciava mai, e
recitava le sue orazioni vocali; il rimanente lo passava lì come astratta
a guardare il tabernacolo, e senza accorgersene disgiungeva le mani e
le teneva aperte come in atto di ammirazione al riflesso del gran
Mistero. Tutto il volto le si infocava e sembrava che si satollasse della
divina bontà. Poi sortiva di chiesa tutta raccolta e festosa insieme, e
andava a fare una visita a tutte le officine e ai posti di lavoro; e a chi
insegnava, e chi consigliava, chi ammoniva; insomma ella arrivava
dappertutto.
“All'ora della meditazione della sera vi interveniva anche lei,
sempre. Solo quando ne era impedita la tralasciava, contenta però più
di fare la volontà santa di Dio che tutte le meditazioni. Interveniva
pure al S Rosario la sera, e non potendo recitare in comune, non
andava a riposo senza averlo prima recitato. Dopo cena interveniva
alla ricreazione di comunità. Tante volte si scorgeva che non poteva
più reggere in piedi, ed io la consigliavo a ritirarsi un po' prima: - No,
no - diceva - non conviene, farà presto a passare questo tempo - ed
era lei che intratteneva tutte le altre allegre. Dopo l'esercizio in
comune se ne andava a letto, a meno che non avesse ancora da
sbrigare la corrispondenza, cosa che spesso le succedeva; e spesso
dopo che tutte le suore erano andate a riposare ella perlustrava tutta
la casa, per vedere se tutto fosse a posto. Prima di coricarsi stava circa
un quarto d'ora pregando; infine con grande modestia si metteva a
letto. Io che alle volte dormivo nella stessa stanza notavo che stentava
a prender sonno, e intanto continuava a pregare con grande ardore.
Svegliandosi di notte, ciò che era di frequente, di nuovo pregava, e
chiedendole io al mattino, perché dormisse così poco, mi rispondeva:
- Faccio il primo sonno e poi mi sveglio, e se non procuro di scacciare
ogni pensiero, non posso più prender sonno. – Alle volte mi diceva: Se svegliandomi mi si affaccia il pensiero dei giudizi di Dio, temo di
addormentarmi per svegliarmi nell'eternità. - Questo timore si
vedeva che era per lei come un preavviso del genere di morte che le
era destinata. Di fatti fu così. Però non la prevedeva così vicina,
giacché ella non pensava di morire così presto. E forse il Signore le
risparmiò questa precoce rivelazione onde il timore stesso non
l'avesse fatta morire prima del tempo. E diceva la benedetta Madre di
non comprendere come si possa coricarsi la sera con l'anima gravata,
non dico già di colpe mortali, ma soltanto con lievi colpe di astii,
collere, puntigli... Suggeriva sempre alle Figlie di non andare a riposo
senza aver fatto la pace con gli altri... - perché se andiamo al tribunale
Biografie
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opera omnia
di Dio, come ci perdonerà le offese che abbiamo fatto a lui, se siamo
186
così duri con i nostri offensori?” .
Ella per suo conto stava in pace con tutti, e quando sapeva che
qualcuno avesse qualche astio o risentimento, anche ingiustificato,
verso di lei, cercava presto di rappacificarlo.
A questo proposito c'è da dire che ella ebbe non poco a lottare e
soffrire tanto all'interno della casa quanto all'esterno, con persone che
misero a prova la sua virtù ed affiorarono assai i suoi meriti. Nel
convento di Comonte mantenne come cappellano un certo D.
187
Antonio Tassis , vecchio e santo prete, che dai tempi del suo
defunto marito conveniva nella loro casa, e che ella, per deferenza al
nome, aveva trattenuto con le stesse mansioni allorché la casa si
trasformò in convento. Il buon prete che invecchiando faceva sentire
ognor più il peso dei suoi anni, era un uomo all'antica con idee molto
arretrate e devozioni tutte sue proprie. Quando si ritrovò col proprio
ufficio tramutato da cappellano aulico in cappellano di comunità, non
sapeva adattarsi al nuovo genere di vita, opposto alle sue abitudini
patriarcali, non solo; ma non poteva persuadersi che la decisione
presa dalla signora Padrona - che pur tanto stimava ed amava - fosse
il meglio per lei e per tutte quelle persone che si era tirate dentro casa.
Bisognerebbe ascoltare qui dalla penna della Madre Corti la serie
tragica ed amena delle proteste recriminazioni scontri e a volte anche
affronti che il sant'uomo indirizzava alla piissima dama e superiora
degnissima. L'ammoniva in pubblica predica dinanzi a tutti; criticava
il suo operato le sue beneficenze i suoi metodi le sue prescrizioni;
faceva mancare alla comunità la Messa, perché le sue abitudini non si
accomodavano con gli orari di quella. “E poi - borbottava - si può far
del bene senza tanta rivoluzione... avvezzare queste contadinelle
come tante signorine!” E vedeva sempre la ricca signora ridotta sur
un fienile per aver consumato casa e sostanze in pro di tanta gente... E
conchiudeva con due immutabili ed accorate sillabe: “Non va! non
va!”.
Il contegno di Suor Paola Elisabetta con questo venerando servo
di Dio fu edificante e virtuoso in modo eroico. Oltre sopportare le
stranezze del povero vecchio, doveva tener quiete le Figlie che
protestavano e avrebbero voluto liberare la casa di quel fastidioso
peso... Ella invece con tutta pazienza non s'indusse mai a questo, lo
186
187
Proc. Ap. Summ. Vita. 828. 829. 830. 831. pp. 256-267.
Secondo altri sarebbe Don Agnesis, prete oriundo di Spagna, e curato di Comonte
(Proc. Ap. Summ. pag. 280. paragr. 197).
Biografie
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opera omnia
sopportò oltre ogni limite: ora con un sorriso ora con una facezia,
spesso con una bella massima di virtù lo fece tollerare anche dalle sue
religiose ed infine ottenne la vittoria di vedere il vecchio prete
188
guadagnato tutto alla sua causa .
All'esterno però le tribolazioni erano più preoccupanti: persone
dotte e qualificate che avevan sempre da ridire sull'opera di lei
nonostante i suoi visibili vantaggi. Se non c'era nulla da appuntare
sul suo onore avevan tutto da dire della sua discrezione e prudenza.
Altri si premuravano di offrirle generosi e disinteressati consigli
suggerimenti per lei e per le suore, per le orfane. “Ella - ci dice la
Madre Corti - che era veramente umile e ben fondata nella virtù, non
altercava non si faceva stizzosa anzi stimava codesti avvertimenti
come buoni in generale, ma non atti per lei e pel suo scopo, quindi
con bei modi si scusava; di poi faceva né più né meno di prima,
perché ci diceva: - Noi ascoltiamo tutti, ma facciamo soltanto ciò che
dice Mons. vescovo e il molto reverendo canonico e tutto andrà
bene... Il Signore ha dato i suoi lumi a questi sul come deve esser
fondato il nostro Istituto; lasciamo dire tutti, e poi un giorno tutti
vedranno il buon esito dell'opera sotto la guida di codesti santi
189
uomini e ne daranno gloria a Dio” .
Un altro sacerdote venne un giorno a farle acerbi rimproveri
perché ella non intendeva trattenere nell'Istituto una sua penitente da
lui giudicata adatta a monacarsi: mentre la Madre opinava il
contrario. E giù un diluvio di arroganti ed irriverenti rimproveri.
Infine le chiese: “Ebbene non è ancora convinta del suo torto?” E la
Madre serena tranquilla risponde di esser ben convinta di meritare
tutti quei rimproveri; ma di una sola cosa non esser convinta quella di
dover ritenere la sua raccomandata.
La Madre Corti presente al colloquio, dopo si lamentò con la
Madre perché non avesse reagito a quel diluvio di rimproveri. Ella
amabilmente: “Sei proprio una pettegola se dai peso a tali inezie. Il
buon sacerdote è lodevole pel suo zelo e fa tutto a buon fine, ma non
190
conosce i nostri regolamenti. Se tu lo biasimi sei più cattiva!” .
“Su questo - conclude la Madre Corti - era rigida a ferma come
un marmo”.
188
189
190
Proc. Ap. Summ. Vita, pag. 851... 857. paragr. 327... 342. Il venerando sacerdote
morì nella casa di Comonte l'anno 1862, devotamente assistito da Suor Paola
Elisabetta e dalle sue religiose. Così con lui venne ad estinguersi il ramo della
famiglia Tassis.
Proc. Ap. Suppl. Summ. pag. 213.
Proc. Ap. Suppl. Summ. pag. 213.
Biografie
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opera omnia
In mezzo a tante edificanti cose cadono altri fatti che
interessano la nostra storia, e che qui li riprendiamo sin dall'anno
1862.
Mentre Suor Paola Elisabetta è tutta intenta al consolidamento
del suo Istituto e si preoccupa della prima fondazione del ramo
maschile, la contessa Dedei non ha deposto l'idea di voler condurre la
Fondatrice a Leffe suo paese nativo, per vedere se dalla sua casa si
potesse ricavare un bel convento di suore con relativo orfanotrofio.
Munita della debita licenza la Madre aderì all'invito, e nell'autunno
del 1862 partì alla volta di Leffe. Vi si recò in abito secolare per non
dare sull'occhio a quelli del paese, accompagnata da Mons. Valsecchi
e da una novizia. Appena giunta si portò alla casa offerta che si
trovava proprio nel cuore del paese, quindi sprovvista d'un po’ di
terreno indispensabile allo scopo essenziale; per tal motivo non si
poté concretare nulla. Però la Dedei presentò subito un'altra sua
proprietà, situata fuori dell'abitato meno comoda forse ma più atta
allo scopo, e per di più affiancata da una graziosa chiesetta, fornita di
tutti gli arredi sacri necessari. Ottima cosa per la Madre: prima della
casa per le Figlie, una modesta ma decorosa dimora per il suo
Signore. Soltanto per tale motivo ella si sentiva portata ad accettare
senza altre esigenze. Si fecero subito i passi per l'acquisto di tutta la
proprietà e in tre giorni appena, con la mediazione di ottime persone
del luogo, si conchiuse il contratto. Tutto passò in dominio delle
suore della S. Famiglia.
Peraltro dovettero trascorrere dei mesi prima che si effettuasse
la consegna della casa. La signora Dedei ansiosa d'essere ammessa tra
le Figlie di Suor Paola Elisabetta e aiutata dal buon Giovanni
Capponi, - che ancora si trovava colà - diede assetto a tutte le proprie
cose ed interessi in Leffe, e lasciati i suoi ordini partì sollecita ove
Iddio la chiamava. Il 18 novembre 1862, seguita da due orfanelle e
dalla domestica entrò nel noviziato di Comonte.
Le pratiche per la cessione dello stabile di Leffe non
terminarono che nell'estate del 1863. La Madre con due religiose ed
alcune orfanelle vi si portò nella festa dell'arcangelo S. Michele per
dar mano ai lavori di adattamento della casa e della chiesa. I paesani
entusiasti della nuova opera di cui essi avrebbero goduto diedero
aiuto disinteressato per sollecitarne i lavori.
La preoccupazione di provvedere una stabile assistenza
spirituale alla nuova casa fu superata dalla generosità del vescovo e
dai buoni uffici di Mons. Valsecchi.
Biografie
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opera omnia
Finalmente come a Dio piacque sugl'inizi del 1863 e proprio nel
dì dell'Epifania tutti ricevettero dal Bambino Gesù la lieta strenna: le
suore della S. Famiglia una bella e linda casa; i terrazzani di Leffe una
scuola e un asilo per le loro figliuole. Fu celebrata con grande gioia la
prima Messa di comunità fu intronizzato stabilmente l'augustissimo
Sacramento e si svolsero le prime funzioni di Regola nella bella
chiesina.
Il lunedì dopo la domenica dell'Epifania si aprì la scuola, con
quanta soddisfazione di tutti è più facile immaginarlo che
descriverlo.
La Madre costituì regolarmente la superiora della casa e se ne
ripartì lieta e tranquilla per Comonte.
Le lezioni procedevano in modo normale secondo i metodi
didattici molto semplici ma pratici che la Madre aveva esperimentati
efficaci per le sue scuole di Comonte e di Soncino. Tali metodi, si
capisce, non erano perfettamente aggiornati con i programmi
governativi del tempo, i quali, oltre il grave ingombro burocratico di
leggi circolari norme didattiche materie supplementari non
contenevano gran che di solido e proficuo per l'istruzione elementare
delle genti campagnole. La Madre invece d'idee e d'azione sempre
concreta, voleva dare e far dirigere a quelle umili menti
l'indispensabile ai loro bisogni domestici; perché sapeva che il
superfluo congestiona ed imbarazza annullando l'assimilazione del
necessario. L'abbiamo udita esporre il suo programma didattico ai
signori del governo che le si presentarono a Comonte.
Or dunque accadde che dopo qualche mese d'avviamento della
scuola gratuita di Leffe si presenta anche qui un ispettore
governativo, con l'incarico d'ispezionare e riferire. Trovò le cose quali
erano secondo i criteri sopracitati e stese una relazione molto
sfavorevole.
La superiora della casa ne rende subito edotta la Madre; questa
senza por tempo in mezzo, ne riferì immediatamente ai suoi
venerandi e autorevoli superiori.
Il vescovo specialmente la tranquillizzò, assicurandola che tutto
si sarebbe composto nel miglior modo.
Dietro suggerimento del medesimo la Madre si portò a Leffe
per verificare la cosa e scrisse al regio ispettore una compitissima
lettera ove confessa candidamente d'aver agito senza animo di voler
trasgredire le prescrizioni scolastiche, e che era tutta disposta a
mettere in armonia con le leggi vigenti i suoi metodi didattici. La
lettera fece così buona impressione sull'animo dell'ispettore che
Biografie
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opera omnia
questi persuaso della pratica saggezza della santa donna, non solo
non diede corso alla sua relazione ma l'autorizzò a continuare la
191
scuola col suo metodo .
Non basta; il bravo signore divenne suo protettore ed amico al
punto d'aiutarla a parare i colpi che da ignote direzioni eran sferrati
contro di lei: tanto che un giorno in grande confidenza le disse: “Non
sa, signora, che lei ha dei nemici che le fanno guerra?” Ed ella, con
tutto candore e semplicità in impeto di cuore generoso pronta
risponde: “Mi dica chi sono che vado subito a far la pace con loro”. Il
funzionario ammirando e sorridendo le dice: “Purtroppo non sono
192
tutti come lei!” .
Sul cadere del 1865 lo stesso incognito funzionario tornava alle
scuole della S. Famiglia per il suo giro d'ispezione; desideroso di
rivedere la buona Madre Fondatrice, chiese subito di lei. Proprio in
quei giorni ella era partita pel Cielo!...
A quell'annunzio il signore ammutolì; non volle vedere le
scuole, neppure sedersi; ma preso il cappello ripartì subito e non
tornò più!
Le anime dall'intuito fine che sanno scoprire la bontà autentica
e la vera grandezza, possono trovarsi dappertutto: anche sotto il
rigido taglio di un burocrate governativo.
Quel funzionario conobbe la Madre Cerioli e la comprese; la
stimava l'amava la ricercava come si ricercano gli esseri purtroppo
rari, buoni e a tutti benefici. La morte di lei rattristò come rattrista la
scomparsa di chi è indispensabile quaggiù per portare un po’ di
amore e di luce tra tanta foschia di egoismi e di odi!...
Con il consolidamento delle scuole un altro bel solco profondo
è tracciato nel campo divino, e pel giro di molte generazioni vi cadrà
una semente scelta e feconda di altro incomputabile bene. Quel primo
solco l'ha tracciato la mano benedetta di lei.
Non possiamo chiudere il presente capitolo intorno alle belle
attività della buona Madre, senza aver dato almeno un saggio delle
sue materne cure e preoccupazioni per gli orfanelli, i Figli di S.
Giuseppe, da lei amati con pari se non più viva intensità delle
orfanelle.
Il suo parlare con essi - quasi sempre attraverso la lettera - è
materno e franco insieme, come si conviene dire agli uomini di
domani; preoccupata non solo del loro miglior bene spirituale ma
191
192
Proc. Ap. Summ. pag. 480 paragr. 8.
Proc. Ap. Suppl. Summ. N. IV, paragr. 265.
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opera omnia
persino della loro civile educazione. Bisogna quindi ascoltarla nel suo
linguaggio affettuoso ma efficace e chiaro: “Quando siete in
compagnia fate poco strepito e non fatevi vedere come tanti ragazzi
senza freno, che gridano schiamazzano come se fossero di nessuno,
ma mostrate che quantunque contadini avete una certa dignità e
modestia. Amate la vostra condizione... Da poveri contadini vi sarà
più facile salvarvi, ma sempre che siate umili sottomessi e
obbedienti”.
Sensibilissima alla buona riuscita - ed a volte non buona - dei
suoi ragazzi era inesorabile nell'allontanare chi fosse cagione di mal
esempio. Una volta ne licenziò due; ai rimasti scrive: “La condotta
poco lodevole dei due vostri compagni testé partiti temo che vi abbia
attaccato la loro poca voglia di far bene, e la negligenza nei vostri
doveri e nel lavoro: perché i discorsi e i cattivi esempi d'un compagno
hanno più forza su voi dei buoni esempi e dei suggerimenti di chi vi
guida. Ora la circostanza che vennero pure i parenti di qualcuno di
voi per levarvi di costì può crescere la vostra superbia e baldanza,
specialmente nei più grandi; perciò vi scrivo queste due righe.
Quantunque mi siate cari e vi voglia bene, nondimeno vorrei vedere
la casa vuota piuttosto che ripiena di figli disobbedienti, che non si
possono correggere e castigare senza che rispondano “me ne vado a
casa!” Ricordatevi che anche nelle vostre case trovereste chi vi
corregge e vi castiga, perché siete figliuoli e bisogna allevarvi; e
pretendete poi che costì si abbiano a chiudere gli occhi su i vostri
difetti e lasciarvi fare ogni cosa a modo vostro?”
Ad un certo Giacomino che aveva espresso il desiderio di
andarsene, dice: “Vuoi andartene?... Dove?...
E pretenderai che il Signore ti benedica? Che faranno gli altri se
tu farai così?”
Ad un altro, Pietro, sulla stessa lettera si esprime così: “Tu,
Pietro, che hai trovato qui una famiglia che tanto t'ama, risvegliati
della tua indolenza: se non prenderai amore al lavoro ed alla virtù
non sarai mai felice. È vero che qui lavorate, e per questo avete
baldanza, credendo di guadagnarvi il vivere; ma voi non sapete che il
nutrimento è il minor beneficio che ricevete qui: invece è l'amore al
lavoro che si procura d'inculcarvi, onde siate lontani dai vizi, in cui
l'ozio potrebbe precipitarvi; e le istruzioni che sentite, e i buoni
esempi che ricevete e che vi formano alla virtù all'amor di Dio alla
riconoscenza, non sono questi grandissimi benefici? Mi duole
nell'anima di dover scrivere così ma lo faccio pel vostro bene, per
farvi operare meglio, onde poi non abbiate a pentirvi della vostra
Biografie
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opera omnia
condotta: perché in quanto all'Istituto esso si formerà, lo spero con la
grazia di Dio, anche se voi ve ne andiate tutti a casa; ma voi dovrete
rendere conto a Dio e a S. Giuseppe della grazia ricevuta e
disprezzata. I Fratelli vi amano, per questo desiderano allevarvi bene
e lo debbono fare a qualunque costo. A tale scopo essi hanno lasciato
la famiglia la libertà e son venuti qui e lavorano per voi e faticano per
voi non per se stessi; ma stanno qui senza altra mercede fuorché
quella che sperano dal Signore per crescervi buoni timorati di Dio e
per potere coi loro risparmi e fatiche accogliere un maggior numero
di orfanelli”.
Ecco il linguaggio della verità e della sincerità a povere creature
di cui non cerca che il miglior bene il vero bene. E lo parla con gioia
sicura d'esser compresa e corrisposta con altrettanta sincerità.
Una sua sentenza d'oro in proposito è questa: “Io non finirò mai
di ringraziare il Signore che mi ha messo a contatto coi poveri e coi
semplici: essi mi parleranno sempre con verità!”.
Biografie
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opera omnia
CAPITOLO
XXVI
Preparazione al commiato
S'inizia l'anno 1865: ultimo di questa vita preziosa. Per
cinquant'anni Suor Paola Elisabetta ha portato in lieta rassegnazione
il cumulo di mali che come fascio di spine Iddio le nascose nella culla.
Il suo organismo in evidente dissonanza con lo spirito sano e
gagliardo fu sempre una povera cosa che le diede martirio e merito.
La lieve deformazione scheletrica notata sin dalla nascita scomparve
sotto il saio monacale; ma la tara artritica con l'ineluttabile scompenso
cardiaco rimasero a farla dolorare sempre; e presto ella dovrà
soccombere all'improvviso arresto del cuore.
Certo la rassegnata accettazione di tutto che viene dalla mano
buona di Dio l'ha sostenuta; ed ella più eroica ha sommerso ogni
dolore nel mare d'occupazioni e preoccupazioni che d'ogni parte la
prendono per dare un po' di gloria al suo divino Padrone e molta
gioia a quelli che ama.
Come già ci avvertì la fedele suor Luigia Corti ella presentiva
che proprio un colpo improvviso l'avrebbe spezzata; ma il Signore
non le fece prevedere che sarebbe stato così presto. Quando le
comunicarono la notizia della fulminea morte del fratello Giovanni
Battista - avvenuta nel 1858 - disse: “Sempre così di noi, si muore tutti
improvvisamente; ma bisogna adorare i divini giudizi” E si alzò per
andare in chiesa a pregare.
Tuttavia rassegnata a vivere soffrendo, purché vivendo possa
lavorare, il suo lavoro continua ordinato calmo, ma intenso e serrato
per sé e per tutti, per la propria anima e pel migliore avvenire delle
due famiglie a cui cede con vera prodigalità le restanti forze.
Nessuno intorno a lei avrebbe sospettato che ella non vedrebbe
la fine di quest'anno 1865; però ad osservarla attentamente si
Biografie
229
opera omnia
notavano in lei le trepidanti impazienze di chi sollecita un lavoro nel
timore di non aver tempo a finirlo: “Una volta - narra la Corti - un
sacerdote di sua confidenza le disse che ella era troppo precipitosa
nelle opere che intraprendeva; doveva darsi un po’ di tregua, che col
tempo avrebbe compiuti i suoi disegni. Ed ella rispose ridendo: - E se
il tempo non ci fosse?... Chi ha tempo non aspetti tempo!... - In
confidenza poi alle suore diceva: - Quel prete va troppo per le
lunghe... il Signore all'ora sua viene; non bisogna aspettare troppo
tardi! Soprattutto in lei si notano le sante smanie dell'anima vicina al
Cielo.
Il cielo quello che vedono gli occhi e il Cielo dei cieli, quello che
cerca l'anima, è sempre la sua passione. “Quando guardava il cielo - è
Luigia Corti che parla - non si può descrivere con che gioia ne
parlava; si faceva tutta ardore; ci diceva del corso delle stelle, della
bellezza del firmamento; confessava che solo a mirare il cielo ella si
sentiva un gran giubilo, nel vedere tanta vastità e bellezza, nel
pensare che lassù è la nostra patria; là c'è Iddio nella sua grandezza e
magnificenza e tutte le persone a noi care” Il suo desiderio di vedere
il cielo fisico rasentava quasi la mania. “Non voleva che di giorno le si
chiudessero le gelosie delle finestre, perché con ciò le si toglieva di
vedere il cielo. “A voi - diceva ridendo - piace il buio, a me piace il
chiaro: ognuno ha i suoi gusti, e questo giacché il Signore me lo dà lo
voglio tenere”. E quando i suoi dolori la costringevano al letto, anche
di lì ricercava il cielo.
“Il suo sguardo al mattino, appena levata, è il cielo, vi lanciava i
suoi primi sospiri nell'aprire la finestra della sua stanza; tutte le volte
che alzava la testa dalle occupazioni, specialmente scrivendo, si
fermava alquanto, e poi con gli occhi fissi in cielo proferiva qualche
giaculatoria. E questo si può dire lo facesse ad ogni quarto d'ora. In
ricreazione i suoi occhi ogni poco si rivolgevano lassù, donde
sembrava non potesse staccarli; ma faceva ciò con tanta naturalezza
che a chi non l’avesse osservata, sembrava che fosse intenta alla
ricreazione. Quando le si chiedeva quale canzonetta preferisse che
fosse cantata, rispondeva con giubilo: - Cantate, cantate quella del
Paradiso... che termina con le parole - e in mercede amor si dà - in
ricompensa di poche fatiche, per un Dio sì buono, sì grande, sì
santo… cantate del Paradiso, là è il nostro tutto, e senza avvedersene,
193
mani ed occhi erano volti in su”
193
Proc. Ap. Suppl. Vita, pag. 168, paragr. 180... 182.
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opera omnia
Le vecchie suore malate o giubilate vuole che si raccolgano in
una casa chiamata della “Speranza” e si apprestino loro tutte le cure
possibili; ella intanto le incoraggia perché siano preparate alla corona
e sopportino in pace e rassegnazione i dolori le infermità. Il
combattimento è per finire; gli Angeli la Vergine S. Giuseppe le
guardano e le attendono. “Ah, sorelle, quanto sarà dolce quanto
giocondo il riposo dopo una giornata di dolori e di fatiche!”.
Ed ella è così vicina all'eterno riposo!
Si preoccupava tanto nelle malattie delle Figlie quanto non si
dava pensiero della propria salute. L'affetto di Madre e l'interesse di
Fondatrice le facevano chiedere con istanza a Dio di tener lontano le
infermità e la morte dalle sue case.
Nell'anno 1864 proprio la prediletta suor Luigia Corti, venne
colpita da sì grave male da tenerla sospesa tra la vita e la morte; i
medici la diedero per spedita. Angosciata da tanto pericolo la buona
Madre scongiura il Signore che “se una vuol togliere all'Istituto,
prenda lei stessa, ma lasci in vita la sua cara Figlia più di lei è
194
necessaria” .
La preghiera fu esaudita. Nel gennaio 1865 suor Luigia è fuori
pericolo, entra in convalescenza e la Madre tutta lieta ne dà la notizia
il 13 gennaio alla superiora di Leffe suor Nazarena Ferrari: “Suor
Luigia continua ad andar migliorando. La convalescenza sarà lunga;
non importa, basta che guarisca e bene e possa lavorare ancora nella
vigna del Signore”. E lavorerà infatti per quarant'anni a bene
dell'Istituto.
Tutto l'ardore tutto l'amore di Suor Paola Elisabetta è in questo:
che la vigna del Signore abbia buoni operai, e rendano il miglior
frutto spirituale e materiale.
Il grado esatto di tale ardore ce lo danno le sue lettere
indirizzate alle suore di Soncino, di Villa Campagna, di Leffe, ed
all'unico Figlio il buon Giovanni Capponi, che in silenziosa fatica sta
dissodando il terreno per una prossima semina copiosa e consolante.
Sul momento egli, fiancheggiato da tre coadiutori, tra cui
l'Armani, rappresenta tutte le speranze per un avvenire migliore e
solido.
Egli è rimasto solo a guida di quindici orfanelli perché “la
secessione del sacerdote Palazzolo - come dice Don Angelo Orisio,
futuro Superiore generale dell'Istituto - benché giustificatissima, pure
non lasciò di suscitare in Bergamo una grave impressione a danno
194
Proc. Ap. Suppl. Summ. N. XVIII. paragr. 15 e 16.
Biografie
231
opera omnia
dell'incipiente Istituto circondandolo di diffidenza. Ne conseguì che
verun sacerdote si presentò più a prenderne la direzione sino alla
morte della Fondatrice. L'autorità diocesana vi destinò sacerdoti
secolari che facessero da cappellani e da assistenti direttori, ma questi
si succedevano con molta frequenza e rapidità, sia perché non legati
da voti, sia per le speciali difficoltà che trovavano nell'Istituto stesso.
Queste difficoltà sorgevano non per colpa di concezione o
fondazione, perché la Madre Fondatrice stabilì ben chiaro che
l'Istituto maschile i Padri governassero ed amministrassero; ma per
195
una errata interpretazione ed applicazione del suo ideale” .
Cosicché in questo momento dell'Istituto maschile all'esterno
trasparisce poco o nulla perché i “buoni Fratelli agli occhi della gente
non passano che come fattori di quella tenuta, e gli orfanelli, come
196
semplici familiari, mantenuti colà in aiuto dei fattori” .
Comunque ogni difficoltà è destinata a cadere; la Fondatrice
presaga del futuro, lavora instancabile intorno a Fratel Capponi, che
rappresenta l'unico ma prezioso anello di collegamento tra questo
periodo difficile e i tempi migliori che verranno.
Se alla sua morte tanto vicina i Fratelli della S. Famiglia sono
appena stabiliti senza regole definite con un'unica casa verun
soggetto qualificato per la direzione di tutto, sì da sembrare orfani
appena nati, perché orbati della loro Madre sorpresa dalla morte, essi
hanno il meglio l'essenziale: le sue direttive date con tanta premura
sin nei più minuti dettagli al Capponi: soprattutto possiedono il suo
esempio di umiltà di semplicità di carità la prima Regola d'oro che
senza essere scritta sulla carta ha inciso profondamente negli spiriti le
linee direttrici per l'avvenire.
Gli ultimi due anni della vita di Suor Paola Elisabetta, e
specialmente il 1865, sono pieni di una folta corrispondenza,
attraverso la quale passano le idee chiare e ferme di lei preoccupata
solo di gettare i fondamenti nella pietra massiccia dello spirito
religioso cementato dalle virtù madri senza di che è vano sperare
consistenza e perpetuità di opere.
Non si legge senza ammirarla questa corrispondenza ove lo
zelo e la discrezione di una santa la pazienza e le sollecitudini di una
madre, ansiosa e trepidante di tutto il bene spirituale e materiale dei
suoi figli sino ai dettagli quasi insignificanti, cantano in un tono
altissimo e commovente. Per questo stralciamo i migliori passaggi
195
196
Proc. Ap. Summ. pag. 275. paragr. 187. 188.
Meraci. Biograf. Capo XI. pag. 205.
Biografie
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dalla corrispondenza con Fratel Capponi, che infine rappresenta la
principale attività degli ultimi mesi della sua vita.
Sugl'inizi del 1865 scrive: “Carissimo Giovanni, Speriamo che
l'anno venturo sarete in maggior numero a ringraziare il Signore dei
suoi benefici. Procurate di formar bene il Cesare allo spirito di questo
Istituto, dovendo voi due essere il fondamento del novello edificio.
Guardate però di non fare più di quello che potete, per non
ammalarvi e pregiudicare così all'opera. Fate con pace e un poco per
volta e arriverete al porto con più sicurezza. Coraggio, mio buon
Giovanni, in principio bisogna proprio tribolare, ma il Signore vi
vede, vi aiuterà e coronerà i vostri sforzi e la vostra perseveranza, non
ne dubito affatto, di un felice successo e allora quale consolazione per
197
voi! Leggete le vite dei santi e vedrete che tutte le opere di Dio
hanno avuto il loro difficile. Il Signore fa così: vuol provare il nostro
coraggio, vuol vedere fin dove arriva il nostro amore per lui. Intanto
preghiamolo che ci benedica e ci faccia la grazia di corrispondere ai
suoi disegni e a tante grazie che ci ha fatte ed è pronto tuttora a farci.
Scrivetemi sempre quando avete occasione, e ditemi come fa il
Cesare, e se acquista, poiché mi sta assai a cuore. Vostra aff. ma
sorella in G. C. Suor Paola Elisabetta Cerioli.
Di lì a pochi giorni - in febbraio - invia un nuovo soggetto e lo
presenta: “Caro Giovanni, ecco il fratello Luigi che spero nel Signore
metterà radici e sarà stabilmente tra i nostri... Così vi cresce la
famiglia e ne godo di tutto cuore; ma vi crescono nello stesso tempo i
doveri; però il Signore non vi mancherà, non ne dubito, coi sui lumi e
con le sue grazie se voi gliele chiedete con perseveranza, e dal canto
vostro nulla trascurerete onde l'ordine e l'economia si mantengano in
tutto e per tutto e sempre con maggiore prosperità e crescita della
vostra famiglia. Vi mando il libro del mese di Marzo acciò onoriate S.
Giuseppe. Fatelo tutti i giorni come quello di maggio e unitevi con
197
Di fatto: 1868, tre anni dopo la di lei morte, si fonderà in Martinengo la prima
casa, acquistata con i capitali lasciati dalla Fondatrice, e diverrà la Casa-Madre
dell'Istituto maschile (Proc. Ap. Summ. Pag. 187-188). Ed è tuttora fiorente centro
di grande bene spirituale per l'opera dei ritiri od esercizi spirituali per i giovani
ed uomini di Azione Cattolica. In questa stessa casa, per lo zelo del P. Angelo
Orisio, Superiore Generale, fu stabilito il primo studentato dei giovani aspiranti
alla vita sacerdotale nell'Istituto. Iniziati nella casa stessa gli studi ginnasiali, per
quelli superiori si ottenne dal Vescovo Luigi M. Marelli di frequentare le scuole
del seminario diocesano. Contemporaneamente fu stabilito in Bergamo un
piccolo domicilio per i giovani, offerto dall'ospitalità del pio Rettore del Santuario
di N. S. del S. Cuore, Don Giovanni Fadini. Finchè lo zelo instancabile di Don
Orisio non riuscì ad acquistare in proprio una piccola casa, modesta ma ornata di
orticello e corte, donde uscirono ed escono al sacerdozio i Figli della Madre
Cerioli.
Biografie
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opera omnia
tutte noi, che S. Giuseppe si merita bene questa piccola offerta dopo
tante grazie che ci ha fatto e ci fa continuamente. Il Signore ci
benedica e ci tenga nella sua santa custodia”.
E ancora nel settembre, alla notizia di altre defezioni di Fratelli,
scrive: “Lasciate che i Fratelli vadano pure ché il Signore non ha
bisogno di alcuno. Coraggio, dunque, avanti senza paura. Queste
sono prove che il Signore permette per i suoi giusti fini che dobbiamo
riverire ed amare. La partenza di Giammaria ci porta poco danno...
qui ci vogliono uomini risoluti di fermezza e di cuore e che non
abbiano paura dell'aria... Voi state allegro che è segno che l'Istituto
che vogliamo fondare ha da far un gran bene, giacché il Signore e S.
Giuseppe mondano sì bene la nostra casa dei soggetti non adatti; ma
già voi non avete bisogno che io v'infonda coraggio. Il Signore ve lo
ha già infuso quando vi chiamò per quest'opera. Vorrei che anche il
Cherubino, lungi dal lasciarsi abbattere da questi piccoli intoppi - che
io così li chiamo - prendesse invece maggior fermezza e stabilità e
ringraziasse di cuore il Signore che a lui ha fatto grazia così grande
qual è quella di chiamarlo e farlo perseverare in questa vocazione.
Riguardo al lavoro dei campi prenderemo degli uomini a giornata
più volentieri che tener in casa dei Fratelli che non fanno altro che
numero; così sia anche degli orfanelli. Vedrete quest'inverno quanti
ce ne saranno raccomandati. S. Giuseppe vi conservi e vi benedica.
Vostra Aff. ma Madre”.
Un mese prima della morte invia al Capponi altri due compagni
in aiuto e gli dice: “Questi mi sembrano meglio adatti dei primi, essi
sapranno poco, quantunque pieni di buona volontà, del come si deve
vivere in comunità... quindi bisognerà istruirli. Tocca a voi, che il
Signore chiamò per primo e per sua grazia speciale ora ha messo per
prima pietra in questo edificio, a voler comunicare ad essi quei lumi e
avvisi che la vostra pratica vi fa vedere necessari... Sappiate cattivarvi
i loro animi e la loro confidenza, cercando di conoscere il loro
carattere, per saper meglio e con prudenza adattarvi quei consigli che
per essi e per l'Istituto nascente credete più giovevoli. Fate loro
comprendere gl'impegni e i vantaggi che avranno dall'appartenere a
questa santa Opera. Dite che essi devono esser forti, onde né il vento
delle contraddizioni, né gl'inganni del demonio, né la malizia degli
uomini, li abbatta, né li disanimi, né li ritirino dall'impresa. Parlate
del buon esempio che devono dare... fate loro capire che il servizio di
Dio non consiste nelle lunghe orazioni e meditazioni, ma
nell'affaticarsi a lavorare per amore di Dio e a utilità della casa. Dite
che abbiano pazienza, se non vedono e non trovano quelle regole e
Biografie
234
opera omnia
quell'idea di convento che essi avrebbero desiderato. Questo è un
nuovo edificio della S. Chiesa che bisogna innalzare dalle
fondamenta: Dio è l'architetto, voi ne siete i materiali e bisogna
aspettar tempo pel compimento dell'edificio, e intanto lavorare,
sudarci intorno con perseveranza. Tutti gl'Istituti sono passati per
questa strada. Caro Giovanni, vi ho detto anche troppo, e credo
inutile aggiungere altro. Voi avete capito la mansione che Iddio vi ha
affidata, sappiate compierla. Il Signore benedica voi e i vostri due
compagni di quella benedizione che diede ad Abramo, onde possiate
vedere la riuscita dei vostri figliuoli. Intanto salutandovi ed
augurandovi ogni bene, mi segno vostra aff. ma Madre”.
Finalmente avanti le feste natalizie compie il dovere materno di
prevenirle con l'invio dei suoi buoni e santi voti, che sono gli ultimi
regalati nell'esilio al suo fedele collaboratore: “21 dicembre 1865.
Buone feste, caro Giovanni, a voi, ai vostri compagni, ai vostri figli.
Che il Signore nella sua bontà voglia darvi una stilla di quell'amore
che lo fece scendere dal Cielo in terra e assumere il velo della nostra
misera umanità, onde impegnar voi pure a consacrarvi, senza alcuna
riserva, alla sua gloria e a vantaggio del prossimo in una vita di fatica
e di annegazione come dev'esser quella a cui siete stato chiamato
dalla Divina Provvidenza. Questa è, però, una grazia grande che il
Signore abbia voluto servirsi della vostra pochezza e miseria, e
dovete esser riconoscente a Lui di questa preferenza, poiché quanto
farete per Lui sarà abbondantemente ricompensato dalla sua infinita
bontà e misericordia, ben diversamente da quello che si fa nel mondo,
ove si sacrifica spesso vita, sanità, onore per miseri guadagni e poche
soddisfazioni che alla morte scompariranno, lasciando nel disinganno
di queste cose periture ed in un inutile pentimento di non essersi
invece occupati meglio in vantaggio dell'anima nostra. Non vi sembri
dunque gravoso se il Signore per farvi meritare di più e provare la
vostra generosità, vi manda qualche croce ed umiliazioni; che sono
mai queste al confronto di quelle dell'uomo - Dio? Tutto il mondo è
pieno di travagli e di croci. Sopportiamo quelle che il Signore ci
manda; non badiamo ai nostri gusti e inclinazioni che ci tradirebbero;
ma solo a ciò che può servire ad impiantare questo nuovo Istituto,
dando buon esempio ai figliuoli, ai vostri compagni e a tutti quelli
che la Provvidenza destinerà alla vostra casa ed alle altre, se Dio
vorrà... Il Signore mandi il suo spirito anche su i vostri fratelli onde vi
aiutino con tutte le loro forze.
Il Santo Bambino fecondi buone risoluzioni, faccia buoni i vostri
figli, obbedienti, docili, pazienti, come Egli ce ne diede l'esempio nella
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sua vita umile, laboriosa e nascosta. Ricordatevi di me in queste S.
Feste. Vi saluto insieme ai Fratelli e Figli e consideratemi quale mi
segno Vostra Aff. ma madre”.
A questa seguono altre due lettere datate dal 22 dicembre due
giorni appena prima della morte; ed in esse si dilunga
dettagliatamente a dare norme, suggerimenti, orari per tutto, in
particolare per le veglie delle lunghe serate invernali. “Potete fare la
ricreazione dove vi pare, attorno al fuoco... ma non in cucina. Lo
stesso fanno le nostre monache. La sola notte di Natale, in memoria di
Gesù Bambino, esse, vanno al fuoco con le orfanelle a scaldarsi coi
ginepri, cantando qualche canzone in proposito”.
Sono le ultime due lettere scritte da Suor Paola Elisabetta - anzi
- l'ultima, perché scritte di seguito sullo stesso foglio, aggiungendovi
pure una letterina per gli orfanelli, che leggeremo.
Raccolte in una formano il testamento spirituale della saggia
Madre ai Figli, specialmente all'Istituto maschile, che ultimo nato è
pur tanto prediletto dal suo cuore, proprio per le difficoltà che
incontra ad uno sviluppo immediato e felice; ma ne prevede e ne
annunzia in Dio il futuro consolidamento.
Gli stenti le incomprensioni le defezioni risparmiate alle sue
suore, sembrano tutte riservate agli esordi dell'Istituto maschile; ma
ella non se ne abbatte, teme solo per la resistenza dell'unico che sul
momento sorregge tutto; e si dà affannosa premura per incoraggiarlo
consigliarlo consolarlo nella visione del premio: che sarà il successo
finale e la corona eterna.
Noi qui ci dichiariamo incapaci a dire quanto ella abbia sentito
il dolore di tale prova regalatale da Dio sul declino della vita per
distaccarla tutta e nettamente da tutto.
Ogni giorno più va morendo a se stessa.
È già morta anzi - e da tempo - al mondo che mai ha amato; alle
proprie cose a cui rinunziò prodigandole pel bene altrui; a se stessa
con la flagellazione incessante del proprio volere... Che più le resta da
offrire sull'altare del sacrificio?
Sembrerebbe che ad una madre ad una fondatrice, serva
fedelissima dei cenni divini, possa esser consentito desiderare il
sopravvivere alla gioia di vedere una grande e bella famiglia
spirituale che prospera che si moltiplica che si espande.
Quale sogno o affetto più legittimo più puro e più purificato di
questo?
Eppure Iddio cesellatore impareggiabile di spirituali bellezze
può domandare - e lo domanda - anche tale sacrificio.
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opera omnia
A Suor Paola Elisabetta di fatto lo ha chiesto.
Le lettere da noi riassunte dicono tutto di questo interiore
travaglio di questo materno trepidare di questo dolorosissimo
olocausto: costituiscono, infatti, tutta la squisita meritoria pena delle
vigilia di sua morte.
Il Padre dell'anima sua il buon vescovo Speranza le ha detto e
scritto tante volte: “Tirate avanti senza la vostra testa, senza il vostro
cuore, e senza verun vostro sentimento, solo con l'orecchio teso a
quest'unica parola: Per guadagnare voi dovete perdere; a misura che
perderete e morrete, andrete avanti nella virtù, nello spirito, nella
santificazione, e profitterete in realtà e verità”.
Alla vigilia di sua morte corporale ella può ben dire di essere a
tal punto: morta a tutto!
Or non resta che sia spezzato l'ultimo filo che la lega quaggiù; si
squarci il fragile velo che intercetta la pienezza della visione e Iddio
giusto rimuneratore le renda tutto nell'eterna realtà della vera vita!
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CAPITOLO
XXVII
“Media autem nocte... Sponsus venit!...”198
È giusto che il lettore conosca almeno l'aspetto esteriore del
fragile involucro che ospitò un'anima di tanto squisita fattura qual é
quella della Madre Cerioli.
Purtroppo a ciò non possediamo documenti storici: l'umiltà del
soggetto e i pochi mezzi riproduttivi dell'epoca non ci favoriscono.
Tuttavia da quanto è dato leggere in un ritratto eseguito sulla
sua salma e da alcune relazioni di chi la vide risultano elementi
sufficienti per raffigurarci quello che esteriormente ella era.
Di statura e complessione media, leggermente inferiore al
normale; l'impercettibile deviazione scheletrica, corretta dall'abito
religioso, è appena rilevata dalla brevità del collo che spicca subito
dal busto.
Il viso regolare gli occhi color celeste il naso armonioso la bocca
graziosa: una somma di linee che annunziano la nobiltà del sangue
da cui discende, e tutto l'insieme bene incorniciato nella cuffia
monacale rivela subito la maestà d'una signora di nascita e di virtù la
dolcezza pensosa d'una autentica mamma.
Nei suoi cinquant'anni ella ha un aspetto invecchiato più che la
sua età non dica: preoccupazioni e malanni l'abbatterono
precocemente nel fisico. Però porta sempre diffuso in volto un dolce
sorriso; ha i gesti garbati e semplici il parlare breve quasi autorevole,
caratterizzato dalla risolutezza e decisione tutta bergamasca,
controllate però incessantemente da una rigida vigilanza; il muoversi
è pacato grave come ritenuto da un intimo affanno procuratole dal
198
Matt. 25.
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cuore in disordine, che le dà l'asma se compie un movimento o una
fatica fuori dell'ordinario.
Queste le note somatiche della Madre Cerioli, a cui
aggiungiamo quanto dice la Madre Corti. “Prima di descrivere la sua
morte voglio notare come era la sua costituzione fisica. Ella era di
natura gracilissima, di complessione assai delicata; fin dalla nascita
ebbe un difetto alla schiena; era affetta da mal di cuore; e ci diceva
che ella ricordava di aver sempre sofferto dolori pel corpo
specialmente nei cambiamenti di tempo. Al cuore poi soffriva
immensamente, ma dissimulava il suo male quanto più poteva. Ma
noi alle volte ci accorgevamo di una certa ansia che la prendeva e la
faceva agire contro il solito più affrettatamente. In questi momenti
soleva dire: - Non fate mai superiore quelle che patiscono mali
interni; perché io provo che non possono esser sempre calme, ciò che
è tanto necessario per una superiora - Con tutto ciò non si curava.
Qualche volta si chiamava il medico affinché le prescrivesse qualche
rimedio: questi le trovava sempre il polso flebile, e diceva: il suo
polso è proprio straordinario. Le ordinava qualche medicamento; ma
ella poco o niente ne prendeva; dicendo che le medicine per lo più
sviluppano il male, e quando si può tirare innanzi è meglio farne
senza. Cosicché le pillole le duravano dei mesi... Ne prendeva una
ogni tanto e diceva ridendo: - Via... prendiamone ancora! Questa malattia di cuore le cagionò la morte all'insaputa dei
medici perché mentre tutte le volte che le si acutizzava il male il
primo sintomo era l'enfiagione della gambe, l'ultima volta invece,
questo segno non lo diede. Soltanto da qualche tempo sentiva una
certa inquietudine e agitazione in tutto il fisico, ed inappetenza ad
ogni sorta di cibo. Però un giorno mi disse: - Ho bisogno di
muovermi; devo portarmi a Soncino in S. Maria; questa gita credo mi
gioverà. Difatti vi andò e vi si fermò alcuni giorni. Quella superiora e
tutte le suore notarono che in quei giorni attese a rivedere con più
cura tutto l'andamento sia spirituale che materiale della comunità.
Visitò ogni officina sì delle suore come delle orfanelle, e volle veder
tutto. Impartì degli ordini precisi tanto che le suore rimasero attonite
della sua sollecitudine ed esattezza, e la superiora le disse celiando
amabilmente: - Questa volta la fa da vera Superiora Generale. - Infine
dopo che ebbe tutto visitato e ordinato se ne tornò a Comonte.
Io le andai incontro ansiosa di vedere se si fosse ristabilita dal
suo malessere, e fui consolata vedendola di più bel colore. - Sì, mi
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rispose, sto proprio bene. Suor Rosa (la superiora di Soncino) con le
sue attenzioni, ed il viaggio, mi hanno ridato la vita. Ma dopo qualche giorno mi avvidi che la riprese la sua solita
agitazione, e più, che era gravata da un'insolita sonnolenza. Da tutto
l'insieme vedevo che non era più nel suo carattere svelto e vivace.
Però era tranquilla. Io non l'avevo veduta mai sonnecchiare così;
tutt'altro. Non dormiva neppure nelle ore prescritte per tutti, e
neppure d'estate quasi mai dormiva, ma leggeva, meditava, scriveva,
come dissi già. Notai, dunque, che ogni poco la prendeva il sonno,
ella che se ne accorgeva, rimproverava se stessa dicendo: Oh che
dormigliona sono mai diventata!... E si scuoteva da sé il sonno; ma
per quanta violenza si facesse non le era possibile toglierselo di
dosso. In quanto poi all'agitazione questa andava scemando, tanto
che in fine era quietissima, e noi potemmo farle prendere quel che
credemmo meglio di cibo, di medicine, così pure di farle usare
qualche comodo più necessario, attenzioni che pel passato, anche in
caso di malattia, non volle assolutamente permettere”.
Questo miglioramento fu notato verso gli ultimi giorni della
novena di Natale, tanto che tra il 20 e il 22 dicembre ella ebbe la lena
di stendere di suo pugno due lunghissime lettere a Fratel Capponi
(da noi già riportate) e la Madre Corti la supplicò dolcemente di
differire ad altro giorno quel lavoro, ma ella rispose: “Lasciami finire,
che poi sarò tranquilla”. Ed a queste due lettere volle unirne una
terza per i suoi cari orfanelli, in cui dice: “Cari Figli, la voce
dell'Angelo che in quella risplendente notte rallegrò i pastori di
Betlemme, faccia esultare di gioia i vostri cuori, poiché a voi pure egli
è mandato; e la preferenza che vi dà il nato Re, vi faccia amare la
vostra condizione, più e al di sopra di quella degli altri. Il Bambino a
voi fa più che non a quei pastori, perché i poveri di Betlemme erano
umili, santi, semplici; ma voi avreste potuto dire così se foste stati nel
vostro paese? Conoscereste così il bene ed il male onde fuggir l'uno
ed abbracciar l'altro? Quanti motivi dunque di ringraziare questo
amabile Bambino. Ma un cuore ben fatto e generoso passa più oltre
per mostrare a Dio la sua riconoscenza. Così, non dubito, farete voi
tutti. Cercate tanto di farlo, poiché il suo amore per voi è immenso, e
pregate Maria e Giuseppe che intercedano per voi. Ancora poco
tempo e questo divino Fanciullo sarà fatto conoscere ai gentili, che
siamo noi. Verserà pure gocciole di sangue nella sua circoncisione,
onde anche noi dietro il suo esempio circoncidiamo noi stessi e le
nostre passioni.
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“Specialmente voi, figliuoli grandi, che dovete cooperare
all'opera, per quanto potete, oltre l'attendere alla vostra salute, dovete
vegliare coll'esempio e la condotta sopra quella dei vostri fratelli
minori, essendo voi tutti figli di S. Giuseppe, e dovete promuovere
così la sua gloria. Risparmiate il tempo ed ubbidite a tutti i fratelli,
perché tutti hanno un cuore di padre per voi. Amateli, pregate per
essi, essendo la riconoscenza il più bell'ornamento di un cuore
bennato. Vi ringrazio infine delle premure che avete per me: e la più
bella paga che potete darmi, sarà sempre quella di mostrarvi buoni ed
obbedienti. Vostra affezionatissima Madre: Suor Paola Elisabetta
Cerioli.
Così l'ultimo scritto vergato - dopo tanta copia di scritti - il
supremo pensiero d'amore è per i suoi orfanelli che furono anche il
primo oggetto della sua ardente carità.
Quando ebbe deposta la penna, vergato il testamento del suo
cuore, era stanca. La Madre Corti le faceva ancora dolci violenze
perché si riposasse. Finalmente soddisfatta disse: “Ecco, ora me ne
vado a letto!”.
E il suo male la riprese in forma più violenta e travolgente.
“Cominciò a sentirsi le arterie che le battevano fortemente, e diceva di
provare come una grande gonfiezza dalla vita insino a tutta la testa:
le gambe non eran gonfie; nessun segno traspariva del vecchio suo
male. Non poteva né star seduta né a letto, e quindi un po’ si siedeva,
e un po’ si alzava a passeggiare. La notte sognava o straparlava in
sogno: cosa che pel passato non udii mai. Mandai a chiamare il
medico il quale esaminandola e ricordando che l'aveva sempre curata
pel passato, le ordinò delle sanguisughe; che noi applicammo. Ma come poi ci accorgemmo - era tutta acqua che aveva pel corpo.
Quindi, dopo l'applicazione delle sanguisughe il male cresceva.
Chiamammo di nuovo il medico. Esaminatala bene le ordinò
delle cartine per far passare l'acqua. Ma in tutta la giornata (del 23
dicembre) che fu l'ultima della sua vita, non ci fu verun
miglioramento. Sul mezzogiorno si levò da sedere, dicendo che
voleva provare a fare una passeggiata in giardino. Io l'accompagnai:
mi disse che si sentiva meglio, ma non poteva reggersi in piedi.
L'accompagnammo di nuovo in camera: un po’ passeggiava, un po’ si
siedeva, finché sulla sera mi disse che voleva provare a coricarsi in
letto, che si sentiva molto stanca di tutto il giorno.
Biografie
242
opera omnia
199
“Prima però volle recitare il Rosario con le orfanelle . Era
tranquillissima, benché si conoscesse che soffriva assai. E mi disse: Quest'oggi non ho adempiuto alle mie pratiche di pietà; però, non so
perché, le altre volte quando non posso recitarle resto un po’ in
fastidio, ora invece non ne sento verun increscimento - Io le risposi
che non doveva proprio crucciarsi per questo, giacché - come dice S.
Francesco - in questo stato se non si fa orazione si fa penitenza.
“E poi mi disse ancora: - Le altre volte quando sono malata non
ne posso più dal timore della morte e dal pensiero di dovermi
presentare al tribunale di Dio; ora invece non mi passa neppure per la
mente, e neppure penso di esser malata. “Io che di ciò era certa - come lo era lei - che il Signore non ce
l'avrebbe tolta, e che si trattava di un solito disturbo, le risposi: - Lo
credo bene anch'io che lei non pensi neppure a questo!... - Con tutto
ciò io avevo in cuore un gran timore, e andavo pregando
segretamente Iddio che non ce la facesse ammalare.
“Verso sera disse di volersi confessare giacché aveva intenzione
200
di prendere di nuovo il giubileo che era in corso . L'aveva già
acquistato nei giorni che fu a Soncino, ma non ne era contenta;
temeva di non averlo ricevuto bene, quindi rinnovò l'intenzione di
fare le pratiche prescritte a ciò. E siccome voleva fare il digiuno quel
giorno stesso, io, vedendola in tale stato, glielo feci rompere ad ogni
costo. Così volle pure sapere dal confessore quale commutazione le
dava in luogo del digiuno, perché - domani mattina - disse voglio fare
la comunione per lucrare l'indulgenza del giubileo. Perciò mi preme
confessarmi oggi. Ora va tu a confessarti; - mi disse - perché anch'io
volevo confessarmi. Andai, dunque in cappella, mi confessai, dipoi
condussi di sopra il rev. cappellano della casa, Don Giovanni
Callegari, come ella mi aveva dato ordine, e si confessò che si era
appena coricata.
“Ne fu tanto contenta, come il suo solito ogni volta che si
confessava, che le pareva nell'atto dell'assoluzione di vedere il
Sangue santissimo di Gesù scendere sull'anima sua e mondarla
d'ogni macchia. - Oh, come è buono il Signore! - esclamò - Quante
belle grazie ci fa. Vedi, abbiamo fatto la confessione annuale dal
reverendo canonico (Valsecchi) e ne siamo rimaste sì contente; ed ora
199
200
Proc. Ap. Summ. pag. 602, paragr. 6.
Nell'anno 1865 Pio IX concesse l'acquisto del giubileo fuori della città di Roma, da
acquistarsi con le norme e condizioni stabilite. Il vescovo di Bergamo, Mons.
Speranza, lo promulgò con una pastorale del febbraio 1865 (Memorie e
Documenti. Cap. XII. pag. 259).
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ci siamo di nuovo riconciliate, e domani faremo la S. Comunione, e
riceverò l'Indulgenza Plenaria... Intanto andiamo disponendoci
bene... Poi la solennità del santo Natale... Che bellezza!... Dimani ci
leveremo un po’ prima della sveglia comune, e se mi sentissi debole
per aspettare, farò la S. Comunione prima della Messa. “In quella stessa sera si diede la benedizione col SS. mo
Sacramento (per la novena del Natale) e mentre si faceva la funzione,
io ero vicino al suo letto, accompagnandola con lo spirito. E siccome
la sua stanza era divisa dal coro da una tavolata, si sentiva tutto
benissimo. Allorché s'intonò il - Tantum ergo - mi disse di andare in
coro a prendere la benedizione del Venerabile. E così feci. Frattanto
mentre io pregavo in cuor mio per la cara malata, volgendo gli occhi
all'altare, all'improvviso vidi la prima candela, la maggiore delle altre
estinguersi. In quel mentre sentii nel cuore un presentimento che
quello fosse un segnale che la benedetta Madre sarebbe morta. Sentii
subito come una fitta di dolore al cuore, ma scacciai quel triste
pensiero, e con piena fiducia andavo dicendo a me stessa: - No, no il
Signore non permetterà questa disgrazia... No, mio Dio!... non lo
fate!... “Dopo ciò corsi subito al letto di lei e la trovai che stampava dei
caldi baci sul Crocifisso che teneva al collo. La ripresi dolcemente: Ma che fa? perché si affanna tanto? - Ed ella: - Bacio il mio
Crocifisso!... - Ma sì, lo baci, ma non si affanni troppo, che questo le
può pregiudicare... - E che debbo fare? Bisogna che mi sforzi per
scacciare tante immaginazioni che il nemico mi presenta... Che ne
dici? Non si pecca no, quando si scaccia via!... - E proruppe in questa
esclamazione: - Oh Gesù! Gesù! eccomi tutta vostra! - E si fece
tranquilla. Poi tutta giuliva mi disse: - Ora dammi un po’ da
mangiare; ne sento bisogno... - Le feci portar subito una minestrina
con un po’ di carne diluita, e le apprestai due cucchiai di vino.
Mangiò tutto saporitamente, ma un po’ in fretta, contro il suo
costume.
- Ora mi sento meglio - mi disse -. E si coricò di nuovo e stette
quieta per alquanto tempo. Frattanto io le parlavo di varie cose
interessanti l'Istituto, le lessi qualche lettera appena arrivata, ed essa
diede a tutte la risposta di evasione, e mi disse come dovevo
rispondere e diede tutti i suoi ordini. E tornammo subito ai nostri
discorsi pel domani, della S. Comunione da fare ecc... .
Le dissi che l'indomani avrei mandato un suo fazzoletto a
Bergamo per farlo benedire da Mons. vescovo, il suo direttore che
aveva per lei tanta devozione. Ella allora, un po’ sorpresa mi disse: -
Biografie
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opera omnia
Come, e perché, sto male?... - No, no, - le dissi - ma lo faccio perché lei
ha tanta fiducia nel sant'uomo e sono sicura che anche questo piccolo
malore passerà. - Ed ella: - Dunque, la mia è una malattia grave?... Mai più, no, - le dissi assicurandola. Ed allora fece il suo atto di
rassegnazione: - Sia fatta la volontà di Dio!... - E levando gli occhi in
alto sembrò chiedere aiuto, perché temeva assai di comparire al
tremendo giudizio di Dio... - Domani, domani... - disse - voglio
scrivere, o dettare, una lettera a Mons. vescovo, e gli dirò tutto,
tutto...“Tornò il medico a visitarla, per la seconda volta in quel giorno.
Visto che la medicina non aveva avuto effetto, ci prescrisse di
continuarla rigorosamente. Ma non disse nulla della gravità del suo
stato.
“Alle dieci di sera restammo sole con lei io e suor Francesca
Luiselli. Le facemmo quanto potesse occorrerle o gradire, ed ella ci
ringraziò delle nostre premure. Mi avvidi però che era agitata, e mi
disse: - Se sapeste, faccio di tutto per quietarmi, ma non ci riesco.
Questo, vedi, è un male che io non lo auguro neppure alle bestie... - E
pareva volesse piangere. Si quietò, alquanto; poi volle alzarsi dal letto
da sé. Tornò a coricarsi; noi l'aiutammo alla meglio, e pareva volesse
prender sonno; si accomodò da sé, e mi disse: - Ora andate a coricarvi
anche voi, così mi lascerete riposare; non mi girate più intorno;
quietiamoci tutte tre!... La compagna si adagiò sul divano che era nella stanza; io mi
distesi sul letto che da tre notti tenevo accanto al suo. Ella prese
sonno, e noi pure.
Dopo circa un'ora, tirai pian pianino la tenda che divideva il
suo dal mio letto... vidi che stava quieta, composta, come l'avevo
lasciata, e non m'azzardai di muovermi, sembrandomi che dormisse
tranquillamente...
Ma! un triste pensiero mi balenò alla mente... un forte tremito
interiore mi agitò tutta... Un presentimento di disgrazia!... Balzai dal
letto; presi il lume che stava acceso in un angolo della stanza... lo
accostai a lei, guardandola fissa... non respirava!... Tutta tremante,
non potendo persuadermi che fosse morta, alzai pian piano la coltre,
e presale la mano che era ancor calda, la sollevai e ricadde
pesantemente... Era forse appena spirata, mentre dormiva, nella
medesima positura in cui si addormentò. Aveva gli occhi ancora
chiusi, e la faccia non sembrava incadaverita. Svegliai la compagna e
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le feci cenno della funesta disgrazia (saranno state circa le due dopo
201
mezzanotte)” .
Nella notte del 24 - depone un'orfanella - mentre ancora le
tenebre erano profonde, si sentì un grande grido per la casa di
Comonte. “La Madre è stata trovata morta nel letto, con le braccia
202
incrociate sul petto, come voleva che noi avessimo a riposare” .
“Media nocte, clamor factus est... ecce Sponsus venit!”
All'improvviso di notte mentre ella è assopita venne lo Sposo a
prenderla: dal sonno del tempo al riposo del Cielo!
Non poteva esserle serbata morte più bella più dolce più
preziosa! Anche in ciò Iddio le fu benigno misericordioso.
Siamo ben lontani dall'affliggerci o deplorare tal genere di
morte, non per tutti desiderabile, certo, neppure ai buoni che
desiderano un transito cosciente, sereno e di edificazione. Per i santi
203
poi la morte è un lucro . Morire! Come, dove, quando, è un dettaglio
indifferente. Desiderano morire, e muoiono, come Iddio vuole. S.
Luigi Gonzaga si dichiara disposto anche nel momento in cui si
ricrea.
Non sarebbe questa una vana preoccupazione quando essi
sempre son pronti a morire; e più, se al punto della morte sono già
morti a tutto? Non rimane che un velo da squarciare un filo da
spezzare: che il velo si squarci d'un colpo o cada lentamente, che il
filo si spezzi o si sciolga ciò è nulla. L'attimo fulmineo e l'agonia lenta
è sempre l'inizio dell'eterna felicità.
È vero che la morte dei santi è uno spettacolo sì edificante da
assumere tono e maestà d'una liturgia: la pazienza la calma i sorrisi le
ultime parole sono documenti irrefrenabili della loro santità, sono
corroboranti salutari ai vicini ai lontani; ma tutto questo è per noi più
che per essi. Anche senza tutto ciò essi restano qual che sono quel che
furono lungo la vita e il loro trapasso è sempre prezioso al cospetto di
Dio.
Nondimeno s'ha da dire che pure Suor Paola Elisabetta ebbe la
sua penosa agonia - autentica suprema lotta - le sue edificanti
disposizioni i prossimi preparativi al passo estremo. L'ultimo Rosario
recitato con le sue orfanelle; quei baci ardenti al Crocefisso mentre
s'innalza l'Ostia benedicente; la suprema adesione al volere divino; le
delicate attenzioni per le figliuole; il suo triplice grido: Gesù! Gesù!
201
202
203
Proc. Ap. pagine 905-912, paragr. 471 485.
Proc. Ap. Summ. pag. 602. paragr. 6.
Filipp. I. 21.
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Gesù!; il suo iterato giubileo, l'ultima confessione... . Le mancarono le
sacre Unzioni, il Santo Viatico... Ma ella presentendo ha detto:
“Dimani faremo la santa Comunione... e poi la festa del Natale!... che
bellezza!... “Per lei l'ultima fu una Comunione di desiderio che si
saldò con la prima, senza veli senza mistero, unificata alla visione
eterna, con l'immersione nel pelago dell'amore beatificato. La festa
del suo natale in Cielo s'è congiunta alla festa del Natale di Gesù sulla
terra!
Che poteva chiedere di più?
Il suo transito fu un addormentarsi placido nel sonno della vita
per un felicissimo risveglio nell'eternità: nella notte tra il sabato e la
domenica del 23 al 24 dicembre dell'anno del Signore 1865!
Maria e Giuseppe pellegrinanti a Betlem in cerca d'un ricovero
pel Dono di Dio all'umanità, vennero anche per Suor Paola Elisabetta
a portare il loro dono: l’invito ad entrare nella loro casa del Cielo e
stabilirvi con essi l'immortale beatificante dimora!.
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CAPITOLO
XXVIII
Le sue sante dottrine
La M. Corti prosegue la sua narrazione: “Indi, con due altre, la
vestimmo. Non posso esprimere il dolore provato in quel fatale
momento: basti il dire che eravamo tutte come di pietra; non si poteva
parlare, né piangere. Io dettai quattro lettere senza sapere che mi
facessi. All'ora della sveglia comune mi appressai al suo letto, scoprii
la faccia quasi per accertarmi della sua morte. Guardandola, mi sentii
come cadere una pietra sul cuore e scoppiai in un dirottissimo pianto.
Allora mi sentii più sollevata nel grande dolore...
Poi si mandò a suonare l'agonia, ed in un subito corse per tutto
la desolante notizia.
Tutta la gente della contrada, ed anche di Seriate, erano in
costernazione: tutti piangevano la loro benefattrice, la madre dei
poveri; tutti deploravano la sua perdita non solo per l'Istituto, ma per
tutti i poveri, in ogni maniera da lei beneficati.
Non potemmo lasciarla nella stanza ove era morta, ma si
dovette trasportarla nell'appartamento della foresteria, per lasciar
204
libero sfogo al dolore di tutti ed appagare la loro devozione” .
Noi lasciamo che le desolate Figlie compiano il supremo pietoso
ufficio intorno alla salma della Madre, per seguire più dappresso
gl'itinerari della sua anima dal punto miliare della morte.
L'immortalità nel tempo è la prova solare della grandezza dei
Santi. Essi sopravvivono perché impersonano la indefettibile vita del
cristianesimo: lavorare combattere trionfare! Dopo la morte il trionfo:
Tutto di essi intorno ad essi può mutare e scomparire: dalle ceneri
alle loro istituzioni; ma sopravvive lo spirito, centro irradiatore d'ogni
204
Proc. Ap. Vita pag. 913, paragr. 487.
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attività, vivente immortale non solo di sua natura incorruttibile, ma
per quella mirabile vita, appannaggio della verità e della virtù,
indefettibilmente promanante dal sole d'ogni perfezione: Cristo Gesù.
Di Suor Paola Elisabetta Cerioli. oltre la fisica presenza delle
sue ceneri, - per benigna bontà divina, tutto oggi sopravvive. Se per
impossibile ipotesi tutto di lei dovesse perire, opere istituzioni scritti,
una cosa resterebbe irraggiungibile dagli uomini indistruttibile dal
tempo: la sua celeste dottrina, quei canoni di cristiana e religiosa
perfezione da lei vissuti e formanti la nota tematica della sua vita, diremmo - la tecnica della sua santità commentata e insegnata con
singolare eloquio d'esempi e parole.
Di questo ci occupiamo sulle ultime pagine del nostro lavoro;
ed affrontiamo il tema non senza esitazione.
La santa creatura ammirata nella multiforme attività, pianta
nella morte fulminea e silente - degna conclusione della sua vita - ha
sepolti per innata inclinazione ed arte di virtù tutti i suoi pregi in una
impenetrabile fortezza saldamente guardata da propugnacoli di
modestia di semplicità d'umiltà. È questo un insormontabile ostacolo
ad ogni penetrazione.
Però, la breccia non è impossibile, dato che ella ha parlato ed ha
scritto. Le sue parole prima d'esser tramandate alla storia s'incisero
profondamente nello spirito di chi le fu daccanto. Queste benedette
indiscrezioni porgono tanta materia da poter ricostruire i canoni di
una dottrina spirituale consolantissima: quella che dev'esser
consegnata a tutte le anime, anche le più lontane ed estranee a lei,
onde tutti si nutrano e sappiano quanto è ricca di dolcezza e di vario
sapore la dottrina di Gesù vissuta così umanamente e pur tanto
eroicamente da Paola Elisabetta Cerioli.
Dopo quanto s'è detto e letto, il presente capitolo sembrerà
superfluo. Ma torniamo a ripetere - come già lo confessammo - che
lungo questo lavoro sempre ci preoccupò un pensiero: la ricca copia
dei consigli e precetti di lei. Ogni volta che il ricorso storico ne
porgeva il destro ci studiammo di citare quanto reputammo il meglio,
il fiore delle sue sante parole; ma ci avvediamo, a lavoro conchiuso,
che ancora molto moltissimo rimane da ammirare. Per non
defraudare le esigenze delle anime e a compiere intero il dovere di
agiografo ci proponiamo di esaurire - al possibile - sulla fine del
lavoro il caro soggetto: tornando sempre a dichiarare che pur questo
di Suor Paola Elisabetta restano ancora a leggersi ed ammirare altre
recondite bellezze.
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opera omnia
Noi non ci chiediamo neppure dove ella abbia fatto la sua
erudizione spirituale. Riteniamo per certo che fu anima di vita
interiore sempre, nonostante il diversivo umano del suo matrimonio.
Il capitolo dello stato coniugale cade come intermezzo, o una battuta
d'aspetto, gettata ad arte dalla mano divina in una vita squisitamente
interiore. A due evidentissimi scopi. Il primo: affinarla nell'esercizio
delle virtù ed arricchirla di preziose esperienze; il secondo: farla
signora di vistose sostanze che dovranno servire all'impianto ed
alimento di opere benefiche.
E pur con questo diversivo ella rimane uno spirito eletto nutrito
d'orazione sagginato dalle tribolazioni rischiarato da supremi lumi.
Dietro la guida dei suoi Santi preferiti maestri - eccellenti nella
Chiesa - formò il suo stile di vita il suo patrimonio interiore la sua
dottrina personale.
Attraverso un intelletto luminoso un criterio equilibrato un
cuore caldo di generosità, ella filtrò le verità eterne, gli esempi di
Gesù e dei suoi migliori amici i commenti dei più accreditati maestri
di spirito, ed elaborò la tecnica della sua personale santità ortodossa
pratica ed anche geniale. Non che presenti toni peregrini di novità o
singolarità d'indirizzi; la sua specialità consiste nel rivivere le dottrine
del Vangelo in una freschezza d'attualità pratica quasi le cogliesse per
la prima volta dalle labbra di Gesù. È un'ondata di primavera rapita
alla letizia dei suoi campi e versata a piene mani nel suo patrimonio
spirituale, per gustarlo e lasciarlo gustare proprio come una
balsamica immersione nella gioia di un campo fiorito.
È così che l'immutabile dottrina si riveste sempre di nuove
peregrine forme secondo la varietà dei santi e la diversità degli stati
ove essi passano, restando una e in tutti uguale, intatta come la luce
del sole, adattabile alle forme d'ogni oggetto che investe e riscalda. La
Madre Cerioli assimilato il miele della dottrina del Vangelo lo elaborò
e lo restituì nelle sue singolari e consolanti dottrine.
Rileggendo, dunque, gli scritti di lei, disciplinari ascetici
epistolari, ricordando tutte le sue esperienze e parole proferite in
mille occasioni, e raccolte dalla sua fedele collaboratrice Madre Corti,
si rimane colpiti da una nota su tutte dominante come il motivo di
una sinfonia, come una singolare tonalità di colore in un quadro; una
nota che del resto esprime e traduce fedelmente l'anima della
scrittrice: una bontà dolce e longanime una docilità intelligente e
consapevole, una semplicità trasparente, ed un amore senza limiti.
“Io l'ho tutta in mente - ripete commossa la Madre Corti - ed
impressa nell'anima la sua grande virtù; e la stimo una delle anime
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più sante che ha poche pari; e non sono sola a stimarla così, ma così
mi dissero persone dotte e sante che ebbero la sorte di avvicinarla. Ma
le virtù di quest'anima erano nascoste e del tutto semplici, cioè della
semplicità di Gesù Cristo, non luminose all'esterno non singolari e
peregrine ma tutte misericordiosamente naturali, senza strepito senza
pompa senza dar segno di mestizia o di violenza, come se tutto
operasse seguendo la stessa natura... e perciò che io stendendo queste
memorie sono in imbarazzo pel timore che non sapendo io discernere
una virtù così fina non le dia il pregio che merita, e sia meno stimata
205
colei che la praticò” .
In quell'anima non ebbe mai adito il timore servile ma solo e
sempre l'amore filiale. Se sul declinare della vita ella paventa il
giudizio divino ciò proviene del suo stato fisico, che le fa giustamente
paventare una morte fulminea, ed è solo l'umiltà che le fa temere di
esser colta impreparata. Ma fuori di ciò il suo cuore è sempre aperto
ad una sconfinata confidenza nell'amore del suo Dio di cui è certa di
cui non può dubitare. E non la fanno dubitare neppure le sue colpe
perché ella ha troppe prove dell'infinita bontà di Lui.
I suoi sentimenti le sue idee - che si direbbero originali - circa il
sacramento della Penitenza son tutte sue. Ella annunzia il giorno
delle confessioni come un giorno di letizia: “oggi si spazza!” e va a
confessarsi con gioia col sorriso dipinto sul volto. Perché? La sua fede
è così compresa della virtù di questo Sacramento delle finalità per cui
esso fu istituito che non può concepirlo diverso da quello che è.
“Quando mi confesso sento il sangue preziosissimo di Gesù che si
versa sull'anima mia, e ne provo tanto contento che mi sembra di
volare e sento che ho più lena per cominciare a far bene”. Segno che
ella discerne esattamente in Dio ciò che è giustizia e ciò che è
misericordia; e che questa sopravanza sempre ogni altra perfezione
divina. Per la scelta del confessore somma indifferenza: dotto o meno,
rigido o soave, tutti le sono uguali, perché identico l'effetto e in tutti
vede Iddio non l'uomo.
Sua giaculatoria abituale: “Dio è tanto buono, che avrà
206
misericordia anche per me!” .
Raccomandazioni urgentissime inserite come legge nel suo
Direttorio per la retta formazione delle orfanelle sono queste.
“Preparare le ragazze alla confessione istruendole, senza metter loro
delle paure, come: se farai così il Signore ti castigherà andrai
205
206
Proc. Ap. Summ. Vita. pag. 903-4. paragr. 470.
Proc. Ap. Suppl. Summ. p. 123. N. VIII. paragr. 66. 67.
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all'inferno, e simili. Neanche: a far così è peccato mortale o veniale,
tranne, s'intende, alcuni casi in cui deve proprio dichiararlo per
necessità. Si faccia conoscere la bontà e la misericordia di Dio,
principalmente quando si accostano alla confessione”. Per questo ha
scritto un breve apparecchio semplice, piano e dolce ad uso delle sue
orfanelle: in esso si vede come in uno specchio quanto ella fosse
207
penetrata della divina Bontà .
Ed insiste ancora: “Affezionate queste creature soavemente a
Dio, rappresentatelo buono santo misericordioso liberale; non
stringete il cuore non impoverite l'intelletto predicandolo ad ogni ora
terribile severo pronto a punire e castigare per ogni piccola colpa. Chi
opera per amore opera generosamente. Non abbiate paura del
Signore amatelo e servitelo per amore, non gli fate questo torto di
dubitare del suo perdono. Egli resta più offeso della nostra diffidenza
che delle altre mancanze commesse... Egli ci creò; sa bene di quale
fragile natura noi siamo quindi non gli giungono nuove le nostre
mancanze. Umiliamoci; ma speriamo anche contro ogni speranza,
cioè anche quando sappiamo di meritare il castigo... Il Signore non
guarda ai nostri meriti, ma a quelli del suo Figliuolo. Poveri noi se
non guardasse a questi! Siamo, dunque, pieni di speranza nella sua
bontà infinita, facendo dal canto nostro tutti gli sforzi per far bene. Il
salvarci preme più a Lui che a noi, poiché gli costiamo così caro
prezzo... Quando si va in chiesa fossimo anche colme di miserie e di
mancanze, si dovrebbe andarvi giubilanti e piene di fervore sapendo
di aver a che fare con un Padre sì buono. Che cosa v'è che Egli non
voglia o non possa perdonare? Egli rimedia a tutto; sa compatire la
nostra miseria; è meglio che il soldato si presenti ferito al suo
principe, che sano per non aver combattuto per lui... Andate là
davanti a quel tabernacolo là v'è l'Onnipotente: se avete fede tutto
otterrete. Se abbisognassero miracoli Iddio li farà perché a Lui nulla è
difficile ed impossibile... Oh, come è buono il Signore! sempre
perdona... io non posso dubitare no della sua grande bontà!...
“Lasciamo la cura di noi stesse tutta a Dio che è nostro buon
Padre. Oh, il buon Padre che abbiamo! E un gran Padre! E non volete
che essendo Egli la stessa Bontà, non volete, dico, che mentre noi
pensiamo a servirlo nei suoi poveri, egli non abbia cura dell'anima
nostra? No, no, non fategli questo torto che è maggiore di qualunque
altra offesa!”.
E mentre diceva queste parole, piangeva.
207
Proc. Ap. Summ. Vita, paragr. 300.
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Le lacrime sulle parole, stille di fuoco sulla verità creduta
predicata praticata. E le sue lacrime cadono come carboni accesi a far
divampare più veemente l'incendio dell'amore.
E prosegue: “Né a voi, né ad altri gioverà il veder sempre in Dio
il giudice severo ed inesorabile. Come confidare? Come animarci ed
animare gli altri a sperare in Lui, vedendo in noi tante miserie?”
Tanto ardore divino, di cui nulla può concepirsi più alto più
soave più santo, divampa infatti nel cuore di lei.
La bontà divina, oceano infinito di eccellenza di perfezione di
bellezze cumulo di misericordia, questo amore che le umane ed
angeliche intelligenze non giungeranno mai a penetrare a
scandagliare per i secoli dei secoli, fa vibrare di tenerezza il cuore
della santa creatura. Il suo commuoversi il suo piangere il suo
trasalire al pensiero di Dio al riflesso del Cielo sono gl'indici appena
della fiamma di ritorno dal suo cuore a Dio, frutto della celeste
comprensione che ha di lui. La cognizione della bellezza e della bontà
divina non la rende audace o temeraria, ma le rischiara la mente a
comprender meglio se stessa e a reputarsi ingratissima a tanto amore;
piena di miserie in confronto di tanta bellezza. “Signore! io sono
immersa in un caos di miseria, e non so dove rivolgermi se non a Voi,
la mia speranza è nella vostra Passione e nei vostri meriti... Io ho
paura di me, e temo me stessa più che il demonio”
E non monta mai in superbia. “Come lo potrei? - ella dice - Se io
faccio qualche cosa è Dio che mi trascina a farlo come per forza... e se
risulta qualche cosa di bene, provo in me un sentimento di
riconoscenza verso la bontà di Dio, autore di ogni cosa, e un
sentimento di commozione nel vedermi adoperata dalla sua mano
onnipotente quale strumento della sua santissima volontà... E come
potrei inorgoglirmi? Come potrei chiedere consolazioni se merito
castigo più che premio? È già troppa grazia che io non sia castigata
per gl'impedimenti che pongo ai disegni di Dio”.
Però, ella ha in cuore una ineffabile pace e la gusta e ne gode, e
meravigliata della bontà divina ne sente riconoscenza ed esclama:
“Vedete bontà del nostro buon Dio! - ed anche qui pronunziando
queste parole piange - Noi facciamo tanto male, ed Egli invece di
castigarci ci manda queste prosperità impariamo anche noi ad esser
così col nostro prossimo, a rendere loro bene per male”.
Con ugual cuore però ella accoglie così i benefici e la pace come
le prove le contraddizioni le lotte. “Bene, benissimo, così va bene;
imparerò... mi umilierò... mi sta benissimo: questo ci voleva. Son
proprio contenta che così abbiate permesso, o Signore, mi dispiace
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solo il fatto perché offesa vostra; ma voi sapete trarre dal male il bene,
e certo dai nostri spropositi ritrarrete la vostra gloria”.
Questo per quanto si riferisce direttamente all'anima sua. Che
se si passa a considerare il grave negozio che tanto la preoccupa delle
sue fondazioni, la confidenza e fiducia in Dio sono ancora più
commoventi ed eloquenti. “Oh, quanto è buono il Signore! Speriamo
in Lui!” Parole d'ogni giorno...
Sugli inizi della sua opera, quando sembrava che tutto volesse
intorbidarsi perire ella né spinge avanti le cose, né torna indietro; sta
salda e sicura: “Non è opera mia: chi l'ha avviata, la condurrà ad
effetto”.
Quando sente di mancare di qualche appoggio umano che
potrebbe giovarle: “Non tocca a me il procurarmelo; spetta a Lui:
dunque, ci pensi”.
Alla sua confidente - che ama tanto e ricambia di sincera
riconoscenza proprio perché è la sua correttrice - dichiara: “Se io
vedessi venirmi meno tutti gli appoggi ed aiuti umani non mi
muoverei affatto. Se l'opera è di Dio di che possiamo temere? Come
vorrà Egli abbandonarla? E come possono mancare soggetti ed aiuti
ad un Signore così forte e potente?”
Di fronte ad una minaccia o ad un pericolo: “Vedrete sono cose
che riescono a nulla. Tutto passa; tutto passerà; rumori del diavolo,
che giungerà fino dove Iddio gli permette... Lasciamo fare al Signore,
Egli ha in mano tutto e tutto accomoderà bene... Non è l'uomo che
deve far progredire la nostra opera e benedirla, ma Dio... Quando
tutto il mondo ci fosse contrario, se noi saremo fedeli, l'opera di Dio si
stabilirà e perfezionerà. Non ci appoggiamo a nessuno, ma teniamoci
tutti come strumenti di cui Iddio vuol servirsi, ed allora Egli ci
benedirà... Abbandoniamoci alla Provvidenza e lasciamo che operi
essa. Ricordatevi dei nostri primi principi di fondazione. Chi creò
l'Istituto? Il Signore. Chi lo sostenne? la sua Provvidenza?. Chi
mandò questo o quei soggetti senza che noi li conoscessimo, o
brigassimo per averli? Ancora la sua Provvidenza e bontà. No, mie
carissime, che il Cielo vi guardi, nei vostri bisogni ricorrete a Dio solo,
interponendo l'intercessione di Maria e del nostro Padre S.
Giuseppe!”
Il suo caro Istituto maschile quanto le costò di pene fatiche e
prove! Eppure fiduciosa in Dio anche per questo non si turbò mai. “Io
stavo aspettando - ella dice - che il Signore facesse tutto Lui e non
dubitavo nemmeno che prima di morire non avesse da compiere i
miei desideri”.
Biografie
255
opera omnia
Per quest'opera - si sa - più che per l'altra ebbe disapprovazioni
incomprensioni defezioni; alle difficoltà che le si muovono, risponde:
“La prudenza del mondo deve esser regolata come vuole il mondo;
non così quando un'opera è di Dio bisogna lasciarla andare come Egli
la guida”
Ma le si diceva: “Voi finirete i vostri giorni in miseria
ricoverando tanti poveri!” - “Piacesse a Dio! - rispondeva - che mi
riducessi povera ed avessi a morire in un fienile!... Se sapessi che
quanto faccio è opera mia la troncherei subito, ma essendo opera di
Dio non ho alcun timore!”
Queste, e molte altre ancora, sentenze riflessioni esortazioni
risposte dette o dettate alle sue religiose, onde camminassero al
cospetto di Dio sulla via del Cielo, potrebbero ancora allinearsi qui in
bella esposizione di consolanti dottrine; ma noi ci arrestiamo per
conchiudere. Ecco il dono spirituale che noi diciamo patrimonio
personale della Madre Cerioli.
E possiamo logicamente dedurne: se questa dottrina fu efficace
a consolare e sospingere lei verso le alte vette conquistate, e se tuttora
vi conduce quelle anime che da vicino seguono le sue orme, perché la
stessa dottrina non potrà servire anche ad altri che impareranno a
conoscere o ad amare la buona Maestra? Forse si dirà: ma ciò è già
noto; lo si ritrova sopra tutti i manuali di ascetica dei maestri di
spirito antichi e recenti. Che cosa dunque di nuovo viene a dirci la
Madre Cerioli?
Una cosa sola: ella ci conferma con l'esempio e l'esperienza
propria l'efficacia della dottrina cristiana nel salvare e santificare le
anime.
E se la Madre Cerioli per questa via e con tal mezzo ha
raggiunto i vertici della santità perché non lo potranno anche gli altri?
Ci sembra però che a questo si possa aggiungere dell'altro.
Gl'insegnamenti della Madre Cerioli hanno la loro caratteristica, una
nota inconfondibile di singolarità, ed è questa: ella ha formato il suo
patrimonio spirituale elaborando insieme la soavità di S. Francesco di
Sales col fuoco di S. Teresa ed ha prodotto una dottrina di
consolazione luminosa e persuasiva pratica e profonda, ridata a secoli
di distanza dai suoi Maestri al secolo XIX.
Da pulpiti e cattedre, non molto lontani dalla Cerioli, si
predicavano ed insegnavano le inesorabili e tetre dottrine di
Giansenio; “ed anche fra il clero della diocesi di Bergamo, sebbene in
ragione d'assai minore che altrove, fervevano le contese teologiche,
che sostenute con mala fede dai giansenisti, venivano continuate e
Biografie
256
opera omnia
208
favorite in buona fede da alcuni dabbene, illusi o malaccorti” .
Queste sono parole del canonico Valsecchi, illuminato direttore della
Cerioli.
Tali dottrine senza cuore, strappano le anime tiepide e trepide
dalle braccia della misericordia, per gettarle terrorizzate nella
disperazione dell'inesorabile giustizia di Dio.
Quante anime perdute per lo spavento e il tradimento di falsi
apostoli e predicatori d'una virtù che non è più tale proprio perché
non è umana, ma assurda inconciliabile con le possibilità di creature
inferme e vulnerate dalla colpa originale, irraggiungibile dalle sole
umane forze, precarie e debilitate allora, ed oggi aggravate da nuovi
fattori che sembrano rendere impossibile l'impresa!
Suor Paola Cerioli ispirata reazionaria a così assurde dottrine
persuade del giusto concetto della misericordia e giustizia divina, e
riapre i cuori alla fiducia. Sotto tale riguardo ella ha assolto una
particolare missione nel suo ambiente per i suoi e i nostri tempi.
Che se oggi non ci affligge la peste giansenistica molti tuttavia
son freddati o abbattuti dal falso concetto del dovere da compiere
della virtù da esercitare del migliore perfezionamento a cui tutti si
deve tendere.
La Madre Cerioli, con le dottrine armonizzate alle azioni, sfata
ogni pregiudizio e persuade che ad esser buoni della bontà cristiana,
ad esser migliori secondo i consigli del Vangelo, ad esser perfetti
secondo il Discorso della Montagna, non occorre ascendere in
atmosfere superiori e spaziare nell'alone dello straordinario. Basta
rimanere dove Iddio ci ha posti; ovunque: nel mondo o separati da
esso, ma restarci bene: nella nostra posizione più naturale ed umana,
coi piedi sulla terra e il capo eretto verso il cielo; vivere ed operare a
norma della divina legge in adempimento dei nostri obblighi
personali; assolvere con coscienza e merito i doveri della vita, che è
per tutti concreta dura realtà fatta di poche attrattive e molti dolori, di
delusioni scontri incidenti che addolorano sfibrano anche i più
gagliardi; vivere immobili nella mobilità del tempo e del
temperamento, sotto le infinite oscillazioni della vita attaccati a Dio,
la mente tesa alla verità in attesa dell'eternità, quando tutto sarà
passato e resterà solo Colui che ci ha amati e ci ama per renderci felici
unendoci a Lui nell'amplesso di quell'amore che fu movente della
creazione e sarà consumazione d'ogni beatitudine.
208
Sac. Lorenzo Dentella “I Vescovi di Bergamo” Notizie storiche. Cap. XXXIV,
pagg. 488-489.
Biografie
257
opera omnia
Suor Paola Elisabetta Cerioli! Una ricchezza povera di felicità;
una giovinezza senza primavera; un cuore cribrato dalle prove più
ardue e contrastanti; una vita spezzata innanzi sera dalla morte, ma
sfolgorata da una luce tempestata da ardori che insegnano amore
fiducia nella sapiente misericordia di Chi la trasse dal nulla per
affidarle nel giro di cinquant'anni una grande missione di virtù e di
bene, che valicherà i secoli, per un premio una felicità senza
tramonto.
Suor Paola Elisabetta Cerioli mangiò lo stesso nostro pane
amaro e forte, però condito di quelle dottrine di salute e di
consolazione che la corroborarono e la crebbero sino alla vigoria ed
alla statura dei giganti dello spirito.
Perciò ella sopravvive nella immortalità di Dio.
Biografie
258
opera omnia
CAPITOLO
XXIX
Espropriazioni umane e decorazioni celesti
Tra il Cielo e la Madre Cerioli ci fu uno scambio di doni.
Contro eroiche spoliazioni umane Iddio rispose con decorazioni
celesti.
Per decorazioni s'intendono qui i doni preternaturali,
assolutamente gratuiti, che la divina benignità a volte regala ai suoi
servi fedeli in attestato di compiacimento in premio alla generosità.
L'assenza di questi doni però non significa difetto di merito,
perché non sono indispensabili; e come nulla aggiungono al valore
del decorato così nulla gli tolgono ove manchino.
Tanto vero che al giudizio della Chiesa tali doni non
costituiscono un criterio apodittico di santità. Se ci sono essa li
controlla e li riconosce nella loro obiettiva realtà storica; se mancano
verun danno. Criterio unico insostituibile di santità è la virtù
eroicamente esercitata in vita, e i segni manifestati dopo la morte con
fatti miracolosi da parte di Dio ad autenticare il giudizio della Chiesa.
Suor Paola Elisabetta, per benigna predilezione del Cielo, fu
decorata in vita da alcuni segni straordinari che per amore d'integrità
storica dobbiamo riferire.
Prima di parlare delle decorazioni occorrerebbe segnalare le
benemerenze; non perché tra le due cose corra un nesso necessario
d'interdipendenza; ripetiamo: i meriti sussistono anche senza le
decorazioni; ma supposte queste è facile giustificare quelli.
Suor Paola Cerioli può dirsi l'anima delle grandi espropriazioni.
Generosissima, si spogliò di tutto. Non solo delle cose sue - ed eran
tante e tanto preziose -; ma di sé: ciò che – secondo S. Gregorio – è
ben più arduo duro e meritorio. Invero ricchissima qual era si ridusse
in povertà per le sue opere. Ecco una lettera a suor Adelaide Carsana,
Biografie
259
opera omnia
superiora di Villa Campagna. “Cosa vuoi, quest'anno non arriviamo a
metterci in giornata con l'entrata e con l'uscita. Ma ci vuol pazienza!
Credevo di pagare tutti i nostri debiti coi danari delle galette
(bozzoli), invece il mercante non pagherà che all'ultimo del mese; così
non ho potuto pagare nessuno, ed accumuliamo debiti sopra debiti”
Dispregiò cordialmente le sue ricchezze e non le curò se non ai
fini del bene che le consentivano d'operare.
Il superfluo in preziosi lo vendette per dare il primo ricetto alle
care orfanelle. Le sue compagne erano sbalordite dinanzi
all'indifferenza e al disprezzo in cui aveva questi tesori; e gliene
mostravano un certo rincrescimento per vederla privarsi di tanti
oggetti che da secoli avevano formato il lustro della nobilissima sua
famiglia. E lei: “No no, non stanno bene queste ricchezze nella casa
dei poveri. Vendiamole e compreremo cose più adatte alla nostra
condizione... ; “.
Un vecchio medico di casa Tassis va a visitarla; entrando nella
sua stanzuccia resta sorpreso ed esclama: “È questa la stanza da letto
di Donna Costanza? Come mai una signora tanto ricca si è ridotta in
simile stato?” Eppure per lei anche il poco il modesto le cose più
dozzinali eran di troppo.
Poi le cessioni di ogni soddisfazione fisica che equivalgono alle
penitenze corporali. Anche queste non necessarie alla perfetta santità,
e perché subordinate alle condizioni fisiche del soggetto, e perché
rientrando nell'economia della grazia possono o meno ispirare la
generosità di un'anima.
Nonostante che Suor Paola avesse un organismo malaticcio e
debole sin dove le fu consentito dalle forze e dal direttore, fu fiera ed
implacabile flagellatrice del proprio corpo. Dopo la sua morte furono
ritrovati parecchi strumenti di penitenza, cilizi catenelle di ferro
fruste ed altri oggetti gelosamente nascosti; ciò dice che li usava;
altrimenti non si spiegherebbe la cura nel celarli.
Per le piccole mortificazioni corporali - in ciò aveva libertà di
agire - era di un'industria geniale. Per sostenere il caldo il freddo la
molestia delle mosche si sarebbe detto che avesse un fisico
robustissimo. Ricordiamo come da fanciulla giovanetta sosteneva il
cocente dolore dei geloni ulcerati senza lamentarsene senza chiedere
un sollievo. Crescendo imparò a tener in verun conto riguardi e
delicatezze. D'estate nel fervore del caldo prendeva un po’ di riposo
gettandosi sul letto con tutti i suoi pesanti indumenti. Non voleva che
si aprissero finestre e porte per stabilire un po’ di refrigerio; non
usciva di sera all'aperto a godersi un po’ di fresco dopo una giornata
Biografie
260
opera omnia
canicolare. “Chiudiamo le orecchie per non sentire quel che fa la
stagione”. Era il suo motto di amabile mortificazione.
Spossata ed affannata pel suo cuore in disordine scendeva e
saliva scale senza posa; non si metteva mai in letto per riposare fuori
delle ore prescritte. Medicine poche. “Niente, niente, - ripeteva - il
niente fa più bene d'ogni medicina. Se la infastidiva il mal di stomaco
scendeva in giardino coglieva alcune foglie amare le masticava
alquanto e poi: “Basta così!” La morte la colse in piedi. L'ultima sera
di sua vita lavorò sino all'imbrunire e si occupò delle cose dell'opera
sua.
Questo era quanto le concedevano la sua salute e il suo
direttore, e lo abbracciò con una foga che non aveva moderazione.
“Insomma - nota la Madre Corti - io vedendola sprezzare tanto
ogni gusto e qualunque cosa potesse accontentarla dicevo: o che
avesse una natura diversa dagli altri, o che dovesse essere un'anima
molto santa”.
Dove poi le era piena libertà - nel campo interiore - tutto fu
espropriato ed immolato sull'altare del sacrificio: la volontà gli affetti
il sentimento l'amor proprio; di tutto fece gettito con una risolutezza e
generosità virile. Logicamente: perché se l'altra mortificazione quella corporale - è buona cosa, questa è indispensabile; tanto che
potrebbe stare da sola, mentre quella senza questa, è cosa vana ed a
volte astuzia di raffinato orgoglio.
In fatto di mortificazione interiore si diceva dalle sue Figlie che
sarebbe stato preferibile che avesse praticato digiuni flagelli cilizi
anziché vederla infierire con tanto raffinata e sottile violenza contro
se stessa pur nelle cose più innocenti e insignificanti.
Ma ella ricorda assai bene il dettato del suo caro Maestro S.
Francesco di Sales: “Poco importa al demonio che voi laceriate il
vostro corpo quando seguitate a fare a senno vostro; non è punto
l'austerità che egli teme ma l'ubbidienza. Non v'ha austerità che valga
il sacrificio della vostra volontà sempre sottomessa e continuamente
obbediente”.
Suor Paola Elisabetta non può concedersi la libertà di ridurre in
soggezione il proprio corpo con i flagelli i cilizi e le catene; ma può
flagellarsi nella volontà. E lo fece spietatamente nobilmente.
Ricordiamo l'arduo voto concessole da Mons. Speranza di
cercare continuamente la gloria di Dio col sacrificio di tutta se stessa;
e lo adempì scrupolosamente sino all'eroismo. Ricordiamo l'ufficio di
correttrice imposto alla buona sua compagna Luigia Corti, per cui
questa doveva spiare analizzare e segnalare anche un gesto una
Biografie
261
opera omnia
parola, un cenno fuori luogo, e richiamarla al proposito fatto. Mentre
ella era riconoscentissima verso la sua correttrice, sì da dire: - Io amo
assai Suor Luigia per la carità che mi usa di avvisarmi dei miei difetti
-; questa al contrario era sempre nell'imbarazzo per non aver nulla da
rimproverarle: e la sua censura era certamente benigna e soave.
Un giorno Suor Paola Elisabetta mentre parla con un sacerdote
teme che un po’ di vanità venata di compiacenza entri in quel
discorso; si arresta e dichiara al suo interlocutore come ella con quel
discorso avesse avuto intenzione di farsi credere illuminata nelle vie
del Signore. Meraviglia ed edificazione somma del sacerdote!
Ella interdice alla sua mente ogni pensiero che ad altro non
serva che a perdita di tempo o a divagamento nell'orazione per
render l'anima distratta. Quindi notizie novità curiosità non ne chiede
mai; non vuole saperne.
Dalla sua obbedienza dopo quanto s'è detto, in questa biografia,
che potrebbe dirsi con sottotitolo appropriatissimo: “le vittorie
dell'obbedienza” non si saprebbe che aggiungere. Dalla sua prima
eroica sommissione al comando dei genitori che la vollero nello stato
matrimoniale - e in qual partito! - tutta la sua vita non è che una serie
di cessioni espropriazioni rinunzie alla propria volontà per obbedire
a Dio ed ai suoi rappresentanti.
Se si volessero enumerare le persone di autorità e qualità che le
furono attorno per dissuaderla contrariarla con suggerimenti lumi
consigli opposti al suo ideale di perfezione e di carità se ne
riempirebbero delle colonne; ma ella sempre saggia e garbata, ascoltò
pazientemente tutti, poi obbedì ad un solo, al suo direttore che le
dava precisa la volontà di Dio.
Prima di dare principio alla sua opera pregò invocò Iddio
nell'orazione perché la illuminasse; indi spogliatasi completamente
della propria volontà e di quanto sapesse di umano, si mise in uno
stato di santa indifferenza per cui: fare o non fare, far questo o quello,
far questo o il suo opposto, per lei era una stessa cosa. Ricordiamo a
proposito come si distaccasse senza commuoversi dalla prima sua
collaboratrice, la buona Suor Luigia Corti, che l'abbandonava, nel
timore che l'opera desiderata non si realizzasse proprio per lo stato
d'indifferenza della Fondatrice.
Suor Paola Elisabetta non sbagliò mai. I suoi superiori o
direttori pur tenendola sotto la guida dell'obbedienza, e sapendola
discreta ed illuminata in tutto le lasciavano libertà di movimenti e di
decisioni; ma ella si atteneva scrupolosamente all'obbedienza come
Biografie
262
opera omnia
un bambino che per non cadere si aggrappa tenacemente alla propria
madre.
Il buon vescovo Speranza le scrive tanto amabilmente: “In casa
sua faccia da vescovo e non dica niente né al medico né al confessore
né a preti né a romiti né a nessuno. Che piacere avrà anche lei a poter
fare a modo suo. Fa tanto, ed ha fatto per tanto tempo a modo degli
altri! Adesso faccia un po' a modo suo nel cercare il bene del suo
Istituto, che il Signore è contento così” Ed ancora in un'altra lettera:
“Che donna è mai Lei! Stia quieta. Vada a Soncino e fondi la sua casa,
e preghi il Signore che la fondi lui a sua gloria e a vantaggio delle
anime... Iddio è sempre il Padre e noi i suoi servi e tutte della Sacra
Famiglia le sue serve, e più delle altre la superiora, che come ha
cominciato così prosegue, senza testa senza interesse e con la sola
mira di far del bene” Ed infine: “Lei faccia bene, faccia tirar diritto le
sue compagne e figlie, non tenga conto di sé, né se va avanti né se va
indietro: butti tutto nel sacco, e guarderemo dentro poi”.
Parole di verità! Ed era il vero procedere di Suor Paola,
obbedire ciecamente, senza sapere senza volere.
La flagellazione del suo sentimento - ad esempio - nell'affetto
verso i nepoti non è meno eroica. Li amava di un amore tutto
spirituale; s'interessava delle loro cose, ma più della loro anima.
Trepidava per i pericoli a cui li vedeva esposti, temeva che la
prosperità e le ricchezze non li rendessero dissennati... giungeva
persino a chiedere per essi al Signore qualche dolore salutare che li
tenesse in saggezza. Pregava e faceva pregare per i suoi diletti nepoti.
Se venivano a visitarla non si effondeva in espansioni di affetto; però
si notava che gradiva i riguardi che le suore usavano per essi. Ciò che
la virtù non le permetteva di fare, approvava che altri lo facessero per
amor suo. Per tutti i suoi parenti ed amici aveva una massima tanta
comune ma saggia: “Ricordarli per raccomandarli a Dio. Ciò che può
il Signore per la loro felicità noi non sapremmo né potremmo farlo
con tutte le manifestazioni del nostro sentimento”.
Poi la flagellazione dell'amore proprio che vuole essere
accarezzato dalle lodi e dalla stima altrui!... Le lodi le fuggiva e le
aborriva. Sorrideva invece alle ingiurie ai rimproveri alle censure alle
diffamazioni. E il Cielo non gliene risparmiò; dal giorno in cui
divorziando dal mondo, si diede a Dio ed all'opera prediletta, gliene
caddero sul capo fitte e scroscianti come una gragnola. Il minimo che
le fu detto: che era pazza. E poi: una stolta che s'era lasciata montar la
testa dai preti; una scialacquatrice di tanti patrimoni... e - giudizio
Biografie
263
opera omnia
opposto - si giunse ad accusarla di sfruttare le povere orfanelle del cui
lavoro senza mercede o retribuzione, ella arricchiva...
E lei non si turbava sorrideva sempre a tutti giustificava tutti
dicendo: “Che volete fare? È questione di carattere ma in fondo
hanno tutti un cuore buonissimo”.
Finalmente l'ultima espropriazione - complemento di una bella
serie di mortificazioni corporali e spirituali - è il distacco persino dalle
cose che si direbbero indispensabile cibo e respiro d'un'anima, ossia
la disponibilità e il gusto dei conforti spirituali: il tenersi paga di
quanto le è concesso dalla benignità divina e dalle leggi della Chiesa
in fatto di orazione di pratiche di pietà di Sacramenti. Languire
nell'aridità o ardere di fervore poter soddisfare le particolari esigenze
devote o dovere ometterle ricevere Gesù sacramento o soltanto
spiritualmente, tutto le è uguale e buono.
Per due mesi - al principio dell'Istituto - fu trattenuta in letto
dai suoi soliti mali; mai un lamento per non poter recarsi in chiesa.
Nei giorni di comunione sfolgorava di gioia ma nei giorni di digiuno
sacramentale non era mesta. Le chiedevano se non le rincrescesse
tutto questo. Ed ella “M'ha da rincrescere il far la volontà di Dio?...
Che avranno fatto nei deserti gli anacoreti che mai uscivano dalle loro
grotte per confessarsi comunicarsi udir Messa? Eppure divennero sì
gran santi! Facevano la volontà di Dio. Quando l'obbedienza lo vuole
bisogna ad ogni costo usare dei mezzi concessi, e quando la volontà
di Dio ce lo impedisce ed ordina altrimenti bisogna restar
quietissime”.
E il buon Dio non lasciò senza premio tanta generosità.
Passiamo a vedere con quanta liberalità il Cielo ricambiò la
fedele serva fregiandola a sua volta di luci e decorazioni che dicono
all'evidenza quanto fosse il compiacimento divino per tante generose
espropriazioni.
Non ripetiamo nulla del dono di orazione che fu radice e base
di tutto il suo apostolato; nulla del volto costantemente di fiamma
tutte le volte che parla con Dio; e dell'atteggiamento estatico dinanzi
al santo tabernacolo; del dono delle lacrime che la sopraffà se parla
del Cielo o delle magnificenze divine diffuse nella natura o della
misericordia di Dio che sovrabbonda su tutte le altre perfezioni. Le
sue Figlie lo hanno visto ed ammirato e non lo dimenticarono mai.
Oltre a ciò la bontà del Signore le conferì il dono della
scrutazione dei cuori la previsione delle cose future ed occulte. Alle
sue preghiere si moltiplicano arcanamente grano e carni
assolutamente insufficienti a saziare la numerosa comunità; al tocco
Biografie
264
opera omnia
delle sue mani benedette un'orfanella gravemente malata ad un
braccio risanò. Ed ecco in dettaglio alcuni fatti che togliamo
genuinamente dai Processi Apostolici.
Un orfanello Figlio di S. Giuseppe a nome Isidoro Paris andava
un giorno da Villa Campagna a Soncino per recarsi ad ascoltare la
Messa ed era insieme ad un suo compagno il quale strada facendo, lo
invitava a fuggire con lui dell'Istituto. Egli, naturalmente, non
acconsentì. Tornato a casa la Madre Paola che si trovava a Soncino lo
fece subito chiamare. Lo accolse amorevolmente, come usava sempre
con i suoi cari orfanelli, e poi di discorso in discorso gli parlò
nientemeno della tentazione da lui superata. Lo ammonì, e lo
consigliò di conseguenza. Quadro di stupore! Il ragazzo pensò! o la
Madre è una santa oppure una fattucchiera; perché nessuno fuori che
il suo tentatore conosceva la cosa, e non poteva supporre che proprio
lui avesse potuto parlare, tanto più che non aveva veduto la Madre
209
prima di lui
Una certa Teresa Baroni, terrazzana di Comonte, un giorno
stava ascoltando la Messa nella cappella del convento e durante tutto
il tempo del S. Sacrificio aveva parlato abbastanza con una compagna
vicina. All'uscita la Madre la ferma la rimprovera del suo contegno
poco rispettoso, e poi le chiede l'oggetto del suo gran discorrere; la
giovane arrossì. Avevano perlato, nientemeno, di fidanzati e di
matrimonio. “Bada, però - le disse la Madre - quello che tu dici non lo
sposerai; invece prenderai un altro. E lo nominò. La Baroni, infatti da
tempo parlava con un tale che in seguito l'abbandonò, per sposare un
210
altro che avanti non conosceva neppure .
Suor Giovanna Grazioli narra: la mia mamma si presentò alla
Madre Paola Cerioli a Soncino con una bambina di un anno e mezzo
in braccio: quella bambina ero io stessa. Interrogata la mamma se
quella bambina fosse sua ed avuta risposta affermativa la Fondatrice
soggiunse: “Tu non hai voluto venire al nostro Istituto; ebbene sappi
che ci verrà questa bambina”. La mamma non mi disse mai nulla di
questa sortita della madre Cerioli; ma io sin da piccina ebbi sempre
inclinazione per lo stato religioso, tanto che a diciotto anni una
signorina di Soncino mi aveva ottenuto l'ammissione nelle
Canossiane. Lo seppe la Madre Corti la quale si lamentò dolcemente
con me perché avendo io frequentato il suo oratorio festivo, volessi
abbracciare un altro Istituto. Io che non avevo nessuna preferenza per
209
210
Proc. Ap. Summ. pag. 585, paragr. I.
Proc. Ap. Summ. pag. 587, paragr. 7.
Biografie
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opera omnia
l'uno o per l'altro ne parlai alla mamma la quale mi narrò quanto le
aveva predetto la Madre Fondatrice. E la Grazioli fu delle suore della
S. Famiglia.
Questa continua a deporre: Si vedeva pure che la Madre
Fondatrice aveva il dono della scrutazione dei cuori, perché, a quanto
mi venne riferito, quando vedeva qualche suora o orfanella un po'
melanconica le si avvicinava e le diceva: “Vedi tu ti trovi così, perché
hai fatto questo e questo... la tale o tal altra mancanza”. E indovinava
perfettamente. Quanto alle estasi so che quando la Madre Fondatrice
si trovava dinanzi alla statua di Maria Addolorata, e più ancora
dinanzi a Gesù Sacramentato e dopo la S. Comunione appariva tutta
raggiante in volto e come fuori di sé... cosicché non si risentiva
neppure a tirarle le vesti...
Di questi doni di cui parve arricchita fino all'ultimo di sua vita
non ne faceva mai parola; anzi non voleva che altri se ne accorgesse,
tanto che ne avrebbe avuto dispiacere perché abborriva da qualsiasi
211
parola di lode .
Ancora una suora dell'Istituto della S. Famiglia dichiara: “Sono
convinta che la Madre Fondatrice fosse arricchita da Dio di doni
superni straordinari. A questo riguardo, ricordo che trovandosi ella a
Leffe, in una certa sala della casa insieme con altre religiose
d'improvviso disse: - Usciamo di qua perché vuol cadere la volta. Non si vedeva verun segno di pericolo ma il fatto è che appena
queste uscite la volta rovinò.
Così pure Suor Maria Passera, da Arcene, mi soleva raccontare
che da giovinetta accompagnò a Comonte una giovane perché fosse
accettata come religiosa. Presentatesi alla Madre Fondatrice e fatta la
domanda ella dopo averle squadrate da capo a piedi, disse a quella
che si presentava come aspirante: “Tu non sei fatta per questo
Istituto; ritorna a casa dove farai molto bene nello stato che ti prepara
il Signore; invece devi fermarti tu” disse rivolta alla compagna.
Rimasero colpite di meraviglia a questa sortita; e la prima ritornò a
casa dove si sposò e fece molto bene; l'altra persuasa che la Madre
leggesse fino in fondo al cuore si trattenne subito, e fu una delle
prime sei compagne della fondazione dell'Istituto carissima alla
Madre Fondatrice.
La stessa Suor Maria Passera soleva ripetere che la Madre aveva
il dono della penetrazione dei cuori. Queste doti straordinarie le
possedette specialmente dopo la fondazione dell'Istituto, e non c'era
211
Proc. Ap. Summ. pag. 594-596, paragr. 22. 25
Biografie
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opera omnia
pericolo che ne parlasse, tanto meno se ne gloriasse, che anzi era tutta
212
desiderosa di tenersi nascosta”
Un giorno - depone la testa Domenica Piantoni - la Madre
Fondatrice stava in conversazione con una signora la nobil donna
Gouth, venuta a farle visita. Ad un tratto entrò una suora che
conduceva un'orfanella molto malata ad una mano - non so precisare
che malattia fosse. - Chiedeva alla Madre se dovesse condurla dal
medico. Allora ella osservò attentamente la mano della fanciulla, vi
passò sopra dolcemente la sua, e disse alla suora: “Va pure, che non è
niente!” Difatti uscita per le scale, la mano era perfettamente guarita,
213
e scomparsi persino i segni del male .
Una volta a Villa Campagna, di notte, la Madre si svegliò
all'improvviso - narra Maddalena Belli - e ci disse: “I ladri! i ladri!” Io
mi levai e la suora con me. Ma discese le scale, ritornammo di sopra
intimorite, dicendo: “È un gatto!” Alla mattina trovammo che i ladri
erano realmente penetrati in casa ed avevano asportato cibarie
utensili ed una valigia contenente danaro che la Madre aveva posato
nel caminetto. Verificata la cosa, calma come se nulla fosse stato, ci
214
disse: “Andiamo a sentire la Messa per il ladro” .
Il mugnaio di Comonte venne al convento per ritirare il grano
da macinare. Le suore incaricate non ne trovarono nel solaio che poca
quantità: uno staio appena. Allora siccome in casa si mancava
totalmente di farina si recarono dalla madre per sapere il da farsi.
Bussarono alla porta; non rispondeva. Allora entrarono e la trovarono
in orazione.
L'avvertirono della mancanza del grano: Ed ella rispose:
Consegnate al mugnaio quanto ce n'è, e S. Giuseppe provvederà!”
Il mugnaio infatti ritirò la quantità di grano che era solito
prelevare; e con ciò ne rimase ancora una quantità come quella di
prima. Il fatto recò tale sorpresa in tutte che ne piangevano di
215
commozione .
In altra occasione la suora cuciniera fece notare alla Madre che
non c'era carne a sufficienza per quarantaquattro persone. Ma quella
le rispose: “Sta tranquilla che basterà”. Così fu; la cuoca cominciò a
tagliare le porzioni e la carne non diminuiva, e fu sufficiente finché
216
non ebbe tagliato il numero di porzioni per tutta la comunità .
212
213
214
215
216
Proc. Ap. Summ. pag. 596, paragr. 26. 27.
Proc. Ap. Summ. Pag. 591, paragr. 15.
Proc. Ap. Summ. pag. 586, paragr. 3.
Proc. Ap. Summ. pag. 587, paragr. 5.
Proc. Ap. Summ. pag. 591, paragr. 14.
Biografie
267
opera omnia
E per ultimo ascoltiamo la confidente e prediletta Figlia, Suor
Luigia Corti, la quale ci dice: “Io non so se la Fondatrice abbia avuto i
doni straordinari di visioni, estasi, ecc. ; ma mi pare di poter
affermare che ella fosse in modo particolare illuminata da Dio.
Ricordo per esempio che un giorno, quando si trattava di
gettare le basi dell'Istituto e di dettarne le Regole si mostrò molto
preoccupata ed afflitta per mancanza - diceva - di sufficiente
illustrazione. Si ritirò nella propria cameretta e vi rimase a lungo in
preghiera e meditazione; chiamata dalle Sorelle perché venisse
finalmente a riposarsi e a prendere il cibo necessario fu trovata tutta
accesa in volto, straordinariamente mutata e contentissima, perché
diceva: - Finalmente sono giunta a capire cosa vuole da me il Signore.
- Tracciò subito l'abbozzo delle Regole che spedì a Mons. Valsecchi, il
quale lettele, disse: - Veramente gliele deve aver dettate lo Spirito
Santo!
“Riguardo a comunicazioni intime con Dio, non l'ho mai sentita
parlarne; ma io stessa la trovai alcune volte in chiesa in atteggiamento
di gran fervore, ed altre volte l'ho sentita a parlare con enfasi ed
entusiasmo delle grazie avute da Dio, e dei favori speciali di Maria
217
Santissima e di S. Giuseppe”
217
Proc. Ap. (Summ. - ex Proc. Ord. ) pag. 598, paragr. 31-35.
Biografie
268
opera omnia
CAPITOLO
XXX
I suoi scritti
È qui dinanzi a me il grosso volume manoscritto contenente
l'epistolario della Madre Cerioli, parte preponderante dei suoi scritti.
Benedetta e buona Madre! Che avrebbe pensato se avesse solo
previsto, mentre scriveva in tanta fretta queste sue lettere, col corriere
trepidante a fianco e il cavallo scalpitante alla porta, pronti a portar
lontano l'anima e il cuore suo alle Figlie e Figli dilettissimi, che
avrebbe pensato se avesse previsto il vaglio rigoroso a cui sarebbero
passati i suoi scritti, tirati giù con semplicità - come le sboccavano dal
cuore - senza fronzoli letterari senza lavoro di elucubrazione, anche
un po' disadorni, - specialmente le lettere - ma ricchi di tanta luce e
calore? Se avesse saputo che un giorno sarebbero stati giudicati dalla
suprema autorità di Roma, ed avrebbero riportato questo verdetto:
218
“Essi non sono scritti di una donna, ma d'un angelo!”
Ed ora queste lettere son qui dinanzi a me - come tutti gli altri
scritti - non per essere vagliati o giudicati, e neppure riletti, ma per
cavarne tutto il soave sostanzioso sapore che li condisce, e ridarlo a
gustare a chi s'interessa di lei.
Gli scritti, si dice - specie la corrispondenza - rivelano l'uomo. È
il mezzo più sicuro per coglierne di sorpresa la psicologia il
temperamento l'anima. L'anima, tanto facile a sfuggire; credendosi
non osservata s'affaccia nelle lettere nuda e spontanea com'è senza
veli o pose artifici o riserve: dice tutto quanto vuol dire, quel che
altrimenti non direbbe, proprio perché si sente inosservata.
È l'ultima introspezione che facciamo sia per rendere completo
il nostro lavoro, sia per procurare al lettore ancora una gioia: quella di
218
Voto del Teologo-Censore della Congreg. dei Riti. - Proc. Ord. pag. 259.
Biografie
269
opera omnia
ammirare un'anima che pur rivelandosi sempre di una lineare
semplicità e modestia, è pur degna d'essere annoverata tra coloro la
cui vita è come il passaggio di una bella meteora; la loro luce più
s'attarda quaggiù e più cresce il godimento di chi la contempla.
Fuori dubbio gli scritti della Madre Cerioli non possono
raffrontarsi agli scritti o all'epistolario di S. Teresa o della nostra S.
Caterina. Gli oggetti e gli scopi per cui scrisse sono assai diversi e
d'indole particolare - quasi domestica -; ma non per questo vuoti di
pregi e d'interesse anche per chi vive fuori della sua famiglia.
Come se si volesse avvicinare, per un raffronto, un fiore di
campo a un fior di giardino, e meglio un'umile violetta ad un superba
rosa. Chi oserebbe dire che la viola non è degna di ammirazione sol
perché non è una rosa? “Stella differt a stella!” il chiarore dell'una non
è quello dell'altra; eppure son tutte lucide e belle perché partecipanti
dei fulgori dello stesso sole.
Più concretamente; anche gli scritti della Madre Cerioli possono
esser letti con interesse e frutto, non per apprendere cose nuove, ma
per vedere il Cielo riflesso nella nostra vita; non per imparare a
scrivere bensì a vivere, ad accenderci degli alti ideali dei santi, a
rivestirci della purezza delle loro intenzioni, ad amare con tanta
umanità ed eroismo chi dev'essere amato. Mons. Speranza, nel
decretare l'approvazione e la lode per l'Istituto della S. Famiglia, dice
fra l'altro: “La Madre Cerioli, assistita e coadiuvata dalla grazia dello
Spirito Santo, ammaestrata dal suo stesso dolore ed amore, dovette
far tesoro nell'arte difficilissima dell'educare, di quella sapienza tutta
celeste che poi trasfuse nelle Regole e nelle pratiche dei suoi Istituti,
ed in altri scritti che ella compose per le genti di campagna, ma che
potrebbero esser letti con grande profitto da padri e dalle madri di
219
famiglia delle classi più distinte della società” .
Ed il suo primo biografo Paolo Merati scrive: “Si scorge nei suoi
libri uno spirito grande di soave pietà, ma non leggero o superficiale,
sibbene che spinge e muove mirabilmente ad una virtù soda e
profonda che consiste nel costante sacrificio di tutte le passioni; ma il
tutto nascosto sotto i veli dell'umanità, della semplicità, della
naturalezza. Leggendo questi scritti ti senti tratto mirabilmente verso
Dio, ma con una dolcezza grande; in essi continuamente parla della
bontà del Signore; si fanno continuamente conoscere e penetrare i
suoi benefici, ma con tanta unzione, che chi li legge non può a meno
di sentirsi mosso ad amare Dio con amore da figliuolo a Padre, e con
219
Proc. Ap. Docum. N. III, pag. 919.
Biografie
270
opera omnia
un amore tale che esclude ogni soverchio timore, ogni diffidenza; ed è
causa di una pietà disinvolta nelle sue operazioni, ma non rilassata,
gioconda nelle sue espansioni, ma forte, soda, costante. Le virtù più
ardue te le vedi presentare innanzi nella loro amabilità, semplicità,
quali furono praticate dalla Sacra Famiglia; circondate dai motivi più
forti a praticarle, perché motivi che vengono dall'amore.
“In quei libri è scritta la maniera da tenersi nelle scuole, nelle
ricreazioni festive, negli esercizi spirituali, con regole informate del
medesimo spirito e a grande prudenza; e così sagge che, per esempio,
parlando degli esercizi, chi scrive udì da parecchi sacerdoti dire: non
esservi altro luogo in cui si diano i santi esercizi a giovani, tanto
raccolti e disposti così bene, come nelle case dell'Istituto della S.
Famiglia.
“In questi libri appariscono gli alti fini della benedetta
Fondatrice, i suoi timori che l'Istituto non declinasse dalla via
tracciata, le sue preghiere a Dio che volesse distruggerlo, piuttosto
che permettere questo; la sua umiltà che tutto attribuisce a S:
Giuseppe; la sua devozione a Maria Santissima; la sua semplicità e
prudenza, insomma dopo averli letti bisogna confermare il giudizio
220
di Mons. Speranza, cioè che sono scritti pieni di celeste sapienza” .
Questi giudizi di chi ebbe immediata o mediata consuetudine
con gli scritti della Madre Cerioli; a cui si può aggiungere ancora
dell'altro.
Sembra che il Signore voglia sovrapporre al molto che concede
a talune anime d'eccezione un ultimo complemento, il dono della
penna, proprio perché non periscano le loro sante esperienze e il loro
magistero sia perenne.
La madre Cerioli - come S. Teresa che sapeva ugualmente
servirsi del fuso e della penna - ha le mani d'oro. Conduce con pari
abilità sulla tela i fili di refe o di seta, come ricama alti e fini pensieri
sulla candida superficie della carta. Anzi sull'ultimo di sua vita
sospese il primo per darsi solo al secondo lavoro.
“Era brava in tutto - dice Suor Luigia Corti - e pel suo raro
talento e per l'educazione finita; ma dopo che incominciò l'Istituto
non si dedicò ad altro che al bene delle sue Figlie. Quando io entrai in
casa, come secolare, vidi i bei ricami ed altri lavori finissimi che
faceva per la chiesa; ma poi non si occupò più di tali cose, ma faceva
220
Merati - Biografia. Cap. XII. pag. 255. 256.
Biografie
271
opera omnia
tesoro delle briciole di tempo per potere scrivere i bei libri che sono
221
tanto istruttivi per noi” .
Scrisse per istruire. Non è dunque la donna - cui conviene
sempre tacere ed agire - che presa da grafomania arieggia a maestra
od ispirata, affligge il prossimo con scritti indigesti duri spesso
bizzarri; ma è la Madre buona che aiuta a coordinar sulla carta
direttive e consigli semplici efficaci, che altrimenti andrebbero
dimenticati e perduti, per il bene dei suoi figli. Ed ella intende
rettamente il vero bene delle Figlie, il migliore profitto spirituale e la
santificazione di ciascuna.
Di qui il suo “Direttorio” che può dirsi il risultato
d'innumerevoli lavori isolati i quali raccolti ed organizzati
logicamente hanno prodotto il testo delle Regole del suo Istituto. Se si
ricerca l'origine di questo prezioso libro esso si assegna ad una
collana di scritti ascetici e disciplinari usciti dal suo spirito man mano
222
che il Signore la moveva e la illuminava a scrivere .
Dopo le religiose parte viva dell'anima sua il primo pensiero è
per le care orfanelle e gli orfanelli in grazia dei quali ella sostiene
tante fatiche.
A queste creature in cui ella vede il mezzo per migliorare nella
società le condizioni spirituali e sociali dell'agricoltore, ha consacrato
molte giornate e non pochi dei suoi scritti. Per corroborarle di sani
principi cristiani ed ascetici ha composto per esse: “un catechismo e
delle lezioni di Storia Sacra per le orfanelle”; il “Modo di
apparecchiare le ragazze alla confessione”; “Piccole meditazioni e
riflessioni per le Figlie di S. Giuseppe”. Ed infine una bella
metodologia per la loro razionale istruzione nei lavori rurali.
Ma il dono del cuore dell'incomparabile Madre alle creature del
suo amore sono due perle d'inestimabile pregio - che ebbero l'onore
221
222
Proc. Ap. Summ. Vita. pag. 385, paragr. 291.
Ecco i vari titoli dei suoi lavori complementari, da cui si formò il Direttorio delle
Suore della S. Famiglia: 1) “l'anno di prova” - 2) Idea generale del fine e scopo che
questa Congregazione o famiglia si propone - 3) Idee riguardo alle mie Figlie - 4)
Prime Regole dell'Istituto delle Suore della S. Famiglia - 5) “Impianto” - 6) “Una
parola alle Superiore” - 7) Vari fascicoli intorno al silenzio, la cura delle inferme, i
suffragi per le defunte - 8) Un fascicolo su i voti - 9) “Della carità fraterna” - 10)
Ricordi e Regole alle Suore della S. Famiglia - 11) “Le serate invernali delle Figlie
di S. Giuseppe” - 12) Istruzioni alle Maestre - 13) Dell'amore al lavoro - 14) Della
Direttrice d'agraria - 15) Premi annuali - 16) Scartafaccio dei Figli di S. Giuseppe 17) Ricreazioni festive - 18) Scuole esterne - 19) Esercizi spirituali per le esterne 20) Esercizi per le signore - 21) Memorie riguardanti la mia nuova Famiglia - 22)
Una visita a Betlem e a Nazaret - 23) Fascicolo di Meditazioni ed esercizi di pietà.
(Dagli Scritti presentati alla S. C. dei Riti - Proc. Ord. Summ. ex Officio pag. 2-13).
Biografie
272
opera omnia
della stampa - i due libriccini già menzionati, ma che ora bisogna
sfogliare ed esaminare.
Il primo: “Due parole ad una alunna nel giorno del suo
matrimonio” - il secondo: “Memorie ad una allieva la vigilia di sua
223
partenza per entrare al servizio d'una casa privata” .
Nel momento di congedarla, - poiché fuori del monastero non
v'ha altra direzione che il matrimonio o il servizio – la Madre chiama
la sua creatura, più che col cuore le parla accostando l'anima
all'anima, e le consegna una lettera, che è insieme pro memoria e
credenziale per ogni luogo e tempo ove passerà la sua “Figlia”.
Ricordando le cure e le premure che la crebbero all'ombra della Sacra
Famiglia, dovrà regolarsi e sarà saggia per sé e per tutti quelli che
Iddio legherà alla sua vita.
Alle spose novelle due parole. Prima parola: “Figlia carissima,
passando al matrimonio non credere di passare allo stato
d'indipendenza e di felicità, poiché t'inganneresti grandemente. Per
quanto sia buono tuo marito, ed ottima la famiglia, ricordati che
incomincia per te uno stato d'annegazione e sacrificio che puoi
rendere dolce e meritorio ascoltando ed osservando questi pochi
consigli dettati dall'amore e dall'esperienza”. E vengono i consigli: “in
casa di tuo marito considerati l'ultima della famiglia. Ama tuo marito;
abbi in lui confidenza e rispettalo come tuo superiore... Non andare
girovagando per le strade e per le case, sta ritirata in casa tua e godrai
pace... Non fare amicizie, né familiarità con chicchessia estraneo alla
famiglia. Guardati come dal demonio da chi viene a suggerirti
rapporti e maldicenze contro tuo marito: in quelle parole c'è il veleno
e l'invidia... Ama il lavoro, e quello più utile e necessario alla tua
famiglia.
“Adempi i tuoi doveri di cristiana verso il Signore con
esattezza” qui seguono norme e consigli particolareggiati e pratiche
su questo grave punto della vita matrimoniale.
Seconda parola: “Altri doveri gravi ed importanti Iddio ha
legato al matrimonio: quelli che riguardano i figli e la loro
educazione. Dalla riuscita dei figli dipende la loro felicità presente e
futura, non solo, ma quella della stessa famiglia, e della più grande
famiglia, la società. Il tuo figlio sia innanzi tutto cristiano di battesimo
e di vita, mediante la tua educazione che dev'esser fatta di esempi più
che di parole. Cresci il figlio sano nell'anima e nel corpo; istruiscilo
223
Bergamo, Natali Tipografo vescovile 1866.
Biografie
273
opera omnia
nella religione, nell'amore di Dio, nella devozione alla Madonna, ai
Santi, nel rispetto alla chiesa, ai superiori, alle autorità.
“Vigila il tuo figlio, non trascurarlo, seguilo, guardalo dai lupi
rapaci che ne uccidono l'anima. Ama il tuo figlio; compatiscilo nelle
sue giovanili mancanze; fa che ami il lavoro e la vita campestre, che è
per lui la più bella, la più tranquilla, la più scevra di pericoli.
“Formagli un cuore caritatevole, pietoso, che osservi la
giustizia, che sia buono, obbediente, rispettoso con tutti, e così il tuo
figlio diverrà caro a Dio come Abramo, sarà di consolazione a te come
Isacco, d'esempio ai fratelli della campagna come Tobia, e parteciperà
con essi alle benedizioni di Dio, che per i meriti di S. Giuseppe,
concesse alla classe dei poveri contadini”.
Viene poi la “Memoria” alla Figlia che entra al servizio in una
casa privata: “Dio ti benedica, figlia mia, e la sua benedizione ti
accompagni nella nuova dimora che ti ha preparata. Forestiera tra i
forestieri, troverai persone nuove, usi, uffici diversi da quelli prima
assolti; gl'inizi ti saranno duri, ma tutto passa, figlia mia, presto ti
accomoderai tu pure. Quel che importa è che tu pratichi quello che
con tanta fatica ti venne insegnato.
“Ti consegno questa lettera: in essa troverai la strada che hai da
battere, i tuoi doveri nuovi e come devi compierli.
“Questo dono lo reputo il più utile che ti possa fare in questo
momento. Leggi spesso questa lettera e metti in pratica i miei
suggerimenti.
“Ricordati che dai primi passi che darai nel mondo sarai
giudicata, e questo giudizio durerà per tutta la vita. Riconosci nei tuoi
padroni l'autorità di Dio; sii ad essi obbediente, fedele e sottomessa in
tutto, almeno che non ti chiedessero cose contrarie alla santa legge di
Dio e alla tua coscienza.
“Dio volesse che tu trovassi nella casa ove entri una seconda
Famiglia di S. Giuseppe; ma ciò sarà difficile. Ma tu impara a
conoscere tutti: sii saggia, e temi chiunque ti si avvicina con parole
lusinghiere ed insinuanti, in cui si cela il veleno del serpente. Sii
mortificata nella gola, riservata nel tuo contegno; non ti lusinghi la
vanità e l'amor proprio. Ricordati che tutto passa, la vita è incerta, e
se ti danni nessuno ti salverà.
“Non fare amicizie particolari; evita l'ozio, non far distinzione
fra lavoro e lavoro, metti mano a tutti che per te tutti devono essere
uguali. Ricordati che sei nata povera, povera fosti allevata, e povere
furono sempre le tue occupazioni. Procura di non meritarti i
rimproveri dei tuoi padroni. Non essere sciocca e superba dopo di
Biografie
274
opera omnia
avere sbagliato, cercando di scusarti e mostrandoti offesa della
correzione. Non inquietarti; solleva a Dio il pensiero, il cuore nella
preghiera ed offri a Lui te stessa e le azioni della tua giornata.
“Sii pia, devota, frequenta la chiesa e i Sacramenti. Ama la
Madonna; fuggi il peccato e compi tutti i tuoi doveri di religione.
Custodisci in cuore il ricordo della tua educazione, delle cure e delle
grazie che ricevesti in questa casa. Leggi spesso questa lettera e metti
in pratica i miei consigli. “.
Questo per sommi capi è il patrimonio ascetico - educativo
lasciato dalla Madre Cerioli alle Figlie per la loro salvezza e
santificazione.
Or non resta che gettar gli occhi sulla sua non meno preziosa e
copiosa corrispondenza. Merita uno sguardo più attento perché
proprio in essa è l'anima della donna e della santa.
Moltissime lettere della Madre Cerioli trattano d'affari negozi
comuni usuali lo stile allora corrente adattato al destinatario. Così ella
si serve di un periodare quasi vernacolo d'intercalari e modi di dire
rurali con i suoi dipendenti con le suore e con tutte le persone di
confidenza; per innalzare invece il tono e lo stile quando parla di cose
di spirito e con persone di autorità e di riguardo. Con tutti, però,
parla in grande semplicità sia che tratti di cose spirituali sia di lavori
raccolti di necessità comuni. È tanta la sua semplicità e disinvoltura
che a leggerla vien fatto di chiedersi: “Sono dunque queste le lettere
di una santa? Ma così parlan tutti: così parliamo anche noi!”
Preziosa consolante constatazione! Si tocca con mano, meglio
che non si dica, quel che sono i santi. Uomini, donne comuni in tutto
simili a tutti; perfettamente identici a noi con le nostre pene
preoccupazioni tentazioni e miserie sottoposti come noi alle
oscillazioni del temperamento alle variabilità del tempo... Eppure
sono i santi! E se tra noi e loro v'ha una differenza ce la
poniamo noi stessi; ed è una differenza sostanziale. Leggiamo e
attentamente i santi nello specchio della loro anima e noi non
troveremo una lettera una riga una frase una parola sola che non sia
conforme alle leggi di Dio alle leggi dell'amore alle pure leggi della
umana convivenza.
E se ciò a prima vista non si nota segno è che il senso del giusto
in noi è tanto connaturato insieme al senso del conveniente e del
virtuoso che tutto ci sembra normale quando tutto è ad esso
conforme.
Esattamente come nel nostro organismo - per dare un esempio
molto pratico - noi non avvertiamo la presenza dei vari organi se non
Biografie
275
opera omnia
quando essi sono malati. Nello stato normale non li notiamo. Eppure
ci sono vivono lavorano; e quale lavoro sostengono per il nostro
benessere!
Così nei santi l'aspetto l'attività esteriore è semplicemente
disinvolta normale, tanto che non ci avvediamo neppure che essi
vivono in mezzo a noi con noi come noi nel lavoro nella reazione nel
sacrificio, solo è che dinanzi a Dio essi son grandi perché contro tutto
restano tenacemente immobili ostinati nel volere quel che vogliono: il
meglio la virtù l'ideale di perfezione da raggiungere ad ogni costo.
Tanto è per concludere che anche la Madre Cerioli nella
manifestazione che ci fa dell'anima propria, attraverso la sua
corrispondenza rimane sempre al nostro livello per semplicità e
normalità; ma eccelle e ci sopravanza per la fede e l'amore la costanza
che l'avvivano e la bruciano senza requie.
Gustiamo un saggio delle sue lettere d'affari: “Cara Suor Rosa,
non avrei avuto tempo di scriverti, ma ti faccio queste due righe per
dirti che se il Signore mi farà grazia, verrò costì per il raccolto, cioè, o
per la fine di questa settimana, o subito dopo le sante feste. Ma
bisogna che venerdì mi mandiate ancora il Giovanni col carretto a
condurci del ravizzone, poiché qui abbiamo nulla da imboscare, ed i
bigatti (bachi) sono tanti e belli. Quelle due once sono quasi andati al
bosco. Ma ci vuole una pazienza di Giobbe a doverli mettere tutti su i
224
boghetti nondimeno ringrazio il Signore che sono andati bene.
“Mi è poi assai rincresciuto che non mi avete mandato la roba
delle due ragazze milanesi: stavano qui ad aspettarla, perché una di
queste doveva partire... e voi non mi avete mandato nulla. La colpa è
di Suor Marta... la quale lo sapeva, ed ha proprio essa l'ufficio del
guardaroba. Pazienza! Anche l'esattezza al proprio dovere è una cara
virtù, e bisogna raccomandarla sempre. Basta: metto qui la nota della
roba lasciata dall'una e dall'altra di queste due giovani, onde tu me la
possa mandare. Salutami tanto il Giovanni... Sta sana. Il Signore ti
225
assista. Tua aff. ma compagna Suor Paola Elisabetta Cerioli” . La
fondatrice Superiora e Madre si sottoscrive: “tua affezionatissima
compagna”. Basterebbe quell'ultimo dettaglio a far capire che siffatta
lettera non è poi tanto comune, quando sopra il felice esito dei
“bigatti” e il piccolo incidente della “roba dimenticata” splende come
un sole la prima dei santi: umiltà!
224
225
Fascetti di ramoscelli sottili, flessibili di ginestra, ravizzone ecc.
Raccolta delle lettere. Manoscritto – lettera N. 373.
Biografie
276
opera omnia
Ma la Madre Cerioli ha scritto anche lettere, moltissime, che
trattano ex professo di altri ed alti negozi: gli affari dell'anima
dell'eternità di Dio. E quando non ne parla esplicitamente Iddio il
Cielo la perfezione sottintesi o accennati appena le inondano e vi
scorrono come una corrente calda di energia di moto di vita sì da
mostrare all'evidenza che l'ideale di quest'anima è sempre uno ed
immobile.
Basta ricordare al lettore la corrispondenza – già riportata - col
suo primo Figlio spirituale, Fratel Giovanni Capponi, a vedere per
l'ennesima volta su quali granitiche basi poggia la sua virtù quali
siano le sue idee dominanti le passioni del suo grande cuore in cui
sovrabbonda l'amore di Dio e del prossimo.
Per lei amare il prossimo significa amarne l'anima e volerla
grande generosa agile nella virtù nella dedizione; volerla contenta
serena della letizia e della pace che solo può dare Iddio conosciuto
amato servito con ilare cuore; infine, vederla incamminata verso la
sicura meta d'ogni felicità: il Paradiso.
Chiudiamo questo capitolo riportando un'ultima lettera, per
contenuto e stile degna d'una santa.
È indirizzata ad una delle sue prime e più care Figlie, suor
Maria Passera, e le dice testualmente: “Cara suor Maria, il Signore
tenga lontano da te il turbamento, l'angoscia e quanto può inquietarti
alla vista dei tuoi difetti e mancamenti; basta che questi ti facciano
umile; pel resto tieni il cuore sempre aperto alla fiducia ed alla
confidenza. Procura di morire a te stessa, specialmente nelle cose
piccole e quanto riguarda il tuo ufficio, immaginandoti che il Signore
ti chieda questo, e che aspetta dalla tua fedeltà nel compierle, per
versare in te l'abbondanza delle sue grazie. Tutta la vita di una
religiosa non dev'essere altro che il cercare di morire a se stessa, alle
proprie inclinazioni, gusti e desideri, per esser meglio riempita dello
spirito del Signore, che mai si comunica alle anime piene di sé, ma le
vuole morte, per innalzare in esse l'edificio spirituale.
Preghiamo la Santa Vergine che ci aiuti in questa morte
spirituale, onde trovar la pace, la quiete, la consolazione. In questi
combattimenti spirituali ti raccomando di far andare avanti a tutto la
confidenza nella tua superiora, essendo questo un dovere ed una
Regola del nostro Istituto; deve aver quindi la preferenza sopra ogni
altra vittoria.
Te la raccomando, dunque, caldamente, come ti raccomando
d'avermi presente nelle tue orazioni, acciò quella perfezione che
Biografie
277
opera omnia
suggerisco agli altri, possa prima procurarla in me, come ho l'obbligo
e il dovere.
Addio, il Signore ti aiuti e ti custodisca. Tua aff. ma compagna e
226
Madre. Suor Paola Elisabetta Cerioli .
226
Proc. Ap. Summ. Doc. N. VI, pag. 939.
Biografie
278
opera omnia
CAPITOLO
XXXI
“E sarai benedetta in eterno”227
Dal giorno del suo transito nella famiglia spirituale di Suor
Paola Elisabetta un appellativo corre sul labbro di tutti per
menzionarla, ricordarla: è un appellativo di riconoscente venerazione
con cui i Figli rendono omaggio incessante di indistruttibile amore
alla loro grande Fondatrice: la chiaman tutti sempre la “benedetta
Madre!”
È il primo aggettivo aggiuntosi subito al suo nome di dignità e
d'onore “la Madre”; e crediamo resterà immobile anche dopo che la
Chiesa l'avrà fregiata dei titoli ufficiali; esso è l'aggettivo naturale
spontaneo sgorgato dall'anima di chi per prima la conobbe e l'amò. E
sarà “benedetta, in eterno”.
Dopo le lunghe ma pur necessarie digressioni sulla bella
sopravvivenza della Cerioli nell'anima della Chiesa è doveroso
ritornare alla sua famiglia di predilezione, quella a cui Iddio volle
consacrati con le ricchezze materiali tutti i suoi tesori spirituali.
Perché ben altre ricchezze, preziose eredità ha lasciato la Madre alla
sua Famiglia, e a tutti; chiunque la conosca deve amarla, e aderire
subito a lei con un vincolo quasi familiare d'intima e stretta
connessione con tutto ciò che è suo.
Le due sue Famiglie hanno pianto - e con questo quanto dolore!
- la immatura morte di Colei che era il “tutto” per esse. Via via che il
tempo le allontana da quel mesto Natale 1865, che rapì la benedetta
Madre, esse sentono ognor più viva la riconoscenza a Dio per aver
loro elargito in lei un bel titolo d'onore sulla terra di protezione e
d'aiuto in Cielo.
227
Iudith 11 c.
Biografie
279
opera omnia
Non s'è mai udito che i lineamenti materni, quali che siano, non
si riflettano comunque nei figli. Le leggi della rassomiglianza rigorosamente rispettate dalla natura - per una bella armonia di
mimetismo spirituale si riproducono ancor meglio nel mondo
superiore delle anime.
Il decoro della Madre è innanzi tutto decoro dei figli.
Oggi sulle due famiglie, così come le vediamo noi, si proiettano
con i fulgori delle bellezze materne le luci discrete di quella
semplicità e modestia di cui ella volle contraddistinguerle.
Si direbbe che queste due note le mettano alquanto in
penombra e agli occhi di molti le faccia apparire quello che eran
reputate vivente la Madre: un'accolta di pie massaie rurali ed umili
fattori dedicati all'assistenza della gente di campagna.
Nulla di più contrastante con la verità.
Il pungolo segreto e vivissimo che stimolò quest'anima eletta a
dissodare le zolle della terra, al di là dello stesso fine sociale, fu un
movente idealmente soprannaturale e praticamente spirituale.
Procurare il cibo per l'anima prima di provvedere al corpo che
facilmente può sfamarsi nella varietà dei prodotti della terra.
Oltre tutto, meditando la “mistica Cena” ella vede una Mensa
ed un Pane fragrante della sovrabbondanza della carità divina. Ed
allora? Perché sarà umiliante coltivare il grano e triturarlo nella mola
per fabbricarne l'Ostia? Perché sarà avvilente curare la vite e
spremere nei mastelli i grappoli che danno il Vino; scegliere e
sciogliere nei frantoi l'ulivo per la sacra lampada; moltiplicare alveari
per le cere dei sacri riti; cogliere le liturgiche biancherie dai campi
inondati di lino e i fiori dal cintato giardino per avvolgere in un onda
di profumi la dimora del Signore?
Tutto ciò, concepito ed attuato in un crescendo di fede d'amore
di praticità incalcolabile, se può far sorridere il mondo che misura
ogni cosa al metro delle apparenze e del rumore, deve commovere
chi sa leggere e comprendere il Vangelo.
Come non era vero ai giorni della Cerioli che i suoi Figli fossero
dei pii rurali, meno lo è oggi che l'opera sua - restando fermo lo scopo
d'origine - ha sincronizzato il proprio lavoro alle esigenze dei tempi.
Difatti, le scuole gli oratori festivi le case di esercizi inseriti da
lei nel suo programma sono parte vitale e integrante della vita dei
due istituti, e dicono come e quanto ella non intendesse creare devoti
contadini ma perfetti claustrali che, dedicandosi al ceto rurale
rimangono essenzialmente religiose e sacerdoti.
Biografie
280
opera omnia
Questa del resto fu la genesi di molti dei più illustri Ordini ed
Istituti che oggi s'impongono alla universale ammirazione per i loro
nobili programmi di lavoro.
S. Vincenzo de Paoli inaugurò il suo apostolato di carità fra i
poveri contadini, poi lo allargò alle proporzioni che tutti conoscono.
Pensiamo: se egli avesse incontrato ai suoi giorni la Madre Cerioli le
avrebbe chiesto con entusiasmo collaborazione e suggerimenti per
lavorar meglio in un campo allora inarato e bisognoso di cultura.
S. Alfonso M. de Liguori originariamente creò i suoi missionari
per evangelizzare i poveri della campagna e preparare la
rigenerazione cristiana della società cominciando proprio dalla terra.
Non si comprende come si possa reputar volgare il lavoro dei
Figli della Cerioli, quando i più antichi Ordini monastici iniziarono le
loro sorprendenti attività dal lavoro manuale - specialmente della
terra - portato alla sublimità di una contemplazione che deve
riempire tutta la giornata del monaco.
L'“ora et labora” di S. Benedetto è un motto di programma e di
vita che da quattordici secoli impone il lavoro manuale ed
intellettuale, da armonizzarsi bellamente alla contemplazione:
congiuntamente allo scriver volumi interpretar palinsesti e miniar
pergamene, insegna a ricamare la terra, primo libro che detta la
celeste agricoltura del Vangelo.
Il cuore in alto e le mani all'aratro il penitente della Trappa
saluta ogni giorno Iddio al sorgere e al tramontar del sole in mezzo al
campo dei suoi lavori.
Brunone tra le folte selve di Borgogna, come Romualdo nei
boschi della Sila, condussero prima i loro figli a contemplare la
magnificenza dell'Altissimo e poi col risanamento di plaghe insalubri
a continuare l'opera redentrice di Gesù Cristo in mezzo ai poveri figli
della terra.
Del resto se una suora di Carità che cura i malati i reietti i rifiuti
della famiglia umana è un apostolo idealmente ammirato; perché non
lo deve essere una suora o un fratello della Sacra Famiglia nella loro
generosa dedizione ad un lavoro che li lega alla sorte delle creature
più umili e semplici, e li assoggetta ad una vita che non dà immediate
soddisfazioni e ricompense clamorose?
Noi pensiamo: se Iddio nella sua adorabile economia a questo
lavoro reputato volgare ha riservato una donna di così alta mente e di
così gran cuore; se per esso ha ispirato tutta una serie di leggi
previdenze consigli ed una letteratura ascetica, morale, tecnica; se per
esso ha devoluto i patrimoni di tre nobili casate, congiunte in un sol
Biografie
281
opera omnia
patrimonio, per creare e diffondere due famiglie religiose, è segno
evidentissimo che l'opera della Madre Cerioli è grande agli occhi
divini e di vitale importanza per la società umana.
E se nonostante queste alte convincenti ragioni, si insistesse a
svalutare e deprimere il santo e prezioso lavoro di queste creature,
esse potrebbero ancora rispondere mostrando i frutti del loro
apostolato; additando in gloria e compiacenza gli scritti della loro
“benedetta Madre” che ha lasciato a tutti tesori di saggezza e di
esperienza, da cui la benignità del Cielo trae immenso bene per le
anime e per il mondo. Anche questo, dunque, è un altro buon titolo
alla riconoscenza dei Figli verso la loro benedetta Madre.
Ma pur senza questo ella ha già tanto diritto al loro amore per il
molto che lasciò ad essi d'esempi di provvidenze di previdenze di
preziose sostanze di cui li rese possessori per la loro santificazione
per la felicità di quelli che, legati al loro apostolato, percepiscono i
frutti di tanto patrimonio.
Benedetta oggi ed in eterno, perché ha operato virilmente e
Iddio la sostenne in vita e le assegnò in retaggio la benedizione di
tutti che la conosceranno specialmente degli eredi delle sue
inestimabili ricchezze.
Tra gli altri tesori posseduti e goduti in vita dalla Madre Cerioli
occorre segnalarne uno che caratterizzò la sua spiritualità di
un'impronta singolarissima, e diede ad ogni sua attività incrementi e
successi semplicemente portentosi. Vogliamo dire il suo amore a S.
Giuseppe.
Se volessimo aggiungere altri aggettivi alla parola “amore” non
sapremmo quali scegliere per rendere il grado d'intensità e
determinare i limiti di estensione a cui ella ha spinto questo amore.
Qualunque aggettivo sarebbe inadatto insufficiente inespressivo a
dire come e quanto il cuore della Madre Cerioli si appassionò
nell'amore di questo Santo.
Proclamata dal Vangelo, vecchia di secoli, accettata e fomentata
dalla Chiesa la grandezza e la devozione all'illibatissimo Sposo di
Maria e Padre legale del Figlio di Dio la Cerioli la raccolse
verosimilmente dalle devozioni correnti del suo tempo. Forse gliela
impresse più profondamente nel cuore la Maestra preferita, S. Teresa,
che ha pagine di ardente e travolgente eloquenza quando scrive sulla
grandezza e potenza di Lui.
Comunque riteniamo - e questo è ancora conferma dell'alta
spiritualità della Madre Cerioli - che ella lo abbia scelto venerato
amato soprattutto per finissimo intuito interiore per quella genialità
Biografie
282
opera omnia
che è propria d'ogni anima nella scelta dei modelli e patroni preferiti.
La Cerioli amò S. Giuseppe, fuori d'ogni ragione d'interesse, ma per
aderenza di spirito. La vita le occupazioni gli esempi di Lui la
prendono la commuovono la rapiscono proprio perché attagliate
conformate ai suoi ideali alle sue possibilità di perfezione. Lo deve
amare; ed amandolo lo deve imitare.
L'amore e l'imitazione non si distinguono. La perfetta identità
tra l'amante e l'amato, ove non si trova, l'amore stesso la crea.
S. Giuseppe è una nobiltà regale decaduta, una ricchezza
sottomessa al lavoro fatto legge di vita, le sue occupazioni semplici
modeste le sue virtù abbaglianti come il sole: operosità e preghiera,
silenzio ed unione con Dio, adesione assoluta alle disposizioni del
Cielo, paziente sommissione alla sofferenza di qualsiasi genere o
nome.
Tale ragione per cui le anime squisitamente spirituali allenate
all'esercizio della più alta vita contemplativa ricercano ed amano S.
Giuseppe. Tutta la perfezione umanamente possibile e accessibile è
caratterizzata in questo modello.
La Madre Cerioli, nella sua umile ambizione, vuol essere una
povera copia una miniatura modesta ma fedele di lui. Perciò lo ama:
come una figlia ama il proprio padre; come il povero ama il
benefattore; come l'amante ricerca l'amato che le riempie il cuore di
dolcezza e di compiacenza.
E poi si studia di riprodurlo.
Non facciamo raffronti di genealogie; ma si deve riconoscere
che è anch'ella una nobiltà abbassata dalla carità una ricchezza
impoverita dalla compassione per gl'indigenti.
Questo lontano riflesso di luce lo inorgogliva assai più se avesse
potuto inorgoglirsi salendo dal nulla alla nobiltà.
Ma prima di tutto la rapirono la modestia la semplicità l'umiltà
il silenzio: quattro sorelle germane armonizzate mirabilmente in S.
Giuseppe. Esse sono anche la passione del suo cuore; ed esse l'hanno
inclinata con tanto trasporto verso i poverelli della gleba, perché
almeno idealmente esse sono le note caratteristiche degli umili di
campagna.
La vita di unione con Dio attuata nella raccolta meditazione o
nella fervida attività contemplativa è un'altra passione del suo spirito
che trova tanta emulazione nell'esempio di S. Giuseppe, la cui
laboriosa giornata si riempie della incessante visione delle perfezioni
del Verbo di Dio fatto uomo a lui obbediente, e delle bellezze uniche
Biografie
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opera omnia
della sua santissima Madre che lo chiama con nome di riverenza e
d'amore: suo Sposo.
Pregare orare è pure occupazione d'ogni ora della Madre
Cerioli, perché sempre e dovunque nel segreto del cuore o nella
contemplazione della natura ella ritrova il diletto dell'anima che la
chiama alle divine compiacenze, la rapisce con ineffabili tenerezze.
Lavorare è pregare; e la sua preghiera assume toni così fervidi
ed intensi di tanto dolce violenza che ella è subito rapita dall'oggetto
del suo amore.
S. Giuseppe le è guida maestro di orazione, come le è precettore
il lavoro modello di silenzio forma esemplare di assoluta
sommissione al divino volere.
Tutto questo ella lo sente e lo vive, e vuole che ne vivano anche
le sue Figlie. Le sue spirituali peregrinazioni alla santa Casa
Nazarena, ove sembra avere libero accesso, perché gode della dolce
intimità dei tre santissimi abitatori, sono da lei ripetute e riprodotte in
compagnia delle Figlie dilettissime che presenta alla S. Famiglia, e
ripresenta ad esse ciascuna delle tre auguste persone. “Ecco Gesù!...
Mirate Maria!... Vedete S. Giuseppe!... S. Giuseppe... oh, come guarda
la casta sua sposa!... Il sudore gli bagna la fronte... la fatica lo aggrava,
nullameno egli lavora sempre!... È felice e ringrazia in cuor suo il
Signore di potere coi suoi stenti e colle sue fatiche nutrire quei cari
pegni, delizia degli angeli, sua gioia, suo amore, sua consolazione...
Fortunato Giuseppe! quanto bene corrispondeste a sì alta
228
missione” .
Messe in solido siffatte disposizioni di spirito e di cuore, di
devozione e d'amore, il culto esteriore ne consegue necessario e
spontaneo come l'effetto dalla causa il frutto dal fiore.
Dopo quanto fu letto ed ammirato nella vita della Madre Cerioli
crederemmo di tediare il lettore dando ancora prove della sua
devozione a S. Giuseppe.
Che cosa non ha fatto scritto o detto la benedetta Madre per
esaltare ringraziare amare S. Giuseppe?
Tutti i titoli d'onore e di responsabilità li conferì a lui; tutti gli
uffici le incombenze le preoccupazioni domestiche le passò a lui.
S. Giuseppe: il padre dell'anima sua il Fondatore della sua
Congregazione. Lui medico avvocato economo patrono rifugio
angelo tutore dei suoi orfanelli che per lei non hanno e non possono
avere che una denominazione: i “Figli di S. Giuseppe”.
228
Direttorio - Parte I. Cap. XI, pag. 76.
Biografie
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opera omnia
Si può dire che non scrivesse una lettera senza parlare di lui
protestargli la sua fiducia il suo amore riconoscente, e proclamare la
santità la protezione l'onnipotenza.
Negli altri scritti poi dichiara lealmente che tutta l'opera della
sua fondazione va riferita al merito di S. Giuseppe.
Nei momenti più difficili e incerti ella corse ai piedi di lui ad
esporre la sua necessità urgente improrogabile e se ne rialzò
sorridente piena di fede e di fiducia; indi, con la sua naturale
disinvoltura andò a portare la sua collaborazione - pur essa
indispensabile - e poi attese... Se la cosa non riusciva a dovere non si
sgomentava. “Lasciandola lì; ora ci pensi S. Giuseppe! Noi abbiamo
fatto la nostra parte egli farà la sua: non dubitiamo!” Se poi la cosa
tardava a realizzarsi: “Noi abbiamo troppa fretta e la fretta è un
difetto. S. Giuseppe è molto pacato sembra persino lento nelle cose
sue ma le fa assai bene e arriva sempre in tempo: abbiamo pazienza!”
Difatti col tempo tutto riusciva a meraviglia oltre i desideri e le
speranze. “Avete visto S. Giuseppe come fece bene? Non solo la cosa
è riuscita ottimamente, ma fu preceduta e seguita dalle più propizie
circostanze. Andiamo dunque a ringraziarlo”.
La sua corrispondenza è ancora più eloquente. Al buon
canonico Valsecchi scriveva: “I miei progetti a Villa Campagna vanno
male, però non mi disanimo, persuasa che si effettueranno e presto e
come meglio vorranno il Signore e S. Giuseppe”. E poi diceva: “Vede
come fa bene S. Giuseppe? Egli non ha fretta come me, ma a lungo
tempo sa contentarmi ed esaudirmi. Poveretta me, se avesse
secondato il mio carattere “fretta! e subito!” avremmo fatto delle belle
cose non è vero?”
Ed in un'altra lettera al medesimo: “Mi pare che S. Giuseppe
concorra con la sua protezione volgendo tante provvidenze
impreviste e impossibili a vantaggio della nostra opera. Basta: faccia
lei, signor canonico, io non c'entro che per ammirare la bontà di Dio
ed abbandonarmi con più fiducia al suo beneplacito”. E ancora:
“Quest'anno S. Giuseppe mi esercita con mortalità e malattie fra le
mie Figlie, io provo molta inquietudine, ma adoro le disposizioni del
Signore, sapendo per certissimo che nulla accade se non per nostro
bene e vantaggio; e in questi sinistri S. Giuseppe avrà sotto delle mire
che noi possiamo sapere ma che saranno utili per noi o per l'Istituto,
perché a lui - come a Fondatore - deve premere più che a me l'onore,
la prosperità e l'avanzamento dell'Istituto stesso”.
Finalmente: “Avrei molte cose da domandarle in proposito ma
mi riserbo a S. Giuseppe. Questo Santo si tolse ancora una nostra
Biografie
285
opera omnia
Figlia quest'inverno, e la nostra comunità va crescendo in Paradiso
più di quello che vorrei; ma esso è vero Padre e fa quello che vuole e
quando penso dove le colloca certo non posso fare a meno d'invidiare
la loro sorte, quantunque mi rincresca specialmente se sono brave”.
In proposito il Merati, primo biografo della Cerioli, conchiude:
“Potrei citare qui molti fatti accaduti e vivente la benedetta Madre e
dopo la sua morte, ottenuti da quella confidenza che ella seppe così
bene ispirare nelle suore e nelle Figlie verso il loro potentissimo
Patrono e Padre. Orfane guarite suore liberate da pericoli spirituali e
corporali incendi spenti vettovaglie moltiplicate danari salvati
improvvise mutazioni di animi esasperati e determinati a nuocere
ladri arrestati aggressioni al convento sventate e visite d'importuni
allontanate. Veramente Suor Paola Elisabetta Cerioli può ripetere con
la sua Maestra S. Teresa: “Non ho mai domandato nulla a Dio, a
nome di questo gran Santo, senza averlo poi ottenuto”.
Dopo tutto ciò non sapremmo quale più preziosa eredità di
beni di onore di protezione possa lasciare una Madre alla propria
posterità.
Giustifichiamo, quindi, pienamente la riconoscenza dei suoi
Figli verso chi tutto fece tutto diede tutto disse onde la loro felicità
fosse piena in terra e in Cielo.
Dall'intimo del cuore essi ripetono ogni giorno la commovente
preghiera del Salmista: “Guardaci dal Cielo, e veglia e custodisci
229
questa mistica vigna che la tua mano piantò, o Madre!... .
“E sarai benedetta in eterno!”
229
Psalm. 79. 15.
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286
opera omnia
CAPITOLO XXXII
Conclusione storica
Restringiamo per ultimo tutta la storia postuma della benedetta
Madre Paola Elisabetta Cerioli, dalla sua morte ai nostri giorni.
La salma, esposta nella foresteria del convento di Comonte, vi
rimase due giorni per dare libero sfogo alla pietà e all'amore di tutte
le genti dei dintorni che accorsero a pregare, più che a suffragare,
vicino a colei che tutti ritenevano grande signora di animo e di
beneficenza ma più di santa vita.
Il vescovo Speranza e il canonico Valsecchi, i suoi angeli visibili,
erano tra questi.
I funerali ordinati dal superiore e Padre veneratissimo il
canonico Valsecchi che li volle “non quali li avrebbe richiesti la
condizione la nobiltà della Madre, ma come si convenivano e
sarebbero stati graditi da Suor Paola Elisabetta fatta povera per
amore dei poveri, e che in vita aveva rinunciato ad ogni fasto e
pompa”.
L'accompagnarono quindi al sepolcro le sue Figlie lacrimanti le
sue amatissime orfanelle e una moltitudine di popolo tra cui i suoi
più cari amici i poverelli e gli agricoltori, venuti da ogni parte dei
paesi limitrofi. Da ultimo, unico ricordo di ciò che ella aveva
abbandonato e meno curato: i rappresentanti dell'aristocrazia
bergamasca legata da vincoli di sangue e d'amicizia alle casate Cerioli
- Buzecchi.
Al momento in cui la bara lasciava l'avito palazzo testimonio di
tanto soffrire e di tanto operare, un'esplosione di pianto e di
singhiozzi - sino allora a stento repressi - traboccò da molti cuori
spezzati dal dolore per la perdita del loro angelo.
Biografie
287
opera omnia
A quel grido un brivido di commozione pervase la folla e le
lacrime di tutti si associarono al pianto delle Figlie.
Il mesto e modesto corteo sostò alla parrocchiale di Seriate, ivi
un bel numero di sacerdoti cantò solennemente l'Ufficio e la Messa
dei Defunti.
Prima dell'assoluzione al tumulto, Don Pietro Piccinelli - che fu
per vent'anni confessore di Suor Paola Elisabetta - lesse l'elogio
funebre e lo svolse sul concetto ispiratogli da un testo delle
Lamentazioni di Geremia molto espressivo e bene appropriato alla
defunta: “ - Le lacrime mi hanno consumata la vita nel piangere la
230
rovina delle figlie della mia città. - . Io non so in qual modo dar
esordio al pietoso ufficio che mi sono assunto dinanzi a voi. Alla
presenza di questo feretro, la mestizia che leggo sui vostri volti, e più
che tutto questa corona di poveri derelitti, or divenuti orfani per una
seconda volta, e che vedete struggersi in lacrime daccanto a questo
sarcofago, m'inventerebbero a piangere piuttosto che a parlare. Ve lo
confesso schiettamente in tale momento mi sarebbe stato più facile ed
opportuno il tacere. Ma l'invito di persone amiche, e il pio desiderio
delle desolate consorelle della benefica defunta, mi fecero tale e tanta
violenza che non mi fu possibile il resistere... Le mie parole saranno
se non altro l'ultimo tributo di ammirazione e di riconoscenza che
porgeremo alla nostra insigne benefattrice in questo giorno dei suoi
funerali e del nostro vivo e profondo lutto. Le parole che ho preso ad
imprestito dal profeta Geremia, esprimono eloquentemente il pianto
del Veggente dinanzi alla rovina spirituale delle predilette figlie di
Sion, ed offrono immagine stupenda del cuore amoroso e veramente
materno di questa grande donna, allorquando nel terzo periodo di
una virtuosa vita, commossa e preoccupata essa pure sino alle
lacrime, sui pericoli e i bisogni di tante povere ragazze orbate troppo
presto dei loro genitori, pensava efficacemente ai mezzi per
difenderle dai pericoli e soccorrerle nei loro bisogni”.
E qui l'oratore fa una commossa rievocazione dell'alta opera di
carità cristiana e sociale svolta dalla Madre Cerioli.
Nella sua perorazione esclama: “Ah, sì, noi le dobbiamo
un'immensa un'eterna gratitudine! Oh, quanto ci confortava il
pensiero che mentre la morte moltiplicava gli orfanelli, vicino c'erano
due braccia veramente materne che si allargavano ad abbracciare
quelle povere creature seminate sulla via dalla falce crudele!...
230
“Oculus meus depredatus est anima meam in cunctis filiabus urbis meae” (Thren.
3. 51).
Biografie
288
opera omnia
“Quale sventura ci ha colpiti! Quelle braccia che si dilatavano
tanto per accogliere i poveri orfanelli sono oggi irrigidite dal gelo
della morte! Questa implacabile nemica dell'uomo dopo aver
seminato su questa terra tante infelici creature ora fu tanto spietata da
involare a questi miseri la loro seconda madre.
“Noi, dunque, l'abbiamo propriamente perduta questa insigne
nostra benefattrice? E perduta per sempre? No, non è del tutto
perduta per noi; essa vive nelle sue fondazioni vive nella nostra
memoria vive nelle sue buone suore eredi del suo spirito, e
finalmente vive su in Cielo immortale da dove più efficacemente
protegge le sue opere!...
“Il suo spirito immortale sì vive ancora nel Paradiso ove regna
con i santi. Io per me fin d'ora la proclamo una santa, questa illustre e
benefica nostra concittadina. Sì, io ne ho studiata la sua vita giovanile
e la trovai pura e virtuosa come una colomba; ne studiai la sua vita
coniugale e la trovai un vero tipo delle più elette virtù, un vero
modello delle spose delle madri cristiane, un'eroina di fortezza nelle
privazioni e nelle avversità; ne studiai l'ultima fase della sua vita e la
trovai la più bella copia di quel Divino Pastore che volle pur esso
chiamarsi il Padre degli orfani. E la sua virtuosa carriera si chiuse poi
ancor più santamente!”. Termina l'elogio con queste parole: “E finché
non venga destinato altro riposo a lei più degno la mia famiglia andrà
superba intanto di accoglierla nell'umile sua cella mortuaria; ed io
potrò fin d'ora proclamare il suo frale benedetto come la benedizione
231
fondamentale ed anticipata anche dell'ultimo nostro riposo” .
Chiusosi il mesto rito tra la commozione generale la salma fu
trasportata al cimitero comunale di Seriate, di recente istituzione, ove
la buona Madre non s'era mai curata di provvedersi una tomba
distinta come la possedevano i Tassis nel vecchio cimitero, desiderosa
di andare a riposarsi nel campo comune tra i suoi cari poverelli. Ma
ciò non le fu consentito, perché l'ottima famiglia Piccinelli - come ha
detto il qualificato rappresentante - che aveva un vero culto di
venerazione per la benedetta Madre la volle ospitare nel proprio
sepolcreto novissimo “nel quale nessuno ancora era stato sepolto”. Ivi
scesero nella pace del Signore i sacri resti di lei, per sostarvi appena
venti anni.
Il 28 novembre 1885, dietro reiterate insistenze e lunghissime
pratiche delle religiose della S. Famiglia, guidate dall'ottima, Madre
Luigia Corti superiora generale dell'Istituto, si ottenne finalmente la
231
Proc. Ap. Summ. N. XXX, pag. 640, paragr. 94.
Biografie
289
opera omnia
desiderata autorizzazione di riportare nel suo caro convento di
Comonte le spoglie benedette.
Questo trasporto fu un nuovo trionfo, occasione di pianto e di
dolore ai buoni villici di Seriate che vedevano involarsi la loro
“Santa”; e fu contrassegnato da un prodigio.
Il Fratello Isidoro Paris nel portare a spalla il sacro peso fu
liberato da un cronico e doloroso male alla spalla che gl'impediva di
muovere il braccio. “Nell'atto - dice egli - di caricarmi la bara sulla
spalla malata invocai la benedetta Madre con fiducia che mi avrebbe
guarito. E guarii di fatto perché arrivato a Comonte e terminato il
corteo mi accorsi di non sentire più alcun dolore e di poter muovere
232
liberamente il braccio” .
Riportata in Comonte la salma fu riportata nella stessa modesta
stanzuccia ove ella visse e morì in tanto ardore di attività e carità. Ivi
racchiusa in un'urna di legno con lastra di vetro, donata dai suoi
parenti, fu deposta in un lato della stanza, che si separò dal restante
della medesima elevando una cortina di mattoni. Una tavoletta scritta
a mano dalla nepote Giuseppina Scotti, reca la seguente iscrizione:
Suor Paola Elisabetta Cerioli, vedova Buzecchi - Tassis, morta il 24
dicembre 1865.
Dietro quella modesta cortina ella è rimasta - come sempre - a
disposizione di tutti: Figlie orfanelli devoti, ad accogliere voti e
preghiere da presentare a Dio impreziositi della sua buona e sollecita
intercessione.
Sino all'anno 1919, quando a complemento del Processo
Ordinario per l'introduzione di causa di beatificazione, si procedette
alla ricognizione della salma. In questa circostanza fu rimossa e
trasportata in un loculo appositamente disposto nella chiesa in una
parete che è muro di divisione con la sacristia; sicché dai due lati
prospicienti la chiesa e la sacristia fu ripetuta la stessa iscrizione,
indicante semplicemente:
Soror Paula Elisabeth Cerioli - Fundatrix
233
28 Jan. 1816 - 24 Decembris 1865 - .
Ed anche in questo luogo di deposito continuarono le visite
d'innumerevoli ammiratori della Madre Cerioli, tra cui vanno in
232
233
Proc. Ap. Summ. N. XX. pag. 635, paragr. 79.
L'iscrizione in seguito fu sostituita da altra che suona così: Serva di Dio Suor
Paola Elisabetta al secolo nobile Costanza Cerioli vedova Busecchi Tassis nata a
Soncino il 16 gennaio 1816 Fondatrice dell'Istituto della S. Famiglia morta in
Comonte il 24 dicembre 1865.
Biografie
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opera omnia
prima linea ricordati eminentissimi cardinali vescovi prelati sacerdoti
e poi fedeli d'ogni condizione, che memori delle virtù esercitate in
vita, e testimoni delle belle sue opere tuttora viventi attestarono ed
attestano - nel modo consentito dalle leggi della Chiesa - la loro
venerazione e fiducia verso la benedetta Fondatrice degl'Istituti della
S. Famiglia.
La sua fama di santità andò sempre diffondendosi e
accreditandosi via via che il Signore, benignamente rispondendo alle
preghiere presentate per l'intercessione di lei, cominciò ad elargire
grazie e favori. Le numerose tabelle votive, espressione di gratitudine
dei beneficati, che tappezzano la stanza ove è il suo corpo ne sono
aperta testimonianza.
Nei due Processi Ordinario e Apostolico sono registrate
numerose guarigioni - alcune delle quali presentano i caratteri del
miracolo - operate da Dio per intercessione della Madre Cerioli. Più
di cinquanta testimoni hanno deposto in questi vari Processi; dalle
loro dichiarazioni risulta evidente e commovente la fiducia di
chiunque ha invocato la “benedetta Madre” e ne ha riportato sollievo
ed esaudimento.
Proponendoci di dare in seguito la dettagliata narrazione dei
due fatti miracolosi, proposti al giudizio della Chiesa per la
beatificazione della Madre Cerioli, ci preme conchiudere dando un
breve resoconto delle varie tappe fatte dai Processi Ordinario e
Apostolico, al fine desideratissimo della di lei glorificazione.
Di fronte alla fama di santità che circonda in vita e dopo morte i
fedeli servi del Signore, la Chiesa non resta indifferente; ma con
materna e saggia sollecitudine, dispone che si addivenga a tutte le
necessarie inquisizioni affinché - a norma dei sacri Canoni - si
stabiliscano la solidità e la continuità di questa fama.
Di conseguenza raccolti tutti gli scritti attribuiti ad un Servo di
Dio; riconosciuti legalmente i suoi resti mortali, si dà inizio al
Processo detto “Ordinario” che si celebra nella diocesi ove il Servo di
Dio morì. In questo Processo si escutono i testi immediati e mediati
che lo abbiano cioè conosciuto di persona, o per mezzo di
contemporanei, con le deposizioni circa la vita, virtù, miracoli e fama
di santità del medesimo.
Per la Nostra tale Processo fu iniziato nella diocesi di Bergamo
dal vescovo Mons. Gaetano Camillo Guindani e proseguito dai suoi
successori Mons. Giacomo Radini Tedeschi e Luigi Maria Marelli.
Detto Processo fu presentato a Roma insieme agli scritti della Madre
Cerioli per le necessarie giuridiche disquisizioni.
Biografie
291
opera omnia
Nell'anno 1919 il 14 marzo il Sommo Pontefice Benedetto XV si
degnava firmare il Decreto di Commissione per l'Introduzione di
Causa.
In seguito furono rilasciate le Lettere Remissoriali per l'inizio
del Processo Apostolico intorno alle virtù da celebrarsi ugualmente in
Bergamo.
Nelle tre rituali Congregazioni furono discusse queste virtù, e il
2 luglio 1939 il Sommo Pontefice Pio XII, appena asceso al soglio di
Pietro, emanava il primo Decreto sull'eroismo delle virtù: quello della
Venerabile Madre Cerioli.
Immediatamente dopo si addivenne all'esame e discussione dei
due fatti miracolosi operati da Dio, ad intercessione della Venerabile:
condizione indispensabile per procedere alla sua beatificazione.
Questi due miracoli, infatti costituiscono per la Chiesa il criterio
estrinseco e certo con cui Iddio approva e ratifica il riconoscimento da
lei fatto dell'eroica vita dei Suoi Servi.
Tra le molte grazie attribuite all'intercessione della Venerabile
Madre, due specialmente presentano tutti i segni del prodigio, e ne
diamo qui, ad edificazione dei lettori il sunto storico.
Pel primo trattasi della istantanea e perfetta guarigione della
giovane Assunta Barbieri da Gallignano, presso Soncino, patria della
Serva di Dio, diocesi di Cremona, sanata da tubercolosi polmonare
evolutiva bilaterale.
Nata nel 1912 da genitori tarati, ella stessa era la più malandata
dei suoi fratelli. A 17 anni cominciò a soffrire dolori alle spalle, a cui
si aggiunse tosse ed infine emottisi. Visitata dal medico, le riscontrò
una bronco alveolite prevalente a destra. In seguito uno specialista di
malattie tubercolari precisò che l'infiltrazione era biapicale.
Nell'anno 1930 in cui si manifestò in tutta la gravità il suo male;
le furono praticate tutte le cure e sottoposta a tutti gli esami, per cui
non v'era dubbio e della gravità del male e della fatale conclusione
che avrebbe avuto.
Le ripetute emottisi, l'alimentazione quasi nulla ridussero la
paziente all'estremo, cui si aggiunsero altri fenomeni gravissimi di
cefalea violenta, con alte grida anche notturne; grande irrequietezza
sì da rompere quattro termometri e richiedere la legatura della malata
al letto.
Verso il mese di maggio l'arciprete del paese suggerì alla
famiglia dell'inferma di ricorrere alla Serva di Dio Elisabetta Cerioli.
Biografie
292
opera omnia
L'inferma ascoltò il consiglio dell'arciprete e si mise a pregare la
Cerioli con grande fiducia, tenendo sopra di sé un'immagine di lei.
Quest'immagine spesso la portava anche alla bocca.
Simultaneamente pregavano allo stesso scopo le Figlie della stessa
Serva di Dio le Suore di Gallignano con le loro orfanelle, e primo fra
tutti pregava l'arciprete che spesso benediceva con tale intenzione la
povera inferma.
Queste preghiere furono continuate sino all'8 di luglio, festa di
S. Elisabetta, onomastico della Serva di Dio invocata. Intanto le
condizioni dell'inferma peggiorarono al punto che se ne attendeva da
un momento all'altro la morte. Le furono amministrati tutti i
Sacramenti. La notte dal 7 all'8 luglio era generale l'aspettazione della
morte. L'inferma aveva il rantolo dell'agonia; non gridava più; non si
agitava... vi fu persino un momento in cui la si credette morta. Ad un
certo momento fu vista come sorridere e fare gesti di saluto con la
mano, e a dire ora “saluto” ora “sì” quasi conversasse con una
persona che lei sola vedeva. Il mattino seguente verso le 9. 30 si mise
a sedere sul letto e chiese i suoi abiti per vestirsi, perché la Madre
Cerioli le aveva detto di alzarsi di andare entro un'ora dall'arciprete a
prendere la benedizione, e sarebbe guarita. Nessuno voleva crederla;
ma ella insistette, indicando il luogo ove erano le sue vesti; ed allora
gli furono date, fu slegata ed ella si vestì molto alla svelta. Discese in
cucina... e poi si recò dall'arciprete, e dietro di lei molta gente. Il
sacerdote la benedisse, la trattenne dieci minuti nel suo studio e poi
se ne tornò a casa. Tornata a casa, molte persone vennero a vederla ed
a sentire la miracolosa sua guarigione, avvenuta nel giorno
onomastico della M. Cerioli. Dopo tanto trambusto di commozione,
l'Assunta cominciò a mangiare i cibi più comuni preparati pel pranzo
della famiglia e bevve alcuni bicchieri di vino. Dopo desinare fu
accompagnata di nuovo al letto, e riposatasi alquanto nel pomeriggio
volle ancora mangiare. E da allora ella ha goduto e gode tuttora la più
normale e florida salute.
L'altro miracolo avvenne in persona della casalinga Lupini di
Treviolo, diocesi di Bergamo, maritata Leidi, da artrosinovite
tubercolare.
Nata nel 1888, maritata con due figli, ha sempre goduto buona
salute; all'età di 32 anni camminando sulla neve cadde e provò un
dolore all'osso sacro, dove si formò un forellino da cui usciva scarsa
materia. Fu operata, e tutto sembrò scomparso. Dopo un anno prese a
gonfiarsi il ginocchio sinistro. Il gonfiore andò aumentando e in
qualche mese il ginocchio sinistro diventò grosso il doppio del destro.
Biografie
293
opera omnia
Aveva stato febbrile e non poteva riposare. Fu visitata da vari medici
e fu diagnosticato il suo male per “artronsivite tubercolare”. Le fu
ingessato il ginocchio.
Ma il ginocchio andava sempre peggiorando, tanto che un
medico le disse che bisognava amputare la gamba. Entrò in clinica;
ma con poco vantaggio. Fu sottoposta ai raggi, ed il medico le
ripetette che la malattia era grave, che il ginocchio era pieno di pus e
bisognava far presto a tagliare la gamba. Nell'anno 1920 visto che
umanamente non c'era verun rimedio, la poveretta si rivolse al Cielo,
e consigliata da una sua amica cominciò una novena di preghiere alla
Serva di Dio Elisabetta Cerioli, di cui ebbe un'immagine che applicò
sul ginocchio malato. Alla fine della novena si sentì alquanto
sollevata. Nonpertanto chiese al marito che la portasse a Comonte
sulla tomba della Serva di Dio, per pregarla di concederle la grazia e
promettendo un'offerta in suo onore. Il marito con un figlio, Ernesto,
ed il cognato, fratello dell'inferma, la trasportarono con un biroccio a
Comonte.
Durante il viaggio la povera inferma dovette tenere la gamba
appoggiata ad un cuscino, soffrendo indicibili dolori ad ogni
sobbalzo del veicolo. Giunta a Comonte la misero a sedere su di una
sedia di fronte alla tomba della Serva di Dio. Qui la poverina pregò
fervidamente, recitò il S. Rosario, invocando pietosamente la Serva di
Dio. Si sentì sollevata. Il dolore al ginocchio era diminuito e provò a
sollevare la gamba malata ed a fare qualche movimento del
ginocchio, ciò che sino allora non aveva potuto fare. Prima di partire
lasciò la sua modesta offerta promessa. Fu rimessa sul biroccio.
Durante il ritorno non soffrì affatto. Le scosse del veicolo non le
davano quasi più dolore. Tornata a casa cominciò a camminare
appoggiata ad una gruccia e dopo otto giorni lasciò anche questa,
appoggiandosi solamente ad un bastone: Poteva scendere e salire le
scale senza difficoltà; il ginocchio andava sgonfiandosi; e dopo altri
otto giorni lasciò anche il bastone: il ginocchio era completamente
sgonfio, non le dava più verun fastidio.
Da allora in poi non ha sofferto più, lavora in campagna,
attende alle sue occupazioni domestiche senza alcuna difficoltà al
ginocchio.
Anche il medico curante visitandola ebbe a dire che ella era
guarita per opera soprannaturale.
______________
Biografie
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opera omnia
Raccolte le testimonianze di questi due fatti miracolosi nei
Processi Apostolici, e presentati al giudizio della Chiesa, essi furono
discussi nelle tre grandi Congregazioni, e dietro il parere favorevole
dei clinici e dei giudici, il Sommo Pontefice emanò il Decreto di
approvazione di detti miracoli il 27 novembre 1949.
E dopo, la Congregazione e relativo Decreto detto del “Tuto”, la
Venerabile Madre Cerioli fu decorata del titolo e degli onori degli
altari.
Nella fastosa bellezza della Basilica Vaticana, nella solennità di
S. Giuseppe - delicata e significativa disposizione del Cielo - nell'anno
giubilare 1950, le due famiglie della Madre Cerioli, e quanti la
venerano e l'amano, hanno potuto invocarla la prima volta col
glorioso titolo: O Beata Madre Paola Elisabetta, prega per noi! Onde siam
fatti degni delle promesse di Cristo!”
Se la povera parola umana può valere a render più smagliante
l'eloquenza di fatti tanto evidenti e commoventi, noi vorremmo solo
sottolineare, a mo’ di conclusione, due fatti luminosissimi in questa
mirabile vita.
Primo: l'amoroso e saggio consiglio di Dio nel condurre,
un'anima a traverso tante tragiche vicende, sino a questo vertice di
bene e di gloria; ed il merito dell'eroica docilità di lei nel lasciarsi
condurre, senza vedere, anzi vedendo e sentendo l’opposto di quanto
desiderava: eppure obbedì, sapendo a Chi credeva, a Chi obbediva,
certa che dal suo sacrificio Iddio avrebbe ricavato un bene immenso
imperituro per lei e per molti. Di fatto la sua eroica obbedienza non la
tradì; ma la portò a questo vertice di gloria, quale ella nella sua
profonda umiltà non avrebbe mai pensato.
L'altra considerazione: la vita della Beata Madre Cerioli, con
altro titolo anch'esso assai proprio, potrebbe dirsi: “La potenza del
patrocinio di S. Giuseppe”. Orbene chi ci ha letto, chi ha ammirato la
sconfinata fiducia e devozione di questa santa creatura verso il suo
Grande e Santissimo Padre, qui può toccare con mano come e quanto
la protezione di Lui per la devotissima Figlia siasi affermata sino oltre
la tomba, sino alla conclusione della storia terrena di lei,
concludendola così col dono più bello ed insperato, quello di averla
voluta alla gloria degli altari nel giorno della propria Festa. Così
associata al Padre suo, oltre che nella gloria in Cielo, anche alla gloria
nella Famiglia di Gesù sulla terra, ella può ridire a tutti con
Biografie
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opera omnia
l'eloquenza dei fatti, quanto sia dolce, preziosa, efficace la devozione
a questo ineguagliabile Santo.
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opera omnia
APPENDICE
Decreto del Vescovo di Bergamo che approva l'Istituto delle suore
della S. Famiglia nella diocesi di Bergamo
Pietro Luigi Speranza
per la grazia di Dio e della S. Sede Apostolica
Vescovo di Bergamo
In questi tempi in cui l'empietà non inonda solo le piazze e le
contrade della città, ma, abbattuto ogni argine per via, trascorre
minacciosa a disturbare i lontani e pacifici villaggi, facendo ogni sforzo
per insozzare la purezza di quei costumi, per scavare e scrollare la
saldezza di quella fede, e Dio giustamente sdegnato abbandona poi le
nostre terre alle maligne influenze, che ne guastano i semi, ne
corrompono i frutti e sperdono le fatiche del povero contadino,
l'entrate del ricco signore, le speranze di intere popolazioni, Chiesa
Santa qual maestra pietosa non cessa dal gemere sui mali e sui pericoli dei
suoi figli, mentre scongiura i traviati a ritirarsi dalla via della
perdizione, stimola i forti ed i misericordiosi ad opporre, coll'aiuto di
Dio, qualche rimedio di molto danno, sia dell'anima sia del corpo dei
loro fratelli.
Certamente non sono poche fra di noi queste anime generose,
che diversamente, secondo lo spirito di lor vocazione e secondo le
particolari circostanze delle loro condizioni ed età, sono accorse in
questi tempi a presentare importanti e segnalati servigi alla mistica
casa d'Israele; ma fra queste è nostro debito annoverare con
distinzione la Nobile Signora Costanza Cerioli vedova Buzecchi
Tassis dimorante in Comonte, frazione della parrocchia di Seriate,
diocesi di Bergamo. Questa, poiché la morte le ebbe rapito l'unico suo
figlio nel fiore degli anni, e poscia il marito, con savio consiglio e con
forte animo prese la risoluzione di dedicare sé e le proprie sostanze a
Biografie
297
opera omnia
Dio, nel servizio del prossimo, accogliendo nel proprio palazzo
alcune povere fanciulle del contado, orfane ed abbandonate, cui si
fece madre in ogni buona disciplina. Considerando poscia che molte
assai di queste fanciulle traggono bene spesso una vita
miserabilissima, perché tra l'universale concorrenza dei poveri agli
stabilimenti della pubblica beneficenza, massime dopo l'attuale
depauperamento dei pii patrimoni, restano in balìa a se stesse, senza
sorveglianza, e senza mezzi di sussistenza; o ricoverate vi ricevono
una educazione troppo aliena dalle abitudini e dalle esigenze della
vita campestre, cosicché essendo ancor giovinette, da quegli asili sono
costrette ad abbandonare la sicurezza e la quiete dei loro monti e
delle loro campagne per gettarsi improvvise al tumulto ed ai pericoli
della città e delle grosse borgate; si ispirò a più generosi pensieri ed ai
disegni più vasti della cristiana pietà. Pensò che sarebbe riuscito
sommamente provvido un Istituto, il quale, riunite in luoghi
opportuni e nel maggior numero possibile quelle povere fanciulle, le
istruisse nei doveri e nelle pratiche della SS. nostra Religione, le
addestrasse ai lavori della campagna, le informasse praticamente nei
principi dell'arte agraria, le rendesse esperte in tutte le domestiche
bisogna della vita contadina, mantenendole semplici nei costumi, e
nella faticosa operosità della loro povera condizione, sicché fatte
adulte, potessero, o collocarsi in onesto matrimonio e diventar buone
madri di famiglia, o prestare utilmente l'opera loro in qualche casa di
campagna meno esposta ai pericoli della seduzione.
Un divisamento così savio non poteva non incontrare la
pubblica approvazione: tuttavia la signora Cerioli nella sua filiale
devozione alla S. Madre Chiesa, e in ossequio alla nostra pastorale
autorità, nulla volle intraprendere senza il nostro consenso, nulla
operare senza il nostro consiglio. Noi dal canto nostro non solo non
abbiamo esitato ad approvare il magnanimo concetto, ma per quanto
era in noi abbiamo sempre favorito e promosso la fondazione di un
Istituto che per nostro avviso è nuovo nello scopo e nei mezzi che si
propone, provvido ai bisogni di una classe la più numerosa e più
derelitta della società, opportuno massime quando sarà esteso
all'altro sesso, a crescere lo studio ed il perfezionamento
dell'agricoltura, atto a nobilitare questa importantissima delle arti
imposta agli uomini dal Creatore, utile a risvegliare la purità della
fede e del costume tra la gente di campagna, che in questi tempi si
tenta di corrompere e pervertire in ogni modo per farne uno
strumento cieco alle più violente passioni.
Biografie
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opera omnia
L'opera incominciata con generosità, continuò con fervore e con
confidenza in Dio illimitata, cosicché la benemerita fondatrice riuscì
in pochi anni non solo ad organizzare, ma a perfezionare e stabilire
nel miglior modo il nuovo Istituto. Adattò allo scopo il suo magnifico
caseggiato in Comonte, l'ampliò notevolmente, erigendo dalle
fondamenta con molto suo dispendio nuove fabbriche. Accettò dalla
diocesi e fuori un numero considerevole di fanciulle orfane e
derelitte. Queste cresciute ormai presso a cinquanta a da lei solo
provvedute interamente di vitto e di vestito, secondo la loro
condizione di povere contadine, va addestrando nei lavori della terra
ed in tutte quelle occupazioni domestiche, e in quei mestieri che a
donne di famiglia si addicono nelle campagne; ben fondate nella
dottrina cristiana, informate delle parabole del Vangelo, ammaestrate
sugli esempi della vita di Gesù Cristo, della Beata Vergine e dei Santi,
e specialmente degli antichi patriarchi, e tra questi le vuole a
preferenza devote al castissimo Sposo di Maria, al quale ha dedicato
tutta se stessa e il suo Istituto, e le chiama dal nome di questo Santo:
Figlie di S. Giuseppe.
Man mano che l'esperienza, l'età e lo sviluppo fisico e
intellettuale ne mostra alcuna matura per la scelta dello stato, e utile
ai servigi della famiglia e della campagna, seguendo il genio e la
vocazione di quella, o la dà in matrimonio a qualche buon contadino
che ne abbia fatto ricerca, o l'affida a qualche parente dabbene, che
non riuscì d'averne la cura, o le alloga in qualche buona famiglia che
ne desideri gli umili servigi. Per agevolare poi questo collocamento,
mentre somministra alle giovani che sortono dall'Istituto, un
sufficiente corredo, non ha prefisso alla sortita alcuna età volendo che
in questo si prenda norma non dagli anni della vita, non dal periodo
dell'educazione, ma dalla maturità del giudizio, dall'idoneità allo
stato, dall'opportunità dei partiti. Quindi se l'infermità od altro giusto
motivo non permettono loro di trovare un onesto e sicuro
collocamento, come figlie di famiglia, che restano nella casa del loro
padre, le trattiene nell'Istituto amando meglio aver cura di loro che
accettarne di nuove.
Alcune giovani, mature di senno e di età, provate
dall'esperienza, umili, prudenti, discrete, cui la signora Cerioli si
associò nella custodia e nell'educazione delle povere figlie di S.
Giuseppe, e diede il nome di suore della S. Famiglia, sono destinate a
mantenere lo spirito della fondazione ed a conservarlo e a propagarlo
dopo di lei. Vivono in comune sotto la dipendenza della loro
superiora, in spirito di abnegazione, di povertà e di pace: vestono
Biografie
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opera omnia
abito uniforme e modesto, osservano un regolamento di vita molto
sodo e appropriato al fine di loro vocazione, assistono in tutto alle
loro allieve colla sorveglianza, coll'istruzione, colla direzione,
prendono parte con loro alle faccende della casa, ai lavori della
campagna, a tutte le occupazioni della giornata, ingenerando così
stima ed amore a quella vita povera, semplice e laboriosa.
Ora la nobilissima signora Costanza Cerioli avrebbe chiesto da
noi con fervide istanze, che volessimo anche con speciale decreto
confermare il giudizio che fin da principio abbiamo fatto, e a lei più
volte manifestato a voce, intorno a quello che riguarda il suo nuovo
Istituto, e ciò per suo conforto e per consolazione delle sue consorelle
e delle sue orfane, ed anche per avere in mano un documento da
presentare, ove sia d'uopo, a quelli che hanno interesse a sapere da lei
il giudizio dell'Ordinario. Noi riconosciuta la ragionevolezza della
domanda, considerando quali e quanti beni spirituali e temporali
quell'Istituzione abbia arrecati a quest'opera, e quanti maggiori sia
per arrecarne per l'avvenire nella nostra diocesi ed anche ovunque
sarà per dilatarsi colla benedizione di Dio, avendo piena cognizione
delle sue regole e delle sue pratiche, nonché delle persone e dello
spirito buono da cui sono animate, di buon grado assecondiamo le
fatteci istanze, dichiarando che il nuovo Istituto di Carità eretto in
questa diocesi nel luogo di Comonte, parrocchia di Seriate, dalla
prelodata nob. Costanza Cerioli ved. Buzecchi - Tassis, col titolo di
suore della S. Famiglia e allo scopo precipuo di raccogliere dalla
campagna le figlie orfane abbandonate dei poveri contadini per
allevarle secondo la condizione di lor nascita alla vita campestre sotto
la protezione di S. Giuseppe è un'opera che noi abbiamo sempre
favorita, promossa e commendata: e che ora nei limiti della nostra
autorità, cioè sotto il semplice rapporto di Istituto di Beneficenza, e di
pia associazione, riputiamo degna di una più esplicita e formale
approvazione come appunto intendiamo di approvare e approviamo
col presente Decreto nel modo il più ampio ed assoluto.
Tributiamo la meritata lode alla pietà, al consiglio ed alla
generosità della benemerita Fondatrice; e di cuore rendiamo grazie al
Signore Iddio e a lei stessa per il bene spirituale e corporale procurato
a tante povere zitelle, e a tante miserabili famiglie della nostra
diocesi.
Da ultimo, poiché è sua intenzione e desiderio che
l'associazione delle suore della S. Famiglia da lei destinato a sostenere
ed a perpetuare le sue opere di carità a pro della gente di campagna,
sia eretta in Istituto religioso. Noi in questa parte mentre
Biografie
300
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riconosciamo la nostra incompetenza, le dichiariamo che saremo lieti
di poter presentare il nostro appoggio e il nostro favore a quella
supplica che ella crederà di umiliare alla S. Sede cui è riservato in
proposito ogni esame ed ogni giudizio, ed a cui sempre ci è grato di
professare pubblicamente coi fatti e colle parole la più piena, la più
perfetta, la più spontanea nostra dipendenza e sommissione.
Bergamo, dal palazzo vescovile, 27 giugno 1862.
+ Pietro Luigi, vescovo
Lettera di S. S. papa Pio IX
Diletto Figlio salute ed Apostolica Benedizione
Godiamo, diletto Figlio, che la nostra Religione santissima ogni
giorno più splendidamente si dimostri Figlia del Cielo, e renda
immagine più chiara di Colui, che tutto riempie delle sue
misericordie e miserazioni. Perocché ogni giorno veggiamo nascere
nuove istituzioni, le quali accomodate ad ogni ceto d'uomini,
accomodate al sesso, alla età, alla condizione, ai bisogni loro, e li
raccolgono ancora bambini lattanti, e fatti più grandi li affidano a
vicenda l'una dalle proprie mani, come suol dirsi, nelle mani
dell'altra, e di continuo l'assistono nei casi vari della vita, prestando
loro insino alla morte, quei diversi uffici di carità cristiana, che lo
stato e le circostanze diverse di ciascheduna ricercano. E perciò con
grandissima consolazione ed allegrezza dell'animo apprendemmo,
come la nobile Donna Costanza Cerioli, vedova Buzecchi Tassis,
mentre era in vita, aveva rivolti tutti i pensieri agli abbandonati
orfanelli della villa, ed ordinato al loro soccorso le proprie sostanze,
come aveva già posto mano a raccogliere femmine e maschi
allevandoli nella coltivazione dei campi, sì che avessero poi a poter
provvedere a se medesimi, e rendere opera utile alla società, e quello
che più altamente rileva, fatti lontani dal pericolo della corruzione e
santamente educati, raggiungere il supremo fine dell'uomo. Per la
qual cosa non ci meravigliamo, se ampie lodi l'egregio Vescovo di
Bergamo tributò a quell'elettissima donna; se Dio sorrise all'opera
intrapresa e le diede largo incremento, molto più che la cosa, come
conveniva, s'è fatta con l'approvazione ed il favore dell'ecclesiastica
autorità, e secondo il sesso diverso degli orfanelli, fu commessa alla
sollecitudine d'uomini e di vergini pie e religiose. D'altra parte ci
congratuliamo con te, che dal tuo Vescovo fosti riputato degno di
Biografie
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opera omnia
essere preposto a nutrire e crescere questo nuovo parto della carità
cristiana, né punto dubitiamo, che tu abbi ad adempiere quest'uffizio
per modo, che, come a Noi sembra d'avere a sperare, la pia
Fondatrice abbia ottenuto la degna mercede della liberalità e della sua
buona opera; così secondandone le intenzioni e i voti abbi tu pure ad
interesse per te medesimo una splendida ed immarcescibile corona.
Lieta e prospera auguriamo ogni cosa alle cure tue, e dei Fratelli e
delle sorelle che han nome della Sacra Famiglia, non che al perenne
incremento di questa preclara istituzione a cui confidiamo che S.
Giuseppe non vorrà mancare del suo validissimo patrocinio. Egli, al
quale, siccome a padre amatissimo, fanciulli e fanciulle fin dal
principio furono raccomandati.
Intanto, auspice del divino favore e pegno della paterna nostra
benevolenza, Noi impartiamo amorosissimamente a te, ai Confratelli
ed alle Suore della Santa Famiglia, ai figli ed alle figlie di S. Giuseppe,
e a tutto cotesto Istituto, l'Apostolica Benedizione.
Dato in Roma presso S. Pietro il giorno 15 luglio dell'anno 1868,
XXIII del nostro Pontificato.
Pio papa IX
Al diletto Figlio Alessandro Valsecchi, Canonico della Chiesa
Cattedrale di Bergamo, e Rettore del Pio Istituto della Sacra Famiglia.
- Bergamo.
Decreto di S. S. papa Leone XIII
Fra le religiose Società femminili che nel popolo cristiano
rendonsi altamente benemerite della civile educazione delle fanciulle,
e che son degne di una speciale e pubblica testimonianza di lode,
vuolsi senza dubbio annoverare la Congregazione delle Suore della
Sacra Famiglia. Questa pia Società, fondata nella diocesi di Bergamo
circa l'anno 1855 per studiose cure della nobil Donna Costanza Cerioli
ved. Tassis, dopo pochi anni crebbe siffattamente di numero, da
possedere al giorno d'oggi sette case, distribuite nelle varie diocesi
d'Italia. E in queste case religiose s'accolgono più di sessanta Suore, le
quali, oltre al fine primario che è la santificazione di se stesse, hanno
un fine o scopo secondario riguardante la santificazione de’ prossimi,
il qual fine, studiansi di raggiungere col dare religiosa educazione a
povere fanciulle figlie d'agricoltori e coll'addestrarle ai lavori
campestri, specialmente quelle che sono orfane, alle quali inoltre
danno ospitalità nelle case dell'Istituto, e al tutto gratuitamente le
Biografie
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sostentano. Le Suore, che vivono in comune sotto la dipendenza della
Superiora Generale e portano l'abito della loro regola, finito il
noviziato di due anni, emettono i tre consueti voti d'obbedienza, di
povertà e di castità, dapprima temporaneamente, poscia in perpetuo.
La vita delle sopraddette Suore, il loro zelo e l'opera fruttuosa
vengono con amplissime lodi commendate dagli Ordinari di quei
luoghi ove tali case si ritrovano, come apparisce dalle loro lettere
presentate dalla Superiora Generale alla Santa Sede, insieme alle
costituzioni che servono al governo dell'Istituto, affine d'ottenere
all'Istituto stesso ed alle sue costituzioni l'approvazione apostolica. Di
che fattasi relazione alla Santità di N. S. Papa Leone XIII, nell'udienza
avuta dall'E. mo Prefetto di questa Sacra Congregazione il giorno 21
settembre 1896, Sua Santità, ponderate tutte queste cose, e avute in
considerazione specialmente le ricordate lettere commendatizie degli
Ordinari, degnossi di sommamente lodare e commendare lo scopo o
fine della Società delle Suore dette della Sacra Famiglia, come col
tenore del presente Decreto, lo scopo o fine della medesima Società è
sommamente lodato e commendato, salva la giurisdizione degli
Ordinari, secondo le norme dei Sacri Canoni e delle costituzioni
Apostoliche; differita però a tempo più opportuno l'approvazione
così dell'Istituto, come delle Costituzioni, intorno alle quali ordinò
che si facessero conoscere alcune osservazioni, all'uopo che le
Costituzioni stesse in sulla scorta di tali osservazioni si abbiano ad
emendare, e così emendate, per un tempo convenevole sieno
sottoposte ad esperimento.
Dato in Roma, dalla Segreteria della prelodata Sacra
Congregazione de’ Vescovi e Regolari, il dì 22 settembre 1896.
Firmato: Card. Verga, prefetto.
A. Trombetta, pro Segretario
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FONTI BIBLIOGRAFICHE
1- Processo Informativo
2 - Processo Apostolico super Virtutibus
3 - Sylloges virtutum
4 - Scritti della M. Paola Elisabetta Cerioli.
5 - Memorie della M. Luigia Corti, Superiora Generale e prima
compagna della M. Cerioli
6 - Bibliografia della M. Paola Elisabetta Cerioli, del Sac. Paolo
Merati - Bergamo 1899 (vivente: Prelato Domestico di S. S. e
Arcidiacono della Cattedrale di Bergamo)
7 - Varie notizie fornite dagli Istituti della S. Famiglia.
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Emidio Federici
La beata Paola Elisabetta Cerioli
Fondatrice degli Istituti Sacra Famiglia
di Bergamo
“Pater meus agricola est”
(Joan XV)
Congregazione della Sacra Famiglia
a cura del Seminario Sacra Famiglia
Bergamo 2001
Biografie
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La vita che qui si compendia è un dramma
scioltosi lungo più che un secolo in un poema di carità, e
oggi in apoteosi di gloria.
Autore ne è Dio.
Protagonista: Paola Elisabetta Cerioli, vedova
Buzzecchi - Tassis.
Tu che leggi queste pagine meditale con amore e
vedi quanto è buono il Signore!
Come tutto che egli dispone di noi sia il meglio,
l’ottimo per la vita e per l’eternità.
Ed ammira un’anima che penetra di tanta
saggezza seguì ed eseguì ciecamente, eroicamente,
sempre, il Divino Volere.
Ed ha raggiunto tutte le mete!...
Oggi tocca la suprema: premio e posta divina al
suo eroico vivere.
Il Vicario di Dio la proclama “Beata” nella Chiesa
militante.
Roma, 1° Gennaio dell’anno giubilare 1950.
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CAPITOLO
I
Segnata da Dio
L’albero buono
Gesù ha detto: “Da un albero buono nascono sempre frutti
buoni”. Queste parole applicate ai degnissimi genitori della nostra
benedetta Madre, trovano piena conferma. I coniugi Francesco nobile
Cerioli e Contessa Francesca Corniani se eran distinti di sangue e di
censo, erano più nobili di fede e di virtù cristiane.
Signori di larga fama, probi, giusti, benefici, padri, più che
padroni dei numerosi coloni ed operai che affollavano i loro poderi e
filande, prodigamente munifici verso i poverelli.
Già la loro meritoria ed invidiabile fecondità dice come essi
intendevano l’onore e l’onere del loro coniugio veramente cristiano.
Sedici fiori s’ingemmarono sulla loro veneranda corona. La nostra
benedetta Madre è proprio l’ultimo dolcissimo frutto di benedizione
che Iddio ha colto da questo albero sano e fecondo.
E non solo Egli ha scelto i due venerandi coniugi a collaboratori
nel dar vita a questo fiore di elezione; ma pure li fece entrare
attivamente a preparare e spianare la via ai suoi arcani disegni che
dovevano conchiudersi col più impensato e mirabile successo.
E cioè con l’esempio, l’educazione, i precetti, i consigli
avvieranno la figliuola su quella strada che non essi, ma Iddio stesso
ha scelto per il miglior bene di lei e la maggior edificazione per tutti.
Segnata da Dio
Addì 28 gennaio 1816 è nata la sedicesima figlia dei nobili
Signori Cerioli.
Biografie
307
opera omnia
Appena nata minacciò di morire: tanto che subito le fu
amministrata l’acqua battesimale perché sembrava volesse tornarsene
al Cielo. Ma non morì. Sei giorni dopo - nella purificazione di Maria furono supplite tutte le altre cerimonie liturgiche, e le vennero
imposti i nomi di Costanza Onorata.
E continuò il suo viaggio doloroso nell’esilio.
Naturalmente risentirà tutta la vita di questo primo minaccioso
male, originato da congenito scompenso cardiaco, con una lieve
deformazione scheletrica, che lascerà per sempre gracile, debole,
continuamente sofferente.
È una creatura segnata sin dal suo nascere: fragile nel corpo
infermiccio, ma con doni eccezionali nello spirito nella mente nel
cuore.
Benedetta la mano che così la segnò, equilibrando gli scompensi
fisici con ricchezze interiori mirabili, che renderanno più sfavillante lo
spirito e più armonioso il cuore!
La vita d’ogni creatura d’eccezione nella virtù non si dovrebbe
chiamare con altro nome che una “Via Crucis” con tappe e stazioni,
se non in tutti identiche di nome e di numero, per tutti contrassegnate
col segno glorioso e doloroso della Croce.
Questa creatura segna la sua prima stazione di dolore nel primo
giorno della vita. In seguito ella avrà la coscienza e la forza di
sorridere a tutte le croci, quasi arcanamente prevenuta da Dio che
questo sarà il suo destino di gloria.
Dentro quel corpicciuolo deformato e infermiccio è nascosta
un’anima luminosa, un’intelligenza vivida che svilupperanno una
volontà ferma, un cuore armonioso e prodigo nel dare con regale
bontà l’amore.
Belle disposizioni queste alle operazioni santificatrici che
faranno germogliare virtù varie a seconda degli stadi in cui ella
passerà.
I materiali da costruzione
L’indole naturale di Costanza è quel che si può desiderare di
meglio a così alto destino: duttile e mite, incline alla pietà e
all’obbedienza, ipersensibile al soffrire altrui. La vigilante e vigorosa
educazione materna e gl’influssi della grazia elaboreranno
lentamente un carattere dolce e remissivo, ma pure volitivo e fermo.
Crescendo al tepore degli edificanti esempi domestici, ella
Biografie
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opera omnia
rivela preferenze storiche per una bambina. Non ama balocchi,
sfugge il rumore, ricerca gli angoli più quieti per trascorrervi lunghe
ore a sfogliare libri che ancora non sa leggere - tanto meno
comprendere - attratta dalla bellezza casta e raccolta dei volti santi,
dagli episodi della loro vita che le parlano vivamente del Cielo, di
Dio, della virtù. A lei sembrano come specchi di luce imitabile,
riproducibile, e la invaghiscono tanto da desiderarne una più stretta
conoscenza; perciò domanda a chi può darglielo - specialmente alla
mamma - il commento della loro eroica storia.
Altra bella disposizione in Costanza: l’amore ai poverelli, agli
umili, ai sofferenti, ricercati come gli amici più desiderabili e cari, per
beneficarli come può.
La mamma, donna di larga beneficenza, l’associa volentieri ai
suoi giri di carità, e si compiace di far giungere ai poverelli il suo
aiuto facendolo passare per le mani innocenti di Costanza, il cui
amore impreziosisce il dono come di una consacrazione di bontà e di
purezza.
Siffatte belle disposizioni - non riscontrate negli altri figliuoli attraggono l’interesse della mamma. Certamente ispirata dal Cielo,
questa si dedica con una cura particolare e singolare ad educare al
bene, alla virtù, alla beneficenza l’ultima nata.
Non potrebbe infatti darsi altra ragione per ispiegare come una
signora così pia e virtuosa, amorosa e giusta, abbia assunto un tono
deciso di austera rigidità proprio nei confronti dell’ultima figliuola
“la beniamina”; quella che meno provocava e meritava tale stile, e per
di più malaticcia.
Sta di fatto che la mamma preparava la sua creatura alla vita,
educandola ad una scuola forte e corroborante, senza tenerezze e
finezze, ma solo sacrifici, rinnegamento, obbedienza. Perché proprio
questa sarà la strada su cui chiamerà Costanza l’amoroso Padre e
Signore che sta nel Cielo.
Piena corrispondenza agli arcani disegni divini
Costanza infatti accetta docile e sommessa le lezioni materne
quali disposizioni del Cielo, come deve fare una figliuola cristiana,
cui incombe sempre il dovere di obbedire a Dio e ai suoi immediati
rappresentanti sulla terra: i genitori. Più tardi, avanzando negli anni e
nella vita, la saggia fanciulla riconoscerà nella preziosa energica
educazione materna un recondito disegno del buon Dio a suo
Biografie
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opera omnia
riguardo.
Così la vita di Costanza, adolescente, fanciulla, trascorre nel più
sereno ambiente di pietà, di raccolta operosità, nell’adempimento di
tutti i suoi piccoli doveri personali e domestici, quali glieli ha
assegnati la mamma. Ma su tutto domina una bella nota di pietà
seria, intelligente, discreta; la pietà tanto utile ad ogni cosa nella vita
ed in qualsiasi stato di essa.
Ne consegue che Costanza è delicata di coscienza; pronta a
rendere a Dio l’ossequio del cuore, dei pensieri, delle azioni;
desiderosa in maniera irrefrenabile di raccogliersi e pensare a Dio e
alle cose del Cielo; generosa nell’offrirsi agli altri per il disimpegno
dei doveri e di esibire i propri servigi, le proprie cose, e di queste le
migliori: i sorrisi, gli incoraggiamenti, il conforto.
Ecco tutta la vita di Costanza fanciulla. Altre, nel suo ambiente,
con le sue risorse personali, con gli agi e le ricchezze della sua casa,
sarebbero facilmente discese nella via della vanità; ella al contrario,
per un senso d’innata nobiltà di spirito, ma più per divino impulso,
sceglie la via della carità, la strada regia dove si allineano tutte le altre
virtù che ben si dicono figlie della carità.
Si direbbe che Costanza, pur tenera d’anni e matura di senno,
già presenta che la sua felicità non sarà nel possedere le ricche
sostanze dei suoi genitori, ma nel farsene dispensatrice a sollievo dei
poveri, aggiungendovi del suo tutta la bella luce che già le riempie la
mente e tutto il sacro fuoco che le arde nel cuore.
La prima confessione e la prima comunione
Tutto ciò che già esiste di bello e di buono nell’anima di
Costanza è la parte umana disposta, preparata dalla sana educazione
famigliare, a cui ancora non s’è aggiunto lo straordinario apporto
della grazia che si comunica attualmente attraverso quei Sacramenti
istituiti dalla divina misericordia a sorreggere la debolezza, ad
incitare la generosità umana, a lanciare le crearure sulla via regia
della virtù che ascende fino ai vertici della perfezione. Fra tutti i
Sacramenti, la Penitenza e l’Eucarestia costituiscono il farmaco, il
pane, in salute e robustezza delle anime.
Le disposizioni di Costanza a questi due Sacramenti furono
singolari; e ne ebbe di ritorno un beneficio singolarissimo, tale da
restarle in contrassegno per tutta la vita. Una pia donna a noi
sconosciuta, frequentatrice di casa Cerioli, l’accompagnò la prima
Biografie
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opera omnia
volta al sacro tribunale della Penitenza. Questa donna ha detto che
Costanza non era affatto preoccupata, tanto meno turbata, nel
presentarsi al ministro di Dio. Ma piena di confidente amore nella
bontà di Colui che l’accoglie per lavarle l’anima e renderla bianca
quasi neve, ella è colma di gioia. Sentimenti iniziali questi che si
trasformeranno in abituale forma di spirito, per cui ella sperimenterà
sempre la stessa confidente gioia e si studierà di trasfonderla in tutti
che potrà accostare, affinché giustino le dolcezze purificatrici del
sangue prezioso di Gesù.
In analogia alla confessione venne il primo incontro con Gesù
nell’Eucarestia, che fu per lei la più inebriante immersione nella carità
di Gesù; tanto che ne restò così paga e sazia da nauseare il cibo
materiale che la mamma, con delicato pensiero, le ha apprestato a
solennizzare quel giorno memorando.
Per la prima e per le seguenti Comunioni Costanza salterà la
colazione in omaggio dell’Ospite divino: ma più per il bisogno di non
annullare con la grevezza del cibo materiale la soavità del Pane
Celeste.
L’Eucaristia diviene per Costanza il suo vero pane quotidiano
soprasostanziale, e lo cercherà e lo mangerà con quella avida fame
con cui si mangia il benessere, la vita, come si mangia il cibo che è
insostituibile e insurrogabile per chi ha intuito la sorte di poter
assidersi nell’esilio a questo banchetto di delizie.
L’intima gioia dell’anima paga sopra ogni altro desiderabile
diletto del possesso reale di Dio, le ha svelato la sua vocazione futura,
la quale sarà al possibile, la ripetizione della vita eucaristica di Gesù:
obbedienza silente e sofferente, pazienza umile, carità operosa.
Pur tra gli agi e le ricchezze offertile dalla sua condizione, ella
non troverà altra felicità di quella di immolarsi al volere di Dio,
comunque le si manifesti, dovunque la conduca, in qualsiasi stato
della vita, purché ad imitazione del suo Diletto ella possa offrirsi
quanto è, e quanto ha, alla santissima e sempre paterna volontà del
suo Dio. E si vide subito la pratica attuazione di così bel proposito.
In famiglia è un modello silenzioso e modesto, ma non poco
eloquente, di perfetta obbedienza ai genitori, di assoluta dedizione ai
suoi doveri, di perfetta carità con i fratelli, tra i quali è il mezzo di
concordia e di pace nelle piccole liti; angelo di bontà, di gentilezza
con la servitù e le operaie della filanda paterna; infine, buona e
intelligente soccorritrice di tutti i poverelli che sostano alla porta del
suo palazzo a ricercare più che il pane e la veste, il sorriso buono di
un angelo.
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Tutti, di conseguenza, sono vivamente colpiti e ammirati della
singolare bontà dell’ultima nata di casa Cerioli.
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CAPITOLO
II
Giovinezza angelica
Nel giardino di S. Francesco di Sales
I saggi parenti preoccupati di educare e formare
convenientemente secondo il suo grado, la figliuola, affidano
Costanza appena decenne, alle buone Madri della Visitazione del
Collegio di Alzano Maggiore. Un ambiente quanto mai adatto alla
piccola anima, per il metodo pedagogico, tutto profumato dalla soave
gentilezza e dalla profonda sodezza dello spirito salesiano, che
aggiungerà subito un amabile e marcato complemento di meritoria
dolcezza alla nativa bontà della figliuola.
Un nuovo dovere quindi viene ad impegnarla: lo studio. E lo
assolverà con tutta la diligenza e il trasporto immaginabili. Supposto
il suo proponimento di obbedir sempre, ella intravede anche nel
proprio perfezionamento intellettuale la precisa volontà di Dio che la
prepara con ciò alle sue future insospettabili mansioni. E dire dello
studio è dire il meno. Soprattutto ella vuole approfittare della
consuetudine con quelle sante Spose di Gesù per apprendere
praticamente la vita di pietà: come si profuma, cioè, di preghiera ogni
azione, e come da ogni azione si può ricavare il pregio e l’aroma della
preghiera.
I progressi quindi di Costanza nello spirito e nello studio
procedono di consenso, l’uno rafforzando l’altro, l’uno rendendo
l’altro più cosciente e più meritorio.
Progredisce molto nello studio della letteratura, nella pratica
delle lingue, il francese particolarmente. Nelle altre arti: disegno,
ricamo, musica, complementi preziosi per una giovinetta del suo
rango, riesce a meraviglia.
Biografie
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opera omnia
Ma quel che maggiormente l’interessa e l’appassiona è la più
bella, la più sublime delle arti, quella che forma a sodezza, a
riflessione il carattere, che arricchisce di cognizioni e porta sempre
più a Dio, nell’intento di parlargli, di stabilire con Lui l’intima
relazione della più stretta unione, e di piacergli nell’operosità del
dovere, del bene, di ciò che è anzi il fiore di ogni bene: la virtù.
Naturalmente risultava un amabile modello di diligenza senza pose,
di bontà senza indiscrete esibizioni, senza ostentata musoneria: ma
semplice, disinvolta s’innalzava irresistibilmente sopra tutte le
compagne per dire e provare tacitamente come la virtù sia il tono,
l’aspetto abituale di piacere a Dio innanzi tutto, e poi guadagnare
l’ammirazione, l’amore del prossimo, che è quanto dire eccitarlo
all’imitazione.
Di guisa che Costanza in collegio - senza volerlo - spiega agli
occhi delle compagne e maestre tutta la ricchezza, la generosità di
uno spirito che agisce e reagisce per rendersi perfetto, e dare con
edificante contegno il migliore incitamento al bene.
La scuola di S. Francesco di Sales aggiunse al suo carattere già
dolce quella garbata e sorridente finezza che la renderà più amabile a
tutti.
La dimora di Costanza alla Visitazione si protrae per otto anni:
in questa età, la più bella e decisiva per l’orientamento nella vita, è
tanto trasparente l’aspirazione del suo cuore verso una vita di
raccoglimento operoso, la sua preferenza per lo stato verginale.
Comunque ella non si pronuncia; ma serbando in cuore il suo alto
ideale, si abbandona nelle braccia di Dio, decisa a seguirne i comandi,
ovunque la chiami.
Quando i suoi genitori divisarono di riportarla in famiglia,
Costanza non ha opposto veruna difficoltà; non ha espresso un
desiderio.
Benché il suo spirito invidiasse l’angelica operosità delle sante
abitatrici del chiostro, rientrò docile e lieta nel seno della sua
numerosa e rumorosa famiglia.
Edificante tirocinio alla vita futura
Ricca di cognizioni, di virtù, di meriti, verso il suo sedicesimo
anno Costanza rimette il piede nel mondo.
Il mondo avrebbe dovuto sorridere a lei, giovinetta di tale
lignaggio, ornata di tante doti, garantita di mezzi dotali straordinari;
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314
opera omnia
invece esso non ha veruna attrazione per lei, preoccupata di piacere a
Dio e di seguirne i comandi. I brevi anni intercorsi fra l’uscita di
collegio e il matrimonio di Costanza costituiscono il tempo del suo
vero tirocinio ai futuri stati: a quello inaspettato che immediatamente
l’attende, e a quello sognato che più remotamente le è serbato.
In questo pratico tirocinio, dall’altezza della sua illuminata
fede, e nel fervore della sua preghiera, ella saprà ciò che Dio vuole da
lei, e quanto ella deve fare per piacergli sempre di più.
È così che ella, pur non sapendolo, attua senza indugi i propri
desideri di perfezione, vivendo fra le pareti domestiche la sua vita
religiosa, dal momento che ella è già pronta ad immolarsi alla divina
volontà.
E questo sarà il suo vero noviziato alla vita coniugale che
immediatamente l’attende, e poi alla vita claustrale che le è preparata.
Qui il suo chiostro è il suo spirito, ove si racchiude nell’alto
raccoglimento della preghiera. La sua regola è la volontà di Dio. Sua
occupazione, la carità. La sua prova sta nel contrasto fra gl’ideali suoi
e quelli dei genitori. Il suo maestro è Gesù stesso, l’unico Diletto e
prediletto dell’anima sua Cui s’è offerta fin dal primo battito del suo
bel cuore.
Così passano i tre anni che precedono la sua sistemazione
precaria nel mondo. Occupata nei doveri di pietà e domestici, allenata
alla laboriosità, nemica di vane ciarle e futili conversazioni, refrattaria
a sogni e chimere d’inafferrabili idealità, garbata con tutti, espansiva
nel bene, è sempre riserbata senza selvatichezza. Ama appartarsi,
tacere, perché la solitudine, il silenzio, la nutrono, la beano. E prega
spesso perché la preghiera la irrobustisce, l’istruisce, la consola.
Per obbedire alla mamma compie diligentissima tutte le
mansioni domestiche assegnatele; per assecondare il babbo non
trascura i libri: legge trascrive traduce dalla migliore letteratura
francese nel forbito italiano del suo tempo. Così ha buona occasione
di approfondire un’altra preziosa conoscenza spirituale: S. Teresa di
Gesù, la Maestra di spirito, da cui impara non poco per coltivare
l’anima propria e condurla sulla strada dell’orazione ai più alti gradi
dell’unione con Dio.
La sua vita di laborioso raccoglimento è interrotta dalle visite
alle chiese ed ai poveri; e queste sempre in carrozza chiusa.
In società apparisce raramente, solo per compiacere obbedire ai
genitori; ed anche queste rare apparizioni son come di persona
assente assolutamente estranea a quanto si dice. VI resta senza parole,
sembra che nulla la interessi, o meglio, nulla intenda delle futili
Biografie
315
opera omnia
conversazioni dei salotti.
Però se la si vuol udir parlare e graziosamente disinvolta,
bisogna vederla incontrarsi con un povero, un infermo, un derelitto.
Allora parla interessandosi a tutti i minuti particolari dei guai del
prossimo; e risponde e suggerisce e consola con un garbo un’efficacia
che è un incanto. Si accompagna addirittura con essi, dirigendosi
verso il proprio palazzo ad ottenere qualche buon aiuto. Quanto era
suo, di cui poteva disporre, passava presto nelle mani e nelle tasche
dei suoi prediletti, o trasformato in uno dei soccorsi che sono tanto
provvidi e accetti, quando arrivano sul momento della più disperata
indigenza.
Ne si contentava della pura carità materiale con gli estranei;
non era meno generosa e benefica del distribuire intorno a sé, in
famiglia, nella filanda materna le ricchezze veramente fastose d’uno
spirito saggio illuminato colmo di compatimento e d’amore. Basti il
dire che i familiari i domestici le operaie l’accostavano sempre con
gioia e l’ascoltavano con la venerazione con cui si ascolta un angelo.
La stessa carità elevata in tono più alto usava con i fratelli, con
le sorelle provocandoli amabilmente alla pietà, alla virtù, alla
mortificazione razionale e tanto necessaria al perfetto vivere cristiano.
Le sue mortificazioni erano splendenti agli occhi di tutti: tollerare con
pazienza e con sorrisi gl’incomodi della malferma salute, il rigore del
freddo era per lei gesto abituale: ma il genere preferito di mortificarsi
era quello interiore. Tanti piccoli stati di rinnegamento della volontà,
dell’amor proprio; non risentirsi ad uno sgarbo, non scusarsi ad una
riprensione, non ribellarsi mai anche ad un’immediata condanna,
erano i fiori colti ed offerti a Dio da cuore sensibilissimo, da una
intelligenza, da una intelligenza viva e luminosa.
Preparazione della vittima al sacrificio
Dinanzi a così eloquenti fatti sarebbe ovvio il pensare che
Costanza si orienti verso la vita religiosa. Però, tenendo presente la
distinzione tra vita religiosa nel chiostro e quella non meno solida e
meritoria vissuta in famiglia, s’ha da ritenere per certo che la figliuola
non ha mai manifestato in quale direzione volesse determinarsi. Di
fatto ella non ha chiesto - come avrebbe potuto - di rimanere alla
Visitazione, come mai si è espressa di voler entrare in altro istituto
religioso.
Questo ha da tenersi presente per dare una giustificazione
Biografie
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opera omnia
all’operato dei genitori che le imporranno lo stato matrimoniale.
Comunque noi dobbiamo riconoscere e benedire questa
disposizione che infine è imposta dal cielo agli inscrutabili fini che si
conosceranno al concludersi di questa edificante vita.
Ad un certo punto della giovinezza di Costanza - e
precisamente verso il suo diciottesimo anno - si verifica nella sua vita
una brusca e inaspettata deviazione di tutte le sue idealità spirituali
verso una direzione che nessuno penserebbe, e che mai la figliuola
sognò. Di tutto ciò sono strumenti materiali i suoi rispettabili genitori,
i quali, indubbiamente mossi da Dio, hanno convogliato la vita della
loro figlia sopra una strada che non sembrerebbe la sua; ma che
invece ne sarà la preparazione e l’esordio, onde la santa creatura
possa meglio assolvere quella che dovrà essere la sua vocazione.
Una proposta assurda
Ed ecco i fatti. Un giorno i genitori chiamano la figliuola e, da
soli a soli, le annunziano che, essendosi presentato un ottimo partito
di matrimonio, nella persona del rispettabile signor Gaetano
Buzecchi, sessantenne, vedovo della contessa Teresa Tassis, essi
usando del diritto di scelta conferito loro dall’autorità e dalla
consuetudine, hanno giudicato conveniente aderire alla richiesta, nel
desiderio di veder sistemate tutte le figlie prima di morire.
Il partito da essi scelto é un uomo ricchissimo, afflitto più che
dagli anni da incipienti acciacchi fisici, che fanno prevedere quale
sarà la sua vecchiaia. Per bontà e integrità morale é persona
indiscutibilmente superiore. E qui vien fatto di domandare: hanno i
signori Cerioli pensato se la loro figliuola sia chiamata allo stato
matrimoniale? Hanno ben considerato se il partito scelto sia quello
che convenga a lei per la sua età. Due quesiti a cui non sarebbe facile
dare una risposta se non si pensasse subito ad una arcana e precisa
disposizione del Cielo. Si direbbe che il Signore abbia calato un velo
dinanzi agli occhi di questi rispettabilissimi signori cristiani onde non
vedano l’assurdità del partito umano a cui sacrificano la loro
creatura. Senza conoscere, neppure intravvedere, i fini più alti e
reconditi per cui quel matrimonio era scritto in cielo, essi usano tutta
la loro autorità onde fosse ratificato in terra.
Di fatto - come poi dirà il seguito della storia - Costanza
ricaverà da esso, oltre i meriti personali, una preziosa esperienza e i
mezzi per la grande opera finale cui è destinata.
Biografie
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opera omnia
Questo matrimonio è un anello appena della lunga catena di
avvenimenti che, completandosi, svilupperanno un magnifico piano
divino, dinanzi al quale tutti hanno da ammirare ed adorare, perché
eccellente, benefico per l’angelica fanciulla, che sul momento sembra
una vittima, mentre sarà l’eroica protagonista che ne uscirà
sfavillante d’incorruttibile gloria. Senza dir nulla del moltiplicato
bene che ne proverrà a molti.
“Fiat voluntas dei”
La santa figliuola a tale annuncio rimane annientata. Il suo
spirito trasalisce d’innanzi ad una decisione che è contraria al suo
ideale e alla quale non vuole ribellarsi. Chiede, supplicando, che le sia
concesso tempo a riflettere e pregare, e si ritira nella sua stanza.
Chiusa dietro di sé la porta cade in ginocchio e in un profluvio di
lacrime effonde la propria anima dinanzi a Colui che legge nel suo
spirito come un libro e vede e pesa le sue aspirazioni, ciò che ama, e
ciò che non vorrebbe...
Il matrimonio! Senza far questione della persona prescelta, ella
non sa che cosa sia: se è una gioia, non la desidera; se è sacrificio,
meglio e più meritorio potrebbe trovarlo in una vita di carità, di
nascondimento, di preghiera... Però, se tale è l’amorosa e paterna
volontà di Dio, in cui vede così chiaramente coincidere la decisa
volontà dei carissimi genitori, ella è pronta a sacrificare tutto:
giovinezza, ideali, aspirazioni, purché il suo santissimo Volere si
compia!
Consulta - senza dubbio – il proprio direttore di spirito. Anche
questi dinanzi alla fermezza della volontà paterna, considerate le
disposizioni negative della figliuola alla vita claustrale, quasi ispirato
anch’egli da una mozione interna, la consigliò di far presenti ai
genitori i propri alti ideali di perfezione; però, ove essi avessero
insistito nella decisione, non c’era altro da fare che riconoscere nel
loro volere un preciso ordine del cielo, ed eseguirlo.
“A Dio è più gradita l’ubbidienza sopra ogni altra offerta!”.
Dominata da tale pensiero, sicura di compiere un arcano
disegno dell’alto, Costanza preferisce al parola eroica e meritoria
obbedienza da cui dipende - frutto di momentaneo sacrificio – la sua
felicità eterna; la salute e la gioia di molti, una gloria che il tempo non
offuscherà e i secoli trasmetteranno, benedetta ed ammirata ai secoli:
“Fiat voluntas Dei!...”.
Biografie
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opera omnia
CAPITOLO
III
Nozze eroiche
Sereni e virtuosi preparativi
Accettato il sacrificio, una serena e sorridente calma si diffonde
nella vita di Costanza, sempre devota, operosa, benefica. È il primo
immediato premio al suo obbedire. Qui è buono svelare il segreto
divino onde anche il lettore veda - come la santa fanciulla la intravide
- tutta la trascendente bellezza di queste nozze, umanamente assurde,
eppure volute da Dio.
Il matrimonio di Costanza Cerioli con Gaetano Buzecchi ha
tutte le parvenze di umano interesse, a cui sembra crudelmente
sacrificata una così santa creatura. Si potrebbe concedere pure che
anche da parte di Dio fu un matrimonio d’interesse. Ma di quali
interessi! E quanto distanti, anzi opposti a quelli che noi intendiamo,
e che in genere tutti cercano quaggiù. Splendenti ed edificanti tutti gli
interessi di Dio. Eccoli. Innanzi tutto abbellire sino ad un grado
supremamente eroico un’anima, rivestendola di virtù, di inestimabili
meriti, corredandola di esperienze preziosissime. Poi mettere un
angelo a fianco d’una povera vita umana in declino tra malanni ed
affanni, a mostrare quanto alto e confortevole riesca l’amore umano
quando si ammanta dei riflessi incandescenti della carità divina. Poi
ancora da queste nozze prelevare tre anni - tanti saranno i fiori che
germoglieranno - per farne certamente tre celesti comprensori del suo
corteggio immortale. Infine - e questo si direbbe incredibile - Iddio ha
mirato proprio alle ingenti ricchezze del signor Buzecchi. Senza
questo matrimonio esse sarebbero andate disperse, forse dissipate.
Invece, confluite tutte nelle purissime mani della legittima sposa,
erede unica di tre vistosi patrimoni, li trasformerà in pane, vesti, luce,
Biografie
319
opera omnia
calore di bene per tante incomputabili creature innocenti. Non solo;
ma di queste sostanze formerà la garanzia di vita per due nuove
famiglie, eredi e depositarie di tanti tesori materiali e spirituali, onde
si perpetui la feconda bellezza di così sante disposizioni.
Di fronte a siffatto impensato bilancio di solido e duraturo bene
- che noi anticipiamo per confortare il lettore e disporlo a leggere le
pagine che seguiranno - chi oserebbe condannare la disposizione del
Cielo. Che se momentaneamente rimane sacrificata una giovane ed
innocente creatura, si deve pur dire che la brevità del sacrificio sarà
sorpassata dalla perennità del successo, della gioia del premio che
scaturiranno moltiplicati e sublimati da tale sacrificio.
Del resto questo è lo stile, il procedimento di quella
Provvidenza che si deve sempre adorare, anche quando sembra
severa e inesorabile, secondo i nostri poveri e corti criteri, mentre in
definitiva è sempre saggia, amorosa, benefica per tutti e a tutti i fini.
Quanto noi, dopo i fatti accaduti, tanto poveramente andiamo
dicendo, Costanza lo intravide, e gioiosamente accettò il sacrificio,
sobbarcandosi con ilare cuore a gustarne tutta la precaria e meritoria
amarezza. Proprio con ilare cuore si dispose ad eseguire sin nei
dettagli la volontà dei suoi genitori che vide unificata con quella di
Dio. Viene presentata al futuro sposo. Conversando, trattando con lui
non si mostra affatto imbronciata o selvatica; neppure impacciata.
Nella sua verginale modestia è con lui affabile, disinvolta, garbata.
L’eroismo della sua virtù le fa sentire vero affetto, e glielo esprime
con sincere parole di bontà. Tanto ella ama quanto Iddio ha scelto per
lei! Nonostante l’opposta inclinazione, nonostante la distanza degli
anni, nonostante i difetti personali del prescelto, ella sente di amarlo
ordinatamente, santamente, come Iddio esige che si amino quelli che
Egli ha destinato a portare di consenso il pesante giogo della vita.
La prova documentata di questo amore sincero è data da una
graziosa letterina che Costanza scrisse al suo futuro sposo qualche
mese prima delle nozze.
Il 30 aprile 1835 nella parrocchiale dell’Assunta in Soncino,
senza pompa d’apparato e rumore d’inviti, fu celebrato il sacro rito.
Alla notizia di siffatto matrimonio tutti commentarono, molti
sorrisero di pietà in attesa di inevitabili tragiche risoluzioni.
Invece... nulla! Quel giorno fu vera festa in Cielo: Iddio aveva
benedetto e santificato le due colonne di un nuovo focolare cristiano
che, secondo le previsioni umane, doveva risultare un inferno; invece
fu un paradiso per le eroiche gesta di una santa sposa.
Biografie
320
opera omnia
Pianto e sorriso del focolare
Un magnifico palazzo, serio e ferrigno, elevato sopra una delle
colline di Comonte, contornato da fertili campagne che si direbbero,
più che villa una sterminata tenuta a densa coltivazione: ecco il
nuovo domicilio della giovane sposa, venuta subito ad abitare col
marito la sontuosa proprietà, che a lui è abituale dimora da quando la
ereditò dalla defunta consorte, contessa Teresa Tassis.
Il signor Gaetano Buzecchi conta sessantanni, lo dicemmo.
Uomo di stampo antico, cristiano di convinzione e di vita, ottimo
cavaliere, padrone giusto, liberale, benefico. Riempie il suo tempo
curando l’amministrazione delle sue vaste sostanze, e... coltivando la
musica. Ha un carattere buono e socievole quando é in buona salute;
ma bisbetico, strano, incontentabile quando é malato. E l’avanzar
degli anni, il colpo della morte della prima moglie, hanno precipitato
le sue condizioni fisiche in uno stato abitualmente malato. Costanza
lo impalma in questo momento di declino fisico. Però s’ha da dire che
la gioia di aver legata la propria esistenza a Costanza ha disteso
subito un tono di serenità e di benessere sulla sua vita sempre
appartata di misantropo. I primi tempi di matrimonio furon quindi
felici.
La distanza degli anni sembrava mettere tra essi relazione di
padre e figlia; ma il senso di reciproco rispettoso affetto attenuava
questa distanza, soprattutto la disinvolta ed ilare garbatezza con cui
Costanza obbediva ed eseguiva ordini, desideri, gusti rendeva
oltremodo contento il vecchio signore. Ella infatti non lo contrariò
mai, mai resistette ai suoi comandi, mai si ribellò alle sue evidenti
stranezze: specialmente quando, preso da non so quali manie,
conduceva la giovane sposa sul vecchio cocchio di casa Tassis a
passeggiare per le vie principali di Bergamo, per ostentare agli occhi
di tutti il suo prezioso acquisto.
Costanza non si rifiutò neppure a ciò che al suo spirito riusciva
intollerabile: far visite di convenienza, partecipare a riunioni di
società, a conversazioni di salotti. Non era la sua atmosfera. Educata
nella riservatezza, usa a trattare persone di tutta probità, amante del
silenzio; entrava in quegli ambienti come in una fornace. Ma sapeva
pure comportarvisi bene. Richiesta del suo parere rispondeva
garbatamente, oppure amabilmente evadeva dal rispondere. Invitata
alla danza, si scusava con la propria ignoranza di tal genere di
divertimento. Silenziosa, dignitosa, si isolava in riservato contegno,
Biografie
321
opera omnia
attendendo che la riunione terminasse ed il suo marito venisse a
rilevarla.
Rientrata in casa, neppure una parola delle proprie sofferenze,
nessuna recriminazione. Si ritirava nel suo appartamento ad
attendere alla preghiera, al lavoro per i suoi cari poveri, sempre
pronta agli ordini del suo signore.
Ed anche in casa non le mancavano afflizioni. Il marito, come
dicemmo, si dilettava di musica, anzi si riteneva un competente in
materia, non solo, ma si credeva un esperto suonatore di cembalo. Per
amore alla musica derogava alle sue abitudini, rompeva la sua
austera clausura, e faceva larghi inviti ad amici e conoscenti per
deliziarli con interminabili audizioni di pezzi musicali, strappati al
vecchio cembalo di casa Tassis. Gli amici declinavano l’invito o
abbreviavano le visite, ma Costanza doveva prender posto a fianco di
lui e pendere attenta dai suoi virtuosismi musicali. Guai a divagarsi,
scambiar parole e comunque distrarsi! Era lo stesso che scatenare crisi
di nervi, tempeste di rimproveri, proteste d’inconcepibili eccessi.
Perché - a sua giustificazione occorre dirlo – il signor Gaetano,
se per tutto il resto é ottimo ed affettuoso marito, fisicamente però è
un povero logoro relitto umano su cui gli anni, i dispiaceri, ed un
sistema nervoso già scosso dai primi cenni di una paralisi
progressiva, incidono segni così evidenti di uomo malato, da
trasformarlo in altro e renderlo irriconoscibile per le stranezze, le
violenze, gli eccessi a cui trascende, riversandoli tutti sulla santa sua
compagna.
E questa, che ben presto s’è avveduta del pietoso ufficio
affidatole da Dio, assistere e sollevare un povero infermo, ha accettato
con serena pazienza il grave compito, che mette a dura esistenza
spirituale e fisica.
Cosicché, mentre in sua vece altri avrebbe avuto solo per questo
il giusto motivo di ribellarsi alla propria sorte, e cercare, se non
colpevoli evasioni ai propri tremendi impegni, almeno il conforto di
un diversivo e del compatimento umano, Costanza invece tacque
sempre tutto a tutti, dichiarando di esser felice, esaltando ad ogni
occasione le eccellenti qualità de suo pur degno sposo. Rassegnata e
confidente in Dio solo, offrì tutto a Lui, aspettando solo da Lui il
conforto, il sollievo.
Ma se l’eroica sua virtù le chiude la bocca, pure essa non riesce
sempre a nascondere le manifestazioni delle gravi stranezze del
signor Gaetano. Perciò alcuni l’ammirano, altri, molti, la
compatiscono come una sposa infelice.
Biografie
322
opera omnia
“Poverette! - ella dice - come si ingannano! Esse non sanno dove
stia la vera felicità!”.
Ben lo sapeva lei; e l’aveva trovata nella calma, nella
sommissione al volere divino, nel riposo della preghiera, nella gioia
consapevole di render sollievo ad una vita tribolata, nei sussulti
interiori che sa dare il vero amore umano quando discende dalla più
accesa carità divina.
E un’altra, non ultima gioia, fu la sua maternità, eroica e
dolorosa anch’essa.
Biografie
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opera omnia
Biografie
324
opera omnia
CAPITOLO IV
Maternità dolorosa
Tre fiori sulla corona di spine
Tre fiori la mano divina inserì nella corona di spine che cinge la
santa sposa. Di essi, uno solo - il primo che le sorrise - si aprì sino alla
primavera della vita; gli altri due appassirono appena in boccio.
Carlo, nato il 20 ottobre 1837. Raffaele, il 9 novembre 1839. L’ultimo senza nome - nacque e morì in un sol giorno, il 22 novembre 1842.
La provvida mano di Dio mescola così nel cuore di Costanza,
fra tante amarezze, questa grande gioia, la quale pur essa le diviene
presto sorgente di nuove pene e di nuovi meriti.
Di questi tre figli soltanto il primo le fu lasciato a fianco, perché
gli altri due morirono presto: con quanto dolore della madre non è
facile dirlo.
Il superstite, Carlino, nel consiglio di Dio era dato e lasciato, per
sedici anni appena, a conforto e cordoglio della madre. Egli non sarà
l’erede, né il continuatore del nobile casato dei Buzecchi; ma
l’innocente compagno associato alle spirituali elevazioni e alle
domestiche pene materne. Sarà infine “la vittima sacrificata per tanti
infelici” - come dirà Costanza - perché la sua morte prematura,
coincisa quasi con quella del padre, lascerà a lei, con l’idea, il mezzo
di realizzare il sogno della sua vocazione religiosa e l’opera benefica
di cui sarà l’animatrice.
Biografie
325
opera omnia
Educazione di amore e di dolore
Carlino è la copia fedele della mamma per la dolcezza del
carattere, per l’inclinazione alla pietà, nell’elevato senso di carità e di
fede.
A ciò si aggiunga la seria e sana educazione ricevuta nel
raccolto, solitario ambiente, ove egli non incontra, non tratta altre
persone che i suoi genitori, i quali profondono tutte le cure intorno a
quest’unica speranza del loro avvenire.
Specialmente l’educazione materna lo piega e lo cresce ad una
sodezza e serietà di vita, veramente edificanti.
Dal babbo non ebbe, e non poté avere, che la sua porzione di
prove, di dolori, cagionati sempre dall’aggravarsi dell’età e dei mali.
Difatti, col crescere del figlio il padre invecchiava, ed invecchiando, si
accentuavano i malanni, riflessi necessariamente sul suo
temperamento, ognor più irritabile e strano.
Montava in ira tanto facilmente, e - incredibile! - era preso da
eccessi di gelosia contro l’innocente figliuolo, in cui vedeva un rivale
che gli contendeva le migliori cure della sposa.
Anche dal piccolo Carlino pretendeva il grave sacrificio di
ascoltare immobile e attento le interminabili audizioni musicali; e
siccome il figliuolo manifestava qualche inclinazione per la musica,
esigeva che per ore intere pendesse dalle sue lezioni. Il fanciullo dava
segni di stanchezza, e il babbo se ne adirava, attribuendolo a
malanimo, a premeditazione, alle più assurde cose.
Questo genere di costrizione fisica, imposta ad una creatura
nell’età in cui il moto e l’allegria son necessari quanto l’aria e il pane,
doveva lasciare profonde tracce nel suo tenero organismo, e sarà
anche questa non ultima cagione della sua fine prematura.
Il figliuolo, però, generoso, virtuoso come la mamma, tollerava
queste ed altre stranezze del babbo, dando ad esse le più umane, le
più larghe giustificazioni.
Doloroso ed eroico distacco
Dinanzi a questo doloroso stato di cose, per salvare il figlio ed
insieme provvedere alla sua ulteriore istruzione, la madre prende
l’eroica decisione di privarsi della tanto necessaria compagnia
dell’innocente e intelligente creatura, per affidarla al collegio di
Biografie
326
opera omnia
educazione “S. Alessandro” aperto di recente in Bergamo dal
canonico Valsecchi. L’ottimo ed illustre sacerdote accoglie di gran
cuore Carlino Buzecchi come prima pietra fondamentale del suo
Collegio.
Questa dolorosa contingenza nella vita di Costanza le procurerà
la preziosa ed autorevole guida del piissimo ministro di Dio, che come vedremo - sarà l’angelo per la sua nuova vocazione e missione.
Dalla squisita bontà del figliolo. il pio canonico intuì subito la
consistenza spirituale della madre: con la sua domestica educazione,
aveva gettato profonde nell’anima del suo Carlino le radici di una
cosciente ed angelica virtù.
Carlo Buzecchi, infatti, è additato a modello di tutti i suoi
compagni.
I periodi di vacanza completavano in casa l’educazione del
figliuolo; ma provavano pure sempre più energicamente la sodezza
della sua virtù, perché il povero babbo, colpito dalla paralisi
progressiva, è divenuto ancor più difficile, esigente, strano. Non gli
permette di uscire di casa, gli proibisce di accostar verun compagno,
di concedersi nessuno svago... Le vacanze, per il povero ragazzo,
anziché un tempo di riposo o di sollievo, divenivano il periodo delle
più dure prove.
La povera madre, che vive per l’amore di quest’unico angelo, è
costretta con molta pena e con grande interesse, ad abbreviare i tempi
delle vacanze e a riconsegnare al collegio il suo tesoro.
Ciò è fatto con tanta rassegnazione, con tanto caritatevole
riguardo per il marito, da sembrare che ella voglia premurosamente
allontanare dalla casa il motivo dei suoi turbamenti e dei suoi eccessi.
Ma tale genere di vita non può durare a lungo, e non può essere
sostenuto da chi è più fragile e tenero nella resistenza.
Quando Carlino è verso il quindicesimo anno di età, Mons,
Valsecchi annunzia alla povera madre, che il ragazzo è in tale stato di
prostrazione fisica che, a prescrizione dei medici, deve interrompere
gli studi, rientrare in famiglia ove il riposo e le cure avrebbero potuto
garantire la ripresa e la guarigione.
Il caro figliuolo era stato colpito dalla tisi!
Eroica infermiera dello sposo e del figlio
La povera madre, che è già l’infermiera insonne del marito
prostrato dalla paralisi, accoglie anche il tenero figlio; e moltiplicando
Biografie
327
opera omnia
le cure e le veglie, diviene l’angelo consolatore anche di lui.
Eroica, generosa, ella resiste allo strazio, alla fatica di assistere,
inferma ella stessa, due cari e gravi infermi: lo sposo ed il figlio; una
quercia annosa colpita dal fulmine, un tenero fiore appena dischiuso
alle tiepide carezze della primavera, minato da un indomabile ed
implacabile morbo.
Ancora una volta, e sempre “fiat voluntas dei”
Ecco la giaculatoria e lo sfogo che concede al suo dolore l’eroica
donna!
Dire le cure, le veglie, le preghiere, le ansie, le depressioni e le
riprese di speranze nel contendere alla morte quello che alla morte
poteva essere conteso, è cosa impossibile.
La fede, la speranza, l’amore di Dio sono tutto il suo sostegno. E
solo perché sopra tutti ella ama Dio, ha la forza di resistere, la virtù di
sostenere i celestiali colloqui, tutti improntati alle speranze eterne,
che il caro figlio tiene a confortare e straziare insieme la povera
madre. Ed a lei che si preoccupa della desolata solitudine in cui sarà
lasciata dopo la di lui morte, l’angelico giovinetto, ispirato da Dio,
predice il suo immediato domani: “Non temere, mamma, il Signore ti
darà altri figli da mantenere, che ti faranno dimenticare il dolore di
avermi perduto!... . “.
Il 16 gennaio 1854 Iddio discese nel giardino di Costanza a
cogliersi l’unico giglio, cresciuto in tanto profumo di virtù e in
venustà di bellezza, per trapiantarlo nell’aiuola celeste.
Carlino aveva appena toccato il sedicesimo anno di vita.
Il 20 dicembre dello stesso anno, il signor Gaetano Buzecchi,
sereno e fidente nella misericordia eterna, spirava tra le braccia della
sua santa sposa che gli additava il Paradiso.
Costanza Cerioli è rimasta sola!
Solo con Dio, e sola per Iddio!
Le restano poco più di dieci anni a vivere. Ma da questo
momento la sua vita devia diritta e rapida sulla sua vera strada:
quella per cui Iddio l’ha creata, a cui l’ha preparata così di lontano,
attraverso il crogiuolo di tante prove, di tante virtù, di tanti meriti.
La strada che inonderà di tutte le sue ricchezze spirituali e
materiali: come un fiume pieno che, dopo aver raccolto d’ogni parte
sul suo cammino tanta copia di acque, corre maestoso, placido,
regalmente benefico, verso l’immensità del mare!...
Biografie
328
opera omnia
CAPITOLO
V
Vocazione feconda
Sola!
Tutta la famiglia di Costanza Cerioli è trasmigrata in Cielo; in
quale direzione si orienterà ella sulla terra?
È ancora giovane: tocca appena i trentotto anni; le sue ingenti
sostanze e più le sue eminenti doti di saggia e santa donna hanno
attratto intorno a lei il miglior interesse di qualche serio partito. Non
sarebbe giusto lasciar godere le legittime gioie della vita a chi, sino ad
oggi, non ne ha assaporato che la feccia, condensata in una coppa
d’oro?
Ma gli ideali di Costanza sono ben lontani da siffatte illusioni
Oggi, soltanto oggi, ella legge chiaro nei santi disegni di Dio, e
si rende ragione di tante arcane e penose digressioni nella sua
esistenza, sin dalla nascita tutta protesa verso ideali altissimi di
perfezione.
Oggi, finalmente, la vita di lei sbocca sul piano di Dio, sulla
strada regia della sua vera vocazione, ove anche a noi sarà dato
vedere e toccare con mano la saggezza provvida di chi volle
accumulate tante virtù, tante preziose esperienze, tante ingenti
ricchezze ad un unico santissimo scopo, benefico e salutare per molti.
Chiusa nel suo rassegnato dolore, dopo aver compiuto ogni
cristiano ufficio di pietà con i due cari estinti, Costanza si raccoglie in
se stessa, ad ascoltare la voce divina che le indichi seguire, o meglio i
mezzi da scegliere in quest’ultimo scorcio d’esistenza, per
raggiungere con la maggior possibile perfezione i suoi dilettissimi
compianti in Cielo
Biografie
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opera omnia
Orante e supplicante: intenta alle opere di bene
Nello spirito di Costanza risuonano intanto, dominando tutte le
altre voci di dolore e di preghiera, le arcane parole del suo Carlino:
“Mamma, non preoccuparti; dopo la mia morte Iddio ti darà tanti
figli a cui provvedere, da dimenticare il dolore di avermi perduto!”.
Quale sarà mai questa nuova figliolanza che Iddio vuole
assegnarle? Stante i suoi propositi, non le è difficile individuare la via
da cui le proverrà.
Nel frattempo, ad aver conforto e guida, apre una folta
corrispondenza epistolare con il pio direttore del suo figliuolo, il
canonico Alessandro Valsecchi, divenuto vicario generale del nuovo
vescovo di Bergamo, Mons. Speranza.
Da questa corrispondenza, che ha tono d’una filiale apertura
d’animo, specialmente per quel che riguarda gli ultimi giorni della
edificante vita del suo Carlino, Mons. Valsecchi ha tutto l’agio di
penetrare in profondità nello spirito di Costanza e scoprirvi attonito
ed edificato, un’anima non solo ricca di virtù, ma inoltrata già sulla
via della perfezione, privilegiata di doni mistici, come quello
dell’orazione, e sulla quale la Provvidenza ha singolari disegni da
realizzare.
Il pio e prudente sacerdote, a tale insospettata rivelazione
prende con interesse a dirigere Costanza con quella cauta saggezza
con cui vanno guidate le anime che battono vie d’eccezione.
Si tratta d’una donna giovane, ricca, già sposa e madre ed ora
vedova, signora d’una ingente sostanza; occorre dunque esaminarla,
provarla accuratamente per non fallire nel giudizio e nelle direttive.
La corrispondenza spirituale tra Costanza e il Valsecchi mette
perfettamente in luce tutte le dovizie, le bellezze dell’anima della
santa creatura che, abbagliata dallo sfolgorare di tanti avvenimenti si
ritrova di colpo padrona di sé e del suo avvenire, come nei primi
giorni della sua giovinezza, quando accostatasi trepidante alla
realizzazione delle sue idealità, si vide posta dalla mano divina su
altra strada. Ora che questa strada è tutta percorsa, e si ritrova come
al principio sulla soglia della sua vera vocazione, e per di più libera,
ha un solo pensiero, una sola preoccupazione: conoscere dove Iddio
la vuole: un chiostro chiuso, come piacerebbe alle sue mistiche
inclinazioni, oppure all’apostolato di carità in un chiostro aperto ove
più facilmente vedrebbe avverate le profetiche parole del figlio
morente?
Biografie
330
opera omnia
Tutto questo dopo un breve periodo di ondeggiamento le sarà
chiaramente detto dall’ispirato direttore, a cui si aggiungerà
l’autorevole consiglio del vescovo Mons. Speranza, a cui Costanza
docilmente obbedirà.
L’illustrazione dall’alto
Nel frattempo - un lungo periodo di sospensione e di prove ella si esercita, nell’orazione, ad ottener refrigerio ai suoi cari morti e
lume a lei che ancora ha a conoscere la direzione della sua nuova vita.
Ed è intenta ad ogni opera di bene. I poverelli sono i suoi nuovi
cari congiunti, più particolarmente la inteneriscono ed interessano i
poveri fanciulli tra questi soprattutto gli orfanelli. I piccoli le
ricordano tanto teneramente la sua innocente creatura volata al Cielo;
e ad essi serba le preferenze del suo spirito su di essi volle riservare
tutte le ricchezze che Dio l’ha resa arcanamente ed inaspettatamente
arbitra.
Tre ricchi patrimoni infatti sono nelle sue mani: i propri beni,
l’eredità del Buzzecchi, e le sostanze della contessa Tassis devolute a
lei attraverso l’eredità dello stesso Buzzecchi.
In armonia con questi sentimenti e per lo stato di supplice
attesa, ella riduce, elimina, sopprime quanto nella sua vita domestica
ha dovuto tollerare per obbedire ai desideri del suo sposo. Sulla casa
nobile e sontuosa si distende come un velo di gramaglia per attutire
quanto può ricordare lo sfarzo passato. Il personale di servizio si
assottiglia allo stretto necessario; il di più, con tanta carità e perfetta
giustizia, è congedato. La sua persona che mai ha conosciuto il lusso,
ora si riveste di poveri ed usuali abiti, di pesante lana,
preferibilmente bruna. La sua mensa è mortificatissima. Le sue
occupazioni quotidiane: lunghe preghiere, chiusa nel domestico
oratorio donde ne esce col volto arcanamente incendiato, per fare
visite di carità.
“Povera signora! - mormorano i parenti, gli amici, la servitù – la
morte dei suoi cari ha alterato il suo sistema nervoso!”. Ma nessuno
sa, fuori del canonico Valsecchi e del vescovo Speranza, che la cara
anima matura propositi e piani eccezionali. Trascura tutto perché è
preoccupata di sapere come praticamente deve determinarsi. E
questo lo aspetta dal Signore.
Il buon vescovo Speranza ormai interessato anche lui alla sorte
di questa sua pecorella, consiglia Costanza di portarsi a Bergamo e
Biografie
331
opera omnia
raccogliersi in ritiro spirituale presso le Figlie del S. Cuore, nella
segreta speranza che ella si determini per questo istituto fiorente e
commendabile per il santo apostolato che svolge in pro dei fanciulli.
Niente di tutto questo. L’identico tentativo saggiato con le
Canossiane ebbe già lo stesso esito. Costanza sente interiormente
d’esser chiamata “ad un apostolato più basso, e a convivere con
persone di più umile condizione”.
Torna quindi al suo palazzo di Comonte per attendere nella
preghiera e nelle opere di bene il cenno divino. Frattanto ella pensa di
realizzare questo bene aprendo una modesta scuola rurale per i bimbi
del contado, nel desiderio di cominciare ad accostare queste innocenti
creature e gettare in esse, con i semi della prima istruzione, la luce e il
calore delle verità celesti.
La sua casa prende l’aspetto di una casa di tutti, ove si affollano
grandi e piccoli per approfittare del gran mezzo di bene che la
signora dà tanto generosamente: l’istruzione.
Un giorno il pievano di Comonte accosta Costanza ancora
incerta del proprio domani; il buon prete, che qualche cosa ha già
intuito di ciò, se ne esce candidamente con queste parole. “Sentite,
signora, se io fossi nelle vostre condizioni, mi procurerei alcune
povere bambine da educare e custodire; così quest’opera vi
solleverebbe lo spirito”.
È il momento di Dio. Proprio quel giorno furon presentate a
Costanza due bimbette orbate di recente dei genitori, con la calda
raccomandazione di proteggerle.
Costanza non le lasciò più partire.
Iddio ha parlato: ella ha trovato gli eredi dei suoi tre patrimoni,
e più, delle grandi ricchezze del suo spirito.
La prima collaboratrice
A proposito della scuola rurale, Costanza ha urgente bisogno di
collaboratrici. Dalle sue domestiche non può aspettare aiuto: son
poche e mal disposte. Esse giudicano le decisioni della signora come
frutto di una povera mente malata.
Ma pure in questo la soccorre il Cielo. Le si presenta una pia
giovinetta bergamasca poco più che ventenne, indirizzatale dal
proprio confessore. Luigia Corti, sprovvista di diplomi di studio, ma
ricca a dovizia di buon senso, di generosità di cuore e soprattutto di
una grande bellezza di anima. Questa cara figliuola obbediente al
Biografie 332 opera omnia
confessore arrivò a Comonte quando Costanza non aveva ancora
preso la finale decisione, e parlava con sospensione di quel che
deciderebbe e farebbe.
La Corti, che sentì subito una grande attrattiva per la pia
Signora, rimase alquanto sconcertata, e temendo di non poter
provvedere stabilmente alla propria vocazione, si presenta a
Costanza e le dichiara francamente che, stando ancora le cose
sull’incerto, ella pensava di ritornarsene ai suoi. Costanza, che pure
aveva pesato i pregi della figliuola e la riteneva adatta ai suoi intenti,
per tenersi distaccata e indifferente nella scelta dei mezzi da usare, la
lasciò partire.
La Corti allora desolata, delusa se ne partì; ma prima di
rientrare a casa, volle passare dal proprio confessore e ragguagliarlo
di tutto. Questi l’ascoltò, poi ispirato le disse: “Va, ritorna subito a
Comonte, in nome di Dio, che ti ha destinato a quell’opera. Tu
seguirai le sorti della signora Costanza comunque ella si determini”.
La figliuola obbediente tornò sui propri passi e presentandosi
di nuovo a Costanza, con la stessa franchezza ed ingenuità le dice
semplicemente: “Signora, resterò sempre con voi!”.
E restò. Per divenire la prima figlia, la prima consigliera, la
prima collaboratrice di una fedeltà, di un amore, di una venerazione
umili e sinceri.
E ne raccoglierà con l’ultimo anelito, l’eredità di virtù, di
saggezza per guidare e sviluppare ancor più sulla strada di Dio
l’opera santa e benefica di Costanza Cerioli, divenuta Suor Paola
Elisabetta, fondatrice e madre dell’Istituto della Sacra Famiglia per i
poveri orfanelli rurali.
Biografie
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CAPITOLO
VI
Direttive ispirate
Nascono le Suore della Sacra Famiglia
A Comonte e dintorni, si è diffusa la voce delle belle opere
iniziate dalla pia vedova Buzecchi. Il suo palazzo è un andirivieni di
parroci, sacerdoti e persone che corrono a raccomandare molti casi di
orfanelli da tenersi in considerazione. Il cuore di Costanza si
commuove e si dilata nel desiderio di abbracciare tutte quelle miserie.
Ella pertanto consulta ancora Iddio nella orazione per sentirsi
confermata nel proposito iniziato. E la voce di Dio, concorde con
quella del vescovo, le risponde: proseguire.
Ed ella prosegue. Accoglie altre bambine, di preferenza
orfanelle di rurali.
Con queste deve aumentare il numero delle collaboratrici, le
quali cominciano a presentarsi. Dopo Luigia Corti, prima assoluta,
vengono altre quattro. Sono le colonne di sostegno dell’istituto
femminile della Sacra Famiglia, a cui merito va ascritto il fatto di
avere abbracciato l’istituto ancor prima di nascere e di aver
perseverato in esso fino all morte.
Ne compresero subito lo spirito, lo assimilarono e lo vissero in
piena dipendenza e armonia da quella che fu la loro madre e maestra.
La “Magna Carta” della sua istituzione
Sugli inizi del 1857, quando la cosa è ancora informe e la casa
non perfettamente organizzata a convento, Costanza si raccoglie a
lungo in orazione nella sua stanza. Al solito, ne esce col volto di
Biografie
335
opera omnia
fiamma, recando seco uno scritto, ove, sotto l’ispirazione del Cielo, ha
disteso il programma e i punti costituzionali della sua nuova
famiglia. Questa “magna carta” poi, approvata da Mons. Valsecchi, è
da lui definita “dettata dallo Spirito Santo”. È un programma
singolare che ha posto mente ad un problema, da pochi considerato,
da nessuno risolto, altamente cristiano e provvidamente sociale.
A tutte le orfanelle rurali che la Provvidenza le affiderà, ella
vuol dare una profonda e perfetta istituzione cristiana, ed insieme
istillare un grande amore alla terra: “coltivarla e ricamarla, onde
rinasca e prosperi il gusto e l’amore ad una arte tanto nobile e bella
quanto provvida e necessaria, che le massime e i costumi del mondo
hanno avvilita e tengono in dispregio.
Quelle creature allevate nell’innocenza e nella semplicità,
imbevute di massime e sentimenti conformi alla loro occupazione,
dovranno essere il buon seme caduto dal Cielo e restituire con
l’amore alla fatica e il gusto alla vita campestre, l’innocenza dei
costumi, la semplicità delle maniere, la buona fede delle parole,
l’abbondanza e la pace nelle famiglie e così possedere quell’unica
felicità campestre da tutti decantata, ma che pochi possiedono, che
infine ci guidi e ci conduca alla felicità interminabile del Cielo”.
Le Suore della S. Famiglia - ecco il nome della nuova istituzione
- chiamate da particolare vocazione si dedicheranno a questa alta e
singolare missione, di qualunque stato o rango esse siano, e
formeranno una sola famiglia di sorelle strette coi sacri vincoli della
pace e della carità. Ecco l’idea madre del suo Istituto.
A dir subito il vero, prima intenzione di Costanza fu istituire
una famiglia religiosa in pro degli orfanelli; ciò sarebbe stato più in
armonia col suo desiderio di ricordare la memoria di Carlino da lei
tanto amato, e dal cui patrimonio attinge i mezzi; ma forza di
circostanze e disposizioni della provvidenza l’hanno indotta a
cominciare con le orfanelle. La prima idea però sarà soltanto differita,
perché - come vedremo - Costanza metterà mano a dar vita anche ad
un’istituzione maschile.
Prima consacrazione e novità di nome e di vita
Questo programma ebbe subito l’approvazione di Mons.
Valsecchi e del vescovo Speranza. L’otto Febbraio 1857 nella cappella
privata di Mons. Vescovo di Bergamo, Costanza da sola pronunzia la
formula dei voti religiosi. In questa occasione si recide i capelli e
Biografie 336 opera omnia
copre il capo con un semplice, spesso velo nero. Poi, lasciando il
nome di battesimo, assunse due cari nomi scelti dall’amore e dalla
devozione a due grandi sorelle in Cristo, a lei pari di condizione, di
ricchezze, di generosità benefica: Paola - Elisabetta. “D’ora innanzi
non mi direte più signora Costanza ma Suor Paola Elisabetta”
dichiara tutta lieta, ripresentandosi alle sue collaboratrici di Comonte.
Per esse, sul momento, non c’è nulla di mutato, specialmente
pel vestito; tranne il velo nero portato da tutte costantemente. Tanto
lei che le sue Figlie proseguono ad usare i loro vestiti abituali,
accomunati solo nel colore bruno.
Non si dice però quanto quelle buone creature anelassero
anch’esse ad una totale consacrazione come la loro madre, e quanto
desiderassero rivestire una vera livrea religiosa.
Suor Paola Elisabetta, già ricca di una saggia esperienza
spirituale, così risponde: “Che non sia la vanità che vi stimoli a ciò:
prima di prender l’abito, rivestiamoci dello spirito e delle virtù che
caratterizzano la vita religiosa”. Il Signore già parla per la bocca della
saggia maestra; la vita di tirocinio - o il sacro noviziato - è in piena
attività.
Un bel tono di dimessa modestia passa pure sopra tanti ricordi
di fastosa ricchezza nella casa di Comonte, trasformata in sacro
domicilio delle novelle spose del Signore. Quel fasto che mai fu
amato, anzi ripudiato, scompare del tutto. Nella grande sala di
ricevimento il grande specchio, racchiuso in sfarzosa cornice dorata,
spegne le sue luci sotto una cortina di umile carta, che sarà sfondo di
candore ad un grande Crocifisso. Da un canto, negletto e muto, il
vecchio cembalo a coda del signor Buzecchi, ha perduto la sua voce,
per lasciar vibrare sull’onda armoniosa della preghiera i cuori delle
orfanelle e delle loro nuove mamme.
Oro, diamanti, mobilia, vesti preziose, tutto parte per diverse
vie e torna tramutato in vesti, letti, mobilia, da riempire il nuovo
albergo delle orfanelle. “Oh, come sono bene spesi questi denari!
“tripudia Suor Paola Elisabetta. Sublime trasformazione dell’oro e dei
monili, nei più preziosi gioielli d’innocenti anime che ora han pane e
letto, ed una cristiana educazione.
I primi toni pedagogici
Son colpi di ascia che cadono sulle cose, e presto cadranno sulle
anime semplici di quelle care creature - maestre ed allieve - a
Biografie 337 opera omnia
dirozzarle, a tornirle, a farne delle buone e sincere copie delle
santissime Persone della casa nazarena: perché così Suor Paola Elisabetta vuol trasformare, ricopiando quella, la ricca proprietà di
Comonte, casa e cose, cuori e spiriti. Come Iddio l’ha ispirata.
Per la Pasqua 1857 è pronto un bagno salutare ad altissimo
calore spirituale in un corso di esercizi, secondo il metodo di S.
Ignazio, lungo dodici giorni.
Questi esercizi costituiscono per la Madre e per le Figlie il vero
cenacolo, previo alla discesa dello Spirito venuto a riformare ed
informare quelle buone creature alla loro santa missione di
perfezione, di carità, che avrà il suo inizio ufficiale con la vestizione
religiosa di tutte nella veniente solennità dell’Immacolata
Concezione.
L’abito delle suore della S. Famiglia semplice e pratico. Una
tonaca ad ampie maniche, color marrone, stretta ai fianchi da una
fascia. Una piccola croce in legno pendente dal collo, ed un rosario
alla cintola, ne sono i monili.
Una cuffia nera coperta da un velo, il quale, anziché scendere
sulle spalle, si può restringere intorno al collo, a guisa d’un
cappuccio, onde rimanga sempre aderente al capo, pur nei lavori da
sostenersi in piena aria della campagna.
Nome e blasone: la Sacra Famiglia.
Suor Paola Elisabetta è dei pochi cui la divina Famiglia,
nascosta nell’ombra nazarena, appare nello splendore di tutta la sua
vera luce.
Là dentro tutto è povero, semplice, normale, eppure, è là solo
che le virtù toccano i vertici del Cielo, perché è il Cielo stesso che vi si
è abbreviato, racchiuso, nascosto, e suor Paola ha il cuore, lo spirito
pieno di questo arcano, proprio come trova tutto l’oro del sole nelle
esili spighe di grano, nei ricchi grappoli penduli dalla scheletrica vite.
Gesù! Maria! Giuseppe!
Il Verbo di Dio, fatto fanciullo obbediente, operoso, che cresce
in età, in sapienza, in grazia per le delizie di Dio e degli uomini.
Maria! umile nel portento della sua verginità feconda; benefica
nella gioia della sua dignità materna; povera nella maestà di regina
d’una umanità che ha da redimersi; rassegnata al sacrificio da cui
germoglierà la gioia.
Giuseppe! l’uomo di stirpe regia oscurato nel buio dell’officina,
semplice e prudente, mite e forte, verginalmente casto, virilmente
paziente sotto la fatica, la stanchezza, l’indigenza, perché sa che del
suo sudore s’intride e fermenta il pane che fa grande il Figlio di Dio, e
Biografie
338
opera omnia
sostiene la vita della sua incomparabile Madre, e col suo lavoro, col
suo dolore si allieteranno il Cielo e la terra.
Umanizzare tali esempi e virtù, praticizzarli sino alla perfetta
riproduzione nella vita d’ogni ora, di tutti i giorni, della vita intera:
ecco il magistero prezioso che Suor Paola Elisabetta distenderà nel
Codice che guida le sue Figlie sulla via della perfezione e
dell’apostolato, e le sue care orfanelle sulla via del Cielo.
Biografie
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CAPITOLO
VII
Magistero prezioso
Agricultura Dei !
Figlia di ricchi terrieri, sposa di un ricco possessore di terre,
trovatasi d’improvviso signora e padrona di vaste proprietà terriere,
Suor Paola Elisabetta non può non amare la terra e quanto la
riguarda.
L’amò perché conobbe, penetrandola con intuizione d’amore e
fede cristiana, quest’alma tellus, madre feconda e fedele, generosa
nutrice, pietoso grembo di ogni essere creato, dall’uomo all’atomo,
che in esse trovano la vita, la fecondità, il riposo.
Tutta l’opera di Paola Elisabetta Cerioli - che ora si inizia - è un
autentico lavoro, umano, cristiano, spirituale, sociale, ed ha tale
sapore d’idillio rurale, d’intelligente perizia agricola, che a conoscerlo
è una rivelazione, a considerarlo un incanto.
Nell’appressarsi alle anime ella ricopia Iddio, imita il divino
Maestro che tutta l’opera sua redentrice e santificatrice, adombrata in
sublimi parabole, ridusse e condusse come una celeste agricoltura.
A perfetta somiglianza del Divino agricoltore ella fa con le
anime una autentica, ma celeste, razionale agricoltura: per
dissodamento, semina, potatura, raccolta di messi.
Si potrebbe chiedere: dove e come ella attinse la scienza o fece
l’esperienza di cose spirituali?
Le fonti della sua scienza spirituale
È una donna, appena quarantenne, uscita or ora dal mondo,
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figlia degl’agi e della ricchezza, assorbita dai doveri coniugali e
materni, come può atteggiarsi a istitutrice di anime? Che sa ella mai
della perfezione, della vita religiosa, della sua struttura, dei suoi
essenziali costitutivi: la bellezza, cioè, dei voti, le gioie del sacrificio,
le dolcezze della preghiera e dell’orazione? Per ogni altra sarebbe
presunzione, per lei no. Pur tanto giovane, ella possiede una
ricchezza di vita interiore, una tale sodezza di virtù, da essere
necessario il rigurgito, quasi a sgravio del peso ricevuto non tutto per
sé, ma per farne partecipi gli altri.
Come già si è visto, fu inscrutabile disegno di Dio nutrirla di
dilazioni e di attese, di digressioni e di tappe, proprio per portarla
qui, a lavorare su questo campo, a fare questa celeste agricoltura che
forma i perfetti seguaci di Gesù Cristo.
Le sue collaboratrici innanzitutto: sono esse il campo
preliminare su cui ella ha da spargere i primi sudori, onde rendano a
Dio la gloria che gli è dovuta con la personale santificazione, e poi gli
guadagnino le anime.
E le sue figlie “erano ben decise a rimanere ben unite a lei, a
lasciarsi condurre e formare secondo il disegno che ella, per
ispirazione divina, aveva in mente”. Così la Madre Corti. “Ella si
regolava con la direzione del vescovo di Bergamo e di Mons.
canonico Valsecchi, e noi ci regolavamo con la nostra signora “cosi’ la
chiamavamo in principio dell’istituto “ma poi continuavamo a
chiamarla come le orfanella “Madre” che era veramente nostra
affettuosissima madre, benché ella fondatrice e padrona di tutto, e
tanto distinta per nascita, per talento e ricchezze, da non paragonarsi
affatto a noi, si sottoscriveva e si chiamava sorella, compagna nostra”.
I canoni della perfezione
Le guidava per la via del rinnegamento di se stessa: dominarsi
senza mai ascoltare le proteste dell’inferma natura.
Non cercare in nulla la propria soddisfazione: neppure nelle
cose spirituali; ma cercare solo Iddio, non le consolazioni di Dio.
Disprezzare ciò che il mondo pensa o dice di loro: basta
l’approvazione di Dio e dei suoi rappresentanti: i superiori.
“Guardate di operare per Iddio, con la purezza d’intenzioni, e
lasciate che il mondo parli: voi ridetevi di esso, come esso ride di
voi”.
E precedeva tutte con l’esempio: gran risparmio, quindi, di
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parole; bastava guardarla per imparare ciò che doveva esser fatto, e
come si doveva fare. Ella era umilissima. Dice la M. Corti: “Noi le
eravamo state date proprio per umiliarla, non essendo all’altezza
della sua condizione... Eppure era così amorosa e cordiale da
sembrare una nostra pari. Si adattava a noi, quasi fosse ella stessa di
bassa condizione... dissimulava le omissioni di certe convenienze
dovute al suo grado. Ella si metteva sempre all’ultimo posto, e noi
più semplici che intelligenti, stavamo dove ci metteva”.
“Quel che importa, diceva, è far bene il dovere... si va in
paradiso anche senza civiltà”.
“Eppure voleva che fossimo assennate nel parlare, garbate nelle
parole e nel tratto, sì da imporre rispetto... ma tutto condito di molta
semplicità... Andiamo là alla buona. Umiliamoci, facciamoci piccoli
con i piccoli, semplici con i semplici, poveri con i poveri... per avere
da Dio il premio promesso!. . “.
Però, vicino a questi precetti di semplicità, dichiarava che le
occorrevano soggetti di buoni talenti e di vaste capacità per lo
sviluppo dell’opera”Non mi occorrono soltanto delle buone
contadine; le Suore non sono per coltivare la terra, ma per istruire ed
educare con perfezione le orfanelle”.
Domanda a Dio suore laboriose, attive, instancabili nel lavoro:
“Gli altri istituti religiosi faranno lunghe orazioni, contemplazioni,
digiuni, penitenze... qui si lavora e si lavora molto”. “E chi può dire
che anche il lavoro non sia una preghiera, una penitenza?...
Soprattutto il lavoro della terra è un’alta contemplazione. Guardiamo
alla Sacra Famiglia. Quanto c’è da apprendere e da consolarsi!”.
Generosità, umiltà, semplicità, laboriosità: ecco i pilastri del suo
insegnamento, le virtù madri della sua perfezione, le caratteristiche
della sua famiglia che, ispirata da Dio, ella ha raccolto a due alti
intendimenti: l’uno spirituale, l’altro sociale.
E per questi scopi ella consacra tutte le sue restanti forze, tutte
le sue ingenti sostanze, ogni risorsa fisica e morale, affinché Iddio sia
amato, servito, glorificato.
Il direttorio per il presente e per l’avvenire
Ogni saggia pedagogia cade se non è fissata e vivificata con
forza di legge che vincoli i viventi e i posteri.
Suor Paola Elisabetta ha tratto dal forziere del suo spirito,
dovizioso di saggezza e prudenza, illustrato dalla superna
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ispirazione, il capolavoro delle sue Regole che umilmente chiamò
“Direttorio”.
Scaturito dalla sua mente, stilato dalla sua penna, riveduto e
ritoccato appena dal suo pio direttore, approvato dalla chiesa.
È bello leggere la sua lettera al canonico Valsecchi, col quale si
schermisce per non saper portare a capo così arduo lavoro; ed infine,
con bella umiltà, in sintonia con la più candida semplicità, presenta a
lui quel che penserebbe di fare e prescrivere per il bene dell’istituto,
che, in sostanza e nel dettaglio è appunto il suo Direttorio bello e
perfetto.
Senza il tono di legislatrice, ma col parlare dolce, suadente di
una mamma buona, esorta i figliuoli ad attenersi al suo consiglio più
che ai suoi comandi, e ad accettarlo come parole di vita, prese in
prestito dall’amore e dalla bontà di Dio che null’altro desidera fuori
dalla perfezione e della beatitudine delle sue creature.
Dentro il suo Direttorio - che noi qui non possiamo analizzare c’è tutta lei: il suo alto giudizio, la saggezza dello spirito, la larghezza
del cuore, l’equilibrio e la misura dei precetti, le cure dei dettagli... e il
tutto, dominato da una celeste unzione che fluisce in ogni riga per
soavizzare la fredda rigidità dei precetti.
Il suggello di approvazione e di autenticità a tutto lo appone il
buon vescovo Speranza, che la conobbe nell’animo, con queste
autorevoli parole: “La Madre, assistita e coadiuvata dallo Spirito
Santo, ammaestrata dal suo stesso dolore ed amore, dovette far
tesoro, nell’arte difficilissima dell’educare, di quella sapienza tutta
celeste che poi trasfuse nelle Regole e nelle pratiche dei suoi
istituti(qui si allude anche all’istituto maschile da lei felicemente
realizzato), Regole, che potrebbero esser lette e studiate con grande
profitto dai padri e dalle madri di famiglia delle classi più distinte
della società”.
Per dare infine intera la geniale idea programmatica della
madre Paola Elisabetta bisogna anche aggiungere che ella, veramente
ispirata dal Cielo, ha lasciato nella sua legislazione, specialmente
riguardo alle attività del suo istituto, una porta aperta ad accogliere i
migliori complementi ed ampliamenti che, sempre in conformità allo
spirito essenziale, possano rendere più proficuo e fecondo
l’apostolato delle sue Figlie.
Tenuto conto dei tempi in cui scrisse il suo Direttorio - un
secolo fa - si ha da riconoscere la sua presaga intuizione. Prevedendo
e prevenendo i bisogni delle anime nei tempi nuovi che verranno, ella
appone in calce alle sue leggi la sigla prudenziale e saggia “Salvi
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migliori emendamenti” e comandò alle sue Figlie di camminare al
passo con i tempi, di adeguarsi alle loro necessità affinché sempre, in
tutto e da tutti “onorificetur Deus!...”.
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CAPITOLO
VIII
Carità intelligente
Quasi odor agri pleni
Dentro e fuori di sé, nell’anima e nell’Istituto tutto è in piena
fioritura, come un campo benedetto da Dio con la rugiada del cielo e
con la feracità della terra.
Lavorata intensamente in profondità, la sua benedetta famiglia
ha da espandersi. Per l’espansione necessità insopprimibile d’ogni
opera bella e buona - s’ha da riflettere alla natura caratteristica
dell’istituto che ha particolari esigenze, prima fra tutte la disponibilità
di terre su cui formare l’educazione pratica delle orfanelle rurali.
La prima espansione, quindi, non potrà essere che lenta e
naturalmente si estende a quei luoghi ove Suor Paola Elisabetta ha
delle proprietà patrimoniali o ereditate
Però il pieno sviluppo della sua istituzione, che ella non vide
durante la sua vita, si realizzerà felicemente dopo che sarà tornata a
Dio.
Le prime fondazioni fuori di Comonte, si dirigono subito verso
Soncino, sua terra natale, e a Villacampagna, ove esiste il grosso delle
sue possessioni dotali. Tanto avvenne nel 1862, tre anni appena
avanti la sua morte.
A Villacampagna realizzò anche il sogno del suo cuore
materno, primo nell’intenzione ed ultimo nell’esecuzione: l’istituto
maschile della S. Famiglia per la cristiana educazione degli orfanelli
rurali.
Anche qui per tale opera, importante e benefica non meno della
prima, che avrà col tempo sviluppi assai consolanti, ella si appiglia a
mezzi quanto mai semplici, a materiale grezzo, ma quanto ricco di
pregi interiori lo dicono i buoni risultati che ne ricavò.
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I fratelli della S. Famiglia
Escluso garbatamente il piano di associarsi ad un pio sacerdote
che lavorava attorno ad un’opera affine alla sua, ma non
perfettamente coincidente con l’ultima differenza, cioè a vantaggio
degli orfani di campagna, Suor Paola Elisabetta insiste con la
preghiera presso il Signore onde le faccia incontrare l’anima a lei
necessaria per iniziare questo secondo lavoro.
E la Provvidenza le presenta un soggetto che, a vederlo, si
sarebbe detto un fattore, certo Giovanni Capponi, di Leffe, ove è
molto amato, stimato per essere infermiere ed economo del civico
ospedale.
In breve il Capponi - non giovane, né vecchio - è uno di quegli
apostoli in calzoni, che riescono una benedizione dovunque passino.
Non di grande levatura intellettuale, ma di un sano equilibrio pratico,
soprattutto pio, irreprensibile, zelante e caritatevole in modo da non
potersi dire; tanto che da tutti era ricercato, benedetto.
Con questo umile, ma non disprezzabile elemento, la
Provvidenza intende gettare la prima pietra della nuova istituzione
progettata da Suor Paola Elisabetta, la quale, conoscendo e
condividendo perfettamente i metodi divini, accoglie con vero
entusiasmo il Capponi, con la umiltà del quale deve non poco
contendere per fargli accettare l’oneroso ed onorifico incarico.
Con tutte le approvazioni e le benedizioni del vescovo Speranza
e del canonico Valsecchi, il 4 novembre 1863 - onomastico del suo
Carlino - con una devota cerimonia religiosa si diede principio alla
nuova opera in Villa Campagna con tre soli soggetti presieduti da un
sacerdote che fungeva da cappellano ed un orfanello, ai quali
consegna il necessario in mezzi per cominciare, con tutti gli auguri e
le benedizioni del suo cuore materno. In un suo “pro Memoria” ella
ha scritto queste parole: “Tutte le opere di Dio incominciano dal poco
e vanno man mano crescendo, come il grano di senapa del Vangelo.
Così la grazia del Signore cresca e moltiplichi questo piccolo seme!”.
Parole di verità, presaghe del più consolante successo!.
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Come è organizzato l’istituto dei fratelli della S. Famiglia
Anche per la sua famiglia maschile Suor Paola Elisabetta ha
disteso nella carta, se non una legislazione formale, degli schemi e
memorie direttrici, per una eventuale Regola futura da sviluppare
dalla saggezza e dalla esperienza dei sacerdoti che dovranno essere a
capo della nuova Opera.
Intanto le norme fondamentali sono: costituire, con le varianti
necessarie, una famiglia religiosa maschile che si dedichi alla cristiana
educazione degli orfanelli rurali, come le suore della S. famiglia
attendono alle orfanelle. Logicamente: come ella non intese con le
suore creare delle devote massaie rurali, ma autentiche religiose, cosi’
per i fratelli, anzi con più alto intendimento, vuole creare dei veri
religiosi, sacerdoti e laici, che, periti nella scienza agraria,
impartiscano agli orfanelli di campagna la più soda educazione
cristiana congiunta alla tecnica agraria.
È chiaro che questo suo concetto spirituale e pedagogico non
può essere attuato che da sacerdoti e da laici, i quali, divise le
mansioni di direzione e lavoro, possano armoniosamente ottenere il
duplice scopo da lei perseguito. E da gli uni e agli altri da le norme
dettagliate per la disciplina, il governo della sua nuova famiglia.
Anche questo regolamento è sottoposto all’esame e
all’approvazione del vescovo Speranza, il quale, per avviare l’opera
alla migliore realizzazione di bene, suggerisce che sul momento, non
si imponga ai fratelli nessuna regola; questa verrà in seguito,
ricavandola dalla pratica e dall’esperienza. Ma quando, maturati
tempi e cose, si reclamerà una Regola scritta, si dovrà ricorrere a
quella già tracciata dalla Benedetta Madre, cui spetta il merito e il
vanto di aver preceduto i tempi, con la sua saggezza ispirata dal
Cielo.
La sua intelligente pedagogia
Ed ora riunendo in un fascio solo i precetti da lei dettati per
tutti i suoi cari orfanelli, cui regala l’onorifico nome di Figli e Figlie di
S. Giuseppe, tentiamo di dare, in brevissimi cenni, tutta la saggezza
spirituale e l’alto fine sociale, condensati nelle sue direttive per la più
perfetta formazione cristiana e agraria dei suoi prediletti.
Innanzi tutto lo spirito; poi il resto. È intuitivo: Suor Paola
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Elisabetta è una fedele serva di Dio; in forza della sua consacrazione è
sposa di Cristo; ella cerca, quindi, prima di ogni altra cosa l’anima il
vero bene duraturo ed eterno dei suoi figli che, per amore di Dio, ha
adottati.
Queste innocenti creature, tanto più degne di amore quanto più
sono infelici, ella le chiama “tesori”. Le consegna alle sue religiose
con queste parole: “Tenetele da conto come un tesoro! Se amate
l’istituto, dovete amare queste creature, fine ed oggetto della vostra
vita di apostolato. Amatele più di quelle che sono di migliore
condizione sociale, perché, più indigenti, sono più care a Dio!...
Vegliatele giorno e notte, in casa, in chiesa, al lavoro: siate i loro
angeli custodi... Sono vasi fragili, facili a rompersi; sono piante
novelle facili a piegarsi; sono tesori di Dio affidati a noi...
“La vostra idea non dev’essere di formare di queste creature
delle monache; ma delle brave, care, virtuose ottime madri di
famiglia. Perciò occorrono ad esse virtù semplici, ma consistenti; che
aborriscano il peccato e siano pronte a morire anziché offendere
Iddio. Sulle loro fronti innocenti spiri modestia e candore; siano
franche senza sfacciataggine... e siano soprattutto semplici. Guai a
quella casa ove entra una donna saccente. La pace, la concordia,
l’economia se ne vanno da essa! Innamoratele soavemente di Dio,
rappresentatelo buono, santo, misericordioso, liberale; non stringete il
cuore, non impoverite l’intelletto, predicando Iddio ad ogni ora
terribile severo pronto a punire e castigare per ogni colpa.
“Esse devono amare il loro stato e i grandi benefici
dell’agricoltura; la felicità della loro condizione con cui è più facile
salvarsi.
“Mostrate l’esempio di Gesù: Egli ricchissimo nacque e visse
povero, trattò di preferenza i poveri, ad essi promise il regno dei
Cieli.
“Predilesse i fanciulli, espressione d’innocenza e semplicità
primitiva. Preferì il soggiorno della campagna alla città; dava la sua
celeste dottrina sedendo sul monte o passeggiando pei campi, nelle
valli; prendendo le immagini più belle delle sue divine parabole dai
gigli, dal grano, dagli alberi fruttiferi, dal frumento, dalla zizzania,
dalla vigna, dai vignaioli, dal gregge, dai pastori, dalle pecore, dagli
uccelli dell’aria, per farci ammirare la Provvidenza di Colui che,
assomigliato ad un celeste agricoltore fa nascere da poco e minuto
seme il nutrimento per tutte le sue creature.
“Seguendo l’esempio di Gesù, prendete motivo da tutti gli
oggetti che cadono abitualmente sotto gli occhi di queste creature per
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parlare. Dite della fecondità della terra che per volere di Dio produce
incessantemente tanta varietà di fiori, squisitezza di frutti d’ogni
sapore il più soave. Dite del seme consegnato ai solchi che morendo
sotterra prima di risorgere e germogliare, porta l’immagine della vita,
della morte, della risurrezione dell’uomo. Dite dello sviluppo delle
piante, soggiorno gradito agli uccelli dell’aria, utili e care agli uomini
stessi che vi trovano l’ombra refrigerante, frescura, riposo, ed aria più
respirabile e pura... Ricordate loro gli antichi patriarchi che, all’ombra
delle piante, ospitavano ed ascoltavano gli angeli pellegrinanti sotto
forma umana.
“E poiché l’anima di queste creature sempre gaia e sorridente
nell’innocenza della prima età, gode soprattutto dello spettacolo e del
profumo dei fiori, di cui si abbella la campagna, e li vanno cercando
sotto le siepi, lungo i sentieri, coltivate i fiori per dare a queste
creature un sollievo utile e dilettevole, insegnando loro, nome, specie,
proprietà dei fiori, usi e colture di ciascuno di essi. E di questi fiori,
coltivati e colti dalle vostre figlie, adornatene nei giorni solenni i
nostri altari...
“Parlate degli uccelli che nidificano, delle api che hanno regina
e statuti per il loro prezioso laboratorio di miele e cera. Parlate degli
animali che servono alla campagna, traendo l’aratro e il carro, di
quelli che forniscono carni pel nutrimento, pelli e lane pel
vestimento”.
Poi scende ai più pratici particolari.
“Queste figliuole son destinate nella maggior parte al
matrimonio, non le contraddite nella loro vocazione: saranno
eccellenti madri di famiglia e col loro esempio porteranno grandi
vantaggi nel loro ambiente.
“Semplicità, semplicità in tutto: nel leggere, nello scrivere, nel
far conti, nel vestirsi, nel preparare i cibi; insegnando soprattutto
l’ordine, la nettezza negli abiti poveri e semplici, ma odorosi di
lindezza, ammonendole che la mancanza di ciò è cagione di molte
malattie... Questo sia il fine che dovete avere nell’educarle”.
Poi voleva che le migliori figliuole, le più brave, le più diligenti
nella condotta, nel lavoro, nello studio del catechismo, avessero un
premio.
Ad eccitare la loro migliore emulazione, il giorno 15 Ottobre festa della sua cara santa Teresa e inizio dei riposi della campagna voleva la festa dei premi, con la distribuzione di medaglie e di cose
da esse desiderate. Alla prima assoluta nel premio di agricoltura darà
in più l’UFFICIO DI ABELE; cioè l’incarico di raccogliere durante
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l’anno le primizie dei frutti della campagna, e in apposito cesto
presentarle all’altare in segno di sudditanza, di amore di grazie al
Sommo Iddio, Padrone e Largitore d’ogni dono.
Con la festa dei premi ecco l’autunno, ed arriva l’inverno,
tempo di sosta del lavoro; l’inerzia e il freddo non devono far perdere
i buoni frutti raccolti durante l’anno; e allora ella suggerisce, detta i
mezzi di sapore educativo e spirituale, onde trascorrere
proficuamente le lunghe serate invernali, nelle loro future case, nelle
stalle calde e illuminate dal ceppo odoroso e crepitante.
Infine, quando le sue care orfanelle si congedano da lei e
lasciano l’istituto, per andare spose nella loro casa, o allocarsi in
servizio presso cristiani padroni, ella, la Madre, le segue,
accompagnandole con una lettera da serbarsi in memoriale di amore,
in cui il suo cuore materno e il suo spirito di apostolo, ha vergato i
ricordi ad una cara figlia che va al matrimonio o che entra al servizio
di una casa privata.
A tutte dice: “Coraggio, Figlie mie, il Signore v’insegna per
nostro mezzo la via più semplice per poter essere al possibile felici
anche in questo mondo. Credetemi: fa più timore la parola sacrificio,
che il sacrificio stesso... abituatevi ora che siete giovani, e vedrete che
poi il sacrificio vi costerà meno!”.
Pedagogia agraria
La Madre Paola Elisabetta è un’anima di forti elevazioni
spirituali; ma pure una grande innamorata della terra. Ai suoi giorni,
il tono della nuova istituzione suscitò meraviglia, diffidenza, critiche:
allora si apprezzava l’agricoltura come un’arte secondaria, e
l’agricoltore quasi una sottospecie umana, tanto era basso il livello
della sua istruzione e formazione. Il povero contadino era schivato, se
non disprezzato. Certo, le mani callose, i modi rudi, le vesti
maleodoranti non allettano; ma l’occhio cristiano di Paola Elisabetta
Cerioli, squarciando quei cenci e superando il lezzo della miseria,
fissò l’anima di quelle povere creature, veramente benemerite
dell’umana società, che ha pur tanti debiti verso di esse, e altrettanto
è restia a saldarli.
L’ingiusto fenomeno sociale ferì il nobile cuore di questa donna;
ella lo deplorò non con sterili parole, ma con operosa e fattiva
reazione.
Un secolo indietro ella fece, scrisse, insegnò quanto nessuno
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avrebbe pensato od osato, perché nessuno sentiva il coraggio di
tessere idilliaci elogi cristiani della vita campestre, come ella scrisse,
portando ad un distinto grado di aristocrazia spirituale le umili
creature che si consacrano a questa vita di lieta, serena operosità.
Tutti i suoi scritti sono pervasi da un sacro senso, quasi di culto
per la campagna, prima ed inesauribile fonte di ricchezza, concessa
dal munifici Iddio all’uomo.
E di questo culto ne ha fata scuola, insegnamento, la più pratica
pedagogia agraria.
Il suo Direttorio alle religiose consacra due interi capitoli per
dare regole, precetti, suggerimenti alle suore direttrici di agraria – la
direttrice generale e le direttrici locali - che hanno compiti precisi,
dettagliati sino alle minime cose, onde la scienza agraria, la più
perfetta che si conoscesse ai suoi giorni, applicata alla pratica
quotidiana, desse i migliori risultati, non soltanto immediati, ma i più
remoti, da raccogliersi sui futuri campi di lavoro dalle care creature
accolte nelle sue case.
Gli uffici di orticultrice, floricultrice, agricultrice, la flora, la
fauna, la botanica, la zoologia, riempiono altre pagine del suo
Direttorio, sì da farlo sembrare - a chi vi ponga mente - un manuale
teorico - pratico di ciascuna di tale specialità.
E colei che scrisse tali cose, e dettò tali precetti è la stessa che
parla con Dio e spazia nei cieli dell’orazione e discorre
magistralmente di virtù, di perfezione...
Proprio così Gesù, il Verbo di Dio, conversa con gli apostoli e le
turbe, perché Egli stesso dice: “il regno dei Cieli è simile a un campo e
il Padre mio ne è l’agricoltore!...”.
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CAPITOLO
IX
Eroismo d’ogni virtù
Scende già la notte
Dall’ultima fondazione dei “Fratelli della Sacra Famiglia” alla
morte della Madre Paola Elisabetta corrono appena due anni,
trascorsi tutti orando ed arando nel campo benedetto da Dio.
Dirigere, consigliare, riprendere, scrivere, viaggiare: il tutto
sfolgorato da un gettito luminoso, caldo di virtù, che annunziano
un’anima piena, matura già per il premio eterno: questa è la sintesi
dell’ultimo scorcio di vita della Beata Madre.
Ed è pur bello coglierla nei momenti della sua raccolta
spiritualità, della sua mirabile attività, che ora danno luci più vive di
fervore, d’intimo raccoglimento, di inestimabili dovizie interiori.
Che se ella è tutta dedita a cercare il bene altrui, non può dirsi
che trascuri il divino Ospite che, con tanta compiacenza, ha fissato la
propria dimora nell’anima sua; dì e notte è in veglia a tener fornita di
carità la lampada, si che arda nella trepidante attesa della
mezzanotte, quando lo sposo verrà. La mezzanotte è vicina. Il suo
genere di vita è sempre, come tutto, semplice e ordinato: pregare e
lavorare. Dalla sua preghiera l’ispirazione e la forza pel suo lavoro;
dal suo lavoro la necessità impellente di ricorrere a Dio per la lena e il
soccorso necessari. Bene, dunque, le si attaglia la duplice azione:
orare ed arare nel campo di Dio.
La grande signora dalle grandi espropriazioni
Poiché le virtù nei santi presentano sempre caratteristiche
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identiche, proprio perché derivate dallo stesso divino Modello, nella
Madre Paola Elisabetta è bello ammirare queste virtù librate
costantemente all’altezza del suo rango sociale, cioè nel tono di
autentica signora, dal cuore munifico e buono. La sua prodiga
espoliazione di tutto in favore dei poveri orfanelli rurali è preceduta
da un’altra espropriazione ben più alta e preziosa: ha dato a Dio
quanto possiede di meglio in se stessa per la di lui gloria. E qui è il
punto arduo e duro – secondo S. Gregorio – “dare di sé, più che le
proprie cose”. Stare ai cenni di Dio, non solo obbedendolo in
rapporto alla sua legge, ma dargli ancor più quanto reclama l’amore,
secondo i consigli del Vangelo, per piacergli con la perfezione
possibile ad una creatura.
Al conchiudersi di questa nobile ed edificante vita, quel che
commuove maggiormente è proprio questa generosità di spirito –
pagata in contanti rinnegamenti personali – al cui confronto
impallidiscono le ingenti donazioni patrimoniali in favore dei poveri.
E questa – a nostro modesto sentire – è la sua autentica
grandezza, smagliante di tutte la luci celesti, riflesse sur una corona
ormai piena, portata in tanto decoro e dignità.
Perché s’ha da ricordare che su questa corona ci sono le varie
gemme raccolte nei vari stati in cui passò con eroico merito. Tanti
stati, altrettante gemme: di vergine, di sposa, di madre, di vedova, di
religiosa, di fondatrice.
La gemma centrale: l’obbedienza
Sotto quella fronte che pure alberga un intelletto vivido, aperto
a quanto è alto e bello, si direbbe che non esista una volontà che
possa dirsi sua; o se c’è, è venduta, ceduta ad altri, di guisa che non
esprime una decisione, una inclinazione, una preferenza, se non
subordinata ad altro volere, cui ha unificato, agglutinato il proprio. E
a lei non resta che dare l’incessante, ilare assenso a quanto le viene
chiesto, imposto, consigliato dai vicari di Dio, che per lei furono
successivamente, i genitori, lo sposo, il vescovo, il suo direttore.
Spogliatasi di quanto ha sapore umano, Suor Paola Elisabetta
vive sempre in uno stato di eroica indifferenza, per cui: fare o non
fare, questo o quello, o il loro opposto, per lei è la stessa cosa.
Agire, obbedire, sentire così, e non in cose contingenti o
abituali, ma in gravi decisioni che determinano l’orientamento nella
vita, in deviazioni repentine e inaspettate, sconosciute e non
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desiderate, anzi opposte alle proprie aspirazioni, tutto questo la mette
a tale altezza di perfezione che l’obbedienza di Suor Paola Elisabetta
deve dirsi, prima d’ogni altra cosa, la virtù sua singolare,
caratteristica.
Eroica espropriazione del cuore
Segue logicamente la cessione della volontà. E noi non la
comprenderemmo questa seconda espropriazione, se non fosse
rischiarata da una luce soprannaturale, abbagliante.
Poco sarebbe il rinunziare alla naturale effusione di un giovane
cuore che, nella primavera della vita, si affida l’onda dell’amore come
correttivo e farmaco a sostenere le durezze e le amarezze della vita
stessa. Ma qui l’eroico consiste nel dare il proprio cuore, con la
ricchezza dei suoi affetti più puri e generosi, a chi piace ad altri, e
piace per ben altre ragioni, diverse da quelle sognate; a chi non
presenta veruna attrattiva esteriore, nessuna identità o affinità
interiore per far battere in sintonia un altro cuore.
È l’assurdo, l’inconcepibile umano, eppure ridotto ad un atto
volontario di virtù, investito dall’infinito amore di Dio, catechizzato
dalla sublime teoria che dice di amare non solo ciò che sensibilmente
attrae e piace, ma pur quello che ripugna e non piace. Questo sublime
assurdo, quando saranno sciolte dileguate le effimere, vane parvenze
sensibili, sotto i raggi ardenti della carità cristiana si risolverà in un
prodigio di amore da cui profluiscono torrenti di bene, di
consolazioni, di gioie. Anche e soprattutto le gioie perché altrettanto è
dolce e beatificante l’essenza di una sacrificio spirituale sostenuto per
amore di Dio, quanto fugace ed amara è l’esaltazione dei sensi pur
quando è legittima e ordinata.
Ma ella ignara di sì sottile raziocinare, intuì subito il più
perfetto, e con gesto audace si espropria anche del cuore, lo spoglia di
ogni preferenza o ripugnanza personale, e lo presenta a Dio onde Egli
a suo talento ed arbitrio lo possieda e ne disponga. Come a Lui piace:
lo dilati nella gloria o lo restringa nel dolore; lo riempia degli amori
che gli piacerà imporre, o ne strappi quelli che, essendo dalla carne e
dal sangue, sono i più sensibili e sentiti, purché Egli sia sopra tutti
invincibilimente amato.
Iddio è il vero centro, l’unico prediletto, il solo sposo del suo bel
cuore dal primo incerto palpito che la portò alla vita, sino al supremo
colpo che l’arrestò prematuramente a mezzo cammino della sua
Biografie 357 opera omnia
giornata; Iddio, del cui amore visse e compendiò tutti gli amori
umani, - e furono vari e di ogni nome - disponendoli in armoniosa
dipendenza e gradazione sotto di lui.
Chi può dire come e quando si delizi Iddio di tanta generosità,
di sì saggia subordinazione? I prodigi creati da questo bel cuore - noi
li abbiamo visti e tuttora li teniamo sotto gli occhi - sono un pallido
segno delle divine compiacenze.
Distacco da se stessa
Con questo alludiamo, primo alla fiera flagellazione che inflisse
all’amor proprio avido sempre di carezze, di lodi, della stima altrui.
La lode non la fuggiva, ma la aborriva. Sorridere alle ingiurie ai
rimproveri, alle censure, alle diffamazioni, era sua delizia. E il Cielo
non gliene risparmiò. Dal giorno in cui, divorziando dal mondo, si
diede tutta a Dio ed alla cura delle povere orfanelle gliene caddero
sul capo fitte e scroscianti come la gragnola. Il minimo che fu detto di
lei “è impazzita”. Poi “una stolta” che si è lasciata montar la testa dal
Vescovo di Bergamo e dal canonico Valsecchi... una sciacquallatrice
di ingenti patrimoni... -e giudizio opposto!- si giunse ad accusarla di
sfruttare le orfane, del cui lavoro, senza mercede o retribuzione, ella
arricchiva.
Ella sorride di quel sorriso che non è disprezzo o
compatimento; ma intima e perfetta letizia per cui si gode di veder
capovolti apprezzamenti e giudizi - unità di misura di tutti i giudizi
del mondo - e prendere la propria parte di contumelie inflitte ai
buoni, ai santi, al Santo dei santi, condannato per le sue parole di vita
e per le sue opere di salute... Suor Paola Elisabetta compativa e
giustificava: “Che volete farci? È questione di carattere; ma in fondo
hanno tutti un cuore buonissimo!...”.
E dalle sue cose
E poi il distacco dalle sue cose. Qui non si dice delle cose
materiali che ella non apprezza se non ai fini del bene che le
permettono di fare, ma dalle sue esigenze spirituali persino, da quelle
che si direbbero indispensabili come respiro, cibo di un’anima, ossia
la disponibilità e il gusto dei conforti spirituali: il tenersi paga di
quanto è concesso dalla benignità divina e dalle leggi della Chiesa in
Biografie
358
opera omnia
fatto di orazione, di pratiche di pietà, di Sacramenti. Languire
nell’aridità o ardere di fervore, poter soddisfarle personali esigenze di
devozione o di dover ometterle, ricevere Gesù Sacramento realmente
o soltanto spiritualmente, tutto è uguale e buono per lei.
Sugl’inizi dell’Istituto è costretta dai suoi mali abituali a stare
aletto per due mesi: non un lamento per potersi recare in chiesa. Nei
giorni di Comunione sfolgorava di gioia; ma nei giorni di digiuno
sacramentale non era mesta e diceva: “Perché mi ha da rincrescere di
far la volontà di Dio? Che avranno fatto nel deserto gli anacoreti che
mai uscivano dalle loro grotte per confessarsi, comunicarsi, udir la
Messa? Eppure divennero così gran santi! Facevano la volontà di Dio.
Quando l’obbedienza lo vuole, bisogna ad ogni costo usare dei mezzi
concessi, e quando la volontà di Dio ce lo impedisce, e ordina
altrimenti, bisogna restar quietissime”.
La madre Corti, primo teste e attore qualificato nella vita della
M. Paola Elisabetta, ci dice: “La sua vita era sempre una continua
rinnegazione di se stessa, un distacco pieno anche dalle più piccole
cose.
Io l’ho tutte in mente ed impresse nell’anima le sue grandi virtù
e la stimo una delle anime più sante che ha poche pari... Le virtù di
quest’anima erano nascoste e del tutto semplici, cioè della semplicità
di Gesù Cristo, non luminose all’esterno, non singolari e peregrine,
non scomposte, non agitate, ma tutte assai naturali, senza strepito,
senza pompa, senza dar segno né con parole, né con volto mesto della
menoma violenza, come se ella tutto operasse seguendo la stessa
natura; ed è per questo che io, nello stendere queste memorie, mi
trovo sempre in imbarazzo, temendo che per essere io incapace a
discernere una virtù così fine e di darle il pregio che merita, ne soffra
la stima dovuta a colei che la praticò...”.
Usurpiamo queste parole e le facciamo nostre per giustificare la
nostra imperizia nel prospettare le luminose bellezze della virtù di
lei.
Dalle sue virtù abbiamo toccato soltanto quelle che, a nostro
parere, la caratterizzano; che se volessimo diffusamente parlare di
tutte le altre fondamentali e comuni, costitutivo indispensabile di
ogni perfetta religiosa, il nostro lavoro non si esaurirebbe tanto
presto.
Biografie
359
opera omnia
E i doni di Dio
Però non possiamo esimerci dall’accennare almeno alla regale
liberalità divina nel premiare la generosità di tante cessioni ed
espropriazioni fatte dalla sua fedele sposa.
E le ricambiò i doni fregiandola di luci e decorazioni, segno
infallibile della divina compiacenza.
Ella ha il dono dell’orazione e delle lacrime per cui è sopraffatta
di tenerezza ogni volta che contempla il cielo o parla della bontà di
Dio. Ha il dono della scrutazione dei cuori, e della previsione circa le
cose future ed occulte.
Alle sue sante preghiere si moltiplicano pane e carne per saziare
le sue care figlie; al tocco delle sue benedette mani una orfanella
gravemente inferma subitamente risana.
Così a questa donna generosa, che di sé e delle sue cose si è
spogliata per immolarle sull’altare del sacrificio, con una risolutezza e
generosità virile, Iddio ha dato in cambio doni e luci che la decorano
sin dalla terra dei segni che sono appena ombre della gioia e della
luce del Cielo.
Biografie
360
opera omnia
CAPITOLO
IX
Il ritorno al celeste padrone
Il suo fragile corpo
Fu ben povera cosa. Nacque malata. I segni originali, rimasti
per tutta la vita, le furono sorgente di sofferenza e di meriti anch’essi.
La lieve deviazione della colonna vertebrale, indice d’un fatto
artritico congenito, riversò tutto il soffrire sul povero cuore.
Finché fu giovane dissimulò ogni male; ma pervenuta al vertice
della vita, dopo tante prove, dopo tante responsabilità e così intenso
lavora, il fragile corpo non resse più. E si spezzò. A ù cinquant’anni!
Tante promesse, così belle opere in fiore, reclamavano che quella vita
si fosse protratta sino alla più tarda longevità.
Fu invece consiglio di Dio - anche questo adorato e accettato dal
presago suo spirito - che la buona operaia della sua gloria
compendiasse con una morte fulminea, la giornata laboriosa. Ed ella,
nel suo stile, sempre eroicamente obbediente, si dispose a partire
sollecita per presentarsi al Divino Signore nella letizia di un copioso
raccolto.
Preparazione al commiato
La Madre Corti dice che la M. Paola Elisabetta presentiva una
morte repentina, che il suo cuore si sarebbe spezzato d’improvviso.
Ma il Signore non le fece prevedere quando, tanto meno che sarebbe
stato così presto.
Rassegnata a vivere soffrendo, purché vivendo possa lavorare,
il suo lavoro prosegue ordinato, calmo, ma intenso e serrato, come di
Biografie
361
opera omnia
persona che abbia preoccupazione di non portare a capo la sua
impresa.
“Chi ha tempo non aspetti tempo!... E se poi il tempo non ci
fosse?…”. Dice e predice. Difatti le fu abbreviato.
Ella riempie l’ultimo concessole a consolidare lo spirito, a
rafforzare l’organizzazione della sua duplice famiglia. Con più
accorato interesse si dedica all’opera maschile che è appena nata, e ha
tanto bisogno della vigilanza e delle cure materne.
La sua corrispondenza col buon Giovanni Capponi, che a
Villacampagna con fatica e silenzio sta dissodando il terreno per una
prossima semina copiosa, fruttuosa, è il lavoro principale di questo
tempo. Non potendo recarvisi di persona, per le condizioni di salute e
per le sue occupazioni, ella scrive. Ma in quelle lettere, che noi
abbiamo letto ed ammirato, ci sono le direttive più sagge, i richiami
più energici, le effusioni di un cuore materno, le previdenze e le
provvidenze più pratiche, che costituiscono un memoriale ed un
monito, da rileggersi, da viversi sempre, oggi alla distanza di un
secolo, come ieri, ed anche domani ed oltre negli anni, perché sono il
testamento di amore e di sapienza di una santa.
E l’ultimo colpo infertole dal suo male, la sorprese appunto con
la penna tra le mani mentre riversava i suoi voti, i suoi auguri
materni nella lettera natalizia ai suoi cari orfanelli.
Si vedeva che era stanca, affannata, scriveva sopra le forze. La
Madre Corti le fa una dolce violenza perché si riposi… Quando ha
apposto la firma alla chiusura d’obbligo: “la vostra affezionatissima
Madre: Suor Paola Elisabetta Cerioli” allora, deponendo la penna,
dice: “Ecco, ho finito… ora me ne vado a letto!”.
E non si riebbe più.
L’epilogo
Il suo male la riprese violento e travolgente. Le arterie le
battevano fortemente. Si sentiva enfiore dalla vita sino al capo. La
notte sognava e straparlava in sogno. Fu chiamato il medico curante,
il quale fece delle prescrizioni, da cui ella non cavò gran giovamento.
Tutto il giorno 23 dicembre – ultimo della sua vita – lo passò
agitata e conturbata dal suo male. Volle levarsi, provò a fare una
passeggiata in giardino… ma non poteva reggersi in piedi. Fu
riaccompagnata nella sua stanza. Prima d coricarsi, volle recitare il
Rosario con le orfanelle. Era tranquillissima, benché si vedesse che
Biografie 362 opera omnia
soffriva assai.
Verso sera disse di voler confessarsi con intenzione di lucrare di
nuovo le indulgenze del giubileo che, in quell’anno 1865, era stato
concesso da Pio IX, fuori di Roma. L’aveva già acquistato qualche
giorno avanti; ma non ne era contenta, temeva di non averlo ricevuto
bene. Rinnovò quindi l’intenzione di fare tutte le pratiche prescritte
alo scopo. E si confessò dal cappellano di casa.
Ne fu tanto contenta. “Oh, come è buono il Signore! – esclamò – Quante
belle grazie ci fa… abbiamo fatto la confessione… e domani farò la S. Comunione e
riceverò l’Indulgenza Plenaria… Intanto andiamo disponendoci bene… Poi la
solennità del Santo Natale!… che bellezza!… Domani ci leveremo un po’ prima
della sveglia comune… e se mi sentissi debole per aspettare, farò la S. Comunione
in principio della Messa”.
Frattanto, nella cappella domestica s’impartiva la benedizione
eucaristica… Ella, rimasta sola, prese il suo crocefisso che le pendeva
dal collo, e vi stampò su tanti caldi baci. Madre Corti la rimproverò
dolcemente perché si affannava… Ed ella: “Bacio il mio Crocifisso!…Gesù,
Gesù, Gesù! eccomi tutta vostra!”. E si fece tranquilla. Poi, tutta giuliva, disse: “Ora,
datemi da mangiare”. Le fu portato un po’ di cibo che consumò saporitamente, ma in
fretta, contro il suo costume…
“Ora mi sento meglio!…”. E si accomodò nel suo letto… parlò ancora con la
sua fida Madre Corti, di varie cose, specialmente della Comunione che avrebbe fatto
l’indomani…
Tornò il medico a visitarla. Non segnalò nulla d’imminente e di grave.
Verso le dieci di sera, fu accudita di quanto potesse occorrerle. Si vedeva che
era agitata, e disse: “Se sapete quanto faccio per quietarmi, ma non ci riesco. Questo
è un brutto male che non auguro a nessuno!”. E sembrava volesse piangere. Si
quietò alquanto; pareva volesse prender sonno. Si accomodò modestamente nella
positura consueta, e congedò le assistenti: “Ora lasciatemi riposare… e riposate
anche voi!…”.
Tirata la tenda del suo letto, le due suore si coricarono poco discoste da lei.
Prese sonno; ed anche le sue figlie.
Biografie
363
opera omnia
Media autem nocte… ecce Sponsus!
Dopo circa un’ora, la Madre Corti alzò cautamente la tenda, e
vide che l’inferma stava quieta, composta, come l’aveva lasciata.
Sembrava dormire.
Non osava disturbarla nel suo riposo…
Ma un lugubre pensiero l’assalì: il presentimento d’una
disgrazia. Balzò dal letto, prese il lume che stava in un angolo della
stanza, lo accostò al volto di lei per accertarsi… Non respirava!
Tutta tremante le trasse la mano di sotto le coltri, era ancora
calda; la sollevò e ricadde pesantemente.
Nel silenzio di quella notte – 24 dicembre 1865 – un grido
risuonò per la casa di Comonte. “La Madre è morta!”.
“Mediam nocte clamor factus est… Ecce Sponsus venit!…”.
D’improvviso è venuto lo Sposo; senza schianti, senza pianto,
dal sonno del tempo l’ha destata in Cielo. A cinquant’anni appena!…
Nel suo Natale!
Maria e Giuseppe pellegrinanti in Betlemme, in cerca d’un
ricovero per il dono di Dio alla povera umanità, sono venuti a portare
il loro dono a Suor Paola Elisabetta: l’invito a salire nella casa del
Cielo, per stabilirvi con essi l’eterna dimora.
Biografie
364
opera omnia
CONCLUSIONE
I suoi funerali
Poveri, modesti, quali poteva desiderare chi si è fatta povera
d’amore per i poverelli, ed ha rinunziato a fasto e pompe, sempre,
anche dopo morta. Quando la bara lasciò l’austero palazzo di
Comonte - testimone di tanto lavorare e di tanto soffrire un’esplosione di pianti, singhiozzi e grida, ruppe il silenzio di
quell’ora solenne: è l’unica marcia funebre che arpeggia il fervido
orare - supplicante più che suffragante - di tanti cuori sinceramente
devoti alla loro buona e benedetta madre.
Ne fece l’elogio funebre dinanzi alla benedetta salma, il
sacerdote Pietro Piccinelli - per vent’anni confessore di lei prendendo l’ispirazione del suo dire dalle parole molto espressive del
Profeta Geremia: “Oculus meus depredatus est animam meam in cunctis
filiabus urbis meae”. “Le lacrime mi hanno consumata la vita nel
piangere la rovina della mia città”. Io non so - esordisce commosso il
pio sacerdote - in qual modo dare inizio al pietoso ufficio che mi sono
assunto dinanzi a voi.
Alla presenza di questo feretro, la mestizia che leggo sui vostri
volti, e più di tutto questa corona di poveri derelitti, or fatti orfani
una seconda volta, e che vedete struggersi in lacrime daccanto a
questo sarcofago, m’inviterebbero a piangere piuttosto che a parlare.
Ve lo confesso schiettamente in tal momento mi parrebbe più facile
ed opportuno il tacere. Ma l’invito di persone amiche, e il pio
desiderio delle desolate consorelle della benefica signora mi fecero
tale e tanta violenza che non mi fu possibile il resistere.
Le mie parole saranno se non altro l’ultimo tributo di
ammirazione e di riconoscenza che porgeremo alla nostra insigne
benefattrice in questo giorno dei suoi funerali e del nostro vivo e
profondo lutto. Le parole che ho preso ad imprestito dal profeta
Geremia, esprimono eloquentemente il pianto del Veggente dinanzi
Biografie
365
opera omnia
alla rovina spirituale delle predilette figlie di Sion, ed offrono
immagine stupenda del cuore amoroso e veramente materno di
questa grande donna, allorquando nel terzo periodo di sua virtuosa
vita, commossa e preoccupata essa pure sino alle lacrime, sui pericoli
e i bisogni di tante povere ragazze orbate troppo presto dei loro
genitori, pensava efficacemente ai mezzi per difenderle dai pericoli e
soccorrerle nei loro bisogni...”.
E qui l’oratore fa una commossa rievocazione dell’alta opera di
carità cristiana e sociale svolta dalla Madre Cerioli.
Nella sua perorazione esclama: “Ah, sì, noi le dobbiamo una
immensa eterna gratitudine! Oh, quanto ci confortava il pensiero che
mentre la morte moltiplicava gli orfanelli, vicino c’eran due braccia
veramente materne che si allargavano ad abbracciare quelle povere
creature seminate sulla via dalla falce crudele!...”.
“Quale sventura ci ha colpiti!”. Quelle braccia che si dilatavano
tanto per accogliere i poveri orfanelli sono oggi irrigidite dal gelo
della morte! Questa implacabile nemica dell’uomo dopo aver
seminato su questa terra tante infelici creature ora fu tanto spietata da
involare a questi miseri la loro seconda madre.
“Noi, dunque, l’abbiamo propriamente perduta questa insigne
nostra benefattrice? E perduta per sempre? No, non è del tutto
perduta per noi; essa vive nelle sue fondazioni vive nella nostra
memoria vive nelle sue buone suore eredi del suo spirito, e
finalmente vive su in Cielo immortale, da dove più efficacemente
protegge le sue opere!...
“Il suo spirito immortale sì vive ancora nel Paradiso ove regna
con i santi. Io per me fin d’ora la proclamo una santa, questa illustre
benefica nostra concittadina. Sì, io ne ho studiata la sua vita giovanile
e la trovai pura e virtuosa come una colomba; ne studiai la sua vita
coniugale e la trovai un vero tipo delle più elette virtù, un vero
modello delle spose delle madri cristiane, un’eroina di fortezza nelle
privazioni e nelle avversità; ne studiai l’ultima fase della sua vita e la
trovai la più bella copia di quel Divino Pastore che volle pur esso
chiamarsi il Padre degli orfani. E la sua virtuosa carriera si chiuse poi
ancor più santamente!...”.
E non ebbe una tomba propria. Non s’era mai preoccupata,
ricchissima com’era, di apprestarsela: avrebbe amato scendere povera
ed oscura tra gli aristocratici del Vangelo; ma una tomba amica la
volle ospite benedetta e gradita ad occupare il primo posto nell’avello
novissimo.
Biografie 366 opera omnia
Finché dopo dieci anni circa, la spoglia sacra ritornò al suo
palazzo per essere inumata nella stanzuccia che l’ospitò vivente trasformata in cappella - dove ella ha atteso sino ad oggi l’ora della
gloria terrena.
Lasciamo alla pietà delle Figlie il tesoro incomparabile della sua
spoglia mortale. Noi ne ricerchiamo l’anima per seguirla
nell’itinerario glorioso che s’inizia dalla sua morte.
E concludiamo con qualche riflessione d’ordine assai pratico e
attuale.
Ecco: questo è il punto, l’ora giusta per ammirare tutto il piano
di Dio intorno a questa creatura. Riunendo e collegando le tappe
dolorose, arcane, umanamente inconcepibili, imposte a questa
singolarissima vita, possiamo ben dire, senza tema di smentita:
questa Donna, che la insipiente pietà degli uomini catalogherebbe tra
gl’infortunati, i perseguitati dal cieco destino, deve dirsi invece
privilegiata e grande per l’altezza del suo spirito, per la pronta
comprensione onde accettò il disposto di Dio; per l’eroico
comportamento, cosciente e virtuoso sempre, con cui pensò, parlò,
operò.
Non sappiamo quale altro epilogo avrebbe avuto questa vita, se
la protagonista, opponendosi stoltamente ai piani di Dio, avesse
battuto la via dei più, protestando, ribellandosi, reclamando la
propria porzione di gioie anche quaggiù: se si fosse resa indegna
della divina considerazione, del prezioso cambio offertole, di
trasmutare le brevi prove della vita con l’indefettibile gloria che
s’inspera in Cielo ed ha edificanti risonanze sulla terra.
Forse oggi resterebbe la pallida memoria d’una infelice signora
Costanza, vissuta e morta nel cruccio delle sue infermità e dei suoi
duri doveri, nella ribellione a Dio, sarebbe rientrata, scomparsa
nell’oceano immenso dei mediocri - per dire il meno - che sono i più.
Invece: pel trionfo dei piani di Dio, oggi ancora vive e
sopravviverà Suor Paola Elisabetta. È la donna forte e saggia - come
la delinea lo Spirito Santo - che, abbigliata di vigore e bellezza, andò
ridente incontro al suo avvenire. Che aprì a saggezza le sue labbra, e
sulla bocca le fiorirono i dettami della virtù. Che comprese quale
inganno sia la grazia umana e quale soffio la bellezza. Considerò il
suo podere e lo custodì; col frutto del suo lavoro piantò una vigna.
Allargò il pugno all’infelice, e stese la sua mano al poverello. Ed oggi,
Figli e Figlie, benedicenti, l’acclamano beata e le dicono: molte donne
hanno fatto prodezze, ma tu le hai sorpassate tutte”.
Questo noi vediamo, ammirati ed edificati testimoni. Le sue
Biografie 367 opera omnia
famiglie, due volte duplicate, sacerdoti e religiose, orfanelli ed
orfanelle, hanno ereditato più che le sue sostanze, lo spirito, il cuore,
il magistero, le direttive per una mirabile, moltiplicata messe di bene
spirituale, per una non meno mirabile messe di benessere sociale.
Questa è la vera sopravvivenza, il premio di tanto soffrire, di
tante rinunzie, di tante fatiche.
È la sorte, la gloria dei santi.
La regale munificenza di Dio non sarà mai soverchiata dalle
nostre generose offerte, dalle nostre dolorose rinunzie.
Ma, a maggiori sacrifici è serbato il maggiore e il migliore
premio. E nessuno può dire che il pianto il sudore di questa generosa
Donna non sia stato regalmente pagato del Celeste Padrone. E noi qui
parliamo della pura mercede che si contiene nei confini del tempo;
che se volessimo dire della gloria, della beatitudine che le ha già dato
in Cielo, noi discorreremmo invano, perché nulla sappiamo e nulla
intravediamo delle luminose delizie che formano il pane, il respiro
delle anime contemplatrici della divina Bellezza.
Tutto questo, intanto, praticamente persuade di qualche cosa
che deve tornare a bene di tutti.
La Madre Cerioli con la sua vita, armoniosa fusione di dottrina
e di azione cristiana, insegna come si può essere buoni e migliori
secondo i consigli del Vangelo, restando nel posto ove Dio ci ha
messi: ovunque, nel mondo o nel chiostro; ma restarci bene, nella
nostra posizione più umana e naturale, coi piedi sulla terra e il capo
eretto verso il Cielo; vivere ed operare a norma della divina legge, in
adempimento dei nostri obblighi personali; assolvere con coscienza e
merito i doveri della vita, che è per tutti concreta e dura realtà, fatta
di poche attrattive e molti dolori, di delusioni, di scontri, di incidenti
che addolorano, che sfibrano anche i più gagliardi. Vivere immobili,
nella mobilità del temperamento e del tempo, sotto l’infinite
oscillazioni umane, attaccati a Dio, la mente tesa alla Verità, in attesa
dell’eternità quando tutto sarà passato, e resterà soltanto Colui che ci
ama e ci renderà felici unendoci a Lui nell’amplesso di quell’amore
che fu movente della creazione, consumazione di ogni beatitudine.
Paola Elisabetta Cerioli! Una ricchezza senza felicità; una
giovinezza senza primavera; una vita sopraffatta dalle prove e dal
lavoro, raggiunta innanzi sera dalla morte; ma sfolgorata di luce, da
un ardore che insegnano fiducia nell’infinita misericordia di Chi la
trasse dal nulla per affidarle, nel breve giro di cinquant’anni, tante
missioni di virtù, di bene, e prepararle in premio la gioia senza
tramonto del Paradiso.
Biografie
368
opera omnia
Paola Elisabetta visse, mangiando lo stesso nostro pane,
impastato di pianto e di sudore; ma condito dalle sante dottrine di
consolazione insegnate da Gesù; questo la crebbe, la corroborò alla
vigoria, alla statura dei giganti e dei santi.
Per questo sopravvive nell’immortalità.
La sua gloria postuma
Alla fama delle singolari virtù esercitate in vita, si aggiunse
presto al fama della sua potente mediazione presso il trono di Dio in
favore di chi la invoca. Il Signore, rispondendo benignamente alle
preghiere presentate in nome di lei, cominciò ad elargire grazie e
favori.
Le numerose tabelle votive, espressione di gratitudine dei
beneficati, che tappezzano la stanza ove riposa la sua spoglia, ne sono
incontestabile prova. Di fronte alla fama di santità, e delle grazie
ricevute ad intercessione di Suor Paola Elisabetta, la Chiesa dispose
che si addivenisse a tutte le necessarie inquisizioni, volute dai Sacri
Canoni, onde stabilire la solidità e continuità di tale fama.
Di conseguenza: raccolti ed esaminati tutti gli scritti a lei
attribuiti; riconosciuti legalmente i suoi resti mortali, si diede inizio in
Bergamo al Processo Ordinario per l’introduzione di causa di
beatificazione.
Nell’anno 1919, il 14 marzo il Sommo Pontefice Benedetto XV si
degnava di firmare il Decreto di Commissione per l’introduzione di
causa.
Dopodiché si iniziò nella diocesi di Bergamo il Processo
Apostolico sull’eroismo delle virtù. Trasmesso in Roma, fu sottoposto
alle tre rituali Congregazioni per la discussione delle virtù.
Il 2 Luglio 1939 il Sommo Pontefice Pio XII emanava il decreto
sull’eroismo delle virtù della Madre Cerioli.
Il sigillo divino apposto all’autenticità di tanto eroismo è
costituito dai due miracoli oprati da Dio ad intercessione della Madre
Cerioli; questi miracoli, approvati dalla Chiesa, avvennero il primo in
persona della giovane Assunta Barbieri, istantaneamente e
perfettamente guarita da tubercolosi polmonare e voluttiva bilaterale.
Il secondo in persona di Elisa Lupini maritata Leidi, guarita da
artrosinovite tubercolare, al ginocchio sinistro.
Entrambe le miracolate, riconoscentissime alla loro celeste
benefattrice, godono tuttora perfetta salute, ed hanno partecipato
Biografie
369
opera omnia
lietissime alla glorificazione di Lei.
In questo anno giubilare 1950, nella solennità di S. Giuseppe,
l’Angelo il Padre il Custode di questa Grande Anima e di tutte le
anime che Iddio le diede in eredità di amore, Paola Elisabetta Cerioli
é ascesa alla gloria dei Beati per risplendere sugli altari coll’eloquenza
delle sue virtù e delle sue opere; la prima e l’ultima testimonianza di
amore resa a Dio da questa nobile ed alta creatura.
È così che il dramma umano di tanta mirabile vita oggi si
trasforma in un poema di gloria e d’imperiture dovizie, da farci
concludere che veramente la bontà e la sapienza di Dio sorpassano
infinitamente il nostro antivedere, il nostro soffrire, il nostro
obbedire.
Così Iddio premia - oltre ciò che a noi non è dato sapere della
gloria celeste - chi lo ama, chi lo obbedisce, chi lo serve come la Beata
Paola Elisabetta Cerioli.
Biografie
370
opera omnia
Inno degli Istituti della Sacra Famiglia alla loro
Beata Madre Paola Elisabetta Cerioli
Alla gloria dei beati
Sali, o Madre benedetta
Mentre ognun tuoi doni aspetta
genuflesso al santo altar.
Salve, o Madre Benedetta,
la tua duplice famiglia
come pio amor consiglia
scioglie il cantico filial.
Canto unanime e giocondo
di Fratelli e Sorelle
canto d’orfani e orfanelle
nella gloria del lavor.
La beata Madre nostra
ha il decoro e la corona
della biblica matrona
nel blason di santità.
La sua lampa a notte brilla
il suo braccio ingagliardito
regge l’anfora al convito
ove gli umili adunò.
Lana e lino all’orditoio
apportò l’industre mano
e raccolse l’uve e il grano
dai vigneti e i campi in fior.
Come l’ombra evanescenti
son la grazia e la bellezza
ma la donna di saggezza
teme Iddio e lode avrà.
Biografie
371
opera omnia
La Famiglia Nazarena
sia l’aiuola dei tuoi figli
si che crescan rose e gigli
olezzanti di virtù.
Pioggia e sol propizia impetra
alla nostra agricultura
sì che fertile natura
messi esprima e frutti ognor.
Il tuo spirito immortale
per noi preghi Iddio sovrano:
dacci il pane quotidiano
e ci libera dal mal.
Nel trionfo e l’esultanza
per la nostra Grande madre
ci conforti la speranza
di vederla un dì lassù!...
P. GIOVANNI GERMENA, BARNABITA
Biografie 372 opera omnia
INDICE
Beata Paola Elisabetta Cerioli vedova
Busecchi Tassis, fondatrice ____________________ 1
degli Istituti della Sacra Famiglia___________ 1
di Bergamo ___________________________________________ 1
Presentazione ____________________________________________ 3
Protesta dell’autore________________________________________ 6
Introduzione _____________________________________________ 7
Capitolo I_____________________________________________ 13
Primi attori e fattori della presente storia __________________ 13
Capitolo II ____________________________________________ 21
Dall'alba il giorno ______________________________________ 21
Capitolo III ___________________________________________ 27
Il primo tirocinio alla vita _______________________________ 27
Capitolo IV ___________________________________________ 33
Gli ausili celesti ________________________________________ 33
Capitolo V ____________________________________________ 41
Il piccolo Angelo della carità _____________________________ 41
Capitolo VI ___________________________________________ 47
Nella serra di S. Francesco di Sales________________________ 47
Capitolo VII___________________________________________ 57
Preparazione della vittima al sacrificio ____________________ 57
Capitolo VIII __________________________________________ 65
“Meglio l'obbedienza che le vittime” _____________________ 65
Biografie
373
opera omnia
Capitolo IX ___________________________________________ 73
Pianto e sorrisi del focolare ______________________________ 73
Capitolo X ____________________________________________ 81
E le poche rose!... _______________________________________ 81
Capitolo XI ___________________________________________ 89
Sposa e Madre generosa_________________________________ 89
Capitolo XII___________________________________________ 97
Hai spezzati i miei lacci, o Signore! _______________________ 97
Capitolo XIII _________________________________________ 107
“La vera vedova orante e supplicante” ___________________ 107
Capitolo XIV _________________________________________ 115
“Intenta ad ogni opera buona” __________________________ 115
Capitolo XV__________________________________________ 123
Tre eredità: patrimonio dei poveri orfanelli _______________ 123
Capitolo XVI _________________________________________ 131
Come si costituisce la seconda famiglia di Costanza ________ 131
Capitolo XVII ________________________________________ 143
Suor Paola Elisabetta __________________________________ 143
Capitolo XVIII________________________________________ 151
“Agricoltura Dei” _____________________________________ 151
Capitolo XIX _________________________________________ 159
Le Suore della Sacra Famiglia ___________________________ 159
Capitolo XX__________________________________________ 167
La sua legislazione ____________________________________ 167
Capitolo XXI _________________________________________ 177
Il campo fiorisce benedetto da Dio _______________________ 177
Capitolo XXII ________________________________________ 187
Le “Figlie di S. Giuseppe” ______________________________ 187
Capitolo XXIII________________________________________ 197
I Fratelli della Sacra Famiglia ___________________________ 197
Capitolo XXIV________________________________________ 207
Pedagogia agraria _____________________________________ 207
Capitolo XXV ________________________________________ 217
Orando ed arando nel campo di Dio _____________________ 217
Capitolo XXVI________________________________________ 229
Preparazione al commiato ______________________________ 229
Capitolo XXVII _______________________________________ 239
“Media autem nocte... Sponsus venit!...”__________________ 239
Capitolo XXVIII ______________________________________ 249
Le sue sante dottrine___________________________________ 249
Capitolo XXIX________________________________________ 259
Biografie 374 opera omnia
Espropriazioni umane e decorazioni celesti _______________ 259
Capitolo XXX ________________________________________ 269
I suoi scritti___________________________________________ 269
Capitolo XXXI________________________________________ 279
“E sarai benedetta in eterno”____________________________ 279
Capitolo XXXII _________________________________________ 287
Conclusione storica ____________________________________ 287
Appendice _____________________________________________ 297
Decreto del Vescovo di Bergamo che approva l'Istituto delle
suore della S. Famiglia nella diocesi di Bergamo _________ 297
Lettera di S. S. papa Pio IX ____________________________ 301
Decreto di S. S. papa Leone XIII _______________________ 302
Fonti bibliografiche______________________________________ 304
La beata Paola Elisabetta Cerioli
Fondatrice degli Istituti Sacra Famiglia di
Bergamo_____________________________________________ 305
Capitolo I____________________________________________
Segnata da Dio________________________________________
L’albero buono ______________________________________
Segnata da Dio ______________________________________
I materiali da costruzione _____________________________
Piena corrispondenza agli arcani disegni divini __________
La prima confessione e la prima comunione _____________
Capitolo II ___________________________________________
Giovinezza angelica ___________________________________
Nel giardino di S. Francesco di Sales ___________________
Edificante tirocinio alla vita futura _____________________
Preparazione della vittima al sacrificio _________________
Una proposta assurda ________________________________
“Fiat voluntas dei”___________________________________
Capitolo III __________________________________________
Nozze eroiche ________________________________________
Sereni e virtuosi preparativi___________________________
Pianto e sorriso del focolare ___________________________
Capitolo IV __________________________________________
Maternità dolorosa ____________________________________
Tre fiori sulla corona di spine _________________________
Educazione di amore e di dolore_______________________
Doloroso ed eroico distacco ___________________________
Eroica infermiera dello sposo e del figlio________________
Biografie 375 opera omnia
307
307
307
307
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310
313
313
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314
316
317
318
319
319
319
321
325
325
325
326
326
327
Ancora una volta, e sempre “fiat voluntas dei” __________
Capitolo V ___________________________________________
Vocazione feconda ____________________________________
Sola! _______________________________________________
Orante e supplicante: intenta alle opere di bene__________
L’illustrazione dall’alto _______________________________
La prima collaboratrice _______________________________
Capitolo VI __________________________________________
Direttive ispirate ______________________________________
Nascono le Suore della Sacra Famiglia__________________
La “Magna Carta” della sua istituzione _________________
Prima consacrazione e novità di nome e di vita __________
I primi toni pedagogici _______________________________
Capitolo VII__________________________________________
Magistero prezioso ____________________________________
Agricultura Dei ! ____________________________________
Le fonti della sua scienza spirituale ____________________
I canoni della perfezione______________________________
Il direttorio per il presente e per l’avvenire ______________
Capitolo VIII _________________________________________
Carità intelligente _____________________________________
Quasi odor agri pleni ________________________________
I fratelli della S. Famiglia _____________________________
Come è organizzato l’istituto dei fratelli della S. Famiglia _
La sua intelligente pedagogia _________________________
Pedagogia agraria ___________________________________
Capitolo IX __________________________________________
Eroismo d’ogni virtù___________________________________
Scende già la notte ___________________________________
La grande signora dalle grandi espropriazioni ___________
La gemma centrale: l’obbedienza ______________________
Eroica espropriazione del cuore _______________________
Distacco da se stessa _________________________________
E dalle sue cose _____________________________________
E i doni di Dio ______________________________________
Capitolo IX __________________________________________
Il ritorno al celeste padrone _____________________________
Il suo fragile corpo___________________________________
Preparazione al commiato ____________________________
L’epilogo ___________________________________________
Media autem nocte… ecce Sponsus!____________________
Biografie 376 opera omnia
328
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329
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360
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361
361
362
364
Conclusione ____________________________________________
I suoi funerali _______________________________________
La sua gloria postuma________________________________
Inno degli Istituti della Sacra Famiglia alla loro Beata Madre
Paola Elisabetta Cerioli_________________________________
Indice _________________________________________________
Biografie
377
opera omnia
365
365
369
371
373
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