PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO
UFFICIO DELLA CONSIGLIERA DI PARITA'
Relazione Annuale 2007
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SOMMARIO
A) INTRODUZIONE ..................................................................................................... 5
1. La Consigliera di Parità nella legislazione nazionale................................................... 5
2. Le funzioni e la condizione della Consigliera di Parità nella Provincia Autonoma di
Trento. .............................................................................................................................. 6
B) ATTIVITÀ ANTIDISCRIMINATORIA:............................................................... 9
1. Metodologia di intervento della Consigliera ............................................................... 9
1.2. Interventi di tutela a livello individuale (Casi)........................................................ 11
1.3 La schedatura del caso (la scheda “standard”) ........................................................ 12
1.4 La valutazione dei dati statistici ............................................................................. 13
2. Analisi dei dati relativi ai casi di discriminazione trattati ......................................... 14
a) L’utenza in base al genere ......................................................................................... 14
b) tipologia di discriminazione....................................................................................... 15
c) Tipologia del soggetto discriminato e rivoltosi all’Ufficio ........................................ 20
C) AZIONI POSITIVE ................................................................................................ 22
1. PROGETTO “ASILI NIDO” ..................................................................................... 22
2. PROGETTO “MOBBING”........................................................................................ 26
3. PROGETTO “DONNE E PROFESSIONI ARTISTICHE”....................................... 30
4. PROGETTO “GUIDA AL RAPPORTO BIENNALE ex art. 9 L. 125/91” .............. 32
5. PROGETTO LAVORO DOMESTICO ..................................................................... 46
6. PROGETTO “STRUMENTI DI CONCILIAZIONE ex art.9, LEGGE 53/2000” .... 49
7. PROGETTO “INCONTRI SUL TERRITORIO PROVINCIALE”........................... 51
8. PROGETTO “RETE PROVINCIALE DEI COMITATI PARI OPPORTUNITA’”. 66
9. PROGETTO “VIDEO PROGRESSO ANTIDISCRIMINATORIO”........................ 74
10. PROGETTO “LA TUTELA DELLA MATERNITÀ .............................................. 75
11. PROGETTO “GUIDA A SOSTEGNO DELLA PATERNITÀ”............................. 77
12. PROGETTO Brochure: “LA PARITA’ TRA UOMO E DONNA” ....................... 78
D) ATTIVITÀ DI FORMAZIONE ED INFORMAZIONE TRAMITE
INTERVENTI SPECIALISTICI ................................................................................ 79
E) AUTOFORMAZIONE............................................................................................ 81
F) DIALOGO INTERISTITUZIONALE................................................................... 83
Allegati ........................................................................................................................... 87
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A) INTRODUZIONE
1. La Consigliera di Parità nella legislazione nazionale
Il Consigliere/la Consigliera di Parità (d’ora in poi “Consigliera di Parità”) è una figura
istituzionale prevista dalla legge, con funzione di promozione e di controllo
dell’attuazione dei principi di pari opportunità e di non discriminazione tra uomini e
donne nel mondo del lavoro.
L’organismo è articolato a vari livelli territoriali: a livello nazionale, è nominata dal
Ministero del lavoro e delle Politiche sociali di concerto con il Ministro per le Pari
Opportunità, ed domiciliata presso una Direzione Generale del Ministero del Lavoro; ci
sono, poi, le Consigliere di parità regionali e provinciali, che hanno competenze limitate
al territorio di appartenenza. In ragione dell’autonomia che contraddistingue la
Provincia di Trento, la Consigliera di parità è considerata, a tutti gli effetti, come una
Consigliera di parità regionale (cfr. art. 10, comma 5, l. p. n. 41 del 1993).
Quanto alle competenze di tale figura istituzionale – che dalla sua istituzione,
risalente al 1984, ha subito una significativa evoluzione – le disposizioni della legge
n.125/1991 e nel decreto legislativo n. 196 del 23 maggio 2000 (oggi raccolte nel c.d.
“Codice delle pari Opportunità” del 2006, D.lvo. 11 aprile 2006 n. 198) le Consigliere
di parità intraprendono ogni utile iniziativa ai fini del rispetto del principio di non
discriminazione e della promozione di pari opportunità per lavoratori e lavoratrici,
svolgendo in particolare i seguenti compiti:
¾ rilevazione delle situazioni di squilibrio di genere, al fine di svolgere le
funzioni promozionali e di garanzia contro le discriminazioni dirette e
indirette (cfr. art. 15, comma 1, lettera a), del Codice delle pari opportunità);
¾ promozione di progetti di azioni positive, anche attraverso l'individuazione
delle risorse comunitarie, nazionali e locali finalizzate allo scopo (cfr. art. 15,
comma 1, lettera b), del Codice delle pari opportunità);
¾ promozione della coerenza della programmazione delle politiche di sviluppo
territoriale rispetto agli indirizzi comunitari, nazionali e regionali in materia di
pari opportunità (cfr. art. 15, comma 1, lettera c), del Codice delle pari
opportunità);
¾ sostegno delle politiche attive del lavoro, comprese quelle formative, sotto il
profilo della promozione e della realizzazione di pari opportunità (cfr. art. 15,
comma 1, lettera d), del Codice delle pari opportunità);
¾ promozione dell'attuazione delle politiche di pari opportunità da parte dei
soggetti pubblici e privati che operano nel mercato del lavoro (cfr. art. 15,
comma 1, lettera e), del Codice delle pari opportunità);
¾ collaborazione con le direzioni regionali e provinciali del lavoro al fine di
individuare procedure efficaci di rilevazione delle violazioni alla normativa in
materia di parità, pari opportunità e garanzia contro le discriminazioni, anche
mediante la progettazione di appositi pacchetti formativi (cfr. art. 15, comma
1, lettera f), del Codice delle pari opportunità);
¾ diffusione della conoscenza e dello scambio di buone prassi e attività di
informazione e formazione culturale sui problemi delle pari opportunità e sulle
varie forme di discriminazioni (cfr. art. 15, comma 1, lettera g), del Codice
5
¾
¾
¾
¾
delle pari opportunità);
verifica dei risultati della realizzazione dei progetti di azioni positive previsti
dagli articoli da 42 a 46 del Codice delle pari opportunità (cfr. art. 15, comma
1, lettera h), del Codice delle pari opportunità);
collegamento e collaborazione con gli assessorati al lavoro degli enti locali, e
con organismi di parità degli enti locali (cfr. art. 15, comma 1, lettera i), del
Codice delle pari opportunità);
promozione di progetti di azioni positive e valutare i dati emersi dai rapporti
biennali sulla situazione del personale redatti dalle aziende con oltre 100
dipendenti (cfr. art. 46 del Codice delle pari Opportunità);
promozione dell’azione civile per l’accertamento di atti e comportamenti
discriminatori ai sensi degli articoli 4 e 8 della legge 125/1991 , e intervenire
nei giudizi promossi dai lavoratori e dalle lavoratrici per lo stesso fine (cfr. art.
36, comma 2, e 37 del Codice delle pari opportunità).
2. Le funzioni e la condizione della Consigliera di Parità nella Provincia Autonoma
di Trento.
Com’è noto, in conformità allo Statuto Speciale di Autonomia, la Provincia Autonoma
di Trento ha adottato una propria legge in materia, la legge provinciale 10 dicembre
1993 n. 41, “Interventi per la realizzazione delle pari opportunità fra uomo e donna”,
che trae il proprio fondamento nei principi dell’ordinamento nazionale e li attua nel
contesto provinciale.
Ne discende innanzitutto una procedura di nomina diversa da quella prevista dalla legge
nazionale, poiché nella nostra Provincia fa capo alla Giunta Provinciale 1 . Inoltre, la
legge provinciale 23 luglio 2004 n. 7 ha introdotto nella Provincia Autonoma di Trento
la procedura selettiva pubblica come metodo di individuazione della Consigliera di
Parità e della Vice, richiedendo il possesso di requisiti di professionalità analoghi a
quelli previsti dalla legge nazionale, ovvero “una specifica competenza ed esperienza
pluriennale in materia di lavoro femminile, di normativa sulla parità e pari opportunità
nonché di mercato del lavoro, comprovati da idonea documentazione” (art. 10 l.p.
41/1993 modificata dall’art. 1 l.p. 7/2004, e art. 13 del Codice delle Pari Opportunità).
La stessa legge provinciale del 2004 ha rafforzato l’organismo della Consigliera di
Parità distinguendone in maniera più netta l’ambito di operatività rispetto ad altri enti
che esercitano competenze in materia di pari opportunità, quali la Commissione
Provinciale per le Pari Opportunità e la Provincia. La posizione della Consigliera di
Parità in Trentino risulta potenziata anche per effetto delle disposizioni economiche a
garanzia della sua indipendenza, in sintonia con i principi della legge nazionale, ossia il
decreto legislativo 23.5.2000 n. 196.
1
Cfr. art. 10 l.p. n. 41 del 1993. Diversamente, nelle altre regioni e province la Consigliera di Parità e la
Vice sono “nominate, con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il
Ministro per le pari opportunità, su designazione delle regioni e delle province, sentite le commissioni
rispettivamente regionali e provinciali tripartite di cui agli articoli 4 e 6 del decreto legislativo 23
dicembre 1997, n. 469, ognuno per i reciproci livelli di competenza , sulla base di specifici requisiti di
professionalità” (cfr. art. 12 del Codice delle pari Opportunità).
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Sotto il profilo delle funzioni e compiti, la normativa provinciale ricalca – e non poteva
essere diversamente – la normativa statale, tanto che si sancisce, testualmente, che “il
consigliere di parità è pubblico ufficiale ed esercita i poteri e le funzioni previsti dalla
normativa statale vigente per i consiglieri regionali e provinciali di parità, in quanto
detto esercizio sia compatibile con le competenze attribuite dalla normativa provinciale
alla commissione provinciale per le pari opportunità, agli organi e alle strutture
provinciali” (art. 10, comma 5, l.p. n. 41 del 1993).
Si prevede, inoltre, che la consigliera di parità sia, a tutti gli effetti, componente della
Commissione Provinciale per le Pari Opportunità (CPPO), membro della Commissione
Provinciale per l'Impiego (CPI) e delle Commissioni Locali per l'Impiego (CLI) di cui
alla legge provinciale 16 giugno 1983, n. 19, come modificata da ultimo dalla legge provinciale 23
agosto 1993, n. 19 (art. 10, comma 3, l.p. n. 41 del 1993).
E ancora, è previsto che la Consigliera di parità elabori progetti di azioni positive in
collaborazione con la CPPO e funga da tramite tra la Commissione e l'Agenzia del
Lavoro su problematiche particolari concernenti l'attuazione del piano degli interventi
di politica del lavoro (art. 10, comma 4, l.p. n. 41 del 1993); che sviluppi rapporti di
collaborazione con i Consiglieri di parità esistenti a livello internazionale, nazionale,
locale e raccolga le segnalazioni dei Consiglieri di parità istituiti a livello locale (art. 10,
comma 6, l.p. n. 41 del 1993).
Sotto il profilo delle strutture organizzative, la normativa provinciale prevede che la
Consigliera a la Vice Consigliera di parità siano domiciliati presso il Servizio Lavoro e
si avvalgano della segreteria tecnica di cui all'articolo 9, comma 1 della l.p. n. 41/93 ( 2 ).
Venendo ora alla Consigliera (avv. Eleonora Stenico) e alla Vice- Consigliera (avv.
Gabriella Di Paolo) attualmente in carica, si rammenta che la loro nomina è avvenuta ad
opera della Giunta Provinciale (cfr. delibera n. 105 del 26 gennaio 2006), a seguito di
una procedura selettiva pubblica bandita nel 2005.
Dal punto di vista delle strutture logistico-organizzative, la Consigliera e la Vice
Consigliera dispongono di locali e di una segreteria organizzativa che permettono di
svolgere adeguatamente le funzioni di competenza.
L’ufficio e la segreteria tecnica in questione sono ubicati presso il Dipartimento
Istruzione della P.A.T., Ufficio delle politiche per le Pari Opportunità, via Jacopo
Aconcio, 5, primo piano, 38100 Trento, tel. 0461/493217, fax 0461/493157, e-mail:
[email protected].
La segreteria opera dal lunedì al venerdì, con orario dalle 8.30 alle 12.30; e nelle
giornate di lunedì e giovedì anche dalle 14.30 alle 16.30.
Al fine di agevolare i contatti con il pubblico, è stata creata, nell’ambito del Portale
sulle
Pari
Opportunità
della
Provincia
Autonoma
di
Trento
2
Cfr. art. 9 l.p. 10 dicembre 1993, n. n. 41. Strutture organizzative:
La Commissione ha sede presso la Giunta provinciale e si avvale di una segreteria tecnicia incardinata
presso il servizio relazioni pubbliche.
Per l’espletamento dei suoi compiti la Commissione si avvale di un funzionario provinciale con compiti
di segretario e di altro personale messo a disposizione della Giunta provinciale.
La Commissione può avvalersi anche della collaborazione delle strutture provinciali, di istituti e
dipartimenti universitari, nonché di esperti esterni secondo le modalità stabilite dalle leggi vigenti.
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(http://www.pariopportunita.provincia.tn.it), una pagina specificamente dedicata alla
Consigliera di Parità, all’interno della quale gli interessati possono rinvenire notizie
sulle funzioni istituzionali della Consigliera e sull’apertura dello sportello di ascolto ed
orientamento.
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B) ATTIVITÀ ANTIDISCRIMINATORIA:
RILEVAZIONE DEI CASI DI DISCRIMINAZIONE
ATTRAVERSO LO SPORTELLO DI ASCOLTO ED ORIENTAMENTO,
E INTERVENTI SPECIFICI.
Premessa
Uno dei compiti qualificanti la figura istituzionale della Consigliera di Parità è, come
noto, l’attività antidiscriminatoria, ossia la tutela delle lavoratrici e dei lavoratori contro
ogni discriminazione, diretta o indiretta, basata sul genere.
Infatti, le Consigliere di Parità, nell’ambito della loro attività definita dal dlgs 196/2000,
art. 3, si occupano della promozione e tutela del principio di non discriminazione e della
promozione delle pari opportunità per lavoratori e lavoratrici “in forma subordinata,
autonoma o in qualsiasi altra forma”, anche attraverso l’attività di accoglienza delle
vittime di discriminazione, di mediazione per la risoluzione del problema, di intervento
in giudizio nei casi che lo necessitino.
Di conseguenza, esse possono adottare tutti gli interventi ritenuti necessari – finanche,
appunto, l’attivazione di procedure di conciliazione ai sensi dell’art. 410 c.p.c. o
previste dai CCNL, e l’azione in giudizio dinnanzi al giudice del lavoro o al tribunale
amministrativo – per porre fine alle attività o ai comportamenti discriminatori (cfr. artt.
36, 37, 39 del Codice delle Pari Opportunità).
In questa logica, di estremo rilievo appaiono le attività attraverso le quali la Consigliera
acquisisce notizia della realizzazione di condotte discriminatorie a danno dei lavoratori
o delle lavoratrici, prima fra tutte la gestione di un servizio di sportello aperto al
pubblico (il c.d. sportello di ascolto e orientamento), deputato appunto alla raccolta ed
alla tutela, in forma gratuita, delle richieste di intervento e all’offerta di informazioni.
La conoscenza del fenomeno discriminatorio e delle necessità dell’utenza rappresenta,
invero, anche logicamente, il presupposto per lo svolgimento delle funzioni di garanzia
e promozionali che le competono.
La presente parte della relazione annuale è perciò volta all’analisi, dal punto di vista
qualitativo e quantitativo, dell’utilizzo dei servizi offerti dall’Ufficio della Consigliera
di Parità della Provincia di Trento.
La prima parte dell’analisi riassume la metodologia di intervento e il percorso “tipo”
che fa seguito al contatto con l’ufficio della Consigliera, al fine di classificare le
richieste più frequenti e tracciare di conseguenza le modalità di risposta del servizio.
La seconda parte riporta l’analisi dei dati socio-anagrafici e delle tipologie di
discriminazioni emerse nei casi trattati nel periodo gennaio-dicembre 2007, anche in
confronto con i dati pregressi di cui si è a disposizione (ovvero del 2006, come illustrati
nella Relazione dello scorso anno).
Il confronto dei dati pregressi con quelli disponibili per l’anno in corso attesta che non
vi è stata una significativa variazione del numero di casi trattati (76 casi nel 2006, 78
nel 2007); il che sembra confermare l’apprezzamento per il servizio e conforta
l’impegno posto dalle Consigliere nel presidio e nella pubblicizzazione dell’Ufficio.
1. Metodologia di intervento della Consigliera
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Atteso che una delle funzioni qualificanti l’ufficio delle Consigliera di Parità è l’attività
antidiscriminatoria, di estremo rilievo appaiono le modalità attraverso le quali la
Consigliera acquisisce notizia della realizzazione di condotte discriminatorie a danno
dei lavoratori o delle lavoratrici, prima fra tutte la gestione di un servizio di sportello,
aperto al pubblico (il c.d. sportello di ascolto e orientamento), deputato appunto alla
raccolta e tutela, in forma gratuita, delle richieste di intervento e all’offerta di
informazioni.
La conoscenza del fenomeno discriminatorio e delle necessità dell’utenza rappresenta,
invero, anche logicamente, il presupposto per lo svolgimento delle funzioni di garanzia
e promozionali che le competono.
Come noto, il servizio di sportello in questione è gratuitamente a disposizione della
cittadinanza di tutta la Provincia, ed in particolare delle persone che hanno bisogno di
informazioni, o che ritengono di subire – o aver subito - una discriminazione di genere
nell'ambito lavorativo. Questa parte del lavoro della Consigliera è, come poc’anzi detto,
di particolare rilevanza, poiché permette un contatto diretto con i problemi che la
Consigliera è chiamata ad affrontare, e l’immediata raccolta delle richieste di
intervento.
Tale attività costituisce un osservatorio fondamentale per l’elaborazione di risposte a
più livelli, in modo particolarmente efficace ed aderente alla realtà.
In concreto, l’operatività dello sportello di ascolto e di orientamento è stata garantita sin
da subito individuando tempi e modalità flessibili, secondo le specifiche esigenze di
un’utenza principalmente impegnata nel lavoro. Lo sportello è perciò aperto al pubblico
per due pomeriggi alla settimana, nelle giornate di giovedì pomeriggio (dalle 13.15 alle
17.15) a cura della Consigliera di Parità, avv. Eleonora Stenico, e di lunedì pomeriggio
(dalle 14.00 alle 18.00), a cura della Vice Consigliera, avv. Gabriella Di Paolo. Si
riceve preferibilmente su appuntamento, fissato contattando telefonicamente o via email la segreteria organizzativa presso l'Ufficio delle Politiche per le Pari Opportunità,
in Via Jacopo Aconcio, 5, 38100 Trento. La struttura logistica ed organizzativa messa a
disposizione della Consigliera durante il presente mandato permette di svolgere al
meglio le funzioni di competenza, nel rispetto delle esigenze di orari e riservatezza
dell’utenza.
Per venire incontro alle necessità di un’utenza appartenente a tutto il territorio
provinciale – la cui naturale conformazione montana e in vallate (unita a servizi di
trasporto pubblico non sempre eccellenti), può essere di ostacolo all’incontro di persona
durante lo sportello – si è previsto che i colloqui con l’utenza possano essere anche
telefonici. Va detto, peraltro, che in base ai dati raccolti emerge una nettissima
preferenza degli utenti per l’incontro (ed il colloquio) personale con la Consigliera e la
Vice presso la struttura appena descritta. Non va sottaciuto, inoltre, che sempre più
spesso giungono all’ufficio della Consigliera richieste di informazioni, di sostegno o
segnalazione di condotte discriminatorie anche tramite l'intervento delle Organizzazioni
sindacali, e pure a mezzo della posta elettronica direttamente all’indirizzo
[email protected]
Comunque sia, la scelta di offrire la massima flessibilità sull’orario degli appuntamenti,
personali o telefonici, nonché sulle modalità del contatto con l’ufficio, si è rivelata
molto efficace, poiché sta permettendo a molte donne lavoratrici, in malattia o in
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gravidanza, di usufruire con regolarità del sostegno della Consigliera di Parità e della
Vice, anche al di fuori dei normali orari di apertura al pubblico degli uffici. La posta
elettronica consente, invero, di inoltrare domande (ed ottenere risposte) al di fuori degli
orari di sportello indicati. Anche i contatti telefonici possono avvenire, in caso di
urgenza, al di fuori dell’orario di sportello.
Nel tentativo di dare, ora, un quadro di sintesi delle attività di sportello e
antidiscriminatorie sino ad oggi svolte, si ritiene opportuno premettere alcune
informazioni di tipo metodologico sulle modalità di intervento della Consigliera .
1.1. L’iter dell’Ufficio al primo contatto con l’utente
L’Ufficio della Consigliera risponde ai quesiti che vengono posti attraverso il sito
Internet, per e-mail o con contatto telefonico. Le domande poste da lavoratrici e
lavoratori incontrano un primo filtro che seleziona i quesiti a cui il personale può dare
risposta immediata e rimanda alla Consigliera i casi complessi che richiedono
approfondimento, fissando pertanto un appuntamento per un colloquio.
Molte domande fanno riferimento alla maternità e ai diritti di congedo parentale. Un
discreto numero di richieste perviene dai padri, non solo per informazione riguardo ai
diritti della moglie, ma in prima persona, per le modalità di utilizzo del congedo
parentale.
Come già accennato, le risposte immediate fornite via telefono non sono conteggiate
nelle statistiche dell’Ufficio.
1.2. Interventi di tutela a livello individuale (Casi)
L’intervento della Consigliera avviene dunque solo in seguito alla analisi della domanda
posta dall’utente e secondo criteri di urgenza.
Il colloquio, generalmente nel giro di pochi giorni, avviene in forma privata in un locale
destinato a tale scopo. Le domande della Consigliera mirano in primo luogo a
determinare se il caso è di pertinenza dell’Ufficio o se deve essere rinviato ad altri
servizi (Sindacato, Servizi sociali, Centri per l’impiego...).
Ove il caso lo richieda, e con esplicito consenso della lavoratrice e del lavoratore, la
Consigliera convoca il datore di lavoro al fine di confrontare i punti di vista e ricercare
le vie di conciliazione amichevoli. Se ciò non risulta fattibile e se ci sono gli estremi per
una azione legale, la Consigliera ha la facoltà di promuovere anche quest'ultima.
Più nel dettaglio, e come già anticipato, la prima fase è quella dell’ascolto, ed è
finalizzata a dare voce all’utente per comprendere le reali necessità della persona
rivoltasi all’ufficio. Questa fase è molto rilevante per due ordini di ragioni.
Anzitutto, perché poter offrire un luogo e del tempo per un incontro diretto rappresenta
spesso di per sé la soluzione a taluni problemi: non è un caso che alla fine del colloquio
alcune donne rinuncino a proseguire con azioni legali o di altro tipo, in quanto hanno
chiarito a sé stesse le motivazioni del disagio e le possibili soluzioni.
In secondo luogo, perché serve per vagliare il tipo di intervento necessario, all’interno
di una gamma estremamente varia: a volte è sufficiente fornire attività meramente
informativa; altre volte occorre invece una vera a propria consulenza legale, per
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comprendere, ad esempio, se si è in presenza di una condotta discriminatoria oppure no,
per risolvere questioni interpretative inerenti alla normativa nazionale o contenuta nei
CCNL in materia di maternità o di pari opportunità, o altre tematiche affini. Talvolta la
consulenza legale così fruita nell’ambito dello sportello conclude l’intervento della
Consigliera; nei casi più gravi, invece, se l’utente lo richiede, si procede con ulteriori
attività, volte a far cessare la condotta discriminatoria o a promuovere le pari
opportunità.
Rispetto a questa seconda fase, ossia la presa di contatto con il datore di lavoro,
pubblico o privato, asserito autore della condotta pregiudizievole per la lavoratrice o il
lavoratore (vertenza individuale), oppure con le OO.SS, anche eventualmente per
segnalare inadeguatezze o dubbi interpretativi della normativa contrattuale al fine di
sollecitarne l’emendamento in sede di rinnovo contrattuale (vertenza collettiva), si è
privilegiato il metodo, per così dire, soft. Si è preferito, infatti, tentare una
composizione informale delle controversie, in sede stragiudiziale, anche perché la via
giudiziale rischia di pregiudicare irrimediabilmente il rapporto fiduciario che è alla base
del rapporto di lavoro.
Tale modalità comporta che solitamente la Consigliera prende contatto con il datore di
lavoro, telefonicamente o tramite lettera, al fine di concordare un incontro informale,
con o senza la presenza della lavoratrice o del lavoratore, per discutere del caso portato
alla sua attenzione. Il successivo incontro, che può svolgersi tanto presso la sede della
Consigliera quanto presso quella dell’impresa o dell’ente, pubblico o privato, permette
alla Consigliera di vagliare il punto di vista datoriale, per verificarne i profili di effettiva
illegittimità e, soprattutto, di sondare la concreta disponibilità a giungere ad un accordo.
Anche questo colloquio è perciò di estrema importanza, in quanto può condurre ad una
soluzione del problema piuttosto celere.
Non è un caso, del resto, che nonostante per taluni casi le trattative siano ancora in
corso, ANCHE nel 2007 l’ufficio della Consigliera non abbia intentato alcuna
azione in giudizio: dei 78 casi trattati complessivamente, oltre la metà (una
cinquantina) sono stati risolti direttamente con una serie di incontri presso lo
sportello, mentre i restanti (qualificati come “in corso” al momento della
compilazione della scheda) si sono conclusi con la conciliazione informale grazie
all’intervento della Consigliera; solo qualcuno è tuttora pendente.
1.3 La schedatura del caso (la scheda “standard”)
Lo strumento di rilevazione dei dati si basa su una scheda “standard” che mette in
evidenza, nell’ordine:
- l’ente discriminante (tipologia di datore di lavoro, pubblico o privato; dimensione
aziendale);
- i dati socio anagrafici dell’utente (sesso, età, nazionalità, titolo di studio, situazione
familiare);
- il lavoro (tipologia contrattuale e posizione professionale;
- tipo di discriminazione/problematica (accesso al lavoro, cessazione lavoro, flessibilità,
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maternità, congedi; progressione carriera; retribuzione/premi produttività; altro);
− il tipo di intervento della Consigliera ed il relativo esito (in corso; esaurito).
La scheda è volutamente molto sintetica, per ridurre al minimo gli aspetti formali di
rilevazione statistica. E’ generalmente l’ultimo atto di un colloquio, della durata media
di circa un’ora, in cui la Consigliera mira a capitalizzare la storia della persona,
acquisire gli eventuali documenti a supporto, analizzare il problema, classificare la
tipologia di discriminazione.
Questa raccolta di informazioni permette di delineare, al di là delle situazioni personali,
un quadro statistico delle tipologie aziendali, degli atti discriminatori, del profilo
personale e professionale delle lavoratrici, delle strategie di intervento della
Consigliera.
1.4 La valutazione dei dati statistici
Sempre sotto il profilo del metodo va rilevato che l’attività antidiscriminatoria della
Consigliera è oggetto di valutazione ad un duplice livello.
A livello provinciale, da parte della Consigliera medesima, al fine di individuare i
principali profili di criticità e le linee di intervento sul territorio di sua competenza.
A livello nazionale, in quanto la Rete Nazionale delle Consigliere di parità regionali e
provinciali ha predisposto, tramite l’ISFOL, un sistema centralizzato di monitoraggio,
che raccoglie ed elabora, anno per anno, tutte le attività eseguite dalle Consigliere di
parità, ai vari livelli territoriali. Per queste ragioni l’ufficio della Consigliera ha
predisposto una “scheda privacy”, mirata alla raccolta del consenso dei singoli utenti
rispetto al trattamento dei dati raccolti.
Inoltre, su invito dell’ISFOL è stata predisposta un’ulteriore “scheda standard”, di cui si
è già detto.
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2. Analisi dei dati relativi ai casi di discriminazione trattati
a) L’utenza in base al genere
Passando ora ad una descrizione, in termini quantitativi e qualitativi, delle richieste di
intervento relative al periodo gennaio-dicembre 2007, dai dati raccolti con le modalità
appena descritte emerge che molte sono le persone rivoltesi alla Consigliera di Parità.
Le richieste accolte dall’Ufficio sono state 78, oltre ad un numero considerevole di
contatti telefonici e via e-mail.
Nello specifico, la Consigliera di Parità ha accolto 65 donne, 6 uomini, la gran parte
delle/dei quali sono lavoratrici/tori dipendenti, solitamente con figli/e, con un livello di
istruzione e di posizione lavorativa prevalentemente medio.
Nei residuali 7 casi, la persona che si è rivolta allo sportello non lo ha fatto a titolo
individuale, ma per lo più al fine di lamentare una discriminazione collettiva. In simili
ipotesi il contatto è avvenuto con i rappresentanti delle OO.SS., che hanno segnalato
potenziali discriminazioni, riconducibili di frequente a lacune o dubbi interpretativi
della normativa contrattuale, nazionale, provinciale o aziendale.
In taluni altri casi i rappresentanti delle OO.SS. hanno preso contatto con l’ufficio per
avere supporto nella redazione di progetti di flessibilità ai sensi dell’art. 9 della legge n.
53/2000.
Grafico dell’utenza del 2007 in base al genere:
donne 83,33%
uomini 7,7%
azione
collettiva
8,97%
Confrontando il numero di casi trattati nel 2007 con quelli del 2006 emerge, come già
detto, che non vi sono state sostanziali variazioni del numero di utenti (in termini
percentuali vi è stato un incremento del 2,56 %), che dà conferma del gradimento del
servizio.
14
Quanto al riparto degli utenti in base al genere, i dati rivelano che nel 2007 vi è stato un
leggero incremento dell’utenza maschile e degli utenti-rappresentanti delle OO.SS. che
segnalano discriminazioni di tipo collettivo, peraltro a nocumento di lavoratrici.
Per il tipo di richiesta dell’utenza maschile - in maggioranza volta ad avere
informazioni in tema di congedi parentali - e di quella proveniente dai rappresentanti
delle OO.SS in tre casi consistente in richieste di aiuto nella redazione di progetti di
flessibilità ex art. 9 legge 53/2000 e nei restanti casi diretta a segnalare lacune della
contrattazione collettiva sembra che vi sia maggiore conoscenza tra il pubblico di tali
istituti.
E questo conforta lo sforzo della Consigliera, che ha fortemente investito nella
diffusione di informazioni su tali temi e sulla propria figura istituzionale attraverso
interventi di pubblicizzazione promossi su territorio (cfr. progetto “Incontri sul territorio
provinciale” C), par. 6) nonché mediante la predisposizione di apposito materiale
illustrativo (cfr. progetti C) par. 4. e par. 10).
Numero casi
A) Donne
2006
% 2006 20007
71
93,42
% 2007
65
83,33 %
6
7,69
7
8,98
%
B) Uomini
5
6,58 %
C) Discriminazione
Aggregato
collettiva
sub B)
Totale casi
76
78
100
80
60
donne
uomini
40
azione collettiva
20
0
2006
2007
b) tipologia di discriminazione
Secondo il decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, Codice delle pari Opportunità
(recentemente emendato dal d.lvo 6 novembre 2007, n. 196) le discriminazioni vengono
15
definite come
- discriminazione diretta - art.25 … ”qualsiasi atto, patto o comportamento che
produca un effetto pregiudizievole discriminando le lavoratrici o i lavoratori in ragione
del loro sesso e, comunque, il trattamento meno favorevole rispetto a quello di un’altra
lavoratrice o di un altro lavoratore in
situazione analoga.”
- discriminazione indiretta - art. 25 ...”quando una disposizione, un criterio, una
prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri mettono e possono
mettere i lavoratori di un determinato sesso in una posizione di particolare svantaggio
rispetto a lavoratori dell’altro sesso, salvo che riguardino requisiti essenziali allo
svolgimento dell’attività lavorativa, purché l’obiettivo sia legittimo e i mezzi impiegati
per il suo conseguimento siano appropriati e necessari”
- molestie - art. 26 “Sono considerate discriminazioni anche le molestie, ovvero quei
comportamenti indesiderati, posti in essere per ragioni connesse al sesso, aventi lo
scopo o l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un
clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo.”
- molestie sessuali - art. 26 “Sono, altresì, considerate come discriminazioni le molestie
sessuali, ovvero quei comportamenti indesiderati a connotazione sessuale, espressi in
forma fisica, verbale o non verbale, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di
una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante,,
umiliante o offensivo.”
La tabella seguente riporta le tipologie, il numero dei casi e le relative
percentuali, con il proposito di evidenziare le variazioni registrate rispetto al 2006. Si
segnala che in alcuni casi le problematiche erano molteplici (ad esempio, il mobbing è
stato spesso realizzato tramite demansionamento), cosicché nella classificazione del
caso si è tenuto conto del profilo prevalente (nell’esempio citato, il caso è stato
qualificato come mobbing):
PROBLEMATICHE
2006
2007
Part-time
12
12
Flessibilità (Aspettativa per maternità, 14
13
congedi parentali, congedi per motivi
familiari etc.)
Trasferimenti
4
1
Demansionamento
2
1
Mobbing (da parte di colleghi o del 3
10
datore)
Cessazione
lavoro
(licenziamento
o 2
1
16
dimissioni in seguito a maternità)
Orario di lavoro settimanale
1
10
Accesso al lavoro
4
6
Formazione professionale
1
0
Retribuzioni-prestazioni previdenziali
1
0
Condizioni di lavoro
1
0
Progressione di Carriera
2
2
Molestie sessuali sul luogo di lavoro
3
3
Altro
26
19
TOTALE
76
78
CONTATTI COMPLESSIVI
Un primo dato saliente che emerge da tale tabella, è la crescita dei casi di mobbing (da
3 a 10). Non a caso, l'08 novembre 2007 la Consigliera ha organizzato un Incontro
Pubblico sul tema dal titolo: “Mobbing: cos'è e come difendersi per vivere con dignità”
(cfr. progetto Mobbing, C) par. 2).
Al riguardo, è importante sottolineare che i casi di mobbing non corrispondono
necessariamente a discriminazioni di genere, per cui possono risultare non pertinenti
con le mansioni della Consigliera. Se non risulta una discriminazione di genere l’utenza
viene indirizzata ad altri servizi, generalmente al Sindacato.
Più nel dettaglio, tra i 10 casi di mobbing registrati, 3 sono stati realizzati tramite
demansionamento. Delle 10 segnalazioni, ben 9 hanno riguardato lavoratrici; tra queste
ultime, ben 3 hanno riguardato lavoratrici rientrate in servizio dopo un’assenza per
maternità.
Un altro dato saliente riguarda il notevole incremento delle problematiche legate
all’orario di lavoro settimanale (da 1 a 10). All’interno di questa categoria i problemi
maggiormente avvertiti sono stati di due tipi.
Nel caso di lavoro organizzato su turni, si è spesso lamentato che l’orario di certi turni,
anche se diurni, mal si adatta con la conciliazione lavoro-famiglia, soprattutto per le
lavoratrici separate unico genitore affidatario (si pensi al turno 6-14).
In altre situazioni, la lamentela ha riguardato l’articolazione giornaliera dell’orario di
lavoro, e precisamente il passaggio dall’orario continuato all’orario spezzato, anch’esso
mal confacente alle esigenze di cura dei figli in tenera età. In tutti questi casi l’esigenza
dell’utenza è stata, inequivocabilmente, quella di una maggiore flessibilità dell’orario di
lavoro giornaliero oppure degli orari dei servizi di cura all’infanzia.
17
Infine, si registra un calo (da 26 a 19) dei casi qualificabili come “altro”, tra i quali
rientrano in gran parte problematiche esorbitanti le competenze istituzionali della
Consigliera (ben 11 contatti). Anche questo fattore conforta gli sforzi profusi dalla
Consigliera nella diffusione di informazioni sulla propria figura istituzionale, attraverso
interventi di pubblicizzazione promossi sul territorio (cfr. progetto Incontri sul territorio
provinciale, C), par. 6) nonché mediante la predisposizione di apposito materiale
illustrativo (cfr. progetto C) par. 10).
A parte queste variazioni, i restanti dati del 2007 si pongono decisamente in linea di
continuità rispetto a quelli precedenti per quanto concerne le problematiche
maggiormente trattate. Dalla tabella emerge infatti chiaramente che percentuali
considerevoli riguardano richieste in tema di conciliazione dei tempi/orari di lavoro con
le esigenze di vita privata e/o familiare (12 casi), l’esercizio dei diritti connessi alla
maternità (14 casi) e il part-time (12 casi), tanto da raggiungere, complessivamente,
considerati, circa il 50% dei casi (ben 38 casi). Anche questo dato complessivo rivela
un certo incremento rispetto al 2006, in cui si erano registrati complessivamente 27 casi.
Del resto, la legge n. 53 introduce il concetto di maternità e paternità nella logica della
condivisione delle responsabilità familiari, si preoccupa di creare le condizioni per una
flessibilità del lavoro che tiene conto dei tempi di vita delle persone e non solo delle
imprese, offre la possibilità di prendersi un tempo, all’interno della carriera
professionale, dedicato allo sviluppo formativo, alla cura dei figli, alla cura di anziani e
persone malate. La legge intende raggiungere questi obiettivi attraverso i congedi
parentali e formativi; invita le amministrazioni, aziende pubbliche e private a pensare e
realizzare “azioni positive” a sostegno della flessibilità d’orario.
La citata tendenza sembra corrispondere ad una maggiore consapevolezza nelle persone
e nelle imprese riguardo all’esistenza di tali diritti, alla possibilità di usufruirne, al
dovere di rispettarli. E questo conforta lo sforzo delle Consigliere che hanno fortemente
investito nella diffusione di questi temi attraverso le loro pubblicazioni e gli interventi
di sensibilizzazione promossi.
Volendo sottolineare taluni profili meritevoli di interesse particolare, vi è da segnalare
quanto segue:
- Relativamente alle difficoltà di conciliazione dei tempi di lavoro con le esigenze di
vita privata/familiare:
i casi giunti all’attenzione dell’ufficio purtroppo confermano che la necessità di
conciliazione dei tempi ricade ancora oggi in prevalenza sulla donna, fortemente
penalizzata da un insieme di fattori: la maternità, non concepita come valore sociale,
continua ad essere considerata “un fatto privato” cui le famiglie, e in particolare le
donne, devono far fronte “in proprio” nella ricerca di soluzioni. Alla carenza di servizi
per l’assistenza a bambini e anziani (genitori, famigliari di lei o di lui) si aggiunge la
difficoltà nell’ambiente di lavoro. La richiesta di formule di conciliazione come il parttime o l’orario flessibile innestano spesso meccanismi di ostilità che ricadono sulle
scelte obbligate della lavoratrice o comunque creano un clima conflittuale nell’ambito
del lavoro.
18
La lavoratrice è quindi solo un tassello del mosaico a cui concorrono altri soggetti per la
gestione della conciliazione quali: il mercato del lavoro, l’organizzazione aziendale, la
divisione dei ruoli all’interno della famiglia, sindacati, politiche sociali, organizzazione
dei servizi di cura, ecc.
Come anticipato, il mondo del lavoro penalizza la figura femminile, soprattutto in
seguito alla maternità.
Mentre la nascita di un figlio favorisce le possibilità di mantenere l'impiego per gli
uomini, in quanto l'aumento del carico familiare li rende più affidabili agli occhi del
datore di lavoro, per le donne questi eventi biografici operano in senso diametralmente
opposto: le responsabilità di cura su di loro gravanti le rendono, dal punto di vista
datoriale, meno affidabili, meno appetibili e potenzialmente meno “produttive”.
Ciò spiega non solo la limitata disponibilità del datore a concedere loro il part-time,
anche laddove non sarebbe d'ostacolo alle esigenze organizzative; ma spiega,
soprattutto, molte condotte pregiudizievoli che le aziende pongono in essere nei loro
confronti per indurle alle dimissioni dopo il loro rientro al lavoro in seguito alla
maternità: si pensi, ad esempio, ai trasferimenti delle lavoratrici in sedi lontane; oppure
all’imposizione di orari di lavoro incompatibili con le esigenze di conciliazione (e non
necessari); al frequente loro “demansionamento”, ossia all’assegnazione a mansioni
diverse, richiedenti una professionalità inferiore rispetto a quella per cui la lavoratrice
era stata assunta e che svolgeva prima dell’assenza per maternità.
- Con specifico riguardo al contratto di lavoro a tempo parziale:
in base ai casi trattati risulta che le lavoratrici – notoriamente rappresentanti la categoria
che maggiormente ricorre al part-time, soprattutto in seguito alla maternità, per
conciliare il lavoro con le esigenze di cura dei figli – incontrano spesso difficoltà ad
ottenerlo, soprattutto nei rapporti di lavoro di natura privatistica – ove non è
configurabile un “diritto” ad ottenerlo, ed ove lo stesso contratto collettivo solitamente
non prevede una percentuale minima obbligatoria di lavoratori part-time in organico -,
tanto da essere costrette, in caso di diniego, alle dimissioni.
In ambito pubblico la situazione è parsa migliore, perché il rapporto di lavoro a tempo
parziale rappresenta un vero e proprio diritto per il lavoratore/la lavoratrice, di fatto
costringendo l’ente pubblico che non abbia superato il limite-percentuale minimo di
posti in organico trasformabili in part-time (- limite fissato dalla contrattazione
collettiva del settore -) a concederlo.
Tuttavia, continua ad essere presente un punto di criticità, già sottolineato nel 2006:
spesso i criteri previsti dal contratto collettivo per formare le graduatorie degli/delle
aventi diritto a tale tipologia contrattuale non sono del tutto trasparenti, esaustivi o
ragionevoli. Per simili ipotesi la Consigliera ha attivato un fattivo percorso
collaborativo con le OO.SS. per rilevare le incongruenze o i punti meritevoli di
emendamento e/o miglioramento, al fine di intervenire, in accordo con le
medesime, in sede di rinnovo contrattuale.
Un altro aspetto significativo che emerge dall'analisi dei casi trattati, è che le lavoratrici
che hanno richiesto il part-time per potere accudire i figli, spesso intendono ritornare a
19
lavorare con orario full-time qualche anno dopo, per comprensibili esigenze
economiche, quando i figli sono diventati più grandi. Anche rispetto a tale profilo, sono
stati tuttavia riscontrati notevoli punti di problematicità, perché la trasformazione in
questione viene spesso negata dal datore di lavoro per il fatto che ritiene di non avervi
più interesse, inducendo la lavoratrice persino alle dimissioni.
Una breve considerazione, per concludere, rispetto alla categoria indicata come
“Altro”.
Dai dati raccolti risulta che talvolta vi sono dei contatti con l’ufficio che vertono su
questioni che esulano dall'ambito di competenza della Consigliera di Parità.
Rispetto a tali situazioni, dopo l’ascolto e l’esame del caso, si è provveduto a fornire le
informazioni necessarie per meglio orientare la richiesta di aiuto, rinviando poi alle
istituzioni effettivamente competenti (associazioni che si occupano degli stranieri o
delle famiglie in difficoltà, organizzazioni sindacali, difensore civico, etc.).
Proprio questi contatti, così come gli incontri su territorio (v. infra), hanno evidenziato
una conoscenza tuttora non soddisfacente della figura istituzionale della Consigliera di
Parità, e che anche laddove è nota la sua presenza, essa viene spesso confusa con altre
istituzioni (ad esempio con la Commissione Provinciale per le Pari Opportunità),
oppure c’è un’errata percezione delle sue funzioni e competenze, tendendo gli utenti a
pensare che si occupi di qualunque problematica riguardante le donne, anche di
tematiche del tutto estranee all’ambito lavorativo. Ciò è dimostrato dal fatto che le
persone rivoltesi allo sportello hanno chiesto informazioni o sostegno sui più svariati
temi, come ad esempio: permessi studio per lavoratori; condizioni di lavoro
incompatibili con invalidità fisica; separazione personale dal coniuge; permessi di
soggiorno; e via dicendo.
Il calo dei casi qualificabili come “altro” rispetto al 2006 (si è passati da 26 a 19 casi) e, perciò, dei casi esorbitanti le competenze istituzionali della Consigliera - conforta gli
sforzi già profusi nella diffusione di informazioni sulla figura istituzionale della
Consigliera di parità attraverso gli Incontri sul territorio e la predisposizione di apposito
materiale informativo, ma certamente non esenta dalla prosecuzione dell’attività
informativa nel corso del 2008.
c) Tipologia del soggetto discriminato e rivoltosi all’Ufficio
Dall’analisi dei casi presi in esame è possibile delineare una sorta di utente “tipo” che si
rivolge all’ufficio della Consigliera alla ricerca di un possibile aiuto.
Prevalentemente è:
• donna;
• di nazionalità italiana;
• di età compresa tra i 35 e 45 anni;
• in possesso di diploma di scuola superiore;
• coniugata, con un figlio (al massimo 2);
• con contratto di lavoro a tempo indeterminato e a tempo pieno;
• con ruolo impiegatizio.
20
Quanto alla tipologia del datore di lavoro, c’è una leggera prevalenza di aziende private,
ma si può dire che l’utenza si suddivide, quasi in parti uguali, tra dipendenti pubbliche e
private.
La richiesta prevalente riguarda informazioni relative ai diritti di maternità e la ricerca
di soluzioni per agevolare la conciliazione dei tempi di lavoro con quelli di cura della
famiglia.
Si è peraltro assistito, come detto, ad un incremento maschile delle richieste di
informazioni relative ai congedi parentali, nonché dell’utenza femminile straniera.
21
C) AZIONI POSITIVE
1. PROGETTO “ASILI NIDO”
PROMOZIONE di ASILI NIDO PUBBLICI e PRIVATI
sul territorio provinciale
Sin dal conferimento dell'incarico (26 gennaio 2006), la Consigliera di Parità ha volto
un'attenzione particolare - nell’ambito dei compiti istituzionali che la vedono preposta
sostanzialmente ad intervenire in modo specifico sulle tematiche dell'Uguaglianza e
delle Pari Opportunità tra uomo e donna nel lavoro - ai servizi per la prima infanzia,
quali strumenti prioritari di conciliazione del lavoro di cura con il lavoro professionale,
ma al contempo di sostegno alle aziende nella produttività e nella competitività
dell'attuale mercato “globalizzato” e nello sviluppo della loro responsabilità sociale.
In tale quadro, ha ritenuto opportuno indirizzare da subito il proprio impegno alla
promozione, all’incremento ed allo sviluppo di asili nido (anche) aziendali ed
interaziendali, sostenendo forme di partnership pubblico/privato.
Infatti, se i nidi d’infanzia pubblici rivestono tuttora un ruolo centrale nel sistema
poliedrico dei servizi socio-educativi rivolti alla fascia dai 0 ai 3 anni, cionondimeno si
può immaginare di intercettare importanti sensibilità e disponibilità da parte di soggetti
privati, pubblici e del non profit, a favore dell’apertura di asili nido aziendali ed
interaziendali, ed ampliare così il ventaglio delle risposte rivolte alle famiglie ed alle
imprese, per un maggior e più diffuso benessere sociale.
Una simile impostazione trova ora conferma nella Legge provinciale n. 17 del
19.10.2007, di recente approvazione, intitolata alle “Modificazioni della legge
provinciale 12 marzo 2002, n. 4 (Nuovo ordinamento dei servizi socio-educativi per la
prima infanzia)”.
***
I passaggi salienti del progetto sin qui realizzato si possono sintetizzare come segue:
- riflessione di partenza:
allo scopo di sostenere, incrementare e qualificare l'occupazione femminile secondo gli
obiettivi Comunitari (Strategia di Lisbona), e quindi nazionali, è apparso necessario
intervenire a favore dello sviluppo di diversi strumenti di conciliazione, fra cui per
l’appunto il servizio di asilo-nido, da concepirsi, quindi, come strumento di progresso
socio-economico;
- esame situazione esistente nella provincia di Trento:
quanto a nidi pubblici e privati ed alla sussistenza di eventuali forme di sinergia fra i
due ambiti;
- analisi dei primi risultati:
il settore pubblico propone standard di qualità molto elevati, con possibilità di sostegno
22
anche ad opera della Consigliera di Parità nelle forme della sensibilizzazione culturale,
informazione e formazione per la diffusione del servizio soprattutto nelle valli ove se ne
registra la carenza/non sufficienza e per l'abbattimento delle rette;
per il settore privato, si evidenzia un ritardo rispetto alle regioni più sviluppate del
nostro Paese, nelle quali, a seguito di interventi dedicati, si registrano esperienze
qualificate di nidi aziendali ed interaziendali.
Dunque, necessità di sostegno ad opera della Consigliera di Parità nelle forme della
sensibilizzazione culturale, informazione e formazione, anche allo scopo della
promozione ed approvazione dei disegni di legge già depositati nel corso del 2006 (D.
legge n. 148, dd. 30.01.2006, primo firmatario dott. Giorgio Casagranda; D. legge n.
208, dd. 12.12.2006, primo firmatario dott. Roberto Pinter).
- conseguente attività di sensibilizzazione culturale, informazione e formazione da
parte della
Consigliera di Parità:
per il settore pubblico:
mediante incontri sul territorio specialmente nelle valli sfornite del servizio, con
sostegno
alla progettualità (Comuni di Cavalese, Ziano, Castello/Molina di
Fiemme, Albiano,
Monclassico, ed altri);
per il settore privato:
con momenti di diffusione/informazione volti al sostegno dei citati disegni di
legge provinciale, anche con specifica audizione avanti il Consiglio Provinciale,
fino alla definitiva loro approvazione il 19.10.07 nella forma del testo legislativo
unificato n. 17;
con il successivo Convegno del 06 dicembre 2007, intitolato “Asili nido
aziendali ed interaziendali: nuova legge, sinergie pubblico/privato, idee in
movimento”, teso alla divulgazione del testo di legge e ad un suo primo
approfondimento ed individuazione di possibili forme di attuazione.
*****
E' opportuno, ora, richiamare specificamente il citato Incontro Pubblico del 06 dicembre
2007, per il fatto che ha costituito un importante momento di “raccolta” dei risultati sino
ad allora conseguiti e per fare il punto sullo stato di avanzamento del progetto.
L’iniziativa, che ha rappresentato il terzo appuntamento pubblico promosso dalla
Consigliera di Parità in tema di asili nido, si è proposta come momento di arricchimento
del dibattito locale, attraverso la presentazione di buone prassi condotte da aziende della
provincia di Milano.
Per questa ragione Assolombarda, l’Associazione delle imprese industriali e del
terziario dell’area milanese, è stata il principale partner non locale nella realizzazione
dell’evento pubblico.
La collaborazione fattiva tra la Consigliera di Parità e Assolombarda ha mosso i primi
passi in seguito al positivo incontro tenutosi nel mese di giugno 2007 a Milano, presso
la sede di Assolombarda, organizzato su proposta della stessa Consigliera di Parità, tra
una delegazione trentina, i referenti di Assolombarda e alcune aziende, pubbliche e
23
private, che hanno scelto di aprire un asilo nido interno.
La richiesta rivolta dalla delegazione trentina al tavolo di lavoro era quella di conoscere
l’esperienza condotta nell’area milanese, che a partire da una forte partnership pubblicoprivato ha permesso l’apertura dei primi asili nido nei luoghi di lavori.
In questa fase si è trattato quindi di riprendere i rapporti avviati con Assolombarda, al
fine di definire gli spazi della nuova collaborazione.
Le fattive riunioni hanno consentito di:
- condividere le finalità generali dell’evento pubblico,
- individuare una rosa di piccole e medie aziende milanesi che avevano aperto un
asilo nido e la cui esperienza potesse essere mutuata dalle imprese trentine,
- concordare una schema di rilevazione delle esperienze in corso,
- definire il piano e il calendario delle attività e delle visite agli asili aziendali,
- incontrare la responsabile dell’Area Lavoro e Previdenza di Assolombarda
(dott.ssa Marisa Ballabio) e responsabile del progetto pilota di apertura dei primi
asili nido aziendali, designata a rappresentare l'Associazione al tavolo dei relatori.
L’attività di selezione del campione di aziende milanesi ha privilegiato alcuni criteri
inerenti le modalità di avvio del nido e le tipologie di convenzioni in atto tra l’azienda e
il comune competente.
Nello specifico sono state individuate aziende che:
- hanno ricevuto contributi economici a fondo perduto da parte della Regione
Lombardia per le attività di ampliamento e ristrutturazione del locale destinato a nido,
- hanno in atto convenzioni con il Comune di competenza, per poter ospitare i bambini
delle famiglie che non rientrano nelle graduatorie comunali, pur possedendo i requisiti
di accesso al nido;
- hanno coinvolto le OOSS interne nella presentazione dell’iniziativa al personale,
- sono impegnate a rilevare la soddisfazione dei lavoratori/genitori e a monitorare i
risultati interni.
Le aziende che hanno partecipato all’indagine sono:
ATM Spa
Gruppo Carta Sì
Janssen Cilag Spa
Boehringer Ingelheim Italia S.p.A. –
Vodafone Italia
Ascom Spa
Hanno, inoltre, collaborato l’Associazione Scuole civiche di Milano che offre servizi di
consulenza all’apertura di asili aziendali ed interaziendali alle piccole imprese, e
Pubblitalia.
Le visite agli asili nido aziendali hanno permesso un confronto fattivo con i responsabili
aziendali del progetto nido sui risultati apportati in merito al clima lavorativo, ai
benefici alla vita professionale del genitore/utente del nido e ai risvolti in termini di
conciliazione tra impegni di lavoro e di famiglia.
Successivamente si è proceduto a momenti di confronto con i principali interlocutori
locali delle istituzioni, del mondo politico e del sistema delle imprese, volti a presentare
e a condividere l’impianto, teorico ed operativo, dell’evento programmato.
24
Tra i principali incontri promossi si ricorda il confronto con i responsabili delle
istituzioni competenti la materia trattata (dirigenti PAT, dirigenti comunali, sindaci);
con i responsabili di Confindustria di Trento e con la stessa presidente
dell’Associazione, dott.ssa Ilaria Vescovi; con le aziende incontrate nel corso delle
precedenti iniziative promosse dalla Consigliera di Parità, con le rappresentanze di
categoria, e con le parti politiche, in primis con i Consiglieri Provinciali promotori
della nuova legge provinciale in materia di asili nido (L.P. n° 17 del 19 ottobre 2007),
dott.ri Casagranda e Pinter.
Infine è stata promossa un’attività di coordinamento anche con le tre relatrici milanesi:
dott.sse Marisa Ballabio di Assolombarda, Rita Zecchel dell’Associazione Scuole
civiche di Milano e Marina Guffanti della Boehringer Ingelheim Italia S.p.A.
L'evento era volto a permettere di avviare un’attività di interfaccia con le aziende
interessate a valutare l’ipotesi di apertura di un asilo nido aziendale.
*****
L'attività svolta sino ad ora dovrebbe sollecitare le imprese private a “cimentarsi” in
questa nuova iniziativa, grazie anche ad una fattiva collaborazione con le Istituzioni
pubbliche competenti, attraverso un accompagnamento futuro, anche da parte della
stessa Consigliera di Parità, nella raccolta di informazioni di carattere normativo e
tecnico necessarie per compiere i primi passi verso l'elaborazione di un progetto corretto
di struttura/gestione di asilo-nido, la conoscenza di eventuali soggetti gestori di servizi
per la infanzia, ed il contatto con i Servizi provinciali e comunali competenti.
25
2. PROGETTO “MOBBING”
Il MOBBING DI GENERE:
LA NECESSITÀ DI UN “OSSERVATORIO ANTI-MOBBING”
NELLA PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO
L'art. 3, d. lgs. 196/2000 (ora art. 15 d. lg. 198/06), intitolato alla “Disciplina
dell'attività delle consigliere e dei consiglieri di parità e disposizioni in materia di
azioni positive”, definisce così i Compiti e le funzioni delle Consigliere/i di parità:
“Le Consigliere ed i Consiglieri di parità intraprendono ogni utile iniziativa ai fini del
rispetto del principio di non discriminazione e della promozione delle pari opportunità
per lavoratori e lavoratrici, svolgendo in particolare i seguenti compiti: (...)
lettera g): diffusione della conoscenza e dello scambio di buone prassi e attività di
informazione e formazione culturale sui problemi delle pari opportunità e sulle varie
forme di discriminazione”;
lettera e): promozione dell'attuazione delle politiche di pari opportunità da parte di
soggetti pubblici e privati che operano nel mercato del lavoro.
Allo scopo di dare attuazione a tale disposizione, la Consigliera di Parità ha promosso,
nel corso del 2007, una serie di incontri sul territorio provinciale dedicati alle c.d.
“questioni di genere”, volgendo un'attenzione particolare alla tematica del “mobbing di
genere”.
L'esigenza di affrontare quest'ultima questione è emersa anche dallo “Sportello di
ascolto e di orientamento” dell'Ufficio della Consigliera di Parità, ove numerose
lavoratrici hanno riferito di condotte lato sensu “mobbizzanti”, mostrando, però, al
tempo stesso, di non conoscerne esattamente il significato e dando luogo, talvolta, ad un
abuso del termine.
L'interesse diffuso colto negli incontri territoriali, e le frequenti richieste di
delucidazioni avanzate allo Sportello, hanno indotto la Consigliera ad organizzare uno
specifico Convegno intitolato “IL MOBBING: cos’è e come difendersi per vivere con
dignità”, tenutosi l' 08 novembre 2007 presso il Museo Tridentino di Scienze Naturali.
L'evento è stato effettuato in collaborazione con l'Assessorato alle Pari Opportunità ed
ha ottenuto il patrocinio dell'Ordine degli Avvocati del capoluogo; esso ha coinvolto
relatori d'eccellenza:
- il Prof. MARINO MARINELLI – Docente di diritto processuale civile dell'Università di
Trento,
- il Prof. SERGIO BONINI – Docente di diritto penale della stessa Università,
- la Prof.sa STEFANIA SCARPONI –Docente ivi in diritto del lavoro;
- il Dott. RICCARDO DIES – Magistrato del Tribunale di Rovereto,
26
- l'Avv. ANNELISE FILZ, del Foro di Trento.
Al termine delle relazioni ha fatto seguito una nutrita serie di interventi delle
organizzazioni sindacali e delle associazioni di categoria provinciali.
L'iniziativa è stata voluta, altresì, per avanzare la proposta di un “Osservatorio antimobbing”, che serva sia come punto di ascolto e di prima tutela per le vittime di
condotte mobbizzanti, che come osservatorio provinciale per il monitoraggio del
fenomeno. L'istituzione si appalesa necessaria atteso il vuoto normativo ed istituzionale,
e l'assenza di dati precisi atti a quantificare la fattispecie, ed anche per la sua
complessità, poiché investe sia l'ambito civile che quello penale.
Non è sufficiente, infatti, parlare di mobbing, come fenomeno dilagante di cronaca che
colpisce gli ambienti di lavoro, ma è necessario fornire a tutta la popolazione gli
strumenti necessari per riconoscerlo, combatterlo e, soprattutto, prevenirlo. La
prevenzione come arma vincente per arginare questo problema sociale che, colpendo i
lavoratori, si riflette anche sulla famiglia e sui figli, generando una catena di disagi che
determinano un conseguente isolamento o stato di emarginazione.
L’Osservatorio avrà anche il fine di combattere il fenomeno attraverso una intensa
attività di prevenzione, diretta alla lavoratrice ed al suo datore di lavoro. Infatti, in un
contesto socio-economico in cui le aziende sono tenute a rispettare le normative sulla
salute e sicurezza dei lavoratori e ad impegnarsi per ottenere la certificazione etica e di
qualità, le medesime non possono prescindere dalla tutela della integrità psico-fisica e
della dignità e personalità morale dei propri dipendenti.
Si è ritenuto perciò particolarmente utile un momento di riflessione, allo scopo di
esaminare con la necessaria scientificità un fenomeno che ha nella complessità l'aspetto
più insidioso, investendo una serie di settori - dalla psicologia del lavoro al diritto, dalla
medicina del lavoro alla sociologia -, e, al contempo, molteplici branche del diritto
stesso, potendo comportare un danno morale o biologico, oppure esistenziale; una
responsabilità di tipo civile o penale in capo all'autore, e nell'ambito di quella civile, una
responsabilità di natura contrattuale o extracontrattuale.
Il Convegno ha inteso, dunque, affrontare il mobbing sotto il profilo giuridico, nella
consapevolezza che tale ottica non è l'unica, ma sicuramente è una chiave di lettura
fondamentale per le possibili difese dal fenomeno, evidenziando anzitutto la necessità
di fare chiarezza sulla nozione, contrastandone l'uso inflazionato e favorendo la
distinzione fra i casi reali di mobbing, da quelli che tali non sono.
L'obiettivo è stato quello di cercare di sostituire all'approccio tutto è mobbing, quello
più realistico di che cosa è davvero mobbing, riportando i termini della questione negli
esatti ambiti, nello sforzo di trovare anche adeguate contromisure.
Come evidenziato da specifici studi in materia, gli atteggiamenti vessatori in cui si
concreta il mobbing arrecano rilevanti danni alla salute psicofisica dei lavoratori,
sino a sfociare, nei casi più gravi, in forme depressive e in lesioni significative della
capacità lavorativa e dell'autostima.
27
In tale contesto è emerso in modo evidente l'urgenza di intervenire anche
legislativamente per tutelare la personalità del lavoratore, attuando opportuni strumenti
sia di prevenzione all'insorgere del fenomeno, sia di repressione delle condotte
mobbizzanti.
Al riguardo, il Convegno ha chiarito, altresì, che non esiste, nel vigente ordinamento
giuridico, una disciplina del mobbing a livello di normazione primaria, neppure di
rango comunitario.
Per quel che riguarda gli atti nazionali, di mobbing si fa menzione solo al punto 4.9 del
Dpr 22 maggio 2003, con il quale è stato approvato il piano sanitario nazionale
2003/2005.
Quanto agli atti comunitari, si rinviene la Risoluzione del Parlamento europeo n. AS0283 del 21 settembre 2001, avente ad oggetto “Mobbing sul posto di lavoro”, con la
quale al punto 13 si esorta la Commissione a esaminare la possibilità di chiarire o
estendere il campo di applicazione della direttiva quadro per la salute e la sicurezza sul
lavoro, oppure di elaborarne una nuova, come strumento giuridico per combattere il
fenomeno delle molestie in senso lato.
Ma se è vero che manca una regolamentazione legislativa, la nozione risulta di
elaborazione giurisprudenziale: il fenomeno con sempre più frequenza approda nelle
aule giudiziarie grazie a lavoratori e lavoratrici che hanno avuto il coraggio di iniziare
azioni di risarcimento danni da dequalificazione professionale e da pregiudizio subito
nella salute psico-fisica, in conseguenza delle vessazioni, delle angherie,
dell'emarginazione, della sotto-utilizzazione, dei controlli ossessivi, e delle persecuzioni
disciplinari di cui sono stati fatti oggetto dal proprio superiore gerarchico o dai propri
colleghi.
Il mobbing, infatti, è comunemente definito come una forma di “molestia” o violenza
psicologica, esercitata dal superiore gerarchico o dai colleghi con intenzionalità lesiva,
ripetuta con modalità persecutorie per un periodo di tempo che dipende anche dalla
personalità del soggetto colpito, al fine dell'estromissione della vittima dal posto di
lavoro.
Elementi tipici della fattispecie sono, infatti, la ripetitività e la frequenza degli episodi
mobbizzanti, il loro protrarsi per un apprezzabile periodo di tempo e l'intento
persecutorio (dolo) da parte dell'autore delle azioni dannose (Cassazione 4774/2006);
ma il mobbing può essere costituito non solo da comportamenti vietati in sé
dall'ordinamento, ma anche da atteggiamenti leciti se valutati singolarmente, che
diventano illeciti una volta inseriti in quella cornice di vessazioni e di atteggiamenti
ostili tipici della fattispecie.
Precisamente, la definizione datane dalla Corte Costituzionale è quella secondo cui il
mobbing rappresenta un “fenomeno complesso consistente in una serie di atti o
comportamenti vessatori, protratti nel tempo, posti in essere nei confronti di un
lavoratore da parte dei componenti del gruppo di lavoro in cui è inserito o dal suo capo,
caratterizzati da un intento di persecuzione ed emarginazione, finalizzato all'obiettivo
primario di escludere la vittima dal gruppo” (sentenza 359/2003).
Analoga è la definizione resa dalle Sezioni Unite della Suprema Corte, per la quale il
“mobbing consiste in una condotta sistematica e protratta nel tempo, con
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caratteristiche oggettive di persecuzione e discriminazione, che concreta, per le sue
caratteristiche vessatorie, una lesione dell'integrità fisica e della personalità morale del
prestatore di lavoro, garantite dall'articolo 2087 del c.c. (Cassazione 4774/2006).
Come accennato in precedenza, quella del datore di lavoro è in primo luogo una
responsabilità di natura contrattuale, in quanto originata, ai sensi dell'articolo 1218 del
c.c., dall'inadempimento dell'obbligo di sicurezza (2087 c.c.).
Nondimeno, al regime di tutela fondato sulla responsabilità contrattuale può
affiancarsi quello generale della responsabilità aquiliana o extracontrattuale ai sensi
dell'art. 2043 del c.c., secondo cui chi cagiona ad altri un danno ingiusto è obbligato a
risarcirlo, (Cassazione 13942/2002 e 602/2000), o eventualmente, ai sensi dell'art. 2049
del c.c., relativo alla responsabilità del datore di lavoro per la condotta (in questo caso)
mobbizzante posta in essere da propri dipendenti.
Ma è configurabile anche il danno esistenziale, ossia alla vita di relazione, il danno
biologico come lesione della propria integrità psico-fisica, nonché il danno morale,
qualora la condotta mobbizzante integri anche un'ipotesi di reato e perciò dia luogo ad
una responsabilità penale personale dell'autore della condotta stessa. Al proposito,
secondo la Suprema Corte, in assenza di una tipizzazione normativa della fattispecie
vietata, il mobbing può integrare nelle sue modalità esplicative, tenuto conto delle
conseguenze dannose per l'integrità psico-fisica e delle peculiarità della condotta di cui
si compone, l'ipotesi di reato di lesioni personali, di ingiuria, di diffamazione, di
violenza privata, o altre ancora.
Il Convegno, proprio per il suo particolare oggetto, ha inteso essere anche un
contributo alla GIORNATA NAZIONALE della lotta alla violenza sulle donne, del
25 novembre 2007.
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3. PROGETTO “DONNE E PROFESSIONI ARTISTICHE”
MOSTRA INTERATTIVA
“ARTE BIANCA”:
DONNE E PROFESSIONI ARTISTICHE.
Percorsi e opportunità al femminile nell’arte
L'evento, una mostra interattiva di arte contemporanea dal titolo “ARTE BIANCA.
Percorsi e opportunità al femminile nell'arte”, è nata dalla collaborazione fra
Assessorato alla Cultura e Consigliera di Parità, con l'obiettivo di sostenere e
valorizzare la presenza delle donne nelle diverse forme dell'espressione artistica.
I temi centrali sono stati quelli della vita e del lavoro, delle loro origini e dei loro
elementi essenziali, temi da sempre fondamentali e inscindibilmente legati.
Arte e lavoro costituiscono due ambiti non facili da coniugare soprattutto per quanto
riguarda il femminile: la mostra interattiva ha avuto la precipua finalità di favorire e
sostenere le donne trentine nel lavoro artistico; infatti, ha inteso essere un'occasione
speciale offerta alla cittadinanza per relazionarsi con l’arte al femminile e per
riflettere sulle molteplici forme del lavoro artistico, mirando altresì ad essere
momento privilegiato di collaborazione tra diverse generazioni di artiste: tra coloro
che hanno già intrapreso la via e coloro che invece desiderano muovere i primi passi in
questa direzione.
All’interno dello spazio espositivo le artiste hanno realizzato alcuni workshop/iniziative
informative, formative e di orientamento professionale, rivolte agli studenti delle scuole
superiori e alla collettività in generale, per parlare della passione dell'arte, delle
occasioni professionali, e dei percorsi che possono essere intrapresi in Italia e all'estero.
La mostra si è tenuta a Palazzo Roccabruna dal 07 al 30 settembre 2007 ed ha permesso
al visitatore di immergersi in un ambiente ricco di un eccellente patrimonio culturale,
artistico e storico, venendo a contatto con il territorio trentino in tutte le sue sfacettature:
dal mondo agro-alimentare, al turismo, all'artigianato, all'industria.
L'evento ha visto la partecipazione di sette artiste di fama nazionale ed internazionale
coordinate dall'Artista trentina Annamaria Gelmi, tutte iscritte all’Associazione
Culturale “Arte da Mangiare”, nata a Milano nel 1996: Adolfina De Stefani, Annamaria
Gelmi, Gabriela Nepo-Stieldorf, Michela Pedron, Veronique Pozzi, Tiziana Priori e
Topylabrys.
In “Arte Bianca” si è voluto coniugare arte, cibo e lavoro; nutrirsi quotidianamente di
arte, produrre e fruire arte come soddisfazione di un bisogno vitale, primario
dell'individuo. Questo insolito approccio artistico si è proposto di accompagnare il
visitatore in una galleria di emozioni e sapori propri della natura e della tradizione,
30
lungo un percorso simbolico che ha permesso anche di recuperare, dai cassetti della
memoria, i ricordi della tradizione, delle cose semplici, dove il bianco domina quale
presenza essenziale spogliata di ogni orpello.
I materiali utilizzati, grano, farina bianca, pane, sale, acqua, zucchero e argilla, hanno
rappresentato il filo conduttore fra un'opera e l’altra, inducendo a riflettere sull'origine
e i contenuti della vita e del lavoro dell'uomo.
Durante l'inaugurazione della mostra le artiste hanno altresì offerto una performance del
tutto inedita: “Il Sentiero di Pollicino”, una traccia del percorso di Pollicino attraverso
briciole di Arte Bianca, alla ricerca di una via da seguire...
L'evento è stato altresì pubblicato sulla nota Rivista specializzata “Juliet” dell'ottobre
2007.
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4. PROGETTO “GUIDA AL RAPPORTO BIENNALE ex art. 9 L. 125/91”
“GUIDA ALLA COMPILAZIONE”
DEL RAPPORTO BIENNALE SULLA SITUAZIONE DEL PERSONALE
NELLE IMPRESE TRENTINE DI MEDIO-GRANDI DIMENSIONI.
L'attuale art. 15, d. lgs. 198/06, relativo ai compiti ed alle funzioni della Consigleira di
Parità, prevede, fra l'altro, che:
“Le consigliere ed i consiglieri di parità intraprendono ogni utile iniziativa, nell'ambito
delle competenze dello Stato, ai fini del rispetto del principio di non discriminazione e
della promozione di pari opportunità per lavoratori e lavoratrici, svolgendo in
particolare i seguenti compiti:
a) rilevazione delle situazioni di squilibrio di genere, al fine di svolgere le funzioni
promozionali e di garanzia contro le discriminazioni previste dal libro III, titolo I;
e) promozione dell'attuazione delle politiche di pari opportunità da parte dei soggetti
pubblici e privati che operano nel mercato del lavoro;
f) collaborazione con le direzioni regionali e provinciali del lavoro al fine di
individuare procedure efficaci di rilevazione delle violazioni alla normativa in materia
di parità, pari opportunità e garanzia contro le discriminazioni, anche mediante la
progettazione di appositi pacchetti formativi;
g) diffusione della conoscenza e dello scambio di buone prassi e attività di
informazione e formazione culturale sui problemi delle pari opportunità e sulle varie
forme di discriminazioni;
i) collegamento e collaborazione con gli assessorati al lavoro degli enti locali e con
organismi di parità degli enti locali.
(...)
4. Su richiesta delle consigliere e dei consiglieri di parità, le Direzioni regionali e
provinciali del lavoro territorialmente competenti acquisiscono nei luoghi di lavoro
informazioni sulla situazione occupazionale maschile e femminile, in relazione allo
stato delle assunzioni, della formazione e promozione professionale, delle retribuzioni,
delle condizioni di lavoro, della cessazione del rapporto di lavoro, ed ogni altro
elemento utile, anche in base a specifici criteri di rilevazione indicati nella richiesta”.
Con l'intento di dare attuazione a tale disposizione, la Consigliera di Parità, in
collaborazione con l'Assessorato alle Pari Opportunità e con l'Agenzia del Lavoro –
Osservatorio del Mercato del lavoro, ha ritenuto utile predisporre una “Guida alla
32
compilazione” del Rapporto biennale sulla situazione del personale nelle imprese
trentine di medio-grandi dimensioni, il cui obbligo all'adempimento è espressamente
previsto dall'art. 9, legge 10 aprile 1991, n. 125, trasfuso oggi nell'art. 46 del c.d.
“Codice delle Pari Opportunità fra uomo e donna” (d. lgs. 198/06).
La “Guida” intende essere uno strumento a sostegno delle aziende nella comprensione
ed identificazione dei dati e del contenuto di ciascuna Tabella del Rapporto, allo scopo
di agevolare una maggiore e corretta osservanza del disposto normativo.
Invero, ai sensi dell'art. 9 menzionato, le aziende pubbliche e private con più di cento
dipendenti sono obbligate a predisporre, con cadenza almeno biennale, un Rapporto
sulla situazione del personale, maschile e femminile, che indichi, attraverso dati
disaggregati per sesso, la loro situazione occupazionale in relazione allo stato delle
assunzioni, della formazione e della promozione professionale, dei livelli di
inquadramento e retributivi, delle procedure di intervento della cassa integrazione
guadagni (c.i.g), dei licenziamenti e di altre forme di cessazione del rapporto di lavoro.
In effetti il Rapporto ha lo scopo di porre in evidenza, mediante la comparazione tra la
situazione dell’occupazione femminile rispetto a quella maschile in un determinato
ambito/contesto lavorativo-economico-territoriale, l’andamento della medesima ed i
c.d. fenomeni di “segregazione” orizzontale e verticale, ovvero la concentrazione
dell’occupazione femminile in determinati settori oppure in determinate qualifiche o
categorie professionali, che coincidono spesso con quelle meno remunerate o con
minori possibilità di carriera.
Il Rapporto costituisce uno strumento strategico di antidiscriminazione, volto com'è a
dare una prima forma di attuazione alle finalità previste dalla normativa
antidiscriminatoria vigente, ossia il perseguimento dell'uguaglianza sostanziale fra i
generi nel contesto lavorativo e la promozione delle pari opportunità, mediante azioni
mirate nelle diverse unità produttive ad eliminare gli ostacoli che si frappongono alla
partecipazione delle donne al mercato del lavoro in condizioni di parità con gli uomini,
ed all'aumento dell’occupazione femminile, anche attraverso la modifica delle
condizioni di lavoro e di organizzazione e distribuzione del medesimo.
Un ulteriore obiettivo è quello di favorire la condivisione fra i partners dei ruoli
familiari e le connesse responsabilità, attraverso la promozione di strumenti di
conciliazione anche innovativi, che comportino una diversa organizzazione dell'attività
produttiva e degli orari, utilizzando, a questo scopo, anche forme di finanziamento
pubblico come quelle previste dalla legge n. 53/2000 (art. 9).
La predisposizione del Rapporto costituisce un obbligo di legge per le aziende
pubbliche e private che occupano oltre cento dipendenti, la cui violazione comporta
l'irrogazione di sanzioni pecuniarie e, nei casi più gravi, la sospensione per un anno dei
benefici contributivi goduti eventualmente dall’azienda.
Tali sanzioni sono dotate di una certa efficacia deterrente, considerato che molte
aziende hanno alle proprie dipendenze lavoratori assunti con tipologie contrattuali che
33
prevedono sgravi contributivi.
Ciononostante, molti soggetti responsabili della gestione del personale sono al corrente
in modo ancora piuttosto vago del contenuto della legislazione in materia di pari
opportunità ed azioni positive, così come del ruolo della Consigliera di parità; dunque,
la compilazione del Rapporto, se non sconosciuta, suscita comunque resistenza e
persino qualche aperto rifiuto.
Parimenti poco chiare, laddove note, sono le modalità corrette di compilazione del
modulo, o le informazioni da rendere nelle diverse caselle. A tali motivi è ascrivibile il
non soddisfacente adempimento da parte delle aziende trentine di medio - grandi
dimensioni, oppure l’incompletezza che caratterizza comunque molti dei Rapporti pur
presentati.
Allo scopo dichiarato di sostenere le aziende nell'adempimento, la “Guida” propone una
lettura ragionata di ciascuna tabella, specificando i dati richiesti, chiarendo eventuali
profili di criticità, indicando le ragioni sottese alla raccolta di quel tipo di informazioni
ed alla compilazione di ogni tabella.
Inoltre, la “Guida” riporta anche, attraverso schede illustrate e commentate, gli esiti
dell'applicazione della legge 125/1991 in provincia di Trento, sottolineando le principali
evidenze che emergono dall'ultima rilevazione relativa al biennio 2004/05 rispetto ai
biennii precedenti, a partire dal 1994/95.
Inoltre, essa contiene il Modulo del Rapporto, con specifiche indicazioni
particolarmente utili nella compilazione ed offre, altresì, in calce, un'apposita scheda
che offre la possibilità all’azienda di segnalare eventuali “buone prassi organizzative”,
già in essere oppure sollecitate dalla compilazione.
*****
Come anticipato, Il “Rapporto si compone di 8 Tabelle, ciascuna contenente dati
disaggregati per sesso, relativi ai diversi profili occupazionali del personale impiegato.
Segnatamente:
La Tabella n. 1 rileva alcune informazioni generali, ma significative, sull'azienda, quali
l'attività economica esercitata, il contratto collettivo applicato, il numero totale del
personale assunto presentando il dato disaggregato in base al sesso, cioè indicando,
accanto al numero totale dei dipendenti, quello specifico delle lavoratrici.
Già tale specificazione può assumere particolare rilevanza, in quanto atta ad evidenziare
l'eventuale minor presenza delle donne in alcuni settori (c.d. “segregazione
orizzontale”), come sovente accade in quello industriale e dei trasporti.
Si tratta, tuttavia, di un dato che potrebbe spiegarsi in considerazione dello spontaneo
assestarsi delle dinamiche occupazionali e della particolare propensione della
manodopera femminile verso altri settori come quello terziario, dalle pubbliche
amministrazioni ai servizi alle imprese, dal commercio ai pubblici esercizi, escludendo
dunque ogni ipotesi discriminatoria.
34
Tale ragionamento è suffragato dai dati emergenti dal “XXII Rapporto sull'Occupazione
in Provincia di Trento” predisposto dall’Agenzia del lavoro – Osservatorio del Mercato
del lavoro, che mostrano come alla segregazione femminile tipica di certi settori
corrisponda una segregazione maschile in altri. Emblematico è il caso delle aziende del
settore delle pulizie, in cui si registra una presenza della componente femminile
superiore all'84%.
Peraltro, non è escluso che, in taluni casi, la più o meno accentuata presenza femminile
dipenda, invece, dalle procedure di assunzione – fondate, ad esempio, su criteri anche
indirettamente discriminatori per le donne -, o dall'organizzazione del lavoro e/o degli
orari – in ipotesi ostativa alla conciliazione del lavoro con gli impegni di cura -, o,
ancora, da stereotipi negativi nei confronti delle lavoratrici – come il timore delle
conseguenze sul piano organizzativo e finanziario di eventuali gravidanze.
In tali ultime ipotesi il datore di lavoro, onde evitare di incorrere in violazioni della
disciplina antidiscriminatoria con le conseguenze sanzionatorie connesse e conseguenti,
è tenuto ad individuare soluzioni organizzative interne idonee a favorire un
progressivo riequilibrio occupazionale dei generi, come un diverisificato regimi degli
orari, un utilizzo più elevato del contratto a tempo parziale, l'introduzione del contratto
di “job- sharing” (c.d. lavoro ripartito), la riduzione del lavoro straordinario che riveste
una portata differente nei confronti delle donne e degli uomini. Infatti, anche la
giurisprudenza della Corte di Giustizia, come quella interna, ha posto in luce che spesso
le lavoratrici sono meno interessate e disponibili dei lavoratori allo svolgimento dello
straordinario, principalmente per pressanti esigenze di conciliazione.
Per la realizzazione di tali obiettivi, il datore può avvalersi anche di forme di
finanziamento pubblico, come quelle previste annualmente dalle leggi finanziarie, in
ottemperanza al disposto normativo della legge n. 53/2000 (art. 9).
Indubbiamente si tratta di strategie che richiedono un’analisi accurata della situazione
presente nella singola azienda, e la disponibilità del datore di lavoro ad affrontare la
questione della “promozione delle pari opportunità”, ma dalle quali possono scaturire
effetti benefici anche per l'impresa, non solo mettendosi al riparo da conseguenze di
carattere sanzionatorio specificamente previste dalla disciplina antidiscriminatoria, ma
anche in termini di razionalizzazione delle risorse e di maggior capacità produttiva
complessiva, come diverse esperienze hanno già dimostrato.
La Tabella n. 2 riporta una serie di informazioni relative al personale occupato in ogni
singola unità produttiva sita nei diversi Comuni della provincia di Trento, evidenziando
il numero complessivo dei lavoratori ivi impiegati, e quello specifico del personale
femminile, ed il loro inquadramento nelle diverse categorie considerate: dirigenti,
quadri, impiegati e operai.
La Tabella è significativa per il fatto che consente di rilevare con immediatezza
possibili discriminazioni nei livelli di inquadramento, evidenziando fenomeni di c.d.
“segregazione verticale”.
Le informazioni che emergono consentono di ricostruire eventuali situazioni di
35
“discriminazioni collettiva a carattere sistemico” principalmente sul versante della
progressione di carriera, che impongono azioni correttive da inscrivere nella logica
della rimozione degli ostacoli che, anche dal punto di vista delle scelte di gestione e
valorizzazione del personale, si oppongono al raggiungimento di effettive pari
opportunità tra uomini e donne nello svolgimento del rapporto di lavoro.
La tabella, infatti, può indurre a ritenere sussistenti condizioni di lavoro e di carriera
differenti fra lavoratori e lavoratrici, che producono effetti negativi nei confronti del
gruppo costituito dal genere femminile, e che violano la normativa antidiscriminatoria,
sollecitando gli interventi indicati.
La Tabella n. 3 evidenzia il numero, disaggregato per genere, delle “entrate” e delle
“uscite” dall'azienda in un dato arco temporale (annuale) con riferimento ai diversi
livelli di inquadramento professionale, includendo nelle c.d. “entrate”, le assunzioni, i
trasferimenti da altra unità produttiva ed i passaggi di categoria (in entrata); nelle c.d.
“uscite”, le cessazioni del rapporto di lavoro, i trasferimenti verso altra unità produttiva
ed i passaggi verso altro livello di inquadramento.
Al riguardo il menzionato “XXII Rapporto sull'Occupazione in Provincia di Trento” ha
posto in luce come “il primo aspetto meritevole di attenzione attiene, ancora una volta,
al più elevato coinvolgimento femminile nei processi dinamici riguardanti le entrate e le
uscite: oltre il 70% delle entrate e più o meno una quota analoga delle uscite dalle
aziende riguardano donne.
Questo più elevato dinamismo dell'occupazione femminile, se per certi versi è segnale
dell'esistenza di opportunità lavorative per un buon numero di donne, per altri versi
mostra anche il punto debole delle occasioni loro offerte, che di fatto non corrispondono
ad un incremento occupazionale, poiché spesso temporanee e scarsamente durature nel
tempo”.
Ne emerge un'evidente precarietà, conseguente in primis ai contratti con cui le
lavoratrici risultano inquadrate.
Purtuttavia, per quanto attiene nello specifico alle “entrate”, è doveroso precisare che la
fotografia delle assunzioni femminili in numero inferiore rispetto a quelle maschili non
sempre costituisce un indice di sicura discriminazione, in quanto potrebbe esservi stato
un numero effettivamente minore di candidature femminili, che, se per un verso,
impone di indagare le cause del fenomeno, per altro verso non comporta alcuna
responsabilità in capo al datore di lavoro singolarmente considerato.
Peraltro, quest'ultimo deve fare attenzione, in fase di assunzione e di valutazione dei/le
candidati/te, a quanto disposto dalla legge, ed in particolare dal d.lgs. n. 196/2000, che
ha introdotto un particolare meccanismo volto a correggere le c.d.
“sottorappresentazioni” di genere, stabilendo un criterio di priorità in caso di candidati/e
con pari capacità professionali, che avvantaggia la candidatura della donna se vi sia una
situazione di sottorappresentazione superiore ai 2/3, nel senso che l’eventuale
promozione del candidato-uomo richiede un’apposita motivazione (art. 7 comma 5 del
36
d.lgs. n. 196).
Inoltre, in fase d'assunzione lo stesso datore di lavoro deve porre mente ai titoli
professionali che va a richiedere ai candidati/e, qualora si tratta di titoli meno diffusi
fra le donne. In questa ipotesi, infatti, il requisito richiesto deve assumere effettiva
rilevanza rispetto alle mansioni che dovranno essere svolte, tenuto conto che non basta
la correlazione rispetto all’attività lavorativa, ma occorre anche l'“essenzialità” ai
predetti fini, altrimenti potrà essere sostituito da altri titoli ad esso equiparabili, oppure
dall’acquisizione delle particolari professionalità in un momento successivo, attraverso
opportune attività formative da realizzarsi entro l’azienda oppure in collegamento con i
centri di formazione.
Infine, da altro profilo, va ricordato che, a differenza del settore privato ove la misura è
prevista in via facoltativa, nel settore pubblico è d'obbligo l'adozione dei c.d. “piani
triennali di azioni positive”, tesi a rimuovere più incisivamente gli ostacoli esistenti di
“fatto” nella realizzazione della piena parità di genere. Allo scopo, il datore di lavoro
pubblico potrebbe coinvolgere gli organismi interni previsti ex lege (c.d. “Comitati per
le pari opportunità”), ove siano costituiti, per agevolare l'elaborazione di piani di
intervento adeguati e calibrati sulle specifiche esigenze dell'organico.
La Tabella n. 4 è volta a porre in rilievo, in relazione al totale del personale occupato,
secondo dati disaggregati per genere e per categoria professionale, i livelli di
inquadramento, le assunzioni e le promozioni dei dipendenti.
In particolare, con l'evidenziazione delle “promozioni”, ossia dei passaggi di livello
verso l'alto, la scheda permette di identificare eventuali fenomeni di “segregazione
occupazionale verticale”, consistenti nella concentrazione della forza lavoro femminile
nelle qualifiche professionali più basse dell’organigramma, coincidenti generalmente
con il terzo e quarto livello della categoria impiegatizia, restando, invece, scarsamente
presenti nella categoria del quadri e pressochè assenti, seppur con alcune differenze tra i
settori, in particolare tra aziende pubbliche e private, in quella dei dirigenti, al contrario
di quanto accade per il personale maschile.
L'attuale permanere di tali fenomeni risulta confermato dal “XXII Rapporto
sull'Occupazione” più volte richiamato, dal quale si evince, in linea generale, la
persistente assenza di donne fra i dirigenti, mentre si è modificata positivamente, ma in
misura minima, la loro presenza fra i quadri; la maggior parte delle lavoratrici resta
tuttavia concentrata nelle qualifiche impiegatizie medio – basse.
A ciò si aggiunga che i passaggi di categoria, e quindi in sostanza gli avanzamenti di
carriera, hanno interessato maggiormente la componente maschile: di 234 passaggi, ben
167 si sono determinati a suo favore.
Per le donne sembrano palesarsi, in sostanza, accanto ad una permanenza media in
azienda inferiore a quella dei colleghi maschi - come poc'anzi chiarito -, anche
condizioni peggiori in termini sia di progressione di carriera che di crescita
formativa.
Tali “fotografie” possono celare discriminazioni sistemiche, vietate dalla legge e
perseguibili dagli Organismi a ciò preposti, come la stessa Consigliera di Parità o
37
l'Ispettorato del lavoro.
Il datore, al fine di porsi al riparo da possibili censure, è tenuto perciò ad apprestare
sistemi di valutazione del personale oggettivi ed adeguati alla progressione di carriera di
entrambi i generi, bandendo l'utilizzo di criteri anche indirettamente discriminatori,
come la richiesta di particolari qualità psicologiche, ritenute normalmente più diffuse
fra gli uomini che non fra le donne, oppure la disponibilità ad orari di lavoro prolungati,
che scoraggiano più le lavoratrici che non i lavoratori, o, ancora, altri requisiti atti ad
escludere un maggior numero di donne dalla progressione di carriera.
Del pari, egli deve progressivamente modificare le condizioni di tipo organizzativo che
in qualche misura ostacolino la crescita professionale femminile ed apprestare strategie
di formazione ed aggiornamento che coinvolgano adeguatamente e valorizzino anche le
lavoratrici, in considerazione pure del fatto che la minore crescita professionale si
riflette sul dato della uguaglianza/disuguaglianza retributiva.
La Tabella n. 5 individua le tipologie contrattuali utilizzate in azienda, evidenziando
quelle ad “appannaggio” femminile, e, in ogni caso, la proporzione rispetto a quelle
riferibili agli uomini.
I dati sono particolarmente utili per riflettere in ordine al fenomeno della c.d.
“precarizzazione” del lavoro delle donne, che assai spesso trova la propria origine
proprio nell'utilizzo di contratti di lavoro “atipici” (a termine, a part-time, a chiamata,
stagionali, a contenuto formativo, e via dicendo).
La Tabella riporta, poi, significative informazioni in relazione al ricorso allo strumento
della “cassa integrazione guadagni” ed all'istituto dell'aspettativa (anche per maternità),
presentando i dati disaggregati per sesso, al fine di evidenziare in che misura tali
situazioni colpiscono i due generi.
Segnatamente, il ricorso “in entrata” a particolari tipologie contrattuali può determinare
situazioni non univoche: da un lato può essere utilizzato come prima modalità di
assunzione, a cui segue successivamente la trasformazione del rapporto in uno dotato di
caratteristiche di stabilità; dall’altro può, al contrario, terminare alla scadenza prevista,
senza tramutarsi in un’occasione di lavoro “stabile”.
La Tabella può dunque essere sintomatica anche di un atteggiamento di sfavore della
parte datoriale verso la componente femminile del mercato del lavoro, al punto da
configurare una discriminazione indiretta, qualora ponga in luce la propensione ad
assumere le donne prevalentemente con questa tipologia di contratti; al contempo,
qualora evidenzi una maggior percentuale di cessazioni del rapporto per scadenza del
termine a carico delle donne, con una connessa maggiore precarietà dell’occupazione
femminile. Il mancato rinnovo del contratto alla scadenza può essere infatti un elemento
che porta a presumere una prassi indirettamente discriminatoria, se
contemporaneamente emerga un trattamento generalmente diverso e più favorevole nei
confronti dei dipendenti maschi.
La Tabella n. 6 si sofferma ad esaminare, in modo analitico, le c.d. “entrate” ed “uscite”
dall'azienda e le trasformazioni contrattuali, cercando di individuarne le cause
specifiche, e la loro differente incidenza su lavoratori e lavoratrici.
38
Peraltro, la tabella non riesce ad indagare le motivazioni sottese specificamente alle c.d.
“uscite”, riportando le diverse cause (dimissioni, licenziamenti, scadenza del contratto,
ecc.), ma non riuscendo a rilevare quanto “pesino” sulle medesime le esigenze personali
e/o familiari, e quanto, invece, altri fattori riconducibili in senso lato al contesto
organizzativo e produttivo.
Al riguardo, l'ultimo Rapporto sull'Occupazione in Trentino rileva come anche
nell'ultimo biennio di rilevazione l’elevata percentuale di cessazione del rapporto di
lavoro per dimissioni volontarie, in particolare nel settore industriale ove esiste un noto
fenomeno di sottorappresentazione dell’occupazione femminile, induca ad identificarne
la causa principale nelle condizioni di lavoro, poco consone alla conciliazione tra lavoro
professionale e lavoro di cura.
Ma il dato che forse colpisce maggiormente è che anche nel settore terziario
(commercio, pubblici esercizi e pubblica amministrazione), dove le donne
rappresentano la percentuale più elevata dell'occupazione complessiva, le cessazioni
dal lavoro per scadenza del contratto individuale costituiscono la principale causa di
cessazione del rapporto, ed in misura assai più considerevole rispetto alla componente
maschile.
Tali rilievi inducono a riproporre qui le considerazioni già svolte in relazione alle
Tabelle nn. 3 e 5 sulla necessità di interventi correttivi in capo al singolo datore di
lavoro (oltre ad azioni “di sistema” sul versante delle scelte di politica di welfare ed
occupazionale).
La Tabella n. 7 rileva i percorsi di formazione professionale dei dipendenti,
distinguendo per categoria e per sesso.
I dati che ne scaturiscono possono assumere una rilevanza particolare perché atti a
confermare quanto sottolineato anche dalle teorie economiche sulla discriminazione
statistica, ovvero il fatto che pur aumentando il valore complessivo dell’occupazione
femminile, resta in larga misura ancora presente l’atteggiamento negativo nei confronti
della prestazione lavorativa delle donne, e la sua minore valorizzazione, anche in
termini di minor propensione del datore di lavoro a consentire alle lavoratrici la
formazione ed aggiornamento professionale adeguati.
Il ragionamento pare collegarsi, poi, anche all'accertata maggior precarietà del lavoro
femminile, atteso che l’assunzione con contratto a termine rende meno facile anche la
attuazione della formazione professionale, con riflessi decisamente negativi anche in
relazione alla spendibilità professionale futura.
Sul punto, il XXII Rapporto sull'occupazione in Provincia correttamente rileva che “Al
compenso monetario si aggiungono altre forme di benefit, e tra essi in molti casi figura
l'attività formativa. Quest'ultima ha una ricaduta diretta sull'azienda, in quanto migliora
il contributo del lavoratore, ma nel contempo arricchisce anche il patrimonio
professionale del soggetto e la sua spendibilità futura sul mercato del lavoro. Le
organizzazioni si attendono dai lavoratori partecipazione, flessibilità, assunzione diretta
di responsabilità e condivisione di obbiettivi aziendali. Il clima negoziale è peraltro
sempre meno garantistico rispetto alla certezza del posto di lavoro, e di fatto meno netti
gli spazi e i rapporti di lavoro: in questo senso il percorso professionale e formativo del
singolo diventa garanzia sul suo futuro”.
39
In chiave antidiscriminatoria, il datore di lavoro è tenuto a favorire la formazione
professionale delle donne anche per eliminare progressivamente i fenomeni di
segregazione verticale presenti nella propria azienda in ossequio alle disposizioni
legislative e contrattuali, creando quei presupposti che facilitino la promozione:
occorre, ad esempio, che lo svolgimento dei corsi avvenga con modalità tali da
permettere alle lavoratrici di frequentarli senza eccessivi costi sul piano della
conciliazione con le esigenze familiari; oppure in tempi e con orari compatibili con la
loro presenza in azienda; o, ancora, mediante sistemi audiovisivi a distanza, che
permettano di seguirli pur non presenziando fisicamente sul luogo di lavoro. Si tratta di
soluzioni che si inscrivono nel quadro dei principi definiti a livello normativo per
correggere la sottorappresentazione delle donne ai livelli più elevati della carriera
professionale e che conducono ad una progressiva modifica del rapporto percentuale fra
uomini e donne a tutti i livelli (e che si possono “combinare” con altri strumenti inerenti
alle condizioni di lavoro ed agli orari ).
La Tabella n. 8 è volta ad evidenziare i profili retributivi dell'organico aziendale,
riportando i dati disaggregati per livello di inquadramento e per sesso, ponendo così in
rilievo eventuali differenziali retributivi fra lavoratori e lavoratrici.
In codesto caso deve essere chiaro al datore di lavoro che le informazioni vengono
fornite in forma anonima, tale, quindi, da rendere impossibile l’identificazione dei
titolari del trattamento economico: ciò porta ad escludere il timore, già evidenziato, di
possibili violazioni della privacy dei dipendenti.
Ma la scarsa propensione a fornire tali informazioni potrebbe dipendere anche
dall’esigenza di salvaguardare dati strettamente connessi alle strategie aziendali, ma in
senso contrario va considerato che si tratta di dati che sono comunicati soltanto ai
soggetti deputati a riceverli secondo le norme di legge, ovvero la Consigliera di parità e
le Rsa o Rsu, o eventuali organismi tecnici, come quelli dell’Agenzia del lavoro, tenuti
ad osservare l’obbligo di segretezza.
Su altro versante, deve parimenti risultare chiaro che la mancata, o inesatta
compilazione anche solo di questa scheda, rende il datore di lavoro inadempiente
all'obbligo di legge comportando l'eventuale intervento degli Organi Istituzionali a ciò
preposti, ed in particolare della Consigliera di Parità e dell’Ispettorato del lavoro, al fine
dell’acquisizione diretta, completa, disaggregata per genere e chiara dei dati retributivi,
in chiave di tutela antidiscriminatoria della componente femminile.
*****
Come anticipato, la “Guida” riporta anche, attraverso schede illustrate e commentate,
gli esiti dell'applicazione della legge 125/1991 in provincia di Trento, sottolineando le
principali evidenze che emergono dall'ultima rilevazione relativa al biennio 2004/05
rispetto ai biennii precedenti, a partire dal 1994/95.
Al riguardo, già il XXII Rapporto sull'occupazione in Provincia di Trento redatto
dall'Agenzia del Lavoro – Osservatorio del Mercato del Lavoro sottolinea, in primo
luogo, che il numero delle aziende che hanno adempiuto all'obbligo sancito ex lege è
40
aumentato rispetto alle precedenti scadenze, sia nel settore privato che in quello
pubblico.
Peraltro, i dati presentati non riflettono in modo puntuale la dimensione
dell'occupazione maschile e femminile nelle grandi aziende della provincia, poiché
dipendono sì dalla effettiva presenza e dagli equilibri di genere nel contesto lavorativo,
ma anche dal numero di rapporti correttamente compilati ed inviati dalle aziende stesse.
In Provincia di Trento relativamente al biennio 2004/2005 sono state in tutto 146 le
aziende che, rientrando nella previsione normativa dell'articolo 9 della legge 125/91,
hanno correttamente adempiuto al disposto.
Questo dato, rispetto alla precedente rilevazione, risulta in discreto aumento, se si pensa
che i rapporti correttamente compilati in precedenza erano 121.
Il risultato premia gli sforzi messi in atto dalla Consigliera di Parità, con la
collaborazione dell'Assessorato alle Pari Opportunità e con la stessa Agenzia del
Lavoro, per dare pubblicità alla norma e favorirne il rispetto, anche a mezzo di consigli
e chiarimenti nella compilazione e dell'invio di lettere informative e del modulo in
bianco a tutte le aziende che potenzialmente rientravano nel campo normativo di
riferimento.
Nell'ultima indagine l'invito è stato spedito ad un totale di 236 aziende, valore che,
come anticipato, non coincide precisamente con l'universo delle aziende con più di 100
dipendenti della provincia, ma che è stato ottenuto incrociando archivi differenti, in
assenza di una anagrafica certa ed aggiornata, più rispondente allo scopo.
Sul totale di 236 aziende, 146 hanno fornito risposte utilizzabili nell'indagine (il
61,8%); altre hanno sì risposto, ma i loro moduli, per motivi diversi, non hanno potuto
essere considerati nell'analisi: infatti, alcune di esse non raggiungevano la soglia
dimensionale; altre avevano subito fusioni o trasformazioni societarie; altre ancora
erano in liquidazione. Sono stati infine una decina i moduli non utilizzabili perchè
contenenti errori o parti che, nonostante il sollecito effettuato, risultavano mancanti.
Le 146 aziende hanno restituito la situazione di 61.985 lavoratori/trici, che
rappresentano il 37% dell'occupazione alle dipendenze della provincia di Trento
registrata nel 2005. I dati di questi moduli consentono pertanto di tratteggiare un quadro
abbastanza consistente dell'occupazione provinciale.
La prima considerazione in merito attiene al fatto che anche per il biennio 2004/2005 i
dati confermano il permanere di forti differenze nella distribuzione dell'occupazione per
sesso tra settori di attività, con le donne fortemente concentrate nel terziario: si è quindi
in presenza di una elevata segregazione orizzontale.
Spostando il fuoco sulla distribuzione dell'occupazione per sesso all'interno dei singoli
settori, è l'industria a delineare ancora la maggiore segregazione orizzontale a sfavore
delle donne: la percentuale di lavoratrici non arriva al 20%.
Per quanto attiene l'agricoltura la percentuale femminile è pari al 41,6%, mentre nel
terziario le donne continuano ad essere invece numericamente dominanti rispetto ai
colleghi maschi (62,0%), pur con notevoli differenze a seconda del tipo di attività
considerata.
I servizi di pulizia rappresentano il caso più eclatante in fatto di squilibrio di genere a
favore delle donne: su un insieme di 11.876 occupati, ben 10.020 sono donne (84,37%).
41
Si tratta, come noto, di un tipo di attività a bassa qualificazione, che ha conosciuto negli
anni recenti una forte diffusione grazie allo sviluppo del terziario e delle pratiche di
esternalizzazione attuate dalle pubbliche amministrazioni e da molte aziende private.
Attività di servizio, che hanno offerto occasioni di lavoro a quella parte di manodopera
scarsamente scolarizzata o immigrata ed in possesso di titoli professionali non
riconosciuti che, con difficoltà, sarebbe riuscita a ritagliarsi altri spazi lavorativi nel
sistema locale; posti di lavoro che offrono, peraltro, condizioni lavorative svantaggiose
in termini di orari, di contenuto delle mansioni svolte, di condizioni contrattuali e di
possibilità di carriera.
Il secondo ambito del terziario in cui si delinea uno sbilanciamento di genere ancora a
favore della componente femminile, è quello della Pubblica Amministrazione: la
percentuale di donne occupate si attesta al 63,5%, un dato pressoché identico a quello
del biennio precedente. La quota di occupazione rappresentata è cospicua: si tratta di
oltre 15.300 donne su un totale di € 24.106 occupati. In questo caso il quadro e le
condizioni che hanno concorso a delinearlo sono decisamente più favorevoli rispetto a
quelle dei servizi di pulizia, poiché fotografano e danno conto di una risposta
occupazionale a quote di manodopera più istruita e garantita. Solo l'analisi della
segregazione verticale può portare alla luce gli squilibri di genere del settore pubblico.
Di contro, il segno più pesante della segregazione orizzontale femminile è visibile nei
trasporti, dove la percentuale di donne non arriva al 10% (corrisponde esattamente
all'8,5%). In questa attività sono inquadrate 253 donne su un insieme 2.963 occupati.
Rispetto all'ultima indagine, in cui la loro presenza sfiorava il 6% della consistenza
complessiva degli organici, si nota qualche accenno di recupero, che tuttavia
difficilmente riuscirà mai ad essere del tutto colmato: l'onerosità in termini di orari ed il
rischio connaturato alle occupazioni nei trasporti elevano una barriera naturale che non
è facile bypassare, nemmeno con azioni di promozione dell'occupazione.
A queste riflessioni sulla segregazione orizzontale vanno aggiunte alcune
considerazioni relative alla segregazione verticale, ossia ai differenti livelli di
inquadramento occupati da maschi e femmine negli organici aziendali.
E' noto infatti che l'ingresso delle donne nel mondo del lavoro è avvenuto per lo più
escludendole dai luoghi di potere e di prestigio.
Anche nella rilevazione dell'ultimo biennio è confermato il perpetuarsi di una
segregazione verticale a svantaggio delle donne: i lavoratori continuano ad essere
predominanti nelle posizioni apicali, mentre le lavoratrici risultano numericamente più
rappresentate nelle qualifiche esecutive ed operative (come quelle impiegatizie od
operaie).
Alla luce di questi risultati, non si può che ribadire l'esistenza del cd. “soffitto di
cristallo” nelle aziende trentine medio-grandi, ove la componente femminile è
certamente ben presente da un punto di vista numerico, ma non riesce a progredire nella
scala gerarchica raggiungendo spazi decisionali e posizioni di responsabilità, sebbene vi
siano differenze non trascurabili in considerazione del settore pubblico o privato
considerato: se nella Pubblica Amministrazione la componente femminile è sovrarappresentata (63,7%), nelle aziende private è invece sotto-rappresentata (47,8%); se
nella prima la percentuale di donne nella categoria dei “quadri” raggiunge valori in
42
qualche misura apprezzabili - sebbene ancora di molto inferiori all'incidenza
dell'occupazione femminile sul totale-, nelle seconde la percentuale è pressochè priva di
significato. In entrambi, invece, la sostanziale assenza di donne nelle qualifiche
dirigenziali è allarmante.
Sono certamente numerosi i fattori che hanno concorso a creare questa situazione, fra i
quali sono da richiamare anche le caratteristiche professionali e formative dell'offerta, i
contenuti e la faticosità di alcune mansioni, le aspettative individuali ma, soprattutto, gli
assetti organizzativi: orari prolungati, impegno totalizzante, e la tradizione di una
cultura declinata la maschile creano delle barriere “in entrata” che solo di rado riescono
ad essere superate dalle potenziali candidate. Cionondimeno, nel settore pubblico, come
già sottolineato, la situazione occupazionale femminile si presenta migliore, proprio per
la presenza di condizioni di lavoro più family friendly e per il meccanismo del concorso
pubblico in accesso ed anche ai fini della progressione di carriera, meccanismo neutrale
rispetto al genere.
*****
In conclusione, la Consigliera di Parità, attraverso la redazione della “Guida” descritta,
ha inteso predisporre uno strumento atto a contribuire significativamente al
raggiungimento dell'uguaglianza sostanziale fra i generi nel contesto lavorativo,
favorendo, altresì, le pari opportunità e l'eliminazione di fenomeni di segregazione
occupazionale orizzontale e verticale.
Tali obiettivi discendono dalla disciplina antidiscriminatoria vigente, che fonda la
nozione di discriminazione diretta sulla diversità di trattamento basata sul genere, e
quella di discriminazione indiretta sull’impatto differenziato di trattamenti o criteri
apparentemente neutri, ma che producono un particolare svantaggio nei confronti di un
genere (solitamente quello femminile) rispetto all’altro.
Il rapporto permette di verificare la reale situazione in cui versano i/le lavoratori/trici,
con un'indubbia rilevanza non soltanto sul piano organizzativo aziendale, ma anche su
quello giuridico/sanzionatorio.
E' doveroso, peraltro, sottolineare sin d'ora l’esigenza di apportare talune modifiche e/o
integrazioni all'attuale modello di Rapporto (anche per via unilaterale volontaria del
singolo datore di lavoro!), conseguenti ad una serie di rilievi critici.
Per la verità, ciò richiederebbe, a rigore, un intervento legislativo, che, peraltro, appare
auspicabile considerando l’attuale quadro del mercato del lavoro e, nello specifico, il
d.lgs. 276/03, che ha introdotto molteplici tipologie contrattuali “atipiche”, riformando,
fra l'altro, (seppur minimamente) anche il contratto di collaborazione coordinata e
continuativa particolarmente diffuso ai giorni nostri, anche nell'impiego pubblico.
Quest'ultima forma contrattuale, infatti, - al pari del c.d contratto di inserimento, del
contratto di job-sharing e del lavoro c.d. intermittente -, non risulta contemplata
nell'attuale modello, impedendo, in tal modo, di verificarne il concreto utilizzo, anche in
pregiudizio alla componente femminile dell'occupazione; si tratta, all'evidenza, di una
lacuna di notevole spessore, proprio in considerazione del suo larghissimo utilizzo.
Inoltre, sempre con riferimento ai rapporti di lavoro “atipico”, che si sostanziano in
43
forme peculiari di contratti normalmente a termine, il modulo in esame non prevede
l'indicazione dei dati inerenti ai casi di eventuale rinnovo, né, all'opposto, ai motivi del
mancato rinnovo, oppure a quelli sottostanti dimissioni e/o licenziamenti: ciò preclude
all'interprete di verificare se si tratta di cause connesse al contesto lavorativo o invece
alla persona del prestatore di lavoro, e di apprestare, conseguentemente, la strategia più
opportuna a stregua di azione positiva.
Su di un piano sostanzialmente parallelo, va altresì rilevata la necessità, per quanto
attiene specificamente la rilevazione nella Provincia di Trento, di precostituire quanto
prima un data-base aggiornato delle imprese operanti sul territorio provinciale, al fine
di evidenziare in modo agevole quelle che, per soglie dimensionali, sono tenute a
presentare il rapporto biennale, sia private che pubbliche.
Infatti, allo stato non è possibile identificare con esattezza le imprese con soglia
numerica oltre i 100 dipendenti, secondo il requisito previsto per legge, attesa la
mancanza di un'anagrafica aggiornata delle ditte della provincia per numero di
dipendenti.
Comunque sia, dai Rapporti sulla situazione del personale presentati in quest'ultimo
biennio emerge tuttora una pesante situazione di sottorappresentazione del personale
femminile, che può essere affrontata sulla base dell’evidenza statistica, la quale
costituisce una presunzione di discriminazione sistemica, per indagare, nei confronti
delle politiche di gestione del personale, a quali ragioni sia dovuto tale fenomeno e con
quali strumenti si possa correggerlo.
Invero, se è innegabile che talvolta le cause della maggiore, o minore, presenza di
donne in determinati settori si possono ascrivere ad un’autonoma scelta delle stesse
dettata dalla loro differente inclinazione per certi settori – non essendo costoro
particolarmente attratte, ad esempio, dal settore dei trasporti e da quello industriale più
in generale - e, quindi, alla scarsità dell’offerta; dall'altro lato, non può tuttavia
escludersi la sussistenza di atteggiamenti aziendali generati da pregiudizi, anche di
carattere culturale, nei confronti della manodopera femminile, oppure di condizioni
organizzative incompatibili con esigenze di conciliazione, che continuano a gravare
soprattutto sulle donne.
Si tratta dunque, nello specifico, di verificare le modalità con cui vengono effettuate le
selezioni del personale, la percentuale di domande presentate dalle donne, i criteri
applicati per l’assunzione, il rispetto delle priorità previste per legge in caso di pari
professionalità; e, ancora, i presupposti richiesti per le promozioni di carriera ed i
sistemi di valutazione della professionalità, e la loro eventuale definizione per via
unilaterale da parte della Dirigenza dell’azienda, oppure congiunta con le
organizzazioni sindacali.
Non va sottovalutato, ad esempio, l’impatto che può avere sulla maturazione
dell’anzianità di servizio, se considerata ai fini della carriera, il requisito dell’assiduità
al lavoro oppure quello dei periodi di lavoro ad orario ridotto, se si considera che spesso
è la donna, anziché l’uomo, a dover assentarsi per attendere ai carichi della cura
familiare.
In questi casi, le risultanze statistiche dovrebbero indurre lo stesso datore di lavoro,
prima ancora che Organismi esterni a ciò istituzionalmente deputati in via “autoritativa”
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(Consigliera di parità, Ispettorato del lavoro, ecc.) all'adozione di una pluralità di misure
che investano, da un lato, la verifica dei processi di accesso e/o di selezione del
personale,
onde
accertarne
l’imparzialità;
dall’altro,
le
caratteristiche
dell’organizzazione del lavoro, per esplorare la possibilità di introdurre istituti o
soluzioni che rispondano maggiormente alle esigenze delle lavoratrici; infine, dando
avvio a percorsi formativi e/o di aggiornamento professionale adeguati, al fine di
rendere le donne più “competitive” anche in quei settori tradizionalmente “maschili” e
per incentivare quanto più possibile la loro progressione di carriera.
E' interessante rilevare, sul punto, che gli interventi testè indicati sono suscettibili di
essere oggetto di specifici progetti di azione positiva a cui sono destinati appositi
finanziamenti pubblici, secondo la previsione di cui all’art.9 l.n.53/2000. La norma
ammette, infatti, il finanziamento delle azioni positive volte ad introdurre modifiche di
tipo organizzativo, sia per gli uomini che per le donne, allo scopo di favorire la
conciliazione fra tempi di lavoro e tempi di cura. E l'Assessorato alle Pari Opportunità,
unitamente alla Consigliera di Parità, ha sottoscritto, il 10 gennaio 2007, un apposito
“Protocollo d'Intesa per l'applicazione dell'art. 9, legge 53/00”, con le organizzazioni
sindacali e le associazioni datoriali, di categoria e del Terzo Settore del territorio
trentino, assumendosi l'impegno a “promuovere forme di flessibilità organizzative a
favore della conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, con particolare riferimento alle
opportunità offerte dall'art. 9 della legge 53/00”. Allo scopo, Assessorato e
Consigliera hanno messo a disposizione la loro competenza e professionalità per
sostenere e collaborare con le aziende interessate alla predisposizione di appositi
progetti, che rispondano efficacemente alle esigenze dei singoli contesti produttivi.
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5. PROGETTO LAVORO DOMESTICO
TUTELA DEL LAVORO DOMESTICO
E CONDIVISIONE DEI RUOLI FAMILIARI
Il d. lgs. 198/06, all'art. 15 co. 1, sancisce, fra l'altro, che:
1. Le consigliere ed i consiglieri di parità intraprendono ogni utile iniziativa, nell'ambito
delle competenze dello Stato, ai fini del rispetto del principio di non discriminazione e
della promozione di pari opportunità per lavoratori e lavoratrici, svolgendo in
particolare i seguenti compiti:
b) promozione di progetti di azioni positive, anche attraverso l'individuazione delle
risorse comunitarie, nazionali e locali finalizzate allo scopo;
e) promozione dell'attuazione delle politiche di pari opportunità da parte dei soggetti
pubblici e privati che operano nel mercato del lavoro;
g) diffusione della conoscenza e dello scambio di buone prassi e attività di informazione
e formazione culturale sui problemi delle pari opportunità e sulle varie forme di
discriminazioni;
i) collegamento e collaborazione con gli assessorati al lavoro degli enti locali e con
organismi di parità degli enti locali.
Al fine di dare concreta attuazione a tale disposizione, la Consigliera di Parità ha
collaborato fattivamente con l'Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari realizzando una
specifica campagna d’informazione e sensibilizzazione rivolta alle donne ed alla
famiglia, sulla percezione dell’ambiente domestico quale potenziale luogo di infortunio
e la presa di coscienza del proprio ruolo nella famiglia e nella società quale
determinante della propria salute fisica, mentale e sociale.
La campagna ha riguardato tutta la provincia ed ha avuto la durata di 5 mesi: dal primo
novembre 2007 al 31 marzo 2008.
E’ stato prodotto del materiale informativo cartaceo, tradotto in più lingue.
L'iniziativa è parsa necessaria, per il fatto che gli incidenti domestici rappresentano un
tema di grande rilievo per la sanità pubblica, e la condivisione dei ruoli familiari, un
fattore determinante per l'aumento dell'occupazione femminile, liberando “tempo di
lavoro extra-domestico” per la donna.
Al riguardo è significativo sottolineare che ogni anno in Italia gli incidenti domestici
coinvolgono circa 3 milioni di donne.
Queste ultime, in particolare le casalinghe, sono i soggetti più a rischio (oltre il 70% di
tutti gli incidenti), seguite da anziani, disabili e bambini: il rischio è infatti direttamente
correlato alla quantità di tempo trascorso in casa.
Tuttavia, anche le donne che lavorano fuori casa hanno una probabilità doppia, rispetto
agli uomini, di incorrere in questo tipo di incidenti, posto che sono le donne che quasi
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sempre provvedono alle faccende domestiche, in particolare a quelle legate alla cucina,
che risulta l’ambiente più pericoloso.
Da questo punto di vista le donne, oltre a costituire una delle categorie a maggior
rischio, rappresentano una figura chiave per la prevenzione, in quanto hanno spesso la
responsabilità delle altre categorie vulnerabili: anziani, bambini e giovani in età scolare.
E’ stato inoltre dimostrato che molti comportamenti errati e le condizioni ambientali
che favoriscono l’insorgenza degli incidenti domestici possono essere modificati con
opportuni e agevoli accorgimenti.
Pertanto, gli obiettivi della campagna sono stati quelli di informare e sensibilizzare le
donne sugli incidenti domestici; favorire i comportamenti di sicurezza in casa
considerati prioritari, e favorire la condivisione dei ruoli familiari.
Per la campagna di sensibilizzazione sono stati predisposti, in più lingue:
−
pieghevoli che illustrano: attività e servizi dell’APSS rivolti alla salute della donna
ed attività e servizi offerti dalla Consigliera di Parità;
−
guide alla sicurezza della donna in casa;
−
per affissioni interne ed esterne;
−
locandine;
−
spot televisivi e/o radiofonici.
Nell’ambito della campagna dI informazione/sensibilizzazione, inoltre, è stato
realizzato uno stand dedicato alla salute ed alla tutela della donna anche come
lavoratrice, in occasione delle fiere più importanti dei capoluoghi di valle (Santa Lucia
e San Giuseppe), grazie anche alla stretta collaborazione con la Presidente dei Comitati
pari opportunità dell’APSS.
Infine, la campagna è stata accolta favorevolmente dal Presidente dell’Ordine dei
farmacisti e dalle Associazioni sindacali dei farmacisti, che si sono impegnate a far
allestire in tutte le farmacie - per la durata della stessa - una vetrina dedicata alla salute
della donna.
La campagna informativa e’ stata rivolta alle famiglie, quindi la comunicazione non ha
parlato esclusivamente alla donna, ma ha inteso dialogare con i possibili componenti del
nucleo familiare ( marito/convivente, figli, genitori, fratelli, parenti, amici), invitandoli
a:
1. prendere consapevolezza dei molteplici carichi femminili dentro e fuori la famiglia
2. porre al centro della relazione familiare la “donna”
3. fare del dialogo uno strumento importante per comprendere come affiancare la donna
nei problemi e nei progetti lavorativi, nella cura della propria persona, nei compiti di
custodia della casa, nelle attenzioni verso i fattori di rischio, ecc.
La parte curata dalla Consigliera di Parità ha inteso sottolineare, anzitutto, che il lavoro
domestico è vero lavoro, con pari dignità e pari valore di quello “professionale”, e
richiede il rispetto di alcune precauzioni atte a dare molti benefici, come lo stabilire
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delle priorità fra i compiti domestici e di cura; il trovare spazi comunque di
socializzazione; il richiedere la collaborazione dei familiari nella loro effettuazione:
invero, la famiglia che sceglie di partecipare al lavoro in casa contribuisce a diminuire
le probabilità di incidenti domestici di piccole o gravi entità.
Inoltre, la stessa maggior presenza delle donne nel mondo del lavoro richiede tale
condivisione, con una diffusione sempre maggiore anche di strumenti idonei a
conciliare gli impegni di lavoro con quelli di cura e di gestione della famiglia.
La Consigliera di Parità, pertanto, ha ritenuto di sottolineare il motto: “Il dialogo è la
scelta giusta!”, perché scegliere di parlare, di confrontarsi e di confidarsi con la donna
sul menage quotidiano, sulla crescita dei figli e sulle relazioni con i nonni significa
contribuire a:
• diminuire lo stress dei tempi frenetici;
• colmare il senso di solitudine;
• ridurre il rischio di depressione e di cattivo umore;
• evitare la trascuratezza di sè;
e significa anche:
appoggiare la donna nei progetti personali e di vita professionale.
Dello stesso avviso è l'Unione Europea che, allo scopo di perseguire tali obbiettivi,
incrementando l'occupazione femminile e favorendo, al contempo, la corresponsabilità
dei compiti familiari, incoraggia i governi nazionali e locali a:
• incrementare il numero dei servizi per la prima infanzia e oltre;
• potenziare i servizi di assistenza verso le persone anziane, disabili o non
autosufficienti;
• promuovere città con orari di vita che facilitino le relazioni familiari;
• favorire l'affermarsi di comportamenti di reciprocità per una positiva condivisione
dei compiti domestici ed educativi tra coniugi.
Tutto ciò dovrebbe servire, altresì, se non ad eliminare, quantomeno a ridurre i fattori di
discriminazione verso il lavoro delle donne, le quali conoscono maggiore
disoccupazione e, rispetto agli uomini, incontrano tuttora ostacoli culturali nella ricerca
d'impiego; a parità di ruolo guadagnano almeno il 15% in meno dei colleghi; sono
fermate nei loro percorsi di carriera dal “soffitto di cristallo”; ricoprono posizioni di
direzione e responsabilità in misura del tutto insufficiente.
In tale contesto, la Consigliera di Parità si è definita “amica della donna e della sua
famiglia” coll'ascoltare e ricercare soluzioni a favore dell'accesso al lavoro, del
mantenimento dell'occupazione, della progressione di carriera, della positiva risoluzione
di vertenze nell'impiego, del superamento di momenti di particolare difficoltà nella
conciliazione della vita familiare e professionale, come la maternità o la cura degli
anziani, fornendo un servizio interamente gratuito.
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6. PROGETTO “STRUMENTI DI CONCILIAZIONE ex art.9, LEGGE 53/2000”
ART. 9, LEGGE 53/2000:
I FINANZIAMENTI PUBBLICI
A SOSTEGNO DEI PROGETTI DI CONCILIAZIONE DELLE IMPRESE
In considerazione del fatto che molte delle persone che si rivolgono alla Consigliera
presentano problemi di conciliazione dei tempi del lavoro con quelli di cura della
famiglia, la Consigliera di parità insieme all’Assessorato alle Pari Opportunità della
Provincia di Trento, ha sottoscritto un Protocollo d’Intesa con le Organizzazioni
sindacali provinciali, con le Associazioni datoriali, di categoria e del terzo settore del
territorio trentino – segnatamente con Associazione Artigiani, Associazione
Industriali, CGIL, CISL, Confesercenti, Confagricoltura, FABI, Federazione
Trentina della Cooperazione, UIL) – , al fine di promuovere forme di flessibilità
organizzativa a favore della conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, con particolare
riferimento alle opportunità offerte dall’art. 9 della legge 53/2000.
Precisamente, atteso che il tema della conciliazione dei tempi di vita e di lavoro è
divenuto, ormai da alcuni anni, un tema al centro delle politiche dell’Unione Europea –
tanto da ricevere menzione nella Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea
(art. 33) e da divenire oggetto di numerosi e provvedimenti della Commissione Europea
(cfr. ad esempio la comunicazione (COM(2005)94) e del Consiglio Europeo (cfr. ad
esempio il “Patto Europeo per la parità di genere approvato nel marzo 2006) – e che
tutti gli Stati membri sono chiamati a riservare un’attenzione particolare al tema della
conciliazione considerandola una questione di rilevanza strategica per tutta la società in
quanto determinante per lo sviluppo, l'incremento ed il sostegno all'occupazione
femminile, i soggetti firmatari il Protocollo si sono impegnati a collaborare fattivamente
affinchè le imprese procedano all'elaborazione di progetti di riorganizzazione interna
del lavoro e degli orari in un'ottica di soddisfazione delle esigenze di conciliazione
dei/lle dipendenti utilizzando a tal fine le forme di finanziamento all'uopo previste dalla
citato articolo della legge n. 53.
In particolare, in base al citato protocollo l’Assessorato provinciale alle pari
opportunità e la Consigliera di Parità si impegnano a:
− promuovere a livello locale una cultura più favorevole alla conciliazione
famiglia-lavoro;
− incentivare e sostenere azioni di flessibilizzazione e di riorganizzazione dei
tempi lavorativi che tengano conto delle esigenze di cura familiare, fornendo
adeguato supporto alla presentazione di progetti ex art. 9;
− prevedere momenti di formazione a sostegno della presentazione dei progetti;
− prendere parte attiva nei progetti finanziati, in particolare nelle azioni di
monitoraggio e valutazione;
49
−
promuovere condizioni di pari opportunità tra donne e uomini sia nella vita
familiare che nella vita lavorativa, anche attraverso una redistribuzione e una
rivalutazione del lavoro di cura contribuendo, in linea con le indicazioni
comunitarie, ad uno sviluppo locale socialmente sostenibile.
A loro volte, le OO.SS., le Associazioni datoriali, di categoria e del terzo settore del
territorio trentino firmatarie del protocollo si impegnano a:
− collaborare con l’Assessorato provinciale alle pari opportunità a promuovere a
livello locale, di settore e aziendale, una cultura più favorevole alla conciliazione
famiglia-lavoro;
− fornire informazioni, secondo le modalità che riterranno più opportune, sulle
finalità e i contenuti della legge 53/2000, in particolare sull’articolo 9;
− fornire, per quanto di competenza, assistenza alle aziende interessate all'accesso
ai finanziamenti previsti ex art. 9, per la possibile presentazione da parte delle
stesse di progetti di flessibilità a favore della conciliazione, sostenuti dalla
norma medesima;
− collaborare con l’Assessorato provinciale alle pari opportunità nell’attività di
monitoraggio e valutazione dei progetti finanziati, nonché nell’organizzazione di
momenti formativi per i soggetti interessati alle opportunità offerte dall’art. 9;
tali interventi formativi potranno essere realizzati nei rispettivi settori e con
modalità da concordare.
E, volendo dare concreta attuazione a tale impegno, la Consigliera di Parità e
l'Assessorato hanno messo altresì a disposizione delle aziende le proprie competenze ed
il proprio tempo per supportare le medesime nella redazione di validi progetti,
realmente finanziabili dal Ministero.
Sono così state sostenute circa 15 aziende, anche di notevoli dimensioni (Poli
Supermercati s.p.a., Federazione Centrale delle Cooperative, Dana, Casse Rurali del
Trentino, Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari...), delle quali la maggior parte
hanno già visto approvato, e dunque finanziato, il proprio progetto, mentre altre sono
tuttora in attesa dell'esito della valutazione ministeriale.
Grazie dunque al concreto e significativo impegno su questo versante, la disposizione
normativa sta ottenendo, finalmente, l'attenzione che merita, con un atteggiamento più
maturo e responsabile delle aziende ed una reale promozione di azioni positive volte
alla conciliazione e, in ultima analisi, all'incremento dell'occupazione femminile.
50
7. PROGETTO “INCONTRI SUL TERRITORIO PROVINCIALE”
FORMAZIONE E INFORMAZIONE:
“Incontri sul territorio provinciale”
Il D. lgs. 196/2000, all'art. 3, prevede espressamente che le Consigliere ed i Consiglieri
di parità intraprendano “ogni utile iniziativa ai fini del rispetto del principio di non
discriminazione e della promozione delle pari opportunità per lavoratori e lavoratrici”
anche tramite “la diffusione della conoscenza e dello scambio di buone prassi e attività
di informazione e formazione culturale sui problemi delle pari opportunità e sulle varie
forme di discriminazione”.
Per dare attuazione a tale disposizione e allo scopo di prevenire le discriminazioni di
genere, la Consigliera di parità ha avviato un’azione comunicativa rivolta alle
lavoratrici e ai lavoratori attraverso una serie di incontri sul territorio provinciale
nonché attraverso la predisposizione di una brochure informativa (cfr. Progetto C)
par.11).
Inoltre, nella consapevolezza che per molte donne è più “difficile” chiedere aiuto (ad
esempio per le immigrate o le lavoratrici atipiche), la Consigliera di Parità sta
continuando la sua azione “a tutto campo”, rafforzando gli strumenti di lavoro e le
collaborazioni che permettano di informare le donne sull’opportunità di trovare un
supporto al loro problema. La collaborazione con il progetto “Lavoro domestico e
condivisione dei ruoli familiari” (in collaborazione con l’Azienda Sanitaria, che ha
portato alla predisposizione di brochure informative in varie lingue, distribuite in modo
capillare sul territorio) va chiaramente in questa direzione. Sono, invece, in fase di
consolidamento le reti già sperimentate sul territorio, come la Rete dei Comitati
Provinciali di Pari Opportunità (cfr. Progetto C) par. 7).
Più precisamente, e con riguardo agli incontri pubblici sul territorio, si rammenta che
questo tipo di attività informativa rappresenta la prosecuzione e sviluppo del progetto
avviato nel 2006.
Già lo scorso anno la Consigliera di Parità ha infatti promosso una serie di incontri di
formazione-informazione sul territorio provinciale extra-urbano (nei comuni di Borgo
Valsugana, Cles, Rovereto ed altri), aventi ad oggetto l'approfondimento di alcune
tematiche di particolare rilievo ai fini del rispetto del principio di non discriminazione e
della promozione delle pari opportunità di genere.
Nel 2007 tale attività è proseguita, rivolgendosi ad ambiti territoriali non coperti dalla
precedente “campagna informativa”, tra cui, ad esempio, i Comuni di Cembra, Malè,
Ala, Albiano, Mori etc.
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Quanto ai temi trattati durante i predetti incontri, la discussione ha solitamente
riguardato i seguenti argomenti:
a) ruolo e funzioni della Consigliera di parità (sportello gratuito di consulenza ed
assistenza legale sulle “questioni di genere”, e promozione di azioni positive);
b) nozione ed approfondimento del principio di uguaglianza nell'ottica di parità di
trattamento e pari opportunità di genere;
c) concetto di “discriminazione di genere” nelle sue molteplici forme: diretta-indiretta,
palese-occulta, individuale-collettiva, e di “discriminazione multipla”, ed analisi della
casistica più ricorrente;
d) nozione di “azione positiva”, ed esemplificazioni concrete di strumenti sussumibili
nel suo ambito, in particolare:
- la c.d. “quota rosa” in politica;
- il “Rapporto biennale aziendale sulla situazione del personale” nel contesto lavorativo.
e) analisi delle condotte integranti il c.d. “mobbing” e le molestie sessuali, e dei
principali riferimenti normativi e giurisprudenziali;
f) approfondimento della disciplina a sostegno della maternità e della paternità;
g) individuazione dei principali strumenti di conciliazione, dedicando specifica
attenzione ai servizi per la prima infanzia (asili nido) ed al contratto di lavoro a tempo
parziale.
*****
Intendendo richiamare sommariamente il contenuto di alcune summenzionate
tematiche:
- con specifico riferimento alla nozione di discriminazione di genere e di
discriminazione multipla, in tali incontri sul territorio la Consigliera ha voluto porre
in rilievo che:
Nel nostro paese il divieto di discriminazione si è andato costruendo attorno al fattore
“genere”, ossia inizialmente come divieto di discriminazione per ragioni di sesso, ed è
stato concepito come strumento principe per garantire l'eguaglianza (l'eguaglianza
formale, in prima battuta, e l'eguaglianza anche sostanziale in una seconda e più evoluta
fase). Ciò sulla base di una definizione di discriminazione, diretta e indiretta,
sufficientemente precisa quantomeno a partire dagli anni '90:
− sussiste discriminazione diretta quando una persona è trattata in modo
pregiudizievole in ragione del sesso (es.: non ti assumo perchè sei incinta).
− sussiste discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio o una prassi
apparentemente neutri pregiudicano in realtà le persone appartenenti ad un genere
rispetto all'altro, e non sono essenziali allo svolgimento dell'attività lavorativa (es.:
altezza fisica come requisito per accedere a determinate professionalità – vigili
urbani).
Tale “modello” antidiscriminatorio è stato poi più recentemente utilizzato, appunto
come modello, di fronte alla prepotente emersione di altri fattori potenzialmente
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discriminatori, come l'orientamento sessuale, l'etnia, la nazionalità, l'handicap, l'età, la
fede religiosa e la razza, ed anche di fronte al fenomeno delle c.d. “discriminazioni
multiple”, che si verifica quando una persona è discriminata a causa di più
caratteristiche individuali che la contraddistinguono, comportando effetti fortemente
pregiudizievoli e lesivi dei suoi diritti e libertà fondamentali e della sua dignità
personale: ad es., genere ed età (non ti assumo perché sei donna, ed oltretutto hai un'età
in cui è facile presumere che avrai dei figli), oppure handicap ed orientamento sessuale
(non ti assumo perché sei parzialmente invalido ed oltretutto omosessuale), e così via.
Con particolare riferimento alla razza, ad esempio, bisogna ricordare che la 1egge n.
40/98, poi confluita nel T.U. sull'immigrazione - D.lgs. 286/98-, (modificato
ulteriormente da recenti interventi del legislatore, a partire dalla c.d. Legge Bossi-Fini,
n. 189/02) è stata debitrice delle nozione di discriminazione introdotta dall'art. 4 della
1egge n. 125/91 relativa alle discriminazioni per ragioni di sesso, anche se tale nozione
è stata parzialmente ritoccata per adattarla al diverso fattore di discriminazione (la
razza) ed anche al suo diverso campo di applicazione, che non è ristretto alle sole
condizioni lavorative ed al solo rapporto interpersonale tra datore di lavoro e lavoratore
ma è relativo all'”integrazione sociale” in senso lato degli extracomunitari.
La definizione di discriminazione per i motivi sopracitati – diversi da quello di genere -,
è perciò più ampia e appunto di portata generale, ed è formulata nel seguente modo:
“ogni comportamento che, direttamente o indirettamente, comporti una
distinzione, esclusione, restrizione o preferenza basata sulla razza, il colore,
l'ascendenza o l'origine nazionale o etnica, le convinzioni e le pratiche religiose, e
che abbia lo scopo o l'effetto di distruggere o di compromettere il riconoscimento, il
godimento o l'esercizio, in condizioni di parità, dei diritti umani e delle libertà
fondamentali in campo politico economico, sociale e culturale e in ogni altro settore
della vita pubblica”.
Si tratta di una nozione importante, nella quale si individua chiaramente la strumentalità
del divieto di discriminazione rispetto all'obiettivo di garantire i diritti e le libertà
fondamentali della persona.
Il divieto appare assoluto, sia nel senso che in linea di principio nessuna giustificazione
può restringerne la portata, sia nel senso che la discriminazione è condannata ogni qual
volta sia finalizzata alla lesione dei diritti fondamentali o della dignità della persona.
La prima conclusione che possiamo trarre è dunque che il legislatore ha volutamente
utilizzato la consolidata definizione di “discriminazione di genere” per vietare la
discriminazione fondata su fattori diversi dal sesso, individuati in questo caso nella
razza, colore, ascendenza, origine nazionale o etnica, convinzioni e pratiche religiose.
Il legislatore, cioè, è passato dalle differenze di genere a considerare “altre” differenze
che possono intercorrere tra le persone, e, nel far questo, si è correttamente basato su
quanto era avvenuto nel frattempo a livello comunitario, ove l'U.E. aveva ritenuto che
“la discriminazione basata su religione o convinzioni personali, handicap, età o
tendenze sessuali può pregiudicare il conseguimento degli obiettivi del Trattato CE,
in particolare il raggiungimento di un elevato livello di occupazione e di protezione
sociale, il miglioramento del tenore e della qualità della vita, la coesione economica
e sociale, la solidarietà e la libera circolazione delle persone” (Dir. 2000/78/CE), ed
aveva emanato due provvedimenti di grande rilevanza, cioè la Dir. 2000/43/CE che
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attua il principio della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza
e dall'origine etnica, e la Dir. 2000/78/CE che stabilisce un quadro generale per la parità
di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro.
L'attuazione da parte del nostro ordinamento di queste due direttive comunitarie
(2000/43/CE e 2000/78/CE) ad opera dei d.lgs. nn. 215 e 216 del 2003, rappresenta nel
complesso un significativo passo in avanti sulla via del riconoscimento dei diritti
fondamentali della persona, anzitutto nei luoghi di lavoro, passo in avanti compiuto
attraverso l'estensione della tutela giurisdizionale prevista per le discriminazioni
sessuali alle discriminazioni per motivi di religione, di convinzioni personali, di
handicap, di età e di orientamento sessuale, anche se tuttora permangono molti punti
lacunosi ed oscuri.
Da sottolineare, in particolare, che è stata introdotta per la prima volta la definizione
legale di “molestia” quale illecito civile che integra al tempo stesso gli estremi della
discriminazione, comportando la possibilità di attivare tutte le tutele, inibitorie,
ripristinatorie e risarcitorie, tipiche della disciplina antidiscriminatoria. Ed in base a
questa definizione si ha “molestia” ogni qualvolta venga subito dalla vittima un
comportamento indesiderato che viola la sua dignità personale o crea un clima
intimidatorio, ostile, degradante, umiliante od offensivo anche per motivi, oltre che di
sesso, di razza, origine etnica, religione, handicap, convinzioni personali, età, incluso
espressamente l'orientamento sessuale.
Un'interpretazione convincente di tale disposizione fa propendere per l'estensione
dell'ambito della competenza della Consigliera di Parità anche alle molestie sessuali,
proprio in quanto ora sono configurabili giuridicamente come discriminazioni fondate
sul sesso.
*****
- con riferimento alla nozione di azione positiva, ed in particolare alle c.d. “quota
rosa” in politica, la Consigliera ha sottolineato che:
La sentenza della Corte Cost. 49/2003 è estremamente rilevante al fine non solo della
elaborazione del concetto di eguaglianza ma anche di quello di pari opportunità tra
uomini e donne e azioni positive, come lo è stato il precedente diretto di tale pronuncia,
ovvero la sentenza n. 422 del 1995. Le questioni sollevate allora erano costituite
soprattutto dai confini di legittimità delle azioni positive, in relazione al principio di
eguaglianza, rispetto alle quali si era registrata una sintonia di orientamenti fra Alte
Corti, ovvero la Corte di Giustizia europea, la Corte costituzionale italiana e la Corte
suprema statunitense. Nonostante la diversità degli ambiti di riferimento rappresentanza politica e accesso al lavoro - e dei gruppi di cui promuovere l’inclusione
sociale - le donne nel contesto italiano ed europeo, le minoranze etniche in quello
statunitense, le Alte Corti hanno mostrato di condividere una stessa nozione di pari
opportunità e di azioni positive, come misure dirette ad eliminare gli ostacoli che sono
causa della sottorappresentazione, ma non ad eliminare direttamente la
sottorappresentazione: il che equivale a dire parificazione nei punti di partenza, ma non
nei risultati.
Il giudizio di costituzionalità ha avuto ad oggetto alcune disposizioni dello Statuto
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speciale della regione Valle d’Aosta che dispongono, sotto il profilo sostanziale, che
ogni lista di candidati all’elezione del Consiglio regionale deve prevedere la presenza di
candidati di entrambi i sessi; e, sotto quello più strettamente sanzionatorio, che devono
essere dichiarate non valide dall’Ufficio elettorale regionale le liste non rispondenti alla
condizione indicata.
Tali disposizioni erano state censurate dal ricorrente (Governo) per contrasto con gli
artt. 3, I co., e 51, I co., Cost.
La Corte Costituzionale, con una serie di argomentazioni per molti aspetti “innovative”
(v. infra § 3 e 4), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale.
Specificamente, la Corte rileva che “nella specie il vincolo imposto, per la sua portata
oggettiva, non appare nemmeno tale da incidere propriamente, in modo significativo,
sulla realizzazione dell’obiettivo del riequilibrio nella composizione per sesso della
rappresentanza”: e da questo inciso pare si possa sostenere che la soluzione della Valle
d’Aosta sia minimale, nel senso che potrebbero essere legittimamente utilizzate anche
altre misure atte a favorire in modo più incisivo nei confronti delle donne l’accesso alla
competizione elettorale: vi si può intravedere un’apertura verso il riconoscimento di
percentuali riservate nelle candidature da assegnarsi ex lege al genere
sottorappresentato.
Altro elemento di interesse sul punto è la configurazione della condizione di legittimità
delle liste elettorali - costituita dalla presenza nelle stesse di candidati di entrambi i
sessi -, non come “azione positiva”, bensì, più semplicemente, come norma
antidiscriminatoria.
L’affermazione è decisiva per il fatto che, sottraendo le disposizioni impugnate al genus
delle azioni positive per sussumerle invece nell’ambito delle norme antidiscriminatorie,
la Corte mostra di fare propria una nozione di “azione positiva” legata ad un trattamento
in qualche modo diseguale, che comporta l’attribuzione di concreti benefici differenziati
anche in deroga al principio dell’eguaglianza formale; la disposizione
antidiscriminatoria è intesa invece come misura diretta a rimuovere la situazione
ingiusta attraverso tecniche garanti della parità di trattamento a favore del soggetto o del
gruppo discriminato, ma non direttamente attributive di vantaggi specifici.
L’impostazione della Corte sembra autorizzare a ritenere che le suddette tecniche
preferenziali godano in linea generale di spazi di intervento ben più incisivi delle norme
antidiscriminatorie e possano legittimamente consistere in vere e proprie “misure
diseguali”. E questa distinzione concettuale rilevata dalla Corte, interpretata alla luce
del II co. dell’art. 3 nella parte in cui impone alla Repubblica di “rimuovere gli
ostacoli…”, induce a ritenere avvallata la legittimità anche delle c.d. “quote rosa”,
poiché proprio la rimozione degli ostacoli comporta la necessità di utilizzare misure più
incisive, volte a promuovere il raggiungimento del riequilibrio.
*****
- riguardo alla nozione di azione positiva, ed in particolare al “Rapporto biennale
aziendale sulla situazione del personale” nel contesto lavorativo, la Consigliera ha
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evidenziato che:
L’art. 9, L.n. 125/1991, “Azioni positive per la realizzazione della parità uomo –
donna”, riguarda la predisposizione da parte delle imprese con più di 100 dipendenti di
un rapporto sulla situazione del personale, maschile e femminile, che deve essere
compilato con cadenza biennale ed ha carattere dettagliato, dovendo essere indicati dati
disaggregati per sesso relativi all’occupazione, allo stato delle assunzioni, della
formazione e della promozione professionale, ai livelli di inquadramento e retributivi,
ed ai licenziamenti.
Il rapporto ha lo scopo di porre in evidenza, mediante la comparazione tra la situazione
dell’occupazione femminile rispetto a quella maschile, i c.d. fenomeni di
“segregazione” orizzontale e verticale, ovvero la concentrazione dell’occupazione
femminile in determinati settori, oppure in determinate qualifiche o categorie
professionali, spesso meno remunerate oppure con minori possibilità di carriera. I dati
forniti possono inoltre rendere visibile la minor propensione da parte dei datori di
lavoro verso l’assunzione di personale femminile, oppure verso la formazione
professionale femminile.
Si tratta di uno strumento di rilevante importanza per la promozione delle pari
opportunità, perché consente l’individuazione di azioni positive volte all’eliminazione
delle disparità di fatto di cui le donne sono oggetto nell’accesso al lavoro, nella
progressione di carriera, e in generale nella vita lavorativa; alla modifica delle
condizioni di lavoro e di organizzazione e distribuzione del lavoro al fine di favorire
una più equa distribuzione delle responsabilità familiari, ed alla promozione
dell’inserimento delle donne nei settori e nei livelli nelle quali sono sottorappresentate.
Infatti, la diversità nelle dinamiche occupazionali e retributive, se indica una situazione
di svantaggio nei confronti delle donne, richiede opportune azioni correttive che si
inscrivono proprio nella logica della rimozione degli ostacoli che, anche dal punto di
vista delle scelte di gestione del personale e di tipo organizzativo, si oppongono al
raggiungimento della piena parità tra uomini e donne nel lavoro.
Tali azioni positive possono consistere, ad esempio, in incentivi in materia di orari di
lavoro flessibili, nell’introduzione di servizi di assistenza ai figli delle donne occupate,
nel favorire la formazione professionale femminile mediante la predisposizione di corsi
ad hoc, nel controllo delle procedure di assunzione onde evitare che siano previsti
criteri anche indirettamente discriminatori, e così via.
In tal senso il rapporto può costituire un significativo indizio di una situazione
potenzialmente discriminatoria secondo la nozione di discriminazione indiretta, che
consiste nell’effetto pregiudizievole determinato dall’adozione di criteri,
apparentemente neutri, ma che in realtà svantaggiano in modo proporzionalmente
maggiore i lavoratori dell’uno o dell’altro sesso e non sono essenziali allo svolgimento
dell’attività lavorativa. Si può trattare di criteri “ di fatto” nella gestione del personale,
come l’attribuzione soltanto alle lavoratrici di determinate mansioni a contenuto meno
professionalizzante che si riflettono negativamente anche sull’entità della retribuzione
complessiva, oppure di criteri formali, ma pregiudizievoli per il genere femminile,
incorporati nelle procedure di selezione, come ad. es. il richiedere una determinata
altezza fisica non essenziale allo svolgimento delle mansioni, ecc., secondo i principi
affermati dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea in numerose pronunce, a partire
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dalla nota sentenza Danfoss in cui, da un’analisi della situazione complessiva delle
retribuzioni all’interno di un’azienda venne posto in evidenza il dato sistemico
costituito dalla diverse e minori retribuzioni corrisposte alla componente femminile del
personale, quale indizio di una discriminazione indiretta di cui il datore di lavoro fornì
successivamente le argomentazioni a difesa, che però non vennero ritenute dalla Corte
pienamente legittime.
Altro dato che, in base ad un’analisi dei rapporti, balza agli occhi è il fenomeno della
“segregazione” femminile, sia orizzontale (cioè come minor presenza delle donne in
alcuni settori), che verticale (ossia come minor presenza delle donne nei livelli apicali,
cioè concentrazione della forza lavoro femminile nelle qualifiche professionali più
basse dell’organigramma), ad esempio: per il personale con mansioni impiegatizie le
dipendenti sono bloccate nelle qualifiche meno specializzate, al contrario di quanto
accade per il personale maschile.
L'esame di tali rapporti è utile altresì per rilevare una pesante situazione di “precarietà”
del lavoro femminile causata dal fatto che le donne sono assunte in misura maggiore
degli uomini con contratti a scadenza predeterminata, oppure con contratti di lavoro
“parasubordinato” (c.d. lavoro a progetto), che hanno una diffusione notevole oramai
anche nell’ambito delle pubbliche amministrazioni e non soltanto nel settore privato.
Ciò comporta che la percentuale delle “uscite”, per scadenza del contratto riguarda più
le donne che gli uomini. Questo dato sulla precarietà del lavoro femminile è rilevante
anche sotto il profilo della ricostruzione della propensione all’assunzione delle donne,
in quanto conferma quanto sottolineato dalle teorie economiche sulla discriminazione
statistica, ovvero il fatto che pur aumentando il valore complessivo dell’occupazione
femminile, resta in larga misura ancora presente l’atteggiamento negativo nei confronti
della prestazione lavorativa della donna, ed alla sua minore valorizzazione, anche in
termini di minor propensione alla sua formazione professionale.
*****
- in relazione alla disciplina a sostegno della maternità e della paternità, la
Consigliera ha voluto sottolineare in particolare che:
Al fine di favorire la conciliazione delle esigenze di cura della famiglia (in particolare
dei figli) con le necessità lavorative, il legislatore italiano ha emanato la legge 53/2000
intitolata alle “Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il
diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi nelle città”,
confluita poi, in gran parte, nel decreto legislativo 151/2001, c.d. Testo Unico a
sostegno della maternità e della paternità.
E’ una legge che ha introdotto significative innovazioni, non soltanto dal punto di vista
terminologico, ma anche, principalmente, sotto il profilo contenutistico, rispetto
all’originaria disciplina in materia di astensione dal lavoro e di permessi per la cura e
l’assistenza dei figli, sia naturali che adottivi.
La legge n. 53 costituisce il risultato di un processo di riforma e di ampliamento del
tradizionale sistema di tutele, incentrato sulla figura della lavoratrice madre, alla quale
era riconosciuto il diritto all’assenza dal lavoro nei due mesi precedenti al parto e nei tre
mesi successivi; la facoltà di astenersi dal lavoro per successivi ulteriori sei mesi
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durante il primo anno di vita del bambino; nonché il diritto a periodi di riposo
giornaliero per allattamento ed a permessi per le malattie del figlio di età inferiore ai tre
anni: la lavoratrice madre restava, pertanto, la principale destinataria della legislazione
di tutela.
Radicalmente diverso è il principio sotteso alla disciplina introdotta dalla Legge 53 del
2000, che recepisce i principi contenuti nella Direttiva comunitaria n. 34 del 1996: il
principale elemento innovatore rispetto alla legislazione nazionale previgente è
costituito dalla totale equiparazione del padre alla madre nelle attività di cura, assistenza
ed educazione dei figli, e dei genitori adottivi e affidatari rispetto ai genitori biologici.
I punti salienti di tale normativa possono essere così individuati e sintetizzati:
1. Congedo di maternità.
Il congedo di maternità è quello che nel vigore della precedente disciplina era
denominato “Astensione obbligatoria dal lavoro per maternità” e consisteva, come
noto, nel divieto di adibire al lavoro le donne nel periodo dei due mesi antecedenti alla
data presunta del parto, nel periodo eventualmente intercorrente tra la data presunta e
quella effettiva, nonché nei tre mesi successivi al parto.
La Legge 53, confluita ora nel Testo Unico, ha innovato tale istituto, riconoscendo
maggiore flessibilità alla lavoratrice madre; in particolare, riconoscendole la possibilità
di far decorrere l’astensione obbligatoria dal lavoro a partire da un mese precedente la
data presunta del parto fino a 4 mesi successivi, mantenendo ferma invece la durata
complessiva del congedo stesso, che resta di 5 mesi.
Tale facoltà è ammessa, peraltro, a condizione che il Servizio Sanitario Nazionale
certifichi che quest’opzione non comporta un eventuale pregiudizio alla salute della
madre o del nascituro.
Inoltre, questa stessa legge ha espressamente riconosciuto che, in caso di parto
prematuro - quindi anticipato rispetto alla data presunta - la madre possa recuperare,
dopo la nascita del figlio, il periodo di assenza dal lavoro effettivamente non fruito.
Anche in questo la Legge colma una lacuna della disciplina previgente.
E’ importante sottolineare che il diritto al congedo di maternità è oggi riconosciuto dalla
legge anche alle lavoratrici che abbiano adottato, oppure ottenuto in affidamento, un
bambino di età inferiore ai 6 anni, limitatamente, però, al periodo di 3 mesi successivi
all’effettivo ingresso del bimbo nella famiglia. (Questo limite è spiegabile alla luce del
fatto che in questo caso non c’è un parto, quindi non possono essere previsti i 2 mesi o
il mese antecedente al parto; lo sono invece i 3 mesi successivi).
In caso di adozione o di affidamento preadottivo internazionale, i 3 mesi di congedo di
maternità spettano alla madre anche se il bambino abbia superato i 6 anni di età e fino al
compimento della maggiore età. Ciò è determinato dalle difficoltà oggettive sussistenti
in codeste fattispecie, connesse alla lingua, alle difficoltà di inserimento e di
adattamento, di relazioni, ecc.; quindi la norma ha lo scopo di favorire una relazione
stretta anche col bambino non italiano.
Questo congedo, qualora non venga richiesto dalla madre, è riconosciuto, alle stesse
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condizioni, anche al padre.
2. Congedo di paternità.
Accanto all’istituto del congedo di maternità, la Legge 53 introduce il congedo di
paternità, ossia attribuisce anche al padre un vero e proprio diritto di astenersi dal lavoro
in occasione della nascita del figlio: ciò però soltanto in alcune ipotesi tassativamente
elencate dalla legge, identificandoli nei casi di: morte o grave infermità della madre,
oppure nell’abbandono del figlio da parte della stessa, o nell’affidamento del bimbo
esclusivamente al padre.
Certamente si tratta di casi gravi, proprio perché la naturale funzione di accudimento e
allattamento nell’immediatezza del parto è chiaramente devoluta in via primaria alla
madre.
In ogni caso, questo diritto si aggiunge al periodo (successivo) che può essere fruito dal
padre come “congedo parentale” (v. infra).
3. Trattamento economico.
Per quanto riguarda il trattamento economico, durante il congedo di maternità o di
paternità è corrisposta un’indennità giornaliera, e quindi poi mensile, pari all’80% della
retribuzione media globale, indennità che peraltro è solitamente migliorata dalla
contrattazione collettiva che giunge a riconoscere il 100% della retribuzione.
Inoltre questo periodo di congedo è computato nell’anzianità di servizio a tutti gli
effetti, compresi quelli relativi alla tredicesima mensilità, alla gratifica natalizia e alle
ferie.
4. Congedo parentale.
Accanto a questi istituti la Legge 53 prevede il c.d. congedo parentale, che si affianca
ed arricchisce gli istituti esistenti, del congedo di maternità e del congedo di paternità,
ma dai quali resta distinto.
Con la locuzione “congedo parentale” ci si riferisce al periodo di astensione facoltativa
dal lavoro riconosciuta ad entrambi i genitori fino al compimento di 8 anni di vita del
bambino, per un periodo massimo individuale – continuativo o frazionato - di 6 mesi
per ciascun genitore, mentre complessivo di dieci mesi, che può però essere esteso ad
undici in una specifica ipotesi.
Infatti, il periodo massimo di 6 mesi è peraltro elevabile a 7 mesi per il solo padre
lavoratore, nell’ipotesi in cui egli eserciti il diritto al congedo parentale per un tempo
minimo di 3 mesi.
Il legislatore ha evidentemente voluto incentivare l’utilizzo di questo strumento
introducendo una sorta di “bonus”: in altri termini, nell’ipotesi in cui il padre fruisca del
congedo per almeno 3 mesi, ha diritto ad un mese di congedo in più rispetto ai 6 mesi
massimi previsti. Quindi, alla fine, il periodo complessivo di congedo parentale può
arrivare ad 11 mesi, fruibili insieme dai genitori (se la madre ne fa 6 il padre ne potrà
fare 4, -o 5-; se la madre ne fa 5 il padre potrà fare gli altri 5, -o 6-; se la madre ne fa 4 il
padre potrà farne 6, –o 7-; la madre potrà invece farne sempre massimo 6).
Questo meccanismo di elevazione di un mese della durata complessiva del congedo
parentale va letto in una prospettiva di promozione della condivisione e, quindi, di una
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maggiore ripartizione dei ruoli e dei compiti familiari.
A questo punto è necessario chiarire le diverse ipotesi in cui:
−
entrambi i genitori siano lavoratori subordinati,
−
la madre sia lavoratrice autonoma, imprenditrice agricola o artigiana o esercente
un’attività commerciale,
−
un genitore sia lavoratore autonomo e l’altro lavoratore subordinato,
−
vi sia un unico genitore.
Innanzitutto, la Legge ribadisce che nell’ipotesi in cui entrambi i genitori siano
lavoratori subordinati, ambedue hanno il diritto al congedo parentale, ed ambedue per
un tempo massimo di 6 mesi (salva l’elevabilità a 7 mesi per il padre, precedentemente
richiamata), per un periodo complessivo di 10 mesi (o, eccezionalmente, di 11).
Ciò vale sia per l’impiego privato che per l’impiego pubblico.
Nell’ipotesi, invece, di lavoratrici autonome, le madri lavoratrici hanno diritto al
congedo parentale per un periodo massimo di 3 mesi entro il primo anno di vita del
bambino.
Quindi si tratta di un diritto parimenti riconosciuto, ma sensibilmente ridotto, analogo
diritto è riconosciuto, a parità di condizioni, in caso di adozione e di affidamento.
Nell’ipotesi, invece, in cui ci sia compresenza di un genitore lavoratore autonomo e di
un altro genitore lavoratore subordinato, bisogna distinguere a seconda che il lavoratore
autonomo sia la madre oppure il padre.
Se lavoratrice autonoma è la madre, ella avrà diritto – come chiarito – ai 3 mesi di
congedo, ed il padre, lavoratore subordinato, all’utilizzo dei 6 mesi di congedo
parentale (7 nel caso in cui ne utilizzi quantomeno 3), e si perverrà, anche in codesto
caso, ad un periodo complessivo di congedo parentale di 10 mesi.
Nell’ipotesi, invece, in cui lavoratore autonomo sia il padre, la normativa è diversa: la
legge non prevede - per il lavoratore autonomo padre - il diritto al congedo parentale e
quindi la famiglia potrà fruire soltanto del congedo parentale riconosciuto alla madre,
cioè i 6 mesi previsti dalla Legge 53 del 2000, nei primi 8 anni di vita del bambino.
L’ultima ipotesi ricorre quando il genitore è unico: in questo caso la Legge riconosce il
diritto di astenersi dal lavoro per un periodo continuativo o frazionato pari a 10 mesi.
Al riguardo sorge spontanea una domanda: Quando il genitore può considerarsi
“unico?” Evidentemente, nell’ipotesi di morte della madre, di abbandono del figlio da
parte della madre, di affidamento esclusivo del bimbo al padre ed anche nell’ipotesi di
non riconoscimento del figlio.
Quest’ultimo caso è rilevante perché significa che le situazioni di ragazza madre e di
genitore single non sono considerate dalla legge di per sé ipotesi di “genitore unico”: è
necessario, per poter fruire del periodo di congedo di 10 mesi, il mancato
riconoscimento del figlio da parte dell’altro genitore: solo in tale ipotesi vi è l’unicità
del genitore.
60
Per quanto riguarda le modalità di esercizio, va precisato che l’esercizio del diritto a
fruire del congedo parentale è subordinato al solo obbligo di preavviso non inferiore a
15 giorni, mentre non è consentito al datore di lavoro rifiutare il congedo parentale
oppure posticiparlo, cioè concederlo successivamente, adducendo giustificati motivi
organizzativi dell’azienda.
Proprio con riferimento a quest’ultimo aspetto, in effetti, la giurisprudenza si era già
pronunciata nel senso della illegittimità del comportamento di quel datore di lavoro che
avesse impedito la fruizione del congedo parentale adducendo la necessità di soddisfare
esigenze organizzative imprenditoriali.
Per quanto riguarda il trattamento economico, invece, è prevista un’indennità pari al
30% per un periodo complessivo massimo di 6 mesi fino al compimento del terzo anno
di vita del bambino, salva, naturalmente, l’eventuale disciplina migliorativa, sempre
possibile, del contratto collettivo. E’ noto, infatti, che la legge indica “i minimi
retributivi indispensabili” al di sotto dei quali non si può scendere, ma la contrattazione
collettiva spesso innalza queste percentuali, quantomeno per i primi mesi di congedo
parentale.
Per i congedi che eccedono i 6 mesi, oppure goduti dopo i primi 3 anni di vita del
bambino, l’indennità retributiva del 30% è prevista soltanto in presenza di soglie
minime di reddito: è quindi un’indennità strettamente commisurata al reddito
individuale di chi intende godere del congedo.
5. Divieto di licenziamento per maternità e diritto al rientro sul posto di lavoro.
Ulteriore aspetto che dev’essere sottolineato riguarda il divieto di licenziamento per
maternità ed il diritto al rientro sul posto di lavoro.
Già la precedente normativa sanciva il divieto di licenziamento della lavoratrice
dall’inizio del periodo di gravidanza fino al compimento del primo anno di età del
bambino: oggi la Legge, oltre a confermare questo divieto per la lavoratrice madre, lo
estende anche al padre lavoratore - naturalmente in caso di fruizione del congedo di
paternità - per la durata dello stesso e, comunque, fino al compimento del primo anno di
vita del bambino.
Inoltre, sia alla madre che al padre è riconosciuto il diritto alla conservazione del posto
di lavoro, il diritto a rientrare nella stessa unità produttiva che occupava
precedentemente, o in un’altra situata comunque nell’ambito dello stesso Comune, e di
rimanervi sino al compimento di un anno di età del bambino, e il diritto ad essere
adibito/a alle stesse mansioni o a mansioni equivalenti a quelle precedentemente svolte.
Infine, le eventuali dimissioni volontarie della lavoratrice in gravidanza o del lavoratore
in congedo di paternità - e fino al compimento del primo anno di vita del bambino, o, in
caso di adozione o di affidamento, entro un anno dall’ingresso del minore in famiglia devono essere convalidate dal Servizio Ispettivo del Ministero del Lavoro competente
per territorio, al fine di garantire la genuinità del consenso, potendosi presumere che le
dimissioni volontarie in questo periodo non siano in realtà genuine, ma frutto di qualche
pressione.
61
6. Riposi giornalieri.
Il legislatore ha introdotto il diritto, per le lavoratrici madri, di ottenere, durante il primo
anno di età del bambino, due periodi di riposo giornaliero di un’ora ciascuno. Questi
permessi sono ridotti alla metà nell’ipotesi in cui nella struttura - quindi nell’azienda,
pubblica o privata che sia - sia istituito un asilo nido, così come le stesse due ore
vengono ridotte ad un’ora nel caso, invece, in cui la giornata lavorativa sia
complessivamente inferiore alle 6 ore.
Anche il padre ha diritto ai riposi giornalieri qualora non vi sia la madre: quindi,
nell’ipotesi di morte della madre o di sua grave infermità, nell’ipotesi di abbandono del
figlio o di affidamento esclusivo al padre, o anche nell’ipotesi in cui la madre non se ne
avvalga.
C'è dunque una leggera differenza rispetto agli altri istituti: in questo caso non c’è un
pari diritto del padre e della madre a fruire dei riposi giornalieri, perché il diritto del
padre è subordinato al fatto che la madre vi rinunci perché non se ne avvale, altrimenti è
riconosciuto in prima battuta alla madre.
Il diritto ai riposi giornalieri ed ai permessi spetta anche in caso di adozione o di
affidamento, comunque entro il primo anno dall’ingresso del bambino nella famiglia.
Una disciplina particolare è riscontrabile, poi, nel caso di parto plurimo (parto
gemellare o tri-gemellare….): in tali casi il permesso, ed anche, in via più generale, gli
istituti dei “congedi”, sono raddoppiati (non moltiplicati quanti sono i figli: quindi se 2,
3 o più gemelli il permesso rimane raddoppiato).
7. Congedo per malattia del figlio.
E’ noto che la precedente disciplina prevedeva il diritto della madre lavoratrice o, in
alternativa, del padre lavoratore, ad assentarsi dal lavoro durante la malattia del
bambino di età inferiore ai 3 anni. Anche in riferimento a questo istituto la disciplina
innova in maniera sensibile, perché il diritto di astensione dal lavoro è riconosciuto oggi
sia alla madre che al padre per tutto il periodo della malattia, senza limiti di tempo, fino
al compimento del terzo anno di vita del bambino (termine che, in caso di adozione o di
affidamento, è elevato ai 6 anni).Tale diritto all’astensione viene invece limitato a 5
giorni all’anno per ciascun genitore, dai 3 agli 8 anni di età del figlio (e dai 6 agli 8 anni
in caso di adozione o di affidamento).
Nel caso in cui entrambi i genitori siano lavoratori subordinati, essi non possono
usufruire contemporaneamente di queste astensioni per malattia, e quindi il genitore che
se ne avvale deve presentare una dichiarazione, nelle forme dell'autocertificazione, che
attesta che l’altro genitore non è in congedo nello stesso periodo, per le stesse ragioni.
8. Cura dei figli minorenni portatori di handicap grave.
La lavoratrice, che abbia un figlio o una figlia in tali condizioni, anche adottivi, o in
alternativa il padre, oltre ai congedi di maternità e paternità, ai riposi, e ai congedi per
malattia, hanno diritto a:
− prolungare il diritto ad assentarsi per ulteriori 3 anni dopo il termine del congedo
parentale (L. 104/92, art.33, artt. 18 e 19 L. 53/00 ora Testo Unico art.33, e Circ.
62
INPS 133 del 2000,) se il figlio è minorenne (non oltre i 17 anni) e non è ricoverato
in istituto;
− in alternativa, a richiedere due ore di permesso giornaliero retribuito fino al
compimento del terzo anno di vita del bambino.
− ad usufruire di permessi di 3 giorni mensili retribuiti, e con contribuzione
figurativa, successivamente al compimento del terzo anno di vita del bambino, in via
alternativa con il padre, fino al raggiungimento della maggiore età del figlio (18
anni) a condizione che:
– vi sia convivenza oppure
– l’assistenza al figlio sia comunque continuativa ed esclusiva.
In conclusione,
va sottolineato che si tratta di misure che, per essere realmente operative, devono essere
“tradotte” sul versante contrattuale, e cioè al tavolo della negoziazione, compito,
peraltro, non facile atteso che le attuali discipline contrattuali hanno generato alcune
questioni e profili problematici tuttora irrisolti, e sui quali, dunque, è necessario
intervenire, basti pensare, ad esempio, alla possibilità di fruire dell'intero periodo di
“congedo parentale” da parte di uno solo dei due genitori, ai problemi generati dal parttime, alla previsione non generalizzata della c.d. “aspettativa parentale non retribuita”, e
così via.
*****
- in relazione all'individuazione di alcuni strumenti di conciliazione, ed in particolare
al servizio di asili nido, negli incontri sul territorio la Consigliera ha inteso
evidenziare che:
Nella prospettiva di ricercare sempre più efficaci misure di contemperamento fra
esigenze professionali e familiari, il servizio di asilo nido aziendale ed interaziendale
può costituire uno strumento particolarmente rilevante.
Invero, è dimostrato che, laddove ci sono imprese con una stragrande maggioranza di
occupazione femminile, se si offrono alle lavoratici validi strumenti di conciliazione,
come ad esempio l’asilo nido interaziendale, vengono notevolmente ridotti i problemi di
allontanamento dal posto di lavoro: in particolare, la richiesta di lavoro a tempo
parziale, e perciò il conseguente oggettivo aggravio di lavoro sui colleghi, i quali si
trovano spesso costretti a dover supplire al lavoro non svolto da chi è in par-time; le
assunzioni temporanee per sostituzione, alle volte poco proficue per l'azienda sul piano
del rendimento; favorirebbe invece un rientro più veloce dopo la maternità,
comportando per tali ragioni dei significativi vantaggi per l'azienda in termini di
produttività e competitività.
Al contempo, devono essere tuttavia evidenziati i profili problematici relativi alla
predisposizione di un concreto progetto di fattibilità, fra i quali emergono:
– quello inerenti ai costi per la realizzazione, gestione e funzionamento del servizio;
– quello di individuare il soggetto, pubblico o privato, a cui affidare la gestione del
servizio che può avvenire da parte:
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a) dei Comuni, anche in forma associata;
b) di soggetti privati convenzionati con i Comuni;
c) di soggetti privati, scelti dal Comune mediante apposita procedura ad evidenza
pubblica;
d) di soggetti privati accreditati mediante apposita procedura di accreditamento.
quello relativo ai criteri ed alle modalità per la realizzazione e il funzionamento del
servizio, fra i quali, ad es:
il rispetto di apposite procedure di accreditamento, che richiedono requisiti qualitativi
aggiuntivi rispetto a quelli previsti per l'autorizzazione al funzionamento
(individuazione di apposite modalità di selezione del personale educativo; preventiva
predisposizione di un determinato progetto pedagogico, istituzione della figura del
coordinatore pedagogico, e così via);
l'individuazione di opportuni moduli organizzativi e strutturali, differenziati e flessibili
rispetto agli orari ed ai tempi di apertura e chiusura del servizio, mediante forme di
flessibilità codificate;
l'organizzazione del servizio di ristorazione (servizio mensa), e degli altri servizi, anche
di supporto: pulizia, manutenzione, ecc;
l'individuazione dei requisiti per l'accesso al servizio ed il sostegno dei costi di gestione,
ad es., prevedendo la fruibilità del servizio, oltre che ai figli dei dipendenti, anche ad
una quota-parte di utenti esterni all'azienda, e pure ai figli delle stesse operatrici che
lavorano nella struttura;
la necessità che l'asilo nido inter-aziendale non presenti caratteristiche tali da porlo in
“concorrenza” con quello pubblico, ma si aggiunga a quello al fine di soddisfare al
meglio le esigenze delle famiglie;
la garanzia, per i bimbi iscritti, della possibilità di continuare a frequentare l'asilo nido
anche nell'ipotesi di cessazione, per qualsiasi causa, del rapporto di lavoro del genitore
che presta la propria opera presso l'azienda;
la ricerca degli spazi per la struttura, e la verifica della loro idoneità: in generale si
prevede un rapporto numerico minimo di 8/10 mq. per bambino;
quella di garantire l'elevata qualità del servizio, attraverso un'alta professionalità degli
operatori -assicurata, ad es., dall'omogeneità dei titoli di studio, da una loro formazione
specifica, dall'aggiornamento costante nel tempo ecc.-, l'individuazione di forme di
partecipazione delle famiglie ai programmi educativi ed alle scelte pedagogiche, anche
attraverso l'istituzione di specifici organismi rappresentativi, e così via.
A fronte di tali profili, vi sono però dei vantaggi sia per le aziende stesse, che per le
lavoratrici ivi occupate; in particolare:
sul versante dei vantaggi per l'azienda:
− favorire il rientro sul posto di lavoro;
− ridurre le assenze;
− sgravare il personale dall'aggravio di ulteriore lavoro conseguente all'assenza
del personale femminile;
− creare un clima aziendale sereno e positivo;
− incrementare la produttività e competitività aziendale;
64
−
−
fidelizzare il personale dipendente motivandolo e gratificandolo;
ottenere visibilità e approvazione esterna.
per le lavoratrici i vantaggi sono identificabili nel:
– facile contatto con la struttura e perciò con il bimbo, ed il personale del nido;
– riduzione della necessità del part-time o delle varie forme di congedo per
maternità;
– riduzione dei tempi di trasferimento;
– possibilità di fruire di orari dell'asilo allineati con quelli lavorativi;
– riduzione dello stress e perciò serenità e gratificazione.
Conclusioni.
Si tratta, in tutta evidenza, di un quadro complessivo teorico-pratico sull'“uguaglianza di
genere” la cui conoscenza da parte dell'intera collettività – donne/uomini – assurge ad
elemento indefettibile per comprendere il significato delle attuali politiche di welfare su
tale versante, il ruolo/contributo della donna nel contesto sociale ma anche
economico/produttivo di oggi, la valenza di “risorsa” delle sue energie lavorative, e per
acquisire consapevolezza, non solo dei diritti di donne e uomini in campo lavorativo,
ma anche a livello sociale, e del necessario rispetto da parte di tutti del valore assoluto
della dignità umana nel vivere quotidiano.
65
8.
PROGETTO
OPPORTUNITA’”
“RETE
PROVINCIALE
DEI
COMITATI
PARI
RETE PROVINCIALE DEI COMITATI PARI OPPORTUNITA’:
PERCORSO E PROSPETTIVE
Promossa e sostenuta dalla Consigliera di Parità e dalla Commissione Provinciale per le
Pari Opportunità della Provincia Autonoma di Trento, la Rete si configura come stabile
modalità di confronto, condivisione e collaborazione per la realizzazione delle pari
opportunità e la valorizzazione delle differenze di genere nei rispettivi ambiti lavorativi;
vuole inoltre essere spunto e supporto per la riattivazione o costituzione di nuovi
Comitati.
Attualmente è composta dai Comitati Pari Opportunità di: Azienda Provinciale per i
Servizi Sanitari, Camera di Commercio - Industria - Artigianato e Agricoltura di Trento,
Comune di Rovereto, Comune di Trento, Gruppo Ferrovie dello Stato di Verona e
Trentino Alto Adige, Poste Italiane S.p.a, Provincia Autonoma di Trento, Regione
Autonoma Trentino-AltoAdige/Südtirol, Itas Ass.ni e Università degli Studi di Trento.
L´adesione alla Rete provinciale è aperta a tutti i Comitati che desiderino condividerne
modalità ed obiettivi.
Percorso e prospettive
Ideazione e costituzione:
Nella primavera del 2005 l’allora Consigliera di Parità, dott.ssa Emanuela Zambotti, e la
Commissione Provinciale per le Pari Opportunità decisero di indagare la situazione dei
Comitati Pari Opportunità sul territorio provinciale, convinte dell’importante ruolo che
tali organi possano ricoprire per la realizzazione di condizioni di effettive pari
opportunità nell’ambito lavorativo.
Con la preziosa collaborazione dell’Ufficio Statistica della PAT, durante l’estate del
2005 venne effettuata una mappatura per conoscere i Comitati di Enti e Aziende
pubbliche e private già costituiti o in via di costituzione: in breve tempo si predispose
un questionario, si procedette alla formazione delle/degli intervistatrici/tori e si
contattarono telefonicamente le 194 aziende che nel censimento del 2001 risultavano
essere composte da più di 100 dipendenti.
In sintesi i risultati rivelarono l’esistenza di 9 Comitati operanti sul territorio provinciale
(Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari con ben 3 comitati, Comune di Rovereto,
Comune di Trento, ITAS Istituto Trentino Alto Adige Assicurazioni, Poste Italiane
66
S.p.a., Provincia Autonoma di Trento, Regione Autonoma Trentino Alto Adige,
Ferrovie dello Stato, Università degli Studi di Trento), 2 Comitati in via di costituzione,
e 25 aziende aventi una figura che si occupa di Pari Opportunità.
Dalle risposte ottenute e dai primi contatti effettuati alla fine dell’estate 2005, nacque
l’idea di promuovere la messa in rete dei Comitati Pari Opportunità operanti sul
territorio trentino, per rafforzare quelli già esistenti e promuoverne la creazione di
nuovi.
Il primo incontro “formale” ad una Tavolo di lavoro comune ebbe luogo il 28 ottobre
2005 e vi presero parte i/le rappresentanti di otto Comitati, dei quali alcuni costituiti
presso i maggiori enti pubblici della provincia di Trento (Provincia Autonoma di
Trento, Comune di Trento, Regione Autonoma TAA, Azienda Provinciale Servizi
Sanitari, Università degli Studi di Trento), altri costituiti presso i maggior enti pubblici
privatizzati (Ferrovie dello Stato, Poste Italiane) o presso compagnie assicurative (Itas
Mutua Assicurazioni), la Consigliera di Parità e una componente della Commissione
provinciale per le Pari Opportunità.
L’incontro realizzò una prima condivisione di esperienze specifiche, anche nel tentativo
di individuare aspetti comuni, criticità e difficoltà anche operative di ciascun
Organismo; si evidenziarono da subito realtà molto diversificate tra loro, sia dal punto
di vista organizzativo che operativo, e ciò rafforzò la volontà di dar corso ad un Tavolo
dove incontrarsi e lavorare a progetti comuni.
In tale ottica la Rete aspira a rappresentare uno stimolo per quei Comitati che, pur
formalmente costituiti, riscontrano maggiori difficoltà di affermazione del proprio
ruolo; un punto di forza per quelle realtà che vorrebbero costituirsi ex-novo; e infine
semplicemente un luogo di progettazione comune di interventi e azioni positive per i
Comitati già operativi.
Il primo scambio di esperienze rese evidente ai/alle partecipanti come l'importanza del
confronto e del dibattito continuo sui temi segnalati, e rafforzò oltremodo la
convinzione che il progetto concreto di istituire una Rete fra i Comitati del Trentino,
quale strumento stabile di collaborazione, potesse rappresentare la direzione giusta
anche per rafforzare il ruolo dei Comitati stessi.
Così già nel novembre successivo venne convocata una seconda riunione, in cui si
focalizzò una serie di problematiche quale punto di partenza della riflessione comune e
venne proposta la partecipazione ad un Convegno sulle discriminazioni di genere,
organizzato dalla Consigliera di Parità e dalla Commissione provinciale per le Pari
Opportunità, per il giorno 24 novembre 2005, come primo momento di formazione
condivisa.
Attività primo semestre 2006:
Nel primo semestre 2006 si susseguirono gli incontri al Tavolo di lavoro; in particolare,
da gennaio a maggio si svolsero ben cinque riunioni.
67
In proposito è da segnalare l’avvicendamento nel ruolo di Consigliera di Parità a partire
dal 26 gennaio 2006, tra la dott.ssa Emanuela Zambotti e la neonominata avv. Eleonora
Stenico, che da subito manifestò apprezzamento per il progetto di costituzione della
Rete provinciale dei Comitati per le Pari Opportunità, condividendone obiettivi e
finalità e dichiarando il proprio appoggio.
L’assemblea ritenne funzionale prevedere, a questo punto, all’interno della Rete, la
figura di una coordinatrice che venne individuata nella dott.ssa Emanuela Zambotti.
Riunione allargata della Rete dd. 9 giugno 2006:
Il 09.06.06 venne organizzata una riunione allargata fra tutti i componenti (e, dunque,
non solo fra i rappresentanti) degli Organismi aderenti alla Rete, al fine di coinvolgere
maggiormente tutte le realtà rappresentate e di diffondere l'iniziativa e le sue finalità.
Presso la Sala Falconetto del Comune di Trento, messa a disposizione su interessamento
del relativo Comitato, si ritrovarono circa un’ottantina di componenti dei Comitati per le
Pari Opportunità, per condividere le singole esperienze nonché per esprimere le
aspettative future anche alla luce della neonata collaborazione.
In tale occasione venne elaborata e condivisa la prima bozza di una “Dichiarazione
d’Intenti” volta a “istituzionalizzare” la collaborazione fra i Comitati: oltre a
riassumere le ragioni dell’iniziativa e a definire gli obiettivi e le finalità principali della
Rete, la sottoscrizione della Dichiarazione d’Intenti intende costituire il momento di
formale adesione alla Rete e di condivisione dell’impegno assunto.
Attività secondo semestre 2006:
Al termine della pausa estiva ripresero gli incontri della Rete che portarono alla stesura
in forma definitiva della Dichiarazione d’Intenti, considerata in questa fase l’obiettivo
prioritario.
Ciascun Comitato provvide, come programmato inizialmente, a discutere il documento
anche nel proprio ambito di competenza; l’approvazione unanime da parte della
maggioranza dei Comitati presenti creò il presupposto indispensabile per procedere alla
sottoscrizione formale: in data 1 dicembre 2006 otto Comitati per le Pari Opportunità
(Comune di Rovereto, Provincia Autonoma di Trento, Regione Autonoma T.A.A.,
Poste Italiane S.p.A., Università degli Studi di Trento, Ferrovie dello Stato Spa Gruppo
VR-TAA, Comune di Trento, Azienda Provinciale Servizi Sanitari), sottoscrissero, per
mezzo delle/dei loro rispettive/i legali rappresentanti, la Dichiarazione d’Intenti,
unitamente alla Consigliera di Parità ed alla Decana della Commissione provinciale per
le Pari Opportunità tra uomo e donna, a testimonianza ed a conferma del perdurare
dell’impegno assunto a sostegno dell’iniziativa.
Accanto ai lavori che portarono a compimento la Dichiarazione d’Intenti, la discussione
68
della Rete in questa fase si focalizzò sull’esigenza comune di predisporre un progettopercorso di adeguata formazione dei Comitati in tema di pari opportunità.
*****
Attività primo semestre 2007:
alle periodiche riunioni della Rete al Tavolo di lavoro, si affianca un’intensa attività
organizzata in gruppi di lavoro (costituiti da alcune rappresentanti dei Comitati),
nell’ambito dei quali vengono elaborate idee ed iniziative per la realizzazione del
progetto di “Formazione Adeguata”.
Progetto di “Formazione Adeguata”:
la Rete elabora alcune schede sulle tipologie di corsi di formazione in materia di pari
opportunità che si potrebbero pensare di realizzare all’interno dei rispettivi Enti o in
ambito della Rete stessa.
Redatta una prima bozza che prevede l’individuazione di quattro tipologie di corsi di
formazione differenziati per destinatari, si conviene di costituire alcuni sottogruppi che
predispongano nel dettaglio le schede dei singoli corsi: un sottogruppo per la scheda
inerente il corso di formazione sulle pari opportunità esteso a tutto il personale, mentre
un secondo sottogruppo per i progetti dei corsi di formazione per i componenti dei
Comitati - per i quali si intende procedere in una duplice direzione, attraverso la
formazione offerta nell’ambito di ciascun Ente e attraverso iniziative a carattere
seminariale svolte nell’ambito della Rete -.
Per le altre tipologie di corsi, rivolti ai responsabili di struttura ed ai neoassunti, si
decide di non prevedere corsi specifici, ma di organizzarsi in maniera differente,
prevedendo, per i primi, brevi moduli sul tema delle pari opportunità all’interno di corsi
già organizzati su altre tematiche e, per i secondi, recuperando i progetti disponibili
presso i singoli comitati.
Le proposte vengono ampiamente discusse ai Tavoli di lavoro, ed approvate
definitivamente in occasione della riunione della Rete del 15 giugno 2007.
Accanto al progetto di formazione, nel corso delle riunioni della Rete emergono
interessanti spunti per l'elaborazione e realizzazione di ulteriori attività:
Raccolta dei dati inerenti i contratti collettivi dei vari Enti:
Sulla base della considerazione che le realtà di enti ed aziende rappresentate dai
Comitati aderenti alla Rete sono regolate da disposizioni contrattuali diverse, si ritiene
interessante procedere, attraverso la raccolta e l’analisi dei dati contrattuali, ad un
confronto delle disposizioni che riguardano, da un lato, direttamente i Comitati per le
pari Opportunità e, dall’altro, determinati settori e istituti che si ritengono in qualche
modo strettamente collegati all’ambito di attività dei Comitati medesimi.
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La realizzazione di questo obiettivo prevede innanzitutto l’elaborazione di uno schema
in forma di tabella, nel quale ogni singolo Comitato sarà chiamato a riportare le
informazioni richieste in risposta ai quesiti formulati.
Scopo dell’iniziativa è quello di consentire l’acquisizione di nuovi elementi utili per
poter intervenire, per quanto possibile e secondo le modalità a disposizione di ciascun
Comitato, nella modifica delle disposizioni che regolano il contesto lavorativo di
appartenenza, laddove si ravvisi una qualche opportunità di miglioramento nel
perseguimento delle pari opportunità.
Attività secondo semestre 2007:
Realizzazione del progetto di “Formazione Adeguata”:
Il 13 dicembre 2007 presso la Facoltà di Economia e Commercio dell’Università degli
Studi di Trento viene tenuta la prima giornata di formazione rivolta a tutti i componenti
dei Comitati Pari Opportunità, mediante un ricco programma di interventi da parte di 6
docenti universitarie di notevole levatura professionale e con ampi spazi dedicati al
dibattito, come specificato dall'opuscolo divulgativo:
Rete provinciale dei Comitati Pari Opportunità
CPO: PROSPETTIVE, NOVITÀ, STRUMENTI
IN UN APPROCCIO MULTIDISCIPLINARE
PRIMA GIORNATA DI FORMAZIONE
Giovedì 13 dicembre 2007
Sala conferenze "Alberto Silvestri" - Facoltà di Economia, Via Inama 5 – Trento
PROGRAMMA:
Ore 9.00 – 9.15 Saluti
prof.ssa MARIANGELA FRANCH, Prorettore con delega per i progetti didattici speciali e
pari opportunità
avv. ELEONORA STENICO, Consigliera di Parità della Provincia Autonoma di Trento
dott.ssa ISA CUBELLO, Vicepresidente della Commissione provinciale per le Pari
Opportunita’ fra uomo e donna
Introduzione
Ore 9.15 – 9.30 dott.ssa EMANUELA ZAMBOTTI, Coordinatrice Rete provinciale dei
Comitati Pari Opportunità
Ore 9.30 – 10.45 Aspetti storico-sociologici
prof.ssa SILVIA GHERARDI, Docente di Sociologia dei processi economici e del lavoro Facoltà di Sociologia - Università degli Studi di Trento
dott.ssa BARBARA POGGIO, Ricercatrice nel settore Sociologia dei processi economici
e del lavoro - Facoltà di Sociologia - Università degli Studi di Trento e Presidente del
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Comitato Pari Opportunità della Provincia Autonoma di Trento
Ore 10.45 - 11.20 Aspetti culturali
dott.ssa GIOVANNA COVI, Ricercatrice nel settore Lingue e letterature anglo-americane
- Facoltà di Lettere e Filosofia - Università degli Studi di Trento
Ore 11.20 – 12.10 Aspetti economici
prof.ssa PAOLA VILLA, Docente di Economia applicata - Facoltà di Economia Università degli Studi di Trento
Ore 12.10 – 13.10 Aspetti giuridici:
prof.ssa STEFANIA SCARPONI, Docente di Diritto del lavoro - Facoltà di Giurisprudenza
- Università degli Studi di Trento
avv. ELEONORA STENICO, Dottore di Ricerca in diritto del lavoro - Facoltà di
Giurisprudenza - Università degli Studi di Trento e Consigliera di Parità della Provincia
Autonoma di Trento
Ore 13.10: Dibattito
Ore 13.30/14.00: Conclusioni
*****
Nel secondo semestre 2007, inoltre, viene affrontata la necessità di dare pubblicità alla
Rete dei CPO attraverso la creazione di un sito Internet, nel quale pubblicare la
Dichiarazione d’Intenti e il materiale relativo ai progetti realizzati, e
contemporaneamente inserendo un link sui siti dei vari Comitati aderenti al Tavolo di
lavoro.
Infine, si pensa di procedere alla stampa di un opuscolo che possa rappresentare una
sorta di guida pratica per la costituzione di un Comitato per le Pari Opportunità e per il
miglioramento della propria azione nell’ambiente lavorativo.
Viene così elaborata la seguente Scheda, da intendersi come prima “bozza”:
A cosa serve un Comitato pari opportunità?
In base alle disposizioni normative:
accerta e propone azioni volte a ridurre le discriminazioni tra uomo e donna sul
lavoro
ma in generale:
garantisce le pari opportunità per tutte le categorie più penalizzate al di là delle
differenze di genere (ad es. disabili, vittime di soprusi, categorie a rischio …)
inoltre:
anche gli uomini che ne abbiano esigenza possono beneficiare delle azioni positive
71
(formazione e flessibilità)
quindi:
si pone al servizio di tutti i dipendenti per migliorarne le condizioni lavorative in base
alle problematiche espresse, fornendo stimoli innovativi all’amministrazione
infine:
contribuisce all’aumento della produttività dell’azienda.
Inoltre, viene elaborata la bozza di:
GUIDA ALLA COSTITUZIONE DEL COMITATO PARI OPPORTUNITÀ
La Costituzione del Comitato Pari Opportunità nelle aziende pubbliche e private è il
primo passo per la realizzazione delle Politiche di Pari Opportunità.
La funzione dell'Organismo è quella di proporre interventi e progetti di "azioni positive"
volte ad assicurare la reale parità di trattamento e pari opportunità fra uomo e donna
all'interno dell’Ente o dell'Azienda.
Il Comitato Pari Opportunità usualmente è un organismo misto azienda-sindacato,
generalmente paritetico (con uguale numero di componenti). La parità numerica è una
buona qualità, che consente un confronto alla pari tra azienda e rappresentanti dei/delle
dipendenti, che debbono lavorare fianco a fianco:
Fasi per la costituzione − Consultare il proprio CCNL di categoria, per vedere se sono previste
norme per la costituzione e la regolamentazione.
− Coinvolgere le RSU e la Direzione Aziendale
Regolamento
− Deve essere redatto un regolamento che precisi i compiti e le modalità
di funzionamento.
Compiti
− Presidio contro le discriminazioni dirette ed indirette;
− Sensibilizzazione sulle Pari opportunità
− Informazioni sulle normative che riguardano le lavoratrici;
− Ricerche sulla condizione delle lavoratrici;
− Raccolta dei dati relativi alle materie di propria competenza, che
l'Amministrazione è tenuta a fornire;
− formulazione di proposte in ordine ai medesimi temi anche ai fini della
contrattazione integrativa;
− promozione di iniziative volte ad attuare le direttive comunitarie per
l'affermazione sul lavoro della pari dignità delle persone nonchè a
realizzare azioni positive, ai sensi della legge n. 125/1991;
− analisi dei percorsi di carriera nella dirigenza di prima e di seconda
fascia nella pubblica amministrazione.
Durata
− Il Comitato rimane in carica per la durata di un quadriennio e
e Funzionamento
comunque fino alla costituzione del nuovo. I componenti del Comitato
possono essere rinnovati nell'incarico per un solo mandato.
− Il Comitato si riunisce trimestralmente o su richiesta di almeno 3
72
Obblighi per
l’ente/azienda
Composizione
Risorse
Normativa di
riferimento
componenti.
− Il Comitato deve essere sentito in ordine alla redazione dei Piani
Triennali, ai sensi dell'art. 7 comma 5 del Decreto Legislativo
196/2000.
− Nell'ambito dei vari livelli di relazioni sindacali devono essere sentite
le proposte formulate dal Comitato pari opportunità, per ciascuna delle
materie sottoindicate, al fine di prevedere misure che favoriscano
effettive pari opportunità nelle condizioni di lavoro e di sviluppo
professionale delle lavoratrici:
− percorsi di formazione mirata del personale sulla cultura
delle pari opportunità in campo formativo ed alle politiche
di riforma con particolare riguardo allo sviluppo della
cultura di genere;
− azioni positive, con particolare riferimento alle condizioni
di accesso al corsi di formazione e aggiornamento e
all'attribuzione d'incarichi o funzioni più qualificate;
− iniziative volte a prevenire o reprimere molestie sessuali
nonché pratiche discriminatorie in generale;
− flessibilità degli orari di lavoro;
− fruizione del part-time;
− processi di mobilità.
− Il Comitato è presieduto da un rappresentante dell'Amministrazione o
dell'Azienda, è costituito da un componente designato da ciascuna
delle organizzazioni sindacali di comparto firmatarie del CCNL e da
un pari numero di rappresentanti dei/delle dipendenti.
− E' prevista una segretaria che verbalizza tutte le riunioni.
Gli enti assicurano, mediante specifica disciplina, le condizioni e gli
strumenti idonei per il funzionamento del Comitato.
−
−
−
−
−
−
CCNL
Decreto Legislativo 196/2000;
D.P.R. 268 del 1987, art. 7 (per l'Ente pubblico);
D.P.R. 333 del 1999, art.28 (per l'Ente pubblico),
Decreto Legislativo 29 del 1993, art.47;
....
*****
73
9. PROGETTO “VIDEO PROGRESSO ANTIDISCRIMINATORIO”
FILMATO SATIRICO
CONTRO LE DISCRIMINAZIONI DI GENERE SUL LAVORO
L'art. 15, d. lgs. 198/06 al comma 1, lettera g), testualmente dispone:
“1. Le consigliere ed i consiglieri di parità intraprendono ogni utile iniziativa,
nell'ambito delle competenze dello Stato, ai fini del rispetto del principio di non
discriminazione e della promozione di pari opportunità per lavoratori e lavoratrici,
svolgendo in particolare i seguenti compiti:
g) diffusione della conoscenza e dello scambio di buone prassi e attività di
informazione e formazione culturale sui problemi delle pari opportunità e sulle varie
forme di discriminazioni”.
Intendendo dare attuazione alla prescrizione, la Consigliera di Parità, in collaborazione
con l'Assessorato alle Pari Opportunità ed all'Associazione “Donne in Cooperazione”
della Federazione Trentina delle Cooperative, ha ritenuto utile realizzare un filmato che
propone in chiave satirica le più diffuse situazioni di discriminazione vissute dalle
donne nel contesto lavorativo, finanche al momento dell'assunzione, denunciandone
l'illegittimità.
Il filmato è stato ritenuto uno strumento originale e, al contempo, particolarmente
incisivo ai fini dell'informazione e della sensibilizzazione dei destinatari che di volta in
volta verrano scelti, potendo il medesimo essere utilizzato sia in molteplici occasioni
pubbliche, che all'interno delle aziende pubbliche e private direttamente alla presenza
del management e degli stessi lavoratori/lavoratrici, al fine di stimolare il dibattito
sull'argomento delle dispari opportunità fra i generi nel lavoro, e di favorire il progresso
culturale della società nel suo complesso.
Lo strumento è atto a costituire un valido supporto per il perseguimento delle funzioni
ultime della Consigliera di Parità, ossia il principio di uguaglianza e di non
discriminazione fra donne e uomini nel lavoro, anche mediante l’organizzazione di
eventi di informazione/formazione indirizzati all'intera collettività.
74
10. PROGETTO “LA TUTELA DELLA MATERNITÀ
LA TUTELA DELLA MATERNITA':
DIFFERENZE DI TRATTAMENTO FRA DONNE LAVORATRICI
La Consigliera di Parità, in collaborazione con la Commissione per le Pari Opportunità
fra Uomo e Donna, ha inteso realizzare una ricerca relativa alle differenze di
trattamento esistenti nell'ambito dei principali contesti lavorativi sul territorio
provinciale per quanto attiene la maternità.
Ciò, muovendo dalla considerazione secondo cui nel corso di quest'ultimo trentennio il
lavoro femminile ha assunto rilevanza sempre crescente, sia per la domanda di
emancipazione da parte delle giovani generazioni di donne, sia per il sistema economico
nel suo complesso; infatti, l'Unione Europea dapprima, ed i singoli Stati membri poi,
hanno riconosciuto che l'aumento dell'occupazione femminile è necessario per favorire
la sostenibilità del modello sociale, per migliorare il tasso di crescita del sistema
economico e per ridurre il rischio di povertà delle famiglie in generale.
Per accrescere il tasso di occupazione delle donne sono necessari interventi che
favoriscano il loro inserimento e reinserimento all’interno del mercato del lavoro, e ciò,
a propria volta, impone l'individuazione di strumenti che agevolino la conciliazione dei
tempi di cura con i tempi di lavoro, ossia che proteggano la maternità favorendo, al
contempo, il mantenimento reale ed effettivo del posto di lavoro, del tipo di mansioni
svolte e della correlata retribuzione. Troppo spesso si assiste, di contro, alla fuoriuscita
delle lavoratrici-madri dal mercato del lavoro a causa dell'insostenibilità dei ritmi e
delle condizioni concrete della loro occupazione, dovuti ad una disciplina che tutela la
maternità tuttora non soddisfacente dal punto di vista dell'effettività e/o
dell'efficacia.
Il lavoro ha inteso indagare, per l'appunto, tale disciplina, costituita non soltanto dal
complesso delle disposizioni legislative attualmente in vigore, ma anche e soprattutto da
quanto statuito dai contratti collettivi che, ai diversi livelli e nei diversi settori, sono
chiamati ad integrare in senso migliorativo quanto statuito ex lege.
In tale contesto non va poi dimenticato l'importante ruolo delle Associazioni di
Categoria in relazione a quell'insieme di professioni ed ambiti, di carattere autonomo,
che sfugge alla disciplina contrattuale.
L'indagine si è appalesata particolarmente utile, in considerazione del fatto che sono
certamente meno indagate, e quindi meno note, le differenze esistenti in Italia nel
sistema delle tutele, anche economiche, della maternità e le conseguenti disparità di
trattamento.
Infatti, sebbene nel nostro Paese vi sia una normativa all'avanguardia in tema di
protezione della lavoratrice madre, va tuttavia sottolineato che essa si differenzia in
base allo status occupazionale della medesima: lavoro autonomo, rapporti di lavoro
“parasubordinato”, contratti “atipici”, si discostano significativamente dal rapporto di
lavoro “standard”, a tempo pieno ed indeterminato, facendo sì che donne che svolgono
lavori simili dal punto di vista del contenuto professionale, spesso godono di un diverso
75
tipo di trattamento in termini di tutele, potendo fruire di disposizioni più o meno “forti”,
effettive, efficaci e/o coercibili, sulla base della diversa natura del contratto che regola il
rapporto o del tipo di prestazione professionale.
Ma le differenze significative sussistono non soltanto fra chi fruisce di un rapporto di
lavoro autonomo e chi, invece, di uno subordinato, ma anche fra chi è impiegato nel
settore pubblico e chi in quello privato, e fra chi è protetto da un certo contratto
collettivo, e chi da un altro, di diverso settore merceologico.
La ricerca, che si è focalizzata sui contesti lavorativi più rilevanti dal punto di vista
dell'occupazione delle donne nella provincia di Trento, ha inteso dunque proporre una
lettura ragionata delle differenze esistenti nei diversi profili circa il trattamento
normativo ed economico della maternità, sulla base della esemplificazione di un
insieme di posizioni occupazionali specifiche individuate in forza di alcune variabili di
rilievo, al fine di mettere a fuoco gli aspetti problematici e le criticità maggiormente
significative, e di poter individuare possibili aree di intervento, anche a livello di
contrattazione collettiva decentrata territoriale/locale.
Il lavoro appare di particolare pregio, anche per il fatto che dà atto dell'evoluzione
normativa più recente sulla tematica della maternità, tenendo presenti non soltanto
l'applicazione concreta delle disposizioni di riforma del mercato del lavoro a partire dal
d. lgs. 276/03, e, specificamente, del contratto di collaborazione coordinata e
continuativa, ed “a progetto”, ma anche di quelle contrattuali integrative ed attuative, e
delle innovazioni intervenute da ultimo sulle c.d. “dimissioni in bianco”.
76
11. PROGETTO “GUIDA A SOSTEGNO DELLA PATERNITÀ”
"GUIDA AD UNA PATERNITA' CONSAPEVOLE"
La Consigliera di Parità, in collaborazione con l'organizzazione sindacale "UIL del
Trentino", ha ritenuto utile provvedere alla pubblicazione della “Guida ad una paternità
consapevole”, allo scopo precipuo di favorire l'attuazione e la diffusione di quanto
previsto al riguardo dalla legge 8 marzo 2000, n. 53, recante “GUIDA AD UNA
PATERNITA' CONSAPEVOLE, per il diritto alla cura e alla formazione e per il
coordinamento dei tempi delle città” essendo le opportunità per i padri, ivi previste,
ancora poco conosciute ed utilizzate.
Invero, la legge contempla delle prerogative particolarmente significative di cui un papà
può usufruire dopo la nascita di un/a bimbo/a, affinchè possa valutare serenamente le
modalità per sè più opportune per conciliare la vita professionale con quella familiare.
Poter essere presente vicino al/la proprio/a figlio/a, contribuendo alla sua formazione
psicologica ed educativa ed alla sua crescita, è fondamentale per il minore e, al
contempo, costituisce un'esperienza impareggiabile per ciascun genitore: grazie alla
legge 53 del 2000 oggi anche i papà possono vivere tali momenti, astenendosi dal
lavoro per determinati periodi per prendersi cura dei figli.
E' l'istituto che la legge definisce "congedo parentale", peraltro ancora poco conosciuto
e, soprattutto, poco sfruttato dai padri; le ragioni stanno, senza dubbio, nella carenza di
adeguata informazione – e di qui l'opportunità della pubblicazione della Guida in esame
-, ma anche in un modello culturale ancora arretrato, che assegna all'uomo un ruolo
diverso, scoraggiando molti padri dall'utilizzare tali congedi, relegando alla donna gli
impegni familiari.
La Consigliera di parità ha inteso dunque favorire, anche attraverso la Guida, campagne
informative e di sensibilizzazione sociale, per spingere i padri verso una genitorialità
condivisa, e le aziende pubbliche e private ad un progresso culturale prima ancora che
organizzativo.
Anche questo contributo può, infatti, rivelarsi utile nel perseguimento del principio di
uguaglianza e di pari opportunità e non discriminazione, incentivando i datori di lavoro
alla predisposizione di progetti di azioni positive che, comportando il più delle volte
processi di riorganizzazione interna degli orari e del lavoro, favoriscano per entrambi i
genitori la conciliazione degli impegni professionali con quelli di cura.
77
12. PROGETTO Brochure: “LA PARITA’ TRA UOMO E DONNA”
Allo scopo di prevenire le discriminazioni di genere, la Consigliera di Parità ha
promosso un’azione informativa attraverso la predisposizione di una brochure “Parità
Uomo e Donna”.
Come risulta dalla brochure, le informazioni ivi contenute sono rivolte particolarmente
a donne:
¾ inoccupate o disoccupate, con difficoltà a reinserirsi nel mercato del lavoro;
¾ che vogliono essere informate, per non subire procedure irregolari o firmare
contratti “a rischio”;
¾ non informate correttamente, e discriminate nell’accesso alla formazione;
¾ discriminate sul posto di lavoro in merito a retribuzione, assegnazione di
incarichi, sviluppo di carriera, compensi accessori;
¾ con difficoltà a conciliare la cura della famiglia e il lavoro;
¾ in difficoltà nell’accesso a finanziamenti ed agevolazioni per avviare o
incrementare attività di lavoro autonomo,
nonché a
¾ lavoratori e lavoratrici (con figli minorenni, persone diversamente abili,
anziani non autosufficienti a carico) che vogliono conoscere meglio e attivare
i loro diritti;
¾ quanti, sul lavoro o altrove, ritengono di subire o aver subito discriminazioni,
violenze, molestie, mobbing riconducibili a ragioni di genere.
Dal punto di vista dei contenuti, tale opuscolo informativo mira a fornire una succinta
esposizione dei concetti di parità, pari opportunità e squilibrio di genere, nonché ad
informare circa i compiti istituzionali della Consigliera, e precisamente sulle funzioni di
informazione e supporto che può espletare in favore dei soggetti che ritengano di aver
subito una discriminazione di genere.
78
D) ATTIVITÀ DI FORMAZIONE ED INFORMAZIONE
TRAMITE INTERVENTI SPECIALISTICI
Si segnalano di seguito i principali “Interventi specialistici” effettuati dalla Consigliera
di Parità:
− 1 marzo 2007, Intervento radiofonico su RTTR in tema di Donne, lavoro e
conciliazione
− 1 marzo 2007, Convegno Asili Nido: “1° MARZO 2006 – 1° MARZO 2007: Asili
nido un progetto in cammino - Nuove forme di partnership pubblico e privato”
− 7 marzo 2007, Intervento Convegno UIL
− 8 marzo 2007, Intervento Convegno CGIL
− 8 marzo 2007, Intervento all'iniziativa “8 marzo sui laghi”, presso il Comune di
Caldonazzo
− 14 marzo 2007, Lezione al Corso Universitario “Diritto e genere”
− 15 marzo 2007 Intervento all'inaugurazione del Master post-Universitario in materia
di “Politiche di genere”
− 19 marzo 2007, Intervento Convegno CSIL
− 2 aprile 2007, Intervento alla Conferenza Stampa per presentazione dell'iniziativa
volta all'istituzione di un Asilo Nido presso l'Ospedale S. Chiara
− 17 maggio 2007, Intervento Convegno Equal Gelso “Lotta alle discriminazioni nel
mercato del lavoro”
− 19 maggio 2007, Intervento Convegno Pellizzano sulla tematica degli asili nido
− 25 maggio 2007, Intervento nella trasmissione televisiva su RTTR “Donne e
lavoro”
− 31 maggio 2007, Relazione al Festival dell'Economia sull'esistenza del soffitto di
cristallo nel mondo della Cooperazione trentina
− 13 giugno 2007, Lezione presso Comprensorio C5
− 25 luglio 2007, Audizione sul testo unificato dei disegno di Legge in materia di
Asili Nido presentati avanti il Consiglio Provinciale di Trento
− 18 ottobre 2007, Intervento a Rovereto presso For.mat - Ass.ne Industriali di Trento
− 26 ottobre 2007, Coordinamento della Tavola Rotonda al Convegno Equal Gelso
− 29 ottobre 2007, Conferenza Stampa per Campagna APSS sul lavoro domestico e
gli incidenti in casa
− 29 ottobre 2007, Incontro con Ass.ni Femminili presso APSS
− 29 ottobre 2007, Intervista Televisiva presso ReteQuattro sulla Campagna realizzata
con l'Azienda Sanitaria in tema di lavoro domestico
− 8 novembre 2007, Convegno sul Mobbing: “IL MOBBING: cos’è e come difendersi
per vivere con dignità”
− 14 novembre 2007, Intervento a Roma avanti la Rete Nazionale delle Consigliera di
Parità su: “Il nuovo diritto antidiscriminatorio”
− 30 novembre 2007, Intervento Corso FSE “Donne over 45”
− 6 dicembre 2007, Convegno Asili Nido: “ASILI NIDO AZIENDALI ED
INTERAZIENDALI: nuova legge, sinergie pubblico/privato, idee in movimento”
79
− 8 e 9 dicembre 2007, presenza allo Stand dell'APSS per la Campagna sulla salute
della donna nel lavoro domestico, presso Fiera di S. Lucia
− 11 dicembre 2007, Relazione alla Giornata conclusiva del Progetto Equal- Gelso
“Part-time Oltre”
− 13 dicembre 2007, Giornata di Formazione per i/le componenti dei Comitati Pari
Opportunità (CPO) esistenti in Enti ed Aziende del Trentino: “CPO:
PROSPETTIVE,
NOVITÀ,
STRUMENTI,
IN
UN
APPROCCIO
MULTIDISCIPLINARE”
− Interventi molteplici sulla tematica delle pari opportunità di genere presso l'ISIT,
Istituto Universitario per Interpreti e Traduttori
− Attività di formazione ed informazione mediante numerosi “Incontri sul territorio”
della Provincia di Trento (v. Progetto “Incontri sul territorio”).
80
E) AUTOFORMAZIONE
E' essenzialmente consistita nella:
1) Partecipazione alla Rete Nazionale delle Consigliere di Parità ed a molteplici
riunioni ed incontri ministeriali ed interministeriali
2) Partecipazione a Convegni, Seminari e Tavole Rotonde
Al riguardo appare significativo enumerare in codesta sede gli incontri di
autoformazione/approfondimento a cui la Consigliera ha preso parte:
−
17 gennaio 2007, Partecipazione all'iniziativa del Progetto “Tremembè” in favore
delle donne straniere, badanti e colf
−
15 febbraio 2007, Partecipazione alla Conferenza del Progetto Equal-Gelso in tema
di lavoro, genere e pari opportunità
−
23 febbraio 2007, Partecipazione alla Conferenza Soroptimist: “Donne, Società,
Corpo e Spazio”
−
7 marzo 2007, Partecipazione alla Conferenza: Caterina Untervegger “Una donna
nella storia della fotografia trentina”
−
14 marzo 2007, Partecipazione alla Conferenza Stampa del Progetto “Tremembé” in
favore delle donne straniere, badanti e colf
−
26 marzo 2007, Presentazione del Rapporto IRPRASE sull'Uguaglianza di genere
nella scuola
−
18 aprile 2007, Partecipazione alla Conferenza Soroptimist: “Donne, Società e
religioni”
−
20 aprile 2007, Partecipazione alla Conferenza c/o MART di Rovereto “Per una
democrazia compiuta”
−
11 maggio 2007, Partecipazione Conferenza Soroptimist
−
15 maggio 2007, Partecipazione conferimento laurea “HONORIS CAUSA” alla
scrittrice Isabel Allende
−
1 giugno 2007, Partecipazione all'incontro organizzato nell'ambito del Festival
dell'Economia “Persone invisibili -La Cooperazione Trentina per le donne
straniere”
− 5 giugno 2007, Partecipazione alla Conferenza c/o Mart di Rovereto “Viaggio nel
'900
delle donne. Una storia politica”
− 18 giugno 2007, Partecipazione alla Tavola Rotonda organizzata dall' ISFOL Roma
− 1 ottobre 2007, Partecipazione alla Presentazione del Rapporto sull'occupazione in
81
Trentino presentato dall'Agenzia del Lavoro, Osservatorio del mercato del lavoro
della PAT
− 12 ottobre 2007, Partecipazione alla presentazione del Bilancio sociale dei
Supermercati POLI
− 16 ottobre 2007, Partecipazione alla presentazione della Tesi di un Master postuniversitario di II livello – Roma, sulle Pari Opportunità della Dott.ssa Giannuzzi
− 17 ottobre 2007, Partecipazione presentazione Rapporto CINFORMI
− 25 – 26 ottobre 2007, Partecipazione Convegno finale Equal Gelso: “L'isola che
non c'è”
− 26 novembre 2007, Partecipazione Tavola Rotonda CPPO “Percorsi possibili
contro la violenza sulle donne”.
82
F) DIALOGO INTERISTITUZIONALE
ovvero Collaborazione con le Istituzioni operanti a livello provinciale
e partecipazione ai Tavoli Istituzionali
L’individuazione di strumenti e strategie adeguati per l’attuazione del principio della
parità e delle pari opportunità di genere a livello locale richiede la promozione ed il
potenziamento delle sinergie fra gli organismi esistenti, così da favorire la circolazione,
tanto in senso orizzontale, che verticale, delle informazioni, ed il lavoro di rete.
In questa logica la Consigliera di Parità ha collaborato, in modo particolarmente
proficuo, con l’Assessorato alle Pari Opportunità della Provincia Autonoma di
Trento, nella persona della dott.ssa Iva Berasi, mediante un costante confronto sulle
iniziative effettuate, anche in ottemperanza alla funzione di comunicazione istituzionale
sottesa ai compiti della Consigliera (cfr. art. 15, Codice Pari Opportunità) ed intesa
come funzione di dialogo e di interazione di ruolo che le/i Consigliere/i di parità
debbono sviluppare, sia a livello interistituzionale tra soggetti a vario titolo coinvolti
nelle politiche di genere, sia a livello di soggetti sociali e società civile.
Espressione concreta di tale concertazione tra Consigliera e Assessorato è stata anche la
stretta collaborazione negli “Incontri sul territorio”, che hanno visto la compresenza
della Consigliera e dell'Assessora nel dialogo con la società civile (cfr. supra, alla voce
“Incontri sul territorio”).
Sul versante dell’attività anti-discriminatorie risoluzione delle eventuali vertenze di
genere nell'ambito del rapporto di lavoro, il confronto con l’Assessorato ha riguardato
casi particolarmente problematici o segnalati dall’Assessorato stesso.
Sempre su tale versante, particolarmente significativa e proficua è stata, altresì, la
collaborazione con la Difensore Civico della Provincia Autonoma di Trento, dott.ssa
Donata Borgonovo Re, in relazione ad una serie di “casi” che, oltre al profilo inerente il
rapporto di lavoro, presentavano contestualmente aspetti problematici inerenti alla
competenza di quest'ultima.
Ancora, sul versante della realizzazione di progetti di azioni positive:
− la Consigliera ha realizzato insieme allo stesso Assessorato alle Pari Opportunità ed
83
all'Associazione “Donne in Cooperazione” della Federazione Trentina della
Cooperative, un filmato che propone in chiave satirica le più diffuse situzioni di
discriminazione vissute dalle donne nel contesto lavorativo, finanche al momento
dell'assunzione, denunciandone l'illegittimità;
− in collaborazione con l'Assessorato alle Pari Opportunità ha promosso e realizzato
anche il Convegno dell'08.11.2007 avente ad oggetto “IL MOBBING: cos’è e
come difendersi per vivere con dignità” intendendo soddisfare un'esigenza emersa
anche dallo “Sportello di ascolto e di orientamento” dell'Ufficio della Consigliera di
Parità, ove numerose lavoratrici hanno riferito di condotte lato sensu “mobbizzanti”,
mostrando, però, al tempo stesso, di non conoscerne esattamente il significato e
dando luogo, talvolta, ad un abuso del termine;
− ancora in sinergia con l'Assessorato alle Pari Opportunità e con l'Agenzia del
Lavoro – Osservatorio del Mercato del lavoro, ha ritenuto utile predisporre una
“Guida alla compilazione” del Rapporto biennale sulla situazione del personale
nelle
imprese
trentine
di
medio-grandi
dimensioni,
il
cui
obbligo
all'adempimento è espressamente previsto dall'art. 9, legge 10 aprile 1991, n. 125,
trasfuso oggi nell'art. 46 del c.d. “Codice delle Pari Opportunità fra uomo e donna”
(d. lgs. 198/06).
La “Guida” intende essere uno strumento a sostegno delle aziende nella
comprensione ed identificazione dei dati e del contenuto di ciascuna Tabella del
Rapporto, allo scopo di agevolare una maggiore e corretta osservanza del disposto
normativo.
− con specifico riferimento al progetto “Promozione di asili nido pubblici e privati”
quali strumenti di decisiva importanza per la conciliazione del lavoro professionale
con il lavoro di cura e, perciò, per lo sviluppo, l'incremento ed il sostegno
all'occupazione femminile, la Consigliera, intendendo specificamente individuare e
promuovere la realizzazione di nuove forme di collaborazione pubblico/privato e di
buone pratiche a livello provinciale in materia di asili nido, finalizzate alla maggior
diffusione del servizio anche sul territorio extra-urbano ed al sostegno della
approvanda legge provinciale in materia – relativa alla creazione di nidi aziendali
ed interaziendali (approvata definitivamente il 19.10.07, sub n. 17/2007) -, ha
lavorato in sinergia, oltre che con il predetto Assessorato, anche con quello al
84
Lavoro e Politiche Sociali, all'Istruzione, alle Autonomie Locali ed alla Cultura;
− con riguardo al progetto “Lavoro domestico e condivisione dei ruoli familiari”, la
Consigliera ha lavorato congiuntamente all'Assessorato alla Sanità, con l'Azienda
Provinciale per i Servizi Sanitari e con i 3 Comitati pari Opportunità della medesima
Azienda (v. supra);
− la Consigliera ha inoltre realizzato con l'Assessorato alla Cultura (v. supra), grazie
ad una stretta e fruttuosa collaborazione, la Mostra interattiva “Arte Bianca: Donne
e Professioni Artistiche”, che ha avuto la precipua finalità di favorire e sostenere le
donne trentine nel lavoro artistico;
− Infine, ha realizzato con la Commissione Provinciale per le Pari Opportunità, di cui
è componente ex lege(v. Supra):
a) il Convegno del 06.12.2007 dal titolo ASILI NIDO AZIENDALI ED
INTERAZIENDALI:
nuova legge, sinergie pubblico/privato, idee in
movimento;
b) una ricerca sulla “TUTELA DELLA MATERNITA': DIFFERENZE DI
TRATTAMENTO FRA LE DONNE LAVORATRICI”, che ha inteso porre
in evidenza le differenze di trattamento esistenti nell'ambito dei principali
contesti lavorativi sul territorio provinciale per quanto attiene la maternità,
mediante un puntuale approfondimento dei diversi contratti collettivi di lavoro
applicati nei diversi settori;
Relativamente alla collaborazione con la CPPO, va ricordato che la Consigliera
è componente di tale Commissione per esplicita previsione normativa, ma in
quanto figura istituzionale a sé stante è titolare di funzioni specifiche e diverse
da quelle che connotano la Commissione. La comune missione di promozione
delle pari opportunità rende in ogni caso auspicabile il mantenimento della
collaborazione tra i due organismi che, per il 2007 si è in concreto tradotta non
solo nella partecipazione della Consigliera alle sedute della Commissione, ma
anche, e soprattutto, nella organizzazione congiunta di alcune iniziative, nel
patrocinio da parte della CPPO di iniziative promosse ed organizzate dalla
Consigliera, nonché nella partecipazione della persona della Consigliera a
convegni o incontri con la cittadinanza organizzati dalla CPPO.
***
85
Si dà atto, inoltre, della partecipazione della Consigliera ai seguenti (principali)
Tavoli Istituzionali:
−
Comitato Provinciale di mobilità
−
Commissione Provinciale per l'Impiego
−
Commissioni Locali per l'Impiego
−
Comitato Provinciale per la Formazione Professionale
−
Rete Nazionale delle Consigliere di Parità (v. supra)
−
Rete Provinciale Comitati Pari Opportunità (v. supra)
−
Comitato Guida “Libretto formativo del cittadino”
−
Assessorato Provinciale alle Pari Opportunità, alla Cultura, al Lavoro e Politiche
Sociali, all'Istruzione, alle Autonomie Locali ed alla Sanità
−
Assessorato all'Istruzione e politiche giovanili del Comune di Trento
Trento, 31 marzo 2008
La Vice Consigliera di Parità
Avv. Gabriella Di Paolo
La Consigliera di Parità
Avv. Eleonora Stenico
86
Allegati
Attività antidiscriminatoria
1. dati relativi ai casi trattati nel 2007
2. scheda privacy
3. scheda di rilevazione standard
Azioni positive
4. Convegno “Asili nido: un progetto in cammino” (1 marzo 2007)
5. Congeno “Asili nido aziendali ed interaziendali: nuova legge, sinergie
pubblico(prpivato, idee in movimento” ( 6 dicembre 2007)
6. Convegno “Il mobbing. Cos’è e come difendersi per vivere con tranquillità” (8
novembre 2007)
7. Brochure “Il nuovo mondo della donna – la salute della donna”
8. Protocollo intesa ex art. 9 L. 53/2000
9. Locandine degli incontri sul territorio “Lavoro Uomo-Donna e pari opportunità”
10. Brochure “La parità tra uomo e donna”
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396 kb - Pari opportunità - Provincia autonoma di Trento