PRIMARIE DEL PD Il peggior candidato MARMOLADA All’assalto della montagna UNIVERSITà Il grande sonno febbraio 2009 ● n. 2 ● € 5,80 9 771971 879001 90002 Mensile di informazione e approfondimento - Anno XXX - n° 2 Poste Italiane S.p.A. Sped. in abb. post. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, CNS Trento - Taxe Perçue - ISSN 1917-8799. Contiene I.R. con l’inserto DVD “Beata ignoranza”, film di Mattia Pelli e Luigi Pepe Frutto avvelenato? In Val di Non esplode la questione fitofarmaci 1 Federazione Coop 2 editoriale Che farà Dellai? Piergiorgio Cattani Che cosa farà da grande Lorenzo Dellai? Questa è stata una domanda ricorrente che ha accompagnato le tappe della sua lunga ascesa politica fin da quando a ventinove anni divenne il più giovane sindaco di una città capoluogo di regione. Ora Dellai si appresta a compiere il terzo mandato di Presidente della giunta della Provincia di Trento. Quindici anni possono bastare, dice lui. E noi siamo d’accordo e gli crediamo. Reputiamo una battuta invece la sua dichiarazione secondo cui, alla fine del mandato nel 2013, il Nostro darà vita ad una “scuola di formazione politica”. L’obiettivo di Dellai è Roma. Non vuole però andarci per sedere tra i banchi dei peones di maggioranza o opposizione. Non vuole ripetere l’epilogo del suo maestro Bruno Kessler che, una volta diventato senatore, in Trentino perse la sua influenza che non acquisì mai a livello nazionale. Dellai vuole andare a Roma per contare. Diventare il nuovo De Gasperi? Non esageriamo, però non bisogna mettere limiti alla Provvidenza. Ministro sì, dirigente di partito pure. Già, ma di quale partito? A questo punto incrociamo le dichiarazioni dellaiane di queste ultime settimane, parole che sono rimbalzate sui quotidiani nazionali dando risalto a uno dei pochi esponenti del centrosinistra vincitore di qualsivoglia tipo di elezione tenuta negli ultimi mesi. Dellai si colloca tra i critici, se non i liquidatori del Partito Democratico. Alcuni suoi ragionamenti intorno al PD sono QUESTOTRENTINO condivisibili: Dellai critica la fallita pretesa di Veltroni di rappresentare tutte le forze alternative alla destra, la carenza di una leadership forte, l’incapacità di fare una vera sintesi tra le diverse culture politiche che hanno costituito il partito. Su questo aspetto Dellai rimprovera al PD di non essere altro che un partito socialista (qualcuno, come il sindaco Chiamparino, ha detto: “Magari fosse così!”, ma non è questo il punto) e di aver messo in un angolo la cultura del popolarismo di cui lui si sente uno degli eredi. Dellai però va oltre, minando alla radice la stessa ragion d’essere del PD, il nucleo del progetto prodiano. “Si è dimostrata eccessiva l’ambizione che lo muoveva: fare la sintesi e rappresentare culture politiche diverse” afferma Dellai in un’intervista a La Stampa. Di qui la necessità di costruire un nuovo centro degasperiano con una connotazione più territoriale. È il progetto di Enrico Letta e di Rutelli da attuare dopo le elezioni europee: spaccare in due il Partito Democratico e costituire nel tempo un rassemblement centrista insieme con Casini. Intanto, proprio alle europee, Dellai metterà in scena il secondo atto del suo “laboratorio politico” cominciato con le provinciali di novembre. Il Presidente sponsorizzerà una lista territoriale con la Svp, apparentata con l’UDC(paradossalmente Dellai appoggerà il Partito Popolare Europeo il cui riconosciuto leader in Italia è Berlusconi). Solo così, riproponendo uno schema che vede alleati un centro a una sinistra socialista, si potrà in futuro battere la destra. Può essere vero, ma in questa operazione si intravede un ritorno all’indietro. In tutte le sue peripezie Dellai è rimasto sempre se stesso, cioè un democristiano che guarda a sinistra, come Moro e come Degasperi. Solo che oggi sulla sua strada non ci sono questi statisti, bensì un Casini a braccetto con Totò Cuffaro, un Rutelli insieme a un Buttiglione, un Tarolli amico dell’ex governatore della Banca d’Italia Fazio. In questo schema il bipolarismo va superato per tornare alla politica dei due forni del partito di centro. Possibile? Forse. Auspicabile? Probabilmente no. Anche perché non è scritto da nessuna parte che questo centro ondivago si allei con una sinistra esangue e non invece con una destra postberlusconiana. Rinunciare poi al sogno di una sintesi tra pensiero politico cattolico e laico significa abdicare all’unico progetto capace di farci superare le secche di un clericalismo di ritorno. Nonostante ciò Dellai, in Trentino come a livello nazionale, continuerà il suo progetto. Il PD di Pacher e Kessler resterà a guardare, magari applaudendo al “nostro leader”? 3 la foto Nereo Pederzolli 1978: Villa Rendena, incontro con la popolazione per discutere dell’apertura di miniere per lo sfruttamento dell’uranio. I rendeneri, dopo aver scagliato l’opuscolo “L’uranio in Val Rendena” contro il presidente della Giunta provinciale Giorgio Grigolli, abbandonano la sala.. 4 febbraio 2009 febbraio 2009 13 Il peggior candidato Alessandro Andreatta: il responsabile del “marcio” in Comune candidato a sindaco del PD Ettore Paris 3 L’editoriale Via Calepina, 65 (C.P. 181) - 38100 Trento Tel. 0461 232096 - Fax 0461 1860168 E-mail: [email protected] Sito internet: www.questotrentino.it Un numero: € 4,00 Abbon. annuale: € 40,00 - Estero: € 55,00 versamento su C.C.P. n° 10393387 intestato a Questotrentino Iscritto al n° 313 del Reg. Stampa del Tribunale di Trento. Sped. in abb. post. Gruppo 50% QT fruisce dei contributi statali diretti di cui alla legge n. 250 del 1990 Che farà Dellai? Piergiorgio Cattani 4 La foto Nereo Pederzolli 7 Trentagiorni 8 Frutto avvelenato? La questione fitofarmaci in val di Non Marco Niro 18 L’intervista Un volto nuovo per un PD in affanno. Proprietà: Cooperativa a r.l. Altrotrentino, Reg Tribunale di Trento n° 5884/XVI Stampa: Litografica Editrice Saturnia, Trento 20 Il grande sonno Redazione: Carlo Dogheria (caporedattore) Renato Ballardini, Mauro Bondi, Alberto Brodesco, Luigi Casanova, Piergiorgio Cattani, Roberto Devigili, Michele Guarda, Nadia Ioriatti, Mattia Maistri, Marco Niro, Ettore Paris, Mattia Pelli, Lorenzo Piccoli, Fabrizio Rasera, Nicola Salvati, Stefano Zanella Amministrazione: Nicola Salvati Distribuzione: Trento Press Impaginazione: Tòs Immagini: Carlo Nichelatti DISEGNI: Silvia Marzari Foto: Marco Parisi PROGETTO GRAFICO: Designfabrik Direttore responsabile: Ettore Paris Aderente a “Cronache Italiane - Forum nazionale della stampa periodica locale” Associato a “Mediacoop - Associazione nazionale delle Cooperative Editoriali e della Comunicazione” Stampato su carta riciclata dalla qualità ecologica certificata con marchio Ecolabel QT esce il primo sabato di ogni mese. Il prossimo numero sarà in edicola sabato 7 marzo 2009 Intervista a Maurizio Agostini E. P. L’apparente riflusso dell’Onda Giulio Dalla Riva & Luca Facchini 22 Marmolada, terra di conquista Una famiglia all’assalto della montagna Luigi Casanova 23 Tagli all’ecologia? Allarme rientrato Un decreto aveva messo in forse i risparmi fiscali per chi ristruttura. Poi... Roberto Devigili 24 Riduzione dei rifiuti: vent’anni dopo 28 Risiko Il voltafaccia del Pacifico Carlo Saccone 29 Il colore degli altri Israele e i veleni della guerra permanente Mattia Pelli 30 Dal mondo Bolivia: una nuova Costituzione Francesca Caprini 31 Lettera dal Sudtirolo Un abisso d’incertezza Alessandra Zendron 32 Pro Memoria Giovani artisti a Rovereto Fabrizio Rasera 34 Lettere e interventi 38 Monitor 45 Piesse Ad Arco avevano tentato (inutilmente) nel 1987. Adesso ci prova Trento Chiara Turrini 25 Guerra a Gaza: una tragedia umanitaria Finita l’offensiva istaeliana, si continua a morire Pirous Fateh-Moghadami La seconda parte dell’inchiesta sulla crisi economica in Trentino, inizialmente prevista per questo numero, verrà pubblicata sul prossimo. trentagiorni Lia Beltrami: una bella sorpresa L’assessorato alla solidarietà internazionale e alla convivenza, affidato da Lorenzo Dellai a Lia Giovanazzi Beltrami, sembrava un contentino dato dal presidente all’Udc e all’ala più cattolica e conservatrice della coalizione, una poltrona di giunta senza alcuna competenza di rilievo. Ma in queste ultime settimane l’attivismo dell’assessore Beltrami ci sorprende positivamente. Al di là di alcune incertezze iniziali, come sul caso piazza Dante, intorno al quale comunque se ne sono sentite di tutti i colori, l’assessore dimostra di avere idee molto chiare per quanto riguarda il rapporto con gli immigrati. E di esprimerle senza peli sulla lingua. Ha cominciato il giorno dell’Epifania in Cattedrale prendendo la parola per chiedere scusa agli immigrati: si è rivolta direttamente a loro, a quelle persone spesso invisibili ma che hanno come noi gli stessi diritti e doveri scusandosi pubblicamente e nome di tutti i trentini “per tutte le volte che avete trovato porte chiuse, che avete avuto difficoltà a trovare una casa o a risolvere una pratica burocratica”. Un gesto simbolico, in un contesto religioso più che politico, ma ugualmente importante, viste anche le scomposte reazioni di un centro destra privo di bussola. Rodolfo Borga, tra i consiglieri più presentabili dell’opposizione, si è sentito in dovere di fare un’interrogazione sulla vicenda con un linguaggio tipicamente leghista che dipinge i trentini sempre torteggiati a discapito degli stranieri sempre agevolati. Ma l’assessore ha parlato con molta chiarezza anche sulla questione moschea, affermando che gli immigrati di diversa religione hanno diritto ad un luogo di culto. Lia Beltrami ha anche sfatato un tabù, evidenziando come nessuno si sorprenda del fatto che i lefebvriani si incontrino dietro una saracinesca in un garage. Speriamo che alle parole seguano i fatti, ma dobbiamo segnalare come dall’assessore siano venute parole che da tempo sentivamo il bisogno che qualcuno dicesse. (p.g.c.) Quando i controlli ambientali funzionano, e il sindacato meno… Nel numero scorso di QT ci eravamo soffermati sulle falle del sistema di protezione ambientale in Trentino, denunciando la situazione di depotenziamento di cui è vittima, per precise volontà politiche, l’Agenzia Provinciale per la Protezione dell’Ambiente (APPA). Infatti, al di là di alcune responsabilità pure gravi di quest’ultima (gestione “leggera” del caso Marter e soprattutto gestione scellerata del caso Europa Steel, con l’APPA che inopinatamente svela ai vertici aziendali il nome del delegato sindacale della CGIL che aveva denunciato un sospetto caso di inquinamento ambientale), il problema reale è che l’Agenzia dispone solo di 9 ispettori (di cui uno part-time) per effettuare controlli ambientali su tutto il territorio provinciale. Tuttavia, il 15 gennaio 2009 è arrivata una sentenza del Tribunale di Rovereto che ci permette di inquadrare le cose da prospettiva un po’ diversa. La sentenza in questione ha condannato il legale rappresentante delle distillerie Cipriani di Chizzola (Ala) a 2 anni e 4 mesi per aver inquinato gravemente e continuatamente per anni le acque in cui venivano scaricati i reflui di produzione della fabbrica. Una vittoria non solo per l’ambiente, ma anche per l’APPA stessa, che nel 2006, coi suoi tecnici, si era impegnata a fondo per portare alla luce l’inquinamento causato dalle Cipriani. Non sappiamo se si tratta di una vittoria anche per i sindacati, che - CGIL inclusa - quando la fabbrica aveva cessato l’attività, non avevano trovato di meglio che lamentarsi con l’APPA e la Provincia per i 35 posti di lavoro che sfumavano. “Si produca, purché si lavori”: un motto stravecchio che un sindacato moderno, oggi, dovrebbe saper sostituire con un altro: “Si produca, purché sia sostenibile”. (m.n.) Le Distillerie Cipriani, Chizzola (Ala) 6 febbraio 2009 Tunnel del Brennero: si parla sempre a senso unico Grande risalto ha avuto sulla stampa locale a metà gennaio la notizia del tentativo da parte del Ministero delle Infrastrutture di mettere i bastoni tra le ruote al progetto di finanziamento del Tunnel del Brennero, che si regge anche sui soldi (circa 500 milioni) che verrebbero stanziati dall’Autobrennero per la megaopera. Il ministro Altero Matteoli ha infatti dato l’alt allo stanziamento da parte dell’A22, non compatibile con alcuni principi del diritto pubblico. Ed ecco levarsi sulle prime pagine dei nostri quotidiani dubbi a nove colonne - certo legittimi - sul fatto che quella del ministero sia in realtà una manovra per mettere in difficoltà le “non allineate” Province di Trento e Bolzano. Ci sarebbe piaciuto che lo stesso spazio, qualche settimana prima, fosse stato concesso dai media anche al corposo dossier prodotto a novembre 2008 dalle associazioni trentine che si battono contro il Tunnel del Brennero. Il documento (che è scaricabile sul sito www.ecceterra.org ed in realtà è l’aggiornamento della precedente edizione 2007) rileva l’insostenibilità economica, ambientale e sociale dell’opera. Oltre 200 pagine di analisi a supporto delle ragioni del no al Tunnel. Ragioni che però, da sempre, non fanno presa sulla nostra stampa locale. (m.n.) Contro la crisi E’ stata varata in questi giorni la manovra provinciale anti-crisi. Già nei numeri scorsi ci eravamo complimentati per la tempestività e la decisione con cui QUESTOTRENTINO l’esecutivo (leggi Dellai) si era mosso, impostando fin dai tempi della campagna elettorale (i cui esiti non erano scontati) una serie di provvedimenti di vasta portata, sottoposti al vaglio delle forze sociali (vedi “La crisi in Trentino” nello scorso numero). Adesso la manovra ha una struttura definita, e si possono dare più compiuti giudizi di merito. Si rivolge sostanzialmente verso tre settori: gli investimenti pubblici, il sostegno ai redditi, il sostegno alle imprese. Sul primo punto (gli investimenti pubblici che, secondo la lezione di Lord Keynes, dovrebbero rimettere in moto l’economia, in supplenza del crollo dell’attività privata) “si segue un po’ quello che stanno cercando di fare i Paesi che alla crisi reagiscono – ci dice l’ex preside di Economia Enrico Zaninotto, docente di Gestione delle Imprese – E’ un intervento senz’altro doveroso, che diventa qualificante a seconda di dove quei soldi si mettono. Si parla di tecnologie ambientali, innovazione ecc. Se sarà così, sarà un’ottima cosa”. Insomma, dietro l’angolo c’è sempre il timore che si spendano soldi in nuove gallerie, o magari si contrabbandino per investimenti in istruzione pretestuosi (e dannosi) spostamenti di edifici, come per esempio quelli ventilati a Trento, da via Barbacovi all’exItalcementi. “Ci sono in effetti degli investimenti mirati a far crescere la green economy: contributi all’autotrasporto per la rottamazione dei vecchi camion, quelli per le piccole aziende che si aggregano, o per le impreseche investono in risparmio ed efficienza energetica. - ci dice Andrea Grosselli della Cgil – Manca invece un’indicazione chiara sui lavori pubblici indirizzati all’edilizia sostenibile; se ne parla in termini vaghi, bisognerà capire se la sostenibilità delle costruzioni è o non è un’effettiva priorità”. La parte più innovativa è co- munque forse la seconda, il sostegno ai redditi e al Welfare visti non come peso, come dazio da pagare per essere buoni, ma invocati come volano dell’economia. “Ci si prende cura dei lavoratori precari, altrimenti senza alcuna protezione quando perdono il lavoro - prosegue Zaninotto – e viene di fatto introdotto il reddito di cittadinanza, principio nuovo in Italia”. “C’è anche l’accantonamento di 15-20 milioni in un fondo di riserva, nel caso si dovessero aumentare i fondi per gli ammortizzatori sociali. E’ un segnale che il tema è affrontato seriamente” afferma Grosselli. Infine la terza parte: il sostegno alle imprese, che passa attraverso facilitazioni al credito, altrimenti di difficile accesso con i chiari di luna che passano le banche; ed incentivi diretti. Quest’ultima è la parte più delicata. Le crisi infatti avrebbero la funzione di rafforzare un sistema produttivo scremando le aziende più deboli: una visione darwiniana, se vogliamo, resa però socialmente accettabile dagli interventi a favore dei lavoratori, per cui non si sostengono le imprese decotte, ma se ne aiutano i lavoratori a trovare nuove collocazioni. Però sono sempre cose politicamente ardue: lasciar morire un’impresa è sempre una dura responsabilità. “Gli incentivi diretti mi lasciano perplesso. – afferma Zaninotto – Comunque, al di là dei proclami, in tutte le nazioni li stanno attivando; e questi della Provincia di Trento rappresentano una quota minima dell’insieme della manovra”. (e.p.) 7 Frutto avvelenato? Sempre più residenti in Val di Non manifestano il loro disagio: “I fitofarmaci usati per le mele ci tolgono la libertà di vivere”. Di fronte a documenti che provano le irregolarità e gli eccessi nell’uso delle sostanze chimiche, gli amministratori rispondono timidamente. E i produttori fanno spallucce. Marco Niro 8 Fotografia di Marco Parisi febbraio 2009 L e origini del loro legame si perdono indietro nei secoli. Fatte l’una per l’altra. La mela e la Val di Non. Un territorio che, grazie a una ideale combinazione di caratteristiche fisico-chimiche e climatiche, offre ai suoi abitanti la possibilità di produrre mele di gran pregio. E loro, gli abitanti, questa possibilità non se la sono lasciata sfuggire. Tutt’altro. Oggi in Val di Non, su poco meno di 40 mila residenti (l’8% della popolazione trentina), oltre 2700 sono i coltivatori iscritti all’albo provinciale delle imprese agricole (il 31% degli iscritti trentini). Uno ogni 14 abitanti. Un dato senza paragoni rispetto al resto del Trentino, dove la media è di uno ogni 58. E di quei 2700, il 90% coltiva mele. Il binomio tra mela e valle è forte, fortissimo, pressoché indissolubile all’apparenza. All’apparenza. Già, perché da un certo momento di questa storia, diciamo all’incirca dagli anni Settanta, qualcosa si è rotto, nell’idillio tra le mele e gli abitanti della valle. O almeno alcuni di loro. Proprio quando la coltivazione della mela iniziava a soppiantare progressivamente tutte le altre, un problema cominciava a causare disagio. Un disagio che a tratti si acutizzava, per poi tornare a covare sotto la cenere. Un disagio che proprio oggi è tornato a farsi più forte che mai. Perché, da quando si è presentato, il problema che lo causa non è mai stato risolto. Quel problema si chiama fitofarmaci. Prigionieri in casa “Faccio credere ai miei figli che sia un gioco: quando passeggio con loro e ci imbattiamo in un agricoltore che irrora, dico ai bambini di chiudere la bocca e di correr via da lì”. Francesca è insegnante e vive a Tuenno, in una delle tante abitazioni del paese a stretto contatto coi campi di mele. Avverte il problema soprattutto da quando è diventata mamma. “Prima il disagio era minore. Ma ora, con due bambini, è dura accettare di dover starsene chiusi in casa. A volte mi sento prigioniera. Ho timore persino di stendere i panni sul poggiolo”. “Spesso, d’estate, mentre mangiamo fuori in veranda, ci tocca tornarcene dentro di corsa, col piatto in mano, perché arriva il coltivatore di turno a spargere veleni con l’atomizzatore. In primavera arrivo ad averne attorno a casa anche otto contemporaneamente…”. Raffaella non ha figli, ma il disagio lo avverte lo stesso. “Ci stanno togliendo la libertà in casa nostra. Viviamo con l’incubo che arrivi la primavera. È assurdo”. Campi. Mele. Veleni. Disagio. Una sequenza da incubo che negli ultimi tempi ha cominciato a interessare un numero sempre maggiore di abitanti della bassa Val di Non. Come spesso capita in certe situazioni, è bastato un passo affondato con più decisione degli altri a provocare la valanga. “Per molto tempo - confida Raffaella - io e mio marito abbiamo avuto la sensazione di essere gli unici a provare disagio. Ci chiedevamo come mai nessuno parlasse, nessuno facesse niente. Poi ho visto quella lettera, e ho tirato un sospiro di sollievo”. “La lettera al Sindaco ho deciso di scriverla dopo l’ennesimo caso in cui, denunciata l’infrazione al Comune, la denuncia non aveva il seguito che doveva”. L’autrice della lettera è Francesca, il Comune quello di Tuenno. “Ho subito trovato una, due, tre, fino a 30 persone disposte a firmarla”. È l’aprile 2007. Nella lettera i firmatari chiedono al Sindaco di far rispettare l’ordinanza comunale che regola l’uso dei fitofarmaci, soprattutto riguardo al divieto di usare gli atomizzatori a meno di 50 metri da case, orti, giardini. QUESTOTRENTINO 9 Nel giro di pochi mesi, quelle 30 persone diventano 700. E firmano una nuova lettera, in cui questa volta manifestano preoccupazioni e rimostranze direttamente al Presidente della Provincia e agli Assessori provinciali competenti. E’ il settembre 2007: nasce così il Comitato per il Diritto alla Salute in Val di Non. Per battersi contro l’uso irregolare ed eccessivo dei fitofarmaci, visti come una fonte di rischio per la salute, da limitare o eliminare in nome del “principio di precauzione” (v. box nella pagina seguente). Il Comitato non si limita a inviare lettere, ma inizia anche a produrre documentazione. Viene avviata dagli aderenti un’estesa azione di monitoraggio sull’uso dei fitofarmaci da parte degli agricoltori nonesi. In pochi giorni vengono fotografate centinaia di infrazioni alle varie ordinanze comunali (ne pubblichiamo alcune in queste pagine). Al tempo stesso si rileva, in apposito dossier prodotto nell’ottobre 2007, l’inefficacia dei controlli spettanti ai Comuni. L’infrazione che più preoccupa - chiaramente documentata dalle fotografie - è il mancato rispetto della distanza minima dalle abitazioni a cui irrorare con l’atomizzatore. La paura è che, a causa del cosiddetto “effetto-deriva”, le varie sostanze chimiche usate dagli agricoltori finiscano negli orti, nei giardini, sui poggioli. Forse anche dentro le case. Per levarsi ogni dubbio in proposito, il Comitato commissiona analisi chimiche a laboratori accresono avvenuti una ventina “Con due bambini è timi ditati. Le indagini più significative sono due. Una di giorni prima. Qualcuno del viene condotta su una abitazione di Tres nell’arco dura dover starsene Comitato propone di rinviare di un anno, da settembre 2007 a settembre 2008. i prelievi, ma alla fine si decichiusi in casa. Mi L’altra viene condotta in più comuni della valle de di rischiare. Spormaggiore, nell’arco di un solo giorno, il 24 giugno 2008. Flavon, Tuenno, Tassullo, Cles, sento prigioniera. Nell’abitazione di Tres vengono riscontrati resie Sfruz. Giardini, finestre, Ho timore persino di Tres dui di prodotti fitosanitari prelevati fino anche a 70 davanzali, poggioli, orti. Non metri di distanza dai campi: nell’erba del giardino, stendere i panni” solo abitazioni private: si fanno sulla verdura dell’orto, nella polvere dei poggioli. prelievi anche dalla siepe del Persino in sala da pranzo. Per chi abita in quella parco di una scuola materna casa, non c’è libertà di vivere senza venire a contatto con le a Tassullo e dall’erba di un parco confinante con un asilo sostanze chimiche usate dagli agricoltori. nido a Cles. Il risultato lascia increduli i committenti delle Ancor più rilevanti sono i risultati della seconda inda- analisi: dei 12 campioni analizzati, sono ben 10 quelli che gine. La giornata del 24 giugno 2008 arriva dopo giorni di risultano contaminati dai principi attivi dei fitofarmaci. pioggia prolungata, che ha dilavato suolo e vegetali e ha impedito l’effettuazione dei trattamenti fitosanitari: gli ul- Richieste precise, risposte timide Ciò che segue è storia recente. Sulla scorta di quanto documentato, il Comitato ha chiesto a voce ancor più alta che al problema si trovi finalmente un rimedio. Gli amministraFitofarmaci in Trentino tori a vario titolo coinvolti non hanno più potuto ignorare la questione. In Trentino, nel 2006, sono stati venduti 54,96 kg di sostanze attive Promosso dal Distretto Sanitario Val di Non, è stato contenute nei fitofarmaci (+6,79% sul 2005), gran parte delle quali di costituito nel 2008 un gruppo di lavoro interistituzionasintesi chimica. Il dato è inferiore solo a quello del Sudtirolo (58,81). La le incaricato di affrontare il problema tenendo conto del terza regione, la Liguria, segue con ampio distacco (20,87). La media nazionale è di 9,14 kg. punto di vista di tutti i soggetti coinvolti. L’obiettivo princiSempre nel 2006, l’Agenzia Provinciale per la Protezione dell’Ambiente pale è quello di arrivare alla definizione di un regolamento ha cercato sostanze attive su 77 campioni di frutta e verdura (41 di origine comprensoriale sull’uso dei fitofarmaci che sappia unifortrentina). Solo 29 sono stati trovati privi di residui. Tra i campioni trentini, mare le regole, ora sparpagliate nelle numerose ordinanze solo 13 su 41. Per un solo campione, tuttavia, il residuo superava il limite dei singoli Comuni (una ventina), spesso anche molto didi legge. Dei 24 campioni di mele analizzati (tutti di origine trentina), solo verse tra loro nei contenuti. 5 sono risultati privi di residui. Anche se in nessun caso sopra i limiti di Le richieste del Comitato sono precise. La più incisiva legge, in 4 campioni sono state rilevate 3 sostanze, in 6 2, negli altri 9 una. prevede di vietare l’uso dell’atomizzatore a meno di 100 Situazione migliore per quanto riguarda le analisi delle acque: su 259 metri da abitazioni e campi adibiti a biologico. Sul lato dei campioni trentini analizzati nel 2006, solo 9 recavano tracce di residui, il 3,5% (contro una media nazionale del 20,4%). 10 febbraio 2009 Precauzione, principio calpestato Il Comitato per il Diritto alla Salute in Val di Non ha documentato le irregolarità nell’uso degli atomizzatori per l’irrorazione dei fitofarmaci con numerose foto scattate nelle stagioni 2007 e 2008. Nella pagina a fianco, nella foto in alto l’uso avviene nei pressi di una struttura sportiva; in quella sotto, nelle vicinanze delle abitazioni. In qeusta pagina, nella foto in alto l’agricoltore usa l’atomizzatore a pochi metri da una strada; in quella sotto, a pochi metri da un balcone. controlli, il Comitato propone di renderli più sistematici e severi, e chiede che ne vengano svolti a campione almeno 10 per ogni trattamento. Si richiede inoltre di inasprire le sanzioni ai trasgressori, rilevando come il coltivatore rischi 3.000 € di multa se non usa i fitofarmaci quando vengono prescritti dal quaderno di campagna, e solo 500 €, nel peggiore dei casi, se li usa contravvenendo alle ordinanze comunali. In Val di Non, osserva il Comitato, un melo vale oggi più di una persona. Queste richieste verranno accolte? Abbiamo interpellato in proposito alcuni degli amministratori coinvolti: i Sindaci di Tuenno e Nanno, l’Assessore all’ambiente di Cles e il Presidente del Comprensorio. Nessuno di loro ha potuto negare che vengano commesse infrazioni alle ordinanze, ma tutti le imputano a una esigua minoranza di coltivatori. Ci è sembrato che per gli amministratori siano già sufficienti le regole contenute oggi nelle varie ordinanze, e che non sia necessario renderle tanto più stringenti: i 100 metri di distanza chiesti dal Comitato sono considerati eccessivi. E in ogni caso, ci è stato detto, non si può ridurre tutto a una questione di metri. Piuttosto, si deve puntare a rafforzare i controlli. Ma nemmeno in tal caso si concorda con le indicazioni del Comitato: chi, tra gli interpellati, si è sbilanciato ci ha detto di puntare a un controllo al mese. Segno che oggi non si arriva nemmeno a quello. E le sanzioni? Sono considerate l’extrema ratio: “Meglio puntare sull’educazione e la sensibilizzazione degli agricoltori”. Che QUESTOTRENTINO “Se è ancora valido il principio di precauzione certi fitofarmaci andrebbero banditi senza perdere altro tempo”. Lo sostiene Livio Dolzani, medico di base noneso e membro del Comitato per il Diritto alla Salute in Val di Non. Il principio di precauzione, adottato dall’Unione Europea, prevede l’eliminazione della fonte del rischio nei casi in cui si evidenzino effetti negativi sull’ambiente o sulla salute degli esseri umani, degli animali e delle piante, ma i dati disponibili non consentano una valutazione completa del rischio stesso. Il rischio legato all’esposizione ad alcuni principi attivi contenuti nei fitofarmaci di sintesi rientra in questa tipologia di situazione. Per fare solo l’esempio più eclatante, il clorpirifos, principio attivo trovato in 3 dei 12 campioni fatti analizzare dal Comitato con l’indagine del 24 giugno 2008, è messo da alcuni studi in correlazione con casi di microcefalia o di malformazioni dell’apparato genitale, soprattutto nei bambini. “Per determinati principi attivi come il clorpirifos - aggiunge Roberto Cappelletti dell’Associazione Medici per l’Ambiente - ci sono già tutti i presupposti di applicabilità del principio di precauzione. La posizione di APOT in proposito è quella degli struzzi”. L’Azienda Sanitaria ha avviato da poco uno studio sull’esposizione dei residenti nonesi proprio al clorpirifos. Verranno effettuate analisi su campioni prelevati all’interno delle abitazioni e sui campioni d’urina di 25 persone tra i 20 e i 60 anni residenti nei comuni di Cles, Tuenno, Nanno e Tassullo. I risultati si conosceranno a giugno. “Uno studio epidemiologico già effettuato su scala provinciale lo scroso anno dall’Azienda Sanitaria - ci dice l’Assessore Provinciale alla Salute Ugo Rossi - non ha evidenziato particolari problemi di salute connessi con il vivere in aree agricole, Val di Non inclusa. Ciononostante, con questo nuovo studio specifico, vogliamo dare un segnale di attenzione alle richieste espresse dal Comitato”. Che però ha già provveduto a criticare l’impostazione dello studio: “Ci si concentra - osserva Dolzani - su una sola sostanza, senza tener conto che è il multiresiduo ad essere indiziato come causa dei danni maggiori. E soprattutto non si includono i bambini, ovvero la fascia potenzialmente più esposta. Non mi stupirei se alla fine l’esito portasse a concludere che non c’è nulla di cui preoccuparsi”. però, evidentemente, fino ad ora non sono bastate. Il Comitato, poi, non si limita alle richieste di interventi immediati alle amministrazioni locali. Si rivolge anche alla Provincia, per interventi di medio periodo. La petizione inviata a Dellai nel settembre 2007 - nel frattempo re-inviatagli sottoscritta da altre 300 persone - chiede uno studio aggiornato sullo stato dell’ambiente in Val di Non, con riferimento agli impatti dei fitofarmaci; uno studio aggiornato sullo stato di salute della popolazione nonesa esposta, con riferimento alle patologie legate all’uso dei fitofarmaci, soprattutto quelle che colpiscono i bambini; una distribuzione dei finanziamenti che premi ben più di quanto accada oggi le aziende agricole che non impiegano sostanze chimiche. La Provincia ha parzialmente risposto alle richieste di monitoraggio ambientale e sanitario con la Delibera di Giunta 1154 del 2008, che ha definito un piano di controllo pubblico sugli usi e gli impatti dei fitofarmaci nelle zone di maggior uso. E’ stato poi affidato di recente all’Azienda Sanitaria uno studio sanitario specifico per la Val di Non, del quale però il Comitato ha già messo in discussione l’impostazione (v. box in questa pagina). Di maggiori incentivi all’agricoltura biologica, invece, per ora non se ne parla. “I residui nelle case? Accettabili…” Sembra in ogni caso evidente che l’azione amministrativa, da sola, non possa bastare a risolvere il problema. Servireb11 be la collaborazione da parte degli agricoltori. E agricoltori, in Val di Non, significa Melinda. Costituito nel 1989, il consorzio Melinda associa 16 cooperative, per un totale di 5200 soci coltivatori. La produzione annua è pari a circa 300.000 tonnellate di mele: il 60% della produzione trentina, il 10% di quella nazionale e il 5% di quella europea. Con un fatturato 2007 di oltre 187 milioni di € (ossia 73 centesimi per ogni kg prodotto), Melinda conferma di essere una potenza del settore. Per la quale ora un piccolo Comitato di cittadini rischia di diventare un problema serio, come nella storia di Davide contro Golia. Abbiamo provato a interpellare il direttore generale di Melinda, Luca Granata, che però ha declinato l’intervista “girandoci” al direttore di APOT - l’associazione dei produttori ortofrutticoli trentini della quale Melinda fa parte - “persona ben più qualificata di me a rilasciare interviste su un tema di così elevata specificità tecnica”. Granata ha voluto comunque puntualizzare: “Il regolamento del nostro consorzio prevede sanzioni anche molto pesanti in caso di mancato rispetto del protocollo disciplinare per la produzione integrata”. Come si legge sul sito web di Melinda, “le tecniche di produzione integrata sono finalizzate alla drastica riduzione dei trattamenti chimici e alla sostituzione di questi con ritmi biologici naturali”. Peccato che anche riguardo al protocollo per la lotta integrata il Comitato non abbia mancato di rilevare e documentare, come per le ordinanze comunali, numerose infrazioni: scarsa salvaguardia di muri a secco, arbusti e cespugli; raro impiego di varietà resistenti alla ticchiolatura (una delle più gravi malattie del melo) e del metodo della confusione sessuale (tecnica naturale di difesa dagli insetti); uso non conforme degli erbicidi. Abbiamo seguito il suggerimento di Granata, interpellando in proposito il direttore di APOT, Alessandro Dalpiaz. Il quale rispedisce al mittente le accuse che riguardano il mancato rispetto del disciplinare per la lotta integrata, sostenendo che le regole previste dal disciplinare sono osservate dalla stragrande maggioranza degli agricoltori. Nonostante la lotta integrata, però, i residui dei principi attivi arrivano fin dentro le case, come rilevato dalle analisi commissionate dal Comitato. “La deriva è un fenomeno gestibile ma ineliminabile. Prove condotte scientificamente da istituzioni specializzate dimostrano che i trattamenti eseguiti correttamente in condizioni normali consentono di ridurre di un 80% la deriva anche a soli 20 metri”. Sì, ma i residui trovati dalle analisi del Comitato non sono un’invenzione... “Il residuo eventualmente rilevato, quando entro i limiti di legge, è da ritenere più che accettabile per la popolazione. Il residuo massimo ammesso è infatti un limite legale che, anche se superato, non determina rischi particolari per la salute”. Su questo la comunità scientifica non è affatto concorde: ci sono medici che, in nome del principio di precauzione, chiedono di non usare affatto sostanze che contengono determinati principi attivi, tra cui alcuni di quelli trovati nelle analisi del Comitato. “Le sostanze attive impiegate dagli agricoltori in Val di Non sono quelle autorizzate dall’Autorità Europea per la Sicurez12 La chimica in agricoltura? “Una follia termodinamica” “Una follia termodinamica”. Lo dice a proposito della chimica in agricoltura Il prof. Enzo Tiezzi Enzo Tiezzi, professore ordinario di Chimica fisica all’Università di Siena, autore di una ventina di libri tradotti in numerose lingue (l’ultimo e più importante è “La soglia della sostenibilità”, Donzelli 2007). “I fitofarmaci sono come la droga: più ne uso, più me ne servono. E il terreno coltivato in maniera intensiva si impoverisce sempre di più”. Con la sua équipe, il professore ha di recente calcolato, con uno studio all’avanguardia, quanti ettari di terreno servono per produrre una bottiglia di vino tradizionale e quanti per una di vino biologico: 14 nel primo caso, metà nel secondo. Quegli ettari si chiamano “impronta ecologica”. “Possiamo calcolarla anche per le mele spiega il professore - e se qualcuno, magari la Provincia di Trento, mettesse a disposizione i fondi, lo faremmo ben volentieri. Il risultato non sarebbe tanto diverso da quanto rilevato per il vino. Questo perché l’agricoltura biologica, al contrario di quello che si pensa, dà prodotti meno costosi, perché nel complesso utilizza meno risorse. Solo che la mentalità industrialista affermatasi in agricoltura e la scarsa cultura del consumatore medio fanno sì che i prezzi dei prodotti sullo scaffale non riflettano affatto questa situazione, ma anzi la ribaltino”. Sul punto la posizione di APOT è chiara, e molto diversa: “APOT - c’informa il suo direttore - non condivide le iniziative tendenti ad incoraggiare il passaggio al biologico come tecnica risolutiva dei problemi ambientali e di salubrità del prodotto”. I produttori di mele bio, in Trentino e in particolare in Val di Non, restano così una esigua minoranza. Ma poco più a nord, in Sudtirolo, i “grandi” della produzione di mele si comportano in tutt’altro modo: Bio Südtirol produce ogni anno 20mila tonnellate di mele, e anche Bio Val Venosta nel 2008 è arrivata alla stessa quota (+21% sul 2007). A quando il salto anche per Melinda? za Alimentare, dalla Direzione Generale del Consumatore della Commissione Europea e dal Ministero per la Salute italiano. APOT non può che ritenere corrette le valutazioni fatte dalle istituzioni preposte”. Le posizioni delle parti in campo, come si vede, sono parecchio distanti. Come ci ha detto il dottor Livio Dolzani, medico di base in Val di Non e membro del Comitato per il Diritto alla Salute, “da parte non solo degli agricoltori ma addirittura delle istituzioni sanitarie il problema legato all’impatto dei fitofarmaci sui residenti è tuttora negato. Fino a che ci sarà questo atteggiamento, sarà difficile uscire dall’impasse”. E fino a che non si uscirà dall’impasse, Francesca, Raffaella e centinaia di altre persone come loro continueranno a scegliere di restare chiuse in casa, a convivere col loro disagio. E questo, al di là di ogni altra considerazione, non è certo un gran risultato. Per nessuno. ● [email protected] febbraio 2009 Il peggior candidato Il responsabile del “marcio” in Comune candidato a Sindaco del PD. Quando la politica se ne infischia dei risultati e bada solo alle alleanze interne. Per fortuna sembrano all’opera alcuni anticorpi. Ettore Paris E così il PD, dopo un percorso travagliato, per la carica di sindaco di Trento ha scelto il suo candidato: Alessandro Andreatta, vicesindaco con Pacher ed assessore all’Urbanistica. La cosa non sorprende, visti i precedenti e il clima nel maggior partito trentino. Eppure ci scandalizza. Perché, se c’è un amministratore che ha particolarmente demeritato, è stato proprio Andreatta. Durante i nove anni del suo assessorato brani interi di città sono visibilmente peggiorati. Come abbiamo documentato nelle nostre inchieste sul “marcio in Comune” e come hanno certificato diverse sentenze della giustizia amministrativa, questo è avvenuto non a seguito di processi oscuri o incontrastabili, ma grazie alla fattiva opera degli QUESTOTRENTINO Uffici comunali, che nascondevano nei cassetti le normative, non verificavano i progetti, autorizzavano tutta una serie di imbrogli. Andreatta ha avallato e coperto, finché ha potuto, queste prassi. Non solo: tutta la sua attività è stata improntata alla costante ricerca del favore all’immobiliarista di turno, naturalmente a scapito della vivibilità urbana. Da qui i “mostri” come quello del Cernidor o il “muro” della Cavit. O ancora altri pasticci, come il caso Auto In (che solo distratti commentatori possono liquidare come inesistente perché il tribunale ha assolto Andreatta dalla balzana accusa di truffa; quando il caso non era giudiziario, di truffa a un cittadino, ma politico, di pessima gestione del territorio e degli interessi pubblici). Quando non ha favorito i grandi inte- ressi, ha avviato (peraltro in accordo con le scalcinate opposizioni di centrodestra) una politica di stimolo ai piccoli interessi clientelari (vedi la variante per i privati), naturalmente a scapito della vivibilità complessiva. E’ stato inflessibile invece, quando erano in gioco gli interessi pubblici, o dei diseredati: per quanto pressato dalla legislazione provinciale, non ha individuato alcuna area per nuove costruzioni Itea, ogni area proposta aveva qualche difetto, era sempre in cerca dell’area perfetta, ovviamente non trovandola mai; mentre per far costruire i privati si faceva di tutto. Con un’ovvia conclusione: l’Itea gli appartamenti dovrà comprarli dagli immobiliaristi. E quando, recentemente, l’assessore provinciale all’edilizia pubblica Ugo Rossi (Patt) ha posto un termine ai Comuni recalcitranti a trovare le aree, 13 Fotocopia della delibera con cui la Regione stabilisce l’indennità a Margherita Cogo. Nell’immagine a lato l’originale, con l’indicazione della somma di 28.040 euro; in quella sottostante, la copia inoltrata dalla Cogo ai Ds, con la cifra, da lei circolettata, ridotta a 8.040 euro, a seguito della sparizione del 2. subito Andreatta si è posto a capofila dei sindaci che si stracciano le vesti, in nome dell’autonomia dei Comuni e del ritornello “non c’è abbastanza tempo”. Di un tale individuo si decanta “la sensibilità verso il sociale”. Ma per favore! Come si è potuti arrivare a una tale candidatura, non solo pessima, ma anche debole (i cittadini non sono allocchi)? Il punto di fondo è che nella vita interna del PD (come in genere negli altri partiti) i meriti o demeriti amministrativi valgono zero. Quel che conta sono le alleanze interne, le cordate, chi hai appoggiato e chi hai invece contrastato. Su questi temi ci sono fior di riunioni, mentre per valutare l’attività di governo non c’è mai tempo, in quanto non c’è interesse. Così nessuno ha mai detto una parola sull’attività di Margherita Cogo alla Cultura provinciale; o su quella di Lucia Maestri (anche lei candidata a sindaco, poi ritirata) alla Cultura cittadina; e Remo Andreolli è stato – meritatamente - silurato alle scorse elezioni non per la sua gestione della Sanità, di cui a nel partito ben poco ci si curava, ma per la sua gestione autocratica del partito stesso, di cui era segretario. E’ in forza di queste dinamiche che è 14 Il caso Cogo: documentazione fasulla per non pagare le quote al partito; che la premia nominandola assessore. avanzata una candidatura altrimenti improponibile come quella di Andreatta. Perché, in un partito che se ne impippa di quello che fanno gli amministratori, un assessore pessimo vale come uno buono; e Andreatta, che da vicesindaco di Pacher è automaticamente diventato sindaco reggente quando questi è passato in Provincia, è diventato il “candidato naturale”. Sostenuto “naturalmente” da Pacher, che in un siluramento del suo vice vedeva una sconfessione di se stesso. Ed appoggiato, per inerzia, dagli altri maggiorenti. A dire il vero, c’erano delle candidature alternative. Una delle quali fortissima, il difensore civico Donata Borgonovo che, popolare in città e provincia per le sue denunce delle distorsioni della politica, sicuramente avrebbe vinto in carrozza primarie ed elezioni. Ma era una candidatura fuori dagli schemi, osteggiata da Dellai: i maggiorenti del PD le hanno creato il vuoto intorno, un clima di ostilità implicita, finché la Borgonovo, fiutata l’aria, si ritirava. Entrava in campo allora Nicola Salvati, che da consigliere comunale aveva denunciato le nefandezze urbanistiche di Andreatta; subito Pacher reagiva, invitandolo attraverso un articolo di giornale a “fare un passo indietro” (ma che primarie sono quelle in cui è il segretario del partito ad ammettere i concorrenti?), e il resto del PD lo trattava con condiscendenza, da vecchio pazzo, anche se lui, in un giorno, raccoglieva a proprio sostegno 600 firme, di cittadini stomacati dall’urbanistica di Andreatta e dalle manfrine partitocratiche. E così il PD arrivava, segando i candidati non ortodossi, con un proprio candidato unico alle primarie di coalizione, che gli altri partiti avevano finalmente accettato. A completare il quadro c’è il caso Margherita Cogo. Sulla consigliera noi abbiamo espresso pesanti dubbi, quando da assessora provinciale alla Cultura non solo espletava in maniera discutibile il suo compito, ma affidava con troppa disinvoltura incarichi agli amici. In questi giorni sono riemerse le documentazioni di una vicenda di alcuni anni or sono, che qui rendiamo pubbliche. Si tratta delle dichiarazioni rese dai consiglieri DS sugli emolumenti ricevuti, sui quali il partito opera delle trattenute. Siccome il tesoriere dei DS aveva delle perplessità febbraio 2009 Claudio Bortolotti sulla dichiarazione della Cogo, l’assessora faxava al partito la delibera della Regione sulla corresponsione dell’indennità di fine mandato. Solo che la delibera autentica (vedi foto) indica un valore di 28.040 euro, quella inviata ai DS dall’Assessorato alla Cultura, un valore di 8.040 euro: un 2 si è perso per strada, al suo posto c’è uno spazio bianco. Ovviamente la Cogo voleva pagare la trattenuta sugli 8.000 euro, non sui 28.000. Al partito però si accorgevano dell’inghippo e investivano del caso il Consiglio dei Garanti. Lei, una settimana prima della riunione, provvedeva, con confuse giustificazioni, a saldare quanto effettivamente dovuto, e i Garanti, pur “stigmatizzando la vicenda... ed esprimendo forti dubbi e perplessità” chiudevano la partita. Contenti i DS, contenti tutti. Ma è il caso di nominare ancora assessore, cioè affidare le casse pubbliche, a una persona che si comporta in questa maniera? Abbiamo presentato quest’insieme di fatti e valutazioni a diverse personalità del Partito Democratico. Anzitutto al nuovo segretario Maurizio Agostini, che ci risponde in un’intervista a pagina 18. Gli altri interlocutori – in particolare i consiglieri provinciali Sara Ferrari, Bruno Dorigatti e Mattia Civico - difendono debolmente Andreatta, di cui non si sognano di sposare la politica urbanistica, ma ritengono che essa, anche e soprattutto per le (nostre) denunce, sia cambiata, come dimostrerebbe la revisione degli indici di edificabilità in collina (che di fatto ha accolto molti dei nostri rilievi, ma che Andreatta ha stiracchiato e non ha ancora fatto definitivamente approva- QUESTOTRENTINO re). D’altra parte Andreatta avrebbe una “sensibilità sociale” che, se non si riscontra nel permettere l’edilizia popolare, si vedrebbe riflessa nell’operato complessivo della Giunta Pacher, nella disponibilità alle microaree per i nomadi, nell’ostilità ai rovinosi maxi-progetti provinciali di trasferimento delle scuole superiori all’ex-Italcementi (un favore di Dellai alla cooperazione e all’amico Schelfi, aggiungiamo noi). Sulla Cogo il discorso non verte sui fatti contestati. C’è una sorta di scurdammoce ’o passato in favore di una valutazione positiva del presente: “A differenza della scorsa legislatura, siamo un gruppo unito, che propone, che ha iniziato a incidere. Margherita Cogo, in questo contesto, sta svolgendo un ruolo positivo”. Intanto la politica va avanti: la debolezza della candidatura Andreatta ha dato spazio ad altre candidature, soprattutto a quella di Claudio Bortolotti, inizialmente proposto da Dellai, ma poi distaccatosi dall’ingombrante anche se autorevole sponsorizzazione. L’ingegnere della Provincia, una vita professionale al servizio dell’ente pubblico, tra risultati positivi e altri più discutibili, efficiente e decisionista, storicamente vicino alla sinistra e al sindacato ma non troppo, è una candidatura forte. Che ha attratto personalità dello stesso PD, a iniziare da Dorigatti, la Chiodi, Ianeselli. In parallelo la nuova segreteria di Agostini si guarda bene dal fare muro attorno al candidato di partito, e anzi teorizza la massima apertura. Vedremo se questi fatti saranno i sintomi di un’inversione di tendenza, rispetto a una politica che ormai ci sembrava molto vicina al fondo. ● 15 Le “inchieste” dell’assessore Alessandro Andreatta e il “marcio” al Comune di Trento E ra il novembre 2006, oltre due anni fa, quando presentavamo il caso di un progetto di un edificio, approvato dal Comune di Trento, in cui il piano quotato (l’elaborato che serve ad indicare le quote e l’andamento del terreno) era – incredibilmente – senza quote, ovviamente obbligatorie per legge. E spiegavamo come questo inghippo avesse permesso al disinvolto progettista di barare sulle altezze e costruire un piano in più. La cosa grave, però, non era tanto la deontologia professionale (su questo ci siamo messi il cuore in pace, sappiamo già, ormai da una pluralità di casi, che l’Ordine degli Architetti, di tematiche del genere se ne impippa), quanto l’operato degli Uffici Comunali, che avevano allegramente approvato il progetto. Una cosa inaudita, gravissima. Perché delle due l’una: o gli uffici il progetto non lo avevano neanche guardato, oppure erano complici. All’allora assessore all’urbanistica Alessandro Andreatta, che oggi vorrebbe fare il sindaco, avevamo proposto il problema, sia attraverso queste colonne, sia a voce, in un pubblico dibattito. Andreatta, che sulla stampa e in consiglio comunale aveva sempre difeso a spada tratta l’operato dei suoi Uffici, nel dibattito sull’argomento stette zitto; per poi dirci, a quattr’occhi: “Sul caso sto svolgendo non una, ma due distinte inchieste. Sarebbe un caso troppo grave”. Da allora sono passati due anni, le “inchieste” di Andreatta, dove sono finite? Per aggiornare la memoria al candidato sindaco, riportiamo un altro caso, dedotto dalle cronache giudiziarie. Siamo nel 2001, sempre assessore all’urbanistica Alessandro Andreatta. L’oggetto del contendere è un condominio in via Marsala, costruito, secondo i confinanti, al di fuori delle norme, e con un’altezza eccessiva. Anche qui il punto di partenza dell’inghippo è il piano La tabella sulle quote del terreno redatta dal geom. Saltori. Si noti come i quotato. Leggiamo cosa ne dice il Consulente Tecnico d’Ufficio (CTU) ing. punti degli spigoli dell’edificio abbiano tutti, inspiegabilmente, la stessa Giovanni Dolzani nella perizia commissionatagli dal Tribunale: “Il rilievo quota al decimo di millimetro. dello stato di fatto è del tutto privo di quote… le curve di livello mancano di Sopra: l’edificio ultimato in via Marsala. quotatura… le altre tavole progettuali non contengono indicazioni sull’andamento del profilo originario del terreno”. Conclusione: “La documentazione in atti non consente di ricostruire il profilo del terreno originario”. E grazie a questo inghippo si può fare un po’ quello che si vuole. Commenta il consulente di parte ing. Ettore Bonetti: “Il progetto è stato approvato dal Comune di Trento pur con queste lacune di una gravità inaudita (sottolineatura nel testo, n.d.r.) che è difficile ritenere frutto di omissioni dovute a distrazioni. Tutti i tecnici sanno che il Comune pretende che in ogni progetto sia presente il rilievo quotato del terreno in una apposita planimetria e che sulle sezioni sia riportato, con linea tratteggiata, il profilo di detto terreno. Questa doppia “anomalia” – del progetto presentato con gravi lacune e della sua approvazione - avrebbe richiesto, a mio avviso, un’indagine conoscitiva presso i competenti Uffici comunali e presso il progettista dell’opera”. Indagine che nessuno ha svolto. Al Comune di Trento si lavora così. Ma non è finita. Al Comune spetta il compito, ad inizio lavori, di rilevare le quote del terreno in corrispondenza degli spigoli del fabbricato da costruire. Il tecnico incaricato, geom. Marco Saltori, firma il rilievo in data 3 luglio 2001, sei mesi dopo l’effettivo inizio lavori. Come fa a rilevare il terreno preesistente, dopo che l’impresa ha già iniziato a far lavorare le ruspe? Vogliamo pensare che la data di presentazione sia posteriore al rilievo, effettuato prima dell’inizio lavori. Ma ecco un’altra anomalia: le quote sono irrealistiche, strampalate, tutte uguali, al decimo di millimetro (alleghiamo la fotocopia della tabella di Saltori), neanche il terreno fosse piano e liscio come un biliardo, mentre, come sa chiunque sia passato da quelle parti, da via Marsala in dentro è discesa. Insomma il Comune non solo approva progetti senza quote, ma quando deve quotare lui, fornisce cifre di pura fantasia, non frutto di rilievi, ma di grotteschi “aggiustamenti” successivi. Questo l’andazzo, il “marcio in comune”. Che dobbiamo aspettarci dall’assessore responsabile, ora sindaco reggente? Più volte avvertito di cosa sta avvenendo, ha sempre negato tutto, e ha ancora da concludere le sue “inchieste”. E’ proprio il caso di affidargli la città? 16 febbraio 2009 PUBBLICITA’ UPT (via mail da Plus Communication) QUESTOTRENTINO 17 l’intervista Un volto nuovo per un PD in affanno Intervista al nuovo segretario Maurizio Agostini Ettore Paris 18 febbraio 2009 A Maurizio Agostini, medico, un passato da dirigente delle Acli, il PD trentino si è rivolto come ad un salvagente. Squassato dalle polemiche interne, compromesso da un’immagine nazionale declinante; fiaccato da un segretario (Alberto Pacher) tanto popolare all’esterno quanto discusso all’interno, perché debole e Dellai-dipendente, frequentato da troppa gente che vede la politica come una carriera per la quale è bene farsi, dentro il partito, degli amici da spalleggiare a prescindere, e dei nemici/concorrenti da ostacolare: in queste condizioni il primo partito del Trentino stava rapidamente perdendo appeal, anche presso quella che è la sua vera ricchezza, una base ampia, che accorre alle primarie, che ha visto nel nuovo partito una speranza di rinnovamento della politica. E’ a questo punto che il PD, per sostituire il dimissionario Pacher, ha deciso di rivolgersi ad Agostini: persona limpida, appassionato di politica nel senso più nobile del termine, fuori dai giochi e dagli schieramenti, era l’unico che poteva ragionevolmente pensare di rimettere in carreggiata un partito altrimenti allo sbando. Con lui, amico per“C’è chi dice che sonale da tanti anni e lettore di QT dal primo il PD vince se vince numero, possiamo parAndreatta, e perde lare chiaro, capendoci al se vince Bortolotti. volo. No, il PD vince comunque, anzi ha già vinto, perché le primarie si fanno, e senza preclusioni” Il PD è gestito soprattutto da persone che vedono la politica come una carriera, un’occasione di avanzamento sociale. In queste condizioni il merito delle cose interessa molto poco... Il PD nasce anche per affrontare questo problema: rinnovare la politica creando ampi ambiti di dibattito, tra la gente ad inquadrare i problemi spiccioli in quelli generali, quelli contingenti in una visione del futuro. In quest’ottica va strutturata la nostra presenza; e da qui emergerà personale nuovo, come cultura e come nomi. QUESTOTRENTINO Questo rischia di essere un bel pensierino e poco più. Certo, non so se questo nostro sforzo avrà successo. Ma io sono entrato nel PD per questo, e per questo sono ora segretario. E la nostra base questo ci chiede, esige. Ieri a Piedicastello ci hanno bombardati di domande pepate sulle candidature, sulle primarie... Appunto, i candidati: designati in base agli appoggi personalistici, o al massimo a considerazioni elettoralistiche. Mai in base a valutazioni sul loro operato nelle istituzioni. Intanto le primarie si fanno, e non era per niente scontato, sembrava che nessuno dei nostri alleati le volesse. E poi sono veramente aperte, non c’è ordine di segreteria né compattamento; i candidati sono candidati di tutti. Sì, dopo che avete segato le candidature irrituali, come Donata Borgonovo o Nicola Salvati... L’iter con cui siamo arrivati a questo punto è certamente perfettibile; e senz’altro dovremo assolutamente iniziare a fare un lavoro di valutazione dell’attività di governo. Però Borgonovo e Maestri, per quanto ne so, non hanno subito pressioni, avranno sentito che non c’era un clima propizio. Con Salvati è diverso: lui chiedeva soprattutto un impegno su alcuni punti, che sono nel programma di Andreatta. Ma è stato il segretario Pacher ad esortarlo pubblicamente a ritirarsi! Che primarie sono quelle in cui il segretario decide lui chi si deve presentare e chi no? Pacher non ha proibito, ha invitato. Poi, il merito del contendere: l’urbanistica. Leggo QT, le vostre inchieste sul “marcio in comune”. Io penso che oggi si veda la città, il territorio, in maniera diversa da quanto si faceva anni fa, c’è più attenzione al paesaggio, all’architettura, all’impatto sociale. E questo anche per merito di QT, di Salvati: con le vostre denunce avete contribuito a far cambiare l’approccio. Dall’idea della città che deve svilupparsi senza limiti e l’amministrazione essere di supporto all’attività edificatoria, all’idea di equilibrio, di compatibilità. Questo è stato recepito nella variante sugli indici collinari, e su questo si andrà avanti: su questo Andreatta c’è. Le vostre denunce le abbiamo recepite. Nulla è cambiato negli Uffici comunali, che sono stati difesi ad oltranza. Su temi così delicati come l’urbanistica, e in presenza di 19 Nell’ambito di una serie di iniziative volte alla divulgazione delle idee e del sistema della Quarta Via L’Associazione culturale La Teca organizza: MATRIX Ciclo di incontri sul film dei fratelli Wachowski ispirato agli insegnamenti del maestro armeno G.I. Gurdjieff sabato 21 febbraio sabato 28 febbraio venerdì 6 marzo ore 19.30 LaTeca - Trento, via S.Pio X, 93 (ingresso gratuito) venerdì 3 sabato 4 e domenica 5 aprile 2009 La Teca - Trento, via S.Pio X , 93 L’ENNEAGRAMMA e gli enneatipi secondo Claudio Naranjo Seminario teorico-pratico tenuto dal prof. Lluis Serra, rettore della scuola universitaria “Raimondo Lullo” di Barcellona per informazioni e iscrizioni: tel. 349/8716572 [email protected] - www.gurdjieff.es 20 interessi talmente forti, è bene ci sia una rotazione dei dirigenti responsabili. Non come sanzione per errori o omissioni, ma per un salutare avvicendamento. Bene. Ma il principale responsabile è l’assessore, cioè Andreatta. Tutto il partito dà una valutazione positiva della persona, come integrità e disinteresse, e anche perché è protagonista di quella svolta in urbanistica di cui ho parlato. Penso che l’eventuale errore di Andreatta sia stata un’attenzione forse eccessiva (vedi Auto-In) ad aiutare i cittadini, a risolvere i loro problemi. Atteggiamento che in un settore così delicato può essere male interpretato. Il fatto è che quando un cittadino vuole aprire una finestra, si trova tutti i regolamenti contro, ma quando il costruttore Dalle Nogare vuole fare un affare miliardario, ecco che i regolamenti vengono messi sotto i piedi. Gli Uffici e Andreatta sono forti con i deboli e deboli con i forti. Si arrampicano sugli specchi a favore degli immobiliaristi; ma per l’Itea nessuna area va mai bene. Tendiamo a non incrementare le aree edificabili, perché vogliamo limitare lo sviluppo della città. Per l’Itea stiamo cercando una risposta articolata, che preveda il riuso, l’utilizzo degli appartamenti sfitti... Ma sono strumenti di difficile attuazione... Quelli di immediata operatività vengono riservati agli immobiliaristi. Sarebbe questa la decantata “sensibilità sociale” della candidatura Andreatta? Non credo sia così, questa mi sembra un po’ una caricatura. L’amministrazione Pacher, di cui Andreatta è stato il vicesindaco, ha fatto un prezioso lavoro in campo sociale: basti pensare ai poli sociali, oggi cinque: luoghi anche fisici di rilevazione ed assistenza coordinata per varie situazioni di difficoltà, dal disagio psichico a quello familiare. Passiamo al caso Cogo, che presenta al partito documenti fasulli, e questo la nomina capogruppo e assessore (vedi nell’articolo precedente, n.d.r.). C’è stata una valutazione fatta dal gruppo consiliare. E prima ancora dei giudizi degli organi di garanzia del partito, allora i DS. Non mi sento di emettere ulteriori sentenze, non sono sinceramente in grado di occuparmi del pregresso. Contro Andreatta ora alle primarie corre Claudio Bortolotti. C’è chi dice che il PD vince, se vince Andreatta, perde se vince Bortolotti. Invece no, il PD vince comunque, ha già vinto, perché le primarie si fanno, e si fanno con noi che non poniamo preclusioni: questo è il nuovo modo di fare politica. Detto questo, il PD in maggioranza sostiene Andreatta, anche perché sappiamo chi è, cosa pensa e cosa farà sul piano politico generale. Il nostro progetto politico è diverso da quello di alcune forze centriste, che vorrebbero ridurci, da forza centrale, a gracile stampella di sinistra di una coalizione a forte caratterizzazione centrista, secondo uno schema su cui si lavora anche a livello nazionale. Su questo punto Andreatta è una garanzia, altri un’incognita. Resta il tema di fondo, quello di un partito che non valuta il proprio operato nelle istituzioni. Non gli interessa come governa... Bisognerà mettere in piedi strumenti adeguati, che poi saranno i luoghi della vita del partito, i circoli e i gruppi tematici. Poi, in occasione dei rinnovi elettorali, dovrà andare a regime un sistema in cui si giudichino gli obiettivi raggiunti e l’operato delle persone. Gli eletti dovranno sì avere un loro margine di autonomia, ma dovranno sentire – ed è questo che dobbiamo costruire - il respiro di una partecipazione forte della gente, che condiziona, spinge, giudica, le scelte. ● febbraio 2009 Stanco di un’informazione addomesticata? Abbonati a Questotrentino! ... e ricevi in regalo la QT Card! A’ DIRITTO A LA QT CARD DSUI BIGLIETTI U N O S C O N T O E/O S U G L I DI INGRESSO TI DI NUMEROSI ENTI ABBONAMENONVENZIONATI (PER CULTURALI C I SU L’ELENCO, VA OTRENTINO.IT) WWW.QUEST 2009 SCEGLI LA MODALITÀ DI ABBONAMENTO PIÙ ADATTA A TE • Abbonamento annuale (11 numeri): 40 euro • Operazione fedeltà abbonamento biennale (22 numeri): 70 euro • Prova QT! 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Uno dei molti errori che puntualmente compiono gli amministratori, i politici, seguiti a ruota da molti giornalisti, è quello di ciarlare di giovani. O, meglio, di ggiovani, con due g. Una parola che – insieme a brainstorming, mission (pronunciata “missio”), sicurezza, trentotrentinotrentina – riempie di orgoglio e fatuità chi la pronuncia. Non importa come, basta usarla: essendo scatole vuote in cui si può buttar ciò che si vuole, queste parole si riempiono di banalità, retorica e paradossi. I ggiovani sono, allora, “il nostro futuro”, restando però ragazzotti folkloristici ed impreparati; “portano cultura e vita”, ma fan vite perse nello schiamazzo; sono innocenti ed idealistici: nel farsi 22 strumentalizzare... Bisognerebbe dirlo chiaro: i giovani, i ggiovani, secondo tali definizioni, non esistono. Esistono, piuttosto, i contenitori ai quali vengono destinati. Uno di questi, creato dalla P.A.T., è il TAUT – Tavolo delle Associazioni Universitarie Trentine, nato tre anni fa con “lo scopo di creare una interazione attiva ed efficiente fra le varie associazioni che ne prendono parte, al fine di riuscire a realizzare in modo sinergico dei progetti comuni”. Trasformare soldi in cultura. La sensazione - vorremmo sbagliarci - è che la sua genesi altro non fosse che un grande spot. Si tratta dell’ingenua iniziativa di una amministrazione vagamente disconnessa dalla realtà? O della mossa strategica di vertici incentrati su altro? Come si pensava, si pensa, d’ottenere sinergia dalla semplice giustapposizione di realtà con storie e culture differenti, e visioni del mondo poco conciliabili? Per ora non s’è capito, e in questi tre anni le associazione parte- cipanti sono parse più interessate a spartirsi i soldi di Mamma Provincia che a costruire percorsi condivisi. Abbiamo così assistito a vari viaggi per l’Europa, messe di requiem e ad iniziative anche valide (nella prassi, frutto dell’impegno di singoli): in complesso, molto torpore. In questi giorni è stato eletto il nuovo direttivo del TAUT: riusciranno i nostri eroi a svegliare i commensali intorpiditi? Lo sapremo nella prossima puntata. O dopo la pubblicità. Altro contenitore, il Consiglio degli Studenti: organo di coordinamento dei rappresentanti degli studenti nell’università. Che ruolo ha avuto il CdS in questo caldo autunno di proteste? Nessuno. Fin ad ora, certo. Molti studenti non sanno nemmeno che esiste e quasi tutti non hanno idea di cosa stia facendo. In sintesi, per informare costoro: ha fatto poco. Per una forte divergenza, di valori e di programma, fra le due liste più rappresentate (Charta ’91, di sinistra, e List One, tradizionalmente vicina alle posizioni di Comunione e Liberazione), ha sempre partorito topolini: dopo estenuanti battaglie, s’è sempre proceduto, con estrema cautela e gusto del compromesso, a non dire niente. A parlare, magari, ma dicendo il meno possibile. In fase di turnazione per le recenti elezioni, è rimasto silenzioso fino all’inaugurazione dell’anno accademico. Ora c’è un presidente fresco di nomina: Davide Modé, unico rappresentante de La Rete all’interno del Consiglio, attento al movimento, di sinistra, ma eletto con i voti di List One. Riuscirà il nostro eroe a trasformare il febbraio 2009 I G N BEA O R TA A ttia un film N Z A Pell i e di Luig i Pe pe Ma Con QT il film “Beata ignoranza” L’ABC in immagini della protesta degli studenti” suo sforzo di mediazione in un qualcosa di più d’una flebile voce di compromesso? Anche per questo bisognerà attendere. E come sta l’Onda? L’avevamo lasciata con la responsabilità di risvegliare il mare di studenti dell’Ateneo, studenti in larga parte sopiti. Il documentario realizzato da Mattia Pelli (una delle nostre firme) e Luigi Pepe racconta di questo autunno caldo, di come per un attimo, e forse qualcosa di più, qualcuno si fosse destato dal grande sonno e avesse suonato la sveglia anche agli altri. Il generale inverno, con la neve, il torpore, gli esami, ha fiaccato le forze del movimento, ma la fiamma non s’è spenta del tutto: in quel tripudio etnografico che è l’inaugurazione dell’anno accademico - normalmente una lunga sfilata per festeggiare in pompa magna la gerontocrazia di questo paese -, anche se non invitata formalmente, l’Onda è entrata e ha ribadito la sua volontà di aver voce in capitolo, quando si parla di futuro degli studenti. Attenzione, però, a questo punto: fate piano. Pensateci su, ma parlate sottovoce: come sempre, i ggiovani, quelli dei politici, dormono. O non esistono. ● QUESTOTRENTINO Il film “Beata ignoranza”, che avete trovato in allegato a questo numero di QT, è un tributo alla mobilitazione degli studenti universitari, che anche in Trentino sono riusciti a squarciare il velo di triste conformismo che sembra essersi abbattuto sul dibattito politico di questo Paese. Una protesta interessante per il modo in cui si è sviluppata: sulla base di un’attenta analisi del ruolo dell’ateneo di Trento nel contesto nazionale e dell’orientamento datogli dal rettore Davide Bassi, e grazie ad una partecipazione larga di studenti delle più varie convinzioni, coinvolti grazie a forme di lotta orizzontali. Io e Luigi Pepe ci siamo incontrati alla facoltà di Sociologia di Trento lo scorso ottobre, entrambi con una videocamera in mano, interessati alla forma che la lotta degli studenti avrebbe assunto a Trento. La decisione di lavorare insieme è venuta naturale e naturale è stata l’adesione di QT al progetto: così, forse per la prima volta in Trentino, una rivista storica del giornalismo locale esce con in allegato un documentario che ha per soggetto una vicenda svoltasi alle nostre latitudini. Dentro l’ora e quaranta minuti di immagini di “Beata ignoranza” c’è tantissima passione e due diversi sguardi: quello “cinematografico” di Luigi Pepe, filmaker con base a Trento che frequenta attualmente la scuola Zelig di Bolzano, e il mio, di stampo più giornalistico. Quello che interessava ad entrambi era cogliere il nascere di una mobilitazione e documentarne lo sviluppo dall’interno, da consapevoli e solidali testimoni. Il nostro film è dunque prima di tutto un progetto di documentazione, grazie al quale potrete vedere quello che difficilmente un Tg o un giornale raccontano. Un progetto in fieri che continuerà a svilupparsi su www. vimeo.com/beataignoranza, il canale web sul quale pubblicheremo periodicamente contenuti che non sono stati inseriti nel Dvd e che fungerà da punto di raccolta per i contributi video di tutti coloro che hanno partecipato agli eventi e desiderano renderli pubblici. La nostra scelta è stata quella di proporre la maggiore quantità di materiale possibile (in tutto il nostro girato ammontava a più di 30 ore) da cui consegue la lunghezza complessiva del film. Per questo “Beata ignoranza” è un film “impegnativo”; una ruvidezza che speriamo contribuiscano ad attenuare la bella colonna sonora originale e la sua struttura a capitoli. Il documentario è stato infatti pensato fin dall’inizio come un “ABC” della protesta, composto da sette capitoli, ciascuno dei quali illustra un aspetto particolare della mobilitazione degli studenti che può essere guardato autonomamente. Dietro alle immagini che vedrete ci sono moltissime ore di montaggio e l’abbozzo di una scelta radicale: quella di produrre un documentario con mezzi estremamente modesti (due videocamere MiniDV semiprofessionali; due postazioni di montaggio) cercando di dare corpo alla constatazione secondo la quale i nuovi mezzi offerti dalla tecnologia possono permettere la nascita di progetti di videodocumentazione “dal basso”. Avete dunque tra le mani un prodotto artigianale (speriamo nel senso alto del termine), nato grazie anche all’autorevole appoggio della scuola di documentario Zelig di Bolzano, dell’Arci del Trentino e dell’Associazione Lxl, che insieme a QT e all’impegno di Gianfranco de Bertolini hanno messo a disposizione le risorse necessarie alla stampa in 1.500 copie del film, al quale abbiamo lavorato naturalmente a titolo totalmente volontario. Anche la scelta di distribuire “Beata ignoranza” con licenza Creative Commons non è casuale: il diritto d’autore – ne siamo convinti – è spesso un ostacolo alla circolazione creativa delle idee. Quindi guardate, discutete e diffondete questo Dvd, ma soprattutto fateci sapere cosa ne pensate. Mattia Pelli 23 Marmolada, terra di conquista La famiglia Vascellari all’assalto della montagna Luigi Casanova N el versante bellunese della Marmolada si programmano nuove speculazioni che in prospettiva interessano anche noi trentini. Dopo il fallimento del Patto per la Marmolada del 2003 (dovuto al boicottaggio dei comuni di Rocca Pietore e Canazei) e dopo il fallimento della proposta di nuovo modello di sviluppo del Museo delle scienze naturali di Trento (causa il rinnovato disinteresse di Canazei), il gioco degli investimenti attorno alla montagna è passato nel versante bellunese, nella zona di Malga Ciapèla. Nel febbraio del 2005 il Consiglio Comunale di Rocca Pietore approvava a maggioranza, in una sala gremita di carabinieri, la variante al Piano Regolatore preparata da tecnici dell’imprenditore Mario Vascellari, presidente della società funiviaria Tofane Marmolada. La variante prevedeva la costruzione di un enorme albergo completo di piscina, campo tennis, negozi, fitness, circondato da una serie di baite da trasformare in residence. Un paese, insomma, con 86.000 mc. di cemento con oltre 270 posti letto. In pochi mesi il progetto finiva all’attenzione della Sovrintendenza dei Beni Culturali di Venezia e lì si arenava, bocciato. Ma arrivano i soccorsi. Grazie all’interessamento dei dirigenti della Sovrintendenza, l’area geologica ad alto rischio, che comprende appunto il sito delle baite, viene trasformata da rischio 4 in 1. A questo punto gli uffici preposti alla tutela del territorio e della sicurezza delle persone sono costretti a rilasciare parere positivo. Nell’autunno 2005, grazie anche al sostegno della Provincia di Trento che autorizza il pilone del terzo tronco su territorio trentino, si concludono i lavori di rifacimento e potenziamento della funivia. L’inchiesta 24 sul resort-wellness condotta dai servizi forestali viene archiviata dalla Procura di Belluno. Non ci sono più ostacoli e prontamente nel dicembre 2008 il Consiglio comunale di Rocca rilascia le ultime autorizzazioni edilizie. Si mobilita allora la stampa nazionale. Repubblica, l’8 gennaio, pubblica un servizio che ha il merito di avviare importanti riflessioni sul destino qualitativo della montagna. Seguono gli interventi di diversi quotidiani del Triveneto. Contemporaneamente Federalberghi bellunese prende posizione, assieme agli ambientalisti, contro il mega resort. Le motivazioni sono semplici. La struttura è sproporzionata rispetto alle risorse umane ed economiche presenti in Val Pettorina. Un simile insieme di attività alberghiere e commerciali concentrate farebbero infatti sparire ogni altra iniziativa economica autonoma presente nella zona: artigianato locale, commercio, alberghi famigliari... L’offerta turistica facente capo alle grandi agenzie internazionali porterebbe vantaggio al solo impianto funiviario di Vascellari, e riproporrebbe il modello turistico francese oggi fallito. Ma sono decenni, da quando con le risorse della tragedia del Vajont è stata costruita la funivia di Malga Ciapèla (1967), che a dettare i destini sociali e dell’economia di Rocca Pietore è Vascellari. A lui fanno riferimento l’indotto del turismo, l’artigianato, l’edilizia locale... In questi quarant’anni la politica e le amministrazioni non hanno mai trovato un’alternativa, e anzi, non la si è proprio voluta cercare. Al di là dei danni paesaggistici e sociali irreversibili provocati dalla costruzione di un simile mostro, si apriranno altre ovvie prospettive di assalto alla montagna, e si guarderà verso il Trentino. Un simile albergo ha fame, ha bi- sogno di riempire i posti letto. Anche la grande funivia ha bisogno di passaggi. Le normative europee pongono difficoltà nello strappare nuovi spazi sciabili sul ghiacciaio verso Fedaia. Ed allora ci si rivolgerà, in tempi brevi, al collegamento con passo San Pellegrino, violando la selvaggia valle di Franzedas e il paradiso degli sci alpinisti, Forca Rossa. Un collegamento atteso dal 1986. Rocca Pietore si è chiusa in un vicolo cieco: è un giocattolo in mano di un unico, cinico padrone che non solo si è impossessato della Regina delle Dolomiti, ma ha tolto l’anima, la speranza ed ogni spazio di autonomia alla popolazione locale. ● febbraio 2009 Tagli all’ecologia? Allarme rientrato Un decreto aveva messo in forse i risparmi fiscali per chi ristruttura la casa secondo criteri di risparmio energetico. Poi... Roberto Devigili E’ stata accantonata la balzana idea di ridurre drasticamente i benefici fiscali per i lavori edilizi destinati al risparmio energetico. Il Senato, dopo la Camera dei deputati, ha modificato radicalmente il decreto legge con cui il governo, col pretesto della crisi, aveva dato un taglio quasi mortale agli incentivi. L’inversione ad U, più che per l’azione dell’opposizione che si è sentita pochino, è avvenuta per la dura reazione della stampa specializzata e delle categorie economiche interessate (artigiani). Infatti, anche il solitamente paludato Sole 24 Ore aveva denunciato il fatto. Oltre 800 lettori avevano commentato malamente le modifiche al bonus fiscale del 55% sul risparmio energetico e perfino il TGR di Bolzano aveva raccolto la stizzita reazione di un sudtirolese che, fidandosi dei soliti “Talianei”, aveva ristrutturato con regole ecologiche il maso. Inoltre, commercialisti, imprenditori e cittadini avevano utilizzato il sito del giornale economico per esprimere il proprio disagio sulla nuova normativa. Fino all’annunciato cambio di rotta del ministro Tremonti, che ha dapprima fatto una retromarcia parziale poi, con la legge approvata definitivamente in questi giorni, ha alzato bandiera bianca. In sostanza, salvo spiacevoli sorprese di futuri decreti, l’unica novità rispetto al recente passato consiste in un certo irrigidimento del sistema degli sgravi fiscali: 5 anni per scaricare le spese anziché, come prima, la scelta di farlo in 3 o 10. Ricostruiamo i fatti. Col decreto legge 185/2008 (quindi, subito efficace) gli interventi sul risparmio energetico erano stati fortemente limitati rendendo più difficile usufruire della detrazione fiscale del 55%. Per godere dell’agevolazione si sarebbe dovuto inviare un’istanza QUESTOTRENTINO all’Agenzia delle Entrate che sarebbe sta- settore che ha registrato negli ultimi due ta accolta solo in presenza di sufficienti anni investimenti pari a 3,3 miliardi di fondi in bilancio. Prima del decreto, in- euro, con oltre 230.000 domande per rivece, i soli limiti previsti consistevano in strutturazioni di edifici con attenzione al un tetto massimo di spesa ammissibile risparmio energetico. Si calcola che per e in un elenco di interventi tecnici am- le famiglie che abbiano affrontato i lavomessi al bonus; insomma, bastava che ri di adeguamento degli edifici secondo le spese fossero destinate al risparmio standard previsti dell’Europa ci sia stato energetico e supportate dalla relativa un risparmio di energia pari a 500.000 MWh e la mancata immissione nell’aria documentazione. Con la norma contestata, per pannelli di oltre 2000 tonnellate di anidride carsolari, impianti di riscaldamento, pareti bonica. E ancora, secondo la CNA, il goe cappotti isolanti, pavimenti e copertu- verno potrebbe incassare nei prossimi re, finestre e riqualificazione energetica due anni – grazie alla normativa ora ridegli edifici, gli stanziamenti statali era- pristinata - un gettito fiscale di circa 2,1 miliardi a fronte di un esborno stati fissati in 82,7 so di 1,9 miliardi. “In Italia milioni di euro per le In due anni, - notavano gli artigiani - si detrazioni del 2008, sta sviluppando un sistema di 185,9 per il 2009 e 2000 tonnellate aziende specializzate che ora 314,8 per il 2010. Una in meno di conta 5.000 piccole imprese e miseria, considerando che solo nel 2008 sono anidride carbonica oltre 200.000 occupati, tutti potenzialmente a rischio se stati eseguiti interven- immessa saltano gli sgravi”. Sul sito del ti per 3,3 miliardi di Sole 24 Ore sono state divereuro, con un bonus nell’atmosfera. se le testimonianze di privati atteso di 1,8 miliardi, e che nel 2007, primo anno della detra- e imprenditori che hanno raccontato di zione del 55%, i milioni di detrazione grossi investimenti fatti e del timore di sono stati 825. Col decreto, invece, per non ottenere alcun rimborso. O di peril biennio 2009/2010, si erano messi a sone che in seguito al taglio hanno camdisposizione poco più di 500 milioni, biato programma: “Senza la detrazione con una riduzione di risorse, rispetto al del 55% non credo che affronterò i 15.000 biennio precedente, di oltre 2 miliardi di euro di spesa che avevo in mente per la mia casa” - spiega un privato. sconti fiscali. La decisione di penalizzare il comIl provvedimento aveva creato un vero e proprio panico tra chi aveva pia- parto delle energie rinnovabili, per nificato i lavori e all’Enea (l’ente dele- molti strategico e in grado di rilanciare gato a valutare la documentazione dal l’economia, era sembrato incomprensipunto di vista tecnico) erano pervenute bile anche alla ministra dell’Ambiente, una valanga di comunicazioni nella spe- Prestigiacomo, che aveva manifestato ranza di non cadere sotto il maglio del la propria contrarietà. Alcuni degli innuovo provvedimento. Contro il decre- tervenuti sul sito del Sole 24 Ore aveto legge si erano mosse le associazioni vano sottolineato anche il rischio che il dei consumatori, ma anche dalla CNA provvedimento tornasse ad alimentare il (artigiani) si erano levate proteste, per- sommerso, che grazie anche agli incenché la norma avrebbe messo a rischio un tivi fiscali era in parte emerso. ● 25 Riduzione dei rifiuti: vent’anni dopo Ad Arco avevano tentato inutilmente nel lontano 1987: adesso ci prova il Comune di Trento Chiara Turrini L a gestione sostenibile dei rifiuti oggi sembra diventata una necessità. Ma solo fino a qualche anno fa non era così, pur con le dovute eccezioni. Come quella del Comune di Arco. Correva l’anno 1987 quando la Giunta approvò un’ordinanza che vietava agli esercizi l’uso di borse in plastica non biodegradabile e la vendita di bevande in bottiglie di plastica. A quei tempi eliminare le borse di plastica e minimizzare gli imballaggi voleva dire più o meno costruire una cattedrale nel deserto o essere considerati degli utopisti. Infatti nel giro di sei mesi la “battaglia contro la plastica”, come la chiamò la stampa di allora, fu persa: l’opposizione dei commercianti, ricorsi al Tar, polverizzò sogni verdi e all’avanguardia - forse troppo all’avanguardia - della Giunta Ioppi. La Storia però pare oggi dare ragione a chi, nell ‘87, ci aveva creduto per primo. Anche il Comune capoluogo ha infatti iniziato a muoversi con decisione sulla strada della riduzione dei rifiuti, imitando proprio l’esempio arcense del 1987. Il Comune di Trento ha infatti deciso di promuovere gli “eco acquisti”, per dire no alle borse di plastica e ridurre gli imballaggi non riciclabili. Si è partiti dalle farmacie, comunali e non, con un esperimento da riproporre poi su larga scala, che prevede la sostituzione dei normali sacchetti in plastica con altri in carta o in bioplastica, che possano essere recuperati nella raccolta differenziata dell’organico, d’ora in poi recuperato attraverso il sistema “porta a porta”. Proprio l’introduzione della raccolta casa per casa innescherà un processo più ampio, secondo Silvio Fedrizzi, ingegnere comunale responsabile del progetto. La tassa basata sulla produzione di rifiuti domestici si rifletterà sul modo di comprare e di consumare dei cittadini. Fedrizzi ricorda che la Coca Cola ha ri- 26 dotto in cinque anni lo spessore di lattine e bottiglie per pagare meno tasse sul volume degli imballaggi, e negli uffici di via Ghiaie si calcola che la stessa motivazione economica spingerà la popolazione a ridurre i propri rifiuti. Con l’avvio del porta a porta a pieno regime si guarda poi alla grande distribuzione. Oltre che sulla sensibilizzazione di addetti ai lavori e consumatori e sull’introduzione di shoppers eco-compatibili, si punta anche all’introduzione di cassette per ortaggi smontabili e riutilizzabili. Non solo: nei negozi ci saranno angoli appositi dedicati ai prodotti a basso impatto ambientale, come detersivi alla spina e pannolini lavabili. Anche le grandi catene di elettronica dovranno adeguarsi al risparmio energetico per gli schermi, le luci e i monitor costantemente accesi. “La crisi economica di oggi – afferma l’assessore all’ambiente di Trento, Aldo Pompermaier – può tornare utile per sensibilizzare e frenare un consumo illimitato di risorse limitate”. Decrescita felice dunque? Non proprio. In fondo, specialmente per la grande distribuzione, è anche e soprattutto una questione di marketing. I commercianti infatti, diversamente da quelli arcensi che nell’87 erano insorti, sono concordi nel puntare su strategie amiche dell’ambiente, magari sperando in un ritorno in termini di immagine. Al momento esistono solo alcune perplessità nei confronti di prodotti acquistati già imballati, in quanto, rilevano gli esercenti, non si possono togliere o ridurre gli imballaggi ai prodotti che li prevedono per legge. L’ente comunale stesso ha deciso di dare il buon esempio, avviando un sistema di “Acquisti pubblici verdi”. Altrimenti chiamato “Green Public Procurement” (GPP), questo strumento implica per un ente pubblico l’attenzione, in fase d’ac- quisto, nei confronti di prodotti e servizi con un ridotto impatto sull’ambiente nell’intero ciclo di vita, dalle materie prime allo smaltimento. Ciò implica, fra l’altro, l’adozione negli uffici pubblici di carta riciclata e la riduzione al minimo di rifiuti cartacei, grazie anche a rassegne stampa e buste paga online, stampa fronte retro, e così via. La strada da fare è ancora molta, ma da via Ghiaie assicurano che ci stanno lavorando, grazie all’avvio di un tavolo di lavoro apposito. Siamo quindi arrivati, nel 2009, a comprendere la necessità di pensare concretamente a un binomio sviluppoecologia? Stando alle azioni del Comune di Trento si potrebbe dire di sì. Con grande soddisfazione degli avveniristici arcensi dell’87, che oggi possono dire: “Ve l’avevamo detto”. ● febbraio 2009 Guerra a Gaza: una tragedia umanitaria Finita l’offensiva israeliana, si arresta la conta delle vittime, ma nella striscia si continuerà a morire Pirous Fateh-Moghadam U n modo di discutere di Gaza è partire dalla lettura dei dati messi a disposizione dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS, www.who.int). Il numero di palestinesi deceduti a causa del conflitto dal 27 dicembre al 18 gennaio (stima del 20 gennaio, data del più recente aggiornamento) è di circa 1.300 persone di cui 410 bambini e 104 donne. Circa 5.300 persone sono state ferite di cui 1.855 bambini e 795 donne. Molti dei feriti avranno bisogno di cure a lungo termine. Circa 46.000 persone non hanno più un tetto e vivono in rifugi di emergenza. Sono stati uccisi complessivamente 16 operatori sanitari mentre svolgevano il loro lavoro e 22 sono stati feriti. Dal cessate il fuoco, tutto il personale sanitario lavora in due turni di 12 ore in condizioni di lavoro rese difficilissime anche dai gravi danni che hanno riportato gli ospedali e altre strutture sanitarie a causa dei bombardamenti (34 strutture sanitarie, 8 ospedali e 26 centri di assistenza sono stati danneggiati o distrutti). Degli 8 ospedali 2 sono tuttora fuori servizio; molte delle strutture sanitarie sono state bombardate a più riprese. Durante il conflitto l’OMS e l’ONU QUESTOTRENTINO (bombardata anch’essa ripetutamente) sono state costrette a ricordare, senza sortire alcun effetto, che gli attacchi rivolti contro civili, contro personale e strutture sanitarie rappresentano gravi violazioni delle leggi internazionali umanitarie e dei diritti umani. E’ importante sottolineare che gli effetti della guerra sulla salute non si arrestano con il cessate il fuoco. Anzi, solitamente i morti e feriti per effetti indiretti delle guerre rappresentano un multiplo di quelli provocati dagli effetti diretti. Tra i meccanismi indiretti più importanti sono da ricordare la distruzione o il danneggiamento del sistema idrico e di smaltimento dei liquami, delle centrali elettriche, degli alimenti (l’impianto più grande di produzione di farina e altre industrie alimentari, magazzini di viveri e terreni agricoli di Gaza sono stati distrutti), delle scuole, del tessuto produttivo e delle strutture del servizio sanitario. Inoltre gli ordigni non esplosi continueranno a minacciare la vita civile anche nel futuro, per non parlare dei danni psicologici subiti da migliaia di persone. Quello che invece si arresta con il cessate il fuoco è la conta dei morti associati alla guerra e quindi la possibilità di rendersi conto della vera entità dei danni a salute ed ambiente attribuibili al conflitto. Da parte israeliana sono state uccisi 4 civili e 9 militari (di cui una parte da “fuoco amico”). Questi dati parlano chiaro: lo squilibrio delle forze in campo tra attaccati ed attaccanti era talmente abissale da produrre la quasi totalità delle perdite nel campo degli attaccati. L’uso della parola “guerra” in questo contesto risulta persino fuori luogo. Si è trattato di una strage a danno quasi esclusivo della popolazione civile palestinese con gravi e ripetute violazioni delle più elementari norme umanitarie. In questa situazione è diventato quindi purtroppo necessario ribadire che nulla, nulla può giustificare l’uccisione di massa di civili, la punizione collettiva, la tortura, la condanna a morte senza regolare processo, il bombardamento di strutture sanitarie, di ambulanze, l’uccisione di medici o giornalisti. Infine in questa fase in cui molte risorse vengono mobilitate a livello internazionale per aiuti umanitari e per la ricostruzione di Gaza è importante aggiungere un’ulteriore riflessione. La causa remota alla base dell’attuale crisi umanitaria è rappresentato dall’occupazione illegittima dei territori palestinesi da parte di Israele. La richiesta di porre fine a questa occupazione deve essere un punto sull’agenda di chi veramente vuole aiutare investendo in un cambiamento e non nella ricostruzione delle inaccettabili condizioni di partenza. Altrimenti, come fanno osservare alcune ONG svedesi (tra cui il centro Olof Palme) in una lettera al proprio governo, gli aiuti umanitari rischiano alla lunga di perpetrare l’occupazione servendo ad Israele per continuare ad evadere le proprie responsabilità. ● Pirous Fateh-Moghadam è medico e lavora presso l’Azienda sanitaria di Trento. Nell’ambito dell’OISG, l’Osservatorio Italiano sulla Salute Globale (www.saluteglobale.it) si occupa dello studio degli effetti dei conflitti armati su salute ed ambiente. E’ coautore del terzo rapporto dell’OISG intitolato “Salute globale e aiuti allo sviluppo: Diritti, ideologie, inganni”, appena pubblicato dalle edizioni ETS. 27 risiko Il voltafaccia del Pacifico Giappone, Corea, Cina: due amici fidati - e un nemico ininfluente degli Stati Uniti stanno diventando concorrenti pericolosi Carlo Saccone D opo la caduta del muro di Berlino, si pontificò sulla “fine della storia” e del mondo bipolare: ormai era rimasto un polo unico, l’impero americano. Sappiamo come questa illusione sia durata appena un decennio, quello degli anni ’90, e come già l’alba del XXI secolo abbia mostrato uno scenario in evoluzione. Ci sono i paesi emergenti del cosiddetto BRIC (Brasile, Russia, India, Cina), che segnalano una evidente trasformazione del sistema geopolitico in direzione multipolare. Ma la vera evoluzione epocale è nell’area del Pacifico. Giappone e Corea, la vecchia e la nuova tigre asiatica, hanno compiuto in politica estera un passo che rivoluziona lo scacchiere internazionale. A Fukuoka, in Giappone, il 13 dicembre ha avuto luogo il primo vertice trilaterale tra Cina, Corea e lo stesso Giappone (Paesi sinora divisi da sospetti reciproci e vecchi rancori) che, stringendo un accordo strategico, fanno emergere l’area del Pacifico come il nuovo protagonista dello scenario geopolitico. Quello che si è rivelato è anche uno storico voltafaccia. Il Giappone e la Corea erano usciti da due guerre, rispettivamente la II Guerra Mondiale e la guerra di Corea (anni ’50), consegnandosi alla tutela politico-militare americana senza condizioni. Tutta la loro politica estera nella seconda metà del ‘900 è spiegabile in termini di sostanziale fedele allineamento alle direttive del gran tutore d’Oltreoceano. Il commercio estero giapponese e, più tardi, quello coreano, fattore fondamentale di sviluppo delle due nazioni, avevano avuto come bussola unicamente la necessità di coordinamento con gli interessi americani. L’Europa, principalmente, ne aveva fatto le spese, dovendo reggere la concorrenza spietata delle merci giapponesi che avevano poco a poco conquistato interi settori 28 (dalle famose radioline degli anni ‘60 al quasi monopolio nipponico nella elettronica di consumo: tv, hi-fi e, più tardi, computer, play-station, I-pod, ecc.). A partire dagli anni ’80 anche il settore automobilistico europeo doveva affrontare la possente concorrenza giapponese, cui più tardi doveva aggiungersi quella coreana, oggi temibile anche nel settore delle costruzioni navali. Dagli anni ’90 alle due tigri si è aggiunto infine il drago cinese, ormai in grado di competere in ogni settore produttivo. E tutte le analisi mostrano che la potenza industriale della Cina ha espresso finora solo una piccola parte delle sue potenzialità. Il voltafaccia giapponese e coreano è dunque un atto di pura Realpolitik: il futuro è con la Cina, non più con l’America. L’Occidente euro-americano si trova, all’indomani della grande crisi finanziaria, di fronte a prospettive fosche: fine dell’egemonia, stagnazione, instabilità sociale. L’Accordo Trilaterale mostra in modo chiaro come il baricentro economico mondiale si vada spostando dall’Atlantico alle sponde del Pacifico; e come, delle due sponde, sia l’asiatica e non l’americana quella destinata a crescere nei prossimi decenni. Il mercato interno cinese è ancora territorio vergine: intere regioni, vaste quanto mezza Europa, devono raggiungere gli standard di consumo di Pechino, Shangai e delle altre zone più ricche. Un miliardo di consumatori, avidi di tutto, sono la celeste manna per le aggressive industrie dei tre Paesi asiatici; e poi c’è il resto dell’Asia sud-orientale, da tempo loro riserva privilegiata. Che ne è dell’Europa e del Nordamerica? Due mercati stanchi, saturi e impoveriti dalla crisi. In teoria potrebbero puntare ancora su Africa e America Latina, per rilanciare le industrie e l’export. Non è un caso che la diplomazia cinese operi senza tregua proprio su questi mercati, stipulando ovunque accordi commerciali e industriali di faraoniche proporzioni; e tutto lascia pensare che la gara per la supremazia sarà una lotta a coltello. Solo che i coltelli migliori, oggi, sono quelli cinesi. Siamo in una situazione che sembra vagamente richiamare quella della vigilia di Pearl Harbour. Il “provvidenziale” attacco giapponese fornì allora agli Stati Uniti l’occasione per regolare i conti con il paese del Sol Levante, che già minacciava il primato degli interessi americani nell’area. La storia non si ripete, ma i pericoli per la pace mondiale di solito sono associati proprio a momenti, reali o solo temuti, di transizione. In questi anni sta avvenendo, graduale e inesorabile, una vera translatio imperii dall’Atlantico al Pacifico. Ma non è detto che sarà pacifica. ● febbraio 2009 il colore degli altri Israele e i veleni della guerra permanente Nella più grande democrazia del Medio Oriente si agitano fantasmi inquietanti Mattia Pelli S hlomo in realtà si chiama Salomon, ed è un bambino etiope di religione cristiana rifugiato in Sudan con la madre, che per salvarlo lo affida ad una donna falasha, popolazione di religione ebraica che nel 1984 viene trasferita in Israele. La sua storia viene narrata nel film di Radu Mihaileanu “Vai e vivrai” (2005), un’interessante riflessione sulle contraddizioni di un Paese che nasce per offrire una patria agli ebrei di qualunque nazionalità ma che si trova oggi a fare i conti con gli spettri del razzismo. Shlomo, oltre a dover nascondere la propria religione, deve subire l’umiliazione riservata ai suoi compagni di sventura, considerati cittadini di serie B perché neri. Nel 1996 la rabbia dei falasha scoppia in proteste rabbiose in seguito alla rivelazione che le partite di sangue da loro donato venivano segretamente distrutte perché considerate “ad alto rischio Aids”. La comune appartenenza religiosa non basta dunque a garantire la convivenza, in una società in continua tensione fra una complessa stratificazione etnica interna e la paura del diverso, velenosa conseguenza dell’occupazione coloniale e della guerra permanente, nutrite da un nazionalismo deteriore che non ammette defezioni. “La disumanizzazione del colonizzato – scrive Michel Warschawski, internazionalista israeliano, nel libro «A precipizio» (Bollati Boringhieri, 2003) – comporta inevitabilmente la disumanizzazione del colono e della sua società”, tanto che “la brutalità del discorso politico dominante ha orai contaminato la società israeliana”. Quando poi a giustificare una difficile convivenza non vi è nemmeno il comune credo religioswo, allora la discriminazione diventa grave e il razzi- smo nemmeno tanto nascosto. Lo sanno bene i cittadini israeliani di origine araba, il 20% della popolazione di Israele, l’80% dei quali di religione islamica: nel 2007 l’Associazione per i Diritti Civili in Israele (Acri) segnalava un incremento del 26% negli episodi anti-arabi. Secondo Sami Michael, presidente dell’associazione, “la società israeliana sta raggiungendo nuove punte di razzismo a detrimento della libertà di espressione”. Ultima dimostrazione di questo diffuso sentimento anti-arabo la decisione – arrivata pochi giorni fa – di vietare la partecipazione di due partiti arabi alle elezioni della Knesset che si terranno a febbraio. Un sentimento di ostilità indotto nella popolazione da un conflitto infinito, perpetuato da una classe politica che non pare essere all’altezza della pace e che usa il “disprezzo per l’arabo” come strumento di propaganda e di guerra. “Mentre il vecchio discorso sionista, ebraico e democratico, laico e a connotazione liberale, è in pieno arretramento”, spiega Warschawski, si assiste all’affermazione di un’ideologia che rimodella la cultura israeliana. Essa è basata su “un militarismo nazionalista più o meno associato all’integralismo religioso” e su “un razzismo dichiarato”. Una disumanizzazione del nemico che serve a legittimare l’apartheid interno da un lato e la politica coloniale nei confronti dei territori occupati dall’altro. “Gaza – spiega Avi Shlaïm, professore anglo-israeliano di relazioni internazionali all’Università d’Oxford – è un classico caso di sfruttamento coloniale in un’era post-coloniale”. Una politica di “bantustanizzazione” (per usare un’espressione di Noam Chomsky) della Palestina, deliberatamente perseguita alternativamente con gli strumenti della dominazione economica, della colonizzazione e della guerra. I paragoni tra Israele e il Sudafrica pre Mandela ritornano spesso nei commenti di osservatori e studiosi indipendenti: non è un caso che lo Stato ebraico (insieme agli Usa) abbia boicottato le conclusioni della prima conferenza Onu sul razzismo del 2001 a Durban e che si appresti a disertare la seconda, prevista per il 2009. Ma mentre nel caso sudafricano l’ingiustizia del regime era resa palese dalla differenza di colore tra una minoranza al potere e la maggioranza sofferente, la nostra difficoltà nel distinguere oppressore e oppresso è invece palese sotto l’infausta luce delle bombe che hanno colpito Gaza. Paradossi del “fardello dell’uomo bianco”. ● [email protected] 29 QUESTOTRENTINO Michel Warschawski dal mondo Bolivia: una nuova Costituzione “Ritmo del mondo” e conquiste democratiche all’epoca di Evo Morales Francesca Caprini I n Bolivia, che tu sia nel cuore di una città o perso nell’aria rarefatta degli altipiani, sai sempre quel che succede nel resto del Paese. E succede sempre qualcosa. La Bolivia è come un cuore palpitante, severo e instancabile. Non è mai quieto, non è mai silenzioso. E non lo sarà mai: il Pachakuti, il ritmo del mondo, la rivoluzione dell’esistente, è l’anima della cultura andina ed un concetto lontano dalla visione occidentale: parla di processo e di divenire costante, non di mete da raggiungere. Nei due anni che abbiamo vissuto lì, assieme ad alcune comunità indigene e contadine sulle pendici delle Ande, è la cosa più importante che abbiamo imparato. Il 25 gennaio 2009 la gente boliviana ha votato la nuova Costitucion Politica del Estado (CPE). 3,9 milioni di persone – su un totale di 8 – si sono recati alle urne per approvare o respingere il testo costituzionale, risultato dei lavori dell’Assemblea Costituente durati circa un anno. Poco più del 60% della popolazione ha detto sì. Non è stato un risultato travolgente, non almeno quanto ci si aspettasse: la speranza era che la spaccatura economica, politica e culturale fra le regioni andine a maggioranza indigena e quelle orientali – ricche e a maggioranza bianca – si potesse smussare. 30 Ma è stato un voto significativo. La nuova Costituzione parla di 36 “nazioni indigene”, con una loro autonomia e il rispetto dei loro usi e costumi. In tema di giustizia è stata legalizzata quella comunitaria, che arriva a consentire addirittura la punizione fisica ai propri rappresentanti politici (che quindi, in genere, rispettano gli impegni presi). Nella CPE la religione cristiana - cattolica ed evangelista -, largamente diffusa, viene parificata a quella animista andina e ai sincretismi nati dalla fusione delle due in cinque secoli di violento colonialismo. La foglia di coca, pianta sacra per le popolazioni originarie ed ottima amica contro stanchezza, fame e sete, è ora depenalizzata, con conseguenti irritazioni politiche a Washington. Decenni di lotte al narcotraffico, che avevano messo sullo stesso piano la produzione di cocaina e la sacralità della pianta, simbolo di una terra e di una cultura, vengono archiviati, assieme alle stragi di cocaleros (raccoglitori di coca) degli anni ’90. Nei 411 articoli della nuova Carta, si dà ampio risalto alla difesa dell’acqua come bene comune, e così per le risorse energetiche. E’ sicuramente un passo storico per il Paese. Quando siamo arrivati in Bolivia la prima volta per seguire con l’associazione italiana Yaku un progetto di costruzione fognaria in una zona periurbana di Cochabamba, terza città del Paese, Evo Morales doveva essere ancora eletto e si respirava a pieni polmoni la speranza di riscossa e di nuova progettualità che la Guerra dell’Acqua nel 2000 (la cacciata della multinazionale statunitense Bechtel che aveva privatizzato l’acqua) aveva regalato al Paese e al mondo intero: lo sforzo della gente “sencilla e trabajadora” (semplice e lavoratrice), convogliata nei movimenti indigeni, operai, contadini, studenteschi, aveva avuto come obiettivi il recupero della sovranità popolare e il superamento del modello neoliberale, ma, più in profondità, l’attuazione di un nuovo sistema di relazioni sociali. Di un nuovo “ordine”. La nuova CPE, in verità, ha deluso molti. In primis, proprio quei movimenti sociali che credevano, attraverso l’elezione del loro compagno Morales, di rifondare l’idea stessa di Stato. Il latifondo non è stato fermato. E i dubbi sulla capacità di gestione di uno Stato al contempo socialista ed indigenista, sono tanti. D’altra parte, i nostri hermanos, quelli con cui abbiamo condiviso – e con cui continuiamo a farlo – alcuni anni della nostra vita, raccontano che i propri genitori, minatori di Potosì, contadini di Oruro, fino a meno di cinquant’anni fa non potevano nemmeno permettersi di sedere sulle panchine delle piazze. Non potevano camminare sui marciapiedi. Tutt’ora, in molte parti della Bolivia, gli indigeni sono schiavizzati. Ancora una volta ci spiegano che anche questa è una tappa del divenire. E che il popolo boliviano non smetterà mai di combattere. ● febbraio 2009 dal Sudtirolo Un abisso di incertezza Dopo le elezioni di ottobre: una crisi di stabilità che rischia di travolgere i fondamenti della convivenza Alessandra Zendron N elle sua dichiarazioni programmatiche il presidente incaricato di formare la nuova giunta, Durnwalder, alla quinta legislatura da presidente, ha sintetizzato il suo pensiero con la frase: “L’Alto Adige alla fine della storia ha davanti il suo futuro”. Egli sostiene che le infrastrutture hanno creato le condizioni del benessere e ora tocca ai cittadini, che dovranno assumersi maggiore responsabilità. Durnwalder non si accorge che proprio l’impegno largamente predominante per l’infrastrutturazione materiale, durato vent’anni, ha messo in moto qualcosa di opposto alle sue aspettative: nel Sudtirolo di oggi il denaro ha la priorità su tutto, sulle persone e sull’ambiente. Lo dice il bilancio provinciale, lo dicono le posizione nelle classifiche: primi per la ricchezza, indietro per lo stato sociale e la cultura. Gli anni delle vacche grasse sono stati usati in cementificazione e oggi che si prospettano le vacche magre, non ci sono strategie né valori. Fra le opere realizzate l’università è l’unica eccezione, eppure è nata anch’essa per obbligo, e vive nell’ipocrisia del trilinguismo a Informatica ed Economia (dove si parla inglese), mentre a Scienza dell’Educazione, in cui si formano i futuri docenti, vige il monolinguismo più becero. Chissà se il nuovo rettore, che ha annunciato un programma innovatore, potrà attuarlo o se verrà rispedito in Germania come accade a chi mette in discussione i diktat della politica. Il 2009 nel mondo intero è l’anno della QUESTOTRENTINO paura e - si spera, a partire dagli USA - quello del ripensamento del modello di sviluppo. Per i nostri politici è l’anno nove, bicentenario di una insorgenza antinapoleonica, che va sotto lo strano slogan “Il passato incontra il futuro”. Oggetto-simbolo dell’incontro fra passato e futuro è un’immensa corona di spine metallica, già apparsa in due altri anniversari, il 150° (1959, anno clou della crisi della prima autonomia e del rapporto fra Stato e minoranza) e il 175°, quando gli irriducibili sostenitori dell’autodeterminazione manifestavano contro l’autonomia. Altro che futuro! Poiché il mondo riderebbe del presunto dolore di uno dei territori più ricchi della Terra, governato in condizioni di maggioranza assoluta dal partito etnico della minoranza nazionale, si è pensato di decorarla con 2009 rose rosse. E’ un simbolo perfetto, quel metallo immodificabile in forma vittimista, congiunto allo spreco sfacciato dei fiori tagliati e presto spazzatura. E’ uno degli esempi della perdita di senso della realtà che segna oggi la Svp di Durnwalder, risultato di una politica “del fare”, una politica ventennale utile ad ampliare il proprio potere. Chi ha guidato il partito dopo la chiusura della vertenza internazionale (1992) non ha saputo guidare la transizione dal tempo della lotta per l’autonomia a quello dello sviluppo democratico del Sudtirolo multietnico. Con i miti della dinamicità e della lotta perenne, e col rifiuto formale di considerare l’autonomia alternativa all’autodeterminazione si è colpevolmente mancato di favorire la nascita di un’identità sudtirolese indivisa. E ora si ripropongono riti consunti. Il disgusto per la politica dei sudtirolesi italiani, ormai rassegnati alla lotta a rappresentanti in lotta fra di loro per le poltrone, senza mai dire che cosa intendono farne, sono un segnale di autoesclusione. I giovani sudtirolesi tedeschi hanno cercato il nuovo, stanchi di un partito ricco, arrogante, vecchio. Cresciuti nella società separata - che ha creato una popolazione tollerante ma indifferente, disattenta e un po’ sprezzante verso gli altri, chiusa politicamente, economicamente e culturalmente, - hanno votato chi gli ha saputo parlare. Il risultato elettorale di ottobre precipita il Sudtirolo in un abisso di incertezza. Non è una situazione rara, riguarda molti Stati e molte regioni. Ma qui la crisi di stabilità rischia di travolgerne i fondamenti che stanno alla base della convivenza. La nuova-vecchia giunta non cambierà niente di questo; non avrebbe cambiato niente neppure con qualche nome nuovo. È il principio di partito etnico di raccolta che stride con la realtà: a destra ci sono ben 7 consiglieri, solo formalmente divisi nei tre partiti, che già stanno dettando l’agenda della politica: autodeterminazione, toponomastica monolingue, relitti di architettura fascista da demolire, normativa contro gli immigrati. Prossimo oggetto di polemiche sarà la corona di spine, graziosamente ceduta dai tirolesi (che ne hanno un’altra, quella di ferro pesante del 1984). Fuori stava in un paesino, Erl, qui ci si scannerà per metterla nel centro della città multilingue, per segnalare che la speranza è finita. Forse andrebbe bene la piazza antistante il miliardario palazzo della Provincia, a simbolo del dolore dei sudtirolesi di tutte e tre le lingue che si sono impegnati per la convivenza pacifica. Riuscirà nel 2009 la pace sudtirolese a non farsi distruggere dai suoi politici? ● 31 pro memoria Giovani artisti a Rovereto Formazione e conflitti di una generazione ribelle. Fabrizio Rasera S i è avviato qualche settimana fa sulle pagine dell’Adige un dibattito sulle prospettive di Rovereto, alla luce della presenza caratterizzante di un museo d’arte. Nella città del Mart potrebbe nascere (questa la tesi) un laboratorio creativo diffuso, in grado di dare nuova qualità e slancio al settore produttivo del principale centro industriale del Trentino. Alla proposta del giornale è seguita qualche prima riflessione nutrita di generosi propositi. Se il discorso proseguirà e riuscirà a favorire concreti sviluppi ne sarò felice doppiamente, per la cosa in sé e per aver lavorato a lungo a un’idea di museo che non sia solo luogo di consumo. Non è di questo tuttavia che si cercherà qui di ragionare, bensì delle premesse storiche tirate in ballo per rafforzare le argomentazioni. Rovereto era la sede di quella Scuola Reale Elisabettina, nelle cui aule si formò una generazione di artisti: si tratta solo di riannodare i fili con una tradizione remota ma radicata, si ripete da più parti, di resuscitare una vocazione sopita. Questo richiamo al passato si innesta su tenaci superfetazioni, come l’identificazione di tutta l’esperienza della scuola roveretana con quella della Reale e come la definizione di “istituto di arti applicate” adottata per quest’ultima (per una verifica della diffusione dello stereotipo si scorrano in Internet le più accreditate biografie di Depero). Le leggende sono più potenti delle puntualizzazioni filologiche e assai più suggestive. Senza illuderci di scoraggiare i luoghi comuni, proviamo a rileggere i dati. Partiamo da quelli che forniscono un sicuro fondamento di realtà alla “mitizzazione”. Costituisce un caso rilevante di geografia della cultura la prima formazione nella piccola città del Leno di numerosi protagonisti significativi dell’arte italiana del 32 Novecento, da Fortunato Depero a Fausto Melotti e agli architetti Luciano Baldessari, Adalberto Libera, Gino Pollini, tanto da far scrivere autorevolmente di Rovereto come “luogo magico della modernità” (Gregotti). A questi nomi vanno aggiunti quelli del perginese Tullio Garbari, del trentino Luigi Bonazza, dei roveretani Carlo Cainelli e Iras Baldessari, personalità assai diverse ma accomunate da un’autentica e robusta dimensione artistica, quelli di architetti politecnici come Giorgio Wenter Marini e Giovanni Tiella e di numerosi altri pittori: il rivano Maganzini, l’arcense Tomasi, il solandro Armani... Le specificazioni territoriali servono a rammentare che alle scuole di Rovereto (il Ginnasio e l’Istituto Magistrale, oltre alla Reale, per pochi anni anche un Liceo Femminile) affluivano prima del 1914 studenti da tutto il Trentino e dal Tirolo tedesco. La città si era voluta centro di studi, il Comune aveva investito risorse e condotto battaglie politiche per arricchire un’offerta formativa che non si sviluppò come pacifica largizione dello Stato austroungarico, ma come graduale conquista autonomistica: anche questo è giusto rimarcare, per chi fosse tentato di rileggere quella storia in termini banalmente “nostalgici”. Austriache quelle scuole certo lo erano, nell’ordinamento, nella serietà pedagogica e anche nella rigidità di un regime disciplinare autoritario. Ricostruirne la storia significa anche riscoprire le iniziative di un movimento studentesco trasgressivo, in un’epoca nella quale le “leggi disciplinari” vietavano severamente agli studenti medi qualunque associazione e manifestazione politica. L’assemblea del novembre 1904 dopo i “fatti di Innsbruck”, cioè i gravi scontri scatenatisi in opposizione all’apertura di una facoltà giuridica italiana; gli scioperi del 1908 e del 1912, legati anch’essi al tema dell’università italiana in Austria ma tali da coinvolgere sempre di più nella protesta il ruolo repressivo dell’istituzione scolastica; le contestazioni nei confronti dei direttori, avviliti a funzionari dell’ordine politico costituito: aspirazioni nazionali e istanze elementari di libertà si mescolavano, alimentando atteggiamenti di radicale ribellione. Vanno sottolineate, rispetto al nostro tema, altre profonde contraddizioni tra le esigenze di una parte di quei giovani e la fisionomia della scuola. Le “Realschu- febbraio 2009 Luigi Comel Sotto: il giovane Fortunato Depero e un suo autoritratto del 1908. len” erano state battezzate così dalla progressista riforma austriaca del 1849 perché si volevano scuole dei “Realien”, delle cose “reali”. Erano destinate a costituire il ramo scientifico e tecnico dell’istruzione media, deludendo l’aspettativa di una loro immediata funzionalità alle esigenze dell’industria e del commercio (cui esplicitamente puntava, nel nostro caso, la borghesia roveretana che supportò con forza l’apertura del nuovo istituto a fianco dell’antico Ginnasio). Da quelle scuole si usciva preparati per iscriversi nei politecnici, piuttosto che per fare gli impiegati o gli artigiani. Nel piano di studi il disegno, sia a mano libera che geometrico, ebbe indubbiamente un notevole rilievo, come lo ebbe la “geometria descrittiva”, introdotta dal 1898 negli ultimi tre anni dei sette di corso completo. Per un fortunato destino a insegnare queste di- QUESTOTRENTINO scipline furono a lungo presso l’Elisabettina due professori dalla personalità molto forte, il goriziano Luigi Comel (disegno a mano libera) e il roveretano Cesare Coriselli (disegno geometrico e geometria descrittiva). Il primo ci viene raccontato dalle testimonianze dei suoi studenti come un maestro amico, capace di intuire le motivazioni profonde degli allievi e di irrobustirle con una didattica umanamente generosa, oltre che tecnicamente attrezzata. Di questo rapporto intenso ci sono rimasti straordinari documenti da lui stesso conservati: un’antologia di lavori scolastici degli allievi, alcune lettere inviategli in epoca successiva da alcuni di loro, Giovanni Tiella e Luciano Baldessari in particolare. Una recente mostra a Rovereto e a Trento, promossa dalla Fondazione Cassa di Risparmio e un catalogo (a cura di Lia de Finis) hanno recentemente riproposto all’attenzione questo emozionante autoritratto collettivo. Nel volume è presente anche un mio saggio sui Giovani ribelli dal quale si intendono meglio alcune cose qui appena accennate. In sintesi estrema voglio ribadire che una parte di quei percorsi si dovettero sviluppare non tanto contro la scuola, ma oltre la scuola e le sue angustie. Tanto sono impressionanti per forza espressiva i lavori del giovanissimo Depero conservati nel fondo Comel quanto sono crudeli le sue pagelle, ad eccezione delle caselle del disegno e della geometria descrittiva. Dalla scuola se ne andò senza aver superato il quinto corso, Tullio Garbari ancor prima, a quindici anni, dopo quattro di frequenza con profitto mediocre (ad eccezione delle classificazioni di disegno e d’italiano). Tre anni dopo, diciottenne, esponeva i suoi quadri a Ca’ Pesaro a Venezia, dove aveva frequentato l’Accademia, l’anno successivo era la penna più graffiante di un’esperienza d’avanguardia, quella della rivista Voce Trentina. Depero a sua volta, interrotti gli studi nel 1910, pubblicò in proprio nel 1913 un libro di sperimentazioni orgogliosamente solitarie, Spezzature. Nel 1914, ventenne, venne “adottato” dai protagonisti del futurismo, nel marzo 1915 pubblicò insieme a Balla un testo capitale come Ricostruzione futurista dell’universo. Dall’arte qualcuno di quei giovani artisti in formazione si aspettava molto di più che un’affermazione professionale: una rivoluzione dei linguaggi, un mondo nuovo, anche se in un senso molto diverso che nell’utopismo politico e sociale. Qualcun altro la interpretò come una disciplina austera, assoluta (è il caso di Carlo Cainelli). Di un’immagine tanto alta da risultare chimericamente irraggiungibile scriveva da Zara a Comel Giovanni Moschini, uno degli allievi della cerchia più vicina, che aveva lasciato anche lui la scuola precocemente, sedicenne: “L’arte è (o almeno dovrebbe essere) la vera manifestazione della vita, del tempo nel quale viviamo […]. È un lume ch’io nella vita lo vedo lontano simile a quel fuoco fatuo che si specchia leggermente nell’onde; e quel lume cammina, cammina, ed io lo seguo con gli occhi e col cuore. Mi vorrei precipitare, ma troppo faticosa mi sembra la via, troppo ardita sarebbe la corsa”. ● 33 lettere e interventi Quando cambierà la musica? La crisi del 2008 - si sente ripetere in Europa - è anche un’occasione per cambiar musica. Fu il desiderio di guadagni illimitati, sregolati a portarci al collasso. La bramosia di denaro. E la reazione? In Europa, in USA, in Giappone ci si accinge a pompare altre montagne di denaro nel sistema svigorito. Nel giro di pochi giorni si destinano centinaia di miliardi (chi parla ormai più di milioni?) alle banche e alle compagnie automobilistiche, di fatto fallite (mentre finora non c’erano nemmeno un paio di milioncini per una linea ferroviaria o un asilo infantile). Si stampa quindi nuovo denaro che le generazioni future - già indebitate fin sopra i capelli dovranno pagare. Nessuno sa come. Contemporaneamente i cittadini dei Paesi ricchi - i consumatori per eccellenza - vengono esortati a consumare, a comprare per tener su di giri l’industria, le banche, la venerata Borsa. Ma cosa comprare se qui tutti hanno già tutto in abbondanza? Non importa: comprare, comprare. Per Natale. Per dopo. Comprare altri vestiti, elettrodomestici, viaggi, automobili, energia, petardi. Avanti coi carri, consu- 34 mando con la stessa intensità le ricchezze del suolo, delle foreste equatoriali, degli oceani già mal ridotti. Il nostro tenore di vita va mantenuto a tutti i costi. Forse non tutti sanno che se ogni abitante della Terra consumasse come lo statunitense medio, dovremmo avere già oggi altri quattro pianeti Terra. La popolazione terrestre contava un miliardo di abitanti nel 1840, sei miliardi nel 2.000 e, di questo passo, supererà i dieci miliardi nel 2050. Ognuno che non sia in preda a delirio euforico capisce che se non cambiamo musica le risorse terrestri si esauriranno presto. I fiumi della Cina, tanto per fare un esempio, sono già morti: pieni di cromo, cadmio ed altri detriti tossici. La deforestazione dei tropici avanza drammaticamente. Nessuna persona ragionevole nega che l’effetto serra sia dovuto all’attività umana. Ciononostante si predica il consumo come unico toccasana della crisi: “Piani di spese più ambiziosi degli attuali per rilanciare lo sviluppo economico mondiale” – lo chiamano “sviluppo economico”, ma, in parole povere, non è che semplice consumo. Il consumo, dicono, garantisce la crescita. La crescita, dicono, garantisce il benessere. Ciò che non dicono è che si tratta del benessere dei Paesi ricchi; quelli poveri stanno sempre peggio: il 40% della popolazione terrestre (2,4 miliardi) patisce la fame e scarseggia d’acqua. Anche il più cinico deve ammette che questo cammino conduce alla catastrofe. Cosa fare? Ogni azione umana inizia con l’etica. Invece di predicare solo consumo e crescita, si dovrebbe spiegare a tutti che non possiamo continuare così (salve restando le misure ad hoc necessarie per evitare ora il peggio). Che dobbiamo trovare un modo di vivere decorosamente senza crescita costante. Che dobbiamo frenare la nostra cupidigia soddisfatta in buona parte a spese dei Paesi poveri e delle generazioni future. Che non è consumando di più, ma solo consumando meno e meglio nei Paesi ricchi, conservando la natura e la biodiversità del pianeta che assicuriamo a lungo termine un livello di vita decente a tutti gli abitanti della Terra - e solo così pace al genere umano. Troveremo noi, Paesi ricchi, abbastanza altruismo e saggezza per cambiare? Per metterci una buona volta su questo cammino? Giorgio Jellici Pregiudizi Lo scompartimento è occupato da viaggiatori italiani, con l’unica eccezione costituita da un ragazzo di colore che, assorto nei suoi pensieri, guarda dal finestrino case e campagne anonime. Improvvisamente entra il controllore che, dopo aver dato una rapida occhiata ai viaggiatori, si dirige verso il giovane africano, intimando soltanto a lui di esibire il biglietto e con ciò dando evidentemente per scontato che gli altri viaggiatori, in quanto italiani, ne siano provvisti. Il giovane africano, per nulla intimorito, chiede però il motivo per cui gli altri viaggiatori siano esonerati dall’esibire il biglietto, suscitando con ciò le ire del controllore. Quest’ultimo, pensando che tale com- portamento confermi il proprio pregiudizio che evidentemente voleva il ragazzo di colore privo di biglietto, si allontana per ripresentarsi poco dopo con due agenti della Polfer. Intima nuovamente al ragazzo di esibire il biglietto e rimane sbigottito dal fatto che ne sia provvisto; ovviamente in presenza degli agenti non può sottrarsi dal richiedere i biglietti anche agli altri viaggiatori, scoprendo così che tre di loro, ahimè tutti italiani, ne erano privi. Quanto ho raccontato è successo realmente ad un amico africano, studente universitario in Italia, su un treno del nord-est, in un vagone di seconda classe, e testimonia quanto possano essere fallaci i pregiudizi. Walter Ferrari Lettera al sindaco di Pinzolo Egregio Signor Sindaco, nel numero di dicembre del “Foglio del Comune di Pinzolo”, semestrale dell’amministrazione comunale da Lei guidata, abbiamo letto con attenzione l’intervista ad Antonio Masè, presidente di Funivie Pinzolo spa, tratta dal settimanale Vita Trentina del 24 settembre 2008. Ci preme anzitutto osservare che, per rispetto del confronto delle idee, sarebbe stato più equilibrato pubblicare, contestualmente, anche l’altro servizio apparso sullo stesso numero di Vita Trentina – a firma di don Ivan Maffeis – che riportava la voce del mondo ambientalista e degli altri relatori (naturalisti, giornalisti, giuristi) intervenuti alla giornata nazionale di Italia Nostra dedicata ai Paesaggi Sen- febbraio 2009 sibili, tenutasi il 20 settembre 2008 in Val Brenta, alla Malga Brenta Bassa. Dalla lettura dell’intervista rileviamo con soddisfazione come anche Antonio Masè sia convinto che il previsto “collegamento” non possa essere definito sistema di “mobilità alternativa” (“nessuno è così sciocco da pensare che possa costituire un’alternativa alla strada o al treno, specie per chi si reca in Campiglio per lavoro o per chi vi abita”), smentendo così i proclami del presidente Dellai e della sua Giunta, diffusi in campagna elettorale. Se dunque gli stessi impiantisti non parlano più di “mobilità alternativa”, come si giustificano gli ingenti finanziamenti pubblici previsti dai vari protocolli d’intesa, in particolare da quello di Trentino Sviluppo, che già nel bilancio 2008 ha stabilito lo stanziamento di circa 25 milioni di euro? Per quanto riguarda l’impatto ambientale dell’insieme delle infrastrutture previste, nonostante l’eliminazione delle piste convergenti su “Plaza” da Pinzolo e da Campiglio, grazie all’intervento delle associazioni ambientaliste presso la Commissione Europea e non per interessamento dell’Ente Parco, esso rimane elevatissimo: in particolare per l’impianto e la pista Tulot, che provocheranno un irrimediabile squarcio nella ripida zona boscata, con violenta occupazione di spazi esondabili alla base. Il collegamento tra Sant’Antonio di Mavignola e “Plaza” distruggerà irreparabilmente la possibilità di istituire un parco fluviale lungo il Sarca e toglierà valore alle altre iniziative di turismo dolce tuttora QUESTOTRENTINO presenti nella zona (passeggiate, campeggi, agritour, ecc.). Leggiamo, infine, con piacere che anche Masè esclude interventi speculativi a “Plaza”. E’ evidente che per evitare nuove edificazioni speculative a “Plaza” bisognerebbe che lo stesso Comune di Pinzolo chiedesse all’Ente Parco di estendere i suoi confini all’intera zona di “Plaza”, come da noi proposto in occasione della giornata nazionale a Malga Brenta Bassa. Sarebbe questo il vero strumento urbanistico efficace, in quanto qualsiasi edificazione privata è esclusa in un’area protetta. Del resto anche Dellai, in un’intervista rilasciata a Questotrentino (n. 15, ottobre 2008, p. 10), così affermava: “L’unico punto critico di Pinzolo è la stazione intermedia di Plaza, e per questo siamo favorevoli ad estendere il limite del parco naturale in quell’area”. In attesa di una sua cortese risposta e con la richiesta di estendere questa nostra lettera aperta ai consiglieri comunali e di pubblicarla sul prossimo numero del notiziario comunale, la salutiamo cordialmente. Paolo Mayr e Salvatore Ferrari (Italia Nostra) Non compleanno a Riva Come in “Alice nel Paese delle Meraviglie”, a un anno esatto dal 25 gennaio 2008, giorno fausto nel quale il Comune comunicava in pompa magna la creazione di un nuovo “Sistema Informativo Territoriale”, celebriamo oggi il “non compleanno” di tale banca dati sul verde comunale che, sosteneva il comunicato ufficiale a tutt’oggi verificabile sul sito web del Comune di Riva, “tra poco sarà possibile verificare direttamente con un click”. Forse si alludeva a qualcosa di diverso dal click di un mouse, perché di tale avveniristico sistema non vi è ancora traccia. Spegniamo quindi con un soffio festante la prima candelina di non esistenza! Ancora una curiosità: un anno fa risultava la presenza, sempre secondo quel comunicato ufficiale, di 3.404 piante comunali. Ed oggi, dopo i tagli non sempre giustificati di quest’ultimo anno? In quanto all’annunciato (si vede che gennaio è tempo di annunci) “Regolamento del verde urbano”, cosa di per sé lodevole ed auspicabile, speriamo non diventi una foglia di fico per amministratori vogliosi di liberarsi di responsabilità e di fastidiose incombenze, quali la presenza di alberi in città inevitabilmente impongono. Amici della Terra dell’Alto Garda e Ledro Il presidente Paolo Barbagli Delusione da Cineforum Siamo alla ricerca di un risarcimento morale per la montante delusione verso la programmazione del Cineforum di Trento, che stenta a rinnovarsi. La cifra simbolica che chiediamo per 2 abbonamenti a 10 proiezioni a partire dal mese di febbraio è di 19 euro complessivi (il costo equivalente ad un flacone di Prozac). Se siete interessati scrivete a: [email protected] Ninni De Simone Impariamo le lingue col digitale Il passaggio delle trasmissioni televisive dal sistema analogico a quello digitale consente un notevole aumento di nuovi canali televisivi disponibili. La nostra Provincia è coinvolta nelle decisioni, che saranno assunte nei prossimi giorni, di assegnazioni delle nuove frequenze. E’ certamente opportuno che la Provincia riservi a se stessa spazi adeguati, ma ritengo che questa opportunità debba essere colta anche per ritrasmettere su tutto il Trentino almeno un canale televisivo tedesco (ad esempio, ZDF, ARD). Ciò darebbe la possibilità ai trentini, in particolare ai giovani, di imparare meglio la lingua tedesca, di grande importanza per un territorio come il nostro di contatto col mondo di lingua tedesca. Naturalmente sarebbe molto utile anche alle comunità germanofone, ma anche ai tanti turisti che frequentano il nostro territorio. Non vedo controindicazioni, ma solo vantaggi. Se le condizioni lo consentono, altrettanto utile sarebbe la ritrasmissione di una programma in lingua inglese, la lingua più importante nei rapporti internazionali. Spero che chi è preposto a tali decisioni, tenga conto di queste ipotesi Luigi Nicolussi Castellan Sindaco di Luserna A 9 anni dalla morte di Craxi Nell’analisi dello stato della sinistra raramente si propone una lettura approfondita del passato recente, vuoi per ignoranza, vuoi per ragioni di opportunità. 35 lettere e interventi Penso invece sia fondamentale conoscere e meditare la storia per comprendere il presente ed evitare la ripetizione di errori già commessi. “Le cause di un errore – scriveva Althusser - durano fino a che non sono state affrontate e trasformate”. Ecco perché è necessario far luce sulla distruzione dei partiti storici della democrazia italiana. L’esistenza del finanziamento illecito era largamente conosciuta ed accettata. I partiti presentavano ogni anno i loro bilanci, palesemente falsi, alla Presidenza della Camera, che li avallava senza muovere la minima obiezione. (...) Craxi fu l’unico a cercare una soluzione politica a quello che restava (e resta) un problema politico. Affermò infatti il 3 luglio ’92 in un celebre intervento alla Camera: “I partiti hanno ricorso e ricorrono all’uso di risorse aggiuntive in forma irregolare od illegale. (…) Non credo ci sia nessuno in quest’aula, responsabile politico di organizzazioni importanti, che possa alzarsi e pronunciare un giuramento in senso contrario a quanto affermo: presto o tardi i fatti si incaricherebbero di dichiararlo spergiuro”. Ma nessuno ebbe il coraggio di aggiungere una parola al discorso di Craxi. (...) Nel libro-intervista “D’Alema. La prima biografia del segretario del Pds” una dichiarazione è illuminante: “Dovevamo cambiare nome e non avevamo alternative. Eravamo come una grande nazione indiana chiusa tra le montagne, con una sola via d’uscita, e 36 lì c’era Craxi con la sua proposta di unità socialista. Come uscire da quel canyon? Craxi aveva un indubbio vantaggio su di noi: era il capo dei socialisti in un Paese europeo occidentale. Quindi rappresentava lui la sinistra giusta per l’Italia (…) L’unità socialista era una grande idea, ma senza Craxi. Avevamo una sola scelta: diventare noi il partito socialista in Italia”. Non ci sono riusciti. Un partito riformista non è un qualsiasi partito democratico. Quando ci si dichiara socialisti o riformisti, o si fa riferimento alla propria storia o, se si vuole alludere a quella di altri, si dovrebbe fare chiarezza sui propri errori. A maggior ragione se questi “altri” si sono combattuti per decenni. Il naturale riferimento di un partito riformista è l’elettorato laico, socialista, liberale e cattolico liberale. Mentre Veltroni, coerentemente con la sua storia, nelle ultime elezioni ai socialisti ha preferito Di Pietro. (...) L’Urss, che finanziò illegalmente per decenni il Pci - reati amnistiati nel 1989 - aveva negato la libertà ai propri cittadini e a quelli dei Paesi satelliti. Walesa, fondatore di Solidarnosc, rivolgendosi a Craxi dichiarò pubblicamente: “Valeva la pena lottare perché ci sono uomini come Lei ancora nel mondo”. Tanto fece infatti il PSI di Craxi, in termini di sostegno morale e finanziario, per i socialisti di quei Paesi, come per i socialisti (cileni, argentini e spagnoli) oppressi da dittature di destra e per i palestinesi. È questa la vera questione morale: c’è infatti un abisso di moralità tra chi prende denaro da una potenza totalitaria e chi finanzia i movimenti che a essa si oppongono. Craxi ha lasciato un patrimonio di idee e di azioni conseguenti ancora valido nei Paesi dell’Occidente sviluppato. Ha intuito il valore sociale della libertà: più l’individuo ha libertà, più è in grado di produrre ricchezza e civiltà. Ha capito che col Welfare State i lavoratori hanno conquistato la protezione dello Stato e tutte le libertà collettive e che un ulteriore sforzo è da indirizzarsi verso l’ampliamento di libertà individuali. (...) Durante il dramma di Moro la difesa della persona diventa un caposaldo della politica socialista. Nei primi anni ’80 di fronte alla necessità di riformare la scala mobile (scelta vincente perché permise di contenere l’inflazione e di conservare quindi il potere d’acquisto dei salari) il socialismo riformista non ebbe timore dell’opposizione del PCI, al quale fino ad allora era stato concesso il diritto di veto sulle politiche sociali. (...) Questa sinistra riuscirà a proporsi come alternativa credibile solo riconoscendo il ruolo fondamentale della tradizione socialista-liberale e ristabilendo la verità sulla fine del PSI e di Craxi, un uomo che fu costretto all’esilio. Esilio che considerò morte, perché, come sta inciso sulla sua lapide, “la mia libertà equivale alla mia vita”. cosa seria. Barak Obama, l’uomo più potente della terra, ha dovuto ripetere il giuramento per una parola. Una parola. E prima di lui altri due presidenti. Clinton ha rischiato l’impeachment non per il fatto, ma per averlo pubblicamente negato. Il nostro è proprio un altro mondo. Per noi, figli di Machiavelli, è normale che un politico faccia promesse che non verranno nemmeno lontanamente onorate. Lo sappiamo prima di votarli, da sempre. Da noi un candidato premier ha fatto non vaghe promesse, ma sottoscritto un contratto pubblico in diretta tv. Un cittadino che ha avuto il coraggio di denunciarlo è stato condannato perché secondo il giudice solo un ingenuo può credere alle parole dei politici. Parole, parole, parole, come canta con deliziosa leggerezza una nota canzone. Così nel grande come nel piccolo mondo di paese. Nel mio, il candidato sindaco ha sottoscritto una petizione, insieme a migliaia di cittadini, contro l’insediamento di una centrale inquinante del Lorenzo Passerini Gli americani e noi Gli Stati Uniti sono lontani seimila chilometri, ma per l’etica politica la distanza diventa addirittura siderale. In quel mondo la parola, il giuramento, le promesse del politico sono una febbraio 2009 gas in una piccola valle soffocata dalle montagne. Ora ha gettato la maschera, dice che ha firmato da cittadino, non da sindaco. Ezio Pelino Omonimia? Con mia grande sorpresa ho visto nel numero di gennaio di QT, nella pagina della posta, un articolo sull’acqua con il mio nome e cognome in calce. Vorrei chiedervi se si tratta di un caso di omonimia. Se così fosse, sarebbe opportuno che insieme al nome e cognome di chi vi scrive si ponesse anche il paese. Ribadendo che non ho mai scritto tale lettera, vi porgo distinti saluti. Vi prego di rispondermi qualcosa. Grazie infinite. Paolo Cominotti, Roncone *** Lei ha ragione: l’autore della lettera in questione è il sig. Alessandro Baggio. Il Suo nome è finito in calce a quell’intervento per una balorda gestione della posta elettronica da parte nostra. Ce ne scusiamo. Il 26 gennaio, a Rovereto, è nata Caterina, figlia dei nostri collaboratori Giorgia Sossass e Duccio Dogheria, nonché nipote del caporedattore Carlo Dogheria. A tutti loro gli auguri della redazione di QT. QUESTOTRENTINO Marco De Tisi SOLDATI DI UNA PATRIA NEFANDA? Nell’ambito delle conferenze e dei dibattiti tenutisi in regione a seguito della commemorazione del 3 novembre scorso per ricordare i novant’anni dalla fine della Grande Guerra, è stato tra l’altro trattato il tema del ruolo e della condotta dei soldati tirolesi di lingua italiana dall’atto della mobilitazione generale - proclamata il 31 luglio 1914 dall’ Imperatore Francesco Giuseppe - fino alla fine del conflitto. Da più parti si è ribadito che la chiamata alle armi dei contingenti di leva prima, ed il loro impiego nei teatri di guerra poi, rappresentò per gli interessati l’imposizione di uno Stato intransigente e dispotico. Numerose targhe site in luoghi che ricordano i caduti della prima guerra mondiale riprendono questo concetto così come concepito a guerra finita dai vincitori e fatto proprio dal regime fascista. Vi si legge: “Soldati costretti a combattere per la patria nefanda”. In antitesi a tale giudizio si nega agli stessi il termine di caduti perché considerati indegni di un simile appellativo, rivelando così il biasimo dei vincitori per chi, vittima di uno Stato tirannico, trovò la morte sul campo di battaglia. La frase di rito avente per oggetto i circa 60.000 soldati “trentini” combattenti sotto le insegne dell’Imperatore rimarca l’ idea secondo cui i soldati stessi avrebbero indossato “l’uniforme sbagliata”. Tale giudizio misconosce il loro senso di appartenenza ad una comunità e a un territorio aviti che pure permeava la popolazione al punto da indurre lo stesso Mussolini mentre abbandonava Trento nell’ ottobre del 1909, a pronunciare testuali parole: “Lascio questa regione e questo popolo ormai austriaci”. Lo smarrimento degli uomini in partenza per il fronte orientale unitamente al presagio dei lutti che da quella guerra sarebbero derivati trovarono conferma in una tragedia unica nella sua drammaticità, un’ecatombe che accomunò gli eserciti belligeranti. Deliberata forzatura è ciò nondimeno dare ad intendere che i soldati di questa terra sarebbero stati “costretti a pugnare per l’oppressore”, prendendo spunto da episodi di diserzione non rari negli eserciti di allora e dai numerosi diari di guerra rinvenuti. “Di guerra”, appunto: pagine scritte da uomini che non potevano che manifestare la loro avversione alla guerra descrivendone la crudeltà, illustrando le sofferenze e le privazioni e nelle quali veniva talvolta espresso risentimento nei confronti di ufficiali eccessivamente autoritari. E’ doveroso però ricordare che pure in una tale condizione questi uomini compirono il loro dovere e in alcune circostanze anche più di questo. Ne fanno testo le innumerevoli medaglie di bronzo e le 162 e oltre tra medaglie d’ oro e d’argento di prima classe dei cui beneficiari esiste, sebbene incompleto, dettagliato elenco. Medaglie assegnate per azioni di guerra che non si attagliano alla pretesa “costrizione” dell’epigrafe summenzionata e di cui tra i primi ad essere insignito (medaglia d’oro) il 2 maggio 1915 fu il fratello di Alcide Degasperi, Augusto, ufficiale dei Kaiserjaeger. Al nazionalismo nostrano che ancora oggi, a novant’anni di distanza, pone l’accento su un nemico sconfitto che avrebbe combattuto perché costretto da uno Stato straniero e crudele si contrappone nel merito quanto scrive lo storico Luigi Sardi, figlio di un ufficiale lombardo del Regio Esercito, che alla sua professionalità unisce una chiara onestà intellettuale. Nel suo volume “1915 – monti Scarpazi”, riguardo alla difesa dei confini meridionali dell’ Impero Austro-Ungarico da parte dei tirolesi (inclusi quelli di lingua italiana), riporta: “…viene costituita una milizia di trentamila uomini che nonostante l’età compensano la mancanza di esperienza con il patriottismo, la conoscenza perfetta delle montagne, l’odio verso una nazione che aveva tradito l’alleanza e la consapevolezza che l’armata alla quale appartenevano avrebbe difeso il Tirolo, i campi, la casa, l’Imperatore, la chiesa dagli italiani invasori”. E ancora: “Poi ci sono i 10.501 trentini che indossarono la divisa dell’ Imperatore, che combatterono con coraggio e lealtà, che morirono sui fronti della Serbia, della Russia, dell’Italia per la loro Patria che era l’Austria”. 37 monitor presentazioni Cinema 4 febbraio-4 marzo “social film” Trento, Teatro Cuminetti, ore 21. Il programma della quinta edizione di Social film: 4 febbraio: “Parole sante” di Ascanio Celestini. Un film sulla lotta di classe: storie di call center, quelle che l’attore porta in giro nei teatri. 11 febbraio: “Il nemico del mio nemico” di Kevin Mcdonald, storia di un trasformista del male. 18 febbraio: “Margem” di Maya Da-Rin, un viaggio lungo il Rio delle Amazzoni; e “To see if i’m smiling” di Tamar Yarom, storia di soldatesse dell’IDF nei Territori Occupati. 25 febbraio: “Radio Egnatia” di Davide Barletti e “Diario di uno scuro” di Fluid Video Crew. Infine, il 4 marzo: “Joe Strummer: il futuro non è scritto” di Julien Temple, sul leader dei Clash. (a.b.) Trento, Trento, Sala Filarmonica, ore 20.45. Prosegue ad altissimo livello la stagione 2009 della Filarmonica di Trento. Il 9 febbraio sarà sul palco di via Verdi il Trio Con Brio, giovane ma non inesperta formazione cameristica. Il 17 febbraio sarà la volta dei Virtuosi Italiani, orchestra da camera tra le più acclamate al mondo, con due solisti d’eccezione quali Massimo Quarta (violino) e Lilya Zilberstein (pianoforte). Spazio ai giovani musicisti locali il 26, con il concerto della pianista trentina Federica Marini. (t.g.) Teatro e cinema Cinema 7-22 febbraio 10 febbraio-7 marzo Trento, Spazio Off. Il 7 e l’8 febbraio, una produzione Estroteatro: “Tana libera tutti (il mondo capovolto)” di Maura Pettorruso, sull’Uganda e sulle sue emergenze. In scena Mirko Corradini, che conduce proprio in Uganda un laboratorio teatrale. Il 21 e 22 febbraio, “Bartleby lo scrivano”, con Denis Fontanari, Alberto Dall’Abaco, Christian Renzicchi: una cortese ma decisa lettura scenica del raccontocapolavoro di Herman Melville. Gli appuntamenti del mercoledì prevedono la proiezione di “Una vita da non archiviare”, produzione KR Movie su Gianantonio Manci (11 febbraio); e “Spolpo Files”, con la Spolpo Blues Band e Paolo Crazy Carnevale (18 febbraio). Orari e prezzi su www.spaziooff.com. (a.b.) Rovereto, Auditorium Melotti, ore 21. I prossimi film del Cineforum di Rovereto: il 10 febbraio “Odgrobadogroba. Di tomba in tomba”, di Jan Cvitkovic, storia di un autore di testi per discorsi funebri: “un Kusturica col broncio”. Il 17 febbraio, “Rachel sta per sposarsi”, di Jonathan Demme, piccolo scrigno di recitazione e di stile. Il 25 sarà finalmente possibile vedere “Invincible”, commovente film del 2005 di Werner Herzog su un gigante che avrebbe potuto salvare gli ebrei dallo sterminio. Il 4 marzo è il turno di “La notte dei girasoli”, di J. Sanchez-Cabuedo, un notturno spagnolo sui destini incrociati. Seguiremo anche nel prossimo numero la rassegna, che prosegue fino al 7 aprile. La QT Card consente l’acquisto dell’abbonamento a prezzo agevolato. (a.b. febbraio allo spazio off 38 Musica Musica 9-26 febbraio tre concerti alla filarmonica di trento cineforum rovereto 13-25 febbraio Musica 11 febbraio orchestra haydn Trento, Auditorium S. Chiara, ore 20.30. Un concerto dedicato al repertorio classico, mercoledì 11 febbraio, sarà l’unica esibizione trentina del mese per l’Orchestra Haydn. Sotto la guida di un grande direttore come Claudio Scimone, il cornista Simone Baroncini sarà solista nel secondo Concerto di Mozart, affiancato da Luca Bastianello, che reciterà gli appunti autografi della partitura. (t.g.) Teatro 12-15 febbraio tre concerti alla filarmonica di rovereto Rovereto, Sala Filarmonica, e Auditorium Melotti, ore 20.45. Un acclamato interprete degli autori classici, valzer viennesi contro tanghi sudamericani e un giovane duo internazionale compongono il programma di febbraio dell’Associazione Filarmonica di Rovereto. Si comincia venerdì 13 con il pianista americano Robert Levin; giovedì 19, presso l’Auditorium Melotti, l’orchestra Haydn terrà il tradizionale concerto di Carnevale; mercoledì 25 sarà di scena il grande repertorio violoncellistico con Alisa Weilerstein e la pianista Evgenija Startseva. (t.g.) “i giganti della montagna” di Luigi Pirandello, con un finale di Franco Scaldati, con Andrea Carabelli, Silvio Castiglioni, Roberto Corradino, Marion D’Amburgo, Iaia Forte. Regia di Federico Tiezzi. Trento, Teatro Auditorium, ore 20.30 (domenica 15, ore 16). I giganti della montagna è un dramma incompiuto di cui Pirandello stese solo i primi due atti (il terzo fu ricostruito dal figlio Stefano, in base alle informazioni ricevute dal padre) e che dunque viene rappresentato in varie versioni. La pièce racconta l’incontro col mago Cotrone e i suoi seguaci di una scalcinata compagnia di attori in procinto di allestire uno spettacolo. Siamo, cosa non nuova in Pirandello, nel teatro dentro il teatro, ma qui l’ambizione dell’autore va oltre, dal teatro al mito, come lo stesso Pirandello qualificò questa sua opera. (m.s.) Teatro 14 febbraio “la passione secondo luca e paolo” di Luca Bizzarri, Paolo Kessisoglu, Michele Serra e Martino Clericetti. Con Luca Bizzarri e Paolo Kessisoglu Regia di Giorgio Gallione. Rovereto, Auditorium Melotti, ore 20.45. Teatro nel teatro. Luca e Paolo (quelli delle Iene e di Camera Cafè) devono affrontare un testo molto impegnativo; manca però l’attore che deve impersonare Gesù. Ma in qualche modo bisogna pur salvare lo spettacolo... (d.d.). febbraio 2009 2009 Teatro 14 febbraio-4 marzo Comunichiamo ai nostri lettori che agli enti già convenzionati si sono aggiunti il cineforum di Trento e il cineforum di Rovereto. Per l’elenco completo di tutti gli enti convenzionati, consultare il nostro sito www.questotrentino.it “extrema_mente” Trento, Teatro S. Marco, ore 20.45. Il Liveact “Extrama_mente” di Teatrincorso-Spazio 14 seleziona alcune delle più interessanti sfide del teatro contemporaneo. 14 febbraio: Isola Teatro (Roma): “La strada ferrata” (finalista al Premio Scenario 2007). Un incontro tra due ragazzine lungo una linea ferroviaria abbandonata, in Sicilia. 21 febbraio: Zerobeat (Mantova): “Cara la pelle” (pluripremiato). Anna Politkovskaja, la Cecenia, le donne. 4 marzo: Capotrave (Arezzo): “Robinsonade”. Un Robinson aggiornato all’epoca della civiltà dei consumi. Info: www.teatrincorso.com. Riduzioni con la QT Card. (a.b.). Muisca 17/18 febbraio Danza 25 febbraio Teatro 19-22 febbraio “La bella utopia Lavoratori di tutto il mondo ridete” di Moni Ovadia, con Moni Ovadia, Lee Colbert, Maxim Shamkov e la Moni Ovadia Stage Orchestra. Trento, Teatro Auditorium, ore 20,30 (22 febbraio, ore 16). La bella utopia è il mito fallito del comunismo. Uno spettacolo di canzoni, musiche, racconti, confessioni, immagini in cui l’attore-cantante ripercorre, tramite l’abituale filtro dell’umorismo ebraico, quella grande speranza di creazione di una nuova umanità e il suo degenerare in tragedia. (m.s.) “LA SILFIDE” balletto in due atti di August Bourneville (versione originale del Royal Danish Ballet), con Maggio Danza. Trento, Trento, Teatro Sociale, ore 20.30. Balletto che sancisce l’inizio del balletto romantico, da allora soprannominato ballet blanc per la comparsa del tutù bianco e per il largo uso delle scarpette da punta, “La silfide” è ambientato nelle Highland scozzesi e ruota intorno all’amore di James per una silfide, tipica figura femminile della mitologia nordica. (g.s.) FRANCO BATTIATO Trento, Teatro Auditorium, ore 21. L’ispirazione scarseggia e il disco non galleggia. Se poi non si è degli interpreti ma dei cantautori è ancora più difficile fare un intero (tranne un inedito) disco di covers. “Fleurs 2” arriva dopo il primo e il terzo. A Battiato piace essere poco scontato. Ed in effetti, ascoltando il disco, le sue interpretazioni non sono scontate. Ma confrontarsi con le voci e le versioni originali di Otis Redding e Simon & Garfunkel significa mettere culo e corde vocali nelle pedate. Ma interessante più del disco è assitere ad un concerto del nostro, occasione rara e preziosa (a.v.) QUESTOTRENTINO Teatro 26 febbraio “l’ultima radio” Teatro 20 febbraio “NEL” di e con Alessandro Bergonzoni. Rovereto, Auditorium Melotti, ore 20.45. I non-sensi e le banalità della vita quotidiana raccontati dall’attore bolognese con il suo solito gusto genialoide per il paradosso linguistico e il frenetico gioco di parole. (d.d.) di Sabina Negri, con Tullio Solenghi. Regia di Marcello Cotugno. Trento, Teatro Auditorium, ore 21. Storia di una piccola emittente schiacciata dalle leggi del mercato, e del suo conduttore-factotum. L’autrice, Sabina Negri, è l’ex moglie del ministro Calderoli, esibitasi ripetutamente a Markette con esiti non entusiasmanti; l’attore è il Solenghi del trio con Massimo Lopez e Anna Marchesini. Una cosetta leggera, insomma... (m.s.) Teatro 6-8 marzo “sonja” tratto da un racconto di Tatjana Tolstaja, con la Compagnia Teatro di Riga. Regia di Alvis Hermanis. Trento, Teatro Cuminetti. 6 marzo, ore 21; 7-8 marzo, ore 20.30. In una povera casa di Leningrado, entrano due ladri, che presto si trasformano, l’uno nella narratrice (Tatjana Tolstaja), l’altro nella sciocca Sonja, alla quale è stato fatto credere che un uomo si sia innamorato di lei. E a completare lo scherzo le sono state inviate tante lettere d’amore, che il ladro/Sonja scopre e legge svelandoci una vita basata su un inganno e un’illusione: una vita non vissuta... Buone credenziali per questo spettacolo vengono dall’autrice (molto popolare in Russia) come pure dal regista, noto a livello internazionale anche in veste di attore. Purtroppo la recita avviene in lingua originale (lettone), con traduzione in cuffia. (m.s.) 39 monitor recensioni Kazimir Malevic, Falciatore (1912) Arte Quel poderoso tempo creativo delle avanguardie “illuminazioni” Stefano Zanella “Illuminazioni”, la prima delle tre mostre proposte dal Mart e curate da Ester Coen nel corso del 2009 per il centenario del Futurismo, è un’operazione culturale che evita le vie più battute, come ripercorrere il solo futurismo italiano o il suo rapporto con l’ avanguardia francese, il cubismo. Propone un confronto meno frequentato, con altre avanguardie, la tedesca e la russa, nel quinquennio che dal 1910 porta alla Grande Guerra. Nel fare questo, illumina la fitta rete di contatti e influenze (in cui il cubismo gioca comunque la sua parte fondamentale) che, in campo artistico, oltrepassa i confini delle nazioni proprio negli anni in cui le esasperazioni nazionalistiche precipitano. E riesce a portare qui, oggi, opere poco o per nulla esposte da noi, molte provenienti dai musei nazionali o regionali dell’est europeo. Insieme all’epistolario dei protagonisti MOSTRE Riapre la Casa d’Arte Futurista ‘Fortunato Depero’ Rovereto. Dopo oltre un decennio di chiusura (vedi a tal proposito Qt n. 15 / 2004), riapre, duplicando gli spazi, il museo voluto e ideato da Fortunato Depero. Gli spazi espositivi, disposti su tre livelli, documentano in particolar modo l’attività di Depero nel campo delle arti applicate: mobilia, marionette, grafica editoriale, soprammobili e soprattutto le celebri tarsie in panno. Torneremo naturalmente ad occuparcene in maniera più approfondita in uno dei prossimi numeri. (d.d.) 40 di quegli anni, pubblicato nel libro che l’accompagna, la mostra riserva delle sorprese, e aiuta a capire come il radicale sconvolgimento che investe i linguaggi dell’arte, prima della guerra, dia risposte diverse al cambio epocale venuto avanti da qualche decennio, l’imponente sviluppo tecnico e industriale che si ripercuote nella vita quotidiana. I futuristi ne sono folgorati. Boccioni, in una lettera, descrive il suo viaggio a Parigi nel 1906 come fosse un viaggio iniziatico, incontro travolgente con la città simbolo della vita moderna. E’ lo spettacolo di dinamismo (prima che il fermento artistico) a colpire la sua immaginazione, e la risposta sua e del suo gruppo sarà di esaltare le nuove condizioni percettive, le incessanti stimolazioni del movimento. Ciò che più accomuna le avanguardie (e le rende tali) è lo stravolgimento dello spazio pittorico tradizionale, la compresenza di una pluralità, o l’assenza di qualunque prospettiva. Qui lo vediamo. Ma questa fuoriuscita dal realismo non sempre (nemmeno tra i futuristi, del resto) è un atto di esaltazione della modernità. Il confronto di linguaggi e poetiche è via via favorito da un’opera futurista, scelta, in ogni sezione della mostra, come possibile termine di paragone. Così, sul tema quasi emblematico della città per il cambio epocale, lo smottamento degli spazi urbani di Olga Rozanova, la fosca incombenza della “Vecchia fabbrica” di Sevcenko, che pure usano stilemi non lontani dall’avanguardia italiana, sono altra cosa dalla brulicante effervescenza della città di Carrà (ancora in debito però, nel 1910, col postimpressionismo), ma anche dal famoso dipinto di Boccioni sullo stesso tema (qui non esposto). Per non dire della dimensione, quasi aliena, di incantamento, lontanissima dalla frenesia del moderno, che connota la raffinata serie di dipinti “architettonici” di Feininger. Oppure, se si tratta di figura, la violenza espressionista di un’opera febbraio 2009 Teatro Un gabbiano che non vola Cechov secondo la regia di marco bernardi Daniele Filosi Ol’ga Rozanova, Città (1913) come quella di Grosz, esasperata nel colore e nella prospettiva (“Suicida”), coglie la tragicità quasi grottesca della vita contemporanea, ben lontana dagli interessi soprattutto plastici dell’operaguida di Boccioni per questa sezione. E se gli artisti del Blaue Reiter portano la loro sensibilità spiritualista che pare, con Kandinskij soprattutto, ma anche con Marc, uscire dal tempo presente e recuperare radici mistiche, tra le artiste e gli artisti russi, oltre i modi più vicini al cubismo che al futurismo della Udalcova o della Popova, si trovano le prove molto più autonome della Goncarova, di Larionov (il raggismo), e la suadente astrazione ritmica di Rodcenko. Dicevamo delle scoperte. In qualche caso scopriamo un autore in un momento che precede le ricerche che lo hanno reso famoso. Ad esempio un “Falciatore” dipinto nel 1912 da Malevic: arcaismo e modernità meccanica assorbiti nella sospensione luminescente della figura. Un altro grande russo, Chagall, con una deliziosa opera che gioca con la grammatica cubista piegandola ai suoi scopi. Oppure il dialogo che la ricerca di Gino Severini (non sempre il più citato dei futuristi, fuori di qui) sulle linee di forza degli oggetti e dei movimenti di danza, intesse con altri autori in vari punti del percorso. E ancora, lo scrigno di piccole opere grafiche, disegni, improvvisazioni dei bei nomi di quel poderoso tempo creativo. Lo splendido finale di astrazione che trae linfa da percorsi diversi. (Rovereto, Mart, fino al 7 giugno) QUESTOTRENTINO “Mi piacerebbe che questo ‘Gabbiano’ riuscisse veramente rotondo, vero [...], come Cechov l’ha scritto. Intenso e misterioso. Come la vita”. Parola di Marco Bernardi, il regista dell’allestimento del “Gabbiano” di Anton Cechov passato a fine gennaio all’Auditorium Santa Chiara di Trento. Dopo il debutto a novembre “in casa”, al Teatro Stabile di Bolzano, lo spettacolo diretto da Bernardi è arrivato in stagione anche a Trento, e con un buon riscontro di pubblico, finalmente, dopo i mugugni dei piani alti del Centro Santa Chiara sul recente calo di spettatori (si è parlato addirittura di un 30% in meno: la crisi, dunque, sembra essere piombata anche sul teatro). Ma le tante teste canute viste in platea domenica pomeriggio, nell’ultima delle quattro repliche di Trento, non fanno ben sperare sulla capacità di attrazione della stagione del Santa Chiara, soprattutto sulle giovani generazioni. Dato più sociologico che altro, questo, perché passando alla scena, le parole di Bernardi sul suo allestimento tradiscono, dopo le oltre due ore di spettacolo, una promessa non mantenuta. Ciò che non si può rimproverare al “Gabbiano” di Bernardi è di non essere stato rassicurante verso i suoi spettatori: tonalità pastello, morbide, quasi monocordi, nella regia e nel complesso della macchina scenica. La scenografia, appena aperto il sipario, è ciò che colpisce di più: un’ambientazione classica, quella di una Russia di campagna, di una borghesia annoiata dei suoi stessi rituali, delle sue stesse tiepide Marco Bernardi passioni: il teatro alla vecchia maniera di Irina, la grande attrice, si scontra con il nuovismo “decadentista” di Kostja, con il suo maldestro tentativo di scardinare, senza successo, lo status quo all’interno di cui si trova. Ma il gioco a cui fa giocare i personaggi Bernardi non si accende: le passioni, le tensioni generazionali, artistiche e personali non si scatenano sotto traccia, rimangono sopite per poi lasciarle di volta in volta in mano all’attore di turno che prende le redini del gioco. E’, questo “Gabbiano”, uno spettacolo rassicurante, dove si rischia poco in scena e si rischia ancora meno in platea: gli attori sono buoni attori, la scenografia è degna di uno Stabile, i costumi anche, la regia è pulita, come ci si aspetta da Bernardi, nel suo tentativo di “fenomenologia applicata al teatro”, come dice lui stesso. Il problema di questo “Gabbiano” che non vola è proprio questo: tutto molto, troppo ben curato, per dare davvero vita al grande quadro espressionista di Cechov, che avrebbe bisogno almeno di una chiave di lettura, almeno di un’angolazione interpretativa. Un buon testo e una buona compagnia di attori fanno metà dello spettacolo, si dice spesso: vero, ma ci vorrebbe anche l’altra metà. E questo “Gabbiano” rimane appunto a metà, non riesce a spiccare il volo, rimanendo sui binari sicuri di un teatro d’altri tempi, di un teatro ben fatto, ben compiuto, ma che fatica a emozionarsi, a far vibrare le sue stesse corde e quelle del pubblico. 41 monitor recensioni Il libro I doveri di ciascuno Gherardo Colombo, Sulle regole. MIlano, Feltrinelli, 2008, pp. 160, euro 14,00. Chiara Santamaria Regole. A parlarne si prova una sorta di pudore, quasi fossero un datato retaggio di tempi lontani. Oggi tutto è permesso, tutto possibile e accettato, tanto che anche lo sdegno per la trasgressione sembra passato di moda. Eppure le LIBRI Francesco Velardita Fondo Fortunato Depero. Inventario. Presentazione di Gabriella Belli. Rovereto, Nicolodi, 2008, pp. 392, euro 20,00. Sebbene chiuso al pubblico fino a… data da destinarsi, prosegue febbrilmente l’attività dell’Archivio del ‘900 del Mart. Dopo l’inventario dei fondi Vittore Grubicy, Thayaht e Tullio Crali, è stato recentemente pubblicato l’inventario del fondo Fortunato Depero, ricco di oltre 7500 unità documentarie tra scritti, materiale a stampa, corrispondenza e documenti personali del futurista roveretano. (d.d.) 42 regole sono sempre più pressanti e onnipresenti; liberarsi di un oggetto che non serve più era, fino a qualche anno fa, una cosa semplice, adesso richiede conoscenza delle regole e cura nell’osservarle. Una schizofrenia sconcertante, della quale non siamo quasi mai consapevoli. Delle regole si occupa l’ultimo libro di Gherardo Colombo, il giudice dimessosi dalla magistratura nel 2007, che della sua scelta dice: “Progressivamente mi sono convinto che, per contribuire al funzionamento della giustizia, sarebbe stato utile piuttosto intensificare quel che già cercavo di fare nei momenti lasciati liberi dalla professione: girare per le scuole, università, parrocchie, circoli e in qualunque altro posto mi invitassero a dialogare sul tema delle regole. La giustizia non può funzionare se il rapporto tra i cittadini e le regole è malato, sofferto, segnato dall’incomunicabilità”. Quindi non una rinuncia, al contrario: un impegno maggiore, certo molto meditato, nei confronti di quello Stato fino a poco prima servito nelle aule dei tribunali. Questo impegno, questa convinzione che le regole siano imprescindibili e che il comportamento di ognuno di noi sia un tassello indispensabile per costruire una società più giusta è una costante del libro, un cardine intorno al quale ruotano le sue pagine. E che fa riflettere fin dalla prefazione. Fin dalle prime righe l’autore ci prende per mano e ci accompagna lungo i trenta capitoli che compongono il volume spiegandoci chiaramente, ma senza annoiare, che cosa siano la giustizia, il diritto naturale, le sanzioni e le pene, la società orizzontale e quella verticale. Questi, e i molti altri concetti trattati, sembrerebbero a prima vista tediosi argomenti da addetti ai lavori: niente di più sbagliato. La lettura è stimolante e gli argomenti catturano proprio per la capacità dell’autore di renderli accessibili con un linguaggio semplice e uno stile che sorprende per la sua sobrietà. Il libro centra quindi il non facile obiettivo di fermare l’attenzione dei profani su temi centrali ma in apparenza lontani dalla vita di tutti i giorni e sui quali è necessario pensare ed interrogarsi . Da quando si è dimesso dalla magistratura, Colombo scrive libri e gira l’Italia per portare ai cittadini il suo modello di società civile, il suo esempio di impegno, la sua idea di responsabilità e cittadinanza. Si possono condividere, o meno, le tesi dell’autore. Ma certo tanto senso di responsabilità e coerenza, tanto zelo nel portare avanti le proprie idee, tanta disponibilità ad esporsi e a discutere con chiunque, sono un segnale importante che spetta a tutti noi cogliere. febbraio 2009 monitor Musica Quando il genio è distratto ANNA KRAVTCHENKO Tullio Garbari Sala piena per il concerto della pianista ucraina Anna Kravtchenko, che il 12 gennaio ha inaugurato la stagione 2009 della Società Filarmonica di Trento. Molto soddisfatto il presidente Marco de Battaglia, che nel tradizionale saluto al pubblico ha sottolineato come per il settimo anno consecutivo la Società abbia saturato gli abbonamenti, e ha ringraziato l’uditorio per la numerosa presenza, che ha testimoniato l’affetto del mondo musicale trentino verso la protagonista della serata. Un sentimento ricambiato solo in parte: la solista, che ricordiamo vincitrice del Premio “Busoni” nel 1992, a soli 16 anni, insegnante presso l’Accademia Pianistica di Imola e solista affermata in tutto il mondo, ha deluso le aspettative, proponendo un programma interamente dedicato al grande repertorio romantico – su tutto la monumentale Sonata in si minore di Liszt, che ha occupato tutta la seconda parte – in modo distratto, disattento, a tratti addirittura scolastico, sicuramente non all’altezza delle capacità tecniche e musicali che l’hanno resa famosa. È stato soprattutto nella prima parte del programma, dedicata a due Notturni e alla seconda Sonata in si bemolle minore op. 35 di Chopin, che le celebrate doti della pianista ucraina sono mancate; nella raffinatezza delle linee melodiche del grande autore polacco la Kravtchenko ha mostrato inaspettatamente mancanza di controllo delle dinamiche, grosse imprecisioni nella resa della partitura, carenze nella cura assoluta del suono che l’esecuzione chopiniana richiede. Ne è risultata una performance impersonale, spigolosa, QUESTOTRENTINO segnata dalla scelta di tempi un po’ troppo veloci, che non ha coinvolto il pubblico, e che d’altra parte non ha nemmeno presentato la perfezione tecnica che al giorno d’oggi spesso sostituisce il valore musicale e che ci si aspetterebbe da un solista di tale calibro. La stessa pianista è sembrata insoddisfatta della sua esibizione, concedendo un solo rapido inchino prima di tornare nel camerino. Nella seconda parte la Kravtchenko ha mostrato ancora una volta la predilezione per il repertorio di Liszt: il nervosismo della prima parte si è scontrato con gli oscuri gesti e con l’infernale virtuosismo del pianista ungherese. Pur presentando ancora dinamiche ancora un po’ schematiche e alcuni momenti di imprecisione, la pianista ha esibito un suono cristallino e un’ottima padronanza dei pianissimo, restando capace di passare al fortissimo dove la partitura lo richiedeva, e recuperando via via un controllo dell’espressione musicale che l’ha riportata ai livelli consueti e che ha finalmente convinto la sala. Nonostante gli applausi scroscianti che hanno seguito l’esecuzione, possiamo dire che il concerto ha comunque deluso le aspettative e una parte del pubblico. Si sperava, dal nome in cartellone, in un’esecuzione di livello assoluto in ogni sua parte, e invece si è assistito a momenti di valore alquanto modesto, lontani dalle capacità per cui Anna Kravtchenko è famosa e di cui ha dato peraltro prova nei due bis, – “Ottobre” dalle Stagioni di Čaikovskij e la celeberrima “Serenata” di Schubert nella trascrizione di Liszt – proposti in modo strabiliante per purezza e controllo delle melodie e dei colori, proprio ciò che nella prima parte del concerto era mancato maggiormente. 43 monitor recensioni Cinema La schiena liscia della memoria “Valzer con Bashir” Alberto Brodesco Un saggio sulla memoria, un film di guerra, una pellicola d’animazione, una riflessione sul documentario e sul suo stesso farsi, una denuncia dell’indifferenza che coinvolge il nostro sguardo e le nostre azioni. È tutto questo “Valzer con Bashir”, documentario di animazione del regista israeliano Ari Folman. Il film racconta la storia di un cineasta che ha partecipato, da soldato, alla guerra in Libano nel 1982, ma ha perso la memoria. La sua esperienza del massacro di Sabra e Chatila è circondata dal vuoto. I due termini, “documentario” e “animazione”, sembrerebbero ossimorici. Ari Folman, invece, sceglie di combinarli. E con questo svela come la componente oggettiva della VEDI ANCHE “The millionaire” di Danny Boyle Un film piacevole e riuscito. Che ha il difetto, non minore, di risultare però alla fine un’appropriazione dello stile dei film di Bollywood ad uso ammorbidito del pubblico occidentale. Di tutto il barocco e gli eccessi e il melodramma che Bollywood non risparmia, Boyle mantiene solo quel dosaggio di ingredienti che non ci risulti indigesto. Come un ristorante indiano con il cuoco europeo. “Il giardino dei limoni” di Eran Riklis “Il muro il muro, / che come la mano di uno scippatore / avanza per chilometri zigzagando / tra le piantagioni...” . Sono versi di Aharon Shabtai, poeta di Tel Aviv. “Il giardino dei limoni” ha a che fare un confine sottile, una vedova palestinese, un ministro israeliano, sua moglie. La solidarietà tra donne scatta, e non scatta. Un 44 buon film medio. . ricostruzione di ogni esperienza passi sempre attraverso una visione soggettiva, che spesso non si muove negli universi della logica ma in quelli del sogno, o dell’incubo. È in mezzo a queste due tensioni che va cercata l’anima del vissuto. La realtà e il sogno si mescolano persino nella mente di chi ha vissuto in prima persona un’esperienza bellica. Nessuna ambizione di oggettivazione narrativa o storica può quindi esimersi dall’assumere al suo interno questa contraddizione. Non c’è racconto senza il senso che gli attribuiamo. Folman sceglie di enfatizzare questa impasse con la scelta di virare in figure animate i soldati, le persone intervistate. Il tentativo di ricostruire la realtà della guerra nel Libano consiste nel processo di un vistoso, faticoso lavorio visuale. Paradossalmente, l’animazione rende il racconto più realistico, più vero. Non vediamo “Milk” di Gus Van Sant Van Sant trova una splendida mediazione tra i suoi lavori più mainstream (“Will Hunting”) e quelli più di ricerca (“Paranoid Park”). “Milk” si concentra sulla figura dell’attivista per i diritti dei gay con un’intensità e una vicinanza che incantano, come incanta la capacità di integrare in modo morbido, spontaneo, senza salti, i filmati dell’epoca all’interno del girato. Documento, biografia, arte cinematografica.. Beirut ricostruita chissà dove, non vediamo attori che recitano la parte di soldati. Vediamo delle figure, animate a volte con tecnica tradizionale, a volte in flash, mettendo in movimento dei fotogrammi girati dal vivo. L’effetto è iperrealista. La realtà emerge squarciante e scandalosa. La guerra non passa attraverso un set. È tutta lì, in quei contrasti tra nero e campi di colore pieno. La perdita del referente realistico rafforza un segno che non deve relazionarsi ad altro se non se stesso. Un intervistato, un commilitone, fragile intellettuale, pensa di poter dimostrare di essere un vero uomo solo lanciandosi in guerra insieme al suo esercito. Il film lo mostra mentre si dirige verso il Libano su di una nave che ricorda per solitudine e gioia non-sense quella di “Apocalypse now”. Durante il viaggio, il soldato viene rapito da una grande venere nuda, che lo porta in mare, gli offre riparo tra le sue cosce, in una sequenza dove eros e morte si abbracciano – come da tradizione, ma in modo inedito. Questa scena, come diverse altre, è caratterizzata da una totale piattezza dei volumi. Non c’è profondità. Le figure, bidimensionali, sembrano muoversi su una pellicola liscia. Come se la storia, e la Storia, potesse lasciarsi scivolare dalla schiena, senza nemmeno accorgersene, i personaggi che la abitano. Come se la memoria si estendesse non in profondità ma in superficie. La Terra è piatta: ai bordi di questa crosta enorme c’è la caduta libera, vuoto, il nulla. febbraio 2009 la TV del Trentino... e oltre Ringraziamo i 179.000* telespettatori che tutti i giorni guardano i nostri programmi, confermando RTTR la prima televisione locale del Trentino Alto Adige * dati Auditel Ottobre 2008 QUESTOTRENTINO Contatti netti giorno medio 178.755 45 piesse Scrivi una cosa... Elena Vesnaver Pane e vino Q uando sono nato mio papà voleva registrarmi come femmina per non farmi fare il servizio militare. Mio papà era panettiere e anarchico, solo che non lo sapeva. Di essere anarchico. Mi raccontava dei posti dove non aveva combattuto e dove non aveva sparato a nessuno, anche se era stato soldato e il fucile glielo avevano dato eccome; io provavo una grande delusione, come quando lo zio Annibale, che era stato a costruire ferrovie in Canada, diceva che i Pellerossa erano buoni e gentili e chiamava i coyote cjanuts, cagnolini. Mentre mio papà e mia mamma andavano a sposarsi ci fu un bombardamento e tutto il corteo di nozze dovette buttarsi nei fossi; per questo penso che lui disse basta guerre, basta divise, basta armi e niente militare per mio figlio. Mio zio Lino era comunista e lo sapeva. Mi passava i giornali e mi spiegava le notizie, mi raccontava dei partigiani e credo sia merito suo se mi è nato l’amore per la storia. Però mi portava anche al cine e lì sì che gli Indiani erano cattivi, con le piume e le pitture di guerra, e al circo, dove le trapeziste mi incantavano con quelle gambe al vento. Zio Lino era di compagnia, gli piacevano i discorsi all’osteria con il bicchiere di vino davanti e qualche partita a carte. Parlava di politica e si accalorava, ma tutti si accaloravano per le idee, in quegli anni. Poi fu la volta della Madonna Pellegrina. Ci sarebbe stata una grande processione che avrebbe attraversato di sera tutto il paese e le case sarebbero state addobbate per l’occasione. Solo che mio papà, in negozio, aveva sentito sussurri che, se non ci fosse stata mia mamma, la pagnotta gliela avrebbe tirata in testa a quella malalingua e zio Lino, quando arrivò dopo cena come sempre, disse che il vino gli era andato in veleno per quello che aveva sentito all’osteria. Girava voce che tutti avrebbero onorato la Madonna Pellegrina, meno quelli là, perché quelli là della Madonna se ne fregavano, erano comunisti e senzadio. Quelli là era la mia famiglia, naturalmente. Quando mi mandarono a letto, zio Lino e papà erano ancora là a battere i pugni sul tavolo. 46 Il giorno della processione arrivò mio cugino Raimondo. Parlò con mio papà, con zio Lino, buttò via la sigaretta e disse sì, lo facciamo; tornò dopo un’ora, con un camion pieno di luminarie che io non ne avevo mai viste tante, prestate dalla Festa dell’Unità, che là ancora non servivano ed erano a prendere umido in magazzino, che una scaldata proprio andava bene. Raimondo, papà e zio Lino lavorarono tutto il pomeriggio davanti a casa, tirando metri e metri di lampadine, chilometri, ridendo forte come bambini cresciuti, mentre Argo, il mio cane abbaiava e ringhiava al materiale sconosciuto e poi correva da me, che stavo seduto su un gradino, stupito quanto lui. Arrivò il buio e con il buio la statua della Madonna con il prete e le donne che pregavano. Una per una si accesero le lucette delle altre case, modeste corone di lumi attorno alle finestre o alla porta e allora Raimondo buttò la sigaretta e attaccò la spina nel muro. Mamma mia. Sbattei le palpebre senza riuscire a credere ai miei occhi: davanti a casa, scritte con le luminarie, c’erano due enormi lettere dell’alfabeto, una vu doppia e una emme. – Cosa vuol dire? – chiesi a Raimondo. – Viva Maria. Zio Lino e papà guardavano orgogliosi il loro capolavoro, mentre Raimondo rifletteva che quella poteva essere una bella idea per la Festa dell’Unità, magari scrivendo “W il Partito Comunista” e io sognai che una bella trapezista, attratta dalla luce come una farfalla, mi sarebbe caduta fra le braccia e avrebbe fatto le sue acrobazie solo per me. La sognai di nuovo quella notte, mentre dormivo nel mio letto e il buio sembrava ancora più buio *** “Sono nata a Trieste nel 1964 e a 12 anni ho deciso di diventare attrice. Poi, l’Istituto d’Arte Drammatica e tanti sceneggiati radiofonici presso la sede RAI di Trieste. Nel 1988, insieme a Maurizio Silvestri, ho fondato il Teatrodellaluna e ho iniziato a scrivere i testi dei nostri spettacoli. Nel ‘90 ho incontrato il Teatro di Strada, che mi ha spinto ad affrontare mostri sacri come Brecht e Beckett e classici della letteratura per l’infanzia. Nel frattempo tutti mi chiedevano perché non provavo a scrivere qualcosa di diverso da uno spettacolo. Ce n’è voluto di tempo, ma alla fine li ho accontentati”. febbraio 2009 piesse Io tinta di aria Nadia Ioriatti Il quinto gusto L a mamma per colazione ci preparava una scodella di caffelatte con il pane raffermo e, per farci arrivare a scuola per tempo, lo spezzettava un bel po’ prima. Quando mi sedevo a mangiare era ormai diventato una poltiglia. Improvvisamente e da un giorno all’altro, avrò avuto una decina di anni, tutto quel pan bagnato mi fece venire il voltastomaco. Una vera e propria ripugnanza. Smisi di far colazione per evitarlo, visto che non c’era scelta. Così come evitai da allora e per sempre, la trentinissima panada, gli gnocchi di pane, i crostini nella minestra, la scarpetta con il sugo. Se non è zuppa è pan bagnato si dice ma, per fortuna, esiste una via di fuga. Prima di allora non mi soffermavo sui sapori, per coniare un neologismo ero “agustativa”, infatti, le mie risposte erano disorientanti: “C’è abbastanza sale nella minestra?” chiedeva la mamma? “Boh!” rispondevo. “E’ zuccherato il latte?” “Non so!” La cosa seria era che non lo capivo davvero. Il gusto era un concetto astratto che in me non si era ancora sviluppato e sicuramente non era regolato da quello che mangiavo. Avevo sempre appetito allora e divoravo tutto con avidità. Mangiare era qualcosa da fare in fretta a casa mia. Solo papà mangiava molto lentamente. Era una reazione alla prigionia a Mauthausen. Temevo la fame - i miei genitori ne parlavano sempre – ma avevo molta paura di svegliarmi un giorno in un pentolone con i cannibali che mi cuocevano per pranzo. Una prozia mi aveva abbonato al Piccolo Missionario. Era uno dei miei pochi strumenti didattici di allora. Capivo l’ingiustizia della fame nel mondo e mi sentivo in colpa. Io avevo i languori davanti alla mia cuginetta che passava da un lato all’altro i bocconi della bistecca che sua madre le aveva fatto ingoiare con l’inganno a pranzo. O che teneva in mano una banana sbucciata per un’ora e magari lasciava cadere la fetta di pane e nutella. Alimenti superflui e da ricchi che in casa non ci permettevamo e i quali, ovviamente, mi facevano molto gola. “Certo - pensavo - quando farò la spesa io, non mi mancherà niente di quello che non ho avuto da bambina.” Pensieri ingenui, smentiti in fretta. Eh sì, perché essendo “agustativa”, non mi entusiasmavo per nessun cibo e le voglie alimentari passarono velocemente. Non vennero nemmeno durante le gravidanze. Il piacere della tavola non mi coinvolgeva - mi sentivo insipida come una rapa - anche se imparai a cucinare discretamente per la mia famiglia. Si invecchia sentendosi diversi, a disagio, perché circondati da persone che gustano i cibi, si deliziano a mangiarli e passano molte ore a tavola. Io mi sarei nutrita di altro perché la mia era fame di cultura, ma mangiare è vitale. La differenza tra piacere e dovere! Una svolta miracolosa quando, una dozzina di anni fa, per problemi di salute, mi sono avvicinata ed entusiasmata per l’alimentazione naturista, integrale e biologica, cambiando radicalmente cibo. Non è stato facile: provate a mettere in cucina come assaggiatrice la rapa di prima! Ho poi scoperto sapori inediti gustando con calma quello che avevo cucinato, dapprima con algida precisione, per poi appassionarmi stupita. Ritrovando addirittura un po’ d’infanzia nel quinto gusto, l’umami… molto giapponese all’apparenza perché tipico del sushi, ma presente anche nel latte materno. Se il piacere del palato è paragonato a quello dei sensi, in ambedue i casi dovrei ricevere molti arretrati! 47 QUESTOTRENTINO Foto di Alessio Osele p i ep si e s es s e sfogliando s’impara Tòs Fra bastardi e mutande L àthe biòsas (vivi nascosto) diceva il vecchio Epicuro esortando al contenimento dei desideri, alla moderazione, alla sobrietà. Un invito mai come oggi ignorato. Chi prova a riproporlo, ad esempio ipotizzando che possedere sette ville e seguitare a comprarne sia forse eccessivo, viene subito tacciato di invidioso. Bisogna enfatizzare, gridare, farsi notare, esaltare situazioni e persone, naturalmente cominciando da se stessi. Guardate Facebook: adoperato assennatamente è una grande risorsa, che però, in tempi di narcisismo, si trasforma spesso in una inutile, ridicola fiera di esibizionismi. “In quattro giorni scopro di avere 462 amici. Mi chiedo perché esco ancora con i soliti quattro stronzi” - recita su Youtube un aspirante rapper, perplesso per gli esiti inattesi del suo sbarco su Facebook. La rincorsa all’enfasi vede naturalmente in primo piano l’informazione. Gli ormai famosi Bastard Sons of Dioniso sono quattro giovani valsuganotti bravini a cantare, ma l’Adige, che dedica una sorta di rubrica quasi quotidiana alla loro “emozionante avventura catodica”, ne ha fatto dei fenomeni, che “dopo aver superato le forche caudine di Mara Maionchi” sono rimasti “umili, particolari e semplicissimi”, con quel loro “look grezzo e diretto – camicioni da boscaioli e jeans”, capaci di questa “dichiarazione cult: ‘Veniamo dal Trentino e siamo fieri di essere dei valligiani!”. Si dice che volessero entrare negli studi televisivi con due casse di birra, ma “forse è una leggenda che però rinsalda la loro nomea di duri e puri del rock”. Anche qualche aspirante intellettuale ne rimane folgorato: la loro vicenda – scrive un lettore - “potrebbe addirittura dar luce alla marginale dimensione artistica trentina, a patto che la trentinità venga espressa come valore, come elemento distintivo dalla realtà massificata e non come immagine da commercializzare”. Il tutto accade nella trasmissione “X Factor”, la cui sigla iniziale sembra preludere, più che a un reality musicale, ad un grandioso evento cosmico. Dalla musica alla letteratura, ecco un nuovo mito sbocciare sotto i nostri occhi. “Dopo il successo dei Bastard Sons, ora il trionfo di ‘Rotte mutande’: che stia cambiando il Trentino?” si chiede il direttore dell’Adige Pierangelo Giovanetti. 48 “Rotte mutande” (il titolo furbetto va inteso, latinamente, come “percorsi da cambiare”), è il romanzo del giovane Pierluigi Tamanini, che proprio grazie a Facebook sta conoscendo un certo successo fra gli adolescenti, i quali scrivono al giornale parlandone in toni entusiastici: secondo Nicola, “Rotte mutande” descrive “con trasporto ed emozione l’animo della gioventù trentina... Qualcosa anche in Trentino si sta muovendo”. Insomma, questo libro “mi ha convinto a cambiare vita”. Giovanni contrappone la condivisibile ideologia che permea l’opera ai “demagogici valori ormai svuotati di ogni contenuto”. Quali? “Cooperazione, famiglia, fede, solidarietà, tutte istituzioni che sopravvivono grazie agli ingenti capitali elargiti per autoincensarle e perpetuarle, obsolete”. Ma diamo la parola all’autore, che così illustra la trama: “Jin è un giovane insoddisfatto della vita che conduce. Teme di consumare i suoi anni migliori in una monotona ed inutile routine. Lentamente precipita in un inferno artificiale fatto di alcool, sesso e solitudine. Scoprirà che solo cadendo ci si può rialzare. Cercherà la felicità in India, lontano da tutto e da tutti”; là potrà “riflettere, meditare sul significato della vita, sull’eterno dualismo tra spiritualità ed esperienza, tra l’accontentarsi e il ribellarsi”. Ed ecco i propositi del protagonista: “Sento che ho bisogno di sfogarmi, di cercare, di non rispettare le regole, di fare lo stupido, di sbagliare, di vivere alla giornata (...) Voglio vedere come è fatto il mondo. Voglio viaggiare. Voglio scoprire. Voglio volare. Voglio”. Non avendo letto le “Rotte mutande”, non possiamo esprimerci sul loro valore letterario. Non ci vediamo, però, molto di nuovo: smanie giovanili, sesso, alcool, droga, India... Toh, son tornati gli hippies di quarant’anni fa! Ne sentivamo il bisogno? Dobbiamo comunque riconoscere a Tamanini una notevole efficacia persuasiva: “Mentre lo leggevo – scrive Giusy - ho deciso di mollare tutto, il lavoro, l’università e il mio ragazzo per andare in India. Perché stare qui a penare in una vita senza senso, fatta solo di studio, casa e lavoro?” E il Tamanini, tutto contento: “Se lo scopo della mia vita d’artista era illuminare il cammino altrui, credo di aver centrato l’obiettivo” . Congratulazioni. febbraio 2009 Il fumo e l’arrosto gastronomia e affini Chiesa, non più tempio Adelio Vecchini Questa volta si recensisce la storia. Certo, con la “s” minuscola, di branca minore e futile impatto. Però storia, perchè il ristorante Chiesa per lungo tempo è stato riferimento gastronomico di Trento e provincia. Da alcuni lustri l’antico spirito s’era però assopito, e assopito era anche il menù con il risotto alle mele, inamovibile e quasi malinconico cimelio. Il cambio un paio di anni fa. Parola d’ordine: diversificare l’offerta ed aprirsi a più tasche. Ecco dunque un wine-bar, alcuni tavoli dove servire piatti espressi a prezzi ragionevoli e una sala gourmet per volare alti. Oggi parliamo di quest’ultima. Pavimenti verdi, divanetti platino e bicchieri per l’acqua turchese. Ambiente bello, ma forse troppo “studiato”. Giovani in cucina, capitanati dal capace Peter Brunel, e giovani anche in sala, ma con stile tanto impostato da risultare alle volte affettato. La cucina, creativa, utilizza ingredienti costosi (caviale, aragosta, piccione) che incidono notevolmente sui prezzi. Non tanto quelli della degustazione (55 euro sono legittimi), quanto piuttosto in carta, dove le portate sfondano spesso quota 25. Scusate, la rubrica finisce e non ho parlato di piatti. L’errore è però indotto. Le portate infatti, curate e ben cucinate, dicono pochino. Sono gradevoli, certo, e la materia prima è all’altezza, mancano però di personalità. I bocconcini di pollo fritto sono bocconcini di pollo fritto, e la crema di zucca con stracciatella abbina due ingredienti di qualità, ma che assieme non sanno essere piatto. La sensazione, insomma, è che il remake del Chiesa si sia basato troppo sul costruito e poco sul costrutto. [email protected] Ristorante Chiesa Trento, Parco San Marco Tel. 0461-238766 Chiuso la domenica e il lunedì a pranzo QUESTOTRENTINO Cime Tempestose Mattia Maistri Gemelli selvaggi, alias gemellaggi Il sindaco di Carlat, piccolo comune montano francese dell’Auvergne, ha chiesto al consiglio comunale di Vallarsa di siglare un gemellaggio. Nel comune di Vallarsa, infatti, esiste una frazione denominata Bruni, che, accompagnata al nome del paese francese, creerebbe un’assonanza con il nome e cognome della signora Sarkozy, Carla Bruni. Idea che ha già dato il via in Trentino ad un delirio toponomastico, diviso per area tematica. Dopo la citata categoria “ex modelle, ora first lady” hanno preso vita quella “stupefacenti e affini” (Loppio, Pera, Spini, val di Fumo con i “foresti” Erba e Riga), quella “umbri e nonesi anticlericali” (Don Bastardo) e quella “toscani e lagarini in astinenza forzata” (Massa Seghe). Ardito esperimento linguistico, invece, in Giudicarie, dove la pronuncia di Tione è stata inglesizzata in Taiuàn, nella vaga speranza di un proficuo gemellaggio con l’isola cinese. Piccolo dramma, infine, in Val di Fassa, dove la crudeltà delle vocali ha impedito a Moena e Pozza di realizzare la miglior combinazione possibile, quella in onore della compianta pornodiva. Attento che diventi cieco! Un venticinquenne trentino in cerca di brividi si divertiva a fare il giro del quartiere in macchina mentre si masturbava. La sua pratica è però stata interrotta da un’attenta signora, che dal quinto piano del suo condominio ha visto tutto e ha denunciato il ragazzo alla polizia. Complimenti alla strepitosa vista della signora: degna di chi certe cose non le ha proprio mai fatte. Categorie leghiste I locali di via Malvasia nel quartiere di San Martino a Trento utilizzati dalla comunità islamica come luogo di culto sono stati chiusi dal Comune poiché la loro destinazione d’uso è di tipo commerciale e non religiosa. Grandi i festeggiamenti in casa leghista. L’on. Fugatti, in particolare, ha attribuito alle numerose interrogazioni del suo partito il merito dell’operazione, gongolando soddisfatto: “Le regole sono uguali per tutti ed era ora che si intervenisse contro queste illegalità diffuse. Illegalità che sono tollerate per gli islamici e non per i trentini”. E chi è trentino e islamico è forse illegale per metà? Profondo sud Diminuito in media nel 2008 il numero degli assenti tra i dipendenti pubblici trentini. Al comune di Lavis le assenze per malattia sono addirittura scese del 52%. In controtendenza, invece, il Comune di Ala, dove le mancanze dal lavoro sono aumentate del 38%. Immediato il commento della Lega al riguardo: “I soliti teróni!” Silenzio, si studia! Che i bagni della biblioteca di via Roma a Trento a volte siano utilizzati in modo improprio, è una spiacevole realtà sotto gli occhi di tutti. Per farvi fronte il Comune ha deciso di intervenire con i vigili urbani, che hanno iniziato una ronda quotidiana non solo nei bagni ma anche nei corridoi e persino tra i tavoli delle aule studio. Interpellata da l’Adige, una bibliotecaria ha ammesso soddisfatta che da quando ci sono i vigili nelle sale c’è più silenzio. A quando le telecamere sopra i tavoli e le microspie nei libri? Problemi di lingua La stessa bibliotecaria ha detto poiche “gli utenti più problematici della biblioteca stanno al caldo vicino all’emeroteca, dove sfogliano giornali arabi”. Non sapevo che il mio amico Aziz, fedele lettore dei quotidiani in lingua araba in via Roma, avesse dei problemi. Che sia una questione d’alfabeto? Un caffè più dolce A partire dal nuovo anno, il gestore di due bar di Trento ha abbassato il prezzo del caffè a 70 centesimi (vedi l’Adige del 21 gennaio). Per sensibilità di fronte a una situazione economica difficile – dice lui. Sarà vero, e magari c’entra anche la concorrenza (tanto che, per sua stessa ammissione, il numero di caffè serviti ha avuto un forte incremento); resta il fatto che una tale decisione, pur di modesta rilevanza, è senz’altro lodevole. Non la pensa così Giorgio Buratti, presidente dell’Associazione dei pubblici servizi, secondo il quale “non bisognerebbe abbassare i prezzi, ma aumentare la qualità del servizio”. In concreto cosa si potrebbe offrire in più al cliente di un bar: la Jacuzzi nel cesso o una tazzina d’oro massiccio? 49 piesse Andar per Castelli Tersite Rossi L’intervista (im)possibile A seguito dello strepitoso successo televisivo della band trentina “The bastard sons of Dioniso” (BSD) al reality show “X Factor”, siamo andati sulle tracce del vero padre dei tre componenti del gruppo: Dioniso, il dio greco dell’ebbrezza. E lo abbiamo intervistato. Andrea Castelli Noi, “biodiversi” Mi ricordo di quando i trentini dicevano dei terroni. Con superiorità, col tono di chi la sa lunga. Però le carte ora si sono mischiate, confuse, succedono cose strane. Non si capisce più niente. È la pena del contrappasso. Adesso le discariche velenose ci sono anche da noi. Le lavatrici in fondo alle scarpate (in valli dai dépliant turistici patinati) ci sono sempre state, con corredo di vecchi pneumatici. Così come i crepacci vicini a certi rifugi di montagna, stipati di monnezza. Lo si sapeva. Ora c’è una nuova specie: trentini doc che, da luoghi ameni dove i rifiuti si pagano a peso, li ficcano di mattina presto nei cassonetti di città, come ladri al contrario. Siamo solo agli inizi, dilettanti sulla buona strada. Ricordo quando certi trentini dicevano dei terroni e delle raccomandazioni, ma anche da noi se conosci l’amico dell’amico del politico o del monsignore... molto meglio. È normale direbbe Mastro Mastella. Anche i trentini, se non sei del giro, ti tagliano fuori. Oh, sì che ricordo quanto ridevano i trentini se al sud nevicava e chiudevano le scuole: dio le risate, noi montanari, rotti a tutte le intemperie. Oggi ne bastano venti centimetri e pure da noi gli studenti restano al calduccio. Perché non mandarli a spalare “autogestiti”? Perché anche da noi ci sono genitori che minacciano i professori e professori che spacciano droga. Ricordo benissimo le gravi allusioni al sud, quando si parlava di “avvertimenti mafiosi”, ma se tagliano campi di viti o di meli da noi, per avvertire il sindaco, è tutta un’altra cosa. Non si è mai saputo cosa, ma un’altra cosa. Perché anche da noi chi parla di sistemi mafiosi viene ridicolizzato (ricordo una ex candidata sindaco...), dato che anche da noi se si parla di mafia o camorra -chissà perché- negano tutti. Non è omertà, sia ben chiaro, è ... biodiversità? Siamo un biotopo. Un ricco biotopo. Abbiamo albergatori che attaccano i meteorologi se dicono che da noi pioverà. Pensateci su. Non ci sono più le stagioni di una volta. 50 Entriamo subito nel vivo: ma lei è davvero il padre dei tre ragazzi del gruppo BSD? No sté ricordarmelo, ve prégo! È scominzià tut ‘na sera al’Isolotto de Ospedaletto, en Valsugana. Ero nà col Charlie e el Mingo, do me amìzi camionisti de Vicenza, a magnàr oseléti scampài e polenta. N’avèm magnà ‘na brènta e g’avèm bevù dréo sète-òto litri de vin. Ensòma, èrem onti che no ve dìgo. E poi cos’è successo? Ero così embriàc che me sòm més a far el mòna con ‘na vècia sgrébena. Ela la m’ha fat dó moìne de quéle giuste e l’ei nàda a finir che ghe són nà en del let ensèma! Nove mesi dopo me són trovà tre fiòi sul gropón e n’aségno de mantenimento da pù de mili euro al mes! Caspita. Immaginiamo che almeno ora sia orgoglioso dei suoi ragazzi... Per carità! Ma i’hat mai sentìdi cantàr? Non le sembra di essere ingeneroso? Il pubblico trentino li adora... I trentini i adorava anca el Malosini e el Grisenti. E dopo vàra che fìn che i’ha fat... A proposito di politica, abbiamo saputo che nel passato ha collaborato con alcuni assessori provinciali, in particolare Tiziano Mellarini. Dovèm far en pas endrìo. Diversi ani fa ho trovà laóro come insegnante de enologia al’istituto de San Michel. Per en po’ me la sòn godùda, ma quando el dirigente el m’ha trovà en clàse embriàc cóla bòza en màn, i m’ha parà via. È stato a quel punto che ha incontrato l’assessore Mellarini. Pròpi così. Ne sèm conosùi a Ala, a ‘na festa campestre. Tra ‘n biciér de vìn e ‘na bira sèm deventài amìzi e, come l’ei come no l’ei, me sòn ritrovà tra’n déto e’n fàto “consulente provinciale per lo sviluppo enogastronomico”. Ensóma, ‘na bàza... Lavora ancora come consulente? Ho ciapà ‘na ciavàda anca lì. Dopo le elezión i sé trovai con en par de dirigenti che nèva en pensión e per no lasàrli a cà a far la mùfa, i l’ha riasùnti come consulenti. E mi sòn restà col cul per tèra. Peccato. Come occupa il suo tempo ora? Giro per piàza Dante, vàgo a zugàr ale carte al circolo anziani, bèvo qualche bicier coi amìzi. ‘Na vita de febbraio merda...2009 perché il NO 51 52