PRIMARIE DEL PD
Il peggior candidato
MARMOLADA
All’assalto della montagna
UNIVERSITà
Il grande sonno
febbraio 2009 ● n. 2 ● € 5,80
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Mensile di informazione e approfondimento - Anno XXX - n° 2
Poste Italiane S.p.A. Sped. in abb. post. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n°
46) art. 1, comma 1, CNS Trento - Taxe Perçue - ISSN 1917-8799. Contiene I.R.
con l’inserto DVD “Beata ignoranza”, film di Mattia Pelli e Luigi Pepe
Frutto
avvelenato?
In Val di Non esplode la questione fitofarmaci
1
Federazione Coop
2
editoriale
Che farà Dellai?
Piergiorgio Cattani
Che cosa farà da grande Lorenzo Dellai?
Questa è stata una domanda ricorrente
che ha accompagnato le tappe della sua
lunga ascesa politica fin da quando a
ventinove anni divenne il più giovane
sindaco di una città capoluogo di regione. Ora Dellai si appresta a compiere il
terzo mandato di Presidente della giunta
della Provincia di Trento. Quindici anni
possono bastare, dice lui. E noi siamo
d’accordo e gli crediamo. Reputiamo
una battuta invece la sua dichiarazione
secondo cui, alla fine del mandato nel
2013, il Nostro darà vita ad una “scuola di formazione politica”. L’obiettivo di
Dellai è Roma. Non vuole però andarci per sedere tra i banchi dei peones di
maggioranza o opposizione. Non vuole
ripetere l’epilogo del suo maestro Bruno
Kessler che, una volta diventato senatore, in Trentino perse la sua influenza
che non acquisì mai a livello nazionale.
Dellai vuole andare a Roma per contare. Diventare il nuovo De Gasperi? Non
esageriamo, però non bisogna mettere
limiti alla Provvidenza. Ministro sì, dirigente di partito pure. Già, ma di quale
partito?
A questo punto incrociamo le dichiarazioni dellaiane di queste ultime
settimane, parole che sono rimbalzate
sui quotidiani nazionali dando risalto a
uno dei pochi esponenti del centrosinistra vincitore di qualsivoglia tipo di
elezione tenuta negli ultimi mesi. Dellai si colloca tra i critici, se non i liquidatori del Partito Democratico. Alcuni
suoi ragionamenti intorno al PD sono
QUESTOTRENTINO
condivisibili: Dellai critica la fallita pretesa di Veltroni di rappresentare tutte le
forze alternative alla destra, la carenza
di una leadership forte, l’incapacità di
fare una vera sintesi tra le diverse culture politiche che hanno costituito il
partito. Su questo aspetto Dellai rimprovera al PD di non essere altro che
un partito socialista (qualcuno, come il
sindaco Chiamparino, ha detto: “Magari fosse così!”, ma non è questo il punto)
e di aver messo in un angolo la cultura
del popolarismo di cui lui si sente uno
degli eredi.
Dellai però va oltre, minando alla radice
la stessa ragion d’essere del PD, il nucleo
del progetto prodiano. “Si è dimostrata
eccessiva l’ambizione che lo muoveva:
fare la sintesi e rappresentare culture politiche diverse” afferma Dellai in un’intervista a La Stampa. Di qui la necessità di
costruire un nuovo centro degasperiano
con una connotazione più territoriale.
È il progetto di Enrico Letta e di Rutelli da attuare dopo le elezioni europee:
spaccare in due il Partito Democratico e
costituire nel tempo un rassemblement
centrista insieme con Casini. Intanto,
proprio alle europee, Dellai metterà in
scena il secondo atto del suo “laboratorio
politico” cominciato con le provinciali
di novembre. Il Presidente sponsorizzerà una lista territoriale con la Svp, apparentata con l’UDC(paradossalmente
Dellai appoggerà il Partito Popolare Europeo il cui riconosciuto leader in Italia
è Berlusconi).
Solo così, riproponendo uno schema
che vede alleati un centro a una sinistra socialista, si potrà in futuro battere
la destra. Può essere vero, ma in questa operazione si intravede un ritorno
all’indietro.
In tutte le sue peripezie Dellai è rimasto
sempre se stesso, cioè un democristiano che guarda a sinistra, come Moro e
come Degasperi. Solo che oggi sulla sua
strada non ci sono questi statisti, bensì
un Casini a braccetto con Totò Cuffaro,
un Rutelli insieme a un Buttiglione, un
Tarolli amico dell’ex governatore della
Banca d’Italia Fazio. In questo schema
il bipolarismo va superato per tornare
alla politica dei due forni del partito di
centro. Possibile? Forse. Auspicabile?
Probabilmente no. Anche perché non
è scritto da nessuna parte che questo
centro ondivago si allei con una sinistra esangue e non invece con una destra
postberlusconiana. Rinunciare
poi al sogno di una sintesi tra pensiero
politico cattolico e laico significa abdicare all’unico progetto capace di farci
superare le secche di un clericalismo di
ritorno.
Nonostante ciò Dellai, in Trentino
come a livello nazionale, continuerà il
suo progetto. Il PD di Pacher e Kessler
resterà a guardare, magari applaudendo al “nostro leader”?
3
la foto Nereo Pederzolli
1978: Villa Rendena, incontro con la popolazione per discutere dell’apertura di miniere per lo
sfruttamento dell’uranio. I rendeneri, dopo aver scagliato l’opuscolo “L’uranio in Val Rendena” contro il
presidente della Giunta provinciale Giorgio Grigolli, abbandonano la sala..
4
febbraio 2009
febbraio 2009
13
Il peggior candidato
Alessandro Andreatta: il responsabile del “marcio” in Comune
candidato a sindaco del PD
Ettore Paris
3 L’editoriale
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Che farà Dellai?
Piergiorgio Cattani
4 La foto
Nereo Pederzolli
7 Trentagiorni
8
Frutto avvelenato?
La questione fitofarmaci in val di Non
Marco Niro
18 L’intervista
Un volto nuovo per un PD in affanno.
Proprietà: Cooperativa a r.l. Altrotrentino,
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Stampa: Litografica Editrice Saturnia, Trento
20 Il grande sonno
Redazione: Carlo Dogheria (caporedattore)
Renato Ballardini, Mauro Bondi, Alberto
Brodesco, Luigi Casanova, Piergiorgio
Cattani, Roberto Devigili, Michele Guarda,
Nadia Ioriatti, Mattia Maistri, Marco Niro,
Ettore Paris, Mattia Pelli, Lorenzo Piccoli,
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mese. Il prossimo numero sarà
in edicola sabato 7 marzo 2009
Intervista a Maurizio Agostini
E. P.
L’apparente riflusso dell’Onda
Giulio Dalla Riva & Luca Facchini
22 Marmolada,
terra di conquista
Una famiglia all’assalto della montagna
Luigi Casanova
23 Tagli all’ecologia?
Allarme rientrato
Un decreto aveva messo in forse i risparmi fiscali per chi ristruttura. Poi...
Roberto Devigili
24 Riduzione dei rifiuti:
vent’anni dopo
28 Risiko
Il voltafaccia del Pacifico
Carlo Saccone
29 Il colore degli altri
Israele e i veleni
della guerra permanente
Mattia Pelli
30 Dal mondo
Bolivia:
una nuova Costituzione
Francesca Caprini
31 Lettera dal Sudtirolo
Un abisso d’incertezza
Alessandra Zendron
32 Pro Memoria
Giovani artisti a Rovereto
Fabrizio Rasera
34 Lettere e interventi
38 Monitor
45 Piesse
Ad Arco avevano tentato (inutilmente)
nel 1987. Adesso ci prova Trento
Chiara Turrini
25 Guerra a Gaza:
una tragedia umanitaria
Finita l’offensiva istaeliana,
si continua a morire
Pirous Fateh-Moghadami
La seconda parte dell’inchiesta sulla crisi economica in Trentino,
inizialmente prevista per questo numero, verrà pubblicata sul prossimo.
trentagiorni
Lia Beltrami:
una bella sorpresa
L’assessorato alla solidarietà internazionale e alla convivenza,
affidato da Lorenzo Dellai a Lia
Giovanazzi Beltrami, sembrava
un contentino dato dal presidente all’Udc e all’ala più cattolica e
conservatrice della coalizione,
una poltrona di giunta senza alcuna competenza di rilievo. Ma
in queste ultime settimane l’attivismo dell’assessore Beltrami ci
sorprende positivamente. Al di
là di alcune incertezze iniziali,
come sul caso piazza Dante, intorno al quale comunque se ne
sono sentite di tutti i colori, l’assessore dimostra di avere idee
molto chiare per quanto riguarda il rapporto con gli immigrati.
E di esprimerle senza peli sulla
lingua.
Ha cominciato il giorno dell’Epifania in Cattedrale prendendo
la parola per chiedere scusa agli
immigrati: si è rivolta direttamente a loro, a quelle persone
spesso invisibili ma che hanno
come noi gli stessi diritti e doveri scusandosi pubblicamente
e nome di tutti i trentini “per
tutte le volte che avete trovato porte chiuse, che avete avuto
difficoltà a trovare una casa o a
risolvere una pratica burocratica”. Un gesto simbolico, in un
contesto religioso più che politico, ma ugualmente importante, viste anche le scomposte
reazioni di un centro destra
privo di bussola. Rodolfo Borga,
tra i consiglieri più presentabili
dell’opposizione, si è sentito in
dovere di fare un’interrogazione
sulla vicenda con un linguaggio
tipicamente leghista che dipinge
i trentini sempre torteggiati a
discapito degli stranieri sempre
agevolati.
Ma l’assessore ha parlato con
molta chiarezza anche sulla
questione moschea, affermando
che gli immigrati di diversa religione hanno diritto ad un luogo
di culto. Lia Beltrami ha anche
sfatato un tabù, evidenziando
come nessuno si sorprenda del
fatto che i lefebvriani si incontrino dietro una saracinesca in
un garage. Speriamo che alle
parole seguano i fatti, ma dobbiamo segnalare come dall’assessore siano venute parole che
da tempo sentivamo il bisogno
che qualcuno dicesse. (p.g.c.)
Quando i controlli ambientali funzionano, e il
sindacato meno…
Nel numero scorso di QT ci eravamo soffermati sulle falle del
sistema di protezione ambientale
in Trentino, denunciando la situazione di depotenziamento di
cui è vittima, per precise volontà
politiche, l’Agenzia Provinciale
per la Protezione dell’Ambiente
(APPA). Infatti, al di là di alcune responsabilità pure gravi di
quest’ultima (gestione “leggera”
del caso Marter e soprattutto gestione scellerata del caso Europa
Steel, con l’APPA che inopinatamente svela ai vertici aziendali
il nome del delegato sindacale
della CGIL che aveva denunciato
un sospetto caso di inquinamento ambientale), il problema reale
è che l’Agenzia dispone solo di 9
ispettori (di cui uno part-time)
per effettuare controlli ambientali su tutto il territorio provinciale.
Tuttavia, il 15 gennaio 2009 è arrivata una sentenza del Tribunale di Rovereto che ci permette di
inquadrare le cose da prospettiva
un po’ diversa. La sentenza in
questione ha condannato il legale rappresentante delle distillerie
Cipriani di Chizzola (Ala) a 2
anni e 4 mesi per aver inquinato
gravemente e continuatamente
per anni le acque in cui venivano
scaricati i reflui di produzione
della fabbrica. Una vittoria non
solo per l’ambiente, ma anche
per l’APPA stessa, che nel 2006,
coi suoi tecnici, si era impegnata a fondo per portare alla luce
l’inquinamento causato dalle Cipriani. Non sappiamo se si tratta
di una vittoria anche per i sindacati, che - CGIL inclusa - quando
la fabbrica aveva cessato l’attività,
non avevano trovato di meglio
che lamentarsi con l’APPA e la
Provincia per i 35 posti di lavoro
che sfumavano. “Si produca, purché si lavori”: un motto stravecchio che un sindacato moderno,
oggi, dovrebbe saper sostituire
con un altro: “Si produca, purché
sia sostenibile”. (m.n.)
Le Distillerie Cipriani, Chizzola (Ala)
6
febbraio 2009
Tunnel del Brennero: si
parla sempre a senso
unico
Grande risalto ha avuto sulla
stampa locale a metà gennaio la
notizia del tentativo da parte del
Ministero delle Infrastrutture
di mettere i bastoni tra le ruote al progetto di finanziamento
del Tunnel del Brennero, che si
regge anche sui soldi (circa 500
milioni) che verrebbero stanziati
dall’Autobrennero per la megaopera.
Il ministro Altero Matteoli ha
infatti dato l’alt allo stanziamento da parte dell’A22, non compatibile con alcuni principi del
diritto pubblico. Ed ecco levarsi
sulle prime pagine dei nostri
quotidiani dubbi a nove colonne - certo legittimi - sul fatto che
quella del ministero sia in realtà
una manovra per mettere in difficoltà le “non allineate” Province
di Trento e Bolzano.
Ci sarebbe piaciuto che lo stesso
spazio, qualche settimana prima,
fosse stato concesso dai media
anche al corposo dossier prodotto a novembre 2008 dalle associazioni trentine che si battono
contro il Tunnel del Brennero.
Il documento (che è scaricabile sul sito www.ecceterra.org ed
in realtà è l’aggiornamento della
precedente edizione 2007) rileva l’insostenibilità economica,
ambientale e sociale dell’opera.
Oltre 200 pagine di analisi a supporto delle ragioni del no al Tunnel. Ragioni che però, da sempre,
non fanno presa sulla nostra
stampa locale. (m.n.)
Contro la crisi
E’ stata varata in questi giorni la
manovra provinciale anti-crisi.
Già nei numeri scorsi ci eravamo complimentati per la tempestività e la decisione con cui
QUESTOTRENTINO
l’esecutivo (leggi Dellai) si era
mosso, impostando fin dai tempi della campagna elettorale (i
cui esiti non erano scontati) una
serie di provvedimenti di vasta
portata, sottoposti al vaglio delle forze sociali (vedi “La crisi in
Trentino” nello scorso numero).
Adesso la manovra ha una struttura definita, e si possono dare
più compiuti giudizi di merito.
Si rivolge sostanzialmente verso
tre settori: gli investimenti pubblici, il sostegno ai redditi, il sostegno alle imprese.
Sul primo punto (gli investimenti pubblici che, secondo la lezione di Lord Keynes, dovrebbero
rimettere in moto l’economia, in
supplenza del crollo dell’attività
privata) “si segue un po’ quello
che stanno cercando di fare i Paesi che alla crisi reagiscono – ci
dice l’ex preside di Economia
Enrico Zaninotto, docente di
Gestione delle Imprese – E’ un
intervento senz’altro doveroso,
che diventa qualificante a seconda di dove quei soldi si mettono.
Si parla di tecnologie ambientali, innovazione ecc. Se sarà così,
sarà un’ottima cosa”. Insomma,
dietro l’angolo c’è sempre il timore che si spendano soldi in
nuove gallerie, o magari si contrabbandino per investimenti in
istruzione pretestuosi (e dannosi) spostamenti di edifici, come
per esempio quelli ventilati a
Trento, da via Barbacovi all’exItalcementi.
“Ci sono in effetti degli investimenti mirati a far crescere la green economy: contributi all’autotrasporto per la rottamazione dei
vecchi camion, quelli per le piccole aziende che si aggregano, o
per le impreseche investono in risparmio ed efficienza energetica.
- ci dice Andrea Grosselli della
Cgil – Manca invece un’indicazione chiara sui lavori pubblici
indirizzati all’edilizia sostenibile;
se ne parla in termini vaghi, bisognerà capire se la sostenibilità
delle costruzioni è o non è un’effettiva priorità”.
La parte più innovativa è co-
munque forse la seconda, il
sostegno ai redditi e al Welfare
visti non come peso, come dazio
da pagare per essere buoni, ma
invocati come volano dell’economia. “Ci si prende cura dei
lavoratori precari, altrimenti
senza alcuna protezione quando
perdono il lavoro - prosegue Zaninotto – e viene di fatto introdotto il reddito di cittadinanza,
principio nuovo in Italia”.
“C’è anche l’accantonamento di
15-20 milioni in un fondo di riserva, nel caso si dovessero aumentare i fondi per gli ammortizzatori sociali. E’ un segnale che
il tema è affrontato seriamente”
afferma Grosselli.
Infine la terza parte: il sostegno alle imprese, che passa attraverso facilitazioni al credito,
altrimenti di difficile accesso
con i chiari di luna che passano
le banche; ed incentivi diretti.
Quest’ultima è la parte più delicata. Le crisi infatti avrebbero
la funzione di rafforzare un sistema produttivo scremando le
aziende più deboli: una visione
darwiniana, se vogliamo, resa
però socialmente accettabile
dagli interventi a favore dei lavoratori, per cui non si sostengono le imprese decotte, ma se
ne aiutano i lavoratori a trovare
nuove collocazioni. Però sono
sempre cose politicamente ardue: lasciar morire un’impresa è
sempre una dura responsabilità.
“Gli incentivi diretti mi lasciano
perplesso. – afferma Zaninotto –
Comunque, al di là dei proclami,
in tutte le nazioni li stanno attivando; e questi della Provincia di
Trento rappresentano una quota
minima dell’insieme della manovra”. (e.p.)
7
Frutto
avvelenato?
Sempre più residenti in Val di Non manifestano il loro
disagio: “I fitofarmaci usati per le mele ci tolgono la
libertà di vivere”. Di fronte a documenti che provano
le irregolarità e gli eccessi nell’uso delle
sostanze chimiche, gli amministratori rispondono
timidamente. E i produttori fanno spallucce.
Marco Niro
8
Fotografia di Marco Parisi
febbraio 2009
L
e origini del loro legame si perdono indietro nei secoli. Fatte l’una
per l’altra. La mela e la Val di Non. Un territorio che, grazie a una
ideale combinazione di caratteristiche fisico-chimiche e climatiche,
offre ai suoi abitanti la possibilità di produrre mele di gran pregio. E
loro, gli abitanti, questa possibilità non se la sono lasciata sfuggire.
Tutt’altro.
Oggi in Val di Non, su poco meno di 40 mila residenti (l’8% della popolazione
trentina), oltre 2700 sono i coltivatori iscritti all’albo provinciale delle imprese
agricole (il 31% degli iscritti trentini). Uno ogni 14 abitanti. Un dato senza paragoni rispetto al resto del Trentino, dove la media è di uno ogni 58. E di quei 2700,
il 90% coltiva mele.
Il binomio tra mela e valle è forte, fortissimo, pressoché indissolubile all’apparenza.
All’apparenza. Già, perché da un certo momento di questa storia, diciamo all’incirca dagli anni Settanta, qualcosa si è rotto, nell’idillio tra le mele e gli abitanti
della valle. O almeno alcuni di loro.
Proprio quando la coltivazione della mela iniziava a soppiantare progressivamente tutte le altre, un problema cominciava a causare disagio. Un disagio che a
tratti si acutizzava, per poi tornare a covare sotto la cenere. Un disagio che proprio
oggi è tornato a farsi più forte che mai. Perché, da quando si è presentato, il problema che lo causa non è mai stato risolto.
Quel problema si chiama fitofarmaci.
Prigionieri in casa
“Faccio credere ai miei figli che sia un gioco: quando passeggio con loro e ci imbattiamo in un agricoltore che irrora, dico ai bambini di chiudere la bocca e di correr
via da lì”. Francesca è insegnante e vive a Tuenno, in una delle tante abitazioni
del paese a stretto contatto coi campi di mele. Avverte il problema soprattutto da
quando è diventata mamma. “Prima il disagio era minore. Ma ora, con due bambini, è dura accettare di dover starsene chiusi in casa. A volte mi sento prigioniera. Ho
timore persino di stendere i panni sul poggiolo”.
“Spesso, d’estate, mentre mangiamo fuori in veranda, ci tocca tornarcene dentro di
corsa, col piatto in mano, perché arriva il coltivatore di turno a spargere veleni con
l’atomizzatore. In primavera arrivo ad averne attorno a casa anche otto contemporaneamente…”. Raffaella non ha figli, ma il disagio lo avverte lo stesso. “Ci stanno
togliendo la libertà in casa nostra. Viviamo con l’incubo che arrivi la primavera. È
assurdo”.
Campi. Mele. Veleni. Disagio. Una sequenza da incubo che negli ultimi tempi
ha cominciato a interessare un numero sempre maggiore di abitanti della bassa
Val di Non. Come spesso capita in certe situazioni, è bastato un passo affondato
con più decisione degli altri a provocare la valanga.
“Per molto tempo - confida Raffaella - io e mio marito abbiamo avuto la sensazione di essere gli unici a provare disagio. Ci chiedevamo come mai nessuno parlasse,
nessuno facesse niente. Poi ho visto quella lettera, e ho tirato un sospiro di sollievo”.
“La lettera al Sindaco ho deciso di scriverla dopo l’ennesimo caso in cui, denunciata l’infrazione al Comune, la denuncia non aveva il seguito che doveva”. L’autrice
della lettera è Francesca, il Comune quello di Tuenno. “Ho subito trovato una, due,
tre, fino a 30 persone disposte a firmarla”.
È l’aprile 2007. Nella lettera i firmatari chiedono al Sindaco di far rispettare l’ordinanza comunale che regola l’uso dei fitofarmaci, soprattutto riguardo al divieto
di usare gli atomizzatori a meno di 50 metri da case, orti, giardini.
QUESTOTRENTINO
9
Nel giro di pochi mesi, quelle 30 persone diventano 700. E firmano una nuova lettera, in cui questa volta
manifestano preoccupazioni e rimostranze direttamente
al Presidente della Provincia e agli Assessori provinciali
competenti.
E’ il settembre 2007: nasce così il Comitato per il Diritto
alla Salute in Val di Non. Per battersi contro l’uso irregolare
ed eccessivo dei fitofarmaci, visti come una fonte di rischio
per la salute, da limitare o eliminare in nome del “principio
di precauzione” (v. box nella pagina seguente).
Il Comitato non si limita a inviare lettere, ma inizia
anche a produrre documentazione. Viene avviata dagli
aderenti un’estesa azione di monitoraggio sull’uso dei fitofarmaci da parte degli agricoltori nonesi. In pochi giorni vengono fotografate centinaia di infrazioni alle varie
ordinanze comunali (ne pubblichiamo alcune in queste
pagine). Al tempo stesso si rileva, in apposito dossier prodotto nell’ottobre 2007, l’inefficacia dei controlli spettanti
ai Comuni.
L’infrazione che più preoccupa - chiaramente documentata dalle fotografie - è il mancato rispetto della distanza
minima dalle abitazioni a cui irrorare con l’atomizzatore.
La paura è che, a causa del cosiddetto “effetto-deriva”, le
varie sostanze chimiche usate dagli agricoltori finiscano
negli orti, nei giardini, sui poggioli. Forse anche dentro le
case.
Per levarsi ogni dubbio in proposito, il Comitato
commissiona analisi chimiche a laboratori accresono avvenuti una ventina
“Con due bambini è timi
ditati. Le indagini più significative sono due. Una
di giorni prima. Qualcuno del
viene condotta su una abitazione di Tres nell’arco dura dover starsene
Comitato propone di rinviare
di un anno, da settembre 2007 a settembre 2008.
i prelievi, ma alla fine si decichiusi in casa. Mi
L’altra viene condotta in più comuni della valle
de di rischiare. Spormaggiore,
nell’arco di un solo giorno, il 24 giugno 2008.
Flavon, Tuenno, Tassullo, Cles,
sento prigioniera.
Nell’abitazione di Tres vengono riscontrati resie Sfruz. Giardini, finestre,
Ho timore persino di Tres
dui di prodotti fitosanitari prelevati fino anche a 70
davanzali, poggioli, orti. Non
metri di distanza dai campi: nell’erba del giardino, stendere i panni”
solo abitazioni private: si fanno
sulla verdura dell’orto, nella polvere dei poggioli.
prelievi anche dalla siepe del
Persino in sala da pranzo. Per chi abita in quella
parco di una scuola materna
casa, non c’è libertà di vivere senza venire a contatto con le a Tassullo e dall’erba di un parco confinante con un asilo
sostanze chimiche usate dagli agricoltori.
nido a Cles. Il risultato lascia increduli i committenti delle
Ancor più rilevanti sono i risultati della seconda inda- analisi: dei 12 campioni analizzati, sono ben 10 quelli che
gine. La giornata del 24 giugno 2008 arriva dopo giorni di risultano contaminati dai principi attivi dei fitofarmaci.
pioggia prolungata, che ha dilavato suolo e vegetali e ha
impedito l’effettuazione dei trattamenti fitosanitari: gli ul- Richieste precise, risposte timide
Ciò che segue è storia recente. Sulla scorta di quanto documentato, il Comitato ha chiesto a voce ancor più alta che al
problema si trovi finalmente un rimedio. Gli amministraFitofarmaci in Trentino
tori a vario titolo coinvolti non hanno più potuto ignorare
la questione.
In Trentino, nel 2006, sono stati venduti 54,96 kg di sostanze attive
Promosso dal Distretto Sanitario Val di Non, è stato
contenute nei fitofarmaci (+6,79% sul 2005), gran parte delle quali di
costituito nel 2008 un gruppo di lavoro interistituzionasintesi chimica. Il dato è inferiore solo a quello del Sudtirolo (58,81). La
le incaricato di affrontare il problema tenendo conto del
terza regione, la Liguria, segue con ampio distacco (20,87). La media
nazionale è di 9,14 kg.
punto di vista di tutti i soggetti coinvolti. L’obiettivo princiSempre nel 2006, l’Agenzia Provinciale per la Protezione dell’Ambiente
pale è quello di arrivare alla definizione di un regolamento
ha cercato sostanze attive su 77 campioni di frutta e verdura (41 di origine
comprensoriale sull’uso dei fitofarmaci che sappia unifortrentina). Solo 29 sono stati trovati privi di residui. Tra i campioni trentini,
mare le regole, ora sparpagliate nelle numerose ordinanze
solo 13 su 41. Per un solo campione, tuttavia, il residuo superava il limite
dei singoli Comuni (una ventina), spesso anche molto didi legge. Dei 24 campioni di mele analizzati (tutti di origine trentina), solo
verse tra loro nei contenuti.
5 sono risultati privi di residui. Anche se in nessun caso sopra i limiti di
Le richieste del Comitato sono precise. La più incisiva
legge, in 4 campioni sono state rilevate 3 sostanze, in 6 2, negli altri 9 una.
prevede di vietare l’uso dell’atomizzatore a meno di 100
Situazione migliore per quanto riguarda le analisi delle acque: su 259
metri da abitazioni e campi adibiti a biologico. Sul lato dei
campioni trentini analizzati nel 2006, solo 9 recavano tracce di residui, il
3,5% (contro una media nazionale del 20,4%).
10
febbraio 2009
Precauzione, principio calpestato
Il Comitato per il Diritto alla Salute in Val di Non ha documentato le
irregolarità nell’uso degli atomizzatori per l’irrorazione dei fitofarmaci
con numerose foto scattate nelle stagioni 2007 e 2008. Nella pagina a
fianco, nella foto in alto l’uso avviene nei pressi di una struttura sportiva;
in quella sotto, nelle vicinanze delle abitazioni. In qeusta pagina, nella
foto in alto l’agricoltore usa l’atomizzatore a pochi metri da una strada;
in quella sotto, a pochi metri da un balcone.
controlli, il Comitato propone di renderli più sistematici e
severi, e chiede che ne vengano svolti a campione almeno
10 per ogni trattamento. Si richiede inoltre di inasprire le
sanzioni ai trasgressori, rilevando come il coltivatore rischi
3.000 € di multa se non usa i fitofarmaci quando vengono prescritti dal quaderno di campagna, e solo 500 €, nel
peggiore dei casi, se li usa contravvenendo alle ordinanze
comunali. In Val di Non, osserva il Comitato, un melo vale
oggi più di una persona.
Queste richieste verranno accolte? Abbiamo interpellato in proposito alcuni degli amministratori coinvolti: i Sindaci di Tuenno e Nanno, l’Assessore all’ambiente di Cles e
il Presidente del Comprensorio. Nessuno di loro ha potuto
negare che vengano commesse infrazioni alle ordinanze,
ma tutti le imputano a una esigua minoranza di coltivatori. Ci è sembrato che per gli amministratori siano già
sufficienti le regole contenute oggi nelle varie ordinanze, e
che non sia necessario renderle tanto più stringenti: i 100
metri di distanza chiesti dal Comitato sono considerati eccessivi. E in ogni caso, ci è stato detto, non si può ridurre
tutto a una questione di metri. Piuttosto, si deve puntare a
rafforzare i controlli. Ma nemmeno in tal caso si concorda
con le indicazioni del Comitato: chi, tra gli interpellati, si
è sbilanciato ci ha detto di puntare a un controllo al mese.
Segno che oggi non si arriva nemmeno a quello. E le sanzioni? Sono considerate l’extrema ratio: “Meglio puntare
sull’educazione e la sensibilizzazione degli agricoltori”. Che
QUESTOTRENTINO
“Se è ancora valido il principio di precauzione certi fitofarmaci andrebbero
banditi senza perdere altro tempo”. Lo sostiene Livio Dolzani, medico di base
noneso e membro del Comitato per il Diritto alla Salute in Val di Non.
Il principio di precauzione, adottato dall’Unione Europea, prevede
l’eliminazione della fonte del rischio nei casi in cui si evidenzino effetti
negativi sull’ambiente o sulla salute degli esseri umani, degli animali e
delle piante, ma i dati disponibili non consentano una valutazione completa
del rischio stesso. Il rischio legato all’esposizione ad alcuni principi attivi
contenuti nei fitofarmaci di sintesi rientra in questa tipologia di situazione.
Per fare solo l’esempio più eclatante, il clorpirifos, principio attivo trovato in
3 dei 12 campioni fatti analizzare dal Comitato con l’indagine del 24 giugno
2008, è messo da alcuni studi in correlazione con casi di microcefalia o di
malformazioni dell’apparato genitale, soprattutto nei bambini.
“Per determinati principi attivi come il clorpirifos - aggiunge Roberto
Cappelletti dell’Associazione Medici per l’Ambiente - ci sono già tutti i
presupposti di applicabilità del principio di precauzione. La posizione di APOT
in proposito è quella degli struzzi”.
L’Azienda Sanitaria ha avviato da poco uno studio sull’esposizione dei
residenti nonesi proprio al clorpirifos. Verranno effettuate analisi su
campioni prelevati all’interno delle abitazioni e sui campioni d’urina di 25
persone tra i 20 e i 60 anni residenti nei comuni di Cles, Tuenno, Nanno e
Tassullo. I risultati si conosceranno a giugno. “Uno studio epidemiologico già
effettuato su scala provinciale lo scroso anno dall’Azienda Sanitaria - ci dice
l’Assessore Provinciale alla Salute Ugo Rossi - non ha evidenziato particolari
problemi di salute connessi con il vivere in aree agricole, Val di Non inclusa.
Ciononostante, con questo nuovo studio specifico, vogliamo dare un segnale
di attenzione alle richieste espresse dal Comitato”.
Che però ha già provveduto a criticare l’impostazione dello studio: “Ci si
concentra - osserva Dolzani - su una sola sostanza, senza tener conto che è il
multiresiduo ad essere indiziato come causa dei danni maggiori. E soprattutto
non si includono i bambini, ovvero la fascia potenzialmente più esposta. Non
mi stupirei se alla fine l’esito portasse a concludere che non c’è nulla di cui
preoccuparsi”.
però, evidentemente, fino ad ora non sono bastate.
Il Comitato, poi, non si limita alle richieste di interventi immediati alle amministrazioni locali. Si rivolge anche
alla Provincia, per interventi di medio periodo. La petizione inviata a Dellai nel settembre 2007 - nel frattempo
re-inviatagli sottoscritta da altre 300 persone - chiede uno
studio aggiornato sullo stato dell’ambiente in Val di Non,
con riferimento agli impatti dei fitofarmaci; uno studio
aggiornato sullo stato di salute della popolazione nonesa
esposta, con riferimento alle patologie legate all’uso dei
fitofarmaci, soprattutto quelle che colpiscono i bambini;
una distribuzione dei finanziamenti che premi ben più di
quanto accada oggi le aziende agricole che non impiegano
sostanze chimiche.
La Provincia ha parzialmente risposto alle richieste di
monitoraggio ambientale e sanitario con la Delibera di
Giunta 1154 del 2008, che ha definito un piano di controllo
pubblico sugli usi e gli impatti dei fitofarmaci nelle zone
di maggior uso. E’ stato poi affidato di recente all’Azienda
Sanitaria uno studio sanitario specifico per la Val di Non,
del quale però il Comitato ha già messo in discussione l’impostazione (v. box in questa pagina). Di maggiori incentivi
all’agricoltura biologica, invece, per ora non se ne parla.
“I residui nelle case? Accettabili…”
Sembra in ogni caso evidente che l’azione amministrativa,
da sola, non possa bastare a risolvere il problema. Servireb11
be la collaborazione da parte degli agricoltori. E agricoltori, in Val di Non, significa Melinda.
Costituito nel 1989, il consorzio Melinda associa 16
cooperative, per un totale di 5200 soci coltivatori. La produzione annua è pari a circa 300.000 tonnellate di mele: il
60% della produzione trentina, il 10% di quella nazionale
e il 5% di quella europea. Con un fatturato 2007 di oltre
187 milioni di € (ossia 73 centesimi per ogni kg prodotto), Melinda conferma di essere una potenza del settore.
Per la quale ora un piccolo Comitato di cittadini rischia di
diventare un problema serio, come nella storia di Davide
contro Golia.
Abbiamo provato a interpellare il direttore generale di
Melinda, Luca Granata, che però ha declinato l’intervista
“girandoci” al direttore di APOT - l’associazione dei produttori ortofrutticoli trentini della quale Melinda fa parte
- “persona ben più qualificata di me a rilasciare interviste
su un tema di così elevata specificità tecnica”. Granata ha
voluto comunque puntualizzare: “Il regolamento del nostro
consorzio prevede sanzioni anche molto pesanti in caso di
mancato rispetto del protocollo disciplinare per la produzione integrata”.
Come si legge sul sito web di Melinda, “le tecniche di
produzione integrata sono finalizzate alla drastica riduzione dei trattamenti chimici e alla sostituzione di questi con
ritmi biologici naturali”. Peccato che anche riguardo al protocollo per la lotta integrata il Comitato non abbia mancato di rilevare e documentare, come per le ordinanze comunali, numerose infrazioni: scarsa salvaguardia di muri a
secco, arbusti e cespugli; raro impiego di varietà resistenti
alla ticchiolatura (una delle più gravi malattie del melo) e
del metodo della confusione sessuale (tecnica naturale di
difesa dagli insetti); uso non conforme degli erbicidi.
Abbiamo seguito il suggerimento di Granata, interpellando in proposito il direttore di APOT, Alessandro Dalpiaz. Il quale rispedisce al mittente le accuse che riguardano il mancato rispetto del disciplinare per la lotta integrata,
sostenendo che le regole previste dal disciplinare sono osservate dalla stragrande maggioranza degli agricoltori.
Nonostante la lotta integrata, però, i residui dei principi
attivi arrivano fin dentro le case, come rilevato dalle analisi
commissionate dal Comitato.
“La deriva è un fenomeno gestibile ma ineliminabile. Prove
condotte scientificamente da istituzioni specializzate dimostrano che i trattamenti eseguiti correttamente in condizioni
normali consentono di ridurre di un 80% la deriva anche a
soli 20 metri”.
Sì, ma i residui trovati dalle analisi del Comitato non sono
un’invenzione...
“Il residuo eventualmente rilevato, quando entro i limiti di
legge, è da ritenere più che accettabile per la popolazione.
Il residuo massimo ammesso è infatti un limite legale che,
anche se superato, non determina rischi particolari per la
salute”.
Su questo la comunità scientifica non è affatto concorde:
ci sono medici che, in nome del principio di precauzione,
chiedono di non usare affatto sostanze che contengono determinati principi attivi, tra cui alcuni di quelli trovati nelle
analisi del Comitato.
“Le sostanze attive impiegate dagli agricoltori in Val di Non
sono quelle autorizzate dall’Autorità Europea per la Sicurez12
La chimica in agricoltura?
“Una follia termodinamica”
“Una follia termodinamica”. Lo dice a
proposito della chimica in agricoltura
Il prof. Enzo Tiezzi
Enzo Tiezzi, professore ordinario di
Chimica fisica all’Università di Siena,
autore di una ventina di libri tradotti in numerose lingue
(l’ultimo e più importante è “La soglia della sostenibilità”,
Donzelli 2007). “I fitofarmaci sono come la droga: più ne
uso, più me ne servono. E il terreno coltivato in maniera
intensiva si impoverisce sempre di più”.
Con la sua équipe, il professore ha di recente calcolato,
con uno studio all’avanguardia, quanti ettari di terreno
servono per produrre una bottiglia di vino tradizionale
e quanti per una di vino biologico: 14 nel primo caso,
metà nel secondo. Quegli ettari si chiamano “impronta
ecologica”. “Possiamo calcolarla anche per le mele spiega il professore - e se qualcuno, magari la Provincia
di Trento, mettesse a disposizione i fondi, lo faremmo
ben volentieri. Il risultato non sarebbe tanto diverso da
quanto rilevato per il vino. Questo perché l’agricoltura
biologica, al contrario di quello che si pensa, dà prodotti
meno costosi, perché nel complesso utilizza meno
risorse. Solo che la mentalità industrialista affermatasi
in agricoltura e la scarsa cultura del consumatore medio
fanno sì che i prezzi dei prodotti sullo scaffale non
riflettano affatto questa situazione, ma anzi la ribaltino”.
Sul punto la posizione di APOT è chiara, e molto
diversa: “APOT - c’informa il suo direttore - non
condivide le iniziative tendenti ad incoraggiare il
passaggio al biologico come tecnica risolutiva dei
problemi ambientali e di salubrità del prodotto”.
I produttori di mele bio, in Trentino e in particolare in
Val di Non, restano così una esigua minoranza. Ma poco
più a nord, in Sudtirolo, i “grandi” della produzione
di mele si comportano in tutt’altro modo: Bio Südtirol
produce ogni anno 20mila tonnellate di mele, e anche
Bio Val Venosta nel 2008 è arrivata alla stessa quota
(+21% sul 2007). A quando il salto anche per Melinda?
za Alimentare, dalla Direzione Generale del Consumatore
della Commissione Europea e dal Ministero per la Salute
italiano. APOT non può che ritenere corrette le valutazioni
fatte dalle istituzioni preposte”.
Le posizioni delle parti in campo, come si vede, sono
parecchio distanti. Come ci ha detto il dottor Livio Dolzani, medico di base in Val di Non e membro del Comitato
per il Diritto alla Salute, “da parte non solo degli agricoltori
ma addirittura delle istituzioni sanitarie il problema legato all’impatto dei fitofarmaci sui residenti è tuttora negato.
Fino a che ci sarà questo atteggiamento, sarà difficile uscire
dall’impasse”.
E fino a che non si uscirà dall’impasse, Francesca, Raffaella e centinaia di altre persone come loro continueranno
a scegliere di restare chiuse in casa, a convivere col loro
disagio. E questo, al di là di ogni altra considerazione, non
è certo un gran risultato. Per nessuno. ●
[email protected]
febbraio 2009
Il peggior
candidato
Il responsabile del “marcio” in Comune candidato a Sindaco del PD.
Quando la politica se ne infischia dei risultati e bada solo alle alleanze
interne. Per fortuna sembrano all’opera alcuni anticorpi.
Ettore Paris
E
così il PD, dopo un percorso travagliato, per la carica di
sindaco di Trento ha scelto
il suo candidato: Alessandro
Andreatta, vicesindaco con Pacher ed
assessore all’Urbanistica. La cosa non
sorprende, visti i precedenti e il clima nel
maggior partito trentino. Eppure ci scandalizza. Perché, se c’è un amministratore
che ha particolarmente demeritato, è stato proprio Andreatta.
Durante i nove anni del suo assessorato brani interi di città sono visibilmente peggiorati. Come abbiamo
documentato nelle nostre inchieste sul
“marcio in Comune” e come hanno certificato diverse sentenze della giustizia
amministrativa, questo è avvenuto non
a seguito di processi oscuri o incontrastabili, ma grazie alla fattiva opera degli
QUESTOTRENTINO
Uffici comunali, che nascondevano nei
cassetti le normative, non verificavano
i progetti, autorizzavano tutta una serie di imbrogli. Andreatta ha avallato e
coperto, finché ha potuto, queste prassi.
Non solo: tutta la sua attività è stata improntata alla costante ricerca del favore
all’immobiliarista di turno, naturalmente a scapito della vivibilità urbana. Da
qui i “mostri” come quello del Cernidor
o il “muro” della Cavit. O ancora altri
pasticci, come il caso Auto In (che solo
distratti commentatori possono liquidare come inesistente perché il tribunale ha assolto Andreatta dalla balzana
accusa di truffa; quando il caso non era
giudiziario, di truffa a un cittadino, ma
politico, di pessima gestione del territorio e degli interessi pubblici).
Quando non ha favorito i grandi inte-
ressi, ha avviato (peraltro in accordo con
le scalcinate opposizioni di centrodestra)
una politica di stimolo ai piccoli interessi
clientelari (vedi la variante per i privati),
naturalmente a scapito della vivibilità
complessiva. E’ stato inflessibile invece,
quando erano in gioco gli interessi pubblici, o dei diseredati: per quanto pressato
dalla legislazione provinciale, non ha individuato alcuna area per nuove costruzioni Itea, ogni area proposta aveva qualche difetto, era sempre in cerca dell’area
perfetta, ovviamente non trovandola mai;
mentre per far costruire i privati si faceva
di tutto. Con un’ovvia conclusione: l’Itea
gli appartamenti dovrà comprarli dagli
immobiliaristi. E quando, recentemente,
l’assessore provinciale all’edilizia pubblica Ugo Rossi (Patt) ha posto un termine
ai Comuni recalcitranti a trovare le aree,
13
Fotocopia della delibera con cui la Regione
stabilisce l’indennità a Margherita Cogo.
Nell’immagine a lato l’originale, con l’indicazione
della somma di 28.040 euro; in quella sottostante,
la copia inoltrata dalla Cogo ai Ds, con la cifra, da
lei circolettata, ridotta a 8.040 euro, a seguito della
sparizione del 2.
subito Andreatta si è posto a capofila dei
sindaci che si stracciano le vesti, in nome
dell’autonomia dei Comuni e del ritornello “non c’è abbastanza tempo”.
Di un tale individuo si decanta “la sensibilità verso il sociale”. Ma per favore!
Come si è potuti arrivare a una tale candidatura, non solo pessima, ma anche
debole (i cittadini non sono allocchi)? Il
punto di fondo è che nella vita interna
del PD (come in genere negli altri partiti) i meriti o demeriti amministrativi
valgono zero. Quel che conta sono le
alleanze interne, le cordate, chi hai appoggiato e chi hai invece contrastato.
Su questi temi ci sono fior di riunioni,
mentre per valutare l’attività di governo
non c’è mai tempo, in quanto non c’è interesse. Così nessuno ha mai detto una
parola sull’attività di Margherita Cogo
alla Cultura provinciale; o su quella di
Lucia Maestri (anche lei candidata a sindaco, poi ritirata) alla Cultura cittadina;
e Remo Andreolli è stato – meritatamente - silurato alle scorse elezioni non
per la sua gestione della Sanità, di cui a
nel partito ben poco ci si curava, ma per
la sua gestione autocratica del partito
stesso, di cui era segretario.
E’ in forza di queste dinamiche che è
14
Il caso Cogo:
documentazione
fasulla per non
pagare le quote
al partito; che la
premia nominandola
assessore.
avanzata una candidatura altrimenti improponibile come quella di Andreatta.
Perché, in un partito che se ne impippa
di quello che fanno gli amministratori, un assessore pessimo vale come uno
buono; e Andreatta, che da vicesindaco
di Pacher è automaticamente diventato
sindaco reggente quando questi è passato
in Provincia, è diventato il “candidato naturale”. Sostenuto “naturalmente” da Pacher, che in un siluramento del suo vice
vedeva una sconfessione di se stesso. Ed
appoggiato, per inerzia, dagli altri maggiorenti.
A dire il vero, c’erano delle candidature alternative. Una delle quali fortissima,
il difensore civico Donata Borgonovo
che, popolare in città e provincia per le
sue denunce delle distorsioni della politica, sicuramente avrebbe vinto in carrozza primarie ed elezioni. Ma era una
candidatura fuori dagli schemi, osteggiata da Dellai: i maggiorenti del PD le
hanno creato il vuoto intorno, un clima
di ostilità implicita, finché la Borgonovo,
fiutata l’aria, si ritirava. Entrava in campo
allora Nicola Salvati, che da consigliere
comunale aveva denunciato le nefandezze urbanistiche di Andreatta; subito
Pacher reagiva, invitandolo attraverso un
articolo di giornale a “fare un passo indietro” (ma che primarie sono quelle in cui
è il segretario del partito ad ammettere i
concorrenti?), e il resto del PD lo trattava
con condiscendenza, da vecchio pazzo,
anche se lui, in un giorno, raccoglieva a
proprio sostegno 600 firme, di cittadini
stomacati dall’urbanistica di Andreatta
e dalle manfrine partitocratiche. E così
il PD arrivava, segando i candidati non
ortodossi, con un proprio candidato unico alle primarie di coalizione, che gli altri
partiti avevano finalmente accettato.
A completare il quadro c’è il caso Margherita Cogo. Sulla consigliera noi abbiamo espresso pesanti dubbi, quando
da assessora provinciale alla Cultura non
solo espletava in maniera discutibile il
suo compito, ma affidava con troppa disinvoltura incarichi agli amici. In questi
giorni sono riemerse le documentazioni
di una vicenda di alcuni anni or sono,
che qui rendiamo pubbliche. Si tratta
delle dichiarazioni rese dai consiglieri
DS sugli emolumenti ricevuti, sui quali
il partito opera delle trattenute. Siccome
il tesoriere dei DS aveva delle perplessità
febbraio 2009
Claudio Bortolotti
sulla dichiarazione della Cogo, l’assessora faxava al partito la delibera della Regione sulla corresponsione dell’indennità di fine mandato. Solo che la delibera
autentica (vedi foto) indica un valore di
28.040 euro, quella inviata ai DS dall’Assessorato alla Cultura, un valore di 8.040
euro: un 2 si è perso per strada, al suo
posto c’è uno spazio bianco. Ovviamente la Cogo voleva pagare la trattenuta
sugli 8.000 euro, non sui 28.000.
Al partito però si accorgevano dell’inghippo e investivano del caso il Consiglio
dei Garanti. Lei, una settimana prima
della riunione, provvedeva, con confuse
giustificazioni, a saldare quanto effettivamente dovuto, e i Garanti, pur “stigmatizzando la vicenda... ed esprimendo
forti dubbi e perplessità” chiudevano la
partita.
Contenti i DS, contenti tutti. Ma è il
caso di nominare ancora assessore, cioè
affidare le casse pubbliche, a una persona
che si comporta in questa maniera?
Abbiamo presentato quest’insieme di fatti e valutazioni a diverse personalità del
Partito Democratico. Anzitutto al nuovo
segretario Maurizio Agostini, che ci risponde in un’intervista a pagina 18.
Gli altri interlocutori – in particolare
i consiglieri provinciali Sara Ferrari, Bruno Dorigatti e Mattia Civico - difendono
debolmente Andreatta, di cui non si sognano di sposare la politica urbanistica,
ma ritengono che essa, anche e soprattutto per le (nostre) denunce, sia cambiata,
come dimostrerebbe la revisione degli
indici di edificabilità in collina (che di
fatto ha accolto molti dei nostri rilievi,
ma che Andreatta ha stiracchiato e non
ha ancora fatto definitivamente approva-
QUESTOTRENTINO
re). D’altra parte Andreatta avrebbe una
“sensibilità sociale” che, se non si riscontra nel permettere l’edilizia popolare, si
vedrebbe riflessa nell’operato complessivo della Giunta Pacher, nella disponibilità alle microaree per i nomadi, nell’ostilità ai rovinosi maxi-progetti provinciali
di trasferimento delle scuole superiori
all’ex-Italcementi (un favore di Dellai alla
cooperazione e all’amico Schelfi, aggiungiamo noi).
Sulla Cogo il discorso non verte sui
fatti contestati. C’è una sorta di scurdammoce ’o passato in favore di una valutazione positiva del presente: “A differenza
della scorsa legislatura, siamo un gruppo
unito, che propone, che ha iniziato a incidere. Margherita Cogo, in questo contesto,
sta svolgendo un ruolo positivo”.
Intanto la politica va avanti: la debolezza della candidatura Andreatta ha dato
spazio ad altre candidature, soprattutto a
quella di Claudio Bortolotti, inizialmente proposto da Dellai, ma poi distaccatosi
dall’ingombrante anche se autorevole
sponsorizzazione. L’ingegnere della Provincia, una vita professionale al servizio
dell’ente pubblico, tra risultati positivi e
altri più discutibili, efficiente e decisionista, storicamente vicino alla sinistra e al
sindacato ma non troppo, è una candidatura forte. Che ha attratto personalità
dello stesso PD, a iniziare da Dorigatti, la
Chiodi, Ianeselli.
In parallelo la nuova segreteria di
Agostini si guarda bene dal fare muro
attorno al candidato di partito, e anzi teorizza la massima apertura.
Vedremo se questi fatti saranno i sintomi di un’inversione di tendenza, rispetto a una politica che ormai ci sembrava
molto vicina al fondo. ●
15
Le “inchieste”
dell’assessore
Alessandro Andreatta e il “marcio”
al Comune di Trento
E
ra il novembre 2006, oltre due anni fa, quando presentavamo
il caso di un progetto di un edificio, approvato dal Comune di
Trento, in cui il piano quotato (l’elaborato che serve ad indicare
le quote e l’andamento del terreno) era – incredibilmente – senza
quote, ovviamente obbligatorie per legge. E spiegavamo come questo inghippo avesse permesso al disinvolto progettista di barare sulle altezze e
costruire un piano in più. La cosa grave, però, non era tanto la deontologia
professionale (su questo ci siamo messi il cuore in pace, sappiamo già, ormai da una pluralità di casi, che l’Ordine degli Architetti, di tematiche del
genere se ne impippa), quanto l’operato degli Uffici Comunali, che avevano
allegramente approvato il progetto. Una cosa inaudita, gravissima. Perché
delle due l’una: o gli uffici il progetto non lo avevano neanche guardato,
oppure erano complici.
All’allora assessore all’urbanistica Alessandro Andreatta, che oggi vorrebbe fare il sindaco, avevamo proposto il problema, sia attraverso queste
colonne, sia a voce, in un pubblico dibattito. Andreatta, che sulla stampa e
in consiglio comunale aveva sempre difeso a spada tratta l’operato dei suoi
Uffici, nel dibattito sull’argomento stette zitto; per poi dirci, a quattr’occhi:
“Sul caso sto svolgendo non una, ma due distinte inchieste. Sarebbe un caso
troppo grave”. Da allora sono passati due anni, le “inchieste” di Andreatta,
dove sono finite?
Per aggiornare la memoria al candidato sindaco, riportiamo un altro caso,
dedotto dalle cronache giudiziarie. Siamo nel 2001, sempre assessore all’urbanistica Alessandro Andreatta. L’oggetto del contendere è un condominio
in via Marsala, costruito, secondo i confinanti, al di fuori delle norme, e con
un’altezza eccessiva. Anche qui il punto di partenza dell’inghippo è il piano
La tabella sulle quote del terreno redatta dal geom. Saltori. Si noti come i quotato. Leggiamo cosa ne dice il Consulente Tecnico d’Ufficio (CTU) ing.
punti degli spigoli dell’edificio abbiano tutti, inspiegabilmente, la stessa
Giovanni Dolzani nella perizia commissionatagli dal Tribunale: “Il rilievo
quota al decimo di millimetro.
dello stato di fatto è del tutto privo di quote… le curve di livello mancano di
Sopra: l’edificio ultimato in via Marsala.
quotatura… le altre tavole progettuali non contengono indicazioni sull’andamento del profilo originario del terreno”. Conclusione: “La documentazione
in atti non consente di ricostruire il profilo del terreno originario”. E grazie a
questo inghippo si può fare un po’ quello che si vuole.
Commenta il consulente di parte ing. Ettore Bonetti: “Il progetto è stato approvato dal Comune di Trento pur con queste lacune di
una gravità inaudita (sottolineatura nel testo, n.d.r.) che è difficile ritenere frutto di omissioni dovute a distrazioni. Tutti i tecnici sanno
che il Comune pretende che in ogni progetto sia presente il rilievo quotato del terreno in una apposita planimetria e che sulle sezioni sia
riportato, con linea tratteggiata, il profilo di detto terreno. Questa doppia “anomalia” – del progetto presentato con gravi lacune e della
sua approvazione - avrebbe richiesto, a mio avviso, un’indagine conoscitiva presso i competenti Uffici comunali e presso il progettista
dell’opera”. Indagine che nessuno ha svolto. Al Comune di Trento si lavora così.
Ma non è finita. Al Comune spetta il compito, ad inizio lavori, di rilevare le quote del terreno in corrispondenza degli spigoli del
fabbricato da costruire. Il tecnico incaricato, geom. Marco Saltori, firma il rilievo in data 3 luglio 2001, sei mesi dopo l’effettivo inizio
lavori. Come fa a rilevare il terreno preesistente, dopo che l’impresa ha già iniziato a far lavorare le ruspe? Vogliamo pensare che la
data di presentazione sia posteriore al rilievo, effettuato prima dell’inizio lavori. Ma ecco un’altra anomalia: le quote sono irrealistiche, strampalate, tutte uguali, al decimo di millimetro (alleghiamo la fotocopia della tabella di Saltori), neanche il terreno fosse
piano e liscio come un biliardo, mentre, come sa chiunque sia passato da quelle parti, da via Marsala in dentro è discesa. Insomma il
Comune non solo approva progetti senza quote, ma quando deve quotare lui, fornisce cifre di pura fantasia, non frutto di rilievi, ma
di grotteschi “aggiustamenti” successivi.
Questo l’andazzo, il “marcio in comune”. Che dobbiamo aspettarci dall’assessore responsabile, ora sindaco reggente? Più volte avvertito di cosa sta avvenendo, ha sempre negato tutto, e ha ancora da concludere le sue “inchieste”. E’ proprio il caso di affidargli la città?
16
febbraio 2009
PUBBLICITA’
UPT (via mail da Plus
Communication)
QUESTOTRENTINO
17
l’intervista
Un volto nuovo
per un PD in affanno
Intervista al nuovo segretario Maurizio Agostini
Ettore Paris
18
febbraio 2009
A
Maurizio Agostini, medico, un passato da dirigente delle Acli, il PD trentino si è rivolto
come ad un salvagente. Squassato dalle polemiche interne, compromesso da un’immagine
nazionale declinante; fiaccato da un segretario (Alberto
Pacher) tanto popolare all’esterno quanto discusso all’interno, perché debole e Dellai-dipendente, frequentato da
troppa gente che vede la politica come una carriera per
la quale è bene farsi, dentro il partito, degli amici da spalleggiare a prescindere, e dei nemici/concorrenti da ostacolare: in queste condizioni il primo partito del Trentino
stava rapidamente perdendo appeal, anche presso quella
che è la sua vera ricchezza, una base ampia, che accorre
alle primarie, che ha visto nel nuovo partito una speranza di rinnovamento della politica. E’ a questo punto che
il PD, per sostituire il dimissionario Pacher, ha deciso di
rivolgersi ad Agostini: persona limpida, appassionato di
politica nel senso più nobile del termine, fuori dai giochi
e dagli schieramenti, era l’unico che poteva ragionevolmente pensare di rimettere in carreggiata un partito altrimenti allo sbando.
Con lui, amico per“C’è chi dice che
sonale da tanti anni e
lettore di QT dal primo
il PD vince se vince
numero, possiamo parAndreatta, e perde
lare chiaro, capendoci al
se vince Bortolotti.
volo.
No, il PD vince
comunque, anzi ha
già vinto, perché
le primarie si fanno,
e senza preclusioni”
Il PD è gestito soprattutto da persone che vedono la politica come
una carriera, un’occasione di avanzamento
sociale. In queste condizioni il merito delle
cose interessa molto poco...
Il PD nasce anche per affrontare questo problema: rinnovare la politica creando ampi ambiti di dibattito, tra la
gente ad inquadrare i problemi spiccioli in quelli generali,
quelli contingenti in una visione del futuro. In quest’ottica
va strutturata la nostra presenza; e da qui emergerà personale nuovo, come cultura e come nomi.
QUESTOTRENTINO
Questo rischia di essere un bel pensierino e poco più.
Certo, non so se questo nostro sforzo avrà successo. Ma
io sono entrato nel PD per questo, e per questo sono ora
segretario. E la nostra base questo ci chiede, esige. Ieri a
Piedicastello ci hanno bombardati di domande pepate sulle candidature, sulle primarie...
Appunto, i candidati: designati in base agli appoggi
personalistici, o al massimo a considerazioni elettoralistiche. Mai in base a valutazioni sul loro operato
nelle istituzioni.
Intanto le primarie si fanno, e non era per niente scontato, sembrava che nessuno dei nostri alleati le volesse. E
poi sono veramente aperte, non c’è ordine di segreteria né
compattamento; i candidati sono candidati di tutti.
Sì, dopo che avete segato le candidature irrituali,
come Donata Borgonovo o Nicola Salvati...
L’iter con cui siamo arrivati a questo punto è certamente
perfettibile; e senz’altro dovremo assolutamente iniziare a
fare un lavoro di valutazione dell’attività di governo. Però
Borgonovo e Maestri, per quanto ne so, non hanno subito
pressioni, avranno sentito che non c’era un clima propizio.
Con Salvati è diverso: lui chiedeva soprattutto un impegno
su alcuni punti, che sono nel programma di Andreatta.
Ma è stato il segretario Pacher ad esortarlo pubblicamente a ritirarsi! Che primarie sono quelle in cui il segretario decide lui chi si deve presentare e chi no?
Pacher non ha proibito, ha invitato. Poi, il merito del
contendere: l’urbanistica. Leggo QT, le vostre inchieste sul
“marcio in comune”. Io penso che oggi si veda la città, il
territorio, in maniera diversa da quanto si faceva anni fa,
c’è più attenzione al paesaggio, all’architettura, all’impatto
sociale. E questo anche per merito di QT, di Salvati: con le
vostre denunce avete contribuito a far cambiare l’approccio. Dall’idea della città che deve svilupparsi senza limiti e
l’amministrazione essere di supporto all’attività edificatoria, all’idea di equilibrio, di compatibilità. Questo è stato
recepito nella variante sugli indici collinari, e su questo si
andrà avanti: su questo Andreatta c’è. Le vostre denunce le
abbiamo recepite.
Nulla è cambiato negli Uffici comunali, che sono
stati difesi ad oltranza.
Su temi così delicati come l’urbanistica, e in presenza di
19
Nell’ambito di una serie di iniziative volte alla
divulgazione delle idee e del sistema della Quarta Via
L’Associazione culturale La Teca organizza:
MATRIX
Ciclo di incontri sul film dei fratelli Wachowski
ispirato agli insegnamenti del maestro armeno
G.I. Gurdjieff
sabato 21 febbraio
sabato 28 febbraio
venerdì 6 marzo
ore 19.30
LaTeca - Trento, via S.Pio X, 93
(ingresso gratuito)
venerdì 3 sabato 4 e
domenica 5 aprile 2009
La Teca - Trento, via S.Pio X , 93
L’ENNEAGRAMMA
e gli enneatipi secondo Claudio Naranjo
Seminario teorico-pratico
tenuto dal prof. Lluis Serra, rettore della scuola
universitaria “Raimondo Lullo” di Barcellona
per informazioni e iscrizioni:
tel. 349/8716572
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20
interessi talmente forti, è bene ci sia una rotazione dei dirigenti responsabili. Non come sanzione per errori o omissioni, ma per un salutare
avvicendamento.
Bene. Ma il principale responsabile è l’assessore, cioè Andreatta.
Tutto il partito dà una valutazione positiva della persona, come integrità e disinteresse, e anche perché è protagonista di quella svolta in
urbanistica di cui ho parlato. Penso che l’eventuale errore di Andreatta
sia stata un’attenzione forse eccessiva (vedi Auto-In) ad aiutare i cittadini, a risolvere i loro problemi. Atteggiamento che in un settore così
delicato può essere male interpretato.
Il fatto è che quando un cittadino vuole aprire una finestra, si
trova tutti i regolamenti contro, ma quando il costruttore Dalle
Nogare vuole fare un affare miliardario, ecco che i regolamenti
vengono messi sotto i piedi. Gli Uffici e Andreatta sono forti
con i deboli e deboli con i forti. Si arrampicano sugli specchi a
favore degli immobiliaristi; ma per l’Itea nessuna area va mai
bene.
Tendiamo a non incrementare le aree edificabili, perché vogliamo
limitare lo sviluppo della città. Per l’Itea stiamo cercando una risposta
articolata, che preveda il riuso, l’utilizzo degli appartamenti sfitti...
Ma sono strumenti di difficile attuazione... Quelli di immediata operatività vengono riservati agli immobiliaristi. Sarebbe
questa la decantata “sensibilità sociale” della candidatura Andreatta?
Non credo sia così, questa mi sembra un po’ una caricatura. L’amministrazione Pacher, di cui Andreatta è stato il vicesindaco, ha fatto
un prezioso lavoro in campo sociale: basti pensare ai poli sociali, oggi
cinque: luoghi anche fisici di rilevazione ed assistenza coordinata per
varie situazioni di difficoltà, dal disagio psichico a quello familiare.
Passiamo al caso Cogo, che presenta al partito documenti fasulli,
e questo la nomina capogruppo e assessore (vedi nell’articolo precedente, n.d.r.).
C’è stata una valutazione fatta dal gruppo consiliare. E prima ancora dei giudizi degli organi di garanzia del partito, allora i DS. Non mi
sento di emettere ulteriori sentenze, non sono sinceramente in grado di
occuparmi del pregresso.
Contro Andreatta ora alle primarie corre Claudio Bortolotti.
C’è chi dice che il PD vince, se vince Andreatta, perde se vince Bortolotti. Invece no, il PD vince comunque, ha già vinto, perché le primarie si fanno, e si fanno con noi che non poniamo preclusioni: questo
è il nuovo modo di fare politica. Detto questo, il PD in maggioranza
sostiene Andreatta, anche perché sappiamo chi è, cosa pensa e cosa
farà sul piano politico generale. Il nostro progetto politico è diverso
da quello di alcune forze centriste, che vorrebbero ridurci, da forza
centrale, a gracile stampella di sinistra di una coalizione a forte caratterizzazione centrista, secondo uno schema su cui si lavora anche
a livello nazionale. Su questo punto Andreatta è una garanzia, altri
un’incognita.
Resta il tema di fondo, quello di un partito che non valuta il
proprio operato nelle istituzioni. Non gli interessa come governa...
Bisognerà mettere in piedi strumenti adeguati, che poi saranno i
luoghi della vita del partito, i circoli e i gruppi tematici. Poi, in occasione dei rinnovi elettorali, dovrà andare a regime un sistema in cui
si giudichino gli obiettivi raggiunti e l’operato delle persone. Gli eletti
dovranno sì avere un loro margine di autonomia, ma dovranno sentire
– ed è questo che dobbiamo costruire - il respiro di una partecipazione
forte della gente, che condiziona, spinge, giudica, le scelte. ●
febbraio 2009
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Il grande sonno
L’apparente riflusso dell’Onda e la discutibile attività
degli organismi rappresentativi degli studenti
Giulio Dalla Riva & Luca Facchini
M
entre scriviamo, in biblioteca, alcuni studenti
reclinano la testa sui libri,
e russano inquieti – forse
per il troppo caldo –, attentamente sorvegliati dai carabinieri (temono risvegli
nervosi?).
Uno dei molti errori che puntualmente compiono gli amministratori, i
politici, seguiti a ruota da molti giornalisti, è quello di ciarlare di giovani.
O, meglio, di ggiovani, con due g. Una
parola che – insieme a brainstorming,
mission (pronunciata “missio”), sicurezza, trentotrentinotrentina – riempie di
orgoglio e fatuità chi la pronuncia.
Non importa come, basta usarla: essendo scatole vuote in cui si può buttar
ciò che si vuole, queste parole si riempiono di banalità, retorica e paradossi.
I ggiovani sono, allora, “il nostro futuro”, restando però ragazzotti folkloristici ed impreparati; “portano cultura e
vita”, ma fan vite perse nello schiamazzo;
sono innocenti ed idealistici: nel farsi
22
strumentalizzare...
Bisognerebbe dirlo chiaro: i giovani,
i ggiovani, secondo tali definizioni, non
esistono. Esistono, piuttosto, i contenitori ai quali vengono destinati.
Uno di questi, creato dalla P.A.T., è il
TAUT – Tavolo delle Associazioni Universitarie Trentine, nato tre anni fa con
“lo scopo di creare una interazione attiva
ed efficiente fra le varie associazioni che
ne prendono parte, al fine di riuscire a
realizzare in modo sinergico dei progetti
comuni”. Trasformare soldi in cultura.
La sensazione - vorremmo sbagliarci - è che la sua genesi altro non fosse
che un grande spot. Si tratta dell’ingenua iniziativa di una amministrazione
vagamente disconnessa dalla realtà? O
della mossa strategica di vertici incentrati su altro? Come si pensava, si pensa, d’ottenere sinergia dalla semplice
giustapposizione di realtà con storie e
culture differenti, e visioni del mondo
poco conciliabili? Per ora non s’è capito,
e in questi tre anni le associazione parte-
cipanti sono parse più interessate a spartirsi i soldi di Mamma Provincia che a costruire
percorsi condivisi. Abbiamo
così assistito a vari viaggi per
l’Europa, messe di requiem
e ad iniziative anche valide
(nella prassi, frutto dell’impegno di singoli): in complesso,
molto torpore. In questi giorni
è stato eletto il nuovo direttivo
del TAUT: riusciranno i nostri
eroi a svegliare i commensali
intorpiditi? Lo sapremo nella
prossima puntata. O dopo la
pubblicità.
Altro contenitore, il Consiglio degli
Studenti: organo di coordinamento dei
rappresentanti degli studenti nell’università.
Che ruolo ha avuto il CdS in questo
caldo autunno di proteste? Nessuno. Fin
ad ora, certo. Molti studenti non sanno
nemmeno che esiste e quasi tutti non
hanno idea di cosa stia facendo. In
sintesi, per informare costoro: ha fatto
poco. Per una forte divergenza, di valori e di programma, fra le due liste più
rappresentate (Charta ’91, di sinistra,
e List One, tradizionalmente vicina
alle posizioni di Comunione e Liberazione), ha sempre partorito topolini:
dopo estenuanti battaglie, s’è sempre
proceduto, con estrema cautela e gusto
del compromesso, a non dire niente. A
parlare, magari, ma dicendo il meno
possibile. In fase di turnazione per le
recenti elezioni, è rimasto silenzioso
fino all’inaugurazione dell’anno accademico. Ora c’è un presidente fresco
di nomina: Davide Modé, unico rappresentante de La Rete all’interno del
Consiglio, attento al movimento, di sinistra, ma eletto con i voti di List One.
Riuscirà il nostro eroe a trasformare il
febbraio 2009
I G N BEA
O R TA
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ttia un film N Z A
Pell
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Luig
i Pe
pe
Ma
Con QT il film “Beata ignoranza”
L’ABC in immagini della protesta degli studenti”
suo sforzo di mediazione in un qualcosa
di più d’una flebile voce di compromesso? Anche per questo bisognerà attendere.
E come sta l’Onda? L’avevamo lasciata con la responsabilità di risvegliare il
mare di studenti dell’Ateneo, studenti in
larga parte sopiti. Il documentario realizzato da Mattia Pelli (una delle nostre
firme) e Luigi Pepe racconta di questo
autunno caldo, di come per un attimo,
e forse qualcosa di più, qualcuno si fosse destato dal grande sonno e avesse
suonato la sveglia anche agli altri. Il generale inverno, con la neve, il torpore,
gli esami, ha fiaccato le forze del movimento, ma la fiamma non s’è spenta del
tutto: in quel tripudio etnografico che
è l’inaugurazione dell’anno accademico - normalmente una lunga sfilata per
festeggiare in pompa magna la gerontocrazia di questo paese -, anche se non
invitata formalmente, l’Onda è entrata e
ha ribadito la sua volontà di aver voce in
capitolo, quando si parla di futuro degli
studenti.
Attenzione, però, a questo punto: fate
piano. Pensateci su, ma parlate sottovoce: come sempre, i ggiovani, quelli dei
politici, dormono.
O non esistono. ●
QUESTOTRENTINO
Il film “Beata ignoranza”, che avete
trovato in allegato a questo numero di
QT, è un tributo alla mobilitazione degli
studenti universitari, che anche in Trentino
sono riusciti a squarciare il velo di triste
conformismo che sembra essersi abbattuto
sul dibattito politico di questo Paese.
Una protesta interessante per il modo in
cui si è sviluppata: sulla base di un’attenta
analisi del ruolo dell’ateneo di Trento nel
contesto nazionale e dell’orientamento
datogli dal rettore Davide Bassi, e grazie ad
una partecipazione larga di studenti delle
più varie convinzioni, coinvolti grazie a
forme di lotta orizzontali.
Io e Luigi Pepe ci siamo incontrati alla
facoltà di Sociologia di Trento lo scorso
ottobre, entrambi con una videocamera in
mano, interessati alla forma che la lotta
degli studenti avrebbe assunto a Trento.
La decisione di lavorare insieme è venuta
naturale e naturale è stata l’adesione di
QT al progetto: così, forse per la prima
volta in Trentino, una rivista storica del
giornalismo locale esce con in allegato
un documentario che ha per soggetto una
vicenda svoltasi alle nostre latitudini.
Dentro l’ora e quaranta minuti di immagini
di “Beata ignoranza” c’è tantissima
passione e due diversi sguardi: quello
“cinematografico” di Luigi Pepe,
filmaker con base a Trento che frequenta
attualmente la scuola Zelig di Bolzano, e il
mio, di stampo più giornalistico.
Quello che interessava ad entrambi era
cogliere il nascere di una mobilitazione e
documentarne lo sviluppo dall’interno, da
consapevoli e solidali testimoni. Il nostro
film è dunque prima di tutto un progetto di
documentazione, grazie al quale potrete
vedere quello che difficilmente un Tg o
un giornale raccontano. Un progetto in
fieri che continuerà a svilupparsi su www.
vimeo.com/beataignoranza, il canale web
sul quale pubblicheremo periodicamente
contenuti che non sono stati inseriti nel
Dvd e che fungerà da punto di raccolta
per i contributi video di tutti coloro che
hanno partecipato agli eventi e desiderano
renderli pubblici.
La nostra scelta è stata quella di proporre
la maggiore quantità di materiale possibile
(in tutto il nostro girato ammontava a più
di 30 ore) da cui consegue la lunghezza
complessiva del film. Per questo “Beata
ignoranza” è un film “impegnativo”; una
ruvidezza che speriamo contribuiscano ad
attenuare la bella colonna sonora originale
e la sua struttura a capitoli.
Il documentario è stato infatti pensato fin
dall’inizio come un “ABC” della protesta,
composto da sette capitoli, ciascuno dei
quali illustra un aspetto particolare della
mobilitazione degli studenti che può essere
guardato autonomamente.
Dietro alle immagini che vedrete ci sono
moltissime ore di montaggio e l’abbozzo
di una scelta radicale: quella di produrre
un documentario con mezzi estremamente
modesti (due videocamere MiniDV
semiprofessionali; due postazioni di
montaggio) cercando di dare corpo alla
constatazione secondo la quale i nuovi
mezzi offerti dalla tecnologia possono
permettere la nascita di progetti di
videodocumentazione “dal basso”.
Avete dunque tra le mani un prodotto
artigianale (speriamo nel senso alto del
termine), nato grazie anche all’autorevole
appoggio della scuola di documentario
Zelig di Bolzano, dell’Arci del Trentino
e dell’Associazione Lxl, che insieme
a QT e all’impegno di Gianfranco de
Bertolini hanno messo a disposizione
le risorse necessarie alla stampa in
1.500 copie del film, al quale abbiamo
lavorato naturalmente a titolo totalmente
volontario.
Anche la scelta di distribuire “Beata
ignoranza” con licenza Creative Commons
non è casuale: il diritto d’autore – ne
siamo convinti – è spesso un ostacolo alla
circolazione creativa delle idee. Quindi
guardate, discutete e diffondete questo
Dvd, ma soprattutto fateci sapere cosa ne
pensate.
Mattia Pelli
23
Marmolada,
terra di conquista
La famiglia Vascellari all’assalto della montagna
Luigi Casanova
N
el versante bellunese della
Marmolada si programmano nuove speculazioni che in
prospettiva interessano anche
noi trentini.
Dopo il fallimento del Patto per la
Marmolada del 2003 (dovuto al boicottaggio dei comuni di Rocca Pietore e
Canazei) e dopo il fallimento della proposta di nuovo modello di sviluppo del
Museo delle scienze naturali di Trento
(causa il rinnovato disinteresse di Canazei), il gioco degli investimenti attorno
alla montagna è passato nel versante
bellunese, nella zona di Malga Ciapèla.
Nel febbraio del 2005 il Consiglio
Comunale di Rocca Pietore approvava a
maggioranza, in una sala gremita di carabinieri, la variante al Piano Regolatore
preparata da tecnici dell’imprenditore
Mario Vascellari, presidente della società funiviaria Tofane Marmolada.
La variante prevedeva la costruzione
di un enorme albergo completo di piscina, campo tennis, negozi, fitness, circondato da una serie di baite da trasformare in residence. Un paese, insomma,
con 86.000 mc. di cemento con oltre 270
posti letto.
In pochi mesi il progetto finiva
all’attenzione della Sovrintendenza dei
Beni Culturali di Venezia e lì si arenava, bocciato. Ma arrivano i soccorsi.
Grazie all’interessamento dei dirigenti
della Sovrintendenza, l’area geologica
ad alto rischio, che comprende appunto
il sito delle baite, viene trasformata da
rischio 4 in 1. A questo punto gli uffici
preposti alla tutela del territorio e della
sicurezza delle persone sono costretti a
rilasciare parere positivo. Nell’autunno
2005, grazie anche al sostegno della Provincia di Trento che autorizza il pilone
del terzo tronco su territorio trentino,
si concludono i lavori di rifacimento e
potenziamento della funivia. L’inchiesta
24
sul resort-wellness condotta dai servizi
forestali viene archiviata dalla Procura
di Belluno. Non ci sono più ostacoli e
prontamente nel dicembre 2008 il Consiglio comunale di Rocca rilascia le ultime autorizzazioni edilizie.
Si mobilita allora la stampa nazionale. Repubblica, l’8 gennaio, pubblica un
servizio che ha il merito di avviare importanti riflessioni sul destino qualitativo della montagna. Seguono gli interventi di diversi quotidiani del Triveneto.
Contemporaneamente Federalberghi
bellunese prende posizione, assieme agli
ambientalisti, contro il mega resort.
Le motivazioni sono semplici. La
struttura è sproporzionata rispetto alle
risorse umane ed economiche presenti
in Val Pettorina. Un simile insieme di
attività alberghiere e commerciali concentrate farebbero infatti sparire ogni
altra iniziativa economica autonoma
presente nella zona: artigianato locale,
commercio, alberghi famigliari... L’offerta turistica facente capo alle grandi
agenzie internazionali porterebbe vantaggio al solo impianto funiviario di
Vascellari, e riproporrebbe il modello
turistico francese oggi fallito.
Ma sono decenni, da quando con le
risorse della tragedia del Vajont è stata
costruita la funivia di Malga Ciapèla
(1967), che a dettare i destini sociali e
dell’economia di Rocca Pietore è Vascellari. A lui fanno riferimento l’indotto
del turismo, l’artigianato, l’edilizia locale... In questi quarant’anni la politica e le
amministrazioni non hanno mai trovato
un’alternativa, e anzi, non la si è proprio
voluta cercare.
Al di là dei danni paesaggistici e sociali irreversibili provocati dalla costruzione di un simile mostro, si apriranno
altre ovvie prospettive di assalto alla
montagna, e si guarderà verso il Trentino. Un simile albergo ha fame, ha bi-
sogno di riempire i posti letto. Anche la
grande funivia ha bisogno di passaggi.
Le normative europee pongono difficoltà nello strappare nuovi spazi sciabili sul
ghiacciaio verso Fedaia. Ed allora ci si
rivolgerà, in tempi brevi, al collegamento con passo San Pellegrino, violando la
selvaggia valle di Franzedas e il paradiso
degli sci alpinisti, Forca Rossa. Un collegamento atteso dal 1986.
Rocca Pietore si è chiusa in un vicolo
cieco: è un giocattolo in mano di un unico, cinico padrone che non solo si è impossessato della Regina delle Dolomiti,
ma ha tolto l’anima, la speranza ed ogni
spazio di autonomia alla popolazione
locale. ●
febbraio 2009
Tagli all’ecologia?
Allarme rientrato
Un decreto aveva messo in forse i risparmi fiscali per chi ristruttura
la casa secondo criteri di risparmio energetico. Poi...
Roberto Devigili
E’
stata accantonata la balzana idea di ridurre drasticamente i benefici fiscali
per i lavori edilizi destinati
al risparmio energetico. Il Senato, dopo
la Camera dei deputati, ha modificato
radicalmente il decreto legge con cui il
governo, col pretesto della crisi, aveva
dato un taglio quasi mortale agli incentivi. L’inversione ad U, più che per l’azione
dell’opposizione che si è sentita pochino, è avvenuta per la dura reazione della stampa specializzata e delle categorie
economiche interessate (artigiani). Infatti, anche il solitamente paludato Sole
24 Ore aveva denunciato il fatto. Oltre
800 lettori avevano commentato malamente le modifiche al bonus fiscale del
55% sul risparmio energetico e perfino il
TGR di Bolzano aveva raccolto la stizzita
reazione di un sudtirolese che, fidandosi
dei soliti “Talianei”, aveva ristrutturato
con regole ecologiche il maso. Inoltre,
commercialisti, imprenditori e cittadini avevano utilizzato il sito del giornale
economico per esprimere il proprio disagio sulla nuova normativa. Fino all’annunciato cambio di rotta del ministro
Tremonti, che ha dapprima fatto una retromarcia parziale poi, con la legge approvata definitivamente in questi giorni,
ha alzato bandiera bianca. In sostanza,
salvo spiacevoli sorprese di futuri decreti, l’unica novità rispetto al recente passato consiste in un certo irrigidimento
del sistema degli sgravi fiscali: 5 anni per
scaricare le spese anziché, come prima,
la scelta di farlo in 3 o 10.
Ricostruiamo i fatti. Col decreto legge
185/2008 (quindi, subito efficace) gli interventi sul risparmio energetico erano
stati fortemente limitati rendendo più
difficile usufruire della detrazione fiscale del 55%. Per godere dell’agevolazione si sarebbe dovuto inviare un’istanza
QUESTOTRENTINO
all’Agenzia delle Entrate che sarebbe sta- settore che ha registrato negli ultimi due
ta accolta solo in presenza di sufficienti anni investimenti pari a 3,3 miliardi di
fondi in bilancio. Prima del decreto, in- euro, con oltre 230.000 domande per rivece, i soli limiti previsti consistevano in strutturazioni di edifici con attenzione al
un tetto massimo di spesa ammissibile risparmio energetico. Si calcola che per
e in un elenco di interventi tecnici am- le famiglie che abbiano affrontato i lavomessi al bonus; insomma, bastava che ri di adeguamento degli edifici secondo
le spese fossero destinate al risparmio standard previsti dell’Europa ci sia stato
energetico e supportate dalla relativa un risparmio di energia pari a 500.000
MWh e la mancata immissione nell’aria
documentazione.
Con la norma contestata, per pannelli di oltre 2000 tonnellate di anidride carsolari, impianti di riscaldamento, pareti bonica. E ancora, secondo la CNA, il goe cappotti isolanti, pavimenti e copertu- verno potrebbe incassare nei prossimi
re, finestre e riqualificazione energetica due anni – grazie alla normativa ora ridegli edifici, gli stanziamenti statali era- pristinata - un gettito fiscale di circa 2,1
miliardi a fronte di un esborno stati fissati in 82,7
so di 1,9 miliardi. “In Italia
milioni di euro per le In due anni,
- notavano gli artigiani - si
detrazioni del 2008,
sta sviluppando un sistema di
185,9 per il 2009 e 2000 tonnellate
aziende specializzate che ora
314,8 per il 2010. Una in meno di
conta 5.000 piccole imprese e
miseria, considerando
che solo nel 2008 sono anidride carbonica oltre 200.000 occupati, tutti
potenzialmente a rischio se
stati eseguiti interven- immessa
saltano gli sgravi”. Sul sito del
ti per 3,3 miliardi di
Sole 24 Ore sono state divereuro, con un bonus nell’atmosfera.
se le testimonianze di privati
atteso di 1,8 miliardi,
e che nel 2007, primo anno della detra- e imprenditori che hanno raccontato di
zione del 55%, i milioni di detrazione grossi investimenti fatti e del timore di
sono stati 825. Col decreto, invece, per non ottenere alcun rimborso. O di peril biennio 2009/2010, si erano messi a sone che in seguito al taglio hanno camdisposizione poco più di 500 milioni, biato programma: “Senza la detrazione
con una riduzione di risorse, rispetto al del 55% non credo che affronterò i 15.000
biennio precedente, di oltre 2 miliardi di euro di spesa che avevo in mente per la
mia casa” - spiega un privato.
sconti fiscali.
La decisione di penalizzare il comIl provvedimento aveva creato un
vero e proprio panico tra chi aveva pia- parto delle energie rinnovabili, per
nificato i lavori e all’Enea (l’ente dele- molti strategico e in grado di rilanciare
gato a valutare la documentazione dal l’economia, era sembrato incomprensipunto di vista tecnico) erano pervenute bile anche alla ministra dell’Ambiente,
una valanga di comunicazioni nella spe- Prestigiacomo, che aveva manifestato
ranza di non cadere sotto il maglio del la propria contrarietà. Alcuni degli innuovo provvedimento. Contro il decre- tervenuti sul sito del Sole 24 Ore aveto legge si erano mosse le associazioni vano sottolineato anche il rischio che il
dei consumatori, ma anche dalla CNA provvedimento tornasse ad alimentare il
(artigiani) si erano levate proteste, per- sommerso, che grazie anche agli incenché la norma avrebbe messo a rischio un tivi fiscali era in parte emerso. ●
25
Riduzione dei rifiuti:
vent’anni dopo
Ad Arco avevano tentato inutilmente nel lontano
1987: adesso ci prova il Comune di Trento
Chiara Turrini
L
a gestione sostenibile dei rifiuti
oggi sembra diventata una necessità. Ma solo fino a qualche anno
fa non era così, pur con le dovute eccezioni. Come quella del Comune
di Arco. Correva l’anno 1987 quando la
Giunta approvò un’ordinanza che vietava
agli esercizi l’uso di borse in plastica non
biodegradabile e la vendita di bevande in
bottiglie di plastica. A quei tempi eliminare le borse di plastica e minimizzare
gli imballaggi voleva dire più o meno
costruire una cattedrale nel deserto o
essere considerati degli utopisti. Infatti
nel giro di sei mesi la “battaglia contro
la plastica”, come la chiamò la stampa di
allora, fu persa: l’opposizione dei commercianti, ricorsi al Tar, polverizzò sogni verdi e all’avanguardia - forse troppo
all’avanguardia - della Giunta Ioppi. La
Storia però pare oggi dare ragione a chi,
nell ‘87, ci aveva creduto per primo.
Anche il Comune capoluogo ha infatti iniziato a muoversi con decisione sulla
strada della riduzione dei rifiuti, imitando proprio l’esempio arcense del 1987.
Il Comune di Trento ha infatti deciso di
promuovere gli “eco acquisti”, per dire
no alle borse di plastica e ridurre gli imballaggi non riciclabili. Si è partiti dalle
farmacie, comunali e non, con un esperimento da riproporre poi su larga scala,
che prevede la sostituzione dei normali
sacchetti in plastica con altri in carta o
in bioplastica, che possano essere recuperati nella raccolta differenziata dell’organico, d’ora in poi recuperato attraverso
il sistema “porta a porta”.
Proprio l’introduzione della raccolta
casa per casa innescherà un processo più
ampio, secondo Silvio Fedrizzi, ingegnere comunale responsabile del progetto.
La tassa basata sulla produzione di rifiuti domestici si rifletterà sul modo di
comprare e di consumare dei cittadini.
Fedrizzi ricorda che la Coca Cola ha ri-
26
dotto in cinque anni lo spessore di lattine e bottiglie per pagare meno tasse sul
volume degli imballaggi, e negli uffici di
via Ghiaie si calcola che la stessa motivazione economica spingerà la popolazione a ridurre i propri rifiuti.
Con l’avvio del porta a porta a pieno
regime si guarda poi alla grande distribuzione. Oltre che sulla sensibilizzazione di addetti ai lavori e consumatori e
sull’introduzione di shoppers eco-compatibili, si punta anche all’introduzione
di cassette per ortaggi smontabili e riutilizzabili. Non solo: nei negozi ci saranno angoli appositi dedicati ai prodotti a
basso impatto ambientale, come detersivi alla spina e pannolini lavabili.
Anche le grandi catene di elettronica
dovranno adeguarsi al risparmio energetico per gli schermi, le luci e i monitor
costantemente accesi. “La crisi economica
di oggi – afferma l’assessore all’ambiente
di Trento, Aldo Pompermaier – può tornare utile per sensibilizzare e frenare un
consumo illimitato di risorse limitate”.
Decrescita felice dunque? Non proprio.
In fondo, specialmente per la grande
distribuzione, è anche e soprattutto una
questione di marketing. I commercianti infatti, diversamente da quelli arcensi
che nell’87 erano insorti, sono concordi
nel puntare su strategie amiche dell’ambiente, magari sperando in un ritorno
in termini di immagine. Al momento
esistono solo alcune perplessità nei confronti di prodotti acquistati già imballati,
in quanto, rilevano gli esercenti, non si
possono togliere o ridurre gli imballaggi
ai prodotti che li prevedono per legge.
L’ente comunale stesso ha deciso di
dare il buon esempio, avviando un sistema di “Acquisti pubblici verdi”. Altrimenti chiamato “Green Public Procurement”
(GPP), questo strumento implica per un
ente pubblico l’attenzione, in fase d’ac-
quisto, nei confronti di prodotti e servizi con un ridotto impatto sull’ambiente
nell’intero ciclo di vita, dalle materie
prime allo smaltimento. Ciò implica, fra
l’altro, l’adozione negli uffici pubblici di
carta riciclata e la riduzione al minimo
di rifiuti cartacei, grazie anche a rassegne stampa e buste paga online, stampa
fronte retro, e così via. La strada da fare è
ancora molta, ma da via Ghiaie assicurano che ci stanno lavorando, grazie all’avvio di un tavolo di lavoro apposito.
Siamo quindi arrivati, nel 2009, a
comprendere la necessità di pensare
concretamente a un binomio sviluppoecologia? Stando alle azioni del Comune di Trento si potrebbe dire di sì. Con
grande soddisfazione degli avveniristici
arcensi dell’87, che oggi possono dire:
“Ve l’avevamo detto”. ●
febbraio 2009
Guerra a Gaza:
una tragedia umanitaria
Finita l’offensiva israeliana, si arresta la conta delle
vittime, ma nella striscia si continuerà a morire
Pirous Fateh-Moghadam
U
n modo di discutere di Gaza
è partire dalla lettura dei dati
messi a disposizione dall’Organizzazione Mondiale della
Sanità (OMS, www.who.int). Il numero di palestinesi deceduti a causa del
conflitto dal 27 dicembre al 18 gennaio
(stima del 20 gennaio, data del più recente aggiornamento) è di circa 1.300
persone di cui 410 bambini e 104 donne. Circa 5.300 persone sono state ferite
di cui 1.855 bambini e 795 donne. Molti
dei feriti avranno bisogno di cure a lungo termine. Circa 46.000 persone non
hanno più un tetto e vivono in rifugi di
emergenza. Sono stati uccisi complessivamente 16 operatori sanitari mentre
svolgevano il loro lavoro e 22 sono stati
feriti. Dal cessate il fuoco, tutto il personale sanitario lavora in due turni di 12
ore in condizioni di lavoro rese difficilissime anche dai gravi danni che hanno
riportato gli ospedali e altre strutture
sanitarie a causa dei bombardamenti (34
strutture sanitarie, 8 ospedali e 26 centri
di assistenza sono stati danneggiati o distrutti). Degli 8 ospedali 2 sono tuttora
fuori servizio; molte delle strutture sanitarie sono state bombardate a più riprese. Durante il conflitto l’OMS e l’ONU
QUESTOTRENTINO
(bombardata
anch’essa
ripetutamente) sono state
costrette a ricordare, senza
sortire alcun effetto, che gli
attacchi rivolti contro civili,
contro personale e strutture sanitarie rappresentano
gravi violazioni delle leggi
internazionali umanitarie
e dei diritti umani.
E’ importante sottolineare che gli effetti della
guerra sulla salute non si
arrestano con il cessate il
fuoco. Anzi, solitamente
i morti e feriti per effetti
indiretti delle guerre rappresentano un multiplo
di quelli provocati dagli effetti diretti.
Tra i meccanismi indiretti più importanti sono da ricordare la distruzione o
il danneggiamento del sistema idrico e
di smaltimento dei liquami, delle centrali elettriche, degli alimenti (l’impianto più grande di produzione di farina
e altre industrie alimentari, magazzini
di viveri e terreni agricoli di Gaza sono
stati distrutti), delle scuole, del tessuto
produttivo e delle strutture del servizio
sanitario. Inoltre gli ordigni non esplosi continueranno a minacciare la vita
civile anche nel futuro, per non parlare
dei danni psicologici subiti da migliaia
di persone. Quello che invece si arresta
con il cessate il fuoco è la conta dei morti
associati alla guerra e quindi la possibilità di rendersi conto della vera entità dei
danni a salute ed ambiente attribuibili al
conflitto.
Da parte israeliana sono state uccisi 4 civili e 9 militari (di cui una parte da “fuoco amico”).
Questi dati parlano chiaro: lo squilibrio delle forze in campo tra attaccati ed
attaccanti era talmente abissale da produrre la quasi totalità delle perdite nel
campo degli attaccati. L’uso della parola
“guerra” in questo contesto risulta persino fuori luogo. Si è trattato di una strage
a danno quasi esclusivo della popolazione civile palestinese con gravi e ripetute
violazioni delle più elementari norme
umanitarie.
In questa situazione è diventato quindi purtroppo necessario ribadire che
nulla, nulla può giustificare l’uccisione
di massa di civili, la punizione collettiva, la tortura, la condanna a morte senza
regolare processo, il bombardamento di
strutture sanitarie, di ambulanze, l’uccisione di medici o giornalisti.
Infine in questa fase in cui molte risorse vengono mobilitate a livello internazionale per aiuti umanitari e per
la ricostruzione di Gaza è importante
aggiungere un’ulteriore riflessione. La
causa remota alla base dell’attuale crisi
umanitaria è rappresentato dall’occupazione illegittima dei territori palestinesi
da parte di Israele. La richiesta di porre
fine a questa occupazione deve essere un
punto sull’agenda di chi veramente vuole
aiutare investendo in un cambiamento e
non nella ricostruzione delle inaccettabili condizioni di partenza. Altrimenti,
come fanno osservare alcune ONG svedesi (tra cui il centro Olof Palme) in una
lettera al proprio governo, gli aiuti umanitari rischiano alla lunga di perpetrare
l’occupazione servendo ad Israele per
continuare ad evadere le proprie responsabilità. ●
Pirous Fateh-Moghadam è medico e lavora
presso l’Azienda sanitaria di Trento. Nell’ambito dell’OISG, l’Osservatorio Italiano sulla
Salute Globale (www.saluteglobale.it) si occupa dello studio degli effetti dei conflitti armati
su salute ed ambiente. E’ coautore del terzo
rapporto dell’OISG intitolato “Salute globale e
aiuti allo sviluppo: Diritti, ideologie, inganni”,
appena pubblicato dalle edizioni ETS.
27
risiko
Il voltafaccia del Pacifico
Giappone, Corea, Cina: due amici fidati - e un nemico ininfluente degli Stati Uniti stanno diventando concorrenti pericolosi
Carlo Saccone
D
opo la caduta del muro di Berlino, si pontificò sulla “fine della
storia” e del mondo bipolare:
ormai era rimasto un polo unico, l’impero americano. Sappiamo come questa
illusione sia durata appena un decennio,
quello degli anni ’90, e come già l’alba del XXI secolo abbia mostrato uno
scenario in evoluzione. Ci sono i paesi
emergenti del cosiddetto BRIC (Brasile,
Russia, India, Cina), che segnalano una
evidente trasformazione del sistema geopolitico in direzione multipolare. Ma
la vera evoluzione epocale è nell’area del
Pacifico. Giappone e Corea, la vecchia e
la nuova tigre asiatica, hanno compiuto
in politica estera un passo che rivoluziona lo scacchiere internazionale.
A Fukuoka, in Giappone, il 13 dicembre ha avuto luogo il primo vertice
trilaterale tra Cina, Corea e lo stesso
Giappone (Paesi sinora divisi da sospetti
reciproci e vecchi rancori) che, stringendo un accordo strategico, fanno emergere l’area del Pacifico come il nuovo
protagonista dello scenario geopolitico.
Quello che si è rivelato è anche uno storico voltafaccia. Il Giappone e la Corea
erano usciti da due guerre, rispettivamente la II Guerra Mondiale e la guerra
di Corea (anni ’50), consegnandosi alla
tutela politico-militare americana senza
condizioni. Tutta la loro politica estera
nella seconda metà del ‘900 è spiegabile
in termini di sostanziale fedele allineamento alle direttive del gran tutore d’Oltreoceano. Il commercio estero giapponese e, più tardi, quello coreano, fattore
fondamentale di sviluppo delle due nazioni, avevano avuto come bussola unicamente la necessità di coordinamento
con gli interessi americani. L’Europa,
principalmente, ne aveva fatto le spese,
dovendo reggere la concorrenza spietata delle merci giapponesi che avevano
poco a poco conquistato interi settori
28
(dalle famose radioline degli
anni ‘60 al quasi monopolio
nipponico nella elettronica di
consumo: tv, hi-fi e, più tardi,
computer, play-station, I-pod,
ecc.). A partire dagli anni ’80
anche il settore automobilistico europeo doveva affrontare
la possente concorrenza giapponese, cui più tardi doveva
aggiungersi quella coreana,
oggi temibile anche nel settore
delle costruzioni navali. Dagli
anni ’90 alle due tigri si è aggiunto infine il drago cinese,
ormai in grado di competere
in ogni settore produttivo. E
tutte le analisi mostrano che la
potenza industriale della Cina
ha espresso finora solo una
piccola parte delle sue potenzialità. Il
voltafaccia giapponese e coreano è dunque un atto di pura Realpolitik: il futuro
è con la Cina, non più con l’America.
L’Occidente euro-americano si trova,
all’indomani della grande crisi finanziaria, di fronte a prospettive fosche: fine
dell’egemonia, stagnazione, instabilità
sociale. L’Accordo Trilaterale mostra in
modo chiaro come il baricentro economico mondiale si vada spostando
dall’Atlantico alle sponde del Pacifico;
e come, delle due sponde, sia l’asiatica e
non l’americana quella destinata a crescere nei prossimi decenni. Il mercato
interno cinese è ancora territorio vergine: intere regioni, vaste quanto mezza
Europa, devono raggiungere gli standard di consumo di Pechino, Shangai e
delle altre zone più ricche. Un miliardo
di consumatori, avidi di tutto, sono la
celeste manna per le aggressive industrie dei tre Paesi asiatici; e poi c’è il resto
dell’Asia sud-orientale, da tempo loro riserva privilegiata.
Che ne è dell’Europa e del Nordamerica? Due mercati stanchi, saturi e impoveriti dalla crisi. In teoria potrebbero
puntare ancora su Africa e America Latina, per rilanciare le industrie e l’export.
Non è un caso che la diplomazia cinese operi senza tregua proprio su questi
mercati, stipulando ovunque accordi
commerciali e industriali di faraoniche
proporzioni; e tutto lascia pensare che la
gara per la supremazia sarà una lotta a
coltello. Solo che i coltelli migliori, oggi,
sono quelli cinesi.
Siamo in una situazione che sembra
vagamente richiamare quella della vigilia di Pearl Harbour. Il “provvidenziale”
attacco giapponese fornì allora agli Stati
Uniti l’occasione per regolare i conti con
il paese del Sol Levante, che già minacciava il primato degli interessi americani
nell’area. La storia non si ripete, ma i pericoli per la pace mondiale di solito sono
associati proprio a momenti, reali o solo
temuti, di transizione. In questi anni sta
avvenendo, graduale e inesorabile, una
vera translatio imperii dall’Atlantico al
Pacifico. Ma non è detto che sarà pacifica. ●
febbraio 2009
il colore degli altri
Israele e i veleni
della guerra permanente
Nella più grande democrazia del Medio Oriente si agitano fantasmi inquietanti
Mattia Pelli
S
hlomo in realtà si chiama Salomon, ed è un bambino etiope
di religione cristiana rifugiato
in Sudan con la madre, che per salvarlo
lo affida ad una donna falasha, popolazione di religione ebraica che nel 1984
viene trasferita in Israele. La sua storia
viene narrata nel film di Radu Mihaileanu “Vai e vivrai” (2005), un’interessante
riflessione sulle contraddizioni di un Paese che nasce per offrire una patria agli
ebrei di qualunque nazionalità ma che si
trova oggi a fare i conti con gli spettri
del razzismo.
Shlomo, oltre a dover nascondere
la propria religione, deve subire l’umiliazione riservata ai suoi compagni di
sventura, considerati cittadini di serie
B perché neri. Nel 1996 la rabbia dei
falasha scoppia in proteste rabbiose in
seguito alla rivelazione che le partite di
sangue da loro donato venivano segretamente distrutte perché considerate “ad
alto rischio Aids”.
La comune appartenenza religiosa
non basta dunque a garantire la convivenza, in una società in continua tensione fra una complessa stratificazione
etnica interna e la paura del diverso,
velenosa conseguenza dell’occupazione
coloniale e della guerra permanente,
nutrite da un nazionalismo deteriore
che non ammette defezioni.
“La disumanizzazione del colonizzato – scrive Michel Warschawski, internazionalista israeliano, nel libro «A
precipizio» (Bollati Boringhieri, 2003)
– comporta inevitabilmente la disumanizzazione del colono e della sua società”,
tanto che “la brutalità del discorso politico dominante ha orai contaminato la
società israeliana”.
Quando poi a giustificare una difficile convivenza non vi è nemmeno il
comune credo religioswo, allora la discriminazione diventa grave e il razzi-
smo nemmeno tanto nascosto. Lo sanno
bene i cittadini israeliani di origine araba, il 20% della popolazione di Israele,
l’80% dei quali di religione islamica: nel
2007 l’Associazione per i Diritti Civili in
Israele (Acri) segnalava un incremento
del 26% negli episodi anti-arabi. Secondo Sami Michael, presidente dell’associazione, “la società israeliana sta raggiungendo nuove punte di razzismo a
detrimento della libertà di espressione”.
Ultima dimostrazione di questo diffuso sentimento anti-arabo la decisione
– arrivata pochi giorni fa – di vietare la
partecipazione di due partiti arabi alle
elezioni della Knesset che si terranno a
febbraio.
Un sentimento di ostilità indotto nella popolazione da un conflitto infinito,
perpetuato da una classe politica che
non pare essere all’altezza della pace e
che usa il “disprezzo per l’arabo” come
strumento di propaganda e di guerra.
“Mentre il vecchio discorso sionista,
ebraico e democratico, laico e a connotazione liberale, è in pieno arretramento”,
spiega Warschawski, si assiste all’affermazione di un’ideologia che rimodella
la cultura israeliana. Essa è basata su “un
militarismo nazionalista più o meno associato all’integralismo religioso” e su “un
razzismo dichiarato”.
Una disumanizzazione del nemico
che serve a legittimare l’apartheid interno da un lato e la politica coloniale nei
confronti dei territori occupati dall’altro. “Gaza – spiega Avi Shlaïm, professore anglo-israeliano di relazioni internazionali all’Università d’Oxford – è un
classico caso di sfruttamento coloniale in
un’era post-coloniale”.
Una politica di “bantustanizzazione” (per usare un’espressione di Noam
Chomsky) della Palestina, deliberatamente perseguita alternativamente con
gli strumenti della dominazione economica, della colonizzazione e della guerra.
I paragoni tra Israele e il Sudafrica
pre Mandela ritornano spesso nei commenti di osservatori e studiosi indipendenti: non è un caso che lo Stato ebraico
(insieme agli Usa) abbia boicottato le
conclusioni della prima conferenza Onu
sul razzismo del 2001 a Durban e che si
appresti a disertare la seconda, prevista
per il 2009.
Ma mentre nel caso sudafricano l’ingiustizia del regime era resa palese dalla
differenza di colore tra una minoranza
al potere e la maggioranza sofferente,
la nostra difficoltà nel distinguere oppressore e oppresso è invece palese sotto
l’infausta luce delle bombe che hanno
colpito Gaza. Paradossi del “fardello
dell’uomo bianco”. ●
[email protected]
29
QUESTOTRENTINO
Michel Warschawski
dal mondo
Bolivia:
una nuova Costituzione
“Ritmo del mondo” e conquiste democratiche all’epoca di Evo Morales
Francesca Caprini
I
n Bolivia, che tu sia nel cuore di
una città o perso nell’aria rarefatta
degli altipiani, sai sempre quel che
succede nel resto del Paese. E succede
sempre qualcosa. La Bolivia è come un
cuore palpitante, severo e instancabile.
Non è mai quieto, non è mai silenzioso.
E non lo sarà mai: il Pachakuti, il ritmo
del mondo, la rivoluzione dell’esistente, è
l’anima della cultura andina ed un concetto lontano dalla visione occidentale:
parla di processo e di divenire costante,
non di mete da raggiungere.
Nei due anni che abbiamo vissuto lì, assieme ad alcune comunità indigene e contadine sulle pendici delle Ande, è la cosa
più importante che abbiamo imparato.
Il 25 gennaio 2009 la gente boliviana ha
votato la nuova Costitucion Politica del
Estado (CPE). 3,9 milioni di persone –
su un totale di 8 – si sono recati alle urne
per approvare o respingere il testo costituzionale, risultato dei lavori dell’Assemblea Costituente durati circa un anno.
Poco più del 60% della popolazione ha
detto sì. Non è stato un risultato travolgente, non almeno quanto ci si aspettasse: la speranza era che la spaccatura economica, politica e culturale fra le regioni
andine a maggioranza indigena e quelle
orientali – ricche e a maggioranza bianca – si potesse smussare.
30
Ma è stato un voto significativo. La nuova Costituzione parla di 36 “nazioni indigene”, con una loro autonomia e il rispetto
dei loro usi e costumi. In tema di giustizia
è stata legalizzata quella comunitaria, che
arriva a consentire addirittura la punizione fisica ai propri rappresentanti politici
(che quindi, in genere, rispettano gli impegni presi). Nella CPE la religione cristiana - cattolica ed evangelista -, largamente
diffusa, viene parificata a quella animista
andina e ai sincretismi nati dalla fusione
delle due in cinque secoli di violento colonialismo. La foglia di coca, pianta sacra
per le popolazioni originarie ed ottima
amica contro stanchezza, fame e sete, è ora
depenalizzata, con conseguenti irritazioni
politiche a Washington. Decenni di lotte
al narcotraffico, che avevano messo sullo
stesso piano la produzione di cocaina e la
sacralità della pianta, simbolo di una terra
e di una cultura, vengono archiviati, assieme alle stragi di cocaleros (raccoglitori di
coca) degli anni ’90. Nei 411 articoli della
nuova Carta, si dà ampio risalto alla difesa
dell’acqua come bene comune, e così per
le risorse energetiche. E’ sicuramente un
passo storico per il Paese.
Quando siamo arrivati in Bolivia la prima volta per seguire con l’associazione
italiana Yaku un progetto di costruzione fognaria in una zona periurbana di
Cochabamba, terza città del
Paese, Evo Morales doveva essere ancora eletto e si
respirava a pieni polmoni
la speranza di riscossa e di
nuova progettualità che la
Guerra dell’Acqua nel 2000
(la cacciata della multinazionale statunitense Bechtel
che aveva privatizzato l’acqua) aveva regalato al Paese e al mondo intero: lo
sforzo della gente “sencilla
e trabajadora” (semplice e lavoratrice),
convogliata nei movimenti indigeni,
operai, contadini, studenteschi, aveva
avuto come obiettivi il recupero della
sovranità popolare e il superamento del
modello neoliberale, ma, più in profondità, l’attuazione di un nuovo sistema di
relazioni sociali. Di un nuovo “ordine”.
La nuova CPE, in verità, ha deluso
molti. In primis, proprio quei movimenti
sociali che credevano, attraverso l’elezione del loro compagno Morales, di rifondare l’idea stessa di Stato. Il latifondo non
è stato fermato. E i dubbi sulla capacità
di gestione di uno Stato al contempo socialista ed indigenista, sono tanti. D’altra
parte, i nostri hermanos, quelli con cui
abbiamo condiviso – e con cui continuiamo a farlo – alcuni anni della nostra
vita, raccontano che i propri genitori,
minatori di Potosì, contadini di Oruro,
fino a meno di cinquant’anni fa non potevano nemmeno permettersi di sedere
sulle panchine delle piazze. Non potevano camminare sui marciapiedi. Tutt’ora,
in molte parti della Bolivia, gli indigeni
sono schiavizzati.
Ancora una volta ci spiegano che anche questa è una tappa del divenire. E che
il popolo boliviano non smetterà mai di
combattere. ●
febbraio 2009
dal Sudtirolo
Un abisso di incertezza
Dopo le elezioni di ottobre: una crisi di stabilità che rischia
di travolgere i fondamenti della convivenza
Alessandra Zendron
N
elle sua dichiarazioni programmatiche il presidente incaricato di formare la nuova giunta,
Durnwalder, alla quinta legislatura da
presidente, ha sintetizzato il suo pensiero con la frase: “L’Alto Adige alla fine
della storia ha davanti il suo futuro”. Egli
sostiene che le infrastrutture hanno creato le condizioni
del benessere e ora
tocca ai cittadini,
che dovranno assumersi maggiore
responsabilità.
Durnwalder
non si accorge che
proprio l’impegno
largamente predominante per l’infrastrutturazione
materiale, durato
vent’anni, ha messo in moto qualcosa di opposto alle sue
aspettative: nel Sudtirolo di oggi il denaro ha la priorità su tutto, sulle persone e
sull’ambiente. Lo dice il bilancio provinciale, lo dicono le posizione nelle classifiche: primi per la ricchezza, indietro
per lo stato sociale e la cultura. Gli anni
delle vacche grasse sono stati usati in cementificazione e oggi che si prospettano
le vacche magre, non ci sono strategie né
valori. Fra le opere realizzate l’università
è l’unica eccezione, eppure è nata anch’essa per obbligo, e vive nell’ipocrisia del
trilinguismo a Informatica ed Economia
(dove si parla inglese), mentre a Scienza
dell’Educazione, in cui si formano i futuri docenti, vige il monolinguismo più
becero. Chissà se il nuovo rettore, che
ha annunciato un programma innovatore, potrà attuarlo o se verrà rispedito
in Germania come accade a chi mette in
discussione i diktat della politica.
Il 2009 nel mondo intero è l’anno della
QUESTOTRENTINO
paura e - si spera, a partire dagli USA
- quello del ripensamento del modello
di sviluppo. Per i nostri politici è l’anno
nove, bicentenario di una insorgenza
antinapoleonica, che va sotto lo strano
slogan “Il passato incontra il futuro”.
Oggetto-simbolo dell’incontro fra passato e futuro è un’immensa corona di
spine metallica, già apparsa in due altri anniversari, il 150° (1959, anno clou
della crisi della prima autonomia e del
rapporto fra Stato e minoranza) e il
175°, quando gli irriducibili sostenitori
dell’autodeterminazione manifestavano
contro l’autonomia. Altro che futuro!
Poiché il mondo riderebbe del presunto dolore di uno dei territori più ricchi
della Terra, governato in condizioni di
maggioranza assoluta dal partito etnico
della minoranza nazionale, si è pensato
di decorarla con 2009 rose rosse. E’ un
simbolo perfetto, quel metallo immodificabile in forma vittimista, congiunto
allo spreco sfacciato dei fiori tagliati e
presto spazzatura.
E’ uno degli esempi della perdita di
senso della realtà che segna oggi la Svp
di Durnwalder, risultato di una politica
“del fare”, una politica ventennale utile
ad ampliare il proprio potere.
Chi ha guidato il partito dopo la chiusura della vertenza internazionale (1992)
non ha saputo guidare la transizione
dal tempo della lotta per l’autonomia a
quello dello sviluppo democratico del
Sudtirolo multietnico. Con i miti della
dinamicità e della lotta perenne, e col rifiuto formale di considerare l’autonomia
alternativa all’autodeterminazione si è
colpevolmente mancato di favorire la
nascita di un’identità sudtirolese indivisa. E ora si ripropongono riti consunti.
Il disgusto per la politica dei sudtirolesi italiani, ormai rassegnati alla lotta a
rappresentanti in lotta fra di loro per le
poltrone, senza mai dire che cosa intendono farne, sono un segnale di autoesclusione. I giovani sudtirolesi tedeschi
hanno cercato il nuovo, stanchi di un
partito ricco, arrogante, vecchio. Cresciuti nella società separata - che ha creato una popolazione tollerante ma indifferente, disattenta e un po’ sprezzante
verso gli altri, chiusa politicamente, economicamente e culturalmente, - hanno
votato chi gli ha saputo parlare.
Il risultato elettorale di ottobre precipita il Sudtirolo in un abisso di incertezza. Non è una situazione rara, riguarda
molti Stati e molte regioni. Ma qui la
crisi di stabilità rischia di travolgerne i
fondamenti che stanno alla base della
convivenza.
La nuova-vecchia giunta non cambierà niente di questo; non avrebbe
cambiato niente neppure con qualche
nome nuovo. È il principio di partito etnico di raccolta che stride con la realtà:
a destra ci sono ben 7 consiglieri, solo
formalmente divisi nei tre partiti, che
già stanno dettando l’agenda della politica: autodeterminazione, toponomastica monolingue, relitti di architettura
fascista da demolire, normativa contro
gli immigrati.
Prossimo oggetto di polemiche sarà
la corona di spine, graziosamente ceduta dai tirolesi (che ne hanno un’altra,
quella di ferro pesante del 1984). Fuori
stava in un paesino, Erl, qui ci si scannerà per metterla nel centro della città
multilingue, per segnalare che la speranza è finita.
Forse andrebbe bene la piazza antistante il miliardario palazzo della Provincia, a simbolo del dolore dei sudtirolesi di tutte e tre le lingue che si sono
impegnati per la convivenza pacifica. Riuscirà nel 2009 la pace sudtirolese a non
farsi distruggere dai suoi politici? ●
31
pro memoria
Giovani artisti a Rovereto
Formazione e conflitti di una generazione ribelle.
Fabrizio Rasera
S
i è avviato qualche settimana fa
sulle pagine dell’Adige un dibattito sulle prospettive di Rovereto,
alla luce della presenza caratterizzante di
un museo d’arte. Nella città del Mart potrebbe nascere (questa la tesi) un laboratorio creativo diffuso, in grado di dare
nuova qualità e slancio al settore produttivo del principale centro industriale
del Trentino.
Alla proposta del giornale è seguita qualche prima riflessione nutrita di
generosi propositi. Se il discorso proseguirà e riuscirà a favorire concreti sviluppi ne sarò felice doppiamente, per la
cosa in sé e per aver lavorato a lungo a
un’idea di museo che non sia solo luogo
di consumo. Non è di questo tuttavia che
si cercherà qui di ragionare, bensì delle
premesse storiche tirate in ballo per rafforzare le argomentazioni.
Rovereto era la sede di quella Scuola
Reale Elisabettina, nelle cui aule si formò una generazione di artisti: si tratta
solo di riannodare i fili con una tradizione remota ma radicata, si ripete da più
parti, di resuscitare una vocazione sopita. Questo richiamo al passato si innesta
su tenaci superfetazioni, come l’identificazione di tutta l’esperienza della scuola
roveretana con quella della Reale e come
la definizione di “istituto di arti applicate” adottata per quest’ultima (per una
verifica della diffusione dello stereotipo
si scorrano in Internet le più accreditate
biografie di Depero).
Le leggende sono più potenti delle puntualizzazioni filologiche e assai più suggestive. Senza illuderci di scoraggiare i luoghi
comuni, proviamo a rileggere i dati. Partiamo da quelli che forniscono un sicuro
fondamento di realtà alla “mitizzazione”.
Costituisce un caso rilevante di geografia
della cultura la prima formazione nella
piccola città del Leno di numerosi protagonisti significativi dell’arte italiana del
32
Novecento, da Fortunato Depero a Fausto
Melotti e agli architetti Luciano Baldessari,
Adalberto Libera, Gino Pollini, tanto da far
scrivere autorevolmente di Rovereto come
“luogo magico della modernità” (Gregotti).
A questi nomi vanno aggiunti quelli del
perginese Tullio Garbari, del trentino Luigi Bonazza, dei roveretani Carlo Cainelli
e Iras Baldessari, personalità assai diverse
ma accomunate da un’autentica e robusta
dimensione artistica, quelli di architetti
politecnici come Giorgio Wenter Marini e
Giovanni Tiella e di numerosi altri pittori:
il rivano Maganzini, l’arcense Tomasi, il solandro Armani...
Le specificazioni territoriali servono a
rammentare che alle scuole di Rovereto
(il Ginnasio e l’Istituto Magistrale, oltre
alla Reale, per pochi anni anche un Liceo
Femminile) affluivano prima del 1914 studenti da tutto il Trentino e dal Tirolo tedesco. La città si era voluta centro di studi, il
Comune aveva investito risorse e condotto
battaglie politiche per arricchire un’offerta
formativa che non si sviluppò come pacifica largizione dello Stato austroungarico,
ma come graduale conquista autonomistica: anche questo è giusto rimarcare,
per chi fosse tentato di rileggere quella
storia in termini banalmente “nostalgici”.
Austriache quelle scuole certo lo erano,
nell’ordinamento, nella serietà pedagogica
e anche nella rigidità di un regime disciplinare autoritario. Ricostruirne la storia
significa anche riscoprire le iniziative di un
movimento studentesco trasgressivo, in
un’epoca nella quale le “leggi disciplinari”
vietavano severamente agli studenti medi
qualunque associazione e manifestazione
politica.
L’assemblea del novembre 1904 dopo
i “fatti di Innsbruck”, cioè i gravi scontri
scatenatisi in opposizione all’apertura di
una facoltà giuridica italiana; gli scioperi
del 1908 e del 1912, legati anch’essi al tema
dell’università italiana in Austria ma tali da
coinvolgere sempre di più nella protesta il
ruolo repressivo dell’istituzione scolastica;
le contestazioni nei confronti dei direttori,
avviliti a funzionari dell’ordine politico costituito: aspirazioni nazionali e istanze elementari di libertà si mescolavano, alimentando atteggiamenti di radicale ribellione.
Vanno sottolineate, rispetto al nostro
tema, altre profonde contraddizioni tra
le esigenze di una parte di quei giovani e
la fisionomia della scuola. Le “Realschu-
febbraio 2009
Luigi Comel
Sotto: il giovane Fortunato Depero
e un suo autoritratto del 1908.
len” erano state battezzate
così dalla progressista riforma austriaca del 1849 perché si volevano scuole dei
“Realien”, delle cose “reali”.
Erano destinate a costituire
il ramo scientifico e tecnico
dell’istruzione media, deludendo l’aspettativa di una
loro immediata funzionalità
alle esigenze dell’industria e
del commercio (cui esplicitamente puntava, nel nostro
caso, la borghesia roveretana che supportò con forza
l’apertura del nuovo istituto a fianco
dell’antico Ginnasio). Da quelle scuole
si usciva preparati per iscriversi nei politecnici, piuttosto che per fare gli impiegati o gli artigiani. Nel piano di studi il
disegno, sia a mano libera che geometrico, ebbe indubbiamente un notevole rilievo, come lo ebbe la “geometria descrittiva”, introdotta dal 1898 negli ultimi tre
anni dei sette di corso completo. Per un
fortunato destino a insegnare queste di-
QUESTOTRENTINO
scipline furono
a lungo presso
l’Elisabettina
due professori
dalla personalità molto forte,
il goriziano Luigi Comel (disegno a mano
libera) e il roveretano Cesare
Coriselli (disegno geometrico e geometria
descrittiva). Il
primo ci viene raccontato
dalle testimonianze dei suoi
studenti come
un maestro amico, capace di intuire le
motivazioni profonde degli allievi e di
irrobustirle con una didattica umanamente generosa, oltre che tecnicamente
attrezzata. Di questo rapporto intenso
ci sono rimasti straordinari documenti
da lui stesso conservati: un’antologia di
lavori scolastici degli allievi, alcune lettere inviategli in epoca successiva da alcuni di loro, Giovanni Tiella e Luciano
Baldessari in particolare. Una recente
mostra a Rovereto e a Trento, promossa
dalla Fondazione Cassa di Risparmio
e un catalogo (a cura di Lia de Finis)
hanno recentemente riproposto all’attenzione questo emozionante autoritratto collettivo. Nel volume è presente
anche un mio saggio sui Giovani ribelli
dal quale si intendono meglio alcune
cose qui appena accennate. In sintesi
estrema voglio ribadire che una parte
di quei percorsi si dovettero sviluppare non tanto contro la scuola, ma oltre
la scuola e le sue angustie. Tanto sono
impressionanti per forza espressiva i lavori del giovanissimo Depero conservati
nel fondo Comel quanto sono crudeli
le sue pagelle, ad eccezione delle caselle
del disegno e della geometria descrittiva. Dalla scuola se ne andò senza aver
superato il quinto corso, Tullio Garbari ancor prima, a quindici anni, dopo
quattro di frequenza con profitto mediocre (ad eccezione delle classificazioni
di disegno e d’italiano). Tre anni dopo,
diciottenne, esponeva i suoi quadri a Ca’
Pesaro a Venezia, dove aveva frequentato l’Accademia, l’anno successivo era
la penna più graffiante di un’esperienza
d’avanguardia, quella della rivista Voce
Trentina. Depero a sua volta, interrotti
gli studi nel 1910, pubblicò in proprio
nel 1913 un libro di sperimentazioni orgogliosamente solitarie, Spezzature. Nel
1914, ventenne, venne “adottato” dai
protagonisti del futurismo, nel marzo
1915 pubblicò insieme a Balla un testo
capitale come Ricostruzione futurista
dell’universo.
Dall’arte qualcuno di quei giovani artisti in formazione si aspettava molto di
più che un’affermazione professionale:
una rivoluzione dei linguaggi, un mondo
nuovo, anche se in un senso molto diverso
che nell’utopismo politico e sociale. Qualcun altro la interpretò come una disciplina
austera, assoluta (è il caso di Carlo Cainelli). Di un’immagine tanto alta da risultare
chimericamente irraggiungibile scriveva
da Zara a Comel Giovanni Moschini, uno
degli allievi della cerchia più vicina, che
aveva lasciato anche lui la scuola precocemente, sedicenne: “L’arte è (o almeno dovrebbe essere) la vera manifestazione della
vita, del tempo nel quale viviamo […]. È un
lume ch’io nella vita lo vedo lontano simile a
quel fuoco fatuo che si specchia leggermente
nell’onde; e quel lume cammina, cammina,
ed io lo seguo con gli occhi e col cuore. Mi
vorrei precipitare, ma troppo faticosa mi
sembra la via, troppo ardita sarebbe la corsa”. ●
33
lettere e interventi
Quando cambierà
la musica?
La crisi del 2008 - si sente ripetere in Europa - è anche un’occasione per cambiar musica. Fu il
desiderio di guadagni illimitati,
sregolati a portarci al collasso.
La bramosia di denaro. E la reazione? In Europa, in USA, in
Giappone ci si accinge a pompare altre montagne di denaro
nel sistema svigorito. Nel giro di
pochi giorni si destinano centinaia di miliardi (chi parla ormai
più di milioni?) alle banche e
alle compagnie automobilistiche, di fatto fallite (mentre finora non c’erano nemmeno un
paio di milioncini per una linea
ferroviaria o un asilo infantile).
Si stampa quindi nuovo denaro
che le generazioni future - già
indebitate fin sopra i capelli dovranno pagare. Nessuno sa
come.
Contemporaneamente i cittadini dei Paesi ricchi - i consumatori per eccellenza - vengono
esortati a consumare, a comprare per tener su di giri l’industria,
le banche, la venerata Borsa. Ma
cosa comprare se qui tutti hanno
già tutto in abbondanza? Non
importa: comprare, comprare.
Per Natale. Per dopo. Comprare altri vestiti, elettrodomestici,
viaggi, automobili, energia, petardi. Avanti coi carri, consu-
34
mando con la stessa intensità le
ricchezze del suolo, delle foreste
equatoriali, degli oceani già mal
ridotti. Il nostro tenore di vita
va mantenuto a tutti i costi.
Forse non tutti sanno che se
ogni abitante della Terra consumasse come lo statunitense
medio, dovremmo avere già
oggi altri quattro pianeti Terra.
La popolazione terrestre contava un miliardo di abitanti nel
1840, sei miliardi nel 2.000 e, di
questo passo, supererà i dieci
miliardi nel 2050. Ognuno che
non sia in preda a delirio euforico capisce che se non cambiamo musica le risorse terrestri si
esauriranno presto. I fiumi della
Cina, tanto per fare un esempio,
sono già morti: pieni di cromo,
cadmio ed altri detriti tossici. La
deforestazione dei tropici avanza drammaticamente. Nessuna
persona ragionevole nega che
l’effetto serra sia dovuto all’attività umana.
Ciononostante si predica il consumo come unico toccasana
della crisi: “Piani di spese più
ambiziosi degli attuali per rilanciare lo sviluppo economico
mondiale” – lo chiamano “sviluppo economico”, ma, in parole
povere, non è che semplice consumo. Il consumo, dicono, garantisce la crescita. La crescita,
dicono, garantisce il benessere.
Ciò che non dicono è che si tratta del benessere dei Paesi ricchi;
quelli poveri stanno sempre
peggio: il 40% della popolazione
terrestre (2,4 miliardi) patisce la
fame e scarseggia d’acqua. Anche il più cinico deve ammette
che questo cammino conduce
alla catastrofe.
Cosa fare? Ogni azione umana
inizia con l’etica. Invece di predicare solo consumo e crescita,
si dovrebbe spiegare a tutti che
non possiamo continuare così
(salve restando le misure ad
hoc necessarie per evitare ora il
peggio). Che dobbiamo trovare
un modo di vivere decorosamente senza crescita costante.
Che dobbiamo frenare la nostra
cupidigia soddisfatta in buona
parte a spese dei Paesi poveri
e delle generazioni future. Che
non è consumando di più, ma
solo consumando meno e meglio nei Paesi ricchi, conservando la natura e la biodiversità del
pianeta che assicuriamo a lungo
termine un livello di vita decente a tutti gli abitanti della Terra
- e solo così pace al genere umano. Troveremo noi, Paesi ricchi,
abbastanza altruismo e saggezza
per cambiare? Per metterci una
buona volta su questo cammino?
Giorgio Jellici
Pregiudizi
Lo scompartimento è occupato da viaggiatori italiani, con
l’unica eccezione costituita da
un ragazzo di colore che, assorto nei suoi pensieri, guarda dal
finestrino case e campagne anonime. Improvvisamente entra il
controllore che, dopo aver dato
una rapida occhiata ai viaggiatori, si dirige verso il giovane
africano, intimando soltanto a
lui di esibire il biglietto e con ciò
dando evidentemente per scontato che gli altri viaggiatori, in
quanto italiani, ne siano provvisti. Il giovane africano, per
nulla intimorito, chiede però il
motivo per cui gli altri viaggiatori siano esonerati dall’esibire
il biglietto, suscitando con ciò
le ire del controllore. Quest’ultimo, pensando che tale com-
portamento confermi il proprio
pregiudizio che evidentemente
voleva il ragazzo di colore privo
di biglietto, si allontana per ripresentarsi poco dopo con due
agenti della Polfer. Intima nuovamente al ragazzo di esibire il
biglietto e rimane sbigottito dal
fatto che ne sia provvisto; ovviamente in presenza degli agenti
non può sottrarsi dal richiedere
i biglietti anche agli altri viaggiatori, scoprendo così che tre
di loro, ahimè tutti italiani, ne
erano privi.
Quanto ho raccontato è successo realmente ad un amico africano, studente universitario in
Italia, su un treno del nord-est,
in un vagone di seconda classe,
e testimonia quanto possano essere fallaci i pregiudizi.
Walter Ferrari
Lettera al sindaco
di Pinzolo
Egregio Signor Sindaco, nel numero di dicembre del “Foglio del
Comune di Pinzolo”, semestrale
dell’amministrazione comunale
da Lei guidata, abbiamo letto
con attenzione l’intervista ad
Antonio Masè, presidente di
Funivie Pinzolo spa, tratta dal
settimanale Vita Trentina del 24
settembre 2008.
Ci preme anzitutto osservare
che, per rispetto del confronto delle idee, sarebbe stato più
equilibrato pubblicare, contestualmente, anche l’altro servizio apparso sullo stesso numero
di Vita Trentina – a firma di don
Ivan Maffeis – che riportava la
voce del mondo ambientalista
e degli altri relatori (naturalisti,
giornalisti, giuristi) intervenuti
alla giornata nazionale di Italia
Nostra dedicata ai Paesaggi Sen-
febbraio 2009
sibili, tenutasi il 20 settembre
2008 in Val Brenta, alla Malga
Brenta Bassa.
Dalla lettura dell’intervista rileviamo con soddisfazione come
anche Antonio Masè sia convinto che il previsto “collegamento” non possa essere definito
sistema di “mobilità alternativa”
(“nessuno è così sciocco da pensare che possa costituire un’alternativa alla strada o al treno, specie
per chi si reca in Campiglio per
lavoro o per chi vi abita”), smentendo così i proclami del presidente Dellai e della sua Giunta,
diffusi in campagna elettorale.
Se dunque gli stessi impiantisti
non parlano più di “mobilità alternativa”, come si giustificano
gli ingenti finanziamenti pubblici previsti dai vari protocolli
d’intesa, in particolare da quello di Trentino Sviluppo, che già
nel bilancio 2008 ha stabilito lo
stanziamento di circa 25 milioni
di euro?
Per quanto riguarda l’impatto
ambientale dell’insieme delle
infrastrutture previste, nonostante l’eliminazione delle piste convergenti su “Plaza” da
Pinzolo e da Campiglio, grazie
all’intervento delle associazioni
ambientaliste presso la Commissione Europea e non per
interessamento dell’Ente Parco,
esso rimane elevatissimo: in
particolare per l’impianto e la
pista Tulot, che provocheranno
un irrimediabile squarcio nella
ripida zona boscata, con violenta occupazione di spazi esondabili alla base. Il collegamento
tra Sant’Antonio di Mavignola e
“Plaza” distruggerà irreparabilmente la possibilità di istituire
un parco fluviale lungo il Sarca
e toglierà valore alle altre iniziative di turismo dolce tuttora
QUESTOTRENTINO
presenti nella zona (passeggiate,
campeggi, agritour, ecc.).
Leggiamo, infine, con piacere
che anche Masè esclude interventi speculativi a “Plaza”. E’
evidente che per evitare nuove
edificazioni speculative a “Plaza” bisognerebbe che lo stesso
Comune di Pinzolo chiedesse
all’Ente Parco di estendere i suoi
confini all’intera zona di “Plaza”, come da noi proposto in
occasione della giornata nazionale a Malga Brenta Bassa. Sarebbe questo il vero strumento
urbanistico efficace, in quanto
qualsiasi edificazione privata è
esclusa in un’area protetta. Del
resto anche Dellai, in un’intervista rilasciata a Questotrentino
(n. 15, ottobre 2008, p. 10), così
affermava: “L’unico punto critico
di Pinzolo è la stazione intermedia di Plaza, e per questo siamo
favorevoli ad estendere il limite
del parco naturale in quell’area”.
In attesa di una sua cortese
risposta e con la richiesta di
estendere questa nostra lettera
aperta ai consiglieri comunali e
di pubblicarla sul prossimo numero del notiziario comunale,
la salutiamo cordialmente.
Paolo Mayr e Salvatore Ferrari
(Italia Nostra)
Non compleanno a Riva
Come in “Alice nel Paese delle
Meraviglie”, a un anno esatto dal
25 gennaio 2008, giorno fausto
nel quale il Comune comunicava in pompa magna la creazione
di un nuovo “Sistema Informativo Territoriale”, celebriamo
oggi il “non compleanno” di tale
banca dati sul verde comunale
che, sosteneva il comunicato ufficiale a tutt’oggi verificabile sul
sito web del Comune di Riva,
“tra poco sarà possibile verificare
direttamente con un click”. Forse
si alludeva a qualcosa di diverso
dal click di un mouse, perché di
tale avveniristico sistema non
vi è ancora traccia. Spegniamo
quindi con un soffio festante la
prima candelina di non esistenza!
Ancora una curiosità: un anno
fa risultava la presenza, sempre
secondo quel comunicato ufficiale, di 3.404 piante comunali.
Ed oggi, dopo i tagli non sempre giustificati di quest’ultimo
anno?
In quanto all’annunciato (si
vede che gennaio è tempo di annunci) “Regolamento del verde
urbano”, cosa di per sé lodevole
ed auspicabile, speriamo non diventi una foglia di fico per amministratori vogliosi di liberarsi
di responsabilità e di fastidiose
incombenze, quali la presenza
di alberi in città inevitabilmente
impongono.
Amici della Terra dell’Alto Garda e Ledro
Il presidente Paolo Barbagli
Delusione da Cineforum
Siamo alla ricerca di un risarcimento morale per la montante
delusione verso la programmazione del Cineforum di Trento,
che stenta a rinnovarsi.
La cifra simbolica che chiediamo per 2 abbonamenti a 10 proiezioni a partire dal mese di febbraio è di 19 euro complessivi (il
costo equivalente ad un flacone
di Prozac). Se siete interessati
scrivete a: [email protected]
Ninni De Simone
Impariamo le lingue
col digitale
Il passaggio delle trasmissioni
televisive dal sistema analogico
a quello digitale consente un notevole aumento di nuovi canali
televisivi disponibili. La nostra
Provincia è coinvolta nelle decisioni, che saranno assunte nei
prossimi giorni, di assegnazioni
delle nuove frequenze. E’ certamente opportuno che la Provincia riservi a se stessa spazi
adeguati, ma ritengo che questa
opportunità debba essere colta
anche per ritrasmettere su tutto il Trentino almeno un canale
televisivo tedesco (ad esempio,
ZDF, ARD). Ciò darebbe la possibilità ai trentini, in particolare
ai giovani, di imparare meglio
la lingua tedesca, di grande importanza per un territorio come
il nostro di contatto col mondo
di lingua tedesca. Naturalmente
sarebbe molto utile anche alle
comunità germanofone, ma anche ai tanti turisti che frequentano il nostro territorio. Non
vedo controindicazioni, ma
solo vantaggi. Se le condizioni
lo consentono, altrettanto utile
sarebbe la ritrasmissione di una
programma in lingua inglese, la
lingua più importante nei rapporti internazionali.
Spero che chi è preposto a tali
decisioni, tenga conto di queste
ipotesi
Luigi Nicolussi Castellan
Sindaco di Luserna
A 9 anni dalla
morte di Craxi
Nell’analisi dello stato della sinistra raramente si propone una
lettura approfondita del passato recente, vuoi per ignoranza,
vuoi per ragioni di opportunità.
35
lettere e interventi
Penso invece sia fondamentale
conoscere e meditare la storia
per comprendere il presente ed
evitare la ripetizione di errori
già commessi. “Le cause di un
errore – scriveva Althusser - durano fino a che non sono state
affrontate e trasformate”. Ecco
perché è necessario far luce sulla distruzione dei partiti storici
della democrazia italiana.
L’esistenza del finanziamento illecito era largamente conosciuta
ed accettata. I partiti presentavano ogni anno i loro bilanci,
palesemente falsi, alla Presidenza della Camera, che li avallava senza muovere la minima
obiezione. (...) Craxi fu l’unico
a cercare una soluzione politica
a quello che restava (e resta) un
problema politico. Affermò infatti il 3 luglio ’92 in un celebre
intervento alla Camera: “I partiti
hanno ricorso e ricorrono all’uso
di risorse aggiuntive in forma
irregolare od illegale. (…) Non
credo ci sia nessuno in quest’aula, responsabile politico di organizzazioni importanti, che possa
alzarsi e pronunciare un giuramento in senso contrario a quanto affermo: presto o tardi i fatti si
incaricherebbero di dichiararlo
spergiuro”. Ma nessuno ebbe il
coraggio di aggiungere una parola al discorso di Craxi. (...)
Nel libro-intervista “D’Alema.
La prima biografia del segretario
del Pds” una dichiarazione è illuminante: “Dovevamo cambiare
nome e non avevamo alternative.
Eravamo come una grande nazione indiana chiusa tra le montagne, con una sola via d’uscita, e
36
lì c’era Craxi con la sua proposta
di unità socialista. Come uscire
da quel canyon? Craxi aveva un
indubbio vantaggio su di noi: era
il capo dei socialisti in un Paese
europeo occidentale. Quindi rappresentava lui la sinistra giusta
per l’Italia (…) L’unità socialista
era una grande idea, ma senza
Craxi. Avevamo una sola scelta:
diventare noi il partito socialista
in Italia”. Non ci sono riusciti.
Un partito riformista non è un
qualsiasi partito democratico.
Quando ci si dichiara socialisti
o riformisti, o si fa riferimento
alla propria storia o, se si vuole
alludere a quella di altri, si dovrebbe fare chiarezza sui propri
errori. A maggior ragione se
questi “altri” si sono combattuti
per decenni.
Il naturale riferimento di un
partito riformista è l’elettorato
laico, socialista, liberale e cattolico liberale. Mentre Veltroni,
coerentemente con la sua storia,
nelle ultime elezioni ai socialisti
ha preferito Di Pietro. (...)
L’Urss, che finanziò illegalmente
per decenni il Pci - reati amnistiati nel 1989 - aveva negato
la libertà ai propri cittadini e a
quelli dei Paesi satelliti. Walesa,
fondatore di Solidarnosc, rivolgendosi a Craxi dichiarò pubblicamente: “Valeva la pena lottare
perché ci sono uomini come Lei
ancora nel mondo”. Tanto fece
infatti il PSI di Craxi, in termini
di sostegno morale e finanziario, per i socialisti di quei Paesi,
come per i socialisti (cileni, argentini e spagnoli) oppressi da
dittature di destra e per i palestinesi. È questa la vera questione morale: c’è infatti un abisso di
moralità tra chi prende denaro
da una potenza totalitaria e chi
finanzia i movimenti che a essa
si oppongono.
Craxi ha lasciato un patrimonio
di idee e di azioni conseguenti
ancora valido nei Paesi dell’Occidente sviluppato. Ha intuito il
valore sociale della libertà: più
l’individuo ha libertà, più è in
grado di produrre ricchezza e
civiltà. Ha capito che col Welfare
State i lavoratori hanno conquistato la protezione dello Stato e
tutte le libertà collettive e che un
ulteriore sforzo è da indirizzarsi
verso l’ampliamento di libertà
individuali. (...)
Durante il dramma di Moro la
difesa della persona diventa un
caposaldo della politica socialista. Nei primi anni ’80 di fronte
alla necessità di riformare la scala mobile (scelta vincente perché permise di contenere l’inflazione e di conservare quindi
il potere d’acquisto dei salari) il
socialismo riformista non ebbe
timore dell’opposizione del PCI,
al quale fino ad allora era stato
concesso il diritto di veto sulle
politiche sociali. (...)
Questa sinistra riuscirà a proporsi come alternativa credibile solo riconoscendo il ruolo
fondamentale della tradizione
socialista-liberale e ristabilendo
la verità sulla fine del PSI e di
Craxi, un uomo che fu costretto all’esilio. Esilio che considerò
morte, perché, come sta inciso
sulla sua lapide, “la mia libertà
equivale alla mia vita”.
cosa seria. Barak Obama, l’uomo più potente della terra, ha
dovuto ripetere il giuramento
per una parola. Una parola. E
prima di lui altri due presidenti.
Clinton ha rischiato l’impeachment non per il fatto, ma per
averlo pubblicamente negato.
Il nostro è proprio un altro
mondo. Per noi, figli di Machiavelli, è normale che un politico
faccia promesse che non verranno nemmeno lontanamente
onorate. Lo sappiamo prima di
votarli, da sempre. Da noi un
candidato premier ha fatto non
vaghe promesse, ma sottoscritto
un contratto pubblico in diretta
tv. Un cittadino che ha avuto il
coraggio di denunciarlo è stato
condannato perché secondo il
giudice solo un ingenuo può
credere alle parole dei politici. Parole, parole, parole, come
canta con deliziosa leggerezza una nota canzone. Così nel
grande come nel piccolo mondo
di paese. Nel mio, il candidato sindaco ha sottoscritto una
petizione, insieme a migliaia di
cittadini, contro l’insediamento
di una centrale inquinante del
Lorenzo Passerini
Gli americani e noi
Gli Stati Uniti sono lontani seimila chilometri, ma per l’etica
politica la distanza diventa addirittura siderale. In quel mondo la parola, il giuramento, le
promesse del politico sono una
febbraio 2009
gas in una piccola valle soffocata
dalle montagne. Ora ha gettato
la maschera, dice che ha firmato
da cittadino, non da sindaco.
Ezio Pelino
Omonimia?
Con mia grande sorpresa ho
visto nel numero di gennaio
di QT, nella pagina della posta,
un articolo sull’acqua con il mio
nome e cognome in calce. Vorrei
chiedervi se si tratta di un caso
di omonimia. Se così fosse, sarebbe opportuno che insieme al
nome e cognome di chi vi scrive
si ponesse anche il paese.
Ribadendo che non ho mai scritto tale lettera, vi porgo distinti
saluti. Vi prego di rispondermi
qualcosa. Grazie infinite.
Paolo Cominotti, Roncone
***
Lei ha ragione: l’autore della lettera in questione è il sig. Alessandro Baggio. Il Suo nome è finito
in calce a quell’intervento per
una balorda gestione della posta
elettronica da parte nostra. Ce ne
scusiamo.
Il 26 gennaio, a Rovereto, è
nata Caterina, figlia dei nostri
collaboratori Giorgia Sossass
e Duccio Dogheria, nonché
nipote del caporedattore Carlo
Dogheria. A tutti loro gli auguri della redazione di QT.
QUESTOTRENTINO
Marco De Tisi
SOLDATI
DI UNA PATRIA NEFANDA?
Nell’ambito delle conferenze e dei dibattiti tenutisi in regione a seguito della commemorazione
del 3 novembre scorso per ricordare i novant’anni dalla fine della Grande Guerra, è stato tra l’altro trattato il tema del ruolo e della condotta dei
soldati tirolesi di lingua italiana dall’atto della
mobilitazione generale - proclamata il 31 luglio
1914 dall’ Imperatore Francesco Giuseppe - fino
alla fine del conflitto. Da più parti si è ribadito
che la chiamata alle armi dei contingenti di leva
prima, ed il loro impiego nei teatri di guerra poi,
rappresentò per gli interessati l’imposizione di
uno Stato intransigente e dispotico. Numerose
targhe site in luoghi che ricordano i caduti della prima guerra mondiale riprendono questo
concetto così come concepito a guerra finita dai
vincitori e fatto proprio dal regime fascista. Vi si
legge: “Soldati costretti a combattere per la patria
nefanda”.
In antitesi a tale giudizio si nega agli stessi il termine di caduti perché considerati indegni di un
simile appellativo, rivelando così il biasimo dei
vincitori per chi, vittima di uno Stato tirannico,
trovò la morte sul campo di battaglia.
La frase di rito avente per oggetto i circa 60.000
soldati “trentini” combattenti sotto le insegne
dell’Imperatore rimarca l’ idea secondo cui i soldati stessi avrebbero indossato “l’uniforme sbagliata”. Tale giudizio misconosce il loro senso di
appartenenza ad una comunità e a un territorio
aviti che pure permeava la popolazione al punto
da indurre lo stesso Mussolini mentre abbandonava Trento nell’ ottobre del 1909, a pronunciare
testuali parole: “Lascio questa regione e questo
popolo ormai austriaci”.
Lo smarrimento degli uomini in partenza per il
fronte orientale unitamente al presagio dei lutti
che da quella guerra sarebbero derivati trovarono conferma in una tragedia unica nella sua
drammaticità, un’ecatombe che accomunò gli
eserciti belligeranti.
Deliberata forzatura è ciò nondimeno dare ad
intendere che i soldati di questa terra sarebbero
stati “costretti a pugnare per l’oppressore”, prendendo spunto da episodi di diserzione non rari
negli eserciti di allora e dai numerosi diari di
guerra rinvenuti. “Di guerra”, appunto: pagine
scritte da uomini che non potevano che manifestare la loro avversione alla guerra descrivendone la crudeltà, illustrando le sofferenze e le
privazioni e nelle quali veniva talvolta espresso
risentimento nei confronti di ufficiali eccessivamente autoritari. E’ doveroso però ricordare che
pure in una tale condizione questi uomini compirono il loro dovere e in alcune circostanze anche più di questo. Ne fanno testo le innumerevoli
medaglie di bronzo e le 162 e oltre tra medaglie
d’ oro e d’argento di prima classe dei cui beneficiari esiste, sebbene incompleto, dettagliato
elenco. Medaglie assegnate per azioni di guerra
che non si attagliano alla pretesa “costrizione”
dell’epigrafe summenzionata e di cui tra i primi
ad essere insignito (medaglia d’oro) il 2 maggio
1915 fu il fratello di Alcide Degasperi, Augusto,
ufficiale dei Kaiserjaeger.
Al nazionalismo nostrano che ancora oggi, a
novant’anni di distanza, pone l’accento su un nemico sconfitto che avrebbe combattuto perché
costretto da uno Stato straniero e crudele si contrappone nel merito quanto scrive lo storico Luigi Sardi, figlio di un ufficiale lombardo del Regio
Esercito, che alla sua professionalità unisce una
chiara onestà intellettuale. Nel suo volume “1915
– monti Scarpazi”, riguardo alla difesa dei confini meridionali dell’ Impero Austro-Ungarico
da parte dei tirolesi (inclusi quelli di lingua italiana), riporta: “…viene costituita una milizia di
trentamila uomini che nonostante l’età compensano la mancanza di esperienza con il patriottismo, la conoscenza perfetta delle montagne, l’odio
verso una nazione che aveva tradito l’alleanza e
la consapevolezza che l’armata alla quale appartenevano avrebbe difeso il Tirolo, i campi, la casa,
l’Imperatore, la chiesa dagli italiani invasori”.
E ancora: “Poi ci sono i 10.501 trentini che indossarono la divisa dell’ Imperatore, che combatterono con coraggio e lealtà, che morirono sui fronti
della Serbia, della Russia, dell’Italia per la loro
Patria che era l’Austria”.
37
monitor presentazioni
Cinema
4 febbraio-4 marzo
“social film”
Trento, Teatro Cuminetti, ore 21.
Il programma della quinta edizione di Social film:
4 febbraio: “Parole sante” di
Ascanio Celestini. Un film sulla
lotta di classe: storie di call center, quelle che l’attore porta in
giro nei teatri.
11 febbraio: “Il nemico del mio
nemico” di Kevin Mcdonald, storia di un trasformista del male.
18 febbraio: “Margem” di Maya
Da-Rin, un viaggio lungo il Rio
delle Amazzoni; e “To see if i’m
smiling” di Tamar Yarom, storia
di soldatesse dell’IDF nei Territori Occupati.
25 febbraio: “Radio Egnatia” di
Davide Barletti e “Diario di uno
scuro” di Fluid Video Crew. Infine, il 4 marzo: “Joe Strummer: il
futuro non è scritto” di Julien Temple, sul leader dei Clash. (a.b.)
Trento, Trento, Sala Filarmonica, ore 20.45.
Prosegue ad altissimo livello la
stagione 2009 della Filarmonica
di Trento. Il 9 febbraio sarà sul
palco di via Verdi il Trio Con
Brio, giovane ma non inesperta
formazione cameristica. Il 17
febbraio sarà la volta dei Virtuosi Italiani, orchestra da camera
tra le più acclamate al mondo,
con due solisti d’eccezione quali
Massimo Quarta (violino) e Lilya Zilberstein (pianoforte). Spazio ai giovani musicisti locali il
26, con il concerto della pianista
trentina Federica Marini. (t.g.)
Teatro e cinema
Cinema
7-22 febbraio
10 febbraio-7 marzo
Trento, Spazio Off.
Il 7 e l’8 febbraio, una produzione Estroteatro: “Tana libera
tutti (il mondo capovolto)” di
Maura Pettorruso, sull’Uganda
e sulle sue emergenze. In scena
Mirko Corradini, che conduce
proprio in Uganda un laboratorio teatrale.
Il 21 e 22 febbraio, “Bartleby lo
scrivano”, con Denis Fontanari,
Alberto Dall’Abaco, Christian
Renzicchi: una cortese ma decisa lettura scenica del raccontocapolavoro di Herman Melville.
Gli appuntamenti del mercoledì
prevedono la proiezione di “Una
vita da non archiviare”, produzione KR Movie su Gianantonio
Manci (11 febbraio); e “Spolpo Files”, con la Spolpo Blues
Band e Paolo Crazy Carnevale
(18 febbraio). Orari e prezzi su
www.spaziooff.com. (a.b.)
Rovereto, Auditorium Melotti,
ore 21.
I prossimi film del Cineforum di
Rovereto: il 10 febbraio “Odgrobadogroba. Di tomba in tomba”,
di Jan Cvitkovic, storia di un autore di testi per discorsi funebri:
“un Kusturica col broncio”. Il 17
febbraio, “Rachel sta per sposarsi”, di Jonathan Demme, piccolo
scrigno di recitazione e di stile.
Il 25 sarà finalmente possibile
vedere “Invincible”, commovente film del 2005 di Werner
Herzog su un gigante che avrebbe potuto salvare gli ebrei dallo
sterminio. Il 4 marzo è il turno
di “La notte dei girasoli”, di J.
Sanchez-Cabuedo, un notturno
spagnolo sui destini incrociati.
Seguiremo anche nel prossimo
numero la rassegna, che prosegue fino al 7 aprile. La QT Card
consente l’acquisto dell’abbonamento a prezzo agevolato. (a.b.
febbraio
allo spazio off
38
Musica
Musica
9-26 febbraio
tre concerti alla
filarmonica di trento
cineforum rovereto
13-25 febbraio
Musica
11 febbraio
orchestra haydn
Trento, Auditorium S. Chiara,
ore 20.30.
Un concerto dedicato al repertorio classico, mercoledì 11
febbraio, sarà l’unica esibizione
trentina del mese per l’Orchestra Haydn. Sotto la guida di un
grande direttore come Claudio
Scimone, il cornista Simone Baroncini sarà solista nel secondo
Concerto di Mozart, affiancato
da Luca Bastianello, che reciterà
gli appunti autografi della partitura. (t.g.)
Teatro
12-15 febbraio
tre concerti
alla filarmonica
di rovereto
Rovereto, Sala Filarmonica, e
Auditorium Melotti, ore 20.45.
Un acclamato interprete degli
autori classici, valzer viennesi
contro tanghi sudamericani e
un giovane duo internazionale
compongono il programma di
febbraio dell’Associazione Filarmonica di Rovereto. Si comincia
venerdì 13 con il pianista americano Robert Levin; giovedì
19, presso l’Auditorium Melotti,
l’orchestra Haydn terrà il tradizionale concerto di Carnevale;
mercoledì 25 sarà di scena il
grande repertorio violoncellistico con Alisa Weilerstein e la pianista Evgenija Startseva. (t.g.)
“i giganti della
montagna”
di Luigi Pirandello, con un finale
di Franco Scaldati, con Andrea
Carabelli, Silvio Castiglioni, Roberto Corradino, Marion D’Amburgo, Iaia Forte. Regia di Federico Tiezzi.
Trento, Teatro Auditorium, ore
20.30 (domenica 15, ore 16).
I giganti della montagna è un
dramma incompiuto di cui Pirandello stese solo i primi due
atti (il terzo fu ricostruito dal
figlio Stefano, in base alle informazioni ricevute dal padre) e che
dunque viene rappresentato in
varie versioni. La pièce racconta
l’incontro col mago Cotrone e i
suoi seguaci di una scalcinata
compagnia di attori in procinto
di allestire uno spettacolo. Siamo, cosa non nuova in Pirandello, nel teatro dentro il teatro,
ma qui l’ambizione dell’autore va
oltre, dal teatro al mito, come lo
stesso Pirandello qualificò questa
sua opera. (m.s.)
Teatro
14 febbraio
“la passione secondo
luca e paolo”
di Luca Bizzarri, Paolo Kessisoglu, Michele Serra e Martino
Clericetti. Con Luca Bizzarri e
Paolo Kessisoglu Regia di Giorgio Gallione.
Rovereto, Auditorium Melotti,
ore 20.45.
Teatro nel teatro. Luca e Paolo
(quelli delle Iene e di Camera Cafè)
devono affrontare un testo molto
impegnativo; manca però l’attore
che deve impersonare Gesù. Ma
in qualche modo bisogna pur salvare lo spettacolo... (d.d.).
febbraio 2009
2009
Teatro
14 febbraio-4 marzo
Comunichiamo
ai nostri lettori che agli
enti già convenzionati si sono aggiunti
il cineforum di Trento e il cineforum
di Rovereto. Per l’elenco completo di
tutti gli enti convenzionati, consultare
il nostro sito
www.questotrentino.it
“extrema_mente”
Trento, Teatro S. Marco, ore
20.45.
Il Liveact “Extrama_mente” di
Teatrincorso-Spazio 14 seleziona alcune delle più interessanti
sfide del teatro contemporaneo. 14 febbraio: Isola Teatro
(Roma): “La strada ferrata”
(finalista al Premio Scenario
2007). Un incontro tra due ragazzine lungo una linea ferroviaria abbandonata, in Sicilia.
21 febbraio: Zerobeat (Mantova): “Cara la pelle” (pluripremiato). Anna Politkovskaja, la
Cecenia, le donne.
4 marzo: Capotrave (Arezzo):
“Robinsonade”. Un Robinson
aggiornato all’epoca della civiltà
dei consumi. Info: www.teatrincorso.com. Riduzioni con la QT
Card. (a.b.).
Muisca
17/18 febbraio
Danza
25 febbraio
Teatro
19-22 febbraio
“La bella utopia Lavoratori di tutto il
mondo ridete”
di Moni Ovadia, con Moni
Ovadia, Lee Colbert, Maxim
Shamkov e la Moni Ovadia Stage
Orchestra.
Trento, Teatro Auditorium, ore
20,30 (22 febbraio, ore 16).
La bella utopia è il mito fallito
del comunismo. Uno spettacolo
di canzoni, musiche, racconti,
confessioni, immagini in cui
l’attore-cantante ripercorre, tramite l’abituale filtro dell’umorismo ebraico, quella grande speranza di creazione di una nuova
umanità e il suo degenerare in
tragedia. (m.s.)
“LA SILFIDE”
balletto in due atti di August
Bourneville (versione originale del Royal Danish Ballet), con
Maggio Danza.
Trento, Trento, Teatro Sociale,
ore 20.30.
Balletto che sancisce l’inizio del
balletto romantico, da allora soprannominato ballet blanc per la
comparsa del tutù bianco e per il
largo uso delle scarpette da punta, “La silfide” è ambientato nelle
Highland scozzesi e ruota intorno all’amore di James per una
silfide, tipica figura femminile
della mitologia nordica. (g.s.)
FRANCO BATTIATO
Trento, Teatro Auditorium, ore 21.
L’ispirazione scarseggia e il disco non galleggia. Se poi non si
è degli interpreti ma dei cantautori è ancora più difficile fare un
intero (tranne un inedito) disco
di covers. “Fleurs 2” arriva dopo
il primo e il terzo. A Battiato
piace essere poco scontato. Ed
in effetti, ascoltando il disco, le
sue interpretazioni non sono
scontate. Ma confrontarsi con
le voci e le versioni originali di
Otis Redding e Simon & Garfunkel significa mettere culo e
corde vocali nelle pedate. Ma
interessante più del disco è assitere ad un concerto del nostro,
occasione rara e preziosa (a.v.)
QUESTOTRENTINO
Teatro
26 febbraio
“l’ultima radio”
Teatro
20 febbraio
“NEL”
di e con Alessandro Bergonzoni.
Rovereto, Auditorium Melotti,
ore 20.45.
I non-sensi e le banalità della vita quotidiana raccontati
dall’attore bolognese con il suo
solito gusto genialoide per il paradosso linguistico e il frenetico
gioco di parole. (d.d.)
di Sabina Negri, con Tullio Solenghi. Regia di Marcello Cotugno.
Trento, Teatro Auditorium, ore
21.
Storia di una piccola emittente
schiacciata dalle leggi del mercato, e del suo conduttore-factotum. L’autrice, Sabina Negri,
è l’ex moglie del ministro Calderoli, esibitasi ripetutamente a
Markette con esiti non entusiasmanti; l’attore è il Solenghi del
trio con Massimo Lopez e Anna
Marchesini. Una cosetta leggera, insomma... (m.s.)
Teatro
6-8 marzo
“sonja”
tratto da un racconto di Tatjana
Tolstaja, con la Compagnia Teatro
di Riga. Regia di Alvis Hermanis.
Trento, Teatro Cuminetti.
6 marzo, ore 21;
7-8 marzo, ore 20.30.
In una povera casa di Leningrado, entrano due ladri, che presto
si trasformano, l’uno nella narratrice (Tatjana Tolstaja), l’altro
nella sciocca Sonja, alla quale è
stato fatto credere che un uomo
si sia innamorato di lei. E a completare lo scherzo le sono state
inviate tante lettere d’amore,
che il ladro/Sonja scopre e legge
svelandoci una vita basata su un
inganno e un’illusione: una vita
non vissuta... Buone credenziali
per questo spettacolo vengono
dall’autrice (molto popolare in
Russia) come pure dal regista,
noto a livello internazionale anche in veste di attore. Purtroppo
la recita avviene in lingua originale (lettone), con traduzione in
cuffia. (m.s.)
39
monitor recensioni
Kazimir Malevic, Falciatore (1912)
Arte
Quel poderoso
tempo creativo
delle avanguardie
“illuminazioni”
Stefano Zanella
“Illuminazioni”, la prima delle tre
mostre proposte dal Mart e curate
da Ester Coen nel corso del 2009
per il centenario del Futurismo, è
un’operazione culturale che evita le vie
più battute, come ripercorrere il solo
futurismo italiano o il suo rapporto
con l’ avanguardia francese, il
cubismo. Propone un confronto meno
frequentato, con altre avanguardie, la
tedesca e la russa, nel quinquennio
che dal 1910 porta alla Grande
Guerra.
Nel fare questo, illumina la fitta
rete di contatti e influenze (in cui
il cubismo gioca comunque la sua
parte fondamentale) che, in campo
artistico, oltrepassa i confini delle
nazioni proprio negli anni in cui
le esasperazioni nazionalistiche
precipitano. E riesce a portare qui,
oggi, opere poco o per nulla esposte
da noi, molte provenienti dai musei
nazionali o regionali dell’est europeo.
Insieme all’epistolario dei protagonisti
MOSTRE
Riapre la Casa d’Arte Futurista
‘Fortunato Depero’
Rovereto.
Dopo oltre un decennio di chiusura (vedi a tal
proposito Qt n. 15 / 2004), riapre, duplicando
gli spazi, il museo voluto e ideato da Fortunato
Depero. Gli spazi espositivi, disposti su tre livelli,
documentano in particolar modo l’attività di Depero
nel campo delle arti applicate: mobilia, marionette,
grafica editoriale, soprammobili e soprattutto le
celebri tarsie in panno. Torneremo naturalmente ad
occuparcene in maniera più approfondita in uno dei
prossimi numeri. (d.d.)
40
di quegli anni,
pubblicato nel libro che
l’accompagna, la mostra
riserva delle sorprese,
e aiuta a capire come il
radicale sconvolgimento
che investe i linguaggi
dell’arte, prima della
guerra, dia risposte
diverse al cambio
epocale venuto avanti
da qualche decennio,
l’imponente sviluppo
tecnico e industriale che
si ripercuote nella vita
quotidiana. I futuristi ne
sono folgorati. Boccioni,
in una lettera, descrive
il suo viaggio a Parigi
nel 1906 come fosse
un viaggio iniziatico,
incontro travolgente
con la città simbolo
della vita moderna. E’ lo
spettacolo di dinamismo (prima che
il fermento artistico) a colpire la sua
immaginazione, e la risposta sua e del
suo gruppo sarà di esaltare le nuove
condizioni percettive, le incessanti
stimolazioni del movimento.
Ciò che più accomuna le avanguardie
(e le rende tali) è lo stravolgimento
dello spazio pittorico tradizionale,
la compresenza di una pluralità, o
l’assenza di qualunque prospettiva.
Qui lo vediamo. Ma questa fuoriuscita
dal realismo non sempre (nemmeno
tra i futuristi, del resto) è un atto di
esaltazione della modernità.
Il confronto di linguaggi e poetiche
è via via favorito da un’opera
futurista, scelta, in ogni sezione
della mostra, come possibile termine
di paragone. Così, sul tema quasi
emblematico della città per il cambio
epocale, lo smottamento degli spazi
urbani di Olga Rozanova, la fosca
incombenza della “Vecchia fabbrica”
di Sevcenko, che pure usano stilemi
non lontani dall’avanguardia italiana,
sono altra cosa dalla brulicante
effervescenza della città di Carrà
(ancora in debito però, nel 1910, col
postimpressionismo), ma anche dal
famoso dipinto di Boccioni sullo
stesso tema (qui non esposto). Per
non dire della dimensione, quasi
aliena, di incantamento, lontanissima
dalla frenesia del moderno, che
connota la raffinata serie di dipinti
“architettonici” di Feininger.
Oppure, se si tratta di figura, la
violenza espressionista di un’opera
febbraio 2009
Teatro
Un gabbiano
che non vola
Cechov secondo la regia
di marco bernardi
Daniele Filosi
Ol’ga Rozanova, Città (1913)
come quella di Grosz, esasperata nel
colore e nella prospettiva (“Suicida”),
coglie la tragicità quasi grottesca della
vita contemporanea, ben lontana dagli
interessi soprattutto plastici dell’operaguida di Boccioni per questa sezione.
E se gli artisti del Blaue Reiter portano
la loro sensibilità spiritualista che
pare, con Kandinskij soprattutto, ma
anche con Marc, uscire dal tempo
presente e recuperare radici mistiche,
tra le artiste e gli artisti russi, oltre
i modi più vicini al cubismo che al
futurismo della Udalcova o della
Popova, si trovano le prove molto
più autonome della Goncarova, di
Larionov (il raggismo), e la suadente
astrazione ritmica di Rodcenko.
Dicevamo delle scoperte. In qualche
caso scopriamo un autore in un
momento che precede le ricerche che
lo hanno reso famoso. Ad esempio
un “Falciatore” dipinto nel 1912
da Malevic: arcaismo e modernità
meccanica assorbiti nella sospensione
luminescente della figura. Un altro
grande russo, Chagall, con una
deliziosa opera che gioca con la
grammatica cubista piegandola ai
suoi scopi. Oppure il dialogo che la
ricerca di Gino Severini (non sempre
il più citato dei futuristi, fuori di qui)
sulle linee di forza degli oggetti e dei
movimenti di danza, intesse con altri
autori in vari punti del percorso. E
ancora, lo scrigno di piccole opere
grafiche, disegni, improvvisazioni dei
bei nomi di quel poderoso tempo
creativo. Lo splendido finale di
astrazione che trae linfa da percorsi
diversi.
(Rovereto, Mart, fino al 7 giugno)
QUESTOTRENTINO
“Mi piacerebbe che questo ‘Gabbiano’
riuscisse veramente rotondo, vero
[...], come Cechov l’ha scritto.
Intenso e misterioso. Come la vita”.
Parola di Marco Bernardi, il regista
dell’allestimento del “Gabbiano” di
Anton Cechov passato a fine gennaio
all’Auditorium Santa Chiara di Trento.
Dopo il debutto a novembre “in casa”, al
Teatro Stabile di Bolzano, lo spettacolo
diretto da Bernardi è arrivato in
stagione anche a Trento, e con un buon
riscontro di pubblico, finalmente, dopo i
mugugni dei piani alti del Centro Santa
Chiara sul recente calo di spettatori (si è
parlato addirittura di un 30% in meno:
la crisi, dunque, sembra essere piombata
anche sul teatro).
Ma le tante teste canute viste in platea
domenica pomeriggio, nell’ultima
delle quattro repliche di Trento, non
fanno ben sperare sulla capacità di
attrazione della stagione del Santa
Chiara, soprattutto sulle giovani
generazioni. Dato più sociologico che
altro, questo, perché passando alla
scena, le parole di Bernardi sul suo
allestimento tradiscono, dopo le oltre
due ore di spettacolo, una promessa
non mantenuta. Ciò che non si può
rimproverare al “Gabbiano” di Bernardi
è di non essere stato rassicurante verso
i suoi spettatori: tonalità pastello,
morbide, quasi monocordi, nella regia e
nel complesso della macchina scenica.
La scenografia, appena aperto il sipario,
è ciò che colpisce di
più: un’ambientazione
classica, quella di una
Russia di campagna, di
una borghesia annoiata
dei suoi stessi rituali,
delle sue stesse tiepide
Marco Bernardi
passioni: il teatro alla
vecchia maniera di
Irina, la grande attrice, si scontra con
il nuovismo “decadentista” di Kostja,
con il suo maldestro tentativo di
scardinare, senza successo, lo status quo
all’interno di cui si trova. Ma il gioco
a cui fa giocare i personaggi Bernardi
non si accende: le passioni, le tensioni
generazionali, artistiche e personali non
si scatenano sotto traccia, rimangono
sopite per poi lasciarle di volta in volta
in mano all’attore di turno che prende le
redini del gioco. E’, questo “Gabbiano”,
uno spettacolo rassicurante, dove si
rischia poco in scena e si rischia ancora
meno in platea: gli attori sono buoni
attori, la scenografia è degna di uno
Stabile, i costumi anche, la regia è pulita,
come ci si aspetta da Bernardi, nel suo
tentativo di “fenomenologia applicata al
teatro”, come dice lui stesso. Il problema
di questo “Gabbiano” che non vola è
proprio questo: tutto molto, troppo ben
curato, per dare davvero vita al grande
quadro espressionista di Cechov, che
avrebbe bisogno almeno di una chiave
di lettura, almeno di un’angolazione
interpretativa. Un buon testo e una
buona compagnia di attori fanno metà
dello spettacolo, si dice spesso: vero, ma
ci vorrebbe anche l’altra metà. E questo
“Gabbiano” rimane appunto a metà, non
riesce a spiccare il volo, rimanendo sui
binari sicuri di un teatro d’altri tempi, di
un teatro ben fatto, ben compiuto, ma
che fatica a emozionarsi, a far vibrare le
sue stesse corde e quelle del pubblico.
41
monitor recensioni
Il libro
I doveri di ciascuno
Gherardo Colombo, Sulle regole.
MIlano, Feltrinelli, 2008, pp. 160,
euro 14,00.
Chiara Santamaria
Regole. A parlarne si prova una sorta di
pudore, quasi fossero un datato retaggio
di tempi lontani. Oggi tutto è permesso,
tutto possibile e accettato, tanto che
anche lo sdegno per la trasgressione
sembra passato di moda. Eppure le
LIBRI
Francesco Velardita
Fondo Fortunato Depero. Inventario.
Presentazione di Gabriella Belli.
Rovereto, Nicolodi, 2008,
pp. 392, euro 20,00.
Sebbene chiuso al pubblico fino a… data da
destinarsi, prosegue febbrilmente l’attività
dell’Archivio del ‘900 del Mart.
Dopo l’inventario dei fondi Vittore Grubicy,
Thayaht e Tullio Crali, è stato recentemente
pubblicato l’inventario del fondo Fortunato
Depero, ricco di oltre 7500 unità documentarie
tra scritti, materiale a stampa, corrispondenza
e documenti personali del futurista roveretano. (d.d.)
42
regole sono sempre più pressanti e
onnipresenti; liberarsi di un oggetto
che non serve più era, fino a qualche
anno fa, una cosa semplice, adesso
richiede conoscenza delle regole e
cura nell’osservarle. Una schizofrenia
sconcertante, della quale non siamo
quasi mai consapevoli.
Delle regole si occupa l’ultimo libro di
Gherardo Colombo, il giudice dimessosi
dalla magistratura nel 2007, che della
sua scelta dice: “Progressivamente mi
sono convinto che, per contribuire al
funzionamento della giustizia, sarebbe
stato utile piuttosto intensificare quel
che già cercavo di fare nei momenti
lasciati liberi dalla professione: girare
per le scuole, università, parrocchie,
circoli e in qualunque altro posto
mi invitassero a dialogare sul tema
delle regole. La giustizia non può
funzionare se il rapporto tra i cittadini
e le regole è malato, sofferto, segnato
dall’incomunicabilità”. Quindi non una
rinuncia, al contrario: un impegno
maggiore, certo molto meditato, nei
confronti di quello Stato fino a poco
prima servito nelle aule dei tribunali.
Questo impegno, questa convinzione
che le regole siano imprescindibili e che
il comportamento di ognuno di noi sia
un tassello indispensabile per costruire
una società più giusta è una costante
del libro, un cardine intorno al quale
ruotano le sue pagine. E che fa riflettere
fin dalla prefazione.
Fin dalle prime righe l’autore ci prende
per mano e ci accompagna lungo i trenta
capitoli che compongono il volume
spiegandoci chiaramente, ma senza
annoiare, che cosa siano la giustizia, il
diritto naturale, le sanzioni e le pene,
la società orizzontale e quella verticale.
Questi, e i molti altri concetti trattati,
sembrerebbero a prima vista tediosi
argomenti da addetti ai lavori: niente di
più sbagliato.
La lettura è stimolante e gli argomenti
catturano proprio per la capacità
dell’autore di renderli accessibili con
un linguaggio semplice e uno stile che
sorprende per la sua sobrietà. Il libro
centra quindi il non facile obiettivo
di fermare l’attenzione dei profani su
temi centrali ma in apparenza lontani
dalla vita di tutti i giorni e sui quali è
necessario pensare ed interrogarsi .
Da quando si è dimesso dalla
magistratura, Colombo scrive libri e
gira l’Italia per portare ai cittadini il suo
modello di società civile, il suo esempio
di impegno, la sua idea di responsabilità
e cittadinanza. Si possono condividere,
o meno, le tesi dell’autore. Ma certo
tanto senso di responsabilità e coerenza,
tanto zelo nel portare avanti le proprie
idee, tanta disponibilità ad esporsi e a
discutere con chiunque, sono un segnale
importante che spetta a tutti noi cogliere.
febbraio 2009
monitor
Musica
Quando il genio
è distratto
ANNA KRAVTCHENKO
Tullio Garbari
Sala piena per il concerto della pianista
ucraina Anna Kravtchenko, che il 12
gennaio ha inaugurato la stagione 2009
della Società Filarmonica di Trento.
Molto soddisfatto il presidente Marco
de Battaglia, che nel tradizionale saluto
al pubblico ha sottolineato come per
il settimo anno consecutivo la Società
abbia saturato gli abbonamenti, e ha
ringraziato l’uditorio per la numerosa
presenza, che ha testimoniato l’affetto
del mondo musicale trentino verso
la protagonista della serata. Un
sentimento ricambiato solo in parte: la
solista, che ricordiamo vincitrice del
Premio “Busoni” nel 1992, a soli 16
anni, insegnante presso l’Accademia
Pianistica di Imola e solista affermata in
tutto il mondo, ha deluso le aspettative,
proponendo un programma interamente
dedicato al grande repertorio romantico
– su tutto la monumentale Sonata in si
minore di Liszt, che ha occupato tutta
la seconda parte – in modo distratto,
disattento, a tratti addirittura scolastico,
sicuramente non all’altezza delle capacità
tecniche e musicali che l’hanno resa
famosa.
È stato soprattutto nella prima parte
del programma, dedicata a due
Notturni e alla seconda Sonata in si
bemolle minore op. 35 di Chopin, che
le celebrate doti della pianista ucraina
sono mancate; nella raffinatezza delle
linee melodiche del grande autore
polacco la Kravtchenko ha mostrato
inaspettatamente mancanza di controllo
delle dinamiche, grosse imprecisioni
nella resa della partitura, carenze nella
cura assoluta del suono che l’esecuzione
chopiniana richiede. Ne è risultata una
performance impersonale, spigolosa,
QUESTOTRENTINO
segnata dalla scelta di tempi un po’
troppo veloci, che non ha coinvolto
il pubblico, e che d’altra parte non ha
nemmeno presentato la perfezione
tecnica che al giorno d’oggi spesso
sostituisce il valore musicale e che ci
si aspetterebbe da un solista di tale
calibro. La stessa pianista è sembrata
insoddisfatta della sua esibizione,
concedendo un solo rapido inchino
prima di tornare nel camerino.
Nella seconda parte la Kravtchenko
ha mostrato ancora una volta la
predilezione per il repertorio di Liszt:
il nervosismo della prima parte si è
scontrato con gli oscuri gesti e con
l’infernale virtuosismo del pianista
ungherese. Pur presentando ancora
dinamiche ancora un po’ schematiche
e alcuni momenti di imprecisione, la
pianista ha esibito un suono cristallino
e un’ottima padronanza dei pianissimo,
restando capace di passare al fortissimo
dove la partitura lo richiedeva, e
recuperando via via un controllo
dell’espressione musicale che l’ha
riportata ai livelli consueti e che ha
finalmente convinto la sala.
Nonostante gli applausi scroscianti che
hanno seguito l’esecuzione, possiamo
dire che il concerto ha comunque
deluso le aspettative e una parte del
pubblico. Si sperava, dal nome in
cartellone, in un’esecuzione di livello
assoluto in ogni sua parte, e invece si è
assistito a momenti di valore alquanto
modesto, lontani dalle capacità per cui
Anna Kravtchenko è famosa e di cui
ha dato peraltro prova nei due bis, –
“Ottobre” dalle Stagioni di Čaikovskij e la
celeberrima “Serenata” di Schubert nella
trascrizione di Liszt – proposti in modo
strabiliante per purezza e controllo
delle melodie e dei colori, proprio ciò
che nella prima parte del concerto era
mancato maggiormente.
43
monitor recensioni
Cinema
La schiena liscia
della memoria
“Valzer con Bashir”
Alberto Brodesco
Un saggio sulla memoria, un film di
guerra, una pellicola d’animazione,
una riflessione sul documentario e
sul suo stesso farsi, una denuncia
dell’indifferenza che coinvolge il
nostro sguardo e le nostre azioni.
È tutto questo “Valzer con Bashir”,
documentario di animazione del
regista israeliano Ari Folman. Il
film racconta la storia di un cineasta
che ha partecipato, da soldato, alla
guerra in Libano nel 1982, ma ha
perso la memoria. La sua esperienza
del massacro di Sabra e Chatila è
circondata dal vuoto.
I due termini, “documentario”
e “animazione”, sembrerebbero
ossimorici. Ari Folman, invece, sceglie
di combinarli. E con questo svela
come la componente oggettiva della
VEDI ANCHE
“The millionaire”
di Danny Boyle
Un film piacevole e riuscito. Che ha il difetto,
non minore, di risultare però alla fine un’appropriazione dello stile dei film di Bollywood ad
uso ammorbidito del pubblico occidentale. Di
tutto il barocco e gli eccessi e il melodramma
che Bollywood non risparmia, Boyle mantiene
solo quel dosaggio di ingredienti che non ci
risulti indigesto. Come un ristorante indiano
con il cuoco europeo.
“Il giardino dei limoni”
di Eran Riklis
“Il muro il muro, / che come la mano di uno
scippatore / avanza per chilometri zigzagando
/ tra le piantagioni...” . Sono versi di Aharon
Shabtai, poeta di Tel Aviv. “Il giardino dei limoni” ha a che fare un confine sottile, una vedova
palestinese, un ministro israeliano, sua moglie.
La solidarietà tra donne scatta, e non scatta.
Un
44 buon film medio. .
ricostruzione di ogni
esperienza passi sempre
attraverso una visione
soggettiva, che spesso
non si muove negli
universi della logica ma
in quelli del sogno, o
dell’incubo. È in mezzo
a queste due tensioni
che va cercata l’anima
del vissuto. La realtà e
il sogno si mescolano
persino nella mente di chi ha vissuto
in prima persona un’esperienza bellica.
Nessuna ambizione di oggettivazione
narrativa o storica può quindi esimersi
dall’assumere al suo interno questa
contraddizione. Non c’è racconto senza
il senso che gli attribuiamo.
Folman sceglie di enfatizzare questa
impasse con la scelta di virare in
figure animate i soldati, le persone
intervistate. Il tentativo di ricostruire la
realtà della guerra nel Libano consiste
nel processo di un vistoso, faticoso
lavorio visuale. Paradossalmente,
l’animazione rende il racconto più
realistico, più vero. Non vediamo
“Milk”
di Gus Van Sant
Van Sant trova una splendida mediazione tra
i suoi lavori più mainstream (“Will Hunting”) e
quelli più di ricerca (“Paranoid Park”).
“Milk” si concentra sulla figura dell’attivista
per i diritti dei gay con un’intensità e una vicinanza che incantano, come incanta la capacità
di integrare in modo morbido, spontaneo,
senza salti, i filmati dell’epoca all’interno del
girato. Documento, biografia, arte cinematografica..
Beirut ricostruita chissà dove, non
vediamo attori che recitano la parte di
soldati. Vediamo delle figure, animate
a volte con tecnica tradizionale, a volte
in flash, mettendo in movimento dei
fotogrammi girati dal vivo. L’effetto
è iperrealista. La realtà emerge
squarciante e scandalosa. La guerra non
passa attraverso un set. È tutta lì, in
quei contrasti tra nero e campi di colore
pieno. La perdita del referente realistico
rafforza un segno che non deve
relazionarsi ad altro se non se stesso.
Un intervistato, un commilitone, fragile
intellettuale, pensa di poter dimostrare
di essere un vero uomo solo lanciandosi
in guerra insieme al suo esercito. Il
film lo mostra mentre si dirige verso
il Libano su di una nave che ricorda
per solitudine e gioia non-sense
quella di “Apocalypse now”. Durante il
viaggio, il soldato viene rapito da una
grande venere nuda, che lo porta in
mare, gli offre riparo tra le sue cosce,
in una sequenza dove eros e morte si
abbracciano – come da tradizione, ma
in modo inedito. Questa scena, come
diverse altre, è caratterizzata da una
totale piattezza dei volumi. Non c’è
profondità. Le figure, bidimensionali,
sembrano muoversi su una pellicola
liscia. Come se la storia, e la Storia,
potesse lasciarsi scivolare dalla schiena,
senza nemmeno accorgersene, i
personaggi che la abitano. Come
se la memoria si estendesse non in
profondità ma in superficie. La Terra è
piatta: ai bordi di questa crosta enorme
c’è la caduta libera, vuoto, il nulla.
febbraio 2009
la TV del Trentino... e oltre
Ringraziamo i 179.000* telespettatori
che tutti i giorni guardano i nostri programmi,
confermando RTTR
la prima televisione locale
del Trentino Alto Adige
* dati
Auditel Ottobre 2008
QUESTOTRENTINO
Contatti netti giorno medio 178.755
45
piesse
Scrivi una cosa...
Elena Vesnaver
Pane e vino
Q
uando sono nato mio papà voleva registrarmi come
femmina per non farmi fare il servizio militare. Mio
papà era panettiere e anarchico, solo che non lo sapeva. Di essere anarchico.
Mi raccontava dei posti dove non aveva combattuto e dove
non aveva sparato a nessuno, anche se era stato soldato e il fucile
glielo avevano dato eccome; io provavo una grande delusione,
come quando lo zio Annibale, che era stato a costruire ferrovie in
Canada, diceva che i Pellerossa erano buoni e gentili e chiamava i
coyote cjanuts, cagnolini.
Mentre mio papà e mia mamma andavano a sposarsi ci fu un
bombardamento e tutto il corteo di nozze dovette buttarsi nei
fossi; per questo penso che lui disse basta guerre, basta divise,
basta armi e niente militare per mio figlio.
Mio zio Lino era comunista e lo sapeva.
Mi passava i giornali e mi spiegava le notizie, mi raccontava dei
partigiani e credo sia merito suo se mi è nato l’amore per la storia.
Però mi portava anche al cine e lì sì che gli Indiani erano cattivi,
con le piume e le pitture di guerra, e al circo, dove le trapeziste mi
incantavano con quelle gambe al vento.
Zio Lino era di compagnia, gli piacevano i discorsi all’osteria
con il bicchiere di vino davanti e qualche partita a carte. Parlava
di politica e si accalorava, ma tutti si accaloravano per le idee, in
quegli anni.
Poi fu la volta della Madonna Pellegrina.
Ci sarebbe stata una grande processione che avrebbe
attraversato di sera tutto il paese e le case sarebbero state addobbate
per l’occasione.
Solo che mio papà, in negozio, aveva sentito sussurri che, se
non ci fosse stata mia mamma, la pagnotta gliela avrebbe tirata
in testa a quella malalingua e zio Lino, quando arrivò dopo cena
come sempre, disse che il vino gli era andato in veleno per quello
che aveva sentito all’osteria.
Girava voce che tutti avrebbero onorato la Madonna
Pellegrina, meno quelli là, perché quelli là della Madonna se
ne fregavano, erano comunisti e senzadio. Quelli là era la mia
famiglia, naturalmente. Quando mi mandarono a letto, zio Lino e
papà erano ancora là a battere i pugni sul tavolo.
46
Il giorno della processione arrivò mio cugino Raimondo.
Parlò con mio papà, con zio Lino, buttò via la sigaretta e
disse sì, lo facciamo; tornò dopo un’ora, con un camion pieno
di luminarie che io non ne avevo mai viste tante, prestate dalla
Festa dell’Unità, che là ancora non servivano ed erano a prendere
umido in magazzino, che una scaldata proprio andava bene.
Raimondo, papà e zio Lino lavorarono tutto il pomeriggio
davanti a casa, tirando metri e metri di lampadine, chilometri,
ridendo forte come bambini cresciuti, mentre Argo, il mio cane
abbaiava e ringhiava al materiale sconosciuto e poi correva da me,
che stavo seduto su un gradino, stupito quanto lui.
Arrivò il buio e con il buio la statua della Madonna con il prete
e le donne che pregavano. Una per una si accesero le lucette delle
altre case, modeste corone di lumi attorno alle finestre o alla porta
e allora Raimondo buttò la sigaretta e attaccò la spina nel muro.
Mamma mia. Sbattei le palpebre senza riuscire a credere ai
miei occhi: davanti a casa, scritte con le luminarie, c’erano due
enormi lettere dell’alfabeto, una vu doppia e una emme.
– Cosa vuol dire? – chiesi a Raimondo.
– Viva Maria.
Zio Lino e papà guardavano orgogliosi il loro capolavoro,
mentre Raimondo rifletteva che quella poteva essere una bella
idea per la Festa dell’Unità, magari scrivendo “W il Partito
Comunista” e io sognai che una bella trapezista, attratta dalla luce
come una farfalla, mi sarebbe caduta fra le braccia e avrebbe fatto
le sue acrobazie solo per me.
La sognai di nuovo quella notte, mentre dormivo nel mio letto
e il buio sembrava ancora più buio
***
“Sono nata a Trieste nel 1964 e a 12 anni ho deciso di diventare attrice.
Poi, l’Istituto d’Arte Drammatica e tanti sceneggiati radiofonici presso la
sede RAI di Trieste. Nel 1988, insieme a Maurizio Silvestri, ho fondato il
Teatrodellaluna e ho iniziato a scrivere i testi dei nostri spettacoli. Nel ‘90
ho incontrato il Teatro di Strada, che mi ha spinto ad affrontare mostri
sacri come Brecht e Beckett e classici della letteratura per l’infanzia. Nel
frattempo tutti mi chiedevano perché non provavo a scrivere qualcosa
di diverso da uno spettacolo. Ce n’è voluto di tempo, ma alla fine li ho
accontentati”.
febbraio 2009
piesse
Io tinta di aria
Nadia Ioriatti
Il quinto gusto
L
a mamma per colazione ci preparava una scodella di caffelatte con il pane raffermo e, per farci arrivare a scuola
per tempo, lo spezzettava un bel po’ prima. Quando mi
sedevo a mangiare era ormai diventato una poltiglia. Improvvisamente e da un giorno all’altro, avrò avuto una decina di
anni, tutto quel pan bagnato mi fece venire il voltastomaco.
Una vera e propria ripugnanza. Smisi di far colazione per evitarlo, visto che non c’era scelta. Così come evitai da allora e per
sempre, la trentinissima panada, gli gnocchi di pane, i crostini
nella minestra, la scarpetta con il sugo. Se non è zuppa è pan
bagnato si dice ma, per fortuna, esiste una via di fuga.
Prima di allora non mi soffermavo sui sapori, per coniare un
neologismo ero “agustativa”, infatti, le mie risposte erano disorientanti: “C’è abbastanza sale nella minestra?” chiedeva la mamma?
“Boh!” rispondevo. “E’ zuccherato il latte?” “Non so!” La cosa seria
era che non lo capivo davvero. Il gusto era un concetto astratto che
in me non si era ancora sviluppato e sicuramente non era regolato
da quello che mangiavo. Avevo sempre appetito allora e divoravo tutto con avidità. Mangiare era qualcosa da fare in fretta a casa
mia. Solo papà mangiava molto lentamente. Era una reazione alla
prigionia a Mauthausen.
Temevo la fame - i miei genitori ne parlavano sempre – ma
avevo molta paura di svegliarmi un giorno in un pentolone con
i cannibali che mi cuocevano per pranzo.
Una prozia mi aveva abbonato al Piccolo Missionario. Era uno dei miei pochi strumenti
didattici di allora. Capivo l’ingiustizia della
fame nel mondo e mi sentivo in colpa. Io
avevo i languori davanti alla mia cuginetta
che passava da un lato all’altro i bocconi della
bistecca che sua madre le aveva fatto ingoiare con l’inganno a pranzo. O che teneva in
mano una banana sbucciata per un’ora e magari lasciava cadere la fetta di pane e nutella.
Alimenti superflui e da ricchi che in casa non
ci permettevamo e i quali, ovviamente, mi facevano molto gola.
“Certo - pensavo - quando farò la spesa io,
non mi mancherà niente di quello che non ho avuto da bambina.”
Pensieri ingenui, smentiti in fretta. Eh sì, perché essendo “agustativa”, non mi entusiasmavo per nessun cibo e le voglie alimentari
passarono velocemente. Non vennero nemmeno durante le gravidanze. Il piacere della tavola non mi coinvolgeva - mi sentivo insipida come una rapa - anche se imparai a cucinare discretamente
per la mia famiglia.
Si invecchia sentendosi diversi, a disagio, perché circondati da
persone che gustano i cibi, si deliziano a mangiarli e passano molte
ore a tavola. Io mi sarei nutrita di altro perché la mia era fame di
cultura, ma mangiare è vitale. La differenza tra piacere e dovere!
Una svolta miracolosa quando, una dozzina di anni fa, per problemi di salute, mi sono avvicinata ed entusiasmata per l’alimentazione naturista, integrale e biologica, cambiando radicalmente
cibo. Non è stato facile: provate a mettere in cucina come assaggiatrice la rapa di prima!
Ho poi scoperto sapori inediti gustando con calma quello che
avevo cucinato, dapprima con algida precisione, per poi appassionarmi stupita. Ritrovando addirittura un po’ d’infanzia nel quinto
gusto, l’umami… molto giapponese all’apparenza perché tipico del
sushi, ma presente anche nel latte materno.
Se il piacere del palato è paragonato a quello dei sensi, in ambedue i casi dovrei ricevere molti arretrati!
47
QUESTOTRENTINO
Foto di Alessio Osele
p i ep si e
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sfogliando s’impara
Tòs
Fra bastardi e mutande
L
àthe biòsas (vivi nascosto) diceva il vecchio Epicuro
esortando al contenimento dei desideri, alla moderazione, alla sobrietà. Un invito mai come oggi ignorato. Chi
prova a riproporlo, ad esempio ipotizzando che possedere sette
ville e seguitare a comprarne sia forse eccessivo, viene subito
tacciato di invidioso. Bisogna enfatizzare, gridare, farsi notare, esaltare situazioni e persone, naturalmente cominciando da
se stessi. Guardate Facebook: adoperato assennatamente è una
grande risorsa, che però, in tempi di narcisismo, si trasforma
spesso in una inutile, ridicola fiera di esibizionismi. “In quattro
giorni scopro di avere 462 amici. Mi chiedo perché esco ancora
con i soliti quattro stronzi” - recita su Youtube un aspirante rapper, perplesso per gli esiti inattesi del suo sbarco su Facebook.
La rincorsa all’enfasi vede naturalmente in primo piano
l’informazione. Gli ormai famosi Bastard Sons of Dioniso
sono quattro giovani valsuganotti bravini a cantare, ma l’Adige, che dedica una sorta di rubrica quasi quotidiana alla loro
“emozionante avventura catodica”, ne ha fatto dei fenomeni,
che “dopo aver superato le forche caudine di Mara Maionchi”
sono rimasti “umili, particolari e semplicissimi”, con quel loro
“look grezzo e diretto – camicioni da boscaioli e jeans”, capaci
di questa “dichiarazione cult: ‘Veniamo dal Trentino e siamo
fieri di essere dei valligiani!”.
Si dice che volessero entrare negli studi televisivi con due
casse di birra, ma “forse è una leggenda che però rinsalda la
loro nomea di duri e puri del rock”. Anche qualche aspirante
intellettuale ne rimane folgorato: la loro vicenda – scrive un
lettore - “potrebbe addirittura dar luce alla marginale dimensione artistica trentina, a patto che la trentinità venga espressa
come valore, come elemento distintivo dalla realtà massificata
e non come immagine da commercializzare”.
Il tutto accade nella trasmissione “X Factor”, la cui sigla
iniziale sembra preludere, più che a un reality musicale, ad
un grandioso evento cosmico.
Dalla musica alla letteratura, ecco un nuovo mito sbocciare sotto i nostri occhi. “Dopo il successo dei Bastard Sons, ora
il trionfo di ‘Rotte mutande’: che stia cambiando il Trentino?”
si chiede il direttore dell’Adige Pierangelo Giovanetti.
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“Rotte mutande” (il titolo furbetto va inteso, latinamente,
come “percorsi da cambiare”), è il romanzo del giovane Pierluigi Tamanini, che proprio grazie a Facebook sta conoscendo
un certo successo fra gli adolescenti, i quali scrivono al giornale parlandone in toni entusiastici: secondo Nicola, “Rotte
mutande” descrive “con trasporto ed emozione l’animo della
gioventù trentina... Qualcosa anche in Trentino si sta muovendo”. Insomma, questo libro “mi ha convinto a cambiare vita”.
Giovanni contrappone la condivisibile ideologia che permea l’opera ai “demagogici valori ormai svuotati di ogni contenuto”. Quali? “Cooperazione, famiglia, fede, solidarietà, tutte
istituzioni che sopravvivono grazie agli ingenti capitali elargiti
per autoincensarle e perpetuarle, obsolete”.
Ma diamo la parola all’autore, che così illustra la trama:
“Jin è un giovane insoddisfatto della vita che conduce. Teme
di consumare i suoi anni migliori in una monotona ed inutile
routine. Lentamente precipita in un inferno artificiale fatto di
alcool, sesso e solitudine. Scoprirà che solo cadendo ci si può
rialzare. Cercherà la felicità in India, lontano da tutto e da
tutti”; là potrà “riflettere, meditare sul significato della vita,
sull’eterno dualismo tra spiritualità ed esperienza, tra l’accontentarsi e il ribellarsi”. Ed ecco i propositi del protagonista:
“Sento che ho bisogno di sfogarmi, di cercare, di non rispettare
le regole, di fare lo stupido, di sbagliare, di vivere alla giornata
(...) Voglio vedere come è fatto il mondo. Voglio viaggiare. Voglio scoprire. Voglio volare. Voglio”. Non avendo letto le “Rotte mutande”, non possiamo esprimerci sul loro valore letterario. Non ci vediamo, però, molto di nuovo: smanie giovanili,
sesso, alcool, droga, India... Toh, son tornati gli hippies di
quarant’anni fa! Ne sentivamo il bisogno?
Dobbiamo comunque riconoscere a Tamanini una notevole efficacia persuasiva: “Mentre lo leggevo – scrive Giusy
- ho deciso di mollare tutto, il lavoro, l’università e il mio ragazzo per andare in India. Perché stare qui a penare in una
vita senza senso, fatta solo di studio, casa e lavoro?”
E il Tamanini, tutto contento: “Se lo scopo della mia vita
d’artista era illuminare il cammino altrui, credo di aver centrato l’obiettivo” . Congratulazioni.
febbraio 2009
Il fumo
e l’arrosto
gastronomia e affini
Chiesa, non più tempio
Adelio Vecchini
Questa volta si recensisce la storia. Certo,
con la “s” minuscola, di branca minore
e futile impatto. Però storia, perchè il
ristorante Chiesa per lungo tempo è
stato riferimento gastronomico di Trento
e provincia. Da alcuni lustri l’antico
spirito s’era però assopito, e assopito
era anche il menù con il risotto alle mele,
inamovibile e quasi malinconico cimelio. Il
cambio un paio di anni fa. Parola d’ordine:
diversificare l’offerta ed aprirsi a più
tasche. Ecco dunque un wine-bar, alcuni
tavoli dove servire piatti espressi a prezzi
ragionevoli e una sala gourmet per volare
alti.
Oggi parliamo di quest’ultima. Pavimenti
verdi, divanetti platino e bicchieri per
l’acqua turchese. Ambiente bello, ma
forse troppo “studiato”. Giovani in cucina,
capitanati dal capace Peter Brunel, e
giovani anche in sala, ma con stile tanto
impostato da risultare alle volte affettato.
La cucina, creativa, utilizza ingredienti
costosi (caviale, aragosta, piccione) che
incidono notevolmente sui prezzi. Non
tanto quelli della degustazione (55 euro
sono legittimi), quanto piuttosto in carta,
dove le portate sfondano spesso quota
25. Scusate, la rubrica finisce e non ho
parlato di piatti. L’errore è però indotto.
Le portate infatti, curate e ben cucinate,
dicono pochino. Sono gradevoli, certo, e
la materia prima è all’altezza, mancano
però di personalità. I bocconcini di pollo
fritto sono bocconcini di pollo fritto, e la
crema di zucca con stracciatella abbina
due ingredienti di qualità, ma che assieme
non sanno essere piatto. La sensazione,
insomma, è che il remake del Chiesa si
sia basato troppo sul costruito e poco sul
costrutto.
[email protected]
Ristorante Chiesa
Trento, Parco San Marco
Tel. 0461-238766
Chiuso la domenica e il lunedì a pranzo
QUESTOTRENTINO
Cime Tempestose
Mattia Maistri
Gemelli selvaggi, alias gemellaggi
Il sindaco di Carlat, piccolo comune montano francese dell’Auvergne, ha chiesto al
consiglio comunale di Vallarsa di siglare un
gemellaggio. Nel comune di Vallarsa, infatti,
esiste una frazione denominata Bruni, che,
accompagnata al nome del paese francese,
creerebbe un’assonanza con il nome e cognome della signora Sarkozy, Carla Bruni.
Idea che ha già dato il via in Trentino ad un
delirio toponomastico, diviso per area tematica. Dopo la citata categoria “ex modelle,
ora first lady” hanno preso vita quella “stupefacenti e affini” (Loppio, Pera, Spini, val
di Fumo con i “foresti” Erba e Riga), quella
“umbri e nonesi anticlericali” (Don Bastardo) e quella “toscani e lagarini in astinenza
forzata” (Massa Seghe). Ardito esperimento
linguistico, invece, in Giudicarie, dove la
pronuncia di Tione è stata inglesizzata in
Taiuàn, nella vaga speranza di un proficuo
gemellaggio con l’isola cinese. Piccolo dramma, infine, in Val di Fassa, dove la crudeltà
delle vocali ha impedito a Moena e Pozza di
realizzare la miglior combinazione possibile,
quella in onore della compianta pornodiva.
Attento che diventi cieco!
Un venticinquenne trentino in cerca di brividi si divertiva a fare il giro del quartiere
in macchina mentre si masturbava. La sua
pratica è però stata interrotta da un’attenta
signora, che dal quinto piano del suo condominio ha visto tutto e ha denunciato il
ragazzo alla polizia. Complimenti alla strepitosa vista della signora: degna di chi certe
cose non le ha proprio mai fatte.
Categorie leghiste
I locali di via Malvasia nel quartiere di San
Martino a Trento utilizzati dalla comunità
islamica come luogo di culto sono stati chiusi dal Comune poiché la loro destinazione
d’uso è di tipo commerciale e non religiosa.
Grandi i festeggiamenti in casa leghista. L’on.
Fugatti, in particolare, ha attribuito alle numerose interrogazioni del suo partito il merito dell’operazione, gongolando soddisfatto:
“Le regole sono uguali per tutti ed era ora che
si intervenisse contro queste illegalità diffuse.
Illegalità che sono tollerate per gli islamici e
non per i trentini”. E chi è trentino e islamico
è forse illegale per metà?
Profondo sud
Diminuito in media nel 2008 il numero degli assenti tra i dipendenti pubblici trentini.
Al comune di Lavis le assenze per malattia
sono addirittura scese del 52%. In controtendenza, invece, il Comune di Ala, dove
le mancanze dal lavoro sono aumentate del
38%. Immediato il commento della Lega al
riguardo: “I soliti teróni!”
Silenzio, si studia!
Che i bagni della biblioteca di via Roma a
Trento a volte siano utilizzati in modo improprio, è una spiacevole realtà sotto gli
occhi di tutti. Per farvi fronte il Comune
ha deciso di intervenire con i vigili urbani,
che hanno iniziato una ronda quotidiana
non solo nei bagni ma anche nei corridoi e
persino tra i tavoli delle aule studio. Interpellata da l’Adige, una bibliotecaria ha ammesso soddisfatta che da quando ci sono i
vigili nelle sale c’è più silenzio. A quando le
telecamere sopra i tavoli e le microspie nei
libri?
Problemi di lingua
La stessa bibliotecaria ha detto poiche “gli
utenti più problematici della biblioteca stanno al caldo vicino all’emeroteca, dove sfogliano giornali arabi”. Non sapevo che il mio
amico Aziz, fedele lettore dei quotidiani in
lingua araba in via Roma, avesse dei problemi. Che sia una questione d’alfabeto?
Un caffè più dolce
A partire dal nuovo anno, il gestore di due
bar di Trento ha abbassato il prezzo del caffè
a 70 centesimi (vedi l’Adige del 21 gennaio).
Per sensibilità di fronte a una situazione
economica difficile – dice lui.
Sarà vero, e magari c’entra anche la concorrenza (tanto che, per sua stessa ammissione,
il numero di caffè serviti ha avuto un forte
incremento); resta il fatto che una tale decisione, pur di modesta rilevanza, è senz’altro
lodevole.
Non la pensa così Giorgio Buratti, presidente dell’Associazione dei pubblici servizi, secondo il quale “non bisognerebbe abbassare i
prezzi, ma aumentare la qualità del servizio”.
In concreto cosa si potrebbe offrire in più al
cliente di un bar: la Jacuzzi nel cesso o una
tazzina d’oro massiccio?
49
piesse
Andar per Castelli
Tersite Rossi
L’intervista (im)possibile
A seguito dello strepitoso successo
televisivo della band trentina “The
bastard sons of Dioniso” (BSD) al reality
show “X Factor”, siamo andati sulle
tracce del vero padre dei tre componenti
del gruppo: Dioniso, il dio greco
dell’ebbrezza. E lo abbiamo intervistato.
Andrea Castelli
Noi, “biodiversi”
Mi ricordo di quando i trentini dicevano dei terroni. Con superiorità, col tono di chi
la sa lunga. Però le carte ora si sono mischiate, confuse, succedono cose strane. Non si
capisce più niente. È la pena del contrappasso. Adesso le discariche velenose ci sono
anche da noi. Le lavatrici in fondo alle scarpate (in valli dai dépliant turistici patinati)
ci sono sempre state, con corredo di vecchi pneumatici. Così come i crepacci vicini a
certi rifugi di montagna, stipati di monnezza. Lo si sapeva.
Ora c’è una nuova specie: trentini doc che, da luoghi ameni dove i rifiuti si pagano a
peso, li ficcano di mattina presto nei cassonetti di città, come ladri al contrario. Siamo
solo agli inizi, dilettanti sulla buona strada. Ricordo quando certi trentini dicevano
dei terroni e delle raccomandazioni, ma anche da noi se conosci l’amico dell’amico del
politico o del monsignore... molto meglio. È normale direbbe Mastro Mastella. Anche i
trentini, se non sei del giro, ti tagliano fuori.
Oh, sì che ricordo quanto ridevano i trentini se al sud nevicava e chiudevano le
scuole: dio le risate, noi montanari, rotti a tutte le intemperie. Oggi ne bastano venti
centimetri e pure da noi gli studenti restano al calduccio. Perché non mandarli a
spalare “autogestiti”? Perché anche da noi ci sono genitori che minacciano i professori
e professori che spacciano droga.
Ricordo benissimo le gravi allusioni al sud, quando si parlava di “avvertimenti
mafiosi”, ma se tagliano campi di viti o di meli da noi, per avvertire il sindaco, è tutta
un’altra cosa. Non si è mai saputo cosa, ma un’altra cosa. Perché anche da noi chi parla
di sistemi mafiosi viene ridicolizzato (ricordo una ex candidata sindaco...), dato che
anche da noi se si parla di mafia o camorra -chissà perché- negano tutti. Non è omertà,
sia ben chiaro, è ... biodiversità?
Siamo un biotopo. Un ricco biotopo. Abbiamo albergatori che attaccano i meteorologi
se dicono che da noi pioverà.
Pensateci su. Non ci sono più le stagioni di una volta.
50
Entriamo subito nel vivo: ma lei è davvero
il padre dei tre ragazzi del gruppo BSD?
No sté ricordarmelo, ve prégo! È scominzià
tut ‘na sera al’Isolotto de Ospedaletto, en
Valsugana. Ero nà col Charlie e el Mingo,
do me amìzi camionisti de Vicenza, a
magnàr oseléti scampài e polenta. N’avèm
magnà ‘na brènta e g’avèm bevù dréo
sète-òto litri de vin. Ensòma, èrem onti che
no ve dìgo.
E poi cos’è successo?
Ero così embriàc che me sòm més a far el
mòna con ‘na vècia sgrébena. Ela la m’ha
fat dó moìne de quéle giuste e l’ei nàda a
finir che ghe són nà en del let ensèma! Nove
mesi dopo me són trovà tre fiòi sul gropón
e n’aségno de mantenimento da pù de mili
euro al mes!
Caspita. Immaginiamo che almeno ora
sia orgoglioso dei suoi ragazzi...
Per carità! Ma i’hat mai sentìdi cantàr?
Non le sembra di essere ingeneroso?
Il pubblico trentino li adora...
I trentini i adorava anca el Malosini e el
Grisenti. E dopo vàra che fìn che i’ha fat...
A proposito di politica, abbiamo saputo
che nel passato ha collaborato con alcuni
assessori provinciali, in particolare Tiziano
Mellarini.
Dovèm far en pas endrìo. Diversi ani
fa ho trovà laóro come insegnante de
enologia al’istituto de San Michel. Per
en po’ me la sòn godùda, ma quando el
dirigente el m’ha trovà en clàse embriàc
cóla bòza en màn, i m’ha parà via.
È stato a quel punto che ha incontrato
l’assessore Mellarini.
Pròpi così. Ne sèm conosùi a Ala, a ‘na
festa campestre. Tra ‘n biciér de vìn e ‘na
bira sèm deventài amìzi e, come l’ei come
no l’ei, me sòn ritrovà tra’n déto e’n fàto
“consulente provinciale per lo sviluppo
enogastronomico”. Ensóma, ‘na bàza...
Lavora ancora come consulente?
Ho ciapà ‘na ciavàda anca lì. Dopo le
elezión i sé trovai con en par de dirigenti
che nèva en pensión e per no lasàrli
a cà a far la mùfa, i l’ha riasùnti come
consulenti. E mi sòn restà col cul per tèra.
Peccato. Come occupa il suo tempo ora?
Giro per piàza Dante, vàgo a zugàr ale
carte al circolo anziani, bèvo qualche
bicier coi amìzi. ‘Na vita de febbraio
merda...2009
perché il
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Frutto avvelenato?