2009 - 2014
PARLAMENTO EUROPEO
Commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni
14.2.2011
DOCUMENTO DI LAVORO 2
sulla strategia della sicurezza interna dell'Unione Europea
Commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni
Relatrice: Rita Borsellino
DT\856574IT.doc
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Unita nella diversità
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L'interazione fra Sicurezza "esterna" e sicurezza interna" dell'Unione
La prima area "grigia" è quella della relazione fra competenze dell’Unione in materia di
sicurezza e di difesa (PESD) e competenze in materia di sicurezza interna. Il Trattato di
Lisbona ha infatti conservato alla PESD un regime speciale corrispondente più o meno al
« secondo pilastro » già previsto dai Trattati precedenti in base al quale in queste materie non
è possibile l’adozione di atti legislativi e gli accordi internazionali non possono avere la stessa
portata vincolante di quelli conclusi sulla base delle competenze "ordinarie" UE in materia di
cooperazione di polizia o cooperazione giudiziaria penale.
La differenza non è di poco conto poichè nell'ambito delle competenze "ordinarie" il Trattato
corresponsabilizza il Parlamento europeo conferendogli il diritto di essere pienamente e
tempestivamente informato nel corso dei negoziati e, soprattutto di approvare o respingere
l'accordo (vedi i recenti casi degli accordi UE-USA in materia di TFTP e PNR o gli accordi di
riammissione con vari paesi terzi). In questi casi gli accordi internazionali sono considerati il
« prolungamento » esterno di politiche dell’Unione e debbono essere negoziati e conclusi
secondo le procedure ordinarie e in conformità ai principi della politica europea applicabile
per il settore in questione (immigrazione, protezione dei dati, terrorismo). In altre parole sono
le competenze interne che determinano le competenze esterne e non il contrario (come si
afferma in taluni documenti del Consiglio).
In questa prospettiva diventa quindi indispensabile la cooperazione tra il Parlamento europeo
(e la commissione LIBE in particolare) e il negoziatore dell'accordo (sia esso l’Alto
rappresentante o la Commissione) per conto del Consiglio. Un tema essenziale sarà
inevitabilmente quello del trattamento e dell’accesso alle informazioni « classificate » quando
queste siano necessarie alla conclusione di accordi internazionali, alla adozione della
legislazione legata allo SLSG.
L'interazione fra sicurezza interna degli Stati membri e Sicurezza interna dell'Unione
La seconda area grigia è quella dell'interazione fra sicurezza interna degli Stati e sicurezza
interna dell'Unione. E' solo il caso di ricordare che dopo il Trattato di Lisbona la politica di
sicurezza interna dell'Unione è ormai una politica europea a pieno titolo alla quale si
applicano i principi affermati da decenni dalla Corte di Giustizia quali per esempio:
- il primato del diritto europeo su quello nazionale
- l'applicabilità diretta dei regolamenti (e delle Direttive quando le previsioni siano precise e
incondizionate)
Di più che in altre politiche la misure in materia di sicurezza pubblica devono rispettare i
principi vincolanti definiti nella Carta dei diritti fondamentali.
In questo quadro è di fondamentale importanza più che in altre politiche tradizionali che il
legislatore Europeo rispetti i criteri di sussidiarietà e proporzionalità (non fosse altro per
evitare i ricorsi in corte di una qualunque delle camere nazionali dei paesi membri).
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E'in questa prospettiva che lo stesso Consiglio europeo definendo il programma di Stoccolma1
aveva considerato che la strategia di sicurezza comune dovesse essere ispirata da una "
ripartizione chiara dei compiti tra l'Unione e gli Stati membri che rispecchi una visione
condivisa delle problematiche odierne". Ora, paradossalmente è lo stesso programma di
Stoccolma a indicare una serie molto ampia di obbiettivi da raggiungere nel quinquennio
2010-2014 senza preoccuparsi più di tanto di indicare quali debbano essere i ruoli rispettivi
dell'Unione delle sue Agenzie e degli Stati membri.
Lo stesso "flou" artistico caratterizza anche la sorte delle misure già adottate nel corso degli
ultimi vent'anni in materia di polizia e cooperazione giudiziaria penale e che decadranno al
più tardi il 1 Dicembre 2014 (Protocollo 36 art. 10). La Commissione stessa nonostante le
ripetute richieste del Parlamento europeo non ha ancora avviato il programma di
«Lisbonizzazione» della legislazione esistente e preferisce procedere caso per caso. Questo
approccio permette di avanzare su alcuni temi specifici (come per le proposte in materia di
diritti procedurali nel processo penale, sulla protezione dei dati, o sulle misure contro il
traffico di esseri umani o per la recente proposta sulla valutazione della cooperazione di
Schengen) ma ritarda di fatto di una legislatura la soluzione di questioni urgenti tanto per il
Parlamento europeo che per i Parlamenti nazionali come la "Lisbonizzazione" di Europol e di
"Eurojust" e la messa in opera della valutazione delle politiche dello SLSG (rispettivamente
art. 88, 85 e 70 TFUE).
In assenza di un quadro chiaro sembra quindi ragionevole l'approccio metodologico avviato
dallo stesso Consiglio dopo l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona e che si fonda su alcuni
documenti Strategici quali:
- le conclusioni del Consiglio sull'architettura della sicurezza interna approvate nel 2006 in
cui è illustrata la definizione di un quadro di riferimento per la sicurezza interna dell'UE
comprendente quattro fasi;2
- la Strategia di Sicurezza interna definita dal Consiglio GAI a Toledo e ripresa dal Consiglio
europeo nel marzo 2010.3
In sostanza questi documenti cercano di individuare e contrastare le minacce per la sicurezza
interna dell'Unione attraverso un processo decisionale "circolare" che coinvolga
periodicamente le Istituzioni europee, gli stati membri e con il supporto delle agenzie europee
(Europol, Eurojust, Frontex) sotto il coordinamento europeo del Comitato di Sicurezza interna
previsto dall'art. 71 del TFUE. Questo processo circolare dovrebbe permettere di mettere
progressivamente a fuoco quali siano le azioni effettivamente necessarie a livello dell'UE sia
per assicurare una cooperazione più agile fra le amministrazioni nazionali che per realizzare
iniziative specifiche a livello dell'Unione.
Per parte sua la Commissione ha recentemente presentato (al di fuori però del meccanismo
previsto dal Consiglio) una Comunicazione sulle priorità e iniziative strategiche per la
Strategia di sicurezza interna dell'UE.4
1 GU C 115 dell'11.5.2010, pag. 1.
2 Doc. del Consiglio (non inviato al Parlamento) n° 7039/2/06 JAI 86 CATS 34.
3 Vedi il documento Ufficiale : http://register.consilium.europa.eu/pdf/it/10/st07/st07120.it10.pdf e l'opuscolo "Verso un modello di sicurezza europeo"
http://www.consilium.europa.eu/uedocs/cms_data/librairie/PDF/QC3010313ITC.pdf
4 COM(2010) 673.
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Rinviando al terzo documento di lavoro l'analisi delle priorità proposte, si può fin d'ora
apprezzare la volontà della Commissione e del Consiglio di ripartire su basi nuove dopo
Lisbona la costruzione europea in materia di libertà sicurezza e giustizia.
L'interazione fra istituzioni europee e in particolare fra Parlamento europeo e Consiglio
Quello che è invece preoccupante è che Commissione e Consiglio abbiano sinora di fatto
ignorato il ruolo del Parlamento europeo (PE) e dei parlamenti nazionali nella fase della
definizione di questa Strategia. Sembrerà incredibile ma i principali documenti strategici
adottati sinora dal Consiglio europeo, dal Consiglio e dalla stessa Commissione sembrano
ignorare semplicemente l'esistenza del Parlamento europeo. Ora, se questa assenza era già
sorprendente prima dell'entrata in vigore del Trattato di Lisbona sono inspiegabili a un anno
dall’entrata in vigore di questo trattato.
Emblematico è a questo proposito il caso della strategia europea di lotta contro il terrorismo
avviata già a fine 2001, rivista nel 20051 promossa dal Coordinatore anti-terrorismo e oggetto
di verifiche semestrali da parte del Consiglio e del Consiglio europeo ed anche da parte degli
Stati Membri.2. Questa Strategia elenca una serie articolata di obbiettivi, programmi, accordi,
che si sono precisati nel corso degli anni senza mai coinvolgere formalmente il Parlamento
europeo. Come si può quindi pretendere che esso faccia proprio tutto questo lavoro e lo
traduca in atti legislativi quando ne ha avuto a stento conoscenza dalla stampa, da saltuari
incontri con il Coordinatore europeo ? (su questo tema vedi il Rapporto di iniziativa di Sophie
In’T Veld)
Analoghe osservazioni valgono per la lotta alla criminalità organizzata per la quale il
Consiglio stesso ha definito l'8/9 novembre scorso cosiddetto «Policy Cycle» per il periodo
2011-2013 che definisce le modalità di dialogo tra Stati membri le Istituzioni e le Agenzie
europee ignorando tuttavia il ruolo del Parlamento europeo che pure è co-legislatore e autorità
di bilancio (su questo tema vedi il rapporto di iniziativa di Sonia Alfano)
A fronte di questa cecità delle altre istituzioni queste non devono quindi sorprendersi delle
reazioni parlamentari su dossiers come gli accordi EU-USA sul trasferimento di dati bancari
(TFTP-SWIFT) o dati personali dei passeggeri aerei (PNR) o anche su misure come quelle
assunte da taluni stati membri in relazione ad esigenze di sicurezza interna ma considerate dal
PE (e dalla stessa Commissione) come a rischio per i diritti di libera circolazione dei cittadini
e con impatto sulle discriminazioni (vedi il caso delle minoranze ROMA).
Sorprendente è dopo anni di tensioni interistituzionali tradottesi in ricorsi davanti alla Corte di
Giustizia il Parlamento europeo (e lo stesso Consiglio dell’Unione) ancora non disponga di
verifiche oggettive dell’impatto di norme come quelle sull’utilizzo dei dati dei passeggeri
aerei. Un altro caso di evidente superficialità è quello della proposta di utilizzo dei Body
Scanners per i quali le verifiche d’impatto sono state disposte solo dopo il voto negativo della
plenaria.
1 Vedi : http://register.consilium.eu.int/pdf/it/05/st14/st14469-re04.it05.pdf
2 Le misure nazionali in materia di lotta al terrorismo sono oggetto (come quelle relative alla cooperazione Schengen) a una valutazione condotta dagli stessi stati membri.
L’ultima relazione in materia è ripresa nel documento del Consiglio http://register.consilium.europa.eu/pdf/it/10/st08/st08568.it10.pdf
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Il Parlamento europeo non sta come si è detto "flettendo i propri muscoli" di fronte alle altre
istituzioni ma semplicemente cercando di far fronte a ragion veduta delle responsabilità che il
Trattato gli attribuisce in queste delicate materie anche perché non è affatto escluso che prima
o poi sia chiamato a difendersi di fronte alla Corte di Giustizia per violazione del principio di
sussidiarietà o di proporzionalità (magari su ricorso di un Parlamento nazionale o su richiesta
pregiudiziale di un giudice ordinario).
Ora, per esercitare tale responsabilità è indispensabile che il Parlamento disponga di tutte le
informazioni necessarie alla suo ruolo di co-legislatore siano esse nella disponibilità delle
altre istituzioni o degli stessi stati membri soprattutto quando sono questi ultimi a invocare un
intervento dell’Unione in settori sensibili legati alla sicurezza comune. Ignorare, rifiutare o
rendere arduo l’accesso a tali informazioni corrisponde a parere del vostro relatore a una
violazione del principio di cooperazione leale imposto alle istituzioni e agli Stati membri
dall’art. 13(2) TUE.
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