Cosa (non) è la teoria del gender
17/03/2015 By Carmen Bellone No, l’ideologia del gender non esiste davvero. È una trovata propagandistica che distorce gli
studi di genere. FONTE: http://www.stonewall.it/2015/03/cosa-non-e-la-teoria-del-gender/
Si salvi chi può da coloro che, per combattere le discriminazioni basate sull’orientamento sessuale
e sull’identità di genere, vogliono colonizzare le menti di bambini e bambine con una visione
antropologica distorta, con un’azione di indottrinamento gender. Il monito l’ha lanciato, a più
riprese, il mondo cattolico.
Lo ha fatto, per esempio, il cardinale Angelo Bagnasco in apertura del Consiglio della Conferenza episcopale italiana. Il Forum
delle associazioni familiari dell’Umbria ha stilato addirittura un vademecum per difendersi dalla pericolosa introduzione nelle
scuole italiane di percorsi formativi e di sensibilizzazione sul gender. Che si parli di educazione all’effettività, educazione
sessuale, omofobia, superamento degli stereotipi, relazione tra i generi o cose simili, tutto secondo loro concorre a un unico
scopo: l’indottrinamento. E anche l’estrema destra a Milano (ma non solo) ha lanciato la sua campagna “contro l’aggressione
omosessualista nelle scuole milanesi” per frenare eventuali seminari “diseducativi”.
La diffusione dell’ideologia gender nelle scuole, secondo ProVita onlus, l’Associazione italiana genitori, l’Associazione genitori
delle scuole cattoliche, Giuristi per la vita e Movimento per la Vita, è una vera emergenza educativa. Perché in sostanza, dietro al
mito della lotta alla discriminazione, in realtà spesso si nasconde “l’equiparazione di ogni forma di unione e di famiglia e la
normalizzazione di quasi ogni comportamento sessuale”. Tanto che, nello spot che ProVita ha realizzato per promuovere la
petizione contro l’educazione al genere, una voce fuori campo chiede “Vuoi questo per i tuoi figli?”.
Ma cos’è la teoria/ideologia gender? La teoria del gender
Non esiste. Nessuno, in ambito accademico, parla di teoria del gender. È infatti un’espressione usata dai cattolici (più
conservatori) e dalla destra più reazionaria per gridare “a lupo a lupo” e creare consenso intorno a posizioni sessiste e omofobe.
Significativa, per esempio, la posizione di monsignor Tony Anatrella che, nel libro La teoria del gender e l’origine
dell’omosessualità, ci mette in guarda da questa fantomatica teoria, tanto pericolosa quanto oppressiva (più del marxismo), che
si presenta sotto le mentite spoglie di un discorso di liberazione e di uguaglianza e vuole inculcarci l’idea che, prima d’essere
uomini o donne, siamo tutti esseri umani e che la mascolinità e la femminilità non sono che costruzioni sociali, dipendenti dal
contesto storico e culturale. Un’ideologia (udite, udite) che pretende che i mestieri non abbiano sesso e che l’amore non
dipenda dall’attrazione tra uomini e donne. Talmente perniciosa, da essersi ormai insediata all’Onu, all’Unesco, all’Oms, in
Parlamento europeo.
“Ma non ha alcun senso parlare di teoria del gender e meno che meno di ideologia del gender”, sostiene Laura Scarmoncin, che
studia Storia delle donne e di genere alla South Florida University. “È un’arma retorica per strumentalizzare i gender studies che,
nati a cavallo tra gli anni 70/80, affondano le loro radici nella cultura femminista che ha portato il sapere creato dai movimenti
sociali all’interno dell’accademia. Così sono nati (nel mondo anglosassone) i dipartimenti dedicati agli studi di genere” e poi ai
gay, lesbian e queer studies.
In sostanza, come spiega Sara Garbagnoli sulla rivista AG About Gender, la teoria del gender è un’invenzione polemica,
un’espressione coniata sul finire degli anni ’90 e i primi 2000 in alcuni testi redatti sotto l’egida del Pontificio consiglio per la
famiglia con l’intento di etichettare, deformare e delegittimare quanto prodotto in questo campo di studi. Poi ha avuto una
diffusione virale quando, in particolare negli ultimi due-tre anni, è entrata negli slogan di migliaia di manifestanti, soprattutto in
Francia e in Italia, contrari all’adozione di riforme auspicate per ridurre le discriminazioni subite dalle persone non eterosessuali.
“È un blob di slogan e di pregiudizi sessisti e omofobi”. Un’etichetta fabbricata per distorcere qualunque intervento, teorico,
giuridico, politico o culturale, che voglia scardinare l’ordine sessuale fondato sul dualismo maschio/femmina (e tutto ciò che ne
consegue, come subordinazione, discriminazione, disparità, ecc.) e sull’ineluttabile complementarietà tra i sessi.
Secondo gli ideatori dell’espressione teoria/ideologia del genere, nasciamo maschi o femmine. Punto. Il sesso biologico è l’unica
cosa che conta. L’identità sessuale non si crea, ma si riceve. E il genere è una fumisteria accademica, come scrive Francesco
Bilotta, tra i soci fondatori di Avvocatura per i diritti Lgbti – Rete Lenford.
In realtà gli studi di genere costituiscono un campo di indagine interdisciplinare che si interroga sul genere e sul modo in cui la
società, nel tempo e a latitudini diverse, ha interpretato e alimentato le differenze tra il maschile e il femminile, legittimando
non solo disparità tra uomini e donne, ma anche negando il diritto di cittadinanza ai non eterosessuali.
L’identità sessuale
Gli studi di genere non negano l’esistenza di un sesso biologico assegnato alla nascita, né che in quanto tale influenzi gran parte
della nostra vita. Sottolineano però che il sesso da solo non basta a definire quello che siamo. La nostra identità, infatti, è una
realtà complessa e dinamica, una sorta di mosaico composto dalle categorie di sesso, genere, orientamento sessuale e ruolo di
genere.
Il sesso è determinato biologicamente: appena nati, cioè, siamo categorizzati in femmine o maschi in base ai genitali (a volte,
però, genitali ambigui rendono difficile collocare il neonato o la neonata nella categoria maschio o femmina, si parla allora di
intersessualità).
Il genere invece è un costrutto socioculturale: in altre parole sono fattori non biologici a modellare il nostro sviluppo come
uomini e donne e a incasellarci in determinati ruoli (di genere) ritenuti consoni all’essere femminile e maschile. La categoria di
genere ci impone, cioè, sulla base dell’anatomia macroscopica sessuale (pene/vagina) e a seconda dell’epoca e della cultura in
cui viviamo, delle regole cui sottostare: atteggiamenti, comportamenti, ruoli sociali appropriati all’uno o all’altro sesso.
Il genere, in sostanza, si acquisisce, non è innato, ha a che fare con le differenze socialmente costruite fra i due sessi. Non a caso
nel tempo variano i modelli socioculturali, e di conseguenza le cornici di riferimento entro cui incasellare la propria femminilità o
mascolinità.
L’identità di genere riguarda il sentirsi uomo o donna. E non sempre coincide con quella biologica: ci si può, per esempio, sentire
uomo in un corpo da donna, o viceversa (si parla in questo caso di disforia di genere).
Altra cosa ancora è l’orientamento sessuale: l’attrazione cioè, affettiva e sessuale, che possiamo provare verso gli altri (dell’altro
sesso, del nostro stesso sesso o di entrambi).
Educare al genere
“Nelle nostre scuole – sottolinea Nicla Vassallo, ordinario di filosofia teoretica all’Università di Genova – a differenza di quanto si
è fatto in altri Paesi, non c’è mai stata una vera e propria educazione sessuale e anche per questo l’Italia è arretrata rispetto alla
considerazione delle categorie di sesso e genere. Eppure, educare i genitori e dare informazioni corrette agli insegnanti affinché
parlino in modo ragionato, e non dogmatico, di sesso, orientamento sessuale, identità e ruoli di genere, a figli e scolari è molto
importante perché sono concetti determinanti per comprendere meglio la nostra identità personale. E per essere cittadini
occorre sapere chi si è”.
Educare al genere (come si legge nel bel saggio Educare al genere) significa, in fondo, sostenere la crescita psicologica, fisica,
sessuale e relazionale, affinché i bambini e le bambine di oggi possano progettare il proprio futuro al di là delle aspettative sulla
mascolinità e la femminilità.
Basti pensare, come scrivono le curatrici nell’introduzione, all’appellativo effeminato che viene usato per descrivere quegli
uomini che non si comportano da “veri maschi” (coraggiosi, determinati , tutti di un pezzo, che non devono chiedere mai) e
danno libero sfogo alle emozioni tradendo lo stereotipo dominante. E la scuola può (deve) avere un ruolo fondamentale per
scalfire gli stereotipi di genere, ancora fin troppo radicati nella nostra società, offrendo a studenti e studentesse gli strumenti
utili e necessari per diventare gli uomini e le donne che desiderano.
Educare al genere significa dunque interrogarsi sul modo in cui le varie culture hanno costruito il ruolo sociale della donna e
dell’uomo a partire dalle caratteristiche biologiche (genitali). Contrastare quegli stereotipi e quei luoghi comuni, socialmente
condivisi, che finiscono col determinare opportunità e destini diversi a seconda del colore del fiocco (rosa o azzurro) che
annuncia al mondo la nostra nascita.
Concedere diritto di cittadinanza ai diversi modi di essere donna e uomini. E significa anche riflettere “sul fatto che le attuali
dicotomie di sesso (maschio/femmina) e di genere (uomo/donna) non sono in grado, di fatto, di descrivere la complessità della
realtà” sottolinea Vassallo. E dietro questa consapevolezza non ci sono le famigerate lobby Lgbt, ma decenni di studi
interdisciplinari.
A scuola per scalfire stereotipi e pregiudizi
Trasmettere ai bambini e alle bambine, attraverso alcune attività ludico-didattiche, il valore delle pari opportunità e abbattere
tutti quegli stereotipi che, fin dalla più tenera età, imprigionano maschi e femmine in ruoli predefiniti, granitici, e sono alla base
di molte discriminazioni, è l’obiettivo del progetto Il gioco del rispetto.
Dopo la fase pilota dello scorso anno, sta per partire in alcune scuole dell’infanzia del Friuli Venezia Giulia. Accompagnato però
da non poche polemiche alimentate, ancora una volta, da chi vuole tenere lontano dalle scuole l’educazione al genere. Come se
possa esserci qualcosa di pericoloso nell’illustrare (lo fa uno dei giochi del kit didattico) un papà alle prese con il ferro da stiro e
una mamma pilota d’aereo. Alcuni l’hanno definito “una pubblica vergogna”, un tentativo di “costruire un mondo al contrario“,
l’ennesima propaganda gender, “lesivo della dignità dei bambini” e inopportuno, perché non avrebbe senso sensibilizzare i
bambini contro la violenza sulle donne, “come se un bambino di 4 o 5 anni potesse essere un mostro, picchiatore o stupratore“.
Eppure, poter riflettere sugli stereotipi sessuali, combattere i pregiudizi, sviluppare consapevolezza dei condizionamenti storicoculturali che riceviamo, serve anche a prevenire comportamenti violenti e porre le basi per una società più civile.
Le esperienze italiane
Lungo lo Stivale sono diversi i progetti che si prefiggono di abbattere pregiudizi e stereotipi in classe. Per esempio, l’associazione
Scosse ha promosso l’anno scorso a Roma La scuola fa differenza, per colmare, attraverso percorsi formativi rivolti a educatori e
insegnanti dei nidi e delle scuole dell’infanzia, le carenze del nostro sistema scolastico in merito alla costruzione delle identità di
genere, all’uso di un linguaggio non sessista e al contrasto alle discriminazioni. Da diversi anni lo fa anche la Provincia di Siena
nelle scuole di ogni ordine e grado.
Così come “da un po’ di anni ”, spiega Davide Zotti, responsabile nazionale scuola Arcigay, “attività di prevenzione dell’omofobia
e del bullismo omofobico sono organizzate nelle scuole italiane da Arcigay, Agedo e altre associazioni, attraverso percorsi di
educazione al rispetto delle persone omosessuali”.
In Toscana, per esempio, la Rete Lenford ha coordinato una rete di associazioni impegnate in percorsi didattici contro le violenze
di genere e il bullismo omotransfobico, per una scuola inclusiva. E a Roma l’Assessorato alla scuola, infanzia, giovani e pari
opportunità ha promosso, in collaborazione con la Sapienza, il progetto lecosecambiano@roma, rivolto alle studentesse e agli
studenti degli istituti superiori della Capitale. Apripista, però, è stato il Friuli Venezia Giulia, dove da cinque anni Arcigay e
Arcilesbica portano avanti il progetto A scuola per conoscerci, che nel 2010 ha ricevuto l’apprezzamento da parte del Capo dello
Stato, per il coinvolgimento degli studenti nella formazione civile contro ogni forma di intolleranza e di discriminazione.
Inoltre, il ministero per le Pari opportunità e l’Unar (Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali a difesa delle differenze) hanno
elaborato una strategia nazionale per la prevenzione, rispondendo a una raccomandazione del Consiglio d’Europa di porre
rimedio alle diffuse discriminazioni legate all’orientamento sessuale e all’identità di genere (nelle scuole, nel mondo del lavoro,
nelle carceri e nei media). In quest’ambito, l’Istituto Beck ha realizzato degli opuscoli informativi per fornire ai docente strumenti
utili per educare alla diversità, facendo riferimento alle posizioni della comunità scientifica nazionale e internazionale sui temi
dell’orientamento sessuale e del bullismo omofobico. E sono stati organizzati dei corsi di formazione per tutte le figure apicali
del mondo della scuola, al fine di contrastare e prevenire la violenza, l’esclusione sociale, il disagio e la dispersione scolastica
legata alle discriminazioni subite per il proprio orientamento sessuale.
Da qui la levata di scudi contro l’ideologia gender che destabilizzerebbe le menti di bambini e adolescenti. Perché non solo tra
moglie e marito, ma anche tra genitori e figli non si deve mettere il dito: guai a mettere in discussione la famiglia tradizionale e a
istillare domande nella testa di bambini e adolescenti che abbiano a che fare con l’identità (sessuale), l’affettività o la sessualità.
Il genere come ideologia
“Se qualcuno del gender ha fatto un’ideologia è stata la Chiesa cattolica”. Non ha dubbi in proposito la Vassallo che, nel suo
ultimo libro Il matrimonio omosessuale è contro natura (Falso!), ci mette in guardia dall’errore grossolano di far coincidere la
femmina (quindi il sesso, categoria biologica) con la donna (il genere, categoria socioculturale), o il maschio con l’uomo:
negando, in questo modo, identità e personalità a ogni donna e a ogni uomo.
“Nei secoli, infatti, la Chiesa cattolica ha costruito l’idea che uomo e donna siano complementari e si debbano accoppiare per
riprodursi”. Questo, in pratica, sarebbe il solo ordine naturale possibile. “Invece, se oggi parliamo di decostruzione del genere,
non lo facciamo per una presa di posizione ideologica, ma partendo dalla costatazione che, di fatto, non ci sono solo due sessi
(ce lo dice la biologia, si pensi all’intersessualità), ci sono più generi e non c’è un unico orientamento sessuale: ovvero quello
eterosessuale, che la Chiesa ha sempre promosso, etichettando come contro natura quello omosessuale”.
Ma la natura non è omofoba. Anzi. Nel libro In crisi d’identità, Gianvito Martino, direttore della divisione di Neuroscienze del San
Raffaele di Milano, spiega (e documenta) che è un gran paradosso etichettare l’omosessualità, ma anche il sesso non finalizzato
alla riproduzione, come contro natura. Ci sono infatti organismi bisessuali, multisessuali o transessuali, la cui dubbia identità di
genere è essenziale per la loro sopravvivenza. Additare quindi come contro natura certi comportamenti significa ignorare la
realtà delle cose, scegliendo deliberatamente di essere contro la natura.
IL GIOCO DEL RISPETTO
http://www.lezpop.it/il-gioco-del-rispetto-e-la-polemica-di-chi-vuole-solo-diffondere-odio/
In questi giorni si è alzato un polverone sull’introduzione a Trieste del Gioco del rispetto, ovvero un progetto rivolto ai bambini
per educarli all’eguaglianza e per abbattere ogni forma di discriminazione di genere. Mentre il gioco, realizzato da un team di
educatrici e ricercatrici universitarie, Lucia Beltramini, Benedetta Gargiulo, Daniela Paci, con le illustrazioni di Konstantina
Mavroidakos, nasce come strumento per superare il gender gap che esiste in Italia, ed è giustamente pensato per bambini
molto piccoli, quando i pregiudizi e gli stereotipi di genere non sono ancora strutturati nella loro mente, la politica e gli
esponenti ultra conservatori di questo paese hanno gridato allo scandalo.
Il primo a parlarne è stato il sito Vita Nuova, diffondendo la notizia – ovviamente falsa – che durante il gioco i bambini
sarebbero stati chiamati a toccare le loro parti intime, e che il fine del gioco sarebbe stato quello di confondere la sessualità dei
più piccoli e indurli a cambiare genere. Dopo poco, la politica, Salvini in testa, ha cavalcato l’onda alzando i toni e riducendo il
tutto alla solita, trita e ritrita, pericolosissima ideologia di gender a scuola.
Ma cos’è successo davvero a Trieste? Lo racconta un papà al sito triestino Bora.La:
Il caso è scaturito dall’incontro dove le insegnanti e la direttrice hanno anticipato che nel corso dell’anno ci sarebbe stato un
progetto dedicato a sensibilizzare gli alunni al rispetto ed all’uguaglianza tra bambini e bambine. Il tutto sotto forma di gioco
assolutamente innocente, dove i bambini avranno la possibilità di capire che un maschietto ed una femminuccia sono
perfettamente uguali nel modo di pensare, di giocare, di respirare. Attraverso riflessioni e semplici azioni, come ascoltare il
cuore che batte dopo una piccola corsa per scoprire che il battito fa proprio lo stesso suono, uguale nei bambini e nelle
bambine.
Nel corso di tale incontro un genitore, con tono arrogante, inquisitorio e totalmente fuori luogo, ha attaccato in maniera quasi
offensiva le maestre e la scuola, dicendo che questi giochi a scopo sessuale e di trasformazione non dovevano e non potevano
essere praticati con bambini di questa età […] Ha persino etichettato come “pecoroni” gli altri genitori che, sbigottiti, si sono
trovati nel mezzo di questa spiacevole situazione. In seguito, il genitore ha scritto un articolo su «Vita Nuova» e da qui si è
scatenata la polemica.
Siamo di fronte l’ennesimo esempio di manipolazione della realtà, di sfruttamento dell’ignoranza e della mancata
informazione, per biechi scopi propagandisti e per fomentare l’odio verso un nemico inesistente. L’ideologia di gender, la lobby
gay che vorrebbe l'”omosessualizzazione” dei più piccoli.
Non so dove si legga che i bambini si toccheranno i genitali e che si travestiranno… Si legge nel sito che Il gioco del rispetto si
basa sull’approccio “gender transformative” che non significa come i più maliziosi, o quelli in malafede vorrebbero
“trasformazione del genere” ma trasformare le relazioni inique, promuovere un potere decisionale, lavorativo ed economico che
deve essere condiviso un ugual misura tra uomini e donne; significa abbattere le barriere, aprire la mente al diverso, e non si
parla di diversità sessuale o di omosessualità come altri ancora vogliono far credere.
Insomma, per colpa di qualche stolto, l’Italia rischia di dover restare nel Medioevo. E non parlo di diritti LGBT, ma di
uguaglianza, di rispetto, della possibilità di formare i futuri cittadini che si batteranno per una società più equa, più giusta.
Soprattutto, in questo caso, la malizia è negli occhi di chi guarda. Chi instilla delle idee malsane nei bambini è colui che grida allo
scandalo, laddove non c’è nulla di cui scandalizzarsi.
La propaganda, in questo caso, non è solo pericolosa per noi adulti, ma per i più piccoli. Per quei bambini che, senza
nemmeno rendersene conto, sono stati tirati in ballo in un polverone mediatico. E allora, cari signori che difendete la famiglia,
quella tradizionale, ci mancherebbe, prima di gridare allo scandalo, passatevi una mano sulla coscienza, potreste scoprire che,
in realtà, siete voi quelli che “corrompono” l’innocenza dei più piccoli, strumentalizzando per i vostri biechi fini politici e
propagandistici i loro giochi e la loro educazione. Un po’, magari, dovreste vergognarvi.
http://giocodelrispetto.org/info/
dal sito internet GIOCODELRISPETTO.IT
“Pari o dispari? Il gioco del rispetto” è un progetto che nasce in Friuli Venezia Giulia,
nell’ambito delle attività volte alla prevenzione della violenza di genere.
Le discriminazioni tra uomo e donna sono una realtà molto ben radicata nella cultura
italiana e come accade quando si lavora per un cambiamento culturale, è necessario
partire dall’educazione delle nuove generazioni per scardinare il problema. Diverse scuole
hanno iniziato dei percorsi formativi per insegnare agli studenti a rispettarsi fra di loro e
rifiutare la violenza, ma la maggior parte di questi interventi avviene nelle scuole primarie, secondarie o superiori, quando cioè
gli stereotipi di genere sono già ben radicati nei ragazzi.
Per questo motivo il progetto “Pari o dispari? Il gioco del rispetto” vuole partire dalle scuole dell’infanzia, quando cioè i bambini
sono ancora terreno fertile per i concetti di libertà di espressione e di comportamento, al di là degli stereotipi.
COME È FATTO
Il kit didattico è composto da una scatola di giochi. Dentro questa scatola c’è una storia inedita, scritta da Benedetta Gargiulo e
illustrata da Konstantina Mavroidakos, che racconta le vicende di Red & Blue, un bambino e una bambina che affrontano le
prove avventurose del racconto, esprimendo sempre con grande libertà i loro sentimenti e le loro emozioni.
C’è poi un classico gioco di memoria, che consiste nel ricordarsi la posizione
esatta delle coppie di carte che rappresentano uno stesso mestiere. Ma chi
viene rappresentato in questi mestieri? Sempre un uomo e una donna, per
qualsiasi categoria. E le categorie sono molte!
Infine ci sono altre dieci schede di gioco, che le insegnanti o gli insegnanti sono
liberi di proporre ai bambini per farli divertire e contemporaneamente offrire
loro la libertà di essere e di comportarsi non secondo stereotipi costruiti, ma
secondo i loro naturali desideri.
Ma l’elemento più importante di tutti, che va sempre messo quando si gioca
coi bambini – e anche con i grandi – è il divertimento!
COME FUNZIONA
Le insegnanti e gli insegnanti delle scuole dell’infanzia che aderiscono al progetto vengono formati in un incontro
organizzato per spiegare le dinamiche del kit didattico. Da quel momento, viene lasciato loro circa un mese di tempo
per provare i giochi durante le ore di attività scolastica. Al termine del periodo stabilito, vengono raccolti dati e
risultati, che saranno poi analizzati e interpretati dalla psicologa Lucia Beltramini e dall’insegnante Daniela Paci,
coautrici del progetto. Il risultato atteso più importante sarà, ovviamente, un atteggiamento più consapevole dei
bambini e delle bambine su ciò che possono sentirsi liberi di fare a prescindere dal loro genere di appartenenza
Film: “I bambini sanno” di W.Veltroni, anche quelli figli di coppie
dello stesso sesso
Ne “I bambini sanno” Walter Veltroni cerca di raccontare il nostro tempo – anche l’omosessualità – tramite la voce dei bambini.
I bambini sanno è il nuovo film di Walter Veltroni che uscirà nelle sale il prossimo 23 aprile. Dopo il successo di Quando c’era
Berlinguer, Walter Veltroni si mette di nuovo dietro la macchina da presa per raccontare il mondo con gli occhi dei bambini. Lo
stesso Veltroni racconta questo film:
Ho cercato di raccontare, attraverso le voci di
trentanove bambini, il nostro tempo. Li ho
interrogati sulla vita, l’amore, le loro passioni, il
rapporto con Dio, sulla crisi, la famiglia e
sull’omosessualità.
E poi ha continuato:
I bambini non sono delle strane creature alle
quali rivolgersi con quel tono fintamente
comprensivo che gli adulti usano per
comunicare con loro. I bambini hanno un loro
mondo, un loro punto di vista, una loro
meravigliosa sincerità. Questo film racconta
come i nostri bambini, tra gli otto e i tredici
anni, osservano e giudicano l’Italia, la loro vita,
i grandi, il futuro.
Tra i protagonisti del film, come nota il sito
LezPop, c’è anche “la figlia di una coppia di donne lesbiche (di Giuseppina La Delfa e della compagna per l’esattezza) e che ci
mostrerà il suo mondo senza i filtri dei pregiudizi degli adulti”.
VEDI IL TRAILER
https://www.youtube.com/watch?v=w0Lz6eCdgvk
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Un articolo di Carmen Bellone