Mensile di aggiornamento e approfondimento in
materia di sicurezza sul lavoro
Numero 3 – Marzo 2014
Sommario
APPROFONDIMENTI
Antincendio
IL REGIME DELLE DEROGHE NELLA CERTIFICAZIONE DI PREVENZIONE INCENDI DELLE AUTORIMESSE
Le normativa di prevenzione incendi che regolamenta le autorimesse, sia private che
pubbliche, ma anche e più in generale tutte le altre attività indicate nell’elenco allegato al
D.P.R. 151/2011 (Regolamento recante semplificazione della disciplina dei procedimenti
relativi alla prevenzione incendi …) è strutturata considerando da una parte le indicazioni
rivolte a progettisti e costruttori di opere sulle modalità per conseguire gli obiettivi della
sicurezza in caso d’incendio, dall’altra le modalità connesse con l’eventuale procedimento
da attivare.
Stefano Zanut, Il Sole 24 ORE - Tecnici 24
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Formazione
SICUREZZA DI LAVORATORI E DATORI: L'INFORMAZIONE E LA FORMAZIONE PER OPERARE NEGLI
SPAZI CONFINATI
Il D.P.R. n. 177/2011 ha previsto che i datori di lavoro e i lavoratori operanti in ambienti
sospetti di inquinamento o confinanti fossero oggetto di una adeguata informazione,
formazione e addestramento, che deve essere definita a livello di accordo della Conferenza
permanente per i rapporti tra il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, il Ministero
della Salute, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, entro 90 giorni.
Tuttavia, questa definizione non è stata effettuata in nessuno dei due accordi 21 dicembre
2011.
Pertanto, è proposto un possibile quadro dei contenuti utili a conseguire l'obiettivo
richiesto.
Enzo Raneri, Il Sole 24 ORE
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Luoghi di lavoro
LA VALUTAZIONE DEL RUMORE NEI CALL CENTER
Così come evidenziato già nel 2005, nella giornata internazionale promossa dall’Agenzia
europea per la sicurezza e la salute sul lavoro (International Noise Awareness Day),
esistono attività lavorative dove il rischio rumore è spesso trascurato o erroneamente
associato esclusivamente ad ambienti tradizionalmente “rumorosi”, quali quello edile,
metallurgico e comunque nel contesto prettamente industriale. Negli anni, invece, diversi
studi hanno dimostrato che esistono altre attività lavorative esposte al rischio rumore come
ad esempio il settore della musica o dei Call center. In Italia, nel 2012, è stato stimato un
numero di circa 200.000 lavoratori addetti ai call center che risultano essere esposti a
rischio rumore. Questa particolare categoria è soggetta a tale pericolo sia da un punto di
vista ambientale che strumentale a causa dei dispositivi da loro utilizzati.
Diego Annesi, Il sole 24 ORE - Tecnici 24
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L’ESPERTO RISPONDE
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RASSEGNA DI NORMATIVA
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Chiuso in redazione il 8 marzo 2014
Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, marzo 2014, n. 3
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Antincendio
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Il regime delle deroghe nella certificazione di prevenzione incendi delle
autorimesse
Stefano Zanut, Il Sole 24 ORE – Tecnici 24
Le normativa di prevenzione incendi che regolamenta le autorimesse, sia private che pubbliche, ma
anche e più in generale tutte le altre attività indicate nell’elenco allegato al D.P.R. 151/2011
(Regolamento recante semplificazione della disciplina dei procedimenti relativi alla prevenzione
incendi …) è strutturata considerando da una parte le indicazioni rivolte a progettisti e costruttori di
opere sulle modalità per conseguire gli obiettivi della sicurezza in caso d’incendio, dall’altra le
modalità connesse con l’eventuale procedimento da attivare.
Parlare di “eventuale procedimento” è infatti d’obbligo, preso atto che non per tutte le autorimesse
risulta necessario presentare ai Vigili del Fuoco la Segnalazione Certificata di Inizio Attività (SCIA),
o richiedere un parere sul progetto, in quanto il D.P.R. 151/2011 stabilisce diverse modalità nel
procedimento in funzione della superficie complessiva coperta a partire da 300 m2 (punto 75
dell’allegato al decreto).
Più in particolare, l’amministratore dovrà semplicemente presentare SCIA per le attività più
semplici (è il caso delle autorimesse più piccole, ma comunque con superficie superiore a 300 m2)
oppure richiedere prima la valutazione del progetto (è il caso delle autorimesse più grandi). Per le
autorimesse di fascia C, ovvero quelle con superficie superiore a 3000 m2, la SCIA sarà quindi
seguita da un sopralluogo che il Comando provinciale dei Vigili del Fuoco entro 60 giorni dalla
presentazione.
Attività
75.1.A
75.2.B
75.4.C
Descrizione
Autorimesse pubbliche e private, parcheggi pluriplano
meccanizzati, con superficie compresa tra 300 m2
1000 m2
Autorimesse pubbliche e private, parcheggi pluriplano
meccanizzati, con superficie compresa tra 1000 m2
3000 m2
Autorimesse pubbliche e private, parcheggi pluriplano
meccanizzati, con superficie superiore a 3000 m2
Val.
Progetto
SCIA
e
a
NO
SI
e
e
SI
SI
SI
SI
e
Tabella 1. I diversi procedimenti di prevenzione incendi in funzione della superficie di
un’autorimessa.
Il riferimento tecnico da considerare nella progettazione e realizzazione di tali attività è
rappresentato dal D.M. 1/2/1986 (Norme di sicurezza antincendi per la costruzione e l’esercizio di
autorimesse e simili), strutturato in funzione del numero di autoveicoli presenti. In particolare nel
caso questi siano in numero inferiore a 9 si applicano le disposizioni indicate al suo punto 1, per
capienze maggiori è invece da utilizzare il 2 e seguenti.
Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, marzo 2014, n. 3
Una tale discrasia tra le modalità di applicazione delle due norme (300 m2 per il D.P.R. 151/2011 e
9 autoveicoli per il DM 1/2/1986) è fondamentalmente legata al regime normativo “pre-” D.P.R.
151/2011, nel cui ambito un’autorimessa risultava soggetta ai controlli dei Vigili del Fuoco se aveva
una capienza superiore a 9 autoveicoli e la norma tecnica era stata strutturata proprio per
soddisfare questo regime. In attesa di un nuovo riferimento che sia in grado di allineare tra loro le
due norme, il decreto dell’86 rimane comunque vigente e nella sua applicazione si dovrà tener
conto del numero di autoveicoli che possono stare all’interno di un’autorimessa da calcolare in base
in base alla “superficie specifica di parcamento” (c.f.r. punto 3.3 del D.M. 1/2/86), oppure al
numero di autoveicoli che s’intendono effettivamente tenere all’interno dell’autorimessa a seguito
di una specifica dichiarazione del gestore (per fare un semplice esempio, un’autorimessa di 400 m2
- attività 75.1.A - può contenere, considerando una superficie specifica di parcamento pari a 20
m2/autoveicolo, 20 autoveicoli, quindi si applica il D.M. 1/2/86 dei punti 2 e seguenti).
Relativamente alle modalità di applicazione della stessa norma deve risultare ben chiaro che nel
caso di autorimesse non soggette ai controlli di prevenzione incendi perché di superficie inferiore a
300 m2, l’omesso controllo non esime comunque il gestore dagli obblighi connessi con il rispetto
normativo, per cui sarà eventualmente sua cura affidarsi a un professionista abilitato per
verificarne la rispondenza.
Nell’affrontare tutte queste problematiche il gestore dell’autorimessa, ovvero il professionista
incaricato di istruire correttamente un eventuale procedimento di prevenzione incendi, potrebbe
trovarsi di fronte a difficoltà nella corretta applicazione della norma per vari motivi (a esempio nel
caso di un’opera da realizzare in un contesto fortemente vincolato, oppure di un’autorimessa
esistente il cui adeguamento potrebbe risultare difficoltoso).
In questi casi il normatore ha considerato nell’ambito del D.P.R. 151/2011 la possibilità di poter
richiedere una deroga dall’applicazione normativa, apportando soluzioni alternative che siano in
grado di garantire un equivalente livello di sicurezza. Tale aspetto è considerato nell’art. 7
(Deroghe) dello stesso decreto.
D.P.R. 151/2011 - Art. 7 (Deroghe)
1. Qualora le attività soggette ai controlli di prevenzione incendi di cui all’Allegato I del presente
regolamento, presentino caratteristiche tali da non consentire l’integrale osservanza delle regole
tecniche di prevenzione incendi vigenti, gli interessati, con le modalità stabilite dal decreto di cui
all’articolo 2, comma 7 del presente regolamento, possono presentare al comando istanza di
deroga al rispetto della normativa antincendio.
2. Possono presentare istanza di deroga, con le modalità di cui al comma 1, anche i titolari di
attività, disciplinate da specifiche regole tecniche di prevenzione incendi, che non rientrano tra
quelle riportate all’Allegato 1.
3. Il Comando esamina l’istanza e, con proprio motivato parere, la trasmette entro trenta giorni
alla Direzione regionale. Il Direttore, sentito il Comitato tecnico regionale per la prevenzione
incendi, di cui all’articolo 22 del decreto legislativo 8 marzo 2006 n. 139, si pronuncia entro
sessanta giorni dalla ricezione dell’istanza, e ne dà contestuale comunicazione al Comando al quale
la stessa è stata presentata ed al richiedente.
Ma di che ordine potrebbero essere queste difficoltà che si frappongono al rispetto normativo?
E’ certo difficile codificarle a priori, perché nello spirito della deroga si collocano non tanto le
ordinarie difficoltà riscontrabili in molte autorimesse e che, pertanto, potrebbe trovare direttamente
soluzioni in altro modo, ma aspetti specifici che non possono essere altrimenti risolti per vincoli
ineliminabili.
Proprio su questi aspetti ci viene incontro un chiarimento del Dipartimento dei Vigili del Fuoco
emanato con lettera-circolare prot. n. 8269 del 20/5/2010 (Le deroghe alle norme di prevenzione
incendi - Indirizzi sui criteri di ammissibilità), che fornisce direttive sui criteri di “ammissibilità”
all’istituto della deroga.
Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, marzo 2014, n. 3
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La disposizione ricorda dapprima che “un’attività può essere trattata secondo le procedure di
deroga nei casi in cui l’impossibilità di poter ottemperare alle disposizioni normative derivi o da una
caratteristica dell’attività o da un vincolo esistente”, ma nel contempo esprime una condizione di
carattere generale, ovvero che “l’applicazione della norma tecnica di prevenzione incendi “ad ogni
costo” non deve costituire un impedimento alla ricerca di nuove soluzioni progettuali né
rappresentare un processo di “omologazione” verso standard prescrittivi studiati per la generalità
dei casi”. Per questo dà indicazioni affinché tra le caratteristiche diverse da quelle tecniche vadano
debitamente prese in considerazione e valutate anche quelle:
- di ricerca di soluzioni architettoniche innovative;
- di ricerca e sperimentazione di materiali;
- di nuove tecnologie costruttive;
- legate a problematiche locali;
- economiche, ecc.
In tal modo l’istituto della deroga può essere colto nella sua accezione più ampia e per questo con
maggior proficuo. E’ lo stesso Ministero, a questo punto, a richiamare l’attenzione dei Comandi
provinciali dei Vigili del Fuoco sulla “necessità di approfondire anche l’accertamento della
consistenza dei motivi della richiesta della deroga rammentando che comunque il difetto di
motivazione non può da solo comportare il rigetto dell’istanza”.
Come s’istruisce un procedimento di deroga?
Una volta preso atto di questa possibilità le modalità per attivarla sono più compiutamente definite
nell’ambito del D.M. 7/8/2012 (Disposizioni relative alle modalità di presentazione delle istanze
concernenti i procedimenti di prevenzione incendi e alla documentazione da allegare, ai sensi
dell’articolo 2, comma 7, del decreto del Presidente della Repubblica 1° agosto 2011, n. 151), in
particolare nell’art. 6 (Istanza di deroga) si delineano sostanzialmente i seguenti punti:
1. Predisposizione dell’istanza
2. Documentazione tecnica da allegare
3. Effettuazione del versamento
Per quanto concerne l’istanza, questa è da produrre con un apposito modello (MOD. PIN 4 - 2012
DEROGA) disponibile alla voce “Servizi di prevenzione incendi” del sito istituzionale dei Vigili del
Fuoco (www.vigilfuoco.it). In questo, oltre alle generalità del richiedente si trova una tabella da
compilare con i dati relativi agli aspetti di cui si chiede la deroga (vedi figura 1) e, in particolare:
[1] Numero dell’attività riscontrabile tra l’elenco allegato al D.P.R. 151/2011 (in questo caso
l’attività è la n. 75)
[2] Disposizione normativa di riferimento (nel caso di un’autorimessa è il D.M. 1/2/1986)
[3] Articolo/punto della disposizione normativa di cui si chiede deroga
[4] Sintetica descrizione delle misure da derogare
[5] Queste tre colonne contengono indicazioni generiche in merito all’aspetto da derogare, che
dovranno essere successivamente approfondite nella documentazione tecnica allegata a
firma di professionista antincendio.
Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, marzo 2014, n. 3
5
Attività n.
[1]
Disposizione [2]
legge,decreto ecc.
Articolo/ Punto [3]
Descrizione della situazione da derogare
[4]
Caratteristiche
e/o
vincoli
esistenti
che
comportano
l’impossibilità di ottemperare
alle disposizioni normative
N.B.:
inserire
solo
descrizione
sintetica:
in
allegato produrre relazione
dettagliata
[5]
Valutazione del rischio aggiuntivo
conseguente
alla
mancata
osservanza delle disposizioni cui si
intende derogare
N.B.:
inserire solo descrizione
sintetica: in allegato produrre
relazione dettagliata
Misure
tecniche
che
si
ritengono
idonee
a
compensare
il
rischio
aggiuntivo
N.B.: inserire solo descrizione
sintetica: in allegato produrre
relazione dettagliata
6
[5]
[5]
Figura 1. Tabella riassuntiva contenuta nel modello per la richiesta di deroga
La documentazione tecnica deve essere sottoscritta da “professionista antincendio” e redatta in
conformità alle indicazioni contenute nell’Allegato I (Documentazione tecnica allegata all’istanza di
valutazione dei progetti) al D.M. 7/8/2012, integrata da una valutazione sul rischio aggiuntivo
conseguente alla mancata osservanza delle normative di prevenzione incendi cui si intende
derogare e dall’indicazione delle misure che si ritengono idonee a compensarlo. Particolare
attenzione va posta nella scelta del professionista da incaricare per la sua redazione, che deve
essere “antincendio”, ovvero iscritto in un albo professionale, che opera nell’ambito delle proprie
competenze e iscritto negli appositi elenchi del Ministero dell’interno di cui all’articolo 16 del d.lgs.
n. 139/2006.
L’importo del versamento, infine, è da computare avendo come riferimento le tariffe previste dal
D.M. 2/3/2012 (Aggiornamento delle tariffe dovute per i servizi a pagamento resi dal Corpo
nazionale dei vigili del fuoco).
I tempi per l’assolvimento della richiesta da parte dei Vigili del Fuoco sono così stabiliti dall’art. 7
del D.P.R. 151/2011: il Comando esamina l’istanza e, con proprio motivato parere, la trasmette
entro 30 giorni alla Direzione regionale. Il Direttore Regionale si pronuncia entro 60 giorni dalla
ricezione dell’istanza e ne dà contestuale comunicazione al Comando al quale la stessa è stata
presentata ed al richiedente.
Un’ultima possibilità offerta dalla normativa è quella di poter richiedere deroga anche per attività
non soggette ai controlli di prevenzione incendi, ovvero, nel caso che stiamo considerando, per
autorimesse con superficie coperta inferiore a 300 m2, quando il gestore rappresenta difficoltà
nell’applicazione del D.M. 1/2/86
D.M. 7/8/2012 - Art. 6 (Istanza di deroga)
1. L’istanza di deroga all’integrale osservanza delle regole tecniche di prevenzione incendi vigenti,
di cui all’articolo 7 del decreto del Presidente della Repubblica 1° agosto 2011, n. 151, deve
contenere:
a) generalità e domicilio del richiedente o, nel caso di ente o società, del suo legale
rappresentante;
Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, marzo 2014, n. 3
b) specificazione della attività soggetta principale e delle eventuali attività soggette secondarie,
oggetto dell’istanza di deroga;
c) disposizioni normative alle quali si chiede di derogare;
d) specificazione delle caratteristiche dell’attività o dei vincoli esistenti che comportano
l’impossibilità di ottemperare alle disposizioni di cui alla lettera c);
e) descrizione delle misure tecniche compensative che si intendono adottare.
2. All’istanza sono allegati:
a) documentazione tecnica, a firma di professionista antincendio, conforme a quanto previsto
dall’Allegato I al presente decreto, integrata da una valutazione sul rischio aggiuntivo conseguente
alla mancata osservanza delle normative di prevenzione incendi cui si intende derogare e
dall’indicazione delle misure che si ritengono idonee a compensare il rischio aggiuntivo;
b) attestato del versamento effettuato a favore della Tesoreria provinciale dello Stato, ai sensi
dell’articolo 23 del decreto legislativo 8 marzo 2006, n. 139.
3. In caso di utilizzo dell’approccio ingegneristico alla sicurezza antincendio, la documentazione
tecnica di cui al comma 2, lettera a), a firma di professionista antincendio, deve essere con-forme
a quanto previsto dall’Allegato I al presente decreto, integrata da una valutazione sul rischio
aggiuntivo conseguente alla mancata osservanza delle normative di prevenzione incendi cui si
intende derogare e dall’indicazione delle misure che si ritengono idonee a compensare il rischio
aggiuntivo, determinate utilizzando le metodologie dell’approccio ingegneristico alla sicurezza
antincendio, nonché dal documento contenente il programma per l’attuazione del SGSA.
Alcuni aspetti particolari per le autorimesse
Come accennato più sopra per alcuni casi i Vigili del Fuoco hanno considerato una deroga
generalizzata dal rispetto normativo, nel senso che per questi non sarà necessario attivare una
specifico procedura quando sono garantite specifiche modalità. E’ il caso dei punti 3.2 (Altezza dei
piani), 3.6.3 (Corsie di manovra) e 3.7.2 (Rampe) del D.M. 1/2/1986, rispetto ai quali la lettera
circolare n. P1563/4108 del 29/8/1995 specifica le modalità per compensarli.
La tabella che segue mette a confronto i punti del decreto e le specifiche modalità per derogarli.
Contenuti del D.M. 1/2/1986
3.2 Altezza dei piani
L’altezza dei piani non può essere
inferiore a 2,4 m con un minimo di
2 m sotto trave. Per gli autosilo è
consentita un’altezza di 1,8 m.
Deroghe in via generale introdotte dalla LC n.
P1563/4108 del 29/8/1995
Per autorimesse private, sino a 40 autovetture, ed
ubicate non oltre il 1° interrato, è consentito che
l’altezza del piano sia inferiore a ml 2,40 con un
minimo di ml 2,00, a condizione che:
a) l’autorimessa sia dotata di un sistema di
ventilazione naturale con aperture di aerazione prive
di serramenti e di superficie non inferiore ad 1/20
della superficie in pianta dell’autorimessa. Almeno il
50% della suddetta superficie di ventilazione deve
essere ricavata su pareti contrapposte;
b) l’altezza minima di ml 2,00 deve essere rispettata
nei confronti di qualsiasi sporgenza dell’intradosso
del solaio di copertura, compresi eventuali impianti e
tubazioni a soffitto;
c) il percorso massimo per raggiungere le uscite
deve essere non superiore a m 30. Tale lunghezza
deve essere osservata anche per le autorimesse di
cui al punto 3.10.6, 2° capoverso.
Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, marzo 2014, n. 3
7
di
3.7.2 Ampiezza 3.6.3
Corsie
delle rampe
manovra
3.7.2 Autorimessa senza rampa con accesso da montauto rampe
Le corsie di manovra devono
consentire il facile movimento degli
autoveicoli
e
devono
avere
ampiezza non inferiore a 4,5 m e a
5 m nei tratti antistanti i box, o
posti auto, ortogonali alla corsia.
Ogni compartimento deve essere
servito da almeno una coppia
di rampe a senso unico di marcia di
ampiezza ciascuna non inferiore a 3
m o da una rampa a doppio senso
di marcia di ampiezza non inferiore
a 4,5 m.
Nel caso in cui le corsie di manovra risultino di
larghezza inferiore al minimo prescritto, è ammesso
che le corsie stesse, per tratti limitati, abbiano
larghezza non inferiore a ml 3,00 a condizione che
sia installata apposita segnaletica che evidenzi i
restringimenti di corsia, integrata, in corrispondenza
dei cambi di direzione delle corsie stesse, da idonei
sistemi ottici (p.e. specchi parabolici).
Per autorimesse oltre 15 e sino a 40 autovetture è
consentita una sola rampa di ampiezza non inferiore
a ml 3,00, a condizione che venga installato un
impianto semaforico idoneo a regolare il transito
sulla rampa medesima a senso unico alternato.
8
Nel caso di autorimesse interrate, con capacità di
parcamento non superiore a 30 autoveicoli, è
consentito che l’accesso avvenga da montauto alle
seguenti condizioni:
- il locale per il ricevimento degli autoveicoli annesso
al montauto sia ubicato su spazio scoperto; qualora
non sia garantito tale requisito il locale ricevimento
sia di tipo protetto con stesse caratteristiche del
vano montauto;
- il vano montauto sia protetto rispetto all’area
destinata a parcheggio con strutture di separazione
REI 90 e porte di caratteristiche non inferiori a RE
90;
- il sistema del montauto sia dotato di dispositivo
ausiliario automatico per l’alimentazione di energia
elettrica in caso di mancanza di energia di rete. Il
relativo generatore abbia potenza sufficiente per
l’alimentazione di tutti gli impianti di sicurezza;
- l’autorimessa sia dotata di impianto di
illuminazione di emergenza con autonomia di almeno
30 minuti;
- la movimentazione degli automezzi nel vano
montauto avvenga senza persone a bordo;
- sia esposto all’esterno, in corrispondenza del vano
di caricamento in luogo idoneo e facilmente visibile,
il regolamento di utilizzazione dell’impianto, con le
limitazioni e prescrizioni di esercizio:
- l’area destinata al parcamento degli autoveicoli sia
dotata di impianto fisso di spegnimento automatico
del tipo a pioggia (sprinkler).
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Formazione
Sicurezza di lavoratori e datori: l'informazione e la formazione per
operare negli spazi confinati
Enzo Raneri, Il Sole 24 ORE
Il D.P.R. n. 177/2011 ha previsto che i datori di lavoro e i lavoratori operanti in ambienti sospetti di
inquinamento o confinanti fossero oggetto di una adeguata informazione, formazione e
addestramento, che deve essere definita a livello di accordo della Conferenza permanente per i
rapporti tra il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, il Ministero della Salute, le Regioni e le
Province autonome di Trento e Bolzano, entro 90 giorni. Tuttavia, questa definizione non è stata
effettuata in nessuno dei due accordi 21 dicembre 2011.
Pertanto, è proposto un possibile quadro dei contenuti utili a conseguire l'obiettivo richiesto.
SPAZI CONFINATI - FORMAZIONE - SICUREZZA - LAVORATORI - DATORI
Sulla Gazzetta Ufficiale 8 novembre 2011, n. 260, è stato pubblicato il decreto del Presidente della
Repubblica 14 settembre 2011, n. 177, "Regolamento recante norme per la qualificazione delle
imprese e dei lavoratori autonomi operanti in ambienti sospetti di inquinamento o confinanti, a
norma dell'articolo 6, comma 8, lettera g), del Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81", che si
applica ai lavori in ambienti sospetti di inquinamento, di cui agli artt. 66 e 121, decreto legislativo
9 aprile 2008, n. 81, e negli ambienti confinati di cui all'Allegato IV, punto 3, al medesimo D.Lgs.
n. 81/2008.
Ma il D.P.R. n. 177/2011 ha configurato due situazioni:
• il lavoro in ambienti sospetti di inquinamento o confinanti svolto in proprio dal datore di
lavoro;
• il lavoro svolto da imprese appaltatrici o da lavoratori autonomi individuati da un datore di
lavoro.
In Italia manca un provvedimento legislativo che definisca i contenuti "minimi" dell'informazione e
della formazione per il personale da adibire nei lavori in luoghi confinati o sospetti di inquinamento;
a livello internazionale, invece, è possibile reperire provvedimenti specifici, quali:
• in Germania, il BGR 126 (1988), Arbeiten in umschlossenen Räumen von
abwassertechnischen Anlagen (Lavoro in spazi chiusi nei depuratori), BGR 117-1
(2003), Behälter, Silos und enge Räume (Spazi ristretti in contenitori e silos), BGR 177
(2006),Steiggänge für Behälter und umschlossene Räume (accessi in contenitori-spazi
chiusi);
• in Gran Bretagna, The Confined Spaces Regulations 1997;
• negli Stati Uniti, il 29 CFR 1.910,146 (1999);
• in Francia, Décret n. 2008-244 du 7 mars 2008 relatif au code du travail;
• in Spagna, Gobierno de Espana Ministerio de Trabajo e Inmigraci-n Inspecci-n de Trabajo y
Seguridad Social (ITSS), guía para la mejora de la gesti-n preventiva Trabajos en espacios
confinados;
• in Svizzera, il SUVA CNA INSAI "Direttive concernenti i lavori nell'interno di recipienti e in
locali ristretti" RSSL 1416.i, il SUVA CNA INSAI "Lavori in recipienti e locali ristretti" RSSL
124.i e il SUVA CNA INSAI "Concetto di salvataggio nei lavori sotterranei" 88112.i;
• in Canada, Code of Practice for Confined Space Entry Work (2000);
• in Malaysia, Industry Code of Practice for safe working in a Confined Space (2010);
• in Hong Kong, Code of Practice Safety and Health at Work in Confined Spaces (1999);
• nell'Australia Queensland, A guide to working safely in confined spaces (2012);
• in Nuova Zelanda, Planning entry and working safely in a confined space (2000).
Quasi tutte queste legislazioni estere hanno imposto al datore di lavoro di valutare il posto di
lavoro per determinare se ci sono luoghi di lavoro confinati, elaborando una mappa dettagliata con
le posizioni precise dei luoghi confinati in cui sia possibile entrare, e che ognuno siamunito di una
Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, marzo 2014, n. 3
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certificazione scritta che contenga la data, la posizione del luogo di lavoro confinato e la firma della
persona che fornisce la certificazione; inoltre, richiedono che il servizio di soccorso abbia un piano
per ogni tipo di operazione di salvataggio in luoghi di lavoro confinati.
Tutte queste legislazioni prevedono un training minimo per il personale addetto.
Prima che trascorressero i 90 giorni previsti dall'art. 2, comma 1, lettera d), D.P.R. n. 177/2011,
per l'individuazione dei contenuti e delle modalità della formazione del datore di lavoro e del
personale impiegato per attività lavorative in ambienti sospetti di inquinamento o confinati
specificamente mirata alla conoscenza dei fattori di rischio propri di queste attività, sono stati
approvati sia l'accordo della Conferenza permanente per i rapporti tra il Ministero del Lavoro e delle
Politiche sociali, ilMinistero della Salute, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano sui
corsi di formazione per lo svolgimento diretto, da parte del datore di lavoro, dei compiti di
prevenzione e protezione dai rischi, ai sensi dell'art. 34, commi 2 e 3, D.Lgs. n. 81/2008, sia
l'accordo della Conferenza permanente per i rapporti tra ilMinistero del Lavoro e delle Politiche
sociali, il Ministero della Salute, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano per la
formazione dei lavoratori ai sensi dell'art. 37, comma 2, D.Lgs. n. 81/2008 (1).
Ma questi accordi nulla hanno previsto specificatamente circa l'informazione e la formazione di cui
all'art. 2, comma 1, lettera d), D.P.R. n. 177/2011, probabilmente sarà necessario aspettare un
documento ulteriore.
Ciò non di meno, in questi accordi è possibile individuare le caratteristiche generali che dovrebbe
avere un corso di formazione ai sensi dell'Allegato A, punti 2 e 3, accordo 21 dicembre 2012 (si
vedano i riquadri 1 e 2).
In Italia manca ancora una norma tecnica che fornisca un riferimento tecnico volontario in materia
di lavori in luoghi confinati o sospetti di inquinamento; a livello internazionale, invece, è possibile
reperire norme tecniche specifiche, quali American National StandardANSI/ASSE Z117.12009, Canadian Standard CSA Z1006, Australian Standard AS 2865 ecc.
Specificatamente per quanto riguarda l'organizzazione della risposta alle emergenze e dei soccorsi,
addirittura, negli Stati Uniti d'America, ilNational Fire Protection Agency ha fornito un pacchetto di
guide tecniche per le qualifiche e i requisiti di formazione degli addetti al salvataggio, fra cui la
NFPA 1670 (2004), la NFPA 1983 (2006) e la NFPA 1006 (2007).
Riquadro 1
Punto 2, Allegato A all'accordo 21 dicembre 2012
"2. ORGANIZZAZIONE. DELLA FORMAZIONE.
Per ciascun corso si dovrà prevedere:
a) soggetto organizzatore del corso, il quale può essere anche il datore di lavoro;
b) un responsabile del progetto formativo, il quale può essere il docente stesso;
c) i nominativi dei Docenti;
d) un numero massimo di partecipanti ad ogni corso pari a 35 unità;
e) il registro di presenza dei partecipanti;
f) l'obbligo di frequenza del 90% delle ore di formazione previste;
g) la declinazione dei contenuti tenendo presenti: le differenze di genere, di età, di provenienza e
lingua, nonché quelli connessi alla specifica tipologia contrattuale attraverso cui viene resa la
prestazione di lavoro.
- Nei confronti dei lavoratori stranieri i corsi dovranno essere realizzati previa verifica della
comprensione e conoscenza della lingua veicolare e con modalità che assicurino la comprensione
dei contenuti del corso di formazione, quali, ad esempio, la presenza di un mediatore
interculturale o di un traduttore;
- anche ai fini di un più rapido abbattimento delle barriere linguistiche, onde garantire l'efficacia e
la funzionalità dell'espletamento del percorso formativo e considerata l'attitudine dei sistemi
informatici a favorire l'apprendimento, potranno essere previsti nei confronti dei lavoratori
stranieri specifici programmi di formazione preliminare in modalità e-Learning".
Riquadro 2
Punto 3, Allegato A all'accordo 21 dicembre 2012
3. METODOLOGIA DI INSEGNAMENTO/APPRENDIMENTO
La metodologia di insegnamento/apprendimento privilegia un approccio interattivo che comporta
la centralità del lavoratore nel percorso di apprendimento.
Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, marzo 2014, n. 3
10
A tali fini è opportuno:
a) garantire un equilibrio tra lezioni frontali, esercitazioni teoriche e pratiche e relative
discussioni, nonché lavori di gruppo, nel rispetto del monte ore complessivo prefissato per ogni
modulo;
b) favorire metodologie di apprendimento interattive ovvero basate sul problem solving,
applicate a simulazioni e situazioni di contesto su problematiche specifiche, con particolare
attenzione ai processi di valutazione e comunicazione legati alla prevenzione;
c) prevedere dimostrazioni, simulazioni in contesto lavorativo e prove pratiche;
d) favorire, ove possibile, metodologie di apprendimento innovative, anche in modalità eLearning e con ricorso a linguaggi multimediali, che garantiscano l'impiego di strumenti
informatici quali canali di divulgazione dei contenuti formativi, anche ai fini di una migliore
conciliazione tra esigenze professionali e esigenze di vita personale dei discenti e dei docenti.
Qualche soluzione per l'informazione
Pertanto, al fine di tentare di colmare queste lacune, innanzitutto dovrebbe essere chiarita la
distinzione fra informazione e formazione; la prima è una comunicazione di tipo "monodirezionale",
quindi, priva di informazione "di ritorno" (per esempio, opuscoli, istruzioni, manuali,poster, cdrom
ecc.), la seconda, invece, è una comunicazione di tipo "bidirezionale" nella quale è prevista una
informazione "di ritorno" (che, nel caso di una riunione o di un corso, è costituita dalla interattività
regolata e dalla verifica della efficacia della formazione).
In caso di attività in spazi confinati, quindi, l'informazione dovrebbe prevedere almeno i seguenti
supporti:
• un opuscolo informativo sulla problematica generale dell'accesso, della permanenza e
dell'uscita negli ambienti sospetti di inquinamento o confinati e sull'uso dei dispositivi di
sicurezza necessari;
• una procedura di accesso per ogni punto di accesso di ogni ambiente sospetto di
inquinamento o confinato individuato nel documento di valutazione di cui all'art. 17, D.Lgs.
n. 81/2008;
• una procedura di emergenza per ogni punto di accesso di ogni ambiente so spetto di
inquinamento o confinato individuato nel documento di valutazione di cui all'art. 17, D.Lgs.
n. 81/2008.
La locuzione "ogni punto di accesso" significa che il datore di lavoro, sia che svolga i lavori in
proprio, sia che li svolga incaricando una organizzazione terza (imprese o lavoratori autonomi),
deve preventivamente provvedere, nell'ambito del documento, di cui all'art. 17, D.Lgs. n. 81/2008,
alla individuazione di ogni luogo di lavoro confinato o sospetto di inquinamento e, per ognuno di
essi, di ogni punto di accesso; conseguentemente, anche per ottemperare all'obbligo di cui all'art.
28, comma 1, lettera d), deve elaborare (nello stesso documento) una procedura per ogni punto di
accesso a ogni luogo di lavoro confinato o sospetto di inquinamento.
A questo proposito, anche sulla base di uno studio dell'agosto 2000[2], per una classificazione dei
luoghi di lavoro confinati, è possibile individuare le tre caratteristiche seguenti:
• punto di accesso:
- orizzontale - il varco di accesso è situato su un lato del luogo di lavoro confinato. L'utilizzo di linee
di recupero potrebbe essere difficile;
- verticale - il varco di accesso si trova sulla parte superiore del luogo di lavoro confinato, in modo
che i soccorritori, per entrare, devono scendere, oppure sul fondo dello luogo di lavoro confinato, in
modo che i soccorritori per entrare devono salire. Può essere richiesta la conoscenza di tecniche
d'uso di funi o imbragature speciali;
• altezza:
- elevata - il varco di accesso è posto oltre i 4 piedi (feet) di altezza da terra (circa 1,20 metri).
Questo tipo di luogo di lavoro confinato di solito richiede la conoscenza di specifiche procedure di
salvataggio, a causa della difficoltà nell'imbragatura e nel trasporto a terra di un paziente
attraverso il varco di accesso;
- non elevata - il varco di accesso è posto a meno di 4 piedi (feet) di altezza da terra (circa 1,20
metri). Questo tipo di luogo di lavoro confinato consente alla squadra di soccorso condizioni
normali per il trasporto di un dipendente infortunato;
• dimensione del varco di accesso:
- ristretto - un varco di accesso di 24 pollici (inch) o meno. Le dimensioni sono troppo piccole per
permettere a un soccorritore di entrare semplicemente all'interno utilizzando autorespiratori. Le
Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, marzo 2014, n. 3
11
dimensioni sono troppo piccole anche per consentire la normale immobilizzazione spinale di un
dipendente infortunato;
- non ridotto - un varco con la dimensione minore di almeno 24 pollici (inch). Questi portali
consentono una buona circolazione dentro e fuori lo spazio confinato.
Sulla base di queste tre caratteristiche, gli spazi confinati possono essere classificati nelle categorie
illustrate nella figura 1.
Una ulteriore importante caratteristica di un luogo di lavoro confinato riguarda la sua
"configurazione interna", la quale può essere:
• aperta - non ci sono ostacoli o barriere all'interno del luogo di lavoro confinato. Un esempio
è un serbatoio di acqua;
• ostacolata - il luogo di lavoro confinato contiene qualche tipo di ostacolo, che un
soccorritore avrebbe bisogno di aggirare. Un esempio sarebbe un deflettore o lama di
miscelazione. Apparecchiature di grandi dimensioni come, per esempio, una scala o una
impalcatura sarebbe considerata un ostacolo se il posizionamento o la dimensione
dell'apparecchiatura rendessero il salvataggio più difficile.
Pertanto, considerata ognuna delle ventiquattro tipologie individuate, ognuna combinata con una
delle due configurazioni interne, sono determinate quarantotto possibilità di accesso, per ognuna
delle quali le modalità dell'accesso potrebbero essere differenti più o meno notevolmente.
Nel riquadro 3 è riportato un esempio di formazione per il lavoratore che potrebbe avere una
durata minima di tre giorni (24 ore).
Figura 1
Figura 1 - Possibili accessi a un luogo confinato
LEGENDA
Tipo
Configurazione
Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, marzo 2014, n. 3
12
1
Accesso Orizzontale (porta circolare/ovale) < 24 pollici (inchs)
1E
Accesso Orizzontale elevato (porta circolare/ovale) < 24 pollici (inchs)
2
Accesso Orizzontale (porta circolare/ovale) > 24 pollici (inchs)
2E
Accesso Orizzontale elevato (porta circolare/ovale) > 24 pollici (inchs)
3
Accesso Orizzontale (porta quadrata/rettangolare) < 24 pollici (inchs)
3E
Accesso Orizzontale elevato (porta quadrata/rettangolare) < 24 pollici (inchs)
4
Accesso Orizzontale (porta quadrata/rettangolare) > 24 pollici (inchs)
4E
Accesso Orizzontale elevato (porta quadrata/rettangolare) > 24 pollici (inchs)
5
Accesso Verticale con entrata dall'alto (porta circolare/ovale) < 24 pollici (inchs)
5E
Accesso Verticale elevato con entrata dall'alto (porta circolare/ovale) < 24 pollici (inchs)
6
Accesso Verticale con entrata dall'alto (porta circolare/ovale) > 24 pollici (inchs)
6E
Accesso Verticale elevato con entrata dall'alto (porta circolare/ovale) > 24 pollici (inchs)
7
Accesso Verticale con entrata dall'alto (porta quadrato/rettangolare) < 24 pollici (inchs)
7E
Accesso Verticale elevato con entrata dall'alto (porta quadrato/rettangolare) < 24 pollici
(inchs)
8
Accesso Verticale con entrata dall'alto (porta quadrata/rettangolare) > 24 pollici (inchs)
8E
Accesso Verticale elevato con entrata dall'alto (porta quadrata/rettangolare) > 24 pollici
(inchs)
9
Accesso Verticale con entrata dal basso (porta circolare/ovale) < 24 pollici (inchs)
9E
Accesso Verticale elevato con entrata dal basso (porta circolare/ovale) < 24 pollici (inchs)
10
Accesso Verticale con entrata dal basso (porta circolare/ovale) > 24 pollici (inchs)
Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, marzo 2014, n. 3
13
10E
Accesso Verticale elevato con entrata dal basso (porta circolare/ovale) > 24 pollici (inchs)
11
Accesso Verticale con entrata dal basso (porta quadrata/rettangolare) < 24 pollici (inchs)
11E
Accesso Verticale elevato con entrata dal basso (porta quadrata/rettangolare) < 24 pollici
(inchs)
12
Accesso Verticale con entrata dal basso (porta quadrata/rettangolare) > 24 pollici (inchs)
12E
Accesso Verticale elevato con entrata dal basso (porta quadrata/rettangolare) > 24 pollici
(inchs)
Riquadro 3
Un esempio di corso formativo per lavoratori addetti ad attività in spazi confinati
1° giorno
Modulo 1
La legislazione: articoli 66 e 121 e l'allegato IV, punto 3 del D.Lgs n.81 del 9 aprile 2008 ed il
D.P.R. n.177 del 14 settembre 2011.
La definizione di un luogo di lavoro confinato.
La responsabilità di gestione di tutte le parti interessate e strategie di attuazione della legislazione
del lavoro in ambienti sospetti di inquinamento o confinati.
La consultazione ed il processo di negoziazione per le procedure di lavoro in ambienti sospetti di
inquinamento o confinati.
Modulo 2
Identificazione degli agenti pericolosi e valutazione dei rischi nel lavoro in ambienti sospetti di
inquinamento o confinati: contenuti del Documento di Valutazione di cui all'articolo 17 del D.Lgs. n.
81/2008.
Pericoli legati ai luoghi di lavoro confinati; (anossia; gas, fumi, vapori tossici; liquidi; incendio,
esplosione; residui di lavorazione che possono fermentare, reagire ecc.; polvere;microclima;
caduta dall'alto; claustrofobia, difficoltà di recupero).
Valutazione dei rischi legati all'esposizione dei Lavoratori in luoghi di lavoro confinati.
Identificazione delle misure di prevenzione e protezione e delle misure di controllo della loro
attuazione nel lavoro in ambienti sospetti di inquinamento o confinati.
Procedure e istruzioni operative per la gestione dei rischi e delle misure di prevenzione e
protezione.
Modulo 3
Procedure operative per l'accesso, la permanenza e l'uscita da ambienti sospetti di inquinamento o
confinati: distinzione fra procedura e "permesso di ingresso" per lo svolgimento di lavori in
ambienti sospetti di inquinamento o confinati.
Come completare il permesso di ingresso.
2° giorno
Modulo 4
Dispositivi di sicurezza utilizzabili negli ambienti sospetti di inquinamento o confinati: corrette
modalità di conservazione, manutenzione, controllo, messa a punto e utilizzazione.
Individuazione dei rischi di atmosfera pericolosa: mancanza di ossigeno, gas tossici, gas esplosivi.
Scelta e uso corretto di adeguati dispositivi di rilevazione, sulla base di una valutazione dei pericoli
attuali e anche in relazione agli eventuali possibili rilasci di sostanze contenute all'interno
dell'ambiente sospetto di inquinamento o confinato: i rilevatori multi gas.
Dispositivi di rilevazione: funzionamento, calibrazione, "bump test".
Modalità di uso, interpretazione dei risultati e manutenzione dei dispositivi di rilevazione.
Descrizione di come riconoscere probabile contaminante aria ed i relativi sintomi e ilmetodo per
avvertire gli altri componenti del team Modalità di uso degli apparecchi per la ventilazione forzata.
Modulo 5
Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, marzo 2014, n. 3
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Tipi di dispositivi di protezione individuale delle vie respiratorie (DPI di 3° categoria):
semimaschere, maschere pieno-facciali a filtro, autorespiratori ecc.).
Funzionamento e durata prevista, corrette modalità per indossarli, utilizzarli e mantenerli.
Modulo 6
Uso dell'imbracatura di sicurezza (DPI di 3° categoria), dei cordini di collegamento, dei connettori,
dell'assorbitore di energia, del dispositivo retrattile anticaduta e dell'ancoraggio provvisorio su
treppiede e degli ancoraggi fissi e del verricello di recupero.
Uso di DPI per la protezione del capo e degli indumenti protettivi degli arti.
3° giorno
Modulo 7
Rischi di incendio in un luogo di lavoro confinato: chimica del fuoco e metodi di spegnimento.
Gestione di un'emergenza con indicazione di procedure operative nei luoghi di lavoro confinati:
- per incendio/esplosione;
- per intervento di primo soccorso (cenni per anossia, gas tossici, e nozioni di tecniche di primo
soccorso);
- per una calata rapida o recupero rapido di un infortunato (incosciente).
Conoscenza della configurazione del luogo di lavoro confinato per minimizzare i tempi di risposta e
delle procedure di salvataggio per ogni tipo di luogo di lavoro confinato.
Le strategie e le tecniche di soccorso, comprese le tecniche di imbragatura, in relazione al tipo e al
grado di danno e/o alla natura della incapacità.
Problemi di salvataggio: restrizioni in uscita, capacità di sollevamento senza danno, problemi
nell'utilizzo di attrezzature di soccorso, e pericoli di caduta.
Modalità di notifica della emergenza utilizzate, da conoscere prima dell'ingresso.
Modulo 8
Simulazioni d'intervento in un luogo di lavoro confinato secondo le procedure e le istruzioni di
sicurezza con:
- utilizzo e regolazione imbracatura di sicurezza;
- predisposizione e sistemazione verricello e sistema di sospensione (trattenuta, arresto caduta e
discesa);
- ingresso in un luogo di lavoro confinato con autorespiratore previa verifica presenza atmosfera
pericolosa;
- modalità di comunicazione fra interno ed esterno e fra esterno ed enti esterni di soccorso;
- recupero personale in caso di emergenza con uso di attrezzature di soccorso e salvataggio,
comprese le apparecchiature mediche;
- rianimazione cardio-polmonare e uso di defibrillatore esterno.
Alla fine dovrebbe essere effettuato un test scritto per la verifica della efficacia della formazione e
dell'apprendimento, assegnando almeno due 2 ore.
Figura 2
Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, marzo 2014, n. 3
15
Figura 3
16
Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, marzo 2014, n. 3
Luoghi di lavoro
La valutazione del rumore nei call center
Diego Annesi, Il sole 24 ORE - Tecnici 24
Così come evidenziato già nel 2005, nella giornata internazionale promossa dall’Agenzia europea
per la sicurezza e la salute sul lavoro (International Noise Awareness Day), esistono attività
lavorative dove il rischio rumore è spesso trascurato o erroneamente associato esclusivamente ad
ambienti tradizionalmente “rumorosi”, quali quello edile, metallurgico e comunque nel contesto
prettamente industriale. Negli anni, invece, diversi studi hanno dimostrato che esistono altre
attività lavorative esposte al rischio rumore come ad esempio il settore della musica o dei Call
center. In Italia, nel 2012, è stato stimato un numero di circa 200.000 lavoratori addetti ai call
center che risultano essere esposti a rischio rumore. Questa particolare categoria è soggetta a tale
pericolo sia da un punto di vista ambientale che strumentale a causa dei dispositivi da loro
utilizzati.
Introduzione
Gli effetti del rumore sull’orecchio umano sono essenzialmente di fastidio, disturbo e danno uditivo,
ma si può arrivare anche al cosiddetto trauma acustico. Questa situazione ha attirato l’attenzione
sia del Legislatore che della comunità scientifica tanto da ritenere opportuno emanare normative
tecniche e linee guida per tutelare l’apparato uditivo dei lavoratori. In particolare le attenzioni si
sono concentrate principalmente in tutti quei casi dove le sorgenti sonore sono situate in
prossimità dell’orecchio, quali per esempio cuffie e auricolari, le quali possono generare alti livelli di
pressione acustica. Questi livelli di pressione sonora in cuffia possono essere accompagnati da
segnali irregolari come impulsi (esempio di una chiamata verso un fax) definiti in letteratura come
"choc acustici" che, alla lunga, possono danneggiare in modo anche permanente l'apparato uditivo.
Le attuali norme di riferimento relative alla determinazione e valutazione del rischio acustico, a cui
sono esposti tutte quelle categorie di lavoratori che operano e lavorano con sorgenti di rumore
poste in prossimità dell’orecchio, descrivono un insieme di metodi per la misurazione dei livelli di
pressione sonora. Particolare attenzione va data alla valutazione ed al confronto tra le tecnologie di
misura attualmente disponibili sul mercato, di quest’ultime infatti è necessario prendere in
considerazione le criticità e i principali problemi che ne influenzano l’accuratezza mettendo così in
evidenza i limiti di applicazione delle varie apparecchiature nella realtà effettiva dei call center in
modo da agevolare e aiutare chi deve affrontare una valutazione del rischio appropriata per i
soggetti in questione.
Analisi Normativa
Il D. Lgs 81/08 stabilisce, nel Titolo VIII, le disposizioni e le modalità di misura per la valutazione
dell’esposizione dei lavoratori al rumore. Nello specifico, l’articolo 181 stabilisce l’obbligo per il
datore di lavoro di valutare il rischio di esposizione ad agenti fisici tra cui il rumore. Per alcune
attività particolari, quali il lavoro nei call center, le modalità di misura tradizionali non sono
applicabili e il legislatore aveva previsto, nell’art. 198 del D. Lgs. 81/08, la pubblicazione di linee
guida specifiche per orientare gli operatori del settore. Ad oggi la Commissione Consultiva
Permanente sta operando al fine di redigere il suddetto documento (tale linea guida) così come è
stato fatto in passato per il settore della musica. L’esigenza di emanare normative tecniche e linee
guida che comprendessero tutti quei casi espressi nell’art. 198 è scaturita dal crescente numero di
lavoratori che operano con sorgenti sonore situate in prossimità dell’orecchio. La normale prassi di
misura utilizzata attualmente prevedeva, infatti, che la postazione microfonica di misura fosse
collocata al centro della postazione occupata dal lavoratore all’altezza della testa; in alternativa,
Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, marzo 2014, n. 3
17
prevedeva che il microfono fosse posto a circa 10 cm dall’orecchio più esposto del lavoratore.
Come facilmente intuibile, tale procedura non è chiaramente adeguata nel caso degli operatori dei
call center che, per prassi, utilizzano dispositivi auricolari attivi attraverso i quali il rumore è
immesso direttamente nel condotto uditivo. Ne deriva che la metodica di misura adottata nei
classici ambienti di lavoro, così come previsto dalla norma tecnica UNI EN ISO 9612:2011
(Determinazione del livello di esposizione al rumore negli ambienti di lavoro) e dalla norma UNI
9432:2011 (Determinazione del livello di esposizione personale al rumore nell’ ambiente di lavoro),
portasse esclusivamente alla misura del livello di pressione acustica ambientale senza analizzare
quello che arriva effettivamente al timpano del lavoratore. Per questo motivo, in aggiunta alle
misure sopra citate se ne aggiungono altre necessarie per valutare e misurare il rumore
potenzialmente pericoloso. Tale serie di norme tecniche, quali la UNI EN ISO 11904-1:2006
(Determinazione dell’esposizione sonora dovuta a sorgenti sonore situate in prossimità
dell’orecchio. Parte 1: tecnica MIRE), la UNI EN ISO 11904-2:2005 (Determinazione
dell’esposizione sonora dovuta a sorgenti sonore situate in prossimità dell’orecchio. Parte 2: tecnica
del manichino) e la ETSI EG 202 518 V1.1.1, (metodo elettro-acustico), ed infine il rapporto
tecnico UNI/TR 11450:2012 (Valutazione dell’esposizione a rumore nei luoghi di lavoro per
lavoratori che utilizzano sorgenti sonore situate in prossimità dell’orecchio), descrivono un insieme
di metodi per la misurazione dei livelli di pressione sonora e delle relative incertezze in questo
settore lavorativo molto particolare. A livello nazionale esistono delle linee guida, suggerite dal
Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e approvate nella Conferenza Stato Regioni del luglio
2012, che vengono in aiuto ai tecnici del settore. Tale documento sono state pubblicate
relativamente al solo settore della musica mentre, per quanto riguarda il rumore in cuffia, la
presente indagine viene condotta sempre ai sensi del titolo VIII capo II (Protezione dei lavoratori
contro i rischi di esposizione al rumore durante il lavoro) adottando le metodiche messe a
disposizione dalla normativa tecnica di settore, recentemente aggiornata. Il citato Rapporto Tecnico
(UNI/TR 11450:2012) rimanda alla UNI EN ISO 9612:2011 e alla UNI 9432:2011 per quanto
riguarda il calcolo del livello di esposizione giornaliera o settimanale al rumore, il livello di picco, la
quantificazione delle relative incertezze e il confronto con i valori di legge.
Quindi per effettuare la misurazione si adotta il rapporto tecnico UNI TR 11450:2012 ma per il
confronto con il Testo Unico si adottano le norme tecniche UNI EN ISO 9612:2011 e la UNI
9432:2011.
Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, marzo 2014, n. 3
18
RSPP
DDL RISCHIO ALTO/BASSO
Quesito:
Un'azienda da visura camerale presenta: - codice ATECO importanza P a rischio BASSO
(commercio all'ingrosso di mobili); - codice ATECO importanza S a rischio ALTO (completamento e
finitura edifici). Tutti i dipendenti effettuano attività a rischio BASSO (impiegati che gestiscono il
commercio di mobili da ufficio) eccetto un lavoratore che effettua attività di coordinamento in
cantiere. Il quesito è: l'RSPP Datore di lavoro deve effettuare formazione per rischio Basso o per
Rischio Alto? Ci si basa sull'attività primaria o sull'attività tra quelle presenti che è a maggior
rischio?
----Risposta:
Il caso prospettato riguarda la formazione dei lavoratori e del datore di lavoro RSPP in caso di
attività contrassegnate da due codici ATECO (ai fini considerati connotati da rischio basso e rischio
alto). Si osserva, in proposito, che il monte ore del percorso formativo da frequentare è calcolato in
funzione dei rischi riferiti alle mansioni, ai possibili danni e alle conseguenti misure di prevenzione
e protezione da adottare, caratteristici del settore di appartenenza. Pertanto, nell'ipotesi in esame,
tutti i lavoratori dovranno frequentare i corsi legati al rischio basso mentre il solo lavoratore che
effettua attività di coordinamento in cantiere sarà tenuto a frequentare quello previsto per il rischio
alto. Per ciò che riguarda il datore di lavoro che intende svolgere direttamente i compiti del servizio
di prevenzione e protezione, si ritiene che questi debba frequentare il corso di 48 ore (rischio alto)
in quanto deve essere necessariamente a conoscenza e poter gestire tutti i rischi presenti nella
propria azienda e non può quindi essere applicato, in tale caso, il criterio del riferimento all'attività
economica prevalente.
(Il Sole 24 ORE – Tecnici 24)
Formazione
FORMAZIONE DEI FORMATORI
Quesito:
Quesiti relativi al D.I. 6/3/2013 (qualifica formatore sicurezza): -è applicabile solo ai corsi regolati
dagli accordi stato-regioni del 21/12/2011. Per tutti gli altri corsi tipo RLS, attrezzature,
antincendio, la qualifica del formatore non è richiesta. giusto? - nel comma 4 articolo 1 la data di
pubblicazione è il 18/03/2013 mentre, l'entrata in vigore il 18/03/2014. Come va considerato il
comma 4? I requisiti previsti entrano in vigore alla data di pubblicazione o all'entrata in vigore?
----Risposta:
Circa la prima domanda posta nel quesito si conferma che il decreto recante i criteri di
qualificazione della figura del formatore per la salute e sicurezza sul lavoro non è applicabile ai
corsi per RLS, attrezzature e antincendio. A norma dell'articolo 1, comma 2, del predetto decreto,
infatti, Il prerequisito e i criteri si applicano a tutti i soggetti formatori in materia di salute e
sicurezza sul lavoro dei corsi di cui agli articoli 34 e 37 del D.Lgs 81/2008 quali regolati dagli
accordi sanciti dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e Province
autonome di Trento e Bolzano nella seduta del 21 dicembre 2011 relativi alla individuazione dei
contenuti della formazione del datore di lavoro che intenda svolgere direttamente i compiti del
servizio di prevenzione e protezione ai sensi dell'articolo 34, commi 2 e 3, del D.lgs 81/08 e di
quella dei lavoratori, dei dirigenti e dei preposti, ai sensi dell'articolo 37 del medesimo decreto. In
riferimento alla seconda domanda, si conferma che i requisiti previsti dal decreto entreranno in
vigore dal 18 marzo 2014, fatto salvo il periodo transitorio disciplinato dal comma 2 dell'articolo 4,
Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, marzo 2014, n. 3
19
che prevede che per un periodo di ventiquattro mesi dall'entrata in vigore del decreto (18 marzo
2016) i datori di lavoro possono svolgere attività formativa per i propri lavoratori se in possesso dei
requisiti di svolgimento diretto dei compiti del servizio di prevenzione e protezione di cui all'articolo
34 del D.lgs 81/2008, nel rispetto delle condizioni di cui all'accordo del 21 dicembre 2011.
(Il Sole 24 ORE – Tecnici 24)
DUVRI
CONTRATTO DI TRASPORTO E DUVRI
Quesito:
Il comma 3-ter dell'art. 26 del D.Lgs. 81 è applicabile ad un contratto di trasporto? Mi spiego: se il
soggetto x incarica il trasportatore y di portare dei rifiuti non pericolosi (raccolta differenziata)
dall'impianto a all'impianto b, X deve applicare il comma 3-ter o, essendo contratto di trasporto, e
quindi differente da appalto, d'opera o di somministrazione ai sensi del codice civile, tale contratto
è esentato?
----Risposta:
Con il contratto di trasporto il vettore (camionistico, aereo, ferroviario o marittimo) si obbliga ad
eseguire il trasporto della merce, cioè, il trasferimento fisico della merce, da un luogo ad un altro
nei modi e nei tempi pattuiti. Dal punto di vista giuridico, pur essendovi chi lo accumuna ad una
prestazione di servizi simile all'appalto, con la conseguente possibile applicazione della relativa
disciplina, anche in tema di responsabilità solidale e valutazione dei rischi interferenziali, si
evidenzia come parte della giurisprudenza affermi invece che al contratto di trasporto non trova
applicazione la disciplina sugli appalti e, di conseguenza, la norma speciale dettata dall'art. 26 del
D.Lgs 81/08, in ragione della tipicità della figura contrattuale che non consente l'applicazione
analogica di norme relative ad altre figure contrattuali. Il criterio discretivo sarebbe costituito dalla
natura, dalla quantità e dalla prevalenza delle attività svolte in concreto dai lavoratori: solo laddove
il vettore compia esclusivamente le operazioni tipiche del trasporto ed, eventualmente, quelle
meramente strumentali alla sua esecuzione - quali la custodia, deposito, carico e scarico delle
merci - non sarebbe applicabile il predetto art. 26 del D.Lgs 81/08 al quale si dovrebbe invece far
riferimento nel caso si accerti il compimento di attività ulteriori ed aggiuntive rispetto a quelle
sopra specificate, che esulano dallo schema tipico del trasporto, configurando una diversa
prestazione di servizi. In tali casi viene infatti programmata una serie di attività collegate al
raggiungimento di un risultato complessivo al quale le parti si sono reciprocamente obbligate con
un unico atto. Ne consegue che tali serie di attività assumono il carattere di prestazioni
continuative con disciplina unitaria, per soddisfare le quali il trasportatore deve organizzare i mezzi
richiesti dalle particolari clausole contrattuali. Una se pur indiretta conferma di tale indirizzo - volto
ad escludere la qualificabilità del contratto di trasporto come appalto di servizi, e quindi, in
conseguenza, a chiarire la non assoggettabilità alla disciplina della responsabilità solidale e della
valutazione interferenziale dei rischi si può rinvenire nella Circolare dell'Agenzia delle Entrate 1^
marzo 2013, n. 2/E. Dopo infatti aver escluso che l'articolo 13-ter del DL n. 83 del 2012 trova
applicazione soltanto in relazione ai contratti stipulati dagli operatori economici del settore edilizio avendo invece una porta generale - l'Agenzia ha espressamente escluso dal campo di applicazione
della normativa le tipologie contrattuali diverse dal contratto di appalto di opere e servizi, tra le
quali è stato fatto espresso riferimento al contratto di trasporto. Per concludere, quindi: 1) se il
vettore non esegue significative prestazioni accessorie rispetto all'attività di trasporto la figura
contrattuale è riconducibile a quella tipica del trasporto di cui agli articoli 1678 e seguenti del
cod.civ, con conseguente inapplicazione dell'art. 26 del D.Lgs 81/08; 2) qualora invece l'elemento
peculiare della fattispecie contrattuale è la durata e la costanza nel tempo delle prestazioni dedotte
in contratto, le quali, non esaurendosi in sporadiche ed episodiche prestazioni di trasporto, vanno
ad integrare un risultato complessivo rispondente alle esigenze del committente, la fattispecie è
quella del contratto di appalto ed, in particolare, del contratto di appalto di servizi di trasporto, per
la quale trovano applicazione le disposizioni che disciplinano il contratto di appalto, tra cui anche la
disposizione dettata dall'art. 26 del D.Lgs 81/08.
(Il Sole 24 ORE – Tecnici 24)
Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, marzo 2014, n. 3
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(G.U. 8 marzo 2014, n. 56)
Attrezzature di lavoro
DECISIONE 2014/78/UE
Decisione della Commissione, del 10 febbraio 2014, relativa a una misura adottata dalla
Danimarca, conformemente all’articolo 11 della direttiva 2006/42/CE del Parlamento europeo e del
Consiglio, che vieta l’uso di un certo tipo di macchine per movimento terra multifunzione [notificata
con il numero C(2014) 633]
(G.U.U.E. 12 febbraio 2014, L 42)
NOTA
Il divieto di immissione di un'autorità locale viene recepita dalla Commissione europea
Macchine a disposizione dei lavoratori
Il datore di lavoro deve mettere a disposizione dei lavoratori macchine idonee ai fini della salute e
sicurezza e adeguate al lavoro da svolgere. Tali macchine devono essere rispondenti alle
disposizioni legislative e regolamentari di recepimento delle direttive comunitarie di prodotto,
oppure all’allegato V del D.Lgs. 81/2008 e s.m.i. nel caso di macchine costruite o messe a
disposizione dei lavoratori antecedentemente all’emanazione di tali disposizioni.
Per l’accertamento della rispondenza delle macchine alle norme vigenti il datore di lavoro, oltre a
verificarle nel loro complesso, deve:
entrare in possesso della Dichiarazione di conformità “CE” e delle Istruzioni d’uso;
verificare la marcatura “CE” apposta sull’attrezzatura;
essere provvisto dell’attestazione di conformità ai requisiti essenziali di sicurezza di cui all’allegato
V del D.Lgs. 81/2008 e delle eventuali istruzioni d’uso (in caso di macchine non marcate “CE”);
isporre del registro di controllo, se previsto, o dell’eventuale documentazione attestante i controlli e
gli interventi manutentivi eseguiti;
ottenere la documentazione concernente le verifiche periodiche obbligatorie eseguite dagli enti
preposti (es. INAIL, ASL).
Immissione sul mercato
Possono essere immesse sul mercato, ovvero messe in servizio, unicamente le macchine che
soddisfino le disposizioni del Decreto Legislativo 17/2010 e non pregiudichino la sicurezza e la
salute delle persone e, all’occorrenza, degli animali domestici o dei beni, quando sono debitamente
installate, mantenute in efficienza e utilizzate conformemente alla loro destinazione o in condizioni
ragionevolmente prevedibili.
Pertanto, il fabbricante della macchina o il suo mandatario, in base al D.Lgs. 17/2010, prima di
immettere sul mercato o mettere in servizio una macchina deve compiere le seguenti operazioni:
accertare che la macchina soddisfi i pertinenti requisiti di cui all’allegato I,
accertare la disponibilità del fascicolo tecnico di cui all’allegato VII, parte A,
fornire le informazioni necessarie, quali ad esempio le istruzioni,
espletare le procedure di valutazione ai sensi dell’articolo 9,
redigere la dichiarazione “CE” in conformità all’allegato II.
Il D.Lgs. 17/2010, di recepimento della direttiva 2006/42/CE relativa alle macchine, nell’allegato I,
individua i requisiti essenziali di sicurezza (RES) da osservare nella fabbricazione delle macchine;
tali norme modificano sostanzialmente il modo di costruire una macchina, dando priorità
all’integrazione della sicurezza già in fase di progettazione e annullando il criterio di applicazione
della sicurezza in subordine alle necessità funzionali e produttive della macchina. Infatti, il primo
obbligo del fabbricante riguarda l’analisi e la valutazione dei rischi finalizzata all’individuazione dei
requisiti di sicurezza e di tutela della salute che concernono la macchina per la sua fabbricazione.
Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, marzo 2014, n. 3
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Sorveglianza del mercato
Le funzioni di autorità di sorveglianza per il controllo della conformità alle disposizioni del D.Lgs.
17/2010, sono svolte dal Ministero dello Sviluppo Economico e dal Ministero del Lavoro e delle
Politiche Sociali, che operano attraverso i propri organi ispettivi in coordinamento permanente fra
loro. Qualora gli organi di vigilanza sui luoghi di lavoro e loro pertinenze, nell’espletamento delle
loro funzioni ispettive in materia di salute e sicurezza sul lavoro, rilevino che una macchina
marcata CE sia in tutto o in parte non rispondente a uno o più requisiti essenziali di sicurezza, ne
informano immediatamente il Ministero dello Sviluppo Economico e il Ministero del Lavoro e delle
Politiche Sociali.
Qualora dall’accertamento, eseguito dagli organi ispettivi dei Ministeri citati, emerga che una
macchina provvista della marcatura “CE”, accompagnata dalla dichiarazione CE di conformità e
utilizzata conformemente alla sua destinazione o in condizioni ragionevolmente prevedibili, rischia
di compromettere la salute e la sicurezza delle persone e, all’occorrenza, degli animali domestici o
dei beni, il Ministero dello Sviluppo Economico, con provvedimento motivato e notificato
all’interessato, previa verifica dell’esistenza dei rischi segnalati, ordina il ritiro della macchina dal
mercato, ne vieta l’immissione sul mercato ovvero la messa in servizio o ne limita la libera
circolazione.
Gli oneri riguardanti il ritiro dal mercato delle macchine o ad altra limitazione alla loro circolazione
sono a carico del fabbricante o del suo mandatario.
Il Ministero dello Sviluppo Economico comunica i provvedimenti presi al Ministero del Lavoro e delle
Politiche Sociali e agli organi che hanno segnalato la presunta non conformità.
Un caso di divieto d’immissione sul mercato
La recente Decisione della Commissione europea del 10 febbraio 2014 è un chiaro esempio di
applicazione dell’articolo 11 paragrafo 2, della direttiva 2006/42/CE. Tale decisione, estesa agli
stati membri, giudica corretta la misura delle autorità danesi relativa al divieto d’immissione sul
mercato di un particolare tipo di macchina sprovvista di struttura di protezione contro la caduta di
oggetti (FOPS) e all’imposizione, nei confronti del fabbricante, di adottare misure correttive per le
macchine già presenti sul mercato.
In sintesi, la macchina in questione, regolarmente marcata e accompagnata dalla dichiarazione di
conformità alle direttive 2006/42/CE, 2004/108/CE e 2000/14/CE, è del tipo movimento terra
multifunzione, in grado di montare un notevole numero di accessori per lo svolgimento di svariati
tipi di operazioni che, in molti casi, espongono l’operatore alla caduta di oggetti.
La mancanza della struttura FOPS è una palese inosservanza di quanto disposto dal punto 3.4.4
dell’allegato I della direttiva 2006/42/CE. Le autorità danesi, dopo aver chiesto inutilmente al
fabbricante di porre rimedio all’inadempienza, hanno adottato le misure di cui sopra e informato la
Commissione europea. La Commissione ha chiesto spiegazioni al fabbricante, il quale ha affermato
che tale protezione è stata regolarmente montata in occasione di vendite per utilizzi con rischi di
caduta d’oggetti e che avrebbe reso più chiaro il manuale di istruzioni. Le risposte fornite dal
fabbricante evidenziano la chiara violazione di quanto disposto dalle lettere a) e b), del punto 1.1.2
dell’allegato I della direttiva 2006/42/CE, che prevedono, rispettivamente, la progettazione e
costruzione al fine di un utilizzo sicuro, considerato anche quello scorretto ragionevolmente
prevedibile, e la priorità a misure integrate di protezione rispetto alle informazioni per gli utenti.
A ulteriore conferma della non corretta applicazione della direttiva da parte del fabbricante, vale
l’ultima considerazione della Commissione europea, nella quale afferma che nella progettazione e
costruzione della macchina, devono essere considerate tutte le possibili funzioni cui la macchina
può essere adibita durante la sua esistenza.
Conclusioni
I possibili provvedimenti di divieto d’immissione, di ritiro o di adozione misure correttive per le
macchine già presenti sul mercato comportano, per il fabbricante, onerose conseguenze
economiche e negative ripercussioni d’immagine, pertanto la corretta applicazione delle norme per
la fabbricazione delle macchine oltre a costituire un obbligo inderogabile è anche la soluzione più
conveniente.
Per l’accertamento della conformità delle macchine, oltre a quanto già esposto, è opportuno
verificare che non sussistano provvedimenti in atto da parte delle autorità competenti.
(Mario Trapani, Il Sole 24 ORE – Tecnici 24)
Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, marzo 2014, n. 3
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Modelli organizzativi
MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI
COMUNICATO
Recepimento delle procedure semplificate per l'adozione e la efficace attuazione dei modelli di
organizzazione e gestione della sicurezza nelle piccole e medie imprese
(G.U. 24 febbraio 2014 n. 45)
Contenuto
Sulla Gazzetta Ufficiale n. 45 del 24 febbraio 2014 è stato pubblicato il comunicato che rende noto
che sono state recepite le procedure semplificate per l’adozione e l’attuazione dei modelli di
organizzazione e gestione della sicurezza (MOG) nelle piccole e medie imprese di cui all'art.
30, comma 5-bis, del decreto legislativo del 9 aprile 2008, n. 81.
Tuttavia l’adozione di questo modello non è obbligatorio.
Infatti sul sito del ministero è detto chiaramente che “il modello di organizzazione e gestione della
salute e sicurezza non è infatti obbligatorio e deve essere valutato dalla Direzione aziendale in base
alle proprie necessità gestionali ed organizzative”.
(, Il Sole 24 ORE - Tecnici 24)
Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, marzo 2014, n. 3
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Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, marzo 2014, n. 3
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Newsletter 3/2014 - Fondazione Rubes Triva