DON
GIOVANNI FOLCI
FIORI DI TRINCEA
Diario vissuto da
un cappellano di fanteria
PREFAZIONE (mons. Marcianò)
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DON GIOVANNI FOLCI
Nacque a Cagno (Como) il 24 febbraio 1890. Nel 1901, giovanissimo, avvertì la vocazione
al sacerdozio ed entrò in seminario. La preparazione al sacerdozio copre ben tredici anni
fino al 13 luglio 1913, quando fu ordinato sacerdote e celebrò la prima messa.
Il 21 dicembre 1913 venne nominato parroco di Valle Colorina, in provincia di Sondrio.
Nel giugno 1914 fu chiamato alle armi e il 15 maggio 1915 partì per il fronte come cappellano militare. Dal settembre 1915 al maggio 1916 fu in prima linea con i soldati che combattevano sul fronte dell’Isonzo. Di nuovo sarebbe tornato in prima linea dall’ottobre 1916
al gennaio 1917.
La guerra, le lunghe giornate in trincea, i giovani che gli muoiono fra le braccia, sono una
esperienza umana e spirituale che lasciò nell’animo del giovane sacerdote una traccia profonda ed indelebile. Lo scrive egli stesso nei suoi Diari di guerra: vede morire molti giovani
che affidano a lui, al cappellano, gli ultimi desideri e l’ultimo saluto per la mamma, la moglie, la famiglia lontana. La guerra non ha nulla di eroico e di esaltante; in quello squallore
don Folci sentì tutta la grandezza e la responsabilità del suo essere prete.
Come cappellano era portaferiti e doveva correre sotto il fuoco nemico a raccoglierli per
dare loro una benedizione; celebrava la Messa nelle situazioni e nei luoghi più disparati,
sempre pronto a far rendere viva la presenza del Signore Gesù fra quei giovani che si accalcavano attorno a lui, che ha la loro età, come a un Padre. Sono anni di fatica, di fede, di
carità e di lacrime; più volte don Folci scrive che ha pianto, soprattutto quando ricorrono le
grandi feste liturgiche ed il pensiero dal fronte, dalle trincee, corre “lontano, nelle chiese, il
tripudio delle anime, l’intensità della preghiera raccolta, l’effluvio cordiale di voti, di suppliche, tra il profumo e la festa dei fiori, la maestosità del rito, l’eco soave dei canti e di suoni
angelici”; invece, “le preghiere son gemiti dei morenti, di corpi straziati […] la musica è fatta di cannoni a centinaia, di mitragliatrici diaboliche; l’accolta è il fior fiore dell’umanità che
si odia e ferocemente si ammazza […] celebro la Santa Messa […] prego e piango!”. Fu
decorato al valor Militare con due medaglia di bronzo (Monte Seluggio, 1-5 luglio 1916 e
Casa Deruta, S. Marco di Gorizia, 23 maggio 1917).
Il disastro di Caporetto segnò una svolta decisiva non solo nell’impegno di Cappellano militare, ma anche nel progettare in modo definitivo la sua vita. Fatto prigioniero nell’ottobre
del 1917, arrivò nel Lager di Rastatt ed è poi trasferito a quello di Celle dove si creò un
clima di affetto e riconoscenza per la sua continua opera di sostegno ai militari prigionieri.
Quest’ultimo periodo di guerra fu per lui particolarmente duro, non solo per le condizioni
del campo di prigionia, la fame, il freddo, ma soprattutto per l’impossibilità di celebrare la
Messa.
Nel settembre 1918 un ordine del Comando tedesco lo trasferì nel lazzaretto di Limburg
dove sono concentrati gli ammalati più gravi e qui rimase volontario: “Resto e resterò fino
a che non partirà l’ultimo ammalato: l’attesa può fare felice il nostro incontro!” (da una lettera allo zio don Sonzini).
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Durante i mesi di prigionia concepì l’idea di erigere un tempio votivo a ricordo di tutti i prigionieri di guerra morti. Diffuse il progetto, trovando consenso e appoggio, fra gli ufficiali
del Lager, tanto che l’ufficiale De Ferrari, abbozzò il prospetto del tempio. Quando si trattò
di realizzare la struttura, per necessità contingenti, affidò il progetto prima a don Ambrogio
Moioli e poi all’arch. Angelo Angelini di Milano.
Dopo poco più di un anno dal suo ritorno nella parrocchia di Valle, l’11 luglio 1920 fu solennemente posta e benedetta la prima pietra del Tempio che venne poi inaugurato solennemente il 27 settembre 1925 da mons. Cleto Cassano, arcivescovo di Sassari, in sostituzione di mons. Alfonso Archi, vescovo di Como, impossibilitato per motivi di salute. Appassionato fu il discorso, al termine delle celebrazione, del generale Cottone, che comandava il gruppo di Divisioni a cui apparteneva il 38° reggimento, assistito spiritualmente da
don Folci.
Don Lino Varischetti, allora chierichetto di don Folci, annota che lo stesso prefetto di Sondrio, il conte Silvio Buglioni di Monale, dopo un discorso in cui esaltava l’opera di don Folci, lo volle accanto a sé e, con gesto inatteso, gli appuntò sul petto la Croce di Cavaliere
della Corona d’Italia.
Don Folci avrebbe voluto la salma di un prigioniero ignoto per la cripta del Santuario.
Nella lettera del 2 novembre 1961, indirizzata al Beato Giovanni XXIII, chiese al Santo Padre di benedire anche l’iniziativa “Sacrario delle Nazioni”, che «raccogliendo in apposita
cripta, le salme rappresentanti i caduti di tutte le guerre e di tutte le prigionie di tutte le nazioni, vuol fare del Santuario di Valle Colorina un centro di suffragio universale perché
quegli eroi siano gli angeli della sapienza e del consiglio per tutti i reggitori di popolo».
Progetto che non giunse a termine per motivi che restano oscuri. Gli sarebbe piaciuto fare
del Santuario di Valle un vero focolaio di preghiera per la pace universale e per i governanti di tutto il mondo. A sostegno di questa sua idea aveva contattato il cancelliere tedesco Adenauer e alcuni influenti uomini politici della DC del tempo. Chiese l’autorizzazione
per l’assegnazione di un ossario a Valle Colorina. Il progetto non venne realizzato, forse
anche per la morte di don Folci, il 31 marzo 1963.
Caratteristica della spiritualità di don Folci fu l’amore ardente per il sacerdozio “dall’alba al
tramonto”, dal coltivare nei ragazzi il germe della vocazione sacerdotale alla cura affettuosa dei sacerdoti anziani ed ammalati. La sua salma dal 1963 riposa nel Santuario del Divin
Prigioniero; i sacerdoti e le Ancelle di Gesù Crocifisso, alla luce del suo carisma, continuano la sua preziosa opera sacerdotale.
Di don Folci è in corso il processo di beatificazione.
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DIARI DI GUERRA
E DI PRIGIONIA1
Si tratta di una serie di quaderni di misura diversa, di fogli e di cartoline militari con parziali
sovrapposizioni in seguito a riproduzioni in bella copia di annotazioni fatte al fronte o in
prigionia. Pertanto, al fine di rendere più agevole la lettura e, soprattutto, di ricostruire il più
possibile la continuità discorsiva di un diario peraltro spesso frammentario, ho ricompattato
i vari appunti in un testo unico, che segue lo sviluppo cronologico, mentre i vari manoscritti, indicati con la sigla e il numero di collocazione in archivio, vengono qui di seguito descritti, sia nella loro conformazione esterna, sia nell'originaria successione dei testi. In nota
alla trascrizione del diario verrà di volta in volta annotata la corrispondenza ai quaderni
manoscritti.
GU1
Notes da campo rilegato in tela, cm. 15x10, 119 pp.
Sull'esterno della legatura sta scritto: "1917. Nota spese per militari".
Le pagine 1-11 contengono una serie di indirizzi. Segue, per due pagine (12.14), una specie di "protocollo" per la corrispondenza, con indicati destinatario, data e con uno spazio
bianco per l'evasione e annotazioni. Si riferisce a corrispondenza del gennaio e febbraio
1919. Il che fa pensare a un riutilizzo successivo del quadernetto militare. Come pure il
diario delle Messe (gennaio-aprile 1919) delle pp. 27- 31.
Lo stesso libriccino è stato scritto a cominciare dalle ultime pagine: il testo di un "biglietto
pasquale" nelle prime due (1B e 2B); alcune iscrizioni funebri; appunti di ricevute in consegna di soldi da parte di soldati; una sorta di piccolo protocollo di corrispondenza riferentesi all'agosto-settembre 1917. Inoltre, un elenco di "offerte avute da ufficiali e soldati pro
ecclesia erigenda in Valle".
La gran parte delle pagine sono rimaste in bianco.
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"La" presente" catalogazione" è" di" DON" SAVERIO" XERES" della" Diocesi" di" Como," che" ha" pubblicato" la" trascrizione" dei"
diari"di"guerra"nella"raccolta"scelta"degli"scritti"di"don"Folci,"pubblicata"a"Sondrio"nel"1994."
Nato"a"Morbegno"(So)"nel"1955,"dopo"gli"studi"nel"Seminario"diocesano"di"Como,"don"Xeres"è"ordinato"presbitero"
nel"1979."Conseguita"la"Laurea"di"Storia"Antica"presso"l’Università"Cattolica"del"Sacro"Cuore"di"Milano,"si"è"successiP
vamente"licenziato"in"Teologia"Sistematica"presso"la"Facoltà"Teologica"dell’Italia"Settentrionale."
Attualmente" è" membro" dell’Istituto" di" Storia" Moderna" dell’Università" Cattolica" di" Milano," docente" di" Storia" della"
Chiesa"presso"il"Seminario"Teologico"di"Como,"referente"diocesano"per"l’ABEI,"Canonico"della"Cattedrale"e"maestro"
di"Cappella."
Ha"al"suo"attivo,"oltre"che"a"diversi"contributi"di"Storia"Antica,"pubblicati"su"riviste"specializzate"edite"da"“Vita"e"PenP
siero”," varie" ricerche" di" storia" locale," approfondimenti" riguardo" a" personaggi" e" avvenimenti" di" storia" ecclesiastica"
moderna"e"contemporanea,"come"gli"studi"su"san"Luigi"Guanella,"sul"beato"cardinale"Andrea"Carlo"Ferrari"e"sul"ConP
cilio"Vaticano"II.!
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GU 2
Notes da campo rilegato in tela, simile al precedente: cm. 12x8, 191 pp.
Sull'esterno della legatura reca scritto: "1917. Decorazione al valore, 10…"
Sul retro del foglio di guardia:
"Don Giovanni Folci N° 64481 di matricola
Grado: cappellano militare
Campo: Gefangenenlager Rastatt Germania
Blocco N° 7".
Nelle successive pagine 1A-45A e 78A-94A, scritte in modo fitto davanti e dietro, è contenuto un "Diario di guerra", periodo 13 marzo - 10 aprile 1917, 11-19 maggio 1917; similmente nell'altra direzione di lettura del notes, alle pagg. 1B-8B (1-3 giugno 1917).
A p. 191A l'annotazione: "trascritto". In effetti, almeno il diario 13-16 marzo risulta trascritto
alle pp. 31-40 di GU3, il diario 16 marzo - 8 aprile è trascritto in GU4, e il diario 8 aprile - 2
giugno in GU5.
GU 3
Quaderno militare inglese.
Sulla copertina: "III Quaderno - Diario".
40 pp. completamente scritte, dall'11/9/[1916] al 16/3/[1917]. Le pp. 31-40 (13-16 marzo)
sono la trascrizione, in bella copia, di parte del "Diario di guerra 1917" (GU 2). La trascrizione potrebbe essere avvenuta in data e luogo corrispondenti a quella segnati in alto alla
copertina: "Rodolo 1/9/21".
GU 4
Quaderno militare inglese.
Sulla copertina: "IV Quaderno. Diario". In alto, più in piccolo, la data: "Marzo 1917". 40 pp.
completamente scritte, dal 16/3 all'8/4/1917. Continua la trascrizione in bella copia del
"Diario di guerra 1917". La data e il luogo della trascrizione sono annotati in alto a destra
della copertina: "Rodolo, 15/9/1921".
GU 5
Quaderno militare inglese.
Sulla copertina: "V Quaderno. Diario". In alto, più in piccolo, la data: "Aprile 1917". Scritto
fino a p. 36 (dall'8 aprile al 2 giugno), contiene il testo della trascrizione di GU 2. In fondo a
p. 36 si legge la nota, a matita: "per continuare, vedi giorno 6 giugno, notes piccolo nero" e
la data di conclusione di questa trascrizione: 27/9/1921, mentre sulla copertina appare la
probabile data di inizio della stessa trascrizione: Rodolo, 24/8/21.
GU 6
Quaderno scolastico con copertina nera. Cm. 15x21, 88pp. più 2 allegati.
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Si tratta di un quaderno di seminario, come appare dalla scritta del primo frontespizio interno: "Ch.co Giovanni Folci. Appunti e Ritagli. Nulla dies sine linea"2. Il quaderno venne
poi riutilizzato per trascrivere il diario di guerra, in bella calligrafia. Di qui il secondo frontespizio (p. 1): "D. G. F. Fiori di trincea. Diario vissuto da un cappellano di fanteria", in caratteri gotici).
È completamente occupato (pp. 3-89) dal diario del periodo 30/9/1915 - 19/7/1916.
All. 1: foglio a righe, diario senza data.
AlI. 2: tre fogli a righe con stralci di corrispondenza.
GU 7
Quaderno con copertina nera e taglio rosso, cm. 15x21, 120 pp. Sul frontespizio, a caratteri grandi:
D. G. FOLCI
Fiori di Trincea
(diario vissuto di un capellano di fanteria)
Scritto a matita nelle pp. 3-71 (dal 30 settembre 1915 al 27 agosto 1916); alle pp.116-119
è riportata una lettera al colonnello (16 gennaio 1917), nella quale don Folci si lamenta per
aver ricevuto, come onorificenza, la medaglia di bronzo, anzichè d'argento. Le pp. 3-34
(diario 30 settembre 1915 - 28 marzo 1916) sono state ricopiate in GU6, pp. 3-38.
Il resto delle pagine è rimasto in bianco.
GU 8
Agendina dell'esercito italiano. Cm. 8x12, senza copertina.
All'inizio sono indicati, a penna, i dati personali:
"Cognome e Nome: don Giovanni Folci
Grado: tenente cappellano militare Reggimento: 38° Fanteria
Divisione M.M. IIIa".
All'inizio del mese di gennaio annotato, a penna, l'anno: 1916.
Il diario delle giornate è scritto sotto le rispettive date a stampa, in questa successione: 1 e
2 gennaio; 20 gennaio; 23-26 gennaio; 19-27 febbraio; 2-9 marzo; 11-12 aprile; 21-23
aprile; 19 maggio; 24 maggio - 4 agosto; 5 settembre. A partire dal mese di luglio, l'estensore non rispetta più la successione delle date stampate dell'agendina, ma annota il numero dei giorni a matita.
GU 9
Quattro serie di fogli a righe ripiegati in due e scritti su quattro facciate di cm. 11x 18. La
numerazione progressiva delle facciate scritte è segnata a penna nella prima di ogni quattro, in alto a sinistra.
Si tratta di un diario in forma di lettere inviate allo zio don Carlo, come don Folci stesso
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"Nessun giorno senza una linea". Proverbio latino (da PLINIO, Nat. Hist., 35.84).
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spiega all'inizio di GU9.1. La data posta all'inizio di questa prima serie di fogli consente di
indicare come data anche degli altri il 1916.
a) prima serie (GU9.1): pp. 1-15.
Dal 3 al 5 ottobre.
In cima a p. 1, sulla destra, è annotato: "Lettera Ia".
b) seconda serie (incompleta) (GU9.2): pp. 9-20.
Dall'8 al 10 ottobre.
c) terza serie (GU9.3: pp. 1-8). 6-7 ottobre.
In alto a p. 1, a sinistra, è annotato "Lettera IIa".
d) quarta serie (GU9.4): pp. 1-46.
Dal 14 ottobre al 1 novembre. A questa data il diario si interrompe bruscamente a metà di
una parola.
All'inizio di p. 1 è annotato: "Lettera IIIa" e, di seguito: "(11-12-13 ottobre, appresso)" .
e) segue un foglio simile ai precedenti, non numerato e senza data, scritto su tre facciate
(GU9.5).
GU10
Quadernetto a quadretti con copertina nera e taglio rosso, cm. 8x13, 107 pp.
Le pp. 1-7; 11-12; 14-18; 23-42; 97-107 contengono indirizzi, conti, intenzioni di messe,
appunti vari. Le pp. 47-66 sono occupate dal diario di guerra del periodo 22-31 maggio
1915. Si tratta del primo periodo di guerra, durante il quale don Folci è arruolato come soldato semplice di Sanità.
Le altre pagine sono bianche.
CELLE1
Quadernetto a quadretti senza copertina, cm. 9x15.
Da p. 3 a p. 26 si trova il diario di prigionia, per il periodo 10-24 novembre 1917. Alle pp.
37-38 compare il primo abbozzo di un appello a sostegno della costruzione di un tempio
votivo per i prigionieri di guerra, a Valle di Colorina.
Alle pp. 46-52, sono annotate osservazioni in relazione alla lettura del libro "Verso la cuna
del Mondo" di Guido Gozzano, ed. Treves, Milano.
Allegate sette cartoline militari della stessa dimensione, scritte sul retro, numerate 1-6 e 8.
Manca la 7.
Contengono il diario del viaggio verso la prigionia (1-3/11/1917).
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Soldato di Sanità
(maggio 1915)
22 maggio 19153
Commoventi e cordialissime separazioni da amici e conoscenti. E' uno scambio doloroso
di arrivederci in cielo e in terra. A stento arrivo a strozzare in cuore la piena degli affetti
che vorrebbe sciogliersi in lacrime. Indimenticabili i sigg. Mariani, Stropeni e il sig. prevosto Marazzani4 con sua sorella che gentilmente mi regalò! un vasetto per gli olii santi. Alle
sei pomeridiane una carrozza, sulla quale ci siamo messi io e gli amici Michele Bianchi,
Stropeni, con tutto il nostro corredo militare, attraversa le vie della città! correndo alla stazione di Porta Romana: donde si parte con treno speciale verso le 8.30 salutati dai numerosi parenti, amici e conoscenti dei richiamati là! convenuti a dar l'ultimo addio, forse, a
molti di quei giovani che partono rassegnati o meno, nessuno entusiasta, a stento malamente nascondendo il loro cordoglio tra i canti e gli scherzi. Altri piange, sconsolatamente,
d'attorno gli si fanno commilitoni per consolarlo, indarno. Altri afferma che il nessun vero
sentito entusiasmo tra i soldati è! dovuto alla mancanza di una apparente causa giustificante la guerra. Altri, con maggior spirito di sacrificio e di italianità, consiglia i compagni ad
adempiere il proprio dovere con onore grande e generoso: il governo lo vuole, su di lui ricade ogni responsabilità.
Finalmente il treno si muove lentamente, ma irresistibilmente, sulla linea Milano-Brescia.
Risuonano nell'aria gli ultimi addio, gli arrivederci angosciati, gli "evviva l'Italia", "evviva l'esercito". E' un grido assordante, uno sventolìo affannato di pezzuole bianche. Le finestre e
i balconi delle case, illuminate a notte, appaiono gremite di gente. I soldati dai finestrini dei
carrozzoni rispondono commossi, quindi a poco a poco si ritirano, mentre Milano appare
sempre più! lontana, con le migliaia di luci alla periferia, per poi scomparire affatto dal nostro sguardo.
Il treno lungo lungo fila nella notte buia, tra terre e paesi... Il pensiero vola lontano, il cuore
vigila, una prima e una seconda fermata, dopo Cassano d'Adda5 passiamo sopra il fiume,
da quale il paese prende il suo nome. In quel momento alla mia mente è! un affluire incomposto di pensieri e di affetti. Sogno la mia parrocchietta lontana, le anime che tanto ho
amato e ora vieppiù! sento d' amare, provato dal dolore... Poveri e buoni miei Vallesi6!
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GU10, pp. 47-66
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Don Luigi Marazzani, prevosto della parrocchia di San Tommaso in Terra Mara nel centro di Milano, presso
il quale don Folci aveva trovato appoggio durante il periodo della sua ferma a Milano, come soldato di Sanità, dal 21 aprile al 21 maggio 1915 (VARISCHETTI, p. 31). Cosi scriveva don Folci alla domestica Luigia Biotti
il 30 aprile 1915: "lo mi trovo abbastanza bene; dormo sempre fuori caserma"; e il 5 del mese successivo: "il
signor prevosto qui di Milano con sua sorella vi salutano e vi ringraziano". Si può pensare che fosse stato lo
zio don Carlo, membro del clero ambrosiano, a procurargli tale assistenza. Anche in altri passaggi da Milano, per andare o tornare dal fronte, per le licenze, don Folci farà sempre una visita al prevosto: vd.avanti, pp.
59 e 92.
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Sulla linea ferroviaria Milano-Treviglio-Brescia, al confine tra le attuali provincie di Milano e di Bergamo.
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Abitanti di Valle di Colorina.
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“Fiat”7! Dei soldati, altri dorme, chi mangia, chi rasciuga l'ultima lagrima, altri commenta le
ultime notizie dei giornali, in modo particolare il decreto di mobilitazione.
Finalmente, a mezza notte meno qualche minuto, arriviamo a Brescia. Una tettoia grandiosa, illuminata a giorno, accoglie il nostro treno. Si scende in tutta fretta. Brevi *** e poi
zaino in spalla e via, verso un palazzo scolastico dove prendiamo posto sotto i porticati,
sopra un soffice letto di paglia. E' il tocco, circa, quando ci addormentiamo e si dorme veramente, tanta è la stanchezza.Sono le quattro quando mi sveglio. Pentecoste! Il mio cuore sussulta e prega. Possa io celebrare in questo giorno tanto grande. Si era trepidanti
perché era stata annunziata la partenza dalla città di buon mattino, invece un ordine del
maggiore ci rassicura: non sipartirà che verso sera.
23 maggio 1915
Corriamo alla chiesa di sant'Afra, dov'è il corpo di sant'Angela Merici8; la Chiesa è affollata. Pieni di contento, giubilanti, celebriamo la nostra santa Messa. Deo gratias. Si prega
per tutti e la preghiera è calda, d'affetto, ricca di soddisfazioni. Iddio è con noi. A lui offriamo il sacrificio di tutto noi stessi.
Un buon sacerdote, compagno di studi all' Università di Pavia al commilitone mio D *** ci
ospita in casa sua, con generosa cordialità. Gente buona ce n'è per tutto! Ci parla dei preparativi militari da queste parti; delle condizioni dei cattolici di fronte ai socialisti e compagnia in questi momenti di patriottismo più o meno verace e giustificato. Di fatto per quel
giorno medesimo erano annunciate solenni funzioni religiose pro pace e per il felice esito
dell’ormai inevitabile guerra. Alcuni cartelloni campeggianti sulle facciate di chiese dicono
il sentimento profondamente patriottico dei cattolici bresciani. Compro e spedisco alcune
cartoline della città colle ultime vicende della vita militare.
Ed eccoci ancora colla nostra sezione9. Ci si conduce tosto fino alla stazione per prendere
un po' di caffè che non si beve perché ci mancano le tazze di latta; nessuno ci ha avvisati
di portarla, ma il sergentino per difendersi presso il maggiore afferma di averlo detto, e i
soldati debbono tacere. Alla stazione ci si fa stare due buone ore, a farci cuocere da un
magnifico sole di maggio. Finalmente si ritorna alle scuole, ma di là si parte immediatamente. Zaino in ispalla, e via per la caserrna dell'artiglieria. Ma anche là ci aspettava una
disillusione. I cucinieri non hanno preparato niente. Il perché? Sallo Iddio, un mormorio
sordo d'indignazione accoglie le parole del sergente maggiore che permette l'uso di una
scatola di carne e di gallette. La più parte esce e si disperde nelle varie trattorie per prendersi il ben meritato ristoro e saziare in parte almeno gli stimoli della fame. Noi tre10, ne
approfittiamo. Poi una visita al bello e devoto santuario della Madonna delle Grazie. La
marmorea cappellina a parte raccolta, quasi in atto di venerazione continua alla gran regi7
“Così sia!”.
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Nata a Desenzano sul Garda, nel 1474, radunò attorno a sè, presso la chiesa di sant'Afra, un gruppo di
donne impegnandole nell’assistentza delle ragazze, soprattutto di quelle orfane. Fondò la Compagnia di
sant'Orsola, caratterizzata da uno stile di presenza diretta, e senza particolari distintivi, nella società, fomendo il primo modello degli attuali istituti secolari.
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Di Sanità militare.
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Don Folci è in compagnia di altri due preti: don Gianoli e don Bormetti. Don Pietro Bormetti (1889-1972),
nativo di Semogo in Valdidentro (So) è compagno di messa di don Folci. Sarà in seguito parroco di Rasura
in val Gerola e quindi arciprete di Chiavenna.
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na del cielo; respira l'animo, che poi effonde i suoi affetti in lagrime dolcissime a quell'effigie rivestita di ex-voto e di quadri a tutte le pareti, anche del porticato che separa la cappellina dalla chiesa grande. Il momento solenne, l'ora difficile per la patria nostra, la vita
pericolante di tanta gioventù, i mali sociali, i peccati di tanta cristianità che hanno obbligato
la giustizia di Dio a permettere tanto flagello qual è la guerra, prende l'anima intera in una
preghiera intensa. Usciamo contenti, desiderosi di tornarci. Ce la darà il Signore tanta grazia?
A sera, verso le otto e mezzo un treno elettrico conduce la più parte di noi a Vestone in
Val Sabbia11: una bella valle, ricca di paesi, di vegetazione, corsa da un fiume importante,
il Chiese che, rompendo spesso contro le rive rocciose e i massi sporgenti dal suo letto,
rumoreggia paurosamente, siccome una belva ferita a morte. Peccato che l'oscurità della
notte non ci permetta di veder molto. Brescia dapprima e i paesi tutti della vallata che attraversiamo ci salutano con evviva ed applausi. Intanto il cielo si è fatto oscuro oscuro e
piove forte. Arriviamo a Vestone verso le dieci e mezzo. Scendiamo dai carrozzoni e via di
tutta fretta verso la destinazione, l'alloggio, mentre la pioggia continua a cadere. La difficoltà del cammino ecc. rendono vieppiù rabbiosi i soldati che, poveri ragazzi, si sfogano
bestemmiando contro Dio. lo mi sento stanco stanco... ma non importa, offro a Dio tutto
quanto e per guadagnare tempo prego un poco. Giungiamo finalmente sopra un'ampia
spianata: ci viene indicata una casa. Sacerdoti e chierici ci raccogliamo assieme con altri
bravi giovani in una stanza a parte, poi ci sdraiamo sulla paglia tradizionale. Si dorrne un
poco, e un poco si sonnecchia.
24 maggio 191512
Sono le 7 del mattino. Gli ufficiali ci raccolgono e, fatto zaino, ci riconducono al paese e di
là saliamo un po' più su un piccolo poggio, dove ci accantoniamo nell’antico Sanitario
Cremonese. Una posizione veramente deliziosa e saluberrima donde si gode una vista incantevole. Lontano, verso i monti che difendono dal nostro sguardo Treviso13, appare nella sua severità robusta il forte di Valedrana14.
Vestone è un grosso paese di montagna, comprende circa *** abitanti: ricco di botteghe e
negozi d'ogni sorta, anche di una certa ricercatezza e abbondanza, provvisti dei conforts
moderni.
Accomodatici nel locale assegnato a noi, domandiamo e otteniamo licenza di celebrare.
Sono le nove. Ci rechiamo a fare atto di ossequio al molto reverendo arciprete che ci regala tosto un'ottima impressione di pio e zelante sacerdote.
È la solennità di Maria Ausiliatrice e nella santa Messa si prega di cuore questa grande
soccorritrice delle armi cristiane perché abbia a far cessare finalmente il grande flagello o
almeno non permettere che anche si propaghi ora qui. Ma, ahimè, che se le nazioni belligeranti lavano nel sangue di tanti militari, di uomini, le loro iniquità, l'Italia nostra, tanto ingrata verso Dio, dovrà essa finire nello stesso tormentosissimo bagno. Non erano valsi i
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Valle che, partendo da Salò, collega il lago di Garda con quello di Idro.
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È il giorno dell'entrata in guerra dell'Italia.
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Treviso bresciano, posto in una valle che si diparte da Vestone.
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A nord est di Vestone.
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terremoti, non i nostri rivoluzionari, non altri duri castighi, non la disoccupazione, non la
malattia; l'uomo, incapace di risollevarsi, continuava brutalmente nella colpa. Ma ormai la
misura era colma.
Io avevo sempre sperato, assai spesso, che Iddio avesse voluto risparmiarci tanto castigo,
ma non mi accorgevo che forse peccavo di presunzione. Da qualche giorno però mi ero
andato persuadendo ch'era giunta I'ora di Dio e il ragionar con buone persone dalla fede
inconcussa mi aveva preparato al grande terrificante annuncio; ond'è che ritornato in sezione, la poco lieta notizia delle iniziate ostilità tra Austria e Italia, per quanto dolorosa mi
risultò, non mi ebbe però abbattuto. Pronunciai entro di me il "fiat"15 della rassegnazione
cristiana, e poi cogli amici mi recai a commentar la tanto deprecata infausta decisione del
nostro governo. Ma lasciamo al governo la responsabilità d'ogni fatto e noi cittadini e soldati che sentiamo forte in cuore l' amor patrio, ciascuno al nostro posto facciamo il nostro
dovere, diamo il tributo di tutte le nostre energie spirituali e materiali per la terra che ci è
madre e che di questi terribili momenti ha bisogno di tutta l'entusiasta corrispondenza dei
suoi figli. A Vestone i giornali di Milano arrivano soltanto nel pomeriggio e quel giorno andarono veramente a ruba.
25 maggio 1915
Otteniamo dal maggiore un permesso permanente di due ore al mattino per recarci a celebrare la santa Messa e ne approfittiamo subito.
Lungo la mattinata niente di notevole; incomincia quella vita monotona e purtroppo oziosa
che ha già distinto il primo mese di richiamo16, di Monza e Milano.
Nel pomeriggio ci fa un po' di spirito un bel tipo di alpino venuto a trovare un suo fratello
della nostra sezione di Sanità. Egli pure ha partecipato alle prime azioni di penetrazione
nel territorio austriaco, azioni ch'ei giustamente chiama di non grande importanza. Poi, con
una disinvoltura e calma sorprendente dice: "Ma non state a pensarci; verrà il momento e
non tarderà, in cui andremo noi a scovarli quei signori di Austriaci e a trarli dai loro nascondigli e allora sì che si farà gran festa!". Noi ci guardammo tutti in muso, felicitandoci
col bravo giovane, augurando insieme buona ventura al suo coraggio.
Sono le quattro e mezzo; finalmente c'è la libera uscita. Noi comaschi col bravo Stropeni ci
disponiamo tosto e usciamo per la cena. Fino a tanto che le nostre forze ce lo concederanno, rinunciamo al rancio serotino a favore di qualche commilitone. Sul sagrato della
chiesa parrocchiale ci aspettava una sorpresa. C'incontrammo coi due sacerdoti comaschi, don Bianchi Onorato17 parroco di Spriana in val Malenco attualmente cappellano militare del 62° ospedale, e don Natale Bormetti coadiutore di Montagna in Valtellina, cappellano militare del 22° ospedale18. Uno scambio affettuoso di "come stai", di auguri, notizie,
15
“Così sia!”.
16
Don Folci era stato richiamato il 21 aprile 1915 ed era rimasto a Milano per circa un mese, prima della partenza per Vestone (VARISCHETTI, pp. 30-31). Così, da Milano, aveva scritto, il 30 aprile, alla fedele domestica: "Quel far nulla della vita militare mi annoia e mi fa male": ADF, Lettere di don Folci, 1915.
17
Nativo di Brienno, sul lago di Como, vicario di Colico, quindi parroco di Spriana in val Malenco. In seguito
sarà parroco di Cedrasco, per ritirarsi poi presso la Casa di salute delle Suore Infermiere di Valduce in Como.
18
Don Natale Bormetti, coadiutore di Montagna, nei pressi di Sondrio, in seguito parroco di Verceia, in val
Chiavenna.
12
!
felicitazioni e complimenti, quindi via, all'Albergo dell'Agnello. E, dopo cena, un passeggino e poi andiamo in chiesa per il Mese di maggio. Ci rallegra la vista di altri soldati; non
manca la rappresentanza della nostra sezione. Faremo in maniera che il numero aumenti.
26 maggio 1915
Oggi a Caravaggio solennità grandiosa19. I fedeli devoti di Maria guardano alla taumaturga
di quel borgo con occhio fidente. Anche i nostri voti salgono a lei graditi e forieri di più lieto
avvenire. Quando torno dalla Messa, quasi tutti gli ufficiali sono arrivati e s'incominciano le
istruzioni.
Stamane [l'istruzione] è rimpianto delle tende ospedaletto. "In dieci minuti dev'essere impiantata e tolta", grida il maggiore. Ed ecco chi se ne intende all' opera con grande sollecitudine. Ma nonostante tutto lo zelo di un bravo caporale, devono passare più di venti minuti prima che la tenda stia in piedi. Non importa, un'altra volta si farà più lesto, quando si
avrà imparato meglio.
Tutta I'istruzione finisce lì, o meglio se ne impianta una seconda e poi una terza, sempre
dello stesso genere. Il resto della giornata lo passiamo in un dolce far nulla, chiacchiere,
canti, riposo, attendere, mangiare e digerire il rancio.
Ci dovrebbe essere la cinquina20. Si vocifera che non si avrà perché mancano i soldi.
Qualche soldato brontola e vorrebbe reclamare. Poveretto, vorrà bere un bicchiere nelle
ore di libera uscita e il suo borsellino non glielo permetterà.
Primo servizio dei nostri carri ambulanze. Di buon mattino, maggiore e capitano si recano
a Ponte Caffaro21 a prendere un capitano trapassato al polmone destro da un colpo di fucile di una sentinella nostra, fedele al proprio mandato.
27 maggio 1915
Dopo il rancio del mattino è annunciata la cinquina pel dopo pranzo. Qualche volto si rasserena e si ravviva di un sorriso di compiacenza. Le voglie si acuiscono e qualcuno va
mormorando se non sia ora e tempo di dare il soprasoldo di guerra. Circa le due e mezzo
del pomeriggio ci raccogliamo dattorno ai nostri ufficiali. Prende la parola il maggiore, il
quale legge e commenta la lettera circolare del Capo di Stato Maggiore Cadorna22 sulla
necessità di una disciplina ferrea nel nostro esercito, se vogliamo che il medesimo sia fattore delle optate vittorie. Agli ufficiali il dovere sacrosanto d'informare le truppe ad una
condotta spiritualmente e moralmente integra. Guai al superiore che lascia impunita la più
leggera mancanza in tempi tanto calamitosi e di sì facile libertinaggio. Si compiace che i
sentimenti e le idee del generalissimo siano in perfetta uniformità colle sue già altre volte
espresse e predicate davanti ai suoi soldati. Quindi ha inizio la distribuzione della cinquina,
che è però senza l'aggiunta di guerra! Con 1.60 si può tuttavia fare una buona cenetta e tal
cosa consola tutti noi poveri soldati senza grado.
19
Caravaggio è il principale santuario mariano della Lombardia, situato tra Bergamo e Crema. Il 26 maggio è
il giorno anniversario dell'apparizione mariana risalente al 1432.
20
Retribuzione militare, cosi chiamata perché tradizionalmente corrisposta ogni cinque giorni.
21
Località all'estremità nord del Lago di Idro.
22
Il Comandante supremo dell’esercito italiano dall’entrata in guerra (24/5/1915), verrà sostituito da Armando Diaz dopo la disfatta di Caporetto (24/10/1917)
13
!
28 maggio 1915
Starnane don Micheli23 coi commilitoni del 2° salmeggiati24 deve prendere lo zaino per una
marcia. Poverino! L'attende poco gradita compagnia. Quattro o cinque mascalzoni gli fanno risuonare all'orecchio per tutto il tempo la canzonacce le più oscene e irriverenti contro
il sacerdozio cattolico, e le parodie più vergognose di laudi sacre come l'Ave Maria, il Pater
Noster, il Kyrie eleison ecc. Trema in cuor suo e a mala pena si trattiene dal rimproverare
quei miserabili, sostenuto dalla più parte degli altri soldati, che si domandano se non sia
ora di farla finita. Nel suo rispetto troppo delicato all'autorità, teme di offendere gli ufficiali
che accompagnano e che purtroppo tacciono, ei pure si chiude nel silenzio, mal reprimendo il fiele che giustamente dovrebbe sbottare. Lungo la giornata non mancammo di mostrare il nostro risentimento doveroso e di smascherare la brutalità di quei cattivi mettendo
sull' avviso gli altri che se altra volta si fosse ripetuto, si sarebbe fatto rapporto a chi di dovere.
Una nostra ambulanza si reca al forte di Valedrana a prendere un soldato che ha tentato
di uccidersi.
Oggi è arrivato il nostro cappellano militare; un giovane sacerdote e intelligente. Un cittadino milanese purosangue, coadiutore zelantissimo di Luino25. E’ molto ben intenzionato.
Noi "quos fortuna non juvat"26, cercheremo di aiutarlo in tutto e per tutto [ciò] che ci sarà
possibile.
In parrocchia, stasera ha iniziato un triduo di predicazione per fine maggio il molto reverendo *** I soldati sono più numerosi del solito. Anche la gente è aumentata. La bianca
Vergine dei Pirenei27 sta bella, col suo occhio sempre rivolto al cielo, nella nicchia di muschio. Sull'altare, parato a festa con gusto bizzarro ma piacevole, risplendono numerosi
cerei. Arrivano su un camion due sacerdoti trentini28. In paese si propagano voci d'alto tradimento che sarà punito con l’immediata fucilazione. Noi c'interessiamo e dai medesimi
sappiamo che debbono essere vittime delle calunnie del proprio sindaco che, per questioni
private, li accusa.
29 maggio 1915
Per la terza volta parte un nostro carro ambulanza, per Ponte Caffaro e torna con quattro
soldati di fanteria ammalati di febbre. Le nostre truppe lassù, penetrate per quanto è stato
possibile e senza quasi colpo ferire in territorio austriaco, stanno fortemente trincerandosi
in ottime posizioni di difesa dai forti nemici.
Stasera don Micheli, Bianchi, Diotti, partono col 1° salmeggiati per Ponte Caffaro. E' dolorosa la separazione, ci facevamo tanta buona e cara compagnia, ma ormai dobbiamo esser assuefatti e pronti a tutti gli strappi. Dio lo vuole!
23
Luigi Micheli, nato a Crebbio di Mandello nel 1890, ordinato prete nel 1914. Fu in seguito cappellano militare del 251° Fanteria.
24
Reggimento con le salmerie, ossia i bagagli e le attrezzature logistiche.
25
Dovrebbe trattarsi di don Luigi Bignami, il più giovane dei tre coadiutori allora in servizio a Luino.
26
"Noi che non siamo favoriti dalla sorte". Si riferisce a se stesso e agli altri preti che non hanno ancora potuto essere ammessi al ruolo di cappellani.
27
Ossia, l’Immacolata di Lourdes.
28
Erano pertanto sudditi austriaci.
14
!
Il tempo minaccia pioggia che difatti cade non molto appresso la partenza degli amici, che
vengono così messi a dura prova.
30 maggio 1915
Il molto reverendo arciprete aveva consigliato caldamente la frequenza ai santi sacramenti. Di buon mattino sono in chiesa e non mancano soldati tra i penitenti che circondano i
confessionali. Bene! Siccome il maggiore [è] poco favorevole a lasciare andare i soldati alla Messa, per motivo di disciplina, i migliori si levano per tempo e vanno ad adempiere il
precetto festivo.
In parrocchia c'è a chiusura solenne del Mese di maggio. Messa in canto e panegirico.
Vorremmo partecipare. Disdetta! Il maggiore non permette neppure la libera uscita festiva,
e così siamo costretti ad oziare fino alle cinque di sera.
31 maggio 1915
Quando ritorno dalla santa Messa sono le sette ore, in quartiere non trovo più che gli uomini di servizio. Alla marcia hanno dovuto andare non soltanto quelli del 2° salmeggiati,
ma anche i carreggiati. Alle sei, quando io era già assente da mezz'ora, venne l'ordine di
marcia per tutti. Domando se è stato fatto l'appello, e alla risposta affermativa, anzi alla notizia che io sono stato classificato tra gli assenti non giustificati, mi turbo non poco, temendo qualche castigo o almeno un rimprovero, ma mi tranquillizzo tosto, pensando al regolare permesso che giustifica la mia mancanza; difatti nessuno più mi viene a seccare. Soltanto mi rincresce un pochino, non molto perché avrei dovuto portare lo zaino, per non
aver potuto fare una bella passeggiata su su per la val Sabbia fino al lago d'Idro. Intanto
però non ho sprecato il tempo invano: dopo un po' di meditazione tanto per fortificare lo
spirito mio frale29 assai, dò di mano a carta e matita (non ho altro e neppure posso averlo)
e giù una lunga lettera di quattro pagine ai miei genitori. E' da tempo che non mi sfogo più
con loro. Poverini! Quanto dovranno soffrire per il richiamo anche dell'altro fratello maggiore!30 Li so tuttavia pieni di fede, in particolare la mia buona mamma che tanto ha dovuto
soffrire, nella sua vita, e tuttora è martoriata assai. Rido di compiacenza, pensando alla
gioia, mista a lacrime di consolazione, che la lettera mia apporterà al cuore dei miei cari e
strapperà a quegli occhi che di questi giorni non si saranno rasciugati mai. Auguro loro un
mondo di belle cose, e poi chiudo.
A sera, prima di cena, nell'appartamento dei cappellani, traccio una lunga lettera di sette e
più pagine ai miei carissimi Vallesi. Sono espressioni cordiali, è un cuore che ama profondamente, che estrinseca tutto il suo affetto di pastore. Mi par di trovarmi alla loro presenza, circondato da loro, a loro parlare con la massima confidenza e familiarità. Cosa vuol
mai dire amare ed essere amati di un amore sovrannaturale!
E' anche la sera d'addio, questa. Domattina per tempo andremo ad accamparci più su
verso l'alto di val Sabbia a Ponte Caffaro, dove ci ricongiungeremo al 1° reparto della nostra sezione. A don Gianoli, a don Bormetti rincresce assai, ma non si può farne a meno.
Al solito Albergo del Gambero ci paga la cena don Bormetti. Noi ringraziamo.
29
Debole.
30
Mario, il primogenito.
15
!
La prima esperienza come cappellano
sul fronte dell’Isonzo
(settembre 1915-maggio 1916) 31
30 settembre 191532
Sono le due del dopo pranzo. Il buon Giuseppe33 è tornato annunciando l'arrivo dell' automobile cittadina. Tutti vogliono portare qualcosa di mio. Io non mi so capacitare di tanta
cordialità affettuosa. Con uno sguardo languido dò l'addio alla casa benefica dove tanta
ospitalità ho ricevuto. Con me salgono in automobile don Moro, il cuginetto suo Attilio e
l'inseparabile Giuseppe. Manca l' ottimo prevosto34, la carità sublime del suo cuore sacerdotale lo chiamò altrove, ma i nostri spiriti s'incontrano sempre, e alla sorella sua lascio di
presentare i miei distinti doveri.
Avanti! L'automobile parte sbuffando. Gli ultimi saluti s'incrociano agli arrivederci, alle
promesse di preghiere. Nessuno che non abbia il ciglio inumidito. lo reprimo nella strozza
un singhiozzo che vorrebbe erompere violento...
Milano è percorsa a piccole volate, ed eccoci alla stazione. Porto tutto su una carrozza di
seconda classe e ne dò la consegna ad una gentilissima signora; poi torno fuori cogli amici. Don Rinaldo, sempre lui, mi fa le ultime raccomandazioni contro gli austriaci. Ci salutiamo definitivamente. Il treno lunghissimo parte in una gloria di sole che rianima e ringiovanisce lo spirito. Sono le 2.55! Addio Milano bella! Milano gentile! Milano cattolica! Dai
cuori grandi, generosi, dai nobilissimi ideali, dalle opere sublimi! Accolga Dio i tuoi voti,
esaudisca le tue preci, riconfermi la gloria del vittorioso italo esercito, renda efficaci e pratici i propositi di bene di tanta gioventù nostra che, tornando più temprata nella virtù cri31
Don Folci aveva ricevuto la nomina a cappellano militare nell'agosto 1915, come egli stesso ricorda in una
lettera da Ponte Caffaro, datata 20 agosto, all'arciprete di Berbenno: "ch'io sia stato già designato cappellano lo so per via privata, per mezzo dell’on. Radulli deputato di Cantù e al quale mi ero raccomandato io direttamente. La notizia data dall'8 c.m. ed è annunciata a quel deputato, con dati sicurissimi. Viene anzi tutto
dallo stesso Ministero della Guerra, dal quale dipende, fin dal 1° luglio, la nomina dei cappellani” (cfr. Documento 5, pg. 128). Precedentemente, lo stesso arciprete si era interessato presso il vescovo di Como, Valfrè
di Bonzo, mentre don Folci aveva perso l'occasione di parlarne direttamente con l'ordinario militare, mons.
Bartolomasi, venuto in visita a Ponte Caffaro: "Fu qui mons. Bartolomasi martedì scorso. Si trattenne coi
cappellani convenuti dal fronte. Disse della grande necessità d'altri cappellani, oggi soltanto 700-800 al più.
Disse di un progetto di aggiungere a quelli altri 9000 circa sacerdoti, quali aiutanti senza il titolo. Data la ristrettezza di tempo e essendo impedito per servizio, non potei parlargli, pur sapendo di essergli stato raccomandato. Credevo di commettere una indelicatezza o di arrischiare pretese. Ella non sa più niente? Mons.
Valfrè non le diede più risposta alcuna?" (Don Folci all’arciprete di Berbenno, 11-13/8/1915): ADG, Lettere di
don Folci, 1915.
32
GU6, pp. 1-29. Qui inizia propriamente il diario di don Folci come cappellano militare, e in effetti sul frontespizio appare scritto in grandi grandi caratteri gotici: "Fiori di trincea. Diario vissuto da un cappellano di fanteria".
33
Fratello minore di don Giovanni, sarà anch'egli richiamato e combatterà con il 54° Fanteria sul fronte trentino (vd. avanti, p. 37). Nell'ottobre del 1917 verrà fatto anch'egli prigioniero, come risulta da una nota marginale dello stesso don Folci (GU6, p. 64).
34
È il prevosto di San Tommaso in Milano: cfr. sopra, p. 5 n.3.
16
!
stiana, per il molto patire, per i grandi eroici sacrifici compiuti sul campo, inspirata a quella
fede, che sola è di tanto capace e fattrice, sia la luce vera, il sale puro, il buon fermento
rinnovellatore dell'odierna società!
È notte oscura, profonda, quando sotto la tettoia illuminata dalla fioca luce di poche lampade elettriche si ferma l'enorme macchina del nostro diretto e una voce grida: "Mestre,
Mestre, per Udine si cambia". Molti borghesi scendono, ma assai più sono soldati e ufficiali
carichi di zaini i primi, di cassette e bagagli i secondi. Una doppia volontà mi rende dubbioso ma finalmente mi decido. Andrò a Venezia. Sono le otto ore quando discendo. Eccomi a Venezia! Il pericolo di un bombardamento notturno ha fatto emanare l'ordine tassativo con pena ai contravventori che nessun lume appaia lungo le vie della città o dalle finestre delle case. Tutti i negozi sono ermeticamente tappati. Esco dalla stazione. Una folata
di vento umidiccio impregnato di una pioggerella fine fine mi schiaffeggia il volto. "Guida,
guida, signori". Al primo senso di terrore succede tosto un misto di soddisfazione e di timore che quel giovane non mi conduca in un albergo che non mi aggrada. A pochi passi dal
convento dei Carmelitani mi trova una stanza. E per la cena? "Qui sotto", mi risponde il
giovane che finalmente ho potuto squadrare dall'alto in basso. "Mi raccomando, figliolo,
non sia un trivio il luogo dove mi conduci". "Non tema, signore, sarà ben contento, anzi
prenda", e togliendola da una tavola rotonda mi offre un'etichetta réclame dell'albergo e
giù svelto per le scale. Usciamo sulla via, due passi a sinistra, "attento allo scalino", mi dice la guida e insieme solleva i lembi di una tenda che impedisce alla luce di mostrarsi e mi
introduce nel vantato albergo. Un odore acre di abbruciaticcio, di vino, di pesce, di tabacco
mi offende l'olfatto e mi opprime lo stomaco. Una lunga sala piena di fumo, di grassi e di
tabacchi. Lungo le pareti s'allineano due sfilare di tavoli, pochi laggiù in fondo ricoperti di
tovaglie bianche. Pescatori, facchini, barcaiuoli chiassosi, avvinazzati riempiono il locale.
La mia comparsa attira alla porta d'entrata gli occhi curiosi di tutta l'assemblea. Qualche
bestemmia, qualche voce di sorpresa. Tutto ciò in un istante. Volto alla mia guida, l'assalgo con cento domande e, fatto dietro-front, gli chiedo: "Non hai luogo migliore?". Quegli si
scusa. "Credevo proprio di accontentarla, sa? Qui ci viene anche gente dabbene. Perdoni,
la condurrò altrove". Un bel salone a piano terreno tutto specchi e lucernari mi accoglie. Vi
trovo due altri avventori. Un signore dall'aria tranquilla mangia ad un tavolo di fianco al
mio. Un altro dalla faccia lombarda si sta centellinando una mezzetta di vino, giocando con
l'ombrello, inquieto l'occhio. Un silenzio di tomba regna durante tutta la modesta cena. Sono le nove e tre quarti quando mi si accompagna alla carnera da letto assegnatami. In tutta la notte non chiudo un occhio e il mattino per tempo mi alzo più stanco che la sera.
1 ottobre 1915
Celebro nella chiesa dei Carmelitani e poi con una guida mi incammino per visitare o, meglio, per vedere di sfuggita un po' della bella città dai grandi, gloriosi, antichissimi ricordi
storici, Venezia! L'occhio si smarrisce in piazza san Marco dinnanzi a tanta bellezza di
monumenti, al magnifico panorama dell'isola di san Giorgio. Entro in San Marco. L'occhio
scorre veloce, vorrebbe insistere ma il tempo stringe. Oh! stupende fatture dell'uomo ispirato dalla fede... Ponte dei sospiri, Torre dell'orologio, Ponte di Rialto e poi salgo su un
battellino e per Canal Grande torno alla stazione ammirando la gaiezza della vita veneziana, il costume femmineo del fazzolettone originale.
Sono le otto e mezzo quando lascio la città regina dell'Adriatico con nel cuore un misto di
contento e di affetti insoddisfatti, con nella mente una confusa idea delle molte belle cose
viste, non potute gustare e contemplare. Tornerò se mi sarà dato vivere, tornerò e mi fer17
!
merò a mio bell'agio. Ad ogni stazione salgono soldati ed ufficiali ed altri scendono. Tutti
parlano della guerra e degli alleati, dei grandi avvenimenti che si attendono a giorni. L'eco
lontano del cannone, il movimento di truppe; lunghi carriaggi di arnesi guerreschi, di ordigni bellici mi dicono che il fronte non è lontano. È quasi il tocco quando giungo a Udine,
sede del Comando supremo e, di più, ove emanano i grandi ordini che muovono le giovani
forze italiane alla conquista di quelle terre che dovranno segnare i nuovi e più giusti confini
della nazione rivale, assicurando alla diletta Italia nostra lo svolgimento di una vita economica più intensa, più conforme a quello spirito di libertà che fu l'aspirazione di tutti i secoli,
il voto ardente di tante generazioni, l'anima di tante lotte, il frutto di tanti segnalati eroismi.
È da questa città ancora che s'irradiano sui diversi fronti della nostra guerra dall'Alpi nevose al mare, lungo tutto il corso dell’Isonzo ceruleo ed irruente quelle emanazioni della carità cristiana che [è] sola vera apportatrice di pratici ed efficaci sollievi materiali e spirituali ai
nostri bravi soldati obbligati a mille privazioni, strappati agli affetti più cari. Di quest'opera
tanto sublime e buona, noi dobbiamo l’iniziativa e la solerte direzione a quelle due anime
generose ed illuminate di padre Semeria35 e padre Gemelli36 che, strappati dal silenzio
raccolto di una celletta al movimentatissimo ambiente militare, vi hanno saputo imprimere
l’impronta propria d'intellettualità e di religiosità a vantaggio di quella redenzione morale
sociale che è nei voti di tutti i buoni e l'auspicato frutto di quest'immane conflitto. Con padre Semeria e padre Gemelli io pure mi intrattenni per consigli e schiarimenti: il primo vestiva l’abito da religioso: la barba fluente, brizzolata, l’occhio limpido, la fronte apertamente
serena, le labbra infiorate ad un dolce sorriso, l'affabilità del tratto ispirano a chi s'avvicini
confidenza e affetto. L’incontrai mentre usciva dal palazzo dell'arcivescovado dov'era stato
per la colazione con l’ufficialità del Comando supremo. In quella mattinata rallegrava il pasto la facondia meravigliosa di D'Annunzio. Sfogliava un libro. Cortese, sorridente rispose
al mio saluto e alle mie interrogazioni. Padre Gemelli, chiuso nella sua divisa di capitano
medico in una toilette trascuratissima, indarno vorrebbe rivolgere da sè l'impronta dell'uomo studioso; interrogato risponde; ma in lui non è quel tratto rassicurante e conciliativo
che m'è parso contraddistinguere l'illustre padre Semeria.
Presso il Segretariato del soldato trovai tutto quanto mi occorreva. Dopo una breve visita
alla città, non bella, non interessante, piena di soldati, di autocarri rombanti e di cigolanti
militareschi cariaggi, raggiunsi il mio alloggio nel convento dei Cappuccini poco sopra il
Seminario arcivescovile. Dinnanzi allo eucaristico sacramento, nel silenzio raccolto della
chiesetta del convento riposai il mio spirito, piansi con Gesù benedetto, con Gesù mi effusi, in lui mi abbandonai, a lui tutto mi offrii per il bene spirituale dei nuovi miei figli; da lui
impetrai fedeltà e generosità operosa nel delicato ufficio. Il cannone che per tutto il giorno
35
Giovanni Semeria (1867-1931), religioso barnabita, promotore della partecipazione dei cattolici alla vita
politica, fu assunto come cappellano militare, nel 1915, e destinato al Comando supremo. Qui rimase fino al
1917, salvo un periodo di assenza in seguito a una forte crisi depressiva. Allontanalo, insieme a Cadorna,
dal comando in seguito alla disfatta di Caporetto, si dedicò più intensamente ad attività di predicazione tra i
soldati e, dopo la guerra, all’Opera Nazionale per il Mezzogiorno d’Italia, fondata nel 1919 a favore degli orfani di guerra. Morì nel 1931.
36
Giovane e brillante medico convertitosi alla fede e fattosi francescano, Agostino Gemelli (1878-1959) è noto soprattutto per il suo impegno culturale, come fondatore dell'Università Cattolica. Allo scoppio della Grande Guerra fu richiamato come ufficiale medico e fu assegnato al Comando supremo presso il quale costituì
un laboratorio di psicofisiologia sperimeniale per l'esame degli aviatori. Gemelli che, come Semeria, godeva
la personale fiducia del generalissimo Cadorna, svolse anche un'intensa attività di predicatore e conferenziere fra le truppe.
18
!
si era fatto sentire in lunghi paurosi boati pareva intensificare l'azione sua in un crescendo
spaventoso. Col frate portiere lasciai la chiesetta. Una povera cella, un più povero letto
accolse le mie stanche membra. Fuori pioveva: una pioggerella fine fine, silenziosa. Una
profonda oscurità rendeva invisibile alle insidie degli aeroplani nemici la città che in sè racchiude tanta operosità militaresca, il genio della strategia militare italiana. In tanto silenzio
rotto solo dal rombo del cannone lontano, la fantasia ha facile gioco. Rivedo i miei, rivivo
gli ultimi istanti del congedo dai parenti, dagli amici del cuore. Alessandria. Milano. Venezia. E domani? Che sarà? Ove mi troverò? Con chi?
2 ottobre 1915
Mi sveglia la campanella che chiama alla chiesa i buoni frati di san Francesco. Mi alzo in
fretta. Apro la finestra della mia celletta. Piove sempre. Il cannone spara ancora. Dico la
santa Messa nel vicino educandato femminile di suore missionarie, poi di corsa raggiungo
la stazione ferroviaria diretti a San Giovanni di Manzano37 e, di là, "in manus tuas Domine!”38.
Tanta fretta per aspettare un'ora e più. Fortunatamente m'incontro con un buon frate cappuccino del Lazio diretto egli pure al fronte quale cappellano di un reggimento di Artiglieria
e con lui mi intrattengo su molte cose interessanti il mio posto. Finalmente la stazione s'è
affollata un poco, la via è fatta libera, arriva il treno mio, vi prendo subito posto e dopo poco si parte. Un giovane capitano di fresca promozione mi si presenta e intavola discorso.
Con lui e con un altro ufficialetto che si unisce tosto a noi, compio poi l'ultima parte del mio
viaggio. A San Giovanni di Manzano si scende. Presso il comando di tappa, dal maggiore
comandante mi busco una sfuriata innocua. Avevo domandato spiegazioni sull'itinerario
che avrei dovuto seguire per raggiungere il mio reggimento; il poverino forse già sentiva gli
stimoli della fame, più le seccature fastidiose di molti clienti l’avevano fatto già imbestialire.
Il fatto sta che io mi presi la sfuriata con una compostezza serena: domandai perdono del
disturbo dato, ringraziai di più e mi chiusi nel mio impermeabile. L'autocarro ebbe un tremito, sbuffò, cigolarono gli ordigni, diè un balzo e poi via. Un galoppo continuo per la strada
orribilmente fangosa, ineguale, schiaffeggiati da un'acqueruggiola insistente, punzecchiati
da un'arietta umida e diaccia. Camions, cariaggi, soldati, trattrici coi grossi motori, tutto un
mondo guerresco passava accanto a noi che guardavamo con uno sguardo lento e curioso rivolgendoci poi con un movimento istintivo del capo alle campagne desolate, alle case
abbandonate con tutti i segni della devastazione.
Passiamo l'Indrio39, l'antico confine, attraversiamo i villaggi, paesetti, dove non vive che il
soldato, ed eccoci a Cormons, graziosa cittadina delle prime redente alla vera patria natale e dove tutt'ora sta rispettata la popolazione civile. Al castello di Dobre40 scendo dall'autocarro, dovendo io cambiare direzione. Sono le dodici passate. Ho fame e non so a chi
rivolgermi per avere qualche cosa. Mentre così solo sto sotto l'ampio portone che mette
nel cortile deIl'antico castello una voce mi chiama invitandomi a prendere qualche ristoro.
Era il capitano comandante di tappa. Accetto senz’altro e sono introdotto nella bella sala
37
Località circa a metà della linea ferroviaria Udine-Gorizia.
38
"Nelle tue mani, Signore!” (BREVIARIO ROMANO, Responsorio della compieta: cfr. Lc. 23, 46).
39
Fiume che scorre a ovest di Cormons.
40
Località a nord di Cormons, attualmente in territorio sloveno.
19
!
da pranzo dove stanno altri ufficiali che cortesemente salutano il nuovo ospite. Un tempo
forse mi sarei trovato molto male in quell'ambiente, oggi no. Mangiai con appetito e senza
complimenti, rispondendo alle interrogazioni e interrogando io stesso con certa franchezza
insolita. All’una un carro per la spesa viveri mi porta all' osteria del quadrivio di val Cosbana41. La cavalcata è poco piacevole giù per la discesa e lungo lo stradale rotto e coperto
da un palmo di fanghiglia rossiccia schizzante per tutto sotto gli zoccoli dei cavalli a trotto
e delle ruote pesanti! Ma tant'è, siamo in guerra. La vallata che nei tempi di calma e di pace deve essere un giardino delizioso con le sue collinette a vigneti e i suoi campi e i suoi
prati verdeggianti oggi presenta uno spettacolo doloroso. Tutto è devastato, deserto. Per
tutto attendamenti di soldati con carriaggi, aggruppamenti di muli e cavalli.
All'osteria discendo e, guidato da un bravo soldato di cavalleria, faccio l'ultimo tratto del
viaggio, su su per sentieri e mulattiere, attraverso un paesaggio incantevole di valli e valloncelli, di colline coronate da bianchi graziosi paesini provati purtroppo dalla rabbia austriaca coi tiri delle loro infernali artiglierie. È un senso di mestizia, di raccapriccio che
s'impossessa dell'animo dell'osservatore di tante inutili e vandaliche devastazioni.
Ecco laggiù nella valle e su per il declivio dei colli di sotto il verde dei boschi biancheggiare
ed occhieggiare le tende del reggimento. Qua e là colonne nere di fumo si innalzano volteggiando verso il cielo: un tintinnio metallico di gavette e cucine, frammisto ad allegre risate, a frizzi, a canti giocondi, sale su su allietando lo spirito mio. La stradetta impraticabile, quasi, per il fango non mi arresta, corro, volo. Dei soldati mi si fanno incontro. Sono
comaschi, bresciani, piemontesi, toscani. Lo Stato maggiore è lassù, in cima, in una povera casa di contadini. Sotto il pergolato, in un ufficio improvvisato all'aperto incontro prima il
colonnello ed il suo aiutante maggiore, poi nella serata mi si presentano tutti gli altri ufficiali. Sinceramente ero un po' confuso e quasi impacciato ai primi complimenti, ma poi seppi
dominarmi. Tanta buona gente, caratteri allegri, simpatici, bei tipi. Il colonnello, un uomo
di grande valore militare, di buoni principi cristiani, gentilissimo, mi afferma tosto piena libertà di azione in tutto ciò che concerne il bene spirituale dei soldati reclamanti da lunga
pezza il sacerdote assente dal primo giugno, e mi consiglia di prodigarmi generosamente,
non imprudentemente. Da un poggio appena sopra l'abitazione mi si presentano i tre colli
Sabatino, Kuch e Santo42 dai ricordi terribili e a grande linee mi si narra le ardimentose
gesta, le eroiche giornate di Plava redenta43. Come in un quadro magnifico io vivo quelle
glorie. Sinceramente mi sentivo orgoglioso di appartenere al 38° reggimento. A giorni forse
saremo chiamati a nuove prove sanguinose. Non temo per nient'affatto. Sono tranquillissimo, felice in mezzo a tanta gioventù alla quale ormai voglio darmi tutto.
3 ottobre 1915
Il tempo pessimo, il terreno impraticabile, la pioggia continua m'ha impedito di celebrare la
santa Messa all'aperto, di dire il mio programma a tutti i miei figli spirituali. Fu questo il
primo dolore che Iddio non tardò a lenire. A 500 metri dalla casa a cavaliere di due vallate
41
Località sulla strada che sale verso Plava d’Isonzo.
42
Tre colli che costeggiano l'Isonzo a nord di Gorizia: più a settentrione il Kuch, reciprocamente fronteggiati
il Sabotino, sulla riva destra del fiume, e il Monte Samo, su quella sinistra.
43
Testa di ponte sulla riva sinistra dell’Isonzo, a nord di Gorizia, conquistata dagli italiani nella primavera
precedente.
20
!
sorge una chiesetta santuario filiale di Dolegna44. A quella mi recai per celebrare. Una
graziosa sorpresa mi aspettava. Un giovane e bravo sacerdote di Udine reggente la parrocchia aveva preparato, ed oggi amministrava la prima santa comunione ad una quindicina di fanciulli e giovanette dei vicini cascinali. La chiesetta fu tosto piena di soldati, parecchi dei quali approfittarono per accostarsi essi pure ai santi sacramenti. Non so che fosse,
ma una gioia sovrumana inondava il mio cuore. Non seppi dir loro altro che d'amare tanto
Gesù, di non più offenderlo e che egli, in vista dei loro sacrifici, li avrebbe ricompensati ad
usura. Erano felici. Il mistero era compiuto. Durante la giornata, noncurante del fango e
della pioggia incominciai il mio giro di propaganda per gli accampamenti fra le tende, intrattenendomi con tutti affabilmente, presentandomi. È una vita sublimamente bella, perché sentita, perché amata! A sera tardi una povera barella per feriti, nell'angolo di un pianerottolo, in comunicazione con la cucina e col solaio accoglie il mio corpo frale45! M'addormento tosto. Cuor contento il ciel l'aiuta.
5 ottobre 1915
Giorno bello, oggi, per la mia cura d'anime. Stamane ho confessato ancora. Ho raccolto il
voto sinceramente cordiale di un felicissimo prodigo dopo dieci anni di un quasi abbandono delle pratiche di religione. Era raggiante dopo la confessione, piangeva. Oggi stesso
ho tentato una proposta col colonnello che sortì ottimo risultato. Stasera sarà messo all'ordine del giorno l'orario della mia santa Messa quotidiana nella su nominata cappella. Avrò
così modo di condurli tutti ai santi sacramenti avanti che siano impegnati in nuovi combattimenti, dove molti purtroppo troveranno la morte e non tutti potranno essere avvicinati dal
sacerdote in quei brutti momenti.
6 ottobre 1915
Stamane alle nove tutta l’ufficialità del reggimento è stata chiamata a rapporto del generale comandante la nostra divisione arrivato a quell'ora. Un magnifico sole era sorto e in tutto il suo splendore sfolgorava riscaldando e rasciugando quel soggiorno. I soldati erano
soddisfatti. "Finalmente si può stare un po' bene! Almeno durasse, ne abbiamo tanto bisogno". Poverini: in quel momento stesso si decideva della loro nuova sorte. Il generale46 era
partito lasciando l'ordine che il 1° battaglione facesse le tende, e per la sera raggiungesse
Plava. Tutti ne soffrono un poco, ed anch'io che mi vedo infranto un sogno carissimo. Verso l'una parte primo fra tutti il colonnello seguito dal suo aiutante maggiore. lo partirò domani col capitano medico.
7 ottobre 1915
Vesto per la prima volta la divisa di combattimento, tenuta grigio-verde. All'una e mezzo
partiamo. Favoriti dal tempo, facciamo la lunga passeggiata comodamente ammirando il
paesaggio magnifico. Sono le cinque quando raggiungiamo il Planina47. Per istrada ab44
Località nell'alta valle dell'Indrio.
45
Debole.
46
A questa data, era il Magg. Gen. PISTONI GIUSEPPE
47
Montagna di fronte a Plava, sulla riva destra dell'Isonzo.
21
!
biamo modo di contemplare qualche grosso pezzo delle nostre artiglierie in attesa dell'ultima destinazione, oppure trainate dalle rombanti trattrici.
Scendiamo per la mulattiera approfittando del crepuscolo. Di fronte ci sta il Kuch48 terribile,
maestoso nella sua veste impermeabile di folte boscaglie. Lo taglia in mezzo una linea nera, è il trincerone austriaco; più sotto a poche decine di metri stanno i nostri divisi da quelli
da un medesimo reticolato. A momenti rimbomba per la valle l'eco di qualche fucilata austriaca nello scoppio suo caratteristico "ta-pum, ta-pum"49. Qualche srapnel50, qualche
granata scoppia lungo la strada che facciamo noi. È l'ora nella quale incomincia il passaggio delle carovane di muli per i rifornimenti. Gli austriaci lo sanno e cercano d'impedirlo.
Noi scendiamo, lesti lesti. Ad un certo punto, sotto un folto di verdi rami, mentre guardiamo, lamentando la dispersione d'indumenti e di cartucce che seminano la via, un rombo
secco seguito da uno scoppio ci colpisce l'orecchio. Certo qualche srapnel è scoppiato a
breve distanza. Scendiamo e troviamo la fossa aperta di fresco. Troviamo dei conducenti
che guardano molto guardinghi. Qualcuno a cavallo è fatto scendere dal capitano.
Eccoci alle prime case di Plava. Desolazione! Rottami e rottami ovunque, distruzione
completa. Un silenzio di tomba avvolge il paese ormai disabitato. Sull'altra riva del fiume le
cucine fumano, si prepara il rancio notturno per i poveri soldati di trincea.
Sono abbastanza ben conservate le stazioni, graziose e massicce. Ci dirigiamo verso
queste e vi troviamo il colonnello e l'aiutante maggiore che hanno dovuto approfittare
dell'ospitalità della brigata Ravenna perché impossibile raggiungere il posto di giorno, essendo la strada scoperta e sotto il tiro efficacissimo non solo delle artiglierie, ma anche dei
fucili e delle mitragliatrici nemiche.
8 ottobre 1915
Celebro la santa Messa in una cappellina di legno, ideata e costruita dai soldati del 2° reggimento Genio. Graziosa abbastanza, capace, con un bel pavimento in selciato artistico.
Nel centro una stella d'Italia. Sul gradino d'entrata in cemento v'è scolpita la data col corpo
operatore. Faccio conoscenza col cappellano del 44° reggimento. Nel pomeriggio una visita alle ultime case distrutte di Plava. Verso le cinque di sera in attesa della cena scrivo le
prime impressioni ai parenti e agli amici lontani. Un sassone fa da scranna, da scrivania le
ginocchia. D'attorno un movimento continuo di soldati dei diversi reggimenti che portano il
rancio ai comandanti ed alla truppa. Sotto rumoreggia l'Isonzo. Di fronte i monti del Planina e del Corrado indorati dagli ultimi raggi del sole morente. Si cena e poi si parte mentre
la notte sale dalla valle verso le cime dei monti coprendo l'occaso51 d'un fosco velo nero.
Le vedette austriache si fanno più vigilanti, più frequenti le fucilate. In silenzio, a rispettosa
distanza gli uni dagli altri, sfilano i nostri soldati, sulla strada bianca e scoperta. Li raggiungiamo e li precediamo, incolumi, alla nostra abitazione. Un baraccamento improvvisato di
sacchetti a terra e assi lungo la rotabile per Gorizia a ridosso di rocce altissime alle falde
del monte Kuch guardanti I'Isonzo. Le finestruole illuminate poveramente, il silenzio, mi
danno l'impressione di un villaggio di nomadi.
48
Montagna di fronte a Plava, sulla riva sinistra dell'Isonzo.
49
Così si indicava il rumore tipico del fucile austriaco. Ne è rimasto il ricordo anche in una famosa canzone
alpina.
50
Proiettili esplodenti con ampio raggio di azione.
51
Il tramonto.
22
!
9 ottobre 1915
Il cannone nemico ha ricominciato presto stamane togliendoci il riposo. Poi si è fatto più
frequente e più intenso fino a diventare spaventoso ed impressionante per la durata di una
buona mezz'ora. Ufficiali e soldati sono tutti in arme per difendersi la vita. La nostra posizione è delle più difficili. Di fronte un nemico ben agguerrito, meglio difeso, nell'assoluta
possibilità di tentare degli aggiramenti per posizioni scoperte a fucili; dietro le spalle l'infido
Isonzo. Verso le nove tutto è fatto calmo, come il cielo, d'un azzurro tersissimo, smagliante. Ne approfitto per celebrare la santa Messa in mezzo ai miei soldati. Il numero è esiguo,
un agglomeramento sarebbe pericoloso. Ho appena finito quando un soldato del 44° arriva
di corsa dalle vicine trincee in cerca di un medico. Un suo compagno sanissimo in prima
mattina improvvisamente ha lamentato forti dolori di ventre. Più tardi si è rovesciato, colto
da più forte malore, quasi inanime. Le poche centinaia di metri di cammino intermedio sono tutte allo scoperto e sotto i tiri di una rabbiosa e vigilante mitragliatrice. L'ufficiale medico resta titubante poi si decide. lo l'ho già preceduto di corsa, ma purtroppo arrivo tardi; il
disgraziato è morto fulminato dal terribile male asiatico52. Quando i medici arrivano non
fanno altro che confermare la notizia dolorosa ch'io diedi al primo apparire.
Soltanto a sera tardi i poveri feriti nella mattinata possono essere trasportati al posto di
medicazione. Tra i poveri disgraziati vi è anche un tenente, certo Rossi. Tutto il giorno dovettero restare senza soccorso alcuno sul posto del ferimento. Guerra brutale, inumana. Il
giovane ufficiale dalle forme erculee appena dà segni di vita.
11 ottobre 1915
Da qualche giorno si sta lavorando per preparare un camminamento coperto che possa
permettere una più facile comunicazione con le trincee avanzate di Zagora53, ma siamo
ancora agli inizi e soltanto in casi urgentissimi ci si arrischiano i ciclisti reggimentali. Il colonnello nostro s'è fisso in testa di voler visitare i suoi soldati per conoscerne le condizioni
e le difese. Solo, poggiando sul suo bastone il grave suo pondo, verso il tocco dopo colazione s’avvia per il sentiero dicendoci: "Addio, vado a Zagora". L'aiutante maggiore non
vuol capacitarsi di tanto ardire un poco imprudente. Ma quando la mitragliatrice ha preso a
far fuoco, accompagnata da molti fucili il suo volto s’incorona di un'angosciosa tensione.
Sono momenti !terribili! Tutti guardiamo laggiù verso la mulattiera, sul sentiero bianco come un nastro serpeggiante tra piante e pineta. Un esile albero d'un tratto assume misura
sproporzionate. Il fuoco che, per un momento, aveva cessato, riprende con rabbiosa foga
sfogliando l’innocente albero, crivellandone il tronco e battendo tutto il terreno intorno. Sono istanti d'angosciosa aspettativa. L'arma infernale tace. Una forma umana corpulenta
abbandona il tenue riparo e corre a salti con sorprendente agilità verso un più sicuro nascondiglio. L'uomo è scomparso. Un soldato mandato a riconoscere ci assicura che il colonnello è salvo fortunatamente e che si è riparato in un tombino. Il generoso colonnello,
quando ritorna, ci afferma l'angosciosa agonia passata nella fortunosa sua gita e la miracolosa sua incolumità. È stanco e I'occhio è inquieto. Ci congratuliamo con lui ammonendolo per un'altra volta. Un ufficiale sul caso ha improvvisato versi arguti!
52
Giacinto De Caroli. Medico del 43° reggimento fanteria, fu il primo ad accorgersi dell’epidemia di
colera (annotazione di Sergio Spagnolo)
53
Località poco più a sud di Plava, sulla riva sinistra dell’Isonzo, alle falde del Kuch.
23
!
12 ottobre 1915
Giornata di calma.
13 ottobre 1915
Nelle primissime ore del mattino, con l'attendente, raggiungo i baraccamenti di Zagora.
L’ospitalità del comandante del primo battaglione è cordialissima. Accetto di dormire in attesa della luce. Circa le sei inizio il giro delle trincee distribuendo medaglie, cartoline, libretti, ecc., intrattenendomi con tutta familiarità, confortando gli uni, ammonendo gli altri ad
una maggior rassegnazione, rimproverando dolcemente la poca fede dei terzi.
Sono le dieci ed ancora devo celebrare la santa Messa. Ad una settantina di metri dalla
famosa "Casa di Rutaz", all'angolo di congiunzione di due linee di trincee, s'improvvisa l'altarino ed inizio il santo sacrificio. Qualche fucilata ci passa sopra la testa. In alto romba il
motore di un aeroplano austriaco immerso in una festa di sole magnifico. Un silenzio devoto di accoglimento, un mormorio di labbra oranti. Un sasso, un cespuglio sono la difesa
dei soldati, da un momento all'altro potrebbero essere scoperti dal nemico. La santa Messa è terminata. Un sergente prende la fotografia in atto di benedire. Un grazie sfugge ad
ogni labbro col voto di voler ripetere.
Cordialissima è la colazione e piena di festosità giovanile fra i cari ufficiali. Nel pomeriggio
ci viene riferito il doloroso caso di un soldato ferito a morte mentre si sporgeva dalle trincee. Attendo il trasporto del cadavere che accompagno all'ultima dimora nella notte buia e
poi ritorno al mio alloggiamento alle falde del Kuch.
14-15 ottobre
Calma d'armi relativa, due o tre feriti. Voci di cambio e voci di lotta intensificata. Un lusinghiero telegramma di lode al nostro reggimento ed al prode suo comandante invita questi
ad un abboccamento a Plava col generale Mambretti54. La passeggiata è pericolosissima
per l'asprezza del cammino e per la vigilanza del nemico che va puntando continuamente
dalle mitragliatrici. Niente però ferma l'uomo di disciplina che, preceduto da un bravo ciclista, vero scoiattolo (caporal Pedrani) ed ammirevole per il suo sangue freddo, si avvia. Noi
lo seguiamo passo passo fino al suo scomparire dietro il costone di 238355. Poco appresso, dal telefono, ci assicura il suo arrivo felice a Plava.
20 ottobre 1915
Sono le sei del mattino quando mi avvio verso le trincee avanzate di Zagora. Un bel cielo
di cobalto allieta la ridente vallata isontina mentre i primi raggi del sole indorano le cime
dei monti vicini da cui i cannoni delle avverse artiglierie hanno incominciato ad inviare
qualche colpo di cannone quasi invito e sfida al formidabile duello che dovrà svolgersi durante tutta la giornata, grande vigilia d'armi. Salutati gli ufficiali e complimentato il nuovo
comandante il battaglione, vero gentiluomo per cortesia e generosità, raggiungo le trincee
avanzate. Molti sono i soldati che si preparano a ricevere la santa comunione: alcuni uffi54
Comandante la Ill divisione.
55
Da verificare se potrebbe essere quota 383 (Sergio Spagnolo).!
24
!
ciali danno il buon esempio. Il fuoco d'artiglieria va intensificando. Occorre sollecitare. Vicino alla baracchetta del comando di battaglione celebro la santa Messa durante la quale
una settantina di militari s'accostano al banchetto eucaristico. Terminata la sacra funzioncina mi appendo la sacra teca al collo e, rifiutando l'invito degli ufficiali di prendere il caffè,
solo raggiungo le linee estreme del nostro trincerone dove sono vivamente atteso. Il bombardamento è incominciato regolarmente ed intensamente. È una vera pioggia di granate
e di srapnels miagolanti, scoppiettanti rabbiosamente. Il pericolo è gravissimo. Ad ogni
passo sono schegge che mi investono. Corro veloce sul sentiero sassoso stringendomi
stretto al cuore le sacre specie. Pur conscio del pericolo, continuo la via, una fiducia grande mi conforta permettendomi una tranquillità d'animo inconcepibile. Neppure io so capacitarmene.
Ufficiali e soldati mi sorridono stupiti; "Scampata bella! Venga qua sotto, un po' più al coperto! Come si fa ora a radunare i soldati?" "Non importa, quelli che possono faranno la
santa comunione, gli altri saranno contenti dell'assoluzione ricevuta". Un tratto di trincea
più elevata ma anche più battuta ci accoglie; siamo una quindicina in tutto. Qualche sacchetto divelto, sbattuto lontano, sassi, terriccio, schegge cadono sulla copertura. Guai a
noi se una granata ci scoppiasse in pieno: la farebbe finita! "Figlioli facciamo lesto, Iddio
sarà contento lo stesso"!
"Cappellano, cappellano, anche noi!". Sono due soldati che stanno per raggiungerci di
corsa. Un fischio sibilante, uno scoppio fragoroso sopra la testa seguito da una pioggia di
detriti d'ogni genere. Risponde un grido di lamento: "Son ferito, son ferito! È uno dei soldati, il più vicino alla trincea che si preme fortemente una mano sul petto arrossato. Una
scheggia passandogli le vesti gli ha prodotto una lesione al petto". "Non ti spaventare - gli
dico io - è una ferita leggera", e gli faccio raggiungere il posto di medicazione. Il compagno
ha fatto appena in tempo a gettarsi bocconi per terra. schivando così la scheggia che, altrimenti, gli avrebbe spaccato la testa. Si rialzò bianco, livido! Poverino! La nostra posizione è divenuta oramai pericolosissima ed insostenibile. Tutti i bravi giovani ricevono con visibile commozione la santa comunione.
È un momento solenne e d'indicibile tenerezza. Un grazie cordialmente intimo mi sgorga
dall'anima per quel Dio che solo è capace di tante grandezze ed è si infinito nell'amore!
1 gennaio 191656
Nella mia parrocchia di Valle Colorina57. Mattino ore 7-10 confessione e comunione generale con sermoncino. Circa centocinquanta sante comunioni. Ore 11 santa Messa solenne
cantata con omelia. Ore due e mezzo-tre e mezzo adorazione pubblica riuscitissima. Poi
56
GU8. p.1.
57
Don Folci fu inviato in licenza per le feste di Natale del 1915. Così, al proposito, scriveva all'arciprete di
Berbenno in data 20 dicembre: "Vinte finalmente le molte incertezze e tranquillizzata la coscienza, aderendo
alle disposizioni dell'ottimo mio signor colonnello, ho stabilito di venir in Italia a passare le sante feste, e precisamente il santo Natale in famiglia e capo d'anno in parrocchia. A questa decisione sono venuto dopo che
un battaglione del mio reggimento è già passato in trincea e gli altri due attendono a giorni disposizioni che li
porrebbe far dislocare in località dissite in modo da rendermi impossibile una solenne celebrazione del santo
Natale. Aggiunga il fatto della momentanea tregua d'armi e il bisogno di un po' di vero riposo dopo più di due
mesi consecutivi di vita di trincea. Tutto il comando del reggimento approfitta di queste giornate come delle
più propizie, e di minori impegni. Mi rincresce nel’anima abbandonare i miei cari soldati, ma è pur vivissimo il
desiderio di rivedere i miei sempre dilettissimi figli di Valle". ADF Lettere di don Folci, 1915.
25
!
benedizione case, fino ad ora tarda. Giornata piena di sante soddisfazioni!
2 gennaio 1916
Ore 7 confessioni fino [alle] otto e mezzo. Ancora numerosissime sante comunioni. Molti
uomini e giovanotti. Tutti i soldati in licenza. Otto e tre quarti santa Messa cantata e predica. Ore 11 predica nell'arcipretale di Berbenno. Ore due e mezzo sermoncino e benedizione a Valle. Ore quattro e mezzo conferenza e benedizione a Rodolo58. Cena coi soldati
in licenza di Valle e Rodolo. Ritorno a Valle.
20 gennaio 191559
Lasciamo Zagora alle dieci.
23 gennaio 1916
Santa Messa alle nove a Bella ai baraccamenti. Alle undici santa Messa ai baraccamenti
di Ponte Val Cosbana. Mattinata di nervi. Non sono soddisfatto.
24 gennaio 1916
Nella mattinata, dopo l'istruzione, invito con brevi parole i soldati della 10° [compagnia] a
confessarsi. Nel pomeriggio ho la consolazione di assolverne una trentina. Gente che non
si confessa più da otto, dieci, due, quattro anni per semplice ignoranza. Il 3° battaglione ha
invitato ad una bella cena rallegrata infine da un po' di musica. Sono le dieci quando giunge l'ordine di partenza per due battaglioni per Oslavia60 dove il cannone ha tuonato tutto il
giorno. Dal comando sappiamo che solo uno del 37° deve partire.
25 gennaio 1916
Mattinata magnifica. Alba di sangue. Il cannone che ha tuonato tutta notte infierisce in un
crescendo spaventoso. Confesso ancora, ed alle otto e mezzo celebro la santa Messa durante la quale faccio una prima santa comunione. Altri trenta soldati si comunicano. Lungo
tutta la linea di collinette da san Floriano61 al Carso è una fumarola sola. Verso mezzogiorno si fa un po' di calma ed incominciano le prime notizie di vittoria nostra. A sera abbiamo la conferma.
26 gennaio 1916
Dopo pranzo col colonnello e l'ufficiale d'ordinanza della nostra brigata "Ravenna" (Gino
58
Piccola parrocchia nello stesso comune di Colorina.
59
Riprende GU6, da p. 29 fino a p. 44.
60
Avvallamento tra le alture a ovest di Gorizia.
61
Abitato nei pressi di Oslavia.
26
!
Berri) visito il 2° battaglione baraccamenti di Bella. Giardinetti, viali, aiuole, una delizia di
soggiorno per truppe, "il paradiso all'ombra delle spade".
19 febbraio 1916
Nella mattinata raggiungo col colonnello il sottosettore di Zagora. Dico la santa Messa con
gli arredi sacri del cappellano del 43° e con lui mi intrattengo a lungo. Poverino! È stanco,
dopo nove mesi di guerra, un po' seccato dai suoi superiori. A mezzogiorno il colonnello
mio mi impone di vestire la divisa di combattimento62. Tutto il pomeriggio lo passo con soldati in trincea. A sera frequentissimo lancio di bombe a mano. La baracca del comando 1°
battaglione è tutta crivellata, scoppia vicinissima dirotta pioggia di detriti. Nella notte si ripete più intenso il bombardamento.
20 febbraio 1916
Una bomba è penetrata attraverso il muro del camminamento, sfondandolo e ferendo a
morte un soldato. Dico la santa Messa nelle case diroccate di Zagora. Solo otto metri ci
dividono dagli austriaci. Pochi sono gli uditori, ma devoti. Gente che piange. Dopo pranzo
vado in missione privata al Kuch.
25 febbraio 1916
A mezzanotte un telegramma chiama a Plava il colonnello nostro. Che sarà? In prima mattina, sotto una pioggia insistente, arrivano truppe di altro reggimento di rinforzi. Si vogliono
prendere le case alte di Zagora. L'artiglieria dovrà aprire il passo. lo faccio il giro delle trincee ammonendo, confortando, rassicurando; dopo millepreparativi, l'azione ha luogo, senza risultato, perché l'artiglieria non ha aperto il passaggio.
Durante il cannoneggiamento odesi un fischio di richiamo, i rinforzi austriaci sono accolti
da una nostra mitragliatrice. Per tutto il giorno mi tormenta un fortissimo mal di testa, i
soldati raggiungono i loro posti. Trasporto di feriti dalle trincee.
26 febbraio 1916
Giornata quieta. Bel tempo. L'artiglieria nemica ha battuto parecchie raffiche sul 237963,
aizzata dai nostri. Sotto il Sabotino nei pressi di Oslavia s'è iniziato un forte cannoneggiamento che si intensifica nella notte.
27 febbraio 1916
Mattinata fredda d'acquazzoni. Messa nella trincea 3° sezione mitragliatrici. Nel pomeriggio odesi intensissimo duello d’artiglieria sulle posizioni di Oslavia. Qualche raffica sulle
62
Foto e testimonianze provano come don Folci svolgesse il suo ministero abitualmente in veste talare, veste che per don Folci è stata diverse volte la salvezza della sua vita. Cfr. Documento 11, pg 134.
63
Da verificare se si tratta di quota 379, che si trova di fronte a Zagora, dove era l’osservatorio di artiglieria della Divisione (Sergio Spagnolo)
27
!
nostre trincee.
2 marzo 1916
Il comando di reggimento si trasferisce a Brech. lo ai baraccamenti bassi col 2° battaglione, al Kuch il primo, al Saliente il terzo. A notte alta arrivano uomini del Genio. Tutti padri
di famiglia. "Siamo sicuri qui?", loro prima interrogazione. Poveretti!
3 marzo 1916
Alla Messa di stamani sono accorsi numerosi gli uomini della *** Rispondo alle loro interrogazioni, a tutti distribuisco cartoline. Dopo pranzo mi reco a Plava. Di ritorno trovo un
morto, poveretto! Contento per l'ottenuta licenza, si recava in trincea a salutare i compagni
ed una palla al cuore lo faceva cadavere.
Gita fantastica lungo il costone roccioso, si cammina con pozzanghere orribili, razzi e fuochi d'artiglieria ci accompagnano.
4 marzo 1916
Giornata di pioggia ostinata.
5 marzo 1916
Santa Messa ai baracconi bassi di monte Kuch. Nella mattinata un telegramma del colonnello m'ordina di raggiungere Grion del Torre64, nella notte. Si parte con rincrescimento
sincero. A Plava mentre attendo di partire viene annunciato che due camions sono deviati
sulla strada che viene da *** Accorrono i soccorsi e finalmente sono rimessi sulla via. Sono le ventidue quando si incomincia la salita a fanali spenti. Il rombare dei motori attira
qualche fucilata dagli austriaci.
6 marzo 1916
Subito dopo colazione m'avvio a piedi sulla via di val Cosbana. Verso le 5 arrivo a Grion
accolto con grande manifestazione di gioia dagli ufficiali. Alloggio in casa parrocchiale.
7 marzo 1916
Stamane un caso di meningite cerebro-spinale. Amministro l'estrema unzione. La chiesetta ove celebro è zeppa di soldati. Inizio il corso di istruzione con un predichino sul tema
"Nunc tempus"65.
64
Località fra Udine e Cividale.
65
"[Ecco] ora il momento [favorevole, ecco ora il giorno della salvezza] (2 Cor. 6, 2).
28
!
8 marzo 1916
A sera solita funzioncina con predica. Il numero degli auditori è aumentato. Giornate uggiose e di prove terribili per la povera anima mia! "Deus adjuvet!"66.
9 marzo 1916
Attraversiamo i campi e raggiungiamo Ziracco67. Nella bella chiesa vanno affollandosi ufficiali e soldati. Sul ricco altare in marmo brillano numerosi ceri. Sono forzato a dare la santa benedizione. Padre Gemelli68 tiene un bellissimo discorso "La giustizia della guerra nostra - gli affetti famigliari - la fede - debbono essere gli ideali della nostra anima che la
debbono rendere forte in mezzo ai disagiosi pericoli. Si spera anche all'ultimo sacrificio, da
soli varremmo nulla, con quelli vissuti saremmo capaci di tutto". Un bel coro di soldati diretti dal giovane cappellano Delle Piane canta parecchi mottetti. Ritorno in carrozza col
maggiore Della Casa e capitano Sartirana: eccoci al Povoletto69 ove ci attende una buona
serata di intima cordialità. Canti, suoni, ad ogni costo mi si vuol accompagnare con la fanfara fino a Grion ed anche lì si ripetono canti e suoni. Ammirevole il capitano Sartirana nel
suo spirito marzialmente giovanile (55 anni).
17 marzo 1916
Grion del Torre - Risveglio di fede?...
Non credo d'azzardare un giudizio fuori proposito affermando essere il problema religioso
nella vita odierna uno dei più dibattuti e forse il centro d'ogni discussione, tanto da parte di
chi se ne interessa per scalzare le fondamenta quanto e più da parte di chi ne contempla
con soddisfazione più che giusta il risvegliarsi in ogni coscienza appena un poco onesta.
In ogni lettera, in ogni scritto che dai luoghi della lotta si partono per le famiglie, per gli
amici e dalle tranquille pareti domestiche si dirigono al fronte, in ogni stampato, giornale o
libro si parla di Dio e della nuova onda religiosa che si sprigiona spontanea dalla massa
dei popoli colpiti dall'orrendo flagello della guerra. Gli sgraziati cultori di una scienza senza
Dio, presi da una furia diabolica, spaventati dal fatto nuovo e volendo impedirne le conseguenze immediate e future che segnerebbero forse lo sconvolgimento di piani lungamente
studiati, se non la fine di sette tenebrose che con, sfacciataggine non mai più vista, cercano infirmare l'azione, tarpare le ali agli apostoli d'una fede che in quest'ora grande ed unica nella storia di Italia vanno segnando una pagina gloriosissima. Questa lotta, questa
manifesta paura che l'onda purificatrice di vita novella si espanda e divenga marca universale è una solenne affermazione del risveglio religioso del quale con gioia santa i buoni
raccolgono, constatano i primi felici risultati, i primi frutti, pubblicandoli a comune edificazione esempio e sprone agli indifferenti, ai tiepidi, compenso meritato a quanti già godono
dei benefici delle verità e per essa combattono.
Ma non facciamoci illusioni. La coscienza umana che finora forse ha potuto più o meno
66
“Che Dio ci aiuti!".
67
Località posta tra Cividale e Udine.
68
Cfr. sopra. p. 14. n. 35.
69
Località presso Udine.
29
!
bene impedire la manifestazione del sentimento religioso, naturale nelle anime, resistendo
ad ogni più atroce rimorso d'innanzi ad una realtà di fatti non mai pensata, sente il bisogno
di credere a qualcosa di soprannaturale e a questo essere infinito dal quale soltanto può
venire un raggio di luce a tante tenebre, un lenimento tra tanti dolori, a cui rateo, il miscredente, si rivolga con la sua mente, mentre dal cuore gli sgorga spontanea una preghiera
"Signore Iddio, ci aiuta perché periamo!" E questo è il primo passo, il primo germe, di una
pianta rigogliosa i cui frutti forse noi non vedremo ma che non possono mancare abbondantissimi. Il risveglio odierno della fede è il primo anello di una catena che congiungerà
più perfettamente l'uomo a Dio in un ritorno verace e più pratico, speriamo in un'epoca non
molto lontana. Ognuno di noi deve però guardare con fiducia all’avvenire e preparare la
via ai nuovi trionfi della Chiesa, intensificando ognuno l'opera sua d'esempi e di insegnamento perché più copiosi e più immediati avvengano i frutti auspicatissimi e più presto si
dilati il regno di Cristo. Ciascuno nella sua pochezza, nell'ambiente suo tra amici e conoscenti sia la luce che rischiara le tenebre ed il sole che fecondi d'opere buone. A Dio siamo grati dei felici risultati già conseguiti e a lui pienamente ci affidiamo confidando nella
santità e nella sua onnipotenza e misericordia infinita. Il desiderio di istruirsi, di conoscere,
di chiarire verità e dottrine trovi sempre sempre una eco fedele in tutti i buoni; a nessuno
mai rifiutiamo la buona parola, anzi di ogni circostanza approfittiamone per buttare i semi
di un ravvedimento e di una conversione. Guai a noi! E specialmente guai a noi sacerdoti,
favoriti di un apostolato superiore ad ogni nostro merito, se non avremo approfittato del
tempo buono per sfruttare l'innato sentimento religioso di tante anime che in Dio soltanto
ed in un po' di preghiera trovano ora il conforto a tante prove terribili ed in mezzo a disagi
d'ogni sorta. Destinati a ricevere il primo grande inno di grazie che tutta l'umanità canterà
al suo unico benefattore e verace Iddio, il Dio dei cristiani, indici dei sentimenti di giustizia
e di bontà di quella religione alla quale tendono le anime presentendo quasi la cessazione
dell'immane flagello, non manchiamo di corrispondere alle speranze giuste e sante di chi
guida in questo delicatissimo e nobilissimo apostolato. Ogni sacrificio nostro deve scomparire per non sentire che il lamento ***.
29 marzo 1916
Dall'Alpi nevose al mare, lungo tutta l'interminabile linea di trincee, scavate ora nella roccia, ora sprofondate in terreno argilloso, fatte spesso di muricciuoli a secco, ora immerse
nella candida neve, altre ascendenti per dirupi e scoscendimenti spaventosi precipitantisi
oltre su abissi profondi, molte internantesi nelle folte boscaglie, taglianti in ordine diversi
monti e colli, pianure e villaggi e borgate devastate da questa immensa città nuova dove
risuonano confusi tutti i dialetti d'Italia; e i diversi spiriti si fondono in un tutto unico per sentire un solo affetto per vivere una stessa vita di disagi e di sacrifici, da quest'immenso coro
fatto da giovani forti, la più bella, più fiorente e balda gioventù italiana palpitano tutti i cuori
per uno scopo unico, per la Patria!
11 aprile 1916
A piedi raggiungiamo il Planina70. C'incontriamo collo battaglione che deve discendere a
70
Monte a ovest di Plava.
30
!
Plava. Prendiamo la mulattiera quando scoppi fragorosi dal fondo della valle attirano la
nostra attenzione. Un attimo, il costone spartiacque dei monti dietro il Kuch, la vetta del
medesimo ed altre cime intorno sono diventate bocche di fuoco eruttante. Il rombo si fa
sempre più intenso, frequente, rabbioso la vallata da *** al vallone di ***, la 2.983 è avvolta in un minuto di luci strane e di nuvolette di fumo travolte da folate di vento che le disperde; sono srapnels e srapnel-granate.
"Si attenda" è la parola d'ordine che viene pure trasmessa al comando di battaglione. Un
colpo scoppia nell'aria non molto lontano. lo, che seguo la comitiva solleticato dal manifesto timore di qualcuno che di corsa si va ad imbottigliare in un camminamento coperto, dò
l’allarme. Dieci-venti minuti di bombardamento. Qualche fucilata, poi silenzio. Le truppe
partono e noi pure per la mulattiera. Dal fondo della conca di Plava salgono colonne di fumo nero in uno sfondo di luce paurosamente rossastra. Diverse granate incendiarie hanno
applicato fuoco ad una baracca di riserva per materiali di costruzione.
12 aprile 1916
Notte tranquilla. Da Plava partiamo verso le cinque e mezzo; eccoci di nuovo a Zagora.
Tutti dormono. lo faccio subito una passeggiata verso il saliente osservando le nuove opere compiute. Una pioggia grossa mi sorprende lungo il camminamento che diventa un torrentello.
21 aprile 1916
Arrivo stanco stanco a Slance: sono le quattro. Mi butto su una povera branda. Verso le
sette vado al comando, il colonnello è già partito. Così era l'ordine. Ha lasciato incarico di
salutarmi. Non mi basta, sono dolentissimo, i piccoli incidenti dei giorni avanti pareva
avessero rovinato un poco la nostra armonia. Bisogna rimediare e allora telegrafo. Ho rotto il digiuno e non posso celebrare.
22 aprile 1916
Anche stamattina niente santa Messa. Si dispone per quella di domani. Tutti i battaglioni
converranno per le nove alla cappellina di val Cosbana.
23 aprile 1916
Stamane confesso una ventina e più di soldati che con quelli di ieri sera dovranno fare la
santa comunione durante la Messa. Pregusto la gioia di quella solenne manifestazione di
fede edificante. Ho fatto i conti male. Una pioggia insistente ed alle volte torrenziale toglie
ogni speranza di celebrare all’aperto. Allora mi porto a *** ove celebro una santa Messa e
faccio la santa comunione a centocinquanta soldati. Momento solenne, non posso fare a
meno di dire due parole. La chiesa è zeppa. Sotto le volte risuonano melodiose, dolcissime note tratte da un organo da mano maestra. Continua ininterrotta la pioggia, alle undici
e mezzo mi decido a celebrare una seconda santa Messa in uno stanzone enorme dove si
raccolgono ufficiali e soldati del 3° battaglione. Dopo Messa dice due parole il capitano
Lais, applauditissimo.
31
!
19 maggio 1916
Nuova incursione aeroplani austriaci. Celebro la santa Messa e dispenso la Pasqua.
24 maggio 1916
Dei soldati del 3° battaglione hanno trovato una lunghissima orifiamma bianca e rossa,
con un involto contenente fotografie di ufficiali che forse caddero in campo austriaco: venne buttato dagli aeroplani. Pensiero squisitamente gentile.
Anniversario dichiarazione della guerra. A Bella assisto ed ascolto il discorso del maggiore
Bianchi al suo battaglione. Riepilogo breve della storia gloriosa dal '48 all'inizio della campagna. L'attenzione è soddisfacente. All'invito finale di gridare "Viva l'Italia, viva il re" risponde una ghiaccia. Triste e dura constatazione.
La solita partita a tresette è vivace più del solito. Alle 10 il colonnello ed il maggiore vanno
a letto, io ed il dottore facciamo tre passi sul poggio vicino per osservare meglio il campo
del bombardamento, iniziatosi ad Oslavia, propagatosi poi intensamente su tutto il fronte in
specie sul Carso e verso * * *. Riflettori che si incrociano, razzi a iosa. Dalle vallate e lungo
gli stradali, attraverso campi e frutteti, giunge il frastuono di autocarri rombanti e di pesanti
cariaggi, misto alle chiassose voci dei conducenti. Dal balcone della casa guardo ancora
all'orizzonte, illuminato e guizzante luci sinistre di proiettili che partono ed arrivano scoppiando. Una voce dallo stanzino telefonico chiama l'aiutante. Urgente. Che è? "Il reggimento sia pronto a partire". Per dove? Tutto o qualche battaglione? Le parlate al telefono
si susseguono. Tutto è pronto, in mezz'ora il comando è sul piede di marcia. Tutto il reggimento parte per altro fronte; precisamente dove, nessuno lo sa; si attende71.
25 maggio 1916
Notte burrascosa. Non ho potuto chiudere occhio! Mi sono adagiato vestito su una branda,
ma ad ogni movimento sono in piedi. Così si passa tutta la mattinata ed il pomeriggio.
26 maggio 1916
Attesa ansiosa. Si veglia fino a notte alta. Nessun ordine. Dal Sabotino al Podgora72 fin
laggiù sul Carso, al di là della cresta del san Michele73 è tutta una festa di razzi, un urlar di
comandi. A tratti fuoco nutrito da fucileria. Nel cielo fatto di piombo frugano insistentemente i riflettori.
71
Dopo la "spedizione punitiva" (Strafeexpedition) con la quale gli austriaci infransero le linee italiane sul
fronte trentino, mettendo a rischio la pianura vicentina, il Comando supremo italiano operò uno spostamento
di truppe dall'Isonzo al Trentino, onde attuare una controffensiva. In particolare, fu costituita la V armata, da
schierare in difesa della minacciata pianura veneta. Vi faceva parte, tra l'altro, l'VIII corpo d'armata, nel quale
venne inserita la brigata "Ravenna", a cui apparteneva il 38° Fanteria.
72
Altura di Gorizia, a sud ovest della città.
73
Cima carsica.
32
!
27 maggio 1916
Stavolta ho mandato un fervorino ai comandanti [di] battaglione perché volessero interessarsi un po' più seriamente del servizio religioso.
Stasera l'aria è pregna di umidità. Minaccia di piovere. Tutto congiura per impedire anche
quel poco di bene che mi riesce strappare. "Fiat”74!
28 maggio 1916
Sono le sei, ha piovuto tutta la notte. Inasprito esco per portarmi a ***; a mezza strada si
mette a piovere a dirotto. Quattro pali che sostengono un tendone mi riparano nel dire la
Messa. D'attorno ufficiali e soldati che assistono sotto una pioggia insistente. Faccio colazione col 3° battaglione. Nel pomeriggio acqua, acqua sempre. Neppure stasera si parte!
29 maggio 1916
Anche stamane piove. Un ufficiale deve fare la prima comunione, un altro e forse più devono fare la Pasqua. Questo c'è; l'altro che più mi importava, trovatolo, mi dice d'avermi
aspettato nella sua baracchina. Mi spiace perché già pregustavo la gioia della bella festicciola. Pazienza. Ieri qui all'ospedale di Bella-36 fu qui il re e il principe di ***. Ho l'onore di
bere il caffè nel salotto dove gli illustri personaggi hanno fatto colazione. A sera giunge
l'ordine di partire. Si fanno i bagagli e verso le undici vado a tentar di dormire.
30 maggio 1916
Sono le tre quando mi alzo a celebrare la Messa, poi si parte per *** dove, troviamo una
carretta di artiglieria. Giungo a piedi fino a Dolegno ove mi incontro con gli ufficiali medici
dell'ospedaletto. M'incontro pure col comando e coi battaglioni che sfilano. Salgo sull'automobile per ufficiali che mi conduce fino a Premariacco, dove a passo di marcia col cappellano Mille e Ravazzoni, raggiungo Orzano75. Prendo alloggio in casa del cappellano del
luogo. Intanto arrivano i battaglioni.
Poveri soldati! Sono stanchi. Verso le sette la chiesa è zeppa di soldati e vi recito il rosario, prendo l'occasione per dire due parole ai bravi giovani.
31 maggio 1916
Giornata bella! "Felix culpa”76! Il mio ufficiale neo-comunicando vuol fare la prima santa
comunione con maggior festività. L'ospedale 289 è il luogo che ci accoglie. Le suore parano in fretta l'altare già tutto scintillante. Durante la santa Messa le reverende suore cantano dei mottetti. Io dico un fervorino al neocomunicando che ascolta tutto divoto sul suo inginocchiatoio ornato di drappi rossi.
74
"Cosi sia".
75
Si sta arretrando verso Udine.
76
"Colpa felice": espressione tratta dalla liturgia (preconio pasquale) dove è riferita al peccato di Adamo, ritenuto "felice" in quanto occasione della redenzione operata da Cristo. Si usa per indicare il volgersi di un
male apparente in un bene più grande.
33
!
Sul fronte trentino
(giugno-settembre 1916)77
1 giugno 1916
Alle 9.30 in punto il 2° e il 3° battaglione, ufficiali e soldati, sono tutti riuniti su un prato di
fianco al cimitero, allineati per squadre. Assiste pure il colonnello nostro ed il generale di
brigata. Dopo la Messa un breve discorso. Il mistero d'oggi mi suggerisce un sentimento,
esorto i nostri soldati a voler compiere tutto il proprio dovere, ora specialmente che gli austriaci hanno valicato i nostri confini. Oggi soffriamo il calvario, domani ascenderemo dal
monte degli Ulivi ai meritati trionfi. Congratulazione da parte di ufficiali superiori e subalterni. Nella serata e verso mezzanotte partono anche il 2° e 3° battaglione, il 1° se ne è
andato ieri sera per ***.
2 giugno 1916
Il comandante è partito verso le quattro, io dirò la messa verso le sei. Corro all'ospedale a
salutare il cappellano: poi in carrozza mi reco a Udine dall'avvocato Biavaschi78. Alla stazione non trovo treno alcuno. Sui treni militari non si può salire ed allora in tram fino a Porta Venezia; nella speranza d'incontrare una carrozza od un camion proseguo a piedi fino a
***. Ho così occasione di vedere un campo d'aviazione ed alcuni aeroplani. A Campo ***,
mi bevo in fretta ed in furia un paio d'uova. Poi salgo su una carrozza trovata fortunatamente e via! per Pasian79 dove arrivo un poco prima dell'ora stabilita per la partenza del
treno. Il mio arrivo dal comando di reggimento e di brigata suscita delle allegre questioni,
piccole battaglie ch'io mi subisco difendendomi come al solito, da ribelle. Bevo un po'
d'acqua e un caffè, poi via alla stazione per il treno.
3 giugno 1916
Sono quasi le quindici quando il treno parte da Pasian ed abbiamo la comodità di ammirare la lussureggiante e rigogliosa pianura, i bei paesi dispersi per la campagna occhieggianti con le belle chiese di tra il verde dei boschi e dei giardini. Il treno fila con accelerazione variante, ovunque cariaggi, soldati, treni militari.
Bellissimo Conegliano80 col suo castello medievale dominante da una magnifica collina,
tutta un giardino delizioso di verde e di bianche villette.
A Padova giungiamo verso le ventitre e mezzo. Incontriamo profughi dei Sette Comuni81 in
77
GU6, pp. 45-89
78
Amicizia procurata a don Folci dall'arciprete di Berbenno, come appare da una lettera del 13 gennaio
1915: "Grazie, grazie vivissime (...) per la carissima, preziosa amicizia procuratami con l'illustre avv. Biavaschi" (ADF, Lettere di don Folci, 1915).
79
Pasian di Prato, località appena fuori Udine, lungo la linea ferroviaria in direzione di Pordenone.
80
Cittadina situata sulla linea ferroviaria che da Pordenone scende verso Treviso.
81
Altipiano dei Sette Comuni, a nord di Vicenza.
34
!
partenza per Milano. Corro al buffet della stazione e mangio qualche cosa. Poi torniamo in
cerca del colonnello e con lui si torna al ristorante. È quasi l’una quando prendiamo una
carrozza e via per le vie della città e poi fuori lungo un magnifico stradale. Il colonnello
brontola per l’alloggio troppo lontano e si ferma: io ed il capitano medico proseguiamo e
troviamo alloggio presso una buona famiglia in una bellissima villa. Sono le due e mezzo
quando prendo sonno ed alle sei già mi levo. L’affettuosa accoglienza e ospitalità di quei
buoni signori, il desiderio di avermi seco loro è disilluso. In tram torno a Padova. All'altare
ove riposano le reliquie del taumaturgo82 celebro la santa Messa. Ottime le impressioni
per la bellezza della città.
Lungo i portici di destra in partenza dalla piazza del santo mi ferma un signore. Capitano
in borghese che vorrebbe confessarsi dovendosi, dice, recare ad un fronte difficile che però non mi vuol nominare. Dubitando sul suo essere, liquido la questione mandandolo dai
frati della basilica. Il dottore mi afferma che l'ho scampata bella! In quel bell'imbusto egli
avrebbe ravvisato un brutto tipo. Una carrozza verso le quattordici ci porta a *** ove è accampato il 38°. Campagne lussureggianti, magnifiche.
4 giugno 1916
Una santa Messa al comando del reggimento. Una seconda al campo per tutti i battaglioni.
Come al solito devo arrabattarmi per rendere avvisati i soldati, dato che l'interesse da parte degli ufficiali è quasi nullo. Desolazione!!
5 giugno 1916
Vado nel vicino paese di Termignon a dire la santa Messa. Ottima popolazione, circa 3000
anime, circa 700-800 comunioni ho distribuito. M'incontro con diversi altri cappellani, a
quello del 160° raccomando un soldato di Rodolo molto buono.
Stasera tutti gli ufficiali si sono radunati al comando di brigata ove è venuto a rivederci il
comandante la divisione generale Caviglia ed ha parlato cercando ***.
6 giugno 1916
La buona gente della casa ove alloggio mi si è affezionata cordialmente. Tanto semplici e
tanto delicati sono. Vengono ad ascoltare la santa Messa che celebro nella mia stanza.
9 giugno 1916
Sono le due quando dico la santa Messa. Assistono quei di casa, è un saluto commosso
che mi danno, lascio quel luogo con dispiacere. Sono partiti tutti. Di buon passo però li
raggiungo a mezza la strada che conduce a Pieva d'Oro dove ci mettiamo su motocarri. È
una colonna di quasi 200 camion che trasporta il nostro reggimento e parte del 37° attraverso paesi e borgate incantevoli, lungo un magnifico stradale percorso da altre colonne di
camion, or vuoti or pieni. Il movimento si fa ancor più intenso nelle vicinanze di Vicenza
82
Sant'Antonio di Padova: francescano di origine portoghese (1195-1231), noto predicatore, sepolto nella
basilica che porta il suo nome.
35
!
ove l'accoglienza fattaci dalle finestre è un volare di fiori, di frutta, di pacchetti di sigarette,
un intreccio di saluti, di sorrisi, d'auguri ai forti che, polverosi, volano alla barriera per segnare nuove vittorie sull'invadente massa assalitrice degli austriaci. Schio, Valle dei Signori, poi su su per la strada a continue spirali fino a Staro83, dove si procede dopo piccola
fermata fino al Ristorante del Riposo sulla via per Recoaro.
11 giugno 1916
9.30. Messa al campo riuscita con soddisfazione. "Lo Spirito Santo dia a noi il dono del timore, fortezza e consiglio in queste prove dolorose, per compiere il nostro dovere generosamente". Questo è il succo del mio breve discorso, dal maggiore interpellato troppo languido di patriottismo! Prime contraddizioni! Un disgustoso incidente. Brutta frase di un tenente a mio riguardo, perché mi lamentavo del poco interessamento per il servizio religioso.
Domattina escursione al Pian di Fugazze per riconoscere il terreno84.
12 giugno 1916
Sono le due e mezzo quando mi alzo. Già tutto l’accampamento è in brusio. Si parte alle
quattro.
13 giugno 1916
Santa Messa a Recoaro. Con me vengono alcuni medici del reggimento. Oggi si parte.
Ordini e contrordini. Alla una di notte, poi alle venti, finalmente, decisivamente alle diciassette. In testa al reggimento col comando, poi solo, raggiungo Staro85, dove mi reco a salutare il parroco e a dare un addio al buon Gesù. Per scorciatoie raggiungo il capitano medico, che ci ha preceduti, ed assieme, con passo da bersaglieri, in brev'ora raggiungiamo
valle dei Signori86. Chiesone grandissimo, magnifico. Anche qui il solito spettacolo di movimenti militari.
Parte prima il 37°, mentre il nostro reggimento viene tutto raccolto in un prato ove quell'inquieto numero di teste appare come le ondate di un mare burrascoso. Molti, nell'attesa
che si prolungherà fino alle prime ore del mattino seguente, si sdraiano sul nudo terreno e
si addormentano. La luna ora riflette una luce bella, bianca, ora fioca tra la foschia di nuvolaglie che presentano all'occhio quadri fantastici.
83
Siamo sulla strada che da Schio porta a Recoaro, passando attraverso le valli del Pasubio.
84
Il Pian delle Fugazze si trova a sud di monte Pasubio, appena al di sotto delle linee di massima penetrazione dell'offensiva austriaca. Il 38° Fanteria, come altre unità della V armata costituita allo scopo di fronteggiare l'eventuale invasione della pianura vicentina da parte degli austriaci, venne impiegato anche in azioni
di controffensiva sul fronte trentino, precisamente nella zona di val Pòsina e val d’Astico, sopra Schio.
85
Località tra Recoraro e la valle dei Signori.
86
A nord di Schio.
36
!
14 giugno 1916
lo parto col servizio sanitario del 3° battaglione. Si segue per qualche chilometro la via per
Schio, poi s'imbocca una vallata e si sale per una strada torbinosissima. Un'aria frizzante e
la spossatezza mi vincono e mi faccio un posto tra gli amici per dormire, ma indarno.
Scossoni terribili e fragori di motori, cigolare di metalli mi rendono impossibile il riposo. Un
grido d'allarme mi scuote dal torpore momentaneo. Presso ad una svolta, il camion che ci
precedeva, girando largo, ha affondate le ruote sul ciglione di un precipizio, appena vien
trattenuto, così s'impedisce un disastroso sfacelo dei soldati e dei rimorchiatori. Da un'altro
autocarro è tratto in salvo e si prosegue. Finalmente alle tre ci si ferma: a Casa Rossi,
lungo il costone di Monte Novegno87, è il luogo della nuova sosta prima della trincea. Digiuno fino a mezzogiorno ma non mi è stato possibile celebrare la santa Messa. Contrariamente alle prime informazioni il reggimento andrà in trincea I'indomani a sera. La destinazione è impressionante; Monte Giove88, ultimo baluardo sotto il Novegno che mette alla
piana di Schio e Vicenza. Un fienile accoglie l' esausto mio corpo in breve e disturbato riposo.
15 giugno 1916
Alle due celebro la santa Messa in casa di una buona famiglia del luogo che l'ascolta devotissima. Alle cinque il 1° 2° 3° battaglione coi muli andranno.
Alle sette siamo su luogo espostissimo agli aeroplani ed ai colpi d’artiglieria. Non una pianta, prati e valloncelli ghiaiosi. I soldati si sparpagliano un po' da per tutto per rendere meno
visibile la nostra presenza e meno facile il bersaglio. Mattinata di agonie. Visite insistenti di
aeroplani che buttano bombe fortunatamente sul forte di fronte89. Uno bianco, quasi dietro
invito, segue un altro che lancia una bomba sul forte senza raggiungerlo mentre l'altro lancia nell'aria un fuoco bianco seguito da un colpo di mitraglia, quindi ad un centinaio di metri un altro, quasi invitando l'attenzione degli austriaci per segnalazione. Su di noi però
nessun colpo. Intanto io giro tra i soldati cercando di animarli. Quando arrivano gli ufficiali
andati a prendere visione delle trincee occupate, un certo panico prende l'animo dei più
per le notizie che portano poco confortanti dati gli effetti del continuo bombardamento sul
87
Cima di oltre 1500 m. slm., a nord di Schio, al termine di una lunga e stretta valle. Monte Novegno era stato baluardo della resistenza contro l'offensiva austriaca nei mesi precedenti.
88
M.Giove (m 1596). In quei giorni, soprattutto fra il 12 e 13 giungo, fanti ed alpini della 35a divisione
di fanteria al comando del magg.Carlo Petitti di Roreto, che aveva sostituito il discusso suo predecessore Felice De Chaurand de Saint Eustache, si batterono in maniera quasi sovrumana contro i
Kaiserjager dell'8a divisione, il cui attacco era stato preceduto da una massiccia, pesante e micidiale
azione di fuoco da parte dell'artiglieria, nettamente superiore per quantità e qualità a quella italiana.
L'azione si concentrò contro Passo Campedello e M.Giove, ma alla fine a spuntarla furono i fanti della 35a, vanificando così l'attività offensiva della XI Armata dell'arciduca Eugenio e, in particolare,
quella della 44a Divisione austroungarica al comando del generale Viktor Dankl.
Veniva così arrestata, alle porte di Schio e sul limitare della pianura vicentina, la "strafexpedition",
operazione che probabilmente rappresentò la più grande battaglia che mai sia stata combattuta in
montagna in un contesto che fu l'unico dell'intera fronte a subire ininterrottamente per tutti i quarantun mesi, le sorti di uno stato di belligeranza e divenendo teatro di alcune tra le più sanguinose battaglie combattute durante il conflitto. (nota di Ferdinando Calegaro di Costabissara VC).
89
!Forte Monte Rione http://www.fortificazioni.net/VICENZA/monte_rione.html (nota di Ferdinando Calegaro di Costabissara VC)!
37
!
rovescio del Monte Giove e lungo tutto il percorso con proiettili di tutti i calibri. Quanti già ci
sono stati, parlano con vero terrore. Eppure ci si deve andare, è un dovere e ci si andrà e
ci si resisterà ad ogni costo. L’abbandono di Monte Giove costituirebbe per noi l'immediata
invasione da parte degli austriaci nella pianura di Schio e di Vicenza. Il 38° non permetterà
mai ciò. Fino all'ultimo resisteremo, inflessibili come l'acciaio che dovrà rompersi contro la
barriera dei nostri petti. Poveri soldati, davvero bravi! Tanto rassegnati e pieni di buona volontà di lavorare. Hanno giurato che non chiuderanno occhio, non si riposeranno, fino a
quando non si saranno eretti buone trincee. Qualche ufficiale mi affida delle carte segrete,
altri mi danno l’indirizzo di casa. Tutti si raccomandano alle mie preghiere, mi salutano.
Poveretti! Dura sorte li attende mentre sorridono loro gli anni e gl'ideali belli! Coll'aiutante
maggiore e seguito li raggiungiamo lungo il nuovo stradale, tagliato nel monte guardante la
pianura e attraverso la pianura di pascoli ora traforata da buche enormi, seminata da detriti. Cannoni nostri un po' dappertutto, grossi e piccoli. Una prima valletta tutta sassi e voragini, un sentieruzzo, indi una seconda valle in fondo tutta folta d'alberi schiantati. Monte
Giove? Eccolo nel suo enorme pinnacolo roccioso con le pendici tutte rotte dall'artiglieria
che lo flagella in tutti i sensi, inesorabilmente, rovinosamente. Non un tratto è salvo. Ogni
colpo, ad un pennacchio enorme di fumo vien dietro una pioggia di detriti. Per tutto è una
dispersione di casse, di cartucce, di gallette, di fucili, qualche cadavere... Desolazione. Il
comando di reggimento è un nido d'aquila ai piedi di una scoscesa roccia, formato di capanne neppur esse rispettate. Ovunque appare inesorabile e minaccioso lo spettro della
morte. "Non c'è posto quassù per lei, caro cappellano. Deve discendere col capitano medico a contrada Alba"90. Indarno io mi ribello. L'ordine è stato dato! Ho vergogna di me
stesso! Obbligato ad allontanarmi dal pericolo e dalla vita di disagi. E poi potrò assistere
tutti i miei feriti? Discendo. Mancano pochi minuti alle dodici. Incominciano ad arrivare i
primi soldati del 1° battaglione, ad uno ad uno, lungo una mulattiera che, seguendo le
pendici del monte di fronte con discese rapidissime, va a finire allo stradale che ascende
Monte Novegno. 1° e 3° battaglione sfilano sulla mulattiera ed io a stento cerco nascondermi agli occhi dei soldati e degli ufficiali, presso cui cerco giustificare il mio ritorno in
basso. Sono veramente avvilito.
16 giugno 1916
A Cerbaro presso il reparto sezione Sanità mi separo dal capitano medico che è salito su
un autocarro, proseguo solo. A Rocco nessuno sa dire ov'è contrada Alba. Salgo anch'io
su un camion dietro il guidatore che resta un po' spaventato. Né lui né chi lo accompagna
mi sanno dire ov'è contrada Alba ed allora proseguo fino a sant'Ulderico91 dove due artiglieri, uno di Como e uno di Milano, fanno la guardia. Non hanno visto il capitano ed il camion non si è fermato. Che faccio? Andar oltre è una sciocchezza; non è possibile che il
posto di medicazione reggimentale sia posto tanto lontano dalle truppe, dormire mentre
l'attendente potrebbe incorrere nello stesso mio errore, e sbandarsi non mi par giusto,
senza avvertirli o direttamente o a mezzo di qualcuno; d'altronde non reggo più per il sonno e per la stanchezza. L'erbetta fresca dei prati mi invita, ma anche la nuda pietra sarebbe abbastanza soffice giaciglio. Mi recherò a Cascina Rossi dove sono le nostre salmerie
90
Località sulle pendici orientali di Monte Novegno.
91
Tutte località sulla costa di Monte Novegno.
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!
e l'ufficio. Parto solo per una strada persa tra le boscaglie occupate dalle truppe a riposo e
dai quadrupedi dei diversi reggimenti.
Alle tre mi posso finalmente addormentare sdraiato sui mucchi di fieno.
17 giugno 1916
Eccomi a contrada Alba, poche case ai piedi del Monte Giove che si erge nelle sue vette
rocciose, tormentato da un diluviare continuo di piombo e di fuoco. Lassù sta il nostro bel
38°, baluardo invincibile contro I'accanita offensiva austriaca.
Alle venti col capitano medico parto per il Monte Giove all'altezza del 1° battaglione. Di
lassù si gode uno spettacolo fantastico, tutta la val d'Astico92 è illuminata a giorno da riflettori nostri ed austriaci che s'incontrano, s'incrociano in mille, diverse direzioni, scrutando il
cielo, il declivio del monte, la pianura e penetrando nel folto dei boschi. Il versante occidentale su cui si arrampica la nostra difesa è ostinatamente bersagliato. La piccola chiesa
di Velo93 ed il suo esile campanile sembra un'apparizione, ha i fianchi lacerati da diversi
scoppi di granate. D'un tratto si accende un vivo fuoco di fucileria, le tenebre si diradano;
ad un tratto, illuminati da razzi delle diverse parti, guizzano luci di *** e granate scoppiano.
Poi tutto torna nell'oscurità e nel silenzio. La mulattiera è formicolante di muli che portano il
rancio alla truppa. Sono le dieci e non saliamo ancora. Il capitano non può sopportare l'erta ascesa, ci tocca d'andar piano e la nebbia ci impedisce di vedere bene. Saliamo rocce
da cui si arrischia ogni momento di precipitare. Al comando, quando giungo, si riposa ancora e perciò non disturbo. Stamane, durante un violento bombardamento con grossi calibri, abbiamo perdite dolorose: tenente Bracco e tenente Asioli, presi in pieno da una granata che li fece a brandelli rendendo irreperibile qualche parte del corpo.
18 giugno 1916
Giungiamo a Contralba94 stanchissimi verso le quattro del mattino. Il bombardamento è incominciato alle sette ed è finito alle diciotto. Giornata d'agonia. I colpi scoppiano in pieno
sulle nostre posizioni sollevando enormi colonne di fumo e massi di pietre, che ricadono
come altrettanti proiettili. Alcuni morti e parecchi feriti. Una granata arriva in pieno sulla
trincea del sottoteneme Ragni. Tutti fuggono, resta il bravo ufficiale col soldato Novella Alceste a soccorrere le vittime, due morti e due feriti.
La vita dei due valorosi è in pericolo sotto il fuoco di fucileria... Il soldato ha fracassato la
mandibola destra vicino all'orecchio. A stento gli ufficiali strappano il sottotenente del luogo del dolore. Ufficiali e soldati ***.
19 giugno 1916
Bombardamenti con nuove vittime.
92
Valle a nord-ovest di Schio, in direzione di Asiago.
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Velo d’Astico.
94
Contrada Alba.
39
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21 giugno 1916
Oggi due funerali. Stamane cinque morti del 3° reparto Zappatori, nel pomeriggio due della
5° compagnia reparto Zappatori. Dal cimitero salgo al posto di medicazione del 1° battaglione, quindi al battaglione stesso. Solo, guardo, da un costone del monte, Arsiero95 e tutta la bella vallata corsa dall'Astico96. Gli austriaci ridotti al paese di Arsiero spadroneggiano. La famosa fabbrica di carta è tutta squarciata con le altre case e palazzi. Il legname e
le piastrelle servono al rafforzamento delle loro trincee che vanno creando fortissime e davanti le quali stanno già mettendo dei buoni reticolati. Di fronte sta la nostra linea che si
inerpica su per le pendici del Cengio97, a destra e del Brazome98, a sinistra. Il bellissimo
incantevole panorama del piano d'Arsiero e valli circostanti con la magnifica corona di
monti che dovrebbero essere state inaccessibili a qualunque esercito m'indispettisce. Tanti sacrifici per conquistare terre già nostre o fatte nostre per generosità d'ardimenti!!
Seguo la linea del 1° battaglione, quindi mi porto al comando di reggimento dove sono
cordialmente accolto. Mangio un boccone, quindi giro le posizioni del 2° battaglione ritornando verso le 10 al comando di reggimento. Il colonnello, in vista della folta nebbia che
ormai tutto avvolge, non mi permette di ridiscendere. Trovo alloggio presso i medici del 2°
battaglione in una baracca sotto un enorme roccione. Sono stanco e mi butto subito sopra
le coperte, ma non mi è possibile dormire. Nella notte buia risuona la grossa voce del colonnello che richiama al dovere reparti di soldati schiamazzanti. Un brontolio sordo di cannoni e di proiettili che scoppiano fragorosamente. Poi torna il silenzio. Nessuna vittima.
22 giugno 1916
Sono le quattro e mezzo e ancora non ho potuto chiudere occhio, un freddo umido mi ha
indolenzito le spalle. Mi avvolgo nella mantellina e sonnecchio fino alle sette circa quindi
mi alzo e vado a trovare quelli del 3° battaglione, dispersi un po' per tutto, su un terreno
bruttissimo, sotto caverne scavate di proprio pugno sotto i roccioni; difesa ancora troppo
debole se il proiettile arriva in pieno; almeno efficace per le schegge ed i sassi. Il buon ***
mi racconta il fatto prodigioso toccatogli. In cinque in uno stesso bugigattolo, lui solo rimasto incolume allo scoppio di una granata. Tenente colonnello Della Chiesa col suo stato
maggiore si trova coperto da un ammasso di detriti. Si corre per soccorrerlo morto o ferito,
nessuna ammaccatura. Verso le nove e mezzo mi accomiato dal colonnello e prendo la
via del ritorno visitando le compagnie già viste la sera prima. Il terreno è tutto rotto. La roccia fracassata. Distruzione, orrore, voragini spaventose. Il nostro soldato non ha trovato
nessuna difesa, e in sei giorni ha saputo creare una linea perfetta di trincee profonde e di
camminamenti. Un'opera meravigliosa frutto di grande costanza e di sublime energia assistita da pochi o da nessun mezzo pratico, col piccone e la vanghetta notte e giorno al lavoro ed il fucile a portata di mano. Un pasto al giorno. Vita di stenti e di disagi, di abnegazioni
terribili, vita di grandi eroismi incompresi e non abbastanza apprezzati. Mi accompagna il
sottotenente Pisani che viene meco a congratularsi coi suoi vecchi soldati del 4° plotone
95
Località nei pressi della confluenza dei torrenti Pòsina e Astico.
96
Torrente che percorre la valle omonima.
97
Cima di oltre 1300 m. slm. tra la val d’Astico e l'altopiano dei Sette Comuni.
98
Cima di quasi 1300 m. slm che sovrasta Arsiero e la Val d’Astico, sul lato occideniale, esattamente di fronte al Monte Cengio.
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Sella, 4° compagnia ch'ebbero 100 lire di premio dal generale di brigata per le belle opere
compiute. Gli altri si studiano di emulare. Ufficiali di altri reggimenti restano stupiti dinanzi
ad opere sì stupende, fulmineamente compiute. Sono le dodici e mezzo quando giungo a
Contralba. Celebro la santa Messa, sono ancora in tempo. Delizioso conforto. Sono felicissimo per la buona riuscita del mio giro di trincee. Oggi il cannone austriaco ha taciuto
quasi completamente. Nessuna vittima.
23 giugno 1916
Sono le due del mattino quando poniamo termine ad una lunga discussione iniziata ieri sera col massimo interesse. Mentre ringrazio Dio che anche quest'oggi il cannone austriaco
abbia taciuto, una selva di srapnels si abbatte sulle trincee della nostra 3° compagnia, seguite da altre lungo tutto il fronte e nei valloni, mentre altri proiettili più grossi assai si abbattono un poco per tutto, ora con schianti fragorosi, ora senza grande effetto infossando
nel terreno molle. In un bosco ov’è la 1° compagnia esplode uno srapnel-granata. Qualche vittima! Un proiettile appena sopra il comando scoppia, tenendoci per un istante in angosciosa ansietà. Nessun movimento. Sia lodato Iddio. Verso la mezzanotte una breve
sparatoria di fucileria sul costone che dà su Arsiero, e getto di razzi nostri. Settantacinque
morti e quarantatre feriti.
24 giugno 1916
San Giovanni Battista. Nella Messa ho domandato al grande precursore uno spirito sempre più sacerdotale, amore al atire, zelo per le anime. Anche oggi ho mandato in cerca di
mio fratello99 che difatti arriva verso sera. Con quale e quanta consolazione nostra immagini chi sa amare!! Rammenta le sue ultime avventure nella grande ritirata da Campo100.
Un disastro, pochi superstiti tra i quali lui. È sempre di buon umore. Commentiamo la perdita del cognato Giacomo101. Cena con noi, poi verso le 10.30 l’accompagno fino al nostro
cimitero, dove ci lasciamo con un "arrivederci a casa sani e salvi". Verso le ventiquattro arrivano i cadaveri dei morti di ieri sera.
25 giugno 1916
Poco manca all' una, noi si veglia ancora, fortunatamente. C'è un ferito; una pallottola gli è
penetrata per l'osso mascellare destro e gliel'ha rotto frantumando le gengive; esce di sotto il mento e gli è penetrata nella spalla fratturando la parte superiore. Il poverino soffre indicibilmente mentre il dottore lo medica, ma non si lascia sfuggire un lamento. È rassegnatissimo. Noi gli facciamo animo, dicendogli che ancora guarirà. Due lacrimoni gli solcano il ciglio, leva due dita dalla mano per dirci che ha due bimbi a casa. Poveretto! Ancora non è cessata I'emoraggia dalla bocca. Non vuole aiuti mentre si stende sulla barella.
Ammirevole nella sua fortezza!... Sono le due passate quando andiamo a letto.
Alle sette mi alzo e faccio il funerale alla povera vittima. Di ritorno mi incontro con una ba99
Giuseppe, il minore, in forza al 54° Fanteria.
100
Sul Piave, a sud di Feltre.
101
Giacomo Monti, di Solbiate (Co), marito di Carolina Folci. Vd. avanti, p. 56.
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rella. Altro ferito, un caporale maggiore; dopo lui tre altri, feriti da una stessa granata, stamane. Uno era passato prima del funerale, ferito alla testa con fuoriuscita di materia cerebrale. Era moribondo. Alle undici finalmente posso celebrare la santa Messa. Volevo salire
al 1° battaglione ma sono stanco e poi l’insistente incursione degli aeroplani non mi dà
troppo affidamento. Assistono alcuni soldati della Sanità, altri della centuria. Stasera un altro lutto pel nostro reggimento, un altro funerale. Al ritorno dal cimitero il dottore mi viene
incontro annunciandomi che gli austriaci si ritirano. Infatti non un colpo di cannone sul
monte Giove da questa mattina, non il solito ta-pum delle sentinelle avanzate dal Priaforà102. Serata di calma straordinaria.
Non odesi più da nessuna parte il cannone, seminatore di morte, brontolare. Dal*** un nostro riflettore lancia un enorme fascio di luce sul Priaforà. Si parla di movimento delle truppe del nostro reggimento. Fosse vero! Venga la finale vittoria, che precipiti la pace.
26 giugno 1916
Si avanza. Le nostre pattuglie hanno avanzato affermandosi sul Priaforà da per tutto trovando armi, munizioni ed altro materiale. Raggiungo il decimo posto di medicazione ove
faccio colazione coi medici ad esso addetti, quindi verso le quattro e mezzo risaliamo verso il monte Giove. Il reggimento è già tutto sfilato, per vie diverse, il colonnello è pure partito. Di buon passo li raggiungiamo lungo la mulattiera. Incomincia una pioggia torrenziale
che ci accompagna lungo tutto il tragitto tra folte boscaglie, scendenti a picco su profondi
burroni. Vette rocciose, vere guglie nude si levano ardite, spaventose verso il cielo. Ogni
passo aumenta il nostro stupore. Come avrebbero potuto giungere fin quassù gli austriaci
se queste posizioni fossero ben state difese? Appena oltre la nostra linea di trincee lungo
il costone del monte è un carname di morti austriaci. AlI'acqua ora si unisce anche la
grandine. Vicino a Roccolo Bagatino103 ci fermiamo, per ripararci dall’acquazzone, sotto gli
alberi. Per salvare un povero soldato, divido in due il mio impermeabile. In breve anch’io
son tutto bagnato. Finalmente si prosegue, verso la una arriviamo a Roccolo nostra ultima
destinazione. 1° e 3° battaglione sono appena distesi lungo la scarpata della strada che
scende giù a Val Pòsina. La nebbia incomincia a scomparire e la nostra presenza è notata
dall'artiglieria nemica, fortunatamente di piccolo calibro. Succede una battuta solenne,
prima dall'alto e poi giù lungo la strada. Mandato dal capitano Millo in cerca del colonnello,
sono costretto a fermarmi tanto è l'accanimento dei nemici. È un'ora di agonia. I colpi ci
sfiorano, schegge, sassi piccoli e grossi piovono per tutto senza nemmeno toccarmi, ma
altrove qualcosa deve avvenire. Difatti, appena cessato il bombardamento, raggiungo il
capitano Millo e lassù mi viene portata la notizia di morti e feriti. Accorro, ma il tempo si è
rabbuiato, appena si sentono i lamenti dei poveri disgraziati feriti, sono quattordici, tutti
gravi, anzi il più grave non è ancora stato trasportato. Corro io con un portaferiti. Una salita
di pochi metri. Il poverino è stato ferito alla testa, rantola e si divincola con le mani. Non
capisce più. Gli somministro i santi sacramenti, quindi con tre soldati ed il porta feriti lo trasponiamo al posto di medicazione. E qui incominciano le dolenti note. Una stalla non ben
ripulita, bombardata durante la notte, senza tetto, mi accoglie per il riposo, che m'è impossibile dato il freddo intenso e l'umidità. Ammirevole è la condotta del tenente Sfondrini coi
102
Monte di circa 1600 m. slm posto tra la val Posina e la val d'Astico.
103
Località a circa 900 m. slm sul sentiero che dal monte Giove scende verso Castana, in val Pòsina.
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feriti.
27 giugno 1916
Al sole ci asciughiamo un poco. I nostri stanno tutti tappati nel bosco. Verso sera andiamo
a prendere posto in una casetta, ricovero d'artiglieria. Anche qui segni dell'invasione austriaca, che non è certamente stata apportatrice di disinfezione, un orrore. In una casina
del telefono, troviamo una tavoletta di legno. Scritta uso epigrafe in cattivo italiano, un'espressione arrogante a riguardo del soldato italiano, che fa davvero una cattiva figura e
dell'esercito nostro che, secondo lo scrivente, non è andato là ove l'austriaco voleva. L'artiglieria nemica ripete a volte colpi isolati, talora raffiche, senza però portare nelle nostre
posizioni stragi. I soldati della Sanità non sono ancora giunti, ed i feriti si lamentano, soffrono pel dolore delle piaghe, per la fame, per la tema104 di nuovi bombardamenti. Ore
d'angoscia strazianti! Un altro muore. Verso le ventitrè lascio l'incarico ad un caporale di
procedere egli stesso alla verifica dello sfollamento dei feriti. Fortunata idea: avrei dovuto
vegliare fino alle ventiquattro ed invece alle quattro ero già in braccio a Morfeo stretto da
un sonno fortissimo.
28 giugno 1916
Nella notte un violento temporale inzuppa nuovamente la povera truppa. Dove si andrà?
Che si farà? Si parte per una controffensiva. Innanzi a noi fanno posizione importantissima
gli austriaci. Il nostro reggimento ben quotato dovrà operare la reintegrazione dei confini.
Finalmente stanotte ho potuto riposarmi un poco. Ne avevo bisogno. Dico la mia santa
Messa, poi mi sfogo con la corrispondenza. Nel pomeriggio mi porto al primo posto di
medicazione ove recito le esequie per tre morti che nella serata potrò seppellire. Dopo un
poco di temporale appaiono nel cielo due bellissimi arcobaleni abbraccianti il Priaforà fino
a val Pòsina. A poco a poco si allargano comprendendo tutta la bella vallata dell'Astico,
l'altipiano d'Asiago. Voglia Iddio, sia un buon auspicio per l'armi nostre.
29 giugno 1916
Ordini e contrordini, finalmente verso le due e mezzo il 2° battaglione sfila. È tardi già perché le intenzioni nostre non siano avvertite dal nemico che da tutte le parti ci scruta. Le
compagnie si sono intralciate con quelle del 3° che hanno avuto l'ordine di procedere. Il
colonnello è giustamente indignato. Finalmente giunge il 63° col comando. Noi si discende
e i soldati si fanno andare di corsa. La strada è interrotta da frane, il ponte sul Pòsina è rotto. Una debolissima passerella costituisce il passaggio. La linea si allunga per un sentiero
che sale un po' il bosco, per poi discendere lungo il costone scosceso. Incomincia ad albeggiare. Il colonnello terrorizzato dal possibile eccidio dei suoi soldati m'invia dal maggiore Bianchi perché si proceda nelle operazioni di pattuglia. lo volo giù pel quasi impossibile
viottolo che serpeggia lungo le frane della strada fatta saltare. A qualche mia spinta inavvertita risponde con arroganza qualche soldato che subito si scusa dopo avermi riconosciuto. Lungo la strada che imbiancasi ogn'or più all'albeggiare sono tutte ammassate le
104
Paura.
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compagnie del 2° battaglione. Dunque non si avanza? E che dirà il colonnello? Che avverrà di noi sotto il tiro preciso dell'artiglieria? E l'azione? Penso allo sdegno del colonnello
che già auspicava un'azione fortunata. Altri mi dice che Becchi con soldati è prigioniero,
che il paese di Castana105 è pieno di austriaci. Nessuno mi sa dire ov'è il maggiore. lo corro e dietro a me molti soldati in cerca della loro compagnia. Ormai sono in fondo alla valle,
e non è che da attraversare un bosco per un sentiero ripidissimo ove incontro il maggiore,
il capitano Barelli e reparti di truppe. Domando notizie che non posso avere. Un panico
enorme ha invaso tutti e cresce ad ogni sparo di fucileria. Tutti corrono nel bosco ad appiattarsi. Cerco di informarmi con le parole e ci riesco. La fucileria è stata fra i nostri soldati
stessi, parte dei quali paravano contro una colonna moventesi lungo la siepe della strada, era la nostra 9a che sfilava. Nessun ferito, poi tutto calmo. Nel piccolo paesino che porta tutti i segni della distruzione le truppe vengono ordinate. La chiesina è quella in peggior
stato. I paramenti buttati, tutto un rovinìo, uno sfregio. Fortunatamente il nemico s'è accorto tardi della nostra presenza ed ha però già iniziato fuoco di fucileria e di mitragliatrici. Dico la santa Messa in sacrestia. Villania del capitano medico che vuole sempre l'uso dei
paludamenti sacri. Alle mie insistenti preghiere risponde con villanie degne di persone abbiette. M'allontano per raggiungere il comando. Ormai i battaglioni hanno sfilato e già si arrampicano su Sogli Bianchi106. Pomeriggio doloroso. La marcia è arrestata. Incominciano
ad arrivare i primi feriti gravi, la difesa nemica si ostina, sulla strada il passaggio è vietato
da ostinata fucileria, ed io ne ho la prova fortunatamente senza danni. Incomincia pure il
bombardamento anche con medi calibri. Intorno è una tempesta che terrorizza. Angoscia
dei feriti; la chiesa pare crolli. Nella notte i feriti sono tutti sfollati. Bello l'episodio di un certo Agostino ferito all'addome, che non vedendo il cappellano al capezzale, prende i suoi
oggetti sacri e li bacia con effusione, pregando caldamente il dottore di mandargli il prete!
Chiamato, corro, ed ho la soddisfazione d'assistere alla sua agonia santa.
30 giugno 1916
Subito dopo colazione, col colonnello raggiungo Malga ovè il comando del 1° battaglione.
Quella gente si sta alzando ora. Il tenente colonnello Della Chiesa vorrebbe difendersi dal
fatto di aver dichiarato di aver raggiunto quota 1008 Monte Sogli Bianchi mentre soltanto è
arrivato a 943. Parto dopo aver ordinato le pattuglie, il colonnello mi consiglia di seguirlo.
Salgo e dovunque trovo soldati. Ho parole d'incoraggiamento. Ad un certo momento ci troviamo noi due soli e si sale. Mezz'ora [di] discesa. Finalmente incontriamo alcuni soldati
della 10a e vicino, sotto un roccione, il tenente colonnello con alcune pattuglie. Mi stupisce
il chiasso loro che non può che destare l'attenzione dell'avversario. Difatti quattro fucilate
tirate da noi contro quattro-cinque uomini che salgono da val di Tovo107 verso le pendici di
Monte... destano quei signori che incominciano a schioppettare. Succede un momento di
sorpresa. Un roccione ci ripara, la fucileria si fa più intensa. Le pattuglie che ci precedono
chiedono aiuti d'uomini e di munizioni. Qualcuno azzarda: "Tutt'al più ci faranno prigionieri". No, né vinti né prigionieri, Sogli Bianchi deve essere nostro, stasera. Il colonnello lo
105
In val Posina.
106
Cima nell'alta val Posina, nella zona del passo della Borcola, ai confini tra le attuali regioni del Veneto e
del Trentino.
107
A nord di Castana. Il Tovo è un affluente del Pòsina.
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vuole. Vado da lui e gli riferisco la situazione. A poco a poco la fucileria si attenua ed incominciano grida di festa "Savoia, Savoia!". Poi tutto tace. Sogli Bianchi è nostro; col colonnello risalgo. Quasi sulla vetta mi si manda di nuovo dal tenente colonnello Della Chiesa che trovo con un ciclista oltre il battaglione, nel bosco senza vedette. lo gli faccio notare
la gravità della situazione. Quasi inconscio, mi sorride: "Provvederò coi miei ciclisti". "No io gli ripeto - ci vuole una difesa organizzata". Non si arrende. lo lo abbandono per riferire
a chi di dovere. Fortunatamente il colonnello è giunto e lui dispone. Le pattuglie escono di
nuovo, con le prime c'è una pattuglia del 1° battaglione col bravo Aredagna. È la volta di
Monte Seluggio108. Le informazioni, affermano le gravi difficoltà opposte dal nuovo obiettivo. I feriti nella giornata sono stati molti. Una settantina e più. Il sottotenente Baffelli domanda un rinforzo che parte e ritorna senza aver incontrato la pattuglia. Nottata laboriosissima. Faccio prima da guida al maggiore Narra che conduco a vedere le posizioni, indi
al comando di reggimento.
1 luglio 1916
Verso le due e mezzo del mattino parto per la 9a compagnia col capitano Barghese a costituire la linea di congiunzione con la 10a compagnia. È l'ora del rancio. Poveri cucinieri,
povera *** in cerca dei reparti buttati a destra e a sinistra. Brutto mestiere anche il loro. Sul
sentiero arriva la destinazione condotta magistralmente. Gli austriaci appena se ne sono
accorti. Incomincia il lavoro faticoso, nervosissimo, terribile. Le difficoltà che presenta la
nuova conquista sono di tutt'altra entità di quelle previste. Ufficiali e soldati saranno messi
a dura prova. Capitano Scavone e tenente Magistri si portano sulla linea importantissima,
studiano e riferiscono che le cose non si debbono precipitare. In giornata non si può operare. All'imbrunire potranno fare parecchio. Si lasciano stare [i soldati] tranquilli ora. Il generale Pistoni109 sbraita per un assalto frontale e minaccia gli ufficiali le due compagnie.
Nessuna buona impressione lascia tra i soldati. Non si dà per inteso quando gli si parla
dell'enorme difficoltà, delle numerose mitragliatrici appuntate tra i crepacci. lo stesso ne
avevo scoperta una sul cucuzzolo centrale, strisciando mi ero portato su un posto elevato
d'osservazione. Gli ufficiali avevano tutti comprovato. Neppure volle credere che gli austriaci ancora sparassero da monte Calgari110. Le smanie dovevano essere viste da due
austriaci che da una piccola trincea osservavano senza sparare; c'era un tornaconto per
loro, il conoscere le nostre disposizioni! E difatti dopo l'ora di bombardamento dalle quattordici alle quindici, allorchè i nostri iniziarono l'assalto, l’avversario fu pronto a respingerci
cosicchè fu inutile ogni ulteriore insistenza, per non aggravare il numero delle perdite. Incominciò allora la ridda dei fonogrammi, veri esemplari di tirannia e di insulsaggine. Ostinazione per l'assalto frontale su per il noto sentiero. 4a e 1a compagnia partono. Quei bravi
hanno tutta l'aria d’andare a farla finire. Il capitano Sarocchi condurrà la sua gente
all’aggiramento dell’ala sinistra, Magistri all’aggiramento dell’ala destra, lo sforzo centrale
sarà sferrato dalla 1a compagnia col capitano Sarti. Nella notte fervono i preparativi. Sono
ore d'ansie indicibili.
108
Cima sul versante settentrionale della val Pòsina. Questa colonna del reggimento ha attraversato la valle
da un versante all'altro in direzione nord.
109
Comandante della brigata "Ravenna".
110
Sopra Castana in val Pòsina.
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8 luglio 1916
Nessuna novità importante, fuori I’ordine di stare pronti il 3° battaglione, che fortunatamente non parte. Il tenente colonnello Della Chiesa lascia il reggimento per entrare nell'ospedale. Era veramente sfinito, né più valeva a condurre bene il suo battaglione. Gli succede il capitano Fuscaldi della 12a accolto con piacere.
9 luglio 1916
Oltre il Cimone111, stamattina intenso bombardamento durato qualche ora, poi a raffiche i
nostri fino all'assoluto silenzio rotto da qualche ta-pum delle avanguardie austriache. È in
tutti il desiderio di pace e di calma. Movimento di muli ed auto e in fondo valle il suono del
torrente Pòsina. Verso sera mi porto al terzo battaglione. È I’ora del rancio. I soldati affamati si sono già mangiati la pagnotta e si lamentano di non aver con che inzuppare il brodo che pare molto buono. La nostra tranquillità è tosto rotta dallo scoppio di una bomba
sulla strada. Il movimento dei soldati è stato certo avvertito dai nemici. Gli effetti sono poco
buoni, un ferito contuso, non grave, un altro gravissimo che ha spezzato ambedue le
gambe. Il caso luttuoso provoca un ordine tassativo.
10 luglio 1916
Mi desto non già tra il frastuono dell'armi ma nel silenzio d'una bianca cameretta. Dalla finestra entra un tenue raggio di sole, sono già passate le sette. M'addormento ancora e mi
desto alle otto e subito mi preparo per la santa Messa. Celebro per i defunti di quest’ultimi
giorni di lotta. Un effluvio di gioia mi invade. Ah! Santa Messa, unico conforto del povero
prete in guerra! Dopo Messa incomincio il lavoro di corrispondenza ai parenti ed amici e
coi richiedenti informazioni dei loro cari. Verso le quattro vado a trovare gli ufficiali e i bei
soldati del 1° battaglione. Sempre belli! Non parlano bene che dei loro ufficiali, non domandano che la soddisfazione dei loro superiori. Sono stanchi, ma allegri. L'unico loro dispiacere è quello di non aver potuto fare di più. Ciascuno ha il proprio fatterello, episodio
pieno di eroismo e di generosità. Il soldato Pertuno, toltesi le scarpe, è salito alto su una
guglia di roccia e di là ha ferito, senza essere visto, un mitragliere austriaco, il quale
esclama "Bono italiano, non sparare più, basta" ed il buon italiano getta I'arma. La sete
che si soffriva lassù era terribile. Qualche soldato ha arrischiato sotto la furia di più mitragliatrici per andare a prendersi acqua. Ammirevole è la figura del sottotenente Reali che
taglia i reticolati nemici. Ferito all'occhio e a un piede non si lamenta per non disturbare,
ancora incoraggia i propri soldati a continuare, che non può non sortire ottimo risultato; ed
i soldati fanno a gara nell’ emulare i propri ufficiali. Magnifico il sergente Musso che salva
un plotone ormai aggirato dagli Austriaci. Quando tomo al comando, gli Austriaci hanno
iniziato un bombardamento terribile, forse diretto contro una batteria nostra sulla cresta del
Monte G. ma che finisce lungo il costone, sulla strada, sui prati, appena oltre il paese di
Fusina112 verso Castana. Alcuni nostri attendamenti sono colpiti da schegge e da sassi,
altri girati dai colpi senza danno. Un vero miracolo! Il bombardamento, tutto di pezzi grossi,
111
Monte sopra Arsiero tra val Riofreddo e Val D'Astico. Quello della famosa mina (Ferdinando Calegaro di Costabissara VC)
112
In val Pòsina.
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dura più di un'ora. Ore d'angoscia.
11 luglio 1916
Non dico d'essermi svegliato, perché neppure stanotte ho dormito, ma appena alzato raggiungo il posto di medicazione dove apprendo che i feriti nella notte furono molti. Nessuno
grave. Meno male. Altri fonogrammi dalla brigata, che non fanno che intorbidare ed esasperare l'animo del colonnello. Le consegne sono state date e si discende. Incontriamo
per via il capitano Millo che s'unisce a noi. Alla mia domanda di restare al 1° battaglione, il
colonnello risponde negativamente. E allora avanti, eccoci a Castana che gli austriaci continuano a bombardare. Lungo la strada per Fusina ci rivolgiamo ad osservare Sogli Bianchi e Seluggio che si ergono tetri coi loro torrioni neri corsi da canaloni. Un saluto cordiale
da ufficiali e soldati che incontriamo per strada, poi ci inerpichiamo fino *** dove ci aspetta
una buona colazione. A tavola, nuovamente il colonnello sente il bisogno di elogiare la
condotta del cappellano che chiama ammirevole e ripete la sua intenzione per la proposta113. Millo si diverte stuzzicandorni, dicendomi in diritto dopo tanta lontananza, e si ride
un poco allegramente.
12 luglio 1916
I nostri bravi soldati della 3a e della 10a hanno raggiunto quota 1100 di Monte Seluggio. Gli
austriaci sono ridotti a mal partito e perciò sferrano un poco gradito bombardamento che
dura quasi tutto il giorno, più intenso però nella mattinata. Ne soffrono però le linee telefoniche. Comunicazioni più volte interrotte. I colpi arrivano radenti il terreno e battono ove ha
sparato un nostro cannone da montagna che è obbligato a spostarsi. Ne soffrono i soldati
protetti a malapena da piccoli rialzi di terra e sassi o rintanati in buche. È un affare serio.
Portaferiti il 37° pare non ne abbia e giungono lamenti. Di corsa attraverso la fitta boscaglia e raggiungo i colpiti che invio al posto di medicazione. Altre grida mi chiamano altrove.
Il bombardamento continua. Tutti cercano un riparo più sicuro. Richiamato da nuovi lamenti vorrei partire ma il colonnello non vuole e manda a chiamare medici e porta feriti pel
37°. Appena fatto giorno, prendo due o tre portaferiti nostri che non verrebbero e li conduco sul sentiero per Cascina Viosa. Da quattro giorni ho dato l'ordine che fossero trasportati tutti i cadaveri e sulla svolta di quel sentiero espostissimo alle mitragliatrici austriache sta abbandonata ancora la salma di un povero soldato mentre con la 4a compagnia si
portava a Monte Seluggio. lo per primo avvicino il poverino, vengono appresso i porta feriti
che lo caricano sulla barella e lo trasportano. Non una fucilata. Una calma momentanea di
fucilerie ci illude che il nemico abbia abbandonato completamente le posizioni. Chi viene
dal posto d'osservazione afferma d'aver visto soldati aggirarsi tra le trincee con troppa li113
Di una medaglia al valor militare. Don Folci riceverà, infatti, la decorazione il 10 aprile dell’anno successivo: vd. più avanti, p. 103.
Cosi ne dava notizia lo stesso don Folci allo zio don Carlo, il 13 luglio 1916: "Al mio colonnello ho pure reso
dei servizi preziosi anche come militare: in ogni ora del giorno e della notte a sua disposizione sotto il fuoco
rabbioso di fucileria, mitragliatrici e del cannone. Tranquillo sempre! A tutti, ufficiali subalterni e superiori, al
generale di brigata dichiarò la mia condotta semplicemente ammirevole per lo spirito cristiano che l'informava. È il terzo colonnello che cambia il reggimento, era quindi la prima volta che vedeva il cappellano in trincea non dicitore soltanto, ma facitore. Più che soddisfatto, entusiasta, mi ha proposto per la medaglia
d’argento al valore” (ADF, Lettere di don Folci, 1916).
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bertà, per essere austriaci. Il colonnello vuole essere persuaso e allora vado io. Purtroppo
tutta quella gente è austriaca. Le notizie che giungono da Cascina Viosa sono contraddittorie. Altri affermano che sia stato tutto bombardato. Vari sono gli ufficiali e i soldati feriti. Il
fatto si è che i plotoni del 37° mandati di rincalzo ai nostri, mal guidati, invece di seguire in
silenzio e a distanza il sentiero basso nel bosco si sono avventurati lungo la mulattiera.
Fucilerie e cannoni li hanno accolti sbandandoli, ed uccidendone qualcuno. Arrivati a Cascina Viosa, I'agglomeramento ha attirato la rabbia austriaca che si è sfogata con un terribile bombardamento. Noi si sta con ansia angosciosa, interrotte le comunicazioni telefoniche, resa impossibile, quasi, la comunicazione grafica data la vigilanza assoluta lungo tutto il costone. A momenti raffiche rabbiose di mitraglia e fucilerie si abbattono in tutti i sensi
sul bosco. Da un sottotenente che viene al posto di medicazione mi sento dire di bombardamento terribile di Cascina Viosa e interramento di persone. Dei porta feriti venuti pure di
là parlano con terrore dell'accaduto. Nessuno nega in modo categorico la mancanza di vittime, chi ha potuto è scappato. Notizie non ne giungono in nessuna maniera. Parto in testa
a venti zappatori 114 del 1° reparto. Passiamo a distanza un primo tratto scoperto della
strada. Alla svolta i primi ta-pum ci sfiorano la testa. Ci rifugiamo sotto un cespuglio e diamo agli altri l'ordine di fermarsi e di ritornare. Ordine che però non viene trasmesso, perché tutti ci seguono e ci raggiungono a Cascina Viosa. Due vengono feriti da una sola pallottola. Noi intanto corriamo attraverso il bosco e giù pel costone mentre l'avversario colpisce insistentemente il bosco. Ci incontriamo col sottotenente Pisoni che è di ritorno da Cascina Viosa. Mentre con lui ci intratteniamo a parlare, un'altra raffica si abbatte d'attorno a
noi, sbandandoci. lo rimango solo per qualche momento dietro un masso che malamente
mi ripara la testa e le spalle. Alle mie chiamate nessuno risponde. Finalmente mi decido:
di un balzo mi butto dietro un altro masso sgraziatamente più scoperto del primo. Un soldato mi indica la via e mi riparo più sopra in un roccione ove ritrovo Pisoni, Plumari e un
altro soldato. Anche le granate, srapnels rabbiosi, raffiche di fucileria e di mitraglia si sferrano a tratti e dal bosco si levano a tratti voci di lamento. Due bravi zappatori dietro mio
consiglio vanno in cerca dei feriti. Il loro movimento però è notato ed è accolto dal fuoco
nemico. La mia posizione è incomodissima, devo fare sforzi perché il sonno non si impadronisca di me e mi faccia precipitare. Pisoni s'allontana inseguito da una doppia scarica
di mitragliatrici fortunatamente innocua. Piove, invochiamo invano un po' di nebbia. Finalmente dopo più di due ore rompiamo la prigionia, tra cespugli e sassi, a sbalzi, arriviamo
finalmente in luogo sicuro. Notte profonda e burrascosa, lampi frequenti diradano le fitte
nubi abbarbagliando. Il terreno fatto viscido rende difficile il camminare.
13 luglio 1916
Dico una sola Messa per tutti e tre i battaglioni al 1° centrale, una seconda al dico al comando, nella mia stanzetta. Giornata di calma, ma di preparazioni per la nostra brigata
che intende occupare definitivamente Monte Seluggio comprendendo le propaggini nord.
Verso le dieci giungono al comando graduati e soldati che si sono distinti in queste ultime
operazioni per lavori e fatti d'arme e che hanno avuto ricompense in soldi e proposte per
premiazioni al valore. La parola del colonnello è sempre affettuosamente ispirata al sentimento della disciplina e del dovere. Mentre, domandato da un ufficiale del 3° battaglione,
rispondo che la nostra brigata potrebbe avere il cambio dal 63°-64°, un ordine arriva di
114
Soldati del Genio, addestrati alla costruzione di trincee e di varie fortificazioni campali.
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partire per il 3° battaglione che dovrà trovarsi a Sogli Bianchi alle ore ventuno. Bell'è
smentito, mi si dice. È vero, il battaglione sfila ordinato, lo spirito delle truppe è eccellente.
Poveri figli, come sono rassegnati sempre! Il colonnello non vuole ch'io parta con lui. Dalle
ventuno alle ventidue gli austriaci si sfogano con medi calibri, sopra e nei dintorni di Castana. L'atteso bombardamento da parte nostra non avviene. Alle ventiquattro la bianca
luna avvolge in un manto di quiete la valle del Pòsina, Monte Cimone, Sogli Bianchi, e oltre. In questi momenti preziosi, le nostre truppe avanzeranno compatte lungo le pendici
settentrionali di Monte Seluggio, nel desiderio intenso di abbrancarlo definitivamente in
una forte tenaglia. Iddio ci assista! Nel pomeriggio d' oggi un aeroplano austriaco ha volato
insistentemente sulle nostre posizioni di Monte Cogolo115 in cerca di batterie, ha pure lasciato cadere una pioggia di bombe senza risultato.
14 luglio 1916
Un altro tentativo del 37° di consolidarsi su Monte Seluggio procura un encomio al sottotenente *** ed al suo plotone che, giunto alla meta, è costretto a ritirarsi per mancanza di rinforzi. Il nostro 2° battaglione è fatto partire per Monte Sogli Bianchi. Inutilmente io cerco di
seguire la sorte delle truppe. Il colonnello non vuole!
15 luglio 1916
Altro tentativo nostro stamane ripetuto più tardi con preparazione d'artiglieria. Ormai la
gobba erbosa è tutta un ammasso con la linea delle trincee. Grossi calibri austriaci battono
un poco dappertutto ma specialmente sui boschi che rivestono Seluggio e Monte Sogli
Bianchi mettendo a dura prova i soldati del nostro 2° battaglione, lassù annidato sotto i
roccioni. Giornata d'ansia. Ho detto Messa per gli ultimi morti del reggimento a particolare
protezione spirituale e materiale dei sopravvissuti.
Dopo mezzogiorno, al fuoco delle nostre batterie da montagna rispondono le austriache di
grosso calibro. I colpi arrivano proprio sulla cresta rocciosa facendo rotolare blocchi enormi di sassi.
16 luglio 1916
Prima santa Messa al comando, seconda al 2° battaglione. Durante la santa Messa gli aeroplani volteggiano. Arriva il 3° battaglione, ufficiali e soldati sono sfiniti.
Un caporale maggiore già in mano di un ufficiale austriaco riesce a scappare mentre l'altro
gli spara col fucile che gli era rimasto in mano. La palla gli attraversa la mano senza però
ferirlo. A ruzzoloni lui e gli altri riescono a mettersi in salvo. Un altro portaordini, avanti tutti
raggiunge una specie di galleria nascosta tra le occe. In quel mentre un vocione gli grida
di arrestarsi. Due mani I'afferrano, altre tre ombre sorgono intorno a lui. Una granata di
nostro cannone scoppia poco sopra; una pietra strappata dalla roccia si sferra via lentamente sul braccio dell'austriaco che trattiene il nostro soldato, e lo stramazza a terra anelante e il nostro, via di corsa, salvo tra le braccia dei suoi, e piange.
Oggi festeggiamo l'onomastico del colonnello. A sera a pranzo è invitato l'ufficiale d'ordinanza della brigata, Gino Berri. Si raccolgono tutti gli ufficiali del 3° battaglione che si intrattengono col colonnello.
115
Cima di oltre 1600 m. slm, a sud della val Pòsina.
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18 luglio 1916
Durante tutta la giornata bombardamenti da parte delle opposte artiglierie. Obiettivo ***. Al
1° battaglione discussione con un bel circolo di soldati. Tardi mi reco alla sezione di Sanità
e trovo il sergente prete Capelli pieno di spirito buono; vivace discussione durante la colazione d'oggi.
19 luglio 1916
Appena dopo colazione, ordine per il 1° battaglione e il comando di reggimento di raggiungere nella notte Monte Sogli Bianchi. Vado a salutare 1° e 2° battaglione che raggiungo
sulla strada di Fusina116. Quei poveri figli sono mogi mogi, non se l'aspettavano. Appena le
truppe in fila indiana hanno passata Bazane, gli Austriaci si divertono con una dozzina di
granate sulle case di Bazane117, sulla sezione di Sanità. È un fuggi fuggi generale, sulla
strada, pei campi. Un poverino del 38° è ucciso preso in pieno.
20 luglio 1916118
Alle tre comincio la santa Messa e alle quattro mi avvio su la strada di Castana - Pieve di
sopra - Monte Sogli Bianchi. La mulattiera è migliore. Il comando si è accomodato discretamente. Mentre i due comandi 37°-38° si danno il cambio, anzi quando tutto è pronto e il
*** del 37° si è avviato per discendere, viene il comandante di divisione, generale Politi,
vero gentiluomo. Ha parole di encomio e lusinghiere per il nostro colonnello che gli parla
del cappellano al quale fa poscia dei complimenti personali. Fervono i lavori di difesa. Anche il 3° battaglione verrà su stasera. Sono le diciannove quando lo vediamo sfilare lungo
la strada di Fusina - Castana. Dalla linea Valgrò - Monte Pòsina - Forni alti - Maio119 si addensa quale velario un denso acquazzone che appresso si rovescia sui nostri soldati in
cammino. Li vedo accelerare il passo. La pioggia continua a tratti intensa, violenta, poi
meno. Sono le nove e mezzo quando arriva il comando di battaglione. I soldati si adattano
alla meglio lungo il roccione di quota 1008. Strazia l'animo pensare che solo da due giorni
erano discesi.
21 luglio 1916
Santa Messa all'aperto sotto il roccione. Nessuna novità importante. Tiro d'aggiustamento
delle nostre artiglierie lungo tutta la giornata.
22 luglio 1916
Violento bombardamento nostro sul Cimone che dura anche la notte. Rispondono gli austriaci sul rovescio delle nostre posizioni. Nella notte lancio di razzi luminosi. Stamane è
venuto il generale di brigata. Solita cortesia. Dicevo, bombardamenti violentissimi. A volte
la vetta e il bosco appare come una solfatara continua; anche le retrovie sono battute e
116
Fusine (Ferdinando Calegaro di Costabissara VC)
117
Contrada Bazzoni (Ferdinando Calegaro di Costabissara VC)
118
GU8, pp. 110-124.
119
Cima di 1500 m. slm sovrastante la val Pòsina.
50
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sono schianti paurosi, assordanti - sì, veramente questo è un bombardamento in piena regola - ne siamo esterrefatti. Nella notte, dal fondo valle, dai monti sopra *** è tutto uno sfavillare di fiammelle.
23 luglio 1916
Verso le tre di stamane il bombardamento si è intensificato fino a diventare violentissimo.
Secondo l'ordine, alle quattro e mezzo i nostri iniziano l'azione dimostrativa.
Sul Cimone il tiro dell'artiglieria è andato rallentandosi e allungandosi lontano sulle retrovia. Raffiche di fucileria e lunghe di mitragliatrici. Verso le undici incominciano a profilarsi
sull'arduo monte i primi uomini. Si arrampicano con tutta cautela. Verso le sedici è tutto un
battaglione di Alpini che, al grido di "Savoia!", si lancia all'assalto delle posizioni avversarie
conquistandole e tenendole contro violenti contrattacchi del nemico che certamente mal
soffre la perdita di tanta posizione.
24 luglio 1916
Tutta la notte, a tratti, fucileria, lancio di bombe e bombardamenti.
Durante le giornate raffiche di artiglieria sulle nostre posizioni. Verso le ventuno gli Austriaci ritentano un assalto alle nostre posizioni di Monte Cimone, ributtati dai nostri che li
lasciano avvicinare e poi li rovesciano con una fucileria terribile e con lancio di bombe
spaventose - al grido di "Savoia!' che reprimono gli "Urrah!" austriaci. Nella notte, nuovi attacchi ferocemente ributtati. La nostra montagna accompagna l’azione con fuoco intenso
quasi di mitragliatrice, tanto è frequente; getto di razzi e i nostri fanno uno sbalzo innanzi e
approntano trincee e piazzuole per mitragliatrici.
25 luglio 1916
Un areoplano nostro vola basso assai sulle posizioni avversarie lasciandovi cadere quattro
bombe, tranquillo tra il fuoco intenso degli antiaerei cannoni nemici. Poco appresso il suo
ritorno in terra italiana, la nostra compagnia apre un fuoco intensissimo per la durata di 10
minuti sul retro Cimone, certamente su accampamenti nemici.
Il 2° battaglione ha il cambio dal 3° a Monte Seluggio. È sconfortante lo stato d'animo dei
poveri soldati che indarno attendono un po' di riposo in luoghi tranquilli. Verso le venti tre
arrivano i primi reparti del 2° battaglione.
26 luglio 1916
Durante la giornata niente di nuovo. Vana attesa del cambio. È in vista una piccola operazione per le prime ore di domani. Sulla destra di Monte Seluggio, dov'è il 1° battaglione,
con *** verso le ventidue e mezzo parto a quella volta. Attraversiamo la prima fila dei nostri
reticolati che ingombrano il preso sentiero. A Cascina Viosa120 domandiamo il collegamento e giù per un sentiero, dapprima, poi lungo l'erta del monte sotto la volta del ***, illuminato a tratti il cammino dai razzi nemici. Sassi urtati dai piedi si precipitano, qualche fucilata
120
Ora Casoni Viosa (Ferdinando Calegaro di Costabissara VC).
51
!
passa come coltello innocuo sopra le nostre teste e giù si inabissa nei canaloni rocciosi
destando a mille echi fragorosi.
Sulla fitta distesa boscosa del Cimone. La difficoltà del terreno, le anfrattuosità mi fanno
pensare alle trepidazioni del giovane sottotenente Magistri che, la notte del 1° luglio, si
avventurò con la sua compagnia già provata nei combattimenti precedenti alla conquista di
Monte Seluggio tentando scalarne i fianchi scoscesi, nella notte buia rotta dai lampi di un
temporale rumoreggiante nel cielo tempestoso.
Di qua passò ancora la 10° di rinforzo alla 1°.
27 luglio 1916
La grotta del comando di battaglione si apre da occidente ad oriente allargandosi.
La posizione è veramente difficilissima, scoperta al Cimone che ne tormenta i fianchi con
cannoncini e mitragliatrici. I nostri stanno arrampicati lungo il costone immobili approfittando di ogni scoglio, sasso, per difendersi dall'alto e ai fianchi.
Il giorno ventitre corrente, mentre soldati e ufficiali osservavano con soddisfazione gli effetti disastrosi prodotti dal nostro bombardamento su Monte Cimone, si videro d'un tratto imboccare la famosa galleria da una raffica di proiettili dei cannoncini sopraindicati. Un
camminamento scavato nella notte rese più facile lo sfollamento intorno e i feriti furono
soltanto leggeri. Ora un bel muro di tre file di sacchetti difende lo ***.
Nella mattinata arriva l'ufficiale sottotenente Galli che nella notte avrebbe dovuto, con una
pattuglia, occupare una selletta oltre le nostre linee, ma dovette ritirarsi sotto il tiro di fucileria, bombe a mano e lanci di sassi degli austriaci che precedentemente avevano occupato la posizione conoscendone, tardi ma sempre a tempo, l'importanza. Appresso, l'aspirante Amari, di propria iniziativa, portavasi con tre o quattro uomini più sopra la selletta dove
vedeva degli austriaci intenti in un lavoro forte e affrettato di difesa. La selletta tra il Seluggio e un roccione cuneiforme distaccato è appena a trecento metri in linea d'aria da noi.
Per giungervi bisogna discendere il vallone profondo e risalire dall'altra parte: cammino
lungo e difficile.
In una visita alla 2a compagnia, per giungere alla quale bisogna lavorare di acrobatismo e
di cordata, fui sorpreso da una sfuriata del noto cannoncino del Cimone. Una scheggia di
granata venne a battermi ad un palmo dalla testa. Nel ritorno, trovai il canalone impedito
da massi e pietre divelte dai proiettili. Due feriti leggeri della 4a compagnia.
Lo spirito dei soldati è degno di ogni encomio per lo spirito di rassegnazione. Si sostengono con la speranza di un cambio presto e di un buon riposo. Poveri figli degni di ogni ammirazione. Obbligati ad un vitto asciutto, talora in posizioni dove per andare a prender
l'acqua sono obbligati a rischiare la vita. Giovani un tempo il fior della salute, dallo sguardo
languido, dal viso macilento: sono stanchi.
28 luglio 1916
Pioggia torrenziale. Il tettuccio della mia capannetta è uno stillicidio poco simpatico. Anche
fuori i soldati si lamentano. Ancora è oscuro. Un forte contrattacco austriaco contro
le nostre posizioni di Monte Cimone, ributtato dai nostri con bombe, mitragliatrici e
un improvviso efficacissimo fuoco de II 'artiglieria nostra da campagna e da montagna. Gli "urrah!" degli austriaci sono soffocati dalle grida di "Savoia!" dei nostri.
L'entusiasmo è manifesto in tutti per il tiro celerissimo dei nostri cannoni e subitamente iniziati all'attacco. Stamani ho celebrato piuttosto tardi.
52
!
Reparti del 2° battaglione raggiungono, come rincalzi, il 3° e il 1°. Giornata uggiosa. Passo
un'allegra serata al comando del 2° battaglione. È mezzanotte quando raggiungo il mio
giaciglio.
29 luglio 1916
Mi sveglia un forte cannoneggiamento. Monte Cimone è tutto avvolto in nembi di fumo nero-bigio rossiccio. Colonne larghe levantesi al cielo, sbattute dall'aria mattutina lungo i
fianchi rocciosi taglienti giù giù verso la valle e il piano. Oggi ci sarà azione. Le batterie rovesciano da tutte le parti rimbombanti torrenti di fuoco e di acciaio a zone. L'artiglieria nemica ribatte la nostra con tiri frequenti. Bello è il duello di una azione nostra da montagna
quassù sulle pendici di Sogli Bianchi: alle raffiche rabbiose nemiche che vanno cercando
metro per metro risponde con raffiche più frequenti, celerissime. Il danno e la noia che dà
deve essere molta perché gli austriaci la vanno pescando anche coi mezzi calibri, senza
risultato, però: risponde sempre impavida. È un bell'ufficialerto siciliano che la comanda.
Mentre dura il bombardamento dall'una parte e dall'altra, celebro la santa Messa. A Monte
Cimone opera il 54° Fanteria al quale appartiene mio fratello: la santa Messa è per lui e
per i soldati e ufficiali operanti anche del nostro reggimento. Alla consumazione, alcuni
colpi dell'artiglieria nemica vengono a scoppiare a poche decine di metri, i due ultimi sollevano, scoppiando molto più vicino, una furia di sassi e terriccio. Colle braccia faccio riparo
al calice che ancora non ho assunto, intorno è una vera pioggia, degli assistenti alla santa
Messa nessuno colpito.
La fucileria e le nostre mitragliatrici del Cimone hanno incominciato a cantare in un modo
straordinario. È giunto anche il nostro generale di brigata che con noi osserva dal bellissimo poggio creato dal capitano Millo appena sotto il comando.
Nel pomeriggio l'artiglieria sembra battere la cima di Sogli Bianchi con raffiche violentissime. Un nostro bravo soldato, certo Palesi, attendente a *** è gravemente ferito.
30 luglio 1916
Celebro la santa Messa mentre nell’aria un nostro aeroplano vola incalzato dall'artiglieria
austriaca. Bossoli e pallottole piovono intorno.
Mi porto a Case di sopra per le esequie ad un ottimo soldato morto stamani in seguito ad
una grave contusione all'addome. Durante l'operazione durata due ore addimostrò una fortezza d'animo, una resistenza rara. Giovane esemplare per sentimento cristiano.
L'artiglieria austriaca si diverte a battere le posizioni temute dalla montagna che ha sloggiato però con piccoli e medi calibri. Nel pomeriggio giungono ufficiali del 218 a riconoscere le posizioni (daranno il cambio a noi).
Dopo cena vado a Cascina Viosa dove mi raggiunge il tenente Bozzano. Gli austriaci
stanno rafforzando le loro linee sul Seluggio, li vediamo nei loro movimenti ritmici e ne
sentiamo il batter di mazze e il suono di badili.
31 luglio 1916
Già prima della Messa l'artiglieria austriaca ha iniziato un tiro efficace sulle nostre posizioni. Celebro. All'ultimo vangelo uno schianto terribile ci scuote, e insieme un'invocazione:
"Portaferiti!". Mi svesto in tutta fretta e accorro sul luogo del disastro. Una granata almeno
da 105 ha schiantato un castano selvatico di almeno 50 centimetri di diametro. Feriti leg53
!
germente due soldati, un terzo gravemente alle due gambe, un quarto, l'attendente del tenente Massarodi mortalmente all'occipite. Rantola nei tremiti dell'agonia, riverso. Il poverino fischiava con la bocca imitando il suono dei proiettili, vicino al suo padrone sul margine
del nascondiglio, una scheggia della granata lo colpiva. Padre di tre figli e buono assai.
Veramente il Signore vuole a sè i migliori perché il loro sacrificio santo plachi la sua giustizia irritata da tanti nostri peccati.
L'artiglieria nemica continua un tiro efficace di interdizione su tutto il fronte. Ad un certo
punto anche la nostra apre il fuoco. Vengo poi a sapere che intendeva disturbare movimenti di truppe avversarie di rinforzo. Di fatto verso le ventuno ha inizio un attacco terribile
su Monte Cimone preceduto e accompagnato dall’artiglieria alla quale fa tosto seguito la
nostra, violentissima. Fucileria e mitragliatrici operano efficacissime e lanci di bombe che
producono schianti orrendi e bombe a mano. Il monte ormai scompare sotto un velo denso
di fumo. Anche a Monte Seluggio ha luogo da parte loro un attacco fatto tosto cessare dai
nostri. Verso le ventitre comincia la calma e lanci di razzi luminosi d'ambo le parti. A volte
raffiche delle nostre artiglierie e qualche colpo delle loro.
1 agosto 1916
Invano si attende il cambio.
3 agosto 1916
Finalmente è annunciato il desideratissimo cambio.
4 agosto 1916
Alle tre mi alzo per accompagnare il colonnello al vallone del Tovo121: non mi lascia. Torno
a buttarmi sul mio giaciglio. Verso le sei ha inizio un gran fuoco delle nostre artiglierie a
Monte Cimone contro batterie delle avversarie che battono pure assiduamente le posizioni
tenute dai nostri che sono obbligati ad abbandonare la linea e a ripararsi. Il bombardamento continua a tratti, intenso talora tre volte hanno luogo furori di fucileria e mitragliatrici.
5 agosto 1916122
Monte Sogli Bianchi123.
Dal piccolo poggio simpatica creazione dell'illustre aiutante maggiore in prima. Nella conca
del monte in parte ripopolata ora d'alberi, risuonano voci chiassose di lavoratori, il ritmico
uguale martellare dei diversi minatori lungo la nuova mulattiera, sul ciglio del monte e appena sotto la cresta dove le compagnie del Genio preparano trincee e caverne ricovero e
gli artiglieri le cannoniere per i loro pezzi, inseparabili amici.
Giù, in fondo valle, adagiato quasi su verde appeto, il piccolo Castana cui lambisce gli orti
e i prati il Pòsina tra una siepe di verdechiaro salice. Lo sperone di destra del monte "Malga" nasconde la bella chiesina dolorosamente provata dal cannone e dall'insolente gaz121
Percorso dall’omonimo torrente, fiancheggia Monte Seluggia, scendendo verso Castana.
122
GU7, pp. 34-68
123
Nell'alta val Pòsina, nella zona del passo della Borcola, ai confini tra le attuali regioni del Veneto e del
Trentino.
54
!
zarra austriaca che tutto ha sconvolto e rotto. Il piccolo paese mi richiama il paesello mio
lontano nella sua quiete sacra di lutti famigliari, di ansia tormentosa per i molti figli lontani
che, in lotte aspre, soffrono e combattono. Altri monti io penso più alti, ammantati di neve
nelle pieghe immense dei canaloni profondi, altro fiume, il terrore talora dei poveri abitanti
che si videro d'un tratto minacciati nei loro poderi, nei loro beni; ad un'altra chiesetta povera assai e malandata, non deserta però. Là regna Cristo nell'ostia santa, là domina dal miserabile trono, ed è grande, è onnipotente, è misericordioso siccome lo è nei più lussuosi
templi del mondo. Là guizza sempre e spesso geme una fiammella indice fedele dei sentimenti di quanti piamente colà si raccolgono e pregano doloranti per i figli, per gli sposi,
per i padri, per i fratelli lontani, e per gli stessi invocano generosità nell'adempimento del
proprio dovere, rassegnazione di mezzo ai mille disagi, fortezza di fronte agli sfiniti e svariati pericoli.
A destra, stretta dal Gaimonda124, dalle pendici del Priaforà, dal massiccio del Novegno, si
stende val Pòsina coi suoi paesini civettuoli ora duramente provati dalla guerra. Più lontano, Colle di Tomo125 e di Pòsina contro dei quali indamo si addensarono le masse austriache quasi catapulte per aprirsi il desiato varco alla pianura. Forni Alti, Pasubio e Colle
Santo si ergono terribili nella loro severità rocciosa, dai fianchi orrendamente tormentati
dai torrenti d'acciaio e di fuoco che le avverse artiglierie vi riversarono contendendosene il
possesso. Aspre battaglie, dure, ferocissime! Ogni metro costa sangue generoso! Una
compagnia alpina di 150 uomini contesero all'invadente nemico nel maggio scorso per una
giornata e una notte. L'opera titanica compiuta da quei valorosi valse la salvezza d'Italia
nostra. Discendendo da quei monti, abbiamo il Passo della Borcola126 dall'occupazione del
quale dipende per noi il possesso di cime importanti ed è per questo che il nemico vi si
tiene attaccato a costo di sacrifici sanguinosissimi. A sinistra di Castana si stendono verdi
prati spezzettati dal corso tortuoso del Pòsina e dove ancora sono visibilissime ampie piste sulle quali certamente gli austriaci passeggiavano la loro cavalleria già approntata per
buttarla sulla pianura vicentina che di quassù si vede distendersi nella sua attrattiva immensa appena oltre l'ultimo breve tratto di val d'Astico.
Tra il verde cupo di boschi e prati fatto ancor più oscuro da un cielo torbido che appena ci
permette un po' di luce solare a spiragli, si dispiega una massa rossastra di tetti di case. È
Velo d'Astico ai piedi del Sommano127 e del Brazome ultimi tentacoli delle grandi catene
alpine. Dinnanzi, sul piazzale grande, campeggia la bianca chiesa ed il campanile lacerati
in più parti dall'urto orrendo di granate austriache. Più su, verso di noi, "la Montanina" del
grande Fogazzaro128, ridotta ad un ammasso di rovine occhieggianti di tra gli alberi stroncati nei bianchi filoni aprentisi al cielo, quasi membra straziate, mutilate. Ricordi di pace,
d'anima generosa, di meditazioni vaste, sublimi, di idealità grandiose. Ricordo di un illustre
amatore della patria. Ricordo di uno spirito resosi a Dio nella purificazione del sacrificio e
del dolore in una religiosità di pratiche edificanti.
124
Gamonda, monte a sud di Posina(Ferdinando Calegaro di Costabissara VC)
125
Colle Xomo (Ferdinando Calegaro di Costabissara VC)
126
Nel gruppo del Pasubio, sul confine tra le attuali provincie di Vicenza e di Trento.
127
Monte Summano, sopra Santorso (Ferdinando Calegaro di Costabissara VC)
128
Antonio Fogazzaro (1842-1911). Noto romanziere di Vicenza. Nel suo ultimo romanzo, Leila, del 1910, la
protagonista vive, con una sorta di padre adottivo, in una villa nei pressi di Arsiero, detta, appunto, "La Montanina".
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A sinistra, il mastodontico Cimone, nelle sue pareti a picco stratificati e quasi immensi
enormi volumi sovrapposti gli uni agli altri tra cespiti e boschetti verdeggianti profilantisi su
Rio Freddo e val d'Astico. È questo monte il campo di lotte epiche fantastiche della nostra
controffensiva129. Tormentato, flagellato in lungo e in largo dalle avverse artiglierie d'ogni
calibro, ha perduto in gran parte sulle posizioni frontali l'ammanto di boscaglie aggrovigliatesi dove tante insidie naturali e artificiali si nascondono, ultimo occhio e baluardo di offesa
efficacissima; per I'austriaco questi non conta sacrifici pur di conservarsi il monte, contesissimo. I nostri resistono ad ogni attacco e non mancano di tormentare l'avversario mentre vanno allargando le posizioni e assicurandole con poderosi trinceramenti e mezzi di difesa e di offesa.
14 agosto 1916
Anche questa ci voleva. Non pioverà? Dico al mio attendente quando questi ha già tutto
disposto per la santa Messa all'aperto e la buona gente di Costinieri130 con alcuni soldati si
è fatta dattorno al povero altarino. Mah! Speriamo di no. Mi vesto e incomincio. Eppure
dall'alto incomincia a gocciolare rado rado poi più fitto. Che faccio? Interrompo?! Arrivano
in tempo due ombrelli. Due soldati li tengono aperti sopra mentre io continuo il sacrificio
santo, I'anirno pieno di confusione per l'infinita bontà di quel Dio che pur di salvare l'uomo
non guarda a degnazioni.
Il colonnello dopo avermi fatto sturbare131 un poco, dà gli ordini per la santa Messa di domani; di più mi dà liberamente il permesso di recarmi a Milano, ma vuole che io parta subito, al che io mi rifiuto volendo festeggiare l'Assunta coi miei soldati.
Nel pomeriggio faccio un giro per gli accampamenti per le solite informazioni dei militari alle loro famiglie. Lo spirito dei bravi giovani è eccellente: vivo è però sempre il desiderio di
presta pace. Mi intrattengo, or con questi or con quelli, tra le tende riferendo le ultime notizie di guerra e portando il discorrere su buoni pensieri. La confidenza dei soldati sempre
uguale è consolantissima. Poveri figli! Altri mi parla della famiglia lasciata lontano e dei bisogni molti. Chi m'annuncia una disgrazia di fresco avvenuta. Un sergente mi prega d'interessarmi per un permesso. Dei soldati mi si raccomandano per un posto migliore. I prigionieri cercano [di] scusare le loro mancanze. Tutti ne hanno qualcuna da dire. Tutti domandano se il riposo sarà lungo e poi dove si andrà a finire. Diversi chieggono di potersi confessare e comunicare. I nuovi arrivati sgranano tanto d'occhio, timidamente ma irreversibilmente si avvicinano a quell'ufficiale crociato di rosso che ha parole per tutti, a tutti sorride, di tutti si interessa. Poverini! Sono i riformati di altri tempi che una guerra tremenda
assorbitrice d'ogni energia ha fatto abili oggi con gli stessi difetti, le stesse infermità visibili
d'allora. Altri zoppica, un secondo parla con la pallidezza del suo volto e degli occhi infossati e cerchiati di velluto: un terzo è balbuziente, quello si lamenta per dolori alla schiena,
alle gambe; questi per una reumatalgia. Lo spettacolo miserando e la lunga litania di malesseri mi fa rabbrividire, mi commuove e insieme m'indispettisce. Penso alle molte centinaia di migliaia di giovani robusti della miglior società imboscati in servizi talora ignobili pur
129
La controffensiva italiana aveva avuto luogo nel giugno-luglio precedente; l'azione di rioccupazione di
Monte Cimone avvenne il 22-23 luglio.
130
Contrada tra S. Caterina e Contrada Rossi, comune di Schio (Ferdinando Calegaro di Costabissara VC)
131
“Disturbare”.
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di salvare la pelle, molti in lavori ai quali mai non attesero, diversi lasciati anche alle case
loro mentre potrebbero e dovrebbero sacrosantamente avere imbracciato il fucile e correre
in trincea e là difendere onoratamente la loro nobiltà, là assicurare la loro ricchezza, là
temprare l’animo ai grandi trionfi, l’intelletto ai grandi problemi che aspettano l’Italia nostra
per un avvenire più grande e radioso.
Le mie parole hanno un effetto magico su quei volti tristi che si fan tosto sereni mentre un
sorriso affettuoso infiora quelle labbra che si aprono ad una parola piena di fede. Pazienza! Il Signore, che tutto vede, non ci dimenticherà! Il cuore mi si allarga: mi inonda una
gioia di Paradiso. Quanto bene si può fare tra questi poveri figli del popolo, umili eroi dimenticati! Dei vecchi qualcuno accenna alle mie tasche rigonfie e allunga una mano pietosa, mentre altri si ammiccano collo occhio. Tiro avanti quasi non avvertendo e allora un
terzo più birichino si lascia sfuggire qualche frase, smozzica qualche arguzia e i sigari e le
caramelle cominciano a volare tra il parapiglia dei buoni soldati che si lanciano per prenderle mentre altri più svelti le afferra di sotto e le ferma nell’aria ed è rincorso, senza scortesia, però, senza cattiveria.
Intanto arriva il caporal Pezzoli del 3° reggimento Zappatori al quale affido di prepararrni
un altarino per la Messa di domani. Mentre mi rimetto su la via del ritorno mi sento chiamare dall'alto di un ripetto e invitare a pagare un fiasco di vino. Accetto e il soldato corre
giù a ritirare i soldi mentre gli raccomando di ricordarsi di me nelle sue preghiere e di essere buono. Il giovane tutto contento corre tosto dal cantiniere. Con me c'è pure il signor capitano Loris che sorride. Poveri figli! Non hanno con chi aprirsi liberamente e però sono felici di poter avere un sacerdote che dà loro confidenza e li ama.
Ormai fa tardi e il tempo minaccia di piovere. Faccio di volata la lunga salita. È in gioco il
pagar da bere se si ritarda di presentarsi alla mensa. Purtroppo però si deve aspettare il
signor colonnello. Peccato, diciamo tra noi, che non si possa far pagare lui!
Piove, e forte. Temo per la Messa di domani mattina.
15 agosto 1916
Fortunatamente, quando mi alzo, il cielo si è spazzato e sorride di un sereno terso mentre
laggiù in fondo oltre la pianura patavina verso il mare va imporporandosi ai primi raggi del
sole. Il colonnello ha la mania del quadrifoglio stamane e, mentre abbandoniamo Costinieri
per raggiungere Santa Caterina132 e il nuovo alloggio, vuole si cerchi l'erbetta fortunata e
scherzevolrnente m'investe, osservando il mio poco o quasi nessun interesse. Finalmente
trovo io pure una pianticella fiorita ed egli, felice, si ripromette grandi cose. Lo ossequio e
mi allontano per la santa Messa. Mentre i soldati vanno riunendosi dattorno al povero altarino arriva pure il signor colonnello che assiste e appresso quand'io a funzioni compiute
raggiungo il nuovo alloggio di casa Bogotti, ancora da lontano mi sorride soddisfatto e mi
esprime tutto il suo compiacimento per l'uditorio numerosissimo e ben volentieri accetta di
lasciarmi liberi i soldati che desidereranno confessarsi e comunicarsi. Sarà costante?! Il
nuovo alloggio è più festivo, più allegro. Ci sta dinnanzi la piana immensa biancheggiante,
attraente. I buoni borghesi sono contenti di poter avere la santa Messa e subito mi son
dattorno domandandomi l'orario e se la dirò sempre.
I preparativi per la partenza sono fatti. A domattina. Il colonnello vuole che torni soltanto
per sabato sera e mi raccomanda di andare anche da mamma, mentre i birichini ufficiali
132
Sulla costa meridionale di Monte Novegno, verso Schio.
57
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non mancano di azzardare le loro frasette un po' scolacciate, tanto per farmi arrabbiare.
Sempre così questa gente. Ah! Quanta e quale depravazione! Non un discorso dove non
si possa non parlare di donne. Morbosità insaziabile. Oh! Quanto ha bisogno di riformarsi
l'odierna società! A brevi passi dalla morte, pur consci degli infiniti scampati pericoli, si ride, si scherza, ci si diverte senza scrupoli solo perché si è giovani. E pazienza ancora i
giovani, ma il brutto si è che i vecchi pure, i padri di famiglia, scapoli anziani ci guazzano in
quel mare tempestoso fatto di melma e luridume. E non c'è verso di attutirne gli sfoghi. Il
più piccolo segno di rimostranza o d'incompatibilità accende gli spiriti, e son mali peggiori.
16 agosto 1916
Non ho chiuso occhio in tutta la notte, pregustando il contento dei miei cari che mi avrebbero rivisto dopo tanto tempo. Prima ancora delle quattro sono in piedi. Alle quattro e
mezzo inizio la santa Messa che celebro dinnanzi a un bel quadro della Madonna di Pompei in una cucina grande della casa ospitale.
Sono le cinque e mezzo quando mi metto in viaggio giù per la strada carrozzabile e, per
sentieri e per mulattiere, attraverso boschi e prati, a tutti domandando quanto disti ancora
da Schio. Affido ad un salmerista del 218° Fanteria la mia borsa per camminare più libero
ementre quello continua sulla stradale, col suo carretto a mulo, io mi avvio per strade traverse nella speranza di far più lesto. Purtroppo perdo del tempo e arrischio di smarrirmi.
Quando ritrovo la stradale, il carretto è già lontano laggiù alle prime case della cittadina e
mi aspetta. Coll'automobile borghese raggiungo Vicenza che, approfittando di breve ora
d'attesa del treno, attraverso in tram desideroso di conoscerla un poco. Visito pure il Duomo che non presenta nessun lato importante. Alle 10.45 arriva il diretto per Milano con parecchi minuti di ritardo. Avrò compagni carissimi di viaggio tre confratelli cappellani: uno
degli Alpini, dall'Inizio della campagna fino a 15 giorni fa col suo bel battaglione. È un ottimo sacerdote piemontese, parroco di Cherasco133. Aspetto venerando, barba e baffi fluenti, occhio tranquillo ispirato a pietà. L'altro [é] un veneziano. Ferito mentre trovavasi coi
suoi bersaglieri, oggi è cappellano d'ospedaletto. Aspetta di sentirsi ristabilito per ritornare
al fronte. Anche un frate ci accompagna: cappuccino, un grosso frate pur esso cappellano
di reggimento fino ad alcuni mesi fa, poi ridottosi in un ospedaletto perché impossibilitato a
continuare quella vita movimentatissima e di stenti. Ha circa trentanove anni, grasso molto, dall'aria spigliata. È persuaso che la guerra è agli sgoccioli. Mi parla di certi suoi sogni
che hanno avuto perfetto successo in altre circostanze. Con questi e con due signori, marito e moglie, pure del nostro scompartimento, si parla di politica, di militarismo, della vita
di trincea e si fan pronostici sulla durata della guerra tremenda. Il più ottimista sono io che
la fisso a breve scadenza. Forse è il pio desiderio di veder cessare tanto castigo tremendo
e il fatto di molte offerte promesse per la mia chiesina, offerte che andrebbero in fumo
qualora la guerra si protraesse oltre il settembre. A Verona sale e si mesce a noi il capitano Guaschetti già del mio reggimento e poi andato all'ospedale ammalato.
Sono le sedici quando un lungo fischio e più un masso enorme di case bianche ci parlano
di Milano vicina. Già siamo ai sobborghi, alle prime vie piene di movimento. Il treno corre
veloce, rombante sui ponti in ferro. Entra sotto l'immensa tettoia fumosa tra frastuoni assordanti di ferri cigolanti, di sirene urlanti, di ordini echeggianti, di ordigni stridenti. Il cuore
mi batte forte forte. Mi sento preso da non so quale novella energia. Dall'occhio stanco
133
In provincia di Cuneo.
58
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deve tutta irradiare la gioia che mi inonda: il volto annerito deve pur esso avere un atteggiamento di grande contento di soddisfazione intima.
Milano! L’ho salutata il gennaio scorso facendo ritorno al fronte dopo la licenza134 in una
notte fredda tra il chiaror di mille luci, l'ho vista scomparire all'orizzonte bella, magicamente
grandiosa nella sua immensità nera sotto una gran cappa diafana. Con me portavo nel
cuore dolci affetti, ricordi indimenticabili, una fiducia sovrana di rivederla ancora e l'ho riveduta di fatto oggi in una gran festa di sole, sempre vivace, spensierata sempre. Ne ho
passeggiate le vie magnifiche, vibranti ancora del desìo di gaudio per le grandi vittorie del
Trentino e dell'Isonzo. Le molte bandiere spiegate ancora dai grandi palazzi, dai sontuosi
alberghi dicono l'entusiasmo di quei giorni solenni. Il tricolore sventolava pure a Gorizia intrisa di sangue, polverosa tra le rovine immense. Giovani forti ve l'avevano portato in un
parossismo d'eroiche lotte, sotto un diluviare di ferro e di fuoco. La bella città dell'Isonzo
avrà palpitato all'unisono col cuore d'Italia: Milano grande! L'incontro con gli amici è pieno
d'ineffabile contento dall'una e dall'altra parte. Ma chi più di tutti gode è il carissimo prevosto di San Tomaso135 che mi abbraccia e mi bacia coi goccioloni agli occhi. Il silenzio mio
degli ultimi giorni l'aveva impensierito e ad ogni momento si aspettava la terribile notizia.
Quanto non godette trovando, non una lettera ma don Folci stesso! Sul tardi venne un giovane ufficiale mio amico, sottotenente Sandro Mariani. Dapprima col prevosto e poi noi
due soli, in giro per la città. Il caro figliuolo aveva bisogno di sfogarsi. Un cuor d'oro, un
animo gentile, combattuto.
17 agosto 1916
Sono le 6.20 quando arrivo in stazione. Prendo il biglietto e corro al treno. Prendo posto su
una carrozza di seconda classe, un fischio stridulo della vaporiera lacera l'aria bruma: il
treno parte. Bovisa136… Saronno. Quei soliti ragazzerti che corrono lungo la linea offrendo
i rinomati amaretti di Saronno e biscottini di Novara. Saronno mi ricorda un periodo di
quindici giorni passativi da soldato richiamato l'anno 1914. Ricordi di allegre scampagnate.
Avevamo un maresciallo dall’anima facile. Un buon pranzo offertogli nel collegio arcivescovile ce l’ebbe guadagnato completamente. Tutte le mattine celebravo nel bellissimo
santuario della Madonna delle Grazie. Eravamo molti preti richiamati anche allora. Pur di
non restare senza Messa, una volta la celebrammo verso l'una di notte e poi partimmo,
zaino in spalla, per Milano. Dopo Saronno il treno tocca tutte le stazioni. I viaggiatori sono
pochissimi. Eccoci a Malnate137. Sono tentato di discendere: non vedo nessuno e proseguo.
Quale trasformazione, giù nella valle d'Olona! La nuova ferrovia ne ha rotto la quiete e la
gaiezza naturale. Oggi non lavora molto, essendo chiuso ormai il commercio con la Svizzera. Vicino al vecchio, i signori Conti stanno erigendo un nuovo grande caseggiato, fabbrica di gingilli bellici. Sul ponte in ferro, il treno rallenta per poi riprendere più veloce entrando nel bosco. Eccoci a Varese, gentile, come una fanciulla sempre vestita a festa, tra
la verzura lussureggiante di colline incantevoli tutte a giardini, macchiettati di bianche ville,
134
Vd. sopra, p. 21, n. 53.
135
Vd. Sopra, p. 5, n. 3.
136
Stazione periferica di Milano, nella zona nord della città.
137
Nei pressi di Varese, paese nativo della mamma di don Folci.
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di graziosi paesini. L'artistico campanile erge maestoso la sua guglia al cielo dove par si
immerga in un sereno cupo di cobalto. Ecco lassù Campo dei Fiori e, più in basso, il Sacro
Monte col suo santuario dai grandi ricordi, centro di mille pellegrinaggi devoti. Lo stradale
immenso discende quasi nastro serpeggiante, rotto dalle storiche cappelle: ora anche da
molte case che tutte hanno popolato il monte, riducendolo ad una immensa città spensierata. La poesia paradisiaca che un tempo suscitava e riposava l'animo agitato di chi accorreva a visitare la taumaturga immagine oggi non è più possibile goderla. La civiltà vi ha
portato tutto il conforto di una vita cittadina. Pur lassù all'ombra del sacro recinto si sferra
l'insana cupidigia mondana. Tramvie e funicolari vi portano un numero infinito di forestieri
affascinati dal panorama incantevole. Quante volte ci son salito lassù! Piccino ancora coi
parenti, a piedi si partiva da Malnate nella notte e lassù si arrivava in processione, poi
chierichetto! E finalmente prete. Una delle prime sante Messe lassù l'ebbi celebrata, Dio
mio! Ricordo con qual sacro terrore d'insieme, con qual effluvio di affetti soavi! Quali lacrime, quali sospiri! Più guardavo alla Madonna e più mi sentivo rapire! Incontro mio zio don
Carlo138 nella chiesa di san Vittore139. Dall'occhio fatto umido traspare tutta l'intensa gioia
della bella improvvisata. Lui e altri sacerdoti mi tempestano di domande. Appresso dico io
prima la santa Messa. Parenti e amici sono visibilmente soddisfatti di rivedermi e ascoltano con vero raccoglimento il mio fiume di eloquenza. Gli occhi dei passanti sono tutti sul
prete che sotto la sottana nera veste la divisa militare, lasciando scoperte le mostrine della
giubba. È tutta una festa, troppo breve. Alle quattordici e minuti sono di nuovo in treno e
riparto per Malnate dove arrivo verso le quindici. Anche qui, breve visita a parenti e amici.
Don Severino140 e la vecchia casa Sonzini141 hanno la preferenza. Comprendo quale e
quanto bene mi si voglia. Verso le sei, mentre mi preparo per raggiungere Cagno in carrozza, un violentissimo uragano si scatena: acqua, vento, grandine. Un turbine pazzesco.
Strilli di donne che escono in quel momento dai laboratori. A casa nessuno mi aspetta: il
mio telegramma da Milano è arrivato solo stamane e l'attesa era per l'indomani. Mamma e
papà mi abbracciano piangendo, Mario142 e tutti sono felici. Il prevosto pure.
18 agosto 1916
È quasi il tocco quando vado a letto. Ho vegliato con mamma. Quante cose ci siamo dette!
Santa la mia mamma! È stata felice di sfogarsi col suo don Giovanni. Le parve un sogno
la mia presenza a casa mentre lassù sui monti e sull'Isonzo infuriava la battaglia. Verso le
138
Don Carlo Sonzini, fratello della mamma di don Folci. Nasce il 24 giugno 1878 a Malnate (Va). Di animo
pio e comportamento retto, già a otto anni manifesta al proprio parroco il desiderio di farsi sacerdote. Frequentato l’Oratorio di San Carlo a Milano, nel 1892 entra nel seminario di Seveso, poi compie gli studi liceali
a Monza. Nel 1898 passa al Seminario Maggiore di Milano ed è ordinato prete il 1 giugno 1901 dal Cardinal
Andrea Carlo Ferrari. Fu vicerettore, prima al Collegio di Arona, poi al Seminario di Seveso san Pietro. Divenuto, quasi in coincidenza con l’ordinazione di don Folci, canonico a Varese, si dedicò ad un aspostolato intenso soprattutto nell’ambito femminile, attraverso corsi, predicazione e confessionale; fu direttore del nuovo
settimanale cattolico “Luce!”. Fondò una “casa per le domestiche”, le “Ancelle di san Giuseppe”, ed ebbe
un’attenzione particolare per i preti anziani ed anche una cura – umanissima – per le loro domestiche e parenti, rimaste sole e in povertà.. Morì nel 1957, sei anni prima di don Folci.
139
È la chiesa principale della città.
140
Don Severino Lazzeri, parroco di Malnate.
141
La casa della famiglia materna.
142
Il fratello maggiore.
60
!
nove con mamma parto per Solbiate143: ci accompagna Mario col suo cavallo. Quante volte ho fatto questa strada medesima a piedi o in carrozza. Quante volte, attraverso le fitte
boscaglie delle brughiere, tra l' allegro cinquettio degli uccelletti e il sussurrar di ruscelletti
freschi, striature d'argento sul verde tappeto della foresta. E quando arrivavo lassù al ridente paesello, incantevole, godevo il sorriso e la cortesia di mia sorella e del cognato
amatissimi. Ora non sono più144. Ero convalescente, allora, quando il lieto sposalizio ebbe
luogo e ricordo il mio interessamento per il trasporto della roba della buona sorella; il vuoto
ch'ebbe lasciato in casa nostra la sua dipartita. Ricordo la nota gaia, sempre inseparabile
compagna a quel folletto di ragazzo, semplice in tutto ma un vero rubacuori. Ogni giorno
cresceva la clientela e l'affezione, d'attorno a lei, ammirata per le sue belle doti, per il suo
spirito pieno d'intelligenza. Ebbe dolori, guai che annebbiarono la sua giovane esistenza
sottoponendola a dure prove. Dopo una vita intensa, mentre fiorivano le aziende domestiche, ai due sposini sorrideva bello l'avvenire, un male terribile, atroce strappava allo sposo
adorato, all'ottimo Giacomo, la compagna, ai genitori l'unica figlia, a noi fratelli l'unica amatissima sorella. Ricordo il novembre triste dell'anno 1913. Ero alle prime armi del mio apostolato parrocchiale. Un telegramma laconico mi chiama presso la sorella gravemente
ammalata. L'avevo vista l'ultima volta in una visita fattami lassù a Valle: già d'allora soffriva
acerbamente e la sua vitalità esuberante non dava che qualche sprazzo. La catastrofe si
avvicinava a gran passi: ne ebbi un presentimento doloroso. Il 17 novembre, nelle prime
ore del mattino entrava in agonia affranta da sofferenze atroci145. Le stavo vicino, assistendola d'ogni cura materiale e spirituale. Ogni istante che passava l'avvicinava irrimediabilmente all'eternità: lentamente ma irremissibilmente si affievoliva in lei la vita. Ormai
più non risponde. Scossa e riscossa non dà segno di sentire. Accorre il caro Giacomo per
vederla un’ultima volta, per ascoltarne le ultime voci: ormai è tardi. Quand’egli appare sulla
porta della stanza, Carolina non è più. Calma, della calma della morte, ha emesso l'ultimo
sospiro leggero leggero. Lo sposo desolato le è al collo, la solleva, la chiama, la invoca:
silenzio di tomba, straziante, angoscioso. "Don Giovanni oggi fa quattro anni per noi era
gran dì di festa, tua sorella diventava mia sposa ed ora non è più". "Vive ancora, mio caro
- gli rispondo io - ella ti attende lassù nel cielo dove godrai con lei gioie purissime". Dio
mio! Troppo presto lo sposo ha raggiunto la sposa! In una generosità di virtuoso patriottismo, ammirevole in lotte aspre sanguinose per la grandezza di quella patria ond’egli era
tanto fiero, egli è pur morto, il carissimo Giacomo. Sulle balze tormentate del Trentino, nella battaglia grande che tratteneva la baldanza irruente del nemico di nostra terra, egli cadde da vero eroe il maggio scorso! Non è più! Non lo vedremo più quaggiù! Più non godremo del suo alto spirito e nobile! Egli è morto lasciando un vuoto immenso in noi! Amico e
fratello indimenticabile! Era maturo pel cielo e Iddio lo volle riunito, nella sublime bellezza
del sacrificio per la patria, alla sposa amatissima.
A Solbiate troviamo la santa delle nostre famiglie, la buona Silvietta, la vedova madre di
Giacomo. Ella è veramente una martire del dolore, un esempio sublime di rassegnazione
cristiana. Quanta virtù in quell'anima che spazza dagli occhi tutto un effluvio di grandezza
pura e di santità celestiale!
143
Località al confine tra la provincia di Varese e quella di Como, nei pressi di Cagno.
144
L'unica sorella di don Folci, Carolina, sposata a Giacomo Monti di Solbiate, era morta nell'autunno del
1913. Il marito Giacomo era caduto in guerra a maggio: vd. VARISCHETTI, pp. 11-12 e sopra, p. 37.
145
In realtà Carolina Folci Monti morì nelle prime ore del 16 novembre 1913.
61
!
A Caccivio146 pure ci fermiamo a salutare vecchi e cari amici di casa nostra. Pur qui son
dolori! La ricchezza non ha tenuto lontane le prove della divina Provvidenza! Si soffre sostenuti dalla fede. Sono giovani signorine orfane di tutti e due i genitori, il fratello è sotto le
armi al fronte. Sole disimpegnano un mondo d'affari, continuano una ricchissima azienda
lasciata loro dal padre solertissimo. Ed eccoci a Como! Quanti ricordi!147
19 agosto 1916
Col padrino mio carissimo faccio il viaggio Como - Milano dove arriviamo verso le otto e
dove celebro la santa Messa in San Tomaso. Il prevosto mi attendeva fin da ieri sera,
avrei pranzato con monsignor Cazzani, vescovo di Cremona148. Pazienza! Giro per le poche compere e poi col prevosto, via all'arcivescovado. Sua eminenza149 è soddisfatto della
visita dell'umile cappellano. L'udienza è breve, dato il numero delle persone che attendono
il loro turno per essere ammesse, ma lascia in me un ricordo soave, indimenticabile, del
grande uomo, tanto grande vescovo e tanto umile. A me benedice e a tutto il mio reggimento. Parto felice. Tutto è pronto; la carrozza pure. Ci saliamo, io, prevosto e don Rinaldo e via alla stazione. Ancora pochi minuti per restare assieme ma ormai è l'ora. Un abbraccio affettuoso e ci lasciamo coi migliori auguri. Gli occhi del venerando prevosto scintillano di lacrime. "Fra tre mesi - grido io - arrivederci definitivamente in un ritorno di gloria".
Sarà?! Il treno direttissimo fugge attraverso la campagna immensa, l'occhio non regge più
alla stanchezza: dopo alcune chiacchiere fatte con un sottotenente di Artiglieria, mi accomodo e mi addormento.
Mi sveglio a Brescia. Oggi più che mai ho gustato la bellezza del Benaco150 nella sua corona di montagne maestose, di colline incantevoli, nella sua vasta distesa d'acqua quasi
un immenso mare d'olio. Desenzano riposava tranquilla in un'atmosfera calda, d'azzurro
terso. Quanta pace! A Vicenza, mentre attraverso la città per raggiungere la via di
Schio151, ho la bella sorte di incontrarmi col caro Bottinelli che esce da una chiesa con altri
due chierici. Ci avviamo assieme, lieti di passare qualche tempo assieme ed ecco, un'automobile ci è alle spalle. Domando la destinazione e parto, salutati cordialmente gli amici.
La macchina fila velocissima. È un piacere. In breve ora siamo a Schio. Appena fuori la
cittadina trovo un altro autocarro che mi porta su su fino a case Bogotti152.
146
Sulla strada che collega Varese con Como, in prossimità di quest'ultima.
147
A Como don Folci aveva frequentato il seminario dal 1904 al 1913, e aveva ricevuto l'ordinazione sacerdotale.
148
Giovanni Cazzoni, vescovo di Cremona dal 1914 al 1952.
149
Il beato card. Andrea Carlo Ferrari, già vescovo di Como (1891-1894), quindi arcivescovo di Milano
(1894-1921).
150
Più comunemente noto come lago di Garda.
151
Dopo la licenza, don Folci sta tornando al proprio reggimento, sul fronte trentino a nord di Schio.
152
Località a circa 900m. slm. sulla strada che da Schio sale a Santa Caterina.
62
!
20 agosto 1916
Una prima santa Messa la celebro al comando di reggimento. Assistono anche molti borghesi. La seconda verso le nove ai due battaglioni, dopo la rivisita del colonnello. Non
predico, avendo parlato prima il colonnello stesso.
24 agosto 1916
A Monte Novegno salgo solo col mio attendente. Man mano si sale più l'orizzonte si allarga e diventa affascinante il panorama. Temo di far aspettare, ma fortunatamente la santa
Messa è fissata per le ore undici. Gentilissimo, il colonnello comandante il presidio vorrebbe mi fermassi per tre giorni per dare così occasione di sentire la santa Messa a tutti i suoi
soldati e di confessarsi e comunicarsi a quanti desiderano. Le ottime sue disposizioni e i
suoi sentimenti calmano le agitazioni del mio spirito dubbioso sul felice risultato della gita. I
soldati incominciano ad affluire dai lavori. Sono reparti del 37° e del 38°: soldati del Genio,
artiglieri. Terribili giovani, belli, sorrisi dalla freschezza di energie nuove, di cui è ricca la
montagna, uomini fatti con nell'occhio grande un'espressione intensa di affetti per la famigliola lontana. Volti bronzei cotti al sole in una diuturnità di lavori sudati cui fu premio la
pace dell'anima e una mensa frugale, attorniata da visioni di paradiso, il frutto di affetti puri
e santi. Lo spettacolo è commovente. L'immensa turba maschia è stata disposta a circolo:
su verso l'alto della bella conca l’altarino e il sacerdote celebrante. Nel mezzo gli ufficiali.
Un tintinnio irrequieto di campanello richiama gli occhi di tutti sull'ara santa. La santa Messa incomincia tra il più religioso silenzio rotto a tratti dal brontolio sordo di qualche cannonata lontana.
25 agosto 1916
Oggi festa in casa dei miei buoni ospiti. Corre la festa della Madonna di Monte Berico153
della quale sono devotissimi, come tutti i vicentini. L'uditorio alla santa Messa è più numeroso del solito. Alla consumazione faccio la santa comunione a tre soldati e la porto a
quattro inferme della famiglia. Quanta fede in questa gente umile! Quale rassegnazione!
Non una parola di lamento! Il genero e il figlio sono sotto le armi, le due spose sono costrette a letto da malattia: così la mamma e una figliuola, mentre un bambino è agli estremi. "Che dunque? Dio ci ha dato la salute e può togliercela a suo piacimento. E non abbiamo peccato noi? Che diritto abbiamo di lamentarci mentre egli, innocentissimo, ha dovuto morire martire tra due ladroni?" E una delle giovani spose: "Ero troppo cattiva e giustamente il Signore mi ha ora punito. Sapessi almeno trarre profitto per un miglioramento
in avvenire; l'ho promesso, Dio mi perdoni il passato e ***". Oh! Come si sta bene in queste case dove abita il Signore, c'è tutta un'atmosfera di paradiso, non si desidera che di
adempiere in tutto la volontà di Dio. Domandate se furono contente di aver ricevuto il Signore: "Eccome no", mi rispondono, mentre negli occhi lucidi tremola una lacrima. "Qual
altro bene può confortare la nostra povertà tra tante miserie e tenebre?".
Il capo di casa è un caro uomo, forse sulla sessantina, curvo, un po' per le fatiche e per le
sofferenze, brizzolato, quasi bianco, dall'occhio pieno di bontà, specchio fedele di un animo d'oro, delicatissimo. Talora mi intrattiene in ragionamenti pratici pieni di sapienza e di
153
Noto santuario mariano nei pressi di Vicenza, eretto a ricordo di un'apparizione avvenuta nel sec. XV
63
!
esperienza profonda. Ricorda fatti e persone di santa memoria, un tempo vissute, esempi
d'ogni virtù nel paese, veri maestri di educazione cristiana e che, spaventati dall’insano
progredire di false eorie e dottrine (insieme col fiorire delle scienze e delle arti) già da
molt'anni divinarono l'avvento delle odierne sventure sull'umanità.
26 agosto 1916
Giornata buona oggi. Col collega e confratello del 37° combiniamo per la confessione dei
nostri soldati. Verso le quattordici la bella chiesa di santa Caterina va popolandosi fino ad
essere gremita dai bravi nostri fantaccini in atteggiamento umile, dimesso, consci del
grande atto di religione al quale si dispongono. Silenzio quasi di tomba. E sono circa quattocento giovani e uomini fatti, colà raccolti. Sono queste manifestazioni di fede che consolano e confortano il povero sacerdote a restare sulla breccia, a continuare nella prova lunga e aspra. E sono gli stessi uomini che forse alle case loro hanno fatto disperare la moglie, la mamma, durando nell'astensione dai santi sacramenti, trascurando ogni precetto
ecclesiastico. Poveri giovani! Spesse volte non ne hanno colpa alcuna, con tutto il loro
buon volere si son visti circondati da falsi compagni e amici perversi che non sì tosto li incontrarono, con mene e raggiri ne corruppero il cuore e la mente attossicando sullo sbocciare ogni principio buono.
Oggi tornano chiamati dalla voce di Dio, col proposito fermo di voler ridiventare quali furono un tempo. Pregano e piangono e non sapendo che dire perché l’abitudine ormai ha fatto dimenticare anche le prime preghiere, sospirano e gemono oppressi dalle loro colpe.
Guardateli appena dopo la confessione; fissateli negli occhi grandi: sono felici. Volti tutti
rasserenati, riverbero d'anime placide!
27 agosto 1916
Dico prima la santa Messa al campo durante la quale comunico i confessati di ieri sera.
Non sono tutti, parecchi sono già andati alla chiesa, altri han rotto il digiuno. È uno spettacolo commovente. Ginocchioni per terra, l'occhio inumidito, diverse le mani sul petto, tutti
composti in un atteggiamento pio, raccolto, compresi della solennità del momento. La sfilata continua sotto gli sguardi dei commilitoni, pur essi commossi. È piena di insegnamenti
la bella funzioncina e val più di una predica. "Verba movent, exempla trahunt”154, sono
queste le parole che mi ispirano nel mio breve dire.
E anche la giornata d'oggi passa lasciando nel cuore un dolce ricordo, soave, un intenso
desiderio di sè.
11 settembre 1916155
Verso le due mi sveglia un furiosissimo bombardamento. Sono tutte le nostre batterie che
si sfogano in un fuoco violentissimo per circa un quarto d'ora. Si prepara un nuovo assalto
delle nostre truppe che di fatto fanno un altro sbalzo innanzi. Il cielo è andato caricandosi
154
"Le parole commuovono, ma gli esempi trascinano". Proverbio latino, più usato nella versione: "verbo
docent, exempla trahunt": "le parole insegnano, gli esempi trascinano".
155
GU3, pp. 1-17
64
!
di nuvoloni neri che ci regalano a volte a volte certi scroscioni d'acqua da mettere a dura
prova le nostre tende. L'azione resta così impedita nel suo ulteriore svolgimento; quando
gli Austriaci ritentano la conquista del perduto, una nostra sfuriata di proiettili d'ogni calibro
annienta ogni loro sforzo.
12 settembre 1916
Circa il meriggio, passeggiando con un nuovo arrivato, ebbi altra solenne conferma di quel
che possa la religione nei momenti difficili della vita. È un giovane modesto, senza apparenza aristocratica, figlio di qualche famiglia del popolo arrivata ad una certa agiatezza sociale a furia di sacrifici e di guadagni onesti. Il ricordo della mamma lontana l'ha sempre
fatto piangere e fu sempre scrupoloso d'essere fedele a certe pratiche di pietà imparate da
bambino e che in ogni scritto la buona genitrice ancora gli inculca, ben pensando di quali
aiuti superni abbisogni il figlio suo. Prima che al 38° appartenne al 218°; avanti la formazione di quest'ultimo, al 135° col quale fu al San Michele e ad Oslavia156. Nei momenti più
brutti, specialmente quando la vita dipendeva dal miracolo, la sua fede si infervorava, durante l'ore d'ozio di trincea guardava ai suoi pii ricordi e ne rileggeva le orazioni. Assicura
che solo per miracolo potè essere salvo in certe circostanze.
Cominciano le prime voci di cambio. A Salonicco si andrebbe!
Il tempo s'è chiarito a poco a poco, dopo il furioso temporale di stasera e verso le ventidue
una splendida luna brilla di mezzo ad un sereno terso, invitandoci ad un breve passeggio.
Impenitenti sempre i nostri uomini di mondo, spesso stomachevole il loro contegno. Ormai
più li trattiene nessun rispetto, ed in nome di una falsa libertà che non è che una licenza
libidinosa, sfruttano ogni parola, ogni atto per ridere e scherzare a carico d'ogni principio di
buona creanza. Vecchi e giovani sono tutti di una risma, anzi spesso quelli sono maestri a
questi. A tavola, a passeggio, in conversazioni private e pubbliche sempre e dovunque;
appena li modera un poco la trincea dove domina padrona assoluta la morte. Tanto è
sfacciata e provocante la condotta di codesta gente da non mancare neppure che si vantino di certi trionfi d'amori illeciti e di certe nefandezze intollerabili. E nel decantarle non arrossiscono ma vanno a gara nel ricordare i fatti più salienti. Per costoro la donna non è più
il fiore delicato, degno d'ogni rispetto, il fiore olezzante che di sua virtù profuma tutto intorno, non è la bellezza che irradia le qualità divine e rapisce per essere amata e benedetta
compagna all'uomo nelle sue sventure e nelle sue gioie, conforto nelle prove dolorose della vita e mezzo di perfezione. Neppure è l’angelo consolatore della famiglia, centro di quest'idillio sublime e fattura divina, perché d'incomprensibile grandezza e soavità. L'intelletto
di costoro, pur profondo conoscitore di scienze umane, non giunge ad intuire tutte le divine
bellezze della famiglia, gli incanti, i misteri che chiudono le pareti domestiche e che fanno
felice lo sposo, il padre che affaticato torna dal lavoro accolto da un sorriso delizioso, pieno di sincerità della donna che lo ha amato.
Pare che le relazioni mie col colonnello vadano rischiarandosi sempre più. Difatti il buon
uomo a colazione ride e scherza volentieri e a presenza d'altri mi manifesta la nuova di un
altro cambio e probabilmente sul fronte di Salonicco. Ringrazio il Signore di tutto cuore.
Certamente i miei buoni ospiti di Bogotti non mancano di pregare la santa Vergine di
Pompei per me.
156
Sul fronte dell'lsonzo. Il San Michele è una delle prime alture carsiche a sud di Gorizia; Oslavia è un avvallamento situato fra le alture a nord-ovest della città.
65
!
Il pomeriggio lo passo un po' con la corrispondenza un po' al terzo battaglione, dove disimpegno alcune faccende e raccomandazioni e mi intrattengo in cordiale allegria con quei
bravi ufficiali. Davvero il terzo è quello che conta gli elementi migliori. Scherzando, ne
stuzzico qualche difetto, mentre acqueto l'animo del bravo Buffelli giustamente irritato.
Dopo cena si formano le solite compagnie di gioco. lo preferisco fare due passi e mi accompagno col buon sottotenente Cella e con lui ragionando di buone cose mi avvio per la
strada che conduce a Pian delle Fugazze. Dopo alcune centinaia di metri ci incontriamo
con altri due ufficiali che si uniscono a noi. È una di quelle belle notti di montagna piena di
suggestione e di incantesimi. Nel cielo immenso, limpido, senza una nube, troneggia in un
trionfo di luce bianca, smagliante, la luna.
14 settembre 1916
Tardi celebro oggi; non potendo usufruire della solita baracchina, sono costretto ad aggiustare alla meglio l'attendamento della cucina comando, e qui offro il santo sacrificio. Dopo
colazione, col tenente Rizzo mi porto al 3° battaglione e nel ritorno ci fermiamo per assistere al tiro dei nostri pezzi da 75 che coadiuvano l'azione delle nostre pattuglie sul Monte
Maro157 e sul Coston dei Laghi. Così vengo a sapere come uno di quei cannoni possa
sparare fino a seimila colpi prima di frustrarsi, e come possa sparare dai venti ai trenta
proiettili al minuto primo. L'ufficiale che dirige il tiro purtroppo non deve essere all'altezza
della sua missione. Di dodici proiettili sparati alla nostra presenza neppure uno che abbia
raggiunto il bersaglio visibilissimo ad occhio nudo. Le nostre considerazioni al riguardo
sono quindi poco felici.
Giunge l'eco di fucilate e di brevi raffiche di mitragliatrici. Ormai I'allarme è gettato; non c'è
più bisogno che della conferma ufficiale, si parte! Già i soldati hanno udito la magica parola, e la interpretano in modo favorevole. Anche lontano assai da questi monti, in luoghi di
non dubbia asprezza bellica, non mi importa; l'ora di andare in trincea è procrastinata, il
bieco aspetto della morte volge così i suoi passi per mietere altrove altre vittime. Saranno
due, tre giorni, una settimana, d'intermezzo ai fatti nuovi, nel frattempo quante cose nuove
si possono maturare, quali eventi e di qual sorte avvicendarsi che potrebbero essere al tutto favorevoli. Sia dunque il cambio, si parta pure, almeno s'è allontanata ancora di un poco
l'ora del sacrificio. Si parte! Chi osserva il soldato nostro in queste ore d'attesa, lo vede interessato ad ogni discorso degli ufficiali, sbarrati gli occhi, aguzzate le orecchie, tutto l'essere sotto un'agitazione potente, anelante lo spirito a carpire la verità che farà felice e
sanguinante il cuor suo. Negli occhi grandi brilla un'ardenza spasmodica. Basta una parola
intesa a volo, un gesto, un sorriso, una smorfia che sfugga al superiore, e il soldato ha
compreso e va oltre con la sua immaginazione, spesso errando per la troppa facilità di
esagerare. Così che accade di sentirli parlare tra loro e commentare più o meno favorevolmente fatti e cose che appena stanno nella mente degli alti comandi. Si parte! Per dove? Per Salonicco, forse? Le licenze allora? Per l'Isonzo o per il fronte svizzero? Chi ne sa
di più?... La notizia è che si parte, e certamente in treno, perché oltre il numero della truppa e degli ufficiali è stato richiesto lo stato numerico anche delle salmerie e carreggio158.
157
Monte Majo (Ferdinando Calegaro di Costabissara VC)
158
Terminata, nell'estate, la controffensiva sul fronte trentino, l'impegno del Comando supremo tornò a volgersi verso il fronte dell'Isonzo dove, nell'agosto, venne conquistata Gorizia. l movimenti a cui si accenna nel
testo si riferiscono a ulteriori spostamenti di truppe da un fronte all'altro.
66
!
La nostra cena è movimentata più del solito e il fervore delle chiacchiere va aumentando,
quando giunge l'ordine di rientrare ai vecchi accampamenti di Santa Caterina nella notte
sul 15. I battaglioni faranno le tende solo alle prime ore di domani, e intanto si vocia, si
sta allegri, si bevono buone bottiglie alla salute del nuovo fronte. La candida luna va discoprendo fra le frasche le bianche tende donde sale un brusio assordante, e, quasi essere animato, getta fiotti argentei di luce pura quasi sguardi di amorevolezza per tutto
quel mondo di agitazione.
Il chiasso va diminuendo a poco a poco e ad uno ad uno si spengono tutti i lumicini. Un silenzio profondo regna ora sotto le tende, solo odesi lo scalpiccio dei muli sullo acciottolato
della strada, e la voce grossa e sgradevole mista a qualche immancabile bestemmia, dei
conducenti che caricano le cucine da campo, dei soldati e ufficiali e i bagagli delle forerie.
15 settembre 1916
Sono le tre quando ci avviamo, precedendo il 1° battaglione che sta addensandosi sulla
strada. In breve raggiungiamo il terzo che già si è allineato sui margini della strada carrozzabile, ed attende il suo turno di partenza.
Più volte sono fermato e richiesto sullo obiettivo del nostro cambio: perdo così il contatto
col capitano medico e con gli altri compagni di viaggio, senza però potere esaudire le voglie di novità. Il ritardo mi obbliga di fare di corsa un lungo tratto prima di raggiungere l'allegra comitiva che, canticchiando, mi ha preceduto sulla magnifica carrozzabile illuminata
a giorno. A tratti getto uno strido prolungato di richiamo cui risponde l’eco della valle e dei
monti che costeggiano con le loro pareti quasi a picco, ora brulli, ora coperti d'alte boscaglie, dove nelle giornate terribili del maggio e di giugno si annidarono le nostre truppe di
riserva. Ancora si vedono le tracce degli accampamenti.
Ecco un gruppo d’Alpini. Altri si sono buttati sulla strada, altri sull'erba dei prati costeggianti: rumorosi tutti. Tornano dalla battaglia. Finalmente Santa Caterina, lasciamo a sinistra il
paesino e la bianca chiesina: abbandoniamo anche la strada maestra e giù attraverso le
scorciatoie per prati e campi. Dall'alto della torre l'orologio batte le quattro e mezzo. Siamo
attesi, i nostri attendenti ci hanno preparato I’alloggio. Mi butto sul letto ma non dormo. La
gente del vicinato ha chiesto se celebro la santa Messa e tutta contenta della risposta affermativa si fa premura di assistervi devotamente quando verso le nove la dico, come al
solito davanti il quadro della Madonna del Rosario.
16 settembre 1916
L'ora della partenza pare procrastinata. Un po' di calma è entrata in tutti. Oggi intanto devono arrivare circa seicento nuovi complementi. Il colonnello nostro stamane fu a Schio,
ritornò verso le quattro senza alcuna nuova importante. Quando arriva ci trova col capitano Quarra della brigata. Appresso io lascio Case Bogotti e torno ai battaglioni dove vengo
tempestato di domande da soldati e da ufficiali.
Verso l’imbrunire arriva la densa colonna dei complementi. Vengono dal convalescenziario
di Verona, veterani quindi, andati all’ospedale per ferite o per malattie. Sono tutti giovani,
belli e forti, pieni di vivacità. Vengono da diversi reggimenti. Alcuni appartennero già al nostro 38°. Un caporal maggiore è riconosciuto dal colonnello che è andato ad incontrarli e
ottiene di essere rimesso al suo posto in foreria del comando 1° battaglione.
Per domani è annunciato l’arrivo d'altri. Anche stavolta il capitano aiutante maggiore mi
regala un brutto favore per la santa Messa di domani. Si è dimenticato di annunciarla
67
!
sull’ordine del giorno.
17 settembre 1916
Per le nove la santa Messa al campo. Purtroppo alle nove e mezzo appena poche centinaia di soldati circondano il mio altarino. Fremo internamente. Le compagnie rappresentate sono pochissime. È una desolazione! Altri servizi, altri ordini, negligenza e indifferenza
di comandanti. È tanto lo sdegno, che mi sento strozzare la gola da forti singhiozzi. Odesi
nell'aria un forte rombare di motori. L'occhio si affossa nel cielo limpido che va popolandosi di fiocchi bianchi seguiti da scoppi. Uno, due aeroplani austriaci, giocano in larghe volute sulle nostre posizioni, intorno assediati dai nostri cannoni. Finalmente anche un nostro
Caproni159 compare nella sua massa lenta dai colori smaglianti del nostro emblema nazionale. Attendo ancora per brevi minuti poi principio la santa Messa che termino leggendo
l'ultima circolare del Ministro di Guerra, generale Morrone, contro la bestemmia e il turpiloquio. Nel pomeriggio, con un camion vado fino a Pulleo160 dal caro collega del 37°. Mi racconta la vita sua nei giorni trascorsi a Malga Fieno161 e nella trincea del Pasubio. L'inferno
del bombardamento nostro e nemico nella giornata del 10, quando i nostri tentarono d'allargare le posizioni del Pasubio fino al Colle Santo, senza però riuscire nell'intento, dato il
tempo pessimo e la nebbia folta. Vicino al posto di medicazione reggimentale passò la
lunga colonna dei feriti ch’ei tutti volle vedere, confortando con buone parole; lo impressionò specialmente una barella portata da quattro alpini e seguita da un caporale. Appena
ebbe vicino il doloroso convoglio domandò di che si trattasse e perché tenessero il povero
ferito tutto coperto. Con la più viva angoscia apprende che è il cadavere del povero ed
eroico cappellano del Battaglione "Exilles"162 morto vicino ai suoi soldati in prima linea.
Segue il prezioso carico e il giorno dopo celebra la santa Messa e poi dà onorata sepoltura al martire che passò.
18 settembre 1916
La mattina del 18 mi sorprende fuori dal letto avanti il sorgere del sole. Tanta furia per
aspettare tanto. Pazienza! È il solito di questi ordini precipitati! Per l'ultima volta celebro in
casa dei miei buoni ospiti commossi e dolenti per il mio partire. Alle nove in punto parte il
3° battaglione. Lo assisto sfilare lungo la bella strada tutta a tornanti, bianca ed assolata
che da Santa Caterina porta a Schio. Ordinati e puliti, marciano che è una meraviglia. Gli
altri due battaglioni si mettono in cammino alle undici e con loro il comando. In sella al
159
Velivolo trimotore italiano da combattimento.
160
Poleo, frazione di Schio (Ferdinando Calegaro di Costabissara VC)
161
Malga sopra il valico di Pian delle Fugazze (Ferdinando Calegaro di Costabissara VC)
162
Famoso battaglione alpino. Il cappellano dell'Exilles era Don Emilio Ponte di Giaglione (TO),
medaglia d'argento: Sotto il violento fuoco di mitragliatrici, fucileria e artiglieria avversarie, si recava
ripetutamente ai reticolati nemici per raccogliere dei feriti e portarli al posto di medicazione. Ben 10
feriti furono così da lui tratti al sicuro. Mentre però serenamente attendeva alla pietosa missione,
cadeva colpito a morte dallo scoppio di una granata avversaria. Coston della Lora (Pasubio) 10
settembre 1916. Aveva 28 anni (P Angelo Mazzardi, di Brescia)
68
!
primo marcia la fanfara improvvisata. Suonano, quei cari figlioli, e l'eco ripetuto dalle valli e
dai monti fin giù alla pianura mette in tutti una nota gaia e vivace. A Schio ci fermiamo un
poco ed io ne approfitto per visitare il Duomo. Un magnifico chiesone, raccolto in una semioscurità che avvince l'anima al Dio vivente nel tabernacolo santo.
22 settembre 1916
Oggi giornata di soddisfazione per il comando. Alla rivista passata da sua eccellenza il generale Bertotti riuscita magnificamente e con piena soddisfazione dell'illustre personaggio,
si accompagnò la notizia ufficiosa della proficua promozione a maggior generale del colonnello nostro. Poi le congratulazioni vivissime del nuovo comandante la divisione general
Cocco, sinceramente ammirato per la perfetta organizzazione dei servizi logistici, per la
disciplina e bella presenza delle truppe del nostro reggimento. Una parola più diffusa merita la visita di saluto del tenente generale Bertotti.
Il reggimento sta bellamente schierato in campo aperto diviso per battaglioni, ben distinte
le compagnie. Nel centro, attorniata dalla guardia d'onore, la bandiera del reggimento
sbattuta dal vento, bella nei suoi colori smaglianti. Uno scrosciare improvviso d'acqua minaccia la riuscita della funzione. La doccia importuna persiste per più minuti; quando cessa, un fischio di sirena annuncia l'arrivo di un'automobile nera portante la bandierina verde
segnale dei comandanti di corpo d'armata. Svelto svelto scende sua eccellenza accolto da
tre squilli poderosi di tromba cui risponde il "Presentate le armi!" del colonnello. Il momento è solenne. L'immensa folla di teste umane sta immobile, fisso lo sguardo, "Le armi
avanti" "le armi al piede" tuona la voce del colonnello ripetuta dai comandanti i battaglioni.
Uno scatto unico ritmico risponde e la selva dei fucili si abbassa. Il generale passa in rivista il 1° battaglione e qualche compagnia del secondo. Tutto è in ordine perfetto!...
69
!
Di nuovo sull’Isonzo
(ottobre 1916 - gennaio 1917)
3 ottobre 1916163
Il cannone, che ha tuonato quasi tutta la notte in sordi prolungati brontolii, martoriando le
posizioni nostre e avverse dal Cimone a tutto l'altipiano di Asiago, va smorzando la sua intensità. Sui monti domina fitta la nebbia.
Si parte!
La parola d'ordine è! stata data, improvvisa, inattesa. Ci colse tutti in braccio a Morfeo,
stamane, nelle prime ore del giorno, chiuso ancora nei tenebrari della notte, sotto un cielo
plumbeo, di pioggia. Volano gli ordini e le istruzioni emanate dal comando, portate dai ciclisti ai diversi reparti dipendenti. La parola magica vien ripetuta alla truppa dalle trombe
squillanti la sveglia nell'aria umida.
Si parte. Per dove?! E quando?! In giornata. Anzi, tra qualche ora appena. Le opinioni più!
diverse corrono di bocca in bocca, congetture strampalate; nomi risuonano nell'aria che
rappresentano distanze immense. Ferve intanto il lavoro in tutto il campo. Si afflosciano le
tende, poi scompaiono; arrotondate con le coperte, eccole sugli zaini, già!affardellati.
Il 1°! battaglione muove. Son le sei e mezzo. Un'ora appresso truppa e carreggio sono sul
trento che parte, fischiando. Segue, dopo due ore, o poco più, il 2°! battaglione. Quanti assistono alla partenza del bel reggimento, sono sinceramente ammirati per l'ordine perfetto
e per la disciplina che governa tutto, persone e cose. Il fatto reca tanta sorpresa che provoca un elogio dai comandi superiori.
A gran passi si avvicina pure l'ora della nostra partenza. Corro a salutare un dotto e carissimo sacerdote conosciuto in questi giorni di riposo nella cittadina di Thiene164. Ci separiamo con la promessa di un perenne ricordo di preghiera e di corrispondenza. Nell'occhio
del prete santo brillano due lagrime. "Arrivederci e coraggio, caro don Giovanni". "Arrivederci - ripeto io - Dio lo voglia! In terra, altrimenti in cielo!".
Sono le quattordici e mezzo precise, quando il nostro treno lascia la stazione di Thiene.
Addio, cittadina vezzosa, cui minacciò! indarno la rabbia austriaca di travolgere nella sua
grandine offensiva! Addio, o salvi per miracolo di Dio e per virtù! di petti forti, di quei generosi soldati nostri che ben possiamo chiamare proiettili umani! Addio! Ti benedica il Signore. Come ti protesse nella tua libertà! italiana dai nemici d'oltralpe, ti difenda ora e specialmente contro i nemici spirituali ti conservi pia e forte; brilla fulgida stella nel cielo smagliante della Chiesa vicentina per l'avvenir come lo fosti nei secoli passati. Non ti dimenticare
163
GU9. Il diario viene introdotto con una lettera - che occupa la prima pagina - di don Folci allo zio don
Sonzini: "Carissimo zio don Carlo, perché non vi sia più lacuna nel mio diario ho pensato bene di scriverlo,
mandandolo a te per lettera, con tutte le impressioni e le considerazioni suggeritemi dalle diverse circostanze. Vivrai così meco tutta la mia vita di sacerdote tra il fragor delle armi potenti e le lotte aspre dello spirito.
Sarà anche il miglior testamento mio, se la bontà del Signore vorrà sacrificar me pure all'etema sua gloria.
Ti conforterà poi il sapermi sempre sano e di spirito gioviale. A te il bacio affettuoso del nipote riconoscentissimo e del fratello in Cristo Gesù. A parenti tutti, auguri e saluti". In effetti, alcuni brani del diario dell'ottobre
1916 saranno pubblicati su "Luce", il giornale diretto da don Sonzini, nel numero del 19/1/1917.
164
Ai piedi dell’altipiano di Asiago, nei pressi dell’imbocco della Val d’Astico.
70
!
che da te sortì! un san Gaetano da Thiene per il quale particolarmente il tuo nome è! gloriosamente conosciuto in tutto il mondo cattolico165. Sii tu sempre figlia degna di tanto padre !
La ferrovia attraversa una campagna lussureggiante con lunghi filari di viti, seminata di
bianche casine, di cascinali anneriti dalle intemperie del tempo; piccole borgate e paeselli
rallegrati da ville civettuole; cittadine allegre, chiassose, dominate da belle chiese e dai
campanili che par raccolgano in sé! tutti i gemiti, i sospiri e le preghiere delle popolazioni
attorno per lanciarle con arditezza sorprendente verso il cielo immenso col mesto scampanio dell'ave della sera. Dai prati verdi muovono verso le stalle magre giovenche e buoi
scarniti, condotti da timide fanciulle in vesti vivaci o da garzoncelli inquieti. Il quadro tutto
mi suscita in cuore un'infinità! di pensieri e di sentimenti nostalgici. Riveggo i pascoli di Valle e tutta la turba spensierata dei miei piccoli parrocchiani, ne sento i canti ripetuti da mille
echi montane. Sull'immensa pianura incombe precoce un velario grigio e umido di notte
profonda.
A Sussegana166 il colonnello apre, come d'ordine, il plico che dirà! l'ultima nostra destinazione. Gli siam dattorno curiosi, per quanto la via seguita finora dal nostro treno militare ci
abbia parlato del fronte Isonzo, con realtà! implacabile167: di fatto san Giovanni Manzano
sarà! la stazione dove fermeremo168. Dunque un'altra volta169 passeremo l'Isonzo per batterci o sul Carso spaventoso o oltre Gorizia, contro i santi170 che alla bella città! redenta
tante piaghe, sanguinanti arrecano ogni giorno.
La cena riesce oltremodo allegra, poi ciascuno riprende il proprio posto. Viaggiamo in prima classe, due per scompartimento, cosicché!ci si può!riposare bene e comodamente.
4 ottobre 1916
Sono circa le due quando mi sveglio. Ho le membra tutte intirizzite. Ormai non dobbiamo
distar molto neppure da San Giovanni, inutile quindi ritentare di dormire: d'altra parte mi
sento un certo freddo per le ossa che non me lo permetterebbe. Attendo per poco assai.
Una voce risuona: "Sveglia, sveglia, signore, si scende. San Giovanni, San Giovanni Manzano!". Eccoci in cammino. Un chilometro o poco più! a piedi e siamo a Bolzano171 dove
facciamo alt. Su uno stesso letto ci buttiamo vestiti io e un altro ufficiale (necessità! della
guerra) e, in un dormiveglia inquieto, senza aver punto riposato, ci sorprendono le voci incomposte dei soldati che prendono il caffè. Lontano tuona il cannone!
165
Gaetano da Thiene (1480-1547), è un protagonista di quel profondo rinnovamento della Chiesa che precedette e accompagnò la Riforma protestante e che viene definito, comunemente, "Riforma cattolica". Segretario particolare di papa Giulio II, aderì in seguito all'opera di rinnovamento religioso fondando dapprima
anche a Roma la "Compagnia del Divino Amore" nata a Genova, i cui membri si dedicavano a opere di carità, e costituendo in seguito un nuovo istituto di chierici regolari detti poi "Teatini".
166
Alle porte di Treviso.
167
Gli spostamenti di truppe dal fronte trentino a quello dell'Isonzo furono compiuti con celerità e con la
massima segretezza, grazie anche all'espediente di comunicare la destinazione ad ogni unità solo a viaggio
iniziato.
168
Sulla linea Udine-Gorizia.
169
Come già nell’autunno del 1915.
170
Si riferisce alle diverse alture che circondano Gorizia e hanno nomi di santi: in particolare i “tre santi”:
Monte Santo, San Gabriele, San Daniele.
171
Località nei pressi di San Giovanni di Manzano, dall’altra parte della linea ferroviaria.
71
!
Nell'azzurro terso del cielo, immersi in una festa gioiosa di sole, appaiono luminosi e rumoreggianti i nostri aeroplani, i Caproni pesanti e i velocissimi Nieuport172 da caccia.
Nel pomeriggio mi faccio una passeggiata fino a San Giovanni Manzano, da quel parroco.
Quale trasformazione ha subito il paese! Lo potrebbe dir bene un cittadino che ne fosse
stato lontano da un anno: noi riconoscerebbe più. Chiuso in un'ampia steccata, sorge l'ospedale da campo nei suoi bianchi saloni, puliti e arieggiati nei quali corre una doppia e
lunghissima teoria di lettini. Dattorno alla stazione è! tutta una città! vivente di baracche per
truppa e per i molti e svariati servizi logistici. Immenso è! il traffico e movimentatissimo.
Creazione nuova e efficientissima è! una ferrovia a scartamento ridotto che, partendosi da
qui e toccando centri importanti, raggiunge le prime linee del nostro fronte. Qui però, come
in tutti i paesi dove sono soldati e comandi, troviamo imboscati molti che, con una condotta sfacciata e indisciplinata, rendonsi ognor più! indegni del nome sacro di soldati italiani. E
son dessi i corruttori dei costumi semplici di nostra gente, i pervertitori di coscienze e di
menti illibate. Quando Iddio, dimenticando tante colpe degli uomini, ritornerà! a questi la
pace, risvegliandosi come da un sogno profondo, dinanzi al pervertimento spaventoso dei
sentimenti della società, ci verrà! fatto di domandare se tanto sangue sparso sui campi ardenti di battaglia, se tanti sacrifici ed eroismi della trincea, se tante vittime e tanti disastri
ebbero un frutto adeguato e dinnanzi, all'ironia feroce della realtà, ci sentiremo spaventati,
irritati. Irritati di quello sdegno santo che oggi ne alberga in cuore contro quanti attentano
alla salute e alla vera grandezza della Patria nostra col disertare le file dei combattenti,
imboscandosi e con l'annientare le proprie energie fisiche e intellettuali in una condotta
scandalosa e corrompitrice, peggiori dei disertori stessi e più! di questi degni della pena di
morte.
Poveri paesi! Povera religione veramente depopulata173! Sorgano i buoni e corrano al riparo! I sacerdoti si moltiplichino nelle loro opere di zelo. Sono ore piene di responsabilità! le
attuali, cui attendono conseguenze terribili. Sanguinano i cuori dei buoni, torturati, martoriati nella visione spaventosa di tanto scempio di anime, mentre il flagello che imperversa
e ognor più! giganteggia, reclama a voci altissime raccoglimento degli spiriti, penitenza e
preghiera.
Le rivelazioni del molto reverendo parroco in luogo e di un altro sacerdote non fanno che
riconfermare le mie considerazioni. Vorrei avere la voce potente dell'Essere infinito per
farmi sentire da tutti i cuori, cui preme la redenzione vera e l'avvenire felice d'Italia nostra,
per gridare a tutti: "All'armi! All'armi!" Ma, ahimè, mi accorgo di essere misero assai, l'ultimo dei sacerdoti di Cristo, indegno della mia stessa missione.
Il ritorno è! una passeggiata trionfale. Con me è! il parroco sullodato che viene a Bolzano
per visitare un'ammalata. La strada è! tutta percorsa da bravi fantaccini del 38°. Graduati e
soldati tutti quanti salutano il cappellano obbligato sempre con la mano alla visiera del berretto e a dispensare sorrisi corrisposti dalla più! sincera effusione di affetti. Il molto reverendo sacerdote compagno è! entusiasta del fatto e mi assicura di non aver visto mai militari tanto deferenti verso il proprio cappellano militare. E' commosso quando sente alcuni
sergenti domandarmi se la chiesina non si può! aprire e se non vi ci si può! raccogliere per
la recita del santo rosario.
Nel cielo immenso brillano miriadi di stelle, mentre laggiù, dove l'orizzonte pare confondersi con la terra, guizzano nell'aria lampi sanguigni di proiettili che scoppiano.
172
Biplani da caccia, di origine francese, costruiti su licenza in Italia.
173
Devastata
72
!
5 ottobre 1916
Giornata uggiosa, senza sole. A tratti una pioggerella fine fine. Qualche raro colpo di cannone che fa tremare i vetri della piccola chiesina dove celebro la santa Messa ascoltata
devotamente da molti borghesi, da due o tre militari d'artiglieria e da alcuni ragazzini irrequieti e chiacchierini.
Durante la libera uscita di stasera è! un andirivieni continuo di soldati nella chiesa. Fatto
consolante e edificantissimo. C'è! tosto chi ne fa rimarco tra la popolazione e mi manifesta
il giocondo stupire e il piacere sentito. Siano grazie al Signore Iddio!
6 ottobre 1916174
Nessuna novità! importante oggi. Dopo la mia Messa, entra in chiesa un soldato di artiglieria. Si inginocchia ai piedi dell'altare e, cogli occhi fissi al tabernacolo prega per alcun
istanti, poi dà! in uno scoppio forte di pianto. Lo lascio sfogare e poi l'avvicino e gli parlo. Il
poverino ha la mamma gravemente ammalata e attende dai suoi superiori il permesso di
andarla a trovare. Stamani ha promesso a Gesù! benedetto che, se gli ritorna sana o almeno ristabilita l'adorata genitrice, porterà! un quadro votivo da appendere, perenne ricordo, nella piccola chiesa. Mi parla dei piissimi sentimenti cristiani della mamma cara, di una
sorella suora da diciassette anni e maestra in un asilo d'infanzia. Ancora, mi afferma i suoi
propri sentimenti religiosi, trasfusi e radicati nel suo cuore da un'accurata educazione materna. Gli prometto di ricordarlo io pure al Signore con tutti i suoi cari ed e parla contento e
ringraziandomi.
Dopo cena, giunge tra noi, invitato dal signor colonnello, l'ottimo capitano Loris, accolto festosamente da tutti. Gli annunciamo l'esito felice della proposta per la medaglia d'argento
al valore fattagli l'autunno del 1915 per i combattimenti di Zagora. Con modestia veramente francescana accoglie i complimenti e le felicitazioni che gli piovono da ogni parte. L'illustre ed eroico ufficiale merita di essere particolarmente ricordato. Venne a noi l'ottobre
dell'anno scorso 1915, mentre a Zagora ferveva terribile e micidiale l'offensiva nostra.
Giungeva la sera del 22 a Piava e il mattino appresso già! conduceva la propria compagnia
con illuminato coraggio ai reiterati assalti di Casa Diruta175. Il 30, nelle prime ore del giorno, rimaneva ferito da pallottola di fucile. La generosità! e l'ardimento già! dimostrato nei
giorni precedenti lo tenne sul posto a continuare l'azione dove erano scomparsi ormai tutti
gli ufficiali e, pur dolorando assai, non si ritirò! dal fuoco che dietro l'ordine di ripiegare dato
a tutta la sua compagnia. La breve sua permanenza al reggimento bastò! per accaparrargli
174
Anche questa parte di diario è introdotta da una lettera di accompagnamento allo zio don Sonzini, datata
14/10/1916: "Zio carissimo, nella mia del giorno 5 non ti ho parlato di una lettera preziosa scrittami dal piissimo don Enrico Motta tuo compagno ed amico. Vedendolo, favorisci unire i tuoi ai mei ringraziamenti e sollecitarne la carità squisita perché anche altra volta mi sia largo dei suoi ammaestramenti e pratici consigli.
L'anima mia avrà così pronto sempre un passo robusto per meditazioni profonde. Ci troviamo ancora a Bolzano, pare riserva di esercito, quindi destinati a tutti i punti più scabrosi e fors'anche a passare il mare. Sto
leggendo la Vita di san Vincenzo de 'Paoli di mons. Bougard. E'una lettura piacevole e che mi fa molto bene.
Ho tanto bisogno di un po 'di sollievo spirituale e specialmente di mantenermi innanzi sempre gli esempi luminosi dello zelo sacerdotale ben guidato. Mio carissimo, moltiplica le preghiere e fa 'che tutti [le] intensifichino. Non dir nulla ai miei, mi raccomando. Il riposo è finito e oggi stesso, tra breve ora, saremo di nuovo
vicino al fuoco. Domani o dopo in lotta. In manus tuas. Domine... Ciao. Saluti a tutti. Un bacio a te. Arrivederci... don Giovanni".
175
All’estremità nord di Zagora.
73
!
l'amore e la stima di ufficiali e soldati e tutti ci sentimmo riempire di sincera gioia quando, il
dicembre appresso, ci raggiungeva di nuovo sulle zolle insanguinate d'Oslavia.
Da quell'epoca incomincia tutta quella storia di fatti eroici, di sacrifici, di atti di squisita carità! cristiana che ebbero una solenne conferma sull'Alpi trentine e particolarmente nei combattimenti di Monte Seluggio, dove la sua condotta fu giustamente encomiata in modo solennissimo e con un ordine del giorno più! unico che raro che lo definiva: eroe vero e simpatico! Guardatelo! La ruvidezza del volto abbronzato e barbuto, l'incolto vestire, anzi trascurato, la modestia dello sguardo, la semplicità! del tratto, lo spirito di nascondimento ve
lo fanno un frate e così! lo chiamano. Anima nobile, anima profondamente e santamente
cristiana, martire del proprio dovere ! Spirito eletto, la sua condotta inspira agli ideali santissimi della fede; le sue pene, i suoi disagi, i sacrifici conforta nella preghiera; le sue glorie
e le sue gioie consacra generosamente a Dio. Per lui hanno parole di ammirazione gli avversari stessi di sue idee religiose. Quanti lo conoscono, lo devono apprezzare. E' amato
come un padre dai suoi soldati subalterni, che in lui trovano una guida saggia e prudente
anche nei momenti più! terribili della battaglia, quando gli infiniti pericoli, le enormi responsabilità! che gravano sul comandante, fanno spesse volte di questi un povero zimbello degli avvenimenti più! o meno fortunati. E' questa la prima medaglia al valore che adornerà! il
petto forte del prode capitano. Altra è! in corso. Iddio lo conservi a lungo, vanto dell'eroismo
sacro della fede, fulgido esempio a quanti son giovani e deboli dinnanzi alle lotte della vita.
Il nostro capitano, guidato da una fede adamantina, sorretto da una provata rettitudine di
coscienza, sa lottare, sotto la duplice bandiera della croce e della patria, con indiscussa
generosità, da eroe cosciente.
7 ottobre 1916
Il numero dei soldati che si raccolgono per la recita del santo rosario durante la libera uscita va aumentando con grandissima mia soddisfazione e salutare esempio dei borghesi.
8 ottobre 1916
Un allegro scampanio accompagna i soldati, che vanno adunandosi, numerosissimi, sul
prato grande dove sorge tra una festa simpatica di verdi fronde, l'altarino improvvisato dai
bravi fantaccini del 3°! reparto Zappatori. I buoni figliuoli avrebbero desiderato procurarmi
una splendida sorpresa ma il tempo minaccioso non permise. Sul volto di tutta quella moltitudine venuta liberamente ad assistere al santo sacrificio vedo dipinta la soddisfazione
interna di trovarsi così! riuniti in una manifestazione religiosa, che ricorda loro la chiesa del
paese lontano.
Cento volte questa santa Messa e non una in armi o di servizio, dove il tempo vuol essere
misurato e la parola obbligata all'etichetta. L'esempio di domenica scorsa, con tutte le sue
spiacevolissime conseguenze, insegni.
Nel pomeriggio vado fino a Medeuzza176 dal cappellano del 37°! col quale mi intrattengo
per qualche ora. Facevo così! la conoscenza di un giovane padre gesuita, cappellano di un
176
Località a sud di San Giovanni di Manzano.
74
!
ospedaletto da campo in luogo177. Il discorso versa tosto sui miei contrasti religiosi, commentati e discussi aspramente.
Nel ritorno ho la bella occasione di assistere alla partenza di diversi aeroplani. E’! uno spettacolo emozionante. L'agilità, la sicurezza con la quale son guidati gli apparecchi dicono i
grandi progressi fatti dalla nuova scienza in così!breve corso di anni dalla invenzione.
Assisto così! ad una discesa a spirale strettissima sul salto della morte. Qualcosa di pauroso, di sorprendente! Non vorrei togliermi più! dallo spettacolo! Quattro bellissimi Farman178
filano, rombando rumorosi, sprofondati nell'azzurro, vagamente dipinto dalla gran massa
incandescente del sole, al suo tramonto.
La chiesa è! zeppa, stasera. Guardando al tabernacolo, mi sento commuovere fino alle lacrime, in un'attestazione di gratitudine all'eucaristico sacro cuore di Gesù! che non abbandona mai e tien pronte sempre le sue consolazioni e i suoi conforti per l'anima crocifissa.
L'eco delle centinaia di voci robuste risuona incanto sotto le bianche volte; fuori esce dal
recinto sacro, ammonimento ai deboli e rimprovero, penetra i cieli strappando grazie; portata sull'ali dei venti a confortare, benedetta da Dio, i dolori della trincea, le lacrime di cuori
sanguinanti. Grazie, o Signore, grazie!
9 ottobre 1916
Sono le diciassette: la chiesa va popolandosi di penitenti e dattorno ai confessionali è! una
ressa consolante di fantaccini miei. L'invito è! stato accolto. Siamo in quattro sacerdoti e
duriamo nell'opera salutare per tre ore di seguito, senza tuttavia poter ascoltare tutti. A
domattina e nei giorni seguenti.
10 ottobre 1916
"Cappellano, è! desiderato presso una moribonda" - è! il mio padrone di casa che mi chiama, buon vecchio settantenne, padre ad una quindicina di figlioli; vegeto ancora e laboriosissimo. Dò! un'occhiata all'orologio: l'una e mezzo. La giovane sofferente, appena mi riconosce sotto la divisa di cappellano militare, in tenuta di combattimento. E' in preda a sussulti nervosi spasmodici. Nell'occhio ancora vivace brillano due lagrime. Ella attende ansiosa, per salutarlo un'ultima volta, lo sposo amato, in linea sul fronte. L'attende, per attestargli un'ultima volta, il suo affetto sacro, per affidargli il tesoro suo, frutto del loro primo
amore: per raccomandargliene l'educazione. Attende indarno. Segue me, che sopra di lei
recito le preghiere degli agonizzanti e le amministro l'estrema unzione. "Dunque dovrò! morire" - ciangotta nella strozza che le si va serrando sempre più. E si consola quando io le
spiego l'utilità! del sacramento anche in rapporto alla salute del corpo. E con me prega, accompagnando come le è!possibile il mio dire e infine bacia con trasporto il crocifisso.
177
“In altra lettera mi spiegherò in lungo e in largo” – aggiunge, in nota, don Folci, ma di tale spiegazione
non ho trovato traccia nei suoi manoscritti.
178
Veicoli francesi usati nella prima fase del conflitto (1914-1915) per missioni di osservazione e bombardamento leggero; in seguito, ritenuti troppo leggeri, furono impiegati presso le scuole di volo.
75
!
Il caso, pietosissimo, mi ricorda l'unica sorella mia, da me assistita fino agli estremi dei
suoi istanti. Pur essa giovane e forte. Morta della stessa malattia179. Oh! Quanto è! grande
Iddio nei suoi imperscrutabili consigli!
Sono le cinque quando apro la chiesa. Confesso altri quindici o sedici soldati poi esco per
la santa Messa. Un bisbiglio di labbra oranti, un tintinnio di corone sgranate, un sospirar
commosso, gli sguardi fissi all'altare, al sacerdote, al tabernacolo. Trema fra le dita la sacra particola, allorché! la sollevo, dinanzi a quella calca di giovani forti, nella triplice confessione d'indegnità. C'è! qualcosa in queste sante comunioni ai soldati, qualcosa che elettrizza, che rapisce, trasporta. Tutto l'essere nostro, preso quasi da una forza indefinibile, trascende le cose tutte di quaggiù, dimentica di partecipare ancora di questa terra di miserie,
di essere desso medesimo un impasto di miserie, e viene trasportato in un mondo nuovo,
in più! spirabil aere, in un'atmosfera pura, cristallina. Trema nelle vene una vita nuova, intensa. Sussulta il cuore, quasi, sotto il precipitarsi di fiotti di sangue e una vampa misteriosa arde il volto che si fa di fuoco. I bravi soldati sfilano devoti, raccolti: altri le mani giunte;
altri abbandonate sul petto; questi le braccia incrociate, l'occhio umido di pianto, sorrisa la
fronte da un raggio divino. Sfilano ed eccoci agli ultimi. E perché! mai non continua lo spettacolo dolcissimo? Sul labbro spunta un voto ardito quale quello dell'apostolo Pietro nella
gloria del Tabor: "Faciamus hic tria tabernacula"180. Gesù, Gesù, quanto siete amabile!
Lontano, romba terribile la sinfonia dei cannoni a mille, in un rullio tambureggiante, spaventoso. Qualcosa di grandioso si sta preparando laggiù. Alle scosse tremende, tutto l'edificio freme! La preghiera si fa più! intensa! Lagrime scorrono infocate e dai cuori purificati,
voti si sprigionano ardenti al Principe della pace, perché! cessino alfine tante crudeltà! e alleviate siano le torture di quanti attendono laggiù! dove spietata ferve la battaglia. Pace,
pace, grida l'umanità! sofferente! Risponde feroce il cannone, rincrudendo sua intensità!
rabbiosa e spara con la frequenza di una mitragliatrice che canta la canzone della morte.
Il bombardamento, che è! cessato quasi d'incanto, un'ora prima di mezzo giorno, riprende
violentissimo verso le quindici e si protrae fino a sera, in un crescendo terrorizzante. Cominciano ad arrivare le prime notizie. Si parla di linee nemiche sfondate in più! punti, di
centinaia e migliaia di prigionieri fatti dai nostri, dello spirito eccellente delle nostre truppe,
irrequiete, instancabili. Un capitano del 128°! Fanteria, ricoverato ferito nell'ospedaletto da
campo n.*** di Medeuzza, riferisce la sinistra visione che presentano le linee avversarie
sconvolte, annientate; la macabra danza dei difensori che, terrorizzati, quasi impazziti,
mandano grida e lamenti indescrivibili. Al primo senso di compassione per quei poveri disgraziati, figli, sposi, e padri di famiglia pur essi siccome i nostri soldati e come questi generosi, eroici; alla preghiera di pace eterna per i morti e di rassegnazione per i feriti, succede immediato un sentimento di gioia, di soddisfazione per la nuova vittoria che vorremmo chiamassero altre e altre ancora decisive, gloriosissime. Il cuore ne sussulta! Il nostro
essere pare abbia raccolto e concentrato tutte le proprie energie in quel piccolo pugno di
muscoli che è! il cuore, oppresso quasi da una contrazione infinita, che si manifesta nell'insueto bagliore degli occhi, divenuti quasi taglienti! E pur nel sonno sognamo vittoria!
179
Vedi sopra, pp. 56-57.
180
“Facciamo qui tre tende…” (cfr. Mc 9,4).
76
!
14 ottobre 1916
Eccoci di nuovo in movimento, ma stavolta par proprio per la linea del fuoco. Di ritorno da
San Giovanni Manzano dove fui a salutare quel buon parroco e i cari colleghi degli ospedaletti da campo, ho saputo che si partirà! tutti in automobile, Comandi e truppa. Se la cosa
piace da un lato, per le comodità! che presenta, dall' altra è! commentata un po' sinistramente.
In automobile per essere impiegati tosto tosto; dunque, una corsa alla morte. Il riposo è!
stato lungo, in luoghi simpatici, non fu mai tanto fortunato il 38°! E ora ce la fan pagare.
Che importa, purché! si ritorni con la ghirba (vita) salva. Questo è! il busillis. Questi e altri
simili discorsi tengono occupati i nostri fantaccini, raccolti, con gli zaini, lungo i prati e i
campi ai margini della strada, bianca, assolata, sulla quale va distendendosi la lunga teoria dei camions che ci dovranno portare oltre Capriva, nei pressi di Lucinico181. La prima
colonna inizia la marcia, sollevando un polverone fastidioso. Io parto tra i primi. A San
Giovanni ho il piacere di rivedere don *** del 022, venuto di nuovo a darmi l'arrivederci con
i suoi egregi ufficiali medici. Eccoci sulla via di Cormons. Gli autocarri filano leggeri leggeri
sulla splendida carrozzabile, tra luoghi a me già! noti, di un aspetto tutto gaio, tutto festa.
Quale contrasto con gli orrori dell'autunno 1915!182 Ormai vanno scomparendo anche gli
ultimi segni della guerra spietata. Ripassiamo l'Indrio183, confine sgraziato e insulto patente all'italianità! di questi luoghi che madre natura volle nostri. Sulle due rive sorridono, tra il
verde dei prati e delle campagne, le case del paese omonimo e graziose ville coi giardini
rimessi a nuovo. Brazzano184, poi Cormons che giriamo, infilando la strada per Gorizia parallelamente alla ferrovia.
Qualche faccia di borghese dall'aria tutta austriaca. Il movimento é! continuo, assordante,
di carri e artiglieria, di trattrici, di autocarri, di salmeria che vanno e vengono, di soldati di
ogni arma, d'ogni età, altri puliti, altri sporchi e barbuti. E la strada, protetta ancora ai lati
da tutta una siepe di graticci che dovevano rendere invisibili i nostri movimenti verso le
prime linee avanti l'avanzata dell'agosto scorso185, si addentra ora nella campagna immensa, incolta, abbandonata, che é! una desolazione. Varie linee di trincee e di camminamenti la percorrono in tutti i sensi, protetta da una rete fittissima di reticolati. Qualcosa di
meraviglioso! A Capriva e a San Lorenzo di Mossa dei reparti di truppa stanno riattando
alla meglio le case meno provate dal cannone. Per tutto sono muri cadenti e detriti e rovine.
Sventrata in più! punti, la chiesa di Mossa186, dai fianchi lacerati mostra sue antiche bellezze. Eccoci arrivati a destinazione a Pubrida. Le prime nuove sono buone. Dove ci troviamo
non arriva che rarissimamente il cannone, meglio, quando batte, è! Lucinico che ne soffre
le conseguenze. Noi protegge il Podgora e altre collinette sotto le quali ci accampiamo. La
prima linea è! lontana ancora. E quando ci andremo? Chi ne sa qualcosa? Verrà! anche la
nostra volta, oh sì, non dubitiamo. Intanto sian grazie al buon Signore che par proprio usi
181
Località alle porte di Gorizia, per chi provenga da Udine.
182
Cfr. sopra, p. 15.
183
Fiume che scorre a ovest di Cormons.
184
Nei pressi di Cormons, sul confine tra le attuali provincie di Udine e di Gorizia.
185
Si riferisce all’offensiva italiana che aveva portato alla presa di Gorizia.
186
Si sta procedendo verso Gorizia.
77
!
con noi molto misericordiosamente. Ogni ora che passeremo qui saranno infiniti pericoli
scongiurati.
Un'intensa curiosità! mi assilla che non posso [fare] a meno di soddisfare. Una prima passeggiata in collina che mi procura il piacere di una visione bella, di un bello orrido. Di fronte, sotto una cortina di luce rossa, infuocata, la linea terribilmente sconvolta del Calvario,
del Podgora e gli avanzi della trincea del Graffenberg187. A destra, perdentesi nell' orizzonte, il Sabotino. A traverso le lenti di un magnifico binocolo ci appaion gli orrori di una lotta
titanica tra artiglierie d'ogni calibro. Alla nostra sinistra si stende la massa grigiastra e tetra
degli avanzi di Lucinico. Non una casa salva. Più! oltre, la linea bianca e tortuosa delle acque dell'Isonzo e, oltre il fiume, i sobborghi di Sant'Andrea188, con la chiesa sfiancata, un
ammasso enorme, nereggiante di rovine piangenti, e San Pietro189, che par confondersi
con le pendici del Monte san Marco sul quale si abbattono di continuo proiettili di ogni calibro. Poi la linea del Vertoiba190 e Vertoibizza191 fino al Vallone, al Carso, al San Michele192.
Qualcosa di sinistro in quella visione. Voci sembrano levarsi da ogni punto e le mura slabbrate, cadenti, paion tante braccia levantesi al cielo, nella luce ultima del giorno, imprecanti, maledicenti. Un freddo gelido corre per le ossa. Favoriti dalle prime ombre della notte, si
intensificano i movimenti e le strade vanno popolandosi di cariaggi e di soldati. Il rumore,
assordante, appena è! soffocato dal rombo dei cannoni che, in questo momento, par si
siano accordati per un concerto mostruoso. Di dietro le case, dalle anfrattuosità! dei monti,
lungo le rive del fiume, da tutti i punti della piana immensa partono, ululando in un roteare
vertiginoso, mostri oscuri, rabbiosi. Una fiammata bianca, un fremito e, laggiù! fra la foschia, lampi sanguigni, schianti come di terremoto, morte e rovine, illuminate dalla luce
bianca, oscillante dei razzi. Segue, per brevi minuti, un fuoco intenso di fucileria e di mitragliatrici, poi tutto par rientrare nella calma.
15 ottobre 1916
E' domenica, oggi, e per di più! santa Teresa, l'onomastico della mamma mia carissima.
L'assestamento e la pulizia del campo e altre urgenti operazioni non permettono di celebrare la Messa alla truppa, rimandata a domattina. Amiamo i nostri morti!
Suscitano un vero entusiasmo in quanti li visitano e lasciano un ricordo indelebile e un desiderio forte di imitazione i due camposanti della brigata "Casale", 11°-12°! Fanteria. Sorge,
il primo, ad un centinaio di passi dalla rotabile che da Pubrida conduce a Lucinico. Un muricciolo in mattoni rivestito di cemento, con bei lavoretti artistici, chiude la selva di croci
eguali alla testata d'ogni fossa di tombe, simpatiche. Oltre il cancello d'entrata, una croce
grande in marmo con la scritta sul piedestallo: "Per farti grande - Italia - morimmo". Laggiù!
in fondo, con aria promettente, si presentano i primi lavori di una ideata bellissima cappella
in marmo. E' tutta un'opera dei bravi soldati dell' 11°: disegni e lavori e risparmi. Ancora
187
Alture di Gorizia, a ovest della città.
188
Località all’estremo meridionale della città, lungo l’Isonzo.
189
Sobborgo a est di Gorizia, alle falde di Colle San Marco.
190
Località a sud di Gorizia, attualmente in territorio sloveno.
191
Torrente che attraversa Vertoiba.
192
Una tra le prime alture carsiche, guardando da Gorizia.
78
!
non siamo che ai tre quarti della costruzione definitiva che dovrà! essere elaborata finemente e arricchita di piante. Più! completo è! quello del 12°! che sorge ai piedi del Podgora.
Più! vario, con lapidi e tombe in marmo, con una lussuria193 di verde e di fiori da renderlo
un giardino. La cappella, più!vasta e meno artistica, è!quasi al suo termine.
Uscendo da quei luoghi santi, dove le scritte povere, talora, per forma, ma sublimi per
pensiero, abbracciano e fanno un tutto solo, indivisibile, dei sentimenti di religione e di patria; dove si ammira l'opera caritatevole e premurosa dei superstiti per i compagni caduti,
lo spirito non può! [fare] a meno di commuoversi e di consolarsi. Quante mamme, quante
spose, quante famiglie si avrebbero lenite le ambasce dei loro cuori nella visione, commovente, di queste tombe accomodate con tanta cura. Molti forse di questi giovani, nel cimitero del paese natio, non avrebbero avuto tanto lusso. E su queste tombe, su queste zolle
fresche ancora scorrono ogni giorno, ad ogni ora, lagrime infuocate e si spargono voti e
preghiere intense di altri giovani, che a nuovi cimenti e terribili son chiamati e hanno
nell'occhio umido l'ansia indefinibile delle loro anime accasciate per la sorte che li attende.
E sono essi pure giovani forti, sposi e padri adorati.
"Valete"194, o prodi, a noi compagni vostri nella lotta e forse come voi destinati a soccombere nel fior della vita, a noi pure attende grandezza e generosità!nel sacrificio.
Una rosa tra le rovine di Podgora a Pedimonte.
«Altro che terremoto questo! Dio mio, che orrore!»!- così!un ufficiale, compagno nella gita.
Podgora paese o Pedimonte, doveva essere, in tempo di pace, un soggiorno delizioso per
villeggiatura, con palazzi antichi e case agiate, con parchi e giardini. Oggi non è! più! che un
ammasso lugubre di rottami, di sassi accatastati, di terriccio. Botti e travi e carri e mobili
fracassati e abbandonati per tutto. Piante bellissime divelle o sfrondate coi rami disseccati
penzoloni. Le strade ingombre ancora; qua e là! disperse e arrugginite stoviglie di cucina;
lembi di vesti attaccate ad architravi o tavole di soffitto, brancicanti nel vuoto. Su qualche
parte l'immagine della Vergine o di qualche santo. All'imboccatura di un viottolo, tra sassi e
cocci, lo scheletro di una carrozzella per bambini. Un cumulo di pensieri e sentimenti suscita il tetro spettacolo! Oggi morte e desolazione, laddove ieri ferveva intensa la vita con
tutte le sue gioie e le sue tristezze! E' nell'anima un sussulto febbrile e vola la fantasia, rifacendo la storia di quei luoghi e creandosela a capriccio, mentre l'occhio cerca penetrare
ogni segreto e, dopo aver osservato effetti sì! spaventevoli, ne va accarezzando gli autori, i
cannoni lucidi, piazzati un po'per tutto, tra i resti delle case, e il verde cupo dei giardini e
dei parchi. E' in uno di questi che trovammo, ironia terribile, tra gli orrori di una devastazione quasi leggendaria, una rosa meravigliosa color carne e la spiccammo dal suo cespuglio e la portammo con noi. Unico simbolo di vita vissuta tra tanta morte!
16 ottobre 1916
La santa Messa di stamane dovette essere per tutti noi, non soltanto l'espressione dei voti
nostri, ma un ammonimento solenne. Dinanzi a noi in adorazione profonda verso il Dio vivente nell'ostia consacrata, [si] ergevano ineguali e povere le braccia di molte croci segnanti le tombe di gloriosi scomparsi in lotte aspre. Uno dei molti cimiteri poveri creati in
tutta fretta, e coi pochi mezzi possibili, dalla carità! dei commilitoni, sull'immenso campo
193
Abbondanza.
194
Saluto latino
79
!
della battaglia micidialissima. Parlavano chiaro quelle croci, ed era la loro voce potente
piena di una tremenda realtà; voce più! forte e più! efficace di qualsiasi altra predica. Tra
fossa e fossa e lungo i vialetti, si erano inginocchiati numerosi militari: pregavano e piangevano. Un venticello freddo, d'autunno, scoteva l'erbette e le fronde delle piante, a fiori,
che adornano il piccolo camposanto, traendone sospiri e gemiti misteriosi, quasi eco pietosa delle voci dei morti imploranti pietà. Pur nel cielo regnava immensa la mestizia. Non
un raggio di sole, non uno squarcio d'azzurro. Pesava sulla terra come una cappa di
piombo opprimente, desolante e nella bruma umida risuonava più! lugubre che mai l'urlare
rado del cannone.
Sulla linea conquistata del Calvario del Podgora e del Graffenbergh.
Eccoci di nuovo in cammino. E' una voglia intensa di vedere, di riconoscere, che mi spinge
a questa gita attraverso campagne desolate, rovine immense, dove per lunga pezza resterà! indelebile il ricordo di battaglie gigantesche, violentissime (di carneficine orrende). Percorriamo una strada fatta quasi di nuovo dai nostri dopo l'occupazione di Gorizia. Costeggiamo per lungo tratto la ferrovia fino alle prime case o meglio ai primi ruderi di Lucinico,
poi giriamo a sinistra raggiungendo presto le pendici del Calvario. Una vegetazione selvaggia ha strappato al terreno fertilissimo tutta quell'attrattiva che lo doveva fare incantevole avanti la guerra e fonte di ricchezze immense. Sotto il ruvido tappeto verde scompaiono le buche enormi e tutto lo sconvolgimento tellurico creato dalle esplosioni dei
proiettili a mille. Man mano ci allontaniamo dalla prima linea di conquista, saliamo il monte,
la vegetazione va diminuendo per poi scomparire del tutto a mezzo il costone. Soltanto
qua e là! dei tronchi ischeletriti, orribilmente flagellati, qualche ciuffo d'erba avvizzita, qualche rovere. Si sale sempre: ora lungo camminamenti, ora sul ciglione di trincee franate, attraverso linee svariate e avanzi di reticolati a paletti e a cavalli di frisia; su e giù! per le buche enormi, veri crateri vulcanici; dentro caverne, ricovero lungo gallerie umide e affumicate, tra un intrigo di opere umane, meravigliose. Ogni zolla di quella terra rossa quasi arsa
da un fuoco eterno e satura di sangue ripete una storia dolorosa ed eroica, di eroismi umili, sconosciuti; di fatti d'armi che hanno del leggendario, di sacrifici insuperabili. La difesa
austriaca era semplicemente formidabile; preparata con tutta l'accuratezza possibile, con
ricoveri per battaglioni intieri, con trincee profonde, blindate, alle quali si giungeva per una
rete fittissima di camminamenti protette da diversi ordini di reticolati. I soldati assistiti da
tutti i conforti di una vita comoda e sicura. Oggi tutto questo non è! che un ricordo lontano.
Gorizia bella, poteva e doveva, giustamente starsi tranquilla, coi baluardi del Sabatino, del
[Monte] Santo e del Podgora195.
Tutto è! mutato. Di tutti quei mezzi di difesa, non resta più! che un ammasso informe; il
monte corroso e fin nelle sue viscere sconvolto, un intrigo spaventoso. Nuove trincee,
nuovi camminamenti, altre gallerie e ricoveri percorrono e sventrano quei monti famosi. Un
groviglio di reticolati vi serpeggia e vi addentra. Tra le pieghe boscose si nascondono, a
centinaia, le bocche da fuoco. Gli eroi d'Italia abbatterono e superarono vittoriosi il terribile
baluardo di Gorizia, la linea di Calvario, Podgora e Graffenbergh196. Indarno ne tenteranno
195
Monte Santo e Sabotino chiudono la valle dell’Isonzo a nord di Gorizia.
196
Sono le alture che chiudono Gorizia a ovest e costituivano la linea di difesa austriaca della città, superata
dall’esercito italiano nell’agosto 1916.
80
!
la riconquista i vinti figli dell'Impero bicipite197. Sovra di noi, a nostra tutela, aleggiano gli
spiriti forti dei vincitori dell'Isonzo.
17 ottobre 1916
Nella mattinata qualche cannonata austriaca ha voluto disturbare i movimenti nel nostro
campo. Un po' d'allarme, poi di nuovo fortunatamente nessun grave danno. Molte tende
bucherellate da pallette di srapnels, un po' di paura da parte degli ultimi complementi e
due soldati leggerissimamente contusi.
Come d'ordine, verso le quattordici tutti gli ufficiali della nostra brigata col generale si trovano raccolti nei pressi dei nostri attendamenti in attesa di sua eccellenza Ruggero Luderchi, il comandante l'VIII corpo d'armata dal quale noi dipendiamo. Gran rapporto! Sua eccellenza arriva e ci passa tutti in rivista, poi ci parla con l'affabilità! di un collega maggiorenne, più! esperimentato. Ci dice tante belle buone cose con la sua solita facilità! di parola
e fioritura e con tatto veramente delicato. Conclusione, che potremmo essere impiegati in
azioni importanti, su un fronte difficile. Nostro dovere di riconfermare le glorie della brigata,
in vittorie efficaci. Un triplice grido di : "Evviva l'Italia" chiude il rapporto e con la frase forte
"In bocca al lupo!", ci dà!l'arrivederci sui campi dell'onore.
Già! si vociferava di partenza. In serata ne giunge la conferma. Il 37°! va a riposo (!) e noi
incominceremo il turno di trincea, non però!ancora in prima linea.
18 ottobre 1916
Il movimento continuo e il biancore dei nostri attendamenti, malamente mascherati da frasche, attira l'attenzione degli austriaci che per un paio d'ore ci tengono in orgasmo con tiri
aggiustati ora sulle cucine, ora tra le tende e altri tra le salmerie. Succede un fuggi fuggi
quasi generale, accompagnato da risate e dal grido di: "Viva Savoia, avanti marsch!"
Verso l'imbrunire ci mettiamo in viaggio precedendo di qualche minuto i battaglioni. Attraversiamo Lucinico o, meglio, gli avanzi di questa che ha tutta l'aria di essere stata una cittadina graziosa, ed eccoci in aperta campagna. Laggiù! sul Carso e lungo la fronte di Gorizia incomincia il getto dei razzi. Nell'aria passa, sibilando, qualche rado colpo d'artiglieria,
un guizzo sanguigno nella bruma, uno scoppio miagolante, poi silenzio. Sulla strada sfilano, incolonnate, lunghe teorie di muli, qualche carriaggio. Villa Fausta, ed ecco, tra il verde
biancheggiare, il ponte di barche che mette sull'altra riva. Alcuni militari del Genio stanno
rafforzando la testata di sinistra. Arriviamo sotto il ciglione198 e c'insediamo in una lunga
baracca divisa in tante stanzette. Qui è! il comando di reggimento. Cerco del cappellano
del 7°! Fanteria che trovo tosto e ho il piacere di risalutare in lui un antico compagno d'armi
nella compagnia di Sanità!a Milano.
197
In quanto costituito principalmente dall’unione delle due monarchie di Austria e di Ungheria.
198
Lungo l’Isonzo, a sud della città.
81
!
19 ottobre 1916
Mattinata di sole, paesaggio incantevole. Nella piana e sui colli dattorno occhieggiano
bianche le rovine di paesi e borgate, dalle quali, a tratti ancora, si incalzano colonne nere
di fumo per scoppio di granate. Sulla linea nostra calma quasi assoluta. Radi colpi di cannone austriaco sulla città! e più! nei sobborghi. Nell'aria fresca fremono i motori di aeroplani
nostri e austriaci che nel pomeriggio e specie verso sera vanno moltiplicandosi. Succedono piccole battaglie aeree, emozionanti. Nessun danno né!per gli uni né!per gli altri.
20 ottobre 1916
Nel pomeriggio voli insistenti di aeroplani avversi sui nostri appostamenti e specialmente
sulla linea dei ponti con segnalazioni e lancio di bombe che fortunatamente vanno a finire
molto lungi dagli obiettivi. Continua la calma quasi assoluta delle nostre artiglierie. Calma
che preludia ad una nuova, terribile tempesta e che nasconde, sotto un silenzio effimero, i
più! studiati preparativi e finiti di una battaglia gigantesca. Lo sentono gli austriaci e l'irrequietezza dei loro aviatori ci parla chiaro di quali sentimenti fremano gli animi loro.
Gorizia! La bella città! del ceruleo Isonzo che con occhi ebbri d'ansia febbrile contemplammo per mesi eterni dalle pendici aspre e tormentate del Sabotino e, più! da vicino, dalle
quote insanguinate d'Oslavia terribile, Gorizia oggi è! nostra! La percorriamo in lungo e in
largo, ne ammiriamo e gustiamo le incantevoli bellezze, de' suoi viali magnifici, de' suoi
ricchi ed antichi edifici, dei suoi giardini lussureggianti, con la libertà! di chi se n'è! reso padrone col prezzo di sacrifici molti e generosi. L'ho vista oggi, l'ho visitata, ne ho attraversate le vie grandi, stupito nel vedere borghesi, e quanti! e come tranquilli !, fuori sulla strada
o dentro i negozi o spianti dalle finestre socchiuse. La bella città! va prendendo un aspetto
essenzialmente marziale, corsa da diversi ordini di trincee e reticolati. La rabbia dei vinti
ancora l'assale con furia impotente. Molte sono le case portanti i segni dei cannoni e specialmente le ville e i giardini che incorniciano il lungo e grandioso viale che dal ponte di
Lucinico conduce al centro città. Vigilano sovr'essa ultima speme ai vinti, i monti intitolati a
santi199.
21 ottobre 1916
Oggi contiamo il primo lutto. Un bravo giovane della 5a compagnia colto in un camminamento da scheggie di granata. Qualche ora prima un reparto del 12°! Fanteria, stendentesi
sulla nostra sinistra come noi sotto il ciglione del fiume, da due colpi soli ebbe messi fuori
combattimento una trentina di uomini, tredici morti e il resto feriti. Un colpo fortunato abbatte parte di una baracchina, strappa una tenda lasciando incolumi i cinque militari nostri
che quest'ultima ricoverava. Insiste la voce di una prossima nostra grande offensiva su
vasto fronte.
199
In particolare il Monte Santo, il San Gabriele e il San Daniele che proteggono la città da nord, chiudendo
la valle dell’Isonzo.
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22 ottobre 1916
Celebro anche stamane privatamente, pur essendo domenica. Sarebbe un'imprudenza
gravissima formare agglomeramenti. Arrivano nuovi ufficiali al nostro reggimento. Come il
solito, cannonate ai ponti non colpiti e raffiche sopra di noi, grazie a Dio senza perdite. Voli
insistenti di squadriglie d'aereoplani.
23 ottobre 1916
Di nuovo raffiche rabbiose, anche di medi calibri, all'indirizzo dei nostri fronti e qualche
srapnel sui nostri ricoveri. Nessun danno, nessuna vittima. Fortunata l'azione dei nostri aereoplani che, a mezzo il mattino, incominciarono le loro incursioni nel bel cielo di Gorizia e
sulle linee avversarie, sfuggendo con impeccabile agilità! e destrezza alla tempesta di fuoco e mitraglia che contro di loro lanciavano le batterie antiaeree con raffiche rabbiose e
frequenti. Superba al lotta di un nostro Nieuport da caccia che abbatteva un Albatros200.
Snello e straordinariamente veloce, ora si librava alto sopra l'avversario e lo tempestava
con la mitragliatrice che cantava forte e inesorabile nell'aria pura, rosseggiante di un tramonto di sangue; a momenti si buttava in basso per sfuggire di essere controbattuto, poi
risaliva verticalmente, battendo di fianco il malcapitato che di un tratto vedemmo piombare
a capofitto nel vuoto, tracciando nell'aria una lunga scia di fiocchi bianchi: il serbatoio della
benzina era incendiato. Il nostro si levò! ancor più! alto, scintillante nei suoi colori nazionali,
orgoglioso della magnifica vittoria ottenuta, che coronò! di nuovi allori, mettendo in fuga un
secondo Albatros che indarno voleva tentare la rivendicazione del fratello vinto. Un grido
di vittoria, un saluto entusiastico agli arditi vincitori dell'aria ci sfuggì! spontaneo; l'essere
tutto fisso in alto, sussulto di gioia e di soddisfazione.
La notte è! scesa alta, profonda. A tratti rompono il tenebrore i razzi danzanti nell'aria e la
luce bianca di un enorme riflettore austriaco che ci guarda di lassù! dalle cime bruciate del
Carso. Attraverso un intrigo di camminamenti e trincee, raggiungiamo le rovine di
Sant'Andrea201. Spettro vivente del disastro immane, ci guarda come da immense occhiaie
vuote, la chiesa; lo spirito dei molti fedeli che nel tempo di pace in essa si raccoglievano
pregando, dinnanzi agli altari santi e cantando inni soavi, ancora aleggia tra quelle mura
cadenti e pietà! invoca e perdono pei molti peccati dell'uomo. Passiamo Ciprianisce, Vertoiba Inferiore202, ed eccoci finalmente al comando del 228°! insediato in una delle due o
tre camere ancora conservate di una bellissima villa nobiliare. Siamo a qualche centinaia
di metri dalla prima linea, l'aria è! piena di ta-pum che si incrociano alti e bassi, sperduti. E'
il fuoco obbligato delle vedette austriache. Il nostro comando occupa il piano inferiore di
una casa già!più!volte massacrata dal cannone. Ufficio, mensa e dormitorio.
200
Veivolo austriaco da osservazione.
201
Sobborgo a sud della città, lungo l’Isonzo.
202
Località sulla riva sinistra dell’Isonzo, a sud di Gorizia, attualmente in territorio sloveno.
83
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24 ottobre 1916
Stamane, purtroppo, niente santa Messa. Non un luogo possibile decente. Si lavora a ripulire dappertutto, a riordinare. Coi confratelli del 228°! Fanteria e della sezione Sanità! 2a divisione accompagno ad un cimitero improvvisato, in aperta campagna, dei cadaveri di soldati nostri e austriaci morti già! da tempo. La battaglia pare imminente. Piovono gli ordini,
fervono i preparativi. Come in altre circostanza, così! anche stavolta pare il tempo voglia
contrariarci. Fa freddo e pioviggina. Nel pomeriggio, le nostre batterie e bombarde aprono
un breve fuoco d'aggiustamento di tiro.
25 ottobre 1916
Giornata d'acqua ora sottile sottile ora d'acquazzoni forti. Continua il bombardamento di
demolizione delle linee nemiche non ugualmente intenso su tutto il fronte. Violentissimo in
qualche tratto, altrove meno, dinanzi a noi calma quasi assoluta; qualche rado colpo d'assaggio. Sul Carso dura tambureggiante, ininterrottamente. Ordini e contrordini. Conferenze di comandanti di settori e sottosettori. Corvèes di munizioni e di materiali d'ogni genere,
che accorrono alla prima linea, altre lungo i camminamenti dove si affonda nell'acqua e nel
fango fino al ginocchio, altre, allo scoperto, sfidando la vigilanza delle vedette austriache.
Presto presto scende la notte oscura oscura. Giungono le salmerie col rancio e già! le corvèes comandate si apprestano a portarlo alle compagnie rispettive. Noi stiamo terminando
una cena frugalissima. D'improvviso odesi uno scoppiettio vivace di fucileria che va intensificandosi fino a diventare nutritissimo, come di un vero e proprio attacco. Esco. Passano
nell'aria, sibilando, infinite pallottole. Le batterie tutte d'ogni calibro hanno pure esse aperto
un fuoco che ha dell'infernale. Salgo ad un cascinale mezzo diroccato e da una fenditura
del tetto guardo là, sulla linea avversaria, sulla quale si abbatte, inesorabile, un turbine di
mostri volanti, arrovellando e sconvolgendo ogni cosa. E' un urlare, un miagolio rabbioso,
un fragore di scoppi, di fischi, di sibili, da impressionare la fantasia più! calda. L'atmosfera è!
pregna di elettricità. Dalle cime del Carso e dalle alture dietro il San Marco203 due enormi
riflettori austriaci illuminano la battaglia notturna. Infinito è! il getto dei razzi. L'orribile orchestra dura una buona mezz'ora. Cessa finalmente la fucileria, diminuisce sua violenzail
cannone.
26 ottobre 1916
Sul Carso e verso San Grado204, a intermittenza, lotta di artiglieria, controbattuta dall'avversaria, che particolarmente si sbizzarisce contro le poche case ancora in piedi di Vertoiba.
La sede del nostro comando pare specialmente presa di mira e già! parecchie buche da
305 le fanno corona. L'apprensione è! grande in tutti. D'altra parte, dove ripararsi? Dove ritrovare un rifugio, pur blindato, capace di sostenere l'urto spaventoso di quel mostro che
abbatté! le corazze dei forti più! vantati dall'arte militare? Aspettare e confidare nella bontà!
di Dio: ecco il mezzo di far passare quei minuti che sembrano ore e le ore che paiono
eterne. Con voti ardenti si invocano le tenebre. Raramente gli austriaci bombardano di not203
Altura a sud-est di Gorizia.
204
San Grado di Merna, località a sud di Gorizia, alle prime falde carsiche.
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!
te e questo per non scoprire le loro batterie. Ma avanti che il nostro desiderio fosse esaudito, la giornata angosciosa reclamava il suo sacrificio e l'ebbe.
Verso le sedici un ottimo chierico lionese, soldato nel nostro reggimento, viene a trovarmi
e mi invita ad ascoltarne la confessione. A sera la sua compagnia dovrà! portarsi in prima
linea e però! non vuole che neo alcuno offuschi la sua bella coscienza. Con lui mi accompagno nel vicino caseggiato, attraversando il locale adibito a cucina del comando. Quattro
pareti senza tetto, già! provate dal cannone, anzi un momento prima una marmitta e alcuni
piatti erano stati frantumati da una scheggia di granata, leggermente ferito alla mano sinistra un inserviente. Il cuoco, un buon figliuolo parigino, appena mi vede mi racconta il fatto
e: «Non vorrei, caro cappellano, ci accadesse qualcosa di peggio, proprio stavolta che si
concedono le licenze anche per l'estero»! e scoppia in una risata. Pareva l'avesse chiamato. D'improvviso un terzo inserviente, a due passi da noi, leva gli occhi terrorizzato e grida:
«Scappiamo, scappiamo». Udire l'urlare del bolide enorme, che già! pareva avvolgerci nella sua cerchia di ferro, intuire il pericolo imminente, correre al riparo, fu una stessa cosa;
ma avanti che noi avessimo fatti pochi passi, l'infernale ordigno era scoppiato con un fragore sbalorditivo; sassi e frantumi di legno ci piovevano sulle spalle, un denso polverone
bianco ci avvolgeva. Quando la pioggia spietata delle macerie parve acquietata, fuori uscii
dalla casa, dove mi ero riparato come attratto da una forza sovrana e con l'inserviente che
aveva gridato "all'armi!" e si era [messo in] salvo con me, di un balzo fui sulle rovine, ancora fumanti. [Roffi, Roffi205], gridai disperato; alla mia voce rispondeva un silenzio di tomba,
fatta da un'immensa voragine spietata. "Roffi, Levra", gridai di nuovo e quest'ultimo, il
chierico lionese, sbucò! da una vicina trincea, il volto terrorizzato. Indarno ancora chiamammo il povero parigino, indarno lo cercammo nell'aperta campagna, lungo i camminamenti. Indarno tendemmo l'orecchio, fissammo lo sguardo entro quell'ammasso di rovine.
Le stesse, ribaltate, in tutti punti frugate, risposero con lo stesso silenzio desolante. Non
una goccia di sangue, non un resto di stoffa o di membra, che segnasse la strage dello
sventurato. Sovra del poverino incombe il mistero. Domandarmi come io sia salvo da tanta
sciagura, in nessun modo il saprei dire efficacemente. Qual forza superiore mi strappò!
all'urto immane dell'aria spostata dal proiettile che non poté! essere da meno di un 305?
Qual virtù! sovrana mantenne in me tal lucidità! di mente e presenza di spirito, da farmi
comprendere tutta la brutalità! del pericolo, senza subirne l'influenza di terrorismo e smarrimento che avrebbe potuto perdermi? Quale spirito di pietà! sollecitò! mie cure a prò! dei
probabili sventurati, trascurando me stesso? Dio solo, di tutto capace, lui queste grazie
segnalate mi ha concesse lui che mi ha miracolosamente salvo !
27 ottobre 1916
Notte e mattinata di pioggia continua. Pomeriggio radioso. Le condizioni dei nostri soldati
in trincea vanno peggiorando d'assai. Si guazza nel fango e nell'acqua. Aumentano gli
ammalati e i casi di congelamento. La violenza dell'acqua che gli austriaci studiatamente
hanno fatto rovesciare dai loro camminamenti quasi d'apposti serbatoi, ha strappato i parapetti delle nostre trincee e travolti zaini e altro materiale molto. Il terreno argilloso impac205
ROFFI GIOVANNI di Giuseppe. 38° Reggimento Fanteria, nato il 31 luglio 1894 in Francia ed inscritto di leva nel Comune di Boccolo de’ Tassi, distretto militare di Parma, morto il 26 ottobre 1916
sul Carso per ferrite riportate in combattimento (dalla pagina dell’Albo d’Oro inviatami da P Angelo
Mazzardi)
85
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cia il cammino e affatica. Pessime si presentano le condizioni per un'azione offensiva. Urge tuttavia rettificare la linea nostra e portarci in posizioni che permettano di svernare
tranquillamente e senza inutili sacrifici di sangue. A domani, pertanto, l'inizio del bombardamento.
28 ottobre 1916
Le prime luci rompono appena la bruma notturna. Densi cavalloni neri si agitano nel cielo
plumbeo. Aprono l'orchestra immane, che dovrà!divertirci per ore eterne, i Bettica206.
Dapprima le nostre batterie che lasciano poi il turno a tutte le successive fino all'estrema
linea di san Grado. Alle 9.30 tutte le batterie hanno aperto un fuoco violento. Più! tardi, circa le dieci, anche le bombarde si associano alla musica infernale, di schianti paurosi, di
suoni magici, di fragori assordanti. Da San Marco al Pecinca207 la linea avversaria bolle e
freme sotto l'impeto gigantesco dei torrenti di ferro e fuoco rovesciato dai nostri lucidi mostri d'acciaio. E'una danza infernale di proiettili d'ogni calibro. Ben presto tutta la posizione
scompare sotto un velario denso di fumo e vapori levantisi alti alti in colonne immense; altre nere come caligine, altre bianche e soffici come enormi batuffoli di cotone. Rispondono
gli austriaci, con tiri pazzi, ora sul paese, ora in cerca degli appostamenti dei nostri cannoni e bombarde, ora all'indirizzo di probabili riserve d'uomini e munizioni. La terra ha dei
fremiti convulsi, quasi scossa da un perenne terremoto. L'orrenda bufera ovunque s'abbatte, rompe, frantuma e rovina. La minaccia è! continua sopra le nostre teste. Il frastuono è!
tanto e sì! confusi i suoni che più! non ci è! dato comprendere da qual parte vengano e per
dove si dirigano i colpi. E' uno scambio violentissimo, terrificante, di ministri di morte.
Giungono le prime vittime. Un ordine improvviso sospende le operazioni. I nostri tiri vanno
diminuendo; cresce la furia dell'avversario, che attende lo sferrarsi dell'attacco delle fanterie ch'ei vuole annientare con un bombardamento violentissimo, disperato, e le vittime non
mancano. E' la nostra 4a compagnia che più! ne soffre. Le prime voci ci son portate da due
leggeri contusi. Accorro tosto sul luogo. Fortunatamente il disastro è! grave, ma non nelle
proporzioni riferite. Un 305 ha preso in pieno la trincea. Si discorreva di licenza, di vita e di
morte fra quei soldati. Qualcuno aveva azzardato affermare che in quel giorno non la si
sarebbe potuta scampare. Qualche colpo avrebbe dovuto centrare. Un caporal maggiore
insiste perché! quei discorsi cessino e senz'altro raggiunge altri compagni. In quel mentre
odesi nell'aria l'urlare del mostro: «E' per noi»! gridano i disgraziati. Uno schianto terribile,
un'immensa colonna nera, e tra le volute del fumo e del terriccio, membra sbranate e
stracci di vesti, di teli da tenda e di coperta. Non una voce di lamento, silenzio di tomba.
Visione macabra! Cinque soldati e un caporale sono scomparsi. Ne dissotteriamo i corpi
sfracellati, rotti, fatti a pezzi, che ritroviamo un po' per tutto, vicino e lontano e piamente li
raccogliamo, componendoli, com'è! possibile, in coperte, e nella notte li seppelliamo . Il
cannone batte sempre ferocemente. Il silenzio nostro e la tranquillità! delle nostre fanterie
indispone l'avversario che ci obbliga, per ore eterne, in un'agonia angosciosa. Raffiche
rabbiose si abbattono sui ruderi di Vertoiba, incenerendo, polverizzando ciò! che era già!
stato distrutto. Gemono i tetti delle case, già! in più! parti sfiancate sotto la sferza feroce.
Già! l'ombre della notte ci avvolgono in un manto gelido, carico di pioggia. La vita riprende,
206
Le «Sezioni Bettica», così chiamate dal nome dell'ufficiale che le inventò, sono costituite da lanciabombe
di tipo leggero, utilizzate in prossimità dei reticolari nemici per aprirvi dei varchi, spezzando il filo spinato.
207
Altura carsica, verso Castagnevizza.
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intensa, alla luce bianca di mille razzi e di riflettori. Anche il cannone riposa un poco, ma
vigile come le vedette che, tratto tratto tagliano, l'aria coi colpi isolati del singolare ta-pum
e di nostri cecchini.
29 ottobre 1916
Ancora piove. Dura tuttavia il cannoneggiamento, su qualche punto del fronte, non violento e saltuario. Genio e reparti di zappatori lavorano febbrilmente a riattare, accomodare e
ricostruire trincee e camminamenti. Lunghe teorie di carri e corvées di muli e di uomini sudano nell’accumulare nuove riserve di munizioni e di materiali. La battaglia, interrotta a
mezzo, vorrà! riprendere più! intensa, circonfusa da migliori auspici. Sarà! una lotta aspra,
dura, a ferri corti. Il nemico, vigile sempre, instancabile, ci attende munitissimo.
Si è! parlato tanto di licenze, in questi giorni, con un desiderio visibilmente intenso che si
aprissero tosto. Non si parla che di questo e si sognano i dolci intrattenimenti coi cari lontani, le povere case affumicate, i biondi piccini e la giovane sposa, i vecchi genitori bisognosi.
Sorridono giorni beati, tranquilli, dopo i quali meno pesanti tornerebbero le sofferenze, le
privazioni della trincea, anche la morte non spaventerebbe. Ma si riveda prima il luogo natale, un'ultima volta si riabbraccino gli adorati parenti. E mentre il cuore pulsa per sé! dolci
e giusti affetti e la fantasia si sbizzarrisce, a capriccio, un ordine arriva che, tosto, è! emanato ai comandi inferiori per le opportune disposizioni. Come un fluido magnetico passa
per le trincee e si comunica misteriosamente a quei figli prodi. Si allumano gli occhi di folgori nuove, l'intenso batter dei cuori si tramuta in un dolce effluvio di lagrime. I primi fortunati si avviano ben tosto al comando di reggimento, subissati da infinite domande e auguri.
Il contento però! vuol essere molto breve, troppo breve. Al primo ordine di concessione
succede sul tardi una contro-disposizione che, in un baleno, sfata e abbatte rosee speranze e castelli dorati. Le licenze per il nostro corpo d'armata restano chiuse e non si riapriranno che a operazioni terminate.
30 ottobre 1916
Cielo imbronciato e scroscioni d'acqua. In alto si vuole assolutamente agire, ad ogni costo
avanzare. Le difficoltà! però! si accumulano e anche chi dovrà! dirigere le operazioni ne è!
convinto. E' un illustre maggiore: venne tra noi nel pomeriggio, girò! per le trincee, studiò! il
terreno e concluse per l'attesa di tempi migliori.
31 ottobre 1916
La notte però! il cielo si rischiarò! bello, di un sereno terso, tempestato di stelle. L'insperato
cambiamento d'atmosfera esaltò! gli animi. Da un comando all'altro, nelle alte sfere, durò!
continuo lo scambio di fonogrammi, di vedute, di piani portati attraverso i fili metallici dei
telefoni laboriosissimi o dai veloci motociclisti. L'alba radiosa sorse satura di furori bellici.
Ordini e disposizioni disturbarono il placido sonno nostro. Oggi e domani mattina bombardamento; da fissarsi ancora l'ora dell'attacco per le fanterie. Violentissimo durò! il bombardamento da mezzo il mattino, fino a sera tarda. Risposero efficacemente gli austriaci e
due case vicine ai nostri ricoveri furono demolite. Un fuggi fuggi generale di soldati, molti
zoppicanti, altri scamiciati, tutti terrorizzati. Nessuna vittima, un solo soldato un po' contu87
!
so, poiché! ebbe le gambe sotterrate dalla pioggia di macerie. Le nostre pattuglie, uscite
per l'esplorazione dei varchi, riferiscono dell'efficacia straordinaria delle bombarde. Estesissimi e profondi campi di reticolati, sconvolti, polverizzati e annientati. Il passaggio verso
quota 123 sud ha la larghezza di 100 metri circa. Nella notte le nostre artiglierie continuano i loro tiri sopra le posizioni avversarie, per impedire ogni ulteriore opera di difesa e di
riattamento. Noi non si dorme.
1 novembre 1916
Giorno di Tutti i Santi. Chi più! se ne accorge? Chi più! ci bada ai giorni che passano, nel
trambusto spaventoso di fatti e di cose? Giorni di festa e giorni di lavoro si avvicendano
senza distinzione alcuna. La guerra tutto assorbe delle energie dell'uomo. Lo spirito comunica necessariamente con Dio, senza uno stabilito sistema di atti esterni. Tutto serve
ad elevarsi, mente e cuore, all'eterno reggitore, al giudice e padre misericordiosissimo.
Non vi ha coscienza, anche la più! disperata, che non senta il bisogno di ricorrere a Dio o
ai suoi santi. Il dotto pure, ribelle ad ogni dogma, negatore di misteri, dinnanzi allo spettro
inesorabile della morte, trepida in cuor suo e cerca scampo in una forza superiore, ch'ei
non vuole sia Dio, ma cui annette una virtù, che solo da Dio può! aver principio. «Cappellano, si tenga pure il suo Cristo, si tenga il suo Dio e la sua fede, fortunato lei che ci crede!
Vorrei esserne io pure convinto. Per intanto a me basta sant'Antonio: del santo di Padova
ho fiducia grande e, fuori, l'immagine che ci protegga in mezzo a questo putiferio di cannonate». E' un medico materialista che parla. «Io non credo a niente, dinnanzi alla Vergine
santa però! mi sento commuovere e specialmente mi rapisce la Consolata di Torino208, alla
quale non posso fare a meno di raccomandarmi e ne porto pur sempre l'effigie sacra». Un
impiegato ferroviario, un ufficiale mitragliere che va all' assalto e ch'io saluto e benedico.
«Ah, cappellano caro, se il Signore stavolta non ci mette lui una mano, poveri noi, la è! finita!». «Anche tu?». «E chi ci può! salvare? Vada là, non c'è! nessuno che in questi momenti
non si raccomandi». Questo, un "habitué", un abbonato delle galere, oggi soldato.
Festa d'Ognissanti! Lontano, nelle chiese, il tripudio delle anime, l'intensità! della preghiera
raccolta, l'effluvio cordiale di voti, di suppliche, tra il profumo e la festa dei fiori, la maestosità! del rito, l'eco soave di canti e di suoni angelici! Ognissanti! Sulla calca immensa dei
fedeli, la fronte dimessa, umili i cuori, aleggia lo spirito dei beati e consiglia e conforta e
protegge! Ognissanti! E' il cielo che si scopre all'umanità! straziata, sanguinante, nella visione beatifica della virtù!premiata e trionfatrice, nella fruizione divina del gaudio eterno!
Noi si combatte, si soffre e si muore! Le preghiere son gemiti di morenti, di corpi straziati.
Son canti il grido di "Savoia!", d'“Urrah!". La musica è! fatta di cannoni a centinaia, di mitragliatrici diaboliche. L'accolta è! il fior fiore dell'umanità, che si odia e ferocemente si ammazza. Sul campo immenso aleggia inesorabile la morte!
Sono le due e mezzo quando celebro la santa Messa. Sento nell'anima una mestizia indefinibile, come di un lutto che mi sovrasti. Prego e piango! Nell'ostia santa vivente che stringo alta, tra le dita tremanti, fisso le pupille in cui ho trasfuso tutto il mio essere e, in un supremo slancio di fiducia e di amore, oso invocare il patrocinio dei santi tutti, a benedizione
e conforto dei prodi figli della battaglia.
208
Noto santuario mariano della città.
88
!
Verso le cinque tutto il comando si trasferisce al Sober209, in quei ricoveri. Il capitano medico vi stabilisce un posto di medicazione avanzato. Sulle alture e sulla piana immensa si
è! adagiato come un soffice velario di nebulose che si accende e rosseggia ai raggi del sole nascente. Tutto è! pronto, gli ultimi ordini sono stati emanati, categorici. Truppe attaccanti e riserve sono ferme, ai loro posti. Alle sei precise la partita del cannone riprende feroce,
violentissima. E' un ruggito immane, ineguale ch'erompe da mille bocche d'acciaio e assorda e schianta. Un rullìo vertiginoso di tamburi metallici. La terra tutta freme fin nelle viscere. Colonne immense fiammeggianti si elevano al cielo. Ormai tutta la linea avversaria
è! scomparsa, avvolta in un nimbo impenetrabile di vapori e di fuoco. Il sole vi dardeggia,
traendo riflessi sanguigni. Le pattuglie ufficiali sono uscite e in uno slancio meraviglioso e
audace si sono portate a pochi metri dalla trincea nemica, lungo un terreno faticosissimo.
Non un colpo di fucile. I varchi sono sempre aperti, estesissimi. Uno degli arditi è! il tenente
Doglio. Con voce commossa il colonnello gli assicura un premio per dopo l'azione. Io lo
benedico ed ei parte. La tempesta di fuoco ha dei sussulti di un parossismo indescrivibile.
L'ora dell'attacco sta per scoccare. Sono le 11.10. Le artiglierie allungano il tiro. Reparti di
diverse nostre compagnie, formanti la prima ondata balzano dalle trincee guidati da eroici
comandanti. Vincendo la terribile resistenza del terreno pantanoso, in breve, sono sotto la
quota cui mira la battaglia. Una seconda ondata si prepara ad uscire. D'in fondo al valloncello che separa le due alture una voce echeggia robusta: «Avanti! Avanti, ragazzi!»! E'
comandante il 3°! Battaglione, l'audacissimo maggiore Fuscaldi210. Ha voluto avanzare coi
primi, troppo audace! Un fragore mostruoso di tuoni accoglie l'invito di sfida; un torrente
impetuosissimo di fuoco e d'acciaio rovesciato da cento bocche, si abbatte sui disgraziati
che avanzano. Una cortina impenetrabile si erge tra le due ondate. A mille cantano i fucili
e le mitragliatrici, sorte come d'incanto da tutte parti. Rompe il frastuono metallico, l'avanti
gridato sempre dal bravo maggiore, fermo, tra il fioccare dei proiettili, brandendo nervosamente nell'aria l'inseparabile bastoncino. "Avanti!.. Avanti!... Avanti!" ed ei si muove arditamente. D'intorno a lui regge violentissima la battaglia, lo seguono i suoi fidi. D'improvviso
la voce tace, l'uomo è! scomparso. A nulla tornano le ricerche. Su quel terreno già! tutto
sconvolto si abbattono con una furia indescrivibile proiettili d'ogni calibro. La dolorosissima
nuova si sparge tosto. Il mistero l'avvolge di un velario impenetrabile. E' la volta del 2°! battaglione.
1 gennaio 1917211
Mentre fuori lungo la strada rumoreggia il rifornimento notturno alle prime linee e sulle case già! mille volte rotte e squarciate si abbattono a volte altri ministri di morte e di distruzione, granate d'ogni calibro e lassù! nel cielo stellato signoreggia pacifica la luna, io mi raccolgo e penso ai fatti di questo primo giorno dell'anno nuovo, quarto dell'immane guerra
che sconvolge l'Europa intera ed altre nazioni del mondo offende e strazia.
Tuonava il cannone forte su tutto il fronte quando l'anno vecchio agonizzante spirò, e la
musica orrenda accolse pure il nuovo in un fragore di schianti, di urli e di suoni assordanti.
209
Altura fra San Pietro e Vertoiba.
210
FUSCALDI SILVIO di Felice. Decorato di medaglia di bronzo al V. M. Maggiore in servizio attivo 38°
reggimento fanteria, nato il 7 novembre 1873 a Livorno, distretto militare di Livorno, disperso il 1°
novembre 1916 sul medio Isonzo in combattimento.
211
Si continua con GU3, pp. 18-31.
89
!
Un sole maestoso diradò! la fitta nebbia che da più! giorni ci avvolgeva in un velario bigio
melanconico, nel cielo immenso di un sereno smagliante risuonò! tosto il rumore uguale di
velivoli nostri e nemici. Freddi, insoddisfatti ci lasciò! la risposta dell'Intesa agli Imperi Centrali212. Verrà, oh!, si verrà! la pace, ma altro sangue ancora si sparga, altri sacrifici ci saranno domandati. Dalle tende povere, dai campi dove ancora giacciono insepolti tanti generosi, un'unica voce risuona: pace, sì, pace, ma agli uomini di buona volontà, pace ma
che assicuri alla diletta Italia nostra un avvenire glorioso degno di una nazione rinata sulla
pratica degli alti ideali del cristianesimo, che a noi, suoi prodi figli diè la generosità! del sacrificio estremo. Pace, oh sì, pace, ma fatta sulle basi sante del diritto e della giustizia, rispettata e reintegrata! E il cannone romba e le mitragliatrici cantano l'inesorabile danza
della morte!
E' capo d'anno! E' la solennità! della Circoncisione! Dico una santa Messa al posto di medicazione dove raccolgo quanti più! soldati posso. Alle dieci celebro la seconda nella trincea del 1°! battaglione. I miei cari soldati mi hanno preparato un bellissimo altarino tutto
adornato di sempreverdi dove fiammeggiano riunite quasi in un mazzo di fiori le lame di
alcune baionette innestate ai loro fucili. Lo spazio purtroppo è! breve. Qualche pallottola fischia passando lontano. Assiste il generale comandante la brigata, l'ottimo e carissimo
generale Pistoni cav. Giuseppe, gli ufficiali del battaglione e quanti graduati e soldati [il
luogo] può! capire213. Prima della benedizione mi rivolgo [ai presenti], per due parole d'augurio. Ecco in breve: "Signor generale, ufficiali, graduati e soldati. Per noi, al reggimento e
all'esercito tutto, gli auguri di un pratico ritorno ai veri ideali cristiani su cui poggiarono nei
secoli andati le glorie e i progressi scientifici, materiali e morali dei popoli grandi e che saranno anche in avvenire la vera base della potenza d'Italia nostra. Auguri fervidi di un presto vittorioso ritorno alle case nostre. Quanto più! rigorosamente e coscienziosamente
avremo adempiuto i nostri doveri, in quest'ora gravida di sacrifici, altrettanto più! caldo, di
riconoscente affetto, sarà! il bacio che mamme, spose e figli, deporranno sulle fronti dei figli, degli sposi, dei padri, sorrisi dalla felicità! che adduce nell'anima il testimonio di una coscienza buona e sicura".
Stasera ho ricevuto una bellissima lettera di un vecchio ufficiale del nostro reggimento rimasto ferito gravemente il novembre 1915 a Monte Kuch e tuttora degente in un letto. Con
una pace d'animo invidiabile brevemente ma succosamente racconta tutta la serie dei suoi
dolori che l'ebbero condotto a detestare il vecchio uomo per riedere214 sulla via della salute e della verità, dove tante gioie gode pur di mezzo a sofferenze atroci. Anche il caro
Piantelli mi scrive dalla sua lontana prigionia in un'espressione d'intenso desio di libertà.
Mi strazia l'animo la morte crudele del carissimo don ***: l'intelligente e zelante prete bresciano giovane pieno di vita e di sincerità, compagno di milizia dapprima a Milano e poi
nelle valli Giudicarie215 donde si partì!aspirante ufficiale.
Il primo giorno dell'anno nuovo non è! ancora morto e, quasi presagio nefasto di lutti immensi onde vorrà! anch'esso seminata la sua scia vermiglia, una prima vittima si strappa
da un'allegra comitiva di giovani forti che, protetti dall'ombra notturna, lontani dalla prima
212
Nel dicembre precedente, la Germania, in seguito ad un intervento diplomatico da parte degli USA, aveva
rivolto agli alleati una offerta di pace, che fu respinta dall’Intesa.
213
Contenere.
214
Ritornare.
215
Si estendono da Trento al lago di Idro, nel Bresciano.
90
!
linea, lavorano a riattare un camminamento. Una pallottola di fucile sparata, a caso, dalle
linee nemiche ferisce al cuore un ottimo giovane che stramazza bocconi a terra senza poter proferire parola alcuna.
2 gennaio 1917
Portiamo a sepoltura il cadavere del povero Trevi. Mesto e triste convoglio di guerra. Le
preci, l'espressione, il saluto di pochi compagni.
11 gennaio 1917
Mi alzo più! presto del solito. Faccio anche di più. Celebro privatamente. Il sottotenente
Frecceri del Genio mi scrive una bellissima lettera. Anima santa. Nuove attenzioni di stima
e di affetto dai miei ufficiali. Quanto bene può! fare il sacerdote fedele alla sua vocazione
santa! Dopo mezzogiorno, col dottor Virgona, giriamo un po' per le rovine del paese. Ammiriamo la bella chiesetta coi suoi ricchi altari di marmo. Tutto è! in rovina, ora frantumi. La
torre campanaria abbattuta fino al castello e le campane poggiano sotto un ammanto di
macerie sul pianerottolo. L'artiglieria nemica controbatte coi grossi calibri la nostra. Il cielo
va spazzandosi. Velivoli nemici appaiono nell'azzurro, rombanti.
A cena terminata, mentre si ride e si scherza, capitano due o tre cannonate vicinissime a
noi, è! un "all'arme." Qualcuno si tocca le stellette216. Il colonnello se ne va a dormire nel
suo filare. Sono le ventidue. D'improvviso una voce sinistra, portata prima da un soldato
del Genio, si propaga: "Fuoco, fuoco, nel magazzino deposito di tubi e casse di gelatina".
In tutta fretta e furia si racimolano tutti i soldati possibili, parte si adoperano allo spegnimento, parte al trasporto del materiale servibile. Una colonna enorme di fumo si eleva nel
cielo illuminato da una luce magnifica. Guai se gli austriaci dovessero accorgersene. Il lavoro ferve. Continuo su e giù! incoraggiando quei bravi figlioli. Il fuoco è! spento. Arrivano
altre corvèes numerose. Son fatte tornare. Uno srapnel-granata scoppia sugli avanzi
dell'incendio. Fortunatamente la massa dei soldati è! lontana e noi pochi, lesti, ci possiamo
riparare sotto l'arco di una porta.
12 gennaio 1917
Giornata di vento chiarissimo. Il 2°! battaglione sta accomodando un altarino per la santa
Messa. Data la limpidezza del tempo e quindi il pericolo di far scoprire la linea e l'agglomeramento di truppa, rinuncio e celebro al posto di medicazione.
Gli austriaci sparacchiano disordinatamente. Poi si allinea il passo. Sono quasi in fondo al
camminamento che dalla 12a va al ponticello sulla Vertoiba, quando urla nell'aria un farfallone. Ci rannicchiamo attendendo. A otto passi da noi, a non più! di un metro da una sentinella, urta e scoppia un 152. Nessun danno fortunatamente, nessuna scheggia, nessun
sasso, mi investe una pioggia di zolle e terriccio. Accorro dalla povera vedetta terrorizzata:
è! nella terra fino alla cintola. E' salva e continua il suo compito. In breve, colpi si abbattono
nei dintorni. Uno specialmente ci tiene in orgasmo. E' scoppiato sulla linea della 12a buttando per aria lamiere, tavole e stracci. Nessun lamento. Ad un soldato che viene di lassù,
216
Gesto scaramantico in uso nell’ambiente militare.
91
!
tutto spaventato apprendo che c'è! della gente interrata, dei morti e dei feriti. Trovo infatti
un caporal maggiore e quattro soldati contusi. Li incoraggio e li invio di tutta fretta al posto
di medicazione. Attendo che arrivi a destinazione un altro mostro che urla ferocemente
nell'aria e che va ad abbattersi più! su, ad una cinquantina di metri, poi di nuovo via di corsa.
Ufficiali e soldati si congratulano meco per il pericolo scampato. E la Messa? Preferisco
attendere ancora un poco. Il cannoneggiamento si fa più! rado ed i colpi vanno a finire lontano. E' quasi mezzogiorno a ridosso del ciglione della vertoibica riva sinistra; in una sinuosità! del ghiaione i bravi soldati hanno composto l'altarino a festoni verdi. Il capitano Enriquez mi dona una figurina d'angelo che metto dietro il crocifisso. Il sottotenente Zuccotti
prende due fotografie. Accetto di far colazione col comando di battaglione, frugalmente
come permette il luogo. Forte dolor di testa. Mi avvio alle trincee che percorro tutte fermandomi a tratti. Distribuisco sigarette e toscani. Lo spirito dei soldati è! buono, sono tanto
rassegnati! Verso le sedici sono di ritorno al comando di battaglione. Saluto e mi invio per
ritorno. Pare subentrata un po' di calma. Che? Dalla linea austriaca è! stato levato alto tre
volte un disco bianco e immediatamente è! scoppiato un medio calibro seguito da altri nel
valloncello, poi più! su dietro la linea del 3°! battaglione. D'attorno a me si fa un circolo di
soldati e si discute di tante cose. Chi la sa più! lunga è! un bel pezzo d'uomo di Bassano.
Preti imboscati, eccetera, fanno le spese. Rispondo, acquieto, accomodo, soddisfo ed ottengo sincere manifestazioni di stima e d'affetto, saluto e ritorno.
A Merna paese oggi ci furono momenti d'orgasmo. Gli austriaci si sono divertiti cercando
di colpire il comando e depositi. Vittima un povero soldato del 3°!battaglione, calzolaio.
13 gennaio 1917
All'ora solita celebro la santa Messa. Le artiglierie paiono molto irrequiete, oggi. Uno dei
colpi arrivato ieri sera ha preso nella stanzetta dove più! volte celebrai nei primi giorni del
mio arrivo a Merna. Verso le dieci incomincia un tiro sistematico di mediocalibri sul paese.
Un 152 scoppia in pieno sul ricovero dell'officio comando lanciando lontane alcune
poutrelles217 dopo averle contorte. Attività!di medi e grossi calibri dell'artiglieria avversaria.
Mattinata d'orgasmo, Merna paese è! il bersaglio preferito. I posti di medicazione se la
scampano per puro miracolo. Una casa che serve da osservatorio all'artiglieria, colpita,
frana in un angolo. Due ufficiali sul luogo del disastro restano incolumi, mentre l'attendente
d'uno d'essi viene sbattuto a terra, mozza la testa. Orgasmo del povero ufficiale padrone.
Non mangiamo che verso le tredici quando pare ritornata un po'di calma. Lancio l'idea del
blindamento della sala da pranzo che diversamente non resisterebbe neppure ad un 75.
E'accettata.
Mi accompagno col carissimo Enriquez e vado per un giro alle trincee di prima linea. Ogni
tanto qualche colpo. Di ritorno faccio seppellire il povero morto di stamane.
14 gennaio 1917
Giornata tediosa. Nonostante la nebbia fittissima, aeroplani austriaci si mostrano bassi
sulle nostre posizioni. Verso le quindici giunge il generale comandante la 12a divisione,
Quaglia, appresso il generale Pistoni che s'intrattiene meco molto familiarmente; mi dice
217
Traversine utilizzate per costruire i trinceramenti.
92
!
dell'andata all'ospedale di don Tarditi del 37°! ed esprime il desiderio ch'io resti sempre col
38°. "Guai s'ella parte! La vogliamo sempre con noi". Generale, colonnello nostro ed aiutante maggiore se ne vanno in linea per decidere una piccola azione di rettifica. Faccio
una camminata fino al 3°! battaglione per stabilire l'orario della santa Messa di domani. Nel
ritorno faccio una corsa buscandomi una tremenda sudata
15 gennaio 1917
Notte cattiva quella trascorsa e stamane mi sono alzato un po' indisposto. Prima santa
Messa al posto di medicazione, seconda alle trincee del 3°! battaglione. I soldati non sono
molti: quasi tutti sono al lavoro.
Notizia tristissima; è! morto all'ospedale il tenente De Vivo218. Di qualità! eccellenti, ma troppo facile ai compagni di vita, tralasciava frequentemente le pratiche religiose, come un
buon napoletano di Cassino.
Rizzo entra all'ospedale. Io mi metto a letto con febbre alta.
16 gennaio 1917
Stamane non m'è!permesso celebrare per febbre.
218
DE VIVO GIUSEPPE di Achille. Tenente di complement 38° reggimento fanteria, nato l’11 marzo
1893 a Cassino, distretti militare di Frosinone, mart oil 10 gennaio 1917 nell’ospedaletto da campo n.
219 per malattia.
93
!
Ultimi mesi di guerra
(marzo-giugno 1917) 219
13 marzo 1917
Santa Messa con comunione distribuita a quasi tutta famiglia Pezzati220 e a signora Capitani all'altare della Madonna delle Grazie [nel] Duomo di Como221. La Vergine santissima
accolga i voti miei e di quanti mi amano e faccia di me un prete santo. La signora Capitani
mi raccomanda tra le lacrime le sue croci. Parto salutato dal desiderio di rivederci presto.
Mamma Maria222 specialmente è! commossa, mi bacia, mi mette tra le mani un involtino,
dicendomi: "Mi dirà! una santa Messa". Giuseppino223, arrivato ieri per la licenza invernale
e zio Pietro mi accompagnano. Eccoci alla stazione di Solbiate. La vettura dell'albergatore
in luogo ci porta a Cagno. Prima ad incontrare è! la mamma nostra. La poverina inutilmente
aveva atteso anche quel giorno da Giuseppe, questi non scriveva da più! di un mese. Restò! quando lo vide con me in carrozza e non potè! di scoppiare in un pianto dirotto consolantissimo, così!papà!carissimo.
Più! tardi, verso le diciotto, arrivano Giuseppe, Candida e Gianni, coi quali tutti passiamo
una serata piena di soavi ricordi e di sana allegria. Chi più! gode è! papà. E' felice! Grazia
migliore la Provvidenza non ci poteva concedere, io parto e a confortare la famiglia, resta
l'altro fratello.
14 marzo 1917
Mi sento molto bene, ho riposato ottimamente. Alle otto ho terminato di celebrare. Scambiate alcune chiacchiere col reverendissimo prevosto, lo salutiamo e via, a casa. Le vetture sono pronte. Giuseppe, mio padrino224, Mario e Annunciata225, prendon posto sul barroccio e ci precedono. Mamma Candida, Giannina, zio Pietro, io e fratello Giuseppe ci
mettiamo sulla carrozza che muove pure. Ho baciato papà! ripetutamente. Mi ha benedetto. Piange, ora, e con lui tutti di casa che restano a guardarci fino a tanto che la svolta della via non ci abbia tolti alla loro vista. Il tempo è!bellissimo, l'aria un po' fredda.
A Malnate faccio prima una corsa in chiesa a salutare don Severino226, poi riveggo tutti i
parenti quindi recami alla stazione con tutta la comitiva. Mi separo anche da Giuseppino
che mi abbraccia e mi bacia e mi raccomanda di ricordarlo sempre. Povero fratello mio!
219
GU2.
220
Famiglia amica e benefattrice di don Folci durante gli anni del Seminario. Giuseppe Pezzati era titolare di
“Fabriche Acque Gazose e Seltz, Birra e Liquori” con sedi in Como, in via Manzoni, e a San Fedele Intelvi.
221
Don Folci è di nuovo in licenza.
222
Così era affettuosamente chiamata da don Folci la signora Pezzati.
223
Il fratello minore, anch’egli arruolato. Vd. Sopra p. 12, n. 32.
224
Giuseppe Pezzati, padrino di Messa di don Folci.
225
Rispettivamente fratelo maggiore e cognata di don Folci.
226
Don Severino Lazzeri, parroco di Malnate.
94
!
Eccoci in treno. Il Sacro Monte e Campo dei Fiori227 si allontanano dolcemente. Mando un
saluto alla Vergine mia, mentre nell'animo va destandosi una lotta aspra d'affetti. Quanti
addii, quanti abbracci e baci, quanti arrivederci, quante strette di mano! Tutti che mi amano, vidi piangere, ancora una lagrima non ha solcato il mio ciglio. Il sacrificio lo sento, forte, inesorabile. L'ho assunto volontario, non vi verrò!meno.
Milano, Milano! In carrozza, col padrino mio, ci portiamo dapprima all'ospedale di
sant'Ambrogio, poi a casa del prevosto di San Tomaso. L'illustre e pio sacerdote, è! assente, così!la sorella, non arriveranno che in serata.
Colazione festosa, alle "Quattro Nazioni", poi in giro per la città! a far le compere necessarie. Le ore precipitano e il momento della separazione arriva inesorabile. La comitiva si biparte. Mamma, Mario e Annunciata, col treno delle 18.12 partono per Malnate. Stampo un
ultimo bacio sulla fronte della mamma adorata, che mi guarda con due occhi pieni di lagrime. Fratello e cognata piangono essi pure. Io lancio un ultimo motto per ridere, strozzando in gola un imperioso singhiozzo. Gli ultimi saluti e gli arrivederci s'intrecciano nell'aria, col fischio acuto della vaporiera che sbuffa e parte. Finalmente un primo strappo, doloroso, straziante. Per due ore ancora mi godo il resto della compagnia. Ceniamo allegramente. Nessun segno esterno tradisce la passione che lotta nel mio cuore. E' l'ora. Appena giungiamo a tempo in stazione. Bacio tutti con effusione d'affetto. Per il padrino mio è! la
stretta più! forte, le ultime, calde, raccomandazioni. (Già, in prima sera, accompagnando la
mamma mi ero incontrato con l'avvocato Benzoni e signora che si profusero in vivissime
congratulazioni ecc. ecc.).
Ora eccomi solo e faccio ritorno alla casa del prevosto di San Tomaso, tornato allora da
Bergamo. La stanchezza, e una profonda depressione morale mi consigliarono di non partire che all'indomani nel pomeriggio e così!stabilisco.
15 marzo 1917
Mi alzai tardi stamane, celebrai all'altare di san Giuseppe al qual santo chiesi la santificazione e incolumità! mia nei prossimi cimenti. Appresso mi recai in Duomo per le funzioni religiose a prò! dei caduti in guerra. Ammirai la grandiosità! e magnificenza dell'officiatura ambrosiana. Assisteva sua eminenza il card. Ferrari col vescovo suo ausiliare mons. Mauri.
Dopo colazione, fui a salutare i signori Mariani e i signori Ogliari, infine mi ritirai in casa del
prevosto. Ero stanco e abbattuto. Un tumulto di sentimenti disparati si contendevano il
cuor mio, dubbi e incertezze e ansietà! unita a sfiducia, con la tentazione di rimandare ancora la partenza. Ho deciso, saluto e parto solo in carrozza per la stazione centrale. Prendo posto in uno scompartimento di 1a classe e prego, poi leggo e sonnecchio cercando
distogliere il pensiero dagli affetti più! cari, un'altra volta lasciati nel dolore. Il treno fila direttissimo.
A Verona prendo dei panini con salame cotto e una mezza bottiglia d'acqua minerale.
Mangio e poi mi addormento. Non mi sveglio che al gridìo assordante di facchini e guardiatreno. Un nome risuona nell'aria oscura: "Venezia, Venezia!". "Venezia" - ripeto io stupito e quasi indignato contro di me stesso. Guardo l'orologio. E' il tocco o poco più.
227
Località sovrastanti Varese, con il noto santuario mariano.
95
!
16 marzo 1917
Mi rivolgo a un controllore: "Signore, non ci sono più! treni per Mestre, o via Mestre?". "Più!
nessuno fino a domattina alle 5.40". "Ma se l'orario...". "Niente, niente, signore, è! stato tolto". "Facchino, facchino". Ebbene, pazienza: "a me, ragazzo, prendi e porta al deposito
bag agli e poi mi conduci in un buon albergo".
Lascio il mio certificato di viaggio al comando di stazione e una mezz'ora appresso già! gustavo, in braccio e Morfeo, le doti ristoratrici di un grande letto dell'Hotel Terminus.
Giornata stupenda. Peccato di non poterne disporre per una visita alla bella città! della Laguna. Sono senza "celebret"228 e a stento mi si permette di celebrare presso i Carmelitani
Scalzi la cui chiesa, rovinata da una bomba d'areoplano austriaco, è! ancora in riparazione.
Strazia l'anima nell'osservare lo scempio di tante ricchezze d'arte. Guerra nefanda!
Alle 9.20 il treno che mi deve portare a Udine muove suoi ordigni cigolanti. Contemplo
estatico l'immenso mare fluttuante, sotto una pioggia di raggi d'argento. Vaporetti, barche,
gondole, solcano in tutte le direzioni l'immensa distesa, mentre nell'aria volteggiano a
stormi gabbiani e piccioni. I giornali del mattino annunciano i primi moti della Rivoluzione
russa229, variamente commentata. Un po' leggo e un po' lascio vagar l'occhio attraverso il
magnifico paesaggio che il nostro diretto percorre, abbastanza velocemente. Nel mio
compartimento, tra gli altri, ha preso posto una signora dall'aria modesta. Da una borsetta
di tela trae un grosso gomitolo di lana e una calza fatta a mezzo. Dà! di piglio agli aghi e
lavora senza scomporsi, continuando a conversare con un giovanotto, forse suo figlio. L'esempio di quella donna mi suggerisce un mondo di pensieri pratici, mi ricorda l'immenso
stuolo di giovanette e signore che perdono il tempo in divertimenti, in chiacchiere inutili, in
frivolezze senza uno scopo. Quante civetterie, quante comodità, quante esigenze , e quali
pur dinnanzi ai lutti dolorosissimi e allo sperpero di ricchezza fatto dall'immane flagello
odierno. Fuori, nelle stazioni, lungo gli stradali polverosi, nei prati immensi è! tutto un movimento di carri, di automobili, di truppe.
A breve ora da Udine, un controllore speciale mi ritira il foglio di viaggio, dicendolo non regolamentare. A nulla vale il mio reclamo. Che ne sarà?! L'incidente mi riesce increscioso
specialmente pel fatto che avviene in presenza d'altre persone.
A Udine mi porto tosto in casa dell'ottimo avvocato Biavaschi230, accolto con affettuosa
cortesia. Alla Casa del soldato faccio qualche provvista, poi una visita breve al Duomo e
una, molto più! lunga, al Santuario della Madonna delle Grazie. Non d'altro prego la benedettissima Vergine che di una santa rassegnazione e serenità! nel nuovo periodo di vita
bellica che sto per iniziare. Esco dal tempio consolatissimo, tanto più! per aver alleviato la
pena di una coscienza straziata dal rimorso di pecche immonde. Povera anima nostra,
quando si illude dietro l'evanescente piacere mondano e si allontana dalla preghiera di
Dio! Anche i cedri del Libano cadono !
A Cormons, dove arrivo verso le 20, ceno al Ristorante della truppa dove mi incontro con
alcuni ufficiali del 38°! tra i quali il giovialissimo capitano Sarocchi. L'accoglienza è! entusiasta. Tutti mi affermano il desiderio comune di riavermi al reggimento. Ciò! mi conforta as-
228
Documento che attesta la facoltà di celebrare la Messa.
229
Nel febbraio del 1917, una serie di grandi scioperi, seguiti dall’insurrezione dell’esercito, diede inizio al
crollo della monarchia zarista e all’avvento del bolscevismo.
230
Vedi sopra, p. 30 n. 72.
96
!
sai. Dormo in casa del parroco in luogo. Un lettuccio incommodo mi accoglie stanco stanco e al mattino.
17 marzo 1917
Mi alzo più! spossato che la sera. A Moraro231 dove giungo con un automobile per ufficiali,
mi incontro dapprima col reggente e poi col cappellano che mi ha sostituito durante la mia
assenza. Viene dalla chiesa dove è! stato a celebrare la santa Messa dopo di aver assistito
ad una sentenza capitale di un disgraziato nostro disertore, padre di due figli. E' impressionatissimo.
Il generale Pistoni, comandante la nostra brigata, mi riceve e mi saluta commosso e festante e mi trattiene a colazione, tutto felice per il mio ritorno.
A Villanova di Monfortin232 trovo il comando di reggimento con due compagnie del 1°! battaglione, il resto è! al ciglione Isonzo, tratto di Savogna233. Anche qui le migliori attestazioni
di simpatia che hanno un'espressione ultracordiale, in quanti, ufficiali e soldati stamane
vengono ad ascoltare la santa Messa. Le due compagnie vengono quasi al completo. Dopo il santo sacrificio, gli ufficiali mi sono dattorno, felici di risalutarmi tra loro e insistono
perché! rimanga anche a colazione. Accetto. Don Santelli, di ritorno, nel pomeriggio, dal ciglione Isonzo, mi afferma la sua soddisfazione per il 3°! battaglione che in massa fu ad
ascoltare la santa Messa, mentre è! dolentissimo perché, dopo mille proteste di buona disposizione, il comandante il 2°! intrattenne i suoi soldati con un discorso interminabile, lasciando l'altare deserto.
Un nuovo leggero attacco febbrile, che però!mi abbandona nelle prime ore della notte.
19 marzo 1917
San Giuseppe, l'onomastico del generale di brigata, che nel pomeriggio viene a trovarci. E'
di buon umore.
Stamane ho detto Messa privatamente, ricordando al gloriosissimo patrono della Chiesa
gli immensi bisogni dei miei soldati e pregando particolarmente per i miei parenti e persone più!care, portanti quel nome santo.
Il tempo buonissimo permette insistenti scorrerie d'areoplani e lotte vivaci. Un velivolo austriaco è! preso in pieno da un nostro colpo di cannone. Il malcapitato è! fatto in due, e precipita, infiammandosi.
Sul tardi il cielo va rabbuiandosi, minacciando pioggia.
20 marzo 1917
La notte del 22 corrente il reggimento dovrà! portarsi nelle trincee di Vertoiba Inferiore, per
dare il cambio al 94°! Fanteria. Questo l'ordine che viene tosto diramato ai reparti dipendenti. Arriva dalla licenza invernale il colonnello comandante titolare del reggimento.
Verso sera comincia a piovere.
231
Località alle porte di Gorizia.
232
Località a sud est di Gorizia, ai piedi dell’altura di Monte Fortin.
233
Località a sud di Gorizia, sulla riva destra dell’Isonzo.
97
!
21 marzo 1917
Continua la pioggia e il nevischio. La collina del Carso e tutta la linea di montagne che appena appaiono di tra la nuvolaglia dal Corrada-Planina234 alla Selva di Temova235 son tutte
ammantate di neve. I bagagli son pronti.
Giornata triste e nefasta per il nostro vecchio e glorioso reggimento!!!236
22 marzo 1917
Partiamo! Sono quasi le tre! In quattro su un povero baroccino: colonnello, aiutante maggiore, cappellano e conducente. Pioviggina, ci taglia la faccia un'aria frizzante. Il povero
cavallo fatica sulla strada rotta e fangosa, ma laddove si fa bella, dal ponte N. 14 al N. 12,
fila che è! un piacere. I fasci di alcuni potenti riflettori nostri e austriaci s'incrociano nella
notte oscura, scrutando cielo e terra. A tratti raffiche brevi di mitragliatrici austriache, dalle
pendici del san Marco, i consueti ta-pum, pochi razzi. Alle cinque arriviamo tra i ruderi di
Vertoiba.
Un soldato del Genio ci indica la sede del comando in una casetta, sulla strada principale
del paese. Dal tetto alle fondamenta la povera casa apre i suoi fianchi all'occhio triste
dell'osservatore. Il cannone l'ha provata e piagata in più! parti. Una stanza a pian terreno è!
stata ridotta e blindata. In questa si stabilirà! l'ufficio e la mensa comando. Delle stuoie, a
destra, a sinistra e sul davanti dell'abitazione, parano un poco dall'occhio vigile delle vedette austriache. In un grande sotterraneo sono praticate diverse stanzette-dormitorio. Dal
234
Monte a ovest di Plava, nell’alta valle dell’Isonzo.
235
A est di Gorizia, attualmente in territorio sloveno.
236
Brigata Ravenna, 38° reggimento, 21-22 marzo 1917, 7 fucilati, rivolta. La Brigata Ravenna dipendeva dal comando della Zona di Gorizia, quindi dal generale Luigi Capello, all'epoca della rivolta
il reggimento era acquartierato nei pressi di Savogna d'Isonzo, vicino a Gorizia, a sei chilometri dal
fronte.
Dopo 5 mesi in linea la Brigata era stata mandata a riposo, due giorni dopo il contrordine: la Ravenna
torni in linea a presidiare le trincee della Vertoibizza.
Proteste, urla contro la guerra, spari in aria, tuttavia col passare delle ore la situazione si era calmata. Dalla relazione del gen. Capello al Comando Supremo, si evince che la sera del 21 due plotoni della 7° compagnia del 38° reggimento, all'atto di partire per il fronte, si dileguarono parte nelle baracche e parte sul greto del fiume, iniziando a sparare in aria. Il gen. Pistoni comandante della Brigata
ed altri ufficiali si prodigarono per far tornare la calma più con mezzi persuasivi che repressivi.
Non appena ebbe sentore della rivolta, il gen. Carignani, comandante del VIII°Corpo d'Armata ed ex
comandante della Brigata Messina nel 1915, si portò sul posto ed ordinò che fossero fucilati due
soldati trovati in una baracca a dormire ed un uomo ogni 25 dei due plotoni ed il giorno 22 infatti furono fucilati altri 5 soldati. Poi entrò in funzione un tribunale speciale che in una giornata emise altre
3 condanne a morte. Il Comando della Zona di Gorizia non fu soddisfatto ed il gen. Carignani continuò le indagini; la mattina dell'8 aprile furono fucilati altri tre soldati, tra cui uno precedentemente
assolto. In questo tragico episodio il gen. Tommasi riscontrò colpe gravissime degli ufficiali superiori, perché la Brigata la notte del 21 marzo si era poi portata in linea ed un tribunale speciale, mancando la flagranza del reato, non poteva svolgere funzioni della durata di una settimana, competenti
ad un tribunale militare; inoltre si era fucilato un soldato già assolto per lo stesso reato, che non poteva per legge essere riprocessato.
Don Folci, con un “ad altrove” annotato di seguito, rinvia a più precise notizie in altra parte del suo diario,
non rintracciabili, però, nei manoscritti attualmente conservati. Comunque il riferimento è ad alcuni casi di
diserzione, verificatesi all’interno del reggimento e puniti, secondo il regolamento militare in tempo di guerra,
con la pena di morte. Vd. Altri accenni allo stesso episodio più sotto e alle pp. 93 e 101.
98
!
cappellano del 94°! padre Giovanni Rossi, cappuccino, premiato già! con medaglia al valore, mi faccio accompagnare al posto di medicazione reggimentale: mi insegna intanto un
ricovero abbastanza buono nei pressi, dove stabilisco il mio alloggio. Sono stanco stanco
e però! celebro subito la santa Messa e poi mi butto sul povero giaciglio improvvisato dal
mio bravo attendente. Quando verso le undici mi alzo, una funzione dolorosissima mi attende. La fucilazione dei cinque: Gherardi, capitano Sormani, Bersagli, Giorgetti, Gentili.
Finalmente, dopo le quattordici possiamo prenderci un boccone, che trangugiamo tra una
nota mesta e l'altra. Colonnello e capitano Rossi sono le prime vittime del fatto incresciosissimo. Partono per Gorizia. Assume il comando di reggimento il tenente colonello Benf.
Sua eccellenza il tenente generale Carignani, comandante il nostro VIII°! corpo d'armata
vuol vedere tutti gli ufficiali presenti e a tutti dà! consigli di rigorosa e prudente disciplina,
vuol pure veder me e mi saluta e si raccomanda caldamente all'opera mia di sacerdote.
Poi parte e con lui il colonnello brigadiere Ferrari.
Il mio malessere aumenta verso sera. Troppe, e terribili, sono state le emozioni di oggi!
Dio mio!
Due morti, uno della 4a compagnia, l'altro della 2a e un ferito della 4a: un bravo giovane
che mi vuol tosto vicino e mi prega di confessarlo. E' rassegnatissimo, pur soffrendo assai.
Non finisce di raccomandarsi al Signore, dal quale, dice, fu sempre tanto, tanto favorito.
Stanotte si veglia e per cacciare il cattivo umore ci facciamo una partita a carte. Con dottor
De Bernardi vado al comando del 1°! battaglione sperso nella campagna desolata.. L'oscurità! profonda c'impedisce di vedere a pochi metri: si guazza ora nel fango, ora capitiamo in
una buca di granata, ora ci tocca d'inciampare in un ammasso di rovine; si va su e giù! come due ubriachi, sostenendoci a vicenda, affrettando il passo quando qualche razzo provvidenziale getta un po' di luce scialba sul nostro cammino, rompendo il fitto velo della nebbia. Ritorniamo.
Circa le ventiquattro un fuoco dapprima rado poi più! ! vivace di fucileria, e lunghe raffiche di
mitragliatrici, sulla nostra destra. L'artiglieria tace. Qualche bomba a mano e qualche colpo
di bombarda237 controbattuta tosto dalle nostre sezioni Bettica238. Succede un po' d'allarme, ci approntiamo. Dopo meno di un quarto d'ora, tutto toma nel silenzio.
23 marzo 1917
Sono le due e mezzo di notte quando io e il dottore lasciamo la compagnia per il nostro alloggio. Ne ho bisogno, di quiete e di riposo. Mi sento oppresso. La visione dei cinque giustiziati mi sta dinnanzi tetra, piena di insegnamenti gravi. Mi addormento in un sonno profondo, pesante. Lontano, sul Carso si è!iniziato un fuoco intenso rabbioso di artiglieria.
Quando mi sveglio, verso le sei, il fuoco dura sempre vivissimo. Certamente un attacco
austriaco. Non mi alzo che tardi e celebro nel mio ricovero. Giornata piuttosto calma.
Qualche morto, pochi feriti, uno grave, che si confessa tanto bene, in perfetto sentore. E'
al nostro reggimento da tre anni, ha fatto tutta la campagna e sospira la guarigione, per rivedere i suoi vecchi genitori.
237
Uno dei primi pezzi di artiglieria impiegati.
238
Vd. Sopra, p. 80, n. 188.
99
!
24 marzo 1917
Il tempo è! sempre incostante. Gli strascichi del triste episodio del 21 sera durano tuttavia e
altri soldati sono consegnati al tribunale. La guerra spietata vuole anche quest'oggi le sue
vittime, i suoi morti, i suoi feriti. Nel pomeriggio la nostra artiglieria, per un venti minuti ci fa
assistere ad un magnifico concentramento di fuoco in specie sul rovescio delle posizioni
nemiche di quota 86 e su Biglia239. Entrano in campo tutti i calibri, molte batterie, è! un fuoco tambureggiante. Gli austriaci rispondono, sfogandosi sulla città, perla dell'Isonzo, cui
agognano ancora fortemente. Anche dattorno a noi, sui ruderi scricchiolanti si abbatte la
furia delle loro batterie. Il giorno muore, in un tramonto di fuoco, strappando scene sinistre
al paesaggio che ne sta dintorno, desolazione e morte.
25 marzo 1917
Giornata discretamente assolata. Celebro nel mio solito ricovero. Purtroppo sono pochi
quelli che assistono alla santa Messa; d'altra parte sarebbe un guaio far agglomeramento
di truppa. Gli Austriaci quasi, dubitando in Messe all'aperto, più! nervosi di tutti gli altri giorni, vanno tastando il terreno or qua or là! con tiri rabbiosi e continuati e i nostri rispondono.
Col dottore De Bernardi faccio un giro fino alle trincee. E' dove sta di rincalzo il 2°! battaglione. Al nostro ritorno ci vediamo venir incontro di corsa l'attendente del dottore che ci
annuncia presenti al posto di medicazione due ufficiali feriti, un irredento tenente bombardiere, già! ferito una volta alla spalla sinistra e ora alla destra da una scheggia. Mi incarico
di alcune corrispondenze.
L'altro è! un ottimo giovane, siciliano, nipote ad un monsignore. E'una delle mie colonne,
aiutante maggiore del 3°! battaglione, carica ottenutagli da una mia raccomandazione. Si
chiama Genova, sottotenente di complemento. Venne ferito all'avambraccio sinistro da
una pallottola di fucile mentre, di ritorno dalle trincee, accompagnava al posto di medicazione l'altro tenente bombardiere già! ferito. Tutti e due dolorano assai. Con loro è! pur rimasto ferito un soldato dell'81°, padre di quattro bambini. Una ferita che poteva avere
conseguenze mortali e che fortunatamente invece non lo è.
Al crocicchio delle strade per Vertoiba e Ciprianisce, si arrabbiano gli austriaci con una
scarica di cannonate. I feriti sono fatti salire in tutta fretta sull'autolettiga che parte come
una freccia, inseguita dall'urlo e poi dallo schianto di un proiettile che arriva e si abbatte
precisamente sul posto dove quella stava ferma.
Notte nervosissima, specialmente disturbano le bombarde. E' una continua chiamata al telefono, perché!le nostre batterie veglino e rispondano.
Il 25 marzo mi ricorda il piccolo santuario della Madonna di Monte Morone, collinetta sovrastante Malnate, e paesi dintorno del Varesotto. Ricorda la sagra in quel giorno, solenne
specialmente per i fanciulli. Da Malnate saliva la processione, il mattino presto e la piccola
chiesa risuonava di canti, echeggiava di preci, di gemiti e di sospiri, per tutto il giorno fino
al tramonto, mentre dattorno al sacro recinto, sotto i boschi e sui prati ferveva la fiera di
giocattoli dolciumi e frutta e le succursali delle osterie dei paesi al piede del monte incassavano fior di quattrini.
239
Località a sud di Vertoiba, attualmente in territorio sloveno.
100
!
26 marzo 1917
A colazione ho il piacere di una bellissima lettera dell'ex nostro brigadiere generale Pistoni240. E' un nuovo prezioso documento sull'opera mia al 38°! Fanteria. E' una voce imparziale che inneggia all'efficacia del ministero sacerdotale. E' un invito a un apostolato sempre più! sentito e efficacemente fattore di bene, nell'interesse del binomio: religione e patria.
A differenza d'ieri, da parte degli austriaci oggi regna una calma straordinaria che, per i
vecchi guerrieri, abituati ormai allo scherzo dell'arte bellica, è! preludio di tempesta. Di fatto
verso le diciassette l'artiglieria nemica inizia un fuoco intenso sulle pendici del Carso e
specialmente sul rovescio e contro le trincee di quota 126 sovrastante San Grado241. I nostri controbattono fortemente. In breve tutto il piano da Biglia - Raccogliano a Merna242!è!
avvolto in una densa nube sanguigna. Mentre la notte scende, e il cannone tuona sempre,
e inesorabile, una fucileria, nutritissima, mista allo scrosciar delle mitragliatrici si associa
alla musica di morte. Riflettori nostri e loro e razzi illuminano la scena tragica. Circa le ventuno il fuoco si fa più! rado, specie da parte degli austriaci mentre i nostri continuano un tiro
sistematico di sbarramento e di demolizione. Le nostre truppe sono entusiasmate dalle rovine visibili che i nostri proiettili vanno facendo sul terreno avversario. Dinnanzi a noi i tapum e i cecchini243 sono meno inquieti del solito.
Nel pomeriggio venne a trovarmi un padre cappuccino, un bel tipo di veneziano, dal pelo
biondo, dall'occhio pieno di gioviale bontà, dal labbro sorridente. Gli ornava il petto largo,
col nastrino di guerra, anche quello della medaglia al valore. Cercava la tomba di un tenente del 28°! Fanteria morto l’11 febbraio. Ne approfittai per riconciliarmi ed ei mi ascoltò!
benignamente. Poi ci salutammo con la mutua promessa di preghiere. Quando partiva, incominciavano i primi assaggi delle batterie austriache. Egli doveva raggiungere il Faiti244
dove stanno le batterie del suo reggimento 41°!Artiglieria da campagna.
Stasera venne portato al posto di medicazione un disgraziato figliuolo. Ferito ai lobi frontali
con fuoruscita di materia cerebrale, cadeva pesantemente, lussandosi la spalla destra. I
dolori atroci ond'era straziato, anziché! ricordargli l'infinita misericordia di Dio cui rivolgersi,
lo imbestialirono, mettendogli sul labbro insolente una frequenza di bestemmie sbalorditiva. Due volte bestemmiò! anche in mia presenza. Il poverino forse non era in piena coscienza del male che compiva, un'abitudine inveterata doveva straparlargliele. Più! volte
notai in lui lo sforzo per non ripetere, e quando gli sfuggirono quelle due mi guardava con
occhi umidi quasi a domandarmi scusa. Il presente caso fece ricordare un altro di un soldato toscano che il 2 novembre 1916 ebbe squarciato il ventre da una scheggia di granata. Il disgraziato urlava come un ossesso, profondendosi in una sequela di bestemmie orrende. E a nulla valse l'averlo richiamato a buoni pensieri, il comandante la sua compagnia: il disgraziato moriva con sul labbro l'ingiuria a Dio santissimo.
240
Già comandante della brigata “Ravenna”.
241
Frazione di Merna, a sud di Vertoiba, alle prime pendici carsiche.
242
Raccogliano è una località tra Biglia e Merna, in direzione delle prime alture carsiche.
243
Nomignolo attribuito ai tiratori scelti austriaci, e derivato dal nome di Francesco Giuseppe (popolarmente
“Ceco Beppe”), imperatore dal 1848 al 1916.
244
Altura dell’altipiano carsico, di circa 400 m. slm.
101
!
27 marzo 1917
Stamane, appena fatto giorno, è! arrivato il nuovo comandante di reggimento, tenente colonnello conte Fossati Raineri. Alto e robusto nella persona. Dal viso largo e forte ornato
da due enormi baffoni e da due sopracciglia foltissime. Così! il buono e simpaticissimo tenente colonnello Benf ritorna a comandare il 2°! battaglione. A colazione si fanno i primi
convenevoli, un brindisi amichevole, i primi studi di carattere. L'impressione è! buona in tutti. Speriamo si realizzi anche in avvenire.
Alcuni nostri zappatori hanno incominciato oggi il dissotterramento di una grossa campana
della chiesa di Vertoiba; campanile e chiesa sono ormai ridotte ad un ammasso informe di
rovine. Soltanto restano dei tratti di muro, percossi per tutto, quasi braccia oranti sul supplizio di tanti tesori. Povere mura sacrate dai carismi infiniti di un Dio misericordiosissimo !
Povere campane risuonanti un tempo per la bella pianura goriziana, l'argentea voce di richiamo ai divini offici! Povero popolo strappato ai suoi altari, donde conforto e consiglio gli
venivano e la vera, unica vera pace, la pace dell'anima unita con Dio!
Invano ho cercato sulla selva di croci dei diversi cimiteri di guerra il nome del tenente Bortolotti, come da incarico del caro cappellano del 41°! Artiglieria da campagna. Vado a riposare molto tardi e leggermente indisposto.
28 marzo 1917
Ho riposato male la notte scorsa e stamane già! mi sentivo covar per le ossa certi brividi di
freddo, preannuncio di febbre. Colazione animatissima. Il nuovo tenente colonnello fa la
sua professione di fede. Ha pure una sorella suora del Cenacolo. La discussione si svolge
particolarmente sull'opera del papa e sulla sua italianità! o meno, ch'io cerco di difendere e
illuminare, contro tutti gli attacchi di amici e nemici. Una volta ancora devo constatare la
nefasta influenza del "Corriere della Sera" e giornali consoci, anche sulle coscienze meglio
intenzionate. Senza avvedersi, si beve di quel veleno che finissimamente s'inocula nello
spirito del lettore che ne resta convinto.
Per la formazione del nuovo battaglione sono tolti dal nostro reggimento altri due miei carissimi ufficiali, tenente Pisani e aspirante Lo Giudice. Anche il caro giovane soldato Castellucci deve partire, non è!possibile in nessuna maniera variarne la sorte.
Nonostante la febbre insistente, mi porto fino al comando del 1°! battaglione, ove mi trattengo un bel po' di tempo con quel capitano e con altri ufficiali. Verso sera giunge il maggiore Enriquez che nel rivedermi mi abbraccia e mi bacia. E' felice per il mio ritorno al 38°,
è!dolentissirno per il triste incidente causa di tante e dolorosissime conseguenze.
A notte fatta mi separo definitivamente da Pisani e da Lo Giudice. Quest'ultimo mi chiama
in disparte e mi dice che avrebbe desiderato fare la santa Pasqua con me; nell'impossibilità, mi raccomanda di pregare per lui.
La febbre non mi abbandona ancora. Mi corico sul mio giaciglio cercando invano un sollievo nel sonno. Non dormo.
29 marzo 1917
Notte niente affatto riposata, quella scorsa. Mi tiene sempre la febbre. Dieta completa.
Verso le quattordici torno a letto. Il riposo mi fa bene. La febbre va diminuendo. A sera non
ne ho più.
102
!
Sul Faiti e sulla quota antistante alle nostre linee dura ferocissimo un duello d'artiglieria.
Furono gli austriaci a cominciare: i nostri risposero con violenza estrema. Gli austriaci ebbero la peggio. Trincee e posizioni di rovescio furono sgranate dai nostri proiettili d'ogni
calibro. Verso le venti torna un po' di calma. I nostri nelle trincee e ai comandi son tutti sul
chi va là. Si teme un attacco. Se ne è! rivelata l'intenzione del nemico da un fonogramma
intercettato. Contrariamente, nulla: quiete assoluta.
30 marzo 1917
Dal mio sonnecchiare mi sveglia un nuovo orrendo bombardamento. Sono quasi le quattro.
Il Faiti dapprima e poi le quote carsiche dirimpetto ancora austriache sopportano un bombardamento di una violenza inaudita. L'orribile flagello si propaga giù! giù! verso Castagnevizza245 e Monfalcone. Nella bruma mattutina, umidiccia, è! tutto un lampeggiare. Appena
arrivano alle nostre orecchie lo scroscio continuato delle mitragliatrici e lo scoppiettare nutritissimo delle fucilerie. A giorno ormai fatto, verso le sette circa, torna la calma su quelle
posizioni. Soltanto qualche rado colpo grosso nostro e, a tratti, raffiche rabbiose della
campagna flagellano trincee e rovesci.
E' quanto guadagnano quei signori di cecchini o carlini246 che dir si vogliano ogni qualvolta
vogliano ottenere un successo sopra di noi. Raramente ci riescono e quand'anche l'ottengano, è! cosa tanto meschina che neppure ci si fermano e tornano scornati sui loro passi,
contando le vittime sacrificate inutilmente.
Anche sul nostro fronte, oggi, maggiore attività! di bombarde e di artiglierie nemiche, proprio intese a sconvolgere reticolati e trincee nostre e ad ostruire camminamenti. I nostri rispondono con tiri di rappresaglia. Quelli insistono battendo anche le retrovie. La notte cade piena di una calma improvvisa, sospettosa. La vigilanza è! massima, tanto più! che alcuni reparti del nostro reggimento hanno il cambio dal 37°. Il tenente colonnello Benf raggiunge il suo battaglione alle trincee donde nella notte partirà! per raggiungere i baraccamenti di Vallerise, a riposo.
Io sono obbligato sempre a letto dalla mia ormai inseparabile triste compagna, la febbre.
Scrivo fino a tardi, poi tento di prender sonno.
31 marzo 1917
Quando, verso le due di stamane, sto per assopirmi, un improvviso battagliare mi scuote e
mi fa balzare dal giaciglio. Non ho che da mettermi la giubba e le scarpe, ed eccomi vestito. La botta è! vicinissima, nel contatto delle trincee nostre con quelle del 37°! e più! precisamente nel punto dove avviene il cambio preannunciato. Il fuoco dura intensissimo per
un'ora e più, poi va diminuendo per riprendere a momenti con scrosci rabbiosi. L'oscurità!
profonda e un vento piuttosto forte favorisce il nervosismo della vigilanza. D'un tratto la lotta pare estendersi laggiù, sulle tormentatissime pendici di quota 126 verso San Grado;
tacciono però! ben tosto e le mitragliatrici e la fucileria, solo continua il getto rapido e molti245
Località nel mezzo dell’altipiano carsico, attualmente in territorio sloveno.
246
Nomignoli attribuiti ai tiratori scelti dell’esercito austriaco, derivati, rispettivamente, dai nomi di Francesco
Giuseppe (popolarmente “Ceco Beppe”), imperatore dal 1848 al 1916, e Carlo Francesco Giuseppe, sovrano dal 1916 al 1918.
103
!
plicato dei razzi e il lavorio di vigilanza dei riflettori. I tiri d'interdizione e di sbarramento delle batterie austriache hanno rotto tutte le nostre comunicazioni telefoniche, e per diverse
ore regna incertezza sull'entità! dei fatti avvenuti. Qualcuno afferma che un piccolo posto
nostro è! stato preso e sul luogo resta guardia vigile un soldato austriaco. Lo scoprì! un fantoccino del 37°, un veneziano tutto fegato, venuto a farsi medicare al nostro posto di medicazione, per una ferita alla testa riportata appunto in quella circostanza. Così! egli narra il
fatto: «Dopo il tafferuglio della notte, appena incominciarono le prime luci del giorno, mi
buttai a dormire in un angolo della trincea e senz'altro fui preso da un sonno mortale. Mi
svegliò! la voce del colonnello che mi invitava a precederlo di pattuglia fino al nostro piccolo posto. Avrei voluto schermirmi, ma poi dissi: avvenga quel che vuole, non possono essere molti quei cani; qua delle bombe e via guardingo con gli occhi fuori dell'orbita e le
mani armate. Passo un primo, un secondo, un terzo tornante; in tutto una ventina di metri.
Eccoci al buono. Oltre la quarta svolta è! il nostro piccolo posto. Non respiro, aguzzo ben
ben gli occhi e mi avanzo. Inciampo e passo sopra il cadavere fresco di un austriaco. Nessun senso di pietà. Con tutta prudenza allungo il collo oltre l'ultima svolta che mi deve mettere alla meta. D'improvviso, dal fondo di quel fangaio, mi vedo sorgere dinnanzi una macchia azzurra ornata d'elmo. E' la vedetta austriaca rimasta a custodire il piccolo posto toltoci nella notte. Rintrona un colpo violento di fucile. L'infame mi ha sparato. Le mie mani
corrono istintivamente alla testa e le ritiro madide di sangue. Non mi arresto. Dò! di piglio a
due bombe e gliele butto con tutta forza, poi via senza aver potuto constatare il risultato. Il
sangue mi cola abbondante. Incontro il colonnello al quale racconto in breve l'accaduto. Mi
mette una mano sulla spalla e mi dice: "Bravo! Avrai il tuo premio!"».
Gli dico: "Sei contento di aver fatto tanto?". "Altro, signore; e più! son contento perché! Dio
mi ha salvato da quel casaccio. Me la son vista brutta brutta, sa?!".
Il giorno passa abbastanza tranquillo. I soliti fuochi d'artiglieria. La nostra, specialmente, a
tratti si sbizzarisce sulle linee avversarie con l'intento di disturbarne ogni movimento d'ulteriori attacchi.
Il cambio è! stabilito e si approntano i bagagli. Circa le diciotto giunge il comandante il 37°!
col suo aiutante maggiore. Ceniamo assieme. Appresso arrivano pure don Bignamini e il
simpatico dottor Righi. Mentre si sta così! chiacchierando e scherzando, arriva tutto trafelato il nostro sottotenente Amar. E' agitato e parla a sbalzi. Una pattuglia formata di un sette
o otto austriaci, approfittando dell'ultimo crepuscolo diurno, strisciando lungo un camminamento venne a irrompere contro le nostre trincee proprio là! dove i reticolati erano stati
sconvolti dalle bombarde, la sera stessa. All'allarme dato dalla vedetta nostra, successe
una breve nutrita fucileria. La pattuglia si sciolse, si disseminò, scomparve. Due balzarono
entro la nostra trincea, buttando bombe. Due bravi nostri soldatini furon loro addosso e,
dopo breve colluttazione, gli avversari colpiti mortalmente alla testa da pallottole di fucile
stramazzarono al suolo. Corse la voce che altri due fossero penetrati entro le nostre linee.
Furono tosto sguinzagliate diverse pattuglie alla ricerca: i carabinieri e ciclisti nostri si diedero pur essi all'intorno tutto perlustrando ma senza risultato. Ciò! che sembrava inverosimigliante al primo momento continuò! ad esserlo anche in appresso. I due creduti dentro le
nostre posizioni non dovevano essere che gli uccisi.
Il cambio andava un po' per le lunghe e un altro fatto venne a ritardarlo. Un altro pattuglione austriaco, forte di una trentina d'uomini si slancia tra grida assordanti contro la trincea
della 4a compagnia, gettando bombe a manate. La posizione è! critica, tanto più! durando il
cambio. Il bravo sottotenente Scalisi intuisce la situazione; seguito dal caporale Perfumo
balza fuori le nostre trincee e con ardimento meraviglioso ingaggia una lotta spietata con
104
!
quei malcapitati che sotto quella sfuriata terribile di bombe e di fucilate son costretti alla
fuga non senza perdite.
1 aprile 1917
Attendendo che i diversi reparti nostri avessero avuto il cambio dal 37°, abbiamo tirato le
quattro di mattino: così!tutta la notte senza riposo alcuno.
E' domenica e precisamente la Domenica delle Palme. Il mio pensiero è! tosto alla santa
Messa. Potrò! dirla dove arriverò? E i soldati, stanchi per il lungo viaggio, verranno a sentirla?
Eccoci in cammino. Colonnello ed io sul barroccio; ci seguono due ciclisti. La strada ci viene illuminata dai riflettori e dai razzi. Il cavallo galoppa magnificamente. Seguiamo la via:
Ciprianisce - Chiesa di sant'Andrea - Ponte N. 12 - Lucinico - Mossa247 e poi, attraverso
una distesa di campagna incolta e rotta dal cannone e dal transito di cariaggi innumeri,
giungiamo sul ciglio di una conca magnifica, la conca di Vallerise. Il piano e i declivi intorno son pieni di baracche. Compagnie e reparti arrivano a gruppi un po' disseminati. Carrette e muli del comando sono in attesa ancora. Gli scritturali non hanno trovato l'alloggio.
A casaccio si sale, su su di baracca in baracca dopo però! che il colonnello si è! assicurato
che sarà! messa a posto per bene. C'è! un fango spaventoso. Le mulattiere in alcuni punti,
sembrano dei torrentelli e noi ci si affonda. L'alloggio comando è! costituito da un lungo e
basso baraccamento a ridosso del colle, quasi su la cima. Abbiamo dinnanzi una vista
stupenda. Peccato che la nebbia ci impedisca di veder molto lontano. Ciascuno si prende
la sua stanza e vi si adatta alla meglio. Io son sempre in angustie per la santa Messa. Temo, non dicendola pubblicamente, che i soldati mi abbiano a rimproverare, poi e allora
scendo per adattare una cappellina che vedo laggiù! proprio in mezzo agli alloggi dei soldati. Mentre mi avvio, l'acqua che pareva avesse cessato un poco, comincia a scroscioni.
Ritorno e celebro privatamente, poi mi butto su la branda, e mi riposo fino all'ora di colazione. Gli strapazzi danno di nuovo il sopravvento alla febbre. Mi metto nelle mani del dottore e inizio una cura radicale. Il tenente colonnello mette all'ordine del giorno l'orario per
la santa Messa di domattina, in caso di bel tempo.
2 aprile 1917
Piove, e sono costretto di nuovo a celebrare nella mia baracchina. Pazienza; senza più! insistere, attenderò!il Giovedì!santo. Intanto penso a guarirmi.
3 aprile 1917
Giornata discretamente buona per il tempo, più!buona per le soddisfazioni.
Ho avuto la bella grazia di trovarmi con alcuni miei compaesani soldati del 67°! Fanteria,
qui pure accantonati. Uno di questi parte per la licenza: porta così! i miei saluti personali e
mie notizie a casa.
247
Il reggimento compie un arretramento a ovest di Gorizia, portandosi nelle retrovie attraverso un percorso
che passa a sud della città.
105
!
In cerca di sacerdote per le confessioni pasquali ai miei soldati, trovo in un reparto di sezione tre bravi torinesi che si dichiarano pronti ad ogni mia richiesta. Da loro apprendo la
presenza di un sacerdote comasco, don Geremia Andreani248, già! mio compagno di studi.
Lo trovo nella cappella del vicino camposanto, intento a descrivere i nomi su alcune croci
in legno. La mia vista lo sorprende, procurandogli insieme piacere grande. Io pure sono
lietissimo. Rivivo in una fuga vivace d'immagini e di ricordi i più!begli anni di Seminario.
4 aprile 1917
Nessuna novità! importante, soltanto il tempo cambia un poco, regalandoci una giornata
abbastanza assolata. Nella notte sono giunti altri reparti del 67°! Fanteria col comando di
reggimento: ho l'occasione d'incontrarmi con don Rosa; passiamo diverse ore assieme,
studiando la maniera di poter dar Pasqua ai nostri fantoccini, organizzando a cappella e
conseguenti confessionali, qualcuna delle baracche. Viene annunciato ai battaglioni l'orario per la santa Messa di domattina.
5 aprile 1917
Il cielo si è!di nuovo rabbuiato, ma si sostiene senza pioggia.
Sull'ampio piazzale, dinnanzi alla cappellina, ornata di sempreverdi, vanno ammassandosi
i soldati nostri e del 67°. Sono presenti col colonnello quasi tutti gli ufficiali. Li avevo invitati, anche i non credenti, e hanno corrisposto. Avevo domandato loro il sacrificio delle proprie convinzioni, per mezz'ora di tempo, nello scopo d'impressionare bene, esemplarmente la truppa. Vedermi esaudito è!stata per me una consolazione grande.
Principio il divin sacrificio alle 9 e mezzo. Avanti la benedizione leggo la lettera di mons.
Bartolomasi249 ai soldati e ufficiali, dettata in occasione della santa Pasqua. L'impressione
è! buona. Don Rosa ha assistito pure alla santa Messa. L'accompagno nella sua cameretta
poi ci separiamo. Il tempo s'imbroncia di nuovo.
6 aprile 1917
Già! si vociferava che il 67°! e 68°! sarebbero partiti per altra destinazione e di fatto stamane
tutta la conca di Vallerise era in grande agitazione. Carrette, autocarri, salmerie, in una
teoria lunghissima, si snodavano su su per i tornanti della strada che conduce a Vilpesano
e poi a Cormons. Sotto una pioggia, a momenti torrenziale, sfilavano pure le truppe: camminavano lesti quei soldati, né! l'infastidiva il fango, né! l'acqua che batteva forte sul viso li
arrestava. Pareva anzi gustassero di viaggiare così!e l'occhio tradiva l'interno godimento.
Rivedere le belle contrade nostre, passeggiarvi tra visi freschi di bellezza, parlanti una
bontà! confidenziale; spassarsi tra il gridìo incomposto della fanciullezza felice; rivivere la
vita delle proprie famiglie lontane, le care abitudini paesane; pregare in una chiesa che ri248
Don Geremia Andreani (1888-1923) era originario di Fabiasco (Va) e parroco di Verna in Val d’Intelvi. Ferito in guerra, ne riportò conseguenze tali da morire a soli 34 anni.
249
Angelo Bartolomasi, “vescovo di campo” per tutta la durata della guerra. La figura del “vescovo di campo”
era stata istituita dalla santa sede soprattutto per inquadrare in un ordinamento giuridico i cappellani militari
ripristinati dal governo appena prima dell’inizio della guerra.
106
!
corda la propria parrocchia e la folla di parenti, di amici e di conoscenti, là! oranti per chi
lontano soffre e combatte; inebbriarsi nel suono dei sacri bronzi, che tante dolci e care
memorie ridestano nell'animo ben nato; tutto questo apporto di sentimenti e di affetti distrae da ogni disturbo, fatica, quei bravi che camminano sempre, sognandolo pur breve il
soggiorno quieto sotto il bel cielo d'Italia, ma affascinante sempre. E mentre quelli sen
vanno, guardano a loro i nostri, invidiandoli di santa ragione. Ed è! nell'animo nostro un disgusto sdegnoso.
Anche don Rosa è! partito, nelle prime ore del mattino. Lasciò! di salutarmi ad un suo compaesano, portaferiti: a questi pure consegnò! per me un messale trovato nel convento di
Castagnevizza, appena oltre Gorizia.
Nel pomeriggio, alle quindici in punto, incominciano le confessioni. Parlo separatamente a
tutte le compagnie del 2°!battaglione, invitando all'adempimento del precetto pasquale.
Purtroppo la corrispondenza non è! secondo il mio desiderio, né! secondo i bisogni. Il tempo
pessimo, la mancanza di un luogo adatto, e più! il difficilissimo stato d'animo dei soldati dipendente dai fatti ultimi dolorosissimi trattengono i più! dai loro doveri di buoni cristiani. I
bravi preti della sezione250 cercano di confortarmi con fatti e constatazioni e col pensiero
ch'io non avevo mancato di fare tutto il possibile per ottenere l'effetto contrario. Indarno, io
mi sento l'anima esacerbata.
L'invito di stasera è! riuscito magnificamente. Tutti e tre i comandanti di battaglione furono
lietissimi.
7 aprile 1917
Edificante la santa comunione di stamane. Altri si aggiunsero ai confessati d'ieri sera. Furono così! in tutto centocinquanta che presero la santa Pasqua. Non potei [fare] a meno di
rivolger loro due parole cordiali.
Purtroppo gli strascichi della famigerata sera del 21 marzo scorso durano tuttavia e nuove
purifiche si annunciano.
Stasera è! la volta del 3°! battaglione. Io stesso avviso le compagnie. All'ora stabilita, la 12a
si presenta con un numero consolantissimo. Quasi un centinaio vengono a confessarsi.
Dopo di loro attendiamo a lungo le altre, ma indarno. Contrordini hanno impedito il regolare svolgimento alla santa opera. Incarico il comando di battaglione perché! se ne interessi
più!caldamente e ne ho promessa formale.
8 aprile 1917
Pasqua! Pasqua terribile, piena di fatti angosciosi, di ricordi strazianti per il nostro reggimento. Pasqua che sarà! eternamente impressa nell'anima nostra con l'ineffabile concerto
di fatti e di sentimenti diametralmente opposti al grande principio di amore e di pace che
da tutta la liturgia ecclesiastica si sprigiona da tanti secoli.
Agli "Alleluia" degli angeli, al sussurro placido di mille labbra oranti, al sospirare affannoso
ma sereno di mille cuori pentiti, risponde un brusìo di gemiti, di proteste, la voce profonda
del giudice che sentenzia e condanna, l'ordine agghiacciante e lo scroscio della fucileria
che ferisce e uccide251. Pasqua terribile!
250
Si intende i preti in servizio militare, assegnati spesso alle sezioni di Sanità. Solo una parte del clero fu
addetta ai compiti di cappellano.
251
Si riferisce alle esecuzioni capitali dei disertori. Cfr. sopra, p. 92.
107
!
Fin dalle prime ore del mattino, sulla strada e vicino allo stabilimento dei bagni si è! andato
ammassando uno squadrone di cavalleria, un numero straordinario di carabinieri a cavallo
e altri molti a piedi, portati fin qui sugli autocarri. Il comando è! stato svegliato prestissimo.
C'è!nell'aria una burrasca252.
Confessiamo quei pochi che ancora sono venuti stamane, poi uno dei preti della sezione
celebra e distribuisce la santa comunione.
Alle nove e mezzo circa già! una bella massa di soldati assiepa il mio altarino. Purtroppo
quasi tutte le compagnie nostre sono trattenute in linea, forse per misura d'ordine.
Appena ho finito di celebrare e sto svestendo i sacri paludamenti, di mezzo alla folla che
va dissipandosi, si fa strada un sottotenente del Genio, trascurato nel vestire e più! nel viso
barbuto assai. E' il carissimo vecchio amico e compagno Taiana Arcangelo. Ci baciamo
con vera effusione di affetto e passiamo alcun tempo assieme. Mentre mi accompagna
verso la mia baracca ***
9 aprile 1917
Nuova mattinata d'angoscia. I due giustiziati di stamane si sono pure confessati e le disposizioni loro mi hanno lasciato molto tranquillo sulla sorte loro eterna.
Il tempo pessimo aggiunge tristezza nuova all'animo nostro già! scosso. Quando torno al
comando per la santa Messa trovo alcuni soldati che desiderano comunicarsi. Ciò! mi conforta. Mi perseguita il pensiero di non poter avere la soddisfazione di una Pasqua solenne
per confessioni e sante comunioni. Tutto congiura a danno delle anime dei miei soldati, il
cui stato d'animo non è! certamente consolante né! opportunamente preparato al precetto
santo.
Parte il colonnello Fossati. L'accompagno io solo ed ecco ei mi dice: "Davvero lei è! l'ultimo
conforto dei condannati". Ci stringiamo per l'ultima volta la mano: "Addio, mi saluti tutti
quanti, non dimenticherò! mai il 38°”. Negli occhi grandi del colonnello brillano due lagrime.
La voce rotta tradisce l'emozione intima di quel cuore tanto buono. Il motore scatta sotto
una spinta del meccanico e il *** parte alla volta di Gorizia per la strada del Peuma253. Pochi giorni è! rimasto con noi il colonnello conte Fossati Raineri: bastarono perché! noi avessimo a conoscerne e ad apprezzarne le nobili virtù! che ci obbligavano anche ad amarlo e
a stimarlo assai. Il nuovo comandante di reggimento si addimostra operosissimo, fino a
dimenticarsi quasi dell'orario della mensa che subisce sbalzi capricciosi e sbalorditivi. Oggi, ad esempio facemmo colazione all'una e mezzo e cenammo alle ventuno e mezza. Lui,
gentilissimo, stasera, ha stabilito che alle dodici si faccia colazione e alle venti cena, dicendosi scontento se noi faremo dei complimenti: chi c'è! c'è, e chi non c'è! per quelle ore,
mangerà!appresso per conto proprio.
Sul tardi viene annunciato per domani la visita di sua eccellenza il comandante il nostro
corpo d'armata, tenente generale Carignani, che parlerà! agli ufficiali; per il giorno 12 e 14
due diverse visite di sua eccellenza il generale Cappello comandante la nostra zona.
E' quasi il tocco quando vado a letto.
252
Vedi, appena più avanti, il riferimento a nuove esecuzioni capitali.
253
Località a nord di Gorizia, sulla riva destra dell’Isonzo.
108
!
10 aprile 1917
Non piove oggi, per quanto il cielo si sia mantenuto coperto sempre. Giornata di vera rinnovazione quella d'oggi, per il nostro reggimento: giorno solenne e caro. Già! altra volta, in
vai Cosbana254, l'anno scorso avemmo una distribuzione solenne di medaglie, ma allora
non furono che tre i premiati e per quanto assistettero alla cerimonia due generali, il comandante la divisione e il comandante la brigata, e nonostante i canti e i suoni e il vermouth d'onore, all'aria purissima e serena di un maggio incantevole, pure quel giorno non
ha lasciato in noi traccia così! sentitamente cordiale come la solennità! d'oggi, che assunse
un carattere del tutto familiare e specialmente dovette esser cara perché! parve risvegliare
energie assopite e dare un nuovo indirizzo, più! vivace e più! vitale all'organismo del nostro
reggimento. Le tristissime, sciagurate cerimonie dei passati giorni avevano bisogno di essere velate da qualcosa di sentitamente, intimamente festoso.
L'ingegnosità! operosa dell'illustre colonnello Pugliese ha avuto uno spunto felicissimo: la
sua presentazione, quale nuovo comandante di reggimento, non poteva essere migliore,
né! più! lusinghiera. Rallegrò! la simpatica festa la musica divisionale. Bello il discorso del
colonnello e detto con certa arte oratoria, molto apprezzabile, con voce robusta e stile facile, senza esser disadorno né! cascante. Tutt'altro: misurate le parole, tondeggiante il periodare e sostenuto sempre. Svolse il trinomio: religione, patria e famiglia in una manifestazione di sentimenti tanto convincente da avvincere l'attenzione di tutti e di accaparrarsi l'universale approvazione. Superbo il quadro, tratteggiato con poche pennellate, ma vivissime, della mamma che inquadra la medaglia al valore ricevuta dal figlio e l'attacca vicino al
Cristo.
Quando sta per fissare la medaglia al mio petto con voce forte e commossa rivolto al reggimento sempre sull'attenti: "Così, dice, intendo io la religione: un connubio perfetto di fede e di amor patrio"255.
Per tutti e per ciascuno dei decorati le parole di sentita congratulazione, di alto onore, e
tutti addita e sempre di sprone nel fedele e generoso adempimento dei propri doveri, esaltando i fatti premiati e augurandosi di poter presto altre medaglie concedere, altri encomii,
altre licenze premio e altri soldi premio distribuire. Verso le diciotto e mezzo hanno inizio
dei giuochi, dei canti, specie d'intrattenimento teatrale improvvisato da nostri sergenti e
soldati. Negl'intermezzi suona a volte la banda, a volte il gramofono fatto comprare ieri a
Udine.
Quasi tutto i l reggimento assiste, i soldati sono soddisfatti; si sente qualcosa di nuovo invadere gli spiriti. Lo spettacolo non termina che a notte fatta.
Arrivando al mio alloggio, trovo due capitani nuovi destinati al nostro reggimento; cenano
con noi. Dico al sig. colonnello l'impressione dei soldati: egli è! contento. Anche stasera la
cena non incomincia che alle ventuno e mezzo.
Novità! importante la visita di sua eccellenza il comandante il corpo d'armata, tenente generale Carignani. Tutti gli ufficiali vuole attorno a sè! per parlar loro: rimprovera, ammonisce
e consiglia. Termina augurandosi che la presenza tra noi di un colonnello valoroso e intel254
Tra Cividale e Gorizia, attualmente in territorio sloveno.
255
La decorazione al valore per don Folci era stata proposta nell'estate precedente, durante l'azione del suo
Reggimento sul fronte trentino. In verità, don Folci fu deluso della decorazione ricevuta, in quanto consistente in una medaglia di bronzo, anziché di argento. Tra i suoi appunti, troviamo la minuta di una lettera al colonnello, datata 16 gennaio 1917, in cui esponeva le proprie lamentele al riguardo. Cfr. Documento 10, pg.
132
109
!
ligente come l'attuale nostro comandante di reggimento, abbia a ispirarci generosità! e saldezza di propositi tali da strappare vittorie nuove superbe in modo che il prossimo avvenire offuschi tutte le glorie del passato. "Voi lo potete, voi lo dovete". Al pomeriggio, col carissimo Taiana, faccio un giro sulle colline, appena dietro il Podgora, ammirando le opere
di difesa e le meraviglie di lavori che prepararono l'offensiva dell'agosto 1916 e la conseguente nostra vittoriosa avanzata256. Il tempo è! bello, assolato. Spira un vento forte dal
mare e ci porta sulle sue ali.
11 maggio 1917
In mattinata da Pubrida vado al ciglione di Savogna dov'è! il 1°! battaglione e mi intrattengo
fino alle sedici. Ho modo di conoscere un po' più! intimamente la psiche di qualche ufficiale.
Ha luogo una discussione giovevolissima e che dà! modo al sacerdote di inoculare buoni
sentimenti in quegli animi giovani un po' spensierati.
Solita attività!d'areoplani.
Ritorno al comando col maggiore Enriquez. Lui a cavallo io in bicicletta. Sono appena
giunto e mi vien comunicato l'ordine di partenza di tutto il reggimento. Tutto è! pronto. Ceniamo e via. Sono le venti. A piedi col tenente Venturini e il sottotenente Rago, prima lungo lo stradale, fino alle prime case di Lucinico, poi lungo la ferrovia, poi di nuovo per lo
stradale. Al ponte N°! 11 ci incontriamo con la truppa che sta arrivando. Arrivati sulla sinistra dell'Isonzo scendiamo giù! sotto il ciglione in cerca della baracca sede del comando di
reggimento. La truppa mano mano arriva viene fatta accomodare in buone baracche a ridosso del ciglione.
Arrivano gli attendenti, preparano il giaciglio. Sono quasi le ventiquattro quando mi corico.
L'ufficio censura è! stato ridotto per nuovi ordinamenti superiori, e due miei carissimi chierici restano così! in ballo257. Ne sono dolentissimo ed essi pure. Erano già! tanto contenti. Già!
dai loro parenti avevo ricevuto lettere di ringraziamento per la premurosa attenzione ed
ecco tutto sfatato. Pazienza.
12 maggio 1917
Mi sveglia un sussulto di terra, un fragore metallico inaudito. Sono le tre e mezzo circa. La
grande battaglia ha avuto il suo inizio258. Una tempesta orrenda di fuoco e d'acciaio si riversa all'improvviso sulle linee avversarie. Da Tolmino259 al mare è! tutto un tambureggiamento spaventoso. Cattiva sveglia stamane per gli austriaci colpiti così! senza pensamento
alcuno e la furia infernale continua così! per un'ora, poi i piccoli calibri cessano, soltanto
poche batterie sparano, mentre le grosse hanno aperto un fuoco sistematico di distruzione
terrificante. I monti e il piano sono tutti avvolti in una foschia che va facendosi più! densa
per il fumo degli incendi e delle esplosioni. Loro rispondono con qualche rado colpo sul
256
Con la presa di Gorizia.
257
Poiché lavoravano in quell’ufficio e ora devono tornare fra la truppa.
258
Si tratta della decima battaglia dell’Isonzo (22-28 maggio 1917). Il 38° Fanteria era però collocato in riserva, presso Sant’Andrea.
259
Località nell’alta valle dell’Isonzo, estremo settentrionale del fronte goriziano.
110
!
fronte nostro, mentre picchiano più! forte sul rovescio di Dosso Faiti e sulle pendici del San
Michele260 verso Boschini261.
Verso sera il cielo va rabbuiandosi. Da Ternova262 al Kuch è! tutto un lampeggio strano, un
urlìo rabbioso come di mostri feriti a morte: la bufera s'ingrossa e piove a dirotto. Acqua
benefica! Il temporale passa. Dalle squarciate nubi appaiono a miriadi le stelle piene di
promesse!
Stamane mi son trovato col cappellano del 30°! Artiglieria, anche lui qui al ciglione col comando. Fui ben contento di intrattenermi con lui a prendere il caffè. C'erano tutti gli ufficiali
del comando, col colonnello, simpaticissima persona, nipote ad un vescovo. Notai la cordialità! massima e la benevolenza onde il cappellano è! circondato da colleghi e superiori.
Con piacere sentii pure com'egli sia benvoluto dai soldati che in massa presenziano sempre alla santa Messa. Mi ha regalato alcune fotografie e un quadro di un bel san Giovannino.
13 maggio 1917
Il cannoneggiamento ch'è! durato tutta la notte ininterrottamente, nelle prime ore del mattino raggiunge una violenza estrema, e così! dura per un paio d'ore, terrificante, poi riprende
il suo lavorio sistematico di distruzione.
Verso le 5.30 un rombo vicinissimo di motore mi sorprende ancora mezzo addormentato,
poi due schianti fragorosi vicinissimi. Fuori echeggiano alcune grida. Si vocia all'aeroplano
austriaco che volteggia sopra di noi non più! alto di un duecento metri. Fu lui a gettare le
bombe e appresso incominciarono le batterie austriache obici.
E' domenica e mi dispongo per la santa Messa all'aperto. Il ciglione a picco, le baracche
serrate sotto mi danno affidamento. Il mio sogno però! deve tosto svanire. Quei signori di
là, certamente avvisati dal loro uccellaccio, ci regalano un paio d'ore d'ansia con certi tiri
aggiustati da far temere non poco. Sopra e sotto il ciglione, lungo il greto del fiume arrivano certi colpacci da far spavento. Son buche d'un paio di metri di fondo e di m. 6-7 di circonferenza che ti fanno. Uno arriva proprio a picco tra la baracca degli ufficiali del 2°! battaglione e la loro mensa e ufficio. Le due baracche sono mezzo fracassate, parte della cucina buttata all'aria. Fortunatamente nessuna vittima. Altre sventole ci danno due leggermente contusi. Celebro soltanto verso le dieci, solo nella mia cameretta. Non è! prudente
più! esporsi all'aperto dopo quel che è! avvenuto. Di più! l'attività! degli aerei cresce. Bella la
lotta di un nostro "Savoia" d'osservazione263. Assalito da due cacciatori austriaci264, si butta nel mezzo e fa lavorare energicamente le sue mitragliatrici. Intanto giunge un terzo apparecchio austriaco. Il momento è! terribile. Il Savoia ha un movimento brusco, vira sulla
sua destra e si precipita. Nella difficilissima difesa giunge in suo aiuto un nostro Nieuport.
A capofitto questi si getta sui velivoli nemici mitragliando inesorabilmente. Colti all'improvviso, quelli volgono le terga e via di gran corsa verso più! spirabil aere. "Vigliacchi - gridiamo noi –! un solo contro tre e scappate, vigliacchi!" Ma quelli ormai si sono immersi nel ma260
Alture carsiche.
261
Località sull’Isonzo, a sud di Gorizia.
262
Ternova d’Isonzo, nella selva omonima, attualmente in territorio sloveno.
263
Velivolo leggero di produzione italiana, impiegato per missioni di osservazione o bombardamento.
264
Aerei da caccia.
111
!
re di luce che sovrasta alla battaglia grande. Il nostro Savoia, intanto, ha ripreso quota,
volteggia alcun tempo ancora sopra di noi, poi via, verso il bel cielo d'Italia.
Nel pomeriggio una granata austriaca ci ferisce gravemente un nostro soldato di sentinella
all'acqua. Accorro sul posto. Il poverino dalla vicina sezione di Sanità! è! già! stato trasferito
in autoambulanza a Cormons.
Ed ora eccomi solo in cerca del 3°! battaglione nostro. Trovo qualche compagnia sotto il ciglione della stazione, le altre nove-dieci e reparto Zappatori nella antica caserma austriaca.L'umore è! buonissimo. Distribuisco medaglie e cuoricini e tiratine d'orecchi a qualche
bestemmiatore. Un caporale mi prega di ascoltarne la confessione. Improvviso il confessionale in una stanzetta della cantina sotterranea e invece di uno, quattro ne confesso.
Uno di essi non si è! confessato che una volta sola in vita sua a dodici anni quando fece la
prima comunione ed ora ne ha ventidue. La vita tumultuosa del negozio l'ha dissolto. Ora
che ha ricevuto la santa assoluzione è! felice, contentissimo. Poveri giovani, quanti come
questo sospirano alla pace dell'anima e non hanno la forza di superare il maledetto rispetto umano.
Per carità, noi sacerdoti non risparmiamoci, non temiamo di far sentire la nostra voce ammonitrice anche dinnanzi a chi ci fa professione aperta di ateismo e di materialismo. E'
questa un'espressione bugiarda, che vorrebbe nascondere, celare la lotta terribile di un'anima contesa dal bene e dal male.
Ritorno col dr. De Bernardi e col nuovo del 1°! battaglione. Giunti alle baracche di questo,
lascio quelli proseguire, io m'intrattengo coi soldati e così! di gruppo in gruppo fino le venti
e trenta circa. Non ho discorso che di cose pie. Obiezioni fattemi da qualche disgraziato mi
suggerirono delle vere prediche e polemiche vivaci e insieme efficaci. Io ne godo, perché!
posso così! passare un po' di luce in mezzo a tante tenebre e ne approfitto per savii suggerimenti e consigli. E il circolo s'ingrossa e i soldati mi ascoltano volentierissimo.
Cena allegra. Il signor colonnello è! andato altrove a pranzare, quando arriva ci conferma
la notizia di venticinque prigionieri austriaci e di due mitragliatrici. E' di buon umore, segnoche le cose vanno per il meglio. "Deus nos adjuvet!"265.
14 maggio 1917
Il cannoneggiamento è! andato intensificandosi fin dalle prime ore del mattino, raggiungendo in punti definiti una violenza estrema. Il tempo è! sempre favorevolissimo, rinfrescato un
po'dai consueti temporali serotini. L'orizzonte di battaglia è! tutto avvolto in un velario impenetrabile, caliginoso.
A mezzogiorno in punto le nostre fanterie balzano all'assalto sostenute dalle artiglierie che
allungano il tiro. Fucileria e mitragliatrici scrosciano inesorabili in raffiche interminabili.
Le batterie avversarie rispondono concentrando un fuoco violentissimo con pezzi d'ogni
calibro e battendo specialmente dove più! è! minacciato il fronte. I nostri bravi fanti non si
arrestano. I dischi salgono su su lungo i declivi tempestati da un fuoco micidialissimo. Date
le formazioni serrate molti dei nostri cadono, ma non per questo si arresta l'ondata, né! i feroci contrattacchi dei nemici carpiscono un metro solo del terreno conquistato. Specialmente la lotta è! intensa e il duello delle artiglierie avviene spietato nel settore di Bel Poggio, su quota 174 di Tivoli, lungo le dorsali carsiche verso Biglia paese266, sul sistema di
265
“Dio ci aiuti!”.
266
Località alle prime pendici carsiche, a sud di Gorizia.
112
!
Monte Kuch e di Monte Santo. Le notizie sono contraddittorie, confortanti sempre. Si parla
di molti prigionieri e di posizioni importantissime conquistate dai nostri. Quando saremo
chiamati noi pure? Risponde una voce misteriosa: "Non temete, di gloria ce ne sarà! per
tutti".
E quando le tenebre sono scese profonde, rotte dal guizzo di mille lampi sanguigni, da
scariche abbaglianti di elettricità! e l'aria pesante afosa è! stata rinfrescata da un lungo forte
acquazzone, avanti di riposarci sul povero giaciglio, guardiamo avidi al fronte di battaglia
avvolto nella fioca luce di molti riflessi. I razzi luminosi ne segnano il punto d'arrivo dei nostri in quella prima giornata di lotta.
Il Monte Kuch dura in un tenebrare assoluto, dunque è! nostro. I razzi austriaci partono dai
ruderi della chiesa e del castello di Monte Santo, dalla vetta del monte asprissimo. Si va
bene, dunque, e si andrà! meglio, più! oltre, più! oltre fino ad assicurarci il possesso assolutamente sicuro di Gorizia, del sistema di colline del San Marco267 e di tutta la feracissima
piana fino al Carso. E' nel cuor nostro un senso cordiale di gratitudine, ne sorridono speranze di più!lieti eventi ! Deo gratias !
Circa le venti di stasera il 2°! battaglione nostro raggiunge le trincee E. Spirito ottimo. M'intrattengo e saluto i soldati che mi ascoltano volentieri.
15 maggio 1917
La battaglia continua ancora mentre scrivo. Durò! tutta la giornata con degli alti e bassi
sorprendenti: violentissima specialmente sulle dorsali del Dosso Faiti e nei dintorni di Tivoli, sulle vette di Kuch e del Vodice268. Le notizie sono sempre contraddittorie e insoddisfacenti, perciò.
Gli Austriaci si accaniscono pure sopra la disgraziata città! di Gorizia sulla quale arrivano a
tratti, con le raffiche rabbiose degli srapnels269 e spingranata270 di piccolo e medio calibro,
vari colpacci fragoreggianti nell'aria quai mostri invisibili. Sulla città! si è! steso un velo denso di polvere rossastra proprio di edifici colpiti e sbranati.
16 maggio 1917
Un fierissimo contrattacco da parte del nemico mette l'allarmi nel comando di reggimento.
Dai superiori comandi giungono ordini e contrordini. Poi torna la calma e finalmente possiamo riposarci un poco. Sono le nove e mezza, ho terminato la santa Messa appena allora.
Un altro ordine: si parte! Il 1°! battaglione resta al ciglione a disposizione: 2°! e 3°! saranno i
primi ad essere impiegati, quindi il 3°! serrerà! sotto dalle trincee di *** all'altezza del 2°; il
comando di reggimento segue le sorti dei due.
Tutto è! pronto. Eccoci in cammino. Da due ore la nostra artiglieria batte sulla linea avversaria, a momenti usciranno le nostre fanterie.
267
Altura a sud-est di Gorizia, verso Vertoiba.
268
Cima posta tra il Monte Kuch e il Monte Santo.
269
Proiettile esplodente con ampio raggio di azione.
270
Tipo di proiettile.
113
!
Colonnello e aiutante maggiore in prima si fermano presso il comando di divisione in ***, io
col dottor De Bernardi e lo stato maggiore raggiungiamo il 2°!battaglione.
La fame cattivamente assecondata mi regala un terribile dolor di testa, che mi accompagna per tutta la giornata.
Sul Faiti dura violentissimo il bombardamento; sul resto del fronte invece pare ritorni la
calma da parte dei nostri. Rispondono invece, a scarica di batterie, gli austriaci che, insospettiti anche, mandano loro velivoli a scrutare retrovie nostre. Viaggiano bassissimi, indisturbati quasi, mentre essi buttano bombe e ci disperdono con lunghe scariche di mitragliatrici. Soltanto a fatti loro compiuti giungono i nostri, ma troppo tardi, quelli se la squagliano.
Verso le quindici un altro ordine. Comando e 3°!battaglione ritornano al ciglione.
Il cielo si è!andato spazzando magnificamente, l'aria è!di una limpidezza meravigliosa.
Regna una calma quasi assoluta. Quale contrasto con la bufera che appena si è! ammorzata! Il nostro 1°! battaglione mentre trovavasi al lavoro nella vecchia caserma austriaca,
venne fatto segno a colpi di cannone e a raffiche di mitragliatrice da parte di un areoplano
austriaco. Un morto e tre o quattro feriti si ebbero.
17 maggio 1917
La giornata passa in una calma qu asi assoluta da parte dei nostri. Solo verso sera attività!
da parte del nemico su dosso Faiti e su le nuove nostre posizioni del Vodice e in quota
176: contrattacchi infranti sempre con la peggio dell'ostinato assalitore. Anche quest'oggi
si hanno a lamentare tre feriti del 3°! battaglione mentre duravano appunto ai lavori, nella
stessa località! d'ieri. Un velivolo nemico che tenta a quota bassissima scrutare postazioni
di artiglieria e nostre retrovie, viene messo a precipitare da un nostro cacciatore.
Nel pomeriggio, colonnello, aiutante maggiore e tenente Venturini, in automobile si portano alla 48a divisione. Certamente novità! per l'aria. Al loro ritorno, da mezze parole e da
mezze frasi apprendo la nostra nuova destinazione.
18 maggio 1917
Fui svegliato prestissimo stamane, nelle primissime ore del giorno. Rientra il 32°! battaglione che prende posto nella caserma. Colonnello, aiutante maggiore e tenente Venturini e i
comandanti del 1°! e 3°! battaglione verso le cinque in automobile si recano sulle nuove posizioni della 48" per le necessarie ricognizioni. Tornano, portando il chiaro annuncio delle
operazioni imminenti che attendono il nostro vecchio reggimento.
Finalmente, dopo un mese e più! di silenzio, oggi mi giunge una lettera di mio fratello. Dal
Trentino passa col reggimento sull'Isonzo. Attualmente trovasi a Percotto271. Ci rivedremo
presto?!
A sera noi si parte. Il 1°! battaglione avanti tutti, destinato alla primissima linea, di fronte a
Dosso del Palo, sulle pendici di San Marco. Appena oltre i baraccamenti del comando della 7a divisione incontriamo una comitiva allegra di cantanti. Sono gli arditi del 3°! battaglione che improvvisano una cordiale ovazione appena scorgono il colonnello. Questi saluta
affettuosamente. Al ponte della stazione lasciamo lo stradale e infiliamo una campereccia
271
Località a sud di Palmanova.
114
!
a ridosso di giardini e parchi magnifici con le ville sontuose rivelateci, a volte, in forme lunghe e strane dai razzi a mille e dai riflettori potenti. Le batterie nostre del Podgora hanno
aperto un fuoco vivace, che si propaga alle altre, nascoste sotto il ciglione della riva sinistra, dietro la casa e fra il verde cupo di piante lussureggianti. Passiamo le baracche divisionali, lasciamo dietro a sinistra la villa sede della 48a divisione e finalmente raggiungiamo l'alloggio nostro. Una casa che un tempo doveva essere graziosa abitazione di benestanti, oggi purtroppo depredata di tutto. Già! è! la mezzanotte. In fretta e furia i nostri attendenti aggiustano le brande. L'afa però! e la stanchezza non permettono un sonno tranquillo. Il cannoneggiamento che si è! fatto più! intenso mi tiene in pensiero sulle possibili dolorose conseguenze per il 1°! battaglione certo sorpreso lungo la strada. E più! ci penso e più!
il sonno se ne va.
19 maggio 1917
Finalmente, mentre d'attorno la battaglia pare spegnersi, anch'io prendo sonno, ma per
breve ora. Mi alzo alle 5.30. Per le sette bisognerebbe trovarci a Case Fasce. Come dire
la Messa stamane? Il colonnello dorme ancora e la toilette sua è! lunga, dice l'attendente
suo. Ne approfitto per recarmi a celebrare nel vicino ospedale. A quai sacrifici deve adattarsi il caro Gesù? Se non supplisse la sua bontà! infinita, or che varrebbero gli atti di preparazione e di ringraziamento nostri alla santa Messa?!
Quando son di ritorno, il colonnello è! pronto a partire, e se ne va solo con l'aiutante maggiore in bicicletta. Noi li seguiremo, con comodo. Intanto col dottor De Bernardi andiamo
all'Ufficio Sanità, poi in cerca di suo fratello tenente bombardiere che non troviamo più. Il
suo gruppo è! partito per il Carso. Attraversiamo la città272, quindi prendiamo la strada che
ne deve condurre alla chiesa dei Cappuccini e continuativamente a Villa Brusvalder e Casa Fasce. La guerra spietata ha prodotto anche qui dei danni incalcolabili. Ville e palazzi,
un tempo superbe abitazioni della parte migliore della società, case grandiose, solenni,
sfiancate ora, rovinanti ad ogni più! piccola scossa del terreno: ammassi enormi di pietra, di
calcinacci e fra questi emergenti travi e assi e avanzi di un mobilio sontuoso, piedi, braccia
e parti qualsiasi di statue in marmo, cornici magnifiche; dalle pareti delle stanze aperte ai
quattro venti guardano con un senso di desolazione avvincente delle madonne bellissime,
testimoni di chi sa quali affetti e sentimenti e ora di tanta strage. E di mezzo a tanto strazio
di ricchezze, dai ruderi fumanti, da quel regno immenso di morte gittano loro virgulti freschi
di vita rose lussuriose, varie, profumanti l'aria intorno pregna di lezzo. Ironia feroce!!
E sovra tutto tra i ta-pum e gli urli dei cannoni che affliggono l'aria, un canto risuona, dolce
accarezzante, un cinguettio echeggia rassicurante tra il sospirar mesto e il bisbiglio muto
di fronde scheggiate, di piante stroncate, d'alberi divelti. La strada che noi percorriamo
rappresenta una scena terribile di guerra. Malamente mascherata all'occhio vigile del nemico da tutto uno sfilamento di stuoie in parte sgualcite e strappate da schegge laceranti
sulla polvere bianca della strada rotta ovunque da buche di granate, nereggiano le carogne di tre cavalli e di un mulo uccisi nella notte, cinturini con giberne, e giubbe e fasce, e
calzoni abbandonati. Dalle siepi battutissime, dai ciuffi d'erba bruciati dalla mitraglia fanno
capolino fucili e bombarde e altro materiale abbondante d'ogni genere.
272
Gorizia
115
!
1 giugno 1917
Primo venerdì! e inizio del mese dicato al sacro cuore di Gesù. E' nell'anima un intenso desire nostalgico. La bellezza del paesaggio intorno, l'aria odorante effluvii di profumi vari,
forti, il cielo di cobalto, il verde cupo dei boschi, la piana immensa rotta a serpe dall'azzurrino Isonzo, le Alpi altissime lontane, emergenti dalla foschia mattutina, le vette indorate,
avvincono lo spirito in un richiamo di tempi migliori, di luoghi più! cari, più! belli forse. La
quiete saltuaria in questi giorni di sosta della battaglia grande ne richiama sui passati avvenimenti e trascorre la mente immagini care di ufficiali e soldati scomparsi nella lotta
cruentissima, figure nobili di giovani figli, sognatori nella giovinezza ardente. Ai travagli
pensa, alle angosce, ai sacrifici, agli eroismi che sì! belle vittorie strapparono alle già! dette
irreducibili difese nemiche. Il voto ardente pensa di padre in pianto per i figli lontani che rimarranno soli, senza un pane assicurato e di contro la gioiosa spensieratezza dei giovani
senza obblighi, baldi e fieri, morti con la vita negli occhi grandi e nella freschezza delle
membra. E' tutto un tumulto di affetti e di ricordi che ne strappa un'unica preghiera, cordiale: Signore Iddio, per le viscere di misericordia dell'amor vostro immacolato, dateci la pace
santa, la pace giusta. E la preghiera continua nella santa Messa che celebro ancora nella
cameretta povera ma pulita del prete sergente. Un'immagine mite di sacro Cuore ne sorride tra due mazzi olezzanti di fiori freschi: quattro ceri illuminano l'altare umile. Com'è! dolce
il pregare qui, uniti a Gesù, vivente nell'ostia santa. Cuore divino di Gesù, non nel nome
tuo soltanto, ma per mezzo tuo, per il tuo corpo sacratissimo, noi chiediamo grazie al tuo
divin Padre e perdono chiediamo, pace, pace giusta, pace santa che ritorni gli uomini alla
tua fede, alla tua santità. Siamo peccatori, è! vero, ma se la tua giustizia è! grande, non
meno è! potente la tua misericordia. Tu sei Dio in tutto! Nessuno hai rimandato inesaudito
che a te si fosse rivolto con confidenza e con fiducia: gli stessi peccatori più! ingrati hai ricolmati di grazie, benedetto hai sempre il popolo tuo più! volte infedele. "Cor Jesu sacratissimum, miserere nobis, parce, parce nobis peccatoribus!"273.
Arrivano cinquecento complementi, parecchi già! appartenenti alla 4a compagnia del nostro reggimento inviata a formare battaglioni e reggimenti di marcia. Verso le venti, mentre
l'aria si è! fatta più! chiara e più! fresca, giungono, probabilmente da dietro il San Marco, parecchi colpi di granata e di spin-granata. E' un fuggi fuggi a ripararsi nelle caverne. Altri si
illudono di essere al sicuro restando su un mucchio di ghiaia fuori appena dalla baracca.
Sventurati! Un colpo che, dalla buca prodotta nel terreno, non doveva essere che un 75,
scoppia proprio in mezzo al gruppo, freddandone sull'istante quattro, ferendone altri quindici tutti gravemente. Uno di questi muore appena trasportato alla vicina sezione dove sono rimedicati e i più! gravi in autolettiga trasportati immantinente a Valliselle274, gli altri smistati altrove.
Uno dei morti, un bravo giovane, rimase colpito mentre scriveva alla mamma sua. Rimase
con la penna in mano, il foglio strappato sul corpo. Lessi la lettera affettuosissima, piena
d'incoraggiamento e di speranze in un prossimo ritorno vittorioso. Poverino! Altra patria
l'attendeva, altra famiglia, più!grande!
Sono quasi le ventidue quando ci mettiamo a tavola. Il 1°! battaglione ha sfilato in perfetto
ordine, in testa gli arditi che il colonnello nel pomeriggio ha voluto nuovamente arringare.
273
“Cuore sacratissimo di Gesù, perdonaci, perdona noi peccatori!”.
274
Località nei pressi di Pieve di Cadore, sede di ospedale militare,
116
!
Giungono da Udine capitano Cimosa e dottor De Bernardi. Questi ci porta i saluti del tenente Venturini le cui ferite vanno bene. Il capitano riferisce delle perdite enormi subite
dagli austriaci negli inutili contrattacchi alle nostra nuove posizioni del Kuch e Vodice e
delle prossime azioni nostre. Anche il 3°! battaglione muove ordinatissimo verso la mezzanotte. E' in testa il bravo e sempre simpatico capitano Sarocchi.
2 giugno 1917
Celebro presto e poi via in bicicletta per Vallisella a quell'ospedale. C'è! un'esistenza là! che
mi fa trepidare e temere: una virtù! di giovane prezioso, il carissimo Cella. L'amo più! che
fratello. Signore, conservatelo all'adorata famiglia, all'affetto degli amici, per il bene della
società. Dopo essermi intrattenuto con lui un poco, mentre i medici si apprestano alla loro
opera, accompagnato dal bravo cappellano in luogo, faccio il giro dei diversi cameroni dove trovo e m'intrattengo con altri del 38°. Un altro dei ricoverati ieri sera è! morto nella notte. Ascoltano con sollievo la voce del conforto cristiano e sono ben contenti di rivedere il
loro cappellano. Il Signore mi suggerisce sentimenti e parole felicissime. Quei cari figliuoli
piangono, altri mi bacia la mano. Il saluto è! un ricordo perenne nelle loro preghiere, per noi
che restiamo su la breccia. Poi torno da Cella, quindi riprendo la strada e via per San Lorenzo di Mossa275 a salutare il buon Sfondrini e don Bormetti. All'ospedale 065 di Cormons
trovo ancora il caro Pisani, in attesa sempre di suo fratello. E' felice di rivedermi. Mi fermo
poco.
Fa tardi. A Moraro trovo il bravo reggente, don Pietro. E' mezzogiorno. Vorrebbe mi fermassi a colazione. Non accetto. Riposatomi un poco riprendo il cammino. Biletti mi accompagna dal colonnello Fossati ora comandante il 265°! Fanteria. Nel tragitto dal magazzino del vettovagliamento nostro alla casa del comando, il buon Bisetti mi parla con un
candore da fanciullo. E' solo al mondo e vuole ch'io lo ricordi nelle mie povere preghiere e
perciò! mi ripromette prossima la sua offerta per la mia chiesina. Nell'imminenza di dover
rientrare in compagnia, spera che Iddio vorrà! perdonargli qualche scappata giovanile. Incontro cordiale con il colonnello Fossati. Il cappellano suo mi sfugge. L'ho intravisto sotto
un portico mentre raggiungevo il colonnello. Questi è! poco contento del suo cappellano,
chiuso, ritroso a familiarizzare coi soldati. A Savogna sono di ritorno per le tredici. Colonnello e aiutante maggiore in prima non arrivano dall'ispezione alle linee di Vertoiba che
verso le sedici. Un po'più! tardi vado a salutare il caro sergente e lo prego di volermi dar
sempre notizie di Cella. Anche stasera gli austriaci coi soliti tiri aggiustati cercano disturbarci. Fortunatamente le baracche bersagliate sono vuote. Abbiamo a lamentare soltanto
due feriti. Uno di questi doveva partire stasera stessa per la licenza. Il secondo è! un ottimo
portaferiti, un giovane virtuosissimo, assiduo alle pratiche di pietà, attivissimo nell'adempimento del suo dovere, senza ostacoli, senza ostentazione. Di un candore e di un'umiltà!
straordinari. Amatissimo da tutti. Sono le ventidue passate quando finiamo la cena. Alle
ventidue e mezzo colonnello e aiutante maggiore partono in automobile per Vertoiba. Il 2°!
battaglione è! sfilato da più! di un'ora. Improvvisamente sul San Marco si accende una battaglia accanita. Terribile è! il bombardamento con tutti i calibri fatto dagli austriaci. La fucileria è! intensa, le mitragliatrici scrosciano inesorabili in raffiche lunghissime. Vario e molteplice è!il getto dei razzi. Ci assilla il desiderio di saper qualcosa, ma indarno.
275
Lungo la linea ferroviaria Gorizia-Udine.
117
!
3 giugno 1917
Salutato il dottor De Bernardi che si parte dal nostro reggimento destinato pare ad un
gruppo di Artiglieria, col capitano Giovesa filiamo in baroccio fino a Ciprianisce e qui prendiamo il camminamento. La battaglia si è!andata affievolendo sul San Marco.
118
!
Verso la prigionia276
(novembre 1917)
1 novembre 1917
Ognissanti. Mi sono addormentato col pensiero dei santi e la *** grigia mi accoglie con lo
stesso pensiero eh'è! tutto un complesso di ricordi lontani, dolci rimembranze dello spirito altre fatiche - altre persone, altri problemi.
1°! novembre 1916. Ognissanti del primo inverno di guerra. La battaglia terribile che fiammeggia sul *** e noi si combatte aspramente *** in quel mare di fango e d'acqua. Nella ferocia dei combattimenti, nel sacrificio di vite generose e belle, nell'olocausto di energie nobilissime, d'affetti, di sogni schiantati, era la gloria, la vera gloria, la morte carezzevole che
passa ai posteri rimprovero, e ammonimento. Nel sangue ribollente in fiotti immensi sul
terreno conteso, sparso di morti e di gemebondi feriti, era la virtù! che abbaglia, perché! rinascita splendente di una nazione, della nostra nazione, dell'Italia nostra diletta. Il grido
d'allora era vittoria e gloria, sacrificio e virtù... E quel ricordo mi opprime ora, mi intorbida
ancor più! lo spirito già! mal portantesi nelle membra rattrappite dal freddo, dall'insonnia,
dalle fatiche, dalla fame, dagli scossoni del rude giaciglio. Al respiro affannoso della notte,
al silenzio obbligato da una volontà! quasi negativa, succedono le prime voci sbadiglianti
dei trenta prigionieri chiusi nel carrozzone bestiame che si scuote e cigola di continuo.
Quattro misere finestruole ci mettono alla luce del paesaggio che attraversiamo. Una valle,
verde di prati, corsa da un fiume discreto; la Sava, forse; dalle due rive si staccano le pendici di due catene interminabili di cocuzzoli di monti - separati gli uni dagli altri - chiomati di
splendidi boschi, biondeggianti sotto il fogliame ingiallito dell'autunno umido. Praterie immense, campi a cavoli e rape, case isolate tra le frasche di boschetti e paesi intieri affumicati dai tetti a spioventi ripidissimi, o di grossi strati di paglia o di pianelle, cascinali, e in
mezzo ai più! grossi aggruppamenti un campanile, una chiesa bianca che stormiva all'aria
la festa grande dei santi, e la gente che usciva e entrava *** ghirlande di fiori dirette ai
morti.
Alunni curiosi commentano il nostro passaggio. Grossi centri con edifici più! puliti, più! eleganti, biancheggianti come perle sul verde dei prati rugiadosi con chiese più! grandi e più!
belle, masse dominanti da cucuzzoli che richiamano tosto l'occhio del viatore.
Cilli277!è! la prima cittadina che attraversiamo silenziosa nei suoi grandi edifici ai piedi del
monte lambita dal fiume, nascosta tra i boschi. Pochi borghesi si sono avvicinati alla cancellata della stazione, guardano, commentano con una buona risata, poi se ne vanno. Qui
conosciamo tutte le gentilezze di un buon uomo di guardiano, che al nostro appetito formidabile presta tutto che gli è! possibile: due grosse rape; vorrebbe fare assai di più! ma come? "Nicht" (niente) di tutto ciò! che domandiamo. E il treno si muove con un terribile scossone e continua la sua via con un passo che addomenta, attraverso un paesaggio uguale
sempre con le stesse caratteristiche.
276
Celle1.
277
Celje: cittadina della Slovenia, a metà strada tra Lubiana e Marlbor. Il convoglio, forse partito da Lubiana,
si sta dirigendo verso il confine austriaco, per poi passare in Germania.
119
!
S.Georgen-Porridge-Portschach-Pragerhof sono le stazioni che attraversiamo con fermate
più! o meno lunghe imposte dal servizio o da che noi non sappiamo. A Pragerhof ci si parla
di colazione. Ci guardiamo in faccia con soddisfazione reciproca: almeno qualcosa che attutisca le brame e difatti ecco una marmitta fumante, un cestone, un mastelletto, caffè, una
fettuccia di pane con marmellata. Tutto scompare in brevi secondi e l'appetito è! più! forte
che prima. Noi conforta altra poca roba di nostre provviste private. Ci allietiamo un po' col
sole. Vien dato l'ordine di risalire in treno e si parte. Kòtsch, poi giungiamo a Marlbor278,
una città! molto grossa con enormi fabbricati industriali *** numerose chiese emergenti dalla massa nera dei tetti *** guglie e campanili eleganti alla gotica *** Lungo la riva destra di
un grosso fiume279, arrivando in stazione, sfolla una ***, una vera processione di gente per
*** fiori per i morti. E la turba dei morti, dei trapassati si avventa quasi alla mia mente e risana lo spirito sofferente e lo richiama alla realtà! della vita. Ripenso una casa lontana, un
paese, una chiesa, una famiglia, i genitori miei, la sorella, il cognato defunti con la creaturina loro; lo schianto penso dei miei adorati genitori, lo strazio accresciuti dalle novità! del
giorno, del figlio che per loro doveva esser tutto, di don Giovannino carissimo, sì! spensierato sempre, sì! gioviale, anche nelle sue corrispondenze ed ora ridotto lontano lontano,
prigioniero contro ogni sua volontà, su un treno destinato a raggiungere una meta sconosciuta che par si faccia ognor più! distante. E gli altri morti penso, a me pur tanto cari, per
vincoli di sangue, d'amicizia, di nazione, d'idealità! tante comuni. E poi nello spirito affranto
si affolla tutta la turba gigantesca dei morti gloriosi delle battaglie, di questi eroi e martiri il
cui solo pensiero mi fa fremere, ora più! che mai che gl'innumeri sacrifici vedo frustrati con
la disfatta terribile che ha *** le fila del nostro esercito. Oh! Morti diletti del Carso petroso
infuocato, del Podgora rosso, dell'Isonzo tutto, del Trentino aspro, morti gloriosi, con lo
spirito vostro, con i vostri meriti, pegni di glorie eterne, sostenete, guidate l'Italia nostra, la
Patria nostra in quell'ore gravi di misteri. Un singhiozzo mi strozza il respiro e le nuove notizie, per quanto incerte, che ci vengono dette alla stazione di Marburg, mi fanno sempre
più! male, diversi sono i commenti. Tante migliaia di prigionieri, tante centinaia di cannoni,
tanto materiale, tante belle terre strappateci, costituiranno gli elementi di una pace prossima, ovvero altri fatti di guerra ci sorprenderanno? Vedremo: Dio eterno consigliere e giudice sapientissimo decida.
Mangiamo finalmente un po' di brodo caldo con pastina e una piccola razione di carne.
Dopo tanti giorni di miseria, è! confortante davvero un po' di brodo. Un altro fatto rende
meno disagevole la nostra prigionia. Dai carri bestiame siamo fatti passare alle terze classi
dove si sta meno male. Ci adattiamo alla meglio per il riposo notturno, stretti gli uni agli altri per soffrire meno freddo ma il treno non parte ancora. Le ore passano e si è! fermi sempre.
2 novembre 1917
II movimento, il cinguettio comincia verso le prime luci grigie del giorno, vero giorno dei
morti. Nella carrozza nostra e in tutto il restante del lungo treno cominciano i segni dell'appetito, la manifesta impazienza per il poco o nullo tragitto fatto nella notte. Di questo passo
non si arriva più, si vocifera, ed è! vero. Finalmente la macchina, vecchia carcassa insuffi278
Città di frontiera tra Slovenia e Austria e centro industriale, sulle rive della Drava.
279
La Drava.
120
!
ciente allo sforzo chiestole, ansima, sbuffa e cigolando muove. Verso le otto entriamo nella stazione di Bruck sul Murer280, ampio fiume che allieta la grossa città! e ne attiva le numerose industrie dei grandi fabbricati sparsi sulle rive del Murer e canali derivanti.
Ore nove colazione: un pò! di thè, una fetta di pane e un misero codechino che non sa di
nulla *** dodici e mezzo partiamo finalmente rifacendoci sul cammino fino a un magnifico
ponte in ferro che si attraversa e ci porta sull'altra riva del fiume che lasciamo alle spalle
con la città. Eccoci a Leoben281, altro grosso centro: la stazione va affollandosi di borghesi
in attesa del treno che dovrà! portarli o alle case o agli acquisti o a checchesia d'altro. Attendono anche diversi *** piumati e medagliati, brilla il costume tirolese tendente al verde
dei monti delle abetaie montane. Panciotti verdi, cappelli col piumazzo stretto da una
grande gala verde. Il sole, un mezzo sole di novembre, folleggia tra la varietà! dei colori. Il
treno borghese giunge, quei signori vi prendono posto, partono e partiamo anche noi lentamente, assai lentamente: la via sale un poco, la macchina sbuffa ma non avanza, sembra un cavallo oppresso da troppo peso e si arresta, poi retrocede d'un tratto. Macchinisti
e fuochisti sono all'opera dattorno agli ordigni, ai freni. Finalmente ci muoviamo, imbocchiamo una galleria breve, fuoriusciamo in una conca ampia, deliziata dal sole, ricca di ville. A sinistra della ferrovia, l'occhio incontra un raggruppamento di baracche bianche, una
scritta, sotto una banda giallo e nera: "Ospedale militare per infettivi St. Michel"282. Dietro,
meglio, di fronte, sotto la montagna che scende a picco sui prati verdi, un severo camposanto ben composto: troneggia una croce bianca in cemento, ai piedi un mortaio da 152.
Entriamo nella stazione rumoreggiante di treni manovranti. I monti ci stanno più! a ridosso,
più! ripidi,scoscesi: altri già! coronate le cime di neve dorata al sole che muore. La cortesia
germanica va esplicandosi. A turni di sessanta gli ufficiali cenano al Caffè! di stazione: un
po'di minestra d'orzo, una porzione di carne con verze e una fettuccia di pane. Fa freddo
più!del solito.
Ci stringiamo nel nostro angolo, in cerca di Morfeo benigno che non ci acconsente che un
sonno a sbalzi.
Il treno stavolta fila sul serio col suo solito tran-tran, è! vero, ma continuo, a volte anche più!
veloce. Selzstal è!la stazione più!importante che transitiamo, davvero grandiosa.
3 novembre 1917
Bischofshofen283 ci accoglie nelle prime ore del mattino. Colazione al Caffè! della stazione,
dieci e mezzo partenza. Costeggiamo un fiume discreto che ci corre alla sinistra284. Sono
tutte splendide strade ferrate quelle che percorriamo, magnifici i ponti in ferro gettati sui
fiumi. Werfen è! il primo paese che incontriamo: passano nei prati greggi numerosi di bovini. La valle ora si restringe, la ferrovia scende, i monti s'innalzano brulli, scoscesi, spesso
a guglie crude, strapiombanti sull'abisso. Qua e là! qualche casa dispersa, poi Tannegh
con le sue fornaci e il piccolo Sulzau. Il fiume ci taglia la via e piega a destra, scivolando
280
Bruck an der Mur: siamo in Austria, a nord di Graz.
281
Città nella valle del Mur. Il convoglio inizia a dirigersi verso ovest, in direzione di Salzburg, dove passerà
in confine con la Germania.
282
Nei pressi di Bruck.
283
Siamo nel Salisburghese, nella valle dello Salzach.
284
Lo Salzach.
121
!
dietro un'enorme montagna di rocce che il piccone ha domato e noi passiamo per l'ampia
maestosa galleria lunga parecchio e dopo la quale usciamo nella valle fatta più! vasta,
quasi pianura, dove si distendono dolcemente ville infinite, case coloniche, quasi parti di
un gregge immenso disperso fra veri giardini e boschi di pini, d'abeti. Percorriamo così! con
sguardo estatico Colling *** Hallein deliziosa285 e ***286.
La ferrovia ha abbandonato il mezzo della valle e ne lambe ora la destra ***. La vallata è! di
nuovo sbarrata totalmente da una costiera boscosa. Troneggia un castello, un ammasso
enorme di caseggiati e di palazzi che scendono occhieggiando tra il folto dei giardini e
perdendosi in un superbo anfiteatro di case e di chiese, in un labirinto delizioso di ville
grandi e piccole; veri nidi dell'agiatezza tedesca, sono riposo al sudato anno scolastico,
soggiorno ristoratore a sciupate energie fisiologiche. Il treno sfila senza fermarsi le stazioni
di Aigen e di Parsch; da questa si parte una linea tramviaria che unisce alla città! del castello. Sarà!Aigen o Parsch?
A Salzburg scendiamo e ci vien data la razione: brodo, carne e cavoli acetati. Il confine
austro-germanico è!prossimo. Lo passiamo nella prima parte della notte.
10 novembre 1917
Al solito appello mattinale287 l'ufficiale tedesco comandante il nostro reparto di prigionieri
legge pubblicamente una domanda fatta da un cappellano militare a nome dei confratelli
per ottenere certi giustificati favori. La forma dello scritto, il modo d'esprimersi suscita del
rumore fra gli ufficiali favorito dalla malevola interpretazione del tedesco. Commenti e dissapori. Nessun'altra novità.
Voci di rimpasti nel comando supremo italiano ***. Sembra che una prima colonna di cento
ufficiali vengano inviati a nuovi migliori campi di concentramento. Il tempo è! instabile, coperto tutto il giorno, che non vuol passare, uggioso eterno. La pena nostalgica si acutizza.
I genitori lontani le mille miglia senza nuove, nel trambusto orrendo, nella sciagura immane che si è! scatenata inesplicabile e inaspettata sulla patria diletta; la parrocchia, piccola
ma amatissima, prima gioia del più! puro amore sacerdotale, donde giunge il fremito di una
attesa affettuosa, la privazione d'ogni conforto spirituale con tutto un complesso di fattori
che vieppiù! incrudiscono la nostra prigione. Signore, Signore! "Desolatione desolata est
anima nostra"!288 Che ci prepara l'avvenire? E l'Italia nostra come sopporterà! la sciagura,
la disfatta che, in cosi breve giro di giorni, ha reso nullo tutto il cumulo di glorie, ha schiantato tanti sogni vagheggiati per lunga pezza e maturati da tanti nobili e tanto numerosi sacrifici di sangue e di affetti?! L'eletto interminabile stuolo degli eroi chiamati dalle terre incolte, sparse ovunque per la sacrata terra nostra dallo Stelvio289 al mare, alla libertà, alla
giustizia, calpestati al diritto concusso, che dirà! in suo muto forte linguaggio agli itali fatti
non vinti, non vili? Quai sensi alti eternarono, loro morti? Di quale speme splendette lor
285
Il treno sta percorrendo la valle che da Bischofshofen conduce a Salzburg, al confine tra Austria e Germania.
286
Strappo nella cartolina.
287
Il contingente di prigionieri è stato provvisoriamente rinchiuso in un campo di concentramento, a Rastatt,
cittadina sul confine meridionale della Germania (cfr. VARISCHETTI, p. 42).
288
“La nostra anima è nell’estrema desolazione” (cfr. Ger 12,11).
289
Passo che mette in comunicazione la Valtellina con la Val Venosta, allora territorio austriaco.
122
!
sacrificio cruento baciato dai voti di mille altri generosi ardenti cuori? E tu , Italia, tu popolo
mal condotto, tu gente invida, insana gente asservita ai miserabili cultori di dottrine avverse al più! sacro diritto d'unione, a quello di una patria unica, unita, forte, nobile, grande tu,
tanti pegni di gloria frustrasti e i figli tuoi tradisti, avendone gli animi già! troppo fiacchi ad
un vergognoso egoismo e oggi tu piangi la sorte sgraziata per cui la sacra tua terra soffre
il servaggio di provincie fiorenti.
11 novembre 1917
Signore, grazie, grande è! il dono che mi attende stamane. Vano è! stato il desiderio di
averti nel mio cuore nel santo sacrificio della Messa, durante questo primo periodo di prigionia, né! speme alcuna mi sorride di poter celebrare nei prossimi giorni! Dov'è! il tuo sacerdote, o Signore? Anche i dì! più! solenni dei santi e dei morti passarono incolti, lungi, oh
quanto!, dagli altari tuoi, dai tuoi templi! E l'anima sospirò! indarno alla terra natale, alla
chiesina montana, ai figli del cuore: "Desolatione desolata erat anima nostra"!290
Oggi o Signore, la tua mano s'innalza benigna sul tuo sacerdote e mentre la pia gente d'Italia si raccoglie trepida dattorno ai lucenti altari del santo soldato, vieni a noi colle tue
carni immacolate, cibo dei forti, cibo degli angeli, sollievo al nostro spirito affranto, compagno, amico vero nel nostro esilio. Ti ho desiderato, o Signore, ardentemente, intensamente, ti ho pensato all'alba di questo giorno fortunato e sognavo felice l'istante in cui ti avrei
ricevuto dalle mani del sacerdote, in passione socio, come me esiliato dalla patria, più! di
me fortunato, perché! una volta ancora aveva l'altissimo onore di offrire il santo sacrificio.
Eccoci prossimi all'ora solenne. Un povero tavolo, ricoperto di bianchi lini, una piccola croce di metallo bianco, due candelieri semplici, due ceri; nel mezzo della tavola il calice ricoperto dal velo verde. Di faccia alla baracca del segretariato celebra don Tanzella, già! pronto, esce seguito dal prete cattolico germano assistente del nostro concentramento di prigionieri. Dattorno all'altare improvvisato, gli ufficiali volonterosi si sono affollati e seguono
silenziosi lo svolgimento del santo sacrificio. Sono più! di cento, pochi in confronto dei molti
del blocco nostro. Alla comunione del celebrante noi tutti, cappellani militari, riceviamo la
santa comunione. Signore, Signore e perché! non potermi sottrarre dalla vista di tutti, raccogliermi solo con te, o Signore, da te solo osservato, con te solo potermi sfogare, liberamente sfogare, piangere, piangere lacrime calde di riconoscente affetto, dirti i bisogni
grandi dello spirito mio in riguardo a me stesso e a quanti mi circondano; dirti le pene dei
miei genitori adorati, l'angoscia di quei cuori generosissimi, o Signore, che ti amano tanto
e con tanto zelo si sono adoperati per crescerti fedeli quei figli che loro hai graziato, frutto
del loro amore santamente cristiano. Signore, lenisci lo strazio di mamma e papà! mio,
rendimi loro al più! presto e non dimenticare i fratelli miei, specie chi sta ancora in guerra,
incerto sulla mia sorte. E al mio zio sacerdote291, a quell'angelo di carità, a quell'apostolo
della tua gloria, o Dio grande, a quel zelatore instancabile della salute delle tue anime, o
Creatore sapientissimo, concedi trionfi nel regno tuo celeste, in terra nel regno delle anime.
Sogno, e il mio pensiero volge lontano lontano e ripara fuggente in una chiesina povera, ai
piedi di montagne massicce, raccolta tra gruppi diversi di case affumicate vicino a un tor290
Cfr. sopra, n. 268.
291
Don Carlo Sonzini. Vd. Sopra, pp. 55, n. 124.
123
!
rente di pietrame292 un leggero stormire di piante ormai spoglie d'ogni verzura e dall'alto
della torre avvolta ancora nella bruna mattinale, uno squillo echeggia dai mille echi montani cui risponde lo scalpiccio frettoloso, il fruscio di vesti della pia gente che affolla dattorno
al confessionale e poi corre rapida alla balaustrata. L'altare si illumina, una bianca visione
compare, stringe alta tra le dita tremule l'ostia santa e il banchetto eucaristico della piccola
popolazione di Valle mio, sfila raccolta, devota. Lacrime scorrono cocenti, gemiti rispondono e bisbiglìo di preci avide di giustizia e di pace. O popolo mio come ti amo, come ti desidero! Quando ci sarà! dato riunirci? E quando diverrò! io nuovamente e definitivamente il
tuo pastore e il tuo sacerdote? Quando prenderò! io il posto, indegnamente, è! vero, non
meno affettivamente, del sacerdote che oggi ti conforta e ti consola, anima veramente nobile, spirito gentile e forte?! Signore, Signore, guarda al popolo di anime che mi affidasti e
dal quale la prigionia ancor più! mi ha strappato lontano. Ascoltane i voti umili e benedici a
loro, benedici ai loro figli che combattono, santificali e salvali. Benedici alle mamme, alle
spose, cui punge atrocemente l'incerta sorte degli amatissimi figli e consorti lontani. Benedici ai padri, agli uomini tutti perché! i grandi fatti di oggi, la dolorosa realtà! vissuta, apprenda loro una rinnovazione sempre più! accetta ai vostri voleri santissimi. E i figli e le figlie divengano forti nell'obbedienza e nella virtù!bella che più!piace a voi, o divino cuore di Gesù.
12 novembre 1917
Partono alcuni ufficiali per il nuovo concentramento, tra questi il cappellano del 214°, un
carissimo prete, un'anima mite, un'anima francescana, rapitore di cuori. Mi trovavo tanto
bene con lui: aveva sopra di me un ascendente straordinario. Vicino a lui sentivami lo spirito rinfrancare e inondare di una dolcezza religiosa quale godesi vicino a un santo. Erano
tanto fecondi di buono spirito i suoi intrattenimenti e davvero la sua separazione mi è! rincresciuta: dattorno a me si è! fatto un vuoto. Don Marinelli chiamavasi, ed era parroco in
diocesi di Nocera Umbra.
13-17 novembre 1917
La settimana scorre uguale senza grandi mutamenti. Martedì! sono arrivati altre centinaia
di ufficiali italiani, fatti prigionieri, chi a Udine, chi a Castrozza293 e altrove. Le notizie dal
fronte variano, talora rassicuranti, dall'altra pieni di tragici avvenimenti, a volte pare che i
nostri abbiano fermato i tedeschi sul Piave; altra voce afferma che neppure il Piave saprà!
resistere all'urto terribile e lo stato di guerra è! allargato a nuove provincie e alla stessa
Lombardia.
Ministero e comando supremo in Italia hanno pure avuto un rimpasto: Cadorna e Porro a
disposizione, al loro posto Diaz, capo di Stato maggiore e sottocapi Giardino e Badoglio;
specie di consiglieri, Lana e Grandi. Orlando sostituisce Boselli, rimane Sonnino agli Esteri
e Bissolati ha un portafogli importante. Notevole e consolante che dall'Italia, da quel popolo così! travagliato nei suoi sentimenti di disciplina da birbe matricolate, nessun eco giunge
di disordini, ciò! che verrebbe strombazzato e ingigantito dalla stampa allemanna294; che
292
La parrocchia di Valle.
293
San Martino di Castrozza, ai piedi della Marmolada, in Trentino.
294
Tedesca.
124
!
anzi i socialisti stessi. Turati, Treves in prima linea, con appositi appelli danno macchina
indietro e invitano affiliati e popolo alla calma, all'ordine, a riunire le energie possibili per
sostenere con l'esercito la lotta di difesa della patria dolcissima. Nonostante la vantata
esistenza di contraddizioni tra i comandi franco-inglesi per l'invio in Italia di aiuti sufficienti,
sta il fatto che questi arrivano, e Milano e Brescia accolgono festanti le truppe alleate: ma
all'Italia più! che le truppe materiali, cannoni e munizioni occorreranno ormai e queste non
mancheranno: la chiusura della frontiera verso la Svizzera ce ne assicura. La più! piccola
notizia anche lontanamente favorevole riempie il cuor nostro di santo entusiasmo e l'immaginativa riscaldata anche dalla debolezza ci fa sognare trionfi e rivincita di nostre armi, i
voti nostri si accoppiano ai sogni, alla preghiera, poca, ma piena di affetto e di propositi.
18 novembre 1917
Una distrazione momentanea mi ha fatto rompere il digiuno. Inutile ogni impazienza; anche la domenica passerà! vuota. Dio mio! Appena scorgo don Sironi295, lo raggiungo al solito passeggio e gli dico il caso sgraziatissimo. Egli pure lamenta la stessa sorte. E' una
privazione dolorosissima e 1'offriamo a Gesù! benedettissimo ciascuno secondo particolare
intenzione. Sono le otto e un quarto dalle torri della vicina Rastatt296, nascostaci da fitte
boscaglie, ne giunge l'eco dei sacri bronzi invitanti ai divini misteri. Il suono della campana
maggiore mi richiama quello perfettamente uguale di un'altra campana, di un'altra torre
dominante da un poggio superbo una chiesa grande bianca297 e il suono perdevasi nella
sottostante vallata, e su per i monti e dentro le conche e a quella voce madre altre rispondevano minori, argentine, festanti e negli squilli e nelle note, voci di gaudio e gemiti si confondevano al mormorio, al sussurrio ed ora al brontolio fremente del fiume che i bei campi
e i prati ricchi lambisce e rinfresca e muove macchine e industrie, arricchisce spesso il desco povero del contadino, allegra co' suoi pesci saporiti.
La campana di Rastatt suona sempre severa nell'aria bruna e fredda, nello spirito nostro
diffonde una soave nostalgia d'anime. Don Sironi ricorda i suoi giovanetti di collegio, la delizia delle sue cure sacerdotali; la soddisfazione, il sacro orgoglio di veder crescere forti
nell'educazione ch'è! loro impartita, quei cari figliuoli cui la voce paterna del maestro suona
non solo consiglio ma comando e si impone ognor più! fattiva e efficace illustrata dagli
esempi di chi regge. Purtroppo dice don Sironi, ed ha ragione: troppo è! il distacco mantenuto tra il giovanetto e il suo superiore a danno di quella conoscenza e di quel mutuo affiatamento dei caratteri che è! tutto per la riforma di coscienze errate, per il rincalzamento di
propositi e di virtù! già! bene iniziate. Deficienza questa molto più! marcata nei Seminari, dove il giovane che si avvia al sacerdozio dovrebbe sentire tutta l'affettuosità! forte della mente che lo guida, sentirne vicinissima l'assistenza vigile, la comunanza degli ideali, assaggiare per vivere poi definitivamente la grandezza del ministero, le gioie e dolori ond'è! seminata la via a quello, le meraviglie dell'apostolato sacerdotale, i trionfi di Dio nelle anime
operata dallo zelo di volontà! dedite completamente a lui e tutto questo dovrebbe essere
295
Sironi Angelo (1881-1962), nativo di Como.Vicario di Lomazzo, fu poi al seguito di mons. Tommaso Trussoni, quando questi venne eletto vescovo di Cosenza. In quella diocesi ricoprì la carica di vicario generale.
Tornato a Como, divenne arciprete di Lenno.
296
Città del Baden-Würtenberg, nella pianura renana. È la prima, provvisoria, località di prigionia per don
Folci.
297
Si riferisce alla chiesa arcipretale di Berbenno, capo pieve da cui dipendeva la parrocchia di Valle.
125
!
riversato dal labbro del superiore nella mente e nel cuore del giovane candidato nella
scuola dalla cattedra e in chiesa dall'altare e nel tempo libero della ricreazione e del passeggio. E' bella questa comunanza per cui il superiore può! conoscere e perfezionare i bisogni delle anime affidate alle sue cure e sovvenirle all'uopo con consigli, con conforti, con
correzioni tempestive, argine a mali peggiori per l'individuo e per i compagni. Don Sironi
parla appassionatamente, con entusiasmo della missione sua tra i giovanetti, ricca di conforti ineffabili, di soddisfazioni sconosciute ai profani d'ogni retto sentire. Egli é! sereno,
nell'attesa di quel giorno felice che lo ritornerà! al suo lavoro, alla sua vigna. Il tempo è! volato e si è! fatta l'ora dell'appello. Alle dieci santa Messa nella cappella dei russi, cento a
questa, cento a quella delle undici: é! fissato il numero, pare, anche per gli altri blocchi. I
pochi esuberanti al prescritto sono allontanati. Chi ne capisce qualcosa di questi metodi è!
tanto bravo. Ci accompagnano due sentinelle armate, ci contano prima della partenza e
dopo l'arrivo. Celebra un cappellano del blocco N. 1, gli altri si comunicano, con loro diversi ufficiali preti e chierici. A Messa finita, saluto un compagno del seminario, certo Cattaneo Luigi di Cermenate, ora capitano mitragliere. Torniamo ch'è!già!l'ora della sbobba.
19-23 novembre 1917
In Italia gli eventi pare prendano una piega migliore e stabile. Alle sparse concesse notizie
del bollettino nostro si aggiungono i comunicati e i commenti dei critici militari tedeschi affermanti l'accanita resistenza delle truppe italiane che difendono palmo a palmo il terreno
loro conteso dal valore delle truppe loro alleate. Asiago coi suoi monti. Monte Tomba298 e il
Piave sono i campi della lotta sanguinosa asprissima dalla cui decisione dipende un maggior nostro disastro o il primo passo alla rivendicazione del nostro onore. Auguri e voti! Un
pomeriggio, d'improvviso, l'aria oscura umida del cielo germanico, triste sempre e uggioso,
si allieta di canti festosi. Agli inni nazionali nostri si intercalano i popolarissimi della trincea,
la brillante e forte Marsigliese299. Non c'è! stile in quei canti, non c'è! correttezza di voci: è!
un'esplosione d'animi avvinti dalle buone notizie che corrono. E' arrivata la Badische Presse confermante la resistenza italiana, annunciante ripetuti forti attacchi dei nostri e una
bene iniziata offensiva franco-inglese su vasto fronte. Il bollettino tedesco l'annuncia in
termini laconici che tradiscono però! la realtà! dello scacco. Ammette che sono stati persi
prigionieri e materiali e che un'ulteriore avanzata è! stata impedita dal pronto accorrere delle riserve nelle trincee di resistenza. Un comunicato inglese mette in più! certa luce l'importanza della battaglia iniziatasi tra Bagaume e Cambrai che ha avuto per primo risultato di
aprire una breccia di vari chilometri su sette od otto di profondità! attraverso la quale
tanks300 e cavalleria tentano un più! vasto successo, appianando l'opera dei reggimenti di
fanteria che avanzano con tutta regolarità. I canti sono morti ormai nel chiuso delle baracche dove però! le discussioni e i commenti si sono andati facendo più! vivaci, più! interessanti in una gara simpatica di più!nobili sensi e di idealità!più!degne.
298
Al confine meridionale del Trentino, a nord di Verona.
299
Inno nazionale francese.
300
Si tratta dei primi carri armati, impiegati a supporto della fanteria.
126
!
24 novembre 1917
La partenza oggi è! per noi301. Ci hanno avvisato ieri sera e stamane, salutati e dato l'arrivederci in più! spirabil aere ai rimanenti, alle sette e un quarto ci troviamo dinnanzi il segretariato ove consegnamo quanto è! prescritto e usciamo dalla cancellata. Al nostro stuolo si
uniscono altri del blocco N. 1, in tutto siamo una sessantina. Siamo contati a più! riprese,
un picchetto di guardie ci fa corona, un ufficiale tedesco si mette in testa alla colonna che
muove prima attraverso gli altri blocchi del campo poi esce sullo stradale che conduce alle
caserme. Giungiamo a queste mentre ne escono ben allineate a passo di marcia segnato
dai cori obbligati e consueti diverse compagnie di mitraglieri che si recano all'istruzione. Il
viale gira dattorno alla città! di Rastatt, solitario tra due ali di piante annose. A sinistra si
stendono immense le praterie macchiate di verdi profumate pinete. E' questa tutta la passeggiata della cittadina. Eccoci ormai a destinazione. Sullo sfondo della strada che ci ha
tolti alla campagna e portati alla città! attraverso un gruppo di ville del sobborgo, ci appare
nella sua massa rossastra la mole bassa e tozza del Friederische Feste (o Castello di Federico), antica difesa della città! dalla quale la fortezza è! divisa da un fiume dalle rive profonde, quasi vallo, oggi passato da ponti robusti. Dopo breve attesa, i battenti del grande
cancello ferrato si aprono cigolando. Entriamo in un cortile vasto, sparso di verdi tappeti
girato dalle ali delle fortezza che ci appare ora nella sua costruzione robusta e grandiosa.
Siamo contati di nuovo poi fatti passare in una serie di stanzette a piano terreno donde a,
gruppi di due tre, siamo fatti uscire per l'interrogatorio e per lo spoglio. Chi mi interroga è!
un sottufficiale tedesco che fu per molto tempo in Italia e precisamente a Milano dove era
impiegato all'ufficio bollo. Era presente alle giornate del maggio 1915 precedenti la nostra
entrata in campagna. L'Italia, dice lui, ha fatto male a non ascoltare la voce del papa e non
fare la pace mentre teneva Gorizia e altri preziosi pegni dell'Isonzo. Ora subisce il danno
della sua testardaggine. Naturalmente non gli dò! ragione e, pur sentendo tutta la gravità!
del momento che la patria diletta attraversa, non manco di affermargli le mie buone speranze. Dopo di che mi saluta cordialmente e mi lascia libero, dopo di avermi rinfocolate le
speranze in un rimpatrio prossimo. Mi viene assegnato il letto in una stanza dove siamo
cosi in trentasei.
E' mezzogiorno, l'ora della sbobba: orzo o baccalà! con qualche patata, una broda nera e
puzzolente. Ma chi più! ci bada al gusto quando la fame caninamente latra? Incontro vecchie conoscenze del campo russo, altri sono partiti e con essi medici e cappellani riuniti;
dicono per destinazione migliore. Le prime relazioni sul nuovo soggiorno sono terroriste302.
Comanda la fortezza un maggiore pazzo e alcolizzato; la nostra compagnia un maresciallo
dall'aria tirannica. Un improvviso appello verso le quattordici ci mette tosto a contatto coi
due cani ringhiosi. Corridoi, stanze e cortili risuonano delle urla, incomposte e stridenti del
maggiore dal viso rosso e bitorzoluto, direbbero in buon lombardo, come un "peverun de
Vughera"303.
301
Verso la definitiva destinazione: il campo di prigionia di Celle, città della Bassa Sassonia.
302
Terrificanti.
303
Cessa qui il diario, mentre il quaderno viene utilizzato, successivamente, per una serie di riflessioni e appunti di letture. Una lettera all’arciprete di Berbenno, scritta il giorno di Natale del 1917 da Cellelager, esprime invece i sentimenti personali di don Giovanni Folci. Cfr. Documento 11, pg. 134.
127
!
Riflessioni finali sul periodo della guerra (1919)304
1 novembre 1917
Ognissanti. Mi sono addormentato col pensiero dei santi e la *** grigia mi accoglie con lo
stesso pensiero eh'è! tutto un complesso di ricordi lontani, dolci rimembranze dello spirito altre fatiche - altre persone, altri problemi.
Compassione e compatimento sono le parole che debbono sfiorare le nostre labbra e devono essere l'espressione dei sentimenti del nostro cuore, pur dinnanzi allo sfacelo doloroso di qualche anima sacerdotale e dei giovani allievi del Santuario305.
E' terribile! ho detto e ripeto ancor oggi, è! terribile la prova cui debbono soggiacere codeste vocazioni strappate alle loro cure dal sacro recinto; distolte dalle loro pratiche quotidiane, regolari di pietà. E' terribile! E' la prova del fuoco! E' il crogiuolo massimo poiché! è! lo
spirito delle tenebre che si scatena ora in modo più! che palese, più! che precoce contro la
nostra casta306. Lo si sa che, percosso il pastore, le pecorelle saranno disperse più! facilmente e mentre per queste si vanno procurando nuovi pascoli deliziosi al piacere, nuovi
miraggi di facile gloria, di facili godimenti, si cerca d'altra parte pervertire chi ancora può!
aver la forza di combattere attingendo sue energie alle fonti inesauribili di Cristo eucaristia
alla soda pietà. Per tentare il santo patriarca Giobbe, il demonio, ci dice la Scrittura, domandò! il consenso divino. Oggi i ministri dell'inferno si spargono e dilagano per tutta la terra, entrano nelle più! segrete cose; nelle congreghe d'uomini perduti, impastano di loro
stessi gli esseri sulla cui fronte dovrebbe brillare il raggio della pace e della bellezza celeste, le donne, che fanno ministre della più! obbrobriosa e sacrilega profanazione. Quante
volte in questi giorni mi sgorgò! spontanea e imposta quasi dal bisogno di dire l'interno sentito sentimento: "Oggi mi sento più! sacerdote di quattro anni fa!". Non è! un vanto poiché! tale affermazione mi rende pubblicamente obbligato a mantenere in me intatto quel cumulo
di grazie che il Signore è! andato disseminando sul mio cammino di vita sacerdotale nei
due anni e mezzo di guerra vissuta al fronte e poi nei sedici mesi della più! dura delle prigionie. Ma quanto é! doveroso e intimo da parte mia il grazie per sì! segnalato beneficio, altrettanto sincero é! il voto di compatimento per i fortunatamente pochi infelici confratelli che
nella prova non hanno saputo reggere e sono caduti . Mi si dirà: ad essi pure non mancavano i mezzi, la santa Messa, l'Ufficio, la meditazione, le sante letture, la buona compagnia, i buoni esempi, la vita semplice, timorata e pia di tanti poveri soldati, di altri giovani
ufficiali, tolti al santuario domestico come dall'unica àncora di salvezza di mezzo al diluviare della più! sfacciata corruzione. Tutto è! vero, ma io ripeto ancora: compatimento, compatimento! Compatimento che non vuol però! essere debolezza ma neppure abbandono. E
oggi ancora, dopo aver gustato nei giorni scorsi la gioia pura e casta, i frutti dell'apostolato
delle anime, all'altare, al tribunale di penitenza, predicando o conversando; oggi ancora
304
Le ricaviamo da uno dei quaderni poi riutilizzati per appunti di predicazione (QP1), nel quale occupano le
pagine 1A-21A.
305
Si riferisce ai disagi e agli sbandamenti di vario tipo subiti da preti e seminaristi in connessione con la
chiamata alle armi, durante la Grande Guerra.
306
Nel senso di “categoria”.
128
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sento il bisogno di richiamare al compatimento: più! insistentemente, con l'angoscia nell'anima, a quanti hanno caro il fiorire delle vocazioni sacerdotali e la santità! dei sacerdoti,
grido: "Preghiamo e operiamo". Tutti si preghi per i sacerdoti in genere e le disgraziate eccezioni in particolar modo. E quanti hanno modo di operare ancora oggi in loro favore,
provvedano, provvedano sollecitamente.
129
!
DOCUMENTI
Doc. 1 - Lettera di don Carlo Sonzini a don Giovanni Folci, Varese 27 giugno 1915
(Como, Archivio delle Ancelle di San Giuseppe, Fondo Sonzini, L-C-11/B 1, Positio Sonzini, Biografia Documentata, 72).
[…]
Io ho fatto pratiche anche per ottenerti l’esonero del servizio, stante la parrocchia abbandonata, ma temo assai possano approdare a qualche cosa. E se proprio fia d’uopo che noi
ci sacrifichiamo, fiat; compiremo prima il sacrificio, l’immolazione iniziata sin dai primordi
della carriera ecclesiastica.
Io oramai mi sono persuaso di essere votato al sacrificio. Saprai infatti che da quasi un
mese ho sulle spalle due giornali, Luce e Nuovo Eco del Gallaratese, diretti già dal collega
D. Carlo Rudoni, ora sotto le armi. Per tal modo la mia vita è un moto febbrile, nel quale
tuttavia, che vuoi? godo una salute, che non ebbi mai l’eguale. Preghiamo dunque a vicenda o carissimo e consunti simun in sacrificio ut coniugamur in gloria.
I tuoi e i miei stanno tutti bene. Dio ti benedica e la Madonna Santa ti faccia sempre da
Mamma.
Tuo aff.mo zio
D. CARLO S.
Doc. 2 - Comunicazione della nomina di don Folci a cappellano militare, Roma 8
agosto 1915
(Como, Biblioteca del Seminario Vescovile, Fondo Folci).
MINISTERO DELLA GUERRA
IL CAPO DELLA DIVISIONE
STATO MAGGIORE
N. 14549
Roma, 14 agosto 1915
Onorevole Sig. Deputato,
In relazione alla Sua lettera del 22 luglio scorso, ho il piacere di comunicarle che il Rev.
Giovanni FOLCI stato designato all ufficio di cappellano militare, presso il 120 reggimento fanteria.
Con osservanza
Dev.mo
firma
130
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131
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Doc. 3 - Nomina di don Giovanni Folci a Cappellano Militare, Roma 14 agosto 1915
(Como, Biblioteca del Seminario Vescovile, Fondo Folci).
14 agosto 1915
Egregio Reverendo
mi do premura di comunicarLe l’acchiusa lettera con la quale il Capo della Divisione Stato
maggiore presso il Ministero della Guerra mi informa ch’ella è già stato designato all’ufficio
di cappellano militare presso il 120° reggimento fanteria.
Con distinti saluti mi confermo
Suo dev.mo
PADULLI
Molto Rev.do Sig.
Sac. GIOVANNI FOLCI
Doc. 4 - Sacerdoti soldati appartenenti alla sezione di Sanità. Ospedaletto e di
reggimento che hanno dimorato a Pontecaffaro durante la guerra
(preso dal Diario di don Pietro Torri, Note di cronaca della guerra a Ponte Caffaro).
1915
Don Luigi Bignami, Coadiutore di Luino, Cappellano militare della Sezione Sanità (Diocesi di Milano)
Don Onorato Bianchi, Parroco di Spitana (Sondrio), Cappellano Militare
dell’Ospedaletto da Campo 22 (Diocesi di Como)
Don Pietro Gestu, Parroco di Arvegna (Sondrio), Capp. Militare successo al Bignami (Diocesi di Como)
Don Luigi Micheli, Dioc. di Como, 6.a Sez. Sanità
Don Giovanni Folci, Dioc. di Como, 6.a Sez. Sanità
Don Faustino Moncini, Dioc. Brescia, 6.a Sez. Sanità poi Capp. Militare
Don Raffaele Di Giuli, Dioc. di Novara, 6.a Sez. Sanità poi Capp. Militare
Don Luca Lilla, Diocesi di Novara, 6.a Sez. Sanità
Don Mario Tronconi, 6.a Sez. Sanità poi Capp. Militare
P. Paolangelo Nostrasio, Prov.le dei Cappuccini, 22 Ospedale, di Milano
1916
Don Carlo Gottifredi, Dioc. di Milano, Capp. Militare
132
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1917
Don Giovanni Lucarelli, Dioc. di Boiano, 6.a Sez. Sanità
Don Angelo Pecchi, Dioc. Arezzo, 6.a Sez. Sanità
Don Luigi Laffranco, Dioc. Asti, 22 Ospedaletto
Don Antonio Tomasoni, Dioc. Brescia, 6.a Sez. Sanità
1918
Don Pietro Marinoni, Seminario di Vercelli, Cappellano Militare del 58°
Reggimento Artiglieria Campagna
Don Giacomo Marzin, Beneficiato Duomo, Cappellano Miliare del 28°
Reggimento Artiglieria Campagna, Diocesi di Concordia
Don Angelo Mericoni, Parroco, Massa, Capp. Militare dell’Ospedaletto
143°, Della Diocesi di Massa Carrara
Don Nicola Faustini, Dioc. di Rimini, 143 Ospedaletto
P. Benedetti Ambrogio, Cappuccino Prov. di Genova, 149 Osp.
Don Giovanni Gambarotta, Ariano di Puglia, 143 Osp.
Mons. Antonio Freda, Vicario Generale della Diocesi di S. Angelo dei
Lombardi e Bisaccia, Cappellano Miliare della 21° Sez. Sanità
Don Giuseppe Sagliocco, Dioc. di Aversa, 21° Sez. Sanità
Don Leonardo Ucci, Div. Salerno, 21° Sez. Sanità
133
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Doc. 5 - Libretto personale di Folci Giovanni, 3a compagnia sanit
(Como, Biblioteca del Seminario Vescovile, Fondo Folci).
134
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135
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Doc. 6 - Tessera di riconoscimento di don Giovanni Folci, 38 Reggimento Fanteria
(Como, Biblioteca del Seminario Vescovile, Fondo Folci).
136
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137
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Doc. 6 - Autorizzazione a fregiarsi del distintivo di guerra, zona di guerra 16 giugno 1916
(Como, Biblioteca del Seminario Vescovile, Fondo Folci).
Il Cappellano Militare Foici Don Giovanni del 38° Regg.to fanteria è autorizzato a fregiarsi
del distintivo istituto col R. Decreto 21 maggio 1916, N. 641. l 91 6, N. 641.
Zona di guerra
12 giugno 1916
Il Colonnello
Doc. 7 - Lettera di don Giovanni Folci a don Carlo Sonzini, 13 luglio 1916
in merito alla proposta di assegnazione della medaglia d’argento al valore
[…] Ti scrivo dopo un periodo aspro per combattimenti, per disagi, per pericoli scampati,
per fatiche sopportate e tutto col miglior buon spirito, con una giovialità e allegria sempre
giovane [inalterata] favorita da una salute eccellente. Sei giornate di perfetta insonnia e di
alpinismo con annessi e connessi non valsero che a provarmi nuovamente il miracolo di
mio risanamento da ogni effetto disastroso, conseguenza naturale delle molte passate malattie. Sto benone!
Al mio Colonnello ho pure reso dei servizi preziosi anche come militare; in ogni ora del
giorno e della notte a sua disposizione sotto il fuoco rabbioso della fucileria, mitragliatrici e
del cannone. Tranquillo sempre. A tutti Ufficiali subalterni e superiori al Generale di Brigata
dichiarò la mia condotta semplicemente ammirevole per lo spirito cristiano che l'infervorava. E' il terzo Colonnello che cambia il Reggimento, era quindi la prima volta che vedeva il
Cappellano in trincea non dicitore soltanto ma facitore. Più che soddisfatto entusiasta mi
ha proposto per la medaglia d'argento al valore. Questo per te: come ti faccio parte delle
mie doglie così di consolo con queste gioie. Modestia a parte!!!!!!!
Appena mi sarà possibile raccoglierò appunti e impressioni e ti manderò qualcosa pel
giornale. Va bene ?!
Ai nuovi trionfi del nostro sempre bel Reggimento spero se ne aggiungeranno altre e, voglia Iddio, con quelli del restante esercito, siano definitivi per una pace sicura e profittevole. Abbiamo bisogno di vencere e si vincerà! […]
E a te In Domino semper
Don Giovanni
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Doc. 8 - Lettera di don Giovanni Folci all’arciprete di Berbenno, senza luogo 6 ottobre 1916
(Como, Biblioteca del Seminario Vescovile, Fondo Folci).
Reverendissirno signor Arciprete, ormai è inutile ch'io le chiegga perdono per il mio lungo
silenzio. Un recidivo della mia forza va trattato con tutta severità. Unica ragione che
potrebbe scusarmi un poco vorrebb'essere la molteplicità dei cambiamenti di questi ultimi
mesi, le dure controversie, le lotte aspre per lo sviluppo del mio ministero talvolta
contrastatissimo, Iotte che mi lasciavano il cuore sanguinante e la volontà indolente e
incapace di ripetere d'altra parte conforto. Se non fosse la censura vorrei dirle tante cose
che mi afflissero per averne i corrispondenti consigli.
Dio non mancò di farmi incontrare qualche sacerdote pio e zelante, dal quale attinsi
novelle forze e più dalla preghiera e dalla S. Messa per rimanere sulla breccia a compiere
tutto intero il mio sacrificio. Sinceramente! Ebbi dei giorni neri assai e burrascosi, nei quali
poco mancò non mi decidessi per domandare il cambio. Allora più che mai sentii il
soccorso delle preghiere preziose di quanti mi amano: umiliava dinanzi alla Croce tutta la
mia miseria e quasi d'incanto mi sentiva rinnovellare, ingigantire nella lotta asprissima.
Vinse la Grazia!
Rimasi al mio posto dove sono adorato dai miei soldati che, piangendo, vanno
dichiarandomi di essere stati benedetti dal Signore che ha loro dato un sacerdote che si
interessa della salute delle anime.
È per i soldati miei ch'io resto, per questi umili eroi troppo dimeriticati, per queste anime
che, se hanno delle piaghe spirituali, sono però capaci di resurrezione e di generosi
propositi pratici, quando vi è chi li tolga dall'ignoranza e faccia loro conoscere e gustare il
vero bene. Narrarle tutto il bene che fanno questi figli quando sono guidati sarebbe lungo
assai. Le basti il sapere ch'invitati rispondono, sempre numerosi, a pie pratiche che si
fanno la sera quando vi è la possibilità di raccoglierci e in numero consolante pure
frequentano i SS. Sacramenti ed è a questo ch'io ci tengo più che a qualsiasi altra
manifestazione religiosa.
[…]307
307
la lettera in questione è molto lunga; omettiamo quindi la parte finale della stessa, pubblicando lo stralcio
per noi più significativo.
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Doc. 9 - Assegnazione della prima medaglia di bronzo al valore militare a don Giovanni Folci
(Como, Biblioteca del Seminario Vescovile, Fondo Folci).
Numero d'ordine 20390
MINISTERO DELLA GUERRA
Segretariato Generale
Il Luogotenente Generale di S. M. il Re
con Suo Decreto in data del 31 dicembre 1916;
Visto il Regio Viglietto 26 Marzo 1833;
Visto il Regio Decreto 25 Maggio 1915, n° 753:
Visto il Regio Decreto 8 Dicembre 1887, n° 5100;
Sulla proposta del Ministro Segretario di Stato per gli Affari della Guerra;
Ha conferito la Medaglia di Argento al valor militare al Cappellano militare 38° reggimento
Fanteria.
Folci Don Giovanni
da Cagno (Como)
Sprezzante del pericolo, volontariamente si prestò a portare ordini e, sotto il fuoco
dell’artiglieria e delle mitragliatrici avversarie, fu esempio luminoso di carità cristiana, confortando i feriti ed incoraggiando i combattenti. - Monte Seluggio, 1-5 luglio 1916.
Il Ministro Segretario di Stato per gli Affari della Guerra rilascia quindi il presente
documento per attestare del conferito onorifico distintivo.
Roma, addì 25 luglio 1917
Registrato alla Corte di Conti
Addì 19 Luglio 1918
Il Ministro
[Firma]
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Doc. 10
- Minuta di una lettera di don Giovanni Folci al colonnello in merito
all’assegnazione della medaglia di bronzo anziché d’argento, 16 gennaio 1917
(Como, Biblioteca del Seminario Vescovile, Fondo Folci; Copia Publica, VI,
1515-1520).
Signor colonnello,
questa mia apporti a lei un altro attestato della mia gratitudine e riconoscenza cordialissima. La medaglia, per le operazioni del Monte Seluggio, mi è! stata concessa, non di argento però!come da proposta, ma di bronzo.
Così! è! avvenuto per il capitano Scavane e per altri militari. Grazie a Dio, non mire umane
mi hanno deciso a compiere il mio dovere di sacerdote e di soldato. E se la decorazione in
parola ha sopra dell 'animo mio un successo, è! un successo di rinnovata gratitudine per lei
che di quella [fu] il caldo promotore, di sdegno per l'ingiusta ed inconsiderata mutilazione.
Ciò! facendo gli illustri sempre, ma poco competenti giudici (perdoni!) hanno mostrato una
volta ancora di non conoscere la qualità! della guerra d'oggi, infirmando l'opera nostra e
misconoscendo il giudizio di chi aveva creduto opportuno rimeritare uno degli episodi della
nostra vita quotidiana (parole sue, signor colonnello dette a Contralba al tenente Nicola
ispettore dei cappellani).
Sinceramente, se fossi stato ufficiale combattente, avrei reclamato, troppo meschina trovando la decisione a mio riguardo e di altri, le cui motivazioni brillano molto più! di tante rimeritate con medaglie d'argento.
E' sempre il ribelle don Folci che parla cordialmente offeso. Del resto, chi celebrò! più! volte
la santa Messa a meno di10 metri (dieci) dalle linee austriache (Zagora) incurante del
bombardamento e della fucileria? Chi portò! la santa comunione nelle prime linee nostre, in
luoghi espostissimi e ebbe dei comunicandi feriti? Chi riordinò! e incamminò! sulla linea del
fuoco truppe d'altri reggimenti? Chi disdegnò! il riposo del comando per restare in linea coi
battaglioni che si davano il cambio durante le sanguinose giornate del novembre 1916 a
Monte Kuch e a Zagora? Chi accettò! volontariamente di fungere da ufficiale osservatore di
artiglieria, recandosi in pieno meriggio nelle trincee del Kuch? Chi passeggiò! in veste da
prete a quota 188 Selletta d'Oslavia e dintorni? Chi altri servigi non lievi portò! ai comandi,
riferendo su condizioni trincee, seguendo pattuglie, appostando in luoghi nuovi intiere
compagnie ? Chi si fece richiamare perché! rimanesse più! presso [al] comando di reggimento e non durasse i giorni interi coi soldati in prima linea? Chi nei soldati, pur curando
gli affetti familiari, ha voluto sempre, a costo anche di malvalenza e critiche, inculcare forte
i sentimenti del dovere e della disciplina che anche oggi tanto illustrano il nostro bel reggimento ? Chi senz'altro in una disamina minuta sente la propria coscienza felice di aver
così! operato e nuove fatiche e nuovi sacrifici e non disdegna per la diletta Patria cui augura e prega sorridano secoli di glorie radiose e di grandezza vera, dinnanzi alla protesta di
stima e di affetto di tutti i suoi superiori, degli ufficiali, dei graduati e dei soldati, sentesi
molto più! fiero, molto più! soddisfatto che non per l'aggiudicatagli medaglia di bronzo. Signor colonnello, ella mi conosce bene, ha osservato la mia condotta in tutte le mie prove
più! difficili: dopo l’assicurazione sua che la medaglia l'avrei avuta d'argento, io non facevo
che attendere quel segno che avrebbe affermato in faccia al mondo, come anche il sacerdote sappia generosamente amare Patria e re. Il bronzino (perdoni!) mi ha scombussolato,
mi ha disilluso, mi ha ancora più! confermato nel falso giudizio dell'uomo. E' sdegno il mio,
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non è! superbia. Se così! fosse, me ne andrei. L'occasione non mancherebbe. Da tre giorni
mi tiene una febbre insistente, e ci troviamo in trincea. Resto fedele al mio programma con
nel cuore ardente sempre l'affetto per i dilettissimi soldati miei, per la Patria nostra.
Perdoni! Perdoni! Forse ho trascorsi i limiti della discrezione con queste righe? Non credo.
I diversi comandanti del reggimento potrebbero confermare quanto ho scritto. Lei ha avuto
con me espressioni paterne, io rispondo con la confidenza di un figlio. Mi scriva... Perdoni.
Ossequi distinti e saluti.
Dev.mo Don Giovanni Folci
Doc. 11
- Lettera di don Giovanni Folci all’arciprete di Berbenno, Celle-lager 25
dicembre 1917
(Como, Biblioteca del Seminario Vescovile, Fondo Folci).
Reverendissimo e carissimo signor arciprete,
E quando questa mia avrà la fortuna di varcare la soglia di casa sua e poggiare, lietamente accolta sul suo tavolino, dinanzi agli occhi suoi luccicanti di lacrime strappate ad un cuore tanto generoso e generosamente amante?! Natale allora sarà di già trascorso con tutto
il ciclo delle sue solennità e l'alba dell'anno nuovo sarà sorta turgida di sangue, grave come mai di responsabilità, ricca di promesse, tra i gemiti soffocati dell'umanità tutta sofferente .... D'attorno alla culla santa del neonato salvatore, si sarà raccolta, più ricca di fede,
con più fermi propositi di rettitudine e di giustizia, la tavola dei Buoni! E gli scettici e gli indifferenti dinanzi alla vanità dello sperare umano e i cattivi di fronte agli infranti lor sogni di
felicità terrena, si saranno decisi ad un più umile sentire, avranno riconosciuti i loro errori, i
loro traviamenti? Sogni lusinghieri, voti ardenti di un cuore strappato inesorabilmente ad
ogni cura spirituale, privata del conforto ineffabile, unico, della santa Messa.
Dal 25 ottobre a tutt'oggi non ho potuto una volta offrire il santo sacrificio! È Natale, Natale
pure temo passerà vuoto di tanta gioia. Nell'esilio doloroso dello spirito più esasperante di
quello già sì tremendo del corpo, Cristo, prigioniero d'amore nel tabernacolo santo, è il
compagno nostro, il fratello, l'amico che non ci abbandona mai, che ci regala soavi effusioni di lacrime, intimità di colloqui, serenità ammirabile nella prova aspra. Dopo vario girare e molesto, eccoci riuniti in un campo che vuole essere definitiva nostra dimora di prigionia. Immagini una vasta pianura macchiata qua e là da boschi di pini, tristi nel loro verde
profondo di speranze deluse, sbattute dai gelidi venti del nord ululanti fra le tormente di
neve; in mezzo, pensi diverse serie di baracche di legno ugualmente grandi, ugualmente
arieggiate, altre adibite a dormitorio, a refettorio alcune, ai diversi servizi le altre. Fra tutte
una si distingue per i vetri fiorati a colore, per una croce di legno nero che la domina. È la
cappellina del nostro campo, la nostra parrocchia, il nostro asilo, il nostro paradiso in questa terra di lacrime. Da una diecina di giorni vi celebrano tredici o quattordici dei trenta sacerdoti italiani, qui trattenuti prigionieri; gli altri, non avendo con sé il "celebret", aspirano
tuttavia il giorno beato in cui potranno ripetere le gioie più sentite, più vissute della Prima
Messa. E tra questi sono io pure in attesa ansiosa, non disperata però; poiché il conforto
non mi manca, anzi il Signore mi regala di una pace, di una quiete d'animo superiore ad
ogni mio merito. Riposo nel pensiero che quanto egli ha permesso e dispone a mio riguar148
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do è certo per tornarmi vantaggioso. Ogni mattina egli mi regala delle sue carni sacrosante, nella santa comunione, da oggi innanzi l'avremo pur sempre conservato nel tabernacolo della nostra chiesina. È grande Gesù, è buono con noi, troppo buono. L'amammo sì poco e nella prova attuale ci suggerisce tutti gli infiniti mezzi di vieppiù amarlo e farlo amare.
Vicino a lui nella sofferenza della prigionia, vicini a lui nel contatto eucaristico, contatto
palpitante vivente, cuore a cuore, l'anima sogna, lo spirito si riscalda: affetti tenerissimi ne
invadono l'essere tutto che si scuote pressato dalla dolce sovrumana violenza. Vicini a
Gesù, sentiamo, leviamo l'alito delle persone nostre, espiriamo la vita dei nostri cari lontani, li sogniamo nelle loro azioni quotidiane, nella loro missione apostolica, nelle loro elevazioni a Dio e un amore mai sentito sì puro, sì forte, vibra in tutto il nostro cuore, agita il
nostro spirito di una vita più intensamente affettiva. Le immagini inseguono le immagini, in
una fuga pazzesca; alle rimembranze meste d'ieri, ai valori d'ieri non giustamente apprezzati sorge naturale a contrapporsi un tumulto di propositi saldi, un desio di opere efficaci,
la nostalgia potente delle anime affidate alle proprie cure, la vigna da Dio assegnata al nostro apostolato. La parrocchia lontana, la chiesina bianca, le case, gli abitanti che attendono. Valle mio! Mentirei negando che preoccupazione mia d'ogni istante è la parrocchia
troppo lontana dall'essere in qualsiasi modo aiutata; voto ardente, assillante, espressione
cordiale della preghiera è il ritorno ad essa. Quante volte nella preghiera e nei momenti più
raccolti del giorno, mentre la fantasia vaga lungi le mille miglia da questo campo di privazioni e vola rapida come la folgore alla Patria diletta, alle piaghe che il suo bel corpo addolorano, quante volte nell'ambascia dei ricordi mi sento stringere la strozza da singhiozzi affannati cui mi è sollievo dar libero sfogo; e sovra tutti gli affetti più cari, vicino alla famiglia
adorata di babbo, mamma e fratelli, siede dominatrice della mente e del cuore la famiglia
delle anime da Dio affidatemi in sull'altare del mio ministero e dovuta sì tosto abbandonare, chiamato ad un campo più vasto, più difficile, più privilegiato nel servizio della grande
comune famiglia, la Patria; ma anche da questa eccomi tradotto lontano assai!...
Signor arciprete, lo dica ai parrocchiani miei come io li amo e come ad essi anelo per niente più occuparmi che della loro salute eterna e della loro vita spirituale! Dica loro le obbligate privazioni cui è sottoposto il mio spirito e come nella imminente solennità natalizia mi
verrà oltremodo giovando raffigurarrni e pensarrni a loro più strettamente unito per quella
sovrabbondanza di misticismo che spira da tanta festa e che supera ogni senso; come sarò felice di stringere in un sol fascio i voti miei e quelli dei loro cuori per offrirli alla tenerezza del neonato Bambino perché li benedica e li ricambi con ampiezza di grazie e di doni.
Cuore a cuore con Gesù, a lui tanto buono rappresenteremo i bisogni comuni ed urgenti
delle anime nostre. Gli diremo le nostre ansie, i nostri dolori, e li offriremo unitamente ai
suoi divini di Bambino vagente, a Dio Padre d'ogni misericordia. Dinnanzi alla culla del
nostro Salvatore, vivente in noi per la santa comunione che ci saremo fatti obbligo di ricevere tutti, con rinnovata purità di coscienza ripeteremo i nostri saldi propositi di bene, padri
e figli, mamme e spose, figliuole e giovani, grandi e piccoli, sacerdoti e fedeli cristiani, umilieremo i nostri cuori compunti e rassegnati pregheremo e prometteremo di non ritrarci di
un passo dalla via del dolore segnataci dalla Provvidenza.
Circostanze varie hanno impedito ch'io potessi terminare e spedire a suo tempo questa
mia, non me ne lamento però, anzi me ne godo. Mentre il Natale 1917 muore nei mesti ricordi di cari lontani, io mi raccolgo di nuovo con lo spirito vicino a lei ed ai miei parrocchiani, felice, che quanto era il sospiro d'ogni giorno, il bambino Gesù volle fosse un fatto oggi
stesso, nella sua divina ricorrenza natalizia, Regalo più grande, più bello non mi poteva ottenere. Mentre stamane mi preparavo a riceverlo come il solito degli altri giorni nella santa
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comunione, dalle mani di altro sacerdote, ecco mi vien detto che io stesso posso celebrare
una santa Messa. E l'ho celebrata di fatto, con qual trasporto di gratitudine ella può immaginare, e l'ho celebrata per il mio popolo eletto al quale il Signore vorrà ricondurmi al più
presto possibile. Preghiamo, preghiamo assai a ciò appunto, ritorni ciascuno al suo lavoro,
alla sua missione. Nell'ostia santa levata alta tra le dita tremanti, ho sentito palpitare tutti
all'unisono i cuori dei miei diletti figli spirituali e a Gesù li ho offerti col mio poverissimo.
Natale muore sfrondato d'ogni festività, d'ogni allegrezza per noi prigionieri, muore senza
alcun conforto fisico, più povero di qualsiasi pensamento, nel vero squallore d'ogni inimmaginabile privazione; vive e vivrà tuttavia nell'anima nostra, nel nostro spirito perennato
dalle gioie pure dal gaudio santo di un Natale veramente cristiano. Giovani ho visto, ed
uomini fatti, d'ogni grado e condizione, raccogliersi in questi giorni, e oggi specialmente,
d'attorno al povero tabernacolo della nostra cappellina e piangere, piangere lacrime di
pentimento, lacrime d'amore! La prigionia nostra non mancherà di portare i suoi benefici
effetti nei cittadini della patria nostra di domani; il dolore e le privazioni frutteranno uomini
di carattere, forti spiriti, anime generose, più nobili. Il Signore benedica ai propositi dell'ora
che fugge!
Doc. 15
- Lettera di don Giovanni Folci all’arciprete di Berbenno, Celle-lager 23
settembre 1918
(Como, Biblioteca del Seminario Vescovile, Fondo Folci).
Reverendissimo signor Arciprete,
ieri ebbi la sua cartolina del 6 agosto. Finalmente! Brucio dal desiderio di ricevere corrispondenza e sono tra i più provati anche per questo. Non intendo lamentarmi per carità!
Sia sempre lodato il Signore che così dispone. Rinnovo le mie cordiali condoglianze e la
promessa formale di un ricordo speciale per Lei, nel memento dei Vivi, per la pia sorella
defunta, nel Memento dei morti. Dica a Don Cesare tutta la mia gratitudine: al mio popolo il
mio perenne vigile affetto. Ringraziamo il Signore che ho trovato anche qui tante anime
che mi vogliono un bene grande e di riverbero si mostrano solleciti anche per la mia chiesina lontana. Ne vedremo i frutti! La festa patronale è imminente e il parroco è sempre
lungi Dio mio! E quando potrò tornare al rimasto lavoro?! Oh, come vorrò rifarmi del tempo
perduto! Se i capelli incanutiscono e se ne vanno, lo spirito ringiovanisce e il cuore arde di
poter lavorare, lavorare, lavorare per le anime. Oh, il mio sogno, il mio respiro, l'affanno, il
desio di ogni istante?! Ho ricevuto sua corrispondenza: ma non basta! Attendo applic. di S.
Messe. Per il 20 corr. fu qui il Nunzio per breve ord.; non fu possibile schiarirmi. Accoglienze calorose. Ossequi e saluti a tutti.
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Doc. 16
- Assegnazione della seconda medaglia di bronzo al valore militare a don
Giovanni Folci, Roma 9 febbraio 1919
(Como, Biblioteca del Seminario Vescovile, Fondo Folci).
Numero d'ordine 35264
MINISTERO DELLA GUERRA
Segretariato Generale
Il Luogotenente Generale di S. M. il Re
con Suo Decreto in data del 5 Maggio 1918
Visto il Regio Viglietto 26 Marzo 1833;
Visto il Regio Decreto 25 Maggio 1915, n° 753:
Visto il Regio Decreto 8 Dicembre 1887, n° 51200;
Sulla proposta del Ministro Segretario di Stato per gli Affari della Guerra;
Ha conferito la Medaglia di Argento al valor militare al Cappellano militare 38° reggimento
Fanteria.
Folci Don Giovanni
da Cagno (Como)
«In due periodi di trincea e di azione dava costante prova di attività e coraggio,
prodigandosi nella sua opera di conforto e di preparazione degli animi, esplicata a
continuo contatto dei soldati in prima linea. Nella notte seguente un vittorioso nostro
combattimento, si recava spartanamente con una squadra di porta feriti, nella trincea
conquistata, e, con grave pericolo di vita, sotto il continuo fuoco nemico, provvedeva al trasporto dei feriti e dei morti, contribuendo poi validamente al risanarnento del campo
dell'azione». Casa Deruta (S. Marco di Gorizia) 23 Maggio 1917
Il Ministro Segretario di Stato per gli Affari della Guerra rilascia quindi il presente
documento per attestare del conferito onorifico distintivo.
Roma, addì 19 Febbraio 1919
Registrato alla Corte di Conti
Addì 19 Luglio 1918
Il Ministro
[Firma]
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154
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Doc. 17
- Comunicazione del congedo militare, Roma 3 marzo 1919
(Como, Biblioteca del Seminario Vescovile, Fondo Folci).
VESCOVO DELL'ESERCITO E DELL'ARMATA
UFFICIO
COLLEGIO CAPRANICA - ROMA
Roma 3 Marzo 1919
Numero di prot. 4799
Allegati N.
OGGETTO
Onorevole Signore
Conte Giulio Padulli
Deputato al Parlamento
ROMA
Mi onoro notificare alla S. V. On. che, non appena il Cappellano Militare D. GIOVANNI
FOLCI, che ella mi segnala per l'invio in congedo, si presenterà a questo Ufficio, io
provvederò senz'altro per il collocamento di lui in licenza illimitata.
Con distinto ossequio
Il Vicario
del Vescovo di Campo
[Firma]
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Doc. 18
- Assegnazione della medaglia di benemeranza a don Folci da parte del
Vescovo dell Esercito e dell Armata, Roma 1 giugno 1919
(Como, Biblioteca del Seminario Vescovile, Fondo Folci).
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Doc. 19 - Appendice
(G. SIRONI, I vinti di Caporetto, Gallarate, Tipografia Moderna 1922).
Nella gelida landa di Celle, fra gli orrori indescrivibili che opprimevano anche lo spirito dei
più forti e minavano anche la fibra dei più robusti una voce risuonò timida ch'era invito.
L'ex-Cappellano del 38° Fanteria, sac. Giovanni Folci, agl’intimi osò svelare I'idea che da
tempo maturava in cuore.
Nell'ora grigia della fame, nel frastuono di minacce e di grida incomposte, aveva raccolto il
gemito dominante e sentito della gran massa che da Dio ancora e soltanto si attendeva il
dono sovrano della libertà.
«Noi promettiamo a Dio un Tempio» aveva detto ai suoi amici intimi «che Gli attesti Ia riconoscenza dei tornati in Patria e ricordi, in un suffragio perpetuo, i morti nell’esilio». L'idea piacque, fu discussa e raccolse una numerosa serie di firme. Ora quel Santuario, per
virtù di sacrifici molti e grandi, è un fatto compiuto, per ciò che riguarda la costruzione delle
mura fino al tetto compreso: ma perchè possa essere aperto al culto e dlre alla Nazione
tutta la serietà dei nostri propositi, uopo è che tutti noi ex-prigionieri ci abbiamo a svegliare, di qualsiasi fede e confessione o partito siamo, e, ricordando il comune dolore che ci
affratellava e univa nell'esilio, ci associamo qui nella Patria comune, in una comune opera
di riconoscenza e di gratitudine per i nostri Morti di lassù.
Nella incomprensibile, grande dimenticanza, in cui noi ex-prigionieri siamo Iasciati,
quell'opera grandiosa, sorta in tempi tanto difficili, dirà che in noi albergano ancora cuori
generosi, energie promettenti, fattrici di bene.
A tutti gli amici d'ogni fede e partito, io lancio pertanto un grido di passione, peana di risurrezione e di gloria: «Amici, degni siamo degl’innumeri gloriosi Aicardi, che giacciono
nell’esilio, tutti uccisi dal piombo nemico o dall’abbrutita ferocia umana. Alle desolate Loro
famiglie sarà d’immenso conforto l’eternata Loro memoria nel Santuario del Prigioniero».
L'ex-Cappellano militare del 38° Fanteria
Sac. Giovanni Folci
NB. – Non vi spaventi l’impresa. Tutti mandate il vostro piccolo o grande obolo, come il
cuore vi ispira e la vostra possibilità vi consiglia. Nessuno manchi. Trovare amici e simpatizzanti per tutto.
Mandate al seguente indirizzo
Sac. GIOVANNI FOLCI
PARROCO
(Sondrio)
VALLE DI COLORINA
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Doc. 20
- Nomina a Cavaliere nell Ordine della Corona d Italia308, Roma 11 settembre 1925
(Como, Biblioteca del Seminario Vescovile, Fondo Folci).
Gabinetto
Roma, addì 11 set. 1925
Sua Maestà, nell’udienza Reale odierna, su proposta di S. E. il Ministro Segretario di Stato
per gli Affari dell’Interno, si è compiaciuto nominare la Signoria Vostra
Cavaliere
nell’Ordine della Corona d’Italia.
Nel parteciparle questa Sovrana concessione per incarico di S. E. il Ministro, mi riservo di
trasmetterle il Magistrale Diploma appena perverrà dalla Cancelleria dell’Ordine.
Il Capo di Gabinetto
[Firma]
All’Illustrissimo Signor
Cav. Folci don Giovanni
Parroco di Valle fraz. Di
Colorina
(Sondrio)
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!Sua Maestà Vittorio Emanuele II°, con Regio Decreto del 20 febbraio 1868, in occasione del matrimonio
del Principe Ereditario Umberto con la Principessa Reale Margherita di Savoia-Genova ed essendo stata restituita dall’Austria la Corona Ferrea che serviva per l’incoronazione del Re d’Italia – dopo l’annessione della
Venezia, l’indipendenza e l’unità d’Italia, diede vita al nuovo Ordine Equestre della Corona d’Italia.
Diviso nelle consuete cinque classi dei Cavalieri di Gran Croce decorati del Gran Cordone, Grandi Ufficiali,
Commendatori, Ufficiali e Cavalieri, venne destinato ad Italiani e Stranieri che si fossero distinti con opere di
particolare impegno a favore della Nazione.
Con il passaggio alla Repubblica, l’Ordine della Corona gli insigniti continuarono a fregiarsene, debitamente
autorizzati dal Ministero dell’Interno con l’unica modifica, relativa ai soli militari, della prevista sostituzione
delle Corone con altrettante stellette a cinque punte.
Patrimonio statuale (e non dinastico) della Casa Reale di Savoia, l’Ordine continuò ad essere ininterrottamente conferito in occasione del giorno dell’anniversario del suo genetliaco sino alla scomparsa di S. M. Re
Umberto II°, suo IV° Gran Maestro e Sovrano non abdicatario.!
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Doc. 21
- Telegramma di Federzoni309 all on. E. Morelli310 che annuncia la nomina
di don Folci a Cavaliere della Corona d Italia, Roma 16 settembre 1025
(Como, Biblioteca del Seminario Vescovile, Fondo Folci).
Roma, 16-9-1925
Mi è gradito parteciparti che con recente decreto il Sig. Don Giovanni Folci da te vivamente raccomandato è stato nominato Cavaliere Corona d'Italia.
Federzoni
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Potrebbe essere Luigi Federzoni (Bologna, 27 settembre 1878 – Roma, 24 gennaio 1967) è stato un politico e scrittore italiano. Fu Presidente del Senato del Regno dal 1929 al 1939.)
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Eugenio Morelli. Nato a Teglio (Sondrio) il 8 marzo 1881 e deceduto a Roma il 20 settembre 1960. Laurea in Medicina e chirurgia; Docente universitario, Medico chirurgo
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Doc. 21
- Partecipazione del Sindaco di Colorina alla nomina di don Folci
nell Ordine della Corona d Italia, Colorina 6 ottobre 1925
(Como, Biblioteca del Seminario Vescovile, Fondo Folci).
MUNICIPIO DI COLORINA
Provincia di Sondrio
Mandamento di Sondrio
Colorina, il 6 ottobre 1925
N. 458
OGGETTO: Partecipazione nomina nell'Ordine della Corona d'Italia
Molto Reverendo
Folci don Giovanni
Parroco di Valle
Con lettera 2 Ottobre corrente N. 698 Gab lo Ill.mo Signor Prefetto di Sondrio mi comunica
che Sua maestà il Re con Decreto 11 Settembre 1925 ha conferato, nell'Ordine della Corona d'Italia, la nomina della S. V. Molto Reverendo di Cavaliere, quale ideatore e fondatore del tempio votivo per caduti in prigionia.
Nel deferirmi il grato incarico di farle pervenire l'acclusa partecipazione, il Signor Prefetto
si è riservato di trasmettere il Magistrale Diploma appena pervenuto dalla Cancelleria
dell'ordine, e frattanto le inviava l'espressione del suo compiacimento per la concessa ben
meritata onorificenza.
Al quale compiacimento aggiungo le mie congratulazioni e quelle dell'intera Giunta, onorantesi di annoverarla fra i suoi concittadini.
Con la massima considerazione.
Il Sindaco
Bertolini Gioachino
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Doc. 22
- Magistrale Diploma di nomina a Cavaliere nell Ordine della Corona
d Italia, Roma 5 marzo 1926
(Como, Biblioteca del Seminario Vescovile, Fondo Folci).
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Doc. 23
- Assegnazione della Medaglia a ricordo della Guerra Europea 1914-1918
(Como, Biblioteca del Seminario Vescovile, Fondo Folci).
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TESTIMONIANZE
Test. 1 - Da un articolo de Il Cittadino di Brescia, sabato 26 giugno 1915
(preso dal Diario di don Pietro Torri, Note di cronaca della guerra a Ponte Caffaro).
UNA FESTA DI SOLDATI
Da una lettera del cap. maggiore Piantelli mandata da uno dei paesi del fronte
togliamo:
«L’ottimo parroco di questo paese don … che è entrato nelle simpatie di tutti i
soldati per la sua grande bontà d’animo ha proposto nei giorni scorsi ai sacerdoti richiamati e ai cappellani militari qui di servizio di anticipare l’annuale festa
del Sacro Cuore di Gesù per approfittare della loro opera a maggior decoro della festa e dare alla stessa un aspetto essenzialmente militare.
Le funzioni si farebbero in rito ambrosiano, ciò che acuisce maggiormente il desiderio dei buoni popolani. Soldati e popolo vi si prepararono con attesa febbrile, frequentando volonterosi, tutte le sere, le pie pratiche del triduo di preparazione, tenute dal soldato Don Folci, parroco della Diocesi di Como.
All’invito risposero numerosi assai i nostri bravi militari che, in mezzo alle lunghe sfilate di popolo, facevano magnifica corona all’Eucaristica Mensa e alle
molte Messe celebrate nella mattinata di oggi.
Alla S. Messa cantata in rito ambrosiano, da Don Luigi Bignami, Cappellano militare, una folla immensa mista a soldati, stipava la magnifica Chiesa parrocchiale. Dall’alto dell’altare maggiore del tempio riccamente addobbato con cura
dai soldati stessi, guarda mitemente alla pia accolta, una bella statua del Redentore campeggiante di mezzo a un giardino di fiori olezzanti. La ricchezza dei
paramenti, la novità e imponenza del rito, la pietà dei soldati inservienti, strappano lacrime di commozione a molti degli abitanti; raccolti tutti in un silenzio attento e devoto. Durante la S. Messa un coro di soldati canta vari mottetti e infine tra belle strofe d’attualità sull’aria del popolarissimo “Noi vogliamo Dio”. Per
tutto il giorno, è un accorrere di popolo e di soldati alla Chiesa per l’adorazione
al Santissimo pubblicamente esposto.
La bella funzione termina a sera tardi con la benedizione solenne, impartita
dall’altro Cappellano militare, Dono Onorato Bianchi, e preceduta da un breve
panegirico, detto dal medesimo sacerdote richiamato Don Folci.
Fu una giornata di indicibili emozioni e d’intime gioie spirituali per tutti, ma in
particolare per il buon Parroco, felicissimo di aver procurato al suo popolo fedele, una festa religiosa e patriottica indimenticabile».
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Test. 2 - Da un articolo di Luce, Settimanale di Varese, 7 agosto 1915
(preso dal Diario di don Pietro Torri, Note di cronaca della guerra a Ponte Caffaro).
INNANZI A LA BATTAGLIA311
Dal fronte 2 agosto 1915
Questa valle incantevole del Chiese sembra militarizzata tutta, da due mesi. Soldati, soldati, soldati! E carri, e cannoni, e automobili, e sentinelle. Si vive una vita piena e vertiginosa. Il Chiese, radioso, fragoreggia fra le montagne verdi cupe, venate di neve. Sulla
strada bianca, in riva al lago lucente, i soldati cantano. Lunghe file di carriaggi si snodano
lenti, pesanti. Cortei di carri, automobili passano di corsa fragorosi ballonzolando.
Ecco: lungo la via piena di fracasso e di frastuoni, come adagiata sul molle verde dei prati
in fiore, una chiesina! Una chiesina bianca, un campanilino candido come la neve, tra il
verde degli abeti e dei boschi d’intorno, specchiantisi sul lago delizioso, quieto come
l’anima di codesta gente montanina. Il campanilino visto da lontano sul lago, lungo la strada polverosa e serpeggiante sembra una vedetta in ascolto e quando, le due campanelle,
a sera, mandano il loro squillo argentino al Cielo, danno l’illusione di una voce tenera di richiamo che innamora. Un paesaggio incantevole! … Che potrei dire di più?
E se ne sta qui il piccolo santuario, che chiamano di S. Giacomo, pulito, piccino, silenzioso, in mezzo a questo silenzio, a questo verde e a tutto ciò che la natura può mettere insieme di poetico, di meraviglioso, di magnifico.
Il paese d’intorno è tutto un vasto bivaccamento di soldati che cantano, cantano sempre,
vociano forte, fanno il chiasso e vuotano fiaschi dentro le osterie; ragazzoni autentici, i nostra ragazzoni d’Italia. Chi direbbe che si è alla guerra? in faccia alla morte che può sopraggiungere ad ogni istante? Ed è lecito allora guardare, traverso gli entusiasmi e la sicurezza dei nostri combattenti, l’opera modesta, paziente, silenziosa del sacerdote. È tutta
una catena sacra che recinge saldamente la nazione nel nome di Religione e Patria, quella intrecciata dai Sacerdoti d’Italia, e la terra nostra può benedire al destino suo d’avere
nella religione tanta benefica influenza.
Bisogna avere assistito, come ho assistito io, al contatto della religione con l’anima militare
per poterla ridire ed esprimere la indicibile tenerezza che si prova. E quello offerto domenica dai nostri soldati che bivaccano intorno alla solitarie chiesetta di S. Giacomo è stato
uno spettacolo grandiosi commovente, degno di essere ricordato a tante mamme d’Italia
che ansiose attendono dentro le case solitarie e quiete.
Da tempo il Parroco del paese Don Pietro Torri, un simpatico ed intelligente Sacerdote,
imponente come un corazziere, tutto zelo per le anime, patriota benemerito, non a parole
solo, ma a fatti, anche quando gli austriaci erano lì a due passi sul confine ora trasportato
assai lungi, pensava di poter raccogliere nella sua chiesa i soldati per far loro un po’ di bene e distribuire i molti ricordi in medagliette, libri, immagini ed emblemi sacri, che una piissima e munifica signora bresciana gli aveva inviati. Ad assecondarlo nel suo intento hanno
cooperato efficacemente i cappellani militari e vari preti soldati.
Quando domenica mattina, per tempo, le due campanelle ebbero squillato il loro richiamo,
i soldati riempirono la Chiesa, troppo minuscola per l’occasione.
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Come annota l’autore del Diario, questo articolo era stato pubblicato il 30 luglio 1915 dall’Unità Cattolica
con alcune modifiche, col cognome e nome dei Sacerdoti.
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La maggior parte dei baldi giovanotti, in mattinata, durante le varie SS. Messe, si accostò
a ricevere il pane dei forti, divotamente.
Alle 11 Messa solenne celebrata dal Cappellano militare Don Onorato (Bianchi) già popolare tra i soldati per la sua ben nota liberalità. La musica, quella popolare, cantata dalla folla nella sua massa compatta, con la sua voce possente, ripercotentesi fin oltre le volte della chiesina che ne sembra scossa. Accompagnava il maestro Don (Moncini) prete soldato
di Corteno, che dal minuscolo organo seppe trarre melodie dolci, divine. Al Vangelo è salito il pulpito un giovane Parroco comasco, Don Giovanni (Folci). L’attenzione era alta e
quando il prete soldato incominciò a dire, diventò più intensa. Rivendicò con commossa
voce il patriottismo del Papa e del Clero italiano, innanzi alle calunnie e alle diffamazioni di
gente perfida con le più losche manovre; protestò contro le ingiurie del lurido poetastro
pennaiolo al Papa; inculcò nei soldati l’amore al sacerdote che ama l’Italia, per cui si sacrifica e pugna e prega e lavora sui campi di battaglia, dentro gli ospedali, rigurgitanti di gioventù dolorante, nei Comitati d’Assistenza e in tutte le svariate forme di carità nazionale;
terminò auspicando al nostro trionfo. La parola del prete quando ricorda i doveri da compiere come soldati e i cari lontani che seguono trepidanti i figli in marcia contro il nemico, si
spande su tutti come un balsamo, fa scaturire qualche lacrima sul ciglio, ma rinfranca gli
spiriti, ridona al cuore un sangue puro, fortifica, fa più audaci, più pronti al sacrificio, più
preparati alla offerta suprema.
Si è al momento solenne della Elevazione: il sole sfolgora, il sacro silenzio non è rotto che
dal lieve bisbiglio dei soldati ornati. Poi l’organo attacca una melodia dolce, stupenda che
man mano va elevandosi con un crescente squillante, altissimo; e una voce, prima esile
come il gorgheggio di un usignolo, poi forte, più forte, fortissima, ripete l’invocazione degli
angeli: «Sanctus, Sanctus, Sanctus, Deus Sabaot!» che sembra il coro di mille schiere
pronte alla lotta. Io era come fuori dei sensi: pregare non poteva; mille pensieri mi turbinavano nel cervello. Pensavo al Carroccio ed ai suoi eroi della morte; rivedevo i congregati di
Pontida, la mano stesa sul Vangelo al solenne giuramento del patto sacro e mi è parso,
che il piccolo S. Giacomo, stipato di soldati della nuova Italia valesse bene e il Carroccio e
la Pontida della Storia.
Il capo chino, la testa in tumulto, credevo di sognare: tutti pregavano. La Messa era finita,
ma la giornata doveva essere completa. Bisognava che la benedizione del Signore degli
eserciti scendesse sulle fronti ricurve dei soldati assembrati devoti, e raccolti, e deve essere scesa copiosamente, di questo ne sono certo.
Finita la funzione sacra l’ottimo Parroco fece distribuire i ricordi promessi. Tutti, è la parola,
tutti indistintamente, ed erano moltissimi, hanno voluto la medaglia, l’orazione stampata,
l’immaginetta, l’oggettivo sacro che porteranno appeso al collo, cucito sulla giubba, dentro
il portafoglio, vicino al cuore, come porterebbero una onorificenza con orgoglio. Espressione simpaticamente disinvolta e genuina del più schietto sentimento religioso, che non
ha timore di manifestarsi. Così in questa medaglietta, in questo segno pio di modesto valore è racchiusa tutta la semplice fede dei loro cuori. E non ci sarà pericolo che dimentichino
questo ricordo, sia pur modesto. Piuttosto un sigaro, un bicchier di vino, sono capaci di
non accettare, ma la medaglia, mai!
E mentre la distribuzione degli oggetti sacri si svolgeva tra l’entusiasmo crescente di tanta
gioventù, una voce, come lo squillo d’una tromba guerresca incitante alla punga, ha intonato un inno alato, una specie di diana sacra e patriottica celebrante l’apoteosi della nuova Italia ridesta.
La Chiesina sembrava scossa dalle fondamenta: l’urlo della massa di mille voci prorompenti toccava l’apice della tonalità:
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Deh benedici, o Madre,
L’italica virtù
Fa che trionfin le nostre squadre,
Nel nome santo del tuo Gesù,
e il ritornello moriva lontano in un sussurro pene di nostalgia, sul lago quieto e lucente, oltre i monti verdi.
Fuori sulla facciata della Chiesina affollata di Santi ingenui e di angoli grassocci e sgambettanti il sole dardeggiava come in un sorriso di compiacenza suprema. La giornata si
chiuse…: è sera. Gli ultimi echi della canzone sacra si sono perduti lontano, sulla via bianca che serpeggia bizzarramente il lago, sulle montagne enormi.
E la Chiesina, le casine, gli alberelli, il lago, del S. Giacomo, i monti senza sole, sono tristi
e silenziosi come l’anima di colui che lascia una persona cara.
Francesco Piantelli
Test. 3 - Da un articolo de L’Italia, 11 gennaio 1916
(preso dal Diario di don Pietro Torri, Note di cronaca della guerra a Ponte Caffaro).
DAI CAMPI DELLA GUERRA.
Impressioni di un prete soldato (Frammenti di una lettera)
... Rivivo ancora quel sabato sera movimentatissimo, 22 maggio, dopo ricevuto l'ordine di
partenza per … Dio solo e chi ci guidava sapevano. Le visite affrettate, i dolorosi commiati,
le provviste di oggetti sacri e profani, e poi quella corsa in carrozza per le vie più popolose
di Milano sino alla stazione di P. Romana. E laggiù il saluto entusiastico dei curiosi, le lacrime dei parenti, le raccomandazioni, i commossi consigli ...
Il treno si muove, si dilunga lentamente quasi desolante sulle lucide rotaie. Milano appare
lontana ormai, nella oscurità della notte, fra il biancore oscillante di migliaia e migliaia di
luci. Quando la rivedremo? Quando passeggeremo nelle sue vie fatti liberi borghesi?
Un'ampia tettoia illuminata a giorno, sotto la quale stridono cigolando i lunghi treni militari
ci accoglie verso mezzanotte: siamo a Brescia.
Quattro ore di riposo su un po' di paglia e al mattino per tempo celebriamo la S. Messa
nella Chiesa di S. Afra. Pentecoste, mio caro! sotto le armi lontano dai miei diletissimi parrocchiani… La fantasia lavora e il cuore martella: non mi resta che piangere e pregare.
A sera tardi con un tram speciale giungiamo a V... (Vestone) in Val Sabbia. Piove! Dieci
giorni passiamo a V... borgatella dalle pretese cittadine, moralmente e religiosamente assai in ribasso.
L'annuncio di guerra non ci coglie improvviso, ma ci addolora un poco...
Il congedo si allontana! A poco a poco però ci si fa anche colla nuova vita e le aspirazioni
patrie diventano aspirazioni nostre proprie; si vive una vita tutta di ansie. Quanti pareri diversi, quante svariate sentimentalità, quanti sogni e ideali spezzati, quanti affetti troncati
da dura separazione…
La parola del sacerdote, anche sotto veste militare torna carezzevole ai più e rasciuga
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molte lacrime, apre i cuori a più lieto sperare. Incomincia l'opera di apostolato in mezzo ai
carissimi soldati, opera affettuosa, cordiale senza pretese, di compatimento, che avvincerà
quelle anime per lo più rozze ed ignoranti all'anima del sacerdote, e questi le plasmerà, riducendo anche le più ritrose, quelle stesse che di preti e di Chiesa non vogliono saperne,
a più miti consigli. Il prete non sarà più un mostro inacessibile, anche col prete si potranno
godere momenti felici, anzi con lui si passano ore di vera gioia pura e ristoratrice.
I buoni diverranno migliori e questi ottimi. I fatti parlano chiaro, mio carissimo amico; ma
non precorriamo gli eventi.
V… ormai è venuta a noia, e l'annuncio di prossima partenza per P. Caffaro, ultimo paese
di confine e del quale ho sentito parlare tanto bene, mi ricolma di gioia. Il I.o di giugno,
cinque o sei ore di marcia, zaino in spalla, su per il magnìfico stradale che congiunge le
due nazioni rivali e va a immergersi quale grande arteria, nel cuore dell'irredentismo italiano. Trento, dopo di aver raccolto in sé tutte le aspirazioni, i sordi mormorii, le ansie di
migliaia di cuori di tutta una vita di segreto rancore contro l'attuale regime, nella tensione
affannosa verso la libertà vera e pura.
E' una magnifica passeggiata: ai fianchi rumoreggia spumeggiante e vorticoso, il fiume
Chiese ora stretto da rocce altissime, ora lambente verdi prati digradanti dai monti lussureggianti per ricche foreste e boschi d'annosi abeti e di querce frondose. Bianchi paesetti
mollemente adagiati su verdi declivi danno una nota di gaiezza confortante al selvaggio
della valle che ad un tratto si alIarga, dove il fiume è più calmo e lento apre il bel laghetto
d’Idro colla magnifica corona de' monti altissimi, brulli, pieni di insidie, di difficoltà.
L'occhio vaga curioso, si bea soddisfatto, nella contemplazione di molte di quelle cime battute dà poco dagli eserciti nostri avanzantesi vittoriosi per la conquista definitiva di quella
terra che natura, e lingua e necessità di più sicura difesa reclamano a noi. Ed eccoci a P.
Caffaro! Una vasta pianura, tutta a frutteti e campi, a prati, disseminati di bianche casine
occhieggianti di tra il verde lussureggiante delle pinete che fanno loro vasta corona. È in
queste case vive, questo piccolo mondo di semplicità e di religiosità profonda, una vera
oasi di Paradiso! Una chiesina dalle linee delicate, pulita, ricca di paramenti e di altari artistici in legno e in marmo: frutto mirabile dello zelo di un ottimo parroco e della fede generosa dei degni parrocchiani. E dire che ci troviamo in un paese di confine, dove affluivano
da ogni paese del vicino Trentino gente di mal affare sfacciatamente sporca...
Ripeto, nonostante il mal seme e il luridume portatovi dal commercio con estranei, P. Caffaro ha mantenuta illibata la sua fede e ardente la sua pietà, non mancano eccezioni dolorose, ben misera cosa però di fronte al grande bene immenso che irraggia intorno una luce delicata di misticismo, un soave profumo di paradiso.
Oh! quanto può fare il prete santo, tutto zelo per la gloria di Dio e la salute delle anime,
anche in mezzo alle più grandi difficoltà, a mille ostacoli. Se nel sacerdote vive veramente
Iddio, Iddio per mezzo del suo degno ministro opera veri prodigi e anche là dove appare
più difficile l'opera di redenzione dopo praticata la prima breccia a poco, a poco il lavorio
della grazia in un crescendo continuo mirabile, doma passioni, riduce al silenzio ambizioni
proterve e verrà giorno in cui gli spiriti quasi incoscientemente mutati assai se non completamente dal loro stato primiero, pieni di ineffabile stupore e di giocondità non mai provata,
si domanderanno: Che è? Ci veggo ancor lo bene?... Momenti felicissimi, indimenticabili e
il sacerdote santo, soddisfatto, rinnovellato di fresco vigore attinto alla profondità dei divini
misteri dei quali largamente e sensibilmente partecipa e ne è dispensiere regale, si dispone a nuovi, a più grandi, a più generosi sacrifici, vinto dalla carità del Maestro: Signore, Signore - va ripetendo - tutto per voi, niente per me; annichilatemi, ma a vostra gloria; spezzate l'essere mio sotto un martirio di dolore, di privazioni, di abnegazioni, per la vostra glo170
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ria cantata, esaltata da milioni di anime che possano trovare salute nel vostro cuore immenso. Mio carissimo, perdona la divagazione, eccomi di nuovo a P. Caffaro, dove I'anima mia si riposa un poco e si sente ripetute volte strappata da sentimenti nostalgici di vita
pastorale e sacerdotale. Tutto qui mi richiama alla mia parrocchia, i miei monti, la mia gente rozza e a me per tutto cara: le case annerite e per me sì belle. Confesso, predico...; vivo
un po' di quella vita che in tempi ordinari dovrebbe essere vita normale di noi sacerdoti.
I soldati sono buoni, bisogna lavorarli, vivere della loro vita, prender parte ai loro dolori, ai
loro pensieri, aiutarli, consigliarli in tutti i loro bisogni, nei loro dubbi... Credilo, molti, anzi la
più parte di quelli che appaiono cattivi e contrari alla religione, non lo sono per convinzione, ma per l'ignoranza enorme delle prime e più importanti verità del catechismo.
Ogni giorno più mi confermo che non val tanto protestare, sia pur solenne la protesta resa
forte dalla partecipazione di nomi gloriosi, bisogna agire instancabilmente, energicamente
agire con un'azione efficace contraria al lavoro esiziale dell’errore. Non tutti odono la nostra voce di protesta, e udendola anche lascia il tempo che trova, perché o mal disposto
chi ode, o indifferente, o remissivo.
Lavoriamo e troveremo. Saranno pochi i frutti da principio, ma buoni, varranno per noi come punti di appoggio per un'azione più vasta fuori della sacristia, fuori della canonica, nella famiglia, nell'officina, per tutto.
Più su ti dicevo i fatti parlano chiaro. Senti, con un'azione paziente, di compatimento, con
piccoli piaceri, col prodigarsi tutto a tutti e per consigli, e per conforto, e per piccole sovvenzioni materiali, con regalucci a poco a poco si è conosciuto I'ambiente, le vìrtù e i difetti
della totalità e dei singoli. S'incominciarono anche piccole discussioni, che il più delle volte
finirono in veri predicozi ascoltati con attenzione. L'affabilità, e più il lasciare la parola a tutti, l'ascoltar tutti, l'apprezzar tutti indistintamente, ha guadagnato al sacerdote gli animi anche più ritrosi. L'usare allo stesso rancio, allo stesso letto costituito da un po' di paglia, vivere la vita comune, ha fatto sì che il sacerdote assumesse di fronte ai suoi commilitoni
una fisionomia più che umana. Tu li vedevi tutte le mattine alla S. Messa, perché a noi fu
sempre dato celebrare; numerosi al Rosario alla sera, ai santi sacramenti.
Le feste parrocchiali divennero feste essenzialmente militari.
Lo spettacolo commovente, consolidatissimo. Ho visto molti piangere! Tutti vollero un ricordo delle varie solennità celebrate: un'immagine, una medaglia, un libriccino; ecc. Un
coro poderoso imparò e cantò sempre con effetto elettrizzante strofe d'attualità adattate
sull'aria del «Noi vogliam Dio». Ma sarebbe troppo lungo dirti anche solo succintamente
tutta la bellezza di questa vita nuova sentitamente e giocondamente vissuta da tanta gioventù entusiasta e ridestarsi a novello e più sano sentire. Ma non illudiamoci, mio caro,
siamo ancor lontani assai da quella rinnovazione morale e spirituale che è la meta desideratissima di tutti i buoni. Ma basta ormai. Le molte cose che ho ancora a scriverti, mi serviranno d'occasione per mandarti un'altra lettera.
... Il tiro dei cannoni austriaci potrebbe arrivare anche dove ci troviamo noi, ma a quanto
pare quei signori non ne devono avere di potenti ad alto calibro su questo settore. D'altronde si sentiranno più sicuri tappati dietro la formidabile corona dei loro forti e dei loro
trinceramenti...
Sac. D. Giovanni Folci
Parroco di Valle di Colorina – Valtellina
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Test. 4 - La guerra dei miei vent anni (1915-1918)
(DOTT. TOMASO BOZANO GANDOLFI, Rapallo, Tipolitografia Emiliani, 1987, pp.1819. 24-25. 29-31. 33. 48-51. 56).
[…] Nel discendere dal Comando incontrammo il Cappellano Don Giovanni Folci, un giovane sacerdote, parroco a Val Colorina (Sondrio).
Egli ci indirizzò alle località ove erano attendate le nostre Compagnie. Non erano vicine.
La 10a Compagnia era comandata dal Capitano Lais, romano. La 4a, alla quale io ero assegnato, era comandata dal Sottotenente Torlaschi, di Casteggio, ed aveva come ufficiale
subalterno il Sottotenente Giulio Roveta. Di Don Folci e del Sott. Roveta sentirete parlare
spesso perché furono dei cari amici […]
[…] La trincea aveva inizio dall’Isonzo, attraversava la rotabile e saliva a Zagora proseguendo poi sotto quota 383, la famosa quota che domina Plava.
La 4a Compagnia del 38° aveva il tratto di linea che attraversava le case del villaggio di
Zagora di cui una parte era del nemico e una parte nostra.
La mattina dopo il nostro arrivo in trincea fummo destati (se così può dirsi perché di notte
in prima linea non si dorme) da un improvviso e preciso fuoco di artiglieria di piccolo calibro.
I pezzi dovevano essere piazzati a poca distanza, forse nella trincea austriaca stessa, ed il
tiro era diretto.
Fu la mia prima esperienza e, sebbene proiettili di piccolo calibro, devo dire che mi fece
molta impressione. La quale era aumentata dalle grida dei feriti, alcuni dei quali gravi. In
lontananza sentivamo delle grida acute. Seppimo poi che il Ten. Rossi del 2° battaglione
aveva ricevuto una ferita al capo e la scheggia aveva leso il cervello.
Il poveretto agonizzò per qualche ora e le sue grida disumane ci afflissero molto.
Quella fu la prima ed ultima volta nella guerra che ebbi a provare bombardamenti di tal
genere. Tiro diretto a breve distanza. Il Cappellano venne prontamente in soccorso. Assistè il povero Rossi, confortò i feriti e celebrò la S. Messa a ridosso della trincea. In quel
punto eravamo tanto vicini agli austriaci che essi udirono le parole (in latino) della Messa e
risposero anche al “Dominus vobiscum” che don Folci disse ad alta voce. Quando venne il
momento della benedizione, don Folci mi chiese: “Mi azzardo a dare la benedizione in
piedi sulla trincea?”. Il celebrante con i paramenti salì sulla trincea di sacchi di terra e impartì la benedizione.
Dalla trincea austriaca si levò un mormorio di voci “Amen” che si unì al nostro. Don Folci
era appena sceso e dalla trincea nemica si levò un coro sommesso. Si seppe dopo che
avevamo di fronte dei croati.
La scena mi commosse e mi richiamò al pensiero la poesia del Giusti “In Sant’Ambrogio”.
“… un cantico tedesco lento lento
per l’aer sacro a Dio mosse le penne:
era preghiera e mi parea lamento
d’un suono grave, flebile, solenne,
tal, che sempre nell’anima lo sento
e mi stupisco che in quelle cotenne,
in que’ fantocci esotici di legno
potesse l’armonia fino a quel segno”. […]
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[…] Dalla trincea si dominava la valle da Plava alla strettoia della galleria ed il rettilineo
della strada sempre deserta. Un giorno il Colonnello Pedroli decise di fare una visita alla
trincea. Lo accompagnò il Capitano Millo Ribotti. I due, usciti dal camminamento, si avventurarono per la strada allo scoperto. Li videro gli austriaci. Alcuni colpi schizzarono davanti
ai due imprudenti che fecero appena in tempo a rifugiarsi in un tombino della strada dove
rimasero fino a sera perché, ad ogni tentativo di sortita, riprendeva la sparatoria. Fra i soldati circolò poi questa strofetta: Il nostro colonnello tanto prode – un giorno visitare vuol le
trincere – ma un pluffer mitragliere per sua lode – gli volle far cantare il miserere – Ed in
men che non si dice con la sua mitragliatrice – o rio destino – lo fece rifugiare in un tombino. (da cantare sull’aria del Sor Capanna). La celia ebbe un seguito. In un successivo incontro il Colonnello mi disse: “Bravo Tenente, non sapevo che fosse poeta”. E già che
siamo nella poesia scherzosa vi dirò anche quella del nostro Don Folci. Egli era un ottimo
sacerdote, pieno di zelo e di bontà. Già da allora aveva il progetto di costruire il santuario
della Pace. E lo costruì davvero quando venne la pace.
Ed ecco il suo sornello: “Il nostro Cappellano molto fiero – è dotto assai e scrive sui giornali – vuol darsi l’aria d’essere un guerriero – ma di parole sol sono i suoi strali –ché la
chiesa della pace – è il desio suo più verace – vuol denaro sol per quella – Oh! La pace
come è bella!”.
Come avvenne per tutti i miei compagni di collegio e di guerra, lo persi di vista e, quando
pensai di ricercarlo, mi dissero che era morto da un anno.
Lo ricordo sempre con affetto e ammirazione.
In guerra dimostrò del coraggio e non si tenne, come avrebbe potuto, lontano dal pericolo.
Nei momenti difficili era presente. Una notte, durante un’azione, don Folci fu protagonista
di un episodio commovente e solenne. Una compagnia doveva iniziare un attacco alle
prime luci dell’alba ed era, in attesa, lungo il ciglio della strada che portava a Zagora. Seduto sul muretto della strada, il Cappellano stava confessando i soldati. Ad un tratto arrivò
l’avviso, trasmesso a bassa voce, di riprendere il cammino. Don Folci salì sul muretto:
“Cari ragazzi, Dio sia con voi!”. E, pronunciate le parole di assoluzione, benedì il reparto.
[…]
[…] Questa volta cambiammo località per il riposo. Andammo a Kràsno, paese abbandonato, nelle vicinanze del Planina. Prendemmo alloggio nelle case del paese. Ero alloggiato, con altri due ufficiali, in una stanza al primo piano. Gli attendenti avevano situate in fila
tre brande, l’una di fianco all’altra.
A me, fu riservata la branda di centro. Di lato alla mia, verso la porta, vi era l’aspirante ufficiale Madonnini, e dall’altro lato, quello della finestra, il Sottotenente Giuseppe Pizzi, siciliano. Pizzi proveniva da un corso allievi ufficiali della Scuola di Modena e Madonnini, aveva fatto domanda per essere ammesso a fare il periodo di prova quale aspirante ufficiale.
La necessità di ufficiali aveva fatto allargare le maglie; erano stati ridotti i titoli di studio e si
erano ammessi individui che non presentavano le dovute condizioni per essere ufficiali.
Era un caldo afoso e, dopo la mensa del mezzogiorno, non trovavamo di meglio che coricarci nelle brande e dormire. Così facemmo anche nel giorno in cui avvenne il fatto che
sto raccontando.
Quando entrai nella stanza vi era soltanto Pizzi il quale il quale stava leggendo coricato in
branda. In breve, mi addormentai. Fui svegliato da una detonazione molto vicina. Essendo
sul fianco destro, vidi per primo il Sottotenente Pizzi riverso sulla branda con una ferita in
fronte dalla quale il sangue fluiva copiosamente. Accorsi in suo aiuto; ma il poveretto era
ormai spirato. Chiamai aiuto non vedendo, al suo posto il Madonnini.
Informammo dell’accaduto il Comando. Accorsero il Colonnello ed il Cappellano ed ebbe
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subito inizio un’inchiesta. Mi avvidi di essere guardato con sospetto. Fui chiamato a colloquio dal Colonnello il quale mi disse: “Lei è uno dei migliori ufficiali del reggimento. Devo
incoraggiarla a dire come sono andate le cose fra lei ed il povero Pizzi. Una disgrazia? Un
alterco? L’ufficiale deve essere leale in qualsiasi circostanza. La esorto a dire tutta la verità e senza indugi”.
Avevo bel dire e protestare la mia estraneità al doloroso fatto. Per colmo di jattura, nel caricatore della mia pistola (una Smith-Welson cal. 99 acquistata da Papà, da Corte in Piazza Fontane Marose, alla mia partenza) mancava un colpo e l’arma aveva la canna sporca.
Ricordavo di avere usato la pistola una delle ultime notti passate in galleria, contro una
pattuglia nemica avvicinatasi allo sbarramento. Anche Don Folci, non potendo dubitare
della mia parola, non sapeva trovare una spiegazione all’accaduto. Fu proprio lui a vanirne
a capo.
Nella chiesa del paese, il Cappellano celebrò il funerale. All’uscita della chiesa, il corteo si
avviò verso il cimitero. Il Colonnello, prima che la cassa fosse calata nella fossa, pronunciò
parole severe e minacciose verso “la mano omicida che si nascondeva”.
Ero presente ed ero guardato con curiosità. Madonnini era assente e Don Folci aveva notato questo fatto. Lo cercò, gli parve emozionato e confuso. Lo strinse con domande sempre più insistenti fino a che gli fece confessare come era avvenuto il fatto. Mentre io dormivo e Pizzi leggeva (il romanzo “Vita vissuta”, che fu trovato sulla branda) l’Aspirante
Madonnini si era messo a pulire la sua arma. Gli partì un colpo che, passando sopra di me
che dormivo, colpì il povero Pizzi. Vistolo abbattuto e rantolante, il Madonnini era fuggito
ed aveva subito pulito l’arma e rifornita del proiettile mancante.
Don Folci indusse il Madonnini a dire subito al Colonnello quanto aveva confessato e mi
informò. Eravamo ancora tutti sotto l’impressione delle parole con le quali il Colonnello
aveva chiuso il suo saluto alla salma di Pizzi: “Non per morire proditoriamente assassinati,
Tenente Pizzi, tuo padre ti aveva inviato dalla Sicilia, alla guerra!”.
Il Colonnello fu giustamente severo con Madonnini al quale faceva soprattutto colpa di
slealtà e di aver lasciato sotto accusa un superiore di grado. Madonnini fu degradato davanti al Reggimento inquadrato e, scortato dai Carabinieri, fu inviato al carcere militare in
attesa di processo.
Intanto con questo increscioso avvenimento era quasi trascorso il nostro periodo di riposo
e ci preparavamo a lasciare Kràsno.
Con i ricordi spiacevoli, conservo però un ricordo gradito di quel paese ed è sulla parete
della sala di S. Lorenzo della Costa.
Un mio soldato, Nicola Arduino di Torino, mi aveva fatto il ritratto ad olio. Posai varie volte
e, alcuni giorni prima del fattaccio, mi presentò l’opera. La conservo con piacere perché il
tempo della guerra, anche se pieno di pericoli, di insidie insospettabili (come quella di una
pallottola in testa mentre fai il pisolino), è il tempo in cui mi sono sentito più valido.
Il ritratto porta la firma “Nicola Arduino” e la data: Kràsno. 8 aprile 1916.
Nel 1947, mente stavo restaurando a S. Lorenzo la Cappuccina che era stata rovinata dagli eventi bellici, un passante si fermò e si interessò del pittore Zago che stava sul ponte e
chiese del proprietario. Vedutomi, mi disse che era Arduino il mio soldato artista. Insieme
ricordammo le vicende di Kràsno. Da allora non ho saputo più niente di Arduino ed è ciò
che avviene per le conoscenze di guerra. Sono ben presenti al pensiero ed al cuore in
modo indelebile; ma tacciono. Dall’opuscolo “Il Richiamo” dell’Opera Don G. Folci, ho appreso che Arduino ha affrescato la Chiesa del Santuario che Don Folci ha costruito a Val
Colorina. […]
[…] In un giorno concordato con gli austriaci fu effettuata, da entrambe le parti combatten175
!
ti, la pulizia della “terra di nessuno”. Pulizia è un pietoso eufemismo. Furono sepolte alcune salme di caduti durante i combattimenti, furono raccolti proiettili inesplosi, tolti brandelli
di vestiti o di sacchetti a terra. Fu perfino tolto lo scheletro di una lepre che un giorno erasi
avventurata fra le linee ed era stata colpita dalle fucilate forse nella speranza che venisse
a cadere a portata di mano.
Noi provvedemmo alla pulizia con sei soldati della Sanità ed altrettanto fecero gli austriaci.
Nel giorno dei Morti, Don Folci celebrò la S. Messa nel Cimitero dei caduti a Plava ed altra
nel vecchio cimitero degli Ufficiali collocato nell’orto cintato di una casa all’uscita di Plava.
[…]
Test. 5 - Il caso
(GUIDO SIRONI, I racconti della mia guerra, Tipografia arcivescovile della Addolorata, 20.12.1932, pp. 129-139).
Un sole caldo, bruciante incombeva sull'ampia vallata, nella quale il fiume non ancor cerulo scorre sinuoso, a fior di terra, fra maggesi e campi di grano e viti, spesso intercalati da
filari di pioppi verdissimi.
Dalla casa parrocchiale lo spettacolo della valle e della montagna di fronte, quasi miniata
fino a mezza costa dagli innumeri vigneti biancastri di verderame, balzava nitido, dal fondo
oscuro, nella luce abbagliante del sole.
In piedi, accanto a noi, un prete ancor giovane, dagli occhi vivacissimi, leggermente curvo
nelle spalle, mi richiamava, sorridendo, i duri mesi della prigionia sofferti insieme in Germania.
Ed io guardavo, ammirando, questo mistico, forse un santo: per lui e intorno a lui, in quest'angolo romito della valle, sono sorte e fioriscono numerose iniziative di carità spirituale e
sociale, ancora avvolte nel silenzio augurale, che accompagna le seminagioni benedette
da Dio.
Accennai delicatamente a queste opere da lui vagheggiate e maturate in quei mesi ormai
lontani di dolore e di raccoglimento; ma quel prete, con un risolino tutto candore, mi replicò
subito:
«lo non credo molto, tu lo sai, a una grande efficacia dell'uomo, specialmente nelle opere
di bene: credo sopratutto nella Provvidenza».
Forse per questo - io commentavo dentro di me - questo pretino, alla chiusura di ogni sua
funzione religiosa, innalza sempre sette volte, con un crescendo quasi violento che a me
dà brividi di sacro timore, la nuovissima invocazione: «Provvidenza di Dio, provvedeteci
Voi».
«Sicuro» egli proseguì: «Gli uomini parlano facilmente del destino col d maiuscolo. No: la
Provvidenza governa il mondo, la storia e i singoli: l'uomo vi conferisce sì il suo libero volere, ma la sua opera non è che un punto nell'immenso, inscrutabile disegno di Dio. Anch'io
sono qui, vivo e fresco e alacre, nonostante le prove infinite della guerra e della prigionia.
Perchè? Perchè Dio mi destinava qui, a questo lavoro voluto da Lui.
Il caso? Il caso è l'avvenimento del quale noi uomini non sappiamo individuare la determinante; ma questa c'è sempre, anche se non si vede».
Una fiamma di fede profonda brillava in quegli occhi, illuminava quel volto bruno, affilato
176
!
dalle veglie e dalle fatiche.
Scendemmo i gradini, che dalla casa menano al piazzaletto antistante al santuario; e sotto
il pronao, con lo sguardo vagante sulla vallata silenziosa, quel pretino raccontò.
***
« Vi ripeto, io sono qui, soltanto grazie a Dio.
Troppe volte sono sfuggito ostensibilmente, vorrei dire miracolosamente, alla morte. Ma
sarebbe una storia troppo lunga e, forse, anche noiosa.
È stato il caso, direte voi. E sarà anche, ma come lo intendo io. Sentite un episodio spiegabilìssimo, se volete, ma significativo.
Voi sapete che io entrai in guerra nel Giugno 1915 come cappellano di fanteria; ma non
sapete che, fino al marzo 1916, io continuai a indossare, in linea e nelle retrovie, la mia
veste talare.
Il mio Colonnello strepitava, ma non riusciva a impormi obbedienza; fu necessario un ordine tassativo e personale del Comando di Divisione per obbliganni a infilare la divisa militare.
Con la veste nera andavo e venivo dalla trincea e per i camminamenti, celebravo la santa
Messa anche nelle doline più avanzate del Carso, confessavo i soldati e anche gli ufficiali
al solo riparo dei sacchetti di terra, qualche minuto prima dell'assalto.
Cominciavo a credere che la veste nera mi rendesse invulnerabile, tante volte le pallottole
mi avevan sfiorato il capo o addirittura il naso e gli shrappnels eran caduti senza effetto,
con un tonfo sordo, sulla mia tonaca svolazzante, mentre ammazzavano o ferivano vicino
a me, senza misericordia, gli altri.
Questa supposta invulnerabilità della mia tonaca era nota al mio Colonnello, che perciò
gridava e... chiudeva un occhio.
Un giorno, di fianco a Oslavia, ero disceso in un simulacro di trincea, separato da quella
nemica da una striscia di nuda terra senza reticolato. I soldati eran distesi sul fondo, stanchi, sporchi, disfatti: avevan respinto poco prima un furioso attacco locale e non ne potevan più.
Li accostai ad uno ad uno, occupandomi delle loro necessità spirituali e materiali; e così,
naturalmente, arrivai dove la trincea sembra va girare verso la seconda linea per affiorare
in terreno scoperto.
Quella zona era nuova per me: chiesi a un soldato se di lì si scendesse al Comando; assonnato, egli mi rispose affermativamente.
Uscii allora sull'aperto terreno.
Eran le dieci del mattino, di un mattino luminoso e tiepido di fine Marzo: intorno tutto taceva, anche davanti alla linea appena lasciata; soltanto un po' lontano, a destra, si sgranava,
con improvvisi sussulti, una mitragliatrice nemica.
Camminavo su un suolo, che doveva essere stato incredibilmente martoriato dal bombardamento: proiettili inesplosi, qualche cavallo di Frisia rovesciato, anche qualche cadavere
in putrefazione e gavette e zappe e tascapani ingombravano il passo.
Fu un tragitto penoso di circa duecento metri; e, guardando innanzi a me, mi domandavo
perchè mai non si scorgesse qualche camminamento o almeno qualche segno della vita
sotterranea vibrante in ogni punto dietro la prima linea.
A un tratto mi apparve davanti, come d'infilata, un camminamento, no, una nostra trincea;
e allo ingresso, inginocchiato con due uomini dietro una mitragliatrice, il capitano della
Compagnia, un siciliano tutto fuoco, Martina.
Egli era lì a fissarmi con gli occhi spalancati, con la bocca aperta, col terrore dipinto sul
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!
volto.
A due passi dall'imbocco, io mi fermai, stupefatto alla mia volta, per chiedergli il motivo del
suo inesplicabile atteggiamento.
Ahimè! In quel punto la nostra linea era interrotta per circa duecento metri; più indietro, a
riempire il vuoto, correva, staccato dal resto, un elemento difensivo primordiale, un fossatello o poco più. Ma intanto, uscendo dalla trincea, io ero sboccato sulla breve striscia parallela alla linea austriaca, sulla cosidetta «terra di nessuno»; e inconsapevole, tranquillo
ero passato incolume sotto l’occhio e i fucili spianati del nemico appiattato a non più di sei
o sette metri.
Il capitano Martina e i suoi soldati, al vedermi spuntare in piena luce diretto verso di loro,
avrebbero voluto gridarmi qualcosa, avvertirmi, non so; ma temevamo di spaventarmi o di
richiamare l'attenzione degli austriaci forse addormentati.
Saltai, senza fretta, nella trincea del Capitano Martina.
Costui intanto si era ripreso dal suo terrore: «Caro cappellano: lei è fortunato: ha fatto la
sua passeggiatina prima di colazione, in faccia a quelli là, a sei o sette metri».
La gioia nervosa, seguita in lui alla paura, non corrispondeva al mio abituale ottimismo
cristiano, che poteva scambiarsi nell'apparenza con un po' di fatalismo istintivo.
«Caro Capitano, Lei sa che questa veste mi protegge!».
E aggiunsi poi, alludendo alla mia leggendaria invulnerabilità:
«Ma lei è sordo! Non ha sentito come mi hanno sparato? Non ha visto le pallottole cadermi
di dosso, come foglie morte?».
Nella trincea del Capitano Martina i soldati dormivano tutti, meno pochi di vedetta.
Il silenzio era ormai assoluto su tutto il fronte.
Salutai il Capitano e mi addentrai in un profondo camminamento perpendicolare alla linea
per rientrare finalmente al Comando, mentre fra me e me ripensavo allo strano incidente
occorsomi.
Dopo alcuni minuti di marcia difficile fra le pozze numerose di pioggia recente e i troppi
mucchietti di materia sospetta, improvvisamente nel silenzio di quel chiaro mattino suonò
un colpo secco, isolato, di fucile; poi, subito, fu ancora silenzio.
Continuai la marcia.
Poco dopo, il camminamento sfociava in un posto di medicazione inoperoso in quell'ora;
nel volgermi a riguardare la strada fatta, vidi dal fondo venire avanti due soldati che reggevano una barella.
Feci segno che si affrettassero: il mio istinto sacerdotale accresceva l'ansia mia, tutta
umana, di vedere, di sapere.
Quando mi furon vicini, compresi subito, dalla sguardo accorato e dal mutismo dei due
soldati, che recavano un cadavere: fatta deporre la barella, mi inginocchiai e dalla faccia
del morto levai il fazzoletto che la copriva.
Era il Capitano Martina: un segno rosso fra i due occhi, alla radice del naso, spiccava nel
pallore terreo del suo viso composto, sereno.
Recitai una preghiera: i soldati, anche quelli del posto di medicazione abituati, incalliti a
queste scene, risposero commossi al requiem finale; anche il Tenente medico si levò l'elmetto e curvò il capo.
Volli sapere dai due portaferiti che cosa mai fosse accaduto.
«Capirà, cappellano: il Signor Capitano si è fidato. Aveva visto lei e credeva che di là non
ci fosse nessuno. Pam! Appena messo fuori il naso, un colpo solo, ma giusto, lo ha buttato
giù. Mascalzoni! Eran là pronti».
Non il caso, amici miei, aveva salvato me da quel pericolo mortale: gli austriaci avevano
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!
certamente veduta e rispettata quella mia veste da prete comparsa improvvisamente, come un fantasma, avanti ai loro fucili appostati; ma spararono, subito dopo, contro il nemico
imprudente, impersonato nel capitano Martina».
***
L'amico, che io avevo accompagnato a quel pio pellegrinaggio - un illustre scrittore, dal
volto tra di aristocratico e di asceta - mi guardò, quasi per legger nei miei occhi le impressioni di questo sconcertante racconto.
L'aura mistica, che emanava da quel santo pretino, destava in noi suggestioni eccessive,
anzi irreali: involontariamente - e forse sbagliavamo - quell'incidente si ingrandiva davanti
ai nostri occhi, assumeva contorni quasi favolosi, pareva sprizzare lampi fumosi di soprannaturale.
Quando partimmo di lì l'amico mi disse semplicemente:
«Sai a che pensavo? A due romanzi diversi, ma tanto uguali nel fondo: a «sotto il sole di
Satana» del Bernanos e a «Mercoledì santo» del Galvez. Anche in questo racconto del
tuo pretino corron brividi occulti, balenan fulgori di mistero. Ma forse... la nostra è soltanto
letteratura.»
Test. 6 - Testimonianza autografa di Manlio Sindoni, prigioniero a Cellelager
(Como, Biblioteca del Seminario Vescovile, Fondo Folci).
“A te, caro don Giovannino, che ricorderò sempre dalla mia lontana Sicilia,
come vero, fervente, affascinante raccoglitore di anime, come savio, prudente, giusto consigliere, come manna e ristoro del mio e di tutti gli altri spiriti affranti, pregustando la gioia di poterti, anche lontano, scrivere per ricevere una
parola, un consiglio dalla tua bocca che conquista, questa povera effigie ti offro, ma ricordati che non solo questa sarà sempre nelle tue mani, ma sarà
sempre confidato a te anche il mio cuore acciocchè tu l’impasti e faccia sì
che lentamente rassomigli al tuo”.
Prigionia
Ottobre 1917
Gennaio 1919
Germania
Manlio Sindoni
Spadafora San Martino
Prov. Di Messina
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!
180
!
“…Lei e don Di Leo siete rimasti in me come il simbolo della più grande Fede
e del più grande Amore; siete stati voi due, ma soprattutto Lei, a farmi credere e a condurmi all’altare di Dio e mentre un giorno maledivo la prigionia, col
tempo l’ho benedetta: è stato in essa che io mi sono ritrovato creatura di
Dio…Manlio Sindoni”.
(GIOVANNI RE, I prigionieri dimenticati. Cellelager 1917-1918, Mursia, Milano
2008, pag. 220)
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!
APPENDICE
LA BRIGATA RAVENNA
Sede dei reggimenti in tempo di pace: 37° e 38° Fanteria, Alessandria
Distretti di reclutamento: Alessandria, Avellino, Casale, Ferrara, Foggia, Lecco, Padova, Palermo, Pesaro, Piacenza, Rovigo, Taranto, Treviso.
ANNO 1915.
All'inizio della guerra la brigata è dislocata nella zona di Cividale, ove si trova sin dal mese
di aprile.
Il 24 maggio, alla dipendenza della 3a divisione, passa il confine e, per le dorsali di Serio,
Claunico e Gradno, raggiunge il costone di Verhovlie, senza incontrare resistenza.
L'8 giugno riceve l'ordine di passare l'Isonzo a Plava ed attaccare il costone Kuk - Vodice M. Santo, che difende dalla parte settentrionale la città di Gorizia.
Il passaggio del fiume ha inizio il giorno 9 per opera di un nucleo di volontari (200 uomini)
del 38° fanteria i quali, passati sull'altra sponda, occupano il caseggiato di Plava, spingono
pattuglie sulle pendici di q. 383, ed iniziano l'attacco per la conquista di quelle importanti
posizioni. Il giorno 11 i battaglioni I e II/38°, occupata in un primo tempo la q. 383 e perdutala in seguito ad un contrattacco del nemico, riescono, con l'aiuto di rincalzi, a stabilirsi
sulle pendici della quota; al mattino del 12 tutta la brigata trovasi schierata sulle pendici di
q. 383.
Nel corso della giornata le truppe tentano di impadronirsi della vetta, ma dopo aver subìto
perdite gravissime, sono costrette, verso sera, a ripiegare sull'abitato di Plava.
Un altro tentativo, rinnovato il giorno 13 dal 37° fanteria, viene arrestato dal fuoco nemico.
In queste cruente azioni la brigata perde 52 ufficiali e 1500 uomini di truppa, ma raggiunge l'importante risultato di costituire nella zona di Plava una testa di ponte.
Fra il 22 giugno e l'8 settembre la Ravenna viene destinata, sempre con la 3a divisione, ad
operare nella zona del Sabotino; ivi prende parte alla 2a battaglia dell'Isonzo (18 Iuglio - 10
agosto) concorrendo con altri reparti all'attacco del tratto di linea fra q. 507 e Pod Sabotino, senonchè l'intensità del fuoco e la robustezza delle difese accessorie nemiche, contro
cui sono insufficienti i nostri mezzi di distruzione, non consentono che scarsi risultati.
La brigata rimane in prima linea fino all'8 settembre e, dopo un breve riposo, ritorna nel
settore di Plava, alternandosi con la brigata Forlì nelle trincee della testa di ponte di Plava,
che frattanto è stata ampliata verso Globna e verso Zagora.
Ripresa l'offensiva con la battaglia dell'Isonzo (18 ottobre - 4 novembre), alla brigata Ravenna viene affidato il compito di irrompere su Zagora, impadronirsene e proseguire su
Zagomila. L'attacco ha inizio il 21 ottobre e, benchè ripetuto per più giorni con tenacia ed
alto spirito di sacrificio (che lo stesso nemico dovrà poi riconoscere ed apprezzare) non
consegue che piccoli progressi, sopratutto per la potente organizzazione difensiva avversaria e per la scarsità dei nostri mezzi di distruzione. In tale lotta sanguinosa la brigata
perde oltre 1300 uomini, dei quali 15 ufficiali morti, 31 feriti e 5 dispersi. Ritirata, il 4 novembre, dalla prima linea ed inviata in Val Cosbana per un breve riposo, la Ravenna, verso la fine di novembre, ritorna ad alternare i battaglioni nelle trincee di Plava e di Zagora.
182
!
ANNO 1916
Durante l'inverno e la primavera la Ravenna alterna il servizio in prima linea alla testa di
ponte di Plava, con turni di riposo nella zona di Claunico.
Sviluppatasi I'offensiva austriaca nel Trentino (15 maggio) ed iniziatasi l'invasione da parte
del nemico, il 10 giugno la brigata Ravenna, chiamata alla difesa del territorio minacciato,
inizia il suo trasferimento nella zona di Padova, donde viene inviata sul M. Novegno, agli
ordini della 35a divisione. Quivi, nell'azione controffensiva italiana, essa avanza decisamente il giorno 25, occupando il Pria Forà e successivamente, il 27 giugno, M. Gamonda.
Fra il 28 giugno e il 4 luglio la Ravenna, insieme con altri reparti della 35a divisione, continua l'avanzata con decise azioni che le fruttano la presa dei Sogli Bianchi (29 giugno) e le
permettono di affermarsi su M. Calgari e presso il Seluggio, ove il 4 luglio un nucleo del
38°, inerpicandosi arditamente di roccia in roccia, riesce ad aggrapparsi a pochi metri dalla
cima (q. 1100). L'azione viene ripresa il 10 per impadronirsi della cima, ma dopo lotta accanita, protrattasi fino al 15 luglio, la contesa sommità, più volte presa e perduta, rimane al
nemico.
Verso la metà di settembre la Ravenna viene ritirata per un adeguato periodo di riposo,
dopo le sensibili perdite subite (oltre 800 uomini di truppa e 31 ufficiali fuori combattimento).
Per il valore, la fermezza e l'ardimento di cui diedero prova i valorosi fanti nel 1915, durante il passaggio dell'Isonzo, e nel 1916, durante l'offensiva nemica nel Trentino, la Bandiera
del 38° reggimento venne decorata con la medaglia d'argento al valor militare.
Ai primi di ottobre la brigata Ravenna si trasferisce per ferrovia a S. Giovanni di Manzano
e quindi a Pubrida (Cormons), entrando alla dipendenza della IIa divisione, operante nella
zona di Gorizia (settore di Vertojba). All'inizio dell'offensiva del novembre (9a battaglia
dell'Isonzo: 31 ottobre - 4 novembre), nei giorni 1 e 2 la brigata, muovendo decisamente
dalle trincee di Vertojba, attacca le alture a sud-est di Gorizia (quote 123 - 106 - 133), senza però riuscire a superarle per la valida resistenza nemica ed il terreno reso impraticabile
dalle pioggie.
Il 28 novembre la brigata si trasferisce a Moraro per un periodo di riposo, rientrando poi in
linea il 29 dicembre nel settore Vertojba - Merna.
ANNO 1917
Fino alla metà di maggio la brigata, agli ordini della 12a, e, dopo il 3 febbraio, della 7a divisione, opera nel settore Vertojba - Merna ove i battaglioni si alternano nel servizio di prima
linea, compiendo i loro turni di riposo nella zona Moraro - M. Fortin.
Iniziata la 10a battaglia dell'Isonzo (12 maggio - 8 giugno) il 37° fanteria, il 14 maggio,
muove all'attacco di q. 86 (Vertojba) e rinnova anche nei successivi giorni 15 e 16 i tentativi, i quali riescono infruttuosi a malgrado delle perdite sensibili (circa 350 uomini fuori
combattimento, dei quali 5 ufficiali).
Il 38° fanteria, operante alla dipendenza tattica della 48a divisione nel settore S. Marco, il
23 maggio, dando ancora una volta prova del suo valore, conquista a costo di notevoli
perdite (oltre 400 uomini dei quali 19 ufficiali) una importantissima posizione (Casa Diruta Due Pini) catturando anche un centinaio di prigionieri. Cessata l'azione offensiva, la brigata rimane fino all'agosto nel settore, continuando ad alternare i turni di trincea con periodi
di riposo nella zona di Moraro.
Frattanto sono in corso i preparativi della grande offensiva per la conquista dell'Altipiano
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!
della Bainsizza. La brigata Ravenna, passata agli ordini della 49a divisione, si sposta nel
settore di Kambresko e il 24 agosto, dalle pendici occidentali del Sommer, muove decisamente verso l'obbiettivo assegnatole (Strada di Chiapovano - Rokel - Vrh). Occupate dopo
lunga e violenta lotta, le posizioni intermedie di Ravne - q. 895, i fanti della Ravenna continuano ad incalzare il nemico con tenacia: il 26 agosto il 37° fanteria conquista q. 920 sulle
alture antistanti al Volnik; meno fortunato, il 38° non riesce a progredire. Il giorno 28, col
concorso di altri reparti, si conquistano le alture di Grotta (Volnik), ma il violento fuoco del
nemico non consente di mantenerle.
Il 31 agosto la brigata si trasferisce a Prodesca e poi a Canale, alla dipendenza della 68a
divisione per riordinarsi e colmare i vuoti (dal 25 al 30 agosto ha avuto 45 ufficiali e 1300
uomini di truppa fuori combattimento); ma è nuovamente in linea sulla Bainsizza, nel tratto
Koprivsce - q. 814 - q. 725, all'inizio dell'offensiva austriaca dell'ottobre 1917.
Dopo aver respinto brillantemente nella giornata del 24 ottobre un vigoroso attacco, la brigata, in conseguenza della situazione creatasi per lo sfondamento del fronte nella zona di
Tolmino, inizia, il giorno 25, il ripiegamento sotto la persistente pressione del nemico, che
costringe i reparti di retroguardia a sostenere accaniti combattimenti.
Cedendo il terreno palmo a palmo, la brigata il giorno 26 ripassa l'Isonzo a Plava e il giorno 27 giunge al Torre; il 30 i reggimenti ripiegano: il 37° su S. Maria di Sclaunicco, il 38°
su Lestizza, con elementi a Mortegliano. Ivi un veemente e subitaneo attacco nemico travolge il Comando e parte del 38°, i cui superstiti, raggiunto il 37° a S. Maria di Sclaunicco,
con esso riprendono la ritirata e, passato il 31 ottobre il Tagliamento sui ponti di Madrisio
ed il 5 novembre il Piave al ponte della Priula, giungono, il successivo giorno 6, nei pressi
di Venegazzù, ove la brigata si riordina completando gli effettivi coi superstiti delle brigate
Sele, Palermo, Verona, Campobasso e Pescara. Viene così ricostituita provvisoriamente
su tre reggimenti (37°, 67°, 85°): finchè, portatasi il giorno 14 nei pressi di Arsego e riformato il giorno 16 il 38° fanteria, riassume la composizione normale passando alla dipendenza della 24a divisione.
Destinata ad operare nella regione del Grappa, la brigata viene inviata in prima linea, nella
notte del 25 novembre, fra Col dell'Orso e M. Solarolo; donde ai primi di dicembre, si sposta col 37° a M. Spinoncia - valle Scura e col 38° fanteria a Fontanelle - M. Valderoa. Il
giorno 11, dopo una violenta preparazione di artiglieria, il nemico attacca energicamente le
linee dello Spinoncia conquistandone, dopo vivace combattimento, la cima, presidiata da
un battaglione del 37°, che è costretto a ripiegare dopo aver perduto più di metà dei suoi
effettivi (16 ufficiali e circa 450 uomini di truppa). Il 38° fanteria, invece, attaccato fra il 14
e il 17 dicembre, resiste sulle posizioni nonostante le forti perdite (23 ufficiali e circa 900
uomini di truppa fuori combattimento).
ANNO 1918
La Ravenna rimane nel settore di sinistra di Val Calcino, ed allorquando il nemico, iniziata
la grande offensiva (battaglia del Piave, 15 - 24 giugno), attacca violentemente le nostre
posizioni, trovasi schierata nel settore occidentale di V. Calcino lungo il tratto Col dell'Orso
- Croce dei Lebi – Malghe Valpore. Gli attacchi dal nemico più volte tentati fra il giorno 16
e il 19 giugno contro le linee delle Malghe, s'infrangono dinanzi alla resistenza accanita dei
fanti, specialmente del 37°·
Fallita l'offensiva nemica, la brigata si sposta nel settore occidentale, occupando le linee
da q. 1559 del Casonet allo sbarramento di V. Calcino.
Il 4 e 5 luglio tenta di impadronirsi delle posizioni del Solarolo: ed il 14 - 15, con una nuova
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azione, vi riesce, ma il tiro di distruzione dell'artiglieria nemica, rendendo la posizione conquistata intenibile, costringe gli assalitori a ripiegare. Nessun altro avvenimento notevole si
verifica nei mesi successivi fino ad ottobre, quando la brigata è inviata a riordinarsi nei
pressi di Treviso. Il 27 ottobre la Ravenna, chiamata a concorrere alla battaglia di Vittorio
Veneto (24 ottobre - 4 novembre), passa il Piave sul ponte di Salettuol e muove il 29 all'inseguimento del nemico in ritirata verso il T. Monticano; il 37°, vinta il 30 ottobre la resistenza del nemico, prosegue fino a Stevena, ed il 31 raggiunge la linea Col del Fer - Castello di Caneva, donde cerca, con brillanti attacchi, di sospingere il nemico ancora in forze nella Valle del Sarone.
Il 10 novembre, superate alfine le ultime resistenze, la brigata prosegue verso la Livenza
ed il 3 novembre ha già gli avamposti sulla destra del Tagliamento; il III/38° passa il fiume
il 4 novembre sul ponte di Bonzicco (sud di Spilimbergo) costituendo una testa di ponte
sulla riva sinistra.
Come premio del valore, e dell'ardimento addimostrati dai fanti della brigata, le Bandiere
dei due reggimenti furono decorate della medaglia d'argento al valor militare. Il miglior attestato di lode pei valorosi della Ravenna è costituito dalle affermazioni dello stesso nemico. Il generale Boroevic, comandante della 5a Armata austriaca, nella sua Relazione dice
testualmente, parlando delle brigate della 3a divisione, fra le quali la Ravenna: «I reparti
avversari effettuarono ostinati attacchi contro le nostre posizioni di Plava con grande bravura e grande valore, sì che anche le nostre truppe non poterono a meno di apprezzarne il
contegno”.
RICOMPENSE
MEDAGLIA D’ARGENTO ALLA BANDIERA DEL 37° REGGIMENTO FANTERIA
“Con tenacia, abnegazione e valore, in lunga e violenta battaglia, strappò al nemico formidabili e importanti posizioni (Altopiano della Bainsizza, 23 - 31 agosto 1917). Offrì alla vittoria un largo e generoso tributo di sangue facendo col petto dei suoi fanti baluardo infrangibile al soverchiante avversario (M. Grappa, giugno - luglio 1915)”.
(Boll. Uff., anno 1920, disp. 47)
MEDAGLIA D’ARGENTO ALLA BANDIERA DEL 38° REGGIMENTO FANTERIA
“Passato l’Isonzo a PIava, sotto vivissimo fuoco nemico, lottò accanitamente per il possesso delle alture di riva sinistra (9 - 12 giugno 1915)· A M. Seluggio, in Val di Posina, il I
battaglione, inerpicandosi di roccia in roccia, riuscì ad affermarsi sul ciglio della posizione
con una gara memorabile di ardimenti individuali (M. Giove, Sogli Bianchi, Seluggio, 25
giugno - 10 luglio 1916)”.
(Boll. Uff., anno 1917, disp. 1)
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!
CITAZIONI SUI BOLLETTINI DI GUERRA DEL COMANDO SUPREMO
BOLLETTINO DI GUERRA N. 935 (15 dicembre 1917, ore 13).
“Nella giornata di ieri, la battaglia tra Brenta e Piave è continuata accanita. La lotta delle
artiglierie, che nella notte si era ripetuta ad intervalli, all'alba venne ripresa violenta e continuò ininterrotta; nelle prime ore del pomeriggio l'avversario lanciò all'attacco le sue masse di fanteria.
In regione di Col della Berretta, per quanto una nostra controffensiva locale di alleggerimento, riuscita a raggiungere due volte la cima di M. Pertica, avesse richiamato numerose
forze nemiche da quella parte, l'urto avversario si abbattè violentissimo su Col Caprile e
sul versante sud del Col della Berretta; venne sostenuto dai nostri e nettamente respinto
con contrattacco con gravi perdite per il nemico. L'avversario, che non aveva mai rallentato l'intenso bombardamento dei rovesci delle nostre posizioni, rifatta la preparazione d'artiglieria e rinnovate le forze, verso sera ripeteva l'attacco riuscendo a raggiungere Col Caprile. Le nostre truppe si affermavano in osizione di poco retrostante. La notte arrestava il
combattimento.
Alla testata del saliente di M. Solarolo, l'avversario attaccò in forze alle 12,30 appoggiato
da azione secondaria diretta su Col dell'Orso e sostenuto da grande spiegamento di fuoco
d'artiglieria avviluppante la nostra linea. Venne respinto con contrattacco che gli inflisse
gravi perdite. Riattacco alle ore 16 con truppe fresche, ma un nostro contrattacco l'obbligò
ad indietreggiare ed a sospendere per la giornata le azioni di fanteria.
Il contegno delle nostre truppe della 4a Armata nella lotta che da quattro giorni si svolge
asprissima e cruenta fra Brenta e Piave, è pari alla grandezza dell'ora. Nella resistensa
opposta al nemico al saliente del M. Solarolo si distinsero i riparti della brigata Ravenna
(37° - 38°), Umbria (53° - 54°), Campania (135° - 136°), e del 3° Raggruppamento alpini
(battaglioni Val Maira - M. Pavione - M. Arvenis - Val Cismon - Val Camonica - Val Cenischia - Feltre - Cividale). Fra essi meritano l'onore di speciale menzione il II battaglione
del 38° fanteria, il III battaglione del 53° fanteria, il battaglione alpini M. Pavione, ed il battaglione Alpini Val Maira che sul fondo di Val Calcino sbarrando la via al nemico col glorioso sacrificio, ha affermato ancora una volta l’eroico motto “Di qui non si passa”, insegna e
vanto degli alpini nostri”.
Generale DIAZ
BOLLETTINO DI GUERRA N. 1120 (18 giugno 1918, ore 13).
“Nella giornata di ieri la 3° Armata ha sostenuto il poderoso sforzo nemico con l'usato valore.
Di fronte a Maserada ed a Candelù rinnovati tentativi di stabilire nuovi sbocchi sulla destra
del fiume sono stati sanguinosamente respinti. Da Fossalta a Capo Sile la lotta ha imperversato fierissima e senza posa. Formidabili attacchi nemici si sono alternati con nostri
contrattacchi; inizi di vigorose avanzate sono stati frantumati dalla nostra resistenza o arrestati da nostre azioni controffensive.
La lotta ha sostato soltanto a tarda notte, le valorose truppe dell'Armata sono state stre186
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nuamente provate, ma l'avversario non ha potuto aumentare la breve profondità della fascia contro la quale da quattro giorni il combattimento imperversa. 1550 prigionieri sono
restati nelle nostre mani.
Gli aviatori hanno continuato a prodigarsi instancabili intervenendo efficacemente nella
battaglia sotto la pioggia dirotta.
Sul margine settentrionale del Montello rinsaldammo la nostra occupazione sul fiume fino
a Casa Serena. Nel pomeriggio il nemico dal saliente nord orientale sferrò due attacchi in
direzione di sud-ovest e di sud-est: il primo venne nettamente arrestato ad oriente dalla linea Segnale 279-nord-est di Giavera; il secondo fu contenuto immediatamente a sud della
ferrovia di San Mauro - S. Andrea.
Nella regione del Grappa respingemmo attacchi parziali nemici, ed eseguimmo riusciti colpi di mano. Venne preso un centinaio di prigionieri.
In fondo Val Brenta e ad oriente della Val Frenzela puntate nemiche furono prontamente
arrestate.
Al margine orientale dell'Altopiano di Asiago truppe nostre strapparono all'avversario il
Pizzo Razea e le alture a sud-est di Sasso prendendovi circa 300 prigionieri; riparti nostri e
del contingente francese attaccarono fortemente, guadagnando terreno, il Costone di Costalunga e vi catturarono alquanti nemici. Numerosi altri prigionieri vennero fatti più ad occidente da truppe britanniche.
Il contegno delle truppe nostre ed alleate nella battaglia è ammirevole.
Dallo Stelvio al mare ognuno ha compreso che il nemico non deve assolutamente passare; ciascuno dei nostri bravi che difendono il Grappa ha sentito che ogni palmo dello storico monte è sacro alla Patria.
Per le grandi giornate del 15 e del 16 giugno e per l'attacco al Tonale del giorno 13, fallito
tentativo d'inizio dell'offensiva nemica, meritano speciale menzione ad esponente del valore di tutti gli altri riparti: la 45a divisione di fanteria, le brigale di fanteria Ravenna (37°,
38°), Ferrara (47°, 48°), Emilia (119°, 120°), Sesia (201°, 202°), Bari (139°, 140°), Cosenza (243°, 244°), Veneto (255°, 256°), Potenza (271°, 272°); Ia 6a brigata bersaglieri (8°,
13°), il 78° reggimento di fanteria francese e particolarmente il primo battaglione, i reggimenti britannici Northumberland Fusiliers, Sherwood, Foresters, Royal Warwick, Oxford
and Bucks Light Infantry; il 13° reggimento fanteria italiano (brigata Pinerolo); il 117° (brigata Padova); il 266° (brigata Lecce); il 2° battaglione del 108° fanteria francese; il 9° riparto d'assalto, i battaglioni alpini M. Clapier, Tolmezzo e M. Rosa e la 178° compagnia
mitragliatrici.
A tutte le artiglierie nostre ed alleate spetta particolarmente il vanto di avere spezzata la
prima foga dell'assalto nemico. Speciale onore va reso alla 7a ed 8a batteria del nostro 56°
reggimento da campagna che restate imperterrite sul Col Moschin circondato, si opposero
al nemico sopra un’unica linea nella quale, a lato dei cannoni, artiglieri e fanti gareggiarono in bravura”.
Generale DIAZ
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MILITARI DECORATI CON L’ORDINE MILITARE DI SAVOIA
COMANDO DI BRIGATA
BALBO BERTONE di SAMBUY VITTORIO, brigardiere generale, - cavaliere – Vittorio
Veneto – Tagliamento – 27 ottobre-4 novembre 1918
37° REGGIMENTO FANTERIA
RUSSO TOMMASO, ten. colonnello di fanteria – cavaliere – Altopiano della Bainsizza, 2431 agosto 1917
DELLA NOCE ROMOLO, ten. colonnello di fanteria – cavaliere – Monte Casonet (Monte
Grappa), 15 giugno 1918.
38° REGGIMENTO FANTERIA
PEDROLLI CLAUDIO, colonnello di fanteria – cavaliere – Plava, 11-16 giugno 1915
MILITARI DECORATI CON MEDAGLIA D’ARGENTO E DI BRONZO
AL VALORE MILITARE
MEDAGLIA D’ARGENTO
37° Regg. Fanteria: Ufficiali, n. 65 – Truppa, n. 49;
38° Regg. Fanteria: Ufficiali, n. 50 – Truppa, n. 33.
MEDAGLIA DI BRONZO
37° Regg. Fanteria: n. 110
38° Regg. Fanteria: n. 150
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COMANDANTI DELLA BRIGATA
Magg. gen. AIRENTI Luigi, dal 24 maggio al 21 giugno 1915.
Magg. gen. PISTONI Giuseppe, dal 27 giugno 1915 al 22 marzo 1917.
Colonnello brig. CARBONE Vincenzo, dal 25 marzo al 17 aprile 1917.
Colonnello brig. PANTANO Gherardo, dal 18 al 26 aprile 1917.
Magg. gen. ALLIANA Pietro, dal 27 aprile all’11 giugno 1917.
Colonnello brig. PUGLIESE Emanuele, dal 17 giugno al 21 novembre 1917.
Colonnello brig. SAPIENZA Luigi, dal 4 dicembre 1917 al 16 aprile 1918.
Colonnello brig. BERTONE BALBO di SAMBUY conte Vittorio,
dal 16 aprile 1918 al termine della guerra.
COMANDANTI del 37° REGGIMENTO FANTERIA
(Dal 24 maggio al 24 agosto comandanti interinali)
Colonnello GILETTI Edoardo, dal 24 agosto al 23 ottobre 1915 (caduto sul campo)
Colonnello BAZZANI Ettore, dal 23 ottobre 1915 al 1 giugno 1916.
Ten. Col. MARTINENGO VILLAGANA Angelo, dal 1 giugno 1916 al 19 gennaio 1917.
Ten. Colonnello NASTASI Gioacchino, dal 21 al 28 gennaio 1917.
Colonnello GRISONI Giuseppe, dal 29 gennaio al 26 giugno 1917.
Ten. Colonnello CEROCCHI Umberto, dal 27 giugno al 31 luglio 1917.
Ten. Colonnello RUSSO, dal 1 agosto al 7 settembre 1917.
Ten. Colonnello BUZZETTI Ettore, dal 7 settembre all’ottobre 1917.
Ten. Colonnello BORASIO Alberto, dal 28 ottobre 1917 al 18 febbraio 1918 (ferito).
Ten. Colonnello DELLA NOCE Romolo, dal 24 marzo 1918 al termine della guerra.
COMANDANTI DEL 38° REGGIMENTO FANTERIA
Colonnello PEDROLLI Claudio, dal 24 maggio al 21 luglio 1915.
Colonnello GILETTI Edoardo, dal 18 agosto al 24 agosto 1915.
Colonnello PEDROLLI Claudio, dal 24 agosto all’8 novembre 1915.
Colonnello SAPIENZA Luigi, dall’11 novembre 1915 al 20 aprile 1916.
Ten. Colonnello SCARDINO Carmelo, dal 24 aprile al 1 novembre 1916.
Ten. Colonnello CORA Giuseppe, dal 5 novembre 1916 al 22 marzo 1917.
Ten. Colonnello NOBILE FOSSATI REJNERI Carlo, dal 27 marzo al 7 aprile 1917.
Colonnello PUGLIESE Emanuele, dall’8 aprile al 17 giugno 1917.
Ten. Colonnello SILVESTRI Eugenio, dal 22 giugno al 30 ottobre 1917.
Ten. Colonnello HUEBER Gaetano, dal 29 novembre al 30 dicembre 1917.
Ten. Colonnello BOSCO Francesco, dal 1 gennaio al 28 gennaio 1918.
Ten. Colonnello DI GIORGIO Nicola, dal 29 gennaio 1918 al termine della guerra.
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