INIZIATIVE Per non dimenticare e per valorizzare una pagina rilevante dei nostri tempi andati Tra sogni e sudore, quell’«oro bianco» che racchiude il sale della nostra storia di Kristjan Knez S abato 21 aprile 2012, presso il Centro pastorale culturale “Georgios” di Pirano, non lungi dal duomo di San Giorgio, è stato presentato il progetto “Vita e lavoro nelle saline di Pirano: la nostra storia”, che, sino alla fine dell’anno, vedrà coinvolte le istituzioni italiane della città in un ciclo di appuntamenti dedicato al sale e alle saline per l’appunto. Alla manifestazione inaugurale, tutta all’insegna del bianco cristallo, in passato merce preziosa e contesa, sono intervenuti i diversi gruppi che operano in seno alla Comunità degli Italiani “Giuseppe Tartini”: l’omonimo coro misto diretto da Milly Monica, i minicantanti seguiti da Dolores Barnabà, il gruppo filodrammatico guidato da Ruggero Paghi e la “famea dei salineri”. I membri di quest’ultima, indossando i costumi tradizionali e con gli arnesi tipici, hanno proposto una serie di proverbi e di modi di dire legati alla salinatura, annunciando la loro “partenza” verso i luoghi di produzione. Testimonianze preziose Dimora nel Vallone Era consuetudine che, proprio dopo la festa patronale, moltissime famiglie del centro storico se ne andassero e prendessero nuova dimora nel Vallone di Sicciole. Lo scrittore e giornalista triestino Giuseppe Caprin, nel volume “Marine istriane”, pubblicato nel 1889, ci offre una preziosa testimonianza: “Partono i battelli e ciascuno trasporta la mobiglia di una casa: i paglioni, le sedie, la madonna, qualche gabbia, boccioni rivestiti di giunchi, la piatteria, le reste d’aglio, le galline e sino il gatto”. Giunti a destinazione ogni paron si sistemava nell’abitazione ossia in una delle tipiche casette in pietra bianca (se ne annoveravano alcune centinaia). Tanto fragile e delicato Era una realtà che non passava inosservata. Antonio Madonizza, nel 1863, in una descrizione della baia di Portorose, pubblicata nella “Guida del viaggiatore in Istria”, scrive: “È un’insenatura superba, capace a raccettare formidabile navilio contro l’infuriare de’ venti; e i dossi e i monti che la serrano pompeggiano di festosa e peregrina coltura, mentre nel fondo biancicano le mille caserelle della superba valle salifera di Sicciole”. A fine aprile, infatti, iniziava la stagione produttiva. Nei mesi freddi, i lavori di manutenzione e gli interventi di ogni tipo servivano in realtà a preparare la nuova campagna salifera, un detto insegnava chiaramente che el sal se fa d’inverno. Segue a pagina 2 IN QUESTO NUMERO Sudore e sogni hanno spesso accompagnato l’esistenza degli istriani nei secoli scorsi (e non c’è motivo di credere che oggi la situazione sia radicalmente diversa). Ne sono una testimonianza le famiglie dei salineri della parte alta della penisola. Per non dimenticare questa pagina di storia e per valorizzare una lunga tradizione, a Pirano è stato avviato un ampio progetto, che vede coinvolti diversi enti e istituzioni. Ce ne parla in apertura Kristjan Knez. A fianco del suo contributo, un articolo di Carla Rotta su Maclavun, mentre al centro Daniela Jugo Superina rispolvera la vicenda della Raffineria di Fiume e dei suoi 130 anni. In questi giorni in Croazia si è discusso del ruolo del giornalismo, della libertà e dignità professionale, dello svincolo da un certo tipo d’informazione al servizio della proprietà, rispettivamente della “sete” di scandali a tinte forti. Circa una settimana fa si è tenuto a Perugia il Festival internazionale del giornalismo, con riflessioni sulle nuove sfide, anche in riferimento alle tecnologie sempre più avanzate e alla forza prorompente dei social network. Pensando però alla “sostanza”, quale dovrebbe essere la funzione vera dei mass media – o una delle loro funzioni – ce lo ricorda Fabio Sfiligoi, citando il caso Watergate e l’impegno dei cronisti del “Washington Post”, Carl Bernstein e Bob Woodward. In chiusura, una curiosità. Il collega Krsto Babić è rientrato da Perugia con la co- pia di un vecchio giornale inglese e una notizia risalente al 1861 relativa a Fiume. La municipalità fiumana aveva inviato un messaggio a Francesco Giuseppe I supplicandolo di togliere la città dalla giurisdizione della Croazia – cui era passata dopo il rivoluzionario 1848/1849 – e di riannetterla all’Ungheria. Viceversa, gli abitanti slavi della Dalmazia gli avevano inviato una petizione – in chiave anti-italiana – a favore dell’accorpamento della loro provincia con la Croazia. Quando di dice l’informazione che fa storia... LA VOCE ce vo /la .hr dit w.e ww Ospite particolarmente gradita è stata Elsa Fonda, Maestra della voce e annunciatrice storica della RAI, che ha interpretato un passo tratto dal suo romanzo “La cresta sulla zampa”, un libro ricco di memoria storica, con tasselli di autentica vita piranese. Nelle pagine dedicate alle saline, si legge che esse “(…) esigevano schiene, mani e piedi rovinati” e dura era la vita di chi si guadagnava il pane grazie a quel lavoro; i salinai “preoccupati delle loro fossette fatali, spiavano il cielo. Se la riva scura era tagliata da lampi, accendevano il lume a petrolio. Era tutto un correre sugli argini resi viscidi dal fango, un affannarsi bagnato di pioggia e sudore per salvare la messe bianca, che li circondava nella realtà e nei sogni”. DEL POPOLO storia e ricerca An no VIII • n. 2 201 64 • Sabato, 5 maggio 2 storia e ricerca Sabato, 5 maggio 2012 Dalla prima pagina In quella parte dell’anno, dunque, nel rispetto degli insegnamenti secolari, uomini esperti curavano ogni singolo segmento di quell’ambiente così particolare e al tempo stesso tanto fragile e delicato. Nomi e procedimenti Erano particolarmente attenti ai vari bacini attraverso i quali passa l’acqua marina, ognuno dei quali ha uno specifico nome: moraro del fossado (primo grado di evaporazione), moraro de meso (secondo grado di evaporazione), soracorbolo (terzo grado di evaporazione), corbolo (quarto grado di evaporazione), servidor (quinto grado di evaporazione), quindi i cavedini cioè i bacini di cristallizzazione. Accanto ad essi vi erano anche le mesarole, gli arginetti situati tra i cavedini,in cui si raccoglieva il sale, la fossa, vale a dire quella sezione all’angolo del bacino di cristallizzazione in cui si conservava l’acqua madre o salamoia, specie prima dei temporali estivi, oppure le verghe o tressi, i piccoli argini, i cavassai, gli arginetti di passaggio, o ancora i vari canali di divisione tra i vari bacini, come la lida dei cavedini o la lida dei servidori. L’età d’oro della Serenissima Ogni singola parte ha una sua denominazione, proprio come tutti gli ordegni, gli arnesi utilizzati, i cui nomi furono acquisiti e perciò utilizzati anche da chi rimpiazzò i vecchi lavoratori dopo l’esodo della metà degli anni Cinquanta dello scorso secolo. Per un lungo periodo la salinatura aveva rappresentato una delle principali attività economiche del Piranese. Il cristallo prodotto costituiva un introito importante vuoi per i singoli proprietari degli stabilimenti saliferi vuoi per il Comune e più in generale contribuì alla fortuna della Repubblica di Venezia, che deteneva il monopolio sul commercio dell’“oro bianco”. Guadagni ragguardevoli I guadagni ragguardevoli furono determinanti allo sviluppo in senso lato della città di San Giorgio, non per nulla un detto ricorda che essa era cresciuta sul sale. È una dimensione che dobbiamo debitamente tenere presente, escluderla porterebbe inevitabilmente a considerazioni errate ossia a una lettura incompleta del passato. Attraverso il sale e il suo smercio siamo in grado di cogliere l’evoluzione della società e del centro urba- no, è una spia che ci permette di analizzare il passato del territorio in questione. Per un lungo periodo, dunque, sino a una quarantina d’anni fa circa, l’attività salifera contraddistingueva l’economia locale. La parabola discendente Certo, l’età per molti aspetti gloriosa, registrata durante il dominio della Serenissima, non si sarebbe ripetuta, comunque, anche nella prima metà del Ventesimo secolo continuò a rivestire un ruolo notevole, malgrado i problemi che interessarono quel settore tra Otto e Novecento. Alla fine degli anni Sessanta del secolo scorso, con la chiusura delle saline di Fontanigge e di Santa Lucia, queste poi bonificate, la parabola discendente di quest’attività conobbe un’accelerazione. I tempi erano ormai mutati profondamente. I metodi di produzione tradizionali non potevano essere concorrenziali a quelli di tipo industriale e di conseguenza il sale piranese fu rimpiazzato da quello proveniente dalle altre saline adriatiche dell’allora Jugoslavia o mediterranee, in primo luogo dalla Tunisia. Il secondo dopoguerra ave- va anche trasformato radicalmente la società del Piranese, l’esodo e il conseguente assottigliamento della popolazione autoctona ebbero ripercussioni pure sull’economia. Settori come la cantieristica e la salinatura per l’appunto, mestieri che richiedevano, per forza di cose, una specializzazione specifica, che si acquisiva dai più anziani e quindi si tramandava di generazione in generazione, ne risentirono notevolmente. Oggi solo un ricordo La cesura della metà degli anni Cinquanta non avrebbe tardato a manifestarsi e determinò una riduzione significativa di quelle attività. La produzione tuttora esistente in una parte delle saline di Lera e di Strugnano rappresentano una sorta di ricordo di un settore economico radicato sul territorio. L’interesse, inoltre, si è spostato sul versante della salvaguardia e della presentazione del mondo dei salinai, che ha profondamente condizionato la storia piranese. Per questo motivo una ventina d’anni or sono, a Fontanigge fu inaugurato un museo interamente dedicato alle saline, curato dal Museo del mare “Sergej Mašera”. La Comunità degli Italiani, da parte sua, è da sempre attenta a questa Foto di Ubald Trnkoczy, di proprietà della Comunità degli Italiani “Giuseppe Tartini” di Pirano. Le immagini (tra cui quella in copertina) rappresentano il lavoro nelle saline – una simulazione da parte dei membri della “famea dei salineri” (levatura del sale e trasporto del prodotto dai bacini di cristallizzazione) – e dei cumuli di sale al tramonto (saline di Lera, Vallone di Sicciole) dimensione. Rammentiamo che un decennio fa ha edito il volume “El sal de Piran”, che riscosse un ottimo successo. Rievocazioni annuali Ogni anno, inoltre, in concomitanza con la festa di San Giorgio e la festa dei salinai, il sodalizio è presente alle varie iniziative, mentre da due lustri, al suo interno opera la “famea dei salineri”, un gruppo folcloristico il cui fine è far conoscere il mondo delle saline e del lavoro intorno alle stesse e quindi tramandare il ricco patrimonio culturale ed etnografico ad esse legato. Per ricordare il decennale a maggio verrà presentato il cataloghino ad essa dedicato. Quest’anno, sulla scia delle esperienze passate, è stato ideato il progetto “Vita e lavoro nelle saline di Pirano: la nostra storia”, curato da chi scrive, il cui primo appuntamento è stato proposto proprio in concomitanza con i festeggiamenti del patrono cittadino. Le varie tappe Il ciclo prevede otto incontri dedicati interamente alla vita e al lavoro, come recita il titolo, in quell’ambiente così particolare. Sarà un modo per riflettere su un mondo ormai scomparso in cui si coinvolgeranno gli ultimi salinai, la cui preziosa testimonianza è degna d’essere registrata e divulgata. Vi sarà spazio per la quotidianità, il ruolo svolto dei singoli membri delle famiglie, il dialetto con il suo peculiare gergo dei salineri, con una terminologia, modi di dire, proverbi, ecc., circoscritti al Piranese, la cucina particolare che utilizzava quanto l’ambiente salino offriva, le operazioni di incanovo del sale cioè d’immagazzinamento, con il trasporto del bianco cristallo dalle zone di produzione ai depositi di Santa Lucia e di Fisine presso Portorose, nonché il sempre esistente contrabbando, un fenomeno costante che non venne meno malgrado i vari passaggi sotto governi diversi. Si tratta di una pagina di storia degna della massima considerazione che, nel corso dell’anno, cercheremo d’affrontare in collaborazione con gli esperti nei singoli settori e con i salinai stessi, testimoni diretti e pertanto meritevoli della nostra attenzione. Gli appuntamenti Sabato 21 aprile Centro pastorale culturale “Georgios”, Pirano: presentazione del progetto “Vita e lavoro nelle saline di Pirano: la nostra storia” Venerdì 11 maggio Parco Naturale delle Saline di Sicciole-Lera: “Pirano e il sale attraverso i secoli” Venerdì 15 giugno Parco Naturale delle Saline di Sicciole-Fontanigge: “Vivere e lavorare nelle saline” Venerdì 6 luglio Parco Naturale delle Saline di Strugnano: “Le saline di Strugnano” Venerdì 21 settembre Spazio espositivo Monfort (ex magazzino del sale): “Portorose Il contrabbando, il trasporto e l’incanovo del sale” Venerdì 12 ottobre Parco Naturale delle Saline di Sicciole-Lera: “La cucina dei salineri” Venerdì 16 novembre Casa Tartini: presentazione del libro “Contratti del sale di Pirano 1375-1782”, curato da Flavio Bonin. Venerdì 7 dicembre Galleria civica, “Pirano Le saline di Pirano ieri, oggi e domani”? I risultati in un volume Quanto emergerà dai singoli incontri assieme agli altri materiali raccolti: esperienze di vita, documenti, fotografie, scritti, ecc, confluiranno in un successivo volume, la cui cura e stampa avverranno l’anno prossimo. L’obiettivo è non dimenticare e al contempo valorizzare una pagina rilevante dei nostri tempi andati. Il progetto è ideato e promosso dalla Comunità autogestita della nazionalità italiana di Pirano con l’apporto della Comunità degli Italiani “Giuseppe Tartini” e della Società di studi storici e geografici di Pirano, in collaborazione con il Museo del mare “Sergei Mašera” di Pirano, il Parco Naturale delle Saline di Sicciole, il Parco Naturale di Strugnano e le Gallerie Costiere di Pirano. Kristjan Knez storia e ricerca 3 Sabato, 5 maggio 2012 ARCHEOLOGIA Novità da uno dei siti più importanti dell’età del bronzo nell’Alto Adriatico Maclavun, si respira aria d’Egitto tutta colpa (o merito) del Sole Maclavun I di Carla Rotta l Mediterraneo. Non c’è mare al mondo così intriso di storia, di civiltà, di misteri, di domande e di risposte. Da nord a sud, da est a ovest è stato attraversato da genti, mestieri, culture. Hanno affrontato e domato le sue onde grandi navigatori, commercianti e pirati. È stato teatro di incontri e di sanguinosi scontri. Sui legni che hanno toccato le sue sponde non solo merci: pittura, scultura, scienza, architettura, agricoltura, astronomia, navigazione, coltivazione hanno trovato dimora in ogni punto lambito dalle onde. E non c’è quindi da stupire se molte parole, con qualche dettaglio sul quale è facile sorvolare, si assomigliano pur appartenendo a ceppi linguistici diversi. Non c’è da stupire se in tutta l’area del Mediterraneo bianche costruzioni a cupola (o quadrate) di pietra costellano la campagna. Non c’è da stupire se usi e tradizioni uniscono genti che la geografia divide. Ricerche multidisciplinari L’archeologia fa nuove scoperte. Sembra un paradosso: le scoperte sono nuove per derivazione, e quello che l’archeologia porta in superficie ha un sapore antichissimo. Nuove conoscenze, nuovi strumenti e non da ultimo la multidisciplinarità offrono chiavi di lettura nuove e più complete di quanto non era stato possibile leggere fino ad ora. Archeologia ed etnografia, etnologia, arte, medicina, chimica... quanta polvere ha tolto da muti reperti, ad esempio, il carbonio... quante domande hanno trovato risposta grazie alla medicina forense. L’archeologia ha sposato l’astronomia. L’uomo ha da sempre guardato al cielo, ha letto i suoi segni per capire il tempo, per coltivare la terra ed avere il cibo, per calcolare il tempo (in giorni e periodi ben più lunghi), per interpretare gli altri segni della natura, per trovare le vie che lo porteranno in altri mondi e che lo faranno ritornare a casa. Questi antichi popoli di commercianti e navigatori, agricoltori e costruttori, per vivere leggevano il cielo. Interpretavano le stelle, il loro movimento. E quelle luci lontane hanno rischiarato il loro intelletto e il loro percorso. Scambi mediterranei Quattromila anni fa, mentre in Egitto saliva verso l’infinito la maestosa piramide di Cheope e dall’Asia Minore giungevano in Europa i cereali che ancor oggi portiamo sulle nostre tavole, una civiltà attraversava il Mediterraneo, da Cipro, per spingersi fino all’Irlanda. Una civiltà che per attraversare il mare usava il legno, solide navi di cedro e conifere, che faceva uso di resine per proteggere i preziosi legni dai morsi del sale e che proteggeva la prua con lo spago intrecciato. Ottimi navigatori. Ottimi costruttori. Ecco, questa civiltà pelagico marinara giunge nel Mediterraeo per fondare colonie, per crearsi spazi vitali lontano dal costante pericolo di orde selvagge. Una parentesi. Dicevamo dell’Egitto e delle sue piramidi, dell’Asia Minore e della sua importante agricoltura, di popoli marinari... Che cosa hanno in comune? Perché, se trovano posto una accanto all’altra, in un’unica proposizione, qualcosa in comune queste civiltà certamente ce l’hanno. Il Sole. Hanno in comune il culto del Sole. Non a caso: il Sole è vita. Ancor più laddove ce n’è di meno, al Nord. Chiudiamo la parentesi. Ricchezza e miseria Ma perché parliamo di storie così lontane, geograficamente e temporalmente? OK: di tempo ne è passato molto davvero, ma in quanto ad una distanza geografica, non ci siamo. Tracce di notevole valore e interesse di questa civiltà sono riscontrabili sul territorio di un po’ tutta l’Europa. Anche da noi. Si tratta di imponenti costruzioni, spesso purtroppo ridotte a cumuli di pietre che ad un passante distratto potrebbero anche non dir niente. L’Istria ne è ricca: costruzioni sepolcrali, mura fortificatorie, pietre tombali. Moltissime sconosciute, sono giunte a noi perché spesso coperte da boschi più o meno fitti, o perché sorte in luoghi oggi quasi inaccessibili. Anzi, ieri inaccessibili. La febbre dell’olivo ha fatto sì che vaste superfici venissero attaccate da ruspe e macchinari pesanti, che non hanno avuto pietà delle vegetazione ne tanto meno di quello che la vegetazione aveva custodito. Molti di questi resti, che certamente non sono stati solo ammassi di pietra, grazie allo scriteriato intervento dell’uo- Moncodogno mo lo sono diventate: semplici e fastidiosi ammassi di pietre. Quello che l’uomo ha costruito, l’uomo ha distrutto. Ah, follia! Quella che guarda al momento senza rispetto per il resto. Molti di questi siti, una volta scoperti (non dalla scienza) sono diventati supermarket del furto. Ma in molti casi è stato dimostrato che neanche ai tempi di Roma si era andati per il sottile: vi si cercava oro, ma soprattutto giada. La tomba di un dignitario Quello che, per molti versi, ha fatto spalancare gli occhi agli addetti del mestiere – archeologi in primis, ma poi arriveranno anche altre discipline – è Maclavun, località archeologica tra Canfanaro e Rovigno. Una prima spalancata d’occhi è stata causata dalla scoperta del sito, poi dalla sua lettura, quindi da una possibile interpretazione, poi dalla devastazione alla quale è condannato. Purtroppo si trova nei pressi di una cava di pietra; anzi no, sarebbe più esatto dire che la cava di pietra si trova vicino al sito, perché Maclavun con il suo sepolcro e il suo fascino è venuto prima. Maclavun è uno dei siti archeologici più importanti dell’età del bronzo nell’Alto Adriatico. La specificità del tumulo è rappresentata dall’esistenza di un sorta di corridoio – dromos, e dalla camera funeraria – tholos. Ha attirato l’attenzione di molti moderni predatori, che lo hanno derubato prima dell’avvio delle indagini archeologiche. I reperti rinvenuti e i grandi blocchi di pietra della cupola autorizzano a sostenere che a Maclavun avesse trovato sepoltura un dignitario, o uno “sciamano/stregone”, qualcuno di importanMaclavun te, insomma, al quale il suo popolo aveva voluto regalare l’eternità. A cominciare grossomodo dal 1500-1200 a.C. Sono ipotesi da convalidare, ma già così sembrano avere abbastanza credito. Una risposta senza “ma” e “però” avrebbe bisogno della prova che potrebbe venir fornita dalle pietre megalitiche che circondavano il sepolcro. Un’altra ipotesi ha bisogno di conferma. Come abbiamo detto, il tumulo ha sia la dromos che la tholos. Ebbene, il corridoio è rivolto a ovest e quindi consentiva di... monitorare il solstizio. Che Maclavun, prima di divenire dimora del dignitario o comunque un notabile come abbiamo detto, fosse stato osservatorio astronomico? Si tratterebbe del primo osservatorio su territorio nazionale, ad essere precisi (ed orgogliosi, naturalmente). Perché no? All’epoca il calendario non esisteva, e il solstizio d’inverno, quando il giorno cessa di accorciarsi e comincia lentamente a rosicchiare tempo alla notte, veniva determinato con l’aiuto di questi particolari osservatori. Nella vita della gente il solstizio d’inverno aveva un’importanza cruciale: il giorno cresceva, le ore di luce pian piano superavano quelle del buio. Si andava verso la rinascita come del giorno, cosi’ della natura. Un pizzico di Micene? Maclavun come Stonehange? O forse come Newgrange? O Micene? Che cosa c’entra Micene? C’entra eccome. Nel corso di recenti ricerche nel Rovignese (su località dei castellieri) Bernhard Michael Hänsel dell’Istituto per l’archeologia della preistoria dell’Università di Berlino e Biba Terzan di Lubiana hanno avanzato l’ipotesi che Maclavun potesse essere una tholos micenea dell’età del bronzo, un importante esempio di architettura monumentale funeraria preellenica. La civiltà micenea aveva fatto sue le rotte del Mediterraneo: lo navigavano alla ricerca di nuovi commerci, ma a spingerli era certamente anche la conoscenza. Profuma di Micene anche il sito di Moncodogno, sempre nel Rovignese. Ma è oltremodo interessante anche il sito di S. Angelo Piccolo, nel Parentino, con la sua forma a ferro di cavallo. Le risposte le dovrebbe dare l’archeoastronomia, due scienze in una, che oltre a dare risposte su Maclavun e Moncodogno, potrebbe spiegare anche la funzione (oltre a quella religiosa, sacra) delle chiese campestri del Dignanese (più sono vecchie e migliore è la loro orientazione Est – Ovest, con una finestrella – fessura sulla facciata rivolta ad Est. Perché solo questo taglio? Per lasciar passare un... laser a segnare e misurare il tempo. Torniamo a Maclavun e all’inizio della nostra storia. Millenni fa, un popolo marinaro attraversò il Mediterraneo e si spinse fino all’Irlanda... 4 storia e Sabato, 5 maggio 2012 ANNIVERSARI Fortemente voluta, i suoi inizi risalgono al 1882, per cui quest’anno celebriamo i Raffineria fiumana: una storia di pro di Daniela Jugo Superina M entre stiamo vivendo una sorta di crepuscolo industriale di Fiume, è ancora fresco nelle nostre... narici il “profumo” della Raffineria in Mlaka. Per decenni abbiamo maledetto quei miasmi ammorbanti che si diffondevano, specie nelle giornate di scirocco, invadendo una vasta area cittadina, arrivando addirittura fino a Pehlin. Fino alla sua chiusura definitiva, siamo stati testimoni di centinaia di appelli e campagne affinché gli impianti venissero chiusi e trasferiti altrove. Tutti volevano che quel “mostro puzzolente” scomparisse una volta per sempre, perché tutti preferivano l’aria pulita alla puzza, la brezza che trasporta la fragranza di mare alle nubi tossiche. Più di un secolo fa, i nostri antenati desideravano ardentemente – e l’ottennero – una situazione diametralmente opposta. Come dire, quanto più fumo dalle ciminiere delle fabbriche. Tra queste ciminiere, un posto di rilievo lo avevano proprio i tanto detestati miasmi della Raffineria. struzione della raffineria a Fiume è partita dalla società francese “Les Fils du Alexandre Deutsch de la Meurthe” di Parigi, che aveva rapporti d’affari con la Banca generale di credito ungherese. Non essendoci nel Paese aziende sufficientemente potenti, la concessione per la costruzione della Raffineria di Fiume è stata assegnata proprio alla società parigina. Il progetto dell’architetto Mate Glavan Lo sviluppo della situazione fu estremamente veloce, repentino, perché il capitale non poteva attendere. In un primo momento si era pensato di costruire la raffineria nella baia di San Martino (Martinšćica), ma alla fine ha prevalso la zona, peraltro poco popolata, di Mlaka, nei pressi degli impianti per la pilatura del riso e del Siluri- Prodotti con il marchio della Raffineria fiumana Fiore all’occhiello del patrimonio industriale Il Reparto Oli lubrificanti dell’INA, però, è stato soltanto una pallida ombra degli impianti pionieristici della prima raffineria fiumana, fiore all’occhiello del patrimonio industriale della città e coronamento dell’enorme potenza produttiva della Fiume ungarica. I suoi inizi risalgono al 1882, per cui quest’anno celebriamo i 130 anni dall’inizio della lavorazione del petrolio a Fiume. Anche se il petrolio è conosciuto da diverso tempo, il suo sfruttamento sistematico inizia appena verso la metà del XIX secolo, quando negli Stati Uniti vengono effettuate le prime trivellazioni. L’utilizzo su larga scala dei derivati del petrolio si diffuse nella seconda metà del secolo sia in America che in Europa. Un ruolo di prim’ordine lo aveva il petrolio illuminante, seguito dalla paraffina, dagli oli lubrificanti e dal bitume. La diffusione della benzina, che in un primo momento veniva utilizzata in piccole quantità nel campo della medicina e come sostanza per le pulizie, non aveva ancora preso piede. Le prime raffinerie europee erano in effetti delle manifatture, con non più di una decina di dipendenti. Quella di Câmpina, in Romania, è la prima grande raffineria in Europa, mentre la raffineria di Oljeön (letteralmente isola del petrolio), in Svezia, viene considerata come il primo impianto industriale di questo tipo. Già negli anni Settanta, nel porto di Fiume giungevano importanti quantitativi di petrolio. Le autorità ungheresi, svincolate dalla tirannia austriaca e trascinate dall’entusiasmo di voler creare una grande nazione e una grande potenza europea, individuarono nello sviluppo dell’industria la base del proprio rilancio. Il crescente capitale sovranazionale andava alla ricerca di nuovi investimenti e le autorità ungheresi cercavano di indirizzarlo proprio verso la lavorazione del petrolio, riducendo le imposte sull’importazione del petrolio e aumentandole sull’importazione dei derivati. Condizioni ottimali L’Ungheria importava il greggio principalmente dagli Stati Uniti, naturalmente attraverso il porto di Fiume, motivo per cui risultava logica l’ubicazione della raffineria a Fiume. Un porto moderno e buoni collegamenti ferroviari assicuravano le condizioni ottimali per accogliere il greggio e mandare via prodotti finiti. Nell’autunno del 1882, a Budapest è stata fondata la Raffineria oli minerali (nel XIX secolo il petrolio veniva comunemente chiamato “olio minerale”). Si trattava di una società per azioni che faceva parte dell’immenso impero della famiglia Rothschild, che deteneva quasi l’80 per cento del pacchetto azionario tramite varie aziende e banche che erano proprietà di questi magnati. Tanto per far capire la loro grandezza, si ritiene che nel XIX secolo, quando facevano il bello e cattivo tempo nell’Europa degli affari, i Rothschild possedessero la più grande ricchezza privata mai registrata nella storia dell’umanità. Tra le finalità che si proponeva la neocostituita società, cosa riportata pure nello statuto, c’era la costruzione di nuove, moderne raffinerie, a partire da Fiume. L’iniziativa relativa alla co- La costruzione dei primi serbatoi per il petrolio illuminante Lo schema del primo agitatore per la raffinazione del petrolio illuminante di Mate Glavan Il progetto della Raffineria dell’architetto Mate Glavan nel dicembre del 1882 cessario, pertanto, livellarla e l’unico modo per farlo era con cariche esplosive, per cui le mine venivano fatte brillare in continuazione. In poco tempo è stato estratto mezzo milione di tonnellate di pietra, usata in parte per la costruzione del porto. Qualche lamentela da parte degli abitanti della zona non è certamente servita a fermare i lavori, lamentele che sono praticamente scomparse quando la Raffineria ha proceduto all’acquisto dei piccoli appezzamenti di terra attorno al cantiere. Nel marzo del 1883, l’architetto Glavan ha portato a termine il progetto, preciso e particolareggiato, della Raffineria ed è iniziata la costruzione degli impianti. A questo punto entra in scena Milutin Barač, spesso indicato come “padre” della Raffineria fiumana. Illustre chimico e studioso, agli inizi degli anni Settanta, Barač venne assunto alla Raffineria Petroleum di Vienna, proprietà di Gustav Wagenmann. Già allora era apprezzato come un lavoratore valido e capace, oltre che innovatore. Infatti, Barač ha brevettato il procedimento per l’ottenimento della ceresina pura (cera microcristallina). Forte della sua posizione, Milutin Barač ha aderito al concorso per l’incarico di direttore tecnico della Raffineria di Fiume. Alla domanda ha allegato la bellezza di 14 Entra in scena Milutin Barač tra diplomi e riconoscimenti e il 13 dicembre del L’area su cui è stata costruita la raffineria era 1882 ha ottenuto l’incarico, che manterrà per i tipicamente carsica e piuttosto impervia. Fu ne- successivi quasi quarant’anni. A causa degli im- ficio. Il lotto è stato acquistato il 18 novembre 1882. Allo stesso tempo, il Governo acquistò il terreno dell’ex mulino a vapore per costruirvi il porto petroli. Soltanto due giorni più tardi, sulle pagine de “La Bilancia” si potevano leggere lodi sperticate in seguito a queste importanti decisioni: “Ognuno comprenderà l’immensa importanza e l’utilità per la città nostra di tale decisione, a mercé della quale viene ad accrescersi il numero degli opifizi industriali in Fiume, tra i quali quello della raffineria dell’olio avrà la supremazia per grandiosità – basti dire che si calcola che approderanno qui ogni anno, cariche di materia oleosa greggia, per la nuova fabbrica, non meno di 50 navi”. Il progetto di massima della nuova raffineria fu elaborato dall’ingegner Mate Glavan, il primo architetto professionista di Sušak. Il suo progetto venne allegato alla richiesta di rilascio del permesso di costruire, inoltrato l’11 dicembre 1882 al Reparto comunale per la sicurezza pubblica. Come solitamente avviene, l’amministrazione cittadina non aveva poi tanta fretta, per cui il permesso venne rilasciato appena l’8 febbraio del 1883, anche se l’edificazione del Porto petroli era già iniziata verso la metà di dicembre del 1882. La lettera di Milutin con lo schema della c pegni presi nei confronti di Wagenmann, non era nella possibilità di assumere subito l’incarico a Fiume. Nonostante ciò, fin dall’inizio dava precise indicazioni relative alla costruzione degli impianti, e lo testimonia il fitto carteggio tra lui e Wilhelm Singer, direttore amministrativo della Raffineria. Singer era membro della direzione della società e direttore della ditta “Steinacker & C.o.”, che era coinvolta nell’opera di costruzione degli impianti fiumani. Dopo aver risolto tutti i suoi problemi, il 20 maggio del 1883 Milutin Barač giunse a Fiume con l’intera famiglia e prese alloggio in un edificio che si trovava all’interno del complesso industriale della Raffineria. Il primo carico di petrolio greggio Mentre i lavori erano ancora in corso, verso la fine di luglio del 1883 arrivò a Fiume dagli Stati Uniti, a bordo del veliero “Paragon”, il primo carico di petrolio greggio. Considerato che nemmeno il Porto petroli era stato ultimato, il carico di petrolio – poco meno di cinquemila barili, sistemati in botti e cassoni – è stato trasbordato dapprima su imbarcazioni più piccole e poi sulla terraferma. Già verso la metà di agosto, Barač aveva elaborato un regolamento relativo alle operazioni di scarico del petrolio. I lavori di costruzione della Raffineria erano seguiti da una speciale commissione comunale, i cui membri, ricerca Sabato, 5 maggio 2012 5 130 anni dall’inizio della lavorazione del petrolio ogresso, modernità e forza di una città La Raffineria di Mlaka al giorno d’oggi Milutin Barač, il “padre” della Raffineria fiumana Barač era molto rigoroso e insisteva sulla disciplina, di modo che un operaio che ritardava sul lavoro più di dieci minuti perdeva un terzo della diaria. Nel 1886, quando Fiume venne colpita da un’epidemia di colera, partita proprio dalla vicina fabbrica per la pilatura del riso, Barač e tutti i dipendenti della Raffineria sono rimasti isolati all’interno del complesso industriale, evitando così la diffusione del morbo. Le soluzioni per il futuro n Barač cisterna L’arco costruito con le botti di petrolio in occasione della visita dell’imperatore Francesco Giuseppe nel 1891 dopo aver compiuto un’ultima ispezione l’ultimo giorno di agosto del 1883, misero a verbale il proprio responso, ovvero “che nulla impedisce l’apertura e la messa in funzione della Raffineria”. Era il 12 settembre del 1883 quando Milutin Barač informò la polizia che il giorno dopo parte degli impianti della Raffineria avrebbe cominciato a lavorare. L’evento venne posticipato di un altro giorno, in quanto l’ultima parola spettava alla commissione per l’industria. “La Bilancia” non mancò di annunciare il grande evento: “Questa grandiosa fabbrica, eretta nel periodo di soli nove mesi, inaugurerà domani la sua attività, però parzialmente, restando da completare alcuni lavori... Mentre auguriamo a questa fabbrica liete sorti, facciamo voti ad un tempo ch’essa riesca anche di effettivo vantaggio al nostro paese”. E così fu: il 14 settembre venne avviata l’attività nella più moderna raffineria europea, che riuniva le migliori soluzioni tecnologiche americane e francesi per la lavorazione del petrolio. Vi trovarono subito occupazione circa 300 dipendenti, che dovevano seguire il funzionamento di 12 caldaie cilindriche per la distillazione primaria e sei caldaie per la ridistillazione. Il prodotto principale della Raffineria era il petrolio illuminante, che veniva raffinato in due grandi agitatori. È interessante rilevare che la raffineria disponeva di 24 storte per la trasformazione dei residui di produzione in coke: si chiamavano “diables” per le La costruzione della ciminiera e la sistemazione delle caldaie di distillazione nell’estate del 1883 difficili condizioni di lavoro, in quanto gli operai Nel corso dei primi anni di attività, la Raffineria erano costretti a frantumare ed estrarre il coke an- ha continuato ad estendere la gamma di prodotti. Infatti, oltre al petrolio illuminante riforniva il cora incandescente. mercato di vari tipi di benzine, paraffina, oli luVasta gamma di prodotti brifi canti, bitume, coke, olio gassoso, fosfati. Nei Una settimana dopo l’avvio della produzio- primi dieci anni di attività, negli impianti fiumani ne nella Raffineria, da Fiume sono partiti i pri- venivano lavorate mediamente 57.000 tonnellate mi cinque vagoni di petrolio illuminante. Questa di greggio all’anno e prodotte 46.000 tonnellate prima spedizione è stata seguita anche da “La Bi- di petrolio illuminante. lancia”: “... si deve davvero rimanere meravigliaRigore, disciplina ti per la sollecitudine straordinaria con cui si fecero le cose, tanto più che nella spianata su cui e pochi incidenti sorge la raffineria, nove mesi fa sorgeva un colBen presto la produzione della Raffineria fiule, che fu atterrato a furia di mine e trasportato in pezzi nel mare, per formare il porto per il petro- mana riusciva a coprire circa un terzo dei fabbilio, già anche questo bene avanzato nella costru- sogni dell’intera monarchia. Alla grande esposizione. Questi sì che si possono chiamare miracoli zione del 1885 a Budapest, la Raffineria ottenne il riconoscimento più ambito, il Grande diploma, della scienza, dell’industria e del... denaro!”. Il Porto petroli, che è stato completato nel feb- mentre Milutin Barač è stato insignito con una braio del 1884, ha accolto le prime navi già nel medaglia per l’esemplare conduzione della fabnovembre del 1883. Vi potevano attraccare allo brica. Fino alla metà degli anni Novanta del XIX stesso tempo cinque grandi navi. Lo stoccaggio secolo, gli azionisti sono riusciti a decuplicare il avveniva in un primo tempo in quattro serbatoi, capitale investito. Il lavoro alle caldaie, agli agimentre successivamente, nel 1884, ne vennero tatori e ai serbatoi era molto difficile e potenzialcostruiti altri due. In quello stesso anno venne- mente anche molto pericoloso. Nonostante ciò, ro costruiti un agitatore più piccolo per la raffi- gli incidenti in Raffineria rappresentavano una nazione della benzina e la fabbrica di paraffina. rarità grazie alle precise misure di tutela sul lavoLa fabbrica di oli lubrificanti ha cominciato a la- ro e alla conduzione delle varie operazioni. Oltre vorare nel 1887. Nel frattempo sono stati eretti i a Barač, nell’ambito del complesso della Raffiserbatoio per i prodotti chimici e l’acqua, nonché neria avevano la propria abitazione anche alcuni l’edificio per gli uffici e un edificio residenziale. altri esperti, lavoratori e membri della direzione. La Raffineria è riuscita a sopravvivere alle guerre mondiali, alle varie crisi politiche ed economiche, ai bombardamenti alleati e alle mine tedesche. La prima ciminiera, costruita nel 1883, è stata messa nel 2004 sotto tutela preventiva da parte del ministero della Cultura come prezioso monumento del patrimonio industriale del Paese. La Raffineria dava lavoro e manteneva migliaia di fiumani. È stata oggetto di studi da parte di storici e appassionati del passato della nostra città. In occasione dei vari anniversari, venivano pubblicate monografie nelle quali si potevano leggere i risultati delle ricerche di eminenti esperti come Danilo Klen, Marijan Kolombo e negli ultimi tempi Velid Đekić. Anche se non si è spenta in maniera brusca e repentina come altri simboli industriali di Fiume, la Raffineria in Mlaka, alla pari dell’economia della città nella quale si trova, sta vivendo il suo crepuscolo. Dal 2008 non si produce più niente e hanno continuato a lavorare soltanto gli impianti per la miscelazione degli oli. L’area attualmente occupata dagli impianti della Raffineria sta aspettando che vengano decise le sue sorti, ovvero venga definito il riutilizzo di questo spazio immenso, per il quale sono in corso dibattiti pubblici e vengono inoltrate proposte. Sono tante le soluzioni proposte finora. Si va da un centro per l’abilitazione del personale tecnico specializzato per l’industria della raffinazione del petrolio a un grande centro sportivo, ma si parla anche di una grande zona commerciale con albergo... Il nostro sindaco afferma che “125 anni di attività ininterrotta della Raffineria si sono riflettuti nella pessima qualità dell’aria e del suolo”, ma esiste anche l’altra faccia della medaglia, che racconta una storia di progresso, modernità e forza di una città nella quale la Raffineria aveva un ruolo importante. P.S.: Le autorità dello Stato libero di Fiume hanno compiuto nel 1922 un gesto vergognoso cacciando dalla città Milutin Barač, che all’epoca aveva 74 anni, e la sua famiglia. Barač si è trasferito a Zagabria per poi ritornare nel suo paese natio, Donja Zelina. Morì nel 1938 e venne sepolto nel cimitero locale. Fiume ha voluto rendergli onore, ribattezzando l’ex via dell’Industria in via Milutin Barač. 6 storia e ricerca Sabato, 5 maggio 2012 PILLOLE Quarant’anni fa il «caso Watergate», uno scandalo senza precedenti che sconvo Per un giornalismo d’inchiesta arb I veri giornalisti del “Washington Post”, Carl Bernstein e Bob Woodward P er gli Stati Uniti, nel biennio 1972-74, quarant’anni fa, il “caso Watergate” rappresentò uno scandalo politico senza precedenti (forse il primo di una certa portata in quella che ancora oggi viene definita la democrazia occidentale più sviluppata al mondo), che sconvolse l’intero Paese, mettendo sotto accusa la classe dirigente repubblicana e costringendo infine alle dimissioni il presidente Richard Nixon, il 9 agosto 1974. Durante un difficile periodo per l’America, mentre la guerra in Vietnam era in pieno svolgimento, alla vigilia della campagna per le elezioni presidenziali (dove però i sondaggi danno come favorito proprio il Partito repubblicano), negli uffici della Casa Bianca individui senza scrupoli e agenti della CIA stroncarono con qualsiasi mezzo, anche illegale, ogni forma di dissenso. Per bloccare una fuga di notizie scottanti sulle operazioni belliche in Vietnam, e screditarne il presunto responsabile, l’analista militare Daniel Ellsberg, venne devastato lo studio dello psichiatra di quest’ultimo a Los Angeles. Ma il 17 giugno 1972, la squadra degli “idraulici” (i “plumbers”) creata all’ombra del presidente e incaricata di condurre le operazio- Il momento dell’annuncio delle dimissioni. Il presidente Nixon con la moglie ni di sabotaggio e spionaggio, venne sorpresa in flagranza di reato all’interno degli uffici del Partito Democratico, nel complesso del Watergate a Washington. Tra gole profonde e idraulici Lo scandalo scoppiò immediatamente, appena i colpevoli (in particolare James McCord, ex FBI e CIA) si qualificarono come agenti governativi, e venne alimentato dall’inchiesta giornalistica condotta da due reporter del “Washington Post”, Carl Bernstein e Bob Woodward, che pubblicarono le rivelazioni di una misteriosa fonte, chiamata “gola profonda”, svelando il diretto coinvolgimento dello staff presidenziale nelle attività illegali. I due diventeranno il simbolo del giornalismo d’inchiesta. Tra gli “idraulici” arrestati, protagonisti di numerose effrazioni, figuravano infatti Howard Hunt e Gordon Liddy, membri del comitato per la rielezione di Nixon, presieduto dal Ministro della Giustizia John Mitchell. Nel novembre 1972, Nixon era stato, come facilmente previsto dai commentatrori dell’epoca, riconfermato alla presidenza, ma i successivi tentativi di insabbiare le responsabilità sul “caso Watergate”, comprando il silenzio delle spie catturate, entrarono in contrasto non solo con il procedimento giudiziario nel frattempo indetto, ma anche con il crescente sdegno di gran parte dell’opinione pubblica. L’evidenza dei fatti e la gravità della minaccia alla vita democratica del Paese spinsero nel 1973 all’istituzione di una Commissione Senatoriale d’inchiesta, creata con lo scopo di vagliare il coinvolgimento della Casa Bianca nello “sporco affare” e le colpe dello stesso presidente. Nixon, pur rendendosi conto che la propria posizione diventava sempre piu precaria e minacciata, non si rassegnò e, anzi, proseguì con ostinazione la battaglia contro i suoi accusatori. Dal 17 maggio 1973 al 27 giugno 1974, durante le udienze che tutti i cittadini seguirono con intensa partecipazione, furono via via sottoposti alle interrogazioni del senatore Sam Ervin, presidente della Commissione, tutti gli uomini del presidente: il capo dello staff Bob Haldeman, il consigliere John Ehrlichman, il vicedirettore del comitato di rielezione Jeb Stuart Magruder e il consigliere legale presidenziale John Dean: solo gli ultimi due, però, ammisero le gravi responsabilità della Casa Bianca. Quattro decenni fa la morte di John Edgar Hoover: l’uomo che sapeva tutto Un altro personaggio ambiguo della recente storia americana, e del quale la vita è stata riproposta in un film diretto da Clint Eastwood, con Leonardo DiCaprio, è John Edgar Hoover. Sono passati 40 anni dalla sua morte, avvenuta il 2 maggio del 1972, all’età di 77 anni, mentre era ancora in servizio. Hoover fu direttore del Federal Bureau of Investigation per circa mezzo secolo, vedendo susseguirsi durante la sua controversa carriera ben otto presidenti degli Stati Uniti. Ha dato vita a reparti dei servizi investigativi federali tuttora molto attivi, i quali si sono rivelati sin da subito strumenti efficaci di lotta contro la criminalità, come l’archivio per le impronte digitali, la cosiddetta “scientifica”, e l’accademia per agenti federali. Al nome di Hoover sono stati accostati, volta per volta, sospetti di violenza nel corso di alcune indagini molto delicate, come quelle relative all’assassinio di Martin Luther King. Per anni è stato anche definito il braccio operativo del “maccartismo”, colpevole, a dire di molti, di aver contribuito a diffondere il clima di “caccia alle streghe”, maturato durante gli anni Cinquanta, quando la guerra fredda era all’apice della sua tensione. Figlio di un incisore Figlio di Dickerson Hoover, di professione un incisore, il giovane John Edgar deve far fronte fin da subito alla sua morte, la quale getta la famiglia in condizioni economiche a dir poco delicate. Il ragazzo trova un lavoro come fattorino presso la Biblioteca del Congresso. Ambizioso, si dà da fare per conto proprio, studiando privatamente, con il fine di ottenere comunque la laurea in legge, presso la George Washington University. Conseguita la laurea nel 1917, uno zio di professione giudice lo aiuta a entrare nel Dipartimento di Giustizia. Passano una manciata di mesi e alle soglie del 1920 il neolaureato Hoover viene preso sotto l’ala protettrice del procuratore generale Alexander Palmer, il quale lo vuole come suo assistente speciale. Presso il dipartimento della capitale d’America nasce proprio in quei mesi una nuova sezione di ricerca, la quale si preoccupa di indagare sui sospetti “rivoluzionari e ultra-rivoluzionari” vicini al partito comunista. Questo particolare filone di indagini viene affidato a John Edgar Hoover, il quale comincia sin da giovanissimo, durante la sua breve e sfavillante carriera, la propria opera di lotta al comunismo. Alle dipendenze di Palmer, Hoover compie un lavoro monumentale. Influenzato dal suo lavoro presso la biblioteca, svolto anni addietro, decide di dare vita ad un enorme archivio, il quale gli consente di schedare tutti i sospetti comunisti e i presunti rivoluzionari. Il 7 novembre del ‘19, giorno del secondo anniversario della Rivoluzione Russa, Hoover fa arrestare più di diecimila sospettati, tra comunisti e anarchici, in oltre venti città americane. Ben presto però si rende conto di dover rilasciarne la maggior parte, non avendo prove a sufficienza, ma portandoli in tribunale ha l’intuizione di inserire nei suoi archivi. di alto profilo, che Hoover riesce a vincere nonostante la difficoltà del caso. Eppure, il “cacciatore di comunisti” riesce a dimostrare che Emma Goldman, nonostante i trentaquattro anni vissuti interamente negli Usa, è da considerarsi tra i potenziali sovversivi rivoluzionari e al termine del processo, la fa deportare in Russia. Il suo raid, per così dire, ha un effetto devastante sul partito comunista americano. Da oltre 80.000 tesserati, scende a circa 6.000, di fatto quasi scomparendo dal suolo statunitense. Nel 1921 Hoover viene premiato con la carica di vicedirettore dell’Fbi e solo tre anni dopo, nel 1924, quando Calvin Coolidge è Presidente degli Stati Uniti, viene nominato direttore. Quando prende in mano le redini dell’FBI, l’ordine conta appena 600 agenti in forza. Al termine del suo mandato i federali saranno intorno alle 6.000 unità. Tra le prime disposizioni, Hoover fa piazza pulita dei raccomandati, instaurando una disciplina ferrea, con metodi rigidissimi di addestramento e selezione. Nel 1926 dà vita a un file digitale, sulle orme della passata esperienza, il quale si rivelerà ben presto come il più grande al mondo. Tuttavia nei primi anni il dipartimento è più un organismo di controllo e di osservazione, che altro. Entro il 1935 Hoover ottiene dal Congresso che l’FBI diventi una vera e propria macchina di lotta alla criminalità, in grado di po«Cacciatore ter compiere arresti e anche di disporre delle misure proprie delle di comunisti» altre forze di polizia, come le armi, A coronare il suo discutibile vincolo che viene tolto proprio in impegno, arriva anche una causa quella occasione. Ricattato dai gangster, perché gay? In questo periodo Clyde Tolson viene nominato come suo vice e rimane il suo braccio destro per oltre quarant’anni. L’accoppiata, nota all’interno del dipartimento con il soprannome di “J. Edna e Madre Tolson”, diventa nel corso degli anni oggetto di non poche dicerie, incentrate sulla presunta relazione omosessuale tra i due. A sostenerlo inoltre molti anni dopo, nel 1993, è lo scrittore Anthony Summers in un libro molto accurato e documentato che si intitola “La vita segreta di J. Edgar Hoover”. Ma molto prima di lui è il giornalista Ray Tucker a dare la notizia della presunta omosessualità del direttore dell’FBI, scrivendolo sulla rivista “Collier”. Tuttavia, a intimidire il reporter e tutti gli altri giornalisti dall’approfondire i rapporti tra Hoover e Tolson, ci pensa il dipartimento stesso, quando inserisce il suo nome tra i sospettati sovversivi, lasciando trapelare anche alcune indiscrezioni sul suo conto. La stessa operazione non riesce contro il boss mafioso Meyer Lansky; appare accertato che in questi anni il criminale tenga sotto ricatto il Bureau, avendo ottenuto le prove fotografiche dell’omosessualità di Hoover: questa cosa gli dà la possibilità di tenere lontano i federali da alcune sue attività illecite. Il «Canale Rosso» Ad ogni modo, durante gli anni Quaranta, oltre alle armi, il Bureau si dota anche di un laboratorio scientifico all’avanguardia e di un’accademia nazionale, altre due conquiste firmate dal nuovo direttore. Inoltre Hoover ottiene dal presidente Roosevelt la possibilità di indagare, con il proprio organo, anche nei casi di spionaggio internazionale, permesso che gli dà ancor più potere nella sua caccia ai comunisti. Successivamente il capo dell’Fbi si convince che alcuni membri del governo Truman siano in realtà membri del partito comunista russo e quando il Presidente gli intima di lasciar cadere questa indagine, egli si rende protagonista di una fuga di notizie indiscrete, riguardanti appunto alti funzionari di Stato. Nel 1950 inoltre, nel pieno del suo potere e quando ha inizio il cosiddetto maccartismo, avviene la pubblicazione da parte dell’FBI del “Canale Rosso”: si tratta di un opuscolo che contiene 151 nomi di artisti, registi e scrittori considerati come potenziali sovversivi rossi. Violazione dei diritti civili? L’ossessione di Hoover raggiunge il suo apice nel 1959, quando i suoi agenti sono divisi in 489 unità che si occupano di spionaggio rosso, e solo 4 di mafia. Nonostante ciò, il dipartimento da lui guidato passa alla storia per aver combattuto a lungo il fenomeno del gangsterismo, eliminando dalle scene criminali americane personaggi come John Dillinger e George Kelly detto “machine gun”. Tra gli anni ‘50 e gli anni ‘60 però inizia il declino vero e proprio del prestigio di John Edgar Hoover, parallelamente alla nascita e al potenziamento del così denominato “Programma storia e ricerca 7 Sabato, 5 maggio 2012 olse gli Stati Uniti d’America bitro e guardia del potere politico La reazione dei giornalisti accreditati alla Casa Bianca I nastri della Casa Bianca Dean, licenziato dal presidente per la sua “inaffidabilità” il 30 aprile 1973, rivelò inoltre l’esistenza di nastri segreti sui quali Nixon era solito registrare ogni conversazione. La confessione di Dean venne confermata il 16 luglio 1973 da Alexander Butterfield, aiutante alla Casa Bianca: il sistema di registrazione, installato su ordine dello stesso presidente, provò l’attendibilità delle testimonianze e risultò in effetti determinante negli sviluppi dell’inchiesta, nonostante il ripetuto rifiuto di Nixon si protrasse per circa un anno e mancavano, perché cancellate, notevoli parti delle conversazioni registrate. Rigettando la pretesa di un “privilegio dell’esecutivo”, la Corte Suprema impose la consegna dei nastri che, finalmente esaminati alla fine del luglio 1974, dimostrarono il consapevole coinvolgimento di Nixon nel Watergate e nella successiva opera di insabbiamento. Negli stessi giorni (27, 29 e 30 luglio), il Congresso votò l’avvio della procedura di impeachment contro il presidente per le gravi accuse formulate, ma Nixon, prima ancora di essere destituito, comunicò le proprie dimissioni in diretta televisiva, rimettendo definitivamente il proprio mandato il 9 agosto (1974). La fine di un’era Si chiudeva così una contestatissima presidenza, ma non gli effetti dello scandalo: sebbene Nixon, a differenza dei suoi collaboratori, tutti condannati, ricevette le garanzie del perdono dal suo successore Gerald Ford, le polemiche sul Watergate si trascinarono per anni, compromettendo il margine di vantaggio elettorale dei Repubblicani e segnando profondamente la fiducia degli americani nella propria classe dirigente. Un’ombra inquietante finì col gettare discredito sull’operato dell’amministrazione Nixon, sui metodi della Cia e anche sulla politica estera del segretario di Stato, Henry Kissinger. D’altra parte, la portata dello scandalo offerì anche lo spunto per un successivo rinnovamento, mirato alla trasparenza delle istituzioni e dei meccanismi di finanziamento elettorale. Senza dubbio, dopo la vicenda del Watergate, il giornalismo d’inchiesta riconquistò un ruolo di primaria importanza e alla stampa fu restituita la funzione di arbitro, di guardia rispetto al potere politico: il suffisso “gate”, nel frattempo divenuto sinonimo di “scandalo”, sarà destinato a ripresentarsi con una regolarità impressionante nella storia degli USA. Dopo la morte di Nixon, il 22 agosto 1994, l’allora presidente in carica, Bill Clinton (un altro andato intorno all’impeachment per lo scandalo simil-sesssuale, con la stagista Monica Lewinsky), ne ricordò la figura e in qualche modo lo difese, forse in un goffo tentativo per difendere sé stesso, cercando di riabilitarne l’immagine e l’operato, non solo come statista ma anche come –, paradossalmente e ciò sorprende, pensando più al Vietnam che al Watergate – uomo di pace. Nixon fa discutere ancora oggi: secondo sondaggi di prestigiose e autorevoli riviste di politica, la maggioranza degli americani esprime un giudizio morale negativo su di lui. Non va dimenticato che, oltre al Vietnam e Watergate, sotto la sua presidenza si manifestarono anche i segni tangibili di una crisi economica profonda: le spese per la guerra, infatti, e quelle destinate alla politica sociale provocarono un forte deficit del bilancio statale. A cura di Fabio Sfiligoi La scoperta nella notte del 17 giugno 1972 John Edgar Hoover Cointelpro”, teso ad identificare cittadini americani simpatizzanti con il comunismo. Nella presunta rete cadono nomi come Charlie Chaplin e Martin Luther King: il capo dell’Fbi viene accusato di violazione dei diritti civili. La sua direzione rimane per sempre la più lunga della storia americana: l’allora presidente Nixon decide che, dopo di lui, la direzione del Bureau non può essere affidata alla stessa persona per un mandato superiore a dieci anni. Alla luce di questa decisione, c’è anche la piena certezza del fatto che Hoover abbia utilizzato il suo archivio per restare alla guida dell’organismo il più tempo possibile, usando Robert Redford e Dustin Hoffmann in una scena del film “Tutti gli uomini del presidente” Da Wills a Liddy: l’intera vicenda le informazioni riservate che riusciva ad ottenere al seguito dei vari presidenti, come mezzi per tenerli sempre sotto scacco. Nel 1979 il Comitato per le indagini sugli omicidi, dopo aver riaperto le indagini sull’assassinio Kennedy, dichiara che Hoover si sarebbe comportato in modo non adeguato sulla “possibile cospirazione tesa ai danni di Kennedy”. È, in pratica, l’inizio di un forte livellamento verso il basso della reputazione del direttore storico dell’FBI, evidente anche nel tentativo, non riuscito, da parte di un senatore americano, di cambiare nome nel 2001 alla sede federale di Washington, tuttora dedicata a Hoover. La notte del 17 giugno 1972 Frank Wills, una guardia di sicurezza che lavorava nel complesso di uffici del “Watergate Hotel” a Washington, notò un pezzo di nastro adesivo sulla porta fra il pozzo delle scale e il parcheggio sotterraneo. Stava mantenendo la porta socchiusa, così Wills lo rimosse, presumendo che l’avesse messo lì l’impresa di pulizia. Più tardi ritornò e scoprì che il nastro era di nuovo al suo posto. Wills contattò la polizia di Washington. Dopo che la polizia arrivò, cinque uomini – Bernard Barker, Virgilio González, Eugenio Martínez, James W. McCord Jr. e Frank Sturgis – furono scoperti e arrestati per essere entrati nel quartier generale del Comitato nazionale democratico, la principale organizzazione per la campagna e la raccolta fondi del Partito democratico. Gli uomini erano entrati nello stesso ufficio anche tre settimane prima, ed erano tornati per riparare alcune microspie telefoniche che non funzionavano e, secondo alcuni, per fare delle fotografie. Il bisogno di tornare nell’ufficio fu solo il più evidente di una serie di errori commessi dagli scassinatori. Un altro, il numero telefonico di E. Howard Hunt sul blocco note di McCord, si rivelò costoso per loro – e per la Casa Bianca – quando la polizia lo trovò. Hunt aveva precedentemente lavorato per la Casa Bianca, e McCord era ufficialmente impiegato come capo della sicurezza al Comitato per rieleggere il presidente (CRP), al quale ci si riferirà comunemente come CREEP (avanzare strisciando). Questo suggerì che ci fosse una connessione fra gli scassinatori e qualcuno vicino al presidente. Ad ogni modo, l’addetto stampa di Nixon – Ron Ziegler – rigettò l’affare come un “furto di terz’ordine”. Sebbene lo scasso fosse avvenuto in un momento sensibile, con la campagna elettorale che appariva all’orizzonte, molti americani inizialmente credettero che nessun presidente col vantaggio che Nixon aveva nei sondaggi sarebbe stato così sconsiderato e privo di etica da rischiare la sua associazione in un affare del genere. Una volta accusato, lo scassinatore McCord si identificò come un agente della Cia in pensione. L’ufficio del procuratore distrettuale di Washington iniziò un’indagine sui rapporti fra McCord e la CIA e finì per dimostrare che McCord aveva ricevuto pagamenti dal CRP. Woodward & Bernstein I reporter del “Washington Post”, Bob Woodward e Carl Bernstein, iniziarono un’investigazione sullo scasso e il rapporto del primo con una fonte segreta di altissimo livello aggiungeva un livello di mistero in più alla questione. Il nome in codice di questa fonte era “Gola profonda” e la sua identità fu tenuta nascosta al pubblico. Il 23 giugno fu registrata una conversazione (pratica standard, ma segreta all’epoca di Nixon) tra il presidente Nixon e il capo dello staff della Casa Bianca, H. R. Haldeman, mentre discutevano un piano per ostacolare le indagini, fa- cendo in modo che la CIA facesse credere all’FBI che si trattasse di una questione di sicurezza nazionale. Infatti, il crimine e numerosi altri “giochetti sporchi” erano stati intrapresi a vantaggio del CRP, soprattutto sotto la direzione di Hunt e George Gordon Liddy. La coppia aveva anche lavorato alla Casa Bianca nell’unità speciale di investigazione soprannominata “gli idraulici” (“plumbers”). Questo gruppo investigava sulle fughe di notizie che l’amministrazione non voleva fossero conosciute pubblicamente e portò avanti varie operazioni contro i Democratici e gli oppositori alla guerra in Vietnam. La più famosa delle loro operazioni fu l’irruzione nell’ufficio di Lewis Fielding, lo psichiatra di Daniel Ellsberg. Questi, un ex impiegato del Pentagono e del Dipartimento di stato, aveva fatto trapelare le “carte del Pentagono” al “New York Times” e come risultato fu perseguito per spionaggio, furto e cospirazione. Hunt e Liddy non trovarono niente di utile comunque, e devastarono l’ufficio per coprire le proprie tracce. L’irruzione fu collegata con la Casa Bianca solo molto dopo, ma al momento causò il collasso del processo di Ellsberg per evidente cattiva amministrazione del governo. L’8 gennaio 1973 gli scassinatori originali, insieme a Liddy e Hunt, subirono il processo. Tutti eccetto McCord e Liddy si dichiararono colpevoli, e tutti furono condannati per cospirazione, furto con scasso e intercettazioni telefoniche. 8 storia e ricerca Sabato, 5 maggio 2012 CURIOSITÀ Il capoluogo quarnerino e la Dalmazia nel 1861 visti dai giornalisti inglesi L’appello dei fiumani all’imperatore Francesco Giuseppe S ono incredibili le cose che si possono trovare nei mercatini d’antiquariato. Ad esempio la copia di un giornale inglese vecchio di oltre 151 anni, al cui interno è pubblicata una notizia relativa a Fiume. Sabato scorso prima di lasciare Perugia, dove avevamo partecipato al Festival internazionale del giornalismo, abbiamo girato un po’ tra le bancarelle di una di queste mostre mercato. La nostra curiosità è stata subito attratta da un polveroso volume al cui interno erano rilegate copie di un celebre giornale inglese, il “The illustrated London news”, risalenti al 1861. Quando ci siamo messi a sfogliare il tomo, l’antiquario che gestiva la bancarella, indicandoci il monumento equestre dedicato a Vittorio Emanuele II in piazza Italia, ci ha fatto notare che il 1861 è l’anno dell’unità d’Italia. Una coincidenza interessante, ma non quanto la presenza in uno dei numeri del giornale di una notizia relativa a Fiume. Sulla seconda pagina del numero 1.079 della rivista, pubblicato il 16 marzo del 1861 (sabato), nella rubrica dedicata alle notizie provenienti dall’Austria, scopriamo che la municipalità di Fiume aveva inviato un messaggio all’imperatore Francesco Giuseppe I per pregarlo di togliere la città dalla giurisdizione della Croazia e di riannetterla all’Ungheria. Il giornale riporta, inoltre, che i fiumani avevano stabilito di non inviare più i propri rappresentanti alla Dieta croata e di non versare più le tasse. Poche righe più sopra, si legge, invece, che pure gli abitanti di origini slave della Dalmazia si erano rivolti al sovrano chiedendogli di incorporare la loro provincia alla Croazia, nella speran- «Gli abitanti slavoni (slavi) della Dalmazia hanno inviato una petizione all’imperatore pregando per l’incorporazione della loro provincia con la Croazia, in modo che possano essere protetti contro la parte italiana degli abitanti, che, secondo gli slavoni, sta cercando di esercitare un’influenza tirannica su di loro. Il comune di Fiume ha deciso di non inviare deputati alla Dieta croata, e di sospendere il pagamento delle tasse, e hanno inviato un messaggio all’imperatore pregando per la ricostituzione con l’Ungheria» za di porre in questo modo un argine alla repressione alla quale venivano sottoposti dai loro conterranei italiani. A Perugia ci siamo recati per fare nuove esperienze e diventare giornalisti esperti. Frequentando le gli appuntamenti del Festival internazionale del giornalismo abbiamo imparato tantissimo sul modo di fare informazione nel XXI secolo. Curiosando tra le bancarelle polverose di una fiera, abbiamo capito, che iPad e telefonini multimediali, cinguetti e post, possono facilitare e agevolare il lavoro di un cronista, ma che non potranno mai sostituirsi del tutto alle vecchie e consolidate tecniche giornalistiche: quelle che implicano l’usura delle suole delle scarpe, lo spirito d’osservazione e il fiuto per la notizia. Ma abbiamo imparato anche qualcos’altro: la stampa anglosassone conosceva il significato di par condicio già 151 anni fa. Il “The Illustrated London News” era un magazine fondato da Herbert Ingram e suo figlio Mark Lemon, l’editore del Punch. La prima edizione della rivista apparve il 14 maggio 1842, con Lemon come consulente capo. Al prezzo di sixpence, la rivista aveva sedici pagine e trentadue illustrazioni realizzate con tecniche xilografiche. La tiratura iniziale della rivista era di 26mila copie circa e raggiunse il proprio apice attorno al 1863 (300mila copie). Nel 1971 il settimanale divenne un mensile, nel 1989 un bimestrale. Dal 1994 al 2003 la rivista usciva due volte all’anno. Attualmente il magazine non è più pubblicato, ma il gruppo editoriale Illustrated London News Group esiste ancora e la sua attività consiste nella produzione di magazine aziendali, realizzazione di siti web e consulenze. Tra gli scrittori e giornalisti della testata ricordiamo Robert Louis Stevenson, Arthur Conan Doyle, Rudyard Kipling e Agatha Christie, giusto per citarne alcuni. Alcuni studiosi affermano che la rivista, ossia le immagine che la contraddistingueva, influenzò persino la formazione artistica di Vincent van Gogh. Uno storico di Oxford, Faramerz Dabhoiwala, rivede le «origini del sesso» Inghilterra, patria di rivoluzioni... anche tra le lenzuola Non sarà certo la Gioconda, ma il sorriso di questa bella donna che appare sulla copertina del saggio “Le origini del sesso” è altrettanto enigmatico. Il suo volto è sereno, mentre nasconde il seno sotto a uno scialle. Non c’è nulla di esplicitamente sexy, o di volgare. Occorre sfogliare il libro per capire che si tratta di una... cortigiana di epoca georgiana, di una prostituta – oggi diremmo piuttosto escort – dei VIP, Kitty Fisher (bella, intelligente e audace, la sua condotta disinibita divenne persino oggetto di ballate popolari e destò l’interesse anche di Casanova il quale, in occasione di una serata di gala londinese, rinunciò a goderne i favori solo perché l’affascinante fanciulla parlava esclusivamente inglese e lui, essendo abituato ad amare con tutti i suoi sensi, non poteva certo rinunciare a quello dell’udito). A confondere le idee è un acquario, posto in primo piano; immagine che gioca sul suo nome. Ma a uno sguardo più attento non sfugge il riflesso della finestra della sua stanza, con le sagome di una folla di curiosi al di fuori, a spiare questa donna così come si guarda il pesce intrappolato nella sua ciotola. È un’immagine potente, ma ci vuole pazienza per decodificarla. E lo stesso vale per il libro in questione, “The Origins of Sex: A History of the First Sexual Revolution” – letteralmente “Le origini del sesso: la storia della prima rivoluzione sessuale” –, di Faramerz Dabhoi- wala (edito da Allen Lane, 496 pp., per il momento solo in inglese). L’autore, uno storico di Oxford In Inghilterra, si propone di “sfatare” le parole semiserie dello scrittore, poeta e critico musicale britannico, Philip Larkin, che affermò: “i rapporti sessuali incominciarono nel millenovecentosessantatre”, “tra la fine del bando a ‘Lady Chatterley’ e il primo ellepí dei Beatles”. Dabhoiwala, che all’argomento ha dedicato decenni di studio, sostiene invece che tutto – ossia, per la precisione, l’idea del sesso, la sua percezione e il modo in cui di esso la gente parlava, secondo l’ottica moderna – ebbe inizio nel 1800. Quando cominciò a essere una faccenda da privacy, tutelata, che lo Stato non doveva né giudicare né tentare di regolamentare (pure nella molto pudica e disciplinata età vittoriana). Fino ad allora, viceversa, si poteva finire sulla gogna o frustati per dei “pensieri lussuriosi”, mandati addirittura al patibolo per adulterio. Infatti, in Inghilterra, tra i secoli XIII e XVII, il sesso extraconiugale veniva sorvegliato con tanta energia che fino al 90 per cento delle cause gestite dai tribunali ecclesiastici riguardava i peccari di fornicazione, adulterio appunto, sodomia e prostituzione, con punizioni spesso brutali, da far invidia al più intransigente mullah. L’ipotesi che adulti consenzienti potessere fare, in privato, ciò che volevano con i loro corpi, era sem- plicemente impensabile, un’offesa a Dio e una minaccia per la società. Nel corso del Settecento, un’alleanza fortuita di fattori mandò in frantumi questa visione. Come si ruppe l’unità religiosa così smisero di funzionare i macchinari con cui la Chiesa sorvegliava la vita sessuale; il giudizio individuale usurpò la parola di Dio come arbitro ultimo della morale. Gli uomini diventavano liberi di seguire i loro istinti naturali. Quando e perché le cose iniziano a cambiare? La seconda metà del XVIII secolo vide l’inizio di una reazione contro il puritanesimo estremo, in particolare tra le classi superiori che avevano accesso a ciò che di libidonoso avveniva alla corte di Carlo II. Ma, come Dabhoiwala sostiene, le ragioni della prima rivoluzione sessuale furono complesse e variegate. E lo studioso cita a esempio i mutamenti di mentalità subentrati alla diffusione della cultura illuministic; quelli legati al fenomeno di inurbamento di grandi masse rurali – che sarà legato alla rivoluzione industriale –, con il venir meno dei vincoli della morale tradizionale; l’esplosione dei mass-media, in cui cominciarono a circolare idee più libertine e scandali a sfondo sessuale; il racconto dei viaggiatori e degli esploratori venuti a contatto con abitudini sessuali di culture molto diverse... Ma il fattore chiave, ritiene Dabhoiwala, fu la diffusione della tolleranza religiosa. Samuel Johnson, un alto tory anglicano, nel 1750 espresse un’opinione condivisa ormai da tanti, ossia che ogni uomo doveva regolare le sue azioni in base alla propria coscienza. Il libro è lucido, ricco di aneddoti, spassoso – contiene stampe squisitamente oscene e pagine di diari molto intimi –, informativo, che trasmette la fluidità della sessualità, la manipolazione degli standard sessuali da parte di gruppi sociali e il modo in cui i nostri atteggiamenti sessuali sono stati plasmati dalla società. Nel complesso, un saggio stimolan- te, che mette alla prova molte delle nostre supposizioni sulla storia del sesso. Anche se non ci fa conoscere tutti i lati della questione: manca, tra l’altro, un approfondimento sulla contraccezione – che fu centrale per la rivoluzione sessuale degli anni Sessanta del secolo scorso –, manca la voce delle classi inferiori. Infatti, la “liberazione sessuale” di cui parla Dabhoiwala rimase all’epoca una faccenda da “ranghi superiori”. Per la “massificazione” occorrerà aspettare il secondo Novecento. (ir) Anno VIII / n. 64 del 5 maggio 2012 “LA VOCE DEL POPOLO” - Caporedattore responsabile: Errol Superina IN PIÙ Supplementi a cura di Errol Superina Progetto editoriale di Silvio Forza / Art director: Daria Vlahov Horvat edizione: STORIA E RICERCA Redattore esecutivo: Ilaria Rocchi / Impaginazione: Vanja Dubravčić Collaboratori: Krsto Babić, Daniela Jugo Superina, Kristjan Knez, Carla Rotta e Fabio Sfiligoi