Feltrinelli
“Giangiacomo è stato un vero homo novus, come ebbe a dire il
grande editore Kurt Wolff. È stato un editore geniale, pluralista,
per niente dogmatico… Era un uomo cosmopolita e senza etichette. Cercava i libri ‘necessari’ ed era convinto che bisognasse coltivare i vari livelli della cultura: dai saggi sperimentali da mille
copie, alla letteratura di grande qualità, a quella di consumo,
purché intelligente… Lui era un imprenditore moderno della cultura, non solo un editore. Era un uomo che non si accontentava di
fare una cosa, voleva farne tante… Era un uomo profondamente
di sinistra, nel senso migliore del termine. E c’era in lui una certa pazzia, un desiderio di fare l’impossibile che, certo, lo portò
anche a sbagliare e a perdersi… Voleva cambiare il mondo ma il
suo non era un romanticismo kitsch. Se mai era un romanticismo
alla tedesca, che contiene sempre un elemento di tragicità…”
Inge Feltrinelli
(da Inge Film)
Foto di Ugo Mulas
All’Ufficio Quadri della Federazione Milanese del P.C.I.
Oggetto: BIOGRAFIA
Giangiacomo Feltrinelli, di fu Carlo e di Giannalisa Gianzana, nato il 19/6/1926 a Milano, ed ivi residente in Piazza
S. Babila 4/b. Mio padre fu una delle più eminenti figure del
mondo finanziario tra il 1927 ed il 1935. Presidente del Credito Italiano e della Edison, oltre che di altre società delle quali
possedeva la maggioranza del capitale azionario, fu un classico esempio di come il capitale finanziario si possa fondere con
quello industriale. Morì nel ’35.
Mia madre, figlia di un banchiere, vive tutt’ora; nel 1940 si
risposò con Luigi Barzini jr. da cui ora però è divisa. Vive a
Roma.
Fui allevato nella maniera, dal punto di vista borghese, la
più ortodossa possibile, con governanti, comodità, viaggi ecc.
e sempre isolato dai miei coetanei. Fino al ’41 non frequentai
mai le scuole compiendo gli studi privatamente. Crebbi così
praticamente senza amici.
Come avvennero, in questa situazione, quelle evoluzioni che
mi portarono ad iscrivermi e oggi a militare nel Pci? Quali furono gli elementi che mi orientarono decisamente e mi fecero
comprendere la necessità e l’importanza di iscrivermi al Pci e
di lottare con l’avanguardia organizzata della classe operaia
contro il capitalismo, per il socialismo?
Un primo elemento importante credo sia stato il seguente: nel
’36 mia madre acquistò un grande giardino al cui riattamento
lavorarono per alcuni anni operai, manovali e contadini.
Io divenni ben presto amico di questi operai e manovali e così
per la prima volta venni a conoscenza di un altro mondo, che
non era quello dorato in cui vivevo; dal racconto e dalla discussione imparai a conoscere le condizioni, la vita disagiata
che gli operai erano costretti a fare, gli sforzi per mantenere
la famiglia, l’insufficienza del loro salario, la costante minaccia della disoccupazione che gravava su ciascuno di loro. Ebbi
così la percezione di due categorie sociali differenti e ben distinte. Più tardi, nel ’38-39, nelle discussioni accanite sugli
avvenimenti internazionali la guerra diventava una grave
minaccia che si inseriva nella vita già dura che gli operai facevano. Capii che non erano gli studenti, i signori che a gran
voce reclamavano il conflitto che sarebbero andati a combattere; che, anzi, chi commerciava aveva la possibilità di guadagnare da una guerra mentre i sacrifici venivano sopportati
dagli operai.
Nel ’40 feci la conoscenza di un operaio di Erba, Augusto Sala.
Dai suoi racconti, dalle discussioni avute con lui appresi per
la prima volta i particolari della lotta popolare sostenuta nel
’21 contro i fascisti da parte degli operai. Per la prima volta
appresi che esistevano altri partiti ed in particolare i socialisti e i comunisti. Il racconto degli eroici episodi di lotta popolare contro fascisti e squadristi, finanziati ed appoggiati dagli
industriali, mi entusiasmava.
Evidentemente i miei erano preoccupati dalla piega che stavo
prendendo. Essi si atteggiavano ad antifascisti, soprattutto
dopo che il mio patrigno era stato confinato ad Amalfi per
troppo amore per il doppio gioco tra inglesi e fascisti.
Io ero ancora pieno di contraddizioni: ero iscritto alla Gil ed
ero contento quando la guerra andava bene e le armate fasciste avanzavano; nel contempo ascoltavo Radio Londra, ero
contro i tedeschi e non prevedevo niente di buono dalla guerra. Speravo che la monarchia al momento buono spazzasse
via i fascisti.
Intanto la guerra andava avanti e alla fine del ’42 la situazione diventava tragica: i primi bombardamenti sulle città, i primi tedeschi che arrivavano in Italia. In questa situazione
comprendevo che l’abbattimento del fascismo e la cessazio ne della guerra erano compiti che si ponevano con urgenza e
che non potevano risolversi se non con uno sforzo, con una lotta in cui tutti davano qualche cosa. Conobbi allora Renzo Negri, abitante in via Melzi d’Eril n. 22, che era in collegamento
con la Resistenza. Eravamo alla fine del ’42. Non ebbi che dei
contatti saltuari con lui poiché mi dovetti trasferire con la famiglia in Toscana. Ebbi tuttavia la possibilità di apprendere
da lui notizie sull’eroico sciopero del marzo del ’43. Sottoscrissi allora, mi ricordo, cento lire per un giornale clandestino.
Questi ed altri episodi, anche se insignificanti, contribuivano
sempre più a legarmi con chi, anche se di fatto non conoscevo,
sapevo lottava contro il fascismo, cioè la classe operaia.
In questo periodo la lettura della Storia della letteratura latina di Concetto Marchesi contribuì a farmi fare un salto qualitativo inquadrando per la prima volta quegli avvenimenti,
quei sentimenti, quelle idee di giustizia che si erano sviluppate in me e che mi avevano portato ad essere contro i fascisti e
contro i signori.
Infatti mi colpì particolarmente lo studio della lotta dei Gracchi nell’antica Roma. Il Marchesi ne prendeva infatti lo spunto per dimostrare l’esistenza di due classi sociali in lotta fra
loro: patrizi e plebei, sfruttatori e sfruttati. Tutta la mia esperienza si inquadrava quindi in questo schema tutt’ora valido
e tutti gli avvenimenti politici, il fascismo, la guerra, prendevano un nuovo contenuto sociale.
Studiai in seguito quel poco materiale storico che avevo a di-
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sposizione. In particolare ricordo la lettura della Storia del
Risorgimento del Croce, il quale mi diceva, sia pure criticando
aspramente, qualche cosa sul movimento socialista internazionale. Lessi pure un libro di Bissolati sulla storia del movimento operaio italiano. Da queste letture apprendevo a conoscere uomini, partiti, avvenimenti politici italiani; imparavo a
conoscere cosa erano i sindacati, gli scioperi ecc.
L’opportunismo ed il compromesso che trasparivano da ogni riga
dell’opera del Bissolati non ebbero su di me che scarsa e momentanea influenza. La stessa situazione, allora attuale, di lotta esasperata, la prova dei fatti cioè, dimostrava meglio di qualsiasi
ragionamento il fallimento di qualsiasi idea riformistica.
Dopo la liberazione di Roma, dove mi trovai il 4 giugno, ebbi la
fortuna di leggere subito due opere di particolare importanza
ed attualità: il Manifesto dei Comunisti e Stato e Rivoluzione
di Lenin. Dal Manifesto, come già dalla lettura del Marchesi, mi restò impressa l’analisi della società e la sua divisione
in classi tra di loro in continua lotta, mentre il materialismo
storico mi insegnava le ragioni dello sviluppo della società
dandomi così un nuovo metodo per comprendere la storia.
Nel novembre del ’44 mi arruolai volontario nel gruppo di combattimento Legnano che doveva venir aggregato alla V Armata
americana, non senza aver sentito prima il parere di un compagno, credo del compagno Trombadori, presentatomi da un
giovane compagno che conoscevo.
Con queste sia pure limitate basi teoriche mi iscrissi al Partito ai primi di marzo del ’45 mentre ci trovavamo con la divisione in addestramento in provincia di Siena. Mi presentarono il compagno Masotti, anche lui della mia compagnia
(vecchio compagno che aveva fatto un anno di Civitavecchia
per ragioni politiche) ed il compagno Ciafrè Vincenzo della
Federazione di Siena. Poco dopo la divisione andò in linea sul
fronte di Bologna e nell’agosto del ’45 fui congedato.
Ritornai a Roma dove ripresi i miei studi (ero iscritto al Politecnico di Roma). Fino all’aprile del ’46 non svolsi attività politiche in quanto il compagno Fulvio Iacchia della Federazione di Roma preferì utilizzarmi per un lavoro d’informazione
che potevo svolgere in ambienti ostili al Partito. Fui bruciato
nell’aprile del ’46 quando per isbaglio una relazione dettagliata su una riunione di esponenti monarchici che si era
tenuta in casa mia ed alla quale avevo in parte assistito fu
pubblicata per intero sull’“Unità”. Mi trasferii allora a Milano
dove poco dopo i miei architettarono con l’aiuto del servizio
d’informazione inglese, sapendo che io avevo ancora presso
di me delle armi dall’epoca del congedo, un finto arresto con
lo scopo di spaventarmi e di convincermi così di allontanarmi
dall’Italia. Questo rientrava infatti nei loro piani in quanto
loro, temendo l’avvento della Repubblica, stavano organizzando un esodo generale della famiglia.
Andai in Spagna ed in Portogallo da dove, nel luglio sempre
del ’46, evasi la sorveglianza dei miei e rientrai in Italia, stabilendomi a Milano. […]
Nel 1950 all’allora ventiquattrenne Giangiacomo Feltrinelli fu chiesto di redigere un’autobiografia per partecipare a un corso della scuola del Partito comunista italiano. Il documento integrale è riportato in Carlo Feltrinelli, Senior
Service (Feltrinelli 1999).
Nella pagina di sinistra: Giangiacomo in Austria con il padre Carlo.
Nel centro di Milano si trova una piccola oasi: la Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, uno dei più importanti centri di
documentazione e ricerca sulla storia delle idee e dei movimenti democratici. Sono qui conservati molti volumi preziosi,
tra cui una stupenda edizione dell’Utopia di Tommaso Moro
(1518), l’unico esemplare al mondo del “Giornale Patriottico di
Corsica” di Filippo Buonarroti (1790) e la prima edizione delle
Pensées diverses sur la comète di Pierre Bayle (1682). Nel 1989,
dapprima sotto forma di articolo e quindi di volume, Francis
Fukuyama presentò la sua tesi della “fine della Storia”. In essa
sosteneva il superamento dell’“evoluzione ideologica dell’umanità” nella convinzione che con la “democrazia liberale” si sarebbe raggiunta quella forma di società che rappresenta lo
sbocco ultimo della Storia umana. Fukuyama prescindeva
ampiamente dagli “eventi periferici”, e pur dimostrando nel
suo libro di saper fare dei distinguo, il suo incrollabile credo
secondo cui la storia “coerente e mirata” avrebbe infine condotto la maggior parte dell’umanità alla democrazia liberale
risultava veramente irritante.
Fukuyama riconosceva in tal modo all’attuale sistema sociale una pretesa egemonica, che suona al contempo dogmatica
e scaramantica, e la contrapponeva al comunismo, definitivamente screditato a suo avviso dopo la caduta del Muro di
Berlino nel 1989 e il crollo dell’Unione Sovietica. Indipendentemente dalla sua correttezza, questa tesi solleva delle domande anche sulla nostra relazione con il passato: se non vi
fosse alcuna speranza in un futuro non ancora riscattato, l’archiviazione della memoria collettiva non avrebbe ormai più
senso. L’evoluzione sociale avrebbe raggiunto un punto fermo
e basterebbe mettere a tacere le ultime inquietudini “periferiche”.
La Biblioteca Feltrinelli comprende anche un’edizione della
rivista antifascista “Europäische Hefte”, in cui, nell’estate
del 1934, Heinrich Mann sosteneva di non aver mai inteso
la democrazia come qualcosa di già esistente, bensì come una
conquista perennemente perseguita di natura morale. Tra le
prime vittime della repressione politica, Mann era fuggito
da quel potere che proclamava per sé il Reich millenario già
nel febbraio del 1933: la sua esperienza gli diceva che era il
principio della fine. Sino a quando simili esperienze rimangono possibili, all’ottimismo di Fukuyama si può contrapporre
anche la frase che Mary Wollstonecraft scrisse nel suo Vindication of the Rights of Woman del 1792: “Alla luce dell’attuale condizione della società sembra necessario un ritorno ai
princìpi originali per trovare le verità più semplici e al tempo stesso necessario confutare alcuni pregiudizi perduranti”.
Questa citazione si può leggere in una bella prima edizione
conservata nella Biblioteca Feltrinelli a Milano.
Di certo ha contribuito anche la fortuna alla decisione presa
da Giangiacomo Feltrinelli nel 1948, su sollecitazione dell’allora segretario generale del Pci Palmiro Togliatti, di fondare
una biblioteca dedicata alla storia dei movimenti socialisti
e proletari – memore di una nota di Gramsci secondo cui “il
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futuro affonda le proprie radici nel presente e nel passato”.
Appena ventiduenne, Feltrinelli era da tre anni membro del
Pci e disponeva di un grande patrimonio che gli consentiva
di realizzare i propri sogni. Assieme all’amico Giuseppe Del
Bo cominciò dunque ad allestire un archivio, dapprima in collaborazione, e in seguito in reciproco scambio, sia con l’International Institute of Social History (Iish) di Amsterdam,
fondato nel ’34, sia con l’Istituto per il marxismo-leninismo
di Mosca.
Nel suo discorso per la nuova inaugurazione della Biblioteca, il 25 marzo 1961, Feltrinelli ricordò il tempo dei fondatori come “un’epoca di fervore, di aperture e illuminazioni
politiche, sociali, morali”. L’obiettivo fu sin dall’inizio duplice:
da un canto si voleva “preservare dalla dispersione e dalla
distruzione una quantità di prezioso materiale storico e documentario, testimonianza di quei tempi difficili; [dall’altro]
fondare l’esegesi politica e filosofica di quel punto nodale della nostra storia, di quella svolta che salvò i popoli e le coscienze dal fascismo”.
Anche se agli inizi in modo “necessariamente nebuloso”, la Biblioteca andò profilandosi sempre più grazie alle discussioni
tra Feltrinelli e Del Bo, nonché grazie all’apporto di altri eminenti specialisti. Tra questi ultimi spiccavano Theo Pinkus di
Zurigo e l’inglese Eric Hobsbawm, che passavano periodicamente in rassegna antiquari e cataloghi per informare Milano sui documenti importanti reperibili in commercio, dando
così modo a Feltrinelli di acquisire intere biblioteche e archivi, esemplari unici e prime edizioni. Per ordinare al meglio il
volume sempre crescente di materiale si fece ricorso alla consulenza di esperti famosi, e così crebbe rapidamente una delle
più imponenti biblioteche sulla storia del Movimento operaio.
Nel 1956 si ridiscusse il suo completo riallestimento. Su proposta di Feltrinelli si decise allora che la Biblioteca (o l’Istituto, secondo la nuova denominazione) dovesse diventare un
centro di studi scientifici con lo scopo primario di assicurare
la ricerca critica sul Movimento operaio. Una delimitazione e
al tempo stesso un’apertura, poiché per Movimento operaio si
intendevano, senza limitazioni ideologiche, tutti i movimen-
ti di emancipazione che da mezzo millennio analizzavano le
relazioni sociali da punti di vista politici, economici e utopici.
Per approfondire l’attività di ricerca uscirono regolarmente, a
partire dal ’58, gli “Annali” dedicati alla pubblicazione di documenti inediti, al dibattito marxista e alla presentazione di
repertori bibliografici. Essi furono seguiti, dal 1974 in poi, da
seminari e colloqui regolari sulla storia del Movimento operaio, ancora oggi promossi e sostenuti dalla Fondazione Giangiacomo Feltrinelli e tenuti in parte negli spazi stessi della
Biblioteca. Tra il 1977 e il 1995 apparvero infine i “Quaderni”
trimestrali, destinati alla documentazione e all’approfondimento dei dibattiti sollevati in quelle occasioni. Le due ultime
novità sono tuttavia già il risultato di quel capovolgimento
istituzionale compiutosi nel 1974, a due anni dalla scomparsa del fondatore, quando la Biblioteca e l’Istituto Feltrinelli
sono diventati la Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, con il
compito di preservare la Biblioteca come archivio e luogo di
studio. Sino al 1961 la Biblioteca Feltrinelli si trovava in via
Scarlatti, vicino alla Stazione Centrale, poi venne trasferita
nella sua attuale sede di via Romagnosi, nel complesso di edifici in cui abita la famiglia Feltrinelli ed è ospitata la casa
editrice. La Biblioteca si trova ora in una posizione unica, a
due passi dalla Scala e da via Manzoni. Chi supera la prima
e, dopo essersi annunciato, anche la seconda porta di vetro
opaco, si ritrova in una sala di lettura ovale circondata da
pareti di libri e coperta da una cupola vetrata attraverso cui
penetra la luce diurna: basta uno sguardo per capire che qui
si conservano tesori.
La sala di lettura della Biblioteca Feltrinelli è situata nell’antica cappella del palazzo, divenuta così un monumento profano al Movimento operaio. […] Nelle sale adiacenti alla sala
di lettura, nelle cantine e nei due piani superiori trova posto
il patrimonio della Biblioteca, disposto su mensole aperte o
in armadi metallici. Il tesoro vero consiste di archivi personali, manoscritti, archivi fotografici, originali selezionati, per
i quali non è solo l’età a decidere il valore, bensì piuttosto il
contenuto ideale. Alcuni originali della penna di Lenin, tra
cui cinque lettere a Camille Huysmans, segretario della Se-
conda Internazionale, sono qui conservati assieme ad alcuni
manoscritti di Marx e agli ampi lasciti di Angelo Tasca, Pietro
Secchia e Felice Cavallotti. Archivi e biblioteche sono magazzini. Da un lato contengono provviste per i tempi di privazione e bisogno; dall’altro proteggono i ricordi del passato dalla
minaccia di distruzione. Una storia, come Walter Benjamin
ha acutamente rilevato nelle sue tesi Sul concetto di storia, è
sempre storia dei vincitori: “Ma i dominatori sono di volta in
volta gli eredi di tutti quelli che in precedenza hanno vinto.
La capacità di mettersi nei panni del vincitore torna dunque
utile ai dominatori di turno”. Da qui si deduce facilmente che
i “perdenti” della storia, per quanto concerne la loro presenza
negli archivi, sfuggono sempre alle maglie e potenzialmente
cadono nell’oblio: donne, lavoratori, emarginati, minoranze.
Istituzioni come la Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, l’Iish
di Amsterdam o la Biblioteca di studio della storia del Movimento operaio fondata a Zurigo da Theo Pinkus, si sono posti
questo compito: raccogliere e salvare le esperienze rimosse.
La loro specificità consiste nel porre al centro delle loro attenzioni proprio i gruppi sociali politicamente e socialmente
marginalizzati, dunque i perdenti e le vittime.
Siffatti archivi sono importanti elementi del sapere collettivo,
magazzini usati dalla ricerca storica per fornire un quadro
della complessità delle strutture e dei meccanismi sociali. Gli
approcci critici così acquisiti consentono di prevenire le temerarie semplificazioni del populismo reazionario e profetico.
Dal 1948 l’idea e l’iniziativa di Feltrinelli hanno dato origine
a un’imponente biblioteca, il cui patrimonio conta oggi circa
17.500 periodici (139 dei quali dei giorni nostri), 200.000 monografie, un milione e mezzo di documenti e 2500 microfilm.
Coerente con la propria identità, la Biblioteca Feltrinelli si
dedica alle “Social Sciences”, alla storia dell’economia politica e sociale, nonché allo studio della società moderna con
un’attenzione particolare alla storia del Movimento operaio.
Gli spazi di via Romagnosi accolgono in gran parte documenti originali e periodici. Ma vi si conservano anche documenti
e libri che fanno battere il cuore ai bibliotecari. Non solo le
cifre impressionano, ma anche i contenuti. Oltre ad alcune
rarità già citate, risulta oltremodo spettacolare la biblioteca
dei secoli dal XVI al XVIII, con edizioni originali da Bayle a
Diderot, Montesquieu, Voltaire, Babeuf, Wollstonecraft e Godwin. Di enorme interesse per lo studio vi sono poi i primi
periodici, tra cui vanno citati la “Bibliothèque Universelle et
Historique” (1687-1718), “Il Caffè” (1764-1766), il “Journal
de l’agriculture, du commerce et des finances” (1765-1783) o
le “Éphémérides du Citoyen ou Chronique de l’esprit national” (1765-1772), con il loro slogan preso a prestito da Orazio:
“Quid pulchrum, quid turpe, quid utile, quid non”. Illuminismo e Rivoluzione francese costituiscono assieme un ragguardevole punto di forza. In uno degli scaffali si trova l’edizione completa del Vitam impendere vero e dell’Ami du peuple
redatta da Jean-Paul Marat, e ancora il “Père Duchesne” di
Jacques-René Hébert. Tra i tesori di quell’epoca ci sono anche
i 36 volumi dei Voyages imaginaires, nonché diverse preziose
edizioni dell’Encyclopédie di Diderot e d’Alembert. Inoltre, il
Dictionnaire historique et critique di Pierre Bayle e una traduzione italiana della Cyclopaedia, or an Universal Dictionary of Arts and Sciences di Ephraim Chambers. Da un punto di
vista storico-culturale e sociale, simili opere sono inestimabili,
poiché consentono di vedere come concetti a un certo punto
definiti si siano sedimentati nella consapevolezza storica o modificati nel corso del tempo. In questo risiede anche una delle
qualità di questa biblioteca: la quantità di testimonianze in
un piccolo spazio invita a una lettura comparativa. Ciò vale
anche per la raccolta delle edizioni originali del Manifesto del
Partito comunista di Marx ed Engels che spinge a seguirne
la percezione attraverso diverse regioni linguistiche ed epo-
La locandina della mostra organizzata dalla città di Zurigo nel 2002. Contestualmente
la rivista svizzera “Du” ha dedicato un numero monografico all’editore italiano da cui è
tratto l’articolo di Beat Mazenauer.
Nella pagina di destra: la futura nuova sede della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli
nel progetto di Herzog & de Meuron, in Porta Volta a Milano.
che verificandone le traduzioni e confrontandone prefazioni e
annotazioni. Se sino al 1800 la lingua predominante è il francese, nel XIX e XX secolo fanno la loro apparizione l’inglese,
il tedesco e l’italiano. Le principali voci accanto alle correnti
socialiste sono la teoria economica e politica, il Risorgimento,
i precursori della Rivoluzione del 1917, industrializzazione e
finanza nell’Europa occidentale, Resistenza ed esilio, cui si
aggiungono nuovi settori dedicati all’America Latina, all’Asia
centrale e orientale, alla Primavera di Praga, a Solidarność e
ai movimenti democratici cinesi. Periodicamente la Fondazione Giangiacomo Feltrinelli cerca di descrivere il proprio patrimonio in cataloghi tematici e commentati. In questo modo
è trattata per esempio l’epoca fascista, con edizioni complete
dell’“Avanti!”, dell’“Unità”, dell’“Humanité” o di “Der Kampf”,
fino ai semplici fogli d’esilio, come “Austria libre”, redatto in
spagnolo dagli austriaci rifugiatisi in Messico.
Ogni anno sono circa 2000 i visitatori. L’accesso presenta
l’enorme vantaggio di strutturare il lavoro in modo meno
complicato rispetto a istituzioni analoghe. I libri sono a disposizione negli scaffali e i quattro bibliotecari possono occuparsi
dei loro ospiti. Ma se dall’esterno sembrano regnare la tranquillità e la rilassatezza, all’interno l’attività ferve. Quella
cappella nel centro di Milano sta a indicare un’eredità che
non si sente impegnata nei confronti della storia dei vincitori.
In quella cappella della resistenza si onora una virtù profana
rivolta al futuro. “Solo la storia ci permette di orientarci, e
chiunque guardi al futuro senza di essa non è solo cieco, è
pericoloso” (Eric Hobsbawm).
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mente
cui è
nelli
La Fondazione Giangiacomo Feltrinelli è oggi uno dei più
importanti centri italiani di ricerca e di documentazione.
Salvatore Veca, presidente dal 1984 al 2001, in un saggio
scritto per il sessantennale della Fondazione, l’ha definita
il luogo dove “la tradizione delle scienze e delle discipline
storiche viene messa in tensione con gli sviluppi delle teorie economiche, della sociologia, della filosofia, del metodo
scientifico, della scienza e della filosofia politica”.
Le attività della Fondazione seguono quattro principali
direttrici: ricerca, formazione, innovazione e divulgazione,
con percorsi e linee di lavoro che si incontrano e si intersecano.
Come centro di ricerca, riconosciuto a livello internazionale, promuove e realizza, in collaborazione con università e
istituti di ricerca italiani e stranieri, progetti e programmi di studio che, nell’ultimo decennio, hanno analizzato le
trasformazioni in grado di favorire o ostacolare, a livello
nazionale e internazionale, la realizzazione piena dello
sviluppo umano sostenibile. Si sono studiati gli effetti della globalizzazione sulle società, sull’economia, sulla politica, con un’attenzione specifica alle politiche nazionali e
transnazionali, ai mutamenti degli scenari della politica
internazionale, alla definizione e tutela dei beni comuni
e dei diritti umani universali, alle questioni della cittadinanza, ai nuovi attori sociali.
La formazione è attenzione alla ricerca internazionale più
giovane, sia per offrire opportunità ai ricercatori meritevoli, sia per posizionare la Fondazione sui confini della
ricerca ultima e più innovativa. Nell’ottica di una valoriz-
zazione della ricerca giovane sono stati realizzati i Colloqui internazionali di Cortona. Nati nel 1986 come incontri
annuali dedicati ai grandi temi di storia e teoria sociale
e politica, dal 2005 la loro formula è stata ripensata per
offrire opportunità di ascolto, confronto e pubblicazione.
Da tradizionali convegni accademici, i Colloqui si sono
così trasformati in incontri seminariali a tema, riservati
a studenti di PhD, selezionati da un comitato scientifico
attraverso un call for proposals. Protagonisti sono i giovani ricercatori provenienti dalle maggiori università e dai
principali centri di ricerca di tutto il mondo, che possono
presentare e discutere i loro lavori con autorevoli scholars
internazionali. Keynote speakers degli ultimi Colloqui sono
stati Amartya Sen, Alain Touraine, Antonio Cassese, Nancy Fraser.
La formazione è attenzione anche all’innovazione e al
mondo del lavoro e delle professioni. La Fondazione riserva un settore di studi alle nuove tecniche e alle best
policies per la costituzione, conservazione e fruizione delle born digital resources, un’area di ricerca connessa alle
attività di conservazione e valorizzazione del patrimonio
bibliotecario e archivistico. È, questa, un’attività di eccellenza della Fondazione, che negli ultimi anni ha promosso
summer schools internazionali all’interno di progetti europei e organizzato corsi annuali di formazione per conservatori delle risorse digitali.
Tra formazione e divulgazione sono poi i numerosi incontri e seminari, destinati a un pubblico non accademico:
di recente, l’incontro con Howard Gardner sulla bellezza
come una delle virtù da proporre per il XXI secolo, organizzato per le scuole, e il ciclo di seminari internazionali
Pensiero digitale, sui cambiamenti della lettura e della
scrittura nel terzo millennio.
Tra ricerca, innovazione, formazione e divulgazione si
colloca poi l’iniziativa promossa per il 150° anniversario
dell’Unità d’Italia, nell’ambito della quale si sono realizzati un portale web destinato principalmente alle scuole
www.progettorisorgimento.it, una mostra itinerante esposta nelle Librerie Feltrinelli e un’applicazione per iPhone
e iPad.
La Fondazione, infine, dedica risorse e grande attenzione
alla comunicazione via web nella convinzione che il portale
www.fondazionefeltrinelli.it – con la consultazione on line
libera e gratuita di documenti, immagini, ebook, studi – sia
una finestra sul mondo indispensabile per conoscere gli
interessi dei fruitori del lavoro della Fondazione e per migliorare costantemente i contenuti e i servizi.
All’inizio del 2013 prenderà avvio la costruzione della nuova sede della Fondazione Feltrinelli a Milano, a Porta Volta,
progettata dagli architetti svizzeri Jacques Herzog e Pierre
de Meuron.
Peredelkino, 2 novembre 1957
Caro Signore,
non trovo parole sufficienti per esprimervi la mia riconoscenza. L’avvenire ci ricompenserà, Voi e me, per le
vili umiliazioni patite. Oh, come sono felice per il fatto
che né Voi, né Gallimard, né Collins vi siate lasciati ingannare da quegli appelli idioti e brutali accompagnati
dalle mie firme (!), firme pressoché false e contraffatte,
tanto mi erano state carpite con una mistura di frode
e di violenza. Arrivare all’inaudita arroganza di indignarsi per la “violenza” da Voi esercitata contro la mia
“libertà letteraria”, usando nei miei confronti proprio
la medesima violenza, senza menzionarla. E tutto questo vandalismo, camuffato da sollecitudine per me, per
diritti sacri dell’artista! Ma noi avremo presto degli
Živago italiani, degli Živago francesi e inglesi, tedeschi – e un giorno forse degli Živago geograficamente
lontani, ma russi! Ed è molto, è tantissimo, facciamo
del nostro meglio e succeda quel che deve succedere!
Non vi preoccupate per i soldi che mi spettano. Rimandiamo le questioni pecuniarie (per me non ne esiste alcuna) a quando avremo un sistema più sensibile e più
umano, quando, nel XX secolo, si potrà di nuovo essere
in corrispondenza, viaggiare. Ho una illimitata fiducia
in Voi e sono sicuro che saprete custodire ciò che avete
destinato a me. Soltanto nel caso sciagurato che mi
sopprimano i sussidi e mi taglino i viveri (sarebbe un
caso straordinario e niente lo lascia prevedere), bene,
cercherei il modo di avvertirvi per approfittare delle
offerte che mi fate tramite Sergio, il quale, conformemente al suo nome, è un vero angelo e prodiga tutto
il suo tempo e la sua anima in questa vicenda incresciosa.
Vogliate accogliere i miei omaggi più sentiti, vostro
B. Pasternak
Traduzione della lettera di ringraziamento di Boris Pasternak per l’imminente pubblicazione del Dottor Živago in Italia. Il romanzo uscirà il 15 novembre
1957 e sarà la prima edizione mondiale. L’intero carteggio Pasternak-Feltrinelli
è contenuto in Senior Service.
A destra: telegramma che Pasternak fu costretto a inviare dalle autorità sovietiche, per cercare di bloccare la pubblicazione del romanzo.
Alla pagina seguente: con Mario Spagnol. Fiera di Francoforte, primi anni sessanta.
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[…] Per Feltrinelli il 1958 deve essere stato un anno veramente pazzesco. Poco dopo Il dottor Živago gli riesce infatti
un secondo colpo editoriale, Il Gattopardo, e però intanto ha
perso la sua collocazione sociale, l’unica collocazione possibile per un intellettuale che non volesse essere isolato e passare
per borghese, quella nel partito rivoluzionario dei lavoratori.
Oggi nessuno se ne darebbe pena ma non era una situazione
così semplice. La sua vita di uomo adulto era iniziata con l’entusiastica adesione alla Resistenza. Successivamente aveva
fondato l’Istituto di ricerca sul Movimento operaio, diretto la
casa editrice del Partito comunista, infine aveva trasformato
questa, con successo e anche nell’interesse del Partito, nella Giangiacomo Feltrinelli Editore. Ed ora eccolo trovarsi di
fronte a un’esistenza da dissidente, molto simile, seppure per
ragioni completamente diverse, a quella di Pier Paolo Pasolini che, espulso dal Partito per immoralità, non fu mai capace di definirsi altrimenti che in relazione a esso. I ribelli più
importanti nella vita di Feltrinelli furono il dottor Živago e il
Che, ma anche Camus e il Re della pioggia. Forse vale la pena
di chiedersi cosa abbiano in comune, al di là del fatto che Feltrinelli li abbia ammirati, o pubblicati. Nel Re della pioggia,
Henderson, ricco erede, va in Africa per lasciarsi alle spalle
l’Occidente, la sua civiltà, la sua cultura e spazzatura storica,
o come lui stesso dice, la sua “history or junk like that”. Tuttavia, l’Africa che Bellow costruisce per il suo eroe è ben diversa
dall’idea di Terzo Mondo con le sue implicazioni colonialistiche. Il Re aveva sì studiato in Inghilterra, ma quell’esperienza lo aveva spinto solo a tener lontano il suo popolo da tutta
quella “history or junk like that”. Ciò rende possibile l’incon-
tro catartico del romanzo e consente a Henderson di vivere
per un breve momento la sensazione di un’autentica comunità, anche se, non appena riesce a percepire il “noi”, sa che lo
dovrà abbandonare. E comunque tornerà alla sua civiltà con
la consapevolezza di questa possibilità.
Il Che, dal canto suo, si è davvero sottoposto a quelle lunghe
marce attraverso la Bolivia solo per rendere giustizia alla
propria definizione tautologica: “Rivoluzionario è chi fa la
rivoluzione”? Dopo la rivoluzione e nel contesto della situazione politica mondiale, Cuba cessa da un giorno all’altro di
appartenere al Terzo Mondo e, grazie ai legami con l’Unione
Sovietica, entra a far parte del Secondo. Questo non le fa perdere solo un po’ di povertà, ma anche alcune libertà e utopie.
Ma il Che fu forse più toccato dall’isolamento del potere, dalla perdita della sua comunità guerrigliera della Sierra Maestra che tornò a cercare nella rivolta boliviana, affascinando
Feltrinelli più di qualsiasi altra cosa Fidel Castro avesse da
offrirgli. In Castro, peraltro, Feltrinelli non riesce neppure a
capire dove mirasse il suo antiamericanismo; in Ernesto Che
Guevara è invece chiaro: due, tre, quattro, molti Vietnam. E
se nel Congo può funzionare altrettanto bene che in Bolivia,
a Feltrinelli balena un pensiero: perché non in Sardegna? Il
dottor Živago è il dissidente solitario suo malgrado. Nulla può
separarlo dalla sua gente, ma a essa non apparterrà mai. Più
che dall’autore, Feltrinelli è affascinato dall’eroe: Pasternak
può abbandonare, addirittura tradire, ma Živago incarna la
fedeltà incondizionata di cui Feltrinelli sogna. […]
(Tratto da “Du”, 2002)
“Hai letto Il Gattopardo? Ti è piaciuto Il Gattopardo?” Così
inizia un articolo di costume pubblicato nell’inverno 195859: “Quando uscì il libro la domanda veniva dagli amici che
bazzicavano la letteratura; poi è venuta dai colleghi, poi dai
conoscenti. La sentiamo oramai fare a teatro o al cinema nella fila di dietro. Insomma qualsiasi copertina gialla di brutto
cartone, rovesciata su un tavolo, sporgente da una tasca o da
una borsa, adesso fa pensare a una copia del Gattopardo. Chi
acquistò o ricevette il libro appena uscito se lo tenga caro: è,
difatti, quasi una rarità bibliografica”. “Eppure,” si incarica
di spiegare altrove Eugenio Montale, “Lampedusa, chi era costui? Fino a ieri nessuno poteva dire che questo fosse il nome
di uno scrittore…”
Il Gattopardo appare in libreria nel dicembre del ’58. Per un
errore. Il libro, infatti, è previsto per l’inizio del nuovo anno. Il
programma natalizio è già molto fitto e Osenga, il responsabile commerciale, insiste perché abbiano la precedenza volumi più “sicuri”. Ma, per un contrattempo, alcune copie civetta
raggiungono i critici e Carlo Bo esce a sorpresa con una recensione per “La Stampa”. Non resta che anticipare il lancio
in fretta e furia.
L’editore ammetterà, nel corso di un’intervista, la casualità
dell’“Operazione Gattopardo”: “Živago richiese una decisione
difficile e solitaria. Chi avrebbe potuto consigliarmi in quel
frangente? Insomma non fu, come è quasi sempre per i bestseller, come è stato con Il Gattopardo, un colpo di fortuna”.
In realtà, le storie editoriali dei due libri hanno qualche analogia. Come nel caso di Pasternak, Feltrinelli non riuscirà
mai a incontrare di persona l’autore del suo secondo, enorme,
colpo editoriale. Giuseppe Tomasi duca di Palma è morto di
cancro ai polmoni nel luglio del ’57. Il suo sarà un successo
postumo e travolgente. “Nelle librerie, delicate signore di una
certa età, giovani ‘arrabbiate’, piccoli borghesi lettori dei rotocalchi chiedono Il Gattopardo, quasi con la stessa furia un
po’ incosciente con cui tempo fa chiedevano Il dottor Živago.”
Così riescono a scrivere su “Rinascita”, la rivista teorica del
Pci, incappando nelle ironie del critico Geno Pampaloni: “In
un paese diviso in una massa di indifferenti e in una discorde
consorteria di raffinati, il fatto che il libro non solo si venda
a decine di migliaia di copie ma pretenda oltretutto di essere
‘valido’ è di per sé, più che stupefacente, scandaloso. E la diffidenza lo accomuna, in costoro, al Dottor Živago”.
Come per lo Živago, anche nella storia editoriale del nuovo
bestseller c’è un clamoroso rifiuto. Anzi, inizialmente, c’è la
svista della Mondadori, complice qualche lettore distratto, e
Vittorini, che forse inizialmente non aveva neppure letto il
manoscritto. Tutto si spiega, come le anomalie del romanzo
nel contesto ideologico che hanno provocato il no di Einaudi
“per scelta coerente”. Vittorini argomenta le sue ragioni in
una lunga lettera all’autore, ripetendole pubblicamente: anche se “serio e onesto”, si tratta di un libro statico, oleografico, che nega la storia. Meglio Il soldato di Cassola o Il ponte
della Ghisolfa di Testori, più vitali e “dentro la nostra storia”,
anch’essi appena usciti con il marchio Feltrinelli.
Le vicende che portano alla pubblicazione del Gattopardo
formano un nuovo, sia pure minore, “romanzo nel romanzo”.
Protagonisti una “persona amica”, Elena Croce, ricordatasi
del manoscritto tenuto a lungo in un cassetto e finalmente
inviato a Giorgio Bassani, e Bassani stesso, lo “sparviero”, da
poco reclutato durante le frequentazioni romane di Feltrinelli
per dirigere una collana di autori contemporanei. La figlia
di Croce aveva scritto a Bassani dicendogli che il romanzo
proveniva da “aristocratica signorina palermitana”. Questi si
lanciò sul testo riuscendo a recuperare, attraverso non poche
peripezie diplomatico-investigative, il finale del famoso ballo
e anche il manoscritto originale. Poi, dopo la pubblicazione, la
grande fiera della critica: se il romanzo sia o no “di destra”, e
che cosa invece debba considerarsi “di sinistra”.
Per Feltrinelli ormai sono polemiche senza senso: ancora Mario Alicata a bollare come “decadente” un suo libro? Probabilmente la questione gli sembra noiosa quanto il cinguettio delle nobili carampane con cappello (al massimo del loro fulgore)
che occupano l’anfiteatro in cui il premio Strega edizione ’59
celebra il libro di Tomasi.
Il principe di Salina e il dottor Jurij, inattesi protagonisti di
romanzi storici e insieme astorici o sovrastorici, convivono da
qualche parte come due personaggi speculari. Si guardano e
si riconoscono da lontano. Se Il Gattopardo è “l’inquieto fantasma della letteratura italiana del secondo dopoguerra” (la
definizione è di Alfonso Berardinelli), Il dottor Živago, nella
sua terra, è fantasma anche più ingombrante.
(Tratto da Senior Service)
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Vorrei commemorare un amico molto caro e molto rimpianto,
Giangiacomo Feltrinelli, diventato rapidamente e prematuramente una figura misteriosa come se fosse vissuto in epoche
remote e inconoscibili […]. Giangiacomo aveva un carattere
tipicamente timido e aggressivo, molto puritano e capace di
scoppi d’allegria esagerata, però quasi incapace di relax. Bisogni, niente. Desideri, non se ne parla. Aveva alcuni tratti
grandi-borghesi precisi: il valutare direttamente e senza perifrasi di cortesia l’economicità delle operazioni, addirittura
con un’affettazione manageriale di calcoli di costi e ricavi improvvisati con carta e matita lì al momento, il cambiar tema
facendo cortesi domande su argomenti interessanti per l’interlocutore, quando la conversazione arrivava a una impasse;
il timore non confessato ma visibile di venir frequentato solo
per i suoi soldi, e dunque un certo ritegno e difficoltà nello
stabilire rapporti semplici e distesi. Ma il tono manageriale
scompariva immediatamente quando si usciva dall’ufficio e
si passava al pranzo o al weekend: come se si proponesse di
diversificare vistosamente il Privato dal Business.
Non vorrei mostrare delle false ingenuità, ma non capisco
perché ogni tanto veniva considerato un eccentrico milanese:
certo, in un milieu dove novantanove andavano a Portofino, e
tutt’al più a un safari in Kenya, uno che va a Cuba sembra più
stravagante che non a Londra, dove su uno che va a Brighton
gli altri novantanove vanno a Samarcanda o nel Kashmir. Ma
attraverso la continua irrequietezza e i tanti entusiasmi successivi, si sentiva soprattutto una grande vivacità, una inesauribile capacità di esuberanza. Ricordo, per esempio, il progetto
lungamente coltivato di una Storia del Gusto nell’Italia del
Novecento (che non si fece perché mi passò la voglia) e una euforia per i tovaglioli e i giochi di carta colorata, che riempirono
per qualche tempo le librerie Feltrinelli. (Se il cinema italiano
non fosse cretino e vago, con tali materiali un piccolo nuovo
Orson Welles poteva fare un piccolo nuovo Citizen Kane.)
Nel lavoro in comune, la progettazione e messa a punto di
libri diversissimi l’uno dall’altro, i colloqui professionali e le
trattative a due me li ricordo molto efficienti e competenti.
Anche con punte di ironia: mai Rizzoli avrebbe potuto portargli via un autore, sorrideva, perché altrimenti lui avrebbe sfrattato dal pianterreno di via Andegari la squadra del
Milan, di cui un Rizzoli era allora presidente, e che teneva
a quella sede moltissimo. E se si circondava di collaboratori
più sperimentali che professionali, tanto meglio per il futuro:
ai miei volumi più avventurosi, mettevamo in copertina un
Fra Galgario o un Cy Twombly. Due episodi molto personali,
vorrei ricordare. Verso il ’62, quando fu pronto il manoscritto
di Fratelli d’Italia, Giorgio Bassani (che dirigeva la collezione
narrativa) era contrario perché il romanzo gli pareva un coacervo disordinato e scandaloso di saggistica e fiction, e temeva
inoltre letture basate solo sulla polemica e sul pettegolezzo.
Giangiacomo osservò soltanto: l’eventuale biasimo se lo prende il direttore di collana quando scopre e avalla sciocchezze.
Ma se la sciocchezza appartiene a un autore già noto, tutto il
biasimo ricade su di lui. Più tardi, nel ’68, stavo lavorando a
due libri anche troppo letterari (Super-Eliogabalo e Sessanta
posizioni) rispetto all’immagine ormai molto politicizzata e
ideologizzata della casa; glielo dissi, che forse non mi sembrava il caso, forse gli imbarazzavano quell’immagine di pamphlets. E invece li volle, malgrado tutto: ci fu anzi un grande
abbraccio commosso, seguito addirittura (tanto eravamo imbarazzati tutt’e due) da bacio.
Non gli piacque, invece – e direi a torto – il progetto del periodico “Quindici”. (Ricordo Villadeati trasformata per un
weekend in succursale dell’ufficio, con quasi tutto il Gruppo
63 che pernottava, e parecchio vino rosso del Monferrato.) E
forse non lo volle perché era ancora un progetto molto “pop”
e “swinging” con tanti gelati e ananas e animaletti a coloretti
sulla copertina? (e lui si sentiva già dentro le rigidezze di una
guerriglia non conciliabile con Yellow Submarine?). Ma anche Carlo Caracciolo fu poco propenso. Portò l’intero gruppo
in pizzeria, fece servire abbondantemente, e non ne parlò più.
(Tratto da Un paese senza, Garzanti 1980)
Festa in onore di Alberto Arbasino per l’uscita di Super-Eliogabalo, con Inge
Feltrinelli (in alto) e con Camilla Cederna (in basso).
Questo catalogo presenta il panorama completo dei primi dieci anni di attività editoriale della Feltrinelli. Il nostro sforzo
si è rivolto soprattutto in due direzioni: quella più impegnata
di ricerca, di confronto delle idee, nel tentativo di approfondire la conoscenza della storia del nostro paese, del presente
e della rapida evoluzione della nostra società. Dall’altra parte, indispensabile ci è apparsa la pubblicazione di volumi di
qualità che corrispondessero alle esigenze di consumo della
nostra società contemporanea e del pubblico italiano. Il libro
oggi non è più soltanto strumento di studio e di stimolo impegnato, ma anche di svago, di informazione, di divertimento.
Spesso questi libri vengono definiti genericamente nel loro insieme con il termine dispregiativo di “letteratura d’evasione”,
mentre invece una più attenta distinzione sarebbe, anche in
questo campo, opportuna. Tanto più che, da qui a dieci anni,
il panorama culturale italiano, il grado di civiltà del nostro
paese dipenderà anche, e in larga misura, da cosa, anche nel
campo della letteratura di consumo, gli italiani avranno letto.
Dieci anni fa – il 3 luglio 1955 – la casa editrice Feltrinelli
presentava al pubblico italiano i suoi primi due libri: l’Autobiografia di Nehru e Il flagello della svastica di Lord Russell
di Liverpool.
Tali scelte – tanto più che si trattava dei due primi volumi –
non erano casuali: esse corrispondevano a tre dei principali
filoni che per dieci anni furono – e lo sono tuttora – i leitmotiv
che la casa nella sua battaglia culturale sviluppò con particolare attenzione: la prima, quella di un antifascismo conseguente e coerente; la seconda, quella della ricerca di una forma di coesistenza fra paesi di diverse strutture economiche
e politiche che – e questo è il terzo filone – non accettasse
la cristallizzazione dell’allora esistente geografia economicopolitica ma presupponesse la possibilità per le forze nuove
del Terzo Mondo, dei paesi che uscivano da una dominazione
coloniale, di trovare un proprio assetto e di inserirsi con forza
nel sistema politico mondiale.
Antifascismo per noi non fu e non è soltanto critica degli
aspetti esteriori del fenomeno nazifascista, dei suoi errori e
orrori, ma la ricerca delle origini e cause, recenti e lontane,
della crisi di un sistema che non si risolse con la caduta del
fascismo stesso. Per questo, oltre ad approfondire l’analisi
del passato ben oltre i limiti di una storiografia convenzionale, cercammo di suscitare e sviluppare la conoscenza del
presente, delle sue strutture economico-politiche e delle idee
che in questo nuovo contesto si sviluppavano, alla ricerca di
una soluzione a quei problemi che la caduta del fascismo aveva lasciato insoluti e che anzi si ripropongono con particolare
drammaticità sia in Italia sia in altri paesi. Il nostro lavoro
ci ha portato a percepire chiaramente il processo di restaurazione avvenuto in questi anni in Italia, la crisi delle istituzioni politiche imperfettamente realizzate e il ripresentarsi
Presentazione a Nehru dell’edizione italiana della sua Autobiografia. Accanto al
premier indiano, la figlia Indira Gandhi, futuro presidente.
anche in altri paesi di fenomeni che dal ’45 ritenevamo, forse
ingenuamente, definitivamente liquidati; e non meno grave
appare la crisi generale delle ideologie del XIX e XX secolo
determinata da un sempre più incalzante e travolgente ritmo dello sviluppo delle scienze, delle moderne tecnologie. Tale
sviluppo non influenza solo le strutture economiche ma tutta
la vita umana sotto gli aspetti più diversi (politici, economici,
sociologici, sessuali e culturali).
L’impegno che ponemmo nella ricerca e nella problematica
che ci era cara non si poteva limitare a questa o quella attività editoriale, a questa o quella collana. Ma fu un impegno
che permeò tutta la nostra attività, sia che essa si svolgesse
nel campo della saggistica storica, della ricerca economica o
della letteratura. Fu un impegno originale che si svolse fuori
da schemi preordinati – non senza polemiche e ostilità da destra o da sinistra: Il dottor Živago di Pasternak e Il vicario di
Hochhuth e le opere sperimentali dell’avanguardia italiana
furono episodi di una stessa battaglia per la libertà di espressione contro qualsiasi potere che ritenga che l’analisi, la critica o l’attività creativa di un poeta o di uno scienziato possa
rappresentare un’offesa a ideali legittimi, a uomini illustri o
tradizioni gloriose, ma tuttavia mai assolute e intoccabili, mai
situate fuori dalla critica storica o letteraria.
Particolare attenzione e cura abbiamo dato nella scelta delle
nostre iniziative editoriali alle esigenze dei giovani, e ciò in
un senso ideale, cercando di rispondere alle nuove esigenze
ideologiche e ai nuovi modi di sensibilità, come in un senso
economico o librario. La Universale Economica Feltrinelli offre, con oltre 300 titoli stampati in questi dieci anni, un panorama ricchissimo di saggistica e narrativa quasi sempre in
prima edizione, scelto con l’intenzione di offrire, di riproporre,
soprattutto ai giovani, il meglio della nostra tradizione culturale e le opere più vive del presente.
Questo panorama di interessi, la nostra casa editrice intende
portare avanti con la collaborazione di autori italiani e stranieri, con la collaborazione dei librai e del pubblico.
Giangiacomo Feltrinelli
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In quale momento venne a far parte dell’entourage della casa
editrice Feltrinelli?
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Io inizialmente insegnavo a Bari, ma nel frattempo avevo cominciato delle collaborazioni di letture di testi, giudizi, pareri
eccetera. In quel periodo cominciava il boom della Feltrinelli,
avevano quindi bisogno di assumere e così mi fecero la proposta e io, ben felice poiché non mi piaceva insegnare, mollai
l’insegnamento e mi trasferii a Milano per cominciare a lavorare lì.
Era il periodo, secondo me, più bello della casa editrice, perché
era quello in cui vi lavoravano personaggi di primissimo ordine, che in seguito hanno contribuito alla storia dell’editoria,
per un verso o per l’altro. C’era Valerio Riva che si occupava
della narrativa specie sudamericana e che in seguito è stato
per molti anni il responsabile del settore cultura dell’“Espresso”; c’era Mario Spagnol, che è poi diventato direttore prima
alla Mondadori, poi alla Rizzoli e uno dei più importanti nomi
della nostra editoria; c’erano tanti altri: Giampaolo Dossena
che poi passò a lavorare alla Rizzoli; tra quelli che ruotavano
intorno alla casa editrice c’erano Alberto Arbasino, Nanni Balestrini, Oreste Del Buono.
C’erano grosso modo due grandi settori: quello della narrativa e quello della saggistica. Alla narrativa, con Riva, collaboravano Attilio Veraldi, che poi è diventato autore di gialli di
successo, ed esterni vari. Il settore della saggistica comprendeva varie collane. Mario Spagnol nel ’60 ebbe l’incarico di
seguire la saggistica dell’Universale Economica, di cui io ero
collaboratore. Con me lavoravano Danilo Montaldi e Libero
Sosio.
L’Universale Economica era uno dei pilastri
della casa editrice, uno dei settori portanti.
Feltrinelli aveva cominciato con l’acquistare la
piccola collana del Canguro, nata da una filiazione del Partito comunista. Non si trattava comunque di una collana ideologica, pubblicava
testi classici. Da lì nacque la casa editrice, da
questa piccola collana che in un secondo tempo diventò l’Universale Economica Feltrinelli,
alla quale a ruota si aggiunsero le altre varie
collane.
Potrebbe raccontarmi la storia di questa collana?
Le collane economiche sono quelle in cui tendenzialmente si ripubblicano testi già editi.
L’Universale Economica era organizzata in due
grandi settori, narrativa e saggistica. Nella
saggistica, come anche nella narrativa, comparivano non soltanto opere già pubblicate, ma
anche novità, testi inediti. La novità delle collane universali ed economiche generalmente e,
possiamo dire, fino a quel momento, era data dal fatto che un
testo classico veniva presentato con una nuova curatela, una
nuova traduzione.
Invece nell’Universale Feltrinelli apparvero anche novità assolute, cioè testi che non erano usciti prima, ma che venivano
pubblicati in quel contesto proprio per poter diffondere la cultura a prezzi moderati. Nella stessa collana poi c’erano delle
sottocollane, c’erano per esempio “I classici italiani” di cui si
occupava Carlo Muscetta, docente all’Università di Napoli,
c’era la Feltrinelli-Fischer, traduzione di un’enciclopedia tedesca nata per il tascabile, con lo stesso scopo di diffondere i
libri importanti a prezzi contenuti. E poi c’era un po’ di tutto,
politica, filosofia, critica letteraria. Le idee nascevano un po’
da tutti i collaboratori, interni ed esterni, non c’era una struttura formale, come per esempio all’Einaudi, dove vigevano i
famosi “mercoledì dell’Einaudi”, riunioni plenarie a cui partecipavano sia gli interni sia gli esterni e dove era presente
Giulio Einaudi che bocciava o promuoveva le idee. Era tutto
molto informale, e questo era il bello della Feltrinelli, il fatto
che ci fosse un continuo scambio di idee tra i vari redattori, i
consulenti, i collaboratori, poi naturalmente tutto era deciso
da Feltrinelli, ma senza nessuna formalità, poteva capitare
che un’idea nascesse da un collaboratore qualsiasi e che arrivasse direttamente all’editore, senza un apparato, una burocrazia rigida.
Adesso la Feltrinelli è strutturata come una casa editrice
industriale; il periodo a cui mi riferisco è quello che va dal
’60 al ’65, quei quattro o cinque anni erano ancora il periodo
in cui la casa editrice si andava formando. In un certo senso
la Feltrinelli ha rappresentato un momento di cerniera tra
l’editoria semiartigianale, non limitata, quella dove l’editore era il simbolo, dava l’impronta alla casa editrice, e quella
che è diventata rapidamente, a partire dagli anni settanta,
l’editoria industrializzata, che va sempre più trasformandosi
ragionando in termini di marketing, di mercato. Non sto dando un giudizio di valore, è una cosa diversa. Si basava molto
sul contatto diretto, sull’apporto personale, tutto avveniva
in maniera molto informale. Per fare un esempio, non c’era
alla Feltrinelli un cartellino da timbrare, un orario rigoroso,
una volta che provarono a introdurre il cartellino ci fu una
mezza rivoluzione, ma questo non perché i dipendenti facessero i comodi loro, anzi lavoravano molto più di quanto non
si lavorasse altrove, ma se arrivavano alle dieci della mattina e restavano fino alle otto di sera andava bene comunque.
Questa mancanza di struttura poteva dare apparentemente
un’idea di disordine, in realtà era un lavoro molto preciso, vissuto giorno per giorno, ora per ora, con la gente che andava e
veniva; si rideva, si parlava, si scherzava, insomma non era
una struttura industriale come si può pensare oggi, ma ugualmente si lavorava molto.
Feltrinelli era una persona autoritaria? Eravate liberi nella
scelta delle pubblicazioni?
Non era affatto autoritario. Era difeso da una segretaria di
ferro (Tina Ricaldone) che proteggeva i suoi orari e impediva
ai seccatori di importunarlo in continuazione. Era un uomo
che aveva grandissime qualità, anche come editore, aveva
avuto delle intuizioni che oggi forse è difficile valutare: per
esempio in Italia non si era mai parlato di ecologia. Il primo
libro, che è diventato poi una specie di libro di culto dell’ecologia, cioè Primavera silenziosa di Rachel Carson, che spiegava
come i pesticidi e gli altri spray avrebbero distrutto il pianeta, l’aveva pubblicato lui nel 1963. La rivoluzione sessuale di
Wilhelm Reich, quando allora di sesso o non se ne parlava
proprio oppure sembrava una cosa sconvolgente, è stato un
libro di cui si sono vendute milioni di copie, ha avuto credo 25
o 30 edizioni, ed era allora una cosa rivoluzionaria. Nessun
altro editore si sognava di pubblicare testi del genere. Queste
intuizioni le aveva Feltrinelli. Il Gattopardo non è un caso che
l’abbia pubblicato lui, quando l’avevano rifiutato altri, questo
dimostra la qualità.
Per essere editore non è necessaria la cultura, nel senso stretto del termine, l’editore è fatto di intuizioni, capisce quelli che
possono essere gli umori della gente, le cose che possono interessare e anche i testi che vale la pena di pubblicare perché
aprono delle nuove strade. Feltrinelli lo era, non c’è dubbio.
Anche la capacità di scegliere i collaboratori, di sapere a chi
dare retta e a chi no, anche questa è la dote dell’editore. Il
lavoro alla Feltrinelli era fatto di intuizioni, come secondo me
deve essere in effetti il lavoro di una casa editrice.
Vittorio Di Giuro, traduttore e bibliofilo, decano dell’editoria italiana, è entrato
in Feltrinelli nel 1960 per lavorare come redattore all’Universale Economica,
insieme a Mario Spagnol. È stato, tra l’altro, direttore editoriale di Sonzogno,
Bompiani, Frassinelli. Più recentemente, ha fondato la casa editrice Sylvestre
Bonnard. L’intervista è tratta dal volume Già Feltrinelli (a cura di Francesca
Daneri, EnnErre 2008).
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Un giorno le pareti della casa editrice cambiano colore: diventano tutte fauves, giallo cadmio, rosso segnale, verde scuro,
forse con lo zampino di Inge: i libri diventano più aggressivi,
più liberi, più nervosi: il giovanotto ha capito che la sovversione ora si fa altrimenti, che i gesti devono diventare più
radicali e più spregiudicati. […]
Economicamente parlando fare l’editore vuol dire o disporre
di molto denaro e arrischiarlo, oppure non averne affatto e
volerne guadagnare molto. Nel secondo caso, spesso i risultati
sono nocivi per il pubblico; nel primo occorre perlomeno che
uno abbia qualche buona ragione, per esempio, che ritenga
la cultura una cosa molto importante, per cui valga la pena
di alzarsi ogni mattina a ore micidiali, di lavorare dodici ore
al giorno, di sobbarcarsi pranzi discussioni cene discussioni
viaggi discussioni pranzi, di convivere coi disadattati e i nevropatici, di suscitare un po’ di mondanità, di far rumore…
La cultura: i classici, la storia, la letteratura, la psicoanalisi,
la psichiatria, l’economia, la politica, la storia, i classici…
I beats, la pianificazione, l’avanguardia, la retroguardia, il
problema razziale, la fisica dei neutroni… tutto ciò che avviene nel profondo universo…
Eppure la cultura non è un mero massacro di problemi, un
cimitero di concetti: la cultura è quella che ci hanno insegnato
in collegio e all’università oppure è quella nuova, quella che
si fa, quella che cerca di disperdere i miasmi ristagnanti della
prima. La cultura rischia sempre di contenere qualche cosa
di sovversivo… E, dunque, attenzione: il giovanotto potrebbe
essere, è un sovversivo […]. Passa la sua giornata e talvolta
anche la sua notte in un ufficio giallo cadmio pieno di libri, di
portacenere, di poltrone Mies van der Rohe per le riunioni,
di fotografie, guida l’automobile a velocità allarmanti, passa
settimane sul suo yacht nel mare del Nord, il venerdì sera
parte con moglie e figlio per un castello appollaiato sopra il
villaggio di Villadeati, e lì escogita e disfa collane, progetti,
contratti, tra trofei di caccia, una sauna proprio finlandese e
una piscina, tra un libro di storia nazionale e un volume di
sessuologia, tra i quality paperbacks e i romanzi d’avanguardia, in mezzo alle riviste in quattro lingue […].
Il giovanotto ha cominciato la sua attività nei bui anni cinquanta, guerra fredda, neorealismo, immobilità, e allora si
vestiva alla neorealista, un gilè di lana e una camicia qualunque: engagement… La sua ultima edizione è francamente
migliore: abiti chiari, camicie a righine, cravatte stupende…
E non è questione di moda, è questione di cultura…
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Enrico Filippini (1932-1988), germanista, scrittore e critico, cofondatore del
Gruppo 63, ha collaborato con Feltrinelli dal 1959 al 1968. L’articolo è tratto da
“la Repubblica”, 8 aprile 1979.
Dunque mi devo definire: devo definire me stesso in quanto
editore; o perlomeno devo presentarmi, mostrarmi, spiegarmi in rapporto col mestiere che per il novanta per cento del
mio tempo faccio da quasi quindici anni. Potrei cominciare
dal mestiere: per semplificare le cose, togliendo di mezzo la
mia persona; oppure potrei cominciare dalla mia persona, ma
in questo caso, purtroppo, non riuscirei a togliere di mezzo
il mestiere… Dunque, comincio dal mestiere. Ma non voglio
definire l’editore, anzi l’Editore: a mio modo di vedere si tratta
di una funzione indefinibile, o meglio definibile in mille modi.
Basterebbe, a questo proposito, elencare tutti coloro che, facendo l’editore, hanno costruito una fortuna, ed elencare,
d’altra parte, tutti coloro che (sempre facendo l’editore) una
fortuna hanno distrutto. Nell’editoria contemporanea sono
numerosi i primi quanto i secondi: penso per esempio a Ernst
Rowohlt o a Gaston Gallimard da una parte e a Kurt Wolff
dall’altra. Ernst Rowohlt e Gaston Gallimard hanno costruito
fortune, nella forma di case editrici, che sono insieme fortune economiche e fortune culturali; Kurt Wolff, l’uomo che ha
“scoperto” quasi tutta la letteratura contemporanea di lingua
tedesca prima ancora della Grande guerra del ’14-18, ha affossato economicamente numerose case editrici, ma sempre
avendo culturalmente ragione: luminosamente ragione.
Ed ecco che il termine “fortuna” acquista già un significato
non più soltanto economico, ma più sottile, sottile e ambiguo,
un significato, non molto metaforicamente, “politico”. Lasciamo perdere, dunque, l’editoria fortunata a livello di business:
i mastodonti che possiedono mezzo milione di titoli, cinquanta
staff redazionali, una dozzina di rivistacce per le “serve” intellettuali, o per gli intellettuali-serva, le tipografie con le supermacchine degli “aiuti” americani, gli apparati di intimidazione e gli “uffici acquisto premi letterari”. È inutile spiegarne il
funzionamento perché oggi sarebbe ben difficile crearne uno;
creare il super-robot del libro, e soprattutto perché la creazione di un simile mostro è lontanissima dalle mie intenzioni.
Sarà un difetto, sarà un vizio: ma anche se auspico la fortuna economica della mia casa editrice, non posso fare a meno
di ricordare che essa è nata soprattutto da un miraggio, no:
da un’intenzione, addirittura da un bisogno e da un desiderio
che esito a definire culturali soltanto perché la parola cultura,
Cultura, Culture mi appare gigantesca, enorme, degna di non
essere scomodata di continuo.
Diciamo allora che: anche se auspico la fortuna economica della mia casa editrice, ho in mente, penso, perseguo una “Fortuna” nel secondo senso. E questa è una cosa molto difficile da
spiegare; a farla breve: io cerco di fare un’editoria che magari
ha torto lì per lì, nella contingenza del momento storico, ma
che, quasi per scommessa, io ritengo abbia ragione nel senso
della storia.
Gli scritti di Guevara sono necessari. Cerco di spiegarmi meglio: nell’universo frastornato di libri, di comunicazioni, di valori che spesso sono pseudovalori, di informazioni (vere e false),
di sciocchezze, di lampi di genio, di forsennatezze, di opache
placidità, io mi rifiuto di far parte della schiera dei tappezzieri
del mondo, degli imballatori, dei verniciatori, dei produttori
di “mero superfluo”. Poiché la micidiale proliferazione della
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carta stampata rischia di togliere alla funzione di editore
qualsiasi senso e destinazione, io ritengo che l’unico modo per
ripristinare questa funzione sia una cosa che, contro la moda,
non esito a chiamare “moralità”: esistono libri necessari, esistono pubblicazioni necessarie. Per quanto ciò possa apparire
paradossale, io, come editore, sottoscrivo pienamente quella
che Fidel Castro ha chiamato l’“abolizione della proprietà
intellettuale”, cioè l’abolizione del copyright: questa misura
serve a far sì che a Cuba possano essere disponibili i libri
necessari, necessari ai cubani. Ma anche in una situazione
di “proprietà intellettuale privata”, esistono libri necessari.
Disgraziatamente sono qui inibito da uno scrupolo: non vorrei fare pubblicità ai miei libri; d’altra parte, sono costretto
a citare. E così cito: nell’universo delle scritture occidentali
esiste un genere, una cosa letteraria, che si chiama romanzo.
Molti dicono che è morto, molti dicono che è vivo: lo scrivono, lo leggono, lo comprano... Io faccio l’ipotesi che non sia né
tutto morto né tutto vivo, ma che certi romanzi siano morti e
altri vivi: quelli vivi sono necessari. I romanzi vivi sono quelli che colgono i cambiamenti nei livelli intellettuali, estetici,
morali del mondo, le nuove sensibilità, le nuove problematiche, o che propongono un modello di questi nuovi livelli, o
che stravolgono la superstizione della perenne identità della
natura umana, o che propongono nuovi paradossi – già ora,
già qui, in questa specie di purgatorio della storia. Per questo
ho pubblicato (cito a caso) Pasternak e Velso Mucci, Parise e
Gombrowicz, Lombardi e Fuentes, Vargas Llosa e Sanguineti,
Balestrini e Selby, Porta e Henry Miller... persino l’eterogeneità degli accostati mi pare vitale e divertente. Per questo
pubblico i giovani scrittori dell’Avanguardia.
Cito un altro esempio: esistono libri politici, o meglio libri di
politica. Molti sono libri “giustificativi”, cioè libri che testimoniano di mancato atto politico. Altri, non molti, sono libri
pienamente politici, scritture che accompagnano un’azione
politica concreta e che il pubblico vuole e deve conoscere: recentemente, in tre o quattro giorni, le librerie hanno venduto
tutta un’edizione ad alta tiratura di un volumetto che raccoglie alcuni scritti di Ernesto “Che” Guevara: anche se questo
libro non si fosse venduto, avrei accettato di pubblicarlo, perché gli scritti di Guevara sono scritti necessari. Infatti pubblico una collanina (Documenti della rivoluzione nell’America
Latina), fatta di libri scritti da autori (soprattutto “autori della storia”) che non sono noti come Guevara e che quindi vengono venduti meno: li pubblico ugualmente perché i giovani li
vogliono ed è giusto che li abbiano.
Superata la barriera del seno. Faccio ancora un esempio e poi
smetto di fare esempi: una volta un giornalista tedesco ha
scritto che ero passato dall’impegno politico all’impegno pornografico; a parte il fatto che sono un fautore del cosiddetto
disimpegno e che, d’altra parte, chiamo pornografico soltanto
quello che mi pare ripugnante ma non ciò che può violare un
codice retorico qualunque e, comunque, piccolo-borghese, non
vedo soluzione di continuità: è giusto o, come dicevo prima,
necessario, che il bombardamento delle riviste recenti abbia
ottenuto questo mirabolante risultato: è stata superata la
barriera del seno, si può pubblicare su una copertina un seno
nudo. Naturalmente si tratta di una microrivoluzione, ma si
devono fare appunto e soltanto le rivoluzioni che si possono
fare, anche se, a mio modo di vedere, ci si deve sempre mettere nell’ordine di idee che, fatta una rivoluzione, se ne può fare
un’altra più grande...
Non voglio dare l’impressione di essere un uomo che concepisce l’editoria in modo pedagogico, un uomo che ritenga di
avere qualche cosa da insegnare. Quindi, aggiungo: come vive
un editore? Un editore vive sotto il bombardamento, che è il
bombardamento della carta stampata nel mondo ormai privo
di confini e di vere lontananze, ed è dedito al bombardamento:
tra le bombe che gli cadono sul tavolo deve scegliere quelle da
rilanciare e da far esplodere nella mente dei lettori. Quindi
un editore vive circondato da collaboratori, che spesso sono,
perché intelligenti e sensibili, nervosi: nelle ore di ufficio, un
editore deve usare tutto se stesso e soprattutto gli occhi e il
naso. I manoscritti e i libri già stampati si materializzano
spesso nella forma di un uomo: dell’autore, che spesso è intelligente, nervoso e geniale: l’editore deve usare tutto se stesso.
Un editore è un uomo che spende soldi per comprare titoli,
per pagare percentuali, per pagare costi di produzione e spese
generali che servono a pubblicare libri. Quindi un editore ha
a che fare con persone che manovrano denaro, con le banche,
con le contabilità, coi centri meccanografici: un editore deve
usare tutto se stesso e non so che parte di tutto se stesso.
L’editore è un veicolo di messaggi. Un editore deve pubblicare
libri che poi devono essere venduti. Quindi un editore ha a che
fare con un apparato commerciale, e i problemi tecnici sono
molti, ma forse, anche qui, oltre a quella parte di se stesso
che non so definire, un editore ha bisogno del naso che fiuta
la necessità…
Un editore può cambiare il mondo? Difficilmente: un editore
non può nemmeno cambiare editore. Può cambiare il mondo
dei libri? Può pubblicare certi libri che vengono a far parte del
mondo dei libri e lo cambiano con la loro presenza. Questa affermazione può sembrare formale e non corrisponde in pieno a
quello che penso: il mio miraggio, quello che io credo il maggior
fattore di quella tal “Fortuna” di cui parlavo, è il libro che mette
le mani addosso, il libro che sbatte per aria, il libro che “fa” qualche cosa alle persone che lo leggono, il libro che ha l’“orecchio
ricettivo” e raccoglie e trasmette messaggi magari misteriosi
ma sacrosanti, il libro che nel guazzabuglio della storia quotidiana ascolta l’ultima nota, quella che dura una volta finiti i
rumori inessenziali...
È bene che le donne portino la gonna lunga o è bene che portino la gonna corta? I socialdemocratici tedeschi hanno fatto
bene o hanno fatto male ad aderire alla Grande coalizione?
Perché il senatore Merzagora ha dato le dimissioni da presidente del Senato? La pillola antifecondativa fa bene o fa
male? Qual è il senso ultimo della scienza per l’uomo? Come
si presenta, in prospettiva, la situazione sindacale in Italia?
Questo libro è meglio farlo in tipografia o in litografia? Possiamo pagare questo anticipo? Qual è la posizione dell’Italia
nel Mercato comune? È possibile una analisi psicoanalitica
della voga dei bottoni, degli slogan, dei distintivi? La nuova
editoria è per caso quella delle Guardie rosse? Com’è giustificabile l’industria culturale? È questa l’industria culturale?
Cosa pensano e cosa fanno gli studenti? Quali sono i minimi salariali? La legge quadro è un bene o è un male? Qual è
la funzione sociale dell’oscenità? Pare che il generale Ovando voglia vendere a un editore il Diario di Che Guevara per
250.000 dollari: l’editore è ancora un editore o è un finanziatore della guerra di repressione? L’onda nera sale negli Stati
Uniti? Stroncherà l’imperialismo bellicoso? Il malessere dei
giovani in Italia è un malessere puramente fisiologico oppure
è virtualmente politico e ragionato? C’è qualche speranza?…
Che cos’è un editore? Non so che cosa sia l’Editore, l’editore in
sé, ma cerco di ascoltare le ragioni per cui faccio l’editore. E
ammetto: l’editore non ha niente da insegnare, non ha niente
da predicare, non vuol catechizzare nessuno, in un certo senso
non sa niente. E ammetto: l’editore, per non essere ridicolo,
non deve prendersi eccessivamente sul serio, l’editore è una
carretta, è uno che “porta carta scritta”, è un veicolo di messaggi, è tutt’al più, per parafrasare quel McLuhan di cui si
parla tanto, un fautore di messaggi che siano anche massaggi.
E ammetto: che l’editore è niente, puro luogo d’incontro e di
smistamento, di ricezione e di trasmissione... E tuttavia: occorre incontrare e smistare i messaggi giusti, occorre ricevere
e trasmettere scritture che siano all’altezza della realtà. E
quindi: l’editore deve gettarsi, tuffarsi a rischio di annegare,
nella realtà. Senza sapere nulla deve far sapere tutto, tutto
quello che serve, e che serve ai vari livelli di coscienza. Tuffarsi nella realtà: tentare la “Fortuna”. La “Fortuna” diventa allora un significato, un orizzonte, una vita svincolata e
trionfante… E allora: un editore è niente, è un veicolo che può
anche autodefinirsi una carretta, ma un editore può anche
affrontare il proprio lavoro sulla base di una ipotesi di lavoro
molto azzardata: che tutto, ma proprio tutto, deve cambiare,
e cambierà.
(Tratto dalla rivista “King”, 1967)
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Con Inge Feltrinelli al Floridita, L’Avana 1959.
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Vendere e diffondere libri in Italia non è mai stato facile, colpa
della scuola, mancano le biblioteche e da sempre le statistiche
dovrebbero far impallidire, se solo ci fosse qualcuno disposto
a impallidire. Poi c’è sempre la storia che i libri sono “buoni”,
che ci rendono migliori, e magari fanno pure bene alla salute, cosa che gli editori lasciano intendere ancor prima di aver
provato con il “marketing”. In realtà leggere costa fatica, tempo, e quando si esagera rende “orbi, tisici, scoliotici, peptici”,
direbbe Valerio Riva.
Intorno alla metà degli anni sessanta, si parla però di un
piccolo “boom librario italiano”. O meglio, è uno di quei momenti in cui nel libro sembra che cambi tutto. La rivoluzione
tecnologica, il pocket-book in edicola, i nodi della distribuzione, gli uffici pubblicità: finirà davvero l’editoria familiare? Si
passerà davvero “dal consumo della letteratura al consumo di
libri”? Il libro sarà un oggetto di consumo come tanti altri? La
cosa preoccupa gli operatori più tradizionali.
Come diffondere la lettura nel Belpaese? In una discussione
televisiva con Valentino Bompiani e Livio Garzanti, Feltrinelli insiste sul ruolo del tascabile e lamenta la mancanza di
tempo per leggere: la sua tesi è che devono diminuire le ore
di lavoro settimanali. Sugli stessi argomenti, dal “Corriere”,
risponde ai colleghi Einaudi e Mondadori. Il primo punta le
sue carte sullo sviluppo delle biblioteche comunali, il secondo
vede nuovi sbocchi nelle vendite rateali, postali, nella creazione dei “club” del libro e in altre iniziative commerciali fuori
dalla consueta rete distributiva. La tesi di Feltrinelli è espressa in una lettera pubblicata il 2 agosto 1964:
Caro Direttore,
da qualche tempo ho cercato di lasciar cadere i pregiudizi e ho
voluto vedere se era proprio vero che il peggior modo di vender
libri fosse quello di venderli attraverso le librerie.
Lei sa che io sono ancora giovane e un po’ impetuoso: mi piace
fare da me le esperienze che servono al mio lavoro. Insomma,
per saper quale era la verità, mi sono fatto io stesso libraio;
sono andato in libreria a vedere come si vendevano i libri, chi
li acquistava, chi li pagava e chi (ahimè) li comprava a credito
o (peggio ancora) li sfogliava soltanto. Ho cercato di calarmi
nei panni del libraio, ma sempre senza dimenticare d’essere
un editore. E le dirò che ho fatto delle scoperte abbastanza interessanti: e la prima di tutte è che le critiche che si fanno
a questo strumento che è la libreria spesso sono orecchiate,
ingiuste, infondate e magari addirittura (involontariamente)
diffamatorie.
In Italia in questi ultimi anni si sono fatte molte cose nuove (e
alcune novità, mi perdoni, le ho introdotte anch’io). Ho pensato
che si dovesse soprattutto rivoluzionare il modo di esposizione
dei libri, e la scelta degli “stock”. Nella mia libreria di Milano,
in via Manzoni, non ho paura di esporre due o tre volte in due
o tre punti diversi lo stesso libro, di mettere libri di facciata
invece che di costa, di far spuntare sopra ognuno di essi il cartellino del prezzo, o addirittura di presentarli dentro i cestini
di ferro che i fruttivendoli adoperano per presentare ai loro
clienti la verdura e la frutta.
Ma certo non ci sono solo le librerie Feltrinelli. […] A Milano
soltanto abbiamo 250 librerie: non si può certo parlare di una
rete insufficiente.
Anche il personale è andato notevolmente migliorando negli
ultimi anni. Non ci sono ancora le scuole per librai, che esistono per esempio in Germania o in Olanda, ma esistono già
librai giovani che non si accontentano soltanto di sapere a
memoria i cataloghi delle case editrici. Certo che, se avessimo
una scuola moderna per librai, molti nostri problemi sarebbero risolti: e io mi domando cosa costi di più, se giganteschi apparati di pubblicità e complesse amministrazioni di clienti e
pesanti organizzazioni di “public relations”, o una bella scuola
da cui ogni anno potessero uscire cinquanta librai nuovi con
idee nuove e un’esperienza moderna.
[…]
Le librerie Feltrinelli vivono la loro principale evoluzione
nella prima parte degli anni sessanta, quando sarà definita
meglio la formula che permette il grande sviluppo di una catena libraria. I primi esperimenti, promossi fin dal ’57, erano
serviti da prova generale per ottenere informazioni sull’andamento delle vendite e sul mercato. Rispetto alle tradizionali
librerie familiari, quelle con il bancone tra cliente e commesso
in spolverino scuro, le Feltrinelli sono già una realtà innovativa: niente testi scolastici, massiccia presenza di tascabili, i
cataloghi dei migliori editori esposti di piatto e non di costa e
molte altre invenzioni.
Intorno al 1960, Feltrinelli realizza l’idea di un chiosco selfservice fatto progettare in Germania. Se ne piazzano diversi
a Milano e in località balneari ma, privi di licenza per vendere i giornali, falliscono in breve tempo. L’iniziativa suggerisce
però molti spunti per utilizzare ogni centimetro buono di scaffale quando, tra il ’63 e il ’65, nascono le librerie di “seconda”
generazione.
Modificati i vertici della Feltrinelli Libra, si cercano locali più
ampi, in vie centrali e frequentate. Il futuro sindaco di Bologna, lo storico Renato Zangheri (collaboratore dell’Istituto
Feltrinelli), accompagna Giangiacomo nelle strade della sua
città per calcolare i flussi dello struscio commerciale. Prende
forma il nucleo storico delle librerie più importanti: a Bologna
sotto le due torri, a Milano in via Manzoni, a Roma in via del
Babuino, a Firenze in via Cavour (con benedizione del sindaco
La Pira). Ogni libreria vive una propria storia legata anche
alla personalità del libraio scelto per dirigerla.
La parola d’ordine è portare a tutti i costi la gente a comprare
i libri.
[…]
Sono molti i metodi, meno convenzionali, per attrarre il pubblico. A Firenze si offrono caldarroste, a Milano capita Joan
Baez a piedi nudi, a Bologna si organizzano i primi grandi
incontri con gli autori, e a Roma… “A Roma sembrava che
tutta la vita culturale circolasse nel triangolo tra la trattoria
di Cesaretto, la galleria di Plinio e la libreria del Babuino,”
ricorda il libraio Carlo Conticelli.
Ma i marziani versione ye-ye non erano ancora sbarcati in
piazza San Pietro. Ancora da Roma, la libraia Franca Fortini:
Una libreria con il flipper. Lo aveva fatto mettere Feltrinelli
naturalmente, e quando arrivava, per prima cosa si metteva
a giocare con quegli aggeggi, non so se per divertimento o per
scaricarsi. Portarono il flipper nella sala dietro, ma nemmeno
il distributore voleva credere ai suoi occhi. I flipper andavano
tutt’al più in qualche bar frequentato da giovanissimi, in quei
tempi lì, siamo nel ’65. L’avevamo visto d’estate al mare, in certi posti di mezza campagna… E accanto al flipper il baraccone
della Coca-Cola, il tiro a segno con le freccette, tanti manifesti
alle pareti e anche un juke-box fece mettere, bellissimo, tipo
saloon del Far West, pieno di cromature e con dei dischi di
musica rock, dei Beatles che cominciavano a furoreggiare e
con dei dischi delle canzoni di Sanremo. Cosa c’era? Johnny
Dorelli. Era un ragazzino ma aveva vinto lui. E Modugno. Nel
blu dipinto di blu… “penso che un sogno così non torni mai
più”… E la Mina, Celentano e Buscaglione. Venivano i ragazzi
delle scuole, del ginnasio e si mettevano a ballare, fu la prima
discoteca di Roma la libreria Feltrinelli. Era uno scandalo,
questi ragazzetti di quattordici, quindici anni che si mettevano a ballare in libreria al suono del juke-box. Non era una
cosa di tutti i giorni ma insomma, ogni tanto capitava e ci si
divertiva anche un sacco di gente seria.
(Tratto da Senior Service)
In alto: performance nella libreria Feltrinelli di via del Babuino.
Sotto: Monica Vitti e Nanni Balestrini.
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A proposito di Giangiacomo Feltrinelli vorrei fare due considerazioni: egli apparteneva a un mondo letterario ed editoriale ahimè in via di estinzione, ma le sue analisi politiche sono
purtroppo di un’attualità preoccupante, anche se i discorsi
che si tengono abitualmente su questo grande editore militante sembrano contraddire le mie osservazioni.
Da trent’anni, negli ambienti della sinistra corretta, si è alquanto ironizzato sul garibaldismo autistico di questo “rivoluzionario”. […]
Chi ha disprezzato le sue analisi e le sue azioni dovrebbe chiedersi, con umiltà e tristezza, che fine abbia fatto quel grande
Partito comunista che tutti ammiravamo allora e cosa siano
diventati i suoi intellettuali di sinistra, “le cui riflessioni” critiche ci sembravano, negli anni sessanta, tanto sottili e pertinenti. Io sono convinto che Giangiacomo Feltrinelli non sia
l’icona démodé di un periodo politico superato. La sua attualità come editore è ancora presente. Il suo nome figura sulle
migliaia di opere che dopo la sua morte la Feltrinelli ha pubblicato con ostinazione e passione, e che sono tra i migliori
libri stampati in Europa.
Ma l’editoria è enormemente cambiata in questo inizio di secolo. Una quarantina d’anni fa c’erano alcuni grandi editori
cosmopoliti che proseguivano il lavoro delle generazioni precedenti. Formavano una specie di club di folli della letteratura. Certamente i loro libri volevano anche venderli, ma ritenevano che il loro ruolo fosse innanzitutto quello di consentire
agli autori di dedicarsi alla propria opera, per tutta la vita,
in qualsiasi congiuntura. E non solo. Erano anche convinti
che la loro missione consistesse nel permettere a un numero
sempre crescente di lettori di diventare più colti e istruiti.
Figli dei Lumi, amavano le collane originali di tascabili, le
enciclopedie ambiziose e le grandi opere. Ma al tempo stesso nipoti di Barnabooth, si ritrovavano nei loro bar preferiti
per passare intere nottate a parlare di letteratura e di tutte
quelle piccole cose che sono il fascino della vita. Giangiacomo
apparteneva a quel mondo dei Weidenfeld, Rowohlt, Einaudi,
Straus, che si appassionava alle parole e pubblicava per vizio,
con piacere ed eleganza. Certo, vi sono anche oggi scrittori
ed editori che li pubblicano. E quest’atmosfera di un tempo
la si ritrova talvolta a Francoforte, alle serate da Hanser o
alle matinée da Suhrkamp. Ma questo mondo è scomparso.
Cosa direbbero Giangiacomo o Ledig-Rowohlt di tutte quelle
personcine affannate che misurano a grandi passi i corridoi
della Fiera del Libro con il cellulare all’orecchio e un pc nel
cuore? Il mondo grigiastro ed efficiente di questi Snopes, dei
quali Faulkner aveva previsto la vittoria sui Sartoris, trionfa.
Ricordo infine il mio ultimo pranzo con Giangiacomo da Lipp,
verso la fine degli anni sessanta. Mi disse che si sarebbe dedicato ad altre occupazioni più clandestine e meno letterarie
che in passato, ma in realtà poi non fece che parlarmi del
romanzo di Gaia Servadio, Melinda, che avrei dovuto assolutamente pubblicare. E senza dubbio, lasciandoci, pensavamo
entrambi che bisognava preferire questa presenza silenziosa
ma essenziale dei nostri libri al fracasso della Storia.
Christian Bourgois (1933-2007) è stato uno dei più brillanti editori indipendenti
europei, fondatore di Christian Bourgois Éditeur. L’articolo è tratto da “Du”, 2002.
Sotto: immagini tratte da Que viva el Che Guevara, di Marco Rizzo e Lelio
Bonaccorso (BeccoGiallo 2011).
Nel 1961 sono arrivata a Milano dal Sudafrica per incontrare l’editore italiano del mio romanzo Un mondo di stranieri,
messo al bando nel Sudafrica dell’apartheid. L’incontro non
fu, come mi aspettavo, un saluto formale in casa editrice e poi
la solita colazione di lavoro. Trovai, invece, un giovane uomo
dalla stimolante, straordinaria intelligenza. Il mio editore italiano era lui, Giangiacomo Feltrinelli. Ci intendemmo subito,
come se avesse vissuto e sperimentato di persona il conflitto
umano del mio paese. Aveva il dono dell’identificazione, che
nasceva dalla sua comprensione profonda della politica, della
società e dei complessi risvolti personali che affiorano in un
romanzo. Non gli era estranea nessuna condizione umana, per
quanto lontana potesse essere. Quel giovane uomo possedeva
il talento, l’amore per la letteratura e la capacità di giudizio
necessari per diventare un grande editore – e lo dimostrò presto, con la scoperta di un’opera di genio fino ad allora tenuta
nascosta al mondo da un regime oppressivo. Sfidando la censura e superando ostacoli formidabili nell’Unione Sovietica
dell’epoca, Giangiacomo Feltrinelli pubblicò Il dottor Živago
di Pasternak in prima traduzione mondiale e offrì così questo
romanzo meraviglioso alle altre lingue, a tutti noi. Riconosceva d’istinto, e non soltanto entro l’ambito politico, quando la
letteratura illumina e rivela che cosa è l’esistenza umana. E
infatti fu lui a pubblicare Lampedusa e tanti altri che hanno
reso la letteratura mondiale del nostro tempo una cronaca
dello spirito calata negli avvenimenti, passati e presenti.
Un combattente della cultura, certo. Ma è stato anche, e fu
questo aspetto infine a prevalere, uno di quei rari esseri che
assumono su di sé la coscienza del mondo. E non è hybris,
come qualcuno potrebbe pensare. Non è avventurismo. È un
enorme fardello, è sacrificio di se stessi. Umiltà estrema. Benché fosse nato nel privilegio – e non banalmente a causa di
ciò: questa è la spiegazione semplicistica che dà chi è soddi-
sfatto del proprio privilegio –, benché dunque “avesse tutto”,
c’era una cosa, e una soltanto, che gli mancava: un mondo
giusto nel quale vivere. Quando il comunismo non sembrò più
una soluzione capace di realizzarlo, egli cercò altri mezzi. Che
siano da considerare deplorevoli o meno, che siano stati o no
un tragico errore, è da lì che scaturivano, dalla disperazione
per la condizione umana.
Mi chiedo che cosa penserebbe Giangiacomo del nostro mondo
di oggi, ora che abbiamo realizzato ogni progresso materiale
e scientifico, ora che abbiamo inventato nuove forme di comunicazione, una tecnologia che, dobbiamo ammetterlo, non ha
ridotto la distanza fra chi dispone delle risorse del mondo e
chi non ha niente o quasi. Mi chiedo che cosa penserebbe della
globalizzazione, il nostro nuovo concetto di Mondo Unico, oggi
che il 20 per cento dei 25 milioni di ricchi degli Stati Uniti ha
più denaro del 43 per cento dell’intera popolazione mondiale.
Penso che sarebbe uno di quanti fra noi – alcuni sono fra i
più privilegiati – cercano, con i molti mezzi a disposizione, di
evitare l’uso della violenza come soluzione antica di conflitti e
ingiustizie, nonché di abolire la povertà trasformando la globalizzazione da potere esclusivo delle nazioni ricche in piena
partecipazione dei paesi e dei popoli più poveri. […]
A casa, nel mio studio, è appesa una fotografia che mi ritrae
con Giangiacomo mentre strappiamo le erbacce del prato di
Villadeati. Ogni volta che torno lì con Inge, lo vedo davanti
a me, a estirpare erbacce con quell’energia e quella passione
per la vita che lo rendono indimenticabile.
(© Giangiacomo Feltrinelli Editore 2002)
Sotto: Congresso internazionale sulla guerra in Vietnam, Berlino 1968.
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1926
Giangiacomo Feltrinelli nasce il 19 giugno a Milano da Carlo Feltrinelli e Giannalisa Gianzana.
I Feltrinelli, una delle più importanti famiglie della borghesia industriale e finanziaria milanese e italiana,
ricoprono un ruolo di primo piano nello sviluppo economico e sociale dell’Italia tra l’Ottocento e il Novecento.
1928
Carlo Feltrinelli è nominato presidente del Credito italiano.
1930
Carlo Feltrinelli è nominato presidente della Società elettrica Edison.
1935
Carlo Feltrinelli muore l’8 novembre.
1940
Giannalisa Gianzana sposa in seconde nozze Luigi Barzini jr., da cui si separerà nel 1949.
1942-1944
La famiglia Feltrinelli Barzini si stabilisce nella tenuta “La Cacciarella” dell’Argentario, dove Giangiacomo
trascorre il periodo che va dall’estate del 1942 alla primavera del 1944.
1944-1945
Nella primavera del ’44 Feltrinelli si trasferisce a Roma. Nel giugno, immediatamente dopo la liberazione
della città dai tedeschi, si arruola volontario nel Corpo di combattimento Legnano in forza presso la V Armata
americana. Dopo un breve periodo di addestramento nel Napoletano, risale verso nord, raggiungendo Milano
nei giorni della Liberazione.
Congedato nell’agosto 1945, per un breve periodo soggiorna a Roma dove si iscrive all’università.
1946-1947
Ritorna a Milano dove si impegna nella battaglia referendaria a favore della Repubblica.
Nel 1947 si iscrive al Partito comunista italiano. Comincia a svolgere attività di partito, impegnandosi nella
sua sezione come responsabile della stampa e propaganda.
Incontra Bianca Maria Dalle Nogare che sposa civilmente nel 1947.
1948
Avvia la costruzione di una biblioteca specializzata in storia economica, storia sociale e storia del movimento
operaio in età moderna e contemporanea. Inizialmente la raccolta del materiale librario e documentario è
organizzata nella sua abitazione privata.
1949-1954
Il 7 marzo 1949 nasce la Cooperativa del libro popolare (Colip) per la diffusione dell’editoria tascabile di qualità.
Il 26 agosto 1950 Giangiacomo Feltrinelli entra a far parte del consiglio d’amministrazione della Cooperativa
e l’anno seguente ne diventa consigliere delegato, introducendo nell’amministrazione una gestione manageriale. Nel giugno 1951 viene costituito il Comitato di lettura della Colip (composto tra gli altri da Ambrogio
Donini, Lucio Lombardo Radice, Gastone Manacorda, Concetto Marchesi, Carlo Muscetta, Giancarlo Pajetta,
Carlo Salinari), che dà vita alla collana “Universale economica del Canguro”.
Nello stesso anno viene aperta a Milano la sede della Biblioteca Giangiacomo Feltrinelli, in via Scarlatti 26.
Nel giugno 1954 Feltrinelli si dimette dalla carica di consigliere delegato della Colip, che poco dopo cessa le
sue attività.
A fianco di queste attività editoriali, Feltrinelli continua a occuparsi delle attività economiche e finanziarie
ereditate dalla famiglia, ricoprendo le cariche di presidente e di consigliere d’amministrazione in diverse società tra le quali la Fratelli Feltrinelli, la Alecta, la Feltrinelli Masonite, la Finanziaria immobiliare edile e il
Cotonificio di Solbiate.
In questi anni, coadiuvato da Giuseppe Del Bo, ex sacerdote allievo di Antonio Banfi, si costruisce il nucleo
portante della Biblioteca Feltrinelli grazie a una fitta rete di contatti e referenti in Italia e in Europa.
1955
Apre la Giangiacomo Feltrinelli Editore, con sede a Milano in via Fatebenefratelli 3. I primi collaboratori sono
Giampiero Brega, Fabrizio Onofri, Valerio Riva, Luciano Bianciardi, Luigi Diemoz, Adolfo Occhetto, Silvio
Pozzi.
I libri della nuova casa editrice escono nel giugno e nel corso dell’anno vengono pubblicati 21 titoli, tra i quali
l’Autobiografia di Nehru, Il flagello della svastica di Lord Russell, L’America di Simone de Beauvoir e Una
spia del regime di Ernesto Rossi. La collana “Universale Economica” si presenta come la prosecuzione della
“Universale economica del Canguro” e pubblica come primo titolo, con il numero 201, Resistenza al fascismo.
Scritti e testimonianze, a cura di Maurizio Milan e Fausto Vighi e con prefazione di Giovanni Pirelli.
La Feltrinelli Editore cura anche la pubblicazione di “Cinema nuovo”, rivista quindicinale diretta da Guido Aristarco e di area dichiaratamente marxista, che concentra il dibattito critico attorno alla questione del “realismo”,
identificato con il cinema neorealista italiano. La rivista ospita interventi di numerosi intellettuali di primo
piano degli anni cinquanta tra i quali Arnheim, Bazin, Sadoul, Adorno, Kracauer, Doniol-Valcroze, Pasternak,
Sartre, Chiarini, Bo, Moravia, Calvino, Quasimodo e Fortini.
1956
È un anno di svolta per la casa editrice e per Giangiacomo Feltrinelli.
Nel febbraio il XX congresso del Pcus e la denuncia dello stalinismo colpiscono profondamente Feltrinelli, che
chiede di aprire all’interno del Pci una discussione seria e approfondita sull’Unione Sovietica.
Nel maggio, Sergio D’Angelo, in quel momento a Mosca come redattore del Pci di trasmissioni radiofoniche
italo-sovietiche e talent scout della casa editrice, informa Feltrinelli che “uno stupefacente romanzo di un poeta russo, Boris Pasternak, stava per essere pubblicato nell’Unione Sovietica”. Feltrinelli chiede a D’Angelo di
“mettersi in contatto con l’autore per cercare di avere una copia del manoscritto e potere così iniziare la traduzione”. E gli spiega: “Gli autori russi, dopo la prima pubblicazione in Unione Sovietica, non hanno la protezione
del copyright. Iniziando la traduzione del manoscritto avrei la possibilità di pubblicare contemporaneamente
all’editore sovietico e di assicurarmi così il copyright per l’opera nell’Occidente”.
Su incarico di Feltrinelli, D’Angelo incontra Boris Pasternak prima dell’estate e riceve il manoscritto del
Dottor Živago che, con un viaggio avventuroso, arriva in Italia. La traduzione è affidata a Pietro Zveteremich,
consulente della casa editrice per le letterature slave.
Inizia così il lungo braccio di ferro tra Feltrinelli e le autorità sovietiche per la pubblicazione in Italia del
romanzo.
In ottobre Feltrinelli firma una lettera pubblica di condanna della repressione della rivolta in Ungheria.
Nel 1956 Feltrinelli Editore pubblica 31 nuovi titoli tra i quali Storia dell’Italia moderna di Giorgio Candeloro, Algeria fuorilegge di Colette e Francis Jeanson, Thomas Mann e la tragedia dell’arte moderna di György
Lukács.
1957
Dopo molti mesi di forti tensioni e di tentativi di bloccare la pubblicazione del romanzo, anche con comunicazioni estorte all’autore, il 15 novembre esce in prima edizione mondiale Il dottor Živago. Il 23 novembre il libro
viene presentato all’Hotel Continental di Milano. La prima tiratura, 12.000 copie, va immediatamente esaurita, e da quel momento, e per un lungo periodo di tempo, si ristamperà ogni due settimane. L’anno successivo
escono anche le edizioni francese (Gallimard), inglese (Collins and Harvill) e americana (Pantheon). Dovranno
passare trent’anni perché il romanzo venga pubblicato in Russia, prima in quattro puntate sulla rivista “Novyj
Mir” (1988), poi in volume nel 1989.
Nel 1957 Feltrinelli Editore pubblica 52 nuovi titoli tra i quali Il lavoro culturale di Luciano Bianciardi, Dieci
inverni di Franco Fortini, La noia di essere moglie di Doris Lessing.
La casa editrice comincia a pubblicare la rivista trimestrale “Methodos. Linguaggio e cibernetica” (1957-1962)
diretta da Silvio Ceccato.
Giorgio Bassani inizia la sua collaborazione con la casa editrice dirigendo una collana di letteratura italiana
contemporanea.
La Biblioteca Feltrinelli compra le carte private e la biblioteca di Angelo Tasca (1892-1960).
In ottobre l’Istituto apre il Centro di studi e ricerche sulla struttura economica italiana, dedicato all’analisi
delle trasformazioni delle forze produttive in Italia nel secondo dopoguerra e ai modelli di sviluppo economico
e sociale del paese. Il centro è diretto da Silvio Leonardi e il comitato scientifico è composto da Nino Andreatta,
Giorgio Fuà, Franco Momigliano, Paolo Sylos-Labini, Bruno Trentin. Il Centro, la cui costituzione è duramente
osteggiata dal Pci, promuove una sua collana di studi e svolge attività seminariali alle quali partecipano, tra
gli altri, Federico Caffè, Antonio Giolitti, Siro Lombardini, Claudio Napoleoni, Alessandro Pizzorno. Chiuderà
nel 1963.
In dicembre la segreteria del Pci produce una nota interna di deplorazione dei comportamenti di Feltrinelli,
giudicati “incompatibili con i doveri di ogni militante comunista”. Feltrinelli esce dal partito.
A Milano e a Pisa sono inaugurate le prime due Librerie Feltrinelli.
Finisce il matrimonio con Bianca Maria Dalle Nogare e Feltrinelli sposa Alessandra De Stefani.
1958
Il 23 ottobre Boris Pasternak vince il premio Nobel per la letteratura, la cui cerimonia di ritiro è fissata per
il 10 dicembre a Stoccolma. Le autorità sovietiche impediscono a Pasternak di recarsi in Svezia a ritirare il
premio, minacciando di privarlo della cittadinanza, perché considerano il riconoscimento a Pasternak un atto
ostile verso il paese.
Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, presentato agli editori Einaudi e Mondadori e da entrambi
rifiutato, viene pubblicato con la prefazione di Giorgio Bassani. È il secondo grande successo internazionale
della casa editrice.
Nel 1958 Feltrinelli Editore pubblica 58 nuovi titoli tra i quali Tramonto di Isaak Babel, Il soldato di Carlo
Cassola, Il ponte della Ghisolfa di Giovanni Testori, Il principe senza scettro di Lelio Basso e gli Scritti politici
di Imre Nagy, il leader della rivolta ungherese del 1956 processato e poi ucciso dai sovietici.
Esce il primo volume degli Annali dell’Istituto Giangiacomo Feltrinelli.
Il 14 luglio Feltrinelli conosce Inge Schoenthal.
1959
Il Gattopardo vince il premio Strega.
Feltrinelli Editore pubblica 84 nuovi titoli tra i quali Dissonanze di Theodor W. Adorno, L’Anonimo lombardo di
Alberto Arbasino, Il re della pioggia di Saul Bellow, La mia Africa di Karen Blixen, Sud e magia di Ernesto De
Martino, La promessa di Friedrich Dürrenmatt, Homo Faber di Max Frisch, I problemi della filosofia di Bertrand Russell, La Gilda del Mac Mahon di Giovanni Testori, Dall’antifascismo alla Resistenza di Leo Valiani.
Feltrinelli sposa in Messico Inge Schoenthal.
1960
Il 30 maggio muore Boris Pasternak.
Feltrinelli Editore pubblica 84 nuovi titoli tra i quali Milano Corea di Franco Alasia e Danilo Montaldi, Lingua letteraria e pubblico di Erich Auerbach, Pensaci, uomo! di Piero Caleffi e Albe Steiner, Filosofia e filosofia
della scienza di Ludovico Geymonat, I sotterranei di Jack Kerouac, Il mito di Pietroburgo di Ettore Lo Gatto, Il
melodramma di Verdi di Massimo Mila, Miti e coscienza del decadentismo italiano di Carlo Salinari, L’ultimo
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dei giusti di André Schwartz-Bart e il testo teatrale di Giovanni Testori L’Arialda, che suscita grande scandalo
e accuse di oscenità per le tematiche omosessuali. Il 15 novembre, per protestare contro la censura e contro
il divieto di rappresentazione dell’opera, il regista Luchino Visconti e gli attori Rina Morelli, Paolo Stoppa e
Umberto Orsini chiedono di essere ascoltati dal presidente della Repubblica Giovanni Gronchi, che si rifiuta
di riceverli.
L’Arialda non è l’unico testo edito nel 1960 dalla casa editrice a subire censure e processi. I sotterranei di Jack
Kerouac, uscito con una prefazione di Henry Miller appositamente scritta per l’edizione italiana e con un’introduzione di Fernanda Pivano, subisce un sequestro per pubblicazione oscena. Il processo di primo grado che
si tiene a Varese (competente per territorio perché lo stampatore aveva sede in quella città) assolve Feltrinelli.
L’accusa ricorre in appello e la Corte di Milano conferma la sentenza di assoluzione.
1961
Il 18 febbraio si svolge a Milano, organizzata da Feltrinelli presso il Teatro del Corso, la presentazione del
romanzo di Juan Goytisolo La risacca, seguita dalla proiezione del documentario Notes sur l’émigration. Espagne 1961 girato da Jacinto Esteva Grewe e Paolo Brunatto. Al termine della proiezione alcuni neofascisti, poi
identificati dalla polizia, lanciano candelotti fumogeni nella sala affollata provocando il panico. La stampa e
la televisione spagnola accusano la casa editrice di aver organizzato la presentazione milanese per denigrare
la Spagna franchista. Parte una campagna stampa spagnola, ma anche francese e italiana, contro la casa editrice, che si inasprisce quando, il 27 febbraio, la televisione spagnola trasmette alcuni brani del documentario,
in un montaggio che ne stravolge la trama e il senso, accompagnato da un commento ingiurioso nei confronti
di Feltrinelli e della casa editrice.
Il 25 marzo si inaugura a Milano la nuova sede della Biblioteca e dell’Istituto Giangiacomo Feltrinelli, in via
Romagnosi 3.
Il 1° novembre esce su diversi giornali un appello in favore della lotta del popolo algerino. Giangiacomo Feltrinelli ne è tra i promotori insieme a Lelio Basso, Paolo Grassi, Guido Piovene ed Elio Vittorini.
Nel 1961 Feltrinelli Editore pubblica 113 nuovi titoli tra i quali Un mondo di stranieri di Nadine Gordimer, Il
buon soldato Sc’vèik di Jaroslav Hašek, Il passato e i pensieri di Aleksandr I. Herzen, Il capitale finanziario di
Rudolf Hilferding, Congetture su Jakob di Uwe Johnson, Sotto il vulcano di Malcom Lowry, La voce delle onde
di Yukio Mishima, Socialdemocrazia tedesca e socialisti italiani di Ernesto Ragionieri.
Con i due volumi Scritti sul Risorgimento e Scritti sul fascismo iniziano a essere pubblicate le Opere di Gaetano Salvemini, a cura di Enzo Tagliacozzo ed Ernesto Rossi.
Nel corso dell’anno Feltrinelli affida a Luciano Bianciardi la traduzione dell’opera più controversa di Henry
Miller, Tropico del Cancro. Il processo per oscenità che si stava svolgendo negli Stati Uniti convince l’editore
a prendere degli accorgimenti per evitare il sequestro del libro in Italia, la cui uscita era prevista per il 1962.
Il volume risulterà stampato in Francia a Étampes usando il marchio prestato da un editore svizzero, e nella
terza di copertina si legge: “Avvertenza importante. Questa edizione è destinata al mercato estero; l’Editore ne
vieta l’importazione e la vendita in Italia”. Il libro, stampato in realtà a Varese e venduto sottobanco in Italia,
entrerà ufficialmente nel mercato italiano solo nel 1967.
Alla fine del 1961, in un incontro con la stampa a Berlino Ovest, Feltrinelli risponde a domande su Pasternak,
su L’Arialda, su Henry Miller. Un secondo incontro si svolgerà a Parigi alcuni mesi dopo.
1962
Nell’estate, Feltrinelli partecipa ad Accra, nel Ghana, all’Assemblea sul disarmo promossa dal presidente
Kwame Nkrumah, uno dei primi incontri internazionali tra personalità “non allineate”. Per l’Italia, oltre a
Feltrinelli, partecipa Lelio Basso.
Nell’autunno, nella Germania occidentale, scoppia il caso del settimanale “Der Spiegel”: il ministro della Difesa Franz Josef Strauss accusa la rivista di aver violato segreti di stato, provocando l’arresto del direttore
Rudolf Augstein. Feltrinelli invia una lettera di protesta all’ambasciatore tedesco a Roma, dopo averla fatta
firmare, tra gli altri, a Giorgio Bassani, Paolo Grassi, Alberto Mondadori, Elio Vittorini, Eugenio Scalfari.
La casa editrice pubblica 145 nuovi titoli tra i quali Il “surplus” economico e la teoria marxista dello sviluppo di
Paul A. Baran, Epistola ai Romani di Karl Barth, La morte di Virgilio di Hermann Broch, L’ora di tutti di Maria Corti, Storia del liberalismo italiano di Guido de Ruggiero, Il tamburo di latta di Günter Grass, Il buio oltre
la siepe di Harper Lee, Tropico del Cancro di Henry Miller, I paesi del benessere e gli altri di Gunnar Myrdal, I
filosofi e le macchine di Paolo Rossi, Il colpo di grazia di Marguerite Yourcenar, Il lungo viaggio attraverso il fascismo di Ruggero Zangrandi, e la raccolta delle lezioni pubbliche tenute a Milano in occasione del centenario
dell’Unità d’Italia, dedicate alla storia italiana del Novecento e pubblicate con il titolo Fascismo e antifascismo
1918-1948. La casa editrice inizia a pubblicare la rivista bimestrale “Il Verri”, diretta da Luciano Anceschi.
In continuità con l’impegno a favore della lotta di liberazione del popolo algerino, Feltrinelli pubblica Problemi
e prospettive della rivoluzione algerina di Francis Jeanson, di cui edita anche una versione in lingua francese
perché il libro non trova in Francia un editore disposto a pubblicarlo.
Il 6 febbraio nasce Carlo Fitzgerald Feltrinelli.
1963
In ottobre nasce a Palermo il Gruppo 63 del quale fanno parte scrittori, critici e studiosi che negli anni sessanta
pubblicheranno per Feltrinelli (nella collana “Materiali” e, dal 1967, sulla rivista “Quindici”). Tra questi vi sono
Luciano Anceschi, Alberto Arbasino, Nanni Balestrini, Renato Barilli, Enrico Filippini, Alfredo Giuliani, Angelo
Guglielmi, Giorgio Manganelli, Antonio Porta, Edoardo Sanguineti, Aldo Tagliaferri, Sebastiano Vassalli.
Luchino Visconti gira Il Gattopardo. Il film, interpretato da Burt Lancaster, Claudia Cardinale, Alain Delon e
Paolo Stoppa, vince la Palma d’oro al Festival di Cannes, il David di Donatello e il Nastro d’argento.
Feltrinelli Editore pubblica 104 nuovi titoli tra i quali Fratelli d’Italia di Alberto Arbasino, Studi su Dante di
Erich Auerbach, Un altro mondo di James Baldwin, Altre inquisizioni di Jorge Luis Borges, Libera nos a malo
di Luigi Meneghello, La rivoluzione sessuale di Wilhelm Reich, Capriccio italiano di Edoardo Sanguineti.
1964-1967
Nel febbraio 1964 Giangiacomo Feltrinelli si reca per la prima volta a Cuba e incontra il leader Fidel Castro,
con il quale ha siglato un contratto in esclusiva mondiale per la pubblicazione della sua autobiografia. Seguono altri viaggi all’Avana tra il 1965 e il 1970 senza che il progetto editoriale si concretizzi.
Nel luglio 1964 l’Istituto Feltrinelli chiude per motivi di bilancio; sarà riaperto nel 1967.
Le nuove Librerie Feltrinelli di Milano, Roma, Bologna, Firenze, Genova e Pisa si affermano per il loro formato
innovativo e moderno, diventando punti d’incontro e luoghi di aggregazione.
Nel 1965 David Lean gira Il dottor Živago. Il film, interpretato da Omar Sharif e Julie Christie, vince 5 premi
Oscar, 5 Golden Globe e 3 David di Donatello.
Il 18 agosto 1967 Feltrinelli viene arrestato in Bolivia dove si era recato per seguire il processo al filosofo
francese Régis Debray. Debray, a sua volta, era andato in Bolivia, su ispirazione di Fidel Castro, per tenere
collegamenti con Ernesto Che Guevara, che lì aveva segretamente iniziato il reclutamento per la sua attività
di guerriglia. In Italia, il presidente della Repubblica Giuseppe Saragat e il ministro degli Esteri Amintore
Fanfani intervengono con tempestività: il 20 agosto le autorità boliviane decretano l’espulsione di Feltrinelli
dal paese.
Dal 1967 Feltrinelli dirige l’edizione italiana di “Tricontinental”, organo bimestrale dell’organizzazione di
solidarietà dei popoli d’Asia, Africa e America Latina, organismo sorto dopo la conferenza dell’Avana del 1966,
che riunisce delegati dei governi neutrali di Africa e Asia, dei paesi comunisti, di organizzazioni comuniste
internazionali, e che proclama “la necessità di una strategia rivoluzionaria globale che reagisca alla strategia
globale dell’imperialismo”.
Nel 1967 si inaugurano gli opuscoli delle “Edizioni della Libreria” con le collane “Documenti della rivoluzione
nell’America Latina”, “Battaglie politiche”, “Documenti delle lotte operaie” e “La politica al primo posto”.
Tra il 1964 e il 1967 Feltrinelli Editore pubblica 421 nuovi titoli tra i quali La banalità del male di Hannah
Arendt, Guida alla scienza per l’uomo moderno di Isaac Asimov, L’armata a cavallo di Isaak Babel, Herzog di Saul
Bellow, Uomini, tecniche, economie di Carlo M. Cipolla, Le avanguardie artistiche del Novecento di Mario De Micheli, Poesie per chi non sa leggere poesia di Hans Magnus Enzensberger, L’immigrazione meridionale a Torino di
Goffredo Fofi, Psicoanalisi della guerra di Franco Fornari, Pio XII e il Terzo Reich di Saul Friedländer, Il romanzo
sperimentale del Gruppo 63, La guerra di guerriglia di Ernesto Che Guevara, Il vicario di Rolf Hochhuth, Saggi
di linguistica generale di Roman Jakobson, La letteratura come menzogna di Giorgio Manganelli, Citazioni
del presidente Mao Tse-Tung di Mao Tse-Tung, Sopra eroi e tombe di Ernesto Sabato, Il marxismo e la persona
umana di Adam Schaff, Le due culture di Charles P. Snow, La città e i cani di Mario Vargas Llosa.
La pubblicazione de Il vicario, il dramma che accusa Pio XII di “silenzio” sull’Olocausto, suscita un grande
scandalo. Il libro è sequestrato e nel febbraio 1965 ne è impedita la messa in scena.
La prima rappresentazione pubblica autorizzata della pièce teatrale avverrà nel 2008.
1968-1969
Nella tarda primavera del 1968 Fidel Castro affida all’editore italiano il Diario in Bolivia di Ernesto Che Guevara, trafugato dopo la sua morte nell’ottobre 1967. Tramite Feltrinelli il Diario verrà pubblicato da diversi
editori europei. L’edizione italiana sarà la prima traduzione mondiale. A Feltrinelli si deve anche la diffusione
di quella che diventerà la più nota immagine del Che, Che in the sky with jacket di Alberto Korda.
Il 1968 costituisce una nuova svolta. Feltrinelli comincia a seguire da vicino gli avvenimenti della contestazione studentesca tedesca e del suo leader Rudi Dutschke. Nel febbraio 1968 interviene a Berlino al Congresso
internazionale sulla guerra in Vietnam.
Nell’aprile 1968 scrive Persiste la minaccia di un colpo di stato in Italia!, un saggio politico in cui espone la
sua analisi e le sue preoccupazioni, dopo che il Golpe dei colonnelli in Grecia (aprile 1967) e l’inchiesta de
“L’Espresso” (maggio 1967), che aveva svelato il “Piano Solo”, lo avevano convinto del pericolo di un colpo di
stato in Italia.
Nei primi mesi dell’anno sposa Sibilla Melega.
Nel luglio, le “Edizioni della Libreria” pubblicano un nuovo testo breve di Feltrinelli, Estate 1969, nel quale
torna a sostenere la tesi di un imminente colpo di stato in Italia.
Nell’autunno la scadenza triennale dei contratti di lavoro apre un periodo di lotte operaie e sindacali particolarmente aspro, poi passato alla storia come l’“Autunno caldo”.
Il 12 dicembre 1969 una bomba esplode a Milano nella sede della Banca dell’agricoltura a piazza Fontana,
uccidendo 17 persone e ferendone 88. Ascoltata alla radio la notizia della strage di piazza Fontana e degli
altri attentati che seguirono, Feltrinelli, che si trova nella sua residenza austriaca, decide di tornare a Milano.
Appreso che le forze dell’ordine presidiano l’esterno della casa editrice, temendo che possano essere costruite
prove contro di lui si rende irreperibile. In un’intervista spiega la sua decisione, avanzando per primo l’ipotesi
che dietro le bombe di Roma e di Milano non vi fossero gli anarchici accusati delle stragi, ma lo stato, utilizzando per primo la definizione di “strategia della tensione”.
Tra il 1968 e il 1969 Feltrinelli Editore pubblica 197 nuovi titoli tra i quali Leggere il Capitale di Louis Althusser ed Étienne Balibar, Metodi e fantasmi di Maria Corti, Rivoluzione nella rivoluzione? di Régis Debray, Il
marxismo di Iring Fetscher, Il libro dei Dodici di Castro di Carlos Franqui, Il discorso della Guerra di André
Glucksmann, Bacacay di Witold Gombrowicz, Opere di Ernesto Che Guevara, Le strutture elementari della
parentela di Claude Lévi-Strauss, Critica della società repressiva di Herbert Marcuse, Z di Vassilis Vassilikos,
L’Opera al nero di Marguerite Yourcenar e la prima traduzione mondiale di Cent’anni di solitudine di Gabriel
García Márquez.
1970-1972
Nel 1970 Giangiacomo Feltrinelli scrive Contro l’imperialismo e la coalizione delle destre. Proposte per una
piattaforma politica della sinistra italiana.
Nel 1970 fonda i Gruppi d’azione partigiana (Gap) che tra l’aprile di quell’anno e il marzo 1971 compiono
alcuni attentati dimostrativi presso cantieri edili a Genova e Milano, teatro di “morti bianche”. Nel Genovese,
provocano interferenze radio sulle frequenze televisive.
Dopo le prime azioni delle Brigate Rosse, Feltrinelli stabilisce rapporti con Renato Curcio e Alberto France-
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schini, con l’obiettivo di un comando unificato della lotta armata. Della collaborazione tra i Gap e le Brigate
Rosse si ha traccia nel foglio “Nuova resistenza” dell’aprile del 1971, ideale proseguimento di “Voce comunista”, giornale edito, diretto e sostanzialmente scritto dallo stesso Feltrinelli.
Nel 1971 decide di far avviare le pratiche per la trasformazione dell’Istituto in Fondazione Giangiacomo Feltrinelli (il passaggio avviene, successivamente alla sua morte, con decreto della presidenza della Repubblica
del 27 aprile 1974).
Giangiacomo Feltrinelli muore la notte del 14 marzo 1972, ucciso da un’esplosione presso un traliccio dell’alta
tensione a Segrate, nelle vicinanze di Milano. L’inchiesta giudiziaria sulle dinamiche della morte concluderà
che l’editore è morto in un tentativo di sabotaggio con la dinamite, nel corso di un’azione dimostrativa che
avrebbe dovuto procurare un blackout elettrico nella zona nord di Milano. Da subito e nel corso degli anni, non
sono mancate perplessità sulla versione ufficiale della “notte di Segrate”. I funerali si svolgono il 28 marzo a
Milano con una grande partecipazione di persone.
Tra il 1970 e il 1972 Feltrinelli Editore pubblica 278 nuovi titoli tra i quali Vogliamo tutto e Prendiamoci tutto
di Nanni Balestrini, L’orecchio mancante di Carmelo Bene, Ateismo nel cristianesimo di Ernst Bloch, Pinelli.
Una finestra sulla strage di Camilla Cederna, Up il sovversivo di Alfredo Chiappori, La via cilena. Intervista
con Salvador Allende, presidente del Cile di Régis Debray, Scritti letterari di Michel Foucault, Descartes politico di Antonio Negri, Rulli di tamburo per Rancas di Manuel Scorza.
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di Carlo Feltrinelli
La prima biografia di Giangiacomo Feltrinelli. L’infanzia, il dopoguerra, la militanza
nel Pci, la nascita della casa editrice, i successi editoriali. E ancora gli autori, il Sessantotto, il Vietnam, la lotta armata, la fine. Attraverso i ricordi del figlio. Pubblicato alla
fine del 1999 e tradotto in molti paesi, è disponibile in edizione tascabile nell’“Universale Economica” e in ebook.
di Luca Scarzella e Simonetta Fiori
La vita di Inge Schoenthal Feltrinelli, e di tutte le donne che è stata: la giovanissima
ebrea sotto il nazismo, la fotografa di Hemingway e Picasso, la compagna di Giangiacomo e testimone, fino all’ultimo, della sua tormentata coerenza, in un’Italia ancora
lontana dalla liberazione dei costumi. E poi, da quel giorno di marzo del ’72, l’anima di
una delle case editrici più importanti d’Europa e la “regina dell’editoria”, sempre carica
di aspettative e ansiosa di meraviglie, intraprendente, indomabile, appassionata. Proiettato in anteprima al Festival Internazionale del Film di Roma nel 2010, è disponibile
nella collana Feltrinelli “Real Cinema”.
Storia di una dinastia imprenditoriale (1854-1942)
di Luciano Segreto
In poco meno di un secolo, tre generazioni di Feltrinelli fecero investimenti, oltre che
nel commercio internazionale del legname, in vari altri settori dell’economia, dell’industria e della finanza. La casa editrice è solo l’ultima impresa in ordine di tempo. Questa
è la storia di una delle dinastie industriali più importanti del capitalismo italiano. Pubblicato alla fine del 2011 nella collana “Storie”, è disponibile anche in ebook.
Il portale web della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli per conoscere la biblioteca, i
suoi archivi e le sue attività, per consultare una delle più complete biblioteche digitali
sull’Ottocento europeo, per trovare immagini, manifesti, cataloghi, inventari, interventi
di discussione, ebook gratuiti.
A partire dal 14 marzo 2012, verrà presentato sul portale web lo speciale su Giangiacomo Feltrinelli e il progetto originario della Fondazione.
Dal 14 marzo al 12 aprile 2012, nei locali della Fondazione, in via Romagnosi 3 a Milano, verrà allestita la mostra Giangiacomo Feltrinelli negli archivi della Fondazione.
Disponibili in ebook gli scritti politici di Giangiacomo Feltrinelli: Persiste la minaccia
del colpo di stato in Italia! (1968), Estate 1969 (1969) e Contro l’imperialismo e la coalizione delle destre (1970).
© Giangiacomo Feltrinelli Editore Milano
Prima edizione in “Fuori Collana” marzo 2012
Stampa Grafiche Busti - VR
ISBN 978-88-07-42131-0
Hanno collaborato alla redazione: Donatella Berasi, David Bidussa, Chiara Daniele, Paola Olivieri, Lorenzo Pezzica.
Art director: Cristiano Guerri.
Le foto sono tratte dall’Archivio Giangiacomo Feltrinelli Editore. Diritti riservati.
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