Gabriele Baldelli*, Vanessa Lani** Gli ultimi lavori a San Michele e l’Arco d’Augusto In ricordo di un amico: Lidiano Bacchielli Vecchie e nuove indagini archeologiche: dagli aspetti rappresentativi agli aspetti difensivi di una porta urbana1 Nel 2006, quasi all’inizio dei lavori di recupero e restauro ora appena ultimati nell’importante complesso monumentale di San Michele2, inscindibile dal romano Arco d’Augusto3, mentre all’interno della chiesa, ripulendo e quindi riprendendo un vecchio scavo4, rimasto ingombro di macerie per circa settant’anni e prima incomprensibile, ci si procurava l’occasione di indagare stratigraficamente per la prima volta il cavo di fondazione di un tratto delle mura augustee di Fanum Fortunae5; in corrispondenza per giunta di un elemento particolarmente significativo di esse come la torre sud del celebre Arco. Nell’adiacente sagrestia, invece, pur senza più arredi rimasta tale quale si era venuta a configurare dopo gli ultimi lavori noti al suo interno - “per le fondamenta” poco dopo la metà del XVIII secolo6 -, la semplice rimozione del pavimento ha consentito inaspettatamente7 due scoperte fondamentali. Lungo tutto il perimetro, quella del bel paramento in blocchetti parallelepipedi di arenaria (cd. “opera vittata”) dell’ambiente romano8 in cui la sagrestia stessa fu all’inizio ricavata, intonacando le pareti e coprendo l’originaria volta a botte in conglomerato cementizio con altre due volte abbinate, molto più basse; la riscoperta, inoltre, quasi a mezzo dello stesso ambiente, di quel muro romano trasversale che nella pianta di Rossini9 marca, rispetto alle di poco precedenti ricostruzioni di Mancini10 e Poletti11. Una differenza importante12, poi però passata sotto silenzio probabilmente perché dallo stesso architetto incisore graficamente interpretata in modo fuorviante, con il poco comprensibile netto distacco - che le nuove scoperte definitivamente smentiscono - del relativo corpo di fabbrica dal pilastro laterale dell’Arco. Le conseguenze dello scavo e delle scoperte di cui sopra, sviluppate in un continuo e stretto rapporto dialettico tra progettisti, committenza e direzione dei lavori da una parte, maestranze dall’altra e, infine, Soprintendenze, mostrano ora il prestigioso complesso monumentale oggetto d’intervento nella pressoché piena leggibilità delle sue componenti storico-architettoniche; con una superstite consistenza tra esse di quella romana davvero ragguardevole ed anzi, in tale misura, prima non immaginata, restituendo in tutta la sua materiale consistenza alla porta maior delle mura augustee di Fanum Fortunae il suo originario rapporto funzionale13 con il resto dell’intera cinta difensiva, come di vera e concreta macchina obsidionale, costruita secondo le regole poliorcetiche più aggiornate dell’epoca. Non quindi di mero monumento rappresentativo del potere imperiale del principe, solo fondato su una particolare tipologia del prospetto, su precisi rapporti metrologici, sull’equilibrio di partiture funzionali e membrature decorative e sul messaggio delle iscrizioni che reca. Di tutto ciò, anche con qualche importante riconsiderazione di elementi sia di comparazione strutturale (relativamente al muro interno di rinforzo delle torri e al tipo di fondazioni di queste) sia decorativi (assenza di rivestimento lapideo nella facciata dell’Arco) si dà conto nelle pagine che seguono, da parte di una dei giovani archeologi che in due successive riprese hanno con me lavorato in cantiere, la quale all’ultimo momento14, con cortesia di cui dobbiamo esserle grati, ha accettato di sostituirmi in tale compito. (GB) A fronte Interno della chiesa di San Michele prima dell’arretramento della facciata: in primo piano lo scavo del 1935, già in parte ricoperto, probabilmente nella tarda primavera del 1937, dalle macerie della demolizione del soffitto (SBAM) Veduta del vano A durante i recenti scavi, dove si distinguono le principali strutture murarie (SBAM) 97 IL COMPLESSO MONUMENTALE DI SAN MICHELE A FANO Prima illustrazione delle nuove scoperte15 Gli ultimi interventi di scavo archeologico hanno interessato due aree distinte: l’interno della Chiesa di San Michele (vano A) e la sua ex sacrestia (vani B, C, D); un’ultima fase di sola documentazione si è invece focalizzata su quanto emerso in un ambiente adiacente (vano E) e nei suoi corrispondenti sia al piano interrato che a quello superiore del palazzo. All’interno della chiesa sono stati ripuliti e rilevati i muri del torrione che, come noto, demoliti nel 1493 in occasione della edificazione della chiesa, riportati poi in luce e messi in pianta16 nel 1937 in seguito ai lavori per l’arretramento della facciata della stessa, rimasero celati fino al recupero attuale. I tre muri perimetrali della torre, determinanti una pianta a ferro di cavallo, larghi 1,65 m sono conservati per un’altezza di circa 1,30 m, mentre il muro di chiusura sul quarto lato, che coincide con la fiancata sinistra della chiesa, raggiunge in alzato un massimo di 7,60 m, se pur con segni evidenti di risarcimenti di età rinascimentale. Nello spazio interno, in corrispondenza della parte di muratura curva, un setto a forma di “T”, con muri larghi 0,85 m e conservati per circa 1,30 m, agisce da catena e crea aree di risulta colmate da terrapieni, dando più rigidità alla struttura17 e allo stesso tempo determina un vasto ambiente rettangolare18 totalmente cieco (vano A)19. Il piano terra della torre doveva avere, dunque, un ingresso sopraelevato all’interno, allo scopo di garantire una maggior sicurezza, a cui si accedeva tramite una scala in legno o muratura, di cui non è stato possibile individuare le tracce a causa dello stato di conservazione delle strutture e dei rimaneggiamenti posteriori. Tutte le murature, tra loro saldamente legate e quindi costruite in un’unica fase, nelle pareti interne del vano non presentano una vera faccia a vista ma una sorta di rozzo paramento di filari in conci di pietra sommariamente sbozzati, mentre, nel prospetto esterno semicircolare, mostrano il bel paramento in opera vittata con conci regolari di arenaria, ancora 98 apprezzabile nell’alzato del muro di sud-ovest. Le fondazioni, di notevole consistenza, dove visibili fino al piano di appoggio, raggiungono la profondità di 2,50 m, e, gettate in cavo armato, formano uno una risega sporgente di 0,20 m, ad eccezione che nel muro di sud-est dove la risega si allarga in una poderosa platea larga 2,20 m. Una simile fondazione, la cui straordinaria larghezza si spiega in rapporto all’imponente struttura da sostenere20, deve esser stata costruita anche per il perimetrale di nord-ovest, ma non all’interno della torre dove non ne rimane traccia, bensì esternamente, in corrispondenza di quella ‘platea di fondazione’ rinvenuta durante i lavori del 1935 e documentata nel rilievo della porta effettuato allora21. Per quanto riguarda l’indagine stratigrafica vera e propria, questa si è concentrata sulla terra residua di costipazione dopo i lavori di scavo degli anni ’30, con livelli archeologici ancora intatti, alla base dei quali affiorava lo strato sterile di ghiaia alla stessa quota del piano fondale dei muri. Qui sono stati evidenziati i due tagli di fondazione dei muri del perimetrale di sud-est e rettilineo di sud-ovest. Il reinterro dei due cavi, larghi rispettivamente 2,40 m e 1,15 m e tra loro perpendicolari, presentava stessa composizione di terreno e presenza di materiali, databili entro la prima età imperiale22. Degli originari piani di pavimentazione dell’ambiente non rimaneva nessuna testimonianza, in quanto il livello più alto residuo era ad una quota ben inferiore rispetto al piano di frequentazione romano. Un piano in cocciopesto, invece, si conserva esternamente al muro del torrione verso sud-est, circa al livello delle riseghe di fondazione e corrisponde a quello rinvenuto alla base della porta d’Augusto - occultata come noto di 0,58 m rispetto al piano stradale attuale -, venendo a costituire una sorta di marciapiede che costeggiava il torrione. Di particolare interesse si è rivelato il secondo intervento di scavo, realizzato all’interno dei locali dell’ex sacrestia, che ha consentito di individuare nuovi elementi, fino ad ora del tutto GLI ULTIMI LAVORI sconosciuti, accertando l’esistenza di un’area in origine all’aperto (vano B) e di due piccoli ambienti (vani C e D) tra loro non comunicanti, ricavati tra il vano A del torrione, le mura e il fornice minore della porta. Qui lo scavo archeologico ha interessato gli strati più tardi, solo tramite piccoli saggi essendo stati raggiunti i livelli di frequentazione di età augustea più o meno alla quota delle riseghe di fondazione dei muri messi in luce23. Da un esame accurato delle murature è stato possibile riscoprire una rilevante presenza di tratti fondali e di alzato relativi alle originarie murature di età romana. Il limite dei vani C e D, sul lato di sud-ovest, è costituito dallo stesso muro di chiusura del vano A, di cui si è documentata anche l’altra faccia. Questo, con paramento in opera vittata, risulta interessato in buona parte della metà superiore da risarciture di età moderna e non presenta alcun taglio di fondazione, che, si desume, deve essere dalla parte opposta, in coincidenza di uno degli scassi fatti negli anni ’30 all’interno del vano A. A delimitazione del lato di nord-est del vano C, rimane un tratto della cortina muraria vera e propria, conservata per un’altezza residua massima di 5,25 m, realizzata con paramento in opera vittata e nucleo interno in opera cementizia di blocchetti di pietra rozzamente sbozzati, conformemente agli altri tratti di mura noti a Fanum Fortunae. Della cinta è visibile anche il paramento sulla faccia opposta, nel cortile interno del palazzo, lungo un tratto da tempo noto e rilevato solo in pianta24. Il terzo lato del vano C, a sud-est, è formato dal prolungamento del muro perimetrale del torrione, largo 0,90 m e mantenuto in alzato nella sua interezza (6,75 m), che mostra in entrambe le facce il suo paramento in opus vittatum di blocchetti di arenaria squadrati, ad eccezione di una piccola zona interessata da una risarcitura moderna. Nella parete, verso l’angolo est del vano, si apre un passaggio, presso la cui soglia si conserva un piccolo lacerto di piano d’uso - formato da malta, frammenti di graniglia, ghiaia e malacofauna marina - e della sottostante prepa- razione in terra battuta. L’accesso, ad arco a tutto sesto con cunei d’arenaria, largo circa 0,60 m e alto 2,30 m, metteva il piccolo ambiente, chiuso sugli altri tre lati, in diretta comunicazione con lo spazio esterno al torrione (vano B), ed era utilizzato come posto di guardia25. In seguito alla rimozione della più bassa volta in canne e gesso, una inaspettata scoperta ha permesso di ritrovare l’originaria copertura del vano, voltata a botte e priva di intonaco di rivestimento. L’altezza complessiva dell’ambiente (6,75 m), se si considera anche lo spessore che doveva occupare il solaio del primo piano, trova una rispondenza di quota con la cornice marcapiano in arenaria conservata esternamente nella torre di nord-ovest (posta a 7,00 m dal piano stradale romano)26. Nella parte superiore del paramento dei muri di nordest e di sud-ovest, erano ancora riconoscibili i fori utilizzati per l’alloggiamento della centina della volta. Restano di difficile interpretazione, invece, altre buche, alcune delle quali, poste a 3,75 m dalla riseghe di fondazione e allineate, molto probabilmente servivano per l’ancoraggio delle travi dei ponteggi27. Un muro, largo 0,85 m e alto 1,40 m, di cui, dopo la rimozione della volta rinascimentale sopra citata, è stata messa in luce anche la parte superiore, in asse ma non contigua alla precedente, separava il vano C da quello adiacente (D). Quest’ultimo, a nordovest era delimitato dal prolungamento dell’altro muro perimetrale del torrione, largo 0,70 m e alto 1,45 m, che si univa lateralmente a quello del fornice. A nord-est, invece, era definito da un muro mantenuto almeno per un’altezza di 3,60 m, che addossato al fornice minore della porta d’Augusto e alle mura, venne edificato in un momento successivo rispetto a tutti gli altri; benché realizzato nella stessa tecnica in opus vittatum, denota infatti minore accuratezza nella messa in opera e l’utilizzo di blocchi d’arenaria di reimpiego. Mancano tuttavia al momento elementi per una sua dazione più puntuale, che si potrebbero determinare ad esempio con lo scavo del reinterro della sua trincea di fondazione28. La 99 IL COMPLESSO MONUMENTALE DI SAN MICHELE A FANO parete, che per il suo stato di conservazione ha impegnato in una lettura piuttosto complessa, disponeva in origine di due aperture, tamponate in età rinascimentale. Della prima, peggio conservata, in quanto parzialmente demolita e riadattata per la realizzazione di una soglia, resta leggibile solo la struttura inferiore fino all’altezza di 1,14 m per una larghezza di 1,15 m; la seconda, meglio riconoscibile nella sua interezza nonostante gli interventi successivi, ad arco a tutto sesto in conci di arenaria, del tutto simile a quello documentato nel vano C, è caratterizzata da un’altezza di 2,15 m e da una larghezza di 0,77 m. Vicino a questo passaggio si sono documentati resti del piano d’uso antico, riconosciuti in un lacerto di cocciopesto rosato e nello strato di preparazione sottostante in calce mista a terreno. Lo stato attuale delle pareti, troppo compromesse da interventi moderni per valutare la presenza di eventuali fori di alloggiamento per le travi di scale o solai, rende difficile attribuire una definizione architettonica o una valenza funzionale a questo ambiente, in comunicazione con la corte retrostante l’Arco29. Per quanto riguarda gli altri depositi stratigrafici indagati nei due vani C e D, al di sotto dei piani pavimentali di età augustea sono stati individuati, tramite saggi, una serie di depositi, interpretabili come piani di livellamento del terreno30, mentre superiormente sono stati intercettati strati di abbandono di II-III secolo d.C.31. Solo nel vano C è stato rinvenuto anche un piano di frequentazione di media età imperiale (III sec. d.C.), in relazione ad un focolare di forma quadrangolare ben conservato e ai resti di una struttura di ricovero a pianta rettangolare, testimoniata da una serie di buche di palo che dovevano sostenere la tettoia. Questo livello era sigillato da una serie di depositi di epoca tardo antica, databili tra la fine del III secolo e la metà del IV. Nel vano B, negli strati più alti coincidenti con la fase tardo-antica, è attestato l’utilizzo dell’area per scopi cimiteriali, testimoniato dalla presenza di due sepolture: una, “a cappuccina”, formata 100 da tegole a spiovente tenute insieme sul culmine da coppi, riferibile ad un individuo adulto; la seconda, “a cassone”, realizzata in muratura a secco, attribuibile ad almeno due individui. Le altre strutture documentate sotto i depositi moderni nel vano D, appartengono all’età rinascimentale. In particolare si tratta di un probabile ossario con copertura a volta a botte laterizia rinvenuto già vuoto e di una vasca di raccolta d’acqua, che con la loro presenza hanno intaccato la stratigrafia sottostante fino ai livelli di epoca romana. In seguito ai lavori di restauro nel vano E, è stato possibile mettere in luce, celato dall’intonaco che rivestiva le pareti, anche l’altro prospetto, sempre in opera vittata, del muro individuato nel vano D. Un’attenta lettura del prospetto ha permesso di distinguere le tracce di tre muri demoliti, che si sviluppavano verso nord-est, due dei quali in origine determinavano uno stretto corridoio in corrispondenza del piccolo passaggio ad arco. Tale muro a nord-ovest si addossa a quello del fornice minore della porta, di cui era ben riconoscibile la facciata interna, in opera quadrata con blocchi di arenaria e pietra calcarea, lavorati in maniera differente a seconda della loro collocazione e a definizione dell’arco. Superiormente si distingue una cornice modanata in calcare bianco, la medesima dell’intradosso e dell’imposta dell’archivolto del fornice centrale; questa, immorsata a filo dei corsi d’arenaria, non lasciava spazio ad alcun ulteriore rivestimento in calcare32. Nel punto in cui termina la parete del fornice si sviluppava verso nord-est un altro muro, che si identifica come prosecuzione di quello già visto nel vano D e che nel vano E delimitava l’interno della corte. La traccia di risulta della sua demolizione, che si segue in parete solo a partire da una certa quota, rivelerebbe la presenza di un varco che probabilmente permetteva l’accesso dalla strada agli ambienti affacciati sul cortile. Lo stesso prospetto murario è stato individuato anche nella stanza corrispondente al primo piano del palazzo dove, anche se in pessimo stato di conservazione, è stato GLI ULTIMI LAVORI Vista settecentesca dell’Arco d’Augusto, dal Magini, 1789 (Biblioteca Federiciana di Fano) possibile riconoscere, oltre alla traccia del muro appena citato, un arco di scarico che sormontava il fornice minore, per alleggerire l’apertura sottostante33 e il piano d’imposta dell’archivolto principale. Nella parete di sud-est del vano E, in gran parte edificata in età moderna, inoltre, è stato possibile verificare la presenza di un breve tratto di muro, in opera vittata. Ponendosi come proseguimento di quello già descritto a separazione dei vani C e D, nel tratto rimasto in alzato non raggiunge quello della cortina muraria, dalla quale dista circa 2,60 m, per cui non è dato sapere se qui in origine vi fosse un punto d’unione tra i due muri o un varco. Infine, un cenno va dato riguardo la presenza di altre murature romane nel vasto scantinato al piano interrato del palazzo. Già da qualche anno individuate e rese note34, possiamo aggiungere, alla luce delle nuove scoperte e degli ultimi rilievi, che sicuramente coincidono con le fondazioni murarie e parte del primo alzato dei due muri tra loro perpendicolari individuati nel vano E, che delimitavano la corte quadrangolare (cavaedium)35 di cui la Porta d’Augusto era dotata36. L’analisi più dettagliata della stratigrafia e la lettura filologica degli elevati, in conclusione, ha permesso di confermare non solo l’unitarietà del progetto costruttivo della cortina muraria, del torrione e della porta, ma anche la loro realizzazione come complesso organico, venendosi a determinare strutturalmente come unico blocco37. Lo stato di conservazione delle strutture esaminate, che per arrivare ai giorni nostri hanno dovuto subire vistosi rimaneggiamenti, non consente per ora di formulare altre considerazioni sull’architettura interna degli ambienti, né di restituire a pieno il loro stato antico, rimanendo però la forte suggestione evocativa della poliorcetica di età augustea, caratterizzata allo stesso tempo da efficacia difensiva e monumentalità. (VL) 101 IL COMPLESSO MONUMENTALE DI SAN MICHELE A FANO Prospetto laterale della chiesa con l’elevato del muro nord-est del vano A e la traccia della demolizione del perimetrale sud-est (SBAM) Parete nord-est dei vani C e D delimitati da un muro di separazione; nel muro di II fase si distinguono i due varchi (SBAM) 102 GLI ULTIMI LAVORI Legenda di riferimento Il muro sud-est del vano C che immetteva verso l’area esterna (SBAM) Parete sud-ovest del vano E con il muro di II fase e, a destra, la faccia interna del fornice minore sovrastato da un arco di scarico (SBAM) 103 IL COMPLESSO MONUMENTALE DI SAN MICHELE A FANO Piante e prospetti tratti da P. Mancini, Illustrazione dell’Arco di Augusto di Fano, Pesaro 1826 (Biblioteca Federiciana di Fano) 104 GLI ULTIMI LAVORI Note * Soprintendenza per i Beni Archeologici delle Marche ** Tecne srl 1. Nella sua seconda parte il titolo di questo paragrafo introduttivo intende richiamare quello del contributo di P. Gros, “Moenia”: aspects défensifs et représentatifs des fortifications, in S. Van de Maele, J.M. Fossey (a cura di), Fortificationes antiquae, Amsterdam 1992, pp. 211-225 (non vidi). 2. Sin dal 1930 come tale presente nel ministeriale Elenco degli Edifici Monumentali, vol. XXXIX, Roma 1927, pp. 39 e 41, anche se smembrato nelle sue due componenti principali, di cui l’una (il palazzo o Spedale) peraltro riduttivisticamente considerata secondo la mentalità estetizzante dell’epoca. 3. Ibid. p. 35. Di questo stretto rapporto testimonia la denominazione “arcum Sancti Michaelis” attestata sia dalle fonti archivistiche quattro-cinquecentesche (vd. i documenti citati da G. Castellani, la Chiesa di S. Michele in Fano e gli artisti che vi lavorarono, in “Studia Picena” X, 1926, pp. 148 e 150) che ancora da P. Nigosanti, Compendio historico della città di Fano, Venezia 1640, rist. anastatica Fano 1982, p. 77 s. Tale denominazione non interruppe, tuttavia, la continuità di quella probabilmente già antica di “Porta Maggiore” (lat. porta maior), attestata in precedenti altri documenti archivistici del XII-XIII secolo (M. Frenquellucci, Le mura di Fano medievale fra città e territorio, in F. Milesi (a cura di), Fano medievale, Fano 1997, p. 75) e sopravvissuta nell’uso locale corrente - e anche come odonimo ufficiale (P. Mancini, Illustrazione dell’Arco d’Augusto di Fano con una lettera archeologica del signor Bartolomeo Borghesi, Pesaro 1826, p. 16, tav. V) - fino almeno ai primi dell’Ottocento (A. Aleandri, Memoria istorica sull’Arco di Augusto, in A. Calogerà (a cura di), Nuova raccolta d’opuscoli scientifici e filosofici, Venezia 1785, p. 13 e P.M. Amiani, in G. Colucci, Antichità Picene IX, Fermo 1790, p. 115, il quale però nelle sue Memorie istoriche della città di Fano, Fano 1751, passim, conosce anche i termini “arco d’Augusto” e “Porta Augusta”. “Arco di Augusto Imp.”, da cui poi, d’attorno la metà dell’Ottocento, anche nella toponomastica ufficiale (per es. nella prima mappa urbana del Catasto Gregoriano) più semplicemente “Arco d’Augusto”, è designazione d’evidente origine colta, che per la prima volta compare nel 1634 nella Pianta della Città di Fano di Jacopo Lauro, poi ripetuta in successive analoghe opere (cfr. M. Luni, La Porta d’Augusto a Fano dalla riscoperta al novecento, in F. Milesi (a cura di), Fano Romana, Fano 1992, p. 169). Approfitto di questa occasione per una rettifica. Il plastico in gesso dell’Arco fanese, appartenente al Museo della Civiltà Romana all’Eur (Roma) e riprodotto anche in EAA III (1960) s.v. Fano, p. 591, fig. 712, a differenza di quanto scritto in G. Baldelli, Per una nuova carta archeologica di Fanum Fortunae alla luce delle più recenti acquisizioni archeologiche, in “Quaderni dell’Accademia Fanestre” 1, 2003, p. 45, nota 14, non è da tempo più esposto al pubblico “per ragioni di spazio”. In ogni caso è opera realizzata nel novembre 1933 dal formatore faentino Pietro Fabbri su commissione del prof. Giulio Quirino Giglioli, nella sua veste di Direttore Generale della Mostra Augustea della Romanità del 1937. Infatti è diverso da quello dell’«Arco di Augusto come era fino al 1463», realizzato uno o due anni dopo su iniziativa del Direttore del Museo Civico Malatestiano Conte Piercarlo Borgogelli dalla locale R. Scuola Artistica Industriale “A. Apolloni” e visibile, come anche la replica in bronzo, in vecchie foto del museo fanese (F. Battistelli, La Pinacoteca e il Museo Civico del Palazzo Malatestiano, in A. M. Ambrosini Massari, R. Battistini e R. Morselli (a cura di), La Pinacoteca Civica di Fano, Cinisello Balsamo 1993, rispettivamente a p. 13 e a p. 12 in alto. Sulla questione dei due diversi plastici documenti in SBAM-AV Affari generali 10/1 Bimillenario augusteo). 4. Un cenno ad esso è nella breve, ma accurata sintesi degli interventi d’isolamento dell’arco e d’arretramento della facciata della chiesa per il Bimillenario Augusteo, in F. Menchetti, La Chiesa e l’Ospedale di San Michele a Fano: storia e architettura dal Quattrocento al Novecento, in “Nuovi Studi Fanesi”, 19, 2005, p. 39 s. Più articolato e per la prima volta in gran parte fondato sulla documentazione nell’Archivio della Soprintendenza per i Beni Archeologici delle Marche (SBAM-AV Prov. Pesaro, cass. 3, fasc 2 Fano. Arco d’Augusto e Arretramento Chiesa di S. Michele), il quadro delle stesse vicende delineato da C. Galli, Lavori di restauro all’Arco d’Augusto in Fano. Un quadro storico, in “Beni culturali: tutela, valorizzazione e attività culturali” XV, 2007, n. 2, pp. 1521 (ovviamente nel 1911 il Soprintendente non era E. Brizio, ma Innocenzo Dall’Osso). Il rilievo dello scavo, dato da G. Bartolucci, Cenni storici sull’Arco d’Augusto di Fano, Fano 1935, fig. 1 e ripubblicato con perfetta leggibilità da V. Purcaro, Osservazioni sulla «Porta Augustea» di Fano, in “Rendiconti Lincei” s. VIII, XXXVII, 1982, pp. 142, fig. 1, si riferisce ad una fase molto preliminare del lavoro, essendo l’opuscolo del Bartolucci già stampato a metà aprile, come risulta dalla lettera di ricevuta e ringraziamento prot. nr. 1108 a lui diretta il giorno 16 dal Soprintendente Ettore Ghislanzoni (SBAM-AV Prov. PU, cass. 3, fasc. 2, c. 174). Lo scavo, sorvegliato dall’Ispettore Onorario prof. Vittorio Menegoni, direttore della Scuola “Apolloni” di cui il Bartolucci era docente, e visitato in alcune occasioni (oltre che dal conte Borgogelli) dallo stesso Soprintendente, era iniziato il 26 marzo (lettera del Podestà di Fano al Soprintendente prot. n. 3635 del 25.03.1935, in SBAM-AV Prov. PU, cass. 3, fasc. 2, c. 167) a seguito di specifica disposizione del Direzione Generale alle Antichità e Belle Arti (nota ministeriale prot. n. 811 del 14.03.1935, ibid., c. 202, conforme al parere del Soprintende di cui a precedente nota prot. n. 124 del 15.01.1935, ibid., c. 151), che lo avevano posto come pre-condizione per l’esame del progetto di arretramento della facciata, e proseguì - nonostante il Borgogelli in lettera al Soprintendente (ibid., c. 170) lo avesse giudicato “quasi terminato” già il 5 aprile - fino al successivo mese di giugno, quando il prof. Menegoni scrive al Soprintendente (lettera del 7.06.1935, ibid., c. 175) che ha stonacato “fino all’altezza delle porte” il muro sinistro della chiesa, la cui “muratura continua in larghezza fino alla platea in calcestruzzo”, e che, “continuato anche lo scavo, abbiamo trovato il vergine alla profondità di m. 0,70 oltre i m. 2,50 già annunciati con la mia precedente lettera”, mentre infine, il 26.06.1935, il Soprintendente Reggente Architetto Guglielmo Pacchioni, riferendo al Ministero (con nota prot. n. 1532, ibid., c. 177) del sopralluogo effettuato con l’ing. Carlo Ughi, il conte Borgogelli e il prof. Menegoni, conclude: “lo scavo che ha messo ora in vista compiutamente le fondazioni del torrione semicircolare e dei due tratti di muro rettilineo che lo collegavano all’arco [sic !] dovrebbe, a mio parere, rimanere aperto e internamente visibile entro il vano dell’attuale chiesa”. Per la scarsa pratica dello scavo stratigrafico da parte degli archeologi italiani del periodo tra le due guerre operanti nei contesti d’età romana e non solo si veda M. Barbanera, L’archeologia degli italiani, Roma 1998, pp. 152- 105 IL COMPLESSO MONUMENTALE DI SAN MICHELE A FANO 154. Sulla sofferta reggenza Pacchioni, che era Soprintendente per l’Arte e l’Architettura Medievale e Moderna delle Marche, si veda G. Baldelli, La prima ritrovata segnalazione e la vera provenienza di un’epigrafe fanese, in “Picus“ XXVII, 2007, p. 231 s., nota 4 e P. Astrua, in Dizionario biografico dei Soprintendenti storici dell’arte (1904-1974), Bologna 2007, pp. 433-445. 5. Datate al 9/10 a.C. dall’iscrizione CIL XI 6218/19 sul fregio dell’Arco, con presumibile riferimento alla loro ultimazione. Per alcune diverse possibilità, contenute peraltro al massimo nell’ambito di un ventennio, si veda tuttavia la discussione in L. Bacchielli, La porta di Augusto a Fano nella cultura antiquaria locale, in L’antichità classica nelle Marche tra Seicento e Settecento, atti del Convegno Ancona-Pesaro 15-17 ott. 1987, Atti e Memorie della Deputazione di Storia Patria per le Marche, 93, 1988, Ancona 1989, p. 62 s. 6. ASP-SASF, Relazione del Giudice dello Spedale Abate Felice Carrara, in data 12 marzo 1767, brano trascritto da G. Castellani, op. cit., p. 159. 7. Ma non del tutto, almeno per chi scrive, che sin dall’estate 2004, proprio in vista dei lavori già nei programmi dell’Amministrazione Comunale, che allora manteneva la proprietà dell’intero complesso architettonico, ebbe a chiedere all’assessore Marco Paolini un sopralluogo nel vasto scantinato, effettuato poi, grazie alla sua cortesia, il successivo 5 novembre. In quella occasione l’assessore fu accompagnato dal prof. Paolo Taus, che subito il giorno dopo ne riferì l’esito positivo sulla stampa locale, anticipando alcune proprie conclusioni che poi ha sviluppato in successive pubblicazioni. Qui si nota soltanto che un cavaedium simile a quello da lui ipotizzato era già stato congetturato da L. Poletti, Intorno all’Arco d’Augusto di Fano. Ragionamento, in “Giornale Arcadico di Scienze, Lettere e Arti” XXXIV, 1827, p. 17 e riproposto da I. A. Richardsohn, Commemorative Arches and City Gates in the Augustan Age, in “Journal of Roman Studies” XXIII, London 1933, p. 158, fig. 6/B. 8. In realtà originariamente duplice e, inoltre, dotato di doppia comunicazione con il corpo di fabbrica retrostante, nonché all’estremità sud di una posterula per le sortite all’esterno della città. 9. L. Rossini, Gli archi trionfali, onorari e funebri degli antichi romani, Roma 1836, tav. XI. 10. P. Mancini, op. cit., tav. V. 11. L. Poletti, op. cit., pp. 3-28, tav. s.n., che riterrei abbia potuto tener conto, per la sua ricostruzione, anche dell’allora inedita prima pianta del Mancini (I. Di Stefano Manzella, Documenti inediti sugli archi augustei di Fano e Rimini (1823-1825), in “Rendiconti Lincei” s. VIII, XXXII, 1972, p. 451, tav. II/fig. 1), che sappiamo (ibid., pp. 435, 442 e 459 s.) esser stata esaminata nei primi mesi del 1824 a Roma dal Valadier. 12. Non credo per simmetrica trasposizione dell’identico muro disegnato nella stessa pianta dietro la torre nord, la sopravvivenza del quale, già all’epoca (ma una verifica sul posto resta oggi da farsi), sembrerebbe incompatibile con la planimetria del palazzo ora Severi data dieci anni prima da Mancini, op. cit., tav. V. Quest’ultimo, peraltro, non solo nella tavola I della sua opera, ma anche nella pianta del 1823 citata alla nota che precede, fornisce della sagrestia di San Michele la stessa pianta (indivisa) che essa ha avuto almeno per tutto il novecento e che ancora aveva all’inizio dei nostri lavori. Non escluderei, di conseguenza, che gli “scavi indicati nella pianta [tav. XI]… fatti dall’architetto francese Graneau [sic] nel 1826” (Rossini, op. cit., p. 17), di cui l’unica 106 altra traccia nota - con il cognome preceduto da una “M.” (per Monsieur o per il nome di battesimo) - è nella didascalia della tavola rossiniana, oltre che sicuramente l’interno della torre nord, abbiano interessato con piccoli saggi anche la nostra sagrestia e forse la stessa chiesa. Quanto al Graneau, o piuttosto Granneau, nessun architetto, artista o altro personaggio di tal nome risulta nei principali dizionari biografici e neppure tra i pensionaires dell’Accademia di Francia a Roma, il cognome essendo attestato nell’Ottocento soltanto ad Angers e dintorni, proprio di una famiglia che espresse almeno uno scultore, Jacques Graneau (Nantes 1817 - Angers 1891), su cui si veda bibliografia in Index bio-bibliographicus notorum hominorum. Corpus alphabeticum. I Sectio Generalis, vol. 92, Osnabrück 1998, p. 200. Proprio nella città di Angers era stato Provveditore del Liceo nonchè rettore dell’Accademia, dal 1804 al 1811, il fanese conte Giovanni Ferri de Saint Constant (su di lui si veda, con ampia bibliografia, P. Alvazzi del Frate, Università napoleoniche negli “Stati romani”. Il Rapport di Giovanni Ferri de Saint-Constant sull’istruzione pubblica, Roma 1995, pp. XXV-XVIII e Id., in Dizionario biografico degli Italiani, XLVII, Roma 1997, pp. 166-168, s.v.), il quale nel 1826 da tre lustri, ma personaggio certo ancora influente per le sue varie e numerose relazioni, si era ritirato nella città di nascita dai suoi alti incarichi nell’amministrazione napoleonica, ultimamente alla testa della romana Sapienza. Non stupirebbe, pertanto, che il nostro Graneau fosse della cerchia dei suoi amici e che proprio per la sua autorevole mediazione egli abbia avuto occasione di condurre gli scavi cui il Rossini fece unico cenno. Del resto il succitato conte Ferri, morto da quattro anni quando nel 1834 il Rossini eseguì a Fano i suoi rilievi (Rossini, op. cit., p. 2) - e il cui fratello Giacomo fu il primo presidente della Congregazione di Carità, nella quale fin dal 1808, erano stati conferiti i beni della Confraternita di S. Michele (G. Pelosi, Vicende della Schola di San Michele o Conservatorio degli Esposti, in “Nuovi Studi Fanesi” 19, 2005, pp. 106 e 110), allora comprensivi di entrambi i palazzi ai lati dell’Arco d’Augusto -, era stato sin dal luglio 1823 uno dei principali promotori, nonché uno dei primi sottoscrittori, della pubblicazione dell’opera del Mancini (Mancini, op. cit., pp. s.n. [ma XIX] e p. 29 e Di Stefano Manzella, op. cit., p. 437 s., nota 10), uscita proprio nello stesso anno dello scavo Graneau. Nessun documento su tale intervento ho trovato all’Archivio di Stato di Pesaro tra le carte dell’occhiuta Delegazione Apostolica, che fino all’anno prima, in stretta corrispondenza epistolare con il superiore Camerlengato Pontificio (si veda ibid., pp. 436-443 e 447-462, tavv. II-VI), si era occupata dei restauri della porta fanese e, in particolare, della sua torre nord. Maggior fortuna potrebbe avere in tale ricerca qualche più agguerrito ed esperto archivista. Non escluderei, comunque, che documenti al riguardo possano trovarsi proprio tra le Carte Ferri-Saladini all’Archivio di Stato e Biblioteca Federiciana di Fano. 13. Prima d’ora sempre o erroneamente risolto o lasciato almeno un po’ nell’indefinitezza, come ancora dagli autorevoli I. A. Richardson, op. cit., p. 158, fig. 6B e H. Kähler, Die römischen Torbürgen der frühen Kaiserzeit, in “Jahrbuch Deutsch. Arch. Inst.” 57, 1942, p. 29, fig. 24, il primo dei quali recuperò, peraltro, forse da Poletti, op. cit., tav. s.n., ma senza citarlo (cfr. supra, nota 7), l’idea dei vani rettangolari dietro le torri, poi trascurata dal secondo. Fu in effetti l’architetto modenese, a parte lo spessore e la struttura da lui attribuita per suggestione vitruviana e scarsa conoscenza del luogo alla cinta muraria, colui che più si avvicinò GLI ULTIMI LAVORI in passato alla realtà ora evidente. Le strutture, invece, trovate dal Graneau e in base a cui Rossini, op. cit., p. 2 e tav. IX, affermò l’originaria “forma quadrata” delle torri, saranno state, piuttosto, in gran parte, le stesse “platee” di fondazione e murature interne affiorate sotto la torre sud nel 1935. 14. A causa di altro mio assorbente impegno, improvvisamente insorto. 15. Le ricerche, dirette per la Soprintendenza, dal dott. Gabriele Baldelli, sono state eseguite dagli archeologi di Tecne s.r.l. La stratigrafia nei vani dell’ex sacrestia è ricostrutita in base alle osservazioni di Simone Biondi. Per l’aiuto nello studio delle strutture murarie devo ringraziare Nicoletta Raggi che si è anche occupata della documentazione grafica e fotografica, realizzata con un complesso lavoro di fotomosaico in cui per semplificare si sono riportate solo le strutture romane. La linea tratteggiata indica la integrazione proposta; in rosso, invece, le strutture attuali del palazzo. Si ringrazia infine lo studio Simoncini per la fornitura delle planimetrie del palazzo. 16. V. Purcaro, Osservazioni sulla «Porta Augustea» di Fano, in F. Milesi (a cura di), Fano Romana, Fano 1992, p. 195. 17. Per quanto riguarda le sostruzioni si veda Vitruvio 86,8,79; F. Cairoli Giuliani, L’edilizia nell’antichità, Roma 1990, pp. 112118. 18. Come nella torre della Porta di St. Andoche ad Autun, che presenta all’innesto del tratto di muro a semicerchio un muro trasversale di questo tipo (J.P. Guillomet, A. Rebourg, L’enceinte d’Autun, in AA.VV. Les enceintes augustéennes dans l’occident romain, actes colloque international de Nîmes 9-12 octobre 1985, Nîmes 1987, p. 45). 19. Nel piano terra della torre non sono state riconosciute né aperture verso l’esterno, né tanto meno verso gli ambienti retrostanti (vani C e D). 20. Fondazioni del tutto simili si ritrovano nella porta San Sebastiano delle mura di Altino (B. M. Scarfi, M. Tombolani, Altino preromana e romana, Quarto d’Altino 1987). 21. Si veda V. Purcaro, op. cit., p. 195. 22. Da segnalare un cucchiaino in osso, un coperchio d’anfora e un fondo di sigillata (schede nn. 1- 3). 23. Di tutti i muri sono stati messi in luce alcuni tratti delle fondazioni murarie, che presentano una risega sporgente rispetto al muro dai 0,10 m ai 0,25 m. 24. M. Luni, op. cit, fig. 22 in alto. 25. Nell’area B non è stato possibile verificare la presenza del piano pavimentale rinvenuto esternamente al torrione poco più a sudovest. A far supporre che qui ci troviamo all’esterno della torre è anche il paramento del muro, che nella parete rivolta verso l’area B risulta molto più accurato e del tutto simile a quello rilevato nel tratto di muratura curva. 26. Che la cornice sia un elemento presente in origine nella torre è testimoniato anche dalla sua presenza nel rilievo della porta inciso sulla facciata di San Michele (Luni, op. cit., pp. 116-117). Questa in arenaria gialla, tuttavia, potrebbe esser frutto di un intervento tardo-rinascimentale. 27. Il calcolo effettuato sulle quote ed altre considerazioni a carattere generale non permettono di prenderle in considerazione quali alloggiamenti delle travi di un solaio. Per la costruzione delle impalcature e la centinatura delle volte, si veda F. Cairoli Giuliani, L’edilizia nell’antichità, Roma 1990, pp. 98-104 e 194-199; J.P. Adam, L’arte di costruire presso i romani: materiali e tecniche, Milano 2001, pp. 84-90 e 189-205. 28. Potrebbe trattarsi anche solo di una fase costruttiva, considerato il lungo periodo di cantiere di quasi un ventennio che comportò la edificazione delle mura di Fanum Fortunae, si veda P. Sommella, L’Italia antica: l’urbanistica romana, Roma 1988, pp. 176-177. 29. Le torri, specie quelle che affiancavano le porte a cavaedium, in età augustea trovano al loro interno le applicazioni più diverse, anche senza ruoli direttamente collegati ad esigenza di difesa. Per confronti con le partizioni interne e le strutture rinvenute in torri di età romana si veda: G. Lange, Torri romane in Valle d’Aosta: Arnaz, Gressan, La Tour d’Hereres e Morgex, estratto dal 44° Bulletin de l’Academie Saint Anselme, Aosta 1969; L. Karlsson, Fortification towers and masonry techniques in the hegemony of Syracuse, 405-211 B.C., Stockholm 1992; J. P. Adam, Approche et défense des portes dans le monde hellénise, in S. van de Maele, J. M. Fossey, op. cit., pp. 5-43; P. Garmy, L. Maurin (a cura di), Enceintes romaines d’Aquitaine : Bordeaux, Dax, Perigueux, Bazas, Paris 1996; J. Napoli, Recherches sur les fortifications linéaires romaine, Roma 1997. 30. In questi strati sono stati rinvenuti diversi frammenti in ceramica sigillata, anche con marchio di fabbrica (schede nn. 4-7). 31. Fra i materiali recuperati si segnala una moneta in bronzo (scheda n. 8). 32. Come invece proposto da V. Purcaro, op. cit., p. 200. 33. Allo stesso modo che si riscontra nella porta Rosa di Velia, per cui si veda J. P. Adam, op. cit., p. 176 fig. 382. 34. Si veda G. Baldelli supra a nota 7. 35. Per il termine si veda Varrone, De lingua latina, V, 161 e Vitruvio VI, 3. Il tipo di porta trova numerosi confronti: Porta Venere di Spello (P. Gros, Mura e porte urbiche, in P. Gros, L’architettura romana : dagli inizi del III secolo a. C. alla fine dell’alto impero, Milano 2001, p. 39; F. Rebecchi, Les enceintes augustéennes en Italie, in AA.VV., op. cit., p. 139; L. Baiolini, La forma urbana dell’antica Spello, in L. Quilici, S. Quilici Gigli, Città romane 3: città dell’Umbria, Roma 2002, pp. 61-120); Porta dei Leoni di Verona (P. Gros, op. cit., p. 41); Porta Palatina di Torino e Porta Pretoria ad Aosta (P. Gros, op. cit., p. 42; F. Rebecchi, op. cit., p. 148); Porta d’Augusto a Nîmes (P. Gros, op. cit., p. 52; P. Varène, L’enceinte augustéenne de Nîmes, in AA.VV., op. cit., pp. 17-24; P. Varène, L’enceinte gallo-romaine de Nîmes. Les murs et les tours, Paris 1992; Porta d’Arroux e Porta St. Andrè a Autun (P. Gros, op. cit., p. 53; J. P. Guillomet, A. Rebourg, op. cit., pp. 4150); Porta di Arles (A. Frova, L’arte di Roma e del mondo romano, Torino 1961, p. 478), pp. 41-50. 36. Per gli studi sulla porta d’Augusto e le mura si veda: V. Purcaro, op. cit., pp. 195-208; M. Luni, La cinta muraria di Fanum Fortunae (Fano), in F. Milesi op. cit., pp. 89-138; M. Luni, op. cit., pp. 153-182; L. De Sanctis, Le mura Augustee, in L. De Sanctis, Quando Fano era romana, Fano 1998, pp. 56-62; L. De Sanctis, La Porta di Augusto, in L. De Sanctis, op. cit., pp. 63-72; M. Luni, La cinta muraria e la Porta di età Augustea, in M. Luni, Studi su Fanum Fortunae, Urbino 2000, pp. 74-124; M. Luni, Le mura e la Porta d’Augusto in età tardo-antica, in M. Luni, op. cit., pp. 141-148. 37. Mentre si conoscono casi, come la porta Palatina di Torino o la porta Pretoria ad Aosta, in cui le torri furono costruite prima delle cortine (P. Gros, op. cit., p. 42). 107 IL COMPLESSO MONUMENTALE DI SAN MICHELE A FANO I materiali provenienti dallo scavo 1) Cucchiaio 2007. Fano (PU), Arco di Augusto-Chiesa di San Michele. Vano A, us 10. Piccolo cucchiaio (cochlear) in osso. Manico dritto a sezione circolare con terminazione appuntita, coppetta di forma circolare poco profonda. Decorato sulla parte convessa del cucchiaio da quattro tratti di linee incise convergenti. Questo tipo di cochlear, attestato in area vesuviana anche in bronzo e argento, era utilizzato per mangiare frutti di mare e uova. Lungh. 11,5 cm (I sec.d.C). Bibl. S. Bruni (a cura di), Le navi antiche di Pisa, Pisa 2000, p. 293, fig. 4 (in osso); P. G. Guzzo (a cura di), Storie da un’eruzione: Pompei Ercolano Oplontis, Catalogo della Mostra (Napoli 2003), Milano 2003, p. 159 n. I.51 (in argento); M. Beretta, G. Di Pasquale (a cura di), Vitrum: il vetro fra arte e scienza nel mondo romano, Catalogo della Mostra (Firenze 2004), Firenze 2004, p. 240 n. 2.44 (in argento). 2) Frammento di fondo piano 2007. Fano (PU), Arco di Augusto-Chiesa di San Michele. Vano A, us 8. Argilla rosata depurata, vernice rossa semilucida di buona qualità. Frammento di fondo piano con attacco del piede di forma non identificabile, in terra sigillata nord-italica. All’interno due cerchi concentrici scanalati con decorazione a rotella delimitano il bollo radiale in cartiglio rettangolare GRA/TUS. I bolli radiali, tipici della fase più antica della terra sigillata italica, vengono abbandonati probabilmente verso il 15-10 a.C. in favore di quelli singoli e centrali. Il bollo del figulo Gratus, attestato nel Corpus Vasorum Arretinorum in diverse varianti ma non in questa forma, è riferibile, anche se con qualche incertezza, a un ceramista della valle del Po, attivo in età augustea. Alt. max. 6,2 cm, largh. max. 9,5 cm (Prima età Augustea). Bibl. L. Mazzeo Saracino, Terra sigillata nord-italica, in Enciclopedia dell’Arte Antica, Atlante delle forme ceramiche, II; Roma 1985, pp. 175-230; A. Oxé, H. Comfort, Corpus Vasorum Arretinorum: a Catalogue of the Signatures, Shapes and Chronology of Italian Sigillata, Bonn 1968, p. 611 e p. 215 n. 754. 108 3) Tappo 2007. Fano (PU), Arco di Augusto-Chiesa di San Michele. Vano A, us 10. Tappo d’anfora, tecnica a stampo. Argilla rosa con inclusi di cotto di piccole dimensioni. Tracce di incrostazioni scure lungo il bordo e su parte delle superfici superiore e inferiore, probabilmente riferibili alla pece utilizzata per sigillare le anfore. Forma circolare con presa cilindrica in posizione centrale quasi del tutto abrasa; a metà circa della superficie del disco quattro piccoli umboni a distanza regolare in parte abrasi. Facendo riferimento alla tipologia utilizzata dalla Chinelli per gli esemplari di opercula in argilla provenienti da Aquileia, il nostro tappo è attribuibile al I tipo (realizzati a stampo), databili in base ai confronti bibliografici prevalentemente tra il II sec. a.C. e il I sec. d.C. Spessore 1,4 cm, diametro 9,0 cm (II sec. a.C.- I sec. d.C). Bibl. R. Chinelli, Coperchi d’anfora, in Scavi d’Aquileia, 1991, pp. 243-259 e tavv. 44-48; R. Chinelli, Coperchi d’anfora, in Scavi d’Aquileia, 1994, pp. 464-491 e tavv. 73-75. (VL) 4) Frammento di coppa con bollo in planta pedis T·RF in terra sigillata nord italica, con decorazione applicata 2007. Fano (PU), Arco di Augusto- Chiesa di San Michele. Vano C, uuss 66, 67. Argilla camoscio-rosata pallida, vernice corallina. Frammento di coppa emisferica con orlo appena rientrante e assottigliato, piede basso ad anello inclinato, modanato. Decorazione esterna con doppia serie di fini tacche a rotella entro registro formato da coppie di scanalature sotto l’orlo e poco sopra la metà del corpo. Appliques nella parete verticale formate da spirali a doppia voluta. Forma Ritterling 109 IL COMPLESSO MONUMENTALE DI SAN MICHELE A FANO 8. Sul fondo solcature concentriche e bollo in planta pedis T·RF, con legatura RF. In questa forma il bollo trova diversi confronti puntuali in Italia e nelle province. Alt. 4,2 cm, diam. orlo 11,3 cm, piede 5,2 cm (Età augusto-tiberiana). Bibl. L. Mazzeo Saracino, op.cit., n. 23; A. Oxé, H. Comfort, op.cit., n. 1600. 5) Frammento di terra sigillata italica con bollo CLADI in planta pedis 2007. Fano (PU), Arco di Augusto- Chiesa di San Michele. Vano C, us 67. Argilla rosata, vernice rossa di buona qualità. Frammento di fondo di coppa in terra sigillata italica di produzione aretina. Piede basso ad anello, inclinato. Sul fondo bollo in planta pedis anatomico CLADI, con C iniziale abrasa. Alt. cons. 1,2 cm, piede 5,8 cm (Età augustea). Bibl. A. Oxé, H. Comfort, op. cit., n. 441. 6) Frammento di terra sigillata italica con bollo C·VOLV in planta pedis 2007. Fano (PU), Arco di Augusto- Chiesa di San Michele. Vano C, us 67. Argilla rosata, vernice rossa di buona qualità. Piccolo frammento di fondo di forma non determinabile. Terra sigillata italica. Sul fondo in planta pedis anatomico, bollo C·VOLV con legatura LV. In questa forma il bollo non trova attestazioni note ma può essere riferito al produttore C. VOLVSENVS. Spess. fondo. 0,2 cm, lungh. 4,1 cm, largh. 5,8 cm (Età augustea-tiberiana). Bibl. A. Oxé, H. Comfort, op. cit., n. 2470. 110 7) Frammento di terra sigillata italica con bollo C·MAR […] in planta pedis 2007. Fano (PU), Arco di Augusto- Chiesa di San Michele. Vano D, us 92. Argilla rosata, vernice rossa di buona qualità. Piccolo frammento di fondo di piatto in terra sigillata italica, piede ad anello obliquo. Sul fondo solcature concentriche e bollo in planta pedis C·MAR, con legatura MA, produttore arretino. Spess. fondo. 0,7 cm, piede 3,1 cm (Età augustea-tiberiana). Bibl. A. Oxé, H. Comfort, op. cit., n. 959. 8) Asse di Tiberio 2007. Fano (PU), Arco di Augusto- Chiesa di San Michele. Vano C, us 47. D/ DIVVS. AVGVSTVS. PATER Testa radiata, a sin. R/ Ara con porta a due battenti; all’esergo, PROVIDENT; nel campo S C. AE asse. Diametro 2,8 cm (Ultimi anni di Tiberio, 36-37 d.C.). Bibl. H. Mattingly, E. A. Sydenham, C.H.V. Sutherland, R.A.G. Carson, Roman Imperial Coinage, London 1984, p. 95,6. (SB) 111