Accademia Nazionale dell’ Olivo e dell’ Olio Spoleto Collana divulgativa dell’Accademia Volume IV MODELLI D’IMPIANTO, FORME DI ALLEVAMENTO E CRITERI DI POTATURA PER LA NUOVA OLIVICOLTURA A cura di Tiziano Caruso e Primo Proietti ________________________________________________________________________________ Realizzato nell’ambito del progetto “Ricerca ed Innovazione per l’Olivicoltura Meridionale”, finanziato dal MiPAAF Accademia Nazionale dell’ Olivo e dell’ Olio Spoleto Collana divulgativa dell’Accademia Volume IV MODELLI D’IMPIANTO, FORME DI ALLEVAMENTO E CRITERI DI POTATURA PER LA NUOVA OLIVICOLTURA A cura di Tiziano Caruso* e Primo Proietti** * Dipartimento DEMETRA Università degli Studi di Palermo Viale delle Scienze 90128 Palermo E-mail: [email protected] ** Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali Università di Perugia Via Borgo XX giugno, 74 06121 Perugia E-mail: first@ unipg.it Realizzazione editoriale Accademia Nazionale dell’Olivo e dell’Olio Palazzo Ancajani - Piazza della Libertà, 12 06049 Spoleto (PG) Tel/ Fax 0743-223603 – e-mail: [email protected] Realizzato nell’ambito del progetto “Ricerca ed Innovazione per l’Olivicoltura Meridionale”, finanziato dal MiPAAF ISSN 2281-4930 Pubblicato online nel mese di novembre 2011 PREFAZIONE Sono trascorsi cinquanta anni dalla fondazione dell’Accademia Nazionale dell’Olivo e dell’Olio. Cinquanta anni che hanno visto alla sua guida personaggi, di cui alcuni, purtroppo, non più presenti tra noi, che attraverso i loro alti comportamenti etici, morali, politici e professionali hanno realizzato le strutture portanti dell’Accademia e dato lustro alle attività svolte. L’attuale Consiglio Accademico, per celebrare questo importante traguardo, ha deciso, in linea anche con gli obiettivi del “Progetto Network”, di realizzare una Collana dell’Accademia, sottoforma di opuscoli, riguardante tutta la filiera produttiva e commerciale dell’olio extravergine di oliva. Sono state individuate numerose tematiche, affrontate alla luce dei più recenti aggiornamenti scientifici e tecnici sia per minimizzare i costi produttivi, sia per ottimizzare la qualità e la sua valorizzazione sui mercati. In questa direzione notevole enfasi è stata data ai nuovi modelli d’impianto, alle tecniche colturali, alle prospettive della genomica, alle tecnologie di trasformazione, alla valorizzazione dei sottoprodotti, agli aspetti di medicina preventiva e salutistica, alla gestione economica aziendale ed alle strategie di marketing. Nella scrittura degli opuscoli si è cercato di utilizzare una forma divulgativa, ma al tempo stesso rigorosa nei termini scientifici utilizzati. In ogni opuscolo sono fornite tutte le indicazioni necessarie per contattare, per eventuali approfondimenti, gli Autori. GianFrancesco MONTEDORO Presidente Accademia Nazionale dell’Olivo e dell’Olio _______________________________________________________________________ MODELLI D’IMPIANTO, FORME DI ALLEVAMENTO E CRITERI DI POTATURA PER LA NUOVA OLIVICOLTURA Indice Abstract 1. Considerazioni agronomiche 2. Aspetti eco- fisiologici 3. Criteri di scelta e di gestione delle tipologie d’impianto 4. La potatura: aspetti agronomici ed ecofisiologici 5. Epoca di potatura 6. Intensità di potatura 7. Criteri di scelta della forma di allevamento: aspetti agronomici 8. Forme di allevamento 8.1. Vaso 8.1.1. Aspetti generali 8.1.2. Vaso Policonico 8.1.2.1.Potatura di allevamento 8.1.3.Vaso libero 8.1.3.1.Potatura di allevamento 8.1.4.Asse centrale 8.1.4.1. Aspetti generali 8.1.4.2. Potatura di allevamento 9. Sviluppo di nuovo modelli d’impianto e forme di allevamento per la meccanizzazione della raccolta in continuo 9.1. Parete verticale 9.1.1. Aspetti generali Bibliografia Pagina 2 3 3 4 7 10 10 11 11 12 12 14 14 17 17 17 17 19 20 20 20 22 _______________________________________________________________________ 1 _______________________________________________________________________ MODELS OF SYSTEM, METHODS OF BREEDING AND PRUNING CRITERIA FOR NEW OLIVE GROWING Abstract Unfortunately, few cultivars are suitable to SHD hedgerow system and these foreign cultivars do not fit the Italian olive oil industry, traditionally based on many local cultivars, producing olive oils of unique flavors and taste. Since the productivity of models should be adopted to make the Italian olive industry economically sound. Therefore, more attention has to be deserved to orchard efficiency, early bearing, constant production, high oil accumulation in the fruit and to the feasibility of the harvest mechanization. Particularly, it is important to consider the olive orchard light use efficiency (light to dry matter), carbon acquisition and distribution to the fruits (harvest index) when choosing new plantation systems. Furthermore, harvest mechanization efficiency has to be increased and tree damages have to be reduced in order to avoid excessive cost of production. Since harvester machines mainly work on the basis of two models, “discontinuous”/“continuous”, planting density, tree space, training system and pruning criteria should be adapted to fit the harvesters requirements. The olive growing has usually been practiced in shallow and low fertile soils due to the frugality and rusticity of this tree. Low planting density orchards, based on large-sized, free-shaped canopy trees were traditionally developed to stand such peculiar agronomical conditions; this represented the only sustainable orchard model on which, for centuries, has been developed the Italian olive oil industry. In recent times, the promotion of the Mediterranean diet as an healthy eating plan, based on the use of flavorful extravergin olive oil, largely contributed to increase worldwide interest on this peculiar ingredient of Mediterranean cooking style. In order to promptly satisfy the increased oil demand in the international market, new planting models have been projected and tested for the new olive oil industry, keeping sustainable the cost of production. Among those, at the beginning of the 2000’, Super High Density (SHD) hedgerow (1500-2500 trees/ha) resulted to fit, more than others, the above mentioned requirements for the developing olive oil industry in new growing countries. traditional olive orchards is low, alternate and production costs are too high, new orchards _______________________________________________________________________ 2 _______________________________________________________________________ MODELLI D’IMPIANTO, FORME DI ALLEVAMENTO E CRITERI DI POTATURA PER LA NUOVA OLIVICOLTURA pervenire alla rapida e abbondante fruttificazione dell’impianto, sono più adatti i modelli che, per unità di superficie prevedono un elevato numero di piante di piccola taglia (impianti intensivi, ad alta densità, superintensivi) piuttosto che su pochi alberi di grande mole, che contraddistinguono gli impianti dell’olivicoltura tradizionale. 1. Considerazioni agronomiche Nell’attuale contesto sociale ed economico dell’olivicoltura europea diviene sempre più pressante l’esigenza di impiantare oliveti che consentano di abbreviare quanto più possibile (non più di 4 anni) la fase improduttiva, di pervenire a livelli produttivi elevati e costanti per un numero di anni (30-40) sufficientemente lungo da rendere conveniente l’investimento. Inoltre, si punta ad esaltare le caratteristiche qualitative del prodotto, sia che esso debba essere destinato all’estrazione di olio sia alla trasformazione come olive da tavola. Un altro aspetto che in questi ultimi anni ha assunto fondamentale importanza è rappresentato dalla possibilità di meccanizzare integralmente la raccolta, certamente la pratica colturale più onerosa, che spesso mette in dubbio la convenienza dell’intero processo produttivo. Note le peculiarità agronomiche del sito dove effettuare l’impianto, scelta la cultivar, la configurazione dell’impianto rappresenta una decisione molto delicata, sia per l’elevato grado di irreversibilità che comporta, sia per il ruolo di primo piano che assume ai fini del successo economico dell’oliveto. Si tratta, in particolare, di combinare al meglio densità di piantagione, (numero di piante / unità di superficie), sesto (disposizione geometrica delle piante sul campo), forma di allevamento (distribuzione nello spazio impressa alle strutture permanenti e produttive delle pianta), e tecniche colturali, tra le quali la potatura assume un ruolo fondamentale in rapporto alle caratteristiche ambientali. La piena espressione della crescita vegetativa e della fruttificazione di una cultivar, infatti, è largamente determinata dall’interazione del pool genetico della pianta con il contesto agronomico (suolo, clima, tipologia d’impianto e pratiche colturali) nel quale essa viene allevata. Per 2. Aspetti eco- fisiologici Numerosi studi hanno dimostrato che la quantità di energia radiante complessivamente intercettata dalla vegetazione, utile ai fini della fruttificazione, è maggiore nelle piante piccole rispetto a quelle di grande mole. Dal punto di vista agronomico, gli alberi di piccola taglia sono, infatti, più efficienti rispetto a quelli di grande ingombro; nei primi è maggiore l’incidenza di organi fotosinteticamente attivi (foglie) e degli assi vegetativi più direttamente coinvolti nella fruttificazione (branchette di due anni, rami di un anno e vegetazione dell’anno); nei secondi prevalgono i tessuti legnosi (fusto e branche di diversa età e ordine) che, pur fondamentali nella costituzione delle strutture portanti, di trasporto e di riserva della pianta, dal punto di vista metabolico, “utilizzano” (respirano) anziché “sintetizzare ” i carboidrati. Alberi di dimensioni contenute hanno inoltre un maggior rapporto superficie esposta / volume della chioma rispetto a piante di grande mole, per cui, per unità di suolo, aumenta la quantità di luce complessivamente intercettata dall’impianto. La luce, inoltre, penetra e si distribuisce più uniformemente nelle varie parti della chioma nelle piccole piante, piuttosto che nei grossi alberi dove intensi risultano i gradienti luminosi. L’importanza di quest’ultimo aspetto viene spesso sottovalutata nonostante che, tra i fattori climatici, la luce presiede all’equilibrio tra la crescita vegetativa e quella riproduttiva. Alle latitudini del Mediterraneo, in rami di un anno posizionati in zone della chioma irradiate da intensità luminosa al di sotto del 30%, rispetto alla radiazione globale, difficilmente si completano i processi di lignificazione e di _______________________________________________________________________ 3 _______________________________________________________________________ induzione a fiore delle gemme. In condizioni di scarsa luminosità anche i processi di inolizione e di sintesi degli acidi grassi e dei composti riferibili alla frazione dell’insaponificabile non procede regolarmente, con ripercussioni negative su quantità e qualità del prodotto. Nell’olivo, a differenza di quanto avviene per alcune specie arboree da frutto, nell’ambito del panorama varietale mondiale sono veramente poche le cultivar deboli e con habitus vegetativo compatto; inoltre, non sono ancora stati selezionati portinnesti in grado di contenere il vigore della pianta. Per modulare la crescita vegetativa dell’albero cercando, nel complesso, di ridurla all’essenziale (rinnovo della vegetazione per garantire, ogni anno, la fruttificazione), si deve pertanto fare affidamento solamente sulle scelte e sulle tecniche colturali. genere adottate negli ambienti Centrosettentrionali di coltivazione, dove le piante, a causa della più breve stagione vegetativa, crescono meno rispetto alle aree di coltivazione che ricadono nel nostro Mezzogiorno. Negli ambienti più spiccatamente mediterranei, a causa delle più modeste precipitazioni e del lungo periodo di siccità estivo, si tende invece a mantenere bassa la densità d’impianto (tipica strategia di aridocoltura), per non incorrere in problemi di stress idrico, frequenti quando la superficie fogliare per unità di superficie di suolo è piuttosto elevata. Gli impianti tradizionali, sono, in sintesi, contraddistinti da alberi di grandi dimensioni, con chiome che molto frequentemente superano i 4 m di altezza e i 12150 m3 di volume e che, nel complesso dell’impianto, raggiungono facilmente i 15.00020.000 m3/ha. Le piante si caratterizzano, inoltre, per l’esteso sviluppo degli apparati radicali e per l’elevata capacitanza del tronco e delle grosse branche, in grado di accumulare riserve idriche e nutrizionali, che consentono all’albero di superare agevolmente gli stress ambientali, soprattutto quelli determinati da elevate intensità luminose, alte temperature e lunghi periodi di siccità, fattori climatici tipici degli ambienti più meridionali del nostro Paese. Le diverse porzioni delle chiome, di solito sempre ben illuminate, nelle annate di carica fruttificano abbondantemente; buone sono anche la resa in olio e le caratteristiche qualitative del prodotto, per quanto concerne sia la frazione lipidica sia i composti della frazione insaponificabile. Le produzioni, soprattutto quelle da tavola, se sapientemente diradate, dal punto di vista quantitativo, sono quasi sempre eccellenti per l’elevata pezzatura dei frutti e l’ottimo rapporto polpa/nocciolo. I maggiori svantaggi degli impianti tradizionali risiedono nella spiccata alternanza di produzione, determinata dai lunghi turni di potatura, attuati spesso per motivi economici, nelle modeste produzioni unitarie, soprattutto nei primi 10-15 anni, e nelle modeste possibilità, almeno con le 3. Criteri di scelta e di gestione delle tipologie d’impianto Sembra utile ricordare che il potenziale della crescita vegetativa della pianta è sensibilmente condizionato dalla densità d’impianto, dalla quale dipende, oltre alla quantità di luce intercettata, il volume di suolo entro il quale ciascun albero può attingere acqua e nutrienti, attraverso l’apparato radicale (unità di suolo). Impianti tradizionali In generale, gli oliveti tradizionali, con i quali anche nel recente passato venivano valorizzati terreni siccitosi e di modesta fertilità complessiva, si contraddistinguono per la bassa densità d’impianto e forme di allevamento in volume, quali il Vaso, e le relative varianti, ed il Globo. Negli impianti tradizionali, in particolare, le chiome di alberi vicini non si toccano mai, per cui la fruttificazione si trova, in genere, ben distribuita su tutta la chioma. Il numero di piante/ha varia tra 100-200 unità, con distanze tra gli alberi di 7-10 m, per lo più disposti secondo sesti in quadro. Le maggiori densità vengono in _______________________________________________________________________ 4 _______________________________________________________________________ macchine oggi disponibili, di meccanizzare la raccolta. Per la notevole mole delle piante i cantieri di raccolta prevedono, in genere, reti distese sul suolo, oggi anche con l’ausilio di mezzi meccanici, sulle quali vengono lasciati cadere i frutti disarticolati con agevolatori (pettini, bacchiatori), bacchiatori montati su bracci meccanici o scuotitori che operano su grosse branche. I cantieri di raccolta spesso prevedono fin’anche l’impiego di otto persone. In alcuni casi, per ridurre il personale, i frutti si lasciano cadere e vengono raccattati direttamente sul terreno, opportunamente predisposto, ovvero livellato e reso compatto con interventi di pesanti rulli. Per agevolare la raccattatura i frutti vengono allineati lungo file continue, mediante andanatrici e successivamente aspirati e convogliati in cassoni movimentati meccanicamente. La potatura risulta decisamente pericolosa per l’esigenza di operare ad elevata altezza dal suolo mediante scale (soprattutto in terreni acclivi, ciglionati o terrazzati) o, in alternativa, su terreni pianeggianti o in leggero declivio, con cestelli montati su bracci elevatori, movimentati dal potatore. La potatura prevede in genere l’impiego di seghe a motore, di dimensioni variabili, per cui risulta faticosa e, nel complesso, piuttosto costosa e perciò si esegue spesso con una cadenza di 3-4 anni. I trattamenti antiparassitari comportano l’impiego di grandi volumi di acqua che, per raggiungere la sommità delle piante, vengono somministrati con lance di lunga gittata, che determinano fenomeni di deriva e di sgocciolamento intenso sul terreno e, di conseguenza, un elevato impatto ambientale degli interventi preposti alla difesa delle piante. Per i suddetti motivi le forme di allevamento tipiche degli impianti tradizionali, quali (Vaso globoso, Vaso cespugliato, Vaso dicotomico) sono in fase di abbandono e, molto probabilmente, saranno sempre più legate, almeno nel nostro Paese, al ruolo multifunzionale dell’olivicoltura, tipico dei sistemi agro-forestali, piuttosto che a quello eminentemente produttivo. Impianti intensivi Nell’ambito di queste tipologie ricadono gli oliveti contraddistinti da densità d’impianto di 200-400 alberi /ha, con piante che possono essere disposte secondo sesti in quadro o in rettangolo. Riguardo tale aspetto, prove in corso in Spagna sembrano evidenziare che quando si superano le circa 280 piante/ha (circa 35 m2 di superficie disponibile per pianta) il sesto rettangolare (esempio 7 x 5 m) favorisce la fruttificazione rispetto a quello in quadro (esempio 6 x 6 m), grazie alla maggiore quantità di luce intercettata e alla migliore distribuzione nelle diverse zone della chioma. Anche per gli impianti intensivi la forma di allevamento più comune è rappresentata dal Vaso, soprattutto quello “policonico”, più adatto rispetto al “Vaso classico” o al “Vaso globoso” alla meccanizzazione della raccolta, da realizzare possibilmente con macchine semoventi, che operano mediante gancio vibratore da applicare al tronco. Per la piena efficienza delle macchine ad oggi disponibili è però necessario che il punto di imbrancatura sia prossimo al metro di altezza e che il diametro del tronco, al punto di presa delle pinze dello scuotitore, non superi i 40 cm circa di diametro. Inoltre, il volume della chioma di ciascuna pianta non dovrebbe superare i 50 m3, con altezza complessiva della pianta limitata a 44,5 m circa, in modo da favorire la potatura da terra, effettuata con forbici e seghetti montate su aste telescopiche che consentono di raggiungere agevolmente la sommità della chioma. Negli ambienti più siccitosi, quando l’oliveto insiste su terreni piuttosto sciolti, per non incorrere in stati di stress idrico severo durante la stagione estiva, il volume complessivo delle chiome /ettaro dovrebbe aggirarsi sui 6000-8000 m3/ha; valori che possono elevarsi finanche a 10.000-12.000 m3/ha in irriguo. In asciutto, con circa 200 piante/ha, il volume della chioma di ciascun albero dovrebbe pertanto oscillare tra i 30 e i 40 m3. In irriguo, piuttosto che lasciare che le piante superino largamente le suddette _______________________________________________________________________ 5 _______________________________________________________________________ dimensioni si ritiene più razionale aumentare le densità d’impianto fino a circa 300 piante/ha (9.000-12.000 m3/ha), numero che può essere elevato fino a 400 alberi/ha per cultivar contraddistinte da lenta crescita, abbondante fruttificazione e modesto vigore. Gli impianti intensivi stanno suscitando crescente attenzione nella nuova olivicoltura, grazie alla possibilità di operare la raccolta con macchine semoventi, munite di un “ombrello rovescio”, per intercettare i frutti prima che giungano a terra, Tali macchine in genere sono dotate, in posizione sottostante all’ombrello stesso, di cassone di accumulo dei frutti (di almeno 2 q.li di capacità) in modo da rendere meno discontinua la raccolta. La possibilità di ridurre a non più di 2 il numero di persone assegnate a ciascun cantiere di raccolta, rende molto interessante questa tipologia d’impianto. Densità superiori a 400 piante/ha possono essere adottate a condizione che da una forma di allevamento di grande espansione, qual è appunto il Vaso e relative varianti, si passi ad una forma di allevamento che consenta di ridurre sensibilmente le distanze tra le piante, soprattutto quelle lungo i filari. Tra le diverse forme di allevamento saggiate, quella che più di altre avrebbe dovuto soddisfare tali esigenze è il “Monocono”, contraddistinta dalla presenza di un unico asse centrale (fusto) sul quale si articolano, a partire da circa 70 cm dal colletto, direttamente le branche, di lunghezza decrescente dalla base verso l’apice. Purtroppo il Monocono, proposto per densità d’impianto di 400-800 piante/ha, non si è affermato a causa del notevole vigore di larga parte delle cultivar di olivo che, nell’idea originaria, doveva essere contenuto attraverso l’impiego di supposti portinnesti nanizzanti che, purtroppo, alle verifiche di campo non si sono però rilevati tali. Il Monocono, in particolare, è stato concepito per sistemi d’impianto configurati secondo pareti continue, da realizzare disponendo gli alberi secondo sesti rettangolari, con spiccate differenze tra le distanze cui si dispongono le piante tra le file (6-7 m) e quelle sulla fila (2,5-3 m). Rispetto alla tipica discontinuità dei filari, implicita quando si adotta la forma a Vaso, gli impianti basati sul Monocono, oltre all’aumento delle produzioni unitarie, soprattutto nei primi anni di vita dell’oliveto, favoriscono anche la meccanizzazione della raccolta con scuotitori da tronco e della potatura attraverso interventi di topping e hedging effettuati con seghe a dischi montate su barre. Negli impianti a Monocono, però il potenziale di crescita vegetativa della pianta trova “sfogo” nel solo asse centrale, anziché in 3-5 branche primarie, come avviene nel Vaso policonico. Sull’asse centrale, a partire da 70-80 cm da terra, si inseriscono, a spirale, branche di lunghezza decrescente, man mano che si procede dalla parte basale a quella apicale della pianta. Col passare degli anni, però, a causa della minore quantità di luce che raggiunge le branche inferiori, queste tendono a spogliarsi di vegetazione e ad accrescersi in senso radiale, alla ricerca di luce, per cui assumono la conformazione di robuste branche primarie, con elevata incidenza di legno rispetto alla vegetazione fruttificante. Grande sviluppo di vegetazione si ha anche nella parte apicale della chioma, per effetto della migliore disponibilità di luce, e ciò pregiudica ulteriormente l’illuminazione e il vigore delle porzioni basali. La pianta, nel volgere di qualche anno, tende a produrre solamente sulle branchette superiori, più esposte alla luce e più inclini al rinnovo vegetativo. Tale tendenza, che può essere ostacolata solamente con minuziosi interventi di potatura effettuati con cadenza regolare, favorisce l’insorgenza di fenomeni di ombreggiamento reciproco tra le piante e intrapianta che si concretizzano nella rapida e drastica caduta dell’efficienza produttiva dell’impianto: la fruttificazione si sposta nella fascia alta della chioma, quella più distante da terra e, pertanto, difficile da gestire. Il Monocono, inoltre, presenta l’inconveniente di rendere difficoltoso l’impiego dell’ ombrello rovescio, per cui per _______________________________________________________________________ 6 _______________________________________________________________________ meccanizzare la raccolta si rende indispensabile ricorrere all’impiego di scuotitori con telaio intercettatore laterale. Per superare tale problema da alcuni anni è stata intrapresa un’estesa attività di ricerca volta alla selezione di portinnesti nanizzanti ma, purtroppo, i risultati, pur incoraggianti hanno bisogno di ulteriori verifiche nel tempo e nello spazio. fruttificare sui rami anticipati, decisamente più sottili e solo parzialmente lignificati, pertanto più flessibili rispetto ai normali rami misti che originano dalla gemma apicale o da quelle in posizioni ascellari dei rami di un anno. Grazie all’emissione dei numerosi assi vegetativi anticipati, contraddistinti da scarso accrescimento secondario che ne aumenterebbe la consistenza, anche le branchette di 2-3 anni risultano piuttosto flessibili tanto da non provocare alcun danno ai battitori della macchina e, da non subire, esse stesse, gravi lesioni o rotture. Inoltre, l’angolo d’inserzione dei rami piuttosto aperto favorisce la penetrazione della luce nelle zone più interne della chioma, con benefici effetti sulla costanza di fruttificazione e sull’efficienza produttiva della pianta nonché sulla resistenza alle avversità parassitarie. Negli impianti superintensivi l’efficienza produttiva delle piante è determinata dalla possibilità di mantenere la chioma delle piante nello spazio a ciascuna di esse riservato, condizione che si realizza attraverso la potatura annuale, basata su tagli sia di diradamento sia di raccorciamento delle branchette che hanno raggiunto diametro alla base superiore ai 3 cm. In tale tipologia d’impianto, i rami di piante contigue, per l’esigua distanza tra gli alberi sulla fila, facilmente si intersecano per cui si vengono a creare ampie zone improduttive della chioma per carenza di luce. Sembra utile ricordare che, ai fini della progettazione dell’oliveto, la scelta della tipologia dell’impianto (bassa, media densità, superintensi ) pone dei vincoli nella scelta della forma di allevamento e, di conseguenza, del metodo di raccolta, in particolare della meccanizzazione di tale operazione colturale. Attualmente, infatti, i sistemi economicamente sostenibili sono quelli in cui la meccanizzazione della raccolta avviene attraverso vibrazioni impresse al tronco o per bacchiatura della chioma. In genere, il primo metodo di raccolta raggiunge la massima efficienza in impianti a bassa e a media densità, su Impianti superintensivi Malgrado gli aspetti negativi evidenziati dall’allevamento a Monocono, una forma di allevamento ad essa assimilabile, l’Asse centrale recentemente ha riscosso grande successo per gli impianti superintensivi. L’Asse centrale consiste in un fusto, alto circa 3 m, sul quale, a partire da 6070 cm dal colletto, si inseriscono direttamente branchette fruttifere, di spessore, complessità e lunghezza decrescente, procedendo dalla base verso l’apice, che in genere termina con un unico ramo misto (funzione regolatrice della cima). Il successo di tale modello d’impianto scaturisce dalla possibilità di meccanizzare la raccolta mediante macchine scavallatrici, le stesse che vengono impiegate in viticoltura, semoventi o trainate, che operano in continuo. Gli impianti, con alberi disposti secondo sesti rettangolari, raggiungono in genere densità comprese tra 1500 e 2500 unità/ha, con distanze di 3,5-4 m tra le file e 1,2-1,6 m sulla fila. Dal punto di vista varietale questi impianti possono essere costituiti solamente con un numero di cultivar decisamente esiguo (attualmente 4-5), caratterizzate da crescita vegetativa lenta, modesto vigore, precoce fruttificazione, basso grado di alternanza di produzione, elevata fertilità (elevata incidenza dei nodi che portano mignole; autofertilità, cioè la possibilità di fruttificare in condizioni di autofecondazione, per cui si possono costituire impianti monovarietali estesi anche diverse centinaia di ettari). Inoltre, ai fini della meccanizzazione della raccolta, si sono rivelate idonee solamente le cultivar che tendono a _______________________________________________________________________ 7 _______________________________________________________________________ piante disposte in quadro, per consentire anche l’impiego degli ombrelli intercettatori, preferibilmente allevate a Vaso o a Globo; la bacchiatura meccanica della chioma viene invece applicata negli impianti superintensivi. In quest’ultimo caso, per la raccolta si interviene, in genere, con macchine che operano in continuo e che agiscono scavalcando il filare (scavallatrici) o, più raramente, lateralmente rispetto ad esso. produzione) soprattutto nella zona della chioma più bassa, che tende facilmente a spogliarsi di vegetazione, perché scarsamente illuminata. È infatti importante mantenere la fruttificazione in tale zona della chioma, poiché più facile da raggiungere con gli attrezzi meccanici (attrezzi per agevolare la potatura e la raccolta) e con i macchinari (atomizzatori, scuotitori, macchine scavallatrici). A prescindere dal modello d’impianto e dalla forma di allevamento scelta, per mantenere la pianta efficiente, dal punto di vista sia vegetativo sia produttivo, non devono essere trascurati alcuni principi eco-fisiologici fondamentali: 4. La potatura: aspetti agronomici ed ecofisiologici Sebbene sia stato ampiamente dimostrato che piante lasciate libere di vegetare fruttificano più precocemente e più abbondantemente rispetto a quelle che vengono sottoposte ad accurati interventi di potatura, in rapporto alla forma di allevamento prescelta, la pianta deve essere sottoposta a pur leggeri interventi di potatura sin dai primi anni d’impianto, per favorire la crescita e l’armonico sviluppo delle future branche e dei rami fruttiferi. Attraverso varie pratiche (cimatura, raccorciamento, asportazione, inclinazione, torsione di germogli, di branchette e di rami) gli organi vegetativi della giovane pianta possono, infatti, essere opportunamente dimensionati e indirizzati nello spazio in modo che la struttura complessiva della pianta risponda alle specifiche esigenze colturali ai fini di pervenire, in tempi rapidi, all’ottenimento della forma prescelta. Sin dai primi anni deve essere infatti impressa alla pianta la conformazione più adatta in rapporto alla densità d’impianto e al modello di gestione colturale (irrigazione, gestione del terreno, tipo di macchina che si vuole impiegare ai fini della raccolta) per favorire la fruttificazione. Successivamente, sarà sempre con la potatura che dovrà essere mantenuta la forma scelta e contenute le dimensioni della chioma di ciascun albero nello spazio assegnato (potatura di mantenimento); è ancora con la potatura che dovrà inoltre essere stimolata la crescita vegetativa e indotta la fruttificazione (potatura di la quantità di luce necessaria per la crescita vegetativa e la regolare fruttificazione dovrebbe raggiungere tutta la chioma; bisogna quindi evitare, a meno di oggettive limitazioni come, per esempio, si verifica negli impianti superintensivi tra piante contigue lungo il filare, che porzioni della chioma rimangano costantemente in ombra. Alle latitudini del Mediterraneo, zone di chioma raggiunte da intensità luminose inferiori al 30% rispetto alla radiazione globale presentano in genere vegetazione eziolata, “filante” e fruttificazione modesta. Ciò causa una scarsa percentuale di gemme che vengono indotte a fiore oppure, anche se tale processo si verifica, la differenziazione e la successiva organogenesi fiorale difficilmente procede regolarmente, per cui sono frequenti i fiori con anomalie morfologiche e, di conseguenza, che non danno frutti. Inoltre, i pochi frutti che si formano nelle zone di chioma scarsamente illuminate ritardano nella crescita e nella maturazione e accumulano minori quantitativi di acidi grassi. Le foglie emesse in zone in ombra e raggiunte nel corso del relativo sviluppo da modesti livelli di intensità luminosa sono, per quanto concerne l’attività fotosintetica, poco efficienti o addirittura passive. Non sono, infatti, rari i casi di foglie che sintetizzano una quantità di carboidrati inferiore rispetto a quella da esse consumata con la _______________________________________________________________________ 8 _______________________________________________________________________ respirazione. Tali foglie costituiscono, pertanto, un costo per l’albero, che tende a disfarsene, per cui cadono precocemente. Le zone di chioma in ombra si notano infatti facilmente perché anche la nuova vegetazione, che viene emessa dal tratto più distale dei rami di un anno, quindi più esposti alla luce, è interessata da filloptosi. assimilati è ridotta, non possono raggiungere uno sviluppo ottimale, neanche se nell’albero, complessivamente, la disponibilità di assimilati è elevata. L’esposizione dei frutti alla luce diretta contribuisce, inoltre, a migliorare le caratteristiche qualitative dell’olio. Nell’albero, in dipendenza delle condizioni ambientali e colturali, si stabilisce un rapporto di massa, tendenzialmente stabile (1/1), tra chioma e apparato radicale; in seguito all’alterazione di tale rapporto, causato, per esempio, dell’asportazione di una parte della chioma, l’albero tende a ripristinarlo destinando fotoassimilati alla neoformazione e all’allungamento dei germogli, a discapito dell’accrescimento tangenziale del tronco, delle branche principali e delle radici. Anche tali organi traggono, infatti, dalle foglie i carboidrati necessari per l’accrescimento, la formazione dei tessuti e l’energia per i processi di sintesi. A sua volta, la minore disponibilità di fotoassimilati per le radici si riflette sulla crescita vegetativa della chioma che viene attenuata, poiché si riduce la disponibilità di linfa grezza assorbita dalle radici per l’apparato fotosintetico. Adeguati livelli di luce fotosinteticamente attiva intercettata dalla chioma agiscono positivamente sulla formazione delle gemme a fiore e sullo sviluppo dei frutti. Le olive portate nelle zone di chioma più intensamente illuminate raggiungono maggiori dimensioni e un più elevato contenuto di olio rispetto a quelle sviluppate nelle zone che usufruiscono di minore disponibilità di luce (Figura 1). In effetti, sebbene il frutto, dopo il suo sviluppo iniziale, diventi nell’albero l’organo con maggiore capacità di attrazione di assimilati e sia in grado di competere, come sink, con i germogli, per il suo sviluppo utilizza soprattutto gli assimilati provenienti dalle foglie inserite nel medesimo ramo. Di conseguenza, i frutti situati in zone ombreggiate della chioma, dove la disponibilità di Figura 1. Le olive posizionate nelle zone più illuminate della chioma hanno una maggiore dimensione ed un più elevato contenuto in olio rispetto a quelle che godono di minore disponibilità di luce (da Ortega Nieto, 1959). _______________________________________________________________________ 9 _______________________________________________________________________ In seguito alla potatura, l’accrescimento complessivo dell’albero, a causa della asportazione di superficie fogliare fotosintetizzante, si riduce, anche se la reazione più frequente alla potatura, soprattutto se intensa, è l’emissione di nuova vegetazione: in effetti, nei giovani alberi, una potatura intensa accentua l’attività vegetativa (emissione di polloni e di succhioni ) e ritarda la fruttificazione mentre negli alberi adulti e soprattutto in quelli vecchi, la reazione alla potatura è in genere decisamente meno intensa. fredde è preferibile rinviare gli interventi alla fine dell’inverno, una volta trascorso il periodo più freddo. La potatura precoce (novembre-metà febbraio), infatti, può rendere gli alberi più sensibili ai danni da repentini e inaspettati abbassamenti della temperatura, anche perché induce un precoce risveglio vegetativo. Pertanto, solamente in ambiente a clima mite si può potare precocemente, senza rischi. Viceversa, una potatura tardiva (metà aprilemaggio) deprime lo sviluppo dei germogli poiché, a ridosso della ripresa dell’attività vegetativa, determina una consistente asportazione di sostanze nutritive, già traslocate dai siti di riserva (radici e tronco) alla branchette e ai giovani rami per sostenerne il germogliamento. L’eliminazione dei succhioni andrebbe preferibilmente effettuata in luglio-agosto, quando si attenua la relativa capacità di formarsi nuovamente. Modificando la direzione di crescita di un asse vegetativo si inducono variazioni nel vigore; man mano che l’asse vegetativo, inclinandosi, si allontana dalla posizione verticale, diminuisce il relativo vigore e si accresce la predisposizione alla fruttificazione e viceversa (Figura 2). 6. Intensità di potatura Durante la fase di allevamento, occorre limitare, per quanto possibile, i tagli che, asportando parte della già modesta superficie fogliare fotosintetizzante, rallentano la crescita e ritardano la fruttificazione delle piante. Indicativamente, ogni anno non si dovrebbe asportare più del 20% della nuova vegetazione prodotta dalla pianta. In effetti, un errore piuttosto diffuso nella potatura di allevamento è l’eccessiva intensità dell’intervento, atteggiamento determinato dalla volontà del potatore di ottenere in poco tempo piante con chioma regolare dal punto di vista geometrico, sottovalutando, però, l’importanza di ottenere una struttura che ottimizzi la funzionalità dell’albero, piuttosto che la sua regolare conformazione. Per quanto concerne la fase di piena produzione , l’intensità di potatura è sensibilmente influenzata dalla disponibilità di acqua d’irrigazione e, nell’ambito del ciclo di alternanza, dalla carica produttiva. In genere per ridurre l’indice di alternanza è consigliabile potare più severamente le piante nell’anno di attesa Figura 2. Man mano che l’asse vegetativo, inclinandosi, si allontana dalla posizione verticale, diminuisce il suo vigore a vantaggio dell’attività produttiva e viceversa. 5. Epoca di potatura La potatura di allevamento, andrebbe eseguita, preferibilmente, in primavera-estate, per attenuare lo stress subito dalla pianta in seguito alla precoce asportazione della vegetazione. Negli alberi in produzione la potatura va eseguita durante il periodo di riposo: nelle aree con inverno mite può essere effettuata già all’inizio dell’inverno, mentre in quelle relativamente _______________________________________________________________________ 10 _______________________________________________________________________ carica, per ridurre il potenziale produttivo; di contro, dopo un anno di produzione, con la potatura si deve cercare di mantenere il pur modesto rinnovo. Ai fini della produzione di olive da mensa, per migliorare la pezzatura dei frutti, soprattutto quando si opera in asciutto. è buona norma procedere ad un intervento di “diradamento” mirato a ridurre il carico dei frutti con un intervento di potatura estivo. In dettaglio, all’approssimarsi dell’indurimento del nocciolo, si procede all’asportazione dei rami con maggior numero di frutti in modo da favorire l’ingrossamento delle drupe che rimangono sull’albero, grazie anche al miglioramento del rapporto foglie/frutti determinato dalla potatura. di un apparato fogliare in grado di sfruttare adeguatamente lo spazio assegnato a ciascuna pianta, evitando l’ombreggiamento reciproco tra le foglie della medesima pianta e tra quelle di piante attigue; tale fenomeno viene tollerato solamente negli impianti superintensivi, dove le piante vengono disposte secondo sesti rettangolari, con ridotte distanze lungo la fila; favorire la circolazione di aria all’interno della chioma; favorire l’uniforme distribuzione dei prodotti antiparassitari anche nelle parti più interne della chioma; mantenere un elevato rapporto tra foglie e legno per migliorare la fruttificazione, contenere i costi energetici di mantenimento della struttura scheletrica e ritardare la fase di senescenza dell’albero; 7. Criteri di scelta della forma di allevamento: aspetti agronomici Il processo di intensificazione degli impianti in olivicoltura è iniziato in Italia sul finire degli anni ‘50 con la proposta di allevare a Palmetta anche l’olivo (Breviglieri, 1959). Sebbene tale forma sia stata ritenuta da molti ricercatori e tecnici del tempo troppo coercitiva per una specie caratterizzata da una pianta di elevato vigore e chioma di grande sviluppo, l’innovazione suggerita ebbe il merito di porre l’accento sull’esigenza di fare affidamento su modelli d’impianto basati su molti alberi di modeste dimensioni, certamente più facilmente gestibili da terra, piuttosto che su pochi alberi di grande sviluppo, aspetto piuttosto frequente nell’olivicoltura tradizionale. In pratica, una razionale forma di allevamento nell’olivo deve: assicurare una solida impalcatura della pianta per sostenere il peso dei frutti e dell’eventuale carico di neve e per resistere alle sollecitazioni del vento, senza rischi di scosciature; facilitare l’esecuzione delle operazioni colturali, con particolare riferimento alla raccolta ed alla stessa potatura. 8. Forme di allevamento Nella gestione della forma di allevamento non bisogna dedicare troppa attenzione agli aspetti geometrici della pianta ma concentrarsi su quelli funzionali, cercando di ridurre l’incidenza delle strutture portanti della pianta (fusto, branche principali e secondarie) a favore di quelle produttive cioè delle branchette fruttifere, rappresentate da rami di un paio di anni sui quali si articolano i rami produttivi (rami misti di un anno) e, su di essi, la nuova vegetazione, necessaria per garantire la produzione l’anno successivo. Ai fini della buona illuminazione di larga parte della chioma è importante che alle branche sia impressa una configurazione a cono, tenere conto, per quanto possibile, del modo naturale di vegetare della specie (habitus vegetativo) e della cultivar (vigore, portamento) al fine di contenere tempi e costi della potatura, di favorire il rinnovo vegetativo e di non ritardare la fruttificazione; contribuire a migliorare l’intercettazione della luce favorendo lo sviluppo e la distribuzione _______________________________________________________________________ 11 _______________________________________________________________________ in grado di favorire il mantenimento di un “disciplinato” ordine gerarchico degli assi vegetativi. Per pervenire a quest’ultimo obiettivo, rispetto alle branche primarie, a quelle secondarie deve essere impresso un angolo di inserzione più ampio e una lunghezza decrescente procedendo dal basso verso l’alto delle branche primarie; se la vegetazione prevale nella parte distale delle branche (o della pianta) per effetto della dominanza apicale, l’attività vegetativa tende a spostarsi sempre più verso la parte apicale e periferica della pianta mentre viene meno il rinnovo vegetativo dei rami che si articolano in posizione basale. gradualmente, nel volgere di 2-3 anni, possibilmente dopo che hanno iniziato a fruttificare. Non è infrequente che tale modo di procedere possa allungare di un paio di anni il tempo necessari alla pianta per raggiunge la configurazione definitiva (6-7 anni rispetto a 4-5). Tuttavia, la produzione cumulata nei primi anni nelle forme “libere” è in genere decisamente superiore rispetto a quelle “regolari”, nelle quali gli interventi di potatura seguono schemi più rigidi per imprimere configurazioni geometricamente più ortodosse. In relazione al grado di libertà geometrico adottato, al vigore della cultivar e alla fertilità del contesto colturale la forma a Vaso può prestarsi ad impianti che abbiano sia densità bassa (Vaso libero) che media (Vaso policonico). Con quest’ultima variante, oltre ai sesti in quadro, è possibile adottare anche sesti rettangolari, con piccole variazioni tra la distanza sulla fila e quella tra le file. Il numero di piante/ettaro, in rapporto ai fattori ambientali e colturali, può variare tra 200-250 (Vaso libero) e 251-300 (Vaso policonico). Ovviamente il vigore della cultivar, la naturale fertilità del suolo, la disponibilità di acqua d’irrigazione, il modello di gestione del suolo sono tutti fattori che possono influenzare la densità d’impianto. Con cultivar di modesto vigore, con il Vaso policonico non è infatti difficile gestire anche 400 piante/ha a condizione che venga attentamente rispettata la conformazione geometrica complessiva, a cono, delle branche principali in modo da evitare accuratamente fenomeni di ombreggiamento, piuttosto frequenti negli impianti intensivi. Il Vaso (Figura 3) è costituito da un tronco dalla cui sommità si dipartono 3-5 branche principali (Vaso policonico) ma che possono anche diventare 4-6 (Vaso libero), soprattutto nei primi anni, quando per gli anzidetti motivi è ritenuta positiva anche la presenza di branche soprannumerarie temporanee. Per assicurare solidità alle strutture portanti della pianta ed efficienza meccanica allo scuotitore, Le forme di allevamento che attualmente meritano maggiore attenzione sono: Vaso (Policonico, Libero) Asse centrale 8.1. Vaso 8.1.1. Aspetti generali È la forma di allevamento più diffusa in olivicoltura e presenta numerose varianti che riguardano principalmente il numero e l’inclinazione delle branche principali rispetto alla verticale, la distribuzione e la lunghezza delle branche secondarie e l’altezza del punto di imbrancatura. Esso può variare sensibilmente in rapporto alla modalità di raccolta (manuale, agevolata, meccanizzata) e, con riferimento a quest’ultimo aspetto, in relazione al grado di complessità dell’organizzazione del cantiere di raccolta. Al fine di ridurre il periodo improduttivo è consigliabile limitare all’indispensabile gli interventi di potatura, assecondando così il naturale modo di vegetare dell’albero. Rispetto al passato, soprattutto nei primi anni d’impianto, viene infatti oggi accettata anche una forma più “libera”, meno curata dal punto di vista geometrico, con qualche branca principale in più, anche se temporanea; le branche in “soprannumero” possono essere infatti asportate _______________________________________________________________________ 12 _______________________________________________________________________ non pregiudicando però una buona penetrazione della luce all’interno della chioma, le branche principali devono avere un’inclinazione di 30-45° rispetto alla verticale; inoltre, la distanza lungo il tronco dei punti d’inserzione delle branche principali, per evitare strozzature e per ridurre il rischio di scosciature, non dovrebbe essere invece inferiore ai 10 cm. piuttosto densa di vegetazione. L’alto numero di branche principali (4-6) consente di ripartire il potenziale di crescita vegetativo su più branche, accorgimento tecnico che favorisce lo sviluppo in senso radiale della chioma, a discapito di quello verticale, per cui, la pianta, nel suo complesso, risulta tendenzialmente più bassa e espansa. Ai fini della raccolta il Vaso libero si presta più all’impiego di agevolatori meccanici, gestiti manualmente, o di bacchiatori di varia configurazione (di solito cilindrici) montati all’estremità di bracci meccanici. Altro aspetto da non trascurare è la necessità di garantire ben definiti livelli di intensità luminosa, anche nelle zone più interne ed inferiori della chioma per cui bisogna ottimizzazione la distribuzione nello spazio della vegetazione. Tenuto conto del diverso numero di branche principali nei due tipi di Vaso, rispetto al piano orizzontale, queste devono formare, fra loro, angoli regolari, di 70° circa nel Vaso libero, in genere impostato su 5 branche principali e di 90-120° nel Vaso policonico, di solito basato su 3-4 grosse branche. Lungo le branche principali, si articolano le branche secondarie, di lunghezza decrescente dalla base verso l’apice e sulle quali si articolano le branchette fruttifere di 2 anni di età, che portano i rami a frutto e la nuova vegetazione. Sulla parte dorsale delle branche principali, si lasciano sviluppare, attraverso tagli di ritorno, deboli branchette, per cui, ciascuna branca principale assume, in senso verticale, la configurazione di un cono tagliato a metà. Imprimendo alle branche principali tale conformazione, si garantisce nella chioma la presenza di “finestre” attraverso le quali può facilmente penetrare la luce, elemento indispensabile ai fini dello sviluppo e del mantenimento delle branchette fruttifere inserite nel tratto basale delle branche principali. È infatti noto che numerose varietà di olivo, soprattutto quelle più vigorose e a portamento spiccatamente assurgente, tendono a spogliarsi di vegetazione nella parte basale delle branche e a Figura 3. Il vaso è costituito da un tronco (altezza da 50 a 120 cm) dalla cui sommità si dipartono 3-4 branche principali, inclinate di 30-45°, sulle quali lateralmente e inferiormente si inseriscono le branche secondarie con lunghezza decrescente dalla base verso l’apice. L’altezza del tronco può così variare: 60-100 cm nel Vaso libero; 90-120 cm nel Vaso policonico. La maggiore altezza viene adottata soprattutto negli ambienti dove è frequente il rischio di gelate e quando si vuole favorire la meccanizzazione della raccolta con vibratori da tronco (Figura 3) corredati di telaio intercettatore. Il Vaso libero è da preferirsi negli ambienti più spiccatamente mediterranei, contraddistinti da elevata eliofania, alta intensità luminosa, scarse precipitazioni, basso tasso di umidità atmosferica e discreta ventosità. La chioma di piante adulte, soprattutto con alcune cultivar, può risultare _______________________________________________________________________ 13 _______________________________________________________________________ fruttificare solamente nelle zone più esposte alla luce, ovvero quelle distali. È ovvio che tale tendenza deve essere, per quanto possibile, contrastata, pena la perdita di efficienza della pianta sia dal punto di vista ecofisiologico sia ai fini della meccanizzazione della raccolta. Relativamente a quest’ultimo aspetto, per migliorare l’efficienza dei vibratori da tronco la pianta deve presentare numerose branche secondarie, inserite lateralmente e esternamente rispetto alle branche principali; bisogna inoltre assolutamente evitare che le branche secondarie formino “colli d’oca”, determinati da brusche variazioni di direzione degli assi vegetativi; limitata deve essere la presenza di ramificazioni lunghe, elastiche e pendule alla base della chioma (“pendaglie”), che smorzano le sollecitazioni del vibratore, contribuendo così a ridurre l’efficacia della macchina (Figura 4). Figura 4. Per ottimizzare l’impiego del vibratore del tronco nella forma a vaso occorre: un tronco regolare e con altezza di almeno un metro, branche principali lineari e piuttosto assurgenti, branche secondarie brevi e senza brusche variazioni della direzione (collo d’oca) come quella nella foto al centro, limitata presenza di “pendagli”, soprattutto quando si impiega un telaio intercettatore a “ombrello rovescio”. 8.1.2. Vaso Policonico 8.1.2.1.Potatura di allevamento Per accelerare la formazione della struttura scheletrica dell’albero e la relativa fruttificazione per l’impianto sono da preferire piante allevate in contenitore alte 120-150 cm. In vivaio la pianta per raggiungere tali dimensioni impiega 1-2 anni di età in rapporto al vigore della cultivar, al tipo di propagazione (innesto o talea), all’ambiente di coltivazione e al modello di gestione adottato. Le giovani piante devono possibilmente essere prive di ramificazioni nella porzione basale del fusto (primi 60 cm circa); se presenti, i rami più bassi andranno asportati gradualmente durante la fase di allevamento in campo. All’impianto, in genere, non si effettua alcun intervento di potatura a meno che la pianta non presenti, soprattutto nella porzione basale, rami vigorosi, con diametro analogo a quello del fusto, ed inseriti su di esso con angolo stretto. La pianta va assicurata a un tutore con 2-4 legature, che devono poi essere controllate periodicamente per assecondare l’accrescimento tangenziale del fusto, utilizzando dei lacci tubolari in plastica o comunque materiali non rigidi. _______________________________________________________________________ 14 _______________________________________________________________________ Quando il fusto dell’asse centrale supera l’altezza di 1,2-1,3 m si procede alla relativa spuntatura per stimolare la formazione di germogli vigorosi sotto la zona di taglio: le future branche principali. In una prima fase, della massa dei germogli emessi ne vengono lasciati 6-7; per poi selezionarne 3-4, più raramente 5, ritenuti, per posizione e sviluppo, più idonei alla costituzione delle branche principali; le branchette soprannumerarie vengono infatti progressivamente asportate per ottenere il numero definitivo di branche principali intorno al V-VI anno di età. Quando necessario, prima della loro eliminazione, le branche soprannumerarie possono essere raccorciate per ridurre la competizione con le branche principali. È importante che la graduale riduzione delle branche soprannumerarie sia praticata, perché un eccesivo numero di assi vegetativi, oltre a competere per i fotoassimilati, è causa di ombreggiamento e, di conseguenza, del progressivo spostamento della vegetazione, soprattutto di quella fruttificante, verso le parti alte della chioma. Di contro, nella fascia inferiore della chioma, per effetto della modesta illuminazione, si verifica scarsa emissione di vegetazione, poco incline alla fruttificazione. Nelle varietà a portamento pendulo, per formare le branche principali bisogna scegliere i rami tendenzialmente più eretti, onde evitare la formazione di una chioma eccessivamente procumbente; viceversa, nelle varietà assurgenti bisogna scegliere i rami con ampio angolo d’inserzione, inclinati verso l’esterno. Man mano che le branche primarie crescono si dovrà favorirne l’inclinazione desiderata rispetto alla verticale, con specifici tutori o, in alternativa, se si vuole risparmiare, si può procedere con tagli di ritorno, finalizzati a fare assumere all’asse della branca, la direzione più appropriata. nonché il relativo rivestimento di branche secondarie, che si dovranno articolare in posizione laterale e verso l’esterno; nella porzione di branca principale che guarda all’interno si lasceranno invece corte e deboli branchette, distribuite in maniera da evitare ombreggiamenti. Quando possibile, è utile evitare il drastico intervento di spuntatura dell’asse centrale, che può essere causa di ritardi di fruttificazione della pianta, sfruttare utilizzando per la formazione delle branche principali alcuni dei rami, articolati in posizione idonea, già presenti nella giovane pianta a dimora. La presenza dell’asse centrale della pianta favorirà, inoltre, la naturale apertura dei rami laterali (le future branche primarie), senza necessità di forzature mediante divaricatori o legature. In genere, dopo alcuni anni, l’asse centrale sarà naturalmente sopraffatto dalle branche principali, in caso contrario, quando ormai le branche primarie saranno sufficientemente aperte, sarà eliminato. In assenza dell’asse centrale, eliminato mediante spuntatura, occorrerà, invece, fare maggiore attenzione all’inclinazione delle branche principali. La spuntatura del fusto si rende necessaria quando le piante non presentano idonei rami laterali per formare le branche principali. In ogni caso, nel primo anno dopo l’impianto, si eliminano le eventuali ramificazioni vigorose cresciute nella parte mediale/basale del fusto, soprattutto se inserite in coppia sullo stesso nodo. Durante la fase di allevamento, occorre, inoltre, evitare la biforcazione (dicotomia) delle branche principali perché ciò aumenterebbe il numero di cime, determinando una situazione simile a quella che si ha con un eccessivo numero di branche principali. Gli interventi cesori in fase di allevamento in alcuni casi possono essere sostituiti con cimature o torsioni o piegature dei germogli e dei rami quando sono ancora flessibili; tuttavia, va considerato che, spesso, se le ramificazioni sono molto vigorose, non si risolve il problema perché si ha un forte riscoppio di vegetazione (per es. nel punto di curvatura e subito al di sotto della cimatura); inoltre, le piegature, se effettuate con _______________________________________________________________________ 15 _______________________________________________________________________ legature, sono interventi onerosi perché richiedono molto tempo per l’esecuzione. Alle branche tendenzialmente assurgenti deve essere impressa progressivamente l’inclinazione desiderata, ampliando l’angolo di inserzione che poiché altrimenti potrebbero prendere il sopravvento su tutte le altre; occorre, invece, ridurre l’angolo di quelle troppo deboli o con un angolo troppo aperto. In effetti, una branca troppo vigorosa viene indebolita aumentandone l’angolo rispetto alla verticale e viceversa. Quando possibile, l’inclinazione dovrebbe interessare uniformemente l’intera lunghezza della branca. Il metodo più semplice ed economico, per ampliare l’angolo di una branca principale consiste nel raccorciarla in corrispondenza di un ramo che tende verso l’esterno; se, invece, si vuole ridurre l’angolo di inclinazione della branca principale si può scegliere un ramo assurgente (che può anche essere rappresentato da un succhione, soprattutto quando le branche sono molto aperte). In quest’ultimo caso, la parte terminale della branca principale può essere mantenuta, spesso dopo averla raccorciata, come branca secondaria. Quando gli alberi presentano branche di diverso vigore e con varia angolazione, per le quali non è semplice o economicamente sostenibile pervenire ad una loro correzione mediante gli interventi descritti, si può intervenire con strutture di appoggio tra le quali si ricordano: L’inclinazione delle branche con i suddetti mezzi ausiliari andrebbe effettuata più tardi possibile, per non rallentarne la crescita, compatibilmente, però, con il persistere della flessibilità delle branche stesse. Le branche principali si lasciano allungare fino a raggiungere l’altezza prestabilita (generalmente 4 m da terra), dopo di che si procederà al periodico raccorciamento mediante tagli di ritorno effettuati immediatamente al disopra di una branchetta (“procima”) di adeguato vigore e disposta nella desiderata direzione. La procima svolge l’importante funzione di ridurre l’emissione di nuovi germogli al di sotto del punto di taglio e di promuovere un adeguato e uniforme afflusso di linfa in tutta la branca. Per garantire un equilibrato sviluppo delle branche secondarie, è necessario evitare che l’estremità distale delle branche principali si infoltisca eccessivamente; in particolare, è necessario eliminare i germogli e i rami che competono con la cima di prolungamento prescelta. Come prima anticipato, ogni branca principale va fatta rivestire di branche secondarie lateralmente e all’esterno, mentre verso l’interno si lasciano solo corte e deboli branchette. Queste ultime sono necessarie per garantire un accrescimento radiale abbastanza uniforme delle branche principali, che altrimenti potrebbero assumere asimmetrie nel diametro. Le branche secondarie devono avere un angolo di inserzione, rispetto alla verticale, maggiore di quello delle branche principali, in maniera da mantenere facilmente la gerarchia tra branche primarie e secondarie. L’inserimento delle branche secondarie sulle branche principali deve avere un angolo molto aperto, prossimo ai 90°, per evitare che si instauri una concorrenza con l’asse principale con conseguente ombreggiamento e formazione di dicotomie che, invece, devono essere evitate. La lunghezza delle branche secondarie deve essere decrescente dal basso verso l’alto per evitare fenomeni di ombreggiamento. In definitiva, il profilo complessivo della vegetazione di ciascuna il “cavalletto”, costituito da tre canne infisse nel terreno, incrociate e legate fra loro al fusto della pianta, nel punto di incrocio; l’anello di metallo, posizionato nella parte basale ed interna delle branche principali e fissato mediante un perno al paletto tutore; i divaricatori, ovvero tratti di legno posti, fra due branche; i tiranti, rappresentati da legacci che tendono ad ancorare le branchette al suolo in modo che assumano angolo e inclinazione desiderati. _______________________________________________________________________ 16 _______________________________________________________________________ branca principale, deve assumere la conformazione di un cono, con la punta rivolta verso l’alto. Durante tutto il periodo di allevamento dovranno essere rimossi gli eventuali succhioni vigorosi che, comunque, dovrebbero essere pochi se si applica una potatura di modesta intensità. In genere quattro-sei anni dopo l’impianto la pianta assumerà la definitiva struttura. necessario spuntare l’asse centrale (fusto) all’altezza voluta. I germogli che saranno emessi e che costituiranno le future branche principali si lasciano sviluppare liberamente per 2-3 anni; a sviluppo completo la sommità delle branche principali dovrà raggiungere 4 m di altezza da terra. I rami emessi lungo l’asse centrale devono essere, gradualmente, eliminati; medesimo trattamento deve essere riservato agli eventuali succhioni che dovessero essere emessi dalle branche principali e alle branchette più vigorose e assurgenti, in modo da imprimere alla chioma una conformazione globosa. In genere la fruttificazione inizia 3 anni dopo l’impianto. 8.1.3.Vaso libero La chioma, una volta che la pianta è adulta, assume conformazione sferoidale, con corte branche secondarie nella parte interna. Rispetto al Vaso policonico, inoltre, le branche principali sono in genere più numerose (5) e vengono lasciate crescere con angolo leggermente più aperto rispetto alla verticale. Il punto d’impalcatura si trova in genere ad un’altezza di circa 70 cm dal piano di campagna , l’altezza complessiva dell’albero viene arrestata a circa 4 m.. Considerato il maggiore numero di branche rispetto al Vaso policonico è necessario avere cura di evitare l’eccessivo affastellamento della chioma che, soprattutto con cultivar particolarmente sensibili, tende a favorire gli attacchi parassitari (occhio di pavone e rogna in particolare). La fruttificazione si concentra soprattutto nella fascia periferica della chioma e per una profondità (spessore) che è fortemente influenzata dal grado di penetrazione della radiazione solare. 8.1.4.Asse centrale (Figura 5) 8.1.4.1. Aspetti generali È la forma di allevamento utilizzata per gli impianti Superintensivi, progettati per attuare la raccolta e la potatura meccanica, in continuo. Per la raccolta sono, in genere, utilizzate macchine scavallatrici, largamente impiegate in viticoltura, in genere opportunamente modificate nel numero e posizione dei “battitori” per raccogliere le olive. Attualmente sono poche le varietà che hanno evidenziato di adattarsi a tale forma, mostrando di raggiungere un soddisfacente equilibrio tra attività vegetativa e produttiva. Come precedentemente esposto, gli impianti superintensivi possono essere realizzati con cultivar di modesto vigore, con breve fase improduttiva (2 anni), molto fertili, costanti nella produzione e autofertili. Questi impianti necessitano, infatti, di un’approfondita sperimentazione prima di essere effettuati con cultivar che non presentino i requisiti sopra indicati. Infatti, per contenere lo sviluppo delle chiome e per eliminare le branchette di grosso diametro, che potrebbero anche danneggiare i battitori, sono spesso necessari severi interventi di potatura, ai quali le piante, in rapporto al vigore, rispondono con intensi riscoppi di 8.1.3.1.Potatura di allevamento Si procede seguendo i medesimi criteri descritti per il Vaso policonico, selezionando però all’inizio 4-6 branche principali e lasciando sviluppare corte branchette secondarie anche nella parte interna, tanto che la chioma assume una conformazione globosa. Quando la giovane pianta in vivaio non ha emesso rami da selezionare per costituire le future branche principali, una volta trapiantata in campo si rende _______________________________________________________________________ 17 _______________________________________________________________________ vegetazione che comportano l’accentuarsi della crescita vegetativa a scapito di quella produttiva. È inoltre importante che le cultivar impiegate abbiano una bassa sensibilità alla rogna poiché durante la raccolta e la potatura meccanica si provocano parecchie lesioni alle branche e al tronco, che favoriscono la diffusione di tale malattia. L’impianto adulto si presenta, nel complesso, come una successione di coni che nell’assieme danno luogo a pareti verticali (filari). Le piante, per rimanere efficienti dal punto di vista produttivo, devono essere annualmente sottoposte a pur leggeri interventi di potatura che, peraltro, devono essere sapientemente eseguiti, pena l’instaurarsi di marcati gradienti di luce tra la parte superiore/esterna della chioma e quella inferiore/interna. Da quanto finora esposto, emerge che si tratta di una forma che, con il passare del tempo, risulta piuttosto difficile da gestire e mantenere efficiente. Non è infatti infrequente vedere impianti adulti con vegetazione rada per circa 1,5 m di altezza e fruttificazione concentrata nella fascia mediodistale della chioma, fenomeno che è causa di scarsa efficienza produttiva della pianta e modesta efficienza meccanica alla raccolta. L’albero è costituito da un asse verticale (fusto) alto circa 3 m e provvisto, per tutta l’altezza, di corte branchette laterali che si articolano lungo l’asse centrale e che vengono rinnovate ciclicamente. Alla sommità, l’albero termina con una cima, lunga circa 50 cm, che deve essere lasciata libera di vegetazione, per evitare fenomeni di affastellamento e di ombreggiamento della vegetazione sottostante che tenderebbe a filare. Per consentire la meccanizzazione in continuo della raccolta con le macchine scavallatrici, la successione degli alberi, lungo il filare, deve dare luogo a pareti verticali di vegetazione alte 3-3,5 m e spesse, alla base, 1,5-2 m (Figura 6). Dette pareti si ottengono disponendo le piante secondo sesti rettangolari, distanziandole 3,5-4 m tra le file e 1,2- 1,5 m sulla fila (1600-2400 piante/ha). Figura 5. Filare di giovane impianto Superintensivo (a). Nella forma di allevamento ad Asse centrale (b) la pianta è costituita da un fusto alto 2,8 m circa sul quale si inseriscono, direttamente le branchette fruttifere (2-3 anni) che vengono rinnovate con leggere potature di diradamento/raccorciamento. _______________________________________________________________________ 18 _______________________________________________________________________ Figura 6. Raccolta con macchina scavallatrice di un oliveto Superintensivo. L’impianto, su vaste superfici, può essere praticato con l’ausilio di mezzi meccanici (trapiantatrici). Di solito si mettono a dimora piante franche di piede, di 7-8 mesi di età, alte 4060 cm, allevate in contenitori di circa 350 cm3 di capacità ( 7 x 7 x 10 cm). Ciascuna pianta deve essere legata a un tutore (canna) a sua volta ancorato a 2 fili metallici (a 80 e 180 cm circa dal suolo) sostenuti, lungo la fila, da pali di testata e da pali rompitratta (uno ogni 20 m) di ferro zincato. panieri) della macchina scavallatrice per la raccolta. La pianta, una volta a dimora, va assicurata a un tutore. Per ridurre la durata della fase di allevamento e pervenire alla rapida formazione della struttura definitiva dell’albero, è preferibile partire da piante alte circa 60 cm. con cima integra e ramificazioni laterali lungo il fusto. Nei primi 3-4 anni, si deve favorire l'accrescimento in altezza del fusto salvaguardando l’integrità della cima, legandola al tutore man mano che si accresce. È inoltre importante controllare la crescita della vegetazione laterale, mediante l'eliminazione (o la cimatura) delle ramificazioni troppo vigorose, di quelle con angolo di inserzione acuto e diametro che tende a eguagliare quello del fusto, in particolare di quelle che si trovano in prossimità della cima. La “funzione di cima” della sommità della pianta deve essere sempre salvaguardata, attraverso interventi di alleggerimento e di sfoltimento della vegetazione nelle sue prossimità. Se la cima 8.1.4.2. Potatura di allevamento Nei primi tre - quattro anni è fondamentale favorire lo sviluppo del fusto, sia asportando eventuali rami laterali che si articolano nelle prossimità della cima, sia assicurando questa al tutore per garantirne l’integrità e la regolare crescita verticale. Come detto il fusto deve essere libero da branche per un’altezza di 70 cm circa da terra per consentire la gestione del terreno e il passaggio degli organi intercettatori (scaglie o _______________________________________________________________________ 19 _______________________________________________________________________ dovesse essere danneggiata o indebolita deve essere tempestivamente sostituita dal ramo più vigoroso subito sottostante, legandolo al tutore dopo averlo portato in posizione verticale. Negli anni successivi si devono asportare le ramificazioni presenti alla base del fusto in modo che, intorno al 3-4° anno, il tratto prossimale del fusto sia libero di vegetazione per 60-70 cm. È, inoltre, necessario indirizzare lo sviluppo dei rami più robusti lungo il filare, assicurando qualche branchetta ai fili della struttura di sostegno costituita da pali e fili. Le branche primarie devono formare, al punto d’inserzione sul fusto, un angolo molto aperto ed essere ben distanziate tra loro lungo l’asse verticale del fusto, evitando accuratamente che più branche si articolino alla medesima altezza. Bisogna evitare ombreggiamenti e strozzature lungo il fusto, che rallenterebbero i flussi linfatici. Quando si rende necessario aumentare l’inclinazione delle branche principali già lignificate, si può intervenire su di esse con tagli di ritorno su una procima con angolo più aperto rispetto alla porzione di branca eliminata. Bisogna favorire il rivestimento delle branche principali di branche secondarie anche nella parte inferiore delle chioma. Con la potatura, preferibilmente a cadenza annuale, sin dai primi anni devono essere eliminati i polloni e succhioni che, di solito, si formano, anche numerosi, sul dorso delle branche principali a causa della loro elevata inclinazione. 9. Sviluppo di nuovo modelli d’impianto e forme di allevamento per la meccanizzazione della raccolta in continuo 9.1. Parete verticale (Figura 7) 9.1.1. Aspetti generali Si tratta di una forma di allevamento, in fase di sperimentazione, per impianti ad alta densità (1100-1400 alberi/ha), che si ottiene disponendo gli alberi secondo sesti rettangolari 4 x 1,7- 2 m. Come per gli impianti superintensivi, è consigliabile utilizzare piante franche di piede, ma allevate in contenitori di più grandi dimensioni (3-5 l) rispetto a quelle adatte all’asse centrale, e più strutturate (18-24 mesi di età). Le piante, preformate in vivaio, al trapianto devono essere alte circa 1,20-1,50 m e ben rivestite di rami. Rispetto all’Asse centrale, questa forma di allevamento è adatta a tutte le cultivar poiché consente anche a quelle con albero vigoroso (gran parte delle cultivar italiane) di poter essere potate (topping) e raccolte meccanicamente con bacchiatrici che operano in continuo, lateralmente rispetto al filare (Figura 8). Figura 7. (a) Olivo in un sistema d’impianto a “Parete verticale”; Piante di olivo allevate a “Palmetta” (b); “Filare di piante di olivo in parete verticale” (c). _______________________________________________________________________ 20 _______________________________________________________________________ Figura 8 Meccanizzazione della raccolta per bacchiatura della chioma di piante di olivo: la macchina, semovente, opera in continuo lungo il filare e avanza lateralmente rispetto alla chioma delle piante che possono anche raggiungere i 4 metri di altezza (CRF - Olive two semovente). Struttura di appoggio numerose branchette fruttifere in senso ortogonale rispetto al filare. Una volta ancorate alla struttura di sostegno, le piante, nel corso del primo anno, vengono stimolate a crescere, avendo però l’accortezza di selezionare, nel corso della stagione estiva, dal complesso degli assi vegetativi, due rami inseriti lungo l’asse centrale, a circa 60 cm di altezza, possibilmente orientati nel senso del filare. Tali rami, con andamento contrapposto, distanziati una ventina di centimetri lungo l’asse centrale, prima della completa lignificazione (agostamento del legno), alla fine del primo anno di crescita vengono inclinati di 50° circa rispetto alla verticale e legati alla struttura di appoggio. In rapporto al vigore della pianta e alla fertilità del contesto colturale, la crescita lineare di tali rami viene arrestata quando incontrano, analoghi rami delle piante adiacenti lungo il filare. Negli anni successivi, seguendo i criteri evidenziati e adottando le modalità appena descritte, vengono selezionati altri due rami a circa 1,60 cm di altezza, cercando però di piegare i rami fino a formare un angolo con l’asse verticale del fusto di circa 70°; un terzo palco di branche sarà invece formato a circa 2,6 m, di altezza e l’angolo d’inclinazione delle branche dovrà essere prossimo ai 90°. Perché ciò si È molto simile a quella utilizzata per l’Asse centrale dalla quale si differenzia per la maggiore robustezza, determinata dalla presenza di un terzo ordine di fili (a 2,80 m di altezza). Il fusto e le branche principali (circa sei) delle piante vengono infatti ancorate alla struttura di appoggio in modo che la vegetazione non invada eccessivamente l’interfila Alla chioma, lungo il filare, viene impresso un profilo trapezioidale, agendo sulla lunghezza delle branchette fruttifere, ottenuto lasciando che le branchette posizionate in baso raggiungano una maggiore lunghezza (1 m. circa) rispetto a quelle che si articolano nella fascia più alta della chioma (50 cm. circa). Tale conformazione garantisce la regolare illuminazione di tutta la Parete verticale soprattutto in prossimità delle ore centrali del giorno. Potatura di allevamento In prossimità dei tre fili, posizionati a 0,8, 1,8 e 2,8 m. di altezza) vengono formati altrettanti palchi di branche principali, ciascuno costituito da 2 branche pressoché contrapposte e orientate in direzione del filare, sulle quali si articolano _______________________________________________________________________ 21 _______________________________________________________________________ realizzi e non si abbiano danneggiamenti dei rami, è importante che la selezione del terzo palco di branche avvenga molto precocemente, quando nei rami che costituiranno le future branche non sono ancora iniziati i processi di lignificazione. Nelle cultivar contraddistinte da spiccata dominanza apicale, per stimolare l’emissione di rami nei punti desiderati, si può operare con cimature/tagli di ritorno, curvature e piegature. Il maggiore vantaggio della forma di allevamento, oltre agli elevati livelli produttivi (superiori a 100 q/ha) ottenuti sin dal 4-5 anno d’impianto, consiste nella possibilità di raccogliere meccanicamente, in continuo, con un panorama varietale piuttosto ampio. È inoltre possibile procedere anche alla potatura meccanica attraverso interventi di topping, con barra con sega a dischi, con interventi con cadenza annuale o biennale, in rapporto al vigore della cultivar (Figura 9). Bibliografia Bellomo F., D’antonio P. (2009). La giusta raccoglitrice per ogni tipo di oliveto. L’Informatore Agrario, Verona, vol. LXV n. 28. Breviglieri N. (1959). Nuovi orientamenti nelle forme di allevamento dell’ Olivo in coltura intensiva. Firenze Agricola, n. 1. Famiani F, Proietti P., Lodolini E.M, Neri D. (2009). Gestione della chioma. Collana Coltura & Cultura - L’ulivo e l’olio. Bologna: Bayer CropScience: 390-411. Godini A. L’olivicoltura italiana tra valorizzazione e innovazione. Giornata di studio “Problemi e Prospettive della Olivicoltura”. Accademia dei Georgofili, Firenze, 11.02: 49-76. Gucci R., Cantini C. (2001). Potatura e forme di allevamento dell’olivo. Ed agricole, Bologna 174. Nizzi Grifi F. (2004). La potatura dell’olivo in Toscana. Edizioni ARSIA – Regione Toscana, Firenze, 92. Proietti P., Famiani F., Nasini L., Balduccini A. (2008). Speciale strategie e tecniche di potatura nell’olivo: stimolare la produzione le tecniche da rispettare. Olivo e Olio, 1: 42-47. Proietti P., Famiani F., Pannelli G., Guelfi P. (2008). La potatura dell’olivo. Litograf Editor srl, Città di Castello (PG), pagg. 108. Tombesi A. (2002). Obiettivi e caratteristiche dell’oliveto. In “Tecniche per lo sviluppo dell’olivicoltura in Umbria”, Ed. ARUSIA Perugia: 15-17. a Figura 9. Meccanizzazione della potatura in sistemi d’impianto a “Parete verticale” (a). Interventi meccanici di topping (b), seguiti da leggeri interventi manuali di correzione, possono essere effettuati con cadenza annuale o biennale in rapporto al vigore della cultivar e all’ambiente. _______________________________________________________________________ 22