Anno 34 n. 398 - Novembre 1999 - Lire 2000
Novembre 1999 - pag. 1
C’è una sola Versilia: quella bagnata dallo stesso ed unico Fiume
Direzione: Casella Postale 94 - 55046 Querceta (Lucca) - Sped. in a. p. - 45% - art. 2 comma 20/b legge 662/96 - Filiale di Lucca - Abb. annuo lire 20.000 - Estero il doppio.
CI SONO DUE ITALIE, SPAVENTOSE ENTRAMBE!
PENSIONI DA OLTRE 1 MILIONE AL GIORNO
L’ESEMPIO DI CAMPANICE
Fare
da soli
Chi l’avrebbe detto, appena
due o tre anni fa, girando per
l’alpeggio abbandonato di Campanice e osservando la chiesina
in stato di avanzato degrado,
che oggi, alle soglie del terzo
millennio, ci saremmo trovati di
fronte ad un tale lavoro di ristrutturazione.
Nessun Ente e nessuna struttura pubblica si erano mossi ed
ogni possibilità di rifacimento
languiva, nello stile di quelle
“pietre dimenticate” del calendario prodotto dalla Comunità
Montana.
Poi, come nelle favole, un
gruppo di terrinchesi ha deciso
di riunirsi in Comitato e, raccogliendo fondi e utilizzando solo
volontariato, si è dato da fare per
mesi, coinvolgendo il paese verso quella che, inizialmente, doveva essere una semplice sistemazione del tetto.
In un’epoca in cui tutto si
muove solo su finanziamenti
pubblici, hanno tirato avanti per
un’intera estate, tralasciando la
loro sfera privata e trascorrendo settimane sull’Alpe di Campanice. Migliaia di ore di volontariato, svolte a turno a seconda
del tempo libero di ciascuno.
Un’impresa titanica, quasi
eroica, in mondo di antieroi
come il nostro. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: una chiesina rimessa a nuovo, si fa per
dire, visto che la ristrutturazione non solo ha rispettato l’antico assetto dell’edificio esaltandone i caratteri rustici, ma si è
fatta carico persino di restituirne la copertura a quelle piastre
di lavagna in parte sostituite,
negli ultimi decenni, da tegoli.
Un vero capolavoro. Ognuno
ha contribuito per apporre il
proprio personale mattoncino a
questa opera dal sapore antico,
quando nei comunelli ogni impresa era consacrata al popolo
e dal popolo, come quella volta
che i terrinchesi, alla fine dell’Ottocento, si mossero in massa per l’erezione della nuova
chiesa, facendo un’unica fila da
Cansoli fino al paese, lungo la
mulattiera, e passandosi il materiale per l’edificazione di
mano in mano.
Tutto ciò viene stigmatizzato
e lasciato alla storia sul recente
libro “San Giovanni Battista in
Campanice, storia di un alpeggio, diario di una ristrutturazione” di Lorenzo Marcuccetti e di
Roberto Bazzichi. Affinché
quanto è stato fatto rimanga
come esempio, a dimostrare che
anche la montagna, lavorando
nel modo giusto, può essere valorizzata e salvaguardata nel suo
passato e nella sua dignità. Que(Continua a pag. 2)
Che dire dopo le rivelazioni
dell’Espresso sulle pensioni
d’oro dei nostri politici e dei
dirigenti del parastato o delle
banche? La risposta è che la
campagna di Versilia Oggi è stata finalmente coronata dalle
prove. Sono venuti fuori i primi nomi. Altri ne verranno fuori: li attendiamo con curiosità.
Intanto chiediamo scusa al
segretario generale della Presidenza della repubblica dott.
Gaetano Gifuni, perché, di fronte ad altri, lui è proprio un...
poveraccio. Guadagna, tra pensione e stipendio attuale, solo
1.433.333 mila lire al giorno,
pari a 180.416 lire l’ora, se è una
persona normale che lavora 8
ore al giorno. Certo, direte, ci
sono dei medici specialisti che,
per una visita di mezz’ora, si
mettono in saccoccia dalle tre
alle cinquecento ed oltre mila
lire. E va bene, è la legge del
mercato: se non vuoi crepare ti
devi rivolgere a loro, anche se
qualche volta non ci azzeccano,
come dice Di Pietro.
Ma questi politici e questi dirigenti, comunistoidi o cattolici
che siano, comunque ammanicati bene, come fai a lasciarli
perdere?
Ciampi, per esempio. Solo di
pensione (stipendio di Presidente della Repubblica a parte) incassa ogni giorno 2.335.405
lire. Più lo stipendio. Una pacchia, beati i suoi nipoti! Più di
lui arriva un tale che si chiama
Eugenio Coppola di Canzano,
che si è interessato tutta la vita
di Assicurazioni, a quota
3.029.614 di lire di pensione al
giorno. Terzo in classifica il
bancario Leone Sibani:
2.096.140 lire. Quarto un altro
(Continua a pag. 2)
Ed a mia moglie cieca nulla
Caro Direttore,
ho letto. Sono spaventato di
ciò che è stato scritto sulle pensioni d’oro della nostra classe
dirigente. Dico spaventato. I
loro privilegi sono la dimostrazione del basso livello di coloro che hanno legiferato in questo paese, Ripeto: spaventato, e
ti racconto il perché uso questa
tremenda parola.
Mia moglie è diventata cieca. Verso di essa non è scattata
la solidarieta di coloro che sovrintendono alla cosiddetta
“socialità” né tanpoco quella
degli Uomini dalla Lacrima Facile, come li chiami tu.
Siamo rimasti soli io e lei, e
siamo due persone anziane.
Non ci vede per niente, non riesce neppure a fare il numero del
telefono e debbo starle vicino
dalla mattina alla sera. Non
posso uscire di casa perché se
ALLA RIPRESA DI UNA MANIFESTAZIONE BENEMERITA
Strettoia ha esaltato il secolo da dimenticare
Strettoia ci ha richiamati all’appello dopo qualche anno di
latitanza. Le sue manifestazioni alla vigilia della vendemmia
hanno sempre trovato largo spazio nel nostro cuore. Il ricordo
di Beppe Venturini, la saggezza, l’eleganza e l’accoglienza di
quella gente, ci ha riportati sul
posto pieni di speranza.
Doveva essere la ricostruzione di “Un secolo da rivedere”.
Meglio sarebbe stato celebrare
“Un secolo da dimenticare”. Si
è trattato così dell’esaltazione,
con bolsa retorica e con toni patriottardi, di avvenimenti nazionali che sarebbe l’ora di rinnegare. Tutti, nessuno escluso.
Abbiamo rivisto bandiere e personaggi che di storico per fortuna hanno soltanto le cupi ragnatele deposte sulle loro tombe.
Se non ci fossero stati i vivacissimi protagonisti popolari
strettoiesi (applausi ancora una
volta alla intramontabile Dora
Iacomini), se non ci fosse stata
la bravura eccelsa di questi attori, l’ottima organizzazione, la
partecipazione del pubblico e la
giornata solare, avremmo fatto
meglio a rimanere a casa.
Costumi militari, divise, inni,
automezzi tanti. Persino la sfilata delle macchine d’epoca, causa di tutti i guai di questi ultimi
cento anni: l’esibizione di ricchezza, l’emulazione, l’inquinamento, l’invivibilità di paesi e
città, gli esodi stagionali, le migliaia di vite umane andate perdute. La fine della solidarietà:
ognun per conto suo. I treni vuoti
e lo Stato che privilegia il mezzo privato e l’individualismo.
Solo qualche attimo di poesia,
magari quando è apparsa a bordo
della carrozza la signora più anziana di Strettoia in compagnia
dell’ultimo bambino nato in questi ultimi tempi nella borgata, accolti finalmente dalla gente con
un fragoroso applauso liberatorio.
Strettoia ha dato e può dare di
più. Speriamo da subito, con la
prossima edizione del 2000. Ha
la capacità di farlo, ha attori e soprattutto attrici di tutte le età, anche bellissime. Ha tanti giovani e
ragazzi desiderosi di scendere in
piazza e cantare, ballare, rallegrando chi esce di casa per trovare conforto alle pene quotidiane.
C’è già la televisione, caro Ezio,
ad uccidere i nostri sentimenti, ad
avvilire le nostre serate.
Musiche e canti. Era solo lì
che si doveva incentrare la manifestazione. E soprattutto era
Strettoia che doveva venir fuori.
Si è rivista invece la brutta Italia
da dimenticare. Le guerre, le sopraffazioni, i nazionalismi, le dittature. Cosa c’è da “rivedere” in
questo cumulo di immondizie?
Strettoia ha vissuto questi cento anni di vita propria. Si è autoemancipata a costo di risparmi e
di duri sacrifici, si è ripopolata,
è diventata più bella. Ci fu il crollo del ’44, con la distruzione e la
Linea Gotica. È vero, ma quale
la causa? La risposta stava proprio in quei balordi vestiti di nero
e descritti, ahinoi, con provocatorio “buonismo”, a tutela di un
malinteso ordine pubblico.
La storia dovrebbe insegnare
a farla finita con le ripetizioni
dozzinali. Se è stato un secolo
tutto da dimenticare, da “rivedere” c’è solo la manifestazione di
domenica 12 settembre. Le capacità insite nella buona volontà
e nello spirito di iniziativa degli
strettoiesi ci sono tutte. Li attendiamo fiduciosi alla prova dei
prossimi anni. Forza Paolo!
ABBONAMENTI: ULTIMA CHIAMATA PRIMA DEL 2000
È l’ultima chiamata del
Novecento: in questo numero
c’è il fatidico bollettino postale per rinnovare l’abbonamento per l’anno 1999. A gennaio scrivemmo che alla fine
dell’anno avremmo deciso se
proseguire o meno la nostra
attività. Parole chiare, solo in
parte andate a segno. Per il
resto, come al solito, le nostre
sono prediche inutili, almeno
per 250 amici tuttora morosi.
L’anno scorso chiudemmo
con 488 “evasori”: ne abbiamo recuperati 238, ma la risposta alle chiamate (questa è
la quarta!) non è stata certo
quella che ci attendevamo.
Eppure ci giungono elogi
sperticati, complimenti addirittura, inviti a resistere, appelli a non scoraggiarci. In
particolare ce lo dicono i raddoppiatori, quelli che ci mandano quaranta, cinquanta e
persino centomila lire. Se non
ci fossero loro...addio Kira,
come si diceva una volta. Riproviamoci con questo numero che porta la data del Novembre 1999. Il prossimo sarà
la prova finale per tutti, coloro che rinnoveranno l’abbonamento per l’anno 2000.
L’Alda Giannini ci ha già pen-
sato per conto suo, inviando
il suo contributo per i dodici
mesi del prossimo anno. Un
vero e proprio primato: è già
entrata, da sola, nel 2000.
Grazie Alda!
Ringraziamo intanto anche
i nuovi raddoppiatori e sostenitori di queste ultime settimane: Carlo Stellati, Aleardo
Filié, Giovanna Oriente, Isabella Pocai, Franco Burroni,
Gianluca Brozzi, Lello Burroni, Roberta Vincenti Migliorini, Renato Bonuccelli, Danilo D’Angiolo, Giuliana Quarisa Magistrelli, Loris Marcucci.
succede qualche cosa lei non
saprebbe dove mettere le mani
e, come ti ho detto, non saprebbe chiamare aiuto neppure col
telefono. E’chiaro che non esce
più, neppure per andare a fare
la spesa. E, se val dal medico o
in farmacia, sono sempre io che
la devo accompagnare.
Da molti mesi avevamo fatto
domanda per avere una pensione di invalidità ed io stesso l’ho
accompagnata alla visita di
controllo all’ambulatorio dalla
cosiddetta USL 12 di Viareggio.
In questi giorni è giunto il risultato. Te lo trascrivo. “Ultrassessantenne invalida per difficoltà presistenti a svolgere compiti e funzioni proprie dell’età.
Condizione medio grave dal 67
al 99 per cento”.
Mi sono reso subito conto che
mia moglie non avrà diritto alla
pensione che si ottiene solo con
la qualifica “Grave, pari al 100
per cento di invalidità”. Le hanno dato il 99. Per un punto
Martin perse la cappa.
Siamo andati a Pietrasanta
alla sede del patronato INAS.
Non c’è niente da fare: le condizioni per ottenere il 100 per cento –ci hanno detto– sono quattro: 1) L’invalida non deve essere in grado di mangiare da sola;
2) L’invalida non deve essere in
grado di vestirsi da sola; 3) L’invalida non deve essere in grado
di andare in bagno da sola; 4)
L’invalida non deve essere in
grado di intendere e di volere.
Una invalidità spaventosa.
Mia moglie, per fortuna, è ancora in grado di mangiare, ve-
IN LIBRERIA:
UOMINI
SULLE APUANE
di Giorgio Giannelli
Edizioni Pegaso
stirsi ed andare in bagno da sola.
Ed ha ancora la mente a posto,
anche se è assalita dalla depressione di sentirsi così duramente
colpita. Quindi, niente pensione.
Mi è venuto d’istinto di chiedere
al funzionario dell’INAS quanto
avrebbe ricevuto nel caso in cui
fosse risultata completamente
handicappata, al 100 per cento
delle restanti possibilità.
La risposta è stata altrettanto
spaventosa: 750 mila lire al mese.
Carissimi Ciampi, Dini, Amato,
Feltri e Bernabei che prendete
quella popò di pensione fateci un
pensierino. Un essere umano che
non riesce più a vestirsi, portare
il cucchiaio alla propria bocca,
ad andare in bagno, un essere
umano non più in grado di intendere e di volere, riceve dalla società degli Uomini dalla Lacrima Facile poche centinaia di biglietti da mille al mese. E con
quelli dovrebbe pagare la solidarietà di chi gli sta vicino.
Spaventoso. Grazie e cordialità.
Fulvio Paoli
Novembre 1999 - pag. 2
DA SOLI
sta impresa si colloca in un momento di vera rinascita per Terrinca che, recentemente, ha visto la restaurazione dell’altro
importante tempio seicentensco
dell’alpeggio di Puntato, dedicato alla SS. Trinità, oltre ai lavori apportati alla chiesa cinquecentesca di San Rocco e all’apertura di un importante Circolo ricreativo e culturale nella
piazzetta del paese, dal suggestivo nome “Le Tanacce”, che
presto ospiterà anche un museo
dell’Arte popolare, grazie all’impegno, in questo caso, dei
“Colombani”.
Non possiamo dunque che
sentirci rinfrancati per questo
esempio di vitalità, sperando
che sia di buon auspicio per una
rinascita di quello spirito che in
passato aveva reso grande la
montagna.
PENSIONI
“tale” di nome Antonio Nottola ex bancario, 1.915.323 lire
al dì, seguito da Cesare Geronzi, 64 anni, ex responsabile
cambi della Banca d’Italia, a
lire 1.843.871 lire quotidiane.
Ed ecco un altro politico al sesto posto, il ministro Lamberto Dini, capo del partito di Rinnovamento, anche se non si è
ancora capito cosa mai potrà
rinnovare uno che prende l’un
per cento scarso della metà degli iscritti agli elenchi degli
elettori, piazzatosi a lire
1.782.272 giornaliere. Ripetiamo: di sola pensione; stipendio
di ministro e moglie ricchissima a parte.
Settimo Federico Pepe, Banco di Napoli e B.N.A.,
1.769.481 ad ogni calar del sole,
seguito dal gobbo più taciturno
d’Italia, un tipo tutto casa e bottega, Enrico Cuccia, presidente
onorario di Mediobanca. Sempre secondo l’Espresso, avrebbe aspettato lo scorso dicembre,
quando ormai aveva già festeggiato il 91° anno, per far scattare la sua pensione da sommare
a quella INPS maturata nel
1984: totale 1.586.799 lire al
giorno.
Nono tra cotanto senno l’amico di Ciriaco De Mita, l’ultras
cattolico Biagio Agnes, ex presidente della Stet. 1.548.000
quotidiane. Decimo un certo Ernesto Pascale, 65 anni, ex presidente della nostra cara Telecom, pensione INPS lire
1.500.716 ogni 24 ore. A ruota,
quattro pensionati gemelli: Sergio Siglienti, presidente INA e
vice presidente Banca Nazionale del lavoro, ex presidente Banca Commerciale, 1.476.652, ad
otto lire in meno Francesco Cingano, presidente Mediobanca,
ex amministratore delegato della Comit, vice presidente delle
Generali, 1.476.644 quotidiane:
sei lire sotto Enrico Braggiotti,
Banca Commerciale, 1.476.638
lire; distaccato Lucio Rondelli,
Unicredito, Credito Italiano,
1.457.554 che supera sotto l’affollato striscione d’arrivo Paolo Benzoni, Sip e Italcable, che
raggranella 1.396.398 lire tutte
le sere, Flavio Bovo, 63 anni,
Banco Sardegna e Banca Friuli, 1.312.101. Tommaso Padoa
Schioppa, 59 anni, consigliere
banca centrale europea, ex vice
Banca d’Italia e presidente Consob, pensionato da 1.286.070
lire tutte le volte che vanno a
letto le galline. Alfonso Limbru-
no, Enel (e te pareva...) lire
1.242.120, sempre con le solite
galline:
Diciannovesimo un nome
incredibile: Francesco Chirichigno, 65 anni, direttore generale nientepopodimeno che
della SIAE, 1.283.512 lire.
Subito dopo un nome invece
credibile, quello di Giuliano
Amato, il dottor sottile, uomo
buono per tutte le stagioni,
tant’è vero che è ancora ministro. 61 anni, è l’uomo che, se
D’Alema non fa le riforme
come vorrebbe lui, minaccia
d’andarle a fare da un’altra
parte, non si sa bene dove.
Resta il fatto che si pappa
1.209.862 ogni volta che cala
il sole. Di sola pensione.
Altro sconosciuto almeno al
grosso pubblico, il sessantenne
Pier Domenico Gallo, Mediobanca, ex direttore Nuovo Banco Ambrosiano, amministratore delegato Banca Nazionale del
Lavoro, 1.198.951. Conosciutissimo invece Mario Scarcinelli, 65 anni, ex vice direttore della Banca d’Italia, ex ministro,
direttore generale del Tesoro, presidente della BNL, 1.153.733.
L’ex CGIL Giacinto Militello,
63 anni, ex presidente INPS,
oggi commissario Antitrust
(buon lavoro!) chiude il nutrito
gruppo di pensionati che guadagnano più di un milione al
giorno: 1.120.244.
I lettori si saranno stancati di
nomi e cifre. Ma ci sono, nell’elenco reso noto dall’Espresso,
moltissimi altri nomi e cifre.
Riassumiamo anche per ragioni
di spazio, i nomi ed i cognomi
noti al grosso pubblico ricordando una volta per tutte che le cifre pubblicate si riferiscono alla
pura e semplice pensione riscossa al giorno, indipendentemente dagli incarichi e relativi stipendi sia di carattere politico che
professionale che sono altre centinaia di bigliettoni.
Cominciamo da Leopoldo
Elia capogruppo dei senatori
del partito popolare, lire
893.508, Giulio Andreotti
644.828, Oscar Luigi Scalfaro
454 mila, Enrico Micheli (ministro dei lavori pubblici in carica) 304.924, Antonio (Tonino per gli amici) Di Pietro, 49
anni, ex poliziotto, ex pubblico ministero, ex ministro
4.181.849 lire al mese per 13
mensilità.
Sono citati anche il direttore
de La Nazione Vittorio Feltri a
quota 952.923 al giorno a soli
56 anni, l’ex ministro Piero Barucci 780.439, l’ex presidente
RAI Sergio Zavoli 518.751, il
generale Franco Angioni, 66
anni, 514.294, Ettore Bernabei,
ex direttore generale RAI
(quello che mise i mutandoni
sulle cosce delle ballerine!),
392.509 lire sempre al giorno
e di sola pensione. Finiamola
qui, non senza aver sottolineato che l’attuale presidente
INPS, Giovanni Billia, ad appena 65 anni, percepisce dalla
sua stessa INPS una pensione
di 8.240.550 al mese per 13
mensilità.
Caro Direttore,
avevo trovato molto interessante, mesi fa, il racconto su
queste pagine della vicenda che
ti era capitata e che riguardava l’utilizzo di alcuni brani della tua “Bibbia del Forte dei
Marmi” da parte della signora
Rosa Alberoni. Autrice, per chi
non ricorda, di un ponderoso
romanzo storico dal titolo “Sinfonia” in cui, senza alcuna citazione, si ritrova un tuo capitolo copiato pari pari. Ti avevo
consolato (ironicamente) dicendoti che, almeno, potevi esser
fiero di aver contribuito a
un’opera di grande diffusione e
ampiamente propagandata.
Ora, come molti sanno, è
uscito il nuovo volume versiliese da titolo “La valle di marmo”. Uno degli autori è Mario
Lorenzoni, presidente della
Croce Verde di Arni (non capisco, se non prendo un abbaglio,
la modestia di non voler ricordare la precedente carica nella
Ma quale Rinascimento?
Qui è tutta una copiatura
Misericordia). Il suo capitolo sati con disinvoltura incredibi-
normale in saggistica. Ma riempire addirittura due terzi di un
lavoro saccheggiando quelli
altrui senza degnarsi di citarli
e poi farsi passare per “autore”, questa è un’operazione che
puoi giudicare da te. Per me si
tratta di un plagio di un cinismo spaventoso. Non posso credere, invece, a una ingenuità,
come potrebbe forse accampare un novellino.
Non parliamo poi dell’editore, degli sponsor (consulenti
compresi) e dei patrocinatori
che, beati loro, dispongono di
tanto prosciutto da metterselo
addirittura sugli occhi. E così,
caro Direttore, abbiamo fatto
un bel passo indietro sulla questione di quello che chiami Rinascimento editoriale versiliese, altro che storie! Siamo tornati al Medioevo e si incaricherà Dante (o altro giudice terreno) di scegliere il girone infernale.
intitolato “Storia contemporanea del paese”, occupa le pagine del volume che vanno da
65 a 135. Quelle di testo, escluse quindi le immagini, sono
quasi 33, di cui almeno 22 rappresentano un collage ricavato
testualmente da tre diversi libri:
il mio “Meraviglie versiliesi
dell’Ottocento” (quasi quattro
pagine), quello del P. Marco
Verdigi, “Arni. Cenni storici”
(oltre 17 pagine) e quello di
Adriano Betti Carboncini, “I
treni del marmo” (circa una
pagina più tre di foto).
Il bello è che questi tre autori non sono stati minimamente
citati, fosse nel testo o in nota o
in bibliografia (cose queste ultime che il Lorenzoni evidentemente non ama e quindi non
mette). Proprio nulla. Sposses-
IL PONTE DEL CINQUALE
Italia Nostra chiarisca subito!
Caro Giorgio,
sottopongo alla tua attenzione una planimetria riguardante il porticciolo turistico che
dovrebbe essere realizzato
(leggi Regione) tra il ponte di
via Gramsci (prolungamento
della nostra via Mazzini) e il
ponte delle Cateratte al Cinquale. Come si vede, quest’opera distrugge tutta la
sponda destra (di questo tratto) con grave danno ambientale. E non solo questo. Nella
planimetria si nota un restringimento dell’alveo a partire
dall’idrovora installata al ponte delle Cateratte creando un
serio pericolo. I trattini che si
vedono sulla sinistra costituiscono il parcheggio delle auto
a ridosso della nuova sponda
destra realizzata con un muro
di cemento.
Allego anche un articolo apparso sul Tirreno, che mi ha lasciato sconcertato in relazione
alla posizione assunta da Italia Nostra nei confronti del
ponte sul viale a mare e il contesto a monte (porticciolo).
Nell’articolo mi sembra che i
cosiddetti ambientalisti siano
d’accordo con questo scempio
che non solo distruggerà il paesaggio, ma provocherà delle
pericolosità alla foce, mettendo in serio pericolo il nostro
arenile con le future opere foranee che gioco forza dovranno essere realizzate in mare
alla bocca. Alla faccia anche
dell’erosione.
Augusto Marsili
LE DIECI OPERE DI LEGA A SERAVEZZA
Carissimo Giorgio,
ti sono molto grato per avermi fatto visita presso la mia nuova residenza, il Pio Istituto
Campana di Seravezza. Nel ricordare la nostra antica amicizia e la mia collaborazione a
“Versilia Oggi” dal 1972, mi hai
fatto notare che era utile ed opportuno che io redigessi una lista delle mie opere storiche.
Accolgo volentieri il tuo suggerimento e mi affretto ad inviarti l’elenco, in ordine cronologico, delle dieci opere che io e mia
figlia Giovanna abbiamo sinora
pubblicato: 1) “Fotostoria di Seravezza”. (Nº 21 Album). Tip.
Massarosa (1984-1990). 2) “La
Misericordia di Seravezza”. (Nº
2 Album). Tip. Massarosa (1987-
89). 3) “La Madonna del Soccorso e la sua Cappella”. Tip. Massarosa (1988). 4) “Il Duomo dei
SS. Lorenzo e Barbara”. Tip.
Massarosa (1989). 5) “La Pieve
di Vallecchia”. Tip. Massarosa
(1990). 6) “L’antico Carnevale
di Seravezza”. Tip. Massarosa
(1997). 7) “La Chiesa detta di S.
Antonio”. Tip. Graficatre (1998).
8) “La Cappella del S. Rosario
nel Duomo di Seravezza”. Ed.
Graficatre (1998). 9) “La Chiesa di S. Giovanni Battista in Riomagno”. Tip. Graficatre (1999).
10) “Il Pio Istituto Campana di
Seravezza” (1ª Parte). Tip. Graficatre (1999). Ricordo anche la
prefazione al libro di Lorenzo
Tarabella “È troppo presto”.
Narciso Lega
le di una loro proprietà intellettuale come bischeri qualsiasi.
Scippati né più né meno come
passanti malcapitati. Ripeto che
il collage è testuale.
In particolare, nelle “Meraviglie versiliesi” il Lorenzoni ha
pescato in ben 19 pagine diverse, applicando solo qualche piccola variante personale e qualche manipolazione arbitraria,
cadendo in alcuni errori (addirittura una sgrammaticatura) e
inserendo, come fa anche altrove, numerose personalissime
virgole contrarie a ogni logica
di grammatica e di stile. Certo,
un conto sarebbe appropriarsi
di qualche breve frase qua e là
oppure riportare fra virgolette
e poi mettere una nota apposita
o, almeno nella bibliografia, il
titolo da cui si è preso: questo è
Fabrizio Federigi
SCARTATI ALLA VISITA CON CERAGIOLI
Con il recente decesso del
grande maestro di musica Enzo
Ceragioli, come suo coetaneo
mi viene fatto di ricordare un
particolare del lontano 1930,
quando ci recammo insieme
alla visita per il servizio militare.
L’ e s i t o d i t a l e a c c e r t a mento fu la riforma per inidoneità di entrambi, ivi
compresi altri due coetanei:
Tarabella Giuseppe di Pozzi e Luisi Smeraldo di Querceta.
L’Ufficiale medico di turno, alla conoscenza delle generalità del Luisi, ebbe così
ad esprimersi: “Ti chiami
Smeraldo? Allora sei uno
smeraldo falso, perché non
sei nemmeno buono per fare
il soldato!” Ci fu una risata
generale.
È nato
Michelangelo
Da Monteroni d’Arbia,
in provincia di Siena, ci
giunge una lieta novella. Il
nostro Magnifico abbonato, Carlo Stellati, è diventato nonno per la prima
volta.
È nato infatti, a Massa, Michelangelo, figlio di Renato Ferri e Monica Stellati, residenti a
Montignoso.
A Carlo, ai felicissimi genitori, e soprattutto a Michelangelo, gli auguri più
a ff e t t u o s i d i u n s e r e n o e
sicuro avvenire da parte dell a d i r e z i o n e d i Ve r s i l i a
Oggi.
Eravamo nel periodo di
transizione fra il vecchio
andamento politico e l’avvento della dittatura fascista. In quell’anno non c’erano ancora tante manie
espansionistiche e di guerra per cui l’inquadramento
di tanto personale militare
era superfluo. Per questo sia
io, che sono sempre stato un
ottimo alpinista, che Enzo
Ceragioli venimmo esonerati dal servizio militare.
Anche il Luisi, come il Tarabella del resto, è sempre
stato di sana e robusta costituzione. Smeraldo fu
sempre persona dedita alla
famiglia ed al lavoro con ottimi risultati. È deceduto
alla non trascurabile età di
86 anni.
Ezio De Carlo
Direttore
GIORGIO GIANNELLI
periodico mensile
abbonamenti
c/c postale 10818557 intestato a
«Versilia Oggi» Casella Postale 94
55046 Querceta (LU) - Ordinario L.
20.000 - Estero L. 40.000 - Sostenitore L. 50.000. Reg. Trib. di Roma
n. 11298 del 26 novembre 1966 e
Trib. di Lucca n. 300 del 2 maggio
1978 - Partita IVA 01517670467
In caso di mancato recapito, si
restituisca al mittente che si
impegna a pagare la relativa tassa
Fotocomposizione
Litocomp-Querceta-tf./fax 0584-742011
Stampa: Graficatre-Via de Gasperi, 9
Ripa di Seravezza-tf. 0584-756631
La collaborazione a “Versilia Oggi” è
gratuita, spontanea e aperta a tutti.
Forum Internet:
www.welcomeversilia.com
Novembre 1999 - pag. 3
Riportiamo dall’Osservatorio Romano:
Pochi luoghi in Italia, e credo nel mondo, amano autocelebrarsi come la Versilia. Da anni,
la convinzione che il tratto di
costa dell’alto Tirreno che va
sotto quel nome sia stato, in
un’epoca recente (e per certi
aspetti continui ad essere), un
luogo ideale, fatto per la gioia
di vivere, è testimoniato da manifestazioni sempre più frequenti ed ambiziose, mostre,
feste, tavole rotonde etc. Questa estate, quasi contemporaneamente, nello spazio di poche
decine di chilometri quadri, fra
Pietrasanta, Seravezza, Camaiore e Forte dei Marmi, ce ne sono
state almeno quattro, con titoli
come ‘La scoperta della Versilia’,‘Alla ricerca dell’Eden’, indubbiamente suggestivi.
Sono molti i nomi illustri delle persone coinvolte più o meno
indirettamente in questo revival.
Presiedono, alla lontana, come
numi tutelari, quelli di Shelley,
Carducci, Pascoli, Puccini. Seguono, accavallandosi per circa un ventennio, quelli meno
famosi, di poeti e artisti come
Ceccardo Roccatagliata Ceccardi, Galileo Chini, Plinio Nomellini, Lorenzo Viani, Arturo Dazzi. E passiamo sotto silenzio le
affascinanti dame, i cavalieri, i
politici, sindaci e deputati e i
giornalisti che nel primo decennio del secolo hanno partecipato all’impresa, piuttosto illusoria, di divinizzare una terra,
oggi, per la verità, assai malconcia. Ciascuno di questi personaggi, come accade in teatro
con i comprimari e le comparse, ebbe nella vicenda un suo
ruolo, anche se limitato. Di fatto il loro maggiore impegno
consisteva nel far da sfondo all’unico vero protagonista dello
spettacolo: il Vate dico, l’inimitabile, Gabriele D’Annunzio. È
lui che passa per essere l’unico
e vero scopritore della Versilia.
Si dà il caso tuttavia che il
divino Gabriele abbia avuto con
COMMENTO «ALLA RICERCA DELL’EDEN». LE ULTIME ESAGERAZIONI
“Il Corriere della Sera” è il
giornale più letto e più importante d’Italia. In pieno agosto,
ha dedicato un’intera pagina
alla Versilia, definendola nel titolo “La riviera della trasgressione”, un titolo che –tutto
sommato– potrebbe anche non
dire nulla. È il testo dell’articolo che ci sgomenta. Se quello che scrive “Il Corriere” corrispondesse alla verità, saremmo tutti spacciati. Una Versilia come l’ha descritta Gian
Antonio Stella fa paura anche
a noi. Se le cose stanno diversamente, invece l’articolo
esprime il gusto dell’orrido.
Noi, come autori della Bibbia
del Forte dei Marmi neghiamo
che le cose stiano così, almeno
fino al 1960. Se le cose son cambiate in questi ultimi quarantanni giudichino i nostri lettori, i sindaci, gli assessori al turismo, alla cultura ed ai lavori
pubblici. Giudichino gli imprenditori e tutti coloro che
spendono centinaia di milioni
per promuovere l’azione di
propaganda in favore delle
nostre spiagge. Se “Il Corriere” ha ragione, lo ripetiamo,
siamo spacciati. Ed ecco il testo integrale dell’articolo:
Per il compleanno del caro
amico Forkie, un maiale assai
perbene che vive in famiglia, lo
scrittore americano Jay McIrnerney e la moglie Helen, disegnatrice di gioielli, hanno dato
IL GUSTO DELL’ORRIDO
Adesso D’Annunzio diventa persino proletario
questa terra (non più estesa, per
lungo, di sette chilometri, e per
largo, di quindici) rapporti non
particolarmente intensi e continuati come vuole la leggenda.
Il suo soggiorno, così propagandato, nella villa dei marchesi
Nuti-Digerini, la Versiliana, a
Marina di Pietrasanta, si limita
all’estate del 1906; l’Alcione,
che della Versilia è considerato
il poema eponimo, è già stato
scritto e pubblicato da anni. Prima di allora, D’Annunzio aveva trascorso due estati al Secco
(1901-1902) che si trova però
nel Camaiorese. ‘La pioggia nel
pineto’, ‘Undulna’, ‘L’onda’,
‘Stabat nuda aestas’, ‘Novilunio di Settembre’, che dovrebbero testimoniare esemplarmente la sua presenza nel luogo, furono scritti, come ormai è
ben noto (e tuttavia si preferisce ignorare), in Casentino, almeno centoventi chilometri distante in linea d’aria.
Com’è accaduto allora che i
nomi della Versilia e dell’autore di ‘Alcione’ siano stati così
‘mirabilmente’ fusi, in modo
che l’uno richiama subito l’altro? Cosa c’è di vero in questa
identificazione non solamente
letteraria, ma anche sociale,
politica, mondana, turistica?
Prima che in Versilia, D’Annunzio, lo sappiamo, era sbarcato a Marina di Pisa, nel luglio
del ’99. Veniva da Firenze, dove
all’epoca abitava, in compagnia
di Eleonora Duse. È dunque
dalle rive dell’Arno che ha inizio la sua avventura alcionica.
Nonostante la felicità panica
che imbeve le sue giornate egli
è inquieto, sente il bisogno di
‘più ampi possessi’. Da quella
immensa solitaria distesa di pinete, macchie, praterie, stagni,
fossi, che accompagna la costa
tirrenica, i suoi occhi miopi si
indirizzano di preferenza a settentrione. (Così ci racconta Cesare Garboli nella introduzione
al catalogo della mostra ‘Scoperta della Versilia’, edito da
Maschietto-Musolino.) Oltre il
fiume, oltre le maestose foreste
di San Rossore e di Migliarino,
il suo sguardo si posa sulla impressionante azzurra catena di
montagne in fuga verso ponente, in una luce leggermente annebbiata, a volte diafana. Sono
le Apuane.
Il dado è tratto. Mentre la ragione e i consigli degli amici
fiorentini lo indirizzano verso
Livorno e la costiera labronica
celebrata dai Macchiaioli, meta
tanto più vicina e accessibile,
egli decide di muovere i passi
verso nord. È là che il fato lo
chiama, così si convince, alla
scoperta dell’ignoto.
La Versilia, ben inteso, non
aveva bisogno d’essere scoperta. L’Avevano già fatto altri. Gli
artisti e i poeti, in maggioranza
tedeschi, gli Hildebrandt, i Boecklin, i Kurz, che la frequentavano da anni, fra il Forte e il
Cinquale, s’erano però contentati, finora, di goderne gli incanti in solitudine e in silenzio, per
rispetto, nel timore di turbarne
la pace. Non le avevano fatto
pubblicità.
Ma della pubblicità, specie se
lo riguardava, D’Annunzio, in
anticipo sui tempi, aveva il genio. E la Versilia, ancora intatta, si prestava benissimo allo
scopo.
Le condizioni erano favorevoli. Al poeta erano pronti a
dare una mano, artisti, scrittori,
giornalisti e uomini politici,
gente infervorata, politicamente di tendenze estreme, di destra
e di sinistra, ma più di sinistra
che di destra, repubblicani, radicali, socialisti-rivoluzionari,
anarchici. La Versilia, nelle loro
fantasie esaltate, era il luogo
poetico per eccellenza, prefigurato da Shelley, che un secolo
prima era venuto a morire sulle
sue spiagge; e poi da Carducci;
era il “liberato mondo” dove
l’uomo avrebbe fatto rivivere i
fasti dell’antica Ellade, un sogno pagano di ebbrezza panica,
fratellanza, libertà, progresso,
confuso quanto anacronistico.
Con i suoi comportamenti, va
detto, D’Annunzio non accreditava le speranze riposte in lui da
questi rivoluzionari un pò alla
buona. Si teneva alla larga dagli
inviti, non rispondeva ai numerosi e quotidiani telegrammi, non
lanciava appelli. La visita da lui
fatta alle cave di Carrara, nel luglio del 1907, in occasione di una
‘varata’ (e cioè lo scoppio di una
mina gigantesca nel fianco della
montagna) presenti i notabili del
luogo, i giornalisti di mezza Italia, e anche una folla di cavatori,
artigiani, organizzatori sindacali (quasi tutti anarchici), fu dovuta solo ad una naturale curiosità. Non ebbe alcun significato
politico; e in ogni caso fu molto
breve. Il poeta non fece dichiarazioni impegnative e ripartì in
serata per altri lidi. Bastò tuttavia perché le menti esaltate, pericolosamente sospese fra l’azzurro del mare, del cielo e il biancore niveo dei marmi, si mettessero a farneticare di improbabili
alleanze.
Niente di strano, dato il dannunzianesimo endemico del nostro paese, che anche una certa
sinistra cedesse alla seduzione
del Poeta. Meno comprensibile
è chi vi ceda oggi, a distanza di
quasi un secolo; e che secolo!
Voler inserire oggi D’Annunzio
in una prospettiva rivoluzionaria, dopo quanto è successo e
abbiamo sperimentato sulla nostra pelle, oltreché pretestuoso,
ci pare bizzarro. L’anarchismo
di D’Annunzio, se così vogliamo chiamare il suo sfrenato culto dell’individuo, era di tutt’altro segno di quello dei seguaci
di Cafiero, Gori, e Malatesta.
Era presuntuosamente elitista,
estetizzante, impregnato di mor-
MA VERAMENTE SIAMO COSÌ BRUTTI?
un galà indimenticabile. Narrano le cronache che il suino facesse un figurone «con le unghie tinte di rosa». Americanate. Ma poteva la Versilia, con la
fama di trasgressione che si trascina dai tempi in cui Peppa del
Drago e Niki Pignatelli arrivarono nude in groppa a due puledri (Balle! N.d.D) a prendere
un aperitivo alla Capannina,
fama involontariamente rinverdita l’altra settimana dall’isolamento dei promotori della protesta anti-gay, mancare all’appuntamento con la celebrazione della bestia sozza che San
Clemente indicava come il simbolo stesso della lussuria, le cui
carni sono riservate «a coloro
che vivono nella sensualità»?
In alto i calici. La festa, organizzata da Paola Raffo e Mariella Poli, della galleria «Subbia»
di Pietrasanta, si fa. Titolo: «Del
porcello e delle sue delizie / Ipotesi per un monumento». Ghiotta sintesi tra le opere di una fitta schiera di artisti che han trovato fonte d’ispirazione nel porco, da Ivan Theimer a Mattew
Spender, da Vito Tongiani a Floriano Bodini (e mancano purtroppo i Dürer e i Bosch e i Mirò
e Warhol...) e la salumeria, esaltata dal saggio sul celebre lardo
di Colonnata scritto da Romano Bavastro, che è andato a re-
cuperare Eraclito e Omero, Ateneo e Giulio Cesare Croce, il
quale nelle pause lasciategli
dalla stesura delle avventure di
Bertoldo e Bertoldino trovò il
tempo di scrivere un pilastro
della cultura occidentale: «Il
Trionfo del porco».
«Non c’è terra che ti dia l’idea
della libertà quanto la Versilia»,
spiega Jean-Michel Folon, protagonista, con le sue sculture
dell’«Allée des pensées» allineate sulla piazza di Pietrasanta,
dell’avvenimento culturale dell’anno insieme con la grande
mostra dannunziana alla Versiliana: «E’ una cosa magica. Che
respiri nell’aria». La stessa che
ha attirato Fernando Botero, il
grande artista che qui ha deciso
di trasferirsi e che si diverte
come un matto, tra la creazione
di un ciccione e di una cicciona, a ballar il samba con le famose ballerine carioca arruolate per le feste private in villa.
Gli anni delle trasgressioni,
delle rotture traumatiche del senso del pudore, delle notti spericolate, però, al di là delle polemiche di oggi, sono da tempo un
ricordo. «Prima questa terra ruggiva, adesso bela», spiega Aldo
Valleroni, cronista degli anni
d’oro e autore del libro «Versilia anni ruggenti», uno strepitoso reportage su un mondo che
non c’è più. Un mondo dove la
Capannina, chiusa all’inizio della guerra perché i carabinieri avevano beccato Ettore Muti (Balle! N.d.D) che contro ogni regola sul razionamento aveva organizzato un’abbuffata con gli
amici (e inutile era stato il tentativo di spacciare una vitella scuoiata per un «somaro morto di
fame»), riapriva i battenti salutata dalle rime del conte Boni:
«La Capannina diventa capanna
/ si tinge le labbra / s’allunga la
gonna / non è più ragazza ma
donna».
Piero Angela, in attesa di scoprire l’ornitorinco e il quark, faceva il pianista col nome d’arte
di «Peter Angela». Giancarlo
Fusco, non avendo i soldi per i
calzini (Balle! N.d.D), si pitturava di nero le caviglie. E Gianni Agnelli, quando tirava tardi
sgommando con la Topolino e
trovava sbarrata dal padre (Balle! N.d.D) la porta della villa di
famiglia poi incorporata nell’attuale hotel Augustus, andava a
rimediare una branda sul retro
del celebre night-club. E il treno
che arrivava da Milano, ricorda
Valleroni, era detto «il treno dei
cornuti» perché «oggi fanno sesso le servette e le parrucchiere
ma allora si scatenavano le signore e c’era pietanza e contorno per tutti. E all’alba finivamo
te: quanto di più politicamente
reazionario si possa immaginare. I fatti non tardarono a provarlo. In primo luogo l’immane carneficina (‘l’inutile strage’,
deplorata da Benedetto XV) che
chiuse un’epoca di falso progressismo, invasata da deliri di
potenza ed erotismo, un’epoca
come poche irresponsabile e
pacchiana. Alla partecipazione
dell’Italia al grande crimine,
D’Annunzio dette, come sappiamo, le ultime faville del suo
genio, facendo passare un massacro insensato, meccanico e
tetro, per un lavacro necessario,
o, come gli piaceva dire col suo
linguaggio spesso misticheggiante, un olocausto. La guerra
avrebbe cambiato il mondo, asseriva. E lo cambiò, infatti. Ma
in quale direzione, ahimè. I neodannunziani d’oggi dovrebbero pur rifletterci, dico.
In estate e in un periodo di
vacanza è lecito, si dirà, giocare un poco, mandando in vacanza anche la ragione. Giusto, rispondo; e per stare al gioco,
aggiungo, come ha fatto notare
nella sua introduzione Cesare
Garboli, che in questo senso
l’operazione Versilia, avviata
dal Poeta, è riuscita oltre le sue
aspettative. È grazie a lui, infatti, che la nozione di Versilia si è
enormemente dilatata, allungandosi da Bocca d’Arno alla
foce del Magra, e allargandosi
a tutto l’arco delle Apuane, a
formare un territorio unico, consacrato al turismo di massa,
meta di centinaia di migliaia di
villeggianti. Essi non hanno
nulla a che vedere ormai con i
vani e vaneggianti personaggi
del vate. È gente piuttosto comune, di condizione modesta, di
cultura non eccelsa. E tuttavia
non è escluso che, grazie ai ricordi dannunziani, tuttora presenti in Versilia, ciascuno di
loro, uomo o donna, mentre
cuoce al sole sulla spiaggia, o
nuota fra le onde, si senta, magari solo per un istante, divino.
Manlio Cancogni
tutti nudi a far l’amore sulla
spiaggia e non c’erano confini di
nessun genere, né di sesso né di
spesa perché tutti quelli che avevano i soldi, ed erano tanti, spendevano come matti».
Anche i gay spendono. E
Alessio De Giorgi, dell’Arcigay
toscana, ha gioco facile a sostenere, sulla base di un’indagine,
che oggi non c’è cliente migliore: «Oltre il 40% guadagna oltre 75 milioni l’anno, il 79% fa
almeno due vacanze nell’arco
dei dodici mesi, il 90% va al ristorante due volte la settimana
e il 70% frequenta bar e discoteche con assiduità superiore
alla media». Quelli che la settimana passata han cercato d’impedire lo show organizzato dall’Arcigay a Torre del Lago,
però, se ne infischiano. Dicono
anzi che, «se non ci fossero
quelli lì», ci sarebbe il pienone
di famigliole che invece «se ne
stanno alla larga». E contestano tutto. Dalla veridicità della
lista dei bar, ristoranti, antiquari, barbieri e night (tra cui gli
ormai famosi «Frau Marlen»,
«Barrumba», «Bocachica») che
hanno accettato d’essere inseriti
come «amici dei gay» nel progetto comunale «Friendly Versilia» alla ricostruzione della cagnara data «dai giornali del regime in modo tale da averci
messo contro perfino An», dall’inserimento del loro paese nel-
Novembre 1999 - pag. 4
IL GUSTO DELL’ORRIDO
le guide gay del mondo dell’immagine offerta da mass media
stranieri tipo il «Times», che
contestando la decisione di
Tony Blair di far le vacanze a
San Rossore ha descritto queste pinete come infestate da
«centinaia di puttane e travestiti».
Rodolfo del Cima, padrone
d’un cinema all’aperto e promotore dell’idea d’una «cittadella dell’amore dove almeno
quelli se ne stiano da parte»,
è in guerra da anni con «questi omosessuali che spadroneggiano sbaciucchiandosi
davanti ai nostri figli». E
Franco De Rossi, un imprenditore invelenito con «quei
depravati che s’accoppian sulla spiaggia», dice d’avere raccolto («alla faccia di chi dice
che in piazza c’erano solo fascisti quando invece c’erano
pure comunisti e diessini e
popolari e apolitici») migliaia
di firme a favore del comitato
che presiede e che vuole dare
al fenomeno una regolata:
«Ho tanti amici negri. E me
ne vanto. Non sono razzista.
Ma un padre di famiglia qui
non campa. Non diciamo “via
i gay”: però non accettiamo
d’essere identificati con loro.
Questi voglion colonizzare
Torre del Lago e farla come
Manhattan, che ormai (Balle!
N.d.D) è tutta gay. Vogliamo
contarci? Prontissimi. E poi,
visto che su questa cosa ha
dovuto dimettersi il consiglio
circoscrizionale, ci conteremo
al voto di novembre. Lì si, sarà
un referendum: o noi o loro».
«Ma per favore! La Lecciona era una spiaggia dove non
andava nessuno e il caso di
Mikonos, che prima che ci
andassimo noi era la più sfigata delle isole greche e ora è
amata da tutti, “famigliole”
comprese, dovrebbe far capire che i gay sono una buona
carta da giocare — dice Alessio De Giorgi —. Più che il
nudo in spiaggia credo dia fastidio il fatto che qui si dimostra che siamo tantissimi.
Anzi, tutto ’sto casino ci ha
fatto pure pubblicità. Al sabato sera le strade sono strapiene di gay e di lesbiche. Comunque, siccome il nudo è
proibito e noi la legge la vogliamo rispettare, abbiamo
fatto un opuscolo con qualche
raccomandazione».
Titolo: «Il bon ton del/ della perfetto/a villeggiante gay/
lesbica di Fine Millennio».
Ovvero un manuale per essere («con tutta la vostra collezione di pareo, tanga leopardati, occhiali tempestati di
strass e prendisole di pizzo»)
delle «Reginette della spiaggia». Lo ha scritto Vanessa
Dell’Arno ed è messo giù con
un’ironia da far montare ai
nemici il sangue alla testa.
Basta leggere l’invito («prima
di farlo lì pensate a vostra
madre») a evitare gli accoppiamenti sulla spiaggia: «Il
sesso è una cosa splendida ma
pensate a cosa accadrebbe se
tutti apprendessero le vostre
eccezionali tecniche amatorie
apprese in tanti anni di
“duro” tirocinio! Quindi siate abbastanza astute da non
mostrare a tutti i vostri numeri migliori». Meglio farlo a
casa: «è più igienico, più confortevole e più chic».
«Figurati! I gay! E sarebbe
quella la trasgressione?», sbuffa l’architetto Tiziano Lera:
«Ma se ce n’erano anche
trent’anni fa!». Bel tipo, l’architetto. Capelli lunghissimi e
bianchi, barba, camicia aperta
sul villoso petto, ciondolo apache con teschietto e gardenia,
vive in una specie di zoo con
furetti, pappagalli, gatti, rane e
uccelli vari, scrive versi di canzoni tipo «Manitù aiutaci tu /
Manitù aiutaci tu» e ha disegnato un po’ tutte le discoteche della zona, fino a guadagnarsi il
soprannome di «la febbre del
sabato Lera». La trasgressione,
quella vera, dice, stava nel «rotolare della vita» d’una volta,
nei «risotti di Carletto alle quattro di mattina», nell’aspettare
l’alba quando gli altri andavano a letto mica come adesso che
«le discoteche aprono all’una
perché i ragazzi si muovono allora...».
Angelo Bonuccelli, gestore
del mitico Gran Caffé Margherita, li conosce bene quei
ragazzi. Li vede alla «Costa
dei barbari», il locale che ha
giù alla Marina: «Gli affari
vanno bene, vendo tantissima
birra, non avrei il diritto di lamentarmi. Ma ogni volta che
vado lì sto male. Bevono, bevono, bevono. Attaccano briga per niente, si pestano, vomitano, pisciano nei lavandini e la mattina li devi raccogliere sfatti sul pavimento.
Hanno troppa violenza, dentro. E hanno perduto la cosa
più bella che avevamo noi: la
voglia di giocare. Giocare con
tutto. Se una ragazza improvvisa uno spogliarello sono così
sfatti che manco si girano». A
farla corta: «Ancora ancora
c’è più trasgressione su (Balle! N.d.D), tra la bella gente di
Forte dei Marmi».
Gherardo Guidi, che possedendo i «Bagni Roma Levante»,
la «Bussola» e la «Capannina»
ha il miglior punto di osservazione possibile sul bel mondo,
dice che non è mica vero: «Se
c’è una cosa che noto, col passare degli anni, è che cresce il
senso del pudore». Per i 70 anni
della Capannina ha organizzato, spiega l’ufficio stampa, «la
festa del millennio». Con
l’obiettivo di radunare il fior fiore di quel jet-set che (come dice
un sondaggio tra mille vip) ancora riconosce al «Forte», alle
sue spiagge larghe, alla sua riservatezza, alle sue ville immerse nel verde, il rango di posto
chic inferiore soltanto a Portofino. Dove sono clienti fissi
Calisto Tanzi e il principe gaudente Carlo Giovannelli, Massimo Moratti e la moglie Milly,
Niccolò Pontello e i Branca di
Romanico e anche Gaddo della
Gherardesca e la Ferguson. «La
duchessa di York diventerà contessa di Castagneto Carducci?»,
si chiede un settimanale popolare: «Il mondo resta col fiato
sospeso in attesa dell’annuncio». Per Sarah? Sarà.
Difficile, però, che «la scandalosa Fergie», se anche si facesse versiliana, possa fermare
il respiro del Forte quanto la
Ekberg alla festa d’addio al celibato d’un famoso rampollo
torinese, quando, in piedi su un
tavolo, l’Anitona (Balle! N.d.D)
si tolse tutto e cominciò a versarsi addosso bottiglie di champagne ghiacciato, mentre i giovani intorno...
Gian Antonio Stella
ROBERTO PARDINI
Ha rappresentato la nostra aristocrazia sanitaria
Roberto Pardini tra Giorgio Giannelli (a sinistra nella foto) e Paolo Dinelli che l’abbraccia. Era l’anno
scolastico 1940-41 al liceo-ginnasio di Viareggio.
Roberto Pardini, una vita completamente dedicata agli altri, uno dei figli più validi di questa
nostra Versilia. Lo abbiamo conosciuto sui banchi di scuola con quel suo sorriso scanzonato,
incredulo, portato a sdrammatizzare. Piccoletto,
un pò paffutello, gli occhi pungenti, scrutatori.
Poi, sempre nella vita, presente tutte le volte che
c’era bisogno di lui. Magnifico di Versilia Oggi,
ogni anno si segnalava per la sua attenzione verso le nostre battaglie perdute e le nostre prediche inutili, quasi a dimostrare la sua solidarietà
verso un giornale che si regge soprattutto per
lottare contro i venti malefici.
Roberto era comunque un saggio, conosceva i
limiti della forza umana, era dotato di una grande energia unita solidamente alla pazienza. Come
tale ha operato nel campo della pediatria, in essa
realizzandosi. Molti medici sono spesso costretti a dedicarsi alle specializzazioni che si aprono
loro davanti, magari casualmente. Lui no. Per dedicarsi alla pediatria, come ardentemente voleva
dentro il proprio animo e nel suo istinto, si dimise da un posto di ruolo nell’ospedale di Pietrasanta, ottenuto subito come assistente di medicina generale, preferendo un posto, in quel momento insicuro e precario, di assistente pediatra nell’ospedale di Viareggio nell’équipe di Gaetano
Pasquinucci.
Chi lascia la via vecchia per la nuova sa quello che lascia e non sa quello che trova, Roberto
non fece caso a questo antico detto e rischiò. Il
valore del suo maestro –anch’egli pietrasantino–
l’amore per i bambini e la sua innata comprensione verso le apprensioni dei genitori, furono
alla fine premiati quando raggiunse il primariato
di tutte le pediatrie della Versilia. Ottenne due
grandi risultati, quello di ricoprire un ruolo fondamentale per la salute della sua gente aprendo
in Versilia un reparto di primissimo ordine su tutto
il territorio circostante, e l’arrivo, in seguito alle
sue dimissioni dal reparto di medicina generale,
di un altro eccezionale medico, il dottor Giuliano Andreozzi cui andrà, poco tempo dopo, il merito di creare a Pietrasanta uno dei servizi di emodialisi più importanti della Toscana.
Ci piace ricordare Roberto Pardini accanto a
Gaetano Pasquinucci e Giuliano Andreozzi. Essi
hanno rappresentato per decenni la nostra aristocrazia sanitaria, dimostrando che in qualsiasi posto del mondo, con il sacrificio, l’intelligenza e lo
spirito di iniziativa si possano raggiungere risultati eccellenti, tali da porre vere e proprie pietre
miliari sulla strada del progresso e del benessere.
Alla moglie Gloria, alla figlia Silvia ed a tutti i
familiari il sincero rimpianto di Versilia Oggi.
GIULIO SALVATORI
93 ANNI SPESI PER IL PROGRESSO DELLA SUA TERRA
Ci ha lasciati, il Magnifico di
“Versilia Oggi” Giulio Salvatori. Versiliese a 24 carati, aveva compiuto 93 anni nel mese
di maggio. Nella sua lunga ed
operosa vita, trascorsa quasi interamente in questa terra che
tanto amava, si è sempre dedicato con tutte le sue forze alla
famiglia ed al lavoro.
Si era allontanato solo per il
servizio militare e quando, alla
fine degli anni venti, si era recato a Parigi per fare lo scultore, per mettere in pratica quanto aveva imparato alla Scuola
d’Arte di Pietrasanta. Unico
suo svago, al quale dedicava i
pochi momenti liberi, era la
caccia, che praticava con passione ed amore per la natura.
Nato a Strettoia, dove aveva
trascorso la sua giovinezza, si era
trasferito, dopo il matrimonio con
la maestra Teresa Del Veneziano,
al Poggione dove ha vissuto fino
alla sua morte. Ha fatto il contadino, il giornalista, lo scultore,
l’impiegato e l’imprenditore ed in
ogni campo è sempre riuscito a
farsi valere. Giulio ha sempre seguito con amore e trepidazione
tutte le vicende, sia quelle felici
che quelle tragiche, cercando in
ogni occasione di fornire il suo
contributo di idee e di opere.
La famiglia è sempre stata il
suo mondo. La prematura scomparsa della moglie nel 1969, gli
fece cadere il mondo addosso e
ci volle molto tempo perché potesse farsene una ragione. Solo
l’affetto dei figli, prima, e dei nipoti, poi, è riuscito a lenire in
parte il dolore provocato da
quella grave perdita. Quando
andò in pensione, trovandosi a
disposizione molto tempo libero,
rispolverò due vecchi suoi passatempi: la pittura e lo scrivere
poesie e racconti. Queste sue
passioni hanno fatto sì che non
ci fosse occasione lieta o triste
che non venisse da lui ricordata
con una poesia o con un racconto e che la sua casa si riempisse
dei suoi numerosi quadri.
Amante della vita attiva ed operosa quando, la vista gli si è gravemente abbassata, il suo cruccio
è stato tanto grande che, a febbra-
io si è deciso a scrivere una lettera al Direttore di “Versilia Oggi”
(pubblicata nel numero di febbraio ’99) per lamentarsi di questa
menomazione che gli impediva di
continuare a leggere, scrivere e dipingere: “Anche se non posso più
leggere il nostro mensile come facevo prima, continuerò ad abbonarmi. Lo terrò caro sul mio tavolo, così ogni mese mi porterà il
sapore della mia terra”.
Dopo pochi mesi da quella lettera, quasi ad anticipare la cecità che tanto paventava, Giulio
Salvatori si è spento serenamente tra i suoi quadri e circondato
dall’affetto dei suoi cari, lasciando in tutti noi la certezza di aver
perduto un altro valido punto di
riferimento. Ai figli, ammiraglio
Enrico, dottor Roberto e professore Lorenzo, rinnoviamo il nostro sincero rimpianto.
Banca locale
partner globale.
Ciò che contraddistingue il nostro modo di essere
banca è proprio la capacità di essere tante banche
insieme in una volta sola.
Per questo oggi siamo la banca più vicina ai
commercianti e agli operatori economici, la banca
di casa in oltre 100.000 famiglie, la banca amica dei
pensionati, la banca aperta ai progetti dei giovani,
la banca partner delle imprese su tutti i mercati.
Una banca aperta alle esigenze di ciascuna
persona, ogni giorno, con la stessa cura e attenzione.
Continuiamo a crescere insieme.
CASSA
DI RISPARMIO
DI LUCCA
Più vicini al vostro mondo.
Novembre 1999 - pag. 5
Il campionato degli struzzi
Agosto 1952, sulle scale dell’Albergo Belvedere di Forte dei Marmi il
centroavanti svedese (a sinistra della foto) Jeppson appena acquistato
dal Napoli per una cifra che, allora, batté tutti i record. In sua compagnia il portiere della Nazionale azzurra Casari.
Agosto 1952, il portiere della Nazionale di calcio, Casari,
a Forte dei Marmi sulla scalinata dell’Albergo Belvedere
presenta lo svedese Jeppson.
Entrambi stavano per intraprendere il campionato 195253 nella squadra del Napoli.
Era l’anno in cui l’armatore
Achille Lauro fece il colpaccio
del secolo pagando ben 170
milioni il centroavanti svedese. Fu il grande giornalista
Gianni Raiff ad annunciare alla
Caravella, nel corso della Festa della Stampa, la presenza in
sala del campione che in quell’epoca fece grande scandalo:
il record degli ingaggi nella
storia del calcio mondiale. 170
milioni!
Da allora il calcio ha preso
il via ai vertici della finanza.
Siamo arrivati ai Maradona ed
al Vieri da 80 miliardi (il quale
al suo debutto si è divertito a
spintonare un arbitro che l’aveva pescato alcune volte in fuori gioco...). Non vogliamo fare
del moralismo. Già ci occupiamo di politica con una certa
severità, mentre almeno il calcio è spettacolo e, qualche volta, divertente anche. La gente
va allo stadio, quindi è segno
che lo spettacolo piace.
È NATA VIRGINIA
È nata Virginia figlia di Alberto Lazzeri e Lidia Cirillo,
entrambi odontoiatri. Avrà certamente il più bel sorriso della
Versilia, sorvegliato amorevolmente dai genitori e soprattutto dal nonno Luigi Cirillo, vecchio e carissimo amico, Magnifico di Versilia Oggi, il nostro
dentista di Querceta.
Auguri a tutti, a cominciare
dalla nonna Maria Pellini e dalla zia Claudia. A Virginia un futuro il più roseo e sereno possibile.
Quello che non si capisce è
il tifoso. Passi per i bambini,
così ingenui da mettersi la maglia di Ronaldo e di Del Piero
od a sventolare le bandiere
rosso-nere, viola o bianconere. Ma il tifoso maggiorenne e vaccinato, come fa a star
sempre dietro alla propria
squadra, che ogni anno cambia giocatori, che vende il
meglio del vivaio, che acquista l’avversario dell’anno prima, che paga miliardi all’allenatore venuto da lontano o che
l’anno precedente ha fatto vincere lo scudetto all’odiata
compagine nemica?
Non lo si capisce. Almeno
noi che siamo sportivi nel vero
senso della parola e che ammiriamo il migliore, il bel gioco
ed il pubblico civile. Non lo si
capisce questo tifoso incallito,
sempre fedele alla stessa squadra, anno per anno, nel bene e
nel male. Come non si capisce
la continua sceneggiata dei calciatori quando segnano un gol.
Ma non è il loro mestiere? Li
pagano fior di miliardi e, quando vanno in rete, sembra abbiano vinto alla lotteria. E tutte
quelle proteste contro gli arbitri ed i segnalinee, che altro non
sono se non il modo per aizzare il pubblico già predisposto
alla violenza appena si avvia
verso lo stadio?
I moralisti che ogni mese deplorano, gli Uomini dalla Lacrima Facile, dovrebbero riflettere. E la Lega punisca i giocatori, anche quelli non espulsi
ma che si vedono alla TV concedersi alla vendetta immediata sul campo. E tolga la dignità
a quelle società il cui pubblico
lancia sul campo petardi, sassi
e bottigliette. Lo sport è la proiezione delle frustrazioni della
società civile. Ridimensionamolo dunque.
ENNIO BAZZICHI: UN CASO CLAMOROSO
NON COSÍ SI SVILUPPA LA MONTAGNA
Caro Giorgio,
ho letto il tuo articolo “Uomini dalla lacrima facile” sul
numero di agosto. Hai ragione.
Conosco bene wwf, verdi, ambientalisti e anticaccia. Se da
una parte, a far danno, sono indifferenza e speculazione selvaggia, dall’altra quelli “dalla
lacrima facile” non sono da
meno, con le loro proposte unilaterali e irrazionali.
La montagna si spopola o, nel
migliore dei casi, serve da dormitorio per chi non trova alloggio al piano. Non c’è lavoro; né
continuo, né stagionale. E, oltre a spopolarsi e date le cifre
riportate non lasciano un filo di
speranza, la montagna viene sistematicamente deturpata.
E pensare, che i “buoni” che
sfruttano il marmo sono arrivati
a dire più o meno così: “Non
seccate con il vostro allarmismo
per lo scempio provocato dalla
nostra santa escavazione.
Quando avremo finito di sfruttare le cave, anche se avremo
distrutto il profilo stesso dei
monti, non c’è problema: lo ricostruiremo...”. Roba da “Mille e una notte”. Ma tanto basta
per lasciare andare in malora
un patrimonio inestimabile.
Niente funivie, niente progetti
di lavoro. Antro del Corchia a
parte nessuna iniziativa turistica, niente agevolazioni per chi
vuole investire per il futuro dei
nostri monti bellissimi (ho letto
il tuo libro “Uomini sulle Apuane”!).
Invece di aiutare chi crede in
un domani migliore per la montagna, si stanga con ogni mezzo. Non solo con l’indifferenza.
Tanto per fare un esempio, rammentiamo cosa è successo e cosa
sta succedendo ad Ennio Bazzichi sopra S. Anna di Stazzema.
Senza entrare nel merito giuridico dell’intervento della
Guardia Forestale o dell’operato della Magistratura, va detto che Bazzichi, a sue spese e
senza nessun incentivo, ha ristrutturato e ampliato alcuni
ruderi. Prima ha fatto una teleferica per portare su, in mancanza di strade, i materiali, poi
ha creato in un terreno di sua
proprietà un complesso abitativo, che poteva diventare anche struttura di accoglienza.
La zona non ha attrattive di
alcun genere. C’è soltanto
l’atroce ricordo della strage nazifascista. Mai è stato fatto
qualcosa di effettivamente concreto per la gente di quelle borgate, eccezion fatta per il Museo della Resistenza e per i Cartelli sull’autostrada a monito
del macabro eccidio.
Il Bazzichi ha subìto pesanti
processi e non gli è stata finora
concessa un’equa sanatoria.
Tutt’altro. La minaccia è addirittura la demolizione di ogni
cosa.
Per la montagna non c’è
nemmeno un barlume di politica culturale. Eppure le Apuane
potrebbero essere lo scenario
favoloso per spettacoli indimenticabili. E si potrebbero portare, nei suggestivi paesi dell’Alta Versilia, premi di letteratura
e di arti figurative, convegni e
dibattiti.
Ma i nemici del turismo e del
benessere sono sempre in agguato. Sono coloro che si aggrappano saldamente alle poltrone della cultura e del potere,
per lasciare le cose come stanno (anche se stanno male!) e si
accaniscono contro chi, in
modo o in altro, vorrebbe fare
qualcosa di buono per tutti.
Coloro che iniziano i lavori
stradali in piena estate e che,
in piena estate, mettono sottosopra città e campagne; coloro
che scioperano nel momento
culminante della stagione, fautori del massimo disagio, del
“tanto peggio, tanto meglio”...
Mi pare però, di avvertire un
certo malumore nei versiliesi.
La proverbiale pigrizia si scuote, qualcosa può cambiare. Non
s’illudano i nemici del benessere, il crescente disagio è foriero di mutamento.
Raffaello Bertoli
Ileana nella tela del ragno Versilia
Ileana Salvatori Romoli ha
pubblicato “La mia Versiliacanti fra le Apuane e il
mare”. Come i nostri lettori
sanno, Ileana non è alla sua
prima opera avendo già dato
alle stampe “Una donna versiliese”, due edizioni di
“Racconti versiliesi” ed
“Esperienze soprannaturali”.
È lei stessa a premettere
che “senza parole la natura
piange, ride, vive. E tu che
passi cammina lieve ché l’orma tua si posi amica”. Anch’essa è rimasta nella spietata trappola della Versilia
nella quale ci si chiude, spesso acriticamente, innamorati
come siamo della zolla dove
siamo nati. Va bene quello
che Chenot ribadiva ad Ileana: se “la vita è una sola e
Dio è la vita”. Ma allora non
dovremmo anche dire, e scrivere, che la Versilia e le creature naturali che la compongono non possono essere
sempre e comunque “la terra
più bella del mondo”? Dio,
se esiste, non può commettere ingiustizie. Ragione per
cui tutto il mondo, essendo
creatura divina, è altrettanto
bello com’è bella la nostra
Versilia.
Ma chi canta la sua zolla, è
vittima del piccolo specchio
nel quale riflette la propria
esistenza, specie quando non
si conoscono altri orizzonti,
altri confini, altri paralleli. Ed
è per questo che Ileana Salvatori Romoli, come tutti noi,
è vittima innocente del versiliesismo che nel cuor ci sta.
Ed ecco l’Altissimo dove
“nasce candido il fiore dei
suoi dirupi e sboccia in infinite varie armonie” ma dove,
pure, “oh sciagurata avidità!
Le montagne sventrate si
sgretolano”. Il bene e il male.
Ecco le Cervaiole “forziere
aperto di diamantina luce”. Se
l’avesse scritto D’Annunzio
questo verso lo avrebbero riletto nelle scuole. E invece
no: è solo il frutto meraviglioso della fantasia di questa
scrittrice nata soltanto al Crociale.
Anche Ileana è rimasta nella tela del ragno. Così il cavatore: “Nell’effimero cangiante sfida ai secoli l’infinito di un uomo e di una montagna”, “ove urlano più forte
i venti, unica eco, tutti i tornanti cupo il grido rimbomba: “Ahò-ahòoo! Lizzaaa!!!”
mentre “su spietate feroci
pendici, cadevano insieme
bestemmie”. Sempre nella
tela del ragno: “L’occhio di
Michelangelo sul fronte, il
fiore dei fiori radiale luce eucaristica dispensa”. Non poteva mancare S. Anna di Stazzema: “Là vive eterna Genny,
indomita eroina degli inermi”.
Ogni verso una lapide. C’è
tutto lo spirito nostro in queste pagine de “La mia Versilia”. Ileana, una di noi. Una
delle tante in mezzo a noi. Un
guizzo, una luce, un lampo
sulla grotta della nostra lunga e tragica istoria.
Novembre 1999 - pag. 6
Tra le 100 mila gavette di ghiaccio una è tornata LA SALOPETTA DI SEBASTIANO
Alcuni mesi fa, un alpino,
Ferdinando Sovran di San Donà
del Piave (Venezia) ha consegnato nelle mani del Sindaco di
Pietrasanta, perché rintracciasse i familiari, una semplice ed
umile gavetta, una delle 100
mila che il Corpo di spedizione
italiano inviò sul fronte russo
dove fu addirittura massacrato.
Su quella gavetta, un nome,
Sacchelli Silvio ed altre incisioni, tra cui il segno di un cappello alpino.
La gavetta, una vera e propria
reliquia, era stata recuperata da
una famiglia russa nel paese di
Rossosoh, in occasione della
costruzione di una scuola che la
grande generosità alpina, anche
a distanza di oltre 50 anni, ha in
quei posti realizzato. Questo
gesto semplice se vogliamo, ma
di grandissimo spessore umano
e civile, ha suscitato in me ricordi e sensazioni.
Era l’anno 1942, avevo nove
anni e per me la guerra era una
sorta di favola o racconto che i
miei familiari la sera, mentre si
consumava la cena, commentavano, evidenziando le notizie che
via via arrivavano. Anche l’arrivo dei militari per qualche breve licenza come Silvio della Stella, Otello della Feli’ o Beppino
Sacchelli e altri, portavano una
sorta di gioioso avvenimento.
In una delle tante mattine del
1942 recandomi a scuola, in
fondo alla discesa, proprio sulla piazza, mi si avvicinò una figura conosciuta, in divisa alpina, con un grande cappello ed
una penna nera. Era Silvio Sacchelli che, finita la breve licenza, ritornava al suo reggimento. Mi prese in braccio e mi salutò guardandomi negli occhi;
poi, velocemente, prese la via
che dal borgo mena alla chiesa,
per raggiungere la stazione di
Querceta. Lo guardai a lungo
fino che non sparì. Solo oggi,
ripensando con emozione a quel
semplice e breve saluto, mi rendo conto che Silvio non avreb-
be più rivisto il suo paese, i suoi
cari, e la gavetta conservata miracolosamente da mani pietose
è l’unico segno di questo generoso figlio strettoiese.
Ricordo nitidamente quel
momento e, riflettendo oggi a
quella immane tragedia che colpì migliaia di giovani vite nelle
fredde steppe russe, penso con
dolore a cosa sia servito il sacrificio della sua vita. Anch’io,
successivamente, ho indossato
la divisa alpina e porto con orgoglio il cappello con la penna
nera, ho svolto il servizio militare in tempo di pace ed a tutt’oggi coltivo questo sentimento, unito alla solidarietà di cui
le nostre associazioni sono promotrici.
È con questo spirito che ringrazio l’alpino Ferdinando Sovran che si è reso disponibile a
portare alla famiglia di Silvio e
nelle mani della sorella Diana e
dei nipoti, questa gavetta che
fece parte delle “100 mila gavette di ghiaccio” con un augurio che simili tragedie non avvengano più e si profilino per
le generazioni presenti e future
serene albe di tranquillità.
Il nome di Silvio Sacchelli
figura anche nel libro “S. Anna,
l’infamia continua” tra i caduti
versiliesi di tutte le guerre.
Carlo Sacchelli
UN MONDO SCOMPARSO TROPPO VELOCEMENTE
Pochissimi in paese si ricorderanno di Arnaldo Cosi e della Norina Lariucci. Le nuove
generazioni incalzano e la polvere si posa sulle onorate tombe. Pochi addirittura avranno
memoria anche di Mario Federigi. Erano rispettivamente i
genitori ed il marito della Maria Antonietta, così, chiamata fin
da bambina con il nomignolo di
“Tetta”, nata al Forte allo scoppio della prima guerra mondiale, nell’anno 1915.
Una famiglia storica. Il vecchio Arnà, nato a Ruosina, fu
per tanti anni il proprietario del
“Lido”, quando il Lido era una
delle attrattive della spiaggia
versiliese. La Norina è stata padrona di bagno e della pensione
che per decenni ha portato il suo
nome. E la “Tetta”, almeno fino
al giorno del suo matrimonio, si
è prodigata a governare le attività gestite dai suoi intraprendenti genitori non senza nascondere una certa passione per la
recitazione. Si ricorda ancora
che la “Tetta” fece parte del circolo filodrammatico (si legga a
proposito il libro “Versilia Era
Fascista” di Giorgio Giannelli)
i cui attori, Giuseppina Nicolai,
Anna Ercolini, Erminio Zontella, Luigi Franceschi, Lionello
Mutti, Narciso Luchetti e Dino
Nicolai, calcarono il palcoscenico del teatro Firenze, famoso
soprattutto perché, agli inizi
degli anni trenta, finì in cenere
in seguito ad uno spaventoso incendio.
Anche il marito Mario Federigi è stato un personaggio di
spicco nella storia del paese.
Disegnatore e scultore, ebbe al
suo attivo opere e monumenti
di rilievo (valga per tutti la fontana di piazza del Plebiscito a
Napoli). Esportò il suo successo all’estero e visse in Colombia, una ventina di anni, avendo aperto laggiù una importante impresa di marmi.
La “Tetta” rappresentava un
mondo scomparso troppo velocemente, serena, dolcissima,
amata da tutti come si è visto in
S. Ermete il giorno dei suoi funerali. Si merita questo ricordino da parte di un giornale che
segue le persone per quello che
sono nel loro intimo e per quello che valgono all’interno della
antica comunità versiliese. Ai
figli Ruggero, Andrea ed Arnaldo rinnoviamo le nostre sincere
condoglianze.
È fallito il concetto dello Stato-Nazione
Abbiamo tutti partecipato con
ansia alla tragedia del popolo
kossovaro. E, subito dopo, agli
eccidi di Timor Est. L’epoca moderna, la filosofia contemporanea, l’intelligenza dell’uomo, la
cultura dell’esperienza vissuta
sulla propria pelle e l’analisi delle vicende storiche passate, non
tollerano più avvenimenti del genere. Tutte le minoranze hanno
pari diritti sotto qualsiasi parallelo o longitudine esse vivano.
Noi siamo per le minoranze,
per la libertà di tutte le etnie, di
tutte le religioni, di tutti gli uomini. Siamo da sempre in difesa
dei diritti umani. Albanesi, serbi, curdi, baschi, còrsi, altoatesini, indiani, gitani o zingari,
credenti e non credenti od anche
indifferenti, comunque diversi,
bianchi, pellerossa, gialli o negri che siano, il loro sangue e la
loro vita valgono esattamente
come quello tedesco, americano,
inglese o italiano.
Ecco perché restiamo di stucco di fronte all’indifferenza delle cosiddette Nazioni Unite di
fronte all’attacco russo ai partigiani del Daghestan. Lo zar Eltsin ha incitato l’esercito di Mosca affermando che “la crisi del
Daghestan è una minaccia all’unità della Russia”. E l’O.N.U.
zitta e... mosca. Ed i non violenti, i pacifisti, le sinistre, i marciatori, gli Uomini dalla Lacrima Facile?
E Ochalan? Terrorista. Ma
non era considerato “terrorista”
anche Sandro Pertini fino all’aprile del 1945? Ma non sono
“terroristi” quelli dell’IRA,
quelli dell’E.F.T.A., o coloro di
tutte le minoranze che sparano
perché non hanno più voglia di
attendere il giorno della liberazione che, magari, non avverrà
mai? Su Ochalan è calato il silenzio. E’ stato condannato a
morte. Ma il governo turco ha
condannato a morte anche decine di migliaia di persone, vittime del più grave terremoto di
questi ultimi tempi. Ha permesso di costruire case, palazzi e
grattaceli con cemento privo di
armatura, fatti di soli mattoni e
di calcina, case che sono crollate come fossero fatte di sabbia.
Anche in Turchia (Nato e Europa) è fallito lo Stato. L’ha riconosciuto persino il ministro Erkan
Muncu che nella sua autocritica
ha detto: “Non è solo la povera
gente, ma anche il sistema politico ed amministrativo ad essere
finito sotto le macerie. Il paese è
troppo complesso e dinamico per
essere governato da Ankara”.
Parole chiare. Chi è il vero “terrorista” allora? Non ci si capisce più nulla.
Ecco Sebastiano (che bel
nome, finalmente!) che il 31
agosto ha compiuto il suo
primo anno. Gli auguri glieli fa la zia materna, Roberta
Vincenti. Vivace e festoso, fa
amicizia con tutti. Complimenti alla mamma Maria
Cristina Bertellotti ed al
babbo Bruno Tommasi, la
prima coppia che ha coronato il suo sogno d’amore dopo
la disastrosa alluvione del 19
giugno 1996 al Cardoso,
dove tuttora risiedono. Sebastiano è il simbolo della ricostruzione e della volontà
della gente di rimanere legata alle proprie indissolubili
radici montanare. Una curiosità: nella foto egli indossa una salopette ritrovata tra
i vecchi straccetti lasciati a
Volegno, indossata 55 anni fa
dallo zio Carlo Migliorini e
cucito a mano dalla zia Luisa. È ancora in buono stato,
nonostante qualche forellino
causato dal tempo...
RISCOPRI LA TÙ PARLATA
Ringraziamo nuovamente la
signora Maria Rosa Giovannetti, nostra attenta lettrice, che
anche in questo numero ha mandato numerosi termini dialettali e proverbi da inserire nella
rubrica.
DIANTINE = vivace.
HA DATTO AL DOLCE =
non è freddo, riferito al tempo
meteoroligico.
IMPOLPI’ = riferito al tempo, quando dal forte freddo la
temperatura si stempera, diventando meno aspra (es: “oggi il
tempo ha ‘mpolpito”).
INGEGNASSI = arrangiarsi.
LULI’ HA DELO STOCCO =
si dice di persona intelligente.
RICOMODATA = fatta in
umido.
TAPINATO = dato da fare.
TICIDO’ = è vero.
VÉNI VÉTI = Vieni a vedere.
VÈNTI SÈDI = Vieni a sedere.
PROVERBI:
FA’ DA QUANTE QUELLO
CHE, PORTATA LA GROCE
‘N PIAZZA, RIVENSE A
CASA CO’ LA SUA = spesso
crediamo i nostri problemi maggiori di quelli degli altri, ma se
potessimo metterli a confronto
probabilmente dovremmo ricrederci.
FA’ PIÛ DANNI CHE ‘L
FIUME A’ PIETRASANTINI =
variazione di “fare più danni che
il fiume ai lucchesi”.
FIN CHE DURA FA’ AVVENTURA = fin che una situazione perdura, tutto di guadagnato.
QUANDO LA COSTA METTE ‘L CAPPELLO, SERAVEZZINI APRITE L’OMBRELLO = la Costa è uno dei
monti che sovrastano Seravezza. Ogni paese ha una variante
propria del proverbio (es: la
Pania per alcuni paesi dello
stazzemese, il Matanna per Pomezzana).
UN PAIO D’ORECCHIE
STACCHINO CENTO LINGUE = ascoltare bene le cose
evita che si verifichino tanti disguidi.
TOPONIMI CHE DERIVANO DA TERMINI DIALETTALI:
Il “tarzo”, o anche “tarso”,
nella parlata versiliese indica il
“quarzo” (G. Cocci, Vocabolario Versiliese, con integrazioni
di S. Belli, p. 134). In passato,
fino alla metà del nostro secolo, era assai ricercato, per cui se
ne faceva raccolta sia nella piana alluvionale di Querceta, sia
nell’Alta Versilia, dove si trovava in abbondanza, specie nella valle del Cardoso. Veniva
usato soprattutto per produrre il
vetro, come documenta V. Santini (Commentarii storici sulla
Versilia Centrale, vol. III, p.
280) riportando gli scritti di vari
altri studiosi, tra cui il Targioni
Tozzetti. Di tale minerale, tuttora presente nel territorio dell’Alta Versilia, rimane testimonianza in alcuni toponimi del
comune di Seravezza, tra cui
TARSO e FOSSO DEL TARSELLO (G. Cocci, op.cit., pp.
180-181).
Lorenzo Marcuccetti
CONSORZIO: CHE FANNO I BALNEARI?
Caro Giorgio,
Ho letto con interesse l’articolo di Luigi Pellizzari apparso
sul tuo giornale di settembre.
Condivido pienamente il suo
pensiero. Purtroppo devo anch’io constatare il completo disinteresse della maggior parte
dei contribuenti che pagano
questo iniquo balzello.
La cosa che stupisce è che
anche le Associazioni di categoria si astengono stranamente
dal prendere iniziative in proposito. Ad esempio, come giustamente avevi esposto su “Versilia Oggi” del luglio 1998, le
Associazioni dei balneari di
Forte dei Marmi, Pietrasanta,
Camaiore e Viareggio che rappresentano oltre 500 stabilimen-
ti balneari dal Cinquale a Torre
del Lago, niente hanno fatto.
Eppure mi sembrerebbe semplice e poco dispendioso che facessero, tutti insieme, un ricorso alla magistratura, che ritengo avrebbe sicuramente esito
positivo.
Speriamo che si sveglino almeno loro, nell’interesse degli
associati. Cordiali saluti
Marcello Mori
LIBRERIA GIANNELLI
LA VERSILIA
RIVENDICA
L’IMPERO
Novembre 1999 - pag. 7
Caro Direttore,
ho letto con estremo interesse, come sempre del resto, il
tuo articoletto laddove porgi
“un caloroso augurio a don Piero” mentre lo solleciti a compiere “alcune opere urgenti”.
Come dire, il bastone e la carota o, meglio, un colpo al cerchio e un colpo alla botte...
Sono d’accordo sugli auguri. Don Piero: è da tre anni al
Forte, si fa ben volere e stimare. Gli auguri e i saluti sono calorosi da parte di tutti, ma proprio da parte di tutti. Va bene
anche la proposta di fare murare la lapide del 1777 in una
posizione visibile a tutti.
Quello che non mi trova
d’accordo è il tuo accenno alla
storia del campanile. Intanto
io non lo chiamerei “il campanile di Polifemo” perché, a
quanto mi risulta, Omero non
lo descrive “orbo” bensì monocolo. Gli orbi o guerci sono
quei poveretti che prima avevano due occhi, poi son rimasti con un occhio solo. Polifemo, no, ha sempre avuto un
occhio solo fin dalla nascita e
su quello ci ha conficcato un
palo Ulisse, come fosse stato
un piolo... Ma a parte i richiami mitologici, occorre precisare il perché le campane del
Forte si trovano sistemate a
quel modo.
Alla fine degli anni 70 (forse
nel 1978), nel tempo di un doppio solenne, il batacchio della
campana che guarda verso la
strada sottostante, cioé via Trento, si staccò dal mozzo e cadde
precipitosamente. La caduta fu
talmente improvvisa e violenta
che il batacchio stesso si conficcò sull’asfalto della strada
come un piolo (ecco l’accenno
alla storia di Polifemo).
Fortuna (o miracolo?) volle
che in quel momento non passasse anima viva per la strada.
Perché, se fosse passato qualcuno, te lo immagini lo “spiccinìo” che sarebbe successo e
le gravissime conseguenze che
sarebbero piovute addosso al
priore monsignor Sabucco.
Cappellano a quell’epoca era
don Roberto Filippini, che subì
un vero proprio choc. Non ti
dico la Valentina: diventa pallida tuttora, quando ne parla.
Le campane furono oggetto di
infinite discussioni e il pensiero era sempre fisso lì. Furono
consultati i tecnici, che intervennero per imbracare e rinforzare le cinghie di sostegno delle campane. Ma la sicurezza
non era al cento per cento. Tanto più che il campanile del Forte non si trova in mezzo alla
campagna, ma proprio al crocicchio di strade sempre transitate e frequentate di giorno e
più la notte.
Finalmente nel 1992, in occasione del 50° della sua Messa, monsignor Sabucco disse:
«In queste ricorrenze si fanno
i regali al parroco, calici, casule, paramenti e doni vari. Io non
voglio nulla. Desidero soltanto che sia risolta, una volta per
sempre, la questione della sicurezza delle campane». Tutti
furono consenzienti e il comitato paesano si dette da fare per
la raccolta dei fondi. Fu interpellata la ditta Scarselli di Firenze, che è fra le prime nell’impianto e nell’elettrificazione campanaria.
Dopo vari studi e progetti si
determinò da parte dei tecnici
che le campane fossero tolte
dalla luce delle finestre (era
NELLA VECCHIA FORTE DEI MARMI CI SONO TROPPE COSE DA RISISTEMARE
DAL CAMPANILE AL MAGAZZINO IL PASSO È BREVE
evidente la preoccupazione
dell’uscita senza ostacoli) e
fossero sistemate, senza abbassarle dalla posizione originaria,
contro gli angoli, in linea diagonale: in modo che se, per disgrazia, si fosse staccato il batacchio, questo sarebbe andato
a cadere contro l’angolo dentro il perimetro della cella campanaria.
Fu eseguito il lavoro a regola d’arte con il contributo generoso della gente, perché la
spesa si rivelò molto ma molto
ingente. Le campane “non”
sono state abbassate ma semplicemente (oddio, non tanto
semplicemente!) collocate in
diagonale contro l’angolo del
campanile, per cui effettivamente non si vedono, questo sì,
ma si sentono, e come se si sentono! Basta ascoltarle per la
festa di S. Ermete, che attira
tanti villeggianti, estasiati dal
suono cristallino e inconfondibile di quelle campane.
Tanto volevo dirti, per dovere di cronaca, e a onor del vero,
che io ho saputo da fonte autorevole, perché da 43 anni bàzzico il Forte e, quindi, qualcosa della città, degli abitanti,
della chiesa devo pur saperla
per via diretta e non per sentito dire! Ciò non toglie la mia
stima e il mio personale apprezzamento per il tuo mestiere di giornalista, che sai fare
con molto gusto e valentìa e
soprattutto perché sai farti leggere in ogni tuo intervento (anche questo!).
Coi più cari saluti.
detta “Radio prete”), l’intero
Magazzino (trasformato in tre
appartamenti) è di proprietà
dell’Istituto per il sostentamento del clero della Diocesi di
Pisa. È qui che sorgono i problemi.
Non so se monsignor Armani sia ancora il capo dell’amministrazione dell’Istituto per
il sostentamento del clero della Diocesi di Pisa. Fatto sta
che il 2 febbraio 1996 (sono
passati ormai più di tre anni e
mezzo) lo era, e che quel giorno prese l’appuntamento con
il notaio Emilio Maccheroni di
Pietrasanta per la vendita di
un appartamento ricavato dallo storico Magazzino del Ferro (1618) il più vecchio edificio dell’odierna Forte dei
Marmi.
Incaricati dell’affare erano
l’architetto Giusti di Pisa e
l’Agenzia Casamare Immobiliare del Forte. L’acquirente e
monsignor Armani vennero
convocati per quel 2 febbraio
alle ore 17. Dopo un’ora di attesa si seppe che l’Istituto per
il sostentamento del clero della Diocesi di Pisa avrebbe disatteso un impegno che era
stato chiaramente concordato
e stilato per scritto da entram-
be le parti con un regolare ed
inequivocabile compromesso.
Erano stati chiaramente indicati i termini dell’accordo, la
somma di caparra stabilita ed
il prezzo finale. Non ci sarebbe stata possibilità di evasione fiscale da parte di entrambe le parti, in quanto la vendita dell’immobile era sottoposta all’autorizzazione o prelazione da parte del Ministero competente al controllo dei
beni considerati di carattere
storico-culturale. Lo ripeto,
l’antico Magazzino del ferro
successivamente passato in
proprietà alla Diocesi di Pisa,
è datato 1618 e su di esso è
stato ripristinato lo stemma
della famiglia granducale dei
Medici.
Ora ognuno è padrone di
vendere le sue proprietà a chi
gli pare; e così deve aver pensato e fatto anche il potentissimo monsignor Armani. Ed
ognuno è padrone di comportarsi come meglio gli aggrada: promettere, trattare, dare
un appuntamento, mancare
alla parola data, non presentare neppure le scuse alla signora che attese invano
un’ora dal notaio Maccheroni nello studio posto sulla via
Aurelia al Ponterosso di Pietrasanta.
Maleducazione a parte, sarebbe oggi interessante conoscere il prezzo di vendita dell’appartamento dato che, dopo
più di tre anni e mezzo, sembra (sottolineiamo la parola
sembra) che quell’affare mancato allora sia stato concluso
di recente con altro acquirente.
Al prezzo di vendita sono
collegate almeno due cose: la
prima è che dopo tre anni il costo di una proprietà così prestigiosa dovrebbe essere notevolmente aumentato. È vero
che ognuno, Chiesa compresa,
è tenuto a farsi gli affari suoi,
ma il povero clero, così tanto
bistrattato, avrebbe il diritto di
sapere se i suoi amministratori, di manica stretta, agiscono
coerentemente con le leggi del
mercato.
La seconda cosa è di carattere fiscale: sapere almeno se
dal 1996 ad oggi sono cambiate le leggi in modo tale che la
quota spettante allo Stato sia
stata nel frattempo diminuita o
meno. È un problema. Essendo l’autore della Bibbia del
Forte dei Marmi, sono molto
interessato a conoscere i particolari dell’operazione. Ed a
pubblicare eventuali doverose
precisazioni.
Sottratto a Pomezzana un gioiello del 1490
Quest’inverno, mentre facevo un servizio televisivo a Pomezzana per il rotocalco settimanale “Versiliaset”, nella
chiesa del paese, mi fu presentato un fac-simile d’un opera
anticamente esistente nella
chiesa, e cioè l’Ancona di Pomezzana. Ricordavo di averla
vista alla Mostra sulla Versilia
Medicea nel Palazzo di Seravezza. Mi fu detto che apparteneva ad un pittore del Quattrocento, Bernardino del Castelletto, e che attualmente si
trova presso la Pinacoteca di
Villa Guinigi.
Chiesi subito il perché, e mi
fu risposto che era stata imprestata a tale Pinacoteca quando
fu rifatta la chiesa che era stata
danneggiata da un terremoto
(del quale si riconoscono ancor
oggi le tracce nel campanile,
che, se osservate, è leggermente inclinato) e mai più restituita. Insomma, come la biblioteca d’Alessandria, che chiese a
quella d’Atene d’avere gli originali delle opere di Omero per
copiarle, e mai più gliele restituì.
Si sa pochissimo del pittore,
se non che era di probabile origine lombarda, e che da un documento del 1481 apprendiamo
“stabilì la dimora in Massa [...]
e vi finì i giorni”. Questa sua
opera è importantissima perché
sappiamo essere l’unica firmata e datata dall’autore Bernardinus de Casteleto, Massae,
Pinxit, A.D.M. MCCCCLXXXX.
E dico “era” perché la parte inferiore dell’Ancona fu in tempi
più recenti tagliata, scempio dei
“restauratori” d’allora.
Si tratta di una Madonna attorniata dai Patroni di Pomezzana SS. Pietro e Sisto, di tratto lippiano, che ha il Bambin
Gesù in piedi sulla sua gamba
sinistra. La Madonna siede su
un tipico trono marmoreo di
gusto gotico (l’autore evidentemente conosceva bene il marmo, visto che ne imita le venature), così come gotici sono
i due angioletti, che ricordano
la pittura fiamminga. Ma l’ispirazione gotica finisce qui, perché ci sono moltissimi elementi
già rinascimentali: non più le
colonnine gotiche dorate tra
Madonna e Santi, non il fondo
dorato, anzi, un paesaggio prospettico che cattura subito l’attenzione.
E ci sono delle montagne sullo sfondo di color celestino,
come quelle di molte opere del
grande Leonardo da Vinci, che
rappresentano le Alpi Apuane:
tra S. Pietro (riconoscibile dalle chiavi papali) e l’Angelo si
scorge il Monte Forato, mentre
dietro S. Sisto (quello col Triregno in capo) si osservano del-
le creste di monte tipiche delle
Apuane. I due Santi sono all’esterno di un tendaggio di
broccato rosso-nero (che è anche una “firma” del pittore,
comparendo anche in un’altra
sua opera). Completa l’Ancona
un’interessante lunetta raffigurante Dio benedicente con una
sfera di cristallo sulla mano sinistra e che ne riflette l’immagine deformata dal vetro, con un
effetto piuttosto realistico (pure
questa è una “firma” dell’autore). Altro effetto di sicuro gusto
è il tappeto ai piedi della Madonna, che riprende lo stesso
motivo coloristico delle strisce
del Trono, dietro le sue spalle,
e che ha quella sensazione di
stoffa nei colori leggermente
mossi.
Questi elementi ricordano
l’arte della tessitura, oggi scomparsa e che anche nel ‘400 era
un vanto di tutta l’economia
versiliese (e anche di Pomezzana). Chiedo a tutti i versiliesi se
ci si può interessare di questa
Ancona, visto che raffigura le
Apuane col Monte Forato, e che
non ha senso che stia a Lucca
in un contesto completamente
avulso. Sarebbe un vanto riappropriarsi d’un Opera così importante, e spero che qualcuno
raccolga questo mio invito. Il
Giubileo è ormai alle porte!
CON IL GIUBILEO STANNO UCCIDENDO VENEZIA
vigile, un carabiniere o un poliziotto. Ognuno faceva i propri
comodi dove e come voleva, tanto che con mia moglie abbiamo
deciso di rientrare a casa a Spinea con l’angoscia nel cuore.
Per poter tornare abbiamo atteso più di un’ora per imbarcarci su di un vaporetto. Io a Venezia ci sono vissuto quasi quarantanni, mai ho assistito a cose del
genere. Due Coca-Cole trentamila lire. Ciao Venezia. Caro
Giorgio nell’ultima Versilia Oggi
tu mi hai appioppato l’appellativo di versiliese doc, del che ti ringrazio. Un affettuoso saluto.
Oscar Perich
Caro don Oscar, intanto grazie delle parole di incoraggiamento. Si può essere nati anche modesti, ma quando giungono riconoscimenti da certi
pulpiti, un pizzico d’orgoglio
vien sempre fuori.
Polifemo o no, il campanile
del Forte, resterà ancora Polifemo? L’evento che ci racconta è del tutto inedito; e capisco
solo adesso come e perché siano state nascoste le storiche
campane (vedi Bibbia del Forte dei Marmi alle pagg. 145 e
segg.).
Mi incoraggia anche il suo
benestare alla proposta di murare in modo più visibile la lapide del 1777, attualmente collocata (ed anch’essa nascosta)
sulla porta della cappellina di
fianco all’antico Magazzino
del Ferro della Magona. Ma
anche qui non toglieremo il
ragno dal buco.
Infatti, come lei saprà, mentre la cappellina è di proprietà
della Parrocchia del Forte
(tant’é vero che ne ha fatta la
sede di Radio Forte dei Marmi
Caro Giorgio,
sono molto dispiaciuto per
non aver potuto esaudire il tuo
desiderio di trovarti un alloggio
in Laguna e ancor più avermi
tolto la soddisfazione di passare qualche ora in tua compagnia.
Purtroppo con la storia del Giubileo Venezia è così a prescindere dall’esosità dei costi astronomici che già da tempo vengono praticati in ogni settore.
Con l’aiuto di un cugino che
abita a Venezia e di una mia nipote che vi lavora, sono state fatte molteplici ricerche, ad inizia-
re da alberghi a due stelle la cui
pretesa, se avessero avuto possibilità di avere stanze libere,
variava intorno le 400.000 lire a
notte per una matrimoniale. Non
parliamo poi dei tre stelle, intorno le 600.000 lire a notte.
Comunque Venezia non ha
disponibilità di alloggio quanto
meno fino a dopo il 2000. Inoltre, senza impegno, una nipote
di un nostro parente impiegata
in un’agenzia turistica sta interessandosi al caso, con poche
speranze di poter trovare qualcosa. Ci è stato detto di non far-
ci illusioni.
Giorni fa, sia il tempo che la
salute ci hanno fatto il dono di
poter tornare a Venezia limitandoci a piazza San Marco e dintorni e devi credermi che mi sembrava di essere tornato all’epoca dei famosi treni popolari organizzati dal vecchio regime che
scaricava migliaia di turisti nostrani con al seguito sporte e
sportine con le provviste di viveri per la giornata, lasciando
cumuli di immondizie in ogni
luogo. Quei tempi li abbiamo rivissuti oggi: uno sconcio, non un
Giulio Galleni
Carlo Ricci
Novembre 1999 - pag. 8
– O magliale, ti scaccoli?
– No! Ciò un furoncoletto!
– Noo, ciai una caccola s’un
dito!
– È tera!
– Si gioca a’palline? Dai, giochiemo, te fa la buca e io segno
il passo.
– Oh, ti chiama tu ma’!
– Che c’è o ma’, un lo vedi
che ciò da fà.
– Fà un salto a pigliammi un
fiasco d’olio da tu pa’ al frantoio.
– Oh, vengo anch’io!
– Andiemo, così ti faccio
vedè la parte di frantoio c’un hai
visto l’altro giorno.
– Per forza, è colpa degli operai che ciàno fatto ’nbriacà.
– Spetta che mi fo’ da’ il fiasco, po’ si va’.
– O Ma’! Tirimi il fiasco!
– O citrullo, venlo a piglia’
che si rompe.
– Oté, lo pigli il girello?
– No! Che c’è da passa’ dalo
stradone.
– E allora piglia lo strombolino che si tira du’ sassate a quel
cane che ci rompe sempre le
scatole.
– Tanto che si passa di lì, si
sona il campanello a Piferone?
Arrivati da Piferone, suonano e scappano.
– Si? chi è? S’affaccia alla
Com’é bòna la fett’unta!
finestra e non vede nessuno
– Saranno stati que’ du’ ragazzi, ma deno scappati. Mah, tutti
i giorni mi suonano il campanello. E chiude la finestra, borbottando.
Un po’ più innanzi.
– Rospa miseria oh, guarda là
he!
– Che dici l’avro’ vista: dice
mi’ ma’ che è un tegame.
– E che vol’ di’?
– Só una potta io.
– Anco, anco mi’ ma’ quando
quistiona co’ mi’ pa’ gli dice –
Vorresti che fossi come il tegame dela tu sorella, che la dà
anco a’ neri.
– O quando si rivene dal frantoio si passa dala tu’ zia e le si
domanda che vol dì tegame.
– Toh! Riecco quel rompi scatole del cane, ’spetta che gli tiro
’na sassata
– Umh. L’hai bell’e preso,
quando vede lo strombolino
scappa che ’un gli par vero.
Arrivati al frantoio. – O Babbo, piglio ’n fiasco d’olio per la
mamma. Oh intanto veni, ti faccio vede’ i tini pieni d’olio.
– Rospa miseria, otio quanto
olio, è tutto tuo?
– Noe, è de’ clienti che lo lascino lì, po’ venghino d’estate
a pigliallo quando è stiarito e il
fondo lo lassino a mi’ pa’.
– E tu’ pa’ che ci fa’ con tutto
quel fondo lìe?
– Ci s’impolpisce i duroni su’
piedi. Veni si va a vede’ il rotone.
– Che è il rotone?
– E’ una rota grossa fatta a
scalini di legno, le “pale”. Sopre ci va l’acqua dela gora che
la fa gira’ pe’ mezzo d’ingranaggi di legno e fa andare la macina drento al frantoio.
– Vada ganza e che casino che
fa!
– ’Ndela stanza di là c’è un
volantino che fa aprire e chiudere la cateratta sulla gora e secondo da che parte si gira il rotone, parte o si ferma.
– E te come fai a sapello?
– E capirai, a volte lo apro o
lo chiudo anch’io.
– Mah! ‘n ci credo.
– E che ci vole, veni che appena dèno macinate l’olive ti
faccio prova’ anco te.
– Oh l’han’ misse drento la
macina ora e ci vole un bel po’.
Lo voi assaggia’ l’olio?
“LA FINESTRA SUL FIUME”
L’autore appare sempre rispettoso dei ruoli: non gli compete quello dello storico. Egli
vede la fine della guerra e il
momento della ripresa solo attraverso i sentimenti, le sensazioni della sua gente.
Questi racconti, oltre a coprire l’arco dell’esistenza dello
scrittore, costituiscono un efficace spaccato di vita dei tempi in
cui egli visse. Vi si possono, infatti, rintracciare numerosi spunti
di carattere sociale, politico, economico, culturale, ecologico...
Un’ultima osservazione riguardo al linguaggio: Salvatori sa aderire a quello dei suoi personaggi.
Ne scaturisce una lingua viva,
nella quale compaiono parecchi
termini dialettali, però senza strafare, senza abbondare di voci del
vernacolo versiliese. Si tratta di
un sapiente dosaggio linguistico
che non stufa, anzi vivacizza e
rende piacevole la lettura.
Aggiungerei che le parti sono
ben armonizzate tra di loro e fanno sì che la struttura del volume
risulti unitaria ed organica.
Insomma racconti piacevoli,
di facile accesso, che rilassano
la mente e rasserenano lo spirito, attraverso la rievocazione di
un tempo e di un mondo che
sono ormai scomparsi, ma che
dicono ancora molto al cuore di
chi, come me, da ragazzo ha
vissuto e sentito raccontare storie affascinanti, come quelle
della “finestra sul fiume”.
Del professore Romeo Baccetti, docente del collegio
“Alla Querce” di Firenze pubblichiamo:
Mario Salvatori: una scoperta
attraverso i racconti de “La finestra sul fiume”. Bei racconti,
che fanno dell’autore un cantore appassionato della sua terra.
Un primo dato che risalta dalla lettura è l’estrema varietà delle figure. Ce n’è di tutti i tipi:
uomini e donne colti dalla penna dello scrittore in situazioni e
atteggiamenti differenti, ma tutti
accomunati dalla durezza della
vita. Ci sono lavoratori e vagabondi, assennati e matti, realisti e sognatori; tutti personaggi
semplici, “umili” che lottano
giorno per giorno.
Salvatori, rifuggendo da ogni
complicazione intellettualistica,
usa un linguaggio semplice,
schietto; chiama le cose con il
loro nome autentico; le persone
con i nomi di battesimo o, più
spesso, con i loro soprannomi.
Una curiosità: il senso attraverso il quale l’autore entra immediatamente in contatto con la
sua terra è l’olfatto: quanti odori e sapori ricorrono nei suoi racconti! Quello delle anguille in
umido, del buon legno, delle resine della macchia, del mare,
della terra aperta, dei buoi affaticati, del ribes... Qualche volta
sembrano emanare odori anche
concetti astratti, come la miseria! Quanti profumi! Come
quello intenso dei prugnoli!
Appare evidente che attraverso le storie di questo volume si
snoda tutta la vita di Mario Salvatori. Egli non compare mai in
prima persona, ma la sua presenza è ben visibile all’interno
delle varie situazioni, dietro i
personaggi descritti.
Romeo Baccetti
– Si! Mi piacerebbe su una
fietta di pane col sale!
– Oh, lo chiedo a Marino che
cià del suo di grano fatto in casa.
Sentissi come è bono.
– Rospa miseria, mi fai venì
l’acquolina.
– M’hai a di’ quando un’hai
fame.
– Marino! Ce le dai du’ fiette
di pane del tuo che le vogliemo
unge.
– Tene’, fatile abbrustoli’ sul
foco, po’ le ungete e con un bicchiere di vino éno la fine del
mondo.
– La fine del mondo me la fa
vede’ mi’ ma’ se ribevo il vino.
Ha ditto che le basta mi’ pa’
briaco la sera, un’occorre che
m’imbriachi anch’io...
– Oh, oh! Sta attento che strinino!
– Noe, un ti preoccupa’. Le
giro, po’ eno pronte. Tò, senti
qua come dèno bone.
– Ora mi scola l’olio da tutte
le parte.
– E lecchilo, con quelo lí la
sbornia ’u si ci piglia; e mangilo piano che ’n te lo leva nimo.
– Ora andiemo che è quasi
buglio. Dispiace insino lassa’
questo foco, pensa’ fori com’è
freddo; oh pa’ si va via.
Antonio Bandelloni
Babbo: cos’é
la politica?
L’amico Armando Baldoni
ci passa il seguente volantino.
Un bambino torna a casa e
dice al padre: – oggi a scuola
mi hanno fatto un test. Cos’è la
politica? Io non ho saputo rispondere me lo spieghi babbo?
– Caro figliolo ti faccio un
esempio. Io lavoro e porto i soldi a casa. La mamma amministra il mio guadagno e cura la
casa, quindi rappresenta il governo.
Tu sei il figlio maggiore del
quale ci dobbiamo preoccupare e quindi rappresenti il popolo.
La tua sorellina, che è ancora piccola, rappresenta il futuro del paese.
Di notte, il figlio svegliato dal
pianto della sorellina che dorme vicino a lui, si alza cercando di calmarla e vede che ha il
pannolino slacciato ed è piena
di cacca fino al collo. Va in camera da letto dei genitori per
chiamare la mamma, ma questa dorme profondamente e non
sente. Il padre non c’è.
Ritorna in camera sua a riflettere che cos’è la politica.
1) Il governo dorme.
2) Il popolo nessuno lo ascolta.
3) Il futuro del paese è pieno
di merda fino al collo.
LIBRI VERSILIESI
IL COLORE
DEI RICORDI
di Alfreda Galleni Cecconi
Alfreda Galleni Cecconi ha
scritto spesso per Versilia Oggi,
ed i suoi racconti, ricordi e quadretti sono ora raccolti in un libro “Il colore dei ricordi”, appunto, la cui curatrice –guarda
caso- si è dimenticata di citare
sia pur di sfuggita il nostro piccolo giornale.
La presentazione è avvenuta
al fresco, sulla via Romana a
Strettoia, tra gli olivi e la vigna
di casa. Moltissimi gli amici e
le casalinghe abbonate e Magnifiche di Versilia Oggi che il nostro Direttore, invitato, ha rivisto e potuto salutare. Ottimi i
bocconcini e il vino, amorevolmente preparati dai vicinanti.
Sapiente la regia dei figli Sandro e Luana che hanno voluto
onorare la loro inimitabile capofamiglia.
“Il colore dei ricordi” riguarda una generazione che ha dato
tutto e si appresta a lasciare la
propria testimonianza, preziosa,
a coloro che vivranno il duemila.
Alfreda parte dalla nonna, la
matriarca che ammoniva: “non
rimandare a domani quello che
puoi fare oggi”, dalla zia Ginè,
poliomielitica, ma tenace ed instancabile anche nel campo od
alle prese con la mucca Stellina. Parte dalla trebbiatura, quando nel cielo si levava alta la polvere d’oro del grano, dal tempo
in cui nei campi c’erano soltanto reparti bellici ed era ormai pericoloso ed improduttivo tenerli al meglio.
La “vecchia signora” è del
1926, come chi scrive queste
note. Il suo fidanzato, Mauro, poi
diventato il suo amatissimo marito, era partigiano. E’ il filo conduttore del racconto di Alfreda:
gli sfollamenti, la fame, le angosce, la fuga, i bombardamenti, gli
eccidi. “Eravamo a Ripa al pattinaggio quel 18 maggio dell’Ascensione quando sentimmo
aeroplani volare bassi vicino al
paese, poi un gran botto. Ci guardammo in faccia spaventati. Al
gran botto seguì il silenzio. Tornando al paese sapemmo che gli
aerei alleati avevano lanciato
delle bombe per colpire la ferrovia, mancandola”.
Per la generazione di Alfreda
il 19 settembre del ’44 è stato il
più bel giorno della vita perché
fu il giorno della liberazione dal
tedesco invasore. Fu il giorno
chiave per riprendere una esistenza degna di questo nome,
per aspirare al benessere, per
capire il vero senso della libertà.
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DELLA VERSILIA
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n° 398 Novembre 1999