Anno 34 n. 398 - Novembre 1999 - Lire 2000 Novembre 1999 - pag. 1 C’è una sola Versilia: quella bagnata dallo stesso ed unico Fiume Direzione: Casella Postale 94 - 55046 Querceta (Lucca) - Sped. in a. p. - 45% - art. 2 comma 20/b legge 662/96 - Filiale di Lucca - Abb. annuo lire 20.000 - Estero il doppio. CI SONO DUE ITALIE, SPAVENTOSE ENTRAMBE! PENSIONI DA OLTRE 1 MILIONE AL GIORNO L’ESEMPIO DI CAMPANICE Fare da soli Chi l’avrebbe detto, appena due o tre anni fa, girando per l’alpeggio abbandonato di Campanice e osservando la chiesina in stato di avanzato degrado, che oggi, alle soglie del terzo millennio, ci saremmo trovati di fronte ad un tale lavoro di ristrutturazione. Nessun Ente e nessuna struttura pubblica si erano mossi ed ogni possibilità di rifacimento languiva, nello stile di quelle “pietre dimenticate” del calendario prodotto dalla Comunità Montana. Poi, come nelle favole, un gruppo di terrinchesi ha deciso di riunirsi in Comitato e, raccogliendo fondi e utilizzando solo volontariato, si è dato da fare per mesi, coinvolgendo il paese verso quella che, inizialmente, doveva essere una semplice sistemazione del tetto. In un’epoca in cui tutto si muove solo su finanziamenti pubblici, hanno tirato avanti per un’intera estate, tralasciando la loro sfera privata e trascorrendo settimane sull’Alpe di Campanice. Migliaia di ore di volontariato, svolte a turno a seconda del tempo libero di ciascuno. Un’impresa titanica, quasi eroica, in mondo di antieroi come il nostro. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: una chiesina rimessa a nuovo, si fa per dire, visto che la ristrutturazione non solo ha rispettato l’antico assetto dell’edificio esaltandone i caratteri rustici, ma si è fatta carico persino di restituirne la copertura a quelle piastre di lavagna in parte sostituite, negli ultimi decenni, da tegoli. Un vero capolavoro. Ognuno ha contribuito per apporre il proprio personale mattoncino a questa opera dal sapore antico, quando nei comunelli ogni impresa era consacrata al popolo e dal popolo, come quella volta che i terrinchesi, alla fine dell’Ottocento, si mossero in massa per l’erezione della nuova chiesa, facendo un’unica fila da Cansoli fino al paese, lungo la mulattiera, e passandosi il materiale per l’edificazione di mano in mano. Tutto ciò viene stigmatizzato e lasciato alla storia sul recente libro “San Giovanni Battista in Campanice, storia di un alpeggio, diario di una ristrutturazione” di Lorenzo Marcuccetti e di Roberto Bazzichi. Affinché quanto è stato fatto rimanga come esempio, a dimostrare che anche la montagna, lavorando nel modo giusto, può essere valorizzata e salvaguardata nel suo passato e nella sua dignità. Que(Continua a pag. 2) Che dire dopo le rivelazioni dell’Espresso sulle pensioni d’oro dei nostri politici e dei dirigenti del parastato o delle banche? La risposta è che la campagna di Versilia Oggi è stata finalmente coronata dalle prove. Sono venuti fuori i primi nomi. Altri ne verranno fuori: li attendiamo con curiosità. Intanto chiediamo scusa al segretario generale della Presidenza della repubblica dott. Gaetano Gifuni, perché, di fronte ad altri, lui è proprio un... poveraccio. Guadagna, tra pensione e stipendio attuale, solo 1.433.333 mila lire al giorno, pari a 180.416 lire l’ora, se è una persona normale che lavora 8 ore al giorno. Certo, direte, ci sono dei medici specialisti che, per una visita di mezz’ora, si mettono in saccoccia dalle tre alle cinquecento ed oltre mila lire. E va bene, è la legge del mercato: se non vuoi crepare ti devi rivolgere a loro, anche se qualche volta non ci azzeccano, come dice Di Pietro. Ma questi politici e questi dirigenti, comunistoidi o cattolici che siano, comunque ammanicati bene, come fai a lasciarli perdere? Ciampi, per esempio. Solo di pensione (stipendio di Presidente della Repubblica a parte) incassa ogni giorno 2.335.405 lire. Più lo stipendio. Una pacchia, beati i suoi nipoti! Più di lui arriva un tale che si chiama Eugenio Coppola di Canzano, che si è interessato tutta la vita di Assicurazioni, a quota 3.029.614 di lire di pensione al giorno. Terzo in classifica il bancario Leone Sibani: 2.096.140 lire. Quarto un altro (Continua a pag. 2) Ed a mia moglie cieca nulla Caro Direttore, ho letto. Sono spaventato di ciò che è stato scritto sulle pensioni d’oro della nostra classe dirigente. Dico spaventato. I loro privilegi sono la dimostrazione del basso livello di coloro che hanno legiferato in questo paese, Ripeto: spaventato, e ti racconto il perché uso questa tremenda parola. Mia moglie è diventata cieca. Verso di essa non è scattata la solidarieta di coloro che sovrintendono alla cosiddetta “socialità” né tanpoco quella degli Uomini dalla Lacrima Facile, come li chiami tu. Siamo rimasti soli io e lei, e siamo due persone anziane. Non ci vede per niente, non riesce neppure a fare il numero del telefono e debbo starle vicino dalla mattina alla sera. Non posso uscire di casa perché se ALLA RIPRESA DI UNA MANIFESTAZIONE BENEMERITA Strettoia ha esaltato il secolo da dimenticare Strettoia ci ha richiamati all’appello dopo qualche anno di latitanza. Le sue manifestazioni alla vigilia della vendemmia hanno sempre trovato largo spazio nel nostro cuore. Il ricordo di Beppe Venturini, la saggezza, l’eleganza e l’accoglienza di quella gente, ci ha riportati sul posto pieni di speranza. Doveva essere la ricostruzione di “Un secolo da rivedere”. Meglio sarebbe stato celebrare “Un secolo da dimenticare”. Si è trattato così dell’esaltazione, con bolsa retorica e con toni patriottardi, di avvenimenti nazionali che sarebbe l’ora di rinnegare. Tutti, nessuno escluso. Abbiamo rivisto bandiere e personaggi che di storico per fortuna hanno soltanto le cupi ragnatele deposte sulle loro tombe. Se non ci fossero stati i vivacissimi protagonisti popolari strettoiesi (applausi ancora una volta alla intramontabile Dora Iacomini), se non ci fosse stata la bravura eccelsa di questi attori, l’ottima organizzazione, la partecipazione del pubblico e la giornata solare, avremmo fatto meglio a rimanere a casa. Costumi militari, divise, inni, automezzi tanti. Persino la sfilata delle macchine d’epoca, causa di tutti i guai di questi ultimi cento anni: l’esibizione di ricchezza, l’emulazione, l’inquinamento, l’invivibilità di paesi e città, gli esodi stagionali, le migliaia di vite umane andate perdute. La fine della solidarietà: ognun per conto suo. I treni vuoti e lo Stato che privilegia il mezzo privato e l’individualismo. Solo qualche attimo di poesia, magari quando è apparsa a bordo della carrozza la signora più anziana di Strettoia in compagnia dell’ultimo bambino nato in questi ultimi tempi nella borgata, accolti finalmente dalla gente con un fragoroso applauso liberatorio. Strettoia ha dato e può dare di più. Speriamo da subito, con la prossima edizione del 2000. Ha la capacità di farlo, ha attori e soprattutto attrici di tutte le età, anche bellissime. Ha tanti giovani e ragazzi desiderosi di scendere in piazza e cantare, ballare, rallegrando chi esce di casa per trovare conforto alle pene quotidiane. C’è già la televisione, caro Ezio, ad uccidere i nostri sentimenti, ad avvilire le nostre serate. Musiche e canti. Era solo lì che si doveva incentrare la manifestazione. E soprattutto era Strettoia che doveva venir fuori. Si è rivista invece la brutta Italia da dimenticare. Le guerre, le sopraffazioni, i nazionalismi, le dittature. Cosa c’è da “rivedere” in questo cumulo di immondizie? Strettoia ha vissuto questi cento anni di vita propria. Si è autoemancipata a costo di risparmi e di duri sacrifici, si è ripopolata, è diventata più bella. Ci fu il crollo del ’44, con la distruzione e la Linea Gotica. È vero, ma quale la causa? La risposta stava proprio in quei balordi vestiti di nero e descritti, ahinoi, con provocatorio “buonismo”, a tutela di un malinteso ordine pubblico. La storia dovrebbe insegnare a farla finita con le ripetizioni dozzinali. Se è stato un secolo tutto da dimenticare, da “rivedere” c’è solo la manifestazione di domenica 12 settembre. Le capacità insite nella buona volontà e nello spirito di iniziativa degli strettoiesi ci sono tutte. Li attendiamo fiduciosi alla prova dei prossimi anni. Forza Paolo! ABBONAMENTI: ULTIMA CHIAMATA PRIMA DEL 2000 È l’ultima chiamata del Novecento: in questo numero c’è il fatidico bollettino postale per rinnovare l’abbonamento per l’anno 1999. A gennaio scrivemmo che alla fine dell’anno avremmo deciso se proseguire o meno la nostra attività. Parole chiare, solo in parte andate a segno. Per il resto, come al solito, le nostre sono prediche inutili, almeno per 250 amici tuttora morosi. L’anno scorso chiudemmo con 488 “evasori”: ne abbiamo recuperati 238, ma la risposta alle chiamate (questa è la quarta!) non è stata certo quella che ci attendevamo. Eppure ci giungono elogi sperticati, complimenti addirittura, inviti a resistere, appelli a non scoraggiarci. In particolare ce lo dicono i raddoppiatori, quelli che ci mandano quaranta, cinquanta e persino centomila lire. Se non ci fossero loro...addio Kira, come si diceva una volta. Riproviamoci con questo numero che porta la data del Novembre 1999. Il prossimo sarà la prova finale per tutti, coloro che rinnoveranno l’abbonamento per l’anno 2000. L’Alda Giannini ci ha già pen- sato per conto suo, inviando il suo contributo per i dodici mesi del prossimo anno. Un vero e proprio primato: è già entrata, da sola, nel 2000. Grazie Alda! Ringraziamo intanto anche i nuovi raddoppiatori e sostenitori di queste ultime settimane: Carlo Stellati, Aleardo Filié, Giovanna Oriente, Isabella Pocai, Franco Burroni, Gianluca Brozzi, Lello Burroni, Roberta Vincenti Migliorini, Renato Bonuccelli, Danilo D’Angiolo, Giuliana Quarisa Magistrelli, Loris Marcucci. succede qualche cosa lei non saprebbe dove mettere le mani e, come ti ho detto, non saprebbe chiamare aiuto neppure col telefono. E’chiaro che non esce più, neppure per andare a fare la spesa. E, se val dal medico o in farmacia, sono sempre io che la devo accompagnare. Da molti mesi avevamo fatto domanda per avere una pensione di invalidità ed io stesso l’ho accompagnata alla visita di controllo all’ambulatorio dalla cosiddetta USL 12 di Viareggio. In questi giorni è giunto il risultato. Te lo trascrivo. “Ultrassessantenne invalida per difficoltà presistenti a svolgere compiti e funzioni proprie dell’età. Condizione medio grave dal 67 al 99 per cento”. Mi sono reso subito conto che mia moglie non avrà diritto alla pensione che si ottiene solo con la qualifica “Grave, pari al 100 per cento di invalidità”. Le hanno dato il 99. Per un punto Martin perse la cappa. Siamo andati a Pietrasanta alla sede del patronato INAS. Non c’è niente da fare: le condizioni per ottenere il 100 per cento –ci hanno detto– sono quattro: 1) L’invalida non deve essere in grado di mangiare da sola; 2) L’invalida non deve essere in grado di vestirsi da sola; 3) L’invalida non deve essere in grado di andare in bagno da sola; 4) L’invalida non deve essere in grado di intendere e di volere. Una invalidità spaventosa. Mia moglie, per fortuna, è ancora in grado di mangiare, ve- IN LIBRERIA: UOMINI SULLE APUANE di Giorgio Giannelli Edizioni Pegaso stirsi ed andare in bagno da sola. Ed ha ancora la mente a posto, anche se è assalita dalla depressione di sentirsi così duramente colpita. Quindi, niente pensione. Mi è venuto d’istinto di chiedere al funzionario dell’INAS quanto avrebbe ricevuto nel caso in cui fosse risultata completamente handicappata, al 100 per cento delle restanti possibilità. La risposta è stata altrettanto spaventosa: 750 mila lire al mese. Carissimi Ciampi, Dini, Amato, Feltri e Bernabei che prendete quella popò di pensione fateci un pensierino. Un essere umano che non riesce più a vestirsi, portare il cucchiaio alla propria bocca, ad andare in bagno, un essere umano non più in grado di intendere e di volere, riceve dalla società degli Uomini dalla Lacrima Facile poche centinaia di biglietti da mille al mese. E con quelli dovrebbe pagare la solidarietà di chi gli sta vicino. Spaventoso. Grazie e cordialità. Fulvio Paoli Novembre 1999 - pag. 2 DA SOLI sta impresa si colloca in un momento di vera rinascita per Terrinca che, recentemente, ha visto la restaurazione dell’altro importante tempio seicentensco dell’alpeggio di Puntato, dedicato alla SS. Trinità, oltre ai lavori apportati alla chiesa cinquecentesca di San Rocco e all’apertura di un importante Circolo ricreativo e culturale nella piazzetta del paese, dal suggestivo nome “Le Tanacce”, che presto ospiterà anche un museo dell’Arte popolare, grazie all’impegno, in questo caso, dei “Colombani”. Non possiamo dunque che sentirci rinfrancati per questo esempio di vitalità, sperando che sia di buon auspicio per una rinascita di quello spirito che in passato aveva reso grande la montagna. PENSIONI “tale” di nome Antonio Nottola ex bancario, 1.915.323 lire al dì, seguito da Cesare Geronzi, 64 anni, ex responsabile cambi della Banca d’Italia, a lire 1.843.871 lire quotidiane. Ed ecco un altro politico al sesto posto, il ministro Lamberto Dini, capo del partito di Rinnovamento, anche se non si è ancora capito cosa mai potrà rinnovare uno che prende l’un per cento scarso della metà degli iscritti agli elenchi degli elettori, piazzatosi a lire 1.782.272 giornaliere. Ripetiamo: di sola pensione; stipendio di ministro e moglie ricchissima a parte. Settimo Federico Pepe, Banco di Napoli e B.N.A., 1.769.481 ad ogni calar del sole, seguito dal gobbo più taciturno d’Italia, un tipo tutto casa e bottega, Enrico Cuccia, presidente onorario di Mediobanca. Sempre secondo l’Espresso, avrebbe aspettato lo scorso dicembre, quando ormai aveva già festeggiato il 91° anno, per far scattare la sua pensione da sommare a quella INPS maturata nel 1984: totale 1.586.799 lire al giorno. Nono tra cotanto senno l’amico di Ciriaco De Mita, l’ultras cattolico Biagio Agnes, ex presidente della Stet. 1.548.000 quotidiane. Decimo un certo Ernesto Pascale, 65 anni, ex presidente della nostra cara Telecom, pensione INPS lire 1.500.716 ogni 24 ore. A ruota, quattro pensionati gemelli: Sergio Siglienti, presidente INA e vice presidente Banca Nazionale del lavoro, ex presidente Banca Commerciale, 1.476.652, ad otto lire in meno Francesco Cingano, presidente Mediobanca, ex amministratore delegato della Comit, vice presidente delle Generali, 1.476.644 quotidiane: sei lire sotto Enrico Braggiotti, Banca Commerciale, 1.476.638 lire; distaccato Lucio Rondelli, Unicredito, Credito Italiano, 1.457.554 che supera sotto l’affollato striscione d’arrivo Paolo Benzoni, Sip e Italcable, che raggranella 1.396.398 lire tutte le sere, Flavio Bovo, 63 anni, Banco Sardegna e Banca Friuli, 1.312.101. Tommaso Padoa Schioppa, 59 anni, consigliere banca centrale europea, ex vice Banca d’Italia e presidente Consob, pensionato da 1.286.070 lire tutte le volte che vanno a letto le galline. Alfonso Limbru- no, Enel (e te pareva...) lire 1.242.120, sempre con le solite galline: Diciannovesimo un nome incredibile: Francesco Chirichigno, 65 anni, direttore generale nientepopodimeno che della SIAE, 1.283.512 lire. Subito dopo un nome invece credibile, quello di Giuliano Amato, il dottor sottile, uomo buono per tutte le stagioni, tant’è vero che è ancora ministro. 61 anni, è l’uomo che, se D’Alema non fa le riforme come vorrebbe lui, minaccia d’andarle a fare da un’altra parte, non si sa bene dove. Resta il fatto che si pappa 1.209.862 ogni volta che cala il sole. Di sola pensione. Altro sconosciuto almeno al grosso pubblico, il sessantenne Pier Domenico Gallo, Mediobanca, ex direttore Nuovo Banco Ambrosiano, amministratore delegato Banca Nazionale del Lavoro, 1.198.951. Conosciutissimo invece Mario Scarcinelli, 65 anni, ex vice direttore della Banca d’Italia, ex ministro, direttore generale del Tesoro, presidente della BNL, 1.153.733. L’ex CGIL Giacinto Militello, 63 anni, ex presidente INPS, oggi commissario Antitrust (buon lavoro!) chiude il nutrito gruppo di pensionati che guadagnano più di un milione al giorno: 1.120.244. I lettori si saranno stancati di nomi e cifre. Ma ci sono, nell’elenco reso noto dall’Espresso, moltissimi altri nomi e cifre. Riassumiamo anche per ragioni di spazio, i nomi ed i cognomi noti al grosso pubblico ricordando una volta per tutte che le cifre pubblicate si riferiscono alla pura e semplice pensione riscossa al giorno, indipendentemente dagli incarichi e relativi stipendi sia di carattere politico che professionale che sono altre centinaia di bigliettoni. Cominciamo da Leopoldo Elia capogruppo dei senatori del partito popolare, lire 893.508, Giulio Andreotti 644.828, Oscar Luigi Scalfaro 454 mila, Enrico Micheli (ministro dei lavori pubblici in carica) 304.924, Antonio (Tonino per gli amici) Di Pietro, 49 anni, ex poliziotto, ex pubblico ministero, ex ministro 4.181.849 lire al mese per 13 mensilità. Sono citati anche il direttore de La Nazione Vittorio Feltri a quota 952.923 al giorno a soli 56 anni, l’ex ministro Piero Barucci 780.439, l’ex presidente RAI Sergio Zavoli 518.751, il generale Franco Angioni, 66 anni, 514.294, Ettore Bernabei, ex direttore generale RAI (quello che mise i mutandoni sulle cosce delle ballerine!), 392.509 lire sempre al giorno e di sola pensione. Finiamola qui, non senza aver sottolineato che l’attuale presidente INPS, Giovanni Billia, ad appena 65 anni, percepisce dalla sua stessa INPS una pensione di 8.240.550 al mese per 13 mensilità. Caro Direttore, avevo trovato molto interessante, mesi fa, il racconto su queste pagine della vicenda che ti era capitata e che riguardava l’utilizzo di alcuni brani della tua “Bibbia del Forte dei Marmi” da parte della signora Rosa Alberoni. Autrice, per chi non ricorda, di un ponderoso romanzo storico dal titolo “Sinfonia” in cui, senza alcuna citazione, si ritrova un tuo capitolo copiato pari pari. Ti avevo consolato (ironicamente) dicendoti che, almeno, potevi esser fiero di aver contribuito a un’opera di grande diffusione e ampiamente propagandata. Ora, come molti sanno, è uscito il nuovo volume versiliese da titolo “La valle di marmo”. Uno degli autori è Mario Lorenzoni, presidente della Croce Verde di Arni (non capisco, se non prendo un abbaglio, la modestia di non voler ricordare la precedente carica nella Ma quale Rinascimento? Qui è tutta una copiatura Misericordia). Il suo capitolo sati con disinvoltura incredibi- normale in saggistica. Ma riempire addirittura due terzi di un lavoro saccheggiando quelli altrui senza degnarsi di citarli e poi farsi passare per “autore”, questa è un’operazione che puoi giudicare da te. Per me si tratta di un plagio di un cinismo spaventoso. Non posso credere, invece, a una ingenuità, come potrebbe forse accampare un novellino. Non parliamo poi dell’editore, degli sponsor (consulenti compresi) e dei patrocinatori che, beati loro, dispongono di tanto prosciutto da metterselo addirittura sugli occhi. E così, caro Direttore, abbiamo fatto un bel passo indietro sulla questione di quello che chiami Rinascimento editoriale versiliese, altro che storie! Siamo tornati al Medioevo e si incaricherà Dante (o altro giudice terreno) di scegliere il girone infernale. intitolato “Storia contemporanea del paese”, occupa le pagine del volume che vanno da 65 a 135. Quelle di testo, escluse quindi le immagini, sono quasi 33, di cui almeno 22 rappresentano un collage ricavato testualmente da tre diversi libri: il mio “Meraviglie versiliesi dell’Ottocento” (quasi quattro pagine), quello del P. Marco Verdigi, “Arni. Cenni storici” (oltre 17 pagine) e quello di Adriano Betti Carboncini, “I treni del marmo” (circa una pagina più tre di foto). Il bello è che questi tre autori non sono stati minimamente citati, fosse nel testo o in nota o in bibliografia (cose queste ultime che il Lorenzoni evidentemente non ama e quindi non mette). Proprio nulla. Sposses- IL PONTE DEL CINQUALE Italia Nostra chiarisca subito! Caro Giorgio, sottopongo alla tua attenzione una planimetria riguardante il porticciolo turistico che dovrebbe essere realizzato (leggi Regione) tra il ponte di via Gramsci (prolungamento della nostra via Mazzini) e il ponte delle Cateratte al Cinquale. Come si vede, quest’opera distrugge tutta la sponda destra (di questo tratto) con grave danno ambientale. E non solo questo. Nella planimetria si nota un restringimento dell’alveo a partire dall’idrovora installata al ponte delle Cateratte creando un serio pericolo. I trattini che si vedono sulla sinistra costituiscono il parcheggio delle auto a ridosso della nuova sponda destra realizzata con un muro di cemento. Allego anche un articolo apparso sul Tirreno, che mi ha lasciato sconcertato in relazione alla posizione assunta da Italia Nostra nei confronti del ponte sul viale a mare e il contesto a monte (porticciolo). Nell’articolo mi sembra che i cosiddetti ambientalisti siano d’accordo con questo scempio che non solo distruggerà il paesaggio, ma provocherà delle pericolosità alla foce, mettendo in serio pericolo il nostro arenile con le future opere foranee che gioco forza dovranno essere realizzate in mare alla bocca. Alla faccia anche dell’erosione. Augusto Marsili LE DIECI OPERE DI LEGA A SERAVEZZA Carissimo Giorgio, ti sono molto grato per avermi fatto visita presso la mia nuova residenza, il Pio Istituto Campana di Seravezza. Nel ricordare la nostra antica amicizia e la mia collaborazione a “Versilia Oggi” dal 1972, mi hai fatto notare che era utile ed opportuno che io redigessi una lista delle mie opere storiche. Accolgo volentieri il tuo suggerimento e mi affretto ad inviarti l’elenco, in ordine cronologico, delle dieci opere che io e mia figlia Giovanna abbiamo sinora pubblicato: 1) “Fotostoria di Seravezza”. (Nº 21 Album). Tip. Massarosa (1984-1990). 2) “La Misericordia di Seravezza”. (Nº 2 Album). Tip. Massarosa (1987- 89). 3) “La Madonna del Soccorso e la sua Cappella”. Tip. Massarosa (1988). 4) “Il Duomo dei SS. Lorenzo e Barbara”. Tip. Massarosa (1989). 5) “La Pieve di Vallecchia”. Tip. Massarosa (1990). 6) “L’antico Carnevale di Seravezza”. Tip. Massarosa (1997). 7) “La Chiesa detta di S. Antonio”. Tip. Graficatre (1998). 8) “La Cappella del S. Rosario nel Duomo di Seravezza”. Ed. Graficatre (1998). 9) “La Chiesa di S. Giovanni Battista in Riomagno”. Tip. Graficatre (1999). 10) “Il Pio Istituto Campana di Seravezza” (1ª Parte). Tip. Graficatre (1999). Ricordo anche la prefazione al libro di Lorenzo Tarabella “È troppo presto”. Narciso Lega le di una loro proprietà intellettuale come bischeri qualsiasi. Scippati né più né meno come passanti malcapitati. Ripeto che il collage è testuale. In particolare, nelle “Meraviglie versiliesi” il Lorenzoni ha pescato in ben 19 pagine diverse, applicando solo qualche piccola variante personale e qualche manipolazione arbitraria, cadendo in alcuni errori (addirittura una sgrammaticatura) e inserendo, come fa anche altrove, numerose personalissime virgole contrarie a ogni logica di grammatica e di stile. Certo, un conto sarebbe appropriarsi di qualche breve frase qua e là oppure riportare fra virgolette e poi mettere una nota apposita o, almeno nella bibliografia, il titolo da cui si è preso: questo è Fabrizio Federigi SCARTATI ALLA VISITA CON CERAGIOLI Con il recente decesso del grande maestro di musica Enzo Ceragioli, come suo coetaneo mi viene fatto di ricordare un particolare del lontano 1930, quando ci recammo insieme alla visita per il servizio militare. L’ e s i t o d i t a l e a c c e r t a mento fu la riforma per inidoneità di entrambi, ivi compresi altri due coetanei: Tarabella Giuseppe di Pozzi e Luisi Smeraldo di Querceta. L’Ufficiale medico di turno, alla conoscenza delle generalità del Luisi, ebbe così ad esprimersi: “Ti chiami Smeraldo? Allora sei uno smeraldo falso, perché non sei nemmeno buono per fare il soldato!” Ci fu una risata generale. È nato Michelangelo Da Monteroni d’Arbia, in provincia di Siena, ci giunge una lieta novella. Il nostro Magnifico abbonato, Carlo Stellati, è diventato nonno per la prima volta. È nato infatti, a Massa, Michelangelo, figlio di Renato Ferri e Monica Stellati, residenti a Montignoso. A Carlo, ai felicissimi genitori, e soprattutto a Michelangelo, gli auguri più a ff e t t u o s i d i u n s e r e n o e sicuro avvenire da parte dell a d i r e z i o n e d i Ve r s i l i a Oggi. Eravamo nel periodo di transizione fra il vecchio andamento politico e l’avvento della dittatura fascista. In quell’anno non c’erano ancora tante manie espansionistiche e di guerra per cui l’inquadramento di tanto personale militare era superfluo. Per questo sia io, che sono sempre stato un ottimo alpinista, che Enzo Ceragioli venimmo esonerati dal servizio militare. Anche il Luisi, come il Tarabella del resto, è sempre stato di sana e robusta costituzione. Smeraldo fu sempre persona dedita alla famiglia ed al lavoro con ottimi risultati. È deceduto alla non trascurabile età di 86 anni. Ezio De Carlo Direttore GIORGIO GIANNELLI periodico mensile abbonamenti c/c postale 10818557 intestato a «Versilia Oggi» Casella Postale 94 55046 Querceta (LU) - Ordinario L. 20.000 - Estero L. 40.000 - Sostenitore L. 50.000. Reg. Trib. di Roma n. 11298 del 26 novembre 1966 e Trib. di Lucca n. 300 del 2 maggio 1978 - Partita IVA 01517670467 In caso di mancato recapito, si restituisca al mittente che si impegna a pagare la relativa tassa Fotocomposizione Litocomp-Querceta-tf./fax 0584-742011 Stampa: Graficatre-Via de Gasperi, 9 Ripa di Seravezza-tf. 0584-756631 La collaborazione a “Versilia Oggi” è gratuita, spontanea e aperta a tutti. Forum Internet: www.welcomeversilia.com Novembre 1999 - pag. 3 Riportiamo dall’Osservatorio Romano: Pochi luoghi in Italia, e credo nel mondo, amano autocelebrarsi come la Versilia. Da anni, la convinzione che il tratto di costa dell’alto Tirreno che va sotto quel nome sia stato, in un’epoca recente (e per certi aspetti continui ad essere), un luogo ideale, fatto per la gioia di vivere, è testimoniato da manifestazioni sempre più frequenti ed ambiziose, mostre, feste, tavole rotonde etc. Questa estate, quasi contemporaneamente, nello spazio di poche decine di chilometri quadri, fra Pietrasanta, Seravezza, Camaiore e Forte dei Marmi, ce ne sono state almeno quattro, con titoli come ‘La scoperta della Versilia’,‘Alla ricerca dell’Eden’, indubbiamente suggestivi. Sono molti i nomi illustri delle persone coinvolte più o meno indirettamente in questo revival. Presiedono, alla lontana, come numi tutelari, quelli di Shelley, Carducci, Pascoli, Puccini. Seguono, accavallandosi per circa un ventennio, quelli meno famosi, di poeti e artisti come Ceccardo Roccatagliata Ceccardi, Galileo Chini, Plinio Nomellini, Lorenzo Viani, Arturo Dazzi. E passiamo sotto silenzio le affascinanti dame, i cavalieri, i politici, sindaci e deputati e i giornalisti che nel primo decennio del secolo hanno partecipato all’impresa, piuttosto illusoria, di divinizzare una terra, oggi, per la verità, assai malconcia. Ciascuno di questi personaggi, come accade in teatro con i comprimari e le comparse, ebbe nella vicenda un suo ruolo, anche se limitato. Di fatto il loro maggiore impegno consisteva nel far da sfondo all’unico vero protagonista dello spettacolo: il Vate dico, l’inimitabile, Gabriele D’Annunzio. È lui che passa per essere l’unico e vero scopritore della Versilia. Si dà il caso tuttavia che il divino Gabriele abbia avuto con COMMENTO «ALLA RICERCA DELL’EDEN». LE ULTIME ESAGERAZIONI “Il Corriere della Sera” è il giornale più letto e più importante d’Italia. In pieno agosto, ha dedicato un’intera pagina alla Versilia, definendola nel titolo “La riviera della trasgressione”, un titolo che –tutto sommato– potrebbe anche non dire nulla. È il testo dell’articolo che ci sgomenta. Se quello che scrive “Il Corriere” corrispondesse alla verità, saremmo tutti spacciati. Una Versilia come l’ha descritta Gian Antonio Stella fa paura anche a noi. Se le cose stanno diversamente, invece l’articolo esprime il gusto dell’orrido. Noi, come autori della Bibbia del Forte dei Marmi neghiamo che le cose stiano così, almeno fino al 1960. Se le cose son cambiate in questi ultimi quarantanni giudichino i nostri lettori, i sindaci, gli assessori al turismo, alla cultura ed ai lavori pubblici. Giudichino gli imprenditori e tutti coloro che spendono centinaia di milioni per promuovere l’azione di propaganda in favore delle nostre spiagge. Se “Il Corriere” ha ragione, lo ripetiamo, siamo spacciati. Ed ecco il testo integrale dell’articolo: Per il compleanno del caro amico Forkie, un maiale assai perbene che vive in famiglia, lo scrittore americano Jay McIrnerney e la moglie Helen, disegnatrice di gioielli, hanno dato IL GUSTO DELL’ORRIDO Adesso D’Annunzio diventa persino proletario questa terra (non più estesa, per lungo, di sette chilometri, e per largo, di quindici) rapporti non particolarmente intensi e continuati come vuole la leggenda. Il suo soggiorno, così propagandato, nella villa dei marchesi Nuti-Digerini, la Versiliana, a Marina di Pietrasanta, si limita all’estate del 1906; l’Alcione, che della Versilia è considerato il poema eponimo, è già stato scritto e pubblicato da anni. Prima di allora, D’Annunzio aveva trascorso due estati al Secco (1901-1902) che si trova però nel Camaiorese. ‘La pioggia nel pineto’, ‘Undulna’, ‘L’onda’, ‘Stabat nuda aestas’, ‘Novilunio di Settembre’, che dovrebbero testimoniare esemplarmente la sua presenza nel luogo, furono scritti, come ormai è ben noto (e tuttavia si preferisce ignorare), in Casentino, almeno centoventi chilometri distante in linea d’aria. Com’è accaduto allora che i nomi della Versilia e dell’autore di ‘Alcione’ siano stati così ‘mirabilmente’ fusi, in modo che l’uno richiama subito l’altro? Cosa c’è di vero in questa identificazione non solamente letteraria, ma anche sociale, politica, mondana, turistica? Prima che in Versilia, D’Annunzio, lo sappiamo, era sbarcato a Marina di Pisa, nel luglio del ’99. Veniva da Firenze, dove all’epoca abitava, in compagnia di Eleonora Duse. È dunque dalle rive dell’Arno che ha inizio la sua avventura alcionica. Nonostante la felicità panica che imbeve le sue giornate egli è inquieto, sente il bisogno di ‘più ampi possessi’. Da quella immensa solitaria distesa di pinete, macchie, praterie, stagni, fossi, che accompagna la costa tirrenica, i suoi occhi miopi si indirizzano di preferenza a settentrione. (Così ci racconta Cesare Garboli nella introduzione al catalogo della mostra ‘Scoperta della Versilia’, edito da Maschietto-Musolino.) Oltre il fiume, oltre le maestose foreste di San Rossore e di Migliarino, il suo sguardo si posa sulla impressionante azzurra catena di montagne in fuga verso ponente, in una luce leggermente annebbiata, a volte diafana. Sono le Apuane. Il dado è tratto. Mentre la ragione e i consigli degli amici fiorentini lo indirizzano verso Livorno e la costiera labronica celebrata dai Macchiaioli, meta tanto più vicina e accessibile, egli decide di muovere i passi verso nord. È là che il fato lo chiama, così si convince, alla scoperta dell’ignoto. La Versilia, ben inteso, non aveva bisogno d’essere scoperta. L’Avevano già fatto altri. Gli artisti e i poeti, in maggioranza tedeschi, gli Hildebrandt, i Boecklin, i Kurz, che la frequentavano da anni, fra il Forte e il Cinquale, s’erano però contentati, finora, di goderne gli incanti in solitudine e in silenzio, per rispetto, nel timore di turbarne la pace. Non le avevano fatto pubblicità. Ma della pubblicità, specie se lo riguardava, D’Annunzio, in anticipo sui tempi, aveva il genio. E la Versilia, ancora intatta, si prestava benissimo allo scopo. Le condizioni erano favorevoli. Al poeta erano pronti a dare una mano, artisti, scrittori, giornalisti e uomini politici, gente infervorata, politicamente di tendenze estreme, di destra e di sinistra, ma più di sinistra che di destra, repubblicani, radicali, socialisti-rivoluzionari, anarchici. La Versilia, nelle loro fantasie esaltate, era il luogo poetico per eccellenza, prefigurato da Shelley, che un secolo prima era venuto a morire sulle sue spiagge; e poi da Carducci; era il “liberato mondo” dove l’uomo avrebbe fatto rivivere i fasti dell’antica Ellade, un sogno pagano di ebbrezza panica, fratellanza, libertà, progresso, confuso quanto anacronistico. Con i suoi comportamenti, va detto, D’Annunzio non accreditava le speranze riposte in lui da questi rivoluzionari un pò alla buona. Si teneva alla larga dagli inviti, non rispondeva ai numerosi e quotidiani telegrammi, non lanciava appelli. La visita da lui fatta alle cave di Carrara, nel luglio del 1907, in occasione di una ‘varata’ (e cioè lo scoppio di una mina gigantesca nel fianco della montagna) presenti i notabili del luogo, i giornalisti di mezza Italia, e anche una folla di cavatori, artigiani, organizzatori sindacali (quasi tutti anarchici), fu dovuta solo ad una naturale curiosità. Non ebbe alcun significato politico; e in ogni caso fu molto breve. Il poeta non fece dichiarazioni impegnative e ripartì in serata per altri lidi. Bastò tuttavia perché le menti esaltate, pericolosamente sospese fra l’azzurro del mare, del cielo e il biancore niveo dei marmi, si mettessero a farneticare di improbabili alleanze. Niente di strano, dato il dannunzianesimo endemico del nostro paese, che anche una certa sinistra cedesse alla seduzione del Poeta. Meno comprensibile è chi vi ceda oggi, a distanza di quasi un secolo; e che secolo! Voler inserire oggi D’Annunzio in una prospettiva rivoluzionaria, dopo quanto è successo e abbiamo sperimentato sulla nostra pelle, oltreché pretestuoso, ci pare bizzarro. L’anarchismo di D’Annunzio, se così vogliamo chiamare il suo sfrenato culto dell’individuo, era di tutt’altro segno di quello dei seguaci di Cafiero, Gori, e Malatesta. Era presuntuosamente elitista, estetizzante, impregnato di mor- MA VERAMENTE SIAMO COSÌ BRUTTI? un galà indimenticabile. Narrano le cronache che il suino facesse un figurone «con le unghie tinte di rosa». Americanate. Ma poteva la Versilia, con la fama di trasgressione che si trascina dai tempi in cui Peppa del Drago e Niki Pignatelli arrivarono nude in groppa a due puledri (Balle! N.d.D) a prendere un aperitivo alla Capannina, fama involontariamente rinverdita l’altra settimana dall’isolamento dei promotori della protesta anti-gay, mancare all’appuntamento con la celebrazione della bestia sozza che San Clemente indicava come il simbolo stesso della lussuria, le cui carni sono riservate «a coloro che vivono nella sensualità»? In alto i calici. La festa, organizzata da Paola Raffo e Mariella Poli, della galleria «Subbia» di Pietrasanta, si fa. Titolo: «Del porcello e delle sue delizie / Ipotesi per un monumento». Ghiotta sintesi tra le opere di una fitta schiera di artisti che han trovato fonte d’ispirazione nel porco, da Ivan Theimer a Mattew Spender, da Vito Tongiani a Floriano Bodini (e mancano purtroppo i Dürer e i Bosch e i Mirò e Warhol...) e la salumeria, esaltata dal saggio sul celebre lardo di Colonnata scritto da Romano Bavastro, che è andato a re- cuperare Eraclito e Omero, Ateneo e Giulio Cesare Croce, il quale nelle pause lasciategli dalla stesura delle avventure di Bertoldo e Bertoldino trovò il tempo di scrivere un pilastro della cultura occidentale: «Il Trionfo del porco». «Non c’è terra che ti dia l’idea della libertà quanto la Versilia», spiega Jean-Michel Folon, protagonista, con le sue sculture dell’«Allée des pensées» allineate sulla piazza di Pietrasanta, dell’avvenimento culturale dell’anno insieme con la grande mostra dannunziana alla Versiliana: «E’ una cosa magica. Che respiri nell’aria». La stessa che ha attirato Fernando Botero, il grande artista che qui ha deciso di trasferirsi e che si diverte come un matto, tra la creazione di un ciccione e di una cicciona, a ballar il samba con le famose ballerine carioca arruolate per le feste private in villa. Gli anni delle trasgressioni, delle rotture traumatiche del senso del pudore, delle notti spericolate, però, al di là delle polemiche di oggi, sono da tempo un ricordo. «Prima questa terra ruggiva, adesso bela», spiega Aldo Valleroni, cronista degli anni d’oro e autore del libro «Versilia anni ruggenti», uno strepitoso reportage su un mondo che non c’è più. Un mondo dove la Capannina, chiusa all’inizio della guerra perché i carabinieri avevano beccato Ettore Muti (Balle! N.d.D) che contro ogni regola sul razionamento aveva organizzato un’abbuffata con gli amici (e inutile era stato il tentativo di spacciare una vitella scuoiata per un «somaro morto di fame»), riapriva i battenti salutata dalle rime del conte Boni: «La Capannina diventa capanna / si tinge le labbra / s’allunga la gonna / non è più ragazza ma donna». Piero Angela, in attesa di scoprire l’ornitorinco e il quark, faceva il pianista col nome d’arte di «Peter Angela». Giancarlo Fusco, non avendo i soldi per i calzini (Balle! N.d.D), si pitturava di nero le caviglie. E Gianni Agnelli, quando tirava tardi sgommando con la Topolino e trovava sbarrata dal padre (Balle! N.d.D) la porta della villa di famiglia poi incorporata nell’attuale hotel Augustus, andava a rimediare una branda sul retro del celebre night-club. E il treno che arrivava da Milano, ricorda Valleroni, era detto «il treno dei cornuti» perché «oggi fanno sesso le servette e le parrucchiere ma allora si scatenavano le signore e c’era pietanza e contorno per tutti. E all’alba finivamo te: quanto di più politicamente reazionario si possa immaginare. I fatti non tardarono a provarlo. In primo luogo l’immane carneficina (‘l’inutile strage’, deplorata da Benedetto XV) che chiuse un’epoca di falso progressismo, invasata da deliri di potenza ed erotismo, un’epoca come poche irresponsabile e pacchiana. Alla partecipazione dell’Italia al grande crimine, D’Annunzio dette, come sappiamo, le ultime faville del suo genio, facendo passare un massacro insensato, meccanico e tetro, per un lavacro necessario, o, come gli piaceva dire col suo linguaggio spesso misticheggiante, un olocausto. La guerra avrebbe cambiato il mondo, asseriva. E lo cambiò, infatti. Ma in quale direzione, ahimè. I neodannunziani d’oggi dovrebbero pur rifletterci, dico. In estate e in un periodo di vacanza è lecito, si dirà, giocare un poco, mandando in vacanza anche la ragione. Giusto, rispondo; e per stare al gioco, aggiungo, come ha fatto notare nella sua introduzione Cesare Garboli, che in questo senso l’operazione Versilia, avviata dal Poeta, è riuscita oltre le sue aspettative. È grazie a lui, infatti, che la nozione di Versilia si è enormemente dilatata, allungandosi da Bocca d’Arno alla foce del Magra, e allargandosi a tutto l’arco delle Apuane, a formare un territorio unico, consacrato al turismo di massa, meta di centinaia di migliaia di villeggianti. Essi non hanno nulla a che vedere ormai con i vani e vaneggianti personaggi del vate. È gente piuttosto comune, di condizione modesta, di cultura non eccelsa. E tuttavia non è escluso che, grazie ai ricordi dannunziani, tuttora presenti in Versilia, ciascuno di loro, uomo o donna, mentre cuoce al sole sulla spiaggia, o nuota fra le onde, si senta, magari solo per un istante, divino. Manlio Cancogni tutti nudi a far l’amore sulla spiaggia e non c’erano confini di nessun genere, né di sesso né di spesa perché tutti quelli che avevano i soldi, ed erano tanti, spendevano come matti». Anche i gay spendono. E Alessio De Giorgi, dell’Arcigay toscana, ha gioco facile a sostenere, sulla base di un’indagine, che oggi non c’è cliente migliore: «Oltre il 40% guadagna oltre 75 milioni l’anno, il 79% fa almeno due vacanze nell’arco dei dodici mesi, il 90% va al ristorante due volte la settimana e il 70% frequenta bar e discoteche con assiduità superiore alla media». Quelli che la settimana passata han cercato d’impedire lo show organizzato dall’Arcigay a Torre del Lago, però, se ne infischiano. Dicono anzi che, «se non ci fossero quelli lì», ci sarebbe il pienone di famigliole che invece «se ne stanno alla larga». E contestano tutto. Dalla veridicità della lista dei bar, ristoranti, antiquari, barbieri e night (tra cui gli ormai famosi «Frau Marlen», «Barrumba», «Bocachica») che hanno accettato d’essere inseriti come «amici dei gay» nel progetto comunale «Friendly Versilia» alla ricostruzione della cagnara data «dai giornali del regime in modo tale da averci messo contro perfino An», dall’inserimento del loro paese nel- Novembre 1999 - pag. 4 IL GUSTO DELL’ORRIDO le guide gay del mondo dell’immagine offerta da mass media stranieri tipo il «Times», che contestando la decisione di Tony Blair di far le vacanze a San Rossore ha descritto queste pinete come infestate da «centinaia di puttane e travestiti». Rodolfo del Cima, padrone d’un cinema all’aperto e promotore dell’idea d’una «cittadella dell’amore dove almeno quelli se ne stiano da parte», è in guerra da anni con «questi omosessuali che spadroneggiano sbaciucchiandosi davanti ai nostri figli». E Franco De Rossi, un imprenditore invelenito con «quei depravati che s’accoppian sulla spiaggia», dice d’avere raccolto («alla faccia di chi dice che in piazza c’erano solo fascisti quando invece c’erano pure comunisti e diessini e popolari e apolitici») migliaia di firme a favore del comitato che presiede e che vuole dare al fenomeno una regolata: «Ho tanti amici negri. E me ne vanto. Non sono razzista. Ma un padre di famiglia qui non campa. Non diciamo “via i gay”: però non accettiamo d’essere identificati con loro. Questi voglion colonizzare Torre del Lago e farla come Manhattan, che ormai (Balle! N.d.D) è tutta gay. Vogliamo contarci? Prontissimi. E poi, visto che su questa cosa ha dovuto dimettersi il consiglio circoscrizionale, ci conteremo al voto di novembre. Lì si, sarà un referendum: o noi o loro». «Ma per favore! La Lecciona era una spiaggia dove non andava nessuno e il caso di Mikonos, che prima che ci andassimo noi era la più sfigata delle isole greche e ora è amata da tutti, “famigliole” comprese, dovrebbe far capire che i gay sono una buona carta da giocare — dice Alessio De Giorgi —. Più che il nudo in spiaggia credo dia fastidio il fatto che qui si dimostra che siamo tantissimi. Anzi, tutto ’sto casino ci ha fatto pure pubblicità. Al sabato sera le strade sono strapiene di gay e di lesbiche. Comunque, siccome il nudo è proibito e noi la legge la vogliamo rispettare, abbiamo fatto un opuscolo con qualche raccomandazione». Titolo: «Il bon ton del/ della perfetto/a villeggiante gay/ lesbica di Fine Millennio». Ovvero un manuale per essere («con tutta la vostra collezione di pareo, tanga leopardati, occhiali tempestati di strass e prendisole di pizzo») delle «Reginette della spiaggia». Lo ha scritto Vanessa Dell’Arno ed è messo giù con un’ironia da far montare ai nemici il sangue alla testa. Basta leggere l’invito («prima di farlo lì pensate a vostra madre») a evitare gli accoppiamenti sulla spiaggia: «Il sesso è una cosa splendida ma pensate a cosa accadrebbe se tutti apprendessero le vostre eccezionali tecniche amatorie apprese in tanti anni di “duro” tirocinio! Quindi siate abbastanza astute da non mostrare a tutti i vostri numeri migliori». Meglio farlo a casa: «è più igienico, più confortevole e più chic». «Figurati! I gay! E sarebbe quella la trasgressione?», sbuffa l’architetto Tiziano Lera: «Ma se ce n’erano anche trent’anni fa!». Bel tipo, l’architetto. Capelli lunghissimi e bianchi, barba, camicia aperta sul villoso petto, ciondolo apache con teschietto e gardenia, vive in una specie di zoo con furetti, pappagalli, gatti, rane e uccelli vari, scrive versi di canzoni tipo «Manitù aiutaci tu / Manitù aiutaci tu» e ha disegnato un po’ tutte le discoteche della zona, fino a guadagnarsi il soprannome di «la febbre del sabato Lera». La trasgressione, quella vera, dice, stava nel «rotolare della vita» d’una volta, nei «risotti di Carletto alle quattro di mattina», nell’aspettare l’alba quando gli altri andavano a letto mica come adesso che «le discoteche aprono all’una perché i ragazzi si muovono allora...». Angelo Bonuccelli, gestore del mitico Gran Caffé Margherita, li conosce bene quei ragazzi. Li vede alla «Costa dei barbari», il locale che ha giù alla Marina: «Gli affari vanno bene, vendo tantissima birra, non avrei il diritto di lamentarmi. Ma ogni volta che vado lì sto male. Bevono, bevono, bevono. Attaccano briga per niente, si pestano, vomitano, pisciano nei lavandini e la mattina li devi raccogliere sfatti sul pavimento. Hanno troppa violenza, dentro. E hanno perduto la cosa più bella che avevamo noi: la voglia di giocare. Giocare con tutto. Se una ragazza improvvisa uno spogliarello sono così sfatti che manco si girano». A farla corta: «Ancora ancora c’è più trasgressione su (Balle! N.d.D), tra la bella gente di Forte dei Marmi». Gherardo Guidi, che possedendo i «Bagni Roma Levante», la «Bussola» e la «Capannina» ha il miglior punto di osservazione possibile sul bel mondo, dice che non è mica vero: «Se c’è una cosa che noto, col passare degli anni, è che cresce il senso del pudore». Per i 70 anni della Capannina ha organizzato, spiega l’ufficio stampa, «la festa del millennio». Con l’obiettivo di radunare il fior fiore di quel jet-set che (come dice un sondaggio tra mille vip) ancora riconosce al «Forte», alle sue spiagge larghe, alla sua riservatezza, alle sue ville immerse nel verde, il rango di posto chic inferiore soltanto a Portofino. Dove sono clienti fissi Calisto Tanzi e il principe gaudente Carlo Giovannelli, Massimo Moratti e la moglie Milly, Niccolò Pontello e i Branca di Romanico e anche Gaddo della Gherardesca e la Ferguson. «La duchessa di York diventerà contessa di Castagneto Carducci?», si chiede un settimanale popolare: «Il mondo resta col fiato sospeso in attesa dell’annuncio». Per Sarah? Sarà. Difficile, però, che «la scandalosa Fergie», se anche si facesse versiliana, possa fermare il respiro del Forte quanto la Ekberg alla festa d’addio al celibato d’un famoso rampollo torinese, quando, in piedi su un tavolo, l’Anitona (Balle! N.d.D) si tolse tutto e cominciò a versarsi addosso bottiglie di champagne ghiacciato, mentre i giovani intorno... Gian Antonio Stella ROBERTO PARDINI Ha rappresentato la nostra aristocrazia sanitaria Roberto Pardini tra Giorgio Giannelli (a sinistra nella foto) e Paolo Dinelli che l’abbraccia. Era l’anno scolastico 1940-41 al liceo-ginnasio di Viareggio. Roberto Pardini, una vita completamente dedicata agli altri, uno dei figli più validi di questa nostra Versilia. Lo abbiamo conosciuto sui banchi di scuola con quel suo sorriso scanzonato, incredulo, portato a sdrammatizzare. Piccoletto, un pò paffutello, gli occhi pungenti, scrutatori. Poi, sempre nella vita, presente tutte le volte che c’era bisogno di lui. Magnifico di Versilia Oggi, ogni anno si segnalava per la sua attenzione verso le nostre battaglie perdute e le nostre prediche inutili, quasi a dimostrare la sua solidarietà verso un giornale che si regge soprattutto per lottare contro i venti malefici. Roberto era comunque un saggio, conosceva i limiti della forza umana, era dotato di una grande energia unita solidamente alla pazienza. Come tale ha operato nel campo della pediatria, in essa realizzandosi. Molti medici sono spesso costretti a dedicarsi alle specializzazioni che si aprono loro davanti, magari casualmente. Lui no. Per dedicarsi alla pediatria, come ardentemente voleva dentro il proprio animo e nel suo istinto, si dimise da un posto di ruolo nell’ospedale di Pietrasanta, ottenuto subito come assistente di medicina generale, preferendo un posto, in quel momento insicuro e precario, di assistente pediatra nell’ospedale di Viareggio nell’équipe di Gaetano Pasquinucci. Chi lascia la via vecchia per la nuova sa quello che lascia e non sa quello che trova, Roberto non fece caso a questo antico detto e rischiò. Il valore del suo maestro –anch’egli pietrasantino– l’amore per i bambini e la sua innata comprensione verso le apprensioni dei genitori, furono alla fine premiati quando raggiunse il primariato di tutte le pediatrie della Versilia. Ottenne due grandi risultati, quello di ricoprire un ruolo fondamentale per la salute della sua gente aprendo in Versilia un reparto di primissimo ordine su tutto il territorio circostante, e l’arrivo, in seguito alle sue dimissioni dal reparto di medicina generale, di un altro eccezionale medico, il dottor Giuliano Andreozzi cui andrà, poco tempo dopo, il merito di creare a Pietrasanta uno dei servizi di emodialisi più importanti della Toscana. Ci piace ricordare Roberto Pardini accanto a Gaetano Pasquinucci e Giuliano Andreozzi. Essi hanno rappresentato per decenni la nostra aristocrazia sanitaria, dimostrando che in qualsiasi posto del mondo, con il sacrificio, l’intelligenza e lo spirito di iniziativa si possano raggiungere risultati eccellenti, tali da porre vere e proprie pietre miliari sulla strada del progresso e del benessere. Alla moglie Gloria, alla figlia Silvia ed a tutti i familiari il sincero rimpianto di Versilia Oggi. GIULIO SALVATORI 93 ANNI SPESI PER IL PROGRESSO DELLA SUA TERRA Ci ha lasciati, il Magnifico di “Versilia Oggi” Giulio Salvatori. Versiliese a 24 carati, aveva compiuto 93 anni nel mese di maggio. Nella sua lunga ed operosa vita, trascorsa quasi interamente in questa terra che tanto amava, si è sempre dedicato con tutte le sue forze alla famiglia ed al lavoro. Si era allontanato solo per il servizio militare e quando, alla fine degli anni venti, si era recato a Parigi per fare lo scultore, per mettere in pratica quanto aveva imparato alla Scuola d’Arte di Pietrasanta. Unico suo svago, al quale dedicava i pochi momenti liberi, era la caccia, che praticava con passione ed amore per la natura. Nato a Strettoia, dove aveva trascorso la sua giovinezza, si era trasferito, dopo il matrimonio con la maestra Teresa Del Veneziano, al Poggione dove ha vissuto fino alla sua morte. Ha fatto il contadino, il giornalista, lo scultore, l’impiegato e l’imprenditore ed in ogni campo è sempre riuscito a farsi valere. Giulio ha sempre seguito con amore e trepidazione tutte le vicende, sia quelle felici che quelle tragiche, cercando in ogni occasione di fornire il suo contributo di idee e di opere. La famiglia è sempre stata il suo mondo. La prematura scomparsa della moglie nel 1969, gli fece cadere il mondo addosso e ci volle molto tempo perché potesse farsene una ragione. Solo l’affetto dei figli, prima, e dei nipoti, poi, è riuscito a lenire in parte il dolore provocato da quella grave perdita. Quando andò in pensione, trovandosi a disposizione molto tempo libero, rispolverò due vecchi suoi passatempi: la pittura e lo scrivere poesie e racconti. Queste sue passioni hanno fatto sì che non ci fosse occasione lieta o triste che non venisse da lui ricordata con una poesia o con un racconto e che la sua casa si riempisse dei suoi numerosi quadri. Amante della vita attiva ed operosa quando, la vista gli si è gravemente abbassata, il suo cruccio è stato tanto grande che, a febbra- io si è deciso a scrivere una lettera al Direttore di “Versilia Oggi” (pubblicata nel numero di febbraio ’99) per lamentarsi di questa menomazione che gli impediva di continuare a leggere, scrivere e dipingere: “Anche se non posso più leggere il nostro mensile come facevo prima, continuerò ad abbonarmi. Lo terrò caro sul mio tavolo, così ogni mese mi porterà il sapore della mia terra”. Dopo pochi mesi da quella lettera, quasi ad anticipare la cecità che tanto paventava, Giulio Salvatori si è spento serenamente tra i suoi quadri e circondato dall’affetto dei suoi cari, lasciando in tutti noi la certezza di aver perduto un altro valido punto di riferimento. Ai figli, ammiraglio Enrico, dottor Roberto e professore Lorenzo, rinnoviamo il nostro sincero rimpianto. Banca locale partner globale. Ciò che contraddistingue il nostro modo di essere banca è proprio la capacità di essere tante banche insieme in una volta sola. Per questo oggi siamo la banca più vicina ai commercianti e agli operatori economici, la banca di casa in oltre 100.000 famiglie, la banca amica dei pensionati, la banca aperta ai progetti dei giovani, la banca partner delle imprese su tutti i mercati. Una banca aperta alle esigenze di ciascuna persona, ogni giorno, con la stessa cura e attenzione. Continuiamo a crescere insieme. CASSA DI RISPARMIO DI LUCCA Più vicini al vostro mondo. Novembre 1999 - pag. 5 Il campionato degli struzzi Agosto 1952, sulle scale dell’Albergo Belvedere di Forte dei Marmi il centroavanti svedese (a sinistra della foto) Jeppson appena acquistato dal Napoli per una cifra che, allora, batté tutti i record. In sua compagnia il portiere della Nazionale azzurra Casari. Agosto 1952, il portiere della Nazionale di calcio, Casari, a Forte dei Marmi sulla scalinata dell’Albergo Belvedere presenta lo svedese Jeppson. Entrambi stavano per intraprendere il campionato 195253 nella squadra del Napoli. Era l’anno in cui l’armatore Achille Lauro fece il colpaccio del secolo pagando ben 170 milioni il centroavanti svedese. Fu il grande giornalista Gianni Raiff ad annunciare alla Caravella, nel corso della Festa della Stampa, la presenza in sala del campione che in quell’epoca fece grande scandalo: il record degli ingaggi nella storia del calcio mondiale. 170 milioni! Da allora il calcio ha preso il via ai vertici della finanza. Siamo arrivati ai Maradona ed al Vieri da 80 miliardi (il quale al suo debutto si è divertito a spintonare un arbitro che l’aveva pescato alcune volte in fuori gioco...). Non vogliamo fare del moralismo. Già ci occupiamo di politica con una certa severità, mentre almeno il calcio è spettacolo e, qualche volta, divertente anche. La gente va allo stadio, quindi è segno che lo spettacolo piace. È NATA VIRGINIA È nata Virginia figlia di Alberto Lazzeri e Lidia Cirillo, entrambi odontoiatri. Avrà certamente il più bel sorriso della Versilia, sorvegliato amorevolmente dai genitori e soprattutto dal nonno Luigi Cirillo, vecchio e carissimo amico, Magnifico di Versilia Oggi, il nostro dentista di Querceta. Auguri a tutti, a cominciare dalla nonna Maria Pellini e dalla zia Claudia. A Virginia un futuro il più roseo e sereno possibile. Quello che non si capisce è il tifoso. Passi per i bambini, così ingenui da mettersi la maglia di Ronaldo e di Del Piero od a sventolare le bandiere rosso-nere, viola o bianconere. Ma il tifoso maggiorenne e vaccinato, come fa a star sempre dietro alla propria squadra, che ogni anno cambia giocatori, che vende il meglio del vivaio, che acquista l’avversario dell’anno prima, che paga miliardi all’allenatore venuto da lontano o che l’anno precedente ha fatto vincere lo scudetto all’odiata compagine nemica? Non lo si capisce. Almeno noi che siamo sportivi nel vero senso della parola e che ammiriamo il migliore, il bel gioco ed il pubblico civile. Non lo si capisce questo tifoso incallito, sempre fedele alla stessa squadra, anno per anno, nel bene e nel male. Come non si capisce la continua sceneggiata dei calciatori quando segnano un gol. Ma non è il loro mestiere? Li pagano fior di miliardi e, quando vanno in rete, sembra abbiano vinto alla lotteria. E tutte quelle proteste contro gli arbitri ed i segnalinee, che altro non sono se non il modo per aizzare il pubblico già predisposto alla violenza appena si avvia verso lo stadio? I moralisti che ogni mese deplorano, gli Uomini dalla Lacrima Facile, dovrebbero riflettere. E la Lega punisca i giocatori, anche quelli non espulsi ma che si vedono alla TV concedersi alla vendetta immediata sul campo. E tolga la dignità a quelle società il cui pubblico lancia sul campo petardi, sassi e bottigliette. Lo sport è la proiezione delle frustrazioni della società civile. Ridimensionamolo dunque. ENNIO BAZZICHI: UN CASO CLAMOROSO NON COSÍ SI SVILUPPA LA MONTAGNA Caro Giorgio, ho letto il tuo articolo “Uomini dalla lacrima facile” sul numero di agosto. Hai ragione. Conosco bene wwf, verdi, ambientalisti e anticaccia. Se da una parte, a far danno, sono indifferenza e speculazione selvaggia, dall’altra quelli “dalla lacrima facile” non sono da meno, con le loro proposte unilaterali e irrazionali. La montagna si spopola o, nel migliore dei casi, serve da dormitorio per chi non trova alloggio al piano. Non c’è lavoro; né continuo, né stagionale. E, oltre a spopolarsi e date le cifre riportate non lasciano un filo di speranza, la montagna viene sistematicamente deturpata. E pensare, che i “buoni” che sfruttano il marmo sono arrivati a dire più o meno così: “Non seccate con il vostro allarmismo per lo scempio provocato dalla nostra santa escavazione. Quando avremo finito di sfruttare le cave, anche se avremo distrutto il profilo stesso dei monti, non c’è problema: lo ricostruiremo...”. Roba da “Mille e una notte”. Ma tanto basta per lasciare andare in malora un patrimonio inestimabile. Niente funivie, niente progetti di lavoro. Antro del Corchia a parte nessuna iniziativa turistica, niente agevolazioni per chi vuole investire per il futuro dei nostri monti bellissimi (ho letto il tuo libro “Uomini sulle Apuane”!). Invece di aiutare chi crede in un domani migliore per la montagna, si stanga con ogni mezzo. Non solo con l’indifferenza. Tanto per fare un esempio, rammentiamo cosa è successo e cosa sta succedendo ad Ennio Bazzichi sopra S. Anna di Stazzema. Senza entrare nel merito giuridico dell’intervento della Guardia Forestale o dell’operato della Magistratura, va detto che Bazzichi, a sue spese e senza nessun incentivo, ha ristrutturato e ampliato alcuni ruderi. Prima ha fatto una teleferica per portare su, in mancanza di strade, i materiali, poi ha creato in un terreno di sua proprietà un complesso abitativo, che poteva diventare anche struttura di accoglienza. La zona non ha attrattive di alcun genere. C’è soltanto l’atroce ricordo della strage nazifascista. Mai è stato fatto qualcosa di effettivamente concreto per la gente di quelle borgate, eccezion fatta per il Museo della Resistenza e per i Cartelli sull’autostrada a monito del macabro eccidio. Il Bazzichi ha subìto pesanti processi e non gli è stata finora concessa un’equa sanatoria. Tutt’altro. La minaccia è addirittura la demolizione di ogni cosa. Per la montagna non c’è nemmeno un barlume di politica culturale. Eppure le Apuane potrebbero essere lo scenario favoloso per spettacoli indimenticabili. E si potrebbero portare, nei suggestivi paesi dell’Alta Versilia, premi di letteratura e di arti figurative, convegni e dibattiti. Ma i nemici del turismo e del benessere sono sempre in agguato. Sono coloro che si aggrappano saldamente alle poltrone della cultura e del potere, per lasciare le cose come stanno (anche se stanno male!) e si accaniscono contro chi, in modo o in altro, vorrebbe fare qualcosa di buono per tutti. Coloro che iniziano i lavori stradali in piena estate e che, in piena estate, mettono sottosopra città e campagne; coloro che scioperano nel momento culminante della stagione, fautori del massimo disagio, del “tanto peggio, tanto meglio”... Mi pare però, di avvertire un certo malumore nei versiliesi. La proverbiale pigrizia si scuote, qualcosa può cambiare. Non s’illudano i nemici del benessere, il crescente disagio è foriero di mutamento. Raffaello Bertoli Ileana nella tela del ragno Versilia Ileana Salvatori Romoli ha pubblicato “La mia Versiliacanti fra le Apuane e il mare”. Come i nostri lettori sanno, Ileana non è alla sua prima opera avendo già dato alle stampe “Una donna versiliese”, due edizioni di “Racconti versiliesi” ed “Esperienze soprannaturali”. È lei stessa a premettere che “senza parole la natura piange, ride, vive. E tu che passi cammina lieve ché l’orma tua si posi amica”. Anch’essa è rimasta nella spietata trappola della Versilia nella quale ci si chiude, spesso acriticamente, innamorati come siamo della zolla dove siamo nati. Va bene quello che Chenot ribadiva ad Ileana: se “la vita è una sola e Dio è la vita”. Ma allora non dovremmo anche dire, e scrivere, che la Versilia e le creature naturali che la compongono non possono essere sempre e comunque “la terra più bella del mondo”? Dio, se esiste, non può commettere ingiustizie. Ragione per cui tutto il mondo, essendo creatura divina, è altrettanto bello com’è bella la nostra Versilia. Ma chi canta la sua zolla, è vittima del piccolo specchio nel quale riflette la propria esistenza, specie quando non si conoscono altri orizzonti, altri confini, altri paralleli. Ed è per questo che Ileana Salvatori Romoli, come tutti noi, è vittima innocente del versiliesismo che nel cuor ci sta. Ed ecco l’Altissimo dove “nasce candido il fiore dei suoi dirupi e sboccia in infinite varie armonie” ma dove, pure, “oh sciagurata avidità! Le montagne sventrate si sgretolano”. Il bene e il male. Ecco le Cervaiole “forziere aperto di diamantina luce”. Se l’avesse scritto D’Annunzio questo verso lo avrebbero riletto nelle scuole. E invece no: è solo il frutto meraviglioso della fantasia di questa scrittrice nata soltanto al Crociale. Anche Ileana è rimasta nella tela del ragno. Così il cavatore: “Nell’effimero cangiante sfida ai secoli l’infinito di un uomo e di una montagna”, “ove urlano più forte i venti, unica eco, tutti i tornanti cupo il grido rimbomba: “Ahò-ahòoo! Lizzaaa!!!” mentre “su spietate feroci pendici, cadevano insieme bestemmie”. Sempre nella tela del ragno: “L’occhio di Michelangelo sul fronte, il fiore dei fiori radiale luce eucaristica dispensa”. Non poteva mancare S. Anna di Stazzema: “Là vive eterna Genny, indomita eroina degli inermi”. Ogni verso una lapide. C’è tutto lo spirito nostro in queste pagine de “La mia Versilia”. Ileana, una di noi. Una delle tante in mezzo a noi. Un guizzo, una luce, un lampo sulla grotta della nostra lunga e tragica istoria. Novembre 1999 - pag. 6 Tra le 100 mila gavette di ghiaccio una è tornata LA SALOPETTA DI SEBASTIANO Alcuni mesi fa, un alpino, Ferdinando Sovran di San Donà del Piave (Venezia) ha consegnato nelle mani del Sindaco di Pietrasanta, perché rintracciasse i familiari, una semplice ed umile gavetta, una delle 100 mila che il Corpo di spedizione italiano inviò sul fronte russo dove fu addirittura massacrato. Su quella gavetta, un nome, Sacchelli Silvio ed altre incisioni, tra cui il segno di un cappello alpino. La gavetta, una vera e propria reliquia, era stata recuperata da una famiglia russa nel paese di Rossosoh, in occasione della costruzione di una scuola che la grande generosità alpina, anche a distanza di oltre 50 anni, ha in quei posti realizzato. Questo gesto semplice se vogliamo, ma di grandissimo spessore umano e civile, ha suscitato in me ricordi e sensazioni. Era l’anno 1942, avevo nove anni e per me la guerra era una sorta di favola o racconto che i miei familiari la sera, mentre si consumava la cena, commentavano, evidenziando le notizie che via via arrivavano. Anche l’arrivo dei militari per qualche breve licenza come Silvio della Stella, Otello della Feli’ o Beppino Sacchelli e altri, portavano una sorta di gioioso avvenimento. In una delle tante mattine del 1942 recandomi a scuola, in fondo alla discesa, proprio sulla piazza, mi si avvicinò una figura conosciuta, in divisa alpina, con un grande cappello ed una penna nera. Era Silvio Sacchelli che, finita la breve licenza, ritornava al suo reggimento. Mi prese in braccio e mi salutò guardandomi negli occhi; poi, velocemente, prese la via che dal borgo mena alla chiesa, per raggiungere la stazione di Querceta. Lo guardai a lungo fino che non sparì. Solo oggi, ripensando con emozione a quel semplice e breve saluto, mi rendo conto che Silvio non avreb- be più rivisto il suo paese, i suoi cari, e la gavetta conservata miracolosamente da mani pietose è l’unico segno di questo generoso figlio strettoiese. Ricordo nitidamente quel momento e, riflettendo oggi a quella immane tragedia che colpì migliaia di giovani vite nelle fredde steppe russe, penso con dolore a cosa sia servito il sacrificio della sua vita. Anch’io, successivamente, ho indossato la divisa alpina e porto con orgoglio il cappello con la penna nera, ho svolto il servizio militare in tempo di pace ed a tutt’oggi coltivo questo sentimento, unito alla solidarietà di cui le nostre associazioni sono promotrici. È con questo spirito che ringrazio l’alpino Ferdinando Sovran che si è reso disponibile a portare alla famiglia di Silvio e nelle mani della sorella Diana e dei nipoti, questa gavetta che fece parte delle “100 mila gavette di ghiaccio” con un augurio che simili tragedie non avvengano più e si profilino per le generazioni presenti e future serene albe di tranquillità. Il nome di Silvio Sacchelli figura anche nel libro “S. Anna, l’infamia continua” tra i caduti versiliesi di tutte le guerre. Carlo Sacchelli UN MONDO SCOMPARSO TROPPO VELOCEMENTE Pochissimi in paese si ricorderanno di Arnaldo Cosi e della Norina Lariucci. Le nuove generazioni incalzano e la polvere si posa sulle onorate tombe. Pochi addirittura avranno memoria anche di Mario Federigi. Erano rispettivamente i genitori ed il marito della Maria Antonietta, così, chiamata fin da bambina con il nomignolo di “Tetta”, nata al Forte allo scoppio della prima guerra mondiale, nell’anno 1915. Una famiglia storica. Il vecchio Arnà, nato a Ruosina, fu per tanti anni il proprietario del “Lido”, quando il Lido era una delle attrattive della spiaggia versiliese. La Norina è stata padrona di bagno e della pensione che per decenni ha portato il suo nome. E la “Tetta”, almeno fino al giorno del suo matrimonio, si è prodigata a governare le attività gestite dai suoi intraprendenti genitori non senza nascondere una certa passione per la recitazione. Si ricorda ancora che la “Tetta” fece parte del circolo filodrammatico (si legga a proposito il libro “Versilia Era Fascista” di Giorgio Giannelli) i cui attori, Giuseppina Nicolai, Anna Ercolini, Erminio Zontella, Luigi Franceschi, Lionello Mutti, Narciso Luchetti e Dino Nicolai, calcarono il palcoscenico del teatro Firenze, famoso soprattutto perché, agli inizi degli anni trenta, finì in cenere in seguito ad uno spaventoso incendio. Anche il marito Mario Federigi è stato un personaggio di spicco nella storia del paese. Disegnatore e scultore, ebbe al suo attivo opere e monumenti di rilievo (valga per tutti la fontana di piazza del Plebiscito a Napoli). Esportò il suo successo all’estero e visse in Colombia, una ventina di anni, avendo aperto laggiù una importante impresa di marmi. La “Tetta” rappresentava un mondo scomparso troppo velocemente, serena, dolcissima, amata da tutti come si è visto in S. Ermete il giorno dei suoi funerali. Si merita questo ricordino da parte di un giornale che segue le persone per quello che sono nel loro intimo e per quello che valgono all’interno della antica comunità versiliese. Ai figli Ruggero, Andrea ed Arnaldo rinnoviamo le nostre sincere condoglianze. È fallito il concetto dello Stato-Nazione Abbiamo tutti partecipato con ansia alla tragedia del popolo kossovaro. E, subito dopo, agli eccidi di Timor Est. L’epoca moderna, la filosofia contemporanea, l’intelligenza dell’uomo, la cultura dell’esperienza vissuta sulla propria pelle e l’analisi delle vicende storiche passate, non tollerano più avvenimenti del genere. Tutte le minoranze hanno pari diritti sotto qualsiasi parallelo o longitudine esse vivano. Noi siamo per le minoranze, per la libertà di tutte le etnie, di tutte le religioni, di tutti gli uomini. Siamo da sempre in difesa dei diritti umani. Albanesi, serbi, curdi, baschi, còrsi, altoatesini, indiani, gitani o zingari, credenti e non credenti od anche indifferenti, comunque diversi, bianchi, pellerossa, gialli o negri che siano, il loro sangue e la loro vita valgono esattamente come quello tedesco, americano, inglese o italiano. Ecco perché restiamo di stucco di fronte all’indifferenza delle cosiddette Nazioni Unite di fronte all’attacco russo ai partigiani del Daghestan. Lo zar Eltsin ha incitato l’esercito di Mosca affermando che “la crisi del Daghestan è una minaccia all’unità della Russia”. E l’O.N.U. zitta e... mosca. Ed i non violenti, i pacifisti, le sinistre, i marciatori, gli Uomini dalla Lacrima Facile? E Ochalan? Terrorista. Ma non era considerato “terrorista” anche Sandro Pertini fino all’aprile del 1945? Ma non sono “terroristi” quelli dell’IRA, quelli dell’E.F.T.A., o coloro di tutte le minoranze che sparano perché non hanno più voglia di attendere il giorno della liberazione che, magari, non avverrà mai? Su Ochalan è calato il silenzio. E’ stato condannato a morte. Ma il governo turco ha condannato a morte anche decine di migliaia di persone, vittime del più grave terremoto di questi ultimi tempi. Ha permesso di costruire case, palazzi e grattaceli con cemento privo di armatura, fatti di soli mattoni e di calcina, case che sono crollate come fossero fatte di sabbia. Anche in Turchia (Nato e Europa) è fallito lo Stato. L’ha riconosciuto persino il ministro Erkan Muncu che nella sua autocritica ha detto: “Non è solo la povera gente, ma anche il sistema politico ed amministrativo ad essere finito sotto le macerie. Il paese è troppo complesso e dinamico per essere governato da Ankara”. Parole chiare. Chi è il vero “terrorista” allora? Non ci si capisce più nulla. Ecco Sebastiano (che bel nome, finalmente!) che il 31 agosto ha compiuto il suo primo anno. Gli auguri glieli fa la zia materna, Roberta Vincenti. Vivace e festoso, fa amicizia con tutti. Complimenti alla mamma Maria Cristina Bertellotti ed al babbo Bruno Tommasi, la prima coppia che ha coronato il suo sogno d’amore dopo la disastrosa alluvione del 19 giugno 1996 al Cardoso, dove tuttora risiedono. Sebastiano è il simbolo della ricostruzione e della volontà della gente di rimanere legata alle proprie indissolubili radici montanare. Una curiosità: nella foto egli indossa una salopette ritrovata tra i vecchi straccetti lasciati a Volegno, indossata 55 anni fa dallo zio Carlo Migliorini e cucito a mano dalla zia Luisa. È ancora in buono stato, nonostante qualche forellino causato dal tempo... RISCOPRI LA TÙ PARLATA Ringraziamo nuovamente la signora Maria Rosa Giovannetti, nostra attenta lettrice, che anche in questo numero ha mandato numerosi termini dialettali e proverbi da inserire nella rubrica. DIANTINE = vivace. HA DATTO AL DOLCE = non è freddo, riferito al tempo meteoroligico. IMPOLPI’ = riferito al tempo, quando dal forte freddo la temperatura si stempera, diventando meno aspra (es: “oggi il tempo ha ‘mpolpito”). INGEGNASSI = arrangiarsi. LULI’ HA DELO STOCCO = si dice di persona intelligente. RICOMODATA = fatta in umido. TAPINATO = dato da fare. TICIDO’ = è vero. VÉNI VÉTI = Vieni a vedere. VÈNTI SÈDI = Vieni a sedere. PROVERBI: FA’ DA QUANTE QUELLO CHE, PORTATA LA GROCE ‘N PIAZZA, RIVENSE A CASA CO’ LA SUA = spesso crediamo i nostri problemi maggiori di quelli degli altri, ma se potessimo metterli a confronto probabilmente dovremmo ricrederci. FA’ PIÛ DANNI CHE ‘L FIUME A’ PIETRASANTINI = variazione di “fare più danni che il fiume ai lucchesi”. FIN CHE DURA FA’ AVVENTURA = fin che una situazione perdura, tutto di guadagnato. QUANDO LA COSTA METTE ‘L CAPPELLO, SERAVEZZINI APRITE L’OMBRELLO = la Costa è uno dei monti che sovrastano Seravezza. Ogni paese ha una variante propria del proverbio (es: la Pania per alcuni paesi dello stazzemese, il Matanna per Pomezzana). UN PAIO D’ORECCHIE STACCHINO CENTO LINGUE = ascoltare bene le cose evita che si verifichino tanti disguidi. TOPONIMI CHE DERIVANO DA TERMINI DIALETTALI: Il “tarzo”, o anche “tarso”, nella parlata versiliese indica il “quarzo” (G. Cocci, Vocabolario Versiliese, con integrazioni di S. Belli, p. 134). In passato, fino alla metà del nostro secolo, era assai ricercato, per cui se ne faceva raccolta sia nella piana alluvionale di Querceta, sia nell’Alta Versilia, dove si trovava in abbondanza, specie nella valle del Cardoso. Veniva usato soprattutto per produrre il vetro, come documenta V. Santini (Commentarii storici sulla Versilia Centrale, vol. III, p. 280) riportando gli scritti di vari altri studiosi, tra cui il Targioni Tozzetti. Di tale minerale, tuttora presente nel territorio dell’Alta Versilia, rimane testimonianza in alcuni toponimi del comune di Seravezza, tra cui TARSO e FOSSO DEL TARSELLO (G. Cocci, op.cit., pp. 180-181). Lorenzo Marcuccetti CONSORZIO: CHE FANNO I BALNEARI? Caro Giorgio, Ho letto con interesse l’articolo di Luigi Pellizzari apparso sul tuo giornale di settembre. Condivido pienamente il suo pensiero. Purtroppo devo anch’io constatare il completo disinteresse della maggior parte dei contribuenti che pagano questo iniquo balzello. La cosa che stupisce è che anche le Associazioni di categoria si astengono stranamente dal prendere iniziative in proposito. Ad esempio, come giustamente avevi esposto su “Versilia Oggi” del luglio 1998, le Associazioni dei balneari di Forte dei Marmi, Pietrasanta, Camaiore e Viareggio che rappresentano oltre 500 stabilimen- ti balneari dal Cinquale a Torre del Lago, niente hanno fatto. Eppure mi sembrerebbe semplice e poco dispendioso che facessero, tutti insieme, un ricorso alla magistratura, che ritengo avrebbe sicuramente esito positivo. Speriamo che si sveglino almeno loro, nell’interesse degli associati. Cordiali saluti Marcello Mori LIBRERIA GIANNELLI LA VERSILIA RIVENDICA L’IMPERO Novembre 1999 - pag. 7 Caro Direttore, ho letto con estremo interesse, come sempre del resto, il tuo articoletto laddove porgi “un caloroso augurio a don Piero” mentre lo solleciti a compiere “alcune opere urgenti”. Come dire, il bastone e la carota o, meglio, un colpo al cerchio e un colpo alla botte... Sono d’accordo sugli auguri. Don Piero: è da tre anni al Forte, si fa ben volere e stimare. Gli auguri e i saluti sono calorosi da parte di tutti, ma proprio da parte di tutti. Va bene anche la proposta di fare murare la lapide del 1777 in una posizione visibile a tutti. Quello che non mi trova d’accordo è il tuo accenno alla storia del campanile. Intanto io non lo chiamerei “il campanile di Polifemo” perché, a quanto mi risulta, Omero non lo descrive “orbo” bensì monocolo. Gli orbi o guerci sono quei poveretti che prima avevano due occhi, poi son rimasti con un occhio solo. Polifemo, no, ha sempre avuto un occhio solo fin dalla nascita e su quello ci ha conficcato un palo Ulisse, come fosse stato un piolo... Ma a parte i richiami mitologici, occorre precisare il perché le campane del Forte si trovano sistemate a quel modo. Alla fine degli anni 70 (forse nel 1978), nel tempo di un doppio solenne, il batacchio della campana che guarda verso la strada sottostante, cioé via Trento, si staccò dal mozzo e cadde precipitosamente. La caduta fu talmente improvvisa e violenta che il batacchio stesso si conficcò sull’asfalto della strada come un piolo (ecco l’accenno alla storia di Polifemo). Fortuna (o miracolo?) volle che in quel momento non passasse anima viva per la strada. Perché, se fosse passato qualcuno, te lo immagini lo “spiccinìo” che sarebbe successo e le gravissime conseguenze che sarebbero piovute addosso al priore monsignor Sabucco. Cappellano a quell’epoca era don Roberto Filippini, che subì un vero proprio choc. Non ti dico la Valentina: diventa pallida tuttora, quando ne parla. Le campane furono oggetto di infinite discussioni e il pensiero era sempre fisso lì. Furono consultati i tecnici, che intervennero per imbracare e rinforzare le cinghie di sostegno delle campane. Ma la sicurezza non era al cento per cento. Tanto più che il campanile del Forte non si trova in mezzo alla campagna, ma proprio al crocicchio di strade sempre transitate e frequentate di giorno e più la notte. Finalmente nel 1992, in occasione del 50° della sua Messa, monsignor Sabucco disse: «In queste ricorrenze si fanno i regali al parroco, calici, casule, paramenti e doni vari. Io non voglio nulla. Desidero soltanto che sia risolta, una volta per sempre, la questione della sicurezza delle campane». Tutti furono consenzienti e il comitato paesano si dette da fare per la raccolta dei fondi. Fu interpellata la ditta Scarselli di Firenze, che è fra le prime nell’impianto e nell’elettrificazione campanaria. Dopo vari studi e progetti si determinò da parte dei tecnici che le campane fossero tolte dalla luce delle finestre (era NELLA VECCHIA FORTE DEI MARMI CI SONO TROPPE COSE DA RISISTEMARE DAL CAMPANILE AL MAGAZZINO IL PASSO È BREVE evidente la preoccupazione dell’uscita senza ostacoli) e fossero sistemate, senza abbassarle dalla posizione originaria, contro gli angoli, in linea diagonale: in modo che se, per disgrazia, si fosse staccato il batacchio, questo sarebbe andato a cadere contro l’angolo dentro il perimetro della cella campanaria. Fu eseguito il lavoro a regola d’arte con il contributo generoso della gente, perché la spesa si rivelò molto ma molto ingente. Le campane “non” sono state abbassate ma semplicemente (oddio, non tanto semplicemente!) collocate in diagonale contro l’angolo del campanile, per cui effettivamente non si vedono, questo sì, ma si sentono, e come se si sentono! Basta ascoltarle per la festa di S. Ermete, che attira tanti villeggianti, estasiati dal suono cristallino e inconfondibile di quelle campane. Tanto volevo dirti, per dovere di cronaca, e a onor del vero, che io ho saputo da fonte autorevole, perché da 43 anni bàzzico il Forte e, quindi, qualcosa della città, degli abitanti, della chiesa devo pur saperla per via diretta e non per sentito dire! Ciò non toglie la mia stima e il mio personale apprezzamento per il tuo mestiere di giornalista, che sai fare con molto gusto e valentìa e soprattutto perché sai farti leggere in ogni tuo intervento (anche questo!). Coi più cari saluti. detta “Radio prete”), l’intero Magazzino (trasformato in tre appartamenti) è di proprietà dell’Istituto per il sostentamento del clero della Diocesi di Pisa. È qui che sorgono i problemi. Non so se monsignor Armani sia ancora il capo dell’amministrazione dell’Istituto per il sostentamento del clero della Diocesi di Pisa. Fatto sta che il 2 febbraio 1996 (sono passati ormai più di tre anni e mezzo) lo era, e che quel giorno prese l’appuntamento con il notaio Emilio Maccheroni di Pietrasanta per la vendita di un appartamento ricavato dallo storico Magazzino del Ferro (1618) il più vecchio edificio dell’odierna Forte dei Marmi. Incaricati dell’affare erano l’architetto Giusti di Pisa e l’Agenzia Casamare Immobiliare del Forte. L’acquirente e monsignor Armani vennero convocati per quel 2 febbraio alle ore 17. Dopo un’ora di attesa si seppe che l’Istituto per il sostentamento del clero della Diocesi di Pisa avrebbe disatteso un impegno che era stato chiaramente concordato e stilato per scritto da entram- be le parti con un regolare ed inequivocabile compromesso. Erano stati chiaramente indicati i termini dell’accordo, la somma di caparra stabilita ed il prezzo finale. Non ci sarebbe stata possibilità di evasione fiscale da parte di entrambe le parti, in quanto la vendita dell’immobile era sottoposta all’autorizzazione o prelazione da parte del Ministero competente al controllo dei beni considerati di carattere storico-culturale. Lo ripeto, l’antico Magazzino del ferro successivamente passato in proprietà alla Diocesi di Pisa, è datato 1618 e su di esso è stato ripristinato lo stemma della famiglia granducale dei Medici. Ora ognuno è padrone di vendere le sue proprietà a chi gli pare; e così deve aver pensato e fatto anche il potentissimo monsignor Armani. Ed ognuno è padrone di comportarsi come meglio gli aggrada: promettere, trattare, dare un appuntamento, mancare alla parola data, non presentare neppure le scuse alla signora che attese invano un’ora dal notaio Maccheroni nello studio posto sulla via Aurelia al Ponterosso di Pietrasanta. Maleducazione a parte, sarebbe oggi interessante conoscere il prezzo di vendita dell’appartamento dato che, dopo più di tre anni e mezzo, sembra (sottolineiamo la parola sembra) che quell’affare mancato allora sia stato concluso di recente con altro acquirente. Al prezzo di vendita sono collegate almeno due cose: la prima è che dopo tre anni il costo di una proprietà così prestigiosa dovrebbe essere notevolmente aumentato. È vero che ognuno, Chiesa compresa, è tenuto a farsi gli affari suoi, ma il povero clero, così tanto bistrattato, avrebbe il diritto di sapere se i suoi amministratori, di manica stretta, agiscono coerentemente con le leggi del mercato. La seconda cosa è di carattere fiscale: sapere almeno se dal 1996 ad oggi sono cambiate le leggi in modo tale che la quota spettante allo Stato sia stata nel frattempo diminuita o meno. È un problema. Essendo l’autore della Bibbia del Forte dei Marmi, sono molto interessato a conoscere i particolari dell’operazione. Ed a pubblicare eventuali doverose precisazioni. Sottratto a Pomezzana un gioiello del 1490 Quest’inverno, mentre facevo un servizio televisivo a Pomezzana per il rotocalco settimanale “Versiliaset”, nella chiesa del paese, mi fu presentato un fac-simile d’un opera anticamente esistente nella chiesa, e cioè l’Ancona di Pomezzana. Ricordavo di averla vista alla Mostra sulla Versilia Medicea nel Palazzo di Seravezza. Mi fu detto che apparteneva ad un pittore del Quattrocento, Bernardino del Castelletto, e che attualmente si trova presso la Pinacoteca di Villa Guinigi. Chiesi subito il perché, e mi fu risposto che era stata imprestata a tale Pinacoteca quando fu rifatta la chiesa che era stata danneggiata da un terremoto (del quale si riconoscono ancor oggi le tracce nel campanile, che, se osservate, è leggermente inclinato) e mai più restituita. Insomma, come la biblioteca d’Alessandria, che chiese a quella d’Atene d’avere gli originali delle opere di Omero per copiarle, e mai più gliele restituì. Si sa pochissimo del pittore, se non che era di probabile origine lombarda, e che da un documento del 1481 apprendiamo “stabilì la dimora in Massa [...] e vi finì i giorni”. Questa sua opera è importantissima perché sappiamo essere l’unica firmata e datata dall’autore Bernardinus de Casteleto, Massae, Pinxit, A.D.M. MCCCCLXXXX. E dico “era” perché la parte inferiore dell’Ancona fu in tempi più recenti tagliata, scempio dei “restauratori” d’allora. Si tratta di una Madonna attorniata dai Patroni di Pomezzana SS. Pietro e Sisto, di tratto lippiano, che ha il Bambin Gesù in piedi sulla sua gamba sinistra. La Madonna siede su un tipico trono marmoreo di gusto gotico (l’autore evidentemente conosceva bene il marmo, visto che ne imita le venature), così come gotici sono i due angioletti, che ricordano la pittura fiamminga. Ma l’ispirazione gotica finisce qui, perché ci sono moltissimi elementi già rinascimentali: non più le colonnine gotiche dorate tra Madonna e Santi, non il fondo dorato, anzi, un paesaggio prospettico che cattura subito l’attenzione. E ci sono delle montagne sullo sfondo di color celestino, come quelle di molte opere del grande Leonardo da Vinci, che rappresentano le Alpi Apuane: tra S. Pietro (riconoscibile dalle chiavi papali) e l’Angelo si scorge il Monte Forato, mentre dietro S. Sisto (quello col Triregno in capo) si osservano del- le creste di monte tipiche delle Apuane. I due Santi sono all’esterno di un tendaggio di broccato rosso-nero (che è anche una “firma” del pittore, comparendo anche in un’altra sua opera). Completa l’Ancona un’interessante lunetta raffigurante Dio benedicente con una sfera di cristallo sulla mano sinistra e che ne riflette l’immagine deformata dal vetro, con un effetto piuttosto realistico (pure questa è una “firma” dell’autore). Altro effetto di sicuro gusto è il tappeto ai piedi della Madonna, che riprende lo stesso motivo coloristico delle strisce del Trono, dietro le sue spalle, e che ha quella sensazione di stoffa nei colori leggermente mossi. Questi elementi ricordano l’arte della tessitura, oggi scomparsa e che anche nel ‘400 era un vanto di tutta l’economia versiliese (e anche di Pomezzana). Chiedo a tutti i versiliesi se ci si può interessare di questa Ancona, visto che raffigura le Apuane col Monte Forato, e che non ha senso che stia a Lucca in un contesto completamente avulso. Sarebbe un vanto riappropriarsi d’un Opera così importante, e spero che qualcuno raccolga questo mio invito. Il Giubileo è ormai alle porte! CON IL GIUBILEO STANNO UCCIDENDO VENEZIA vigile, un carabiniere o un poliziotto. Ognuno faceva i propri comodi dove e come voleva, tanto che con mia moglie abbiamo deciso di rientrare a casa a Spinea con l’angoscia nel cuore. Per poter tornare abbiamo atteso più di un’ora per imbarcarci su di un vaporetto. Io a Venezia ci sono vissuto quasi quarantanni, mai ho assistito a cose del genere. Due Coca-Cole trentamila lire. Ciao Venezia. Caro Giorgio nell’ultima Versilia Oggi tu mi hai appioppato l’appellativo di versiliese doc, del che ti ringrazio. Un affettuoso saluto. Oscar Perich Caro don Oscar, intanto grazie delle parole di incoraggiamento. Si può essere nati anche modesti, ma quando giungono riconoscimenti da certi pulpiti, un pizzico d’orgoglio vien sempre fuori. Polifemo o no, il campanile del Forte, resterà ancora Polifemo? L’evento che ci racconta è del tutto inedito; e capisco solo adesso come e perché siano state nascoste le storiche campane (vedi Bibbia del Forte dei Marmi alle pagg. 145 e segg.). Mi incoraggia anche il suo benestare alla proposta di murare in modo più visibile la lapide del 1777, attualmente collocata (ed anch’essa nascosta) sulla porta della cappellina di fianco all’antico Magazzino del Ferro della Magona. Ma anche qui non toglieremo il ragno dal buco. Infatti, come lei saprà, mentre la cappellina è di proprietà della Parrocchia del Forte (tant’é vero che ne ha fatta la sede di Radio Forte dei Marmi Caro Giorgio, sono molto dispiaciuto per non aver potuto esaudire il tuo desiderio di trovarti un alloggio in Laguna e ancor più avermi tolto la soddisfazione di passare qualche ora in tua compagnia. Purtroppo con la storia del Giubileo Venezia è così a prescindere dall’esosità dei costi astronomici che già da tempo vengono praticati in ogni settore. Con l’aiuto di un cugino che abita a Venezia e di una mia nipote che vi lavora, sono state fatte molteplici ricerche, ad inizia- re da alberghi a due stelle la cui pretesa, se avessero avuto possibilità di avere stanze libere, variava intorno le 400.000 lire a notte per una matrimoniale. Non parliamo poi dei tre stelle, intorno le 600.000 lire a notte. Comunque Venezia non ha disponibilità di alloggio quanto meno fino a dopo il 2000. Inoltre, senza impegno, una nipote di un nostro parente impiegata in un’agenzia turistica sta interessandosi al caso, con poche speranze di poter trovare qualcosa. Ci è stato detto di non far- ci illusioni. Giorni fa, sia il tempo che la salute ci hanno fatto il dono di poter tornare a Venezia limitandoci a piazza San Marco e dintorni e devi credermi che mi sembrava di essere tornato all’epoca dei famosi treni popolari organizzati dal vecchio regime che scaricava migliaia di turisti nostrani con al seguito sporte e sportine con le provviste di viveri per la giornata, lasciando cumuli di immondizie in ogni luogo. Quei tempi li abbiamo rivissuti oggi: uno sconcio, non un Giulio Galleni Carlo Ricci Novembre 1999 - pag. 8 – O magliale, ti scaccoli? – No! Ciò un furoncoletto! – Noo, ciai una caccola s’un dito! – È tera! – Si gioca a’palline? Dai, giochiemo, te fa la buca e io segno il passo. – Oh, ti chiama tu ma’! – Che c’è o ma’, un lo vedi che ciò da fà. – Fà un salto a pigliammi un fiasco d’olio da tu pa’ al frantoio. – Oh, vengo anch’io! – Andiemo, così ti faccio vedè la parte di frantoio c’un hai visto l’altro giorno. – Per forza, è colpa degli operai che ciàno fatto ’nbriacà. – Spetta che mi fo’ da’ il fiasco, po’ si va’. – O Ma’! Tirimi il fiasco! – O citrullo, venlo a piglia’ che si rompe. – Oté, lo pigli il girello? – No! Che c’è da passa’ dalo stradone. – E allora piglia lo strombolino che si tira du’ sassate a quel cane che ci rompe sempre le scatole. – Tanto che si passa di lì, si sona il campanello a Piferone? Arrivati da Piferone, suonano e scappano. – Si? chi è? S’affaccia alla Com’é bòna la fett’unta! finestra e non vede nessuno – Saranno stati que’ du’ ragazzi, ma deno scappati. Mah, tutti i giorni mi suonano il campanello. E chiude la finestra, borbottando. Un po’ più innanzi. – Rospa miseria oh, guarda là he! – Che dici l’avro’ vista: dice mi’ ma’ che è un tegame. – E che vol’ di’? – Só una potta io. – Anco, anco mi’ ma’ quando quistiona co’ mi’ pa’ gli dice – Vorresti che fossi come il tegame dela tu sorella, che la dà anco a’ neri. – O quando si rivene dal frantoio si passa dala tu’ zia e le si domanda che vol dì tegame. – Toh! Riecco quel rompi scatole del cane, ’spetta che gli tiro ’na sassata – Umh. L’hai bell’e preso, quando vede lo strombolino scappa che ’un gli par vero. Arrivati al frantoio. – O Babbo, piglio ’n fiasco d’olio per la mamma. Oh intanto veni, ti faccio vede’ i tini pieni d’olio. – Rospa miseria, otio quanto olio, è tutto tuo? – Noe, è de’ clienti che lo lascino lì, po’ venghino d’estate a pigliallo quando è stiarito e il fondo lo lassino a mi’ pa’. – E tu’ pa’ che ci fa’ con tutto quel fondo lìe? – Ci s’impolpisce i duroni su’ piedi. Veni si va a vede’ il rotone. – Che è il rotone? – E’ una rota grossa fatta a scalini di legno, le “pale”. Sopre ci va l’acqua dela gora che la fa gira’ pe’ mezzo d’ingranaggi di legno e fa andare la macina drento al frantoio. – Vada ganza e che casino che fa! – ’Ndela stanza di là c’è un volantino che fa aprire e chiudere la cateratta sulla gora e secondo da che parte si gira il rotone, parte o si ferma. – E te come fai a sapello? – E capirai, a volte lo apro o lo chiudo anch’io. – Mah! ‘n ci credo. – E che ci vole, veni che appena dèno macinate l’olive ti faccio prova’ anco te. – Oh l’han’ misse drento la macina ora e ci vole un bel po’. Lo voi assaggia’ l’olio? “LA FINESTRA SUL FIUME” L’autore appare sempre rispettoso dei ruoli: non gli compete quello dello storico. Egli vede la fine della guerra e il momento della ripresa solo attraverso i sentimenti, le sensazioni della sua gente. Questi racconti, oltre a coprire l’arco dell’esistenza dello scrittore, costituiscono un efficace spaccato di vita dei tempi in cui egli visse. Vi si possono, infatti, rintracciare numerosi spunti di carattere sociale, politico, economico, culturale, ecologico... Un’ultima osservazione riguardo al linguaggio: Salvatori sa aderire a quello dei suoi personaggi. Ne scaturisce una lingua viva, nella quale compaiono parecchi termini dialettali, però senza strafare, senza abbondare di voci del vernacolo versiliese. Si tratta di un sapiente dosaggio linguistico che non stufa, anzi vivacizza e rende piacevole la lettura. Aggiungerei che le parti sono ben armonizzate tra di loro e fanno sì che la struttura del volume risulti unitaria ed organica. Insomma racconti piacevoli, di facile accesso, che rilassano la mente e rasserenano lo spirito, attraverso la rievocazione di un tempo e di un mondo che sono ormai scomparsi, ma che dicono ancora molto al cuore di chi, come me, da ragazzo ha vissuto e sentito raccontare storie affascinanti, come quelle della “finestra sul fiume”. Del professore Romeo Baccetti, docente del collegio “Alla Querce” di Firenze pubblichiamo: Mario Salvatori: una scoperta attraverso i racconti de “La finestra sul fiume”. Bei racconti, che fanno dell’autore un cantore appassionato della sua terra. Un primo dato che risalta dalla lettura è l’estrema varietà delle figure. Ce n’è di tutti i tipi: uomini e donne colti dalla penna dello scrittore in situazioni e atteggiamenti differenti, ma tutti accomunati dalla durezza della vita. Ci sono lavoratori e vagabondi, assennati e matti, realisti e sognatori; tutti personaggi semplici, “umili” che lottano giorno per giorno. Salvatori, rifuggendo da ogni complicazione intellettualistica, usa un linguaggio semplice, schietto; chiama le cose con il loro nome autentico; le persone con i nomi di battesimo o, più spesso, con i loro soprannomi. Una curiosità: il senso attraverso il quale l’autore entra immediatamente in contatto con la sua terra è l’olfatto: quanti odori e sapori ricorrono nei suoi racconti! Quello delle anguille in umido, del buon legno, delle resine della macchia, del mare, della terra aperta, dei buoi affaticati, del ribes... Qualche volta sembrano emanare odori anche concetti astratti, come la miseria! Quanti profumi! Come quello intenso dei prugnoli! Appare evidente che attraverso le storie di questo volume si snoda tutta la vita di Mario Salvatori. Egli non compare mai in prima persona, ma la sua presenza è ben visibile all’interno delle varie situazioni, dietro i personaggi descritti. Romeo Baccetti – Si! Mi piacerebbe su una fietta di pane col sale! – Oh, lo chiedo a Marino che cià del suo di grano fatto in casa. Sentissi come è bono. – Rospa miseria, mi fai venì l’acquolina. – M’hai a di’ quando un’hai fame. – Marino! Ce le dai du’ fiette di pane del tuo che le vogliemo unge. – Tene’, fatile abbrustoli’ sul foco, po’ le ungete e con un bicchiere di vino éno la fine del mondo. – La fine del mondo me la fa vede’ mi’ ma’ se ribevo il vino. Ha ditto che le basta mi’ pa’ briaco la sera, un’occorre che m’imbriachi anch’io... – Oh, oh! Sta attento che strinino! – Noe, un ti preoccupa’. Le giro, po’ eno pronte. Tò, senti qua come dèno bone. – Ora mi scola l’olio da tutte le parte. – E lecchilo, con quelo lí la sbornia ’u si ci piglia; e mangilo piano che ’n te lo leva nimo. – Ora andiemo che è quasi buglio. Dispiace insino lassa’ questo foco, pensa’ fori com’è freddo; oh pa’ si va via. Antonio Bandelloni Babbo: cos’é la politica? L’amico Armando Baldoni ci passa il seguente volantino. Un bambino torna a casa e dice al padre: – oggi a scuola mi hanno fatto un test. Cos’è la politica? Io non ho saputo rispondere me lo spieghi babbo? – Caro figliolo ti faccio un esempio. Io lavoro e porto i soldi a casa. La mamma amministra il mio guadagno e cura la casa, quindi rappresenta il governo. Tu sei il figlio maggiore del quale ci dobbiamo preoccupare e quindi rappresenti il popolo. La tua sorellina, che è ancora piccola, rappresenta il futuro del paese. Di notte, il figlio svegliato dal pianto della sorellina che dorme vicino a lui, si alza cercando di calmarla e vede che ha il pannolino slacciato ed è piena di cacca fino al collo. Va in camera da letto dei genitori per chiamare la mamma, ma questa dorme profondamente e non sente. Il padre non c’è. Ritorna in camera sua a riflettere che cos’è la politica. 1) Il governo dorme. 2) Il popolo nessuno lo ascolta. 3) Il futuro del paese è pieno di merda fino al collo. LIBRI VERSILIESI IL COLORE DEI RICORDI di Alfreda Galleni Cecconi Alfreda Galleni Cecconi ha scritto spesso per Versilia Oggi, ed i suoi racconti, ricordi e quadretti sono ora raccolti in un libro “Il colore dei ricordi”, appunto, la cui curatrice –guarda caso- si è dimenticata di citare sia pur di sfuggita il nostro piccolo giornale. La presentazione è avvenuta al fresco, sulla via Romana a Strettoia, tra gli olivi e la vigna di casa. Moltissimi gli amici e le casalinghe abbonate e Magnifiche di Versilia Oggi che il nostro Direttore, invitato, ha rivisto e potuto salutare. Ottimi i bocconcini e il vino, amorevolmente preparati dai vicinanti. Sapiente la regia dei figli Sandro e Luana che hanno voluto onorare la loro inimitabile capofamiglia. “Il colore dei ricordi” riguarda una generazione che ha dato tutto e si appresta a lasciare la propria testimonianza, preziosa, a coloro che vivranno il duemila. Alfreda parte dalla nonna, la matriarca che ammoniva: “non rimandare a domani quello che puoi fare oggi”, dalla zia Ginè, poliomielitica, ma tenace ed instancabile anche nel campo od alle prese con la mucca Stellina. Parte dalla trebbiatura, quando nel cielo si levava alta la polvere d’oro del grano, dal tempo in cui nei campi c’erano soltanto reparti bellici ed era ormai pericoloso ed improduttivo tenerli al meglio. La “vecchia signora” è del 1926, come chi scrive queste note. Il suo fidanzato, Mauro, poi diventato il suo amatissimo marito, era partigiano. E’ il filo conduttore del racconto di Alfreda: gli sfollamenti, la fame, le angosce, la fuga, i bombardamenti, gli eccidi. “Eravamo a Ripa al pattinaggio quel 18 maggio dell’Ascensione quando sentimmo aeroplani volare bassi vicino al paese, poi un gran botto. Ci guardammo in faccia spaventati. Al gran botto seguì il silenzio. Tornando al paese sapemmo che gli aerei alleati avevano lanciato delle bombe per colpire la ferrovia, mancandola”. Per la generazione di Alfreda il 19 settembre del ’44 è stato il più bel giorno della vita perché fu il giorno della liberazione dal tedesco invasore. Fu il giorno chiave per riprendere una esistenza degna di questo nome, per aspirare al benessere, per capire il vero senso della libertà. BANCA DI CREDITO COOPERATIVO DELLA VERSILIA Capitale e fondi patrimoniali Lit. 87.282.923.996 Sede in Pietrasanta - via Mazzini 80 - tel. (0584)7371 Agenzie: Pietrasanta - via Monginevro 16 (loc. IARE) - tel (0584)793334 Marina di Pietrasanta - via Donizetti 20 - tel. (0584)745777 Ripa di Versilia - via De Gasperi 123 - tel. (0584)767153 Capezzano Pianore - via Sarzanese 121 - tel. (0584)915025 Forte dei Marmi - via IV Novembre 4 - tel (0584)82752 Stiava - via Matteotti 52 - tel. (0584)970094 Pontestazzemese - piazza Europa 1 - tel. (0584)775031 Una presenza cooperativa in Versilia