Anno XXXI1, 1/28 febbraio 2011, n.6 LA RIVISTA DELLA SCUOLA lotta alla Riforma in Italia mente meritevoli, venivano premiati con trasferimenti in sedi importanti, quando commettevano errori gravi o frequenti venivano licenziati o mandati in carcere. Con il passare del tempo assistiamo anche ad una graduale diminuzione degli interventi delle autorità statali in soccorso alle attività del Sant’Ufficio: nei casi di cattura e detenzione di ricercati e nell’esecuzione di pene corporali, gli ecclesiastici delegavano le autorità statali in quanto il Sant’Ufficio non poteva macchiarsi del sangue dei suoi fratelli. Sia per i giudici, che per i collaboratori del Sant’Ufficio, che per i testimoni e gli inquisiti, fu ribadito di mantenere l’assoluta segretezza sulle cause in corso e fu imposta la massima cautela nella conservazione degli atti dei processi. A partire dal tardo Cinquecento gli Inquisitori romani italiani potevano lavorare e procedere autonomamente, dovendo tener conto solo dei superiori romani: la sottoscrizione delle sentenze fu il solo “contentino” lasciato ai Vescovi. Sempre a fine secolo, mentre il contributo delle autorità statali era ridotto al minimo, le sedi locali del Sant’Ufficio erano presenti e distribuite in gran parte della penisola italiana, esclusa l’Italia meridionale. Negli ultimi anni del XVI secolo l’Inquisizione romana si dedicò alla soppressione della crescente adesione all’Islam che si registrava in Italia, obiettivo preminente anche nei due secoli seguenti e che trovò pari attuazione nell’Inquisizione spagnola nelle isole di Sicilia e Sardegna. In questo stesso periodo il Sant’Ufficio continuò la sua azione di controllo sui libri, sul consumo di cibi proibiti, sulle proposizioni ereticali, sulle bestemmie, sulle sollecitazioni sessuali da parte dei confessori, sulla bigamia e sulle offese contro il Sant’Ufficio. Iniziò inoltre a vigilare sulle pratiche di magia e di stregoneria, anche se esse sin dal Medioevo furono affidate ai Vescovi e, in alcuni casi, anche alle autorità statali: l’Inquisizione poteva intervenire solo quando si manifestava l’abuso dei sacramenti ed i rapporti col diavolo integravano i delitti di eresia e di apostasia. In Italia si diffuse in questo fine secolo l’ossessione per il sabba, una cerimonia notturna in cui si credeva che le streghe, attraverso un patto di sangue, giurassero fedeltà al demonio e che durante tali cerimonie si preparassero malefici mortali e si consumassero cibi strani e rapporti sessuali. I processi contro la stregoneria furono condotti particolarmente dai domenicani e secondo modalità molto severe e rigorose. Proprio la magia diabolica e la stregoneria divennero, a partire dagli anni Settanta del Cinquecento, una delle occupazioni principali dei tribunali del Sant’Ufficio in Italia, tanto che il 05.01.1586 papa Sisto V (papa dal 1585 al 1590) emanò la bolla Coeli et terrae Creator, con la quale volle definitivamente chiudere ogni tipo di rapporto tra Chiesa cattolica e magia. Con tale provvedimento bandì e criminalizzò ogni forma di astrologia e di magia colta ed affidò in modo implicito agli Inquisitori il compito di occuparsi delle forme di superstizioni semplici. In tale ambito si distinse in modo particolare in Italia la Curia arcivescovile napoletana i cui giudici, che ebbero una certa indipendenza dalla Congregazione del Sant’Ufficio, istruirono molti processi di magia e stregoneria anche lunghi e complessi. Il 22.01.1588 Sisto V emanò la bolla Immensa aeterni Dei con la quale promosse una riforma organica e radicale della Curia romana, organizzandola in quindici distinte Congregazioni cardinalizie. Da tale riorganizzazione il potere concorrente del Collegio cardinalizio ne uscì molto indebolito, al contrario invece di quello della Congregazione del Sant’Ufficio, che fu posta al vertice della Chiesa. Nel resto dell’Europa cattolica, dove non operarono né l’Inquisizione romana né quella spagnola, nel corso del Cinquecento, il controllo delle diverse forme di dissenso religioso fu gestito, in altri modi e con risultati diversi, dalle autorità secolari, spesso affiancate ed aiutate da quelle religiose locali. I piccoli gruppi ecclesiali degli anabattisti furono combattuti e perseguitati con forza e violenza sia nei paesi protestanti che in quelli cattolici dell’Europa prevalentemente centrale: Svizzera, Germania, Austria, Olanda e Paesi Bassi. In tali territori le autorità locali furono determinanti, anche in quei paesi senza Stato nazionale, come Germania e Paesi Bassi. Le scelte degli anabattisti relative alle strutture comunitarie della salvezza e l’organizzazione ecclesiastica che si davano preoccuparono molto le autorità di governo che così reagirono nei loro riguardi con severe norme punitive e numerose condanne a morte. Molto controllati e perseguitati furono anche gli eretici radicali antitrinitari, temuti in modo particolare per la loro forte negazione di alcuni dogmi centrali del cattolicesimo, quali la negazione della Trinità e della stessa divinità di Cristo. Il caso più famoso fu quello del medico, umanista e teologo Michele Serveto che, partendo da una lettura filologica del Nuovo Testamento, criticò la terminologia e l’esistenza stessa della Trinità in due opere: De Trinitatis erroribus del 1531 e Dialogi de Trinitate dell’anno seguente. Ma il culmine della vicenda si ebbe all’inizio del 1553, quando Serveto scrisse e pubblicò a Lione la Christianismi restituito in cui ribadì ancora una volta la negazione della Trinità. Serveto fu ufficialmente ricercato dalla Chiesa cattolica che venne tacitamente aiutata anche da Calvino, al quale il medico aveva inviato fiduciosamente alcune lettere. Serveto fu arrestato, ma riuscì a scappare a Ginevra dove però fu riconosciuto, nuovamente arrestato e sottoposto a processo: il 27.10.1553 fu bruciato vivo per volere del Consiglio cittadino e dello stesso Italo Calvino. Anche in Francia e nei Paesi Bassi i Riformati furono perseguiti dalle autorità statali; in Inghilterra alcuni cattolici, che non accettavano lo scisma anglicano furono uccisi. La stessa sorte capitò prima ad alcuni inglesi protestanti per volere di Maria la Cattolica e poi a diversi cattolici che furono processati, regnante Elisabetta I. La svolta degli anni Settanta fu di grande importanza, in quanto si raggiunse una certa omogeneità nella prassi giudiziaria del Sant’Ufficio: i tribunali inquisitoriali locali assumevano in tutta Italia caratteristiche ed organizzazioni omogenee, procedure precise ed ambiti di intervento ben definiti. Anche i rapporti con la sede centrale del Sant’Ufficio migliorarono: i tribunali locali ottennero maggior libertà d’azione, anche se le decisioni più importanti furono sempre “dettate dall’alto” e gli abusi e gli eccessi di esponenti locali dell’Inquisizione furono oggetto di severe punizioni. Alcune difficoltà però perdurarono: la penuria di mezzi e fondi fu per tutti gli inquisitori un forte limite, perché non potevano usufruire di stanziamenti centrali che erano solo occasionali e le spese processuali erano quasi interamente a carico dei tribunali locali; la Congregazione vietò agli Inquisitori di infliggere pene pecuniarie, utili per coprire le spese d’Ufficio. Altri problemi furono di carattere politico, come quelli che riguardarono l’eccessivo potere conservato dalle autorità statali nella Repubblica di Venezia, ma anche a Genova e a Lucca o quelli determinati dai difficili rapporti che spesso intercorrevano tra le autorità di singoli Stati ed i vertici della Chiesa. L’Inquisizione del tardo Cinquecento doveva ancora risolvere la quasi totale mancanza di controlli vescovili nell’Italia meridionale e le tante ostilità provenienti dai confratelli degli ordini religiosi e dai Vescovi locali che furono contrari all’attività dell’Inquisizione in quanto essa toglieva loro autorità. Nonostante tali difficoltà in Italia si istaurò un’organizzazione di controllo capillare ed omogenea destinata a durare fino al XVIII secolo e le cui conseguenze furono tangibili non solo allora (basti pensare alle censure letterarie e scientifiche e all’isolamento e all’impoverimento culturale dell’Italia dell’epoca), ma lo sono ancora oggi. Nel periodo di tempo compreso tra il pontificato di Sisto V (1585-1590) e quello di Urbano VIII, (1623-1644), nel resto d’Europa assistiamo alla fase più intensa delle guerre di religione e della confessionalizzazione forzata, fase terminata con la Pace di Westfalia del 1648, che finalmente pose fine alla devastante Guerra dei Trent’anni. In Francia la tolleranza degli Ugonotti fu decretata nel 1598 con l’Editto di Nantes di Enrico IV, convertitosi dalla Riforma al cattolicesimo per ricomporre uno Stato ormai lacerato dalle lotte interne. Anche l’Austria venne ricattolicizzata grazie alla politica imperiale e al rinnovamento ecclesiastico avvenuto nei primi anni del Seicento. Nel detto periodo l’Inquisizione rafforzò e precisò le proprie istituzioni, proseguì l’isolamento dei gruppi valdesi ed ebrei, intensificò la censura sulla stampa e in modo particolare su quella scientifica, continuò la sua opera di controllo e vigilanza sui fedeli. Le strutture del Sant’Ufficio si adeguarono alla maggiore centralizzazione nel governo della Chiesa soprattutto con Sisto V, ma anche con i suoi successori. I Papi Urbano VII, Innocenzo IX e Paolo V, prima di divenire pontefici, ricoprirono incarichi e ruoli inquisitoriali, tendenza questa sempre più frequente tra coloro che ascesero al soglio di Pietro. Il 22.01.1588 Sisto V emanò la già citata bolla Immensa aeterni Dei con la quale volle riorganizzare tutte le Congregazioni, che così furono fissate a quindici: sei furono dedicate all’amministrazione dello Stato pontificio e nove alla gestione della Chiesa universale. Tra le quindici Congregazioni della Santa Sede quella dell’Inquisizione romana fu posta al vertice di tutto il sistema: il Sant’Ufficio divenne il mezzo più potente di normalizzazione e di controllo dottrinale e culturale della società. I lavori della Congregazione erano sempre diretti dal Papa anche se questi si servì spesso dell’aiuto indispensabile dei Cardinali inquisitori e dei vari Ufficiali dislocati nelle sedi e nei tribunali locali. Figura particolarmente importante per il compito che ricoprì fu quella del Cardinale segretario, responsabile degli scambi epistolari con i frati inquisitori e coordinatore dell’operato di tutta l’organizzazione al centro e in periferia. In questo periodo l’organizzazione delle strutture dell’Inquisizione romana raggiunse il suo pieno sviluppo: il centro riuscì a controllare sempre meglio la periferia, che venne definitivamente perfezionata. Dai documenti abbiamo testimonianza che gli Inquisitori ricevevano delle pensioni annue che potevano oscillare dai cinquanta ai duecento scudi d’oro: in questo periodo essi raggiunsero una buona autonomia economica, a differenza di quanto avvenne nei decenni e nei secoli precedenti. Secondo molti studiosi questa sistemazione definitiva delle Sedi inquisitorie e l’indipendenza economica acquisita da quasi tutti gli Inquisitori locali permisero il graduale avvio, a partire dai primi anni del Seicento, delle vicarìe e dei vicariati foranei dell’Inquisizione, principalmente nelle località più importanti. Esse furono strutture decentrate distribuite sul territorio del distretto inquisitoriale e anche all’interno delle zone rurali che fino ad allora erano isolate dalle attività dei tribunali urbani ed inquisitoriali. Agli Inquisitori fu imposto di collocare le nuove strutture nei centri del distretto in cui già risiedevano i vicari foranei, funzionari del vescovo, con il compito di dover raccogliere più informazioni e più testimonianze possibili sui casi denunciati. Le loro competenze però si limitavano a questa raccolta di informazioni, che poi dovevano fornire agli inquisitori. Erano poi questi ultimi a decidere se condurre il processo o se invece delegare tale compito ai vicari foranei tramite una specifica autorizzazione. Molto spesso la figura di vicario foraneo venne ricoperta dai parroci diocesani e/o dai vicari foranei dei vescovi, in ogni caso era sempre la Congregazione del Sant’Ufficio ad esercitare un controllo diretto su tali nomine, in quanto un cumulo di responsabilità pastorali ed inquisitoriali nelle mani dei parroci fu visto con perplessità dai Cardinali del Sant’Ufficio, sempre molto attenti a distinguere e bilanciare responsabilità nel controllo dell’ortodossia. A partire dal 1640 circa fu vietata la nomina di esponenti del clero secolare e la scelta si spostò sui frati dei vari ordini religiosi per garantire una maggiore libertà d’intervento. Nel corso del Seicento un’altra importante John Hekl jr. 1925264 - Regali natalizi in pattumiera novità si profilò nell’assetto istituzionale delle sedi inquisitoriali italiane: il forte aumento del numero di “familiari” del Sant’Ufficio. Con tale termine si fa riferimento non solo ai funzionari dei tribunali periferici e delle vicarìe, ma anche ad alcuni aristocratici che molto probabilmente ebbero il compito di garantire agli inquisitori un servizio armato nelle operazioni di polizia. Le loro furono prestazioni occasionali e in cambio di esse ricevevano dall’inquisitore gli stessi privilegi degli ufficiali del tribunale. Anche nel diciassettesimo secolo l’Inquisizione romana dovette tenere alto il controllo sulle minoranze religiose: valdesi, cristiani ortodossi, ebrei, ma in questo periodo, al contrario di quanto accadde nel secolo precedente, all’attività repressiva venne affiancata una campagna di conversione attuata con mezzi non coercitivi. La censura della stampa proseguì anche nel Seicento, soprattutto perché fu in tale periodo che maggiormente ci si rese conto 17 2. - L’Inquisizione: storia della chiesa romana delle forti conseguenze e degli enormi effetti derivati dall’invenzione straordinaria della stampa a caratteri mobili. Dall’analisi degli Indici dei libri proibiti redatti in quel periodo emerge che il controllo sui libri e sulle letture non solo si irrigidì, ma coprì e coinvolse opere al di fuori dell’ambito religioso. Notevoli cambiamenti ci furono anche nella produzione libraria, che si concentrò particolarmente sulla pubblicazione di opere devozionali, vite di santi, catechismi, relazioni sulle missioni gesuitiche in Oriente, libri che esaltavano le imprese di Lepanto e la notte di San Bartolomeo, opuscoli con preghiere, indulgenze, norme per la quaresima. Sia nel 1590 che nel 1593 vennero bloccate, per opera dei Cardinali inquisitori, le pubblicazioni di due Indici di libri proibiti. Finalmente nel marzo del 1596, per volere di papa Clemente VII, fu pubblicato il primo Indice predisposto interamente dalla Congregazione dell’Indice, al quale però non mancarono le opposizioni della Congregazione dell’Inquisizione. Per questo l’Indice clementino fu sospeso e il Sant’Ufficio vi aggiunse una parte nella quale vennero ribadite le condanne revocate. Così la definitiva promulgazione avvenne il 17.05.1596 e tale Indice fu applicato in modo così capillare che non ebbe in tal senso precedenti. Solo la Repubblica di Venezia ed il Ducato di Savoia ne rifiutarono momentaneamente la pubblicazione e, quindi, l’applicazione. La censura fu applicata prevalentemente su opere di riformatori europei, eterodossi italiani, trattati medici e giuridici, testi sul duello, opere letterarie oscene o ritenute sconvenienti, poemi cavallereschi, novelle, satire, epistolari, testi di astrologia giudiziaria (riguardanti le previsioni sui destini individuali). I testi di astrologia naturale non furono proibiti del tutto, ma subirono degli aggiustamenti e operata una distinzione tra l’astronomia propriamente detta, ovviamente aristotelica, e l’astrologia. Nel diciassettesimo secolo, e in modo particolare nella sua prima metà, l’opera dell’Inquisizione si dedicò molto anche al controllo delle opere di magia, di stregoneria e alle varie forme di male, adottando strategie diverse per contrastare la sempre più crescente diffusione della stregoneria diabolica, degli usi dei malefici e delle possessioni demoniache, pratiche queste diffuse in modo particolare tra gli abitanti più umili e poveri, tanto che molte di esse si cristallizzarono all’interno della cultura popolare, che fu spesso controllata, posta sotto sequestro dagli Inquisitori del Sant’Ufficio insieme alla cultura “alta”. In Italia i comportamenti popolari, stregoneschi e magici tendenzialmente non venivano puniti con eccessiva severità, a meno che questi non andavano a minacciare l’esistenza stessa dei dogmi centrali della Chiesa cattolica. Nell’Europa moderna la figura appartenente alla cultura popolare che più di tutti pagò per le sue idee (in quanto gli costarono la vita) fu Domenico Scandella, più conosciuto come “Menocchio”. L’opera della Chiesa operò contro la magia in generale e si concentrò in modo particolare sulla stregoneria diabolica e sulla cattura degli adepti del diavolo, che facevano uso di credenze e pratiche magiche di ogni genere, applicate spesso per ottenere in modo illecito amore, salute e soldi. I documenti disponibili ci rivelano che le pratiche magiche a cui si faceva ricorso erano le più svariate: scongiuri e fatture per ottenere amore, terapie e prevenzioni popolari contro ogni tipo di malattia, pratiche per aumentare la fertilità umana, animale e della terra, divinazioni per ritrovare cose smarrite, per identificare ladri e per prevedere il futuro. Dalle testimonianze scritte si evince come in realtà le partecipazioni ai sabba notturni fossero meno frequenti di quanto si potesse pensare. In ogni caso è bene precisare che nel Seicento non ci furono le grosse “caccia alle streghe”, con grande numero di roghi, che invece caratterizzarono prevalentemente i paesi europei centro-settentrionali nei primi decenni del Cinquecento. Questo fenomeno fu determinato prevalentemente dal diverso atteggiamento, più razionale e più attento, che gli inquisitori assunsero nei confronti di coloro che vennero accusati di pratiche magiche, diaboliche o di stregoneria. Anche l’atteggiamento dei Papi (che si sus-