UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI ROMA TRE
Dipartimento di Informatica e automazione
Dipartimento di Economia
Lavoro conclusivo
COMUNICAZIONE E MKTG NELLA
SOCIETA’ DELL’INFORMAZIONE
A cura di
Ing. Gianluca Di Tomassi
Anno Accademico 2003/2004
“Alcune cose saranno sempre più forti del tempo e della
distanza, più profonde del linguaggio e delle abitudini:
seguire i propri sogni e imparare a essere se stessi,
condividendo con gli altri la magia di quella scoperta.”
Sergio Bambaren
Le motivazioni che mi hanno spinto a frequentare il master in “Economia e Tecnologia della
società dell’Informazione” sono diverse, in primis è stata la voglia di apprendere nuove nozioni nei
campi economico, finanziario e giuridico; che ruotando intorno alla mia professione, seppur
possano apparire in prima analisi marginali, risultano essere estremamente importanti al fine di
consentire un approccio più consapevole e globale ai problemi e alla realtà d’interesse propria di
un ingegnere “classico”.
Inoltre ho avvertito la reale esigenza di approfondire tematiche e aspetti non tecnici che nel
percorso didattico-formativo degli studi universitari si sono rivelati carenti, a fronte di una ottima
specializzazione tecnica-progettuale acquisita nell’iter accademico.
Sono inoltre fermamente convinto che acquisire competenze nell'ambito economico, giuridico e
amministrativo, a completamento delle conoscenze informatiche già possedute, realizzando così una
formazione più esaustiva e meno specialistica, mi permetta di svolgere consapevolmente ed
efficientemente le funzioni direttive in aziende sia pubbliche che private.
Il presente lavoro è la conclusione di una esperienza che ha contribuito e contribuirà
sicuramente nelle mie esperienze lavorative future.
Desidero infine ringraziare tutti i docenti e tutti i colleghi che hanno reso possibile e con i
quali ho potuto condividere questa bellissima esperienza.
Gianluca Di Tomassi
Comunicazione e MKTG nella società dell’informazione
SOMMARIO
PREMESSA .........................................................................................................................................1
1
L'ARTE DELLA COMUNICAZIONE .......................................................................................2
1.1
La comunicazione non verbale (CNV) ................................................................................2
1.1.1
Il rapport.......................................................................................................................4
1.1.2
Le aree della comunicazione non verbale ....................................................................5
1.1.2.1 La Prossemica ..........................................................................................................5
1.1.2.2 La cinetica ................................................................................................................6
1.1.2.3 La paralinguistica.....................................................................................................8
1.1.2.4 La comunicazione digitale .......................................................................................8
1.2
La programmazione neurolinguistica (PNL) .......................................................................8
1.2.1
Canali comunicativi preferenziali ..............................................................................10
1.2.2
Tecniche di pnl...........................................................................................................13
1.3
La psicolinguistica .............................................................................................................15
1.4
Le applicazioni pratiche della comunicazione efficace .....................................................16
1.4.1
Parlare in pubblico .....................................................................................................16
1.4.2
La comunicazione scritta ...........................................................................................19
2
L’IDENTITÀ NELLA COMUNICAZIONE AZIENDALE.....................................................22
2.1
2.2
2.3
2.4
2.5
3
Metodi pratici per la rilevazione dell’identità aziendale....................................................24
Elementi nella gestione della Corporate Identity e processo comunicativo ......................26
La comunicazione interna ..................................................................................................28
La comunicazione organizzativa come “produzione di valore” ........................................29
Le mappe mentali come mezzo di comunicazione ............................................................31
PIANO DI COMUNICAZIONE AZIENDALE........................................................................33
3.1
Definizione e premesse concettuali....................................................................................33
3.2
A cosa serve un piano di comunicazione ...........................................................................33
3.3
Come fare un piano di comunicazione in sette passi .........................................................34
3.3.1
L’analisi dello scenario ..............................................................................................35
3.3.2
La definizione degli obiettivi .....................................................................................36
3.3.3
La segmentazione del pubblico di riferimento...........................................................37
3.3.4
La scelta delle strategie ..............................................................................................37
3.3.5
La scelta dei contenuti................................................................................................38
3.3.6
La scelta delle attività e degli strumenti.....................................................................39
3.3.7
La misurazione dei risultati........................................................................................40
3.4
Il piano di comunicazione come processo organizzativo...................................................40
3.5
Criticità, insegnamenti .......................................................................................................41
3.6
La comunicazione e la delega di autonomia ......................................................................42
3.7
La valutazione dei piani di comunicazione........................................................................43
4
BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA ...........................................................................................45
Ing. Gianluca Di Tomassi
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Comunicazione e MKTG nella società dell’informazione
PREMESSA
Il presente lavoro, che si appresta a concludere un ciclo di studi intenso ma molto soddisfacente, è
il frutto di varie riflessioni che hanno permesso di prendere coscienza e consapevolezza di cosa
significa e quanto è importante la comunicazione e il MKTG nella cosiddetta società
dell’informazione.
Nel corso del presente lavoro si analizzeranno molti aspetti della comunicazione, cercando di
seguire un filo logico che consentirà di capire il percorso effettuato fornendo indicazioni su cosa,
perché e come comunicare inquadrando tutto in vari filoni quali l’arte della comunicazione, l’identità
della comunicazione aziendale e infine la necessità di dover disporre di un piano di comunicazione
aziendale inteso come uno strumento utile a programmare le azioni di comunicazione di una
organizzazione in un certo arco temporale.
In generale possiamo dire che la comunicazione aziendale deve essere inquadrata come obiettivo
strategico che qualsiasi azienda privata o pubblica persegue, infatti consente di ordinare, sviluppare e
impiegare risorse di tipo diverso, umane, strumentali, economiche, al fine di conseguire la massima
probabilità di raggiungere determinati obiettivi comunicativi. L’assenza di obiettivi chiari, definiti e
misurabili aumenta il rischio di produrre effetti comunicativi errati, di sprecare risorse.
E’ pertanto molto importante capire fin dall’inizio che un’azienda che vive è un’azienda che
comunica e di conseguenza la non comunicazione, nella grande maggioranza dei casi, viene
percepita come comunicazione negativa.
Nel presente lavoro si farà spesso riferimento alla figura del Project Manager (PM) inquadrando
così il Management aziendale che ha tra i vari compiti quello di gestire i flussi comunicativi, poiché
è grazie ad essi che ci si può evolvere. Vedremo inoltre che oltre a gestire i flussi comunicativi il
management deve diventare un motivatore, una guida, al fine di conseguire con successo il
raggiungimento degli obiettivi.
Ing. Gianluca Di Tomassi
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Comunicazione e MKTG nella società dell’informazione
1 L'ARTE DELLA COMUNICAZIONE
L'esigenza di comunicare è naturale per ciascuno di noi. Nasce dal fatto che l'uomo è portato
spontaneamente a stabilire delle relazioni con gli altri e a creare delle organizzazioni sociali stabili.
La comunicazione rappresenta un aspetto fondamentale della nostra vita. "Non si può non
comunicare" . In effetti, quando due persone si trovano nello stesso momento nello stesso luogo (una
stanza, un ascensore,…) fanno automaticamente parte di un processo di comunicazione e qualunque
loro gesto o parola influenza il rapporto tra i due. Le braccia incrociate, per esempio, possono voler
significare la non volontà di parlare, mentre un sospiro prolungato il desiderio di approfondire il
discorso. La comunicazione, allora, avviene non solo verbalmente, ma anche tramite il linguaggio
del corpo (detto anche "linguaggio analogico").
Alcuni ritengono che non solo l'esigenza, ma anche l'arte della comunicazione sia innata (i
bambini sono straordinari comunicatori). Le fondamenta su cui sono nate e si sono sviluppate le
discipline della comunicazione sono rappresentate dagli studi delle scienze sociali e antropologiche ,
della psicologia e della linguistica.
In questo capitolo ci soffermeremo sulla:
• Comunicazione Non Verbale (CNV)
• Programmazione NeuroLinguistica (PNL)
• Psicolinguistica
Dall'integrazione dei contributi di ciascuna si ottiene un quadro completo di tutte le
dinamiche e i fenomeni che caratterizzano il complesso processo della comunicazione.
1.1 La comunicazione non verbale (CNV)
Tutte le teorie della comunicazione hanno accolto il modello fondamentale della
comunicazione proposto negli anni Cinquanta dal linguista Roman Jacobson. Secondo tale
modello, la comunicazione è un'attività bidirezionale in cui la fonte EMITTENTE invia un
MESSAGGIO a un DESTINATARIO all'interno di un CONTESTO, utilizzando diversi
CANALI/strumenti (telefono, tv, radio, bocca, ecc.) e servendosi di un CODICE comune.
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Comunicazione e MKTG nella società dell’informazione
Figura 1: Modello fondamentale della comunicazione
Nella maggior parte dei casi si è portati a pensare che il codice sia esclusivamente “la lingua
che utilizziamo” e di conseguenza le parole, questo in realtà è vero in parte perchè gli uomini,
infatti, comunicano non solo con le parole, ma anche con il corpo e con la voce.
Ogni processo comunicativo è gestito per il 7% dalle parole , per il 38% dalle inflessioni
della voce (tono, timbro, volume) e per il 55% dal linguaggio del corpo (posture, gesti).
Figura 2: Articolazione del processo comunicativo
Pertanto è evidente come gran parte della comunicazione è di natura non verbale e inconscia.
Quando comunichiamo, le persone sono molto più ricettive ai nostri gesti che alle nostre parole;
quindi non è importante solo cosa diciamo, ma anche come lo diciamo.
Il linguaggio del corpo è un tipo di comunicazione involontaria, che inviamo e riceviamo in
modo inconsapevole, ma che si rivela estremamente potente ed efficace. Infatti, quando conosciamo
qualcuno, è nei primi 30 secondi che si forma la nostra impressione su di lui. A tutti è successo di
conoscere qualcuno e di pensare, pochi secondi dopo, che non ci è simpatico, senza che sappiamo
dire precisamente per quale motivo. Che cosa è successo?
Per spiegarlo, dobbiamo introdurre il concetto di coerenza. Ogni volta che ciascuno di noi
parla, il suo discorso si sviluppa su due livelli:
1. livello verbale rappresentato dalle parole che pronunciamo;
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Comunicazione e MKTG nella società dell’informazione
2. livello mentale dato dalle nostre reali intenzioni, da quello che effettivamente pensiamo, dallo
scopo che vogliamo ottenere.
Può accadere che tra questi due livelli non ci sia una perfetta corrispondenza: quando diciamo
una bugia o solo una parte della verità, le nostre parole non seguono i nostri pensieri. Questa
incoerenza si manifesta al livello non verbale, nel tono di voce, nei gesti, nella postura. In effetti, è
difficile controllare, inibire o magari falsificare i segnali del nostro corpo, i quali vengono inviati
velocemente e in modo quasi impercettibile. Per questo si dice che è praticamente impossibile
mentire con il corpo: poiché nel corpo risiedono le nostre emozioni più profonde, esso dice la verità
a dispetto di tutte le nostre intenzioni di mentire, svela il nostro vero stato d'animo e i nostri più
intimi pensieri.
Uno sguardo basso e spalle curve riflettono sentimenti di frustrazione, gambe e braccia
incrociate trasmettono chiusura, invece spalle dritte e testa alta suggeriscono decisione, come anche
guardare dritto negli occhi il proprio interlocutore.
Ignorare i meccanismi della CNV può portarci a manifestare delle incoerenze, delle
contraddizioni tra linguaggio verbale e non verbale, che rendono la nostra comunicazione poco
efficace e persuasiva.
1.1.1 Il rapport
Il primo passo per stabilire una comunicazione efficace consiste nell'instaurare con
l'interlocutore una relazione positiva, di reciproca fiducia e accordo.
Il rapporto che si stabilisce fra due persone che si incontrano per la prima volta e che si
cominciano a conoscere è fortemente influenzato da un fenomeno di cui la maggior parte della gente
non ha consapevolezza che viene chiamato Rapport e definito come quel processo attraverso il
quale si riesce a stabilire immediatamente una sintonia con il proprio interlocutore.
Alcune persone, a differenza di altre, ci risultano subito simpatiche, senza che sappiamo dire
precisamente per quale motivo. Questo avviene perché i meccanismi che regolano il processo di
rapport sono principalmente di natura inconscia e avvengono dunque ad un livello subliminale.
La legge fondamentale su cui si fonda il rapport risiede nella somiglianza. Tutti ci sentiamo
maggiormente a nostro agio con le persone più simili a noi, che rispecchiano il nostro modo di fare e
di parlare.
La tecnica che si utilizza per creare rapport è chiamata Mirroring essa consiste nel mettersi
sulla stessa frequenza dell'altro, rispecchiando fedelmente le sue posture, i suoi gesti, il suo modo di
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parlare. Nel caso in cui si scelga di imitare uno solo di questi aspetti, si parlerà più precisamente di
Matching. In entrambi i casi, comunque, si assume un atteggiamento che corrisponde al modello del
mondo dell'interlocutore e si produce così un meccanismo di proiezione e di identificazione.
1.1.2 Le aree della comunicazione non verbale
La CNV può essere articolata in quattro grandi aree:
1. La comunicazione PROSSEMICA che studia il significato dei rapporti spaziali fra le persone.
2. La comunicazione CINETICA che studia i movimenti, i gesti del corpo e la mimica facciale.
3. La PARALINGUISTICA che si occupa delle emissioni verbali non semantiche e non
grammaticali: il tono, il volume e il timbro della voce, la velocità, i silenzi, le pause.
4. La comunicazione DIGITALE che analizza il significato dei contatti nei confronti di noi stessi,
degli altri e degli oggetti.
1.1.2.1 La Prossemica
Lo spazio personale è l'area che circonda ogni individuo, una specie di bolla trasparente,
all'interno della quale vigono delle regole non scritte. Tutti infatti tendiamo a difendere questo spazio
da intrusioni esterne e proviamo una sensazione di disagio quando non viene rispettato (è ciò che
sperimentiamo, ad esempio, in un autobus affollato).
Lo spazio che circonda ciascuno di noi può essere diviso in quattro zone fondamentali,
caratterizzate da una maggiore o minore estensione e da un diverso grado di intimità e conoscenza
delle persone che vi hanno accesso:
Figura 3: Rapporto comunicazione-spazio
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Comunicazione e MKTG nella società dell’informazione
Quando ci relazioniamo con gli altri, dobbiamo fare attenzione a non violare queste zone:
possiamo accedere alla zona personale del nostro interlocutore solo se abbiamo una certa confidenza
con lui, a quella intima solo se siamo riusciti a conquistare la sua fiducia. Oltre tutto, dobbiamo
essere consapevoli che la grandezza della bolla può variare a seconda delle persone: se notiamo che
la persona con cui stiamo parlando tende ad allontanarsi, probabilmente questo vuol dire non che sia
disposta negativamente nei nostri confronti, ma semplicemente che il suo spazio personale è più
grande del nostro.
Mentre lo spazio personale fa pienamente parte della natura stessa di ogni individuo, il
territorio è invece una parte di spazio fisico che ogni essere umano occupa temporaneamente e che
spartisce solo quando è necessario e con un gruppo molto ristretto: la casa, la propria scrivania, il
posto in biblioteca, il posto a tavola, il bracciolo della poltrona al cinema.
1.1.2.2 La cinetica
La cinetica, a sua volta, comprende lo studio della:
Postura
Lo studio dell' atteggiamento posturale si basa su due regole fondamentali:
1) più il corpo è chiuso su se stesso, minore è la disponibilità del soggetto nei confronti
dell'ambiente;
2) la distribuzione del peso corporeo indica il grado di prontezza all'azione: il baricentro spostato
in avanti o indietro indicano rispettivamente un atteggiamento attivo o passivo e rilassato.
Quando ci si sente a disagio o in pericolo, si tende a proteggersi nascondendo il più possibile
all'interlocutore il proprio corpo, assumendo così delle posizioni di chiusura. Oltre al ripiegamento
su se stesso, i segnali di chiusura più forti ed evidenti sono le barriere che si possono creare
incrociando le braccia e accavallando le gambe.
Due aspetti interessanti e poco conosciuti della postura riguardano l'orientamento dei piedi e il
cosiddetto contatto NASO-OMBELICO (ovvero contatto N-O). Entrambi questi segnali ci
permettono di comprendere il grado di attenzione che è rivolto ad una persona in un determinato
momento.
Quando ci troviamo in un gruppo, la direzione dei piedi è indicativa degli atteggiamenti e dei
desideri dei presenti: generalmente la persona verso cui "puntiamo" i piedi è quella che riconosciamo
come interlocutore privilegiato.
Per quanto riguarda invece la posizione seduta, esiste un altro criterio di valutazione molto
preciso, applicabile però solo a conversazioni di una certa durata: si tratta del contatto N-O.
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Comunicazione e MKTG nella società dell’informazione
Per capire se chi parla è ascoltato e rispettato, si può notare se gli altri hanno rivolti verso di lui
non solo gli occhi (nasi), ma anche le regioni pettorali (ombelico).
Gestualità
La gestualità è sicuramente una delle manifestazioni della comunicazione non verbale più ricche e
complesse. Gli studiosi hanno identificato un numero pressoché infinito di gesti che hanno una forte
valenza comunicativa, più o meno consapevole. Naturalmente bisogna fare attenzione a non
attribuire a ciascuno di questi segnali un significato assoluto: fatta eccezione per pochi gesti che
hanno un valore univoco e certo, gli altri vanno generalmente interpretati contestualmente, in
relazione sia alla situazione sia al fatto che si presentino insieme ad altri.
Qui ne riportiamo alcuni dei più significativi:
•
Portare le mani al viso, grattarsi il naso oppure la testa: imbarazzo, perplessità, indecisione,
timidezza.
•
Tormentarsi il lobo dell'orecchio, mordicchiarsi il labbro inferiore: disagio, frustrazione.
•
Portare l'indice ed il medio appaiati sulla guancia o davanti alle labbra: attenzione, riflessione.
•
Accavallare le gambe ed intrecciare le dita delle mani attorno ad un ginocchio: atteggiamento
riflessivo.
•
Tenere una mano sotto la gamba accavallata sull'altra: sentirsi a proprio agio.
•
Lisciarsi frequentemente i capelli: narcisismo, desiderio di attirare l'attenzione altrui, insicurezza,
timore di essere mal giudicato.
•
Tamburellare con le dita, muovere ritmicamente mani e piedi: nervosismo, tensione, irritazione,
impazienza.
•
Tenere le dita intrecciate: frustrazione o comunque un'emozione negativa che la persona sta
trattenendo.
Mimica facciale
Purtroppo l'analisi delle varie espressioni facciali richiederebbe uno spazio molto più lungo di
quanto non possa concedere all’interno di questo lavoro pertanto limiteremo l'attenzione sullo
sguardo.
L'atteggiamento di una persona può essere rilevato notando su quale area del volto del suo
interlocutore il suo sguardo indulge maggiormente. A questo proposito, si parla di “triangoli dello
sguardo”. In termini generali, si va dall'alto in basso in un crescendo di familiarità ed intimità: se i
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punti di fissazione dello sguardo sono sopra gli occhi dell'interlocutore, in un triangolo grosso modo
formato dal centro della fronte e dalle due pupille, allora probabilmente si tratterà di un colloquio
impersonale e formale. Se invece lo sguardo scende al di sotto degli occhi e si sofferma nel triangolo
formato dalle pupille e dal centro della bocca, si crea un'atmosfera molto più sociale e più intima.
Infine, quando lo sguardo scende sotto il mento per osservare il corpo, diventano chiari i risvolti
sessuali, soprattutto se gli interlocutori sono a distanza ravvicinata.
Un altro segnale estremamente interessante è la dilatazione della pupilla: l'aumento della
dilatazione della pupilla, infatti, in condizioni stabili di luce, indica attenzione, interesse e
gradimento.
1.1.2.3 La paralinguistica
Spesso è possibile captare molte informazioni sulle condizioni emotive dell'interlocutore solo
ascoltandone le variazioni nella voce. Facciamo qualche esempio:
•
spostare la voce verso i toni alti: tensione e irritazione oppure dar enfasi a cosa si sta dicendo
•
spostare la voce verso i toni bassi: calma, sicurezza, distensione
•
alzare il volume della voce: volontà di prevaricare oppure manifestazione di rabbia
•
abbassare il volume della voce: insicurezza. (Chi accentua l'inizio, ma tende a pronunciare
sottovoce la fine delle parole, trasmette scarsa convinzione)
1.1.2.4 La comunicazione digitale
Il toccare e il manipolare degli oggetti (gli occhiali, la penna, un pezzo di carta), o anche i baffi o
la barba, denota uno stato di tensione del soggetto che cerca di emergere e sfogarsi all'esterno. Ad
esempio, sia la manipolazione della sigaretta, sia il gesto di portarsi gli occhiali alla bocca possono
essere usati per dominare l'ansia, o anche per rallentare o ritardare una decisione.
1.2 La programmazione neurolinguistica (PNL)
La Programmazione Neuro-Linguistica è nata nel 1970 nell'Università di Santa Cruz in
California. I suoi padri fondatori sono Richard Bandler e John Grinder, i cui primi studi
riguardarono l'analisi delle caratteristiche della comunicazione utilizzata da alcuni psicoterapeuti
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eccellenti, capaci di produrre cambiamenti e guarigioni in modo efficace e con continuità. In
particolare la loro attenzione si concentrò su due figure: Virginia Satir, esperta in terapia della
famiglia, e Milton H. Erickson, un medico specializzato in ipnosi clinica. Bandler e Grinder, a cui
si unì poi anche il terapeuta Fritz Perls, studiarono con grande attenzione il linguaggio utilizzato da
Virginia e da Erickson, traendone molti modelli di comunicazione di straordinaria efficacia in
psicoterapia.
La nascita ufficiale della PNL si colloca alla fine degli anni '70, quando, per iniziativa di Bandler e
di un suo allievo, Robert Dilts, questa nuova disciplina assume una fisionomia autonoma e un
fondamento scientifico. Ancora oggi il centro studi di Dilts in California è attivo e produce studi
molto interessanti dal punto di vista sia della ricerca che delle applicazioni pratiche della PNL in vari
campi, dall'ambiente aziendale alla cura di malattie ritenute incurabili.
Grazie anche all'opera di molti altri studiosi che si sono dedicati a questa nuova scienza, la PNL
attualmente offre modelli, risorse e tecniche utilizzabili da chiunque voglia avanzare e migliorare in
ogni attività umana: psicoterapia, comunicazione efficace, apprendimento rapido, vendita,
business, comunicazione in pubblico, leadership, prestazioni sportive, benessere, salute, ….
Cerchiamo di capire cosa intendiamo per "Programmazione NeuroLinguistica" componendola
nei tre nuclei principali di studio:
‰ Programmazione: Indica il processo di elaborazione mentale delle informazioni ricevute
dall'esterno. Da questo processo, che acquista per ogni individuo degli aspetti e delle
caratteristiche particolari, nascono le rappresentazioni mentali, le quali, a loro volta, influenzano
le convinzioni, le emozioni, le sensazioni, i sentimenti e i comportamenti del soggetto.
‰ Neuro: Questo suffisso si riferisce ai processi neurologici (che coinvolgono sia i cinque sensi sia
il sistema nervoso) attraverso i quali filtriamo ed elaboriamo l'esperienza.
‰ Linguistica: Agli stimoli ricevuti dall'esterno o affiorati internamente, l'individuo reagisce con
una risposta che può manifestarsi attraverso due tipi di linguaggio: verbale e non verbale.
La PNL studia tutti questi aspetti e in particolare:
•
le modalità attraverso cui l'individuo elabora mentalmente le informazioni sensoriali;
•
l'influenza delle strutture mentali e soggettive sui comportamenti.
Essa è anche l'insieme delle tecniche finalizzate ad assumere consapevolezza dei nostri modelli
comportamentali e dei nostri programmi inconsci, e quindi ad apprendere i metodi per poterli
modificare e trasformare. La PNL è volta a individuare e quindi a modellare quelle strategie di
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successo che possono essere utilizzate con notevoli vantaggi in molteplici ambiti: lavoro,
management, business, terapia, educazione, sviluppo personale.
La convinzione su cui si fonda questa disciplina è che le strategie efficaci di pensiero possono
essere identificate, assunte e utilizzate da chiunque lo desideri. La PNL rappresenta l'opportunità non
solo di comunicare meglio con gli altri ma anche di imparare ad avere maggior controllo su alcuni
processi della nostra neurologia che erroneamente vengono considerati "automatici". Ma la PNL è
anche altro. Ancor prima che un insieme di tecniche, essa va considerata come un' attitudine, un
modo di vivere positivo, ottimista, vincente. Essa è finalizzata a promuovere la piena espressione e
realizzazione di tutte le potenzialità della persona, attraverso l'assunzione di una conoscenza
completa di sé. Il pensiero su cui si fonda è caratterizzato dalla tendenza a:
‰ trasformare le difficoltà in opportunità;
‰ concentrarsi sugli obiettivi e sul modo per raggiungerli;
‰ focalizzare tutte le proprie energie su questi progetti;
‰ volgere in positivo le immagini interiori e le sensazioni;
‰ aumentare l'autostima;
‰ dispiegare in pieno il proprio potenziale;
‰ ottimizzare le proprie risorse.
1.2.1 Canali comunicativi preferenziali
Il primo necessario passo di chi vuole avvicinarsi a questo mondo consiste nel comprendere che
ciascuno di noi riceve ed elabora le informazioni in modo diverso dagli altri. Per questo è importante
conoscere le principali modalità secondo le quali avviene il processo di formazione delle
rappresentazioni mentali nei vari individui.
Secondo la teoria neurolinguistica, esistono tre canali sensoriali e comunicativi fondamentali che
esprimono su diversi piani (verbale, paraverbale, non-verbale) le rappresentazioni personali della
realtà circostante:
Visivo
Uditivo
Cinestesico
}
sistemi rappresentazionali preferenziali
.
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Comunicazione e MKTG nella società dell’informazione
In effetti, noi non percepiamo direttamente la realtà, ma vediamo e sentiamo ciò che la nostra
mente filtra di essa. Sebbene tale processo coinvolga tutti i canali sensoriali, ciascuno di noi ne
utilizza uno in modo preferenziale. Gli altri due intervengono in misura minore e costituiscono
quindi dei sistemi rappresentazionali secondari.
Il canale sensoriale privilegiato da ciascuno influenza fortemente non solo la raccolta e
l'elaborazione delle informazioni provenienti dall'esterno, ma anche i comportamenti: le percezioni
della realtà esterna, infatti, sono tradotte in rappresentazioni interne, le quali, a loro volta,
condizionano il nostro comportamento.
Riconoscere il canale comunicativo preferenziale del nostro interlocutore è importante per farsi in
brevissimo tempo un'idea generale di lui e, utilizzando le tecniche del mirroring o del matching,
per creare rapport.
Si riportano di seguito alcuni elementi sui quali si può ragionare al fine di identificare i vari
sistemi rappresentazionali, sulla base dell'osservazione di alcuni elementi: movimenti delle mani,
postura del corpo, movimenti degli occhi e della testa, respirazione, caratteristiche della voce,…
Le persone con un sistema rappresentativo visivo:
‰ osservano attentamente la realtà;
‰ tendono a rappresentarsi il mondo per immagini;
‰ amano esprimersi con metafore visive;
‰ parlano rapidamente, con un tono di voce alto e acuto - gesticolano molto, con movimenti ampi e
lontani al corpo e in genere rivolti verso l'alto;
‰ rivolgono gli occhi verso l'alto;
‰ hanno un portamento eretto;
‰ hanno una respirazione toracica e superficiale;
I visivi usano generalmente uno stile di comunicazione indicatorio, caratterizzato da gesti che
tendono a indicare (con l'indice puntato o la mano tagliente), da un tono di comando o accusa, da una
focalizzazione del discorso sull'Io.
Gli uditivi:
‰ prestano molta attenzione non solo ai suoni e ai rumori esterni, ma anche ai vocaboli che usano
mentre parlano;
‰ imparano facilmente ascoltando;
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‰ vengono facilmente distratti dai rumori;
‰ parlano lentamente e in maniera ritmata, con un tono medio e un timbro chiaro;
‰ talvolta muovono le labbra mentre pensano;
‰ tendono a muovere il corpo, la testa e gli occhi lateralmente;
‰ gesticolano all'altezza del petto e del bacino;
‰ spesso portano le mani a contatto con la zona della bocca, del naso e delle mascelle (gesti che
indicano dialogo interno);
‰ hanno una respirazione addominale o toracica;
Gli uditivi usano uno stile di comunicazione superlogico, caratterizzato da un'attitudine
riflessiva, dalla ricerca di spiegazioni logiche, dalla focalizzazione del discorso sull' argomento, da
piccoli movimenti delle mani, prevalentemente circolari, e spesso dall'assunzione della tipica
posizione a telefono.
Le persone cinestesiche:
‰ percepiscono il mondo attraverso le sensazioni: tattili, gustative e olfattive, ma anche interiori
(ricordi, emozioni)
‰ mentre raccontano, vivono nuovamente queste sensazioni dentro di sé
‰ parlano molto lentamente, con un tono di voce basso e profondo
‰ gesticolano poco
‰ amano il contatto fisico
‰ tengono spesso le spalle curve e la testa bassa
‰ respirano profondamente e lentamente, con la parte bassa dello stomaco.
I cinestesici usano uno stile comunicazionale propiziatorio: mossi dal desiderio di ottenere
l'approvazione degli interlocutori e sensibili sia alla loro emozionalità che alla propria, focalizzano i
loro discorsi sull'altro e manifestano tale atteggiamento di apertura e disponibilità verso gli altri con
il gesto tipico del palmo aperto e rivolto verso l'alto.
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1.2.2 Tecniche di pnl
Passiamo ora a considerare, seppur sommariamente, alcune delle tecniche più caratteristiche della
PNL. Esse traggono ispirazione dalle classiche tecniche ipnotiche, ma verranno di seguito trattate ai
fini della loro applicazione alla comunicazione persuasiva.
Tutte le tecniche di persuasione si basano sul tentativo di distrarre l'emisfero sinistro del nostro
cervello che è l'emisfero della razionalità e della coscienza in modo tale da permettere a quello
destro che è l'emisfero dell'immaginazione e dell'inconscio di attivarsi e di esprimersi liberamente
senza che ciò che esso manifesta sia sottoposto a giudizio, controllo o censura. Secondo il
cognitivista Miller la mente logica e razionale di ciascun individuo può prestare attenzione cosciente
a un numero limitato di informazioni, che va da sette a nove: le ulteriori informazioni vengono
gestite direttamente dall'inconscio.
Come esempio utilizzeremo il modello di Milton che rappresenta un modello di comunicazione
volto ad ottenere l'accesso alla mente inconscia dell'interlocutore. Esistono diversi strumenti
linguistici che consentono di dialogare direttamente con l'inconscio:
1. Causa–effetto
Se X, allora Y. Per esempio: “Se ascolti il suono delle mie parole e posi la penna, allora potrai
capire meglio ciò che sto per dirti”. Anche in questo caso, a livello logico non esiste alcun nesso
causale tra l'atto di posare una penna e il fatto di avere una migliore comprensione del discorso;
tuttavia l'uso efficace della struttura di causa-effetto fa sì che queste due azioni sembrino una la
conseguenza dell'altra.
2. Lettura_del_pensiero
Consiste nell'affermare di conoscere il pensiero dell'interlocutore, di saper leggere nella sua
mente. Dire “ora ti starai chiedendo che cosa accadrà fra poco?” consente di entrare in sintonia
con l'altro, di creare un legame, un'empatia.
3. Cancellazioni
Nel pronunciare una frase si possono omettere importanti informazioni che chiarirebbero meglio
il significato e il contesto della frase stessa e che così rendono le espressioni vaghe e ambigue.
Ad esempio, di fronte alla frase “Potremo lavorare insieme in nuovi contesti”, l'interlocutore sarà
portato a porsi alcune domande (“come?”, “in quali contesti?”) che lo porteranno a concentrare
l'emisfero sinistro su tali domande, lasciando scoperto il suo lato inconscio.
Ing. Gianluca Di Tomassi
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4. Presupposti
è una frase che deve essere vera affinché abbia senso qualche altra frase ad essa correlata.
Esistono diversi tipi di presupposti:
¾ numerali ordinali - Per esempio la frase “Una seconda considerazione è che…” ha come
presupposto il fatto che vi sia stata precedentemente una prima considerazione.
¾ Comparativi - Per esempio la frase ”Non conosco nessuno che sia più chiacchierone di
lui?” presuppone il fatto che la persona di cui si sta parlando sia logorroica.
¾ verbi di cambiamento di luogo - Per esempio la frase “Se Gianluca si è allontanato da
casa, è in pericolo?” ha come presupposto il fatto che Gianluca precedentemente fosse in
casa. In tutti questi casi l'interlocutore viene distratto dalla mancanza del presupposto e dal
tentativo di individuarlo razionalmente.
5. Ambiguità
Una frase o una parola è ambigua se può assumere significati diversi. Questo costringe la mente
del nostro interlocutore ad impegnare il suo emisfero sinistro per attribuire un significato
all'espressione ambigua. L'ambiguità può essere fonologica, semantica, di punteggiatura.
6. L'ordine_in_forma_negativa
Questa tecnica si fonda sul fatto che il nostro cervello ragiona per immagini. Quando, ad
esempio, ascoltiamo la frase “Io sono timido”, la nostra mente focalizza automaticamente dentro
di sé le due immagini: “io” e “sono timido”. Ora volgiamo la stessa frase nella forma negativa:
“Io non sono timido”. In questo caso si introduce una parola, “non”, che non ha un'immagine
corrispettiva; perciò il nostro cervello, per comprendere ciò che gli è stato detto, è costretto
dapprima a costruire l'immagine “sono timido” e quindi a negarla. Si tratta di una reazione del
tutto spontanea e incontrollabile. Questo meccanismo può essere utilizzato per ottenere dalle
persone dei comportamenti utili e positivi. Ad esempio, nel caso in cui si abbia a che fare con dei
soggetti distonici, vale a dire con delle persone che mostrano costantemente un atteggiamento di
rifiuto, insoddisfazione e diffidenza nei confronti di qualsiasi cosa, si può usare l'ordine in forma
negativa per indurli dolcemente ad assumere atteggiamenti di maggiore disponibilità. Ad
esempio, si potrebbe dir loro: “Non voglio che tu pensi di avere sbagliato, ma solo che ragioni
più tranquillamente su questo argomento?”. In questo modo, l'interlocutore non percepirà la
nostra frase come un comando, ma sarà portato naturalmente e inconsciamente a formulare
mentalmente l'idea di aver sbagliato, possibilità alla quale finora forse non aveva mai pensato.
Ing. Gianluca Di Tomassi
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Comunicazione e MKTG nella società dell’informazione
7. Comandi_e_domande_incastrate
Sono domande che non consentono risposte e che dunque rappresentano una finta alternativa. In
realtà si tratta di comandi indiretti rivolti all'interlocutore, a cui è difficile resistere. Dire “Mi
chiedo se preferisci rilassarti seduto sulla sedia o sdraiandoti sul divano” sottintende il fatto che
comunque la persona si rilassi, è questo ciò che importa realmente.
8. Citazioni
Chi parla fa un affermazione rischiosa attribuendola però a qualcun altro. La parte logica
dell'interlocutore capisce che la frase non è rivolta direttamente a lui, ma l'inconscio, che non è in
grado di cogliere le sfumature grammaticali, ne interpreta il significato in modo differente.
9. Postulati_di_conversazione
Si tratta di domande a cui di solito si risponde agendo. Se ad esempio chiediamo a qualcuno: “Ti
dispiace chiudere la porta?”, la persona, in genere, anziché rispondere sì o no, andrà a chiudere
la porta. In questo modo l'interlocutore ottiene quello che vuole.
1.3 La psicolinguistica
La Psicolinguistica è lo studio scientifico del “linguaggio dei comportamenti”, delle relazioni
esistenti tra alcuni aspetti dei messaggi verbali e le caratteristiche culturali degli individui.
Essa, perciò, è fondata sull'integrazione delle conoscenze e dei contributi di diverse discipline: la
linguistica pura, la neurologia, la psicologia, la sociologia e l'antropologia.
Nata nel 1951 in America, grazie agli studi di Miller, Skinner, Mowrer, comincia a diffondersi
in Italia solo a partire dal 1985.
Attualmente la psicolinguistica si riconosce in tre livelli fondamentali di applicazione:
‰ Livello individuale Æ Studio dei processi di elaborazione mentale delle informazioni (a questo
livello la psicolinguistica si identifica con la PNL ).
‰ Livello di gruppo Æ Studio delle regole di comportamento, del sistema di valori, miti, riti e
credenze che si formano all'interno di ogni gruppo.
‰ Livello della comunicazione di massa e pubblicitaria Æ Insieme di tecniche volte a diffondere
una certa idea di un prodotto, "posizionandolo" nella mente dei consumatori.
Ing. Gianluca Di Tomassi
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Comunicazione e MKTG nella società dell’informazione
1.4 Le applicazioni pratiche della comunicazione efficace
La capacità di stabilire e gestire una comunicazione efficace è una delle qualità indispensabili per
il responsabile di progetto (Project Manager ovvero PM).
La sua professione, infatti, è finalizzata a diffondere la cultura aziendale (i suoi valori, obiettivi e
interessi) e a creare prestigio e benevolenza intorno all'attività e all'immagine dell'impresa. Per
raggiungere questo scopo, egli intraprende una serie di iniziative volte a informare, influenzare e
instaurare relazioni positive e stabili con tutti gli stakeholders.
Il PM insieme al responsabile della comunicazione è il punto di raccordo e di distribuzione delle
informazioni; a lui può competere la pianificazione, la realizzazione e il controllo di tutte le
iniziative di comunicazione, dal punto di vista sia dei contenuti, sia dei tempi, modi e toni.
1.4.1 Parlare in pubblico
L'attività del PM richiede buone capacità comunicative a livello sia scritto, sia orale.
L'organizzazione e la partecipazione a conferenze stampa, la realizzazione di interviste, i frequenti
incontri con i dirigenti dell'organizzazione: in tutte queste occasioni, il modo in cui si presenta una
proposta o si sostiene un'opinione, al di là del loro contenuto, è decisivo ai fini di come queste
verranno recepite e accolte dagli altri.
Le tecniche descritte precedentemente si riveleranno estremamente utili per acquisire e mostrare
maggiore sicurezza di sé e per instaurare una comunicazione efficace, a livello sia non verbale che
verbale.
Quando si deve esporre pubblicamente una relazione relativamente ad una proposta, un progetto o
un prodotto, la capacità di parlare di fronte a un uditorio più o meno vasto permette a un bravo
relatore di sostenere e affermare con incisività le proprie idee e di rafforzare la propria leadership.
Se si vuole garantire efficacia alla propria presentazione, è fondamentale che essa sia preceduta da
un accurato lavoro preparatorio. Non ci si può affidare all'improvvisazione, ma occorre seguire uno
schema organizzativo logico e chiaro. A questo proposito si può prendere come punto di riferimento
una struttura classica di organizzazione del discorso molto efficace e valida per qualsiasi
presentazione a carattere persuasivo. Essa è articolata in quattro fasi.
Ing. Gianluca Di Tomassi
16
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⇒
FASE 01 – PREPARAZIONE
Innanzi tutto occorre occuparsi della preparazione dei contenuti. La consapevolezza di avere
la padronanza di tutti gli argomenti permette, infatti, di affrontare il pubblico con maggiore
sicurezza e rappresenta quindi una garanzia di controllo della propria emotività.
È molto utile predisporre delle scalette e dei supporti visivi: lucidi, diapositive, lavagna a
fogli mobili. I supporti visivi non solo facilitano l'oratore nel controllo del copione, ma,
integrando il linguaggio verbale con un messaggio visivo, potenziano fortemente la
comunicazione. Al contrario, assolutamente da evitare è la stesura di un copione da imparare a
memoria o addirittura da leggere: la recitazione, infatti, toglie colore ed entusiasmo alla
presentazione, e la lettura, abolendo il contatto d'occhi, la gestualità e i toni di voce, offre solo
il 7% di efficacia comunicativa.
Una volta preparato lo schema degli argomenti, si potrà ripassarli più volte mentalmente
consentendo così di assorbire il discorso ad un livello più profondo, di trovare parole e concetti
nuovi
e
più
efficaci
e
di
preparare
le
risposte
a
eventuali
obiezioni.
Molto importante è anche la preparazione psicologica fondata sull'autosuggestione e
sull'automotivazione. Il relatore deve prepararsi con entusiasmo e convinzione alla
presentazione, vivendola prima più volte nella propria immaginazione e raffigurandosi il
proprio successo: in questo modo, quando dovrà affrontare realmente l'uditorio, non avrà la
sensazione di trovarsi di fronte a una situazione ignota, ma sperimenterà qualcosa per cui è
preparato e che ha già vissuto con successo nella propria mente.
⇒
FASE 02 – APERTURA
L'apertura è uno dei momenti più critici della presentazione. Infatti nei primi minuti il pubblico
formula inconsapevolmente un giudizio sull'oratore fondato non tanto sulla sua preparazione e
competenza, né sull'importanza dell'argomento trattato, bensì sul suo aspetto, il suo
abbigliamento, i suoi movimenti, il suo contatto d'occhi, le sue prime parole. D'altra parte, è
proprio in questo momento che il relatore raggiunge l'apice dello stress. A venirgli in aiuto
sono alcune tecniche ”icebreaker ”:
‰ aprire con una domanda che desti curiosità e permetta di interagire subito con i presenti;
‰ aprire con una storia o una citazione;
‰ aprire con un giro di presentazione che coinvolga i partecipanti.
Da evitare, invece, soprattutto in apertura, alcuni stili particolarmente pericolosi:
Ing. Gianluca Di Tomassi
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‰ lo stile “napoleonico” di chi mostra eccessiva sicurezza di sé e superbia; tale approccio crea
distacco e inibizione;
‰ lo stile “apologize" (mi scusi) di chi, al contrario, tende a svilire la propria presenza in aula,
scusandosi continuamente per la propria mancanza di chiarezza, di preparazione approfondita
su un argomento, ecc.; ha l'effetto di abbassare notevolmente l'interesse dei presenti;
‰ lo stile friendly (amichevole e informale) sminuisce la leadership dell'oratore.
L'esordio è finalizzato a raggiungere tre obiettivi principali:
1. costruire la propria credibilità, mostrando competenza e autocontrollo;
2. catturare l'interesse del pubblico, ad esempio con un titolo ad effetto;
3. mettere a proprio agio l'uditorio, instaurando una comunicazione a due vie, che stimoli la
partecipazione attiva mediante domande, richieste di chiarimenti, commenti, proposte e
suggerimenti.
⇒
FASE 03 – CORPO DELLA PRESENTAZIONE
La parte centrale della comunicazione prevede a sua volta quattro momenti:
1. Background: offre all'uditorio le informazioni di base, per portare tutti ad un livello
uniforme di conoscenza.
2. Presentazione del problema su cui si desidera intervenire. È importante che i partecipanti
ne acquistino piena consapevolezza, affinché siano maggiormente disposti ad accogliere la
nostra proposta.
3. Proposta della soluzione. Essa deve soddisfare direttamente i bisogni emersi dalla
presentazione, essere definita chiaramente in tutte le sue caratteristiche, vantaggi e benefici
e confrontata con altre soluzioni possibili per dimostrare che veramente rappresenta
l'alternativa migliore.
4. Prove oggettive. Per avvalorare la validità della proposta, si potrà far riferimento a dati
statistici, ricerche di mercato, testimonianze di esperti, esempi relativi a situazioni simili
già verificatesi.
⇒
FASE 04 – CHIUSURA
La chiusura mira a convogliare tutte le energie messe in campo durante la presentazione
affinché sia raggiunto il risultato che ci si era prefissato.
Ing. Gianluca Di Tomassi
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Comunicazione e MKTG nella società dell’informazione
Dopo aver ricordato i passi e i concetti salienti della presentazione, va proposto il piano
d'azione. Si tratta di una richiesta d'impegno rivolta all'uditorio, di cui il relatore deve definire
precisamente i dettagli, ossia le cinque W (Who, What, Where, When, Why).
È bene non rimandare in altro momento e luogo tale proposta, in quanto si riscontrerebbe
sicuramente una minore disponibilità e un generale raffreddamento dell'entusiasmo.
Infine, l'oratore può concludere evidenziando gli obiettivi raggiunti e ringraziando i
partecipanti.
1.4.2 La comunicazione scritta
L'attività del PM richiede buone capacità comunicative anche a livello scritto. Egli può dover
scrivere quotidianamente molti documenti: comunicati stampa, pubblicazioni, materiale per il sito
Internet, lettere, email, news-letter, resoconti, circolari, verbali, monografie aziendali, relazioni di
bilancio, brochure. La comunicazione scritta quindi rappresenta per lui uno strumento
indispensabile.
Naturalmente ciascuno dei documenti sopra citati richiede delle attenzioni particolari, per cui
occorre
innanzi
tutto
conoscerne
precisamente
le
diverse
caratteristiche
e
finalità.
È possibile tuttavia individuare alcuni principi fondamentali a cui può attenersi non solo il PM, ma
chiunque voglia realizzare messaggi comunicativi efficaci.
Prima ancora di cominciare a scrivere, è necessario compiere alcune operazioni preliminari:
‰
Identificare precisamente i destinatari, valutando il grado di conoscenza che essi hanno
dell'argomento e il tipo di relazione che si ha o si vuole instaurare con loro.
‰
Scrivere una scaletta , definendo il tema principale, i suoi correlati, le argomentazioni e gli
esempi significativi.
‰
Prefiggersi un obiettivo chiaro.
‰
Scegliere il mezzo più adatto, in relazione ai destinatari, al contenuto e agli obiettivi della
comunicazione.
Quando scriviamo un testo di qualsiasi tipo e ci rivolgiamo a più destinatari, dobbiamo essere
consapevoli del fatto che nel nostro pubblico saranno rappresentati, in misura maggiore o minore,
tutti i canali comunicativi. Per questo dovremo fare attenzione a costruire un testo che sia in grado di
stabilire una comunicazione profonda sia con i visivi, sia con gli uditivi, sia con i cinestesici, di
Ing. Gianluca Di Tomassi
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Comunicazione e MKTG nella società dell’informazione
attivare con frasi e parole diverse l'attenzione e l'interesse di ciascuno di loro. Un uditivo sarà
particolarmente sensibile a certe espressioni, diverse da quelle che possono catturare un uditivo o un
cinestesico. Il comunicatore abile deve conoscere questi diversi linguaggi e saperli sfruttare nel
migliore dei modi.
I visivi, infatti, sono interessati a capire che aspetto hanno le cose e perciò amano i discorsi ricchi
di metafore visive e di particolari descrittivi; gli uditivi, invece, sono sensibili non solo alle voci
sonore, ritmate e armoniose, ma anche a tutte quelle parole che evocano rumori e suoni; infine i
cinestesici
danno
molta
importanza
alle
sensazioni,
alle
emozioni
e
alle
intuizioni.
Ricapitolando, si può dire che, ogni volta che si vuole costruire un messaggio veramente efficace, è
necessario “sintonizzarsi“ con i propri interlocutori, parlare il loro stesso linguaggio, esprimersi con
le parole che loro preferiscono.
Oltre a questo, è bene rispettare anche qualche altra regola di sicura efficacia:
⇒
REGOLA 01 – Sintesi. Se vogliamo esser sicuri che il nostro messaggio sia letto interamente e
con interesse, è necessario selezionare le informazioni veramente importanti e condensarle in poche
righe, eliminando tutto ciò che è superfluo.
⇒
REGOLA 02 – Chiarezza. La chiarezza consiste nell'usare parole dirette e concrete che centrino
subito il significato. Al contrario vanno usate con parsimonia le parole tecniche e difficili, evitate del
tutto le espressioni burocratiche e tutti quei termini altisonanti che sembrano dare tono e valore al
testo, ma in realtà risultano vaghi e aumentano i rischi di incomprensione.
Perché un testo risulti chiaro, si deve inoltre porre attenzione a:
‰
utilizzare frasi brevi, facendo in modo che ogni frase contenga una sola idea importante;
‰
utilizzare parole brevi (“prima” anziché “precedentemente”);
‰
evitare le parole stranieri inutili, quando esiste un esatto corrispettivo in italiano;
‰
esprimere con proposizioni semplici anche argomenti complessi;
‰
privilegiare le frasi affermative e attive, che risultano più immediate;
‰
limitare l'uso del congiuntivo, in quanto indica una realtà ipotetica;
‰
evitare incisi e parentesi;
‰
suddividere il testo in paragrafi, in modo tale che ognuno rappresenti un'unità di testo e di
informazione;
‰
quand'è possibile, strutturare l'informazione per punti: gli elenchi agevolano e danno ritmo
alla lettura;
Ing. Gianluca Di Tomassi
20
Comunicazione e MKTG nella società dell’informazione
‰
dopo aver scritto il testo, aspettare un po' e poi sottoporlo ad un'attenta revisione,
rileggendolo a voce alta e facendolo leggere anche ad altre persone.
⇒
REGOLA 03 – Organizzare la struttura del testo. Una volta trovati tutti gli argomenti, è
fondamentale organizzarli in una struttura chiara che valorizzi il messaggio e indirizzi il lettore in
una direzione precisa.
La struttura più coerente ed efficace è quella che si articola in tre parti:
1. Introduzione
2. Corpo
3. Conclusione
Un buon inizio deve puntare subito sul messaggio principale, mettendone in evidenza gli elementi
fondamentali, vale a dire le 5 W menzionate precedentemente (Who, What, Where, When, Why).
La parte centrale contiene la descrizione dei fatti, dai più ai meno importanti, e l'argomentazione con
tutti i particolari. Oltre ai punti a favore, è bene presentare anche quelli a sfavore, purché,
naturalmente, siano significativamente meno numerosi degli altri: in questo modo, infatti, si
guadagna in credibilità e fiducia e si ottiene anche l'effetto di dare maggior risalto ai punti di forza.
La conclusione, ribadendo il messaggio, riduce i rischi di incomprensione, facilita il ricordo e la
persuasione. Il suo scopo principale è coinvolgere il lettore e fare in modo che assuma l'impegno che
desideriamo.
⇒
REGOLA 04 – Catturare e tener viva l'attenzione del lettore. I luoghi comuni, a cui spesso si
cede per mancanza di tempo e pigrizia mentale, vanno evitati.
Al contrario, si potrà ricorrere ad alcuni utili espedienti:
‰
le figure retoriche, che aiutano ad uscire dalla banalità;
‰
le domande, per attivare il processo dialettico con il lettore;
‰
la tecnica del teaser, che consiste nello stimolare la curiosità del lettore prima di presentare il
contenuto del messaggio;
‰
le variazioni dello stile e del tono;
‰
i numeri che suscitano sempre interesse e attenzione;
‰
una veste grafica attrattiva.
Ing. Gianluca Di Tomassi
21
Comunicazione e MKTG nella società dell’informazione
2 L’IDENTITÀ NELLA COMUNICAZIONE AZIENDALE
L’affermazione degli studiosi della scuola di Palo Alto secondo cui “Non si può non
comunicare”, è da considerare come regola fondamentale sia per gli individui che per le imprese
(Watzlawick, 1971). Secondo il gruppo di studiosi californiani, sia le forme di comunicazione sia
quelle di “non comunicazione”, sono considerate come messaggio dagli interlocutori che lo
interpreteranno secondo la propria mappa mentale. Nei processi di comunicazione aziendali riveste
un ruolo fondamentale l’attenzione al feed-back, meccanismo che genera la risposta di ritorno degli
interlocutori e che rappresenta un potente strumento di controllo.
Un’impresa che non comunica, permette a chi interagisce con essa di formarsi idee senza avere
elementi ai quali riferirsi, o meglio permette di poter analizzare solo il silenzio. Le imprese che
hanno capito l’importanza del fattore comunicazione hanno a disposizione una fondamentale leva
strategica da usare sul mercato.
Nella definizione di comunicazione aziendale data da Rampini è sottolineata l’importanza della
coordinazione tra comunicazione esterna ed interna. Tale esigenza scaturisce dall’importanza della
comunicazione rivolta all’interno, che ha come fine non solo quello di migliorare le relazioni
interpersonali nell’organizzazione, ma è considerata il primo banco di prova dell’efficacia delle
politiche di immagine aziendale. Se non si riesce a motivare i dipendenti, che sono i primi portavoce
dell’azienda verso l’esterno, rendendoli partecipi e facendoli sentire appagati, tanto meno si riuscirà
a catturare il cliente-utente. Inoltre, condizioni interne appaganti sono necessarie all’azienda anche
per vincere la concorrenza sul mercato del lavoro e riuscire ad attirare il personale più qualificato
rivolgendo le sue attrattive al pubblico dei dipendenti potenziali.
L’organizzazione che è in grado di usare efficacemente lo strumento comunicazione non si
limita ad essere semplice emittente di messaggi ma pone attenzione anche alla decodifica dei
messaggi ricevuti. Ascoltare, infatti, permette di comprendere meglio il contesto in cui si è inseriti e
far fronte in maniera tempestiva ad eventuali mutamenti. L’importanza di una comunicazione
integrata a livello strategico si enfatizza nei momenti di crisi quali conflitti sindacali, crisi finanziarie
o legate all’immagine, ristrutturazioni e/o riduzioni del personale.
Il problema principale a cui devono far fronte le imprese modernamente organizzate è
soprattutto quello della distinguibilità e riconoscibilità dato che la società odierna è caratterizzata da
Ing. Gianluca Di Tomassi
22
Comunicazione e MKTG nella società dell’informazione
un sovraffollamento di segni che rende ardua l’affermazione della identità aziendale. Inoltre, spesso,
le organizzazioni impegnate in radicali cambiamenti organizzativi, smarriscono la propria identità.
L’azienda che vuole avere successo ed emergere nel mercato deve tenere in considerazione le
risorse immateriali. Esse non possono essere acquistate ma vanno conquistate. L’impresa deve
provvedere a costruirle nel tempo e, una volta acquisite, possono essere usate in ogni momento
poiché il loro utilizzo ne permette l’aumento di valore e di qualità. I due elementi immateriali che
costituiscono l’immagine aziendale sono:
‰
la Corporate Identity. Rappresenta l’essere, ciò che l’organizzazione è, ossia l’insieme dei
dati oggettivi che formano la personalità dell’azienda, quindi la sua filosofia, i suoi obiettivi,
le sue idee, i suoi valori.
‰
la Corporate Image. Dalla parte dell’impresa (l’emittente) l’immagine è l’esserci, l’apparire,
ciò che dice di essere, l’espressione pubblica con cui trasmette la sua identità, la
rappresentazione all’esterno attraverso la trasmissione di segni, codici e messaggi. Dalla
parte del pubblico (il destinatario) l’immagine è la percezione fondata su sensazioni,
esperienze, sentimenti, opinioni e giudizi nei confronti dell’impresa. È la rappresentazione
mentale evocata dal logo o dal nome dell’azienda.
La Corporate Image è la “rappresentazione mentale di un determinato oggetto che si forma
dall’unione di opinioni, impressioni, percezioni ed esperienze riportate nel tempo su quell’oggetto”.
L’impresa deve chiedersi chi è, chi vuole essere e chi o cosa invece sembra. Essa non può
decidere quale immagine dare di se stessa, ma può esercitare una diretta influenza sull’altro
elemento immateriale: l’identità.
Identità non è sinonimo di immagine, ma questi due elementi sono in stretta relazione tra
loro. L’identità è realtà, l’immagine è percezione. L’identità è oggettiva, l’immagine è soggettiva.
L’identità forma l’immagine che, a sua volta, si riflette sull’identità stessa. Essa rappresenta
l’insieme degli strumenti che l’azienda mette in campo per proiettare all’esterno la propria
personalità.
Immagine e identità sono quindi interdipendenti e rappresentano due parti fondamentali
dell’unico fenomeno “realtà aziendale”.
Gli obiettivi della strategia di corporate sono quelli di consolidare la reputazione e la stima da
parte dei vari stakeholders, rafforzandone il consenso, e di promuovere la notorietà ottenendo la
massima attenzione da parte dell’opinione pubblica.
L’azienda, quindi, deve rendere sistematico e razionale il processo di relazione e comunicazione con
i diversi pubblici di riferimento. La politica d’immagine è fondamentale per rendere possibile
Ing. Gianluca Di Tomassi
23
Comunicazione e MKTG nella società dell’informazione
l’identificazione del pubblico con l’azienda. In un mercato sempre più competitivo il valore
immagine fa la differenza; il posizionamento d’immagine diventa il fattore fondamentale di
successo.
La definizione di identità proposta dal vocabolario Devoto-Oli è “il rapporto di esatta
uguaglianza o coincidenza”. Invece la definizione di identità dell’Oxford Shotter Dictionary,
riportata da David Bernstein (1988), è “la qualità o condizione dell’essere sempre lo stesso;
l’essenziale e assoluta unicità”. Ed è proprio a ciò che le imprese cercano di arrivare, ad essere
riconoscibili e distinguibili. L’identità rende visibile il possessore-produttore e questo diventa
fondamentale in un mercato che propone beni e servizi sempre più omogenei tra loro.
Un sistema di identità può essere definito come un pianificato e coordinato sistema verbale e
visuale usato per descrivere e dipingere le azioni dell’azienda, attraverso una linea guida applicata a
tutte le forme di comunicazione che spiegano lo status dell’impresa e le sue ambizioni. L’identità
costituita da simboli comunicativi può avere un duplice effetto sull’impresa; all’interno serve a
rafforzare i valori e l’appartenenza, all’esterno afferma l’immagine dell’impresa. L’identità è il
primo gradino dell’immagine. Infatti, delineare un insieme di simboli coerenti in grado di
distinguere l’impresa, consente di avere un vantaggio competitivo sugli altri.
Non esiste un’impresa di successo senza un’identità adeguata. Un’azienda che non ha una
forte Corporate Identity può avere successo solo facendo prodotti di basso prezzo o fornendo servizi
a basso costo e non può imporsi sul mercato con una adeguata politica di marca.
2.1 Metodi pratici per la rilevazione dell’identità aziendale
Durante l’ultimo decennio sono state sviluppate diverse metodologie per rilevare l’immagine di
un’impresa. Alcune di esse vengono dalle ricerche tradizionali sui comportamenti dei consumatori e
si avvicinano al quadro generale delle tecniche che vengono usate per accertare l’immagine esterna
di un’organizzazione. Alcuni di questi metodi sono stati adottati per essere usati all’interno
dell’impresa prevedendo l’utilizzo di metodologie specifiche come interviste semi-strutturate, analisi
etnografiche ed euristiche delle fonti storiche. Tra le più note si riportano le seguenti
metodologie/metodi:
‰ Un metodo molto usato dai consulenti di design è la verifica visuale che ha come obiettivo quello
di rilevare alcuni tratti di base dell’identità di un’impresa interpretando il suo stesso simbolismo.
‰ Un metodo euristico che ha un carattere più accademico e prende in esame le radici storiche di
un’organizzazione e cerca le aree di conflitto al suo interno.
Ing. Gianluca Di Tomassi
24
Comunicazione e MKTG nella società dell’informazione
‰ Una metodologia molto usato è l’analisi sulla verifica di affinità di Balmer (Balmer’s affinity
audit - BAA) (Balmer, 1997b). Questo metodo è di tipo etnografico e richiede la possibilità di
avere un ampio accesso all’interno dell’organizzazione combinando vari metodi qualitativi di
raccolta di informazioni come le interviste semi-strutturate, l’osservazione e gli esami della
documentazione aziendale. Il BAA ha l’obiettivo di chiarire quali sono le forze trainanti che
sostengono l’immagine coordinata di un’impresa. Inoltre, cerca di descrivere il comportamento
dei dipendenti e di rilevarne importanti dettagli riguardo i sistemi valoriali dominanti. Secondo
Balmer l’insieme dei valori e delle credenze degli stakeholder formano la personalità
dell’impresa che egli vede come fattore determinante della Corporate Identity.
La metodologia BAA come tecnica di rilevazione si sviluppa attraverso quattro momenti:
1. enunciazione della missione dell’impresa e della sua strategia;
2. rilevamento dei sistemi dominanti di valori e credenze interne all’impresa;
3. valutazione dei sistemi di valori e credenze rispetto alla missione e alla strategia;
4. sviluppo di valori e credenze che supportino la missione e la strategia dell’impresa.
La verifica di Balmer richiede per prima cosa di porre l’impresa sotto osservazione ed in secondo
luogo di dare risalto esclusivamente ai metodi qualitativi di raccolta di informazioni.
‰ Un metodo utile è quello che fa uso delle tecniche a scala che originariamente sono state
sviluppate per determinare l’immagine dei prodotti o delle marche, nell’ambito del marketing.
Questa tecnica è stata adattata all’area della Corporate Identity. Il metodo a scala include
interviste aperte ai dipendenti dove viene loro richiesto di descrivere cosa fanno, come svolgono
il proprio lavoro, perché lavorano in un certo modo e che importanza danno alla loro attività.
L’obiettivo è di approfondire i valori dominanti di ogni impiegato. Aggregando tali dati, i valori
ritenuti importanti dai dipendenti danno indicazioni rilevanti sull’identità dell’organizzazione.
‰ Un altro metodo spesso usato è il Rotterdam Organizational Identification Test (ROIT) che rivela
il grado di accettazione da parte del personale della Corporate Identity così come è articolata dai
senior manager, misurando l’identificazione di un dipendente con la sua impresa.
Per determinare l’intensità/forza individuale di identificazione con un’organizzazione è
necessario stabilire se sono presenti si seguenti punti:
a) feeling di appartenenza;
b) congruenza tra obiettivi dell’organizzazione e valori;
c) concetto positivo dell’appartenenza;
Ing. Gianluca Di Tomassi
25
Comunicazione e MKTG nella società dell’informazione
d) supporti organizzativi;
e) accettazione dei singoli contributi;
f)
relazioni accettate;
g) sicurezza.
Per misurare la Corporate Identity dell’impresa il ROIT risulta essere uno dei metodi più efficaci.
Inoltre, è uno strumento standardizzato, di facile applicazione e con costi contenuti.
2.2 Elementi nella gestione della Corporate Identity e
processo comunicativo
Balmer e Soenen hanno proposto una lettura interessante degli elementi che interessano la
gestione della Corporate Identity e la relazione tra di essi.
Stakeholders
ANIMA
Reputazione
MENTE
VOCE
Ambiente
Figura 4: Elementi della Corporate Identity
Gli autori distinguono i fattori che costituiscono l’identità di una organizzazione:
‰
L’anima: E’ l’insieme degli elementi immateriali che costituiscono l’immagine coordinata di
una impresa. Rappresenta le interazioni sociali poiché ne sono la diretta proiezione. Consiste
nel sistema valoriale dell’impresa e nelle affinità tra i membri interni e l’impresa stessa.
‰
La mente: Rappresenta la visione del management e la filosofia dell’impresa. Porta con se la
storia dell’organizzazione e gli effetti delle decisioni prese.
Ing. Gianluca Di Tomassi
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Comunicazione e MKTG nella società dell’informazione
‰
La voce: Fa riferimento agli innumerevoli modi di dare voce e di comunicare. Ci si riferisce sia
alla comunicazione verso l’esterno che a quella meno controllata e derivante dai
comportamenti dei membri interni.
Questi fattori sono in relazione con l’esterno:
‰
L’ambiente: esso rappresenta il mondo politico, economico, sociale e tecnologico, con
particolare riferimento al mercato esterno. Questi sono elementi che vanno monitorati
costantemente.
‰
I pubblici o Stakeholders: sono quelli sia interni che esterni. Gli impiegati, i manager, gli
azionisti, i clienti, i fornitori, il governo, i media, i gruppi di pressione, le diverse comunità
come quella economica. Per tutti questi pubblici va misurata una comunicazione che deve
tenere conto delle relative aspettative.
‰
La reputazione: all’interno, rappresenta la relazione tra i gli impiegati e il management.
All’esterno, rappresenta le aspettative del pubblico in termini di qualità dei prodotti/servizi.
Attraverso un’analisi continua ed attenta di tali elementi e delle relative relazioni, è possibile
conoscere la propria identità, capire la propria personalità aziendale ed i propri valori, per poter
costruire una immagine ed una reptazione positiva sia all’interno che all’esterno.
Fino a qualche anno fa, la maggiore attenzione veniva riversata sulla mente e sull’anima con
l’obiettivo di costruire un marchio e un logo carico di significati. I primi progetti di Corporate
Identity si limitavano a promulgare veri e propri codici normativi in modo tale che nessuno potesse
agire invalidando il risultato del progetto. Tutto ciò riguardava l’applicazione del marchio, e veniva
racchiuso in volumi che diventano strumenti di lavoro indispensabili per definire le linee guida per i
caratteri, i colori, le dimensioni sui vari supporti, le superfici, i materiali su cui il marchio viene
riportato. Questi volumi che racchiudevano la normazione per la giusta applicazione del marchio (ad
esempio il manuale della Corporate Identity di Pirelli del 1998 o quello di Olivetti 1999 che nella
versione cartacea le pagine riportavano i colori istituzionali da applicare al logo e le misure precise
per l’applicazione su qualunque supporto). Il manuale aggiornava le regole che governano la grafica
del gruppo ponendosi come strumento fondamentale per un uso corretto e coordinato dell’immagine
dell’impresa. Con esso venivano dichiarate superate tutte le regole precedenti e veniva imposta la
tassatività di quelle in esso stabilite.
Oggi, ancorché tutto questo sia ancora vero, diventa improcastinabile l’appuntamento con l’elemento
voce. Tale elemento tiene conto della dimensione comunicativa ad un più ampio raggio. Attraverso
la voce deve essere posta l’attenzione sugli ambienti e su tutti i vari pubblici sia esterni che interni,
Ing. Gianluca Di Tomassi
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Comunicazione e MKTG nella società dell’informazione
secondo un processo di comunicazione di impresa, anche detto di corporate, che deve essere
sistematico e razionale. Tale processo deve rendere coerente l’immagine con l’identità dell’azienda,
deve porre attenzione a tutte le componenti dell’immagine istituzionale:
-
l’identità dell’impresa (com’è),
-
l’immagine reale (come è percepita nel presente, dal pubblico),
-
il potenziale d’immagine (punti di forza da capitalizzare),
-
l’immagine comunicata (strategia ed interventi),
-
immagine ottimale (obiettivo da raggiungere).
L’immagine comunicata, quindi, deve essere pianificata. Va effettuata una ricerca per analizzare lo
scenario, va definita una programmazione per pianificare le politiche e le strategie, va realizzata la
comunicazione attraverso interventi operativi, e, infine, va definito un piano di verifica per
controllare i risultati. Quest’ultimo punto è di estrema rilevanza. Viene realizzato attraverso lo
strumento di controllo del feedback, consentendo di monitorare e studiare il ritorno di immagine.
2.3 La comunicazione interna
Si possono individuare tre grandi strategie di comunicazione interna:
1. strategia dell’informazione per guidare il personale dipendente;
2. strategia dell’informazione per motivare il personale dipendente;
3. strategia della comunicazione per cambiare l’organizzazione aziendale.
Si tratta di tipologie di comunicazione interna rispondenti a logiche differenti:
‰ una “comunicazione/informazione” basata su un livello logico/razionale ed ispirata ad
incrementare l’ambito conoscitivo dei destinatari
‰ una “comunicazione di coinvolgimento” che ha lo scopo di consolidare oppure, in situazioni di
cambiamento, di cambiare la cultura organizzativa (comunicare per cambiare) verso un obiettivo
(informare per motivare) ed incidendo sugli atteggiamenti e sui comportamenti delle persone
(informare per guidare).
¾ Informare per guidare. Questa strategia è rivolta ad ottenere un comportamento omogeneo tra i
dipendenti. Essa comprende informazioni necessarie per far funzionare bene e rendere efficiente
l’azienda. I contenuti di comunicazione saranno perciò costituiti da informazioni sui programmi,
sulle norme, sulle procedure, sui servizi, ecc. Le attività e gli strumenti utilizzati in questi casi
sono prevalentemente comunicazioni di tipo formale come ordini di servizio, comunicati delle
Ing. Gianluca Di Tomassi
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Comunicazione e MKTG nella società dell’informazione
direzioni; comunicazioni sull’andamento di attività e processi di lavoro. Il tutto anche utilizzando
la via telematica (intranet, email, newsletter).
¾ Informare per motivare. Questa strategia ha lo scopo principale di far conoscere l’azienda, i
valori, gli obiettivi, i prodotti/servizi, l’organizzazione, le procedure, gli avvenimenti principali, i
programmi e le attività svolte, ecc. Il presupposto è che il dipendente è il primo utente di
riferimento dell’azienda e rappresenta un veicolo di pubblicità credibile all’esterno.
¾ Comunicare per cambiare. Di questo gruppo fanno parte tutte le occasioni di incontro durante le
quali i dipendenti hanno l’opportunità di esprimere, in modo formale o informale, il proprio
parere: dalle occasioni strutturate e formali, come la valutazione delle prestazioni, la definizione
degli obiettivi, le riunioni di settore, i comunicati, i circoli di qualità, la cassetta dei
suggerimenti; a quelle meno formali, come i “panel discussion” con il management.
2.4 La comunicazione organizzativa come “produzione di
valore”
Negli ultimi anni si è assistito ad una vera e propria rivoluzione nella visione dell’attività di
impresa che segna un passaggio da una logica produci/vendi, ad una logica ascolta/rispondi, con
evidenti implicazioni sul ruolo del marketing come strumento di interazione e relazione con il
mercato, e non solo di pressione su di esso.
Oggi l’impresa ha un nuovo ruolo nella società, che si affianca a quello ormai “istituzionale” di
produrre beni e servizi creando ricchezza: diventa un organismo che deve assumere un
comportamento più responsabile nel soddisfacimento dei valori umani. Essa diventa, come la
definisce Fornarelli, una “cellula che opera in modo sinergico nel più vasto sistema
macroeconomico”.
Il valore generato dall’impresa è concepito come “valore condiviso” a disposizione
dell’imprenditore che può aumentare o diminuire per effetto degli scambi con i principali
stakeholders.
Ing. Gianluca Di Tomassi
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Comunicazione e MKTG nella società dell’informazione
Figura 5: Il valore d’impresa
Assumendo quindi il concetto di valore come una risorsa prodotta dalle attività aziendali, ma
poi condivisa tra i diversi soggetti che di fatto interagiscono con esse, sono stati individuati tre livelli
diversi di valore:
1. Un primo livello comprende profitto e capital gain, ossia una forma reddituale e patrimoniale di
remunerazione degli azionisti;
2. Un secondo livello comprende ricchezza generata a vantaggio di dipendenti, clienti, fornitori e
ogni altro interlocutore dell’impresa;
3. Un terzo livello comprende lo sviluppo di competenze delle persone che sono legate all’impresa,
un miglioramento in termini di immagine e di benefici sociali e ambientali.
Come è facile comprendere passando dal primo al terzo livello la difficoltà di misurazione
aumenta, in vista della presenza di componenti sempre più immateriali.
Risulta allora necessario creare un vero e proprio “piano integrato della comunicazione”.
Partendo da una comprensione della Responsabilità Sociale per la realtà aziendale in esame, in tale
piano seguirebbe, come in ogni buon processo comunicativo, l’identificazione dei destinatari che
richiede pertanto effettuare una mappatura degli stakeholders e delle loro aspettative, valutando la
legittimità delle loro richieste, il potere o la capacità di influenzare le scelte dell’impresa e anche
l’urgenza delle richieste stesse.
Ma come ogni buon processo comunicativo, deve essere previsto un feedback dagli utenti
finali che andrà ad impattare sia i sistemi di analisi dei dati (per far fronte, per esempio, a richieste di
dati specifici dalla legislazione vigente), ma anche il sistema di rilevazione, qualora lo stesso non
consenta di rilevare i processi richiesti.
L’intranet, integrata con la LAN, le email coniugate al Marketing interno, la newsletter interna,
sono canali attraverso i quali si può veicolare un messaggio di tipo etico-sociale ai propri
collaboratori interni.
Ing. Gianluca Di Tomassi
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Comunicazione e MKTG nella società dell’informazione
La newsletter esterna, il numero verde e il coinvolgimento diretto degli stakeholders possono
costituire strumenti utili per l’esterno.
Il sito web invece si pone come interfaccia intermedia utile in generale per tutti gli
stakeholders.
2.5 Le mappe mentali come mezzo di comunicazione
Una mappa mentale è la rappresentazione grafica di un processo della mente che serve per
rappresentare il processo durante il suo svolgersi. Essa consente di ridurre la complessità dei
processi mentali e li rende visibili e comprensibili anche agli altri interlocutori.
Una metodologia consiste nel partire da un argomento che risulta essere determinante da disporre
al centro della pagina e nello sviluppare per rami tutti gli altri argomenti che sopraggiungono nella
nostra mente. Si basa quindi sul pensiero associativo, e cioè sul fatto che quando si pensa a qualcosa
vengono alla mente cose collegate. Nel campo dell’ingegneria e in particolare delle basi di dati la
metodologia delle mappe mentali si avvicina molto alla strategia Inside-out che consiste
nell’individuare inizialmente solo alcuni concetti importanti e poi si procede a partire da questi, a
“macchia d’olio” rappresentando cioè prima i concetti concettualmente più vicini ai concetti iniziali,
per poi muoversi verso quelli più lontani.
Nel campo del Project Management il GANTT e il PERT sono esempi di mappe come lo sono i
grafi e i diagrammi di flusso nel campo dell’informatica.
Se si è soli la mappa mostrerà lo sviluppo del nostro pensiero, le possibilità e le alternative. Ci
permetterà di non farci sfuggire un’idea che può essere annotata aprendo un altro ramo.
Se si lavora in gruppo si può utilizzare una lavagna con la quale il gruppo contribuirà con idee e il
responsabile le scriverà nella mappa (in modo simile a quanto avviene con il diagramma causaeffetto nella Reingegnerizzazione dei processi e nel miglioramento continuo).
La cosa veramente significativa è che le mappe mentali, per loro natura essendo la
rappresentazione grafica di un processo mentale, sono utili per condividere con altri il processo e di
conseguenza le mappe mentali sono un mezzo di comunicazione con se stessi e con gli altri.
Spesso elaboriamo le nostre idee ma non ricordiamo il percorso mentale che abbiamo fatto,
oppure ascoltiamo ad esempio una relazione o partecipiamo ad una riunione e ne ricordiamo solo
una piccola parte. Le mappe ci consentono di tracciare rapidamente percorsi e strutture di pensiero, e
di ritrovarne il senso a distanza di tempo.
Ing. Gianluca Di Tomassi
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Comunicazione e MKTG nella società dell’informazione
Se vogliamo rendere partecipi gli altri del nostro pensiero, possiamo comunicarlo sotto forma di
mappa che essendo una struttura a stella ed aperta consente di essere ampliata e modificata anche
dagli altri. Diventa perciò uno strumento molto utile nel lavoro di gruppo.
Figura 6: Esempio di mappa mentale per un corso didattico
Ing. Gianluca Di Tomassi
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Comunicazione e MKTG nella società dell’informazione
3 PIANO DI COMUNICAZIONE AZIENDALE
3.1 Definizione e premesse concettuali
Il piano di comunicazione è uno strumento che serve a programmare le azioni di comunicazione
di una organizzazione in un certo arco temporale. In questa accezione dunque il piano di
comunicazione aiuta il governo della comunicazione nel senso che ne consente:
•
la finalizzazione (il perché comunichiamo),
•
ne individua gli attori (il chi comunica e a quali destinatari),
•
ne indica i prodotti (il cosa si dovrebbe realizzare),
•
con quali strumenti e con quali risorse.
In un piano di comunicazione tutte queste variabili vengono tra di loro correlate, mettendo
dunque l’organizzazione nelle condizioni di avere una visione complessiva della propria
comunicazione.
3.2 A cosa serve un piano di comunicazione
Un piano di comunicazione deve essere inquadrato nella dimensione strategica che l’azienda
persegue, infatti consente di ordinare, sviluppare e impiegare risorse di tipo diverso, umane,
strumentali, economiche, per conseguire la massima probabilità di raggiungere determinati obiettivi
comunicativi. L’assenza di obiettivi chiari, definiti e misurabili aumenta il rischio di produrre effetti
comunicativi errati, di sprecare risorse, di generare incoerenze e casualità comunicative
caratterizzate più dal dover fare che dal sapere perché farlo. Il piano di comunicazione aiuta a
definire i perché delle comunicazioni prodotte nell’ambito di una organizzazione.
L’oggetto della strategia contenuta in un piano di comunicazione è la comunicazione intesa sotto
un duplice profilo: quello per cui, grazie al piano, le informazioni si dotano di un senso e quello per
cui questo senso è tale in relazione a un destinatario.
Il proliferare dell’informazione, proveniente anche da fonti alternative rispetto a quelle
tradizionali, ha dato luogo, soprattutto negli ultimi decenni, a un fenomeno di disinformazione per
eccesso, in cui la molteplicità, la frammentazione e la contraddittorietà del gran numero di
informazioni provenienti da una pluralità di fonti differenti finisce per paralizzare piuttosto che
Ing. Gianluca Di Tomassi
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Comunicazione e MKTG nella società dell’informazione
orientare. E’ evidente dunque che l’informazione di per sé non è sufficiente per comunicare e che
per stabilire una interazione tra emittente e ricevente occorre stabilire apposite procedure che
consentano di trasmettere informazioni che abbiano un senso. Attraverso il piano di comunicazione,
è possibile organizzare una sequenza di azioni logicamente correlate ed inserite all’interno di uno
specifico contesto di riferimento, con obiettivi definiti, strategie e strumenti coerenti e quindi dotare
di senso informazioni e messaggi che altrimenti ne sarebbero privi del tutto o in parte.
Definire un obiettivo e avere chiaro a chi quell’obiettivo è rivolto significa attendersi e dare
valore alle reazioni del destinatario del nostro messaggio, anzi strutturare il messaggio in funzione
delle reazioni (comportamentali, valoriali, conoscitive, culturali ecc.) che ci si attende di
determinare. Il rapporto tra obiettivi e destinatari è dunque un elemento centrale nella
pianificazione della comunicazione.
La seconda dimensione che caratterizza il piano di comunicazione è il suo disegno razionale,
ovvero la sua capacità di mettere in una relazione efficiente ed efficace attori, messaggi, prodotti,
strumenti e canali di comunicazione. Costruire un piano di comunicazione significa realizzare una
mappa intelligente, ragionata, di ciò che si dovrebbe fare, da parte di chi e con quali risorse.
Naturalmente tutti gli attori di una organizzazione comunicano, realizzano prodotti di comunicazione
e spendono denaro e tempo per farlo, anche in assenza di una pianificazione mirata, perché
comunicare è uno stato naturale degli individui e delle loro organizzazioni. Il piano di
comunicazione è il tentativo di ordinare questo stato naturale di cose assumendo un punto di vista
complessivo e generale, come guardando l’organizzazione nella sua complessità.
3.3 Come fare un piano di comunicazione in sette passi
In questo paragrafo vengono proposti alcuni consigli operativi su come costruire il piano di
comunicazione aziendale che vengono considerati come indicazioni metodologiche poiché, i
contenuti di un piano possono essere decisi e individuati solo di volta in volta, sia in riferimento
all’azienda nella quale si opera sia in riferimento al momento nel quale viene fatta la pianificazione
delle azioni di comunicazione. Le indicazioni, perciò, riguardano il come procedere non tanto i
contenuti specifici del piano.
Il piano di comunicazione consiste nella individuazione di sette passaggi fondamentali:
1. l’analisi dello scenario;
2. l’individuazione degli obiettivi di comunicazione;
Ing. Gianluca Di Tomassi
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Comunicazione e MKTG nella società dell’informazione
3. l’individuazione dei pubblici di riferimento;
4. la scelte strategiche;
5. le scelte di contenuto;
6. l’individuazione delle azioni e degli strumenti di comunicazione;
7. la misurazione dei risultati.
Questi sette passaggi sono in qualche modo preceduti e dipendono strettamente dagli obiettivi
strategici dell’amministrazione. Il piano di comunicazione infatti è inteso come lo strumento di
pianificazione della comunicazione rispetto alle politiche dell’organizzazione e individua di fatto
politiche di comunicazione utili ed efficaci rispetto al raggiungimento degli obiettivi strategici
dell’organizzazione.
Questi obiettivi vanno conosciuti in modo puntuale e a monte della redazione del piano perché ne
influenzano tutto il percorso e i relativi contenuti.
In sostanza, i contenuti di un piano di comunicazione dipendono, in una relazione logica, e sono
preceduti, in una relazione cronologica, dagli obiettivi strategici dell’amministrazione.
3.3.1 L’analisi dello scenario
Uno degli strumenti più utilizzati e consigliati per offrire una panoramica quanto mai ampia ed
articolata tra fattori interni ed esterni all’organizzazione è la SWOT analysis. SWOT è l’acronimo di
quattro termini inglesi che devono essere valutati in modo più ampio possibile dal comunicatore:
‰ Strenght (forza): punti di forza interni all’ente/organizzazione
‰ Weakness (debolezza): punti di debolezza interni all’ente/organizzazione
‰ Opportunities (opportunità): opportunità esterne all’ente/organizzazione
‰ Threats (minacce): minacce esterne all’ente/organizzazione
La SWOT analysis consente di ragionare rispetto all’obiettivo strategico da affrontare, tenendo
simultaneamente sotto controllo sia l’ambiente esterno che l’organizzazione e sia i fattori che
possono facilitare e quelli che rischiano di compromettere il raggiungimento degli obiettivi di
comunicazione. L’analisi dello scenario esterno per individuare le opportunità sulle quali fare leva e
le eventuali minacce da tenere sotto controllo necessita della raccolta di dati informativi che hanno
una correlazione diretta o indiretta con l’obiettivo strategico in riferimento al quale stiamo valutando
lo scenario. In tal modo, la raccolta dei dati permette un’implementazione strategica delle azioni di
comunicazione migliorandone la qualità e l’efficacia tramite la costruzione di un messaggio mirato e
diretto.
Ing. Gianluca Di Tomassi
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Comunicazione e MKTG nella società dell’informazione
La SWOT analysis permette, inoltre, di stabilire un grado di priorità da attribuire agli interventi
stessi, fornendo una gerarchia di bisogni e di necessità d’intervento.
In buona sostanza, fare un’analisi di scenario è utile al comunicatore perché permette di rendere
congruenti e quindi più efficaci le attività di comunicazione rispetto al contesto nel quale si
inseriranno.
3.3.2 La definizione degli obiettivi
La caratteristica del piano di comunicazione è proprio la correlazione logica fra le azioni da
realizzare e la definizione degli obiettivi da raggiungere: le azioni devono essere individuate dopo
avere stabilito a quali scopi sono utili.
La seconda tappa del progetto di pianificazione della comunicazione consiste perciò nella
definizione degli obiettivi di comunicazione a partire dalla consapevolezza degli obiettivi strategici
dell’organizzazione e dai dati e informazioni che l’analisi del contesto di riferimento, sia interno che
esterno, ha messo in luce rispetto a ciascun obiettivo strategico.
In maniera sommaria potremmo perciò individuare queste tipologie di obiettivi strategici
della comunicazione pubblica.
Obiettivi di garanzia e tutela dei diritti nella relazione pubblico/privato garantire cioè i diritti di
informazione, accesso agli atti e partecipazione, rendere effettive le opportunità di accesso ai
servizi correggendo asimmetrie informative, privacy ecc.
Obiettivi di identità e immagine (necessità di comunicare l’identità costitutiva dell’azienda e la sua
mission, le iniziative e i programmi realizzati, ecc.)
Il piano di comunicazione può potenziare e migliorare le attività di comunicazione prodotte dalle
aziende, sia sotto il profilo quantitativo che qualitativo. In particolare il piano di comunicazione può
avere, come abbiamo visto anche nell’analisi di scenario, l’obiettivo di veicolare l’identità
dell’azienda o correggere lo scarto fra l’identità dell’azienda e l’immagine percepita.
Nel primo caso si tratta di far conoscere in modo puntuale e preciso ciò che è l’azienda, di cosa si
occupa, quale è la sua funzione.
Obiettivi di policy Oltre che attraverso normative, servizi, erogazione di contributi, le aziende
possono agire le politiche pubbliche utilizzando la comunicazione come leva strategica.
Ing. Gianluca Di Tomassi
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Comunicazione e MKTG nella società dell’informazione
Obiettivi di miglioramento della qualità dei servizi offerti e delle prestazioni erogate (far conoscere
le opportunità di fruizione dei servizi, semplificare le procedure, snellire i tempi, ridurre i costi,
rendere i servizi coerenti con i bisogni degli utenti, ecc.) Migliorare la qualità dei servizi offerti e
delle prestazioni erogate è un orientamento del comunicatore. Chiunque abbia a che fare con le
attività di comunicazione, si è imbattuto nella possibilità di suggerire, alla propria organizzazione,
diverse modalità operative e procedurali facendo risparmiare tempo e semplificando gli iter
burocratici nell’ottica del servizio all’utente.
Obiettivi di promozione all’interno dell’organizzazione della cultura della relazione e del servizio
all’utente (agire sulla condivisione degli obiettivi e sulla partecipazione dei dipendenti alle scelte
organizzative). La comunicazione all’interno dell’organizzazione ha lo scopo di allineare i
dipendenti verso i valori e la cultura che caratterizza l’azienda alla quale appartengono. Se la
comunicazione finalizzata alla trasparenza e all’innovazione è un obiettivo strategico dell’azienda,
esso deve essere conosciuto e condiviso.
3.3.3 La segmentazione del pubblico di riferimento
La segmentazione consiste nella suddivisione del pubblico di riferimento in gruppi omogenei
e significativi di soggetti da raggiungere con una precisa azione di comunicazione. La
segmentazione, è necessaria per passare dal livello astratto degli obiettivi (strategici e comunicativi)
al livello operativo delle future azioni di comunicazione, mantenendo però un’aderenza
metodologica tra i primi e le seconde.
3.3.4 La scelta delle strategie
La scelta delle strategie consiste nella traduzione dell’obiettivo in azioni e strumenti di
comunicazione. Le scelte di strategia comunicativa indicano le direzioni che devono essere seguite
nella realizzazione concreta del piano di comunicazione e quali modi di comunicare e strutturare i
messaggi si intendono scegliere. Le scelte di strategia permettono di valutare e selezionare in modo
adeguato tecniche e strumenti di comunicazione.
In generale possiamo distinguere tre macro-strategie di riferimento:
‰ Strategia indifferenziata: si utilizza un unico messaggio per tutto il pubblico di riferimento
senza operare distinzioni. È la meno costosa in termini di gestione, ma anche la meno efficace
rispetto all’impatto del messaggio per via della sua scarsa flessibilità ed eccessiva generalità.
Ing. Gianluca Di Tomassi
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Comunicazione e MKTG nella società dell’informazione
‰ Strategia differenziata: prevede una tipologia di messaggio differente rispetto ad ogni tipo di
pubblico rilevato dalla segmentazione. È più costosa ma risulta maggiormente efficace in termini
comunicativi.
‰ Strategia concentrata: è una evoluzione della strategia differenziata. Una volta individuati i vari
tipi di pubblico rilevati dalla segmentazione, se ne sceglie uno di riferimento sul quale
concentrare il messaggio. Offre un messaggio estremamente mirato e personalizzato ma a scapito
degli altri pubblici rilevati.
Rispetto alle modalità di trattamento del messaggio a seconda dello scopo che si intende
perseguire in termini di feed back sui pubblici destinatari, sono possibili le seguenti scelte di
strategia comunicativa:
‰ La propaganda cioè unidirezionalità del messaggio. L’azienda che intende fare comunicazione
Pubblica seguendo questa strategia non dà spazio né all’utente né ad una sua possibile risposta.
‰ La persuasione: il ricevente dei messaggi di comunicazione viene posto davanti ad una scelta
fra due o più alternative. La persuasione cerca di orientare verso un unico punto di vista.
‰ L’agevolazione: cerca di formare l’utente in funzione della massima libertà d’informazione e
con chiari messaggi che mirino a tutelare sia l’individualità sia la possibilità di scelta dell’utenza.
Qualunque modalità sia stata considerata come più opportuna, occorre poi effettuare anche scelte
stilistiche adeguate, scegliendo tra diverse possibilità.
‰ Stile educativo: composizione del messaggio o scelta delle azioni in modo da mettere la fonte
comunicante in una posizione di autorevolezza sul sapere e la competenza e quindi in grado di
istruire il destinatario rispetto al contenuto del messaggio
‰ Stile informativo: composizione del messaggio o scelta delle azioni in cui la fonte comunicante
sia posta in modo neutro rispetto alle convinzioni o ai comportamenti dei destinatari e con
l’intento esplicito di trasmettere notizie, dati, informazioni utili
‰ Stile di intrattenimento/divertimento: composizione del messaggio o scelta delle azioni in cui
sia esplicita la volontà di suscitare emozioni nel destinatario
‰ Stili di composizione delle precedenti categorie, ovvero stili che si ottengono componendo lo
stile educativo e lo stile di intrattenimento/divertimento, lo stile informativo e lo stile di
intrattenimento/divertimento, lo stile educativo, informativo e di intrattenimento/divertimento.
3.3.5 La scelta dei contenuti
A questo punto del piano occorrerà operare una scelta dei contenuti di comunicazione che
devono essere chiari, espliciti e veritieri rispetto alle potenzialità dell’azienda.
Ing. Gianluca Di Tomassi
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Comunicazione e MKTG nella società dell’informazione
Rispetto al principio dell’accessibilità, il messaggio deve arrivare a tutto il pubblico cui è rivolto, sia
fisicamente sia cognitivamente parlando, in modo da essere compreso senza difficoltà. In nome di
una necessaria capacità informativa il messaggio deve contenere tutte le informazioni che
permettono la partecipazione dell’utente al servizio, nella piena consapevolezza che ad esso può
essere affidato anche un ruolo persuasivo. Il messaggio deve essere visibile, chiaro ed individuabile
perché è presupposta la responsabilità di chi lo firma. Il suo livello di credibilità è direttamente
proporzionale alla coerenza che esso garantisce rispetto alle strategie aziendali. La validità di un
messaggio dipende dalla capacità di adattarlo alle diverse forme e ai diversi mezzi di comunicazione.
3.3.6 La scelta delle attività e degli strumenti
Le attività e gli strumenti di comunicazione sono molteplici e la loro selezione deve avvenire
valutando la loro coerenza con i contenuti elaborati e gli utenti da raggiungere.
Le possibili attività e i relativi strumenti di comunicazione sono:
•
pubblicità (attraverso i mass-media);
•
ufficio stampa;
•
organizzazione di eventi;
•
comunicazione diretta (direct mail, telemarketing, urp, sportello unico);
•
prodotti editoriali (newsletter, manifesti, opuscoli, volantini, cartelloni, ecc.);
•
prodotti audiovisivi;
•
fiere;
•
internet (attraverso il quale favorire l’interattività);
•
comunicazione visiva.
Gli strumenti di comunicazione si possono distinguere sinteticamente, in base al principio di
diffusione, in mezzi:
•
di distribuzione, con attitudine ad essere materialmente conservati, e quindi facilmente
consultabili più volte (depliant, volantini, guide, manuali, ecc)
•
di trasmissione audiovisiva, con attitudine ad essere memorizzati, assimilati ma non
materialmente conservati (manifesti, spot radio e televisivi, stampa, ecc). Tali strumenti vengono
preferiti per la loro diffusione e per la loro incentivazione dell’utenza al messaggio proposto a
contenuti ovviamente generici e puramente divulgativi;
Ing. Gianluca Di Tomassi
39
Comunicazione e MKTG nella società dell’informazione
•
di propaganda propositiva destinata alla tempestiva conoscenza di nuove iniziative
(manifestazioni, fiere, forum, ecc.).
Ogni tipologia di strumento di comunicazione ha, pertanto, un proprio effetto sui propri
destinatari; ogni effetto può essere differente in base alla tipologia di utenza beneficiaria del
messaggio comunicato.
Gli effetti degli strumenti impiegati che possono essere di diffusione delle informazioni, di
incentivazione all’uso dei servizi o propositivi di nuove iniziative, possono differenziarsi in base
all’impulso che i vari criteri del messaggio hanno sull’utenza interessata.
La scelta degli strumenti è, quindi condizionata da una serie di elementi, quali:
•
l’accessibilità e la facilità d’uso dei mezzi di comunicazione
•
l’attrattività del messaggio diffuso
•
la velocità di diffusione del messaggio
•
gli ambienti in cui deve essere diffuso il messaggio e la rapidità con cui deve essere recepito.
3.3.7 La misurazione dei risultati
La misurazione dei risultati è la fase conclusiva della logica di pianificazione della
comunicazione. L’assenza di analisi dei risultati vanifica la validità del piano di comunicazione,
compromettendo, di conseguenza, l’efficacia e l’efficienza del successivo processo di pianificazione
della comunicazione. Occorrerà perciò prevedere quali modalità di valutazione e quali oggetti di
comunicazione si intenderanno valutare: il piano di comunicazione complessivamente inteso, sia dal
punto di vista dei contenuti che della metodologia seguita per la sua redazione, gli effetti del piano di
comunicazione e i risultati conseguiti.
3.4 Il piano di comunicazione come processo organizzativo
Oltre che uno strumento, sotto il profilo organizzativo il piano di comunicazione è un processo
che si può suddividere in tre fasi:
Æ la fase della pianificazione e redazione, ovvero la fase in cui, a partire da un’esigenza, si arriva
alla stesura del piano
Æ la fase della sua implementazione, ovvero della sua concreta realizzazione e gestione
Æ la fase della valutazione, ovvero il momento in cui si verificano i risultati ottenuti e si
evidenziano gli scarti tra questi e gli obiettivi prefissati.
Ing. Gianluca Di Tomassi
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Comunicazione e MKTG nella società dell’informazione
Naturalmente la valutazione finale non esclude che esistano azioni di monitoraggio in corso
d’opera che possono mettere nelle condizioni di modificare elementi del piano e/o delle attività che
si stanno compiendo per realizzarlo.
In tutto il percorso vengono coinvolti, con ruoli diversi, i diversi attori dell’azienda.
Le interazioni fra gli attori dell’organizzazione sono al contempo un presupposto e un risultato del
piano.
Durante le diverse fasi si manifestano esigenze, devono essere affrontati problemi, si
acquisiscono nuove competenze e comportamenti ed è necessario valutare gli effetti di ciò che è
stato realizzato: per questo il piano di comunicazione è un processo che attraversa l’organizzazione,
contribuendo a cambiarne sia il modo di lavorare che il risultato del lavoro amministrativo. In questo
senso il piano di comunicazione è un modo di procedere dell’organizzazione verso un obiettivo di
comunicazione: non è solo scrivere un documento, né, tanto meno, scriverlo da soli.
Il piano di comunicazione dovrebbe essere promosso dai vertici aziendali, costruito con la
collaborazione di tutti, per consentire una ricognizione approfondita di tutte le esigenze di
comunicazione e poi condiviso dall’intera azienda che dovrà attuarlo, integrarlo ed aggiustarlo nel
corso del tempo, perché le esigenze di comunicazione possono essere modificate come possono
essere modificati gli stessi obiettivi di fronte a situazioni straordinarie, analizzarlo a consuntivo, in
funzione dell’efficacia delle attività svolte in relazione agli obiettivi dati e ai budget dedicati.
3.5 Criticità, insegnamenti
Durante la gestione concreta del piano di comunicazione si devono affrontare alcune difficoltà
che si riferiscono al problema del coordinamento che rappresenta la condizione organizzativa chiave
per il successo effettivo della comunicazione. Molto spesso l’integrazione raggiunta sulla carta in
sede di redazione del piano fatica a tradursi nella realtà e al coordinamento strategico non segue un
altrettanto efficace coordinamento operativo. La ragione parte dal fatto che non si tratta tanto di un
problema tecnico bensì di un problema culturale, di una mancanza di attenzione e pensiero strategico
intorno alla comunicazione.
Talvolta possono attivarsi resistenze al cambiamento nella misura in cui le nuove modalità
operative e le interdipendenze prefigurate nel piano determinano una ridefinizione di ruoli
consolidati e spazi di autonomia e responsabilità acquisiti nel corso del tempo.
Ing. Gianluca Di Tomassi
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Comunicazione e MKTG nella società dell’informazione
Il problema del coordinamento operativo discende a sua volta dalla difficoltà a mantenere
costanti i flussi di comunicazione dentro l’azienda e a fare in modo che la necessaria collaborazione
e attenzione verso il piano si mantenga anche sul periodo assai più lungo della gestione delle attività.
Appare chiara la necessità di un ampio coinvolgimento interno nella costruzione di un sistema di
pianificazione della comunicazione, in modo che lo sviluppo della comunicazione esterna proceda in
modo coordinato con la costruzione di un sistema di comunicazione interna speculare e correlato,
che si basi sull’incremento del senso di appartenenza e sulla condivisione di obiettivi comunicativi e
operativi.
La cultura della comunicazione deve affermarsi dentro l’azienda in modo diffuso e
trasversale: atteggiamenti, valori e competenze comunicative devono diventare caratteristiche
distintive di amministratori, dirigenti e dipendenti.
3.6 La comunicazione e la delega di autonomia
Si riporta ora un esempio di come la comunicazione e la successiva delega di autonomia possa
costituire in alcuni casi un arma a doppio taglio. Nel caso del PM esistono casi, tra l’altro non molto
rari, in cui si delegano delle responsabilità e si fornisce autonomia decisionale che comporta
frequentemente scostamenti degli avanzamenti rispetto a quanto pianificato. Questo avviene ad
esempio quando vi è una delega e autonomia (empowerment) del PM in un Consorzio Contrattuale
(per un contratto turn-key).
Infatti i Consorzi Contrattuali vengono di solito creati proprio per suddividere fra più consorziati la
responsabilità finanziaria dei grandi progetti.
In tali casi un Comitato del Consorzio ha spesso il potere di decidere e controllare l’esecuzione dei
progetti tramite un PM che risponda al Comitato di cui fanno parte gli executive delle società che
compongono il Consorzio.
C’e’ da dire che la vera autorità e l’effettiva responsabilità del PM, che si suppone agire in nome e
per conto del Consorzio, non viene quasi mai definita nei dettagli ed in maniera realistica.
Differenti interessi e modi di ragionare divergenti partecipano nel tempo a creare un ambiente con
un alto grado di entropia e confusione condizionando di conseguenza tutto il lavoro, comprese le
decisioni, del PM.
Al fine di evitare i problemi sopraccitati può essere opportuno far scegliere una delle società
componenti il Consorzio come leader attraverso adeguate modalità che ne delimitano in modo
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preciso e puntuale le responsabilità. Naturalmente in questo caso il PM viene selezionato dalla
società leader e ad essa risponde.
Quanto emerge da questo esempio e’ coerente con quanto detto precedentemente sull’importanza
di una buona comunicazione sia interna che esterna al fine di consentire a tutti gli attori coinvolti
nelle varie attività aziendali di svolgere il loro compito e le loro mansioni in modo sempre efficace
ed efficiente.
3.7 La valutazione dei piani di comunicazione
Una volta redatto il piano di comunicazione e una volta poi che il piano è venuto a interagire
con la strategia aziendale e con i diversi processi che sono in atto al suo interno, è possibile
intraprendere una procedura di valutazione del piano stesso.
Occorre precisare che la valutazione non è una perdita di tempo: è invece la condizione che fa sì che
non solo non si sia perso tempo in precedenza, elaborando un piano di comunicazione, ma che non
se ne perderà in futuro, quando dovremo redigerne altri.
La valutazione del piano di comunicazione, è il momento in cui si considera quello che è stato fatto e
quello che non si è riusciti a portare a termine, e i motivi per cui ciò è avvenuto; quindi equivale a
concedersi del tempo ora per non perdere tempo in futuro.
La valutazione dei piani di comunicazione può significare due cose ben distinte:
1. valutare il piano di comunicazione in quanto tale;
2. valutare la comunicazione, interna ed esterna, che è a pianificata dal piano.
Il processo di valutazione di un piano di comunicazione consiste nel verificare la rispondenza tra la
pianificazione e l’attuazione di ciò che è previsto dal piano, dunque la sua valutazione non può
limitarsi all’analisi dell’adeguatezza e della corretta impostazione del piano, per come esso è
costruito, ma deve estendersi all’esame dell’efficacia e dell’efficienza dei processi di comunicazione
che il piano stesso stabilisce.
Più precisamente bisogna considerare il piano in quanto tale, in ordine, rispettivamente:
1. alla sua corretta redazione (cioè alla sua rispondenza a criteri metodologicamente corretti);
2. alla sua concreta attuabilità nelle varie fasi in cui esso si viene ad articolare;
3. alla sua effettiva funzione di strumento d’innovazione all’interno del nostro ente;
4. alla sua capacità di essere promotore di coinvolgimento, di raccordo e di motivazione dell’intero
ente nei suoi diversi uffici e funzioni.
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verificare il piano in ordine alla sua concreta attuazione, per quanto riguarda in particolare la sua
efficacia riguardo:
1. agli aspetti della comunicazione interna: i rapporti interni all’azienda;
2. a quelli della comunicazione esterna: i rapporti con gli stakeholder.
Solo così, infatti, la valutazione potrà contribuire alla correzione o, all’occorrenza, alla ridefinizione
della strategia, non solo comunicativa, dell’azienda nel suo complesso.
Accorre porre attenzione che al fine di ottenere un’efficace attività valutativa vi è la necessità di una
valutazione ex post, ma, molto spesso, risulta opportuna una valutazione in itinere del processo
compiuto. E addirittura può essere prevista una valutazione ex ante, cioè un monitoraggio
preventivo. Solo attraverso questa tempistica diversificata, infatti, possono essere rese possibili le
modifiche e le eventuali correzioni di rotta che consentono di rispondere in maniera valida alle
esigenze, spesso mutevoli e in costante trasformazione, per cui un piano di comunicazione viene
redatto.
Riassumendo, chi intende valutare un piano di comunicazione deve dunque porsi chiaramente
una serie di domande, secondo una sequenza ben definita, e ad esse deve cercare di fornire
un’adeguata risposta. Le domande sono:
‰ Perché bisogna valutare un piano di comunicazione?
‰ Che cosa, concretamente, si deve valutare?
‰ A che cosa mira, propriamente, questa valutazione?
‰ Quando, effettivamente, bisogna valutare?
‰ Come di fatto dev’essere messo in opera un processo di valutazione?
‰ Dove esso dev’essere compiuto?
In sintesi, si tratta di individuare le motivazioni, i contenuti, gli scopi, i tempi, i metodi, gli
strumenti e gli ambiti che sono propri del processo di valutazione. Queste domande consentono di
individuare concretamente, per il piano di comunicazione, una procedura di comportamento che,
naturalmente, sta a ciascuno applicare alle proprie effettive esigenze senza dimenticare a chi è
rivolto, propriamente, il piano.
Ing. Gianluca Di Tomassi
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