Martedì 11 Novembre 2008 TREGNAGO Partìsulla nave etornòcoltram Ilpatriotache salvòdal boiagli insorti pervedersipoisnobbato daiburocrati Giovanni BattistaAlessi,ilgaribaldino cheportò nellavalle ibinarideltrenino STRANEZZE. Sembrava stravagante: semplicemente si sollazzava scrivendo sui sassi. Serenità su scommessa? Succede, se si sa sorridere Sacerdotesanto se scherzoso Simpatico Spada: scriveva sullo stabilimento Safrcc sempre sfruttando solo «S» Se si suppone semplice... Elettroimpianti Q.Z. di Quacqueri Fabio e Zuliani Stefano DonMarcoFerruccioSpada, sedutosul carretto,tra i sassi:non quellidacemento, che cantò,madelMonte Gardon,rimboschito nel 1936 Sfida sociale Strambotto sullo stabilimento Safrcc In onore del cementificio don Ferruccio Spada scrisse uno strambotto, composizione poetica popolare satirica o amorosa, che nel «rispetto» toscano è in quartine a rima alterna, come in questo caso. Qui ogni parola comincia con la s: perfino la firma: «Sacerdote Spada». Perché? La chiave è la sigla Safrcc dell’ultimo verso: Società anonima fabbriche riunite cemento e calce, che risultò dalla fusione fra la bergamasca Società italiana cementi e calci idrauliche e la Società anonima fabbrica di calce e cementi di Casale Monferrato, a cui si deve la fondazione del cementificio di Tregnago nel 1922. SULLOSTABILMENTO (strambotto) Se sempre soddisfatto sono stato Scrivendo scherzi, scipide storielle, Solo stavolta sono sfortunato Se senza scale salgo sulle stelle Impianti elettrici, civili industriali e elettronici Sentii scavar sotto scistoso spalto Silenzïoso sassolin sepolto Scatenando Sanson sismico salto, Secoli son sul sottosuol sconvolto. Selenitiche schegge sette stili Sovverchian sulle sagore stridenti, Sì sembran simular stridor simili, Se sentonsi schiacciar schifi serpenti. Secco, stracotto, smisurato sasso Sale scende sul saldo saliscendi, Siccome Sprotman suol, se sente spasso, Sereno scivolar su sci stupendi. Siculi scogli, sussultorio Scilla, Salsomaggior, Sirmion, sorgenti Strà, Stupite. Stromboli, smorta scintilla, scrivi: S.A.F.R.C.C. sempiterno sol sarà. Sac, Spada A CURA DI GIUSEPPE ANTI [email protected] Sialzailfumodallaciminiera delcementificio, aperto nel 1922 Impresa Edile e Restauri Ristrutturazioni in genere Colognola ai Colli (Vr), Via Donzellino, 43 Tel. e Fax 045 2220106 Cell. 348 7334004 348 5842172 Don Marco F. Spada (1880-1951) Preventivi gratuiti Viviani Francesco TREGNAGO (VR) Via Sorio, 17 - Tel./Fax 045.780.8922 Cell. 349.377.4594 IB07248 Don Marco Ferruccio Spada, nato a Roncolevà il 25 aprile 1880 e ordinato sacerdote il 15 agosto 1903, incoraggiato agli studi ecclesiastici dall’allora vescovo di Mantova e poi futuro papa Pio X, arrivò a Tregnago come cappellano della chiesa di Sant’Egidio nel 1910, dopo essere stato curato a Isola Rizza e Monteforte e vi rimase fino alla morte, il 22 aprile 1951. Quarant’anni durante i quali ebbe modo di farsi conoscere, stimare e rimpiangere dai tregnaghesi per la sua cultura e i diversi ambiti in cui eccelleva, dalla liturgia, alla musica, al canto, all’oratoria, alla pittura e alla matematica, per non dire delle lingue: ne conosceva sette che parlava e scriveva correntemente ed era latinista provetto. Le sue pagelle degli anni di teologia riportano ottimi voti in esegesi (7), dogmatica (8), diritto canonico (8), sacra liturgia (8,5), lingua ebraica (7), sacra eloquenza (9). Suonava con passione un vecchio cassone che si ostinava a chiamare violoncello, ma che dello strumento aveva solo la forma e tuttavia restava rapito da quella melodia. Si addolorò quando la commissione per la sacra liturgia proibì di suonare in chiesa, durante le celebrazioni, gli strumenti d’orchestra, privilegiando esclusivamente organo e armonium. Ripeteva agli amici musicisti: «Non è forse musica sacra quella di Bach, Händel, Franck: sono forse operisti?» Passava con facilità da discorsi teologici a dotte conversazioni letterarie, ma anche ad argomenti di scienza, arte e storia. Arrivò nella rettoria di Sant’Egidio quando la chiesa era mal ridotta da decenni di incuria, trasformata in magazzino. Ci mise l’anima per restaurarla e ci riuscì in tempo per l’anniversario della morte del santo titolare, com’è ricordato nella lapide che il primo settembre 1921 i tregnaghesi collocarono in chiesa e che oggi, in parte rovinata, sta al piano terra della torre campanaria: «Questa antica chiesa, dedicata a sant’Egidio abate, nuovamente restaurata ed abbellita per lo zelo e le cure sapienti del cappellano don Ferruccio Spada, il popolo di Tregnago nel XII centenario della morte del santo titolare, con vivo sentimento d’arte e di fede inaugurava». Quando non era in chiesa era in canonica a far scuola perché voleva dare un’istruzione ai suoi parrocchiani che volessero proseguire gli studi e non fermarsi al diploma di terza elementare, il massimo che allora si poteva ottenere dalle scuole del paese. Se serviva una dedica, un discorso celebrativo, un sonetto si ricorreva a lui come nel 1922, all’inaugurazione del cementificio. In quattro versi don Ferruccio sintetizzò: «Tregnago stanco della sua collina/ troppo avara di biade e di frumento/ pensò di trar da’ sassi la farina/ coi forni bergamaschi del cemento». A lui fu affidata nel 1924 l’organizzazione per il centenario della nascita di Abramo Massalongo, naturalista e patriota, capostipite di una famiglia che ha lasciato segni a Tregnago e a Verona. Prete colto ma semplice, si entusiasmava per le piccole cose e spingeva gli animi a guardare a quelle più grandi. Nel primo anniversario della morte don Ernesto dalle Pezze, parroco di Tregnago, ricordò un episodio: «Nell’istante in cui la Madonna Pellegrina entrava trionfalmente nello stabilimento (il cementificio, ndr) al suono della sirena, vidi le guance di don Ferruccio bagnarsi di pianto». Pur nella sua grande cultura era un prete di campagna: lo si poteva incontrare tutti i giorni mentre recitava il rosario lungo la Canesela, una stradina adiacente alla canonica che era anche il suo posto di caccia. Grande oratore, dal pulpito ebbe parole tonanti e minacciose e proprio qualche sua parola di troppo, qualche predica-verità fu all’origine dei guai con il regime fascista, che nei primi mesi del 1945 lo arrestò con una decina di altre persone: restò in carcere a Verona fino all’arrivo degli Alleati. Quando tornò a Tregnago non era più lo stesso e faticò a riprendersi, fino al giorno della sua morte, sei anni dopo. f IB07252 Vittorio Zambaldo VOLTIVERONESI 31 L'ARENA 32 Volti di Tregnago L'ARENA Martedì 11 Novembre 2008 Libertà&tramway L’avventura di un idealista, dal Risorgimento al socialismo 1860 L’ANNODELLASPEDIZIONE DEIMILLEINSICILIA ALESSISIIMBARCA SULPIROSCAFOUSA CITYOFABERDEEN MAÈCATTURATO 1881 L’ANNODELL’INAUGURAZIONE PERLATRAMVIAVERONESE ALESSIFACARRIERA AMILANOEDIVENTA PIONIEREINITALIA DEITRAMAVAPORE Volti di Tregnago 33 L’ARENA Martedì 11 Novembre 2008 Un’idea digiustizia Ilsognodelgaribaldino: «Garantireatuttitempo perlavorare,perriposare, peristruirsiededucarsi» 1883 L’ANNOINCUISIATTIVALALINEA SECONDARIATREGNAGO-STRA’ ALESSIOTTIENE ANCHELADIRAMAZIONE PERSERVIRE LASUAVALD’ILLASI Uomod’azione edipensiero «Redenzionemorale ematerialedelpopolo» GIOVANNIALESSI GARIBALDINO,AVVOCATO(1837-1911) PERSONAGGIO. Arrivò a Genova in ritardo per imbarcarsi, ma salpò con i rinforzi su un piroscafo americano. In tempo per battersi a Milazzo RICORDI. La tramvia Stra’ di Caldiero-Tregnago fu aperta nel 1883 e riconvertita nel 1955 Quelgaribaldino chepartìin nave eritornò col tram Dal treninoalla filovia soppressasenza intuito Giovanni Alessi fu tra i Mille e poi diventò pioniere dei trasporti pubblici, grazie a lui arrivati pure in valle Vittorio Zambaldo «Questi uomini non si commemorano, si sentono», disse Felice Cavallotti, giornalista e politico della sinistra radicale, a proposito dei garibaldini, a cui lui stesso appartenne. Così dovrebbe essere per Giovanni Battista Alessi, avvocato, nato nel 1837 e morto nella sua casa, Villa Adelia di Tregnago, il 14 novembre 1911. Studente a Padova partecipa ai tumulti risorgimentali del 1859 e organizza una spedizione in Lombardia per unirsi a Novara alle truppe del Piemonte, di cui si vocifera un’intesa con la Francia per attaccare l’Austria. Ma viene bloccato a Brescia e portato in carcere per strappargli i nomi degli altri cospiratori. Non ottenendo alcunché da lui, gli austriaci lo mandano a Ulm per il servizio militare e poi a Salisburgo, da dove è rinviato in Veneto col reggimento dell’arciduca Sigismondo, ma in una notte del dicembre 1859, durante una tempesta di neve, passa il Mincio per disertare e unirsi ai piemontesi. Processato in contumacia, è condannato a morte dal governo austriaco. Dopo la pace che consegna la Lombardia al Piemonte, si trasferisce a Modena, territorio sotto commissariamento piemontese, passato al nuovo Regno d’Italia con il plebiscito del 1860, e a Modena completa gli studi e si laurea in giurisprudenza. Nella primavera del 1860 sente parlare di una possibile spedizione di Garibaldi in partenza dalla Liguria e manda un amico a Genova per informarsi. Questo arriva a Quarto il 5 maggio, quando le navi stanno partendo e salpa con le camicie rosse il giorno successivo. Dopo la battaglia di Calatafimi (15 maggio) e l’insurrezione di Palermo (27-30 maggio) Alessi, deluso di aver perso la nave, va in Liguria e il 9 giugno fa in tempo a salire a Genova su un veliero americano, il piroscafo City of Aberdeen, con 2.000 uomini, tra carabinieri genovesi e un contingente al comando del colonnello Corte. Tra la Corsica e la Sardegna la nave viene intercettata da tre fregate borboniche che con la minaccia di tre colpi di cannone costringono l’equipaggio alla resa. Però una seconda nave, carica di armati e guidata dal generale Giacomo Medici, può arrivare indisturbata in Sicilia e portare forze fresche all’impresa garibaldina. Nuovamente catturato, Alessi finisce ancora in carcere, questa volta a Gaeta. Dopo venti giorni arriva provvidenziale un’or- dinanza del re di Napoli Francesco II di Borbone che libera i prigionieri malati e stremati. Molti tornano a casa, altri ripartono per la Sicilia, dove Garibaldi sta preparando lo scontro decisivo per la conquista dell’intera isola. Alessi arriva in tempo per il battesimo del fuoco a Milazzo, il 20 luglio, la più cruenta delle battaglie siciliane, nella quale resta sul campo un sesto dei combattenti. Su una cartolina acquistata a Milazzo mezzo secolo dopo in occasione del viaggio in Sicilia con la figlia Luigia, moglie di Oreste Castiglioni. Alessi rievocò la sua parte nella battaglia. Sulla cartolina è ritratta la chiesa di Santa Maria con a fianco una piccola croce rossa segnata da Alessi di suo pugno, mentre sul retro scriveva: «Nel giorno 20 luglio 1860, al chiudersi vittorioso della battaglia di Milazzo, il generale Garibaldi ordinò al volontario G.B. Alessi e ad altri suoi commilitoni di erigere una barricata nel punto tinteggiato di rosso, di fianco alla chiesa di Santa Maria Maggiore, asportandone i banchi, per impedire alle truppe borboniche, ancora minacciose, di discendere improvvisamente dal Castello ove si erano concentrate. L’ordine ebbe immediata esecuzione». Nel risalire la Penisola Alessi ottiene il grado di caporale e viene inquadrato nel reggimento del generale Giacomo Medici, amico intimo di Garibaldi fin dai tempi delle guerre di liberazione in Sud America, e con lui partecipa al fatto d’arme di Caiazzo, in provincia di Caserta. In quell’occasione i popolani, guidati dal maniscalco Nicola Santacroce, nelle giornate del 20 e 21 settembre 1860, si schierarono dalla parte dei Borbone: Caiazzo fu l’unica località nella quale la popolazione in armi, schierata con l’esercito borbonico, respinse i garibaldini, che in una fase della battaglia del Volturno in un primo momento riuscirono a occupare l’abitato, ma poco dopo furono sopraffatti dalle truppe borboniche, senza che tuttavia cambiassero le sorti della battaglia decisiva del Volturno. Sui fatti legati a Garibaldi Alessi tornerà ancora nel 1910, un anno prima della morte, per rispondere a chi gli chiedeva notizie sull’appoggio fornito dall’Inghilterra alla spedizione e sull’atteggiamento del governo piemontese: «Quelli che siamo qui non eravamo che dei militi semplici e dei modesti sottufficiali: nessuno era addentro alle segrete cose», aveva risposto. f La linea provinciale fu abolita nel 1974, proprio quando il rincaro del petrolio doveva suggerire di tenerla in attività Una battaglia AMilazzo, sottoicolpi dell’armata borbonica Un episodio al seguito di Garibaldi nella spedizione dei Mille è raccontato da Giovanni Battista Alessi stesso in una lettera in cui risponde ai familiari del volontario Domenico Battiti che gli chiedevano notizie. «Il battaglione dei toscani ebbe a soffrire grandi perdite, ingolfatosi nelle strade affondate, fulminato da una batteria nascosta. A sostenere il battaglione fu staccata una compagnia comandata dal’intrepido capitano Friggessy alla quale appartenevamo noi pure. Si continuò ad avanzare verso il promontorio di Milazzo, malgrado perdite enormi. Cadde al nostro fianco il colonnello Corte. Si poté occupare, verso mezzogiorno, un cascinale situato in un punto elevato della campagna tutta attraversata da siepi di fichi d’India che servivano ai regi da feritoie e da ripari. In questa cascina mi sono trovato io pure con l’amico Giuseppe Garibaldi a Milazzo Battiti e con altri militi di diversi corpi, perché dopo alcune ore di combattimento, mancando anche gli ufficiali, in parte morti, in parte feriti, si procedeva tutti alla rinfusa. Noi due ci eravamo appostati presso i due pilastri alla porta del cascinale contro cui i regi rivolsero i loro colpi di mitraglia e di granata. Uno scoppio frantumò la porta e noi cademmo avvolti in un nuvolo di terriccio; cademmo acciecati senza più vederci l’un l’altro. Né io vidi più l’amico né l’amico vide più me per tutta la giornata; né lo incontrai più tardi quando raggiunsi gli avanzi del battaglione che aveva perduto il suo comandante maggiore Migliavacca. Io rimasi salvo non avendo nel colpo tremendo riportato che delle graffiature alla faccia, Entrato in Milazzo, chiesi conto dell’amico mio; ma mi si disse che egli era morto là nel cascinale dove era caduto con me». GiovanniBattistaAlessi (1837-1911), garibaldino, avvocato Alessi,secondodasinistra, nei primi delNovecento:la foto ha il timbrodi unostudio milanese, mapotrebbe esserestata fatta alla stazioneveronesedi Porta Vescovo Stazionedi Caldierodellatramvianel primo Novecento: arrivailtram daVerona,in primo piano,e partequello perTregnago, dietro IDEALISMO. Dopo la militanza garibaldina, Alessi diventò direttore di «Verona del Popolo» e si battè per l’uguaglianza AlessandroTutinomostraa Tregnagola camiciarossa delbisnonnogaribaldino GiovanniBattista Alessi Il primo tram della linea Verona-San Bonifacio partì per il suo viaggio inaugurale il 17 agosto 1881 tra ali festanti di curiosi. Il vapore partì alle 7.20 da Porta Vescovo, allora poco più che una baracca in legno perché esigenze militari proibivano di costruire edifici alti a ridosso delle mura cittadine. Ci fu un deragliamento di due vagoni, senza conseguenze, al forte di San Michele, ma il viaggio proseguì in un clima festoso, salvo che a San Martino Buon Albergo, dove il sindaco era contrario all’opera e non si presentò, mentre a Soave il sindaco si fece accompagnare dalla banda. Il viaggio si concluse a San Bonifacio alle 9.12 e il 1 novembre 1881 cominciò il servizio pubblico. Per gli 11,3 km di deviazione da Stra’ di Caldiero a Tregnago si dovette attendere ancora fino al 12 aprile 1883. La tratta in pianura era coperta alla velocità di 20 km/h, solo 18 km/h invece per il tratto in pendenza della Val d’Illasi. Nel 1911 cominciarono i lavori per elettrificare la linea fino a San Bonifacio, inaugurata un anno dopo, ma la prima guerra mondiale portò a diradare il servizio, bloccando anche la costruzione di nuove linee. Alla Società anonima dei tramways a vapore Verona-Vicenza, di cui era stato rappresentante l’avvocato Alessi, subentrò la Provincia: i dipendenti, tornati in miseria dal fronte, chiedevano aumenti salariali, ma la società non era in grado di far fronte alle richieste, avendo già pagato indennità e caro-viveri al personale in «L’Arena»: «Uomo buono anche se le sue idee non erano certo condivise dalla maggioranza» Unpatriotasocialista Lasualinea:«LoStato hadeidoveriversoleclassi menofortunate.Dare impulsoallaredenzione» Con la fine dell’impresa dei Mille, Alessi si stabilisce a Milano, esercita la professione di avvocato e asseconda le lotte per le libertà politiche e la giustizia sociale. L’avvocato ed ex camicia rossa garibaldina fa proprie le idee socialiste e scrive su Vero- na del popolo, che arriva a dirigere, salutando così le celebrazioni del Primo Maggio: «Credo che non vi sia giustizia sociale se non quando a tutte le classi sarà concesso in congrua misura tempo per lavorare, tempo per godere e riposare, e tempo per istruirsi ed educarsi». Alessi partecipa alle lotte per la libertà di organizzazione e di sciopero e diventa presidente della Società Umanitaria, che regge per dieci anni fino al- la morte. Si tratta di un’istituzione nata nel 1893, grazie al lascito di un mecenate ebreo mantovano Prospero Moisé Loria, che le assegnò molteplici beni finanziari e un'intera area edilizia situata nel pieno centro di Milano per l'istituzione delle classi più povere, con lo scopo di «mettere i diseredati, senza distinzione, in condizione di rilevarsi da se medesimi, e di operare per l'elevazione professionale, intellettuale e morale dei lavoratori». In principio l’Umanitaria dovette superare problemi giuridici con gli eredi di Loria che impugnarono il testamento, poi l'ente dovette accettare le leggi autoritarie del generale Bava Beccaris che, durante i moti milanesi del 1898, ne chiuse i battenti, in quanto presunto covo di pericolosi sovversivi, vicina agli agitatori sociali dei primi scioperi operai. Ma Alessi non demorde e insiste nella sua idea: «Noi crediamo che lo Stato abbia dei dove- ri da compiere verso le classi meno fortunate; e primo quello di dare impulso alla loro redenzione morale e materiale, favorendo tra gli operai e i contadini la costituzione delle associazioni del lavoro e affidando a queste le imprese che ora si abbandonano ai privati speculatori, i quali traggono i loro lauti guadagni sfruttando i sudori e le fatiche altrui: e l’esempio dello Stato dovrebbe essere seguito dalle altre pubbliche amministrazioni». Alessi fu eletto membro dell’Ordine degli avvocati e della commissione per la stesura del nuovo codice del commercio, oltre che consigliere comunale a Milano dal 1899 al 1910. f V.Z. UNA STORIA GLORIOSA Siandavaincittà infiloviarossa LalinetramviariaStra’diCaldiero-Tregnago, derivazione dalla Verona-Vicenza, fu inaugurata nel 1883, con motrici a vapore. Negli anni Venti del Novecento venne elettrificata e nel 1955 trasformata in filovia, Le famosefilovierosseandaronoinpensionenel1974.Undoverosoringraziamentoperlacollaborazione prestata nella realizzazione diquestoinsertovaa:WalterFostari, Paola Milli, Aldo Ridolfi, Aurelio e Ida Venturini. 1 ESORDIO. Il tram a vapore in partenza da Tregnago a fine Ottocento. La velocità, salendo in Val d’Illasi, era di 18 chilometri orari, 20 in pianura. 2 IL CASO. Socialista e libero pensatore, Alessi volle esequie civili. La stampa scelse di ignorare lo «scandalo» Ilfuneralesenza prete concorteodi polemiche Lastazione dellatramviaaStra’di Caldiero neglianniCinquanta delNovecento,; adestra,i binaridellalinea Verona-Vicenza; asinistra, ladiramazione per Tregnago armi. La proposta di ritocchi alle tariffe non fu ammessa e la società lasciò definitivamente l’impresa. Proseguirono comunque i lavori per l’elettrificazione totale e per le nuove linee della Valpantena, fino a Grezzana, inaugurata il 10 dicembre 1922, e della Val d’Alpone, fino a San Giovanni Ilarione, inaugurata il 28 ottobre 1928. Ma le condizioni economiche continuarono a peggiorare finché la Provincia fu costretta a cedere l’esercizio il 26 marzo 1935 alla Saer (Società anonima elettrovie romagnole), creata dalla Breda di Sesto San Giovanni per gestire il trasporto pubblico in molte città italiane e nata anche per sviluppare il trasporto su filovia sostituendo gradualmente la tramvia. La filovia aveva il vantaggio di non essere obbligata dalle rotaie, di essere più comoda e silenziosa, di non necessitare di combustibile d’importazione e di risparmiare sull’acciaio delle rotaie, indispensabile per l’industria bellica che si stava armando. La prima filovia entrò in funzione a Verona nel 1937, tra Porta Nuova e Porta Vescovo, ma si dovette attendere il dopoguerra (1955) per l’avvio graduale delle tre linee filoviarie provinciali (per Grezzana, San Bonifacio e Tregnago). Durarono poco più di un decennio: la prima filovia provinciale fu soppressa nell’ottobre 1968, l’ultima nel 1974, proprio in piena crisi petrolifera, quando ben altri dovrebbero essere stati i propositi e gli intendimenti degli amministratori. f V.Z. Per la sua preparazione nelle questioni legali di industria e commercio, Alessi rappresentò in Italia, come consigliere delegato, la Società anonima dei tramways a vapore, costituita a Bruxelles con capitale belga e autorizzata a esercitare in Italia e tramite la quale realizzò le linee Verona-Vicenza, con la deviazione per la Val d’Illasi, Milano-Gallarate e RomaTivoli. È il gennaio 1879 quando l’avvocato Giovanni Battista Alessi, veronese trapiantato a Milano, e l’imprenditore milanese Felice Grondona, costruttore di carrozze ferroviarie, fanno la proposta alla Provincia di Verona di costruire una ferrovia a vapore da Porta Vescovo a San Bonifacio con deviazioni a Tregnago e Soave, a patto di poter utilizzare parte del sedime stradale. La concessione arrivò per delibera il 20 ottobre 1879 e la durata fu fissata in 60 anni. In meno di tre anni l’opera fu inaugurata «Era un gentiluomo», scrive di lui Il Secolo di Milano, il 15 novembre 1911, il giorno dopo la morte. «Nella milizia democratica rappresentava una tradizione di gentilezza, di disinteresse, di altruismo. Scompare con lui un cavaliere della bontà, un soldato operoso, modesto, sereno, nella dura battaglia incessante contro le numerose ingiustizie e infelicità della vita». Un fatto doloroso colpì le esequie che si celebrarono a Tregnago nel pomeriggio del 16 novembre, ma di cui non tutti i giornali del tempo diedero notizia. Alessi aveva chiesto per sé la cremazione e il funerale con rito civile. La salma era stata esposta per alcuni giorni nella villa di famiglia, coperta dalla camicia rossa garibaldina che il pronipote Alessandro Tutino ancora conserva a Villa Adelia. Il feretro fu portato a braccia dai contadini della sua tenuta, seguito da una gran folla Necrologioin mortedi GiovanniBattistaAlessi: funerali solocivili di amici venuti anche dalla Lombardia, preceduto dalla banda, dai bambini delle scuole elementari e da una scorta armata dell’associazione Tiro a segno nazionale, già presieduta da Garibaldi, che voleva così rendere omaggio al patriota combattente. «Questa è stata la degna risposta data dalla fierezza d’animo e dalla bontà dei lavoratori», scrive L’Avanti! di Milano, «al settarismo clericale che aveva osato di disturbare la mesta cerimonia gridando al “sacrilegio” contro il funerale civile. La cerimonia solenne e commovente ha testimoniato della stima e dell’affetto grande di cui era circondato l’avvocato Alessi, il quale, sebbene ispirasse sempre tutti gli atti della sua vita a sentimenti di mitezza e di equanimità, non fu risparmiato dall’intolleranza clericale che tentò di impedire l’espressione unanime e sentita di affettuoso compianto che gli venne tributata». Dall’Arena nessun cenno all’episodio controverso, se non un larvato riferimento parlando di «un uomo supremamente buono, professionista integerrimo, tenace nelle sue idee, che certamente non erano condivise dalla grande maggioranza della popolazione, ma nello stesso tempo rispettoso delle opinioni altrui e per questo amato e stimato dai suoi stessi avversari». f V.Z. ELETTRIFICAZIONE. Motrice elettrica, negli anni Venti del Novecento; nel 1935 subentrò la Saer. Il popolo leggeva: «Salti alti e rebaltoni». 3 FILOVIA. Nel 1955 addio ai binari, arriva il filobus. Eccolo a Tregnago in via Cipolla, presso la stazione. È un successo, ma durerà solo 19 anni. 4 ECOLOGICO. Filobus articolato a tre assi, che veniva usato sulle linee provinciali negli orari di maggiore affluenza: silenzioso, capiente, pulito. 34 Volti di Tregnago L'ARENA Martedì 11 Novembre 2008 MEMORANDUM. Valentino Pomari, eroe del Risorgimento, passò la vita cercando di ottenere la patente di reduce. Invano. La burocrazia fu peggio dell’Austria Salvòdal boia ipatrioti emorìsenza un grazie «Eppure dovranno riconoscermi!» Nelle ultime parole dell’incompreso un’ amarezza tutta italiana Vittorio Zambaldo Avventurosa quanto sfortunata la vita di Valentino Pomari, di Cogollo, nato nel 1820, personaggio epico delle battaglie risorgimentali, ma che non è entrato in nessun libro di storia, nonostante i suoi eroismi. Da soldato di leva nell’Imperial regio esercito d’Austria, si trovò col grado di sergente a Bergamo nel marzo 1848, nei giorni delle insurrezioni nazionaliste in tutta Europa. Con altri italiani arruolati come lui, compì un colpo di mano entrando in tribunale e liberando i conti veronesi Camuzzoni e Frisoni che erano in giudizio per la condanna a morte come insorti. Datosi alla fuga dopo l’impresa, si arruolò con il corpo franco lombardo-veneto, partecipando alle scorribande di guerriglia durante la prima guerra d’indipendenza che li videro impegnati nel Bresciano e in Trentino. Riuscì persino e impadronirsi di una bandiera austriaca, che fece arrivare a Torino come trofeo di guerra. Partecipò alla battaglia di Santa Lucia, alle porte di Verona con la speranza di entrarvi da vincitore, ma i piemontesi dovettero ritrarsi e Pomari, man mano che avanzano gli austriaci, si fermava nelle città lombarde, a Brescia, a Milano per aiutare gli insorti e la resistenza, fino alla capitolazione del re Carlo Alberto. Proprio a Milano divenne amico di Goffredo Mameli che lo chiamava «il tregnaghese». Partecipò alle insurrezioni di Genova e di Bologna e alla sfortunata battaglia di Mortara, dove i piemontesi furono costretti all’armistizio e da lì si diresse a Roma per difendere la repubblica nata per iniziativa di Mazzini, Garibaldi e Manara. Caduta Roma, puntò su Venezia che ancora resisteva assediata. Qui ancora si distinse con un’azione di commando al forte di Pellestrina, sorprendendo la guarnigione a pranzo e razziando viveri da distribuire fra gli insorti. Tornò a Verona ferito, raccontando di essere stato prigioniero dei piemontesi, il che gli valse la possibilità di farsi curare in ospedale e poi mandare a casa in congedo. Ma anche a Cogollo non riuscì a starsene mai tranquillo, aiutando patrioti, disertori e giovani che volevano arruolarsi volontari per le guerre d’indipendenza del 1859 e ’66. Nel ’59 si offrì di aiutare un compaesano a passare coi piemontesi che erano accampati oltre Peschiera e approfittando del passaggio sul carro di un mercante di buoi, che era solito fare la spola e non era controllato con il foglio di via, la cosa gli riuscì. Ripeté ancora lo scherzo del prigioniero dei piemontesi per entrare in Peschiera assediata e ancora una volta fu creduto, tanto da ottenere il foglio di via per tornarsene a Cogollo liberamente. Di tutte queste avventure conservò sul corpo le cicatrici e una medaglia di zinco, con la scritta «Banda Manara» su un lato, un teschio, un crocefisso e un’invocazione sull’altro. Nella sua povera casa aveva i Ilfrontespizio dell’opuscolosul patriota scritto daLuigiVenturini Riscoperte TregnagoafineOttocento, quando viveva ValentinoPomari: sul colle, senzaalberi,lerovine delcastello Lapiazza delMercato(oggi piazzaMassalongo) in un’altra immaginedifine Ottocento ritratti di Vittorio Emanuele e Garibaldi e invano aveva cercato quello di Manara da unire a loro. «Spesso tornava a deplorare», racconta Luigi Venturini, il biografo appena ventenne che lo frequentò e raccolse le sue memorie, «il confronto fra il valore degli insorti lombardi e la mitezza dei veneti, che se avessero avuto più energia avrebbero salvato la patria». Ma nonostante la gloria sui campi di battaglia si ridusse in miseria, con moglie e due figli piccoli da mantenere. Quando sentì raccontare da un reduce di Soave che lui aveva ricevuto un assegno dallo Stato per le sue partecipazioni alle battaglie per l’indipendenza, si pre- APOLLONIO SPA sentò in municipio a Tregnago il 2 ottobre 1878 per ottenere altrettanto, ma sindaco e segretario gli dissero di essere all’oscuro della cosa. Tornò l’anno dopo con due testimoni per raccontare le sue imprese che fossero messe a protocollo e inviate alla commissione di Roma incaricata di risarcire i reduci, ma invano. Da Roma gli fu risposto che «era scaduto il tempo utile al ricorso» e perfino la Cara reale, a cui si era rivolto, si limitò a rispondere che la domanda era stata inoltrata a chi di competenza. Ma lui testardo, una sola imprecazione si lasciò sfuggire, annota il biografo: «Li abbiam messi a sedere noi e ora ci dimenticano». Avrebbe voluto morire in battaglia Valentino Pomari, invece lo vinse la pellagra, una sera, tornando dalla raccolta delle ciliegie. Gli furono negate le medicine perché non iscritto fra i poveri e le ultime parole prima di morire, sotto gli occhi del prete, furono: «Gran fati che no i me riconossa!». Venturini raccolse delle offerte per mettere sulla tomba un’epigrafe che così recitava: «A Valentino Pomari di Cogollo, morto a 64 anni il 22 giugno 1884, fuggì dall’esercito austriaco il 1848 a Bergamo, combatté bersagliere lombardo gli anni 1848-49 in Lombardia, in Tirolo, a Venezia, a Roma. Visse povero, ma giovine sempre».f L’unico estimatore nescrisse leavventure Niente sapremmo di Valentino Pomari di Cogollo se un giovane studente compaesano, Luigi Venturini, poi diventato professore di lettere al liceo Tulliano di Arpino (Frosinone) non ne avesse raccolto le confidenze e non avesse poi pubblicato un opuscolo nel 1886, due anni dopo la morte di Pomari, Il testo è stato ritrovato e riproposto da Aldo Ridolfi, appassionato di storia e di arte del proprio paese, sulle pagine della rivista Cimbri-Tzimbar, di cui è redattore. VENTURINIera figlio di Natale, originario di Velo, agrimensore e primo maestro a Cogollo nel 1862 e capostipite di quella stirpe di «Maestri», come ancora sono soprannominati i Venturini di Cogollo, sui discendenti, che si distinsero in vari campi: dall’insegnamento, alla medicina e alla farmacia. Luigi, laureatosi a Bologna Luigi Venturini (1865-1944) con Giosuè Carducci, tenne con il poeta un fitto carteggio, come anche con Saffi, Gandino e Siciliani. Presidente della società Dante Alighieri, per diversi anni ricoprì anche le cariche di assessore e vicesindaco di Arpino, dove volle restare sempre, nonostante la nomina a preside del liceo-ginnasio di Ancona, dove rifiutò di trasferirsi. Un grave dolore lo colpì con la morte del figlio primogenito Antonio a Bressanone nel 1918, dopo essere stato combattente nella Grande guerra. Pur lontano conservò sempre un grande affetto per il suo paese e per il Verona, tanto da pubblicare nel 1900 un Saggio di guida dei Lessini. Morì dopo cinquant’anni di insegnamento il 26 agosto 1944 ma della sua scomparsa si seppe in paese solo un anno dopo, a causa delle difficili comunicazioni per la guerra in corso. V.Z. BALDO COMMERCIO ORTOFRUTTICOLI s.r.l. DAL 1920 www.apollonio.com Badia Calavena (Verona)•Viale dell’Industria, 43 • Via M. 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