L’altra metà della storia
Raccontare il ruolo delle donne durante il Risorgimento significa dar voce alla metà taciuta della
nostra storia nazionale. Un’urgenza raccolta dalla Commissione speciale delle donne elette nel
Consiglio e per le Pari opportunità tra uomo e donna della Provincia di Ancona. Non poteva essere
altrimenti. Durante i lunghi decenni delle guerre d’indipendenza che hanno posto l’Italia al centro del
fermento democratico europeo, le donne non potevano certo essere estranee all’ideale di libertà.
Molte di esse trovarono un proprio modo di condurre vere e proprie battaglie per rivendicare diritti
sociali e politici collettivi. Ma all’epoca non godevano di visibilità come soggetto sociale, giuridico e
politico. Quando la Camera dei deputati del Regno d’Italia respinse la proposta di legge che voleva
includerle al voto politico, Mazzini scriveva “l’emancipazione della donna sancirebbe una grande
verità base a tutte le altre (…) assocerebbe a tutte nella ricerca del vero e del progresso comune
una somma di facoltà e di forze, isterilite da quella inferiorità che dimezza l’anima”. Animati dal
medesimo sentimento di incompiutezza oggi siamo quindi chiamati a bilanciare una visione storica
di genere. Per questo voglio ringraziare tutte le donne e gli uomini che hanno accompagnato “Le
donne e il Risorgimento silente”, un progetto gratificante che rintraccia i primi e inesorabili passi
delle donne verso la presa di coscienza di sé, verso il diritto al voto, l’abolizione di leggi restrittive e
maschiliste, il valore culturale del contributo femminile all’identità e alla crescita, il riconoscimento
della ricchezza di una nazione che non fa discriminazioni di genere.
Se è vero che molta strada devono ancora percorre le donne per giungere alla parità senza
reclamarla tutti i giorni, se è vero che essere “una” presidente di Provincia fa ancora notizia, è
altrettanto oggettivo il fatto che l’apporto femminile, benché silente, condiziona e determina
gli esiti delle diverse fasi storiche. È il moderno concetto di Storia che eccede la vita dei singoli
a riconoscere al fluire del tempo una tendenza profonda, fatta di grandi mutamenti e grandi
congiunture, a far scorrere i mutamenti a velocità diverse.
Una lunga e variegata narrazione, composta di testimonianze e riflessioni, segue dunque le tappe di
una lunga marcia verso l’affermazione di sé e di un linguaggio di cui le donne sono interpreti. Non
sempre da eroine, né da sole, ma anche in quel ruolo collettivo che cominciava a uscire dall’ambito
familiare in cui l’esistenza delle donne era relegata. Riportare il femminile sotto i riflettori della
storia significa contribuire al superamento di ciò che è rimasto incompiuto, con la consapevolezza di
ricomporre un ricco patrimonio culturale nazionale cui poter fare ricorso. Uno sguardo trasversale
agli eventi e alla società attraverso cui fare emergere la portata di un fluire carsico che, alla fine, rende
visibile la donna all’interno di nuovi scenari. La nostra è una società in debito con il protagonismo
femminile, specie nel primo Ottocento, quando le donne sono state presenti in una prodigiosa
varietà di atteggiamenti, di scelte tanto coraggiose e innovatrici da segnare una decisa maturazione
culturale e spirituale. Il lungo Risorgimento, che giunge fino alla Resistenza, ha via via visto le donne
non più accanto agli eroi come ausiliarie o subalterne in clandestinità, ma come protagoniste della
costruzione vitale del futuro tessuto sociale. Il segno di un’autodeterminazione in cui entrano in
gioco nuovi valori di partecipazione, libertà e uguaglianza.
In virtù di tutto ciò, il presente volume vuole essere un contributo alla memoria storica da ricostruire
nella sua complessità, mettendo in evidenza la generosità di un impegno sottaciuto che finalmente
viene alla luce. Un’iniziativa che è allo stesso tempo suggello alle celebrazioni del 150° anniversario
dell’Unità d’Italia e invito a proseguire la lettura del Risorgimento come ampio agire sociale.
Carla Virili
Assessore alle Pari Opportunità della Provincia di Ancona
Patrizia Casagrande
Presidente della Provincia di Ancona
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“Le donne e il Risorgimento silente”
“La società dell’800: spazi maschili e femminili”
Le celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia percorrono tutto l’anno 2011 culminando il
17 marzo, data della proclamazione ufficiale del nuovo Stato avvenuta a Torino, con una serie
di eventi, di manifestazioni culturali, sportive e di intrattenimento dedicate all’Italia, alle sue
eccellenze riconosciute e ai suoi valori inediti.
Nell’ambito delle numerose iniziative ed attività, che sono state messe in atto in tutto il
territorio nazionale, trova spazio il progetto della Commissione Speciale delle donne elette
nel consiglio e per le Pari Opportunità tra uomo e donna:“Donne e Risorgimento silente” che ha
inaugurato nella città di Ancona le celebrazioni per il centocinquantesimo con la conferenza
pubblica dedicata alla società dell’800: Spazi maschili e femminili.
La ricorrenza costituisce l’occasione per ripensare al ruolo e alla presenza delle donne nel
percorso storico che ha portato all’unificazione, sia per cercare di porre rimedio a una
omissione sia per favorire una riflessione di genere sul carattere della società di oggi.
Sono, infatti, molto poche le indagini che hanno tentato di individuare, all’interno di uno spazio
come il Risorgimento, connotato fortemente dall’immaginario maschile, la presenza dell’altra
soggettività, quella femminile, che pure ha contribuito ad indicare, sostenere e realizzare il
progetto indipendentista e unitario italiano.
Nella prima metà dell’800 le donne vivevano in una situazione di inferiorità e i loro sforzi per la
patria erano ripagati solo con la protezione della quale gli uomini credevano che esse avessero
bisogno. Le uniche donne che potevano avere una certa importanza erano quelle appartenenti
all’élite politica e culturale che si distingueva per gesta eroiche, nelle arti o nelle scienze, mentre le
altre erano relegate all’ambito familiare con un’istruzione mirata solo alla loro formazione come
mogli e madri. Ciò non impedì a molte donne di impegnarsi da subito nella lotta contro il dominio
straniero. Ma il senso comune dei patrioti e la storiografia ufficiale, impregnati di pregiudizi, ne
hanno spesso oscurato o marginalizzato il contributo politico e intellettuale.
Delle “sorelle d’Italia” si sente parlare poco, eppure c’erano!
Il progetto “Le donne del Risorgimento silente”, nato sotto la spinta dell’invito del Presidente della
Repubblica Giorgio Napolitano per far sì che le celebrazioni non siano vuote e formali, è divenuto
patrimonio e ricchezza di tutte le Commissarie e di quanti hanno condiviso tale percorso.
Si è approfondita la tematica relativa al ruolo delle donne nel periodo cruciale del Risorgimento,
in qualità di protagoniste invisibili della lotta per l’Unità d’Italia attraverso riflessioni
storiografiche ed indagini sulle vicende politico-istituzionali ed economico-sociali che hanno
abbracciato l’evoluzione dell’Italia unita nei periodi successivi alla fondazione del nostro Stato
nazionale, fino a consentire un bilancio persuasivo da far valere nel tempo presente e capace
di far rivivere il senso della storia italiana, tenendo conto delle persone reali, del loro vissuto,
soprattutto quando, come nel caso della partecipazione femminile, è rimasto silente.
Tale processo di trasformazione politico-sociale ha comportato con sé difficoltà, incomprensioni
ed a volte decisioni non condivise da tutti gli italiani ma necessarie per avere un solo popolo in
una sola nazione. Oggi più che mai le ragioni che spinsero uomini e donne dell’800 ad impegnare
la propria vita per un ideale superiore ci devono far riflettere sulla libertà conquistata, che può
essere messa ancora in discussione e per la quale dobbiamo essere sempre vigili per garantirla
a chi verrà dopo di noi.
Recuperare in un momento come quello attuale l’approfondita analisi del pensiero al femminile
è un motivo perentorio che richiama a fornire concretezza, corpo, passione e vita reale alla
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ricerca che getta nuova luce sul panorama storico e culturale, promuovendo azioni, saperi,
pratiche e teorizzazioni per tutti, non soltanto per una metà, ma per l’intero cielo.
La presenza sul territorio provinciale della Commissione, che mi onoro di presiedere, costituisce
l’occasione per rilevare le esigenze specifiche di genere connaturate di ciascuna realtà, e questo
attraverso un processo comunicativo e un’attività sinergica con Enti,Associazioni, Istituzioni ma
soprattutto attraverso l’utilizzo sistematico e capillare delle “sedute aperte”, luogo deputato
all’ascolto ed al confronto con le donne e gli uomini presenti nei workshop.
Un legame sottile ma unico e forte lega tutte le iniziative della Commissione per le Pari
Opportunità siano esse rivolte agli studenti, alle donne straniere o alle donne che subiscono
violenza: “dare voce a chi non ha voce”.
In quest’ottica di condivisione e di ascolto s’inserisce il progetto “Donne e Risorgimento silente”
che vuole evidenziare un segmento di storia troppo poco sottolineato e permeato del lavoro
costante di tante donne che hanno determinato una trasformazione non tanto politico-militare
ma culturale, sociale ed economica.
Un tema quanto mai attuale nel momento storico e sociale di particolare confusione che
stiamo vivendo, frastornati da messaggi contraddittori e sempre più volti a dividere ed isolare
in una costante affermazione della propria identità individuale a scapito della collettività e dei
rapporti interpersonali in un dibattito che nessun rispetto riserva alla dignità femminile.
Anna Salvucci
Presidente Commissione Speciale delle donne elette nel Consiglio
e per le Pari Opportunità tra uomo e donna
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Prefazione
Eleonora Sabatini
Tra i compiti di una Commissione delle Pari Opportunità, non può essere ritenuta secondaria
la considerazione che il rispetto delle condizioni di pari opportunità debba attraversare anche
la tridimensionalità temporale, intervenendo non soltanto nelle urgenze del presente, ma
riproponendo anche il ripensamento su questioni e tematiche che fanno parte del nostro passato. In
un momento come questo, quando affiorano, quanto mai allarmanti, le tentazioni a rimuovere dalla
coscienza verità e fatti scomodi o inquietanti, per un uso strumentale dell’oblio, con le pratiche della
cancellazione e dell’indifferenza nei confronti del materiale storico, allora è doveroso far ricorso
proprio al lavoro serio, equilibrato ed imparziale sul passato, perché non vada perduta la capacità
dell’analisi del trascorso di orientarci nel presente e di guidarci verso prospettive future. Nell’anno in cui il Paese festeggia il 150° anniversario della fondazione dello Stato unitario, era
necessario ripensare al ruolo effettivamente svolto – ed in parte occultato o minimizzato – dalle
donne di ogni classe e ceto, che, negli esaltanti capitoli del nostro Risorgimento, hanno saputo
scrivere pagine di vero eroismo; contribuendo da protagoniste, con grande coraggio e spirito
di sacrificio, alla lotta per la costruzione della nuova Italia. D’altra parte ogni serio agire politico,
estraneo alla faziosità e alla manipolazione ideologica, deve far ricorso alla storia e alle sue lezioni
per consentire un’obbiettiva e proficua lettura del presente; oggi, purtroppo, si cede spesso alla
tentazione di fermarsi alla superficie dei problemi e delle questioni, preferendo, alla difficile e faticosa
ricerca della verità, i brevi passaggi che portano all’opinione dominante. Questa opinione, però, non
è la verità delle cose ed in termini politici e sociali, appartiene più all’identità del suddito che a quella
del cittadino democratico capace di confrontarsi dialetticamente con gli altri nella gestione della
cosa pubblica. E proprio perché non si deve aver paura di affrontare la verità della storia ed è quanto
mai necessario ascoltare la lezione del nostro passato, soprattutto quando il presente si manifesta
con un orizzonte incerto e nebbioso, che è stata concepita, con l’intenzione di coinvolgere, in un
doveroso approfondimento, le giovani generazioni, l’iniziativa ”Il Risorgimento silente”. Questa ha
riunito studiosi, storici, sociologi, archivisti, ricercatori e direttori museali perché, con le loro diverse
sensibilità, contribuissero a ricostruire la complessità e la molteplicità del quadro storico; senza
pretendere di sottrarre compiti e funzioni alle istituzioni scolastiche, ma con lo scopo di arricchire
l’offerta all’ascolto per i nostri studenti con la pluralità delle voci e delle posizioni, evitando, così, il
lato “polveroso” e rigidamente “accademico” della ricerca.
Si è parlato finora soltanto dei padri della patria, enfatizzando momenti e figure di un eroismo
declinato tutto al maschile, passando sotto silenzio o confinando in posizione marginale, tutto il
lavoro svolto con tenacia, abnegazione e senso di solidarietà, da tante donne che hanno saputo
comprendere che la costruzione di un futuro diverso dipendeva anche dai loro sacrifici di
gioventù, sangue e passione. Il cammino della democrazia è assai lento – e la nostra Costituzione
ci insegna che ci sono tante nuove pagine da scrivere –, ma la gradualità del suo operare non
ammette soste, interruzioni o rimozioni. Occorre, allora, mantenere (per poter procedere
correttamente) la continuità con il cammino già percorso: il rispetto dei diritti delle donne
di oggi parte da quel lavoro “silenzioso” ed appartato, che vorremmo non soltanto ricordare,
proprio nel senso di riportare al nostro cuore, ma soprattutto capire per misurare meglio la
distanza che ancora ci separa da una condizione piena di reale emancipazione.
Eleonora Sabatini
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Lo spazio di genere
Antonio Luccarini
Nella sala di Giunta del Comune di Ancona, alle pareti quattro grandi opere dell’artista Pio
Pullini – dal momento che il palazzo comunale fu costruito per ospitare la Casa dei Fasci e delle
Corporazioni – illustrano, secondo i dettami del regime, momenti cruciali della storia e della
cultura del paese. Due grandi tavole, in particolare, ci offrono l’occasione per individuare
l’interpretazione che il fascismo dava del nostro Risorgimento. In una prima tela il nemico è
soverchiante i nostri soldati in camicia rossa, audaci ma non ancora vincitori, nell’altra tela il
rapporto spaziale e il giudizio storico vengono ribaltati: è una scena che illustra un episodio
bellico della prima guerra mondiale e in questo caso è il fante italiano ad avere la meglio sul
nemico, vale a dire che il momento culminante del nostro Risorgimento è la vittoria ottenuta
sulle trincee del conflitto del 15-18. A parte le considerazioni sulla vittoria mutilata che il
fascismo sfruttò per ergersi a vendicatore di una ingiustizia subita, la compiutezza risorgimentale,
in questa interpretazione, non si ha con la proclamazione dello Stato unitario, quella del 1861,
perché non si sono raggiunti a quella data gli storici confini del paese. E’ una interpretazione
questa puramente territoriale delle lotte risorgimentali e anche se per molti anni è stata
prevalente nel dibattito storiografico interno, trascura il processo di emancipazione che le
lotte del nostro risorgimento hanno avuto come meta e come bandiera: non era in ballo,
almeno non per tutti, una mera semplificazione territoriale, esigenza fortemente sostenuta dal
ceto borghese e territoriale, ma erano in gioco nuovi valori da proclamare, da affermare, da
realizzare. Valori che parlavano di unità ,ma ,anche e soprattutto ,di libertà, di partecipazione,
di fede nella democrazia e di sogni di uguaglianza, politica, sociale ed anche economica. E’
soprattutto a questo tipo di impegno che ci rifacciamo quando parliamo di alcuni protagonisti
della lotta risorgimentale che la storiografia soltanto di recente ha saputo recuperare dall’oblio
della storia. Quando si parla di unità d’Italia e se ne celebrano gli anniversari, in questo caso i 150 anni della
sua formazione, dobbiamo tener presente soprattutto per una operazione di tardiva ma
necessaria giustizia, chi ha pensato, ha lottato, fino al sacrificio della propria vita e non ha
trovato, purtroppo, nelle pagine della storia, il dovuto riconoscimento: masse contadine, ceti
operai e in particolare il mondo complesso delle donne che hanno dato prova, in occasione
della lotta per la causa nazionale, non solo di straordinaria generosità nell’impegnarsi per la
realizzazione dell’unità italiana, ma anche di grande lungimiranza, perché esse hanno dato prova,
con il loro sacrificio, di essere state in grado di immaginare e progettare pienamente un vero
futuro. In queste celebrazioni, così profondamente sentite, in un paese che per la prima volta
mostra una parte che dissente riguardo l’unità raggiunta e che, polemicamente nei confronti
dei festeggiamenti, parla di separazioni e secessioni, è doveroso dare voce e far parlare,
finalmente, quel Risorgimento che abbiamo appunto chiamato silente, non solo perché si è
mosso in forma appartata, discreta, poco vistoso e poco riconoscibile, ma che è stato anche, in
un certo modo, tacitato. L’azione risorgimentale delle donne è stata minimizzata, ridotta
volutamente al silenzio, resa muta dal pensiero storiografico dominante in epoche che sentivano
come eversivo il tema dell’emancipazione femminile. D’altra parte per molto tempo alla figura
femminile, in tema di politica risorgimentale, è stato assegnato un ruolo puramente iconico e
con questo riconoscimento puramente esornativo si pensò a chiudere la questione: tutti
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potevano constatare che la donna era stata scelta a rappresentare, nella letteratura e nell’arte
figurativa dell’Ottocento, la condizione stessa del paese. L’Italia raffigurata come una donna
dolente, ferita, disonorata, infatti era stata oggetto di operazioni artistiche che avevano voluto
commuovere lettori e spettatori per promuovere la causa della riscossa nazionale. Un brano
del Mazzini dice ”…La patria vi è apparsa un giorno nei vostri cuori come una sorella disonorata
dalla violenza, come una madre che ha perduto i suoi figli e piange..”. E come non ricordare, a
tal proposito, le splendide immagini dello Hayez o del Canova che affidano alle forme voluttuose
e dolenti di tristi fanciulle il compito di evocare la patria sofferente e derelitta, privata del bene
prezioso della libertà. E se non come icona o simbolo dell’Italia piangente, la donna aveva poi
finito per entrare nel medagliere risorgimentale come figura esemplare di madre o di sposa di
eroi senza che ad essa fosse stato riconosciuto effettivamente un ruolo attivo di primo piano
e uno specifico protagonismo nei momenti dolorosi ed esaltanti del conflitto per l’unità
nazionale. Che per la donna fosse difficile l’azione diretta era un dato di fatto, dal momento che
l’altra metà del cielo si trovava confinata in uno spazio, non soltanto rigidamente imposto, ma
anche sorvegliato costantemente e tenuto sotto un vigile ed ininterrotto controllo. L’agire
delle donne del tempo aveva come sfondo degli scenari ben precisi e prefiguranti condotte e
mansioni: erano gli spazi dove il genere femminile poteva svolgere le sue funzioni
nell’approvazione completa della morale dominante. Gli spazi erano dunque connessi alle
competenze accreditate, ai compiti affidati e ai ruoli, senza possibilità di deroga, né all’interno
della vita famigliare, né all’interno delle dinamiche imposte dall’articolazione delle classi sociali:
il fare delle donne era collocato in luoghi, cucine, salotti, alcove, ospedali ed ospizi, chiese e
conventi, dove il cucire, il cucinare, l’adempiere ai doveri coniugali, l’assolvere ai compiti imposti
dalla natura e dalla cultura, non prevedevano cambi di rotta o possibilità di condotte alternative.
Erano luoghi che di per sé, già prefiguravano solo determinati comportamenti e per questo
prevedevano rigidi sbarramenti sia per le operazioni dell’ingresso, che dell’uscita. Spazi
virtualmente recintati con chiusure invisibili ma ugualmente insormontabili. Le vite delle donne
erano condotte all’interno di una scenografia fissa, qualunque fosse il genere di dramma che
ogni singola esistenza si trovasse a vivere. Le regole valevano per tutte, per la nobildonna come
per la popolana, per l’intellettuale come per la contadina. Il quadro di Carlo Stragliati “Un episodio delle Cinque giornate di Milano a Piazza
Sant’Alessandro” che è stato scelto come immagine guida di questa nostra manifestazione, di
questo doveroso ricordo del cosiddetto “Risorgimento silente”, illustra sinteticamente le
problematiche e le direzioni dell’agire delle donne dell’Ottocento finalizzato al successo della
causa nazionale. La tela, conservata al Museo del Risorgimento di Milano, evidenzia spazialmente
una situazione di confine: due giovani donne sbracciate ed esultanti, incuranti dei divieti e delle
proibizioni morali e politiche che incombono sul loro “status”, sotto gli occhi benevoli e
felicemente stupiti di un’anziana seduta di fronte a loro, agitano un tricolore sporto,
audacemente, fuori della finestra spalancata. Sotto, in strada, a Piazza Sant’Alessandro, la folla
festante grida all’Italia e alla libertà. La bandiera è una specie di vettore ideologico a cui le due
giovani donne sembrano volersi aggrappare. E’ il vettore che veicola tante speranze, tanti sogni
di unità, di libertà, di indipendenza, ma anche di partecipazione attiva. Quella finestra spalancata
sulla storia, sulla città che sta vivendo gloriose giornate d’ardimento, coraggio e idealità – la folla
in tripudio ha cacciato “nemici ed tiranni” –, è pur sempre un posto di confine che divide in
forma precisa ed inequivocabile luoghi di pertinenza: da una parte il mondo degli uomini, giovani
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e vecchi, protagonisti indiscussi delle vicende storiche, unici autorizzati alla gestione della cosa
pubblica – ogni elaborazione teorica, ogni avvio dialettico di idee e progettualità passa solo
attraverso la loro coscienza e la loro voce –, dall’altra il mondo delle donne, in posizione
subalterna, ausiliarie tutt’al più, sostenitrici e promotrici, a fianco degli eroi. A loro è concesso
un agire di secondo piano come la diffusione e l’offerta disinteressata di sostegno fisico e
morale al grande impegno degli uomini.Gli spazi dove per regola e tradizione esse si trovano
a muoversi ed agire restano gli stessi di sempre salotti, sale d’ospedale, cucine etc.. Quanta
passione patriottica venne diffusa nei salotti di Angelica Palli, Emilia Toscanelli, Eleonora Fonseca
Pimentel, Teresa Casati, Bianca Milesi, Cristina Trivulzio di Belgioioso; quanta solidarietà e amor
di patria negli ospedali e nei ricoveri offerti a piene mani da personaggi come la nostra – in
realtà era cittadina inglese – Anna Coomber Fazioli, come Vittoria Mosca, come Sara Nathan
Levi; quanto coraggio e senso del sacrificio dimostrato in ogni luogo, anche quelli “proibiti” o
interdetti come il campo di battaglia o le trincee urbane. Tutte le operazioni di sconfinamento
– e ce ne furono molte di più di quanto la storia ufficiale sia riuscita a documentare – dovettero
svolgersi in condizione di clandestinità, a prezzo di un camuffamento,al costo di una mutilazione
di identità. Poteva una donna partecipare alla lotta armata, essere presente nei campi di battaglia
come combattente e non come infermiera o suora incaricata dell’ assistenza ai soldati feriti?
Soltanto a condizione di essere disposta a negare il proprio corpo, la propria femminilità, la
propria identità di donna. E se è vero che la particolarità di queste celebrazioni è che esse
debbono raccontare una storia italiana che nel frattempo si è evoluta verso il segno della
complessità e della molteplicità, allora proprio perché parliamo della storia vista dalle donne,
sarà opportuno parlare a voi giovani, delle loro storie, delle loro singole storie emblematiche
ed esemplari come quella di Colomba Antonietti. Colomba Antonietti era la bellissima figlia di un ricco fornaio di Foligno ed era oggetto dei
sospiri d’amore di un giovane ufficiale anconitano, il conte Luigi Porzi.Dal momento che le
rispettive famiglie ostacolavano l’unione, i due giovani avevano deciso di fare un matrimonio
segreto.Venute a conoscenza del fatto le autorità militari, il Porzi fu condannato ad un periodo
di reclusione nelle prigioni di Castel Sant’Angelo ed allora Colomba lo seguì per stargli vicina,
almeno per i brevi momenti di visita. Davanti all’altare Colomba aveva giurato di dividere ogni istante di vita con il proprio consorte,
perciò quando egli partì, nel 1848, al seguito delle truppe papaline guidate dal generale Durando,
per combattere nella I guerra per l’Indipendenza dell’Italia, ella, che aveva cementato il legame,
non solo con la passione d’amore, ma anche con la condivisione degli ideali politici, lo seguì
senza indugi, vestendosi da uomo, imbracciando il fucile e partecipando al suo fianco a tutte le
battaglie. Dopo il ritiro dalla guerra dell’esercito del Pontefice, i due continuarono come
volontari a combattere per la libertà e l’indipendenza e corsero in aiuto della Repubblica
Romana, ultimo baluardo della Resistenza dei patrioti. La stessa Colomba, che per ardimento e
coraggio si era distinta nella battaglia di Velletri meritandosi l’encomio dello stesso Garibaldi,
incurante del rischio e del pericolo, partecipò in prima linea alla battaglia di Ponte San Pancrazio.
Fu in quello scontro che un proiettile di rimbalzo la colpì ferendola a morte. Le sue ultime
parole accanto al marito straziato dal dolore furono rivolte all’amata Italia. La pianse tutta
Roma democratica e lo stesso Ciceruacchio fu tra quelli che coprirono la bara di garofani
bianchi. La sua tragica fine fu cantata da Alessandro Dumas padre e dal Carducci. Per ironia
della sorte il nome e il cognome che comparivano nella prima lapide funebre contenevano
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l’inversione di genere: Colombo Antonietti era l’eroe caduto per la difesa della libertà del
paese, così come riportava la dicitura iniziale della pietra tombale. Le donne presenti negli spazi della battaglia, quelli riservati al genere maschile, d’altra parte
erano rare e di solito comparivano accanto ad uomini famosi e veri protagonisti della scena
politica: si pensi a Rosalia Montmasson, moglie del Crispi o alla bella ed infelice Anita Garibaldi.
Il busto di Colomba, il cui corpo riposa al Gianicolo nel luogo che raccoglie le spoglie degli eroi
garibaldini, è l’unico ritratto femminile presente sulla collina romana. Eccezione e regola di un
agire che, come abbiamo detto, prevedeva il rispetto dei confini e delle recinzioni di genere.
Colomba ha avuto accesso alla scena fondamentale – la guerra nella sua diretta ferocia – solo
negando la sua identità: al momento di arruolarsi Colomba aveva tagliato le lunghe trecce – che,
insieme ai suoi occhi ardenti, erano il segno celebrato della sua bellezza – rinunciando a una
parte di sé. Un sacrificio quello di Colomba e di tutte le altre che non poteva avere un riscontro immediato
sul piano del riconoscimento dei diritti. Molti anni sarebbero passati prima che le donne
potessero avere accesso ad una vera partecipazione politica; e accanto alle donne altre forze
avrebbero dovuto aspettare altri tempi, altre difficili e cruenti momenti di lotta, altri costosi e
strazianti sacrifici. E allora ritorniamo al punto iniziale della difficoltà di precisare i limiti
cronologici dell’azione risorgimentale e dell’individuazione dei protagonisti reali di quelle
vicende. Oggi di fronte al quadro inquietante del presente, di fronte ad un volto del paese
profondamente mutato, dobbiamo celebrare questo 150° anno dell’Italia unita nel segno di una
complessità che non può limitarsi a leggere il Risorgimento in termini puramente territoriali,
pensando all’ampiezza dei confini raggiunti, ma deve leggere le lotte per la libertà e la democrazia
dell’Ottocento e del Novecento legate strettamente dall’idea sempre più ampia di un agire
sociale, che non può prescindere dall’allargamento dei diritti e della partecipazione. Bisogna
credere alla fine che, ancor oggi, gli uomini e le donne che hanno raccolto quei valori e ripreso
quelle gloriose bandiere possano continuare le loro nobili sfide.
Prof. Antonio Luccarini
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“Donne e Risorgimento: una questione storiografica”
Patrizia Caporossi 1
Pensava
e il suo pensare si fa azione
soffriva
e il suo soffrire diviene
sapienza
e la sapienza voce viva
che rende
ogni persona
degna
(di storia)
Marìa Zambrano
Motivazione metodologica
Per il 150° dell’Unità d’Italia e per far sì che le celebrazioni non siano vuote e formali, bisogna dar
seguito, come bene ha sottolineato il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano2, a riflessioni
storiografiche capaci di far rivivere seriamente il senso della storia italiana, tenendo conto delle
persone in carne e ossa, del loro vissuto, soprattutto quando, come nel caso della partecipazione
Filosofa e Storica delle Donne, vive ad Ancona, docente al Liceo classico “Rinaldini”. Ha insegnato alla
SSIS dell’Università di Macerata (1999-2009); già dirigente provinciale dell’Unione Donne Italiane di Modena
(1976-1978); socia fondatrice dell’Istituto Gramsci Marche (1980); presidente provinciale dell’Istituto di Storia
del Movimento di Liberazione delle Marche di Ancona (1985-1986); commissaria della prima Commissione delle
Pari Opportunità delle Marche (1987-1991); socia, sin dalla fondazione, della Società delle Storiche Italiane
(1989); promotrice dei Seminari Magistrali di Genere “Joyce Lussu” di Ancona (1995); socia della IAph-Associazione Internazionale Filosofe (2009). Cura e conduce Corsi di Formazione per gruppi di donne (e non solo) con
l’approccio di genere dei Women’s Studies. Tra le ultime pubblicazioni: Joyce Lussu e la storia, Cagliari 2003; Il
giardino filosofico, Falconara 2005; Essere Creare Sapere, Ancona 2008; Il corpo di Diotima. La passione filosofica
e la libertà femminile, Quodlibet 2009, 2011; Donne Metodo e Scienza, Lecce 2010; La matrice del Sé, Bologna
2011; Vedere con gli occhi del cuore, Parma 2011; Simone Weil, l’indomabile, Napoli 2011.
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“Non idoleggiamo il retaggio del passato e non idealizziamo il presente. I motivi di orgoglio e fiducia che traiamo
dal celebrare l’enorme trasformazione e avanzamento della società italiana per effetto dell’Unità e lungo la strada
aperta dall’Unità, debbono animare l’impegno a superare quel che è rimasto incompiuto (…) e ad affrontare nuove
sfide e prove per la nostra lingua e per la nostra unità. (…) Bene, in questo spirito possiamo e dobbiamo mostrarci
– anche presentando al mondo quel che abbiamo costruito in 150 anni e quel che siamo – seriamente consapevoli
del nostro ricchissimo, unico patrimonio nazionale di lingua e di cultura e della sua vitalità, riconoscibile nel mondo;
e seriamente consapevoli del duro sforzo complessivo da affrontare per rinnovare – contro ogni rischio di deriva
– il ruolo che l’Italia è chiamata a svolgere in una fase critica, e insieme ricca di promesse, di evoluzione della civiltà
europea e mondiale. Ho detto “seriamente”: perché in fin dei conti è proprio questo che conta, celebrare con serietà il nostro centocinquantenario. (…)”, Giorgio Napolitano, La lingua italiana fattore portante dell’identità nazionale,
Quirinale, Roma 21.2.2011, in http://www.quirinale.it/qrnw/eventi/150italia-unita/150anni.htm.
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femminile, è rimasto come silente. Ciò permette la messa in atto del metodo del partire-da-sé3,
di quella pratica politica del Movimento delle Donne, che, dando corpo visibile e nominabile ai
soggetti in causa, meglio rende fattiva questa analisi, volta a coglierne l’esclusione/inclusione4, anche
come provocazione, nel senso di essere, proprio alla lettera, chiamati/e a svolgerla in relazione alla
nostra identità personale, esperienziale e alla formazione culturale ricevuta. In questo sento, bisogna
interrogarsi e misurarsi continuamente su quanto è giunto fino a noi e sulle modalità, intanto, della
stessa percezione storica, anche nello studio di epoche a noi lontane (al di là dell’effettiva distanza
temporale). E, allora, alla mia generazione di donne, che era bambina, per esempio, nel centenario5, si
è impartita un’idea d’Italia, essenzialmente e di fatto, basata sulla parola di maestri e di padri, “prima
di trovarsi [anche] maestre e madri simboliche”6 esplicite e riconosciute ufficialmente tanto da segnare con autorevolezza nuovi percorsi analitici e nuove modalità di accesso. L’approccio metodologico dominante era allora quello agiografico, volto spesso solo al ritaglio dei cosiddetti medaglioni7,
dai grandi fatti ai grandi personaggi, eventi mitici ed eroi immortalati nell’impresa unica e irripetibile,
Cfr. L’espressione del partire-da-sé si collega al pensare-da-sè della filosofa Hannah Arendt: “Ho sempre
parlato per me stessa per la grande confidenza che ho nel Selbstdenken del mio amato Lessing, che né
l’ideologia né l’opinione pubblica né le convinzioni riescono mai a sostituire”, Paola Ricci Sindoni, Hannah
Arendt. Come raccontare il mondo, Studium, Roma 1995, p. 22; mentre, per quanto riguarda il senso culturale
e politico di tale pratica delle donne, mi permetto di rinviare, tra i tanti contributi (critici), in particolare,
italiani, degli Studi delle Donne, anche a un mio lavoro sul pensiero femminile (dove è riscontrabile anche
una bibliografia di riferimento ad hoc): “(…) Grazie alla modalità del partire-da-sé, alla propria collocazione
di genere e alla relazione vitale praticata con la realtà riesce lo smascheramento e la visibilità paradigmatica
della conduzione/condizione della vita sociale degli uomini e delle donne (…)”, Patrizia Caporossi, Il corpo di
Diotima. La passione filosofica e la libertà femminile, Quodlibet, Macerata-Roma (2009) 2011, p. 148.
3
4
Cfr. il § Effetto immersione/emersione, in Patrizia Caporossi, Il corpo di Diotima, cit. p. 50.
Nel 1961, nelle scuole italiane, almeno in quelle elementari (oggi, primarie) e nelle medie inferiori, viene distribuito a ogni alunno/a un’antologia nel primo centenario dell’unità italiana, I grandi fatti che portarono all’Unità, a cura di Grazia Dore, (collana diretta da Alberto Maria Ghisalberti, presidente dell’Istituto per la Storia del
Risorgimento Italiano), Ente Nazionale Biblioteche Popolari e Scolastiche, Roma 1961 e, a tale proposito, mi fa
piacere segnalare, come in una sorta di contraltare critico, il suggestivo dvd di Matilde Tortora, Il sole con l’alchèrmes, Napoli 2011, realizzato con l’intento di far cogliere la percezione, in quegli anni Sessanta, di fronte al
centenario di allora con un parallelismo all’oggi e, soprattutto, alle nuove generazioni, poste davanti all’odierno
centocinquantenario. ...Mi ricordo, io c’ero al Centenario dell’Unità d’Italia. Avevo tredici anni. Facevano ressa
nella tasca appiccicosa del mio grembiule la memoria storica che andavo proprio allora acquisendo, assieme
alle caramelle elah mou e alle penne biro. Ascoltavo lingue diverse, dialetti diversi, ma anche il greco, il francese, che un po’ mi venivano dalla scuola, un po’ dai film. Mi domando: un/a tredicenne di oggi, che sta vivendo la
ricorrenza dei 150 dell’Unità d’Italia, che cosa ricorderà tra cinquant’anni?... (dal testo del film, cfr.).
5
6
Luisa Passerini, Quale memoria storica per il Movimento delle Donne in Italia, in Societa’ Italiana delle Storidi Storia. Soggettività, ricerca, biografia, Rosenberg & Sellier, Torino 1990, p. 50.
che, Discutendo
La parola, medaglione, risale sia alla historìa antica, che ricostruisce l’epopea delle gentium nel dare vere e
proprie medaglie di riconoscimento alle virtù eccellenti sia alla catechesi della Chiesa cattolica, attraverso
quelle teologali e la stessa santità come baluardo (cfr. il termine, medaglione, appare ancora nell’attuale catechesi di papa Benedetto XVI, febbraio 2011). Nella storiografia tradizionale il metodo degli exempla permane, pressoché indiscusso, fino al paradigma idealistico e neoidealistico, interprativo della Weltanschauung
dominante, dibattuto successivamente da “Les Annales” per una lettura sistemica e prospettica, nel tempo
(la lunga durata), delle strutture socio-economiche e politiche dell’histoire événementielle.
7
10
che trasforma la storia (vissuta) in leggenda. Come emblematico, appare a tale proposito, l’estratto
dall’opera storica del prof. Mario Natalucci, monsignore, docente e poi futuro preside anconetano,
anche del mio Liceo, “noto e apprezzato cultore di storia municipale e regionale”8, che l’allora
Comitato per le celebrazioni del Centenario dell’Unità d’Italia nelle Marche aveva pubblicato e diffuso in
una dispensa da distribuire, soprattutto nelle scuole superiori, su tutto il territorio regionale e che,
poi, diventerà, negli anni a venire, per noi giovani allievi/e, una fonte obbligatoria per gli studi locali9.
Piano storiografico
La storia degli uomini e delle donne, spesso, è (stata) rinchiusa all’interno di eventi dominanti, presi
come tratto oggettivo di tutta un’epoca. In realtà, l’approccio storico non è mai oggettivo di per sé,
ma ovviamente esprime uno sguardo e indica una prospettiva. Il criterio per prendere atto dell’intervento attivo delle donne è provocatoriamente proprio quello della soggettività10, nel senso di
scoprirne la portata specifica, perché, come nel caso del Risorgimento italiano11, è impossibile non registrarne la presenza, così fitta e anche socialmente trasversale12: dalle intellettuali alle popolane, dalle
borghesi alle operaie, dalle aristocratiche alle contadine13. Ma in che modo? Appiattita sullo sfondo
8
Mario Natalucci, Il contributo di Ancona e delle altre città marchigiane al Risorgimento nazionale, (estratto,
Ancona attraverso i secoli, vol. III, a cura del Comitato Regionale Marchigiano per le Celebrazioni del Centenario dell’Unità d’Italia), Unione Arti grafiche, Città di Castello 1960, Ai Lettori, p. I.
Alcuni riferimenti bibliografici per la storia risorgimentale locale (marchigiana): Società e politica dal 1860
a oggi, in Storia d’Italia. Le regioni dall’Unità a oggi, sergio anselmi (a cura di), Le Marche, Einuadi, Torino 1987,
pp. 7-19; Marco Severini (a cura di), Le Marche e l’Unità d’Italia, Codex, Macerata 2010.
9
“Il termine stesso soggettività si carica di una forte valenza di auto-consapevolezza, di una poderosa
intenzionalità e diventa espressione di incontenibile protagonismo. (…) Al Convegno di Modena sulla Ricerca delle donne, (marzo 1987), soggettività può essere considerata un po’ come la parola-chiave ”, Paola Di
Cori, Soggettività e Storia delle donne, pp. 32 e 35, in Società Italiana delle Storiche, Discutendo di storia, cit.
10
Non sto qui ovviamente a esplicitare tutte le ricche e molteplici fonti del dibattito storiografico sul Risorgimento, che, tra l’altro, a sua volta, rappresenta un capitolo a sé della Storia della Storiografia, ma vorrei indicare una
raccolta, ormai classica e abbastanza esaustiva delle posizioni, L’Italia unita. Problemi e interpretazioni storiografiche,
a cura di Romain Raniero, Marzorati, Milano 1981, dove è presente l’introvabile saggio di Franca Pieroni Bortolotti, Rassegna di storia del femminismo, pp. 287-302. Oltre alcune recenti pubblicazioni di successo, edite o riedite
proprio per il 150°:Arrigo Petacco, O Roma o morte,Arnoldo Mondadori, Milano 2011;Antonio Capranica, C’era
una volta in Italia, Sperling & Kupfer, Milano 2011; Giancarlo De Cataldo, I traditori, Einaudi,Torino 2011; Giordano
Bruno Guerri, Il sangue del Sud,Arnoldo Mondadori, Milano 2011; Denis Mack Smith, Garibaldi, (nuova ed.), Passigli,
Firenze 2011 e Lucio Villari, Bella e perduta. L’Italia del Risorgimento, Laterza, Bari-Roma 2011.
11
La trasversalità, tra l’altro, prende luce come strumento metodologico, proprio dalla Storia delle Donne, in quanto
mostra la necessità di un “riattraversamento (…) come contributo alla sessuazione del soggetto ricercante, oltre
delle categorie (…) per esempio la categoria di rete che Lucia Ferrante, Maura Palazzi e Gianna Pomata chiamano
più suggestivamente ragnatela (cfr. Ragnatele di rapporti e reti di relazione nella storia delle donne, Rosenberg & Sellier,
Torino 1988)”, Luisa Passerini, Quale memoria storica per il Movimento delle Donne in Italia, in Societa’ Italiana delle
Storiche, Discutendo di Storia, cit.; interessante è anche l’immagine del ricamo, in quanto ordito, tessuto di un eventotesto nel contesto-trama della storia, che rivela proprio nel rovescio la verità del suo farsi, nei nodi, negli ammanchi,
negli errori, nei fili spezzati del disegno:“Walter Benjamin da bambino ricamava (…) e il suo sguardo [era] catturato
dal rovescio di questo ricamo, là dove i fili mostravano un intreccio disordinato, l’indecenza del ricamo”, Alessandra
Bocchetti, L’indecente differenza (1982), in Cosa vuole una donna, La Tartaruga, Milano 1995, p. 38.
12
13
Dacia Maraini (a cura di), Donne del Risorgimento, Il Mulino, Bologna 2011.
11
o archiviata come eccezione? Evidenzia la studiosa Gianna Pomata che la storia delle donne è, da una
parte, una storia di confine14 e non solo in quanto spesso emarginata dalla storiografia ufficiale, ma,
soprattutto, perché, così posizionata, permette paradossalmente una maggiore e profonda visibilità
e, dall’altra parte, risulta essere una storia carsica15 che trova forme proprie, tutte da scovare, senza
farne mai, però, in modo riduttivo, una semplice storia particolare, ridotta magari a marginalità o chiusa e incorniciata in ritagli e, di fatto, contrapposta alla cosiddetta storia generale16. Non si tratta, però,
di rivendicarne la semplice registrazione come un’aggiunta, ma di coglierne la specificità, proprio
per questo suo carattere carsico e di confine, perché così si offre la possibilità di mostrare ciò che è
sottaciuto e di entrare in ogni piano di lettura: da quello sociale a quello economico, al piano politico.
Ora, questa modalità storica è stata resa possibile nella contemporaneità, anche grazie ai Women’s
studies17, quale uno degli esiti più fecondi del Movimento delle Donne del Novecento18. Nel senso
che, quando un tale soggetto politico entra nella storia, si apre un mondo e, rendendo possibile la
visibilità del corpo femminile, schiude scenari e nuove geografie, rinnovando le stesse modalità della
ricerca storica, attraverso, per esempio, l’uso di altre e/o nuove fonti, dai diari alle lettere, da quelle
materiali ai costumi, comprese quelle orali, testimoniali19.
Piano fattuale
Da tale risorgenza soggettiva, scrive la storica Anna Rossi-Doria20, si può delineare con chiarezza, in
14
Cfr. Gianna Pomata, La storia delle donne: una questione di confine, in “Il mondo contemporaneo”, a cura
di Nicola Tranfaglia, vol. X/2, Gli strumenti della ricerca. Questioni di metodo, La Nuova Italia, Firenze 1983,
pp. 1437-1444 e anche, Storia particolare e storia universale: in margine ad alcuni manuali di storia delle donne,
in ...Quaderni storici..., n. 2, agosto 1990, p. 341-385, perché “(…) capire la presenza/assenza effettiva del
soggetto femminile nello scenario del pensiero occidentale e l’immagine del confine permette così di cogliere, non solo storicamente ma proprio simbolicamente, la sua peculiare posizione rispetto al pensiero e
alla sua pensabilità (…), Patrizia Caporossi, Il corpo di Diotima, cit., p. 26.
“Come un fiume carsico, che scompare e ricompare in superficie, [essa] ha scompigliato le carte del linguaggio e
del sapere correnti e ancor più ha trasformato lo sguardo gettato da molte donne e uomini sulla vita e sul mondo”,
Laura Boella, Prefazione, in Patrizia Caporossi, Il corpo di Diotima, cit., p. IX, per “(…) capire quell’andamento carsico
che ora affiora e ora si inabissa”, ivi, p. 190, cfr. il concetto di intermittenza e l’espressione momenti radianti di Chiara
Zamboni, in Diotima, Approfittare dell’assenza. Punti di avvistamento sulla tradizione, Liguori, Napoli 2002.
15
16
Sulla questione storia generale e storia particolare rimando ulteriormente al contributo di Gianna
Pomata, Storia particolare e storia universale, cit.
17
Vorrei qui segnalare un utilissimo libro, di facile consultazione, per una significativa ricognizione preliminare: Gisela Bock, Storia, Storia delle Donne, Storia di Genere, Estro, Firenze 1988.
Cfr., tra le diverse produzioni, ormai edite, anche il recente volume, Maria Rosa Cutrufelli (a cura di), Il
Novecento delle Italiane. Una storia ancora da raccontare, Ed. Riuniti, Roma 2001.
18
Tanti sono i riferimenti storiografici possibili, ma, per un preliminare sguardo orientativo, indico un opuscolo, frutto dei materiali prodotti all’ormai storico incontro nazionale, tenutosi a Bologna, Fonti orali e ricerca
sociale, 8-9 ottobre 1982, fondamentale per ogni riflessione sulla metodologia della ricerca storica, Centro
di Documentazione, Ricerca e Iniziativa delle Donne, Fonti orali e politica delle donne: storia, ricerca, racconto, Q.
3, Bologna 1983 e gli studi di Luisa Passerini, tra i quali, in particolare, Storia orale, Rosenberg & Sellier, Torino
1978; Autoritratto di gruppo, Giunti, Firenze 1988 e Storie di donne e femministe, Rosenberg & Sellier,Torino 1991.
19
Cfr. Anna Rossi-Doria, (a cura di), Dal Risorgimento alla Repubblica, Firenze 1986; Anna Rossi-Doria, Il
primo femminismo, Unicopli, Milano 1997; Anna Rossi-Doria, (a cura di), A che punto è la storia delle donne
20
12
senso politico, la parabola di un lungo risorgimento delle donne: dal settembre 1791 al giugno 1946,
passando attraverso l’epopea della Resistenza, vissuta come il secondo Risorgimento21, di cui è di
fatto esito ricostitutivo. E’ una datazione ben precisa che segna di sé la stessa modernità occidentale, espressa anche con la nozione privato/pubblico22: dalla Dichiarazione dei Diritti della Donna e della
Cittadina di Olympe de Gouges23 al voto delle donne italiane. Il Risorgimento segna in Italia così quel
passaggio e quel nodo politico, formativo dell’habitus nazionale, di cui poi la Resistenza24 al Nazifascismo esprimerà, appunto, una nuova rinascita in tutti i sensi. Per questo le azioni, gli atti, le prese
di posizione assumono un grande valore simbolico proprio sulla linea della modernità costituente.
Dai cahiers de doleances ai salotti, ai circoli femminili e ai primi Comitati pro voto25: una storia fitta
in Italia, Roma 2003.
“Dal primo al secondo Risorgimento ovvero il seguente problema, storiografico e politico insieme, come
si pose subito dopo il ‘45: la Resistenza era stata davvero il compimento di una rivoluzione risorgimentale
incompleta, realizzata solo istituzionalmente con un’unità politica e amministrativa accentrata in Roma
capitale, ma non strutturalmente, né come integrazione sociale né come equilibrio dei tempi e modi di
sviluppo? Interrogativo, questo, che a sua volta ne comportava altri due, essi pure di natura sia storiografica
che politica: era stato davvero il Risorgimento quella rivoluzione mancata, nel senso di mancata riforma
agraria, di estraneità delle masse popolari e in particolare delle contadine, di irrisolta, anzi tendenzialmente
accentuata divaricazione fra Nord e Sud?”, Umberto Carpi, Dal Primo al Secondo Risorgimento, in www.anpi.it.
21
“(…) Il compiersi del paradigma relazionale che ha nella persona umana il principio epistemologico per
una soggettività concreta come perno di convergenza del sé, superando la separatezza delle sfere privato/
pubblico (…)” in Patrizia Caporossi, Il corpo di Diotima, cit., p. 216.
22
Cahiers de doléances. Donne e Rivoluzione francese, introduzione di Paule-Marie Duhet, La Luna, Palermo
1989, pp. 120-137.
23
“Secondo il CNL-Alta Italia le donne aderenti alla Resistenza furono: 75.000 appartenenti ai Gruppi di
Difesa, 35.000 partigiane, 4563 tra arrestate torturate e condannate, 623 fucilate e cadute, 2750 deportate,
512 Commissarie di guerra, 15 decorate con Medaglia d’Oro. Se si pensa che il numero complessivo dei
partigiani è valutato in circa 200.000 persone, si può vedere che le donne rappresentarono circa il 20%
di essi, ma la percentuale è assai più alta fra i fiancheggiatori del movimento [come le stesse staffette]”,
Valentina Piattelli, Storia dell’emancipazione femminile in Italia, in www.storiaXXIsecolo.it.
24
“(…) Nell’Italia unita le donne vennero escluse dal godimento dei diritti politici. Nel 1866 la contessa di Belgioioso, patriota e letterata, scriveva in proposito: quelle poche voci femminili che si innalzano chiedendo dagli uomini
il riconoscimento formale delle loro uguaglianza formale, hanno più avversa la maggior parte delle donne che degli uomini
stessi. [...] Le donne che ambiscono a un nuovo ordine di cose, debbono armarsi di pazienza e abnegazione, contentarsi
di preparare il suolo, seminarlo, ma non pretendere di raccoglierne le messi. Infatti, la Camera dei Deputati del Regno
d’Italia respinse la proposta (…) volta a modificare la legge elettorale che escludeva dal voto politico e amministrativo le donne al pari degli analfabeti, interdetti, detenuti in espiazione di pena e falliti e a concedere quindi alle
donne tutti i diritti riconosciuti ai cittadini. Dopo la bocciatura delle legge, Mazzini scrisse: l’emancipazione della
donna sancirebbe una grande verità base a tutte le altre, l’unità del genere umano e assocerebbe nella ricerca del vero
e del progresso comune una somma di facoltà e di forze, isterilite da quella inferiorità che dimezza l’anima. Ma sperare
di ottenerla alla Camera come è costituita e sotto l’istituzione che regge l’Italia [la monarchia] è come se i primi cristiani
avessero sperato di ottenere dal paganesimo l’inaugurazione del monoteismo e l’abolizione della schiavitù. Nonostante
Anna Maria Mozzoni avesse fondato nel 1879 una Lega promotrice degli interessi femminili, che si batteva per il
diritto di voto alle donne (…), [mentre] sul versante dei diritti civili e politici, (…) l’Associazione nazionale per la
donna a Roma nel 1897, l’Unione femminile nazionale a Milano nel 1899 e nel 1903 il Consiglio nazionale delle
donne italiane. Nel 1881 Anna Maria Mozzoni tenne un’accorata perorazione del suffragio femminile (il Comizio
25
13
che dilaga come una piena imprevista. L’invisibilità ufficiale è proprio nel non riconoscimento,
delineando tutt’al più stereotipi (dalle filantrope alle artiste) che fanno scomparire, di fatto, nei
documenti scritti, l’agire femminile. Il percorso emancipazionista (prima di sfociare nel processo
di liberazione del secondo Novecento) passa attraverso le carbonare (dette “le giardiniere”26), le
mazziniane, le garibaldine attraverso azioni individuali, spesso quest’ultime accanto alle imprese degli
eroi27, ma anche attraverso azioni collettive, più proprie e autonome (dai comitati ai battaglioni
femminili, alle scuole di mutuo soccorso)28. Una divisione dei ruoli, spesso perpetuata come naturale, che mostra, però, la condizione storica della donna: dal diritto di famiglia patriarcale, ribadito
dei Comizi): se temeste che il suffragio alle donne spingesse a corsa vertiginosa il carro del progresso sulla via delle
riforme sociali, calmatevi! Vi è chi provvede freni efficace: vi è il Quirinale, il Vaticano, Montecitorio e Palazzo Madama, vi è
il pergamo e il confessionale, il catechismo nelle scuole e ... la democrazia opportunista! E, infatti, tutti i progetti di legge
per garantire il voto alle donne, o meglio ad alcune categorie di donne, venivano regolarmente bocciati. (…).
[Solo] nel febbraio del 1945, su proposta di Togliatti e De Gasperi venne infine concesso il voto alle donne”,
Valentina Piattelli, Storia dell’emancipazione femminile in Italia, cit. (il neretto è mio).
“(…) Furono la versione femminile della Carboneria e nacquero intorno agli anni dei primi moti rivoluzionari a Milano e a Napoli. Sono attive fin dal 1821, anche se le prime attività risalgono effettivamente al 1816.
Si chiamarono Giardiniere per la loro abitudine di riunirsi nei giardini e nelle aiuole. Furono, al pari della società
segreta dei carbonari, donne di origine borghese e animate da forti sentimenti romantici: animate dalla lotta
contro gli austriaci, molte di loro furono anche incarcerate. Due furono i gradi di affiliazione della società
segreta delle Giardiniere: apprendista e maestra. In seguito venne introdotto il titolo di Sublime Maestra. Le
Giardiniere erano note all’epoca per portare un pugnale infilato nella giarrettiera. Furono donne senza le quali
l’Unità d’Italia non si sarebbe realizzata. Il loro contributo a questa causa va esaltato e sottolineato. Il loro scopo infatti era l’insegnare, il persuadere ai suoi membri che l’Uomo non è soggetto ad alcun principio di Religione o di
morale, ma che deve seguire solo le leggi della sua natura.Tra le più autorevoli esponenti di questa loggia vi furono:
Bianca Milesi Moyon, Maria Gambarana Frecavalli, Matilde Viscontini Dembowski, Teresa Casati Confalonieri.
Il segno di riconoscimento era quello di disegnare un semicerchio sulla mano toccandosi la spalla sinistra, poi
quella destra e infine battendo tre colpi sul cuore”, in www.ilsitodelledonne.it.
26
27
Mi fa piacere ricordare che, per la celebrazione dei 150 anni dell’Unità di Italia, la scrittrice Dacia Maraini ha
scritto e prodotto un’opera teatrale, commissionata da Altera Actione di Roma, con l’attrice Simona Marchini e
la regia di Giorgio Treves, sulla figura di Enrichetta Pisacane, della cui vicenda personale si sa poco e che è stata
così ricostruita e documentata: “Enrichetta di Lorenzo, aristocratica napoletana da sempre innamorata (e corrisposta) del giovane ufficiale Carlo Pisacane, fu costretta al matrimonio con un vecchio marchese napoletano.
Ebbe tre figli da questo matrimonio e, nonostante questi legami, decise con estremo coraggio di seguire Carlo
Pisacane nella sua straordinaria avventura di patriota rivoluzionario. Fu donna raffinata intelligente e coraggiosa,
morì in povertà. Garibaldi con decreto fece assegnare una pensione di 60 ducati alla piccola Silvia nata dall’unione tra Carlo Pisacane ed Enrichetta. Uscito dal carcere, Giovanni Nicotera, adotterà la bambina, come aveva
promesso a Pisacane poche ore prima del suo suicidio. Enrichetta morirà nel 1871 e la figlia Silvia nel 1888” e
“(…) Enrichetta non si pentirà mai di questa scelta nonostante la nostalgia per i suoi bambini, la grande indigenza,
la vita da esuli e la fine tragica e prematura di Carlo. Un amore totale, il loro e una profonda unità d’intenti e di
ideali patriottici, sono le basi di questa grande storia d’amore. Enrichetta, infatti, non solo abbraccerà gli ideali rivoluzionari di Carlo ma si impegnerà in prima linea come infermiera e staffetta durante la difesa della Repubblica
Romana. Degli ultimi anni di Enrichetta - chiosa Dacia Maraini - sappiamo poco. La sua sorte era talmente legata a quella di Carlo che, una volta morto lui, di lei non si occupa più nessuno”, in www.url.it/donnestoria/testi/trame/doc.htm.
28
Per i riferimenti a donne anconetane, cfr. Luciana Montanari, Donne anconitane nel Risorgimento, in Marta
Novelli (a cura di), I nomi del Risorgimento. Toponomastica di ispirazione risorgimentale in Ancona, Laboratorio
Culturale, affinità elettive, Ancona 2011, pp. 50-60.
14
dal Codice napoleonico (bisognerà in Italia aspettare il 1975 per il nuovo diritto di famiglia) a
una certa mistica della femminilità, essenzialmente di servizio, come poi Mussolini riprenderà con
le sue famose tre “M” (M come quella del Duce): Moglie Madre Massaia29. In realtà, la rottura
si compie e da quel crinale le donne non solo emergono e si mostrano nella modernità, ma la
segnano con la propria coscienza di sé, avviandone il cammino e lanciando così un testimone che
arriva fino ai giorni nostri rispetto proprio alla dignità della donna in quanto persona30. Da qui si
può, allora, (ri)avviare la narrazione storica con nomi e cognomi31, dove il corpo dell’umanità tutta
entra nella storia e quello delle donne, non previsto, spesso la (s)travolge, dando voce al silente,
appunto e sostanza al sottaciuto. Ciò determina un ethos, un habitus, nel costume storico, capace
di (ri)apprendere anche la lezione della responsabilità individuale e collettiva nella (ri)costruzione
del Sé e dell’appartenenza epocale. D’altronde, il vivere umano è prenderne quasi atto e, di fatto,
essere testimoni32 nel passaggio esistenziale, come essere un tramite, che si compie con noi e
anche (pur) malgrado noi. Tale compito s’impone alla coscienza-di-sé e della specie33.
Piano archeologico
L’operazione storica necessaria è, allora, quella relativa a una sorta di “archeologia del sapere”34,
Cfr. AA.VV., Piccole Italiane, Anabasi, Milano 1994; Stefania Bartoloni, Le donne sotto il fascismo, in “Memoria”, Rosenberg & Sellier, n.10, pp. 124-132 e La donna, in Marisa Saracinelli, Nilde Totti, L’Italia del Duce,
Panozzo, Rimini 1983, pp. 117-146.
29
Vale la pena segnalare l’attualità recente che ha visto le donne italiane ancora prendere posizione e
scendere in piazza per manifestare la propria dignità, come è avvenuto il 13 febbraio di quest’anno (2011)
sotto l’egida del “SE NON ORA QUANDO? (SNOQ), parafrasando e facendo proprie le pregnanti parole
di Primo Levi (Se non ora, quando?, romanzo del 1982).
30
Non è solo un modo di dire, legato soprattutto a indicare i soggetti in causa, ma proprio una necessaria
e consequenziale esplicitazione metodologica, come in questo mio contributo (e in tutti i miei scritti),
volutamente e per scelta, gli/le autori sono indicati intanto con il proprio nome e cognome per intero (la
prassi editoriale di solito appunta soltanto il nome, accanto al cognome per esteso, non rendendo così
subito evidente l’appartenenza di genere, almeno nominale, che subisce un momentaneo occultamento).
Già questo produce una rivisitazione archeologica.
31
C’è un richiamo interessante sul piano del significato, nel rimando etimologico e semantico, che lega la parola
testimonianza al senso della tradizione (dal lat. traditio, onis che marca il nome d’azione del verbo tradere, nel senso
proprio di consegna nel tempo), termine, quest’ultimo, che rimanda al tradire (dal lat. tradere, appunto, che ha il carattere di consegnare, influenzato dalla tradizione evangelica nella quale Gesù è consegnato, cioè tradito da Giuda) e,
a catena, rinvia sia al tradurre (dal lat. traducere, trasportare, condurre e, anche, trasporre) sia al trasmettere (dal lat.
trasmittere, trans e mittere), in quanto ambedue offrono contributi o meglio versioni (dal lat. medv., versio, onis, nome
d’azione di vertere, volgere, portare verso) e così via; per lo specifico femminile, rimando al (mio) cap. 3, Fare tradizione femminile, della parte seconda, La soggettività femminile, in Patrizia Caporossi, Il corpo di Diotima, cit., pp. 171-198.
32
33
Per quanto riguarda la coscienza di specie, rimando all’irrinunciabile testo di Gregory Bateson, Verso
un’ecologia della mente, Adelphi, Milano 1989.
Michel Foucault, L’archeologia del sapere, tr. it. di Giovanni Bogliolo, Rizzoli, Milano 1994. Nell’introduzione, Foucault osserva che, a poco a poco, nel lavoro degli storici si è realizzato uno spostamento dell’attenzione: dalla ricerca delle vaste unità, che si descrivevano come epoche o secoli, verso i fenomeni di rottura.
Introduce così il concetto di discontinuità, capace di smontare la complessità stessa, in cui le vicende sono
inserite e, spesso, schiacciate, non registrate da un rigido paradigma epistemologico. Il grande problema, che
si apre in ogni analisi, non è più quello di rintracciare una tradizione compatta, un unico disegno sottesi alla
34
15
tenendo presente che l’approccio archeologico scopre ciò che c’è, perché in effetti tutto c’è e da
sempre. Tanto che, in questo caso, è veramente impossibile nascondere la presenza femminile, che
assume subito un valore anche simbolico per sé e per la società che si compie nel dirsi e nel nominarsi: un’invisibilità che scopre una sorta di giacenza, quasi paradossalmente, fitta fitta e densa densa
di attività e di partecipazione. Nella contemporaneità dei fatti risorgimentali era ovvio che uomini
e donne ci fossero, ma il racconto ufficiale ha reso quest’ultime mute e opache: una procedura
storiografica oggettivata e neutralizzante, mai discussa. E, allora, scavare induce proprio a vedere per
capirne essenzialmente le radici, motivanti tale presunta normalizzazione. Certo, sono emerse per
tutto un periodo solo le biografie femminili tipiche dell’800 di eroine, filantrope, artiste sull’ottica
degli stereotipi classici alla Plutarco35, per quelle virtù muliebri e materne. Nei documenti di storia
politica l’agire femminile scompare, perché, quando c’è, l’azione individuale si posiziona di fatto solo
accanto ai protagonisti, come le mazziniane o le garibaldine, di cui Anita Garibaldi diventa l’emblema
dell’eroica devozione, tanto da essersi guadagnata un busto a Roma, al Gianicolo36, accanto ai sommi
busti testimoniali e così eternati.Alcune volte per esserci, nella storia degli eventi, hanno vestito abiti
maschili, camuffandosi necessariamente come se l’appartenenza al proprio sesso fosse un limite o
un difetto all’azione diretta, all’impresa combattente. Quando, invece, l’azione non è l’atto eroico
in sé e per sé, ma la costruzione vitale del (futuro) tessuto sociale, le donne si mettono insieme, si
fanno collettive, dando vita a riviste, a Comitati di sole donne, come nel 1848, a Napoli, il Battaglione
femminile37 o nel 1857 il Comitato mazziniano di Antonietta De Pace38. Le donne aprono anche
scuole, come quella di Mutuo Insegnamento, Il Conciliatore, fondata, negli anni ’20, da Bianca Milesi,
che Carlo Cattaneo chiamava “l’emancipata”39. Si delineano e si ritrovano così sempre due percorsi
molteplicità degli eventi, ...ma quello della frattura e del limite, non più quello del fondamento che si perpetua, ma quello delle trasformazioni che valgono come fondazione e rinnovamento delle fondazioni”, ivi, p. 8.
Mulierum Virtutes di Plutarco, ma penso alla portata delle Vite Parallele (biografie di uomini celebri, raccolte in coppie per mostrare e dimostrare vizi o virtù morali di tutta un’epoca).
35
Sul colle del Gianicolo, a Roma, sono (state) collocate, fin dai tempi della Repubblica Romana (dal 28
maggio 1848) numerosi busti raffiguranti patrioti italiani e stranieri che, durante il Risorgimento, hanno
combattuto con le armi o manifestato con la parola e con gesti emblematici per l’unificazione italiana.
36
37
“Siamo nel 1848 e a Napoli il giornale, Un Comitato di Donne, promuove la creazione di un comitato per
la costituzione di un battaglione femminile”, Bruna Bertani, Donne e Risorgimento: una storia taciuta, Minerva,
Roma 2010, cfr. in www.minervariviste.it.
...(…) A Napoli nel 1857 nasce il Comitato Politico Mazziniano Femminile per stabilire i contatti tra i
prigionieri politici nelle carceri borboniche e il Comitato Mazziniano Genovese. Se ne occupa quella Antonietta De Pace che aveva già creato importanti collegamenti tra patrioti di Puglia e Campania, aveva preso
parte ai moti del ‘48, finendo in carcere e nel 1860, sarebbe entrata trionfante a Napoli a fianco di Garibaldi.
Lei come altre, dopo le barricate si dedicò alla formazione dei giovani e alla diffusione dell’istruzione tra le
donne”, Bruna Bertani, Donne e Risorgimento, cit..
38
“Già, negli anni 20 del secolo XIX, l’emancipata Bianca, come la chiamò Cattaneo, quella Bianca Milesi, che
Manzoni definì madre della patria, mostrava di cosa fossero capaci le donne. Legata al gruppo di pensatori
patrioti riuniti intorno a Il Conciliatore, la voce più forte del dissenso politico in quel momento, era vicina
ai Pellico, ai Confalonieri, ai Maroncelli, ai Berchet. Lei pittrice, allieva di Francesco Hayez, sarà la ritrattista
di molti tra i protagonisti del Risorgimento. Avvicinatasi alle idee di Mazzini, Bianca organizza l’accoglienza
degli esuli lombardi a Genova e con Confalonieri lavora alla creazione di scuole di mutuo insegnamento
per promuovere una unità culturale su cui fondare l’idea di patria. Alla Milesi tocca poi in sorte l’esilio in
39
16
di genere, quasi distinti e separati: per gli uomini, il piano politico ed economico, come luogo della
decisione e del governo; per le donne, quello sociale e culturale come sovrastrutturale e complementare. D’altronde, la condizione giuridica della donna è ancora e solo (de)scritta dal potere
maschile con una prospettiva che parte, appunto, dal Codice Napoleonico (1804) per arrivare con
un forte segno di autodeterminazione, in Italia, al Nuovo Diritto di Famiglia (1975), senza segnare
ancora la fine del percorso, non solo e non tanto, di riconoscimento paritario (all’altro sesso), ma di
affermazione della differenza identitaria sessuale. In questo senso, la storia e il pensiero delle donne
hanno di fatto in sé sempre il seme della contemporaneità, perché la questione identitaria sessuale
o meglio la differenza sessuale40 è, di fatto, una “contraddizione contemporanea”41, che permette di
cogliere le condizioni di vita, in ogni tempo storico e di darne conto e non tanto come parzialità,
bensì di gettare luce, come un grand’angolo, sul mai visto o trascurato e, troppo spesso, demandato
a riduzioni o ritagli e, di fatto, a marginalità. Questa sorta di archeologia del sapere scava nel passato e
trova il presente, come nella presa presente ritrova i segni e gli esiti del passato. E’, in fondo, questa
la lezione della storia e di ogni storia. Perché mai nulla è compiuto del tutto, pur corroborato dalla
validità di ogni percorso metodologico che (solo) permette di giungere a qualche meta, senza fermarsi (mai) in modo ultimativo. D’altronde, l’attualità è qualcosa che (ci) urge addosso, premendo
sul (nostro) codificato presente e come tale può veramente (s)travolgere, se, appunto, si carica di
imprevisto tanto da poter modificare di fatto il panorama o meglio la visione complessiva: apre
squarci, determina crolli, riempiendo anche di macerie42 lo scenario, ma stimolandone nuove vedute,
alla ricerca di nuove domande per inedite risposte a (quelle) questioni aperte, di cui la storiografia
non può non nutrirsi.Tale cogenza rafforza la ricerca, l’interpretazione e ogni dibattito storiografico.
Essere stratificati è quasi una pertinenza dell’umanità per una memoria mai conclusiva e (de)finitiva
del tutto, che mantiene in sé, in fondo, unicamente resti umani43, verso, però, orizzonti su cui può
stagliarsi allora il futuro, progressivo e in avanti, soltanto e intanto, per questa consapevolezza storica. In fondo, le vicende individuali, (tutte), illuminano sempre ogni fatto da poter assumere forse solo
così il proprio spessore reale, mostrandone il senso e la verità iscritta (in sé).
Prof.ssa Patrizia Caporossi
Francia”, Bruna Bertani, Donne e Risorgimento, cit..
Si rimandano in prevalenza agli scritti della filosofa, Luce Irigaray (in particolare, Etica della differenza
sessuale, tradotto da Luisa Muraro e Antonella Leoni, Feltrinelli, Milano 1985).
40
41
Laura Boella, La non-contemporaneità, in “aut-aut”, n. 271-272/1996, p. 12; cfr. anche, Introduzione, in PatriCaporossi, Il corpo di Diotima, cit., p. 7 (in particolare, la n. 6).
zia
“C’è un quadro di Klee che s’intitola Angelus Novus.Vi si trova un angelo che sembra in atto di allontanarsi
da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese. L’angelo della storia
deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola
catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi,
destare i morti e ricomporre l’infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso, che si è impigliata nelle sue ali
ed è così forte che egli non può più chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui
volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo progresso, è questa
tempesta.”, Walter Benjamin, Angelus Novus, a cura di Renato Solmi, Einaudi, Torino 1995, n. 9, p. 80.
42
43
“Il buon storico somiglia all’orco della fiaba: là dove fiuta carne umana, là è la sua preda”, Marc Bloch in Giovanni
De Luna, La passione e la ragione. Fonti e metodi dello storico contemporaneo, La Nuova Italia, Milano 2001, p. 111.
17
Le donne di Ancona all’indomani dell’Unità d’Italia
Primi risultati dai registri generali di popolazione (1861-1885)
Pamela Galeazzi e Giovanna Giubbini
Ciò che qui si propone non ha in alcun modo la pretesa di essere una rilevazione esaustiva
dello stato della popolazione, in particolar modo femminile, della città di Ancona all’indomani
della creazione dello stato unitario; si vogliono invece dare i primi risultati di uno studio demografico iniziato sui censimenti della popolazione anconitana inerenti il 1861.
Prima di procedere si vuole, però, definire brevemente di che cosa si occupa la demografia storica.
Tale disciplina è una branca delle scienze demografiche rivolta allo studio, prevalentemente di
tipo quantitativo, delle popolazioni del passato. In Italia la cesura provocata dall’unificazione
nazionale del 1861, anche in termini di formazione delle fonti demografiche, fa sì che comunemente si pensi alla demografia storica come a quella disciplina che tratta dell’evoluzione delle
popolazioni in epoca preunitaria, ma la demografia, che studia l’evoluzione delle popolazioni
umane nel corso del tempo, è necessariamente legata alla lunga durata. Infatti i tempi delle
vicende demografiche sono tempi lunghi e quindi la distinzione tra una demografia che studia il
presente e una demografia storica che studia il passato, anche se è accettabile sul piano didattico e su quello descrittivo, non comporta però una radicale diversità di contenuti.
Gli obbiettivi più rilevanti della demografia storica (descrizione e spiegazione delle grandi tendenze
demografiche, interpretazione dei meccanismi che sottostanno alla riproduzione delle popolazioni)
pongono in realtà questa disciplina in una posizione di confine tra ricerca demografica e ricerca
storica. Alcuni studiosi (soprattutto quelli di scuola francese) collegano la nascita della demografia
storica o quanto meno il suo sviluppo come disciplina autonoma, con l’impiego di una nuova tecnica che presuppone l’utilizzazione nominativa delle fonti storico-demografiche; tale tecnica, pur
avendo vari antecedenti, fu perfezionata da Louis Henry negli anni Cinquanta del Novecento: in
precedenza, infatti, gli studiosi delle popolazioni del passato, interessati a costruire le basi quantitative dell’evoluzione storica, avevano utilizzato le fonti storico-demografiche prevalentemente in
forma aggregata, per analizzare le dimensioni, la struttura, la distribuzione territoriale della popolazione, scelta spesso dovuta al fatto che l’incompletezza e l’imprecisione delle fonti limita la possibilità
di analizzare le vicende demografiche del passato utilizzando le abituali tecniche della demografia.
Almeno sino alla fine del XVIII secolo le informazioni di base sullo stato e sul movimento della
popolazione sono fornite dalle registrazioni parrocchiali (battesimi, sepolture, matrimoni, stati
delle anime). L’idea di utilizzare queste fonti in forma nominativa nacque contemporaneamente,
in Francia, nell’ambito della ricerca storica e di quella demografica: gli interrogativi posti dagli
storici (tra questi si ricordano Jean Meuvret e Pierre Goubert) riguardavano essenzialmente i
legami tra crisi agrarie e crisi demografiche.
I demografi erano invece interessati a studiare il processo di diminuzione della fecondità, e
dunque a misurare con precisione il suo livello anche in periodi storici nei quali le fonti, utilizzate in forma aggregata, non consentivano misure specifiche dei fenomeni demografici. Negli
ultimi decenni del Novecento all’interesse per l’evoluzione generale delle popolazioni è venuta
ad aggiungersi, sia da parte degli storici che dei demografi, una spiccata propensione per l’analisi
dei comportamenti dei singoli individui e dei nuclei familiari e per la variabilità delle vicende
individuali in campo demografico, l’analisi di tali comportamenti, di grande rilevanza dal punto
di vista della storia sociale, non può essere fatta attraverso le vie tradizionali ma richiede una
18
minuziosa analisi, resa possibile dalle tecniche nominative1.
In occasione delle celebrazioni per il 150 dell’Unità d’Italia, la Commissione speciale delle donne elette nel Consiglio e per le pari opportunità tra uomo e donna della provincia di Ancona,
ha voluto dedicare una serie di incontri a quello che è stato definito il “Risorgimento silente”,
volgendo perciò l’attenzione a quella fetta di popolazione costituita dalle donne, che tanto ha
fatto per l’unificazione del nostro paese, ma che quasi mai, esclusi rari casi (si pensi a Cristina di
Belgioioso o alle donne che si trovarono a combattere sui campi di battaglia, spesso seguendo
i propri compagni), viene ricordata; donne che per l’appunto rimangono silenti e che in silenzio
hanno contribuito alla costruzione del nuovo Stato.
La popolazione femminile della città di Ancona che emerge dai censimenti costituisce una
piccola parte di queste donne: alcune lavorano, altre appartengono alla nobiltà cittadina, altre
ancora alla borghesia il cui ruolo nella seconda metà del secolo XIX sta crescendo in tutto il
territorio nazionale.
Per vedere come la situazione di queste donne sia evoluta rispetto all’epoca precedente e
quindi osservare se sono maggiormente istruite o in quali settori svolgano prevalentemente la
loro attività lavorativa sono stati analizzati i registri della popolazione della città di Ancona distribuita per parrocchie2. Si sono scelte, perciò, tre circoscrizioni territoriali localizzate dentro
le mura della città di Ancona, nelle quali fosse rappresentata la più ampia tipologia di popolazione: la parrocchia di Sant’Egidio in San Domenico, che tradizionalmente raccoglieva la nobiltà
e l’alta borghesia della città, la parrocchia di Santa Maria e San Rocco (oggi Santa Maria della
Piazza) dove era, invece, maggiormente rappresentato il ceto mercantile e la medio-piccola
borghesia e in ultimo la parrocchia del Santissimo Crocifisso nella quale, invece, era maggiore,
la presenza di lavoratori della classi medio basse.
Per ogni parrocchia è stato scelto un registro del quale è stata fatta un’analisi dettagliata con
lo scopo di estrapolare in primo luogo i dati inerenti la scolarizzazione, il tipo di attività svolta
ed il grado di istruzione. Si è proceduto, perciò, con la comparazione della popolazione divisa
in uomini e donne e per ciascuna categoria si sono censiti gli scolarizzati, il settore lavorativo
(se primario, secondario o terziario, ciascuno ulteriormente suddiviso nelle diverse professioni
che vi afferiscono) ed il grado di istruzione.
Si riporta di seguito un esempio di tabella usata per la raccolta dei dati: 3
Uomini
Donne
Scolarizzati3
Non scolarizzati
Non riportato
Scolarizzate
Non scolarizzate
Non riportato
1
M. Fleury, L. Henry, Nouveau manuel de dépouillement et d’exploitation de l’état civil ancien, Parigi 1976; L. Del
Panta, R. Rettaroli, Introduzione alla demografia storica, Roma-Bari 1994.
In questo contesto il termine va inteso nella sua accezione di circoscrizione territoriale in cui è suddivisa
una diocesi (Cfr. S. Battaglia, Grande dizionario della lingua italiana, XII, Torino 1984, p. 640, alla voce).
2
3
Si intenda persone che sanno leggere e scrivere e a volte solo leggere.
19
Primario
Agricoltura
Allevamento
Pesca
Primario
Agricoltura
Allevamento
Pesca
Secondario
Manifatture
Artigiani4
Costruzioni
Secondario
Manifatture
Artigiani
Terziario
Commercianti5
Professionisti
Istruzione
Culto
Sanità
Servizi alla persona
Sicurezza e militari
Possidenti
Pubblica Amministrazione
Impiegati privati
Trasporti6
Igiene
Altro
Terziario
Commercianti
Professionisti
Istruzione
Culto
Sanità
Servizi alla persona
Sicurezza e militari
Possidenti
Pubblica Amministrazione
Impiegati privati
Trasporti
Igiene
Altro7
Sono stati poi raccolti una serie di dati aggiuntivi in merito allo stato igienico della casa (se
buono, discreto, sufficiente, mediocre o pessimo), alla presenza o meno di acqua potabile e alla
religione di appartenenza della popolazione con lo scopo di comprendere meglio e contestualizzare i dati che man mano si ricavavano dallo spoglio dei registri.
Una volta estrapolati i dati, questi sono stati letti attraverso la creazione di grafici che dessero
una lettura percentuale della popolazione. Si danno di seguito i risultati divisi per parrocchia:
4
Vi si contano fabbri, orologiai, orefici, ottonai, ferrai, falegnami.
5
Vi si contano pubblici esercizi, alimentari, generi vari, bottegai, albergatori.
6
Vi si contano facchini, vetturini, marina, capitani di mare, impiegati FS.
7
Vi si trovano giornalieri, casalinghe.
20
Si osservi come il livello di scolarizzazione sia ancora maggiore per gli uomini che per le donne,
nonostante tra queste ultime si riscontri un buon numero di alfabetizzate, soprattutto nella
parrocchia di Santa Maria e San Rocco dove maggiore è il numero di donne che svolgono mestieri che richiedono loro di saper leggere, scrivere e far di conto, meglio ancora se oltre questo
sono dotate di una certa cultura superiore necessaria nei casi in cui si gestiscano negozi di sartoria o modisterie, le quali erano considerate dalle signore che vi si servivano anche dei piccoli
salotti in cui incontrarsi e discutere, soprattutto in una città come Ancona, dove (al contrario
di quanto in questi anni accade ad esempio a Macerata) il concetto di salotto culturale nelle
case signorili non è molto diffuso.
Per quanto riguarda l’attività lavorativa, la popolazione della parrocchia di San Domenico è
impiegata soprattutto nel settore secondario e terziario come mostrano anche i grafici che si
riportano di seguito:
Si nota come le donne sono occupate in particolar modo nella manifattura (soprattutto nel
settore dei tessuti), nel commercio, di solito come detentrici di piccoli negozi di tessuti, di
ricamo o botteghe e nei servizi alla persona; quest’ultima attività, in particolar modo per la
parrocchia di Sant’Egidio, identifica tutte quelle figure che lavorano come cameriere, guardarobiere, cuoche, governanti presso le famiglie patrizie della città.
Come detto sopra, nella parrocchia di Santa Maria e San Rocco, la popolazione femminile (anche se ancora maggiormente impiegata nel settore secondario, in particolar a coprire ruoli di
tessitrici e ricamatrici o nel terziario come addette ai servizi alla persona), ricopre anche ruoli
di maggiore rilievo come detentrice di negozi di moda, di sartoria o svolgendo la professione
di albergatrice. In questa parrocchia si trovano anche i primi due esempi di donne che lavorano
nella pubblica amministrazione:
21
Alle donne fu permesso l’accesso alla pubblica amministrazione per la prima volta nel 1865,
le prime impiegate si videro negli uffici postali, ma non bisogna pensare che l’ingresso fu
consentito a tutte le donne, infatti solo le vedove, le figlie orfane e le sorelle di impiegati
dell’amministrazione poterono usufruire di questa opportunità Queste donne furono inizialmente chiamate ad espletare mansioni basilari, quali attività di piccola segreteria e gestione
minuta dei pubblici uffici, per essere successivamente assunte come dattilografe con mansioni
di maggiore responsabilità. Questo non comportò però un cambio nella mentalità comune che
voleva le donne in casa – quando possibile – o a ricoprire mansioni più idonee al loro genere,
quando le necessità familiari le chiamavano a svolgere attività altre rispetto alla cura della
famiglia (come le storiche professioni di cuoca, cameriera, cucitrice); queste donne che, nei
primi anni trascorsi dall’unificazione dello stato italiano, troviamo fuori dalle mura domestiche,
sono chiamate a coprire ruoli di piccola responsabilità, in ambienti protetti quali gli uffici dove
avevano lavorato o lavorano i loro congiunti, mai funzioni di sportello (si pensi alle prime donne
impiegate negli uffici postali) o altre che potessero metterle in contatto con il pubblico.
Se si pensa alla città di Ancona, questa presenza delle donne – seppur con un campione estremamente esiguo (dovuto in primo luogo al tipo di censimento effettuato sulle fonti) – nella
pubblica amministrazione può forse essere letto come una prima, precoce apertura della città
alla nuova realtà che si andava determinando in tutto il territorio nazionale.
La città, perciò, nel suo piccolo cerca di tenere il passo con i nuovi tempi, le sue donne, a
volte spinte dalla necessità, altre dalla volontà di cambiare la loro condizione, escono di casa
e si adoperano perché venga dato loro il diritto di parola, perché abbiano possibilità di scelta
nell’istruzione�, nelle professioni, per smettere di essere una parte silente e misconosciuta di
popolazione.
Un primo risultato si ottenne, forse, nei primi anni del XX secolo, quando alla fermata di un
tram, in attesa di salire, avremmo potuto trovare una donna che in qualità di bigliettaia, ci si
avvicinava perché potessimo acquistare il biglietto. Donne che svolgono, quindi, non solo un
mestiere fuori delle mura domestiche (in questi anni non sarebbe più stato così anomalo),
ma che hanno una professione che le mette in continuo contatto con il pubblico, senza più
la protezione costituita dagli uffici nei quali, per la prima, volta, entrarono come impiegate
all’indomani dell’Unità d’Italia.
Ed è proprio con l’immagine di questo cambiamento che si vuole chiudere questo contributo:
Bigliettaie del tram primi del Novecento (collezione privata), in Il profumo della città. Guida
sentimentale di Ancona: i colori, la gente, i caratteri, l’urbanistica, Ancona 2009
Ciriaco Feroso (pseudonimo di Michele Moroni), Guida di Ancona e dei suoi dintorni, Ancona 1884, in Il profumo della città. Guida sentimentale di Ancona: i colori, la gente, i caratteri,
l’urbanistica, Ancona 2009
Pamela Galeazzi e Giovanna Giubbini
Archivio di Stato di Ancona
22
Le donne di casa Fazioli
In occasione del convegno “Le Donne e il Risorgimento silente”
ANCONA – Rettorato dell’Università Politecnica delle Marche
28 Febbraio 2011
Buona sera. Saluto tutte le Autorità, gli amici ed il pubblico presente e rivolgo un particolare
ringraziamento per il privilegio e l’onore di essere qui oggi, in questo prestigioso convegno, a
descrivervi le figure femminili della famiglia Fazioli che hanno vissuto e, in qualche modo sono
state anche protagoniste, in un periodo esaltante come quello del Risorgimento.
Mi scuserete per l’emozione, dovuta in parte al dover parlare in pubblico, ma soprattutto al
particolare affetto che mi lega a queste antenate della famiglia di mio marito Giancarlo1.
Le donne di casa Fazioli vissute a quel tempo, sono legate direttamente alla principale figura
maschile della famiglia: Michele Fazioli2, che fu poi Gonfaloniere della città e primo Sindaco di
Ancona appena annessa al Regno d’Italia. Sono sicura che tutti ne conoscete le gesta, ma non
sono qui per parlarvi di lui.
Vorrei parlarvi invece della madre di Michele e di Andrea, Teresa3, che deve aver avuto il suo
bel da fare per tener dietro ai due figli che, fin da giovanissimi, parteciparono attivamente
alla vita politica della città. Vorrei parlarvi delle tre sorelle, Anna Maria, Clementina ed Amalia,
che vivevano nel Palazzo di famiglia sul Guasco, poi purtroppo distrutto dai bombardamenti
dell’ultima guerra, proprio accanto alla Chiesa del Gesù.
Come tutte le signorine di buona famiglia, dividevano il loro tempo tra lo studio, l’educazione
e la partecipazione alle opere di beneficienza. Anna Maria, in particolare, si dilettava di poesia:
a casa ne conserviamo ancora alcune che, anche se non eccelse dal punto di vista letterario,
sono tuttavia dolci e piacevoli.
Naturalmente, non venivano trascurate le amicizie. E, tra queste, c’era anche quella con tre
sorelle inglesi, trasferitesi da poco in Ancona perché il padre, William Coomber, era stato
nominato Console Generale d’Inghilterra presso la nostra città. Come d’abitudine dei Consoli
Inglesi, era andato ad abitare a Palazzo Ferretti, dove oggi è il Museo Nazionale delle Marche,
proprio di fronte al palazzo Fazioli. Un caso della vita, certo, ma forse un segno del destino,
perché la frequentazione divenne sempre più assidua, specie quella di una di esse, che diventerà
poi la degna consorte di Michele: Ann Mahoyle Coomber, che credo sia stata una figura importante
e, per alcuni versi, anche singolare, non solo per la famiglia, ma per la comunità cittadina.
Le donne di Ancona dell’epoca, infatti, erano ben presenti nella vita civica: riunite nell’Associazione
Donne Anconitane, sostenevano soprattutto le Opere assistenziali, ma erano già presenti nella
vita politica, come quando, nel 1849, fecero dono di tre bandiere alla Guardia Civica che, al
comando del Conte Alessandro Malaccari, dirigeva per Rieti.
Nella dedica, nella quale già si parla di Italia, ma soprattutto nel ringraziamento del Gonfaloniere,
1
Giancarlo FAZIOLI (30.4.1927 – 30.3.1995)
Michele FAZIOLI (19.8.1919 – 13.4.1904) Gonfaloniere di Ancona (1855 – 1859), fu condannato a morte
a seguito dei fatti del giugno 1859 e costretto all’esilio. Rientrato al seguito dell’esercito Piemontese, fu
nominato Sindaco di Ancona per tre mandati consecutivi (1861 – 1867).
2
Teresa CENTINELLI (1795 – 1865) è la sposa di Gaspare Pietro (1785 – 1855). Dalla loro unione nasceranno Michele, Andrea, Anna Maria, Clementina ed Amalia.
3
23
il Conte Filippo Camerata, risalta l’importante ruolo rivestito dalle donne della città, sempre al
fianco dei propri uomini, non solo con il pensiero, ma soprattutto con l’esempio.
Alla realizzazione parteciparono numerose le donne di Ancona, chi come ricamatrice
delle Bandiere, chi delle decorazioni o delle tracolle, chi semplicemente contribuendo
economicamente.
Grati, Mancinforte, Orsi, Gagliardi, Bonarelli, Bosdari, Schelini….. sono solo alcuni dei nomi
che compaiono nell’elenco. E sono lieta di offrire all’Assessore alle Pari Opportunità una copia
dell’opuscolo commemorativo realizzato all’epoca, ritrovato tra le carte di famiglia, in modo
che tutti possano vederlo e, magari, scoprire di avere avuto un’antenata tra le donne anconitane
che hanno realizzato una piccola opera dal grande significato.
Durante l’assedio di Ancona del 1849, di nuovo le donne di Ancona sono tra i combattenti a
prestar servizio come infermiere. Ancora un segno tangibile di una presenza costante al fianco
dei propri uomini.
Con lo stesso spirito, negli anni successivi, ritroviamo Anna Coomber che, in effetti, anconetana
non lo era affatto e neanche italiana. Ma era animata dal ben noto spirito liberale degli Inglesi,
che probabilmente ha influenzato anche le convinzioni del marito, ma che era sicuramente
combinato con un profondo sentimento patriottico.
Gli avvenimenti tumultuosi di quegli anni la videro sempre a fianco del marito, nel frattempo a
sua volta nominato Gonfaloniere, senza risparmio di energie, non solo nel promuovere opere
caritatevoli ed assistenziali che le meritarono la carica di Ispettrice degli Esposti, ma anche
intervenendo personalmente, come durante le epidemie di colera del 1855 e del 1865, quando
aprì la propria casa per accogliere i bisognosi, distribuendo soccorsi, consigli, vestiti, cibo e
anche denaro.
Era, soprattutto, una donna di spirito. Uno degli aneddoti familiari4 racconta, ad esempio,
che Anna Coomber, ospite d’onore ad un ricevimento al Casino Dorico perché moglie del
Gonfaloniere, invitata a ballare dal Comandante delle truppe Austriache, rifiutò sdegnosamente,
dicendo: “Non ballo con i nemici della Patria!”.
Evidentemente un carattere forte e deciso, ma al tempo stesso sensibile e romantico, che gli ha
consentito di rimanere sempre presente alla situazione nei momenti difficili. In quelli pubblici
che ho citato poc’anzi ed in quelli privati, come quando dovette rimanere confinata in casa con
tre figli piccoli perché il marito era dovuto fuggire in esilio dopo la condanna a morte inflitta
dallo Stato della Chiesa.
Fu proprio in quel periodo, forse per sentirsi spiritualmente più vicina al marito o forse per
concretizzare in qualche modo i propri ideali patriottici, che promosse la realizzazione di una
bandiera tricolore, come ci racconta Sanzio Blasi5, fedele cronista dell’epoca: “Nei mesi d’estate
dell’anno 1860, quando già cominciavano a maturare gli eventi grandiosi dell’Unità d’Italia, in
casa Fazioli, sotto l’occhio vigile e l’energia indomita della Contessa Anna, si lavorò e si trapunse
una bandiera tricolore. Questo drappo sventolò libero e raggiante dei suoi fulgidi colori d’Italia
quando il sole del 29 Settembre 1860 salutò Ancona libera per opera dell’esercito piemontese
e della flotta.”
La Bandiera fu poi assegnata al primo peschereccio a vapore dell’Adriatico, il Fazio,
4
Sanzio BLASI – “Tempi Sereni” – Ed. Draga – 1853.
5 Ibidem.
24
costruito in Ancona, ancora una volta importando la tecnologia inglese, per l’intraprendenza
dell’ultimogenito Alfredo. Ed è la stessa bandiera che per volontà di mio marito Giancarlo è
stata affidata al Comune di Ancona e che il Comune ha voluto scegliere come simbolo cittadino
delle celebrazioni per il 150° anniversario dell’Unità d’Italia.
In seguito, Anna ebbe a che fare anche con un’altra bandiera6, quando fu scelta come madrina
per la cerimonia di consegna della Bandiera di Combattimento alla Regia Nave “ANCONA”:
una cerimonia che ha un particolare significato, perché, per la prima volta, la Bandiera
di Combattimento veniva donata ad una nave con una cerimonia solenne, dando il via ad
una delle più significative tradizioni della nostra Marina Militare, ma che deve essere stata
particolarmente sentita da quella Madrina che aveva perso da poco più di una settimana il figlio
diciottenne Luigi nella battaglia di Lissa.
Non voglio dilungarmi oltre. Lasciatemi solo ringraziare gli organizzatori di questo evento al
quale ho partecipato con tutto il cuore, perché mi è sembrata l’occasione appropriata per
rendere il giusto merito alle Donne Anconitane e per rievocare una figura femminile a me così
cara, così come penso lo sia stata per la città di Ancona.
Archivio Storico della Marina - “Le Bandiere di Combattimento delle Nostre Navi da Guerra” - Ed.
1935 - Pag. 2.
6
25
La rappresentazione della donna nel Risorgimento
di Chiara Censi1
“Che la donna non sia né moralmente né intellettualmente inferiore all’uomo, se non per l’azione
esercitata dal fisico sul morale e sull’intelletto, o ancora per gli effetti dell’educazione, è cosa ormai
generalmente riconosciuta ed ammessa. Ma alcuni si maravigliano però che, a malgrado di tale
uguaglianza tra la parte spirituale della donna e quella dell’uomo, la donna sia sempre rimasta e
rimanga tuttora in una condizione sociale così inferiore a quella dell’uomo”. […] “Da qualunque
parte io mi volga per trovare una via di riformare radicalmente la odierna condizione delle donne,
scorgo difficoltà così molteplici, così varie e così gravi, che quantunque codesta condizione mi sembri
un avanzo della passata barbarie, e un indizio che di questa barbarie non siamo ancora intieramente
liberi, non saprei mai alzare la voce per chiederne la riforma”.
La situazione di inferiorità culturale e sociale della donna nell’Ottocento è analizzata con
dignitosa e amara consapevolezza nel saggio “Della presente condizione delle donne e del loro
avvenire”, scritto nel 1848 dalla nobildonna milanese Cristina Trivulzio di Belgiojoso.
I dipinti presi in esame per raccontare la rappresentazione femminile durante il Risorgimento non
denunciano le condizioni di inferiorità in cui la donna ha vissuto questo momento storico, ma
raccontano, in diverse forme e tipologie, come le donne hanno partecipato alla storia stessa, da
protagoniste o da importanti antagoniste alle gesta eroiche condotte principalmente dagli uomini.
Le opere sono estremamente realistiche, fotografie di momenti storici, rappresentate con quella
che verrà chiamata in seguito “poetica degli affetti”, propria dell’età romantica. Una pittura di genere
capace di trasmettere la vita quotidiana dell’uomo attraverso le pareti domestiche, attraverso i
sorrisi, le lacrime, il dolore e la gioia, esplorando le piazze, le vie, le chiese, le taverne o semplicemente
gli interni delle case.
Affianco a pittori noti del periodo risorgimentale, sono stati affiancati nomi di artisti ritrovati e
apprezzati durante le celebrazioni del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, esposti nelle innumerevoli
mostre allestite durante quel periodo. La trattazione termina con esempi di donne vissute durante
il Risorgimento, eroine che hanno sacrificato vita, affetti, famiglia, per la nobile causa dell’Italia unita.
Carlo Stragliati
“Un episodio delle cinque giornate in Piazza Sant’Alessandro”, Milano, Civico Museo del Risorgimento.
La tela, scelta come manifesto del ciclo di conferenze organizzate dalla Provincia di Ancona, racconta
l’esultanza di due giovani donne affacciate alla finestra, attraverso l’esposizione della bandiera tricolore
verso la piazza. La terza donna, di età più matura, rimane seduta e composta, facendo un gesto con
la mano destra quasi a voler calmare la gioia e i festeggiamenti delle due ragazze, considerati poco
idonei al genere femminile. Molte donne presero parte agli scontri durante le cinque giornate e ne
morirono ben ventinove. La curiosità è che al termine delle cinque giornate, dal 22 marzo al 4 agosto
1 Chiara Censi è nata e vive ad Ancona; laureata in Storia e Conservazione dei Beni Culturali all’Università di Macerata, frequenta la scuola di specializzazione in Beni Storico-Artistici della stessa università. Studiosa appassionata
della storia e cultura della sua città, è autrice del libro “Stamira. Eroina di Ancona tra storia e leggenda” e collabora
con le maggiori istituzioni presenti ad Ancona nel settore dei beni culturali. Nel 2011 è stata incaricata dal Comune
di Ancona per l’organizzazione e gestione delle Celebrazioni ufficiali per il 150° anniversario dell’unità d’Italia.
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1848, per tutto il tempo che rimase in carica il governo provvisorio, venne istituito un corpo di
polizia femminile, all’inizio composto per lo più da popolane, poi raggiunte da donne del ceto nobile.
Quest’ultime arrivavano a coprire incarichi all’interno della Guardia Nazionale. Far parte di questo
speciale corpo significava poter rimanere fuori casa sia di giorno che di notte.
Odoardo Borrani
“Il 26 aprile 1859 in Firenze”, 1861, Collezione privata.
Il dipinto venne presentato alla Prima Esposizione Nazionale del 1861, ottenendo un grande
successo; venne acquistato dal principe di Carignano, scomparendo ben presto dal mercato.
La protagonista di questa tela è una donna, nella quiete di un interno avvolto nella penombra,
intenta a cucire una bandiera italiana. La circondano pochi elementi: un’alabarda appoggiata al
muro con il nastro tricolore, i tre scampoli di stoffa sul tavolo in attesa di essere cuciti assieme.
La donna stessa veste abiti che rimandano ai colori nazionali (fazzoletto rosso con camicia
e abito bianco e verde). La città indicata dallo scorcio dei comuni tetti fuori dalla finestra è
Firenze, anche se nessun monumento rimanda alla città storica per renderla riconoscibile; la
città potrebbe essere una qualsiasi sul territorio italiano che si sta cercando di unificare.
“Cucitrici di camicie rosse”, 1863, Collezione privata.
Quattro donne cuciono in silenzio le camicie rosse per i garibaldini; i toni dell’atmosfera all’interno
della stanza, il bianco delle tende, il rosso delle stoffe, il verde della tovaglia e dello schienale della
poltrona, suggeriscono continui rimandi al tricolore. Il pittore è attento ai particolari e ai dettagli,
tanto da far riconoscere a chi guarda il ritratto inciso di Giuseppe Garibaldi appeso alla parete.
L’immagine semplice, equilibrata e silenziosa è una scena di vita quotidiana in un interno borghese.
“La veglia (Il bollettino del 9 gennaio 1878)”, 1880, Firenze, Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti.
In un interno in penombra denso di particolari, una famiglia composta solo di presenze femminili
– gli uomini sono morti in guerra o non sono ancora tornati dalle campagne militari – ascolta
la notizia; la più giovane delle donne, al centro del quadro, legge della morte del re Vittorio
Emanuele II, padre della patria con Mazzini, Cavour e Garibaldi. Le donne anziane interrompono
la lettura e il ricamo per ascoltarla attonite, mentre la luce spiove da una lampada a petrolio.
Borrani omaggia il re Vittorio Emanuele II due anni dopo la sua morte, quando venne bandito il
concorso per la costruzione del grande monumento, il Vittoriano Altare della Patria.
Domenico Romano
“I tristi effetti della guerra”, 1860-1875, Napoli, Convento Santa Maria La Nova.
Il titolo dell’opera spiega l’immagine rappresentata: la perdita di padri, mariti, figli, fratelli è il prezzo
pagato da moltissime famiglie. La protagonista è di nuovo una donna, colta nell’intima manifestazione
del dolore: ha aperto la valigia e ha abbracciato la giacca della divisa militare, stringendola e
accarezzandola. Indossa l’abito nero da vedova, questo indica che il compianto è il marito.
Filippo Liardo
“Sepoltura garibaldina (un episodio del bombardamento di Palermo nel 1860)”, 1882-84, Palermo, Civica
Galleria d’Arte Moderna “Empedocle Restivo”.
Nell’ambiente povero di una casa semidiroccata due giovani donne in abiti semplici si
sostengono a vicenda. I volti esprimono dolore, una sembra stia per abbandonarsi; a terra è
presente la bara del compianto con sopra appoggiato il berretto da garibaldino, tra le mani
delle donne fiori e candele. Rimaste sole dopo la morte dei cari, è triste compito delle donne
compiangere i defunti.
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Ignoto
“Moglie di patriota visita il marito detenuto”, s.d., Napoli, Museo Nazionale di S. Martino.
In compagnia del figlio, la moglie visita il marito in carcere, altro triste compito di prerogativa
femminile; unica, magra consolazione è il fatto che il marito sia ancora vivo. La mano sulle sbarre
della prigione, quasi a non volerlo lasciare, è vicina al volto disperato del marito, obbligato alla galera
per aver lottato per la patria.
Umberto Coromaldi
“Camicie Rosse”, 1898, Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea.
Coromaldi è nato nel 1870 e a differenza di molti pittori risorgimentali non ha vissuto sul
campo, né indirettamente i principali eventi italiani. Il tema che sceglie per quest’opera è
estremamente importante: egli ritrae l’incontro in una limpida giornata di una madre con due
figli di sesso ed età diversi e un gruppo di veterani garibaldini, con le loro camicie rosse.Avviene
un ideale passaggio di consegne tra vecchie e nuove generazioni: gli anziani, stanchi combattenti
trovano nella curiosità dei bambini il futuro della memoria e dell’esempio. Da parte della madre
c’è attenzione e rispetto per l’educazione dei figli nei confronti della storia.
Giuseppe Sciuti
“La pace domestica”, 1870, Napoli, Convento Santa Maria La Nova.
Il titolo dell’opera rimanda alla fine delle guerre; siamo nel 1870, l’Italia ormai è unificata dalle
Alpi alla Sicilia, le famiglie si riappropriano della normale quotidianità. L’interno dell’abitazione
rappresentata da Sciuti è un salotto borghese dove una madre sta leggendo un testo sacro ai
bambini: risulta particolarmente esplicativo il ruolo della donna come educatrice domestica
nello Stato unitario.
Francesco Hayez
“Ritratto di Cristina di Belgioioso”, 1832, Firenze, Collezione privata.
Nota per aver ricamato con le proprie mani la bandiera degli insorti, la nobildonna milanese fu
molto attiva durante il Risorgimento italiano, anche se per lungo tempo non gli è stata dedicata la
giusta attenzione. Ella fu editrice di giornali rivoluzionari, scrittrice e giornalista; fu amica di Vincenzo
Bellini e di poeti come Heine e Lizt. Bella è potente, venne salvata dalla sua fama e dalla sua posizione
sociale; gli austriaci non volevano contro l’èlite milanese e chiudevano spesso gli occhi di fronte alle
frequentazioni della bella Cristina. Inoltre suo nonno, il Marchese Maurizio dei Gherardini, fu Gran
Ciambellano d’Austria e Ministro Plenipotenziario d’Austria per il Regno Sabaudo. Definita dai
contemporanei eccentrica, avventuriera, narcisista, filantropa e rivoluzionaria, fu in realtà una figura
femminile che visse da protagonista gli eventi rivoluzionari, in particolare le insurrezioni del ‘48 da
lei stessa analizzati e commentati in un saggio:“La rivoluzione del ‘48”. La vera Cristina di Belgiojoso
viene catturata con lo sguardo fiero e intelligente colto dall’Hayez nel celebre ritratto.
“La meditazione (L’Italia del 1848)”, 1851,Verona, Civica Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Forti.
Il dipinto è una composizione allegorica e descrive la situazione italiana dopo i moti del 1848. In
esso la patria assume le sembianze di una giovane donna con il seno scoperto, tiene tra le mani
un volume con la scritta “Storia d’Italia”, la croce indica il martirio dei patrioti e riporta la data
1848. Hayez fu molto attivo politicamente e in questo dipinto descrive la profonda amarezza
per il naufragio delle speranze rivolte verso i moti. Il dipinto si può considerare un manifesto del
Romanticismo: l’aria è di profonda mestizia, lo sguardo e le mani provate dal peso del volume e
della croce descrivono rassegnazione mista a malinconia.
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“Il bacio”, 1859, Milano, Pinacoteca Nazionale di Brera.
In questo quadro l’autore riunisce le principali caratteristiche del romanticismo storico italiano,
ovvero un’assoluta attenzione verso i concetti di naturalezza e sentimento puro (l’amore
individuale verso gli ideali risorgimentali). Ciò che colpisce immediatamente l’osservatore è
l’enorme sensualità che scaturisce dall’abbraccio dei due amanti.
Questo legame è tanto forte che riesce ad annullare ogni contrasto, come quello del freddo
celeste della veste della donna e del colore caldo dell’abito dell’uomo (il quale ha le gambe
posizionate in modo tale da assecondare la sensuale inclinazione del corpo femminile).
L’uomo, mentre bacia la sua amata, appoggia la gamba sul gradino: Hayez comunica, con questo
particolare, l’impressione che egli se ne stia andando, e dà più enfasi al bacio. Il reale significato
storico dell’opera si legge attraverso i colori presenti nel dipinto (il bianco della veste, il rosso
della calzamaglia, il verde del cappello e del risvolto del mantello e infine l’azzurro dell’abito
della donna); questi rappresentano l’alleanza avvenuta tra l’Italia e la Francia con gli accordi
di Plombières. Il quadro venne presentato all’Esposizione di Brera del 1859, a soli tre mesi
dall’ingresso di Vittorio Emanuele II e Napoleone III a Milano.
Osservando il dipinto non ci si accorge della presenza di mistero legata alla figura in penombra
a sinistra, l’attenzione rimane sui protagonisti e sull’intensità del bacio.
“Madamigella Chiacchiera”, esempio di satira della città di Firenze.
Molto più del secolo precedente, la caricatura e la satira nell’ottocento vengono intese come
armi sociali e di denuncia, metodi di diffusione nei giornali e almanacchi con un linguaggio
semplice e illustrativo. In Italia, nel 1848, all’inizio della prima guerra d’indipendenza, nascono
alcuni esempi di periodici umoristici nelle città di Milano, Torino, Bologna, Roma e Napoli.
A Firenze, tra il 1845 e il 1865, al Caffè Michelangelo si riuniscono letterati e intellettuali
mazziniani insieme agli artisti della corrente pittorica dei Macchiaioli; qui la caricatura trova
le condizioni adeguate per dar voce ad una satira pungente che spesso si trasforma in critica
sociale. L’esempio qui proposto è relativo alla rappresentazione della chiacchiera al femminile,
quasi come se fosse una prerogativa del gentil sesso, ma rappresentata come una donna di
aspetto discutibile.
Ritratto fotografico di Emma Gaggiotti, XIX secolo, Deputazione di Storia Patria per le Marche.
Emma Gaggiotti, Autoritratto, 1854, Londra, Collezioni di Palazzo Reale.
Emma Gaggiotti, Ritratto del Barone Alexander Von Humbolt (incisione).
Di origine romana, la bellissima Emma, contesa da tutti i salotti, nel cui animo romantico ardeva
un forte sentimento patriottico, aveva preso a cuore la sorte del patriota anconetano Giannelli
e, forte del fascino che esercitava su tutti gli uomini, ed in particolare sul Colonnello Hojos,
era riuscita a far avviare un nuovo processo: il Giannelli era stato condannato a morte, Emma
riuscì a trasformare la sentenza in carcere a vita. Emma era una personalità straordinariamente
versatile e dopo le nozze con l’inglese Richards, la sua fama di valente musicista, ma soprattutto
di raffinata pittrice, toccò non solo l’Inghilterra, dove risiedeva la famiglia, ma le principali
capitali europee. I suoi ritratti soprattutto suscitavano ovunque l’ammirazione della critica.
Quelli eseguiti per Von Humboldt, opere ad olio ed incisioni, furono oggetti di studi particolari
per l’intensità raggiunta nella resa degli elementi psicologici: ad Emma si riconosceva la capacità
pittorica di saper portare sulla tela più i tratti dell’interiorità che le caratteristiche fisiche di
un personaggio. Per lei posarono filosofi, sovrani e uomini potenti del mondo dell’economia e
della politica. Ed era proprio la politica, tutta incentrata sull’amor patrio, per quella Italia che lei
sentiva così infelice, divisa, umiliata sotto il dominio straniero, che costituiva il suo più grande
e segreto amore.
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Busto-ritratto di Colomba Antonietti, Roma, Gianicolo.
G. Buzzelli (incisore), 1849, Morte di Colomba Antonietti.
Originaria di Foligno, ma sposa di un nobile anconitano il Conte Luigi Porzi, Colomba Antonietti
fu protagonista di una vicenda tutta intrisa di sentimento romantico, incendiata come fu dalla
passione d’amore e dalla fiamma altrettanto ardente dell’amor patrio. Colomba con il matrimonio
aveva giurato che avrebbe condiviso ogni momento della vita del marito nella buona e nella
cattiva sorte. Per questo, quando nel 1848, allo scoppio della Prima Guerra d’Indipendenza
il Porzi seguì, a fianco del Generale Durando, le truppe che Pio IX aveva inviato al nord per
sostenere l’esercito di Carlo Alberto, Colomba volle seguire il marito anche in questa avventura.
Tagliatasi i capelli e indossata l’uniforme da volontario pontificio, mossa da amore per Luigi ma
anche per l’Italia, era andata in Veneto e in Lombardia per partecipare alla guerra federale contro
gli Austriaci. E anche quando Pio IX aveva deciso di ritirare le truppe, lasciando il solo Carlo
Alberto a continuare i combattimenti, lei era rimasta a combattere, insieme allo sposo, nella
legione lombarda. Dopo l’armistizio di Salasco, entrambi entrarono a far parte dell’esercito
sardo-piemontese nel VI battaglione Bersaglieri, che dalla Liguria era stato inviato a Roma. Luigi
e Colomba parteciparono alla difesa della Repubblica romana seguendo Luciano Manara.A fianco
di Giuseppe Garibaldi dovettero battersi contro l’esercito borbonico nella battaglia di Velletri:
Colomba, per il valore dimostrato in quell’occasione, ricevette parole di encomio da parte
dello stesso Garibaldi..Quando poi le truppe francesi, al seguito del Generale Oudinot, vennero
in aiuto del Pontefice, i due sposi inseparabili affrontarono insieme i nemici nel combattimento
presso Porta San Pancrazio. Era il 13 giugno del 1849: nel mezzo della sanguinosa battaglia, la
giovane vita fu spezzata da una palla di rimbalzo. La leggenda popolare vuole che le sue ultime
parole, al momento di spirare tra le braccia dell’amato, fossero rivolte all’Italia.
Ritratto fotografico di Albina Santini, XIX secolo, Deputazione di Storia Patria per le Marche.
Nata ad Ostra nel 1805, sposò Domenico Schelini, precursore risorgimentale, rivoluzionario e
combattente, e madre di sei figli, allevati a fermi principi di amor patrio, soldati e patrioti esemplari.
Collaboratrice e copista della corrispondenza rivoluzionaria, in aiuto al marito per gli assidui e
costanti contatti con Mazzini, ospitò nel 1832, nella sua abitazione, la prima seduta dell’allora
nascente Giovine Italia; l’evento viene ricordato con la targa affissa nell’edificio affianco il palazzo
della Prefettura in Piazza del Plebiscito ad Ancona. Nel ’43, inoltre, accolse in casa i fratelli Bandiera.
Ritratto fotografico di Enrico Schelini, XIX secolo, Deputazione di Storia Patria per le Marche.
Ritratto fotografico di Riccardo Schelini, XIX secolo, Deputazione di Storia Patria per le Marche.
Tra i suoi figli si ricordano, in particolare, il sottotenente Enrico, citato ad Ordine del giorno
per il valore dimostrato e promosso sergente per merito di guerra in Ancona nella memoranda
azione di Monte Marino del 12 giugno e il capitano marittimo Riccardo che partecipò alla
campagna del Veneto del ’48 e combattè a Badia, a Treviso, a Vicenza, a Venezia e in Ancona nel
’49 con il padre, il primogenito sergente Guglielmo e lo stesso Enrico.
Francesco Podesti
“Il giuramento degli anconetani”, 1856, Ancona, Palazzo del Popolo, Sala del Consiglio Comunale.
La grandissima tela (cm 450 x 525), già imponente per dimensioni e molto importante per
la memoria storica della città di Ancona, venne caricata di un ulteriore significato: Francesco
Podesti consegnò il dipinto nel 1856, anno in cui Ancona era ancora sotto il dominio dello
Stato Pontificio e assediata dalle truppe austriache. Questo suggerì una lettura dell’opera a
sfondo patriottico: nel dipinto, l’anziano senatore Fazio (o Faziolo) incita il popolo ad insorgere
contro l’assedio di Federico Barbarossa. I gesti e i movimenti concitati, le espressioni dei volti
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cariche si sentimento, infuocavano gli animi e colpivano nel vivo i cuori degli anconitani, che si
auguravano di veder riportata nella contemporaneità la stessa situazione. Anche per questo il
dipinto del Podesti fu giudicato un vero capolavoro, riscuotendo un enorme successo. Tra la
folla spicca l’eroina Stamira, con lo sguardo al cielo, la mano sinistra stringe l’elsa della spada e
la destra punta al cielo. Di corporatura forte, indossa abiti da popolana e esprime fermezza e
coraggio con un volto fiero e luminoso.
“Stamura che incendia le macchine all’assedio di Ancona”, 1877, Bertinoro, Palazzo Comunale.
Anno 1173. Ancona è assediata dalle truppe di Federico Barbarossa da terra e dalla flotta
veneziana dal mare. Un uomo, con un gesto disperato, dopo aver preparato una piccola botte
carica di materiale infiammabile (verosimilmente resina e pece mescolate insieme), la lanciò
davanti ad una catasta di legna molto vicina alle galee veneziane, in una zona del porto dove
erano in atto violenti scontri. Nessuno ebbe il coraggio di avvicinarsi per appiccare la fiamma.
Solo una donna, conosciuta dalla città come la vedova Stamira, si fece avanti con una scure
e una fiaccola, si avicinò alla botte, la spaccò e diede fuoco al materiale infiammabile. Non
si allontanò fintanto che non fu sicura di aver causato un enorme incendio. Conseguenza di
questo atto eroico fu la distruzione di una gran parte delle macchine da guerra nemiche: questo
permise l’apertura delle porte della città per rifornirsi di cibo.
Il Podesti, per aumentare la sensazione che la donna stia operando all’insaputa di tutti,
accentuandone l’eroismo del gesto, descrive la scena in ambiente notturno, e non diurno
come vorrebbero le fonti storiche. Stamira è rappresentata con figura robusta e corpulenta,
veste abiti d’epoca di colore purpureo ed indossa un corpetto metallico ad uso di femminile
armatura. Il dinamismo è dato dalla tensione delle gambe, mentre la sicurezza del gesto e dello
sguardo con la torsione della testa, la rendono consapevole del pericolo.
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Illustrata, n° 2-3, 1909.
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F. MAZZOCCA, C. SISI, 1861 – I pittori del Risorgimento, catalogo della mostra allestita presso le
Scuderie del Quirinale, 16 ottobre 2010 – 16 gennaio 2011, Skira, Milano, 2010.
F. RESSA, Che ’48 quelle milizie in gonnella, in Il Giornale, 13 marzo 2008.
C.CENSI, Stamira. L’eroina di Ancona tra storia e leggenda, Edizioni Laboratorio Culturale di
Ancona, 2004.
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Carlo Stragliati, Un episodio delle cinque giornate,
Milano, Civico Museo del Risorgimento
Odoardo Borrani, La Veglia, Firenze,
Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti
32
Domenico Romano, I tristi effetti della guerra,
Napoli, Convento Santa Maria La Nova
Filippo Liardo, Sepoltura Garibaldina - un episodio del
bombardamento di Palermo nel 1860, Palermo, Galleria
d’Arte Moderna “Empedocle Restivo”
Ignoto, Moglie di patriota visita il marito, Napoli, Museo di San Martino
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Umberto Coromaldi, Camicie rosse, Roma, Galleria
Nazionale d’Arte Moderna (su concessione del
Ministero per i Beni e le Attività Culturali)
Giuseppe Sciuti, La pace domestica,
Napoli, Convento Santa Maria La Nova
Francesco Hayez, Meditazione,Verona, Galleria d’Arte
Moderna “Palazzo Forti”
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Madamigella Chiacchiera
Schelini Albina
Schelini Enrico
35
Schelini Riccardo
Francesco Podesti, Il giuramento degli anconetani, Ancona, Palazzo del Popolo,
Sala del Consiglio Comunale
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