n
ANALISI . CONTRATTI DEL TURISMO
Recesso
Recesso e disdette turistiche
di CHIARA ALVISI
Il diritto di recesso costituisce uno strumento privilegiato di tutela del consumatore turista. Questo istituto trova una variegata disciplina in relazione alle diversificate fattispecie contrattuali ad oggetto turistico diffuse sul mercato: dalla disciplina comune applicabile alla prenotazione alberghiera fino alle discipline speciali, di fonte comunitaria, dettate con riferimento ai contratti di vendita di pacchetti turistici e di diritti di godimento parziale su beni immobili nonché con riferimento ai contratti conclusi con
mezzi di comunicazione a distanza. La giurisprudenza ha, inoltre, apportato un fondamentale contributo
esegetico alle numerose incertezze derivanti in sede applicativa dal dettato, per molti profili ambiguo,
di tali discipline. Un accenno viene infine dedicato al significato attribuito dalla giurisprudenza, sia italiana che spagnola, alle clausole di release ricorrenti nei contratti di allottment diffusi nella prassi delle
relazioni commerciali fra imprese alberghiere e tour operator.
Premessa. Ripensamento e recesso
nei «contratti del turismo»
L
o sviluppo del turismo a livello europeo emerge
nell’ordinamento giuridico come fenomeno di
mercato quando il legislatore comunitario, inizialmente preoccupato solo di garantire la libera circolazione dei prestatori di servizi (1), interviene dettando la
regolamentazione delle principali fattispecie contrattuali
ad «oggetto turistico»: il contratto di «vendita» di pacchetti turistici (2) e i contratti «relativi all’acquisizione di
un diritto di godimento a tempo parziale di beni immobili» (3).
Si tratta di interventi regolatori (voluti soprattutto dagli
Stati membri del Nord-Europa, grandi consumatori di
beni e di servizi turistici) intesi a supportare la creazione
e l’integrazione a livello europeo del mercato finale dei
servizi e dei beni ad uso turistico attraverso l’introduzione di tutele minime uniformi per il turista-consumatore
(e di corrispondenti oneri per le imprese turistiche, per
lo più appartenenti agli Stati-membri che si affacciano
sul bacino del Mediterraneo). Si rafforza, dunque, la tutela del turista inteso come utente finale e come contraente (debole) dei principali contratti ad oggetto turistico al fine di innalzare la fiducia del mercato e la propensione dei consumatori all’acquisto di servizi e di beni
ad uso turistico.
In questa prospettiva il legislatore comunitario ha scelto
di garantire al turista elevati livelli di informazione precontrattuale e contrattuale nonché speciali diritti di
uscita dal contratto (ad nutum ovvero al ricorrere di
presupposti predeterminati per legge) in un tempo successivo alla sua conclusione. Si tratta di scelte di politica normativa non difformi, come metodo, da quelle
adottate in altri strumenti comunitari intesi alla tutela
del contraente-consumatore (4).
La scelta regolatoria del legislatore comunitario lascia
sopravvivere fattispecie contrattuali innominate quantunque socialmente tipiche, quale ad esempio la prenotazione alberghiera, già diffuse nella prassi di un mercato
Note:
(1) Con la Direttiva 1975/368/CEE relativa alle attività di accompagnatore turistico e di interprete turistico (attuata in Italia con D.Lgs. 23 novembre 1991, n. 391) e con la Direttiva 1982/470 / CEE relativa alla
professione di agente di viaggio e turismo (attuata in Italia con D.Lgs. 23
novembre 1991, n. 392). Emblematico in proposito è l’intervento della
Corte di Giustizia della Comunità Europea, con la sentenza 26 febbraio
1991, n. 180 e n. 198, in Riv. it. dir. pubbl. comun., 1992, 240, sul caso
delle «guide turistiche».
(2) Direttiva 90/314/CEE, attuata in Italia dal D.Lgs. 17 marzo 1995, n.
111.
(3) Direttiva 94/47/CE, attuata in Italia dal D.Lgs. 9 novembre 1998, n.
427.
(4) La garanzia della trasparenza contrattuale viene perseguita anche dagli
artt. 1469 bis ss. c.c., attuativi della direttiva 93/13/CEE sulle clausole vessatorie nei contratti conclusi con i consumatori. In particolare, ai sensi
dell’art. 1469 ter, comma 4, soltanto la prova dell’avvenuta trattativa vince la presunzione di vessatorietà di cui all’art. 1469 bis, comma 3; ai sensi
del comma 2 dello stesso articolo sono sottratte al sindacato di vessatorietà
le clausole concernenti l’oggetto del contratto o l’adeguatezza del corrispettivo ma soltanto se redatte «in modo chiaro e comprensibile»; ai sensi dell’art. 1469 quater c.c. «nel caso di contratti di cui tutte le clausole o talune clausole siano proposte al consumatore per iscritto, tali clausole devono sempre essere
redatte in modo chiaro e comprensibile». Con riferimento agli speciali diritti
di «uscita» dal contratto accordati al consumatore si ricorda che anche la
disciplina sui contratti conclusi fuori dei locali commerciali o con mezzi di
comunicazione a distanza attribuisce al consumatore un diritto di ripensamento, entro un certo termine dalla conclusione del contratto, senza che
ciò comporti il pagamento di penali, secondo quanto previsto dagli artt. 4
ss., D.Lgs. 15 gennaio 1992, n. 50 e dall’art. 5, D.Lgs. 22 maggio 1999, n.
185. Si richiamano inoltre le previsioni in materia di trasparenza bancaria
di cui al Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, D.Lgs. 18
settembre 1993, n. 385 nonché le recenti istruzioni del 25 luglio 2003 in
tema di vigilanza e trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari dettate
dalla Banca d’Italia in attuazione della delibera C.I.C.R. 4 marzo 2003.
Anche in materia di contratti aventi ad oggetto le operazioni e i servizi
bancari e finanziari, inoltre, l’art. 118, comma 3, T.U.B. riconosce al
cliente il «diritto di recedere dal contratto senza penalità» a fronte della unilaterale modifica delle condizioni contrattuali effettuata dalla banca.
DIRITTO DEL TURISMO N. 3/2005
213
ANALISI . CONTRATTI DEL TURISMO
che ha una vocazione naturalmente internazionale, per
le quali la tutela del turista resta ancora affidata all’applicazione dei diversi diritti nazionali.
Dall’esame delle discipline contrattuali tipizzate dall’intervento comunitario emerge la differente intensità con
cui viene utilizzato il «recesso di protezione» (5) attribuito al consumatore-turista. Esso si presenta come un
vero e proprio diritto di ripensamento nel caso di acquisto di diritti di godimento a tempo parziale su beni immobili, se è vero che l’art. 5, D.Lgs. n. 427/1998 concede all’acquirente la possibilità di pentirsi, e conseguentemente, di «uscire» senza oneri dal contratto già concluso, grazie ad una semplice dichiarazione di volontà, unilaterale e contraria a quella manifestata in sede di perfezionamento del contratto. Diversamente l’acquirente di
un «pacchetto turistico» può sottrarsi alle obbligazioni
nascenti dal contratto già concluso (e, specificamente,
all’obbligazione di pagamento del corrispettivo) soltanto
al ricorrere delle circostanze contemplate agli artt. 7,
lett. d), 11, 12 e 13, D.Lgs. n. 111/1995: in questo caso
al consumatore non è concesso un diritto di pentimento quanto piuttosto un diritto di «recesso per giusta causa» (motivato dal «fatto sopraggiunto non imputabile» o
dal «grave inadempimento della controparte» nei casi previsti dall’art. 7, lett. d), nonché un diritto di «recesso per
modificazione dei presupposti» (nei casi previsti agli artt.
11, 12 e 13).
S’intende, poi, che laddove la legge non contempla diritti legali di recesso in capo ai contraenti, cosı̀ come
per i contratti atipici, l’eventuale previsione di un diritto
di recesso convenzionale resta assoggettata ai presupposti
di cui all’art. 1373 c.c., oltre che ai limiti generali imposti all’autonomia dei contraenti dal codice civile, non
solo a tutela del consumatore ma anche a tutela delle
esigenze di razionalizzazione dell’impresa. Assumono
dunque rilevanza, sotto quest’ultimo profilo, le disposizioni dettate in tema di condizioni generali di contratto
(art. 1341 c.c., sia pure con il correttivo previsto per le
clausole vessatorie dal comma secondo della medesima
disposizione), la disciplina sulle clausole vessatorie di cui
agli artt. 1469 bis ss. c.c., nonché il generale obbligo di
buona fede delle parti in sede di perfezionamento ed
esecuzione del contratto (artt. 1337 ss. e 1375 c.c.).
Nel novero dei contratti turistici atipici rientrano, come
si è accennato, la prenotazione alberghiera e il contratto
di albergo, laddove il codice civile detta una speciale disciplina (anch’essa internazionalmente uniforme in
quanto deriva dalla ratifica di uno strumento convenzionale) (6) con riferimento alla sola responsabilità ex
recepto dell’albergatore.
Il recesso dal contratto di «acquisto»
di pacchetti turistici
I
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contratti di viaggio vengono senz’altro qualificati
dal legislatore comunitario come contratti con il
consumatore (7), quantunque la tutela apprestata
DIRITTO DEL TURISMO N. 3/2005
n
dalla direttiva non sia da intendersi circoscritta ai contratti per l’acquisto di pacchetti pre-confezionati, rispetto ai quali il turista si trova di fronte all’alternativa di
accettare o rifiutare l’offerta contrattuale standardizzata,
unilateralmente predisposta dal tour operator o comunque imposta dall’agenzia di viaggi, secondo la tradizionale formula del «take it or leave it», ma anche ai contratti
isolati aventi ad oggetto pacchetti costruiti «su misura»,
secondo le richieste del turista (8).
Né il legislatore comunitario, né quello nazionale in sede di attuazione della direttiva, hanno attribuito al consumatore-turista un vero e proprio diritto di ripensamento ad nutum, fermo il rinvio al D.Lgs. 15 gennaio
1992, n. 50 e al diritto di ripensamento ivi previsto nel
caso di pacchetti turistici «negoziati al di fuori dei locali
commerciali» (9).
Note:
(5) Cfr., in argomento, la tradizionale classificazione del diritto di recesso
in base alle sue differenti funzioni e alla diversa qualità dell’interesse di volta in volta protetto dalla previsione legale: cfr. in tal senso G. De Nova,
Recesso (voce), in Dig. disc. priv., sez. civ., XVI, 316 ss., e C.M. Bianca, in
Diritto Civile, 3, Milano, 2000, 742. Si distingue, in particolare, un recesso
c.d. «determinativo», previsto per dare un termine ai contratti di durata
che ne siano privi, in linea con il disfavore dell’ordinamento per i vincoli
perpetui; un recesso «iniziale», previsto a tutela dello stipulante che abbia
contrattato a seguito di proposte negoziali o inviti a proporre effettuati attraverso tecniche di comunicazione «aggressive»; un recesso «di protezione», attribuito alla parte debole del rapporto contrattuale; un recesso per
«modificazione dei presupposti», accordato alla parte che veda modificate
in corso di rapporto le condizioni contrattuali inizialmente pattuite.
(6) V. La Convenzione di Parigi del 17 dicembre 1962, sulla responsabilità degli albergatori per le cose portate dai clienti in albergo, entrata in vigore il 12 agosto 1979, e ratificata in Italia dalla L. 10 giugno 1978, n.
316 che ha novellato gli artt. 1783 ss. c.c.
(7) Tuttavia il D.Lgs. n. 111/1995 assume una nozione di consumatore
più ampia di quella codificata dall’art. 1469 bis c.c., se è vero che ai sensi
dell’art. 5 il consumatore «è l’acquirente, il cessionario di un pacchetto turistico o qualunque persona anche da nominare (...) per conto della quale il contraente principale si impegna ad acquistare senza remunerazione un pacchetto
turistico». Tale nozione sembra dunque ricomprendere non solo il contraente diretto ma anche il terzo beneficiario del contratto di viaggio. Sarebbe, inoltre, turista consumatore non solo chi è motivato all’acquisto da
finalità non utilitarie o di diporto in senso lato ma anche chi è motivato
da finalità di lavoro o di affari: cfr. sul punto Alvisi - Zunarelli, Lezioni di
legislazione del turismo, Bologna, 2003, 179 ss.
(8) La Corte di Giustizia, nella nota pronuncia C-400/00 del 30 aprile
2002, in Dir. Tur., 2003, 3, 241 ss., con nota di A. Venchiarutti, ha precisato che rientrano nella definizione di «pacchetto turistico» anche «i
viaggi organizzati su domanda del consumatore o di un gruppo ristretto di consumatori e conformemente alle loro richieste». Ne deriva che il contratto di
viaggio assoggettato alla speciale disciplina protettiva di cui al menzionato
D.Lgs. n. 111/1995 non è solo il contratto seriale, ma anche il contratto
isolato, il cui oggetto e le cui condizioni potrebbero essere il frutto della
trattativa bilaterale intercorsa tra le parti. Infatti l’applicazione delle tutele
previste dal D.Lgs. n. 111/1995 non è esclusa dalla prova dell’intervenuta
trattativa individuale sul regolamento contrattuale, a differenza di quanto
accade con la disciplina sulle clausole vessatorie nei contratti con i consumatori, di cui agli artt. 1469 bis ss. c.c., laddove l’art. 1469 ter, comma 4,
esclude dall’ambito di applicazione della novella le clausole oggetto di
trattativa individuale.
(9) Cfr. art. 1, comma 2, D.Lgs. 17 marzo 1995, n. 111. Sugli effetti di tale
rinvio all’indomani dell’entrata in vigore del D.Lgs. 22 maggio 1999, n.
185, recante «attuazione della direttiva 97/7/CE relativa alla protezione dei
consumatori in materia di contratti a distanza», si rinvia infra, sub par. 1.4.
n
ANALISI . CONTRATTI DEL TURISMO
Al consumatore-turista vengono tuttavia riconosciuti
inderogabili diritti di recesso riconducibili, sostanzialmente, a due categorie.
Alla categoria del recesso «per mutamento dei presupposti» sono riconducibili i diritti potestativi previsti dalle seguenti disposizioni:
– l’art. 11, comma 3, D.Lgs. n. 111/1995, che riconosce
al consumatore la facoltà di recedere dal contratto nel
caso in cui il tour operator o il venditore, nell’esercizio
dello jus variandi accordatogli dal contratto, entro i limiti di cui all’art. 11, commi 1 e 4 (10), aumentano il
corrispettivo convenuto in misura superiore al 10% di
quanto originariamente pattuito;
– l’art. 12, che ricollega alla modificazione significativa
di uno o più elementi del pacchetto turistico da parte
del tour operator il recesso senza penali del consumatore
turista;
– l’art. 13, che ricollega alla cancellazione del pacchetto
turistico prima della partenza, da parte dell’organizzatore
o del venditore, il diritto del consumatore di ottenere
un pacchetto sostitutivo ovvero di recedere dal contratto.
In tutti questi casi il consumatore che recede ha diritto
di ripetere tutte le somme eventualmente corrisposte
ma non può essere validamente obbligato al pagamento
di alcuna penale. Inoltre, se la modificazione o la cancellazione del pacchetto da parte del tour operator non è
dovuta a causa di forza maggiore o al mancato raggiungimento del numero minimo di partecipanti richiesto, il
tour operator o il venditore saranno obbligati verso il turista-consumatore a risarcire ogni ulteriore danno dipendente dalla mancata esecuzione del contratto, come
previsto dal comma 2 dell’art. 13 (11).
Alla categoria del «recesso per giusta causa» è riconducibile il diritto legale del consumatore di recedere dal
contratto nel caso in cui sopraggiunga un fatto a lui
non imputabile che gli impedisca la partenza ovvero
nel caso si verifichi un grave inadempimento della controparte. Con riferimento a queste eventualità l’art. 7,
lett. d), dispone che il consumatore che recede non perde la somma eventualmente versata a titolo di caparra
(«gli effetti di cui all’art. 1385 c.c. non si producono allorché il recesso dipenda da fatto sopraggiunto non imputabile,
ovvero sia giustificato dal grave impedimento della controparte») ma nulla prevede con riferimento al caso in cui il
contratto colleghi all’esercizio del diritto di recesso il pagamento di una penale.
Con quest’ultima disposizione (non contemplata dalla
direttiva comunitaria) il legislatore italiano ha inteso
apprestare una tutela imperativa per i casi di malattia o
di infortunio del turista, casi che nella giurisprudenza
anteriore avevano sempre visto il turista soccombere di
fronte alla pretesa dell’agenzia o del tour operator di trattenere la caparra (12) o addirittura l’intero corrispettivo
ove già corrisposto dal turista prima della partenza.
La disciplina del recesso contenuta nella Convenzione
Internazionale relativa al Contratto di Viaggio (CCV)
del 1970, presentava certamente minori garanzie per il
viaggiatore.
L’unico diritto legale di recesso introdotto dalla Convenzione di Bruxelles a favore del viaggiatore riguardava
il caso di aumento del prezzo globale in misura superiore
al 10% di quanto originariamente convenuto, con «diritto al rimborso di tutte le somme da lui pagate all’organizzatore di viaggi» (art. 11, par. 2), mentre era assente una
norma che accordasse lo stesso diritto potestativo nel
caso di modificazione di elementi significativi del programma di viaggio o in caso di cancellazione del pacchetto (analogamente a quanto ora prevedono gli artt.
12 e 13, D.Lgs. n. 111/1995).
Nulla era previsto, invece, per l’ipotesi degli impedimenti del turista alla partenza, dal momento che la
Convenzione si limitava a rinviare, in ogni altro caso,
all’eventuale introduzione di clausole di recesso convenzionale ovvero alle disposizioni dei diritti nazionali. In
particolare l’art. 9 prevedeva: «il viaggiatore può annullare
il contratto, totalmente o parzialmente, a condizione di indennizzare l’organizzatore di viaggi conformemente alla legislazione nazionale o secondo le disposizioni del contratto».
Un simile precetto, lungi dal realizzare una qualsiasi forma di tutela per il turista oggettivamente impossibilitato
a partire, aveva piuttosto l’effetto di «abbandonare» lo
stesso alle determinazioni contrattuali unilateralmente
predisposte ed imposte dai tour operator, legittimando
fra l’altro la prassi di inserire nelle condizioni generali di
contratto clausole di recesso convenzionale onerate dalla previsione di cospicue multe penitenziali (normalmente di importo progressivamente maggiore, fino a
ragguagliare l’intero corrispettivo contrattuale per il caso
del recesso esercitato in prossimità della data prevista
per la partenza).
In proposito merita ricordare che se la nuova disciplina
di fonte comunitaria ha sostituito la CCV con riferimento ai contratti aventi ad oggetto «la prefissata combinazione di almeno due servizi, di cui almeno uno consistente
Note:
(10) Ai sensi dell’art. 11, comma 1: «la revisione del prezzo forfettario di
vendita di pacchetto turistico convenuto dalle parti è ammessa solo quando sia
stata espressamente prevista nel contratto, anche con la definizione delle modalità di calcolo, in conseguenza della variazione del costo del trasporto, del carburante, dei diritti e delle tasse quali quelle di atterraggio, di sbarco o imbarco nei
porti o negli aeroporti, al tasso di cambio applicato». Ai sensi del comma 4
della stessa disposizione «il prezzo non può in ogni caso essere aumentato nei
venti giorni che precedono la partenza».
(11) In applicazione delle citate disposizioni, Trib. Roma 26 novembre
2003, in Dir. Tur., 2003, 3, 232, ha, da ultimo, riconosciuto il diritto al
rimborso ed all’ulteriore risarcimento dei danni della comitiva di turisti
che si era rifiutata di aderire alla proposta alternativa formulata dall’organizzatore nel corso del viaggio, preferendo fare ritorno a casa; nel caso di
specie, peraltro, il tribunale ha escluso che il rifiuto della proposta di una
soluzione alternativa, in quanto comporti una «variazione essenziale del
viaggio dedotto in contratto», possa dirsi contrario a buona fede.
(12) Un’ulteriore tutela è rappresentata dal divieto di esigere all’atto della
prenotazione, che qui coincide con la conclusione del contratto, caparre
di importo superiore al 25% del prezzo (art. 7, lett. d) prima parte).
DIRITTO DEL TURISMO N. 3/2005
215
ANALISI . CONTRATTI DEL TURISMO
nella prestazione di trasporto o di alloggio», la CCV resta
applicabile al «contratto di intermediario di viaggio» tramite il quale l’agenzia procuri al cliente uno soltanto dei
«servizi separati che permettono di effettuare un viaggio o un
soggiorno qualsiasi» (art. 1, comma 3, CCV), non trattandosi in questi casi di acquisto di un «pacchetto turistico» secondo la nozione fissata dall’art. 2, D.Lgs. n.
111/1995. Conseguentemente l’acquisto del solo titolo
di viaggio, o del solo soggiorno, o di una o più escursioni tramite l’agenzia resta assoggettato alla disciplina di
cui alla Convenzione internazionale di Bruxelles.
L’impedimento del turista ad usufruire
della vacanza
C
ome si è accennato, l’art. 9 della CCV, che si
esprime impropriamente in termini di «annullamento» del contratto, rinvia per la disciplina
del recesso del viaggiatore alle disposizioni sul contratto
in generale contenute nei diritti nazionali e ad eventuali clausole di recesso convenzionale.
Nel vigore di tale disciplina il rischio dei fatti sopraggiunti non imputabili ed impeditivi della partenza gravava interamente sul turista: quest’ultimo, infatti, anche
in presenza di una grave malattia che gli avesse reso oggettivamente impossibile la partenza avrebbe comunque
perduto la caparra confirmatoria (ex art. 1385, comma
2, c.c.), spesso di importo considerevole rispetto all’ammontare complessivo del prezzo.
La norma citata finiva, inoltre, per legittimare clausole
di recesso convenzionale che subordinavano il diritto
del consumatore di sciogliersi unilateralmente dal contratto al pagamento di una multa peonitentialis (ex art.
1386 c.c.), spesso di importo progressivamente maggiore
all’approssimarsi della data prevista per la partenza, a
prescindere dal motivo del recesso, e anche per il caso
in cui questo risultasse giustificato da un’oggettiva impossibilità sopravvenuta.
In un simile contesto normativo al turista impossibilitato a partire non restava che invocare l’applicazione dell’art. 1463 c.c., tentando di configurare l’impossibilità
ad usufruire del viaggio come una sopravvenuta impossibilità della prestazione determinante la risoluzione di
diritto del contratto e il diritto alla ripetizione delle
somme versate a titolo di corrispettivo. Ciononostante
si è in giurisprudenza tradizionalmente negata l’equiparazione alla «impossibilità sopravvenuta della prestazione» della malattia o dell’oggettivo impedimento del turista, che rappresenta a rigore una oggettiva impossibilità di ricevere la prestazione.
Cosı̀ è avvenuto, ad esempio, nel caso del turista impossibilitato a partire per una crociera in quanto ufficiale
soggetto a richiamo in servizio che per ordine dell’autorità non poteva espatriare (13) e, ugualmente, nel caso
del turista infortunato a causa di un incidente stradale
avvenuto prima della partenza (14). In entrambi i casi
è stato affermato che in seguito all’impedimento del tu-
216
DIRITTO DEL TURISMO N. 3/2005
n
rista «il contratto non si risolve e non sorge l’obbligo, per il
debitore, di restituire quanto abbia già ricevuto» (15).
L’unico precedente che ha ammesso tale equiparazione
è una pronuncia del Tribunale di Milano: i giudici ordinarono al tour operator di restituire il corrispettivo pagato dal turista impossibilitato a partire a causa di una grave malattia, ritenendo che «allorché per causa non imputabile, il creditore non possa ricevere o cooperare nell’esecuzione dell’obbligazione, si produce l’impossibilità incolpevole
della stessa prestazione del debitore, con tutte le conseguenze
di cui agli artt. 1218, 1256, e 1463 c.c.» (16).
Questa pronuncia veniva tuttavia annullata in secondo
grado. La Corte di appello di Milano, allineandosi all’indirizzo giurisprudenziale dominante, escludeva la rilevanza ex art. 1463 dell’oggettiva impossibilità del creditore a ricevere la prestazione limitandosi a ricondurla all’ambito dei giustificati motivi che escludono la sola mora accipiendi (ex art. 1206 c.c.). La Corte sottolineava,
anzi, che l’obbligazione del turista, consistendo nel pagamento di una somma di danaro a titolo di corrispettivo, non diventa mai impossibile (17).
Recentemente il Tribunale di Milano, pronunciandosi
in merito alla disdetta da parte di una coppia che aveva
acquistato un pacchetto turistico per il viaggio di nozze,
ha nuovamente contraddetto l’orientamento giurisprudenziale dominante (18). All’indomani della prenotazione del pacchetto e del saldo dell’intero corrispettivo
era avvenuto il tragico attentato alle torri gemelle che
aveva provocato, nel giovane marito, una grave sindrome di panico e di depressione che gli aveva impedito di
partire. La coppia agiva in giudizio per la restituzione
del corrispettivo e invece di invocare l’esercizio della
nuova facoltà di recesso prevista dall’art. 7, lett. d),
D.Lgs. n. 111/1995 chiedeva l’accertamento della risoluzione di diritto del contratto ex art. 1463 c.c. Nel caso
di specie il giudice accoglieva la domanda e condannava il tour operator alla restituzione del corrispettivo pagato, previo accertamento dell’intervenuta risoluzione di
diritto del contratto per sopravvenuta impossibilità oggettiva dell’adempimento della prestazione. Il Tribunale,
peraltro, si limitava ad affermare che «la fattispecie in esame configura senz’altro quanto previsto dall’art. 1463 c.c.»,
senza null’altro aggiungere e dunque non contribuiva
ad arricchire i termini del dibattito tuttora aperto.
Note:
(13) Cfr. Cass. 26 marzo 1947, n. 432, in Foro it., 1947, 266.
(14) Cfr. Trib. Napoli 23 luglio 1984, n. 6501, in Dir. e Giur., 1985, II,
763.
(15) Cosı̀ il Trib. Napoli, ult. cit.
(16) Cfr. Trib. Milano 14 dicembre 1992, in Contratti, 1994, 6, 675 ss.
(17) Cfr. App. Milano 18 marzo 1996, in Contratti, 1997, 4, 386 ss. Nell’occasione la Corte d’appello affermava che non è accettabile «porre a carico del debitore, pronto all’adempimento, l’impossibilità del creditore di cooperare per il ricevimento della prestazione».
(18) Cfr. Trib. Milano 19 aprile 2002, in Dir. Tur., 2003, 2, 157 ss., con
nota di G. Ciurnelli.
n
ANALISI . CONTRATTI DEL TURISMO
Se anche si convenisse di ravvisare nell’art. 1463 una
clausola generale in grado di tutelare il turista che versi
in una situazione inabilitante di malattia od infortunio,
tale disposizione non è sufficiente a garantire la tutela
del turista ove ricorrano in contratto clausole che, subordinando il recesso del turista, quantunque giustificato, al pagamento di penali introducono, per questa via,
una deroga pattizia al disposto di cui all’art. 1463
c.c. (19).
Nell’ipotesi descritta, che si verifica di frequente per la
diffusione nella prassi di condizioni generali di contratto
che prevedono clausole di recesso oneroso, dovrebbe
soccorrere il disposto dell’art. 7, lett. d), D.Lgs. n. 111/
1995. Secondo quest’ultima disposizione, infatti, l’oggettiva impossibilità sopravvenuta alla partenza per causa
non imputabile al consumatore origina l’inderogabile diritto di recesso dello stesso senza perdita della caparra
confirmatoria, con la conseguenza che una contraria
clausola contrattuale risulterebbe nulla ex art. 1418,
comma 1, c.c.
Di tale disposizione si trova applicazione in una recente
pronuncia del Tribunale di Lanciano, chiamato a giudicare della legittimità del recesso esercitato dall’acquirente di una crociera nei Caraibi a causa dell’improvvisa
indisponibilità fisica alla partenza determinata dalla malattia della moglie (20).
Nel caso di specie il turista aveva esercitato il recesso
successivamente al saldo dell’intero corrispettivo, laddove la lett. d) dell’art. 7, D.Lgs. n. 111/1995 dispone
espressamente in ordine alla ripetizione della caparra
confirmatoria ma nulla dice in ordine al termine ultimo
per l’esercizio del recesso né se questo sia ancora ammissibile dopo il saldo.
È evidente che un’interpretazione strettamente letterale
della norma verrebbe a frustrare la ratio di tutela che vi
è sottesa: se infatti il recesso non potesse essere esercitato dopo il pagamento del saldo i tour operator o le agenzie sarebbero indotti a fissare la data del saldo in un
tempo estremamente ravvicinato rispetto al momento
della prenotazione cosı̀ da poter trattenere l’importo residuo del corrispettivo, decurtato della caparra, se non
l’intero.
Per contro, il Tribunale di Lanciano ha ritenuto che l’esercizio del recesso per fatto sopraggiunto non imputabile debba ammettersi anche dopo il pagamento del saldo
e fino al momento della partenza, riconoscendo pertanto al consumatore il diritto di ripetere l’intera somma
versata.
Lo stesso Tribunale, nel chiarire quale sia il significato
da attribuire al «fatto sopraggiunto non imputabile», ha affermato che la norma sembra pensata proprio per il caso
dell’infortunio o della malattia del consumatore.
Il Tribunale ha, inoltre, chiarito che l’esercizio del diritto di recesso legale di cui all’art. 7, lett. d), D.Lgs. n.
111/1995 scioglie il contratto con effetto ex tunc, donde
il diritto del turista impossibilitato a partire di ottenere
la restituzione dell’intera somma versata, e non solo del-
l’importo della caparra confirmatoria, «salvo eventualmente il rimborso delle spese sostenute per l’organizzazione».
Si evidenzia cosı̀ una deroga, quanto alla decorrenza degli effetti del recesso, al principio generale dell’effetto
immediato degli eventi sopravvenuti che determinano
lo scioglimento dei rapporti contrattuali di durata, principio che viene sancito anzitutto dagli artt. 1373, comma 2 e 1458, comma 1, c.c. Si ritiene infatti che il contratto per la fruizione di un pacchetto turistico si atteggi
normalmente come contratto di durata (21), ed in particolare come contratto ad esecuzione continuata, atteso
che l’interesse «turistico» del consumatore non è soddisfatto da un unico risultato o atto conclusivo bensı̀ da
un servizio complesso la cui durata è funzionale a consentire la fruizione di un periodo di vacanza. Con tale
contratto l’organizzatore o il venditore si obbligano ad
eseguire una prefissata combinazione di servizi, venduti
ad un prezzo forfetario e di durata superiore alle ventiquattro ore ovvero estendentisi per un periodo di tempo
comprendente almeno una notte. Tali obbligazioni
sembrano dunque ad esecuzione continuata in quanto
«l’interesse del creditore (qui il consumatore) è definitivamente soddisfatto nella misura in cui l’adempimento dura
nel tempo. La continuità della prestazione è in funzione dell’interesse del creditore, che non potrebbe altrimenti essere
soddisfatto» (22).
In via generale, l’efficacia ex nunc del recesso dai contratti di durata si giustifica per il fatto che se il recesso
avesse effetto retroattivo una parte si troverebbe «nella
maggior parte dei casi (...) nell’impossibilità di ripetere se
non per equivalente», e «la rifusione per equivalente creerebbe una vicenda che, contabilmente, si compenserebbe con la
scambio delle prestazioni. Pertanto la conseguenza sarebbe
quella di sciogliere il vincolo con effetto ex nunc» (23).
Questo problema naturalmente si ripropone per il contratto di «vendita» di pacchetto turistico, atteso che a
fronte dell’efficacia retroattiva del recesso del consumatore la norma non prevede il diritto del tour operator ad
«un equo compenso» per l’attività fino a quel momento
prestata, al contrario di quanto dispone il codice civile
con riferimento ai tipi contrattuali ad esecuzione continuata o periodica per i quali viene eccezionalmente sancita l’efficacia retroattiva dello scioglimento del vincolo
Note:
(19) Cfr., in questo senso, App. Milano 18 marzo 1996, cit., per cui «l’art.
1463 Codice civile non appresta una disciplina di natura cogente ed inderogabile, sicché le parti, nell’esercizio del loro potere di autonomia privata, possono
ben disporre una diversa regolamentazione degli effetti di un’eventuale impossibilità sopravvenuta».
(20) Cfr. Trib. Lanciano 18 luglio 2002, in Dir. Tur., 2003, 4, 341 ss.,
con nota di F. Michetti.
(21) Cfr. in questo senso Indovino Fabris, Legislazione turistica, Padova,
2004, 405.
(22) Cosı̀ Bianca, Diritto civile, IV, L’obbligazione, Milano, 1993, 214 ss.
(23) Cfr. Franzoni, Degli effetti del contratto, I, Efficacia del contratto e recesso unilaterale, Milano, 1998, 330 ss.
DIRITTO DEL TURISMO N. 3/2005
217
ANALISI . CONTRATTI DEL TURISMO
contrattuale (cfr. ad esempio l’art. 1526, comma 1, c.c.
con riferimento agli effetti della risoluzione nella vendita a rate con riserva della proprietà). Appare dunque
coerente ipotizzare che anche nel contratto di «vendita» di pacchetti turistici l’organizzatore o il venditore
possano vantare nel caso di recesso del consumatore un
diritto all’indennizzo, peraltro ammesso dal Tribunale di
Lanciano sub specie di rimborso delle spese di organizzazione. Alla stessa conclusione si perverrebbe ammettendo l’applicazione analogica dell’art. 1671 c.c., concernente il recesso ad nutum del committente dall’appalto
in corso di esecuzione.
I giudici individuano, altresı̀, nella data fissata per l’inizio del viaggio il momento oltre il quale il consumatore
non può più recedere, rinviando alla ratio dell’art. 1373
c.c. (24).
Il richiamo alla disciplina codificata delle clausole di recesso convenzionale appare condivisibile a condizione
che se ne chiarisca la portata con riferimento allo specifico tipo contrattuale in esame.
L’art. 1373, comma 1, prevede che nei contratti ad esecuzione istantanea o differita il diritto di recesso attribuito convenzionalmente ad una delle parti del contratto può essere esercitato solo «finché il contratto non abbia
avuto un principio di esecuzione». Nessun termine viene,
invece, espressamente indicato per l’esercizio del recesso
convenzionale nei contratti ad esecuzione continuata o
periodica. La giurisprudenza ha tuttavia elaborato la regola generale secondo cui la validità delle clausole di recesso convenzionale è subordinata alla previsione di
«un termine preciso o, quantomeno, sicuramente determinabile, in assenza del quale l’efficacia del contratto resterebbe
indefinitamente subordinata all’arbitrio della parte titolare di
tale diritto, con conseguente irrealizzabilità delle finalità perseguite dal contratto stesso» (25).
Tale regola sottende, nell’orientamento giurisprudenziale citato, l’applicazione di un principio di portata generale (26) che deve coordinarsi anche con le norme che
introducono diritti di recesso legale a tutela del consumatore.
Il suddetto principio si identifica con l’irrevocabilità degli impegni contrattuali (sancita dall’art. 1372, comma
1, c.c.), cosicché le deroghe ammesse dalla legge non
possono interpretarsi in maniera cosı̀ estensiva da consentire in concreto una neutralizzazione della regola dell’intangibilità del contratto (27).
Tale principio può altresı̀ identificarsi con la clausola
generale di buona fede contrattuale applicata all’esercizio del diritto di recesso, sia convenzionale che legale,
anche quando si abbia riguardo all’esercizio del recesso
di protezione che la legge accorda unilateralmente al
consumatore. È dunque la clausola generale di buona
fede ad esigere che il diritto di recesso sia esercitato in
un tempo che possa considerarsi ragionevole in rapporto alla natura e all’oggetto del contratto, cosicché il suo
esercizio oltre il detto termine deve considerarsi scorretto e, quindi, inefficace (28).
218
DIRITTO DEL TURISMO N. 3/2005
n
Nel caso del contratto di «vendita» di pacchetti turistici
la giurisprudenza ha ritenuto che l’esercizio del diritto di
recesso di cui all’art. 7, lett. d), D.Lgs. n. 111/1995 possa essere ragionevolmente esercitato solo fino alla data
prevista per l’inizio del viaggio. Il che appare persino
ovvio se si considera che la norma trova principalmente
applicazione al caso della malattia del turista impossibilitato alla partenza. Meno ovvie appaiono invece le ulteriori possibili conseguenze dell’applicazione di tale regola: quale l’inefficacia del recesso comunicato dal turista ammalato un’ora dopo la partenza dell’aereo ovvero
l’inefficacia del recesso del turista che durante il viaggio
contragga una malattia che non gli consenta di proseguire.
I giudici hanno inoltre precisato che il turista-consumatore che voglia legittimamente avvalersi del menzionato
diritto di recesso legale è tenuto ad indicare e provare,
con documentazione circostanziata e specifica, le cause
dell’indisposizione e della malattia, non potendosi limitare a documentare genericamente la propria indisposizione (29).
Si può inoltre osservare, a completamento dell’analisi
del disposto di cui alla lett. d) dell’art. 7, che la norma
esclude «gli effetti di cui all’art. 1385 c.c.» anche nell’ipotesi in cui il recesso «sia giustificato dal grave inadempimento della controparte». La previsione desta qualche
perplessità e sembra frutto di un errore di formulazione,
dal momento che sembra introdurre una disciplina peggiorativa, per il consumatore-turista, rispetto a quanto
disposto dall’art. 1385 c.c. La previsione codicistica ricollega all’inadempimento di colui che ha ricevuto la
caparra il diritto di recesso legale di colui che ha dato la
caparra nonché il suo diritto di esigere il doppio di
Note:
(24) Nel caso di specie il diritto di recesso era stato esercitato successivamente al momento in cui il viaggio sarebbe dovuto iniziare, precisamente
dopo la partenza dell’aereo su cui il turista avrebbe dovuto imbarcarsi. Il
Tribunale ha pertanto considerato illegittimo, e quindi inefficace, l’esercizio del recesso.
(25) Cfr. Cass., sez. II, 22 dicembre 1983, n. 7579, in Mass. Giust. civ.,
1983, 11; App. Genova 11 marzo 1999, in Giur. merito, 2000, 853.
(26) Basti pensare che lo stesso principio viene applicato dalla giurisprudenza anche con riferimento alla condizione sospensiva non sottoposta a
termine, consentendosi alla parte interessata di agire per farne accertare il
mancato avveramento per il decorso di «un lasso di tempo congruo entro il
quale l’avveramento previsto dalle parti si sarebbe dovuto verificare»: cfr. in tal
senso Cass. 20 ottobre 1984, n. 5314, in Mass. Foro it., 1984.
(27) Cfr. sul punto Galgano, Diritto civile e commerciale, II, 1, Padova,
1993, 428 ss.
(28) Con riferirmento alla clausola generale di buona fede come limite
all’ammissibilità di un diritto di recesso perpetuo si rinvia a Franzoni, op.
cit., 355 ss.
(29) Il Tribunale ha negato tutela al viaggiatore anche per la ragione che
la documentazione medica presentata dal turista risultava troppo generica
e non specifica («la Signora è malata e necessita di giorni 5 di riposo e di cure»), affermando che «tenuto conto della modestissima prognosi e dell’assoluta
vaghezza della terapia prescritta e dell’inesistenza di fatto di una qualsiasi diagnosi non sembra che, nella specie, il certificato in questione possa offrire la prova
che il coniuge dell’attore fosse impedito a ricevere la prestazione».
n
ANALISI . CONTRATTI DEL TURISMO
quanto pagato. Per effetto, invece, dell’art. 7, lett. d),
ultima parte, D.Lgs. n. 111/1995 il recesso del consumatore turista a causa del grave inadempimento del «venditore» consentirebbe al primo di ripetere unicamente
la somma pagata a titolo di caparra confirmatoria.
Il problema delle «penali» per il recesso
I
l tema del recesso unilaterale del viaggiatore induce ad una riflessione circa la prassi delle agenzie e
dei tour operator di inserire nelle condizioni generali
dei contratti di «vendita» di pacchetti turistici clausole
di recesso ad nutum collegate, a prescindere dal motivo
del recesso (e dunque anche per l’ipotesi in cui lo stesso
sia giustificato), a caparre penitenziali ex art. 1386 c.c.,
di ammontare progressivamente più elevato quanto più
la rinuncia sia prossima alla data fissata per la partenza.
La validità di tali clausole deve essere censita anzitutto
alla luce dell’art. 7, lett. d), D.Lgs. n. 111/1995 attesa la
non chiara formulazione di tale disposizione.
A prima vista le clausole di recesso oneroso non sembrerebbero in contrasto con la disposizione citata poiché
il suo tenore letterale esclude solo che, nelle ipotesi descritte, si producano gli effetti di cui all’art. 1385 c.c.
Tuttavia, alla luce di un’interpretazione sistematico-teleologica della norma, pare inaccettabile che la legge,
nel momento in cui impone la restituzione di quanto
versato a titolo di caparra, consenta la previsione contrattuale del pagamento di una multa penitenziale, magari di importo sensibilmente superiore alla caparra confirmatoria, che ne frustrerebbe gli obiettivi (30).
Nel periodo antecedente all’introduzione della disciplina comunitaria sui pacchetti turistici, in applicazione
dell’art. 9 della CCV, era generalmente ammessa la piena validità ed efficacia della clausola che subordinava il
recesso del viaggiatore, a prescindere dalla sua causa, e
dunque anche per fatto sopraggiunto e incolpevole, al
pagamento di una caparra penitenziale, «gradata secondo
il momento, antecedente la partenza, di comunicazione di
tale rinuncia» (31).
In un simile contesto normativo restava l’applicazione
dei generali rimedi contrattuali previsti dal codice civile
a tutela del «contraente debole».
Cosı̀ il Tribunale di Genova ha dichiarato l’inefficacia
della clausola contenuta nelle condizioni generali Fiavet, che subordinava il recesso del turista al pagamento
dell’intero corrispettivo originariamente pattuito, in
quanto non era stata richiamata nei documenti di viaggio, in aperto contrasto con l’art. 1341, comma 1, c.c.
che richiede la prova della conoscenza o, quantomeno,
della astratta conoscibilità delle condizioni generali di
contratto (32). Il Tribunale ha, inoltre, ritenuto che la
clausola dovesse qualificarsi come vessatoria, rientrando
tra quelle indicate nell’elenco tassativo di cui al comma
2 del medesimo art. 1341, donde la sua inefficacia in
quanto non risultava espressamente accettata per iscritto. Nella motivazione si legge, in obiter dictum, che un
ulteriore rimedio generale a disposizione del turista pregiudicato da penali per il recesso «manifestamente eccessive» è costituito dalla riduzione equitativa, ai sensi
dell’art. 1384 c.c., che troverebbe dunque applicazione
anche alla «caparra penitenziale» di cui all’art. 1386
c.c. Secondo l’opinione manifestata in più occasioni dai
giudici del Supremo Collegio l’art. 1384 c.c. attribuisce
al giudice, in sede di riduzione equitativa della penale,
il potere di ristabilire il «congruo contemperamento degli
interessi contrapposti» (33). La riduzione della penale manifestamente eccessiva, anche quando prevista per il recesso, consente un controllo sul contratto alla stregua
della clausola generale di buona fede: spetta infatti al
giudice di verificare l’adeguatezza della penale alla luce
del complessivo assetto degli interessi delle parti divisato
in contratto e, dunque, l’esistenza di un equilibrio tra le
reciproche condizioni contrattuali (34). Tutto ciò induce a ritenere che il giudizio di congruità elaborato dal
giudice in sede di esercizio dell’equità correttiva non
possa non tener conto delle concrete ragioni che spingono il turista a recedere dal contratto, onde verificare
Note:
(30) Cfr., in proposito, A. Flamini, Viaggi organizzati e tutela del consumatore, Napoli, 1999, 125 ss. L’A. sostiene che la norma deve interpretarsi nel
senso di escludere l’ammissibilità di penali per il recesso: «A parte l’imprecisione della lett. d) dell’art. 7 che fa riferimento all’art. 1385, mentre più corretto
sarebbe stato un richiamo alla caparra penitenziale di cui all’art. 1386 c.c., sembra indubbio che non sia configurabile l’ipotesi della multa penitenziale».
(31) Cosı̀, App. Milano 1 marzo 1996, cit.
(32) Cfr. Trib. Genova 12 maggio 1994, in Giur. it., 1994, I, 2, 214. Il
caso riguardava, ancora una volta, l’impossibilità del turista a partire a
causa di una improvvisa malattia. Il Tribunale, conformandosi all’orientamento giurisprudenziale dominante, ha ritenuto di non poter considerare
il contratto risolto di diritto ai sensi e per gli effetti dell’art. 1463 c.c. e,
tuttavia, ha contestualmente ritenuto inefficace, per contrasto con l’art.
1341, comma 1, c.c., la clausola che imponeva al viaggiatore il pagamento dell’intero prezzo del viaggio come corrispettivo per il recesso. Coerentemente con quanto disposto dall’art. 9 della CCV, i giudici hanno considerato legittimo e non sottoposto ad alcun obbligo di indennizzo il recesso
esercitato nell’occasione dal turista.
(33) Cfr. ex multis Cass. 9 novembre 1994, n. 9304, pubblicata in massima in Mass. Giust. civ., 1994, 11. Secondo la Cassazione, «il potere conferito al giudice dall’art. 1384 c.c. di ridurre la penale manifestamente eccessiva è
fondato sulla necessità di correggere il potere di autonomia privata - riducendolo
nei limiti in cui opera il riconoscimento di essa, ovverosia in quelli riconosciuti
meritevoli di tutela dall’ordinamento giuridico - mediante l’esercizio di un potere
equitativo che ristabilisca un congruo contemperamento degli interessi contrapposti, valutando l’interesse del creditore all’adempimento cui aveva diritto e tenendosi conto dell’effettiva incidenza di esso sull’equilibrio delle prestazioni e sulla
concreta situazione contrattuale (...)».
(34) In questo senso si esprime A. Riccio, É, dunque, venuta meno l’intangibilità del contratto: il caso della penale manifestamente eccessiva, in Contr.
Impr., 2000, 1, 98. Secondo l’A., «il fondamento della riduzione della penale
manifestamente eccessiva, ai sensi dell’art. 1384 c.c., s’inquadra quindi all’interno di un più generale ed emergente fenomeno: il processo di oggettivazione
della tutela contro lo squilibrio delle condizioni contrattuali. Il giudice, dunque,
tramite la clausola generale di buona fede, che come si è visto rappresenta lo
strumento per un controllo di ragionevolezza sugli atti di autonomia privata, interviene in funzione repressiva e sanzionatoria, a sindacare e correggere equitativamente la clausola penale manifestamente eccessiva, a protezione della parte a
carico della quale era stata prevista o imposta una prestazione economicamente
assai più onerosa di quella che gravava sull’altro contraente».
DIRITTO DEL TURISMO N. 3/2005
219
ANALISI . CONTRATTI DEL TURISMO
quanto il corrispettivo pattuito ex art. 1386 appaia effettivamente giustificato, anche alla luce delle circostanze
che hanno in concreto accompagnato l’esercizio del recesso. Si può dunque ritenere che, anche ai sensi della
disciplina generale sul contratto, sia possibile un controllo giudiziale sulla penale manifestamente eccessiva
che, subordinando il recesso del viaggiatore al pagamento dell’intero corrispettivo pattuito per l’acquisto del
viaggio o della vacanza, viene ad allocare in capo al
consumatore un rischio eccessivo sia per il caso in cui il
recesso venga esercitato a causa dell’oggettivo impedimento a partire che per il caso in cui il recesso sia esercitato a grande distanza temporale dal momento di inizio del viaggio, attesa l’obiettiva possibilità per l’operatore di collocare comunque il pacchetto presso nuovi acquirenti.
Le clausole di recesso oneroso restano inoltre assoggettate al test di vessatorietà previsto dagli artt. 1469 bis ss.
c.c. per i contratti conclusi fra «professionista» e consumatore. La giurisprudenza ha riconosciuto la vessatorietà
(e la conseguente inefficacia) della «clausola che, nel
consentire al tour operator di trattenere una somma di denaro versata dal turista se quest’ultimo non conclude il contratto o ne recede, non prevede il diritto del consumatore di esigere dal professionista il doppio della somma corrisposta se è
quest’ultimo a recedere dal contratto» in quanto «in aperto
contrasto con l’art. 1469 bis, comma 3, n. 5» (35).
In applicazione di questa disposizione la giurisprudenza
ha considerato vessatoria la clausola che, mentre consentiva al tour operator di recedere ad nutum dal contratto «senza altra conseguenza che quella di rimborsare le somme percepite entro 7 giorni lavorativi dal momento del recesso o della cancellazione», imponeva al consumatore «già
all’atto della prenotazione» il versamento di un acconto
pari al 25% della quota di partecipazione, nonché il saldo entro 30 giorni dalla partenza, mentre subordinava il
diritto potestativo di recesso del consumatore al pagamento di somme «via via crescenti a seconda di quanto
tempo prima venga esercitato» (36).
Secondo i giudici palermitani, la vessatorietà, e quindi
l’inefficacia (ex art. 1469 quinquies, comma 1, c.c.), della
suddetta clausola consegue al significativo squilibrio degli obblighi incombenti sul consumatore in rapporto all’uguale diritto attribuito senz’oneri al professionista. Si
può dunque ipotizzare che se nel caso deciso dai giudici
palermitani la clausola avesse subordinato il recesso del
professionista al pagamento di una multa penitenziale
doppia, sarebbe venuta meno la sua vessatorietà e dunque la sua inefficacia alla stregua della presunzione di
cui all’art. 1469 bis, comma 3, n. 5, c.c.
Si deve, del pari, ipotizzare che la presunzione di vessatorietà prevista dall’art. 1469 bis, comma 3, n. 5, c.c.
venga meno anche nel caso in cui a fronte di clausole
di recesso ad nutum, quantunque oneroso, unilateralmente previste per il solo consumatore il tour operator
non possa vantare un diritto potestativo di recesso di
uguale ampiezza.
220
DIRITTO DEL TURISMO N. 3/2005
n
Il recesso del tour operator
C
onviene, a questo punto, chiedersi se e con
quali limiti il D.Lgs. n. 111/1995 consenta
l’introduzione in contratto di clausole che riservino al tour operator un diritto di recesso ad nutum.
L’art. 10, comma 1, della CCV consentiva all’organizzatore di viaggi il diritto di recedere, «senza indennità (...)
qualora prima o durante l’esecuzione del contratto si manifestino circostanze di carattere eccezionale che l’organizzatore
di viaggi non poteva conoscere al momento della stipulazione
del contratto e che, se le avesse conosciute in quel momento,
gli avrebbero fornito valide ragioni per non concluderlo» (37).
Questa disposizione aveva l’effetto di ridurre notevolmente l’alea contrattuale incombente sul tour operator,
consentendogli di sciogliersi unilateralmente dal contratto, senza indennità, nel caso di fatti sopravvenuti di
carattere eccezionale tali da rendere impossibile o comunque eccessivamente onerosa l’esecuzione del contratto, laddove nelle stesse circostanze si legittimavano
invece clausole che subordinavano il diritto di recesso
del viaggiatore al pagamento di penali.
Inoltre l’art. 11 della CCV riconosceva la legittimità di
clausole che attribuissero all’organizzatore di viaggi il diritto di aumentare unilateralmente il prezzo globale originariamente convenuto, sia pure limitatamente all’evenienza che la sopravvenuta maggior onerosità della sua
prestazione fosse conseguente a «variazioni del corso dei
cambi o delle tariffe dei vettori». A tutela del consumatore
si prevedeva l’onere dell’organizzatore di esplicitare nel
documento di viaggio tale potestà e si riconosceva al
viaggiatore il diritto di recesso, «verso rimborso di tutte le
somme pagate all’organizzatore di viaggi», nel caso di aumenti del prezzo globale superiori al 10% del prezzo originariamente convenuto.
Come si è anticipato il D.Lgs. n. 111/1995 ha notevolmente ridotto l’alea gravante sul consumatore ed ha
considerevolmente ampliato quella gravante sull’organizzatore e sul venditore di pacchetti turistici.
Infatti, ai sensi dell’art. 12 del decreto citato, se per fatti
sopravvenuti a lui non imputabili (forza maggiore), l’organizzatore o il venditore si trovano nell’impossibilità di
adempiere al programma di viaggio originariamente
convenuto, gli stessi non potranno avvalersi della risolu-
Note:
(35) Trib. Palermo 11 luglio 2000, in Corr. Giur., 2000, 11, 1058.
(36) Cosı̀ Trib. Palermo 11 luglio 2000, cit.; sull’applicazione della disciplina dei contratti dei consumatori di cui agli artt. 1469 bis ss. c.c. si veda
inoltre Trib. Palermo 24 gennaio 1997, in Corr. Giur., 1998, 1 e G. De
Nova, Clausole vessatorie e contratti turistici, in Contratti, 1997, 85.
(37) L’art. 10, comma 3, della CCV si limita a precisare che in caso di
recesso dal contratto «prima della sua esecuzione l’organizzatore di viaggi deve
rimborsare integralmente qualunque pagamento incassato dal viaggiatore»; mentre in caso di recesso «in corso di esecuzione, l’organizzatore di viaggi deve
prendere tutte le misure necessarie nell’interesse del viaggiatore; inoltre le parti
sono tenute ad indennizzarsi a vicenda in maniera equa».
n
ANALISI . CONTRATTI DEL TURISMO
zione di diritto del contratto prevista dall’art. 1463 c.c.,
ma saranno gravati dai tipici obblighi di riprotezione
del turista previsti dalla norma.
Incombe infatti sugli stessi l’obbligo di comunicare al
consumatore un programma alternativo che specifichi
per iscritto le modifiche apportate al programma originario e la variazione di prezzo che ne consegue. Se il turista non accetta le variazioni proposte, entro due giorni
dalla comunicazione potrà recedere «senza indennità»,
e questo diritto deve ritenersi non derogabile da una
contraria clausola contrattuale. In questo caso il consumatore avrà comunque «diritto di usufruire di un altro
pacchetto turistico, di qualità equivalente o superiore senza
supplemento di prezzo, o di un pacchetto turistico, qualitativamente inferiore, previa restituzione della differenza del
prezzo». Si ritiene che il tour operator sia dunque obbligato a proporre al consumatore la conclusione di un
nuovo contratto che il consumatore è libero di accettare ovvero di rifiutare conseguendo, in questo secondo
caso, il rimborso «entro sette giorni lavorativi dal momento
del recesso o della cancellazione, (del)la somma di danaro
già corrisposta» (art. 13, comma 1, D.Lgs. n. 111/1995).
Inoltre se il tour operator cancella il pacchetto turistico
prima della partenza «per qualsiasi motivo», tranne che
per colpa del consumatore, egli non potrà recedere dal
contratto ma sarà obbligato ad offrire al consumatore
un pacchetto sostitutivo, con le stesse caratteristiche sopra descritte, salva la facoltà del consumatore, che non
intenda accettare il pacchetto sostitutivo, di recedere
dal contratto verso rimborso della somma di danaro già
corrisposta (art. 13, comma 1, D.Lgs. n. 111/1995). Il
coordinato disposto dei commi 2 e 3 dell’art. 13 sembra
suggerire che l’obbligo di riprotezione del turista previsto
dall’art. 13, comma 1, sussista anche nel caso in cui la
cancellazione dipenda da causa di forza maggiore, atteso
che, con riguardo a questa ipotesi, il comma 3 esclude
solo l’obbligo del tour operator di risarcire il danno patito dal turista (secondo la previsione di cui al comma
2), ma non affatto l’obbligo di riprotezione del consumatore contemplato dal comma 1 (38). Anche questa
disposizione introduce una chiara deroga al disposto dell’art. 1463 c.c. posto che l’oggettiva impossibilità della
prestazione del tour operator per causa a lui non imputabile (forza maggiore) non consente la risoluzione di
diritto del contratto né, deve ritenersi, una clausola di
recesso convenzionale che consentirebbe al tour operator di sottrarsi agli inderogabili obblighi di riprotezione
imposti dall’art. 13, comma 1, D.Lgs. n. 111/1995.
Inoltre, se per cause di forza maggiore sopravvenute dopo la partenza una parte essenziale dei servizi previsti
dal contratto diventa oggettivamente impossibile, l’organizzatore di viaggi è comunque obbligato a predisporre
«adeguate soluzioni alternative per la prosecuzione del viaggio programmato» senza oneri per il consumatore, e se le
soluzioni non sono equivalenti, l’organizzatore è tenuto
a rimborsare quest’ultimo «nei limiti della differenza tra le
prestazioni originariamente previste e quelle effettuate» (art.
12, comma 4, D.Lgs. cit.). Anche questa previsione deroga alla regola generale posta dall’art. 1463 c.c.
Risulta del pari aggravata per l’organizzatore e il venditore, rispetto alla C.C.V., l’alea normale del contratto
di viaggio, vale a dire i rischi che l’organizzatore o il
venditore sanno di assumere al momento della conclusione del contratto, atteso che nei venti giorni che precedono la partenza «il prezzo non può in ogni caso essere
aumentato» (art. 11, comma 3, D.Lgs. cit.). Ne consegue che, con riferimento a questo lasso di tempo, devono ritenersi invalide le clausole con le quali normalmente l’organizzatore e il venditore, per sottrarsi a tali
rischi, prevedono l’aggiornamento del prezzo al variare
delle condizioni di mercato. E risulta corrispondentemente limitata la possibilità per l’organizzatore o il venditore di ricorrere al rimedio della risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta a fronte di avvenimenti
straordinari ed imprevedibili, atteso che ai sensi dell’art.
1467, comma 2, c.c. «la risoluzione non può essere domandata se la sopravvenuta onerosità rientra nell’alea normale del contratto».
L’unico caso in cui il decreto sui pacchetti di viaggio
consente all’organizzatore o al venditore di riservarsi per
contratto un diritto potestativo di recesso è quello in
cui il contratto preveda la «cancellazione del pacchetto turistico» a causa «del mancato raggiungimento del numero
minimo di partecipanti richiesto» per l’effettuazione del
viaggio, con l’onere dell’organizzatore o del venditore di
informare il consumatore per iscritto del «mancato raggiungimento del numero minimo di partecipanti richiesto (...)
almeno venti giorni prima della data prevista per la partenza» (art. 13, comma 3, D.Lgs. n. 111/1995, in rapporto
all’art. 7, comma 1, lett. l), D.Lgs. cit.). Più che un diritto di recesso convenzionale questa disposizione sembra alludere ad una condizione risolutiva unilaterale del
contratto di viaggio (39).
Alla luce di quanto si è fin qui considerato, si potrebbe
dubitare della validità di clausole che attribuiscono un
diritto di recesso ad nutum all’organizzatore o al venditore di pacchetti turistici. Tali clausole potrebbero infatti
risolversi in una inammissibile deroga alla disciplina imperativa degli obblighi di riprotezione gravanti sull’organizzatore e sul venditore. Ne deriva che le clausole che
accordano al consumatore un diritto di recesso ad nutum verso pagamento di multe penitenziali non possono
considerarsi squilibrate in danno del consumatore per il
Note:
(38) Propone una diversa lettura del disposto dell’art. 13, D.Lgs. n. 111/
1995: Ciurnelli, Il contratto di viaggio e la vendita di «pacchetti turistici», in
Franceschelli e Silingardi, Manuale di diritto del turismo, coordinato da Morandi e Tassoni, Milano, 1999, 419.
(39) Meno rigorosa è invece la previsione dell’art. 10, comma 2, della
CCV, secondo cui «l’organizzatore di viaggi può ugualmente annullare il contratto senza indennità quando il numero minimo di viaggiatori previsto nel documento di viaggio non è stato raggiunto, a condizione che questo fatto sia portato
a conoscenza del viaggiatore almeno 15 giorni prima della data alla quale il viaggio o il soggiorno doveva avere inizio»).
DIRITTO DEL TURISMO N. 3/2005
221
ANALISI . CONTRATTI DEL TURISMO
solo fatto che il contratto non prevede a carico della
controparte professionale clausole di recesso onerate dal
pagamento di multe penitenziali di importo doppio. Ai
sensi dell’art. 1469 ter c.c., la vessatorietà di una clausola non può essere valutata in astratto ma va sempre accertata «tenendo conto della natura del bene o del servizio
oggetto del contratto». Nel caso dei contratti di «vendita»
di pacchetti turistici, atteso il particolare regime dell’alea incombente su organizzatore e venditore, le clausole
che ricollegano una multa penitenziale all’esercizio del
recesso ad nutum del consumatore sono riequilibrate dagli obblighi di riprotezione, che incombono sull’organizzatore e sul venditore anche nel caso in cui l’esecuzione
dell’originario programma di viaggio diventi oggettivamente impossibile per causa ad essi non imputabile.
Pertanto, una clausola contrattuale che riservasse all’organizzatore o al venditore un diritto di recesso ad nutum
sarebbe nulla anche se gravata da multe penitenziali
doppie rispetto a quelle previste a carico del consumatore che receda per un’oggettiva impossibilità sopravvenuta alla partenza. Non appare pertanto applicabile al caso
di specie, per le specificità del contratto di «vendita» di
pacchetti turistici derivante dalla disciplina protettiva di
cui al D.Lgs. n. 111/1995, la presunzione di vessatorietà
introdotta dall’art. 1469 bis, comma 3, n. 5, c.c., fermo
restando che a fronte di penali manifestamente eccessive il consumatore potrà sempre richiederne al giudice la
riduzione equitativa ai sensi dell’art. 1384 c.c.
Il recesso del turista nell’acquisto on-line
di pacchetti turistici
I
diritti del turista di svincolarsi unilateralmente dalla prenotazione di un pacchetto turistico sembrerebbero incrementati dalla normativa orizzontale di
tutela del consumatore nell’eventualità che il pacchetto
turistico venga acquistato tramite strumenti di comunicazione a distanza.
La prassi di acquistare pacchetti turistici via Internet
ha assunto negli ultimi anni dimensioni via via crescenti, determinando la nascita di un nuovo mercato
di pacchetti c.d. last minute, offerti in vendita a prezzi
normalmente più convenienti di quelli praticati dalle
agenzie.
L’acquisto di un pacchetto turistico in rete comporta, in
principio, l’applicazione delle tutele previste dalle speciali normative orizzontali volte a tutelare il consumatore nella contrattazione a distanza, in considerazione dell’impiego di tecniche di vendita giudicate aggressive.
Il D.Lgs. n. 111/1995 rinvia alla disciplina orizzontale di
tutela del consumatore nei contratti conclusi fuori dai
locali commerciali, prevedendo che: «il presente decreto
si applica altresı̀ ai pacchetti turistici negoziati al di fuori dei
locali commerciali, ferme restando le disposizioni del decreto
legislativo 15 gennaio 1992, n. 50» (art. 1, comma 2), ivi
compresi i «contratti conclusi mediante l’uso di strumenti
informatici e telematici» (ex art. 9, D.Lgs. n. 50/1992).
222
DIRITTO DEL TURISMO N. 3/2005
n
Coerentemente, l’art. 9, lett. h), D.Lgs. n. 111/1995
prevede che l’opuscolo informativo messo a disposizione
del turista indichi in modo chiaro e preciso «i termini, le
modalità, il soggetto nei cui riguardi si esercita il diritto di recesso ai sensi dell’art. 5 del decreto legislativo del 15 gennaio
1992, n. 50, nel caso di contratto negoziato fuori dai locali
commerciali».
Sembrerebbe, dunque, testualmente confermata l’ipotesi
che il turista che contratta on-line possa avvalersi del diritto di ripensamento previsto dall’art. 4, D.Lgs. n. 50/
1992.
Per l’esercizio del diritto di ripensamento, che non richiede alcuna giustificazione, il consumatore «deve inviare all’operatore commerciale (...) una comunicazione in tal
senso nel termine di sette giorni» (art. 6, D.Lgs. n. 50/
1992), che decorre dalla data di ricezione dell’informazione sull’esistenza e le modalità di esercizio del recesso.
L’esercizio del diritto di ripensamento appare tuttavia
problematico quando il termine di sette giorni venga a
scadere dopo la partenza del consumatore. Tale eventualità è tutt’altro che un caso di scuola, laddove si consideri l’acquisto on-line di pacchetti turistici last minute
o addirittura last second, con partenza a ventiquattro o
quarantotto ore dal perfezionamento del contratto in rete.
Con riferimento a fattispecie consimili, l’art. 5, comma
3, D.Lgs. 22 maggio 1999, n. 185, relativo alla protezione dei consumatori nei contratti negoziati a distanza,
dispone che «salvo diverso accordo tra le parti, il consumatore non può esercitare il diritto di recesso previsto ai
commi 1 e 2 per i contratti: a) di fornitura di servizi la cui
esecuzione sia iniziata, con l’accordo del consumatore, prima della scadenza del termine di dieci giorni previsto dal
comma 1».
Tuttavia tale disposizione non si applica al contratto
per la fruizione di pacchetti turistici, poiché l’art. 7,
D.Lgs. n. 185/1999 lo esclude espressamente.
Più precisamente l’art. 7 esclude che gli artt. 3, 4 (contenenti la disciplina degli obblighi informativi) e 5
(contenente la disciplina del diritto di ripensamento) si
applichino «ai contratti di fornitura di servizi relativi all’alloggio, ai trasporti, alla ristorazione, al tempo libero, quando
all’atto della conclusione del contratto il fornitore si impegna
a fornire tali prestazioni ad una data determinata o in un periodo prestabilito».
Una soluzione al dilemma deriverebbe dalla tesi secondo cui l’attuazione della direttiva sui contratti a distanza
avrebbe introdotto una deroga al disposto del D.Lgs. n.
111/1995 nella parte in cui rinvia al D.Lgs. n. 50/1992,
con la conseguenza che dovrebbe escludersi che il consumatore che acquista on-line un pacchetto turistico
possa esercitare oggi il diritto di ripensamento previsto
dall’art. 4, D.Lgs. n. 50/1992. Si afferma infatti che il
D.Lgs. n. 185/1999 sarebbe da riguardare come disciplina speciale di regolamentazione dei contratti telematici
e, in quanto successivo al D.Lgs. n. 50/1992, verrebbe a
derogarlo escludendo definitivamente l’esercizio del di-
n
ANALISI . CONTRATTI DEL TURISMO
ritto di ripensamento con riferimento ai contratti turistici (40).
Si afferma in letteratura che «sarebbe opportuno ritenere
che la deroga per il settore turistico introdotta dall’art. 7,
D.Lgs. n. 185/1999 stia ad indicare che, in materia di contratti a distanza, la fornitura di servizi turistici è regolata da
norme speciali. Seguendo questa interpretazione, la deroga al
diritto di recesso entro 10 giorni attribuito in via generale al
consumatore, introdotta dall’art. 7, D.Lgs. n. 185/99, non
avrebbe altra conseguenza se non quella di limitare le possibilità di recesso del consumatore da un contratto di fornitura
di servizi turistici esclusivamente a quelle espressamente regolate dalla legislazione speciale, in particolare della L. n.
1084/1977 e dal decreto n. 111/1995» (41).
Accogliendo questa interpretazione resterebbe al viaggiatore il solo diritto di recesso previsto dalla disciplina
verticale applicabile ai pacchetti turistici. Inoltre, nel
caso di clausole di recesso oneroso introdotte nelle condizioni generali di vendita on-line di pacchetti last minute, la multa penitenziale che ragguagliasse anche l’intero
corrispettivo andrebbe apprezzata in relazione al beneficio della diminuzione del prezzo globale di cui gode il
turista a fronte dell’acquisto del viaggio ad una data
estremamente ravvicinata rispetto alla partenza, con la
conseguenza di escluderne sia la riduzione equitativa ex
art. 1384 c.c. che la vessatorietà ex art. 1469 bis, comma
3, n. 5, c.c.
Tanto comporterebbe una limitazione del rischio per i
tour operator che operano sul mercato dei pacchetti last
minute di vedere disdettata, appena prima del suo inizio,
la vacanza per cui il consumatore ha già pagato un corrispettivo notevolmente inferiore rispetto a quelli praticati sui canali di distribuzione tradizionali.
A questa tesi si potrebbe tuttavia opporre che l’art. 15,
D.Lgs. n. 185/1999 si limita a precisare che ai contratti
telematici di cui al D.Lgs. n. 50/1992 «si applicano le disposizioni più favorevoli contenute nel presente decreto». Si
dovrebbe pertanto escludere che il D.Lgs. n. 185/1999
abbia inteso derogare alla disciplina più favorevole per
il consumatore contenuta nel D.Lgs. n. 50/1992 e dunque al più esteso ambito di applicazione del diritto di ripensamento previsto da quest’ultimo, comprensivo anche dei contratti ad oggetto turistico.
A ciò deve aggiungersi che se il D.Lgs. n. 185/1999 è
norma speciale rispetto al D.Lgs. n. 50/1992 non potrebbe dirsi lo stesso in rapporto al D.Lgs. n. 111/1995
dedicato ai contratti di acquisto di pacchetti turistici.
L’applicazione delle regole sulla successione delle leggi
nel tempo porta ad escludere che il D.Lgs. n. 185/1999
possa derogare al disposto di cui all’art. 1, comma 2,
D.Lgs. n. 111/1995 consentendo di concludere che, per
effetto del rinvio di questo al D.Lgs. n. 50/1992, il diritto di ripensamento di sette giorni continua ad applicarsi
ai contratti di acquisto on-line di pacchetti turistici.
Tuttavia, se si applica il diritto di ripensamento cosa
succede se il termine legale per il suo esercizio viene a
scadere dopo l’inizio del viaggio?
Il D.Lgs. n. 50/1992 non contiene una previsione corrispondente a quella dell’art. 5, comma 3, D.Lgs. n. 185/
1999, che esclude l’esercizio dello jus poenitendi se il suo
termine scade dopo che l’esecuzione del contratto per la
fornitura dei servizi sia iniziata con l’accordo del consumatore.
Si deve tuttavia considerare che la partenza, costituendo un’iniziativa volontaria e ad un tempo incoercibile
del consumatore, segna l’inizio della prestazione dei servizi da parte dell’organizzatore con l’accordo del consumatore.
Lo jus poenitendi è dato al consumatore per sottrarsi al
contratto quando, superato l’effetto sorpresa, il consumatore si avveda di aver perso ogni interesse allo stesso (42). Laddove con la partenza il consumatore conferma per fatti concludenti l’attualità del proprio interesse
all’esecuzione del contratto cosicché l’esercizio successivo del diritto di pentimento appare quantomeno irragionevole ed in contrasto con il divieto di venire contra
factum proprium. Se «il diritto di recesso tutela l’interesse
obiettivo della parte all’interruzione del rapporto contrattuale» (43) è ragionevole supporre che, dopo la partenza,
tale interesse sia venuto meno. Il caso di specie non è
totalmente assimilabile a quello dei contratti conclusi
fuori dai locali commerciali in cui il professionista esegue il contratto con l’invio della merce all’indirizzo del
consumatore. Nel caso del contratto di viaggio, l’inizio
dell’esecuzione della prestazione del tour operator richiede la cooperazione del consumatore, vale a dire la sua
decisione di partire, che è comportamento del tutto incoercibile.
Inoltre anche l’esercizio del diritto di ripensamento, costituendo un atto negoziale, incontra il limite del principio di buona fede, che «esige, tra l’altro, che il potere di
recesso unilaterale sia esercitato in maniera da salvaguardare
Note:
(40) È questa l’opinione di F. Delfini, Vendita via Internet di pacchetti turistici last minute e recesso del consumatore, in Dir. Tur., 2003, 2, 121; lo stesso Autore altrove (cfr. La collocazione di pacchetti turistici tra negoziazione
tradizionale e negoziazione telematica, in Dir. Tur., 2004, 2, 107) approfondisce ulteriormente la tesi sostenuta, laddove afferma che «il recesso di pentimento previsto nel D.Lgs. n. 50/1992 ha la sua ratio nella «sorpresa» (mentre nel nostro caso l’aderente al last minute ricerca consapevolmente un contratto telematico a fini contrattuali) e che il recesso di pentimento previsto nel
D.Lgs. n. 185/1999 è soprattutto giustificato dalla impossibilità di trarre, nella
negoziazione telematica, a differenza che in quella vis a vis, elementi ed informazioni complete sul bene oggetto del contratto: giustificazione, anch’essa, non presente nel nostro caso in cui il contratto di vendita di pacchetto turistico deve, ex
art. 7, D.Lgs. n. 111/1995, contenere una serie di informazioni assai analitiche
che non pongono l’aderente per via telematica in una posizione deteriore rispetto
a colui che negozia il pacchetto in agenzia, su catalogo».
(41) Cosı̀ R. Imperiali D’Afflitto, Commercio elettronico e tutela del consumatore, in Dir. Tur., 2004, 2, 103.
(42) Secondo Franzoni, op. cit., 353, «questo comporta che l’ordinamento
giuridico considera non soltanto l’interesse iniziale deducibile dalla conclusione
del contratto, ma anche la permanenza del medesimo in capo alle parti, o ad
una soltanto di queste, nell’ipotesi in cui il rapporto sia destinato a durare per
un certo apprezzabile lasso di tempo».
(43) Cfr. in tal senso Bianca, op. cit., 704.
DIRITTO DEL TURISMO N. 3/2005
223
ANALISI . CONTRATTI DEL TURISMO
l’interesse dell’altra parte se ciò non comporti per il recedente
un apprezzabile sacrificio» (44). Pertanto, se l’esercizio del
diritto di ripensamento non è più sorretto dall’interesse
tutelato dalla norma e comunque si pone in contrasto
con il dovere di buona fede si rivelerà abusivo cosicché
l’ordinamento non potrebbe accordargli tutela e dovrebbe sanzionarlo con l’inefficacia (45).
Alla luce della tesi esposta, che si ritiene preferibile, occorre allora valutare l’ammissibilità di clausole che subordinino l’efficacia del ripensamento al pagamento di
penali, dal momento che la disciplina sui contratti a distanza non esclude a chiare lettere tale eventualità (46).
In particolare l’art. 8, comma 3, D.Lgs. n. 50/1992,
mentre prevede la restituzione al consumatore delle
somme eventualmente pagate ad eccezione delle eventuali «spese accessorie», nulla dice con riguardo alla previsione di oneri per l’esercizio del ripensamento. In realtà è abbastanza agevole sostenere che clausole di ripensamento oneroso contrasterebbero con la ratio dell’art.
4, D.Lgs. n. 50/1992, che è quella di garantire al consumatore la massima libertà di sottrarsi al contratto appena concluso, laddove questi avrebbe certamente delle
remore se a seguito del recesso perdesse somme significative. La giurisprudenza ha escluso l’efficacia della
«clausola che obbliga, in caso di recesso, il recedente al pagamento di una somma precedentemente fissata» (47); dall’altro lato, si è affermato che lo stesso comma 3 dell’art.
8 limita la possibilità dell’operatore di trattenere somme
del consumatore al caso in cui i detti importi siano già
stati versati, mentre sarebbe inaccettabile pretendere dal
consumatore un ulteriore pagamento, se è vero che «diversamente si avrebbe un’interpretazione estensiva o analogica della norma summenzionata, contraria al dettato testuale
della legge e sicuramente non conforme a tutta la più recente
normativa comunitaria e nazionale a tutela dei consumatori» (48).
Il recesso dal contratto di acquisto di diritti
di godimento a tempo parziale su beni immobili
L
a qualificazione dei contratti di acquisto di diritti
di godimento a tempo parziale su beni immobili
come contratti «ad oggetto turistico» è il naturale corollario del contenuto del diritto che viene trasferito da questa tipologia di contratti. Anche quando vengono in considerazione diritti di multiproprietà in senso
proprio (e dunque diritti reali), di durata perpetua, il carattere turnario della facoltà di godimento che ne costituisce il contenuto presuppone che all’immobile sul
quale insistono sia stato impresso un vincolo di destinazione a forme di utilizzazione ciclica e non permanente.
Ne deriva che la naturale destinazione di un immobile
frazionato in multiproprietà sia quella turistica, o turistico-ricettiva, attesa l’incompatibilità della proprietà turnaria con destinazioni d’uso dell’immobile di tipo permanente, quale l’uso residenziale o professionale.
La disciplina dei «contratti relativi all’acquisizione di un di-
224
DIRITTO DEL TURISMO N. 3/2005
n
ritto di godimento a tempo parziale di beni immobili», recepita dal D.Lgs. 9 novembre 1998, n. 427 in attuazione
della Direttiva 94/47/CE, introduce nell’ordinamento la
tipizzazione di fattispecie contrattuali tanto diffuse nella
prassi quanto discusse sotto il profilo della loro compatibilità con il sistema codificato dei diritti reali e con il
peculiare statuto della proprietà alberghiera. Tuttavia tale normativa, fedele al mandato comunitario, non scioglie nessuna delle problematiche che la fattispecie della
multiproprietà ha sollevato sotto il profilo della sua
compatibilità con il nostro ordinamento (49), limitandosi a rendere imperative, a beneficio dell’acquirenteconsumatore, alcune tutele contrattuali minime, prevalentemente informative e di exit, cosı̀ da regolare in modo uniforme il mercato europeo degli omonimi servizi
di interesse turistico.
Note:
(44) Cfr. in tal senso Bianca, op. cit., p. 705.
(45) Si potrebbe altresı̀ ritenere che con la partenza il consumatore abdichi al diritto di ripensamento accordatogli dalla legge. Tale rinuncia sembrerebbe impedita dal disposto di cui all’art. 10, comma 1, D.Lgs. n. 50/
1992 giusta il quale: «il diritto di cui all’art. 4 è irrinunciabile». È tuttavia ragionevole supporre che la norma vada intepretata come divieto di rinunce preventive, ostative all’acquisto del diritto di ripensamento, quali deriverebbero da una clausola contrattuale di rifiuto dell’acquisto dello jus
poenitendi. Non sembra invece che la norma possa impedire, atteso anche
il suo necessario coordinamento con il principio di buona fede nell’esecuzione del contratto, che il consumatore possa, attraverso un suo comportamento volontario ed incoercibile, rinunciare definitivamente all’esercizio
del diritto già acquisito mediante un atto di disposizione abdicativo dello
stesso. Quanto all’efficacia di atti abdicativi del diritto di recesso anteriormente alla scadenza del termine previsto per il suo esercizio si veda Cass.,
sez. II, 13 dicembre 1979, n. 6507, in Giust. civ., 1980, I, 918. Sulla distinzione fra rinuncia al diritto e rifiuto del diritto si vedano per tutti:
Gazzoni, La trascrizione immobiliare, I, 223 ss., in Commentario al codice civile, diretto da Schlesinger, Milano, 1998; Ferri, Rinunzia e rifiuto nel diritto
privato, Milano, 1960, passim.
(46) Il D.Lgs. n. 50/1992, infatti, non esclude espressamente la previsione
di penali per il recesso ed anzi l’art. 5, nel prevedere che l’informazione al
consumatore sul diritto di recesso contenga «l’indicazione dei termini, delle
modalità e delle eventuali condizioni per l’esercizio del diritto di recesso», parrebbe a prima vista consentire che il recesso sia sottoposto a «condizioni»
quali, ad esempio, il pagamento di un corrispettivo. In realtà, anche alla
luce di quanto si osserva infra nel testo, è certamente preferibile ritenere
che le «eventuali condizioni» che devono essere contenute nell’informativa sul recesso ai sensi dell’art. 5, siano semplicemente quelle di cui al successivo art. 7.
(47) Cfr. Giudice di pace di Salerno 21 aprile 1997, in Giur. Mer., 1999,
II, 498; nel caso di specie è stata esclusa l’efficacia della clausola che prestabiliva una somma forfetaria dovuta per le spese accessorie conseguenti
al recesso del consumatore.
(48) Cfr. Giudice di pace di Palermo 15 dicembre 1998, in Nuova giur.
civ. comm., I, 1999, 588; qui il Giudice ha escluso che il consumatore potesse essere costretto a pagare ulteriori somme a causa del fatto che l’ammontare delle somme già versate da questi all’atto della conclusione del
contratto non erano, a detta dell’operatore, sufficienti a coprire l’entità
delle spese accessorie.
(49) Per una illustrazione del dibattito dottrinale e giurisprudenziale su tali problematiche nonché sulla controversa ammissibilità nel nostro ordinamento della fattispecie della multiproprietà alberghiera mi sia consentito rinviare a: Alvisi-Zunarelli, Lezioni di legislazione del turismo, Bologna,
2003, 65 ss. e ad Alvisi, Gli assetti proprietari delle strutture turistico ricettive,
in Dir. Tur., 2004, 1, 20 ss.
n
ANALISI . CONTRATTI DEL TURISMO
L’acquirente di diritti di godimento a tempo parziale
(che è categoria più ampia della multiproprietà, poiché
comprende anche i diritti personali di godimento) (50)
viene definito come «la persona fisica che non agisce nell’ambito della sua attività professionale» (art. 1, lett. c),
D.Lgs. n. 427/1998), secondo la definizione comunemente adottata dal diritto consumeristico di matrice comunitaria.
Al consumatore viene, in particolare, accordato un diritto di ripensamento, esercibile ad nutum e senza oneri.
L’art. 5, D.Lgs. n. 427/1998, prevede infatti che «entro
dieci giorni dalla conclusione del contratto l’acquirente può
recedere dallo stesso senza indicare le ragioni del recesso. In
tale caso l’acquirente non è tenuto a pagare alcuna penalità
e deve rimborsare al venditore solo le spese sostenute e documentate per la conclusione del contratto e di cui è fatta menzione nello stesso, purché si tratti di spese relative ad atti da
espletare tassativamente prima dello scadere del periodo di recesso».
Se ne desume che la potestà di unilaterale scioglimento
dal contratto accordata ex lege al consumatore non corrisponde ad un diritto legale di recesso in senso tecnico,
ma è stata di volta in volta assimilata ad una condizione
legale, sospensiva degli effetti del contratto fino alla spirare degli inderogabili termini fissati dalla legge per l’esercizio del diritto di ripensamento, ovvero ad una potestà di revoca dell’accettazione eccezionalmente ammessa
dall’art. 5, D.Lgs. n. 427/1998 fino al decimo giorno
successivo alla conoscenza dell’accettazione da parte del
venditore (51).
Pertanto, il divieto per il venditore di esigere il pagamento della caparra e di acconti durante la pendenza
del termine per il recesso, cosı̀ come previsto al successivo art. 6, sarebbe corollario dell’inefficacia (o dell’inesistenza) del contratto in pendenza di tale termine. Ne
deriva che la caparra pagata nonostante il divieto integrerebbe un indebito oggettivo, passibile di restituzione.
È evidente il differente regime del recesso riservato all’acquirente di diritti di godimento a tempo parziale su
immobili rispetto al regime di protezione introdotto dalla disciplina della «vendita» di pacchetti turistici. La
prenotazione di un pacchetto turistico coincide con la
conclusione di un contratto definitivo di viaggio, dal
quale discende il diritto dell’organizzatore o del venditore di esigere immediatamente il pagamento della caparra, sia pure in misura non superiore al 25% del prezzo
globale (come risulta dal più volte citato art. 7, comma
1, lett. d), D.Lgs. 17 marzo 1995, n. 111).
Secondo una tecnica normativa già sperimentata con il
D.Lgs. n. 50/1992, la violazione dei doveri di informazione scritta imposti al venditore viene sanzionata con
l’allungamento dei termini per il recesso.
L’art. 5, comma 2, D.Lgs. n. 427/1998 prevede che il
consumatore possa recedere dal contratto entro tre mesi
dalla sua conclusione ove non vengano specificati per
iscritto, in termini chiari e trasparenti ed in una lingua
comprensibile al consumatore, gli elementi contenuti-
stici elencati dall’art. 3, comma 2 (ivi comprese le «informazioni circa il diritto di recesso dal contratto con l’indicazione degli elementi identificativi della persona alla quale
deve essere comunicato il recesso stesso, precisando le modalità della comunicazione e l’importo delle spese che l’acquirente in caso di recesso è tenuto a rimborsare» nonché le
«informazioni circa le modalità per risolvere il contratto di
concessione di credito connesso al contratto, in caso di recesso»: cfr. art. 2, comma 1, lett. i) cui rinvia l’art. 3, comma 2).
L’art. 5, comma 3, precisa, inoltre, che se l’informativa
obbligatoria del consumatore viene completata entro
tre mesi dalla conclusione del contratto l’acquirente potrà esercitare il diritto di ripensamento entro dieci giorni
«dalla data di ricezione della comunicazione degli elementi
stessi». In caso contrario, l’acquirente potrà esercitare il
diritto di ripensamento entro dieci giorni dalla «scadenza dei tre mesi dalla data di conclusione del contratto» (art.
5, comma 4, del decreto).
Tale sanzione è stata applicata dal Tribunale di Parma
in un caso in cui il venditore non aveva specificato per
iscritto la durata del turno di godimento dell’immobile,
posto che il contratto faceva riferimento ad un non meglio precisato «periodo rosso» (52).
Inoltre, il Tribunale di Parma ha ritenuto che l’erronea
informativa circa le condizioni di esercizio del recesso
Note:
(50) Secondo l’art. 4, comma 1, D.Lgs. n. 427/1998: «il venditore utilizza il
termine «multiproprietà» nel documento informativo, nel contratto e nella pubblicità commerciale relativa al bene immobile soltanto quando il diritto oggetto
del contratto è un diritto reale».
(51) La giuridica qualificazione del diritto potestativo di ripensamento come condizione legale sospensiva risale alla decisione del Trib. Bergamo
21 novembre 2001, ord., in Foro it., 2002, 606 ss. Il Tribunale era stato
chiamato ad accertare se si desse violazione dell’art. 6 del decreto n. 427/
1998 in un caso in cui il venditore aveva richiesto, al momento della
conclusione del contratto, la consegna di un assegno postdatato (con data
di incasso successiva alla scadenza dei termini previsti per l’esercizio del diritto di recesso da parte dell’acquirente). Secondo il Tribunale: «Il divieto,
previsto dall’art. 6, D.Lgs. n. 427/1998, per il venditore di esigere o ricevere il
versamento di somme di denaro a titolo di anticipo, di acconto o di caparra, è
posto a tutela della libertà negoziale, sotto l’aspetto del diritto di ripensamento. Il
diritto di ripensamento, previsto dall’art. 5, D.Lgs. n. 427/1998, si avvicina all’istituto della revoca, essendo destinato ad operare non su un rapporto obbligatorio già sorto, bensı̀ - ancor prima ed in revoca - sull’atto di consenso alla conclusione del negozio. Prima dello spirare del termine di recesso non possono sorgere
obbligazioni sull’acquirente; quindi, con l’emissione di un assegno, seppur con
scadenza successiva al decorso di detto termine, si assume un’obbligazione e si
contravviene al divieto».
(52) Trib. Parma 14 luglio 2003, in Contratti, 2004, 5, 503 ss., ha chiarito
che «il contratto avente ad oggetto l’acquisto di una quota di «multiproprietà»,
nel quale il periodo di godimento dell’immobile sia indicato per relationem (nella
specie con l’espressione «periodo rosso»), non è nullo, ma semplicemente legittima l’ acquirente ad esercitare il diritto di recesso entro tre mesi dalla stipula». Se
ne desume che quantunque per il contratto in questione sia prescritto il
requisito della forma scritta a pena di nullità, cionondimeno la mancata
specificazione per iscritto di un requisito contenutistico di cui la legge prescrive l’espressa menzione nel contratto non induce nullità del contratto
per violazione del requisito della forma scritta ad substantiam avendo quale
effetto soltanto l’applicazione al venditore delle sanzioni amministrative indicate dall’art. 12 del decreto nonché l’allungamento dei termini per l’esercizio del «diritto di ripensamento» accordato dalla legge al consumatore.
DIRITTO DEL TURISMO N. 3/2005
225
ANALISI . CONTRATTI DEL TURISMO
integri la fattispecie del dolo che rende il contratto annullabile ex art. 1439 c.c. (53).
Nel caso dei contratti di acquisto di diritti di godimento
a tempo parziale il recesso (cosı̀ come le altre tutele imperative previste dalla legge) deve essere riconosciuto all’acquirente anche quando le parti abbiano scelto di applicare al contratto una legislazione diversa da quella
italiana «allorquando l’immobile oggetto del contratto sia situato nel territorio di uno Stato membro dell’Unione europea» (art. 11, D.Lgs. n. 427/1998).
In giurisprudenza si è presentato il caso in cui un contratto standard stipulato in Italia fra contraenti italiani e
avente ad oggetto l’acquisto di diritti di multiproprietà
su un immobile situato in Santo Domingo veniva convenzionalmente assoggettato alla legge dello Stato di
ubicazione dell’immobile. Nel caso descritto, l’acquirente aveva comunque esercitato il diritto di ripensamento
previsto dall’art. 5, D.Lgs. n. 427/1998 mentre la società
immobiliare sosteneva che tale diritto, non previsto in
contratto, non potesse neppure derivare dall’automatica
integrazione del contratto per effetto della previsione
imperativa di cui al menzionato decreto. Infatti, poiché
era stata prescelta dalle parti la legge della Repubblica
Dominicana in relazione ad un immobile situato in
quello Stato non trovava letterale applicazione la disposizione di cui all’art. 11, D.Lgs. n. 427/1998, che considera le condizioni legali di tutela del consumatore di applicazione necessaria soltanto quando l’immobile su cui
insiste il diritto di multiproprietà oggetto del contratto
risulti situato nel territorio italiano (54).
A contrastare la tesi del venditore si sarebbe potuto addurre che la libertà di scelta della lex contractus attribuita alle parti dall’art. 3, comma 1, della Convenzione di
Roma del 19 giugno 1980, sulla legge applicabile alle
obbligazioni contrattuali (cui rinvia l’art. 57, L. 31 maggio 1995, n. 218 sul diritto internazionale privato), incontra, comunque, il limite delle norme imperative del
paese cui si riferiscono tutti i dati di fatto concernenti il
contratto.
Cosı̀ nel caso considerato, poiché tutti gli altri dati di
fatto relativi al contratto si riferivano allo Stato italiano,
con la sola eccezione del paese di localizzazione dell’immobile, si sarebbe potuto sostenere che la scelta della
legge della Repubblica dominicana non poteva, comunque, pregiudicare l’assoggettamento del contratto alle disposizioni imperative di cui al D.Lgs. n. 427/1998, ivi
compresa la previsione in materia di diritto di recesso.
Il Tribunale di Chiavari (55) ha ritenuto invece che la
clausola di scelta della lex contractus dovesse considerarsi, nel caso di specie, nulla in quanto «meramente strumentale alla elusione delle garanzie previste in favore del
contraente più debole dalla normativa comunitaria recepita
anche nel nostro Paese». In particolare, il Tribunale ha
equiparato la descritta clausola a quelle che comportano
una limitazione convenzionale alla facoltà di opporre le
eccezioni accordate al consumatore dal D.Lgs. 9 novembre 1998, n. 427, dichiarandola inefficace in quanto
226
DIRITTO DEL TURISMO N. 3/2005
n
non espressamente approvata per iscritto secondo quanto prescrive l’art. 1341 comma 2, c.c. con riguardo alle
clausole vessatorie inserite nelle condizioni generali di
contratto.
Infine, l’applicazione delle tutele previste dal D.Lgs. n.
427/1998 presuppone che il contratto abbia ad oggetto
un diritto di godimento di durata non inferiore ai tre
anni e riferito ad un turno di durata non inferiore ad
una settimana (art. 1, lett. a), D.Lgs. n. 427/1998).
In mancanza dei descritti presupposti occorre verificare
l’applicabilità di altre discipline protettive, quale ad
esempio la normativa sui «contratti negoziati fuori dai locali commerciali» di cui al già menzionato D.Lgs. 15 gennaio 1992, n. 50, quantomeno nei casi in cui l’acquisto
avvenga sulla base di liste, elenchi, cataloghi o altre forme di comunicazione a distanza.
Un impedimento potrebbe discendere dal fatto che
l’art. 3, n. 2, della direttiva 85/577/CEE, recepito dall’art. 3, D.Lgs. n. 50/1992, esclude dal campo di applicazione di quest’ultima i «contratti per la costruzione, vendita e locazione di beni immobili» nonché i «contratti relativi
ad altri diritti concernenti beni immobili».
La Corte di Giustizia delle Comunità Europee (56) ha
tuttavia ritenuto che la menzionata disposizione non
impedisca l’applicazione della direttiva e delle legislazioni nazionali che la recepiscono ai c.d. contratti di timesharing, in cui l’acquisto del diritto di godimento a tempo parziale costituisce solo un elemento di un complesso di servizi turistici che vengono erogati all’acquirente
verso un corrispettivo superiore rispetto a quello previsto per il diritto di godimento turnario. Nel caso portato
all’attenzione della Corte il contratto di time-sharing prevedeva la fornitura di un servizio di mantenimento dell’immobile, di gestione e amministrazione della multiproprietà, l’uso di servizi comuni del quartiere residenziale, l’affiliazione ad una organizzazione internazionale
per lo scambio delle settimane di soggiorno secondo il
regolamento della stessa organizzazione.
Note:
(53) Secondo Trib. Parma cit. l’affermazione del rappresentante del venditore secondo cui l’esercizio del recesso sarebbe costato all’acquirente una
somma pari a circa lire 5.000.000, in violazione del divieto di cui all’art.
6, D.Lgs. n. 427/1998, costituisce informazione ingannevole «diretta allo
scopo evidente di forzare la volontà» dell’acquirente «alla conclusione del contratto. Nè può esservi dubbio che la suddetta falsa informazione integri un vero
e proprio raggiro che ha ingenerato» nell’acquirente «l’errato convincimento
che, se non avesse concluso il contratto, ci avrebbe comunque rimesso lire
5.000.000 e che il predetto, al solo fine di evitare il suddetto esborso, si è deciso
a stipularlo».
(54) Il caso è stato deciso nel 2000. Al tempo della pronuncia l’art. 11
disponeva: «ove le parti abbiano scelto di applicare al contratto una legislazione
diversa da quella italiana, all’acquirente devono comunque essere riconosciute le
condizioni di tutela previste dal presente decreto legislativo allorquando l’immobile
oggetto del contratto sia situato nel territorio dello Stato». Successivamente,
l’art. 10, L. 18 marzo 2002, n. 39 (legge comunitaria 2001) ha modificato
l’art. 11 secondo il testo attualmente vigente, riportato supra nel testo.
(55) Trib. Chiavari 8 agosto 2000, in Arch. Locazioni, 2001, 129.
(56) Corte di giust., sez. III, 22 aprile 1999, causa C-423/97, in Foro it.,
1999, IV, 233.
n
ANALISI . CONTRATTI DEL TURISMO
Dall’applicazione della disciplina dei contratti negoziati
fuori dai locali commerciali deriva l’assoggettamento dei
contratti di time-sharing «ad oggetto turistico complesso» al
diritto legale di ripensamento di sette giorni, ovvero di
sessanta giorni in caso di mancata informativa sul recesso, ai sensi dell’art. 6, D.Lgs. n. 50/1992.
La prenotazione alberghiera e le possibilità
di disdetta
C
ome si è anticipato in premessa, il recesso del
cliente dai contratti turistici atipici rimane assoggettato, laddove convenzionalmente previsto, alle disciplina codificata sul contratto in generale e
dunque ai limiti cui il codice civile assoggetta la previsione contrattuale del diritto di recesso.
Tra le fattispecie atipiche ad oggetto turistico, merita
soffermarsi sul problema dell’ammissibilità della disdetta
da parte del cliente che intenda cancellare la prenotazione già confermata con riferimento ai contratti per la
fruizione dei servizi di ospitalità alberghiera.
La giurisprudenza ha prospettato diverse soluzioni partendo da opposte qualificazioni giuridiche del contratto
di prenotazione alberghiera.
Si è visto come il problema della qualificazione giuridica
della prenotazione sia stato risolto positivamente dal legislatore con riguardo alle fattispecie contrattuali tipizzate.
Basti pensare che la prenotazione di pacchetti turistici è
assistita da indici normativi che consentono di concludere per la sua qualificazione giuridica come contratto
definitivo di viaggio. Infatti, l’art. 7, comma 1, lett. d),
D.Lgs. 17 marzo 1995, n. 111 disciplina l’ammontare
massimo della caparra esigibile (dall’organizzatore o dal
venditore) «all’atto della prenotazione», il che induce a
concludere per la sua natura di contratto definitivo di
acquisto di un pacchetto turistico.
Qualificazione giuridica della «prenotazione
alberghiera»
L
a giuridica qualificazione della prenotazione alberghiera attinge, nelle ricostruzioni operate dalla dottrina e dalla giurisprudenza, a due tesi fondamentali e contrapposte.
Un primo orientamento considera la prenotazione come un contratto preparatorio del successivo contratto di
albergo. All’interno di questo indirizzo si riscontrano
due principali varianti.
Alcuni considerano la prenotazione come un contratto
preparatorio, di tipo unilaterale, ma irriducibile allo
schema causale del contratto preliminare o dell’opzione.
Si assume, infatti, che fra la prenotazione e il successivo
contratto di albergo non sussisterebbe il collegamento
che tipicamente intercorre fra il preliminare o l’opzione
e il successivo contratto definitivo, atteso che nella
prassi si riconosce al turista la facoltà di mutare, in sede
di conclusione del contratto definitivo di albergo, alcu-
ne delle condizioni concordate in sede di prenotazione
(ad esempio il periodo del soggiorno) (57).
Un’altra variante è quella che qualifica la prenotazione
come un tipico contratto preparatorio riconducibile allo
schema causale dell’opzione gratuita (art. 1331 c.c.) o
del contratto preliminare unilaterale, con obbligazioni a
carico del solo albergatore (art. 1333 c.c.) (58).
In entrambi i casi il contratto di prenotazione alberghiera obbligherebbe il solo albergatore, normalmente fino
alla scadenza di un termine convenuto ed essenziale, a
concludere il contratto definitivo di albergo, e dunque
a tenere a disposizione l’alloggio prenotato, a non accettare altre prenotazioni su quell’alloggio e a predisporlo
per l’arrivo del cliente. Ne deriva che il diniego di alloggio a causa di overbooking alberghiero integrerebbe
sempre una fattispecie di inadempimento contrattuale
dell’albergatore.
Secondo questa tesi, dalla prenotazione non sorge a carico del cliente nessuna obbligazione contrattuale: né
l’obbligo di versare una caparra o acconti sul prezzo, né
l’obbligo di concludere il successivo contratto di albergo. Il cliente sarebbe, pertanto, libero di «disdire» la
prenotazione, e dunque di recedere dal contratto in
ogni momento, purché il suo comportamento sia improntato a buona fede. L’obbligo di buona fede in pendenza del termine per la conferma previsto all’atto della
prenotazione, che è il termine per l’esercizio da parte
del cliente del diritto potestativo di conclusione del
contratto definitivo di albergo, ha natura precontrattuale (ai sensi dell’art. 1337 c.c.). Pertanto, il cliente è responsabile se prenota senza alcuna seria intenzione di
obbligarsi e se non disdice tempestivamente la prenotazione prima di effettuare nuove prenotazioni con essa
incompatibili. Trattandosi di responsabilità precontrattuale il cliente sarà tenuto a risarcire il danno patito
dall’albergatore a causa dell’inosservanza del dovere di
buona fede nei limiti dell’interesse contrattuale negativo, vale a dire per le spese affrontate in buona fede dall’albergatore a causa della prenotazione e per le occasioni contrattuali che l’albergatore dimostri di avere perduto a causa di una prenotazione incauta o non seria.
Per converso l’albergatore non potrà pretendere, in caso
di disdetta, il pagamento del prezzo convenuto per il
soggiorno.
In applicazione di questa tesi il Tribunale di Livorno (59) ha ritenuto che l’Enel dovesse rispondere solo
a titolo di responsabilità precontrattuale nei confronti
del gestore di un residence alberghiero presso il quale
aveva prenotato due camere, destinate a due suoi diNote:
(57) Questa tesi è sostenuta da Franceschelli, in AA.VV., Manuale di diritto del turismo, Torino, 1999, 292 ss.
(58) Cfr. Trib. Livorno 12 dicembre 1996, n. 806, in Rass. giur. energia
elettrica, 1997, 360.
(59) Trib. Livorno 12 dicembre 1996, in Rass. giur. energia elettrica, 1997,
361, con nota di V. Barba.
DIRITTO DEL TURISMO N. 3/2005
227
ANALISI . CONTRATTI DEL TURISMO
pendenti, per un anno, dal 2 gennaio al 31 dicembre,
salvo poi «disdire la prenotazione», il mese successivo, e
precisamente in data 3 febbraio, adducendo un improvviso cambiamento nel programma dei lavori nella zona.
Secondo il Tribunale, nel caso di prenotazioni semplicemente accettate dall’albergatore, senza il versamento
né di anticipi né di caparre, ricorre lo schema giuridico
del contratto di opzione. In questo caso «il prenotante
(...) conserva il potere di revocare unilateralmente la propria
proposta fino a quando il contratto definitivo non è concluso», ed incorre in responsabilità precontrattuale solo «se
abbia ingenerato nella controparte il ragionevole affidamento
nella conclusione del contratto finale». In tal caso il risarcimento dovuto dal prenotante che sia incorso nella violazione dell’obbligo di buona fede precontrattuale comprende «oltre alle spese inutilmente erogate» dall’albergatore, «anche e soprattutto la perdita di favorevoli occasioni
contrattuali», che nella specie vennero ravvisate «nel fatto di aver tenuto le stanze a disposizione dei dipendenti dell’Enel » almeno per tutto il mese di gennaio.
Una tesi opposta, anch’essa recepita da dottrina e giurisprudenza, ravvisa nella prenotazione l’atto di accettazione dell’offerta al pubblico di servizi per l’ospitalità,
che si considera insita nelle modalità di organizzazione
dell’impresa alberghiera.
La prenotazione coinciderebbe pertanto con la conclusione di un contratto definitivo di albergo, che resterebbe sospensivamente condizionato, con riferimento alle
obbligazioni dell’albergatore, alla verifica della effettiva
disponibilità delle camere nel periodo convenuto. In
pendenza di tale condizione, l’albergatore dovrebbe comunque comportarsi secondo buona fede (ex art. 1358
c.c.), e quindi dovrebbe tempestivamente confermare la
prenotazione ovvero informare il cliente dell’indisponibilità della camera.
Dalla natura di contratto definitivo della prenotazione,
che si evincerebbe dalla corresponsione di acconti o di
caparre, deriverebbe l’impossibilità per il cliente di «disdire» la prenotazione, rectius di recedere dal contratto
(ove una tale facoltà non fosse espressamente convenuta) senza incorrere in responsabilità da inadempimento
contrattuale.
La tesi prospettata è alla base della pronuncia con cui
la Cassazione civile ha deciso un caso in cui un’agenzia
di viaggi, che aveva prenotato una settimana bianca
per quaranta persone presso un albergo di Canazei, aveva disdettato la prenotazione, in prossimità della partenza, per quindici persone. L’agenzia veniva convenuta
dall’albergatore che chiedeva fosse condannata al pagamento dell’intero corrispettivo pattuito per il soggiorno (60).
La Cassazione ha ritenuto che «l’esercente l’impresa alberghiera, per il solo fatto di gestirla in locali dotati di apposite
insegne ed avvalendosi di varie forme di pubblicità, effettua
una offerta pubblica (art. 1336 c.c.) rivolta ai potenziali
utenti del servizio alberghiero, i cui estremi essenziali sono di
norma enunciati nei messaggi pubblicitari e comunque risul-
228
DIRITTO DEL TURISMO N. 3/2005
n
tano agevolmente determinabili sulla base delle tariffe vigenti
in relazione alle varie categorie nelle quali le imprese alberghiere si articolano. Consegue che il contratto si conclude
nel momento in cui l’accettazione del cliente, formulata in
modo espresso o per comportamento concludente, è conosciuta dall’albergatore (art. 1326, comma 1, c.c.). Ed anche la c.d. prenotazione compiuta da cliente lontano per epoca futura, integra manifestazione di volontà di accettazione
da parte del predetto, anche se, non iniziando contestualmente ad essa lo svolgimento del rapporto, il contratto deve
ritenersi sottoposto alla condizione dell’effettiva disponibilità
della camera. L’albergatore, in tale lasso di tempo, deve ispirare la sua condotta a quanto dispone l’art. 1358 c.c., e
comportarsi quindi secondo buona fede per conservare integre le ragioni del cliente, provvedendo, se vi sono sufficienti
margini di tempo, a dare conferma della prenotazione ovvero
a comunicare tempestivamente l’indisponibilità della camera
(in tale senso si esprime l’art. 4, comma 3, del Réglement
international de l’hotellerie, nel quale sono racchiuse le condizioni generali del contratto in esame). Per effetto dell’intervenuto perfezionamento del contratto, la revoca della prenotazione da parte del cliente integra unilaterale sottrazione al
vincolo contrattuale, e determina l’obbligazione di tenere indenne l’albergatore per la perdita subita (...)» (61).
Più recentemente la Suprema Corte ha ribadito che la
prenotazione alberghiera deve considerarsi come contratto definitivo di albergo puntualizzando però che tale
qualificazione giuridica presuppone il pagamento, all’atto della prenotazione, di un acconto o di una caparra (62). La Corte ha pertanto escluso che possa qualificarsi come contratto definitivo di albergo la semplice
prenotazione telefonica, pur in astratto ammissibile (63), laddove tale prenotazione telefonica non sia né
accompagnata né seguita dal versamento di acconti in
contrasto con quanto risulta usuale alla luce della prassi
e della documentazione pubblicitaria diffusa dal medesimo albergatore. In altre parole, se è vero che l’offerta di
Note:
(60) Cass. Civ., sez. III, 18 luglio 1997, n. 6633, in Nuova giur. civ.
comm., 1998, I, 619.
(61) Tuttavia, nel caso di specie, all’agenzia che aveva pagato l’intero
corrispettivo previsto per il soggiorno delle persone che avevano poi disdettato la prenotazione, la Cassazione nega l’esercizio dell’azione di rivalsa
ai sensi dell’art. 1720, comma 2, c.c., ravvisando negligenza dell’agenzia
nella gestione dei rapporti con l’albergatore. A questa veniva, infatti, imputato di aver pagato l’intero corrispettivo senza avere preventivamente
richiesto istruzioni ai clienti e senza avere adottato le opportune cautele
intese a verificare se davvero le camere disdettate non fossero state nuovamente allocate dall’albergatore per il periodo corrispondente alla prenotazione, circostanza questa che avrebbe evidentemente consentito di ridurre
il risarcimento dovuto all’albergatore.
(62) Cass., sez. III, 3 dicembre 2002, n. 17150, in Contratti, 2003, 7, 697;
pubblicata anche in Dir. Tur., 2003, 1, 40.
(63) Il Tribunale di Alessandria (sent. 1 aprile 1999), a fronte dell’appello della decisione emessa in primo grado dal Pretore di Novi Ligure, pur
non negando alla prenotazione alberghiera la natura di contratto definitivo ha statuito che il solo «contatto telefonico» non è idoneo a fornire la
prova della conclusione del contratto.
n
ANALISI . CONTRATTI DEL TURISMO
servizi di ospitalità da parte dell’albergatore costituisce
offerta al pubblico, è altrettanto vero che il contenuto
di questa offerta risulta integrato e documentato dagli
usi contrattuali (64) e dal materiale pubblicitario divulgato dall’albergatore, dai quali si evince anche la forma
ed il contenuto che deve avere l’accettazione per risultare conforme alla proposta (ai sensi e per gli effetti dell’art. 1326 c.c.) (65).
In conclusione, anche considerando l’offerta dell’albergatore come una vera e propria offerta al pubblico, continua a presentarsi problematica la qualificazione giuridica della fattispecie risultante dalla prenotazione del
cliente. Nulla quaestio nel caso in cui la «prenotazione»
sia accompagnata dalla corresponsione di una caparra,
dal momento che in questo caso l’avvenuta conclusione
di un contratto definitivo di albergo potrebbe comunque evincersi dall’inizio dell’esecuzione del contratto.
Per converso, nei casi in cui risulta documentata (magari dal materiale pubblicitario diffuso dall’albergatore) la
prassi di esigere acconti all’atto della prenotazione, la
mancata corresponsione dell’acconto o caparra all’atto
della prenotazione telefonica porta ad escludere che
quest’ultima possa già integrare il perfezionamento di
un contratto definitivo di albergo.
La distribuzione sul mercato dei servizi
per l’ospitalità: in particolare, il «contratto
di allotment» nella giurisprudenza italiana
e spagnola
D
all’analisi dei casi decisi dalla giurisprudenza
emerge come la disciplina della disdetta del
cliente trovi applicazione anche ai contratti ad
oggetto turistico perfezionati con il tour operator o con
l’impresa alberghiera dall’agenzia di viaggi che opera su
mandato del cliente o che comunque perfeziona la prenotazione a favore del cliente, salvo il diritto dell’agenzia di rivalersi sul cliente nelle ipotesi di disdetta non
consentita.
Un discorso a parte merita la disciplina dei contratti di
contingentamento o di allotment perfezionati tra imprese
alberghiere ed operatori turistici a prescindere dall’attuale collegamento con un contratto di consumo. In questi
casi l’albergatore conclude con l’agenzia viaggi o con il
tour operator degli atipici contratti che sono a tutti gli
effetti contratti «fra professionisti».
Secondo il modello delineato dalla Convenzione internazionale tra la FUAAV (Agenzie di viaggio) e l’AIH
(Associazione albergatori), con l’atipico contratto di allotment l’albergatore si obbliga a tenere a disposizione
del tour operator o di un’agenzia di viaggi un certo numero di camere, ad un prezzo convenuto, per un periodo determinato (c.d. termine di release) che va generalmente dai 20 ai 30 giorni precedenti il giorno fissato
per l’arrivo dei turisti. Sulla base di tale accordo l’agenzia raccoglie le richieste dei propri clienti e, prima della
scadenza del termine di release, forma la rooming list con
indicazione del numero di camere definitivamente impegnate e del numero di turisti in arrivo. Nell’unico caso deciso dai giudici italiani si trattava di stabilire se l’agenzia, che entro il termine di release non aveva inviato
alcuna rooming list, potesse considerarsi definitivamente
liberata da qualsiasi impegno nei confronti dell’albergatore o se, al contrario, dovesse ritenersi obbligata a corrispondere il corrispettivo pattuito per l’intero contingente di camere tenute a disposizione dall’albergatore.
Con particolare riguardo al cosiddetto termine di release
si tratta, dunque, di stabilire se questo valga a qualificare
il contratto di allotment come un contratto di opzione,
con il quale l’albergatore si impegna a tenere a disposizione dell’intermediario un certo numero di camere per
un certo periodo di tempo, cosicché al silenzio dell’intermediario entro il termine di release conseguirebbe la
sua automatica liberazione da ogni vincolo contrattuale
con l’albergatore oppure se, al contrario, il termine di
release rappresenti un termine entro il quale l’intermediario ha il diritto potestativo di disdettare la prenotazione dei posti resi disponibili dall’albergatore, intendendosi in mancanza perfezionata la prenotazione degli stessi.
In quest’ultimo caso il termine di release si configurerebbe come termine per l’esercizio del recesso dell’intermediario il quale, nel caso in cui voglia avvalersene, ha l’onere di comunicarlo alla propria controparte nel termine previsto, laddove in caso contrario resterebbe vincolato alla prenotazione originariamente effettuata. Viceversa, nella prima ipotesi si tratterebbe di un semplice
termine per la conferma (o per l’esercizio dell’opzione),
allo spirare del quale entrambe le parti sarebbero automaticamente liberate dall’accordo originario. In questo
caso potrebbe parlarsi di contratto risolutivamente condizionato alla comunicazione della conferma, ma il fatto
che una condizione del genere possa essere considerata
«meramente potestiva» rende preferibile riferirsi allo
Note:
(64) Sulla nozione di «usi contrattuali» cfr. F. Galgano, Diritto Civile e
Commerciale, Padova, 1999, 160, per cui questi «consistono nelle prassi contrattuali della generalità degli operatori di un dato luogo o di un dato settore economico».
(65) Di conseguenza, qualora si accerti che la richiesta di acconti all’atto
della «prenotazione» costituisca la comune prassi nel settore alberghiero
di una data zona, si deve ritenere che il versamento dell’acconto costituisca elemento imprescindibile per la conclusione del contratto, salvo che
ciò non sia escluso dall’albergatore laddove, ad esempio, nelle brochure
commerciali divulgate e rese conoscibili alla clientela sia dato di riscontrare termini dell’offerta divergenti rispetto agli usi (infatti «le clausole d’uso
s’intendono inserite nel contratto, se non risulta che non sono state volute dalle
parti», art. 1340). La Corte di Cassazione sembra dunque confermare
un’interpretazione restrittiva del requisito di conformità di cui al comma
5 dell’art. 1326 c.c., che suggerisce di qualificare come «nuova proposta»
l’accettazione non conforme ad elementi che siano anche soltanto «accessori» e non «essenziali» (cfr. in questo senso F. Galgano, Diritto civile e
commerciale, ult. cit., 164 ss.). Diversamente, le clausole d’uso che richiedono il versamento di acconti all’atto della prenotazione potrebbero intendersi come condizione risolutiva del contratto definitivo d’albergo concluso all’atto della prenotazione.
DIRITTO DEL TURISMO N. 3/2005
229
ANALISI . CONTRATTI DEL TURISMO
schema dell’opzione. Naturalmente il problema del significato giuridico da attribuire al termine di release si
pone solo nei casi in cui le parti non abbiano già predeterminato in contratto il significato e gli effetti da ricollegare alla clausola di release.
Poiché i contratti di allotment e le clausole di release in
essi ricorrenti appartengono alla prassi del commercio
internazionale può risultare utile non limitare l’esame ai
soli precedenti italiani, anche in considerazione del fatto che nella giurisprudenza italiana si riscontra sul tema
un solo precedente edito.
In particolare, il Giudice di pace di Sorrento interpretando il significato dell’espressione release secondo la comune intenzione delle parti (ex art. 1362 c.c.) e tenendo presente il regolamento contrattuale nel suo complesso (ex art. 1363 c.c.) ha ritenuto di qualificare la fattispecie concreta come contratto di allotment, intendendosi per tale «il contratto in base al quale una parte è obbligata ad adempiere, mentre l’altra, fino alla scadenza del termine di release ne ha soltanto la facoltà. Solo se effettua la
conferma nel termine sopraindicato il contratto diventa vincolante per ambedue le parti e, quindi, sinallagmatico e l’agente acquista il diritto alla provvigione (...). Con detto contratto infatti sorge un vincolo unilaterale a carico dell’albergatore il quale è tenuto a riservare un contingente di camere
mentre l’agenzia solo se conferma quella che potremmo chiamare ‘prenotazione da confermarè nel termine di release,
avrà dato vita al contratto. In effetti il release ha la struttura
del termine fino al quale l’albergatore resta vincolato. Ed allora sembra logico ritenere, nello spirito dell’equità interpretativa, che allo spirare di detto termine senza che l’agenzia abbia confermato le camere messe a disposizione dall’albergatore, questi riacquisti automaticamente la disponibilità delle
stesse restando le parti sciolte da qualunque vincolo» (66).
Conseguentemente il giudice ha escluso che l’agenzia
dovesse pagare all’albergatore le penali contrattualmente
previste per il caso di mancata presentazione dei clienti,
non avendo la stessa inviato nel termine di release alcuna rooming list (67).
Merita inoltre osservare come il giudice, ai fini dell’operazione di qualificazione giuridica della fattispecie (68),
si sia avvalso di usi interpretativi (ex art. 1368 c.c.), richiamandosi alla prassi contrattuale generalmente praticata nel luogo di conclusione del contratto, quale documentata dai modelli esibiti in giudizio. Inoltre, il giudice
osserva, in obiter dictum, come tali prassi contrattuali risultino ispirate dai modelli elaborati dalle federazioni internazionali degli albergatori e delle agenzie di viaggi.
Infine, a conclusione di tale complessa operazione ermeneutica, il giudice ha ritenuto che, in applicazione della
clausola generale di buona fede contrattuale, l’albergatore avrebbe dovuto quantomeno «interpellare l’agenzia sul
perché, come di consueto, non era stata inviata la rooming
list, attesa anche l’incertezza interpretativa del release». Laddove invece l’albergatore, «fidando sulla personale interpretazione della clausola di release, ha preferito rimanere
inerte con ciò non comportandosi secondo buona fede».
230
DIRITTO DEL TURISMO N. 3/2005
n
Dall’analisi di tale decisione risulta, peraltro, che se il
giudice, prima di ricorrere all’applicazione di criteri di
interpretazione sussidiari, quali l’equità interpretativa
(art. 1371 c.c.) e gli usi interpretativi (art. 1368 c.c.),
avesse ricostruito la comune intenzione delle parti considerando, ex art. 1362, comma 2, c.c., «il loro comportamento complessivo anche posteriore alla conclusione del contratto» (69) avrebbe dovuto considerare altresı̀ il fatto
che l’agenzia aveva comunicato una disdetta undici
giorni prima dell’inizio del periodo di soggiorno convenuto. Tale circostanza di fatto non appare del tutto coerente con l’ipotesi che entrambe le parti avessero inteso
attribuire al termine di release natura di termine oltre il
quale si sarebbe automaticamente prodotto lo scioglimento del vincolo contrattuale obbligatorio, in quanto
se cosı̀ fosse stato non vi sarebbe stata necessità di effettuare successivamente una comunicazione di disdetta.
L’esame della giurisprudenza spagnola fornisce alcuni ulteriori ed utili elementi per la qualificazione giuridica
del contratto di allotment secondo la morfologia socialmente tipica che lo stesso ha assunto nella prassi del
commercio internazionale.
Cosı̀ si trova affermato che il termine per la comunicazione della lista delle camere (il termine di release appunto) è essenziale per la qualificazione del contratto
come «contrato de reserva de plazas hoteleras en regimen de
Note:
(66) Cfr. Giudice di pace di Sorrento 30 gennaio 2001, in Giudice di Pace, 2002, 3, 244.
(67) Nel caso di specie gli accordi tra l’hotel e l’agenzia erano nel senso
che l’hotel dovesse mettere a disposizione dell’agenzia un contingente di
ventuno camere doppie e tre singole per periodi predeterminati a decorrere dal mese di marzo e sino al mese di ottobre del 1998. Il contratto di
collaborazione per la fornitura di servizi alberghieri prevedeva, inoltre,
una clausola di scadenza (release), da far valere trenta giorni prima dell’arrivo di ogni gruppo, ed una penale giornaliera per persona in caso di
mancata presentazione. Più precisamente ai sensi dell’art. 5 del contratto,
denominato «scadenza contingente o release», «il contingente concesso alla
Cintours deve essere tenuto a sua esclusiva disposizione fino alla scadenza dello
stesso, indicata nel presente contratto. Dopo tale data il Fornitore sarà libero di
considerarlo decaduto e potrà vendere le camere». Tuttavia l’agenzia non
provvedeva a comunicare alcunché alla scadenza del predetto termine
ma, undici giorni prima del previsto arrivo del gruppo, disdettava le camere prenotate per il periodo concordato. Di qui la controversia in ordine al
significato giuridico da attribuire alla previsione contrattuale del predetto
termine.
(68) Cfr. Cass., sez. III, 16 giugno 1997, n. 5387, in Contratti, 1998, 337;
la Corte afferma, proprio con riferimento ad un patto di opzione che «il
procedimento ermeneutico volto all’accertamento della esatta qualificazione giuridica di un negozio consta di una duplicità di fasi consistenti, la prima, nella individuazione ed interpretazione della comune volontà dei contraenti, la seconda,
nell’inquadramento della fattispecie negoziale nello schema legale paradigmatico
corrispondente agli elementi (in precedenza individuati) che ne caratterizzano la
esistenza giuridica».
(69) Sulla rilevanza del criterio enunciato all’art. 1362 c.c. quale «norma
primaria di ermeneutica negoziale», cfr. Cass., sez. II, 25 febbraio 1998, n.
2017, in cui la Corte, facendo applicazione del criterio di interpretazione
di cui all’art. 1362 c.c., ha concordato sul giudizio maturato dal giudice
d’appello nel qualificare come opzione e non come recesso, la facoltà attribuita all’acquirente di acquistare la merce previa verifica della congruità
del corrispettivo.
n
ANALISI . CONTRATTI DEL TURISMO
contingente» (contratto di riserva di un contingente di
posti in hotel) e che la comunicazione stessa è essenziale perché si considerino obbligate entrambe le parti.
Per converso, il contratto con il quale l’albergatore si
impegna a tenere a disposizione dell’agenzia di viaggi
un contingente di camere per un periodo determinato,
verso il pagamento di un prezzo globale, quantunque rateizzato, ma senza la previsione di un termine per la
conferma dei posti riservati da parte dell’Agenzia (c.d.
termine di release) vale a qualificare il contratto come
locazione. Ciò significa che l’agenzia rimane obbligata
al pagamento del prezzo convenuto indipendentemente
dalla effettiva occupazione del contingente di camere riservato (70).
Per converso, nei contratti in cui viene previsto un termine di release senza alcuna clausola di garanzia a favore
dell’albergatore per il caso di mancata occupazione delle
camere (c.d. garanzia vuoto per pieno), la giurisprudenza spagnola sembra seguire il medesimo orientamento
sopra illustrato con riferimento all’unico precedente edito in Italia. Cosı̀ l’Audiencia Provincial Baleares (71)
ha ritenuto che ove il contratto preveda un «termine di
release» entro il quale l’agenzia deve comunicare all’hotel la rooming list per confermare i posti prenotati ricorre
un vero e proprio «contrato de reserva de plazas hoteleras
en regimen de contingente». Anche la Corte spagnola ri-
tiene che il termine di release vada inteso come termine
per la conferma e che in mancanza di comunicazioni da
parte dell’agenzia entro il descritto termine l’albergatore
torni libero di disporre a suo piacimento dei posti originariamente riservati. Laddove l’agenzia ometta qualsiasi
comunicazione nel termine di release, in mancanza di
una clausola di garanzia vuoto per pieno, non può considerarsi vincolata, a meno che il contratto non preveda
espressamente l’obbligazione della stessa di effettuare
una comunicazione di disdetta entro il termine contrattualmente convenuto ovvero non preveda una penale
per il caso di cancellazione della riserva (72).
Note:
(70) Cfr. in tal senso Audiencia Provincial Baleares, sent. 10 luglio 1997,
n. 502, inedita; conformi Audiencia Provincial Baleares, sent. 30 giugno
2004, n. 305, inedita; Id., sent. 12 luglio 2004, n. 324; Tribunal Supremo
- Sala de lo Civil, sent. 18 settembre 1999, n. 698, inedita, secondo cui la
riserva di posti in albergo è sufficiente affinché l’agenzia di viaggi contragga l’obbligazione di pagare i posti riservati indipendentemente dalla loro
reale occupazione (nella sentenza non è detto espressamente ma sembra
di poter desumere che non fosse previsto alcun termine di release nel caso
concreto).
(71) Con sentenza 12 luglio 1999, n. 578, inedita.
(72) Cfr. in tal senso Audiencia Provincial Alicante, sent. 20 giugno
2001, n. 436, inedita.
DIRITTO DEL TURISMO N. 3/2005
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