La responsabilità per danno ambientale nella comunità europea Temi di discussione Appunti di comparazione giuridica Esperienze rilevanti L’evoluzione normativa comunitaria: a.Le principali questioni da affrontare b.La direttiva 2004/35/CE: caratteristiche La diversa configurazione giuridica del danno ambientale negli ordinamenti interni dell’Unione Il “danno ambientale” negli ordinamenti giuridici degli Stati membri dell’Unione Europea viene preso in considerazione in forme e con effetti differenti da Paese a Paese per cui una breve ed incompleta annotazione sulle tendenze in atto sembra opportuna nel momento in cui ci si appresta a discutere circa la futura applicazione uniforme della disciplina comunitaria. Con estrema sintesi, dunque, rinunciando ad un inquadramento sistematico e ad un commento critico adeguato è possibile indicare vari percorsi di ricerca per uno studio comparato del tema proposto alla nostra attenzione. 1) In primo luogo si deve tener conto della diversa impostazione seguita negli ordinamenti nazionali per la definizione del “danno ambientale” e per la determinazione del relativo risarcimento: A) Alcuni ordinamenti di civil law non contemplano ancora delle norme specifiche per cui, sotto il profilo civile (Austria, Belgio, Grecia), per cui riconducono la problematica del riconducono la problematica del “danno ambientale” entro la generale previsione del codice civile; B) Gli ordinamenti di common law, pur caratterizzati, negli ultimi anni, da una estesa disciplina normativa specificamente diretta alla tutela dell’ambiente (Australia, Canada, Inghilterra e Galles,Nuova Zelanda), con disposizioni che riguardano anche la configurazione del danno e il risarcimento, restano ancorati, in relazione al procedimento e per quanto concerne l’effettività della tutela, al modello del diritto giurisprudenziale. Di conseguenza ogni indagine in questa direzione impone di esaminare gli indirizzi seguiti dai giudici; C) In altri ordinamenti (Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Italia, Svezia) sono state inserite delle norme particolari, sia in seguito a riforme dei codici, sia per effetto della disciplina di settore in materia ambientale. In tal caso ci si deve riferire, di volta in volta, al paradigma contemplato dalla norma, pur senza trascurare l’apporto decisivo della giurisprudenza, sia in relazione all’interpretazione, sia come integrazione del sistema giuridico. 2) In secondo luogo si deve distinguere tra la delineazione di un quadro generale (costituzionale e legislativo), entro il quale situare anche il “danno ambientale”, rispetto alla legislazione di settore che identifica singole fattispecie, in relazione alle consuete partizioni della normativa ambientale:acque, atmosfera, rifiuti, rumore, sostanze pericolose ecc. 3) In terzo luogo assumono importanza l’assetto costituzionale dello Stato (federale, regionale,unitario) e l’articolazione delle funzioni (centrali o decentrate) nonché la regolamentazione dei compiti assegnati ai pubblici poteri, cioè i referenti interni che, con espressione generica e onnicomprensiva, la direttiva comunitaria che si esaminerà, al pari della gran parte degli atti comunitari,designa come “competenti autorità nazionali”. Le essenziali distinzioni proposte nelle righe precedenti hanno dato luogo a processi di ravvicinamento e di armonizzazione delle discipline nazionali, in parte sostenuti dalla giurisprudenza e avvalorati dalla prassi. Ciò nondimeno il percorso verso la semplificazione dei modelli per il riconoscimento del danno ambientale e per il risarcimento è ancora assai accidentato e controverso. IL DIBATTITO NEL CONTESTO INTERNAZIONALE A partire dall’inizio degli anni ’80 appare evidente il tentativo di rivalutare lo strumento della responsabilità civile come strumento di lotta contro gli inquinamenti e come strumento di prevenzione del danno ambientale. Tale fenomeno ha riguardato sia i sistemi di tradizione anglosassone, sia i sistemi dell’Europa continentale in modo alquanto generalizzato. Per citare alcuni esempi sono entrati in vigore a partire dall’inizio degli anni ’80: 1980: Comprehensive Environmental Response Compensation and Liability Act (il c.d. CERCLA) Stati Uniti; 1981: Legge Federale sulla Protezione dell’ambiente in Svizzera; 1986: Legge di Base sull’ambiente portoghese - Legge italiana istitutiva del Ministero dell’ambiente e recante norme in materia di danno ambientale (L. 349/86). 1991: Legge sulla responsabilità civile per danni all’ambiente (Umwelthaftungsgesetz) in Germania. Un analogo trend è rinvenibile anche nel contesto europeo ed internazionale, con l’elaborazione di apposite Convenzioni e progetti come ad esempio il Libro Verde della Comunità Europea e la Convenzione di Lugano sulla responsabilità civile derivante dall’esercizio di attività pericolose, entrambi del 1993, esperienze queste che sono poi state riprese dal Libro Bianco del 2000. Di seguito si evidenziano i problemi che i diversi legislatori nazionali hanno dovuto affrontare nella redazione delle leggi e dei progetti summenzionati, al fine di indicare quali siano i modelli emersi nel panorama comparatistico. Problematiche attinenti alla responsabilità civile in campo ambientale 1) 2) 3) 4) 5) 6) OGGETTO DI TUTELA: i legislatori nazionali hanno adottato nozioni diverse di danno all’ambiente. LEGITTIMAZIONE PROCESSUALE: varia a seconda di quale sia la nozione di danno ambientale accolta in seno alla disciplina nazionale. MODALITÀ inerenti la RIPARAZIONE e CRITERI PER IL RISRCIMENTO DEL DANNO. CRITERI DI IMPUTAZIONE DELLA RESPONSABILITÀ. NESSO DI CAUSALITÀ:problemi inerenti alla sua identificazione. ASSICURABILITÀ DEL RISCHIO AMBIENTALE Tipologie e diverse definizioni di danno ambientale Non tutte le leggi che hanno introdotto la responsabilità civile come strumento di politica ambientale condividono lo stesso oggetto di tutela. Alcuni interventi legislativi prendono in considerazione solo i danni a cose e persone derivanti da attività inquinanti (danno da inquinamento), tutelando, quindi, l’ambiente - come tale - solo in via indiretta. - Legge tedesca del 1991 In altre ipotesi dettano un’apposita disciplina per quei danni che riguardano l’ambiente in senso stretto, indipendentemente dalle lesioni arrecate a diritti individuali (danno ambientale in senso stretto). Per tal via si è elaborata una clausola generale di responsabilità civile per danni all’ambiente. Tale scelta ha comportato, però, difficoltà nella enucleazione di un concetto di ambiente tutelabile, nella individuazione del portatore di diritti nei confronti di questo nuovo bene e dei criteri per addivenire ad una quantificazione del danno in termini monetari. - CERCLA; Dlgs. 152/2006 Italia Umwelthaftungsgesetz (Germania) 1991 Prevede al suo §1 che: “Qualora da una immissione nell’ambiente, proveniente da uno degli impianti indicati nell’appendice 1 (della medesima legge, n.d.r.), derivi la morte, la lesione del corpo o della salute, oppure della proprietà di un soggetto, il proprietario dell’impianto è tenuto a risarcire il danno che ne è derivato” . La legge tedesca si rifà dunque ad una concezione di danno tradizionale, evitando di affrontare lo spinoso problema del danno all'ambiente in senso stretto, limitandosi a prendere in considerazione i danni alle persone ed alle cose che possano derivare da immissioni nocive nell'ambiente. Con questa soluzione il legislatore tedesco ha messo fine a quella lunga discussione presente in Germania circa la possibilità di risarcire i c.d. danni ecologici (c.d. Ökoschäden), ossia quei danni che ledono la natura in quanto tale, indipendentemente dalla sussistenza di una situazione di appartenenza di questa nei confronti di chicchessia. Nei lavori preparatori alla legge tedesca del 1991 traspare come motivo principale per addivenire a tale scelta il timore derivante dalla difficile determinazione di criteri per quantificare il valore, il prezzo del bene ambiente. C.E.R.C.L.A. (Stati Uniti) 1980 Il CERCLA dispone la risarcibilità del danno causato alle risorse naturali, indipendentemente dalla lesione di altri diritti individuali come la salute e la proprietà. Le “natural resources” vengono definite dalla legge come l’insieme delle “terre, della fauna ittica e selvaggia, dell’aria, delle acque di superficie e sotterranee, nonché di tutte le risorse appartenenti, sottoposte a trust, amministrate o in qualsiasi altro modo controllate dal governo federale degli Stati Uniti, o da altro ente locale appartenente all’amministrazione statale o federale”. Alla luce dei lavori preparatori e delle interpretazioni fornite dalla dottrina americana, scopo precipuo della clausola generale di cui sopra, doveva essere quello di considerare le risorse ambientali come qualsiasi altra risorsa per il cui uso l’imprenditore è tenuto a pagare un corrispondente prezzo. Considerando l’ambiente alla stregua di una risorsa primaria, i potenziali fruitori/danneggiatori avrebbero dovuto tenere in debito conto anche il prezzo di quest’ultima, così internalizzando i costi delle esternalità negative create dall’esercizio delle loro attività. Conseguentemente il CERCLA non prevede nessun meccanismo per il risarcimento dei danni ai singoli privati. In questo caso, infatti, i rimedi disponibili sono quelli di diritto comune. D. Lgs n°152/2006 (Codice dell’ambiente) Art. 300 com. 1, il danno ambientale viene definito come “qualsiasi deterioramento significativo e misurabile, diretto o indiretto, di una risorsa naturale o dell’utilità assicurata da quest’ultima”. Il comma 2 riprende pedissequamente la definizione della direttiva europea, senza fare sforzo di adattamento della norma comunitaria all’ordinamento nazionale, prevede, infatti che: “ai sensi della Direttiva 2004/35/CE costituisce danno ambientale il deterioramento, in confronto alle condizioni originarie, provocato: a) alle specie e agli habitat naturali protetti dalla normativa nazionale e comunitaria (…); b) alle acque interne (…) c) alle acque costiere ed a quelle ricomprese nel mare territoriale (…); d) al terreno, mediante qualsiasi contaminazione (…)”. Alla tutela frazionata di alcune componenti del bene ambiente, come sopra descritta, segue però la formulazione in termini generali dell’illecito ambientale nell’art. 311 com. 2, in base al quale: “chiunque realizzando un fatto illecito, o omettendo attività o comportamenti doverosi, con violazione di legge, di regolamento, o di provvedimento amministrativo, con negligenza, imperizia, imprudenza o violazione di norme tecniche, arrechi danno all’ambiente, alterandolo, deteriorandolo o distruggendolo in tutto o in parte, è obbligato a ripristino della precedente situazione e, in mancanza, al risarcimento per equivalente patrimoniale nei confronti dello Stato”. Mancanza di coordinamento tra art. 300 ed art. 311 com.2. Art. 300limita la definizione di danno ambientale a quanto contemplato nella direttiva europea (indicazione troppo tassativa di ciò che costituisce oggetto di “deterioramento significativo e misurabile di una risorsa naturale o dell’utilità assicurata da quest’ultima) Art. 311 com.2 dà rilievo a qualsiasi alterazione, deterioramento o distruzione in tutto o in parte dell’ambiente(figura di illecito più ampia in cui l’ambiente è inteso come bene unitario) La giurisprudenza Corte dei conti 86/1980: danno patrimoniale allo Stato Corte Costituzionale 210/1987: concezione unitaria (unitarietà ed autonomia del bene ambiente, in quanto bene immateriale ma giuridicamente riconosciuto e tutelato) Corte Costituzionale 641/1987: bene giuridico (ambiente in senso giuridico è un insieme che comprende vari beni, ma si distingue da questi in quanto realtà espressiva di un autonomo valore collettivo) Cassazione penale 440/1989: bene scomposto Cassazione penale 439/1994: triplice dimensione del danno (personale, sociale, pubblica) LEGITTIMAZIONE AD AGIRE NEI GIUDIZI DI DANNO AMBIENTALE Negli ordinamenti che riconoscono la risarcibilità del danno da inquinamento la legittimazione attiva spetta al titolare del diritto leso, quindi generalmente al proprietario o al titolare di un altro diritto reale minore, nonché al soggetto la cui salute o integrità fisica sia stata violata dal fenomeno di inquinamento ambientale. Diversamente, negli ordinamenti che hanno assunto un modello di tutela diretta delle risorse ambientali, si è aperto il problema di individuare i soggetti cui a vario titolo doveva essere affidata tale titolarità. Sia nel sistema statunitense che in quello italiano la legge stabilisce che siano innanzitutto lo Stato, o suoi rappresentanti, ed in particolare gli enti locali o territoriali, i legittimati attivi nell’azione diretta a richiedere o la restitutio in integrum, oppure il risarcimento del danno. Appare tuttavia interessante osservare come alcune funzioni vengano affidate alle associazioni ambientali, o a singoli individui. Stati Uniti A partire dagli anni ‘70 il Congresso ha cominciato ad inserire negli statutes federali (es. Clean Water Act; Clean Air Act) particolari previsioni volte a legittimare singoli individui o associazioni ambientali a richiedere l’applicazione delle disposizioni poste a tutela dell’ambiente, indipendentemente dal fatto che tale violazione di legge avesse provocato un danno specifico agli stessi. Lo scopo di tali rimedi, chiamati citizens suits, non era quello di fornire ai cittadini uno strumento per ottenere una migliore tutela dei loro interessi individuali, ma piuttosto quello di rendere possibile l’azione dei privati nei confronti di coloro che violavano delle disposizioni poste a tutela dell’ambiente (standards od altre misure previste dalla legge stessa). In questo modo i cittadini si venivano a porre in una posizione di tipo concorrenziale nei confronti delle istituzioni pubbliche create per attuare una politica dell’ambiente. Oggi quasi tutti gli statutes in materia ambientale contengono delle clausole stabilenti: a. che passato un certo lasso di tempo dal momento in cui si è verificato il fenomeno di inquinamento senza che l’ente competente abbia proposto azione contro il presunto inquinatore, uno o più cittadini, oppure uno o più associazioni possano sostituirsi all’ente inerte e proporre essi stessi l’azione in giudizio; b. che il risarcimento dei danni ottenuto dalle associazioni o dai cittadini finisca comunque nelle casse dello Stato o dell’ente competente per il ripristino; c. che nei confronti delle associazioni e dei cittadini che si siano attivati, il giudice possa almeno liquidare le spese processuali. D. Lgs n°152/2006 (Codice dell’ambiente) Il TU sull’ambiente all’art. 311 com. 1, individua il titolare delle azioni di risarcimento del danno nello Stato, attribuendo la legittimazione ad agire solo al Ministero dell’Ambiente. Tuttavia, all’art. 309 viene previsto che “le regioni, le provincie autonome e gli enti locali …, nonché le persone fisiche o giuridiche che sono o che potrebbero essere colpite dal danno ambientale … possono presentare al Ministro dell’ambiente … denunce e osservazioni, … concernenti qualsiasi caso di danno ambientale o di minaccia imminente di danno ambientale e chiedere l’intervento statale a tutela dell’ambiente”. Art. 310: “I soggetti di cui all’art. 309, com.1, sono legittimati ad agire … per il risarcimento del danno subito a causa del ritardo nell’attivazione, da parte del medesimo Ministro, delle misure di precauzione, di prevenzione o di contenimento del danno ambientale”. Art. 313 com.7: “resta in ogni caso fermo il diritto dei soggetti danneggiati dal fatto produttivo di danno ambientale, nella loro salute o nei beni di loro proprietà, di agire in giudizio nei confronti del responsabile a tutela dei diritti e degli interessi lesi”. Riassumendo: Da un lato si stabilisce il principio generale della titolarità esclusiva in capo allo Stato della pretesa risarcitoria, assumendo così che esso agisca a tutela della collettività facendo valere un diritto superindividuale a tutela di una bene collettivo; Dall’altro si ammette che anche tutte le persone fisiche o giuridiche, oltre che gli enti espressione della collettività locale, possano essere colpite dal danno ambientale in senso stretto e, quindi, agire per il risarcimento del danno subito a seguito del deterioramento delle risorse naturali. I privati sono, pertanto, legittimati ad agire per il ristoro del danno all’ambiente come definito dal TU, e non solo per la tutela dei diritti soggettivi eventualmente lesi dal medesimo fatto produttivo di danno ambientale (il d.a. torna sul piano dei diritti soggettivi tutelabili individualmente). Infine, si considera il danno ai singoli beni lesi dal fatto produttivo di d.a., come tali distinti da quest’ultimo ed oggetto di tutela in base alle norme ordinarie (anche se, poi, limita inspiegabilmente l’ambito dei diritti tutelabili in via ordinaria alla salute ed alla proprietà). Le modalità inerenti alla riparazione ed i criteri per il risarcimento del danno Risarcibilità del danno all’ambiente: viene preferito il ripristino dello stato dei luoghi alla situazione preesistente al verificarsi dell’incidente, a svantaggio delle forme di risarcimento monetarie. Il problema del risarcimento per equivalente nel settore ambientale va, infatti, incontro a difficoltà derivanti dall’assenza di mercati per i beni oggetto di tutela. Mancano, cioè, criteri collaudati che possano essere utilizzati in sede giurisdizionale per addivenire alla quantificazione del danno ambientale. La necessità di un’elaborazione di tali criteri, appare chiara laddove si collochi il problema delle stime nel più ampio contesto della responsabilità civile: ove la quantificazione fosse troppo bassa rispetto al risparmio od al guadagno ricavato dal polluter con una determinata attività inquinante, tale da non costituire un valido incentivo per il danneggiante ad evitare il medesimo danno in futuro, si verrebbe a vanificare anche ogni discorso sulla scelta del criterio di imputazione della responsabilità. La scelta a favore di un regime di responsabilità più severo, come quello che presume la colpa, non porterebbe comunque a risultati soddisfacenti ove tale opzione non fosse coadiuvata da criteri di quantificazione che perseguissero il medesimo scopo. I criteri di quantificazione vengono, quindi, ad incidere direttamente sulla funzione preventiva della responsabilità civile. L’esigenza di sviluppare criteri univoci è dovuta anche alla necessità di raggiungere decisioni omologhe in tutte le corti. È auspicabile che i giudici abbiano delle direttive prestabilite da seguire, onde evitare che la quantificazione del danno possa portare a risultati difformi - e quindi sostanzialmente iniqui - a seconda della giurisdizione che si trovi a decidere su di una determinata causa ambientale. Infine, l’esistenza di tali criteri rende in qualche modo prevedibile la quantificazione del danno, fatto di non poco conto e che soprattutto gli assicuratori tengono in debita considerazione quando essi debbano scegliere se rendere disponibile una polizza adeguata. Tuttavia né l’esperienza italiana, volta ad addivenire alla quantificazione del risarcimento del danno all’ambiente secondo un criterio di equità, né quella statunitense, che si rifaceva a specifici criteri di valutazione economica, sembrano avere dato buoni risultati fino ad ora. Alla luce di questa esperienza negativa del tentativo di monetizzare il danno ambientale e soprattutto di elaborare criteri univoci di quantificazione si potranno comprendere meglio ed apprezzare le scelte effettuate dalla Convenzione di Lugano e poi riprese dal Libro Bianco. Nel caso in cui il ripristino non sia tecnicamente possibile, il Libro Bianco riprende, infatti, un suggerimento fatto proprio già dalla Convenzione di Lugano, stabilendo che “la quantificazione del danno debba basarsi sui costi delle soluzioni alternative, finalizzate all'introduzione nell'ambiente di risorse equivalenti a quelle distrutte” . I criteri di imputazione della responsabilità per danno ambientale Nelle moderne leggi ecologiche appare nitida la tendenza a introdurre un criterio di imputazione della responsabilità di tipo oggettivo (scelta condivisa dal CERCLA statunitense, dalla Legge tedesca, svizzera e portoghese). Le giustificazioni addotte per suffragare tale criterio sono varie: 1. alleviare il compito del giudice, che nel caso di un processo per colpa, oltre a determinare l'entità del danno si troverà a rispondere anche all'altra domanda concernente il giusto livello di diligenza che il convenuto avrebbe dovuto tenere; 2. costringere i potenziali danneggianti dell'ambiente a modulare anche il proprio livello di attività in funzione della probabilità di causare un danno ambientale; 3. conseguentemente internalizzare per tal via tutti i costi sociali e non solo di quelli causati da negligenza; 4. venire incontro altresì alle esigenze della vittima, la quale in caso di responsabilità per colpa si troverebbe di fronte al difficile compito di dover dimostrare la negligenza dell'agente. Il Dlgs.152/2006, pur presentando soluzioni diverse e tra loro disomogenee, sembra preferire una imputazione della responsabilità basata sulla colpa. La legge tedesca del 1991 (Umwelthaftungsgesetz) Introduce un sistema di responsabilità oggettiva per tutti quei danni causati alla salute ed all'integrità sia delle persone che delle cose, che siano state la conseguenza di una immissione nociva nell'ambiente. Il § 1 della legge dispone, infatti, a carico del titolare di uno degli impianti specificatamente indicati nell'appendice 1 della legge stessa l'obbligo di risarcire il danno così cagionato. Tale responsabilità viene estesa a quegli impianti, rientranti nelle categorie prese in considerazione dalla legge, che non siano ancora in funzione ed altresì a quelli che siano già fuori esercizio. A questo tipo di responsabilità sarà altresì assoggettato l'impianto che abbia funzionato a norma di legge (c.d. Normalbetrieb), ossia che sia stato fatto funzionare dopo avere ottenuto le eventuali richieste autorizzazioni e rispettando gli standards previsti dalla legge. La legge stabilisce inoltre alcune ipotesi di esclusione della responsabilità, specificatamente nei casi di forza maggiore, oppure qualora vi sia un danno irrilevante o comunque prevedibile date le condizioni locali. Il Cercla 1980 (Usa) Prevede al § 107 una responsabilità di tipo: oggettivo (strict) solidale (joint & several) e retroattivo (retroactive) nei confronti delle c.d. «potentially responsible parties (PRPs)». Tale ultima categoria (PRPs) è definita in maniera ampia e ricomprende: i proprietari attuali del sito inquinato e gli utilizzatori e operatori della discarica, gli ex proprietari ed ex operatori fin dal momento del primo utilizzo di qualsiasi sostanza nociva in quel luogo, chiunque abbia organizzato il trasporto dei materiali pericolosi sul luogo, chiunque abbia prodotto le sostanze inquinanti depositate in quel sito, chiunque abbia provveduto allo smaltimento ed alla eliminazione di dette sostanze. Ai sensi del CERCLA è, dunque, potenzialmente responsabile qualsiasi soggetto che abbia od abbia avuto una pur minima relazione con il sito inquinato. Il § 107 del CERCLA stabilisce inoltre che le PRPs sono responsabili, oltre che per i costi di clean-up, anche per i danni arrecati alle risorse naturali (natural resources damages), ma questa volta solo se il danno è stato causato da una emissione nociva verificatasi, almeno parzialmente, dopo l'11 dicembre 1980, data dell'entrata in vigore del CERCLA. Le difese opponibili a questa forma di responsabilità, sono estremamente limitate. Dal testo originario sono previste, infatti, solo quelle derivanti dalla dimostrazione che l'evento è stato unicamente causato da forza maggiore, in conseguenza di una guerra, o da un atto vandalico. Nell' Ottobre del 1986, è stato emanato il Superfund Amendments and Reauthorization Act (SARA) che ha introdotto un'ulteriore possibile difesa contro la responsabilità derivante dalla §107, nota come la difesa dell' "innocent landowner": il proprietario del sito contaminato che si è sempre comportato con diligenza può dimostrare di essere stato vittima di un inganno che non gli ha obiettivamente permesso di conoscere l'esistenza di sostanze pericolose depositate in passato nel fondo. L'ultima connotazione caratterizzante la responsabilità per danno ambientale attualmente imposta dal CERCLA, nonché uno dei punti maggiormente discussi nel dibattito sulla riforma, è la sua applicazione retroattiva; ciò significa che, ad oggi, le PRPs possono essere considerate responsabili anche per le azioni compiute e gli avvenimenti verificatisi prima che questa legge entrasse in vigore. T.U. AMBIENTE Dlgs. 152/2006 L’art. 305 sembra diretto ad istituire una responsabilità oggettiva (nesso di causalità tra azione o omissione ed evento): “quando si è verificato un danno ambientale”, oltre alle azioni di prevenzione, l’operatore ha l’obbligo di adottare “le necessarie misure di ripristino di cui all’art. 306”. “Se l’operatore non adempie a tali obblighi” o “se non è tenuto a sostenere i costi a norma della parte sesta del presente decreto”, il Ministro dell’ambiente ha facoltà di adottare egli stesso tali misure, con diritto di rivalsa verso chi abbia “causato o comunque concorso a causare le spese stesse”. QUINDI L’obbligo di ripristino sorge quando si verifica un danno ambientale; Il Ministro ha un diritto di rivalsa per le spese sostenute contro chi lo abbia causato o comunque concorso a causare; Poiché, però, l’art. 305 prevede anche il caso in cui l’operatore non è tenuto a sostenere i costi , si impone una lettura sistematica dell’articolato, che riporta a criteri diversi dal mero nesso causale. L’art. 311 com.2, depone, invece, per un criterio di attribuzione della responsabilità basato sulla colpa. In base ad esso, integra gli estremi della fattispecie la realizzazione di un fatto illecito di natura dolosa o colposa, in forma attiva od omissiva, in violazione di legge, di regolamento o provv.to amm.tivo, oppure commesso con negligenza, imperizia, imprudenza. QUINDI Il profilo della responsabilità viene allargato alla colpa generica, non ancorata cioè alla sola violazione di una norma o di un provvedimento espressamente posti a violazione dell’ambiente; Con ciò l’illecito viene modellato sull’art. 2043 c.c. ed anche il danno ambientale diventa illecito “atipico”, relizzabile, dunque, con qualsiasi condotta dolosa o colposa. Nota: Nel nostro sistema giuridico la responsabilità oggettiva rappresenta sempre un’eccezione! I problemi inerenti alla identificazione del nesso di causalità Il danno all'ambiente è un settore in cui regole comuni volte a disciplinare il nesso di causalità hanno dimostrato di non dare buoni risultati e ove la loro applicabilità risulta particolarmente problematica. a. Il danno in quanto tale o le sue conseguenze possono venire alla luce anche molti anni dopo il verificarsi delle azioni dannose, con conseguenti difficoltà a dimostrare la relazione esistente tra azione dannosa ed evento lesivo. b. E' inoltre tipico in questo ambito il verificarsi di ipotesi ove il danno non è la conseguenza di una singola azione dannosa: nei casi delle c.d. immissioni cumulate, il problema è determinare quale sia la percentuale di ogni inquinatore all'attività inquinatrice. c. I fenomeni di inquinamento possono presentare dinamiche complesse: ad es. nel caso in cui sia sostanzialmente certo ed appurato che sia avvenuta la fuoriuscita di una sostanza nociva, ma non si conoscono i soggetti che ne subiranno le conseguenze dannose. Conseguentemente, sia in dottrina sia in giurisprudenza che nelle recenti legislazioni straniere si è assistito allo sviluppo di teorie alternative a quelle solite. La legge tedesca del 1991 (Umwelthaftungsgesetz) L’ordinamento tedesco ha affrontato il problema di identificare il responsabile dell'inquinamento introducendo eccezioni alla normale disciplina del nesso di causalità. Una particolare presunzione di causalità porta, infatti, ad alleviare l'onere probatorio del danneggiato. Il regime di responsabilità predisposto astrae, almeno in linea presuntiva, dal nesso di causalità; tale facilitazione per il danneggiato si concretizza in un ribaltamento dell'onere della prova che viene posta a carico del presunto inquinatore. Ossia, se da un esame delle circostanze del fatto concreto un impianto sarà ritenuto idoneo a provocare il danno verificatosi, si presumerà che quest'ultimo sia effettivamente stato provocato dall'impianto in questione, senza bisogno per il danneggiato di dare la prova certa del nesso causale. L'idoneità specifica dell'impianto a produrre il danno verrà giudicata in base al concreto svolgersi del suo esercizio, alle attrezzature ivi impiegate, alla natura ed alla concentrazione delle sostanze immesse nell'ambiente, alle condizioni metereologiche, al tempo ed al luogo del verificarsi del danno, nonché in base a ogni altra circostanza che, nella fattispecie concreta, possa fornire elementi contro o a favore del verificarsi del danno. Per l'impianto che sia stato fatto funzionare nel rispetto delle norme di legge tale presunzione di causalità verrà esclusa qualora siano stati assolti tutti gli obblighi d'esercizio e non si sia riscontrato alcuna anomalia nell'esercizio. Per obblighi di esercizio particolari s'intendono quelli risultanti da "autorizzazioni, direttive, disposizioni esecutive, nonché da decreti o da norme di legge, sempreché mirino a prevenire le lesioni ambientali che debbano considerarsi all'origine del danno". Qualora la legge disponga che in base ad uno di questi obblighi particolari l'esercizio dell'impianto doveva essere assoggettato a controlli specifici per verificarne il rispetto, si presumerà che tale obbligo sia stato effettivamente assolto: sia nel caso che i controlli abbiano avuto luogo nell'arco di tempo in cui la lesione ambientale può avere avuto origine e gli stessi controlli non abbiano riscontrato alcunché a riprova dell'esistenza di una violazione dell'obbligo particolare; sia nel caso in cui tra il momento della richiesta di risarcimento dei danni e la lesione ambientale siano trascorsi più di 10 anni. Vi sono poi altre disposizioni che mirano ad escludere l'operatività della presunzione.Tale esclusione è prevista: qualora vi siano più impianti che possono essere considerati idonei, secondo le circostanze concrete, ad avere causato il danno, oppure qualora si siano verificati altri fatti idonei a produrre il danno. L’elaborazione di nuovi criteri offerti dalla giurisprudenza americana Le regole che disciplinano il nesso di causalità nel sistema di Common Law sono tradizionalmente le seguenti. 1. In primo luogo, si adotta il meccanismo della condicio sine qua non, ossia il but for test in base al quale la condotta dell'individuo non può essere considerata causa dell'evento, se l'evento si sarebbe verificato anche senza di essa. 2. Altra regola si concretizza nel c.d. substantial factor test, in base a cui, l'attore è tenuto a dimostrare che l'azione del convenuto deve considerarsi un elemento essenziale, anche se non esclusivo, per il verificarsi del danno da lui subito. Un primo passo in avanti rispetto a queste regole tradizionali le giurisdizioni statunitensi l'hanno fatto verso la fine degli anni '40 in occasione del caso Summers v. Tice . In questa sede i giudici elaborarono la c.d. alternative liability theory , in base alla quale "nell'ipotesi in cui la condotta di due o piú soggetti è illecita, se è provato che il danno è stato causato alle vittime da uno solo di essi, ma v'è incertezza in ordine a chi lo abbia causato, ognuno dei soggetti ha l'onere di provare che egli non abbia causato il danno”. In questo caso, dunque, la Corte stabilì la possibilità di invertire l'onere della prova a carico dei convenuti, determinando la responsabilità solidale dei due in quanto joint tortfeasors a fronte della loro condotta negligente e, comunque, mantenendo ferma la possibilità per ognuno di loro di discolparsi. VERSO UNA NORMATIVA COMUNITARIA SULLA RESPONSABILITÀ PER DANNO AMBIENTALE: L’adozione della direttiva 2004/35/CE La direttiva dell’aprile 2004 sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno si situa nel solco di un indirizzo volto al riordino e alla razionalizzazione della normativa ambientale europea. Nelle considerazioni introduttive, il legislatore rende noti i presupposti e gli intendimenti sui quali fonda l’articolato relativo al danno ambientale e, in tale sede, vengono richiamati alcuni orientamenti che erano stati enunciati in documenti precedenti (Libro verde del 1993 e Libro bianco e del 2000). In particolare si riconosce che la prevenzione e la riparazione del danno hanno come riferimento il principio “chi inquina paga”, quale stabilito nel trattato. L’intento comunitario è quello di istituire una comune disciplina in tema di danno ambientale, allo scopo di ottenere risultati a “costi ragionevoli per la società”. Altra motivazione, sottostante alla precedente, è quella di incitare i promotori ad evitare i danni. Di regola, infatti, le spese per la prevenzione permettono di evitare o ridurre la possibilità che si producano danni i cui costi di riparazione sarebbero superiori alle spese per la prevenzione. Per cui i soggetti potenzialmente responsabili sono incoraggiati ad investire nella prevenzione piuttosto che sopportare i costi più elevati della riparazione. Il processo di preparazione di questa importante regolamentazione è stato lungo e contrastato, le ragioni che ne hanno ritardato l’emissione dipendono essenzialmente dai numerosi e contrastanti interessi che entrano in gioco in un contesto sensibile come quello della responsabilità ambientale: Da una lato ci sono gli Stati membri, intenzionati a delimitare l’ambito di una loro eventuale responsabilità sussidiaria ed a ridurre la complessità dei loro compiti. Dall’altro ci sono le imprese e le associazioni professionali, le quali sono preoccupate delle difficoltà normalmente connesse alla determinazione dell’onere della prova ed alla valutazione dei danni ambientali mentre sono ostili alla concessione di un ruolo privilegiato alle Organizzazioni non governative (ONG). Queste ultime, infine, reclamano un diritto autonomo di azione nei confronti di chi inquina, così come una riduzione dei costi legati a siffatte azioni (e cioè una riduzione delle spese di giustizia nonché degli indennizzi in caso di rigetto dell’azione). LE PRINCIPALI QUESTIONI DA AFFRONTARE Definizione di danno ambientale Ambito di applicazione della direttiva Criteri di imputazione della responsabilità Modalità e criteri di riparazione del danno Legittimazione ad agire Assicurabilità del rischio ambientale OGGETTO DELLA DIRETTIVA (art.1) Art. 1: La presente direttiva istituisce un quadro per la responsabilità ambientale, basato sul principio «chi inquina paga», per la prevenzione e la riparazione del danno ambientale. Base legale - Entrata in vigore: il 30.04.2004 - Data di completo adeguamento: il 30.04.2007 Nota: - la Direttiva obbliga giuridicamente gli Stati fin dalla pubblicazione (30.04.2004); - l’obbligo degli Stati riguarda il nucleo essenziale comune nel senso dell’adeguamento entro il 30.04.2004; - gli Stati possono conservare la disciplina nazionale se più ampia o più severa (prima e dopo il 30.04.2007); - la parte della Direttiva sufficientemente chiara, precisa e dettagliata entra comunque in vigore dal 30.04.2007, anche in caso di mancato recepimento formale da parte degli Stati membri; - la Corte di Giustizia delle Comunità Europee di Lussemburgo è competente a giudicare gli Stati per inadempimento anche parziale. DEFINIZIONE E TIPOLOGIE DI DANNO AMBIENTALE (art.2) A. Danno alle specie e agli habitat naturali protetti (vale a dire qualsiasi danno che produca significativi effetti negativi sul raggiungimento o il mantenimento di uno stato di conservazione favorevole di tali specie e habitat; Direttiva Habitat 79/409/CEE; Direttiva Uccelli 92/43/CEE); B. Danno alle acque indicate nella Direttiva quadro 2000/60/CEE; C. Danno al terreno (vale a dire qualsiasi contaminazione del terreno che crei un rischio significativo di effetti negativi sulla salute umana a seguito dell'introduzione diretta o indiretta nel suolo, sul suolo o nel sottosuolo di sostanze, preparati, organismi o microrganismi nel suolo). NATURA E CARATTERISTICHE DEL DANNO Nella Direttiva: a) Il danno alle specie ed agli habitat è inteso come squilibrio nella conservazione favorevole naturale delle risorse e la riparazione privilegiata è quella primaria (ripristino delle condizioni originarie). b) Il danno alle acque è analogamente riferito allo “stato ecologico”, al “potenziale ecologico”, condizionati dai profili chimici e/o quantitativi. Anche in questo caso, la misura di riparazione privilegiata è quello del recupero delle condizioni originarie. c) Il danno al terreno è limitato alle “contaminazioni” comportanti un rischio significativo sulla salute umana. Nella Direttiva il danno deve presentare alcune caratteristiche generali, ovvero deve essere : a. concreto; b. misurabile (o quantificabile); c. significativo. E’ anche prevista una protezione anticipata: la minaccia imminente, cioè il “rischio sufficientemente probabile”, ossia un pericolo attuale e concreto di un danno futuro. AMBITO DI APPLICAZIONE DELLA DIRETTIVA (art. 3) La Direttiva si applica a due tipi di attività professionale: quelle elencate nell’allegato III (trattasi di 12 attività economiche ritenute a rischio intrinseco, già disciplinate da apposite direttive es: funzionamento di impianti soggetti ad autorizzazione; operazioni di gestione dei rifiuti, compresi la raccolta, il trasporto, il recupero e lo smaltimento di rifiuti e di rifiuti pericolosi; Lo scarico o l'immissione di inquinanti nelle acque superficiali o sotterranee che sono soggetti a permesso, autorizzazione o registrazione); le attività professionali diverse (cioè non elencate nell’allegato III), ove cagionino un danno o minaccia alle specie ed habitat protetti e sempre che sussista dolo o colpa. SOGGETTI RESPONSABILI a) Soggetti privati; b) Soggetti pubblici; c) Pluralità di autori del danno. Responsabilità civile Nella Direttiva è detto espressamente (art. 3,d) che la responsabilità ha natura soggettiva (dolo o colpa) per le attività professionali (diverse da quelle dell’Allegato III) che cagionino danno alle specie ed habitat. Implicitamente si può ritenere che è prevista la responsabilità oggettiva per le attività di cui all’Allegato III (con conseguente inversione dell’onere della prova). Casi di esclusione della responsabilità civile (art. 4) Nella Direttiva sono previsti come casi di esclusione della r.c.: a. i fenomeni naturali eccezionali, inevitabili ed incontrollabili; b. rischi nucleari; c. trasporto marittimo di sostanze nucleari; d. inquinamento diffuso; e. difesa nazionale; f. sicurezza internazionale e misure di protezione da calamità naturali. Casi ulteriori di esclusione della responsabilità civile 1) mancanza del nesso causale; 2) mancanza del dolo e della colpa (nel caso di responsabilità soggettiva); 3) mancata prova del danno; 4) attività autorizzata (a certe condizioni: vedi punto 20 del preambolo; art. 2, punto 1, a); 5) attività delegata (art. 2, punto 6); La valutazione economica del danno ambientale Nella Direttiva: Il principio “chi inquina paga” esige che tutti i costi per il ripristino naturale primario o per equivalente siano considerati. Non viene dettato un preciso modello economico di valutazione ma si indicano dei criteri: a. priorità della riparazione primaria; b. in caso di impossibilità o difficoltà, assicurare risorse e servizi equivalenti (riparazione complementare) in un luogo vicino; c. compensare (e quindi includere nei costi) le spese temporanee in attesa del ripristino naturale; d. se non è possibile assicurare l’equivalenza risorsa-risorsa e servizi-servizi, si adotta il metodo della valutazione monetaria; e. la scelta delle opzioni tiene conto della necessità di utilizzare la migliore tecnologia disponibile, considerando il costo di essa, il suo effetto anche nella prospettiva futura, il tempo di recupero, la specificità della situazione del sito, altri fattori culturali e sociali. Per la riparazione del danno al terreno si richiede una specifica procedura di valutazione del rischio e l’eliminazione delle sostanze. E’ prevista la possibilità di diverso utilizzo in base alle norme di assetto territoriale. E’ anche contemplata l’ipotesi marginale di un ripristino naturale senza interventi umani diretti (ove sia possibile). Criteri per la riparazione del danno Nella Direttiva esistono due regole fondamentali: 1) il costo della riparazione è a carico dell’autore del danno; 2) la riparazione va intesa come ripristino materiale (integrale o equivalente). Solo in via eccezionale si procede al risarcimento pecuniario (vedi Allegato III). Azioni di prevenzione (art.5) 1. Quando un danno ambientale non si è ancora verificato, ma esiste una minaccia imminente che si verifichi, l'operatore adotta, senza indugio, le misure di prevenzione necessarie. 2. Se del caso, e comunque quando la minaccia imminente di danno ambientale persista nonostante le misure di prevenzione adottate dall'operatore, gli Stati membri provvedono affinché gli operatori abbiano l'obbligo di informare il più presto possibile l'autorità competente di tutti gli aspetti pertinenti della situazione. 3. L'autorità competente , in qualsiasi momento, ha facoltà di: a. chiedere all'operatore di fornire informazioni su qualsiasi minaccia imminente di danno ambientale o su casi sospetti di tale minaccia imminente; b. chiedere all'operatore di prendere le misure di prevenzione necessarie; c. dare all'operatore le istruzioni da seguire riguardo alle misure di prevenzione necessarie da adottare; oppure d. adottare essa stessa le misure di prevenzione necessarie. 4. L'autorità competente richiede che l'operatore adotti le misure di prevenzione. Se l'operatore non si conforma agli obblighi previsti al paragrafo 1 o al paragrafo 3, lettere b) o c), se non può essere individuato, o se non è tenuto a sostenere i costi a norma della presente direttiva, l'autorità competente ha facoltà di adottare essa stessa tali misure. Azioni di riparazione (art. 6) 1. Quando si è verificato un danno ambientale, l'operatore comunica senza indugio all'autorità competente tutti gli aspetti pertinenti della situazione e adotta: a. tutte le iniziative praticabili per controllare, circoscrivere, eliminare o gestire in altro modo, con effetto immediato, gli inquinanti in questione e/o qualsiasi altro fattore di danno, allo scopo di limitare o prevenire ulteriori danni ambientali e effetti nocivi per la salute umana o ulteriori deterioramenti ai servizi e b. le necessarie misure di riparazione conformemente all'articolo 7. 2. L'autorità competente, in qualsiasi momento, ha facoltà di: a. chiedere all'operatore di fornire informazioni supplementari su qualsiasi danno verificatosi; b. adottare, chiedere all'operatore di adottare o dare istruzioni all'operatore circa tutte le iniziative praticabili per controllare, circoscrivere, eliminare o gestire in altro modo, con effetto immediato, gli inquinanti in questione e/o qualsiasi altro fattore di danno, allo scopo di limitare o prevenire ulteriori danni ambientali e effetti nocivi per la salute umana o ulteriori deterioramenti ai servizi; c. chiedere all'operatore di prendere le misure di riparazione necessarie; d. dare all'operatore le istruzioni da seguire riguardo alle misure di riparazione necessarie da adottare; oppure e. adottare essa stessa le misure di riparazione necessarie. 3. L'autorità competente richiede che l'operatore adotti le misure di riparazione. Se l'operatore non si conforma agli obblighi previsti al paragrafo 1 o al paragrafo 2, lettere b), c) o d), se non può essere individuato o se non è tenuto a sostenere i costi a norma della presente direttiva, l'autorità competente ha facoltà di adottare essa stessa tali misure, qualora non le rimangano altri mezzi. Costi della prevenzione e riparazione (art. 8) Nella Direttiva: Tutto il costo grava sull’autore del danno. In caso di pluralità di autori si applicano le norme nazionali. In caso di inquinamento a carattere diffuso o generale va esclusa la responsabilità se manca qualsiasi nesso causale con atti di singoli autori. Il costo comprende: la lesione dell’ambiente; i servizi connessi; le spese di valutazione amministrative e legali, di raccolta dei dati, di controllo e vigilanza. Titolare del diritto all’attuazione delle misure è l’autorità pubblica (compreso il diritto al recupero delle somme spese entro 5 anni). I privati hanno il diritto alla salute ed al patrimonio non il diritto al ristoro del danno ambientale. Autorità competente (art. 11) 1. Gli Stati membri designano l'autorità competente o le autorità competenti ai fini dell'esecuzione dei compiti previsti dalla presente direttiva. 2. Spetta all'autorità competente individuare l'operatore che ha causato il danno o la minaccia imminente di danno, valutare la gravità del danno e determinare le misure di riparazione da prendere a norma dell'allegato II. A tal fine, l'autorità competente è legittimata a chiedere all'operatore interessato di effettuare la propria valutazione e di fornire tutte le informazioni e i dati necessari. 3. Gli Stati membri provvedono affinché l'autorità competente possa delegare o chiedere a terzi di attuare le misure di prevenzione o di riparazione necessarie. Legittimazione (artt. 12/13) Com’è noto, il danno ambientale ha una triplice dimensione: I. personale; II. sociale; III. pubblica. La Direttiva (art. 12) riconosce un ruolo alle persone fisiche o giuridiche ed alle ONG nel senso di poter attivare una procedura amministrativa davanti all’Autorità, consistente in una richiesta di azione di ripristino, corredata di dati ed informazioni, nonché di intervenire nel procedimento attivato dalla stessa Autorità di sua iniziativa. L’art. 13 consente alle persone fisiche e giuridiche di attivare una procedura di riesame davanti ad un organo giudiziario o amministrativo. Sono fatte salve le disposizioni nazionali sull’accesso alla giustizia. Assicurabilità del rischio ambientale (art. 14) 1. 2. Gli Stati membri adottano misure per incoraggiare lo sviluppo,da parte di operatori economici e finanziari appropriati, di strumenti e mercati di garanzia finanziaria, compresi meccanismi finanziari in caso di insolvenza, per consentire agli operatori di usare garanzie finanziarie per assolvere alle responsabilità ad essi incombenti ai sensi della presente direttiva. Anteriormente al 30 aprile 2010 la Commissione presenta una relazione in merito all'efficacia della direttiva in termini di effettiva riparazione dei danni ambientali e in merito alla disponibilità a costi ragionevoli e alle condizioni di assicurazione e di altri tipi di garanzia finanziaria per le attività contemplate dall'allegato III. La relazione esamina anche relativamente alla garanzia finanziaria i seguenti aspetti: un approccio graduale, un massimale per la garanzia finanziaria e l'esclusione di attività a basso rischio. Alla luce di tale relazione e di una valutazione approfondita dell'impatto, che include un'analisi costi/benefici, la Commissione presenta, se del caso, proposte per un sistema di garanzia finanziaria obbligatoria armonizzata La bellezza salverà il mondo. (Fëdor Dostoevskij) Dicembre 2007, Corea del Sud, la marea nera nella baia di Mallipo 24 marzo 1989, la petroliera Exxon Valdez rovescia 35 mila tonnellate di greggio di fronte alla Baia del Principe William, in Alaska 15 settembre 2007, nube tossica aTaranto